Canto d'Oriente di _Lakshmi_ (/viewuser.php?uid=69307)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Alba ***
Capitolo 2: *** Mattina ***
Capitolo 3: *** Mezzogiorno ***
Capitolo 4: *** Pomeriggio ***
Capitolo 5: *** Sera ***
Capitolo 1 *** Alba ***
Prologo
Canto
d'Oriente.
Prologo:
Alba
Quando
Eros scocca una freccia dal proprio arco, la vittima del suo diletto
s'innamora inevitabilmente della prima creatura scorta dai suoi occhi,
trasformando l'interesse in un morboso, malsano sentimento.
Se sia vero o no, ancora non l'ho ben compreso, visto che simili
pulsioni sono lontane dalla mia natura.
Però,
da questa storia, ho capito che l'amore può sgrezzare
persino
l'animo di un guerriero millenario, abituato al massacro e al
piacere più volgare, innalzandolo oltre la pura
carnalità.
E
tutto grazie ad un uomo folle, che è riuscito a vedere il
mondo
con occhi diversi da quelli di un qualsiasi altro mortale o divino.
[Follia
capace di attrarre e di sedurre]
Figlio
del Sole, Figlio del Sole,
Così
ti chiamava la tua gente durante i riti propiziatori prima delle
grandi battaglie: si prostravano, ti offrivano doni, ti veneravano al
pari di una divinità e tu, empio,
ti atteggiavi come tale, seppur la tua natura fosse ben diversa.
Amavi
quelle solenni celebrazioni, amavi studiare il comportamento umano:
seduto sul tuo trono lontano dalla masnada osservavi quel mondo
adulto di cui facevi anche tu parte, seppur fossi soltanto un
bambino; i tuoi occhi smeraldini si posavano ora sui fiumi d'alcol
versato nei calici, ora sulle orge, su quei corpi sudati, affaticati
dallo sforzo, eppure così appagati.
Ciondolando
sul tuo scranno, ti sentivi davvero speciale, visto che tu eri un
dono, tu eri il figlio
di Helios: la tua presenza portava non solo prosperità
all'interno
del villaggio, ma anche la vittoria assicurata sul campo di
battaglia. Era irrilevante la giovane età, bastava solamente
che
aprissi il palmo della mano per generare
un sacro fuoco inestinguibile, capace di portare distruzione tra le
fila nemiche.
Tutti
ti amavano e ti veneravano per questo.
E
tu eri felice.
[Perché
così è l'amore: Arcano e Folle]
Giovane
Figlio del Sole,
Crescendo,
crebbe la tua innata curiosità, il tuo innato bisogno di
imparare.
I
tuoi poteri ormai non avevano più alcun segreto,
così ti
concentrasti sulla medicina, sugli studi matematici, sulle
discussioni filosofiche. A volte ti assistevo nei vaneggiamenti,
mostrandomi a te come una vecchia, come una giovane, a volte come una
bambina tua coetanea: ti insegnai parte della mia conoscenza,
spronandoti sempre a nuovi pensieri, nuovi ragionamenti, nuove
invenzioni.
Tu
dopotutto eri il “Mago”, nessuno
osava mettere freno al
tuo istinto, anche se la tua mente diveniva in tal modo sempre
più
raffinata, sempre più pericolosa, soprattutto per gli altri
dei che
ti osservavano dai loro reali scranni.
Ma
tu eri solo un ragazzino e riuscivi ancora a vivere con
spensieratezza.
[Come
quel giovane che
riuscì
ad avvelenarti il cuore]
Presuntuoso
Figlio del Sole,
Crescendo,
fiorì anche la tua bellezza, tanto da diventare mito, ed
insieme ad
essa, maturò anche la tua consapevolezza di essere una
creatura
speciale, preziosa, essenziale.
Cominciasti
ad agghindarti, a truccarti, a vestirti in modo eccentrico, alle
volte persino come una donna, tutto pur di testare le norme morali
della comunità, ma, come avevi previsto, nessuno si oppose a
questo
tuo capriccio: certo, per i primi tempi ci furono per te solo sguardi
dubbiosi, poi il tuo essere un elemento di disturbo diventò
comune
quotidianità.
I
tuoi capelli raggiunsero le caviglie, il tuo fisico grazie agli
allenamenti giornalieri diventò statuario, i tuoi occhi
smeraldini iniziarono a mietere vittime su vittime, umane e divine.
[E
a rivoluzionare la tua eterna esistenza]
Superbo
Figlio del Sole,
Raggiunto
il pieno della tua giovinezza, iniziasti a sederti sul trono con una
postura fiera, celestiale, esternando quello che eri: una creatura
dal sangue antico, diversa da uomini e dèi.
Amavi
contemplare l'ignoranza di quella stessa gente che ti aveva
cresciuto, che ti osannava e ti pregava porgendoti doni per la tua
benevolenza, anche se tu, in verità, non ordinavi nulla, non
potevi
opporti al ciclo delle stagioni, alle piogge torrenziali o alla
siccità; per questo motivo, non riuscisti a rimediare alla
carestia
che per volere divino s'abbatté sul villaggio.
E
il Terrore e la Paura ebbero il sopravvento sulle povere menti.
Così,
quella stessa ignoranza che tu tanto avevi amato, alla fine ti
travolse: il popolo che un tempo ti aveva venerato come un dio aveva
deciso di sacrificarti alle divinità più
importanti di te.
Ti
legarono caviglie e polsi con strette corde, ti costrinsero a
chinarti sull'altare, ti puntarono alla gola un sacro pugnale come
una qualsiasi altra bestia.
Vidi
però nelle tue iridi la totale serenità della
morte, l'accettazione
di quella condanna: dopotutto, seppur giovane, dalla tua posizione
privilegiata eri riuscito a vivere senza alcun rimpianto e
ciò ti
spinse a non abbandonare la superbia neppure davanti a Thanatos.
Ma
fu proprio la tua fortuna a condannarti: la fortuna di essere nato
con una bellezza invidiabile, raggiante,
così da attirare le
attenzioni di Zeus, che ti strappò dal tuo nero destino.
[Senza
chiedere il permesso,
lui
ti cambiò la vita]
Schiavo
delle Divinità,
Vivevi
incatenato in una gabbia, al centro della grande sala principale
sull'Olimpo, privato di quella volontà di vivere che ti
aveva sempre
contraddistinto: amavi la vita, ma la monotonia delle lunghe giornate
sempre uguali, l'assoluta noia ti spinse ad
adeguarti alla
schiavitù. E per qualche bizzarro scherzo della sorte,
grazie alla
tua totale sottomissione, diventasti il giocattolo preferito del Re
degli Dèi.
Ti
ordinava di danzare, tu danzavi.
Ti
ordinava di cantare, tu cantavi.
Ti
ordinava di amarlo, tu lo amavi.
Ma
ad ogni tramontar del Sole, comprendevi sempre meglio che quella vita
ti stava solo prosciugando, senza donarti qualcosa di interessante
che potesse risvegliarti dal torpore.
Persino
l'incontro con tuo padre, Helios, generò dentro di te
solamente
delusione: era orgoglioso del figlio che, finalmente, aveva compreso
il suo posto nel mondo. E dal tuo sguardo perplesso, capii che non
condividevi i suoi stessi, nobili principi.
«
Non voglio che ti accada la stessa sorte di Phaethon.»
allungò una
mano oltre le sbarre, quasi a carezzarti il viso, ma non
riuscì a
raggiungerti visto che indugiasti al centro della voliera «
Continua
ad onorare gli dèi, figlio mio.»
Sorridesti.
[Ares]
Creatura
incatenata,
«
Padre, permettetemi di studiarlo: è un Titano purosangue, una rarità ai giorni nostri.»
Ti
squadrai per un lungo istante, poi volsi lo sguardo a mio padre,
Zeus. Ero la sua prediletta, la bambina nata dalla sua stessa mente,
per cui speravo di poter
mettere le mani su quel suo divertimento tanto prezioso.
Tu
infatti fingevi di essere debole, indifeso, malato;
ma i tuoi brillanti ed inquietanti occhi smeraldini tradivano la tua
falsa fragilità, mostrando stralci di una creatura ben
più
pericolosa.
«
No, Athena. Lui è un semplice servitore degli dèi
che ha
finalmente
capito il suo ruolo.» tuttavia, la risposta autoritaria di
Zeus
non
ammetteva alcuna protesta « Ha già causato molti
problemi
nel mondo umano: sono dovuti intervenire Phobos e Deimos per
riportare la ragione in quella comunità.»
Provai
ugualmente a ribattere, a spiegare le mie nobili ragioni, ma un'altra
divinità ben più odiosa si era avvicinata a noi,
interrompendo la
nostra discussione con un'osservazione altrettanto detestabile.
«
Non ci credo: nostro padre nega qualcosa alla sua prediletta? Questo
mondo ha ripreso a girare nel verso giusto.»
Era
rozzo e indecente, eppure, incredibilmente,
catturò la tua attenzione non appena alzasti lo sguardo
dalla tua
coppa di vino, unico tuo conforto in quella vita. Ovviamente notai la
tua particolare ed improvvisa assenza di movimento, il tuo
interesse per il nuovo arrivato.
Forse
sarà che Ares è sempre stato diverso da tutti
noi: lui è un dio,
certo, ma è un'entità che porta il caos, la
distruzione sul campo
di battaglia.
E
il tuo animo era naturalmente orientato al Chaos.
Questo
lo compresi troppo tardi.
«
Silenzio.» disse Zeus, sfatando l'inizio di un litigio
« La
discussione è chiusa, Halaktrya non si muoverà da
qui: è un
soggetto altamente instabile.»
«
È solo una puttana agghindata da puttana. Sul campo di
battaglia,
uomini simili sono cibo per vermi.» Ares dovette comunque
dire la
sua dopo averti dato una breve occhiata.
Vidi
il tuo sorriso appena accennato e solo per un attimo ebbi un dubbio:
forse, neppure le sbarre forgiate col potere divino sarebbero
riuscite a fermarti, ora che avevi trovato una nuova ragione di vita.
[Perché...
lui era l'esatta metà della tua anima]
Folle
Figlio del Sole,
Quella
stessa notte, decidesti di forgiare il tuo destino: le catene
si spezzarono, la gabbia si ruppe e tu in poco tempo passeggiavi
tranquillamente sul candido marmo dell'Olimpo. Le guardie che
attratte dal rumore provarono a fermarti finirono a terra,
agonizzanti, imprigionate nelle fiamme create dalle
tue stesse
mani.
Avanzasti
in cerca di una via d'uscita, tra corridoi infiniti di infiniti
soldati, tramutando il biancore del palazzo in una sorgente di
cremisi; ti fermasti solo quando i tuoi occhi smeraldini mi notarono
e ciò che mi sconcertò fu la tua assoluta
sanità mentale.
Non
eri impazzito: da cosciente avevi deciso di opporti alle
divinità, a
Zeus, per seguire il tuo istinto.
Strinsi
il mio sacro scudo, pronta ad affrontarti.
Ma
ti trasformasti improvvisamente in fuoco e fuggisti alla mia
vista. Dopo qualche istante, riuscii a notare nella notte un bagliore
lontano, che precipitava nell'oscurità delle nubi.
Fui sopraffatta da un dolore al cuore che mi
fece cadere in ginocchio, con calde lacrime che iniziarono a rigarmi
il volto. Era tutto totalmente irrazionale, ma la consapevolezza che,
dopo tanti anni a vegliare sulla tua esistenza, ti avrei perso per
quel fratello tanto abominevole, mi rendeva incapace di agire.
Per
un primo momento.
Poi
provai solo ira. E vendetta.
[Ma
io,
illuminata
dal sorgere della nuova alba,
mi
armai,
intenzionata
a porre fine a quell'irrazionale follia]
Fine
Prologo!
Angolo
dell'Autrice:
…
…
…
*prende
un respiro*
Ho
sinceramente ansia.
E
non sto scherzando: questa fanfiction mi ha accompagnato per un lungo
periodo difficile della mia vita in cui ci sono stati gravi
cambiamenti. Vederla completa è quasi... catartico?
Comunque,
ai pochi (o tanti, ma non voglio portarmi sfiga da sola)
avventori, eccomi qui con questa breve fanfiction. Se vorrete
continuare a leggere alcune curiosità sulla nascita di
questa idea,
sarò ovviamente felice; altrimenti vi ringrazio per aver
recensito o
per aver soltanto letto quel che ho scritto.
Spero
che continuerete a seguire i miei deliri.
Il
“progetto”
(o parto gemellare, fa lo stesso) è nato da una sfida con me
stessa:
scrivere qualcosa sulle origini di un personaggio che, durante
questi anni, ha fatto breccia nel mio interesse. Inizialmente
“Halaktrya”
è stato ideato come aiutante di un altro mio personaggio
secondario
(una sorta di personaggio secondario alla seconda), ma già
al tempo
cercava di prendersi più spazio del dovuto all'interno della
vicenda
generale; così alla fine mi sono decisa a buttare
giù qualche
riga su di lui e...
Niente,
ho iniziato ad odiarlo.
Non
sapevo davvero come “ruolarlo”:
avrò riscritto e scartato decine di incipit,
perché non mi
convincevano fino in fondo (dico
solo che in uno di questi, lui si travestiva da ballerina e dazava per
gli dèi. Il fatto del travestimento l'ho comunque tenuto,
citandolo in una frase in questo capitolo).
L'errore
che più detestavo nella rilettura era proprio quello a
livello
caratteriale, visto che da protagonista perdeva alcune di quelle
caratteristiche che lo rendevano particolare. Inoltre non sapevo
nemmeno come far iniziare la sua relazione con “SPOILER”
(anche
se è abbastanza
intuibile):
inizialmente doveva essere un rapimento (che
comunque in fondo è rimasto, vero Zeus?),
poi un colpo di fulmine, poi un'intesa reciproca, poi...
Ho
abbandonato il progetto per dedicarmi a qualcosa di più
leggero,
come quello dell'AU scolastica, potendo così provare diversi
stili, tra
cui anche la seconda persona singolare.
E
mi si è accesa una lampadina.
