Uragano

di DeaPotteriana
(/viewuser.php?uid=118634)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1
 

Nessun mostro mi aveva mai prestato attenzione. Fu per questo che per tutta la mia vita ignorai di essere una semidea. Pensavo di essere una ragazza un po' sfortunata, forse, ma nel complesso abbastanza normale.

Fu una gioia scoprire di essermi sbagliata per quindici anni, sì. 

Una vera gioia.



 

Mi trasferii all'orfanotrofio Santa Maria tre giorni dopo la morte di mio padre, due ore dopo il funerale, nel quale ero stata costretta a dire addio all'unico genitore che avessi mai avuto. Quando entrai nella camera a cui ero stata assegnata e mi guardai attorno, scorgendo il mio futuro nelle espressioni astiose delle mie compagne, capii che non avrei mai potuto considerare quel posto la mia casa. Di conseguenza, me ne sarei dovuta trovare un'altra.

Decisa come non mai ad andarmene da lì, non notai nemmeno che una delle giovani mi si era sistemata davanti. "Ehi, novellina," ghignò. "Benvenuta!"

Inizialmente mi ritrassi, senza capire se potermi fidare delle sue parole o se dover stare attenta alla sua espressione - più probabile la seconda, mi dissi. "Qual è il tuo nome?" mi domandò l'orfana e io mi schiarii la gola, raddrizzando la schiena e alzando il mento. 

"Katrina."

"Tory," sorrise lei, forse apprezzando la mia aria di sfida. Com'è che si deve fare con gli animali pericolosi? Dimostrarsi più grandi e pericolosi di loro?

"La tua vita sarà un inferno, qui."

Oppure ci si finge morti?

"Tory, Tory!" la chiamò un ragazzino dall'aria nervosa. "Ne è arrivata un'altra!"

Quella che sembrava a tutti gli effetti il capo dei giovani orfani si alzò, dandomi un colpo con il ginocchio e ridendo sguaiatamente. "Ci si vede, uragano!" mi salutò, poi uscì dalla stanza e mormorò qualcosa come: "Battezzatela."

Dopodiché tre ragazze, la cui età sarà stata più o meno come quella di Tory, sui diciassette anni, entrarono nella stanza. Due mi afferrarono per le braccia e mi costrinsero a sedere su una sedia di metallo pescata da chissà dove; mi tennero ferma, mentre la terza orfana afferrava le forbici e mi tagliava grandi ciocche sul lato destro della testa. Prima non lo avevo notato, ma avevano tutti i capelli di lunghezza asimmetrica, quasi si divertissero ad essere incasinati. Stavano per passare al lato sinistro del cranio quando la voce della Direttrice - che urlava qualcosa in un'altra stanza - le costrinse a desistere e a lasciarmi andare, prima di dileguarsi in fretta. Non sono fiera di come reagii, ma la verità è che venivo dritta dal funerale di mio padre ed ero allo stremo delle forze, sia quella fisica che quella psicologica. Perciò, anziché reagire come si sarebbero meritate, scivolai a terra e scoppiai in lacrime.

Quello che accadde dopo non lo dimenticherò mai.

Nella stanza entrò di corsa un ragazzo con le stampelle - sì, zoppicava molto velocemente -, seguito da una bambina non più grande di dodici anni. Mi squadrarono entrambi per un istante e poi il più grande chiuse di scatto la porta alle sue spalle. "Mi hanno mandato una squadra di supporto? Davvero mi credono così incapace?"

"Non ho idea di cosa tu stia dicendo, io sono appena arrivata," borbottai asciugandomi in fretta le lacrime e alzandomi da terra. 

Solo allora il giovane sembrò capire, perché mi guardò comprensivo e mi tolse dalle spalle alcune ciocche tagliate. "Non eri prevista," mi sussurrò. Aveva un viso particolare, un po' ovale, e grandi occhi castani dalle sfumature verdi, leggermente coperti da un cappellino da baseball. "Ma starai bene, vedrai."

Non mi andava molto di essere quella da consolare, soprattutto considerato che la bambina alle sue spalle era decisamente più piccola di me. 

"Ehm... Mi chiamo Vinny," si presentò il ragazzo, appoggiando il peso sulla stampella sinistra e porgendomi la mano destra. La afferrai con un sorriso, perché nonostante tutto mi sembrava degno di fiducia, e lui indicò la bambina con un cenno della testa. "Lei è Violet."

"Katrina, piacere."

Si susseguirono diversi rumori nel corridoio, che evidentemente convinsero Vinny che era ora di filarsela, perché imprecò e si avvicinò zoppicando alla finestra. "Che fortuna, se non ti fosse capitata una camera al pianoterra sarebbe stato più complicato."

Non mi ero mai considerata una persona baciata dalla buona sorte, ma in realtà che cos'è la fortuna, se non l'assenza di sfortuna?

Afferrai i miei pochi averi, disfando gli scatoloni per trovare le cose importanti, che racchiusi in uno zaino malmesso, buttandolo poi fuori dalla finestra, dritto sul prato. Dopo fu il mio turno e quello di Violet, che aiutai a scendere. Ero pronta ad aiutare anche Vinny, ma lui si calò con agilità, nonostante le ingombranti stampelle.

"È ora di andare!" esclamò; dall'orfanotrofio, intanto, si udirono grida di allarme. Mi voltai verso l'edificio e mi parve di vedere Tory squadrarci furiosa da una finestra. Doveva essere uno scherzo della mia mente, però, perché mi sembrò avesse gli occhi gialli e i denti affilati come zanne. 

Corremmo fino alla fermata dell'autobus più vicina, dove per fortuna riuscimmo a prendere la corriera che passava in quel momento. Eravamo ormai già alla fine della strada quando la Direttrice corse in strada, guardandosi attorno freneticamente.

"Dove andiamo?" domandò Violet con voce flebile. Era la prima volta che parlava e subito innescò in me un forte istinto di protezione. La bambina aveva uno splendido sorriso e i capelli ricci, una nuvola bionda che le arrivava fino a metà schiena - sarebbe stato un crimine rovinargliela. Mi toccai distrattamente il lato destro della testa e mi morsi il labbro. 

