Harry Styles - OneShot

di MonicaX1974
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Stay with me ***
Capitolo 2: *** Details ***
Capitolo 3: *** 21 Guns ***
Capitolo 4: *** I met You for a reason ***
Capitolo 5: *** Bitternes ***
Capitolo 6: *** Chance ***



Capitolo 1
*** Stay with me ***


 

Stringo ancora la sua lettera tra le mani. Ho letto e riletto le sue parole, e comprendo il significato di tutte quelle frasi scritte con tanta precisione. Sono grammaticalmente corrette: accenti, virgole, apostrofi, lettere con o senza h, eppure non voglio rendermi conto del vero significato che hanno tutte queste parole insieme.

L'ha lasciata sul nostro letto disfatto, che ancora profuma di lei.

L'ha messa sul suo cuscino mentre io dormivo e mi maledico per aver bevuto così tanto ieri sera da avere il sonno talmente pesante, stamattina, da non accergermi che lei mi stava lasciando.

Pensavo di essere riuscito a convincerla, di averle fatto capire che l'amo più della mia stessa vita, ma devo aver sbagliato qualcosa, devo aver finito per dire qualche cazzata di cui non mi sono reso conto.

Eppure, ieri sera, dopo la nostra discussione, mi ha baciato con così tanta intensità che avevo creduto di essere riuscito a sistemare le cose, l'ho amata con tutto me stesso e lei mi ha donato ogni parte di sé con così tanta passione che ho creduto di possedere ancora il suo cuore.

Che coglione sono stato, ero talmente preso da me stesso che non mi sono neanche reso conto che quello di ieri sera era un addio. Mi ha baciato per l'ultima volta, ha fatto l'amore con me per l'ultima volta, e mi ha detto ti amo per l'ultima volta, mentre io mi ero illuso che con qualche parola fossi riuscito ad aggiustare gli errori di questi due anni con lei.

Mi alzo di scatto per prendere il telefono, forse se la chiamo mi vorrà ascoltare. Sblocco il display con le mani che tremano, il suo numero è nella lista dei preferiti, al primo posto, e faccio partire la chiamata trattenendo quasi il respiro.

«Ti prego, Lucy, rispondi...» Sono patetico e disperato, e quasi non scaglio il cellulare contro il muro quando sento partire la segreteria. «Cazzo!» Poso il foglio scritto a mano da lei, di nuovo sul letto, e mi metto a camminare per la stanza come se fossi un animale in gabbia che cerca una via d'uscita.

Ogni ricordo mi torna chiaro alla mente, ognuno si sovrappone all'altro: ogni sorriso, ogni bacio, ogni carezza, ogni abbraccio, rappresenta un'immagine che è rimasta impressa in me in maniera indelebile.

La sua voce risuona ancora nella mia testa in ogni sua sfumatura, come quando alzava la voce se era arrabbiata, quando sussurrava al telefono per non farsi sentire dalle sue coinquiline per dirmi quanto mi amasse, o quando la sua voce usciva leggera dalle sue labbra mentre era completamente nuda, sotto di me, ed era solo mia.

Ma io ho rovinato tutto e lei non è più riuscita a stare dietro a tutto questo, alla mia vita, al mio lavoro, perché ho pensato troppo a me e troppo poco a noi.

Mi avvicino un po' al letto, e lo sguardo mi cade nuovamente sulle prime frasi.

*

Harry mi sento orribile a scriverti questa lettera e ancora più orribile al pensiero che tra poco uscirò da quella porta senza dirti addio, come se fossi una ladra, ma se aspettassi il tuo risveglio, so che non sarei più capace di farlo, e questa sofferenza non avrebbe fine.

Io ti amo Harry, ti amo più di quanto abbia mai amato in vita mia, ma non posso più andare avanti in questo modo, non se non posso averti veramente.

Io voglio te Harry, ho sempre voluto te e non l'Harry Styles che il mondo conosce...

*

Tolgo lo sguardo da quelle righe, incapace di rileggerlo per l'ennesima volta, perché ogni volta, il dolore che mi provocano le sue parole è infinitamente più forte.

Ha rinunciato alla sua vita per me, ha rinunciato a fare la giornalista nella sua città, a New York, per seguirmi nei miei concerti. Ha rinunciato a vivere vicino alla sua famiglia per fare la vagabonda con me in giro per il mondo. Ha rinunciato alla sua privacy solo perché io volevo che il mondo sapesse che stavo con lei.

Mentre io non ho fatto altro che lavorare, cantare, farmi vedere in pubblico, lasciarla sola sempre più spesso, farmi fotografare con donne diverse solo per avere più pubblicità e, man mano che il tempo passava, ero sempre più assorbito dal mio lavoro e ho cominciato ad allontanarmi da lei. Le facevo promesse che poi non mantenevo perché c'era sempre qualche impegno che aveva la priorità su tutto, ma dopo l'ultima discussione che abbiamo avuto ho capito che non potevo andare avanti così.

Lucy è tutta la mia vita ed ero assolutamente certo che lei mi avesse creduto ieri sera quando le ho promesso che le cose sarebbero cambiate, ma a quanto pare, non sono stato molto convincente.

I miei pensieri vengono interrotti dal mio telefono che suona, mi precipito a raccoglierlo da dietro al divano e sbuffo quando vedo che non è Lucy a chiamarmi.

«Pronto...» Il mio tono di voce è palesemente infastidito.

«Harry, tra mezz'ora ti mando l'autista». È James, il mio nuovo manager.

«Dobbiamo rimandare, James». Sono nervoso, troppo nervoso per poter partecipare a qualsiasi cosa ci fosse in programma per oggi.

«E perché mai?» Lavora per me da un paio di mesi e, in tutto questo tempo, non si è mai arrabbiato con il sottoscritto né mi ha mai costretto a fare qualcosa. Non avevo ancora parlato di lui a Lucy perché non sapevo se sarei riuscito a gestire al meglio ogni cosa, ma ci stavo finalmente riuscendo. Ho trovato un manager che riesce a far coincidere la mia vita pubblica con la mia vita privata, finalmente potevo affidarmi a qualcuno che non sfruttasse la mia immagine a proprio favore, ma non ho fatto in tempo a dirlo a Lucy.

«Perché Lucy se n'è andata...» Silenzio.

Il mio silenzio dopo aver pronunciato quelle parole, il silenzio di James dopo averle sentite, e il silenzio che regna in questa stanza. Un silenzio decisamente troppo assordante.

«Che significa che se n'è andata?» Questo mi aspetto dal mio manager, che si interessi a me come Harry e non come Harry Styles.

«Mi ha lasciato, James, ecco che significa!» Dirlo ad alta voce mi provoca ancora più dolore di quando mi sono svegliato e ho trovato solo un foglio del cazzo nel letto con me.

«Merda! Arrivo». La comunicazione si interrompe e, per un motivo che non conosco, mi trovo di nuovo davanti a quel dannato foglio, e non posso evitare di leggere ancora.

*

Sei stato quello che di più bello mi potesse capitare nella vita, perché fino a che non ti ho incontrato il mio non era vivere. Era sopravvivere. Mi sono sempre accontentata di ciò che mi circondava, del mio lavoro che mi permetteva di pagarmi l'affitto, delle mie piccole cose, tu invece mi hai insegnato a vivere, mi hai insegnato a sognare e ad inseguire i sogni per raggiungerli e viverli fino in fondo. Ho avuto la fortuna di viverti davvero e di questo ti ringrazierò sempre.

*

Distolgo un'altra volta lo sguardo e mi dirigo poi in bagno per sciacquarmi la faccia con l'acqua fredda e un sorriso amaro spunta sulle mie labbra quando mi accorgo che la sua biancheria di ieri sera è rimasta qui sul lavandino.

Se avessi una vita normale forse lei sarebbe ancora qui, ma se avessi fatto un altro lavoro forse non l'avrei mai conosciuta.

Ricordo bene quel giorno.

Avevamo una conferenza stampa prima di ritirare un premio, durante la quale avremmo dovuto parlare della pausa che si sarebbe presa la band, e non sarebbero mancate le domande su Zayn che ha lasciato il gruppo proprio nel bel mezzo del tour.

Io e i ragazzi ci siamo divertiti a rispondere alle domande dei giornalisti, facendo gli idioti come al solito, ma il mio sguardo era per una ragazza in particolare, una che sembrava volesse essere da tutt'altra parte, e che non ci ha posto nemmeno una domanda, al contrario degli altri che facevano a gara per farsi notare da noi.

Ho chiesto alla sicurezza di accompagnarla al piano dell'hotel in cui alloggiavamo per poterle parlare e lei sembrava persino infastidita che io l'avessi voluta lì.

Indossava un paio di jeans neri e una maglietta bianca che le lasciava scoperte le spalle, sulle quali riuscivo a vedere la bretellina del reggiseno rosa. Tentare di immaginare quel reggiseno rosa è stato un pensiero che mi ha perseguitato per i tre mesi successivi.

*

«Ciao io sono Harry». Le mostro il mio sorriso migliore, assicurandomi che siano spuntate le fossette che tanto piacciono alle ragazze, e allungo la mano nella sua direzione aspettando che lei faccia lo stesso.

«Ciao Harry, posso sapere perché mi hai fatto venire qui?» Con la mano destra tiene stretta la tracolla a fiori che ha sulla spalla, mentre nella mano sinistra ha il cellulare che sta vibrando proprio in questo momento.

«Non rispondi», le indico con un cenno della testa il telefono che vibra nella sua mano.

«No, è la mia caporedattrice e vorrà sicuramente sapere com'è andata l'intervista... la chiamerò dopo». La sua voce ha un tono strano. Probabilmente non vuole parlarle perché ha fatto scena muta durante la conferenza stampa, o forse vuole riordinare le idee prima di dirle qualcosa di preciso, ma a me è venuta un'idea che potrebbe avere risvolti positivi per entrambi. Soprattutto per me.

«Posso rispondere io?» Lei mi guarda con un mezzo sorriso e con l'aria decisamente confusa, ma non sembra voler rifiutare. «Lascia fare a me». Mi porge il suo telefono scrutandomi con curiosità. «Come si chiama il tuo capo?»

«Amber», risponde, con un meraviglioso sorriso.

«E tu?» Mi complimento mentalmente con me stesso per aver trovato un modo geniale per conoscerla.

«Lucy», le sorrido, per poi portare il cellulare all'orecchio.

«Salve Amber, sono Harry Styles. Lucy è qui con me... È riuscita ad ottenere un'intervista individuale con ognuno dei componenti della band... Ma certamente, avrà anche delle foto in esclusiva... D'accordo. È stato un piacere sentirla, arrivederci». Le restituisco il telefono sotto il suo sguardo indagatore. «Allora Lucy, abbiamo un'intervista da portare a termine».

«Ottieni sempre quello che vuoi?», mi chiede, mettendo il telefono nella tasca posteriore dei suoi jeans.

«Non sempre, ma stavolta spero proprio di sì». Allungo di nuovo la mano nella sua direzione e stavolta lei sorride mentre afferra la mia guardandomi dritto negli occhi.

«Lucy Anderson, piacere di conoscerti, Harry Styles».

*

È stato il nostro inizio. L'ho trattenuta con me per tutto il resto del giorno con la scusa di quell'intervista di cui lei aveva poi pubblicato nemmeno la decima parte di quello che era successo nelle ore che avevamo trascorso insieme.

Quel giorno l'ho baciata per la prima volta, non sono riuscito a trattenermi e l'ho fatto anche con il timore di ricevere un schiaffo, che però non è arrivato. Lei si è lasciata andare, rimanendo convinta del fatto che non l'avrei mai più richiamata, e invece ho fatto anche quello. L'ho fatto il giorno dopo, quello dopo ancora e ancora e ancora, fino a che l'ho convinta a vederci un'altra volta.

Non c'è mai stato niente di facile tra noi, ogni cosa, anche la più piccola, era complicata, ma non per questo mi sono arreso. La distanza, la popolarità, volare da un continente all'altro, il mio lavoro, tutto sembrava remarci contro, ma io la volevo e ho fatto di tutto per averla al mio fianco.

«Harry!?» Sento il mio nome urlato dal piano di sotto. La voce è quella di James.

È autorizzato ad entrare dall'ingresso riservato in caso di emergenza e, questa, decisamente lo è.

«Sono di sopra!» Urlo a mia volta per farmi sentire.

Il rumore dei suoi passi veloci su per le scale arriva chiaro all'interno del mio bagno personale. Tutte le porte sono spalancate. Le ho lasciate aperte quando, dopo essermi svegliato, e aver trovato quella maledetta lettera sul suo cuscino, sono sceso a cercarla per tutta la dannata, enorme, casa.

Il rumore diventa più debole, ma sempre più vicino mentre cammina più lentamente fino ad affacciarsi alla porta del bagno.

«Cos'è successo?», mi chiede, con un filo di voce.

«Ricordi quelle foto che eri riuscito a far sparire?», mi volto a guardarlo e lui mi osserva con aria preoccupata.

«Sì», afferma, senza distogliere lo sguardo dal mio.

«Qualcuno le ha trovate». Torno a guardarmi allo specchio e riesco a vedere quanto io sia indegno di lei.

«Cazzo!» Già... nella mia testa non riesco a pronunciare altro che quella parola.

Le foto in questione riguardano me, ovviamente, e una modella bionda, di cui in questo momento mi sfugge il nome. Non hanno niente di compromettente a prima vista perché stiamo semplicemente camminando l'uno a fianco all'altra. Il problema sta nel fatto che stiamo uscendo da un albergo, l'albergo nel quale io e Lucy ci siamo conosciuti, ed è palese quale siano le conclusioni che abbiano tratto le persone vedendo quelle immagini.

Non c'era niente di vero. Non ho mai tradito Lucy e nemmeno mi è mai passato per la testa, ma il manager che avevo in quel periodo, mi aveva praticamente costretto a farmi scattare quelle foto dicendomi che ne avrei tratto dei vantaggi a livello di immagine e a livello economico.

L'unico che ne ha tratto dei vantaggi è stato quello stronzo che ha preso dei soldi dalla ragazza che l'ha pagato al fine di garantirsi lei stessa della pubblicità.

Per alcuni problemi tecnici, quelle foto non erano uscite subito, erano state poi programmate per uscire proprio nel periodo della sua sfilata più importante, ma quando ho assunto James al posto di quel cretino, per occuparsi di me, lui era stato in grado di far insabbiare quella storia ed ero praticamente sicuro che nessuno ne sarebbe venuto a conoscenza.

E invece, ieri, è stata proprio lei a vederle, prima ancora di me. La sua migliore amica l'ha chiamata e gliel'ha detto. Non ce l'ho con lei, quelle foto le avrebbe viste comunque. Ce l'ho con me stesso, per non averle detto dell'esistenza di quelle immagini, avvalorando così l'ipotesi che tra me e quella bionda ci fosse stato qualcosa.

Abbiamo inevitabilmente discusso, ho cercato in ogni modo di farle capire che era tutta finzione, e probabilmente alla fine mi ha creduto, ma forse non è stato abbastanza, e subito mi tornano in mente le parole che Lucy ha scritto nella sua lettera.

*

Pensavo di averlo superato, pensavo che il periodo delle foto rubate fosse finito, ma mi sbagliavo, e forse non finirà mai.

Non credo di farcela, Harry. Non credo di voler più condividere la tua vita con il resto del mondo, e ti amo così tanto che non posso più chiederti di rinunciare a quello che è meglio per la tua carriera per poter stare con me. Non voglio che tu rinunci più a niente a causa mia. Continua ad inseguire i tuoi sogni, è questo che mi ha fatto innamorare di te, ed è questo che continuo ad amare di te.

*

«Mi dispiace, Harry, ero convinto di esserci riuscito, quello stronzo mi aveva garantito che sarebbero sparite...» La voce dispiaciuta di James mi riporta alla realtà da cui mi ero assentato per l'ennesima volta in questa mattinata. «Speravo che non le avesse ancora viste...»

«Non fa niente James, non è colpa tua». Mi sento svuotato e senza uno scopo nella vita.

«Ho provato a chiamarti per avvisarti di quelle foto, ma il tuo cellulare era sempre spento».

«Non ha più importanza James... niente ha più importanza...» Avevo spento il telefono nel momento in cui abbiamo smesso di litigare ed è rimasta ad ascoltarmi. Poi mi ha baciato con così tanta passione che avevo persino dimenticato dell'esistenza dei telefoni cellulari.

«Che stai dicendo, Harry?» La voce alterata di James mi spinge a guardarlo. Mi sta fissando con gli occhi spalancati in attesa di una mia risposta.

«Che è finita, Lucy mi ha lasciato... è finita...», mi sento stanco e privo di forze.

«Scusa... ragazzo senza coglioni... hai mica visto da qualche parte Harry Styles?» Lo osservo con aria interrogativa, corrugando con forza le sopracciglia e stringendo con troppa energia le mani intorno al bordo del lavandino.

«Come mi hai chiamato?» Per un attimo sono confuso, ma lui torna subito a parlare.

«Hai sentito benissimo, vuoi davvero che lo ripeta?» Le sue parole si ripetono comunque nella mia testa e diventano come una scossa che mi fa riprendere dal mio torpore.

«No!» Mi fiondo a grandi passi verso la cabina armadio e prendo le prime cose che mi capitano per vestirmi sotto lo sguardo soddisfatto del mio manager.

James si è occupato della mia vita, non solo della mia carriera lavorativa, e non lo ringrazierò mai abbastanza per quello che fa per me.

«Bentornato, Harry». Mi sta prendendo per il culo, ma va bene, glielo lascio fare perché lo merito. Io non sono un rammollito, lotto per quello che voglio, e adesso voglio Lucy. Non la lascerò andare via senza fare niente per impedirlo.

«Hai la macchina sul retro?», gli chiedo, mentre infilo gli stivaletti.

