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Avrei voluto aspettare e postarla dopo le vacanze ma non sono riuscita a
trattenermi
Avrei
voluto aspettare e postarla dopo le vacanze ma non sono riuscita
a trattenermi.
Fic
nata durante una notte insonne (le lettrici si chiedono: perché non prendi dei sonniferi
anziché propinarci le tue pazzie?).
Vi
lascio alla lettura, giudicate voi…
Dimenticavo,
la fic non è betata, la scrittrice
si scusa per eventuali errori ortografici/di
battitura.
--------------------
Bad Girl
[Isabella Swan]
Cap. One – Charlie’s
Angels
< come sto ? >
chiesi scoccando le labbra davanti allo specchio per uniformare il
rossetto rosso.
< sembri una
troia > disse Jessica interrompendo per un istante di specchiarsi
< perfetto > la baciai
lasciandole l’impronta di rossetto su una guancia.
Mi guardò male e cercò inutilmente di
levarsi quello schifo dalla guancia con le mani, peggiorando solo la
situazione.
Io
e Angela ci scambiammo un occhiata di intesa. Lei rise
sommessamente mentre cercava di mettere un po’ di mascara sulle ciglia troppo
poco folte.
<
dammi qua > le tolsi il pennellino dalle mani < guarda su > le indicai il soffitto con l’indice. Obbedì.
<
Isa non esagerare > disse ma scoppiò a ridere da sola dopo questa affermazione macchiandosi rovinosamente la palpebra
di nero.
Io
ero esattamente tutto ciò di più esagerato e impertinente esistesse
a questo maledettissimo mondo. Dirmi di non esagerare equivaleva a dire una
blasfemia.
<
visto cosa hai combinato ? > dissi mentre cercavo
di ripulirla utilizzando la saliva
Loro
erano le mie migliori amiche. Talvolta ci definivamo scherzosamente le “Charlie’s Angels” per via del colore dei nostri capelli. La
bionda Jess, la mora Angie e la rossa io.
I
miei capelli avevano naturali riflessi rossi ma avevo deciso di tingerli di un
rosso più acceso: non mi piaceva passare innovata. No che a questo paese, e in
tanti altri paesi della contea, non sapessero già
perfettamente chi fossi ma, in ogni caso, mi piaceva distinguermi dalla massa.
Adoravo passare in mezzo a una folla e vedere, uno
dopo l’altro, gli sguardi attratti degli uomini, ancor di più godevo a vedere
lo sguardo di disprezzo di quelle che io definivo carinamente “ZPSC – Zitelle
Perennemente Senza … , beh il resto lo potete immaginare da voi”.
Angie
e Jess erano diametralmente l’opposto. Se Jess era, in un certo senso, il mio
“diavoletto” che mi spingeva a fare tutto ciò di più perverso mi passasse per
la testa, senza ombra di dubbio Angie era il mio “angioletto”
che cercava sempre in qualche modo di farmi riflettere prima di fare una qualsiasi
puttanata.
Eravamo
in complesso così diverse ma riuscivamo comunque a
convivere pacificamente, o quasi.
<
prima di uscire sistemate questo macello ! > disse
Jess con la sua solita voce da oca indicando la miriade di trucchi sparsi per
il bagno.
Stasera,
come quasi ogni sera, uscivamo. Andavamo in un nuovo localino a Port Angeles.
Avevamo utilizzato la solita giustificazione, che assurdamente faceva abboccare
tutti i genitori: io teoricamente stanotte avrei dormito da Jess, lei avrebbe
dormito da Angie e quest’ultima da me. Ma possibile che i genitori fossero così
terribilmente stupidi e ingenui ?
<
metteremo apposto domani > disse Angie
anticipandomi. Ovviamente non l’avremmo fatto.
<
e adesso andiamo > presi la borsetta e mi avviai
all’uscita infilandomi una sigaretta in bocca.
Jess
me la tolse < qui non si fuma ! > mi intimò con
sguardo assassino.
<
okay > sbuffai riprendendomi la mia sigaretta e avviandomi all’uscita
frettolosamente < che palle > sbuffai piano e non mi sentì.
Salimmo
sull’Audi del padre di Jess e partimmo sgommando.
<
allora Charlie’s, stasera nessun limite > mi riferì in particolare a Angie che mi sorrise.
Accesi
finalmente la Malboro.
<
sicura che con questi documenti non ci siano problemi
? > chiese Jess riferendosi alle patenti che mi ero fatta falsificare da
Jake per poter bere alcolici.
<
malfidente > sbuffai una nuvola di fumo fuori dal
finestrino < ti dico che sono perfette ! >
<
mi permetto di obiettare > si intromise Angela, la
fulminai con lo sguardo ma lei proseguì < nella foto Jess ha i baffi ed è un
uomo > disse studiando la foto del documento destinato alla Stanley.
<
cosa ? > sbraitò
<
Jess, senza offesa, un po’ di baffi li hai. Giuro che non si accorgeranno della
differenza > dissi ridendo, Angie mi seguì e Jess
finse da prima, di mettere il broncio e poi anche lei scoppiò in una risata
fragorosa.
Per
tutta la strada cantammo a squarciagola insieme alla
radio, stonando a più riprese e ridendo come delle pazze. O
meglio, probabilmente lo eravamo, pazze.
Arrivammo
finalmente davanti a questo locale, cominciavo ad avere nausea dell’odore di
mentolo e di arbre magic della Jessy-car.
“Cambusa”,
questo era il nome della discoteca. Ricordava l’interno di una nave.
Appena
entrata mi catapultai al bancone seguita a ruota dalle
mie socie. La musica era talmente alta che le pareti sembravano tremare.
<
bello, eh? > disse Angie cercando di battere a ritmo una gamba
<
si, bella merda > risposi, ma dubito mi avesse sentito
perché si limitò a sorridermi come un ebete.
Mi
voltai per cercare Jess ma non c’era più.
Jess,
come al solito, era sparita. Aveva appena stabilito un
nuovo record. Quella ragazza aveva la capacità di imboscarsi immediatamente con
qualsiasi esemplare di sesso maschile. A volte mi chiedevo se non pianificasse
preventivamente degli incontri, o peggio, se si nascondesse dentro un
ripostiglio per poi vantarsi di avere cuccato.
<
Jess dov’è? > chiesi ad Angie.
<
credo abbia incontrato Mike > rispose mordendosi un
labbro continuando a seguire il ritmo.
Dio,
Mike. Ancora lui. Era peggio di un herpes vaginale: fastidioso, sgradevole ma
soprattutto asessuato. Perseverava. E quel che è
peggio è che Jess gli dava ancora corda. A quanto sapessi
Mike aveva fatto cilecca con lei una volta, clamorosamente anche. Credo che
quella stessa volta abbia stabilito un primato mondiale perché Jess non si era
nemmeno del tutto svestita…
<
la cosa più forte che hai > dissi al barman vestito
da “marinaio forzuto” che mi fissava come se fossi un oggetto prezioso in
saldo.
<
due > fece cenno Angela
Bene,
mi piaceva. Brava bimba lasciati andare almeno una volta.
Il
barman ci porse due bicchierini poco capienti con dentro un liquido marroncino
non propriamente definito.
Lo
bevvi tutto d’un fiato ma mi pentì immediatamente di
averlo fatto.
<
cazzo > dovetti chiudere gli occhi che iniziarono involontariamente a
lacrimare e sentì un fuoco invadere il mio esofago.
<
Angie, credimi non berlo > le intimai, ma mi lanciò
uno sguardo di sfida e lo ingurgitò anche lei.
La
sua faccia era un misto tra quella di chi ha appena mangiato quindici limoni
contemporaneamente e chi soffre di dissenteria.
Risi
picchiando un pugno sul bancone facendo tintinnare i bicchieri ormai vuoti.
<
posso offrirvi qualcosa ? > un soggetto non identificato si avvicinò, avevo serie difficoltà a scorgere i tratti del suo
viso tanti erano i brufoli e i punti neri che aveva.
<
Eric ! > esclamò Angie sorpresa
Tracciai
mentalmente una doppia linea sul nome del locale escludendolo a vita dalle mie
possibili scelte. A quanto pare tutti gli sfigati
morti di figa venivano qui.
<
Isa, noi andiamo a ballare, vieni ? > mi invitò
Angie.
Sperai
che stesse scherzando e che volesse fare dell’umorismo chiedendomelo.
Non
le risposi ma la mia occhiataccia bastò per farle capire le mie intenzioni e si
allontanò con quell’ominide di nome Eric.
Ero
sola.
Ordinai
altri tre intrugli marroncini bevendoli sempre alla goccia per non sentire il
loro sapore orrendo. Poi immaginai il mio fegato ridotto a pochi brandelli
chiedere pietà e mi alzai un po’ barcollante con grande
disappunto del barman-marinaio.
Serata
noiosa in complesso.
Poi
finalmente vidi qualcosa, o meglio, qualcuno, di molto ma molto interessante capace
di riaccendere la serata…
---------
Eccomi!
Dopo aver concluso Top Secret mi butto su questa nuova
storia! Spero che vi abbia intrigato. Fatemi sapere se
è il caso di continuare a scrivere o se è meglio cancellarla e darmi
all’ippica.
Avrete
certamente notato il linguaggio utilizzato in questa ff, chiedo scusa se
qualcuno si fosse sentito offeso in qualche maniera e
sono disposta ad aumentare ulteriormente il rating (a rosso).
Premetto
che i personaggi saranno quelli della Meyer ma non sarà proprio tutto uguale
(avvertimento OOC).
Per
lasciarvi un motivo in più per seguire vi lascio anche un piccolo spoilerino,
spero apprezziate:
_____________
Spoiler:
Per quanto mi sembrasse stupido e poco responsabile non riuscì a pentirmi
minimamente di averlo fatto. Avrei accettato altre mille volte se fossi tornata
indietro.
_____________
Vi
sarei profondamente grata se mi lasciaste un commento/una recensione (anche una
critica) al capitolo.
Nel
caso di eventuale vostro interessamento a questa ff,
vi avviso che posterò i capitoli ogni mercoledì (tenete presente che il 5 agosto
vado in vacanza! Avverto che non è certo che io riesca a postare anche da lì
(prometto che ci provo)!!! Da fine agosto garantisco
puntualità)
Visto che il primo capitolo non vi ha molto invogliato provo subito a
mettervi il secondo
Visto che il primo capitolo non vi ha
molto invogliato provo subito a mettervi il secondo.
Avvertenze (valido
per tutti i capitoli della fic): questa fic provoca seri danni celebrali non mi ritengo
passibile di denuncia qualora preferiste continuare a seguire a vostro rischio
e pericolo (firmate qui e qui)
I comportamenti della protagonista (e di tutti gli altri)
non vanno assolutamente emulati perché ad alto contenuto demenziale.
Questa fic crea dipendenza.
Leggere attentamente il foglietto illustrativo, in caso di
sintomi consultare il medico (psicologo).
Ogni riferimento a cose e persone è puramente casuale.
Avvertenze per
questo capitolo:avviso che in questo capitolo potrete
trovare una scena di sesso, i particolari sono limitati al minimo
indispensabile ma prego di non proseguire a chi si ritiene altamente
influenzabile. (ricordo di non emulare il comportamento della protagonista
!!!). J
Cercando di non fare una delle
mie solite figure di merda, inciampando e cadendo rovinosamente a terra,
raggiunsi il punto del mio interesse.
Lui,
alto e biondo, se ne stava appoggiato ad un muro con un drink ancora intatto in
mano. Se Mike, o chiunque altro ragazzo di mia conoscenza, avesse avuto almeno
la metà del sex appeal di questo sconosciuto, me lo sarei sicuramente fatto.
Mi
fissò, e per un attimo le mie iridi nocciola si persero nei suoi pozzi ambrati.
<
Ciao > mi sorrise.
Dio che sorriso!
<
Ciao > risposi avvicinandomi per rubandogli un sorso di Scotch .
<
Sei sola ? > Chiese
<
Con due amiche > risposi.
Se
invece intendevi dire “sei single?” la risposta e sì o comunque, per te lo
diventerei anche se non lo fossi.
<
Andiamo? > Mi afferrò una mano e mi portò nel bagno delle signore.
Bene,
dritto al punto. Mi piace.
Lo
guardai per un attimo con lo sguardo stile “Bambi-impaurito”. Sapevo che gli
uomini non potevano resistermi.
<
Perché siamo qui? > Mi riflessi allo specchio sistemandomi con le dita la
matita sbavata sotto gli occhi.
La
risposta non tardò ad arrivare perché mi prese la vita, mi fece girare verso di
lui e mi iniziò a baciare con passione.
<
E’ tutta la serata che aspettavo questo momento... > mi sussurrò con voce
più che eccitante all’orecchio.
Gli
passai una mano tra i capelli biondicci e succhiai avidamente le sue labbra
sopraffini.
Mi
sollevò tenendomi per le natiche e mi fece sedere sul ripiano dei lavandini.
Rabbrividii
per il contatto freddo delle cosce con il marmo ma non me ne curai.
Mi
scansò la gonna sollevandola fino a scoprire il mio perizoma nero e me lo sfilò
come se si fosse allenato a farlo per anni.
Poi
continuò a baciarmi scendendo verso il collo, scoprì con una mano un seno e lo
massaggiò con foga in un modo dannatamente sexy e efficace.
Slacciò
velocemente i suoi jeans neri e finalmente fece aderire il suo bacino al mio.
Spalancai
gli occhi per un attimo quando entrò in me.
Poi
con le gambe lo spinsi ancora più dentro di me e lo imprigionai anche con le
braccia incrociandogliele sulla schiena.
Incredibile.
Non c’erano altri modi per definirlo.
Era
terribilmente eccitante e pazzesco. La presa vigorosa delle sue mani sulle mie
cosce mi faceva impazzire, il suo respiro affannoso era un biglietto in
business-class per il paradiso, il suo corpo
era la cosa che più si avvicinasse alla perfezione… ed era mio.
Aumentammo
il ritmo, scandendo l’amplesso con i nostri gemiti e i nostri respiri sempre
più affannosi.
Ben
presto arrivammo in prossimità del limite tra le porte dell’inferno e i cancelli
del paradiso in un vortice di passione mai provato prima.
Ci
fermammo.
Mi
guardò negli occhi e mi sciolsi ancora di più, se possibile. Con le mani mi
liberò dei capelli, che sudati, si erano incollati al mio viso e mi sorrise
raggiante.
Per
quanto mi sembrasse stupido e poco responsabile non riuscii a pentirmi
minimamente di averlo fatto. Avrei accettato altre mille volte se fossi tornata
indietro.
Mi
baciò delicatamente le labbra.
Poggiai
la mia fronte sul suo petto, la sbornia cominciava a dare i suoi effetti.
--------------
<
Isa? Isa? > Jess continuava a strattonarmi per farmi svegliare
Mugugnai
qualcosa di incomprensibile aprendo lentamente gli occhi che sembravano essersi
incollati tra loro.
Ero
sdraiata su quello che sembrava essere il sedile posteriore dell’Audi di Jess.
<
Hai idea di che ore siano? > Mi chiese in preda ad una crisi.
<
No > risposi con voce impastata stropicciandomi gli occhi.
<
Sono le otto meno un quarto > mi disse Angie con voce preoccupata < tra
quarantacinque minuti dovremmo essere a scuola > aggiunse
<
Cazzo > imprecai alzandomi di scatto capendo finalmente il motivo di tutta
quell’ansia.
<
Ti ricordi cosa ha detto Banner ? >
Sì, mi
ricordavo, ma decise comunque di rinfrescarmi la memoria.
<
Un altro ritardo e ti sospende >.
<
Grazie Angy, ora mi sento meglio >.
Jessica
mise in moto l’auto e partimmo a tutto gas.
Presi
lo specchietto dalla borsa di Jess e mi stupii che non si ruppe dopo aver
riflesso la mia immagine.
Orrenda.
Il
mascara era colato sotto gli occhi e i capelli sembravano un cespuglio di rovi.
Feci
una smorfia di disgusto. Anche se fossimo riuscite ad arrivare in tempo a
scuola, mi avrebbero comunque sospeso per l’aspetto da barbona.
<
Tieni > Angie mi lanciò una borsa nera.
La
aprii e con mia grande sorpresa vi trovai la mia divisa scolastica. Non sapevo
l’avesse portata, ma avrei potuto immaginarlo visto che lei era quella tra noi
tre con la testa sulle spalle.
<
Angie, sei un genio > le scoccai un bacio.
<
Lo so > sospirò.
Mentre
ero intenta a fare i salti mortali per cambiarmi, a causa della guida di Jess,
notai un piccolissimo particolare.
<
Dove sono le mie mutande? > Chiesi sporgendomi ai sedili davanti
Alzarono
entrambe le spalle.
<
Cazzo > ringhiai indossando comunque la gonna della divisa.
Legai
i capelli in una coda di cavallo e con una salviettina ripulii quel macello
dalla mia faccia.
Mi
guardai allo specchio nuovamente. Ero sempre orribile. Ma se prima il mio
aspetto sembrasse urlare “sono sbronza” adesso sembrava volesse dire “sono
sbronza ma cerco di camuffarmi”.
Un
passo avanti, decisamente.
La
strada per Forks, grazie a Dio, era sgombra.
Con
tutto il casino non ero riuscita a raccontare loro dell’incontro della sera
precedente.
<
Jess, come è andata con Mike? > Le chiesi di botto.
Angie
mi lanciò un occhiataccia e capii di aver toppato completamente
domandandoglielo.
<
E’ collassato prima che potessimo andare al sodo > ci spiegò rassegnata.
<
No! > dicemmo io e Angie contemporaneamente con una sorta di cantilena.
<
E tu? > lanciai un sorrisino malizioso ad Angie.
<
Eric è un maniaco > dichiarò arrabbiata < continuava ad allungare le mani
dappertutto, sembrava quasi che avesse i tentacoli al posto delle braccia >
<
E quindi ? > Le chiese Jess
<
L’ho mandato a farsi fottere >.
<
Bravissima ! > Le diedi il cinque.
<
Isa, tu cos’hai combinato? Ti abbiamo trovata in bagno in uno stato a dir poco
pietoso > Jess mi guardò dallo specchietto retrovisore.
Mi
schiarii la voce.
<
Avete presente Brad Pitt? Ecco uniteci un pizzico di Johnny Depp
e di Chad Michael Murray e mischiate il tutto > pendevano dalle mie labbra
< poi aggiungete ancora un pizzico dell’ingrediente “bellezza” e il gioco è
fatto! > dissi ripensando al suo viso.
<
Ma dai > mi schernì Angie.
<
Giuro ragazze! >
<
E cosa avresti fatto esattamente con questo presunto Johnny Chad Pitt al
quadrato? > Chiese Jess sarcastica.
<
Me lo sono fatto > la buttai lì.
Angie
mi ammonì con lo sguardo.
<
Era bravo? > Jess, che curiosona!
<
Di più > ammisi.
<
E questo ragazzo perfetto ce l’ha un nome? > mi chiese
Interrogai
i miei due neuroni attivi per cercare la risposta ma non riuscii a cavarne
niente.
<
Temo di non averglielo chiesto > dissi ancora pensosa
<
Isa, ma insomma! > mi sgridò Angie < vai a letto con il primo che
incontri e non sai neanche il suo nome ! >
Per
quanto mi desse fastidio non potei fare a meno di darle ragione.
<
Otto e venticinque > dichiarò poi Jess parcheggiando l’auto al solito posto
a scuola.
<
Brave Charlie’s > le baciai sulle labbra e corsi verso la mia prima lezione:
biologia.
<
Ci vediamo a pranzo > mi urlò Angie.
---------
O_Oß la vostra faccia dopo questo capitolo
bèh, io vi avevo avvertito, no? Cmq
non demoralizzatevi ne vedrete delle belle… promesso.
Ringrazio di cuore il mio Jake-Beta Kikko (magari un giorno vi spiegherò
perché “Jake-Beta”)per il supporto
e per i consigli utili che mi ha dato. E chi mi ha già inserito tra i Preferiti
e i seguiti!!! Grazieeee!
COMMENTATE
PER FAVORE!!!
_____________
Spoiler:
< credo che queste siano tue > disse con un sorriso malizioso
sventolando in una mano il mio microscopico perizoma nero.
< Otto e
vent’otto > disse Banner stoppando il cronometro che aveva tra le mani <
complimenti! Questa volta non è in ritardo >
Evitai
di dargli un pretesto per sospendermi rispondendogli male, per cui mi limitai a
maledirlo mentalmente in due delle tre lingue che conoscevo.
Tutti
i prof. della scuola erano prevenuti nei miei confronti visti i miei trascorsi,
per questo motivo, dovevo stare molto attenta a quello che facevo; era
sufficiente una minima mossa sbagliata e mi avrebbero spedito per posta
prioritaria il più lontano possibile da lì.
Mi
accomodai al mio banco: fila centrale, a destra, vicino alla finestra.
Appena
Banner si voltò per scrivere qualcosa alla lavagna mi girai verso Sarah, una
compagna di corso.
<
Fatto i compiti di trigo? > Le sussurrai
<
Tieni > me li passò sapendo già dovevo volessi arrivare.
<
Grazie sei un tesoro > le feci l’occhiolino
Pensai
divertita che le lezioni di Banner non erano poi così inutili: mi permettevano
di copiare i compiti delle materie successive.
Iniziò a
parlare ma, come al solito, non prestai molta attenzione a quello che diceva se
non ad intermittenza per capire se fossi, casualmente, chiamata in causa.
< …
quindi vi presento il nuovo studente … > captai questa frase e subito mi
destai dal quaderno di trigo per guardare la new entry.