"Te li sistemeremo," promise Vinny, cercando di rassicurarmi. 

"Sei bella anche così," disse invece la piccola Violet.

Mi appoggiai allo schienale del sedile e lasciai che il mio sguardo scivolasse fuori dal finestrino, senza realmente fissare nulla. 

"Vi porterò in un posto," esordì ad un certo punto Vinny. "Vi assicuro che è magnifico e sarete al sicuro... E se vi troverete male sarete liberissime di andarvene."

L'alternativa era l'orfanotrofio, alla fin fine, quindi perché non fidarsi? Violet sembrò aver compiuto il mio stesso ragionamento, perché annuì insieme a me.

Scendemmo dall'autobus dopo quasi mezz'ora di tragitto e subito Vinny entrò nel negozio che ci trovammo di fronte. Ne uscì dieci minuti dopo, l'aria molto soddisfatta e una chiave tra le dita. "Ho noleggiato un'auto," spiegò. "E ora," sorrise mettendosi alla guida, "si parte!"

 

Eravamo in viaggio già da più di tre ore quando Vinny si schiarì la gola, attirando così la mia attenzione. Violet, distesa sui sedili posteriori, era crollata addormentata dopo solo mezz'ora di macchina, stravolta a causa dei recenti avvenimenti. La guardai con affetto, poi mi voltai e osservai il nostro "salvatore". "Da quanto tempo programmavi di scappare?" domandai, interrompendo sul nascere le sue parole. "Ehm... È una questione complicata," rispose senza distogliere lo sguardo dalla strada. "Mi prometti che aspetterai che io abbia finito, prima di darmi per matto? E... Ti prego, non scappare. Sto cercando di aiutarti, di aiutare entrambe."

Deglutii e mi morsi il labbro. Non era molto rassicurante, come premessa, ma quante volte ero stata presa ingiustamente per pazza o melodrammatica? Quando dicevo che tutte le persone che mi stavano vicine finivano per farsi male, quanti mi avevano derisa? O quando cercavo di convincerli che non fosse normale il mio desiderare tanto qualcosa e vederlo sempre - o quasi - avverarsi, quanti avevano riso?

"Cosa sai della mitologia greca?" domandò Vinny sistemandosi il cappellino da baseball, che aveva preferito tenere addosso, sebbene in auto non fosse necessario. 

Mi sforzai di scavare nella memoria. "Intendi Giove e quelli là? Da cui vengono i nomi dei pianeti?"

"Quelli sono romani. Sai, intendo... Odissea, Iliade... Ne sai qualcosa?"

Mi feci scrocchiare le dita, pensando. Qualcosa mi suonava dentro, come se fosse stato mio dovere ricordare. "La mela della discordia e Elena di Troia?" esitai e Vinny annuì. "Esatto."

Cercai di seguire quel filo della memoria. "Gli dei, mmm... Zeus, Era, Afrodite... Ehm... Ade," li contai con le dita di una mano, "Triton..."

"Poseidone! Ti prego, attenta a non confonderli," mi riprese Vinny. "Tritone è suo figlio." 

Io continuai, imperterrita. "Ares, Atena, Bac-Dioniso e... Boh. Eris, Apollo... Gli altri non me li ricordo, mi dispiace."

"Beh, è già qualcosa, suppongo," sospirò il ragazzo. "Devi sapere che sono reali, tutti loro. Vivono ancora e, come facevano un tempo, si - ehm - dilettano con i mortali e ci fanno figli, che si allenano e combattono con le spade, le lance, gli scudi... Questo genere di cose. Imparano anche a gestire i loro poteri."

Rimase qualche secondo in silenzio, mentre io cercavo di elaborare ciò che mi aveva appena detto. "Tu e Violet siete due di questi figli, capisci, e il mio compito è portarvi in salvo al Campo Mezzosangue, dove sarete al sicuro dai mostri. Sai, più il tuo genitore divino è potente, più mostri attiri. A proposito, il mio olfatto mi dice che non sei né forte, né troppo debole... Però nessuno ti ha mai trovata... Immagino sia stata questione di fortuna."

Fortuna. Certo.

I miei pensieri corsero al funerale di quello stesso giorno e, scivolando indietro nel tempo, al momento in cui ero stata chiamata a scuola. Non avevo mai visto la preside così umana.

"Katrina."

"Tu sei matto," sbottai. 

"No, io... Senti, che bisogno avrei di mentirti? E poi, dimmi la verità, non ti è mai capitato niente di strano, di inspiegabile?"

Dovette leggere la mia espressione, perché sorrise. "Non ti sei mai sentita diversa rispetto a tutti gli altri?"

Altro sale sulla ferita.

"Sei dislessica? Iperattiva?"

"Okay, mi stai spaventando," mormorai sforzandomi di ridere come se fosse uno scherzo divertente. 

Vinny mi fissò, serissimo. "Katrina..."

"Guarda la strada, ti prego."

Il ragazzo eseguì. "Vuoi scendere?" domandò cambiando la marcia e rallentando progressivamente. 

Accostò sul ciglio della strada e si appoggiò meglio al sedile, mentre io lanciavo un'occhiata a Violet, ancora addormentata. Dopodiché squadrai il paesaggio fuori dal finestrino. "Per andare dove? Senza soldi o documenti... Ho quindici anni, mi riporterebbero dritta all'orfanotrofio... O peggio."

Vinny sembrò soddisfatto. "È già qualcosa. Quando arriveremo al Campo ti convincerai che sto dicendo la verità."

Poi rimise in moto e il viaggio ricominciò. 

 

Passarono altre due ore, in cui restai ostinatamente in silenzio. "E allora dimmi," mormorai ad un certo punto, "tu di chi sei figlio, eh?"

"Io non sono un semidio, sono un..."

