Occhi color mako

di cut_wing
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La quiete prima della tempesta ***
Capitolo 3: *** Scoperte ***
Capitolo 4: *** Incontri ***
Capitolo 5: *** Traditore ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo
Raccolse da terra la Buster Sword e si specchiò sulla piccola porzione di lama ancora visibile oltre la crosta di fango e sangue. La prima cosa che vide furono i suoi occhi: due pozzi verdi di disperazione infusi di mako e lacrime, in parte coperti dalle ciocche ribelli di capelli biondi che, per colpa della pioggia, gli si appiccicavano al volto. Un altro dettaglio però catturò la sua attenzione. Si passò una mano sulla guancia e quando la ritrasse era divenuta scarlatta. Abbassò lo sguardo: tutto, dai pantaloni al suo stesso viso, era sporco di sangue. Il suo sangue. Lasciò cadere di colpo la spada e si sfregò il viso con foga, fino quasi a spellarsi, singhiozzando. Sentiva il suo sapore ferroso sulla lingua, nelle narici… la sua stessa anima era tinta di rosso. Scattò in piedi, rivolgendo lo sguardo verso il cielo, l’unica cosa che non aveva preso il colore del sangue, e urlò.
Il suo grido si perse nel vento, rimbalzando tra le vette rocciose del canyon e strisciando sulla sabbia, raggiungendo infine i bassifondi e da lì una chiesa dal pavimento coperto di fiori, ormai disabitata. Eppure lì, quello stesso giorno di due anni prima, un bambino aveva aperto per la prima volta gli occhi al mondo. Occhi color mako.

ANGOLINO DELL'AUTRICE
Buongiorno a tutti!
Lo so, non è intelligente cominciare a scrivere su un fandom con una serie, soprattutto se è la prima in assoluto, ma per una volta cercherò di non badarci.
Premetto che non ho mai giocato nè a Crisis Core nè a FF VII, ma mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, che siano critiche positive o negative.
Ci terrei a ringraziare Red_coat per i suoi consigli e per la sua meravigliosa serie che mi ispira ogni volta!"
ATTENZIONE: gli avvenimenti potrebbero essere stati spostati di qualche anno e l'età di alcuni personaggi modificata.

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Capitolo 2
*** La quiete prima della tempesta ***


