Il giuramento di AthenaKira83 (/viewuser.php?uid=997427)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
New York, 8 anni prima
Un fulmine squarciò il cielo plumbeo. Il rumore del tuono,
che arrivò poco dopo, riuscì a coprire a malapena
il grido di piacere che la donna bionda si lasciò sfuggire
dalla labbra morse a sangue, nella vana speranza di non farsi sentire.
Imprecò sommessamente, mentre stringeva, con più
forza, il bordo della scrivania su cui era piegata.
Una risatina roca ed affannata le accarezzò l'orecchio
sinistro.
"Shhh!" la ammonì, divertito, il ragazzo alle sue spalle,
mentre spingeva ritmicamente dentro di lei.
La donna lo ignorò e continuò ad assecondare
quegli assalti che la condussero ben presto all'apice del piacere,
seguita a ruota dal compagno.
"Per Lilith!" esclamò soddisfatto il ragazzo, ansando e
risistemandosi i pantaloni.
"Stai migliorando!" si complimentò la donna, alzandosi e
girandosi per fronteggiarlo.
Il ragazzo le sorrise orgoglioso. "Faccio parecchia pratica!" rispose
allegro.
Una fitta di gelosia, tanto acuta quanto inaspettata, saettò
nel petto della bionda. Scosse la testa, come a voler scacciare quella
fastidiosa sensazione, rimise a posto la gonna e la camicetta e si
piegò per raccattare le mutandine gettate a terra neanche
dieci minuti prima. Si avvicinò felina al giovane e gliele
ficcò nella tasca posteriore dei jeans, palpando, visto che
c'era, la natica soda che sentiva sotto le dita. Quel moccioso aveva un
corpo perfetto per avere solo vent'anni.
"Quando lo rifacciamo?" chiese, in punta di piedi ed ad un soffio dalle
sue labbra, pentendosene un attimo dopo, perchè ora sarebbe
sembrata un'odiosa ragazzina alla prima cotta.
Non era, però, riuscita ad evitare quella domanda. Le
sarebbe piaciuto avere un atteggiamento algido con lui, cosa che le
riusciva perfettamente nella realtà di tutti i giorni con le
altre persone, ma da quando erano iniziati quegli incontri clandestini,
attendeva quella deliziosa ed eccitante evasione con sempre
più maggiore trepidazione.
Non sapeva se era tutto merito del ragazzino, che riusciva a farle
raggiungere l'estasi come non c'era mai riuscito nessun altro, o se era
per l'ebrezza del peccato, visto che era assolutamente proibita quella
tresca che, invece, era nata e continuata nel tempo. Forse per entrambe
le cose, decise.
"Non lo so! Devo andare. Ho altre commissioni da fare. Ci vediamo!" le
disse, per tutta risposta, il ragazzo, allontanandosi da lei ed uscendo
dalla stanza.
La donna incrociò le braccia al petto, irritata. Odiava
quando si comportava così. Quel mocciosetto, alla prossima
occasione, avrebbe dovuto sudare sette camicie per tornare a
trastullarsi con lei!
Sospirò seccata ed iniziò a sistemarsi per
tentare di eliminare ogni possibile traccia di quello che era appena
successo. Si accorse, con grande disappunto, che c'era uno strappo
sulla gonna. Il tessuto doveva essersi impigliato da qualche parte
quando il ragazzino l'aveva presa e sbattuta sulla scrivania. Avrebbe
dovuto gettarla ed era un peccato, perchè era una delle sue
preferite. Dannato moccioso!
Si girò di scatto non appena sentì richiudersi,
dietro di lei, la porta della stanza.
"Oh cielo!" esordì, portandosi la mano al petto. "Mi hai
fatto prendere uno spavento!" sorrise, mentre l'uomo che era entrato
nello studio si avvicinò a lei. "Sei tornato presto!"
osservò.
Lui non parlò, limitandosi a trapassarla con un'occhiata
glaciale che le fece rizzare i peli dietro la nuca. Oh oh. Era
arrabbiato. E parecchio anche.
"Tesoro, c'è qualcosa che non va?" chiese, con la voce
più mielosa che riuscì a tirare fuori,
appoggiando il palmo della mano sulla sua guancia.
Che sospettasse qualcosa? No, non era possibile. Lei ed il ragazzino
erano sempre stati estremamente cauti. Certo, in quel preciso momento,
suo marito sarebbe dovuto essere in viaggio di lavoro,
anzichè davanti a lei, ma questo non significava che era
stata scoperta.
L'uomo prese tra le dita il polso della donna e strinse, dapprima
leggermente, poi sempre più forte.
"Ahi! Mi stai facendo male!" lo avvertì la donna, tentando
di sottrarsi a quella morsa, senza tuttavia riuscirci. Non era
spaventata, ma cominciava ad agitarsi.
Il manrovescio che le arrivò all'improvviso,
però, le fece piegare la testa di lato e schizzare il cuore
in gola. Boccheggiò, sia per lo shock che per la botta
ricevuta. Ora, era il momento di iniziare ad avere paura.
Guardò smarrita, e con le lacrime agli occhi, l'uomo di
fronte a lei. "Perchè?" fu tutto quello che
riuscì a chiedere, prima che una scarica dolorosa la
trapassasse da capo a piedi.
Con occhi sbarrati di incredulità, abbassò lo
sguardo verso il proprio ventre. Un manico dorato, e finemente
lavorato, spiccava sul bianco candido della camicetta e su una macchia
rosso scuro che stava inzuppando velocemente il tessuto.
Rialzò gli occhi sull'uomo, che la guardava imperturbabile,
e sentì distintamente la lama ritirarsi dalla sua carne per
poi affondare di nuovo in lei, in un altro punto.
Avrebbe voluto urlare, ma le uscì solo un verso strozzato,
mentre la macabra danza del coltello continuava ancora, e ancora, e
ancora.
In un ultimo lampo di lucidità, mentre si accasciava al
suolo, si rese conto che stava morendo, che lui la stava uccidendo.
L'ultima cosa che sentì, prima di sprofondare
definitivamente nel buio che la stava risucchiando a sè, fu
la risata terrificante dell'uomo.
Il temporale era finalmente cessato e Magnus camminava lentamente lungo
il marciapiede, fermandosi, di tanto in tanto, ad osservare le vetrine.
Gli sarebbe piaciuto entrare in ogni negozio ed uscirne pieno zeppo di
sacchetti, ma la banca gli aveva bloccato, per l'ennesima volta, la
carta di credito perchè il conto corrente era in rosso. Accidenti! Quei damerini in giacca e cravatta non riuscivano a capire che
per lui avere l'ultimo modello di quelle scarpe favolose o quella
camicia assolutamente fantastica, che di certo non trovavi al mercatino
dell'usato, non era uno sfizio, ma questione di vita o di morte!
Insomma mica poteva andare in giro vestito da straccione, no?
Passò oltre una vetrina che l'aveva particolarmente
affascinato, ma ritornò sui suoi passi quando decise che la
giacchetta borchiata, che aveva ammirato per un numero imprecisato di
minuti, era troppo bella e non poteva lasciarla su quel manichino
inespressivo. Sarebbe stato un reato!
Se non ricordava male, doveva avere almeno duecento dollari nel
portafoglio. Bastavano eccome. Si tastò, quindi, le tasche
dei jeans.
Su quella di destra trovò le mutandine di Camille: le prese,
schifato, e le gettò nel bidone dell'immondizia
là accanto. Quando mise la mano nell'altra tasca,
però, scoprì di non averlo più con
sè. Cazzo! Doveva averlo perso mentre si dava da fare con la
donna!
Sarebbe dovuto tornare a riprenderlo, rivedendo, così, la
bionda. La cosa, però, anzichè eccitarlo, lo
seccava enormemente perchè, sì, lei era molto
bella e con le curve al posto giusto, ma stava diventando troppo
appiccicosa per i suoi gusti. Avrebbe dovuto dare retta al suo istinto
e non accettare di incontrarla nuovamente, dopo la prima scopata.
Magnus non era fatto per le relazioni stabili. A lui piaceva, infatti,
svolazzare di fiore in fiore e farsi uomini o donne (od entrambi,
perchè no?!) diversi ogni giorno.
Camille, però, era stata così insistente che,
alla fine, aveva ceduto. Non che gli fosse dispiaciuto, anzi, ma era
giunto il momento di troncare quel rapporto, fin troppo particolare
rispetto ai suoi soliti standard, soprattutto prima che lei diventasse
una spina nel fianco.
Sbuffò. In un certo senso era colpa sua. Essere troppo bello
e troppo desiderabile era la sua croce e la sua delizia.
Il motivo principale, comunque, per cui fece marcia indietro era che
non poteva permettersi di lasciare il portafoglio in quella casa. Se
fosse capitato tra le mani del marito di Camille, instillando anche il
più remoto sospetto che tra i due potesse esserci qualcosa,
Magnus era sicurissimo che entrambi sarebbero andati a fare compagnia
ai pesci in modo talmente veloce che non se ne sarebbero neanche resi
conto. Era meglio non far arrabbiare quell'uomo. Era inquietante. E
pericoloso.
Arrivato a destinazione, sgattaiolò all'interno della casa,
con la sicurezza che derivava dall'esperienza di averlo fatto decine di
volte.
Silenzioso come un gatto, ritornò nello studio, sperando di
non dover incontrare nuovamente Camille. Per Lilith, se lei era ancora
lì, sicuramente non se la sarebbe più scollata di
dosso!
La stanza, fortunatamente, era buia, ma vuota. Per evitare di farsi
scoprire, non accese la luce, ma solo la torcia del cellulare e
guardò sotto la scrivania, visto che era il posto
più probabile dove poteva aver perso il portafoglio, quando
si era slacciato i pantaloni. Lo trovò là,
infatti. Lo recuperò velocemente e, nel fare dietrofront,
scivolò su qualcosa di viscido, lasciando andare il telefono
nella caduta.
Aggrottò le sopracciglia e saggiò con le dita la
cosa viscosa che gli aveva fatto perdere l'equilibrio. Cos'era?
Ritornò in possesso del cellulare e
puntò la luce della torcia sulla mano: le dita erano
colorate di rosso. Il suo cuore prima perse un battito, poi
iniziò a palpitare furiosamente nel petto. Rapidamente
indirizzò il fascio di luce anche sul punto dove i suoi
piedi avevano perso aderenza e al ragazzo si fermò il
respiro.
Un'enorme chiazza scura spiccava sul pavimento dello studio e Magnus
era sicurissimo che, fino ad un'ora prima, quella cosa non c'era. Ne
era talmente certo che avrebbe potuto mettere la mano sul fuoco.
Quando finalmente il cervello recepì l'informazione visiva,
Magnus sentì improvvisamente l'odore metallico del sangue
invadergli ferocemente le narici. Gli venne da vomitare e, prima di
farlo, decise saggiamente di alzarsi da terra. Tremava mentre si
asciugava le dita sui pantaloni.
Di chi era quel sangue? Cosa era successo in quella stanza?
Il respiro si fece affannato ed incontrollato ed il ragazzo si impose
di calmarsi. Doveva farlo se voleva uscire indenne da quella situazione.
Era nella casa di uno degli uomini più pericolosi
dell'intero paese, c'era moltissimo sangue e lui poteva essere
incastrato per quell'omicidio o addirittura essere la prossima vittima.
Non impazziva per nessuna delle due ipotesi.
"Pensa Magnus! Pensa!" si disse, inspirando ed espirando più
e più volte.
Via. Doveva andare via da lì, subito.
Come prima cosa, decise di togliersi le scarpe, perchè le
suole erano macchiate di sangue ed avrebbero lasciato delle tracce che
avrebbero potuto ricondurlo a lui. Poi toccò alle impronte.
Quando si era dato da fare con Camille, aveva toccato qualcosa? Ci
pensò e, a parte il corpo della donna, era sicuro di non
aver sfiorato nessun'altra superficie.
Ok, doveva essere a posto.. il preservativo! Dove cazzo aveva buttato
il preservativo? L'aveva gettato nel cestino? Guardò nel
bidone, ma era immacolato. Stava per farsi prendere da un attacco di
panico, quando si ricordò di averlo portato via con
sè, quando se n'era andato dalla stanza la prima volta, e di
averlo gettato alla prima occasione utile.
Prese un altro respiro e, con cautela, sbirciò fuori dalla
porta per vedere se c'era qualcuno nei paraggi. Nella casa regnava il
silenzio assoluto e Magnus schizzò fuori dalla stanza.
Sperò e pregò di non incontrare nessuno durante
la sua fuga e, fortunatamente, fu accontentato.
Respirò a pieni polmoni non appena ritornò
all'aria aperta, come se fosse emerso dopo una lunghissima immersione.
Aveva appena girato l'angolo del muro di cinta dell'abitazione, quando
una voce lo gelò.
"Ehi! Ehi ragazzino! Fermati!" urlò un uomo.
L'istinto di sopravvivenza di Magnus gli gridò
prepotentemente di scappare e lui lo fece, dirigendosi verso il
marciapiede trafficato.
Vide solo una sequenza indistinta di volti, mentre correva a
perdifiato, e si accorse della donna solo quando le rovinò
sopra.
"Mi.. mi scusi!" ansimò Magnus. "Oh cielo, si è
fatta male?" le chiese, quando la aiutò a rialzarsi,
accorgendosi del suo volto sofferente.
La donna fece in tempo a fare un debole cenno di diniego, quando il
richiamo dell'uomo si fece risentire.
"Ragazzino! Ragazzino fermati!!" lo sollecitò.
Gli occhi di Magnus si spalancarono per il terrore. L'avrebbero preso e
Dio solo sapeva cosa gli avrebbero fatto. Torture, sevizie ed infine,
quando ormai sarebbe stato solo una poltiglia sanguinolenta, la morte.
La donna guardò prima il ragazzo e poi l'uomo che stava
avanzando verso di loro. Prese il polso di Magnus e lo
trascinò nel taxi che la stava aspettando, e che avrebbe
preso se lui non le fosse piombato addosso. Diede l'indirizzo al
conducente e l'auto partì prima che lo sconosciuto potesse
raggiungerli.
Magnus si girò verso di lei. "Grazie! Grazie! Grazie! Mi hai
salvato la vita!" le disse, colmo di gratitudine, prendendole le mani.
La donna sorrise. "Prego." rispose timidamente.
"Io sono Magnus!" si presentò.
"Lydia." rispose, laconica, la donna.
Il silenzio piombò nell'abitacolo ed i due si fissarono,
studiandosi.
Lui aveva un aspetto terribile, con i capelli sparati in tutte le
direzioni, gli abiti sgualciti e macchiati di sangue e scalzo, ma lei
era talmente pallida che sembrava pronta per la bara da un momento
all'altro! Era carina, però, e doveva avere all'incirca la
sua età, era bionda, aveva gli occhi azzurri, era ricca, a
giudicare dagli abiti che portava, e tremendamente incinta!
Lydia sorrise quando notò dove si era posato lo sguardo del
ragazzo.
"E' un maschio. Si chiamerà Max." lo informò,
rispondendo alla tacita domanda del giovane, mentre si accarezzava il
ventre.
"Sei sicura che ce ne sia solo uno là dentro?" chiese
Magnus, sorpreso.
Lydia rise divertita. "Sì, un solo bambino!"
confermò.
Il ragazzo guardò scettico la pancia, per nulla convinto di
quello che lei gli aveva appena riferito. Il ventre era talmente
prominente, che era certo che lei attendesse tre gemelli!
Ritornò lo sguardo sul suo viso e la guardò
preoccupato. "Non stai bene." constatò.
Il sorriso della donna si spense. "E' solo la fatica della gravidanza.
Non preoccuparti." gli disse, tentando di minimizzare il suo stato di
salute.
Anche in quel frangente, Magnus fece fatica a crederle, ma non voleva
sembrare invadente e non insistette. Oltretutto, anche se non si
conoscevano, e nonostante il suo aspetto, la donna non aveva posto
nessuna domanda né lo guardava con diffidenza. Evitare il
terzo grado, gli sembrava il minimo.
Guardò fuori dal finestrino e l'enormità della
situazione in cui si era cacciato lo riportò alla
realtà come una secchiata d'acqua fredda.
Era nei guai. Se lo sconosciuto, e Magnus non aveva motivo di
dubitarne, era uno degli scagnozzi del marito di Camille, lui doveva
assolutamente sparire dalla circolazione. Almeno fino a quando le acque
non si fossero calmate, almeno fino a quando non fosse stato sicuro di
non essere più in pericolo di vita. Con Valentine
Morgenstern non si scherzava.
Il suo istinto gli diceva che, nel punto in cui c'era l'enorme pozza
rosso scuro, qualcuno era morto e non aveva nessuna intenzione di
essere nei paraggi per fare la sua stessa fine.
La cosa più logica da fare sarebbe stata quella di chiamare
la polizia, ma cosa avrebbe potuto dire? E come avrebbe potuto
giustificare la sua presenza in quella casa, senza compromettere
Camille? Certo la donna stava diventando una palla al piede, ma, nel
caso in cui ci fosse stata una spiegazione plausibile per tutto quel
sangue, Magnus rischiava di darla in pasto alla cattiveria del marito
ed era una cosa che non avrebbe fatto mai e poi mai. Non avrebbe
augurato l'ira di Morgenstern neanche al suo peggior nemico!
L'unica idea che gli veniva in mente, quindi, era quella di fuggire il
più lontano possibile.
Sospirò affranto. Dove poteva andare? Non voleva coinvolgere
i suoi migliori amici e non aveva una famiglia presso cui rifugiarsi.
Emise un altro sospiro sconsolato e Lydia lo notò.
"Tutto bene?" gli chiese dolcemente.
"Sì.. no.." ammise il ragazzo. "Devo.. devo andare via da
New York il prima possibile." le confessò, proprio mentre il
taxi si fermava all'indirizzo richiesto dalla donna.
Lydia lo osservò in silenzio e poi annuì. "Tra
pochi minuti mi imbarcherò sulla Queen Mary 2." lo
informò. "Viaggio da sola." gli disse, facendo una pausa, in
attesa che Magnus recepisse l'informazione che gli aveva appena
fornito. "Ma questo lo sappiamo solo tu ed io. E avrei davvero bisogno
di qualcuno che venisse con me." terminò.
Il ragazzo fissò il volto della sua salvatrice e
riuscì solo ad annuire, grato per quella
possibilità che quell'angelo biondo gli stava servendo su un
piatto d'argento.
"Signor Bane, ecco suo figlio!" annunciò l'infermiera,
ponendogli delicatamente tra le braccia il neonato.
Magnus guardò spaesato prima la donna e poi il bambino. Non
sapeva assolutamente niente di infanti e quella donna gliene aveva
appena appioppato uno. Per Lilith! Lo stava tenendo bene? Gli stava
facendo male? Perchè non emetteva un suono?
"Lydia!" si ricordò improvvisamente, "Come sta?" chiese
all'infermiera.
La donna si rabbuiò. "Ecco.. vede.. Oh! Sta arrivando il
dottore!" disse la donna, sollevata di non essere lei a dover dare la
notizia al giovane.
Il medico arrivò di fronte a Magnus. "Signor Bane, purtroppo
la sua fidanzata non ce l'ha fatta. Ha avuto una forte emorragia, che
siamo riusciti a fermare, ma poi è andata in arresto
cardiaco e.. Signor Bane, abbiamo fatto tutto il possibile e.. Mi
dispiace.. mi dispiace moltissimo per la sua perdita." gli
comunicò serio.
Magnus riuscì solo ad annuire e, prima di far cadere il
bambino, decise che era meglio sedersi.
Lydia era morta. Morta.
Doveva piangere, voleva piangere, ma il bambino tra le sue braccia
emise un gorgoglìo e Magnus abbassò lo sguardo su
di lui.
Da quel che poteva giudicare, era davvero bello. Aveva una pelle
morbida, i capelli neri e gli occhi di un'incredibile
tonalità di blu, diversi da quelli della madre, che non
mollavano i suoi un attimo.
"Ciao Max!" sussurrò con il groppo in gola, mentre il bimbo
si appropriava del dito con cui gli aveva accarezzato la pelle.
"Signor Bane, possiamo fare qualcosa per lei? Vuole che chiamiamo
qualcuno della sua famiglia?" gli chiese l'infermiera, premurosa.
Magnus scosse la testa. "No, grazie." rispose distratto. "Loro.. loro
stanno arrivando." la informò con un filo di voce.
Il medico e l'infermiera annuirono, lasciando poi i due da soli.
Il giovane cullò il neonato, in attesa che i suoi amici
arrivassero. Era riuscito a chiamare Tessa mezz'ora prima e l'amica,
dopo la sorpresa iniziale, gli aveva assicurato che lei e Jem sarebbero
arrivati il prima possibile. Quando avrebbero visto Max, era certo che
ai due sarebbe pigliato un infarto!
Magnus sospirò. Non aveva idea di come ci si prendesse cura
di un bambino, delle sue necessità, di quello di cui aveva
bisogno, ma aveva fatto una promessa ed era intenzionato a rispettarla
fino alla morte.
Sì, c'era questo "piccolissimo" dettaglio che il piccolo non
era suo, mentre tutti pensavano l'esatto contrario, e che poteva essere
tranquillamente incriminato per rapimento, ma non volle pensarci in
quel momento. Le emozioni, che gli si agitavano nel petto, erano troppo
grandi per ragionare lucidamente.
Lydia, inoltre, era stata categorica: il padre naturale del bambino non
doveva essere coinvolto. Magnus non aveva osato chiederne il motivo,
perchè le doveva la vita e l'avrebbe assecondata in tutto e
per tutto, ma doveva ammettere che la domanda bruciava ancora sulle sue
labbra.
La donna era riuscita a farlo imbarcare sulla nave, spacciandolo come
suo fidanzato, ed il ragazzo ci aveva visto giusto quando aveva
ipotizzato la sua agiatezza economica, perchè uno degli
ufficiali dell'imbarcazione era stato ben felice di chiudere un occhio,
sul fatto che Magnus non aveva il biglietto, quando lei gli aveva
sventolato, sotto al naso, una lauta ricompensa per il suo silenzio.
Magnus aveva avvisato i suoi amici di New York che si sarebbe assentato
per un po' e, dopo una settimana di navigazione, lui e Lydia erano
diventati amici, se così si potevano definire due che non
sapevano assolutamente niente l'uno dell'altra, se non le cose
più frivole.
Tutto quello che il ragazzo era riuscito a scoprire era che anche lei
stava scappando da qualcuno. Chi era e perchè stesse
fuggendo da lui, non era dato sapere. Lydia si era cucita la bocca a
riguardo e non avevano più toccato l'argomento.
Non appena sbarcati, la donna era entrata in travaglio e dopo neanche
un'ora era diventato padre e "vedovo".
Se qualcuno gli avesse predetto che, a vent'anni, sarebbe stato
entrambe le cose, gli avrebbe riso in faccia talmente tanto da farsi
venire le convulsioni.
Ripensò all'ultimo momento in cui aveva visto la donna e
strinse un po' più forte a sè il bambino.
"Prometti.. prometti.."
ansimò pesantemente Lydia, prima di sparire dietro le porte
della sala parto.
"Cosa?" chiese Magnus,
afferrandole la mano.
"Prometti.. promettimi
che ti prenderai cura di lui." lo supplicò Lydia,
stringendogli le dita. "Ti prego Magnus, promettimelo!"
gracchiò sofferente.
Magnus prese un respiro
profondo ed annuì. "Lo giuro." dichiarò
solennemente.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Londra, oggi
"MAGNUUUUS!!" urlò la voce di un uomo.
"Che c'è?" chiese, di rimando, il diretto interessato dal
bagno, mentre era nel bel mezzo di una delicatissima, quanto vitale,
operazione: mettere l'eyeliner sugli occhi.
"MAGNUS BANE!! VIENI SUBITO QUI!!" gridò nuovamente la voce.
"Non posso!" rispose tranquillamente questo, continuando a dedicarsi
alla sua attività.
"MAGNUS!!"
Era panico quello che l'uomo aveva appena sentito nella voce
dell'amico? Sbuffò e si diresse verso la camera da letto di
quest'ultimo.
"Si può sapere che cazzo vuoi? Per colpa tua mi sono sbavato
l'oc.." brontolò, bloccandosi poi sul colpo.
Will era in piedi, sopra al letto, spalmato addosso al muro, che
guardava terrorizzato il pupazzo a forma di anatra di Max, che
troneggiava sinistramente sul pavimento.
"Quello!" disse, indicando l'oggetto inanimato, "Porta via quel demonio
sotto forma di peluche!" gridò l'amico.
Magnus sorrise divertito. "Che gli hai fatto questa volta?" chiese,
incrociando le braccia al petto ed appoggiandosi allo stipite della
porta.
"Niente!" protestò Will.
"Se Mr. Duck Fener
è qui, ci deve essere un motivo." continuò a
sorridere l'uomo.
"Mi ha chiamato nano da giardino!" dichiarò, oltraggiata,
una vocina alle sue spalle.
"Perchè lo sei!" urlò Will, di rimando, guardando
il bambino.
"Sarò anche un nano da giardino, ma non sono io quello che,
in questo momento, è spiaccicato contro il muro
perchè ha paura di un pupazzo!" ribattè
ironicamente Max.
"Oh cielo, stavo solo scherzando quando ti ho chiamato
così!" lo informò Will, cambiando rotta, nella
speranza di addolcirlo. "Dio! Voi Bane siete più
suscettibili delle donne!" borbottò a denti stretti.
"Lo sai, vero, che quest'ultima affermazione non ti è utile
alla causa?" ridacchiò Magnus. "Che dici?" chiese,
rivolgendosi al figlio, "Lo lasciamo così ancora per un po',
così impara ad insultarci?".
Will emise un gemito strozzato. "Ti prego, Magnus!"
scongiurò.
"Che vuol dire suscettibili?" chiese il bambino, ignorando l'adulto
sofferente.
"Che siamo permalosi e ce la prendiamo per tutto. Ma non siamo mica
così, no?" sorrise il padre, facendogli l'occhiolino,
conscio che, in realtà, un po' permalosi lo erano davvero
loro due.
Max ci pensò su un attimo. "Certo che no!"
concordò, poi, con un sorriso. Si girò verso lo
zio e gli puntò un dito contro. "Giura che non mi chiami
più nano!" pretese, piantandosi le mani sui fianchi e
guardandolo battagliero.
"Prometto! Prometto!" asserì velocemente l'uomo.
Max guardò nuovamente il padre, che annuì sempre
più divertito. Era uno spasso vedere Will alle prese con la
sua fobia.
Il bambino decise di avere pietà dell'uomo pallido che stava
iniziando a sudare copiosamente, riprendendosi il peluche per portarlo
in camera sua.
Will emise un sospiro di sollievo, che gli si bloccò in gola
quando Max si girò, un'ultima volta, prima di uscire.
"La prossima volta te le metto sul cuscino mentre dormi!" lo
minacciò con l'indice.
Will emise un verso strozzato e stava per ribattere, quando il
campanello della porta di casa suonò.
"Vado ioooo!" urlò il piccolo, volatilizzandosi.
"Hobbit!" sussurrò Will, stremato, scivolando lungo la
parete ed accasciandosi sul letto. "Vi odio entrambi!"
precisò, guardando l'amico che, ridendo senza ritegno,
usciva dalla stanza, scoccandogli un bacio volante.
Max corse alla porta, la aprì e guardò l'uomo dai
capelli biondi davanti a lui.
"Ciao Maxwell!" lo salutò, sorridendo, quest'ultimo.
"Ehm.. a dire il vero mi chiamo Max. Chi sei?" chiese il bambino,
piegando la testa, incuriosito.
"Mi chiamo Jace. Tuo padre è in casa?" domandò
l'adulto.
"Papàààà c'è un
signore che ti vuole!" chiamò, ad alta voce, il piccolo.
Magnus li raggiunse ed esclamò un allegro "Salve!" appena
vide il biondino alla porta.
"Salve! Lei è il signor Bane?" chiese lo sconosciuto.
"In persona! Sono Magnus!" sorrise, allungando la mano. "Cosa posso
fare per lei?".
"Beh.. restituirmi mio nipote sarebbe già un buon inizio!"
rispose, ironico, il biondo, stringendogli saldamente la mano.
Magnus aggrottò le sopracciglia. "Suo nipote?" chiese
perplesso.
Jace annuì. "Magnus.. posso chiamarti Magnus, vero?"
domandò e, senza attendere risposta, proseguì.
"Sono Jace Lightwood," si presentò, "e sono qui per
riportare, in America, lui." disse indicando il bambino. "Maxwell
Lightwood."
Il sorriso di Magnus si spense in un soffio ed i ricordi di quel
periodo, che credeva ormai sepolti in qualche cassetto sperduto della
memoria, tornarono improvvisamente ad affollargli la mente. Il sangue,
la corsa a perdifiato, Lydia.
Gli si mozzò il respiro e guardò scioccato l'uomo
davanti a lui. Chi era? Da dove veniva? Cosa voleva? Come aveva fatto a
rintracciarlo?
Avrebbe potuto reagire in modo maturo ed invitare quel tizio a
spiegarsi meglio, ma tutto ciò che riuscì a fare
fu sbattergli la porta in faccia, talmente forte che per poco non
crollò il soffitto.
"Papà? Papà, cosa vuole da te quel signore? E
perchè mi ha chiamato Maxwell Lightwood?" chiese il figlio,
allarmato, tirandogli la mano.
Will, attirato dal rimbombo della porta chiusa con violenza,
arrivò nell'ingresso ed osservò i due, confuso.
"Che succede?" domandò, mentre il campanello
tornò a suonare nuovamente. "Chi c'è?" chiese
ancora, indicando, con un cenno della testa, la porta.
"C'è un signore che vuole portami via!" disse Max, tremando.
"Perchè vuole portarmi via, papi?" chiese al padre, tornando
a scuoterlo.
"Magnus?" lo chiamò Will, preoccupato e scuotendolo per una
spalla. "Magnus cosa succede?"
"E' finita.." riuscì solo a sussurrare l'uomo, mentre una
lacrima scivolava lungo la guancia.
Jace si allargò, sbuffando, il colletto della camicia
inamidata e tentò di allentare, il più possibile,
il nodo alla cravatta. Anche se la indossava quasi ogni giorno, odiava
metterla. Era uno strumento di tortura a cui non avrebbe mai fatto
l'abitudine.
Si sistemò, a disagio, sulla sedia, mentre il plotone di
esecuzione, parato davanti a lui, non lo perdeva di vista un secondo.
Tessa, Jem e Will, infatti, lo fissavano, a braccia conserte, truci e
con fare accusatorio.
Jace era sempre stato un tipo spavaldo e sicuro di sè,
eppure quel trio riusciva a metterlo in soggezione con un solo sguardo.
Assurdo! Come se fosse lui a doversi sentire in colpa e non l'uomo
stravagante, che si trovava nell'altra stanza con suo nipote. Era quel
tizio ad essere un bugiardo, non lui!
Perchè, quindi, quei tre lo stavano guardando come se
stessero pensando di farlo fuori, per poi nascondere il suo cadavere in
qualche luogo isolato?
Sì, era piombato nella loro vita con una notizia bomba, ma
non era colpa sua se l'uomo con la cresta aveva accuratamente nascosto,
fino a quel momento, di non essere il padre naturale del bambino!
"Uhm.. e così vivete tutti insieme, eh? Com'è
vivere a Londra? Mi ha sempre affascinato questa città, ma
non deve essere facile!" iniziò a blaterare, nel tentativo
di avviare un minimo di conversazione e rompere quel silenzio
imbarazzante. "Voglio dire, piove sempre ed è umido.. il che
non gioverebbe affatto ai miei capelli!" esclamò
preoccupato, afferrando ed osservando un ciuffo, "Ma comunque sono uno
che si abitua in fretta e si adatta a qualsiasi situazione." sorrise
orgoglioso.
I tre non emisero un suono, ma gli sembrava che, ora, lo stessero
guardando ancora più in cagnesco.
Jace si torturò nuovamente il colletto della camicia, prima
che finalmente Magnus tornasse in salotto con Max tra le braccia e
saldamente ancorato al suo collo. Si sedettero sul divano davanti a
lui, guardandolo male.
L'uomo era un disastro: il trucco si era sciolto, a causa delle
lacrime, e donava al suo viso un'aria grottesca. Nonostante
ciò, Jace dovette ammettere che continuava a rimanere
affascinante. Ed era strano per lui ammettere questo, visto che si
riteneva l'uomo più bello al mondo.
Max non era messo meglio: gli occhietti rossi, ed il fatto che
continuasse a tirare su con il naso, era indice che doveva aver pianto
per un bel po' prima di riuscire a calmarsi.
"Spiegati." ordinò, secco, Magnus.
"Sono Jace Lightwood.."
"Sì, questo lo so. Voglio sapere il resto!"
Jace si agitò sulla sedia. "Ok, prima di tutto mi dispiace!"
iniziò, tentando di dissipare l'aria pesante che si
respirava là dentro. "So che non è una situazione
facile. Mi dispiace essermi presentato in quel modo avventato, prima, e
non era mia intenzione sconvolgervi, ma è importante che
capiate una cosa! Ho l'ordine tassativo di riportare indietro Max e non
me ne andrò da qui senza di lui!" concluse serio, guardando
le cinque persone davanti a lui.
"Tu non porti Max da nessuna parte!" lo fulminò Magnus,
gelido. "E non ho ancora visto un documento che attesti ciò
che hai detto prima."
"Mi basterebbe mostrarti una foto di Alec per dimostrarti che non
mento!" sorrise Jace, facendo spallucce.
"Chi è Alec?" chiese Magnus, guardingo.
"Alec è mio fratello e.. suo padre." asserì,
indicando con la testa Max.
"E' lui il mio papà!" protestò il bambino,
stringendosi ancora di più al genitore.
"E' vero." sorrise il biondo, "Ma hai anche un altro papà e,
credimi, sei la sua miniatura!" esclamò, mentre il sorriso
si ampliava ulteriormente.
"Beh non lo voglio conoscere! Mi basta il papà che ho
già!" protestò il piccolo.
"Max, per favore, vai con gli zii a prendere un gelato? Io devo parlare
con questo signore." gli sussurrò all'orecchio, dandogli poi
un bacio sulla guancia.
"Ok.." concesse, per niente convinto, il figlio.
Magnus fece un cenno d'intesa agli amici, che annuirono. Prima di
andarsene, con Max al seguito, lanciarono allo sconosciuto un'ultima
occhiataccia fulminante che fece venire a Jace un brivido lungo la
schiena.
"Perchè ora?" chiese Magnus, quando il figlio non era
più a portata d'orecchio, andando direttamente al sodo.
"Non sono autorizzato a divulgare i dettagli." rispose Jace.
"Otto anni. Sono passati otto anni e quest'uomo si ricorda di avere un
figlio solo ora?" domandò l'uomo, iniziando ad irritarsi.
Jace si rabbuiò. "Non lo sapeva."
Magnus lo guardò sorpreso, poi rise scuotendo la testa. "Ti
assicuro che la gravidanza di Lydia non passava inosservata!"
"Alec non c'era.." si lasciò sfuggire Jace.
"Non c'era.. non sapeva.. Questo Alec
è come le tre scimmiette! Non vede, non sente, non parla!"
rise ironicamente Magnus. "E dove era andato? A prendere le sigarette?
Per Lilith, per averci messo otto anni e nove mesi, ha fatto un giro
davvero lungo per tornare a casa! Che ha fatto? Il giro del mondo in
bicicletta?" continuò sarcastico.
"Non sono.."
"Autorizzato a divulgare i dettagli. Sì, l'hai
già detto, ma non ti lascierò portare mio figlio
chissà dove, da chissà chi, senza una spiegazione
plausibile." asserì, caparbio, Magnus.
"A sua discolpa, posso dire che Alec non si è svegliato ieri
mattina con la consapevolezza di avere un figlio. Non lo sapeva! E
quando ne è venuto a conoscenza, ti assicuro che non
è stato facile localizzarvi! Ci sono voluti mesi per trovare
la pista corretta ed arrivare fin qui! Un anno e mezzo, per la
precisione. Lydia sparì nel bel mezzo della notte, senza
lasciare nessun indizio. Nessuno sapeva dove era andata!"
confessò.
"Perchè sei qui?" chiese Magnus.
Jace lo guardò stranito, non riuscendo ad afferrare il senso
di quella domanda. Pensava di essere stato abbastanza chiaro. "Per
riportare a cas.."
"No, voglio sapere perchè questo Alec"
sputò fuori Magnus, "ha mandato te! Perchè non
è venuto lui?" chiese, severo.
"E'.. ecco.. è un uomo piuttosto impegnato e.."
"Oh quindi il signore
è troppo impegnato per presentarsi di persona! Caspita, deve
tenerci davvero tanto a rivedere Max! Già." si
irritò Magnus.
Come si permetteva, quell'uomo, di snobbare Max, dopo che ne era venuto
a conoscenza? Magnus sentì un'ondata di odio invadergli le
vene. Non solo questo Alec Lightwood avanzava pretese dopo otto anni,
ma non si era neanche preso il disturbo di venire personalmente. Chi si
credeva di essere?
"Abbiamo un caso piuttosto ostico e.."
"Un caso?" interruppe, nuovamente, Magnus.
"Sì. Siamo avvocati e.."
"Un avvocato?" sputò, incredulo, l'uomo.
Perfetto! Davvero davvero perfetto! Non solo quell'individuo gli aveva
sconvolto la vita, ma era pure un avvocato succhiasangue! Magnus
sentiva di odiarlo ancora di più.
"Sì, in famiglia lo siamo praticamente tutti ed Alec non
è potuto venire perchè nel bel mezzo di una delle
nostre cause più importanti. Così ha mandato me!"
sorrise Jace.
"Sì, il cavalier servente dalla lucente armatura!"
sbuffò, sarcastico, Magnus. "Mostramelo!" ordinò
perentorio.
"Cosa?" chiese Jace, smarrito.
"Tuo fratello! Hai detto che Max gli somiglia, no? Dovrai pur avere una
sua foto!" pretese, arrabbiato.
L'avvocato tirò fuori il cellulare, ci trafficò
un attimo e poi gli mostrò l'immagine di un uomo,
bellissimo, ammise controvoglia Magnus, che assomigliava davvero tanto
a suo figlio. Capelli neri come la notte, pelle diafana e due
incredibili occhi blu. Il biondino aveva ragione: Max era la miniatura
di quello stronzo!
"Senti Magnus, lo sai che basterebbe un semplicissimo esame del dna per
dimostrare la paternità di mio fratello.. nel caso la
somiglianza fisica non fosse abbastanza ovvia." disse Jace, ironico.
L'uomo, per tutta risposta, sbuffò, scuotendo la testa.
Nonostante l'atteggiamento per nulla collaborativo del tizio davanti a
lui, Jace non demorse. "Che ne dici di venire con noi? Così
potrai vedere con i tuoi occhi che Alec è un uomo per bene e
che Max è in buone mani."
"Mio figlio non va da nessuna parte!" urlò Magnus,
alzandosi. "Fuori di qui!" ordinò, puntando l'indice contro
la porta.
"Magnus.."
"Ho detto: FUORI DI QUI!" gridò l'uomo.
Jace sospirò e si alzò dalla sedia. "Alloggio
all'hotel Savoy." lo informò. "Per favore, chiamami quando
ti sarai calmato." lo pregò, consegnandogli il proprio
biglietto da visita.
Non appena il ragazzo uscì dall'appartamento, Magnus
afferrò un cuscino del divano e lo tirò contro la
porta, irritato. Non sarebbe mai successo: nessuno l'avrebbe mai
separato da suo figlio. Quei Lightwood sarebbero dovuti passare sul suo
cadavere e, ne era certo, su quello dei suoi amici, per prendersi Max.
Tessa rientrò poco dopo, trovando l'amico che, nervoso,
misurava l'appartamento a grandi passi.
"Ciao." lo salutò la donna.
Magnus si bloccò nel mezzo della stanza. "Ciao..
Dov'è Max?"
"I ragazzi l'hanno portato al parco." sorrise. "Allora.. vuoi
raccontarmi?" chiese, prendendolo per mano e sedendosi con lui sul
divano.
L'uomo guardò l'amica, sospirò per l'ennesima
volta, e vuotò il sacco, raccontandole di quello che aveva
visto nella casa di Morgenstern, dell'incontro con Lydia, del viaggio e
di come era diventato il padre di Max.
"Mags.. se questo Alec Lightwood vuole indietro suo figlio, non
c'è niente che tu possa fare. Ti trascinerà in
tribunale e, se questo succederà, sinceramente non credo tu abbia molte
possibilità di avere l'affidamento di Max." gli disse
dolcemente.
"Ma se Lydia si è allontanata da quell'uomo, ci deve essere
un motivo, no?" provò Magnus, angosciato. "Ci deve essere un
modo per non dargliela vinta!"
"L'hai detto anche tu, non conosci i dettagli e non sai niente del
passato di quella donna. Potrebbe essere che quell'avvocato ti abbia
detto la verità e che suo fratello non sapesse davvero di
avere un figlio." disse Tessa, pensosa.
"Questo non gli da il diritto di avanzare pretese dopo otto anni e.."
"Mags" gli disse, stringendogli la mano. "prova a metterti nei suoi
panni! Se scoprissi di essere padre, non faresti di tutto anche tu per
ricongiungerti a tuo figlio?"
"Ma se non ha avuto neanche la decenza di presentarsi di persona!"
"Devi pensare a cosa è meglio per Max e.."
"IO sono il meglio per Max!" protestò, caparbiamente,
Magnus. "Cosa dovrei fare? Eh? Lasciare che questo Jace prenda mio
figlio e se lo porti via? Non se ne parla!"
Tessa respirò profondamente. "Hai le mani legate, Magnus.
Non sei suo padre e, anzi, ti sei finto tale! Nessun giudice ti
darà mai ragione, ma" continuò la donna "Se torni
in America e, insieme a Max, andate a conoscere questo Alec Lightwood,
forse potresti trovare un accordo per l'affidamento!" gli
consigliò.
Magnus scosse la testa e si alzò per dirigersi in camera
sua.
Si buttò sul letto, tentando di calmarsi. Sapeva che Tessa
aveva ragione, ma non era disposto a perdere Max per un bellimbusto che
non faceva neanche il minimo sforzo per venire a conoscere suo figlio
di persona. Se quello stronzo pensava di portarglielo via, come se
niente fosse, si sbagliava di grosso. Avrebbe lottato con le unghie e
con i denti pur di tenersi suo figlio.
Alec Lightwood ancora non lo sapeva, ma si sarebbe pentito amaramente
di avergli stravolto la vita.
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
New York, oggi
Alec Lightwood osservò, cupo, lo skyline che si stagliava di
fronte a lui, torturandosi le mani dietro la schiena: la causa
attualmente in corso gli stava prosciugando la pazienza e tutte le
energie a sua disposizione.
La ciliegina sulla torta, in quell'enorme calderone d'irritazione, era
che Jace non era ancora rientrato ed era a corto di personale. Lo aveva
rimpiazzato provvisoriamente con degli stagisti, che a malapena
sapevano trovarsi il sedere, giusto per tentare di tamponare la sua
assenza, ma aveva bisogno di lui il prima possibile.
Emise un respiro profondo ed espirò dal naso, spazientito,
assottigliando lo sguardo perso nel vuoto.
Gli aveva sbraitato, in più di un'occasione, di tornare
perlomeno entro il fine settimana, ma lui faceva orecchie da mercante e
rimaneva sul vago quando, durante le loro telefonate, gli chiedeva la
data precisa del rientro. Per l'angelo, che ci voleva a pigliare il
ragazzino, metterlo su un aereo e riportarlo a casa? Era passata
più di una settimana! Cosa cazzo stava combinando in
Inghilterra? Il tempo per inviargli delle foto, condite da commenti
frivoli e, soprattutto, non richiesti, l'aveva trovato però!
Diede le spalle al panorama al di là del vetro,
ficcò le carte che, prima di alzarsi, stava studiando, e su
cui stava ammattendo, dentro alla sua valigetta ventiquattrore e si
apprestò a lasciare lo studio per tornare a casa.
Uscito dalla stanza, si guardò attorno ed acuì
l'udito: niente. Emise un sospiro di sollievo, ma, proprio quando
credeva di averla fatta franca, Isabelle lo intercettò
all'ingresso.
"Ehi, aspettami!" gli gridò, mentre camminava spedita
nonostante la gonna a tubino e i vertiginosi tacchi a spillo.
Alec si bloccò sui suoi passi, sospirò
leggermente ed attese che la sorella lo raggiungesse. Non che non
amasse lei e la sua presenza, ma aveva la tendenza a diventare
estremamente straripante quando riusciva ad agganciarlo.
Tutto quello che voleva fare lui, invece, era arrivare a casa, farsi
una doccia e tornare a leggere la documentazione della causa in corso.
"Ceniamo insieme questa sera?" gli propose, allegra. "Simon sta
preparando delle leccornie deliziose e.."
"Scusa, ma sono stanco e preferisco andare a casa." la
bloccò lui.
Le voleva davvero bene, questo era vero, ma i sentimenti che provava
nei confronti del suo fidanzato erano tutt'altra faccenda. Secondo il
suo parere, quel ragazzo di modesta estrazione sociale era una palla al
piede e non era neanche particolarmente brillante. Alec non aveva
davvero idea di cosa ci trovasse la sua bellissima ed intelligente
Isabelle in quel nerd noioso ed occhialuto che adorava ciarlare del
nulla cosmico. Stare in sua compagnia, anche solo per cinque minuti,
gli garantiva sempre un'emicrania fulminate. Non aveva propria voglia,
quindi, di doverselo sorbire per un'ora e più.
"Oh andiamo!" protestò lei, prendendolo a braccetto. "Non ti
stanchi mai di mangiare sempre da solo, in quell'enorme casa vuota?"
"Non sono da solo." la corresse lui, impassibile. "C'è
Hodge." le disse ovvio.
"Per l'angelo, Alec!" protestò lei, con una smorfia. "Come
fa a non darti i brividi quell'uomo? Ti fissa senza dire una parola,
finchè non hai finito di mangiare! Non lo trovi
inquietante?" gli chiese, preoccupata.
Alec fece spallucce. "E' il suo lavoro." rispose laconico.
"Puntarti come un falco, per sparecchiare alla velocità
della luce non appena hai ingurgitato l'ultimo boccone, lo chiami
lavoro?" scosse la testa lei.
"Lo pago anche per quello, sì." rispose lui, facendo
nuovamente spallucce.
Erano arrivati alle proprie auto ed Alec schiacciò il
pulsante della chiave per aprire la sua.
"Ok, ci vediamo domani!" le disse, gettando la valigetta dentro l'auto.
Se la salutava velocemente, senza darle il tempo di ribattere, forse
riusciva ad evitare le solite lamentele su quanto si frequentassero
sempre meno.
"Oh.. ok.." sospirò Isabelle.
La delusione nella sua voce era lampante, ma Alec finse di non notarla.
Salì in macchina e partì a razzo, allontanandosi
da lei e dal suo broncio infantile, che sfoggiava sempre quando voleva
ottenere qualcosa.
Sapeva di essere in difetto ed era consapevole che i fratelli
soffrivano del suo atteggiamento freddo e distaccato, frutto di un duro
lavoro paterno che l'aveva portato, fin da piccolo, ad agire in modo
razionale e privo di emozioni. Loro però non avevano sulle
spalle la gestione dell'attività di famiglia nè
avevano responsabilità che li opprimevano. Non che Alec si
sentisse così.. non sempre almeno (e, anche quando
succedeva, reprimeva con forza quei sentimenti dentro di sè).
Ora che il capostipite era morto, Jace ed Izzy lo supplicavano spesso
di sciogliersi un po', ma Alec non ne aveva nessuna intenzione. Aveva
una routine che viaggiava su binari sicuri e privi di scossoni:
casa-lavoro, lavoro-casa. Era un trantran confortante e consolidato che
non desiderava modificare.
L'unico svago che si concedeva lo teneva nascosto agli occhi del mondo.
Neanche i suoi fratelli ne erano a conoscenza. Soprattutto loro. Alec
tremava all'idea che, un giorno, il suo sporco segreto venisse alla
luce, distruggendo la sua immagine perfetta.
Londra, oggi
"Ora, dimmi questa a cosa ti serve!" pretese di sapere Jace, sbuffando
sonoramente. "Ne hai già messe in valigia dieci! Dieci,
Magnus! D.I.E.C.I.!"
"Sei serio?" chiese sbalordito quest'ultimo. "Per Lilith, speravo che,
almeno tu, mi capissi!" sospirò sconsolato, scuotendo la
testa. "E' sconfortante vedere che sono l'unico, qua dentro, ad avere
un minimo di gusto per la moda!"
"Tu quella la chiami moda?"
sputò, schifato, Will che era seduto sul letto.
"Taci!" lo apostrofò Magnus. Osservò poi la sua
giacca leopardata, oggetto di discussione, con occhi adoranti. "Ohhh, ma chérie,
che vuoi che ne sappiano questi due buzzurri di cosa è
fondamentale indossare nella vita?"
Jace si guardò attorno, stranito. "Sta.. sta parlando con la
giacca?" chiese allibito.
Tessa fece spallucce. "Lo fa spesso. Ci farai l'abitudine!" sorrise,
facendogli l'occhiolino.
Il biondo riuscì solo ad annuire, dubbioso.
Era passata più di una settimana e lui si trovava ancora in
Inghilterra. Tremava all'idea di rientrare a casa. Era certo, infatti,
che Alec l'avrebbe ucciso ed esposto il suo corpo nell'ingresso della
società, come pubblico monito per aver osato ignorare i suoi
ordini.
Sospirò. Non era colpa sua, ma dell'uomo con la cresta che,
in quel momento, era seduto su di una valigia enorme e stava tentando
da diversi minuti di chiuderla.. dopo averci ficcato dentro l'intero
contenuto di un armadio!
"Magnus, devi lasciare qui qualcosa." gli consigliò Jem.
"Mai!" protestò l'uomo, deciso. "Ho bisogno di tutto. Tutto,
capite? Come posso lasciare qui anche un solo capo? E se poi mi serve?
No! Devo portare tutti i miei vestiti!" annuì convinto.
"Dovresti noleggiare un aereo privato per riuscire a farci stare tutta
quella roba!" lo prese in giro Will.
Magnus lo fulminò con lo sguardo. "Quando avrò
bisogno di un tuo parere, stai pur certo che te lo
chiederò!" brontolò, mentre saltellava sulla
valigia per chiuderla.
Jace si buttò sul letto, a braccia aperte, e lo
guardò sconsolato. Non ci sarebbe mai riuscito e, di questo
passo, avrebbero messo piede sul suolo americano tra un anno!
"Magnus, la romperai.." gli fece notare Tessa, dopo aver sentito un
rumore sospetto provenire dalla valigia.
L'uomo smise di spingere e guardò arrabbiato sotto di lui.
"Chiuditi, stronza! Perchè non ti chiudi? Eh?" chiese,
riprendendo a saltellare.
Dopo cinque saltelli, un sonoro crac sorprese tutti quanti.
Magnus si alzò, sbalordito. "Non posso crederci! Si
è rotta sul serio! Che è? Mi stai forse dicendo
che sono grasso? Eh? Guarda carina
che sono un fuscello!" esclamò offeso, dandole un calcio.
"Te l'avevo detto io!" sospirò Tessa. "Will, vai a prendere
l'altra valigia, mentre Magnus questa volta sceglie davvero cosa
portare e cosa no." disse, guardandolo severa.
"Te l'ho già detto! Mi serve tutto e.."
"Magnus non essere ridicolo! Cosa te ne fai di venti paia di jeans? Eh?
E di trenta camicie? E le scarpe? Magnus non puoi portarti un centinaio
di scarpe!"
"Ma ne ho bisogno!"
"Non è vero! Scegli al massimo cinque cose di tutto e basta!"
Magnus la guardò, spaesato. "Cinque? Ma.. ma.. ma io..
come.. come posso sopravvivere con così poco?"
balbettò, "Non so, dimmi di indossare solo le mutande, no?"
"Forse sto per darti una notizia scioccante," si intromise Jace, "ma ti
assicuro che abbiamo vestiti e scarpe anche in America eh!"
"Ma ho bisogno dei miei!" rispose petulante l'uomo. "Poi che
lì faccia shopping, è un altro paio di maniche!"
precisò, sventolando la mano.
"Magnus abbiamo solo un'altra valigia." gli fece notare Tessa,
pizzicandosi la radice del naso e sospirando profondamente. "A meno che
tu non voglia svuotare quella di Max e farlo poi andare nudo in giro
per New York, ti consiglio caldamente di scegliere le cose basilari e
basta!"
"Ohhh e va bene!" sbuffò contrariato l'amico. "Ma vi avverto
che mi ci vorrà del tempo! E non azzardatevi a mettermi
fretta!" puntualizzò, minacciandoli con l'indice.
Dopo tre giorni di sofferenza, grida, pianti e brontolii vari,
finalmente la valigia di Magnus era pronta e Jace potè
chiamare Isabelle per avvertirla che quel giorno sarebbe tornato a casa.
Telefonare ad Alec era fuori questione. L'aveva contattato il giorno
prima e, oltre ad avergli spaccato un timpano con le sue urla, Jace, ad
un certo punto, aveva sentito solo silenzio e aveva seriamente pensato
che gli fosse venuto un infarto mentre gli stava dicendo che, no, non
sapeva ancora quando sarebbe rientrato.
Il biondo ridacchiò, pensando a suo fratello e all'uomo con
la cresta che, attualmente, si trovava nella propria camera da letto
perchè doveva salutare tutte le sue cose.
Temeva e, allo stesso tempo, agognava l'attimo in cui Alec avrebbe
incontrato Magnus: giorno e notte o sole e luna nello stesso luogo e
nello stesso momento. Uno spettacolo unico.
"Ok sono pronto!" annunciò Magnus, entrando in salotto,
distogliendo Jace dai suoi pensieri.
Quando quest'ultimo lo vide, rise divertito.
"Magnus.." lo ammonì, invece, Tessa.
"Che c'è? Non c'è scritto da nessuna parte che
non si può fare!!" protestò lui.
"Oh per l'amor del cielo! Non puoi presentarti all'aeroporto conciato
come Bibendum! (ndr. l'omino Michelin) Al check-in ti bloccano di
sicuro!"
L'uomo aveva indossato, infatti, quanti più capi possibili
e, mentre tentava faticosamente di raggiungere il divano, con gli abiti
che gli impedivano di muoversi agilmente, camminava ed oscillava come
un pinguino.
"No, ho controllato! Non c'è nessuna legge che lo vieta!" le
disse, testardo.
Jace lo studiò, con un grande sorriso sulle labbra. "E come
pensi di raggiungere l'aeroporto? Rotolando?" chiese, punzecchiandolo
con un dito.
"Sai, fossi in te non farei molto lo spiritoso. Duck Fener è
nello zaino di Max, pronto all'uso." ribattè tagliente
l'uomo.
Jace e Will sbiancarono nello stesso momento. Magnus aveva scoperto che
anche il biondino, proprio come il suo amico, aveva un'enorme fobia per
le anatre. Mentre Max stava giocando con il suo pupazzo, infatti,
l'americano si era accorto del peluche ed aveva mollato un urlo, che di
virile non aveva davvero niente, ed era corso in bagno, chiudendocisi
dentro a chiave. Quando Will ne era venuto a conoscenza, era corso da
Jace e l'aveva abbracciato stretto stretto, dandogli pacche sulla
schiena, felice di aver trovato qualcuno con la stessa paura.
"Ok, allora se sei sicuro di venire via così.. andiamo!"
sviò Jace, tentando di riprendere colore.
Magnus annuì convinto, allargando le braccia per permettere
a Tessa di abbracciarlo, mentre Max veniva spupazzato dagli zii.
"Fai il bravo!" sussurrò lei, con gli occhi lucidi.
"Quando mai non lo faccio?" sorrise Magnus, abbracciando poi anche i
due amici.
"Chiamaci ok?" gli disse Jem. "E comportati bene!"
L'uomo ridacchiò ed annuì nuovamente, mentre un
brivido di apprensione, ma anche di eccitazione ed aspettativa, lo
percorse tutto.
Tornava a casa.
New York, oggi
Isabelle si alzò sulle punte, tentando di vedere oltre la
fiumana di gente che si stava riversando fuori dalla zona arrivi.
"Lo vedi?" chiese a Simon, che era più alto di lei ed aveva
meno difficoltà ad adocchiare la criniera bionda di Jace.
"No.. Oh aspetta! Eccolo! Uhm.. no.. non è lui." si
corresse, continuando a scrutare la folla.
"Uff! Si può sapere dov'è finito?" si
lamentò la ragazza, spazientita.
"Forse ha deciso di posticipare il rientro?" ipotizzò il
fidanzato.
"No, me l'avrebbe detto e.."
"Iz, non.. non è lui quello?" chiese Simon, incerto, mentre
indicava un biondino che stava arrancando con due bagagli,
all'apparenza davvero pesanti, e con qualche vestito gettato sulle
spalle e sulla testa.
"S-sì.. almeno credo." rispose Isabelle, osservando
sbalordita il fratello.
In quasi vent'anni che lo conosceva, non l'aveva visto mai in versione
facchino. Di solito era lui, infatti, a convincere gli altri a fargli
da mulo.
Jace arrivò, davanti alla sorella e al cognato,
completamente stravolto, scaricando di peso le valigie ai loro piedi.
"Chi cazzo ha inventato i vestiti? Eh?" chiese, esasperato, senza
neanche salutarli. "Per l'angelo, l'uomo delle caverne sì
che sapeva il fatto suo! Una foglia di fico o qualche pelle di animale
e via!"
"Ehm.. tutto ok?" chiese, perplesso, Simon.
"Ti pare che sia tutto ok?" rispose tagliente il biondo. "Ho dovuto
trasportare le sue valigie, da ventitre chili l'una.. V.E.N.T.I.T.R.E.
chili l'una, già! Ohhh vi state chiedendo "Ma come? Una
valigia non è di Max? Come può pesare
così tanto la valigia di un bambino?". Beh, ve lo dico io
come!! Perchè sua
maestà ci ha ficcato dentro altri suoi vestiti,
ecco come! Will me l'aveva detto di stare attento, ma no! Io mi sono
fidato ed è riuscito a fregarmi alla grande!"
esclamò stralunato. "E non è tutto!"
continuò, agitando le mani sopra la testa, "Siccome quaranta
chili di roba sua non erano abbastanza, ha indossato quanti
più abiti possibili. Ci credereste? No? Questa"
sibilò, togliendosi una maglietta gialla dalla testa, "l'ha
dovuta portare perchè, e qui cito le sue testuali parole, la mia essenza esige questo
splendore! Ma vi pare normale? Eh? Poi, visto che
rischiava un colpo apoplettico, ha fatto lo spogliarello in aereo e,
una volta scesi, me li ha gettati addosso!"
"Ehm.. Jace.." tentò di intromettersi Isabelle, in quel
sproloquio senza senso.
"Ah! E non è tutto!! Ci sono anche i due bagagli a mano da
otto chili l'uno! Per l'angelo, mi dite cosa cazzo ci fa un uomo con
circa sessanta chili di cianfrusaglie? Eh? Ditemi cosa ci fa!"
urlò, sull'orlo della crisi isterica.
"Ne ho bisogno!" rispose una voce decisa alle sue spalle. "Smettila di
lagnarti!"
Jace digrignò i denti. "Sua
maestà!" disse sbrigativo, indicando con il
pollice dietro di lui, mentre faceva scrocchiare il collo indolenzito.
Isabelle e Simon guardarono oltre Jace e trattennero il respiro,
sbalorditi. Un uomo li stava osservando, sorridendo, mentre sorreggeva
due bagagli a mano e decine di vestiti sparsi un po' ovunque.
Magnus mollò le due valigie ed afferrò la mano di
Isabelle. "Magnus Bane. Enchanté!" le disse, baciandole la
mano.
"E' mia sorella. Ed è fidanzata." lo apostrofò
Jace, osservandolo truce e con le mani sui fianchi.
Magnus liquidò la protesta sventolando la mano.
"Isabelle Lightwood!" si presentò, ridacchiando divertita.
Quel tipo le piaceva ed era uno degli uomini più belli che
avesse mai visto: alto, moro e con i capelli tirati su in una cresta
colorata d'azzurro, pelle caramellata, truccato, pieno zeppo di
chincaglieria ad orecchie, collo e mani (in un angolo della sua mente,
la ragazza si chiese distrattamente quanto ci avesse impiegato per
togliersi e rimettersi tutto al momento del passaggio sotto il metal
detector) e vestito con degli abiti talmente aderenti che tanto valeva
girasse nudo, visto quanto poco spazio lasciavano all'immaginazione.
"Ehm.. Salve! Sono Simon, il suo fidanzato!" esclamò il
ragazzo, comparendo nel loro campo visivo.
"Piacere di conoscerti, Samuel!" sorrise Magnus.
"Ehm.. Simon. Mi chiamo Simon.."
L'uomo liquidò la lamentela con un'altra sventolata di mano.
"Dov'è Max?" chiese di punto in bianco Jace, sbiancando e
guardandosi attorno. Oh cielo, il bambino! Dov'era finito il bambino?
Non erano ancora usciti dall'aeroporto e l'avevano già perso!
"Tranquillizzati biondino!" esclamò Magnus. "Si sta facendo
insozzare di bava da quel cane." disse, indicando il figlio che rideva
beato mentre un grosso terranova nero lo leccava con entusiasmo.
"Maaax! Dobbiamo andare!" lo chiamò.
Suo figlio salutò l'enorme bestione e corse in direzione del
padre, fiondandosi poi tra le sue braccia.
Magnus lo sollevò. "Ok, non baciarmi ancora, per favore!"
rise. "Salviette umidificanti!" ordinò poi a Jace,
porgendogli la mano perchè gli consegnasse quanto richiesto.
"Ti sembro la tua domestica?" chiese stizzito quest'ultimo.
"Per Lilith, sei una lagna continua! Su, muoviti! Sono dentro allo
zaino di Max." sbuffò, rivolgendosi poi ad Isabelle. "Ma fa
sempre così? Si lamenta per ogni cosa!"
Isabelle era troppo concentrata a guardare il bambino, per dar retta ai
due adulti che stavano battibeccando. "Per l'angelo! E' davvero Alec in
miniatura!" sussurrò.
"Tzè! Mio figlio è molto più bello!"
decretò Magnus, prima che Jace spiazzasse tutti con un urlo
scioccato, mollando poi di peso lo zaino ed allontanandosi da esso come
se ne andasse della sua stessa vita.
"Che c'è?" chiese preoccupata Isabelle.
"Scusa biondino! Avevo dimenticato che là dentro
c'è Duck Fener." sghignazzò Magnus. "Il pupazzo a
forma di papera di Max." spiegò alla ragazza che osservava
sempre più perplessa il fratello.
"Ti odio!" sibilò Jace, rosso in viso, continuando a
mantenersi ad una certa distanza dallo zaino.
"Ohhh sappiamo entrambi che, in realtà, sei pazzo di me!"
rise l'uomo, scoccandogli un bacio con le dita e soffiandolo nella sua
direzione.
Mentre Jace inorridiva, Magnus pensò che, tutto sommato, non
era poi così male tornare a casa.
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
New York, oggi
Un leggero bussare interruppe le urla concitate, che si sentivano al di
là della porta della sala riunioni.
"Avanti!" gridò infastidito Alec, lasciando andare uno
sbuffo irritato.
La riunione che aveva indetto non stava andando affatto come previsto e
nessuno fin'ora era riuscito a cavare un ragno dal buco, nonostante per
quel caso importante avesse scelto validi collaboratori. Non sapeva
più dove sbattere la testa, per trovare una soluzione.
Isabelle entrò nella stanza e sorrise al gruppetto, che la
stava guardando adorante e grondante gratitudine.
Gli avvocati, infatti, accolsero quell'interruzione come una
benedizione. Erano rinchiusi là dentro da almeno due ore, il
capo stava sbraitando praticamente da quando erano entrati e, quel che
era peggio, non sembrava intenzionato a terminare tanto presto.
L'arrivo della bellissima Lightwood era, quindi, un'ancora di salvezza
insperata.
"Buongiorno a tutti!" salutò, allegra, la ragazza. "Alec,
Jace è tornato!" lo informò.
"Alla buon'ora!" borbottò. "Dov'è?" chiese
impaziente, guardando la porta e sperando di vederlo magicamente
apparire.
"Nel tuo ufficio!"
"Ok, qui riprendiamo più tardi." comunicò ai
presenti, prima di dirigersi, a passo di marcia, fuori dalla stanza per
incontrare il fratello.
Camminò spedito per il corridoio e quando intravide Jace,
che lo stava stranamente aspettando davanti alla porta chiusa del suo
ufficio, anzichè all'interno, prese un bel respiro, pronto a
fargli la ramanzina del secolo.
Il fratello alzò le mani, sulla difensiva. "Ti prego,
lasciami spiegare prima di iniziare a brontolare."
"Perchè?" chiese Alec, arrestandosi davanti a lui. "Jace
sono quasi due settimane che sei via e siamo nella melma più
totale con il caso! Non abbiamo fatto un progresso che sia uno, mentre
tu ti sei divertito a fare l'allegro viaggiatore!" iniziò a
gridare.
"Guarda che non è stato uno spasso, come pensi!" si difese
il fratello. "E' stato piuttosto stressante, a dirla tutta."
"Stress..? Tu
ti sei stressato?" gracchiò Alec, stampandosi una mano in
fronte.
"Sì, io! Cosa credi? Che sia stata una passeggiata? Sai, mi
sarebbe tanto piaciuto vederti al mio posto!" borbottò Jace,
infastidito. "Perchè non ci sei andato tu?"
"Forse perchè mi è impossibile lasciare
l'ufficio?" ritorse, per nulla ironico.
Jace scosse la testa. Era inutile discutere con Alec, quando si
impuntava e, visto che il fratello non voleva ascoltarlo, tanto peggio
per lui.
Per il bene di tutti, sarebbe stato saggio prepararlo psicologicamente
all'incontro con l'uomo dentro al suo ufficio, dato che era
dannatamente sicuro che, preso com'era dalle sue scartoffie, non aveva
prestato la minima attenzione ai suoi messaggi e alle foto che gli
aveva inviato. L'accoglienza ricevuta, però, lo
portò a decidere che non meritava quella cortesia. L'avrebbe
lasciato in pasto a Magnus e tanti saluti. Sghignazzò al
solo pensiero.
"Prego." si limitò a dirgli, aprendogli la porta.
Alec, preso in contropiede dal gesto, non riuscì a far altro
che guardarlo corrucciato. Che gli prendeva ora? Perchè gli
era spuntato un enorme sorriso, che andava da un orecchio all'altro?
Il fratello, per nulla intenzionato a dargli una spiegazione, gli fece
cenno con la testa di entrare ed Alec, controvoglia, decise di
assecondarlo.
"Buona fortuna eh!" gli augurò allegro Jace, prima di
rinchiuderlo dentro.
Gli sarebbe davvero piaciuto assistere a quell'incontro, ma Magnus era
nervoso ed Alec era irritato: praticamente due bombe ad orologeria
pronte ad esplodere. Era meglio non essere nei paraggi.
Alec si girò e guardò scioccato la porta che gli
si chiudeva in faccia. Non fece in tempo a chiedersi cosa stesse
succedendo che un rumore alle sue spalle lo fece voltare su se stesso:
un uomo lo stava osservando, mentre era comodamente seduto sulla sua
poltrona, facendola girare lentamente prima verso destra, poi verso
sinistra.
"Chi è lei?" chiese Alec, spaesato.
Lo sconosciuto non gli rispose, osservando invece l'orologio al suo
polso. "Sei in ritardo. Lo fai spesso quando hai un appuntamento?"
chiese con voce profonda.
"Ne avevamo uno?" domandò l'avvocato, corrugando la fronte.
"Già." si limitò a rispondergli l'uomo,
scavallando le gambe ed alzandosi lentamente in piedi, senza mai
staccargli gli occhi di dosso.
Un brivido improvviso saettò lungo la schiena di Alec. Le
movenze, lente e calcolate dello sconosciuto, lo fecero somigliare
pericolosamente ad un leone pronto a balzare sulla sua preda: se uno
sguardo avesse potuto ucciderlo, in quel momento sarebbe stato di
sicuro spacciato. Era odio quello che scorgeva nei suoi occhi?
Iniziò a sentirsi stranamente a disagio, sotto quello
sguardo accusatorio, ma si trattenne dal muoversi, evitando
così di rivelare il suo stato d'animo, ed indurì,
invece, i tratti del viso.
Chi era quel tizio? Perchè si trovava nel suo ufficio? Come
si era permesso di sedersi sulla sua poltrona? Non avrà mica
ficcato il naso anche nei cassetti, vero? Ma, soprattutto, dove cazzo
era andato a finire Jace?
Lo sconosciuto gli si parò davanti ed Alec dovette alzare
leggermente la testa, sorpreso. Non accadeva quasi mai che qualcuno lo
superasse in altezza.
Era raro, inoltre, che
un uomo come quello entrasse nel suo studio, considerato uno dei
più rinomati ed importanti, non solo di New York, ma anche
dell'intero stato. I suoi clienti, infatti, appartenevano all'alta
borghesia e si presentavano nel suo ufficio sempre vestiti talmente in
tiro che Alec non si sarebbe stupito se, finito con lui, fossero andati
direttamente a qualche cena di gala o alla serata degli Oscar.
Lo sconosciuto davanti a lui, invece, non solo era talmente sfacciato
da indossare jeans strappati e stretti, con una maglietta striminzita e
con uno spacco profondo fin quasi l'ombelico, che lasciava ben poco
spazio all'immaginazione, ma addirittura era truccato, con i capelli
colorati e pieno zeppo di collane, collanine, anelli, orecchini e
braccialetti.
"Chi è lei?" chiese nuovamente Alec, scioccato che una
persona come quella si trovasse là dentro.
"Magnus Bane." rispose secco l'uomo.
Bane. Doveva forse dirgli qualcosa quel nome? Frugò nella
sua memoria, alla ricerca della risposta, ma niente da fare. Non
riusciva proprio ad associare nome e volto ad una circostanza
specifica.
"Perchè si trova nel mio ufficio?"
"Mi stai prendendo in giro?" chiese Magnus, assottigliando lo sguardo e
dandogli direttamente del tu.
Quella confidenza indispettì oltremodo Alec, che la ritenne
decisamente fuori luogo.
"Perchè dovrei prendermi gioco di lei, signor Bane?"
"Sei serio?"
"Signor Bane, non ho tempo da perdere. Ero nel bel mezzo di una
riunione e devo.."
"Oh già, è vero! Tu sei sempre impegnato. Tanto
impegnato. Troppo impegnato per venire di persona!" sibilò,
con le mani sui fianchi.
Oh per l'amor del cielo! Perchè adesso lo sconosciuto si
stava comportando come una moglie trascurata? Ci mancava solo che si
mettesse a battere il piede, indispettito ed offeso!
"Signor Bane.." ricominciò Alec.
"Non eri così impegnato quando hai deciso di interferire
nella mia vita, però!" continuò Magnus, come se
l'altro non avesse neanche parlato.
"Si può sapere di che cosa sta parlando?" chiese Alec,
sempre più confuso.
Che si fossero incontrati in un'aula di tribunale in passato? O aveva
una causa in atto con quel tizio? Era il cliente di qualche suo
collega? Fece mente locale tra i vari casi che il suo studio aveva
trattato o che stava tutt'ora affrontando, ma quell'individuo
continuava a rimanere un mistero.
Lo sconosciuto improvvisamente accennò un sorriso. "Non hai
idea di chi io sia, vero?" chiese, incrociando le braccia. "Jace mi
aveva avvertito, ma non credevo fossi così stupido!" disse
ridacchiando e scuotendo la testa.
Alec iniziò ad arrabbiarsi sul serio. Non solo quel tizio si
trovava nel suo studio, senza il suo permesso, ma lo stava addirittura
insultando!
"Le consiglio caldamente di andarsene, prima che io chiami la sicurezza
e la faccia sbattere fuori a calci." sibilò, spalancando la
porta e rimanendo in attesa che il tizio si togliesse dai piedi.
Lo sconosciuto si pizzicò, con le dita, la radice del naso e
prese una serie di respiri profondi, bofonchiando qualcosa che Alec
non riuscì ad afferrare.
"Signor Bane, se ne vad.."
"Oh per l'amor del cielo, iceberg,
sono il padre di Max!" sbuffò esasperato, tornando a
guardarlo.
Alec lo fissò, confuso. "Chi?" chiese a mezza voce.
Per Magnus, quella fu la classica goccia che fece traboccare il vaso.
"Tutto ciò è ridicolo." borbottò Alec,
incrociando le braccia al petto.
"Silenzio." lo rimproverò Isabelle, lanciandogli
un'occhiataccia. "Hai già dato sufficiente spettacolo."
"Iooo??? Adesso sarebbe pure colpa mia?" chiese il fratello,
indispettito.
"E di chi sarebbe? Mh?"
"Sua!" borbottò nuovamente, indicando, con la testa, l'uomo
con la cresta, seduto sulla sedia dall'altra parte della scrivania e
che lo stava guardando in cagnesco.
Era quel tizio che aveva iniziato ad urlare come un isterico, facendo
accorrere praticamente tutti i presenti che si trovavano nello studio.
Lui aveva solo reagito di conseguenza ed aveva alzato la voce per
adeguarsi al tono di quella conversazione assurda.
"Vai a quel paese." sibilò Magnus.
"Dopo di lei." ribattè Alec, con lo stesso tono.
Isabelle sbuffò. "Sentite, ho un sacco di lavoro da fare!
Posso lasciarvi di nuovo soli, senza che vi ritrovi agonizzanti al mio
ritorno? Eh? Pensate di riuscire a comportarvi civilmente?"
I due uomini non risposero, continuando a lanciarsi occhiate di fuoco,
ed Isabelle prese per buono quel tacito assenso, uscendo dalla stanza.
Non lo avrebbe mai ammesso, ma era stato divertente vedere Alec, per la
prima volta, essere messo alle strette da un perfetto sconosciuto.
Da quel che aveva potuto notare, dopo essere giunta nello studio,
attirata da quelle grida che avevano fatto tremare tutti i muri dello
stabile, il nuovo arrivato riusciva a tenergli testa senza particolari
problemi o difficoltà, e questo pregio era davvero una
piacevole novità.
Poche persone avevano avuto l'ardire di sfidare Alec e, fino ad oggi,
nessuno ne era mai uscito vincitore.
Alec Lightwood era un carro armato che, per raggiungere la meta che si
era prefissato, passava sopra a qualunque cosa si mettesse sulla sua
strada.
Sperò ardentemente che Magnus restasse abbastanza da
riuscire a scalfire la corazza di cemento che il suo adorato fratello
si era costruito attorno. Era sicura che fosse l'uomo giusto per farlo.
Erano passati cinque, interminabili e silenziosi minuti prima che Alec
si alzasse in piedi, imitato dall'uomo con la cresta, ed iniziasse a
parlare.
"Ok, senta signor Bane, ho già perso troppo tempo e non
posso permettermelo." dichiarò, scocciato. "Se non le
dispiace, passerei direttamente ai dettagli e le illustrerei
ciò che, a mio parere, è una ricompensa
più che soddisfacente per quanto fatto."
Magnus aggrottò le sopracciglia. "Una ricompensa?" chiese
sbalordito.
Alec sospirò. "Evidentemente Jace non è stato
sufficientemente chiaro, nonostante le mie precise istruzioni."
borbottò, appuntandosi mentalmente di fare un bel
discorsetto al fratello, una volta finita tutta quella storia assurda.
"Signor Bane, lei verrà pagato per essersi preso cura del
ragazzo. Lasci pure i suoi dati alla mia segretaria.
Provvederà a farle un bonifico o un assegno, decida lei la
modalità di pagamento, oggi stesso."
"I miei dati? Pagamento?" chiese Magnus, sbalordito. "Di che diavolo
stai parlando?"
Alec sospirò per l'ennesima volta. "Mi perdoni, signor Bane.
Se mio fratello le avesse spiegato, fin dall'inizio, come stavano le
cose, di sicuro si sarebbe evitato il viaggio e tutto questo fastidio."
si scusò. "Comunque sia, ho un debito nei suoi confronti e.."
"Non mi devi proprio niente! Non mi sono preso cura di Max con
l'intenzione di chiedere una ricompensa e non intendo sminuire il mio
amore per lui permettendoti di quantificarne il valore!" si
indignò l'uomo.
Come osava, quel baccalà, anche solo pensare di mercificare
quello che provava per suo figlio?
"Signor Bane.."
"Non prenderò un solo centesimo da te!" sibilò
Magnus, tremando di rabbia.
Alec alzò le mani, in segno di resa. "Come desidera signor
Bane. Non era mia intenzione farla agitare." si scusò. "Ma,
a questo punto, direi che ci siamo detti tutto, allora." disse, con
tutta l'intenzione di congedarlo. "La ringrazio ancora per tutto il
disturbo che si è preso e.."
"Un momento! Dobbiamo ancora chiarire dove e con chi vivrà
Max."
Alec aggrottò la fronte. "Signor Bane, il ragazzo, ora,
è sotto la mia responsabilità. Tutto
ciò che lo riguarda non deve più interessarla."
disse, facendo spallucce.
"Non.. non mi deve più interessare?" sputò
Magnus, mentre gli occhi sprizzavano scintille di fuoco. "Il motivo per
cui tu e Lydia avete litigato, può anche non interessarmi.
Il fatto che tu ci abbia messo quasi otto anni per cercarli,
può anche non interessarmi. Ma non ti permetto di dirmi che
non devo più interessarmi di mio figlio, perchè
lo faccio da quando è nato e lo farò fino a
quando avrò vita!"
Alec era stordito. Quell'uomo sfuggiva a qualsiasi sua logica: non solo
rifiutava una lauta ricompensa per aver allevato un figlio non suo, ma
addirittura amava quel bambino come se fosse sangue del suo sangue! Suo
malgrado, si ritrovò ad esserne affascinato.
"Signor Bane, forse mi sono espresso male."
"Ma davvero?"
"Signor Bane, le garantisco che non sta mandando il ragazzo al patibolo
e sarà trattato bene." disse Alec, tentando di calmare i
toni. "Ho dato ordine che sia seguito ed aiutato affinchè si
prepari ad assumere il ruolo che gli spetta. Mi creda se le
dico che voglio anch'io il meglio per lui. Il mio obiettivo non
è molto diverso dal suo."
