Walk me Home ( In The Dead of Night )

di Diletta_86
(/viewuser.php?uid=10558)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. I ***
Capitolo 2: *** Cap. II ***
Capitolo 3: *** Cap.III ***



Capitolo 1
*** Cap. I ***


Trying to stand up on my own two feet
this conversation isn’t comin' easily
and darling, I know it's getting late
So what do you say we leave this place?
-P!nk-
 
Non aveva ancora finito di voltare la testa ed osservare quello scempio, l’inutile barbarie di speranza in un futuro migliore nonostante tutto, eppure il suo cuore già sapeva cosa avrebbe voluto e forse dovuto fare.
Un “No” strozzato e prepotente al contempo era uscito dalle labbra di Daryl Dixon, l’uomo che quasi tutti pensavano incapace di qualsiasi manifestazione tangibile di reale affetto.  Cazzate.  Avrebbero dovuto vederlo mentre si lanciava a farle scudo alla vista con l’intera prestanza del suo fisico da arciere. 

Carol era rimasta leggermente attardata rispetto al loro minuscolo gruppo, probabilmente provata nella tempra dalla lotta notturna. Lei non voleva combattere, non voleva far sì che quel mondo distrutto e disciolto come la carne dei vaganti facesse di lei un mostro.  Era ferma, le labbra spalancate in orrore per quegli amici e compagni. L’aveva vista voltare lo sguardo, seguendo il suo in un istinto alla sincronia che ancora non riuscivano a spiegarsi; l’aveva afferrata per le spalle, obbligandola a voltare il capo.  “Guarda Me …Guarda soltanto me “, un sussurro e poc’altro.  Daryl si era voltato a controllare, sperando in cuor suo di essersi sbagliato, ma quello era innegabilmente, intollerabilmente Henry. Si era imposto di continuare a guardarla, aveva assistito allo stupore, allo choc ed alla disperazione che si palesavano su quei suoi occhi color cielo che già così a lungo avevano sofferto. 

Sentirla collassare contro di sé, dopo averla sentita ribellarsi, anni prima, in un’identica situazione, l’aveva prosciugato delle poche forze rimaste. Carol si fidava di lui adesso, eppure Daryl era terrorizzato all’idea che quel nuovo dolore la portasse via da lui.L’aveva sollevata di peso, incurante delle domande di Michonne o del singhiozzare sommesso di Yumiko prostrata a terra, ridiscendendo la collina ed addentrandosi nei boschi da cui erano usciti.  Stava iniziando a nevischiare. Un altro maledetto inverno. 

Era arrivato fino al suo accampamento come un automa, senza smettere per un secondo di tenerla, rivivendo il ricordo di quando l’aveva trovata esanime alla prigione, ed anche allora ce l’avevano fatta.
Sollevò con un calcio la tenda di lana grezza che copriva l’ingresso della zattera, depositandola sul giaciglio che lei stessa aveva contribuito a costruire in quegli anni di incontri clandestini all’insaputa del re.  Promettendo a sé stesso di rendere quel posto una vera casa.  Le fosse costato l’inferno non avrebbe permesso che lei tornasse al regno, che di nuovo dovesse affrontare il dolore dei ricordi tutto attorno.

“Daryl?!”

Era sicuro di stare sognando, ed invece era proprio la sua voce.

“Sono qui...”

“Devo essere stata davvero una madre orribile... “

“Non pensarlo neppure.”

Un singhiozzo sommesso: “E allora perché?”
 
Adesso Daryl sedeva al suo fianco, indeciso se stringerla ancora a se o rispettare il suo spazio vitale.
Alzò lo sguardo al cielo grigio che s’intravedeva dallo spiraglio della tenda, cercando le parole giuste tra i troppi pensieri.

“Quella donna è una persona disturbata…che cerca di imporre la sua logica perversa come fosse la sola possibile. Un branco di stronzate.  Henry era più Alfa di quanto lei sarà mai, tutti loro lo erano… “

Carol lo osservava in silenzio, gli occhi gonfi e rossi adesso non piangevano più, rendendogli ancora più difficile il compito. Non era abituato ad esprimersi in quel modo, temeva sempre di usare le parole sbagliate. 