Noah
Rido sguaiatamente, non badando alla sabbia che il vento mi schiaffeggia contro con forza, e accelero ancora di più. Mi piego in avanti sul sedile di Fenrir, tenendo gli occhi piantati sulla bandierina del traguardo che si avvicina sempre di più. “Questa volta ce la posso fare!” Penso, euforico, prima che una chiazza indistinta mi sfrecci accanto e si porti di fronte a me. Il motociclista volta appena la testa, giusto per farmi notare il sorrisetto di scherno che gli è appena comparso sulle labbra sottili e farmi ciao-ciao con la mano, per poi far impennare la moto e saettare ancora più in là, verso la vittoria.
-NO! - Urlo. -Ca**o, anche stavolta NO! -
Di solito non sono uno che dice parolacce, ma questa volta proprio non posso farne a meno, vedendo LUI che ride di ME intanto che va a vincere il MIO trofeo. Mi appiattisco sulla moto per diminuire la superficie d’attrito e qualcosa nel mio stomaco si mette a fare i salti con la corda, ma in questo momento non ho tempo di pensare ai problemi di intestino che mi ritroverò non appena scenderò da qui: tutto quello che mi importa è arrivare primo. Cinque metri. Due metri… e lui taglia il traguardo. Mi lascio sfuggire un grido frustrato; me l’ha fatta di nuovo.
-Ben arrivato! - Mi grida, per farsi sentire oltre il rombo del motore. Spengo tutto e lo fulmino con un’occhiataccia. Lui ridacchia, dandomi una pacca sulla spalla. -E dai, Noah! Che fine ha fatto la sportività? - -L’ho spappolata sotto alle scarpe dopo la dodicesima corsa che hai vinto al posto mio. - Gli rispondo, fulminandolo con lo sguardo. Lui si finge pensieroso. -Ecco perché mi sembrava di aver visto qualcosa spiaccicato sul percorso… ah, no, era una cacca di chocobo! - Ci mettiamo a ridere, come se non fosse successo niente. È sempre così, con lui; fa tanto lo spaccone, ma in quanto a farsi perdonare non ci mette più di cinque minuti. O secondi. Con me, è più probabile la seconda. -Paparino non si arrabbierà per la moto? - Fa, accennando a Fenrir. Io sbuffo. -La lascia sempre chiusa in garage, piuttosto dovrebbe ringraziarmi per il fatto di farle prendere un po’ d’aria. - Sentiamo suonare un telefono, e sicuramente non è il mio, dato che non lo porto mai quando gareggio con il mio amico. Lo odo imprecare (ecco, se qui c’è qualcuno a cui piace dire volgarità, quello è proprio lui) e si mette ad armeggiare con il casco, da cui spunta una zazzera rosso fuoco. Non credo che riuscirò mai ad abituarmi al colore dei suoi capelli, soprattutto considerando che non se li è mai tinti in vita sua.
-Qui Reno. Qualche problema, zo-to? - Chiede, dopo aver tirato fuori il cellulare dalla tasca della giacca nera. Dall’altra parte una voce femminile strilla: -Lo so chi sei, testa di… gnu! Quello che non so è DOVE sei, visto che dovresti trovarti QUI! -. Ridacchio, riconoscendo già dalla prima frase chi sta parlando. “Elena.” Mima lui con le labbra, dopo aver allontanato il telefono dall’orecchio per evitare di venire assordato. Io annuisco, dandogli il permesso di allontanarsi. Reno non mi ha mai neppure accennato cosa faccia per vivere ed io non gliel’ho mai chiesto, ma a volte, se è di buon umore, mi parla dei suoi colleghi (o in caso contrario se ne lamenta): Elena, una ragazza intelligente e davvero molto carina (almeno secondo lui), ma che ha questa mania di sostituire le parolacce con insulti inventati di sana pianta, che spesso la fa apparire veramente ridicola; Rude, un tipo taciturno e tutto muscoli che segue sempre le regole (con grande dispiacere di Reno), e Tseng, il “grande capo”. E poi, Cissnei. Lei è… beh, credo che sia una sua vecchia fiamma, ma da come ne parla (o per meglio dire NON ne parla) sembra che non sia finita bene.
-Spiacente amico, ma il lavoro mi chiama. - Esordisce dopo aver riattaccato il telefono in faccia ad un’Elena LEGGERMENTE imbufalita. Cerco di non mostrarmi troppo deluso: ho imparato che quando se ne deve andare è molto più triste di me, quindi cerco di non fargli pesare ancora di più la cosa. -Certo. Ci troviamo domani? - Gli chiedo, con un sorriso forzato. Lui si mordicchia il labbro, come fa sempre quand’è nervoso o imbarazzato, ed io alzo un sopracciglio. -Cosa c’è? - -Ecco… - Si gratta la nuca, abbassando lo sguardo. -…non credo che potrò venire. E nemmeno la settimana prossima. - Incrocio le braccia, invitandolo a continuare. -Andrò in trasferta. Per un mese. - Sputa fuori tutto d’un fiato. Io alzo le sopracciglia. -Che cosa? Ma… - -Lo so, lo so. - Mi interrompe, rimettendosi il casco. -Ma non posso rifiutare, capisci? - Annuisco, anche se in realtà vorrei mettermi a piangere come un bambino. Reno ha dieci anni più di me, che sto per arrivare ai 17, ma tutto in lui fa pensare ad un ragazzino: l’aspetto, la lingua lunga, il carattere scherzoso e la sua passione per le belle ragazze. È il mio migliore amico da quando avevo 13 anni, quando lo incontrai mentre veniva a casa a chiedere informazioni sul lavoro di papà, e mi ha insegnato ad andare in moto, a flirtare ed un sacco di cose che i miei coetanei manco si sognano. Solitamente sta via anche per più tempo, ma quest’anno… -C’è l’anniversario della sconfitta di Sephiroth fra sole due settimane. Avevi detto che… - -Lo so quello che avevo detto! - Sobbalzo, sorpreso. È la prima volta che lo sento alzare la voce. Lui sembra rendersene conto, perché fa un sorriso forzato. -Ti prometto che quando tornerò troveremo i membri dell’AVALANCHE e faremo la richiesta di entrare a farne parte. E su con la vita, riusciremo a farlo prima che salvino il mondo un’altra volta. - -Doveva essere l’ombra di una battuta? - -Forse. - Mi fa l’occhiolino, salendo sulla sua moto nera, splendente come se fosse stata appena lucidata. Balzo in sella anch’io e facciamo un’ultima gara fino al “punto proibito”, come l’ho soprannominato io: una piccola stradina in mezzo alle rocce del canyon, a cui per un tacito patto non posso accedere.
–Tieni il telefono a portata di mano! - Mi grida, prima di imboccarla.
-Anche tu! - Lo saluto, per poi girare la moto e correre a casa. Dò una rapida occhiata a Fenrir, notando le ruote infangate. Sbuffo. “Devo spicciarmi a pulirla, se no chi lo sente mio padre?”
Torno a casa passando dal retro, sperando che nessuno di quei bambini pestiferi che di solito si aggirano nei paraggi si sia accorto di me, e lavo la moto con la canna dell’acqua. Dopo aver finito l’asciugo con uno straccio, riportandola in garage.
-Noah!
Appena in tempo. Questa è mia madre! Corro su per le scale che portano in dispensa e mi fiondo in casa. Beh, più che casa, nel locale.
La mia famiglia gestisce un piccolo bar a Midgar, il “7th Heaven”, ed io do una mano quando posso. Preferisco far compagnia ad ubriaconi che mi scambiano per una femmina, piuttosto che andare a zonzo per la città come un fattorino come vorrebbe mio padre, sgobbando tutto il giorno e rischiando di ritrovarmi appresso qualche moccioso piagnucolone da portare all’orfanatrofio (casa mia). Certo, non che sia piacevole cercare di far capire ad un vecchio alcolista che non sono la sua ragazza delle superiori, ma quando si hanno dei capelli come i miei… “Oh cavolo!” penso, fermandomi di botto. Ero così di fretta da non accorgermi nemmeno di avere ancora il casco in testa. E ora che faccio? Sento i passi di mia madre avvicinarsi sempre più e mi guardo intorno, cercando di ragionare in fretta. Indietro non posso tornare, ormai mi ha quasi raggiunto, e qui non ci sono nascondigli. D’un tratto, ecco la mia salvezza: una scatola degli attrezzi e, dietro ad essa, un buco nel muro. Sposto la cassetta e mi accorgo che più che un buco è una voragine, che si estende anche sul pavimento. Mi slaccio il casco e ce lo getto dentro senza tanti complimenti. -Noah, sei qui? - Io mi ravvio i capelli color pece con un gesto della mano, lasciando che mi ricadano sulla schiena in tutta la loro lunghezza, fino alla cintura dei pantaloni.
-Cosa c’è mamma? – Dico, uscendo dal mio nascondiglio. Lei si mette le mani sui fianchi, squadrandomi da capo a piedi. Quando mi guarda in quel modo mi mette soggezione, soprattutto se indossa quel grembiule con i chocobo disegnati sopra: ti verrebbe quasi da pensare che sia solo una bella donna gentile e tenera, mentre non c’è niente di più distante dalla verità. –È da dieci minuti che ti chiamo. - Si lamenta infatti. –Ero uscito un secondo con degli amici. - Rispondo. In realtà i miei genitori non hanno idea di chi sia il mio unico vero amico, ed a me sta bene così: un giorno, quando avevo 15 anni, mi sono lasciato sfuggire il suo nome, e loro mi hanno proibito di averci ancora a che fare. Ovviamente, non hanno dato spiegazioni. Come al solito. –Spero che tu abbia fatto questo giretto a piedi, e non su Fenrir. – L’avevo detto io, che non era tutta abbracci e coccole. –Che cooosa? Ma perché mai dovrei prendere la moto di papà, scusa? – Ridacchio, leggermente nervoso. A volte ho davvero l’impressione che mandino qualcuno a pedinarmi ogni volta che esco di casa. Mia madre incrocia le braccia, sorridendo. -Questo dovresti dirmelo tu, dato che prendi in prestito la moto DI PAPÀ quasi tutte le settimane. – Mi fa il verso, calcando la voce sulle ultime due parole. “Fregato.” Penso, scoraggiato. –Perché mi cercavi? – Chiedo, cercando di cambiare argomento. “Per piacere!” La imploro con gli occhi. Probabilmente oggi è di buon umore, perché si limita a sospirare e a dire: -Avevo intenzione di chiederti di pensare al bar mentre vado a prendere Marlene e Denzel a scuola, ma credo sia il caso che tu prima ti dia una bella pulita. -. Mi guardo i vestiti, in cerca di qualche macchia di fango o roba simile, non trovandone. –L’odore, Noah. Sai di cane bagnato. – Sbatto le palpebre ed adotto un sorriso di circostanza, stringendomi nelle spalle. –Vai a lavarti, dai. – Mi sprona, sorridendo divertita. La saluto “alla soldier” e sfreccio di sopra, ma faccio in tempo a vedere un lampo di fastidio, sorpresa e tristezza nei suoi occhi nocciola. Prima che possa chiedermene il motivo, sono sotto alla doccia, con l’acqua bollente che mi scivola addosso portandosi via tutte le preoccupazioni.
 