Mi
venne un colpo. Sembrava che il cuore fosse salito fin sopra l’esofago e non mi
permetteva di respirare.
Era lui.
Il ragazzo
di ieri.
Non ci
potevo credere.
<
Il suo nome è Edward, Edward Cullen > Banner lo presentò alla classe e lui
sorrise a me.
Oddio.
Oddio. Oddio. Oddio. Oddio.
Si
sedette al posto accanto al mio, l’unico libero. Spostai i miei libri per
fargli spazio.
< E tu
che ci fai qui? > Gli chiesi con un tono decisamente poco cortese
<
Ci abito > rispose tranquillo
<
Da quanto? >
<
Una settimana >.
Gli
feci cenno di aspettare un attimo. Volevo approfondire il discorso ma prima
dovevo finire di copiare i compiti.
Fece
un’espressione strana come a volermi dire “cosa stai facendo?”
<
Sai… prima il dovere, no? > indicai il quaderno e proseguì nel difficile
compito di copiatura.
Aspettò
tranquillo che finissi lanciandomi qualche occhiatina di tanto in tanto e
seguendo la lezione di biologia.
<
Okay > sbuffai chiudendo il quaderno per restituirlo alla legittima
proprietaria che non se ne accorse neanche visto che era completamente
imbambolata su Edward.
<
Isa. Non ho avuto il piacere di presentarmi ieri > gli porsi la mano.
<
Edward > sorrise. Il suo tocco mi fece venire i brividi.
<
Credo che queste siano tue > disse poi con un sorriso malizioso sventolando
in una mano il mio microscopico perizoma nero.
<
Dammelo > lo appallottolai in una mano prima che Banner si accorgesse <
mi serviva, grazie >
Sorrise
portandosi una mano alle labbra, probabilmente aveva capito che non indossavo
niente sotto la gonna.
<
Come mai Forks? > chiesi di un fiato < insomma… almeno che tu non sia un
fuggitivo ricercato dalla legge, non vedo che cosa ci possa essere di interessante
qui >
<
Tu cosa ci fai a Forks? > mi girò la domanda
<
Sono obbligata a viverci, storia lunga > lo liquidai
<
Abbiamo tutto il tempo > mi rispose tranquillo.
<
Prima vivevo a Phoenix con Renèe ma dopo essere stata espulsa per la… > ci
pensai < terza volta da scuola, mi ha spedito qui da mio padre > la feci
breve; non potevo di certo raccontagli tutta la mia incasinatissima vita.
<
Cos’hai combinato?> chiese incuriosito
<
La prima volta niente di male, ho allagato la palestra femminile, la seconda
volta non mi ricordo e la terza...diciamo che ho avuto problemi con il preside…> risposi come se ciò
che stessi dicendo fosse ordinaria amministrazione.
Mi
stupii di non vederlo rabbrividire e darsela a gambe levate.
< E tu?
Perché Forks? > chiesi cercando di immergermi completamente nei suoi occhi
< Mio
padre è stato assunto all’ospedale di qui, lui è un medico e quindi, ci siamo
trasferiti qui con tutta la famiglia >
<
Perfetto! > esclamai forse con troppa foga < Mi serviva un aggancio all’ospedale
> dissi seria
Rise.
<
Comunque appena potrò andrò via di qui! > sottolineai < preferibilmente
in un’isola deserta e sconosciuta dove potrò vivere una vita senza lavorare, e
passerò le giornate a prendere il sole su una spiaggia con sabbia fine e con
due energumeni che mi fanno aria con due ventagli giganti, hai presente ? >
Annuì.
< Uno
potresti essere tu, ti ingaggio, vuoi? > proposi
< Mh
> fece finta di pensarci < passare la vita come tuo schiavetto personale
non mi alletta poi molto, ma prometto che ci penserò su >
< D’accordo
> risi
< Lo
fai spesso? > Chiese ad un tratto cambiando discorso.
< Cosa?
> Se si riferisce al fatto che sono così di natura la risposta è sì.
< Mi
riferisco a ieri sera > incollò il suo sguardo al mio
< Ah!
Quello… > voleva sapere se mi imboscavo spesso con gli sconosciuti nei bagni
dei locali per una “botta e via” < no, ho fatto un eccezione per te >
ammisi facendo una risata che, alle mie orecchie, risuonò più come un raglio.
Era la
prima volta in assoluto che mi capitava di essere così attratta da un ragazzo.
Nonostante la mia aria da esperta in materia,
non ero mai stata con nessun altro oltre Alex, il mio ex.
< C’è
un motivo particolare ? >
“Non
capita tutti i giorni di trovare un ragazzo come te! “ Avrei voluto
rispondergli.
< Non
so, sarà stata la sbronza ma c’è stato un attimo, quando ci siamo guardati, ora
mi prenderai per una psicopatica, che mi è sembrato di vedere come un
irresistibile richiamo > risi < non so se hai capito > mi portai i
capelli all’indietro imbarazzata della confessione appena fatta. Mi ero bevuta
il cervello?
< Anche
io ho provato la stessa cosa quando ti ho vista > mi prendeva per il culo?
La
campana suonò e l’ora di trigonometria mi attendeva.
< Devo
andare > sbuffai recuperando i miei libri.
Uscii
dall’aula ancora incredula e mandai un sms a Jess e a Angie:
“Tra 5
minuti nel bagno all’edificio 8”
Mi incamminai per il bagno in attesa
che le mie amiche si facessero vive.
Mi raggiunsero subito. Angie
era ancora in tuta, probabilmente non le avevo dato il tempo di cambiarsi dopo
ginnastica.
< Che succede? > disse
Jess.
< Lui è qui > andai
subito al sodo.
< Lui chi? > chiese
Angie spazientita.
Alzai la gonna e mostrai il
perizoma, le altre ragazze presenti in bagno mi guardarono male ma non mi
importò.
Jess e Angie mi fissarono come
se mi fossi appena fumata qualcosa di molto forte.
< Ragazze il perizoma! >
dissi sperando che capissero.
< L’hai trovato! Allora?
> disse Jess.
< Non ci avrai fatto venire
fin qui per questo, spero > Angie si sistemò gli occhiali sul naso.
Sbuffai < Avete presente il
ragazzo di cui vi parlavo stamane in macchina? >
< Chi, il figone? >
disse Angie.
< Esatto > confermai
< si dia il caso che sia il nuovo studente della scuola e che oggi fosse seduto
accanto a me a biologia ! >
< Cosa??? Cosa? >
Jessica sembrava impazzita.
Angie lanciò un urlo.
< Non potevi dircelo prima?
> disse Jess.
< Ho provato a farvi
capire…> feci una pausa < me le ha ridate lui… le mie mutande >
abbassai il tono della voce.
< Cosa ti ha detto? > mi
chiese Angie.
< Che si è trasferito qui
con la sua famiglia. Suo padre lavora all’ospedale di Forks > le informai.
< Com’è che io non ne
sapevo niente ? > Jess era irritata, solitamente era la prima a sapere tutto
su tutti.
La campana suonò.
< Vi tengo aggiornate >
dissi prima di sgattaiolare fuori dal bagno per raggiungere la prossima
lezione.
---------
Cosa
accadrà? (attenzione: spoiler
capitolo successivo dopo i ringraziamenti)
Un
ringraziamento particolare va quegli angeli che hanno recensito:
Grazieeeeeee, sì ho notato che segui anche le altre mie
fic e non so davvero come ringraziarti per questo! Spero di non deluderti con
questa nuova storia che esce un po’ dai miei schemi
Eh sì! I microbi attraverso lo schermo sono proprio
micidiali hai fatto proprio un bel lavoro…complimenti per lo sclero
omaggio!!! Visto il cavaliere ha riconsegnato il perry (meglio abbreviare)
alla sua cenerentola…ora vedremo cosa accadrà? Ti ringrazio molto per il
fatto che mi sopporti e per le traduzioni dall’italiano all’inglese!!!! Spero
che questo capitolo ti sia piaciuto! Aspetto uno dei tuoi mega commenti
Era Edward, sta tranquilla (anche se Jazz non mi
dispiacerebbe affatto…)! E adesso come si comporterà la nostra protagonista?
Spero che il capitolo ti sia piaciuto e spero tanto che continuerai a
commentare. baciotti
Hai completamente ragione Edward è più sul rossiccio che
sul biondo…ma mentre scrivevo immaginavo il mio Eddy come Chad Micheal Murray
(presente?) e mi sono abbastanza persa… e poi in disco (con le luci basse e
colorate) e con tutto quello che aveva bevuto direi che è perdonata, no?
Spero che ti sia piaciuto anche questo capitolo! A presto! bacio
Wow! Qualcuno che apprezza le mie pazzie!!!! Te ne sono
grata! Non sai quanto mi stia divertendo a scrivere questa fic…mi rendo conto
che Isa non si del tutto normale ma va bene così…ho già scritto qualche altro
capitolo e ti assicuro che sarà sempre più pazza! Aiuto! Spero che questo
capitolo ti sia piaciuto anche se forse ti aspettavi già una cosa del
genere…aspetto tue notizie
Alle persone che mi hanno messa tra i
preferiti: WOW
Non credo di averla mai vista con lo stesso vestito più di una
volta, si vociferava avesse una cabina armadio grande come una intera stanza,
tipo quella di Sex and the City, per intenderci
Eccomi di nuovo (lettori: Nuooooooooooooooo) e invece sì muaaaaaauuuuuuu
Eccomi di nuovo (lettori:
Nuooooooooooooooo) e invece sì muaaaaaauuuuuuu!.
Ecco il 4 capitolo di questa fic
pazza.
Vi avviso che questo capitolo è stato
scritto in un giorno in cui lo sclero si era impadronito di me fino a dentro il
midollo con la conseguenza che ad ogni parola sparavo una caz- cavolata stile
mitraglietta (il mio ragazzo si chiede come mai non mi diano la licenza di
porto d’armi per questo!) e anche Sheba_94 può testimonialo quel giorno (ti
dice qualcosa: Eddino e io in un freezer?).
Fatta questa premessa vi avviso che
questo capitolo provoca seri danni celebrali e forti disfunzioni
fisiche…insomma vedete voi se continuare a leggere.
Come
sempre ringrazio la mia beta barbyemarco che
legge e commenta preventivamente i miei capitoli (…una sorta di cavia penserete
voi…)
--------------------
Bad Girl
[Isabella Swan]
Cap. Four – people
exchange
Arrivai
in classe di corsa e Miss Anne Mc Lear, comunemente chiamata Alien, mi squadrò
dalla testa ai piedi con disprezzo. Odiavo trigonometria ma ancora di più
odiavo lei. Pensai che, se lei non fosse stata la mia insegnante, avrei potuto
fare le scarpe a Eistein, o quasi.
Il
mal di testa per la sbornia della sera prima iniziava a farsi sentire. Non
avevo proprio voglia di ascoltarla, e lei, quasi a farlo apposta, alzava la sua
voce odiosa fino al limite delle possibilità umane, tanto da farle comparire una
antiestetica vena al collo à la Adriano Pappalardo.
Allontanai
lo sguardo disgustata da quella creatura e lo posai sulla mia compagna di banco
che mi sorrise.
<
Signorina Swan > mi chiamò Alien
<
Sì? > la sua voce mi fece trasalire.
<
Ha svolto i compiti per oggi ? > mi chiese come se la risposta la conoscesse
già.
<
Sì > era sorpresa. Si avvicinò con passo pesante al mio banco e le mostrai
il quaderno.
Ispezionò
con cura ogni singola riga del compito.
Gli
avrei volentieri risposto a dovere ma poi mi ricordavo che se fossi stata
espulsa un'altra volta, Charlie aveva promesso di mandarmi a studiare in Alaska
dalle suore. E io con i pinguini, gli animali, e gli altri pinguini, le suore
proprio non volevo andarci.
<
bene > sbuffò < anche se qui c’è un errore > indicò con l’unghia laccata
di rosso l’imprecisione.
Maledetta Sarah, almeno i compiti
falli bene, dico io…
<
è corretto > disse la mia compagna di banco con gli occhi puntati sul mio
quaderno. La prof. la guardò malissimo e si sistemò gli occhiali sul naso. <
vede, se consideriamo questo passaggio > cerchiò con la matita < e poi
portiamo tutto dopo il segno uguale, il risultato della Swan è corretto ! > spiegò
con maestria.
Alien
rimase senza parole, paralizzata davanti all’evidenza e se ne tornò alla
cattedra con la coda tra le gambe.
Stavo
iniziando davvero ad amare quella ragazza. Mi venne voglia di darle un bacio.
Il suo punteggio, dopo questa mossa, era salito notevolmente.
<
grazie Aly > le sussurrai con lo sguardo di completa ammirazione nei suoi
confronti
<
e di che? > mi fece l’occhiolino.
Con
Alice Brandon non avevo mai particolarmente legato pur essendo la mia compagna
di banco. Mi sembrava così distante da me. La classica ragazza ricca sfondata con
eccellenti risultati a scuola. Il mio esatto opposto, praticamente.
Non
credo di averla mai vista con lo stesso vestito più di una volta, si vociferava
avesse una cabina armadio grande come una intera stanza, tipo quella di Sex and
the City, per intenderci.
Ma
al di là di questo sembrava una ragazza simpatica, mi piaceva il suo taglio di
capelli e mi piaceva la sua vitalità. Anche se a volte tutto il suo entusiasmo
nei confronti della vita ti faceva cadere le braccia a terra. Era facile per
lei essere così, quando tutti i problemi venivano risolti con una carta di
credito, o forse, era solo un modo di porsi e io non potevo giudicarla senza
conoscerla effettivamente.
Per
tutta la lezione Alien rimase nelle retrovie, il più lontano possibile da noi.
Così appoggiai la testa sul tavolo e mi misi a pensare a Edward.
La
vibrazione del cellulare mi portò alla realtà. Sfilai, senza farmi notare, il
cellulare dalla tasca.
Era Jessica. Mi aveva inviato un messaggio:
“Isa, non posso ancora crederci…”
Ma che cazzo vuol dire?
Iniziai a battere velocemente le dita sul tastierino:
“vuoi comprare una vocale?”
Inviai il messaggio.
Neanche il tempo di rimettermi il cellulare in tasca che
vibrò nuovamente.
“avevi ragione, Jasper è un vero schianto”
Jasper? E chi cazzo è?
Ma cosa si fuma la mia amica?
Composi il messaggio:
“si chiama Edward, stupida”
Ma
evitai di spedirlo per risparmiare quei centesimi per altre occasioni.
La
campanella suonò e dopo aver rivolto un ultimo sguardo di ammirazione ad Alice,
schizzai fuori dall’aula alla ricerca di Jessica.
Corsi
per tutto il corridoio e poi svoltai a destra. Entrai sparata nell’aula di
inglese sicura di trovarla lì. Ma non c’era.
Jasper?
Mi domandavo mentalmente.
Le
teorie praticabili erano tre: la prima, Edward aveva un secondo nome; la
seconda, più plausibile, che Jessica non avesse capito un cavolo fritto (come
al solito) e, quella che preferivo, che Edward avesse un fratello gemello.
La
mia mente si perse totalmente in fantasie piccanti su giochini erotici con
protagonisti i due gemelli Cullen e me.
…E
se invece fosse il fratello brutto di Edward? Una sorta di Alter ego cattivo e
mostruoso? La copia venuta male? Ricordai di aver visto una puntata dei Simpson
in cui si scopriva che Bart avesse un fratello deforme in soffitta
Provai
a imbruttire Edward, immaginandolo pelato, con delle squame in faccia e con i
denti storti; ma anche così, strano ma vero, era comunque più attraente
dell’ottanta percento degli studenti di questa scuola.
Ero
completamente immersa in queste congetture antropologiche/psicologiche quando andai
a sbattere contro qualcosa di molto duro e caddi rovinosamente a terra.
Ricordai
di aver provato un dolore simile quando io e Jake ci eravamo buttati da una
scogliera giù a LA Pusch. Ero dovuta rimanere in ospedale completamente
ingessata.
<
ahiiii! Porca put-> mi toccai il naso. < Ma chi cazzo ha messo una
colonna di cemento armato in mezzo al corridoio? > mi lamentai tenendomi i volto tra le mani.
<
tutto bene? > sentì una voce
Dovevo
avere sbattuto la testa davvero forte perché sentì la colonna in cemento
parlare.
<
no che non va tutto bene, razza di - >
Quasi
certamente l’osso del naso era rientrato fino ad conficcarsi con quel poco di
materia grigia che mi ritrovato. Senza cervello potevo anche vivere ma senza
naso non di certo. Avrei dovuto provvedere ad una plastica facciale e con i
pochi risparmi che mi ritrovavo potevo permettermi solo il naso di Jerard de
Drapeau.
Controllai
se non sanguinassi. Non sanguinavo.
L’energumeno
mi porse una mano per aiutami ad alzarmi. Mi sollevò come se fossi fatta di gomma
piuma e dopo un primo momento di annebbiamento della vista lo vidi.
Una
sorta di ragazzo-armadio dai capelli ricci e mori e dal fisico scolpito simile
a quello dei campioni olimpionici di pesi massimi mi fissava stranito < non
devo portarti all’ospedale, vero ? >.
Non
risposi subito, anche perché lo stavo lentamente spogliando con gli occhi. Non
so bene il perché, ma lo immaginai per un attimo con un microscopico
asciugamano in vita dopo un allenamento di football, con le goccioline di
sudore che gli attraversavano i pettorali scolpiti e…
<
no grazie, sto bene > saltellai anche su un piede come una stupida per
rimarcarlo.
Mi
guardò come se avesse di fronte una minorata mentale.
<
allora ciao > disse poi scansandomi e proseguendo per la sua strada.
Figura
di merda colossale.
Perché
avevo una percezione della realtà distorta? Perché stamattina tutti i ragazzi
che incontravo, Edward in primis, mi sembravano dei fighi pazzeschi?
Mi
sembrava di essere finita in quel film “amore a prima svista” in cui il
protagonista si innamorava di Gwyneth
Paltrow che in realtà era una chiattona.
Scartai
subito l’ipotesi perché in fondo al corridoio notai Eric brutto come sempre.
---------
Dallo
spoiler dello scorso capitolo immagino avrete capito che in questo avrei
introdotto la mitica Alice, immagino anche che avrete capito che Alice è umana
e che non è la sorella di Edward, vero? (lettrici: Nooo \0/) vabbè, sicuramente
nel prossimo capirete tutto visto e considerato che ci saranno le presentazioni
ufficiali e si delineerà il quadro della situazione.
Che ne dite? Vi è piaciuto questo
capitolo?
Ringrazio quegli amorini che mi hanno lasciato un
bellissimo commentino:
°_° hai ragione dovevo avvertirti, ma come??? Sono stra-contenta
che mi segui anche qui anche se non è esattamente il mio genere (visti i
precedenti!!!). spero continuerai a commentare e a seguire…tanto so che lo
farai…Grazie ;)
Figurati, non ti scusare! Sono contenta di ritrovarti anche qui
(non sai quanto)!Sono contenta che ti
abbia fatto ridere perché questa fic vorrei fosse divertente per chi legge!
Grazie ancora! baci
Ciauuuu! Mi fai morire come al solito, del resto! Visto in
questo capitolo (il titolo) è un tuo prezioso consiglio…hihi! Spero tanto
tanto che questo capitolo ti sia piaciuto!!! Per la storia della
palestra…stendiamo un velo pietoso…no scherzo mi piace inserire pezzi della
mia vita vera! Fammi sapereeee! kissoli
Non smetterò mai *voce diabolica*, no a parte gli scherzi sono
contenta che ti piaccia perché sono stata abbastanza criticata per la scelta
di pubblicare questa fic…quindi non sai quanto apprezzo il tuo appoggio!
Grazie mille, davvero! baci
Ciao tesssoro mia beta! Il capitolo lo conoscevi già ma spero
che ti faccia cmq un certo effetto rileggerlo qui, no? Torna prestooooo mi
manchi…ho un sacco di dubbi su un paio di cosettine…baci
Che bello che bello che sei anche qui *me saltella*! Sono
contentissima che ti diverti a leggere perché non sai quanto io mi diverta a
scrivere questa fic…sarà che dentro sono anche io un po’ bad girl ma le
parole mi escono spontanee senza doverci pensare troppo anche perché alcune
scene sono “prelevate” dal mio passato…è troppo divertente “raccontarle” in
questo modo *Lau pensa che Eli è pazza e non segue + le sue ff*…
Ehiiii! Che bello vederti anche qui! Sono stra-felice, tu sei
una delle poche che mi seguivano anche nella prima fic Sun&moon e quindi
non sai quanto mi fa piacere che tu abbia continuato con le mie ff!!!
Ho notato che, nonostante le vacanze, i preferiti e i
seguiti sono aumentati: ringrazio moltissimo le new entry. Benvenute (non è mai troppo tardi per scappare \0/ - ovviamente
scherzo – )
Grazie a chi ha inserito bad girl tra i preferiti:
Scusate immensamente per il ritardo ma sono in vacanza nella parte più
meridionale della Sicilia e avere una connessione che regge è come trovare
dell’acqua nel deserto
Scusate immensamente per il ritardo ma
sono in vacanza nella parte più meridionale della Sicilia e avere una
connessione che regge è come trovare dell’acqua nel deserto! Spero
che nel frattempo non vi siate dimenticate di me (lettrici: siiiiiiii),
beh semmai rileggete i capitoli precedenti se non vi ricordate bene la storia
(Lettrici: te lo puoi scordare).
Siamo già al 5° capitolo per la vostra gioia…ehhhhhhhhhh!