“...quella pazza assassina è convinta che la brutalità spezzi chiunque… ma noi non ci spezziamo.”

Concluse la frase fissandola con un’intensità che non si permetteva di usare da anni ormai, e lei fece altrettanto, mantenendo il contatto per tutto il tempo, limitandosi ad annuire col capo, sopraffatta di nuovo da un singulto di pianto.  Daryl si protese afferrandola, finalmente, in un altro dei loro abbracci.

“L’inverno arriverà presto…dovrei riportarti al sicuro.”

“Non voglio tornare, ma devo. ci sono cose…”

“Non mi devi alcuna spiegazione…”

“...verrai con me vero?”

Il Daryl che era partito dal regno il pomeriggio antecedente avrebbe borbottato qualcosa sul pensarci su, ma quel Daryl era morto poco prima sulla collina, sopraffatto dal dolore della donna che amava da almeno dieci anni e che aveva lasciato ad un altro pur di saperla al sicuro.  Resuscitarlo adesso, anche se forse era la cosa più giusta da fare, a Daryl pareva impossibile.

“…se vorrai. Ma non voglio, non posso stare a guardarti mentre ogni cosa ti ricorda quello che hai perso. L’ho già fatto una volta... sappiamo come è finita.”

“Pookie...”

Nessuno dei due riuscì a dire altro. Attesero in silenzio che il sole tramontasse e lentamente Daryl si accorse che il tremore di lei, ancora appoggiata contro la sua spalla era andato scemando fino a crollare in un sonno agitato. Avrebbe vegliato per entrambi. Non sarebbe comunque riuscito a chiudere occhio, peccato non avere anche “Cane” con loro, in quel libro che aveva sottratto dal centro di aiuto per donne in fuga c’era scritto che un animale era di grande aiuto nel superare gli choc emotivi, e gli dei sapevano se Carol né avrebbe avuto bisogno.

Trascorse la notte stilando un programma mentale di come avrebbero potuto organizzarsi nel tempo a seguire; tracciando una mappa immaginaria dei percorsi migliori e dei luoghi dove avrebbero potuto trovare rifugio senza incappare nel branco di quella pazza pelata. Gliela avrebbe fatta pagare, su quello si poteva star certi.  Perché una cosa Daryl non aveva ancora confessato, neppure a sé stesso, quel ragazzino era un po’ anche figlio suo sin da quando lo aveva visto sbucare fuori dal bosco in piena notte con lei, anni prima.
 L’aveva tenuto al sicuro, ci aveva discusso, lo aveva visto innamorarsi di quella ragazza, Lydia, rivedendo in loro sé stesso e sua madre. Aveva tifato per quel loro amore adolescenziale. Ed ora era tutto perduto.   Per questo neppure si accorse delle lacrime che gli rigavano il viso, cadendo spudorate di fronte all’ineluttabilità della morte.  Piangere non era da deboli, ed era stata proprio Carol a farglielo capire, ora doveva solo escogitare un modo per restituirle tutto il bene ricevuto e magari salvare anche la giovane Lydia.
 
Rientrarono al regno tre giorni dopo, quando ormai tutti disperavano di riuscire a vederli di nuovo, convinti che la follia del dolore li avesse spinti a qualche azione incosciente.  In verità, pensava Daryl, verso qualcosa erano stati spinti, solo che cosa fosse di preciso nessuno dei due ancora lo aveva espresso a parole. 

Carol parve rientrare in una corazza di apatia non appena varcati i portoni di "" Casa"", Daryl la vide salutare, lasciarsi consolare ed ascoltare paziente ogni parola che le veniva rivolta, ma niente di tutto ciò riusciva a coinvolgere la sua espressione, lasciandole gli occhi spenti verso un qualcosa che non c’era. Malgrado tutta l’attenzione che stava dedicandole, l’uomo fu più che felice di rivedere il suo cane, che festoso corse incontro ad entrambi, profondendosi in latrati e saltelli davanti ai loro piedi. Gli parve perfino di udirla ridacchiare di tanta accoglienza, ma forse stava impazzendo anche lui.