Tifa
Quando vedo Noah portarsi due dita alla fronte e poi allontanarle, indirizzandole verso di me, il mio cuore salta un battito. Sì: io, Tifa Lockhart, ex membro dell’AVALANCHE e combattente nata, ho paura che mio figlio voglia essere come uno di loro. Come un Soldier. Aspetto che corra di sopra e appena gira l’angolo afferro il telefono, componendo l’unico numero oltre al mio che so a memoria. Squilla una decina di volte, e proprio quando penso che non risponderà, sento la voce di Cloud che mi chiama. -Tifa? Tutto bene? - “Adesso sì.” penso, sorridendo. Ogni volta che sono preoccupata o in ansia per qualcosa, sentirlo parlare mi fa tornare calma. –Sì, tranquillo, niente di particolare. Avevo solo bisogno di sentirti, tutto qui. Quando torni a casa? - -Dovrei rientrare fra un’ora e mezza; sembra che per oggi il lavoro sia finito. - -È fantastico! – Esclamo, trattenendomi dal battere le mani. –Già. Ci sentiamo dopo. - -A dopo. Ti amo. – Sento un leggero sospiro e sono sicura che stia sorridendo. –Anch’io. – Chiudo la telefonata e torno al bancone del bar, assicurandomi che gli unici due clienti di oggi non bevano più delle loro possibilità, ed intanto rifletto.
Ho sempre saputo che Noah ha una passione per le storie incentrate su Soldier e sull’AVALANCHE, e che non molto tempo fa ha addirittura tentato di farsi assumere in una palestra di incontri clandestini in cui si pratica l’addestramento speciale che veniva impartito dalla SHINRA prima del suo fallimento, senza per fortuna riuscirci. È fissato con le armi, soprattutto quelle da taglio, e questo mi spaventa. Non voglio che diventi come suo padre quando lavorava per l’Agenzia: un burattino pronto a spargere sangue ed a divertirsi mentre lo fa, che mette da parte la sua umanità all’ordine di farlo. No, non posso accettarlo.
Sposto la mia attenzione sul piccolo televisore dietro al bancone, che sta trasmettendo il notiziario. “Mancano appena due settimane all’8° anniversario della sconfitta di Sephiroth, il Soldier perfetto, o almeno così si pensava all’inizio.” Sta dicendo la ragazza del telegiornale, una biondina truccata tanto da far pensare di essere appena uscita da un incontro di wrestling, sbirciando ogni tanto dal foglio che tiene languidamente appoggiato sulle gambe. “Diciotto anni fa infatti, venuto a conoscenza degli esperimenti di cui era stato oggetto già prima della nascita, impazzì, mettendo a fuoco e fiamme la piccola città di Nibelheim in cui era stato mandato in missione insieme a dei Fanti e ad un altro 1st class che è stato dichiarato deceduto due anni dopo. Ecco qui le immagini di quella drammatica notte, in cui persero la vita la maggior parte degli abitanti del villaggio.” Distolgo lo sguardo mentre le grida delle persone arse vive e i pianti dei bambini si fanno largo nel silenzio del bar, rotto appena da qualche colpo di tosse degli avventori. Chissà se mischiato a tutte quelle urla c’è anche il mio grido, quello che ho lanciato quando mi sono accorta di cosa fosse successo a mio padre. “Sparì dalla circolazione per otto anni, per poi tornare e mettere in pericolo l’intero pianeta. Quando la minaccia di Meteor sembrava ormai imminente un gruppo di coraggiosi, l’AVALANCHE, riuscì, non senza sacrifici, ad impedire la catastrofe. Molti sostengono di aver visto in viso alcuni di questi eroi, ma le loro identità continuano a rimanere segrete. La speranza è che si facciano vivi durante la grande festa che celebra la loro vittoria, dove tutta la popolazione mostrerà la sua riconoscenza. Per ora è tutto, passo la linea a Friedrich.” Sento sbattere la porta del piano superiore da cui scende Noah. Si è cambiato, ora indossa un paio di jeans ed una maglietta bianca mezza bagnata, cosa non molto strana dato che i suoi capelli stanno gocciolando un po’ ovunque. Sorrido, scuotendo la testa. Ha cercato di arginare il danno mettendosi un asciugamano sulle spalle, ma la chioma corvina è talmente lunga da bagnargli da metà schiena in giù. –Dovesti… - -NO! – Mi anticipa, afferrandosi le ciocche con fare protettivo. Sospiro, esasperata. –Avanti, dopo sei tu che ti lamenti del fatto che ci mettano tanto ad asciugarsi, per non parlare di quando devi spazzolarli. – Lui guarda l’orologio che porta al polso con una finta espressione preoccupata. –Non devi andare a prendere i ragazzi?! – Mi slaccio il grembiule e glielo metto in mano. –Fra un’oretta dovrebbe tornare papà. Io sarò qui fra una ventina di minuti ma intanto mi raccomando, stai attento ai clienti e… - -ASINO. ASINO CHE BRUCA L’ERBA. BEPPINA! – Sospiro alla volta dell’ubriacone di turno che si è alzato in piedi di scatto rovesciando la sedia, per poi seguirla subito dopo con un tonfo. –Sì, lo so… - Sbuffa mio figlio sollevandolo da terra con inquietante facilità e dirigendosi all’uscita. -… “aspetta che torni la cameriera prima di lasciare il posto incustodito”. – Dice in falsetto, aprendo la porta con un calcio e adagiando il cliente sulla panca vicino all’uscio. –Esattamente. Cerca di non combinare guai. - -Mamma, non è la prima volta che mi lasci solo a gestire il locale. - -Lo so, voglio solo essere sicura. – Noah alza gli occhi al cielo ed io rinuncio ad ulteriori raccomandazioni. Imbocco la porta sicura che stia ridacchiando alle mie spalle.      
 