Diciamo
che la stesura del capitolo è stata molto fluida proprio
grazie a
questa sorta di “dialogo”
tra personaggi. Non ho inventato nulla di nuovo, però sono
riuscita
finalmente a vomitare addosso ad “Halaktrya”
tutte quelle caratteristiche che in terza persona non riuscivo a far
emergere allo stesso modo (infatti sembrava
sempre una dannata Mary
Sue... cioè, anche adesso lo è secondo gli
standard dei miei
protagonisti, però per ogni suo pregio ci sono almeno tre
difetti,
quindi mi sento più soddisfatta).
E
così eccoci qui al primo capitolo. O prologo. O... beh,
introduzione.
Comunque,
come sempre, di nuovo un ringraziamento speciale a tutti quelli che
daranno una speranza a questa storia.
Un
bacio da _Lakshmi_!
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Capitolo 2 *** Mattina ***
Primo Capitolo
Primo
Capitolo:
Mattina
[Invadesti
fin da subito i miei spazi,
con
la tua sola presenza odiosa]
Il
mio primo errore;
Ero
cresciuto nella superbia e nell'egoismo, curato appena da ninfe
più
impegnate con mio padre che con me; ancora adesso, se ricordo quei
tempi passati, sento i loro richiami preoccupati al pari lontani
echi, proprio come li sentivo al tempo mentre correvo indisturbato
nella natura, con quella stessa libertà che tu avevi tanto
desiderato.
Quante
volte ero caduto. Quante volte volte mi ero rialzato. Quante volte
avevo fatto frustare le mie tutrici per negligenza.
In
quella vita selvaggia, non ebbi modo di conoscere l'empatia, la
pietà
o altri buoni sentimenti che accomunavano gli animi deboli.
Per
questo, quando ti vidi sulla soglia dell'Accampamento, non provai
altro desiderio se non quello di umiliarti: volevo sfregiare quel bel
viso e quel bel corpo tanto decantati da Zeus, volevo ridurti ad una
semplice macchietta inerme.
Ti
trascinai per la lunga chioma castana fino all'arena dei
combattimenti e lì ordinai ai miei seguaci di trattarti con
le
dovute attenzioni. Solo in seguito mi raccontasti
tutte le
oscenità vissute in quei lunghi, eterni momenti, dal taglio
dei
capelli, fino al denudamento.
Beh,
ti saresti meritato anche di peggio.
Mi
sedetti sugli spalti in mezzo agli altri Makhai,
attendendo
con trepidazione la tua morte.
«
Chi è quel ragazzo?» Pόlemos,
che aveva preso posto accanto a me, sembrò stupito -e
vagamente affascinato-
alla vista di un così grazioso ragazzo in un covo di
guerrieri
temprati e sfregiati dalla guerra.
«
Qualcuno che morirà presto.» risposi senza
distogliere gli occhi
cremisi dal tuo corpo statuario.
Sì,
è vero, la tua bellezza aveva fatto breccia nel mio
interesse, ma
per altri motivi: non avevi i tratti dolci ed effeminati di Ganimede,
bensì i tuoi occhi erano sottili, tipici delle
tribù barbare, così
come il resto del viso affilato, la carnagione baciata dal Sole e la
tua bassezza, che non era mai riuscita a toccare neppure la mia
spalla.
Possederti,
equivaleva possedere interi territori inesplorati, selvaggi, ancora
senza un padrone.
Questa
era la tua vera bellezza.
[Desiderai
ucciderti,
desiderai
scagliarti nel Tartaros con le mie stesse mani]
Il
mio secondo errore;
Una
volta, mentre eri concentrato a seguire con lo sguardo il volo
circolare di un gabbiano, iniziasti a farneticare qualcosa sul fatto
che, secondo te, avevo l'animo di un bambino, tanto feroce e
sanguinario quanto estremamente ingenuo e semplice: per questo, in
quell'ormai lontano giorno, dopo aver contemplato a lungo la tua
armonica danza con cui avevi mietuto vittime su
vittime, non
ero riuscito a frenare l'istinto.
Ma
tra noi due, l'unico che si atteggiava da infante in cerca di
attenzioni eri proprio tu.
Piombai
improvvisamente nell'arena, richiamando scudo e lancia, pronto
più
che mai a versar il tuo sangue che tanto mi aveva attirato; calpestai
i cadaveri degli sconfitti, balzai davanti ai tuoi occhi, mirai al
tuo ventre.
Ma
fendetti unicamente grigio fumo.
Riprendesti
forma corporea pochi attimi dopo in perfetto equilibrio sulla mia
lama, sfoggiando un sorriso sfacciato.
«
Lurida puttana.» ringhiai feroce, credendo di incuterti
timore, ma
ispirai solo il tuo divertimento.
«
È Halaktrya,
mio Signore.»
In
risposta a quell'evidente scherno, grugnii cupo e provai ancora una
volta a colpirti, ma saltasti elegantemente alle mie spalle,
bruciandomi addirittura il mio lungo mantello cremisi con bianche
fiamme generate dal tuo stesso cuore.
A
quel punto nulla più frenò la mia ira: iniziai ad
attaccare in modo
serrato, brutale, bestiale. E tu, prezioso divertimento di Zeus, mi
dimostrasti di essere un degno combattente, capace di tener testa
persino ad un dio.
[Però,
al
primo confronto con la tua pazzia]
Il
mio terzo errore;
Con
le ginocchia ben premute contro i tuoi fianchi, strinsi le mani
callose attorno al tuo magro, delicato collo, pregustandomi
già la
dolce fine dello scontro. Mi chinai per ascoltare i tuoi ultimi,
sofferti respiri, socchiusi gli occhi per assaporare la morte
scorrermi tra le dita.
Tuttavia,
quell'attimo idilliaco fu disturbato da un possente battito di ali
che sferzò il mio viso.
«
Pa'! Ci sono le tanto guardie di
nonno Zeus
davanti all'accampamento. Cosa tanto
faccio?»
Allentai
un poco la presa e fissai con estremo odio il mostruoso Deimos, mio
primogenito, giunto a portare notizie. In effetti, mi ero dimenticato
che non eri un semplice soldato o un prigioniero di guerra,
bensì un
traditore che aveva offeso le divinità.
«
Alzati.»
Al
mio ordine, Deimos si sollevò immediatamente da terra sui
suoi
zoccoli caprini, mostrandosi in tutta la sua deformità: la
nera
carnagione si completava in gigantesche ali corvine arcuate, che
riuscivano a creare un'ombra terrificante sul resto del corpo
ingobbito, risaltando la luminosità inquietante ed
innaturale degli
occhi cremisi, unico colore oltre la scomposta chioma d'un rosso
scuro, mia eredità.
Era
deforme e storpio, aveva difficoltà ad esprimersi, ma era
anche un
combattente eccezionale e un valido soldato.
Quando
lo difesi davanti a te la prima volta, i tuoi occhi smeraldini furono
colti da una luce insolita, donandoti un'espressione decisamente
sorpresa.
“Ares,
il dio degli aspetti più violenti della guerra, è
un padre migliore
di molte altre divinità.” avevi
pronunciato quelle parole con
una leggera nota malinconica, decisamente in disarmonia con quel tuo
sorriso naturale che sempre adornava le tue labbra quando eri al mio
fianco.
«
Chi comanda le guardie?»
«
La tanto zia Athena. Mi sembra tanto
arrabbiata.»
Allargai
un ghigno divertito, addirittura feroce. Mi alzai in piedi, liberando
il tuo corpo posseduto nel frattempo da violenti spasmi di tosse dopo
interi attimi di apnea.
«
Dobbiamo darle un caloroso benvenuto.»
[Mi
ritrovai disarmato,
totalmente
conquistato dal tuo folle ingegno]
Il
mio quarto errore;
Fissai
mia sorella dalla cima delle mura che delimitavano l'Accampamento
militare: anche un occhio disattento avrebbe notato il suo amore nei
tuoi confronti, o comunque quella strana importanza che ti riservava;
ciò fece scattare in me un sano spirito di competizione e,
per
dimostrarle che avevi già un padrone,
poggiai una mano sulla
tua spalla.
Mi
compiacqui nel vedere il suo sguardo assottigliarsi in un'espressione
di puro odio: lei aveva sempre avuto tutto, aveva sempre vinto
tutto; ed ora desiderava anche te.
Sciocca
ragazzina.
«
Athena. Ritira i tuoi uomini.» strinsi ancor di
più la presa,
arricciando la stoffa del mantello che ti avevo donato per coprire
il tuo nudo corpo.
«
Lui appartiene a nostro Padre. Restituiscilo.»
Per
te concorrevano addirittura tre divinità: per il nostro
egoismo,
avevi acquisito un valore paragonabile solo alla sventurata
Mela d'Oro.
Il
tuo succo, però, era infinitamente più invitante
e proibito.
«
Alectryon è un mio soldato: ha scelto di
convertirsi al mio
culto. È una mia proprietà.
Solo a me spetta
punirlo.»
Stranamente,
anche se ti lamentavi per ogni più piccola sciocchezza, non
protestasti mai per la grecizzazione del tuo nome: inizialmente
affermasti che ti piaceva il suono della mia pronuncia; in seguito,
in un momento più intimo, mi confessasti che quel mio errore
per te
fu significativo quanto un secondo battesimo, una seconda nascita.
Così,
per me, quello diventò a tutti gli effetti il tuo nome.
«
Non ha prestato alcun giurament-...»
«
Ha giurato di servirmi. Lui ormai è mio,
neppure nostro padre
può spezzare un voto solenne.» la mia voce
sovrastò quella della
dea della Sapienza: non avevo alcuna intenzione di cederle l'ambito
trofeo, tanto che ormai non mi interessava nemmeno più la
realtà
dei fatti o la pura falsità.
Io
dovevo averti.
Dicevi
sempre che ero un pessimo sportivo: amavo vincere e, in caso di
sconfitta, ti sfidavo e ti sfidavo ancora fino a primeggiare sulla
tua stanchezza.
Avevi
perfettamente ragione.
«
Ritira i tuoi uomini, Athena. È l'ultimo
avvertimento.»
Lei
cercò comunque qualche traccia di assenso o di menzogna nei
tuoi
occhi, ma tu eri assolutamente impassibile, assolutamente
fedele al padrone di quelle unghie che ormai ti avevano
lacerato
la carne.
«
Tu menti, Ares!» urlò alla fine indignata,
avanzando di un passo.
«
Vuoi una dimostrazione?»
Al
cenno della mia mano, dalle ombre dei soldati scelti di Zeus si
materializzarono diversi spiriti della battaglia; Deimos stesso
partecipò al massacro, paralizzando nel terrore i nemici con
un solo battito d'ali, per poi far rotolare a terra le loro teste
grazie
ai suoi artigli affilati, degni di una fiera.
Mia
sorella ripiegò a dar ordini agli arcieri perfettamente
schierati
nel bosco, ma in quel frangente scardinasti ogni sua ambizione.
Un
gracchiante crepitio giunse alle sue orecchie: si voltò quel
tanto
che bastava per scorgere le alte, bianche fiamme divine divorare la
sterpaglia, gli alberi, i corpi dei guerrieri e persino ogni altra
macchina da lei ingegnata per contrastare la mia forza bruta.
In
un attimo, tu le avevi distrutto ogni suo piano. In
un attimo,
riuscisti a conquistarti totalmente la mia stima.
«
È tutto vero, divina Athena: la mia vita e la mia morte
appartengono solo ed unicamente ad Ares, divinità
a cui sono devoto.» la tua voce sicura riuscì a
sovrastare le grida
di dolore, gratificando il mio animo e il mio ego « Nessun
altro può
reclamarmi.»
E
sull'eco di quell'ultima parola, Athena dovette accettare la propria
sconfitta.
[Tanto
che non riuscii a compiere quella che chiamano
“Giustizia”]
Il
tuo primo errore;
Ero
troppo esaltato per pensare alle conseguenze delle mie azioni:
ancora, al solo chiudere delle palpebre, ero in grado di scorgere la
disfatta sul viso battagliero di Athena; e ciò mi appagava,
mi
rinvigoriva, mi faceva sentire invincibile.
Quasi
mi dimenticai di essere seguito, fino a che non mi ritrovai solo con
te nella mia tenda: al momento, sentivo unicamente il bisogno di
possedere una schiava qualsiasi, di sfogare nel sesso ogni tensione
provata, e la tua presenza era di troppo.
Ormai
non mi servivi più.
Schiusi
le labbra per annunciare il congedo, ma giunse prima la tua voce.
«
Tu non pensi mai due volte prima di agire, vero?» sospirasti
affranto, avanzando in quello spazio decisamente povero, rude quasi
quanto il proprietario.
«
Cosa?» fui sorpreso da quell'improvviso rimprovero, che mi
smorzò
notevolmente l'entusiasmo.
«
Non ho prestato alcun giuramento, niente mi vincola a te, infatti posso
ancora fuggire per tornare tra le braccia di Athena.
E tu cosa faresti a quel punto?»
Dalla
sola osservazione, avevi compreso immediatamente i miei punti deboli.
E già al tempo, ti eri piazzato nella lista.
«
Ti ucciderei.»
«
Già, ovvio. Ma le altre divinità? Ti immagini le
grasse risate per
la tua ennesima magra, magrissima
figura?»
«
Tu vuoi morire.»
«
L'ennesima vittoria di tua sorella e di tuo padre.
Beh, poco
male, ormai ci sarai abituato.» la tua voce divenne affilata
quasi
quanto la lama di una spada.
Ciò
fu abbastanza per eccitare il mio animo sanguinario.
Riuscisti
a schivare la prima carica, ma non la successiva, fulminea presa al
collo che ti scaraventò contro la superficie lignea del
tavolo.
Per
me era giusto concludere la questione dove l'avevamo interrotta
durante il combattimento: ti avrei strangolato per poi sfregiarti,
deturparti, così da strapparti quella bellezza tanto
fastidiosa.
Dopotutto,
eri solo la dannata prostituta di mio padre.
