Faceless

di Lux in Tenebra
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo (Nuovo) ***
Capitolo 2: *** 0. Capitolo ***
Capitolo 3: *** 1. Capitolo ***
Capitolo 4: *** 2. Capitolo ***
Capitolo 5: *** 3. Capitolo ***
Capitolo 6: *** 4. Capitolo ***
Capitolo 7: *** 5. Capitolo ***
Capitolo 8: *** 6. Capitolo ***
Capitolo 9: *** 7. Capitolo ***
Capitolo 10: *** 8. Capitolo ***
Capitolo 11: *** 9. Capitolo ***
Capitolo 12: *** 10. Capitolo ***



Capitolo 1
*** Prologo (Nuovo) ***



 
Avviso!

Prima di iniziare, vorrei mettere in chiaro alcune cose per evitare fraintendimenti.
Questa fanfiction si può leggere benissimo come un'originale. Non c'è bisogno di conoscere la creepypasta da cui deriva il personaggio, dato che lo Slender di questa storia è fondamentale differente su molti fronti.

(Per chi conosce già la sua storia, vorrei precisare che la creepyhouse non esiste in questa versione. Non è applicabile nel contesto della storia, ne mi ha mai affascinato come idea.)

Il target a cui è rivolto il racconto sono coloro a cui il genere tizia umana x mostro/creatura sovrannaturale affascina e si domandano come si svolgerebbe una relazione sentimentale per il mostro in particolare.

Essendo un AU (universo alternativo per i meno avvezzi al genere), molte cose sono state cambiate e o modificate.

Questo Slenderman è la mia versione ed interpretazione del suo personaggio. Il narratore sarà infatti lui, in prima persona, a raccontarci ciò che è accaduto dal suo punto di vista. Qui non è mai stato umano e non ha mai avuto figli. È un mostro nato mostro con una morale differente.

Il prologo precedente (passato poi ad essere il capitolo 0) non era adatto a fare da introduzione alla storia e quindi ne ho scritto uno nuovo.

Questa storia è principalmente un dark fantasy romantico ambientato ai giorni nostri. (Wikipedia spiega bene il genere, se avete bisogno di qualche delucidazione in merito.) Tratterà tematiche delicate ed esplicite più in là e, in generale, molte cose che accadranno sono state già prestabilite. Se escludiamo il fatto che i miei personaggi tendono spesso a trascinarmi dove vogliono andare loro, quindi il corso degli eventi potrebbe anche cambiare da quello inteso in partenza. 

(Sono delle piccole canagliette senza Dio.。・゚ヾ(✦థ ェ థ)ノ。゚・。)

Il pairing principale sarà etero. Ma il loro destino non è scritto sulla pietra e vorrei vedere se riusciranno a legare tra di loro spontaneamente. Nel domani non vi è certezza! In passato ha funzionato con la vecchia storia, però le cose erano abbastanza diverse. (Al, questa è la tua seconda occasione. Non mandare tutto all'aria che non te ne darò un'altra. Dopo c'è una fanfic di Undertale che attende solo me per essere scritta.( ಠ_ಠ)

Al: la stessa cosa vale per te. Ci metti dei mesi per scrivere, di questo passo non finiremo mai in un tempo ragionevole! Non è divertente stare chiusi in una scatola per tutto il tempo. ( ಠ_ಠ) 

... hai ragione, mi dispiace, scus! (。•́︿•̀。))

Sarà un viaggio movimentato insomma.

Buona lettura.

Mi sono messa il cuore in pace per i commenti, il fandom è un tantinello non molto vivo al momento. (❁°͈▵°͈)


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Rigirai la stilografica tra le dita, iniziando a stendere sulle pagine bianche del taccuino tutto ciò che mi veniva in mente. Avevo riempito i primi fogli di impressioni sommarie, a tratti imbarazzanti, e parole di poca importanza.

Il bisogno di scrivere era impellente. Non importava il soggetto, dovevo semplicemente farlo. Mi avrebbe aiutato a fare chiarezza nella mia testa:

"Giorno ventesimo dell'undicesimo mese, anno umano 201X,

Per ben più di duecento anni abbiamo camminato su questa terra, nascosti tra le tenebre, fuggiti da una società che, per un motivo o per l'altro, ci ha allontanato.

Siamo soli, isolati da quel mondo che ci era tanto familiare, mentre i nostri genitori sono rimasti indietro a patire chissà quale fato.

I segni dei legami spezzati bruciano ancora nei ricordi di un tempo felice.

La nostra fiducia, la mia fiducia, venne tradita da coloro che credevamo amici.

Mi sento fortunato ad avere i miei fratelli ancora con me oggi, ma ho paura di perdere anche loro. Sono tutto ciò che mi rimane.

Questa foresta sconosciuta non metteva paura la prima volta che ci entrai: il sussurro degli alberi delicato e gentile era molto diverso da ciò a cui ero abituato. La pace sembrava così profonda che a volte mi illudevo di poterla sfiorare con le dita.

Potrei forse chiamare questo posto con il nome di casa, ora?

No... per quanto il mio affetto sia grande, se potessi scegliere, tornerei. Non voglio mentire a me stesso. Nonostante la distanza e il tempo trascorso, una parte di me sta ancora ancora guardando indietro.

Tanti anni or sono reclamai questo bosco abbandonato che era rimasto senza guardiano e in balia del destino. Fu lui stesso a pregarmi di farlo. Per necessità, accettai e da allora divenne parte della mia esistenza, un tutt'uno con il mio respiro.

I comuni mortali non potranno mai comprendere il significato di questa connessione, poiché sordi all'infuori di loro stessi.

È un legame particolare che mi permette di sentire quando qualcosa non va, quasi come se fosse una parte del mio corpo. Per questo è così importante proteggere la foresta in cui adesso dimoro.

Più di chiunque altro, percepisco chiaramente i fili sottili che mi legano a lei. Non posso semplicemente abbandonarla per cercarne un'altra.

E' una connessione che non può essere spezzata facilmente.

Mi domando cosa sia uno slender per davvero. Cosa sono io?

Uhm...

Non sono ancora riuscito a trovare una risposta che mi soddisfi davvero al momento e per questo non mi dilungherò troppo sul discorso.

Le nostre prede ci vedono come mostri: orrendi, crudeli, senza volto. Macchine della morte molto più alte e slanciate di un comune essere umano, desiderose del suo sangue e delle sue carni, sempre in allerta dietro gli alberi più alti nelle notti più profonde. Lunghe spire di tenebre provenienti dalla nostra schiena ci accompagnano ovunque andiamo, trafiggendo chiunque sia abbastanza incauto da avvicinarsi."

Trascrissi un piccolo appunto a bordo pagina.

"*Penso che viticci sia il termine più corretto da utilizzare in questo caso."

Per poi ritornare al mio flusso di pensieri precedente.

"Il nostro pallore è leggenda. Ben più bianco di quello della luna, ricorda la neve fresca appena caduta al suolo o la corolla di un bucaneve.

In parte, non si sbagliano sul nostro conto:

E' infatti vero che ci cibiamo di umani, ma la storia della bestia senza senno è piuttosto lontana dalla verità.
Non starei qui a scrivere, se fosse vera. Non potrei nemmeno farlo in tal caso.

Semplicemente, siamo quel che siamo.

Così come gli umani hanno bisogno di cibarsi di altri esseri viventi, noi abbiamo bisogno di loro allo stesso modo. Siamo nati per essere in questo modo e non possiamo farne a meno.

E' la natura stessa a domandarlo. Il prezzo di un rifiuto sarebbe fin troppo alto da pagare.

Vero è anche che la nostra stessa presenza può far impazzire la persona più resistente, ma è un potere al di fuori del nostro controllo, a differenza di teletrasporto e invisibilità.

Allucinazioni, sentirsi spiati, paranoie, sangue dal naso e bocca sono solo una parte dei sintomi che potrebbero accadere alla persona che viene esposta alla nostra presenza.

Pochi tra di noi riescono ad avere padronanza di questa capacità innata e, tra di loro, vi era... 

...

Vi è anche mio padre.

I suoi ricordi stanno iniziando a sbiadire, come le foglie di rami oramai avvolti dal gelo invernale.

Rimembro però ancora la sua sagoma stagliarsi sulla mia, il rosso dei suoi vestiti e quel pungente odore di sangue che mi pizzicava le narici quel giorno di innumerevoli anni fa. Il giorno della mia prima caccia."

Alzai la testa, sentendo un suono di passi dalla cadenza familiare nelle vicinanze, e la scorsi in lontananza. Si fermò, guardandomi diritto in viso, per poi rivolgermi un saluto con la mano e continuare sulla sua strada.

"Ti vedo nella mia visione periferica mentre cammini tranquilla su un tronco. Una grossa macchia rossa che si sposta in bilico, cercando allo stesso tempo di salvaguardare il mantello da ulteriori strappi. Come al tuo solito, ignorare ogni buonsenso è il tuo forte, preferendo prendere la via più difficile per raggiungermi.

Mi domando perché tu sia ancora qui.

E' perché non puoi più tirarti indietro? O perché adesso è una faccenda personale?

Sei testarda...

Ammetto che ultimamente non riesco a capire ciò che sento ogni volta che ti avvicini.

Voglio salvare la mia foresta e tenere al sicuro ciò che rimane della mia famiglia. Ho sempre desiderato solo quello dal principio. Ma qualcosa non va. Come una sensazione pungente che mi attraversa la schiena e no, non sono formiche rosse. Non proverebbero a salirmi addosso nemmeno a pagarle!

Perdere nuovamente il mio territorio sarebbe un colpo troppo grande da sopportare comunque e la pace mi manca profondamente. Per fortuna, quando tutto sarà finito, ogni cosa tornerà alla normalità.

E tu sarai lontana... molto lontana."

Una piccola fitta di dolore mi attraversò dopo aver scritto quelle parole, lasciandomi con ben più domande di prima. La penna si abbassò per qualche secondo, sentendoti avvicinare a me di qualche passo in più.

"Ma ora non sono più sicuro che sia solo questo che desidero e spero che troverò al più presto la mia risposta."

Scrissi in fretta, aspettando che le lettere si asciugassero per qualche secondo prima di richiudere la pagina.

Contrariamente alle mie aspettative, ti chinasti a raccogliere qualche fungo nelle mie vicinanze, recidendone i gambi alla base con un coltellino affilato, per poi infilarli uno ad uno nella cesta che avevi sottobraccio, invece di approcciarmi direttamente. Il tuo sguardo mi fece intendere che non volevi disturbarmi.

Fu così che i ricordi, mentre fissavo la tua veste scarlatta muoversi, tornarono a farmi visita, riportandomi nel momento passato in cui ero ancora una piccola creatura innocente sul punto di divorare il mio primo cuore.

Quel colore era rimasto per sempre impresso nei meandri del mio subconscio, sopito in attesa di un segnale che lo richiamasse in superficie.

Ed era stata proprio lei a farlo riemergere involontariamente.
 

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Capitolo 2
*** 0. Capitolo ***



 


Faceless

(The soul eater monster)

 

 

1.Capitolo

(Purezza)

 


 

(Capitolo revisionato)

Una voce profonda riecheggiò nell'aere, percorrendo veloce il cielo dalle sfumature cremisi, fino a raggiungere le mie orecchie:

"Il sangue ha un profumo dolce, non credi anche tu, figlio mio?" mi domandò. Il rumore delle foglie scosse dal vento, seppur impetuoso, non riusciva a coprire le sue grevi note. Il padrone di quei suoni alzò al firmamento la mano sinistra. Lunga, affusolata e con degli artigli capaci di squarciare le carni più resistenti, al suo interno vi era celato qualcosa che pulsava ancora, flebile, quasi sul punto di spegnersi per sempre. Le stelle bruciavano di un'inquietante luce rossastra quella sera, mentre la luna piano piano assumeva lo stesso colore.

La sua figura alta e snella si ergeva davanti a me, che a confronto parevo quasi sparire tanto ero insignificante. Mi mostrò ciò che aveva strappato dal petto della creatura che tormentava allora i miei incubi più neri. Una piccola massa informe rossa da cui colava una strana sostanza calda dello stesso colore gli stava piano piano sporcando le dita. Le narici mi si dilatarono, mentre un profumo ferroso e stranamente penetrante mi entrava dentro, risvegliando tutti i miei sensi. Le spalle mi si irrigidirono, non riuscendo più a distogliere gli occhi da quella cosa, inorridito e affascinato allo stesso tempo. Trattenendo quell'opprimente sensazione che era comparsa alla bocca dello stomaco, indietreggiai, preso dal timore, mentre piano piano il candore di fanciullo dentro di me si dissolveva come polvere.

Lui mi scrutava, senza mai distogliere lo sguardo nemmeno per un secondo, così alto da poter quasi toccare il cielo. Nulla sfuggiva alla sua vista, nemmeno il tremore delle mie piccole mani. Leggeva con maestria l'odore della mia paura, facendolo sembrare un gioco da ragazzi.

Aggrottò l'invisibile sopracciglio in un'espressione di totale delusione, mentre i muscoli della sua fronte si contraevano.

"Ti ritrai quindi, Slender?" chiese mio padre con un tono severo, riempiendomi di fitte il cuore che aveva iniziato a battermi all'impazzata. Mi squadrava impietosamente dalla sua altezza, che era quasi il triplo di me, finendo per sembrare ancora più alto. Forse era anche per quello che avevo sempre avuto timore di lui.

"N-no, padre..." ebbi appena la forza di ribattere, mentre la mia lingua mi tradiva, rendendo le mie parole ancora più incerte. Speravo solo di finire al più presto quell'interminabile caccia, sentendomi a disagio come non mai.

Il suo viso parve rilassarsi per un secondo, per poi riacquisire severità l'attimo successivo. Allungò le mani verso di me, mettendole a coppa per contenere meglio il liquido.

"Allora vieni e bevi il suo sangue" dichiarò, incoraggiandomi ad avvicinarmi a quella cosa.

Mossi tre passi in avanti, passi insicuri, lenti, che parevano pesare come macigni attaccati ai muscoli delle mie gambe. Volevo allontanarmi, fuggire via, fare qualsiasi altra cosa invece che procedere, ma non avevo alternativa. Mi fermai, prendendo un bel respiro.

Dovevo trovare il coraggio di reagire.

"Io... non sono sicuro di-" balbettai, stringendo con le dita il lembo del mio stesso vestito fino a creare dei piccoli buchi al suo interno, tanto la presa era forte.

"Si che lo sei invece, figlio. Questo è il destino della nostra specie. Non puoi cambiare ciò che c'è nelle tue vene." Mi interruppe con fermezza, schiacciandomi con il peso di quelle parole . Non sentivo più le gambe, ma restai in piedi lo stesso.

Ero in un angolo e non c'era via di fuga. Per la prima volta sentii pesare il fardello che avevo posto sulle spalle, mentre la mia mente veniva infestata da voci spiritate che chiamavano il mio nome, costringendomi a procedere verso ciò che avrebbe posto una fine definitiva alla mia infanzia.

Mi avvicinai a lui, posando la mano sopra la carne, e bevvi, assaggiando per la prima volta il sapore del vero sangue.

Non sarei mai più ritornato indietro, quel gusto divino mi aveva incatenato a sè per sempre.

Ore più tardi, verso sera, mi ritrovai nella mia camera, abbracciato contro il petto di mia madre per nascondere le lacrime ad occhi indiscreti, la luce fioca della lampadina l'illuminava in parte, creando un'atmosfera accogliente. Lei era l'unico conforto che avevo.

Fu allora che il mostro nacque, distruggendo completamente ogni briciolo di previa innocenza.

 

 

 

Fine prologo.

 

Continua nel prossimo capitolo!

 

Non dimenticarti di supportare il capitolo se ti è piaciuto.

Sono un po' arrugginita ^^', questa storia mi farà da allenamento.

 

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Capitolo 3
*** 1. Capitolo ***




1. Capitolo

(Ricordi)


 


 


 

Passarono gli anni da quell'infausto giorno. Ogni istante che trascorreva finiva per cancellare sempre di più ciò che ero stato, lentamente ma inesorabilmente.

Non ci volle molto per abituarmi a questo mio nuovo io.

E, con esso, arrivò anche un'insaziabile desiderio di solitudine. Ero sempre stato uno slender abbastanza introverso e solitario, ma mai così tanto prima d'ora. Non riuscivo a comprenderne bene la ragione, semplicemente non sentivo più il desiderio di avere altri esseri della mia stessa specie attorno a me.

Volevo rimanere solo, completamente solo, isolato dal resto del mondo.

Trascorrevo spesso la maggior parte del tempo nascosto in qualche angolo della mia camera a leggere, chiudendomi completamente al mondo esterno.

Mio fratello minore, Trender, veniva a farmi visita a volte: entrava silenzioso dalla porta della mia stanza, per poi sedersi alla fine del letto, apriva uno dei suoi libri sui “servitori” o, come usavano chiamarsi tra di loro , umani e anche lui si metteva a leggere. A volte non mi accorgevo nemmeno della sua presenza, tanto era silenzioso. Non veniva molto spesso, dato che viveva con gli zii per motivi che erano stati tenuti oscuri ad entrambi. Pareva trovarsi bene lì o, almeno, non se ne lamentava.

Non avevo un vero e proprio rapporto fraterno con lui, eravamo come due foglie: lontane tra di loro, sebbene attaccate allo stesso ramo. Ci bastava stare in silenzio nella stessa stanza a leggere, era questo il nostro modo di essere fratelli, non avevamo alcun bisogno di interagire tra di noi. Si può quasi dire che eravamo come cugini, nonostante il nostro sangue ci legasse indissolubilmente.

Poi, in un giorno di mezza estate, nacque un secondo fratello.

E tutto cambiò rapidamente, portando caos tra le mie mura di tranquillità assoluta.

Piccolo, paffuto e con una bocca stracolma di denti aguzzi, grande quasi quanto la metà della sua faccia bianca, era decisamente lo slender più rumoroso e fastidioso che avessi mai sentito in vita mia. Lo chiamarono Offender, e non senza un valido motivo.

I suoi primi anni di vita furono solo pianti che duravano per tutto l'arco della giornata. Non c'era tregua, a quell'infante non mancava mai il fiato.

Per mia sfortuna, la sua camera era proprio accanto alla mia e lo sentivo ogni santo giorno.

Infinite volte stingevo il cuscino intorno alla testa, maledicendo il mio udito fin troppo fine.

Quando crebbe, la situazione non migliorò. Mi seguiva praticamente ovunque e sbavava su tutti i miei libri, distruggendoli poi in piccoli pezzi con le sue manine e i suoi minuti viticci bianchi.

Si divertiva un mondo a vedermi perdere le staffe, dato che cercavo sempre di mantenere un certo grado di compostezza. Per lui non ero affatto divertente quando mi comportavo così.

Questa caratteristica particolare persistette per tutto l'arco della sua crescita, durando ancor oggi, ma per mia fortuna perse il vizio di venirmi dietro.

Mio padre diceva sempre che assomigliava molto al nonno ma, non avendolo mai conosciuto, non avevo idea se fosse vero o meno.

Trascorse un periodo tranquillo, nulla di particolare accadde. Crebbi fino a diventare un giovane slender ed entrai a far parte di quel circolo di attenzioni che erano dedicate ai possibili futuri pretendenti delle mani di giovani fanciulle slender che, come me, erano appartenenti ad importanti famiglie della nostra società. Sinceramente, non mi importava nulla di tutti quei sotterfugi, ma se avesse reso onore alla famiglia, non mi sarei opposto.

Finché, dopo che Offender ebbe compiuto il suo tredicesimo compleanno, mia madre ci annunciò fiera che aspettava un altro bambino.

Tutti parvero così allegri e le speranze che fosse una femmina questa volta erano alle stelle. I miei avevano già scelto il nome della bimba a metà gravidanza. La mamma aveva deciso di cucire un grosso fiocco rosso per lei, il tessuto era così morbido, diceva che di sicuro l'avrebbe resa ancor più graziosa di quanto non sarebbe stata in partenza. Aveva fatto venire i materiali apposta da oltremare, assicurandosi che fosse roba di lusso. Me lo mostrava sempre, dubbiosa alle volte, chiedendosi se sarebbe piaciuto alla futura nascitura.

Io le rispondevo sempre di si, non volevo darle un dispiacere, ma a dire il vero, era così grande da parer quasi buffo ai miei occhi. Ero oramai troppo cresciuto per cose ridicole come i fiocchi.

Il fatidico giorno della nascita della bimba arrivò ma, purtroppo, era stato fatto un grosso errore di calcolo.

Il nuovo nato non era una lei, ma un lui.

Non potete lontanamente immaginare quanto mio padre fosse rimasto deluso da questa notizia: si rinchiuse nel suo laboratorio, in soffitta, rimanendoci per un bel po' di giorni senza farsi più vedere da nessuno. Non pareva essere affatto felice, ma come biasimarlo? Dopotutto le aspettative che erano state riposte in quel bimbo non ancora nato erano molto alte e prendere un abbaglio del genere per il nostro popolo non era cosa da poco. Fortunatamente, le nascite di nuovi membri della famiglia non venivano sbandierate ai quattro venti e rimanevano, molto spesso, tra le quattro mura della famiglia stessa.

Mia madre e Offender la presero meglio di quanto mi sarei mai aspettato. Lei continuava a cullarlo, mentre lui gli toccava la guancia, chiamandolo “nanerottolo” per più di una volta, pareva divertirsi a prenderlo in giro. Poi il neonato, inaspettatamente, gli morsicò il dito e lui smise, ritirandosi in un angoletto a leccarsi la ferita, imbronciato.

Mi avvicinai per guardarlo meglio: aveva due occhi neri come la pece e una bocca dello stesso colore, mentre i suoi viticci erano alquanto “particolari”. Mi fissò, sorridendo, mentre le sue grosse pupille iniziarono ad illuminarsi di una strana luce.

Non so perché, non so come, ma quel fratellino mi prese in simpatia nell'istante preciso in cui mi vide.

Alla fine dei conti eravamo un bel quadretto, ma era tutto lì.

Non trascorse molto che la tragedia accadde e fummo costretti ad abbandonare la nostra casa e il nostro stesso mondo, dicendo addio ai nostri genitori.

Tutto il peso dei miei fratelli ricadde su di me.

Mi sentii come schiacciato da un masso.


 

...


 

Ma di questa e di ciò che accadde dopo non ve ne parlerò oggi: mi sono già dilungato troppo su queste faccende poco interessanti.


 

C'è un episodio abbastanza recente della mia vita però di cui vi voglio raccontare.


 

Uno molto singolare.


 


 

Era una notte d'inverno, il 25 del mese di dicembre di preciso. La natura della foresta dove ci eravamo stabiliti era stranamente silenziosa e il cielo tetro più che mai, non si poteva scorgere nemmeno una stella brillare su quel manto nero. Delle forti vibrazioni, provenienti da nord-ovest, stavano trapassando il reame materiale, arrivando oltre il velo che separa il mondo del visibile a quello dell'invisibile. Portavano con se un'energia negativa che quasi appestava l'area in cui mi trovavo.

Presi a carezzarmi il viso, alquanto infastidito da quella presenza.

Qualcuno, non solo stava per sconfinare nel nostro territorio, ma stava anche chiamando a se qualcosa di estremamente minaccioso.

Non era un semplice umano, non poteva esserlo. Loro erano così fragili a confronto di quella cosa.


 

Avere avversari nelle vicinanze era l'ultimo dei miei interessi al tempo.


 

Alzai la testa di scatto, annusando l'aria. Temetti per la foresta, per la mia nuova casa e soprattutto per la mia famiglia.

“Lo senti anche tu, Slender?” chiese qualcuno, raggiungendomi subito al mio fianco ed appoggiandosi con la mano al tronco dell'albero.

Non ebbi nemmeno bisogno di rivolgergli lo sguardo: sapevo chi era. La sua voce mi era inconfondibile.

“C'è qualcuno ai confini della foresta, Trender, con cattive intenzioni, ne sono sicuro” abbassai il viso, cercando di focalizzare tutte le mie energie verso quella strana massa di oscurità e magia per visualizzarla meglio.

Una dolorosa fitta mi attraversò il petto per lo sforzo improvviso. La ferita che mi ero procurato pochi giorni prima si stava riaprendo per mia sfortuna.

Mio fratello accorse immediatamente al mio fianco, sostenendomi con il braccio. I riflessi non gli mancavano quando voleva.

“Non dovresti sforzarti, Slender, non ci serve un capofamiglia morto adesso” dichiarò con una certa ironia nella voce, procedendo a controllare la ferita senza chiedere il permesso prima.

Gli scostai la mano, decisamente irritato dal suo gesto.

“E' tutto ok, è quasi guarita” sminuii, tagliando corto. Era una mezza bugia, ma lo sapevo solo io.