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Capitolo 3
*** Scoperte ***


ANGOLINO DELL’AUTRICE
Eccoci arrivati al secondo capitolo!
Sarei felice se qualcuno recensisse, ma andrò avanti comunque (ispirazione permettendo). L’immagine (sempre che si riesca a vedere) è stata fatta da me un po’ di tempo fa, quindi non è proprio il massimo…
Non mi sembra che ci sia altro da dire, quindi… buona lettura!
 
Noah
Quando vedo Ashley, la nuova cameriera, varcare la soglia del locale, mi lascio sfuggire un sospiro di sollievo; devo sbrigarmi a recuperare il casco della moto, prima che torni mio padre.
Torno dove l’avevo lasciato, rendendomi conto che il buco nel pavimento è più profondo di quanto avessi immaginato all’inizio: non riesco a vederne il fondo. Prendo una torcia e metto dentro le gambe, accorgendomi che potrei passarci tranquillamente tutto. Strano che nessuno se ne sia mai accorto prima. Molto strano.
Do un’occhiata in basso: il pavimento in legno è un metro più in giù e con un salto lo raggiungo. Mi guardo intorno: l’ambiente è abbastanza ampio, e riesco a stare in piedi anche se sono costretto ad ingobbirmi per evitare di toccare il soffitto con la testa. Sembra quasi una vecchia cantina, tutta impolverata e piena di ragnatele. Mi guardo attorno, accorgendomi che il casco non c’è. –Dove sarà finito? – Borbotto, nervoso. Questo posto non mi piace per niente. Ispeziono il pavimento, e finalmente trovo qualcosa: una scaletta che porta ancora più in profondità.
Scendo lentamente, canticchiando la prima canzone che mi viene in mente per rimanere calmo. –Are you, are you coming to the tree? They strung up a man, they say who murdered three. - Scuoto la testa: certamente questa non è incoraggiante. Rimango in silenzio per gli ultimi gradini, e quando arrivo in fondo alla scala rimango a bocca aperta. –Cos’è questo posto? –
La stanza in cui sono capitato è quasi interamente occupata da una scrivania piena di fogli e fotografie, mentre a lato c’è una piccola libreria a cassettoni. Un vecchio proiettore è puntato verso una parete bianca, mentre le altre sono piene di pezzi di carta mezzi strappati e scribacchiati.
Punto la torcia verso il tavolo, illuminando alcuni fascicoli. Mi avvicino, prendendone uno a caso.
 
SHINRA COMPANY
Fascicolo casi irrisolti, sezione Sperimentazioni/progetto J/Soldier/1st class/Rhapsodos. Vedere anche: Sperimentazioni/progetto J/civili/genitrice/Rhapsodos; Sperimentazioni/progetto J/Soldier/1st class/Hewley; Sperimentazioni/progetto J/Soldier/1st class/Sephiroth
Stato attuale del soggetto: Soldier 1st class, disperso
Cognome e nome del soggetto: Rhapsodos Genesis.
Arma: Rapier, spada ad una mano per potenti attacchi magici
Età di arruolamento: 15 anni
Età di promozione: 3rd class: 16 anni; 2nd class: 18 anni; 1st class: 22 anni
Capacità di lavorare in gruppo: scarsa, tende a non seguire le direttive, ha ricevuto diversi richiami per aver quasi fatto fallire delle missioni. Gli unici compagni con cui accetta di lavorare ed allenarsi sono Angel Hewley (amico d’infanzia) e Sephiroth.    
Particolarità derivanti da esperimenti scientifici perpetrati sul soggetto: criptato, impossibile divulgare l’informazione.”
Il fascicolo continua con altre informazioni come famiglia, luogo ed anno di nascita, ecc… ma è solo una la cosa che ha attirato la mia attenzione. Accanto alla parola “criptato” c’è un post-it con su scritto: “Progetto Jenova, fallito. Ricercatori: Crescent Lucretia; Walson Josh + equipe; dr. Hollander; dr. Hojo. Sperimentazioni effettuate su: Rhapsodos Katrin + feto. Soggetto: deceduto.”.
Aggrotto le sopracciglia: cosa significa? Perché c’è il nome di Sephiroth? Cos’è il “progetto J”? Perché alcuni nomi sono cancellati? Ma soprattutto: perché queste cose sono in casa mia? E perché la calligrafia del post-it è quella di… mio padre?
Faccio un passo indietro e sento un click. Mi giro di colpo, ma sospiro rendendomi conto che è stato solo il proiettore che per sbaglio ho acceso. Faccio per spegnerlo ma mi blocco quando su di esso scorrono delle immagini. Sembrano quasi video della sicurezza, e riprendono i corridoi del palazzo SHINRA, lo riconosco perché dopo la sua caduta ho visto riprese simili sul notiziario.
Vedo dei Fanti e dei Soldier camminare per i corridoi, chiacchierando. Ad un certo punto, noto una testa coperta di capelli argentati. Mi avvicino alla parete, sbalordito: è proprio lui! Sephiroth! Il 1st class procede con aria di superiorità, accompagnato da altri due 1st. Uno non l’ho mai visto: ha i capelli castani e un principio di barba sul mento, e sulla schiena porta uno spadone a due mani di dimensioni quasi sproporzionate. L’altro, invece… Mi avvicino velocemente alla scrivania e riprendo in mano il fascicolo, confrontando il ragazzo della foto con quello nel video. Non ci sono dubbi: sono la stessa persona. Nel video, il trio passa confabulando ed esce dalla visuale. Continuo a guardare, attento, ma non sembra esserci niente di interessante. Mi guardo un altro po’ intorno, trovando un’altra cassetta, contrassegnata con il nome di: NH, codice 2375, videocamera 372. NH è la sigla di Nibelheim, dove sono nati e cresciuti entrambi i miei genitori, così decido di dare un’occhiata. Inserisco la cassetta e faccio partire il video.
-Qui Soldier 1st class Zack Fair. Siamo appena arrivati a Nibelheim, niente da vedere fin ora. Giusto, Sephiroth?! – Dice una voce. Dal tono sembra giovane, probabilmente non ha più di una ventina d’anni. -Zack, hai fissato la videocamera al contrario. – Lo informa qualcun altro, dalla voce molto più profonda. Lo sento sbuffare e armeggiare con la telecamera, poi vengo accecato dalla luce che si presenta tutta in una volta. Quando le immagini vengono messe a fuoco, riesco a vedere delle case ed un gruppetto di persone. Sono tutti Soldier o Fanti, tranne una: una ragazzina dagli occhi ed i capelli castani, vestita come una cow girl con tanto di cappello. –Lei sarà la nostra guida. – Dice Zack, indicandola. -Esattamente. – Fa lei, sorridendo. -Seguitemi, partiamo subito. – Si allontana, seguita da un Soldier dai capelli argentati e dai fanti. L’inquadratura si sposta su un Fante che invece non si è mosso. “Qualcuno si è preso una bella cotta, eh?!” Ridacchia il 1st class rivolto a lui. -In effetti questa Tifa è molto carina… se non fossi già bello che fidanzato proverei a rubartela. -  L’altro tenta di protestare, ma prima che possa farlo Zack si mette a ridere, facendo ondeggiare la videocamera. Il Fante la indica, iniziando a togliersi il casco. -Quella è spenta, vero? - –Opps… - -ZACK! – Lui ridacchia e tutto si fa buio.
Schiaccio il tasto di spegnimento con foga, rischiando di ammaccarlo, e corro verso l’uscita. Afferro il casco e mi isso di sopra, ed ignorando mia madre che mi chiede cosa sia successo mi rinchiudo in camera. Getto la torcia ed il casco sul letto e mi siedo per terra, la testa tra le mani.
Tifa… mia madre. E quel Fante… sono riuscito a vederlo in faccia, prima che il 1st class spegnesse la telecamera.
Era mio padre.
 