Sul
suono tintinnante delle coppe vuote di vino che cozzavano l'una con
l'altra cadendo al suolo, tuttavia, le tue dita strinsero con vigore
la mia mossa chioma cremisi; non ebbi il tempo di riflettere sul
motivo di quel gesto, visto che fui sopraffatto da un gesto ancor
più
irrazionale.
Un
bacio.
Incontrai
le tue labbra in un bacio passionale, decisamente impulsivo e
travolgente, che seppe annientare ogni mia difesa, ogni mia
ostilità.
Anzi no, da parte mia non ci fu nemmeno il faticoso tentativo di
contrastare una simile, folle pulsione.
Così,
senza neppure riflettere su quel che stavo facendo, affossai le
unghie nel tuo magro collo per strapparti un gemito strozzato, prima
di allentare la presa ed avventarmi con la ferocia di un predatore
affamato sulla tua gola arrossata, scoperta. Leccai, assaggiai, morsi
quella carnagione calda, pulsante d'eccitazione, trovandola
incredibilmente invitante e desiderandone ancora.
Ti
sovrastai, impaziente: volevo renderti solo mio.
«
Pa'! Ti ho portato le schiave come mi avevi tanto
chiesto!»
Ma
la voce squillante di Deimos mi riportò violentemente alla
realtà.
«
... Ah? Vuoi tanto stare da solo con lui? Lo sai
che io non ti
tanto giudico, insomma, è normale
sentirsi attratti da un
altro uomo... penso.»
“Perché
non mi hai respinto?”,
mi
domandasti una notte, disturbando, come
molte altre volte, il mio
sonno con i tuoi sciocchi dubbi.
Non
lo so, Alectryon.
Per
il mio letto sono passate migliaia di donne. Ma un solo, unico uomo.
Andavi
particolarmente fiero di questo tuo primato, tanto che lo difendevi
addirittura con velati sprazzi di gelosia quando, ai ricevimenti,
Ganimede si avvicinava per parlare: eri divertente, lo devo
ammettere, anche se tutte le tue fatiche erano inutili, visto che tu
eri come il Sole, centro dei miei interessi.
Il mio Sole.
«
Anzi, Pa': io ti tanto
supporterò sempre. Ecco, era
questo quello che volevo tanto dire.»
Fino
a quel momento ero sempre stato avverso alle divinità che si
concedevano a qualsiasi creatura vivente, animale o vegetale, di
qualsiasi genere. Eppure, per colpa tua, dovetti scardinare in parte
questa mia convinzione.
La
prima di molte altre.
«
Deimos... vattene.» la mia voce roca vibrò nel
silenzio, riportando
all'ordine l'animo decisamente infantile del Daimon del Terrore
« E
porta con te quelle puttane. Fanne ciò che vuoi.»
I
miei occhi cremisi, attratti da un improvviso movimento, si
spostarono allora sul tuo corpo: pensavi, infatti, che ti avrei
congedato e ti stavi preparando ad andartene.
Sogghignai
divertito.
«
Tu, Alectryon, rimarrai qui.» pronunciate
con accurata
lentezza queste parole, in particolare il tuo nome,
mi gustai
la totale sorpresa sul tuo viso « È la giusta
punizione per ciò
che hai fatto.»
Avevi
fatto un evidente errore di calcolo: non mi era mai interessato il
parere della mia famiglia; agivo unicamente secondo il mio egoismo,
secondo le pulsioni del mio animo.
Ma
tu questo già lo sapevi.
[E
ti lasciai in vita,
preferendo
vivere ogni giorno le prime luci del nostro sacro rapporto]
Fine
Primo Capitolo!
Angolo
dell'Autrice.
Come
sempre, voglio ringraziare chi ha letto il capitolo e anche chi ha
recensito, mettendo in luce punti poco chiari
che spero siano più comprensibili ora.
In ogni caso, se ci
sono
sviste, errori o altro, fatemelo pure notare.
Qui
a seguito ci sarà una mia piccola tradizione, visto che a
voce sono
una frana, a scrivere ancora peggio, però perlomeno con il
computer
riesco ad esprimere meglio i miei sentimenti. Quindi... nulla, spero
che continuerete a seguire i miei deliri e ci vediamo al prossimo
capitolo!
Un
bacio da _Lakshmi_!
E
siamo arrivati in quel periodo.
Quel
periodo in cui si avvicina il compleanno della mia lettrice silenziosa
numero uno.
Ci
tengo a perpetuare questa tradizione anche quest'anno come gli altri
anni perché, beh... mi sopporti nella vita reale e con il
tuo sostego, le tue risate, le tue riflessioni mi sproni non solo a
scrivere e modificare parti di capitolo (non assomiglia
più ad
Edward Cullen, vero? *faccina implorante con
occhioni
lacrimosi*), ma soprattutto a migliorarmi proprio come
persona:
può sembrare banale, ma, essendo tremendamente timida ed
introversa, sapere che c'è una qualcuno che non mi prende in
giro
per le mie passioni e che mi è amica per quel che sono realmente,
mi da quella sicurezza che a volte -troppo spesso-
mi manca.
Ok.
Ho
un momento feels da occhi lucidi.
Ora
mi riprendo.
Non
so perché lo scrivo, ma è l'una di notte, quindi
va tutto bene.
Dalle
medie fino ad oggi, abbiamo condiviso un sacco di momenti assieme,
come ad esempio trascorrere la notte a giocare a Devil May Cry 3 o
Alone in the Dark (maledetti mostri nascosti nell'acqua), fare mega
maratone di anime, guardare per la millesima volta il film di
Alexander, provare tè dai gusti improbabili (quello
irlandese...
quello me lo sogno ancora di notte) e molti altri. Sono tutti ricordi
importanti perché sono veri... sinceri.
E
spero che ce ne siano altri, per i prossimi anni, perché
davvero...
sei un'amica speciale e mi sento fortunata ad averti incontrata: non
è semplice sopportarmi, lo so, però non mi hai
mai fatto sentire un
peso, fuori posto, quindi... davvero, grazie.
Poi,
insomma, quale altra persona guarderebbe con me cartoni animati
cinesi per apprezzare la bellezza e la mestrualità di zio
Cheng?
(No, non è vero, Jiang Cheng è un personaggio da
amare, poverino). O live
action giapponesi? Vogliamo davvero parlarne?
Ok,
la pianto.
Forse.
Anche
se, riflettendo in questo momento demenziale, devo ammettere che
Alone in the Dark, il tè irlandese dal dubbio contenuto e
Ares
Cullen sono sullo stesso piano per quanto riguarda i miei incubi
notturni.
E
su questa immagine speciale, bellissima e sbrilluccicosa, ti auguro
buon compleanno.
Auguri!!!
(ora vado a ibernarmi in attesa di consegnarti anche il regalo che il
postino mi ha tirato gentilmente nel giardino sta mattina. Ringrazio
che non si sia rovinato).
|
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Capitolo 3 *** Mezzogiorno ***
Secondo Capitolo
Secondo
Capitolo:
Mezzogiorno
[Perché?]
Come
ogni altro uomo,
Ti
vergognavi dell'amore: non riuscisti mai a pronunciare le due
semplici parole “Sono innamorato”,
anche se di notte
cercavi la mia carne e alla luce del Sole, inspiegabilmente,
cercavi la mia compagnia, intrattenendomi spesso per scambiare
opinioni o per raccontarmi alcuni episodi cruenti di battaglie
passate, esaltando in modo particolare le tue eroiche gesta.
Per
me invece, era tutt'altra faccenda.
Alle
tue attenzioni provavo sia compiacimento -visto che erano
dopotutto un'ennesima riprova della mia spiccata abilità-,
sia
un profondo senso di vertigine, che cresceva giorno dopo giorno
esponendo la mia inadeguatezza: era infatti un nuovo sentimento per
me; tutto ad un tratto, ogni mia esperienza con gli altri uomini era
annullata e mi ritrovai disarmato alla mercé del tuo
interesse,
arrivando addirittura a pregare che quegli attimi trascorressero
infiniti, senza mai esaurirsi. Ad ogni tuo tocco, ad ogni tua parola,
sentivo la mia sanità mentale venir meno, oppressa da una
casta
incertezza e dal nocivo veleno dell'Amore.
Già,
mi stavo decisamente innamorando.
Te
lo confessai un pomeriggio, in cima ad un promontorio. Eravamo
entrambi distesi sull'erba, stremati da un lungo combattimento in
cui, dopo tanto insistere e tante azioni scorrette, avevi
primeggiato; ero esausto e impossibilitato a muovermi -soprattutto
per colpa di quel violento calcio nel polpaccio- e forse per
questo motivo avevo sentito l'esigenza di farti sapere cosa stava
sconvolgendo il mio cuore.
Per
qualcuno, magari, potrebbe sembrare sciocca, se non addirittura
superflua, una simile dichiarazione dopo tanti momenti trascorsi
insieme; tuttavia ero pur sempre un ragazzino che trovava naturale
esternare alla persona amata tutto ciò che gli passava per
la mia
mente.
«
Avvicinati, Alectryon.»
Non
aggiungesti altro.
Io,
spinto dalla curiosità, trascinai le mie membra al tuo
fianco e fui
sorpreso da una rude carezza sulla guancia, con quell'indice
interessato alla mia bocca fin tanto che non fu vinta dalle tue
labbra.
Ti
avevo odiato in quei momenti. Davvero.
[Una
domanda comune,
quando
si confessa di amare una divinità tanto sanguinaria]
Come
ogni altro uomo,
Faticavi
ad esprimerti a parole.
Abituato
agli elogi di Zeus, che spendeva grandi metafore per paragonarmi
all'inestinguibile bellezza del Creato, trovavo insostenibile il
silenzio dopo i nostri amplessi, il tuo assoluto mutismo. Per questo
finivo sempre a conversare per due persone, in lunghi, tediosi,
eterni monologhi.
Ti
eri dichiarato ostile alla mia parlantina che t'impediva di
conciliare il sonno, eppure ascoltavi i miei ragionamenti, i miei
pensieri, le mie riflessioni. Certo, sbuffavi e ringhiavi come un
cane alla catena, però quando una notte non ti rivolsi
alcuna parola, ti
voltasti per accertarti delle mie condizioni di salute.
Grazie
a te iniziai a dare maggiore importanza a questi piccoli
accorgimenti: è vero, non esprimevi l'affetto a parole, ma
c'era
tutta una serie di gestualità che sostituivano intere righe
di
dialogo.
Lo
compresi ben presto.
«
Alectryon.»
La
tua voce mi sorprese: ero abituato a svegliarmi all'alba per avere il
tempo di rinfrescare viso e corpo, mentre tu preferivi rimanere
disteso nel talamo, dormiente o perfettamente vigile; tuttavia, quel
giorno, non ti limitasti
ad osservarmi in silenzio.
« Che
succede?»
Ti
avvicinasti e, prima di rispondermi, pretendesti con un muto sguardo
il mio stesso trattamento.
Cambiai
quindi l'acqua e con una nuova pezza pulita iniziai a carezzare le
tue spalle, i tuoi pettorali, la tua schiena. M'inginocchiai,
seguendo poi il corso della tua muscolatura allenata, dei tuoi sodi
glutei, della tua rossiccia peluria.
Immersi
il panno, strizzai e ricominciai. Palesai un'estrema, accurata
lentezza per godere di quegli attimi in cui mi era permesso di
esplorare liberamente il tuo fisico, senza l'impazienza della
passione.
«
Vuoi anche l'olio?»
ti
domandai e dal tuo silenzio compresi che desideravi proprio il
servizio completo, fatto che mi fece sorridere «Ah...
la mia musa è proprio capricciosa.»
Mi
guardasti accigliato.
«
Musa?»
Ti
avevano già chiamato “Guerriero”,
“Assassino”,
“Amante”, ma “Musa”?
Mai.
«
Beh... tu ispiri il mio coraggio: al tuo fianco, potrei comandare un
intero esercito.»
a
quelle parole mi osservasti con uno sguardo nuovo, decisamente
stupito ed attratto forse dalla mia sfacciataggine, forse da quella
bizzarra immagine. Scoppiai a ridere subito dopo, scuotendo il capo «
E poi ti vedrei bene tra le muse di Apollo. Scommetto che anche lui
ne sarebbe onorato.»
«
Smettila di fare l'idiota.»
il tuo sbuffo mi suggerì che in realtà ti stavi
divertendo: eri
stato contagiato dalla mia allegria, anche se cercavi di rimanere
serio.
Ti
baciai più e più volte, mentre le nostre risate
si perdevano negli
schiocchi delle nostre labbra.
Seppur
fossero trascorsi solo due mesi, avevamo raggiunto una
complicità
tale da mostrarmi, nei momenti più intimi, lati del tuo
carattere
decisamente lontani dall'immagine del brutale guerriero: innanzitutto
eri estremamente curioso, infatti quando mi vedevi impegnato a
scrivere dei resoconti bellici, ti sedevi accanto a me per leggere il
mio punto di vista; a volte, confrontando la tua visione con la mia, mi
impartivi -inconsciamente- anche
importanti lezioni di strategia.
Non
eri Athena, certo, però la tua esperienza sul campo di
battaglia era
altrettanto ampia. Ed io ascoltavo attento le tue parole, interessato
ed affascinato.
Ben
più particolare era invece il tuo senso estetico: eri
attratto dalla
bellezza, per cui nell'aspetto fisico pretendevi una certa attenzione
anche da te stesso; mi chiedevi di regolarti la barba, i capelli ti
piacevano lunghi, ma non oltre le scapole e a volte, con
eloquenti
sbuffi o grugniti, dettavi legge pure sul vestiario.
Ma
odiavi sprecare tempo per la cura del corpo.
Io
ad esempio adoravo la tua chioma: era d'un rosso vivo, sangue,
naturalmente mossa in morbide onde, tuttavia non potevo dedicarmi
troppo a lei, visto che tu, dopo appena due
sforbiciate, già
minacciavi di andartene.
In
altri momenti, però, sapevi essere più paziente.