Ma la sua voce prima si affievolì e poi scemò del tutto, perché dalla parte anteriore della macchina si udì uno scoppio. Del fumo cominciò a salire dal motore e Vinny accostò immediatamente a lato della carreggiata, per poi uscire dalla macchina e cercare di rimediare al danno.

"Con la meccanica me la cavo, di solito, però questo guasto... Ci vorrebbe un figlio di Efesto, io non sono in grado. Cavolo che sfortuna!" disse il giovane quando mi ci avvicinai. 

"Ovvio," borbottai in risposta - non ne potevo più. "Perché deve sempre andare male?!" imprecai verso il cielo. 

In tutta risposta cominciò a piovere. "Perfetto, davvero perfetto."

Intimai a Vinny di entrare in auto, all'asciutto, perché avrei sistemato io le cose, ma appena mi lasciò sola mi sentii peggio di prima. Mi sporsi verso la strada deserta e alzai il pollice, scostandomi con l'altra mano i capelli fradici dal volto. Dopo dieci minuti passati a congelarmi, alzai lo sguardo al cielo e chiusi gli occhi. "Okay, probabilmente Vinny è un matto e io un'idiota credulona, ma se - e dico se - avesse ragione, beh..."

Forse mi sarei solo dovuta buttare.

"Mamma? Se sei davvero una dea, chiunque tu sia, aiutami. Abbiamo bisogno di un passaggio di fortuna per arrivare al Campo."

Forse fu un caso, ma la pioggia si fermò, lasciandomi sorpresa; fu il rumore di un clacson a ridestarmi dai miei pensieri.

"Katrina!" urlò Vinny uscendo di scatto dall'auto, spaventato, mentre io mi scansavo con un salto dalla traiettoria di un camioncino dall'aria malmessa. Il finestrino del guidatore si aprì e un volto paffuto ne fece capolino. "Stai bene?"

I miei piedi erano immersi in una pozzanghera, ma sarebbe potuto essere peggio, perciò annuii con un gesto frenetico, mentre Vinny mi raggiungeva seguito da Violet, appena svegliata. 

"Avete bisogno di un passaggio?" ci chiese sorpreso l'uomo. Forse non si aspettava di vedere tre ragazzini da soli per la strada - non che avesse tutti i torti, eh!

"Siete fratelli?" indagò l'uomo, squadrandoci con attenzione. Cercai di immaginarci ai suoi occhi e quasi scoppiai a ridere. Violet era bionda e riccia, la pelle un po' abbronzata e il fisico ancora acerbo; Vinny era grosso, moro e con il viso completamente diverso, così come la carnagione. Io, d'altro canto, avevo sempre avuto un fisico abbastanza tonico, magro ma forte. Mio padre mi diceva spesso che ero perfetta per essere un piccolo soldato. Per quanto riguardava il viso, i capelli erano lunghi e mossi, neri come la notte; gli occhi, invece, erano di un bel color ambra - incredibile quanto poco avessi preso da mio padre, sul piano fisico. Mi impedii di pensare a lui, altrimenti la tristezza avrebbe minacciato di sopraffarmi.

"In realtà Johnny," mentii indicando Vinny, "è il mio ragazzo. Già da un anno, sa. Mentre Melissa," e indicai Violet, "è la sua cuginetta. Stiamo andando nella casa di campagna di suo padre, per una... Riunione di famiglia."

E sorrisi.

L'uomo non sembrava molto convinto; continuò a squadrarci, sospettoso, e io mi innervosii. Credimi, pensai. Tu mi crederai. Credimi.

"Okay, salite a bordo."

Violet ringraziò entusiasta, mentre Vinny mi afferrava per un braccio. "Cuginetta? Ragazzo?!"

"Taci. Ci ho appena procurato un passaggio."

La sfortuna può avere due effetti, nella vita di una persona: può costringerla a cedere o può spronarla a fare di più.

Io avevo appena fatto di più.





______________________

Buonasera a tutti! Prima parte su tre, quindi una storia breve a cui però tengo abbastanza. Ho avuto quest'idea anni fa, l'ho scritta anni fa, ma solo ora mi sono decisa a postarla, dopo aver riguardato PJ in un momento di insonnia ahah

Fatemi sapere cosa ne pensate :) (e se avete idea di chi sia il genitore divino di Katrina ;) )

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

 

 

 

Salimmo nel retro del camioncino e partimmo, mentre Violet canticchiava a bassa voce e sorrideva come solo una bambina può fare - con una speranza tanto forte da illuminare chi la circonda. 

"Quanto ci vuole, ancora?" chiesi appoggiano meglio la schiena sul retro del camion. 

"Un paio d'ore di macchina e qualche minuto a piedi, non di più," rispose Vinny. Annuii distrattamente e mi passai una mano sul gomito sinistro, dove chissà perché si stava formando un livido. Non ricordavo il modo in cui me l'ero procurato, ma poco importava. 

Mio padre aveva sempre avuto l'abitudine di dirmi che, la prima volta che mi prese in braccio, smisi di piangere e lo guardai intensamente, con aria di sfida. Come una neonata potesse farlo rimarrà sempre un mistero, ma lui non smise mai di ripetere quel dettaglio, per poi borbottare "E dopo mi sei scivolata e ti sei presa una bella botta". 

Oh sì, la prima di una lunga serie - non che lo facessi apposta, eh!

Ripensare a mio padre faceva male, perciò cercai di concentrarmi su altro. La mente vagò libera fino a fermarsi sulla spiegazione di Vinny sugli dei e i loro figli. Chi poteva essere mia madre? Non ero particolarmente bella o saggia... In realtà non avevo qualità che spiccassero davvero. 

Piuttosto deprimente.

"Sai già di chi siamo figlie?" domandai voltandosi verso Vinny, che scosse la testa. 

"Per alcuni semidei," spiegò, "è facile essere riconosciuti. Geni a scuola con l'aracnofobia e la passione per l'architettura? Niente di più semplice. Ma altri?"

Scosse la testa.

"Da poche settimane, però, grazie a Percy Jackson i semidei vengono riconosciuti più in fretta, anche i figli degli dei minori," sorrise. "Non vi preoccupate."