 
Cloud
Metto giù il telefono con un sospiro; sembra che dovrò tenerglielo nascosto ancora un po’. Sposto lo sguardo sul mio braccio sinistro, coperto da una sottospecie di lunga manica, e aggrotto le sopracciglia. “Perché ho così paura di parlarle di te?” penso, rivolto a lui, per poi passarmi una mano sulla faccia. Non è certo la prima volta che tento di dire a Tifa che… dannazione, non riesco nemmeno a dirlo a me stesso! –Geostigma. – mormoro. Quasi lo avesse percepito, il braccio mi manda una fitta di dolore non da poco, che mi fa strizzare gli occhi. Sono in questa situazione da appena un paio di giorni e già lo sento pulsare ogni volta che lo uso.
Appena me ne sono accorto ho subito cercato d’informarmi sul geostigma, che per fortuna (diversamente da come la pensa la maggior parte della gente) non viene trasmesso da persona a persona, ma aggredisce chi vuole, quasi fosse un’entità pensante. Ultimamente ho visto molte persone contagiate in giro per la città, e questa cosa mi preoccupa.
Mi alzo dalla sedia dello studio, faccio un cenno di saluto in direzione di Thomas (il fattorino che mi aiuta con le consegne della “Strife Delivery Service”) e faccio per uscire, ma la suoneria del mio telefono mi blocca sul posto.
–Pronto? – Faccio io. –Cloud Strife, giusto?! – mi risponde qualcuno dall’altra parte. Aggrotto le sopracciglia: mi sembra di aver già sentito questa voce. –Sono io. Chi parla? - -Reno, dei Turks. Raggiungici al quartier generale: abbiamo un problema. –
 
 
 

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Capitolo 4
*** Incontri ***


ANGOLINO DELL’AUTRICE
Rieccomi! Questo capitolo è un po’ cortino (e francamente non certo il mio preferito) e serve principalmente per tenere un po’ di suspance, ma non mi vogliate male; ho intenzione di andare avanti ancora un po’ (un BEL po’).
Vi ricordo che le recensioni sono sempre bene accette!
Grazie a tutti per essere arrivati fin qui e buona lettura!
P.S. La canzone del capitolo precedente era “Hanging tree” dal film “Hunger games”, che mi è rimasta in testa per un sacco di tempo (come tutte quelle che ascolto, ma dettagli)
 