Ezekiel fu il loro primo problema.  La perdita, esattamente come era avvenuto con Shiva, aveva fatto cadere la sua maschera di positiva cordialità, lasciando libero l’uomo insicuro, pedante ed ingiustamente cattivo che era davvero. Allora Carol era riuscita a riportare le cose ad un ordine apparente, ma adesso non sembrava disposta a fare alcunché.  Lasciò che l’abbracciasse, ma non mosse un dito per ricambiare il dolore del “”padre”” di Henry, scrollandosi dal contatto fisico col massimo tatto, ma il più in fretta possibile.  Fu a quel punto che il re alzò lo sguardo su di lui, immobile come una statua di sale alle spalle della donna, la mascella lievemente contratta, guardingo.

“Ti sono grato per averla tenuta al sicuro…” – era il suo solito tono affettato, falsamente cordiale. Daryl si limitò ad un cenno del capo, pronto a fare un passo di lato e andarsene, ma Zeke lo bloccò, trattenendolo per un braccio, avvicinandosi a sussurrare qualcosa che suonava come un “faresti bene ad andare adesso”, e nessuno dava ordini ad un Dixon.  Si volse, fronteggiandolo, scrollando via il braccio, pronto allo scontro, e poi si ricordò di come Henry fosse stato felice di scoprire che lui era quel genere di persona che sembrava sempre pronto ad appendere la gente al muro, salvo poi trattenersi.

“Te lo dico una volta sola, Re, io non sono la puttana di nessuno…”

L’attimo dopo era già lontano, inseguendo la corsa festosa di cane.  Chi non era andata da nessuna parte era Carol, che spuntò di nuovo fuori appena lui fu a distanza di sicurezza. Gli occhi che Ezekiel aveva sempre visto posarsi in giro con materna indulgenza adesso erano un muro di ghiaccio puntato contro di lui.

“Non trascorreremo l’inverno al regno. Non vivremo più qui, trascorreremo il periodo duro alla stazione di passaggio, come sempre, puoi venire, o restare, e le cose di Henry vengono con me in ogni caso.  La pace è finita.”

Zeke fece per protestare, ma fu zittito da un cenno della mano di Carol.

“Tu e la tua sciocca utopia del bene… credevo che Rick avesse raggiunto il punto più in basso in questa follia... evidentemente mi sbagliavo.  Lo hai almeno cercato? “

“Ho pensato fosse venuto a cercarvi, di nuovo…non credevo…”

Carol piangeva di nuovo, forse per frustrazione, forse perché davvero non sarebbe più riuscita a sollevarsi da una simile catastrofe emotiva.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Cap. II ***


Sospirò, lentamente, lasciando l’aria scorrere quanto più a lungo possibile attraverso i polmoni. Non sarebbe stata capace di sopportare ulteriormente la vista di quell’uomo. Vederlo le ricordava il fallimento della sua vita “”normale””, si sentiva una stupida, ma non avrebbe permesso a quella cosa di averla vinta su di lei.  Volse i tacchi, dando le spalle a quella che era ormai solo l’ombra di un re ed andandosene.  Anche questa volta Daryl aveva avuto ragione: ogni singola pietra di quel posto le ricordava suo figlio, non sarebbe mai riuscita a sopportarlo.

Si diresse con passo cadenzato verso quella che era la casa che lei ed Ezekiel avevano diviso in quegli anni, riflettendo su come il concetto di casa le fosse apparso da sempre forzato in relazione ad un luogo. In un mondo post apocalittico casa erano le persone alle quali sei legato, non un luogo o degli oggetti. E quel posto non la tratteneva più in alcun modo adesso che Henry era sparito.  

“Hey…”

Era il tipico modo in cui Daryl richiamava la sua attenzione, anche se qualcosa nel timbro della voce rendeva evidente la sua preoccupazione nei suoi riguardi. Voltando lo sguardo Carol lo individuò immediatamente, seduto sui gradini del portico, chiaramente in attesa.

“Hey straniero...”

“Mi sono permesso di radunare un po’ di cose…anche se non sono sicuro siano tutte… nel, nel caso tu avessi avuto bisogno di partire in fretta.”