«Sì», mi dice, tornando a sorridere.

«Prendo un paio di cose e andiamo, credo di sapere dove sia». Lo seguo poi fino alla sua auto, mi sdraio sui sedili posteriori perché non voglio assolutamente essere visto e, anche se sono coperto alla vista esterna dai vetri oscurati, non voglio correre alcun rischio.

Ho portato con me la sua lettera, voglio che tutto quello che ha scritto qui sopra, me lo dica in faccia, e se avrà la forza di farlo, allora capirò che devo lasciarla andare, ma se guardandomi negli occhi, io capirò che lei mi ama tanto quanto la amo io, non la lascerò affatto.

Mi piace la sua calligrafia, mi piace pensare che le sue dita, le sue mani, siano state su questo foglio, che queste parole le ha scritte pensando a me. Cerco di guardare il lato positivo, cerco di trovare qualcosa di bello in questa orribile giornata.

*

Ci siamo promessi di affrontare i problemi insieme e io sto scappando senza darti la possibilità di salutarci, ma non posso guardarti negli occhi, i tuoi unici e meravigliosi occhi, e dirti addio perché non sarà mai un addio. Il mio cuore è tuo e lo sarà per sempre.

Ti guardo dormire mentre scrivo come meglio riesco queste righe.

Ti guardo e so che nient'altro sarà mai così bello come il tuo viso appoggiato sul cuscino.

Ti guardo e so che non amerò nessun altro come amo te.

Voglio che tu sia libero di vivere la tua vita, la tua carriera, i tuoi fan, ogni cosa. Voglio che tu viva fino in fondo, intensamente, come tu sai fare.

*

L'ho resa insicura, ho distrutto le sue certezze una ad una, giorno dopo giorno, ma sono sicuro che abbia solo paura, e io voglio allontanare da lei quella paura che in questo momento la tiene lontana da me, e dalla nostra casa.

Ieri sera ero troppo poco lucido per dirle tutto quello che mi ero ripromesso. Mi ero fatto tanti discorsi davanti allo specchio, ho fatto tante prove insieme a Louis che mi ha preso per il culo la maggior parte del tempo, ma non sono riuscito a dirle quello che volevo.

Ero arrabbiato con lei stamattina. Arrabbiato per avermi fatto svegliare da solo e con quella stupida lettera sul suo cuscino. Arrabbiato perché ha deciso lei per entrambi. Arrabbiato con me stesso per aver permesso che questo accadesse.

James guida sicuro nel traffico di Los Angeles, conosce bene la nostra destinazione, e io provo a richiamarla anche se è la quarta, o quinta, o decima, o centesima volta che ci provo, ma continuo a trovare la segreteria. Non importa, la sua macchina non era in garage, sono quasi sicuro di sapere dove sia.

È passata poco più di mezz'ora da quando mi sono svegliato, e lei non c'era, non so a che ora sia uscita di casa, ma spero solo di essere ancora in tempo.

L'osservatorio è il nostro posto speciale, così l'ha chiamato dopo che l'ho portata lì la prima volta, e da allora è stato testimone di alcuni momenti importanti della nostra vita insieme. Lì le ho detto ti amo’ per la prima volta, è lì che le ho chiesto di venire a vivere con me, ed è sempre lì che avrei dovuto portarla stasera.

Le piace guardare il cielo, dice che la rilassa. A me piace guardare lei e osservare le sue espressioni che cambiano con il cambiare dei suoi pensieri. Ho imparato a conoscere ogni più piccola variazione del colore dei suoi occhi, a cogliere ogni sfumatura del suo sguardo e in questo momento mi manca da morire.

«Dieci minuti e ci siamo», mi avvisa James, mentre il mio sguardo torna su quelle righe piene di parole che ormai hanno perso ogni significato se non sarà lei a spiegarmelo di persona.

*

Non sto riflettendo, me ne rendo conto. Se lo facessi, probabilmente strapperei questa pagina in mille pezzi e tornerei a sdraiarmi nel letto accanto a te, ma voglio renderti libero di poter lavorare senza altri pensieri.

*

Le sue parole sono una contraddizione unica e sono certo che la colpa sia mia. Ho sempre messo al primo posto il mio lavoro, lei mi ha permesso di farlo e abbiamo sbagliato entrambi perché al primo posto avremmo dovuto esserci noi, il resto deve essere una cornice che ci permette di restarne all'interno, solo io e lei.

La macchina rallenta e vedo che accosta in un punto abbastanza nascosto.

«Ok, Harry, siamo arrivati, adesso scendo e vado a cercarla», mi dice James, girandosi all'indietro per potermi guardare.

«Ti prego... Trovala, James!» Non posso scendere da questa macchina a meno che non sia sicuro al cento per cento che lei sia qui. Se le persone mi riconoscessero perderei tempo prezioso per cercarla da qualche altra parte anche se sono quasi sicuro che sia sulla terrazza panoramica. È lì che ho detto a James di cercarla. Se la trova, correrò il rischio di scendere da quest'auto per andare da lei.

Lo guardo scendere, chiudere lo sportello e allontanarsi. Inspiro una grande quantità d'aria per poi emettere un pesante sospiro. Sono terribilmente agitato perché non posso perderla.

Alzo il cappuccio della felpa e indosso gli occhiali scuri, poi torno a fissare il display del cellulare nella speranza di vederlo illuminarsi con il nome di James, o meglio ancora di Lucy, ma i minuti passano e sembra che non accada niente.

Sento l'ansia salire e il pensiero che lei non sia qui sta opprimendo ogni altro pensiero, poi sobbalzo quando mi accorgo di una chiamata in arrivo, ma non è James, e nemmeno Lucy.

«Pronto». Sono sicuro che dal mio tono di voce il mio amico riesca a capire chiaramente il mio stato d'animo.

«Dimmi che non le ha viste». Deve essersi alzato da poco, la sua voce è tremendamente assonnata.

«Louis, se vuoi non te lo dico, ma le ha viste comunque e mi ha lasciato». So che alla fine non sono state queste foto a farla andare via, avevamo già dei problemi che però stavamo riuscendo a risolvere. L'uscita di quelle foto, non ha fatto altro che far traboccare un vaso ormai colmo.

«Merda! ... tu come stai

«In realtà non lo so... ascolta Lou, ho bisogno tenere libero il telefono, ti chiamo più tardi, ok?» Mi dispiace dover chiudere così la comunicazione con lui, ma ora non ho davvero tempo per piangermi addosso in una chiacchierata con il mio migliore amico.

«Hai ragione, ma fammi sapere, capito?» Lo rassicuro prima di salutarlo e subito mi torna in mente, un paio di giorni fa a casa sua, mentre cercavo di trovare il modo giusto per parlare con Lucy di una cosa a cui tengo davvero molto.

Louis è stato fin troppo paziente, anche se, alla fine, un paio di ceffoni sulla testa li ho ricevuti. Non è stato un granché come consigliere, ma è eccezionale come ascoltatore.

Il telefono squilla di nuovo.

Stavolta è James.

«L'hai trovata?» La mia voce è carica di speranza. Il mio cuore mi dice che lei è qui, non posso sbagliarmi.

«È esattamente dove mi hai detto tu». Sorrido ampiamente alle sue parole perché sapere che non mi sbagliavo mi fa sperare ancora in quel forte legame che ci tiene uniti.

«Non lasciarla andare via, arrivo subito». Chiudo la comunicazione prima che lui abbia il tempo di rispondere. Infilo il cellulare nella tasca posteriore dei jeans, abbasso per bene le maniche della felpa per coprire i miei tatuaggi. Per fortuna questa giornata di fine ottobre è decisamente grigia, altrimenti così incappucciato non passerei di certo inosservato.

Scendo dall'auto recuperando le chiavi, premo sul pulsante del telecomando della chiusura centralizzata e mi allontano a grandi passi verso la terrazza panoramica.

Qualcuno mi osserva stranito mentre cammino veloce attraverso le sale dell'osservatorio per arrivare all'esterno. Non ho mai sperato tanto come oggi di non essere riconosciuto. Devo arrivare da lei.

Quando sto per scendere le scale, la vedo. È nella parte più lontana e isolata della terrazza, dove si mette sempre. James è vicino a lei e stanno parlando, ma lo sguardo di Lucy è rivolto costantemente al panorama. Mi affretto a scendere e, quando sono quasi alle sue spalle, James si accorge della mia presenza e si allontana mostrandomi un sorriso.

Sono a due, forse tre metri da lei. Il mio cuore batte velocemente e ho le mani sudate. Per nessun concerto ho mai raggiunto questo livello di agitazione, nemmeno davanti a migliaia di persone mi sono mai sentito insicuro di qualcosa come adesso.

Lei è di spalle, indossa il suo golfino bianco, quello che abbiamo comprato insieme a Madrid, e si stringe nelle spalle, ma non so se sia per l'aria fresca che tira quassù o per il suo stato d'animo. Non riesco più a guardarla senza fare niente e, alla fine, pronuncio il suo nome, senza quasi rendermene conto.

«Lucy...» Si immobilizza al sentire la mia voce, ma non si volta restando con lo sguardo fisso davanti a sé.

«Farmi sequestrare dal tuo staff è diventata un'abitudine ormai». La sua voce è calma e mi avvicino a lei lentamente.

«L'uomo che era qui con te poco fa, si chiama James... è il mio nuovo manager...» Lei si volta di scatto a guardarmi con l'aria sorpresa e sento di doverle altre spiegazioni. «L'ho assunto un paio di mesi fa». Le linee del suo viso si distendono e sono certo di vedere nei suoi occhi uno sguardo di speranza.

Molte delle nostre liti riguardavano il mio ex manager proprio per il modo di svolgere il suo lavoro. Lei non era mai stata d'accordo sui suoi metodi, io mi sono sempre affidato troppo a lui, ma adesso ho capito che sbagliavo, che posso ottenere gli stessi risultati con metodi diversi.

«È simpatico...», mi dice, con un filo di voce e un piccolissimo sorriso.

«Si prende cura di me... e di noi...» Si volta completamente dalla mia parte e cerco di mantenere il controllo perché l'unica cosa che vorrei fare è prenderla tra le braccia e stringerla per tenerla con me.

«Di noi?», mi chiede incerta.

«Sì, di noi. Da quando c'è James ad occuparsi di tutto le cose sono diverse, non puoi non averlo notato». Istintivamente faccio un passo verso di lei, ma lei ne fa uno indietro.

«Perché non mi hai mai parlato di James?» Il suo sguardo è diventato impenetrabile e i suoi pugni stringono forte il golfino bianco.

«Perché volevo essere sicuro di aver fatto la scelta giusta, stavolta. Ne ho fatte troppe di sbagliate in passato, e non voglio più farne. Per questo sono qui, Lucy... perché non posso scegliere di lasciarti andare, non posso scegliere di vivere la mia vita senza di te... non posso scegliere di non lottare per te... per noi...» Sono sicuro di aver appena incrinato tutta la sicurezza che si sta ostinando a mostrarmi.

«Quella lettera che ti ho scritto...»

«Perché non me le dici tu tutte quelle cose che hai scritto?» Lei non parla, sembra non abbia intenzione di farlo. «Lucy ho bisogno di sentirle direttamente dalla tua voce, o non crederò affatto che tu voglia andartene». Non voglio perderla e non succederà.

«Harry, mi dispiace di essere andata via così, ma non possiamo più andare avanti in questo modo e tu lo sai». Le sue parole dicono una cosa, mentre il suo viso e i suoi occhi dicono il contrario, e io ho tutta l'intenzione di approfittarne.

«Hai ragione, Lucy, non possiamo più andare avanti in questo modo...» Lei si immobilizza alle mie parole e sembra quasi che abbia smesso di respirare. È assolutamente vulnerabile in questo momento ed è adesso il momento giusto per farlo. «Ed è proprio per questo che...», sfilo l'anello che ho all'indice della mano sinistra, il suo preferito, e mi inginocchio di fronte a lei, «voglio che tu passi con me il resto della nostra vita insieme, per sempre». Prendo la sua mano sinistra con molta cautela. Lei non protesta, mi lascia fare, e io le infilo l'anello anche se le sta decisamente grande.

La mia proposta è strana, l'anello anche, il luogo e la situazione pure, ma spero di averla stupita in qualche modo.

«Harry... io non so cosa dire...» La sua mano è ancora stretta nella mia e il suo sguardo va dai miei occhi alle sue dita senza riuscire a fermarsi.

«Dì solamente sì». Probabilmente gli sguardi di tutte le persone su questa terrazza sono su di noi, ma io non vedo altro che i suoi occhi lucidi.

«Harry... questo non aggiusterà le cose tra noi...» So che vorrebbe accettare, ma ha paura, glielo leggo negli occhi, e la colpa è solo mia.

«Di sicuro aggiusterà il mio cuore, però, il resto possiamo aggiustarlo insieme, Lucy. Non puoi negare i cambiamenti che ci sono stati in questi ultimi due mesi. Quelle foto erano vecchie e ho sbagliato a non parlartene, non succederà più». Adesso i suoi occhi si sono fermati nei miei e una piccola lacrima le sta scivolando giù lungo il viso.

«Alzati per favore... ci stanno guardando tutti...» Tenta di aiutarmi ad alzarmi, ma non voglio ancora farlo.

«Solo se mi dici di sì». Stringo un po' di più la sua mano, nella speranza di una sua risposta positiva.

«Non vorrai finire di nuovo su tutti i social mentre sei in ginocchio ai miei piedi».

«In ginocchio ai tuoi piedi è esattamente il posto in cui devo stare. Ti amo, Lucy Anderson, e non importa se il mondo lo sa o meno, l'importante è che lo sappia tu. Io ti amo, questo non cambierà mai, e voglio solo avere la possibilità di vivere al tuo fianco». Le sue labbra si aprono in un meraviglioso sorriso e, dentro di me, sento rinascere la speranza.

«Davvero James si prende cura di te?» Ha bisogno di essere rassicurata ed è quello che ho intenzione di fare.

«Si prende cura di noi, di me e te, insieme. L'ho assunto per il pacchetto completo. Io non ci sono senza di te. Dimmi che non te ne andrai, Lucy, dimmi che resterai con me...» Spero di riuscire a trasmetterle quanto io abbia bisogno di lei nella mia vita.

«E avrò anche un anello vero?» Questa risposta me la sta facendo sudare, ma so che me lo merito.

Infilo la mano destra in tasca e prendo l'anello che ho comprato un paio di giorni fa insieme a Louis e che ho preso poco prima di uscire di casa. È d'oro bianco con un piccolo brillante al centro, e la guardo portarsi una mano davanti alla bocca mentre le infilo questo, all'anulare sinistro proprio dietro al mio che le ho infilato prima.

«Harry, ma...» L'ho colta del tutto di sorpresa perché non sa più cosa dire.

«Era da qualche giorno che volevo farlo, Louis mi ha sopportato mentre lo costringevo ad aiutarmi a trovare un modo originale per chiedertelo. Non ti sto chiedendo di vivere il resto della tua vita con me per non farti andare via. Ti sto chiedendo di non andare via per poterti sposare Lucy... tu sei la scelta migliore che io abbia mai fatto». Non so più cosa dire per convincerla e resto a guardarla in attesa.

A quel punto si inginocchia anche lei, le mie mani finiscono sul suo viso ad asciugarle le lacrime, le sue a stringere le mie, mentre mi guarda piena di speranza.

«Entro poche ore lo saprà tutto il mondo, Harry...», mi dice, con un tono di voce incredibilmente basso.

«Saprà che cosa?», le chiedo, senza smettere di accarezzarla.

«Che io ti ho detto sì», E a quel punto la bacio incurante di chi ci sta guardando e del posto in cui siamo. Lei mi ha detto sì, il resto del mondo può solo esserci spettatore.

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Capitolo 2
*** Details ***


I legami che ci vincolano a volte sono impossibili da spiegare

ci uniscono anche quando sembra che i legami si debbano spezzare

certi legami sfidano le distanze e il tempo e la logica

perché ci sono legami che sono semplicemente destinati ad esistere!

Grey's Anatomy
 

*******
 

Mi sento un pesce fuor d'acqua tra tutte queste luci, gente che corre a destra e sinistra, la ragazza che mi ha ritoccato il trucco un paio di volte; non sono affatto abituata a tutte queste attenzioni su di me. La cosa che più mi spaventa è quella telecamera che punta dritto nella mia direzione, impietosa e senza un briciolo di umanità.

Stamattina, quando la sveglia ha suonato, ero già in piedi da un paio d'ore, alle prese con il mio terzo o forse quarto caffè, e non mi sono mai sentita così nervosa come oggi ‒ nemmeno quando sono stata dal mio editore per la prima volta per firmare il contratto che avrebbe visto pubblicato il mio libro, o durante i numerosi firma copie che mi hanno visto protagonista in giro per l'Inghilterra durante gli ultimi mesi, nei quali ho incontrato tantissime persone.

Non mi sarei mai aspettata tutto questo quando ho iniziato a buttare giù le prime righe sul blocco note del cellulare, come pensieri sparsi per tenere a mente ogni dettaglio vissuto nel periodo più felice della mia vita, perché sono stati proprio i dettagli ad avermi fregato in pieno. Come quando metti lo zucchero a velo su un dolce finito, o quando metti dei fiori freschi al centro del tavolo, oppure un piccolo ciondolo al braccialetto, come quello che non ho mai smesso di indossare. Ecco... lui è sempre stato come quei dettagli che migliorano, quelli che rendono tutto più bello.

Quel braccialetto, quello che lui mi ha regalato per il primo Natale che abbiamo trascorso insieme, l'ho agganciato al polso anche stamattina, come faccio ogni giorno. È proprio quel piccolo ciondolo che continuo a torturare per confortarmi, quello a forma di hamburger a ricordare il nostro primo bacio quella sera in quel fast food.

*

«Tu credi che vada bene così?» Mi giro verso Maddie, la mia migliore amica dai tempi dell'asilo.