«
Alectryon.»
la tua
voce roca sfiorò il mio orecchio, facendomi trasalire mentre
eravamo
ad un passo dal talamo disfatto. Mi guardasti per un breve istante
con un ghigno soddisfatto, beandoti di quel viso accaldato e di
quell'impellente desiderio che tu stesso mi avevi istigato con le tue
dita callose, ma abili «
Non vuoi sapere perché mi sono svegliato così
presto? Dell'invito
di mio padr-...»
No,
Ares. Non era il momento, davvero.
Ero
conscio che per te alzarti al sorgere del Sole era effettivamente un
evento raro ed importante, ma, con il tuo corpo che premeva contro al
mio, avevo altre urgenze. Le avevamo entrambi.
«
Dopo.»
mormorai e, stanco
del tuo procrastinare, ti spinsi con forza contro al letto per poi
sovrastarti.
Adoravi
esasperarmi, vedere fin dove il mio coraggio riusciva ad osare e, una
volta appagata questa tua curiosità, decidevi di premiarmi a
modo
tuo.
Quella
mattina non dimostrasti alcuna fretta e domasti la mia impazienza
grazie ai tuoi tocchi, alle tue parole, per rendere quegli attimi
più
duraturi ed intensi. Ed io mi lasciai modellare dalle tue dita, dal
tuo respiro, liberando la mente da ogni timore per il futuro.
«
E così ti sei innamorato...»
osservasti con un affanno nella voce, una volta accolto nella mia
carne.
Socchiusi
gli occhi.
Annuii
piano.
«
Il mio Sole.»
[Ma
la verità è che,
pur
spiegando i miei sentimenti]
Come
un qualsiasi altro uomo,
Eri
terribilmente territoriale.
Alla
fine, ti accompagnai sull'Olimpo.
D'altronde
non sopportavi i banchetti, o per meglio dire la tua famiglia,
per cui mi avevi convinto a partecipare per rendere
la
giornata più interessante, anche se per me si
rivelò una difficile
prova per la pazienza: non tanto per quel che avevo fatto, anzi, le
mie azioni erano state -stranamente- perdonate dal
magnanimo Re degli Dèi, ma per il tuo comportamento.
Giunti
nella sala del ricevimento, mi invitasti a sedere alla tua destra,
spostando addirittura il trono. Guardai le altre mogli, sedute alla
destra dei loro mariti, poi mio padre, che mi fissava austero, come
per dirmi: “Ti ho detto di onorare gli
dèi, ma non intendevo
questo”. Solo a quel punto presi posto al tuo
fianco, beandomi
della sua espressione sprezzante e delusa.
Quando
i servi iniziarono a portare delle pietanze -a me e
a pochi
altri fortunati umani entrati nelle grazie divine, visto che per gli
dèi i prodotti della Madre Terra erano tossici-,
avvicinasti un
acino
d'uva alle mie labbra, cogliendomi di
sorpresa ed
attirando le attenzioni di alcuni tra i presenti, che attendevano
solamente quei momenti per delle chiacchiere facili. Dopo un breve
attimo di riorganizzazione mentale, accolsi
il chicco in bocca sfiorando appena il tuo indice e il tuo pollice
con un bacio delicato, senza distogliere l'attenzione da Hephaestus e
dai suoi progetti complessi. Stupito per quella mia risposta sensuale
e composta ad un tuo gesto sfacciato, sorridesti compiaciuto.
A
tarda serata, quando i vapori dell'alcol mesciuto all'Ambrosia
iniziarono a far effetto su voi divinità, tanto che molti
ormai
avevano abbandonato la sala, mi invitasti con
un gesto
della mano a sedermi sulle tue ginocchia. Offerta colta
immediatamente da una delle magnifiche figlie di Poseidon,
caratterizzata da un viso leggermente allungato, una carnagione
argentea, una bizzarra, acuta risata e soprattutto con una gran
voglia di “socializzare”.
Ah,
i miracoli della natura.
Le
motivazioni del tuo comportamento così sfacciatamente
esibizionista
erano più che ovvie: molti occhi maliziosi avevano iniziato
a studiarmi interessati e tu
volevi semplicemente comunicare a tutti, a modo tuo, che ero di tua
proprietà ed avresti ucciso qualsiasi spasimante senza
distinzioni
di razza, sesso o parentela.
Dopotutto,
eri equo nei massacri.
Non
riuscii a trattenere un sorriso divertito a quella tua spiccata
gelosia.
Era
un sentimento comune tra i divini, generalmente banalizzato con
“specchio delle emozioni umane”.
In verità, la gelosia
divina è al pari della paura della morte per un qualsiasi
altro
uomo: gli dèi, infatti, non temono il trapasso, grazie
all'ambrosia
contenuta nel sangue dei Titani che rendeva eterni ed invulnerabili,
al contrario però l'essere dimenticati è uno dei
primi sintomi di
una graduale perdita di potere, di importanza, fino ad arrivare ad
una solitudine perpetua, ridotti a flebili spettri di un glorioso
passato.
La
gelosia, quindi, non è altro che la manifestazione di una
paura
inconscia e per questo motivo non giocai con i tuoi sentimenti: per
me sarebbe stato semplice corteggiare un'altra divinità,
però avrei
compiuto anche un crudele atto empio, un deicidio nei tuoi confronti.
E
il mio amore per te non si traduceva solo in passione, bensì
soprattutto in rispetto.
Avrei
voluto discutere con Athena su questo argomento. Anzi, avrei voluto
semplicemente parlarle, anche di altro, anche di semplici
pettegolezzi.
Ma
lei era assente.
«
Halaktrya? Siete davvero voi quel giovane dalla voce celestiale,
capace di incantare i cuori di uomini e dèi?»
A
prendere la parola fu la sfuggente figura di un... servo
di
mia zia Eos, fino a quel momento passato inosservato: il suo fisico
era androgino
con la carnagione fin troppo chiara, quasi non avesse mai
sfiorato la luce del Sole, mentre i capelli liscissimi, lunghi oltre la
metà della schiena erano di un caldo, cupo castano,
del medesimo colore degli occhi sottili, a mandorla; inoltre
indossava una particolare, candida, preziosa veste in seta a maniche
ampie, con un'argentea fascia stretta in vita.
Era
decisamente elegante e posato, nell'aspetto e soprattutto nei modi,
tanto che ad ogni silenzio si ricomponeva a braccia mollemente
conserte, celando le mani sotto la preziosa stoffa.
Era
così diverso da me. Eppure così dannatamente
familiare.
«
Sono davvero così famoso?»
«
Fidatevi, pagherebbero qualsiasi prezzo pur di ascoltare la vostra
voce. Ed anche io sarei disposto.>>
Eos,
stranamente, non gli intimò di sedersi, anzi si
limitò a far
oscillare il calice nella mano, fingendo stanchezza, ma in
verità i
suoi occhi celesti erano più che vigili.
«
Vi prego, Halaktrya: voglio sentire quell'antica
nenia.»
Quell'antica
nenia.
Rabbrividii:
dopotutto, non ero solo il Figlio di Sole.
Era
un pensiero sciocco per qualsiasi altra creatura: come
dimenticarsi della propria madre?
Ma
mia madre era limpida e sfuggente, ancor di più di quel
ragazzo: i
pochi ricordi di lei aggrappati alla mia memoria erano le lunghe
notti che aveva trascorso a cullarmi tra le sue braccia, mostrandomi
a volte il suo bianco viso, in altre solo un lembo di pelle, fino a
scomparire nell'oscurità della notte, abbandonandomi nelle
tenebre
rischiarate solo dalla luce del mio tenue fuoco sacro.
Compiuti
i sei anni di vita scoprii che, per un torto alle divinità,
era
stata gettata nel Tartaros poco dopo la mia
nascita. Eppure,
il suo canto risuonava ancora nella mia mente, inciso nel cuore.
Fui
sorpreso da una lacrima, che mi scivolò lungo la gota fino a
schiantarsi sulla tavola.
«
Che magnifica idea, quella del nostro ospite. La voce di Halaktrya
è
un vero balsamo per l'anima.»
Zeus non distolse lo sguardo aureo da quel giovane, come se in
verità
lo stesse studiando da tutta la serata, cercando di capire le sue
intenzioni.
«
Io... non penso di essere così talentuoso: finirei solo per
tradire
le vostre alte aspettative.»
per la prima volta nella mia vita, non desiderai far sfoggio della
mia arte. Non comprendevo quel brusco cambio d'atmosfera e non volevo
espormi troppo, rischiando di mettere in pericolo anche te.
«
I mesi con mio figlio, incredibilmente, ti hanno
reso più
modesto.»
il Padre degli
Dèi si carezzò lentamente la barba curata,
sospirando poi mesto «
Mi dispiacerebbe congedare insoddisfatto un mio ospite.»
Provai
a rispondere, ma sentii una mano posarsi sulla mia spalla.
La
tua mano.
Eri...
preoccupato? In effetti, non mi ero mai mostrato
così insicuro.
Chinai
il capo cercando di riflettere, ma il cuore era sconvolto da mille
pensieri ed emozioni: non riuscivo a pensare con lucidità,
provavo
solamente un insolito timore.
Canterai
per noi, Halaktrya? Oggi c'è anche la luna piena, proprio
come ai
vecchi tempi.
Il
misterioso ospite, quando alzai lo sguardo stupito per
quell'inaspettato dialogo mentale, mostrò solo un sorriso
affilato
quanto una falce.
[Non
si può comprendere la profondità di un rapporto,
finché
non lo si vive]
Come
ogni altro uomo,
Ti
eri lasciato sedurre dal mio fascino.
Sul
sorgere di un nuovo giorno, i miei polmoni si riempirono d'aria per
poi liberarla in suoni armoniosi, decisi, inseguiti da una musica che
cercava -pur fallendo- di eguagliare la medesima
potenza:
nell'assoluto silenzio plateale, molti divini spettatori furono
costretti alle lacrime davanti alla forza di quel canto antico, da
tempo perduto e volutamente dimenticato.
Non
era un inno a Zeus, non era un elogio a nessun'altra divinità.
Era
la voce di un popolo piegato alla schiavitù, incatenato
nell'oscurità più remota del creato in attesa di
rivedere la Luce.
Non
parlavo la lingua dei Titani, eppure quell'unica nenia della mia
infanzia era ben radicata nel mio animo: ero rimasto affascinato
forse da quelle parole tanto melodiose, in un idioma a me ignoto, o
forse da quel sentimento di speranza, da quella preghiera rivolta
direttamente a Gea, Madre Terra.
Volteggiai
libero al centro della sala e in quella confusione di visi, di
pianti, di stupore, i miei occhi si soffermarono sui tuoi, che
lasciavano trasparire un'emozione a me indecifrabile.
In
seguito, mi domandasti spesso il significato di quel canto ed io,
divertito dalla tua inusuale curiosità per qualcosa che
andava oltre
la sfera bellica, ti rispondevo sempre in un modo diverso: ora una
canzone d'amore, ora di guerra, ora di morte; tutte risposte vere, ma
nessuna esatta, e tu ovviamente ringhiavi innervosito, anche se poi
nella quiete della notte mi chiedevi di cantare per te quelle parole.
La
musica finì bruscamente ed io, sull'ultima pulsazione dei
tamburi,
m'inginocchiai in un solenne inchino mentre i musicisti tremavano
affaticati da quel folle inseguimento della mia voce. Anche io ero
stanco, sentivo il fiato mancare ed alla fine crollai su me stesso in
un silenzioso pianto, vinto da quei sentimenti rivelati.
Sopportai
interi attimi di assoluta, tediosa, scandalizzata quiete, fino ad un
primo applauso da parte di Dioniso, seguito da Hermes ed infine dagli
altri, pochi ospiti, ammaliati dal mio canto.
«
Selene, dovevo immaginarlo.»
con il suo intervento, Zeus soffocò ogni altra dimostrazione
di
apprezzamento «
Non
lasciate che quei ribelli abbandonino l'Olimpo!»
aggiunse a gran voce, cosicché tutte le guardie riuscissero
a
sentirlo.
Mi
guardai attorno, ma sia Eos, sia quel misterioso ragazzo erano
scomparsi, così come molti altri invitati, spaventati
dall'improvviso arrivo dei soldati.
«
E tu.»
Per
un solo istante, vidi riflesso nei suoi occhi l'ardente desiderio di
uccidermi, di richiamare una folgore -simbolo del suo potere-
e disintegrarmi. Ed io, in quel momento di assoluta quiete, ricambiai
lo stesso sguardo ostile.
Perché
si ostinava a tenermi in vita?
Dopotutto,
ad ogni cambiamento, una reazione.
Eppure
Zeus non aveva mai reagito ai miei cambiamenti:
ogni mia
pietra scagliata non era mai riuscita a produrre
alcuna
increspatura sulla sua superficie.
Perché?
«
Suppongo che tu non sia dell'umore giusto per dirmi qualcosa su
Selene.»
scherzai, mentre
la mia carnagione si stava già frammentando in bianche,
crepitanti
fiamme.
«
Tu dovevi rimanere rinchiuso in una sudicia gabbia.»
continuò il monarca, tendendo il braccio verso di me. Nel
suo palmo
si materializzò una folgore che splendeva di assoluta
onnipotenza,
tanto che il solo sguardo prolungato feriva gli occhi al pari della
luce del Sole.
Che
mossa stupida.
Ma
poi mi ricordai di non essere solo.
Una
fiera rossa, proprio in quell'istante di stallo e di studio
reciproco, mi spinse bruscamente e violentemente di lato, tanto che
rotolai a terra. Un'azione improvvisa che mi provocò, in
pochi
secondi, solo smarrimento, mentre il fulmine splendeva ancora nel
palmo di Zeus.
Idiota.
Eri un completo idiota.
Non
mi ero mai curato della mia vita, prediligendo scelte bizzarre o
mortali, ma per quanto riguarda la tua, era decisamente un discorso
diverso; lo compresi quando, nella confusione più totale
attorno a
noi, mi immaginai il tuo terrificante grido di dolore, il devastante
impatto dell'arma sul tuo fisico.
Probabilmente
neppure l'ambrosia ti avrebbe salvato dal trapasso.
E
questo pensiero spezzò il mio animo.
Tremai,
pallido come un cadavere.