Quando era emozionato Daryl diventava balbuziente, quasi incapace di mettere in fila le parole, di solito si mordicchiava l’interno del labbro inferiore. In quel caso stava anche giocherellando nervoso con il manico di un voluminoso borsone di tela verde militare al cui lato era fermato il bastone nero di Henry. Carol si portò una mano alla bocca, di nuovo commossa dal gesto inatteso. 

Si avvicinò, aprendo lentamente la sacca e sbirciandone il contenuto. La scatola di legno intagliata appartenuta al ragazzo fu la prima a balenarle davanti. Henry ci custodiva dentro i disegni ed i fiori che essiccava per lei.  Era appoggiata su una pila di camicie piegate con cura, probabilmente ancora impregnate dell’odore di Henry. Carol fu costretta a trattenersi dall’affondarci il viso dentro alla ricerca di uno sprazzo di quel figlio prematuramente perduto. Per ultimo vide il pupazzo con le sembianze di Sheeva, che lei stessa aveva trovato durante una delle loro battute di ricerca viveri. Lo estrasse, rigirandolo tra le mani pensierosa.

“Diamine... quel gatto troppo cresciuto mi stava simpatico...”

Cane, accoccolato ai piedi di Daryl parve aversene a male, sollevando le orecchie in una tacita domanda al padrone.

“Daryl Dixon una Gattara?! Oh buon dio… tuo fratello sarebbe morto di crepacuore a sentirti...:”

“…Smettila...”

Era il loro solito scambio di battute ironiche. Stavolta aveva dato il via ad uno scroscio inatteso di risolini, chiaramente azzittiti in fretta, come da chi non avrebbe dovuto farsi notare. Carol si volse immediatamente, di nuovo pronta a dare battaglia, incontrando lo sguardo terrorizzato di Lydia, nascosta poco lontano, al collo il medaglione con su incisa la H, l’aria di chi si è trovata davanti al demonio e ora non ha la minima idea di che fare. Daryl le osservava con un sopracciglio alzato.

“Vieni fuori ragazza.” – impose Carol spiccia, aggiungendo un cenno della mano come rafforzativo.

Lei si mosse, trascinando i piedi come chi stà per essere rimproverato duramente, suscitando un principio di rivolta dell’istinto materno di Carol.

“Oddio...signora. Scusi…oh mio dio... non conosco neppure il suo cognome. Mi dispiace...”

Balbettava in maniera molto simile a Daryl, fu la prima cosa che le balzò in mente e sembrava ancora più terrorizzata di quanto lo era stato lui ai tempi della fuga da Atlanta. Sospirò.

“Dixon. Il cognome, intendo... è Dixon.”

“Per la miseria donna! Dì vuoi ammazzarmi ?!”

La brusca interruzione ad opera di Daryl le provocò un sobbalzo. L’uomo stava ancora tossendo in modo convulso, rosso in faccia come chi ha corso per salvarsi la pelle, o come chi è talmente sbigottito da non riuscire a trattenersi. Le strappò il primo sorriso genuino dopo quattro intensi giorni di oscurità. 

“Temo di essermi persa di nuovo.” – doveva insegnare a quella ragazza a non sussurrare, si appuntò.

“Siediti Lydia… c’è una storia che devi ascoltare. “– concluse indicandole il posto sullo scalino di legno, esattamente in mezzo tra dove lei si era seduta e dove Daryl rimaneva appollaiato con l’aria del bambino sperduto. Gli concesse un rapido scambio di sguardi, quasi a volerlo rassicurare di non essersi bevuta il cervello.  Si prese il tempo per rimettere a posto il peluche di Sheeva che ancora teneva in mano e chiudere il borsone con un sorriso nostalgico spuntato chissà come sul volto.