«Nicole... stai andando al Burger King, credo proprio che jeans e maglietta siano decisamente adatti». Sbuffa alla mia ennesima richiesta da quando è entrata nella mia camera.

«Voglio essere perfetta, Mad... finalmente mi ha chiesto di uscire e non voglio che qualcosa vada storto». La guardo mentre lei alza leggermente gli occhi al cielo scuotendo la testa e mostrandomi quel sorriso che usa quando vuole prendersi scherzosamente gioco di me.

«Adesso calmati, ok? Tu gli piaci e non gli importerà di cosa indossi... tanto sono sicura che ti toglierà tutto».

Ridiamo insieme alla sua battuta mentre mi tira giù con lei sul letto straripante di indumenti tirati fuori a caso dall'armadio e abbandonati sopra le coperte.

«Credi che andrà bene, Mad?», le chiedo, quando abbiamo smesso di ridere, voltandomi appena dalla sua parte.

«Credo che sarà perfetto», mi risponde, sorridendomi sinceramente.

E io le credo, voglio crederle, perché ho una cotta per lui da quando ho memoria; ieri, a scuola, quando si è fermato vicino al mio armadietto come fa tutte le mattine e mi ha chiesto di uscire credo di aver perso l'uso della ragione. Gli ho risposto quasi balbettando mentre lui non la smetteva di sorridere, forse anche per le mie guance che stavano andando a fuoco; poi quando si è allontanato avrei solo voluto prendere a testate lo sportello d'acciaio dell'armadietto per la vergogna.

Lo conosco da sempre, abbiamo frequentato gli stessi posti, ma ognuno ha condotto la propria vita, le nostre strade non si sono quasi mai incrociate, anche se sono state quasi sempre parallele. Quest'anno, però, sembra che tutto sia cambiato. Io non lo vedo più come un compagno di scuola; sembra diverso, o forse è diverso solo ai miei occhi.

«È arrivato!», urla Mad, dopo essersi affacciata alla finestra della mia camera da letto.

Chiudo gli occhi, quindi inspiro una gran quantità d'aria, poi espiro, cercando di calmare l'agitazione che sto provando in questo momento, ma non ottengo l'effetto sperato. Le mani sudano, il cuore batte forte e ho una gran paura di fare una figuraccia.

«Augurami in bocca al lupo», dico alla mia amica, in piedi di fronte a me.

«Non ne hai bisogno, Nicole».

Mi abbraccia, poi mi accompagna alla porta di casa. Saluto mamma ed esco, andando verso la sua macchina sulla quale salgo con una paresi sul volto a forma di sorriso.

«Ciao...», mi dice, guardandomi dritto negli occhi.

«Ciao...», gli rispondo. Stasera è più bello del solito, o forse è il filtro rosa a forma di cuore dei miei occhi che lo vede più bello; so solo che non vorrei essere in nessun altro posto che non sia qui con lui.

*

Per tutta la sera non aveva fatto altro che guardarmi negli occhi come se volesse comunicarmi quello che stava provando, e io ero stata talmente ipnotizzata da quel verde così brillante e acceso che, quando si era alzato in piedi allungandosi sul tavolino nella mia direzione, ero rimasta immobile con il mio hamburger ancora in mano fino a quando avevo sentito la sua mano sul mio viso. A quel punto era stato come se avessi risposto ad una tacita richiesta, e mi ero protesa leggermente verso di lui che aveva posato le sue labbra sulle mie.

Credevo che sarei svenuta da lì a breve per quel bacio così improvviso e così dolce, ma atteso da tempo. Ricordo ancora cosa mi disse immediatamente dopo.

*

«Scusa... non ne potevo più di continuare a guardare le tue labbra senza sapere che sapore avessero...»

*

«Cinque minuti!»

I miei pensieri vengono interrotti dal vocione di un tizio che urla al centro dello studio di registrazione, attirando l'attenzione di tutti i presenti. Smetto di torturare quel piccolo ciondolo e, non appena la ragazza del make-up mi dà un'ultima controllata, mi siedo sulla poltroncina rossa a me destinata, in attesa della conduttrice.

Quest'intervista non era in programma; niente in realtà lo è da quando il mio editore ha deciso di pubblicare il libro che ho spedito alla casa editrice solo per una sfida a Mad ‒ che continuava a dire che sarebbe stato un successo, mentre io cercavo sempre di smorzare il suo entusiasmo. Alla fine ha vinto lei.

Da allora tutto è cambiato nella mia vita. Non avrei mai creduto che quelle pagine, scritte per gioco, per esorcizzare la mancanza che sentivo ‒ e che sento ancora ‒ di lui, potesse portare tutta questa popolarità.

E invece eccomi qui, nel vestito elegante di scena che ha scelto per me la costumista, ben truccata, ben pettinata, seduta in attesa di parlare di me, perché è di questo che si tratta. Il libro che ho scritto parla di me, di lui, di noi, e non c'è più modo di nasconderlo.

«Ciao Nicole, scusa il ritardo...»

Mi volto nel sentire la voce di Kimberly, la biondissima conduttrice di questo programma, che arriva trafelata ma con un gran sorriso.

«Figurati...» Non mi dispiace essere rimasta un po' da sola, ho avuto modo di raccogliere un po' le idee.

«Hai dato un'occhiata alle domande?», mi chiede, sedendosi proprio di fronte a me.

«Sì, me le ha fatte leggere il mio editore stamattina».

È davvero bella nel suo tailleur bianco.

«Perfetto... Julie puoi portarmi un po' d'acqua?» Si rivolge a qualcuno del suo staff, mentre io riprendo a stringere tra le dita il piccolo hamburger appeso al mio braccialetto. «Sono arrivata di corsa e ho la gola secca, ne vuoi un po' anche tu?», mi domanda, tra una pennellata di fard e l'altra, mentre la ragazza del make-up porta a termine il suo lavoro.

«No, sto bene così, grazie».

In realtà non sto propriamente bene, ma è una cosa che per contratto devo fare, quindi me la farò andare bene comunque. Non amo particolarmente stare davanti alle telecamere, non quanto lui.

*

«Nicole! È iniziato!» Mad mi chiama a gran voce mentre sono in cucina a preparare un po' di tè caldo e mi metto praticamente a correre non appena la sento.

Mi fiondo sul divano insieme a lei, inchiodando lo sguardo allo schermo della televisione dove stanno trasmettendo l'intervista che stavamo aspettando di guardare.

«Dio, quanto è bello...», mi lascio sfuggire ad alta voce, mentre Mad non fa altro che alzare gli occhi al cielo ogni volta che lo dico.

«Che palle che sei, Nicole...» Si lascia andare all'indietro contro lo schienale.

«Stai zitta adesso, Mad!»

Sono concentrata su ogni sua parola, su ogni sua espressione, su ogni suo piccolo movimento e su ogni suo tatuaggio, soprattutto quello che ha sulla mano ‒ perché, quando l'ha fatto, ero con lui. Quella piccola croce che ha sulla mano sinistra l'ha fatta per ricordare questo periodo dell'anno, perché Natale è il "nostro" periodo dell'anno.

Le domande che gli fanno sono sempre le stesse, ma lui risponde ogni volta con il suo meraviglioso sorriso e con gentilezza mentre parla delle sue canzoni e del suo ultimo album. Sta annunciando le date del tour, e io sono assolutamente ipnotizzata da ogni cosa che lo riguarda.

*

«Nicole?» Kimberly sta sventolando una mano davanti al mio viso.

«Scusami, ero sovrappensiero...» Cerco di darmi un contegno per sembrare professionale.

«Dicevo... possiamo iniziare?»

Faccio cenno di sì con la testa, nella speranza che i ricordi mi diano tregua, per riuscire ad arrivare alla fine di questa intervista. «Siamo pronte!», dice a qualcuno dietro le telecamere.

Kimberly parte con un piccolo monologo, presentandomi agli spettatori che guarderanno il suo programma con qualche notizia base; so che in questo momento devo solo sorridere e annuire fino a quando non iniziano le domande vere.

«Allora, Nicole, cosa ti ha spinto a scrivere questo libro?»

Sento dei rumori provenienti dal fondo dello studio, ma so che non mi devo far distrarre da niente. Mi hanno avvisato che, qualunque cosa succeda, devo restare concentrata su Kimberly; saranno poi loro ad aggiustare l'audio prima della messa in onda.

«È stata la voglia di mettere nero su bianco le emozioni che mi hanno portata ad essere quella che sono oggi». La mia voce trema appena, non credevo sarebbe stato così difficile.

«Cosa ti ispirato in particolare?» Kimberly accavalla le gambe con eleganza mentre mi sorride.

«È stato il mio vissuto ad ispirarmi...»

«Possiamo definirlo un libro autobiografico?», incalza lei.

«Sì, possiamo definirlo così. Parla di me e di una persona che è stata molto importante nella mia vita. Parla di un amore vero, sincero, che ha incontrato delle difficoltà... come credo succeda a tutti».

Non l'ho mai dimenticato e mai riuscirò a farlo.

«E il tuo amore si è concluso come nel libro?» Kimberly sorride ancora portandosi una ciocca di capelli dietro all'orecchio, dimostrando con le sue parole di conoscere il finale della storia di cui ho raccontato nelle pagine che stringe tra le mani.

«Non ho avuto il mio 'e vissero felici e contenti', ma lui rimarrà comunque una persona speciale per me».

Non so se mai vedrà questa intervista, non credo gli interessino i libri d'amore e non credo abbia tempo per leggerli, dati i suoi numerosi impegni in giro per il mondo.

Da quando ha vinto XFactor la sua vita è cambiata: da un giorno all'altro è praticamente stato risucchiato dal mondo della musica e, per quanto ci abbiamo provato, per quanto abbiamo tentato di far funzionare le cose, ci siamo inevitabilmente persi, anche se non ho mai perso la voglia di stare con lui.

Ho frequentato altre persone, come d'altra parte ha fatto lui, solo che tutte le sue relazioni erano sempre sotto ai riflettori a differenza delle mie; inoltre, per ognuna di quelle relazioni, ho sofferto come non avrei dovuto fare ‒ ma il mio cuore è suo, lo è sempre stato e sempre lo sarà.

Il resto dell'intervista prosegue a ritmo serrato, domande e risposte in continua successione, domande che mi sono studiata prima di questa registrazione, domande a cui sono preparata; tuttavia Kimberly d'un tratto mi lascia di stucco con l'ultima domanda non prevista.

«Bene, Nicole, adesso che sappiamo tutto su questo libro, nessuno potrà esimersi dal comprarne una copia; magari come regalo di Natale, visto che manca così poco, ma quello che vorrei davvero sapere...», si avvicina un po' e inizia a parlarmi sottovoce, come se fossimo sole e stessimo spettegolando sul vicino di casa, «è il nome di quest'uomo così meraviglioso di cui racconti nel libro». Mi sorride maliziosa, mentre io resto quasi senza fiato per questa domanda fuori programma, che mi manda letteralmente in confusione.

Mi volto verso la mia agente rimasta in piedi vicino alla telecamera per tutta la durata dell'intervista. Abbiamo ideato dei segni con cui possiamo parlare in codice di fronte alle persone senza che gli altri capiscano. La sto guardando, implorandola con gli occhi di aiutarmi, perché io non voglio assolutamente rivelare il suo nome. Lei punta il suo dito indice verso di me, segno evidente che mi sta dicendo che la scelta è solo mia e, a quel punto, riprendo possesso di quella poca sicurezza che ancora mi resta e pronuncio le uniche parole che mi sento di dire.

«Non è importante chi, quello che conta davvero è il messaggio che voglio dare alle persone che leggono questo libro. Bisogna lottare per quello in cui si crede, che sia un amore, un'amicizia o il sogno di una vita, non bisogna mai smettere di crederci».

Kimberly si allontana un po' osservandomi con attenzione.

«E tu ci credi ancora?» Insiste, ma lo capisco, è il suo programma televisivo; è giusto così.

«Sempre». Sorrido ampiamente alle mie parole, perché è davvero così. Nel mio cuore, la speranza di poterlo avere di nuovo per me non svanirà mai.

Nonostante non lo abbia più sentito da talmente tanto tempo che non ricordo nemmeno quanto ne sia passato, io ci credo ancora in quel noi, perché è l'unico modo che conosco di amare.

L'intervista è finalmente finita, la registrazione anche; dopo aver salutato la conduttrice e lo staff dietro le telecamere, io e la mia agente, Mavis, ci rechiamo nel camerino dove potrò indossare nuovamente i miei abiti e tornare nel mio anonimato.

«Questo era l'ultimo impegno per quest'anno, adesso potrai goderti un po' di meritato riposo», mi dice Mavis, con un gran sorriso ad illuminarle il volto. Lei sa quanto non sopporti stare sotto i riflettori.

«Grazie Mavis, non ne potevo più...»

Mi aiuta con la cerniera del vestito, poi lo tolgo e lo appendo sulla gruccia iniziando ad indossare i miei jeans mentre sento il suo telefono squillare.

«Torno subito, devo rispondere», mi dice, uscendo dal camerino chiudendosi la porta alle sue spalle, e io finisco di vestirmi per poi sedermi di fronte allo specchio; torno a prendere in mano una copia del mio libro lasciata sul ripiano di fronte a me e lo apro ad una pagina a caso per mettermi a leggere.

*

Oggi fa freddo, il solito freddo pungente di Londra, e sono davvero stanca di girare alla ricerca del regalo perfetto per Maddie. Ho appena deciso di rimandare a domani, quando il telefono si mette a suonare avvisandomi di una chiamata in arrivo.

«Ehi...», rispondo sorridendo, dopo aver letto il nome sul display. Non lo vedo da due giorni e sono impaziente che arrivi stasera, perché mi ha detto che starà da me.

«Dove sei?»

La sua voce è stata una delle cose che mi ha fatto innamorare di lui. Così lenta e graffiata da entrarti sotto la pelle.

«Sono in centro, tu dove sei?»

Mi fermo al semaforo rosso in attesa di attraversare. Probabilmente è appena uscito dalla sala prove dove si è rinchiuso un paio di giorni fa per prepararsi al provino.

«Dove vorresti che fossi?» Riesco a sentirlo poco a causa del traffico che popola le strade della città nei giorni prima del Natale.

«Vorrei che fossi già a casa mia ad aspettarmi». Non vedo l'ora di vederlo, mi manca incredibilmente tanto.

Quello che è nato come un bel sentimento tra due ragazzi del liceo è diventato un amore profondo, immenso e credo eterno.

«Casa tua è parecchio lontana dal centro... non vorresti che fossi più vicino?» Mi stringo un po' di più nel mio cappotto a causa di una folata di vento improvvisa mentre la folla di gente si accalca intorno a me, pronta per attraversare.

«E me lo chiedi anche? Certo che vorrei che fossi più vicino».

Il rosso del semaforo sta per diventare verde.

«E allora girati...»

Il tempo si congela... io mi congelo, restando immobile e totalmente confusa a quelle parole. Le persone intorno a me iniziano a camminare verso l'altro lato della strada, come stavo per fare anche io, ma le sue parole, che sembra stiano ancora rimbombando nella mia testa, mi hanno bloccata sul posto facendomi muovere come al rallentatore.

Mi volto, lentamente, tenendo ancora ben saldo il cellulare a contatto con l'orecchio. Le persone camminano svelte alla mia destra e alla mia sinistra, non riesco a vedere oltre la piccola calca fino a quando ogni passante si disperde, lasciandomi vedere la persona appoggiata alla cabina telefonica rossa con il telefono in mano e quel sorriso che mi ha fatto perdere la testa.

«Credo tu non sia abbastanza vicino...», gli dico, senza riuscire a fare un passo, restando a fissarlo come se lo vedessi per la prima volta con addosso il suo cappotto nero.

«Credo tu abbia ragione...» Fa qualche passo nella mia direzione, sempre lentamente e senza smettere di tenere i suoi occhi verdi nei miei, fino ad arrivare esattamente di fronte a me che non mi sono mossa di un millimetro. «Adesso credi possa andare bene?»

Abbiamo ancora entrambi il telefono in mano, appoggiato all'orecchio, occhi negli occhi. Non so come abbia fatto a trovarmi e adesso nemmeno mi importa, perché lui è qui e io posso tornare a respirare.

«Credo che tu possa fare di meglio», lo sfido scherzosamente. Non ha ancora riagganciato, nemmeno io l'ho fatto, e averlo a pochi centimetri da me mi manda fuori di testa per non aver potuto stare con lui per più di quarantotto ore.

«Tu dici?» Sorride, le sue fossette diventano evidenti, e non c'è più niente che possa tenermi lontana da lui.

«Dico...»

Metto il telefono in tasca, senza nemmeno chiudere la conversazione; lui imita il mio gesto senza smettere di tenere i suoi occhi fissi su di me come se non ci fosse niente e nessuno intorno a noi e, nel momento in cui le sue mani sono libere, prende il mio viso posandovi sopra delicatamente i palmi per guardarmi ancora, per poi baciarmi subito dopo senza aspettare un secondo di più, con forza, passione, e delicatezza al tempo stesso, per un tempo che mi sembra infinito. Lui ha questo potere, mi fa perdere la cognizione del tempo e dello spazio quando è con me.

«Questa distanza è accettabile», replica lui, restando a pochi millimetri dalle mie labbra.

*

Sorrido al ricordo di quella giornata, chiudendo la pagina per posare nuovamente il libro sul ripiano insieme al resto delle mie cose. Questo è il periodo dell'anno in cui mi manca di più, perché è proprio in questi giorni che ‒ qualche anno fa ormai ‒ la nostra storia è cominciata, ed è sempre in questi giorni che è finita.