L'avvocato attese una replica, che non venne, perciò riprese
a parlare.
"Per un ragazzo dell'età e dell'estrazione sociale di
Maxwell, il primo passo, il più importante, sarà
quello di acquisire solide basi per la sua istruzione. Ho predisposto,
quindi, di mandarlo al Trinity School. E' un'ottima scuola."
"Dovrai passare sul mio cadavere!"
"Prego?"
"Giusto per saperlo, quando avresti intenzione di mandarcelo?"
"Da subito, ovviamente!"
"Perchè?" chiese stupito Magnus.
Alec aggrottò la fronte, perplesso. "State mettendo in
dubbio l'importanza di una buona istruzione?"
"Prima di tutto, mio figlio non è fatto per stare rinchiuso
in un posto dove gli insegnanti hanno sempre un grosso bastone ficcato
nel didietro."
"Come si permette? I Lightwood studiano, in quell'istituto, da
generazioni." gli fece notare, truce, Alec.
"Appunto!" esclamò Magnus, sarcastico, mentre lo indicava.
Alec fece una smorfia infastidita, ma non fece in tempo a ribattere che
l'uomo continuò, battagliero. "E, no, non sto mettendo in
discussione il fatto che Max debba avere una buona istruzione. Lo so
che è importante. Dubito fortemente, però, della
scelta del momento per farlo iniziare. E' agosto, per Lilith! Dovrebbe
solo divertirsi, andare al mare, giocare fuori all'aperto.. fare il
bambino, insomma!"
"Ha bisogno di seguire i corsi estivi per mettersi in pari con i suoi
futuri compagni di classe." rispose Alec, impassibile.
"Cosa ne sai, tu, di cosa ha bisogno Max? Per tua informazione, mio
figlio è intelligente e non gli servono corsi extra per
dimostrare il suo valore." si intestardì Magnus. "E ti sei
per caso preso il disturbo di chiederti cosa ne pensa Max, di tutto
questo? Del fatto che ha un padre che non ha neanche voluto conoscerlo,
ma ha spedito lo zio perchè, sai com'è, lui deve
lavorare e non ha tempo per queste "sciocchezze"? Eh? O ti sei chiesto
come si sentirebbe ad essere spedito, come un pacco postale, in una
nuova scuola, tra perfetti sconosciuti che lo guarderebbero dall'alto
in basso perchè, oh per tutti gli angeli del cielo,
è un bambino normale che non ha la puzza sotto al naso?". Al
silenzio dell'avvocato, Magnus proseguì. "Come ti sentiresti
tu, se fossi nei suoi panni?"
"Si adatterà."
Alec vide l'uomo con la cresta chiudere gli occhi, serrare i pugni e
prendere dei respiri profondi. Non aveva idea di quanto fosse andato
vicino a beccarsi un pugno sul volto.
Magnus si impose di calmarsi. Sbattergli la testa contro il muro,
sperando che un po' di buon senso gli entrasse in quella zucca vuota,
sarebbe stato inutile, oltre che controproducente.
Il pensiero, che quell'uomo potesse vantare tutti i diritti di questo
mondo su suo figlio, aleggiava come uno spettro sopra la sua testa. Un
passo falso e rischiava di non poter più vedere Max. Avrebbe
dovuto lavorarsi quel damerino in giacca e cravatta, tentare di farselo
amico ed abbattere le sue barriere, ma, soprattutto, scoprire il suo
punto debole. Doveva pur averne uno, e che diamine! Una volta scoperto,
non si sarebbe fatto nessuno scrupolo ad usarlo contro di lui!
"Sì, probabile che riuscirà a farlo, visto quanto
è speciale, ma ti chiedo di avere un minimo di comprensione
e lasciargli il tempo di abituarsi alla sua nuova vita, prima che..
prima di dividerci."
Le ultime parole gli morirono in gola. Gli risultava insopportabile
anche solo pensare di non poter più vedere Max ogni giorno,
di non poterlo abbracciare, di non potergli dare il bacio della
buonanotte. No, avrebbe impedito quell'epilogo a qualsiasi costo.
Il dolore palese dello sconosciuto colpì Alec, che si
irrigidì. Prese un respiro profondo e tentò di
calmare la rabbia che gli stava montando dentro.
Quell'uomo non aveva nessun diritto di mettere in discussione la sua
decisione. Non sapeva nulla di lui, di quello che aveva dovuto patire o
del notevole sforzo che aveva dovuto fare su sè stesso per
avvicinarsi così tanto al ragazzino. Non sapeva nulla del
giuramento che aveva fatto.
Chiuse gli occhi, nella speranza di riordinare le idee. Quando li
riaprì, trovò due impazienti occhi verde-oro che
stavano aspettando una risposta.
"Un mese, ma verrà un istitutore per dare lezioni al
ragazzino, non appena si sarà sistemato." concesse. "Se lo
desidera, può venire anche lei.. per dargli il tempo di
abituarsi."
Il cambiamento d'umore di Magnus fu istantaneo e palese. Quegli
incredibili occhi, che neanche pochi minuti prima malcelavano l'odio
che provavano per lui e lanciavano lampi e saette, ora lo stavano
guardando con gratitudine. Il viso di quell'uomo era una finestra
aperta sulla sua anima ed Alec non aveva mai conosciuto nessuno come
Magnus Bane.
"Grazie." sorrise raggiante l'uomo con la cresta, abbracciandolo di
slancio.
Alec non riuscì a far altro che annuire, impacciato.
Cos'era appena successo? Come era possibile che, nel giro di pochi
secondi, era passato dall'essere odiato all'essere abbracciato con
entusiasmo? Aveva solo concesso una proroga a qualcosa di inevitabile!
Alec non seppe darsi una risposta concreta, ma una strana sensazione di
calore gli si propagò nel petto ed accennò un
sorriso sbilenco.
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
"E' grande!"
esclamò Max.
"Già." concordò il padre.
"Molto grande!"
"Già."
"Davvero, davvero grande!"
"Sì, mirtillo, hai espresso perfettamente il concetto!"
sorrise Magnus, al suo fianco, mentre guardavano, ad occhi spalancati,
l'enorme tenuta della famiglia Lightwood che si profilava davanti a
loro.
"Per quanto dobbiamo restare qui?" chiese Max, continuando a guardarsi
attorno, meravigliato.
"Per un po'.." rispose, evasivo, il padre. "Sarà divertente,
vedrai!" esclamò, sperando di non lasciar trasparire ansia
ed agitazione.
"E' qui che vive il signor Lightwood?" chiese il bambino.
Si rifiutava categoricamente di chiamare papà lo sconosciuto
che abitava in quella casa grandissima. Era stato scioccante scoprire
che Magnus, in realtà, non era davvero suo padre, ma a Max
non importava. Il suo papà era l'uomo che, in quel momento,
gli stava tenendo la mano e non uno che non aveva mai visto. Lo amava
immensamente e non ne voleva un altro diverso da lui.
"Sì! E ci ha invitati a stare a casa sua per qualche
settimana!" gli rispose suo padre. "Pensa a quando lo saprà
zio Will! Morirà d'invidia!"
Max ridacchiò, ma un'ondata di nostalgia lo travolse quasi
subito. "Mi mancano tanto tanto gli zii, papi!"
Magnus abbassò lo sguardo sul figlio. "Mancano anche a me!
Dopo li chiamiamo, mh?" sorrise, arruffandogli i capelli.
Il bambino annuì e seguì docilmente il padre, che
si stava dirigendo verso la casa.
Un uomo li stava attendendo ai piedi di una scala che dava su un grande
portico.
"Signor Bane, signorino Lightwood.. benvenuti! Sono Hodge Starkweather,
maggiordomo di casa Lightwood."
"Salve!" lo salutò Magnus, allungandogli la mano.
"Ciao.." disse Max, osservando l'uomo da dietro la schiena del padre.
Hodge osservò perplesso la mano di Magnus, non sapendo come
reagire all'inusuale gesto di cortesia. Per lui, infatti, quella mano
tesa, che attendeva pazientemente di essere stretta dalla sua, era una
novità. Da quando lavorava in quella casa, non era mai
successo che qualcuno, proprietari od ospiti che fossero, gliela
stringessero a mo' di saluto.
Magnus, notando l'indecisione del maggiordomo, non si fece problemi ad
afferrargli la mano e stringerla saldamente
"E' un piacere conoscerti, Hodge! Ti prego, chiamami Magnus!"
esclamò, sorridendo.
Hodge, per la seconda volta, fu preso in contropiede. Anche in questo
caso, non aveva mai dato del tu
a nessuno in quella casa. Era una confidenza a cui non era avvezzo.
"Oh.. signor Bane.. ecco.. vede.. n-non credo che.."
Magnus lo interruppe, sventolando la mano ed incurante di quelle
balbettanti proteste. "Sciocchezze! Lui invece è Max!"
sorrise nuovamente.
"Signor Bane, non credo sia il caso.."
Magnus gli sorrise nuovamente e fece spallucce. "Se ti senti
più a tuo agio con questo signor Bane.. vada per signor
Bane!" scosse la testa divertito.
Hodge si ritrovò inaspettatamente a sorridere ed
annuì. Il signor Bane era l'uomo più strano e
particolare con cui aveva mai avuto a che fare. Gli piaceva.
"Questi signori si occuperanno delle vostre valigie." li
informò, facendo poi un cenno ai due uomini che stavano
attendendo di fianco a loro. "Se volete seguirmi, vi
mostrerò le vostre stanze!"
Hodge fece far loro un piccolo giro della casa, conducendoli infine
nelle loro camere da letto, una adiacente l'altra. Anche queste,
proprio come tutto il resto, erano grandi e maestose. Per deformazione
professionale, Magnus analizzò minuziosamente ogni dettaglio
e annuì compiaciuto al termine dell'ispezione: tutto era
impeccabile e di buon gusto.
Prima che Hodge si congedasse, per permettere loro di rinfrescarsi e
disfare le valigie, Magnus lo bloccò.
"Ehi Hodge! Iceberg
quando torna?" chiese, mentre osservava il panorama che poteva ammirare
dalla sua finestra.
"Ehm.. chi?" domandò Hodge, disorientato.
"Il padrone di casa!" spiegò.
Solo i lunghi anni di esperienza accumulati, che gli avevano permesso
di crearsi un bagaglio professionale di tutto rispetto, permisero al
maggiordomo di non scoppiare a ridere. Sarebbe stato un gesto davvero
poco elegante, oltre che sconveniente, visto che il signor Bane stava
parlando del suo datore di lavoro.
"Il signor Lightwood dovrebbe arrivare per cena, che sarà
servita alle otto."
Magnus annuì, ritenendosi, per il momento, soddisfatto.
Aveva tutto il pomeriggio per preparare Max a quell'incontro.
Le nuvole correvano veloci nel cielo, che si stava tingendo, minuto
dopo minuto, sempre più di nero. Max sapeva che, tra non
molto, si sarebbe scatenato un temporale con i fiocchi, ma non gli
importava.
Seduto sul largo davanzale della sua stanza, con la fronte appoggiata
al vetro freddo della finestra, il bambino osservava il paesaggio
sottostante: un viale, che conduceva fuori dalla tenuta, si snodava
oltre un piccolo ponte di pietra, che sormontava un laghetto, e finiva
dentro ad un bosco fitto.
Max sospirò, triste. Era arrivato da neanche due giorni, ma
erano stati più che sufficienti. La casa era davvero bella,
i signori che ci lavorano gli sembravano gentili, ma lui non voleva
restare là. Voleva tornare in Inghilterra. Gli mancavano i
suoi amici. E gli zii. E la signora Green, l'anziana vicina di casa,
che lo accoglieva sempre nella sua piccola cucina e lo rimpinzava di
latte e biscotti. Lì, in America, invece, si
sentiva un pesciolino fuori dall'acqua.
Da quando era arrivato, non aveva ancora conosciuto il signor
Lightwood. Hodge gli aveva detto che, purtroppo, questo non era stato
ancora possibile perchè l'uomo era molto impegnato con il
lavoro e quindi arrivava tardi la sera ed usciva prestissimo la
mattina. Max però sapeva che era una scusa, non era stupido.
La conferma l'aveva avuta neanche un'ora prima, quando aveva origliato
la conversazione telefonica che suo padre stava avendo con zia Tessa:
tratteneva a stento la rabbia, ma sapeva che era rivolta verso il
signor Lightwood.
Anche Max era arrabbiato. Con il signor Lightwood, ma anche con suo
padre.
Il primo perchè non manteneva la parola data. Non che gli
importasse, in realtà, ma visto che suo padre sembrava
tenerci particolarmente al fatto che lui e il signor Lightwood si
incontrassero, allora quest'ultimo era finito direttamente nella lista
dei cattivi.
Con il secondo perchè gli aveva mentito e non credeva
sarebbe mai stato possibile. Suo padre gli aveva detto che sarebbero
rimasti in quella casa per un po', facendogli credere che, prima o poi,
se ne sarebbero andati. Invece, mentre suo padre parlava con zia Tessa,
aveva scoperto che c'erano alte probabilità che,
sì, suo padre se ne sarebbe andato, mentre lui non avrebbe
più lasciato quella casa. Odiava l'idea di separarsi dal suo
papà. Era una cosa inammissibile.
"Ok, abbiamo ancora due settimane per riuscire a trovare qualcosa,
qualsiasi cosa, per vincere questa causa. Non possiamo permettergli di
farla franca!" dichiarò Alec, sbattendo un pugno sul tavolo.
Gli avvocati, presenti nella stanza, annuirono convinti. "Dobbiamo.."
Maia Roberts, la segretaria di Alec, entrò come un fulmine
nella sala riunioni, senza neanche bussare ed interrompendo il suo
capo. "Avvocato, la signorina Loss mi ha pregato di consegnarle questo
messaggio." gli disse trafelata, allungandogli un foglietto di carta.
"Grazie, signorina Roberts." rispose Alec, scocciato per
quell'interruzione.
Tornò a guardare i presenti, pronto a riprendere la
riunione, ma Maia si schiarì la gola e proseguì
il suo discorso, ignorando apertamente la sua occhiataccia.
"Avvocato.. la signorina Loss si è raccomandata di dirle che
è urgente." ribadì la segretaria, notando come
l'altro avesse gettato il biglietto sul tavolo, senza dargli alcuna
importanza.
Alec alzò gli occhi dalla pagina del fascicolo che stava
sfogliando e la guardò, aggrottando la fronte.
"Davvero
urgente." continuò Maia, decisa.
L'uomo sbuffò ed agguantò il foglietto, dando una
rapida occhiata al contenuto. Una volta letto il messaggio,
imprecò con veemenza e si alzò di scatto, sotto
lo sguardo incuriosito dei fratelli e degli altri collaboratori.
"Devo andare!" comunicò, senza ulteriori spiegazioni,
precipitandosi fuori dalla porta e lasciando tutti attoniti.
Salì velocemente in macchina e partì sgommando,
tentando di accelerare il più possibile, per quanto traffico
e condizioni meteo glielo permettessero. La pioggia, infatti, scendeva
fitta ed Alec faticava a vedere l'asfalto.
Sfrecciò lungo la strada fino ad arrivare alla tenuta e gli
bastò un'occhiata per rendersi conto che era in subbuglio:
le luci della casa erano tutte accese ed un via vai di gente entrava ed
usciva dall'ingresso principale.
Alec scese dall'auto e Hodge lo accolse, scusandosi ed informandolo di
cosa era successo.
"Lo abbiamo cercato ovunque, ma sembra scomparso nel nulla. Abbiamo
messo a soqquadro la casa e il giardino, ma niente. Sono terribilmente
spiacente di averla disturbata, signore, ma quando non l'abbiamo
trovato, ho detto a Catarina di avvisarvi."
"Avete guardato nella scuderia?" chiese Alec, togliendosi i capelli
bagnati dalla fronte.
"Sì, signore!"
"Nel boschetto?"
"Sì, ma nessuno l'ha visto."
Alec entrò come una furia in biblioteca, pronto a redigere
un piano per risolvere la situazione, ma i suoi occhi furono subito
catturati dall'immagine sfocata, a causa della pioggia, del lago che si
stagliava fuori dalla finestra ed un brivido gli attraversò
la schiena.
Hodge seguì il suo sguardo e sussurrò, a disagio,
"N-non abbiamo ancora iniziato le ricerche lì.."
"Dov'è il signor Bane? Devo parlare con lui!"
ordinò Alec ed Hodge uscì dalla stanza per andare
a cercare l'uomo.
L'avvocato tornò a guardare il lago, preoccupato. E se fosse
stato là dentro? No, non era possibile. Era appena
arrivato.. non poteva essere già morto!
Imprecò. Il cielo solo sapeva se non aveva cercato di
rispettare la promessa fatta quasi due anni prima: aveva riportato a
casa il ragazzino, salvando apparenze e discendenza. Questo era tutto
ciò che era stato disposto a fare, ma, a quanto pare, il
destino trovava particolarmente piacevole accanirsi su di lui.
Dei passi concitati lo fecero voltare. Hodge e Catarina Loss,
governante di casa Lightwood, erano fermi sull'uscio ed avevano
l'aspetto di due che stavano per essere condannati a morte.
"Dov'è il signor Bane?" chiese Alec, accigliandosi.
"A.. a quanto pare è ancora fuori a cercarlo, signore."
mormorò Hodge, sbiancando.
"Lì fuori?" si stupì Alec, indicando l'apocalisse
che si stava svolgendo all'esterno dalla finestra.
La pioggia, infatti, aveva iniziato a scendere con maggiore
intensità, mentre il brontolio di un tuono
manifestò la presenza del temporale che si stava per
scatenare.
"Gli abbiamo detto di non muoversi.." sussurrò il
maggiordomo, dando un'occhiata a Catarina.
La ragazza ricambiò lo sguardo, in modo eloquente. "Non
siamo riusciti a fermarlo, signore. Ci abbiamo provato, ma era fuori di
sè per l'agitazione e non faceva che correre avanti ed
indietro, come impazzito."
"Quando è uscito?"
I due dipendenti si guardarono, preoccupati.
"Poco prima di mezzogiorno.." ammise Catarina.
"Sono passate ore!" tuonò Alec. "Qualcuno sa dove
è andato? Qualcuno l'ha sentito da allora?"
Hodge e Catarina scossero simultaneamente la testa.
"Dannazione!" urlò l'uomo. "Hodge, manda qualcuno a
controllare nei dintorni fuori dalla tenuta. Catarina chiedi agli altri
collaboratori se ricordano qualche luogo che il signor Bane o il
ragazzo hanno nominato. Forse sono andati là!"
ordinò, dirigendosi velocemente fuori dalla stanza.
"Dove sta andando, signore?" chiese Hodge, perplesso.
"A cercarli!" rispose secco, prendendo un impermeabile asciutto e
l'ombrello.
Si diresse senza indugio verso il sentiero che circondava il lago,
mentre vento e pioggia gli sferzavano ferocemente il corpo,
perchè era l'unico posto che, al momento, gli veniva in
mente.
Mentre marciava a passo spedito, sentì invaderlo una rabbia
improvvisa. Dannazione! Perchè si stava preoccupando per
quell'uomo? Era tutta colpa sua e dei suoi occhioni verdi-dorati! Se
non si fosse lasciato convincere, a quest'ora il ragazzino sarebbe
stato sotto la stretta sorveglianza dei suoi dipendenti, dopo essere
stato a scuola, mentre lui sarebbe ancora nel suo studio, all'asciutto,
e non bagnato fin dentro le ossa, alla ricerca di due sciocchi che
avevano deciso di sfidare madre natura proprio in uno dei suoi giorni
più temibili.
Arrivò finalmente al boschetto e si precipitò
sotto le fronde degli alberi, trovando un riparo accettabile.
Ansimò pesantemente, scrutando al di là dei
tronchi, alla ricerca di un qualsiasi indizio che potesse indirizzarlo
sulla giusta direzione, ma pioveva troppo per vedere qualcosa.
Un rumore di rami spezzati lo fece voltare su se stesso e si
ritrovò davanti Magnus che lo guardava con occhi spiritati.
L'uomo era un disastro: la sua pelle caramellata era spenta e opaca, il
trucco era stato quasi completamente lavato dalla pioggia ed aveva i
capelli e gli abiti appiccicati addosso e che grondavano acqua.
"Signor Bane!" gridò spaventato Alec, facendo un balzo
all'indietro.
"Lo avete trovato?" chiese Magnus.
Alec scosse la testa. "Non ancora."
La luce di speranza, che si era accesa negli occhi dell'uomo, si spense
nuovamente e si girò in fretta per riprendere la sua ricerca.
"Signor Bane, aspetti! Dove vuole andare?" chiese Alec, sbigottito,
agguantandolo per un braccio.
Lo sguardo folle dell'uomo era rivolto verso il prato che si spandeva a
vista d'occhio dopo il boschetto.
"Signor Bane, le assicuro che troveremo il ragazzo. Ora, per cortesia,
torniamo a casa."
Magnus, ignorando le sue parole, si divincolò con uno
strattone dalla sua presa ferrea e ritornò sotto la tempesta.
"Oh per l'angelo! Si rende conto che è pura pazzia?" fece
appena in tempo ad urlargli, prima che l'uomo inciampasse e cadesse
rovinosamente a terra.
Alec imprecò e si affrettò a soccorrerlo, ma
Magnus, nonostante tremasse come una foglia e fosse bagnato fradicio e
sporco di fango, ignorò la sua mano tesa e si
rialzò da solo.
"Ma è assurdo!" gridò Alec, gettando le mani in
aria, esasperato, mentre inseguiva l'altro che era ripartito in quarta,
senza degnarlo di uno sguardo. "Signor Bane, per l'amor del cielo! Si
fermi!" gli disse, riacciuffandolo per un gomito e facendolo girare
verso di lui.
Magnus si scostò malamente i capelli dagli occhi e gli
lanciò un'occhiata fulminante. "Mollami!"
"No! Deve tornare a casa! Si prenderà una polmonite!"
"Che ti importa?"
Alec perse la pazienza. "Signor Bane, che le piaccia o meno,
è mio ospite e quindi la sua salute e la sua
incolumità sono affar mio!" ribattè arrabbiato.
"Ma per favore!" sputò Magnus "Mio figlio è
sparito! Ed è tutta colpa tua!" urlò, mentre le
lacrime si mescolavano alla pioggia che continuava a bagnargli il viso.
"Mia???"
"Sì, è sparito.."
"E' scappato, vorrà dire."
".. perchè tu, grandissimo imbecille che non sei altro, non
hai neanche voluto conoscerlo. E' spaventato, si trova in una nuova
casa, circondato da persone sconosciute e con un nuovo padre che non
vuole nemmeno vederlo!"
"Non le sfiora minimamente l'idea che forse, in realtà, non
ha un minimo di disciplina?" ribattè, acido, Alec.
Gli occhi di Magnus dardeggiarono. "Non osare! L'ho educato come meglio
ho potuto e.."
"Magari non così bene, come crede!"
Magnus strinse violentemente i pugni. "Se ti diverte così
tanto insultare me e Max, prego! Fai pure! Ma non starò un
altro secondo di più ad ascoltarti. Lo troverò e
giuro sul mio onore che lo riporterò con me in Inghilterra.
E' chiaro che non ti interessa niente di lui. Se l'avessi saputo prima,
non l'avrei mai condotto qui!"
L'uomo riprese a camminare verso l'ignoto, lasciando Alec da solo, ad
imprecare contro se stesso e contro quell'individuo così
testardo e caparbio.
"Signor Bane!" urlò, inseguendolo.
Magnus continuò spedito, come se non l'avesse udito, ed Alec
dovette correre per raggiungerlo e riagguantarlo nuovamente per un
braccio.
"Signor Bane, le chiedo scusa." disse Alec, piazzandosi di fronte
all'altro. "Sono stato davvero scortese."
"Non ho tempo per ascoltare le tue patetiche scuse." ribattè
stizzito Magnus, tentando di liberarsi dalla presa ferrea dell'altro.
"E io non ne ho per discutere con lei. Devo cercare il ragazzo!"
"E allora vai!" gridò Magnus, esasperato.
"Non finchè lei sarà qui fuori con il rischio di
ammalarsi."
"Non è di me che ti devi preoccupare. Max è.."
"Max è la persona che avrà più bisogno
di lei, quando verrà trovato." lo interruppe Alec. "Pensi a
come si sentirà, quando verrà riportato a casa e
non la troverà ad attenderlo. La prego, signor Bane!"
"Ma.. m-ma io non posso stare con le mani in mano! Devo cercarlo!"
rispose Magnus, angosciato.
"Signor Bane, le giuro che lo troverò. Conosco come le mie
tasche questo posto. So fin dove può essersi spinto e dove
sono i nascondigli dove potrebbe essersi rifugiato, ma ho bisogno di
sapere che lei è al sicuro. A casa."
Magnus non rispose ed Alec interpretò il suo silenzio come
un assenso. Strinse le dita attorno al suo polso e lo ricondusse nel
boschetto, al riparo dalla pioggia, dandogli l'ombrello e togliendosi
anche l'impermeabile per metterglielo addosso. Non che sarebbe servito
a molto, ma almeno non si sarebbe bagnato più di quanto
già non fosse.
"Mi promette che va diretto a casa?" chiese l'avvocato, posandogli
delicatamente le mani sulle spalle. "La prego, signor Bane."
Magnus annuì, lo sguardo basso e sconfitto.
Alec lo fece voltare e lo indirizzò verso il sentiero che
l'avrebbe ricondotto a casa.
Magnus si voltò un'ultima volta. "Trovalo.." lo
supplicò.
"Ho giurato che lo farò ed intendo mantenere la mia
parola." gli garantì.
Non aveva mai infranto una promessa.
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
Il temporale era
finalmente cessato quando Alec arrivò, stremato e bagnato
fradicio, in prossimità del vecchio capanno che si trovava
quasi al confine della tenuta. Aveva cercato ovunque e quello era
l'ultimo posto che gli mancava. Non voleva neanche pensare alla
possibilità che sarebbe potuto tornare a casa a mani vuote.
Mentre si dirigeva a passo spedito verso la baracca, pensò a
quanto tempo era passato dall'ultima volta che era stato là:
vent'anni. Aveva la stessa età del ragazzino e sua madre
sarebbe morta non molti giorni dopo, lasciandolo in balia
dell'autorità paterna.
Nonostante il tempo passato, però, il suo vecchio
nascondiglio non sembrava in stato di abbandono. Il tetto di paglia
aveva visto tempi migliori, questo era vero, ma era stato rattoppato
laddove c'erano dei buchi e le erbacce sembravano essere tenute a bada
con una vecchia falce, gettata a terra.
Alec si avvicinò cautamente, osservando l'entrata: dove una
volta c'era una vecchia porta di legno, ora poggiava uno spesso
pannello che proteggeva l'ingresso. Fece il giro del capanno e
sbirciò dall'unica finestra, che si trovava sul lato destro:
un bambino dai capelli neri, che tremava visibilmente, era seduto
contro il muro e si teneva le ginocchia strette al petto, mentre si
abbassava meglio che poteva il cappuccio della felpa sul viso e si
stringeva addosso una coperta malconcia. Max.
Si irritò con sè stesso quando si rese conto che
si sentiva davvero sollevato per averlo trovato.
Ritornò all'ingresso e valutò come palesarsi
davanti al ragazzino. Non voleva spaventarlo ed annunciarsi, prima di
entrare, gli parve la soluzione migliore.
Dopo essersi schiarito la gola, urlò "C'è
nessuno?".
Non avendo ricevuto riscontro, si diresse verso il pannello, lo
spostò ed entrò. Il bambino non era
più dove l'aveva visto e l'uomo si guardò
attorno: qualcuno doveva aver soggiornato là dentro,
perchè il capanno era piuttosto pulito ed in ordine. Fece
spallucce e si concentrò nuovamente sul motivo per cui era
lì.
L'unico posto dove il ragazzo poteva essersi nascosto era la vecchia
cassapanca addossata nell'angolo in fondo al capanno, quindi si
avvicinò ed incrociò le braccia al petto. "So che
sei lì. Coraggio vieni fuori e torniamo a casa a cambiarci i
vestiti, prima che entrambi ci prendiamo l'influenza."
Il bambino fece finta di non averlo sentito ed Alec scosse la testa,
leggermente divertito. A quanto pare ignorarlo era lo sport preferito
dei Bane.
Alzò il coperchio del vecchio mobile ed incrociò
il suo sguardo. Aveva i suoi occhi. E gli stessi capelli neri come
l'inchiostro, la stessa pelle di porcellana e gli stessi lineamenti del
viso. Ad Alec sembrò di fare un salto nel tempo e ritrovarsi
davanti il se stesso di vent'anni prima.
"E' ora di tornare a casa." disse, porgendogli la mano.
Max non si mosse e continuò a fissarlo intensamente. Alec
non faticò a riconoscere quello sguardo penetrante: era lo
stesso che lui riservava a suo padre, quando tentava di resistergli
meglio che poteva.
"Hai fatto preoccupare molte persone oggi. Ti stanno cercando tutti!"
gli fece notare, mettendosi le mani sui fianchi. "Forse non ti
importerà dei miei collaboratori, ma so che c'è
una persona a cui vuoi molto bene e che hai gettato nel panico. Tuo
padre è uscito, sotto la pioggia, a cercarti. Sono riuscito
a rispedirlo a casa, ma temo che, se non ti riporto indietro subito,
lui uscirà di nuovo e rischierà seriamente di
ammalarsi."
Max non disse nulla, ma si alzò in piedi ed uscì
dalla cassapanca, dirigendosi poi a passo di marcia verso l'uscita.
Alec sospirò pesantemente, scosse la testa e lo
seguì.
C'erano tante cose che l'uomo era consapevole di dovergli dire sul suo
passato, sul suo presente e sul suo futuro. Una frase di benvenuto o di
presentazione sarebbe già stato un inizio, visto che era la
prima volta che si incontravano. Anche una bella ramanzina non gli
avrebbe fatto male, considerando quanto, con la sua bravata, aveva
fatto preoccupare gli occupanti di casa Lightwood. Ma Alec non disse
una parola ed il loro tragitto verso casa si svolse nel silenzio
più assoluto.
Magnus camminava avanti ed indietro nella sua camera da letto, incapace
di dormire e preda delle forti emozioni che aveva provato nelle ultime
ore.
Non era mai stato tanto angosciato e sconvolto in vita sua. Nemmeno
quando era scappato dalla casa di Morgenstern era stato travolto da
tutta quella paura.
Era anche vero che non riusciva a ricordare un momento più
bello di quello in cui aveva visto Max corrergli incontro, quando
l'aveva scorto sotto al gazebo del giardino. Si era fiondato tra le sue
braccia ed aveva affondato il nasino nel suo collo, mentre sussurrava
una sequela infinita di scuse. Magnus l'aveva abbracciato stretto
stretto e non era riuscito a dire una parola, stravolto com'era dalla
gioia di riaverlo con lui.
Solo dopo un numero imprecisato di minuti aveva alzato lo sguardo ed
aveva incrociato gli occhi blu di Alec Lightwood. Questo si era
limitato ad annuire, dirigendosi poi verso la casa per informare i suoi
collaboratori che potevano smettere di cercare il bambino.
Magnus sapeva di essere stato davvero antipatico nei suoi confronti e,
mentre attendeva notizie di Max, aveva avuto modo di riflettere su
quello che gli aveva detto.
L'avvocato aveva ragione: era colpa sua e di come aveva cresciuto suo
figlio. Se Max non aveva minimamente pensato alle conseguenze del suo
gesto mattutino, era perchè lui lo viziava senza ritegno ed
era troppo permissivo. Aveva cercato di fare del suo meglio, questo
sì, ma evidentemente non era abbastanza.
Anche quando si erano ricongiunti, per esempio, Magnus sapeva che
avrebbe dovuto sgridarlo, sia per averlo quasi fatto morire di
crepacuore, sia per aver fatto preoccupare gli abitanti della casa.
Invece non solo non l'aveva fatto, ma l'aveva coccolato e rassicurato
che non era successo niente di grave.
Non gli era sfuggito lo sguardo di rimprovero di Alec, ma aveva finto
di non notarlo e, anche se sapeva perfettamente di aver sbagliato, era
stato più forte di lui e non era riuscito ad evitarlo.
Sospirò. Avrebbe dovuto scusarsi con Lightwood per come
l'aveva trattato e avrebbe dovuto ringraziarlo per aver trovato Max.
Questo domani, però. Per il momento voleva solo vedere il
figlio che, anche se si trovava nella stanza accanto, gli mancava
terribilmente.
Si diresse verso la porta ed uscì nel corridoio silenzioso.
Arrivato davanti alla camera di Max fu preso da un senso di panico: e
se fosse scappato di nuovo? Il suo cuore si calmò solo
quando, aprendo la porta, vide il figlio dormire beato nel suo letto
nuovo.
La pioggia era completamente cessata, lasciando il posto ad un cielo
stellato ed ad una luna splendente che illuminava la stanza, grazie
alle tende aperte.
Magnus si avvicinò al figlio e lo osservò a lungo
dormire. Era così piccolo, così innocente, che
sembrava un angioletto. "Almeno quando dorme!" pensò
divertito. Si abbassò per rimboccargli le coperte e, nel
mentre, gli accarezzò i capelli e gli baciò la
fronte. Il suo dolce Mirtillo.
Nel rialzarsi, il suo cuore gli balzò ferocemente in gola,
tanto da mozzargli momentaneamente il respiro. Per poco non gli venne
un infarto.
Alec Lightwood era seduto nell'angolo buio della stanza e lo fissava
intensamente.
Cosa ci faceva là?
Fece qualche passo indietro e notò come lo sguardo
penetrante dell'uomo seguisse ogni suo movimento. Magnus
ricambiò l'occhiata, decisamente a disagio. Si sentiva come
un bambino, beccato dal genitore, con le mani nella marmellata e, per
una qualche ragione assurda che non riuscì proprio a
spiegarsi, sentì le sue guance scaldarsi. Per tutti i
diavoli! Che gli prendeva? Perchè non riusciva a sostenere
quegli occhi, che brillavano così acutamente da sembrare
quelli di un rapace pronto ad affondare gli artigli nella sua preda?
Fece dietrofront e, con tutta la calma possibile che riuscì
ad imporsi, uscì lentamente dalla stanza.
Aveva già la mano sulla maniglia della sua porta, quando si
sentì chiamare.
"Signor Bane!"
Magnus si voltò, con una smorfia. "Sì?"
"Mi dispiace disturbarla, ma, se possibile, le chiedo dieci minuti del
suo tempo per discutere di alcune questioni che riguardano il ragazzo.
Domani dovrò andare presto in ufficio e non so fino a che
ora mi tratterrò."
"Che questioni?"
"Beh.. la fuga di oggi poteva avere conseguenze gravi."
ribattè Alec con un cipiglio di rimprovero. "Forse sarebbe
opportuno stimolare l'interesse del ragazzo con attività che
lo tengano impegnato e che gli evitino di ritrovarsi nuovamente in
situazioni analoghe." suggerì.
Magnus annuì. Effettivamente, se Max fosse stato occupato in
qualcosa che gli piaceva, era assai improbabile che avesse il tempo di
pensare e meditare di fuggire ancora.
"So che è tardi, ma potremmo andare nel mio studio per
parlare e forse potrebbe informarmi di altre cose che i miei
collaboratori dovrebbero sapere sul ragazzo." propose gentile.
Non aveva idea del perchè, ma Magnus sentì il suo
cuore traditore iniziare a battere all'impazzata, mentre il profumo
dell'altro gli solleticava dolcemente le narici. Il respiro gli si
mozzò in gola e si spalmò sulla porta, mettendo
quanta più distanza possibile tra lui ed Alec. La sua mente,
nel frattempo, era partita per un viaggio tutto suo in cui braccia
forti si posavano delicatamente sulle sue spalle e labbra invitanti si
incurvavano in un sorriso accennato. Tutto ciò era
semplicemente assurdo. Perchè si stava perdendo in quel blu
straordinario, non riuscendo a distogliere lo sguardo e facendo la
figura dell'imbecille imbambolato?
"E'.. è stata una giornata impegnativa e preferirei andare a
letto." balbettò.
Alec annuì, comprensivo. "Mi scusi! Sono davvero
imperdonabile! Non le ho neanche chiesto come sta, dopo la giornata
faticosa di oggi!"
"S-sto bene. Beh.. buonanotte!" ribattè Magnus, rifugiandosi
in camera ed appoggiandosi contro la porta.
Che diavolo gli stava succedendo? Era la stanchezza, si disse deciso,
scuotendo la testa e sbuffando forte. Era sicuramente per quello. Non
aveva assolutamente niente a che fare con il fatto che Iceberg indossasse
una camicia con i primi tre bottoni slacciati, in cui si intravedeva un
invitante lembo di pelle lattea. O che avesse i capelli umidi, per la
doccia che doveva aver fatto da poco, donandogli un aspetto eccitante.
Proprio no.
"Alec? Ehi Alec? Terra chiama Aleeeec!" ridacchiò Jace,
schioccandogli le dita davanti agli occhi.
Alec sbuffò ed abbassò la mano del fratello. "Ci
sono, ci sono. Stavo solo pensando."
"A cosa?" chiese Jace. "Hai trovato qualche cavillo a cui possiamo
appigliarci per la causa?"
"No." borbottò Alec. "Ma sicuramente deve esserci qualcosa
con cui possiamo incastrarlo!"
Jace annuì, poco convinto di quell'affermazione.
Erano su quel caso da mesi ormai e non avevano fatto nessun passo in
avanti. Ogni loro istanza era stata rigettata dal giudice e tra non
molto ci sarebbe stata l'udienza conclusiva. Se non avessero trovato
una qualsiasi prova che riuscisse ad incastrare l'accusato, quel
bastardo l'avrebbe fatta franca anche questa volta.
"Secondo te, come si sono conosciuti il signor Bane e Lydia?" se ne
uscì improvvisamente Alec, pensieroso.
"Eh?" rispose Jace, cadendo dalle nuvole.
Doveva essersi perso un passaggio. Come erano passati dal parlare del
caso a Magnus Bane?
"Bane e Lydia." ripetè Alec, evitando di guardare il
fratello.
Jace lo fissò per un lungo momento. Capì dove
voleva andare a parare. "No, lo escludo. Appartengono a due mondi
paralleli! Ti pare che Lydia la
perfettina potesse anche solo pensare di frequentare uno
come Magnus?"
"Beh l'hai visto, no? Non trovo così improbabile che fosse
l'amante di Lydia." obiettò Alec, battendo nervosamente la
penna sul fascicolo aperto davanti a lui.
Jace lo guardò, aggrottando la fronte. "Perchè lo
pensi?"
Alec si bloccò, maledicendosi. La sua paranoia gli fece
temere di essersi lasciato scappare una frase che poteva essere
fraintesa, svelando così il suo segreto. Qualcosa che non
aveva mai confidato a nessuno. La reazione di Robert Lightwood, quando
l'aveva scoperto, era stata più che sufficiente.
"Ha l'aria di un donnaiolo. Anche se lei apparteneva all'alta
società, potrebbe averla sedotta." rispose Alec, facendo
spallucce ed ostentando una falsa sicurezza.
Il fratello lo guardò scettico. "Davvero? E quando?"
domandò, scuotendo la testa ironico. "Era incinta! Per
l'angelo, Magnus è strano ed è parecchio, come
dire, disinibito ecco! Ma non credo sia un feticista delle donne in
stato di gravidanza!"
"In che senso disinibito?"
"Che non si fa nessun problema a flirtare a destra e a sinistra con una
donna." sorrise Jace. "O con un uomo." disse con noncuranza.
Alec alzò improvvisamente lo sguardo. "Come, scusa?"
Jace annuì. "Non te l'ho detto? E' bisessuale! Passa da una
sponda all'altra con una facilità disarmante!"
Alec sbuffò. "Bell'esempio che da al ragazzino."
borbottò sarcastico.
"La cosa ti infastidisce?" chiese Jace, squadrandolo.
"Perchè, a te no?"
"Per l'angelo, fratello, non sarai mica come nostro padre, spero! Siamo
nel ventunesimo secolo!" si indignò Jace.
Alec arrossì. Non aveva mai toccato quell'argomento con
qualcuno, figurarsi con lui. Soprattutto con lui.
"N-non è per quello! Pensavo al ragazzino! Non deve essere
un bello spettacolo veder sfilare per casa, ogni giorno, un amante
diverso del signor Bane!" ribattè piccato.
"In realtà, la sua amica Tessa mi ha confidato che
è sempre molto attento a tenere ben separata la sua vita
privata da quella amorosa." rispose Jace, facendo spallucce.
Alec sbuffò. "Vabbè, come vuoi. Resta il fatto
che, oltre al suo orientamento sessuale, sappiamo poco o niente di lui.
Chi è? Dove è nato? Dove ha vissuto prima di
arrivare in Inghilterra?"
Jace alzò le mani. "Deciditi. O mi sguinzagli sul suo
passato o ti aiuto con il caso."
"Il caso. Decisamente. Ha priorità rispetto a qualsiasi
altra cosa." borbottò Alec, ritornando sulle carte sparse
sopra il tavolo.
Il misterioso passato di Magnus Bane poteva aspettare.
Magnus sorrise nel guardare suo figlio che ridacchiava divertito,
mentre allontanava la manina dal muso di Phoenix, il cavallo a cui
stava dando da mangiare un filo d'erba.
Dopo giorni di tempo ballerino, il sole di agosto aveva finalmente
deciso di tornare in tutta la sua potenza e l'uomo gli offrì
il volto, ben contento di sentire i suoi raggi scaldargli la pelle.
Stiracchiò le braccia ed allungò le lunghe gambe
sul plaid che aveva steso sul prato, riportando poi lo sguardo sul
figlio che giocava con il suo nuovo amico.
Il padrone di casa aveva proposto di intrattenere Max con delle
attività che lo tenessero impegnato ed era stato di parola.
Quella mattina, infatti, si era presentato davanti a loro lo stalliere,
pronto ad esaudire i desideri del suo capo.
Nei giorni precedenti, complice il maltempo, Magnus si era limitato a
girovagare curioso per i corridoi infiniti di casa Lightwood,
ignorando così ciò che c'era all'esterno. Durante
la concitata ricerca di qualche giorno prima, inoltre, non aveva
assolutamente fatto caso alla stalla, un'imponente costruzione in
mattoni rossi, né alla lunga staccionata in legno, che si
trovava dietro la casa e che arrivava fin quasi al laghetto.
Fu quindi una sorpresa scoprire che non solo Iceberg era un
amante dei cavalli, ma ne possedeva addirittura cinque.
Ragnor Fell era l'uomo che se ne occupava e aveva chiesto a Max se gli
teneva compagnia, mentre lui svolgeva le varie attività che
servivano a prendersi cura degli animali. Il bambino aveva acconsentito
con gioia e, fino a quel momento, era rimasto fuori dai guai.
"Papino, questa sera Phoenix può dormire con me?"
Magnus rise. "Credo sia un po' complicato portarlo dentro casa."
rispose.
Max sembrò pensarci su. "E un pesciolino? Nel laghetto ce ne
sono tanti!" chiese, indicando lo specchio d'acqua poco distante da
loro.
"Vedremo. Se fai il bravo, perchè no?"
Max annuì energicamente e si girò verso il lago.
"Posso andare a nuotare?" chiese, riportando lo sguardo birichino sul
padre.
Magnus scosse la testa. "Non so che bestiacce potrebbero esserci
là dentro, topolino."
Il bambino lo guardò con un grande sorriso, prima di
corrergli incontro e buttarsi su di lui. Anche se aveva solo otto anni,
sapeva nuotare molto bene e aveva una voglio matta di tuffarsi in
quell'acqua limpida. Doveva solo convincere suo padre.
"Per favooore!" lo supplicò, saltellandogli addosso. "Senti?
Sono tutto sudato! E sono sicuro che non ci sono squali o pesci
pericolosi!" esclamò, alzandosi e tirandolo per una mano.
Quando Magnus ridacchiò e lo seguì, Max seppe di
aver vinto la sua piccola battaglia.
"Ok!" concesse l'uomo. "Ma non allontanarti troppo, intesi? E stai
attento!"
Max annuì, prima di togliersi i vestiti e correre dentro
l'acqua.
Magnus ritornò a sedersi sulla coperta e, mentre lo
osservava, si chiese per l'ennesima volta dove poteva mai essere stato
quando era scappato.
Ogni volta che aveva tentato di toccare l'argomento, Max lo distraeva
parlando d'altro e l'uomo non se l'era sentita di insistere. In fondo
era solo un bambino e scappare era stata la cosa più
naturale che poteva fare in un momento di difficoltà.
L'aveva fatto anche lui, otto anni fa!
Un leggero colpo di tosse lo distolse da quei pensieri ed, alzando gli
occhi, incrociò quelli di Alec Lightwood in piedi di fronte
a lui. Non si era accorto che gli si era parato davanti.
"Buongiorno signor Bane." lo salutò.
"Iceb..
voglio dire, Lightwood! Che ci fai qui?" chiese Magnus, sorpreso ed
alzandosi di scatto.
Non lo vedeva dalla sera in cui Max era scappato. Dopo quanto successo,
l'uomo si era rifiutato categoricamente di analizzare le sensazioni
provate. Le aveva archiviate in un angolo buio della propria mente ed
era passato oltre, aiutato anche dal fatto che Alec rientrava sempre
tardi la sera ed era più unico che raro incontrarlo. Se non
avesse saputo che era il padrone di casa, Magnus avrebbe davvero
faticato a credere che l'avvocato abitasse là.
Alec sbuffò. "I miei fratelli mi hanno obbligato a prendere
il pomeriggio libero perchè, a quanto pare, sto "impazzendo
dietro a questo caso"." borbottò, mimando il virgolettato.
Magnus non potè evitare di sorridere. Nonostante fosse
lì da poco, aveva avuto modo di approfondire la conoscenza
con gli altri due fratelli Lightwood. Di Jace già lo sapeva,
ma ignorava che anche Isabelle fosse un'autentica forza della natura.
Non riusciva a capacitarsi di come il biondo e la mora potessero essere
imparentati con il tizio serio e accigliato che aveva davanti. Erano
l'esatto opposto. Magnus era sicurissimo che quello adottato era Alec,
non Jace, come invece era in realtà.
"Potrebbe essere una buona idea. Sgombrare la mente potrebbe esserti
utile." ribattè Magnus, facendo spallucce.
Alec scosse la testa. "Hodge mi ha detto che il signor Fell sta tenendo
occupato il ragazzo." disse, cambiando argomento.
Magnus sorrise nuovamente. "Sì! Ragnor è davvero
un tes.. MAX!!!" urlò improvvisamente, abbandonando l'aria
serena e dirigendosi in fretta verso il lago.
Alec seguì il suo sguardo e fissò lo specchio
d'acqua, calmo e privo di increspature.
"Max!" ripetè Magnus, entrando con i piedi nell'acqua.
"Dov'è?" chiese Alec, dopo averlo raggiunto ed essersi
posizionato al suo fianco.
"Nel lago. Stava.."
La testa del bambino affiorò in superficie per pochi
istanti, a circa quaranta metri dalla riva, per poi risparire sotto il
pelo dell'acqua.
Alec non esitò un secondo e si tuffò rapidamente.
Sentì distrattamente Magnus urlare qualcosa, ma non ci fece
caso e nuotò quanto più velocemente possibile
verso il punto in cui era sparito il ragazzino. Aveva percorso in lungo
e in largo quello specchio d'acqua e sapeva che poteva celare delle
insidie pericolose.
Arrivato a destinazione, prese un bel respiro e si immerse. Una volta
sott'acqua, si guardò freneticamente attorno, ma del bambino
non c'era traccia. Riemerse per respirare e, prima di immergersi,
notò uno spruzzo d'acqua a circa trenta metri da lui. Con
potenti bracciate arrivò in quel punto e tornò a
scandagliare il fondale. Nulla.
Riemerse in superficie e scrutò a destra e a sinistra,
temendo il peggio. Il cuore gli martellava nel petto ed aveva il
respiro pesante, ma si disse che doveva continuare a cercare.
Lanciò un'occhiata preoccupata verso riva, sicuro di non
trovarvi più la figura di Bane che, a quel punto, si era
sicuramente immerso per salvare il figlio.
Per poco non si strozzò con la propria saliva. Non solo Bane
era sulla riva che si stava sbracciando per attirare la sua attenzione,
ma, di fianco a lui, c'era il ragazzino sano e salvo.
Un'ondata di rabbia, mista a sollievo, si impadronì di Alec
e sentì il sangue pulsargli nelle tempie. Gli venne una
voglia improvvisa di sculacciare il sedere del ragazzino e sapeva che,
se fosse già stato a riva, sarebbe stato abbastanza
arrabbiato da farlo.
Magnus doveva aver intuito il suo stato d'animo perchè,
mentre nuotava verso di loro, lo vide porgere i vestiti al ragazzino e
poi spedirlo via da lì.
Quando finalmente arrivò a riva ed uscì dal lago,
Alec grondava acqua, le scarpe pesavano almeno una tonnellata l'una e
camicia e pantaloni gli si erano incollati addosso.
Guardò il bambino sparire tra gli alberi e grugnì
un'imprecazione. Perfetto! Visto che il moccioso era scappato, avrebbe
sfogato la sua rabbia sull'uomo con la cresta, che in quel momento
aveva un'espressione divertita e si stava mordendo il labbro,
sicuramente nel tentativo di non ridergli in faccia,
ipotizzò.
Lo fronteggiò, con le mani sui fianchi e gli occhi che
sprizzavano scintille. "Perchè lo ha lasciato scappare,
anzichè permettergli di assumersi le sue
responsabilità?" sibilò, arrabbiato.
"Aveva freddo!"
"Ci sono quaranta gradi all'ombra." gli fece notare Alec, glaciale.
"Sapeva che stavo nuotando per raggiungerlo. Perchè non mi
ha aspettato per spiegarmi che non era in pericolo?"
"E' un bambino! Ha pensato che fosse un gioco!" tentò di
difenderlo Magnus.
"Ha allevato un codardo, signor Bane." sputò Alec, al limite
della sopportazione.
"Max non è un codardo!" ribattè Magnus,
sollevando il mento in gesto di sfida. "Ha frainteso, tutto qui. Ed
è andato a casa a cambiarsi."
"La smetta di difenderlo. Quando è scappato, non ho detto
una parola. Le assicuro che un errore del genere non si
ripeterà più."
"Oh per l'amor del cielo, non ha mica ammazzato qualcuno! E, poi, a
dirla tutta è colpa tua! Di nuovo."
Alec lo guardò sbalordito. "Mia???"
Magnus annuì, deciso. "Ti ho gridato che non serviva che ti
gettassi nel lago e che Max sa nuotare, ma non mi hai minimamente
ascoltato!" ribattè piccato.
Se la situazione non fosse stata così seria, Alec si sarebbe
messo a ridere. Quell'uomo era l'essere più irritante e
irrazionale con cui aveva mai avuto a che fare.
Aveva una voglia matta di colpirlo. E di baciarlo.
Scacciò quel pensiero con decisione, indurì i
tratti del viso ed, avvicinandosi pericolosamente al suo naso,
sussurrò tagliente "Il ragazzo ha bisogno di imparare il
significato della parola responsabilità. Visto che lei non
è in grado di insegnarglielo, lo farò io."
Si allontanò bruscamente da lui, lo oltrepassò e
marciò verso casa, borbottando come una caffettiera.
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
Max si fermò,
ansante, davanti al capanno. Poggiò le mani sulle ginocchia
e tentò di regolarizzare quanto più possibile il
respiro pesante, causato dalla corsa a perdifiato che aveva fatto per
arrivare fin là.
Ridacchiò spensierato e scosse la testa. L'aveva scampata
davvero bella, a giudicare dalla fretta che aveva avuto suo padre a
passargli i vestiti e a spedirlo via dalla riva del lago.
Si rimise dritto, stiracchiò la schiena e si diresse verso
l'ingresso del rifugio, spostando poi il pannello che fungeva da porta.
"Rafe? Ehi Rafe, ci sei?" chiese il bambino.
All'interno della baracca ci fu del movimento e, dopo pochi secondi,
Max intravide nella penombra il ragazzino, seduto contro la cassapanca.
"Ciao!" lo salutò piano quest'ultimo, appena lo vide.
Max sorrise. Il giorno in cui era scappato, aveva vagato a lungo sotto
la pioggia per il vasto parco della tenuta, finchè
finalmente aveva trovato riparo in un vecchio tronco cavo. Era rimasto
scioccato nel trovarsi faccia a faccia con un altro bambino. Quando
questo si era spostato un po' più in là,
facendogli spazio, Max seppe di aver trovato un amico.
Raggomitolati vicini, in attesa che il temporale passasse, i due
ragazzini avevano parlato del più e del meno. Max gli aveva
raccontato che era arrivato in quella città da poco, ma che
era già scappato dalla nuova casa, perchè non gli
piaceva vivere là. Rafe gli aveva riferito che il posto in
cui stava non lo considerava casa sua, quindi ne stava aggiustando uno
che aveva trovato poco distante.
Max gli aveva rivelato che, fino a poche settimane prima, era un
bambino molto felice e che viveva in Inghilterra con il suo
papà e con i suoi zii. Poi il suo papà gli aveva
detto che in realtà non era davvero il suo papà e
che quello vero era un avvocato di New York. Lui però non
aveva nessuna intenzione di essere il figlio di un estraneo. Voleva
stare per sempre solo con il suo papà.
Rafe gli aveva confidato di non aver mai avuto un padre. O una madre.
Viveva in una casa con altri bambini, ma non li considerava la propria
famiglia. Non era inoltre facile abitare là, soprattutto
quando era ora di mangiare ed il cibo non bastava per tutti. Oppure
quando, in pieno inverno, faceva davvero freddo ed il proprietario si
rifiutava di accendere il riscaldamento.
Max si era offerto, senza indugio, di portargli tutto il cibo che
voleva: sarebbe sgattaiolato in cucina e avrebbe sgraffignato qualcosa
da sotto il naso della signorina Cat. Anche le coperte non erano un
problema, perchè in camera sua ne aveva tantissime ed era
sicuro che nessuno si sarebbe accorto se ne avesse presa una o due per
darle a lui.
Rafe aveva sorriso grato e, quando il temporale si era calmato, gli
aveva chiesto se voleva vedere la casetta che stava sistemando. Una
volta arrivati a destinazione, Max aveva deciso che avrebbe aiutato il
suo nuovo amico a sistemare quel posto e, visto che non aveva nessuna
intenzione di tornare a casa, si era anche offerto di fare da guardia
al rifugio, quando Rafe non c'era. Avevano suggellato il patto con una
stretta di mano e un grande sorriso.
"Dov'eri finito?" gli chiese Rafe, con una voce flebile. "Sei sparito
nel nulla ed iniziavo a preoccuparmi!"
"Mi spiace!" si scusò Max. "E' venuto a cercarmi."
sbuffò, entrando nel capanno buio.
Una spessa coperta, appesa alla bel meglio alla finestra, e il
pannello, che occupava quasi tutto lo specchio della porta, impedivano
alla luce di entrare.
"Chi? Tuo padre?" chiese Rafe.
"No, l'avvocato." lo corresse il bambino dagli occhi blu.
"E' tuo padre anche lui, no?"
"No, non lo è." rispose, testardo, Max.
"Ti.. ti ha fatto domande? Sai.. su questo posto e sul fatto che
è più in ordine di quanto dovrebbe essere in
realtà. Siamo nella sua proprietà e non potrei
stare qui!"
"No, tranquillo. Non gliene importa niente del capanno. O di me." disse
Max, facendo spallucce. "Pensavi di fare qualche lavoretto, oggi? Posso
darti una mano, sai! Sono sicuro che papi non mi verrà a
cercare tanto presto." propose, cambiando discorso e dirigendosi verso
la finestra, per togliere la coperta e far entrare un po' di luce.
"No.. non ne ho molta voglia." sussurrò il suo amico.
Max liberò la finestra e fu allora che vide che c'era
qualcosa che non andava nel suo amico. Gli si avvicinò di
nuovo, notando i capelli scompigliati ed un taglio, sul labbro
inferiore, che sanguinava.
"Cosa.. cosa ti è successo?" chiese Max, scioccato.
Rafe fece spallucce, mentre una smorfia di dolore gli contraeva il viso.
Max si accucciò al suo fianco e gli toccò la
schiena, in un gesto di conforto. Il suo amico però si
ritrasse, gemendo forte.
"Cos'hai? Perchè ti fa male?"
"N-non è niente. Non preoccuparti."
Max non gli credette nemmeno per un secondo e sollevò la
maglietta, svelando i lividi sulla schiena.
"Per Lilith! Chi è stato?"
"N-non importa."
"Chiunque sia il colpevole, la pagherà per averti fatto
questo!" gridò, oltraggiato, Max. Nessuno doveva permettersi
di toccare il suo amico.
Rafe scosse la testa. "E' colpa mia. Ho rotto un piatto."
spiegò.
Max lo guardò sconcertato. Lui aveva rotto tante cose in
vita sua, ma il suo papà non aveva mai alzato un dito su di
lui. Tra l'altro, se mai fosse successo, di certo non l'avrebbe
picchiato in quella maniera.
"Chi è stato?" chiese ancora Max, arrabbiato.
"Lascia perdere. E' più grosso e più forte di te."
"Non mi interessa. Lo prenderò a sassate o.. o.. a
bastonate! Ecco!"
L'altro bambino scosse di nuovo la testa. "Ti farebbe solo del male. E
non voglio."
"Ma non può picchiarti e farla franca." continuò,
caparbio, Max.
Rafe si raggomitolò e tentò di stringersi le
ginocchia al petto. "Non importa. Ci sono abituato."
"Beh, a me importa" esclamò Max, sedendosi di fianco a lui e
posandogli, con gentilezza, un braccio intorno alle spalle.
Rafe tentò un sorriso sbilenco, per poi tamponarsi il labbro
sanguinante con un lembo della sua maglietta cenciosa.
"Ecco, usa questo!" disse Max, porgendogli un fazzoletto. "Puoi
tenerlo, se vuoi!"
"Oh no, non posso! Mi accuserebbero di averlo rubato!"
"Ma non l'hai rubato! Te l'ho regalato io!" sorrise il bambino.
Rafe prese il pezzo di stoffa e, timidamente, se lo portò al
viso. Chiuse gli occhi e ne respirò il profumo. Non aveva
idea di che fragranza fosse, ma gli piaceva molto.
"E' sandalo." spiegò Max, leggendogli nel pensiero. "E' il
profumo del mio papà!" sorrise.
"Il tuo papà odora davvero di buono." sussurrò
Rafe.
A Max veniva quasi da piangere, ma cercò di trattenersi.
Strinse un po' di più il braccio attorno alle sue spalle,
sempre attento a non fargli male, e posò la testa contro la
sua.
"Se il mio papà ti adottasse, ti proteggerebbe dalle persone
cattive e nessuno oserebbe più picchiarti."
Rafe sospirò. "Sarebbe bello, ma non succederà
mai." bisbigliò, voltandosi poi verso di lui. "Giurami che
non lo dirai a nessuno. Se lui viene a sapere che ne ho parlato con
qualcuno, si arrabbierà davvero tanto!"
"Lui chi?"
"Non ha importanza." ripetè Rafe.
"Ma se lo dicessi al mio papà, potrebbe aiutarti!"
obiettò Max.
"No! Per favore! Se sei mio amico, giurami che terrai la bocca chiusa.
Giuralo!" lo pregò con forza.
"Va bene." concesse Max, triste. "Lo giuro."
Rafe annuì e si alzò barcollando. "E' tardi! Devo
andare." disse frettoloso. "Ci vediamo presto, ok?"
Max tentò di obiettare, ma il suo amico uscì in
fretta dal capanno e sparì tra gli alberi del bosco.
Alec camminava avanti ed indietro per la biblioteca, irritato.
Una volta rientrato a casa, pensava di fare un bel discorsetto al
moccioso disubbidiente, ma era sparito. Di nuovo.
Ovvio. Finchè aveva carta bianca in tutto, come ci si poteva
aspettare che maturasse? Aveva già otto anni, per l'angelo!
Alla sua età, lui aveva dovuto smettere di essere un bambino
e diventare direttamente un adulto. Non pretendeva certo che lo facesse
anche il ragazzino, ma diamine! Poteva almeno abbandonare i suoi
atteggiamenti infantili!
Alec annuì deciso. Quel moccioso aveva bisogno di una bella
raddrizzata.
E che dire del signor Bane? Quell'uomo.. per l'angelo, quell'uomo era
davvero impossibile! Non solo non educava il figlio, ma addirittura
dava la colpa a lui delle sue mancanze. Pazzesco!
Si fermò di botto e guardò fuori dalla finestra,
verso il lago. Chissà che fine aveva fatto. Che fosse andato
alla ricerca del ragazzino?
"Che cosa volevi dire, prima?" chiese improvvisamente una voce stizzita
alle sue spalle.
Alec stiracchiò le labbra, in un accenno di sorriso. Parli
del diavolo..
"Sa perfettamente quello che intendevo dire, signore Bane." rispose,
senza neanche voltarsi.
"E che cosa avresti intezione di fare, di grazia?" chiese Magnus, con
le mani sui fianchi.
"Insegnargli un po' di disciplina."
"Non picchierai mio figlio." disse Magnus, glaciale.
"Per l'angelo, signor Bane, non ne ho nessuna intenzione."
ribattè Alec, voltandosi. "Sì può
sapere per chi mi ha preso?"
Magnus si morse la lingua per evitare di dargli una risposta
appropriata e si limitò a sorridere ironico.
"Suo figlio è sparito un'altra volta. Lo sapeva?" chiese
Alec, ignorando la sua faccia da schiaffi.
Magnus fece spallucce. "Sarà qui da qualche parte."
Alec si accigliò. "Non è preoccupato che possa
accadergli qualcosa?"
L'altro scosse la testa, sorridendo. "Sono sicuro che non gli
succederà niente. E' dentro la tenuta."
"Non era dello stesso avviso l'altro giorno, però." si
stupì Alec.
"Era scappato. E' diverso." minimizzò Magnus, sventolando la
mano.
Alec alzò ed abbassò le braccia, sconcertato. Per
quanto ci provasse, gli riusciva impossibile decifrare quell'uomo
bizzarro.
"Quiiindi.." iniziò Magnus, giocherellando con il mappamondo
che si trovava vicino alla scrivania, "cosa vorresti fare con Max?"
"Beh, prima di tutto, andare a recuperarlo."
Magnus aggrottò la fronte. "Cosa ti fa credere di riuscire a
trovarlo così facilmente?"
"Sono quasi sicuro che si trovi nello stesso posto in cui l'ho trovato
pochi giorni fa."
"Davvero? E dov'è?"
"C'è un capanno, quasi al confine della tenuta. Credo che il
ragazzino lo veda come un rifugio. Un posto segreto in cui giocare e
divertirsi." ribattè Alec. Per lui, quel posto aveva avuto
quel significato.
"E una volta che l'hai trovato?"
"Signor Bane, mi dispiace se prima, giù al lago, sono stato
sgarbato, ma converrà con me che suo figlio non ha regole.
So che lei ha fatto del suo meglio, ma il bambino è un
Lightwood e, un giorno, entrerà a far parte
dell'attività di famiglia. E' fondamentale, quindi, che si
prepari a dovere per questo impegno futuro."
Magnus roteò gli occhi. "E se non volesse diventare
avvocato?"
"Come scusi?" chiese Alec, preso in contropiede.
"Dai per scontato che Max segua le tue orme, ma potrebbe voler fare
altro nella vita."
"Signor Bane.."
"Ad esempio," lo interruppe Magnus alzando un indice "un po' di tempo
fa voleva fare il pirata, mentre ora vuole fare il domatore di draghi!"
ridacchiò divertito. "Il mese scorso mi ha supplicato di
portarlo in giro per tutta Londra per trovarne uno!"
"E' una fantasia infantile e nulla di più."
replicò Alec, scrollando le spalle. "A tempo debito,
studierà legge alla Columbia University e, una volta
laureato, farà praticantato nello studio e un giorno ne
diventerà socio."
"Non obbligherò mio figlio a studiare qualcosa che, magari,
neanche gli piace." si inalberò Magnus, incrociando le
braccia al petto.
"Con tutto il rispetto, signor Bane, non è lei a decidere
del suo futuro." obiettò Alec.
"Hai ragione." concordò inaspettatamente Magnus,
fronteggiandolo. "E' prerogativa di Max infatti e diventerà
qualsiasi cosa vorrà. Che sia avvocato, pirata o domatore di
draghi!"
Si fissarono in silenzio, nessuno dei due disposto a cedere per primo.
"A quanto pare siamo ad un punto morto, signor Bane." disse Alec,
interrompendo quell'assurdo momento.
"Già." confermò Magnus.
"Suggerisco di riprendere il discorso in un momento più
consono." esortò Alec. "Ora, se non le dispiace, vado a
recuperare il ragazzino." concluse, aggirandolo e lasciandolo un'altra
volta con un palmo di naso.
Max stava sistemando il pannello dell'ingresso del capanno, quando
sentì un nitrito dietro di lui. Si bloccò e si
girò velocemente, guardando l'uomo e il cavallo che si
stavano avvicinando.
Per tutti i cavolini di Bruxelles! Era stato beccato un'altra volta da
quell'uomo. Accidenti!
Fissò lo sguardo sul volto dell'avvocato per tentare di
capire di che umore fosse.
E pensare che, in realtà, al lago aveva voluto stupirlo con
le sue abilità di nuotatore! Gli era, però,
bastata un'occhiata di suo padre per capire che l'altro non solo non
era stato felice di tuffarsi, ma era anche arrabbiato. Ma chi
gliel'aveva mai chiesto di venire in acqua?
Notando lo sguardo indifferente dell'uomo, però, Max
tirò un sospiro di sollievo. Fortunatamente all'avvocato non
gli importava abbastanza di lui da arrabbiarsi.
"Sei qui."
Max si rese conto che non era una domanda, ma una semplice
affermazione, quindi non rispose. Non che l'avrebbe fatto, in ogni
caso. Aveva giurato, infatti, che non gli avrebbe mai e poi mai rivolto
la parola.
Il cavallo scosse la testa e sbuffò. Max, anzichè
sull'uomo, concentrò l'attenzione sul muso dell'animale che
gli si era fermato davanti e lo osservò affascinato. Non
riuscì a trattenersi ed allungò una mano,
toccando esitante il pelo del collo.
"Ti piacciono i cavalli?" chiese Alec, piegando la testa e studiandolo
silenziosamente.
Max avrebbe voluto rispondergli che, sì, gli piacevano, ma
tenne la bocca chiusa e continuò a sfiorare la bestia
accarezzandogli la criniera.
"Vieni. Ti riporto a casa." parlò ancora Alec.
Max sbuffò e cercò di montare in sella senza
l'aiuto dell'uomo, ma non ci riuscì. L'altro non attese
oltre, lo afferrò e lo fece volare davanti a lui.
Alec si piegò leggermente, per sussurrare all'orecchio del
bambino "D'ora in avanti, voglio che tu avverta sempre qualcuno se
decidi di allontanarti per qualche ora. Puoi pensare di essere
indipendente quanto vuoi, ma non è così."
Detto questo, fece schioccare la lingua e il cavallo partì
al trotto.
Max si aggrappò forte al pomello della sella e
fissò lo sguardo davanti a sè, rigido.
Evitò, per quanto gli scossoni glielo permettessero, di
appoggiarsi all'uomo dietro di lui.
Mentre si allontanava dal capanno, ripensò a Rafe. Soffriva
a vederlo in quello stato e la tentazione di dire tutto a suo padre,
una volta arrivato a casa, era davvero forte. C'era di mezzo,
però, il giuramento che gli aveva fatto e il suo
papà gli aveva sempre detto che si dovevano mantenere le
promesse che si facevano. Aveva le mani legate, ma doveva trovare un
modo per aiutarlo. Non poteva abbandonare il suo amico.
Alec bussò, deciso, alla porta ed attese.
Il fagotto, tra le sue braccia, attirò la sua attenzione
muovendosi appena e facendolo sorridere.
Ci aveva riflettuto a lungo e si convinse, una volta di più,
che l'idea che gli era venuta fosse valida e potesse soddisfare tutti.
"Avanti!" gridò la voce all'interno della stanza.
Alec aprì la porta ed entrò. "Signor Bane, le
posso parl.." iniziò, bloccandosi però di colpo e
dimenticandosi di tutto quello che stava per dire.
"Sìììì?" rispose Magnus,
osservandolo con un sopracciglio alzato ed un sorrisetto ironico,
mentre si asciugava energicamente i capelli, coperto con null'altro che
un asciugamano.
Max, che era seduto sul grande letto, intento a leggere un fumetto,
alzò lo sguardo e lo osservò
incuriosito: Alec era arrossito di botto e sembrava
paralizzato.
Per l'angelo era sicuro di non essere diventato improvvisamente sordo.
Quell'uomo gli aveva dato il permesso di entrare! Perchè
l'aveva fatto, se era praticamente nudo? Non aveva il senso della
decenza? Irritato, lo maledisse mentalmente.
Si morse con forza l'interno della guancia e si obbligò a
concentrarsi sul motivo della sua presenza in quella stanza.
"Signor Bane," ritentò, dopo essersi schiarito la gola, "mi
scusi se la disturbo, ma volevo parlarle."
"Di cosa?" chiese Magnus, continuando a frizionarsi i capelli, per
nulla turbato della sua mise.
"Di lui." rispose Alec indicando il bambino, che spalancò
gli occhi sentendosi interpellato.
Max osservò sconcertato l'adulto che gli si era parato
davanti e che gli aveva posato delicatamente, tra le braccia, qualcosa
avvolto in una coperta.
"Cos'è?" chiese Magnus, curioso, avvicinandosi.
"Qualcosa che, spero, farà diventare suo figlio
più assennato." rispose Alec, serio.
Magnus lo guardò attento, scostando poi un lembo della
coperta e scoprendo un piccolo gatto dal lungo pelo bianco e due
luminosi occhi dorati.
"Un micio!" esclamò Max, meravigliato, mordendosi subito
dopo la lingua per aver parlato in presenza dell'avvocato.
"Da questo momento ne sei responsabile e dovrai prenderti cura di lui."
gli comunicò Alec. "Da solo." aggiunse, lanciando
un'occhiata significativa a Magnus.
Magnus roteò gli occhi e sbuffò. "E' davvero
carino!" ammise, tornando a guardare il gatto. "Come si chiama?"
chiese, grattando un orecchio del piccolo animale.
Alec scrollò le spalle. "Non ha un nome. Può
dargli quello che preferisce." disse, mentre arrossiva di nuovo, dopo
essersi reso conto di quanto vicino era l'altro. Si scansò
impercettibilmente da lui e si schiarì nuovamente la gola.
"Ok, vi lascio fare conoscenza. Buona notte." augurò,
congedandosi ed uscendo velocemente dalla stanza.
Magnus guardò disorientato la porta chiudersi.
Sì, Iceberg
era il nemico, ma trovava bizzarro il fatto che avesse la strana
abitudine di "scappare" da lui. Che lo mettesse a disagio? Si
appuntò mentalmente di indagare. Magari poteva tornargli
utile sapere che, in qualche modo, riusciva ad intaccare la sua fredda
corazza.
"Papiiii dobbiamo dargli un nome!" lo riscosse Max.
Magnus riportò lo sguardo su suo figlio e sul nuovo arrivato
e sorrise. "Hai ragione! Come lo chiamiamo?"
"Micio!" esclamò il bambino, dopo averci pensato un po'.
"Che dici?" chiese l'uomo, rivolto al gatto. "Ti piace?"
Il piccolo felino starnutì, scuotendo la testa.
"Uhm.. no, non gli piace!" ridacchiò Magnus, sedendosi di
fianco al figlio e prendendo il gatto tra le mani.
"Miao?" tentò nuovamente il bambino.
Magnus osservò la palla di pelo tra le mani, girandolo prima
verso destra e poi verso sinistra.
"Presidente." decretò infine, fissando l'animale negli
occhi. "Presidente Miao." annuì convinto.
Il micio miagolò, come se volesse confermare che, tutto
sommato, gradiva quel nome pomposo ed importante e Magnus sorrise
raggiante.
Era appena diventato papà per la seconda volta.
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
Magnus
sbuffò, annoiato.
Con il naso all'insù, guardava senza alcun entusiasmo gli
strani ghirigori che adornavano il soffitto della sua camera, mentre le
dita tamburellavano senza sosta sui braccioli della poltrona, su cui si
era buttato svogliatamente.
Suo figlio anche quel pomeriggio, come ogni giorno, era sparito Dio
solo sapeva dove e lui non sapeva cosa fare, con chi parlare, come
tenersi impegnato.
Quella casa era in assoluto il posto più noioso del mondo.
Non succedeva mai niente di niente.
Se non fosse stato per le persone che vi lavoravano, e con cui
chiacchierava meno di quanto in realtà avrebbe voluto, onde
evitare di incorrere nell'ira di Iceberg
perchè i suoi domestici, anzichè lavorare, si
intrattenevano con lui, sarebbe sicuramente morto di inedia.
Doveva fare qualcosa, uscire, vedere persone o, prima o poi,
l'avrebbero trovato mummificato su quella stessa poltrona.
Colpì con forza i braccioli e si issò dalla sua
posizione scomposta, spaventando Presidente Miao che gli dormiva
placidamente in grembo.
Il gatto miagolò contrariato per essere stato svegliato di
soprassalto.
"Scusa Presidente! Sei così leggero, che mi ero dimenticato
di te." si giustificò l'uomo, sorridendo e grattandogli un
orecchio per farsi perdonare.
Si alzò dalla poltrona, posò delicatamente il
gatto sul cuscino, dove il suo sedere era rimasto inchiodato fino a
quel momento, e si diresse verso l'armadio, spalancandolo.
Fissò, con le mani sui fianchi, i pochi (a suo dire) capi
che vi erano all'interno, indeciso su cosa indossare.
Di una cosa era sicuro, però: era ora di smettere di fare il
monaco di clausura e di rispolverare il buon vecchio Magnus, idolo
delle feste. Gli mancava così tanto!
Per tutti i diavoli, non toccava un goccio d'alcool da quasi due
settimane! Tessa l'aveva talmente stressato sul fatto che non era
saggio scolarsi qualsiasi bottiglia gli capitasse tra le mani, mentre
era nella casa di colui che poteva decidere del futuro di Max, che
aveva finito per farsi influenzare dalla sue parole e ci mancava poco
che diventasse astemio. Buon cielo, che eresia!
E che dire dell'astinenza? Non voleva neanche calcolare da quanto tempo
non si faceva una sana rotolata tra le lenzuola con qualcuno.
Sì, si masturbava, ma non era la stessa cosa ed era pure
costretto a farlo sotto strati di coperte, mentre moriva per il caldo e
per lo sforzo, perchè quella spina nel fianco di Will aveva
ventilato l'ipotesi che l'avvocato avesse piazzato telecamere in ogni
stanza per assicurarsi che non succedesse niente di strano in sua
assenza. Magnus aveva accuratamente controllato la sua camera palmo a
palmo, senza trovare nulla, ma non si poteva mai sapere. Di norma non
si sarebbe fatto nessun problema, esibizionista fino al midollo
com'era, ma l'idea che un Iceberg bigotto e scandalizzato potesse
cacciarlo di casa senza se e senza ma, lo bloccava così
tanto da rassegnarsi addirittura a non guardare neanche un porno sul
suo pc. Stava impazzendo! Era da oltre dieci anni buoni che non era
così "casto e puro".
Quella sera, però, cascasse il mondo, avrebbe dato una
svolta alla sua routine americana.
"Presidente, che ne dici di questo abbinamento?" chiese al gatto,
mentre tirava fuori un paio di pantaloni neri e una camicia bianca.
Il gatto aprì un occhio e miagolò annoiato.
"Dici?" chiese Magnus, dubbioso, guardando quello che aveva in mano.
"Hai ragione. Troppo semplice." concordò poi, gettando i
vestiti su un poggiapiedi e tornando a rovistare nell'armadio.
Scaraventò alla rinfusa, dietro di sè, un capo
alla volta e riemerse dal guardaroba con un paio di jeans e una camicia
viola con paillettes.
"E questa?" domandò di nuovo al gatto. "E' perfetta non
trovi?"
Il gatto si alzò, si stiracchiò con un enorme
sbadiglio e si ributtò sul cuscino, dandogli le spalle ed
ignorandolo apertamente.
"Antipatico." lo rimproverò Magnus, leggermente risentito
per l'indifferenza felina. "Guarda che è una cosa
importante! Devo farmi bello se voglio far colpo. Non posso uscire
vestito con la prima cosa che capita!"
Presidente sospirò profondamente, mentre la coda sventolava
a destra e a sinistra, sferzando l'aria.
Magnus lo liquidò con un'occhiataccia e si rigirò
la camicia tra le mani. Sì, poteva fare al caso suo. Con la
luce giusta, gli strass l'avrebbero fatto luccicare come una palla da
discoteca e il cielo solo sapeva quanto aveva bisogno di essere notato.
Avrebbe chiesto a Cat se poteva badare a Max e lui sarebbe uscito,
finalmente, in qualche locale a divertirsi un po'.
Niente e nessuno avrebbe rovinato il suo piano.
"Sei sicuro che il sangue riesca a circolare?" chiese perplessa Cat,
guardando le gambe del suo nuovo amico, fasciate dai jeans
più stretti che avesse mai visto.
"Certo! So che non sembra, ma ti assicuro che sono davvero comodi!" la
rassicurò Magnus, dandosi un'ultima sistemata ai capelli.
Cat lo guardò scettica. Era un mistero come fosse riuscito
ad indossare quei pantaloni, senza morire di asfissia mentre lo faceva.
"Sei davvero bello, papi." si complimentò Max, coricato a
pancia in giù sul letto del padre e con le gambe che
sgambettavano per aria.
"Grazie fragolina." sorrise l'uomo, osservando il suo riflesso nello
specchio da parete, presente nella sua camera, mentre faceva un giro su
se stesso. Sì, modestia a parte, era uno schianto.
Ci aveva messo quasi due ore per vestirsi, truccarsi e pettinarsi, ma
finalmente era pronto per uscire a fare baldoria e si godette quella
sensazione di eccitazione che gli scorreva nelle vene e che gli faceva
rizzare i peli delle braccia. Da quanto non la provava!
"Dove te ne vai di bello?" chiese Cat, intenta ad ammirare la
quantità industriale di trucchi che possedeva l'uomo.
"Al Pandemonium." rispose Magnus, applicandosi una dose generosa di
lucidalabbra sulla bocca.