 Respirò e poi iniziò a raccontare alla ragazza di quando il mondo era finito, realizzando nell’istante stesso in cui lo diceva ad alta voce, che Lydia doveva avere avuto più o meno l’età di Sophia allora.  Un singhiozzo le rubò il respiro, aggravato dalla mano tiepida di Daryl che le si posava tra le scapole, in un gesto di tacita comprensione e conforto. Ecco cosa c’era in lei che attirava così tanto il suo ragazzo…

Senza neppure rendersene conto Carol riassunse tutti gli anni trascorsi con il gruppo capitanato di Rick Grimes con dovizia di particolari emotivi, rendendo palese alle sue stesse orecchie tutto quello che aveva tentato di negare a sé stessa.  Narrò di come Henry   avesse deciso che sarebbe stata lei a fargli da madre, piazzandoglisi alle costole in quel bosco, a rischio di essere lui stesso divorato.  Ezekiel si era aggiunto soltanto in un secondo momento, quando ormai la guerra coi Salvatori era finita, forse più per un contorto senso di colpa nell’aver causato lo sterminio della famiglia del ragazzo che per sincero affetto paterno.

“Quando se ne è innamorata?”

“Innam??Credo di non aver mai capito se ero innamorata di Ezekiel… Semplicemente ero più che contenta di essere idolatrata ed al centro di ogni pensiero. Dopo Ed, il mio primo marito, non credevo sarei mai riuscita a vivere qualcosa zucchero e miele né a sentirmi al sicuro. “ 

Di nuovo Daryl che tossiva nervosamente in sottofondo. Carol alzò gli occhi al cielo, ironica.

“Qualcosa da obiettare Dixon?!”

“Più di qualcosa in verità ...”

“Mmh. Hhm…sentiamo...”

“Mi chiedo se tu portassi gli occhiali, donna, prima che il mondo andasse a puttane. Perché se hai bisogno dello sciroppo d’acero per capire che sei il centro del mondo di un uomo… bah!”

Daryl si era alzato in piedi di scatto, voltando le spalle ad entrambe. Lydia aveva abbassato lo sguardo, arrossendo, proprio come fanno tutti i ragazzi quando mamma e papà si trasformano nei fidanzatini. 
La risata si era levata spontanea dal profondo dell’animo lungamente sedato di Carol Peletier, risuonando forte e chiara sotto la volta della veranda, diffondendosi come una specie di luce dopo una tempesta profonda. Richiese un minuto buono riuscire ad esaurirla, ma quando fu conclusa Daryl vide chiaramente che si era espansa, offuscando il dolore dello sguardo di lei in qualcos’altro.

“Daryl Dixon ...sei l’unico uomo su questa terra di zombie capace di fare una dichiarazione tanto melensa e tanto orribile insieme…”

“Ed ora cosa vorrebbe dire ?!”

Carol scosse il capo facendo ondeggiare i lunghi capelli che già le davano fastidio. Si alzò, raggiungendolo e poggiandosi lieve contro le sue spalle, in punta di piedi per via della differenza di altezza.

“Non è questo il momento di fare il geloso…”

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Cap.III ***


La conversazione chiuse la giornata. Ed in quelle successive Daryl fece il possibile per tenere in piedi il regno, convinto che fosse imprudente avventurarsi lungo il cammino fino ad Hilltop, o addirittura fino ad Alexandria col meteo che andava peggiorando.  Così mentre Carol cercava di mantenere unito il proprio popolo, Daryl riparava tubazioni ed accumulava scoiattoli con estenuanti caccie notturne, pensate appositamente per non pensare agli innumerevoli tentativi del Re di riconquistarla.  Tentativi che l’insicurezza con la quale Daryl conviveva impediva di vedere quanto irritassero Carol.  Tant’è che l’aveva trovata accoccolata sugli scalini del suo alloggio, in attesa o semi addormentata almeno una sera ogni due. Qualcosa si era rotto tra lei ed il re, solo che lui era incapace di vedere che cosa.

Alla fine di ottobre il clima era ormai insopportabile: acquazzoni continui rendevano impossibile coltivare qualcosa, riempivano l’aria di umidità e non c’era verso di scaldarsi nei vecchi spazi di quella che era stata una scuola superiore e che ora chiamavano “Regno.”

Il tracollo definitivo avvenne proprio nel giorno in cui prima dell’apocalisse in America si festeggiavano gli spiriti. Halloween.  Daryl fu svegliato dal baccano in strada sotto le sue finestre. Saltò giù dal letto, vestendosi lungo la strada, convinto che alla fine quella pazza senza capelli fosse tornata a pretendere chissà ché.  Appena all’esterno tuttavia si trovò davanti a quello che sembrava in tutto e per tutto un linciaggio. I sudditi del regno stavano inveendo contro qualcuno, circondandolo lentamente e inesorabilmente ad ogni passo. Come al solito di Ezekiel in queste circostanze neppure l’ombra.  Le persone si lamentavano del fatto che tutto quel colossale disastro era opera sua, pretendendo la sua testa su una picca, esattamente come su di una picca erano finite le teste dei loro figli, fratelli ed amici.