Violet ricominciò a canticchiare e io mi chiesi come facesse a essere così tranquilla; forse era l'età, o semplicemente il suo carattere, che da quanto avevo capito era abbastanza solare. 

Il resto del tragitto lo passammo senza parlare, cullati dalla voce di Violet; passò così la prima ora e la seconda stava volgendo al termine quando un rumore proveniente da sotto di noi ci fece sobbalzare. 

"Non è possibile!" sbottò Vinny scendendo dal camion con un salto e zoppicando in avanti con le stampelle. Lo seguii velocemente e aiutai a scendere anche la bambina, che mi ringraziò con un sorriso.

Anche l'uomo era in strada, ora, e fissava accigliato la gomma posteriore sinistra, a terra con uno squarcio. "Ma ti pare?!" gridai tirando un calcio al copertone. 

"Calmati!" mi intimò Vinny. "Da qui possiamo proseguire a piedi, manca poco."

Poi ringraziò calorosamente l'uomo, afferrò i nostri zaini e si avviò. 

"Non così in fretta!" tuonò una voce assolutamente non umana, mentre già ci stavamo allontanando. Mi voltai in un istante e vidi il corpo del camionista cambiare, come se la pelle non riuscisse più a coprire ciò che stava sotto. Impedii a Violet di guardare - non volevo avesse incubi - e vidi l'uomo torcersi per qualche secondo, per poi trasformarsi del tutto. Il volto era lo stesso di prima, solo più peloso, mentre il corpo ricordava quello dei leoni, che non mi erano mai sembrati così pericolosi. La coda, invece, era quella di uno scorpione, in tutta la sua gloria velenosa. 

"Merda, una manticora," imprecò Vinny; con una mano strinse la spalla di Violet, l'unica che ancora non guardava. "Ora voglio che tu corra più veloce che puoi in quella direzione," e indicò un punto in mezzo ad un campo abbandonato. "Dovrai essere svelta, capito? E, ti prego, non ti voltare."

Poi le diede una spintarella. "Ma..."

"Ti raggiungeremo," promisi.

E lei cominciò a correre.

"Vai anche tu," mi disse Vinny. 

"No."

"Sì!"

“No!"

La manticora si avvicinò di qualche passo, studiandoci.

"Non è il momento di fare la testarda!"

"Non ti lascio qui da solo, è chiaro?!" gridai, poi alzai lo sguardo al cielo. Mamma?, chiamai. So che ti ho già chiesto una mano, ma tu mi hai messa nei casini ancora di più! Non è che potresti... Aiutarmi di nuovo?

E finii a terra.

Vinny mi aveva spinta con tutta la sua forza, spostandomi così dalla traiettoria del pungiglione della manticora. "Non c'è tempo per distrarsi!" urlò rialzandosi. Buttò via le stampelle e mi guardò. "Non sono un semidio," disse slacciandosi i pantaloni. 

Un maniaco?!

"Sono un satiro."

Forse avrei preferito un maniaco. 

Quello che accadde dopo è un po' confuso, nella mia memoria. Una macchina superava di parecchio il limite di miglia in un'ora così, quando vide il cartello che indicava il rilevatore di velocità, inchiodò per non prendere la multa. Questo fece sì che il guidatore dietro di lui sterzasse per non tamponarlo, ma a causa dell'asfalto ancora bagnato la macchina slittò. Come ho detto, non ricordo bene come accadde, però vidi la macchina sopracitata investire con tutta la sua forza la manticora, che volò a diversi metri di distanza. 

"Ma come..."

"Grazie, mamma," dissi con un sorriso, ancora sorpresa dal modo in cui aveva agito.

"Gli dei non possono interferire in questo modo, il divino Zeus non lo permette," mormorò Vinny. Poi, forse rendendosi conto che la manticora non sarebbe rimasta a terra per sempre, accantonò l'argomento e mi afferrò per un braccio, scattando verso la direzione presa da Violet. Forse dovrei dire trottando... Ma le capre trottano?

Ad ogni modo scappammo il più velocemente possibile, cercando di aumentare la distanza tra noi e il mostro. Caddi un paio di volte, ma Vinny mi fece rialzare tirandomi per un braccio e intimandomi di non rallentare. Come se mi andasse di diventare la cena di un camionista-leone-scorpione!

Scoprimmo che Violet non era andata molto lontano, perché si era fermata a cinque minuti dalla strada per aspettarci. Corremmo insieme, spingendo la più piccola a rimanere sempre tra noi, così che rischiasse di meno; fu un tacito accordo tra me e Vinny, che mi aiutò a capire quanto mi fidassi di lui, sebbene lo avessi incontrato quello stesso giorno. Non solo, l'arrivo della manticora mi aveva anche convinta della sincerità delle sue parole.

"Quanto manca?" chiese Violet ansimando. Si fermò di scatto, una mano sulla pancia e una sul petto. Respirava pesantemente, rossa in viso. 

"Manca poco, dai. Non fermiamoci ora!" disse Vinny, prendendola in braccio e lanciandomi un'occhiata. 

"Ci sono," lo rassicurai. 

In lontananza si udì un ruggito, ma sembrava più di frustrazione che di caccia, così mi azzardai a guardarmi indietro. 

La manticora si era fermata.

Lo dissi ai miei due compagni e mi piegai, la testa sulle ginocchia. "Uff," sospirai, "dovrei fare più ginnastica."

"Perché si è fermata?!" disse invece Vinny. "Mancano due minuti al limite del Campo e lì saremmo al sicuro, ma... Perché non ci ha provato?"

"Siamo stati fortunati!" rise Violet, felice. 

"È come se temesse qualcosa."

"Satiro, ci stai rovinando la festa!" esclamai. Poi gli sorrisi, presi Violet per mano e insieme camminammo verso la nostra nuova vita.

 

 

"Aspettate qui!" ripetei con una smorfia. "Parlo con Chi... Coso per un attimo!"