Aveva fatto una breve ricerca su internet e, a quanto pare, quello era
il locale più in voga di tutta New York. Il luogo perfetto,
insomma, per festeggiare il suo ritorno a casa.
"Grazie ancora per Max!" le sorrise.
"Non c'è di che." rispose Cat, buttandosi sul letto accanto
al bambino. "E poi come si fa a resistere ad un faccino così
dolce?" chiese la donna, posando le mani sulle gote di Max. "Vero che
sei dolce? Eh? Ma sì che lo sei!"
"Smettila." protestò a fatica il piccolo, con le labbra che
sporgevano a causa della pressione che stavano esercitando le mani di
Cat sulle sue guance. "Non sono mica Presidente Miao!"
sbuffò, allontanando quelle zampacce dalla sua faccia.
"Oh! A proposito di Presidente!" esclamò la donna, battendo
le mani, colta da un pensiero improvviso. "Quel gattino non ha regole!
Dovete educarlo al più presto!" brontolò,
agitando l'indice.
"Presidente è educatissimo!" replicò subito
Magnus.
"Davvero? Allora è stato il suo gemello cattivo a fregarsi
un intero cosciotto d'agnello questa mattina?" chiese Cat, sarcastica.
"Presidente non lo farebbe mai!" esclamò Magnus, accigliato.
"Ma se l'ha fatto, e bada bene che non sto dicendo che è
così eh, sia chiaro, è solo un'ipotesi.. comunque
se l'ha
fatto è di sicuro perchè stava morendo di fame,
povero caro!"
"Ma per favore! Avrà messo su dieci chili da quando il
signor Lightwood te l'ha dato!"
Magnus la guardò scioccato e si portò
teatralmente una mano al petto. "Presidente non è grasso! E
tutto pelo e ossa!" rispose, oltraggiato dal fatto che Cat stesse
offendendo il suo bimbo peloso.
"Ma se mi viene un'ernia ogni volta che lo prendo in braccio!"
"E' piccolo!" si risentì Magnus. "Ha bisogno di mangiare per
diventare grande!"
"Non il mio cosciotto d'agnello!" lo redarguì Cat.
Nessuno dei due fece caso al piccolo Max che, da quando era iniziato
quel battibecco, aveva assunto una tinta rosso pomodoro ed osservava le
trame della copriletto che erano diventate improvvisamente interessanti.
"Eddai Alec!"
"No."
"E' solo una pausa!"
"No."
"Su, non farti pregare!"
"No."
"Oh andiamo!"
"No."
Jace sbuffò forte. Suo fratello era peggio di un mulo quando
si impuntava.
Quella sera, lui ed Izzy avevano programmato di uscire, per divertirsi
e, soprattutto, per staccare la mente dal caso e distrarsi un po'. Il
piano prevedeva anche di convincere quello zuccone di Alec a seguirli,
convinti che fosse lui quello che aveva più bisogno di
svagarsi, ma non avevano fatto i conti con la testardaggine del loro
fratello maggiore.
"Neanche un bicchiere? Uno solo?"
"No."
Jace alzò le mani, esasperato, e gettò la spugna.
Per un attimo aveva anche pensato di trascinarlo con la forza, ma
scartò l'idea quasi subito perchè, nonostante non
si notasse, grazie ai completi che indossava, Alec nascondeva, sotto
strati di pregiati tessuti costosi, muscoli di una certa consistenza,
forgiati grazie ad ore in palestra praticando Jiu Jitsu, che avrebbero
potuto scaraventarlo a terra senza alcuno sforzo.
"Ok, ci vediamo domani." lo salutò Jace, sconfitto,
girandosi verso la porta per uscire.
"Ok, ciao."
Isabelle fece capolino proprio in quel momento, sorridendo. "Allora?
Siamo pronti? Andiamo?"
"Lui non vuole venire." le riferì Jace, indicando con il
pollice l'uomo dietro alle sue spalle.
Il sorriso di Isabelle sparì dal suo viso, sostituito da un
cipiglio determinato.
Si piazzò davanti alla scrivania del fratello e, con le mani
sui fianchi, esibì la sua espressione più truce,
sibilando "Alexander Gideon Lightwood alza il culo da quella sedia e
vieni subito con noi..
"No."
"..o ti ficco un tacco in un occhio."
"No." continuò impassibile Alec, senza alzare lo sguardo
dalle carte che stava leggendo. "E vorrei farti notare che minacciare
qualcuno è reato." la informò.
"Alec.."
"No."
"Se non ti dai una mossa, giuro che nascondo un ragno nel tuo ufficio!
Uno di quelli grossi e pelosi!"
Alec alzò gli occhi, improvvisamente in allerta.
"Non lo faresti mai." ribattè l'uomo, tentennando.
Un lampo di sfida saettò negli occhi della sorella e questo
lo preoccupò non poco.
Izzy alzò un sopracciglio e sorrise misteriosa. "Davvero? Ne
sei davvero così sicuro?" gli chiese. "Immagina:"
continuò poi, "stai parlando con un cliente e all'improvviso
il bel ragnetto ti piomba davanti.. Te la senti di rischiare?"
rincarò la ragazza, incrociando le braccia al petto.
"Sai che forte se, prima di saltare fuori, nidifica e poi si fa vedere
con tutta la truppa?" sorrise Jace, dandole man forte.
Alec impallidì e rimase in silenzio per qualche secondo,
chiudendo gli occhi e deglutendo con forza. Se la sentiva di rischiare?
Certo che no, per l'angelo! Quei due erano matti abbastanza da mettere
in atto quell'orribile minaccia e sapevano perfettamente che trovarsi
faccia a faccia con un numero imprecisato di ragni era uno dei suoi
incubi peggiori.
Sospirò e si alzò dalla sua scrivania. "Dove
andiamo?" chiese rassegnato, seguendo i fratelli verso l'uscita dello
studio.
"Al Pandemonium." dichiarò Izzy, trionfante.
Alec voleva morire. Odiava quel posto: era troppo caotico e
soverchiante per i suoi gusti. I suoi fratelli erano riusciti a
trascinarlo in quel locale solo una volta, che era stata più
che sufficiente, poi aveva sempre declinato i loro inviti con forza e
determinazione. Fino ad oggi. Accidenti a loro e alla sua aracnofobia!
"Oh per l'amor del cielo! Non possiamo andare in un locale meno
chiassoso?" si lagnò subito.
"No!" rispose Izzy, sistemandosi una ciocca di capelli dietro
l'orecchio. "Simon questa sera si esibisce con la sua band e non
possiamo proprio mancare!"
"Per l'angelo Iz, non ti sei ancora stancata di frequentare quello
sciocco nerd?" chiese Alec, alzando gli occhi al cielo.
"Se ti degnassi di conoscerlo meglio, non parleresti così!"
brontolò lei, stizzita.
"Se mi degnassi di conoscerlo meglio, morirei affogato a causa della
fiumana di parole che escono dalla sua bocca." rispose acido il
fratello.
"Sei davvero antipatico!" si offese Izzy. "Quasi quasi riconsidero
l'idea del ragno! Solo che, anzichè in ufficio, te lo infilo
nel letto!"
"Non pensarci nemmeno!" urlò Alec, spaventato all'idea di
sentire quelle zampette pelose arrampicarsi lentamente sulla sua gamba.
Rabbrividì e scoccò un'occhiataccia alla sorella.
"Sto venendo con voi! Non è abbastanza?"
"Solo se fai il bravo." sorrise lei.
"Posso almeno andare a casa e togliermi questo vestito?" chiese
sconfortato, prima di salire in macchina con i fratelli.
Jace annuì ed Alec fu scortato fin dentro camera sua ed,
addirittura, sorvegliato a vista affinchè non scappasse
dalla finestra.
Tutto ciò era assurdo e ridicolo, ma, considerata la
minaccia che aleggiava ancora nell'aria, si obbligò a
vestirsi (con una maglietta nera e un paio di jeans che avevano visto
giorni migliori) e mise il broncio fino a quando arrivarono al locale.
Quando entrarono, la smorfia sul suo viso si accentuò
ulteriormente. Una cacofonia di suoni gli travolse selvaggiamente i
timpani e l'uomo ponderò seriamente l'idea di strozzarsi con
uno dei cocktail colorati che stava preparando uno dei barman. Almeno
sarebbe uscito da quel posto infernale in tempo record!
Il Pandemonium non era affatto cambiato dall'ultima volta che ci aveva
messo piede, anzi, se possibile, era addirittura peggiorato! Sulla
pista da ballo c'erano molti più corpi sudati di quanti ne
ricordava e l'angolo bar scoppiava di avventori accaldati alla ricerca
di qualcosa per dissetarsi, prima di tornare a dimenarsi.
Cosa ci trovasse la gente, in quel posto, non l'aveva mai capito. Non
si riusciva a fare una conversazione decente che fosse una, a causa
della musica davvero alta, venivi sballottato di qua e di là
da maleducati che ti venivano addosso e che neanche si scusavano, se
riuscivi a trovare un posto a sedere, era un miracolo, e la fila per
andare in bagno era sempre chilometrica.
Rimase stupito quando Isabelle li condusse, sicura, in un angolo del
locale dove c'erano un tavolino e dei divanetti che si trovavano su una
postazione leggermente rialzata. Si accigliò ed
indicò alla sorella il biglietto che campeggiava in bella
vista sopra al tavolo.
"Izzy è riservato questo posto!" le fece notare.
"Lo so! E' nostro!" sorrise Isabelle, raggiante. "E' uno dei vantaggi
dell'essere la ragazza del bassista!" disse, accomodandosi su un
divanetto ed accavallando le gambe.
Prima di rispondere che non la trovava una cosa così
fantastica, si morse saggiamente la lingua. La frecciatina di prima,
sul nerd occhialuto, era ancora troppo recente per spararne un'altra,
senza correre il rischio di trovarsi davvero un ragno in camera da
letto.
Sbuffò di nuovo e si sedette pesantemente su un divanetto,
incrociando le braccia al petto e rimettendo il broncio.
"Per l'angelo, fratello, sembri Brontolo dei sette nani!"
ridacchiò Jace dopo un po', mentre faceva cenno ad una
cameriera di portare loro da bere.
"Ah ah ah." rispose Alec, lanciandogli un'occhiataccia. "Posso
andarmene?" chiese poi. Era lì da almeno cinque minuti
buoni. Trecento secondi di pura agonia.
"Siamo appena arrivati!" disse Isabelle, alzando gli occhi al cielo,
esasperata. "Almeno aspetta fino alla fine dell'esibizione della band
di Simon!"
Alec sprofondò ancora di più nel divanetto,
sbuffando più forte, prima di gridare dal dolore quando la
sorella artigliò un suo braccio.
"Oh per l'angelo!" urlò Isabelle. "Ma non è
Magnus quello?" chiese, indicando verso un punto imprecisato della
pista da ballo.
"Oh sì! E' proprio lui!" confermò Jace,
sorridendo.
Alec staccò la mano di Isabelle dal suo braccio e si fece
improvvisamente attento, mentre seguiva lo sguardo dei fratelli.
I suoi occhi incontrarono il petto nudo di Magnus Bane, che si stava
dimenando, come se non ci fosse un domani, sulla pista da ballo, mentre
una ragazza gli si strusciava contro e gli palpava il sedere, senza un
minimo di pudore.
Izzy scattò in piedi, eccitata.
"MAGNUS!" gridò a pieni polmoni.
"Izzy cosa fai?!" esclamò scioccato Alec.
"Attiro la sua attenzione!" rispose Isabelle, iniziando a
sbracciarsi ed a saltellare come una pazza. "Magnussss! Yuhuuu!"
"Izzy smettila!" ribattè Alec, tirandola giù.
"Non vedi che è impegnato?"
"Naaa, sarà l'ennesima conquista di turno." rispose Jace,
tracannando, tutto d'un fiato, il suo bicchiere. "BANE!!"
iniziò ad urlare ed a sbracciarsi anche lui, tentando di
superare il frastuono della musica o, per lo meno, di farsi notare.
Alec ringraziò tutti gli angeli del paradiso quando
finalmente il signor Bane si accorse dei suoi fratelli e questi smisero
di metterlo in imbarazzo con quelle mosse assurde. Un paio di ragazzi
si era pure girati verso il loro tavolo, ridacchiando, e lui aveva
tentato di nascondersi inutilmente dietro ad un boccale di birra,
arrossendo oltre ogni misura.
Magnus li salutò da lontano, si scollò di dosso
la ragazza e si diresse verso di loro, ringraziandoli mentalmente.
Poco prima che il suo sguardo intercettasse Isabelle e Jace, infatti,
stava valutando più di una scappatoia per dare il ben
servito alla tizia che gli si era attaccata addosso come una piovra e
che aveva l'alito che puzzava di fumo. Benedetti Lightwood!
"Ciao ragazzi! Anche voi qui?" li salutò calorosamente,
prima che la saliva gli andasse di traverso quando si accorse che c'era
anche Alec. "Oh per tutti i diavoli! E lui?" chiese meravigliato,
indicando il moro imbronciato e con le braccia conserte.
"Aveva bisogno di distrarsi un po'!" rispose Izzy, sventolando una
mano. "E' una fortuna che tu sia qui questa sera! Simon suona con la
sua band!" lo informò, battendo le mani entusiasta.
"Sawyer è un musicista?"
"Sembra incredibile, vero?" ridacchiò Jace, mentre si
scolava un altro drink.
"La volete smettere? Simon è un ragazzo fantastico!" li
bacchettò Isabelle. "Ma parliamo di te!" disse poi,
cambiando discorso. "Hai fatto conquiste eh?!" sorrise maliziosa,
dandogli una gomitata sul braccio.
"Già amico! E' davvero carina!" rincarò Jace,
dandogli una pacca sulla spalla.
"Chi? La ragazza con il posacenere in bocca? Dio me ne scampi!"
inorridì Magnus, sedendosi accanto ad Alec. Si
girò verso di lui e lo guardò sorridendo.
Alec sbuffò, roteando gli occhi al cielo. "Mi hanno
minacciato." rispose laconico, alla sua tacita domanda.
Magnus rise allegro. "Cosa gli avete detto? Lo chiedo per pura
curiosità eh." domandò, con gli occhi che
scintillavano di interesse.
"Non osate!" li avvertì Alec, guardando i fratelli con aria
minacciosa.
Jace rise, aprendo la bocca per rispondere, ma lo stridio del
microfono, posizionato su un piccolo palco su un lato del locale, lo
bloccò.
"Buonasera gente! Mi chiamo Simon Lewis." disse sorridendo il fidanzato
di Isabelle, sistemando l'asta.
Izzy scattò in piedi, applaudendo forte, mentre il ragazzo
sul palco si presentava alla platea.
La ragazza, poi, si girò per agguantare Jace e trascinarlo
con forza sotto al palco, facendogli notare come il look della band
fosse un sua idea.
Rimasti soli, Magnus liquidò tutto e tutti e si
girò nuovamente verso Alec, sorseggiando un drink che Jace
gli aveva fatto gentilmente arrivare.
Alec non si mosse, ma i suoi occhi sì e notarono lo sguardo
canzonatorio dell'altro.
"Che c'è?" gli chiese con un sospiro.
Magnus scosse la testa. "Devo assolutamente scoprire come sono riusciti
a convincerti a venire qui!" lo stuzzicò, posando il gomito
sullo schienale del divanetto e la testa sul palmo della mano. "Non
avrei mai detto di trovarti in un posto del genere!"
"Niente di che." tentò di minimizzare Alec, facendo
spallucce. "Sono stati solo più insistenti del solito. Tutto
qui."
"Devi scontare una sorta di penitenza?" chiese perplesso.
Alec si girò verso di lui, evitando accuratamente di
abbassare lo sguardo sul petto nudo dell'altro. "No, perchè?"
Magnus giocherellò con un buco nella maglietta nera
dell'avvocato. "Perchè o hai perso una scommessa o ti piace
indossare gli stracci che si usano per pulire! Quale delle due?"
Alec scostò la mano impertinente dal suo indumento. "Cos'ha
che non va questa maglietta?"
"Ha i buchi, ecco cosa." rispose serio.
Alec fece spallucce e si sporse per prendere il suo boccale di birra.
"A me piace." rispose, bevendo poi una lunga sorsata.
"Davvero? Certo che sei strano! Come puoi girare in giacca e cravatta
tutto il giorno e poi indossare volontariamente questa roba?"
"La vuole smettere di insultare i miei vestiti? Io non lo faccio con i
suoi!" si indispettì Alec.
"E vorrei ben vedere!" ribattè l'altro, appoggiandosi allo
schienale ed alzando una gamba. "Questi" disse, agguantando un lembo
dei jeans, "sono di Zegna!"
Alec lo guardò confuso. "Chi?"
Magnus lo fissò allibito, sperando di aver udito male.
"Oh.mio.Dio." bisbigliò poi, portandosi una mano alla bocca,
quando si rese conto che l'altro l'aveva chiesto davvero. "Sul serio
non sai chi è?"
L'avvocato fece spallucce. "No, ma, tirando ad indovinare, direi.. uno
stilista?"
"E' uno dei marchi di moda italiani più famosi al mondo!
Come fai a non conoscerlo? Izzy non ti insegna proprio niente?" gli
chiese scioccato, girandosi per intercettare la figura della ragazza,
che stava saltellando come una cavalletta a ritmo della musica, e
lanciarle un'occhiataccia.
"Forse perchè sa che trovo la moda un'inutile perdita di
tempo." spiegò Alec, scrollando le spalle.
Magnus strabuzzò gli occhi e spalancò la bocca,
come se l'avessero appena schiaffeggiato.
Stava per ribattere, quando davanti ai due si pararono due persone. Una
era la bionda che si stava strusciando su Magnus neanche mezz'ora
prima, mentre l'altro era un energumeno che li guardava arrabbiato.
"Passerotto è proprio lui!" cinguettò la ragazza,
aggrappandosi al braccio dell'uomo al suo fianco, indicando Magnus.
"Sei sicura Passerotta?"
"Sì Passerotto! E' stato proprio lui a palparmi!"
sospirò melodrammatica. "E senza il mio consenso!" aggiunse.
Il diretto interessato inarcò un sopracciglio, sorpreso.
"Scusa?"
Il fidanzato della ragazza non perse tempo ed agguantò
Magnus per i lembi della camicia aperta, tirandolo in piedi. "Sei un
uomo morto." sputacchiò furibondo.
"Signore" iniziò Magnus, asciugandosi disgustato la saliva
piovuta sulla sua faccia, "vorrei farle notare che è stata
la sua ragazza ad incollarsi, peggio di un francobollo, al mio
splendido corpo, senza, tra l'altro, mai menzionare il fatto che fosse
impegnata!"
Alec si alzò e, tranquillo, posò una mano sul
braccio di "Passerotto". "Signore, le chiedo cortesemente di lasciar
andare quest'uomo e di fare un passo indietro."
"Non ti immischiare!" sibilò l'energumeno, lanciandogli
un'occhiata furiosa. La presa sul suo braccio si fece più
decisa.
"Signore, non glielo ripeterò un'altra volta." rispose
l'avvocato, glaciale.
Secondo Alec, che analizzò la scena, nella sua mente, in
più di un'occasione, quello che accadde dopo fu colpa della
stanchezza, accumulata in tutte quelle settimane, e al fatto che si
trovasse in quel dannato posto, dove non riusciva a pensare
correttamente.
Ripensando all'accaduto, l'uomo tentò di convincersi che,
sì, era assolutamente per quello che, in un momento
così topico, aveva perso lucidità e prontezza nei
riflessi.
Magnus non c'entrava niente.
Così come non significava proprio nulla il fatto che l'uomo
con la cresta avesse gridato il suo nome, quel nome completo che lui
odiava con tutto se stesso perchè gli ricordava la
rigidità anaffettiva paterna, ed Alec si era distratto
talmente tanto che il pugno del tizio, anzichè andare a
vuoto, come sarebbe successo in una situazione normale, si era
incontrato con il suo naso per un appassionato
tête-à-tête.
Alec era volato giù dallo scalino del palchetto e, quando il
suo sedere aveva sbattuto sul pavimento duro, una scarica elettrica
aveva scosso violentemente tutto il suo corpo, facendolo gemere
vergognosamente.
Il naso gli faceva un male cane, ma il dolore che provava alla caviglia
destra era assai più preoccupante.
***
Nota dell'autrice
A te che stai leggendo e che sei arrivato/a fino alla fine di questo
capitolo: tanti auguri di buona Pasqua e grazie per il tempo
che dedichi alla mia storia! :D
Un bacio :-*
AthenaKira83
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Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
Alec si
svegliò di soprassalto, come se qualcuno l'avesse scosso con
una certa violenza.
Ansimò pesantemente e sbattè le palpebre,
fissando il buio presente nella stanza silenziosa, mentre il cuore
batteva a mille e gli rimbombava nelle orecchie.
Trattenne il fiato quando, improvvisamente, la sensazione che lo aveva
fatto destare si ripetè: una fitta acuta partì
dal suo piede e si irradiò per tutto il corpo, facendolo
tremare.
La caviglia, nonostante gli analgesici presi poco prima di andare a
dormire, doleva in modo fastidioso e, come se ciò non
bastasse, prudeva da morire. Tutto quello che voleva fare, in quel
momento, era grattarsi fino a scorticarsi la pelle, ma la fascia
stretta che avvolgeva il piede glielo impediva, facendolo innervosire
ancora di più.
Sospirò stanco e subito dopo fece una smorfia seccata: oltre
alla caviglia che pizzicava, c'era il problema del naso che bruciava
ancora per il colpo ricevuto.
Accese la luce e si mise lentamente seduto, appoggiandosi cautamente
alla testiera del letto. Si tastò piano il gonfiore al viso,
risultato del gesto cavalleresco messo in atto poche ore prima.
Era tutta colpa di Magnus Bane! Da quando quell'uomo era entrato nella
sua vita, tutto sembrava andare storto. Era come se avesse una naturale
predisposizione ad attirare guai e contagiasse chiunque gli gravitasse
attorno.
Scosse la testa, con un sospiro. Sinceramente non poteva non biasimare
anche se stesso: se non avesse agito d'istinto, mettendosi in mezzo
alla discussione tra il signor Bane e l'energumeno tutto muscoli e zero
cervello, in quel momento starebbe dormendo tranquillamente e,
soprattutto, la mattina seguente sarebbe potuto andare in ufficio senza
problemi.
Questo, tuttavia, non era possibile per colpa di Izzy che, come al
solito, si era intromessa senza che nessuno l'avesse interpellata,
comunicando al medico dell'ospedale che aveva battuto anche la testa,
oltre al sedere, quando era caduto come una pera matura.
La conseguente, pesante, restrizione non aveva tardato ad arrivare: il
dottore, infatti, gli aveva tassativamente proibito di lavorare e gli
aveva ordinato come minimo una settimana di riposo assoluto. Una
settimana! E chi ce l'aveva il tempo di oziare per sette giorni, con,
per di più, una causa importantissima in atto?
Aveva tentato di obiettare, ma era stato tutto inutile. All'inizio era
stato anche gentile, poi si era arrabbiato seriamente, ma la sua
conseguente sfuriata non aveva sortito alcun effetto. Tutto
ciò che avevano ottenuto le sue urla era stato quello di
spaventare a morte un'infermiera volontaria che si trovava nel posto
sbagliato al momento sbagliato.
Quell'irritante tappetta rossa dagli occhi verdi, con evidenti problemi
di coordinazione, gli aveva versato addosso un vassoio carico di
materiale sanitario, rovinandogli irrimediabilmente la maglietta.
Se la sarebbe mangiata viva se non si fossero messi in mezzo i suoi
fratelli! Quell'invadente di Izzy l'aveva ringraziata, con esagerato
entusiasmo, perchè finalmente Alec avrebbe gettato quello
straccio vecchio, mentre Jace.. per l'angelo Jace si era rincretinito
totalmente ed aveva tentato di abbordarla con tecniche a dir poco
imbarazzanti, mentre la pel di carota arrossiva come una scolaretta
delle medie ai suoi complimenti stomachevoli! Uno spettacolo a dir poco
agghiacciante.
Con l'ennesimo sbuffo, si domandò ancora una volta
perchè diavolo si fosse intromesso nella lite alla
discoteca. Perchè non aveva lasciato al signor Bane il
compito di risolvere la situazione in cui lui stesso si era cacciato?
Era vero che, essendo suo ospite, era sotto la sua
responsabilità, ma trasformarsi nella sua guardia del corpo
era stata una decisione davvero davvero stupida, oltre che avventata. E
non era proprio da lui agire in questo modo.
Quello che era successo dopo la caduta, poi, era stata la classica
ciliegina sulla torta. Se ci ripensava, sentiva ancora le guance
scaldarsi per l'imbarazzo.
Quando l'aveva visto a terra, infatti, il signor Bane non aveva perso
tempo: aveva spinto via il "Passerotto" con una forza tale da stupire
sia l'uomo, che preso alla sprovvista era finito a gambe all'aria, che
Alec ed era poi corso al suo capezzale, guardandolo accigliato.
Se le fitte di dolore non gli avessero tolto il fiato, impedendogli di
pronunciare anche solo mezza parola che non fosse un gemito di
sofferenza, Alec avrebbe minimizzato il tutto, asserendo che non fosse
niente di grave. Corpo e mente, però, erano entrati in
sciopero ed erano stati talmente poco collaborativi che l'avvocato si
era ritrovato, inaspettatamente, tra le braccia dell'uomo con la
cresta. Alec era rimasto così scioccato da non riuscire
neanche a protestare, mentre il signor Bane lo sollevava senza sforzo
apparente, trasformandolo, agli occhi dell'intera discoteca (che a
quanto pare non aveva niente di meglio da fare che guardare avidamente
nella loro direzione), nella principessa in pericolo che prontamente
veniva soccorsa dall'eroe di turno.
In quasi trent'anni di vita, nessuno l'aveva mai preso in braccio (non
era successo quando era bambino, figurarsi ora che era adulto!), ma era
dannatamente sicuro che gli sarebbe piaciuto continuare a rimanere
nell'ignoranza per altri trent'anni almeno, piuttosto che scoprire cosa
si provava. Era un miracolo che non fosse morto di combustione
spontanea!
Non pago di avergli fatto fare la figura più imbarazzante
della sua intera esistenza, il signor Bane l'aveva trasportato fuori
dalla discoteca, incurante dei suoi balbettii sconclusionati e delle
occhiate inopportune che continuavano a lanciare loro gli altri
avventori (sul serio, perchè continuavano a fissarli? Non
potevano pensare a spomparsi sulla pista da ballo, piuttosto che
guardare lui?). Il signor Bane aveva poi attirato l'attenzione di un
taxista, che si trovava fuori dal locale, urlandogli di portarli subito
in ospedale.
Alec avrebbe voluto dirgli che non aveva bisogno di andare in ospedale
(aveva preso una semplice storta alla caviglia, che cavolo!), ma il suo
cervello continuava a rimanere scollegato dalla sua bocca e tutto
quello che era riuscito a fare era stato fissare imbambolato l'uomo con
la cresta mentre dirigeva le operazioni di "salvataggio".
In tutto ciò, Jace ed Isabelle non erano stati d'aiuto,
neanche un po'. Una volta che avevano capito che non stava morendo,
avevano cominciato a sorridere e ridacchiare senza sosta. Cosa ci
trovassero di divertente, lo sapevano solo loro!
Il display del cellulare, posato sul comodino di fianco al letto, si
illuminò silenzioso, attirando così la sua
attenzione. Lo prese, scoprendo di avere dieci messaggi non letti e
quindici chiamate senza risposta, pervenuti tutti dalla stessa persona.
Dannazione! Si era completamente dimenticato di lui. Prima che i
fratelli lo trascinassero al Pandemonium, era riuscito ad avvertirlo
che sarebbe arrivato tardi all'appuntamento che avevano fissato per
quella sera, ma ora avrebbe sicuramente preteso di sapere
perchè non si fosse proprio presentato. Come se dovesse
rendergli conto dei suoi spostamenti! Scosse le spalle e decise che ci
avrebbe pensato più tardi. Ignorò l'ennesima
chiamata di quel rompiscatole e riposò il cellulare sul
comodino.
Sospirò nuovamente, maledicendo l'intera situazione in cui
si era cacciato, e, sicuro che non avrebbe ripreso sonno facilmente,
decise di alzarsi per evitare di girarsi e rigirarsi nel letto.
Prese le stampelle, alcuni fascicoli dell'atto in corso e, lentamente,
traballò fino alla cucina. Affogarsi di gelato al
cioccolato, mentre leggeva per la milionesima volta quelle scartoffie,
gli sembrava l'unica cosa sensata da fare in quel momento.
Si fermò di botto sulla soglia della cucina quando si rese
conto che c'era già qualcuno là: Magnus Bane
stava facendo avanti ed indietro, fermandosi di tanto in tanto per
ingurgitare enormi cucchiaiate di gelato, mentre parlava.. da solo.
"Quell'idiota era enorme! Un armadio! Aveva due spalle
così!" gesticolò l'uomo con la cresta,
infervorato.
L'avvocato lanciò un'occhiata panoramica a tutta la stanza,
perplesso. No, non c'era davvero nessun altro, oltre al signor Bane.
"E avresti dovuto vedere com'era vestito! Per Lilith! Come si fa ad
andare in giro conciati in quella maniera?" continuò Magnus,
scuotendo la testa sconsolato, ficcandosi un'altra generosa dose di
gelato tra le sue fauci spalancate.
Onestamente, Alec non era affatto stupito che il signor Bane ciarlasse
al nulla. Quell'uomo era la stranezza fatta persona!
"No, non guardarmi così! Quello che è successo
dopo non è assolutamente dipeso da me!" dichiarò
Magnus, corrucciato, mentre il suo indice si muoveva veloce in segno di
diniego.
Alec si chiese se avesse un amico immaginario, come capitava ai
bambini. O ai matti.
"Come potevo sapere che quella bionda avrebbe causato un tale
putiferio? Eh?" si mise sulla difensiva Magnus, incrociando le braccia
al petto. "Non sono un veggente! Le mie magie riesco a farle solo sotto
le lenzuola!"
Alec arrossì a quell'allusione tutt'altro che velata.
"Che poi, come fai a darle torto?" continuò l'uomo con la
cresta. "Povera cara, ha solo voluto provare, una volta nella vita,
l'ebbrezza di palpare un culo come Dio comanda!" disse, girandosi di
colpo e sporgendo il sedere all'infuori. "Vedi? Come si può
resistere?"
Alec fissò la parte anatomica, rotonda e perfetta, in
questione e si ritrovò, senza rendersene conto, ad annuire
con convinzione, dando ragione al suo proprietario.
"Te lo dico io! Alexander non sarebbe dovuto intervenire. Potevo
cavarmela benissimo da solo!" sentenziò Magnus, battagliero,
con le mani sui fianchi.
La strana sensazione che aveva colto Alec, quando aveva sentito il
signor Bane chiamarlo con il suo nome intero, tornò,
facendogli formicolare la pelle. Ci aveva ragionato su ed aveva
concluso che gli faceva quell'effetto solo perchè era da
tanto tempo che non lo sentiva. Suo padre era stato l'ultimo (e
l'unico) a chiamarlo così perchè per i suoi
fratelli era stato sempre e solo Alec, mentre nel mondo del lavoro
nessuno aveva abbastanza confidenza con lui da andare oltre il "signor
Lightwood" e l'avvocato non aveva nessuna intenzione di modificare
quella situazione.
"Miao!" sussurrò una voce bassa e roca.
Alec gridò sorpreso quando, riemergendo dalle sue
elucubrazioni, si rese conto di avere il muso di un gatto a pochi
centimetri dal suo. Occhi gialli e luminosi lo osservavano intensamente
e per poco non gli fecero sfuggire, per lo spavento, le stampelle e i
fascicoli di mano, oltre che fargli venire un infarto.
Dopo pochi secondi, quelle pupille verticali si abbassarono lentamente
e furono sostituite da un altro paio di occhi, sorprendentemente
somiglianti, ma appartenenti a tutt'altra "razza".
"Ciao!" esclamò Magnus, ridacchiando. "Che ci fai sveglio a
quest'ora?" gli chiese.
Alec stava per rispondergli, ma fu attirato dal gatto che
reclamò l'attenzione su di sè, posandogli una
zampetta sul braccio e miagolando.
"Che c'è?" domandò Magnus, notando come lo
sguardo dell'avvocato si fosse fissato sul suo bimbo peloso.
"Ha preso un altro gatto?" chiese, di contro, Alec, corrugando la
fronte, mentre osservava il felino.
Allungò una mano, accarezzandogli lievemente la testa, e si
ritrovò a sorridere quando il gattino si strusciò
sulle sue dita, iniziando anche a fare le fusa.
Magnus osservò il tutto, meravigliato. Da quando si erano
incontrati (o meglio scontrati), Alexander Lightwood non aveva mai
sorriso e scopriva solo adesso che era davvero un peccato mortale. Era
semplicemente bellissimo quando gli si illuminavano gli occhi e
comparivano le fossette ai lati della bocca.
Quello che lo stupì maggiormente, però, fu
sentire Miao che ronfava alla grande per le carezze dell'avvocato.
Incredibile! Non si era mai fatto toccare da nessuno, escludendo lui e
Max, così facilmente e con quel trasporto.
"Uhm.. no! E' Presidente! Perchè?" disse poi, rispondendo
alla strana domanda del ragazzo.
"Presidente?" domandò Alec, continuando a scrutare ed ad
accarezzare piano il micio.
"Il gatto che hai regalato a Max! L'ho chiamato Presidente Miao!"
spiegò Magnus, lanciando un'occhiataccia al suo cucciolo che
non solo continuava a gradire le carezze dell'altro, ma sembrava
addirittura che fosse in procinto di balzargli tra le braccia!
L'avvocato guardò sconvolto prima lui e poi il gatto. Il
signor Bane stava scherzando, vero? Sì, si stava sicuramente
prendendo gioco di lui. Era di sicuro così. Non era
possibile che quella piccola palla di pelo obesa fosse il micetto pelle
e ossa che aveva dato al ragazzino pochi giorni prima!
Alec scosse la testa, incredulo. "E' sicuro che non se lo sia mangiato,
in realtà?" chiese diffidente.
Il micio era davvero dolce, ma, andiamo, era l'unica spiegazione
plausibile per quella botticella che c'era al posto del pancino
scheletrico iniziale!
"La smettete tutti quanti di insinuare che il mio batuffolo di cotone
bianco è grasso?" ribattè stizzito Magnus,
tentando di sottrarre Presidente alle grinfie di Alec.
Il gatto, però, protestò con un borbottio
rabbioso e conficcò gli artigli nel braccio del suo padrone,
offeso per quella improvvisa privazione a lui tanto gradita. Magnus lo
guardò malissimo. Pazzesco! Quel traditore si era preso una
cotta per il "nemico"!
"Mangia perchè deve crescere!" spiegò poi,
alzando gli occhi su Alec e guardandolo severo, mentre ripeteva, come
un disco rotto, ciò che aveva detto anche a Catarina. E a
Ragnor, a Izzy, a Jace, a Simon e a chiunque altro gli avesse fatto
notare che il gatto, più che camminare, avrebbe fatto prima
a rotolare quando si muoveva. Quel branco di impiccioni non capiva
niente!
Alec gli lanciò un'occhiata scettica, ma non
commentò. Non era ancora del tutto sicuro, infatti, che non
si trovasse in qualche stramba candid camera.
"Non riuscivo a dormire." disse, cambiando discorso e rispondendo alla
domanda del signor Bane.
"Ti fa male il piede?" chiese Magnus, abbassando lo sguardo sulla
fasciatura.
"Prude." rispose Alec, scrollando le spalle.
"E' meglio che ti sieda, Alexander!" esclamò l'altro,
posando quel doppiogiochista del suo gatto sullo sgabello dell'isola
della cucina, ed andando a scostare una sedia del tavolo per far
accomodare l'avvocato.
Un nuovo brivido salì lungo la colonna vertebrale di Alec,
facendogli accapponare l'epidermide. Ok, era ora di finirla. Non era
ammissibile che si trasformasse in un ammasso di gelatina ambulante
ogni volta che sentiva quella voce pronunciare il suo nome.
"Alec."
"Eh?"
"Per cortesia, mi chiami Alec." disse, deciso ad interrompere, una
volta per tutte, la pessima abitudine che sembrava aver preso il signor
Bane. Ne andava della propria sanità mentale.
"Ti da fastidio Alexander?"
chiese Magnus, perplesso.
"Parecchio." rispose Alec, mentre un'altra scossa gli fece fremere il
cuore e storcere il naso. La situazione stava diventando ridicola.
"Ma è un bel nome." esclamò Magnus, sorpreso. "E'
un peccato storpiarlo con un banale diminutivo."
"Preferisco così. Quindi, per favore, utilizzi questo e la
smetta di chiamarmi con quell'altro." ribattè Alec,
scontroso, superandolo per andare a sedersi.
Un bel nome. Alec non l'aveva mai definito tale, anzi era una delle
cose che più odiava al mondo, ed il suo significato era
un'ironica presa per i fondelli da parte del destino. "Protettore di
uomini".. lui era tutto tranne che un protettore. Quando avrebbe dovuto
mettere in pratica quella traduzione, aveva mancato clamorosamente
l'appuntamento e non se l'era mai perdonato.
Magnus lo osservò incuriosito e si mise l'appunto
mentalmente di scoprire perchè quel particolare lo facesse
uscire così dai gangheri. A lui, invece, piaceva davvero
molto quel nome!
"Ok, come vuoi.. Alec."
concesse, alzando le mani in segno di resa.
L'avvocato annuì, posò i fascicoli sul tavolo e
fissò intensamente la vaschetta di gelato: quell'ingordo del
signor Bane ne aveva mangiato più della metà! Se
non fosse arrivato in tempo, se la sarebbe scofanata tutta, ne era
sicuro!
"Uff! Ce n'è ancora!" si giustificò quest'ultimo,
leggendogli nel pensiero, mentre gli allungava un cucchiaio.
Alec annuì, soddisfatto di quella rivelazione, e si
tuffò sul dolce peccato di gola. Non se lo concedeva spesso,
ma, quando accadeva, ne mangiava fino a farsi venire il mal di pancia.
"Prendo anche l'altra vaschetta?" chiese Magnus.
Alec annuì di nuovo ed indicò poi con la testa il
gatto che li osservava, placido. "Non dovrebbe occuparsene il
ragazzino?"
"Max. Si chiama Max. E sono le tre di notte! E' ovvio che, a quest'ora,
non può occuparsene lui, no?" rispose Magnus, alzando un
sopracciglio e sfidandolo a trovare qualcosa da ridire, mentre andava a
sedersi di fianco a lui con il gelato.
Si guardò bene dal rivelargli che suo figlio, per quanto
trovasse adorabile Presidente, preferiva di gran lunga lasciarlo alle
sue cure per correre fuori a divertirsi, piuttosto che farsi maciullare
le mani e le braccia a suon di graffi e morsi "giocosi".
Alec scosse la testa ed accennò un sorriso storto. Quando
era il momento di giustificare le mancanze del ragazzino, il signor
Bane aveva sempre la risposta pronta. Era fastidioso e
controproducente, ma doveva anche ammettere che era ammirevole come
riuscisse sempre a ribattere puntualmente, risultando anche quasi
credibile.
"Sai, dovresti farlo più spesso." disse Magnus,
improvvisamente, squadrandolo.
Alec lo guardò interrogativo, mentre si ficcava un'enorme
porzione di gelato in bocca. "Cosa?" biascicò, con la bocca
piena.
Magnus lo guardò divertito. "Sorridere! Sei più
carino quando lo fai." rispose.
Alec avvampò e per poco non gli andò il gelato di
traverso. Tossì un paio di volte e poi si schiarì
la gola. "I-io.. la smetta di dire sciocchezze!" balbettò
contrariato. "Come mai lei invece è sveglio?" chiese,
tentando di cambiare discorso.
Magnus ridacchiò, contento di aver appena scoperto che i
complimenti mettevano in imbarazzo l'uomo tutto d'un pezzo di fianco a
lui. Era una preziosa informazione, di cui si sarebbe servito senza
alcuno scrupolo, e più ne scovava su Alexander Lightwood,
più possibilità aveva di trovare il suo vero
punto debole.
"Non riuscivo a dormire." rispose poi, posando il mento sulla mano e
ripetendo le parole che l'altro aveva pronunciato poco prima.
"Sarà l'agitazione per quanto successo." disse con un
sorriso, facendo spallucce.
"Comprensibile." concordò Alec, prima che una fitta gli
facesse storcere il naso.
"Ti fa male?" chiese Magnus, accigliato. "Vuoi un altro analgesico?"
"No, grazie" rispose, scattando poi all'indietro quando l'altro, a
tradimento, gli sfiorò il naso tumefatto. "Ahia!!!"
esclamò.
Magnus scosse la testa e, senza dire una parola, si alzò per
prendergli un altro antidolorifico. "Sai.. non saresti dovuto
intervenire." lo rimproverò poi, consegnandogli la scatola,
e sedendosi di nuovo accanto a lui.
"Mi scusi se l'ho vista in difficoltà!" ribattè
Alec, risentito, guardandolo male.
Certo che era davvero un bel tipo! Gli aveva fatto un favore,
rischiando la sua incolumità fisica, e quell'ingrato glielo
stava rinfacciando senza alcun ritegno! Sì, l'aveva pensato
anche lui, ma era tutt'altra cosa sentirselo dire dal signor Bane.
"Non ero in difficoltà."
"No?"
"No. Ero capacissimo di prendere a calci quel tizio con un sedere
orribile."
"Mi perdoni, ma non sembrava che fosse sul punto di farlo! Anzi!"
"Tesoro, mi hai solo anticipato. Credimi se ti dico che me la sarei
cavata anche da solo!" sussurrò, avvicinandosi a lui, mentre
gli occhi brillavano intensamente.
"Alec. Mi chiamo Alec." ribattè severo, sostenendo il suo
sguardo. "Cosa pratica?" chiese poi. La baldanza che palesava il signor
Bane doveva per forza derivare dalla sicurezza delle sue
capacità e quindi Alec era certo che non fosse il primo
idiota inerme che passava per strada.
"Krav maga."
"Capisco." annuì comprensivo.
"Tu?"
"Io?"
"Tesoro, nonostante quegli orribili vestiti, bucati e sformati, li
nascondessero egregiamente, i tuoi muscoli li ho sentiti tutti quando
ti ho preso in braccio!" sorrise malandrino Magnus.
Se fino a pochi secondi prima Alec si era dato il cinque mentalmente
per non essere arrossito nè essersi allontanato, quando
l'altro gli si era avvicinato pericolosamente, ora l'incendio sulle sue
guance divampò incontrollabile.
"A-A-Alec! Mi chiamo Alec! La smetta di chiamarmi tesoro!"
balbettò arrabbiato. "E chi le ha dato il permesso di
palparmi?"
"Ma non ti ho palp.."
"E chi le ha dato il permesso di prendermi in braccio? Eh? So camminare
da solo, per l'angelo!"
Alec pensò che convogliare l'imbarazzo in rabbia era la sua
unica ancora di salvezza. Con un po' di fortuna, il signor Bane avrebbe
scambiato il suo impaccio per ira repressa.
"Avevi.. o meglio hai
un piede fuori uso!" gli ricordò Magnus, iniziando ad
innervosirsi.
"Ne ho due e l'altro è perfettamente funzionante."
"E come avresti fatto?"
"Jace mi avrebbe aiutato ad arrivare all'auto! E soprattutto non mi
avrebbe fatto fare quella figuraccia!"
"Quale figuraccia?"
"Signor Bane, per l'amor del cielo, se non se ne fosse accorto,
l'intera discoteca ci stava guardando!"
"Oh, ma quello è perchè siamo bellissimi!"
rispose Magnus, compiaciuto.
"Ma quale belliss.. c-cosa?" domandò Alec, bloccandosi nel
pieno della sua sfuriata.
Magnus roteò gli occhi, sorridendo. "Tranquillo, Iceberg, prometto
che è l'ultimo complimento che ti faccio." disse, facendogli
la linguaccia.
Alec si indispettì. "Signor Bane, non ci stavano fissando
perchè siamo bellissimi. Non lo siamo e.."
"Come sarebbe a dire che non siamo bellissimi?" lo interruppe Magnus,
sorpreso. "Dico, ma mi hai visto bene? Sono spettacolare!" lo
guardò severo. "E, per quanto detesti ammetterlo, ti
assicuro che non sei un bidone della spazzatura neanche tu! Non ce
l'hai uno specchio in camera tua? O in bagno? Per Lilith, questa casa
pullula di specchi! Come fai a non guardarti e non notarlo?"
Alec sentì il viso scoppiare per l'imbarazzo. Cielo,
perchè non riusciva a controllarsi?
"S-signor Bane.."
"Va bene, va bene! Sei un bidone della spazzatura! Contento?" chiese
Magnus, sventolando la mano per scacciare ulteriori obbiezioni.
L'incendio sembrò attenuarsi ed Alec tornò a
respirare correttamente, mentre cominciava seriamente a scocciarsi con
se stesso. Doveva smetterla di farsi dominare dalle proprie emozioni
ogni qual volta quell'uomo gli faceva anche solo un simil-complimento!
"Che hai qua?" chiese Magnus, allungandosi sul tavolo per prendere le
carte che Alec aveva portato con sè.
Fece appena in tempo a leggere il nome della pratica prima che
l'avvocato gli schiaffeggiasse piano la mano, togliendogli i fascicoli.
"Non sono affari suoi!" lo rimproverò Alec. "Mai sentito
parlare di segreto
professionale?"
Magnus gli avrebbe risposto volentieri per le rime, se non fosse stato
troppo scosso per quello che aveva appena letto.
La sua testa iniziò a vorticare febbrilmente e una serie di
quesiti si fecero strada nella sua mente. Qual era l'oggetto della
causa in atto? Quanto era grave la situazione? Alec faceva parte
dell'accusa o della difesa? Doveva assolutamente scoprire di
più su questa faccenda!
"Signor Bane.. sta bene?" chiese Alec, notando come l'uomo si fosse
improvvisamente zittito e sembrasse assente.
Magnus si riscosse. "S-sì. Credo sia ora di andare a letto.
Buona notte, Alec." esclamò.
Si alzò velocemente, tolse dal tavolo le ormai vuote
vaschette di gelato e, dopo un breve cenno con il capo, si diresse a
passo di marcia fuori dalla cucina.
Alec osservò perplesso la "fuga" del signor Bane. Che gli
era preso? Si era dimenticato perfino del gatto! Che l'avesse offeso
quando gli aveva bacchettato la mano?
"Andiamo a dormire anche noi, Presidente?" chiese il giovane, alzandosi
lentamente dalla sedia e riprendendo le sue stampelle e i suoi
fascicoli, che aveva portato con sè inutilmente.
Il gatto si stiracchiò e, con un balzo, scese dallo sgabello
e raggiunse Alec, strusciandosi sulle sue gambe. L'avvocato
ridacchiò e, a passo di lumaca, si diresse verso la sua
camera in compagnia del suo nuovo amico.
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Capitolo 10 *** Capitolo 10 ***
Alec si
svegliò lentamente. Aprì un occhio, poi l'altro e
un sorriso sorse spontaneo sulle sue labbra. Ridacchiò
piano, guardando Presidente che, appollaiato sul suo petto, lo
massaggiava e gli faceva vibrare la cassa toracica a suon di fusa.
"Buongiorno!" biascicò assonnato, grattandogli un orecchio.
"Stai comodo?"
Il piccolo gatto rispose ronfando ancora di più, strusciando
la testa sulla sua mano ed aumentando l'intensità del
massaggio.
Alec rise, poi stiracchiò in alto le braccia, emettendo un
lungo sospiro rilassato. Contro ogni pronostico, aveva dormito come un
bambino e si sentiva davvero bene.
Mosse cautamente il piede e non sentì nessuna fitta
propagarsi per la gamba, alzò e riabbassò piano
la testa sul cuscino e anche questa non diede segnali di dolore.
Sorrise soddisfatto. Ah! Se i suoi fratelli e quel medico zelante
avessero potuto vederlo in quel momento! Era certo che non fosse niente
di grave e, ora, gli sarebbe tanto piaciuto sbattergli in faccia un
gongolante "Ve l'avevo detto! Ve l'avevo dettooo!".
Accarezzò un'ultima volta Presidente, prima di toglierselo
delicatamente di dosso e posarlo sul cuscino di fianco al suo, poi si
diede una bella spinta e si alzò di colpo.
Fu una pessima idea. Davvero davvero pessima.
La testa iniziò a girare vorticosamente e il piede prese a
pulsare al ritmo del suo cuore impazzito. Si sedette di peso sul
materasso e un conato risalì prepotentemente dal suo
stomaco.
Ok, forse non era vero che non era proprio niente.
Inspirò ed espirò per un numero imprecisato di
volte prima che il senso di nausea diminuisse.
Si accasciò lentamente all'indietro, continuando a respirare
a fondo, nel tentativo di calmare il suo cuore imbizzarrito e, con la
coda dell'occhio, vide Presidente scrutarlo attentamente.
"Ti prego, non dirlo a nessuno!" sbuffò con un sorriso,
girando piano la testa verso di lui.
Il gatto miagolò, come per rassicurarlo che il suo segreto
era al sicuro, ed Alec allungò una mano per accarezzarlo e
ringraziarlo.
La porta della sua stanza si spalancò di colpo e
sbatté violentemente contro il muro, facendo scattare
l'avvocato che, spaventato, si mise seduto sul letto.
Neanche questa fu una mossa azzeccata, dato che la sua testa
tornò a girare come se fosse sulla giostra delle tazze
rotanti.
"Che diavolo.." gemette, portandosi una mano al viso, con la vista
momentaneamente annebbiata.
"Ops.. Mi dispiace. Mi è scivolata." esordì una
voce roca, in cui non c'era nessun segno di pentimento.
Alec alzò lo sguardo, mettendo a fuoco Magnus che, con le
mani sui fianchi, i capelli sparati in tutte le direzioni e mezzo nudo,
lo guardava dall'uscio della porta.
"S-signor Bane.. ehm.. bu-buongiorno.." balbettò il giovane,
stupefatto, tentando di non concentrarsi troppo sugli addominali in
bella mostra dell'uomo.
"Sì sì, ciao ciao! Lui dov'è?" chiese
Magnus, sventolando una mano e non degnandolo della minima attenzione,
mentre scrutava attentamente la stanza. "Ah-ahhh!" disse poi,
localizzando il soggetto del suo interesse.
Si diresse a passa di marcia verso di lui ed Alec, di riflesso,
indietreggiò sul letto. Lo fece per allontanarsi da una
possibile minaccia, non certo per non avere così vicino
quella pelle tentatrice, invitante e caramellata.
Magnus afferrò Presidente e riservò
un'occhiataccia all'avvocato. "L'ho cercato ovunque prima di rendermi
conto che poteva essere con te!" lo rimproverò.
"Oh.. Mi scusi! Non ne avevo idea."
Magnus stava per ribattere, ma fu interrotto da Presidente che
sgusciò via dalla sua morsa per balzare elegantemente tra le
braccia di Alec, iniziando poi a strusciarsi sul suo petto, sotto lo
sguardo attonito dei due uomini.
"Per tutti i diavoli!" esclamò risentito Magnus, incrociando
le braccia al petto. "Ho capito che ti sei innamorato di lui, ma non
potresti essere meno spudorato?" brontolò verso il gatto.
L'intera situazione, pensò, sarebbe anche potuta essere
divertente, con l'avvocato adorabilmente a disagio, se quest'ultimo non
fosse stato il suo nemico giurato e il suo bimbo peloso non fosse
passato chiaramente dalla sua parte anziché graffiarlo senza
pietà. Cavandogli anche un (bellissimo) occhio blu, magari.
"Ehm.. da bravo micio-micio, v-vai dal tuo padrone." mormorò
impacciato Alec, rosso come un pomodoro, tentando di staccarsi
gentilmente il gatto di dosso.
Magnus glielo prese dalle mani senza tante cerimonie, ma il piccolo
felino non sembrò gradire affatto quella separazione
così brusca e gli artigliò il braccio,
brontolando nervoso.
"Presidente, te l'ho già detto mille volte, non si graffia
papà!" lo rimbeccò Magnus, guardandolo male.
Il gatto girò la testa verso Alec, come per chiedergli
aiuto, e questi ridacchiò divertito.
"Per favore, non lo tratti male. L'ha graffiata solo perchè
si è spaventato." lo giustificò con un sorriso,
allungando una mano per accarezzarlo e rassicurarlo.
"Non ti intromettere Iceberg!"
"E' Alec!" si indispettì il giovane, alzando gli occhi
sull'uomo. "Non Alexander, Iceberg
o il cielo solo sa quale altro insulto partorito dalla sua mente. Mi
chiamo Alec, per l'angelo!"
"Che c'è? Ti sei svegliato con la luna storta, Alexander?" chiese
Magnus, ironico.
"Lo sa, il suo atteggiamento è incredibilmente immaturo."
continuò battagliero Alec, ignorando l'ormai familiare
brivido che gli scuoteva il corpo. "Cos'ha? Cinque anni?"
"Veramente.."
"Che cattiva influenza per il ragazzino." borbottò Alec,
scuotendo la testa, pienamente consapevole che quella frecciatina
l'avrebbe fatto arrabbiare, nonostante avesse appena finito di fargli
la predica su quanto fosse puerile.
"Non osare.." reagì prontamente Magnus, irrigidendosi.
"Mi corregga se sbaglio, ma non dovrebbe essere un esempio per lui,
anzichè dargli un ulteriore pretesto per essere infantile?"
chiese Alec, sostenendo lo sguardo dell'altro. "Continuare ad essere
così dispettoso, appellando un altro adulto con nomignoli
sgraditi od offensivi, non solo non è un comportamento
corretto, ma è anche controproducente. Dovrebbe insegnargli
l'educazione, non praticare del bullismo verbale, che il ragazzino
potrebbe tranquillamente emulare in qualsiasi momento!"
Detto ciò si alzò dal letto, afferrò
le stampelle e si diresse verso il proprio bagno personale. Non fu un
procedimento facile, anzi fu piuttosto doloroso, con il piede e le
tempie che continuavano a pulsare freneticamente, ma strinse i denti e
fece finta di nulla. Non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di farsi
vedere vulnerabile.
Magnus fissò, sbalordito, prima quell'uscita di scena
plateale e poi Presidente Miao che saltò via ancora una
volta dalle sue braccia per andare ad accomodarsi sul cuscino di Alec.
"Ti pare possibile?" gli chiese, indicando la porta che l'altro aveva
appena sbattuto dietro di sè.
Il gatto socchiuse gli occhi e Magnus si sentì stranamente
colpevole sotto quello sguardo fisso e penetrante.
"Che c'è?" chiese l'uomo, a disagio. "Ehi non ho iniziato
io!" si difese. "L'hai visto no? Ha dato di matto per un semplice
soprannome e.."
L'occhiata ammonitrice di Presidente lo seguì anche quando
iniziò a fare avanti ed indietro per la camera, mentre
continuava a borbottare tra sè e sè.
"Per Lilith, è permaloso da morire! Si offende se gli do del
ghiacciolo, però non si fa problemi a sparlare di mio
figlio. E'.. è pazzesco!"
Presidente emise un brontolio sommesso e la coda iniziò ad
agitarsi sul cuscino.
Magnus si fermò di botto dal suo andirivieni. "Va bene, va
bene! Dopo gli chiedo scusa! Contento?" concesse, esasperato.
Il gatto si acciambellò, emettendo un sospiro soddisfatto, e
Magnus scosse la testa, incredulo. Gli si avvicinò e gli
grattò un orecchio, sorridendo. Come quel piccolo despota
peloso fosse riuscito a farlo pentire delle proprie parole,
semplicemente guardandolo, lo sapeva solo lui.
La sua attenzione fu improvvisamente attirata dai voluminosi fascicoli
posati sulla sedia al di là del letto.
Diede un'occhiata veloce alla porta del bagno, da cui proveniva il
suono di uno scroscio d'acqua, e si diresse poi verso quella
documentazione che lo stava chiamando a sè come una sirena
incantatrice.
Prese il primo fascicolo, lo aprì e lesse avidamente le
prime righe. Sbuffò contrariato quando si rese conto che
quello che ci stava scritto era molto più complicato da
capire del previsto. Doveva leggersi quelle carte con calma, per
scartare tutti quei bla bla bla inutili, ma non c'era tempo! Il rumore
della doccia era cessato, non aveva idea da quanto perchè
non ci aveva prestato attenzione, e questo significava che doveva
rimettere a posto tutto, prima che l'avvocato..
"SIGNOR BANE!!! POSI IMMEDIATAMENTE QUEL FASCICOLO!!!" urlò
improvvisamente Alec, a pieni polmoni.
Magnus, per lo spavento, fece cadere le carte, che si sparpagliarono
per il pavimento, ed alzò lo sguardo colpevole sull'altro,
pronto a giustificarsi per quello che stava combinando.
La sua mente però non fu affatto collaborativa e,
anzichè formulare rapidamente una scusa plausibile,
partì per la tangente quando vide Alec mezzo nudo e non
ancora completamente asciutto dalla doccia che aveva appena fatto.
Immagini nitide e peccaminose iniziarono a vorticargli in testa,
mandandogli in subbuglio gli ormoni.
Dannata castità! Gli bastava vedere un po' di pelle esposta
di un bel ragazzo e si eccitava come un adolescente!
Per sua fortuna, il giovane era troppo concentrato su quello che aveva
fatto, per notare tutto ciò.
Alec avanzò barcollante ed arrabbiato verso di lui,
gettò a terra le stampelle, si sedette di peso sul letto ed
iniziò a raccogliere i fogli disseminati per il pavimento,
borbottando parole incomprensibili.
Magnus abbassò lo sguardo, pronto ad aiutarlo, ma si
bloccò notando la schiena del giovane a pochi centimetri da
lui. Si poteva essere attratti da un'imperfetta pelle bianca
disseminata da una miriade di cicatrici? A quanto pare sì.
Magnus la toccò, ipnotizzato, ed Alec si alzò di
scatto non appena sentì il tocco leggero dell'altro.
"Cazzo!" esclamò l'avvocato, subito dopo, quando la vista
gli si annebbiò momentaneamente di nuovo, facendogli portare
le mani al viso.
"Stai.. stai bene?" chiese Magnus, osservandolo.
Gli sarebbe piaciuto avere un tono fintamente preoccupato, davvero, ma
il suo interesse ora si era concentrato tutto sul petto di Alec. Due
pettorali sodi e torniti, combinati a degli addominali scolpiti,
reclamavano ferocemente i suoi occhi e Magnus non se la sentiva proprio
di non dargli la giusta attenzione. Anche qui c'erano delle cicatrici
che facevano capolino sulla pelle, ma erano in quantità
minore rispetto alla costellazione presente sulla schiena.
"No che non sto bene!" abbaiò Alec, riservandogli
un'occhiata glaciale. "Mi fanno male il piede e la testa e, quel che
è peggio, lei stava leggendo della documentazione riservata!
Che cazzo! Gliel'ho detto ieri sera che non erano affari suoi, ma no!
Lei deve sempre fare di testa sua!"
"Senti Alexan.." iniziò Magnus, interrompendosi
immediatamente quando l'altro gli lanciò un'occhiata di
fuoco. "Senti Alec,
non è come pen.."
"Oh no! No! No!" lo interruppe Alec, scuotendo la testa "Non ci provi
neppure a trovare una ridicola scusa per il suo comportamento
riprovevole!"
"Per Lilith, non ti sembra di esager.."
"Lo sa che potrei passare dei guai se si sapesse che un perfetto
sconosciuto ha ficcato il naso su documentazione coperta da segreto
professionale?" si alterò ancora di più
l'avvocato, mentre si alzava per fronteggiare l'idiota che gli stava
davanti. "Ma tanto a lei che gliene importa? Piomba nella vita delle
persone, stravolgendogliela. Non le interessa di quello che gli viene
detto o raccomandato e va avanti per la sua strada, incurante dei danni
che potrebbe provocare. E' egoista e prepotente. Provoca per il puro
gusto di irritare il prossimo e sputa offese con una leggerezza tale da
far rabbrividire."
"Io ti ho stravolto la vita? IO?" urlò Magnus, affrontandolo
a muso duro. "Sei tu che hai sconvolto la mia, quando hai mandato Jace
a prendere mio figlio?"
"Non è suo
figlio!" puntualizzò Alec, inviperito.
"Oh! Perchè sarebbe tuo? Davvero?"
"Biologicamente.."
"Biologicamente un cazzo! Dov'eri in tutti questi anni? Dove diavolo
sei stato per otto anni?" chiese tagliente Magnus, ad un centimetro dal
naso dell'altro.
"Non sono affari suoi." sussurrò gelido Alec.
"E invece sono affari miei, Iceb.."
"Coff coff.."
Magnus ed Alec girarono simultaneamente la testa e si ritrovarono
davanti Hodge, fermo sull'uscio della porta, che si era appena
schiarito la gola, nascondendo il fantasma di un sorriso dietro al
pugno che si era portato alla bocca.
Il maggiordomo alzò un sopracciglio, per la vicinanza e la
"mise" dei due, ma non fece commenti.
"Buongiorno signori." li salutò. "La colazione è
pronta e il signorino Lightwood vi sta già aspettando." li
informò, girandosi per andarsene, non prima di aver lanciato
loro un'altra occhiata eloquente.
Alec intercettò lo sguardo del suo dipendente,
abbassò il proprio sul suo corpo dannatamente vicino a
quello dell'altro ed arrossì fino all'attaccatura dei
capelli. Fece un vistoso passo indietro, sbattè contro il
letto e ci cadde sopra, attirando così l'attenzione di
Magnus.
"Che fai? Ti offri a me in segno di pace?" chiese ironico l'uomo,
percorrendo il suo corpo con una lunga occhiata lasciva.
Alec arrossì, se possibile, ancora di più.
Tentò di rimettersi seduto, racimolando tutta la sua
dignità, puntò l'indice verso la porta ed
ordinò perentorio "Fuori di qui!".
"Non abbiamo.."
"SUBITO!" esplose Alec, al limite della sopportazione.
"Ma ci sono ancora tutti i fogli per ter.."
"Signor Bane, le giuro che se non se ne va via immediatamente dalla mia
stanza, userò tutte le mie conoscenze possibili ed
immaginabili per farla buttare fuori dalla mia camera, dalla mia casa e
anche dallo Stato!"
Magnus lo guardò a bocca aperta. Aveva sempre creduto di
essere l'indiscusso re del dramma, tanto che le sue scenate esagerate
erano leggendarie, ma a quanto pare aveva trovato qualcuno che riusciva
tranquillamente a tenergli testa!
Mise il broncio, fece il giro del letto, prese il gatto ed
uscì senza proferire parola.
Finalmente solo, Alec tentò di regolarizzare il respiro
affannato.
"Al diavolo Magnus Bane!" pensò rabbiosamente, chinandosi
per raccattare e rimettere a posto i fogli caduti.
Cosa aveva fatto di male per meritarsi un individuo del genere nella
propria vita? Non si era sempre comportato bene? Era sempre stato un
figlio e una persona esemplare, si era sposato con una perfetta
sconosciuta pur di garantire la discendenza della stirpe Lightwood,
aveva messo da parte tutto e tutti pur di seguire i sogni e le
ambizioni paterne, non aveva grilli per la testa, lavorava sodo e aveva
addirittura sistemato la fastidiosa storia del ragazzino.
Perchè, quindi, l'Universo si accaniva così
sadicamente su di lui? Non era già stato punito a
sufficienza?
Dieci anni prima il destino aveva sicuramente pareggiato i conti con il
suo peccaminoso segreto, quindi cosa cazzo voleva ancora da lui?
Perchè non lo lasciava in pace e non si riprendeva indietro
Magnus Bane?
Sapeva di non poter biasimare se stesso perchè provava
attrazione fisica per un bell'uomo, ma il signor Bane era irritante
come la sabbia nelle mutande e, soprattutto, l'interesse che provava
per lui contrastava ampiamente con i suoi piani per il ragazzino.
Quest'ultimo, tra l'altro, non era affatto come se lo aspettava. Aveva
pensato di ignorarlo e di liberarsene mandandolo a scuola,
perchè era certo che si sarebbe trovato a suo agio negli
irreprensibili alloggi del Trinity School (insomma, quale ragazzo sano
di mente non li avrebbe trovati di proprio gradimento?), ma il palese
rifiuto del ragazzino e il suo evidente desiderio di indipendenza lo
avevano sorpreso. Per questo, il giorno in cui era scappato, era
sgattaiolato nella sua stanza, una volta che tutti erano andati a
dormire. Voleva guardarlo in viso e rivedere, nei suoi lineamenti,
qualunque cosa gli ricordasse Lydia, la sua viltà e la sua
mancanza di onore. Gli sarebbe piaciuto disprezzare quel mocciosetto
così come disprezzava sua madre, ma, in quel viso
addormentato, non trovò alcuna traccia della moglie
fedifraga ed Alec si era stupito di non provare astio nei suoi
confronti. Il piano di farlo diventare un degno erede Lightwood,
quindi, avrebbe potuto avere degli sviluppi migliori del previsto, ma
non aveva fatto i conti con Magnus Bane.
Quell'uomo non solo si era messo inaspettatamente sulla sua strada,
pronto a parare qualsiasi sua iniziativa pur di proteggere il suo
adorato cucciolo, ma era anche incredibilmente testardo e difficile da
gestire. Era sfiancante averci a che fare ed Alec, per la prima volta
in vita sua, non aveva idea di come gestire l'intera faccenda.
Sospirò, mentre ficcava alla bel meglio i fogli dentro al
fascicolo. Il pulsare incessante al piede e alla testa lo stavano
facendo impazzire e se non si fosse fatto una doppia dose di
antidolorifico avrebbe iniziato a dare di matto.
"Signor Lightwood, va tutto bene?" chiese Hodge, ricomparso sull'uscio
della porta della sua stanza. "Non la vedevo arrivare ed iniziavo a
preoccuparmi. Vuole che l'aiuti a scendere?"
No, Alec non voleva il suo aiuto perchè, in quel momento,
sarebbero dovuti passare sul suo cadavere prima che si convincesse a
scendere di sotto, di propria volontà, a mangiare ed ad
intrattenere una forzata conversazione con il signor Bane ed il
ragazzino.
Si massaggiò lentamente il setto nasale, inspirando a fondo,
poi si girò verso il maggiordomo.
"Hodge, questa mattina ho intenzione di fare colazione a letto. Per
cortesia provvedi a farmela recapitare qui e fammi portare anche degli
analgesici, grazie."
Il maggiordomo lo guardò sorpreso per quell'insolita
richiesta, ma, proprio come prima, non fece commenti e si
limitò ad un cenno del capo.
"Oh! E Hodge.." continuò Alec, bloccandolo mentre stava
uscendo. "Quello che hai visto poco fa non è mai successo.
Intesi?"
Il maggiordomo annuì nuovamente, comprensivo, e se ne
andò, pronto ad esaudire il desiderio del suo principale.
Alec sospirò di sollievo. Grazie al cielo era stato Hodge a
beccare lui e il signor Bane in una situazione che, ad occhi esterni,
poteva sembrare tutto tranne che innocente. Se ci fosse stata, ad
esempio, qualche cameriera pettegola, al posto dell'uomo, poteva stare
tranquillo che, in tempo record, l'avrebbe saputo tutta la casa!
Rabbrividì al solo pensiero.
Il vecchio maggiordomo era l'unico a conoscere il suo segreto (tra gli
essere viventi, almeno), ma sapeva che poteva fidarsi ciecamente di
lui. In tanti anni, non solo non l'aveva mai tradito, ma l'aveva anche
coperto tutte le volte in cui si era portato a letto qualsiasi essere
di sesso maschile che respirasse.
Alec sorrise amaramente quando ripensò alla fase di
ribellione acuta e totale che aveva avuto nei confronti del padre. Fu
un periodo confuso, frenetico, ma soprattutto doloroso.
Robert Lightwood aveva scoperto, per puro caso, la sua
omosessualità, e fu come scoperchiare il vaso di Pandora. Le
aggressioni, verbali e fisiche, divennero una routine quotidiana e
più il padre lo massacrava, più Alec cercava
conforto tra le braccia di perfetti sconosciuti. Tutto cessò
quando sposò Lydia, dando finalmente a Robert una parvenza
di essere "guarito" dalla sua condizione.
Se solo avesse potuto prevedere lo scompiglio che sarebbe successo in
seguito, si sarebbe fatto fustigare piuttosto che compiere quel passo.
Magnus, una mano a sorreggergli il mento, l'altra impegnata a mescolare
svogliatamente il caffè, nella tazza che aveva davanti, e
con la testa altrove, fissava suo figlio, seduto dall'altra parte del
tavolo, mentre si ingozzava di dolci, senza vederlo veramente.
La piccola manina destra di Max infilzò, con una forchetta,
la torre di pancake, farcita da una generosa dose di salsa al
cioccolato, che aveva sul proprio piatto e, nel frattempo, con l'altra
reggeva un pezzo enorme di crostata di pesche che Cat aveva sfornato da
poco. Un morso al pancake, uno alla torta, in un'alternanza che stava
sicuramente facendo ballare la samba alla sua glicemia.
Il bambino alzò lo sguardo ed intercettò quello
paterno.
"Che c'è?" chiese, con la bocca piena, mentre spargeva
briciole ovunque.
Magnus, riscuotendosi, sorrise ed allungò una mano per
togliergli un rivolo di confettura dall'angolo delle labbra.
"Niente, fragolina. Allora, che programmi hai per oggi?" gli chiese poi.
"Oh.. giocare.. esplorare qua e là.." rispose Max, evasivo.
Non gli piaceva mentire a suo padre, ma tutto sommato non gli stava
proprio dicendo una bugia. Avrebbe davvero giocato con Rafe. O almeno
l'avrebbero fatto dopo aver montato la porta e riparato la finestra del
rifugio.
"Ci sono cose interessanti qui attorno? Non ti stai annoiando, vero?"
Max scosse la testa. "No papi! Mi piace esplorare! Ieri ho visto uno
scoiattolo!" sorrise raggiante.
L'occhio gli cadde poi sull'orologio a muro e balzò in piedi
come una molla. Era in ritardo! Rafe lo stava sicuramente aspettando.
"Ok, io vado! Posso prendere altre due fette di torta? Sai.. nel caso
mi venisse fame mentre sto giocando!" chiese.
Sua padre annuì e il sorriso di Max si ampliò.
Tagliò due fette di crostata talmente grandi che tanto
valeva se la portasse via tutta.
"Grazie! Ci vediamo più tardi, papino!" lo
salutò, scappando con il goloso bottino che avrebbe regalato
al suo amico.
"Ciao pulcino!" rispose Magnus con un sospiro.
Quella mattina, più di tutte le altre, gli sarebbe davvero
piaciuto passare del tempo con suo figlio per distrarsi. La litigata
con Alec gli aveva lasciato un vago senso di malessere, che non vedeva
l'ora di togliersi di dosso. Perchè si sentisse
così in colpa, poi, non riusciva davvero a spiegarselo.
L'avvocato era stato così melodrammatico! Aveva sbirciato
qualche documento. E allora? Cosa aveva fatto di male?
Sospirò nuovamente, dandosi dello stupido perchè
continuava a pensarci.
"Avanti, sputa il rospo!" disse improvvisamente Cat, comparendo nella
sala da pranzo e sedendosi al posto di Max.
Magnus fece spallucce e tornò a mescolare il
caffè, ormai freddo ed imbevibile.
"Mi annoio.." le rispose.
"Hai detto la stessa cosa ieri e guarda come è andata a
finire!" sorrise Cat, scuotendo la testa.
"Sì, ma qui non c'è niente da fare! E' tutto
così.. così.. così barboso, ecco!"
continuò a lagnarsi Magnus.
Cat gli rivolse un sorriso indulgente. "Perchè non sai dove
cercare. Hai mai visitato la galleria al terzo piano? E' piena zeppa di
dipinti e pensa che c'è gente che arriva persino da altre
città per ammirarli! E la biblioteca? Hai visto quanto
è grande, no? E' bellissima e contiene
un'infinità di libri da leggere."
"Per Lilith, Cat!" la bloccò Magnus, alzando una mano. "Non
ho mica ottant'anni! Sono tutte attività vetuste!"
La governante scosse nuovamente la testa, divertita. "La tenuta qui
intorno, allora? Ci sono angoli meravigliosi e non mi stupisco affatto
che Max passi l'intera giornata fuori a giocare! E ci sono i cavalli!"
"Non so cavalcare." obiettò Magnus. "Almeno.. non equini nel
vero senso della parola." precisò, ammiccando verso la
ragazza. "E la natura mi piace fino ad un certo punto, cioè
fino a quando qualche insetto disgustoso non mi entra nella maglietta o
tra i capelli!"
Cat si picchiettò il mento, pensosa. "Il signor Lightwood
è un ottimo cavaliere. Potrebbe insegnarti lui!"
suggerì, illuminandosi.
"Prima di tutto Iceberg
ha un piede fuori uso e, in secondo luogo, no grazie!" si
imbronciò Magnus.
"Dovresti smetterla di chiamarlo così! Se mettessi da parte
i tuoi pregiudizi, scopriresti che non è affatto male come
credi."
"Davvero?"
Cat annuì. "E' gentile, generoso e.."
"Gentile? Come si fa a definire Iceberg
gentile?" la interruppe Magnus, sbalordito.
La ragazza sventolò una mano, come a scacciare quella
domanda molesta. "Sapevi che possiede parecchi palazzi popolari,
abitati da brava gente che però fatica ad arrivare a fine
mese, e che negli ultimi otto anni, da quando cioè Lightwood
senior si è ammalato e l'amministrazione è
passata in mano ad Alec, gli affitti non sono stati più
riscossi?" sussurrò, protendendosi verso l'amico. "Sapevi
che, nonostante sia uno degli avvocati più in gamba degli
Stati Uniti e nonostante il suo studio sia il fior fiore della
città di New York, offre i suoi servigi pro bono a chi non
può permettersi un avvocato o di sostenere una causa legale?
Sapevi che fa più beneficenza lui di quanta ne faccia
l'intera città di New York?"
"No, non lo sap.."
"Se qualcuno ha un problema, che sia un suo familiare, un amico o
addirittura un semplice dipendente, Alec Lightwood si fa in quattro per
aiutarlo a trovare una soluzione, anche a livello economico.
Potrà sembrarti incredibile da credere, ma ha molti
più amici di quanti tu possa immaginare. Persone che gli
vogliono bene e che lo rispettano. Dio solo sa quanti favori potrebbe
riscuotere in giro per l'intera città!".
Cat fece una pausa e lanciò una rapida occhiata in direzione
del ritratto appeso sopra al camino. Magnus seguì il suo
sguardo, osservando l'immagine di un uomo che somigliava molto ad Alec.
Robert Lightwood.
"Lightwood senior era tutto tranne che un uomo per bene." gli
confidò la ragazza. "Grazie al cielo, Alec passava poco
tempo in sua compagnia e, nonostante abbia assecondato parecchie sue
volontà, non ha ereditato il suo caratteraccio e la sua
malevolenza." continuò, guardandolo poi negli occhi. "So che
può sembrare burbero ed austero, ma è solo la
corazza che usa per difendersi dal mondo."
Detto ciò, si alzò dal tavolo. Aveva un sacco di
faccende da sbrigare che non si sarebbero certo svolte da sole. Mentre
stava per uscire dalla stanza, però, si girò
un'ultima volta verso Magnus.
"Per favore, prova a dargli una possibilità!" gli disse,
sorridendo.
Se prima si sentiva colpevole per il litigio con Alec, ora Magnus si
sentiva addirittura peggio. Perfetto. Davvero, davvero perfetto!
Un'espressione accigliata gli increspò la fronte quando si
rese conto che scopriva, ogni giorno di più, degli aspetti
nuovi di Alec che lo portavano ad apprezzarlo più del
dovuto. Era bello, intelligente e, come aveva scoperto poco fa, pure un
angelo sceso dal cielo pronto a soccorrere i più bisognosi.
Cielo! Ce l'aveva un difetto, a parte la scontrosità, che
sembrava riservare specialmente a lui, e la propensione al dramma
(anche se, a dirla tutta, per quest'ultima cosa Magnus non si sentiva
proprio di fargliene una colpa. Lui era anche peggio, lo ammetteva
candidamente.)?
Quali altre sorprese riservava l'enigmatica figura di Alec Lightwood?
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Capitolo 11 *** Capitolo 11 ***
"Scusa, ho perso il mio
numero di telefono. Non è che mi daresti il tuo?"
Magnus alzò gli occhi al cielo. Si era recato da Starbucks
per starsene tranquillo, ma quella era l'ennesima battuta d'abbordaggio
che gli veniva rivolta nel giro di un'ora. Cosa doveva fare, uno, per
starsene un po' in pace?
Scosse la testa con veemenza, senza nemmeno degnarsi di guardare in
faccia la proprietaria di quella vocetta acuta, e continuò a
fissare il frappuccino davanti a sè, giochicchiando con la
panna con la cannuccia.
Bevve una sorsata della sua bevanda e, nel frattempo, diede anche
un'occhiata all'orologio. Stava aspettando Izzy da una mezz'ora buona,
ma della ragazza neanche l'ombra. Dove diavolo si era cacciata?
Attendere l'amica non gli sarebbe pesato tanto se non fosse che, quella
mattina, Starbucks sembrava invaso da un'orda di invasati che ce
l'avevano con lui! La cosa buffa era che non era nemmeno al cento per
cento del suo splendore. Indossava una semplicissima t-shirt e un paio
di jeans, ma questo non sembrava scoraggiare i vari pretendenti.
Un ragazzo vestito di tutto punto si fermò davanti a lui.
"Credi nell'amore a prima vista o devo passarti davanti una seconda
volta?" chiese, posandosi al tavolino.
Magnus alzò gli occhi e il ciuffo del nuovo arrivato per
poco non gli fece sputacchiare il frappuccino sulla sua camicia:
sembrava fosse stato leccato dal cane bavoso con cui Max aveva stretto
amicizia una volta sbarcati a New York.
Si schiarì la gola e si sforzò di non essere
scortese. "No, non ci credo, ma, anche se esistesse, sono estremamente
sicuro che riuscirei a riconoscerlo se ce l'avessi davanti." rispose,
abbassando lo sguardo per dedicarsi al suo cellulare, nella speranza di
liquidarlo senza ulteriori ciance.