Come vi avevo anticipato in questo ci
sono le varie presentazioni. Spero che vi piaccia.
Un
grazie infinito va alla mia beta barbyemarco!!!
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Bad Girl
[Isabella
Swan]
Cap. Five – The
Cullen brothers
< Jess,
finalmente ! > la raggiunsi.
< Isa, dov’eri finita? > mi
chiese
Dove ero finita io? L’avevo cercata per
tutta la scuola.
< Non riesco ancora a crederci !
> Era più esagitata del solito < Stavo entrando nell’aula di inglese quando ho incontrato quello nuovo >
< Sì, peccato che non si chiamasse Jasper ma Edward>
Rimase per qualche istante con lo
sguardo perso nel vuoto. Lo faceva sempre quando
cercava di comunicare con il suo cervello. Aspettai.
< Ma com’è
possibile? > Mi chiese poi
< La mia teoria è che siano due
fratelli gemelli > dissi io
Di nuovo quello sguardo perso nel
vuoto.
Grazie a Dio arrivò
Angela, affrontare una discussione da sola con Jess
non era un’impresa facile.
< Ho visto quello nuovo > disse
entusiasta <è alto, moro e muscoloso > precisò
< Allora non è lui
> ma quanti ragazzi nuovi c’erano?
Moro? Muscoloso?
< Ah! > Saltai io come se avessi
preso una scossa di corrente < la colonna di cemento armato ! > Strillai
< Eh? > Dissero in coro
< Ho seriamente rischiato di
rimetterci il naso a causa di quello scimmione > indicai il mio nasino
Le mie amiche continuavano a non
capire.
< Mi sono scontrata con lui in
corridoio poco fa > spiegai
Arrivammo in mensa. Lì finalmente
avremmo potuto verificare noi stesse, con i nostri occhi quanti, ma
soprattutto, come fossero i fratelli Cullen.
Edwardfaceva la fila
per comprare da mangiare. Passai con nonchalance davanti
a tutti gli studenti per raggiungerlo.
< Ciao > lo salutai
< Ehi ciao > disse, sembrava
contento di vedermi < è un peccato che non abbiamo
avuto altre ore insieme, non credi? >
< Eh, sì > risposta molto eloquente.
Isa chiama cervello. Isa chiama cervello.
Perché aveva la capacità di fare andare in
tilt i miei pochi neuroni attivi?
Isa, mantieni la calma e soprattutto:
non sbavare.
Presi del cibo a casaccio e lo caricai
sul vassoio.
Arrivati alla cassa pagò anche per me.
Non mi era mai successo prima. Tranne quella volta che Taylor
perse la scommessa e dovette offrire il pranzo a mezza scuola; ma credo che
quello non conti.
< Grazie >affermai
< Ti presento i miei fratelli >
disse poi indicandomi due adoni della mitologia ellenica
mentre ci accomodavamo a un tavolo.
< Lui è Emmett
>
Quello moro rise indicandomi
< ma allora sei tu la famosa Isa? >
Famosa? Questo voleva dire solo una
cosa: che Edward gli aveva parlato di me. Dentro di
me una Isa in miniatura faceva i salti dalla gioia.
< Ciao scimmione > lo salutai con un ghigno. Angie mi
diede una gomitata.
< E lui è Jasper >
Un biondo mozzafiato mi porse la mano.
< Piacere Isa >
< Lo so> disse
con un sorrisino che non me la diceva giusta.
< Loro sono Jessica
e Angela > indicai le due belle statuine accanto a
me.
Ragazzeeeee?
< Piacere > dissero insieme
completamente rapite dallo spettacolo che gli si
proponeva davanti.
Misi una mano sul viso con fare
scenico per mettere in risalto l’immensa idiozia delle mie due socie.
I Cullenboys risero.
In realtà non erano proprio da
biasimare, quale ragazza sana di mente non sarebbe rimasta rincretinita da quei
tre? Erano assolutamente indecenti, sprizzavano avvenenza da tutti i pori; a
parer mio, avrebbero dovuto andare in giro solo in
determinate fasce orarie con un cartello ben in vista recante la dicitura V.M.18 ANNI.
La loro mamma aveva fatto un gran bel
lavoro.
Notai un silenzio insolito. Mi voltai
leggermente e notai, con mio grande disappunto, che
tutti gli studenti erano voltati al nostro tavolo.
Il mio sguardo decisamente
poco garbato li fece riprendere le loro attività (anche quelle vitali).
< Siete davvero fratelli? > Jess, la solita impertinente
In effetti non si somigliavano tantissimo, anche
se, avevano in comune tre caratteristiche: la bellezza, la pelle pallida e il
medesimo color ambra degli occhi.
< Sì, io sono il maggiore,
frequento l’ultimo anno > spiegò Emmett < Ed il
quarto e Jazz il terzo >
< E da
dove venite? > ancora Jess
< Alaska > rispose Jasper
Eh,
infatti non mi sembravano proprio abbronzati.
< Alaska! > esclamò Angie come se fosse appena tornata fra noi < Isa, dove Charlie minaccia di mandarti! > rise solo lei.
Ecco
uno dei rari momenti in cui vorrei uccidere la mia
amica…
< Ehi! non
è poi così male lì > disse Emmett ridacchiando.
Il suo sguardo era concentrato
altrove.
< Chi è quella ? > chiese
indicando vistosamente una ragazza seduta qualche
tavolo più in fondo.
Appena capì a chi si stesse riferendo sentì
il sangue gelarsi nelle vene.
< Rosalie > risposi con poco
entusiasmo lasciando cadere la forchetta dentro il piatto.
Rosalie LilianHale. La ragazza più desiderata del
genere umano maschile, la più invidiata dal genere femminile. Reginetta
della scuola degli ultimi tre anni, capo indiscusso delle cheerleader.
Alta, bionda, occhi blu, dal fisico perfetto.
Qualche volta avevo ipotizzato che non
fosse vera, una sorta di bambola perfetta ad altezza uomo ideata da alcuni
scienziati cinesi e collaudata in gran segreto in questa scuola. Mi metteva i
brividi.
Stava con RoyceKing, quoterbeg della squadra di football, il ragazzo più
bello della scuola…alt, mi correggo, il quarto ragazzo più bello della scuola.
Notai che anche Jazz e Ed la stavano guardando.
ByebyeEdward…potevo pure dire addio a quel ragazzo…
La donna bionica aveva il potere di
soggiogare qualsiasi uomo a un raggio di cento
chilometri.
Con mia grande
sorpresa Edward si voltò nuovamente su di me. I
capelli bronzei, più spettinati del solito, ricadevano sulla fronte in un modo
così dannatamente sexy…
Mi osservava incuriosito o
concentrato, non saprei dire esattamente, tenendosi il
viso con una mano da un lato. Sembrava volesse studiarmi, leggermi dentro. Per
la prima volta in tutta la mia vita, mi sentì tremendamente in imbarazzo di
fronte un ragazzo e distolsi lo sguardo.
Più lo osservavo e più capivo che non
avrei potuto commettere errore più grande quella sera…
---------
Finito anche questo! Che dire… la situazione è chiara ?
I Cullen
sono in tre: Emmett, Edward
e Jasper. Alice e Rosalie sono umane e sono due
studentesse della ForksHightSchool.
Vi anticipo che nel prossimo troveremo
un capitolo interamente dedicato al POV di Edward. Era doveroso visto che sicuramente vi stavate
chiedendo come mai Edward faccia certe cosucce…
_____________
Spoiler:
I miei sensi e il mio istinto da predatore
presero il sopravvento. Doveva essere mia e solo mia. Pensiero alquanto
egoista, è vero, ma in quel preciso istante non avrei potuto controllarmi. La
desideravo troppo ardentemente come mai prima d’ora avevodesiderato una donna.
_____________
Ringrazio quelle poche (ma buone) tesorine che hanno commentato lo scorso capitolo, grazie
vedere quelle righe di commento fa molto ma molto
piacere…
Purtroppo non riesco a rispondere ai
vostri commenti, prometto che lo farò la prossima volta!
I preferiti e i seguiti sono aumentati
e vi ringrazio per l’affetto.
Un particolare benvenuto alle nuove
lettrici!
Fatemi sapere se vi è piaciuto o cosa
non vi è piaciuto in modo che io possa migliorarmi! Grazie
siete fantastici!!!
Come al solito mi scuso per il ritardo, ma sono tornata l’altro ieri
notte dalle vacanze
Come al
solito mi scuso per il ritardo, ma sono tornata l’altro ieri notte dalle
vacanze!
Come promesso in questo capitolo il
POV del nostro Edward
Un
grazie infinito alla mia beta barbyemarcoche molto pazientemente corregge tutti i miei errori…GRAZIE!!!
--------------------
Bad Girl
[Edward Cullen]
Cap. Six - Forbiddenapple- My Eve
Per
tutta la pausa pranzo continuai a guardarla sperando
di riuscire a cogliere qualche frammento di pensiero, di riuscire a capire per
quale motivo non riuscivo a staccarmi da lei: era come una calamita che mi attraeva.
Non
mi era mai capitato di perdere molto tempo dietro a ragazzette umane senza un
briciolo di cervello e senza amor proprio.
A
differenza dei miei fratelli, pensavo che non fosse un passatempo divertente
quello di collezionare il maggior numero di conquiste.
Francamente
avevo sempre cercato di evitare le ragazzette da una botta e via.
Ma con Isa era diverso.
Il
suo atteggiamento non faceva presagire certamente che fosse
una brava ragazza, un angioletto, per intenderci, ma sentivo che lei non era esattamente
come le altre oche già dal primo momento che l’avevo vista.
Quella
sera era seduta su uno sgabello di un locale alle porte di Port
Angeles, sorseggiava un super-alcolico e fissava un punto davanti a sé
concentrata su un qualche pensiero.
Fu
in quel momento che provai a soddisfare la mia voglia di sapere cosa le
passasse nella testa. La voglia di capire perché quel visino così bello fosse
così dannatamente triste… ma non riuscii a leggerla.
A
differenza della altre ragazze che non facevano altro
che ballare e a pensare ogni tipo di oscenità, lei se ne stava seduta,
ignorando le avances del barista, immersa nei suoi
pensieri nascosti e misteriosi.
Mi
chiesi se fosse venuta da sola in quel postaccio e le mie domande trovarono
immediatamente risposta attraverso i pensieri di chi l’aveva
vista entrare. Era con due sue amiche. Una stava ballando con un tipo alquanto
appiccicoso e l’altra stava amoreggiando con un tipetto
biondo. Evitai di sondare i pensieri di quell’ultima
e mi concentrai su quelli della ragazza con gli occhiali.
Aveva
una mente molto limpida e, nonostante fosse con un ragazzo, i suoi pensieri
erano fissi sull’amica rimasta al bancone.
Era
seriamente preoccupata per lei. Credeva si stesse pian piano auto-distruggendo
a causa del suo passato non propriamente felice e voleva
trovare un modo per aiutarla.
Automaticamente
sentì un forte istinto di protezione nei suoi confronti. Questa ragazza,
nonostante le apparenze che voleva mantenere, era molto fragile.
Poi
i suoi occhi si posarono sui i miei e tutto mi fu per
un attimo chiaro. Le sue iridi cioccolato parlavano da
sole, semplicemente guardandola negli occhi potevo riuscire a immaginare tutto
il dolore che aveva dovuto passare. Sebbene la sua
mente fosse inviolabile, i suoi occhi non riuscivano minimamente a celare i
suoi pensieri.
Appena
mi vide, nonostante lo strato di cipria e fondotinta che ricopriva il suo volto,
notai le sue guance imporporarsi di un rosso dannatamente delizioso.
Mi
sorrise debolmente prima di incamminarsi lentamente e con attenzione, come se
avesse paura di cadere da un momento all’altro, verso di me. Mi faceva quasi
tenerezza.
Di nuovo il senso di protezione si impadronì di me.
Poi
mi si avvicinò con un fare da donna vissuta che non le calzava per niente. Si
accostò a bere un sorso del mio drink e il suo profumo prepotente mi
schiaffeggiò. Chi era questa sirena dal richiamo mortale?
La
fragranza del suo sangue mi diede letteralmente alla testa. L’odore più buono e
gradevole che avessi mai potuto cogliere in cento anni di esistenza.
I miei sensi e il mio istinto da predatore presero il sopravvento. Doveva
essere mia e solo mia. Pensiero alquanto egoista, è vero, ma in quel preciso
istante non avrei potuto controllarmi. La desideravo troppo ardentemente come
mai prima d’ora avevodesiderato una
donna.
La
feci mia.
Il contatto con il suo corpo caldo e morbido mi fecero
assaporare per un attimo, che sembrò l’eternità, un piccolo pezzo di paradiso.
Io vampiro, dannato, senza anima, ero riuscito a trovare dentro lei quella pace e quel desiderio che in cento anni non ero
riuscito a placare. Quella piccola e fragile umana mi aveva
offerto la mela del peccato e io l’avevo addentata, assaggiata e adesso non
sarebbe stato facile dovermene privare. La mia Eva,
così l’avevo appellata quando ancora non conoscevo quale fosse il suo vero
nome.
L’avevo
rivestita e avevo aspettato che le sue amiche la trovassero prima di andarmene
per evitare che qualche malintenzionato la vedesse e approfittasse di lei priva di sensi a causa della sbronza.
L’avevo
lasciata in quel bagno, luogo del nostro incontro di corpi, addormentata, dopo
essermi ripromesso più volte che non sarei andato più a cercarla.
Ma il destino, anche questa volta, volle
prendersi gioco di me...
Stamane appena varcata la
soglia dell’aula di biologia sentì di nuovo quella deliziosa e unica fragranza. Era lei.
Nonostante non volessi ammetterlo inizialmente a
me stesso, ero felice di aver ritrovato quella ragazza. Se
non l’avessi incontrata per puro e fortuito caso l’avrei cercata in capo al
mondo pur di trovarla.
Malgrado
ci fossimo separati da pochissime ore non riuscivo a
fare proprio a meno di lei.
Senza
trucco era ancora più bella, anche se ancora si notavano gli occhi cerchiati
per la nottata precedente.
Mi
squadrò da capo a piedi stupita ma poi la sua reazione
si rivelò alquanto insolita. Lei era totalmente e
assolutamente atipica. Ogni suo gesto, anche il più comune, prendeva una
valenza, un significato tutto suo. Il suo semplice gesticolare delle mani era
qualcosa di unico. Il suo sorriso poi era oltremodo
contagioso. Non era come gli altri umani. Non era una
semplice goccia in un oceano. Lei era una perla rara in mezzo ad un oceano.
Isabella,
questo scoprì essere il suo vero nome.
Standole
seduto acconto mi resi conto di particolari che
sfuggono all’occhio umano. Mi piaceva tutto di lei, anche il suo modo di porsi
e di essere, il modo con cui impugnava la penna per scrivere, il modo
irriverente con il quale fissava il professore, le strane fossette che le si disegnavano quando sorrideva…
Fui
invaso da uno strano impulso. Volevo sapere tutto di questa ragazza. L’unica ragazza riuscita a rapirmi completamente.
La
mia Eva.
<
Edward ? ci sei ? > mi disse
Jazz passandomi una mano davanti agli occhi
Insieme
aEmmett non la smettevano
di sbeffeggiarmi.
Ero
talmente immerso nei miei pensieri da essere rimasto tutto il tempo imbambolato
sul suo viso.
Sembrava
molto imbarazzata di queste attenzioni. Distolse lo sguardo. Non sembrava
neanche la stessa della scorsa notte così timida e impacciata. Che fosse lei la vera Isabella Swan?
che la ragazza sfacciata fosse solo una copertura per
difendersi dal mondo?
L’avrei
scoperto.
---------
Come
avrete certamente notato il modo di pensare ed
esprimersi di Edward è totalmente diverso da quello
della nostra Isa. I prossimi capitoli saranno nuovamente narrati dalla
protagonista. Questo è un capitolo di transizione che spiega alcune cosucce…
spero vi sia piaciuto!
Di
seguito lo spoiler del prossimo capitolo…
_____________
Spoiler:
< Sono fiera di te > mi voltai
soddisfatta verso Edward che mi sorrise.
< Avevi mai fatto una cosa del genere ? > Chiesi
mentre mi avvicinavo al mio pick-up.
_____________
Sondaggio:
Dallo
Spoiler cosa pensate che succederà nel prossimo
capitolo?
Ciaooooo! Che bel
commento! In effetti anche io vorrei avere l’onore
di conoscere i fratelli Cullen!!! Hai già capito
che Bella e Rose non vanno molto d’accordo? Vedremo come andranno le cose!
Questo capitolo ti è piaciuto? Spero che continuerai a
seguire questa fic. bacioni
Ecco il capitolo di
Edward! Spero che ti sia piaciuto! Adesso la
connessione grazie a Dio c’è ma il tempo a disposizione è proprio poco! Fammi
sapere! bacioni
Grazzieeeeeeeeeeeeeeeeeee! WOW! Sta tranquilla vado avanti
non ti preoccupare…non immagini quanto io mi diverti
a scrivere (ho già pronti i prossimi 3 capitoli!). Spero che continuerai a
seguire! Kissoli
Ciauuuuu! Mi sa che avevi qualche problemino al pc perché non mi
è arrivata tutta la recensione! Mi fa morire il fatto che
prendi le frasi e le commenti…troppo forte!!! Per i “due adoni della
mitologia ellenica” sta tranquilla non ho trascurato quel “problema” e direi
che il problema stesso in questo caso non sussiste (Bella ha già verificato
con Edward, tranquilla)! Questo capitolo è meno
divertente ma serviva per la storia, non credi?
Spero di sentirti presto, mi manchi tantoooooo! bacioni
WOW! Che
recensione……. Troppo bellaaaaaaaaaaaa! Sono
stra-felice che apprezzi questa fic! Spero di
vedere prestissimo la tua prossima recensione! Grazie! bacioni
Che bello!!!!
Sono stracontenta! Il mio intento è proprio quello di farvi sorridere…se poi
a te scendono persino le lacrime dal ridere vuol dire che ci sono riuscita!
Grazie! Continua a seguire e a recensire! Kiss
Ciauuuu! Anche io
vorrei conoscere i maschioni Cullen, me lipresenteresti? Hihi!
Per Rose eEmmett è ancora
presto, anzi ho intenzioni diverse (per il momento)! Spero che questo
capitolo ti sia piaciuto e che continuerai a seguire questa fic! baciotti
Ciauuuuuuuuuuuuuuuuu! Se non ci
fossi tu come farei? Bèh il capitolo lo conosci bene… appena posso ti invio il capitolo da betare
(il 10°)! Mamma mia quanti…se non fosse stato per te avrei lasciato perdere
al terzo, grazie di tutto! Bacioni
Grazie
a chi ha inserito questa fic tra i preferiti
Un
grazie infinito alla mia beta barbyemarcoche molto pazientemente corregge tutti i miei errori…GRAZIE!!!
Vi lascio al capitolo… a dopo nella
sessione in fondo al capitolo
--------------------
Bad Girl
[Isabella Swan]
Cap. Seven –
Escape
<
Prossima lezione ? > Gli chiesi non appena avvertìil suono della campanella.
<
Mmm > ci pensò per qualche
secondo < letteratura > rispose poi.
Non
riuscivo a capire come facesse a ricordarsi a memoria il suo orario in così
poco tempo. Io vivevo da quasi un anno a Forks e
ancora non lo avevo memorizzato, anche dopo aver preparato la borsa miliardi di
volte. Lui, invece, era qui solo da poche ore e già sapeva come muoversi.
Evidentemente
il mio cervello era atrofizzato, il suo no…
<
Tu? > Mi chiese poi con un sorriso splendente.
Ricordarsi
di chiedere quale marca di dentifricio utilizza,
appuntai mentalmente.
<
Ehm! Aspè che controllo > tirai fuori il mio
diario, se così si poteva chiamare < letteratura > risposi poi. Che coincidenza!
< Allora andiamo insieme? >
< Certo > mi alzai con troppa
enfasi e quasi non feci cadere la sedia per terra.
Edward trattenne una risatina camuffandola
con un colpetto di tosse.
< Ciao a tutti, a dopo > li
salutai e feci l’occhiolino alla mia socia Jess che
mi guardò in modo strano.
Iniziai a camminare per i corridoi con
quella specie di divo hollywoodiano.
< Le conosci da
molto Jessica e Angela? > Mi chiese.
< Da un anno > risposi lesta, < sono le mie migliori amiche > siamo le Charlie’s
Angels…
< AncheJess? > Chiese.
Che strana domanda.
< Sì, certo >.
Giungemmo in aula che ancora la
professoressa non era arrivata. Forse era la prima volta che mi capitava di
arrivare in anticipo. Un vero record. Lo conoscevo soltanto da poche ore e già
mi stava cambiando?
Ci accomodammo in ultima fila.
< Quello è il mio
posto > si lamentòJonson.
< evapora
> risposi solamente e l’ominide si dissolse dalla
mia vita.
Appena la
Watson entrò mi fissò con incredulità tale
da avere gli occhi in prossimità di uscirle dalle orbite.
< Arrivi sempre in ritardo, vero?
> Era un indovino per caso?
Annuì.
Presumibilmente non era
poi così difficile da capire, bastava guardarmi in faccia.
La prof. iniziò a leggere una poesia
di qualche vecchio barbuto con gli occhialini rotondi. Avete notato che i poeti si somigliano tutti?
Il sonno perso iniziava a farsi
sentire e Edward sembrava così attento. Doveva pur
averlo un difetto: era un secchione.
Provai ad ascoltare qualche frase ma
era più forte di me.