Mi voltai verso Violet, seduta su un muretto a fianco a me. Vinny ci aveva lasciate lì più di un mezz'ora prima con la promessa di metterci poco - poco un corno!

Come se l'attesa non bastasse, non c'era una persona, satiro o ninfa che non ci osservasse con curiosità. In particolare un gruppetto di ragazze dall'aria civettuola continuava a ridacchiare, indicando me e i miei capelli, il cui stato non osavo immaginare. Cercai di ignorare quelle oche e mi costrinsi a non degnarle di un'occhiata. Fu a quel punto che lo vidi. 

Era un semplice adolescente; stava al limitare del bosco, appoggiato ad un albero con la pigra indolenza di un gatto sazio, e si godeva la scena, ghignando in modo insopportabile. Che diavolo voleva? Non aveva niente di meglio da fare?

Una ragazza fece una battuta sui miei capelli, la voce abbastanza alta da essere sentita da metà del Campo, e tutto il gruppo scoppiò a ridere, sconosciuto incluso. Probabilmente divenni livida di rabbia, perché mi guardarono e risero più forte.

Basta!

Lo pensai con tutta la mia forza, umiliata e desiderosa di scappare da lì il prima possibile. Ma dove si era cacciato Vinny? 

I miei pensieri si interruppero quando udii il rumore di uno schianto, come qualcosa che si spezza. Alzai immediatamente lo sguardo e vidi lo sconosciuto crollare sotto il peso di un ramo, che cadendo lo aveva preso in pieno. Scoppiai a ridere, mentre le oche che si erano prese gioco di me si alzavano di scatto per aiutare il ragazzo. La prima scivolò sull'erba umida e finì faccia a terra; la seconda e la terza inciamparono in lei e caddero a loro volta. Le mie risate aumentarono e battei le mani, felice come una bambina a Natale, mentre le uniche due rimaste incolumi si voltavano a guardarmi. Pensai che potessero essere spaventate da me, ma entrambe mi sorrisero. 

"Forse ti abbiamo sottovalutata," esordì una, i capelli biondi chiusi in una complicata acconciatura. La sua compagna, dai splendidi ricci rossi e la bocca a forma di cuore, - erano tutte top model, lì?! - mi sorrise incoraggiate. "Chi è il tuo genitore divino?"

Io feci spallucce.

Le due si guardarono, eccitate, e cominciarono a nominare alcuni dei di cui sarei potuta essere figlia. "Ma cosa hai fatto ai capelli?" domandò ad un certo punto la rossa. 

Le altre intanto si erano rialzate e pulite i vestiti; anche il ragazzo si era ripreso, sebbene gli si stesse formando un grosso bernoccolo sul capo, e si spolverava il giubbotto di pelle come se non fosse accaduto nulla. Tutte le giovani - che mi dissero essere figlie di Afrodite - si riunirono attorno a me e così raccontai del "battesimo" all'orfanotrofio, traendo forza da quell'umiliazione. 

Alla fine della spiegazione rimasero a guardarmi in silenzio; persino il ragazzo-insopportabile mi osservava, gli occhi scuri spalancati come se mi stesse rivalutando.

"Ti sistemiamo noi!" esclamò ad un certo punto un'oca - forse avrei dovuto trovare un altro modo per chiamarle... Forse. Non riuscivo a capire perché andassero in giro con tutto l'occorrente per la messa in piega, ma tirarono fuori diverse custodie, un pettine e delle forbici. Dubitavo che potessero peggiorare la situazione, quindi tanto valeva lasciarle fare, no?

"Aspettate!" le fermò Violet. "I suoi capelli sono così belli, le stanno così bene lunghi! Non tagliateglieli!"

E rimanere con un nido in testa? Li preferivo corti, in questo caso.

"Ha ragione," disse rossa-bocca-di-cuore. "E so già cosa possiamo fare."

Poi si voltò verso le sue sorelle e confabulò per un paio di minuti. 

"Violet, con tutto l'amore possibile, non potevi tacere? Mi trasformeranno in... In..."

"Ti renderanno bellissima," sorrise lei. "Anche perché ti manca poco."

Era un complimento?

Le sfiorai la testa con una mano. 

"Allora!" esordì a quel punto una figlia di Afrodite. "Sappiamo che taglio farti! Un'unica domanda, prima di iniziare: se usiamo delle tinte naturali fatte da noi, possiamo colorarti i capelli?"

Dovettero provare a convincermi per più di un quarto d'ora, ma poi ci riuscirono, così si misero all'opera. Speravo solo non uscisse un completo disastro.

 

Era passato meno tempo di quanto pensassi, quando lasciarono che mi alzassi e mi guardassi nello specchio che una di loro mi porgeva.

"Incredibile," mormorai.

Avevano fatto un lavoro eccezionale. Il lato destro della testa, quello malamente tagliato dalle orfane, era stato sistemato in modo che i capelli fossero tutti alla stessa lunghezza, ovvero meno di mezzo centimetro. Il lato sinistro, invece, era stato scalato leggermente, e alcune ciocche erano state tinte di sfumature che andavano dal rosso porpora al viola, in diverse tonalità. Il ciuffo era al naturale, a parte la ciocca più esterna, color prugna.

Violet applaudì, sul volto un sorriso che le andava da un orecchio all'altro. "Sei bellissima!" mi disse. 

Era così che mi sentivo. Magari non ero molto raffinata, ma avevo il mio stile e i capelli mi stavano da dea. 

"Un ultimo tocco," disse una figlia di Afrodite - avrei dovuto rivalutarle. Mi applicò l'eye-liner e il mascara, che fecero risaltare il color ambra degli occhi. Poi squadrò i miei vestiti, ovvero i pantaloni militari, gli anfibi e l'aderente maglietta nera senza maniche. Chissà dove avevo lasciato la felpa.

L'assistente sociale mi aveva lasciato poco tempo per cambiarmi, dopo il funerale, e l'umore del momento non mi aveva facilitata a scegliere abiti più "carini", facendo sì che preferissi indossare qualcosa che mi ricordasse ciò che ero, che mi ricordasse casa. 