Lui mi fissò dubbioso, non parendo fidarsi sul momento delle mie parole, per poi spostare l'attenzione sul nostro problema principale.

Quell'energia aumentò all'improvviso, finendo per attraversare il nostro territorio in ondate di cerchi concentrici. Ci colpì in pieno volto, senza farci alcun male, per poi dissolversi nel nulla, lasciando tutto attorno a se solo dei piccoli residui a forma di schegge opalescenti.

Non ci fu bisogno di parole, ne futili discorsi. Ci teletrasportammo immediatamente sul posto, ma quello che trovammo non poteva essere definito come il più piacevole degli scenari.

C'erano degli strani segni ancora ardenti ovunque, un sacco di sangue, dei cadaveri così sfigurati da non parere più riconoscibili ad occhio nudo e al centro di tutto questo un altare di pietra spaccato in due.

Un odore pungente di residui mistici avvolgeva l'intera zona.

Arricciai il naso invisibile. Era davvero troppo fastidioso, mi stava facendo venire la nausea alla bocca dello stomaco.

Chiunque avesse compiuto tutto ciò, non era più lì. Ci mettemmo alla ricerca di tracce o qualsiasi indizio che potesse ricondurci al colpevole, ma nulla di importante saltò fuori.

Nei giorni successivi, l'area circostante all'altare iniziò a morire lentamente, facendo seccare ogni cosa che gli era vicina.

Quella sezione di terra divenne infertile e ancora oggi non vi cresce nulla.

Curioso e, allo stesso tempo, terrificante.



 

Continua nel prossimo capitolo!

 

Non dimenticarti di supportare il capitolo se ti è piaciuto.

Sto piano piano migliorando, però ho ancora tanto lavoro da fare ^^'.

Grazie per aver letto!


 

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Capitolo 4
*** 2. Capitolo ***


 


2. Capitolo

Rosso tra le fronde.”



 

Trascorse molto tempo da quel giorno, le stagioni scivolarono veloci come fulmini che cadevano al suolo nelle notti di tempesta, mentre la natura moriva e rinasceva in un circolo senza fine di cui ero spettatore. Molto lentamente il vuoto in quella radura maledetta minacciava di allargarsi sempre di più. Lo sentivo ogni notte pulsare minaccioso nelle tenebre. Eravamo impotenti purtroppo, nulla di ciò che provammo funzionò, ma questo non bastò ad abbattermi.

Non avrei mai perdonato colui che aveva fatto una cosa simile alla mia casa. Non avevo intenzione di riservagli nessuna forma di pietà semmai l'avessi incrociato sul mio cammino.

Mi fermai per un istante a raccogliere i pensieri, mentre una fredda brezza mi sfiorava le guance. Il rumore dei rami e dell'erba scossa dal vento non erano l'unico suono che riempiva la foresta quella notte. Se ascoltavo abbastanza attentamente, potevo per fino sentire lo zampettio degli insetti che attraversavano lentamente il suolo.

Ero uscito in perlustrazione e stavo setacciando ogni angolo della foresta in attesa di una preda che soddisfacesse i miei bisogni. Ma, in caso non vi fosse entrato nessuno, sarei dovuto uscire per attirarne una nei miei domini. Non lo facevo così spesso come molti credevano, la società "moderna" non era davvero di mio gradimento, preferivo mantenere il più possibile le distanze da essa, ma a volte non avevo altra scelta.

Ripresi ad arrampicarmi su per il tronco di un grosso albero, facendo leva con i viticci color pece sui rami per salire più in fretta mentre quelli si arrotolavano e srotolavano con scioltezza sulla superficie ruvida, scivolando con eleganza finché non raggiunsi la cima.

I raggi lunari mi sfiorarono il viso e parte dei vestiti, illuminando la pelle candida che di lì a poco si sarebbe macchiata di rosso. C'era una densa nebbia che copriva quasi tutta la foresta quella notte ma, piuttosto che un problema, per me era un vantaggio. Ci vedevo alla perfezione anche con quella bianca coltre, individuando facilmente qualsiasi fonte di calore vivo che si fosse azzardata a vagare per quelle terre a quell'ora e avevo il grosso vantaggio di poter girare indisturbato. Il fattore sorpresa non era una cosa da sottovalutare. Ma, con mio grande dispiacere, per il momento non c'era nessuno a parte per un piccolo coniglio che aveva tirato il muso qualche centimetro fuori dalla tana, per poi scomparire nuovamente in quel buco. Mi appoggiai contro il tronco dell'albero con un'evidente senso di delusione che aleggiava nel mio petto.

Era una serata fin troppo tranquilla. Che cosa non avrei dato per movimentarla un po' con del sano terrore umano.

Un verso di frustrazione abbandonò la mia bocca sigillata, facendomi scuotere la testa, mentre il mio stomaco aveva iniziato a gorgogliare silenziosamente. Mancava poco e i morsi della fame si sarebbero fatti sentire con forza, rischiando di perdere lucidità mentale. Erano ancora leggeri, ma sapevo che di lì a poco sarebbero diventati via via più insistenti fino a minacciare il mio senno.

E non volevo che mi capitasse una cosa simile. Uno slender affamato non era mai una cosa buona, da nessun punto di vista possibile o da me immaginabile. Mi spostai veloce, scattando di albero in albero, sperando che sarei stato più fortunato se mi fossi spinto un po' più in là.

Dopo una mezz'ora all'incirca che vagavo nel mio territorio, diretto verso il suo limitare e deciso ad uscire dopo tanti mesi per il bisogno crescente, sentii qualcosa che ne stava varcando la soglia. Una luce oscura illuminò il mio cuore di scatto, rinvigorito da quella nuova speranza. Scivolai fulmineo, mantenendo la mia posizione sulla cima degli alberi per osservare dalla distanza il nostro ospite.

Non c'era più fretta ora che era lì, davanti a me. Non sarebbe fuggito, non finché la cena non si fosse conclusa. Sarebbe stato molto maleducato da parte sua e a me la gente maleducata non piaceva. Ma sarei stato assai prudente. Anche un semplice mortale poteva essere pericoloso con le giuste armi, mi dovevo assicurare che non avrebbe potuto nuocermi in alcun modo. Rimasi in osservazione:

Era un'umana, abbastanza giovane, una come tante della sua specie. Era completamente normale. Non mi fece nessuna strana impressione, ne notai nulla di anormale, ai miei occhi era uguale a tanti altri che, prima di lei, avevano avuto la sfortuna di capitare nel luogo sbagliato al momento sbagliato.

Ma dopotutto, quando la fame inizia a farsi sentire, non esiste altro, bisogna soddisfarla se non si desidera la pazzia. E io non la desideravo ancora.

Non aveva armi pericolose con se, solo uno spray al peperoncino nascosto in una tasca dello zaino che portava in spalla. A dir poco innocuo.

La mia nuova preda, nel frattempo, si stava avvicinando ad una delle mie pagine, incuriosita dalla sua presenza nel bel mezzo di una foresta abbandonata. La sfiorò con le dita, attivandola involontariamente.

"Davvero un'ingenua" pensai, mentre un ghigno mi attraversava il volto e la pelle si contraeva in un'espressione disumana, alzandone i lineamenti fino a formare un sorriso distorto.

Tolse la pagina dal tronco dell'albero, incamminandosi nel folto della foresta a passo lento: era il segnale.

"Si dia inizio al gioco" pensai, preso all'improvviso dall'euforia che la caccia mi provocava mentre le mie pulsazioni aumentavano e i muscoli si contraevano.

La seguii, veloce come il vento, non aspettando altro che quegli istanti da giorni. Percepivo il suono delle foglie secche che venivano schiacciate ritmicamente dalle sue scarpe di tela e il battito del suo cuore pulsare in fretta. Aveva aumentato il passo.

Quel cambiamento mi portò a chiedermi se avesse già inteso che io la stavo inseguendo, ma dal suo corpo rilassato capii subito che non mi aveva ancora notato. Era solo un presentimento, come quello di un topolino che presagisca la sua fine imminente per mano di un gatto ancora celato alla vista, pronto a colpire tra gli arbusti.

Attesi pazientemente che si avvicinasse alla seconda pagina, sorpassandola fino a posizionarmici proprio sopra, nascosto tra le fronde degli alberi, lasciando che i miei poteri la guidassero fino a permetterle di trovarla.

Prese anche quella tra le dita e, con essa, sigillò il suo destino per sempre mentre la gelida morte calava su di lei con le sue ali di tenebra.

Scesi silenziosamente alle sue spalle, sentendola irrigidirsi all'improvviso. Non mi aveva ancora visto, ma qualcosa in lei intuì che ero lì. Quando volevo, la mia presenza non passava di certo inosservata.

Si girò di scatto e, finalmente, mi scorse. Le sue pupille schizzarono nella mia direzione, tremanti, realizzando immediatamente cosa fossi.

Un'espressione di puro orrore le si dipinse sul volto, mentre i suoi occhi si sgranarono di botto. Aprì la bocca, ma invece di gridare, le sue gambe presero il controllo del suo corpo, facendola fuggire via.

Correva come una persona che aveva perso tutto il senno in un colpo solo, incespicando a tratti, chiaramente indecisa sulla direzione giusta da prendere per uscire da lì.

Facevo questo effetto alle persone. Era divertente vedere le loro reazioni di puro terrore variare di volta in volta, mentre i loro sentimenti e pensieri rimanevano immutati. C'era stato un tempo in cui non avrei voluto questo, ma oramai era nel passato.

Ero già alle sue spalle, non importava quanto veloce corresse, non poteva sfuggirmi. Qualsiasi umano non poteva reggere il confronto, erano lenti.

Appena mi vide superarla e fermarmi proprio davanti a lei, cambiò percorso di colpo, cercando disperatamente di ritornare sui suoi passi, ma finendo per perdersi ancor di più tra la nebbia. Sentivo l'odore del suo terrore che mi inebriava l'olfatto, spingendomi a non darle tregua per un secondo.

La paura la stava confondendo, aveva finito per annebbiarle la mente. E un umano che si fa prendere da quei sentimenti ha già perso in partenza.

Trovò la terza pagina per pura fortuna, ma finì per inciampare e cadere al suolo mentre quella le scivolava di mano. Mentre mi avvicinavo a lei, continuava a fissarmi con i suoi occhi ricolmi di paura, strisciando via con una lentezza che la esasperava, aggrappandosi a delle radici con le mani.

Cercò di rialzarsi in piedi, ma era troppo tardi oramai. Anche se avesse provato a fuggire, i suoi movimenti erano troppo fiacchi, non aveva abbastanza tempo per salvarsi. La sovrastai.

"Fine dei giochi."

Pensai, dando inizio al pasto.

L'odore del sangue impregnò quella piccola zona, riempiendomi le fauci di un forte sapore dalla dolcezza inimmaginabile per un umano.

I minuti passarono veloci, mentre il cibo veniva consumato in fretta tra le mie fauci piene di denti affilati. Finii presto, lasciando ben poco al suolo, alzandomi in piedi. Avevo bisogno di lavare via di dosso le rimanenze. Emisi un verso annoiato e raggiunsi con calma il ruscello più vicino.

Allungai il viso fino ad immergerlo nell'acqua cristallina del torrente, sentendo il liquido gelido che scorreva sui miei lineamenti inesistenti, pulendoli lentamente dallo sporco. Non ci volle molto per rinfrescarmi, ma finii per rimanere a fissare il fondo pieno di piccoli ciottoli con lo sguardo neutro. Accadeva spesso in quelle occasioni che smettessi di provare qualsiasi tipo di emozione, sentendo solo un grande ed opprimente senso di vuoto che mi attanagliava il cuore.

"E adesso?" mi chiedevo, abbandonandomi completamente a me stesso.

Immersi anche i viticci per distrarmi da quella sensazione mentre quest'ultimi, a differenza del viso, finirono per rabbrividire in dei piccoli spasmi involontari. Iniziai a spostarli piano piano per scaldarli, osservando i loro movimenti ondulati sulla superficie dell'acqua trasformarsi in tante piccole ondine. Mi rilassava.

Questa volta era stato piuttosto facile, non aveva opposto molta resistenza. Certo, non era stata una sfida molto appagante, ma non ero lì solo per divertirmi. Era per fame. Il resto era solo di piacevole contorno.

L'ululato del vento si fece sentire, scuotendo violentemente le foglie che iniziarono a staccarsi dai rami, posandosi al suolo. Quel suono portò con se qualcosa che non mi sarei mai aspettato di percepire in quell'istante: uno strano profumo di iris si insinuò tra gli altri odori della foresta, come a nascondersi tra di essi con discrezione. Mi voltai in direzione di quella stessa essenza. Non c'erano iris nei paraggi, conoscevo la zona meglio di chiunque altro e sapevo di non sbagliarmi. Fu come un'anomalia che mi fece rizzare la schiena. Mi rimisi la giacca scura, facendola aderire per bene alle spalle.

C'era qualcosa che non andava. Non ero più solo.

Anche se l'usuale segnale non era scattato questa volta per avvisarmi, sentivo che c'era qualcuno, celato ai miei sensi. Il profumo proveniva nella direzione ove rimanevano i resti di quel che avevo lasciato dietro di me. Possibile che un necrofago si fosse spinto fin lì per la fame? Di solito non erano così imprudenti da aggirarsi nella terra di uno slender. Non erano i benvenuti.

Poi il suono cristallino di una campanella sconosciuta riempì l'aria, confermando la mia teoria che ci fosse qualcuno, ma cancellando completamente la seconda ipotesi. Creature del genere non si portavano dietro oggetti che potessero renderle individuabili.

Scattai in piedi, non avevo bisogno di altre prove. Oramai ne ero sicuro, c'era davvero uno sconosciuto infiltrato nella mia zona di caccia. Ma chiunque fosse stato quell'intruso, lo avrei scovato e confrontato. Non potevo permettergli di girare liberamente.

Ritornai veloce sui miei passi, notando una rossa figura incappucciata piuttosto visibile a una certa distanza. Recava un bastone di un materiale che supposi essere ossa al suo fianco, sulla cui cima c'era una sfera color rubino da cui uscivano due protuberanze che parevano corna, una campanella dorata era stata appesa ad una di esse. Piccole piume rosso scuro circondavano la base di quella pietra, scosse ritmicamente dal vento. Una grossa mezzaluna argentata completava il tutto.

Rimase ferma vicino ai resti della ragazza, toccandole con delicatezza quel che rimaneva della sua schiena con la mano guantata. Mi ero reso invisibile per sicurezza e la cosa sembrava essere efficace, dato che pareva non avermi notato. O forse aveva deliberatamente deciso di non darmi attenzione? Una cosa del genere avrebbe finito per offendermi se fosse stata vera.

Impercettibili sussurri femminili riempivano l'aria, mentre una leggera coltre bianca si dipanava dalle sue mani. Rimasi a distanza di sicurezza. All'apparenza, sembrava essere soltanto un'umana dal buon profumo, ma ciò che stava facendo era ciò che gli umani chiamavano magia. Tali pratiche erano sparite dal loro mondo oramai da secoli. Solo noi creature ricordavamo ciò che era stato dimenticato.

C'era la possibilità recondita che fosse quella cosa ma, non avendo mai affrontato una creatura simile, ciò che quel pensiero mi fece provare fu soltanto una spiacevole sensazione al centro del petto.

La luce tra le sue dita si spense, trascinandoci nel buio della notte, illuminati solo dalle stelle. Alzò il viso, come per guardarmi. In quella frazione di secondo i nostri occhi si incrociarono. I suoi erano gialli come quelli di una serpe, con venature tendenti all'arancione al loro interno.

Il fatto che mi avesse notato nonostante mi fossi reso invisibile mi colpì. Anche se all'apparenza era una persona, era palese che ci fosse qualcosa di decisamente fuori dall'ordinario. Indietreggiai, preparandomi ad un possibile attacco imminente.

Si alzò in piedi, simulando un educato inchino di circostanza che non fece altro che confondermi ulteriormente, mentre la sua figura divenne di tenebre, appiattendosi al suolo fino a svanire nel nulla. E così come era comparsa, svanì, nel mistero più totale.

Rimasi completamente esterrefatto, con tutti i muscoli irrigiditi e i viticci ancora tesi. Dovetti sforzarmi non poco per riscuotermi da quello stato di trance. Non era il momento per restare imbambolato lì.

Raccolsi in fretta i miei pensieri e ripercorsi miei passi, calcolando ogni possibile azione da compiersi ed ogni probabile ed improbabile possibilità che ne sarebbe derivata.

Dovevo tornare a casa immediatamente, dovevo avvisare gli altri senza perdere ulteriori secondi preziosi. Qualunque cosa fosse quella persona, era di sicuro pericolosa.

E, se non fossi stato assorto dai miei pensieri, mi chiedo, mi sarei potuto accorgere dell'ombra che in quegli istanti mi stava seguendo verso casa? Sono sicuro che, se fosse successo, nulla sarebbe cambiato nella mia vita.

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Capitolo 5
*** 3. Capitolo ***



3. Capitolo

 
"Come fai ad esserne così sicuro?"



 
 
Ci sono volte in cui mai ti aspetteresti gli esiti a cui le tue azioni portano, tanto sono imprevisti e assurdi da non sembrar parte del reame del possibile.
Mai mi sarei aspettato che una piccola distrazione potesse scatenare un tale domino di eventi da rendere la mia vita, normalmente scandita da azioni prestabilite in successione regolare, un vero e proprio pandemonio.
Completamente all’oscuro di ciò che mi attendeva all’orizzonte, rientrai nella mia dimora, pulendomi le scarpe sul vecchio zerbino verde sbiadito, e richiusi il pesante portone d’ingresso alle mie spalle con l’ausilio dei miei viticci, scivolando silenziosamente al coperto.
Percorsi il corridoio a grandi falcate, sentendo la casa stranamente silenziosa tutto intorno a me: niente schiamazzi, parolacce, grida di orrore, risate isteriche o deliri di onnipotenza, solo il silenzio. Il mio amato silenzio.
Era tutto troppo bello per essere vero. Una buona probabilità che fosse stato solo un sogno c’era, ma un piccolo particolare mi disse che era la realtà.
Scartai l’ipotesi di essermi addormentato per sbaglio sulla via di casa nell’esatto istante in cui scorsi il mio riflesso nello specchio appeso alla parete: era troppo nitido per un’esperienza onirica.
Approcciai l’appendiabiti di mogano per posarvici sopra la mia giacca nera, stirandone per bene le maniche prima di lasciarla completamente andare. Quelle di Splendor e Offender non erano lì, dovevano sicuramente essere usciti prima del mio ritorno. Era decisamente un bel problema in un tale momento.
Almeno Trender era in casa, il suo lungo cappotto marrone scuro ancora appeso perfettamente al suo posto.

“Come se fosse qualcosa di cui solitamente gioisco...”

Pensai sarcastico, mentre la mia mano mi sfiorò il volto in un gesto di automatica frustrazione, sperando vivamente che mio fratello non fosse stato improvvisamente colto da un momento di alta ispirazione artistica.
Poteva essere quello il motivo per cui le giacche dei miei fratelli minori non erano presenti e la cosa, sinceramente, non mi faceva pensare per il meglio.
Con tutto il cuore cercai di convincermi che fosse solo una coincidenza e non la vera causa della momentanea assenza dei due nella villa.
A passi spediti, attraversai l’intero piano inferiore, cercando l’unico fratello che allora doveva essere presente in qualche angolo della casa.
Non mi ci volle molto per trovarlo, dato che si era rifugiato in cucina. Stava chino sul bancone di legno, circondato da quattro, relativamente piccole, montagnole di riviste di moda in ordine crescente di altezza. C’era anche un piccolo libricino per ricamare a maglia abbandonato in un angolo buio, proprio accanto al contenitore della farina in terracotta.
Lui alzò il viso con lentezza nella mia direzione nello stesso istante in cui varcai la soglia, riaggiustandosi gli occhiali con un movimento calmo della mano per poi portarsela alla bocca per soffocare uno sbadiglio.
“Com’è andata la caccia oggi, Slender? Trovato nulla che soddisfacesse i tuoi raffinati gusti?” C’era un pizzico di ironia nella sua voce, ovattata dal suo stato decisamente sonnolento. Era palese che non approvasse le mie scelte di vita, ma non voleva ferirmi, nonostante la sua domanda sarcastica. Il punzecchiarci a vicenda era piuttosto normale, dato che disapprovavamo i nostri reciproci comportamenti, sebbene ci rispettassimo abbastanza da non interferire l’uno negli affari dell’altro.
Però quello non era il momento giusto.
“Sei molto più schizzinoso di me e lo sai. Comunque, questo non è il tempo per le chiacchiere, è un’emergenza. Oggi c’era qualcuno nel nostro territorio, qualcuno che non doveva essere lì.” Risposi gravemente, aggrottando la fronte. Come quella donna avesse fatto ad intrufolarsi sotto il mio naso era ancora un mistero, ma mi sarei premurato di scoprirlo presto. Sempre se fosse stata una vera donna e non qualcos’altro con quell’apparenza. Era una possibilità anche quella.
Il mondo è pieno di creature mutaforma che si nascondono tra gli umani sotto le sembianze più innocenti. Di una cosa però ero sicuro: c’era lo zampino di qualche potere arcano.
Lui si rizzò sulla schiena, chiudendo la rivista patinata che fino ad un istante prima era stata aperta sulla pagina della moda del momento, per poi rivolgermi tutte le sue attenzioni.
“Qualcuno? Intendi dire un intruso?” Chiese lui, all’improvviso interessato e in parte allarmato da ciò che stavo dicendo. Era successo solo un’altra volta, molti anni addietro.
Confermai con un cenno del capo, il mio volto ancora scuro per la serietà del momento.
“Ha eluso le pagine e i miei poteri. Se non avessi sentito il suo profumo non mi sarei mai accorto della sua presenza, ma sono sicuro che è la prima volta che vedo quella persona. Non può essere lui, la sua energia è completamente diversa ma, chiunque sia, è comunque una minaccia se può raggirare così le mie capacità.” Mi guardai la mano destra, aprendo il palmo della mano. La foresta pareva tranquilla allora, tutto era al suo posto e nulla era stato manomesso.
Conclusi il discorso raccontandogli tutto ciò che era accaduto nei minimi dettagli, non tralasciando nulla, neanche il più piccolo particolare.
Trender portò la mano al mento, pensieroso, per poi alzarsi dalla sedia mogiamente.
“Tutto ciò è molto strano… chi avrebbe potuto fare una cosa del genere?” Domandò lui, raggiungendomi con qualche passo per poi stiracchiarsi le ossa delle braccia.
“Ce ne sono tante di creature che potrebbero tentare, poche sono quelle che ci riuscirebbero davvero. Di ipotesi ne possiamo avere anche a centinaia ma preferisco basarmi sui fatti.” Risposi seccamente, facendo mente locale su tutte le informazioni che avevamo in nostro possesso.
Poi, ad un certo punto, Trender fece la domanda che mai avrebbe dovuto pormi:
“Comunque come fai ad essere così sicuro che voglia farci del male?”
Il mio sguardo divenne vuoto, scrutando il mio consanguineo con un’immobilità che solo uno slender poteva raggiungere.
“Insomma, non mi pare abbia cercato di aggredirti o mi sbaglio?” Insistette lui, stranamente convinto da quella sua paradossale idea.
Io non so cosa gli fosse preso in quel momento. Non so se fosse stato il sonno a farlo parlare così o se fosse stata la completa dimenticanza dei fatti accaduti in passato, ma di una cosa ero sicuro: era un bene che fossi stato scelto io come erede. Un capo deve rendere inoffensive le minacce per il nucleo familiare, non mettersi a ciarlare con un eventuale nemico solo perché all’apparenza non è aggressivo.
Mi riscossi.
“Non importa se non ha provato ad attaccarmi se può sempre farlo quando sono di spalle. Non ho nessuna intenzione di correre di nuovo dei rischi a vuoto.” Incrociai le braccia, un’espressione greve mi attraversò il volto.
Con il senno di poi, avevo tutte le mie buone ragioni per essere prudente.
Lui tirò un profondo sospiro, facendomi intuire che probabilmente si era fatto qualche piccola fantasia sul conciare il nostro intruso per le feste, ma non nel senso in cui un normale slender penserebbe.
“Sei tu il capo. Cosa facciamo allora?” Dichiarò, mimando il mio gesto precedente.
“Per il momento è meglio stare all’erta. Cercherò di scoprire dove vive, non tentare azioni avventate in mia assenza, al resto ci penserò da solo.” Ordinai inflessibile, tenendo gli arti superiori conserti mentre mi rivolgevo a scrutare il cielo fuori dalla finestra. La pioggia aveva iniziato a cadere fitta, mentre il mondo era stato avvolto da tinte spente, a tratti quasi spettrali. Adoravo quel clima, era il tempo adatto per spaventare qualche anima inconsapevole della mia esistenza.
“Però, io credo che se avesse voluto fare del male, lo avrebbe fatto subito e senza pensarci due volte, fratello.” Disse la sua voce, deciso in parte a non abbandonare l’argomento mentre stava rimettendo a posto gli oggetti della sua passione su un’unica pila.