Dixon stava per tornarsene a letto quando uno scampolo della conversazione raggiunse le sue orecchie da cacciatore, e per di più quella conversazione aveva un tono più che familiare.

“Calmatevi per l’amore del cielo! Non otterremo nulla versando altro sangue oggi!” – era senza alcuna ombra di dubbio Carol a parlare. 
In un istante Daryl stava sgomitando in mezzo al gruppo, cercando di avvicinarsi, di comprendere.  Quando infine riuscì ad essere sufficientemente vicino vide la donna che amava in piedi sopra ad una specie di carro ribaltato, dietro al quale c’era qualcuno rannicchiato in posizione di difesa.

“Oh porca merda.” – esclamò, superando gli ultimi che si frapponevano tra lui e la donna con un robusto spintone, lo sconcerto che stava già tramutandosi in rabbia. La raggiunse, affiancandoglisi come già mille volte era accaduto in passato, andando a formare un cerchio dentro al quale avrebbero potuto difendersi a vicenda.

“Che diavolo stà succedendo qui? “– gridò, zittendo automaticamente la folla. Nessuno al regno voleva avere a che fare con la furia di Daryl, almeno non dopo che una delle guardie era tornata, anni prima, pestata a sangue a seguito di non so quale suo pessimo piano di salvataggio dai salvatori.  Quando alla fine, complice il silenzio, Lydia sbucò da dietro il suo riparo di fortuna, per Daryl fu tutto estremamente chiaro: era ora di lasciar andare quel luogo prima che la faccenda degenerasse.

“Siete seri?!” -proseguì a tono ancora alto – “Davvero credete che mettere la testa di una bambina su una picca ci renda migliori di quella gente là fuori? Che ci renda i nostri affetti perduti?!! Questo posto era una dannatissima scuola per Gesù cristo! Non c’è terra per coltivare, non ci sono alberi…le condutture non reggono! E voi incolpate una ragazzina per questo invece di uscire a cercare qualcosa di meglio?!”

“Ma è colpa di sua madre se siamo isolati per l’inverno!” – obiettò la folla, alzando le braccia in esaltazione del loro delirio. Daryl grugnì, preparandosi a rispondere, ma fu preceduto da Carol.

“La colpa è nostra. Abbiamo tirato avanti oltre il limite, accecati da un sogno.”

Le parole della loro regina parvero colpire nel segno, suscitando sguardi perplessi e spalle abbassate in posizione colpevole. Daryl si trovò a pensare di nuovo a quanto quella donna fosse una leader naturale, e a quanto il ruolo la rendesse bella.  Rilassandosi appena l’arciere rimase in attesa di sentire la fine di quel suo monologo alla folla inferocita.

 “Se pensate che vi permetterò di linciare una ragazzina per soddisfare il vostro insulso senso di vendetta avete sbagliato di grosso!  Ve lo dirò una volta ed una soltanto: raduniamo i nostri averi ed affetti e partiamo per Hilltop, o moriamo nel tentativo.”

“La regina ha ragione.” 

Alla fine anche Ezekiel pareva aver avuto la decenza di intervenire, coi suoi soliti modi da commedia dell’arte, certo, ma almeno quella storia si era conclusa. Lentamente la gente parve disperdersi, di nuovo occupata in qualcosa di serio: fare i bagagli.  Daryl e Carol si guardarono negli occhi un istante, non andava bene, ma come al solito non avevano modo di discuterne.  L’ingresso del re aveva irrigidito l’arciere e reso di ghiaccio la regina.  Si separarono, Daryl condusse Lydia con sé, mentre Carol se ne andò, scusandosi di impegni pregressi che la chiamavano.