«
Lui appartiene a me.»
ringhiasti, coprendo la mia figura -ancora stesa a terra-
dietro alla tua ampia schiena.
«
Quindi ti sei davvero affezionato.»
a quella sentenza tanto simile ad un disonorevole insulto, lo sguardo
del sovrano si soffermò qualche attimo su di me «
Hai giurato di difendere la tua famiglia, eppure hai deciso
ugualmente di proteggere una creatura così instabile.»
«
I miei soldati sono l'unica famiglia che conta.»
Era
più forte di te: non eri capace di riflettere.
Ciò
che pronunciasti fu grave quasi quanto una dichiarazione di guerra: i
più crudeli, spietati spiriti figli del conflitto ti erano
profondamente fedeli ed avrebbero eseguito ogni tuo comando, anche il
più folle come attaccare l'Olimpo; vista la tua posizione e
la
diffidenza con cui gli altri dei ti guardavano, dovevi essere proprio
tu il primo a mostrare assoluta fedeltà a Zeus.
Eppure,
già al tempo, sentivi quella lealtà fin troppo
forzata. Ed era
un sentimento pericoloso non tanto per le altre divinità, ma
per
te.
«
Per carità, fermatevi!»
Eiléithyia, tua sorella e dea della fertilità,
accorse nella sala
richiamata dal trambusto.
Sulla
soglia, sopraggiunse anche tua madre, Hera, scortata dalle sue
ancelle: non ti aveva mai amato, però dallo sguardo letale
come il
filo di una spada capii che era più che intenzionata a far
valere la
propria autorità di regina, non potendo mai accettare che il
suo
sano primogenito venisse sfregiato.
Solo
con la sua protezione, Zeus scosse il capo, prima di ridere
sommessamente come se tutto quello che era accaduto fosse solo una
sciocchezza: era uno scherzo, diceva, una
piccola diatriba
tra padre e figlio, niente di grave.
«
Andiamo, Alectryon.»
mi
aiutasti ad alzarmi, coprendomi le spalle col tuo mantello cremisi.
Nel
silenzio generale, ti seguii fin fuori dal palazzo, in una lunga
marcia funebre in cui i miei pensieri erano rivolti al velato ghigno
soddisfatto che tuo padre mi serbò alla fine.
Tutto
quel che era accaduto... tutto era andato secondo il suo volere.
[Finché
non si prova sulla pelle lo stesso dolore]
Come
solo tu eri capace,
Riuscivi
a farmi sentire completo.
«
Sta sera non torneremo all'accampamento.»
la tua sentenza spezzò il silenzio che si era creato tra
noi,
risvegliandomi dai miei pensieri.
«
Ah no?» corrucciai la
fronte «
Non fa un po' troppo freddo per dormire sotto le stelle?»
«
Seguimi: il mio tempio non è lontano.»
Mi
fermai sui miei passi ancor più stupito.
Tu
odiavi quel posto da secoli disabitato e non ti biasimavo,
soprattutto dopo aver incontrato la tua amabile famiglia,
eppure volevi andare proprio lì.
Perché?
Cosa avevi in mente?
Smaterializzai
il mio corpo per riapparire al tuo fianco, risparmiandomi attimi
preziosi di tediosa discesa. Ti studiai cercando di cogliere un
cenno, un qualcosa nella tua espressione, ma eri di pessimo umore, in
collera con tuo padre.
Il
rancore, covato per troppo tempo nel cuore, creava sanguinose faide e
anche se non ero decisamente in buoni rapporti con Zeus, non volevo
che agissi mosso da chissà quale desiderio dettato dall'ira.
«
Muoviti.»
mi ordinasti
con tono cupo, precedendomi nel tempio.
Il
primo passo nella tua casa.
Passeggiando
per l'immenso atrio, svelai pian piano una parte di te che non avrei
mai pensato di incontrare: la tua infanzia e la tua giovinezza.
Pensando ad un dio, pensando a te, non riuscivo ad
immaginarti
bambino, eppure anche tu eri stato in fasce, innocente e forse con un
po' meno odio verso il mondo.
Osservai
attentamente quella muta storia raccontata tra le colonne sfregiate.
Lasciai scorrere le dita sul freddo marmo e mi parve quasi di udire
il riverbero dei colpi che mulinavi da ragazzino, fingendo di
combattere contro i mostruosi Titani.
“Muori,
muori dannato Titano! Ti rispedisco nel Tartaros da cui provieni!”,
potevo quasi sentire la tua stridula voce che inveiva contro i
temibili nemici degli dèi.
Evidentemente,
qualcuno ti aveva fatto cambiare idea.
E
poi volsi uno sguardo alla tua titanica statua, che ti rappresentava
come un aitante giovane armato di lancia e scudo, sbarbato e
completamente glabro, nudo nella tua fierezza giovanile.
Tossii.
Tossii
più volte.
«
Non dire niente.»
«
Ah... lo sai bene che le battute facili non mi piacciono.»
picchiettai l'indice sulle labbra arcuate in un sorriso
giocoso «
Anche se... che
ci fa una statua di Ganimede qui? Insomma, vuoi farmi ingelosire?»
Forse,
più che risollevarti il morale, stavo semplicemente
rischiando di
morire, ma per un'onesta risata questo e altro.
«
Potresti essere tu, per quel che mi riguarda. Ho scopato donne
più
pelose di te.»
e,
superando il tuo malumore, rispondesti alla mia ironia infierendo sui
miei mancati peli facciali.
Sognavo
una curata barba da filosofo, lo sapevi bene, ma il
Fato aveva
deciso di farmi assomigliare ad un eterno adolescente.
Ma
ero più che intenzionato a non lasciarti nessun'altra,
seppur
piccola, soddisfazione.
«
Tipico di voi divinità: disprezzate l'antico, credendovi
superiori.»
con tono saccente, incrociai le braccia al petto, fissandoti con
sguardo di sfida.
Tu, ovviamente,
divertito dalla mia insolenza non evitasti il
confronto, anzi, con un ghigno sadico eri già pronto a
gustarti la
vittoria: ti avvicinasti a me e scostasti un paio di ciocche, per poi
sussurrarmi qualcosa.
Due
parole.
E
due sole parole bastarono per sconfiggermi.
«
Non parli più?»
inclinasti il capo, non smettendo mai, neppure per un istante, di
ghignare.
«
Sei sleale.»
«
Eppure non rifiuti l'offerta.»
Avevi
vinto ancora una volta, vero, però mi
accontentai di
rivederti di nuovo felice, senza più quel cruccio che ti
deturpava
il viso.
«
Ma prima, voglio che tu faccia dono del tuo fuoco.»
camminasti verso un braciere spento, dandomi le spalle «
Ogni mio seguace ha lasciato un segno nel mondo: Deimos e Phobos sono
venerati come divinità, Pόlemos
ha riunito e separato interi popoli, Alalà è
sempre presente nel
cuore dei soldati...»
Lasciare
un segno: tipico degli dèi dopotutto.
I
Titani non chiedevano templi, sacrifici o ricorrenze particolari: il
dialogo con la Madre Terra e i suoi più antichi figli era
intimo e
personale, un contatto tra l'uomo e la natura più selvaggia
senza
mura che limitassero la vastità del creato. Viceversa, voi
divini
pretendevate opere colossali, titaniche,
non solo per affermare la vostra grandezza, ma per essere venerati e
quindi ricordati dagli umani, che in quest'ottica religiosa
divenivano stolti
schia...
devoti
servitori al vostro servizio.
«
Tu sarai il fuoco che arderà nel mio tempio, così
come sul campo di
battaglia.» ti chinasti per raccogliere la fredda cenere,
mentre
ancora ti osservavo in silenzio, incredulo. Dopotutto, avevamo
iniziato col parlare di velli umani e divini per finire con proposte
d'una sacralità che mal si sposava col tuo carattere
« Il mio
soldato divinizzato.»
Divinizzare
un Titano.
Solo a te
poteva balzare in testa un'idea così singolare.
Con
l'atto della divinizzazione, il corpo perde completamente la propria
umanità per poter accogliere il potere del dio, che come
acqua in un
fiume inizia a scorrere propagandosi fino ai più minuti
capillari.
Questo è quel che è accaduto ad alcuni dei tuoi
seguaci, come
Homados, un tempo un umano che per pura casualità aveva
scoperto
un'esplosiva reazione chimica: tu, dall'alto del tuo carro da guerra,
eri rimasto affascinato da quella magia
che gli aveva sfregiato gran parte del viso e del fisico, tanto che
per diletto lo divinizzasti, tramutandolo in un immortale, isterico
sottoposto con un'insana fissazione per gli esplosivi.
Ma
io, a differenza di Homados, non ero umano.
Se
avessi accettato, il mio fuoco sarebbe fluito nel tuo corpo e il tuo
potere nel mio, in un costante moto senza un inizio o una fine: un
legame indissolubile, che in eterno avrebbe unito le nostre esistenze
fino a quel momento divise.
I
tuoi soldati sono la tua famiglia. E per te era giunto il momento che
anch'io ne facessi parte.
I
miei passi si dispersero nel cupo, solenne rimbombo del tempio.
«
Non pensi mai alle conseguenze delle tue azioni, vero?»
Bianche
fiamme crepitavano sul palmo della mia mano, danzando silenziose, in
attesa di congiungersi al loro nuovo padrone.
Quella
fu la notte in cui mi convertii al tuo culto. Quella fu la notte in
cui le nostre anime tornarono ad essere Uno.
[Di
una lenta,
sofferta
discesa verso gli Inferi]
Fine
Secondo Capitolo!
Due
parole: sul dizionario di greco antico ci sono parole
talmente
lunghe e articolate che ne basta una sola per sostituire un'intera
frase. Con due, probabilmente, Ares ha detto ad Alectryon il
programma dell'intera settimana.
Angolo
dell'Autrice:
Mea
culpa.
Quando
ho ampliato la parte del banchetto, ho perso il controllo del mio
lato oscuro: inizialmente, nelle prime bozze, Ares doveva
“spassarsela” con Aphrodite, lasciando Alectryon
nei casini, ma
poi, non so bene quando, il mio animo fujoshi ha preso il sopravvento
e... niente, ho dovuto mettere la scena in cui Ares imboccava
Alectryon.
Scusa
Aphrodite, sarà per un'altra volta.
Ok,
al di là dei miei svarioni, questo capitolo l'ho ritoccato
più e
più volte, proprio per la caratterizzazione di Alectryon:
sia nello
stile più riflessivo rispetto ad Ares (infatti ho voluto
mettere
delle vere e proprie digressioni mentre la scena continua comunque a
scorrere; volevo dare un po' l'idea del ragazzo che si perde a
pensare, estraniandosi dalla realtà), sia nella resa delle
altre
sfaccettature del suo essere, come ad esempio l'insicurezza e,
appunto, l'overthinking.
Non
so se alla fine sono riuscita a dare l'effetto voluto, però
rispetto
a com'era originariamente posso dire che mi soddisfa. E per questo
verrò punita dal karma, già lo so.
Detto
questo, mancherò per qualche giorno per motivi personali.
Quindi...
nulla, vi lascio con questo capitolo!
Inoltre
un grazie speciale a chi ha recensito e a chi ha aggiunto questa
storia alle preferite/da ricordare!
Un
bacio da _Lakshmi_!
|
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Capitolo 4 *** Pomeriggio ***
Terzo Capitolo
Terzo
Capitolo:
Pomeriggio
[“Lascia
ragionare un folle e ti sorprenderà sempre”]
Io
ero lì, Halaktrya,
Su
quella collina di Atene chiamata, a seguito di quell'evento
straordinario, Areopago.
Tutti,
Olimpi e dèi minori, erano lì presenti per
assistere alla disfatta
di Ares, sotto processo per aver massacrato Alirrhóthios,
il
figlio maschio di Poseidon, solo per vendicare lo stupro di una
ragazzina in un mondo in cui simili atti erano all'ordine del giorno.
Non
era importante se fosse o meno imparentata con mio fratello: la morte
di un semidio era ben più grave.
Seduta
al mio trono come gli altri Olimpi, ascoltai con attenzione le parole
del Re dei Mari, ricche di dolore per la prematura ed ingiusta morte
della sua adorata prole. Terminò additando Alcippe come vile
seduttrice.
Nel
silenzio che seguì, la fanciulla non sopportò
oltre le crudeli
accuse e si sciolse in un pianto sommesso per la misera sorte del
padre,
rimasto fermo, immobile, con quegli occhi cremisi tanto simili a
braci ardenti.
A
quel punto sembrava ovvia la sentenza. Hermes propose
persino, in tono
scherzoso, di votare subito, senza tener conto delle
parole di un selvaggio tanto ottuso.
Eppure,
proprio in quel momento, la tua voce riecheggiò in difesa
del tuo
Signore.
Alle
mie orecchie non sembrò neppure un'arringa, quanto invece
l'armonioso canto di un aedo. Camminavi con la stessa fierezza e lo
stesso splendore di un leone, sfoggiando quell'impeccabile sorriso e
quegli occhi d'un intenso smeraldo, profondi quanto abissi.
Le
risate ben presto si sopirono sui volti degli dèi minori. Le
tue
parole non solo trapassarono le corazze di noi Olimpi, ma
soggiogarono persino l'animo dell'intera platea, tanto che quando
terminasti per te non ci fu solo silenzio, bensì
un'ovazione, un
grandioso scroscio di applausi degno del più magnifico e
clemente
tra gli eroi.
A
quel punto ti voltasti e ti inchinasti anche al pubblico che tanto
aveva apprezzato il tuo passionale discorso. Solo
Ares ti riprese immediatamente afferrandoti per la nuca, riportandoti
all'ordine con un severo, quanto compiaciuto: “smettila
di fare l'idiota”.
Da
esibizionista quale eri amavi fomentare le reazioni della folla, ma
quel momento di estasiata acclamazione fu in verità solo un
assaggio
tuo reale potere: la votazione, infatti,
risultò una vittoria
schiacciante con nove voti su undici totali a favore di Ares.