Con gli occhi incollati allo schermo del telefonino, stava cercando la
cannuccia con la lingua quando una voce incerta si palesò al
suo fianco. "Se ti dicessi che sei assolutamente meraviglioso, lo
prenderesti come un insulto?"
Magnus ne aveva abbastanza. "Ok, è uno scherzo?" chiese,
posando con forza il frappuccino sul tavolo ed alzando nuovamente lo
sguardo sul nuovo sconosciuto. Che tanto sconosciuto non era, visto che
si trattava del cameriere del bar. "Avete fatto una scommessa a chi mi
rimorchia per primo? Eh.. Richard?" chiese, adocchiando la targhetta
con il suo nome.
Una risata sbarazzina si materializzò dietro di lui e l'uomo
si girò, sorpreso.
"Scusa, ma non ho saputo resistere." ridacchiò Izzy, dando
una pacca sulla spalla al cameriere. "Grazie Richard! Mi porti un Flat
White per favore?"
"Sì, signorina." rispose il ragazzo, arrossendo, soddisfatto
per il ringraziamento e il tocco della giovane.
"Cielo sei come il miele per le api!" sorrise Izzy, baciando l'amico su
un guancia. "Due spasimanti nel giro di pochi minuti! Come diavolo
fai?" chiese, sedendosi di fronte a lui.
"Sono bellissimo." rispose Magnus, scrollando le spalle con fare ovvio.
"Ci sono abituato."
Izzy rise e gli rubò un sorso del suo frappuccino. "Per
l'angelo! E' puro zucchero!" esclamò, nauseata.
"E' buonissimo." la rimbeccò oltraggiato l'uomo,
riprendendosi la sua bevanda.
La ragazza scosse la testa ed incrociò le braccia,
appoggiando i gomiti sul tavolo. "Allora, per cosa avete litigato
questa volta tu ed Alec?"
"Come sai che abbiamo litigato?" chiese Magnus, sorpreso.
"Il tuo messaggio era piuttosto eloquente e.. oh, grazie Richard."
rispose Izzy, interrompendosi per ringraziare con un sorriso il
cameriere che gli aveva servito l'ordine.
"Ma ti ho semplicemente chiesto se andavamo a fare shopping!"
esclamò Magnus, una volta che il ragazzo se n'era andato.
"Io riesco a capire anche i sottintesi." rispose Izzy, compiaciuta,
evitando di dirgli che Cat le aveva fatto la soffiata. "Allora che
è successo questa mattina?" lo sollecitò.
Magnus fece spallucce. "Ho sbirciato i documenti di una causa e si
è arrabbiato."
"Oh Magnus." sospirò la ragazza, scuotendo la testa e
guardandolo con fare paternalistico.
"Cosa?" chiese l'uomo, allargando le braccia. "Ho solo dato
un'occhiata, per Lilith!"
"L'ultima volta che uno stagista si è permesso di leggere un
fascicolo, che non avrebbe neanche dovuto toccare, Alec l'ha fatto
piangere." gli confidò, sporgendosi verso di lui. "E non in
senso figurativo. Lacrime vere e copiose!"
Magnus la guardò, scettico. "Ma per favore!"
"Ti giuro!" annuì freneticamente la ragazza. "Piangeva
così tanto che temevo gli sarebbe venuta una crisi isterica
da un momento all'altro!"
Magnus rise, scuotendo la testa. "Notevole il fratellone."
replicò.
Izzy sorrise, scrollando le spalle. "Alec ci tiene a fare le cose per
bene e si arrabbia quando la gente non rispetta le regole. Dura lex, sed lex.
E tu hai infranto una regola." puntualizzò, battendo
l'indice sul tavolo.
Magnus roteò gli occhi, sbuffando. I Lightwood erano davvero
esagerati, santo cielo!
"So che può sembrare arrogante ed orgoglioso.."
"Non è che sembra."
"Sì, a volte lo è." concesse Izzy, sorseggiando
la sua bevanda. "Ma c'è un motivo. Nostro padre non era
affatto affettuoso con lui e il suo comportamento ha influenzato la
personalità di Alec. Lo trattava duramente perchè
diventasse il degno erede delle tradizioni e del patrimonio della
famiglia Lightwood. So che non ha un carattere facile, ma cerca di
comprenderlo."
Magnus tornò a giochicchiare, pensieroso, con il suo
frappuccino. Izzy era la seconda persona, quella mattina, che gli
diceva di andare oltre l'apparenza dell'irritante avvocato.
"Ah!" esclamò l'amica, alzando un indice per attirare la sua
attenzione. "Gli piace quando una persona riconosce i propri errori."
gli suggerì, fissandolo.
Magnus sospirò. "Dopo gli chiederò scusa, va
bene?"
"Bravo bambino." annuì la ragazza, terminando di bere tutto
d'un fiato la sua bevanda. "Ok, andiamo a fare compere!"
esclamò poi, battendo le mani contenta.
...
"Che ne dici di quelli?" chiese Izzy, riferendosi ad un paio di stivali
posti dietro ad una vetrina.
Magnus guardò nella direzione indicata dalla ragazza. "No,
troppo ordinari." sbadigliò annoiato, continuando a
camminare a braccetto con lei.
"Cosa cerchi esattamente?"
"Non lo so." rispose Magnus, facendo spallucce. "Quando lo
vedrò, lo saprò."
"Che ne dici se andiamo da Barney’s e li facciamo impazzire,
mettendogli sottosopra la boutique?" si illuminò Izzy,
stringendosi di più a lui e posandogli la testa sul braccio.
Magnus le sorrise, grato, e le baciò una tempia. Apprezzava
davvero molto i tentativi di quella deliziosa ragazza di tirargli su il
morale.
Dopo la litigata con Alec, uscire e distrarsi, facendo shopping, gli
era sembrata un'idea geniale. Rimpinguare il suo armadio era sempre
stata una delle sue attività preferite, ma quella mattina
gli sembrava tutto estremamente noioso. Anche se erano già
entrati in cinque negozi, la frenesia tipica dell'acquisto compulsivo
faticava ad entrargli in circolo e si sentiva apatico.
"A cosa pensi?" chiese Izzy.
"A perchè non facciamo sesso." rispose l'uomo, sorridendo.
Izzy ridacchiò. "Parla per te! Io non sono affatto in
astinenza."
Magnus sbuffò, divertito. "Non dico in generale, ma in
questo momento."
La ragazza lanciò un'occhiata alla strada gremita di gente.
"Probabilmente perchè non è il posto adatto?"
chiese sorridendo.
"Dolcezza, non intendevo nemmeno questo. Perchè tu ed io non
facciamo sesso insieme?"
"Oh! Allora è sicuramente perchè non credo
riusciresti a tenere il passo." rispose maliziosa la mora, dandogli una
pacca sulla pancia e guadagnandosi uno sbuffo incredulo da parte
dell'altro.
"No, ma fate pure con comodo." protestò una voce affaticata.
"Vi siete forse dimenticati che io sono proprio qui?"
"Tranquillo, Spencer! Sei sempre nei nostri pensieri!"
replicò Magnus, lanciando un'occhiata divertita al ragazzo
che arrancava dietro di loro, carico di sacchetti, mentre il sorriso di
Izzy si ampliava.
"Si può sapere perchè devo portare io tutta
questa roba, mentre tu amoreggi con la mia ragazza?"
borbottò Simon, spossato ed un tantino offeso di essere
stato raggirato da Izzy quando gli aveva proposto una passeggiata
insieme.
"Stuart, ne abbiamo già parlato tre negozi fa. Gli eventi di
ieri sera mi hanno provato, ho bisogno di distrarmi e, soprattutto, di
un ragazzo forte e robusto che mi aiuti a portare i miei acquisti."
spiegò Magnus, sorridendo.
"Ma se non stai portando un tubo!" replicò Simon, che ormai
aveva rinunciato a ricordare a quell'uomo come si chiamava veramente.
"E non capisco perchè continui a posare le tue manacce su di
lei." protestò piccato, indicando la giovane con il capo e
lanciando ad entrambi un'occhiataccia che non sortì il
minimo effetto.
"Non sto posando
niente su di lei.. altrimenti ti assicuro che se ne sarebbe accorta!"
esclamò Magnus, ammiccando alla ragazza.
Izzy rise di gusto, mentre il suo fidanzato lanciò
un'occhiata tagliente all'uomo con la cresta.
"Sei la volgarità fatta persona, lo sai?"
"Dio, Sylvester, era una battuta!" rispose Magnus, alzando gli occhi al
cielo. "Come fai a sopportarlo?" chiese poi, rivolto all'amica.
"Ha moltissime qualità." rispose Izzy, guardando il suo
fidanzato con occhi innamorati e sorridendogli dolcemente.
Simon ricambiò e le scoccò un bacio volante, che
la ragazza fece finta di acchiappare e che poi ricambiò.
Magnus osservò quello scambio amoroso, sentendosi
improvvisamente il terzo incomodo. Lui non aveva mai avuto un rapporto
simile con un'altra persona. Adorava la sua libertà, sia
chiaro, ma, a volte, gli sarebbe davvero piaciuto avere qualcuno
accanto che lo guardasse come si guardavano i due piccioncini
lì presenti. Il problema era che non aveva ancora incontrato
nessuno che potesse fare al caso suo. Cielo, al suo ultimo amico di
letto piaceva urlare "Mamma ti amo!" ogni volta che arrivava
all'orgasmo! Come poteva pensare di avere una relazione seria quando
aveva a che fare con gente mentalmente instabile?
"Allora, andiamo da Barney’s?" chiese Izzy, facendolo tornare
alla realtà.
L'uomo annuì e ripresero a camminare, in direzione del
lussuoso negozio.
"Ehi!" esclamò all'improvviso Simon. "Quella non
è Clary?" chiese, indicando la ragazza dai capelli rossi
che, al di là della strada, stava entrando dentro ad una
farmacia.
"Credo di sì." rispose Izzy, dubbiosa, alzandosi sulle punte
per guardare meglio.
"Sì, sì! E' lei!" confermò Simon,
entusiasta, sistemandosi meglio i sacchetti sulle braccia e muovendosi
per raggiungerla, seguito dagli altri due.
Aspettarono che il semaforo consentisse loro di attraversare la strada
e di diressero davanti alla porta dietro cui era sparita la giovane.
Clary per poco non si lasciò scappare il sacchetto che aveva
in mano quando, una volta uscita, si trovò il trio davanti a
lei.
"Ciao Clary!" la salutò Simon con la mano, un grande sorriso
ad illuminargli il volto.
"C-ciao." balbettò la ragazza, stringendosi il sacchetto al
petto.
"Che bella coincidenza ritrovarci anche questa mattina! Sei in giro per
commissioni anche tu?"
Clary annuì, tesa, lanciando occhiate guardinghe attorno a
loro. Quando si rese conto di non avere nulla da temere, si
rilassò un poco e sorrise al vecchio amico.
Era stata una sorpresa, la sera precedente, ritrovare Simon. New York
era una città talmente popolosa che mai si sarebbe aspettata
di incontrare nuovamente il suo amico d'infanzia, dopo tutti quegli
anni di separazione.
"Però! Ne hai fatte di spese." ridacchiò piano la
ragazza.
Simon scosse la testa. "E' tutta roba sua." esclamò stanco,
indicando con la testa l'uomo dietro di lui.
"Ciao dolcezza. E' un piacere rivederti." ammiccò Magnus,
baciandole il dorso della mano.
"Ciao Magnus." ridacchiò lusingata la ragazza. "E ciao..
Isabelle giusto?" chiese, dando la mano anche alla giovane che, se
ricordava bene, era la fidanzata di Simon. "Come sta tuo fratello?"
"L'ho sentito prima. Gli fa ancora un po' male, ma non rischia di
perdere il piede." sorrise Izzy. "E ti prego di scusare il suo
comportamento di ieri sera!"
Clary rise allegramente, ma la risata le morì in gola quando
si accorse della macchina nera che aveva appena accostato di fianco al
marciapiede.
"Signorina Morgenstern." disse un uomo, scendendo dall'auto. "Suo padre
la sta attendendo." la informò, tenendole aperta la portiera.
La ragazza sospirò e si limitò ad annuire. "Devo
andare." disse, rivolgendosi agli altri. "E' stato bello rivedervi.
Ciao!" li salutò, salendo poi in macchina.
"Che peccato che se ne sia già andata." esclamò
Simon. "Però è simpatica non trova.. Magnus stai
bene?"
L'uomo sembrava sul punto di svenire. "S-s-sì.. Deve.. deve
essere il caldo." bisbigliò, continuando a seguire con lo
sguardo la macchina nera che si allontanava sempre più da
loro.
"Tesoro, vuoi che ci sediamo da qualche parte?" chiese Izzy,
preoccupata.
Magnus scosse la testa, tentando di ritornare in sè. "No,
tranquilla!" la rassicurò. "Barney’s?" chiese,
sorridendo debolmente.
La ragazza annuì e ripresero a camminare.
I due fidanzati iniziarono a parlare del più e del meno, ma
la testa di Magnus era altrove.
Morgenstern.
Era la figlia? O un semplice caso di cognome in comune?
Avrebbe indagato quella sera stessa, decise, guardando intensamente un
ignaro Simon. Se, come era saltato fuori il giorno prima, i due si
conoscevano fin da bambini, sarebbe stato facile spillare al ragazzo le
informazioni che gli servivano. E sapeva già come fare.
Jace lanciò distrattamente la sua ventiquattrore sul
pavimento dell'ingresso ed esaminò attentamente il suo
aspetto nello specchio. Dopo essersi ravvivato, con un gesto, i folti
capelli biondi, fece un passo indietro, sollevò la testa ed
annuì al suo riflesso, soddisfatto di ciò che gli
restituiva.
Si girò con un sorriso verso Hodge, ma il maggiordomo stava
fissando severo la valigetta gettata a terra. Alzò lo
sguardo su di lui e scosse la testa con disapprovazione. Il ragazzo,
con un sospiro, la raccolse e la posò diligentemente su un
mobiletto lì accanto.
"Contento?"
Hodge si limitò ad un laconico "Il signor Lightwood
è nella sua stanza, signore."
"Magnus e Max?"
"Sono usciti, signore."
Jace annuì e seguì il maggiordomo. Insieme
salirono una delle eleganti scalinate che si incurvavano come enormi
braccia di marmo intorno all'immenso salone d'ingresso.
"Alec ha avuto difficoltà a dormire?"
"No, signore."
"Vuole che l'aiuti a scegliere un qualche obbrobrio con cui vestirsi
oggi?
"No, signore."
"Oh andiamo! Sappiamo perfettamente entrambi che, se non fosse per i
completi che indossa a lavoro, mio fratello potrebbe essere
tranquillamente scambiato per un barbone!"
Hodge non rispose e continuò a camminare lentamente.
"Non ti va proprio di darmi un aiutino?"
"No, signore." rispose Hodge, nel suo tono immutabile e monotono.
"Gli serve un mulo umano per spostarsi da una stanza all'altra?"
"No, signore."
"Devo fare qualche commissione per lui?"
"No, signore."
"Ohhh ho capito!" esclamò improvvisamente Jace, battendo un
pugno sul palmo della mano. "Gli serve qualcuno che l'aiuti a lavarsi!"
"No, signore."
"Vuole che ingaggi qualche bella ragazza pronta a fare questo.. e
magari dell'altro?" scherzò il ragazzo, ammiccando.
"No, signore."
I due si fermarono in cima alle scale e Jace scosse la testa,
sconsolato. "Dimmi Hodge, c'è qualcosa che ti fa mai
sorridere?"
"No, signore." Beh, oddio, ogni tanto i due Bane ci riuscivano, ma non
gli pareva il caso di farlo sapere al presuntuoso ragazzo davanti a lui.
Jace si girò ed entrò nella camera da letto del
fratello. Mentre chiudeva la porta alle sue spalle, vide Alec a letto,
con la schiena appoggiata alla testiera, intento a leggere i fascicoli
del caso in corso.
"Per l'angelo!" cominciò, senza salutarlo, "Hodge
è l'uomo più deprimente che io abbia mai avuto
occasione di conoscere in tutta la mia vita. Lo giuro."
Alec sollevò lo sguardo dalle carte e sorrise al fratello.
"Beh, Hodge è Hodge. Nessuno può pensare di
cambiarlo. Neanche tu."
"E' una sfida?" chiese Jace, indicando poi con un cenno del capo la
porta. "Quell'uomo mi conosce da una vita. Non credi che potrebbe
salutarmi con un "Buongiorno bellissimo Jace!"? O "Bella giornata oggi,
signore. Non quanto lei, ma comunque gradevole."? Oppure, meglio
ancora, potrebbe chiedermi "Signor Jace, oggi splende più
del sole in cielo! Qual è il suo segreto?". Il problema,
fratello, è che, al giorno d'oggi, nessuno fa le domande giuste! Capisci?"
"Lodare la tua vanità renderebbe il mondo migliore?
Davvero?" chiese Alec, fintamente sorpreso.
"Quello degli altri non lo so, ma il mio di sicuro!" sorrise malandrino
il biondo, andando a sedersi accanto a lui sul letto. "Come stai?"
chiese poi, indicando il suo piede.
Alec sospirò. "Bene.. dopo una tripla dose di
antidolorifico."
"Fa così male?" chiese Jace, preoccupato.
"All'inizio no, ma poi l'ho sforzato un po' quando sono andato a farmi
la doccia."
"Te la sei fatta da solo? Avresti dovuto farti aiutare!"
brontolò Jace, scuotendo piano la testa. "Clary mi ha detto
che non dovresti camminarci sopra!"
"Chi?" chiese Alec, guardandolo perplesso.
Il volto del fratello si illuminò. "L'infermiera volontaria
dell'altra notte. Clary. Ci siamo scambiati il numero di telefono e mi
ha raccomandato di dirti che devi tenere a riposo il piede e non fare
movimenti brus.. che c'è?" si bloccò, notando lo
sguardo stupefatto del fratello.
"Ti piace l'infermiera?" chiese sorpreso Alec.
"Eh? Cosa? No.. sì.. forse.. un pochino, ecco."
"Oddio ti piace! Ti piace davvero!" esclamò sbigottito
l'altro, mentre le guance di Jace si coloravano di un leggero color
ciliegia.
"E' carina, non trovi?"
Alec scosse la testa, troppo scioccato per parlare. Prima Izzy, che si
era innamorata di un nerd logorroico, ora Jace, che si era preso una
cotta per un disastro scoordinato. Dio santo, ma che problema avevano i
suoi fratelli?
"Jace.." iniziò, con tutta l'intenzione di dissuadere suo
fratello dal proseguire una relazione con la pel di carota.
"Cosa?" chiese questo, sulla difensiva.
Qualcosa, nei suoi occhi, bloccò Alec prima che potesse
pronunciare altro. Conosceva quello sguardo. Era lo stesso che aveva
Izzy quando parlava di Simon e, anche se lui non aveva mai provato quel
tipo di felicità, non aveva alcuna intenzione di far
soffrire i fratelli disapprovando le loro relazioni. Era la loro vita
ed era giusto che se la gestissero come meglio credessero. Brontolare e
sparare frecciatine, una volta ogni tanto, era il massimo che si
concedeva per stuzzicarli, ma non sarebbe mai diventato come suo padre.
Alec sospirò, poi posò una mano sulla spalla del
fratello. "Solo.. ti prego, risparmiami i dettagli intimi e sconci."
disse infine, facendo ridere di sollievo Jace.
"Neanche quando andrò in terza base?"
"Sei fastidiosamente volgare, lo sai?"
Jace rise di gusto e gli diede una spallata giocosa. "Andiamo! Vivi con
Magnus e lui non è certo migliore di me!"
A Jace non sfuggì la smorfia che fece capolino sul viso di
Alec.
"Per l'angelo, che ha combinato ancora?" chiese sorpreso.
Li aveva lasciati da soli per poche ore! Come potevano essersi
già saltati alla gola in quel lasso di tempo?
Alec fece spallucce, posando poi la testa alla testiera del letto e
guardando il soffitto. "Abbiamo litigato."
"Oh." rispose Jace. Gli sarebbe piaciuto dare una risposta
più articolata, sul serio, ma dov'era la novità?
Quei due bisticciavano di continuo e per qualunque cavolata. "E' stato
così terribile?" chiese accigliato.
Alec fece nuovamente spallucce. "No, abbiamo battibeccato come al
solito."
"Per cosa avete litigato questa volta?"
"Ha letto le carte dell'atto quando gli avevo detto chiaramente di non
farlo!"
"Ah.."
"Come sarebbe a dire ah..?
Jace, questi documenti sono coperti da segreto.."
"..professionale, sì lo so, ma li ha solo letti no? Non li
ha danneggiati o chissà che altro! Sono certo che non
spiffererà niente a nessuno."
"Tu come lo sai?"
Jace alzò un sopracciglio. "Ma con chi vuoi che parli?"
"Potrebbe spettegolare con i domestici o.."
"Come se a loro potrebbe mai interessare qualcosa della nostra causa."
lo interruppe Jace, sventolando una mano.
"Potrebbe raccontarlo alla controparte!"
"Ma se questi documenti sono gli stessi che hanno anche loro!"
tentò di farlo ragionare Jace.
"Si può sapere da che parte stai?" chiese Alec, mettendo il
broncio. Come faceva suo fratello a non capire la gravità
della cosa?
Jace scosse la testa divertito. "Ma dai! Dalla tua faccia, pensavo
avesse combinato di peggio. E sai benissimo che ne sarebbe capace!"
"Tipo cosa?"
"Che ne so! Potrebbe uscire a fare una passeggiata,
rimorchiare una, portarla qui e fare sesso con lei sul tavolo da
pranzo! Oppure potrebbe tranquillamente girare nudo per casa, vanesio
com'è! O.. bruciare il tuo orrendo guardaroba, che usi nel
tempo libero, ecco! Sai, ora che ci penso, è strano che non
l'abbia ancora fatto, visto quanto si lamenta di questo aspetto."
"Il mio guardaroba non è orren.. aspetta! Cosa? Lui si
lamenta di cosa?" chiese Alec, stupito.
"Del tuo guardaroba. Ci ha scritto più di una volta che gli
ferisci gli occhi ogni qual volta ti vede girare per casa con una tuta
o una maglietta dell'anteguerra."
"Ci?"
"Io ed Izzy."
"Scrive a voi due del mio guardaroba?" chiese Alec, sempre
più sorpreso.
"L'ha fatto in più di un'occasione, sì."
"Ma non è normale tutto ciò, te ne rendi conto?"
Jace fece spallucce. "E' Magnus. Tutto ciò che lo riguarda
non è normale!" ridacchiò.
Alec era sbigottito. Ed offeso. Come si permetteva quell'arcobaleno
ambulante di oltraggiare i suoi vestiti? Ah! Ora che gli veniva in
mente, l'aveva fatto anche la sera prima!
Doveva rimetterlo in riga. Ma come?
"Se conosci il nemico e
te stesso, la tua vittoria è sicura. Se conosci te stesso,
ma non il nemico, le tue probabilità di vincere e perdere
sono uguali. Se non conosci il nemico e nemmeno te stesso, soccomberai
in ogni battaglia." sussurrò Alec, pensieroso.
"Che roba è? Confucio?" chiese Jace, perplesso da
ciò che aveva appena sentito e non avendo la minima idea di
dove volesse andare a parare il fratello.
"No, L'arte della guerra
di Sun Tzu, un generale cinese vissuto tra il sesto e quinto secolo
Avanti Cristo." rispose distrattamente l'altro.
"E l'hai citato, perchè.."
"Perchè, se voglio vincere la guerra, devo conoscere il mio
nemico!" rispose Alec, perso nei suoi pensieri.
"Ma di cosa stai parlando?" chiese Jace, spaesato.
Alec alzò improvvisamente lo sguardo su di lui. "Mi passi il
telefono per favore?"
"Che ci devi fare?" domandò, porgendoglielo.
"E' ora di far scendere nuovamente in campo Aline." rispose Alec,
sorridendo trionfante.
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Capitolo 12 *** Capitolo 12 ***
1
Aline non fu affatto
sorpresa della
telefonata di Alec. L'avvocato l'aveva convocata solo quel sabato, ma
la ragazza aspettava da tempo quella chiamata ed era pronta a
rispondere a tutte le sue domande.
Quando, seduta comodamente in una delle poltrone della spaziosa
biblioteca, vide l'amico, entrare con le stampelle, le
sfuggì
una risata divertita.
"Che ti è successo? Ti sono saltati a piè pari
sul piede per dispetto?"
"Ah. Ah. Ah." ribattè Alec, andando a sedersi lentamente
sull'altra poltrona, accanto a lei.
"Seriamente, Lightwood. Cosa hai combinato?"
"Un incidente in discoteca." rispose, con una smorfia, il giovane.
"Un incidente. In.. in discoteca." replicò Aline, seria,
mordendosi con forza l'interno delle guance per non scoppiare a
ridergli in faccia.
"Non è divertente." la fulminò Alec, intuendo i
suoi pensieri. "Fa male e mi impedisce di lavorare!"
"Povero piccino." lo punzecchiò l'amica, sporgendosi per
arruffargli la chioma nera. "Ma come è successo?"
Il ragazzo sbuffò, togliendosi di dosso quella mano
fastidiosa.
"Un idiota mi ha spintonato, io sono caduto all'indietro, ho messo male
il piede e ho preso una storta." riassunse sbrigativo. Non era il caso
che sapesse tutti i dettagli, altrimenti quella chiacchierona l'avrebbe
tormentato da qui all'eternità!
"Ti ha spinto?" chiese sorpresa. "Ed è ancora vivo?"
"Per il momento sì, ma avrà presto mie notizie."
le
rivelò Alec, deciso. L'energumeno avrebbe rimpianto presto
di
aver messo piede al Pandemonium quella sera e di aver avuto a che fare
con lui!
Aline scosse la testa, sorridendo. "Allora, capo, cosa posso fare per
te?" chiese poi, passando alle cose serie.
"Lo sai benissimo perchè ti ho chiesto di venire." rispose
Alec, alzando gli occhi al cielo.
"Certo che lo so!" replicò prontamente la ragazza. "Ma mi
stupisco che tu l'abbia fatto solo ora!"
Alec sospirò. L'amica aveva ragione, ma non aveva avuto
davvero
tempo di star dietro anche a quella faccenda. La causa in corso era
molto più importante ed aveva precedenza su tutto.
"Bando alle ciance, dimmi tutto quello che sai." la esortò,
impaziente.
Aline aprì la sua borsa, tirò fuori un taccuino
ed iniziò a leggere i propri appunti.
"Ok, partiamo dall'inizio. Vuoi sapere dove si è nascosta
Lydia quando fuggì quasi nove anni fa?"
Alec annuì.
"Ad Oheka*!" gli rivelò l'amica, dopo una pausa per creare
la giusta suspense.
Alec la guardò, sorpreso. Erano secoli che non sentiva
nominare quel posto!
Il Castello di Oheka si trovava sull'isola di Long Island ed una delle
sue suite apparteneva alla famiglia Lightwood da generazioni. Si
narrava addirittura che Christopher Lightwood (bis-bisnonno di Alec)
avesse contribuito, con una generosa donazione, al completamento del
castello, eretto dal suo amico Otto Hermann Kahn. Quest'ultimo, per
ringraziarlo, gli donò quindi la camera più
grande e
bella dell'intero edificio.
Robert Lightwood ne aveva fatto il suo eremo, vietando a chiunque
l'accesso se non su invito personale. Dio solo sapeva cosa combinava in
quella stanza! Neanche ai suoi figli era permesso soggiornarci.
Alec si era praticamente dimenticato di quel posto ed ecco, dunque,
perchè non gli era mai venuto in mente di cercarla
là,
ma, ora che Aline gli aveva rivelato il nascondiglio della defunta
moglie, si diede dello stupido per non averci pensato prima. Era
così logico!
"Poi che è successo?"
"Lasciò la suite il 30 giugno di otto anni fa e, quello
stesso
giorno, si imbarcò sulla Queen Mary 2. Con un uomo."
"Il signor Bane?"
Aline annuì. "Secondo l'ufficiale di bordo che ho
interrogato,
Bane si adatta perfettamente alla sua descrizione e si ricorda ancora
molto bene di lui."
"Addirittura? Dopo ben otto anni? Non gli ispirava fiducia?"
"Non posso dirlo con certezza, ma, se era carino anche solo la
metà di quanto lo è ora, chi si dimenticherebbe
mai di
Bane?" ridacchiò la ragazza. "Credo però che
l'abbia
aiutato molto anche il fatto che non avesse il biglietto!" ammise.
"Non ce l'aveva? E come ha fatto a salire a bordo?"
"Lydia supplicò l'ufficiale. L'uomo mi ha detto che, a quel
tempo, anche sua moglie era incinta e non aveva saputo resistere
davanti ad una donna stravolta dalle lacrime. Che cuore generoso, non
trovi?" replicò la ragazza, ironica.
"Credi che abbia mentito?"
"Ovvio che è una palla colossale, Alec!" trillò
Aline,
sganciandogli una pacca decisa sulla spalla che lo fece sussultare
visibilmente. "Dai retta a me, scommetto il mio tanga leopardato nuovo
di zecca che Lydia, in realtà, abbia comprato il suo
silenzio
con una cospicua mancia."
terminò, mimando le virgolette sull'ultima parola.
"Questo significa che lei e il signor Bane si conoscevano."
esclamò Alec, aggrottando la fronte, pensieroso, mentre si
massaggiava la spalla dolorante.
"L'ufficiale mi ha detto che lei l'ha presentato come il suo ragazzo."
Alec alzò lo sguardo, stupefatto. "Erano.." il giovane
interruppe, incerto, la domanda che stava per porre.
"Amanti?" concluse per lui l'amica. "Mi sentirei di escluderlo. Conosci
il mondo al quale apparteneva tua moglie, no? Bane non mi da l'idea di
essere un membro all'alta società newyorkese."
"Perchè allora disse che era il suo fidanzato?"
"Tirando ad indovinare, credo che le facesse comodo farlo passare in
quel modo." ipotizzò, picchiettandosi il mento con l'indice.
"Sai, anche Jace è convinto che i due non stessero insieme,
ma
non riesco davvero a capire come potete essere così certi
che i
due non avessero una relazione."
Aline tirò fuori, dalla sua borsa, una foto di Magnus e la
osservò. "E' davvero bellissimo." ammise. "Ed ammetto che,
se
non fossi felicemente fidanzata e un "filino" lesbica, ci proverei
spudoratamente." sorrise, leccandosi le labbra. "Sapevi che era
bisessuale?" chiese, inarcando un sopracciglio.
"Jace l'ha ritenuta una notizia importantissima e me l'ha detto,
sì." rispose Alec, liquidando quel discorso con una
scrollata di
spalle.
"Pettegolo!" ridacchiò Aline, tornando a guardare la foto.
"Credi che Helen protesterebbe se le proponessi una cosa a tre con
Bane?"
Alec si schiaffò una mano in faccia. "Aline!! Per l'angelo,
lascia perdere il tuo appetito sessuale e concentrati!"
esclamò,
battendo le mani con uno schiocco secco, richiamandola all'ordine.
"Uff! Non c'è gusto a parlare con te di queste cose."
ribattè l'amica, facendogli la linguaccia. "Comunque, prima
della fuga, Lydia è passata dalla sua famiglia alla tua ed
era
praticamente sorvegliata a vista, quindi è improbabile che
si
fossero incontrati in quel lasso di tempo. Dopo la fuga, stando ad uno
degli addetti alla sicurezza dell'hotel del Castello, che sono riuscita
a corrompere ed ad interrogare, Lydia soggiornava nella suite da sola,
usciva solo per passeggiare nella tenuta e non riceveva mai visite. Ad
esclusione di due persone."
"Due?" chiese Alec, sorpreso. Uno era sicuro che fosse il signor Bane,
ma l'altro?
Aline annuì e lo fece ricredere delle sue certezze. "Tuo
padre
le ha fatto visita parecchie volte. L'ultima risale al giorno in cui
Lydia si imbarcò."
Alec la fissò, a bocca aperta. Quel figlio di buona donna,
dunque, sapeva dov'era Lydia! Fino a quel momento era sempre stato
convinto che nessuno sapesse dove si trovasse la moglie ed, invece, suo
padre non solo era a conoscenza del nascondiglio, ma, ed Alec era
pronto a scommettere qualsiasi cosa, l'aveva sicuramente aiutata! Se
ripensava alla sceneggiata che l'uomo aveva messo in piedi per trovarla
e tutto il resto, gli veniva da ridere ora. Robert Lightwood non si
smentiva mai, neanche da morto.
"Chi era l'altra persona?" chiese poi.
"Un medico. Probabilmente ne seguiva la gravidanza e si assicurava che
stesse bene." gli rivelò l'amica. "Come vedi, quindi,
è
impossibile che i due avessero una tresca." continuò.
Alec scosse la testa. "Non credo si possa però escluderlo
completamente."
"Ohhh andiamo, Alec! Quando si è rintanata sull'isola era
incinta!" esclamò con foga l'altra.
"E quindi? Una donna gravida diventa improvvisamente invisibile e non
attira più le attenzioni di un uomo, manco a pagarlo oro?"
chiese il ragazzo, ironico.
"Questo magari no." ammise Aline. "Ma il fatto che tuo padre l'andasse
a trovare spesso rende praticamente impossibile il fatto che Bane ne
fosse l'amante!"
"Ma quindi come si sono conosciuti?" chiese, pensieroso.
Aline si massaggiò il mento, meditabonda. "Deve essere
successo
qualcosa tra quando Lydia ha lasciato il Castello e quando si
è
imbarcata."
"Cosa?"
"Dio, Lightwood! Non ho mica la sfera di cristallo!"
ironizzò Aline. "Ma è piuttosto facile da
scoprire, sai?"
"Davvero? E come?" chiese Alec, alzando un sopracciglio.
"Chiedilo a Bane, no?!" rispose ovvia l'altra, tirandogli un'altra
pacca sulla spalla.
"La smetti?" esclamò, il giovane, dolorante. "E non
chiederò mai al signor Bane una cosa del genere!"
puntualizzò, scandalizzato.
"Perchè no?"
"Perchè no. Punto."
"E' così antipatico?" chiese Aline, sorridendo, tornando a
guardare la foto. "Ma se i tuoi fratelli lo adorano!" lo
canzonò. Izzy ne aveva parlato in termini entusiastici, ed
anche
Jace, sotto sotto, lo aveva in simpatia, nonostante con lei si fosse
limitato a borbottare che era sopportabile.
"Oh sì! Certo! Ne riparliamo quando dovrai conviverci anche
solo
per una settimana!" grugnì Alec, incrociando le braccia al
petto.
Aline ridacchiò. Non aveva ancora avuto il piacere di
conoscere
personalmente Bane, ma, stando ai pareri contrastanti dei fratelli
Lightwood, doveva essere proprio un bel tipetto.
"Aline.."
"Sì?" rispose lei, alzando gli occhi dalla foto.
"Voglio che tu scopra tutto su Magnus Bane. Tutto." ordinò
Alec, serio.
Aline inarcò un sopracciglio. "Ci vorrà del
tempo, lo
sai." lo avvisò. Fin'ora, infatti, non aveva individuato
neanche
un indizio che potesse condurla al passato dell'uomo.
"Ho fiducia in te." le sorrise Alec, dandole un buffetto sulla guancia.
"Scommetto dieci dollari che non ce la fa." lo sfidò Jace,
posando il mento sulle mani intrecciate.
Alec lanciò un'occhiata nella direzione dove stava guardando
il
fratello. "Tanto vale che te li dia subito. E' ovvio che non ce la
farà mai." replicò, bevendo una lunga sorsata
della sua
birra. "E, anche se gli parlasse, non andrebbe oltre."
Jace annuì. "Uno come quello non riuscirebbe neanche a
tentare una mossa."
"Ma puoi bere, se prendi le medicine?" si intromise Simon, sistemandosi
l'ombrellino del suo quarto cocktail dietro l'orecchio.
"Sì, Simon." sospirò Alec, finendo ciò
che restava del suo terzo boccale di birra.
"No che non potresti." ridacchiò Jace, posando la testa sul
tavolo e ficcandosi goffamente una manciata di noccioline in bocca.
Lui, fin'ora, era a quota cinque bicchieroni di birra.
Simon scrollò le spalle, poi osservò anche lui
l'uomo
seduto in fondo al bar, oggetto di scommessa tra i due fratelli. "E'
carino, però." osservò.
Jace si alzò di scatto e si girò verso di lui,
con la
bocca spalancata. "Steven!" esclamò con un certa dose di
dramma,
portandosi la mano al petto. "Sei fidanzato con mia sorella!" gli
ricordò. "E da quando in qua ti piacciono anche i ragazzi?"
biascicò, spintonandolo con una mano.
"Prima di tutto, mi chiamo Simon." precisò l'altro, alzando
l'indice. "E guarda che non serve essere gay o bipolare.."
"Bisessuale." lo corresse Alec, scuotendo la testa ed alzando gli occhi
al cielo.
"Bisessuale! Grazie Alec." rispose Simon, sorridendogli esageratamente,
prima di tornare a guardare Jace. "Comunque non serve essere gay o
bisessuale per ammettere che un uomo è carino."
replicò,
appoggiandosi a lui ed alitandogli in faccia.
Jace lo scostò con un gesto poco convinto ed
assottigliò
lo sguardo. "Ti tengo d'occhio, Sigmund!" lo minacciò,
puntando
indice e medio contro i suoi occhi e poi contro quelli di Simon,
alternando il gesto un paio di volte.
Simon ribattè con il dito medio ed un potente rutto.
"Quanti bicchieri si è già scolato?" chiese Alec,
riportando l'attenzione dei due sullo sconosciuto.
"Due." rispose Jace, posando la testa sulla mano. "Non credo che
bastino per fargli alzare il culo da quella sedia."
Era da tre quarti d'ora che il tizio, di cui stavano parlando, fissava
Magnus, il quale stava ballando con un paio di ragazze al centro della
pista. Era così anonimo che si sarebbe confuso senza
problemi
con il mobilio del locale. I capelli neri sembravano essere stati
pettinati con un petardo e la barba non veniva tagliata da un bel
pezzo. La maglietta bianca, poi, era macchiata vistosamente dal vino
che l'uomo stava bevendo e che si era versato addosso più di
una
volta, neanche fosse stato un bambino che imparava a bere dal bicchiere.
"Ti assomiglia!" esclamò improvvisamente Simon, girandosi
verso Alec e guadagnandosi un'occhiata di fuoco.
"Solo perchè è moro con gli occhi azzurri?"
chiese Jace, in soccorso del fratello. "Sunny, sei proprio un idiota!"
Alec concordò e fece poi segno alla cameriera di portargli
un altro boccale di birra.
Visto che il malefico trio era riuscito, per la seconda sera di
seguito, a trascinarlo in un locale, contro la sua volontà
ci
teneva a precisare, tanto valeva darci dentro.
Come fossero riusciti a spuntarla, era un mistero, ma Alec era
segretamente convinto che fosse colpa dei farmaci. Quegli odiosi
analgesici avevano degli effetti collaterali davvero sgradevoli, tra
cui quello di fargli fare cose che, di norma, non avrebbe mai fatto.
Come farsi convincere da Bane e dai suoi occhioni magnetici ad andare
in un locale a divertirsi. Maledetto. Lui ed i suoi occhi da gatto.
Quel pomeriggio infatti, dopo avergli chiesto scusa (in modo davvero
convincente, va detto), aveva iniziato a parlare a raffica, riuscendo
ad intortarlo talmente bene che si era ritrovato ad annuire frastornato
quando gli aveva proposto di uscire insieme quella sera. Era una
tecnica che usava anche lui in tribunale e ora capiva quanto potesse
essere fastidiosa. Senza rendersene conto aveva abbassato la guardia
ed, in un attimo, si era ritrovato in un locale a bere ed a guardare un
idiota che sbavava per l'uomo con la cresta, mentre l'altro se la
spassava con chiunque gli capitasse a tiro.
Alec sospirò, rassegnato. Per lo meno il locale che avevano
scelto non era il Pandemonium.
"Dieci no, ma scommetto cinque dollari che si alza almeno dalla sedia e
si dirige verso Magnus." scommise d'un tratto Simon, quando vide lo
sconosciuto posare il suo bicchiere.
"Andata." replicò entusiasta Jace, battendo la mano sul
tavolo.
Il trio osservò l'uomo che si lisciava la maglietta sporca e
faceva il gesto di alzarsi.
"Va!" esclamò trionfante Simon, alzando le braccia in segno
di vittoria. "Mi devi cinque.."
"Ah-ah. Non così in fretta." lo contraddisse Jace, muovendo
l'indice in segno di diniego, raddrizzando la schiena.
Lo sconosciuto infatti si era immobilizzato nel momento esatto in cui
Magnus cominciò ad esplorare, con un certo entusiasmo, la
gola
di una moretta procace con cui si stava muovendo a ritmo di musica.
"A quanto pare sarai tu a dovermi dare i cinque bigliettoni."
osservò Jace, quando lo sconosciuto riparcheggiò
il
posteriore sulla propria sedia. "Paga, Sheldon!"
Simon lo guardò malissimo. Tirò fuori la
banconota dal
suo portafoglio e, quando il cognato fece per prenderla, gliela tolse
di mano. "Se non la smetti di chiamarmi con nomi che non mi
appartengono giuro che ti riempio la casa con un esercito di anatre."
sibilò.
Jace spalancò gli occhi liquidi. "Non oseresti."
"Ssssì invece!" lo minacciò Simon, annuendo
freneticamente, mentre tentava di ficcargli un dito in un occhio.
"Idiota." lo apostrofò Jace, spostando bruscamente la mano
ed agganciandogli il naso con due dita.
"Stronzo." replicò Simon, tirando fuori la lingua e
leccandogli goffamente la mano.
"Mezza cartuccia." disse Jace, con una smorfia disgustata, mentre si
asciugava sulla maglietta la mano bagnata di saliva.
"Segaiolo!"
"Oh, perchè tu fai tanto sesso ver.."
"Sì, mi sbatto tuo sorella!" rispose Simon, compiaciuto,
mentre gli tirava un calcio alla caviglia.
"Ora basta." sibilò Alec, stizzito. "Se non la smettete di
comportarvi come due bambini, vi tratterò come tali e vi
sculaccerò entrambi, qui davanti a tutti. Chiaro?" li
minacciò con l'indice.
I due annuirono energicamente, per poi farsi la linguaccia nel medesimo
istante e tirarsi addosso qualche nocciolina.
Alec posò la testa sul braccio, esasperato, e
sbuffò
forte. Stava per passare alle maniere forti, ma qualcuno gli
posò davanti un altro boccale di birra.
"Ehiii! Perchè a me niente?" si lamentò subito
Jace, sporgendo il labbro inferiore come un bambino.
"Perchè non te lo meriti." rispose Magnus, sedendosi accanto
ad
Alec. "Guardate come avete ridotto questo poveretto!" li
sgridò,
indicando un Alec sull'orlo di una crisi di nervi.
Jace gli fece una pernacchia e tornò a tormentare Simon.
"Per cosa stanno litigando Adelina
e Guendalina Bla Bla?" chiese piano Magnus, avvicinandosi
all'avvocato.
Alec sbuffò una risata dal naso. Ringraziò
mentalmente
Izzy, che una sera l'aveva obbligato a vedere il film d'animazione Gli Aristogatti
permettendogli, così, di capire la battuta dell'altro. "Su
chi
è più idiota.. e grazie." rispose, alzando poi il
bicchiere verso di lui.
"Ah!" esclamò Magnus, alzando un sopracciglio. "Tortorelle!"
chiamò i due litiganti, battendo le mani per attirarne
l'attenzione. "Non serve litigare per questo. Lo siete entrambi,
tranquilli!" li rassicurò, raggiante.
"Eh?" chiesero i due, che non avevano prestato la minima attenzione
allo scambio di battute tra Alec e Magnus.
Alec nascose un sorriso dietro il boccale di birra.
"Oh Magnus!" saltò su Simon, spintonando via Jace, che per
poco
non cadde dalla sedia. "C'è uno che ti fissa da quando sei
andato a ballare!" lo informò, accennando col mento allo
sconosciuto, che ora stava guardando nella loro direzione. Il castano
gli fece ciao-ciao con la mano, mentre l'altro distoglieva velocemente
lo sguardo da loro.
"Abbiamo scommesso." gli comunicò Jace, serio.
"Scommesso?" chiese Magnus, sorseggiando il suo drink e lanciando
un'occhiata allo sconosciuto.
"Jace crede che non ci proverebbe con te neanche se si scolasse
un'intera cantina di vini, mentre io ho scommesso che almeno ti viene
vicino." lo ragguagliò Simon. "E' carino, vero?" gli
confidò, protendendosi verso di lui e bisbigliando come se
fosse
un segreto di stato.
Magnus studiò il tizio in questione. "Ha bisogno di avere un
incontro urgente e ravvicinato con un buon barbiere. E di uno stylist
che gli consigliasse dei vestiti decenti." rispose, con occhio critico.
"Detto questo, se si va oltre l'aspetto neanderthaliano, non me la
sento
di cestinarlo completamente visto che è moro e con gli occhi
azzurri. La mia combinazione preferita!" esclamò, passandosi
la
lingua sulle labbra, al ricordo dei deliziosi bocconcini che aveva
avuto modo di assaggiare in passato.
Simon sbattè le palpebre un paio di volte, poi
guardò
alternativamente Alec e lo sconosciuto. "ALEC!" gridò,
improvvisamente, a pieni polmoni. "Anche tu sei moro e con gli occhi
azzurri!" esclamò eccitato, battendo le mani, contento di
aver
espresso ad alta voce un'osservazione così intelligente.
"L'hai già detto primaaa!" berciò Jace, alzando
gli occhi al cielo.
Alec lanciò al cognato un'occhiata omicida. Non
aveva mai
desiderato tanto ucciderlo come in quel momento. Ed era dannatamente
certo che nessuna giuria avrebbe potuto dargli torto.
Magnus si volse verso l'avvocato e ridacchiò, scuotendo la
testa. "Tranquillo. Anche se corrispondi alla descrizione, tu non
sei affatto il mio tipo." lo rassicurò, dandogli una pacca
sulla
spalla ed ingollando il suo bicchiere tutto d'un fiato. "Non ho
intenzione di attentare alla tua virtù etero."
rincarò,
facendogli l'occhiolino.
Alec arrossì e si limitò ad annuire. Una parte di
lui,
però, fu infastidita da quel commento. Sbuffò.
Perchè doveva sentirsi così contrariato? Prima di
tutto
il signor Bane non aveva idea che lui fosse gay, ma poi, anche se
l'avesse saputo, di certo Alec non aveva intenzione di essere
corteggiato da quell'uomo. No?
Le luci soffuse del locale si ravvivarono improvvisamente e la voce
squillante di uno speaker sormontò il vociare degli
avventori.
"Bene, signori, ma soprattutto signore! Siamo arrivati al momento della
serata che tutte voi stavate aspettando. La gara di ballo maschileeee!"
annunciò stentoreo. "Chiedo ai concorrenti, che vogliono
partecipare, di avvicinarsi alla nostra postazione dove potranno
decidere la base della canzone sulla quale esibirsi. Alle gentili
signore ricordo invece che, per motivi di sicurezza, è
vietato
salire sul bancone e lanciare oggetti e/o indumenti sul palco. Grazie e
buona visione!" concluse, con un inchino.
"Che roba è?" chiese Simon, la voce appena udibile a causa
delle grida entusiaste delle donne presenti nel locale.
"La mercificazione del corpo maschile." spiegò Alec, con una
smorfia, mentre il primo concorrente iniziava a dimenarsi per la gioia
femminile.
Jace scosse la testa ed alzò gli occhi al cielo. "Non stare
a
sentire questo bacchettone qui!" consigliò al castano. "In
realtà dei ragazzi ballano sul bancone, mentre le donne
lanciano
loro dei soldi. Chi ne racimola di più, ottiene il doppio
della
vincita che ha raccolto." affermò, esperto.
"Ed io che ho detto?" chiese Alec, sorseggiando la sua birra, mentre
Jace sventolava una mano per liquidarlo.
"Deduco, quindi, che tu non l'abbia mai fatto." si intromise Magnus al
suo fianco, mescolando con la cannuccia il contenuto di un nuovo drink.
Alec si girò verso di lui. "No. Perchè, lei
sì?"
chiese, con un sopracciglio alzato, pentendosene un attimo dopo.
Davvero aveva appena posto una domanda del genere a Magnus-non-so-cosa-sia-il-pudore-Bane?
Davvero? Alec si diede, mentalmente, una sberla sulla nuca.
"Tesoro, sono il re dello striptease." gli confermò infatti
l'altro, compiaciuto. "E poi è divertente e guadagni dei
soldi!"
terminò, con un enorme sorriso.
Jace annuiva freneticamente, concorde. "Eeee rimorchi! Rimorchi
tantissimo! Tipo cooosì!" esclamò, allargando le
braccia.
"Quindi, vedi che ho ragione io?" replicò soddisfatto
l'avvocato, tornando a guardare il fratello. "Questa gara è una
mercificazione del corpo maschile."
"Sì-sì-sì! Hai ragione tu!"
sbuffò Jace.
"Sapete, modestamente parlando, ho raggranellato un bel bottino con
queste gare!" si vantò verso gli altri due, ammiccando.
"Ma se quando ti muovi, sembra che un ragno ti cammini sotto i
vestiti!" si meravigliò Simon.
Jace assottigliò lo sguardo. "Ti piacerebbe saper ballare
come so farlo io!"
"Scommetto che non riusciresti a fare neanche 100 dollari."
replicò Simon, protendendosi verso di lui con aria di sfida.
"Accetto Lewis!" rispose Jace, battendo la mano sul tavolo. Si
alzò oscillando pericolosamente e fece appena un passo che
incespicò nella sedia di Alec e si spiaccicò a
terra.
"Sto beneeee!!" urlò, rialzandosi quasi subito, mentre Simon
rideva di gusto. "Sto beneeee!" ripetè, alzando le braccia,
e
dirigendosi con passo incerto verso la postazione.
"Ti conviene seguirlo per assicurarti che arrivi almeno fino al
bancone." ghignò Magnus, rivolgendosi ad Alec.
Il moro sospirò, si alzò e, traballante,
seguì il
fratello che camminava a zig-zag e salutava a destra e a sinistra manco
fosse la regina d'Inghilterra.
Magnus posò il mento sulla mano e non scollò lo
sguardo
da loro fino a quando non si furono allontanati. Poi si girò
verso la sua preda.
"Un altro giro, Simon?" chiese sorridente al castano, che stava
leccando il bordo del bicchiere che aveva appena finito.
"Sì, graz.. aspettaaaa!" esclamò meravigliato,
spalancando gli occhioni resi liquidi dall'alcool. "Mi hai chiamato
Simon! Mi hai chiamato Simon!" esplose, abbracciandolo di slancio.
"Oh per l'amor del cielo, Lewis, staccati!" lo rimproverò
Magnus, tentando di togliersi di dosso quella piovra che aveva iniziato
anche a sbaciucchiarlo su una guancia.
"Ohhhh Magnus, ti amo così tanto! Ma tanto tanto tanto eh!"
dichiarò Simon,
guardandolo languido. "Ssssei bellissimo! Te l'ho mai detto che sei
bellissssimo?" chiese, tornando a baciarlo pericolosamente
vicino alle labbra.
"Stephen mi stai spaventando. Davvero!" replicò Magnus,
spingendo lontano la bocca dell'altro.
Lanciò un'occhiata in direzione dei fratelli Lightwood. Jace
era
riuscito, in qualche modo, ad arrampicarsi sul bancone e stava
ancheggiando come un orso ubriaco, lanciando, di tanto in tanto, dei
baci alle ragazze sotto di lui con plateali gesti delle braccia. Alec,
invece, sembrava sul punto del suicidio.
Magnus riportò l'attenzione su Simon. Non aveva molto tempo,
visto che la canzone su cui si stava muovendo Jace non sarebbe durata
ancora per molto.
Il castano aveva appoggiato la testa su un braccio steso sopra al
tavolo e fece camminare due dita dell'altra mano sul bicipite di
Magnus,
arrivando fino al suo collo, dove iniziò ad accarezzare la
pelle
liscia.
"Solomon giuro che, se non la pianti, ti tiro un calcio nelle palle!"
lo bacchettò severo l'uomo, allontanando un'altra volta la
sua
mano molesta. "E non pensare che non lo dica ad Izzy!"
Simon fece spallucce. "Tu ci hai provato con lei."
"E quindi?"
"Io ci provo con te!" rispose il castano, come se fosse ovvio,
arricciando poi le labbra e lanciandogli baci schioccanti.
"E non credi che lei si ingelosisca se ci provi con me?"
"Naaaa!" replicò Simon, con un gesto della mano.
"Non è gelosa?"
Simon si raddrizzò e si mise ad annuire energicamente. "Lo
è! Lo è!"
"Anche di Clary?" buttò lì l'uomo, con
nonchalance.
Simon lo guardò imbambolato. "Clary?" domandò,
spalancando poi la bocca. "La mia Izzy è gelosa di
Claaaary?"
chiese drammaticamente.
"Non lo s.."
Simon artigliò il braccio dell'amico. "Non c'è
niente tra
me e Clary! Niente!" singhiozzò. "Devi dirlo ad Izzy. Devi
dirglielo!"
"Simon, non.."
"Quando te l'ha detto? E' per questo che oggi flirtava con te? Ah!
Sapevo che c'era sotto qualcosa! Me lo sentivo che c'era sotto
qualcosa! Per questo flirtava con te! Perchè non me l'ha
detto?
Del resto perchè avrebbe dovuto flirtare con te, quando ha
già me? E' per quello che flirtava con te? Eh? Sapevo che
c'era
sotto qualcosa! Lo sapevo!"
"Simon.." riprovò Magnus, tentando di fermare quel fiume
ubriaco in piena.
L'altro però non lo stava ascoltando e stava già
tirando fuori il cellulare dalla tasca dei pantaloni.
"Che fai?" chiese Magnus, sorpreso.
"Devo dire ad Izzy che non deve essere gelosa di Clary." rispose Simon,
corrucciato, tentando di sbloccare il cellulare. "Clary è la
mia
migliore amica. Ma è solo la mia migliore amica! La mia
migliore
amica dell'asilo! Quindi adesso non è più la mia
migliore
amica. Perchè lo era all'asilo. Sai che all'asilo eravamo
migliori amicissimi del mondo?" gli confidò, serio.
Magnus si pizzicò la radice nasale. Non era così
che
aveva pensato di interrogare Simon. Nella sua mente, si era immaginato
una conversazione normale, con domande mirate a rivelare la vera
identità della bella rossa conosciuta la sera prima. Non
aveva
tenuto conto dell'inesistente capacità dell'altro di reggere
l'alcool.
Alzò lo sguardo e realizzò che l'esibizione
imbarazzante
di Jace era appena terminata. Il suo tempo stava per scadere.
"Simon, Clary è una Morgenstern?" chiese, pensando che,
oramai,
era inutile girarci attorno e che fosse meglio andare diritti al punto.
"Cosa?" chiese Simon, distratto, ancora impegnato a mettere la password
nel cellulare. "Ohhh cazzo!" esclamò. "Ho sbagliato a
mettere la
parola e ora devo aspettare per rimetterla di nuovo!" si
lagnò,
imbronciato.
"Simon, guardami!" lo scosse Magnus, deciso. "Clary è una
Morgenstern?" chiese nuovamente.
"Morgenstern?" domandò Simon, imbambolato, sbattendo le
palpebre un paio di volte.
"Sì, il cognome di Clary è Morgenstern?"
"Morgenstern." ripetè Simon, come un pappagallo. "Uhmmm..
no!
No! Clary.. la mia migliore amica Clary.. te l'ho detto che era la mia
migliore amica dell'asilo? La mia amicissima di sempre! Pensa che una
volta.."
"SIMON!" urlò Magnus, esasperato. "Qual è il
cognome di
Clary?" chiese, un attimo prima che Alec e Jace tornassero a sedersi ai
loro posti.
"Fray." rispose Simon, lanciando poi un grido di vittoria quando
finalmente riuscì a sbloccare il cellulare.
Fray. Clary Fray. Perchè, allora, il tizio vestito di nero
l'aveva chiamata signorina
Morgenstern? Accidenti a Simon! Anzichè
essergli
d'aiuto, aveva solo peggiorato la confusione che Magnus aveva in testa.
"Che cos'è un fray?"
chiese Jace, curioso.
"Non che cosss'è!" lo contraddisse Simon, muovendo
esageratamente la testa in segno di diniego. "Maaaa chi è!"
"Ohhh!" annuì Jace, comprensivo, ondeggiando sul posto. "E
chi è?"
"E' Clary! La mia migliore amica Clary! Lo sapevi che era la mia
migliore amica di sempre-sempre?" gli chiese entusiasta Simon.
Jace si illuminò. "Io amo Clary!" dichiarò,
unendo le
mani e portandole alla guancia, come un'adolescente innamorata.
Simon trattenne drammaticamente il fiato. "Non puoi amarla! No-no-no!"
disse, serio. "E' la mia migliore amica! La mia amica di sempre!
Non puoi amare la mia migliore amicissima del mondo!" lo
rimproverò, severo.
"Perchè nooo?" chiese Jace, sul punto di piangere. "Tu ami
mia
sorella! E se tu ami mia sorella, io posso amare la tua migliore amica,
no?"
Simon lo studiò, socchiudendo gli occhi. "Ti permetto di
amarla solo se giuri di trattarla benissimissimo!" concesse, magnanimo.
"Perchè è la mia migliore amica! La migliore!!"
"Giuuuuro!" promise Jace, baciandosi le dita incrociate davanti alle
labbra.
Simon annuì, dandogli una paterna pacca sulla spalla, mentre
Magnus ed Alec si scambiarono uno sguardo allibito.
"Ah!" si illuminò poi Jace. "Alloooora, mi avete visto? Eh?
Mi
avete visto?" chiese, esaltato, salendo quasi sopra al tavolo. "Avete
visto quanto ero ficccco là sopra?"
"Stai giù!" esclamò Alec, snervato, facendolo
sedere nuovamente al suo posto.
"Mi avete vistooo?" domandò di nuovo il biondo.
Simon annuì, serio. "Stavo per chiamare un dottore sai?"
"Perchè?" chiese Jace, spalancando gli occhi.
"Perchè.." iniziò il castano, protendendosi verso
di lui
ed abbassando la voce. "Sembravi uno appena colpito da una crisi
epinottica.. epilottica.. quella cosa là, insomma." concluse
drammaticamente. Poi gli scoppiò a ridere in faccia.
Jace rimase interdetto per un paio di secondi, prima di afferrare una
manciata di noccioline e lanciarle al cognato, stizzito. "Vai a quel
paese, Lewis! La tua è tutta invidia!" affermò.
"Ho
raccolto quasi mille dollari! Milleeee!!" si vantò fiero.
"Veramente sono duecento." lo smentì Alec, calmo, bevendo un
altro sorso di un nuovo boccale di birra che Magnus gli aveva fatto
arrivare. Gli sorrise, grato.
Jace si girò verso il fratello, con sguardo tradito.
"Non.è.vero!"
"Jace, li ho contati. Sono 210 dollari." gli rivelò Alec,
sfidandolo con lo sguardo a contraddirlo.
"Ohhh quel che è!" replicò l'altro, sventolando
la mano.
"Ah!" esclamò poi. "Lewis hai perso la scommessaaaa!" rise
sguaiatamente. "Ho fatto 200 dollari. Ho fatto 200 dollari."
intonò, gongolante, scuotendo il cognato.
"Fanno sempre così?" chiese Magnus, piano.
Alec gli lanciò un'occhiata consapevole e si
limitò ad annuire.
"E' per questo che non esci mai con loro?"
Altro accenno affermativo. "Sono fastidiosi. Ed imbarazzanti. E
logorroici." spiegò Alec. "Se lo immagina sopportarli, da
solo,
per tutta la serata?"
Magnus guardò i due ubriachi, inorridito. Riusciva a malapena
a
tollerarli, e solo perchè c'era anche Alec, che li arginava
meglio che poteva! Anche lui era così molesto quando si
sbronzava? Sperava ardentemente di no.
"Maaaagnussss!" gridò Jace, comparendo nel suo campo visivo.
L'uomo lo guardò, impassibile. "Che vuoi Giselle?"
Jace aggrottò la fronte. "Gis.. nooo! Guarda che mi chiamo
Jace!" gli spiegò, serio.
Magnus alzò gli occhi al cielo. Non c'era neanche gusto a
prendere in giro un ubriaco che non capiva le sue battute. "Che vuoi
Jace?" gli chiese allora, chiamandolo con il nome corretto.
"Che voglio?" chiese l'altro, sbattendo le palpebre. "Boh. Non lo so."
disse poi, facendo spallucce.
Magnus guardò Alec, che ricambiò con uno sguardo
che la sapeva lunga.
"Vuole ssssfidarti!" si intromise Simon, spingendo via il viso di Jace
che gli bloccava la visuale.
Jace gli schiaffeggiò la mano, stizzito, e poi si
girò
verso Magnus con un grande sorriso. "E' verooo! E' verooo!"
esclamò con enfasi. "Maaaagnuuuussss!! Ti sfido a fare
meglio
del sottoscritto!" disse poi, ridendo.
"Jace, non credo.." iniziò Alec, tentando di dissuadere il
fratello. Davvero era convinto di poter battere il signor Bane in una
gara del genere? Non che sottovalutasse la bellezza il fratello, ma
l'uomo con la cresta era di tutt'altro livello. Senza contare, poi, che
Jace dava il meglio di sè solo da sobrio, quando riusciva ad
affascinare tutti con il suo charme, e non certo quando faticava anche
solo a reggersi in piedi.
Anche Magnus osservò Jace, stupito. "Sei sicuro di voler
sfidare
proprio me?" chiese con un sorriso provocatorio, alzando un
sopracciglio. "Avresti più speranze con Sinclair!"
"Non è verooo!" rispose Simon, sentendosi chiamato in causa.
"Guarda che sono uno stallone e.."
"Sì, sono sicuro!" asserì Jace, dondolando la
testa e
facendo il verso a Magnus, interrompendo l'altro con una mano sulla
faccia.
"La posta in palio?" volle sapere Magnus.
"Se vinco io, sarai il mio schiavo per una settim.. NO!! Un mese! Sarai
il mio schiavo per un meseeee!" rispose Jace, battendo le mani contento.
"Jace.." tentò di nuovo Alec, volendo evitare quell'azione
suicida.
Il sorriso di Magnus si ampliò, mentre posava una mano sul
braccio di Alec per bloccare quello che stava per dire. "Ok, Jeannette,
accetto la tua sfida."
"Yeahhh!" esclamò Jace, alzando le braccia al cielo.
"Ma.." lo bloccò Magnus, alzando un dito. "Se vinco io,
deciderò in seguito la tua penitenza."
Jace scrollò le spalle. "Oook!" accettò,
spingendolo in piedi e sollecitandolo ad andare sul bancone.
Magnus si girò verso Alec. "Non scappi e non mi lasci da
solo, quando ritorno, a
fronteggiare questi due imbecilli, vero?" chiese l'uomo, leggermente
preoccupato. Alec ridacchiò e negò con la testa.
Magnus ancheggiò fino al bancone ed Alec incollò
lo
sguardo al quel sedere sodo che aveva già avuto modo di
ammirare. L'uomo salì agilmente sul legno lucido e, quando
la musica
iniziò a propagarsi per il locale, iniziò a
ballare
sinuosamente.
"Sai, non credo sia stata una buona idea." disse Alec, accostandosi al
fratello, ma con lo sguardo incollato al corpo dell'uomo con la cresta.
"Oh andiamo!" ribattè Jace. "Non può essere tanto
migl.."
La voce del biondo svanì, sormontata dalle urla femminili
che
esplosero nel momento in cui Magnus iniziò a tirarsi su, con
calcolata lentezza, la maglietta sul petto. Una volta tolta, fu il
caos. Le mani delle ragazze si protesero disperatamente verso la pelle
caramellata dell'uomo, sperando almeno di sfiorarla, e le
più intraprendenti riuscirono a salire sul bancone ed a
saltargli addosso. Alcune gli lanciarono addosso anche il proprio
reggiseno, proprio come in un concerto rock. Gli uomini della sicurezza
riuscirono, con difficoltà, a far scendere le ragazze e
Magnus continuò a muoversi, sorridendo. Si girò,
scese
leggermente sulle ginocchia ed inizio a sculettare, mandando ancora
più in delirio le ragazze presenti.
"Sei spacciato." esclamò Simon, meravigliato, con un
principio
di ridarella. "Oddio non vedo l'ora di vedere cosa ti
obbligherà
a fare Magnus!!" gongolò eccitato, saltellando sulla sedia.
Jace iniziò a sudare freddo. "Alec! Alec salvami!"
pregò,
aggrappandosi al braccio del fratello e rischiando di scivolare dalla
sedia. "Sei un avvocato, no? E' il tuo lavoro!"
Alec, che nel frattempo scoprì di aver involontariamente
arpionato il bordo del tavolo quando si era ritrovato a fissare
l'ondeggiare del sedere di Magnus, si tolse di dosso le mani
appiccicose dell'altro, con una smorfia. Non voleva neanche sapere di
cosa erano sporche!
"Lo sei anche tu." gli ricordò, congratulandosi con se
stesso
per il tono calmo che era riuscito ad utilizzare, ed alzandosi poi in
piedi quando notò che Magnus aveva terminato l'esibizione e
che stava
ritornando da loro.
"Dove vaaai?" chiese Jace, spaventato.
"In bagno." replicò il fratello.
"Vengo con te!"
"No!" lo bloccò Alec, che voleva restare solo, anche per due
minuti soltanto, per ritrovare la pace interiore che lo spettacolo di
Bane aveva stravolto. "Tu stai fermo lì e ti bevi almeno un
litro d'acqua. Capito?"
"Maaa Aleccc! Maaagnus.." gemette, quando vide Magnus avvicinarsi con
un sorriso rapace.
"Il signor Bane non ti farà niente." esclamò
Alec,
esasperato. "State buoni lì, che torno subito." si
raccomandò con entrambi.
Jace sembrò un cucciolo abbandonato sull'autostrada, mentre
Simon, con un sorriso raggiante, gli fece il saluto militaresco.
L'avvocato sollevò gli occhi al cielo per l'ennesima volta,
scosse la testa, e si diresse verso la toilette. Era quasi arrivato
quando si sentì chiamare.
"Alec."
Il giovane si girò di scatto, rischiando di schiantarsi al
suolo, a causa della presa malferma che aveva sulle stampelle. Non
certo perchè la testa gli girava per il numero imprecisato
di
boccali di birra che aveva bevuto!
Riuscì a rimanere in piedi per un pelo ed, alzando lo
sguardo,
con sua grande sorpresa si trovò di fronte Raj. I suoi occhi
scuri, che conosceva fin troppo bene, lo stavano fissando con sguardo
famelico.
"Che ci fai qui?" chiese Alec, sbalordito.
"Potrei farti la stessa domanda." rispose l'altro, incrociando le
braccia sul petto e fissando le sue stampelle. "Che ti è
successo?"
Alec fece spallucce. "Una storta al piede."
"E' per questo motivo che ieri sera non ti sei presentato?" chiese
l'altro.
Alec si limitò ad annuire, stanco.
Lui e Raj si erano incontrati all'incirca due mesi prima, ma se avesse
saputo del carattere geloso dell'altro, non l'avrebbe mai frequentato.
I loro incontri si potevano contare sulle dita di una mano e per Alec
quella parentesi amorosa era stata solo appagamento fisico e
nient'altro. Raj, però, non era dello stesso avviso e,
durante
la loro frequentazione, aveva iniziato a tempestarlo di chiamate e
messaggi in cui pretendeva di essere informato sui suoi spostamenti, su
quello che faceva, su chi frequentava. Alec aveva chiuso
un mese dopo il loro primo incontro, ma l'altro continuava a chiamarlo
e a chiedergli un appuntamento per l'ennesimo chiarimento. L'avvocato
credeva di essere stato chiaro e conciso, ma a quanto pareva il ragazzo
era duro di comprendonio. La sera precedente avrebbero dovuto vedersi
per chiarire una volta per tutte, ma poi i fratelli l'avevano
trascinato al Pandemonium e ciao.
L'ex gli prese un braccio. "Perchè non usciamo da qui e.."
"No." esclamò Alec, togliendosi la mano di dosso. "Raj, ne
abbiamo già parlato. E' finita."
"Non stai uscendo con nessuno, no? E allora perchè non
torniamo
insieme?" insistette il ragazzo, arpionandogli nuovamente il braccio,
questa volta con più forza.
Alec tentò di sottrarsi a quella presa ferrea, ma le
stampelle
gli impedivano di muoversi come desiderava. Stava seriamente
considerando l'idea di sferrargliene una alle parti basse, quando una
mano ingioiellata lo liberò dalla morsa.
"Perchè è mio." esclamò una voce roca,
rispondendo alla domanda di Raj e congelando sul posto Alec.
Magnus avvolse le spalle dell'avvocato con un braccio. "Sono Magnus,
piacere." sorrise, tendendo la mano a Raj, che lo fissava stupefatto.
"E' la verità?" chiese con veemenza quest'ultimo, ignorando
la
mano tesa dell'uomo e rivolgendosi con astio ad Alec. "Stai con lui?"
Magnus strinse forte a sè l'avvocato e gli baciò
una
guancia. "Sta con me." confermò, mentre l'altro continuava a
non
dire una parola.
Alec, infatti, era completamente paralizzato e non riusciva a formulare
un pensiero coerente.
Raj studiò l'uomo con la cresta dall'alto in basso,
valutando quanto potesse essere pericoloso il nuovo arrivato.
Magnus lo lasciò fare e, una volta finita l'ispezione, gli
sorrise amabilmente. "Ora che abbiamo chiarito, ti pregherei di
smettere di girare attorno al mio Fiorellino. Sono un tipo piuttosto
territoriale."
Raj alzò le mani, in segno di resa, arretrando di qualche
passo.
"Avrei preferito me l'avessi detto chiaramente, anzichè
farmi
fare la figura dell'idiota." digrignò i denti in direzione
di
Alec.
Nonostante la cacofonia di suoni presenti nel locale, il silenzio che
calò tra Magnus ed Alec, una volta che Raj girò i
tacchi
e si allontanò dai due, divenne assordante. L'avvocato
faceva
perfino fatica a respirare.
"E così.. sei gay." affermò calmo Magnus.
La sue parole si riversarono su Alec come una doccia fredda ed ebbero
il potere di ridestare il giovane.
Si tolse di dosso il braccio di Magnus e si scostò
bruscamente da lui, guardandolo gelido. "Cosa vuole?"
Magnus lo guardò, stranito. "Come prego?"
"Qual è il suo prezzo?" chiese Alec, glaciale, serrando i
pugni sulla presa delle stampelle.
"Il mio prezzo?" chiese Magnus, continuando a non capire.
Alec sbuffò, sprezzante. "Ogni cosa ha il suo prezzo, signor
Bane. Cosa vuole, in cambio del suo silenzio?"
Magnus lo guardò, scioccato. Una parola, un'unica parola gli
sfuggì dalle labbra prima ancora che potesse fermarla. "Max."
Alec annuì, serio. "Sapevo che non era diverso da tutti gli
altri." sorrise amaramente, prima di girargli le spalle ed avviarsi
verso l'uscita, per andarsene da quel posto diventato improvvisamente
soffocante e sgradevole.
Una strana sensazione di malessere si impossessò di Magnus.
Inaspettatamente aveva trovato il punto debole dell'avvocato. Aveva
ottenuto quello che voleva. Aveva vinto. Perchè, allora,
tutto
ciò non gli faceva fare i salti di gioia? Perchè,
stranamente, la vittoria non contava più nulla?
Con stupore, si rese improvvisamente conto di tenere al giudizio
positivo di Alec, ma di averlo in qualche modo appena perduto. Forse
per sempre.
---
Note dell'autrice
*Il meraviglioso Castello di Oheka esiste davvero e fu costruito tra il
1914 e il 1919 proprio da Otto Hermann Kahn, un filantropo di origini
tedesche. Dal 2004 è inserito nel Registro Nazionale dei
luoghi
storici, al suo interno ha un hotel ed un ristorante e viene spesso
utilizzato per eventi mondani o come set di show televisivi, soap opera
e film (tra cui Il Grande Gatsby). Se avete voglia e tempo, guardatevi
le foto sul sito del Castello o su un qualsiasi motore di ricerca,
perchè ne vale la pena.
Un bacio e a presto! ;-*
|
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Capitolo 13 *** Capitolo 13 ***
Da un po' di giorni
l'incubo era tornato, come una vendetta.
Ombre sfuggevoli, sagome scure e voci sussurrate turbinavano nella sua
testa, confondendolo. Il suo cuore gridò per la
disperazione, facendolo sobbalzare sul letto. Aprì gli
occhi, quasi senza rendersene conto, per fuggire da quello stato
d'incoscienza, ma quel vortice di sensazioni continuava a perseguitarlo
ed il suo corpo pareva fatto di piombo, tanto sembrava pesante.
Coperto da uno strato di sudore freddo, ritornò in
sé e si voltò, a fatica, sulla schiena, fissando
il soffitto ed ansimando. Il dolore al petto gli stava mozzando il
respiro, facendolo sentire come se un elefante gli stesse ballando
sopra.
Iniziò a respirare lentamente, come gli aveva detto di fare,
tempo fa, il medico a cui si era rivolto. Gli aveva spiegato che i suoi
attacchi, intensi e che, qualche volta, duravano anche per ore, erano
dovuti a degli spasmi muscolari causati dallo stress emotivo. Il
dottore gli aveva assicurato che, col tempo, sarebbero diminuiti, per
poi cessare definitivamente.
Effettivamente, erano anni che non riviveva, nel sonno, il giorno
più nero della sua esistenza.
Dopo quell'episodio, si era sentito morto, per molto molto tempo. Era
stato pazzo di dolore per giorni, mesi, anni. Tutt'oggi faticava ancora
a credere che lui
se ne fosse andato per sempre, che non sarebbe più tornato.
A volte, quando il vento si divertiva a giocare con le acque placide
del laghetto, increspandole con qualche soffio deciso, gli sembrava
addirittura di sentire ancora la sua voce, la sua risata.
Lì, dove tutto era finito.
Rimase sdraiato a fissare il soffitto, in attesa che il dolore
passasse. Cercò di pensare a cose piacevoli, per affrettare
i tempi, ma non funzionò. Anche perché,
ultimamente, c'era ben poco che lo rendeva felice.
Si alzò leggermente, per rovistare nel cassetto del comodino
e prendere il sonnifero, che non assumeva da tempo. Quando
trovò la boccetta, si distese nuovamente sul letto e prese
la solita dose, infischiandosene degli antidolorifici e del fatto che
poteva essere dannoso mischiare i due medicinali. 'Fanculo. Voleva solo
dormire.
" E così.. sei
gay."
La voce roca di Magnus Bane spuntò improvvisamente nella sua
testa, facendogli spalancare ancora di più gli occhi, mentre
il cuore iniziava a pompare violentemente nel petto ed il respiro
ritornava a farsi affannoso.
Si strinse addosso il lenzuolo leggero, che lo copriva, con un gesto
irritato. Non era giusto, non era affatto giusto. Tra tutte le persone
che avrebbero potuto scoprire il suo segreto, proprio il signor Bane.
Perché, dannazione? Era riuscito a tenerlo nascosto per anni
ed anni alla sua stessa famiglia, a gente che frequentava quasi
ventiquattro ore su ventiquattro ed ora arrivava lui che, in neanche un
mese, riusciva a stanarlo. L'avrebbe accettato se, a beccarlo, fossero
stati Jace od Izzy, ma il signor Bane?! Persino Simon gli sembrava
un'opzione migliore dell'uomo con la cresta.
" E così.. sei
gay."
Un'ondata di rabbia gli diede una sferzata di energia, facendogli
battere un pugno sul materasso.
Perché l'aveva seguito? Che aveva? Un radar che lo avvisava
quando lui si trovava in una qualche situazione scomoda?
Perché non l'aveva aspettato al tavolo, anziché
corrergli dietro? E sì che gli aveva garantito che non
l'avrebbe lasciato da solo con i due ubriaconi! Stava solo andando in
bagno, per l'angelo!
" E così.. sei
gay."
E che diavolo era quella sceneggiata con Raj? Come si era permesso
d'intromettersi? Cosa credeva? Che non avesse la situazione sotto
controllo? Tzè! Il suo ex l'aveva scampata davvero bella,
altroché! Se il signor Bane non si fosse messo in mezzo, Raj
avrebbe avuto l'onore di assaggiare la solidità della sua
stampella dritta dritta sui suoi gioielli di famiglia! Magnus Bane
doveva decisamente smetterla con il fottuto ruolo di principe azzurro,
ma, soprattutto, doveva assolutamente smetterla di trattarlo come una
dannata principessa in pericolo! Era capacissimo di badare a se stesso,
cazzo!
Ed il braccio attorno alle spalle od il bacio sulla guancia? Come si
era permesso di toccarlo? E, santo cielo, da dove diavolo si era preso
tutta quella confidenza? Ohhh che stesse calmo eh! Mica erano amici
loro due!
" E così.. sei
gay."
Sì, lo era. E quindi? Cosa cavolo gliene fregava? E come si
permetteva di dare per scontato il fatto che si interessasse
esclusivamente agli uomini? Poteva essere bisessuale come lui, per quel
che ne sapeva! Solo perché non organizzava un'orgia mista un
giorno sì e l'altro pure, doveva essere etichettato come gay senza se e
senza ma? Era anche stato sposato, cavolo!
" E così.. sei
gay."
E come si permetteva non solo di scoprire il suo segreto, ma anche di
ricattarlo? Che gran faccia tosta! Certo, quando gli aveva chiesto qual
era il prezzo del suo silenzio, non si era affatto stupito di ricevere
una risposta, né che quella risposta fosse il ragazzino.
Ahhh ma non finiva qui! Affatto! Nessuno avrebbe mai sfidato Alexander
Gideon Lightwood senza pagarne le conseguenze. Magnus Bane poteva aver
trovato il suo punto debole, ma lui avrebbe trovato il suo e l'avrebbe
usato senza nessuna pietà per piegare quell'uomo una volta
per tutte.
" Magari a novanta.. sul
tavolo della cucina o, meglio ancora, sul letto.."
sussurrò una vocina maliziosa nella sua testa.