Cloud
Interrompo la chiamata e prendo la moto che uso per le consegne, facendola partire sgommando. Attraverso la città a velocità moderata, ma quando arrivo al deserto accelero al massimo; Reno non mi ha spiegato i particolari, ma sembrava teso e questo mi preoccupa. Inoltre non ci ho messo molto ad imparare che qualsiasi cosa centri coi Turks porta guai a non finire, quindi se li assecondo è solo perché non voglio che mi perseguitino.
Mi guardo intorno, notando altre due moto che sfrecciano giù da una vetta del canyon alle mie spalle, dirette verso di me. Sembrano… seguirmi. I piloti paiono giovani: uno ha i capelli corti tirati indietro con il gel, mentre l’altro li porta lunghi e sciolti. Di uguale hanno il colore bianco, che spicca sul nero dei loro vestiti; ho visto solo una volta capelli di quel colore, prima d’ora. “Sephiroth.” Penso, accelerando ancora di più, come per scappare da quell’idea, ma so già che non funzionerà.
Per tutti questi anni avevo creduto di essermelo lasciato alle spalle, o perlomeno di essermi abituato alla sua costante presenza nei miei pensieri, ma Sephiroth è il mio fantasma. Sephiroth è l’ombra di un sogno troppo grande per me e ciò che resta di un incubo durato troppo a lungo. Mi segue, sento le sue grida nel rombo della moto sotto di me, il sibilo del vento si confonde con quello della Masamune ed io mi accorgo di avere paura. No, sono terrorizzato, perché questa volta non so come combatterlo. Come si affronta un ricordo?
D’un tratto, dalla sabbia compaiono degli strani esseri neri come la pece, che mi corrono appresso cercando di raggiungermi. Schiaccio un pulsante appena sopra alla ruota anteriore e tiro fuori la spada, ringraziando mentalmente quel piccolo extra che avevo deciso di aggiungere per ogni evenienza. Mi giro, disintegrando i mostri più vicini con dei colpi ben assestati, ma loro continuano a formarsi dal nulla, rallentando la mia corsa. Il tipo dai capelli corti riesce ad accostarsi a me. –Dov’è la Madre? -  Dice, cercando di colpirmi con una specie di guanto elettrico, ma riesco a schivare il colpo e ad allontanarmi di nuovo. Sento degli spari alle mie spalle e alcuni proiettili mi sfrecciano accanto senza per fortuna toccarmi. Faccio lo slalom tra le bestie e le rocce del canyon, cercando di seminarli. Mi guardo indietro, non accorgendomi che il vero pericolo è davanti a me.
La moto del tipo dai capelli corti mi taglia la strada all’improvviso ed io riesco a saltarla per un pelo, ma lui mi si riavvicina e cerca di colpirmi. Paro il colpo con la spada e cerco di attaccare a mia volta, ma una fitta al braccio mi impedisce di reagire; questa volta è stata più forte delle altre. “Maledetto geostigma.” Quell’attimo di distrazione permette al mio avversario di tornare all’attacco, riuscendo a disarmarmi e a far volare la mia spada ad un bel po’ di metri di distanza. Riposto lo sguardo davanti a me e mi accorgo con orrore che l’altra moto si sta avvicinando. Si impenna in aria ed io mi ritrovo sotto di lui, con la pistola puntata alla mia testa. Accade tutto in un istante, ma è come se lo vedessi a rallentatore: il ragazzo dai capelli lunghi prende la mira, quasi sorridendo, e preme il grilletto. Chiudo gli occhi aspettandomi di morire, ma l’unica cosa che sento è una scia di fuoco sulla fronte, dove il proiettile mi ha preso di striscio strappandomi via gli occhiali della moto. L’altro termina la sua giravolta in aria ed atterra alle mie spalle con un tonfo, ma riprende subito l’inseguimento, imitato dai mostri che continuano a spuntare dal nulla, circondandomi. Mi aggrediscono da ogni lato, e fanno per saltarmi addosso quando… spariscono.
I due albini ghignano nella mia direzione e fanno dietrofront. “Che sta succedendo?” Decido di fermarmi; se avessero voluto uccidermi l’avrebbero già fatto. Freno e scruto le vette rocciose, notando un’altra moto e su di essa un ragazzo dai capelli bianchi tagliati a caschetto. Lui rimane fermo un istante, probabilmente ad osservarmi, poi se ne va ed io rimango solo in mezzo al canyon. Mi passo una mano sulla fronte, tergendomi il sangue che mi stava colando nell’occhio, e seguo con lo sguardo i movimenti di un elicottero che si sta allontanando: i Turks. Ora cercherò la mia spada, ma poi mi dovranno dare un bel po’ di spiegazioni.   
 
Reno
Sto facendo avanti-indietro per la stanza da quasi venti minuti e sento lo sguardo di Rude seguirmi in ogni movimento. –Ho chiamato Cloud. E no, non gli ho detto niente. – Dico, gettando il telefono sul divano. Un sopracciglio del mio collega si alza di scatto alla mia reazione improvvisa (o forse il motivo è che ha rischiato di beccarsi il mio cellulare in pieno viso, dato che ci è seduto sopra) ed io esplodo. –Qualcuno mi vuole spiegare cosa ho fatto di male?! Perché fra tutti gli amici che potevo trovarmi mi è capitato proprio il figlio di Strife? Beh, forse un po’ me lo merito, in fondo… ma non è questo il punto! Il punto è che quel... – Rude si schiarisce la voce censurando la frase, abitudine che ha preso dopo l’assunzione a tempo pieno di Elena nei Turks. - …s’è fatto scoprire! SCOPRIRE, zo-to, capisci?! Ed io adesso come glielo dico a quella testa di chocobo che suo figlio (che io non dovrei nemmeno conoscere) mi ha telefonato spaventato a morte perché ha scoperto il suo piccolo covo di vendetta segreto? – Lui si limita a guardarmi senza rispondere, come sempre, ma noto che ha mosso leggermente il mento nella mia direzione e lì mi si accende la lampadina. –Hai ragione, amico: perché mai dovrei dirglielo? Se la caveranno da soli. In fondo, qui abbiamo faccende più serie da sbrigare. – Annuisco, cercando di apparire soddisfatto del mio ragionamento (nonostante non riesca a fare a meno di sentirmi in colpa), lanciando una breve occhiata alla figura ammantata di bianco seduta sulla sua sedia a rotelle al lato opposto della stanza.
In quello stesso momento la porta si apre di scatto ed io mi getto contro l’intruso, ma il mio taser viene bloccato da una spada. Alzo lo sguardo, incontrando gli occhi severi di Strife, e mi ritraggo, per poi balzargli nuovamente addosso. “Adesso me la paghi!” penso, ma inaspettatamente lui mi schiva ed io mi ritrovo fuori dalla porta, che si richiude alle mie spalle. Sorrido mio malgrado. “Bella mossa, biondo.” Riapro l’uscio. –Quindi… - Comincio, ma lui mi chiude fuori a chiave, da come presumo dato il rumore della serratura. -…alla fine sei arrivato. – Borbotto, incrociando le braccia. –Rude, attento al ragazzo. – Ridacchio nel definirlo così nonostante i suoi 35 anni d’età, ma in fondo se li porta bene, almeno questo glielo devo concedere. Attendo di sentire un qualche tipo di gemito proveniente dall’interno, ma dopo un paio di secondi di silenzio devo rassegnarmi al fatto che il mio collega non l’abbia steso con uno dei suoi famosi pugni. “Perché non mi ascolti mai quando serve?”
-Bene, combatti come il Soldier che sostieni di essere stato. Non ti sei nemmeno arrugginito. - È stato il presidente a parlare, ed io vorrei tanto essere là dentro a vedere la faccia di Strife. -Rufus Shinra. - Dice. -Mi dispiace per te. – -Il giorno dell’esplosione… - -Cosa vuoi da me? - -…sono riuscito a scappare. - -Chi erano quelli che mi hanno attaccato? - -Prima… - -Me ne sto andando. – Attacco l’orecchio alla porta, felice di riuscire finalmente a capirci qualcosa dopo che i due hanno continuato a parlarsi sopra.
-Ci serve il tuo aiuto, Cloud. - Continua Shinra. -Non sono interessato. – Mormora l’altro. -Ammetto che la SHINRA debba molto al pianeta. Non è necessario dire che io e la nostra azienda siamo i responsabili dello stato infelice di questo pianeta, dunque è nostra responsabilità sistemare le cose. – Alzo gli occhi al cielo: così ci vorrà un’eternità. –Sono ancora qui fuori! – Grido. So che probabilmente non mi faranno entrare, ma almeno cercheranno di sveltirsi. Spero. -Come primo passo abbiamo investigato sugli effetti provocati da Sephiroth. – “Abbiamo?” Come se lui avesse contribuito in qualche modo. -Già, la caverna del nord. – Indovina perché lo so?! -…e cosa pensi che abbiamo trovato? Niente. Assolutamente niente. Puoi rilassarti. – Io ridacchio. Sì, rilassati Strife, tanto non sta succedendo niente di particolare… per ora. -Tuttavia non tutto è andato come ci aspettavamo. Siamo stati interrotti. – Appunto. -Erano i tre che ti hanno attaccato: la gang di Kadaj. - Stringo i pugni; me la pagherà, quell’albino di… -Kadaj? – Il biondo sembra confuso: pare che non abbia mai sentito questo nome in vita sua. Benvenuto nel club! -Pare che non vogliano farci finire quello che abbiamo iniziato. Davvero, che cosa possono volere? - -Io cosa centro in tutto questo? - Sbuffo. Perché tutti questi tentennamenti? –Sei dei nostri, vero?! - Urlo. A rispondermi è un suono metallico: probabilmente ha dato un calcio o un pugno alla porta. Beh, spero che si sia fatto male. -La gang di Kadaj è giovane e violenta. Molto pericolosa. Ecco perché abbiamo pensato che fosse un bene reclutare guerrieri. - -Vi è andata male, faccio il corriere ora. - -Sei tutto quello che abbiamo. Per favore, Cloud. Sei un ex Soldier, vero? – Colpo basso! Strife fa uno sbuffo divertito. –Nella mia testa. - Si avvicina alla porta e fa per aprirla, ma poi si ferma lasciandomi uno spiraglio per vedere all’interno. –Cos’è questa storia della madre? – Chiede. -Perché? Kadaj ti ha detto qualcosa? Non farci caso: è pieno di bambini che cercano la loro madre. Così va il mondo. Dicono che degli orfani vivono con te. Pensaci; non vorresti riportare il sorriso sulle loro labbra? E… su quelle di tuo figlio? – Il biondo si volta nella sua direzione di scatto. –Mio figlio deve rimanere fuori da questa storia. – Sibila, e per la prima volta mi trovo d’accordo con lui. -Tutto quello che vogliamo è ricostruire il nostro mondo, Cloud. – Lo rassicura Shinra, con quel suo fare diplomatico che mi dà tanto sui nervi. Sì, lo so, forse a volte farei meglio a starmene zitto, ma non posso fare a meno di aggiungere: -Forza, Cloud, pensaci, insieme possiamo ricostruire la SHINRA. -. -Non sono interessato. – Sbotta Strife, uscendo e dirigendosi verso la moto di servizio. –Reno! – Rude e il presidente esclamano il mio nome nello stesso momento, ed io non capisco se sia un rimprovero o semplicemente perché sto per rimanere nuovamente chiuso fuori.
 