<Tremilacinquecento > sussurrai piano.
< Cosa?
> Mi chiese voltandosi.
Sinceramente non credevo mi sentisse.
< Tremilaquattrocentonovantanove
> continuai < sto contando i secondi alla fine
di questa lezione…tremilaquattrocentronovanta… >
risi.
Si mise una mano nei capelli mimando
disperazione.
< Senti, ma a te piacciono tutte
queste cagate che nella vita non ti servono a niente?
> Chiesi.
Un altro minuto con la
Watson che leggeva lenta e solenne come una
lumaca sul punto di morire e avrei prosciugato tutta la mia linfa vitale!
< Chiamasi
“cultura” > mimò anche le due virgolette con le dita.
< Sì quello che è
> risposi acidamente < e se invece… >
< Qualsiasi cosa tu abbia in mente, no > rispose senza farmi finire.
< Taci e fingi di stare molto male
> ordinai
Lui non doveva
necessariamente cambiare me, potevo provare io a cambiare lui!
Alzai la mano ma me la fece subito
abbassare. Per sua sfortuna la Watson notò che avevo una richiesta da
farle.
< Swan ?
> Mi chiese togliendosi gli occhialini dalla montatura oscena.
< Mi spiace veramente disturbarla
> se se, come no < ma Cullen non si sente molto
bene, temo debba vomitare, sa quei virus intestinali che girano… >
< Sì, lo porti in
infermeria cortesemente > mi diede l’autorizzazione. Sapevo quanto fosse suscettibile su queste cose la
Watson, considerato il precedente con Newton
che aveva vomitato per tutta l’aula.
< Andiamo >
invitaiEdward ad uscire tenendolo per un
braccio manco fosse un malato terminale.
< Non so davvero come ringraziarti,
mi hai risparmiato ben tremilatrecentovendidue
secondi di letteratura, se non avresti il virus intestinale ti meriteresti un bacio > scherzai una volta uscita
dall’aula.
< Cosa vuoi
fare? > Chiese.
< Andiamo in infermeria,
ovviamente! >
Mi guardò strano.
< Ci servono le giustificazioni per
uscire o no? Continua a fare il moribondo >.
< Sì, ma poi io cosa ricevo in
cambio? >
Alzai gli occhi al cielo.
< Credo che tu abbia avuto già
abbastanza, non credi? >
Perché
mi istighi stupido Cullen?
La signorina della segreteria mi
conosceva.
< Mi manda la
Watson > le dissi
appena mi scorse.
< Cos’hai
oggi? Il tifo? > Acida
più dello yogurt scaduto da tre settimane.
La signorina Cope
era la classica ZPSC – Zitelle Perennemente Senza …
Un orribile donna, se così si poteva definire, sulla
quarantina, occhi grigio topo e capelli biondo fluorescente. Quel che è peggio
è che non aveva il ben che minimo gusto nel vestire e sceglieva abbinamenti da
far rivoltare nella tomba CocoChanel.
< Non è per me, questa volta > indicaiEdward che fingeva di
stare male. Mhh, devo dire che aveva talento come attore.
< D’accordo > sbuffò.
Strappò due giustificazioni e me le
porse senza fare altre storie.
Probabilmente doveva tornare a chattare sul solito sito di incontri
con vecchi maniaci pervertiti.
Uscita dalla scuola respirai
a fondo. Era buono il sapore di libertà.
< Sono fiera di
te > mi voltai soddisfatta verso Edward che
mi sorrise.
< Avevi mai fatto una cosa del
genere ? > Chiesi mentre mi avvicinavo al mio
pick-up.
< Sinceramente no, non per una
ragazza >
< Dimmi un po’ ?
Ma che razza di adolescenza hai passato? > Era
un’esperienza che andava fatta almeno una volta nella vita.
< Questa sarebbe la tua macchina?
> Indicò il mio catorcio arrugginito.
Con le mie socie eravamo alquanto
organizzate. Il mio mezzo di trasporto era stato portato nel parcheggio la sera
prima. Tanto non dovevo di certo temere che me lo rubassero…
< Ha personalità,
non trovi? > Sorrisi fino a far sparire gli occhi
< Abbastanza, ma non credere che
salirò su quel coso… prendiamo la mia! >
< Ricordi che sei malato? Devo
accompagnarti io >.
Salì in auto sbuffando.
< Dove
andiamo? > Mi chiese.
< Ti fidi di me? > Gli risposi.
< No! > Ribatté sorridendo.
Quant’era bello…
---------
Nessuna
di voi ha indovinato cosa potesse succedere attraverso
lo spoiler (ammetto che era un po’ troppo poco per arrivarci!). Adesso cosa
faranno i nostri due protagonisti scappati da scuola? Lo scoprirete solo
leggendo il prossimo capitolo …. *risata sadica*
Come
di consueto vi lascio un piccolo spoiler:
_____________
Spoiler:
< Quando fai così mi fai paura... >
affermò divertito con una faccia fintamente preoccupata < ...tratti meglio
gli oggetti che le persone? > domandò sarcasticamente.
Non era una novità questa. Facevo quest’effetto a moltissimi
ragazzi.
_____________
Ringrazio
di cuore tutte quelle anime pie che hanno commentato:
“Ho intenzione di
leggermi tutte le tue storie, e piano piano lo
farò”ß è una minaccia per
la tua salute mentale questa ? ihihih ! scherzoooooo ovviamente (sese,
come no!). I pensieri dei protagonisti mi sembrano molto reali, non trovi ? (infatti alcune scenette sono tratte dalla mia vita reale *Eli fischietta con molta non-chalance*
! Mamma sauraspero
proprio che questo capitolino di transizione ti sia piaciuto? Dove porterà il nostro vampirello?
Hai qualche idea a proposito? Aspetto il tuo commento con ansia! kiss
Per le dimostrazioni pratiche sono € 100000000000 (così
azzeriamo il mio debito, che dici?)! colgo
l’occasione per ringraziarti anche qui per avermi proposto per la sessione
“storie scelte”…. Me ha le lacrimucce
agli angoli degli occhi! Per il momento Eddino è
ancora qui da me…dice di non essersi ancora stufato della …………… NUTELLA ! da
quando l’ha assaggiata ci va matto! (ho intenzione di inserire un capitolo su
questo…quindi inizia a chiamare la neuro urgentemente ! ) ps:
quel capitolo, ovunque esso verrà inserito
(ovviamente sempre qui in Bad) sarà dedicato alla REGINA della NUTELLA cioè
TE! Baci nutellosi
Capitolo che saprai a memoria (o quasi)! Il nome della
segretaria me lo ha suggerito Bella Kristen
altrimenti non ci sarei mai arrivata (nonostante
abbia letto Twilight 10000 volte…vabbè). Ci sentiamo prestissimo per tutti i nostri
progetti delle fic! Baciotti.
Ti immaginavi una bigiata (per i non milanesi
bigiata = marinare la scuola) ???? dove lo porterà ?
in un luogo isolato per approfittare di lui? Vedremo nel prossimo! Continua a
seguire! baciotti
Nessuna gara anche perché allora Isa avrebbe
perso in partenza con il suo povero rottame!!! Ti ho sorpresa
facendoli “fuggire” dalla lezione di letteratura? E
adesso? Che succederà? Dove lo porterà? A casa sua?
Lo ucciderà e occulterà il corpo? Per scoprirlo bisogna seguire *risata sadica*! Spero di vederti presto anche su Msn! Ciao e grazie
Eccoti il nuovo capitolo appena aggiornato, ti piace? Spero
proprio di sì…magari l’idea della bigiata non è proprio
una trovata grandiosa ma avevo bisogno che i due restassero un pochino soli soletti… yeah! bacio
Grazie
a chi ha inserito questa fic tra i preferiti
Capitolo
betato da barbyemarco! Grazie
mille per l’accurato lavoro che svolgi!!!
--------------------
Bad Girl
[Isabella
Swan]
Cap. eight
–my secret place
Salimmo sul mio pick up.
Indossò un paio di occhiali da sole.
Il cielo era talmente nuvoloso da sembrare notte ma quegli occhiali gli stavano
così bene da togliere il fiato anche se coprivano i suoi particolarissimi occhi
color ambra.
Okay
Isa respira…
< Che facciamo ? > Chiese poi
passandomi una mano tra i capelli.
A causa di quel gesto, spero per lui
inconsapevole, nel mio cervello suonò l’allarme rosso, ossia “zona sesso”.
< Per prima cosa smettila di
provocarmi > risposi puntandogli l’indice contro
Mi fece uno di quei sorrisi storti,
una vera e propria arma di distruzione di massa capace di stendere qualsiasi
esemplare donna.
< Non ho fatto niente > rise di nuovo.
Serviranno
anche a me un paio di occhiali da sole di questo passo…
Sospirai e misi la prima marcia per partire.
La solita “orchestra sinfonica” del
motore del mio mezzo si fece sentire.
Chiamare
quelli di “pimp my ride”
appuntai mentalmente.
Disse qualcosa ma non riuscii nemmeno
a sentirlo dato che i tonfi del motore sovrastavano qualsiasi altro suono.
Feci finta di niente e cominciai a
parlare.
< Dunque, non perderò tempo per
farti vedere la magnifica cittadina
di Forks > sperai che capisse il mio sarcasmo < anche perché oltre la
scuola, l’ospedale e la chiesa non c’è nient’altro > aggiunsi alzando leggermente
le spalle.
< Capisco > non era di certo un
tipo che potesse definirsi logorroico
< Idea ! > Esclamai ad un
tratto. Frenai di colpo e feci un inversione a U in curva. Il povero
nonno-pick-up tossì rumorosamente.
< Scusa > accarezzai
amorevolmente il cruscotto per farmi perdonare. Ero solita parlare con gli
oggetti che mi stavano più a cuore; il mio furgoncino era uno di quelli che più
amavo nonostante non fosse proprio all’ultima moda.
< Gli voglio molto bene > mi
rivolsi a Edward
< Quando fai così mi fai paura...
> affermò divertito con una faccia fintamente preoccupata < ...tratti
meglio gli oggetti che le persone? > domandò sarcasticamente.
Non era una novità questa. Facevo
quest’effetto a moltissimi ragazzi.
< Ti porto in un posto meraviglioso
>.
Alzò un sopracciglio.
Non mi credeva?
Ingrato…
< Non ci ho portato mai nessuno
> come minimo doveva sentirsi onorato.
In realtà non ci andavo neanche io da
moltissimo tempo.
Ci andavonei
primi tempi appena trasferita a Forks. L’avevo trovato per caso, un pomeriggio
perdendomi nel bosco. Era una piccola radura nascosta dalla boscaglia. Era mia
abitudine nascondermi lì quando sapevo di aver commesso qualche stronzata per
rientrare il più tardi possibile a casa ad affrontare Charlie; altrimenti
andavo lì a riflettere; cosa alquanto rara, (il riflettere, intendo) e già unicamente per questo poteva
ritenersi un posto davvero speciale.
Ad ogni modo, preferivo non fermarmi
mai troppo a pensare, cercavo di tenermi il più attiva e impegnata possibile
per non averne il tempo materiale.
Quando lo facevo, in fin dei conti,
non ne risultava niente di buono. Vedevo scorrere velocemente piccoli frammenti
della mia vita e puntualmente capivo quanto fosse merdosa e priva di senso.
Ritenevo, quindi, di dover vivere come
se ogni giorno fosse l’ultimo per morire con il sorriso sulle labbra e per non
aver nessun rimpianto.
< Allora? Raccontami di te >
iniziai il discorso < dev’essere stato terribile trasferirsi in questo paese
di mummie >
< No, affatto > rispose lesto
< e poi, se tutte le mummie sono così… >
Questo
voleva essere un complimento ?
Emisi un suono simile a un sorriso,
molto finto; sembrava quello di quelle bambole elettroniche che camminano,
bevono, mangiano e soprattutto, mettono inquietudine…
< Non ci credo che in Alaska non
hai lasciato degli amici, conoscenti, amori… >
Ed
ecco dove volevo andare a parare…
< Mmh, non molti > rimase sul
vago.
< Tu? A Phoenix ? > Ahi, domanda
che avrei preferito non mi facesse
< Alcuni amici mi mancano, ma ho
preferito tagliare ogni comunicazione con loro > risposi
< Come mai ? > Mi chiese. Doveva per forza approfondire?
< Quando sei lontana da un posto e
sai di non dover più tornare, mantenersi in contatto è come lasciare un pezzo
di se > da quando in qua mi perdevo in
ragionamenti filosofici di questo tipo? Se mi avessero sentita Angie e Jess non
mi avrebbero riconosciuta !
< Hai ragione > sospirò
<
Lo so, ho sempre ragione > gli feci una linguaccia sperando di sviare il
discorso “Phoenix”.
Sogghignò.
< Bèh, tu hai i tuoi fratelli !
> dissi poi pensando che in fin dei conti non era solo.
< Non è sempre una cosa positiva
> increspò le labbra in un ghigno.
< Dev’esserci molta competizione
> questo dovevo solo pensarlo non
dirlo: perché non conto prima fino a dieci prima di parlare?
< Più o meno > rispose con il
solito sorriso da play boy.
< Se queste vostre “competizioni”
sono fisiche alla prossima scommetto 10 dollari su Emmett > sbattei una mano
sul volante < cioè, l’hai visto ? Secondo me la mattina ingurgita quei
biberon pieni di ormoni e varie sostanze dopanti >
Rise sonoramente.
< Fossi in te questo non lo
ripeterei in sua presenza! >
In effetti, nonostante tutto, ci
tenevo alla vita…
< Ci siamo quasi > dissi
indicando la strada davanti a noi.
< Ma qui la strada finisce >
affermò con convinzione.
Quando mai Isabella Swan si fermava di
fronte a una strada senza uscita?
< Dobbiamo proseguire nel bosco
> affermai tranquilla.
< A piedi ? > Alzò un
sopracciglio.
< No, certo che no! > Risposi
come se avesse detto una blasfemia.
Immaginai di dover camminare nella
oscura boscaglia e di cadere ad ogni buca e radice che si trovava lungo il mio
percorso. Non so bene il perchè, ma mi immaginai anche affogare in una palude
di sabbie mobili…
Trattenni una risatina. Non sarebbe
stato semplice spiegare a Edward il miei insoliti pensieri.
Aumentai la marcia e mi diressi verso
il bosco adiacente alla strada.
< Sei sicura che lui possa farcela
? > Indicò il povero nonno-pick-up che tossicchiava.
Feci una faccia offesa.
< L’ho fatto una marea di volte
> risposi.
Rise alzando leggermente le spalle.
Era divertente stare con lui. Non
parlava molto ma la sua vicinanza era gradevole.
Non lo conoscevo affatto ma potevo
affermare con certezza che mi piaceva, e non intendo solo fisicamente.
Nonostante tutto ciò che già sapeva di me non mi aveva giudicata,non era scappato e questo era, senza dubbio, un
ottimo inizio.
Il sentiero non era esattamente
definito, anzi non c’era proprio. Il mio pick-up si improvvisò un fuoristrada
sfidando il terriccio scosceso pieno di trappole. Io e Edward ondeggiavamo sui
sedili. Gli ammortizzatori erano pressoché inesistenti e il mio fondoschiena ne
stava seriamente risentendo.
Finalmente arrivammo; stavo iniziando
a credere di essermi sbagliata.
La radura non era esattamente come la
ricordavo. Sembrava più spettrale, forse a causa di quel leggero strato di
nebbia sottile.
< Eccoci > battei le mani
imbarazzata.
< Era questo il tuo posto speciale
? > Ecco, se non era ancora scappato, dopo questa visione si sarebbe
smaterializzato all’istante!
< Sì perché ? > Chiesi senza far
trasparire la minima esitazione. Ormai eravamo qui.
< Sai una cosa? Mi piace >
risposta che mi stupì e non poco.
Questo non era esattamente un posto
che potesse definirsi speciale per una ragazza.
Ci sedemmo ai piedi di un albero.
< A che pensi? > Mi chiese
voltandosi di scatto. Eravamo così vicini…
< Ho sonno > gli sbadigliai
praticamente in faccia.
< Bèh, grazie! Ti faccio quest’effetto?
> Chiese facendo l’offeso.
No,
assolutamente no…
Rise e con un gesto mi fece sdraiare
con la testa sulle sue gambe prima che potessi rispondere.
< Sai, non sei comodo come cuscino
> provai ad aggiustarmi meglio con la testa. Ma le sue cosce erano talmente
sode che risultavano dure.
Ridemmo insieme. Mi stupì di essere
così tanto in sintonia con lui. Come se ci conoscessimo da una vita
Visto che dormire sarebbe stato un
inutile spreco di tempo mi alzai di scatto ricordandomi di una cosa importantissima.
Da qualche parte c’era nascosto il mio
tesoro.
---------
Uffi
mi spiace dedicare 3 capitoli a questa loro “fuga”… avrei voluto unificare
questo e il prox capitolo ma sarebbero venute + di 10 pagine in word e non
avreste colto alcuni particolari che cerco di evidenziare in ogni capitolo!!!
…E poi così non vi ho messo un pochino di curiosità? Di cosa starà parlando la
nostra Isa? E soprattutto molte si staranno chiedendo: perché non ha
approfittato della situazione?
Questa
volta niente frasi tratte dal capitolo successivo, come spoiler vi lascio il
titolo del capitolo:
“Red Rose and Black Marguerite”
Ringrazio
tutte le splendide ragazze che hanno commentato:
MAMMA MIA CHE RECENSIONEEEEEEEEE! TROPPO DIVERTENTE! Come sempre
del resto! Io invece non so proprio che dire… sono stanca *si strappa i
capelli *. Vabbè, va… ci sentiamo su msn che è meglio !
Questa volta hai indovinato: l’ha portato alla radura… nel
prossimo se ne vedranno delle belle quindi please non mancare. Ti mando tanti
baciotti. A presto. Eli
Recensione di mieme[Contatta],
del 03/09/2009 - 08:53PM sul capitolo 7: Escape - Firmata
Hey tesoro! GRAZIEEEEEEEEE! Che bella recensione! Spero che
anche questo ti sia piaciuto! Posto il seguito presto, promesso! Fammi sapere
;) baci
Hai ragioneeeee era
cortino e proprio per questo che sto pubblicando subito il seguito…almeno
controbilancio! Spero in ogni caso, che il capitolo ti sia piaciuto! Fammi
sapere! Bacioni carissima!
Le recensioni te le
meriti tutte! Colgo l’occasione per ringraziarti ufficialmente per aver fatto
“sbarcare” la mia fic “top secret” su Facebook sul gruppo “Le migliori Fan
Fiction della Saga di Twilight “ … diffondiamo le mie pazzie on-line a +
persone possibiliiiiiiiiiii! Ahahah!
Michy (posso
chiamarti così? No, vero?) approfitto di questo spazio per ringraziarti
infinitamente dei commenti che mi hai lasciato alle mie ff (l’hai fatto
davvero, davvero le stai leggendo tutte!). in particolare ti ringrazio per
quella lasciata a Top Secret! Ci mancava poco che mi mettessi a piangere!!! E
quella lasciata a Heaven (ho provveduto a modificare l’ordine dei due
capitoli che inspiegabilmente si sono invertiti O_O), per non parlare di
quella lasciata a Serial Killer (sei una grandeeeee…).
Hai davvero un
intuito da fare invidia a chiunque… infatti hai indovinato: l’ha portato alla
radura! Anche perché come hai detto anche tu non è che avesse molta altra
scelta! Spero tanto che il mal di testa ti sia passato. Baciotti vampirella e
grazie!
Ciau! Non è che Isa
avesse molte scelte su dove portare Eddino a Forks quindi mi è venuta in
mente la radura (mamma mia non ci avrebbe mai pensato nessuno, vero?). C’è da
dire che adesso devono anche cominciare a conoscersi, no? Grazie per tutti i
complimenti! Spero commenterai anche questo capitolo! kiss
Recensione di lisa76[Contatta],
del 03/09/2009 - 06:12PM sul capitolo 7: Escape - Firmata
Mi sa che ho demolito
le tue aspettative... non ha “approfittato” di lui (o meglio…non ancora
O__O).Nei prossimi si capirà il perché… spero ti sia piaciuto comunque il
capitolo anche se un po’ scontato, o no? ;) baciotti
Ciauuuu! Che bello
rivederti! Dunque chiarisco subito il tuo dubbio: nel capitolo del POV di
Eddino il nostro vampirozzo ricorda quando l’ha vista per la prima volta in disco.
Mi spiace di aver creato confusione. Voleva essere un capitolo di spiegazione
delle azioni di Edward! Spero che questo ti sia piaciuto. Fammi sapere
qualcosina, ok? Kissoli.
Eccomi qui!!!
Periodo veramente “no”! questi benedetti quiz della
patente mi stanno veramente facendo sclerare… come se già non lo fossi
abbastanza.
Per fortuna avevo alcuni capitoli già
pronti altrimenti avreste dovuto aspettare non so
quante settimane per un aggiornamento.
Adesso bando alle ciance… ecco il
capitolo!
Capitolo
betato da barbyemarco! GRAZIEEE
TESORAAAA!
--------------------
Bad Girl
[Isabella Swan]
Cap. nine –Red Rose and Black marguerite
< da qualche parte c’è il mio
tesssoro > imitai alla perfezione quell’ hobbit
abominevole del Signore degli Anelli.
Rimase immobile sotto le fronde
dell’albero.
Dovevo fare tutto da sola?
Iniziai a girovagare alla ricerca
esatta del punto in cui un anno fa avevo sotterrato il mio scrigno.
< Eccolo ! > Esclamai.