Arrossì violentemente a quel pensiero e scosse la testa per
scacciarlo via. Erano sicuramente la stanchezza e il miscuglio
sonnifero-antidolorifici a farlo sragionare. Decisamente.
" Eppure.."
sussurrò nuovamente la vocina.
Corrugò la fronte. "Eppure, cosa?" le domandò
curioso.
" C'è stato un
momento, un momento soltanto, in cui avevo sperato che.."
"Sperato? Sperato cosa?" la interruppe, seccato.
Cosa c'era da sperare? Che Magnus Bane non usasse la sua
omosessualità contro di lui? Gli veniva quasi da ridere.
Davvero una parte di lui aveva posto un briciolo di fiducia in
quell'uomo? Ma per favore! Il signor Bane non era speciale. Era
esattamente come tutti gli altri, niente di più niente di
meno.
"Stupido, illuso, Alec.." pensò, scuotendo la testa,
compatendo la sua parte sognatrice.
Un sorriso amaro di trionfo gli spuntò sulle labbra quando
si rese conto di aver zittito, definitivamente, la voce.
E ora come diavolo avrebbe fatto a togliersi quell'immagine dalla
mente? si chiese Magnus, per la milionesima volta, sbuffando
sonoramente verso il soffitto, mentre se ne stava stravaccato sul
letto, a braccia spalancate.
L'espressione sul viso di Alec, quando lui aveva pronunciato il nome
del figlio, continuava a tormentarlo e non avrebbe mai pensato che la
situazione fosse peggiore di quanto avesse immaginato. Tre semplici
lettere, infatti, avevano cambiato tutto. Era da tre giorni che Alec lo
evitava come la peste bubbonica e se, per una qualche congiunzione
astrale, si incrociavano in casa, l'avvocato zampettava via il
più velocemente possibile, senza degnarlo di uno sguardo o
di una parola, facendo annegare Magnus in un oceano di sensi di colpa.
Che poi, perché si doveva sentire così in
difetto? Eh? Aveva fatto tutto Alec, cazzo! Sì, lui aveva
prestato il fianco, dicendo il nome di Max, ma, per tutti i diavoli,
non aveva neanche avuto il tempo di dirgli quello che pensava che
l'altro l'aveva già etichettato come uno stronzo, pronto a
spifferare il suo segreto ad ogni essere vivente! E che diamine!
Quando si era ripromesso di trovare il punto debole di Alec, non
avrebbe mai immaginato che gli sarebbe stato servito su un piatto
d'argento, ma, soprattutto, che non avrebbe mai potuto usarlo contro di
lui. Se gli avesse dato modo di parlare, infatti, Magnus gli avrebbe
assicurato che non avrebbe mai rivelato a nessuno il suo orientamento
sessuale. Per Lilith, sarebbe stato disposto a giurarlo persino su Max!
Neanche all'inizio, quando ancora non conosceva l'avvocato e lo odiava
da morire, gli avrebbe fatto una porcheria simile. Era sempre stato
dell'idea che, su una cosa così privata e personale, la
gente dovrebbe farsi una padellata di cavolini di Bruxelles suoi, come
diceva sempre suo figlio.
E invece no! Alec era partito in quarta, giungendo direttamente alla
conclusione che lui non si sarebbe fatto nessuno scrupolo a divulgare
quella notizia. Ma come si permetteva? Eh? Lo conosceva da poco tempo,
ma già si prendeva la libertà di sputare giudizi
affrettati, senza neanche starlo a sentire! Era Alec lo stronzo, non
lui!
Magnus era decisamente offeso. Stava sprofondando nel pentimento, ma
era anche offeso. E che cazzo!
Si alzò dal letto ed iniziò a camminare su e
giù per la camera, mentre nella sua mente risuonavano le
ultime parole che Tessa gli aveva detto al telefono, prima di
salutarlo, quando le aveva raccontato cosa era successo: "Presto o
tardi, mio caro, dovrai affrontare le conseguenze delle tue azioni."
Ma quali azioni, santo cielo? Lui non aveva fatto niente!
N.I.E.N.T.E.!!
Scosse la testa con arroganza, cercando di scacciare le parole moleste
dell'amica.
"Che vadano tutti al diavolo! Tornerò in Inghilterra con Max
e non rimetterò mai più piede a New York!"
esclamò a voce alta. "O potrei procurarmi documenti falsi
per entrambi e fuggire da qualche parte. In Indonesia, ad esempio."
annunciò alla stanza vuota, picchiettandosi il mento con
fare pensoso. Erano secoli che non ci tornava!
Il sorriso di trionfo svanì di colpo, non appena
realizzò l'assurdità di quello che aveva detto.
"Cos'altro posso fare?" chiese alla propria immagine, riflessa nello
specchio a muro presente nella sua stanza. "Gli chiedo scusa? Ma per
che cosa? E poi dovrebbe essere lui a chiedermi scusa. E ringraziarmi
anche! L'ho salvato da quel ragazzo, cazzo!" disse, illuminandosi
improvvisamente per aver ricordato quel dettaglio. "Ah! Che ingrato!
Sono io che dovrei essere offeso ed evitarlo quando ci incrociamo!"
esclamò spazientito. "Ohhh per Lilith! Perché ci
sto pensando così tanto?" chiese, arruffandosi i capelli.
Si fissò negli occhi per interi minuti, ma, non ricevendo
alcuna risposta, volse le spalle al proprio riflesso e si
trascinò a letto, sperando di trovare pace in una buona
dormita.
Si girò e rigirò tra le lenzuola, per quella che
gli parve un'eternità, ma finalmente il sonno lo colse.
"Max!!" chiamò una voce, con urgenza. "Sto arrivando, Max!!"
Magnus si rizzò a sedere sul letto, gli occhi dilatati per
l'agitazione e il cuore che gli martellava nel petto. Qualcuno aveva
chiamato il nome di suo figlio. O era solo un sogno?
"Max! MAX!!" ripetè la tormentata voce maschile.
No, non si era sbagliato, qualcuno stava davvero chiamando suo figlio.
I suoi piedi nudi toccarono il pavimento, reagendo d'istinto
all'angoscia che sentiva in quella voce. Spalancò quindi la
sua porta e si precipitò in fondo al corridoio, arrivando
davanti a quella di Alec. Era sicuramente lui che gridava.
Alzò la mano, pronto a bussare, ma poi trovò la
cosa ridicola. Entrò quindi senza indugi e, favorito dalla
pallida luce proiettata dalla luna piena, che riusciva a fare capolino
dalle tende leggermente aperte, si fece strada fino al grande letto. A
tastoni, riuscì a trovare il pulsante per accendere la
lampada sul comodino e vide il viso dell'avvocato, completamente
stravolto da una pena che gli alterava i lineamenti del volto e che gli
faceva affondare, sul materasso, i pugni stretti lungo i fianchi.
Magnus lo scrollò delicatamente per le spalle. "Alec!"
sussurrò. "Alec, svegliati! Hai un incubo!"
Il giovane però non lo udì, troppo coinvolto,
forse, in quello che stava vivendo e con la mente intrappolata in
qualche luogo infernale che la voce dell'altro non riusciva a
raggiungere.
Di nuovo, Magnus non pensò. Agì. Si
infilò nel letto ed abbracciò stretto quel corpo
che continuava a sussultare, premendo la guancia sui suoi capelli.
Iniziò ad accarezzargli lentamente la schiena, in lunghi
movimenti circolari, ed a cullarlo dolcemente. Quando suo figlio faceva
un brutto sogno, quella era l'unica cosa che riusciva a calmarlo.
"Max.." bisbigliò Alec. "Dov'è Max? Devo
trovarlo." Le mani si alzarono per aggrapparsi a qualcosa. Afferrarono
l'aria e poi trovarono la schiena all'altro. "Lasciami. Jace, lasciami
andare! Devo trovare Max!" continuò, mentre tentava di
spingere via Magnus da sé. I suoi muscoli si irrigidirono e
l'altro se lo strinse contro, ancora più forte. "Mi dispiace
tanto. E' tutta colpa mia. Mi dispiace.. Max.." rantolò
Alec, con una sofferenza indicibile nella voce. Lente lacrime
iniziarono a bagnargli le guance.
Magnus era sconvolto. Non aveva idea del perché continuasse
a chiamare il nome di suo figlio o perché temesse fosse in
pericolo, ma il dolore era così lampante che si
sentì angosciato lui stesso. Stava succedendo qualcosa di
terribile nel sogno dell'avvocato e Magnus sentì il bisogno
di strapparlo da esso il prima possibile.
"Alec. Alec, svegliati!" lo chiamò nuovamente, scrollandolo
piano. "E' un incubo. E' solo un incubo." bisbigliò
preoccupato, quando l'avvocato spalancò gli occhi e li
puntò, inespressivi e vuoti, verso di lui.
Magnus lo osservò con ansia, mentre batteva le palpebre una,
due, tre volte, ed infine sembrò mettere a fuoco il suo
viso. Le sue mani, che si erano conficcate spasmodicamente nella carne
di Magnus, si allentarono ed il suo petto iniziò ad alzarsi
ed ad abbassarsi velocemente, mentre respirava nel tentativo di
riprendere il controllo del proprio corpo.
"Era un incubo, Alec. Hai fatto un brutto sogno." sussurrò
Magnus, posandogli una mano sulla guancia ed accarezzandogli uno zigomo
con il pollice.
"Ho.. ho sognato.." esalò Alec, prendendo un altro bel
respiro e rilasciandolo subito dopo. "Un sogno. Soltanto un sogno."
ripetè, come un pappagallo, scuotendo il capo per schiarirsi
le idee. I pensieri, però, continuavano ad essere nebulosi.
"Un brutto sogno.. e.. e tu sei venuto a svegliarmi ed a scacciare i
fantasmi?" chiese, sorpreso, aggrottando la fronte e continuando a
fissarlo. "Grazie, Magnus." sorrise infine.
L'uomo lo osservò, stupito. Da quando si erano conosciuti,
non l'aveva mai chiamato per nome né si era mai preso una
tale confidenza. All'improvviso fu acutamente consapevole di essere
lì, da solo con lui, fianco a fianco nello stesso letto,
abbracciati. E, per l'amor del cielo, cosa gli provocava quel sorriso!
"Prego.." rantolò, con la gola improvvisamente secca,
leccandosi le labbra che parevano essersi disidratate in un lampo.
Alec seguì ipnotizzato quel movimento e, senza pensarci due
volte, calò la bocca sulla sua.
Magnus era in paradiso. Un paradiso caldo e dolce.
Strusciò il naso su un collo morbido, emise un lungo sospiro
appagato e si raggomitolò meglio in quell'abbraccio
confortevole che lo stava stringendo. Sorrise contento, mentre si
crogiolava negli ultimi istanti di beatitudine, e riemerse dal
dormiveglia solo parecchi minuti dopo. La sua mano era posata su
un'ampia superficie che gli ultimi residui del sonno gli impedirono di
riconoscere. Aggrottò la fronte e, ad occhi chiusi,
tastò quella pelle. Era decisamente maschile, calda e
solcata da svariate cicatrici.
Fu come un lampo accecante. L'immagine del petto nudo di Alec si
materializzò nella sua mente, facendogli spalancare di
scatto gli occhi verde-dorati. Si irrigidì, mentre gli
eventi della notte appena trascorsa irrompevano nella sua mente.
"Per.tutti.i.diavoli." sussurrò sbigottito.
Piegò piano la testa all'indietro, finché non
riuscì a vedere il viso dell'avvocato, che dormiva ancora.
Se solo la sua fortuna fosse durata un altro po', avrebbe potuto
sciogliersi dall'abbraccio e svignarsela in camera sua, senza che
l'altro si accorgesse di nulla.
Con movimenti lenti e calcolati, puntò il sedere in
direzione del bordo del letto matrimoniale e sporse un piede verso il
pavimento, che, nonostante le sue gambe chilometriche, sembrava
terribilmente lontano. Tolse delicatamente le proprie braccia dal corpo
di Alec e scivolò via, con esasperata lentezza, da quelle
muscolose dell'avvocato, spingendosi oltre l'orlo del materasso. Dopo
un tempo che gli parve infinito, l'alluce toccò finalmente
una piastrella fredda e Magnus trattenne, a stento, un sospiro di
sollievo. Ancora un altro po' e sarebbe stato del tutto fuori dal
letto.
Alec si mosse nel sonno e Magnus si paralizzò, col cuore in
gola, smettendo addirittura di respirare. "Non svegliarti! Non
svegliarti! Non svegliarti!" pregò silenziosamente l'uomo,
mentre anche l'altro piede toccava il pavimento.
Ok, era fatta! Ora, tutto quello che doveva fare, era arretrare
lentamente, quatto quatto, verso la porta ed uscire da lì,
senza farsi beccare da Alec o da un qualsiasi altro abitante di quella
casa. Raccattò le mutande, infilandosele in fretta e, un
passo dopo l'altro, con lo sguardo puntato sull'avvocato per
controllare che non si svegliasse, arrivò alla maniglia, la
girò ed uscì come un razzo dalla stanza,
sentendosi come un delinquente che, furtivamente, scappava dalla scena
del crimine.
Una volta fuori, rilasciò un lungo sospiro e rise,
appoggiando la fronte alla porta. Adesso doveva solo andare in camera
sua, dove avrebbe potuto fingere che non fosse successo niente e..
"Ciao papino!" lo salutò una vocina allegra.
Magnus si spalmò sulla porta, riuscendo a trattenere per un
pelo un grido di sorpresa.
"M-Mirtillo! Ciao!" esclamò Magnus, con voce stridula.
"Cosa fai?" chiese Max, con le mani dietro la schiena e la testa
piegata di lato.
"C-cosa.. niente! Non sto facendo proprio niente!" si
affrettò a rispondere l'uomo.
"Che ci facevi in camera del signor Lightwood?" domandò Max,
curioso, alzandosi in punta di piedi e guardando la porta chiusa dietro
il padre.
"Niente! Volevo.. dovevo chiedergli una cosa, ecco!"
ridacchiò Magnus, isterico.
"Alle otto di mattina?"
Magnus annuì freneticamente.
"In mutande?" chiese Max, scrutandolo dall'alto in basso.
Magnus deglutì ed a momenti si strozzò con la
propria saliva. Accidenti a lui e alla sua abitudine di dormire e
girare svestito!
"E-era un cosa davvero urgente."
"Cosa sono quei segni?"
"S-segni?"
Max puntò l'indice sul suo petto e Magnus abbassò
lo sguardo, osservando, sorpreso, i marchi che gli aveva lasciato Alec
la notte precedente. Incrociò le braccia, tentando di
coprirsi il più possibile.
"Zanzare! So-sono stato punto dalle zanzare!" pigolò,
iniziando a grattarsi per dare enfasi alla sua bugia.
"Le zanzare lasciano delle punture così grosse?"
Magnus annuì, nervoso, continuando a sfregare la pelle.
Max si avvicinò di più al padre, guardando i
segni con genuino interesse. "Ma le zanzare mordono?"
"A-alcune! Le più.. le più aggressive!" rispose
l'uomo, arrossendo lievemente.
Oddio, suo figlio non aveva niente di meglio da fare che fargli il
terzo grado? Prendendolo in contropiede, impedendogli di formulare dei
pensieri e delle bugie coerenti, per giunta!
Tra l'altro dovevano assolutamente allontanarsi da lì
perché, con il loro vociare, rischiavano di svegliare Alec
ed era l'ultima cosa che voleva fare.
"Tu.. tu cosa fai?" chiese al figlio, incamminandosi verso la sua
camera, con tutta la disinvoltura di cui era capace.
"Sto uscendo a giocare!" sorrise Max.
"Oh." annuì Magnus. "Ma non è un po' troppo
presto?"
Il bambino scosse la testa, con forza. "No, affatto! E sono anche in
ritardo!"
"In ritardo? Per fare cosa?" chiese Magnus, confuso.
"Per giocare, no?!" rispose Max, con fare ovvio.
"Ah.. gius.."
"Buongiorno signor Bane. Buongiorno signorino Lightwood." li
salutò una voce profonda.
Magnus rischiò l'infarto per la seconda volta, nel giro di
pochi minuti.
"Ho-Hodge! Bu-buongiorno!" esclamò Magnus, senza fiato,
appoggiandosi alla porta della sua camera.
"Ciao Hodge!" lo salutò Max, con la mano. "Ok papino, io
devo proprio andare! Ci vediamo più tardi!" disse poi,
rivolgendosi al padre ed abbracciandolo stretto, prima di correre via.
Magnus lo seguì con lo sguardo prima di sentire, su di
sé, due occhi che lo fissavano con insistenza.
Girò di scatto la testa verso il maggiordomo, che lo stava
analizzando dalla testa ai piedi.
"Z-zanzare." sussurrò, sentendo l'impellente bisogno di
giustificarsi, mentre incrociava le braccia al petto per coprirsi.
"S-sono stato punto dalle zanzare."
Hodge si limitò ad alzare un sopracciglio, senza fare
commenti. L'ombra di un sorriso ironico fece capolino sulle sue labbra.
"Cosa?" chiese Magnus, notando l'espressione dell'altro.
Il maggiordomo scrollò le spalle, girandosi ed
incamminandosi lentamente lungo il corridoio.
"Cosaaa?" chiese nuovamente Magnus, allargando le braccia e lasciandole
ricadere lungo i fianchi.
Max alzò, titubante, gli occhi sul grande edificio che si
profilava davanti a lui.
Nonostante le indicazioni ricevute da una signora, che gli aveva
mostrato la strada, il bambino non era affatto sicuro di essere giunto
alla destinazione corretta. La costruzione al di là di un
imponente cancello in ferro battuto, infatti, aveva una facciata carina
e colorata, che ispirava simpatia. Come poteva essere, quindi, quello
il posto tetro e spaventoso di cui aveva tanto sentito parlare?
Doveva per forza essersi sbagliato, pensò Max, guardandosi
attorno sconsolato. Tutta colpa dell'anziana donna, che gli aveva
addirittura pizzicato le guance! Quell'antipatica! Se,
anziché tormentarlo con inopportune domande, gli avesse
fornito le giuste informazioni, a quest'ora Max si sarebbe trovato
davanti all'orfanotrofio di Rafe e non ad uno qualsiasi della
città. Ma no! Piuttosto che focalizzarsi su quanto le aveva
chiesto, quell'impicciona doveva per forza chiedergli "Piccolo, dove
sono i tuoi genitori? Eh? Ti sei forse perso?". Piccolo? Lui,
piccolo? Aveva già otto anni, cavolo! Era grande ormai!
Sbuffò forte, pronto a fare marcia indietro, quando, con la
coda dell'occhio, gli parve di scorgere qualcuno nell'angolo che si
riusciva a vedere del giardino, che si trovava dietro l'edificio. Il
suo cuore prese a scalpitare quando realizzò che, forse, si
trattava di un bambino che conosceva bene. Corse verso il cancello e vi
si appiattì contro, nel tentativo di guardare meglio, ma
l'altro era già sparito. Che si fosse trattato di
un'allucinazione?
Attese ancora qualche minuto, non distogliendo lo sguardo neanche per
un secondo, ma, non vedendo più nessuno, si convinse che la
sua immaginazione gli avesse giocato un brutto scherzetto. Il bambino,
però, un istante dopo ricomparve nella sua visuale e Max non
ebbe più alcun dubbio. Rafe!
Saltellò felice sul posto, pronto a gridare il suo nome, ma
si bloccò subito, ricordandosi dove si trovava e che non
doveva dare nell'occhio. Era già nei guai per essere
sgattaiolato fuori dalla tenuta, ci mancava solo che lo beccassero e
chiamassero suo padre o, peggio, l'avvocato!
Si scostò leggermente dalle sbarre e guardò in
alto: il cancello, purtroppo, era troppo alto e non sarebbe mai
riuscito a scavalcarlo. L'unica soluzione, per entrare nella
proprietà, era quella di trovare il passaggio nel muro che
utilizzava Rafe. Dovette fare ben tre giri, prima di scovare il buco,
ben nascosto, nella parete che l'avrebbe condotto dentro.
Una volta entrato, si nascose dietro ad un grosso tronco d'albero,
prendendo dei bei respiri profondi per regolarizzare il respiro
affannato. Quando il suo cuore smise di battere come un tamburo, prese
coraggio e sbirciò da dietro la corteccia.
Dopo una prima occhiata, Max iniziò a prendere in
considerazione l'idea di essere davvero stato preso in giro dal suo
amico. Seriamente, cos'aveva quel posto che non andava? Il giardino non
era molto ampio, ma era grazioso: c'erano delle aiuole, con tanti fiori
colorati, un'altalena ed un grande scivolo. E poi c'erano i bambini!
Tanti bambini con cui giocare e divertirsi. Anche se c'era una ragazza
dai capelli rossi, che li controllava e li teneva costantemente
d'occhio, quei bambini erano davvero fortunati, altroché!
Nella tenuta dei Lightwood, a parte lo spazio erboso e sconfinato su
cui correre, non c'era nient'altro. Non un gioco, non un ragazzino con
cui svagarsi, niente.
Solo quando, mentre guardava i visi dei bambini alla ricerca di quello
dell'amico, iniziò a scrutarli con più
attenzione, una sensazione di disagio cominciò a farsi
strada in Max. Quei ragazzini avevano decisamente qualcosa di strano.
Alcuni avevano evidenti lividi su braccia o gambe, ma, quello che
stupì maggiormente Max, fu la lampante tristezza che
traspariva dai loro occhi spenti e il fatto che giocassero con gesti
meccanici e privi del tipico entusiasmo infantile.
Continuò a far vagare lo sguardo per tutto il giardino, fino
a quando, finalmente, localizzò Rafe poco distante da lui.
Raccolse un sassolino e lo lanciò fra i piedi dell'amico,
che alzò la testa di scatto. Il suo viso portava ancora i
segni delle percosse subite e gli occhi saettarono a destra e a
sinistra, nervosi ed impauriti, fino a quando si spalancarono sorpresi
nel momento in cui incrociarono quelli blu di Max, che lo
salutò con la mano, mentre si portava l'indice dell'altra
davanti alla bocca.
"Cosa ci fai qui?" chiese Rafe, inquieto, una volta che l'ebbe
raggiunto dietro l'albero.
"Rafe!" lo salutò Max, abbracciandolo di slancio. "Sono
giorni che non ti fai vedere! Ero preoccupato!"
Quella mattina, infatti, come tutte le altre, era andato al rifugio
sperando di incontrarlo, ma il suo migliore amico non c'era ed era
già da qualche giorno che non si presentava. Max iniziava
seriamente a temere che gli fosse successo qualcosa ed aveva preso,
quindi, la decisione di fare un "giretto" in città, passando
per lo stretto passaggio che Rafe utilizzava per andare e venire nella
tenuta, ed arrivare "casualmente" all'orfanotrofio per dare
un'occhiata.
Rafe lo scostò piano da sé e si guardò
oltre le spalle, per accertarsi che nessuno l'avesse visto o seguito.
"Non saresti dovuto venire! Se ti trova qui.."
"Mi prenderò io la colpa!" lo rassicurò Max,
nonostante non avesse la più pallida idea di chi stesse
parlando.
"Max.." sospirò l'altro, scuotendo la testa. "E' pericoloso!"
"Sul serio?" chiese Max, sorpreso. "Io invece trovo questo posto molto
carino!" gli sorrise, guardandosi attorno. "Hai un'altalena, uno
scivolo e ci sono tanti bambini con cui puoi giocare!"
continuò, entusiasta. "Anche se sono un po' strani eh!"
sussurrò, accigliandosi leggermente. "Sembra quasi che qui
non si divertano.."
Rafe fece una smorfia, pronto a replicare, ma una voce arrabbiata lo
zittì. I bambini si guardarono stupiti e poi, quasi
simultaneamente, si girarono per sbirciare cautamente da dietro
l'albero.
Un uomo osservava arrabbiato la ragazza dai capelli rossi, che Max
aveva visto prima, insieme ai bambini. Era accasciata a terra e si
copriva il volto con le mani. Max si accorse che stava piangendo.
"Perché piange?" chiese, girandosi verso Rafe.
L'amico, però, non rispose, anzi sembrava quasi che non
l'avesse sentito e continuava ad osservare, paralizzato, la scena.
"Rafe.." lo chiamò Max, scuotendolo piano.
L'amico si girò verso di lui, con gli occhi color nocciola
spalancati. "Devi andartene!" ordinò, prendendolo per un
braccio ed iniziando a trascinarlo verso il muro, senza tante cerimonie.
"Ma Rafe.." iniziò a protestare l'altro.
"Niente ma." lo zittì il più grande. "Devi
andartene!!" ripetè, una volta giunti vicino al muro.
"Subito!!"
"Rafe.."
"Bene, bene, bene.." disse una voce maschile che gelò Rafe.
"E chi abbiamo qui?"
I due bambini alzarono gli occhi sull'uomo alto e biondo, che prima era
con la donna e che ora, invece, sovrastava loro, guardandoli in
cagnesco e con le braccia incrociate sul petto.
"E' un tuo nuovo amico, Rafael?" chiese l'adulto, accarezzando la
guancia del bambino che spalancò gli occhi ancora di
più, iniziando a tremare.
Ad occhio esterno, quel gesto poteva sembrare una carezza gentile, ma
Rafe sapeva bene quanto l'apparenza potesse ingannare. Era un
avvertimento. Con te
facciamo i conti più tardi diceva.
Max guardò alternativamente Rafe e l'uomo biondo, intuendo
che ci fosse qualcosa che non andava. Assottigliò lo sguardo
ed esaminò attentamente l'adulto di fronte a lui. Quell'uomo
stava chiaramente mettendo paura al suo amico, che sembrava sul punto
di svenire, e questo poteva voler dire solo una cosa: quello era la
persona cattiva che aveva picchiato Rafe!
L'istinto di Max lo portò ad agire e si frappose, quindi,
tra il suo amico e l'adulto, mettendosi le mani sui fianchi e
squadrando quest'ultimo con cipiglio arrabbiato.
"Chi è lei?" pretese di sapere.
"Chi sei.. tu?"
replicò, gelido, l'altro.
Max alzò il mento, in segno di sfida. "Io sono Maxwell
Michael Lightwood-Bane!" tuonò, battendo il piede a terra,
per dare più enfasi alla sua presentazione. Suo padre ne
sarebbe stato orgoglioso, ne era certo.
" Lightwood?"
esclamò, sorpreso, l'uomo.
Max annuì, guardandolo torvo. Aveva imparato il suo nome
completo il primo giorno che aveva messo piede nella tenuta, quando
Hodge gliel'aveva ripetuto cinque volte perché lo
memorizzasse, e, mai come in quel momento, gli tornò utile.
Quell'uomo di certo non poteva conoscere il suo papà, ma
l'avvocato sì, cavolo! Hodge e Cat gli avevano detto che era
parecchio famoso in tutta la città, quindi gli parve saggio
sfruttare quell'informazione a proprio vantaggio.
L'uomo getto la testa all'indietro e rise di gusto. "Cazzo! Sei il
figliol prodigo!"
Max lo guardò, sbalordito da tale reazione, ma si riprese in
fretta. "Lei chi è?" chiese nuovamente.
"Io, piccolo pidocchio fastidioso," sibilò, abbassandosi al
livello del viso del bambino, "sono il padrone di questo posto." gli
rivelò, afferrandolo per un braccio. "Cosa ci fai nella mia
proprietà, moccioso? Come sei entrato? Eh? Parla!"
ordinò, scuotendolo bruscamente.
Un principio di panico iniziò a farsi strada in Max, che
strattonò l'arto, nel tentativo di liberarsi. La presa
dell'uomo, però, divenne ancora più stretta e il
braccio iniziò a fargli male.
"Lascialo stare!" intervenne Rafe, in suo aiuto, con l'unico risultato
di ricevere un manrovescio in volto.
"No! Non fargli del male!" urlò Max, sull'orlo delle
lacrime. "Lo dirò al mio papà! Hai sentito brutto
bestione! Glielo dirò e ci penserà lui a
conciarti per le feste!" lo minacciò, dimenandosi e
riuscendo finalmente a scivolare via dalla morsa ferrea dell'adulto.
Corse verso Rafe, che era caduto a terra, per sincerarsi delle sue
condizioni.
"Oh che paura!" replicò l'uomo, portandosi le mani alle
guance e spalancando la bocca in una finta smorfia di terrore. "Sono
davvero spaventato all'idea che quel damerino dagli occhi blu arrivi
qui a farmi la bua, pidocchio!"
Max stava per replicare che il suo papà non era l'avvocato,
ma un uomo forte e coraggioso che gli avrebbe fatto passare un brutto
quarto d'ora, non appena avesse scoperto cosa aveva fatto a lui ed al
suo amico, ma si zittì, terrorizzato, quando vide che
l'adulto si preparava a tirare un calcio nella loro direzione. Chiuse
gli occhi e nascose il viso nel collo di Rafe, stringendolo forte a
sé e riparandolo col proprio corpo, in attesa del colpo.
"JONATHANNNN!!" urlò una voce femminile.
Max alzò la testa e guardò, sorpreso, la ragazza
dai capelli rossi che si era parata davanti a lui ed a Rafe, a braccia
spalancante, per proteggerli dalla violenza dell'uomo.
"Togliti dai piedi, Clary!" le intimò quest'ultimo.
"Sei totalmente impazzito?" urlò, fuori di sé, la
giovane.
"Quel pidocchio non è dei nostri! Voglio assicurarmi che non
metta più piede qui dentro!" sibilò, lanciando
un'occhiata cattiva ai due bambini.
"Vattene immediatamente." gridò la ragazza. "E' un ordine!"
Gli occhi dell'uomo brillarono sinistramente. "Tu che dai ordini al
sottoscritto?" ghignò, scuotendo la testa. Si
avvicinò a lei e l'agguantò per un braccio.
"Togliti dai piedi!" ripetè, gettandola a terra.
I bambini spalancarono gli occhi, spaventati, quando l'uomo biondo,
avvicinatosi nuovamente a loro, calò la mano per afferrarli.
"Forse io non posso ordinarti niente, ma vediamo cosa ne pensa nostro
padre." disse Clary, ansando, nel tentativo di fermarlo. Prese
velocemente il cellulare ed iniziò a premere i tasti sul
display. "Mi passi il signor Morgenstern." ordinò
all'interlocutore, alzandosi ed allontanandosi dall'uomo,
perché non le impedisse di parlare con la persona in
questione.
Jonathan si bloccò, guardandola in cagnesco. "Non finisce
qui." minacciò, abbassandosi poi nuovamente verso Max. "Tu
racconta a qualcuno quello che è successo oggi e io lo
uccido." gli sussurrò all'orecchio, indicando con un
impercettibile cenno del capo il bambino più grande. "Lo
uccido e sarà solo colpa tua!" terminò,
raddrizzandosi ed andandosene.
Max spalancò gli occhi e, angosciato, strinse Rafe ancora
più forte a sé. L'amico ricambiò
l'abbraccio e gli si abbandonò contro, esausto.
Quando finalmente l'uomo fu lontano, la ragazza che li aveva salvati si
tolse il cellulare dall'orecchio e, tremante, si diresse verso di loro.
Il numero composto risultava occupato, ma, grazie al cielo, Jonathan
aveva creduto alla messinscena.
"State bene?" chiese dolcemente.
La sberla ricevuta aveva riaperto il taglio sul labbro di Rafe ed a Max
faceva male il braccio, ma entrambi annuirono.
La giovane prese un fazzoletto dalla tasca dei jeans e
tamponò il labbro del bambino più grande. "Mi
dispiace non essere arrivata prima." sussurrò.
Il ragazzino fece spallucce. "Non si preoccupi, signorina Morgenstern.
Sto bene!" la rassicurò, con un sorriso incerto.
"Oh tesoro." esclamò la ragazza, abbracciandolo e
baciandogli una tempia. "E tu chi sei?" chiese poi, girandosi verso il
bambino dagli occhi blu. Osservandoli, ebbe come uno strano senso di
déjà-vu.
"Sono Max!" le sorrise il bambino, tendendole la mano, grato.
"Ciao Max, io sono Clary." si presentò, stringendogliela.
"Chi era quell'uomo orribile?" chiese il bambino, accigliandosi. "E'
davvero il padrone di questo posto?"
Clary scosse la testa. "No, non lo è."
"Perché è venuto qui, allora? E perché
non chiami la polizia? E' cattivo e ha fatto del male a Rafe!"
"Oh tesoro.." sussurrò, sconsolata, la ragazza.
Come poteva spiegare, a quel bambino, che aveva le mani legate? Che non
poteva chiedere aiuto alle forze dell'ordine, perché c'era
il rischio di peggiorare ulteriormente le cose?
"E' meglio che tu vada, Max." disse Rafe, ben consapevole che la
signorina Morgenstern non potesse fare molto per lui e gli altri
orfani. "Il tuo papà sarà preoccupato." gli
sorrise dolcemente.
Max lanciò un'occhiata a Clary, prima di avvicinarsi
all'orecchio dell'amico, affinché lei non sentisse. "Verrai
al rifugio, domani?" sussurrò.
"Vedrò cosa posso fare." gli promise, abbracciandolo.
Max annuì, ricambiandolo, e Clary gli fece strada fino al
cancello. "Ti accompagno a casa." gli disse, tirando fuori le chiavi
della sua auto.
Il bambino scosse la testa, deciso. Se la ragazza l'avesse condotto
fino alla tenuta, suo padre avrebbe scoperto la fuga e tutto il resto.
Già in quei giorni era più strano del solito, se
avesse anche saputo cosa era successo quella mattina, l'avrebbe
segregato in casa fino alla maggiore età! Non era proprio il
caso.
"No, grazie! Vado da
solo." affermò, salutando lei e l'amico con la mano.
"Stai attento!" si raccomandò la ragazza, chiudendo il
cancello.
Max annuì e, dirigendosi verso casa, tentò in
tutti i modi di trovare una soluzione per aiutare il suo amico. Gliene
veniva in mente solo una, ma questo significava rompere la promessa e,
soprattutto, rischiava di mettere in pericolo Rafe.
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Capitolo 14 *** Capitolo 14 ***
"Prego.." rispose Magnus,
leccandosi le labbra.
Seguì,
ipnotizzato, quel movimento e, senza pensarci due volte,
posò le labbra sulle sue. Magnus non si ritrasse, ma nemmeno
approfondì il bacio.
Si staccò
appena, temendo che quel contatto non solo non fosse gradito, ma che
addirittura l'avesse irritato. Fissò Magnus negli occhi,
pronto a leggervi del risentimento, ma si stupì di trovarvi
tutt'altro. Sorpresa, eccitazione, euforia.
Perché,
allora, non l'aveva ricambiato?
Si morse il labbro
inferiore, di colpo preda di mille dubbi e mille paranoie. Che avesse
esagerato? Doveva chiedergli scusa per quel gesto avventato? Doveva
baciarlo di nuovo per vedere se, questa volta, avrebbe contraccambiato?
Doveva gettarsi su di lui come un affamato che non tocca cibo da
giorni? E se l'avesse respinto? E se un bacio fosse tutto quello che
era disposto a tollerare? Stava parlando di Magnus, per l'angelo! Per
quel che ne sapeva, a causa della sua sfrontatezza, quell'uomo poteva
benissimo tirargli una testata sul naso da un momento all'altro!
Iniziò ad
agitarsi. Magnus era la persona più imprevedibile che avesse
mai incontrato in vita sua e non era uno dei tanti uomini che
rimorchiava in qualche bar per un'avventura da una notte e via, per
soddisfare un'esigenza fisica con del sano e disinteressato sesso. Era
colui che si era preso cura di Lydia e del ragazzino, che aveva
allevato quest'ultimo nonostante non fosse biologicamente suo figlio,
che aveva affrontato un lungo viaggio per riportarlo a casa anche se
questo poteva voler dire separarsi definitivamente da lui. In un certo
senso, e in un modo assai contorto, Magnus faceva parte della famiglia.
Era saggio, quindi, continuare quello che aveva iniziato poco fa?
Si rese conto,
però, che il vero problema era che si erano scontrati sin
dal loro primo incontro e così tante volte che, se avesse
proseguito quell'approccio audace, avrebbe potuto complicare
ulteriormente un rapporto già abbastanza difficile.
Magnus
intrecciò le gambe alle sue e gli si accostò
ancora di più, fissandolo con un sopracciglio alzato, in una
muta domanda. Ohhh se solo avesse potuto leggere il caos di pensieri
che gli stava affollando la mente in quel momento!
Tra l'altro trovava il
suo comportamento un tantino ambiguo. Si stava spalmando addosso a lui,
quando fino a pochi secondi prima non aveva ricambiato il bacio. Chi lo
capiva, era bravo!
Magnus gli
schioccò le dita davanti al naso, sbuffando una risatina
divertita, interrompendo così le sue elucubrazioni, e gli
piantò una mano sul coccige, spingendogli il bacino contro
il suo, in un chiaro invito a darsi una mossa.
Spalancò gli
occhi, sorpreso, e fissò quei diamanti color smeraldo
guardarlo languido. Fu in quel momento che capì. Lo stava
aspettando. Magnus lo voleva, tanto quanto lo voleva lui, e gli stava
lasciando la possibilità di prendere l'iniziativa e di
sedurlo. Quella scoperta lo eccitò oltre misura ed il fuoco
che sentiva dentro, soffocato sotto una coltre di buonsenso,
scoppiò e divampò in un incendio indomabile.
Gli si strinse contro,
afferrandosi alle sue braccia muscolose, e si protese nuovamente verso
di lui, sfiorandogli le labbra con le proprie. Nonostante il tocco
fosse leggero, quel contatto lo fece tremare.
Gli afferrò
la testa, affondando le dita tra i suoi capelli neri e setosi,
congiungendo con forza le loro bocche e smettendo definitivamente di
pensare razionalmente.
Magnus sorrise sulle sue
labbra e, finalmente, ricambiò il bacio con decisione e
trasporto, schiudendo la bocca per accogliere la sua lingua. Se il
bacio a fior di labbra gli aveva fatto vibrare la pelle, sentire la
propria lingua giocare a rincorrersi con la sua gliela fece
definitivamente esplodere.
Lentamente, gli
accarezzò le spalle e le braccia, quasi volesse imprimersi
nella mente la forma di ogni più piccola parte del suo
corpo. La sua mano scivolò lungo la schiena di Magnus,
esplorando quella pelle di seta, così diversa dalla sua.
Scoprì che gli piaceva toccare la sua epidermide, avvertirne
la morbidezza ed il calore, respirarne il profumo. Sfiorò
con l'indice la sua colonna vertebrale, facendogli soffiare un gemito
di piacere ed arcuare la schiena, come un gatto.
Un sorriso storto
sbocciò sul suo viso e lo strinse di più a
sé, premendo l'inguine contro la sua gamba. Un'ombra di
consapevolezza attraversò gli occhi verdi-dorati di Magnus,
facendogli premere le labbra sulla sua bocca con più slancio.
Si strusciò
contro di lui, sfregando il basso ventre contro il suo ed esplorando
con le mani la sua schiena e le natiche sode, strappandogli un mugolio
gutturale.
Gli sfiorò un
orecchio con la lingua e sentì, sotto le dita, la pelle di
Magnus venire attraversata da un lungo brivido d'eccitazione. L'uomo
con la cresta affondò la testa sul suo collo bianco e
marchiò la gola con un morso deciso.
Trattenne il fiato
quando sentì la mano caramellata di Magnus infilarsi sotto
la sua maglietta, per accarezzarlo dal petto al ventre in lunghe
carezze voluttuose, le dita che si modellavano seguendo il leggero
rilievo del costato, mentre la bocca continuava a torturargli il collo.
L'aria gli
sfuggì completamente dai polmoni quando la mano dell'altro
superò la barriera dei pantaloni del pigiama e si
intrufolò dentro i suoi boxer, iniziando ad accarezzarlo con
tutta la calma del mondo, in netto contrasto con il tumulto di emozioni
che gli si agitava dentro.
Il suo corpo
rabbrividì in risposta, quando la presa si fece
più pressante, e le labbra calde ed il fiato tiepido di
Magnus gli fecero accelerare il battito del suo cuore, che
già scalpitava ad un ritmo forsennato.
Ebbe un attimo di tregua
solo quando l'altro tolse la mano, per farlo alzare leggermente e
spogliarlo dei fastidiosi ed ormai inutili indumenti che indossava.
Lo sguardo di Magnus lo
scrutò avidamente e richiese un notevole sforzo non agitarsi
sotto quell'attento esame. Nonostante si tenesse in forma e sapesse di
avere un discreto fisico, asciutto e scolpito, non si era mai ritenuto
particolarmente bello, non con tutti quei segni che gli solcavano la
pelle o con quel colore latteo che sfiorava il cadaverico. Cielo, sua
sorella Isabelle, per prenderlo in giro, lo chiamava addirittura Edward
mani di forbice!
Si schiarì la
gola, arrossendo vistosamente, e questo portò Magnus ad
incatenare nuovamente gli occhi ai suoi ed a fissarlo per quella che
gli sembrò un'eternità, mentre si leccava le
labbra con deliberata lentezza, come se stesse saggiando il sapore che
gli aveva lasciato con le sue.. o come se fosse un predatore che sta
per piombare sulla sua prossima vittima! Scoprì che
desiderava essere quella preda e che si sarebbe fatto sbranare
volentieri da quella belva, ancora ed ancora ed ancora.
Senza staccare gli occhi dai
suoi, Magnus si liberò delle proprie mutande, gettandole da
qualche parte oltre il bordo del letto, e, anche lui, non
poté fare a meno di esaminarlo a sua volta, in silenzio.
Era bello. Per l'angelo,
se lo era. Nonostante non stesse vedendo niente di nuovo, vista
l'attitudine di quell'uomo sfacciato a girare praticamente nudo per
casa, con addosso indecenti mutande attillate che non lasciavano alcuno
spazio all'immaginazione e che erano decisamente "illuminanti", si
godette quello spettacolo in versione integrale.
Magnus
ritornò accanto a lui e i loro corpi si avvinghiarono
nuovamente l'uno all'altro. Se all'inizio aveva lasciato a lui
l'opportunità di iniziare l'approccio, ora era passato
decisamente all'azione. Iniziò, infatti, a succhiare senza
sosta lembi di pelle ed a tracciare, con la lingua, scie di fuoco sul
suo torace, fino a quando le labbra non si chiusero su un capezzolo.
Quando Magnus ritenne
soddisfacente il tempo che aveva dedicato al suo petto e
proseguì la discesa, si chiese distrattamente se non gli
desse fastidio leccare e toccare le cicatrici che tempestavano il suo
corpo, ma anche quel pensiero divenne confuso una volta che l'uomo
arrivò al suo ombelico, tracciandone il contorno.
Quando poi lo sentì
indugiare, con le labbra, sulle proprie cosce, ansimò, in
attesa di quello che sarebbe successo.
Sussultò
quando Magnus usò le proprie dita, le proprie labbra e la
propria lingua per trascinarlo in una spirale di desiderio e di
eccitazione.
Si aggrappò
al lenzuolo, arcuandosi, sentì la propria voce gridare il
suo nome e fu sopraffatto da un piacere intenso, simile a scariche
elettriche, che dal ventre si espanse in tutto il corpo.
Ricadde sul cuscino,
senza fiato e spossato, e chiuse gli occhi, appagato.
Sorrise appena quando il fiato
caldo di Magnus gli solleticò l'orecchio per sussurrargli,
malizioso, "Non addormentarti! Abbiamo appena cominciato, Fiorellino."
Un deciso bussare alla porta fece trasalire Alec, che per poco non
rovesciò il caffè sui documenti.
Si aggrappò con una mano alla scrivania, con il fiato corto,
schiacciando i polpastrelli sul legno lucido, sperando che il contatto
freddo e solido con il tavolo lo facesse ritornare completamente in
sé.
Nitide immagini di Magnus Bane, nudo e perfetto, che gemeva e si
contorceva sopra di lui, continuavano però a danzargli
davanti agli occhi e scosse quindi energicamente la testa per
scacciarle e sgomberare la mente.
"A-avanti!" esclamò, posando attentamente la tazza e
riordinando il casino di carte che aveva davanti a sé.
"Quando me l'hanno detto, non ci volevo credere." esordì una
severa voce femminile, quando la porta si spalancò. "Cosa ci
fai qui?" chiese Imogen Herondale, con una mano su un fianco ed una
ancora sulla maniglia, mentre lo guardava con un cipiglio arrabbiato.
Senza aspettare l'invito di Alec ad accomodarsi, entrò nella
stanza ed andò a pararsi davanti alla sua scrivania. Non che
avesse comunque bisogno di un'esortazione a non rimanere sulla porta,
visto che, per Alec, quella donna era praticamente il suo mentore. Era
stata il braccio destro di Robert Lightwood per quasi vent'anni, prima
che questi si ammalasse, e, anche dopo il ritiro dell'uomo, aveva
continuato a mandare avanti lo studio con successo. Era stata lei che
gli aveva insegnato tutto quello che sapeva del suo mestiere ed era
sempre lei che Alec si sforzava di impressionare positivamente, anche
ora che, tra i due, c'era stima reciproca e una specie di sentimento
molto simile all'amicizia.
Imogen si sporse verso di lui e gli posò rudemente una mano
sulla fronte. "Santo cielo, Alec! Hai anche la febbre!"
constatò seria, sedendosi poi con calma sulla poltroncina
posta di fronte alla scrivania.
"Signora." la salutò Alec, con un sorriso sghembo ed un
lieve cenno del capo.
"Non chiamarmi signora,
giovanotto!" lo rimbrottò Imogen, accavallando le gambe e
sistemandosi la gonna. "Perchè sei qui? Dovresti essere a
casa a riposare!"
Alec alzò gli occhi al cielo. Oltre che mentore, Imogen, per
qualche strana ragione, si sentiva in dovere di redarguirlo a suo
insindacabile giudizio e bacchettarlo come fosse un bambino.
"Il caso non può aspettare." rispose Alec, tentando di
imprimere nella voce una sicurezza che, in quel momento, non gli
apparteneva affatto.
"Poteva pensarci Jace!" ribattè Imogen, scuotendo piano la
testa. "Tu saresti dovuto rimanere a letto!" insistè. "Ma
guardati!" continuò, indicandolo con un plateale gesto della
mano dall'alto in basso. "Hai un aspetto orribile! Sei tutto rosso e
sudato!"
Alec, per tutta risposta, arrossì ancora di più.
Ringraziò mentalmente il cielo che non riuscisse a leggergli
la mente, scoprendo così che non era la febbre la causa
della sua pessima condizione fisica, ma due occhi di gatto e un fisico
scultoreo che sembravano essersi impressi a fuoco nella sua testa e che
non ne volevano proprio sapere di sparire.
Imogen scosse la testa, lanciandogli una lunga occhiata di rimprovero,
ed il giovane abbassò lo sguardo, iniziando a giochicchiare
con una penna, nervoso. Sotto quell'occhiata penetrante,
iniziò poi a muoversi a disagio, allentandosi leggermente la
cravatta, accomodandosi meglio sulla poltrona, sistemandosi i polsini
della camicia. Nonostante sapesse perfettamente che era una tecnica che
la donna utilizzava per farsi dire cose che, normalmente, una persona
avrebbe preferito tenere per sé, e nonostante ormai ci fosse
abituato, quando lo guardava così, gli sembrava sempre di
avere come la sensazione di essere stato beccato con le mani nella
marmellata. Non era affatto piacevole.
"Cosa posso fare per te?" chiese, sperando di distrarla abbastanza
affinché smettesse con quel suo interrogatorio silenzioso
fatto di sguardi ed alzate di sopracciglia.
"Quando la signorina Roberts mi ha detto che eri qui non ci volevo
credere, così sono venuta a vedere se eri davvero
così sciocco da ignorare le raccomandazioni del medico. A
quanto pare, sì, lo sei." replicò Imogen,
scuotendo nuovamente la testa con disapprovazione e non abbandonando,
nemmeno per un secondo, l'aria di rimprovero che si era instaurata sul
suo viso da quando era entrata nell'ufficio.
"A parte che sono quattro giorni che sono a casa a non fare niente.
Quattro. Non uno o due. Quattro, Imogen! Quattro!!" ribattè
con foga Alec.
"Puoi ripeterlo un'altra volta, che non ho capito da quanto sei a
riposo?" chiese Imogen, impassibile.
Alec le lanciò un'occhiataccia. "Sono stato fuori dai giochi
per quattro
giorni.." disse, calcando la voce sul numero, "..e siamo quasi alla
fine, Imogen! Non posso starmene a casa con le mani in mano, a non fare
niente!" ribattè stizzito, sperando di fare leva sul senso
di responsabilità della donna.
"Ripeto: poteva pensarci Jace!" commentò Imogen, per nulla
toccata, incrociando le braccia al petto.
"Non hai affidato questo caso a lui, ma a me." replicò serio
Alec, senza più alcuna traccia di tentennamento negli occhi.
Imogen sospirò, pizzicandosi la radice del naso. "Come sta
andando?"
Alec allentò nuovamente la cravatta, si schiarì
la gola, fattasi improvvisamente di carta vetrata, e sfogliò
i documenti davanti a sè.
"Me la cavo." mormorò, ben consapevole di essere molto
lontano da quell'affermazione.
Tuttavia non aveva nessuna intenzione di mollare. Poteva gestire quella
causa. Doveva
gestire quella causa.
Mesi prima, Imogen Herondale era entrata nel suo ufficio, esordendo con
l'allettante frase "Ho una nuova opportunità che potrebbe
interessarti. Una specie di sfida." ed Alec aveva drizzato la schiena,
guardandola attentamente e con interesse, pronto ad ascoltare qualsiasi
cosa la donna era venuta a proporgli.
"Valentine Morgenstern." aveva sputato Imogen, faticando a trattenere
una smorfia anche solo nel pronunciare quel nome. "Ti dice niente?"
Alec aveva annuito. Chi non conosceva quell'uomo? Era una delle persone
più squallide con cui aveva avuto il dispiacere di parlare e
lo evitava come la peste, quando si trovavano insieme nello stesso
posto, in qualche occasione mondana a cui lui era costretto a
presenziare.
"E' partita una denuncia a suo carico, circa una settimana fa, da una
donna di nome Jocelyn Fray."
"Il motivo della denuncia?" aveva chiesto Alec, curioso.
"Violenza ed abuso su minori." aveva risposto Imogen, rabbuiandosi.
Alec l'aveva fissata, pietrificato. Tra tutti i crimini che aveva
ipotizzato, mai avrebbe pensato ad una simile mostruosità.
"Il signor Morgenstern, ovviamente, respinge tutte le accuse e ha
querelato la signora Fray, che si è rivolta al nostro
studio." aveva spiegato la donna.
Alec aveva annuito. "E' una proposta davvero interessante. Ma
perché proprio io? Non mi è mai capitato un caso
di abuso, fino a questo momento."
Imogen aveva sventolato una mano, come se ritenesse quell'obiezione una
mosca fastidiosa. "Sei un ottimo avvocato Alec, uno dei migliori, ed
è importante che, per un caso del genere, se ne occupi una
persona capace e brillante. Proprio come te." aveva dichiarato,
convinta. "Probabilmente vorrai pensarci bene, perciò, per
il momento, ti chiedo solo di studiare il fascicolo che riguarda una
violenza su un bambino. Leggilo e poi sappimi dire."
"Imogen non ho bisogno di pensarci." aveva risposto Alec, deciso. "Sono
in grado di svolgere questo compito."
"Oh, ne sono certa. Non metto affatto in dubbio la tua
abilità, ma ritengo che tu debba predisporti mentalmente a
lavorare a questo caso, a confrontarti con quelle atrocità,
giorno dopo giorno, prima di impegnarti definitivamente. Sono cose che
possono segnarti l'anima per sempre."
Alec aveva annuito, meditabondo. "Grazie." le aveva detto, poi,
sorridendo.
"Di niente. Anzi sono molto contenta che tu sia interessato!" aveva
risposto Imogen, con un cenno del capo. "Quando hai un attimo di tempo,
vieni nel mio ufficio a prendere la documentazione."
Quando la donna era uscita, Alec ricordava di aver posato i gomiti
sulla scrivania e di essersi poi arruffato i capelli, tenuti
faticosamente a bada da una generosa dose di gel, con un sorrisetto
incredulo. Poi, con un movimento brusco, aveva girato la poltrona verso
la vetrata dietro di sé e si era messo a fissare le vie
affollate di New York, sovrappensiero.
Morgenstern. Valentine Morgenstern. Nonostante fosse uno degli uomini
più influenti della città, Alec si era sentito
elettrizzato all'idea di scontrarsi con lui e, perché no,
magari vincere la causa.
Quel caso, nonostante mettesse a dura prova i suoi nervi e la sua
pazienza, era diventato fin da subito una questione personale,
perché l'opportunità di mandare dietro le sbarre
chi commetteva quel
tipo di violenza era uno dei motivi predominanti che l'avevano spinto
ad intraprendere la carriera di avvocato. Oltre la pressione paterna,
si intende.
Ora, però, iniziava a temere che non sarebbe riuscito a
vincere contro quel demonio. La mancanza di prove concrete, infatti,
era uno dei problemi principali che lo affliggevano. I bambini avevano
la bocca cucita e non c'era alcun testimone che potesse sostenere
l'accusa. O meglio, una persona c'era.. peccato che la teste numero
uno, nonché la principale accusatrice dell'uomo, fosse
sparita.
"Ci sono novità?" chiese Imogen, speranzosa.
Alec scosse la testa, quasi rassegnato. "Abbiamo chiesto a chiunque, ma
niente. Sembra scomparsa nel nulla."
"I parenti e gli amici non sanno proprio niente? Non c'è un
posto dove magari si rifugiava quando voleva tagliare i ponti con tutto
e tutti, anche solo per un po'?"
Alec scosse nuovamente la testa. "I genitori sono morti da tempo, non
ha figli e gli amici non hanno idea di dove possa essersi cacciata."
"Hai chiesto a Morgenstern?" chiese prontamente Imogen, per nulla
ironica.
Alec alzò lo sguardo e la fissò in modo
eloquente. Anche lui aveva vagliato quell'ipotesi, ma, anche in questo
caso, non c'era uno straccio di indizio che provasse che l'uomo
l'avesse rapita per farla tacere, forse per sempre. La polizia
brancolava nel buio, nessuno aveva visto niente e la donna non aveva
lasciato nessun appunto scritto che magari potesse condurre a lei.
Semplicemente, Jocelyn Fray, era sparita una calda sera d'agosto,
inghiottita dall'oscurità, e Dio solo sapeva cose le era
successo.
"Nessuna nuova testimonianza?"
Per la terza volta, Alec negò col capo. "I bambini non
parlano e quando gli chiedi dei lividi o delle escoriazioni, uno ti
dice che è caduto dall'altalena, un altro dallo scivolo, un
altro ancora che si è sbucciato il ginocchio correndo in
giardino." sospirò amareggiato.
Era orribile vedere come quei bambini fossero talmente terrorizzati da
inventarsi bugie di sana pianta pur di non peggiorare la loro
condizione, già precaria.
Quando aveva accettato il caso, Alec era convinto che si sarebbe
confrontato con quel dolore solo al lavoro e che, una volta chiusa la
porta del suo ufficio, tutto sarebbe rimasto al suo interno, mentre lui
sarebbe potuto tornare tranquillamente a casa.
Non avrebbe mai pensato che si sarebbe preso a cuore quei bambini in
modo così feroce, né che avrebbe mai dimenticato
la risposta di Jonathan Morgenstern, il figlio di Valentine e gestore
dell'orfanotrofio, quando gli aveva chiesto spiegazioni per quei
lividi. "Sono bambini distratti!"
aveva detto, con una risata raccapricciante.
Ma, soprattutto, Alec non aveva previsto Rafael. Quel bambino l'aveva
sconvolto più di tutti gli altri. Non solo
perché, apparentemente, era il più distratto tra gli
orfani, ma anche perché sembrava un adulto intrappolato nel
corpo di un bambino. Quando gli aveva parlato, non aveva scorto nessuna
luce giocosa ed infantile nei suoi occhi, solo consapevolezza e
rassegnazione, come se avesse accettato di vivere una vita fatta di
violenze fisiche e verbali senza poterla cambiare. Ed era una cosa
terribile a dieci anni.
"Insomma sei ad un punto morto." constatò Imogen,
riportandolo alla realtà.
Alec annuì, sconfortato, mentre un silenzio pesante piombava
nella stanza. La sua unica speranza era che uno dei bambini cominciasse
a parlare ed a raccontare ciò che davvero succedeva dentro
le mura di quell'orfanotrofio, ma sapeva che era quasi un'utopia. Gli
ci sarebbe voluto un miracolo.
"Sto cercando un altro modo per incastrare quel bastardo." la
informò Alec. "Anche se i bambini potrebbero fornirci le
prove per sbatterlo in prigione, non ho alcuna intenzione di forzarli a
fare o a dire qualcosa contro la loro volontà."
"E hai trovato niente di interessante?"
"No." sbuffò il giovane, irritato. "Quell'uomo
apparentemente sembra un fottutissimo santo!"
Un lieve bussare alla porta gli impedì di pronunciare altri
insulti più o meno coloriti contro quell'essere immondo.
"Scusate il disturbo! Alec ti ho portato quei documenti che volevi!"
esordì Isabelle, facendo il suo ingresso nella stanza e
porgendo al fratello un faldone pieno zeppo di fogli.
"Grazie, Iz." sospirò.
La ragazza annuì distrattamente, troppo impegnata a lanciare
un'occhiata preoccupata in direzione della Herondale che la stava
guardando malissimo.
"E' così che lo aiuti? Dandogli ulteriore lavoro da fare?"
chiese la donna, in modo burbero.
"Oh.. ehm.. ecco.. sì.. cioè.. sì..
me-me l'ha detto lui!" si giustificò la ragazza,
congelandosi.
"Sciocchezze! Perché non l'avete ancora rispedito a casa?
Non vedi che è mezzo moribondo?"
Isabelle scrutò il fratello. Sì, aveva il viso
leggermente arrossato, ma, sinceramente, non le sembrava che stesse
là-là per schiattare. "Ehm.. ok?"
"Santo cielo, Isabelle, non si risponde ad una domanda con un'altra
domanda!" esclamò la donna, scuotendo gravemente la testa.
"Sto bene, Imogen!" borbottò Alec, alzando gli occhi al
cielo.
La donna fece per aprire bocca, ma il suo cercapersone
iniziò a suonare, salvandolo da una sicura lavata di capo.
"Devo andare." li informò, alzandosi. "Ma sappi che ti
voglio fuori di qui entro un'ora!" lo minacciò con l'indice.
"Mi sono spiegata?" sibilò poi ad Isabelle, prima di
andarsene.
La ragazza annuì freneticamente, per poi accasciarsi, senza
fiato, sulla poltroncina dove la Herondale era rimasta seduta fino ad
un attimo prima. "Oh mio Dio! Come fai a sopportarla? Eh? Come ci
riesci?" chiese, stravolta. "Per l'angelo, quella donna ti mette
addosso un'agitazione assurda! Sono rimasta solo un minuto in sua
compagnia e sto già sudando come un maiale al forno!" gli
confidò, facendosi aria, con le mani, sotto le ascelle. "Dio
santo, mi ricorda nostro padre!"
Alec ridacchiò ed iniziò a sfogliare le carte che
la sorella gli aveva portato.
"Alec?"
"Uhm?" chiese distrattamente il fratello, continuando a leggere.
* "Hai qualcosa sul collo." osservò Isabelle, dopo un lungo,
lunghissimo, momento di silenzio.
"C-cosa?" domandò Alec, alzando di scatto la testa.
Isabelle si sporse verso di lui, per osservarlo meglio, e
piegò la testa. "Sembra.. per l'angelo, Alec, è
il segno di un morso quello?" chiese sorpresa, spalancando gli occhi.
"Cosa hai combinato ieri sera?"
"Cos.. Niente!!" si affrettò a rispondere Alec, andando a
coprirsi immediatamente, con una mano, la zona incriminata.
"Ti ha morso un vampiro?" chiese la sorella, tra il curioso e il
divertito.
"C-cosa? No! Sono caduto!" pigolò Alec, assumendo una
vistosa tinta color rosso pomodoro maturo.
"Sul collo?" chiese Isabelle, arcuando un sopracciglio perfettamente
curato. *
Alec aprì e richiuse la bocca un paio di volte, in una
perfetta imitazione di un pesce fuori dall'acqua.
Il viso di Isabelle si illuminò lentamente. "Oddiooo!"
squittì, battendo mani e piedi contemporaneamente. "E'
successo, non è vero?"
"Successo? Cosa.. cosa doveva succedere?" balbettò Alec,
alzando alla bel meglio il colletto della camicia per coprire il segno.
"Tu e Magnus!" esclamò con naturalezza Isabelle, agitandosi
contenta sulla sedia.
Alec la fissò, sbigottito. "Io.. io e Magnus? Izzy cosa
diavolo stai dicendo!" domandò, iniziando a sudare freddo.
"Beh di sicuro ieri sera, nelle tue condizioni, non sei uscito e quindi
sei rimasto a casa." rispose Isabelle, con una logica di ferro,
picchiettandosi il mento. "E, in quel mausoleo, chi potrebbe averti
lasciato un segno simile, se non lui?" continuò, con aria
saputella. "Sapevo che era il tuo tipo! Lo sapevo!" gongolò
elettrizzata. "Secondo Jace, Mags è un po' troppo logorroico
ed eccentrico per i tuoi gusti, ma io gli ho detto.."
"Frena! Frena! Frena!" gridò Alec, agitando le mani davanti
al viso.
Per tutti gli angeli, cosa stava succedendo? Cosa diavolo stava
accadendo? Perché sua sorella era convinta che il signor
Bane fosse il suo tipo, mentre Jace riteneva che avesse altri standard?
Alec fissò pietrificato la sorella. C'era un'unica ipotesi,
ma si rifiutava di credere a quella spaventosa eventualità.
Iniziò improvvisamente a mancargli l'aria, sentì
un fastidioso ronzio alle orecchie, la testa prese a vorticare. Stava
per svenire? Dio, gli mancava solo quello!
"Tu.. tu.." tentò di chiederle, ma la voce non voleva
proprio saperne di collaborare ed uscire dalla sua bocca.
Isabelle gli sorrise dolcemente. "Sai, sei un avvocato davvero in
gamba, il migliore che conosco, ma ti assicuro che non sei affatto
capace di tenere un segreto." ridacchiò, scuotendo
affettuosamente la testa.
"Come.. quando.." balbettò il giovane, sempre più
sconvolto.
"Oddio.." disse Isabelle, piegando la testa per osservare il soffitto,
meditabonda. "Se non sbaglio il primo che ho beccato è stato
quel tizio con la erre moscia, che a scuola ti stava appiccicato peggio
di un francobollo. Come si chiamava?" gli chiese, riportando lo sguardo
su di lui.
Alec però era troppo stravolto per pronunciare anche una
sola sillaba, quindi si limitò a fissarla, scuotendo la
testa.
Isabelle fece spallucce. "Poi c'è stato il figlio del signor
Collins, il ragazzo delle consegne.." cominciò ad elencare,
indicando ogni nome con un dito della mano. "Oh! Ed il modello!! Quello
della pubblicità del profumo! Lui era senza dubbio il mio
preferito. Grande bel sedere!" esclamò, con un sospiro
sognante, posando la testa sul palmo della mano.
"Quindi tu.. tu e.. e Jace.." balbettò Alec.
"Sì, lo sappiamo." confermò per lui la sorella,
regalandogli un sorriso enorme. "Non sei affatto discreto come pensi di
essere." ridacchiò.
"E.. e.. no-non.."
Isabelle alzò una mano, bloccandolo. "Non osare chiedermi se
ci importa, perché potrei seriamente offendermi!"
replicò, fissandolo severa. "Sei nostro fratello. E' ovvio
che per noi non è affatto importante che tu sia etero, gay o
addirittura bisessuale, Alec!! Ti vogliamo bene comunque."
Alec si sentì sollevato e colpevole allo stesso tempo. In
tutti quegli anni aveva sempre temuto di confidare la sua
omosessualità ai fratelli ed, invece, loro non solo lo
sapevano, ma avevano anche avuto il tatto e la delicatezza di non
pressarlo o costringerlo a raccontare niente, aspettando i suoi tempi.
Il che era un vero miracolo visto quanto era discreti quei due messi
insieme!
Un sorriso tremulo sbocciò sul suo viso. "Grazie."
bisbigliò piano.
Isabelle scosse la testa, ridendo, si alzò di slancio dalla
poltrona, fece il giro della scrivania e lo stritolò in un
abbraccio. "Ti voglio bene, stupido." sussurrò, stringendolo
un po' di più, mentre gli baciava la fronte e gli arruffava
i i capelli.
"Iz-Izzy! N-non respiro!" riuscì a dire Alec, sotto la sua
presa ferrea.
"Scusa, scusa!" ridacchiò la sorella, lasciandolo andare.
"Allora.. racconta! Racconta! Racconta!" disse poi, sedendosi di
slancio sulla scrivania e lanciandogli un'occhiata maliziosa. "E'
così bravo come si vanta di essere?"
Alec arrossì vistosamente. "I-Izzy.." iniziò,
palesemente in difficoltà. Si allargò, senza
pensarci, il colletto della camicia perchè la sensazione di
soffocare era ritornata prepotentemente. "Non.. non è
successo niente!" tentò di sviare.
"Sì, certo, ed io sono la regina Cleopatra!"
sospirò esageratamente Isabelle, alzando gli occhi al cielo.
"Dio, è un morso enorme." constatò poi,
abbassandosi per esaminare il segno con più attenzione.
"Ommioddddio!! E guarda qua!! C'è anche un succhiotto
gigantesco!" esclamò sorpresa, abbassando il colletto ancora
di più per scrutare meglio la nuova scoperta. "Ma che
è? Una sanguisuga umana?"
"Izzy!!" pigolò Alec, assumendo una tinta color vermiglio ed
allontanando le sue manacce da lui.
"Ok, ok. Ti lascio in pace." disse la sorella, alzando le mani come in
segno di resa. Scese con un saltello dalla scrivania e si diresse
velocemente verso la porta. "Vorrà dire che
chiederò a Magnus i particolari piccanti."
esclamò, prima di uscire.
Rise di gusto vedendo lo sguardo allarmato di Alec e la nuova
tonalità di rosso che aveva raggiunto il suo viso.
---
Note dell'autrice
*..* Scusate, ma non ho saputo resistere! Per questo dialogo ho preso
spunto dalla conversazione che si tiene tra Alec e Jace nel libro
"Città di cenere" scritto da Cassandra Clare. Adoro quello
scambio di battute e ho pensato quindi di aggiungerlo alla mia storia.
:D
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Capitolo 15 *** Capitolo 15 ***
"Prego.." rantolò,
con la gola improvvisamente secca, leccandosi le labbra che parevano
essersi disidratate in un lampo.
Alec aveva seguito quel
movimento con lo sguardo ed aveva poi posato, inaspettatamente, la
bocca sulla sua. Quel gesto lo aveva preso completamente in
contropiede, sia perché non si sarebbe mai aspettato di
ricevere un bacio dall'avvocato, sia perché la sua pelle fu
percorsa da un'intensa quanto inspiegabile scarica elettrica.
Quando Alec si
staccò da lui, cercò di respirare,
improvvisamente incapace di farlo naturalmente, troppo sorpreso per
parlare o per muoversi. Non era neanche riuscito a ricambiare il bacio,
troppo scosso dal fiume di sensazioni che gli percorreva il corpo e che
lo travolse senza dargli scampo.
Sentiva le sue labbra
bruciare e le sfiorò involontariamente, con la punta delle
dita, per accertarsi che quelle fiamme immaginarie non stessero davvero
ardendo sulla sua bocca, tanto sembrava vivida quella percezione.
Dei del cielo, cosa gli
stava succedendo? Mentre la sua mente si rifiutava di formulare una
risposta coerente, una strana sensazione di euforia si
impossessò di lui. Il calore che lo attraversò
gli incendiò il sangue e le ossa, trasformandole in cera
fusa, e scoprì che desiderava continuare ciò che
Alec aveva iniziato.
L'avvocato,
però, sembrava perso in un mondo tutto suo, assorto in
chissà quali pensieri. Si avvicinò maggiormente a
lui ed allacciò le gambe alle sue, guardandolo
interrogativo. Cosa frullava in quella testolina? Che ci stesse
ripensando?
Personalmente, non era
ancora pronto a lasciar andare tutto quel ben di Dio, quindi gli
schioccò le dita davanti agli occhi, in modo che Alec
riportasse l'attenzione su di lui, e, quando vide l'espressione confusa
dell'avvocato, ridacchiò divertito. Era adorabile.
Posò una mano
sul fondo della sua schiena e se lo spinse addosso, sperando di
riuscire a fargli capire che voleva proseguire la loro "conoscenza" ed
attese che fosse lui a prendere l'iniziativa. L'ultima cosa che voleva
era costringerlo a fare qualcosa contro la sua volontà. Era
capace di farne un puntiglio e rinfacciarglielo da qui
all'eternità!
Grazie al cielo, Alec si
risvegliò dal suo torpore e tornò a posare le
labbra sulle sue. Fu un tocco delicato, addirittura quasi impalpabile,
che lo portò a sorridere, ben contento che l'altro avesse
finalmente preso una decisione e, soprattutto, che quella decisione
comportasse il continuare quello che avevano iniziato poco fa.
La pressione della sua
bocca di fece più insistente e le labbra di Alec di
schiusero, permettendogli così di far scivolare la sua
lingua all'interno e di farla danzare con la compagna. Fu esaltante
sentire la reazione che quel gesto riuscì a provocare
nell'avvocato.
Il desiderio gli
infuriò dentro come una tigre in gabbia. Quell'urgenza
divorante di stare con qualcuno, di sentire il suo corpo caldo e
morbido contro il proprio.. non aveva mai provato nulla di simile prima
d'ora.
Spalancò gli
occhi quando l'avvocato premette l'inguine contro la sua gamba e
sorrise, consapevole, baciandolo poi quasi con violenza. La testa prese
a vorticargli come se fosse su una giostra. Avvinghiò le
braccia attorno al suo collo e si strinse maggiormente ad Alec, come se
fosse l'unica forza stabile di tutto l'universo.
Un gemito di piacere
risuonò nel profondo della sua gola quando le mani
dell'avvocato si fecero impazienti, accarezzandolo e stringendolo a
sé con tanta forza da non lasciare un soffio di distanza tra
i loro corpi.
La sua pelle fu
attraversata da un lungo brivido quando Alec gli mordicchiò
l'orecchio e, non resistendo oltre, scese con la bocca sulla sua gola e
morse la sua pelle diafana, quasi volesse imprimere il proprio
passaggio sul corpo del giovane.
Infilò la
mano sotto la sua maglietta, perché voleva sentire, sotto le
mani, la sua pelle calda e solcata dalle cicatrici. Un giorno avrebbe
mai scoperto qual era il doloroso segreto di quel corpo segnato
permanentemente? Quel pensiero fu rapido tanto quanto era venuto. Aveva
decisamente di meglio da fare, in quel momento, che porsi un
interrogativo del genere.
Sentì i
capezzoli di Alec inturgidirsi e si strofinò,
deliberatamente, a lui finché non lo sentì gemere
forte e decise che era ora di dedicare la sua attenzione ad una parte
anatomica del corpo dell'avvocato che, almeno per quanto riusciva a
giudicare da quello che percepiva attraverso la stoffa dei pantaloni
del pigiama, sembrava essere davvero interessante.
Infilò la
mano dentro ai boxer e sorrise compiaciuto. Adorava avere ragione,
soprattutto in occasioni come quella.
Il suo sorriso si
ampliò quando l'avvocato tremò visibilmente, a
causa delle sue carezze, e, non resistendo oltre, si alzò
per sfilargli tutta quella stoffa che ostacolava ciò che
bramava con ingordigia.
Lo fissò in
silenzio e constatò che non aveva semplicemente ragione.
Aveva assolutamente
ragione, diavolo! L'aveva già visto mezzo nudo, questo
sì, ma la visione integrale di quel corpo statuario fu
sufficiente a fargli perdere completamente la ragione.
Quando sentì
Alec schiarirsi la gola, alzò lo sguardo, notando orgoglioso
il rossore che era riuscito a provocare con la sua occhiata, che aveva
colorito le guance pallide dell'altro e che aveva fatto schiudere le
sue labbra in un sospiro.
Si tracciò,
lentamente, con la lingua, il contorno delle proprie labbra,
pregustando il momento in cui l'avrebbe fatto suo e, senza smettere di
guardarlo, si tolse le mutande.
Si lasciò
guardare volentieri da quegli incredibili occhi blu, accostandosi poi
nuovamente a lui per tornare a baciarlo ed accarezzarlo.
La sua bocca e le sue
mani gli sfiorarono il petto, scesero sul ventre, disegnando disegni
astratti, e toccarono e vezzeggiarono i suoi fianchi, seguendo la linea
della vita e delle anche. Gli baciò e mordicchiò
la coscia, mentre le sue dita si muovevano sulle curve del suo corpo,
che vibrava e si tendeva in un lungo e continuo sobbalzo.
Scoprì che gli piaceva parecchio sentirlo gemere sotto i
suoi baci.
Si dedicò
all'erezione di Alec fino a quando questi inarcò la schiena
di scatto, scosso da un violento spasmo, e poi tornò a
rilassarsi e sospirare profondamente.
Si leccò le
labbra soddisfatto e ritornò a coprire il corpo di Alec con
il proprio. Seguì con le labbra la linea della mascella fino
ad arrivare al suo orecchio per sussurrargli, piano, "Non
addormentarti! Abbiamo appena cominciato, Fiorellino."
Una risata alta e sguaiata lo distrasse dai suoi pensieri, portandolo
ad osservare la coppietta che camminava a braccetto, davanti a lui, e
che parlava fitto fitto, ridacchiando spensierata. Magnus
guardò i due, corrucciato, quasi infastidito, sia per la
loro palese felicità sia perché lo stavano
bellamente ignorando da parecchi minuti, persi in un mondo tutto loro.
Era dura da ammettere e non credeva che sarebbe mai stato possibile, ma
lui, Magnus Bane, il meraviglioso, favoloso, unico Magnus Bane, stava
reggendo il moccolo. Assurdo. Inconcepibile. Come era arrivato a quel
punto? Non era mai stato il terzo incomodo. Mai!
La risposta arrivò con l'ennesima risata esagerata di Jace.
Magnus fissò imbronciato il centro esatto della nuca del
giovane, così intensamente che sperò di aprire un
cratere in quella chioma bionda. Era tutta colpa di quella sottospecie
di Shirley Temple!
Dopo aver scoperto che Clary era una pittrice e visto che, fin'ora, i
suoi tentativi di scoprire la sua vera identità avevano
fatto un grosso buco nell'acqua, Magnus le aveva chiesto di
accompagnarlo ad un'asta, perché era interessato
all'acquisto di un quadro. Era un banalissima scusa, ne era
consapevole, ma gli sarebbe servita a stare un po' con la ragazza per
tentare di carpire qualche informazione.
Peccato che non avesse messo in conto Jace, dannazione! Una volta
scoperto con chi sarebbe uscito quel pomeriggio, infatti, quel polipo
tinto di biondo si era autoinvitato all'appuntamento e si era
appiccicato alla rossa peggio di una cozza alla scoglio, restandole a
fianco per tutto il tempo ed impedendo così a lui di
intavolare una qualsiasi conversazione volta a svelare il mistero dei
cognomi.
Che diamine, Alec non aveva niente da fargli fare? Di solito lo spediva
di qua o di là perché doveva incontrare qualche
cliente o parlare con qualche loro collega sanguisuga.
Alec. Il cuore traditore di Magnus iniziò a pompare
più veloce non appena la mente formulò quel nome
e sentì un brivido caldo corrergli per tutto il corpo.
Sapeva di essersi comportato in modo immaturo, quella mattina, quando
se ne era andato alla chetichella dalla sua stanza, anziché
aspettare che lui si svegliasse per parlare di quanto era successo la
notte prima, ma non era riuscito a farne a meno. Poche volte gli era
capitato di venire preso in contropiede da una persona. Alec ci era
riuscito in pieno e lui si era ritrovato completamente spiazzato,
incapace di affrontare la situazione. Tutto quello che era riuscito a
fare era fuggire a gambe levate, cosa che gli riusciva piuttosto bene.
"Sono contento che tu abbia suggerito di tornare a piedi. E' una
giornata così bella! E poi almeno smaltiremo qualche caloria
di quella deliziosa fetta di torta.. non che tu ne abbia bisogno,
ovviamente! Sei splendida così come sei."
proclamò Jace, ad alta voce, interrompendo, per la seconda
volta, i suoi pensieri.
Clary arrossì e un sorriso timido spuntò sul suo
viso. "Anche tu." disse piano, arrossendo ancora di più.
Il sorriso di Jace si ampliò oltre ogni misura e
gonfiò il petto, orgoglioso. Cielo, ci mancava solo che si
facesse comparire improvvisamente una coda e, proprio come un pavone,
la spalancasse in tutta la sua gloriosa vanità per mostrare
al mondo intero quanto bello si ritenesse.
Magnus sbuffò. Erano disgustosamente dolci ed
iniziò a pensare seriamente che se fosse stato un altro po'
in loro compagnia gli sarebbe venuto il diabete. Stava per interrompere
momentaneamente il loro idillio comunicando loro un finto appuntamento,
come scusa per sganciarsi, quando Jace si arrestò
improvvisamente e lui rischiò di andargli addosso. "Ma che
cavolo.." protestò.
"E' quello?" berciò Jace, ignorandolo. "E' così
bello quello che fai." si complimentò con Clary, guardandola
con adorazione. "E' davvero encomiabile da parte tua!"
"Come sai quella parola?" si intromise Magnus, affiancandosi alla
coppia. Non aveva idea di che cosa stessero parlando ora, ma stuzzicare
il biondino era uno dei suoi hobby preferiti e gli aveva servito la
battuta su un vassoio d'argento.
Jace si girò di scatto verso di lui, sorpreso, come se si
fosse dimenticato della sua presenza. Si riprese comunque subito e lo
fulminò con lo sguardo. "Sono un avvocato, Bane. Nel caso te
ne fossi dimenticato!" rispose, trattenendosi per un soffio dal fargli
la linguaccia e il dito medio.
Magnus scosse la testa, con un sorriso ironico, ed osservò
l'edificio con la facciata colorata che i due stavano guardando e che
si trovava di fronte a loro, al di là di un enorme cancello.
"Cos'è?" chiese a Clary, indicando l'immobile con un cenno
del capo.
"Un orfanotrofio." rispose Clary.