"Sei il mio tesoro più prezioso, Kat."

Il viso di mio padre si fece spazio a forza nella mia mente, lasciandomi senza respiro.

"Il mio bravo soldatino."

Inghiottii a vuoto e vidi che Violet mi guardava, così mi sforzai di tornare allegra come prima e le sorrisi. "Grazie," dissi, "grazie a tutte, davvero, avete fatto un lavoro stupendo."

"Ci fa sempre piacere lavorare a nome della bellezza," rispose rossa-bocca-di-cuore. Le sue sorelle annuirono, sorridendo. "Soprattutto con i casi disperati," concluse una biondina, soddisfatta di sé. Questo pose fine alla mia gratitudine, immagino.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

 

 

Una voce alle mie spalle tossì per attirare la nostra attenzione e io mi voltai, pensando che avrei visto Vinny.

A dirla tutta Vinny c'era, ma era dietro a... A... Un uomo-cavallo?! 

"Io sono Chirone." 

"Sì, io... Lei..."

"La prima volta può fare un po' effetto, lo so. Però fidati di me, queste cose diventeranno sempre più normali, con il passare del tempo. Anche i centauri."

"Non so se mi rassicura molto, come previsione."

Chirone rise e mi porse la mano. 

"Katrina," mi presentai. 

"Incantato."

Beh, per lo meno era un mezzocavallo - pardon, centauro - molto gentile. "E questa dev'essere la giovane Violet."

Questa sorrise con il suo solito buon umore. 

"Camminiamo un po'?" propose Vinny, così facemmo un breve giro del Campo. 

"Devo farti i miei complimenti, Vincent. Dovevi occuparti di una semidea e sei tornato con due."

Vinny chinò la testa, ringraziando le parole di quello che avevo capito essere una specie di capo. Forse non fu molto gentile, ma smisi quasi immediatamente di prestargli attenzione, preferendo guardarmi attorno. Il Campo era magnifico. Sembrava quasi irreale, considerata la moltitudine di stranezze che camminavano come se niente fosse, - era un cavallo alato, quello?! - mischiate a decine di ragazzi e ragazze. Udii Chirone nominare un certo signor D., ma ero troppo distratta per capire cosa stesse dicendo. Superammo una distesa di fragole dall'aria squisita e rimasi delusa quando non ci fermammo ad assaggiarle, ma subito tornai allegra, perché quel posto era davvero incredibile. Passammo a lato di una grande armeria e un poligono di tiro con l'arco, dove alcuni giovani scagliavano frecce; superammo un muro per l'arrampicata - era lava, quella?! - e un altro campo di fragole. Diversi semidei si voltarono a guardarci, curiosi.

"Dopo la guerra," disse Chirone costringendomi a prestargli attenzione, "gli dei hanno promesso di riconoscere i loro figli prima che essi compiano tredici anni."

Indicò Violet. "Lei ne ha appena compiuti dodici, ma tu..." e mi guardò intensamente. "Tu hai superato l'età limite. Perché non sei stata riconosciuta?"

Sembrava parlasse più con se stesso che con me, perciò tacqui. Ci addentrammo nella zona che mi spiegarono essere riservata alle case e mi raccontarono di com'era prima, con la struttura a ferro di cavallo e il motivo per cui ne erano state costruite altre. "Una guerra," sussurrai. Mi pareva irreale.

Superammo alcune case e ci fermammo di fronte ad una in particolare. Probabilmente avrei tirato dritta senza rendermi conto della sua presenza, ma Violet puntò i piedi, più felice di quanto l'avessi mai vista. Vinny sorrise e Chirone lo imitò, mentre la giovane si avvicinava alla porta d'ingresso, da cui si udivano diverse voci cantare in armonia. "La settima casa," disse Chirone. "Dimora dei figli di Apollo."

E sopra a Violet, luminoso quanto il suo sorriso, comparve l'immagine di un sole.

Un ragazzo si avvicinò correndo; si fermò di fronte a noi e sorrise a sua volta, scompigliando i capelli della nuova arrivata. "Mi chiamo Will Solace, capogruppo della casa di Apollo... E tuo fratello maggiore."

Afferrò Violet da sotto le ascelle e la fece volteggiare in aria; la sua risata cristallina migliorò l'umore di tutti. Quella bambina era capace di portare gioia ed era forse la qualità più bella che avessi mai riscontrato in una persona. Ero felice di averla incontrata e l'espressione di Vinny mi fece capire che stava pensando la stessa cosa. 

"Lasciamo che si ambienti nella sua nuova casa," disse Chirone con un sorriso, ponendomi una mano sulla spalla e incitandomi a camminare. Passammo altre abitazioni, di cui Vinny mi spiegò velocemente l'origine. Scoprii che la numero otto apparteneva ad Artemide e che era vuota, in quanto la dea aveva fatto voto di castità. Seguì la casa di Efesto, da cui provenne il rumore di uno scoppio, e quella di Afrodite, troppo rosa per i miei gusti. Ci fermammo di fronte all'undicesima casa, quella di Ermes, il cui ingresso era un po' decadente. "Abiterai qui finché non verrai riconosciuta da tua madre," mi spiegò Chirone. "A questo proposito," continuò, "vorrei discutere con te di un paio di cose."

Lo guardai con aria interrogativa. "Le circostanze che vi hanno portati qui sono piuttosto... Interessanti."

Lanciai un'occhiata a Vinny, cercando di capire. "Vorrei che mi parlassi un po' di te," disse Chirone e il satiro annuì, incitandomi ad esaudire la richiesta. "Okay, bene, ehm... Okay."

Riordinai un secondo le idee. "Mi chiamo Katrina, come l'uragano. Sono nata il 28 agosto a New Orleans, Louisiana, quindici anni fa."

Era ironico che il 28 agosto di alcuni anni dopo fosse stato il picco di forza dell'uragano - il compleanno peggiore della mia vita. Le imposte che sbattevano, l'inutilità degli argini... Chiusi gli occhi, sopraffatta dal ricordo del panico che avevo provato quel giorno.