Edward, che se ne stava ancora
straiato sotto l’albero, si sollevò e venne a vedere a cosa mi riferissi.
Indicai il mucchietto di terra melmosa
sotto il quale con ogni probabilità, si trovava il
tanto ricercato oggetto.
< Guardando le tue mani immagino
che tu non sia molto propenso ai lavori manuali > ops, mi accorsi solo successivamente che la frase poteva avere un sottilissimo
doppio senso.
< Sì, infatti > rise.
Mi misi in “posizione ranocchio”,
tenendomi sulle ginocchia e cominciai a scavare con le mani.
< Grazie per l’aiuto > sbottai visto che rimaneva immobile.
< Non c’è di che > rispose
sarcasticamente.
Finalmente riuscii a scorgere la
scatola. Sentii una forte fitta al cuore quando la
ebbi infine tra le mani.
Quella scatola conteneva parte di me.
Mi sedetti poco più distante dal luogo
del ritrovamento. Edward mi seguì e si accomodò al mio fianco.
< Cos’è ? > Chiese curioso
Edward indicando la sudicia scatola che tenevo tra le mani
< Sono alcuni dei
miei ricordi > gli risposi tenendo gli occhi bassi sul cofanetto.
Tolsi i residui di terra con le mani e
dopo aver ispirato fino in fondo l’aprii.
< E questa cos’è ? > Chiese
Edward tirando fuori una bambolina di paglia.
< Wodoo > risposi assumendo un aria
divertita.
Era Jessica, la mia Jess. Prima di diventare così amiche avevamo passato un periodo ostile nel quale ogni ragazzo che
mi interessava diventava immediatamente la sua preda preferita.
All’interno poi, mi stupii di trovare un sacco di cd che
credevo di aver buttato. Annotai mentalmente di prenderne qualcuno da portare a
casa anche se Charlie non avrebbe gradito granché.
C’era anche Bubu. Un orsetto di gomma azzurra che aveva la
particolarità di essere ermafrodita. Per un periodo mi
aveva portato davvero molta fortuna. Lo strinsi in un pugno.
La
sua attenzione fu rapita da una foto. La prese tra le mani e la fissò in
silenzio.
Ero
io, prima di trasferirmi a Forks, i miei capelli in quella foto erano ancora castani.
La
fotografia era strappata in due metà, si capiva dal fatto che il margine
sinistro era poco preciso e soprattutto dal fatto che un braccio mi cingeva le
spalle. Originariamente era una foto che mi ritraeva insieme ad
Alex, il mio ex… ma ero venuta troppo bene per buttarla e allora avevo deciso
di ritagliare e gettare solo la parte che non mi interessava.
Edward era perfetto. Non so come ma aveva
capito di limitare al massimo le domande. Aprendo la scatola era come se
avessi aperto una parte del mio cuore, solitamente tenuta sottochiave.
Adesso di fronte a lui mi sentivo così fragile… ma lo avevo
voluto io, dopotutto…
< Perché non mi racconti
qualcosa di te ? > Mi chiese.
Cercai di non
incrociare il suo sguardo, sarebbe stato alquanto difficile trattenermi dal non farlo mio
un'altra volta. Solo al ricordo mi venne la pelle d’oca.
< Mmm, non credo sia molto
interessante > risposi subito < e poi sai già
molte cose, finirei per far venir sonno anche a te > chiusi la scatola e la
poggiai di lato.
< Non credo sia una cosa possibile
questa > era serio.
< Cosa vuoi
sapere ? >
< Colore preferito ? >
Ci pensai un po’
< nero > risposi poi.
< Nero? >
< Sì, se ci pensi il nero racchiude
in sé tutti i colori, anche il bianco >
< E’ vero > rimase per un po’
immerso nei suoi pensieri< non l’avevo mai vista in questa prospettiva >
< Il tuo? >
< Il rosso > rispose.
Rosso, il colore della passione, il
colore dell’amore…
< Ma da
qualche giorno mi piace molto anche il blu > mi sorrise.
Non ne capì il motivo.
< Il colore che invece odi? >
< Senza dubbio il marrone, almeno
che…non si tratti di nutella, ovviamente ! > ridacchiai < inoltre,
detesto tutti i colori fosforescenti e fluorescenti, insomma, come si può
andare in giro vestiti di giallo fosforescente? è un po’ come andare in giro con una enorme freccia sulle
spalle con su scritto “sono qui”! Credo non sia necessario essere
rintracciabili dallo spazio! >
< Sono d’accordo
con te > mi osservò divertito
< Non ho finito
> lo interruppi facendo una smorfia
Quando
mi mettevo sapevo essere logorroica.
< Reputo alquanto stomachevole il
rosa confetto e tutti quei colori riconducibili ad
Hello Kitty & Co., …ecco ho finito>
terminai la mia arringa
< Il tuo fiore preferito ? >
Che insolita domanda.
Non ci avevo mai pensato prima in
effetti.
< Margherita. Un fiore semplice ma
in grado di crescere anche in ambienti ostili > sì, la margherita mi
piaceva.
< Il tuo? >
< Rosa >
Caspita, insolito per un ragazzo
< Bella e profumata, la regina dei
fiori ma con le sue spine > aggiunse
< Ora tocca a me > intervenni.
< Sono pronto,
dimmi >.
< La cosa più trasgressiva che hai
fatto? >
< Senza dubbio, farlo nel bagno di
un locale >
Ridemmo
< La tua? >
< L’elenco è
molto lungo > dissi con fare di donna vissuta spostando una ciocca di
capelli dietro l’orecchio.
Rise.
Grazie a Dio non approfondì il
discorso.
< Sta per venire
a piovere > disse poi.
< Abituatici > risi < qui piove sempre > sospirai ripensando all’effetto devastante
dell’umidità sui miei capelli.
Mi sollevai con quello che pensavo
essere un balzo felino prima di vedere l’eleganza e le movenze atletiche di Edward.
Mi pulii i
jeans dai residui di erba e foglie e insieme ci incamminammo verso il pick-up
che ci attendeva all’ombra di un grosso albero.
< Andiamo > dissi a metà tra una
domanda e un affermazione aprendo la portiera.
< Sì, dobbiamo tornare a scuola, i
miei fratelli si arrabbieranno molto se li lascio a piedi > mostrò le chiavi della sua auto.
< Va bene >
sospirai. Fosse stato per me potevamo
accamparci e dormire qui stanotte.
Accesi il pick-up ma mi stupii di non
sentire il solito rombo del motore.
Riprovai.
Niente. Non dava alcun segno di vita.
< Maledetto ammasso di ferraglia
arrugginito > picchiai un pugno sul volante <
figlio di un apriscatole traditore > un altro pugno.
Nel frattempo Edward mi fissava a dir
poco sconcertato.
< Menomale che gli volevi bene!
> Annunciò sarcasticamente.
< Lo odio > risposi
dopo aver riprovato per l’ennesima volta ad accenderlo.
< E’ già capitato prima? >
Chiese scendendo dall’auto.
< No > lo seguii.
Aprì senza problemi il cofano. Di
solito era talmente ossidato e incastrato che aprirlo era un
impresa.
< Sai sistemarlo
? > Chiesi.
Se sapeva fare anche questo gli avrei chiesto di sposarmi seduta stante.
< Si dia il caso che hai di fronte il migliore meccanico della Nazione >
Sbagliato: il migliore meccanico era
Jacob ma lo lasciai fare.
Diede un occhiata al motore e poi mi guardò storto.
< Lo sai vero che qui mancano
alcuni pezzi ? >
< Mhh, sì > risposi
imbarazzata < mi serviva qualche spicciolo > ridacchiai.
Mi guardò ancora più storto, se è possibile.
Elencò alcuni pezzi di ferraglia che
secondo lui mancavano all’appello e feci finta di
seguire il lungo inventario annuendo.
Sinceramente non ricordavo di aver
venduto tutte quelle cose…
< Ma fin’ora ha funzionato ! >
Mi lamentai, < Jacob mi aveva assicurato che quei pezzi non erano
fondamentali >
< Non so nemmeno io come abbia fatto a funzionare fin ora senza spinterogeno > si
grattò il naso e si sporcò di olio.
Di nuovo la “zona rossa” si attivò ai
massimi livelli…
< Isa ci sei ? > Chiese poi.
Ops, mi ero persa completamente in
fantasie erotiche con Edward in versione meccanico focoso
< Sì > risposi con enfasi <
beh, per i pezzi nessun problema vedrò di procurarmene
qualcuno… >
E con questo intendevo dire che li
avrei cortesemente sottratti dall’auto della polizia.
< … Ma adesso come torniamo a casa ? > Chiesi.
< Possiamo avvisare qualcuno per
farci venire a prendere >
< Ottimo ! peccato che questo posto
lo conosco solo io > risposi sarcastica < e sinceramente non riuscirei a
spiegare a nessuno come trovarlo >
< Allora l’unica alternativa
è andare a piedi > disse completamente sicuro.
Avrei preferito dormire in questo
posto sperduto e farmi sbranare da un orso piuttosto che attraversare il bosco
a piedi.
< Nessuna idea
migliore? >
< Non vedo altre alternative
>
Mc Gyver avrebbe saputo cosa fare…
Proprio in quel momento un tuono ci
avvertì che il temporale era prossimo ad abbattersi sulle nostre teste.
E infatti
iniziò a piovere.
< Resteremo qui per sempre,
moriremo di stenti e di fame e sarò costretta a cibarmi dei tuoi resti per
sopravvivere… >
< Caspita ! come sei
ottimista > rise alzando la testa all’indietro.
< Comunque
io mi ciberei volentieri di te… se questo può interessarti > assentì con il
suo solito sorriso.
---------
Cosa ne pensate? Spero che vi sia
piaciuto… anzi spero che tutte quelle che avevano iniziato abbiano anche
terminato di leggere il capitolo senza staccare prima… spero.
Eh
eh eh… dite la verità ragazzuole mie, avete immaginato anche voi il nostro
Eddino in versione meccanico focoso??? Non fate le
bugiardine…
Piccolissima
curiosità (anche se so che non ve ne frega niente): Bubu esiste
davvero, anzi esisteva; era davvero il mio
orsetto-gommoso-blu-ermafrodita-portafortuna finché un giorno a scuola il mio
compagno di banco (Grazie mille Marco) ha ben pensato di farlo volare dalla
finestra con un colpo di testa magistrale (ah! Mi sono dimenticata di dirvi che
portava fortuna solo a me agli altri portava una
sfortuna pazzesca)… Torna qui mio piccolo Bubuuuu! Okay, mi riprendo! Vi lascio
il solito spoiler:
_____________
Spoiler:
Regola numero uno (da non dimenticare
mai): i ragazzi belli sono anche maledettamente stronzi (oppure sono gay) !
< Posso dirti una cosa? Lo sai che sei veramente uno stronzo?
> Sbottai una volta che l’ebbi raggiunto.
_____________
Tesorine perché non recensite? Eddai! Fa così tanto schifo? (beh…
forse… ZITTO TU!)
Ringrazio quelle mitiche ragazze che hanno recensito lo scorso
capitolo:
Oddeo che confusion che ti ho fatto fare!
Lol! Eddino è un vampirello… e secondo me le sue cosce di marmo non sn poi
così comode come dice zia stephy!!! Uff! mi spiace che non riesco a descrivere bene le coseeeee! Per
qualsiasi chiarimento cmq io sono qui! Chiedi pure tutto! Spero
che continuerai a leggere e recensire. Bacioni
Hey ecco la mia consulente per i programmi di grafica… per la
cronaca poi sono riuscita a scaricarlo!!!! Ahahah! Hai
visto? Il pick-up l’ha lasciata veramente a piedi, come avevi previsto! Bravissima!!! E adesso? Che succederà? Riusciranno
a tornare a cosuccia?
Ecco la mia cara Betina! Todo bien? Menomale che commenti anche tu
altrimenti la quota sarebbe un pochino bassa! Che devo fare? Come si corrompono
le lettrici? Dammi un consiglio! ;) ci sentiamo presto… appena mi libero un po’
con ‘sto esame ti invio il capitolo 12. TVB
Mia cara Sheba Cow Girl (per via del capello storiosissimo che
hai). ti conosco abbastanza bene per sapere che in
questo momento stai sbavando (ancora) sulla tastiera del pc di tuo fratello
pensando a Edward in canotta sporco di olio nei panni di un meccanico stra –
figo! Ho indovinato ? spero ti riprenderai presto…
ah ecco ti sei già ripresa beneeeeeeeee!
Come al solito mi hai dato un idea: hai
ragione il pick-up non può rimanere un semplice mezzo di trasporto potrebbe essere
anche un luogo in cui le candele del
motore, grazie allo spinterogeno interagiscono,
grazie al carburante ad innescare il tutto… e con questo ci siamo capite… no?
Ihihih!
Giuliiiiiiiii che
bello vederti e con questo voglio dire “ma quando aggiorni la tua fic”? avevi promesso che se aggiornavo io aggiornavi anche tu…
tra 10 minuti vado a controllare e se non c’è… piango! Bene detto questo…
sono stra-felice che ti piace questa storia! Ti ringrazio per avermi dedicato
del tempo per leggerla! Spero la seguirai ancora! Bacioni.
Sappi che non potrei mai offenderti, mi stai
troppo simpatica e poi sei una delle poche sopravvissute dopo aver letto
tutte (o quasi) le mie ff!
Iniziata la scuola? Com’è stato? Traumatico? Spero di no!
Tornando alla fic :
Emmenomale che non ci prendi mai!!! Sei
una delle poche che anticipa le idee che il mio cervelletto partorisce:
-hai già capito (+ o - ) il carattere di
Isa
-hai capito che il suo “tesoro” era
qualcosa che le ricordava Phoenix o cmq il suo passato
…però non ci prendi mai, eh?
Se mi dici anche come finisce la storia ti do un premio
(perché quasi quasi non lo so neanche io).
Sto facendo delle ipotesi su questo, siccome mi hai detto che
sei un vampiro… non è che sei un vampiro veggente? E
magari il tuo vero nome inizia con A e finisce con
LICE?
Anche tu parli con gli oggetti? Mamma mia sei troppo uguale a me!!! mi ha fatto molto piacere
conoscere Canny. Il mio pc non ha un nome e il + delle volte lo insulto come lo potrei chiamare?
Grazie per tutti i complimenti che mi fai!!!!
Davvero grazie di cuore! Spero di leggere presto uno dei tuoi commenti –
premonitori… mamma saura!
Capitolo
corretto dalla mia beta barbyemarco! GRAZIE!
--------------------
Bad Girl
[Isabella
Swan]
Cap. Ten –what
do you think about ?
< e se ci
mettessimo ad urlare fino a che qualcuno ci senta? >
Ma
che domande facevo? Chi diavolo passava casualmente in
un bosco isolato?
Tutto fuorché incamminarmi nella
boscaglia…
< Io vado, che fai vieni? > Mi
chiese ignorando la mia stupida proposta.
Aspettò la mia risposta che tardava ad
arrivare; il mio arguto cervellino era impegnato a trovare una scappatoia nel
frattempo.
Voltò le spalle e iniziò a incamminarsi sotto la pioggia.
Lo osservai avviarsi tra gli alberi
con passo svelto e fluido, da modello.
< Hey !!!
> Gli urlai.
Voleva davvero lasciarmi qui?
< Aspetta > iniziai
a correre senza prestare la minima attenzione a dove mettevo i piedi.
Regola numero
uno (da non dimenticare mai): i ragazzi belli sono anche maledettamente stronzi
(oppure sono gay) !
< Posso dirti una cosa? Lo sai che
sei veramente uno stronzo? > Sbottai una volta che l’ebbi raggiunto.
Accennò un sorriso < se non avessi
fatto cosìsaremmo rimasti in quella radura
per sempre >
Beh, non aveva tutti i torti…
< Sono stanca > ammisi
fermandomi poco dopo
< Ma
quelli erano appena i primi 6 metri… > si lamentò.
Facile per lui che
avrebbe potuto camminare tranquillamente su un filo sospeso su un burrone senza
cadere giù.
Per me era un impresa camminare su superfici piane,
figuriamoci le superfici altamente scoscese come questa…
< Ma io
sono stanca ! > Mi lagnai utilizzando uno sguardo dolce molto convincente.
< Ah no! > Rise, < sappi che non ti porterò in braccio >.
Che
ne era rimasto delle mie doti persuasive?
< D’accordo > sbuffai e con il
poco orgoglio rimasto continuai a camminare.
Cercammo un sentiero facilmente percorribile
a piedi.
Ad un tratto persi
l’equilibrio (e te pareva)ma prima di schiantami irreparabilmente al suolo
il suo braccio mi afferrò la vita.
< Stai attenta > mi rimproverò
< non devi ferirti > sibilò questa ultima frase con un tono che mi fece venire la pelle
d’oca.
Arrivammo abbastanza in fretta nei
pressi del centro abitato, se così si poteva definire, di Forks. Nonostante
tutte le mie remore dovevo ammettere che la
“passeggiata” non era stata spiacevole e soprattutto, cosa non trascurabile,
ero riuscita a non cadere neanche una volta e a non fratturarmi nessun osso del
corpo.
Edward fece qualche passo avanti, si posizionò di fronte a me e proseguì camminando all’indietro
fissandomi con un espressione divertita.
Era qualcosa di indicibile,
dovetti controllare tutti i muscoli del mio corpo per non saltargli addosso.
Il maglioncino panna, completamente
zuppo d’acqua, metteva in risalto il suo petto e i suoi addominali scolpiti, i jeans neri aderivano completamente alle gambe mentre i
capelli ricadevano sulla fronte e le ciglia bagnate mettevano ancora di più in
risalto il colore dei suoi occhi.
Involontariamente mi morsi un labbro.
Non mi piaceva affatto il potere
ipnotico che aveva su di me.
Non mi piaceva l’effetto devastante
che aveva sui tutti miei sensi.
Non c’era niente del suo corpo che non
sembrasse urlare “sesso”.
< A che pensi
? > Si avvicinò di scatto arrivando a pochi centimetri dal mio viso e
facendomi balzare.
< A niente > risposi istintivamente
Ecco
gli avevo dato la conferma che il mio cervello era completamente inutilizzato…
< Sai...> mi toccò la punta del naso < mi piacerebbe
sapere cosa ti passa per la testa > confessò.
< Edward, credimi: è meglio che tu
non sappia quello che mi passa per la testa > il tono della mia voce era
così serio che quasi non mi riconoscevo.
Rise fragorosamente e mi unii al suo
riso.
Percorsi lentamente quei pochi metri
che mi separavano dalla porta di casa.
< Visto che
sei arrivata sana e salva ? > Allargò le braccia verso l’alto per
sottolineare l’ovvietà della sua affermazione.
…
per me non era poi così ovvio…
< Ancora per poco
> rimarcai.
< Appena
mio padre scoprirà che il pick-up non c’è andrà su tutte le furie > chiarii.
< Ah... > Si portò una mano sul
mento < non ti devi preoccupare, chiamerò un carro attrezzi e mi occuperò di
fartelo avere il più presto possibile > disse con
un leggero sorrisino.
Io non ci trovavo proprio niente di
divertente nell’essere uccisa così prematuramente da Charlie.
< Grazie > dissi anche se
dubitavo che riuscisse a riportarlo prima che Charlie si accorgesse della
mancanza.
Calò il silenzio.
Momento alquanto topico: quello del
saluto.
Dovevo baciarlo? Salutarlo con la
manina come si fa con i bambini? Dargli una pacchetta sulla spalla? Stringergli
la mano?
Anche lui, per la prima volta, sembrò
essere in imbarazzo.
Forse dovevo fare io la prima mossa.
Ci avvicinammo entrambi in modo
scoordinato (soprattutto io) così da ottenere un bacio sull’angolo destro del
labbro.
< Vabbè, ciao eh ! > Mi affrettai ad aprire la porta di casa.
< Bella ? > Mi chiamò Charlie
non appena sentì chiudersi la porta.
Perché si ostinava ancora a chiamarmi così?
< Sì ? > Risposi togliendomi il
cappotto completamente bagnato.
< Dove sei stata
? > Charlie mi raggiunse all’entrata.
Stando all’espressione stampata sul
suo viso, sicuramente la scuola aveva chiamato qui per avvertire della mia
uscita anticipata. Maledetti diciassette
anni ! Non vedevo l’ora di diventare maggiorenne !
Spremetti le meningi per inventare una
scusa plausibile in quei pochissimi secondi.
< Il mio compagno di banco, Edward
Cullen, si è sentito male così la professoressa Watson mi ha
dato l’autorizzazione di accompagnarlo a casa > dissi a velocità della luce
per evitare di essere interrotta.
< E come
mai stai rientrando a quest’ora ? > Che
palle quando iniziava con l’interrogatorio!
< Perché la mamma di Edward ha insistito perché rimanessi a prendere un tè e a
farmi vedere la loro nuova casa > inventai su due piedi.
< Hanno davvero una bellissima villa, un
prato enorme con moltissimi fiori, soprattutto ortensie … > Mi sprecavo in
dovizia di particolari per rendere più credibile il racconto anche se, in
realtà, mi stavo solo arrampicando sugli specchi bagnati
e insaponati, per giunta !
< Va bene > si grattò la testa rimanendo un pochino turbato < ma la
prossima volta avvisa > cercò di fare il padre premuroso.
< D’accordo > mentii.
< Io sto uscendo > disse subito
dopo impugnando il pomello di ottone della porta
d’ingresso < … un emergenza alla Centrale > disse insicuro.