Lui è in grado di rendere speciale tutto ciò che tocca e ciò che guarda; ogni cosa che fa è straordinaria, grazie a tutte le piccole cose come quella che ha fatto quel giorno: è grazie alle piccole cose, ai dettagli ai quali ha sempre prestato grande attenzione, che è riuscito a rendere eccezionale tutto quello che ha fatto e che continua a fare nella vita.

Si è sempre ricordato della mia mania di volere un cucchiaino di cannella nel cappuccino quando andavamo a fare colazione fuori, di mettere la pallina rossa che lui aveva fatto all'età di sette anni sull'albero di Natale, di quanto io adori mettere i pantaloni del pigiama dentro i calzettoni di lana ‒ ricordo che una volta l'ha fatto anche lui, durante una serata che abbiamo passato a casa sua.

Si ricordava di come ho sempre detestato vedere i quadri storti alle pareti, e quando succedeva che ne vedessi uno nelle case dei nostri amici si alzava a raddrizzarlo per me perché sapeva quanto la cosa mi infastidisse.

Mi sono chiesta spesso in questi anni cosa sarebbe successo se avessi agito diversamente, se l'avessi seguito in giro per il mondo - come avrebbe voluto che facessi; non so nemmeno se pensa ancora a me durante le sue giornate, o mentre scrive le sue canzoni che parlano chiaramente di sé stesso, canzoni nelle quali io riesco a cogliere alcuni particolari che non tutti possono capire, perché lui è stato mio una volta e mi ha permesso di entrare nel suo cuore, nella sua anima, concedendomi il privilegio di conoscerlo meglio di quanto possano fare tutte le sue fan sparse sul pianeta.

Forse non lo saprò mai cosa sia cambiato in lui e magari lo sto solo idealizzando, ma ho amato la parte di lui che non ha mai mostrato al pubblico, ed è ancora la parte che amo di più a dispetto del tempo e della distanza.

Improvvisamente vengo scossa da tutti i miei pensieri, da qualcuno che bussa alla porta.

«Entra, Mavis, è aperto».

Finalmente la mia agente ha finito la sua chiamata e possiamo andarcene. Tutti questi ricordi su di lui, ritornati con forza tutti insieme, mi hanno reso particolarmente fragile ‒ questa cosa non è da me. È solo che, quando si tratta di lui, che è sempre stato il mio punto debole, ogni dinamica prende una piega diversa destabilizzandomi completamente.

Mi alzo andando verso i cappotti appesi nell'angolo del camerino, mentre la porta si apre.

«Possiamo andare adesso?», le chiedo senza guardarla, mentre sento la porta chiudersi nuovamente. Indosso il mio cappotto nero, sorridendo al ricordo che mi torna alla mente pensando a quando l'ho comprato. Lui era con me quel giorno.

«Possiamo andare dove vuoi...»

Mi blocco all'istante nel sentire quelle parole, ma soprattutto quella voce che da troppo tempo ascolto solo tramite le sue canzoni e le sue interviste.

Sono incredula e allo stesso tempo non vedo l'ora di voltarmi, anche se ho paura di essermi immaginata tutto, ma non resisto, devo saperlo, adesso, però, ho bisogno di farlo con calma per riuscire ad assorbire il colpo, quindi, molto lentamente, mi volto nella direzione in cui ho sentito quella voce e resto senza fiato.

È bello, bellissimo. Il suo sorriso è sempre lo stesso, le sue fossette anche, e il verde dei suoi occhi è così luminoso che resto affascinata una volta di più dal suo sguardo.

Dopo mesi di capelli lunghi ora li ha di nuovo corti, le sue mani sono infilate in tasca al cappotto nero. Non indossa niente di appariscente com'è solito fare, forse per passare più inosservato, ma sono contenta che non abbia qualche orribile camicia con la quale l'ho visto spesso in tv, anche se devo sinceramente ammettere che ogni cosa che indossa se la può permettere.

«Ciao, Nicole...», dice ancora, perché io sono nel più completo silenzio, nella più totale confusione, e sentire di nuovo il mio nome pronunciato da lui, ad una distanza così irrisoria, è un colpo davvero duro da sopportare per il mio povero cuore.

«Come... cosa ci fai tu qui?» Mi do mentalmente della stupida da sola. Avrei dovuto quantomeno salutarlo, ma la fretta di sapere mi ha fatto parlare a vanvera.

«Volevo vederti». Fa un passo nella mia direzione mantenendo le mani in tasca.

Cosa dovrei fare? Corrergli incontro? Saltargli in braccio? Non mi aspettavo di vederlo, tantomeno oggi, qui nel camerino dal quale stavo per andarmene, e non so assolutamente cosa fare o cosa dire.

«Come...»

«Come sapevo che eri qui?» Finisce per me la frase e io annuisco in silenzio. Mi sento una completa idiota. «Sei una scrittrice famosa, ormai». Sorride, e io mi perdo sul movimento delle sue labbra. «Il mio agente ha chiamato la tua casa editrice ed eccomi qui».

Fa un altro passo senza mai togliere le mani dalle tasche e di nuovo le domande si accavallano così in fretta nella mia testa che non so da quale cominciare.

«Ho seguito l'intervista dalla cabina del tecnico del suono», prosegue lui, perché io riesco solamente a guardarlo. «Come stai?», mi chiede, senza smettere mai di sorridere.

«A dire la verità, non lo so...» Non sono mai riuscita ad azionare il filtro bocca-cervello quando lui mi guarda con questa insistenza. Mi sento come se mi stessi svegliando da un lunghissimo sonno, come ritornare alla vita dopo un lungo letargo, durante il quale ogni sentimento e ogni sensazione venivano espressi al minimo, mentre ora dentro di me sta esplodendo tutto alla massima potenza. «E tu? Come stai?», gli chiedo, tentando di mettere in moto i miei neuroni che sembra vogliano entrare in sciopero.

Non sono mai riuscita ad immaginare come sarebbe stato il nostro incontro - se mai ci sarebbe stato dopo il suo successo planetario -, ma per quanto la mia fantasia abbia corso, in questi anni senza di lui, di certo questa situazione non è mai stata elaborata dal mio cervellino.

«Sto bene Nicole... ora sto meglio». Sto per chiedergli cosa significano le parole che ha appena pronunciato, ma fa un altro passo nella mia direzione, ed è come se i suoi movimenti riuscissero a mettere in crisi la mia capacità di articolare frasi e pensieri.

«Ho... ho sentito il tuo ultimo album».

Non è che io l'abbia proprio sentito. L'ho memorizzato in ogni nota e parola per la quantità di volte in cui la riproduzione di quell'album è stata avviata sul mio cellulare.

«Ti piace?», domanda speranzoso.

«Sì...», è tutto quello che esce dalla mia bocca, anche se avrei voluto dire che adoro quell'album, le sue canzoni, la sua voce, la sua musica, tutto... adoro tutto... adoro lui.

Fa un altro passo in avanti. La distanza tra noi si sta riducendo sempre di più, e anche le mie facoltà intellettive sembrano essersi ridotte notevolmente.

«Speravo in qualcosa di più che un sì...» Alle sue parole, nel mio cervello si accende qualcosa che non riesco ad identificare, e dalla mia bocca escono parole che non sono stata in grado di controllare.

«Perché sei qui?»

Stupida, stupida, stupida!

Non sono per niente amichevole, eppure lui continua a sorridere come se fosse felice di essere qui.

«Ho letto il libro, Nicole. Ho letto di te e di me... ho letto di noi...» Un altro passo ancora, stavolta ne faccio uno indietro perché la sua presenza mi sta facendo impazzire.

«Cosa ti fa credere che abbia scritto di te?», gli chiedo, tentando di depistarlo e mostrando una sicurezza che non pensavo di riuscire a tirar fuori in questo momento, nonostante lui faccia ancora un altro passo mentre io non posso più indietreggiare trovandomi ormai contro il muro.

«Perché ho riconosciuto molti particolari che riguardano solo noi, e perché credo che tu sia stata lontana per troppo tempo».

Abbiamo deciso insieme che sarebbe stato meglio per entrambi pensare ognuno alla propria vita, anche se ero io quella più convinta di questa decisione dato che non ero in grado di sopportare quella distanza che, inevitabilmente, il lavoro che stava per intraprendere avrebbe portato tra noi. Lui aveva accettato a malincuore la cosa, ma ero convinta che era per lui che lo facevo.

«Forse dovrei venire un po' più vicino...» Un ultimo passo ed è ad una distanza tale che riesco a sentire il suo profumo e da qui i suoi occhi sono ancora più intensi. Così intensi che mi sento completamente rapita.

In un attimo, l'atmosfera cambia e mi sento vulnerabile. Improvvisamente, il mio corpo ricorda cosa vuol dire averlo vicino. Solo lui ha sempre avuto questa capacità di riuscire ad accendere ogni interruttore del mio corpo senza nemmeno toccarmi.

«Sì... forse dovresti...»

Le parole escono da sole senza che io possa fermarle o controllarle in alcun modo.

Sono di nuovo i dettagli a riportarci vicini. Mi sembra di rivivere lo stesso momento di qualche anno fa, lo stesso di cui ho letto qualche attimo prima che lui entrasse qui dentro, lo stesso che abbiamo vissuto insieme.

«Credi che così possa andare bene?», mi chiede, facendo un ulteriore mezzo passo che lo porta a pochi centimetri da me.

È come se il tempo non fosse mai passato, come se ci trovassimo catapultati indietro nel tempo: ogni sentimento, ogni emozione, torna a galla prepotente. Mi gira la testa, mi manca l'aria e questa distanza, così ravvicinata, inizia a farmi sragionare.

Sono quasi due anni che non ci vediamo, dovremmo forse riprendere i rapporti lentamente, come due persone che tornano a conoscersi, e invece vorrei soltanto baciarlo e tornare ad appropriarmi delle sue labbra mentre gli stringo con forza i capelli.

«Forse potresti fare di meglio...»

Poi, il buio.

I miei occhi si chiudono e tutti i miei sensi si concentrano sul contatto delle sue labbra sulle mie, delle sue mani sul mio viso, sul sapore della sua bocca che si impossessa avidamente della mia spingendomi contro il muro e io che mi aggrappo con forza al suo cappotto per riuscire a sorreggermi dall'ondata intensa di emozioni che mi hanno appena travolto.

«Questa è l'unica distanza accettabile, Nicole, è ora che anche tu te ne renda conto...», sussurra, respirando ancora sulle mie labbra, mentre io mi perdo per l'ennesima volta nel verde dei suoi occhi.

«Harry...», riesco a pronunciare solo il suo nome, perché il bacio che mi ha appena dato ha annullato ogni capacità psicofisica che possiedo.

«Abbiamo un tavolo prenotato al Burger King».

Sorridiamo entrambi alle sue parole.

È il suo modo per dirmi che vuole ricominciare ed è il modo che amo perché è il suo modo, quello che dà importanza ai dettagli che fanno l'enorme differenza.

Si allontana appena un po'; tuttavia, adesso che l'ho ritrovato, adesso che la mia mente e il mio corpo hanno provato di nuovo la sensazione di averlo così vicino, forse non voglio più rinunciarci. Lo afferro per il cappotto, portandolo di nuovo a pochi centimetri dal mio viso e sorridendogli come sta facendo anche lui.

«Mi sei mancato, Harry...»

«Mi sei mancata da morire, Nicole».

Non so cosa succederà adesso; so solo che lui è qui, il resto lo costruiremo insieme.  

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Capitolo 3
*** 21 Guns ***


Do you know what's worth fighting for
When it's not worth dying for
Does it take your breath away
And you feel yourself suffocating?

"21 Guns"

Green Day

  ***************

6 luglio 1916

Sono di nuovo io.

So che dovrei aspettare la tua lettera prima di scriverti questa, ma proprio non riuscivo ad aspettare la tua risposta. Sento il bisogno di parlare con te adesso.

Mi sono isolato, come faccio sempre quando ti scrivo, ho preso carta e penna perché la tua mancanza sta diventando davvero insostenibile: da quando tutto quello che era solo nella mia testa è diventato reale, io non riesco più a smettere di pensare a te, nonostante qui intorno ci sia soltanto dolore, morte e distruzione.

Ieri sera parlavo con Sam e lui mi raccontava della sua ragazza che lo aspetta a casa, di come si sono conosciuti e di tutti i loro progetti per il futuro. Io l'ho ascoltato in silenzio per tutto il tempo, pensando a te e a un noi che forse rimarrà solo nella nostra fantasia.

Avrei voluto raccontargli dei nostri baci rubati, in segreto, nascosti alla vista di occhi indiscreti, che di certo non capirebbero quello che ci lega. Mi sarebbe piaciuto dirgli di come mi sia sempre più difficile staccarmi da te, dal tuo abbraccio che è ormai diventato per me il luogo più felice e sicuro che conosca.

Non ho superato quello che è successo, aver ucciso un uomo, nonostante l'abbia fatto perché era nostro nemico, e stava per uccidere me. Quando il mio dito ha premuto sul grilletto e quel corpo è caduto a pochi passi da dove mi trovavo, ho sentito morire anche una parte di me.

Cazzo! Era un soltanto ragazzino proprio come noi, e forse aveva sogni e desideri simili ai nostri, magari qualcuno che lo aspettava a casa, e io gliel'ho portato via. Non so cosa farei se qualcuno ti portasse via da me, probabilmente perderei la testa, perché se non avessi te mi sarebbe impossibile sopportare tutte le cose orribili che sono costretto a vedere ogni giorno.

Sono perfettamente consapevole che difficilmente avremo un futuro, mi continui a ripetere che per noi non c'è un futuro, perché non vuoi che mi faccia illusioni, ma non posso evitarlo, dato che quella stupida illusione è l'unica cosa che mi dà il coraggio e la forza di alzarmi dalla schifosissima branda - sulla quale cerco di dormire - e affrontare il mio destino.

Ogni giorno potrebbe essere il mio ultimo giorno e tutto questo è maledettamente sbagliato. Questa guerra è sbagliata, ogni fottuta guerra lo è, perché qui non c'è niente per cui valga la pena morire e vorrei solo scappare lontano, insieme a te, ma non c'è luogo per noi in cui essere felici, perché non saremmo mai giusti per la gente che ci circonda. Saremmo sbagliati, ma non per me, perché non c'è niente di sbagliato nell'amore, e io ti amo.

So che non vuoi sentirtelo dire perché hai paura di soffrire più di quanto già non soffri, ma io davvero non posso più tenerlo per me. Devi saperlo, e devi saperlo adesso perché domani potrebbe essere tardi. Io ti amo e non c'è niente di più giusto di questo.

Il tuo ultimo bacio è stato così disperato che ho avuto paura fosse l'ultimo, che il giorno dopo sarei morto sul campo di battaglia e non ci saremmo mai più rivisti. Mi sono aggrappato a quel ricordo per tutto il tempo, l'ho tenuto nella mia mente e nel mio cuore come se fosse la mia salvezza, esattamente nel posto dove sei tu. Il mio cuore ti terrà al sicuro, questa è una promessa, e ti giuro che nessuno potrà mai farci del male finché resteremo lì, insieme.

Alla fine sono stato fortunato, ho rimediato una ferita alla gamba che fa male da morire – e che non è proprio una fortuna in realtà. Stare sotto quella tenda che odora di morte e sangue non è il massimo, ma almeno posso vederti, posso parlarti e guardarti mentre passi a controllare le ferite dei miei compagni che sono stati molto meno fortunati di me.

Patrick non ha ancora ripreso conoscenza, Paul ha perso un braccio, Jimmy entrambe le gambe ed è uno strazio dover assistere a tutto questo dolore, ma poi arrivi tu con quel tuo camice bianco e tutti quegli aggeggi da medico di cui non ho ancora imparato i nomi, e d'improvviso mi sembra che tutto questo posto si colori di azzurro, lo stesso colore dei tuoi occhi. 

*

«Harry? Che cosa ci fai qui?» Sobbalzo all'improvviso perché colto sul fatto. Nascondo come posso la lettera che sto scrivendo, piegando il foglio a metà, poi mi volto cercando di essere più disinvolto possibile mentre tento di appoggiarmi al muro alle mie spalle.

«Avevo... avevo bisogno di... di allontanarmi un po' da tutto quel dolore...», dico, stringendo tra le dita quel foglio tanto importante per me, tenendolo dietro la schiena.

«Harry sei ferito, dovresti stare a riposo e non andartene in giro per il campo come se niente fosse...» Sento chiaramente la preoccupazione nella sua voce e il mio cuore si gonfia un po' di più perché non riesco più a contenere quello che provo. «Si può sapere cosa diavolo stavi facendo?», dice, allungando il collo per controllare quello che c'è alle mie spalle.

«Niente... io non stavo facendo niente...» Leggo nei suoi occhi che non crede ad una sola parola di ciò che ho detto e mi si avvicina per poi allungare un braccio dietro la mia schiena.

Il dolore alla gamba scompare istantaneamente perché impazzisco nel sentire il suo corpo contro il mio mentre si protende oltre le mie spalle, e sentire le sue dita posarsi sulla mia mano per aprire le mie e togliermi dalla mano quel pezzo di carta che stavo tentando di nascondere, mi fa quasi mancare l'aria.

«Che cos'è?», mi domanda, quando quel foglio è nelle sue mani. Non l'ha aperto e sono sicuro che sappia già di cosa si tratta anche senza doverla aprire.

«Lo sai già che cos'è», rispondo, sicuro di me.

«Un'altra?», mi chiede, guardandomi con aria confusa. «Harry, io non...»

«Lo so, lo so... non importa se non hai ancora risposto all'altra. Avevo bisogno di scriverti e l'ho fatto». Spiego il mio punto di vista con un gran sorriso sulle labbra perché vedere la confusione sul suo viso è assolutamente meraviglioso.

«Harry... questa cosa non può funzionare...»