“Ci risiamo con questo discorso…”

Quell’insistenza mi sorprese. Il mio sguardo, dopo esser stato rivolto al cielo, ritornò su di lui, scrutandolo di sottecchi:
“E’ così che ti ingannano. Ti consiglio di non abbassare mai la guardia, Trender.”
Per quanto fastidioso potesse essere, avrei preferito rimanesse vivo. Non desideravo la sua morte.
Mio fratello, allora già pronto a ribattere, si bloccò di botto: gli occhi invisibili fissi sulla finestra, la sua attenzione catturata all’improvviso da qualcosa all’esterno. Seguii immediatamente il suo sguardo, temendo che fosse apparso qualcuno all'improvviso, ma c'era solo il vuoto. Era tutto come al solito, non c'era nulla fuori posto.
“Mi pareva di aver visto…” si pronunciò lui, l’incertezza aleggiava nella sua voce.
“Che cosa?” gli chiesi, alquanto incuriosito, rilassando le braccia ai lati del corpo.
“No, niente, sono solo stanco” rispose dopo qualche lungo secondo di esitazione. “Credo andrò un secondo in bagno a rinfrescarmi, non ho chiuso occhio per tutta la notte” e così dicendo uscì in tutta fretta dalla stanza. Lo seguii per tutto il tempo con la vista, poco convinto dalla sua spiegazione frettolosa.
C’era qualcosa sotto, qualcosa che mio fratello non mi aveva detto.
Sospirai profondamente. Avevo un brutto presentimento, come una specie di nodo che mi si stava formando in gola. Una parte di me presagiva già quel che sarebbe successo, ma allora non potevo ancora sapere.
L’unica cosa che mi rimaneva da fare, prima di andare in ricognizione, era trovare un modo per avvisare gli altri due ma, dato che non ero in possesso di oggetti per comunicare a distanza, di sicuro non sarebbe stato così semplice, specialmente perché non sapevo dove fossero andati a finire.
Non piacevo molto alla tecnologia umana e, da parte mia, quel sentimento era più che ricambiato. Tutti quegli strani aggeggi non facevano altro che confondermi. Come potevano piacere a quella specie era un vero mistero per me.
I miei fratelli mi avevano regalato quella cosa chiamata cellulare in passato, uno di quei modelli neri con un unico tasto in basso al centro e lo schermo che ricopriva i tre quarti di facciata.
Avevo provato ad usarlo, ma i risultati erano stati a dir poco deludenti: il display era impazzito completamente appena l’avevo sfiorato con l’indice e da allora continuava ad essere disturbato da strane interferenze statiche che mi impedivano di adoperarlo. Non ero nemmeno riuscito ad entrare nel menù, così avevo deciso di lasciar perdere completamente quella diavoleria.
Era stato un regalo di compleanno così utile, che adesso faceva il fermacarte nel mio studio.
Mi apprestai a seguire Trender.
Doveva soddisfare ancora alcune mie curiosità, non avendomi dato l’occasione di chiedergli se sapesse dove fossero gli altri due. In più, era stato molto sospetto il modo in cui si era defilato. Non gli avrei permesso di svignarsela a quel modo senza delle risposte.
Attraversando tutto il corridoio in pochi istanti, approcciai la porta bianca del bagno e bussai.
“E’ ancora occupato Slender, va al piano di sopra!” rispose una voce a me conosciuta dall’altro lato della soglia. Pareva alquanto seccato dalla mia presenza. Si, c’era decisamente qualcosa che mi stava nascondendo.
“Non mi serve il bagno, Trender. Sai dove sono andati a finire quei due zucconi?” chiesi per prima cosa, tastando accuratamente il terreno del discorso, per poi poggiare i pugni sui fianchi in una posa autoritaria.
Ci fu un lungo minuto di silenzio, troppo lungo per un chiacchierone come Trender.
Poi la sua voce, con un tono decisamente più basso, disse:
“Gliel’avevo detto che sarebbe stato meglio attendere che tornassi prima di uscire, ma Splendor era di fretta e Offender doveva incontrare una delle sue ragazze. Lo sai che quando ci sono di mezzo le donne lui non mi ascolta più, vero?”
Sospirai nuovamente. Purtroppo era vero. Avevo un fratello così casanova che avrebbe fatto impallidire Casanova stesso. E la cosa non mi andava per niente a genio.
“Si, lo so. Purtroppo lo conosco bene nostro fratello minore.” Mi carezzai le tempie con la mano destra, scacciando immediatamente qualsiasi pensiero su di lui. Non sarebbe stato un viaggio mentale piacevole da compiere in ogni caso. “Ma quindi sai dove sono o no?”
“Beh… non saprei ma” si bloccò un secondo per fare un bel respiro “un modo per contattarli forse ce l’ho.” Concluse poi lui, attendendo la mia reazione.
Appoggiai l’orecchio contro la porta per assicurarmi di sentire tutto al meglio delle mie possibilità.
“Sarebbe a dire?” gli chiesi, un sopracciglio invisibile alzato.
“Ho il mio cellulare, posso mandare un messaggio a tutti e due.” Parlò in un tono che pareva quasi un sussurro da quanto era basso. Fortunatamente, ci sentivo fin troppo bene.
Mi bloccai, rizzandomi sulla schiena. Da quando Splendor aveva un telefono? Che Offender l’avesse era praticamente scontato, faceva un sacco di cose alle mie spalle, la maggior parte delle quali non volevo avere nulla a che fare.
Ma Splendor! Lui, che mai mi aveva nascosto nulla, ora aveva un segreto di cui io non ero a conoscenza. Come fratelli eravamo molto legati, così tanto che non credevo che un tale avvenimento sarebbe mai accaduto o, almeno, non così presto. Eccoci ora, invece, che venivo a sapere di questa cosa e i dubbi iniziavano lentamente a salirmi su per la schiena.

“Perché me l’ha nascosto?”

Mi teletrasportai immediatamente nel bagno, guadagnandomi un verso contrariato da parte del mio coinquilino che mi fissò con tutta la disapprovazione che aveva nel cuore. Lo ignorai.
“Slender!” esclamò lui, incrociando le braccia sul petto. Avrei detto che fosse stato per nascondersi, se non fosse stato completamente vestito.
Quante moine inutili, eravamo ancora fratelli dopotutto, per quanto a volte quel fatto mi potesse pesare.
“Da quando Splendor ha un cellulare?!” lo fissai diritto negli occhi, lo sguardo completamente serio e i viticci tesi ai lati del mio corpo magro. “E soprattutto, perché non mi è stato riferito niente riguardo a questa cosa?”
Trender era ancora molto dubbioso. Non sapeva se dirmi tutto subito o cercare di temporeggiare ulteriormente, ma per quella volta la fortuna fu dalla sua parte.
Prima che potesse iniziare a proferir parola, il campanello suonò improvvisamente. La sua soave melodia, definita lugubre da molti umani, rimbombò per tutta la casa per una sola ma lunga volta.
“Aspettavi visite?” gli domandai.
Scosse la testa.
“Rimani qui, vado a vedere.” E così dicendo uscii dal bagno.
Lo sentii tirare un sospiro di sollievo dalla distanza ma, per sua sfortuna, non mi era sfuggito.
“Non pensare di essertela scampata, facciamo i conti dopo!” Esclamai dal corridoio, assicurandomi che il mio messaggio fosse stato recepito con chiarezza. Se avesse deciso di svignarsela mentre ero occupato non gliel’avrei perdonata tanto facilmente.
Mi teletrasportai davanti alla porta, poggiando la mano sullo spioncino per togliere la piccola copertura di ferro che vi era posta sopra.
Nel frattempo, Trender, aveva deciso di seguirmi ed era apparso proprio ad un passo da me.
Gli rivolsi uno sguardo annoiato per avermi interrotto.
“Cosa c’è? Voglio vedere anch’io!” esclamò, un’espressione imbronciata gli si era dipinta sul viso per la mia reazione. La sua voce tradiva una certa eccitazione. Aveva un che di infantile che mi riportò per qualche secondo al passato.
Ripresi il filo delle mie azioni e rimossi l’ultimo ostacolo che mi separava dallo scorgere finalmente il nostro visitatore.
Se avessi avuto una faccia visibile, sono quasi sicuro che mi sarebbe caduta a terra all’istante.
Fuori dalla porta, separati solo da una pesantissima soglia di legno e ferro blindato, c’era la stessa persona vestita di rosso che poco tempo prima avevo incrociato nella foresta.

“Cosa? Come ha-?” pensai più confuso che mai. Non mi spiegavo come avesse fatto ad arrivare fin lì, non era possibile.

Sentii qualcosa poggiarsi contro la mia guancia e spostarmi di peso per sbirciare da quella piccola finestrella verso il mondo esterno. Ritrovarsi con un viticcio di Trender in faccia era davvero molto irritante.
“Ohohoh, a quanto pare avevo ragione!” Esclamò tutto fiero di se stesso, occupandomi il posto mentre il mio viso iniziava a farsi sempre più scuro e una venuzza stava salendo in rilievo sulla mia fronte.
Come quella cosa potesse dimostrare il suo punto di vista non lo capivo. La logica di Trender è sempre stata qualcosa di misterioso.
“Oh! Sta lasciando un biglietto davanti alla porta- avrebbe davvero bisogno di un cambio di vestiti, sono così terribilmente all’antica.”
Me lo scrollai di dosso prima che potesse iniziare uno dei suoi infiniti discorsi per controllare che fosse ancora lì:
Lei era sparita. Al suo posto c’era una busta scarlatta che attendeva sul lastricato, trepidante di essere aperta per rivelare i suoi segreti.
 


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Ringrazio infinitamente la mia amica itachiuchihaforever per avermi dato una mano nella correzione del capitolo.
E' dura ritornare a scrivere dopo così tanto tempo, ma il mio affetto per il personaggio di Slender, nonostante tutto, è rimasto immutato.
So che a maggio dovrebbe uscire il suo film e sono davvero emozionata.
Non vedo l'ora che mi faccia spaventare di brutto! Ho grandi aspettative per questa pellicola, o almeno, riporta in me la speranza.
Ho ancora questa storia tutta da raccontare, ci lavoro da un bel po' di tempo per pura passione e per amore dei miei e degli altrui personaggi.
Con l'augurio che il 2018 sarà l'anno giusto per tutti noi, vi ringrazio per la cortese attenzione.
Sto pianificando di tornare anche su Deviantart, sperando che gli impegni della vita di tutti i giorni non mi sommergano di nuovo o che i miei problemi di salute mi intralcino ancora.
Slender è stato dimenticato per molto, troppo tempo.
Per amore di questo personaggio, abbiatene cura.

Lux.

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Capitolo 6
*** 4. Capitolo ***



4. Capitolo

“Una lettera scarlatta”


 
 
“Cortesi abitanti della foresta e miei nuovi vicini,

Mi dispiace di essere arrivata con così poco preavviso, invadendo incautamente i vostri territori senza chiedervi il permesso, ma la situazione in cui mi trovo lo ha richiesto.

Se avessi potuto prevederlo avrei mandato un messaggio con qualche mese di anticipo. Data l’urgenza della situazione però non ne ho avuto la possibilità, visto che ne sono stata informata solo l’altro ieri.
Prima di tutto, come farebbe chiunque con un minimo di educazione, lasciate che mi presenti: sono una strega viaggiatrice, venuta qui da molto lontano per indagare su degli strani avvenimenti che hanno attirato l’attenzione delle mie superiori.

Preferirei parlarne a voce, se fosse possibile, per non far finire questo messaggio nelle mani sbagliate. Il mondo ha occhi e orecchie sparsi ovunque, vorrei premurarmi personalmente che non possano ne sentire, ne sapere ciò che preoccupa l’ordine a cui appartengo. Confido nella possibilità che potremo aiutarci a vicenda, dopotutto c’è un motivo per cui mi sto rivolgendo a voi come possibili testimoni oculari.

Concluderemo poi le nostre presentazioni come si deve di persona.

Non temete, non starò qui per lungo tempo se la fortuna sarà dalla mia.

(Però non vi consiglio di contarci su, non lo è mai.)

Prometto non sentirete emettere nemmeno un fiato, sarò silenziosa come un’ombra alle spalle del suo proprietario.

…                                   

(Questa frase è uscita più minacciosa del dovuto, non fateci caso.)

Insomma, sarà quasi come se non ci fossi in breve.

Dato che sono stata molto sgarbata a presentarmi senza invito, desidero invitare voi per il thè nella mia dimora, a qualsiasi ora vogliate, per fare ammenda. L’invito è esteso per tutta la prossima settimana da oggi, fino al rintocco dell’ultima mezzanotte, allo scadere dei sette giorni.

Sentitevi liberi di presentarvi quando sarete pronti, deve essere alquanto strano avere una strega nei dintorni, se non preoccupante. C’è ancora un po’ di disordine nella mia dimora, ma spero che la cosa non vi turbi eccessivamente.

Finita la settimana corrente, non posso più assicurarvi la presenza di eventuali dolci: noi streghe tendiamo a finirli piuttosto velocemente.

(Per quanto la mia abilità nei filtri non sia niente male, ammetto di non essere molto capace in campo culinario.)

Passate una buona… qualsiasi sia il momento del giorno in cui troverete questa missiva,

Aliaga K.”

 
Rilessi la lettera più di una volta, per assicurarmi di aver capito bene quelle parole e non averne frainteso il significato.

Chiunque fosse quella strega, la prima impressione che mi fece fu che era decisamente una sconsiderata: mandare una lettera del genere a degli slender, pareva quasi come una bizzarra richiesta di morte di qualcuno che aveva finito la sua voglia di vivere.

Era indubbio che la nostra specie fosse tra le meno amichevoli sulla faccia della terra, quindi perché inviare un messaggio di quel tipo? Era forse un caso di semplice ingenuità?

No, non era possibile, era abbastanza potente da nascondere la sua presenza a piacimento, di sicuro non era inesperta. Sapeva esattamente quel che stava facendo e aveva la piena certezza di essere al sicuro, per qualche ragione di cui non ero ancora a conoscenza. Dovevo solo capirne il motivo.

Certo, pensandoci bene, devo ammettere che i miei fratelli erano uno strappo alla regola, ma questo non li rendeva comunque meno pericolosi. Volendolo, avrebbero potuto fare a pezzi chiunque con una facilità disarmante. Avevano però idee profondamente diverse dalle mie: non avrebbero mai preso la mia stessa strada e la cosa, invece che preoccuparmi, mi provocava in parte una profonda sensazione di sollievo.

I miei occhi si staccarono da quelle parole incise da un inchiostro nero, rivolgendosi torvi al fratello accanto a me che stava sbirciando la lettera con il suo fiato caldo sul mio collo. Una venuzza venne in rilievo sulla mia fronte: era terribilmente irritante quando si comportava in quel modo invadente.

Mi fissò con lo sguardo pieno di noncuranza, sistemando l’angolazione degli occhiali con le dita per riportarli perfettamente al loro posto. Come al solito la sua faccia di bronzo era ancora presente.

Credo che quel suo atteggiamento particolare sia dovuto in parte per gli zii che lo hanno cresciuto. Ero quasi sicuro che l’avessero viziato molto, dato che non avevano potuto avere figli loro a causa dell’infertilità della mia cara zia.

Ancora oggi mi chiedo come faccia Trender ad essere così maniacalmente perfetto nel vestire e, allo stesso tempo, ad avere il suo laboratorio nel caos più totale. Mi consolava che almeno la sua stanza fosse solitamente in ordine, eccetto per quelle rare volte in cui aveva le sue crisi da “non ho nulla da mettermi” e allora iniziavano a volare vestiti da tutte le direzioni.

La cosa bizzarra, ora che lo notavo, era che si era stranamente calmato, come se qualcosa lo avesse rassicurato all’improvviso. Strinsi gli occhi ad una linea, quel fatto mi lasciò assai perplesso.

Tutta quella faccenda non faceva altro che stuzzicare le mie corde sbagliate. Era tutto così sospetto. Persino il piccolo vasetto rosso, messo sul tavolino accanto alla porta, era leggermente spostato di qualche centimetro rispetto a quando ero entrato: a dir poco singolare.

C’era qualcosa di errato nel quadro complessivo della situazione.

Il sorriso che aveva dipinto sul volto mi distrasse dal mio flusso di pensieri, prima che potessi arrivare ad una conclusione logica, riportando la mia attenzione al mondo reale. Quell’espressione beffarda non fece altro che farmi sbucare una seconda vena sulla fronte per l’irritazione. Me lo sentivo che stava per rinfacciarmi tutto e la cosa mi infastidì non poco, punzecchiandomi come un sottile ago dietro la nuca.

“Ti prego Trender, sii un bravo fratello e non fiatare…” lo fissai, facendomi più scuro in viso per avvisarlo che quello non era il momento giusto.

Mio malgrado, quel sorriso non fece altro che ingrandirsi, ottenendo soltanto l’effetto contrario di quello sperato.
Era chiaro come il sole che non avrebbe mancato un’occasione simile per nulla al mondo.

 “Te l’avevo detto che avevo ragione io!” Esclamò, pieno di un’allegria che mi provocava solo un gran fastidio. Il suo sguardo deciso, fin troppo.

Tirai un lungo e profondo sospiro per controllare tutti i miei istinti e ritornare il completo padrone di me stesso, prima che potessi nuocergli per sbaglio lanciandogli un libro in testa.

“No, per quanto ne sappiamo potrebbe volerci attirare in una trappola. Questa lettera non prova affatto il tuo punto, le streghe sono furbe e esperte nell’attirare gente ignara nella loro rete. Quella donna è pericolosa. Non hai idea di quali poteri possa avere, né di quali siano le sue vere intenzioni. Fidarsi semplicemente di due parole in croce scritte da uno sconosciuto non è affatto saggio senza avere prima una garanzia che stia dicendo il vero.” Risposi freddamente, seguendo la logica delle cose.

Lui incrociò le braccia, alzando il sopracciglio invisibile.

Una parte di me era sicura che non avrebbe ascoltato nemmeno una singola parola di ciò che avevo detto. Quello sguardo, quella postura, erano quelli di qualcuno che avrebbe fatto tutto il contrario di ciò che gli era appena stato detto.

“Sei proprio un guastafeste Slender! Non solo ammazzi le persone, adesso devi ammazzare anche la gioia di conoscere un nuovo vicino?” ribatté sarcastico, gonfiando il petto. “Insomma, quante volte ci è mai capitata una cosa simile? Siamo sempre soli qui!” Poi, come un lampo improvviso, un pensiero gli attraversò la mente.

 “E per delle buone ragioni, Trender. Non chiedermi di ricordartele.” Alzai il sopracciglio per il suo improvviso cambio di espressione.

Il mio sesto senso mi diceva che Trender aveva qualcosa di strano; era decisamente più legnoso del solito.
La sua espressione si fece scaltra, quasi come se fosse riuscito a scoprire un mio grande segreto fra gli intermezzi della nostra conversazione, il che era impossibile.

“Non pensavo avessi paura, Slender.” Disse lui, la mano posata a coprire la sua stessa bocca e gli occhi assottigliati fino a formare due archi all’insù.

Le mie spalle si irrigidirono di colpo, contraendosi in uno spasmo involontario.

“Ci mancava solo questa. Che altro adesso? Slender che ha paura degli scoiattoli?” Pensai, alquanto seccato da quella insinuazione senza basi.

“Io non ho paura.” Ribattei a denti stretti, mentre il mio corpo mandava brutte onde di energia tutt’altro che positiva. “Semplicemente è una questione di pericolo, non abbiamo la più pallida idea di che cosa possa farci.” Possibile che fossi l’unico a capire quanto fosse rischioso avere una creatura sconosciuta nelle vicinanze?

Ma non mi ascoltò, iniziando a battere chiodo sull’argomento senza lasciarmi nemmeno un attimo di tregua:
“Secondo me ti spaventa l’idea di dover chiedere aiuto a qualcuno al di fuori della famiglia, Slendy.” Dichiarò lui, quasi come se avesse detto una verità assoluta.

“Non ne abbiamo bisogno.” Controbattei io, rimanendo sulla mia posizione.

“Certamente, ma allora dimmi, cosa facciamo se la foresta dovesse morire per colpa della tua testardaggine?” Incrociò le sue lunghe braccia.

“Non accadrà.” Bleffai, fingendo una convinzione che non c’era per davvero nel mio cuore. In tutto quel tempo dentro di me si era insinuato il dubbio. La paura diventava sempre più tangibile ogni anno che passava, mentre quel posto maledetto continuava a pulsare in modo anomalo.

“E come fai ad esserne così sicuro?” Le sue braccia si rilassarono, posando poi le mani sui fianchi.

“Perché so che troveremo un modo…” Piano piano, con quelle parole, stavo iniziando a cedere. Dopo tutti quegli anni di tentativi a vuoto iniziavo a sentirmi stranamente fiacco, come se qualcosa mi stesse risucchiando lentamente le energie. Quel senso di impotenza era frustrante.

“In quanto tempo, Slender? Sono già passati più di venti anni da quel giorno e non siamo riusciti a fare nemmeno un passo avanti. Abbiamo bisogno di qualcuno che conosca un modo per sigillare quell’altare maledetto. Non voglio che la nostra foresta muoia e so che non lo vuoi anche tu, abbiamo troppi ricordi importanti qui, per favore, ascoltami almeno oggi. C’è bisogno di una strega. Perché sputare in faccia al fato quando ci manda un’occasione simile?”

Non aveva tutti i torti, ma nonostante questo il rischio rimaneva. Le mie intenzioni erano tutt’altro che difficili da capire. Perché continuava ad insistere? Volevo soltanto che i miei fratelli fossero…-

“Ma se non vuoi chiedere il suo aiuto, sarò io a farlo!” Esclamò lui, interrompendo di colpo la catena di pensieri. Era inamovibile, il suo sguardo carico di decisione mi diceva chiaramente che non avrebbe mollato.
Alzai il viso, emozioni contrastanti aleggiavano nel mio petto senza posa. Avevo paura, ma non per me stesso, per loro. Erano l’unica cosa che mi rimaneva in quel mondo dimenticato. Anche se la mia vita fosse stata in pericolo, sarei stato felice di saperli lontani e al sicuro.

E fu così che quell’idea nacque, mettendo in moto un lento domino verso un abisso a me sconosciuto.

“Va bene… ma ci andrò da solo e sarò io a prendere la decisione finale. Se non torno entro l’alba, allontanatevi immediatamente dalla zona, andate il più lontano che potete, nascondetevi e restate al sicuro. Per nessuna ragione dovrete venire a cercarmi. E, ti avviso fratello, non provare a seguirmi.” Lo fulminai con lo sguardo, il tono della mia voce basso e cupo, chiaro segnale che non stavo scherzando.

Quell’esperienza per me non era un gioco, anzi, era come buttarsi incautamente tra le braccia del pericolo e sperare di cavarsela indenni. Mi ero chiesto cosa avrebbe fatto mio padre e sapevo bene che lui non avrebbe avuto paura. Avrebbe affrontato il problema di petto, come era sempre stato abituato a fare sin dalla giovinezza. Lui sì che era un vero capofamiglia, nulla, nemmeno i mostri del nostro mondo lo terrorizzavano.
Un giorno, speravo, sarei stato alla sua altezza.

Digrignai la mascella con tutta la forza che avevo in corpo e mi teletrasportai fuori casa, ritrovandomi pochi secondi dopo nel bel mezzo della foresta, desideroso di rimanere da solo per sbollire la tensione che mi si era accumulata su per la schiena.

Aveva smesso di piovere da qualche minuto, l’aria era decisamente umida, e tutto era coperto da minuscole goccioline trasparenti.

Un sospiro lasciò le mie labbra mentre mi carezzavo il viso con la mano. Il rumore del vento che scuoteva leggermente i rami degli alberi la faceva da padrone, coprendo ogni altro suono a me percepibile. Era ancora notte fonda, una notte che preannunciava l’arrivo dell’inverno. Il cielo era ricoperto da stelle luminose che sembravano tanti piccoli diamanti incastonati al suo interno. Iniziai a muovere qualche passo sulle foglie rinsecchite che coprivano il terreno, colorandolo di un arancione acceso durante il giorno. In quei momenti della giornata pareva quasi che il tramonto fosse cascato dal cielo al suolo.

Ora le tenebre della notte ne nascondevano i colori sotto la loro coltre scura. Il vento si calmò, permettendo al silenzio assoluto di da dare sollievo alla mia anima.