"Ehm..." cercai di riprendere il filo e scoprii che Vinny e Chirone mi stavano guardando, così mi schiarii la voce. "Sono dislessica, iperattiva, sfortunata e... E non lo so, okay? Non ho niente di particolare."

"Questo non è vero," sbottò Vinny. "Pensa bene."

"Io... Non ne sono sicura, okay? Però mi sembra di essere in grado di... Di cambiare le probabilità fino a renderle a mio favore. So che è da pazzi, ma credo sia vero; mi sono spesso ritrovata a desiderare tanto qualcosa - che un'insegnante fosse malata e ci facessero uscire prima, che la sfortuna si dimenticasse di me durante gli esami importanti... - e le mie "richieste" si sono avverate. Magari non tutte, ma in linea di massima sì."

Tacqui per un secondo, respirando profondamente.

"La verità è che sono sfortunata, ma molto meno di chi mi circonda."

Ricominciammo a camminare, superando le varie case, fino ad arrivare alla diciassettesima. "È l'ultima," spiegò Chirone, sebbene in realtà ci fosse un diciottesimo edificio. "Ma..."

Vinny seguì il mio sguardo. "Quella non conta. Sarebbe dovuta essere la diciassettesima, ma sua costruzione è stata interrotta prima che venisse finita. Un colpo di sfortuna, un congegno dei figli di Efesto si è rotto e con lui il tetto. È stata abbandonata e prima o poi sarà demolita."

Eppure aveva un fascino non indifferente. Mi avvicinai all'ingresso, salendo gli scalini che lo precedevano; la porta era caduta da tempo e per entrare dovetti passarci sopra. "È pericolante!" mi avvertì Vinny, ma poi fu messo a tacere - forse Chirone aveva capito di dovermi lasciar fare. Non c'erano mobili e tutto era coperto da uno spesso strato di polvere, che nell'ampia stanza principale lasciava spazio al fango, formatosi a causa di un grande buco nel tetto. Non sembrava necessitare di troppa mano d'opera, giusto un aggiustatina al soffitto, una rinfrescata alle pareti e una bella pulita.

Mi voltai per guardare fuori dalla casa e vidi Chirone parlare con una ragazza bionda con un computer tra le braccia. Dietro ai due c'era Vinny, impegnato a discutere con la figlia di Afrodite rossa-bocca-di-cuore, mentre dei bambini in pigiama si dirigevano verso una delle case. C'era anche lo sconosciuto dal giubbotto di pelle; stava parlando con due giovani quasi identici, magri e abbastanza alti, che sembravano intenti a rubarsi a vicenda un pacchetto di gomme, il quale passava da uno all'altro a una velocità impressionante.

Guardai un'ultima volta la casa, poi uscii con un groppo in gola.

"Non la si può rimettere a nuovo?" domandai indicando con una mano dietro di me. Un paio di ragazzi, che l'istinto mi disse fossero figli di Efesto, si grattarono il mento. "Si può provare, immagino," disse uno dei due. 

"A che ti serve, indeterminata?" urlò invece lo sconosciuto insopportabile. Sperai che si procurasse un altro bernoccolo e avevo appena formulato il pensiero, che il poveretto scivolò - da fermo! - e cadde a terra. Scesi lentamente gli scalini, incitandolo a sfidarmi ancora e osservandomi attorno per vedere se qualcun altro avesse voglia di darmi fastidio. Nessuno mi stava prestando attenzione, però, perché erano tutti impegnati ad osservare l'aria sopra la mia testa. 

Alzai il viso e vidi uno strano simbolo brillare, una specie di "u" rovesciata. Solo dopo qualche secondo mi resi conto che non era una lettera storta, bensì un ferro di cavallo capovolto. La voce di Chirone mi riportò alla realtà.

"Noi ti salutiamo, Katrina! Figlia di Eris, dea della discordia."


 

Eris non era mai stata considerata molto - non che si sforzasse, insomma... Tutto ciò che le associavano era la mela della discordia, grazie alla quale si era fatta una brutta fama. Una dea minore che non sopportava di essere esclusa: poteva esserci qualcosa di più patetico? Ad ogni modo, sembrava che fossi la sua unica figlia semidea e per Vinny era questo il motivo per cui nessun mostro mi aveva mai trovata e il nostro viaggio fino al Campo era stato sommariamente tranquillo. Era intervenuta lei e nemmeno Zeus avrebbe potuto costringerla a starne fuori. La verità è che mia madre - che strano definirla così! - stava al di sopra delle parti ed era meglio non farla arrabbiare; indisciplinata e facile all'ira, sembrava che nessuno desiderasse mettersi contro di lei, forse per paura o per buonsenso. Eris voleva proteggere la sua unica figlia semidea? Che lo facesse, non ci sarebbero state obiezioni. C'era un altro lato della dea, però. Quando si presentava come competizione, ti spingeva a superare i tuoi limiti. C'era la possibilità, dunque, che me le facesse passare di tutti i colori solo per costringermi a dare il massimo - speravo non le venisse mai in mente.

Quando Chirone mi salutò in quel modo e dichiarò a tutti l'identità del mio genitore divino mi prese il panico. Non è bello da dire, forse, ma fu ciò che accadde. Sgranai gli occhi e vidi tutti fissarmi impressionati, mentre qualcuno azzardava un passo indietro. Non sono molto fiera di come agii, perché scattai e corsi il più lontano possibile. Non prestai attenzione a dove stavo andando e forse avrei dovuto farlo, dato che mi ritrovai su una specie di molo in legno, di fronte a me solo acqua.

Il mare.

Sentii il panico montarmi dentro: dove potevo andare? 

"Fine della corsa!" esclamò una voce maschile dietro di me. È davvero necessario dire che mi spaventò, facendo sì che mi muovessi di scatto e che appoggiassi male un piede, finendo per cadere in mare?

No, vero?