 Per lei non fu così penoso chiudere i cancelli del regno, non come lo fu per Ezekiel, che rimase a lungo attardato in fondo alla colonna, perso nei suoi rimpianti.  Col barometro in picchiata e la madre delle tempeste ad inseguirli, anziani bambini e tutti i superstiti del regno si incamminarono lungo il percorso per Hilltop. Non fu semplice, specie per Lydia, baccagliata dai continui commenti sarcastici sul “branco di bestie” col quale era cresciuta, pronti a giudicarla ogni qual volta incontravano un branco di vaganti. La ragazza lo capiva, tutti loro avevano perduto moltissimo, per il desiderio di Henry di liberarla, per la speranza di fare di lei quello che era, una brava ragazza.

In quel pomeriggio grigio, durante la seconda settimana di viaggio, Lydia camminava da sola, sorreggendosi al bastone che era stato di Henry, Carol glielo aveva lasciato con un sorriso che la giovane non aveva saputo interpretare.   Carol la osservava da lontano, leggermente arretrata sul cammino, Daryl era al suo fianco, anche se non sapeva bene da dove fosse spuntato.

“Henry la voleva qui, con noi, quando a nessun altro importava… è una brava ragazza, dopotutto.”

Sembrava un commento di una banalità infinita, ma Daryl non faceva mai commenti banali.

“Ogni volta che la guardo vedo soltanto lui...” – rispose Carol ricacciando indietro il pesante fardello dell’elaborazione del lutto. Non voleva rischiare.  Ma Daryl non aveva finito, o forse solo quella sua risposta così pesantemente sconsolata, così rassegnata all’ineluttabilità della morte, lo aveva finalmente spinto oltre i limiti che il suo passato e la paura che aveva vissuto gli avevano imposto.  Alzò gli occhi al cielo, in un’ultima supplica per trovare il coraggio, si morse l’interno guancia e poi lasciò che la cosa che lo tormentava uscisse:

“E cosa vedi quando guardi me ?!”

Daryl vide la donna alzare lentamente lo sguardo fino a piantarlo nel suo, l’espressione sconsolata di una madre in lutto che scattava in un sorriso mesto, ma sincero, la mano destra che si incuneava a trattenerlo per l’avambraccio, avvicinandolo a sé con un lieve strattone.“…vedo... te.” – concluse rispondendogli e assestando un altro strattone all’avambraccio, nel tentativo di poggiarvi la testa e continuare a camminare.  Nessuno dei due si accorse della presenza di Ezekiel poco più avanti, voltato ad osservare l’intera scena, l’aria più meditabonda del solito, o forse più cattiva di quanto avesse mai rivelato ad alcuno.

Quando, poco più tardi nel pomeriggio, Ezekiel lo seguì mentre andava a recuperare le frecce della sua balestra, Daryl seppe per certo che nella pentola del destino doveva esser stata messa su la sua cena.  Il tempo di raccogliere una delle punte dal cranio di uno dei vaganti che lui e Carol avevano abbattuto, che alzando la testa Daryl si trovò occhi negli occhi col “Re”

“Progetti per il futuro una volta arrivati ad Hilltop?”

“...Non saprei.”  

L’arciere era decisamente guardingo, non voleva rischiare altri casini con Carol, né tantomeno di scatenare nuovi disordini nel gruppo già fin troppo provato. Per sua fortuna, tuttavia, la minestra messa su dal destino decise di bollire spontaneamente. I lineamenti di Ezekiel si irrigidirono a quella risposta elusiva, e a mascelle serrate l’uomo sciorinò fuori le cose per come stavano, una volta tanto.

“Io e Carol abbiamo avuto un periodo difficile…e spero di avere un nuovo inizio adesso che andiamo ad Hilltop, e sarebbe più facile se fossimo da soli. “- Daryl stava ancora pensando quando l’uomo riattaccò il suo regale pippone. “Amico io non voglio fare lo stronzo, ma ho perso molto e rivorrei indietro almeno qualcosa… rivorremmo.”

Un sorriso sarcastico illuminò il viso punteggiato di barba di Dixon. Quello stronzo si era tradito con le sue stesse parole.

“È quello che Carol vuole?” – borbottò punt’affatto convinto. “ Lei vuole quel che voglio anche io.”

“Stronzate...”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3830177