Mio padre era bravo
a mentire come io ero brava a scuola. Non poteva che essere una scusa;
primo, a Forks non potevano esserci emergenze di alcun
tipo e secondo, perché mai inondarsi di litri e litri di dopobarba per
acciuffare dei malviventi ?
Feci comunque
finta di credergli e lo salutai accompagnandolo fino all’uscita. Era
importantissimo distrarlo perché non si accorgesse della mancanza del
veicolo-pattumiera.
Salii al piano di sopra lasciando i
vari indumenti sparsi per il corridoio per affrettarmi ad andare in bagno.
Entrai in doccia e rimasi immobile
sotto il getto dell’acqua calda per molto tempo.
Quando uscii mi avvolsi frettolosamente in
un ampio asciugamano e mi diressi, lasciando le impronte dei piedi bagnati, in
camera mia. Indossai una canottiera e un paio di pantaloncini originariamente
rossi, ormai stinti a causa di un lavaggio sbagliato, e scesi in cucina per
trangugiare qualcosa di commestibile.
La mia attenzione fu catturata da
alcune buste poggiate sul tavolo. Subito mi accinsi a
controllare che ci fosse posta per me. Non che ricevessi grandi quantità di
corrispondenza ma di tanto in tanto la mia cara mammina Renèe si ricordava di
avere una figlia sparsa per il mondo e si premurava di inviarmi un assegno, che
faceva davvero molto comodo, in fin dei conti.
< Pubblicità, pubblicità, bolletta
del gas, pubblicità… > elencavo le varie buste mentre le passavo da una mano
all’altra. Alla bolletta del telefono mi fermai, come la volta precedente, ero
tentata di utilizzarla per alimentare la fiamma del camino in salotto, ma
evitai visto che prima o poi, Charlie si sarebbe
accorto delle cifre esorbitanti della connessione a internet e del telefono
così, mi premurai di inserire la lettera tra la pubblicità di un nuovo centro
benessere in cui spiccava una bella ragazza in bikini e quella di un buono
sconto di 1 dollaro al Mc Donald’s.
Per me c’era solo una pubblicità di un
campus e una busta di carta pregiata con agli angoli
dei ghirigori eleganti.
Il telefono squillò
così mi catapultai, con ancora la busta in mano, sul cordless per andare
a parlare in camera mia.
< Pronto ? > Risposi
< Isa ? Finalmente ! > Era Jess
con voce isterica < E’ la quarta volta che provo a chiamare > Allora era stata lei ad avvertire Charlie ?
< Bèh eccomi, no? > Risposi
annoiata lanciandomi sul letto.
< Pensavo fossimo amiche... >
pronunciò con vocina dispiaciuta.
< Lo siamo >
specificai.
< Allora potevi anche avvertire
della tua fuga con Edward Cullen … > non
le sfuggiva mai niente, eh ?
< Hai ragione Jess! È che sono
appena rincasata … >
< Racconta tutto
> disse tornando improvvisamente allegra.
< In realtà non c’è molto da
raccontare > iniziai < l’ho portato in un bosco >
< Ah! Grande Isa! > Urlò
soddisfatta.
< Ehi, guarda che non è successo nulla ! > Mi affrettai a rispondere per
placare la sua eccitazione < abbiamo solo
parlato > puntualizzai sottolineando il “solo”.
< Spero che la frase “abbiamo solo
parlato” stia per “abbiamo avuto solo
un incontro di lingue ravvicinato” >
< No, questa volta abbiamo solo
parlato, davvero ! >
< Isa, io non ti capisco proprio !
> Seguì un forte sospiro per il quale dovetti allontanare la cornetta
dall’orecchio < quando era un perfetto estraneo vi siete dati da fare e
adesso ? >
< Il problema è proprio quello.
Quando non ci conoscevamo era tutto più semplice: nessunissima implicazione, il
giorno dopo ognuno per la sua strada. Adesso è il mio
compagno di banco ! Conosce il mio nome, sa dove vivo
e sa perfino di Bubu! Non voglio che lui si senta costretto a comportarsi in
modo carino con me per via di quello che c’è stato tra noi … >
< Bubu ? > Chiese.
Possibile che di
tutta il serio monologo che le avevo appena fatto le venisse in mente la
cosa più stupida e marginale della questione ?
< Comunque
lo vuoi un consiglio da amica? > Chiese in modo retorico < fattelo, di nuovo > che
infinita perla di saggezza…
Annuii e cercai un argomento per
deviare la conversazione altrove. Su certe questioni era meglio confidarsi con
Angie.
Tra le mani rigiravo pensosa la busta
e introdussi l’argomento.
< Jess, ho appena ricevuto posta
>
< Si va a fare shopping?> Chiese distratta
pensando mi riferissi all’assegno di Renèe.
< Non credo sia da parte di mia
madre, non l’ho ancora aperta >.
< Aprila, no? > Sbuffò
impaziente.
Rovinai
la preziosa busta di cartoncino con le dita e sfilai un biglietto color oro.
<
Quindi ? >
<
è un invito da parte di Alice Brandon... >
---------
Eccomi
qui! Vi siete addormentate mentre lo leggevate ?… è normale, tranquille! In effetti non accade molto … spero mi risparmierete
comunque il lancio di pomodori marci.
Ho
visto che i commenti non decollano, anzi rispetto ad alcuni capitoli sono addirittura diminuiti e non capisco davvero… anche
perché i preferiti e i seguiti aumentano! non
aumentano solo i commenti il che è strano visto che deduco che la storia
continui a piacervi (ho detto deduco non che ne sono sicura…hihi). Bèh, se non
chiedo troppo, vi chiedo la cortesia di sprecare quei 2 minutini per lasciarmi
un breve parere (anche negativo) sul capitolo (è gratis).GRAZIE
_____________
Spoiler:
< Stavo pensando… >
si fermò per farmi un sorriso < Insomma, mi chiedevo se volessi provare
anche tu… > posò la sua mano sulla mia coscia scoperta.
Eccomi! Più presto che ho potuto. Spero
che il capitolo ti sia piaciuto visto che a me non
entusiasma moltissimo !!! cosa deduci dallo spoiler? Chi le fa, secondo te,
questa proposta indecente ? fammi sapere presto.
Baciux, Eli
Ciau!!!! Passato un buon compleanno? Spero di sì! Mi spiace
niente capitolo IUHU (come li chiami tu)… ma già dev’esserti bastato quello di Ice Haert, o no?In questo cap. non c’è nemmeno
Edward-meccanico-fosoco… al limite c’è Edward-carroattrezzi-focoso… dici che
va bene lo stesso? Io credo di sìììììì! Spero che questo cappo ti sia
piaciuto almeno un pochino!!!! Hihihi! Fammi sapere
prestissimo! bacioni
Bravissima, una delle poche ad avermi chiesto dell’ex di Bella…
tranquilla, più avanti verranno svelati tutti i
misteri sul suo passato! Questo capitolo che te ne pare? Sono riuscita a
strapparti un sorrisino? Fammi sapere! bacioni
Eccoti il capitolo! Eddino non può essere uno stronzo era solo
un modo per far muovere Bella da lì!!!!E il prossimo spoiler? Chi sarà il ragazzo che fa le
avences a Bella? Fammi sapere! Baci ;)
Tesoruccia ormai tra tu che lavori e io
che ho sempre una miriade di cose da fare non riusciamo + a sentirci… me
piange!!! Spero di finire presto il capitolo da inviarti (non sono
soddisfattissima ma sono sicura che con i tuoi consigli migliorerà!) tvb.
Bacioni
“per capire la vita,
bisogna prima capire le persone, perchè tutte hanno
qualcosa da offrire e qualcosa da insegnarti” bellissima la terrò sicuramente
a mente questa… quindi oltre che veggente sei anche un vampiro saggio. Bene a
sapersi.
Anche io ho una
“scatola dei ricordi” nella quale conservo tutti i bigliettini (quelli per
copiare) e ben tre diari segreti in condivisione con le mie due migliori
amiche (che poi non erano + tanto segreti visto che
un mio compagno di classe aveva avuto la brillante idea di rubarlo e di
raccontare tutto in giro…) poi tante foto…ma non lo apro da anni!
Povera Spumona (ma
perché Spumona?) che bello che fosse un regalo di tuo padre a tua madre…. Molto molto dolce come cosa! In pratica veniva
tramandata di madre in figlia… WOW!
Isa… domanda lecita e
intelligente. Ho deciso che la mia protagonista non poteva farsi chiamare “Bella”,
soprattutto perché associamo a quel nome la ragazza timida e impacciata della
Meyer e Isa non è per niente impacciata e timida… quindi volevo rimarcare di
più il contrasto caratteriale! Poi che dire… non so se hai notato che Charlie
la chiama “Bella”… magari, per ipotesi, Isa prima era Bella ? voglio dire:
magari è cambiata ? bohhh, non aggiungo altro. E poi
tanto tu sei veggente… quindi non hai bisogno di nessuna spiegazione!
Cmq, se ti può consolare, neanche io mi farei chiamare Bella fa tanto “la bella e la bestia” o, appunto come dici anche
tu, potrebbe essere utilizzato come aggettivo e allora lì è ancora peggio
come cosa…
Il fatto che tu non sia bella secondo
me non è vero affatto… non ti conosco personalmente, ma posso affermare con
fermezza che sei una persona bellissima dentro. E dico davvero (non credere
che voglia arruffianarmi le lettrici… dico solo quello che penso)
Inoltre da brava psicologa hai anche capito qualcosa di me…! ovviamente Isa non è Eli (io) ma ci metto molto di me in
quello che scrivo!
Come colori oltre il nero, mi associo a
Isa, adoro il rosso, il bianco ma soprattutto il blu/azzurro… insomma mi piacciono
un po’ tutti…basta che non siano troppo evidenti… mi piacciono i colori
pastello diciamo così. Il marrone non mi piace e davvero non posso credere
che la vera Bella di Twilight risponda che il suo colore preferito del giorno
è il marrone… mamma mia!
Per quanto riguarda i fiori mi piacciono un po’ tutti (neanche
io sono molto competente) se proprio devo esprimere una preferenza mi
piacciono i gigli, le rose e le ninfee.
Sappi che ho aggiornato solo per leggere la tua fic… ahahahaha! Reneesme's
Lullaby è una short… sì è la new entry!!! Grazie per
tutti i complimenti! Sono contenta che ti faccia ridere con i miei capitoli! J! Fammi sapere
qualcosa su questo! bacioni
Grazie tesorina del tuo supporto! Questo capitolo ti è piaciuto?
Chi potrebbe essere il ragazzo che ci prova con la nostra Isa? Aspetto tue
notizie. Baciotti
< Nonf è fussto! Perché
nonf sono sftafta infitata ? >
< Eeehhh ? > Chiesi alzando la
tonalità della mia voce di due ottave. Non avevo capito una parola di quello
che aveva appena detto.
< Jess, non si parla
con la bocca piena > puntualizzò Angie.
Jess provò a deglutire ma il boccone
che aveva messo in bocca era troppo grande.
Iniziò a tossire.
< Hai bisogno della manovra di
Heimlich ? > Chiese Angie aggiustandosi gli occhiali.
Ma
quante ne sapeva ?
Jess fece “no” con l’indice mentre
cercava di inghiottire e finalmente ci riuscì.
< Dicevo… >
Jess si schiarì la voce. < Non mi sembra giusto di non essere stata
invitata da Alice Brandon >.
< Forse non sei stata invitata
perché non la conosci ? > Chiese sprezzante Angie con una punta di ironia.
< Neanche voi la conoscete
> alzò la forchetta all’aria.
< Io sono la sua
compagna di banco nell’ora di trigo > cercai un piccolo appiglio.
< … e io sono la sua
vice-presidentessa al comitato di organizzazione del
ballo scolastico e di quello per l’apertura di una biblioteca in questa scuola
>.
< A proposito di quello >
interruppi. < Perché non reclamate anche l’apertura
di una discoteca o di un night club qui a Forks? Almeno si incentiverebbe
l’occupazione e il lavoro dopo il diploma ! >
< Vedrò cosa posso fare > Angie rise.
< Ehi, ragazze > Jess richiamò
la nostra attenzione < Stavamo affrontando un argomento di
importanza vitale e voi vi mettete a parlare di night club ? >
< Senti Jess, sinceramente non so
se ci andrò > non mi sbilanciai.
In effetti, c’erano due cose che
proprio non mi andavano giù. La prima era, appunto, che Jess non fosse stata
invitata e, secondo, che Alice Brandon, che a prima vista dimostrava più o meno
tredici anni, compisse, anche lei, i suoi diciotto
anni prima di me.
Per di più, vista la formalità degli
inviti, si prospettava una festa noiosa piena di ragazzi che sorseggiano
champagne con il mignolo alzato… mi vennero i brividi solo al pensiero.
< I Cullen ? > Chiesi bevendo un
sorso di acqua dalla bottiglietta.
< Erano fuori
dalla mensa a fumarsi una sigaretta. Li ho visti poco fa > rispose svelta Angela.
< Stavate parlando di noi? >
Jazz si sedette al tavolo seguito dagli altri.
< No, in realtà stavamo
parlando dell’alto tasso di disoccupazione a Forks… > risposi facendo
ridere le presenti.
Edward si avvicinò con la sedia
accanto a me.
Gli diedi un bacio sull’angolo della
bocca , ormai era diventata un’abitudine.
< A cosa devo questo… ? >
Sorrise indicandosi la parte dove le mie labbra si erano appena posate.
< Volevo ringraziarti per avermi
portato il pick – up in tempo! > Gli sorrisi sincera. < Sai, non mi sono
neanche accorta di quando me lo hanno consegnato… che sbadata! > Mi misi una
mano sulla fronte.
< Di niente, figurati! > Giocò
con una ciocca dei miei capelli.
< Ti ho preso
questa > gli indicai poi un pezzo di pizza < era l’ultima >
precisai vittoriosa.
Edward aprì la bocca ma non ne uscì
nessun suono.
< Eddie, non fare il timidino… >
rise Emm < sarebbe veramente maleducato non accettare… >
< Sì > rispose poco convinto.
Prese la pizza e l’addentò.
Sorrisi gongolante
< E voi non mangiate ? > Jess
chiese anche a Jazz e a Emm.
< Sì, ragazzi !
Abbiamo preso qualcosa anche per voi > sorrise Angie.
< Ahah! > l’ilare risata di Edward ci colse alla sprovvista < Emmet sarebbe molto
maleducato se non accettassi questo invito da parte di queste tre belle
donzelle... >
Lanciarono entrambi un
occhiataccia a Ed e poi mangiarono anche loro.
< Ah Edward... > mi voltai fino ad
incontrare i suoi occhi, < potresti dire a tua mamma
di piantare in giardino delle ortensie? >
Angie e Jess risero, a loro avevo già raccontato della “chiacchierata” con mio padre.
< Mhh, d’accordo > rispose
spaesato alzando leggermente le spalle.
< Voi avete ricevuto questi ? >
Disse poi Emmett lanciando in mezzo al tavolo le pregiatissime buste con l’ invito alla festa di Alice.
Io e Angie lo fulminammo entrambe con
gli occhi. Ma ormai era troppo tardi.
< No! > Urlò in preda a una crisi isterica Jess.
< Bene, ragazzi io vado… > iniziai ad alzarmi dalla sedia.
< NOI andiamo
> Angie mi seguì.
< Non posso credere che abbia
invitato pure loro! > Pestò i piedi per terra. Tra poco avrebbe iniziato ad
autocommiserarsi.
Mia
cara Jess, quale ragazza normale non avrebbe invitato questo popò di bellezze
allo stato puro alla sua festa di compleanno?
< Vengo con voi
> si unì anche Edward lasciando i suoi fratelli in balia di Jess.
< Allora, voi che fate? Ci andate a
questa festa? > Domandai.
< Stavo per
chiedervi la stessa cosa > si grattò la testa < Noi crediamo di
sì. Essendo appena arrivati direi che è un buon modo per farci conoscere … >
NOOOO,
non ti basto io?
< Mi farebbe piacere se venissi con
me... > Mi chiese poi.
Urlare dalla gioia sarebbe
stato troppo, allora mi limitai a sorridergli mostrando completamente
l’arcata superiore della mia dentatura.
< Mhh… > finsi anche di
pensarci!
< D’accordo! Avrai bisogno di una
guida, dopotutto… >
Mi baciò sulla guancia, salutò Angie e
si avviò verso ginnastica, la sua prossima lezione.
Vagliai per un attimo l’ipotesi di
spiarlo in pantaloncini mentre, tutto sudato, giocava a basket ma scartai subito l’idea.
Salutai Angie con un bacio sulle
labbra e mi avviai stancamente alla mia prossima lezione: storia.
Mi sedetti al solito banco, facilmente
riconoscibile per via dei disegni e delle scritte che lo ricoprivano
interamente.
< Ciao > una voce nasale mi
giunse facendomi momentaneamente uscire dallo stato di torpore nel quale ero
già sprofondata prima ancora di iniziare la lezione.
Era Mike.
La tentazione di rispondere con una
delle mie solite battutine pungenti era forte, ma mi trattenni: dopotutto
Newton era il ragazzo… no, il compagno … no, insomma era il tipo con il quale
Jess se la faceva…
< Ciao > risposi con un sorriso
spostando i libri per farlo accomodare.
Inizialmente rimaseun po’ sorpreso, ma poi mi sorrise raggiante
e si sedette accanto a me.
Il
prof. iniziò con la sua solita omelia e quasi le mie palpebre non si chiusero
da sole.
<
Con Jess? > Cercai di intavolare un discorso per far passare più velocemente
la lezione.
Rimase
per un attimo a fissare qualcosa sul mio viso. Odiavo quando qualcuno lo
faceva. Mi faceva sentire come se avessi un super brufolo gigante o qualcosa
fra i denti.
<
Tutto ok > sorrise < Pensavo già sapessi tutto visto
che siete amiche >
Sì, appunto … allora perché rispondi
“tutto ok?”
<
Eh, infatti… mi ha raccontato delle vostre nottate di fuoco… > risposi ironica. Sapevo bene che, purtroppo per Jess, Newton
non ci sapeva proprio fare.
<
Ah sì? > Sorrise raggiante.
Dio, non aveva colto il mio
sottilissimo sarcasmo…
Alzai
gli occhi al cielo.
<
Stavo pensando… > si fermò per farmi un sorriso < Insomma, mi chiedevo se
volessi provare anche tu… > posò la
sua mano sulla mia coscia scoperta.
COSA?
Non
ci vidi più dagli occhi. Come cazzo si permetteva? Jess era la mia migliore
amica!
Lo
spinsi con tutta la forza che avevo, cozzò con la testa contro il muro e a quel
punto gli assestai un pugno sul naso facendolo anche sanguinare.
Le
nocche della mano destra pulsavano per il dolore ma non me ne curai.
<
Swan! > urlò isterica la Tompson.
<
Lo sai vero che questa la pagherai cara? > Minacciò
Mike mentre si ripuliva con la mano dal sangue che gli colava dal naso.
<
Swan! > La prof. urlò ancora più forte.
Velocemente
abbandonai l’aula recuperando la mia borsa. Sbattei la porta tanto forte da
fare tremare i muri.
Bravissima Isa! Complimenti per la
grandissima stronzata mi elogiai da
sola.
Purtroppo
Mike era figlio di quelNewton. Il primo cittadino di Forks.
Essere
sindaco di una cittadina come Forks equivaleva, a mio parere, ad essere
rappresentante di classe a Phoenix, dato lo scarso numero di anime
viventi. Ma il sindaco qui era molto rispettato e io,
stupidamente, mi ero appena assicurata un biglietto di sola andata per
l’Alaska.
Mi
morsi il labbro inferiore con tutta la forza che avevo per trattenermi dal
piangere. La mano continuava a pulsare dal dolore. Doveva essersi lussata.
La
sfortuna, come se non bastasse, non voleva proprio abbandonarmi, è così suonò anche la campanella della fine dell’ora precedente e
la mandria di studenti si riversò nel corridoio.
Con
passo svelto puntai il mio armadietto sperando di passare inosservata.
Lo
raggiunsi e provai ad aprirlo solo con la mano sinistra… ma come al solito era incastrato.
Maledetto… perché tutti gli ammassi di
ferraglia sembravano avercela con me?
<
Ciao... > la voce di Edward
mi raggiunse alle spalle.
<
Aspetta, ti aiuto io > e detto ciò con un semplice e fluido gesto aprì l’anta rugginosa dell’armadietto.
Ci
buttai letteralmente i libri dentro che fecero un tonfo e lo
richiusi con forza.
<
Edward > dissi con voce ferma < è stato un vero
piacere averti conosciuto… >
<
Cosa stai dic - … > si interruppe < Che hai
fatto? > Chiese poi prendendomi la mano tra le sue.
Presi
un bel respiro per tranquillizzarmi e mi imposi di
trattenermi dal piangere.
<
Ho menato Newton! >
Un
sorriso involontario nacque sul suo viso.
<
E perché l’avresti fatto? >
<
Ci ha provato con me! >
<
La prossima volta… > si fermò < …ci penserò io
> assicurò serio.
Emisi
un sorrisino al limite dell’isteria < Edward, non
hai ancora capito: non ci sarà una prossima volta … >
<
Mi sono appena guadagnata una sospensione… è questione di attimi…
tra poco il preside mi farà chiamare > chiarii.
Era
sempre così…
<
Ci dev’essere un modo… > provò a parlare ma lo interruppi subito.
<
No, non c’è…> gli rivolsi un ultimo sguardo prima di voltarmi ed andarmene.
---------
Grrrrr
Newton… posso ucciderlo??? Sì, sei l’autrice della
storia dopotutto… mhhh ci penserò su!