Richiamai a mente alcune immagini dal passato, perdendomi in quei pensieri.

Ci sarebbe stata la neve anche quell’anno? Il solo pensiero della foresta ricoperta da quel bianco candore mi metteva uno strano senso di conforto. C’era qualcosa nella neve che mi riportava indietro, ad un tempo lontano, molto diverso da questo. Mi ritrovai con il pensiero nel passato, ricordando la voce di mia madre che mi chiamava tutto ad un tratto.

Un ricordo d’infanzia spiccò tra gli altri, catturando la mia attenzione per pochi attimi, finché il verso di un gufo non mi riscosse.

 
“Chissà se stanno davvero tutti bene…”

 
Pensai, mentre un senso di profonda nostalgia si insinuava sotto la mia pelle, provocandomi un impercettibile fremito sul dorso delle mani.

Iniziai a camminare, addentrandomi sempre di più nel folto della foresta. Conoscevo quel posto fin troppo bene, non avrei mai finito per perdermi, non importava quanto mi allontanassi.

Tutta quella faccenda era strana, tutto ciò che era successo era strano. Non sono mai stato un tipo da credere nella gentilezza degli sconosciuti, essere prudenti era tutto ciò che contava per me, lo avevo imparato a mie spese sulla mia stessa pelle.

Quel ricordo mi punse come un ago che mi penetrava le carni, facendomi rabbrividire d’un tratto. Scossi la testa, cacciandolo via con forza.

Il fatto che qualcuno potesse mostrarsi così amichevole senza avere un tornaconto personale era al limite dell’inconcepibile.

Avevo ceduto mettendo in conto il fatto che, quando Trender si fissava su qualcosa, non c’era speranza di fargli cambiare idea. Piuttosto che mettere a rischio la vita di uno di loro, preferivo andare da solo.
Tirai un sospiro frustrato, sedendomi sul tronco caduto di un grosso albero colpito da un fulmine, fortunatamente asciutto grazie alle chiome delle querce che lo avevano tenuto al riparo. Posai il mento sulla mano, fissando un punto indefinito tra le fronde.

“Non arriverò mai a capo di questa faccenda di questo passo, finirò solo per riempirmi di domande senza risposta.” Riflettei ad alta voce, finendo per mettere un bel broncio sul mio volto.

Destino volle che quella notte non sarei stato solo.

Una grossa foglia scivolò silenziosamente dal cielo e mi si posò sul volto, costringendomi ad alzare lo sguardo.

L’afferrai per il gambo, scostandola dal viso mentre la tenevo tra le dita.

In quel momento la vidi: c’era una figura rossa appoggiata su un ramo. Era abbastanza in alto, mimetizzandosi perfettamente con il colore delle foglie che la circondavano. Dal basso pareva uno strano bozzolo rosso, rendendo quella visione piuttosto strana, così tanto che rimasi interdetto a fissarlo.

Si muoveva, ne ero sicuro. Pareva respirasse piano, senza emettere alcun suono.

Tirai fuori i viticci e, colto da un improvviso senso di curiosità, mi avvicinai silenzioso. Incerto, mi accostai, abbastanza vicino da poterla esaminare chiaramente, ma allo stesso tempo mantenendo una distanza di sicurezza tale da non correre troppi rischi.

Era una persona assopita, ne ero certo, avvolta da una lunga mantella rossa che la ricopriva come un bozzolo, la sua chioma del medesimo colore si mimetizzava così bene con il resto che mi resi conto pochi secondi dopo che non faceva parte della mantella stessa. Era lei: la strega che avevo incontrato dopo la mia battuta di caccia e aveva lasciato quel biglietto.

La sua presenza lì mi confuse non poco e sobbalzai non appena si rigirò nella mia direzione senza cadere, allontanandomi un altro po’, guardingo, ma non parve voler fare altro.

I suoi occhi erano chiusi, il ritmo del suo respiro regolare. Ciò non fece altro che confermare la mia ipotesi che stesse dormendo.

“Si, questa donna è davvero una sconsiderata…”

Pensai, fissando la sua figura assopita priva di ansie e preoccupazioni. Sembrava si stesse riposando da tutta altra parte tanto era tranquilla. Quale persona sana di mente si sarebbe messa a fare pisolini tutta sola in una foresta, sapendo che questa era abitata da slender? Nessuna, quella era la risposta.

Sedendomi sul ramo di fronte al suo, presi a fissarla, non sapendo bene come reagire. Non mi era mai capitata una situazione simile, ero stato colto completamente dall’incertezza, mentre lei se ne stava lì, completamente in pace con se stessa, come se non fossi stato lì anche io.

Dava una strana sensazione fissare qualcuno senza che quello iniziasse a perdere piano piano il senno. Forse era troppo presto affinché riuscisse a sentire i primi sintomi della mia presenza? No, a questo punto avrebbe già dovuto iniziare a sputare sangue da un pezzo. La cosa mi portò a chiedermi se riusciva a sentirmi. Nella foresta, poco tempo addietro, ci era riuscita, ne ero sicuro. I nostri sguardi si erano incrociati anche se ero rimasto invisibile per tutto il tempo e dalle sue azioni non poteva essere una mera coincidenza.

Contemplai tutte le mie possibili azioni ed eventuali risultati, non tralasciando nemmeno uno scenario possibile mentalmente inesplorato. Non avevo fame e di sicuro non avrei ucciso qualcuno senza una buona motivazione dietro, era questa la mia etica. Sebbene poteva essere una minaccia per tutti e quella era l’occasione perfetta per toglierla di mezzo, erano proprio il poteva e i dubbi che Trender mi aveva messo in testa a bloccarmi. E se avesse potuto aiutarci per davvero? Ucciderla sarebbe stato controproducente.

Un poteva non rappresentava una logica certezza, solo una probabilità. In tal caso avrei dovuto assassinare chiunque si fosse avvicinato al nostro territorio e non era né una scelta saggia, né fattibile. Avrei solo attirato l’attenzione degli umani e non umani facendo così.

Oltre a questo bisognava mettere in conto anche un altro fattore: aveva parlato di superiori nel suo messaggio. Cosa sarebbe accaduto se, uccidendola, avessi scatenato qualcosa di molto peggio di una strega sola?

L’incertezza mi stava divorando vivo ed era terribilmente snervante.

Arrivai alla conclusione che sarei rimasto lì ad attendere per verificare di persona la sua effettiva pericolosità e giudicare infine se avessi dovuto toglierla di mezzo o meno. Se si fosse dimostrata ostile, l’avrei uccisa senza il minimo rimpianto. La salvezza della mia famiglia veniva prima di tutto, ad eventuali conseguenze, che avrei comunque preferito evitare, avrei pensato dopo.

“Che razza di situazione… sarebbe stato tutto molto più semplice se Trender non si fosse intestardito a quel modo.” Rimuginai annoiato, mentre i miei viticci si aggrappavano saldamente ai rami circostanti, duri come marmo levigato.

Ma una parte di me era certa che, in tal caso, non sarebbe cambiato molto.

Con il senno di poi, era probabile che anche in tal caso non mi sarei mai potuto aspettare una situazione simile. Insomma, quante volte si può vedere uno spettacolo del genere nella foresta? Uno slender che fissa un bozzolo di stoffa e carne che dorme.

“Detta così pare tutt’altro però…”

Rimasi così catturato dai nei miei stessi pensieri che, quando notai che la strega aveva aperto gli occhi e stava ricambiando il mio sguardo allora perso nel vuoto, per poco non balzai qualche metro più in là. Il suo stato rilassato aveva finito per farmi abbassare la guardia, anche se solo per un millisecondo.

Dovevo davvero togliermi quel brutto vizio di vagabondare mentalmente in momenti così poco opportuni.

Le sue iridi gialle mi squadrarono, immobili, mentre le sue pupille non tremarono nemmeno per un secondo.

Si mise seduta sul ramo, per poi stiracchiarsi, emettere uno sbadiglio, strizzare le palpebre e riprendere a fissarmi con uno sguardo decisamente assonnato.

“Buongiorno.”

Quella fu la prima parola che mi disse.

“… cosa?”

Pensai incredulo, credendo di non aver capito bene.

“O dovrei dire buonanotte?” Chiese confusa, apprestandosi a tirare fuori un vecchio orologio a molla bizzarramente grosso per la sua statura da una tasca sotto la mantella.

“Cosa?”

La mia incredulità non faceva altro che crescere. Avevo decisamente sentito bene.

“Ah no, è passata la mezzanotte, quindi non mi sono sbagliata. Bene!” L’orologio ritornò da dove era venuto, sparendo in quel mare cremisi di stoffa.

“Cosa?!”

Ero rimasto completamente spiazzato dalle sue parole.

“Allora buongiorno signor…? Non credo abbiamo mai avuto occasione di presentarci prima d’ora.” Si sporse un po’ più in avanti, appoggiandosi al ramo con le mani guantate, aspettandosi una risposta da me. Un’espressione seria ma distesa era dipinta sul volto di lei.

“Cosa accidenti sta succedendo?”

Mi chiesi, avendo la netta impressione che quella situazione non fosse stata prevista nella mia lista di possibilità. Mi aspettavo che come minimo si sarebbe spaventata almeno un po’, invece nulla. Se stava bleffando, era incredibilmente brava a farlo. Misi in conto quella possibilità.

E poi il silenzio. Lei che mi fissava e io che, alquanto confuso dal nuovo scenario, continuavo a ricambiare il suo sguardo. Questa volta la mancanza di suoni più che tranquillizzarmi, mi metteva uno strano senso di ansia. Come se una corda di violino fosse stata tesa nell’aria così tanto da rischiare di rompersi.

Lei inclinò la testa di lato, io, di riflesso, la imitai. Devo ammettere che il suo comportamento era curioso.
 
Probabilmente aveva davvero tendenze suicide, ma bisognava anche verificare se fosse stata capace di difendersi da uno slender, il che era più che logico. Dovevo stare attento.

“Non sai parlare la lingua degli umani?” Domandò poi lei, improvvisamente in dubbio se avessi capito o meno quello che mi aveva detto. Non avevo proferito parola per tutto il tempo, lasciando che fosse solo lei a discorrere con me.

“La so parlare, sono loro che non mi capiscono quando lo faccio.” Le risposi con un tono più monotono del necessario.

In parte, e per abitudine, non mi aspettavo che capisse. Dalle mie esperienze i comuni umani non potevano sentire quello che dicevo se non entravo nella loro mente e, esclusi eventuali trucchi, il suo corpo era certamente umano.

Ma buona parte di me sapeva che era sicuramente una strega, aveva di certo qualche asso nella manica e i suoi poteri ne erano una prova assai tangibile. Non credevo che la cosa fosse tutta lì. Dopotutto quale umano riuscirebbe a trasformarsi in un’ombra? Era impossibile.

Anche se il suo odore mi diceva altrimenti, la sua energia aveva qualcosa di inumano. Me lo sentivo, c’era dell’altro. Se avesse avuto un travestimento addosso, lo avrei intuito subito in condizioni normali ma, sapendo troppo poco sulle streghe, non potevo esserne assolutamente certo.

Ero semplicemente abbastanza sveglio da realizzare che i loro poteri erano malevoli e subdoli. Non mi ero mai interessato troppo all’argomento, da quel poco che si sapeva dovevano essere state tutte eliminate durante il periodo dell’inquisizione, quindi, essendo teoricamente estinte, non avrebbero di sicuro comportato una vera e propria minaccia. Invece ora ne avevo proprio una davanti a me, viva e con il sangue che pulsava nelle sue vene. Che cosa misteriosa il fato.

Non ero solito provare a discorrere con nessuno al di fuori della famiglia, eccetto per alcune sporadiche occasioni di poco conto, questa era decisamente la prima volta dopo tanto tempo che provavo a comunicare con qualcuno di sconosciuto.

Era strano per me, avendo perso l’abitudine, ricominciare a parlare con persone che non conoscevo bene.

“Io posso capire quello che dici, quindi di sicuro non ci saranno problemi di comunicazione di quel tipo.” La donna riprese in mano il discorso, dondolando le gambe ad un’altezza che avrebbe fatto venire le vertigini a non poca altra gente.

“Come?” Chiesi io, non aspettandomi risposta alcuna da parte sua.

Mise la mano sul mento e iniziò a riflettere per qualche secondo, presa dalla mia domanda.

“Uhm, è un tratto che tutte noi streghe abbiamo fin dalla nascita. Possiamo parlare con gli spiriti e capirli a nostra volta tramite i nostri poteri innati. Ecco come.” Disse cercando di rendere la cosa facile da capire.

“Ha abbastanza senso… per il momento.” Congiunsi le mani, scrutando ogni sua mossa in cerca di movimenti sospetti che mi mandassero un chiaro segno di pericolo. Per il momento non c’era nulla di strano.

“Avete letto la mia lettera?” Domandò poi, incrociando le gambe senza perdere l’equilibrio nemmeno per un secondo.

Feci sì con la testa, senza rispondere vocalmente, provando ad ascoltare il suono del suo cuore per scrutarvi all’interno la veridicità delle sue parole, man a mano che le pronunciava. Ma con mio sommo stupore non riuscii a sentire nemmeno un battito. Probabile che li avesse celati con un incantesimo.

“Sebbene parlarne qui sarebbe poco saggio, vi chiedo, accetterete il mio invito?” Chiese, rilassando le braccia in grembo. Il ramo era abbastanza grande da tenerla in equilibrio anche senza l’ausilio delle braccia, ma era una posa particolarmente instabile. Sarebbe bastato davvero poco per farla cadere.

“Ad una condizione.” Risposi io, torvo. Nonostante non stesse mostrando segni di ostilità, quell’idea non mi piaceva per nulla: era come un salto nel vuoto. Avevo bisogno di una garanzia per essere sicuro che non ci avrebbe voltato le spalle mentre eravamo distratti.

Lei rimase in attesa, sinceramente interessata da ciò che stavo per comunicarle, sporgendosi un po’ in avanti con il torso.

“Stringi un patto di sangue con me e accetterò il tuo invito.” Le proposi con la massima serietà nella voce.

Era l’unico modo in cui sarei potuto rimanere tranquillo con un essere a me tanto misterioso intorno. I patti di sangue erano veri e propri vincoli sacri basati sul sangue che legavano due persone, una specie di contratto indissolubile, se non di comune accordo, in cui si era tenuti a rispettarne le condizioni. C’era bisogno di un rituale specifico per realizzarne uno e, se una delle due parti avesse deciso di non rispettarlo, sarebbe stata la legge universale ad assegnare una punizione consona al traditore in base alla gravità del tradimento. La parte tradita in tal caso sarebbe stata libera dal patto stesso. Si diceva che un fato terribile attendeva coloro che avrebbero infranto tali patti.

“Non ho nessuna intenzione di fidarmi di qualcuno che appare misteriosamente dal nulla, per ragioni a me ancora oscure, senza avere la sicurezza che tu non possa voltarci le spalle in alcun modo. Per quanto ne so, le streghe potrebbero anche essere estinte e potresti anche essere una creatura bugiarda che sta cercando di attirarci in una trappola, ma se puoi davvero aiutarci e sei sincera nelle tue intenzioni, allora sono sicuro che non rifiuterai.” Mi alzai in piedi sul ramo, aggrappandomi con i viticci sugli appigli intorno a me per rimanere perfettamente in equilibrio.

Sinceramente non pensavo che avrebbe accettato, era più un modo per testare fino a che punto si sarebbe spinta, ma c’erano molte cose che non pensavo su di lei prima di conoscerla per davvero.

Chiuse gli occhi per un secondo, pensierosa, mentre il vento le scuoteva i capelli.

Infine si alzò, aggrappandosi con la mano a parte dell’albero, e assunse un’espressione assai divertita:
“Non ti biasimo perché non ti fidi di me, è una scelta molto saggia la tua.” Si interruppe per una breve pausa, rivolgendo lo sguardo alla luna alta nel cielo, per poi riportare gli occhi sul mio pallido viso.  “Mi congratulo e sono lieta di accettare. Sei molto intelligente, mi piace.”

E così dicendo, scese al suolo con un balzo silenzioso, atterrando perfettamente in piedi e soprattutto senza rompersi nulla.

In un certo qual modo, devo dire che era affascinante poter osservare una creatura simile così da vicino, seppur assai pericoloso.

Ma allora non lo avrei mai ammesso.

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Capitolo 7
*** 5. Capitolo ***


5. Capitolo

 

"Due anime sconosciute."

Un passo dopo l'altro, le mie gambe si muovevano placide, mentre la mente era ferma a riflettere sulla situazione attuale, lasciando che il fresco venticello notturno mi sfiorasse il viso.

Era assai strano, devo dire, fissare le spalle di qualcuno senza provare il desiderio di nuocergli, quasi come se all'improvviso la normale routine si fosse ribaltata di colpo, assaltata da un caos senza nome che stava iniziando a cambiare silenziosamente le regole del gioco.

I miei fratelli erano ovviamente esclusi dalla lista di possibili prede e, sebbene io fossi abituato a guardargli le spalle, in questo caso non contavano poiché era un'azione più che scontata come loro fratello maggiore.

Non era quello il punto. Lei era un'estranea, qualcuno al di fuori dal nostro mondo: non capitava spesso che ad un tale essere fosse permesso di camminarmi davanti senza rischiare la vita.

E comunque non era detto che non l'avrei uccisa. In quel momento era come se camminasse su un filo sottile sospeso sul nulla, un passo falso e sarebbe stata la fine. Un'altra vita spezzata sarebbe aggiunta alle altre.

Mi ritrovai a chiedermi quanto tempo fosse trascorso dall'ultima volta che ero stato amichevole con un estraneo.

Sebbene il ricordo di un me ben più ingenuo fosse ancora vivido nella mente, facevo fatica a riportare quell'immagine per intero in superficie. I miei anni più socievoli, se così si possono definire, erano davvero solo un lontano ricordo e volevo che rimanesse tale.

Avevo fatto bene a lasciarmi quella vita alle spalle.

Molte cose erano cambiate, troppe, e io non facevo eccezione.

Parte di me non voleva nemmeno richiamare quei momenti marchiati a fuoco nell'anima, preferendo rimanessero sotterrati dove non potessero esser raggiunti.

Cercavo di dimenticare, guardando dall'altra parte finché mi era possibile.

Nel frattempo lei, la strega dai lunghi capelli rossi come il sangue, mi dava le spalle, camminando placidamente qualche metro innanzi a me per condurre il passo con una tranquillità che sembrava quasi anormale in quel contesto.

Qualcosa in me mi diceva che fosse persino contenta della situazione, soprattutto per quel sorrisetto appena accennato sulle sue labbra, il che di per sé era piuttosto bizzarro.

Insomma, sono uno slender, non l'omino di pan di zenzero, perché era così calma in mia presenza?

Non pensavo mi avesse scambiato per tale, non poteva averlo fatto, tanto che fosse un'evenienza effettivamente impossibile data l'abissale differenza d'aspetto e comportamento.

Ma non si poteva mai sapere, dopotutto era una persona piuttosto inusuale.

Sperai vivamente che non fosse così, sarebbe stato alquanto sconveniente.

Attraversava il terreno scosceso con una cadenza regolare, spezzando ogni tanto il ritmo con dei lunghi balzi per raggiungere punti che le erano preclusi, fermandosi a tratti per controllare che si stesse dirigendo nella direzione giusta e che io fossi ancora alle sue spalle, mentre le sue vesti frusciavano rumorosamente contro l'erba incolta.

Era così rumorosa che sembrava lo facesse di proposito, quasi per non permettermi di perderla di vista lungo la via.

O almeno quella era la mia interpretazione del suo comportamento.

Era piuttosto aggraziata, nonostante qualche movimento ancora grezzo, c'era uno schema specifico dietro ogni sua mossa, spostandosi sulle spesse radici degli alberi centenari e atterrando, quando capitava, in equilibrio su qualche masso illuminato dalla luce della luna.

Nella speranza di comprendere con chi avessi a che fare, non la persi d'occhio nemmeno per un istante per scoprire quali fossero le sue reali intenzioni.

Quella sua tendenza a scegliere il cammino più accidentato, mentre io procedevo senza intralci sul percorso più semplice continuando a seguirla, era piuttosto strana.

A mio parere persino sciocca.

"E' davvero così divertente?"

Ad un'analisi superficiale sembrava che lo fosse sul serio ma, oltre a formulare quell'ipotesi, mi limitai a mantenere la guardia alzata.

Avrei analizzato mentalmente tutti i dati raccolti quando sarei stato al sicuro, a casa.

Se ci fossi mai tornato.

Non potevo permettermi nemmeno una piccola distrazione: se avesse cercato di cogliermi di sorpresa, sarei stato pronto.

"Quanto manca?" La sollecitai una decina di minuti dopo, asciugando una gocciolina di sudore che mi imperlava la fronte con il dorso della mano, sentendo le gambe farsi pesanti.

La caccia appena passata non era stata impegnativa ma, contando la tensione dei giorni precedenti e le ore di cammino alle spalle, stavo iniziando a sentire i primi segni di fatica sul corpo.

Siamo molto resistenti come specie, non instancabili.

Alternavo spesso il teletrasporto ai passi normali durante le mie escursioni, riducendo così il carico di energie consumate della metà ma, nonostante questo, non era un'abilità con cui scherzare o da prendere troppo alla leggera.

Se adoperata incautamente, poteva essere molto pericolosa per chi ne faceva uso, per questo veniva insegnata ad uno slender solo quando raggiungeva la maturità.

Visto che non avevo la più pallida idea di dove fossimo diretti, non c'era molta scelta se non continuare a camminare, affidandomi al senso d'orientamento della strega, rendendo la cosa decisamente più sfiancante del solito.

Nonostante quell'aria tranquilla, le sue lunghe gambe le tremavano e palpebre le si chiudevano più lentamente del normale, evidenti segnali di una stanchezza condivisa da entrambi.

Mentirei se dicessi che non mi fece sentire meglio. Dava sollievo sapere che anche lei fosse provata da quel girovagare. Il suo corpo era come un libro aperto, non c'era nemmeno bisogno che emettesse un fiato per farmelo capire.

Nonostante questo però non aveva ancora mollato, dimostrandosi piuttosto tenace. La mia esperienza nell'arte dell'osservazione mi tornò utile, non permettendo a quei dettagli di passare inosservati.

Lo sguardo rimase sempre fisso sulla mia guida, in attesa che accadesse qualcosa.

Schiuse le labbra per rispondere, girandosi con calma, per poi avanzare di un passo, quando un lembo della sua mantella rimase impigliato tra le spine di un cespuglio di rovi, strattonandola di colpo.

Agitò le braccia per recuperare l'equilibrio mentre la forza di gravità la tirò indietro, facendola finire inevitabilmente a terra. Non emise un suono di protesta, ricomponendosi velocemente da quello scivolone.

"...solo un secondo, potremmo avere un piccolo imprevisto con dei rovi innamorati al momento. Sono così fastidiosi, non accettano mai un no come risposta, quando ti si aggrovigliano addosso è difficile farli desistere. Un attimo di pazienza che gli faccio un discorsetto." Girò lo sguardo con aria seccata, afferrando il lembo del capo incriminato per sbrogliarlo, tirandolo con forza mentre si rimetteva in piedi, lottando contro la presa delle spine conficcate nella veste.

Rimasi ad osservarla senza proferir parola, alquanto accigliato, quella goffa scenetta contrastava decisamente con la sua leggiadria precedente.

Era ridicola... a tratti quasi divertente.

"Siamo quasi arrivati, non si preoccupi. Forse però sarebbe il caso di fare una pausa." Cercò di staccare la stoffa da quel groviglio, riuscendoci a costo di graffiare un lato, provocando degli strappi ben visibili per la sua lunghezza.

Trender avrebbe gridato allo scandalo per un simile gesto, specialmente se si fosse trattato dei suoi vestiti.

Ma io non ero lui e quello non era nient'altro che tessuto.

"Non sono per nulla stanco." Mi rizzai sulla schiena, cercando con tutto me stesso di ignorare quella fastidiosa sensazione di torpore e muscoli tesi che mi si irradiava su per gli arti, guardandola diritta negli occhi. Se fossi stato fortunato non l'avrebbe notato.

"Posso ben capirlo, infatti era riferito a me stessa. Il mio fragile corpo da umana ha i suoi limiti e, dato che non sono una slender, non posseggo la vostra disumana resistenza alla fatica. Visto che non riesco mai ad addormentarmi in treno per paura che mi derubino di quel poco che posseggo, ho parecchie ore insonni sul groppone che pesano quanto un ippopotamo ben in carne. Sono davvero a pezzi, quindi, per adesso ho bisogno di fermarmi un po'. Se desidera andare avanti, non la fermerò se conosce la strada." Non c'era sarcasmo nella sua voce, solo una candida rassegnazione allo stato attuale delle cose.