Magnus notò lo sguardo pensieroso, quasi preoccupato, della
ragazza, e, ritornato a guardare lo stabile, si chiese il motivo di
quello strana occhiata. Cosa la impensieriva?
"Non è un orfanotrofio qualunque." si sentì in
dovere di specificare Jace. "E' l'orfanotrofio dove Clary fa
volontariato." lo informò, tornando poi a guardare la
ragazza come se fosse un angelo sceso in terra.
"Ah!". Magnus fischiò in segno di approvazione. "Fai
volontariato in ospedale, in orfanotrofio.. davvero encomiabile,
dolcezza." disse poi, sorridendole e facendole l'occhiolino, calcando
sulla penultima parola più di quanto fosse necessario.
Clary ridacchiò, rilassandosi visibilmente, mentre Jace gli
lanciò l'ennesima occhiataccia. "Vieni Clary." disse poi,
prendendo a braccetto la ragazza e continuando a guardare in cagnesco
Magnus. "Continuiamo la nostra passeggiata. Da soli."
Magnus avrebbe tanto voluto replicare e rimettere Shirley al suo posto
con una rispostaccia, ma si trattenne, permettendo loro di
allontanarsi. La sua attenzione, infatti, ora era tutta
sull'orfanotrofio.
Clary faceva volontariato là dentro e, forse, se ci avesse
fatto un salto, avrebbe potuto scoprire qualcosa sulla ragazza. Un
orfanotrofio doveva per forza essere ospitato da persone gentili e
caritatevoli, che non avrebbero trovato niente da ridire o di
sospettoso se lui avesse fatto una domanda o due. No?
"Se vuole visitare l'istituto, deve prendere un appuntamento."
Magnus si rifiutò di cedere allo sguardo gelido del mastino
che si trovava al di là del cancello. Anche se aveva vaghe
sembianze femminili, non era sicuro che fosse una donna quell'essere
alto due metri, infagottato in abiti informi e dozzinali, che lo
fissava torvo e che si rifiutava categoricamente di farlo entrare
nell'orfanotrofio. Erano baffi quella leggera peluria che si
intravedeva sotto il naso? Reputò saggio non avvicinarsi
ulteriormente per averne conferma o meno.
"E io le ripeto che l'ho preso giusto ieri." rispose, piazzandosi le
mani sui fianchi e guardandola battagliero. Se il mastino pensava di
liquidarlo così facilmente, ohhh aveva proprio sbagliato
persona!
"Ci sono problemi?" chiese ad un tratto una voce maschile, alle spalle
di Magnus.
Quest'ultimo si girò e si trovò faccia a faccia
con un uomo biondo che, Magnus avrebbe potuto metterci la mano sul
fuoco, nel tempo libero si dilettava sicuramente nella poco nobile arte
del crimine. Cielo, quel tizio era davvero inquietante. Aveva
frequentato ed era entrato in contatto con parecchie persone strane, ma
questo le superava tutte abbondantemente. Aveva un che di familiare, ma
non riusciva ad afferrare il volto della persona a cui quel tizio
assomigliava.
"Buongiorno, signor Verlac." rispose il mastino. "No, nessun problema.
Il signore vuole visitare l'orfanotrofio, ma gli ho già
riferito che deve fissare un appuntamento."
Magnus alzò gli occhi al cielo e tirò fuori la
sua miglior faccia di bronzo. "Buongiorno signor Verlac, sono Magnus
Bane.." esordì, porgendogli la mano. "..e stavo giusto
comunicando alla signora che ho già fissato un appuntamento,
ma deve esserci stato un disguido." mentì, incrociando le
dita dell'altra mano dietro la schiena, come faceva sempre suo figlio.
"Ma davvero?" chiese l'uomo biondo, guardandolo scettico, senza
ricambiare la stretta.
Magnus annuì, leggermente risentito che quel damerino non
avesse scambiato il gesto di cortesia. "Ho parlato.. oh cielo..
aspetti.. uhm.. com'è che si chiamava quella gentile signora
che ha risposto al telefono? Ce l'ho proprio sulla punta della lingua..
uhm.." disse, picchiettandosi il mento con fare pensoso, mentre fingeva
di richiamare alla memoria un'immaginaria conversazione telefonica con
un'altrettanto immaginaria segretaria. Ogni orfanotrofio aveva qualcuno
che gestiva la parte amministrativa, no? E di certo non poteva essere
la donna antipatica al di là del cancello!
"Non abbiamo nessuna impiegata." lo bruciò, però,
il mastino.
Magnus imprecò mentalmente, ma non si scoraggiò.
"O forse era un uomo? Sapete, la linea era parecchio disturbata ed ho
faticato non poco a sentire quello che la persona mi stava dicendo e.."
"Non abbiamo neanche un impiegato." rispose impassibile la donna,
incrociando le braccia al petto.
"Davvero? Beh, qualcuno ha risposto e mi ha fissato un appuntamento per
oggi." replicò Magnus, stizzito. Come si faceva a prendere
un appuntamento se non c'era nessuno che li prendeva? Era ridicolo!
La donna aprì la bocca, pronta a replicare, ma l'uomo biondo
alzò una mano, bloccandola. "Me ne occupo io."
Magnus si girò completamente per fronteggiare il tizio
inquietante, mentre il mastino li lasciava da soli.
"Ha detto che si chiama Bane, giusto?" chiese l'uomo biondo che,
all'accenno affermativo di Magnus, si grattò il mento.
"Bane.." sussurrò, pensoso.
"Sì e.."
"Bane.. Bane.. Bane.." continuò l'altro, ignorandolo, mentre
si picchiettava una tempia ad occhi chiusi.
"Sì, è il mio cognome.." sbuffò
Magnus, iniziando a spazientirsi. "..e ho preso appun.."
"Bane.. Bane...... BANE!!" esclamò l'uomo improvvisamente,
spalancando gli occhi di un verde talmente chiaro da sembrare due pezzi
di ghiaccio.
Sembrava sorpreso. Perché sembrava sorpreso? Che cosa
prendeva adesso a quel tizio?
"Sì e, come le dicevo, ho preso appuntamento per.."
"Sei ospite nella tenuta dei Lightwood."
Magnus lo fissò, sbalordito. Come sapeva quell'informazione?
Era certo di non aver mai incontrato quell'uomo prima d'ora. E chi gli
aveva dato il permesso di prendersi tutta quella confidenza, dandogli
del tu?
"Sì, è esatto." rispose cauto, guardandolo
guardingo.
L'uomo gli si avvicinò di più ed un vago odore
d'alcool e sudore arrivò alle narici di Magnus. Per tutti i
diavoli, quel tizio oltre che inquietante, era anche una persona
sudicia ed alticcia! Resistette all'impulso di fare un plateale passo
indietro per allontanarsi da lui e dal suo olezzo nauseabondo, non
volendo risultare sgarbato.
"Quindi tu sei un.. uhm.. un amico dell'illustre avvocato?" chiese
l'uomo con un tono sgradevole, quasi provocatorio, appoggiandosi con
una mano ad una sbarra del cancello.
"Sì, diciamo di sì." rispose Magnus, circospetto.
Uno strano ghigno comparve sul volto dell'uomo. "Perché non
entriamo?" chiese improvvisamente. "Qui fuori fa un caldo infernale."
disse, aprendo il cancello ed invitandolo con un gesto della mano.
L'istinto di Magnus scattò sull'attenti, bloccandolo sul
posto ed impedendogli di fare anche solo un accenno di passo in avanti.
Scosse la testa, in segno di diniego. "No, se non vi dispiace
preferisco fissare un altro appuntamento.. sa, per non sbagliare come
è successo oggi e.."
"Oh, ma a me dispiace. Molto." rispose l'uomo, ammiccando nella sua
direzione e fissandolo dall'alto in basso.
Magnus conosceva bene quel tipo di sguardo e trovò
quell'occhiata estremamente fastidiosa ed irritante. Non gli piaceva
quell'uomo né impazziva per come lo stava guardando. Gli
trasmetteva cattive vibrazioni e, di norma, il suo istinto non
sbagliava mai. Fece discretamente un passo indietro, pronto ad
allontanarsi il più possibile da quel posto e da lui.
L'uomo biondo, però, gli agguantò un gomito e
sorrise. "Perché non viene dentro per bere qualcosa in
compagnia? Mh?"
Magnus scosse il capo. "Non amo bere così presto." rispose,
strattonando piano il braccio per liberarlo dalla presa dell'altro.
"Così presto?" chiese l'uomo, ondeggiando lievemente sui
talloni. "Bah! Vorrà dire che berrò da solo e
brinderò alla tua bellezza inebriante." dichiarò,
sorridendo lascivamente e facendo poi scorrere la sua mano dal gomito
fino al polso di Magnus. "Sai.." sussurrò, protendendosi
verso di lui, "..se accettassi di entrare, potremmo parlare un po'. So
che sei arrivato da poco in città e potresti trarre molti
vantaggi dall'essere mio amico."
"Apprezzo l'offerta, ma non sono in cerca di quel tipo di amicizie."
ribattè Magnus, squadrandolo torvo.
"Davvero? Neanche se ti dicessi che conosco un segreto sul passato di
Alec Lightwood.." confessò l'uomo biondo, facendogli
scorrere un dito lungo il petto. "Un segreto che condividerei
più che volentieri con te.. se capisci cosa intendo."
Magnus ne aveva abbastanza. Gli afferrò la mano,
stritolandogliela quasi, e la spostò bruscamente da
sé. "Signore, tenga le mani al proprio posto, per cortesia."
sibilò, osservando soddisfatto la smorfia dell'altro. Cielo,
la tentazione di fratturargli le dita, una ad una, e poi girare i
tacchi ed andarsene era altissima, tuttavia qualcosa lo trattenne dal
farlo. Quel viscido aveva delle informazioni che potevano interessargli
e doveva ascoltarle. Per il bene di Max. Mica perché era
curioso come una scimmia. Assolutamente no.
Il sorriso dell'uomo si ampliò quando si rese conto di aver
ottenuto l'attenzione di Magnus. "Sapevi che il moccioso, quel
pidocchio che ha dichiarato di chiamarsi Maxwell Michael Lightwood Bane.."
disse, scimmiottando il bambino che aveva visto quella mattina, ".. a
proposito, perchè ha anche il tuo cognome?"
Magnus serrò le labbra ed aggrottò la fronte. Di
che cosa diavolo stava parlando? Suo figlio era andato lì
quella mattina? Non era possibile. Sapeva bene che non doveva uscire
dalla tenuta! E poi perché si era recato in quel posto? E
perché aveva sentito l'esigenza di utilizzare il suo nome
completo? Cosa diamine era successo?
Verlac scrollò le spalle e continuò il suo
monologo. "Comunque, sai che il pidocchio non è il figlio di
Alec Lightwood?". Si portò poi un dito alle labbra e
sussurrò un divertito "Shhhh!".
Magnus spalancò gli occhi, sorpreso e sconvolto allo stesso
tempo, mentre il ghigno dell'uomo aumentava a dismisura.
"Già, già. Sapevi che Alec Lightwood sa a chi ha
aperto le gambe quella sgualdrina di sua moglie, mentre lui giocava a
fare il Robin Hood dei poveri in stupidi tornei? Mh?" chiese l'uomo,
fissando con un'espressione di malvagio compiacimento il suo viso
stravolto. "Vuoi provare ad indovinare chi era l'amante?" chiese,
ridacchiando.
Magnus scosse la testa, a corto di parole.
"No? Vuoi che te lo dica io, allora?" domandò, tornando ad
accostarsi a Magnus. "Il pidocchio non è altro che il
bastardo del vecchio Lightwood!" gli sussurrò all'orecchio,
mordicchiandogli poi il lobo.
A Magnus mancò il respiro e quando trovò la forza
per parlare sembrò che fosse passato un secolo. Non era
tanto sciocco da credere a tutto ciò che quell'uomo gli
stava dicendo, ma qualcosa, nella sicurezza compiaciuta con cui gli
aveva parlato, l'aveva fatto rimanere di stucco. Non sapeva
praticamente niente di Alec e del rapporto che aveva con suo padre
perciò non poteva scartare completamente le parole del
signor Verlac. C'era solo un posto dove avrebbe forse potuto trovare le
risposte alle sue domande, ma prima c'era una questione da risolvere.
Riportò lo sguardo sull'uomo biondo e gli afferrò
la maglietta, sbattendolo con forza contro le barre del cancello. "Ora
tu mi dici cosa ci faceva mio
figlio qui questa mattina." pretese di sapere, arrabbiato.
Magnus si mordicchiò l'unghia del pollice, nervoso.
Andare alla ricerca di risposte era più stressante di quanto
avesse immaginato e, data la natura delicata della questione, aveva
evitato di rivolgersi ad Izzy e Jace. Mica poteva piombare su di loro e
chiedere "Ma Max è vostro nipote o vostro fratello? Eh?".
Alla tenuta, aveva evitato di porre molte domande alle persone che vi
lavoravano, per non insospettirli, ed anche Catarina e Ragnor non erano
stati utili alla sua causa, perché sapevano ben poco della
defunta signora Lightwood. Abbandonata ogni speranza di ottenere
informazioni da loro, decise quindi di concentrare i suoi sforzi
sull'unica persona che sicuramente avrebbe potuto dissipare ogni suo
dubbio. Hodge.
Lo trovò mentre esaminava attentamente il lavoro di un
cameriere e nascose un sorriso quando vide lo sguardo riconoscente di
quest'ultimo nel momento in cui chiese ad alta voce "Hodge, saresti
così gentile da accompagnarmi a visitare le gallerie?"
L'uomo acconsentì di buon grado ed iniziarono il giro dalla
galleria inferiore, passando davanti ad una moltitudine di dipinti e
foto degli antenati Lightwood e dei familiari più recenti.
Una foto, in particolare, attirò l'attenzione di Magnus: una
donna bellissima e dai lunghi capelli neri lo osservava da un'elaborata
cornice dorata. Aveva un neonato in braccio ed altri tre bambini
circondavano la poltrona su cui era seduta: la più piccola
aveva i capelli pettinati in due code sbarazzine e sorrideva accanto ad
un bambino biondo, che si era messo in posa come Superman, ed ad un
piccolo ometto dai capelli neri e due abbacinanti occhi blu che fissava
serio l'obiettivo. Sorrise nel riconoscere i tre fratelli Lightwood, ma
chi era il bambino in braccio alla donna?
"La signora Maryse Lightwood." spiegò Hodge, mettendosi di
fianco a Magnus ed osservando, con lui, l'immagine.
"Assomiglia tantissimo ad Isabelle." sussurrò Magnus,
incantato. Non gli fu difficile notare che, in quei tratti, c'era anche
molto di Alec: gli zigomi alti, la linea del naso, le labbra carnose,
gli occhi blu. Quelli della donna erano diversi dalla sorprendente
tonalità che caratterizzava gli occhi di Alec e di suo
figlio, ma erano comunque notevoli. "Cosa le è accaduto?"
"Un incidente. E' successo molti anni fa." rispose, laconico, Hodge.
Se c'era una cosa che Magnus aveva capito del maggiordomo era che, per
spronarlo a dire più di quanto già non dicesse,
non bisognava pressarlo con continue domande. Rimase quindi in silezio,
in paziente attesa, sperando che l'altro continuasse il racconto.
"Quello tra la signora Lightwood ed il defunto signor Lightwood era
quel che si definisce, volgarmente, un matrimonio combinato."
mormorò, dopo un po', Hodge. "Mi dispiace dirlo, ma non
c'era affetto tra marito e moglie e, col tempo, non erano neppure
diventati amici. Se posso parlare con sincerità, nessuno le
avrebbe mai fatto una colpa se se ne fosse andata via. Malgrado i suoi
lati positivi, infatti, il signor Lightwood senior era un uomo
difficile e col passare degli anni.. beh è diventato quasi
impossibile. Tuttavia la signora rispettò il volere della
famiglia e rimase accanto al signor Lightwood fino al giorno della sua
morte. Fu una grave perdita. Per tutti." concluse, girando le spalle
alla foto e proseguendo lungo il corridoio.
Magnus diede un'ultima occhiata all'immagine, per poi seguire il
maggiordomo, continuando ad ammirare i quadri e le foto della galleria.
C'erano un mucchio di domande che lo tormentavano, bruciandogli le
labbra, e che moriva dalla voglia di fare, ma non sapeva né
come porle, senza risultare troppo indiscreto, né da quale
iniziare.
Si fermò davanti ad un'altra foto che gli diede il
là per cominciare a soddisfare la sua curiosità.
Raffigurava un bambino dai capelli neri ed una spessa montatura di
occhiali, che sorrideva timido e che assomigliava moltissimo ad Alec ed
Isabelle.
"Chi è?" chiese, piegando la testa.
"Maxwell Lightwood, il terzogenito di Robert e Maryse Lightwood."
mormorò Hodge.
Magnus spalancò gli occhi, sorpreso. Quel bambino doveva
essere era il neonato in braccio a Maryse Lightwood. C'era un quarto
fratello, quindi, di cui aveva ignorato l'esistenza fino a quel
momento, e portava il nome di suo figlio. Perché nessuno
gliene aveva mai parlato? Una cattiva sensazione iniziò a
strisciargli dentro, lasciandogli un insolito malessere addosso.
Isabelle e Jace non l'avevano mai menzionato e, persino non guardandolo
negli occhi, Magnus aveva percepito chiaramente il velo di tristezza
che era sceso sul maggiordomo. Temeva la riposta della domanda che
stava per porre.
"Cosa.. cosa gli è successo?" bisbigliò,
preoccupato, girandosi verso di lui.
"Un incidente." rispose, piano, Hodge.
Un incidente. La stessa sorte della madre, quindi. La sfortuna si era
davvero accanita su quella famiglia. Che fossero deceduti nella stessa
tragedia?
"Che tipo di incidente?" chiese quindi, trattenendo quasi il fiato.
Hodge scrollò le spalle e passò oltre la foto
incorniciata. Magnus intuì che non avrebbe saputo nulla di
più del piccolo Maxwell. Riportò lo sguardo sulla
foto e, con un sorriso triste, lo salutò con un cenno della
mano, prima di ritornare a seguire il maggiordomo.
Mentre continuavano ad esplorare la galleria, Magnus notò
che, proprio come nel resto della casa, anche in quel posto non c'era
niente che ricordasse Lydia. Non una foto, non un dipinto, niente.
Doveva capire perché.
"Credo che a Max piacerebbe vedere tutte queste foto."
iniziò, prendendola alla lontana.
"Oh, ma l'ha già visitata." lo informò Hodge, con
approvazione. "L'ho trovato un paio di giorni fa che gironzolava qui
dentro e mi sono offerto di fargli da guida, per raccontargli chi sono
le persone raffigurate nei dipinti e nelle foto, ed ha accettato."
"Davvero?" chiese Magnus, sorpreso. Suo figlio non gliel'aveva detto.
Hodge annuì. "E' proprio un bravo ragazzino. Spero che
accetterà le mie congratulazioni, signor Bane, per il modo
in cui l'ha cresciuto."
"Ohhh il merito è tutto suo. E' un bambino intelligente e
dal cuore grande." sorrise Magnus. "Cercava qualcosa in particolare?"
chiese, curioso.
"Sì, signore. Un ritratto od una foto di sua madre." rispose
il maggiordomo, guardando esitante nella sua direzione.
"Più che comprensibile." commentò Magnus,
osservando un dipinto di una città lambita dal mare, con le
mani dietro la schiena. "E' curioso di capire chi era la sua mamma."
Non aveva mai scattato una foto a Lydia, nel brevissimo tempo in cui
erano stati insieme, ed era riuscito a soddisfare la
curiosità di suo figlio solo con i pochi frammenti che la
sua mente riusciva a ricordare. Magnus si chiese, non per la prima
volta, se si fosse comportato correttamente nei confronti di suo
figlio, ma sapeva già qual era la risposta. Non aveva mai
indagato sul passato di Lydia, non si era mai posto il problema di
scoprire chi fosse in realtà, né da dove venisse
o perché scappasse. Niente. Si era limitato a rispettare il
patto ed a prendersi cura di Max, senza tenere conto che, forse, c'era
anche un altro lato della medaglia. Non aveva mai minimamente preso in
considerazione che forse c'erano due famiglie in ansia per la scomparsa
di quella ragazza prossima al parto, che forse un uomo cercava
disperatamente la propria compagna e suo figlio (anche se non si poteva
certo dire che fosse il caso di Alec, visto com'era andata all'inizio).
Era stato davvero egoista.
"Non c'è comunque un ritratto od una foto di Lydia che Max
potrebbe vedere?"
Hodge scosse il capo. "Non nella tenuta, signore. Le foto purtroppo
sono andate perdute e non è mai stato fatto un ritratto.
Vedete si sposarono nove anni fa ed un mese dopo il signor Lightwood
iniziò il college alla Columbia University, che
impegnò quasi tutto il suo tempo. Sa che se lo contesero le
migliori scuole? Stanford, Yale, Princeton, Harward.."
elencò, con orgoglio, il maggiordomo. "Ma lui scelse la
Columbia per restare più vicino alla famiglia ed aiutare,
nel poco tempo libero che aveva, il padre con lo studio legale. Era
anche uno sportivo, lo sa?"
"Davvero?" chiese Magnus, sorpreso. Ignorava anche questo e lo aggiunse
alla lunga lista di cose che non conosceva di Alec.
"Era un arciere fenomenale. Non sbagliava un colpo e centrava sempre il
bersaglio." gli confermò Hodge, con un sorriso.
Un arciere. Quel viscido di Verlac aveva detto che Alec "giocava" a
fare il Robin Hood dei poveri, quindi, almeno su questo, non aveva
mentito. "Perché ha smesso?" chiese poi.
"Lo studio e l'attività di famiglia venivano prima di
tutto." sospirò Hodge.
"E Lydia?"
"La signora Brandwell-Lightwood rimase qui nella tenuta solo per pochi
mesi. Sa ci accorgemmo subito che non stava bene e che passava molto
tempo ritirata nelle sue stanze, spesso a letto, ma nessuno, ad
eccezione del signor Lightwood senior e del dottore da lui convocato,
era autorizzato ad occuparsi di lei. Si presero cura della signora per
quattro mesi e poi una mattina la casa fu sconvolta dall'agitazione.
Durante la notte la signora Lightwood era sparita! Quando scomparve,
abbiamo persino temuto un gesto estremo ed inconsulto per via della sua
salute cagionevole." continuò Hodge, serio, scuotendo poi la
testa. "Per rispondere alla sua domanda iniziale, sono certo che la
famiglia Brandwell abbia delle foto della signora Lightwood."
Magnus ebbe un tuffo al cuore. Le menzogne che avvolgevano il
concepimento di Max gli affollarono la mente e iniziò a
formulare un'ipotesi su cosa fosse successo realmente. Il padre di Alec
doveva aver isolato Lydia per non far sapere a nessuno della gravidanza
e, prima che questa si iniziasse a notare, inscenò la fuga
per nasconderla chissà dove. Il solo pensiero, di
ciò aveva architettato quell'uomo subdolo,
disgustò Magnus.
"Non lo sapeva."
Le parole che Jace gli aveva riferito, quando si era presentato a
Londra per riportare a casa Max, finalmente ora avevano un senso.
Magnus aveva sempre pensato che ad Alec non importasse niente di Lydia
e Max, ma anche quella verità, che lui credeva assoluta, si
frantumò miseramente.
Si fermarono di fronte al ritratto di Robert Lightwood. Era un uomo
attraente, il portamento emanava fierezza ed autorità e solo
i capelli lievemente brizzolati ne rivelavano l'età. Magnus
si chiese, per un momento, se Lydia avesse davvero trovato l'amore tra
le braccia di quell'uomo o se fosse più che altro solo un
effimero conforto, in conseguenza alla freddezza e all'indifferenza che
la circondava.
Fissò il dipinto minuziosamente e notò la
somiglianza di Alec anche con suo padre: il portamento elegante, la
linea del mento, la forma delle orecchie.
"Un anno dopo che il ritratto fu completato, il signor Lightwood senior
cadde da cavallo e perse l'uso delle gambe. Mi spiace dire che questo
incidente peggiorò il suo carattere, già di per
sè piuttosto complicato. Ogni anno era sempre più
infuriato ed aggressivo.. a volte sfiorava addirittura la pazzia."
"Quando è morto?" chiese Magnus, voltandosi verso il
maggiordomo.
"Quasi due anni fa."
Due anni. Jace gli aveva detto che ci era voluto circa un anno e mezzo
per rintracciarli.. La morte del padre aveva dato quindi inizio alla
ricerca del figlio.
Magnus riportò lo sguardo sul dipinto, vergognandosi di se
stesso. Il senso di colpa, che già provava nei confronti di
Alec, in quel momento arrivò a livelli quasi insopportabili.
Non era stato menefreghista nei confronti di Lydia e Max, né
era il mostro che aveva sempre pensato che fosse. Ora sapeva. Alexander
Lightwood era leale e devoto e, per salvare l'onore della famiglia, si
era fatto carico di tutti gli errori commessi dal padre, tentando di
porvi rimedio.
Tutto ciò rendeva le cose più difficili.
Continuare ad odiare Alec, infatti, stava diventando più
complicato del previsto.
---
Note dell'autrice
Con questo capitolo ne approfitto per augurare a tutti voi BUON 2019!!
:-*
Un bacio e a presto!
|
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Capitolo 16 *** Capitolo 16 ***
Il sole del mattino
inondava, con i suoi raggi, il verde prato del parco della tenuta. Era
una bellissima giornata e una lieve brezza scompigliava i capelli di
Magnus, mentre se ne stava appoggiato alla finestra della propria
camera, osservando il panorama e tamburellando senza sosta le dita sul
liscio marmo del balcone.
Prese il cellulare posato accanto a lui e diede un'occhiata al display,
ma, proprio come per le altre venti volte in cui l'aveva guardato in
quei dieci minuti, non c'era nessuna notifica di messaggio in arrivo.
Gli venne il dubbio che magari si fosse bloccato, che quel vecchio
rudere non stesse affatto funzionando a dovere e quindi lo
riavviò. Quando si riaccese, gli diede giusto il tempo di
riattivare tutte le funzioni, prima di sbloccare lo schermo. Niente.
Zero messaggi o chiamate.
Per tutti i diavoli, cosa diamine stava combinando Cat?
Perché non lo aggiornava?
Prese un bel respiro e poi lo rilasciò lentamente, ma fu del
tutto inutile e, mentre le dita si muovevano sempre più
veloci, iniziò a battere anche il piede sul pavimento.
Cinque minuti. Avrebbe dato a Cat altri cinque minuti, poi sarebbe
sceso di persona a vedere che cosa stavano combinando quei due.
Dopo aver parlato con Hodge, aveva riflettuto a lungo. Ciò
che aveva scoperto il giorno prima l'aveva fatto vergognare di se
stesso, come mai gli era capitato in vita sua. Aveva vomitato addosso
ad Alec i peggiori insulti, l'aveva evitato, per quanto possibile, e
trattato alla stregua di un appestato, per poi scoprire che,
effettivamente, quel benedetto ragazzo non sapeva davvero
dell'esistenza di Max, che non l'aveva ignorato per tutti quegli anni
perché di lui non gliene importava niente.
Non che comunque lui avesse tutte le colpe di questo mondo, eh! Anche
Alec aveva la sua bella fetta di responsabilità per come si
era comportato fin dall'inizio. Aveva quel caratteraccio che.. Ed era
così scorbutico! E saccente. E pedante. E puntiglioso.
No, non era comunque questo il punto. Il punto era che Magnus era una
persona matura. Ed un persona matura sa riconoscere i propri errori,
ponendovi rimedio. Già. Lui, Magnus Sono Una Persona Davvero Matura
Bane avrebbe chiesto scusa ad Alec, nonostante questi sembrasse avere
sempre un manico di scopa ficcato nel didietro.
Sissignore, Magnus gli avrebbe chiesto scusa. Perché lui era
una persona matura.
Oltre alle sue mature scuse, aveva anche deciso che Alec e Max dovevano
creare assolutamente un legame. Qualunque fosse il loro grado di
parentela, quei due si erano ignorati più che a sufficienza
ed era venuto il momento che si rendessero conto l'uno dell'esistenza
dell'altro.
Quella mattina, quindi, aveva chiesto ad Hodge di informare l'avvocato
e Max che continuava a non sentirsi troppo bene e che non sarebbe sceso
a fare colazione con loro. Era una scusa fiacca e banale, ma era
servita a far cenare i due insieme la sera prima.
Non aveva idea, però, di come fosse andata e stava
letteralmente morendo dalla curiosità! Che cosa si erano
detti durante quei lunghi minuti che avevano passato da soli? Di cosa
avevano parlato? Aveva provato a chiederlo ad Hodge, quando era venuto
a portargli la cena in camera, ma, santissima pazienza, quell'uomo era
peggio di una tomba quando ci si metteva! Non gli aveva rivelato un
tubo!
Non si era fatto comunque scoraggiare ed aveva quindi sguinzagliato Cat
perché captasse qualche discorso, ma Hodge, l'uomo
più guastafeste del mondo, doveva aver fiutato qualcosa e
l'aveva spedita lontano dalla sala da pranzo. Che persona malfidente,
santo cielo!
La sua amica gli aveva però garantito che gli avrebbe fatto
rapporto su quanto sarebbe accaduto durante la colazione. Il problema
era che Cat, fino a quel momento, non l'aveva ragguagliato su niente.
Neanche un messaggio striminzito per dirgli, chessò, che si
erano sputati in un occhio. Niente. Silenzio assoluto.
Magnus fu colto da un pensiero improvviso. Che Hodge le avesse
confiscato il cellulare e l'avesse segregata in cucina? Quell'uomo era
capace di tutto!
Sbuffò, stizzito, diede un pugno secco al marmo e si diede
poi slancio con le braccia per staccarsi dal balcone. "Presidente, io
vado!" esclamò, deciso, rivolgendosi al gatto che se ne
stava acciambellato ai piedi del suo letto, mentre si dirigeva a passo
svelto verso la porta.
Il micio registrò l'informazione aprendo appena un occhio e,
quando sentì la porta chiudersi dietro all'umano che aveva
il compito di servirlo e riverirlo, tornò al suo sonnellino.
Max era arrabbiato. No, quell'aggettivo non rendeva giustizia a quello
che provava. Era di più, molto molto di più. Era
furioso.
Come aveva potuto, suo padre, pugnalarlo in quella maniera? Si fidava
ciecamente di lui e l'aveva tradito in quel modo! Mai si sarebbe
aspettato un tiro mancino del genere. Mai! Lasciarlo solo con
l'avvocato.. ma era impazzito per caso? Come aveva potuto lasciare il
suo unico figlio, anche se non era sangue del suo sangue, in quella
situazione? Senza neanche avvertirlo, per giunta!
Lasciato da solo in balia di quell'uomo antipatico, senza neanche poter
dire la sua.. no, non ci si comportava così!
Rimestò, con stizza, i cereali nella sua tazza, mentre
pensava a quello che il suo papà avrebbe dovuto fare per
farsi perdonare. Qui in gioco non c'era il perdono per un'inutile
sgridata. Oh no, no, no! L'aveva combinata davvero grossa e, se voleva
di nuovo i suoi abbracci, le sue coccole e i suoi "Ti voglio tanto
bene, papino!", avrebbe dovuto trovare un modo molto carino per
chiedergli scusa! Un regalo, una sorpresa, qualcosa di spettacolare
insomma.
Un nitrito catturò la sua attenzione e alzò la
testa dai suoi cereali, ormai ridotti in poltiglia, sorridendo in
direzione dei cavalli che si trovavano nel loro recinto. La colazione,
fortunatamente, veniva servita sotto il patio, che si trovava dietro
casa, e Max adorava quel posto, fuori all'aria aperta. Non poteva dire
lo stesso della deprimente sala dove pranzavano e cenavano,
perché gli metteva addosso sempre una certa inquietudine.
Quella casa era strana.. a volta gli sembrava addirittura di avvertire
strane presenze!
"Ti piacciono?" gli chiese l'avvocato, prendendolo alla sprovvista.
Max spostò lo sguardo su di lui, sorpreso. Non si era
accorto che l'uomo lo stava fissando perché, fino a quel
momento, nessuno dei due aveva ancora rivolto la parola all'altro e non
si aspettava quindi di sentire la sua voce.
Ricordò che gli aveva già posto una domanda
simile, ma, proprio come allora, decise di non rispondergli e
scrollò le spalle.
"Forse ti piacerebbe cavalcarne uno, da solo. Se vuoi, chiedo al signor
Fell di trovarti un pony docile e poi puoi cominciare quando vuoi."
proseguì l'avvocato.
Max voleva cavalcare. Voleva davvero davvero davvero imparare a
cavalcare un pony. "No!" pensò ad un tratto. Non un pony.
Voleva cavalcare un cavallo grande e bello come quello dell'avvocato.
Il suo giuramento gli impedì tuttavia di mostrare entusiasmo
e si limitò quindi ad annuire piano, nascondendo l'accenno di
un sorriso dietro al bicchiere di succo che stava bevendo.
L'avvocato fece un breve cenno del capo. "Bene, dirò allora
al signor Fell di procedere." disse, alzandosi poi dalla sedia ed
avviandosi verso l'interno della casa.
A momenti rischiò di scontrarsi con il suo papà,
che era sbucato come un razzo sulla soglia della porta, e poi,
quest'ultimo, fece la cosa più bizzarra, più
strana, più incredibile, più assurda,
più sbalorditiva che gli aveva mai visto fare da quando era
nato. Il suo papà arrossì! Certo, non era
diventato bordeaux come l'avvocato, il cui viso sembrava sul punto di
prendere fuoco, ma le sue guance assunsero il colore delle ciliegie che
stavano nel cestino della frutta posto sopra al tavolo. Max era
certissimo di non aver mai mai mai, ma proprio mai, visto quel leggero
rossore sulle gote di suo padre. Mai!
Fissò a bocca aperta quello che sicuramente doveva essere il
sosia del suo papà, non credendo ai propri occhi, ed
alternando poi lo sguardo da lui all'avvocato, strabiliato ed
incredulo. Cosa capperi prendeva a quei due?
"S-s-signor Bane.." balbettò l'avvocato, accennando un
leggero inchino.
Il suo papà fece appena in tempo ad alzare la mano, in un
debole saluto, prima che l'altro si volatilizzasse all'interno della
casa.
"C-che c'è?" gli chiese suo padre, quando si accorse che lo
stava fissando intensamente.
Max scosse la testa, incapace di dare una spiegazione a quanto aveva
appena visto. Di una cosa era certo, però: gli adulti erano
strani. Molto molto molto strani!
"Mirtillo, dobbiamo parlare." annunciò Magnus, andando a
sedersi di fianco a lui.
Max si riscosse ed incrociò le braccia al petto.
"Sì, dobbiamo. Sappi che sono molto molto moooolto furioso
con te." lo informò, guardando suo padre con un cipiglio
arrabbiato.
"Addirittura? Beh, se proprio lo vuoi sapere, anch'io sono furioso con
te." ribattè Magnus, alzando il mento e reprimendo un
sorriso.
Max lo guardò con circospetto. "Perché?"
Suo padre scosse la testa. "Ahn ahn! Prima tu. Perché sei
furioso con me?"
"E me lo chiedi?" domandò Max, spalancando le braccia,
esasperato. "Mi hai lasciato da solo con il signor Lightwood! Da solo,
papi! Ho dovuto cenare e fare colazione da solo con lui!"
ribadì indignato.
"Mi pare che sei sopravvissuto, no?" gli chiese Magnus, sorridendo e
dandogli un buffetto sul naso.
"Ma papi!" ribattè Max, allontanandogli la mano dal suo viso
e scuotendo energicamente la testa. "Non puoi lasciarmi da solo con il
signor Lightwood!"
"Perché no? Se lo conoscessi un po' meglio, magari potresti
scoprire che è una persona simpatica."
Max spalancò la bocca, sorpreso. La tentazione di darsi un
pizzicotto sul braccio, per capire se stava ancora sognando o meno, era
forte e l'ipotesi del sosia tornò a farsi strada nella sua
mente. Era l'unica soluzione plausibile.
"Chi sei tu?" lo accusò, sgomento. "E che ne hai fatto del
mio papà?"
Magnus ridacchiò. "Ohhh smettila, principe del dramma!"
disse, premendogli l'indice sulla fronte e facendogli indietreggiare la
testa. "Ti assicuro che il signor Lightwood non è
così male."
Questa poi! O il suo papà stava delirando oppure.. Max
strabuzzò gli occhi, folgorato da un'idea che gli era
balzata all'improvviso nella mente. No, non poteva essere. Eppure..
"Ti.. ti piace il signor Lightwood?" gli chiese, incerto.
"Cos.. NO!" ribattè Magnus, indietreggiando col busto.
"Santo cielo, Mirtillo, come ti viene in men.."
"Ohhh per tutti i cavolini di Bruxelles!" esclamò Max,
sorpreso, portandosi le mani alla bocca. "Ti piace! Ti piace il signor
Lightwood!"
"Mirtillo smettila! Alec non mi piace in quel senso e.."
"Ohhh per Lilith! Ti piace! Ti piace davvero!" sorrise incredulo Max,
agitandosi sulla sedia.
Magnus gonfiò le guance e poi sbuffò sonoramente.
"Ma parliamo di te. C'è niente che mi devi dire?" chiese,
imbronciato, incrociando le braccia al petto.
Max ridacchiò. "Non cambiare discorso, papi! Ti piace il
signor Lightwood! Ti piace il signor Lightwood! Ti piace il signor
Lightwood!" cantilenò, muovendo la testa a destra e a
sinistra.
Magnus gli mise una mano sulla bocca. "Piantala!" protestò,
puntandogli l'indice contro. "Ripeto: c'è niente che mi devi
dire?" chiese nuovamente, alzando un sopracciglio e posando la testa su
una mano.
Max si fece pensieroso. "Uhm.. no!"
"Sicuro?"
"Uhm.. sì!"
"Ne sei davvero sicuro? Al cento per cento? Pensaci bene."
Max fissò suo padre. Dove voleva andare a parare? "Uhm..
sì.. sono.. sì, sono sicuro." rispose, facendo
spallucce.
Magnus annuì. "Allora era un bambino che ti somigliava in
modo sorprendente quello che si è recato nell'orfanotrofio Il Circolo ieri
mattina." disse, picchiettandosi il mento con l'indice, fingendo di
pensarci su.
Max sbiancò. Come faceva il suo papà a sapere
della sua "scappatella" mattutina? Chi aveva fatto la spia? Rafe? No,
impossibile. La signorina Morgenstern? Forse. L'uomo biondo e cattivo?
No, lo escludeva. Che motivo avrebbe avuto di chiamare suo padre? Era
svantaggioso anche per lui, visto come l'aveva trattato.
"Chi.." iniziò Max, preoccupato.
Magnus scrollò le spalle. "Non è importante chi
è stato a dirmi della tua visita. Mi interessa sapere cosa
sei andato a fare là."
Max si morse con forza il labbro inferiore. "Non posso dirtelo."
"Perchè no?" gli chiese suo padre, sorpreso.
"Perchè ho fatto una promessa e tu mi dici sempre che le
promesse si devono mantenere!" rispose Max, torturandosi le mani.
"E' vero, ma quando mio figlio sgattaiola fuori dalla tenuta, cosa che
gli è tassativamente proibito fare," cominciò
Magnus, alzando un indice per ammonirlo, "per attraversare l'intera
città ed intrufolarsi in un orfanotrofio.. beh, devo sapere
il perchè!"
Max strinse le labbra. "Ho promesso.."
"Non voglio costringerti ad infrangere una promessa." disse Magnus,
alzando le mani. "Ma pretendo di sapere chi ti ha fatto questo."
sibilò, alzando leggermente la manica della maglietta di Max
per scoprire il livido attorno al suo braccio, lì, dove
l'uomo cattivo l'aveva afferrato.
Il labbro inferiore di Max tremò, poi si tuffò
tra le braccia di suo padre e, tra le lacrime, gli raccontò
tutto.
Un respiro, poi un altro ancora. Chiuse gli occhi ed espirò
profondamente, svuotando lentamente i suoi polmoni ed alzò
la mano, pronto a bussare alla porta. Incanalò, per
precauzione, un altro po' di ossigeno. Metti mai che andasse in
iperventilazione..
Che poi, perché doveva sentirsi così agitato?
Doveva semplicemente parlare con un uomo, santo cielo. Sì,
era affascinante, ora riusciva a vederlo ed ad ammetterlo chiaramente,
ma era pur sempre un normale essere di sesso maschile. Ok, magari non
lo si poteva propriamente descrivere come una persona nella norma,
visto quanto era carino, ma vabbé, erano dettagli.
Oltretutto aveva una discreta esperienza in fatto di bei fusti, per non
dire particolarmente promiscua, quindi non c'era davvero motivo per
agitarsi tanto.
E poi mica dovevano parlare di quello che avevano fatto, sentendosi
entrambi a disagio ed in imbarazzo. Assolutamente no. Non stava andando
nella sua camera, nel luogo del delitto,
per quello! Erano altri i suoi piani.
Non si era preparato nessun discorso, sarebbe andato a braccio, ma
aveva ben in mente lo scopo di quella imminente chiacchierata e non
sarebbe uscito da quella stanza fino a quando la sua richiesta non
sarebbe stata esaudita.
Quindi, con tutte quelle belle premesse, ordinò al suo cuore
di smettere immediatamente di battere così all'impazzata.
Che si desse un contegno, per Lilith!
Bussò alla porta e, quando la voce di Alec dire "Avanti.",
entrò nello camera.
Alec era seduto alla sua scrivania e stava scrivendo qualcosa su un
bloc-notes. Quando lo vide, si bloccò immediatamente ed
arrossì subito dopo.
Ok, poteva farcela. Potevano farcela. Non c'era niente di complicato
no? Era solo una semplicissima, banalissima chiacchierata tra due
adulti. Semplice.
"Ciao.. posso.. ti disturbo?" chiese Magnus, adocchiando, incerto, la
mole di carte e fascicoli sparsi sopra la scrivania, sul letto ed
addirittura per terra.
"S-signor Bane, buon.. buongiorno." balbettò Alec, mentre
anche le orecchie cominciavano a tingersi di rosso.
Magnus alzò gli occhi al cielo. "Ma per favore! Smettila con
questo signor Bane! Dammi del tu e chiamami Magnus, per Lilith!"
pretese, sbuffando sonoramente.
"S-signor Bane.. Magnus!" si corresse Alec, all'occhiataccia
dell'altro. "Cosa.. cosa posso fare per le.. per te! Cosa posso fare
per te?"
Magnus annuì, avanzò silenzioso nella stanza,
andò a sedersi sul bordo del letto e prese l'ennesimo
respiro profondo. Poi sganciò la bomba. "Voglio adottare un
bambino. Puoi aiutarmi?"
Alec si girò completamente sulla sedia, verso di lui, e
strabuzzò gli occhi. Di certo, tra tutte le cose che Magnus
avrebbe potuto dire, quella probabilmente non gli era neppure passata
per l'anticamera del cervello. Comprensibile. Non sapeva neanche lui di
voler adottare un bambino fino a trenta minuti prima!
"Puoi.. puoi ripetere?" chiese Alec, a bocca aperta.
"Voglio adottare un bambino." ripetè Magnus, pronunciando,
questa volta, la frase con più calma.
"Un bambino." disse Alec.
Magnus annuì, accavallando le gambe.
"Vuoi adottare un bambino."
Magnus annuì nuovamente.
"Un.. un bambino vero?" chiese Alec, cauto.
Magnus aggrottò la fronte. "Perché? Esistono
bambini finti?"
"Beh.. sì."
"Davvero?" domandò Magnus, piegando la testa di lato.
Alec prese il telefonino, digitò qualcosa sullo schermo e,
dopo pochi secondi, girò il cellulare a favore di Magnus,
per mostrargli le foto della sua ricerca.
Magnus si sporse verso di lui, curioso di quello che gli voleva far
vedere. "Ohhh quanto è carina!" disse, osservando la foto di
una bella bambina dalla carnagione rosea e dai capelli biondi.
"E' finta." lo informò Alec, asciutto.
"Non è vero." esclamò Magnus, stupefatto,
prendendogli il telefonino dalla mano per fissare meglio l'immagine.
"E' una bambola Reborn."
"Una che?" chiese Magnus, tornando a guardarlo, stranito.
"Sono bambole estremamente somiglianti a bambini veri."
"Dio sembra davvero vera. E' inquietante tutto ciò!"
Alec annuì, comprensivo.
"E' legale?" chiese Magnus, dubbioso.
Alec sorrise. "Per quanto ne sappia, sì."
"Pazzesco." borbottò Magnus, scuotendo la testa.
"Quindi.." iniziò poi Alec, titubante. "il bambino che vuoi
adottare.."
Magnus sgranò lo sguardo, quasi inorridito. "Ommioddio Alec!
No! Il mio bambino è decisamente vero!"
"Ok." disse Alec, cauto. "E questo bambino.. è un bambino
specifico o vuoi metterti in lista per adottarne uno?"
"Rafe. Il bambino che voglio adottare si chiama Rafe ed attualmente si
trova all'orfanotrofio Il
Circolo."
Alec spalancò gli occhi, sorpreso. "Come.. come conosci
questo bambino?"
"Non lo conosco, lo conosce Max." gli rivelò Magnus,
scuotendo le spalle. "E, se quello che nostro figlio mi ha detto
corrisponde al vero (e non ho alcun motivo di dubitare di quello che mi
ha raccontato), ho ragione di credere che quel bambino sia in pericolo
e devo assolutamente tirarlo fuori da quel posto infernale. L'unico
modo che mi viene in mente quindi, per farlo, è adottarlo."
Alec scattò in piedi, come una molla, ed arrivò
di fronte a Magnus, afferrandolo per le spalle con decisione. "Cosa ti
ha detto il ragazzino? Ti prego dimmi quello che ti ha detto! Devo
saperlo, Magnus!" lo implorò, scuotendolo leggermente.
"Non posso dirtelo." rispose Magnus, scuotendo piano la testa.
"Cos.. COSA???" urlò Alec, incredulo. "Perché?"
"Perché l'ho promesso a Max!"
"Ma vai a quel paese!" tuonò Alec, esasperato, mettendosi le
mani tra i capelli. "Non mi interessa quello che hai promesso al
ragazzino! Dimmi cosa ti ha detto!"
Magnus si accigliò. "Primo, datti una calmata
perché, se continui così, ti viene un colpo
apoplettico e ci lasci le penne, lo dico per te. Secondo, si
può sapere perché ti interessa così
tanto? E, terzo, concentrati su quello che ti ho chiesto. L'adozione.
Ricordi?"
"Ommioddio! Lo vedi come sei? Tu sei.. oddio.. tu sei.. argh!!"
sbottò Alec, sull'orlo di una crisi di nervi, gettando la
testa all'indietro e chiudendo gli occhi con forza. "Sei.. sei
impossibile! Ecco cosa sei! DIO!!!" terminò, tornando a
guardarlo.
Magnus fissò Alec, sgomento. Ma per tutti i diavoli del
cielo e della terra, che tipo di problemi aveva quel ragazzo? Si
alzò con calma e lo fissò, glaciale. "Bene, visto
che non vuoi aiutarmi, chiederò a qualcun altro. Scusa se ti
ho disturbato."
"Oh per l'angelo, Magnus!" esclamò Alec, afferrandogli il
braccio. "Mi servono quelle informazioni, cazzo!"
Magnus spostò la mano con stizza. "Buona giornata, Alec."
disse, girandosi poi verso la porta per andarsene.
"Bene! Se non vuoi dirmelo tu, torchierò il ragazzino!" lo
avvertì Alec, puntandogli l'indice contro.
Magnus si girò di scatto, scuotendo la testa. "Non osare."
Alec alzò il mento ed incrociò le braccia al
petto. "Prova ad impedirmelo." lo sfidò.
Magnus strinse i pugni lungo i fianchi e, con calma, tornò
da lui, parandoglisi davanti. "Non provarci." sibilò.
"Altrimenti?" sussurrò Alec, alzando un sopracciglio e
sorridendo ironicamente.
La tentazione di toglierli quel sorriso strafottente travolse Magnus
come un'onda anomala e conosceva un unico modo per riuscire nella sua
impresa.
"Ho sculacciato raramente nostro figlio, ma è capitato."
bisbigliò Magnus, avvicinando il volto al suo e fissandolo
intensamente negli occhi. "Non ho alcun problema a farlo anche con te, Alexander."
Gli afferrò poi la nuca e schiacciò la propria
bocca contro la sua, prima che riuscisse a replicare. Alec
esitò un solo istante, poi aprì le labbra
spontaneamente e Magnus capì che non c'era più
possibilità di staccarsi da lui e tentare, magari, di fare
del sarcasmo. Quella che era iniziata come una possibile punizione, si
trasformò, ben presto, in tutt'altro.
Si baciarono con feroce avidità, accordi e contrasti
s'incenerirono nel calore del loro desiderio. Tutto calò su
di loro impetuosamente e Magnus sentì il sangue pulsargli
violento nelle vene.
Approfondì il bacio ed affondò le mani nella
massa setosa dei capelli di Alec, arretrando con lui verso il letto e
cadendovi sopra. Si staccò dalle sue labbra solo quando la
necessità di respirare si fece impellente e nascose il volto
nel morbido incavo del suo collo, baciandogli la pelle morbida ed
accaldata della gola, mentre le mani lasciavano i capelli per scivolare
giù, accarezzando le sue spalle e seguendo tutta la linea
della schiena.
Dovette frenarsi per non strappargli la maglietta, tanto che le mani
gli tremarono per lo sforzo di controllarle, e si congratulò
con se stesso quando riuscì semplicemente a sfilargliela,
lasciandola intatta.
Ad ogni tocco delle sue labbra avvertì Alec venire percorso
da un lungo fremito, mentre sentiva sotto la bocca le cicatrici del suo
petto, il battito del suo cuore, il movimento rapido del suo respiro.
Era disarmante rendersi conto di essere dotato di un simile potere.
Il tempo si dissolse in un susseguirsi di movimenti, di frenetici
sussurri e in un piacere che sfiorava quasi l'agonia, ma quando Alec
bisbigliò il suo nome, con quel suo accento cantilenante,
timido ed incredibilmente erotico, l'autocontrollo di Magnus
andò a farsi benedire.
Desiderava il possesso completo e caddero entrambi in un ritmo
incalzante che li catturò in una tensione bruciante,
finché lo sentì tremare sotto di sé ed
esplodere in gemiti affannosi della soddisfazione. Subito dopo anche
lui sentì il calore, il lampo e l'esplosione del massimo
piacere.
Si abbassò contro il suo collo e nascose il viso nella curva
del suo collo, tenendolo stretto tra le braccia. Rimase immobile a
lungo, assaporando la sensazione delle dita di Alec che disegnavano
piccoli lievi cerchi sulla sua schiena con effetto ipnotico,
finchè non si sentì affondare in un piacevole
stato letargico.
Alec capì che l'aveva legato. Di nuovo.
Un principio di panico si insinuò, infido, sotto la sua
pelle, ma lo ricacciò indietro, impedendogli di continuare
ad espandersi per tutto il corpo. Non si sarebbe piegato alla paura.
Avrebbe lottato.
Sentì le cinghie di cuoio stringersi attorno ai suoi polsi e
si divincolò così tanto che riuscì a
romperle. Una volta libero, scattò da un lato con un
movimento brusco e rotolò sul pavimento, pensando solo alla
fuga. Ma poi tutto si trasformò, cambiò. Era
nella sua stanza, non c'era suo padre e quello che pensava essere il
pavimento era in realtà il suo materasso.
Si sedette sul letto, disorientato, e battè le palpebre a
causa della luce accecante che entrava dalla finestra. L'unico rumore
che sentiva era il suo respiro affannoso. Sentì un lieve
fruscio alle sue spalle e voltò di scatto la testa. Quando
lo vide, ricordò tutto.
Magnus era seduto dall'altra parte del letto e lo fissava tra lo
sgomento e l'incuriosito.
Alec immerse le mani tra i propri capelli, gemendo. "Pensavo.. Credevo
che mi avesse legato un'altra volta.."
Magnus alzò un sopracciglio e scosse lievemente la testa.
"Ero io. Avevo le braccia attorno a te." disse piano, avvicinandosi a
lui e toccandogli la spalla. "E' stato solo un incubo."
tentò di consolarlo.
"Ti ho.." sussurrò Alec, respirando forte ed alzando la
testa per guardarlo negli occhi. "Ti ho fatto del male?"
Magnus gli sorrise. "Naaa." rispose, tirandogli un pugno leggero sulla
spalla. "Ci vuole ben altro per sconvolgermi." concluse, gonfiando il
bicipite e facendogli l'occhiolino.
Alec ridacchiò quando l'altro gli diede un buffetto sul
naso, mentre un po' della tensione accumulata gli scivolava via dal
corpo.
Magnus si distese nuovamente sul letto, trascinandosi sopra Alec e
stringendolo tra le braccia. C'era qualcosa, una sensazione bruciante,
un'impellente desiderio che smaniava nel suo petto. Nonostante fosse un
avvocato affermato e un uomo fatto e finito, in quel momento Alec gli
appariva come un ragazzo smarrito, fragile e vulnerabile e Magnus
sentiva la necessità di proteggerlo da qualunque demone
continuasse a perseguitarlo nei suoi sogni.
Alec si mosse nel suo abbraccio, impacciato. "Scusa."
sussurrò piano, appoggiando il viso all'altezza del cuore di
Magnus ed ascoltandone il rimbombo.
"Per cosa? Per essere stato così bisbetico prima del sesso o
per avermi dato un calcio mentre sognavi?" chiese Magnus, irriverente.
Alec si alzò di scatto su un gomito, guardandolo male.
"Cos.. non sono stato bisbetico. Io."
Magnus roteò gli occhi e gli fece la linguaccia.
"Sì che lo sei stato, ma accetto comunque le tue scuse." lo
perdonò, facendo spallucce. "In entrambi i casi."
"Guarda che sei tu quello che si è comportato male tra i
due." esclamò Alec, puntandogli l'indice contro. "Fin
dall'inizio."
Magnus spalancò gli occhi e si alzò anche lui sui
gomiti. "Iooo?!?! Guarda che sei tu quello si è posto in
maniera sbagliata fin da subito."
"Oh ma per favore! Sei tu quello che ha urlato per primo quando non
avevo idea che stessi parlando del ragazzino!"
"Perchè tu non sapevi il nome di nostro figlio!"
replicò Magnus, scandalizzato. "E piantala di chiamarlo ragazzino!"
"Non è che non lo sapessi." si difese Alec. "Solo non avevo
idea di chi fossi tu e quindi non ho collegato la cosa!"
"Beh, ma quando l'hai saputo non ti sei comportato meglio! Sei stato
uno stronzo totale!" lo accusò Magnus, sdegnato.
"Cosa?!?! Non sono stato uno stronzo totale! Tu lo sei stato!"
sbottò Alec, indignato. "Sei tu quello che è
stato sgradevole fin da subito. E fastidioso! E seccante! E
indisponente! E.."
"Ohhh sta zitto!" esclamò Magnus, appropriandosi delle sue
labbra e rivoltandolo sulla schiena per tornare a schiacciarlo col
proprio corpo.
"Ecco! Hai visto?" chiese Alec, con il respiro affannato, quando si
staccarono. "Sei davvero irritante!"
Magnus sorrise e tornò ad appoggiare la bocca sulla sua,
rubandogli quel poco d'aria che ancora gli circolava nel corpo.
"Sei irritante e prepotente!" confermò Alec, con un sorriso
storto, quando si staccarono nuovamente.
Magnus ridacchiò e nascose il viso nel suo collo,
accomodandosi meglio nella nicchia calda del suo abbraccio.
"Perchè te ne sei andato l'altra mattina?" chiese Alec, dopo
un po', sfiorando la spalla dell'altro con un tocco leggero.
Ricordava bene la sensazione che aveva provato quando, al suo
risveglio, aveva steso una mano e, anzichè la pelle calda di
Magnus, aveva toccato un lenzuolo freddo. In un istante si era
svegliato del tutto ed era scattato a sedere: la stanza era vuota e
dell'uomo non c'era alcuna traccia. Aveva fatto spallucce, dicendosi
che non gli importava, ma la realtà era ben diversa. Per
punizione (non sapeva dire se più verso Magnus, che se n'era
andato alla chetichella, o più verso di lui, che aveva
ceduto ai piaceri della carne) aveva evitato l'uomo con la cresta per
un numero imprecisato di giorni, evitando di parlargli o di incrociare
anche solo il suo sguardo.
Magnus alzò la testa per guardarlo. "Volevo far finta che
non fosse successo." rispose con sincerità.
Alec alzò un sopracciglio. "E ha funzionato?" chiese,
sperando di essere riuscito a celare la delusione che, stranamente, si
era fatta strada dentro di lui.
"Ti pare che abbia funzionato?" gli chiese Magnus, indicando con un
gesto della mano il corpo, celato dal lenzuolo, dell'altro.
Alec arrossì. "Beh.. se è per il sesso, puoi
trovare decisamente di meglio in giro e.."
"Ohhh sta zitto!" replicò Magnus, scuotendo la testa,
tornando a stringerlo. "Volevo far finta che non fosse successo
perchè ti odiavo per tutta la storia di Max."
Sentì Alec trattenere il respiro. "Non mi odi
più?" chiese piano.
Magnus sorrise sulla sua pelle. "No, non ti odio più."
"Perchè?" chiese Alec, incerto. "Cosa.. cosa è
cambiato?"
Magnus tornò a guardarlo, malizioso. "Diciamo che hai
notevoli doti nascoste che mi hanno fatto cambiare idea."
scherzò, stringendogli una natica per rafforzare il concetto.
Alec divenne paonazzo. "S-smettila. Sii serio." balbettò,
lanciandogli un'occhiataccia che non era minacciosa neanche la
metà di quanto sperava.
Magnus gli accarezzò il petto, sfiorando, sovrappensiero, le
cicatrici. "Come te le sei fatte?" chiese, dopo che ne ebbe tracciato i
contorni.
Sentì Alec trattenere il respiro ed irrigidirsi. "Non
cambiare discorso." lo ammonì poi.
"Non devi dirmelo se non vuoi." lo rassicurò Magnus,
battendogli affettuosamente sul petto.
Alec sbuffò, fissando il soffitto, e parlò dopo
quella che parve un'eternità. "E' successo molto tempo fa.
Niente che non meritassi."
Magnus aggrottò la fronte, alzandosi su un gomito per
guardarlo meglio. "Cosa diamine puoi aver mai fatto di così
grave da meritare una cosa del genere?" chiese, indicando il reticolo
di cicatrici che spiccavano sulla sua pelle bianca.
Alec lo fissò negli occhi, con rabbia. "Non hai idea di chi
io sia, di quello che ho fatto. Prenderesti Max e scapperesti alla
velocità della luce se conoscessi il mostro che hai di
fronte a te." bisbigliò, scuotendo piano la testa.
Alec voleva scioccarlo, disgustarlo, farlo allontanare da
sé. Magnus, però, non sembrava né
scioccato né disgustato. Lo stava guardando con pazienza, in
attesa di una spiegazione, come se non credesse ad un briciolo di
quello che gli aveva appena detto. Chiuse gli occhi per non guardarlo.
Lui non poteva sapere, non poteva capire. Non importava dove andasse o
che cosa facesse. La sua colpa l'avrebbe perseguitato fino alla sua
morte e non c'era modo di sfuggirle.
"Mettimi alla prova." lo sorprese Magnus, appoggiando la testa su una
mano.
Alec sospirò profondamente, tornando a guardare il soffitto.
"Ho ucciso mio fratello." sputò fuori, a denti stretti.
Sentì Magnus trattenere il respiro e gli venne da ridere.
Già. Quel pover'uomo non sapeva che stava abbracciando un
lurido assassino di bambini.
"E' successo circa dieci anni fa." cominciò. "Max.. mio
fratello si chiamava Max. Ironico, non trovi?" chiese a Magnus,
guardandolo brevemente con uno sguardo fisso e vuoto. Poi
continuò, senza attendere risposta. "Max aveva appena otto
anni. Era un ragazzino dolcissimo ed intelligente."
Magnus fu spinto in un mondo di ricordi dolci-amari e più
Alec raccontava di quel bambino mai conosciuto, più Magnus
lo trovava simile a lui, ad Izzy ed a Jace. Si morse il labbro
inferiore ed ascoltò. Sapeva che doveva seguirlo per poterlo
riportare nel proprio mondo, al sicuro una volta per tutte.
"Adorava nuotare nel laghetto davanti casa, era piuttosto bravo. Il suo
sogno era quello di praticare il nuoto a livello agonistico e vincere
quante più medaglie possibili. Si tuffava in acqua ogni
volta che ne aveva occasione, ma aveva il permesso di farlo solo se
c'era qualcuno con lui e, quindi, mi trascinava sempre con lui."
proseguì Alec, mentre l'ombra di un sorriso compariva sul
suo volto.
Magnus chiuse gli occhi per un momento, immaginando la scena, poi li
riaprì. Non voleva più sentirlo,
perchè sapeva dove sarebbe andato a parare. Ora lo sapeva.
Non era pronto a vedere quello che Alec vedeva nella sua mente. Ma si
impose di farlo. Doveva farlo. Strinse la presa sul fianco dell'altro,
nel tentativo di fare forza ad entrambi.
"Quel giorno mi era stato affidato il compito di badare a lui. Stava
colorando sul tavolo di questa stessa camera quando mi chiese se
potevamo fare una pausa ed andare al laghetto. Mi pregò per
interminabili minuti di andare a nuotare insieme a lui, ma io dovevo
studiare. Il giorno dopo avrei avuto un esame importante e non potevo
permettermi distrazioni. Gli avevo promesso che sarei andato con lui
più tardi, ma sapevamo entrambi che era una bugia,
perché lo studio mi avrebbe assorbito per tutto il
pomeriggio e.. oddio.." gemette Alec, portandosi un braccio sugli
occhi, come se volesse nascondersi.
Il tono del suo racconto era incerto e Magnus capì che non
ne aveva mai parlato con nessuno, forse, addirittura, neanche con i
fratelli. Aspettò, ma Alec non disse altro. Sapeva,
però, che non poteva permettergli di fermarsi, non prima che
avesse finito di raccontare l'intera storia. Era il solo modo di
guarire.
"E poi? Che cosa è successo?" bisbigliò.
Al suono della sua voce, Alec si tolse di colpo il braccio dal viso e
si irrigidì. "Max mi disse che sarebbe andato a giocare
nella sua stanza e io ho annuito senza neanche alzare la testa dal
libro. Izzy entrò a metà pomeriggio, circa,
chiedendomi se Max era con me. Ricordo che scrollai le spalle e le
risposi che, se non era in camera sua, era sicuramente fuori, a giocare
in giardino. Scrollai le spalle. Ti rendi conto?" chiese Alec,
gracchiando una risata aspra. "Non me ne preoccupai minimamente, troppo
egoista com'ero, concentrato solo su me stesso e sul mio dannatissimo
libro."
L'angoscia e il rimorso alterarono i lineamenti del suo viso, ogni
movimento del suo corpo. Magnus avrebbe voluto cercare di consolarlo,
dirgli di fermarsi, ma sapeva di non doverlo fare e smise quasi di
respirare pur di non infastidirlo con la sua presenza.
"Solo quando anche Jace venne da me, per dirmi che Max non si trovava,
decisi di cercarlo anch'io. Abbiamo perlustrato l'intera casa, stanza
dopo stanza, ma Max non era in nessuna di esse, così ci
siamo recati in giardino. L'abbiamo cercato per minuti, che poi sono
diventate ore, ma era come sparito nel nulla. Poi.."
proseguì, ingoiando il nodo che gli stringeva la gola.
"Qualcosa.. qualcosa attirò il mio sguardo sul laghetto. Una
macchia rossa che stonava con l'azzurro limpido delle sue acque."
"Alexander.." sussurrò Magnus, angosciato.
Alec girò la testa e lo guardò. L'espressione era
disperata, il volto una maschera di sofferenza. "Quando hanno
recuperato il suo corpo non hanno voluto farmelo vedere. Li ho pregati,
li ho scongiurati, ma i paramedici l'hanno portato via e non ho potuto
vederlo." gemette, con la voce incrinata.
"Alexander.."
"Ecco, ora lo sai. Ora sai con chi hai a che fare. Con un mostro. Un
assassino." terminò Alec, mentre il viso assumeva
un'espressione dura, granitica. Si alzò a sedere sul letto e
si appoggiò alla testiera. "Le cicatrici non sono altro che
la mia giusta punizione per aver ucciso mio fratello, per non aver
saputo proteggerlo. E, in tutta sincerità, mio padre ci
è andato anche troppo leggero. Avrei meritato torture ben
peggiori."
Magnus percepì il suo odio verso se stesso, il suo rimorso,
la sua pena infinita e rabbrividì di rabbia nei confronti di
Robert Lightwood per quello che aveva fatto al figlio.
"Alexander non è stata colpa tua." sussurrò con
dolcezza.
"Sì, invece! Era sotto la mia responsabilità!"
Magnus si mise a sedere e si accostò lentamente a lui,
parlandogli a voce bassa. "Alexander, ascoltami. E' stato un incidente."
Alec non lo guardò. Fissava, a testa bassa, i lenzuolo che
stringeva tra le mani. "Se gli avessi dato retta, se l'avessi
accompagnato a nuotare, a quest'ora sarebbe ancora vivo." "Questo non
puoi saperlo e non puoi continuare a torturarti per una cosa che di
certo non potevi prevedere. Non sei un mostro e non sei un assassino.
Non è stata colpa tua."
"Sai cosa significa il mio nome?" gli chiese, con un ghigno. "Protettore di uomini.
Non lo trovi assurdo?"
"Alexander.."
"Sono un mostro." disse Alec, con decisione.
"No, non lo sei." rispose Magnus, altrettanto determinato.
Gli posò una mano sulla guancia, piano, quasi avesse il
timore di vederlo andare definitivamente in pezzi. Alec
sussultò, ma non si ritrasse e questo incoraggiò
Magnus. Con lentezza infinita si sedette con cautela sulle sue gambe
per avvicinarsi a lui ancora di più e lo
abbracciò stretto.
"E adesso.." sussurrò. ".. aggrappati a me. Sarò
la tua àncora. Aggrappati a me."
Alec fece un sospiro strozzato, spaventato, e si scostò dal
suo corpo, tanto che Magnus pensò che l'avrebbe respinto,
che si sarebbe rinchiuso di nuovo nella prigione che si era costruito
attorno a lui e dal quale sembrava non essere più in grado
di uscire.
All'improvviso, però, lo abbracciò, stringendolo
forte, come se fosse un boa di salvataggio in un mare in tempesta, e
sentì il suo corpo massiccio scosso da un tremito.
Magnus lo cullò e gli accarezzò i capelli,
baciandogli la fronte, come se volesse fargli uscire fuori tutta
l'angoscia accumulata nella sua giovane vita e sostituirla con pace e
tranquillità. Sperò che bastasse, ma che,
soprattutto, funzionasse.
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Capitolo 17 *** Capitolo 17 ***
"Ti devo delle scuse."
"Davvero?"
Anche se non lo stava guardando, Magnus sentì chiaramente la
nota divertita e sorpresa nella voce di Alec.
Si alzò dal suo petto e lo guardò con finto
ammonimento. "Non gongolare. Ti sto chiedendo scusa solo
perché sono una persona molto matura che sa ammettere i
propri sbagli."
Il sorriso radioso che Alec gli restituì gli fece alzare gli
occhi al cielo e scuotere leggermente la testa. "E va bene." concesse,
ributtandosi su di lui con un sospiro. "Gongola quanto vuoi."
La sua testa venne scossa dalla risata che si propagò nel
petto di Alec e sorrise a sua volta. Era felice di sentire quel suono,
dopo tutto quello che gli aveva raccontato. Si accoccolò
meglio addosso a lui, contento, quando l'altro strinse maggiormente la
presa attorno alle sue spalle.
"Allora? Queste scuse?" chiese Alec, dopo un po', tracciando disegni
leggeri sulla schiena dell'altro.
Magnus aggrottò la fronte e si alzò su un gomito.
"Te le ho fatte poco fa."
Alec lo guardò, alzando le sopracciglia. "Quelle erano delle
scuse? Sul serio?" chiese, scettico. "Erano in assoluto le peggiori che
sono mai state formulate nell'intero universo." lo criticò,
scuotendo la testa con fare paternalistico. "Le peggiori Magnus. Le
peggiori!"
Magnus inspirò bruscamente. "Guarda che erano delle scuse
sentite." replicò, sdegnato.
"Davvero? Sono sicuro che sai fare di meglio." lo punzecchiò
Alec. "Avanti." lo incoraggiò poi, sorridendo e battendogli
affettuosamente una mano tra le scapole.
Magnus lo fissò per un lungo secondo, poi gonfiò
le guance e ritornò a posare la testa sul suo petto,
espirando rumorosamente. "E va bene! Ti chiedo scusa per essermi
comportato male con te. Mi dispiace."
"Non male come inizio." concesse Alec. "E poi?"
Magnus si alzò, per l'ennesima volta, per guardarlo in
volto. "Che altro dovrei dirti ancora? Ti ho detto che mi dispiace!"
Alec sorrise, furbo. "E' vero." ammise. "Ma potresti anche dire che ti
addolora avermi ferito con i tuoi insulti o.."
"Che esagerazione." borbottò Magnus, a bassa voce.
"Come?"
"Niente."
"Potresti scusarti per avermi urlato contro la prima volta che ci siamo
incontrati oppure di come hai continuato ad essere antipatico nei miei
confronti ogni qual volta ci siamo relazionati. O puoi dire che ti
dispiace di esserti messo in mezzo quando dovevo punire Max."
continuò Alec, elencando ogni affermazione con le dita di
una mano. "O per avermi fatto fare quell'oscena figuraccia in
discoteca." si animò improvvisamente. "Per l'angelo, per
questo sì che dovresti proprio chiedermi scusa!" lo
bacchettò, inorridendo al solo ricordo.
"Ma se ti ho aiutato!" obiettò Magnus, a bocca aperta. "Eri
lì, per terra, dolorante. Cosa avrei dovuto fare?"
"Di sicuro non dovevi prendermi in braccio!" si indignò
Alec, infervorato. "Ti pare normale? Non sono una fottuta principessa
in pericolo! Sono capacissimo di badare a me stesso!"
"La prossima volta non solo ti lascio lì, a terra,
agonizzante, ma ti scavalco pure e ti faccio il dito medio,
così impari." replicò Magnus, imbronciato,
scostandosi da lui e buttandosi nella sua parte di letto.
Gli angoli della bocca di Alec si piegarono all'insù ed
ingoiò la risata che gli salì in gola. "Ah!
Potresti scusarti per quella volta che sei entrato come un tornado in
questa stanza perché Presidente ha osato dormire con me."
proseguì poi, punzecchiandogli il fianco con l'indice. "O
potresti chiedere scusa per avermi affibbiato nomignoli ignobili ed
infantili o.."
"Chiamarti col tuo nome per intero non è un nomignolo
ignobile ed infantile." sbuffò Magnus, battendo i palmi
delle mani sul materasso.
"Ma Iceberg
lo è." chiarì Alec.
"E' un bel nome, per Lilith!" continuò Magnus, ignorandolo.
"Non riesco davvero a capire perché tu te le sia presa
così tanto quel giorno. Sul serio, i tuoi scatti d'ira
saranno la tua morte, un giorno o l'altro."
"Da che pulpito."
"Da che pulpito
cosa?" replicò Magnus, guardandolo male. "Io non mi faccio
venire il sangue al cervello per idiozie simili. Io."
"Davvero?"
"Davvero! E quanto al tuo nome.."
"Mio padre mi chiamava così." lo interruppe Alec, piano.
"Oh." esclamò Magnus, ammutolendosi di colpo. "Scusa."
bisbigliò poi, pentito.
Alec gli fece un sorriso storto e scrollò le spalle.
"Perdonato."
"Peccato, però." si rammaricò Magnus, tornando a
posare la testa sul suo cuore, per sentirne il rimbombo. "Penso davvero
che sia un bel nome e che ti si addica." disse, abbracciandolo e
sentendo poi il battito sotto al suo orecchio farsi più
frenetico.
"Non mi si addice per niente, invece."
"Sta zitto. So quello che dico." lo contraddisse Magnus, secco,
intrecciando le gambe alle sue.
"Mi piace quando lo pronunci tu." confessò Alec, dopo un
po', in un sussurro, accarezzandogli lievemente la spalla.
Magnus sorrise, orgoglioso, e gli baciò un pettorale. "Alexander."
Alec sorrise a sua volta e posò il mento tra i suoi capelli,
sereno. Da quando aveva confessato a Magnus la sua ignobile colpa si
sentiva un po' meglio. Il peso c'era ancora, ma si era fatto
più leggero, più sopportabile. Non sapeva se
fosse merito dell'uomo che giaceva tra le sue braccia, che l'aveva
ascoltato senza giudicarlo e che gli aveva fatto coraggio, esponendo
una verità che lui non aveva mai preso in considerazione, o
se fosse perché aveva finalmente sputato fuori un rospo che
lo soffocava da quasi dieci anni. Forse entrambe le cose,
pensò.
Non riusciva ancora a spiegarsi, concretamente, come fosse possibile
che fosse riuscito a raccontargli ciò che lo tormentava da
così tanto tempo. A lui. Non ai suoi fratelli o a qualche
amico intimo. No, aveva aperto il suo cuore a Magnus Bane, l'ultima
persona con cui pensava di confidarsi. In maniera del tutto
imprevedibile, aveva finito col fidarsi di quell'uomo strambo e
vulcanico, che aveva la seccante mania di prevaricare su tutto e tutti,
che non accettava mai un no come semplice risposta e di cui non sapeva
praticamente nulla.
Già. Magnus era un grosso, enorme, punto interrogativo. Chi
era? Dove era nato? Che scuola aveva frequentato? Che lavoro faceva? E
la sua famiglia? Ne aveva una, da qualche parte? A parte Max, non si
era mai lasciato scappare nulla su possibili genitori, fratelli o
parenti vari.
Inspirò bruscamente, colto da un pensiero improvviso che
quelle domande gli avevano fatto balzare in mente, e Magnus, sentendosi
scuotere la testa, alzò lo sguardo e lo guardò
con un sopracciglio alzato.
"Che c'è?" gli chiese, curioso.
"Niente." minimizzò Alec, in difficoltà.
Cazzo. Cazzo. E ancora cazzo. Aline! Si era completamente dimenticato
del compito che aveva affidato ad Aline! Il suo nome lampeggiava, ora,
a caratteri cubitali nella sua mente, quasi sbeffeggiandolo.
"Sai che, per essere un avvocato, sei un pessimo bugiardo?" lo
informò Magnus, sfiorandogli una clavicola con l'indice. "E'
così grave?" gli chiese poi, con interesse.
Alec si torturò il labbro inferiore, agitato. Come l'avrebbe
presa, se glielo avesse detto? Dei del cielo, quell'uomo era
così imprevedibile! Era capacissimo di schiaffargli una
cinquina in faccia ed andarsene da quella stanza alla
velocità della luce, indignato ed arrabbiato, per quel che
ne poteva sapere.
"Forse." tentennò, continuando a mordersi le labbra.
"Spara." disse Magnus, seguendo ipnotizzato il lavoro di quei denti
candidi su quelle labbra piene e rosee.
"Non sono sicuro che tu lo voglia sapere."
"Perché?"
"Perché.. no."
Magnus inspirò platealmente. "E' qualcosa di sconcio? Cielo,
Alexander, da te non me lo sarei mai aspettato!"
"Non è qualcosa di sconcio!" si affrettò a
rispondere Alec, arrossendo come un peperone.
"Allora di cosa si tratta?" gli chiese Magnus, sorridendo.
"Ho.. ho chiesto ad un'investigatrice privata di indagare su di te."
bisbigliò Alec, tutto d'un fiato, chiudendo gli occhi con
forza, in attesa della reazione dell'altro.
Magnus spalancò gli occhi, sorpreso, poi si morse con forza
l'interno delle guance. Il tic alle sue labbra, però,
divenne incontrollabile e scoppiò a ridere di cuore. Alec
riaprì gli occhi e lo guardò, sorpreso. Quella
era l'ultima reazione che si sarebbe aspettato.
"Sei serio?" chiese Magnus, tra le lacrime.
Alec annuì, impacciato. "Se
conosci il nemico e te stesso, la tua vittoria è sicura. Se
conosci te stesso, ma non il nemico, le tue probabilità di
vincere e perdere sono uguali. Se non conosci il nemico e nemmeno te
stesso, soccomberai in ogni battaglia." citò.
"L'arte della guerra
di Sun Tzu." sorrise Magnus, divertito. "Astuto. Volevi ricattarmi con
qualche mio sporco segreto?"
"Forse." rispose Alec, intimamente sollevato che l'altro non fosse
suscettibile a tal punto da trasformarlo in un pungiball.
"E che cosa ha scoperto, questa investigatrice, su di me?" chiese
Magnus, curioso.
"Ancora niente." ammise Alec, sorridendo lievemente. "Sei peggio di un
fantasma."
Magnus ridacchiò, compiaciuto e confortato allo stesso
tempo. Era consapevole che, a New York, non ci fosse niente di
importante che potesse ricondurlo a lui, a parte un conto corrente, che
era stato chiuso appena aveva messo piede in Inghilterra, e una camera
da letto, con pochi oggetti ed una montagna di vestiti, che il suo
amico Raphael gli aveva gentilmente messo a disposizione nel suo
appartamento, ma aveva vissuto per oltre un anno con il timore di
ritrovarsi faccia a faccia con Morgenstern o con uno dei suoi
scagnozzi. Quel pensiero, fortunatamente, aveva iniziato a sbiadire
giorno dopo giorno ed aveva condotto la sua vita serenamente. L'arrivo
di Jace, però, aveva riaperto quel cassetto della memoria
che credeva sigillato per sempre. Sapere, quindi, che una
professionista stava faticando non poco a reperire notizie su di lui lo
rincuorò.
"Chi sei tu?" gli chiese Alec, riportandolo alla realtà.
Magnus lo fissò, reprimendo un sorriso e porgendogli la
mano. "Magnus Bane. Piacere di conoscerti."
"Lo so come ti chiami, sciocco." sorrise Alec, roteando gli occhi e
scacciando la mano. "Quello che intendevo dire è: chi sei?
Dove sei nato? Hai fratelli e sorelle? Insomma, tu sai praticamente
tutto di me e.."