Bene
ragazzuole mie! Tutto bene? Che ne pensate del
capitolo? Noioso? Volete uccidermi? E se lo fate poi
chi vi dice come fa a finire la storia? (lettrici: sopravviveremo benissimo lo
stesso).
Volevo
ringraziare di cuore i 5 angeli che hanno recensito lo scorso capitolo (e spero
recensiscano anche questo).
Ciaooo carissima! Menomale che sei sempre presente! Purtroppo
non era Edward… e adesso che succederà? Isa verrà espulsa? Aspetto un tuo parere sulla ff! baci
Per prima cosa, tanto per chiarire: LE TUE RECENSIONI SONO
SPETTACOLARI!!!! GRAZIE, DAVVERO!
Passo a rispondere alla tua recensione:
1. Purtroppo questa volta non ci hai preso… la
manina era di Newton… grrr!
2. Mi hai chiesto “come mai Edward non la porta in braccio?” e
poi ti sei risposta da sola: il “mio” Edward non è uguale a quello di zia
Meyer!
3. Per la festa di Alice bisognerà
aspettare almeno altri 2 capitoli (se ho fatto bene i conti), prima mi devo
occupare dell’espulsione… cmq ti anticipo che ci sarà un colpo di scena
*Michela prevede già cosa succederà e ride davanti allo schermo*
4. Tuo padre è un grande. Mi riferisco sia a Spumona che al tuo
nome…
5. Questione “ISA”. Vedo che il tuo cervello super intelligente
anche questa volta ha analizzato la situazione. Hai già capito che Isa ha
avuto un cambiamento e hai anche capito che risale all’”epoca Phoexiana”…
pian piano aggiungerò altri indizi nel capitoli.
Bravissima a ricordarti di Alex (l’Ex), racconterò
anche di lui…!
6. che non mi libererò facilmente di te è un ottima
notizia. Quando ho visto che i commenti si sono fermati a 5 ci sono
sinceramente rimasta male… ma grazie alla tua recensione chilometrica è come ne avessi ricevuti 10. GRAZIE ancora!
Passando a questo capitolo… che ne pensi? Dello spoiler? Aspetto
la tua chilomentica recensione ;)
Eccomi. Ieri (finalmente) ti ho mandato il 12°capitolo di questa
ff da correggere (povera piccola… quante ff devi leggere???).
spero di sentirti prestissimo. Colgo l’occasione per
ringraziarti per il tuo ottimo lavoro di beta!!!
GRAZIEEEEEEEE teso. Bacioni
Ho visto che hai aggiornato anche tu l’altra volta… spero lo
farai anche oggi! Purtroppo non ci avevi preso con lo spoiler… anche se come
prospettiva era decisamente migliore!!! Cosa ne
pensi di questo capitolo? Fammi sapere presto. <3
Isa si è trasferita a
Forks, dal padre, circa un anno fa dopo essere stata sospesa dagli istituti di Phoenix e ha subito fatto amicizia con Jessica e Angela.
Edward, Emmett e Jasper
sono fratelli e sono vampiri. Si sono appena trasferiti a Forks.
Alice Brandon è umana.
Compagna di banco di Isa nell’ora di trigonometria e
ragazza ricca sfondata.
Rosalie Hale è
anch’essa un umana. Cheerleader della squadra di
football. Fidanzata con Royce King
Isa e Edward hanno
avuto modo di incontrarsi in un locale dove hanno subito approfondito la
loro conoscenza… ehm… . Il giorno successivo Isa viene
a scoprire che Edward (e i suoi fratelli) sono i nuovi studenti della Forks
High School.
Spero di aver
chiarito a tutti le idee. Vi capisco bene: a volte si
leggono/seguono così tante fic che dopo di rischia di
fare confusione.
Capitolo
betato da: barbyemarco GRAZIE
TESORO.
Nonostante tutti i tuoi innumerevoli
impegni riesci a seguirmi. Ti voglio bene,
Se state leggendo queste parole vuol dire che avete visto
l’aggiornamento e vi state accingendo a leggere il 13° capitolo di q
Se state leggendo queste
parole vuol dire che avete visto l’aggiornamento e vi state accingendo a
leggere il 13° capitolo di questa fic…COMPLIMENTI DAVVERO per il coraggio e
l’intraprendenza dimostrata. No, scherzo! XD! Grazie di essere qui (*tutte le lettrici contemporaneamente cliccano il pulsantino
X in alto a dx ed escono
dalla pagina* ç__ç).
…
Emmmh, per quelle
che sono rimaste: capitolo molto più lungo del
solito (in teoria sarebbe stato dividibile in 2 capitoli ma ho preferito non
fare la stronzetta – questa volta – ) spero apprezziate.
Sono in anticipo, avrei dovuto postare martedì ma non c’ è l’ho fatta proprio
ad aspettare! Inoltre sono un po’ giù e ho pensato che
magari leggendo un po’ i vostri commenti mi sarebbe tornato il buon umore…
Alla
fine del capitolo troverete un piccolo messaggio della Beta (la mitica barbyemarco!)
Okay, vi lascio al
capitolo…
--------------------
Bad Girl
[Isabella
Swan]
Cap. thirteen –How much I weigh?
<
Swan, si accomodi > il preside mi fece cenno di
sedermi sulla sedia di pelle nera di fronte a lui.
Mi
stupii di non trovare ragazzi urlanti e smagriti chiusi in gabbie o altre cose
simili….
Mi
guardai un po’ intorno.
Effettivamente
non ero mai stata nell’ufficio del preside Smith prima d’ora.
I
mobili erano di un legno scuro e massiccio, le finestre,
appesantite da tende fin troppo spesse, rendevano la stanza ancora più
cupa. L’ufficio era, inoltre, adornato da alcune piante ad altezza d’uomo…come
se non ci fosse già abbastanza verde da queste parti…
Smith
continuava a fissarmi compiaciuto. Negli occhi la stessa scintilla dei suoi
collaboratori, anzi, potevo affermare con certezza che
era lui ad essere quello più soddisfatto…
La
cosa mi irritava terribilmente.
Mi
sedetti accavallando le gambe con uno slancio degno di Sharon Stone in Basic
Instinct e fissai il mio interlocutore dritto negli occhi con odio.
<
Bèh > si schiarì la gola < saprà certamente perché l’ho
fatta chiamare… >
<
Già > risposi fredda.
<
Ho saputo che ha colpito Mike Newton durante l’ora… >
<
Sì, sì. Le spiace se andiamo direttamente al sodo? > Lo interruppi
bruscamente.
<
Ma certo, non le farò perdere altro tempo >
sghignazzò, gesticolando più del necessario.
<
Mi serve solo una firma qui > disse indicando con un dito tozzo il punto in
cui dovevo firmare < e qui > girò il foglio dopo
essersi inumidito il dito con la saliva… disgustoso…
Osservai
la cascata di parole per un attimo. Non avevo alcuna intenzione
di leggermi tutta la pappardella.
<
Okay >firmai con uno scarabocchio e
restituii i fogli.
Era
stato più facile e veloce di quanto immaginassi …
<
Suo padre mi ha già fatto avere le firme necessarie >
affermò livellando con un colpetto i fogli per poi sistemarli
all’interno di una cartelletta verde.
Mio
padre? Mio padre era già al corrente delle mia
sospensione? Come mai non mi aveva ancora chiamata?
Mi
stupii che non fosse venuto a scuola, con tanto di sirene spiegate, a tirarmi
per i capelli e a piazzarmi sul primo volo per l’Alaska.
<
Mio padre è già passato? > Chiesi con voce che tradiva il mio stato d’animo.
<
No. In realtà mi ha fatto spedire i documenti da un corriere. Capisco che sia
molto occupato, d’altronde > rispose.
Mio
padre occupato? Quando mai?
<
Sono contento che abbiamo trovato questa… soluzione
> proseguì allungando una mano verso di me come per sancire un accordo.
Lo
osservai senza capire a che cavolo si stesse
riferendo, tuttavia allungai la mano e strinsi la sua debolmente.
<
…E ringrazi anche suo padre per la generosa donazione…
>
<
Scusi, di... cosa... sta... parlando? > Chiesi non riuscendo a connettere i
pochi neuroni del mio cervello.
<
Ah ah ah! > rise < Mi avevano detto che era una ragazza spiritosa… > constatò.
Peccato
per lui che non stessi scherzando…
<
Mi riferisco ai cinquanta mila dollari che ha donato
alla scuola per l’apertura della biblioteca a suo nome > enunciò come se la
cosa fosse ovvia.
Smisi
di respirare e potrei giurare che, anche il mio cuore
per qualche secondo si fermò.
Come
un automa mi sollevai lentamente dalla poltroncina e,
senza mai dare le spalle al preside, mi diressi verso l’uscita.
Uscii
senza neanche salutare, mentre Smith continuava a
osservarmi con un ampio sorriso che mi permetteva di scorgere anche un molare
d’oro, finché non sparii dalla sua visuale.
<
Swan? Va tutto bene? > La Coope si accorse della mia espressione persa nel
vuoto.
Non
risposi e lentamente mi incamminai senza sapere dove
fossi diretta.
Cinquanta
mila dollari…
Cinquanta
mila dollari …
Cinquanta
mila dollari …
Continuavo
a ripetermi come una mantra.
Non
era possibile. Si stavano prendendo gioco di me?
Fermo
restando che Charlie non aveva cinquanta mila dollari, e, anche se li avesse avuti non avrebbe mai, e sottolineo mai,
donato alla scuola neanche un dollaro per evitare una mia sospensione…
Chi
poteva mai aver fatto una cosa del genere?
<
Sai, non è il caso di
essere tristi >
Mi
tornò in mente quella frase di Jazz detta con quelsorriso. Era
così maledettamente sicuro…fin troppo sicuro…
Oh
merda…
<
Oh merda > ripetei il pensiero ad alta voce.
Iniziai
a correre come un’ossessa per i corridoi.
Spalancai
le porte di alcune aule senza successo.
Finché
non aprii quella della lezione di diritto e lo vidi.
<
Cullen! Fuori. Subito. > Urlai.
La
professoressa della quale non ricordavo mai il nome
guardò prima me e poi Edward.
<
Swan non … > iniziò a parlare ma Edward la zittì con un semplice gesto della
mano.
Si
alzò con tutta la calma del mondo dal suo banco, raccolse le sue cose e si
accinse a raggiungermi fuori dall’aula.
Tutta
quella lentezza non faceva altro che alimentare il mio nervosismo. Mi trovai a
battere un piede scandendo quegli interminabili secondi.
Quando mi raggiunse chiusi la porta.
<
Vieni > ordinai.
Con
passo veloce mi diressi verso l’uscita.
Edward
stava dietro di me. Ma dovetti girarmi più volte per verificare che ci fosse,
dato che non riuscivo ad avvertire la sua presenza e…
puntualmente mi sorrideva.
Durante
il breve tragitto cercai di formulare un discorso di
senso compiuto da riversare a Edward quando finalmente gli avrei parlato, ma la
faccenda mi risultava più difficile del previsto… ero troppo agitata.
<
Allora? Che mi dovevi dire? > Chiese una volta
fuori.
Prese
una sigaretta dalla tasca dei jeans e l’accese.
<
Cinquanta mila dollari > sbottai furiosa andando dritta al punto senza
tergivisare.
<
Cinquanta mila dollari? > Chiese facendo il finto tonto.
Okay,
non voleva collaborare…
Esasperata
mi sedetti al ciglio del marciapiede con entrambe le mani sulla fronte cercando
di calmarmi.
Si
avvicinò per offrirmi una sigaretta che rifiutai con un movimento del capo.
<
Mi riferisco a una donazione effettuata a questa cazzo
di scuola per evitare la mia sospensione > precisai con una calma che non mi
apparteneva. Non in questo momento.
<
E io cosa potrei farci? > Buttò fuori una nuvola di
fumo.
Stava
mentendo.
Per
quanto mi sembrasse assurdo, non poteva che essere
stato lui. Chi altro si sarebbe preso questa briga? Chi avrebbe mai sborsato
una cifra del genere per me?
<
Non posso accettare >
<
La scuola li ha già accettati > affermò
impassibile.
<
Lo sai che anche se lavorassi una vita non riuscirei a restituirteli, vero?
>
<
Non voglio che me li restituisci, infatti.> precisò.
Non
ci vidi più. Mi alzai di scatto e gli puntai un dito contro.
<
Non voglio i tuoi soldi > ringhiai a un centimetro
dal suo viso.
<
Non importa se li vuoi o no > disse calmo
passandosi una mano tra i capelli.
<
Cazzo. Edward. Riprenditi i tuoi maledettissimi soldi >
<
Quel che è fatto è fatto… Non potresti semplicemente
ringraziarmi? > Sorrise tranquillo.
<
Vaffanculo > sbottai.
<
Lo prendo come un “grazie” ? >
<
Cazzo! > Pestai i piedi per terra. < Perché?
> Urlai cercando di trattenere le lacrime che minacciavano di fuoriuscire.
<
Perché fai questo? Perché ti premuri
di pagarmi il pranzo in caffetteria > indicai il pollice per iniziare il
conteggio < di invitarmi alla festa di Alice > altro dito < …di
evitarmi una sospensione pagando un patrimonio? > Conclusi.
<
Non devi preoccuparti per me solo perché abbiamo fatto sesso… > le lacrime
cominciarono a irrigarmi copiose il viso < sono
solo una puttana… >
Non
volevo mi vedesse così. Chiusi la zip della giacca con
forza e mi incamminai dandogli le spalle.
Destinazione:
il più lontana possibile da Edward Cullen.
Mi
bloccò un braccio e mi avvicinò pericolosamente al suo viso< Non lo faccio
affatto per quello e tu non sei una puttana> soffiò sulle mie
labbra.
<
Lasciami stare > mi divincolai.
Abbandonò
la presa e mi lasciò andare.
Montai
sul pick-up e avviai il motore che, da quando mi era stato riconsegnato, andava
a meraviglia. Immaginai che, anche in questo caso, doveva
esserci lo zampino di Edward. Anzi ero più che sicura
che fosse opera sua.
Maledizione…
Imprecai
contro Cullen, picchiai un pugno sul volante e partii.
Le
lacrime che mi annebbiavano la vista, mi permettevano a malapena di scorgere
gli ostacoli quando li avvicinavo, infatti evitai
all’ultimo momento un sasso che quasi certamente mi sarebbe costato il cambio
di una gomma.
Quando
la calma sbollì, almeno in parte, capii di aver guidato fino a
La Push.
Inconsciamente
mi ero spinta fino a qui perché avevo bisogno di lui.
Scossi
la testa in segno di diniego. Iniziai a pensare che non fosse stata proprio una
buona idea.
Non
lo vedevo da almeno un mese e non sarebbe stato carino
venirlo a trovare solo perché avevo un disperato bisogno di sfogarmi. E poi a
quest’ora, come tutti gli altri Lapushiani, doveva trovarsi a scuola…
anche se non ci avrei messo la mano sul fuoco… ci andava con una frequenza che
io avevo definito “mestruale” : una volta al mese, per
intenderci.
Bèh
ormai ero qui…
Deviai
in una stradina non asfaltata con sassolini bianchi e in men che non si dica mi ritrovai davanti a casa sua.
Frenai
facendo stridere le ruote sul ghiaino e dopo aver preso un
bel respiro scesi dal pick-up.
Ero
elettrizzata… avevo proprio voglia di vederlo; lui avrebbe saputo cosa
consigliarmi.
Mi
sorpresi del mio umore che cambiava ad una velocità impressionante; iniziai a
credere di essere entrata in una strana forma di menopausa anticipata.
Fuori
l’aria era pungente, il mio respiro disegnava
nuvolette di condensa. Sfregai le mani tra loro per infondermi un po’ di
calore, inutilmente.
Aprii
la porta, sapevo di trovarla aperta, non chiudevano mai a chiave!
<
è permesso? > Vociai facendo
capolino con la testa all’interno.
<
Avanti > la voce grossa di Billy Black mi giunse dal salotto. Pareva
scocciato.
Scorsi
la sua figura, era
seduto a guardare un poliziesco in Tv.
Alzai
la mano destra con il palmo rivolto verso di lui in segno di saluto< Augh! > Affermai scherzosamente con
un sorriso.
<
Jacob è in camera sua > mi informò senza spostare
la sua attenzione dallo schermo.
Mi
odiava.
Se
non fossi stata la figlia di un suo carissimo amico mi
avrebbe già sbattuta fuori di casa.
Credeva,
non a torto, che fossi un’influenza negativa per
Jacob.
Alzai
le spalle e mi incamminai spedita verso la camera, se
così si poteva definire, del mio più caro amico.
Jacob
era la persona che più mi conosceva, l’unico ad aver visto e vissuto il mio…diciamocambiamento. Eravamo amici fin dall’infanzia
e trascorrevamo molto tempo insieme quando ero costretta, in estate, a
raggiungere mio padre a Forks.
A
lui potevo raccontare tutto, ma proprio tutto…
Raggiunsi
la sua camera. Picchiettai con un pugno sulla porta di legno ma non ebbi nessun
riscontro.
Ma Billy mi ha detto che era qui…
Decisi
di aprire ugualmente la porta e lo vidi.
Era
sdraiato sul suo letto, perennemente sfatto, praticamente
nudo se non fosse stato per quei boxer neri. Alle orecchie
due cuffie che spiegavano il perché non mi avesse risposto. La musica si
sentiva fino a qui.
Era
davvero bello. La sua pelle eternamente bronzea risaltava sulle lenzuola
bianche. I suoi muscoli scolpiti, inspiegabilmente sempre più ben definiti,
facevano bella mostra sulla sua corporatura perfetta. I capelli lunghi dritti e
neri contornavano il suo viso. Aveva appena diciassette anni ma ne dimostrava
almeno venticinque. Ogni giorno appariva sempre più grande.
Era
bello sì, ma non come Cullen…
Io
e Jacob eravamo attratti l’uno dall’altra, questo era
innegabile, e anche piuttosto normale per due esemplari etero. Ma avevamo
sancito un accordo, neanche troppo tacito, in cui ciimpegnavamo
a non andare a letto insieme.
Se
quello fosse disgraziatamente accaduto avremmo irrimediabilmente
distrutto un Amicizia e questo era assolutamente da
evitare. Entrambi concordavamo totalmente a riguardo.
L’amicizia
tra uomo e donna? Tutte puttanate.
C’era
sempre un coinvolgimento, grande o insignificante che fosse, tra i due soggetti
interessati...ma se volevamo rimanere amici,
queste erano le condizioni.
<
Hey Jay!> Urlai andandogli incontro.
Mi
dedicò uno dei suoi sorrisi più belli, senza però muoversi di un millimetro
dalla sua posa statuaria.
Lo
abbracciai.
<
Mamma mia quanto puzzi > affermò convinto storcendo
il naso.
Scherzava.
Io non sentivo nulla.
<
Grazie. Anche tu mi sei mancato > risposi
sarcastica.
Mi
feci spazio affianco a lui, mi sdraiai e poggiai la
testa sui suoi addominali. Gli rubai una cuffia e me la misi in un orecchio.
pa pa pa paaaa...uno dos tres quatro..rumba...rumba...
<
Non è che potresti vestirti? >
<
Mhh, no > rispose tranquillo voltandosi per incontrare il
mio sguardo < ho caldo > rise.
Scoppiai
a ridere anche io.
<
Dai! Mettiti su qualcosa o non risponderò delle mie azioni… > lo stuzzicai scherzosamente.
<
Visto che le cose stanno così, mi vedrò costretto a
togliere anche questi > sollevò un pò l’elastico dei suoi boxer.
<
Direi che è meglio lasciarlo lì dov’è > risposi
ridendo.
Era
incredibile come mi facesse sentire bene. Per un
attimo il discorso “cinquatamila dollari” era improvvisamente svanito nel
nulla.
<
Ma come fai ad avere caldo? > Domandai mentre
ancora ridevo < Ci saranno zero gradi fuori > a quella affermazione,
pensando al freddo all’esterno, mi coprii fino al naso con la giacca. Sembravo
un fagottino infreddolito.
Non
rispose. Si limitò a un gesto delle braccia.
<
La scuola è un optional? > Chiesi poi ironicamente giocando con il filo
delle cuffie.
<
Inutile perdita di tempo > affermò sbuffando.
Anche su questo eravamo assolutamente
d’accordo.
<
Tu? >.
<
Altra domanda di riserva? >.
<
Che è successo? >.
<
Se ti dicessi che a Forks verrà prossimamente
inaugurata una biblioteca a mio nome ci crederesti? >.
Mi
guardò per un attimo serio e… scoppio a ridere.
<
Ah ah! Ma come ti vengono ‘ste cose? >. Era talmente divertito che gli lacrimavano gli occhi e
non riusciva a smettere di ridere.
Sbuffai
aspettando che la finisse.
No,
non potevo aspettare… < Jake, è vero… purtroppo >.
<
Aspetta > si ricompose tornando serio < mi sono
perso qualcosa? >.
<
Mhh, vediamo > feci finta di pensarci < Iniziamo
con il dire che ho conosciuto un ragazzo, Edward >.
<
Ma che cazzo di nome è Edward ? > Enfatizzo
il nome e gli diedi un buffetto sui pettorali.
<
Comunque… > mi schiarii la voce, mi risultava un
po’ difficile parlargli di questa parte del resoconto < l’ho conosciuto in
un locale e … >.
<
Bella? >Mi fulminò con lo sguardo
< Te lo sei scopato? >.
<
Nooo > risposi subito.
…
<
Okay, sì > ammisi.
Mi
conosceva fin troppo bene.