Decisi di non protestare. Anche io avevo bisogno di riposo e di certo non mi avrebbe fatto male.

Si scelse un posticino tranquillo sotto le fronde degli alberi, accomodandosi su una radice, per poi posare il mento sul palmo della mano, chiudendo le palpebre.

Rimasi esterrefatto: non credevo che avrebbe mostrato una sua debolezza così facilmente, senza timore, quasi come se avesse deciso di darmi il fianco di sua spontanea volontà.

Tirai un sospiro, accomodandomi su una grossa pietra non molto distante che mi permettesse di tenerla bene d'occhio.

Il suo comportamento mi confondeva.

Dopo un lungo minuto di silenzio passato a rimuginare, decisi di togliermi il dubbio che le sue parole avevano lasciato nel mio petto: "Sei certa della tua scelta? Non potrai tornare indietro."

I suoi occhi, allora chiusi, si spalancarono dopo aver sentito le mie parole, per poi rilassarsi subito dopo, rivolgendosi a me con uno sguardo velato dalla sonnolenza.

"Sbaglio o stava per addormentarsi? In mia presenza?!"

Basandomi sulla sua reazione, capii di averci azzeccato.

Prese a stropicciarsi le palpebre con le dita per poi guardarmi.

"Si, è ciò che voglio. Però trovo buffo interessarsi ad una cosa simile, soprattutto nella nostra situazione, dato che non ci conosciamo affatto. Non penso le importi di me." Constatò lei, mantenendo le sue pupille fisse sulla mia figura, ricolme di curiosità.

Incrociai le braccia. "Buffo? Però si, è vero, non mi importa affatto."

"Esattamente. Perché chiedere allora?" Osservò, rilassando gli arti che ricaddero ai lati del suo corpo.

"Semplice curiosità."

Ero sincero.

La sua scelta improvvisa mi era sembrata insolita, soprattutto perché personalmente preferivo seguire il lume della ragione piuttosto che l'impulso istintivo. Per me era alquanto insensato, se non azzardato, prendere una decisione simile e con un rischio non indifferente in un lasso di tempo così breve.

C'era qualcosa che ancora mi sfuggiva di quella faccenda, ma una parte di me già sospettava chi ci fosse dietro.

Visto che era decisa a proseguire però, non potevo fare altro che accettare.

Se le mie intuizioni erano giuste, allora l'intera faccenda non sarebbe stata un problema. Dovevo solo trovare delle prove che confermassero o smentissero i miei dubbi sul coinvolgimento di quella persona.

Non era però mio compito fare gli interessi della rossa e, in ogni caso, i vantaggi sarebbero stati equi per entrambi.

Anche se si fosse pentita, non sarebbe più potuta rimangiarsi la parola data.

Il suo sguardo, fisso intensamente su di me, mi portò a domandarmi cosa nascondesse sotto quelle iridi gialle.

Qualcosa stava venendo intessuto nelle ombre, una trama di cui non conoscevo i delicati contorni.

"So a cosa vado incontro e non ho alcuna intenzione di tirarmi indietro." Affermò, girandosi di petto verso di me, la sua voce carica di determinazione. "Non vorrà farlo lei?"

"No, questa via è la migliore che ho a disposizione. Ma sia ben chiaro, non mi fido, né ho intenzione di farlo alla cieca. Sono però pronto a rischiare, se mi aiuterà a risolvere il mio problema." Congiunsi le mani, scrutando di sottecchi la sua figura. Il bene della foresta e della mia famiglia venivano prima di tutto il resto, anche delle mie ben più che giustificate precauzioni. "Il nostro sarà solo un rapporto di lavoro, voglio che non lo dimentichi."

Lei chinò leggermente il capo in segno di assenso, mantenendo quell'espressione decisa sul viso.

"Com'è naturale che sia. Trovo la schiettezza una qualità piuttosto ammirevole e sottovalutata di questi tempi. Se stava cercando di mettermi in soggezione, beh, mi duole dirlo, ma ha solo finito per convincermi sempre di più di aver fatto la scelta giusta." Pronunciò enigmaticamente lei, toccandosi distrattamente una ciocca di capelli con la mano.

"Perché? Hai dubbi forse?" Alzai un sopracciglio, scettico per la sua ultima frase.

"Non ne abbiamo tutti?" Ritorse. Il suo sguardo divenne perso, la sua espressione scura e i suoi vividi occhi ambrati vennero coperti da una nube impenetrabile che mi impedì di leggerli chiaramente. Qualcosa aveva turbato i suoi pensieri.

"E comunque... anche io ho delle questioni irrisolte ancora in sospeso, affari che non possono essere rimandati. Non sono una santa, né aspiro ad esserlo, quindi non pensiate che io lo stia facendo senza avere le mie ragioni. Che esse siano buone o meno, non sta a me giudicarlo." Concluse seria, spostando lo sguardo tra le fronde degli alberi che si muovevano lentamente.

Non rimase altro da aggiungere. Qualunque cosa la spingesse, non avrebbe mollato.

 

Scattò in piedi con ritrovata energia.

 

Quell'ombra era scomparsa, abbandonando le sue palpebre come una nuvola portata via dal vento.

 

Si apprestò a rassettarsi la veste con una certa fretta. "Bene, ora che mi sono riposata possiamo proseguire. Ho poltrito abbastanza per oggi." Dichiarò lei, una nuova fiamma che le ardeva negli occhi.

 

Mi alzai, seguendo quella saltellante figura rossa.

 

Che essere bislacco.

 

In quei momenti, non riuscii a fare a meno di domandarmi dove tutto quello mi avrebbe condotto, incapace di vedere le nubi che si avvicinavano minacciose all'orizzonte. 

 

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Capitolo 8
*** 6. Capitolo ***


6. Capitolo


"Specchio sull'acqua."

Non impiegammo molto per raggiungere la meta, solo una decina di minuti scarsi.

Si era accasata sulle sponde del grande lago, ad est della foresta, dove essa iniziava a diradarsi per mostrare sconfinati campi incolti battuti dai raggi lunari, in un luogo che a suo dire era molto ben nascosto, cosa che in un certo senso mi sarei aspettato da una strega, visto i loro precedenti storici con il resto della società.

Altri due metri più avanti e avrei potuto considerarla come un'indesiderata invasione dei miei domini: glielo concessi, in questo era stata astuta.

Ci fermammo sullo scricchiolante pontile dalle sfumature verdastre che si affacciava sull'acqua nera, producendo suoni tutt'altro che rassicuranti ad ogni nostro movimento. Sia il trascorrere del tempo che la totale mancanza di cure, avevano permesso alle muffe di rodere il legno in profondità, ma per qualche strano miracolo si teneva ancora in piedi.

Non avevo idea di quanto tempo ancora avrebbe retto.

Forse sarebbe durato un altro anno o forse sarebbe crollato l'indomani, non potevamo sapere con certezza cosa il fato avesse in serbo per quella vecchia struttura portatrice di ricordi sbiaditi.

La rossa si fermò al suo inizio, chinandosi a guardare un sasso di medie dimensioni, dalla forma piuttosto piatta, tra i tanti che formavano la ghiaia di quelle rive.

L'afferrò, spostandolo di lato, per poi rivelare un disegno di gesso nascosto parzialmente da alcuni arbusti.

Rimasi fermo ad osservare ciò che stava facendo, guardingo e decisamente stranito.

"Un cerchio bianco?" Alzai un sopracciglio, mostrando un piccolo dosso sul mio volto pallido.

Incrociò il mio sguardo, curiosamente soddisfatta dalla mia reazione. "Questa è la conferma che ho fatto bene il mio lavoro. Non poteva essere qualcosa di grande e troppo ovvio, ho anch'io le mie belle gatte da pelare e soprattutto facce che preferirei non rivedere mai, nemmeno se ne dipendesse la mia stessa vita." Sorrise, fierezza risuonava nelle sue parole, mentre con il dito si apprestò ad indicare il piccolo scarabocchio. "Questo disegno insignificante ci porterà diritti dove siamo diretti. Qualche passo più indietro per favore." Mi segnalò di allontanarmi con la mano, facendomi arretrare di un metro più in là.

Rimasi in attesa, spalle rigide e braccia conserte, nella viva speranza che non fossi stato gabbato da una strega.

Sarebbe stato perfetto per una freddura, una di quelle che Offender avrebbe ripetuto fino al mio completo esaurimento mentale. Naturalmente, il tutto si sarebbe concluso con un libro di cinquecento pagine diritto in fronte del mio cosiddetto fratello minore.

Se mi fossi trovato di pessimo umore e lui avesse esagerato troppo, avrei usato quello da mille, era deciso.

L'acqua del lago scrosciava tranquilla, accarezzandone lenta le rive, mentre il vento non fischiava quasi più, calmo come una carezza materna sul viso.

Nonostante questo però, i miei occhi incrociarono finalmente le nere nubi all'orizzonte che si camuffavano con parte del cielo notturno. Non promettevano nulla di buono.

Ero sicuro che, prima o poi, si sarebbe messo a piovere: supposi che non avessimo ancora molto tempo a disposizione.

Alzando il braccio a mezz'aria, la strega chiuse le palpebre ed inalò profondamente, proferendo parole sfuggenti come il vento che parvero avvolte da una sottile nebbia, celandone i segreti al resto del mondo, il loro significato oscuro come la più profonda delle ombre.

Non potevo conoscere la lingua a cui appartenevano, essendo gelosamente custodita da tutte coloro che, come la donna che avevo davanti, erano delle streghe.

Proprio sul limitare del porticciolo, ad un solo balzo dal lago, apparve un grosso ovale traslucido, alto quasi quanto due persone, la cui superficie ricordava quella di una perla dai riflessi arcobaleno, sottile come una pellicola in cui si rispecchiava il mondo circostante.

Si risistemò i capelli arruffati, portandoseli dietro la schiena con le mani.

"Questo è lo specchio della Dama Bianca: il portale per ciò che è nascosto alla vista, chiamato più comunemente come porta tra le realtà. Riflette tutto quello che ci sta attorno, anche ciò che non possiamo vedere, e fa da tramite per raggiungere luoghi che si vuole tenere segreti." La sua voce mi riscosse dall'incanto che mi aveva provocato quella membrana trasparente apparsa dal nulla, affascinato da una tale magia.

I suoi occhi si spostarono sulla superfice, scrutandone i riflessi con attenzione. "Siamo fortunati, non ci sta seguendo nessuno. Possiamo procedere." Tirò un sospiro di sollievo, tranquillizzata dalla notizia, quasi come se temesse di essere seguita.

Mi limitai ad accennarle con la testa di procedere prima di me.

Simulò un "ok" con le dita, rivolgendomi un occhiolino, e si addentrò velocemente al suo interno, seguita dalla mia alta figura.

Non era tanto diverso da un normale teletrasporto e, a mio parere, il viaggio era ben più tranquillo, soprattutto per la totale assenza di turbolenze che potevano portare a sintomi come nausea acuta, tremori agli arti ed eventuali giramenti di testa le prime volte.

In un battito di ciglia umane, mi ritrovai in un lungo corridoio bianco formato da un materiale che sembrava vetro, ma ben più elastico al tatto quando lo sfiorai.

Come i rami degli alberi, la strada principale si interrompeva in tante, differenti, diramazioni e cunicoli che portavano chissà dove.

Un vero e proprio labirinto.

In tutto quel candore, scorsi la figura della donna proprio qualche passo davanti a me. Si era fermata ad attendermi, con le braccia conserte, appoggiata contro una parete di quell'infinito corridoio, battendo la punta della scarpa al suolo con un ritmo del tutto casuale.

Temeva mi fossi perso?

In effetti era assai probabile.

Le vie da percorrere erano innumerevoli, se mi avesse lasciato lì da solo, senza una guida, probabilmente mi sarei ritrovato a vagare per chissà quanto tempo alla ricerca della strada giusta. In un certo senso, gliene fui grato.

Appena mi vide, il suo viso si distese, tranquillizzandosi per la mia presenza, attendendo che la raggiungessi mentre le sue braccia si rilassavano lungo il corpo.

"Pensavo che ci avrebbe messo meno tempo a portarti fin qui. Stavo iniziando a preoccuparmi." Inclinò la testa verso di me, tirando un sospiro di sollievo. Il suo sguardo si incuriosì, riflettendo su qualcosa di cui non mi fece immediatamente partecipe.

"Puoi anche non preoccupartene, l'importante è se io dovrei farlo. Devo?" Mi accigliai.

"No, per nulla. Sei molto più grande di una persona normale, quindi è naturale che ci metta il doppio del tempo per portarti qui." Portò la mano al mento per sostenerlo delicatamente, chiudendo gli occhi. "Funziona un po' come quando si scarica un file su un computer. Più grande è, più tempo ci si mette a trasferirlo."

"... che cosa è un file?" Scandii bene ogni parola mentre un tic impercettibile attraversava i miei occhi, stringendo le palpebre sigillate.

Mi doleva ammetterlo, ma c'erano molte cose che io non conoscevo ancora, tante quante le stelle nell'universo.

"E' un contenitore di informazioni in formato digitale." Rispose paziente, senza scomporsi. Era positivo che non avesse fatto commenti di nessun tipo sulla mia totale ignoranza in materia. Qualcuno in famiglia ne avrebbe riso, a crepapelle.

Io e la tecnologia eravamo acerrimi nemici.

"... digitale?" Dopotutto, l'unico modo per sconfiggere un nemico, era conoscerlo.

"Si riferisce a tutto ciò che funziona tramite l'utilizzo di numeri." Mosse le mani nell'aria per supportare il suo discorso.

"Come la matematica quindi?" Chiesi nuovamente, incoraggiato dalla totale assenza di stupide battutine e di giudizio sulla mia ignoranza.

"Beh... informatica e matematica sono strettamente legate, quindi ci è vicino. Bene!" Sorrise lei, contenta che il discorso si stesse dirigendo dalla parte giusta.

"Se continui a parlarmi in termini che non conosco però mi sento solo più confuso. Spiegati meglio. Cos'è l'informatica?" Mi accigliai, smarrito e leggermente lusingato allo stesso tempo.

"La parola stessa deriva dalla combinazione dei termini informazione e automatica, infor-matica appunto. E' la scienza che si occupa di trattare e scambiare l'informazione tramite l'utilizzo di strumenti che sono automatici, per esempio i computer o i cellulari. Tale scambio avviene tra due soggetti, la sorgente e il destinatario. Questi ruoli non sono fissi e possono scambiarsi. Per esempio, mentre una persona sente una notizia alla televisione la sorgente è la tv e lei è il destinatario. In caso questa persona andasse a riferire la notizia a qualcun altro, la sorgente diverrebbe lei. Importante è l'uso di un linguaggio comune per la distribuzione delle informazioni. E' attualmente di supporto a tutte le discipline scientifiche e non e, come tecnologia, è presente in molti strumenti di utilizzo quotidiano del mondo umano." Dalla sua espressione, dedussi che fosse piuttosto felice di poter condividere la sua conoscenza con qualcuno. Gli occhi le brillavano e la sua voce aveva assunto una tonalità ben più carica di emozioni.

"... credo di stare iniziando a capire." Era qualcosa, sempre meglio del precedente vuoto totale.

Dovevo procurarmi dei libri sull'argomento.

"E' una materia complessa. Penso che sarebbe meglio se gliela spiegassi in un momento più tranquillo, è più facile avendo degli esempi pratici davanti."

"Uhm... si, sarebbe meglio." Conclusi il discorso. Parte di me voleva sapere di più per riuscire a colmare quella mia mancanza ma, purtroppo, il mio non era solo un problema legato alla mancanza di sapere.

Percorremmo l'ultimo tratto di strada, attraversando infine un altro specchio molto simile al precedente: la curiosa immagine di una rustica casetta di campagna, appollaiata su una piccola isoletta lambita dall'acqua del lago, si muoveva nel suo centro, scossa da tante piccole onde trasparenti.

La prima cosa che sentii, appena uscito da quel passaggio, fu il pungente profumo di erba appena tagliata. Davanti a me si stendeva un prato di un verde quasi giallo, lungo qualche metro e, nonostante fosse sbiadito per l'arrivo dell'autunno, era comunque ben tenuto.

Proprio nel centro dell'isolotto, c'era la vecchia casetta che si ergeva su due piani di solida roccia, riparata da un bel tetto in legno da cui sbucavano ben due canne fumarie, una più piccola dell'altra.

Il giardino era grande tre volte la struttura principale, dividendosi a sua volta in due parti: una più piccola, recintata e con una serra dove venivano cresciute esclusivamente piante, ed una più spaziosa, ricoperta da un bel prato punteggiato da qualche rado fiorellino di campagna rinsecchito e un blando pezzo di terra rossastro con un fosso poco profondo al suo interno. Quella rientranza nel terreno non doveva essere lì da molto tempo, il suolo era stato smosso di recente.

Non potei però fare a meno di domandarmi dove conducessero le altre vie.

Aumentando il passo, la donna giunse agilmente sotto il porticato bianco illuminato dalla luce di una lampada appesa accanto all'entrata. Il suo calore intenso e i segni dell'usura mi portarono a supporre che fosse tenuta sempre accesa, almeno durante la notte.

Frugando nella stessa tasca nascosta del suo vestito, la strega tirò fuori un mazzo di chiavi con sguardo pensoso, cercando con calma quella giusta tra le tante. I monili che vi erano attaccati tintinnavano ad ogni chiave scartata, finché non trovò quella designata, apprestandosi ad aprire la porta d'ingresso.

Mi accostai lentamente, a passi silenziosi, preso ad osservare quel posto a me sconosciuto, imprimendomi nella memoria la sua mappa. Della lavanda era stata posta in una fioriera pensile lì vicino ad essiccare, il suo piacevole profumo mi accarezzò le narici.

La voce della donna mi chiamò dall'interno della sua dimora, la porta era adesso spalancata, invitandomi all'interno.

Con un tocco della mano, accese tutte le luci del piano inferiore, per poi ritornare sull'uscio, posando i piedi sul tappeto.

"Prego, può entrare adesso. Non si preoccupi, non ho intenzione di mangiarla per cena." Annunciò, lasciandomi abbastanza spazio per poter passare, rimanendo poggiata contro lo stipite dell'uscio.

Rispetto alla mansione, la sua dimora era molto più bassa e ristretta nelle dimensioni, dovetti chinarmi per entrare senza sbattere la testa, ma almeno all'interno il soffitto era abbastanza alto da permettermi di non stare gobbo per tutto il tempo, deambulando regolarmente.

Nonostante questo i lampadari rimanevano un pericolo, ma ero sicuro che li avrei evitati senza difficoltà, a differenza della terrificante quantità di scatole e oggetti di tutte le dimensioni ancora impacchettati che c'erano sparsi in giro.

Alla faccia del poco disordine!

Rimasi fermo sul posto, non sapendo dove andare di preciso, rigido come un palo della luce.

"Perdoni questo caos che c'è per casa, volevo sistemare prima il giardino e... ho finito per fare solo quello per il resto della giornata." Chiuse piano la porta alle mie spalle, togliendosi la mantella di dosso per poi posarla sull'attaccapanni di ferro battuto accanto a lei.

"Noto..." Commentai, limitandomi a non dire altro.

"Vuole appendere la giacca?" Mi propose, accostandosi a me, rimanendo sempre ad una giusta distanza per non infastidirmi, mentre il suo profumo si confondeva con i tanti altri della casa. Sbaglio o c'era un deciso odore di focaccia al miele e tè nell'aria?

"No, preferisco tenerla, non ho intenzione di stare più del necessario." Indietreggiai di un passo per mantenere una certa distanza tra di noi. Lo spazio vitale era comunque poco, non intendevo avvicinarmi più di così a qualcuno che non conoscevo se non fosse stato necessario.

Lei si limitò a fare un cenno con la testa, segnalandomi che aveva compreso le ragioni dietro quel gesto. "Allora mi segua." Si affrettò a dire, attraversando il corridoio fino ad arrivare in salotto.

Prese a fare un po' di spazio per permettere ad entrambi di accomodarci.

Mi liberò una grossa poltrona, impilando i libri che vi erano posati sopra accanto alla finestra.

Dalla grande quantità di tomi sparsi per la stanza, dedussi che, quanto meno, non ne disprezzava la lettura. Tra di essi, ne ero sicuro, mi parve di scorgerne uno che parlava di erbe soporifere. Il che non mi rassicurò per nulla, facendomi venire brutti pensieri in mente.

Nonostante la resistenza ai veleni della mia specie, i sonniferi fanno ancora effetto sul nostro corpo, anche se con minor efficacia.

Mi fece segno di accomodarmi e, infine, liberò un posto di fronte al mio, sedendosi anche lei, entrambi separati solo da un basso tavolino di vetro.

Congiunse le mani sulle ginocchia, rivolgendomi un sorriso affabile, cosa che, in un tale contesto, era una vera e propria rarità che mai mi era capitata prima di allora.

Rimasi guardingo, rilassando le spalle, aiutato in parte dalla comodità del mobile su cui ero seduto.

"Lo so che è molto tardi, ma gradirebbe del tè?" Propose lei, il suo tono così gentile e genuino sembrava quasi vero... così tanto che-

No!

Non potevo rischiare di finire per crederle, dovevo rimanere distaccato.

"Non sono venuto qui per questo, strega, e tu lo sai bene." Ribattei, serio come la morte. "Sono qui per stringere il patto di sangue e chiudere questa faccenda in fretta. Non per prendere il tè." Incrociai le braccia, certi trucchetti non funzionavano con me.

Poteva giocare a fare la strega premurosa quanto voleva, ma finché il patto non fosse stato concluso, non avrei mai creduto che non stesse recitando. L'avrei costretta a tirare fuori la sua vera faccia se avessi dovuto.

"Giustamente. Ha ragione, non siamo qui per cianciare come delle comare di paese." Si alzò in piedi in tutta calma, estraendo un libro nero da un cartone dietro il divano, per poi posarlo nello spazio che ci separava ed inginocchiarsi sulla moquette al fine di leggerlo meglio. Sfogliandolo lesta, arrivò alla pagina desiderata, iniziando a leggere a voce alta ciò che c'era scritto.

"Allora, patti... contratto di sangue... eccolo qua!" Esclamò mentre il suo dito scorreva su quelle parole antiche ingiallite dal tempo. Mi descrisse tutti i passaggi attentamente, senza tralasciare nemmeno un piccolo dettaglio.

Concordammo che fosse meglio stilare un testo scritto del nostro accordo prima di iniziare il rituale.

Rimasi sorpreso dalla velocità con cui riuscimmo a metterci d'accordo su cosa scrivere.

Lei si adattò abbastanza bene alle mie richieste, senza mai accampare pretese impossibili. Fu piuttosto ragionevole.

Passai il foglio tra le sue dita, lasciandoglielo leggere per un'ultima volta.

Non era necessario riportare tutto su carta ma, essendo piuttosto pignolo, preferivo avere una prova tangibile di ciò che sarebbe accaduto.

Il contenuto di tale accordo era piuttosto semplice: lei mi offriva il suo aiuto e la sua protezione in cambio del mio finché il pericolo derivante da quell'altare non fosse stato eliminato definitivamente.

Uno scambio equo, semplice, che ci avrebbe legati finché la foresta non fosse stata al sicuro da ciò che la minacciava o, almeno, così pensavo allora.

Realizzare un trattato molto più complesso, concordammo entrambi, non sarebbe stato utile per nessuno dei due. Lo firmammo entrambi. La sua firma era identica a quella della lettera, mentre la mia aveva il tratto leggermente tremolante a causa della penna troppo piccola per le mie lunghe dita.

Portai la mano al mento, carezzandolo con fare riflessivo. Feci per prendere il libro per poterlo osservare da vicino, ma lei lo portò verso di se prima che potessi anche solo spostarmi abbastanza per sfiorarlo, ritornando seduta al suo posto con il volume tra le dita.

Che singolare coincidenza: avevamo avuto la stessa idea nello stesso istante, fortuna che non aveva notato il mio goffo gesto.

Se lo posò in grembo, stando appoggiata contro lo schienale. Sul suo viso si dipinse un enigmatico sorriso mentre le pagine scorrevano leste e le sue labbra si inarcavano piano, sussurrando qualcosa.

Iniziò a ripetere i passaggi per memorizzarli, sfogliando ogni pagina con attenzione, per poi tirare fuori una piccola agendina rossa ed appuntarci sopra tutto ciò che le sarebbe servito, più qualche annotazione scritta con dei caratteri che non conoscevo.

Incrociai le braccia e attesi che concludesse di controllare il volume, finendo per fissare un grosso vaso che era stato riempito di asciugamani per qualche incomprensibile ragione.