Ingiustizia,
diranno in molti:
mio fratello
si meritava una condanna, aveva ucciso e squartato il figlio di
Poseidon per vendetta personale; eppure, grazie al tuo discorso, o
forse grazie alla tua voce,
avevi fatto
passare per innocente il tuo Signore e per colpevole l'ormai defunto
Alirrhóthios.
E
il mare, per mesi interi, fu sconvolto da tempeste.
[Questo
è quel che mi disse un giorno mio Padre,
per
giustificare la clemenza nei tuoi confronti]
Io
ero lì, Titano,
Quando
il Chaos soggiogò l'Olimpo.
Le
origini della guerra contro Oto e Efialte non erano chiare: alcuni
affermavano che fossero stati gli esseri umani a tradire la fiducia
di Ares, mossi da un comune risentimento per gli dèi
tiranni; altri,
più maliziosi, ipotizzavano invece che fosse stato Poseidon
a
incitare e a aiutare i figli a compiere la rivolta, ferito com'era
nell'orgoglio dopo la gravosa sconfitta al processo di Alcippe.
L'unica
certezza, in quel clima denso di tensione, era la comune diffidenza nei
tuoi riguardi.
Come
ha fatto ad avere il consenso degli Olimpi?
Come
ha fatto a sedurre Ares?
Manipola
le menti a suo piacimento?
Così,
quando Pheme con la sua immancabile malizia diffuse e gonfiò
innumerevoli dicerie, i sentimenti più spregevoli dell'animo
divino
prevalsero sulla ragione, animando quell'odio ormai radicato: con
Ares imprigionato, diventò ben presto credenza comune che tu
stessi
radunando sotto al tuo stendardo i Makhai ed altre creature
sanguinarie per marciare sull'Olimpo.
Ovunque
camminassi, riuscivo solamente a scorgere soldati in armatura,
divinità minori pronte allo scontro a detta loro imminente,
servi
terrorizzati che mi chiedevano disperatamente consiglio. Passai
accanto ai carri da guerra guidati da turbolenti aurighi che
incitavano i padroni a compiere la prima mossa.
Io,
ovviamente, non potevo credere a quelle voci.
Avevi
più di un valido motivo per non essere in buoni rapporti con
gli
dèi, però nella tua follia c'era un'unica
certezza: non ambivi
al potere; eri una creatura estremamente egoista, attento
solo
alla tua persona e ai tuoi pochi affetti, per cui non ti interessava
guidare un popolo alla rovina o alla gloria.
Halaktrya
ha aiutato gli umani ad imprigionare Ares!
È
in combutta con Oto ed Efialte!
Vuole
liberare i Titani dal Tartaros!
Traditore,
Traditore!
Il
gracchiante canto di Pheme, tuttavia, continuava a riecheggiare
nell'aria, sovrastando ogni altro grido per fomentare quella follia
generale.
Raggiunsi
il tempio di Ares, sul quale troneggiava la mostruosa figura della
dea piumata dalle mille bocche e mille occhi. La fissai e lei mi
fissò, distendendo le labbra in sorrisi raccapriccianti.
Senza
neppure dar credito alle sue parole, entrai e notai uno spettacolo
raccapricciante: i soldati, spinti dal rancore e dalla follia dettata
dal terrore, avevano rovesciato i sacri bracieri, non sapendo che il
tuo fuoco era realtà inestinguibile. E le tue fiamme, come
per
punire quell'empio atto, non più limitate dal focolare
avevano
iniziato a divampare in un incendio indomabile, soffocando in una
morsa rovente i corpi di quei figli illegittimi.
Mi
sentivo impotente davanti a quell'incandescente, titanico demonio
senza una sagoma definita, d'un candore tale da ferire persino la
vista. Indietreggiai, imbracciando il mio sacro Oplon,
ma
quell'entità oltre il divino guadagnò terreno,
marciando informe
aggrappata alle colonne portanti.
Arretrai
di un altro passo.
L'insuperabile
muro di fuoco ormai era vicino, eppure non si mosse, anzi, rimase ad
ardere in silenzio, come se mi stesse osservando.
Lo
fissai a mia volta e, contemplando quell'assoluto biancore, i miei
occhi ti videro lottare contro nemici mostruosi, ombre sfocate e
terrificanti, nella mia mente riecheggiarono i tuoi pensieri tra lo
sconforto e l'ira, sul mio viso iniziò a correre una lacrima.
La
tua.
La
lasciai cadere lungo la gota, ipnotizzata com'ero da quella danza
continua, incessante, che seppe trascinarmi in un circolo di follia.
Iniziai a scorgere delle sagome prima confuse, poi lentamente sempre
più nitide: riconobbi i tratti di mio padre, la sua folta
barba e il
suo sguardo severo; distinsi il tuo corpo incatenato, cosparso di
cicatrici, consumato dalla debolezza.
Assistetti
al lento avanzare di Poseidon nella tua cella.
Nella
mia mente iniziarono a riecheggiare con maggiore insistenza le voci
della folla, le grida sature di odio, il boato incessante che
ripeteva una e una sola parola.
Basileus.
Non
sopportai oltre. Ero pronta a squarciare quelle visioni, ma una
delicata mano mi si posò sul petto, trattenendomi.
Davanti a me notai la
minuta, delicata figura di Eos, eterna
fanciulla che sembrava essere addirittura l'incarnazione della
purezza con quei suoi grandi, innocenti occhi azzurri. Dopo un
sospiro di sollievo, chinò il biondo capo esternando quella
genuina
preoccupazione che sempre provava nei confronti del prossimo.
Rivolsi
lo sguardo alle sue spalle, sui cadaveri bruciati, ma non con mia
somma sorpresa notai che non c'era alcuna traccia di loro.
Era
stato davvero tutto un sogno a occhi aperti? Un'allucinazione dettata
dalla follia?
Indietreggiai
incerta di un passo, cercando una qualsiasi prova di quel titanico
incendio, ma nulla sembrava essere realmente accaduto.
Dopo
un'ultima occhiata, mi voltai, marciando in silenzio verso il mio tempio.
[Ma
al di là di tutte le pianificazioni,
la
verità è che tu riuscivi a destare interesse e
curiosità]
Io
ero lì, Strategòs,
Sul
campo di battaglia, alla tua prima, reale guerra.
Desideravo
ardentemente partecipare alla guerra contro Oto e Efialte per
comprendere tutto quel che era accaduto. Desideravo interrogarti,
svelare quei misteri che aleggiavano attorno alla tua natura.
Ma
mio Padre, in consiglio, diede il permesso solo a Artemis e a Hermes
di intervenire, tra l'altro unicamente in vostro soccorso.
Così
hanno parlato le Moire.
Disse
in tono solenne.
E
noi tutti sottostammo ai suoi ordini.
Eppure,
una volta raggiunto il mio tempio e ponderato sul da farsi, decisi di
mia iniziativa di recarmi ugualmente sul campo di battaglia, spinta
dal morboso desiderio di rivederti.
Fu
un atto di follia il mio, non posso negarlo.
Sotto
le sembianze di una civetta, planai quindi su quella piana sconvolta
dal conflitto, convinta di stare per ammirare un drappello di
soldati allo sbando, senza un comandante capace di guidarli: recisa
la testa principale, era infatti più che plausibile che
potessero
esserne sorte altre nove; i seguaci di Ares, dopotutto, avevano una
personalità particolare, forte, capace di riconoscere una ed
una
sola autorità incarnata nella divinità bellica
che servivano.
Sicuramente
non avrebbero ascoltato i comandi di un ragazzino che aveva da poco
compiuto vent'anni.
Si
parlava di soldati del calibro di Pόlemos,
gigante di tre metri, rinomato per il carattere estremamente
irascibile in cui dominavano due poli opposti, la
strage e la famiglia;
il suo voto a questi irremovibili fondamenti si traduceva in un amore
protettivo nei confronti della figlia e nel desiderio di annientare
totalmente il nemico, arrivando addirittura ad usare potenti droghe
in grado di inibire i sensi ed accrescere in modo spropositato la
forza fisica.
Tuttavia,
dovetti ricredermi.
Una
volta raggiunto il cuore della battaglia, rimasi a contemplare
l'incredibile lavoro di una mente più che raffinata: eri
riuscito a
dar ordine e disciplina ad una massa disomogenea di spiriti, tanto
che ora era quasi tangibile la sinergia che rendeva i numeri una
singola unità in grado di compiere manovre perfette.
Per
Ares!
Alalà,
Personificazione del Grido di Battaglia, sorvolò il campo in
groppa
al proprio nero pegaso, lenendo le ferite degli alleati grazie ad una
bianca, benefica luce.
Migliaia
di frecce furono incoccate per abbatterla, ma gli
arcieri finirono sgozzati dalle loro stesse ombre, che presero
successivamente la forma di mostruosi abomini oscuri. Deimos
piombò
solo in quel momento in mezzo alle proprie emanazioni, diffondendo il
terrore tra i nemici.
Grazie
a quella paralisi momentanea, Pόlemos si fece strada con le proprie
affilate, gigantesche asce bipenni, sterminando ogni singolo uomo sul
suo cammino, mentre i lupi di nero fumo creati dall'essenza stessa di
Phobos dilaniavano i corpi dei fuggiaschi, completando lo sterminio.
Ma
tu, in quel caos, dov'eri?
Planai,
alla ricerca della tua minuta figura, appollaiandomi alla fine sulla
spalla di un colosso di pietra nemico, evocato da abili, potenti
incantatori.
«
Vieni fuori, Mago.»
Ed
infine eccoti lì, a piedi, con indosso un'armatura piuttosto
familiare... troppo familiare: le vestigia di un
dio non
potevano essere indossate da nessun'altra creatura, pena il
disfacimento delle carni e dello spirito; eppure tu sfoggiavi
comunque la sacra armatura di Ares, che ti vestiva come una seconda
pelle, e con questa scelta ti eri addossato sulle tue spalle sia
l'insostenibile tormento degli spiriti iracondi, vendicativi che ti
turbinavano attorno, sia l'odio, il dolore, la calamità
della Guerra
in grado di spingere gli uomini a compiere scelte folli.
Eri
senza dubbio uno Stratega con del potenziale, ma quanto ancora
saresti riuscito a sopportare prima di crollare definitivamente nel
baratro della disperazione?
Più
che determinata a non lasciarti andare, stavo per raggiungerti, ma
all'ultimo fui travolta da una tremenda esplosione ad opera di
Homados, la cui risata isterica riusciva a superare addirittura le
grida di dolore dei nemici.
La
sua voce s'insinuò nella mia mente in un rimbombo
assordante, tanto
che qualsiasi altro suono esterno mi sembrò ovattato.
Oh!
Guarda, guarda! Guarda chi ho colpito.
Il
suo occhio d'un azzurro totalmente squilibrato luccicava feroce,
mentre mi afferrava per la lunga chioma castana.
Hai
sentito l'esplosione? L'hai sentita? HAI SENTITO.
A
mia volta, seppur ferita per quell'attacco a sorpresa, lo afferrai
per la nuca, avvicinando il suo viso al mio per intimidirlo, anche se
dal suo repentino cambio di espressioni facciali compresi che il mio
gesto fu mal interpretato.
Maledetto
omuncolo arrapato.
«
Homados, lasciami immediatamente: è la dea Athena che te lo
ordina.»
soffiai astiosa, chiarendo subito il mio disgusto.
Lui non smise di
sghignazzare.
Oh?
Io non vedo nessuna dea qui.
Inspirò
a fondo il mio odore, prima di allargare un sorriso totalmente
dissennato, che preannunciava ben altre intenzioni.
Carne.
Solo carne.
Prima
che potesse avvicinarsi oltre, gli puntai alla gola il mio Xiphos. Mi
alzai lentamente, tenendolo a distanza senza distogliere neppure per
un istante lo sguardo dal suo viso sfregiato.
Perché?
Perché tutto ad un tratto erano mutati in una simile
minaccia?
I
Makhai erano soldati valorosi e soprattutto leali, ma nulla
più, non
avevano un potere che potesse eguagliare quello di una
divinità.
Eppure
lui mi aveva ferita.
Solo a quel punto compresi la reale gravità della
situazione.
Il
tuo fuoco.
Il
tuo potere e quello di Ares fluivano in egual misura nei corpi di
quegli assassini.
Era
assurdo solamente pensarlo, ma era come se tu e il dio della Strage
foste diventati un'entità unica, diversa da uomini e
dèi, e per
questo gli spiriti bellici, che vivevano grazie al potere
del loro Signore, ora traevano le forze anche da te.
Mhm...
mi piacciono le donne coraggiose.
L'occhio
folle del soldato fremette, un fastidio fisico che gli
procurò una
risata isterica, acuta e gracchiante che mi ferì i timpani.
Tu...
TU diventerai la mia prigioniera, il mio bottino di guerra!
AHAHAHAHA!
UNA
creatura incatenata... la mia SCHIAVA!
Dopo
essersi asciugato la bava con un gesto sbrigativo, annuì
compiaciuto
più volte per quell'idea malsana, altamente improbabile.
Mai,
piuttosto la morte.
Ma
a rispondere al mio posto fu una freccia argentata che
lacerò
l'aria, impiantandosi al suolo in mezzo a noi. Scorsi il luccichio
gelido delle ruote argentate del carro della Luna avvicinarsi sempre
di più, fino ad apparire davanti a noi in tutta la sua
opalescente
bellezza.
Artemis.
Homados,
non particolarmente sorpreso, raccolse il dardo e lo porse alla dea
dalla ribelle chioma corvina.
Con
mio estremo orrore, mi accorsi che la voce di mia sorella
suonò muta alle
mie orecchie. Avvicinai tremante le mie mani ai lobi e mi
lordai, con mio sommo orrore, del mio stesso Icore.
Ah,
che rumore fastidioso.
Umana
o divina, una testa esplode sempre allo stesso modo.
Io
riconosco un solo dio! Voi altri siete solo carne da macello!
Sì,
sì!
Carne
da macello... carne! Esplosione! SCOPPIO!
Barcollai
priva di equilibrio.