«Questa 'cosa' come la chiami tu, sta già funzionando, Lou, e puoi continuare a distruggere le mie illusioni quanto ti pare, ma non otterrai quello che credi perché io non ho alcuna intenzione di rinunciare a te. E non importa se dovremo nasconderci, mi basta quel poco che possiamo avere... mi basta sapere che anche tu provi quello che provo io...» La forza che mi dà quello che provo per lui mi permetterebbe di mettermi a correre senza quelle dannate stampelle che mi servono adesso per camminare.

«Harry io non sto distruggendo le tue illusioni, sto soltanto cercando di metterti di fronte alla realtà perché sembra che tu non voglia vederla. Io e te non potremo mai stare insieme, non per i prossimi cinquant'anni, almeno». Sospiro pesantemente alle sue parole, e so che sono vere, ma voglio solo pensare a questo momento in cui ho la possibilità di stare solo con lui.

«Io non ho impegni per i prossimi cinquant'anni», affermo con tono divertito, cosa che gli fa alzare gli occhi al cielo.

«Non sappiamo nemmeno se arriveremo a domani, come fai a pensare ai prossimi cinquant'anni?» Tenta di tenere la voce bassa in modo da non farci scoprire da nessuno, ma quello che ha detto deve averlo toccato nel profondo perché la vena sulla sua fronte si è appena gonfiata.

«Sei preoccupato per me, Lou?», gli chiedo, mantenendo il mio sorriso fino a fare spuntare la fossetta sulla guancia sinistra.

«Da morire Harry! Ogni volta che esci da questo accampamento per andare sul campo di battaglia io resto senza respirare fino a che tu non torni!» Sono le sue parole a togliermi il fiato.

D'un tratto perdo il sorriso perché non riesco a pensare ad altro che le parole che ha appena pronunciato. Lui mi ama. Cazzo! Lui mi ama!

«Leggi quella lettera adesso Lou!» Le parole mi escono di getto perché non vedo l'ora che lui legga quello che gli ho scritto.

«Harry...»

«Ho detto adesso, Lou!» Non voglio aspettare un secondo di più, voglio che lo sappia adesso perché ha ragione: ogni volta che mi allontano dal nostro accampamento non è affatto sicuro che io ci ritorni.

Lui sospira, poi apre il foglio che ha ancora tra le dita e io mi perdo ad osservare i suoi occhi attenti che divorano velocemente le parole che ho scritto solo pochi minuti fa.

È vero che viviamo in un periodo difficile, è vero che la guerra è una difficoltà non da poco sul nostro cammino, ed è anche vero che l'ottusità di molte persone non ci renderà la vita facile, ma io voglio credere che io e lui abbiamo una possibilità, deve essere così o niente avrebbe più senso per me.

I miei occhi restano sul suo viso, mi concentro su ogni suo più piccolo movimento, e sono certo che abbia ricominciato a leggere la lettera dall'inizio per la quarta volta. Non ho scritto molto, lui mi ha interrotto molto prima che potessi finire, e sono passati già alcuni minuti, troppi minuti, da quando ha iniziato a leggere. Sulla carta ho fissato con l'inchiostro le parole più importanti, quelle di cui volevo venisse a conoscenza il prima possibile e mentre i suoi occhi tornano all'inizio per ricominciare la lettura delle mie parole, vedo una piccola lacrima che scende dai suoi occhi. Sta piangendo.

«Lou?» Lo richiamo, ma sembra non avermi sentito. «Lou guardami». Il suo sguardo continua a correre veloce su quel foglio, ma io ho davvero bisogno che lui mi guardi adesso e non m'importa un cazzo se qualcuno può vedermi in questo momento, quindi prendo il suo viso tra le mani e lo richiamo ancora. «Lou?»

Finalmente alza gli occhi, li punta nei miei. Sono lucidi, un'altra lacrima gli solca la guancia e io la fermo con il pollice mentre cerco di trattenermi perché vederlo in questo stato è decisamente troppo per me.

«Perché, Harry?», dice con un filo di voce e io lo guardo aggrottando le sopracciglia assumendo un'espressione confusa. «Ti avevo chiesto di non farlo», dice, quasi sussurrando, mentre io mi avvicino di più a lui. «Ti avevo chiesto di non farlo...» Le sue parole non sono quasi più udibili, ma sento il suo respiro sulle mie labbra che sono ormai a un paio di millimetri dalle sue.

«Forza Lou, dillo...» Resto in quella posizione mentre lo sento sciogliersi tra le mie mani, mentre sento cedere ogni muro che ha costruito. «Dì che mi ami...» Le sue mani si posano caute sui miei fianchi. I suoi occhi azzurri non sono mai stati così brillanti come in questo momento, è come se fossero invasi da un milione di scintille. «Devi solo dire "ti amo, Harry" non è difficile...» Insisto e sono sicuro di sentirlo tremare sotto il mio tocco. «Io ti amo, Lou...» Finalmente quelle parole escono anche dalle mie labbra oltre che dalla penna con la quale sono riuscito ad esprimere per la prima volta questo sentimento così potente, per un uomo che mi ha salvato la vita in ogni modo in cui si può salvare una persona.

Per un attimo sembra perdersi nei miei occhi, con in quali cerco di trasmettergli quanto più amore possibile, poi sento le sue labbra muoversi sulle mie. «Io ti amo, Harry».

E in un attimo perdo il controllo: le mie labbra si appropriano delle sue con forza, con prepotenza, la mia lingua diventa un tutt'uno con la sua e per un momento mi dimentico persino di dove siamo. Siamo solo Harry e Louis con tutto l'amore che proviamo l'uno per l'altro, e non c'è guerra o dolore che possa distruggere questo sentimento, che solo la morte può dividere e, forse, nemmeno allora saremo lontani perché lui è, e sarà sempre parte di me, oggi, domani, fra cinquant'anni, cento, sempre.

L'amore è amore. 
L'amore non è immorale. 
È amore.

SPAZIO ME 

 

 

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Capitolo 4
*** I met You for a reason ***


Se si celebrasse la peggior giornata lavorativa, di certo sarebbe oggi. 
Sono arrivato tardi alla riunione, durante la quale avrei dovuto presentare il progetto a cui ho lavorato negli ultimi due mesi, portando via un sacco di tempo a Ellie. Progetto che Robert ha rovinato rovesciandoci sopra il caffè e il mio capo non mi ha mandato fuori a calci nel culo, solo perché mi conosce da una vita.

Sono fermo in macchina, parcheggiato davanti a casa, da almeno dieci minuti, tentando di far sbollire la rabbia e la frustrazione causata da queste ultime ore in cui tutto sembrava essere contro di me. Non voglio che Ellie mi veda così perché ha bisogno di tranquillità, ha bisogno di vivere serenamente, senza pensieri che la facciano preoccupare inutilmente.

Osservo la piccola casa che abbiamo comprato con grandi sacrifici un paio di anni fa e mi rendo conto che non avrei potuto fare scelta migliore di quella, a parte quella di sposare Ellie, ovviamente.

Aveva solo diciassette anni quando l'ho conosciuta, e io diciannove. Per lei è stato un colpo di fulmine, io sono sempre stato più lento rispetto a Ellie, e mi sono accorto che era lei l'unica che avrei voluto accanto a me per il resto della vita, solo quando mi ha detto che sarebbe partita per il college al termine dell'estate.

Credevo sarebbe stata la soluzione perfetta per me: fino a quel momento ero stato bene, avevamo vissuto un paio di mesi assolutamente perfetti, ma dentro di me sapevo che il nostro rapporto stava diventando molto più che una bella storiella estiva e avevo paura.

Così, quando Ellie mi ha comunicato che avrebbe passato i successivi tre anni a miglia di distanza da me, avevo tirato un sospiro di sollievo, immediatamente sostituito da un senso costante di mancanza d'aria dovuto alla sua assenza. Ero convinto che una volta lei fosse partita, io avrei ripreso la mia vita senza pensieri tra amici e pub, ma così non è stato. L'unica cosa a cui pensavo era come riprendermela, tanto che un giorno sono salito in macchina, mi sono fatto 400 miglia per raggiungerla, solo per poterle dire che l'amavo guardandola negli occhi.

Da quando ho accettato ciò che provavo per lei, quell'amore non ha fatto altro che crescere giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, fino ad arrivare ad oggi. Abbiamo superato con grande determinazione ogni ostacolo che abbiamo incontrato lungo il nostro cammino, a partire dalla distanza che ci separava mentre lei era al college, passando per l'enorme fatica con cui sono riuscito ad ottenere la fiducia di suo padre, al fatto di non trovare un lavoro stabile, fino alle difficoltà di riuscire a raggiungere una somma adeguata che ci permettesse di acquistare la casa di cui Ellie si era innamorata.

Poi l'ho sposata, e da allora non ho fatto altro che essere felice, e felice, e ancora felice.

È stato uno dei giorni più belli della nostra vita. Nostra, perché non c'è più la mia vita o la sua. Abbiamo la nostra vita, quella fatta di colazioni a letto la domenica mattina, di freddi pomeriggi invernali stretti sotto ad un plaid, sdraiati sul divano guardando un vecchio film, o di calde domeniche estive passate con gli amici nel giardino che lei ha curato nei minimi dettagli - dai piccoli arbusti sistemati agli angoli della recinzione, alle aiuole che decorano l'ingresso.

Mi strofino con forza le mani sul viso, emetto un profondo sospiro, poi scendo velocemente dall'auto cercando di camminare in fretta per bagnarmi meno possibile sotto la pioggia battente di questa buia serata autunnale. Arrivo davanti al portoncino d'ingresso, mi libero dell'espressione contrariata sul mio viso per lasciare spazio ad un ampio sorriso, poi apro la porta ed entro silenziosamente.

Chiudo la porta alle mie spalle, tolgo cappotto e scarpe lasciando il tutto nell'armadio a muro, e cammino verso la cucina dalla quale sento arrivare un delizioso profumo che mi stuzzica l'appetito. Il tavolo è apparecchiato, al centro ci sono un paio di candele accese, e dallo stereo arriva un leggero sottofondo musicale.

Ellie è impegnata a spadellare mentre canticchia il brano che è appena iniziato. Indossa un vestito bianco, piacevolmente corto. È a piedi nudi sul parquet che lei stessa ha scelto, mentre le note di "Let's stay together" di Al Green, si diffondono per la stanza.

Resto fermo a guardarla mentre penso a quanto sono stato fortunato ad incontrarla, a quanto sono stato privilegiato per il fatto di provare un sentimento così profondo e incrollabile, che ci lega in maniera indissolubile.

«Sei meravigliosa Ellie». Le parole mi escono da sole, senza che nemmeno mi sia reso conto di averle pensate.

Lei sobbalza e si volta di scatto. La sua espressione passa da preoccupata a felice in un batter di ciglia.

«Mi hai spaventata Harry», dice sorridendo, poi lascia tutto ciò che ha in mano, posandolo sul ripiano della cucina, e mi viene incontro. «Non prendere mai l'ombrello, eh?», mi rimprovera, mentre mi passa le mani tra i capelli bagnati dalla pioggia. «Forza, viene con me», dice, prendendomi per mano e camminando verso il bagno.

La seguo in silenzio, sapendo già cosa mi aspetterà tra poco, e non posso fare a meno di sorridere ancora.

Mi fa sedere sul bordo della vasca da bagno, poi si volta per prendere un asciugamano che mi mette sulla testa per asciugarmi i capelli. Strofina con forza e io mi lascio coccolare.

«Capisci adesso perché non voglio prendere l'ombrello?» le dico, afferrandola per i fianchi.

«Io capisco solo che sei un gran testone», dice, divertita dalle mie parole, ma so che non è davvero infastidita dal mio comportamento. Sono certo che anche a lei piaccia questo piccolo rituale che abbiamo sempre quando piove.

Non prendo l'ombrello di proposito da quando l'ho dimenticato la prima volta. Quel giorno, quando sono tornato a casa, mi ha trattato come un bambino, ma coccolandomi con amore: prima mi ha strofinato i capelli con l'asciugamano, poi è passata al phon, proprio come sta facendo ora. Sentire le sue dita tra i miei capelli, quelle carezze lente sulla mia testa, avere il suo corpo a pochi centimetri dal mio viso, mentre posso arrivare con le mie mani quasi ovunque è assolutamente meraviglioso, ed è da quel giorno che ho deciso che non avrei più usato l'ombrello. Non m'importa di bagnarmi dalla testa ai piedi se poi, per il novanta per cento delle volte, il risultato è che finiamo per fare l'amore, anzi, a volte speravo proprio che piovesse.

«E io, invece, so solo quanto ti amo», le dico, quando quell'aggeggio smette di soffiare aria calda.

«E io amo te, Harry, ma stasera non mi distrarrai dal mio programma, quindi togliti dalla testa tutti quei pensieri», mi dice, abbassandosi verso il mio viso per lasciarmi un veloce bacio sulle labbra, «ma conservali per più tardi». Mi bacia ancora lasciandomi incapace di reagire mentre non faccio altro che guardarla come se fosse la prima volta che la vedo. Dio! Quanto è bella! «Adesso togliti questi vestiti bagnati e cambiati, io ti aspetto in cucina». Un ultimo bacio ed esce dalla stanza, lasciandomi l'illusione che anche questo momento faccia parte di quel novanta per cento, che però è stato rimandato di un paio d'ore.

Mi spoglio, lascio i vestiti bagnati in bagno, poi vado in camera a cambiarmi. Cerco qualcosa di comodo nel cassettone accanto al letto poi, senza un vero motivo, alzo lo sguardo, posandolo sui due ingrandimenti che ho voluto appendere qui sopra. In uno siamo io e Ellie durante un pic-nic, l'anno scorso. La foto l'ha scattata mia sorella e l'ho voluta qui perché nello sguardo che abbiamo l'uno per l'altra, mentre i suoi occhi sono nei miei, si vede chiaramente quello che proviamo. È la perfetta immagine del nostro sentimento e io non potevo non volerla vedere tutti i giorni.

Nell'altra c'è solo lei, in primo piano, mentre manda un bacio verso l'obiettivo. È la prima foto di una lunga serie che le ho scattato: credo fosse proprio il giorno in cui mi sono innamorato di lei. Il suo sorriso è stata la prima cosa che mi ha colpito, sempre presente sulle sue labbra e nei suoi occhi.

Non si lamentava mai di niente, era sempre entusiasta di fare nuove esperienze. Ha sempre avuto rispetto per gli altri e una continua voglia di migliorarsi. Mi è sempre piaciuto il suo modo di farmi capire i miei errori e di contestarmi quando credeva di avere ragione - cosa che succede quasi sempre - e mi è sempre piaciuto il suo modo di baciarmi, perché quando lei mi bacia io so di appartenerle. Il resto l'ha fatto l'attrazione che ho provato per lei dal primo istante in cui i miei occhi si sono posati sul suo corpo.

«Harry!» Mi risveglio dai miei ricordi quando sento la voce di Ellie richiamarmi dal piano di sotto.

«Arrivo!» Chiudo il cassetto ed esco dalla nostra camera da letto, per raggiungere il piano inferiore.

La musica è ancora la padrona della scena, le luci sono spente. Ad illuminare la stanza sono solo le candele accese al centro del tavolo e mi accorgo della presenza di Ellie solo quando la vedo avvicinarsi alla sedia invitandomi ad avvicinarmi, e io lo faccio, lentamente, perché ho l'impressione che questa sia una serata speciale.

«Ho forse dimenticato un anniversario?» le domando sedendoci a tavola.

«Non sarebbe la prima volta, ma no, non è questo il motivo di questa cena». Riempie il mio piatto con qualche cibo a cui non presto la minima attenzione, perché ora mi sembra di vedere qualcosa di diverso in lei.

«È successo una volta sola e non stavo nemmeno bene», le dico, portandomi alla bocca il pezzo di carne che ho appena infilzato poco elegantemente con la forchetta, solo perché non riesco a toglierle gli occhi di dosso e non presto la minima attenzione a tutto il resto che mi circonda.

«Ma certo, avevi due linee di febbre, eri praticamente in pieno delirio». Alzo gli occhi al cielo per la sua presa in giro, cosa che la fa ridere.

«A parte il fatto che erano tre, le linee di febbre, comunque dovresti sapere quanto poco è in grado di sopportare un uomo. Non per niente siete voi donne a partorire, io non potrei mai farlo». Trovo che le donne in generale siano sempre più avanti rispetto agli uomini, ma la mia Ellie lo è ancora di più.

«A proposito di partorire...» Ellie lascia la sua frase in sospeso mentre io ho il braccio fermo a mezz'aria, quello con cui mi stavo portando un altro po' di cibo alla bocca. Mi sembra che anche il tempo sia sospeso, quasi dilatato e anche le mie sinapsi sembrano aver sospeso ogni attività.

«Hai intenzione di finire quella frase o mi lascerai impazzire ancora per molto?» le chiedo, quando mi rendo conto che ha tutte le intenzioni di lasciarmi sulle spine.

«Mi piace quando impazzisci per me», dice, con un tono divertito.

«Anche a me, ma non con tutti questi vestiti addosso». Io impazzisco sempre per lei, con o senza vestiti. «Ti conosco Ellie, stavi per dire qualcosa di importante». Resta a guardarmi e il suo sorriso si fa più ampio.

Inizio a sentire una strana sensazione, quasi un formicolio. Prima ho caldo, poi freddo, poi ho sete, bevo un po' d'acqua e lei non fa altro che osservarmi e godersi lo spettacolo di me in preda ad un attacco di panico. Perché ormai ho capito cosa sta per dirmi.

«Ti ricordi quando abbiamo parlato con il medico e ci ha detto che dopo la sospensione della pillola avrebbero potuto volerci anche due o tre mesi prima di restare incinta?» Annuisco restando in silenzio mentre pendo completamente dalle sue labbra.

Siamo stati dal ginecologo il mese scorso perché abbiamo deciso di fare il grande passo di avere un figlio e lei, come al solito, era molto ottimista non appena siamo usciti dal suo studio, nonostante quel dottore ci avesse spiegato che avrebbe potuto volerci fino ad un anno prima che potesse restare incinta.