Poi un peso si posò delicatamente sulle mie gambe, abbastanza da non farmi saltare dalla sedia, prendendomi però alla sprovvista e costringendomi a rivolgere lo sguardo verso di esso, mentre i miei viticci sbucarono dalla schiena, sulla difensiva, pronti ad attaccare chiunque si fosse avvicinato.

La rossa mi fissava, i suoi occhi gialli si spostarono ad osservare i viticci, per poi ritornare su di me.

Si era avvicinata senza preavviso, in silenzio.

"..." Rimasi fermo, immobile, fissandola intensamente, le palpebre ancora chiuse. Sulle mie gambe il tomo che prima stava leggendo.

Non batté ciglio.

"Ecco, ora può guardarlo anche lei se desidera. Glielo presto, ma deve restituirmelo. Io penserò a preparare tutto l'occorrente per il rituale in giardino nel frattempo. La chiamerò quando avrò finito." Si apprestò ad uscire dalla porta, come se nulla fosse successo, ma poi si bloccò. "Devo ancora mettere un sacco di oggetti fragili al sicuro, quindi la pregherei di non andare in giro a curiosare tra le mie cose." Mi vietò, girandosi a guardarmi per qualche secondo con un'espressione seria in viso. Feci un cenno di aver capito, ritirando i viticci, e uscì dalla stanza.

Per qualche tempo, il silenzio totale regnò nella stanza.

Dare una tale possibilità di propria spontanea volontà ad uno slender non era cosa da poco e soprattutto non spaventarsi ad una reazione del genere era piuttosto anormale.

"Che cosa curiosa..."

Infilai il contratto nel taschino della giacca, ripiegandolo più volte per farcelo entrare, e aprii il libro, iniziando a curiosare tra le sue pagine ingiallite, per raccogliere più informazioni possibili e capire quanto potesse essere pericolosa.

C'erano incantesimi di ogni tipo e sorta racchiusi al suo interno, tutti accumunati dall'uso dei sigilli, il che rese il titolo, "Guida alla magia dei sigilli", assai sensato.

Lo richiusi, esaminando copertina e dorso: sulla prima c'era disegnato un cerchio argentato con una stella a cinque punte rivolta verso l'alto, circondato da alcune iscrizioni che recitavano in una lingua antica, accanto ad ogni singola punta, i nomi dei vari elementi con l'aggiunta della parola "spirito", fungendo da quinto elemento. Sul dorso vi era inciso un piccolo simbolo dorato che non riuscivo ad interpretare.

Che strano, insignificante dettaglio, eppure così misterioso ai miei occhi.

Non posso negare che sentii un'insaziabile desiderio di sapere, tanto che quei concetti erano estranei e, in una certa misura, affascinanti.

Nell'esatto istante in cui riposi il libro sul tavolino, la corrente nell'intera casa saltò, lasciando l'area circostante nelle tenebre più nere.

Solo i raggi bianchi della luna facevano capolino dai vetri, unica fonte di luce in quelle tenebre a me così familiari, ma allo stesso tempo sconosciute.

Una strana sensazione gelida iniziò a risalirmi su per la schiena con una lentezza asfissiante, quasi come se qualcuno, o qualcosa, mi stesse fissando dall'oscurità.

Non mossi un singolo muscolo, in attesa che il mio osservatore si facesse avanti.

Ne ero assolutamente sicuro, quella sensazione, non era la prima volta che la provavo: una fredda paura che ti prende alla base del collo, portandoti a desiderare di essere altrove.

La sua energia era particolare, troppo ridotta per essere la stessa di quella donna, la differenza era abissare e non potevano appartenere allo stesso essere.

Spostai la testa in cerca della fonte di quegli sguardi e, ben presto, la scoprii appollaiata in cima alla libreria sul libro intitolato "Clavis Salomonis", fissandomi con i suoi occhi verde acqua che brillavano nelle tenebre.

Mi alzai in piedi di scatto.

 

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Capitolo 9
*** 7. Capitolo ***


7. Capitolo



"Un rivolo nero."

L'ombra balzò agilmente dallo scaffale, atterrando leggiadra al suolo, mostrandosi sotto la luce della finestra per rivelare il suo vero aspetto.

 

...

 

"Miao!" Esclamò una piccola palla di peli neri come la notte, fissandomi con le sue grandi pupille dilatate, per poi leccarsi la zampetta sinistra con fare noncurante.

Tirai un sospiro di sollievo: era solo un gatto, nulla di cui preoccuparsi o aver paura.

Stava iniziando a diventar deleterio vivere a quel modo. I nervi quasi sempre tesi non mi portavano alcun giovamento ed ero consapevole che, a lungo andare, la mia lucidità si sarebbe deteriorata.

Buffa cosa di quell'intera faccenda fu che il gatto, invece di averne una sola, avesse ben due code.

A quanto pare la sua padrona non era l'unica creatura bizzarra di quel posto.

Il micio nero mi si avvicinò con le code ritte, le punte leggermente inclinate in avanti, gli occhi appena socchiusi, osservandomi con espressione serafica.

Si fermò proprio ad un passo da me, miagolando nuovamente, mentre mi fissava con le sue pupille che nelle tenebre parevano ancora più grandi e dolci.

Chinandomi, arrivai quasi al suo livello.

"Siete seriamente tutti così amichevoli in questa dimora?" Avvicinai la mano per carezzarlo e, invece di ritrarsi, esso si gettò con tutto il muso per strusciarsi affettuosamente.

Tirai un lungo sospiro. "... a quanto pare si."

Il contatto non mi dispiacque. Avevo una certa intesa con i gatti, probabilmente per alcune attitudini in comune.

Ammetto senza vergogna che allora diedi più fiducia al gatto che alla padrona, mostrando una certa diffidenza nei confronti di chiunque non conoscessi personalmente. I gatti erano animali piuttosto semplici da capire conoscendone linguaggio e abitudini.

Le streghe invece erano tutt'altra cosa: la quantità esistente di incantesimi nocivi e di misteri che circondavano le loro figure erano a dir poco impressionanti.

E poi, il fatto che non riuscissi a carpire le vere intenzioni di quella donna non andava di certo a suo favore. Ero certo che non fosse possibile racchiudere millenni di incantesimi in un libro così piccolo, non era finita lì: ce n'erano degli altri.

"Come ci si può fidare di una strega? Un essere con tali poteri... è come giocare con il fuoco... no... anche peggio!"

Posai il volume sul tavolino mentre un secondo, martellante, pensiero mi sfiorò la mente, fissando distrattamente nel frattempo quei bellissimi occhi color verde acqua che avevo davanti.

"Come ci si può fidare di uno slender invece?"

Lei lo aveva fatto, si era fidata di me e, anche se era stato un comportamento piuttosto avventato, non cambiava ciò che era successo.

Era nella mia stessa identica situazione.

Una magra consolazione, certo, ma una consolazione nonostante tutto.

Se fosse stata sincera, avrebbe avuto la sua chance di guadagnarsi quantomeno il favore della famiglia e io la via che avrebbe portato alla risoluzione dei miei problemi.

Piano piano, senza rendermene conto, un filo sottile si intessè su quel tetro baratro che avevo scavato con le mie stesse mani tra me e il resto del mondo.

Invisibile agli occhi e leggero come l'aria, la sua eterea presenza fluttuava, scossa dal vento, come un simbolo sconosciuto preannunciatore della nascita di una nuova via.

Era naturale che la psiche provasse a creare un collegamento ma, seguendo la mia razionalità, decisi di bloccare ogni altra riflessione sull'argomento prima che potesse portarmi oltre: troppo presto per provare anche solo un briciolo di pietà o emozione per qualcuno che nemmeno conoscevo.

Il felino, notandomi completamente assorto nei miei pensieri, si avvicinò ulteriormente, prima per annusarmi il viso, poi per approfittare della mia distrazione e posare la sua morbida zampetta al centro della mia bianca fronte.

Interdetto, gli rivolsi le mie attenzioni.

Mi fissò, mostrando la punta della linguetta rasposa, per poi defilarsi a razzo, catapultandosi fuori dal salotto con uno sguardo da beota stampato sul musetto.

Alzandomi di scatto, uscii anch'io dalla stanza, deciso a seguire quel birbante per riacchiapparlo.

Ripercorrendo in fretta le tracce color fuliggine sparse per tutto il corridoio, scorsi la sua coda sparire dall'ingresso. Non appena misi piede fuori dall'uscio, l'aria fredda mi colpì in pieno viso ma, del felino, non era rimasta nemmeno l'ombra.

In compenso ritrovai la strega nel giardino, lì dove non c'era erba. Era tutta intenta ad accendere con un lungo fiammifero, stretto con fin troppa forza tra le dita, le ultime candele riunite in cerchio.

Nonostante la sua presa, la mano le tremulava, fissando la fiamma in modo anomalo, quasi come se quel piccolo fuocherello la spaventasse.

Scacciò via l'esitazione, accendendo l'ultima candela, per poi tirare un sospiro di sollievo.

Mi portai alle sue spalle, alzando un sopracciglio invisibile.

"Hai finito?" Domandai senza preannunciarmi.

Sobbalzando di botto, catapultò la candela verso l'alto, rischiando così di mandare letteralmente all'aria i preparativi e il suo lavoro.

 

...

 

Recuperò in pochi attimi l'equilibrio, afferrando l'oggetto che era stata scaraventata in cielo poco prima che toccasse il suolo, senza che ci fosse bisogno di un mio intervento, bruciacchiandosi però parzialmente le punte delle dita con la cera bollente: un piccolo sacrificio in confronto alla mole di lavoro che l'avrebbe attesa in caso di fallimento.

Ringraziai mentalmente le forze che le avevano permesso di compiere quel salvataggio. Non avevo proprio nessuna voglia di mettermi a compensare per la sbadataggine altrui.

Posò la candela al suo posto, portandosi i capelli all'indietro con il palmo della mano.

"Signor Slender, la sua fama non è per nulla immeritata." Riprese aria nei polmoni con un bel respiro profondo, osservandomi di sottecchi, decisamente annoiata dal mio gesto.

Alzai un sopracciglio invisibile, ponendole nuovamente lo stesso quesito con lo sguardo.

"Però sì, se non finisce per ammazzarmi prima, è tutto pronto." Iniziò a commentare lei, fermandosi poi un secondo a riflettere. "Trovare un'altra strega disposta ad aiutarla non sarà così facile come si potrebbe pensare, non sono tutte così pazze da mostrarsi direttamente ad uno slender." I suoi occhi cercarono i miei mentre si ricomponeva, brillando di una luce singolare, custodi dei suoi più oscuri segreti.

In quel lasso di tempo aveva avuto tutte le occasioni che voleva per attaccarmi e, nonostante questo, aveva deciso deliberatamente di non farlo.

Era chiaro, oramai, che mi volesse incolume e che fosse persino disposta a siglare un vero patto con me per girovagare in quei territori.

Arrivai a supporre che avesse detto il vero nella sua lettera e che fosse lì per risolvere una questione di notevole importanza. Ma, per quanto ci pensassi su, erano soltanto quello, supposizioni.

"Non preoccuparti, non ti farò nulla se non me ne darai motivo." Sistemai le braccia conserte, valutando il suo cerchio magico.

Era venuto molto bene ed ogni cosa era allineata a dovere: i disegni della giusta sfumatura di rosso non presentavano sbavature, la concentrazione degli ingredienti era impeccabile e le candele, decorate elegantemente con dei ghirigori dorati, erano dell'esatto materiale.

Temevo avrebbe tardato con i preparativi, data la considerevole mole di lavoro, ma, tenendo conto che aveva fatto tutto da sola, era stata impeccabile. Non era affatto incapace, avventata sì, ma tutt'altro che sprovveduta.

Peccato mancasse un solo, ma importante, dettaglio.

"Dov'è il pugnale cerimoniale?" Rilassai le braccia, scrutando la rossa con sguardo indagatore. Si era davvero scordata di un dettaglio tanto cruciale?

"Non si preoccupi, ce l'ho qui. Non dimenticherei una cosa così importante... almeno non quando sono nel pieno delle forze." Rise di questa sua mancanza, portando le mani ai lembi della gonna facendo per alzarla. Fui costretto a girarmi di botto. Non potevo permettermi che le mie intenzioni venissero fraintese.

Sentii il suono di vesti che venivano smosse e il sibilare metallico della lama che scivolava fuori dal suo fodero. Una sensazione gelida, il ricordo di quel suono freddo che rimbombava nella mia memoria come un eco. Non potevo vederla, ne conoscere l'espressione sul suo volto, ma l'unica certezza era che le gambe erano rimaste scoperte.

La mia scelta racchiudeva in se anche un'altra intenzione, un doppio fine, ultima occasione prima del rito per testare le sue vere intenzioni. Sarebbe stato perfetto colpirmi allora, di spalle, vulnerabile e apparentemente distratto.

Era il momento per infilare quell'arma dove le mie paure sospettassero fosse destinata ad andare.

"Mancano ancora da stabilire alcune cose e poi-" La sua voce si fermò, notando il mio cambio di posizione.

Ma nulla accadde.

"...-e poi stavo solo prendendo il mio coltello. Deve esserci un equivoco, non ci sto provando con lei. Non ho tempo per queste cose e probabilmente non ne avrò per un bel po'. Non pensavo che il mio gesto avrebbe potuto infastidirla." La sua voce era sincera e allo stesso tempo stranamente divertita dal mio comportamento che ai suoi occhi doveva parere assai bizzarro.

Mi girai appena in tempo per scorgere la sua mano alzarsi e posarsi sul suo petto con la lama tra le dita, come a voler rimarcare la sincerità delle sue parole.

"Lo avevo capito benissimo." Mugugnai, cercando di apparire il più calmo possibile. Una sensazione che non riuscivo a comprendere mi sfiorò, svanendo immediatamente prima che potessi riconoscerla.

Lei mi fissò per qualche lungo istante, per poi girarsi e dirigersi verso il cerchio, ignorandomi completamente.

"Allora concludiamo la faccenda, non voglio trattenerla più del dovuto." Dichiarò poi, mettendo in ordine le ultime cose, spostando su una panca ciò che non ci sarebbe servito.

Pronti a recitare le nostre parti, entrammo nel cerchio da lati opposti, facendo qualche passo in avanti per poi fermarci nelle nostre rispettive metà. Avanzò lei per prima, come da copione, pronunciando a gran voce senza esitazione alcuna le parole che avrebbero aperto il nostro accordo:

"Forze universali, invoco il vostro potere per unire le nostre anime nel patto incatenato dal sangue.

Dall'abbraccio dell'acqua, alle carezze dell'aria, dal saldo sostegno della terra, al tepore distruttivo del fuoco, i nostri spiriti vi chiamano per unirli nella trama del cosmo.

Sotto il cielo degli astri e davanti alla madre luna, io, Aliaga, giuro, sul mio sangue di strega impura, di proteggere lo slender che ho dinnanzi e la sua famiglia da ogni male, offrendogli il mio aiuto e i miei poteri affinché il problema che affligge le sue terre sia risolto.

Che questa catena ci leghi finché la sua foresta non sarà salvata.

A pegno offro la mia anima: che essa sia punita dalla legge dell'universo se la parola data non verrà da me rispettata."

Concluse con un respiro profondo, mentre alcune linee si disegnarono nel cerchio, completandolo per metà. Le piccole fiammelle tutte intorno a noi si alzarono, bruciando come se possedessero vita propria, danzando inquiete nel vento. L'aria assunse un aroma che non riuscivo a definire, carica di un'energia antica e potente che racchiuse entrambi in una cupola traslucida fatta di fluttuanti segni scarlatti. Era il mio turno.

Avanzai di un passo:

"Tra i sinistri alberi delle selve e nell'abbraccio della madre di tutte le tenebre io, Slenderman, giuro, sul mio sangue nero di guardiano della foresta, di proteggere la strega che ho dinnanzi, da me stesso e dalla mia famiglia, permettendole di procedere nei miei territori in cambio del mio aiuto e protezione affinché il problema che affligge le mie terre sia risolto.

Che questa catena ci leghi finché la mia foresta non sarà salvata.

A pegno del patto offro la mia anima oscura: che essa sia punita dalla legge dell'universo se la parola data non verrà da me rispettata.

Ora chiudo questo cerchio, unendo le nostre mani: che le metà diventino uno, che il fuoco bruciante, la terra viva, il vento impetuoso e l'acqua burrascosa siano testimoni di questa unione.

I nostri spiriti sono pronti ad essere incatenati."

Le porsi il palmo della mia mano. Lei mi incise superficialmente una piccola parte dell'indice, facendo sbucare fuori una piccolissima gocciolina di sangue nero, e mi passò il suo pugnale, imitando a mia volta il suo gesto, mentre un rivoletto di sangue rosso vivo le scivolava giù dal dito.

"Unisco il mio sangue al tuo. Il patto è sigillato, da ora finché l'accordo non sarà rispettato." Pronunciammo all'unisono, avvicinando le nostre dita per unirle, disegnando una lineache raggiungeva il polso sul palmo di entrambi. Infine ci separammo, uscendo dal cerchio.

 

Esso si completò, facendo brillare i suoi disegni di una luce accecante. Tutte le candele si spensero di colpo, mentre il fischiare del vento divenne sempre più forte, coprendo ogni altro suono.

 

Ben presto la luce si affievolì fino a svanire e, con lei, ogni altra traccia.

Era fatta: da quel momento si poteva solo procedere in avanti.

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Voi non avete idea di quante volte sia slittato questo capitolo.

Doveva uscire a fine agosto e invece adesso siamo al 29 di settembre.

A questo punto dovrei essere molto più avanti, ma con la fortuna che ho XD è deleterio per me fare piani perché finiranno sempre all'aria.

So che il tempo impiegato su ogni capitolo non ne riflette la qualità effettiva e che tutte le ricerche e gli studi che ho fatto non mi danno il diritto di chiedere nulla al lettore, per questo ogni volta che qualcuno mi dice qualcosa mi sento soddisfatta. E' bello essere notati dalle persone. ^^

Se notate errori o sviste, vi prego di farmeli notare, provvederò a correggere.

Vi ringrazio per il supporto, è grazie a voi se la magia accade.

La scrittura, il disegno e i videogiochi sono il mio scoglio da un bel po' di tempo.

Vorrei solo riuscire a concludere questa storia un giorno, è tutto ciò che chiedo per il momento.

E se vorrete, potremo fare questo viaggio insieme, se vi fermerete a leggere ciò che ho da raccontare ^^.

 

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Capitolo 10
*** 8. Capitolo ***


 

Piccolo avviso: vi chiedo perdono se questo capitolo sarà più corto e decisamente imperfetto, purtroppo ho avuto un sacco di problemi mentre lo scrivevo, ma non volevo rimandare ulteriormente. Vorrei mantenere un ritmo di un capitolo a settimana (esclusa quella in cui mi vengono, quindi -1), se tutto va bene, ed inserire il nuovo progetto (di disegno) che ho da parte in qualche modo. Vorrei solo avere le energie per fare di più, ma ogni volta il mal di testa mi blocca... ed è frustrante.

Vi ringrazio per la lettura.

Lux.


 


8. Capitolo


"Quel giorno."

Alzai il volto. Il vento gelido mi sfiorava gli zigomi, crescendo d'intensità ogni minuto che passava. Puzza di fumo aleggiava ancora, nonostante le forti folate, impressa come un marchio a fuoco, prova di ciò che era da poco capitato.

Mi mancava l'aria della foresta, la sensazione non era la stessa, quasi come una pallida imitazione dell'originale.

Lei si chinò in fretta, finendo di raccogliere le ultime candele bruciate, ben attenta a non scottarsi con il liquido bollente che era rimasto, spostando parte dei capelli rossi che la infastidivano sulla spalla sinistra con un veloce gesto della mano.

Se le mise in grembo, poggiandole sulla gonna, dopo aver versato la cera sciolta in un apposito vasetto di terracotta, precedentemente vuoto, che sembrava destinato a quell'unica funzione.

Afferrando le due estremità della veste, le legò in un fagottino di stoffa e scattò in piedi, dirigendosi verso di me, pronto, anzi, deciso a lasciare quel luogo.

Finii di sistemarmi la giacca addosso, facendola aderire al corpo, per poi appiattire le pieghe che si erano formate sulle maniche con i pollici. Per il momento, non era rimasto nulla da fare lì: ero troppo stanco, sarebbe stato inutile restare, non ne avevo motivo.

"Allora, ritorna a casa sua, signor Slenderman?" Tirò su le candele nella veste per non far scivolare quelle due in cima che cercavano di rotolare via verso la libertà, finendo per mostrare gli alti stivali che le raggiungevano le ginocchia.

"Puoi chiamarmi solo Slender, queste formalità sono inutili adesso." Mi sciolsi la cravatta, rifacendo il nodo senza toglierla del tutto.

Oramai era fatta, avevo la mia sicurezza. Finché il problema non fosse stato risolto, non avevo più motivo per temerla.

Nonostante questo, non volevo comunque fidarmi. 

La fiducia va guadagnata, mai donata.

Dato che non avrebbe potuto farci del male, ero più tranquillo in sua presenza.

"Lo terrò a mente, signo-" lei si bloccò per un attimo, rendendosi conto del suo errore "... Slender." Concluse, pronunciando il mio nome con una tonalità più bassa.

Rimase a qualche passo da me, fissandomi intensamente in pieno viso per qualche secondo, quasi come se stesse cercando qualcosa che non riusciva a trovare.

Corrugai la fronte e indietreggiai di un passo, confuso dalla tenacia che riuscivo a scrutare nei suoi occhi.

"..." Restai in silenzio, non sapendo cosa dire, per poi irrigidire le spalle. Ressi il suo sguardo. "Perché mi stai fissando?" Domandai infine, alzando un sopracciglio invisibile. I muscoli si contrassero ulteriormente, facendo apparire dei piccoli solchi nella pelle candida.

Si, era assai strano ricevere lo stesso trattamento che davo agli altri.

La sua espressione si raddolcì, mostrando un flebile sorriso, quasi trattenuto, sulle sue labbra.

"Non posso certo mandarti a casa con quello in piena faccia. Farei fare una figura imbarazzante al mio nuovo socio, ne va del mio buon nome di strega." Così dicendo, indicò il centro della mia fronte. Dal suo gesto parve quasi volesse sfiorarla, ma ritirò la mano, preferendo evitare.

Saggia scelta.

"Cosa intendi per quello?" Ero piuttosto confuso. Possibile non me ne fossi accorto, qualsiasi cosa fosse? "Se è uno scherzo, ti avviso che non sono di mio gradimento..."

Nonostante il mio volto si fosse fatto scuro, lei non perse la calma, facendo segno di aspettare.

Corse a posare le candele nella sua dimora, ritornando in fretta nella mia direzione. 

Con in mano un fazzoletto inumidito da dell'acqua profumata, la stoffa di un bel colore azzurro, mi si avvicinò di nuovo.

"Hai l'impronta di una zampetta nera in fronte. Tutta colpa di quel birbante di Tetra scommetto. Lui ama questi tipi di burle... e rotolarsi nella fuliggine... lo fa con tutte le cose bianche. Muri, biancheria pulita, fogli e così via. Sarà per questo che ha pensato di sporcare il tuo viso, è così... pulito." Rimase ipnotizzata per una buona manciata di tempo, riprendendo poi il discorso come se niente fosse.

"A volte mi fa davvero dannare, ma ho deciso di tenerlo con me e non lo abbandonerò solo perché ha un carattere particolare. Tieni, usa questo, proprio lì, nel mezzo." Mi porse il fazzoletto bagnato, istruendomi su come usarlo nel modo più efficace.

Allungai la mano senza pensare, afferrandolo tra le dita, preso dalla bisogno di voler cancellare quell'umiliante traccia dalla mia pelle. Nonostante i miei modi scostanti, era rimarcabile che fosse rimasta fedele a se stessa, senza tradire la sua cordialità.

Lo condussi al viso, ripulendo l'esatto punto che la strega mi stava indicando. Aveva un buon profumo, di una qualità niente male, rimanendo sorpreso dal fatto che non percepissi prodotti chimici al suo interno.

Era sempre un gran fastidio dare la caccia ad umani eccessivamente improfumati, quella roba non faceva altro che rendere la loro pelle immangiabile.

L'unica pecca in quel fazzoletto erano le pieghe, righe formatesi nel tessuto sgualcito tenuto con poca cura, sebbene fosse lindo come una saponetta appena uscita dalla confezione. Lo allontanai, osservandolo per un po' prima di metterlo giù, custodendolo nel palmo.

"Tetra?" Avevo già una mezza idea di chi potesse essere, alla fine dei conti la soluzione poteva essere solo una.