"No so tutto di te. Esagerato!" lo interruppe Magnus.
"Beh, sai chi sono i miei fratelli, dove abito, che lavoro faccio. Sei
decisamente in vantaggio rispetto al sottoscritto."
"E lo vuoi sapere sempre per ricattarmi o per altri motivi?" chiese
Magnus, con genuino interesse, appoggiando la testa sulla mano e
disegnando disegni astratti sul suo petto.
Alec fece spallucce. "Non devi dirmelo se non vuoi." disse, ripetendo
le stesse parole che l'altro aveva pronunciato poco prima. "Ma, ad
esempio, non so neanche che lavoro fai! Non so niente di te, tranne che
abiti a Londra, che sei la persona più logorroica ed
impossibile che conosca e che hai una passione smodata per le cose
futili." lo stuzzicò, sorridendo, ben consapevole che la
frecciatina non sarebbe passata inosservata.
Magnus interruppe le carezze e gli tirò uno schiaffo sul
petto, come da copione. "Non dire eresie! I miei trucchi e i miei
vestiti non sono cose futili!" esclamò, indignato. "Solo
perchè tu hai evidenti difficoltà a vestirti e
sei socialmente un disastro, quando non si tratta di lavoro, non
significa che il resto del mondo debba seguire la tua disastrosa ed
orribile linea di pensiero!"
"Fino a prova contraria, sei tu quello che insulta i miei vestiti e..
Oh! Ecco un'altra cosa per cui puoi chiedermi scusa."
replicò Alec, con un sorriso divertito. "Ah! E smettila di
spettegolare con i miei fratelli di quello che ho nell'armadio o che
indosso!"
Magnus spalancò gli occhi, cogliendo l'allusione. "Te
l'hanno detto?"
"Certo che l'hanno fatto! E, se proprio lo vuoi sapere, trovo
terribilmente inopportuno il fatto che li tempesti di messaggi per
lamentarti delle mie magliette."
"Non li tempesto di messaggi! E non mi lamento delle tue magliette!"
chiarì Magnus, puntandogli l'indice contro. "Critico lo
stato in cui si trova il tuo guardaroba! E' diverso. Per Lilith,
è un pugno in un occhio ogni volta! Ma li vedi i buchi e i
colori stinti che hanno quegli stracci o devo iniziare a credere che tu
abbia seri problemi di vista?"
"A me piacciono."
"Come fanno a piacerti? Me lo spieghi?"
"Sono comodi e pratici."
"Hai gusti davvero terribili in fatto di moda, lasciatelo dire."
borbottò Magnus, scuotendo piano la testa con
disapprovazione.
"Sopravvivrò lo stesso." sorrise Alec, scrollando le spalle.
"Allora.. chi sei tu?" chiese nuovamente.
Magnus sospirò, accantonando, solo per il momento
però, la sua missione di infilare a forza un po' di buon
senso estetico in quella zucca retrograda. "Beh, vediamo.."
iniziò poi, battendosi l'indice sul mento. "Sono nato a
Bali, in Indonesia, e sono figlio unico. Ho vissuto lì per
cinque anni, poi, a causa del lavoro di mio padre, abbiamo iniziato a
trasferirci."
"Che lavoro faceva?"
"Era un diplomatico. Siamo stati un po' ovunque: Asia, Europa, Africa
e, infine, ci siamo trasferiti in America."
"America? Davvero?"
Magnus annuì. "Ho vissuto qui a New York per sette anni,
prima che.."
"Prima che?" chiese Alec, curioso.
"Prima.. beh.. prima che mi trasferissi in Inghilterra."
"Sempre con i tuoi?"
Magnus scosse la testa. "Sono morti in un incidente stradale quando
avevo diciotto anni."
"Mi dispiace." si scusò Alec, accarezzandogli una mano.
Magnus scosse le spalle, deciso a non lasciarsi andare a quel ricordo
doloroso. "E' successo molto tempo fa."
"Quindi ti sei trasferito in Inghilterra dopo la morte dei tuoi
genitori?"
"No, dopo. E' successo, più o meno, circa otto anni fa.
Già." rispose Magnus, titubante.
Otto anni.
La stessa età di Max, pensò Alec, sorpreso.
"Sei andato a Londra per motivi di studio?" gli chiese poi.
Magnus scosse la testa, lo fissò per un lungo momento, poi
si buttò sull'altro cuscino, fissando il soffitto, mentre
Alec lo seguiva con lo sguardo.
"Stavo scappando." sussurrò dopo un po'.
"Scappando?" chiese Alec, corrugando la fronte. "Da un'orda di ragazze
assatanate? O da un gruppo di ragazzi vogliosi?"
Magnus ridacchiò. "No. E'.. è complicato."
rispose poi, con un sospiro, passandosi una mano tra i capelli.
"Più complicato dell'aver ucciso un fratello?" chiese Alec,
con un filo di voce, con l'intenzione di rassicurarlo che il suo
segreto non poteva essere più grave del suo.
Magnus girò di scatto il volto verso di lui. "Non hai ucciso tuo
fratello. E' stato un incidente. Smettila di colpevolizzarti."
Alec scrollò le spalle. Conviveva con quella convinzione da
dieci anni. Di certo non l'avrebbe abbandonata in dieci minuti solo
perchè l'altro, per quanto convincente fosse, asseriva il
contrario.
Magnus gli sorrise dolcemente. "Cosa devo fare, con te, Fiorellino?"
"Smetterla con questo insulso soprannome sarebbe già un buon
inizio." brontolò Alec. "Lo odio."
Magnus ridacchiò. "Smettila di dire bugie. Lo adori."
Alec roteò gli occhi ed attese, pazientemente, che l'altro
continuasse la sua storia.
Magnus tornò a guardare il soffitto e prese un bel respiro.
Alec si era fidato e confidato con lui. Doveva trovare il coraggio di
fare altrettanto.
"Otto anni fa ero un ragazzino che voleva solo divertirsi, andare in
giro per locali, vivere alla giornata e che voleva scoparsi qualsiasi
essere vivente respirasse e che trovasse appetibile."
raccontò, sorridendo al ricordo.
"Hai descritto Jace, te ne rendi conto, sì?" gli chiese
Alec, che sorrise divertito quando vide la faccia orripilata di Magnus
nel sentirsi associato al biondino. "Se può consolarti, lui
è ancora così.. cioè, era
così, fino a quando non ha incontrato l'infermiera dai
capelli rossi."
"Clary. Sì, l'ho notato. Sono disgustosamente cotti l'uno
dell'altra." disse Magnus, con una smorfia buffa. "E no, non mi consola
affatto." replicò poi, ironico.
Alec rise e si girò con il busto di lato, per guardarlo
meglio. "Poi cosa è successo?"
"Poi ho incontrato Camille." continuò Magnus. "Bellissima,
bionda e con un seno così!" e sorrise quando, mimando il
gesto, vide il viso di Alec adombrarsi. "Sì, lo so, non
è il tuo genere, ma per uno come me era un sogno che si
realizzava. Aveva circa il doppio dei miei anni ed ero diventato una
specie di eroe, tra i miei amici, quando raccontai loro di essere
riuscito a rimorchiare una donna più grande." si
pavoneggiò, ridacchiando. "Il sesso con lei era grandioso.
Abbiamo fatto cose che neanche in un film porno e.."
"Magnus, non serve che mi racconti proprio tutto tutto." lo interruppe
Alec, piccato.
"Sei geloso, Fiorellino?"
"Geloso? Io? Di te? Ma per favore!" controbattè Alec,
sventolando una mano.
Magnus rise, girandosi di lato anche lui per fronteggiarlo. "Ti
sentiresti meglio se ti dicessi che il sesso con te è
decisamente di un altro livello rispetto a quello con lei?"
"No, perché non mi interessa." replicò Alec,
sostenuto. "Va avanti e, per favore, evita di scendere troppo nei
dettagli, grazie."
Magnus ridacchiò e proseguì. "La nostra era una
storia basata puramente sul sesso, almeno da parte mia."
specificò. "Ci incontravamo negli hotel di lusso o, quando
voleva essere davvero trasgressiva e giocare con il fuoco, mi invitava
a casa sua."
"Che aveva di particolare casa sua da essere considerato un luogo
trasgressivo?"
"Camille era sposata."
Alec svirgolò le sopracciglia. "Hai avuto una relazione con
una donna sposata?" esclamò scandalizzato.
Magnus fece spallucce. "Lei era insoddisfatta del suo matrimonio,
cercava qualcuno per evadere dalla sua routine ed io sono stato
più che felice di accontentarla."
"E non ti disturba il fatto di esserti intromesso in un matrimonio?"
domandò Alec, sempre più indignato.
"Perché dovrebbe disturbarmi?"
"Perché essere l'amante di qualcuno è degradante,
oltre che estremamente scorretto!"
Magnus roteò gli occhi. "Oddio quanto sei palloso."
sbuffò forte. "Essere l'amante di qualcuno non è
degradante. Al contrario, è estremamente eccitante. Lei era
insoddisfatta e io ho appagato le sue voglie." spiegò, con
ferrea logica.
"Già, ma dopo tornava da lui." lo contraddisse Alec,
asciutto. "Non restava con te. Le avrai anche fatto toccare il cielo
con un dito, per un'ora o due, ma non ha lasciato il marito. E' rimasta
con lui."
"Beh, ma a me andava bene così, non volevo una relazione
seria." chiarì Magnus. "E poi non lo avrebbe mai lasciato.
Mai."
"Perché? Ti ha rifilato la solita frottola che lo amava
troppo o che lui non poteva vivere senza di lei?" chiese Alec, scettico.
"No, perché Camille è.. era.. ohhh non lo so..
comunque suo marito è Valentine Morgenstern."
Alec scattò a sedere. "Tu eri l'amante della moglie di
Valentine Morgenstern?" gridò, sgomento.
Magnus gli tirò un pugno su un fianco. "Perché
non lo urli un po' più forte? Non sono sicuro che ti abbia
sentito tutta New York, sai?!"
"Oddio.." gemette Alec, tornando a stendersi lentamente di fianco a
lui. "Tu.. lei.."
Magnus annuì.
"Per l'angelo, come fai a trovare eccitante il fatto di essere l'amante
della moglie di una delle persone più pericolose della
città? Sei masochista per caso?"
"Il rischio di essere scoperti è uno degli afrodisiaci
più potenti, non lo sai? Te l'ho detto che il sesso era
grandioso e.."
"Tu non stai bene!" sentenziò Alec, secco, scuotendo la
testa.
Magnus roteò, per l'ennesima volta, gli occhi. "Sarai
normale tu, che il massimo del rischio che affronti è quello
di bere una tisana energizzante, anziché rilassante, prima
di andare a letto!"
Alec, per tutta risposta, gli fece il dito medio.
"Volgare." ribattè Magnus, sorridendo, poi gli
raccontò tutto. E più andava avanti con la
storia, più gli occhioni blu di Alec si sgranavano,
increduli.
"Non hai chiamato la polizia?"
"No."
"Perché no?" chiese Alec, sconcertato.
"Stiamo parlando di Valentine Morgenstern. Hai presente? Hai anche una
causa aperta con lui, no?" chiese Magnus, sarcastico.
"Certo che ho presente il soggetto." rispose Alec, guardandolo
malissimo. "Ma non chiamare la polizia ti ha reso complice di un
possibile reato. Era tuo dovere denunciarlo!"
Magnus sbuffò. Quel benedetto ragazzo aveva tanti bei pregi,
davvero, era leale, era sincero, si assumeva responsabilità
che non gli competevano, ma, seriamente, era anche il più
grande rompicocomeri che avesse mai incontrato eh. Non gliene faceva
passare una, per Lilith!
"E sentiamo, signor So
Tutto Io, cosa avrei dovuto dire alla polizia? - Buongiorno agente! La chiamo per
dirle che mi sono appena introdotto illegalmente nella casa di
Valentine Morgenstern per recuperare il portafoglio che ho perso mentre
mi sbattevo sua moglie, sulla sua scrivania, e volevo segnalarle che
c'è un'enorme, gigantesca, pozza di sangue che fa bella
mostra di sé sul tappeto persiano dello studio e che prima,
invece, non c'era! - ?" domandò Magnus,
sarcastico.
Alec lo fulminò con lo sguardo. "Poteva essere una
conversazione valida, sì."
"Ma per favore!" esclamò Magnus, sbattendo la testa sul
cuscino. "Avrebbero arrestato me, non Valentine! Poi mi avrebbero
spedito dietro le sbarre e Morgenstern mi avrebbe fatto uccidere da uno
dei suoi! Ecco come sarebbe andata!"
"Questo non puoi saperlo."
"Davvero, Alexander? Sul serio? Saresti pronto a metterci la mano sul
fuoco? Seriamente pensi che questa ipotesi sia folle ed avventata?"
Alec aprì la bocca, pronto a replicare, ma poi la richiuse
bruscamente.
"Ecco, appunto." disse Magnus, serio.
"Quindi cosa hai fatto?"
"Sono scappato a gambe levate! Cosa avrei dovuto fare? Ed è
stato mentre scappavo che.."
"Che?"
Magnus lo guardò, esitante. "Ero nel panico, correvo come un
disperato e.. una ragazza.. lei.. lei stava prendendo un taxi e io le
sono piombato addosso come un treno ad alta velocità. Quando
l'uomo, che mi stava rincorrendo, urlò di nuovo, non ricordo
cosa, devo esserle sembrato davvero disperato perchè mi ha
afferrato per il braccio e mi ha gettato dentro al taxi. Ancora oggi
sono fermamente convinto che se lei non avesse avuto la prontezza di
spintonarmi nel taxi, forse a quest'ora non sarei qui, ma sotto metri
di terra o a far compagnia ai pesci." deglutì Magnus,
chiudendo per un attimo gli occhi, al ricordo. "Le devo la vita.
Capisci?"
Alec annuì. "Deve essere una persona molto importante per
te."
"Lo è.. lo era."
"Oh.. mi dispiace, Magnus." sussurrò Alec, accarezzandogli
il dorso della mano con il pollice.
Magnus deglutì, distogliendo lo sguardo. "Lydia."
bisbigliò.
"Cosa?" chiese Alec, bloccando le sue carezze.
"La.. la ragazza. Era Lydia." confessò piano, tornando a
guardarlo. "Quel giorno.."
"Il 30 giugno." commentò Alec, asciutto.
"Come lo sai?" chiese Magnus, sorpreso.
"Aline."
"Chi?"
"E' l'amica che ho incaricato di investigare su di te."
"Oh. Quindi.. quindi sai come è andata quel giorno."
Alec scosse piano la testa. "So solo che, quel giorno, siete saliti
entrambi sulla Queen Mary 2."
Magnus annuì. "Era sola e si vedeva chiaramente che non
stava affatto bene. Il pancione era enorme e lei era sofferente."
ricordò. "Era bisognosa d'aiuto tanto quanto lo ero io e ci
siamo dati una mano a vicenda. Pagò il mio biglietto,
permettendomi di lasciare la città, e durante la traversata
siamo diventati amici. Non ha mai voluto dirmi chi era il padre del
bambino e io non l'ho mai forzata a parlarne. Non mi sembrava giusto,
non dopo che lei non fece commenti su come ero conciato o su quello che
mi era successo, capisci? Quando sbarcammo in Inghilterra è
entrata in travaglio e, prima di entrare in sala parto, mi fece giurare
che mi sarei preso cura di Max, che l'avrei protetto sempre.
Morì dandolo alla luce." sussurrò triste.
Alec non disse una parola e si girò per guardare il soffitto.
"Quando Jace si è presentato alla mia porta mi è
crollato il mondo addosso." continuò Magnus.
"Non ti è mai venuto in mente che Lydia aveva una famiglia?
Che il bambino aveva una famiglia?" chiese Alec, duro.
"Anche se le cose fossero state diverse, non avrei mai riportato Max
qui. Non sarei mai tornato se tu non avessi mandato qualcuno a
cercarlo. Sono un grandissimo egoista, lo so, ma Max è tutto
il mio mondo. Crescerlo mi ha insegnato molte cose, mi ha cambiato, mi
ha aiutato. E' stato il regalo più bello che la vita mi
abbia mai donato e sapere che avrei dovuto dividere il suo amore con
qualcun altro.. beh, non è stato affatto facile." rispose
Magnus, con sincerità. "Ti ho odiato dal primo secondo in
cui sono venuto a conoscenza della tua esistenza. Nella mia mente, tu
non eri mai stato preso in considerazione. Non esistevi."
Magnus sapeva di rischiare moltissimo, con quelle parole,
perché Alec poteva benissimo alzarsi da quel letto, girargli
le spalle e spazzare via quel fragile legame che avevano costruito in
quella mattinata, ma non voleva più mentire. Non a lui,
almeno.
Alec voltò la testa per guardarlo a sua volta. "Non devi
dividere niente con nessuno, visto che mi odia." replicò
sarcastico.
Magnus roteò gli occhi. "Non ti odia." lo
rassicurò. "Non ti conosce. E' diverso."
Alec gracchiò una risata. "Sì, certo." rispose,
tornando a fissare il soffitto.
"Se iniziaste a parlare l'uno con l'altro, magari questo clima di
indifferenza, che avete instaurato tra di voi, cambierebbe."
esclamò Magnus. "La tua mancanza di interesse nei suoi
confronti lo scoraggia a cercare un approccio. Smettila di fare il
bambino e comportati da adulto!" lo bacchettò,
spintonandogli il braccio.
"Io faccio l'adulto." rispose Alec, piccato. "Gli ho anche rivolto la
parola in più di un'occasione eh!"
"Ma davvero?" replicò Magnus, scettico.
"Gli ho chiesto se gli piacciono i cavalli." ribattè Alec,
indignato, massaggiandosi il braccio. "Ma tuo figlio.."
"Nostro figlio." lo corresse Magnus.
Alec alzò gli occhi al cielo. "Nostro figlio non
ha emesso una parola o un suono. Niente."
"Perchè lo metti in soggezione!"
"Ma fammi il piacere! Mi odia. Semplice."
Magnus si ributtò sul suo cuscino, allargando le braccia,
esasperato. "Per Lilith! E poi dicono che sono io il re del dramma!"
"Lo sei." confermò Alec, annuendo energicamente.
"Beh, tu mi stai battendo alla grande!" replicò, tirandogli
un calcio.
"Ma la smetti di picchiarmi?"
"Ma se ti ho appena toccato!"
Alec roteò gli occhi, poi sospirò. "Ho chiesto al
signor Fell di procurare un pony per Max. Lo porterà nelle
scuderie oggi stesso e potrebbe anche dargli la sua prima lezione, se
lo vuole."
Magnus si alzò di scatto sui gomiti. "Davvero?" chiese,
guardandolo con gli occhi carichi di gratitudine.
Alec fu colpito, ancora una volta, da quanto la felicità di
quell'uomo dipendesse da quella del bambino. Se Max era contento,
automaticamente lo era anche Magnus.
"Max sarà felicissimo! Ha sempre amato i cavalli, ma,
vivendo a Londra, non ha mai avuto occasione di imparare a cavalcare."
si entusiasmò Magnus.
"Bene, sono contento di aver finalmente fatto una cosa giusta."
esclamò Alec, leggermente divertito. "E tu? Cavalchi?"
Magnus stava per scuotere la testa, ma ci ripensò e sorrise
malizioso. Si alzò piano, andando poi a sedersi sul bacino
di Alec. "Sì, so cavalcare. E, modestia a parte, lo so fare
anche piuttosto bene." rispose, ammiccando.
Alec arrossì. "N-non intendevo questo." balbettò,
impacciato.
"Questo cosa?" chiese Magnus, con finta innocenza.
Alec boccheggiò quando l'altro iniziò a
strusciarsi, piano, su di lui.
"Ho una domanda ed una richiesta da farti." sussurrò poi
Magnus.
Alec gli arpionò il sedere. "Q-quali?"
"Come sta il tuo piede?" chiese Magnus, continuando a scontrare il suo
bacino con quello dell'altro.
Alec gemette, inarcando la testa.
"Alexander!" lo ammonì Magnus, schiaffeggiandogli piano una
coscia con un sorriso divertito. "Concentrati."
"C-cosa?" domandò Alec, iniziando a sentire il respiro
affannoso.
"La tua caviglia. Riesci a muoverla bene?"
"S-sssì!" esalò Alec, con un sospiro strozzato.
"Tanto da poter cavalcare?"
"C-cosa?" chiese Alec, tentando di stare davvero attento a quello che
gli stava dicendo l'altro.
"Poi cavalcare?" domandò, di nuovo, Magnus.
"Ca.. per l'angelo!" gemette Alec, stringendo con più forza
le natiche dell'uomo. "C-cavalcare sul.. sul serio?"
biascicò senza fiato.
"Cavalcare un cavallo vero, sì." ridacchiò
Magnus, piegandosi per mordicchiargli il mento.
"S-sì. Credo.. credo di sì."
"Bene." annuì soddisfatto Magnus, allungandosi per prendere
il lubrificante. "Allora passiamo alla richiesta. Voglio due ore al
giorno del tuo tempo."
Alec serrò gli occhi quando il bacino di Magnus
strusciò con più decisione su di lui. "Non.. non
è una richiesta! E'.. cazzo.. è.. è un
ordine!" riuscì a dire, faticando, non poco, a restare
lucido. "E per.. per fare cosa poi?"
"Per stare con Max."
Alec spalancò gli occhi. "Cosa?" chiese, dimenticando per un
momento il piacere che l'altro gli stava procurando.
"Voglio due ore al giorno del tuo tempo per stare con Max."
ripetè Magnus, aprendo il lubrificante ed iniziando a
toccarlo nella sua zona erogena.
Alec gemette forte. "S-sei sleale." riuscì poi ad esalare.
Magnus sorrise, orgoglioso. "Grazie. Mi impegno parecchio per esserlo."
replicò, baciandolo profondamente. "Ho la tua parola?" gli
chiese, quando si staccò, dopo un po', dalle sue labbra.
"Va.. va bene." rispose Alec, senza fiato.
Magnus sorrise trionfante, prima di dedicarsi totalmente a lui e
portarlo verso le cime del piacere.
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Capitolo 18 *** Capitolo 18 ***
"Un'ora."
"Due."
"Una!"
"Ma me ne hai promesse due neanche quaranta minuti fa!"
"Non posso dedicargli due ore." protestò Alec, con le guance
imporporate al ricordo di come l'altro era riuscito a strappargli la
promessa. "Primo, perchè mi hai estorto quell'impegno con la
forza e.."
"Esagerato!" sbuffò Magnus, roteando gli occhi. "E poi non
mi pare che ti sia dispiaciuto così tanto, soprattutto
quando hai urlato " Lì,
Magnus, ohhh sì! Proprio lì!", eh!"
lo punzecchiò con un sorriso a trentadue denti.
"E secondo.." lo ignorò Alec, con il viso completamente in
fiamme, mentre gli lanciava un'occhiataccia. "..il processo sta per
terminare e non ho tempo da perdere."
Magnus inspirò bruscamente, portandosi la mano al petto.
"Ritira subito quello che hai detto!" si indignò,
spalancando gli occhi. "Non è affatto tempo perso!"
"Sai cosa voglio dire." si giustificò Alec, con un sospiro,
mettendosi seduto sul letto. "Magnus, sul serio, posso concederti
un'ora. Non di più."
"Due."
"Una. E, se posso permettermi, ti suggerisco di non forzare le cose per
creare un legame tra me a Max." lo esortò Alec, in tono
gentile. "Abbiamo bisogno di tempo. Entrambi."
"Appunto!" esclamò Magnus, schiaffeggiandolo su un fianco.
"Avete bisogno di passare del tempo insieme ed è quello che
sto cercando di realizzare!"
Alec scosse la testa. "In tua assenza abbiamo consumato dei pasti a dir
poco silenziosi. E ti giuro che mi sto trattenendo per non descriverli
in maniera più offensiva." lo informò,
lanciandogli un'occhiata eloquente. "Max si rifiuta di dire anche solo
una parola o di alzare lo sguardo dal piatto. Il suo ostinato silenzio
non è piacevole, ma forzarlo, a fare qualcosa che detesta,
difficilmente migliorerà le cose."
"Gli parlerò io." ribattè Magnus, determinato.
"Un'ora comunque non è sufficiente. E che cavolo, non fai
neanche in tempo a sellare il cavallo e a salirci in groppa!"
"Primo, i cavalli saranno sellati dal signor Fell e, secondo, quanto
tempo pensi che ci voglia per montarci sopra?" chiese Alec, incredulo.
"E' un cavallo, santo cielo. Non stiamo mica parlando di scalare una
montagna!"
"Solo perché ci sei abituato, la fai facile." si
imbronciò Magnus, incrociando le braccia al petto. "Max non
ha mai cavalcato! Potrebbe cadere, potrebbe avere paura di avvicinarsi
a quel bestione, potrebbe.."
"Magnus.." lo interruppe Alec, massaggiandosi il setto nasale. "Stiamo
parlando di un pony alto un metro e mezzo. Il peluche che ha in camera,
a forma di orso, è molto più grande. Per dire."
spiegò, calmo. "Prende uno sgabello e ci salta su!"
"E se cade mentre ci
salta su? Eh?" lo scimmiottò Magnus. "Ci hai
pensato?"
Alec alzò gli occhi al cielo. "Lo faccio sedere io sulla
sella, va bene mamma
chioccia?"
Magnus gli lanciò un'occhiataccia, mentre si drizzava anche
lui.
"Per l'angelo, Magnus! Non è che partiremo al galoppo,
mentre il vento ci sferza il viso e ci scompiglia i capelli, eh!"
sbuffò Alec. "Anzi è già tanto se
lasceremo il recinto!"
Magnus assottigliò lo sguardo, per nulla convinto. "Tu sai,
vero, che se gli succede qualcosa ti strapperò il cuore dal
petto e me lo mangerò con un bel piatto di fave ed un buon
bicchiere di Chianti?"
Alec lo guardò, per nulla impressionato. "Ti stai davvero
paragonando ad Hannibal Lecter? Sul serio?" gli chiese, con un sorriso
storto. "E, comunque, lui si era mangiato il fegato, non il cuore."
Magnus scrollò le spalle. "Il risultato non cambia. Mentre
sorseggerò del buon vino, ti osserverò morire
lentamente, guardando con soddisfazione lo squarcio sanguinolento nel
tuo petto."
"Re del dramma.. e pure piuttosto macabro!" rispose Alec, alzando
nuovamente gli occhi al cielo e scuotendo piano la testa. "Lo
terrò a mente, ok? Riferiscigli che dovrà alzarsi
presto. Passeremo un'ora, insieme, al mattino. Fai in modo che domani,
alle sette, si presenti alle scuderie."
Magnus lo fissò a bocca aperta, troppo sconvolto per
contestare nuovamente l'esiguo lasso di tempo che i due avrebbero
passato insieme. "Alle.. alle sette? Ma è notte fonda!"
Alec lo guardò, alzando un sopracciglio, con un sorriso
divertito. "Il sole, a quell'ora, è già sorto da
un pezzo, sai?"
"Ma.. ma.."
"Niente ma. Alle sette o non se ne fa niente." lo avvertì
Alec, puntandogli l'indice contro.
"Così mi uccidi, Alexander." gemette Magnus, ributtandosi a
peso morto sul letto.
Alec ridacchiò. "Che c'entri tu?" chiese, con finta
innocenza.
Magnus lo incenerì con lo sguardo. "Sai perfettamente che
dovrò svegliarlo io perché nessuno, tra i tuoi
domestici, lo farebbe al posto mio."
Alec sorrise. "Davvero?"
"Vai a farti fottere." esclamò Magnus, facendogli il dito
medio.
"Ci hai già pensato tu." replicò Alec, con
soddisfazione.
Magnus lo fissò a bocca aperta. "Chi sei tu e che fine ha
fatto tutta la tua timidezza?"
Il viso di Alec si illuminò. "E' andata a farsi fottere
anche lei."
"Scurrile." sentenziò Magnus, chiudendo gli occhi e
scuotendo piano la testa.
Alec sorrise. "Che ne dici se ti faccio una controproposta?"
Magnus aprì gli occhi e girò il volto per
guardarlo, attento.
"Cavalcheremo insieme per tutte le ore che vorrai non appena il
processo sarà terminato e, nel frattempo, potremmo passare
un'ora insieme, mentre gli insegno a tirare con l'arco."
Magnus lo osservò, sorpreso. "Sei un arciere?"
"Arciere è una parola grossa. Diciamo che me la cavo."
"Davvero?" sorrise Magnus. "Ok accetto la tua controproposta, ma ad una
condizione."
"Quale?"
"Che gli impartirai queste lezioni nel pomeriggio. La mattina
è un grande, immenso, stratosferico NO!"
Alec scoppiò a ridere di gusto. "Ok, ci sto."
acconsentì, stringendogli la mano. "Ma ad una condizione."
Magnus assottigliò lo sguardo. "Quale?"
"Che tu mi dica cosa ti ha detto Max."
Magnus spalancò gli occhi, sorpreso. "No! Scordatelo! Non
posso fare la spia. Gliel'ho promesso." si indignò,
imbronciando le labbra.
"Ok, allora cancella tutto quello che ti ho detto." rispose Alec,
gesticolando con le mani. "Cavalcheremo, insieme, un'ora dalle sette
alle otto del mattino e basta." concluse, scrollando le spalle e
muovendosi per alzarsi dal letto.
"Aspetta!!" lo agguantò Magnus.
"Sì?"
Magnus si torturò il labbro inferiore. "E' davvero
necessario?"
"Te l'ho già detto, Magnus, il processo sta per terminare e
non ho molto tempo da dedicargli, quindi, sì, un'ora
è tutto quello che sono disposto a concedere."
"Non quello." sbuffò Magnus, roteando gli occhi. "Quello che
mi ha detto Max. E' davvero così importante?"
Alec annuì. "Lo è. Non ti chiederei mai di
infrangere una promessa, se non fosse una cosa seria."
"A cosa ti serve?"
"Potrebbe essere utile per la causa che sto seguendo."
Magnus aggrottò la fronte, perplesso. "Ma la tua causa
è contro Morgenstern."
Alec gli lanciò un'occhiataccia severa. "Già,
anche se tu,
questo, non lo dovresti sapere."
Magnus roteò gli occhi, sventolando una mano come per
scacciare una mosca fastidiosa. "Il fascicolo era proprio
lì, chiunque avrebbe potuto leggerlo."
"Entrambe le volte?"
"Beh.. sì!"
Alec si passò le mani tra i capelli, gemendo.
"Che c'è? E' vero, per Lilith! E, giusto per amore di
cronaca, sappi che è un pregio essere curiosi, nella vita."
si giustificò Magnus, perorando con fervore la sua causa.
"E' qualcosa di fondamentale, di essenziale, se si vuole vivere una
vita piena e soddisfacente."
Alec sbuffò un verso strozzato, guardandolo incredulo.
"Ohhh ma che ne vuoi sapere tu!" esclamò Magnus,
spintonandolo e facendogli la linguaccia. "Allora, cosa c'entra
Morgenstern con l'orfanotrofio?" gli chiese poi, curioso.
"C'entra perché quel posto appartiene a lui e se
c'è una possibilità, anche piccola, di mandarlo
dietro le sbarre con le informazioni che ti ha raccontato Max.. beh
devo sfruttarla!"
Magnus si alzò a sedere di scatto. "Cosa?" urlò.
"Quell'essere gestisce un orfanotrofio? Ma non può!"
"Può e lo fa." replicò Alec, con una smorfia.
"Quindi, per favore, puoi dirmi cosa ti ha detto Max?"
Magnus sospirò, tentennò un attimo, ma poi
vuotò il sacco. "Può esserti utile?" gli chiese,
quando terminò il racconto.
"No, purtroppo no." rispose Alec, sospirando deluso. "Il verme che ha
spaventato Max è Jonathan, il figlio di Morgenstern." lo
informò, con voce spenta.
Per un momento si era illuso, davvero illuso, di avere qualcosa da
poter usare contro Valentine, ma, come al solito, aveva fatto un grosso
buco nell'acqua.
"Suo figlio? Ma ha detto di chiamarsi Verlac." esclamò
Magnus, perplesso.
"Usa quel cognome fittizio per evitare di venire continuamente
associato al padre." rispose Alec, scrollando le spalle. "E' del tutto
inutile, comunque. E' impossibile non farlo, visto che hanno la stessa
indole subdola e cattiva."
"Ho notato. Ha messo le mani addosso a Max e gli ha lasciato un livido
enorme sul braccio." sibilò Magnus, appuntandosi mentalmente
di farla pagare a quell'individuo che aveva osato toccare il suo
bambino.
Alec chiuse gli occhi ed appoggiò la testa al muro,
battendola poi piano alla parete. "Posso far partire una denuncia nei
confronti di Jonathan, ma con Valentine ho le mani bloccate,
dannazione! E' suo figlio che ha strattonato Max e ha minacciato di
morte Rafe, non lui. E, tra l'altro, le minacce a quest'ultimo saranno
sicuramente smentite."
"Perché?" chiese Magnus, incredulo.
"Perché la controparte affermerà che si tratta di
fantasie infantili e, soprattutto, che ci stiamo accanendo sulla
famiglia Morgenstern per via della causa in corso."
"Ma non è vero! L'ha minacciato e i bambini lo possono
testimoniare!"
"Vorrei che fosse così semplice, davvero, ma non lo
è." disse Alec, con un sospiro. "Sono mesi che sto dietro a
questo caso, Magnus. Mesi. E, fin'ora, non ho niente di concreto in
mano che mi faccia pensare di avere anche solo una
possibilità di vincere contro Morgenstern."
Magnus si rabbuiò e si ributtò sul letto. Cosa
c'era di così complicato? Quel verme di Verlac aveva
minacciato due bambini e solo l'intervento di Clary aveva evitato il
peggio. Il suo viso si illuminò lentamente e si
alzò di nuovo di scatto, arpionando il braccio di Alec.
"Ahio!" si lamentò Alec, staccando i lunghi artigli smaltati
dell'altro dalla sua pelle.
"Clary!" esclamò Magnus, a gran voce.
"La ragazza di Jace? Che c'entra?" chiese Alec, confuso.
"Max ha detto che era all'orfanotrofio e che ha bloccato Verlac prima
che tirasse un calcio a lui ed a Rafe." il volto di Magnus si fece
tempestoso al ricordo del racconto del figlio.
Alec aggrottò la fronte. "Cosa ci faceva là?"
"Prima non ne avevo idea, ma da quando mi hai detto a chi appartiene
l'orfanotrofio.. tutto torna, cazzo!" urlò, battendo il
pugno sul palmo della mano.
"Di cosa stai parlando?" chiese Alec, stranito.
"Sapevi che il suo cognome è Morgenstern?"
Alec lo fissò, sorpreso. "La tappetta rossa è
imparentata con Valentine?"
"Colgo un certo risentimento nei suoi confronti." indagò
Magnus, con un sorriso, socchiudendo gli occhi. "Ma sì.
Anzi, ti dirò di più, credo che Clary sia sua
figlia!" asserì, con convinzione.
Alec scosse la testa. "No, non lo è. Dalle informazioni che
abbiamo sulla famiglia Morgenstern, sono certo che Valentine, oltre a
Jonathan, non ha altri figli. Sicuramente è solo un caso di
cognome in comune."
"E' sua figlia. Ne sono quasi sicuro!"
"E' quel quasi
che non mi convince." esclamò Alec, scettico.
Magnus sbuffò. "Se non è sua figlia, comunque ha
sicuramente un legame con Morgenstern!"
Alec indurì improvvisamente i tratti del viso. "Se Jace lo
sa, questa è la volta buona che lo uccido e faccio sparire
il suo cadavere! C'è in ballo un conflitto d'interessi
grande così, cazzo!"
"C'è un'unica cosa che ancora non quadra."
borbottò Magnus, massaggiandosi il mento, pensieroso.
Alec però non lo stava ascoltando. "Lo uccido. Giuro,
sull'anima di mia madre, che questa volta lo uccido!"
digrignò a denti stretti. "Ohhh no! No, sarebbe troppo
facile. Non soffrirebbe abbastanza! Gli tingo i capelli di verde
fluorescente! No! Lo rapo a zero! No! Gli brucio il guardaroba e..
NO!!! Lo lego e gli scaglio addosso un esercito di anatre!"
urlò trionfante, stringendo un pugno, con un
luccichìo diabolico negli occhi.
"Ohhh tipregotipregotiprego, se decidi di punirlo con le anatre, voglio
esserci anch'io!" lo scongiurò Magnus, con un sorriso
enorme, congiungendo le mani.
"Non c'è niente da ridere, Magnus. Jace è in una
situazione gravissima! Frequentare la figlia o la nipote (o quel cavolo
che è) di Valentine è una cosa inammissibile!"
"E' innamorato." lo giustificò Magnus, scuotendo le spalle.
"E poi, finché non parli con lui, non puoi sapere se sa che
Clary è una Morgenstern e.." disse, interrompendosi
bruscamente, mentre gli occhi diventavano due enormi pozze
verdi-dorate. "Oh.mio.Dio. Ma certo! Come ho fatto a non pensarci
prima?" esclamò poi, battendosi una mano sulla fronte.
"Pensare a cosa?" chiese Alec, aggrottando la fronte.
"Cazzo! E' così ovvio!" si entusiasmò Magnus,
saltellando sul letto.
"Che cosa è ovvio?" chiese Alec, sempre più
confuso, mentre veniva sballottato dall'irruenza dell'altro.
"Sapevi che Sheridan la conosce fin da quando sono bambini?" gli chiese
Magnus, anziché rispondere alla sua domanda.
Alec lo fissò stranito. "Chi diavolo è.. Ah!
Simon?" chiese con un sorriso. "Credo.. sì, credo di aver
captato qualcosa quando siamo andati al pub, ma non gli stavo prestando
molta attenzione. La musica era davvero alta e poi.. era lui a
cianciare!" rispose poi, scrollando le spalle. "E con questo?"
"Sono andato a fare shopping con tua sorella e Stanley nei giorni
scorsi ed abbiamo incontrato Clary che usciva da una farmacia."
"Ripeto: e con questo?" chiese Alec, allargando le braccia e faticando
non poco a stare dietro al pensiero contorto dell'uomo.
"Beh, sappi che, ad un certo punto, mentre stavamo chiacchierando
amabilmente del più e del meno.. davvero, come puoi non
adorare Biscottino? E' così deliziosa e gentile. Ha questo
visetto dolce che.. e sapevi che sa disegnare davvero bene? E.."
"Magnus!!" lo interruppe Alec, sbuffando ed alzando gli occhi al cielo,
esasperato. "Ne abbiamo già parlato. Sii conciso, cazzo!
Conciso!" esclamò, gesticolando con le mani.
La mania di quell'uomo di iniziare un discorso per poi perdersi in un
altro, e poi un altro ancora, finendo col disquisire di un argomento
totalmente estraneo a quello con cui aveva iniziato, era snervante.
"Uff! Che noiosone che sei! Che stavo dicendo? Ah sì, ad un
certo punto ha accostato una macchina nera da cui è uscito
un tizio che l'ha chiamata signorina Morgenstern e che l'ha informata
che suo padre la stava aspettando."
"E quindi?" chiese Alec, al limite della sopportazione, non riuscendo a
capire dove volesse andare a parare l'altro.
"Quando siamo andati al pub e ho chiesto informazioni a Stewart, lui mi
ha detto che, in realtà, il cognome di Clary è Fray, non
Morgenstern. Fray! E' strano, non trovi? Però poi ho
pensato, e questo è merito tuo, te ne do atto, cioccolatino,
che se Jonathan si fa chiamare Verlac, per non essere associato
continuamente a Valentine, potrebbe farlo anche Clary, no? Che ne
pensi?" chiese Magnus, entusiasta, sentendosi improvvisamente il nuovo
Sherlock Holmes. "Deve essere per forza così e.. ehm..
Alexander? Stai.. stai bene?"
L'uomo si era accorto solo in quel momento che il volto di Alec era
sbiancato e tendeva pericolosamente al cadaverico.
"Non stai per svenire, vero?" gli chiese Magnus, preoccupato, parandosi
davanti a lui. "Alexander? Alexander sei ancora con me?"
domandò, schioccandogli le dita davanti al viso.
"Ripeti." sibilò Alec, agguantando in una morsa ferrea i
bicipiti di Magnus.
"Alexander.." gemette Magnus.
"Ripeti." disse Alec, di nuovo, allentando la presa.
"Cosa?"
"Quello che ti ha detto Simon."
"Che il vero cognome di Clary è Fray e non Morgenstern?"
chiese Magnus, perplesso.
Alec scattò come una molla verso la sua scrivania e poi,
zoppicando, tornò verso il letto con l'enorme faldone
contenente tutte le carte del caso. Posò il tutto sul
lenzuolo e sfogliò, come un forsennato, i vari fascicoli,
fino a quando non trovò il plico che voleva. Sapeva
praticamente a memoria ogni dannata parola scritta là
dentro, ma volle comunque verificare quel dettaglio, per togliersi ogni
dubbio. Trovò il dossier della donna e lo scorse velocemente.
"Come ricordavo. Eppure hanno lo stesso cognome. Che sia una
coincidenza?" chiese, girandosi verso Magnus, ma con la mente altrove.
Prese poi in mano una fotografia e la osservò a lungo, in
silenzio. "Come ho fatto a non notare la somiglianza?"
"Di cosa stai parlando?" chiese l'altro, tentando di sbirciare la foto.
Alec sospirò, posandosi la fotografia sul petto. "Giurami
che quello che sto per confidarti non uscirà da questa
stanza." disse poi, guardandolo intensamente negli occhi.
Magnus annuì, si chiuse le labbra con un gesto della mano,
girò un'immaginaria chiave e se la gettò dietro
le spalle.
"Il caso che sto seguendo ha avuto inizio con l'accusa di una donna nei
confronti di Valentine Morgenstern." gli confidò Alec,
serio.
"Che tipo di accusa?"
"Violenza ed abuso su minori."
Magnus
spalancò gli occhi, gemendo. "Per Lilith.."
sussurrò.
"Non è una bella causa, no." ammise Alec, scuotendo piano la
testa. "I bambini, oggetto dell'indagine, fanno tutti parte
dell'orfanotrofio Il
Circolo." continuò poi. "Ho parlato con tutti
loro, incluso Rafe, ma fin'ora nessuno ha mai aperto bocca, nonostante
abbiano lividi e bruciature, che sono un chiaro segno di maltrattamenti
e violenze. Non c'è uno straccio di prova, però,
che lo testimoni e la controparte giustifica il tutto come esuberanza
infantile. Secondo le loro deposizioni, infatti, i bambini si fanno
male cadendo dall'altalena o correndo come forsennati su quel misero
prato che si trova dietro l'istituto. Ci crederesti?" chiese, con amaro
sarcasmo. "Il problema è che i ragazzini sono troppo
spaventati per mettersi contro i loro aguzzini, quindi non parlano e
noi non abbiamo nessuna valida testimonianza che possiamo usare contro
Morgenstern." disse, girando il volto per guardarlo, mentre Magnus lo
ascoltava, attento.
"Dio.. è.. deve essere davvero orribile."
bisbigliò Magnus. "Quei bambini.. L'unico luogo che ritieni
sicuro, solitamente, è casa tua, ma per loro.. Per Lilith,
deve essere un incubo per loro!"
Alec rimase in silenzio a lungo. Alla fine si limitò ad un
laconico "Già.", sussurrato con voce roca.
Magnus sentì una stretta al petto. Era certo che anche
l'infanzia e l'adolescenza di Alec non erano state affatto un periodo
felice. Per tutti i diavoli, ne portava ancora i segni,
indelebili, sulla pelle! Non osava, inoltre, neanche immaginare di
quali efferate violenze si doveva occupare ora che era cresciuto. Se
lui avesse dovuto confrontarsi, tutti i giorni, con quel tipo di abusi
di sicuro avrebbe oscillato tra lacrime e rabbia continuamente. Fece
scivolare la mano lungo il suo braccio, intrecciò le dita
con le sue e gliele strinse rassicurante, tentando di trasmettergli
quanto più conforto possibile.
Alec accennò il fantasma di sorriso. "Vuoi sapere come si
chiama la donna?"
Magnus annuì energicamente.
"Jocelyn Fray."
"Fray?" chiese Magnus, sorpreso. "Credi possa avere qualche parentela
con Clary?"
"Giudica tu." ribatté Alec, girando la foto che aveva in
mano per mostrarla finalmente a Magnus.
Una donna dai capelli rossi sorrideva all'obiettivo ed assomigliava in
modo impressionante alla giovane che avevano conosciuto all'ospedale,
ma con qualche anno di più.
"Oh sì. Sono decisamente parenti." commentò
Magnus, prendendogli la fotografia di mano.
"Eppure, secondo le nostre informazioni, la signora Fray non ha
né figli né parenti in vita. Quindi, qual
è il suo legame con la ragazza?" chiese Alec, rivolto
più a se stesso che all'altro, tamburellando le dita sul
materasso.
"Perché non lo chiedi alla signora?" chiese Magnus,
riportando lo sguardo sulla sosia di Clary.
"Perché é sparita nel nulla! Il giorno prima
è venuta nel nostro studio per discutere, come sempre, del
caso ed il giorno dopo, puff, di lei si sono perse le tracce. Abbiamo
sporto denuncia per la sua scomparsa, ma, ad oggi, è come se
si fosse dissolta nel vento."
"Non è che, invece, si è dissolta nell'acido?"
chiese Magnus, con macabra ironia.
"Sì, abbiamo pensato anche a questo, ma, anche in questo
caso, non c'è uno straccio di prova che Valentine le abbia
fatto del male!"
"Ecco! Hai visto?! Eh? E poi ha rotto gli zebedei al sottoscritto
perché volevi che denunciassi Valentine!" esclamò
Magnus, lanciandogli un'occhiataccia e tirandogli uno schiaffo sulla
spalla. "Col cavolo! Non è arrivato al vertice della
criminalità, così, per caso!"
Alec sospirò, massaggiandosi la fronte.
"Perché non chiedi a Jace? Potrebbe domandarlo a Clary."
propose Magnus.
"Lo escludo." rispose Alec, categorico.
"Perché?"
"Perché devo seppellire il suo cadavere quando
tornerò da lui dopo il passaggio dell'esercito di anatre!"
Magnus rise. "Chiediglielo." gli consigliò, colpendogli
piano la spalla con la propria.
Alec sbuffò forte. "Va bene, dopo lo chiamo."
Il volto di Magnus si animò. "Aspetta! Mi è
venuta un'idea geniale!" esclamò eccitato, saltellando
nuovamente sul letto.
"Quale?"
"I bambini difficilmente si fidano degli adulti, specie quelli
maltrattati. Perché dovrebbero fidarsi di uno di loro,
quando vengono picchiati da un suo simile?" iniziò a
blaterare Magnus.
"E quindi?"
Magnus gli rivolse un sorriso enorme. "Max."
"Max?" chiese Alec, perplesso. "Cosa c'entra ora?"
"E' amico di Rafe! Non ho idea di come si conoscano, perché
ha completamente saltato quella parte durante il racconto, ma nostro
figlio potrebbe scoprire cosa succede all'orfanotrofio, se Rafe si
confida con lui, no?"
Alec lo fissò, scettico. "Non credo funzionerà.."
"Ma certo che funzionerà!" esclamò Magnus,
orgoglioso, tirandogli un altro schiaffo sulla spalla.
"Magnus.."
"Fidati di me! Funzionerà! Quando c'è l'udienza?"
"Venerdì."
Magnus si picchiettò il mento, pensoso. "Sì,
abbiamo qualche giorno di vantaggio."
Alec sospirò, alzando lo sguardo al soffitto. Poteva
funzionare? Lo escludeva, ma non aveva niente da perdere, quindi
perché non tentare?
"E va bene." concesse con un cenno della testa.
"Perfetto!" esclamò Magnus, battendo le mani soddisfatto. "E
ora.. andiamo!"
Alec lo guardò, stranito. "Dove.. dove dobbiamo andare?"
"A farci una doccia." rispose Magnus, come se fosse ovvio, adocchiando
l'ora sul display dell'orologio posto sopra al comodino dell'avvocato.
"E' quasi mezzogiorno e io muoio di fame! Fare sesso mi mette
appetito!" lo spintonò sorridendo, facendolo scendere dal
letto senza tanti complimenti. "Su! Muoviti!"
Alec sbuffò, pronto a rifilargli una rispostaccia per quei
modi bruschi, quando incespicò nei suoi stessi vestiti e,
per non cadere faccia a terra, si ritrovò inginocchiato ai
suoi piedi.
"Ommioddio!" cinguettò Magnus, inspirando bruscamente e
sventolandosi una mano in volto. "Così? Su due piedi?
Abbiamo fatto sesso riappacificatore solo questa mattina!"
asserì, fingendosi stupito ed asciugandosi false lacrime.
"Ohhh al diavolo. Faremo del gran sesso riparatore ogni volta che
bisticceremo!" blaterò, con un sorriso enorme.
"Sì, accetto! Dai, sgancia il brillocco!" concluse,
porgendogli la mano per farsi mettere un ipotetico anello al dito.
Alec divenne paonazzo. "Cosa.. no.. io.. no.. cioè.. io..
non.." balbettò.
Magnus rise, scuotendo la testa. "Dai, andiamo." ripetè,
afferrandolo delicatamente per le braccia ed aiutandolo ad alzarsi.
Alec si rimise in piedi, ma non fece in tempo a ricomporsi che si
ritrovò, inaspettatamente, sollevato tra le braccia
dell'altro.
"Uhm. Abbiamo preso un po' di peso dall'ultima volta eh?" chiese
Magnus, irriverente.
Il viso di Alec prese fuoco. "Mettimi subito giù!"
ordinò, con voce stridula.
"Domani devi insegnare a nostro figlio a tirare con l'arco e non voglio
assolutamente che tu sforzi inutilmente la tua bella caviglia."
replicò Magnus, dirigendosi verso il bagno.
"MAGNUS!!! Cazzo!! Non sto scherzando!" esalò Alec, a corto
di fiato. "Mettimi giù immediatamente!"
"Non discutere, principessa."
rispose Magnus, facendogli l'occhiolino e chiudendo, con un calcio, la
porta del bagno dietro di loro.
Presidente fece un balzo scomposto, poi, una volta posate nuovamente le
zampe a terra, schizzò via alla velocità della
luce, non prima di aver esternato tutto il suo disappunto arruffando il
pelo e soffiando in direzione dei tre umani che si trovavano ad una
decina di metri da lui.
"Ok. Hai quasi infilzato il gatto, ma almeno ti stai avvicinando al
bersaglio." sospirò Alec, grattandosi una guancia con la
punta dell'indice.
Max gli lanciò un'occhiataccia, mentre incoccava un'altra
freccia. Alzò faticosamente l'arco e rilasciò
senza neanche concentrarsi sulla mira. La freccia si
conficcò nel terreno a pochi metri da lui.
"Mirtillo, pasticcino di papà, sei sicuro che non sia troppo
pesante quell'arco?" chiese Magnus, dubbioso, osservando preoccupato
l'attrezzo in mano al figlio, che sembrava avere tutta l'aria di essere
un macigno pronto a spezzargli il braccio.
Max scosse la testa. Non era colpa dell'arco, era lui ad essere
totalmente negato per quell'attività! Nonostante gli
piacesse tenerlo in mano e si fosse sentito elettrizzato all'idea di
usarlo, aveva scoperto che scoccare una freccia non era affatto facile
come aveva sempre pensato. Aveva visto centinaia di film (di cui uno la
sera prima, su consiglio di suo padre, il quale aveva blaterato come
fosse necessario essere sempre preparati, anche solo mentalmente, ad
ogni tipo di attività, ed in cui c'era un arciere bravissimo
di nome Legolas) e di cartoni animati in cui il protagonista centrava
il bersaglio con una facilità disarmante, ma lui faticava
anche solo ad avvicinarsi a quel coso di paglia! Per non parlare delle
regole che servivano sia per non farsi male che per tirare! L'avvocato
ci aveva impiegato una buona mezz'ora per spiegargli il tutto, ma tra
l'imbracatura, la postura da tenere a mente e la difficoltà
di alzare l'arco senza che il braccio tremasse in modo incontrollabile,
neanche fosse fatto di gelatina, Max era esausto.
"Vuoi riprovare?" lo incoraggiò Magnus, baciandogli una
tempia.
Max annuì e tirò di nuovo su l'arco.
"Fermati." gli ordinò Alec, osservandolo. "Se non ti
concentri, non arriverai mai vicino all'obiettivo. Ricordati cosa ti ho
detto sulla posizione. Perpendicolare al bersaglio ed alla linea di
tiro."
Max sbuffò, ma seguì le direttive.
"Incocca la freccia e posiziona le tre dita per tenerla appoggiata
sulla corda." continuò Alec, andandogli vicino e
controllando che eseguisse correttamente quanto gli stava dicendo.
"Alza le braccia e tendi l'arco. Ecco, così." disse,
annuendo quando il bambino compì il gesto corretto. "Ok,
mira al bersaglio e poi rilascia la freccia rilassando le dita della
mano."
Max scoccò e, questa volta, la freccia centrò il
cerchio più esterno del bersaglio.
"Bravo Mirtillino!" esclamò Magnus, saltellando e battendo
le mani, entusiasta.
"Non male." concordò Alec, con le mani sui fianchi.
Max sorrise, soddisfatto, e riprovò, ripetendo mentalmente
tutti i passaggi ed andando a segno nuovamente.
"Non male? Ma hai visto che roba? Il mio cuore di panna è
fantastico!" dichiarò Magnus, orgoglioso, congiungendo le
mani e portandosele al viso, mentre le guance di Max si coloravano per
l'imbarazzo.
Alec alzò gli occhi al cielo, poi guardò il suo
orologio. "Ok, tempo scaduto. Continueremo domani, va bene?"
"E' già passata un'ora?" protestò Magnus,
aggrottando la fronte.
"Sì ed io devo tornare al lavoro."
"Altri dieci minuti?"
"Magnus.."
"Ma sono solo altri dieci minuti! Non ti sto mica chiedendo un'altra
ora." si lamentò Magnus. "Anche se me ne avevi promesse
due." borbottò in un sussurro.
Alec lo fulminò, incrociando le braccia al petto.
"Oh per tutti i diavoli. Sono solo altri dieci minuti e.."
continuò Magnus, interrompendosi poi di botto, sorpreso,
quando Max gli mise in mano l'arco. "Che.. che fai?"
Max, per tutta risposta, gli sorrise, lo salutò con la mano
e poi corse a perdifiato verso il boschetto.
Il padre fissò, a bocca aperta e con sguardo offeso, quel
traditore del figlio che l'aveva lasciato là, come un
baccalà, nonostante si stesse battendo per lui ed il suo
diritto di passare del tempo con Alec. Quella piccola pulce dispettosa!
Gli avrebbe fatto una ramanzina più tardi, questo era poco,
ma sicuro!
Alec si morse l'interno delle guance per non sorridere. "Allora, vuoi
provare anche tu?" chiese, indicando, con un cenno della testa, l'arco
che l'altro teneva in mano.
Magnus assottigliò lo sguardo. "Non dovevi tornare a
lavorare?"
Alec scrollò le spalle. "Se non sei in grado, basta dirlo."
lo stuzzicò.
Magnus si morse il labbro inferiore, indignato. "Certo che sono capace!
Che ci vuole?"
Incoccò, con non poca difficoltà, una freccia,
alzò l'arco e tirò di getto, convinto che fosse
un gioco da ragazzi. La freccia, però, andò a
conficcarsi nella corteccia di un albero che non si trovava neanche
vicino al bersaglio.
Alec, dietro di lui, premette con forza le labbra una sull'altra e
tossì per mascherare la risata che gli era salita in gola.
"E' stato un tiro sfortunato." minimizzò Magnus, senza
neanche voltarsi a guardarlo. "Posso riprovare?"
"Sicuro." annuì Alec, passandogli un'altra freccia.
Il secondo tiro si afflosciò ad una manciata di metri da lui.
"Nei film sembra più facile." borbottò Magnus,
imbronciato, girandosi per fronteggiare l'altro.
Alec sorrise e, senza dire una parola, prese una freccia, la
incoccò e, con un movimento fluido ed esperto,
tirò su l'arco e prese la mira. Prima di rilasciare
guardò Magnus e scoccò, lasciando lo sguardo
incatenato al suo.
Magnus voltò repentinamente il viso per vedere dov'era
finita la freccia, convinto che si fosse conficcata in qualche albero o
che avesse sorvolato il bersaglio per poi sparire nei cespugli che si
trovavano dietro di esso. Spalancò gli occhi, incredulo,
quando vide che, invece, si trovava nel centro esatto del bersaglio.
"Come ci sei riuscito?" gli chiese, sbalordito.
Alec scrollò le spalle. "Te l'ho detto. Me la cavo."
"Sapresti rifarlo?"
Alec ripetè il gesto e, di nuovo, la freccia andò
a conficcarsi nel centro.
"Cazzo!" sussurrò Magnus, ammirato. "Sei bravo." si
complimentò. "Ma scommetto che non sei in grado di metterne
a segno tre su tre."
Alec alzò un sopracciglio, scuotendo piano la testa. "Non
dovresti scommettere su questo genere di cose."
"Perché no? Ansia da prestazione, Lightwood?" lo
stuzzicò Magnus, con un sorrisetto.
Alec scrollò le spalle, per poi dare un'occhiata
all'orologio. "Sono in ritardo.." constatò.
"Se non sei in grado, basta dirlo." lo scimmiottò Magnus,
ironico.
Alec alzò gli occhi al cielo, prima di scoccare la terza
freccia che andò ad infilarsi in una delle frecce
già presenti nel centro del bersaglio.
"E che cazzo!" urlò Magnus, sgomento, spalancando le
braccia. "Chi diavolo sei? Robin Hood?"
Alec ridacchiò. "Ok, devo proprio andare. Ci vediamo
più tardi, Bane." lo salutò, mentre si dirigeva
verso casa.
Magnus accennò un debole saluto, mentre ancora non riusciva
a staccare gli occhi dal bersaglio.
"Oh.. Magnus?"
"Cosa?" si rianimò l'altro, guardando l'avvocato.
"Preparati alla penitenza." lo avvisò Alec, facendogli
l'occhiolino, per poi allontanarsi.
Magnus trattenne il fiato, per quella velata (ma neanche tanto)
minaccia, dilatando poi gli occhi quando la sua mente
ricordò nuovamente il dettaglio della conversazione avuta con Verlac.
Sapevi che Alec
Lightwood sa a chi ha aperto le gambe quella sgualdrina di sua moglie,
mentre lui giocava a fare il Robin Hood dei poveri in stupidi tornei?
Quello stronzo! L'aveva ingannato! Gli aveva fatto credere che non era
granchè nel tiro con l'arco ed, invece, partecipava ai
tornei! In un lampo gli tornò alla mente la conversazione avuta con Hodge. Cazzo! Se n'era completamente dimenticato!! Solo ora gli tornava alla memoria che il maggiordomo aveva elogiato le doti da arciere di Alec. Cazzo! Cazzo! E ancora cazzo! Si era fatto fregare come un pivellino!
Ma, quel che era peggio, ora avrebbe dovuto affrontare una penitenza
partorita dalla mente contorta di Alec che, da quanto aveva potuto
appurare dal giorno prima, non era affatto l'angioletto che poteva
sembrare.
Alec ridacchiò, mentre si dirigeva lentamente all'interno
della casa.
La vendetta è
un piatto che va servito freddo diceva qualcuno e lui
aveva tutta l'intenzione di seguire alla lettera quel consiglio.
Se Magnus Bane pensava di averla fatta franca, per quanto successo il
giorno prima, quando l'aveva portato in bagno senza tante cerimonie,
nonostante le sue accese proteste, si sbagliava di grosso. Sapeva
già quale punizione infliggere all'uomo con la cresta, ma
non avrebbe scoperto subito le sue carte. Oh no. L'avrebbe lasciato
cuocere un po' nel suo brodo, per poi rivalersi su di lui quando meno
se lo aspettava.
Un sorriso diabolico gli illuminò il volto, mentre si
dirigeva nel suo studio dove, ad attenderlo, c'era suo fratello.
"Perché stai sorridendo?" chiese Jace, sbalordito, quando lo
vide entrare.
Alec scrollò le spalle, sentendo che quel sorriso si
rifiutava di lasciare le sue labbra.
"Sei inquietante, lo sai?" continuò Jace, faticando a
riconoscere il fratello nel tizio sorridente e con gli occhi luccicanti
che aveva davanti. "Che hai combinato? Cosa ti è successo?"
Alec sbuffò. "Niente."
"Ohhh adesso sì che ti riconosco." annuì Jace,
con un sorriso, quando il fratello si imbronciò. "Allora di
cosa volevi parlarmi?"
Alec andò a sedersi dietro la scrivania, fissando poi lo
sguardo in quello del ragazzo biondo. "Se ti chiedo una cosa, prometti
che sarai del tutto sincero con me?"
Jace fece spallucce. "Certo." rispose, tranquillo. "Cioè.. a
meno che non mi chiedi quanto misura il mio p.."
"JACE!" urlò Alec, scandalizzato, interrompendolo.
"Naaa, te lo direi lo stesso." continuò il biondino, come se
non l'avesse sentito. "Lo vuoi sapere?"
"Per l'angelo! Perché mai dovrebbe interessarmi una cosa del
genere?" gli chiese Alec, con una smorfia disgustata.
"Ma che ne so." sorrise Jace. "Magari vuoi paragonare le mie misure con
le tue! E non fare quella faccia! Il mio soldatino è
fenomenale!"
"Dio mio." gemette Alec, spalmandosi le mani in faccia. "Cos'hai che
non va? Sul serio, cosa c'è che non va in quella tua testa
bacata?!"
"E' una domanda o un'affermazione?"
"Lasciamo perdere." esclamò Alec, liberandosi il viso e
scacciando quel discorso con un gesto della mano. "Devo farti una
domanda seria e mi aspetto una risposta altrettanto seria. Intesi?"
"Signorsì, signore!" rispose Jace, con un gesto militare.
Alec lo guardò malissimo. "Hai bevuto? Sono.." si
interruppe, per guardare l'orologio da polso. "..sono solo le cinque
del pomeriggio, ma non trovo altra spiegazione."
Jace ridacchiò ed Alec si irritò ancora di
più, nonostante sapesse perfettamente quanto il fratello
adorasse stuzzicarlo.
"Non riderai più quando vedrai la mole di lavoro che ti sto
per affidare." sibilò, per vendetta. "Verrai seppellito da
così tante scartoffie che, se il cielo lo vorrà,
rivedrò il tuo brutto muso tra un mese. Ecco."
Jace si fece improvvisamente serio. "Ho un appuntamento con Clary,
questa sera. Eddai, Alec, non puoi farmi questo!"
Alec sospirò. "Devo chiederti una cosa e mi piacerebbe che
tu fossi assolutamente sincero."
Jace annuì, energicamente. Avrebbe fatto di tutto, anche
saltare nei cerchi di fuoco, purchè Alec non attuasse la sua
punizione.
"Quanto conosci Clary?"
Jace aggrottò la fronte, sorpreso dalla domanda del
fratello. "Beh, ci frequentiamo da poco.." rispose, vago.
Alec annuì, sovrappensiero. "Ti.." si interruppe, per
schiarirsi la voce. "Ti ha mai parlato della sua famiglia?"
"Perché lo vuoi sapere?"
"Per favore, rispondi alla domanda."
"Non ha una famiglia." rispose Jace, sempre più perplesso.
"E' orfana di entrambi i genitori e non ha né fratelli
né sorelle."
"E ti ha detto qual è il suo cognome?"
"Alec, si può sapere cosa ti prende?" chiese Jace, iniziando
leggermente a spazientirsi per quelle domande senza senso.
"Jace.."
"Uff. Sì! Si chiama Clary Fairchild. Contento?" rispose
infine il biondo, sostenendo lo sguardo fisso ed intenso del fratello.
Sembrava che lo stesse sondando, quasi si stesse sincerando che gli
avesse detto la verità.
Alec iniziò a giochicchiare con una penna, pensieroso. La
tappetta rossa, dunque, si era inventata un terzo cognome che le
garantiva l'anonimato. Era scaltra. L'avvocato si chiese, non per la
prima volta da quando era venuto a conoscenza del vero cognome della
ragazza, se non fosse una spia di Morgenstern, se non stesse prendendo
in giro suo fratello al fine di carpire informazioni sulla causa in
corso, per tentare di scoprire a che punto era il suo lavoro o se c'era
qualche remota possibilità che lui riuscisse a vincere
contro Valentine. Se da un lato era contento che Jace fosse estraneo ai
fatti e non stesse frequentando consapevolmente la probabile figlia del
nemico, dall'altro era preoccupato per come sarebbe andata a finire
quella storia. Non voleva che suo fratello soffrisse a causa della
ragazza dai capelli rossi.
"Alec?" lo chiamò Jace. "Si può sapere
perché mi hai fatto tutte queste domande strane su Clary?"
Alec scrollò le spalle, deciso a tenere, almeno per il
momento, i suoi dubbi per sé, sui suoi sospetti e sulla
presunta vera identità della ragazza.
"Volevo solo sincerarmi che fosse una tipa a posto, tutto qua."
minimizzò, con un sorriso storto. "Nonostante tu sia un
perfetto imbecille, sei pur sempre mio fratello e non voglio che ti
faccia star male." gli rivelò, sincero.
Jace ridacchiò, facendogli poi una linguaccia. "Tranquillo,
fratellone. E' perfetta!" rispose, con un sorriso sognante. "Tutto qui?
Posso andare?"
Alec annuì, mascherando la preoccupazione con un sorriso.
"Ok, allora torno a lavoro. Stacco un po' prima perché..
sai.. come ti dicevo, ho un appuntamento con Clary e.."
"Vai, Casanova." sorrise Alec, scacciandolo con un gesto della mano. "E
salutamela." concluse, per pura cortesia.
Mentre il fratello ricambiava il gesto di saluto, uscendo poi dallo
studio, la sensazione che aveva colto Alec si fece più
pressante. C'era qualcosa che non quadrava in quella ragazza, lo
sapeva, lo sentiva. Non sapeva ancora cosa fosse, ma l'avrebbe scoperto
molto presto. Prese in mano il telefono e compose il numero di Aline.
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Capitolo 19 *** Capitolo 19 ***
L'odore del fieno e dei
cavalli usciva dalle porte aperte delle scuderie, mescolandosi all'aria
fresca del mattino. Max inspirò profondamente, gustandosi il
profumo oramai familiare di quel posto che gli penetrava le narici e
gli si attaccava alla pelle. Adorava tutto ciò.
Da quando, dopo pochi giorni dal suo arrivo nella tenuta, il signor
Fell gli aveva chiesto di aiutarlo ad accudire i cavalli, ogni giorno,
prima di recarsi al capanno nel bosco, Max correva nelle scuderie per
salutarli e dargli da mangiare.
Qualche giorno prima, inoltre, era arrivato un pony destinato a lui e
Max aveva seriamente pensato che, da un momento all'altro, sarebbe
scoppiato dalla felicità per quel dono inatteso. Il signor
Fell gli aveva detto che avrebbe dovuto attendere un po' prima di
cavalcarlo, ma a Max non importava perché, nel frattempo,
avrebbe imparato a spazzolarlo senza fargli male, a controllare che gli
zoccoli fossero a posto, a sistemare la sella sulla schiena e ad
agganciare correttamente le cinghie. Era elettrizzante tutto questo.
Diversi, invece, erano i sentimenti che provava nei confronti
dell'autore di tutta quella felicità. Prima il tiro con
l'arco, poi il pony e le lezioni di equitazione. L'avvocato, con tutti
quei regali inaspettati, lo stava confondendo non poco e Max non sapeva
più cosa provare nei suoi confronti.
Aveva il vago sospetto che ci fosse lo zampino di suo padre, dietro a
tutto ciò, ma non ne aveva le prove. Era pur vero che Magnus Ti Tolgo L'Anima Bane
era piuttosto convincente (per non dire esasperante) quando voleva
qualcosa e difficilmente mollava l'osso prima di veder realizzato un
suo desiderio. Non si sarebbe affatto stupito, quindi, di scoprire che,
proprio come lui, anche l'avvocato era stato leggermente
costretto a praticare quelle attività.
La cosa che lo turbava maggiormente, però, era che
l'avvocato sembrava comunque interessarsi davvero a lui e, anche se si
erano completamente ignorati fino a pochi giorni prima, Max, per
qualche strana ragione, ci teneva a fare bella figura ai suoi occhi. Se
all'inizio sentiva una profonda irritazione nei suoi confronti, ora non
era più così tanto sicuro di quel sentimento.
Forse si stava facendo influenzare troppo da suo padre! L'uomo,
infatti, aveva iniziato ad elogiarlo e a parlarne bene sempre
più spesso e se piaceva al suo papà, significava
che, tutto sommato, l'avvocato non era così malaccio come
aveva sempre pensato.
Il problema era che non sapeva da dove iniziare, come fare il primo
passo per farsi accettare da lui, cosa dire per piacergli o quale
atteggiamento tenere per non sembrare un bambinetto sciocco o
addirittura fastidioso.
Con le idee confuse salutò il signor Fell, che stava
preparando il cavallo del signor Lightwood, e si diresse poi verso il
suo pony.
"Oggi è il grande giorno." gli sussurrò,
baciandogli il muso ed accarezzandogli il collo.
Quella mattina l'avvocato gli avrebbe dato finalmente la sua prima
lezione di equitazione e Max non stava più nella pelle.
Con un sorriso, preparò l'animale per la cavalcata,
mettendogli le redini e la sella, proprio come gli aveva insegnato il
signor Fell. Una volta terminata l'operazione, chiese all'uomo se aveva
eseguito tutto correttamente. Al cenno affermativo del signor Fell, Max
fece schioccare la lingua ed il pony lo seguì docilmente
verso l'esterno.
"Lui ed i suoi orari del cazzo!" sibilò una voce stizzita,
non appena varcò il grande portone della scuderia. "Giuro
che questa me la pag.. Oh! Sei qui, Mirtillo." esclamò
Magnus, quando lo vide.
Max tossicchiò, nascondendo un sorriso dietro il pugno,
mentre osservava il padre che, con aria stralunata, reggeva
precariamente, tra le mani, una tazza ricolma di caffè. In
pigiama e con i capelli sparati in tutte le direzioni e gli occhi
spiritati ed iniettati di sangue, Magnus Bane, alle sei e
cinquantasette del mattino, sembrava l'ombra di se stesso.
Max sapeva di essere leggermente ingiusto nei suoi confronti, ma non
poteva fare a meno di trovare la cosa estremamente divertente. Era
raro, infatti, vederlo conciato in quella maniera.
Max non aveva mai avuto problemi a svegliarsi presto, anzi le prime ore
del mattino erano la parte della giornata che preferiva di
più. Suo padre, invece, era l'esatto opposto. Era
più un animale notturno che, quando spuntava l'alba, si
rintanava nel bozzolo caldo del suo letto per uscirne solo verso
mezzogiorno, bene che andava. Da quando erano arrivati a New York,
forse perché non usciva più la sera per andare
per locali, era migliorato parecchio e riusciva a svegliarsi ad orari
accettabili, ma quella mattina.. quella mattina era diversa da
qualunque altra! Primo perché, effettivamente, era davvero
presto e, secondo, perché l'avvocato, con una certa dose di
sadismo, aveva tirato giù dal letto suo padre solo mezz'ora
prima di quella cavalcata, quindi lui non aveva avuto il tempo
né di prepararsi psicologicamente a quella levataccia
né di mettere in moto completamente il cervello. Il
risultato era quell'essere davanti a lui, che borbottava parole
incomprensibili e che sembrava uno zombie appena emerso dal sottosuolo.
"Hai tutto, scimmietta?" gli chiese suo padre, spalancando poi la bocca
in un enorme sbadiglio che gli fece lacrimare gli occhi semichiusi.
Max annuì energicamente. "Il caschetto ce l'ho." disse,
picchiettando il cap sulla sua testa. "I guanti ce li ho, la tenuta da
equitazione pure ed anche gli stivali." concluse alzando un piede per
mostrargli la calzatura. "Sono a posto, papino."
Magnus annuì con un altro enorme sbadiglio. "Promettimi che
starai attento e.."
"Vedo con piacere che siamo mattinieri." lo interruppe una voce ironica
alle loro spalle.
I due si girarono di scatto e videro Alec dirigersi verso di loro, con
passo cadenzato ed in tenuta da cavallerizzo.
L'abitudine impedì a Max di parlare, ma lo salutò
con un cenno della testa, mentre suo padre, invece, socchiuse gli occhi
e gli lanciò un'occhiata che il bambino reputò
esageratamente omicida.
"Alec." ringhiò Magnus, a bassa voce, portandosi la tazza
alla bocca e continuando a fissarlo torvo.
"Ci si rivede, Magnus. Ciao Max." li salutò Alec, con un
cenno della testa ed un angolo della bocca che si piegava
all'insù.
Max fissò quella specie di sorriso a bocca aperta. Da quando
l'aveva incontrato, non aveva mai visto l'avvocato sorridere. Mai.
Alec incrociò il suo sguardo e Max notò
l'espressione curiosa sul suo viso. Proprio come quando gli insegnava
il tiro con l'arco, pareva quasi che l'avvocato lo stesse guardando
davvero e non con finto interesse. Era una sensazione stranissima.
Max si chiese, non per la prima volta in quei giorni trascorsi insieme
in reciproca compagnia, cosa gli fosse capitato, ma il pensiero
passò in secondo piano perché, in quel momento,
lo impensieriva molto di più il fatto che suo padre
sembrasse sul punto di saltargli alla gola per sbranarlo. Non gli aveva
mai visto quello sguardo assassino negli occhi! Ma la cosa ancora
più bizzarra era che l'avvocato sembrava non dare alcun peso
alle occhiatacce di suo padre, anzi pareva quasi che trovasse il tutto
addirittura divertente! Robe da matti!
Alec osservò il pony e poi di nuovo Max. "Il signor Fell mi
ha detto che è un pony piuttosto focoso. Ci vuole una certa
dose di coraggio per salire in groppa ad un animale così
vivace, se non hai ancora imparato a cavalcare."
Max non lo guardò, ma avvertì uno strano senso di
orgoglio scaldargli le vene. Pensò addirittura se fosse il
caso di ringraziarlo o meno per il complimento, ma gli
sembrò strano dire qualcosa e più a lungo si
rifiutava di parlare con lui, più difficile diventava
iniziare a farlo.
"Bene." esclamò Alec, dopo un momento, battendo le mani.
"Vogliamo andare?" gli chiese poi.
Max annuì, mentre suo padre borbottò una
parolaccia. Il bambino lo fissò, sbalordito: il suo
papà non diceva mai le parolacce! Mai! Beh.. quasi mai. Solo
quando era molto molto arrabbiato, ma non lo faceva mai in sua presenza
e gli scappavano solo quando pensava che Max non fosse nei paraggi.
Anche in questo caso l'avvocato ignorò il suo
papà ed il suo sorriso si fece perfino più ampio.
Ok, seriamente, cosa era capitato all'uomo serio e taciturno con cui
aveva sempre avuto a che fare?
Il signor Fell uscì dalla scuderia per porgere ad Alec le
redini del suo bellissimo cavallo nero e l'uomo lo
ringraziò, per poi girarsi nuovamente verso Max. "Sei capace
di salire in sella? Hai bisogno di aiuto?"
Max scosse la testa e con un gesto impacciato, ma determinato,
salì in groppa al suo pony. Si era preparato anche per
quello, facendo decine e decine di prove con il suo orsacchiotto
gigante, che si trovava in camera sua. Riuscire al primo colpo lo
inorgoglì ancora di più.
Alec annuì, non prima di aver rivolto un sorriso compiaciuto
verso l'uomo con la cresta. "Davvero bravo." si complimentò.
"Ci vediamo più tardi." disse poi, in direzione di Magnus,
che continuava a guardarlo in cagnesco.
Magnus si avvicinò a Max, gli accarezzò i capelli
e gli strinse piano una mano. "Stai attento, caramellina." si
raccomandò nuovamente, per poi rivolgersi al cavallo,
afferrandogli dolcemente il muso. "Muffin, per favore, sii gentile con
lui, ok?"
"Muffin?"
chiese Alec, mordendosi l'interno di una guancia, mentre il pony
sbuffava, quasi avesse capito le parole dell'uomo.
Magnus gli lanciò l'ennesima occhiata truce. "L'abbiamo
chiamato così. Perché? Qualcosa in contrario?"
abbaiò, stizzito.
Alec scrollò le spalle e mascherò la risata con
un colpo di tosse. Si girò, pronto a montare in sella,
quando Magnus si avvicinò a lui per sussurrargli qualcosa.
Una volta salito agilmente in groppa al suo cavallo, Max
notò che il sorriso dell'avvocato gli inghiottiva l'intero
volto. Cosa diavolo gli aveva detto suo padre per scatenare una tale
reazione?
Alec tirò le redini e fece voltare l'animale verso l'uscita
dal recinto. "Andiamo Max?" chiese al bambino, che annuì.
"Oh.. eeee Magnus?" esclamò d'un tratto, bloccandosi. "Non
hai un bell'aspetto. Forse dovresti riposare un po' di più."
lo stuzzicò, scuotendo la testa con fare paternalistico.
Max lanciò un'occhiata perplessa ad entrambi, poi
spalancò gli occhi, sbalordito, quando suo padre
urlò una sequela di insulti coloriti e fantasiosi in
direzione dell'avvocato, che scoppiò a ridere di gusto.
Il pensiero che Max aveva degli adulti si rafforzò
ulteriormente. Erano strani, c'era poco da fare. Davvero davvero strani.
Alec non riusciva a smettere di sorridere. Se avesse continuato
così gli sarebbe venuta una paresi facciale, ne era
consapevole, ma c'era poco che poteva fare. Il suo viso non ne voleva
proprio sapere di tornare ad un'espressione neutra, specie se ripensava
a quanto successo quella mattina.
In un colpo solo aveva avuto la sua vendetta, per l'incresciosa
faccenda della principessa,
ed era anche riuscito a riscuotere la vincita della sua scommessa. Era
davvero valsa la pena aspettare pazientemente per tutti quei giorni,
prima di mettere in atto il suo piano, poiché lo sguardo
criminale che Magnus gli aveva lanciato, quando aveva realizzato cosa
stava succedendo, sarebbe rimasto impresso nella sua memoria per sempre.