«Me lo ricordo», le confermo, quando mi rendo conto che si aspetta una vera risposta da parte mia.

«E ti ricordi quello che ti ho detto quella sera quando siamo tornati a casa?» Cerco di fare mente locale sugli avvenimenti di quella sera e mi torna subito alla mente un dettaglio importante.

«Quella sera pioveva», le dico, provocandole uno splendido sorriso, «siamo rientrati in casa sotto al tuo ombrello, ma una volta dentro ci siamo ricordati di aver lasciato la spesa in macchina così sono uscito per recuperare quei sacchetti, con te che mi urlavi da dentro casa di portarmi l'ombrello. Io non l'ho preso, sono rientrato bagnato fradicio. Tu mi hai tolto i sacchetti dalle mani e mi hai trascinato in bagno». Il sorriso di Ellie non potrebbe essere più grande. «Mi hai asciugato i capelli mentre io infilavo le mani sotto la tua camicetta», ogni momento vissuto quella sera mi torna alla mente come se lo stessi rivivendo. «Tu hai lasciato andare l'asciugamano, poi hai iniziato a sbottonarmi la camicia e abbiamo fatto l'amore così intensamente...»

Ellie si alza dalla sua sedia, mi si avvicina e si inginocchia accanto a me. Sposto la sedia e mi metto nella sua identica posizione, mettendomi di fronte a lei.

«Sì, Harry, è stato incredibilmente intenso e meraviglioso, proprio come tu sai amare». I suoi occhi sono lucidi e la sua voce trema appena. Sento che un'emozione potente sta per travolgermi e io posso solo lasciare che accada.

«Quella sera, mentre stavi per addormentarti, mi hai detto che avevamo fatto un capolavoro...» Mi sembra di risentire la sua voce sussurrarmi le stesse parole.

«L'abbiamo fatto Harry». La guardo sentendomi confuso mentre la sento afferrare le mie mani. «Presto avremo il nostro capolavoro».

Un'altra volta tutto sembra sospeso, ogni cosa dipende da quello che Ellie ha appena detto. Mi sento leggero, la mia testa è improvvisamente vuota, incapace di ragionare. Credo di aver capito quello che ha detto, ma il mio stato d'animo mi porta ad avere bisogno di sentire quella specifica parola per rendermene conto.

«Sei incinta?» Sorride, annuisce e una piccola lacrima scivola sul suo volto.

«Sì, Harry, sono incinta». Sorride e piange.

Mi affretto ad asciugare quella lacrima portando le mie dita sul suo viso, metto anche l'altra mano sul lato opposto mentre ci perdiamo ognuno negli occhi dell'altro per un tempo che non sono in grado di quantificare.

«Avremo un bambino», dico, per confermarlo a me stesso.

«È una bambina», dice lei, portando le sue mani sulle mie.

«E tu come lo sai?» le domando, sorridendo delle sue parole.

«Nello stesso modo in cui sapevo che avevamo creato il nostro capolavoro». Lo afferma con sicurezza e un pizzico di orgoglio, e io so, una volta di più, che devo semplicemente fidarmi di lei.

«Sei incinta Ellie... e io ti amo così tanto!» La stringo tra le braccia, la bacio, chiudo gli occhi, e forse questa cena si fredderà, perché, ora, mangiare è l'ultimo dei miei pensieri.

«Harry...» Vorrei riaprire gli occhi, ma sento le palpebre incredibilmente pesanti. «Harry...» Apro gli occhi, sento una mano posarsi sulla mia spalla e vengo accecato dal bianco che regna in questa stanza, illuminato dalla luce del sole del mattino. «Harry, ti ho portato del caffè». Sollevo del tutto la testa dal braccio appoggiato al materasso e guardo l'uomo che mi sta porgendo un bicchiere.

«Grazie». Afferro quel bicchiere, poi mi volto subito verso la mia Ellie, sdraiata, immobile, la sua mano nella mia, che continuo a stringere mentre nutro sempre la speranza che possa darmi qualche cenno di ripresa, che risponda alla mia stretta, ma non succede mai.

Mai.

*****

«Alla fine sei rimasto qui». La sua non è una domanda, ma una semplice constatazione.

«Non avrei mai potuto andarmene», rispondo, tenendo lo sguardo fisso sugli occhi chiusi di Ellie.

«E pensare che quando ti ho conosciuto credevo non valessi un dollaro bucato», dice ancora, riempiendo il silenzio di questa stanza che detesto, ma che allo stesso tempo non vorrei mai lasciare.

«In realtà è così John... non sono stato in grado di proteggerla». Stringo la mano di Ellie, mentre nell'altra ho il bicchiere di caffè dal quale non ho ancora bevuto.

«Harry non è stata colpa tua, non avresti potuto fare niente per lei, quante volte devi sentirtelo dire per capirlo?» Mi sta rimproverando, lo fa sempre quando tocchiamo questo argomento, ma io non sono del tutto sicuro che sia così.

Nessuno mi toglie dalla testa che se non l'avessi fatta sforzare quella notte, o se fossi stato io a scendere per prepararle la colazione, ora le cose potrebbero essere molto diverse.

Forse avrei potuto farla innervosire qualche volta di meno, forse avrei potuto darle meno pensieri. Ho cercato di fare del mio meglio per farle vivere una vita felice, ma non è bastato, perché lei è distesa su questo letto, completamente incosciente, letto dal quale non potrà mai più alzarsi.

«Mia figlia era felice Harry», dice lui, come se mi avesse letto nel pensiero, «tu l'hai resa felice. Non faceva altro che parlare di te ogni volta che chiamava casa dal college, e lo faceva anche quando vi siete sposati. Ti ha sempre amato moltissimo e tu sei riuscito a farle sentire tutto quello che provavi per lei... non faceva che ripeterlo...» Sapere queste cose non mi consola, niente lo fa, perché lei non tornerà più da me.

«Vado a prendere una boccata d'aria, resti tu con lei?» Gli pongo questa domanda senza aspettare una vera risposta e mi reco fuori dalla stanza.

Cammino lungo il corridoio che porta all'ascensore, premo il pulsante di chiamata e, nell'attesa, butto il bicchiere di caffè nel cestino anche se è ancora mezzo pieno. Ho bisogno di uscire da qui, giusto pochi minuti... giusto per poter piangere senza farmi vedere da nessuno...

L'ascensore arriva al piano terra e io cammino velocemente fino all'uscita. Supero le porte scorrevoli con lo sguardo basso, svolto a destra, e dopo qualche passo mi ritrovo nel vicolo che costeggia l'ospedale. Mi appoggio al muro con entrambi i palmi aperti, chiudo gli occhi e abbasso la testa cercando di lasciare andare tutto quello che ho trattenuto in questi mesi.

Faccio un paio di respiri profondi ed è come se, così facendo, riuscissi ad innescare un meccanismo per il quale tutto il dolore che ho trattenuto a stento, viene espulso fuori dal mio corpo come un colpo di cannone. Mi fa male il petto, tanto che istintivamente porto una mano all'altezza del cuore per stringere con forza il tessuto della camicia che indosso. Sento gli occhi farsi via, via più umidi. Sento venirmi meno le forze mentre cado in ginocchio come se mi fossi sgonfiato all'improvviso. Devo dirle addio e non sono affatto pronto a farlo.

Sono triste, disperato, ma sono anche arrabbiato e furioso. È tutto così ingiusto: avevo tutto, un lavoro, una casa, una moglie meravigliosa che stava per darmi una bambina, era tutto perfetto, e in un attimo tutto è cambiato. È bastato un attimo per distruggere ogni speranza che avevo per il futuro, un fottutissimo attimo che ha cambiato per sempre tre vite.

Vorrei davvero aprire gli occhi per poterla guardare, ma è più grande la tentazione di continuare a far finta di dormire per godere fino all'ultimo delle carezze leggere sulla mia schiena scoperta. Non è la prima volta che tenta di svegliarmi in questo modo, ma questa gravidanza non è stata facilissima finora e, durante queste diciassette settimane, le volte che sono riuscito a fare l'amore con lei si possono contare sulle dita di una mano.

Non intendo ridurre il nostro rapporto al del banale sesso, ma poter vivere quel momento di intimità solo io e lei - specialmente da quando è incinta - mi fa sentire ancora la sua priorità. So bene che tra pochissimo tempo non lo sarò più e, anche se so che è giusto così, non riesco ad evitare di provare un piccolo senso di fastidio.

«Harry?» La sua voce sussurrata vicino al mio orecchio mi porta a sorridere. «Allora sei sveglio...» Dev'essersi accorta della mia espressione felice, la mia messinscena è finita.

«Non del tutto in realtà», le dico, voltandomi lentamente verso di lei che resta appoggiata al mio petto mentre mi osserva con occhi pieni di gioia.

«E se ti portassi io la colazione a letto stamattina?» Sorrido di nuovo alla sua domanda.

Da quando è rimasta incinta, ogni domenica, mi alzo e le preparo la colazione per portargliela a letto. Voglio poterla coccolare e viziare fino a che c'è ancora abbastanza tranquillità in questa casa, perché dal momento in cui saremo in tre, non so quando potrò godermi ancora mia moglie in questo modo.

«In effetti sarebbe carino da parte tua... sono piuttosto stanco dopo stanotte...» La mia battuta provoca una piccola risata in lei.

Adoro sentirla ridere e adoro vederla felice. Il suo sorriso illumina ogni cosa intorno a sé, la sua felicità arriva a chiunque le stia vicino e, sapere che quel sorriso è per me, mi rende l'uomo più felice nell'intero universo.

«Non dirmi che Harry Styles si è rammollito?» Mi prende in giro, con un tono di voce decisamente divertito.

«Se non fosse per quel piccolo essere, ora saresti già sotto di me e ti farei vedere io chi è rammollito». Rispondo a tono, perché alla fine mi piace quando lei mi prende in giro.

«Piccolo essere?» dice con evidente ironia nella voce.

«Perché? Non è un piccolo essere?» le chiedo, portando una mano sulla sua pancia, che inizia ad essere più evidente.

«È una bambina Harry, la nostra bambina, e smettila di essere così geloso. Io ti amerò sempre». Sono passati anni dalla prima volta in cui me l'ha detto, ma non smette mai di farmi lo stesso, incredibile, effetto. Ogni volta che dice di amarmi io mi innamoro di lei un'altra volta.

«Sono io ad amare te Ellie e... non sono geloso... è solo che...» Forse ha ragione lei quando mi dice che mi sono rammollito.

«Ho paura anche io Harry. Non esiste un manuale per fare i genitori e sbaglieremo infinite volte, ma di una cosa sono assolutamente sicura. Sarai un padre meraviglioso e lei ti amerà come se fossi il suo eroe». Le sue parole mi colpiscono dritto al cuore, incastrandosi in ogni piega di me. «Già ti immagino mentre giochi con lei al parco, o mentre le dai un bacio dopo averla accompagnata a scuola, o ancora fare il papà geloso quando ti porterà a conoscere il suo fidanzato...»

«Questo non succederà mai!» Affermo convinto, mettendomi a sedere di scatto sul letto.

Proprio ieri siamo stati a fare l'ecografia di controllo, e quando ci hanno detto che avremmo potuto conoscere il sesso del piccolo essere, Ellie è impazzita dalla gioia. Io un po' meno quando sono venuto a conoscenza del fatto che fosse una femminuccia.

Lei mi sorride e io mi sento rassicurato. «Sarai un padre premuroso e attento», dice a voce più bassa.

«E se non ne fossi capace? Se combinassi qualche disastro?» Sono sinceramente preoccupato per il futuro. Non che non sia felice di diventare genitore, ma è qualcosa di così complicato, che non so se sono in grado di prendermi cura di una piccola creatura che dipenderebbe da me in tutto e per tutto.

Ride per le mie parole, ma poi prende la mia mano e la posa sulla sua pancia. «Sono sicura che farai disastri. Probabilmente non riuscirai a cambiare il pannolino, o non riuscirai a scaldare il latte ad una giusta temperatura, o le darai un sacco di vizi perché sarà la tua bambina, ma Harry... hai un cuore grande e lei riuscirà a sentire quanto le vuoi bene in ogni tuo gesto, o in ogni parola che le dirai. Non devi avere paura... sarai un ottimo padre Harry».

«Lo pensi davvero Ellie?» le domando, con il cuore carico di speranza.

«Lo penso davvero... Ho sempre pensato che ci fossimo incontrati per una ragione, e adesso so qual è». Resto sempre senza parole quando mi parla con questa determinazione. «E con un po' di pratica diventerai bravissimo anche a cambiare i pannolini». Mi sorride ancora mentre tiene ferma la mia mano sulla sua pancia.

«Su quello posso anche accettare di non essere capace», le dico, con un espressione di finto disgusto.

«Oh... Sarà la prima cosa che ti insegnerò. Adesso scendo a prepararti la colazione, non muoverti da qui». Mi si avvicina e mi bacia dolcemente, poi, quando sta per allontanarsi la richiamo.

«Ellie?» È seduta sul bordo del letto e ruota di poco il busto, giusto quel po' che le basta per guardarmi. «Ti amo Ellie». Sento il bisogno di dirglielo, come se non potessi trattenerlo.

Lei mi sorride ancora, poi torna verso di me e mi bacia di nuovo. «Ti amo Harry... Ti amo...» La sua mano scivola via dal mio viso e io resto seduto a guardarla uscire dalla stanza.

Incrocio le braccia dietro la testa, rivolgo lo sguardo verso l'alto e chiudo gli occhi. Questo periodo della mia vita è pressoché perfetto e io ho intenzione di godermi ogni secondo perché so bene che non durerà per sempre.

D'un tratto il silenzio viene rotto dal rumore di qualcosa che si infrange sul pavimento e sorrido al pensiero che per una volta non sono stato io a rompere una tazza per la colazione.

«Stavolta io non c'entro!» le urlo, per prenderla un po' in giro come fa sempre lei con me, ma non ricevo nessuna risposta. «Ellie è tutto ok!?» urlo più forte, ma non sento altro che silenzio.

Mi metto dritto sentendo uno strano senso d'inquietudine stringermi il petto. «Ellie?» Ancora silenzio.

Mi alzo dal letto velocemente e cammino verso la cucina indossando solo i miei boxer, mi guardo intorno, ma non la vedo. Faccio il giro del bancone e mi si gela immediatamente il sangue nelle vene.

«No, no, no, no, no! Ellie!» Mi inginocchio accanto al suo corpo steso a terra, completamente privo di conoscenza. «Ellie!» La chiamo ad alta voce, le prendo la mano, ma non si muove. «Cazzo! Ellie apri gli occhi!» Le accarezzo il viso, le sollevo la testa mentre provo a farla risvegliare. «Ellie... Ti prego Ellie, svegliati!»

Sento la disperazione farsi largo nella mia mente, sento la paura, il terrore... Sì, sono terrorizzato perché lei è sdraiata a terra, esanime, con i cocci della tazza sparsi sul pavimento intorno a noi. «Ellie!» e io che non riesco a fare altro che pronunciare il suo nome. «Cazzo! Ellie rispondimi!»

Ho chiamato un'ambulanza e per tutto il tempo che il mezzo di soccorso ci ha messo ad arrivare, non ho fatto altro che urlare il suo nome, ma non ho più sentito la sua voce, non ho più potuto guardarla negli occhi e non l'ho più vista sorridere.

Aneurisma cerebrale: sono state queste due parole, pronunciate dal medico del pronto soccorso, a mettere fine alle mie speranze, al nostro futuro.

Hanno fatto vari controlli, sono intervenuti un neurologo, un rianimatore e un medico legale, hanno effettuato i loro accertamenti più volte, ma l'esito è stato sempre lo stesso: morte cerebrale. Ellie non si sarebbe più svegliata, ma il suo cuore batteva ancora, batteva per la piccola creatura che portava in grembo e io non ho potuto far altro che implorare i medici di tenerla in vita abbastanza da riuscire a salvare la nostra bambina perché è questo il motivo per cui Ellie ha continuato a lottare.

La mia vita si è fermata, ma la sua gravidanza no. Ellie si è dimostrata determinata anche priva di conoscenza, la sua forza di volontà è stata così grande da riuscire ad arrivare ad oggi.

La mia vita si è fermata quel giorno, nella cucina della nostra casa, e da allora non è più andata avanti. Ho raccolto i pezzi di quella tazza e li ho messi dentro ad un piccolo contenitore che ho chiuso dentro la vetrina. So che è stupido, ma è l'ultima cosa che lei ha toccato e io non riesco a separarmene.

Le lenzuola sono ancora le stesse di quel giorno, io non sono più riuscito a dormire in quel letto. Mia madre si è offerta più volte di aiutarmi a rimettere in sesto la casa, ma io non ho voluto toccare nulla finora, ma so che a breve dovrò farlo.

Marzo non sembra così lontano, e giugno è arrivato troppo in fretta. Ellie ha superato la 29° settimana, la piccola dovrebbe essere quasi fuori pericolo e i medici mi hanno detto che c'è stato un notevole calo di pressione, che la bambina è a rischio. Se le condizioni restano le stesse io devo acconsentire di lasciarla andare per permettere alla piccola creatura che ha portato in grembo, di venire alla luce.

Sto cercando di dire a me stesso che è la cosa giusta da fare, che lei vorrebbe così, ma come posso lasciarla andare senza che il mio cuore si distrugga in milioni di pezzi? Come posso dormire la notte con questo peso sulla coscienza? Io la amo, la amo da impazzire e non erano questi i nostri progetti per il futuro.

La mia crisi isterica ed esistenziale viene interrotta dal mio telefono che vibra con insistenza nella tasca dei jeans.

«Dimmi John», cerco di tenere ferma la voce, mentre mi rimetto in piedi.