"E' il mio micio. Però forse non è corretto definirlo come mio. Non ha padroni, ne catene a contenerlo, non appartiene a nessuno, ed è soprattutto libero di prendere la sua strada quando sentirà che è arrivato momento. Vive con me perché non ha un altro luogo dove andare, ma ci guardiamo le spalle a vicenda, prendendoci cura l'uno dell'altro, e sarà così finché saremo insieme. Mi basta questo. Conoscendolo, è venuto a salutarti a modo suo... anche se è stato piuttosto maleducato." Allontanò lo sguardo per un secondo, fissando con rimprovero un punto indefinito della casa.

 

Seguii la sua traiettoria, scorgendo una piccola palletta di peli nera che ci guardava dal porticato, seduta sul posto, con gli occhi che si chiudevano, le zampette sotto il petto e le code rilassate attorno al corpo.

Rimasi fermo a guardarlo. Lui ricambiò, schiudendo le palpebre, fissandomi enigmatico.

Qualsiasi cosa passasse per quella testolina pelosa, non gli avrei permesso di farmi lo stesso scherzetto due volte.

Voltandomi verso la strega, spostai di nuovo l'attenzione su di lei: "Non c'è altro allora?" I miei occhi si specchiarono nei suoi, permettendomi di scrutare il bianco contorno della mia figura, rimembrando qualcosa che non riuscivo ad inquadrare nella mia mente.

Chissà cosa si prova a fissare un essere senza caratteristiche facciali... è stano? Difficile? Oppure assai semplice?

Per la nostra specie non è un problema, la maggior parte di noi nasce a quel modo. Avevo i miei dubbi che un umano lo trovasse normale, data la loro tendenza a dare per scontato che questa caratteristica fosse comune a tutti gli esseri viventi.

Ma dato che lei era una strega, sarebbe stato diverso?

Era un'altra semplice curiosità tra le tante che mi frullavano in testa. Assai singolare come quesito, ma allo stesso tempo, alquanto logico. Avrei fatto luce sulla faccenda in un secondo momento, il tempo non sarebbe di certo mancato.

"Si, ora è tutto a posto. Niente più tracce di felino." Posò le mani sui fianchi, sporgendosi un po' in avanti con il busto, quasi come se volesse avvicinarsi con discrezione per controllare ancora una volta.

"Perfetto, perché adesso dovrei tornare a casa." Mi rizzai sulla schiena, colto all'improvviso dal desiderio di allontanarmi da quel posto in tutta fretta. Una strana angoscia aveva attanagliato il mio cuore.

Lei si ricompose, senza mai abbassare lo sguardo, fisso sulla mia alta figura.

Era chiaro che voleva dirmi altro. 

"Cosa c'è adesso? Sono sporco da qualche altra parte? E' possibile?"

Proprio quando stavo iniziando a credere di avere addosso qualche macchia di sangue residua, ricordo della mia precedente caccia, che non avevo notato, la sua voce mi parlò, sospinta dalla corrente:

"Prima che tu vada, per quanto riguarda l'altare distrutto ai confini della foresta a nord-ovest, ho bisogno che mi racconti cosa è successo. Non posso aiutarti in modo efficace se non lo farai ora." Era molto seria, gli occhi come avvolti da un'ombra nera.

Mi avvicinai a lei di qualche passo, silenziosamente, sovrastandola in tutta la mia altezza. Rimase immobile, senza farsi intimidire dalla mia presenza. "Posso fare di meglio, te lo mostrerò." Avrei impiegato troppo tempo con delle semplici parole e non di sicuro non ne volevo perdere altro.

"Un memoriae?" Alzò il sopracciglio, provando ad ipotizzare. I suoi occhi gialli si riempirono di curiosità, desiderosi di scoprire cosa avrebbero trovato in quei ricordi.

"Come fai a saperlo?" Guardingo, la fissai, mentre si insinuava in me il sospetto per quella nuova, inaspettata, informazione.

Non perse un secondo, senza avere cedimenti, la sua voce carica di sicurezza. "Trovai un cenno a questa capacità in un libro che ha acceso il mio interesse per la vostra specie. Tramite un contatto diretto, si possono condividere i ricordi posseduti con un altro essere vivente, ed è un'abilità innata derivante dalle vostre capacità di manipolazione della mente. Si racconta che le streghe si siano ispirate a voi per alcuni incantesimi che tutt'ora sono ancora in uso, ma sono solo leggende." Le sfuggì una risata eccitata. "Mi piace studiare, molto, e voi siete un vero e proprio mistero, il che ha solo... aggravato la mia passione per l'argomento." La sua espressione si tramutò in un sorriso ben più largo, mentre la curiosità divenne fascinazione.

Gli occhi le brillavano, quasi come se avesse ricevuto l'occasione perfetta per studiare un raro essere vivente. Cercò di frenarsi e mantenere la sua abituale compostezza, non riuscendo però più a celare l'emozione che taboccava come un bicchiere di cristallo ricolmo di vino.

Probabile che fosse uno dei motivi, se non il principale, per cui aveva accettato di stipulare il patto. Dopotutto non ero l'unico a volerne sapere più sulla sua specie: il sentimento era reciproco.

"Allora saprai come funziona, bene." Rivolsi il palmo nella sua direzione, aspettando che vi posasse sopra le dita.

Non mi andava molto a genio di condividere i miei ricordi con qualcuno ma, se fosse servito a sbrigare la faccenda il più velocemente possibile, di certo non avrei obiettato.

Tutto ciò che era inutile o troppo personale sarebbe stato escluso a priori, preferivo tenere fuori i particolari della mia vita privata.

Si accostò a me. "Non l'ho comunque mai provato di persona." Posò l'arto sul mio.

"Consolati, io non l'ho mai usato con una strega." Glielo strinsi con presa salda, forse anche troppo, ma non si mosse.

Il mondo attorno a noi iniziò a mutare in un vortice che fece sbiadire tutti i colori circostanti, mentre ogni cosa veniva risucchiata, lasciandoci nel bianco più puro. Poi, risalendo dal terreno come un liquido, i colori ritornarono, finché tutto non fu ricostruito in una diversa figura.

Ritrovandoci entrambi in quel giorno di tanti anni prima, riguardammo la scena dal mio punto di vista.

Era tutto come lo ricordavo, nessun dettaglio, nemmeno il più piccolo era fuori posto: il colore delle foglie, il rumore del vento, quella puzza insopportabile di arcano e le fitte di dolore del mio corpo, nulla mancava.

Lei guardò con attenzione, senza proferir parola, osservando in religioso silenzio, imprimendosi nella memoria ogni prezioso attimo.

La visione non durò a lungo, una decina minuti al massimo. Non c'era molto altro da raccontare su quel giorno, solo morte e oscurità.

Lasciai andare la sua mano, mentre ogni cosa ritornava al suo posto, lasciando che la realtà riprendesse la sua vera forma, concludendo quel contatto.

Scrutai un'ultima volta il viso di lei, perso in uno stato di profonda riflessione. La sua mente era altrove, rivolta a ciò che aveva visto nella visione.

"Io vado." Annunciai, dandole le spalle, pronto ad incamminarmi verso il varco da cui ero entrato.

"A presto! L'uscita è il secondo sigillo accanto alla porta di entrata, quello bianco, si vede poco normalmente, devi metterti in controluce, ma non puoi sbagliare. Toccalo e ti porterà fuori, è una scorciatoia!" Si apprestò ad avvisarmi lei dalla distanza, portando le mani ai lati della bocca per amplificare la sua voce. 

Voltai il viso un'ultima volta, la sua sagoma si era fatta piccola, ma potevo ancora scorgere bene i suoi capelli rossi e la veste del medesimo colore ondeggiare per la brezza.

Era strano che parlare con lei non mi avesse stancato più di tanto, data la mia palese introversione.

Sfiorai il simbolo che mi aveva descritto, sparendo dalla sua vista in un battito di ciglia, come lei sparì dalla mia.

Riapparii fuori, affacciandomi sul pontile del lago. L'aria gelata mi sferzò il viso, scuotendo le vesti, implacabile, mentre il rombo di un tuono riecheggiò potente nell'aria. Le burrascose onde del lago si abbattevano con forza contro il legno, producendo rumorosi scricchiolii. 

Grandi gocce di pioggia iniziarono a cadere fitte dal cielo, bagnandomi interamente i vestiti poco prima che potessi teletrasportarmi.

Ma lì, proprio mentre stavo per dirigermi a casa, vidi una figura nera tra le fronde scosse dalle raffiche impetuose.

Un fulmine cadde, facendo luce sull'intera area.

Non c'era nessuno.

Lo avevo solo immaginato.

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Capitolo 11
*** 9. Capitolo ***



Capitolo 9

“Legami fraterni.”

 
 
Attraversai la porta di casa, fradicio dalla testa ai piedi come un pulcino appena uscito dall’uovo. Grondavo acqua e umidità da tutti i pori, uno sguardo accigliato era dipinto sulla pelle bianca.

Scossi per un secondo il corpo, cercando come potevo di togliermi di dosso quella sensazione gelata.

Un chiacchiericcio lontano mi accolse sulla soglia, mentre il tepore delle luci accese e il morbido tappeto all’entrata mi facevano sentire il benvenuto, specialmente per la scritta rovinata su quest’ultimo. Tutte le giacche erano appese all’attaccapanni, segno che i miei fratelli erano finalmente tornati a casa. Non mi tolsi la mia, non ancora, preferivo farlo in camera.

Sentii la sonora voce di Offender provenire dal salotto narrare le sue gesta ad un Trender che, condiscendente, continuava a rispondere con brevi frasi alle sue esclamazioni.

Portai la mano al viso e mi diressi dall’altro lato, verso le scale.

Salii in tutta calma, diretto verso la mia camera per cambiarmi e rendermi decisamente più presentabile. Solo allora mi sarei messo alla ricerca di mio fratello minore.

Splendor avrebbe dovuto darmi delle spiegazioni convincenti. Ero deciso, senza risposte non avrei potuto rilassarmi nel mio letto. Nonostante la stanchezza delle mie carni, non l’avrebbe passata liscia.

Proprio in quegli istanti, per una coincidenza del fato o un bacio della fortuna, il suddetto apparve sulla soglia della sua camera, salutandomi con un gesto automatico, tutto mogio, completamente assorto nei suoi pensieri.

“Slender…” Accennò, inclinando leggermente la testa in avanti. Poi, come colpito da un’improvvisa realizzazione, si accorse di botto che ero davvero io, rizzandosi sulla schiena. I grossi occhi di un verde così scuro da parer quasi nero vennero presi dal nervosismo, allargandosi oltremisura, per poi schizzare veloci tra la mia figura e le sue mani ancora guantate nonostante il pigiama che stava indossando.

Sbattei velocemente le palpebre interne, osservando di rimando con sguardo interrogativo la sua silhouette, incrociando le braccia.

Tutti quei colori così accesi sui suoi vestiti mi confondevano il cervello. Perché doveva sempre assomigliare ad un arcobaleno che cammina?

Spostai l’attenzione sul suo viso, gli occhi calcati di nero, le guance dipinte di un leggero grigio assai differente dal solito rosa appena accennato: non doveva aver chiuso occhio, ne ero certo.

“Cosa ti è successo?!” Esclamò lui per primo, fissando i miei vestiti fradici.

“… nulla. Sono stato colto all’improvviso dalla pioggia ed ero troppo stanco per teletrasportarmi qui.” Minimizzai, spostando lo sguardo verso la finestra più vicina. La pioggia picchiettava ancora forte sui vetri. “Splendor, da quanto tempo è che non dormi esattamente?” Nonostante cercassi di mantenere un contegno esteriore, la preoccupazione al centro del petto crebbe.

Appena sentito il suono della mia voce, sobbalzò così tanto, che per qualche secondo credetti sarebbe saltato fuori dai suoi stessi vestiti.

Si ricompose con lentezza, a dir poco esausto, per poi strofinarsi la guancia. Nonostante tutto si reggeva ancora bene in piedi, segno che il potere assopito nel suo stesso animo non era da poco.

“Da non molto…” Incertezza aleggiava nella sua voce, mentre le sue stesse dita tiravano la manica della maglia per sistemarsi. “Una settimana e mezzo all’incirca.” Ammise poi, spostando lo sguardo dall’altro lato della stanza, evitando appositamente di guardarmi, nella speranza, forse, che sarei sparito di botto se non fossi rimasto nel suo campo visivo.

“Ah…” Un suono afono involontario lasciò le mie corde vocali, prima che quelle parole mi colpissero in pieno viso. Potrei dire quasi letteralmente tanto la cosa mi scioccò.
“Non dormi da una settimana e mezzo?!” Sbottai, le poche energie rimaste mi risalirono su, sotto forma di sangue nero che mi andava diritto al cervello.

Lui rimase in silenzio.

“Qual è il motivo?” Chiesi, la mia voce decisamente più bassa di un tono, sebbene ancora ferma.

Nessuna risposta arrivò.

Quella pausa riportò alla memoria ciò che era stato sepolto sotto gli avvenimenti recenti. Un piccolo, ma vitale, particolare ritrovò la strada che conduceva ai miei pensieri.

“In più, sono venuto a conoscenza di un certo cellulare di cui nessuno mi aveva mai parlato prima.” Portai le mani ai fianchi, più per reggermi da solo che per assumere una posa autoritaria.

Lui, intimorito, indietreggiò di un passo, mettendo le mani innanzi. Gocce d’acqua fredda gli imperlavano la fronte prima asciutta.
“P-posso spiegare!” Esclamò nel frattanto che i suoi palmi guantati si agitavano con veemenza, mantenendo tale lo spazio che ci separava.

“È quello che io spero tu faccia.” Controbattei con la gola inusualmente arsa per essere bagnato dalla testa ai piedi.

Si morse nervosamente un labbro per poi sussurrare piano, rispondendo alla prima domanda. “Sono i soliti incubi che non mi fanno dormire.”

Una fitta mi prese il cuore. Più preoccupato di prima, mi avvicinai ulteriormente a lui. “Saresti potuto venire da me… avrei cercato un modo per aiutarti, Splendor. Perché non l’hai fatto? Sono tuo fratello maggiore dopotutto.”

Chiuse gli occhi, facendo una breve pausa che mi parve durare anche troppo. “Hai già tanto a cui pensare, fratello, non volevo metterti altri pesi sulle spalle e poi, per quanto riguarda il telefono… volevo poter rimanere in contatto con Trender senza dovermi preoccupare di doverlo cercare per delle ore ogni volta che ho bisogno di lui. E’ conveniente poter usare un cellulare dalla distanza e non si impiega la stessa quantità di energie.” Dichiarò poi lui, schiudendo le palpebre per poi abbassare nuovamente lo sguardo.

“Ma allora perché non me l’hai detto?” Domandai, rilassando le lunghe braccia sui fianchi.

Altri quattro occhi si unirono nel frattempo, fissando la scena dal piano di sotto.

“Perché sei un palo in-!” Provò a dire Offender dal basso, ma la pronta mano di Trender provvide a tappargli la bocca prima che potesse finire la frase.

Alzai gli occhi al cielo: come sempre origliare era il loro hobby preferito.

Splendor fissò con sguardo stupefatto Offender, per poi schiarirsi la gola e riprendere il discorso, cercando di ignorare ciò che lo aveva appena interrotto.

“Perché avevo paura ti saresti sentito escluso se avessi saputo…” Confessò infine, prendendo a tirare nervosamente le punte dei guanti, senza però mai toglierli.

Regnò nuovamente il silenzio più totale. Perfino le proteste soffocate di Offender, che stava lottando con Trender per poter dire la sua al piano di sotto, si erano zittite.

Splendor, vedendomi così quieto, aprì la bocca, emettendo un sommesso balbettio che poi si trasformò in parole. “M-mi dispiace.” Chinò ulteriormente il capo.

Sospirai, portando la mano al viso. “Va bene, per questa volta. Se me lo avessi detto prima, però, sarebbe stato meglio.” Il suo viso si illuminò, come rasserenato dalle mie parole. Tuttavia, non avevo ancora concluso il discorso. “Ma sia meglio che un’evenienza simile non si ripeta più in futuro. Ho bisogno di sapere ciò che fate.” Rivolsi lo sguardo agli altri due. “La cosa vale anche per voi ficcanaso!” Alzai la voce con tono severo per farmi sentire, facendo sobbalzare Offender. Trender, invece, rimase totalmente indifferente, aggiustandosi gli occhiali con un viticcio.

Riportai l’attenzione al fratello che avevo davanti, avvicinandomi, per poi posare con calma la mano sulla sua spalla. “Non voglio che corriate dei rischi inutili, specialmente quando ne sono all’oscuro. Senza sapere, non posso aiutarvi.” Conclusi, ammorbidendo la voce, guardandolo diritto negli occhi.

L’espressione di lui mutò in uno stanco sorriso, sussurrando a mezza voce un “grazie”.

Poi, portando la mano nella tasca della giacca, annunciai: “Ho trovato qualcuno che potrà aiutarci mentre ero fuori, quindi vi pregherei di prepararvi come si deve e riposarvi per bene prima di incontrarla. Io farò lo stesso. Sarò diretto, vorrei che deste il meglio di voi, quindi cercate di…” Feci una pausa, passando lo sguardo tra i tre, per poi guardare in basso con una certa rassegnazione. Ci sarebbe voluto un miracolo per non far scappare via a gambe levate la rossa. Era un po’ come chiedere la luna, ma parte di me sperava vivamente che sarebbe accaduto un miracolo. Gli ostacoli non erano ancora finiti. “…non comportarvi come fate di solito. Trender mi farà il grande favore di spiegarvi come è iniziata l’intera faccenda, visto che sono esausto. Appena mi sentirò abbastanza riposato, vi racconterò il resto.”

“Incontrarla? E’ una donna per caso?” Offender alzò la testa, allungando il collo nella mia direzione, finalmente libero dalla presa di Trender che lamentava una probabile sgualcitura del suo prezioso maglione. Il suo livello di interesse si era alzato di botto.

E ti pareva.

“Si, una strega per la precisione, bisogna stare attent-“  Prima che potessi finire il periodo, lui iniziò a tempestarmi di domande, una dopo l’altra, a velocità inaudita.

“Com’è? E’ sexy? Corporatura? Come ha il seno? Di che forma ha il sedere? E’ tipa da stare sotto o sopra?” Attraversò le scale in poche falcate, raggiungendomi di botto, fermandosi a due passi da me.

La vera domanda è… come è possibile che siamo imparentati? E’ più assetato di una pianta grassa nel deserto.

Splendor portò una mano al viso, desiderando sparire in quell’esatto istante, un parere con cui concordavo alla perfezione.

“Non è qui per questo, Offender. Ho fatto un patto di sangue con lei, le ho promesso che non le avremmo torto un capello se ci avesse aiutato e vorrei che, almeno per questa volta, non provassi ad infastidirla. Anzi, non devi proprio.” Sottolineai con sguardo penetrante, incrociando le braccia sul petto.

“No, certamente.” Controbatté lui, sul suo volto un’espressione senza sorriso, bizzarramente seria, cosa che non gli si addiceva per niente visto il suo carattere. “Dopotutto non è fastidio, se lei lo vuole.” Un grosso ghigno si fece largo tra le sue labbra.

Una leggera fitta mi attraversò il petto.

Portai la mano al viso, troppo esausto per avere a che fare con la sua evidente testardaggine.

Trender si fece velocemente avanti, afferrando il fratello ghignante per le spalle con le mani ferme. “Vi spiegherò tutto io, fratellini, ora lasciate in pace Slender, che dovrebbe andare a riposarsi. Quando avrà finito, andremo a trovare questa persona, non è vero, Slendy?” Mi fece l’occhiolino, il che per una persona comune era quasi impercettibile. Aveva qualcosa in mente in questi ultimi tempi, me lo sentivo nelle ossa. Normalmente era spesso concentrato sul suo lavoro o sui suoi hobby, quindi mi pareva strano che non si fosse ancora dileguato per progettare nuovi abiti o per giocare a qualche nuovo videogioco in santa pace, lontano dalle mie interferenze.

Alzai un sopracciglio e poi emisi un “si” assai secco. Prendendo in conto la mia risposta, Trender tirò via il fratello e afferrò l’altro per il polso con un viticcio libero che sbucava da sotto la sua camicia, conducendoli entrambi verso il salotto.

“Allora, la prima cosa che posso sentire di dover dichiarare è che lei ha decisamente bisogno di un cambio di vestiti!” Dichiarò Trender con voce pomposa.

“Mhmm… e chi non ne avrebbe secondo la tua opinione?” Domandò scettico il povero Splendor, mezzo addormentato mentre veniva portato via.

“Posso aiutare se volete.” Controbatté Offender, mostrando la punta della lingua nel frattanto che le sue guance si dipingevano di un colore ben più scuro.

“NO!” Esclamarono gli altri due all’unisono.

Si sentì un sonoro sbuffo seguito da un “non siete divertenti voi” prima che mi addentrassi nella mia stanza.

Non cambieranno mai.

Dalle tapparelle completamente abbassate filtravano solo dei radi fasci di luce lunare, illuminando appena i mobili all’interno della camera. Premetti l’interruttore della lampada sul comodino, facendo scattare la lampadina, per poi richiudere la porta con uno dei miei spessi filamenti neri.

Era tutto come lo avevo lasciato, ogni cosa al suo posto, a prova del fatto che nessuno fosse entrato a curiosare mentre ero via. Detestavo che si ficcanasasse tra le mie cose e avevo le mie precauzioni per contrastare questa tendenza.

Mi accomodai sul letto, sciogliendo i lacci, per poi sfilarmi le scarpe. Mettendomi comodo, infilai il solito vecchio paio di pantofole azzurro chiaro nel frattanto che mi levavo la giacca di dosso con dei movimenti fluidi.

Alzai quest’ultima per guardarla meglio: per come era ridotta, mi sarebbe toccato stirarla per l’ennesima volta. Non che mi dispiacesse, era in un certo modo rilassante, credo.

Mentre frugavo nelle tasche per controllare che vi fosse rimasto dentro qualcosa, notai un’anomala presenza nel taschino.
Una piccola punta di stoffa azzurra faceva capolino all’estremità superiore, creando un rigonfiamento appena percettibile nell’intera cavità. L’afferrai velocemente, tirando fuori un fazzoletto che non mi apparteneva.

Da dove arriva questo?

Riflettei, spalancando le palpebre, confuso da quello strano oggetto nella mia giacca. Lo avvicinai al viso, annusandolo una sola volta per cercare di capire di chi fosse dall’odore.

Il profumo mi era familiare, delicato e ammaliante, in un certo senso.

Poi, come un fulmine a ciel sereno, rimembrai.

La strega… sei il fazzoletto che mi ha dato per ripulirmi.

E infatti, mentre quei recenti ricordi ritornavano veloci a galla, notai la macchia nera di fuliggine che vi era al suo centro, aprendolo nella sua interezza.

Per la fretta mi ero scordato di riconsegnarglielo e lo avevo portato con me, infilandolo con un gesto automatico nel taschino.

Rimasi fermo a fissarlo, come immobilizzato.

Quell’odore così dolce, a tratti quasi sensuale… mi attirava a se come un’ammaliante melodia sconosciuta.

Colto da uno scatto improvviso, aprii il cassetto del comodino, buttandocelo all’interno, per poi richiuderlo in tutta fretta.
Qualunque fosse il motivo per cui mi provocava quell’effetto misterioso, non potevo certo permettermi che mi ottenebrasse il cervello.

Tolsi il resto dei vestiti, recandomi nel mio bagno personale. I viticci, lavorando simultaneamente, afferrarono tutto l’occorrente che mi sarebbe servito per farmi una doccia, mentre io giravo la manopola rossa con una mano. Quel gelo nelle ossa era diventato più insopportabile del solito, sentendo un improvviso bisogno di calore.

Dovetti fare più di uno sforzo per non pensare, infilandomi sotto il getto d’acqua con naturalezza.

Purtroppo però la mia mente non era d’accordo.

Per quanto provassi a reprimermi, un eco riecheggiava nei meandri dei miei pensieri, strisciando in superficie.

Glielo restituirò alla prima occasione che mi capiterà.

Mi ritrovai a pensare, mentre un viticcio si accostava al viso con la spugna completamente insaponata stretta tra le sue spire, porgendomela con garbo. L’afferrai, strofinando distrattamente le braccia e il petto per lavare via quelle bizzarre sensazioni senza senso.

Ma forse… non sarebbe molto garbato restituirglielo con quella macchia nera.

Riposi la spugna al suo posto dopo averla strizzata con forza, alzando il viso in direzione dell’erogatore.

E poi ha bisogno di una bella stirata, è tutto sgualcito.

Recai la mano al mento, perdendomi in quell’attimo di riflessione, nel frattanto che le mie dita sfioravano i lati della mascella.

Fui colto da un dubbio.

Forse non dovrei preoccuparmene così tanto. Non è nemmeno mio.