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Capitolo 5
*** Traditore ***


Capitolo 4: traditore

Noah
Mi butto sul letto, stringendo convulsamente il telefono fra le mani. Forse non avrei dovuto dire tutto a Reno ma… ciò che ho visto non mi convince.
Mio padre un Soldier? Lui, che ha sempre detto di odiarli? Per di più, in missione con Sephiroth! Tutto questo è assolutamente impossibile!
Forse… forse mi sono sbagliato, in qualche modo. DEVO essermi sbagliato. O forse no?
Lascio che un ringhio frustrato mi fuoriesca dalla gola, sbattendo il cellulare contro il materasso.
Osservando il display, un’idea fa capolino nella mia mente: non dovrebbe essere complicato documentarmi su ciò che ho visto. A tornare là sotto non ci penso nemmeno, ma forse c’è un altro modo.
Mi porto di fonte al computer e vado su internet, digitando le parole “Zack/Sephiroth/Nibelheim/Strife” sul motore di ricerca. Mi blocco con il dito sul pulsante d’invio, indeciso.
Se fosse vero, sarebbe come dire che i miei mi mentono da 16 anni. Se non lo fosse, dovrebbero comunque spiegarmi il perché della stanza segreta sotto al pavimento e di tutto quel materiale contenuto all’interno. Sempre che mi rispondano.
-Al diavolo! – Sbotto, schiacciandolo.
Rimango ad osservare, sbalordito ed anche leggermente sorpreso, una foto di repertorio che non avevo mai visto prima. Al centro ci sono quella ragazza, anzi no! MIA MADRE e Sephiroth nel bel mezzo di una discussione, sullo sfondo la cittadina di Nibelheim, ed altre due figure più lontane. Dilato l’immagine, riuscendo a visualizzare un Soldier dalla criniera corvina ed un Fante con il casco sotto braccio. Ingrandisco ancora, fino a farla sgranare, e poi la rimpicciolisco nuovamente per assicurarmi di averci visto giusto: è veramente mio padre!
-Oh miei dei… - Mormoro, osservando quel volto che conosco quanto le mie tasche privo di rughe di espressione e visibilmente più giovane.
-NOAH! Siamo tornati! – Sobbalzo, cadendo dalla sedia ed atterrando di sedere sul pavimento con la grazia di un bahamut. Mi rialzo con una probabile frattura all’osso sacro ma in questo momento la confusione e la paura superano anche il dolore.
-A-arrivo! – Grido, cancellando la cronologia delle ricerche, poiché i miei genitori sarebbero capaci di frugare tra le mie cose anche senza il mio permesso.
Mi tremano le mani e non riesco a calmarmi. Ora che faccio??? Sto zitto o mi arrabbio? Faccio l’offeso o cerco di parlare con mia madre in modo civile? Scendo o scappo? Effettivamente, questa sembrerebbe la soluzione ideale almeno per adesso (dato che non riesco a pensare lucidamente).
Prendo la giacca di pelle che avevo lasciato sul mobile di fronte al letto e corro di sotto urtando Denzel, ma non ho intenzione di fermarmi. Me ne voglio andare! Mia madre mi grida qualcosa che non riesco a capire mentre salgo su Fenrir ed accendo il motore, senza nemmeno prendere il casco. Quel dannato casco! Se non fosse per lui, non sarei in questa situazione.
Parto sgommando e rischiando di investire un paio di passanti, dirigendomi a tutta velocità verso il deserto.
Non appena le abitazioni lasciano il posto alle dune di sabbia ed il canyon diventa visibile, mi fermo.
–Dannazione, dannazione, dannazione… - Impreco, dando un pugno alla moto. Sento che sto per piangere dalla frustrazione, così tengo gli occhi aperti il più possibile facendo in modo che vengano asciugati dal vento caldo e nel frattempo penso alle cose più stupide che mi vengano in mente: la mia maestra delle elementari vestita da cheerleader, un mogul rintanato nella tazza di un wc, Reno che balla il tango...
Reno!
Sbircio in direzione del sentiero che ha preso questa mattina e mi decido una volta per tutte ad imboccarlo.
Tanto, ormai la cavolata l’ho fatta.