Le
immagini diventarono oscure, confuse. L'unico suono che potevo udire
era il boato bestiale degli spiriti bellici, colmi di rancore, che,
trovata una breccia nel mio animo, si riversarono all'interno come
bestie affamate: Paura, Terrore, Astio, Odio iniziarono a lacerarmi
la ragione; il mio cuore pompava il sangue fin nei timpani,
annullando ogni altro pensiero al di fuori di quel rumore assordante.
Le
mie mani, affette da un tremore incontrollato, lasciarono cadere la
spada in un rimbombo cupo, solenne.
Voglio
vedere sangue.
SANGUE.
HAI
CAPITO? AHAHAHAHAHA!
La
mia testa stava scoppiando, il doloroso pulsare mi stava rendendo
folle.
Vacillai.
Provai
sollievo solamente quando guardai le bianche fiamme del tuo fuoco che
ardeva in silenzio consumando i cadaveri dei nemici.
Basileus!
Basileus!
Basileus!
Rividi
la folla inneggiare la loro sovrana.
Poi,
la totale oscurità.
[E
il solo starti accanto,
generava
un caotico agglomerato di emozioni
da
tempo dimenticate da noi divini]
Io
ero lì, Alectryon;
Alla
fine della lunga guerra.
La
ribellione di Oto ed Efialte aveva fomentato persino gli esseri
umani, tanto che interi villaggi si erano mossi contro le
divinità,
rallentando notevolmente la spedizione. Si era diffuso un clima di
speranza, di liberazione dal giogo di noi Olimpi, ma il tuo
intervento -composto di sagge ed argute mosse e contromosse-
era riuscito a riportare l'ordine e la pace, soffocando nel sangue la
libertà.
Rafforzando
la nostra tirannia.
In
quella tua folle avventura, avevo provato un insolito orgoglio per i
tuoi evidenti progressi: non eri più quel bambino
abbandonato a se
stesso, ora eri un uomo che combatteva al fianco dei suoi compagni
per una causa comune.
La
tua voce melodiosa era come un canto che animava i loro cuori, i
nostri cuori. Ti avrebbero seguito fin nelle tenebre più
fitte
dell'Ade, se solo glielo avessi ordinato.
«
Halaktrya.»
Curvo
su te stesso in una solitaria preghiera nel tempio del tuo Signore,
levasti il capo e lentamente ti voltasti, stanco.
I
tuoi capelli, crespi, canuti, a quel lento movimento scivolarono
sulla tua spalla, quasi a celare inutilmente quel tuo magro corpo,
rivestito di una preziosa veste da cerimonia decisamente troppo
ampia. Avvicinandomi di qualche passo, riuscii a scorgere anche
quelle cicatrici, quelle occhiaie, quel viso emaciato, consumato...
moribondo.
Già,
eri un morto vivente, un cadavere ambulante che attendeva solo
l'ultima sentenza.
«
Halaktrya... tu... stai morendo.>>
Silenzio.
Il
tuo animo provò ad esprimersi, riempiendo i polmoni di
ossigeno, ma
la tua estrema debolezza lo bloccò. Fermo, immobile nella
tua
posizione, non reagisti neppure quando avanzai, richiamando
l'armatura completa: ti puntai al collo la mia lancia, lacerando il
fragile tessuto, anche se contro ogni mia aspettativa la lama non si
macchiò di Ambrosia.
Eri
un corpo vuoto, prosciugato.
«
Combatti! Combatti per gli dèi!» esclamai e nella
mia voce infusi
la stessa frenesia con cui animavo gli animi degli uomini «
Non
vorrai davvero spegnerti adesso, Figlio del Sole.»
Silenzio.
Avrei
potuto trapassarti, sgozzarti come una bestia sacrificale, ma
preferii abbassare l'arma e con essa anche il capo in segno di
sconfitta.
Perché?
Perché non ti eri opposto?
Avanzai
di un passo incerto, ma ogni mio intento sfumò all'arrivo
Phobos: i
suoi occhi cremisi brillavano di puro risentimento da dietro l'elmo
chiuso, che celava ogni sua apparenza femminea, mortificata anche
dalle bende e dalla corazza in oricalco che le comprimevano il
fisico. Ma questo odio non era vincolato al solo aspetto esteriore,
bensì era una repulsione a livello psicologico, tanto che
non
sopportava neppure essere chiamato con alcun nome femminile.
Dietro
di lui, avanzò un gigantesco, feroce lupo d'ombra con ancora
indosso
la corazza da combattimento.
Divina
Athena, sono giunto per scortare Alectryon dal nostro Signore, Ares.
La
sua voce rimbombò cupa e priva di sentimento per tutto il
tempio.
Senza
neppure attendere il mio consenso, ti sollevò malamente per
sorreggerti tra le sue forti braccia. Mugugnasti qualcosa per il
dolore, ma ti fu intimato di far silenzio e di risparmiare le
energie.
Alalà
riuscirà a guarirlo.
Oppure strapperò le ali a Thanatos.
Non
mi sfuggì l'incrinatura della sua voce sull'ultima sillaba,
come se
fosse realmente giunto al limite.
Ares
era ancora troppo debole, probabilmente non si era ancora ripreso dal
coma in cui era caduto durante la lunga prigionia; e proprio in
questa situazione, i suoi seguaci avevano visto in te un momentaneo
capo, un valido condottiero.
Ma
la tua luce stava lentamente scivolando nelle tenebre degli Inferi.
Quando
vidi un'ultima volta i tuoi occhi vitrei, privi di qualsiasi calore,
il mio animo -contro la mia volontà-
sussultò.
«
Portalo via.» mi voltai, prestando però attenzione
ad ogni rumore
di quel guerriero scelto.
Infine,
il silenzio. Di nuovo.
[Un
agglomerato di emozioni chiamato comunemente
“Vita”]
Fine
Terzo Capitolo!
Basileus:
dalle fonti che ho trovato, può essere tradotto anche come
“Re
dei Re”. E niente, io, conoscendo la saga di Fate,
mi sono
immaginata un mega-crossover con Gilgamesh, Arturia e Alessandro
Magno.
Angolo
dell'Autrice:
Ho
compiuto gli anni. Mia madre ha compito gli anni. Mi si è
infiammato
un nervo. Ho avuto la febbre. Tutto questo nel giro di pochi giorni.
Ora
mi sono ripresa, più o meno.
Tranne
per il caldo.
Comunque,
parlando invece della storia, beh... cosa dire?
Dopo
anni a incentrare fanfiction su personaggi positivi, “buoni”,
mi sto divertendo molto a scrivere le avventure di Alectryon, proprio
perché non è né buono, né
un villain, è semplicemente neutrale.
E nella sua neutralità compie azioni crudeli, senza mai
tendere al
“malvagio”.
E...
sì, è una soddisfazione personale.
Così
come mi soddisfa la sua bellissima, purissima, altissima (?)
famiglia allargata: insomma, più aggiungo dettagli ai
soldati di
Ares, più mi affeziono a loro. Molti sono ripresi da altre
mie
storie, però per questa fanfiction li ho resi ancora
più
“particolari”.
Ho
calcato la mano, sì.
Ma...
insomma, Zio Deimos tutta la vita.
…
…
…
Ok,
per chiudere questo angolo demenziale, ringrazio tutti quelli che
hanno recensito/letto/aggiunto questa storia alle preferite/seguite.
Un
bacio da _Lakshmi_!
|
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Capitolo 5 *** Sera ***
Quarto Capitolo
Quarto
Capitolo:
Sera
[Sai,
nipote mio,
l'amore
è cura e veleno al contempo,
soprattutto
per noi Eterni]
Non
ero solo superbo;
Il
mio corpo era arrivato al limite della sopportazione fisica.
Era
diventato un semplice, freddo involucro per la mia anima che cercava
disperatamente di rimanere aggrappata alla vita, ai ricordi, al
calore.
Il
tempo scorreva implacabile. Il Sole tramontava e sorgeva. Ed io, in
quell'insieme indefinito, persi il contatto con la realtà
circostante, sprofondando in un nero baratro gelido e oscuro.
Era
arrivato dunque il mio momento?
Sentii
il filo della mia esistenza tendersi, prossimo al taglio finale.
Non
avrei dovuto provare alcun rimorso: io ero il padrone della mia vita,
ogni decisione presa era mia e un tempo avrei rivissuto
quell'esistenza nella sua interezza più e più
volte.
Eppure
provai dispiacere.
Qualcosa
di inaccettabile per il me stesso più giovane, spavaldo ed
orgoglioso, che si poneva al di sopra di uomini e dèi,
tuttavia quel
sentimento si fece ugualmente strada nella mia coscienza,
sconvolgendo la mia anima.
Ti
avrei perso.
Questa
consapevolezza mi privò della mia sicurezza, gettandomi
nella
malinconia di una morte vuota, priva del tuo calore,
quello stesso calore che la mia anima cercava. Non era devozione o
infatuazione, era bensì amore,
in senso carnale e spirituale, un tutt'uno che sbaragliava ogni
difesa della mia ragione.
Lo
compresi proprio in quel momento, quando una parte del mio animo -per
punirmi subdolamente- mi
ricordò i tuoi racconti bellici decisamente enfatizzati, le
tue
richieste più intime ed infantili, le tue mute attenzioni
che
riuscivano ugualmente a farmi sentire amato.
Una
lacrima scivolò sulla mia guancia.
All'improvviso,
una scossa di potere divino fluì con violenza nel mio cuore,
destandomi dal torpore della morte per gettarmi bruscamente nella
vita.
Respirai
avidamente, più e più volte, come se fossi appena
riemerso
dall'acqua salmastra del mare.
La
fresca aria graffiava la mia gola, mentre il mio sguardo era perso
nei tuoi occhi cremisi, primo bagliore che vidi dopo tanta
oscurità.
Non
riuscii a comprendere se la tua fosse commozione o un crudele gioco
di luci, visto che mi ritrovai stretto in un abbraccio vincolante,
con il viso completamente sprofondato nella tua chioma rossiccia.
«
Idiota.» mormorasti al mio orecchio quel rimprovero quasi
liberatorio « Perché ti sei ridotto
così? Volevi suicidarti senza
il mio consenso?! Perché-...?!»
Perché
l'ho fatto?
Beh,
lo sapevi già.
Entrambi
lo sapevamo.
«
Ero in debito con te... mi hai salvato dalla folgore,
ricordi?»
biascicai stancamente fra i tuoi capelli, come se fosse una risposta
più che ovvia.
Ancora
non ero in grado di capire esattamente quel che stava accadendo: dopo
un attimo di silenzio, mi ritrovai sopraffatto da un tuo rude bacio.
Non
era un gesto famelico o passionale, quanto più... vitale.
Come
se tu avessi realmente sentito la mancanza di quel contatto.
Come
se avessi avuto paura di perdermi.
Mi
carezzasti la guancia con il tuo palmo calloso, soffermandoti poco
sotto agli occhi.
Mi
beai di quel calore, ora che la fiamma del mio cuore era totalmente
assopita.
[Viviamo
secoli, millenni,
in
uno stato di perenne solitudine interiore,
in
attesa di quella misteriosa creatura]
Non
ero solo un tuo seguace;
Il
cocente Sole pomeridiano mi ferì la vista.
Un
disonorevole sfregio per un Figlio di Helios, tanto che maledissi i
miei occhi secchi senza più alcuna lacrima da versare.
Odiavo
mostrarmi debole, io, un tempo luminoso quanto l'astro del cielo
diurno.
Sotto
il tuo muto sguardo, lottai contro il mio stesso corpo, fin quando
non chinai il capo, sconfitto. Cercai allora di fare i miei primi
passi dopo chissà quanto tempo trascorso in un limbo tra
vita e
morte, ma barcollai pericolosamente e rischiai addirittura di cadere
se non ci fossi stato tu a sorreggermi.
Cosa
stavi pensando? Probabilmente ti sarò sembrato patetico.
«
Lasciami.» mormorai, in collera con quel mio fisico
estremamente
fragile.
Inspirai,
cercai l'equilibrio ed infine intrapresi una lenta marcia per
l'accampamento stranamente silenzioso: niente urla, nessuna
esplosione, solo il chiacchiericcio delle donne dei tuoi sottoposti
occupate a tessere o a lavare i panni, con i figli impegnati in
leggendari combattimenti con spade fittizie.
Avrei
voluto farti delle domande, ma il fiato mi mancò, tanto che
mi
fermai, sempre più curvo su me stesso, come se l'intero peso
della
volta celeste gravasse sulle mie spalle.
«
Alectryon.»
«
N-no... sto bene.»
Passammo
sotto a colorati teli e la sola vista della luce del Sole imbrattata
con le tinte umane, che variavano dal rosso più brillante al
blu più
profondo, alleviò momentaneamente il dolore della mia anima.
Mi
accasciai contro una parete, stanco, e guardai la
mia mano
illuminata dalle sfumature del cobalto: pur essendone cosciente,
provai una profonda desolazione alla vista del totale deperimento
della mia carne, della mia pelle flaccida, morta, aggrappata alle
ossa e alle vene rinsecchite come radici di una pianta.
Poggiai
il palmo sulla mia gabbia toracica, sul cuore pulsante, in vista,
freddo come il ghiaccio. Un solo colpo a quel glaciale nucleo vitale
e sarei diventato cenere.
Eppure
tu restasti fermo, a braccia conserte, con quei tuoi sottili occhi
cremisi fissi sul mio cadavere.
Ripresi
a camminare, trascinandomi per la salita che portava ad un
promontorio.
A
quel promontorio, nostro luogo d'allenamento.
Quante
volte avevamo percorso quella strada insieme? Forse cento, forse
mille, sempre con nuove promesse, sfide, insulti scherzosi tra noi.
E
tutte le volte vincevi tu, sempre.
Mentre
scalavo provando un estremo affanno ad ogni passo, mi sembravano
ricordi davvero lontani, quasi fittizi, frutto della mia
più
crudele fantasia.
Arrivato
in cima, crollai a terra.
Ebbi
solo la forza per trascinarmi all'ombra di un albero, sotto le
fresche fronde.
Tu,
dopo pacati respiri, t'inginocchiasti al mio fianco ed afferrasti il
mio cuore, stringendolo in una morsa ferrea. Io, ovviamente, non mi
opposi: il mio capo ciondolò sulla spalla, mentre i miei
occhi si
chiudevano, stanchi.