L’acqua scorreva ancora calma sulla pelle, confortando le mie membra esauste, finché non la richiusi.

Mi infilai in fretta nell’accappatoio blu, lasciando che l’interno mi avvolgesse con la sua morbidezza. Non ci volle molto affinché mi asciugassi completamente, solo pochi minuti, per poi rivestirmi con il pigiama grigio invernale che avevo nel cassetto e spegnere la luce della lampada con un viticcio.

Il tutto finì con la mia faccia premuta contro il grosso cuscino che emise un sordo “tunf” quando si scontrò con essa.

Strisciai sotto le coperte, avvolgendomi in esse alla ricerca di un piacevole tepore che non potevano ancora darmi.

Quei lunghi attimi di silenzio vennero interrotti da un leggero verso annoiato che aveva abbandonato le mie labbra. Il tempo sembrava essersi fermato.

“Mhh.” Mi lamentai, rigirandomi dall’altro lato. Le dita tastarono nervosamente la stoffa delle lenzuola, afferrandone successivamente un lembo per poi stringerlo con forza.

Perché questo cuscino deve essere così duro?!

Avrei dovuto cambiarlo prima, ma avevo finito per rimandare la cosa per troppo tempo. Ora, proprio quando ne avevo più bisogno, questa mia mancanza mi si stava ritorcendo contro.

Iniziai a vagare con il pensiero, la mente bizzarramente sveglia tutto d’un tratto, mentre il corpo rispondeva a malapena agli stimoli, tanto era stanco.

Forse sarebbe carino prendere qualcosa anche ai miei fratelli.

Anche nelle tenebre, riuscivo a vedere bene i contorni della stanza, spostando involontariamente lo sguardo al primo cassetto del comodino. Chissà come sarebbe andata quell’intera faccenda.

E con mille interrogativi, mi addormentai, abbandonandomi al mondo dei sogni. Lì, dove tutto era possibile.

Mentre invece, nella realtà, la pioggia non accennava a diminuire.
 
 
 
L’angolo di Lux è tornato:

E son in ritardo, nuovamente.

Dannazione a me! xD

Ci tengo a chiarire una cosa breve ed importante: ci vorrà tempo affinché la trama romantica arrivi ad un certo punto. Slender, il mio almeno, non è un personaggio facile da conquistare e soprattutto ha delle caratteristiche che si possono attribuire al genere umano. Lui è un mostro, si, ma un mostro che può essere compreso.

Questo racconto è letteralmente un AU (Alternate Universe - Universo Alternativo) creato da me di cui sto ancora decidendo il nome.
 

(Attualmente penso che SlenderMythos sarebbe un sacco figo, ma non sono sicura che sia adatto.)

Dopo aver detto ciò, spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Finalmente gli altri due si sono fatti vedere. xD

Il nostro protagonista avrà bisogno di farsi una bella dormita, specialmente perché poi non ci sarà più tempo per riposare.

Spero rimarrete con me per il prossimo capitolo. ;D

Lux

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Capitolo 12
*** 10. Capitolo ***



Capitolo 10

"L'altra metà."

 

Il battente rumore dell'acqua risuonava nelle tenebre, picchiettando contro i vetri oscurati, scrosciante in quegli attimi di eterna quiete. Ben presto si tramutò in un suono indistinto tra le ombre della notte.

Un pensiero, acuto come una spina, si infilò nella mente catturata dal sonno, ultimo sprazzo di una lucidità che si andava perdendo.

C'era qualcuno tra gli alberi. Era lì, ma allo stesso tempo non c'era.

Un miraggio? Forse. Sarebbe stato molto più semplice.

La coscienza mi parlava ancora, un delicato sussurro nelle tenebre, agitandosi invano prima che ogni cosa si tramutasse in silenzio impenetrabile.

Il buio mi aveva sempre dato pace.

Nascosto tra le ombre di qualche grande albero proteso verso il cielo, osservavo ciò che era lontano da me, guardando il mondo che viveva al di fuori di quella profonda coltre nera.

Poi, l'illusione di un vento fresco sfiorò con lentezza la pelle della mia guancia bianca.

Strano.

"Da quanto ha smesso di piovere? Sto dormendo?"

Mi si schiarì la vista, scorgendo all'improvviso un cielo pomeridiano incorniciato dalle fronde rosse degli alberi.

Il paesaggio mi era familiare, forse parte di un ricordo dei giorni appena passati.

Ogni cosa però, persino i cespugli, sembrava stranamente più alta di quanto rimembrassi.

Mi accomodai, tirandomi su con la forza delle mani premute al suolo erboso.

Le maniche della giacca scivolarono pesanti, ricoprendo fin troppo abbondantemente i palmi. La loro lunghezza era inusuale.

Mentre stavo rivolgendo le mie attenzioni a quell'evento singolare, cercando di tirar su la stoffa che continuava a ricadere molle, sistemandola al meglio delle mie possibilità, notai una figura nascosta tra la boscaglia.

Si spostava alle mie spalle, una macchia sfocata nella visione periferica, rimanendo fuori dalla mia portata. Una sensazione gelida si fece strada su per la schiena.

Non sembrava intenzionata ad uscire allo scoperto, osservando la mia figura con insistenza, i suoi occhi puntati fissi al mio collo con uno sguardo penetrante carico di avversione.

Per istinto, balzai in piedi.

Girando la testa nella sua direzione, riuscii a scorgere appena la sua figura che scattava verso di me. Una lunga mantella cremisi rovinata dal tempo e strappata in più punti l'avvolgeva quasi per intero e la poca pelle che si distingueva da quella massa era di un bianco spettrale. Le mani, ben più scure, ricordavano la corteccia di un albero.

Mi passò accanto, veloce come un fulmine, per poi svanire tra i tronchi degli alberi vicini.

Aveva deviato la traiettoria all'ultimo secondo.

La sua presenza, ancora viva e palpabile, mi fissava da un nascondiglio che non riuscivo a localizzare con precisione. Era come se si fosse trasformata in una nuvola di fumo, la sua energia sparsa tra la radura.

Una sensazione bagnata mi attraversò la guancia. E, con essa, arrivò il dolore: pungente e affilato, come lame che si conficcano nella carne viva.

Congelando per istinto ogni muscolo, il respiro si fece corto, incassando il collo nelle spalle per nascondere i punti vitali all'aggressore, incurvandomi leggermente in avanti, pronto al contrattacco.

Il mondo attorno si era come zittito, galleggiando in un tempo che rallentava ad ogni battito. Occhi e orecchie alla ricerca di un movimento o un suono rivelatore.

Rimbombando assordanti nella testa, il battiti accelerati del mio cuore spezzavano il pesante silenzio.

Ogni cosa immobile, ferma in posa nella tensione dell'attimo, attendendo il momento giusto per poter respirare ancora.

Cercavo con i sensi, disperato, un eco, un movimento, qualcosa che potesse permettermi di ritrovarla.

Poi, un tonfo sordo.

E la sua presenza si dissolse.

Sobbalzai, indietreggiando per ottenere vantaggio sull'aggressore e la possibilità di osservare i suoi movimenti da una distanza di sicurezza.

Il suono provenne da dove era apparsa la prima volta.

Teso come una corda di violino, i viticci mi circondarono, tentando di offrire una difesa ad ogni angolo cieco. Ma, con mio grande stupore, lasciarono molto spazio scoperto.

Non riuscivano a raggiungere la loro estensione solita, rimanendo bloccati ad un terzo della strada.

Troppo corti per contrattaccare o colpire l'origine del suono che mi si parava davanti, li ritirai ai miei fianchi.

"Tra tutte le situazioni possibili in cui mi sarei potuto andare ad infilare... " Strinsi i denti, per poi realizzare ciò che avevo davanti. Le mie braccia ricaddero pesanti ai lati del corpo.

Qualcuno, una bambina per essere precisi, di dodici anni al massimo, era finita di faccia a terra proprio a pochi passi da me.

Una bambina, una semplice bambina.

Quella fredda sensazione si tramutò e le sopracciglia invisibili si alzarono, indietreggiando con il busto.

Un mare di capelli rossi si era sparso al suolo, circondando la sua figura, fin troppo lunghi per il suo corpo esile. La pelle aveva una colorazione estremamente pallida con tinte a tratti rosate sulle giunture.

Emise un verso di disappunto, cercando di mettersi seduta, ma venne tirata indietro, ritornando alla posizione di partenza. I suoi sforzi resi vani da dei filamenti scuri che le avvolgevano gli arti inferiori con una forte stretta. Le gambe ricoperte da macchie rossastre e violacee erano scosse da dei tremiti.

Dei rovi le si erano conficcati nella carne, rovinando anche parte del suo lungo vestito nero e bianco. Calzava scarpe di due modelli differenti, una più vecchia dell'altra.

Nonostante i muscoli le si contraessero a causa del dolore, dalle sue labbra non sfuggì un lamento.

Quelle macchie erano di sangue.

Alcune ben più vecchie e rinsecchite, altre decisamente più recenti a causa delle spine. La forte stretta delle piante aveva creato dei profondi solchi nella pelle candida.

Lottava per cercare di liberarsi, facendo pressione con le dita lacerate in vari punti a causa dei suoi stessi sforzi. Più cercava di avanzare verso di me, più la presa dei rovi le faceva male.

In quell'incubo non ero solo.

Non poteva essere la creatura di prima, era fin troppo debole e umana. Le loro energie erano completamente differenti.

Nonostante questo, i miei sensi rimasero vigili e le spalle tese. Non mi sarei fatto cogliere impreparato.

I suoi grandi occhi cerchiati di nero incrociarono i miei, emettendo un leggero sospiro frustrato dalla piccola bocca screpolata. Avevano un colore familiare, ricordando un tramonto dalle sfumature gialle e arancioni.

Non era la prima volta che li incrociavo, ne ero sicuro.

"Dove li ho già visti?"

Sentivo di conoscerla ma, per qualche motivo, non riuscivo a riportare a galla i ricordi.

"Slender... " Sussurrò la sua voce affaticata, pronunciando il mio nome come se fosse stata la prima volta. Si distese a pancia all'aria, stremata per lo sforzo. I suoi occhi si strinsero, concentrandosi su qualcosa che io non potevo vedere, per poi venire illuminati da una luce improvvisa. "E' quello il tuo nome. Ora ricordo!"

Provai di nuovo a cercare nel fiume di memorie, ma la coltre che lo annebbiava era fin troppo spessa affinché l'attraversassi.

"Chi sei tu?" Mi avvicinai guardingo di pochi centimetri, incrociando le braccia, per poi rimanere fermo ad osservarla agitarsi ancora dalla mia altezza.

Spalancando le palpebre, non allontanò lo sguardo da me per un secondo, cercando almeno di stare seduta contro il tronco dell'albero accanto a lei.

"Allora anche tu hai dimenticato qualcosa quando sei entrato. Certo, ci siamo conosciuti di recente, ma pensavo che gli slender fossero molto più resistenti. E'... curioso." Rivolse le sue attenzioni alle sue gambe, osservando le ferite per tutta la lunghezza, passandoci sopra le dita.

Tirò su un altro sospiro. "Fortuna che queste non faranno più male appena mi sveglierò." Sorrise mestamente, una certa ironia aleggiava nella sua voce.

"Siamo in un sogno quindi?" Recando la mano sul mento, i miei occhi si incantarono a fissare il suolo alla mia sinistra.

Questo spiegava molte cose: il mio improvviso rimpicciolimento per esempio.

La rinnovata consapevolezza portò tante altre domande con se.

Era anche lei parte della finzione prodotta dalla mia psiche? O era una specie di sogno condiviso? Mi sembrava anche fin troppo consapevole, specialmente osservando le sue movenze, per essere solo una semplice illusione.

E poi perché così?

Con capelli e occhi di quel colore così specifico?

E specialmente perché quei rovi avvinghiati ai suoi arti inferiori?

Ad essere sinceri il reame dei sogni non aveva mai avuto molto senso: era solo un'accozzaglia di frammenti messi a caso che si riunivano caoticamente per creare qualcosa di nuovo da vecchie immagini e concetti.

Non doveva per forza avere un senso logico, anche se poteva nascondere un certo significato inconscio, mostrando lati repressi di una persona.

Lei alzò la testa verso di me, lo sguardo rischiarito, ergendosi piano contro la superficie dell'albero. Si aggrappò ad un ramo al suo livello per rimanere in piedi sulle gambe malferme.

"Si, lo siamo." Mi sorrise. "Il mio nome è Aliaga, colei con cui hai stretto il patto indissolubile. Piacere di incontrarti nuovamente, Slender."

Come d'incanto, quelle parole illuminarono la nebbia che mi avvolgeva, liberandomi dall'incantesimo che impediva ai miei ricordi di riemergere. Una linea rossa di un colore sanguigno era apparsa sul mio palmo. Lo stesso segno era sulla mano della bimba che me lo stava mostrando con fatica.

La sua identità mi fu immediatamente chiara: la strega rossa.

Molto più piccina, ma era lei.

Le poche battute che ci eravamo scambiati e il patto di sangue che era stato stretto tra le nostre anime riaffiorarono con forza, faro di ciò che era stato momentaneamente dimenticato.

Portai la mano alla fronte, colto alla sprovvista dai ricordi venuti a galla.

"... cos'è questa stregoneria?" Mi avvicinai a lei, la mano ancora sul viso, allungando i miei corti viticci per spezzare i rovi che la imprigionavano.

"Ciò che hai appena detto." Rispose brevemente, accostandosi, per poi allungare la manica della mia camicia fino a farla uscire fuori. Anche in quel sogno il suo profumo era lo stesso, solo molto più flebile. "Se vorrai scusarmi, questa serve a me." E ne strappò un bel pezzo con forza, risiedendosi al suolo, adesso libera e con parte della mia manica tra le dita.

Era diventata tutto ad un tratto molto più audace, il che mi lasciò inizialmente sbigottito, poi alquanto irritato da quel suo tocco non richiesto, incrociando le braccia, allontanandomi da lei di qualche passo.

"Sappi che era la mia camicia preferita e, cosa più importante, non mi piace che si tocchi me o le mie cose. Farai meglio a tenerlo a mente." Dichiarai contrariato, guardandomi intorno per controllare che quella cosa non fosse nei paraggi, pronta a prendere di sorpresa entrambi.

"Non preoccuparti. Non è successo nulla alla vera camicia, in più ho fatto attenzione a non sfiorare nemmeno un lembo di pelle." Ribatté senza nessuna particolare inflessione della voce, come se niente fosse accaduto, rigirandosi il tessuto tra le dita.

Divise il pezzo di stoffa in due parti e iniziò a fasciarsi con scioltezza le gambe al meglio che poteva, rimettendosi poi su due piedi anche se le fitte di dolore ancora le attraversavano il corpo, facendola piegare leggermente in avanti. La stavano sicuramente divorando dall'interno.

"Se mi stai mentendo... " Rimasi accigliato, rivolgendole un'occhiata di sfuggita.

Mi chiesi se fosse stata capace di leggere le mie espressioni. Poteva vederlo che ero alquanto contrariato dalla cosa? Almeno, fuori dal sogno sembrava capace. Ma qui? Quella era una bella domanda.

"No, non sto mentendo." Alzò lo sguardo, tenendolo fisso per pochi secondi. Era come se i suoi occhi stessero bruciando tanto era intenso. "E poi, si nota che non ti piacciono gli estranei, né il contatto con loro. Non ti biasimo. Ci vuole tempo e fatica per potersi fidare davvero di qualcuno e bastano pochi attimi per distruggere tutto. Ironico, non credi?" Posò la mano sul tronco, cercando di spostarsi ad un altro con le gambe che reggevano a malapena il suo stesso peso.

"Dopotutto, in una vita costantemente in bilico," una risata le sfuggì dalle labbra quando rischiò di cadere a terra, "si fa sempre ciò che è in nostro potere per proteggere quelle poche cose che si ritengono davvero importanti. Ti sei esposto per la foresta che ti è cara. Farò in modo che tu possa fidarti di me, questa è una promessa." La fiamma nelle sue pupille era viva più che mai.

"Le parole solo belle, ma prive di valore. Non senza i fatti. Dimostramelo e io ti offrirò la fiducia che cerchi. Ma sappi che non sarà una semplice passeggiatina al parco." Ricambiai lo sguardo, abbassandomi al suo livello, offrendole un viticcio per impedirle di cadere ancora, immobile come una statua, mentre lei mi ringraziò silenziosamente per l'aiuto con un cenno della testa.

"Ne sono consapevole." Portò la mano al petto, rovinando il vestito in quel punto con le dita sporche di terra. "E sono disposta a lottare per questo. Il nostro patto sarà portato a termine." Si appoggiò al viticcio mentre quello la sorreggeva per le spalle, mostrando una decisione che mai avevo visto negli occhi di un umano prima.

Riprese a camminare, zoppicante, avvicinandosi.

"Bene. Adesso, hai idea di che cosa stia accadendo qui?" Incrociai le braccia, conducendola un po' più vicina a me per tenerla sott'occhio. In quello stato non era in grado di combattere, toccava a me proteggerla da quella creatura, non avevo scelta.

A proposito, dov'era finita lei? Era come svanita nel nulla.

Lo sguardo di Aliaga incrociò il mio, fermandosi a pochi passi da me, per rivolgersi poi nella direzione in cui stavo guardando, abbassando gli occhi qualche secondo dopo.

"C'è una sola spiegazione logica. E' stato il suo potere a renderci di nuovo bambini nel sogno." Rivolsi il viso verso il suo, alzando un sopracciglio. Lei lesse velocemente la mia domanda silente, sentendo i miei occhi su di lei. Ricambiò, continuando il discorso.

"La creatura che ti ha attaccato. Lei è la vera essenza del potere di una strega. La parte più recondita della nostra anima, fatta di istinto primordiale. Magia pura in sintesi. Che tu non ne sappia nulla non mi sorprende, le streghe della Luna Argentata non condividono i loro segreti con il resto del mondo e questo pezzo della nostra psiche viene raramente a galla come entità dalla volontà propria. In nome del nostro legame, ti domando di non far parola con nessuno di tutta la conoscenza che ti verrà passata in questo periodo. Finché il nostro sangue sarà unito, ti permetterò di sapere."

Fece una pausa, fermandosi completamente. C'era una punta strana nella sua voce, come un monito sottinteso a non violare quella richiesta, mentre i suoi occhi mi fissavano intensamente.

"Non uscirà una parola dalla mia bocca, strega. Di questo ne puoi essere certa. Immagino che tu non abbia potuto dirmelo prima a causa di questa Luna Argentata. Le superiori di cui parlavi nella tua lettera appartengono a questa congrega?" Rilassò le braccia lungo il corpo, rasserenandosi.

"Si, hai indovinato. Sono state loro a mandarmi... per bontà del loro cuore." Il suo viso si contorse in una smorfia che non provò nemmeno a nascondere.

Alzai il sopracciglio. "Ti stanno molto simpatiche, non è vero?"

"Oh si, moltissimo! Un affetto completamente reciprocato." Posò le mani sui fianchi con la voce carica di ironia, facendo schioccare le labbra per poi riprendere a camminare.

Coprii la bocca con la mano, per nasconderne i lati che si erano inarcati e fortunatamente non notò il mio gesto.

Avanzai, standole dietro per non perderla di vista.

Rivolse lo sguardo alla boscaglia, rallentando sempre di più per le ferite mentre apriva la strada. "Questa è una cosa nuova anche per me comunque... lei intendo... l'ho scoperta solo da poco tempo e ho ancora tanto da imparare." La sua voce si rifece seria, abbassando lo sguardo, stringendo piano una parte della sua gonna con le dita.

Si schiarì la gola, spostando la sua faccia nella mia direzione. "Quel che so è che lei di solito vive negli specchi, mangia di rado e può controllare i sogni delle persone che sceglie, riplasmandoli a suo favore per privarle di ciò che le rende forti. Ma non può uccidere attraverso la dimensione onirica, solo indebolire... mi dispiace, per il taglio che ti ha fatto sul viso." Si fermò, abbassando le spalle con rammarico, rivolgendo gli occhi alla ferita sulla mia guancia che aveva appena smesso di sanguinare e si stava riparando da sola. Voleva toccarla, ma ritrasse la mano. Adesso che lo notavo, aveva la stessa identica ferita nello stesso posto. "Avrei dovuto informarla per tempo del patto. Avrà pensato a te come ad un nemico..."

"Non è nulla." Tagliai corto, sentendo un'anomala sensazione di disagio al centro del petto, alzando istintivamente le spalle. "E' già guarito." Sfiorai il punto con i polpastrelli.

Sulle sue labbra si accennò un sorriso che durò poco, lasciando andare la veste mentre le sue dita si rilassavano. "Adesso dovremo solo-"

Poi un suono.

Acuto e penetrante come il grido di un grosso uccello ferito, spaccò il silenzio in due, mentre gli animali della foresta si svegliavano uno ad uno di soprassalto e gli stormi di uccelli si alzavano in volo presi dal terrore. Tutto fin troppo reale per essere in un sogno.

Un'energia oscura, nera come una notte senza stelle, era apparsa a molti metri di distanza da noi.

Aliaga cadde in ginocchio, tenendo le mani premute ai lati della testa, colta da un improvviso spasmo di dolore. Delle piccole rune luminose comparvero sulle sue braccia, risplendendo di una luce rossa.

Raggiunsi il suo fianco in pochi attimi, afferrandola saldamente con i viticci per le spalle. I miei occhi scansionarono l'area attorno a noi per controllare se ci fossero nemici nei paraggi, ma non c'era nessuno.

Solo una sensazione, un'orribile sensazione, che mi fece gelare le vene.

Non aveva nessuna nuova ferita visibile sul suo corpo, doveva venire dall'interno.

Le labbra le si schiusero a fatica, respirando affannosamente, mentre le sue mani strinsero forte la presa sui capelli. "Devi raggiungere il centro del sogno per uscirne... agh! Immediatamente! I tuoi fratelli... sono in pericolo!" Le spalle le tremavano a scatti, facendo uno sforzo enorme per parlare, ma non si fermò.

"E' l'altare, non è vero?!" Preso dall'attimo, misi la mano sul suo mento e lo tirai su per costringerla a guardarmi. I battiti accelerarono, rimbombando con forza nelle orecchie.

Un disegno si illuminò al suolo attorno al corpo della donna, attivando una cupola luminosa rossa intorno all'intera foresta, proteggendo le piante dal tocco nefasto di quelle tenebre incontrollate che stavano iniziando a diffondersi.

Fece si con la testa. "E' una maledizione... sono riuscita a mettere delle barriere protettive in questi giorni... ma non so per quanto ancora reggeranno. Lui... argh... la persona del tuo ricordo...è qui. Il lago, quello dove siamo stati pochi giorni fa... anf... è lì che si trova la via di fuga." Nonostante gli spasmi, si sforzò per cercare di stare dritta su due gambe, ma la bloccai. "Lei sta cercando di proteggerli! Devi andare, non preoccuparti, non mi accadrà nulla! Dopotutto questo incubo è solo mio, mi risveglierò appena sarai fuori."

L'energia oscura trapassò in un lampo il cielo in lontananza. Le nuvole divennero nere, coprendo ogni raggio, mentre i suoi filamenti iniziarono a premere contro la barriera, spingendo con forza per crearsi un passaggio.

"..." I nostri occhi si incrociarono.

Un fantasma del passato affiorò funesto.

"Slender, va! Ti rallenterei soltanto!" Tremante, la donna si appoggiò al suolo sulla spalla, rannicchiandosi parzialmente su se stessa, mentre una figura bianca dai capelli neri che tendeva la sua mano verso di me si sovrappose alla rossa.

"Perchè?!"

"Andrà tutto bene... te lo prometto." Sorrise materna l'apparizione.

"Perché questo ricordo proprio adesso?!?"

Mi alzai veloce, senza guardarmi indietro, correndo verso la direzione che mi era stata indicata.

Era diverso.

Non era lei.

Non lo sarebbe mai stata.

Raggiunsi il lago in pochi minuti.

Il fiato iniziava a mancare nei polmoni, respirando profondamente ad ogni passo. Sentivo i muscoli contrarsi per lo sforzo, dolendo in più punti.

Quel corpo di bambino, così fragile, era soltanto un peso, un terribile peso che avevo dovuto portare per troppo tempo.

Sfiorai il confine che separava l'acqua dal suolo asciutto.

Il mondo attorno svanì ed ogni cosa cadde nelle tenebre. Il suono in lontananza del temporale che rombava forte mi costrinse ad aprire gli occhi, mettendomi seduto con quel senso di impotenza che mi stringeva ancora il petto nella sua morsa.

Ero nella mia stanza ma, sebbene la foresta fosse sparita, quell'energia oscura c'era ancora e con lei quella del suo portatore.

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