Reno
Sento il rumore di una moto fuori dalla porta e mi precipito ad aprire; sicuramente sarà quella testa di chocobo di Strife che chiede ulteriori informazioni sull’incarico.
-Cloud, hai cambiato… - Comincio, spalancando l’uscio, ma la persona che c’è fuori decisamente non è lui.
-Reno… - Mi dice Noah, gli occhi arrossati e l’aria di uno che ha appena corso la maratona. -…dobbiamo parlare. – Ohi, qui non finisce bene. -Di cosa? – Gli chiedo, cercando di tenerlo fuori; non vorrei che Rude o peggio Shinra si accorgessero di lui.
-Di mio padre. – Risponde, guardandomi con severità. –E del perché pensavi fossi lui. –
Cazzo.
-Forse sarebbe meglio parlarne in un altro momento… o meglio in un altro luogo. – Dico, indicandogli di seguirmi e prendendo la mia moto. Lui obbedisce, ma sono sicuro che non appena ci fermeremo mi toccherà rispondere ad un bel po’ di domande. E… ecco, questo potrebbe rivelarsi un problema.
Lo porto fino all’imbocco del sentiero e parcheggio, cercando nel frattempo di inventarmi delle scuse plausibili.
-Se hai qualcosa da dirmi, fallo ora. – Mi ammonisce, incrociando le braccia sul petto. –Che cosa dovrei dirti? Non mi aspettavo di rivederti… - -Piantala! - Grida, in piena crisi isterica. –Ne ho abbastanza delle bugie e dei vostri dannatissimi segreti! Pensate che sia ancora un bambino? So come va il mondo e lo posso accettare, mentre non accetto questo vostro modo di nascondere qualsiasi cosa solamente per… per cosa poi? Per quale diavolo di motivo non mi dite la sacrosanta verità e basta? - -Bene, allora dimmi cosa sarebbe cambiato. – Ribatto. Sto cominciando ad alterarmi. Questa reazione è veramente esagerata; sembra un ragazzino viziato e capriccioso, ed io so bene che non lo è. –Cosa sarebbe cambiato? Semplice: non saremmo arrivati a questo punto ed io saprei ancora di potermi fidare di tutti voi! – Sibila. –Ma mi spieghi cosa cazzo hai trovato di così sconvolgente da farti uscire di testa? – Grido. –TUTTO, TUTTO! – Urla a sua volta, gli occhi che sembrano accusarmi di chissà quale crimine. Ha il respiro affannoso ma, sebbene ne abbia una gran voglia (riesco a riconoscere chi ha appena avuto un crollo psicologico), non piange.
–Se ti sei calmato… - faccio, appoggiandomi alla moto come di solito faccio col bancone del bar. Lui annuisce, imitandomi. –Ti sei mai sentito… come se i tuoi polmoni fossero troppo piccoli per contenere tutta l’aria di cui hai bisogno? – Mi chiede, avvolgendosi i capelli attorno ad una mano per fare in modo che i rari refoli d’aria fresca gli lambiscano il collo. Annuisco. –Panico. Cerca di rilassarti e non lo sentirai più. – Lui chiude gli occhi e fa’ un paio di respiri profondi. -Ok, ci sono. Scusa se ti ho urlato contro in quel modo. - Mi dice pochi secondi dopo. Io faccio un gesto con la mano, sorridendo. -Tranquillo, è già passato. - -Bene. Ora, però, voglio che tu mi dica la verità. -
 
Noah
Reno torna all’istante serio, ma io non ho intenzione di demordere. -Mio padre era in Soldier, vero?! - Non mi aspetto una risposta vera e propria, per cui non protesto vedendolo rimanere in silenzio. –Era in missione con Sephiroth a Nibelheim e mia madre faceva loro da guida. In cantina ci sono registrazioni su registrazioni del palazzo Shinra, per non nominare i fascicoli, e loro avevano intenzione di tenermelo nascosto. Per quanto ancora? - -Questo dovresti chiederlo a loro. – Sembra nervoso, e questo mi porta ad avanzare un'altra teoria. –Prima pensavi che fossi lui. Perché? – Mi raddrizzo, incrociando le braccia al petto. –Lo conosci da molto più tempo di me, no? Il fatto che vi siate appena incontrati deriva da ciò che ho scoperto o era solo una coincidenza? Ne dubito. - -Noah, io… sì, conosco tuo padre. E sapevo anche del suo passato. - -Ah, grandioso! – commento, acido. –Senti, io nemmeno avrei dovuto conoscerti, ok? Meglio lasciar perdere, zo-to. Non ti impicciare. - -Questo vuol dire che c’è ancora qualcosa in ballo. – deduco. Riesco quasi a sentire le imprecazioni a cui sta pensando. –Credo che sia meglio chiamare i tuoi genitori. – Mi dice, tirando fuori il cellulare. Io mi volto, salendo sulla moto. Sono molto deluso: da lui, mia madre, mio padre… Non ho intenzione di sentire altre idiozie.
Tutt’un tratto sento un forte dolore tra collo e spalla e diventa tutto nero. “Traditore!” 

Angolino dell'autrice
Buongiorno a tutti! Scusate per l'enorme ritardo, sono stata veramente cattiva a lasciarvi con quel capitolo. Ora che ho tempo però sono intenzionata ad andare avanti un bel po' con la storia, o quantomeno a pubblicare più frequentemente.
Sì, sono consapevole che in questo capitolo Noah sembri completamente ammattito, ma diciamo che è molto emotivo e non gli piacciono per niente i segreti. Poi è anche in fase adolescenziale con gli ormoni a mille, quindi...
Grazie ancora a tutti: a chi legge,  a chi ha inserito la storia tra le preferite e anche a chi recensirà (se ci sarà qualcuno che vorrà farlo prossimamente). Buona giornata! 

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