Cercai di urlare, ma questo non mi aiutò, anzi, perché quando toccai l'acqua avevo ancora la bocca aperta e bevvi diversi sorsi; la sensazione che ne derivò fece scattare qualcosa nella mia mente e il panico si fece pressante nella testa e nel petto. Non riuscivo a muovermi, così com'era successo nel 2005.

Chiusi gli occhi, incapace di nuotare, e per la seconda volta nella vita mi preparai a morire annegata.

L'uragano Katrina aveva causato più di mille morti solo tra gli abitanti del Louisiana. A New Orleans il problema non era stato tanto l'aria, quanto piuttosto l'acqua. La tempesta, infatti, si era insinuata in più di cinquanta brecce nel sistema di argini che proteggevano la città e questo e le grandi precipitazioni causate da Katrina avevano portato all'inondazione della parte orientale.

Casa mia era là.

Avevo undici anni e non dimenticherò mai quello che fu il peggior compleanno che avessi mai immaginato. Ero in strada quando l'acqua arrivò con prepotenza... E mi portò via. Finii con la testa sotto e il panico mi impedì di muovermi per diversi secondi, mentre l'ondata mi trascinava con sé e diversi oggetti, da mobili a semplici pezzi di metallo, mi arrivavano addosso. La portata dell'acqua non era stata così eccessiva nel mio quartiere, in realtà, ma la paura aveva trasformato l'intera situazione in un incubo.

Avevo provato a lottare, ci avevo provato con tutte le mie forze, fino a consumare ogni briciolo di energia. A quel punto avevo chiuso gli occhi, accettando la morte... E qualcuno mi aveva afferrata per un braccio e portata in salvo - ora come ora mi chiedo se quell'intervento tempestivo non fosse merito di mia madre.

Ad ogni modo era da quel 28 agosto che avevo una vera e propria fobia dell'acqua.

E ora ci sarei morta dentro.

Percepii un movimento accanto a me e vidi l'acqua spostarsi per fare spazio a una figura scura, che mi afferrò per la vita e mi portò in superficie. Appoggiai la schiena al petto del mio salvatore e sputai tutto il liquido inghiottito, mentre ci avvicinavamo rapidamente al molo, su cui il ragazzo si issò con un braccio; con l'altro mi trasse all'asciutto. Appoggiai la fronte sul legno e respirai profondamente un paio di volte, tossendo e singhiozzando insieme.

"Stai bene?"

"L'a-l'acqu-a," riuscii a mormorare. Udii il ragazzo ridere e gli intimai con voce roca di smettere, ma questo non fece che aumentare le sue risate. Impiegai qualche minuto a riprendermi; quando alzai la testa vidi che lo sconosciuto era tornato serio - sebbene nello sguardo rimanesse una traccia di divertimento. Vidi questo e capii ben di più: a salvarmi la vita era stato lo stesso giovane dal giubbotto di pelle che più volte si era preso gioco di me. Era tutto bagnato a parte per il chiodo e gli anfibi, che evidentemente aveva preferito levare prima di tuffarsi.

Mi sedetti, passandomi una mano sui vestiti e constatando di averli rovinati. "Anni fa, io... Ho rischiato di annegare," sussurrai senza alzare la testa.

"E ora vai nel panico appena tocchi l'acqua."

"E ora vado nel panico appena tocco l'acqua," convenni. "È comprensibile," mi rassicurò e io finalmente alzai lo sguardo. "Se qualcuno non mi avesse spaventata, magari..."

"Se qualcuna non fosse scappata come una bambina, magari..."

Lo fulminai con un'occhiataccia. "Ho appena scoperto di essere la figlia della sfiga, non so se lo capisci!"

Il ragazzo rise di nuovo, alzandosi. "A me non sembra male."

"Cosa vuoi saperne tu?!" sbottai afferrandogli le mani e facendomi tirare in piedi. "Grazie. Anche per... Ehm... Prima."

"Dennis."

Lo fissai con aria interrogativa e lui sorrise, mentre cominciavamo a camminare. "È il mio nome. Dennis."

"Dennis," ripetei incrociando le braccia al petto. Lui sorrise. "Tu sei figlia della sfortuna, io della guerra. Mio padre è Ares."

"Il mio bravo soldatino."

Scacciai dalla mente quelle parole e guardai il ragazzo che mi stava a fianco, avviandomi verso l'interno del Campo. Due piccoli semidei mi fissarono spaventati e azzardarono un passo indietro. "Sto per vomitare," sussurrai. Dennis emise qualcosa di molto simile a un ringhio e avanzò verso i bambini, intimando loro di andarsene. I due non se lo fecero ripetere e in un istante corsero via. "Perché?" domandai.

Dennis mi lanciò un'occhiata confusa. "Prima ti sei preso gioco di me e ora stai dalla mia parte: perché?!"

"Sai, i nostri genitori combattono spesso fianco a fianco, in battaglia. E poi sai tenermi testa e chiunque sia in grado di farlo merita la mia attenzione."

Dunque mi afferrò per un braccio e mi costrinse a camminare. "Ti insegno a combattere," si offrì avvicinandosi all'armeria.

Si voltò a guardarmi, sorridendo, e improvvisamente mi sentii pronta a tutto.

 

 

 

Quindi ora sapete chi ero realmente. 

 

Il mio nome era Katrina, come l'uragano. Ero dislessica, iperattiva e... sfigata. Non nel senso "ragazza da parete", praticamente invisibile, no, ero proprio sfortunata. Mai quanto le persone che mi circondavano, comunque. 

Però, seriamente, cosa ci si poteva aspettare dalla figlia di Eris? Che poi... Che culo, eh? Figlia della sfortuna in persona!

Mi ero sempre lamentata della mia cattiva stella, ma era ora di smetterla con i piagnistei e cominciare a rimboccarmi le maniche. Per prima cosa avrei imparato a controllare i miei poteri, capendo come gestire la sorte e volgerla a mio favore.

Dopotutto, che cos'è la fortuna, se non l'assenza di sfortuna?

 

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3831173