«
Non hai paura?»
Non
avevo energie per parlare. Un mio respiro pacato sostituì un
lungo,
faticoso discorso.
«
Io sì.»
La
tua confessione fu invece la tua risposta alle mie intuizioni: non
volevi perdermi. E per me valse più di qualsiasi
altra
dichiarazione d'amore che avessi mai ricevuto in passato.
Liberasti
il mio nucleo dalla tua presa, ringhiando per la frustrazione.
«
Bevi.»
Come
quando si offre l'acqua ad un viandante assetato, così tu mi
offristi il tuo icore sgorgante dal palmo della tua mano.
Ed
io bevvi avido.
Ad
ogni sorso, ad ogni singola goccia, percepivo la lenta rinascita del
mio fuoco, un lento risveglio del mio potere: i filamenti muscolari
iniziarono a creare una protezione per il cuore, per poi diramarsi
per il resto del corpo; i miei occhi persero la loro lattiginosa
opacità, riconquistando la forza per fissare il Sole.
L'Icore
divino normalmente è tossico per qualsiasi creatura, umana o
divina,
eppure dopo anni trascorsi a cibarti della mia carne, il tuo era
mutato fino a diventare una vera e propria fonte curativa con cui
ormai eri solito guarire le ferite dei tuoi seguaci.
Per
te non era un fatto così eclatante, anzi ignoravi ogni
discussione a
riguardo pronunciandoti solo con un secco sospiro, ma per me era
più
che strabiliante, tanto che, autoproclamandomi tuo portavoce, riuscii
persino a convincere i sacerdoti del tuo culto a celebrare questo
aspetto.
Certo,
non avevano compreso appieno le mie parole e per loro “onorare
l'Icore” significava sacrificare sull'altare
piccoli cuccioli
-a detta loro- dal sangue puro.
Però
era pur sempre un'interpretazione valida, no?
«
Nella solitudine della mia prigionia, il tuo fuoco non mi ha mai
abbandonato, tenendomi in vita.» il tuo respiro
sferzò il mio viso
posato sul tuo grembo « So di chi è la colpa e non
rimarrà
impunito ancora per molto.»
Mentre
parlavi, percepii un'incredibile stanchezza sulle mie spalle, tanto
che faticai persino a comprendere il resto del discorso.
Mi
accoccolai contro al tuo corpo e sorrisi.
Ero
felice.
[Umano,
Dio o Titano...
il
Fato è oscuro a riguardo]
Non
ero solo un Titano;
I
piedi leggiadri del servo di Eos danzavano sulla superficie di un
lago punteggiata da una costellazione di bianchi petali, tanto
numerosi da sembrare il riflesso delle stelle del firmamento
notturno.
Scivolava,
volteggiava, si librava addirittura in aria in un'armonia costante
che rendeva il suo stesso fisico inscindibile dalla lancia acuminata
che impugnava con tanta maestria.
Solo
in quell'istante, osservando il bagliore gelido della lama che
rispecchiava i raggi della luna, mi accorsi di star assistendo ad uno
scontro e non ad una magnifica coreografia.
La
pura grazia illesa contrapposta al pesante, impacciato corpo di
Helios, grondante di Ambrosia ed immerso nell'acqua fino alle
ginocchia.
Mio
padre stava... morendo? Ero totalmente cosciente che fosse
un'allucinazione, un sogno, eppure sembrava fin troppo realistico.
«
Quindi è questa... la tua decisione?»
Spoglio
di ogni difesa, con una ferita agli occhi che l'aveva probabilmente
privato della vista, attendeva la propria fine con una totale
serenità in volto.
Inspirai
a fondo, a pieni polmoni, e il pungente odore del suo sangue mi
destabilizzò. Arretrai, proprio quando anche il servo di Eos
indietreggiò di un passo.
Ruppe
la fluidità dei movimenti per guardare un'ultima volta il
suo
avversario. Vidi chiaramente una lacrima correre sul suo viso privo
di emozioni.
«
Mi hai costretta.»
una voce piatta, femminea, vibrò dalle corde vocali del
ballerino,
l'intera illusione del suo corpo per un attimo mi parve semplice
nebbia.
Fece
roteare la lancia, pronta ad affondare la lama un'ultima volta.
«
Selene... tu-...»
Ma
l'assassino non gli permise neppure di pronunciare le ultime parole:
l'arma leggendaria
ruppe il torace del Titano, gli spezzò in un sol colpo il
cuore,
nucleo dell'energia vitale, innescando un fuoco eterno che
iniziò a
consumare il suo corpo.
Era
solo un sogno.
Eppure
vacillai, incerto.
L'acqua
mi bagnò le caviglie, prima di ritirarsi per tornare in
un'altra,
pacata onda.
«
IL SOLE È MORTO!
IL
SOLE È MORTO!»
Al
canto gracchiante degli avvoltoi di Palioxis, mi
svegliai
madido di sudore, col cuore che batteva ad un ritmo serrato sin nelle
orecchie.
Era
stato tutto un sogno, solo un dannato incubo.
Con
ancora il caldo torpore aggrappato al mio stanco
fisico provai
ad alzarmi per una boccata d'aria, ma qualcosa urtò
violentemente la mia testa, costringendomi a stendermi in preda a
dolorose fitte alla fronte.
Mi
rigirai allora su un fianco e notai che in piedi, accanto al letto,
c'era la minuta, sorridente figura di Alalà, figlia di
Pόlemos,
nella sua fiera giovinezza fittizia: certo, sembrava un'adolescente
grazie ai grandi occhi cremisi e al cielo di efelidi che le
costellava il viso tondo e gentile, ma in verità era una
creatura
antica, più antica persino di Zeus.
Da
millenni animava i cuori di bellicosi guerrieri, spronandoli al
massacro.
Era
una riflessione sciocca, eppure solo in quel momento mi accorsi che
fin prima del sopravvento degli dèi, esisteva la guerra, lo
sterminio, l'odio.
E
quando, esattamente, sarebbe nata? Chi, tra i Titani, aveva creato
simili spiriti rancorosi? E soprattutto... perché?
«
Ares mi ha ordinato di tenerti a letto.» dopo quella
dichiarazione
di intenti, mi puntò l'indice contro con fare minaccioso
« Non
provare a scappare, altrimenti la mia ira si abbatterà su di
te.»
Scossi
il capo, stanco. I miei pensieri stavano andando
troppo oltre.
«
Mi serve una boccata d'aria fresca.» tentai di mettermi
seduto, ma
il bastone nodoso che Alalà portava sempre allacciato alla
schiena
mi percosse ancora il capo « La vuoi piantare?!»
«
A letto. Finché sarai sotto la mia protezione, non ti
alzerai da
lì.» e, a sostegno del proprio celato rimprovero,
sopraggiunse
anche la terza percossa.
«
Lo vuoi capire che fa male?!» sospirai seccato, ma poi notai
i suoi
occhi divenire lucidi, prossimi alle lacrime.
Alzai
le sopracciglia in un'espressione stupita, prima di aggrottarle
incerto quando, senza proferir parola, abbandonò
improvvisamente la
sua dannata arma per poggiare il pugno sinistro sul cuore, con la
schiena ritta e i piedi uniti.
Deimos
mi spiegò il significato di quel gesto: “noi
guerrieri di Ares
sorreggiamo tanto lo scudo con il braccio sinistro e questo gesto
significa: “Io ti proteggerò a costo della
vita”. Cioè, in
realtà nessuno di noi porta più tanto lo scudo...
è un gesto tanto
simbolico, ecco. Solo Pa' lo porta e infatti lui tanto ci
protegge.”.
Però
io non ero degno di una simile riconoscenza: fino a quel momento, a
differenza degli altri Makhai che avevano
combattuto centinaia
di guerre, io non mi ero mai distinto in azioni belliche degne di
nota. O almeno, io non le reputavo tali.
Avevo
solo agito d'istinto.
«
Grazie per tutto quello che hai fatto, Strategós.»
tirò su
col nasino, mostrando stoicamente un'espressione quanto più
seria
possibile, pur col rossore della commozione « A nome di tutti
noi,
ti volevamo ringraziare per aver salvato il nostro Signore. Senza la
tua guida...» s'interruppe bruscamente per colpa di un
singhiozzo
traditore.
A
quella dimostrazione d'affetto sorrisi con dolcezza, poggiandole la
mano sulla sua testolina.
Tutti,
indistintamente, provavano devozione nei tuoi confronti: non eri solo
una divinità da servire, bensì eri una vera e
propria fonte di
sicurezza e di conforto, grazie alla quale anche gli spiriti da
sempre disprezzati dagli altri dèi avevano trovato un
proprio posto.
Persino
io mi sentivo appartenere a qualcosa... a una famiglia, forse.
In
ogni caso, quel sentimento che ci legava in modi diversi a te era
genuino, vero e il solo pensiero di una simile, grave perdita,
addolorava tutti in egual modo.
Dicevi
sempre che per te ero il “tuo Sole”.
In
verità ero fermamente convinto del contrario.
«
Ma è normale che mi adoriate: sono il figlio del Sole
dopotutto.»
per sdrammatizzare quella situazione divenuta per me fin troppo
soffocante, mi alzai e mi esibii in un'elegante piroetta «
Prego,
creature inferiori, porgetemi pure i vostri omaggi.»
Eppure
lei non rispose, non mostrò neppure un sorriso.
E
a quel punto iniziai a comprendere il motivo del turbamento del suo
stato d'animo.
«
C'è qualcosa d'altro che dovrei sapere?»
Come
se stesse combattendo una gravosa battaglia morale, impiegò
qualche
attimo prima di rispondere alla mia domanda.
«
Il nostro Signore... Ares... vuole dichiarare guerra a Poseidon per
l'affronto ricevuto.» mentre ero ancora scosso dalla notizia,
afferrò le mie mani in un gesto di supplica « Io
sono figlia della
Guerra e non dovrei avere paura di una simile decisione, eppure io
temo, temo per la sua sorte. Ti prego, Alectryon:
tu che sei
l'essere più vicino a lui, cerca di placare il suo
animo.»
Respirai
a fatica, fissai il viso della Personificazione in cerca menzogna, ma
era tutto tragicamente reale.
E
allora sentii il mio cuore divenire di pietra.
So
che non dovrei dirlo, essendo un tuo seguace, ma rivivendo la strage
della battaglia con gli occhi di un adulto, capii di aberrarla: per
un intero anno mi ero addossato la paura, il terrore, la
crudeltà e
l'odio estremo che animava l'animo umano nella guerra e il mio
spirito ne era uscito corroso, se non addirittura corrotto.
Da
bambino avevo lottato per difendere il mio popolo e, nella fermezza
delle mie convinzioni, non mi ero mai posto alcuna domanda morale;
anche nell'ultima guerra avevo combattuto per difenderti, vero,
ma non mi ero scontrato solo con Oto e Efialte, bensì anche
con la
consapevolezza delle mie azioni.
Ed
ora che il mio corpo era guarito dalla piaga del deperimento, potevo
percepire con assoluta certezza la malattia che attanagliava mio
animo gravido di incertezze, sangue e morte.
Avevo
agito contro la mia natura.
«
Dov'è adesso?» la fissai negli occhi cremisi,
pregandola
implicitamente di liberarmi da quella prigionia fittizia per il tuo
bene.
Silenzio.
Alalà
chinò il capo, inspirò e buttò fuori
un doloroso sospiro.
«
Non ha detto molto, solo che voleva vedere un villaggio.»
Beh,
almeno non avevi dichiarato guerra a tuo zio.
O
perlomeno, non ancora.
Mi
alzai, raccolsi e indossai in fretta una tunica.
«
Alectryon.» la Personificazione del Grido di Battaglia, con
ancora
il pugno premuto sul cuore, mi guardò con gli occhi colmi di
quella
che io al momento interpretai come fiducia, anche se forse sarebbe
stato più corretto chiamarla “nostalgia”.
Gli
somigliavo davvero così tanto?
[Ma
quando si incontra per la prima volta lo sguardo dell'amato,
quando
si stringe tra le braccia il frutto di quell'amore...
mi
domando...
davvero
è un errore?]
Fine
Quarto Capitolo!
Angolo
dell'Autrice:
Ho
riscritto più volte la parte finale perché non mi
convinceva
totalmente: nella prima stesura sembrava più un dramma
spagnolo, con
Alectryon che fuggiva dall'accampamento; nella seconda pure, nella
terza anche... e... beh, alla fine ho capito che dalla Spagna non mi
sono portata a casa solo la tazza di Starbucks e il ricordo di
un'eccellente paella.
Forse
sono io che sono paranoica e mi faccio troppi problemi, però
davvero, quando un pezzo non mi convince non riesco a sentirmi
tranquilla con la coscienza.
Adesso
sono soddisfatta? Beh... non so, però sono contenta di aver
parlato
sia della “nostalgia”, sia della
“malattia”.
Volevo già scriverci qualcosa a riguardo nei capitoli
precedenti, ma
non riuscivo mai a trovare lo spazio giusto, tanto che l'unico
accenno alla fine si riduce a quando Pόlemos vede per la prima volta
Alectryon.
Inoltre
voglio parlare anche di un'altra cosa successa in questo capitolo,
che per me rappresenta un traguardo: la dichiarazione di Ares.
Oltre
ai drammi spagnoli, ho anche un problema con gli yaoi. Ne avevo
già
parlato, per cui non mi ripeterò, però non sapevo
come far
dichiarare il dio della guerra: un “ti amo”
era
decisamente... cringe.
L'ho
scritto, eh, solo che nella rilettura i miei
neuroni si
fissavano più su “quanto fosse cringe”,
piuttosto che
concentrarsi sul momento in sé. Magari ancora adesso
è cringe, non
so, io sono di parte, ma preferisco che si sia concentrato sul
fattore “importanza” che su quello
“amore”. Riesco a vederlo
più IC.
Voglio
ringraziare i lettori/recensori e chiunque altro abbia aggiunto
questa storia alle seguite/preferite!
Un
bacio da _Lakshmi_!
|
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