«Harry... mi dispiace...» so bene cosa sta per dirmi, e so che è arrivato il momento, «i medici ti stanno aspettando...» Se mi avessero sparato un colpo in pieno petto avrei sentito meno male.

«Arrivo», rispondo con voce piatta, poi chiudo la comunicazione, metto il telefono in tasca e mi strofino con forza le mani sul viso.

Faccio il percorso inverso fino ad arrivare alla stanza di mia moglie dove trovo suo padre e un'infermiera che sta facendo dei controlli.

«Signor Styles il dottor Morris la sta aspettando nel suo studio», mi dice l'infermiera, mentre rimette a posto la cartella clinica di Ellie.

«Può dire al dottor Morris che preferisco aspettarlo qui?» I miei occhi restano puntati su Ellie perché non riesco a vedere altri che lei adesso.

«Certamente». La sua risposta arriva lontana, come se mi stessi allontanando da qui.

Voglio restare con lei più a lungo possibile. Il dottore mi ha spiegato che è rischioso farla nascere, ma è ancora più rischioso portare avanti questa gravidanza. L'idea di dover scegliere tra loro due mi sta mandando fuori di testa.

Mi avvicino al suo letto, mi siedo accanto a lei, con una mano tengo la sua, mentre l'altra finisce sulla sua pancia e sento i suoi piccoli movimenti come a dirmi che lei c'è.

«Torno subito». Anche la voce di John arriva lontana e non riesco a rispondergli perché i miei pensieri sono interamente concentrati sul viso della donna sdraiata su questo letto.

I suoi lineamenti sono completamente distesi, come se stesse dormendo, e mi piace pensare che sia così, che stia solo riposando.

«Non sono pronto Ellie, non voglio lasciarti andare, ma i medici hanno detto che la nostra bambina potrebbe soffrirne se la lasciassi ancora qui...» Stringo appena la presa sul punto in cui ho sentito un piccolo calcio. « Non sono forte come te... Come diavolo farò a cavarmela con il piccolo essere?» Cerco di trattenermi perché, nonostante lei non possa vedermi, non ho mai pianto dentro a questa stanza, ma in questo momento mi è decisamente impossibile trattenermi. «Torna da me Ellie... Ti prego...» So bene che dopo tre mesi in queste condizioni lei non tornerà, ma mi è impossibile non farle questa domanda tutti i giorni.

La sua mano non stringe mai la mia, i suoi occhi restano chiusi, ma il mio cuore non vuole arrendersi. «Ti amo Ellie e non smetterò mai di amarti... Mai...» Mi avvicino, le lascio un lungo bacio sulla fronte, le accarezzo il viso e resto a guardarla ancora un po'.

«Signor Styles...» Sento la voce del dottor Morris che mi richiama e mi provoca un dolore simile ad una coltellata al centro del cuore.

La guardo ancora, le sorrido e so che devo salutarla prima di parlare con il medico. «Ciao amore mio...»

**********

Infilo le chiavi nella serratura e apro la porta entrando in casa. Arrivo fino all'isola al centro della cucina, dove poso i sacchetti della spesa. Entrare in questa stanza è ancora una fitta al cuore, ma non posso permettermi di lasciare andare il dolore - che sembra non attenuarsi mai - non adesso che lei sta per arrivare.

La sua tazza in frantumi è ancora nella vetrina, non sono ancora riuscito ad occupare la sua parte del letto e ho imparato ad usare l'ombrello perché non posso permettermi il lusso di ammalarmi.

Mi appoggio con entrambe le mani al ripiano e prendo un gran respiro mentre faccio sparire dal mio viso questa espressione stanca per tornare ad essere quello di sempre. Non è questo il momento di lasciarmi andare, quello posso farlo solamente quando resto solo nella mia stanza.

E poi, come se avvenisse una magia che unicamente lei riesce a compiere, il sorriso torna spontaneo e sincero. Quando sento aprirsi la porta di casa e dei piccoli passi veloci farsi sempre più vicini le mie labbra si piegano ampiamente all'insù.

«Papà, papà, papà!» Mi volto nella direzione della piccola voce che mi chiama con tanto entusiasmo. Mi piego sulle gambe, allargo le braccia e il piccolo essere si fionda verso di me.

«Ehi! Dove hai lasciato la nonna?» La tengo in braccio e il mio cuore ritrova il suo battito regolare quando le sue manine arrivano sul mio viso per infilare le dita nelle mie fossette non appena le sorrido.

«La nonna è qui!» La voce di mia madre attira la mia attenzione e le vado incontro con la mia piccolina ancora in braccio.

«Ciao mamma». Mi sorride dolcemente, mentre risponde al mio saluto.

«Hai già detto a papà della nostra idea?» Mia madre posa la borsa contenente le cose della mia piccola bambina, sul divano vicino all'ingresso dopo aver chiuso la porta.

«Quale idea?» chiedo curioso, osservando da vicino il viso del mio piccolo angelo.

«Voglio andare al mare papà, mi porti?» Le sorrido, sapendo già che non posso dirle di no.

«Questa sì che è un'idea grandiosa! Ci andiamo domani?» La mia bambina sorride e io sento i pezzi del mio cuore tornare ad unirsi saldamente.

«Siii!» urla lei felice.

«Adesso vai a lavarti le mani e poi mangiamo». Sorride ancora e la lascio scendere per andare in bagno, ma mi manca una cosa.

«Faith?» Richiamo il mio piccolo essere che si ferma di colpo, poco prima di lasciare la stanza, e mi guarda con i suoi occhioni azzurri, uguali a quelli di Ellie. «Dimentichi niente?»

Lei sorride, dopo aver capito al volo, e corre velocemente nella mia direzione. Mi piego di nuovo sulle gambe e la sua piccola boccuccia arriva sulla mia guancia, poi sorrido nel sentire lo schiocco del suo bacio per me. «Ti voglio bene papà».

Ogni volta che lo dice io la amo un po' di più, un po' come succedeva con Ellie quando diceva di amarmi. «Ti voglio bene anche io tesoro, ora vai». Corre via andando verso il bagno mentre io mi rimetto in piedi senza riuscire a smettere di guardarla.

«Stai andando alla grande Harry», dice mia madre, facendomi voltare verso di lei.

«Io ci provo mamma». Non è facile essere un genitore, ancora meno essere un padre single, ma non sono solo e Faith riempie la mia vita molto più di quanto avrei creduto.

Assomiglia a sua madre in maniera impressionante, dal colore dei capelli a quello degli occhi, dal suo sorriso al suo modo di guardarmi. Ellie una volta mi disse che c'è una ragione per cui ci siamo incontrati ed io credevo che il motivo fosse quello di stare insieme per sempre, ma ora, quando quei piccoli occhioni azzurri mi guardano, io so che la ragione è lei.

Faith, l'ho chiamata così perché quando l'ho tenuta tra le braccia per la prima volta, dopo mesi ho creduto che avrei potuto ricominciare a vivere perché sentivo che Ellie era ancora con me. Mi manca ancora come l'aria, ma la presenza di Faith, così simile a sua madre, mi fa sentire bene.

«Ellie sarebbe orgogliosa di te», dice, posandomi una mano sul braccio.

Faith è l'unica che riesce a tenere insieme il mio cuore. Lei rappresenta il mio amore per Ellie, rappresenta l'amore di Ellie per me e, quando la guardo, mi rendo conto di quanto avesse ragione quando diceva che abbiamo fatto un capolavoro.

Non lo so se sto facendo bene, quello che so è che sto facendo del mio meglio. In un certo senso Ellie è ancora con me, sento il suo sostegno nei momenti difficili e il suo incoraggiamento in quelli più incerti. Io ci provo a fare il padre e quando vedo il sorriso sulle labbra di mia figlia, ho qualche speranza di stare facendo un lavoro quantomeno discreto.

********

Here I am waking upstill can't sleep on your side 
There's your coffee cup, the lipstick stain fades with time 
If I can dream long enoughyou'd tell me I'll be just fine 
I'll be just fine

So I drown it out like I always do 
Dancing through our house with the ghost of you 
And I chase it down, with a shot of truth 
Dancing through our house with the ghost of you

"Ghost Of You"

Seconds Of Summer

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Capitolo 5
*** Bitternes ***


"C'è sempre della pazzia nell'amore. Ma c'è anche della ragione nella pazzia."

(Friedrich Nietzsche)

Il vestito l'ho ritirato soltanto un paio di giorni fa e ora è ben disteso sul letto: è un abito scuro, semplice, ma adatto per l'occasione e degno della donna che amo.

Non sono al corrente di come Isabel abbia organizzato la cerimonia nei dettagli, ma sono certo che abbia fatto in modo che tutto fosse perfetto, dal luogo in cui si svolgerà la celebrazione a quello in cui si terrà il ricevimento, dal discorso che vuole che tenga suo nonno ai fiori. Se chiudo gli occhi riesco ad immaginare ogni parete, e ogni sedia, decorata con magnolie bianche - i suoi fiori preferiti - come bianco sarà anche il suo vestito.

Non ha voluto mettermi al corrente di tutti i dettagli, perché voleva fosse una sorpresa, che ogni persona presente scoprisse come lei stessa aveva organizzato la giornata solo una volta arrivati lì, e io non ho fatto eccezione. È questo il motivo per cui non ha voluto nessun wedding planner, perché sentiva che la giornata doveva essere soltanto sua e voleva riuscire a realizzarla da sola.

È come se fossi in grado di vedere ogni cosa: la immagino con il suo sorriso più felice avanzare verso l'altare, con la piccola chiesa gremita dalle poche persone che ha voluto invitare per non far spendere troppi soldi al padre, il quale farebbe di tutto per la figlia dopo la scomparsa della mamma.

Isabel ha sofferto terribilmente per la perdita della madre e non sopportava l'idea di non averla al suo fianco nel giorno più importante della sua vita; le ho detto che sua madre sarà accanto a lei, non solo in questa giornata, ma in ogni giorno della sua vita.

Prendo una foto di noi due insieme, chiusa nella cornice che proprio lei mi ha regalato un paio di mesi fa, e mi rendo conto che non è cambiata affatto in questi anni: io e Isabel siamo amici da sempre, la conosco da quando eravamo bambini e il mio sentimento per lei non ha fatto che crescere insieme a noi. Ora sorrido al ricordo di una sera d'estate, in vacanza dal college, quando avevamo entrambi alzato un po' il gomito e l'ho quasi baciata: è stata la prima volta in cui mi sono reso davvero conto di ciò che provavo per lei, che ho capito che la mia amicizia si era tramutata in qualcosa di più profondo. Nei giorni successivi ho iniziato a chiedermi se anche lei provasse le stesse cose per me, se anche la sua amicizia nei miei confronti avesse subìto la stessa trasformazione e sono letteralmente impazzito fino a quando non ho ottenuto le mie risposte.

Sospiro pesantemente, poi indosso il vestito con cautela, lisciando le pieghe e annodando con cura la cravatta, per fare in modo di essere perfetto, alla fine infilo le scarpe, poi mi guardo allo specchio e non sono ancora contento del risultato, non mi sono mai sentito abbastanza per lei, ma arrivati a questo punto, non conta più.

Esco di casa sentendo l'agitazione iniziare a crescere e, quando salgo in macchina, mi manca già l'aria; ed è questa la sensazione che mi accompagna per tutto il tragitto, fino a raggiungere la mia destinazione.

Gli invitati sono già tutti presenti e io guadagno il mio posto, con il cuore che batte veloce e il pensiero di lei che forse si sta ancora vestendo, o che forse sta abbracciando suo padre. Riesco a sentire l'emozione del papà di Isabel come se fosse la mia, riesco a percepire il suo dispiacere di perdere - in un certo senso - la figlia e, allo stesso tempo, la sua gioia nel vederla felice.

Il respiro diventa sempre più affaticato durante questa attesa e la salivazione è quasi inesistente: vorrei avere tra le mani un piccolo shot di whiskey, o rhum, o vodka, non ha alcuna importanza, ma credo mi aiuterebbe a distendere i nervi. Lo sguardo di mio padre seduto in prima fila non mi aiuta a sentirmi meglio, men che meno quello di mia madre, quindi evito di guardare nella loro direzione, e continuo ad immaginare Isabel con i capelli raccolti e il sottile velo bianco a nasconderle il viso, le guance leggermente arrossate e gli occhi lucidi per l'emozione.

Dovrei smetterla di pensarci e darmi una calmata, ma non ci riesco perché il pensiero della giornata che sta per svolgersi, mi ha tenuto sveglio notti intere ad immaginare ogni istante di ciò che sarebbe successo, come sarebbe stato il suo abito, se avrebbe pianto allo scambio delle promesse o se, semplicemente, avrebbe continuato a mantenere sulle labbra il suo straordinario sorriso.

Il pensiero che possa cambiare idea all'ultimo momento mi ha sfiorato un paio di volte nell'ultima settimana, e confesso di essermi sentito una brutta persona ad averlo pensato, quindi l'ho allontanato subito dalla mia mente e ho ripreso a pensare a quanto questo giorno la renda felice.

Il mio sguardo continua a perdersi su tutti i dettagli e sorrido compiaciuto rendendomi conto che non ho sbagliato alcuna previsione dei suoi preparativi: le magnolie bianche sono ovunque, ha realmente invitato poche persone e questa piccola chiesa la rappresenta totalmente, perché a lei piace circondarsi di poche persone, ma sulle quali sa che può contare davvero.

Ha sognato questo giorno da quando era bambina, per questo sapevo con esattezza cosa aspettarmi oggi; ricordo che, a dieci anni, indossava il vestito da principessa, ricopriva gran parte del pavimento della sua cameretta con i peluche - fingendo che fossero invitati al matrimonio - e fantasticava sul suo principe azzurro, su come sarebbe stato, se avesse avuto gli occhi chiari o scuri, ed io ero troppo piccolo per rendermi conto che sentivo di voler essere io quel principe, così restavo in silenzio ad ascoltare i suoi sogni, sogni che avrei custodito per sempre.

Strofino lentamente una mano sulla fronte, poi sugli occhi, nel tentativo di trattenere le emozioni e forse qualche lacrima che potrebbe sfuggirmi da un momento all'altro; di guardare verso l'altare non se ne parla nemmeno o potrei scappare da qui in meno di un secondo e invece voglio restare, perché voglio vederla entrare, stretta al braccio di suo padre.

Isabel è una donna fuori dal comune, con una grande forza e una positività che pochi hanno; è molto combattiva e non si arrende mai, di grande sostegno e molto leale. È questo che mi ha sempre affascinato, ed è per questo che me ne sono innamorato senza neanche rendermene conto. Quando ho realizzato di aver perso la testa per lei era già troppo tardi e non avrei potuto tornare indietro nemmeno se l'avessi voluto: il mio cuore è suo e credo lo sarà per sempre.

È sempre stata al mio fianco; uno dei ricordi più belli che ho di lei, della nostra adolescenza, riguarda il suo costante sostegno durante le partite di football a scuola, riuscivo a sentirla gridare il mio nome tra tutte le urla del pubblico presente, ed era proprio la sua voce a spingermi a dare il massimo.

In un attimo ogni momento che abbiamo vissuto insieme torna con forza nella mia mente, dalle uscite con gli amici alle feste in famiglia, dalle serate cinema alle chiamate in piena notte, ogni parola, ogni sorriso, ogni momento difficile; sembra che questo istante stia riportando tutto a galla.

Il leggero brusio si fa un po' più alto, gli invitati iniziano gradualmente a voltarsi indietro e le prime note della sua canzone preferita - di cui ora mi sfugge il titolo - si liberano nell'aria. Sono ancora più agitato, mi sudano le mani e sento il battito accelerato del cuore direttamente nella vena del collo: io non so se ce la faccio.

Lentamente si apre il portone di legno che dà sull'esterno, la luce del sole invade l'interno, trattengo il fiato nel vedere la sua figura, affiancata da quella di suo padre e mi costringo ad ignorare la vocina nella mia testa che mi urla di scappare via il più velocemente possibile.

Cammina lentamente, visibilmente commossa, non indossa il velo, ma ha dei fiori bianchi tra i capelli. Mi tremano le gambe e non riesco a deglutire: è bella da star male e io sto per impazzire.

Isabel continua ad avanzare, lenta, senza sosta, non guarda nessuno e va dritta all'altare.

Isabel sta per sposarsi, ma non con me.

E io ci provo a restare qui, ad essere felice per lei, ma l'amore che provo mi sta stringendo la gola, al punto tale che sto per soffocare.

Isabel tende la mano a James, io faccio un passo indietro, loro due si guardano e io mi volto, iniziando a camminare sempre più velocemente fino ad uscire all'esterno e appoggiarmi con le mani ad una panchina. Il respiro è quasi un rantolo, sento gli occhi gonfiarsi e il mio corpo tremare.

Sono stato un pazzo a venire qui, forse volevo solo accertarmi con i miei occhi che la stavo perdendo per sempre e, ora che l'ho vista, vorrei non aver mai aperto quell'invito, vorrei non aver mai saputo che gli aveva detto sì, e vorrei non dover provare questo dolore al centro del petto che sembra risucchiare ogni mia energia.

«Cazzo!» Impreco ad alta voce contro il cielo, poi faccio respiri profondi cercando di far cessare questa crisi di panico, o qualunque cosa sia. «Fanculo!» Non ho avuto il coraggio di fermarla, di dirle ciò che provavo e ora l'ho persa.

Resto a fissare la superficie di legno della panchina per un minuto, o forse dieci, o venti, non lo so, mi sento come catapultato fuori dal mio corpo, come se non riuscissi più a riprenderne il possesso, almeno fino a quando non sento una voce alle mie spalle.

«Harry...» Mi volto lentamente nel sentirla, come se stessi cercando di realizzare che non è un sogno, ma la realtà.

Isabel è da sola, in piedi davanti a me, in lacrime, ed è una visione che mi toglie ancora di più il fiato.