Alle sei e mezza del mattino, si era presentato in camera dell'uomo con
la cresta per comunicargli che aveva mezz'ora di tempo per svegliare ed
avvertire Max che quella mattina, alle sette in punto, doveva recarsi
alle scuderie per la sua prima lezione di equitazione. Magnus aveva
sbattuto le sue lunghe ciglia più e più volte,
guardandolo confuso, poi, quando il suo cervello assonnato aveva
recepito appieno le sue parole, aveva fatto partire una sfilza di
insulti, che avrebbero fatto impallidire uno scaricatore di porto, ed
aveva cacciato la testa sotto al cuscino. Alec aveva sorriso ancora di
più e gli aveva fatto presente che, avendo perso una
scommessa pochi giorni prima, era venuto il momento di pagare pegno.
Non poteva proprio sottrarsi alla sua richiesta. Eh già.
Doveva alzare il suo bel sedere, senza fare tante storie, ed andare a
preparare Max.
"Sono arrabbiato." aveva sibilato Magnus, quando lui ed il ragazzino
stavano per partire. "Ne pagherai le conseguenze." aveva concluso con
voce roca, agguantandogli con forza una natica. Alec non l'avrebbe mai
ammesso ad alta voce, cielo quasi faticava ad ammetterlo tra
sé e sé, ma era davvero impaziente di scoprire
cosa si sarebbe inventato per avere la sua rivincita.
Uno sbuffo del suo cavallo lo fece ritornare al presente.
Battè gli occhi, mettendo a fuoco il paesaggio davanti a
sé, e si morse il labbro inferiore, tentando di contenere il
più possibile l'eccitazione che sentiva crescergli dentro.
Lanciò un'occhiata furtiva al bambino di fianco a lui, quasi
temesse che potesse leggere i suoi pensieri, ma notò che era
troppo assorto in un mondo tutto suo per prestare attenzione a lui.
Alec si concesse di osservarlo meglio. Era la terza volta che
rimanevano da soli e, come al solito, Max non aveva aperto bocca. Era
confortante che, almeno, non sembrasse ostile come le altre volte. Non
sapeva se fosse merito di Magnus o meno, ma era già qualcosa.
"Pensavo di andare verso il vecchio capanno." buttò
lì, per rompere il silenzio, mentre i cavalli camminavano
tranquilli lungo il viale che portava oltre il laghetto. "Non vado
spesso da quelle parti, ma l'ultima volta che sono venuto a cercarti mi
è sembrato il tuo nascondiglio preferito."
Max annuì, distratto. L'uomo non poteva saperlo, ma lui
stava tentando strenuamente di rimanere concentratissimo per ricordare
alla perfezione quanto gli aveva detto il signor Fell su come governare
il cavallo. L'ultima cosa che voleva fare era esibirsi in una
figuraccia davanti all'avvocato e ritrovarsi con le gambe all'aria,
dopo un'imbarazzante caduta da cavallo.
"Devi tenerlo con mano leggera." lo avvisò Alec,
osservandolo. "Sii deciso, quando vuoi che risponda, e non tollerare
capricci. Ecco, così." annuì, con un cenno della
testa. "Hai un talento naturale, Max."
Max sorrise con timidezza ed arrossì. Grazie al cielo,
l'avvocato aveva ripreso ad osservare davanti a sé e non lo
stava guardando!
Dopo un po' il sentiero iniziò a snodarsi attraverso gli
alberi ed il bambino riconobbe l'ormai familiare strada che li avrebbe
condotti al capanno.
"E' sorprendente che tu abbia trovato il cottage poco dopo il tuo
arrivo nella tenuta." si complimentò Alec. "Sai, quel
capanno in rovina era anche il mio nascondiglio quando avevo la tua
età."
Max alzò le sopracciglia, sorpreso, poi lo guardò
di sottecchi. Doveva nascondersi anche lui? Da chi? E perché?
"Ho notato che, quando sono venuto a prenderti la volta scorsa,
qualcuno ha fatto dei lavori al capanno."
Max serrò le labbra, preoccupato. Non voleva che l'avvocato
scoprisse il suo segreto e se la prendesse con lui o con Rafe.
"Ne sono felice." continuò Alec, come se gli avesse letto la
mente. "Se conosci la persona che l'ha fatto, o se ti capita di
incontrarla, per favore, puoi ringraziarla da parte mia?"
"Va bene." rispose Max, sollevato.
Quando sentì l'avvocato trattenere il fiato, girandosi poi
sorpreso verso di lui, si rese conto di aver formulato la risposta ad
alta voce. Max arrossì di botto, mentre l'uomo tornava a
guardare il sentiero, schiarendosi la gola. Erano le prime parole che
gli rivolgeva, se si escludeva quell'imbarazzantissima volta che gli
aveva portato Presidente e si era lasciato andare all'esclamazione
ovvia ed infantile "Un micio!". Ancora adesso, quando ci ripensava, si
tirava una manata in fronte.
Cavalcarono in silenzio per un po' e Max cercò di pensare al
modo migliore per tornare a parlare del capanno, indirizzando poi,
indirettamente, l'argomento su Rafe. C'erano un sacco di domande,
infatti, che avrebbe voluto fargli, visto che era un avvocato. Suo
padre gli aveva detto che Alec era uno dei più bravi, nel
suo lavoro, e che mandava sempre la gente cattiva in galera, quindi Max
voleva tanto chiedergli perché l'uomo biondo e cattivo, che
si trovava all'orfanotrofio, non veniva punito per la sua
crudeltà. O perché il suo amico Rafe veniva
continuamente maltrattato senza che nessun adulto intervenisse e lo
aiutasse.
Quando uscirono dal bosco, vide in lontananza il tetto del capanno e
pensò che, forse, una volta arrivati a destinazione, avrebbe
potuto fargli vedere le migliorie che lui e Rafe avevano apportato a
quel posto e parlargli, in qualche modo, del suo amico e della sua
situazione.
"Sai.." disse Alec, dopo un po'. "..visto quanto sei bravo a cavalcare,
magari potremmo chiedere a tuo padre di unirsi a noi la prossima volta
e.."
Un grido acuto trafisse l'aria del mattino, ammutolendo Alec e gelando
il cuore di Max.
"Rafe." sussurrò atterrito il bambino, affondando, senza
pensarci, i talloni sui fianchi del pony e galoppando verso il capanno,
mentre risuonava un altro grido. "RAFE!!" urlò allora, a
pieni polmoni, mentre si teneva spasmodicamente alle redini
dell'animale.
Il cavallo dell'avvocato lo superò, tuonando, diretto verso
la vecchia costruzione e, quando Max riuscì finalmente a
raggiungerlo, l'uomo era già smontato per perlustrare il
capanno.
"Non c'è nessuno qui." ansimò Alec, andandogli
incontro, mentre scandagliava attentamente, con lo sguardo, il panorama
attorno a loro.
Quando sentirono il terzo grido, Alec scattò e si
inoltrò tra gli alberi. Max scese malamente da cavallo e
corse dietro all'avvocato, bloccandosi quando lo vide tirare un pugno
poderoso ad un uomo che non riuscì subito ad identificare.
Quando lo sconosciuto spinse, con violenza, l'avvocato lontano da
sè, gettandoglisi poi addosso, Max finalmente lo riconobbe.
Era l'uomo biondo e cattivo dell'orfanotrofio! Cosa ci faceva
lì?
Alec schivò un pugno, spostandosi di lato, per poi spingere,
con una mossa strana, l'uomo contro un grosso albero. Max non aveva mai
assistito ad una rissa vera e propria, ma sperò ardentemente
che l'avvocato desse una lezione con i fiocchi a quel mostro. Raccolse
da terra un grosso bastone e lo alzò, sopra la testa, pronto
ad usarlo nel caso l'uomo avesse bisogno di aiuto. Fu allora che vide
Rafe.
Il suo amico era steso a faccia in giù. La maglietta era
strappata e si intravedeva la pelle lacerata e sanguinante. Il cuore di
Max si fermò, poi iniziò a battere talmente forte
da rimbombargli anche nelle orecchie ed una vampata di calore gli
percorse l'intero corpo. Gridò disperato e corse da lui,
accovacciandoglisi accanto. Lo scosse piano e le lacrime iniziarono a
rigargli le guance quando l'amico non solo non rispose, ma sembrava
addirittura che non respirasse.
"NO!!" urlò, disperato.
La sua furia esplose e raccolse il bastone, che aveva lasciato cadere
quando aveva raggiunto Rafe, girandosi poi verso i due uomini. L'uomo
biondo era in ginocchio, sopraffatto dalla forza dell'avvocato.
"L'hai ucciso! L'hai ucciso!" gridò Max, straziato dal
dolore e con le lacrime che gli offuscavano la vista.
Si alzò e corse verso l'uomo biondo, abbattendo, con forza,
il bastone sulla sua spalla. Mentre sollevava il bastone per colpirlo
di nuovo sentì che le braccia forti dell'avvocato lo
cingevano, sollevandolo da terra. L'uomo biondo colse al volo
quell'opportunità di fuga, si alzò velocemente e
scappò, barcollando, nel bosco.
"Lasciami! Lasciami andare!" gridò Max, tentando di
divincolarsi dalla morsa d'acciaio dell'avvocato, che gli tolse anche
il bastone dalle mani. "L'ha ucciso! Ha ucciso Rafe!"
Le lacrime scorrevano a fiumi sul suo viso e la rabbia e la tristezza
gli ribollivano nel petto a tal punto che faticava addirittura a
respirare.
"Non la passerà liscia." disse Alec, con voce determinata,
ma calma. "Te lo prometto." Lo strinse un po' di più a
sé, nel tentativo di calmarlo. "Per favore, ora rimani qui e
lasciami guardare il ragazzino." gli sussurrò all'orecchio,
posandolo dolcemente a terra.
"No!" rispose Max, scuotendo con forza la testa ed asciugandosi con
stizza le lacrime. "Rafe è mio amico! Ha bisogno di me!"
Alec lo guardò, con un'espressione preoccupata. Forse temeva
una crisi isterica, ma a Max non importava.
"Va bene." acconsentì l'uomo, girandosi poi verso il corpo
inerme di Rafe.
Insieme si diressero verso di lui e Max gli si accoccolò
vicino, prendendogli la mano, mentre l'avvocato premeva le dita sul suo
collo.
"E' ancora vivo." mormorò Alec, scrutando attentamente il
viso ed il corpo del bambino. "Credo che sia svenuto a causa di un
colpo alla testa e potrebbe avere anche qualche osso rotto."
dichiarò, tastando delicatamente il corpicino di Rafe.
"N-non è la prima volta che lo picchia!" lo
informò Max, con voce tremante. "Anche la scorsa settimana
aveva dei lividi e.."
"Lo sai da tempo e non l'hai detto a nessuno?" lo interruppe Alec,
severo.
Lo sguardo di ghiaccio dell'avvocato fece salire un nuovo groppo in
gola a Max. "Io.. io.. m-mi d-dispiace tanto.." balbettò,
piangendo. "Rafe mi ha fatto promettere di non dire nulla e p-pensavo
che raccontarlo a qua-qualcuno avrebbe peggiorato le cose per tutti e..
M-mi dispiace! Ho detto a papà che R-Rafe era in pe-pericolo
e.. mi dispiace." gemette, disperato. "Non sapevo cosa fare.. come
aiutarlo.. non potevo dirlo.. non sapevo come.. io.. m-mi dispiace!"
Alec se lo strinse contro il petto, cullandolo. "Va tutto bene, Max."
sussurrò, accarezzandogli i capelli ed abbracciandolo
stretto. "Non è colpa tua." concluse, baciandogli la testa.
"Ma ora devi fare una cosa per me, ma soprattutto per Rafe. Ci riesci?"
gli chiese, asciugandogli il viso con un fazzoletto.
Max annuì, tirando su con il naso.
"Corri a casa ed avvisa papà che deve chiamare subito
l'ambulanza." disse Alec, prendendolo dolcemente per le spalle. "Corri
più veloce che puoi!"
Max guardò prima Rafe, poi di nuovo l'uomo, mordendosi il
labbro inferiore. Voleva aiutare il suo migliore amico, ma, al tempo
stesso, non voleva lasciarlo.
"Ti prometto che mi prenderò cura di lui finchè
non arriverà l'ambulanza." lo rassicurò Alec,
guardandolo intensamente negli occhi. "Va bene?"
Max diede un'ultima occhiata a Rafe, poi posò di nuovo lo
sguardo sull'uomo ed annuì, deciso.
"Ok, vai!" disse Alec, dandogli un bacio sulla fronte.
Max gli gettò le braccia al collo e lo strinse forte. "Ti
prego, fa che non muoia!"
Alec ricambiò l'abbraccio. "Te lo prometto."
Max si staccò da lui e poi corse via, lasciandolo da solo
con il ragazzino. Alec decise di toccarlo il meno possibile, per non
recargli ulteriori danni, e gli strinse delicatamente una mano,
pregando che Max raggiungesse casa il prima possibile e che i soccorsi
arrivassero presto.
Un lieve fruscio alle sue spalle destò la sua attenzione.
Girò di scatto la testa, pronto a lottare con le unghie e
con i denti pur di difendere il bambino inerme accanto a lui.
Giurò che, se fosse stato ancora Verlac, gli avrebbe
spezzato gambe e braccia.
Spalancò gli occhi, sorpreso, quando vide la persona che,
sporca e tremante, strisciò fuori da dietro un enorme tronco
d'albero.
"S-signora Fray?" domandò Alec, attonito.
Magnus si destò, per l'ennesima volta, dal suo sonno agitato
ed aprì gli occhi, battendo le palpebre e fissando la
semi-oscurità della stanza. Non aveva idea di che ora fosse,
ma un tenue raggio di sole illuminava debolmente il fondo del letto ed
il silenzio era rotto solo dal leggero respiro di Max, che dormiva
profondamente tra le sue braccia. Era arrivata mattina finalmente.
Gli avvenimenti della giornata precedente non erano stati facili per
nessuno, anzi erano stati piuttosto sfiancanti, soprattutto per suo
figlio, e Magnus fu felice di vedere che, nonostante questo, stesse
ancora dormendo sereno. Lui, invece, aveva riposato malissimo e gli
sembrava di non aver dormito affatto.
Baciò la testa del bambino, protendendosi poi verso il
comodino per cercare, a tentoni, il cellulare appoggiato sopra di esso.
Diede un'occhiata all'ora e fece una smorfia. Lei sei del mattino. Per
Lilith, doveva assolutamente tornare a dormire! Non poteva alzarsi
così presto per due mattine di seguito. Ne andava della sua
salute!
Chiuse di nuovo gli occhi ed impose alla sua mente di riaddormentarsi,
ma il sonno non ne voleva proprio sapere di tornare. La tentazione di
girarsi e rigirarsi e rigirarsi ancora, tra le lenzuola, era forte, ma
con Max al suo fianco se ne stette immobile a fissare il soffitto,
completamente lucido e sveglio.
Dopo un paio di minuti, imprecò tra sé e
sé e, con uno sbuffo spazientito, alzò
delicatamente il braccio del figlio, che gli cingeva la vita, e si
liberò dal suo abbraccio. Max si mosse appena quando lui gli
rimboccò meglio il lenzuolo.
Si fece una doccia veloce e poi uscì, silenziosamente, dalla
sua camera. Visto che non riusciva a prendere sonno, tanto valeva
andare a fare una passeggiata per tentare di sgombrare la mente dai
pensieri che continuavano ad assillarlo dal giorno prima.
Si chiuse dolcemente la porta alle sue spalle e buttò
inconsciamente, quasi fosse diventata un'abitudine, un'occhiata alla
porta di Alec che trovò leggermente aperta.
Aggrottò la fronte e si diresse verso quella direzione. Che
anche lui non riuscisse a dormire? Comprensibile, visto che, quel
giorno, ci sarebbe stata la sentenza definitiva.
"Alec?" chiamò piano, bussando appena e scostando un po' di
più la porta, giusto per riuscire ad infilare la testa e
sbirciare all'interno della stanza. Fu davvero per un soffio che non
gridò, quando si trovò, inaspettatamente, il viso
dell'altro davanti al naso.
"Che ci fai qui?" bisbigliò Alec, aggrottando la fronte.
Magnus si portò una mano al petto, inspirando ed espirando
profondamente, e poi tossì, cercando di ricomporsi. Non gli
stava affatto per venire un infarto. Assolutamente no.
"N-niente!" borbottò, col fiato corto. "Avevo.. ho visto la
tua porta aperta e volevo vedere se stavi bene."
Alec sorrise. "Sto bene, grazie."
"Come mai sei già sveglio? Anche tu hai
difficoltà a dormire?"
Il sorriso di Alec si fece più ampio. "Magnus, mi sveglio
sempre presto. Piuttosto dovrei essere io a chiederti se stai bene,
visto che sono le sei."
Magnus fece spallucce. "Non riuscivo a dormire."
"Com'è che ieri mattina non eri così pimpante?"
domandò Alec, ridacchiando.
Magnus lo fulminò con lo sguardo. "Non sfidare la sorte,
pasticcino. Sono ancora arrabbiato con te!"
Alec rise, scostandosi dalla porta della sua camera, per chiudersela
alle spalle.
"Uhm..." biascicò Magnus, dondolando sui talloni, mentre
pensava velocemente a qualcosa da dire per restare un altro po' in sua
compagnia. "Eccooo.. io.. che ne dici di scendere in cucina con me?
Potremmo fare colazione insieme."
Alec scosse piano la testa. "Grazie, ma devo fare una cosa."
"Cosa?" chiese Magnus, curioso.
Alec scrollò le spalle. "Niente di importante."
"Ha a che fare con quella chiave?" continuò Magnus, piegando
la testa, quando notò l'oggetto che l'altro teneva in mano.
"No." rispose velocemente Alec, nascondendo la mano dietro la schiena.
"Perché non vuoi dirmelo?" gli chiese Magnus, assottigliando
lo sguardo.
"Perché non sono affari tuoi." rispose Alec, calmo.
"Antipatico." borbottò Magnus, offeso. "Ok, allora ci
vediamo più tardi." lo salutò, girandosi per
andarsene.
Alec sospirò, alzando gli occhi al cielo. "E va bene. Puoi
venire con me, ma non fare rumore." concesse.
"No, grazie. Non vorrei disturbarti con la mia presenza."
rifiutò Magnus, altezzoso, sventolando una mano.
"Ok, allora ci vediamo più tardi." lo scimmiottò
Alec, divertito, scrollando le spalle e sorpassandolo per incamminarsi
lungo il corridoio.
Magnus lo fissò, a bocca aperta. Per Lilith, quell'uomo era
davvero impossibile quando ci si metteva. Poteva anche insistere un po'
di più eh, anziché accettare, senza battere
ciglio, il suo palese finto rifiuto di seguirlo.
"Aspettamiiii." grugnì, stizzito, mentre lo raggiungeva.
Alec sorrise e rallentò il passo, fino a quando l'altro non
gli si affiancò.
"Dove andiamo?" chiese Magnus, seguendolo in un'ala della casa che non
aveva mai visitato prima.
"Ti ho detto di non fare rumore, ricordi?"
"Ma non sto facendo rumore." ribattè Magnus, indispettito.
"Parlare è fare rumore."
"Va a quel paese." sibilò Magnus, acido. Incrociò
le braccia, mise il broncio e non fiatò più.
Dopo un paio di minuti si fermarono davanti ad una grande porta chiusa.
Magnus si girò, per interrogare silenziosamente l'altro su
dove si trovassero, e notò l'espressione cupa e glaciale sul
volto di Alec. Avrebbe tanto voluto chiedergli se stesse bene, dove
erano, cosa ci facevano lì, ma tenne le labbra sigillate,
quasi temesse di irritare maggiormente l'altro con le sue parole.
Alec inspirò profondamente, poi aprì la porta ed
entrò nella stanza, dirigendosi verso la finestra per
spalancare le tende ed aprire la finestra.
Magnus lo seguì, guardandosi attorno: era una camera da
letto enorme, con un letto a baldacchino che era circondato da cortine
che sembravano pesanti. La stanza era pulita e sui mobili lucidi non
c'era traccia di polvere, ma sembrava inoccupata da tempo.
Alec guardò Magnus, con un sopracciglio alzato, in attesa di
una sua reazione, poi sorrise. "Avanti. Puoi chiedere. So che muori
dalla voglia di farlo."
Magnus rafforzò la presa delle braccia sul suo petto e
negò energicamente con la testa, imbronciando le labbra.
Alec ridacchiò. "Sei proprio un bambino." lo
punzecchiò.
Magnus, per tutta risposta, lo guardò malissimo e gli
mostrò il dito medio.
"Siamo nella stanza di mio padre." disse Alec, l'espressione che
mutò radicalmente, mentre dava un'occhiata a tutta la
stanza. "Solitamente è Hodge che viene qui per aprire la
finestra e dare una rinfrescata alla stanza, ma oggi.. oggi ho voluto
farlo io."
Magnus spalancò gli occhi, sorpreso, tornando a guardare
meglio la camera in cui si trovavano. Effettivamente, ora che glielo
aveva fatto notare, colse l'austerità dell'arredamento e
intravide anche l'enorme quadro di Robert Lightwood appeso sopra al
letto a baldacchino.
"Questa è stata la sua prigione per quasi cinque anni."
spiegò Alec, con voce piatta. "Prima di morire, cadde da
cavallo, perdendo l'uso delle gambe. Da allora giacque tra le lenzuola
di questo letto, rifiutandosi di lasciare la stanza.
Allontanò tutto e tutti, figli compresi. Solo Hodge aveva il
permesso di entrare qui dentro."
Magnus sentì il cuore stringersi ed avvertì
l'impellente bisogno di abbracciarlo stretto, per tentare di alleviare
la pena che gli leggeva in volto, ma si impose di non farlo. Proprio
come quando gli aveva confidato del fratellino, sentì che
Alec aveva bisogno di sputare fuori il veleno che provava per suo padre
e che continuava ad avvilupparlo come un serpente velenoso.
"Per cinque anni è rimasto qui, crogiolandosi nella
commiserazione e nei sensi di colpa. Poi, un bel giorno, mi ha
convocato e mi ha rivelato i suoi peccati." ringhiò,
aprendo, con un gesto brusco, le tende del letto.
Magnus si avvicinò, notando come lo sguardo dell'altro si
fosse fatto tempestoso.
"Max.. non so se Max è davvero mio figlio."
sussurrò colpevole, girandosi verso Magnus. "Non.. io..
ecco.. io e Lydia ci siamo sposati giovanissimi e.. Una volta. E'
successo solo una volta, ma.. non lo so." Alec scosse la testa,
incapace di formulare una frase coerente. Degluttì,
stringendo nervosamente i pugni lungo i fianchi e continuò.
"Il nostro è stato un matrimonio combinato, io non l'amavo
e.. Dio, come avrei potuto?" chiese, con una risata aspra. "Ero uno
stupido, succube, ragazzino gay che non aveva la più pallida
idea di cosa fare, cosa pensare, come agire. Quando mio padre ha saputo
del mio orientamento sessuale, ha iniziato a tormentarmi, a picchiarmi,
ad instillare in me dubbi e rimorsi. Poi, un bel giorno, mi ha
presentato Lydia. Credevo.. pensavo che se avessi esaudito il suo
desiderio di sposarla, forse.. non lo so.. forse la mia vita sarebbe
potuta migliorare, forse mi avrebbe lasciato in pace, forse avrei
potuto non dico essere felice, ma almeno vivere un'esistenza decente."
gli confidò, con un sorriso triste. "Effettivamente mio
padre smise di perseguitarmi. Per l'angelo, ero così cieco,
così.... Non avevo capito niente." si biasimò,
alzando lo sguardo al soffitto e chiudendo gli occhi. "Allora non lo
sapevo, ma ho sposato l'amante di mio padre, così che lui
potesse averla sempre accanto a sé, senza destare sospetti
di alcun tipo." espiò, tutto d'un fiato.
Magnus spalancò gli occhi, incredulo. Quella parte della
storia gli era del tutto sconosciuta e rimase scioccato quando
sentì quelle parole.
"Max potrebbe essere mio figlio.. o mio fratello. Non lo so. Dovrei
fare il test del DNA per esserne certo." continuò Alec,
scuotendo le spalle. "Mio padre era convinto che fosse suo. Mi
parlò delle lunghe ore che lui e Lydia avevano passato
insieme, di come si fossero innamorati, di come avevano sognato di
fuggire e lasciarsi alle spalle tutto e tutti. La gravidanza di Lydia,
però, arrivò come un fulmine a ciel sereno e
sconvolse entrambi. Mio padre non aveva mai preso in considerazione
un'eventualità del genere e credo che andò ancora
più nel panico quando Lydia gli confidò di non
sapere di chi fosse, quindi, per evitare lo scandalo, decise di passare
all'azione. Per mesi si assicurò che Lydia facesse vita
ritirata, col pretesto di una salute cagionevole, e tagliò
tutti i suoi contatti. Poi, una notte, lei sparì. Solo ora
so che fu mio padre ad inscenare una finta fuga, per nasconderla al
mondo, per celare la gravidanza." Alec si passò le mani tra
i capelli, spettinandoli ancora di più di quanto
già non fossero. "La portò al castello di Oheka,
a Long Island, dove la nostra famiglia ha una suite da generazioni, e
la confinò in quella stanza fin quasi la fine della
gravidanza. Era così sicuro del suo piano, così
certo che le sue bugie non sarebbero mai venute a galla, che non si
preoccupò minimamente di aver gettato nel panico un sacco di
persone, primi fra tutti i familiari di Lydia. Non gliene importava,
capisci? L'importante erano le apparenze."
Magnus si strinse una mano al petto, sempre più sconcertato.
Nemmeno nelle sue fantasie più sfrenate, avrebbe mai potuto
immaginare una cosa simile. Che razza di persona era Robert Lightwood?
Fin'ora nessuno gli aveva mai parlato bene di lui, questo era vero, ma
non avrebbe mai pensato che fosse un essere così spregevole.
E Lydia? Che ruolo ebbe, in tutto ciò? Gli salì
un groppo in gola ripensando a lei. Era d'accordo con quel piano
assurdo o fu costretta ad assecondare i desideri di quell'uomo
malvagio? Magnus non lo sapeva, ma provò un'enorme pena per
lei.
"La cosa buffa è che pensavo mi avesse raccontato tutto, che
avesse confessato tutta la sua colpa. Invece ho dovuto scoprire da
Aline questa parte della storia. Non solo, infatti, non mi ha mai detto
che era stato lui a farla sparire, ma ha pure messo in piedi una
sceneggiata degna di un film, coinvolgendo persino la polizia, per
ritrovarla!" disse Alec, girandosi poi verso di lui con un'espressione
grave. "Sai perchè Lydia stava fuggendo, il giorno in cui vi
siete incontrati?" gli chiese, a bruciapelo.
Magnus scosse la testa. Qualcosa, nel tono di voce dell'altro, gli fece
venire la pelle d'oca.
"Perché mio padre voleva uccidere Max." svelò
Alec, tetro. "Le aveva chiesto di abortire, ma Lydia non lo fece e,
temendo che un giorno il bambino potesse diventare un problema, per
evitare un possibile futuro scandalo, decise che doveva essere
eliminato, cancellando così, per sempre, la prova vivente
del suo comportamento riprovevole."
Magnus sentì le gambe diventare improvvisamente molli e
dovette appoggiarsi, sconvolto, ad una delle colonne del letto per non
cadere.
"Ho.. ho trovato una busta, ieri sera, mentre ero nel mio studio. Stavo
cercando un vecchio libro di mio padre, che potrebbe tornarmi utile
nell'arringa finale di oggi, e quando l'ho trovato e l'ho aperto.. lei
era lì. Nascosta tra le pagine di quel vecchio tomo, con il
mio nome inciso a caratteri cubitali sopra di essa. Ho trovato strano
che ci fosse della corrispondenza proprio lì dentro, ma poi,
quando l'ho aperta, e ho letto la lettera al suo interno, ho capito
perché. Non so per quale motivo mio padre l'abbia conservata
o perché non mi abbia mai detto tutto questo. Lui e la sua
mezza confessione del cazzo." disse Alec, ridendo amaramente.
"Cosa.. cosa c'era scritto?" chiese Magnus, in un sussurro.
"Una confessione." rispose Alec, guardandolo. "L'ennesima."
mormorò, ironico. "Fu Lydia a scriverla. Ci crederesti?"
domandò, sarcastico. "Ha scritto tutto quello che era
successo tra lei e mio padre. Tutto. Anche quello che voleva fare al
bambino. Non so perché l'avesse indirizzata proprio a me.
Forse voleva alleggerirsi, anche lei, la coscienza, proprio come ha
tentato di fare lui quando ha confessato i suoi peccati, o forse
sperava che, in qualche modo, l'aiutassi. Non lo so. Comunque, quel
famoso giorno di otto anni fa, mio padre andò da lei e le
disse che, una volta partorito, si sarebbe sbarazzato del bambino.
Forse l'istinto materno di Lydia prevalse sull'amore che provava per
lui, forse quello che le disse le fece finalmente aprire gli occhi su
che genere di persona fosse, forse.. non lo so.. forse semplicemente si
rese conto che non poteva permettere tutto ciò. Fatto sta
che fuggì, nel tentativo di salvarlo. Credo fu la prima
volta, in tutta la sua vita, che quella ragazza dimostrò un
briciolo di coraggio." scosse la testa, con un sospiro. "Mio padre
intercetto la lettera e la nascose prima che arrivasse a me."
"E'.. è terribile." sussurrò Magnus, con un filo
di voce.
Alec chiuse gli occhi, sospirando profondamente. "Qualche giorno fa mi
hai confessato che, se non avessi mandato Jace a recuperare Max, tu non
saresti mai tornato né l'avresti mai riportato qui."
mormorò, aprendo poi gli occhi e guardandolo. "Io avrei
fatto lo stesso. Non avrei mai cercato Max o Lydia se mio padre, sul
letto di morte, non mi avesse implorato di perdonarlo, facendomi
inoltre promettere di cercarli e di riportarli a casa."
"Perché?" chiese Magnus, aggrottando la fronte ed allargando
le braccia. "Perché rivoleva indietro Max, se voleva
sbarazzarsene?"
Alec scrollò le spalle. "Negli ultimi anni era diventato un
fervente timorato di Dio e forse, rendendosi conto di che mostro era
stato, ha fatto un ultimo tentativo, nella speranza di guadagnarsi un
biglietto per il paradiso."
"Spero che ovunque sia, se la passi da schifo." ringhiò
Magnus, pestando un piede.
Quanto dolore aveva provocato quell'uomo? Quanto ancora ne causava,
nonostante fosse morto? Guardò Alec ed, ancora una volta, fu
colpito dal suo senso dell'onore. Un altro, al posto suo, avrebbe
mandato al diavolo il padre moribondo e sarebbe andato avanti con la
propria vita. Alec no. Quel ragazzo aveva anteposto, ancora una volta,
il bene della sua famiglia a se stesso, riportando a casa quel bambino
che gli ricordava, ogni giorno, il tradimento del padre e della moglie
e continuando a vivere in quella dimora piena di fantasmi e ricordi
dolorosi. Non poteva cambiare il suo passato, ma, forse, poteva fare
qualcosa per lui adesso.
"Ti voglio fare una promessa." disse Magnus, deciso, afferrandogli
dolcemente il viso tra le mani.
"Quale?" chiese Alec, curioso, aggrottando la fronte.
"Quando tutto questo sarà finito, prometto che ti
porterò via da qui." sussurrò Magnus, posando le
labbra sulle sue e stringendolo a sé.
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Capitolo 20 *** Capitolo 20 ***
"Alexander.."
sussurrò Magnus, con aria preoccupata, mentre accarezzava la
testa del figlio addormentato sulle sue ginocchia. "Per favore, vieni a
sederti."
Alec lo
ignorò, continuando nervosamente a fare avanti ed indietro,
nella piccola saletta d'attesa dell'ospedale. Rafe era in sala
operatoria da diverse ore ormai e nessuno si era ancora degnato di dir
loro se l'operazione stava procedendo bene o meno. Non erano suoi
parenti, questo era vero, né lui era il tutore legale del
bambino, ma, per l'angelo, che qualcuno gli dicesse qualcosa! Qualsiasi
cosa!
"Papi.. Rafe sta bene?"
chiese Max, dopo essersi svegliato, mentre si strofinava gli occhi con
il dorso della mano.
"Il dottore lo sta
ancora operando, Mirtillo." gli rispose Magnus, sistemandogli i capelli
con le dita.
"E quando
finirà?" domandò il bambino, impaziente.
"Non lo so, tesoro."
Max sospirò
profondamente, poi tornò a farsi cullare dal padre,
abbracciandolo stretto.
Alec lo
osservò: non glielo aveva ancora detto, ma era molto
orgoglioso di lui. Il bambino aveva corso come il vento per arrivare a
casa e far sì che i soccorsi si attivassero velocemente.
Aveva spiegato al padre, in modo conciso, ma chiaro e preciso, cosa era
successo e Magnus aveva chiamato subito il 911. Grazie al suo prezioso
contributo, l'ambulanza era arrivata in breve tempo e Rafe era stato
prontamente trasportato in ospedale.
La prognosi,
però, era più grave di quanto si pensasse: il
ragazzino aveva due costole rotte, il braccio fratturato ed un trauma
cranico, con conseguente emorragia cerebrale, causato dalla botta in
testa. Il dottore che lo aveva preso in cura, prima di entrare in sala
operatoria, aveva detto loro che era un autentico miracolo che, in quel
corpicino martoriato, il cuore battesse ancora. Alec sorrise appena al
ricordo di come Max si fosse intromesso, tra gli adulti, sibilando "Non
è grazie ad un miracolo, se è vivo. E' merito di
Rafe!", mentre guardava il medico con un'espressione mortalmente seria.
"Rafe ce la
farà, vero papino?" chiese Max, con voce flebile.
"Ma certo, scimmietta."
lo rincuorò Magnus, baciandogli la testa ed appoggiando poi
le guancia sulla sua fronte.
Alec sospirò,
pronto ad andare a sedersi di fianco a loro, quando sentì
dei passi concitati provenire dal corridoio. Jace arrivò
come una furia nella saletta, ansando e sbuffando come una locomotiva.
"Per la miseria, che hai
fatto?" gli chiese Alec, sorpreso.
"Ho.. ho corso!"
ansimò il fratello, con aria trafelata e rosso in viso.
"Lo vedo." disse Alec,
squadrandolo dalla testa ai piedi. "Perché?" gli chiese,
sempre più curioso. "La signora Fray sta bene?"
domandò subito dopo, preoccupato.
Jace annuì,
alzando un indice per dirgli di aspettare, poi mise le mani sui fianchi
ed inspirò ed espirò profondamente, piegando
leggermente il busto e tossendo più di una volta.
"Non stai per sputare un
polmone, vero?" gli chiese Magnus, alzando un sopracciglio, con un
sorrisetto canzonatorio, mentre Max si rizzava, improvvisamente
interessato ad una tale eventualità.
Jace liquidò
entrambi con un'occhiataccia, poi tornò a guardare Alec.
"Morgenstern è qui." lo informò, secco. "Si trova
nell'ufficio del primario."
"Ah." mormorò
Alec, assottigliando lo sguardo.
"E' venuto per avere
informazioni sul ragazzo e.."
"Certo che ha davvero
una faccia tosta incredibile!" si intromise Magnus, arrabbiato,
incrociando le braccia al petto.
"..mentre il primario lo
conduceva nel suo ufficio, ho sentito che gli diceva che è
molto preoccupato per Rafe perché è uno dei suoi
bambini, che è terribile ciò che è
successo e bla bla bla." continuò Jace, scuotendo la testa
con una smorfia di disgusto.
"Non gli
lascerò portare via Rafe!" gridò Max,
battagliero, alzandosi in piedi con un movimento brusco e stringendo i
pugni.
Magnus e Jace annuirono
con approvazione, mentre Alec si massaggiò il mento,
pensieroso.
"A cosa stai pensando?"
gli chiese Magnus, guardandolo.
"Che più che
per il ragazzo, credo che sia qui, in realtà, per la signora
Fray. Verlac deve avergli sicuramente detto cosa è
successo!" constatò Alec, preoccupato. "Jace, assicurati che
ci sia sempre qualcuno con lei."
Il fratello
annuì. "Dico alla sicurezza di buttarlo fuori a calci?"
Alec scosse la testa.
"Con quale giustificazione? La mia è solo un'ipotesi e non
voglio che la situazione degeneri." rispose, appoggiando poi una mano
sulla spalla di Max e stringendogliela appena. "Stai buono qui con tuo
padre, va bene?"
"Perché? Tu
dove vai?" gli chiese il bambino, alzando lo sguardo su di lui.
"Nell'ufficio del
primario." gli sorrise, arruffandogli i capelli. "Jace, per favore, tu
vai dalla signora Fray!" ordinò al fratello, con un cenno
della testa. "Torno subito." disse poi, rivolgendosi a Magnus.
L'altro
annuì, alzandosi ed avvicinandosi a lui. "Fai attenzione,
d'accordo? Non mi fido di quell'uomo." gli sussurrò, prima
che uscisse dalla saletta.
Alec sorrise. "Promesso.
Ma tu, per favore, sii gentile e tieni a freno il tuo cucciolo
arrabbiato. Non vorrei che piombasse nell'ufficio del primario per dare
una lezione anche a Morgenstern."
Magnus gli rivolse un
sorriso enorme. "Vedrò cosa posso fare." promise,
ridacchiando. "Sai che è molto orgoglioso di te?"
Alec scosse la testa.
"Sono io ad essere molto orgoglioso di lui. Verlac è
più grande e più forte di lui, ma non ha avuto
paura di attaccare quel verme per difendere Rafe. E' davvero un bambino
coraggioso!" si complimentò.
Magnus gli
baciò una guancia, con slancio. "Fai quello che devi fare e
poi torna da noi. Sai dove trovarci."
Alec annuì,
dandogli un buffetto sul naso ed allontanandosi, subito dopo, lungo il
corridoio.
Valentine Morgenstern
strinse, con forza, le dita sul bracciolo della sedia su cui era
seduto, furioso. Le nocche sbiancarono e le mani iniziarono a tremare a
causa dello sforzo che stava facendo per trattenere la rabbia ed
evitare di esplodere nel bel mezzo di quello squallido ufficio in cui
il primario l'aveva condotto.
Niente stava andando
come previsto. Niente.
Era lì dentro
da una mezz'ora buona. Aveva urlato, aveva sbraitato, aveva reclamato a
gran voce i propri diritti, ma non aveva concluso nulla. Si era
scontrato con un insopportabile ed irritante muro di gomma.
In poche ore era
successo quello che era riuscito ad evitare da una vita intera ed ora
si trovava nella merda fino al collo. E tutto per colpa di Jonathan.
Gli aveva dato un
incarico semplice, per non dire elementare, qualcosa che perfino il
più insulso dei suoi scagnozzi poteva portare a termine. A
quanto pare, però, l'aveva sopravvalutato. Lui e gli altri
due stronzi a cui aveva affidato il compito di sbarazzarsi di quella
cagna di Jocelyn.
Ma si poteva essere
più incapaci di così? Si poteva, santo Iddio?
Sì, a quanto pare si poteva. Cazzo!
Era stato davvero un
grandissimo, fottutissimo, pezzo di idiota a credere che suo figlio
fosse in grado di combinare qualcosa di decente nella vita e
più ci pensava e più non riusciva ancora a
capacitarsi di come fosse potuto succedere. Ed alla vigilia
dell'udienza conclusiva, per giunta!
Perché non
aveva dato retta a quel vecchio proverbio che diceva "Se
vuoi una cosa fatta bene, fattela da solo"? Perché? Cazzo!
Lo tormentava l'idea
che, forse, era troppo tardi per correre ai ripari. Cazzo! Cazzo! Ed
ancora cazzo!
Quando Jonathan gli
aveva raccontato per telefono, in modo concitato e confuso,
ciò che aveva combinato, Valentine aveva fatto un giro di
telefonate, per scoprire dove erano stati portati la donna ed il
bambino, e, una volta scoperto qual era l'ospedale, aveva alzato il
culo dalla sua costosa sedia di pelle, deciso a risolvere personalmente
la faccenda. Avrebbe ucciso entrambi, facendolo passare per un
incidente.
Quando era arrivato,
però, aveva scoperto che il moccioso era ancora sotto i
ferri ed aveva quindi indirizzato il suo interesse su Jocelyn,
rintanata chissà dove, sicuramente sorvegliata a vista e
pronta a spifferare tutto quello che le era successo. Avrebbe dovuto
ucciderla quando ne aveva avuto l'occasione. Perché,
dannazione, non l'aveva fatto? Perché?
Con una calma, che non
provava minimamente, aveva chiesto informazioni ad un'infermiera,
spacciandosi per un parente, ma quella stronza non solo non aveva
aperto bocca, ma aveva addirittura chiamato il primario!
La sua unica
possibilità, ora, era intercettare il piccolo, lurido,
figlio di puttana, prima che raccontasse tutto alla polizia, e
minacciarlo di ucciderlo, come a momenti riusciva a fare la settimana
prima, o fargli passare le più atroci sofferenze se solo
avesse osato dire una parola di troppo e non avesse, invece, raccontato
la sua versione dei fatti.
Sì, poteva
ancora salvarsi e Jocelyn poteva ancora essere scambiata per una pazza
da rinchiudere in manicomio! Doveva solo giocare bene le sue carte.
Fissò, truce,
l'uomo davanti a sé. Sì, il suo piano poteva
funzionare.. peccato che Luke Garroway, ex migliore amico ed attuale
primario del New York Presbyterian Hospital, si stesse rifiutando
ostinatamente di dargli informazioni sul vermiciattolo. Quello stronzo!
Sapeva perfettamente perché glielo stava nascondendo! Il
marmocchio aveva salvato Jocelyn e l'altro, che aveva sempre avuto un
debole per lei, ora che ne aveva l'occasione, poteva diventare l'eroe
della situazione ed averla tutta per sé! 'Fanculo! Non
glielo avrebbe permesso!
"Dannazione, Luke!"
urlò, con enfasi, mentre batteva un pugno sul tavolo.
"C'è uno dei miei bambini in questo ospedale e non puoi
impedirmi di vederlo!"
Il primario
sospirò. "Valentine.."
"Valentine un cazzo!"
sbraitò Morgenstern, inviperito. "Voglio vedere il bambino!"
"No."
Quel secco rifiuto,
inaspettatamente, non era arrivato dal primario, bensì
dall'uomo seduto al suo fianco e la parola era stata pronunciata con un
tale distacco che la sua rabbia crebbe ancora di più.
"Non si intrometta,
avvocato Lightwood!" lo apostrofò Morgenstern, girandosi di
scatto verso di lui e fulminandolo con il suo sguardo di ghiaccio.
Uomini della peggior
specie avevano tremato sotto quell'occhiata penetrante, ma Alec
Lightwood sembrava sorprendentemente non subirne l'effetto. Il suo viso
pareva scolpito nel marmo e non aveva mosso un muscolo od emesso un
suono durante tutta la sua scenata e questo infastidiva Valentine
ancora di più. Cosa cazzo era venuto a fare lì?
Cosa cazzo voleva?
"Valentine.."
ritentò il primario. "Sai perfettamente che c'è
un'indagine in corso e che non puoi né vedere né
tantomeno avvicinarti al bambino."
"Luke, porca puttana,
non osare dirmi quello che posso o non posso fare!" gridò
Valentine, alzandosi bruscamente dalla sedia e puntandogli l'indice
contro. "E' tutto un terribile fraintendimento e.."
"No." si intromise di
nuovo l'avvocato, duro. "Quello che è successo nella mia
proprietà non può essere frainteso in alcun modo."
"Avvocato Lightwood le
ho detto di.."
L'avvocato
alzò una mano, interrompendolo nuovamente. "Signor
Morgenstern non mi interessa quello che ha da dire. In questo momento
c'è un bambino che lotta tra la vita e la morte e lei
dovrebbe avere la decenza di fare un passo indietro ed evitare di
disturbare, con le sue chiassose ed inutili lamentele, il lavoro del
personale di questo ospedale."
Valentine divenne
paonazzo. Come osava quel pezzente rivolgersi a lui in quella maniera?
Strinse violentemente le mani a pugno, accecato dalla rabbia, ed
iniziò a tremare. Dio, quanto avrebbe voluto ucciderlo a
mani nude!
"Signori.."
esclamò il primario, attirando la sua attenzione. "Ho
appuntamento con la polizia tra cinque minuti, quindi mi trovo
costretto a congedarvi entrambi."
"Cosa?" sputò
Valentine, incredulo, tornando a sedersi lentamente.
Il primario
scrollò le spalle. "Valentine, sono spiacente, ma non ho
proprio tempo di assecondare le tue richieste. Come ti ho
già detto, c'è un'indagine in corso e, di
conseguenza, un protocollo da rispettare." gli comunicò,
alzando una mano per bloccare ogni eventuale protesta. "Ora, se volete
scusarmi, devo ragguagliare la polizia sugli ultimi aggiornamenti.
Avvocato Lightwood, le auguro una buona giornata. Valentine.. beh..
ciao." lo salutò, con un sorriso sarcastico.
Valentine
imprecò mentalmente, stritolando il bracciolo della sedia,
mentre l'avvocato salutava con un cenno della testa il primario.
Rimasero in silenzio per
diversi minuti, ognuno fissando davanti a sé, poi la voce di
Alec Lightwood lo sorprese come una fucilata in pieno petto.
"E' finita."
mormorò, a bassa voce. "Lo so io. Lo sa lei. Questa volta,
non la passerà liscia. Glielo prometto." concluse, girandosi
lentamente per guardarlo con uno strano luccichìo negli
occhi.
Valentine non fece in
tempo a replicare che l'altro si era già alzato e, senza
ulteriori parole, aveva abbandonato la stanza lasciandolo solo con la
sua rabbia ed i suoi pensieri.
"Signore e signori della
giuria, i bambini dell'orfanotrofio Il Circolo non hanno né una
mamma né un papà e, come se questo non fosse
già traumatico e doloroso di per sé, sono stati
anche picchiati, molestati e rinchiusi in una cantina sporca e buia,
senza cibo né acqua, quando osavano ribellarsi. Qualunque
sia la vostra decisione, oggi, porteranno per sempre con sé
il trauma di questa esperienza. Valentine Morgenstern, l'uomo che li
aveva accolti in quell'orfanotrofio e che avrebbe dovuto vegliare su di
loro, amandoli e proteggendoli, è responsabile della loro
sofferenza. Signore e signori della giuria, vi prego di farvi una sola
ed unica domanda: il futuro di quest'uomo merita di essere migliore di
quello di questi bambini?"
La sua arringa si era conclusa poche ore prima e, in quel momento, i
giurati erano rinchiusi in una stanza, isolati dal mondo, intenti a
decidere le sorti di quella lunga, sfiancante, causa.
Alec fissò, con determinazione, il piano del tavolo in legno
massiccio, davanti a lui, concentrato, nel tentativo di controllare le
emozioni.
Agognava e, al tempo stesso, temeva il momento del verdetto. Nonostante
avesse passato interminabili giorni ed interminabili ore chiuso nel suo
studio, chino sulla sua scrivania, a studiare fogli su fogli, parole su
parole, scervellandosi ed esaurendosi pur di inchiodare quel bastardo
di Morgenstern, più i minuti passavano e più
dubitava di essere stato sufficientemente persuasivo e di aver fatto
tutto il possibile per convincere i giurati a salvare i bambini
dall'inferno in cui avevano vissuto fino a quel momento.
Si torturò le mani, nervoso, tentando di regolarizzare il
battito del cuore ed il respiro. Non era proprio il caso di farsi
venire un attacco di panico nel momento clou, no?
Alzò lo sguardo solo quando udì i giurati
rientrare in aula e studiò la loro espressione, alla ricerca
di un qualsiasi indizio che gli potesse rivelare l'esito della loro
decisione.
Quelle persone, quei dodici, perfetti, estranei, avevano racchiuso il
futuro di venti bambini in un foglietto che il giovane portavoce teneva
in mano. Lo tenne bene in vista per un lungo momento, prima di
consegnarlo al commesso che lo avrebbe poi passato al giudice.
Alla sua destra, Jace era in silenzio, ma aveva iniziato a battere
nervosamente la punta del piede sul pavimento ed a tamburellare, senza
sosta, le dita sul bracciolo della sedia, mentre sul viso di Imogen
Herondale, seduta accanto a suo fratello, non c'era la minima traccia
di ansietà e le mani erano appoggiate tranquillamente sul
tavolo. Per l'angelo, quanto gli sarebbe piaciuto avere la sua
freddezza!
Un leggero senso di nausea iniziò a risalirgli lungo
l'esofago, ma lo ricacciò indietro, deglutendo con forza. Se
un attacco di panico poteva essere considerato inopportuno, vomitare
come la bambina dell'Esorcista era decisamente fuori luogo.
Il giudice, accomodandosi, si sistemò meglio la toga ed Alec
si irrigidì. Era venuto il momento della verità.
"La giuria ha raggiunto il verdetto?" chiese il giudice.
"Sì, Vostro Onore." rispose il portavoce.
La temperatura, nell'aula, divenne improvvisamente soffocante ed Alec
allargò, con gesto meccanico, il colletto della camicia che
pareva soffocarlo e si sistemò meglio sulla sedia. Un rivolo
di sudore gli scivolò lungo la schiena e non volle neanche
immaginare in che stato erano le sue ascelle. Il cuore
iniziò a battere come un forsennato e lui ne ebbe
abbastanza. Ordinò al suo corpo di smetterla immediatamente,
di darsi una calmata e di tornare ad un bioritmo normale
perché, se non era il caso di avere un attacco di panico o
rigettare anche il pranzo di Natale, farsi venire un infarto era
assolutamente fuori questione!
"Nella causa Stato di New York contro Valentine Morgenstern, la giuria
ha riconosciuto l'imputato.."
Alec trattenne il fiato.
"..colpevole." concluse l'uomo.
Il silenzio che ne seguì fu, per certi versi, assordante.
Sembrava che il tempo si fosse fermato e che il verdetto aleggiasse
nell'aria, quasi fosse un'entità animata di vita propria.
Poi fu il caos.
Valentine Morgenstern si alzò in piedi, sbraitando ed
inveendo contro giudice e giurati, mentre veniva trattenuto a stento
dai suoi avvocati. Il pubblico presente iniziò ad urlare ed
ad applaudire, i fotografi scattarono senza sosta foto che, di sicuro,
avrebbero rivenduto al miglior offerente già quella sera
stessa, il portavoce invece proseguì, come se niente fosse,
con la lettura dei diversi capi di imputazione, mentre il giudice
continuava a battere il martelletto gridando "Ordine! Ordine!".
Alec non fece in tempo a capire cosa era successo che Jace lo
inglobò nel suo abbraccio.
"Abbiamo vinto!" gli urlò nell'orecchio.
Alec si lasciò strattonare dal fratello, come se fosse un
pupazzo senza vita, continuando a fissare la bocca del portavoce della
giuria che continuava a proclamare "Colpevole." per ogni capo di
imputazione. Proseguì a lungo, finché la maggior
parte dei presenti smise di ascoltare e si accinse a lasciare l'aula.
Fu solo quando sentì che suo fratello, con un gemito
animalesco, gli venne strappato malamente di dosso al suono imperioso
di "Togliti dai piedi, Giselle!", venendo sostituito da un altro paio
di braccia muscolose, attorno al collo, e da un profumo di sandalo, che
gli inondò le narici, che finalmente realizzò
appieno l'enormità della situazione.
"Hai vinto, Fiorellino! Hai vinto!" esclamò Magnus,
abbracciandolo stretto. "Lo sapevo! Lo sapevo!"
Alec non sapeva se ridere o piangere, quindi fece l'unica cosa che il
suo istinto gli disse di fare. Strinse forte Magnus, tra le proprie
braccia, ed affondò il viso nel suo collo, inspirando
profondamente e lasciando che l'uomo gli arruffasse i capelli e lo
sballottasse di qua e di là. Gli stava salendo nuovamente la
nausea, ma andava bene così.
Riemerse dal suo nascondiglio solo quando fu sicuro che la sua voce non
si sarebbe messa a tremare come una foglia e sorrise raggiante. "Rafe?"
"Non si è ancora svegliato, ma il dottore dice che le
funzioni vitali sono buone e che sta rispondendo bene alla terapia." lo
rassicurò Magnus, battendogli affettuosamente una mano sul
petto. "Max ed Izzy sono con lui."
Alec annuì, desideroso di ringraziare quanto prima quel
bambino speciale. Rafe ancora non lo sapeva, ma era grazie a lui se
quel giorno avevano vinto la causa e Morgenstern, finalmente, era stato
sconfitto. Se non fosse stato per il suo coraggio, infatti, la
verità, molto probabilmente, non sarebbe mai venuta a galla.
Quando, il giorno prima, la signora Fray era apparsa come una sorta di
fantasma davanti ai suoi occhi, pallida, tremante, sporca e
sanguinante, svenendogli poi tra le braccia, ad Alec era schizzato il
cuore in gola.
Ricoverata nello stesso ospedale di Rafe, fortemente debilitata nel
fisico, ma non nello spirito, Jocelyn Fray aveva raccontato tutto
quello che le era successo, aiutando Alec ad incastrare definitivamente
Morgenstern.
La donna aveva raccontato di essere stata rapita e tenuta prigioniera
dal criminale, che ne aveva ordinato l'uccisione prima dell'udienza
definitiva. Per sua fortuna, il furgone, su cui era stata brutalmente
caricata, si era fermato momentaneamente all'orfanotrofio per far
salire anche Verlac, incaricato di procedere con l'esecuzione. Nel
brevissimo momento, in cui nel veicolo non c'era nessuno, Rafe l'aveva
vista ed era riuscito a liberarla. Verlac, però, li aveva
sorpresi proprio nel momento in cui il bambino era riuscito a togliere
i lacci che legavano le mani della donna ed aveva tentato di ucciderli,
sparandogli. Rafe aveva afferrato saldamente la mano della signora
Fray, trascinandola via e i due erano riusciti a fuggire attraverso lo
stretto passaggio nel muro di cinta dell'orfanotrofio, correndo come
forsennati fino alla tenuta, dove il bambino l'aveva nascosta nel
capanno, assicurandole che quel posto era speciale e che nessuno le
avrebbe mai potuto fare del male. Purtroppo, però, non erano
riusciti a seminare Verlac che era piombato su di loro come un falco
sulla propria preda. Quando era arrivato, aveva scatenato tutta la sua
furia sul ragazzino, giurando che poi sarebbe toccata la stessa sorte
anche alla donna. Per loro fortuna, come un angelo sceso al cielo, era
arrivato Alec, salvandoli da morte certa.
La polizia era riusciva a scovare Verlac e ad arrestarlo con l'accusa
di tentato omicidio, rapimento ed aggressione. In attesa del processo,
attualmente si trovava nel carcere di massima sicurezza di New York,
sotto stretta sorveglianza. Quando l'avevano prelevato dal suo
appartamento, dove stava tentando di fare le valigie per scappare, la
polizia aveva scoperto, con orrore e disgusto, il macabro hobby
dell'uomo. Nel salotto, infatti, troneggiavano diverse teche di vetro
in cui si trovavano esposte delle ossa umane disposte in
raccapriccianti figure astratte. Le indagini per scoprire a chi
appartenevano quei resti erano ancora in corso, ma, memore di quanto
gli aveva confidato Magnus, Alec aveva informato la polizia che
sospettava che, tra essi, vi fossero quasi sicuramente anche quelli
della matrigna di Verlac, Camille Belcourt, scomparsa più di
otto anni prima e di cui nessuno aveva più avuto notizie.
Durante il racconto della signora Fray, Alec aveva inoltre scoperto
diverse cose, come, ad esempio, che il vero nome della donna era
Jocelyn Fairchild e che era niente di meno che l'ex compagna di
Morgenstern. I due avevano addirittura avuto una figlia: Clary. Gli
venne da ridere al ricordo della faccia di Jace, quando aveva
realizzato, con orrore, che suo "suocero" era uno dei criminali
peggiori di tutta New York.
Insieme alla sua confessione era arrivata anche quella di Clary, che
aveva confidato a Jace i loschi traffici del padre a cui aveva
assistito con i propri occhi, la cattiveria del fratello e le violenze
nell'orfanotrofio, che aveva sempre tentato strenuamente di fermare.
Venuta a conoscenza, per puro caso, del rapimento della madre,
però, non aveva mai osato chiedere aiuto a nessuno, temendo
le ritorsioni paterne.
La sua testimonianza, insieme a quella di Jocelyn Fray, erano state
decisive per l'arringa finale di Alec e fondamentali per le indagini
della polizia.
I bambini, nel frattempo, erano già stati tutti affidati ad
un altro orfanotrofio, nella speranza di donare loro, finalmente, la
gioia di una famiglia amorevole.
Imogen Herondale batté una mano sulla spalla di Alec,
attirando la sua attenzione e riportandolo alla realtà.
"Ottimo lavoro, ragazzo!" si complimentò, con un sorriso
accennato. "Ora puoi rilassarti e prenderti qualche giorno di vacanza.
Ne hai davvero bisogno!"
Alec le fece un sorriso storto ed annuì, osservando poi
Valentine Morgenstern che veniva condotto, a forza, fuori dall'aula,
mentre strascicava i piedi e continuava ad urlare a pieni polmoni
ingiurie e frasi sconclusionate.
Questo era il momento che aveva sognato da tutta una vita, che aveva
sperato ad ogni esame che aveva dato all'università, ad ogni
testo di legge che aveva consultato, ad ogni passo in avanti che aveva
fatto nella sua carriera. Era per un momento come questo che si era
impegnato come un dannato, che aveva dormito poco o niente, che aveva
mangiato quello che gli capitava a tiro, che aveva quasi rischiato di
impazzire. Vedere assicurato alla giustizia un criminale di tale
portata, e con una colpa del genere, era qualcosa di unico ed Alec si
godette appieno quella meravigliosa sensazione.
"Andiamo in ospedale?" chiese poi a Magnus, sorridendo.
L'uomo annuì, prendendolo per mano ed intrecciando le dita
alle sue. "Andiamo."
"Non capisco. Sono morto e mi trovo in paradiso?" mormorò
Rafe, quando, aprendo gli occhi, vide tutto bianco.
"Solo se ci sono anch'io." replicò Max, saltando sul letto e
sedendosi a gambe incrociate. "Ciao!" lo salutò, sorridendo.
"Ciao." sussurrò Rafe. "Dove.. dove siamo?"
"In ospedale!"
"In ospedale?" ripetè Rafe, stupito. "Perché?
Cosa è succ.. oddio, devo tornare in orfanotrofio prima che
si accorgano della mia assenza!" si agitò.
Max gli strinse piano la mano. "Sanno già che sei qui." lo
informò, dolcemente. "Probabilmente non lo ricordi,
perché hai preso una gran bella botta in testa! Sei al
sicuro, comunque. Nessuno ti farà più del male. I
miei papà non lo permetteranno!" lo rassicurò.
"Papà Alec non solo ieri ha mandato via il signor
Morgenstern, che era venuto a prenderti, ma oggi l'ha spedito anche in
galera! Lo so perchè zia Izzy ha appena parlato con zio
Jace, che le ha detto tutto! E hanno arrestato anche l'uomo biondo e
cattivo!" lo ragguagliò, senza quasi respirare.
"Cosa?" chiese Rafe, stranito.
Max annuì. "Nessuno ti farà più del
male, Rafe! Mai mai più!" ripetè, con enfasi.
Rafe si agitò leggermente, incapace di credere a quanto gli
aveva appena comunicato l'amico.
"Stai comodo? Vuoi un altro cuscino? Hai fame? Vuoi che ti faccia
portare qualcosa? Zia Izzy è andata a prendere qualcosa da
bere al distributore. Vuoi qualcosa anche tu? Uhm.. ma puoi bere? O
mangiare? Ti fa male da qualche parte? Vuoi che chiami l'infermiera
così ti da altre medicine per sentire meno dolore?"
domandò Max, parlando a raffica.
Rafe scosse piano la testa, per interrompere quel bombardamento di
domande. Il signor Morgenstern ed il signor Verlac era in prigione?
Faceva davvero fatica a crederci. Era così malridotto da non
sentire altro che dolori lancinanti, ma, nonostante tutto, uno strano
senso di benessere iniziò a percorrergli il corpo, come se
fosse un balsamo che andava a curare le sue ferite.
"L'avvocato mi ha salvato la vita." constatò, con un filo di
voce.
Max annuì. "Avresti dovuto vederlo!" esclamò
esaltato, saltando sulle ginocchia. "E' stato grande! Ha tirato un
pugno all'uomo biondo e cattivo e poi un altro e poi un altro ancora!
Gli ha dato proprio una bella lezione! E se quel verme non fosse
fuggito, papà Alec l'avrebbe di sicuro mandato in ospedale!"
Max l'aveva detto per ben due volte. Papà Alec.
Rafe avrebbe voluto sorridere e dirglielo, ma pensò che il
suo amico sapesse già di aver cambiato opinione nei riguardi
dell'avvocato. Senza contare che sorridere gli causava troppo dolore e
si sentiva molto molto stanco.
"E.. e adesso?" chiese, con voce impastata.
Max scosse le spalle. "Non so cosa succederà agli altri
bambini dell'orfanotrofio, ma so per certo che tu verrai a casa con
noi! Papino ha detto che vuole adottarti." esultò, raggiante.
"Adottarmi?" domandò Rafe, stupito.
"Già." confermò Max. "Diventeremo fratelli."
esclamò, gettando le braccia in alto e ridendo felice.
Fratelli.
Rafe non aveva idea di cosa significasse avere dei fratelli. O una
famiglia. I bambini dell'orfanotrofio erano quanto di più
vicino a quella definizione, ma non li aveva mai considerati tali.
"Ma.. ma può farlo?" chiese, con un filo di voce, non osando
neppure sfiorare un'idea così bella.
"Certo che posso!" esclamò una voce profonda, che fece
girare entrambi. Magnus era appoggiato allo stipite della porta, le
braccia conserte ed un enorme sorriso sul volto. "Vero che posso?"
chiese, girandosi verso Alec, che si trovava di fianco a lui.
"Vedrò cosa riesco a fare." si limitò a
rispondere l'avvocato, con un sorriso, alzando gli occhi al cielo.
Magnus gli diede una spallata leggera ed entrò nella camera.
"Finalmente ci conosciamo." disse sorridendo, sedendosi sul letto.
"Ciao, topolino. Io sono Magnus, il papà alla moda di Max."
si presentò, prendendogli la mano e stringendola piano. "Il
papà con zero senso dello stile, invece, so che lo conosci
già!" ironizzò, indicando con il pollice l'uomo
dietro le sue spalle, che stava scuotendo piano la testa ed alzando gli
occhi al cielo per l'ennesima volta.
"S-salve, signore." mormorò Rafe. "B-buongiorno signor
Lightwood."
Alec lo salutò con la mano, mentre Magnus sventolava la sua,
come per scacciare una mosca fastidiosa. "Ohhh per favore. Chiamami
Magnus! Signore
è per i vecchi ed io non lo sono affatto. Sono giovane e
bello!"
Alec si morse l'interno della guancia e si avvicinò al
letto. Si piegò e baciò la fronte di Rafe, per un
lungo, interminabile, momento. "Grazie." sussurrò grato,
quando si staccò.
"P-p-per cosa?" balbettò il ragazzino, rosso come un
peperone per l'imbarazzo.
"Per aver salvato la signora Fray e i bambini dell'orfanotrofio. Se non
fosse stato per te ed il tuo immenso coraggio, a quest'ora la signora
Fray sarebbe morta e io non sarei riuscito a mandare in galera il
signor Morgenstern ed il signor Verlac." gli spiegò, con
voce incrinata. "Grazie di cuore, mio piccolo, grande, eroe."
Rafe sentì le lacrime pungergli gli angoli degli occhi e
tentò di trattenerle con tutte le sue forze, mordendosi
forte il labbro inferiore.
"Sei felice?" gli chiese Max, dolcemente, accoccolandosi accanto a lui.
"E' molto vicino." sussurrò Rafe, serio, mentre le lacrime
iniziavano a scendere.
"Cosa, tesoro?" chiese Magnus, curioso, scostandogli un ciuffo di
capelli dalla fronte.
"Il paradiso." rispose il bambino, sorridendo.
New
York, 1 anno dopo
La lieve brezza serale scompigliò dolcemente i suoi capelli.
Alec sorrise, mentre osservava il sole che, in un tripudio di colori
caldi e rossastri, stava tramontando dietro lo skyline di Brooklyn,
dando il meglio di sè, prima di ritirarsi per lasciare il
posto alla luna.
Quella vista impagabile era il motivo principale per cui Magnus aveva
insistito così tanto per l'acquisto di quell'appartamento e
lui, ancora un volta, non poté fare altro che concordare con
lui. Era spettacolare.
Appoggiato alla terrazza, con una mano a sorreggergli il mento,
sospirò contento, in pace con il mondo, mentre si godeva,
tranquillo, quello spettacolo mozzafiato che si stagliava davanti a lui.
Era felice. Totalmente, completamente, felice. Se qualcuno, anche solo
un anno prima, gli avesse detto che, un giorno, sarebbe arrivato a quel
punto, Alec gli avrebbe riso in faccia. E di gusto anche!
Prima di tutto questo, si era reso conto di essere stato malato a
lungo, anche se non lo sapeva, ed aveva accettato ed imparato a
convivere con un vuoto affettivo che, simile ad un buco nero, gli aveva
risucchiato ogni energia positiva. Poi tutto era cambiato con l'arrivo
di Magnus.
Magnus, che parlava sempre troppo. Magnus, che era sfacciato oltre i
limiti della decenza. Magnus, che lo metteva in imbarazzo continuamente
e che poi, per rabbonirlo, gli dava un bacio sulla guancia e gli
sussurrava all'orecchio "Sei delizioso quando arrossisci come un
pomodoro maturo!". Magnus, che riusciva a capirlo con uno sguardo.
Magnus, che aveva curato la sua anima straziata e che aveva rimesso in
sesto il suo cuore dilaniato. Magnus, che l'aveva portato via dalla
casa in cui era vissuto per quasi trent'anni, strappandolo da quei
ricordi che continuavano a tormentarlo, nonostante lui tentasse di
ignorarli. Magnus, che l'aveva costretto a guardare la bellezza di una
vita che non conosceva e che non aveva mai neanche osato sognare.
Magnus, che gli aveva donato quella vita, insieme al suo cuore.
Prima di conoscere lui, Alec aveva avuto una discreta esperienza
amorosa, ma non aveva mai capito cosa fosse l'amore, quello vero. Non
aveva mai davvero saputo cosa si prova quando la terra si ferma, il
tempo si arresta ed il respiro rimane imprigionato nel proprio petto in
attesa di uno sguardo o di una parola del proprio amato.
Perso in quei pensieri, giocò distrattamente con la fede che
aveva all'anulare, girandola con il pollice, mentre Presidente si
strusciava con energia contro le sue gambe, ronfando a più
non posso e miagolando.
"Tranquillo, saranno qui tra poco." gli disse, guardando brevemente
l'ora sul suo orologio ed abbassando lo sguardo per sorridergli.
Erano andati a prendere il gelato, da mangiare dopo cena, e sicuramente
sarebbero arrivati di lì a poco, spazzando via la pace e la
quiete di quel momento. Perché i suoi uomini erano
così. Chiassosi, rumorosi ed estremamente chiacchieroni, ma
Alec li amava immensamente. Tutti e tre.
Quando sentì il baccano provenire dalla tromba delle scale,
sorrise ancora di più. "Parli del diavolo.."
pensò, ridacchiando. Si girò, appoggiando i
gomiti alla balaustra, e fissò impaziente la soglia della
porta di casa. Presidente lo imitò, osservando attentamente
nella stessa direzione, con la coda che si muoveva sinuosa.
Magnus spalancò la porta, con foga, proprio nel momento in
cui stava sbuffando sonoramente ed alzando gli occhi al cielo. "No. No.
E ancora no." sentenziò, categorico.
"Ma papiii!" esclamò Max, sbuffando più del padre
e roteando gli occhi.
"Per favore papino!" lo supplicò Rafe, facendogli gli
occhioni dolci.
"Ohhh risparmiatevi il papi
ed il papino!
Non mi incantate, carini!" rispose Magnus, muovendo l'indice in segno
di diniego. "N.O. No!" continuò, scuotendo energicamente la
testa. "Su, mettete quel gelato in congelatore, prima che si sciolga."
"Ma perché no?" protestò Max, pestando i piedi.
"La mamma ed il papà del mio amico James Townsend glielo
lasciano fare!"
"Quando a James Townsend cadranno tutti i denti, perché i
suoi genitori gli permettono di mangiare dolci dalla mattina alla sera,
non solo mi ringrazierete, ma mi costruirete una statua come miglior
papà del mondo!" ribattè Magnus, alzando il
mento, compiaciuto.
"Ne dubito." si imbronciò Max, incrociando le braccia al
petto. "E per il film?"
"No!"
"Ma dici sempre noooo!" rispose Max, esasperato, gettando la testa
all'indietro ed allargando le braccia.
"Perché mi fate domande a cui devo rispondere sempre no!"
ribattè Magnus, con un sorriso astuto.
"Daddyyyy!" strillò Max, per nulla scoraggiato da quel secco
rifiuto, correndo verso l'altro genitore, per afferrargli saldamente un
braccio. "Papi non vuole vedere il film Coco." si
lagnò, tirandolo e scuotendolo.
"Oh per l'angelo!" sbuffò Magnus, stizzito, chiudendo la
porta di casa. "L'abbiamo già visto cinquanta volte!
Cinquanta!" esclamò, con esagerata enfasi. "Non si
può vedere qualcos'altro? E che è? State tentando
di battere il record?"
Rafe ridacchiò, grattandosi il naso. "Veramente l'abbiamo
visto solo dieci volte." lo corresse, con un sorriso divertito.
Magnus gli lanciò un'occhiata fintamente severa. "Shhh,
pulce! Non essere così pignolo!" lo apostrofò,
facendogli il solletico su un fianco e facendolo ridere.
"Daddyyyy!" gridò di nuovo Max, ignorando Magnus. "Possiamo
vedere ancora Coco
questa sera? Eh? Possiaaaamoooo?" lo pregò, abbracciandolo
in vita.
Alec rise e gli accarezzò i morbidi capelli neri. "Va bene."
acconsentì, divertito.
"Sìììì!" gridarono i due
bambini, alzando le braccia al cielo, dandosi poi il cinque e
saltellando verso la cucina.
Magnus emise un gemito strozzato. "Perché?" gli chiese,
allibito, mentre lo guardava con uno sguardo offeso e tradito, prima di
inciampare in Presidente Miao, che si era intromesso tra le sue gambe.
"Presidente!" lo sgridò, abbassando lo sguardo. "Quante
volte ti devo dire che non devi attentare alla vita di papà?
Eh?" lo ammonì.
Il micio miagolò, indispettito, e sgusciò via,
dirigendosi dentro casa, alla ricerca di coccole e cibo che sicuramente
i due piccoli umani gli avrebbero elargito, a dispetto dei due adulti
che non lo stavano neanche degnando di uno sguardo. Che affronto!
Alec fece un pigro sorriso e osservò il compagno, mentre lo
raggiungeva sulla terrazza, senza lasciarsi sfuggire un solo dettaglio
di quel magnifico uomo che era solo ed esclusivamente suo.
Indossava dei jeans neri ed attillati, che Alec aveva bocciato, ma che,
intimamente, apprezzava davvero molto perché gli fasciavano
il sedere in modo divino, ed una maglietta bianca ed esageratamente
scollata, che lasciava scoperta buona parte del suo petto, su cui
spiccava un'infinità di collane e da cui si vedeva la pelle
caramellata, resa ancora più scura per via dell'abbronzatura
presa durante la loro vacanza a Bali.
Nonostante l'adorabile broncio, gli occhi di Magnus si posarono su di
lui, dolci, carezzevoli ed innamorati e ad Alec si mozzò il
respiro, come ogni altra volta che l'altro lo guardava in quel modo.
"Perché, mentre loro si guardano per l'ennesima volta quel
film, noi ce ne andiamo in cucina a preparare i pop-corn."
mormorò Alec, rispondendo alla domanda, mentre gli arpionava
i passanti dei jeans per avvicinare quel corpo tentatore al suo.
"Che c'è di così interessante nel fare i
pop-corn?" chiese Magnus, indignato, allargando le braccia con una
smorfia buffa.
Alec ammiccò e sorrise, furbo.
"Che c'è?" chiese Magnus, aggrottando le sopracciglia.
"Davvero, non vedo cos... Ohhhh." si illuminò, consapevole,
quando capì il sottinteso del marito. "Mi piace quello che
hai in mente." sussurrò poi, leccandosi le labbra.
Alec ridacchiò e, mentre osservava rapito quel movimento,
gli si avvicinò ancora di più. Magnus
infilò una mano nei suoi capelli avvicinando il proprio viso
al suo.
"Dadd.. Oh per l'angelo!" esclamò Rafe, roteando gli occhi
con un sorriso, dopo essere sbucato dalla porta finestra insieme a Max.
"Ancora?" domandò, quando li vide così vicini.
"Sparite." grugnì Magnus, senza staccare gli occhi da quelli
di Alec e pressando con più decisione il suo petto contro
quello del marito. "Non lo vedo da ben venti minuti. Ho tutto il
diritto di baciarlo!"
"Beh.. potremmo sparire.." sorrise Max, scaltro. "O potremmo restare
qui. Per un po'. O per un tempo un po' più lungo. Molto,
molto lungo." rincarò, sbattendo le lunghe ciglia e
scrollando le spalle.
Magnus girò repentinamente lo sguardo, alzando un
sopracciglio. "Cosa volete?"
"Cioccolata!" si illuminò Rafe.
"E caramelle!" aggiunse Max, battendo le mani, felice.
"Solo un pezzetto. E solo una." concesse Magnus, ammonendoli con
l'indice. "E ora, sciò! Via!"
I bambini ridacchiarono, dileguandosi nuovamente dentro casa.
Alec alzò gli occhi al cielo, divertito. "Non avevi detto
niente dolci?"
"Shhh, Fiorellino." lo rimbeccò Magnus, con occhi languidi.
"Non metterci anche tu."
Alec rise. "Scusa. Dove eravamo rimasti?" chiese poi, afferrandogli la
nuca.
"Che ne dici di un viaggio?" domandò Magnus,
inaspettatamente.
"Un viaggio?" ripetè Alec, ad un soffio dalle sue labbra,
aggrottando la fronte.
Magnus annuì.
"Ma.. siamo appena tornati dal viaggio di nozze." disse Alec, confuso.
Si erano sposati neanche un mese prima, con una romantica e deliziosa
cerimonia nell'isola dove era nato Magnus, che l'aveva sorpreso con
quella proposta durante la loro vacanza, la prima che trascorrevano
loro quattro insieme, dopo la lunghissima e per nulla semplice
riabilitazione di Rafe, che era durata mesi.
I suoi fratelli gli tenevano ancora il muso per questo. Alec aveva
spiegato loro, più di una volta, che era stata una cosa non
programmata e del tutto inaspettata (e che, forse, addirittura non
aveva nessuna valenza legale), ma a Jace ed a Izzy non importava e
glielo rinfacciavano ogni volta che si vedevano.
Magnus scosse le spalle. "Voglio portarti in un posto. E non
è proprio un viaggio.. diciamo una gita fuori porta, ecco."
precisò, cingendogli il collo con le braccia.
Alec lo abbracciò in vita. "Dove andiamo?"
"Ad Oheka!" esclamò Magnus, sorridendo.
"Perché?" chiese Alec, sorpreso.
"Beh, da quando hanno ripreso ad andarci, i tuoi fratelli non la
smettono più di dire quanto sia meravigliosa quella suite,
quanto sia bello il castello, quanto sia spettacolare il parco. E
quindi, ho pensato, perché non andiamo a profanare l'eremo
di tuo padre, facendo del sesso sfrenato ed assolutamente proibito sul
suo letto alla facciaccia sua?"
Alec scosse la testa, incredulo. "Perverso." sentenziò,
iniziando a ridere di gusto. Era così tipico di Magnus
fargli quelle proposte.
Il sorriso di Magnus si allargò e gli si strinse
maggiormente contro, baciandogli la punta del naso. "Aku cinta kamu, malaikatku*."
Alec sorrise, radioso, poi cercò le sue labbra, baciandolo
di slancio e sentendo Magnus che rispondeva con lo stesso impeto. Era
perfetto.
"Papiiii! Daddyyyy! Presidente ha vomitato sul tappetoooo!"
urlò Rafe, dal salotto.
Sì, era davvero tutto perfetto.. o quasi.
---
Note dell'autrice
* Malaikatku = angelo mio (tradotto con Google, quindi spero sia la
parola corretta!)
E dopo oltre un anno, la fine della storia.. è quiiii!
Carramba, che sorpresa! :D
Prima di tutto, chiedo scusa per i tempi biblici che ho impiegato per
pubblicare i vari capitoli, ma a causa di impegni e problemi familiari,
sorti lo scorso anno, ad un certo punto ho proprio dovuto abbandonare
momentaneamente la scrittura e quindi ci ho messo
un'eternità per concluderla.
Seconda cosa, dedico la mini-mini-mini, ma davvero mini, scena del
matrimonio a Sammynaa91. So che probabilmente non era quello che ti
aspettavi, ma prometto che aggiungerò un capitolo extra solo
ed esclusivamente per questo momento. Quando, non lo so, ma
arriverà! Giurin giurello! ;D
Ed ora permettetemi di dirvi GRAZIE! *___*
Grazie a chi ha commentato, scrivendo parole gentili e recensioni
positive. Vi ringrazio per i suggerimenti, i consigli, ma, soprattutto,
perché siete stati talmente carini da non farmi notare gli
strafalcioni che mi sono sfuggiti (che c'erano e che, probabilmente, ci
sono ancora XD) o addirittura le incongruenze (che c'erano, eccome se
c'erano, e di cui mi sono accorta solo dopo aver riletto, per
l'ennesima volta, la storia dall'inizio per vedere se filava come
volevo io! XD Quindi portate pazienza se, dopo aver letto un capitolo,
trovate delle aggiunte o delle modiche che prima non ricordavate!) ;D
Grazie a chi ha inserito la storia tra le preferite, tra le ricordate e
tra le seguite.
Grazie ai lettori silenziosi.
Grazie a chiunque ha perso del tempo per leggere questa fanfiction.
Grazie grazie e ancora grazie.
Un bacio e a presto! ;-*
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