«Isy... cosa...?» La lingua non vuole collaborare con il mio cervello e non riesco ad articolare nemmeno una parola.

«Io... io mi sono girata, Harry, e tu te ne stavi andando... e l'ho capito...» La sua voce è rotta, mentre parla e piange. «Non ho potuto, Harry, non senza di te...» Anche le mie corde vocali non collaborano e non riesco a dire nulla. «Non se non eri tu all'altare con me...»

Finalmente il mio corpo riprende vita, mi muovo in fretta per arrivare a lei, per stringerla tra le braccia, per baciarla, finalmente, come avrei voluto fare in tutti questi anni. Isabel risponde al mio bacio come se ne andasse della sua vita e io, adesso, credo di essere impazzito sul serio; sono pazzo d'amore per Isabel e adesso posso dirglielo.

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Capitolo 6
*** Chance ***


Metti una vacanza estiva tra amiche, una di quelle che organizzi in cinque minuti - del tipo infili in valigia le prime cose che ti capitano sotto mano e parti.

Metti una tranquilla serata d'estate, l'ultima della settimana che hai a disposizione, una serata che vorresti rendere speciale perché la tua migliore amica compie venticinque anni proprio domani, quando saremo di ritorno verso casa.

Metti che sei riuscita a trovare un locale che organizza un evento particolare per trascorrere quella serata in maniera diversa perché non vuoi la solita discoteca, dove il volume della musica è talmente alto da non riuscire a parlare con qualcuno, e nemmeno andarti ad ubriacare per poi stare male il giorno dopo e magari non ricordarti neanche ciò che è successo. No, è accaduto qualcosa che ti ha guidato in quel luogo, perché non può essere un caso che tu abbia trovato il volantino pubblicitario di quel locale esattamente quando...

«... esattamente quando stavo pensando a cosa organizzare per stasera. Capisci che non può essere un caso!?» Credo sia la terza volta che spiego a Amy, la mia migliore amica dai tempi della scuola elementare, il motivo per cui ci troviamo sedute a questo bancone.

«Ruby, se non fosse per il fatto che ci conosciamo da tutta la vita, ti avrei già mandato a stendere.» Non ha lo stesso entusiasmo con cui sto vivendo io questo momento, ma forse non sono riuscita a farle capire quanto sono convinta che stasera succederà qualcosa di eccezionale. Riesco a sentirlo nell'aria.

«Che cos'hai da perdere?» Lei mi guarda rassegnata: sa che non mi arrenderò. «Domani sarai in questo mondo da un quarto di secolo, dovresti iniziare a lasciarti andare.» Le dico dandole una piccola pacca sulla spalla, poi le sorrido cercando di infonderle il mio ottimismo.

Alla fine sembra convincersi, un sorriso accennato compare sulle sue labbra, i suoi occhi tornano ad essere più sereni, poi si alza in piedi, piazzandosi esattamente di fronte a me. «Sappi che se questa serata andrà male mi lamenterò per tutto il viaggio di ritorno» dice puntandomi un dito al centro del petto.

«D'accordo, ma ora non perdere tempo: l'uomo della tua vita ti sta aspettando.» Le faccio l'occhiolino, poi poso le mani sulle sue spalle e la invito a voltarsi per andare da uno dei ragazzi seduti ai tavoli in fondo alla sala, cioè gli addetti all'inserimento dei suoi dati in un computer che, grazie ad un sofisticato algoritmo - così c'era scritto sul volantino pubblicitario - incroceranno altri dati grazie ai quali potrebbe trovare la sua anima gemella.

Amy non è stata molto fortunata con il sesso opposto, e la sua fiducia verso il mondo maschile è arrivata al minimo storico, ma ho una sensazione positiva per questa sera e non voglio farle perdere l'occasione.

La guardo camminare verso una di quelle postazioni con l'aria poco convinta mentre io le sorrido per incitarla ad essere più positiva. Amy ha specificato chiaramente di non essere alla ricerca forzata di qualcuno con cui stare, e nemmeno di essere tanto disperata da dover avere bisogno di un computer per trovare l'uomo della sua vita, ma io sono certa che non sia casuale l'aver trovato questo volantino. Sono certa che sia un segno e non posso farle perdere questa opportunità.

Amy si accomoda davanti al ragazzo che inizia a digitare qualcosa sulla tastiera di fronte a lui, poi volto lo sguardo verso il resto dei tavoli del pub ai quali sono già sedute alcune coppie abbinate dal computer: l'espressione che prevale è quella dell'imbarazzo, ma vedo anche dei sorrisi divertiti e un paio di persone la cui faccia dice chiaramente "perché diavolo sono venuto in questo posto?".

Mi appoggio all'indietro con i gomiti al bordo del bancone, mentre seduta sul mio sgabello mi concentro sulla mia migliore amica che si sta alzando dirigendosi ad un tavolo vuoto, al quale si siede dedicandomi uno sguardo minaccioso, ma il momento dura poco perché pochi minuti dopo, si siede di fronte a lei un ragazzo che sembra molto carino, anche se non sono riuscita a vederlo bene in viso.

È alto, indossa una normalissima t-shirt bianca, ha i capelli scuri e le braccia ricoperte da macchie d'inchiostro, poi rivolgo lo sguardo verso la mia amica, sul cui volto compare un sorriso che illumina l'intero locale quando lui le stringe la mano in quella che suppongo sia una presentazione.

So che non dovrei restare a fissarla in questo modo, ma ho bisogno di osservare le sue reazioni per essere sicura di aver fatto la cosa giusta ad averla convinta a partecipare a questa serata, e credo che la conferma arrivi dall'enorme sorriso che continua a restare lì, sulle sue labbra, mentre non fa che guardare negli occhi quel ragazzo appena conosciuto. Riesco a vederlo solo di spalle, ma sono certa che lui abbia la stessa espressione di lei.

È arrivato il momento di lasciare loro un po' di privacy, devo smettere di guardarla, quindi mi volto e mi rivolgo al barista. «Puoi farmi qualcosa di analcolico alla frutta?» gli chiedo quando si avvicina dalla mia parte.

«Hai qualche preferenza?»

«Se ci mettessi del kiwi sarebbe perfetto.» Gli sorrido, lui annuisce e si volta per preparare quanto gli ho appena chiesto.

Resto ad osservarlo mentre lavora, poi una voce bassa e roca mi fa voltare lentamente alla mia destra. «Anche tu alla ricerca dell'anima gemella?»

Credo di aver appena messo gli occhi sul sorriso più bello che abbia mai visto. È dolce e sfrontato al tempo stesso, le fossette sulle guance gli donano un aspetto gentile, ma i suoi occhi intensamente verdi hanno il fuoco dentro e stanno scrutando con attenzione ogni centimetro del mio viso.

«No» rispondo incerta senza aggiungere altro.

«Ecco a te!» La voce carica di entusiasmo del barista attira la mia attenzione mentre posa davanti a me il mio drink.

«Grazie» dico al ragazzo che torna a servire gli altri clienti, poi mi volto di nuovo verso destra, perché sento quello sguardo ancora su di me.

«Stai scappando da un abbinamento mancato?» mi chiede appoggiandosi con un gomito al bancone senza mai togliermi gli occhi di dosso.

«No» rispondo sintetica per poi sorseggiare dalla cannuccia con la quale continuo a giocherellare.

«Chi hai accompagnato?» Sembra rilassarsi contro la superficie di legno alla quale è appoggiato e mi concedo di osservare il resto di lui con più attenzione.

Indossa una camicia piuttosto bizzarra, sbottonata fin sotto lo sterno, dalla quale spuntano diversi disegni a decorazioni del suo torace. Altri tatuaggi sono visibili sulle sue braccia, soprattutto il sinistro. I jeans sono neri, stretti e i suoi capelli danno l'impressione di essere decisamente morbidi, tanto che ho una voglia pazzesca di infilarci le dita.

«La mia migliore amica. E tu?» gli chiedo cercando di concentrarmi sulla mia cannuccia e sul contenuto del mio bicchiere, mentre tento di ignorare la sua mano che afferra un bicchiere appoggiato sul bancone.

Perché mi attira tanto la sua mano?

«Ho accompagnato il mio migliore amico.» Indica un ragazzo biondo - che in realtà sembra tinto - seduto con una ragazza dai capelli rossi, ma dall'espressione del suo amico si direbbe che non si stia affatto divertendo.

«Non ti interessa trovare l'anima gemella?» gli domando improvvisamente ed inspiegabilmente curiosa di conoscere i suoi pensieri.

«Non crederai a questa stronzata vero?» dice indicando l'ambiente circostante, riferendosi agli abbinamenti decisi da una macchina.

Lui parla ed io resto affascinata, ad ogni suo movimento riesco a percepire il profumo della sua acqua di colonia, e ad ogni parola, ad ogni movimento delle sue labbra rosse ho sempre più voglia di sentirne il gusto.

«Non si sa mai cosa può riservarti la vita no?» Il mio bicchiere è ormai vuoto, il suo anche.

Allunga una mano nella mia direzione e mi guarda dritto negli occhi. «Mi chiamo Harry.»

Resto per un attimo a guardare le sue dita, adornate da due o tre anelli, poi la mia mano agisce come se fosse dotata di vita propria e stringe la sua con forza. Una piccola scarica elettrica passa dalle sue dita alle mie, attraversa tutto il braccio arrivando fino alla spina dorsale, per poi irradiarsi a tutto il resto del mio corpo.

«Ruby» rispondo con un filo di voce, quello che mi è rimasto, senza distogliere lo sguardo dal suo.

«Quind tu credi nell'esistenza dell'anima gemella Ruby?» La mia mano è ancora stretta nella sua e il suo modo di pronunciare il mio nome mi provoca sensazioni che non ho mai provato in vita mia.

È qualcosa di simile al rimescolamento del sangue, o pari all'attorcigliarsi delle viscere. Mi fa sentire completamente scombussolata, accaldata ed eccitata, e gli è bastato stringermi la mano e pronunciare il mio nome.

«Tu non ci credi Harry?» Pronuncio anch'io il suo nome, per sentire come suona quando esce dalle mie labbra e che sapore ha nella mia bocca.

«Potrei ricredermi Ruby» Ancora il mio nome, poi lascia andare lentamente la mia mano ed io sento improvvisamente freddo. «Puoi farne altri due?» domanda al barista riferendosi ai nostri drink.

Il ragazzo dietro al bancone prepara i nostri bicchieri e li posa davanti a noi. Harry non smette di guardarmi come se ci fossi solo io qui dentro, ed io non posso che fare la stessa cosa, perché i suoi occhi sono l'unica cosa che voglio guardare.

Da quel momento non facciamo altro che parlare e guardarci. Mi racconta di sé stesso dandomi l'impressione di essere sincero ed io gli parlo di me come se lo conoscessi da sempre. Harry è un istruttore di nuoto, si occupa di bambini che vanno dai quattro ai sei anni, ha un fratello di due anni più giovane di lui e si diletta a cantare. Sembra che non abbiamo nulla in comune: io detesto i bambini, lui li adora, sono figlia unica e sono stonata come una campana rotta, ma la cosa sorprendente arriva quando mi chiede da dove vengo.

«Sono di Jackson, un piccolo paese della Georgia. Lo conosci?» gli chiedo quando vedo un'espressione divertita sul volto come a dire "cosa?".

«Vivo ad Atlanta» dichiara compiaciuto mentre quelle adorabili fossette fanno di nuovo capolino sulle sue guance.

«È a meno di un'ora di macchina da Jackson» dico piacevolmente sorpresa. Non so per quale motivo, ma il fatto di vivere così vicini ha acceso una piccola e insensata speranza in me.

«Già, il che rende tutto più facile» afferma per poi bere d'un fiato tutto il contenuto del suo bicchiere. «Ti va di uscire a prendere una boccata d'aria?» dice ancora sorridendo ed io sento aumentare sempre di più la voglia di conoscerlo.

Nel frattempo io sono rimasta imbambolata a guardarlo, ad osservare ogni suo movimento, affascinata da tutto ciò che mi ha detto e da tutto ciò che fa, da tutto quello che lo riguarda e la cosa risulta essere parecchio destabilizzante perché è la prima volta che mi succede qualcosa del genere.

«Sì» rispondo decisa dopo qualche secondo, solo quando il mio cervello si è rimesso in moto e sono riuscita a realizzare quello che mi aveva chiesto, ed ottengo un altro meraviglioso sorriso.

Mi volto verso la mia amica, mi alzo in piedi e mi sbraccio per farmi notare. Quando Amy si accorge dei miei gesti, le faccio capire che sto uscendo dal locale, lei sorride e annuisce per poi tornare a rivolgere le sue attenzioni al ragazzo seduto di fronte a lei.

Cammino accanto a Harry fino all'esterno del pub, mi siedo su una panca libera, al di sotto della tettoia che dà sulla strada, e lui si posiziona di fianco a me. La sua gamba aderisce alla mia, il suo braccio sinistro si posa sullo schienale dietro di me e i suoi occhi mi incatenano a lui.

Non vorrei essere in nessun altro luogo.

«Allora... Cosa fai a Jackson?» Il suo profumo si fa più intenso, il suo sguardo anche e sembra diventare sempre più difficile resistere alla tentazione di avventarmi sulle sue labbra.

«Lavoro nel negozio di mio padre. Vendo articoli sportivi.» Solo quando lo pronuncio ad alta voce mi rendo conto di ciò che ho detto e il suo ampio sorriso mi spinge a fissare le sue labbra così rosse.

«Ma tu guarda... Articoli sportivi... Quando si dice il caso...» La sua voce si abbassa di qualche decibel, ma non per questo arriva con meno forza in ogni parte di me.

«Già... Hai ragione...» rispondo senza distogliere gli occhi dai suoi mentre ho l'impressione che il suo volto sia un po' più vicino.

«E hai un fidanzato a Jackson?» Sento la sua presenza sempre più vicina e ruoto il busto fino a voltarmi completamente verso di lui.

«Nessun fidanzato» dico con voce sempre più bassa come se lui avesse la capacità di rubarmela.

La sua mano destra arriva sul mio viso, leggera, poi le sue dita portano dietro l'orecchio una ciocca dei miei capelli, nei quali si infilano fino a stabilire un contatto con la mia nuca, sulla quale ferma la sua lenta corsa.

So cosa sta per succedere, cosa sta cercando di fare, e la mia parte razionale sta lottando con ogni mezzo per emergere ed evitarmi un possibile disastro, ma diventa sempre più difficile se anche l'altra sua mano si posa con estrema delicatezza sulla mia spalla lasciata leggermente scoperta dall'ampio scollo della maglietta che indosso.

«Ho voglia di baciarti dal primo momento in cui ti ho messo gli occhi addosso.» Le sue parole ed il suo tono di voce mi rendono uno strumento nelle sue mani, qualcosa che solo lui è in grado di maneggiare.

Provo in ogni modo a mandare dei segnali al mio corpo, ma vengono ignorati lasciando via libera all'istinto, che mi porta a posare la mia mano sul suo ginocchio. Sono certa di aver avuto su di lui lo stesso effetto che ha avuto su di me la sua stretta di mano: ho visto chiaramente una scintilla nei suoi splendidi occhi verdi.

«Harry non credo sia una buona idea.» Non sono sicuramente io che sto parlando perché l'unica cosa che vorrei davvero fare in questo momento è assecondarlo.

«Non sei obbligata se non vuoi. Non c'è niente che devi fare per forza.» Il suo volto è sempre più vicino, l'intensità con la quale mi guarda inizia a farmi girare la testa. «Guardami e basta.» E lo faccio, guardo i suoi occhi, solo che ora non vedo altro che quelli perché è davvero troppo vicino adesso. Sento il suo fiato sulle mie labbra e sono sicura che sappia di avermi in pugno nonostante la mia limitata resistenza.

Poi, i suoi occhi mi concedono una tregua, si sposta lentamente di lato accarezzandomi il viso con le labbra. Chiudo gli occhi, trattengo il fiato e sento che sto per impazzire. Non ho desiderato tanto una cosa come adesso desidero sentire il sapore del suo drink direttamente dalla sua bocca.

«Harry...» Il suo nome scivola fuori dalle mie labbra senza quasi rendermene conto.

«Guardami Ruby.» I miei occhi si aprono lentamente, come se fosse stato lui ad averne il controllo, adesso è di nuovo a pochi millimetri dalla mia bocca che brama di sentire la sua come non mi era mai successo.

Il suo corpo è più vicino, la sua presa si rafforza leggermente e il suo sguardo non mi lascia scampo. Il mio corpo è in fiamme, la mia mente completamente annebbiata, e quando le sue labbra sfiorano le mie senza toccarle davvero, divento puro istinto avvicinandomi a lui quel tanto che basta per azzerare ogni distanza.

Le sue labbra sono morbide, la sua bocca preme con forza sulla mia, con insistenza, come se volesse conoscere ogni curva delle mie labbra.

Improvvisamente scopro un intero nuovo mondo di sensazioni, qualcosa di troppo potente per essere trattenuto o combattuto, qualcosa di simile ad un uragano che ti travolge senza lasciarti nessuna via di fuga. Un contatto così intenso da farmi sentire il cuore esplodere nella cassa toracica fino a sentirlo battere dentro le orecchie. Il bacio più sconvolgente di tutta la mia vita.

Nell'istante in cui lui si allontana per potermi guardare negli occhi e vedo il suo sorriso, riesco a comprendere il significato della parola perfezione, perché è come se per tutta la vita non avessi aspettato altro che questo momento.

«Ti ripeto la domanda Ruby...» dice con un'espressione furba in volto, ma io non sono in grado di rispondere, quindi resto a guardarlo in silenzio. «Tu credi nell'anima gemella?»

Vorrei davvero dire qualcosa, ma al momento non so nemmeno se ce l'ho più un'anima. Credo che Harry se ne sia appena impossessato.

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