Mi
rimproverò con lo sguardo.
<
E lui cosa centra con la biblioteca? >.
<
Se mi fai finire ti spiego >.
Era
troppo impaziente.
<
Poi il giorno dopo me lo ritrovo in classe a biologia
>.
<
Nooo che storia > mi interruppe, di nuovo.
Gli
lanciai uno sguardo truce.
<
…Poi quel rincoglionito di Newton ci ha provato con me e io
gli ho tirato un destro dritto in faccia … >.
<
La prossima volta chiama me >.
<
Eh eh! Questa l’ho già sentita >.
<
Ovviamente rischiavo l’espulsione ma… >.
<
…Edwin ha pagato per far si che ciò non
accadesse >.
<
Si chiama Edward > precisai < comunque, sì >.
<
Mhh, le cose sono tre. O questo tizio è innamorato di te alla follia, o c’ha i soldi da buttare o semplicemente è pazzo. Io dico più
la terza però… >.
<
Il problema non è quello. Io non li voglio i suoi soldi >
piagnucolai.
<
Uhh. No, mi correggo la pazza sei tu > appoggiò
l’indice in mezzo alla mia fronte < Scusa, hai la possibilità di rimanere
qui a Forks e ti lamenti ? >.
<
Hai ragione > sussurrai.
Ero
proprio un’ingrata…
Avrei
dovuto essere riconoscente a Edward per quello che aveva fatto e non
comportarmi come una pazza isterica…
<
Nutella e film? > Propose.
<
Sì >.
Certo
che lui sapeva proprio farmi tornare il buonumore…
---------
Non
ci posso credere O__O! l’avete letto tutto ma proprio
tutto? WOoOoOW!
Che ne pensate sinceramente? C’è qualcosa
che non vi è piaciuto ? (l’autrice gradisce suggerimenti e critiche
costruttive ù.ù).
Per
la descrizione di Jacob (era lui la “new-entry”). Voi che ne pensate?
Io
me lo immagino così (altrimenti non si spiega proprio l’indecisione della Bella
della Meyer!). Taylor è carino (tranne la parrucca orrenda che indossa), no?
(anche se non mi sono ispirata solo a lui…anche a
un’altra persona…a voi chi viene in mente? (questa è un po’ difficile)). Per
tutte quelle che si stanno chiedendo come mai Jake non ha riconosciuto l’odore
di vampiro, la risposta è semplice non si è ancora trasformato anche se ha già
i vari mutamenti fisici (se dovessi collocarlo riferendomi all’originale
sarebbe il periodo pre-cinema).
Cmq…
non crediate che Isa si limiti a ringraziare Edward e
bon. È pur sempre una ragazza con una dignità e con orgoglio … (ok, non
aggiungo altro…).
Ringrazio
tantissimo i 10 ammori che hanno recensito lo scorso capitolo… <3
Signorina buon
giorno! Passato il mal di testa? Lo so che ho un brutto vizio di lasciarvi
così O__O! spero di essermi fatta perdonare con
questo capitolo lungo lungo, no? Visto? Non è stata espulsa… hihi! Piaciuta
l’idea? Il personale scolastico era così contento perché apre
una biblioteca a Forks!!! Eheh! Mica perché lei partiva! Dai,
alla fine le vogliono bene! XDXD!
Nello stanzino delle scope mi porto Edward, ovvio…
Morsoliniiiiii a te, baci
Volevo ringraziarti
per le lezioni di inglese… come vedi il titolo è
opera tua… GRAZIE
Amoruccia! Sono
d’accordissimo con te “per il bene dell’umanità” XD! Vedrò di far qualche
scherzetto a Newton nei prossimi capitoli (ne ho già in mente qualcuno) *me
sadica*.
Spero che questo
capitolo ti sia piaciuto! Fammi sapere presto che ne pensi! Baciottoli.
Che belloooooo che ti
faccio ridere! Sì, tra un po’ mi chiamano a Zelig… sese come no! Questo ti
piace? So che Jake non lo sopporti quindi suppongo che non ti abbia fatto
molto piacere la descrizione… o no? Cmq prometto che non interferirà tanto
con Ed e Bella. Bacioni, Eli
Ciao tesora! Visto?
Era più lungo (ma credo sia solo un caso… eheh). Spero tanto che questo
capitolo ti sia piaciuto anche perché quando Isa e Ed
litigano mi saliva il nervoso pure a me… eheh! Certo che con Jazz non poteva
esserci qualcosa… il fatto è che non volevo che Jazz
e Emm rimanessero troppo in secondo piano!
Isa non poteva essere
espulsa! Ti è piaciuta l’idea di Ed? l’hai trovata
scontata? Fammi sapere, baci
Tesoraaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!
Rispondo subito alla tua recensione:
- “[il nuovo
personaggio] … secondo me è già stato menzionato, ma
di sfuggita”giusto… però peccato non fosse Alex ma semplicemente
Jacob (capitolo 1, 4 e 9).
- il colpo di scena
era la donazione di Edward. Ci eri
quasi arrivata “sono convintissima che Isa non verrà espulsa. […] C'è
qualcosa che non mi quadra, e forse c'entra Edward.Giusto anche
questo.
E menomale che
scrivevi che eri fuori strada… embè!!!
Cmq ti ringrazio
moltissimo per la tua analisi dello scorso capitolo (e io che credevo mi
avreste lanciato i pomodori marci!).
Davvero ti sei
commossa? Non sai quanto sto gongolando in questo momento! XD
Tesoruccia tranquilla! Ti assicuro che Ali e Jazz avranno i loro momenti… anche io li adoro!
Emmenomalechenonciazzeccavimai!!! Ci
hai preso (eccome!). L’ho sempre detto che le mie non sono lettrici normali
sono dei piccoli geni. XD. O forse sono io che
scrivo cose banali e troppo scontate ç__ç! Aspetto il tuo commentino
su questo. Baciottoli. Eli
Ciau! Non è vero che non mi importa
nulla… se vuoi sfogarti io sono qui! Capisco come ti senti, anche a me capita
di essere triste e depressa ma di ridere come un
idiota. Come si dice “ridere per non piangere”. Hai ragione
ti ho lasciato in un punto critico della storia, spero ti aver
recuperato con questo capitolo più lungo del solito! Non vedo l’ora di
leggere il tuo aggiornamento anche se ho un po’ paura… brrrr!
Cmq ci avevi quasi preso sull’intervento di Edward.
Brava.
Il “nuovo” personaggio era il migliore amico Jacob (sai che
novità).
Salve ragazze... è
la prima volta che vi scrivo ma ci tenevo a dirvi due paroline!!!
In primis, non sono una cima in
italiano :D correggo quello che so e aiuto Ely cn
le idee e cose del genere :D diciamo che non mi occupo solo di grammatica,
insomma XD
Volevo solo dire che è migliorata un sacco!!! Correggo davvero poco e poi... le
sue idee sono mitiche!!! Non avete idea di cosa ha in mente :D
Piccola premessa: nel capitolo
troverete una scena tratta dall’originale (twilight)
ma rivisitata dal punto di vista di Isa (che
ricordiamo essere un tantino diversa dalla Bella che noi tutti
conosciamo…) sappiate che non vuole assolutamente essere una sorta di parodia
tanto meno di una critica. (a proposito di parodie: avete sentito l’ultima? Sta
per uscire la porno-parodia
di twilight! Ahahaha! Ho riso
per mezzora).
Premessa2: il capitolo è lunghetto e non mi entusiasma moltissimo (ho fatto di
meglio) leggete e ditemi che ne pensate sinceramente (vi sarei grata anche se
mi deste la vostra opinione al fine di cancellare e/o modificare le parti che
non vi piacciono). Grazie a chi continuerà.
Ringrazio con tutto il cuore la mia beta barbyemarco!
Che è come sempre velocissima (povera, le ho inviato il capitolo venerdì e me
l’ha corretto domenica sera).
--------------------
Bad Girl
[Isabella
Swan]
Cap. fourteen –negative zero
Non
so ancora come quella mattina riuscii a trascinarmi viva fino a scuola.
Avevo
passato la notte in bianco ripensando a tutto quello che era accaduto in questi
ultimi giorni.
Non
riuscendo a chiudere occhio, dopo essermi girata e rigirata nel letto per ore,
avevo deciso di uscire di casa presto.
Erano
tre giorni che non andavo a scuola. Non avevo proprio voglia di vedere nessuno.
E per tre giorni mi ero rifugiata sotto
il piumone. Barattolo di Nutella da un lato,
bottiglietta d’acqua dall’altro.
Sapevo
che prima o poi avrei dovuto alzarmi e affrontare il
mondo lì fuori…e quel momento era arrivato.
Fuori
faceva ancora più freddo del solito. La città sembrava ferma, immobile…
ghiacciata.
Era
la prima volta che arrivavo così presto. Nel parcheggio della Forks High School non c’era
ancora nessuno. Spensi il motore del pick-up e tutto quello che riuscii a sentire fu il bubbolio di un gufo e il soffiare
del vento.
A
volte era così rilassante allontanarsi dai rumori assordanti della città.
Accesi
il riscaldamento al massimo e mi beai del calore che ne fuoriuscì appoggiando
le mani direttamente sul cruscotto. Quando decisi che le mie dita erano tornate
a una temperatura ottimale mi accoccolai sul sedile,
accesi lo stereo e aspettai che Forks si svegliasse.
<
ISA > sentii un tonfo improvviso e scattai.
Spalancai
gli occhi e mi resi conto di essermi addormentata all’interno dell’abitacolo.
Un
ragazzo terrorizzato continuava a picchiettare sul finestrino laterale del
pick-up.
Cercai
di abbassare la manovella ma non ci riuscii, era bloccata, perciò, mio
malgrado, decisi di aprire la portiera abbandonando, così, il dolce tepore
dell’interno.
<
Isa mi hai fatto preoccupare > disse ancora in preda al panico < non
rispondevi, credevo fossi svenuta >.
<
Tutto okay > lo rassicurai < mi sono solo
addormentata >.
Eric parve tranquillizzarsi, mi sorrise e
si allontanò parlottando tra sé e sé.
Tornai
all’interno dell’abitacolo per recuperare la borsa e notai una cosa molto
strana… la manopola del riscaldamento era posta sull’indicatore “off”, eppure
ricordavo di averla lasciata accesa o forse, prima di
addormentarmi l’avevo spenta? Forse il pick-up aveva un sistema automatico di
spegnimento? Scartai immediatamente quest’ultima ipotesi: il catorcio non aveva
neanche il servo sterzo figuriamoci un sistema così sofisticato.
Non
me ne curai perché la mia attenzione si rivolse sull’immagine riflessa nello
specchietto: la mia.
Orrenda,
ero orrenda.
Delle
occhiaie profonde solcavano la mia pelle fin troppo
chiara.
Urgeva
assolutamente una lampada e una bella dormita ristoratrice.
Mentre
mi accingevo ad entrare a scuola notai subito Jess all’ingresso. Mi avvicinai
sorridente, ma per tutta risposta, si allontanò dandomi le spalle. Forse
non mi aveva vista. Possibile?
Sbuffando
presi il diario e mi accorsi solo adesso di avere trigo
alla prima ora, Alien.
Maledizione…imprecai mentalmente.
<
Ciao > trillò Aly con una energia
che mi chiedevo dove prendesse alle 8 del mattino.
Si
sedette affianco a me dopo essersi sfilata la giacca.
<
Ciao > risposi al saluto con meno esuberanza ma con un sorriso.
<
Ho saputo dei nuovi fondi per l’apertura della nuova ala scolastica. Grazie per
la tua donazione! Dovremmo incontrarci presto per stabilire alcuni dettagli.
Ovviamente avrai carta bianca ma mi permetto di farti da consigliere visto il
mio ruolo in prima fila come presidentessa del comitato per l’apertura della
nuova biblioteca > aveva parlato con una tale velocità che mi chiesi se fossi lenta io stamattina, o se era lei ad essere una forza
della natura.
Pensai
che entrambe le ipotesi erano valide.
Mi
fissò aspettando una risposta.
<
Certo, certo > le sorrisi.
<
Grande! > Mi abbracciò buttandosi letteralmente su di me.
<
Ah! Dimenticavo >, disse poi < Verrai alla mia
festa, vero? >.
Ricordai
di averlo promesso a Edward nonostante la nostra
recente litigata.
<
Sì > risposi un po’ titubante.
Chissà se saremmo andati insieme lo stesso...
<
Lo sapevo >mi stampò
un bacio sulla guancia < Grazie >.
<
Figurati >.
Nel
frattempo Alien era entrata in classe e stava già facendo l’appello.
Iniziai
a disegnare sul quaderno senza prestare molta attenzione alle strane linee che
la matita abbozzava sul foglio.
Alice,
invece, scriveva qualcosa su un pezzo di carta. Gli appunti, pensai.
Dopo
qualche minuto mi passò un fogliettino piegato a
metà.
“Mi accompagneresti a fare shopping a Port Angeles dopo la scuola? Ti prego “
Mi
voltai verso di lei e abbozzai un leggero “sì” con la testa.
Mi
fece – attraverso il movimento rotatorio di un dito -segno di voltare il foglietto.
“Grazie”c’era scritto sul retro.
Le
sorrisi dolcemente. Forse quest’uscita non programmata mi avrebbe
fatto bene, mi avrebbe distratta per un po’.
La
campanella suonò, finalmente.
Salutai
Alice con la promessa che ci saremmo riviste all’uscita, e mi avviai alla mia
prossima lezione: ginnastica.
Dopo
aver consegnato al professore l’ennesimo certificato falso di
esenzione dall’attività ed aver subito la solita occhiata languida che
mi riservava abitualmente, mi avviai sui gradoni degli spalti.
Nel
sedermi mi ghiacciai il sedere.
Quel
genio del prof. aveva deciso che, visto che non
pioveva, la lezione poteva essere svolta in cortile. Sapevo già che sarei congelata. Mi strinsi nel morbido abbraccio del
piumino nella speranza di non ibernare.
Bella
giornata di merda… pensai battendo i denti.
Una
palla rotolò lentamente fino ai miei piedi, alcune ragazzine
urlanti la reclamarono. Riconsegnargliela sarebbe stato sicuramente il
gesto più opportuno, ma considerato il mio karma decisamente
negativo, nel passarla sarei sicuramente inciampata, avrei battuto la testa e
sarei morta sul colpo. Optai per la vita: non mi
mossi.
Mentre
ero impegnata a riflettere su quali terribili azioni dovessi
aver compiuto nella vita precedente per meritarmi tutto questo (n.d.a. Il karma riguarda sia l'attività o l'agire in sé sia
l'insieme delle conseguenze delle azioni compiute da un individuo nelle vite
precedenti. Fonte: Wikipedia) qualcuno accanto a
me, si chinò, raccolse la palla e la passò a quel branco di scimmie urlatrici
che attendevano ancora – invano – una mia mossa.
Non
ebbi bisogno di alzare lo sguardo per capire di chi si trattasse
per due motivi: primo, perché una serie di “uhhhh” e
“ohhhh” si levò dall’area di gioco da parte di quelle
sottospecie di ormoni ambulanti; e secondo, solo lui aveva quell’odore particolare e assolutamente eccitante… ma non
era il momento di pensare a certe cose.
Continuai
a fissarmi le AllStars
senza proferire parola quando finalmente mi decisi.
<
Grazie >
<
Scusa >.
Pronunciammo
contemporaneamente guardandoci per un attimo negli occhi.
Tornai
ad osservare i lacci delle scarpe ma l’aria della ragazzina impacciata e imbronciata
non mi si addiceva affatto… così scoppiai a ridere. Anche
lui rise. Mi resi subito conto che il suono della sua risata mi era mancato.
Tanto.
Troppo.
<
Prima tu > disse.
<
Okay > mi schiarii la gola.
<
Volevo ringraziarti, certo avrei preferito un gesto, come dire…meno eclatante,ma ho
capito che, in fin dei conti, l’hai fatto per me. Grazie > dissi guardandolo
finalmente negli occhi.
<
Questo significa che sono perdonato? > Arcuò un sopracciglio e si premurò di
accompagnare la sua espressione da cucciolo indifeso alla sua arma più potente:
il sorriso sghembo.
Questa
volta non attacca, Cullen.
<
Non così in fretta, Cullen > sorrisi e lui mi guardò dubbioso.
<
C’è una condizione > alzai l’indice.
<
Quale?> Chiese scettico.
<
Devi permettermi di restituirteli > dichiarai con
convinzione.
<
Te l’ho già detto, non se ne… > cercò di ribattere
ma lo interruppi.
<
Edward, se non me lo permetterai convincerò
ugualmente mio padre a spedirmi in Alaska, e stai
tranquillo che so essere molto ma molto convincente quando voglio > affermai
seria e sicura di aver colpito nel segno.
<
Ho presente > ridacchiò.
<
D’accordo, allora > cedette finalmente.
<
Bene > gli sorrisi soddisfatta.
Prossima
mossa: cercare un lavoro.
<
E tu cosa volevi dirmi?> Chiesi poi.
<
Volevo scusarmi, avrei dovuto parlarne prima con te
>
<
Indubbiamente >, concordai appieno < ma sapevi che non te lo avrei
permesso > affermai in sua discolpa.
<
Infatti >.
Restammo
in silenzio per qualche minuto a fissare entrambi, senza alcun interesse, la
partita di pallavolo.
<
Tu non giochi?> Mi chiese rompendo il silenzio.
<
Credimi è meglio così > risi < e poi io sono esentata > gli passai il certificato medico.
Scoppiò
a ridere facendo voltare parecchie studentesse che mi fulminarono con lo
sguardo, le fissai tutte di rimando con un espressione
che sembrava voler dire “perché io posso”.
<
Lo sai vero che questa malattia non esiste più? È stata debellata nel ’72 >.
Ma
quante ne sapeva???
<
Certo che lo so > mentii spudoratamente portandomi
una ciocca ribelle dietro l’orecchio.
“Riguardare tutte le puntate di dott. House” appuntai mentalmente.
<
L’importante che non lo venga a sapere lui >
indicai vistosamente il professore che però non si accorse di nulla, tanto era
impegnato a guardare le cosce delle ragazze.
<
Ma chi te li procura questi? > Sventolò il
certificato ancora ridendo.
<
Se te lo dicessi poi dovrei ucciderti. Sarebbe uno spreco, non trovi? > Scherzai.
La
campanella suonò un po’ troppo presto per i miei gusti.
Aprii
la zip della borsa alla ricerca del diario perduto, ma
Edward mi anticipò.
<
Biologia. Due ore >
<
Un giorno imparerò l’orario. Giuro > scherzai lasciando percepire tutta la
mia contentezza nel sapere che avrei passato altre due ore con lui.
Mi
sollevai dai gradoni con un sorriso a trentadue denti. Edward,
invece, rimase seduto.
Lo
guardai interrogativa. < Tu non vieni? > Chiesi titubante.
<
No > sorrise sghembo
<
Saltare le lezioni, a volte, fa bene alla salute > affermò passandosi una
mano tra i capelli.
Edward, mi vuoi sposare?
Aveva
appena scalato la classifica degli uomini da sposare, dopo RobertPattinson, ovviamente.
<
Parole sante > approvai.
<
Ci vediamo in caffetteria? > Chiese prima che mi avviassi.
<
Sì, a dopo. Ciao >
<
Ah > urlò come se gli fosse venuto in mente qualcosa di importante.
Mi
voltai.
<
Comunque si dorme a casa > mi rimproverò.
Cosa voleva dire? Che si stesse
riferendo alla pennichella di stamattina nel cartoccio?
Senza
rispondere, gli diedi le spalle e mi incamminai –
sfoggiando la camminata più sinuosa e provocante possibile – verso l’edificio
E.
Banner era già in classe quando entrai.
Ma tu non ti ammali mai, eh?
Ignorò
il mio ingresso e continuò a parlare.
Se
avevo capito bene, oggi c’era una specie di autotest per capire quale fosse il nostro gruppo sanguigno.
Alzai
la mano.
<
Swan? > Disse scocciato.
<
So già il mio gruppo sanguigno > affermai convinta.
Chi non lo sapeva ?
Forse
così avrei potuto saltare biologia e raggiungere Edward
prima del previsto.
<
Non ne dubito > disse sarcastico < Ma lo farai
ugualmente >.
Non
ribadii oltre, anche se, non evitai di sbuffare
palesemente irritata dalla risposta.
Paul mi passò l’occorrente per “bucarmi”: disinfettante, garza, vetrino e siringa.
Poi
Banner prese come cavia Newton – che sfoggiava ancora
un cerotto bianco sul naso a testimonianza che menavo forte – e gli forò un
dito.
Sarah,
dietro di me, urlò e sbiancò improvvisamente alla vista del sangue.
Mi
portai una mano sulla fronte.
Dio,
sei una donna, non puoi soffrire la vista del sangue! Quando hai le tue cose come fai, allora?
Eric si offrì volontario per accompagnarla
in infermeria e ce la tolse di torno.
Dopo
aver ri-constatato che il mio gruppo sanguigno era zero-rh-negativo, e dopo aver
subito esattamente centotrenta minuti di lezione, Banner
ci scarcerò.
<
Isa, scusa > qualcuno mi toccò una spalla.
Newton?
<
Posso parlarti un secondo? >
<
Se hai intenzione di farmi altre avances,
sappi che la risposta rimane sempre la stessa > risposi acidamente.
Storse
le labbra in segno di diniego.
<
Volevo solo scusarmi con te > disse meccanicamente e un po’ intimorito quasi
come sevolesse levarsi subito un’enorme incombenza.
<
Okay > risposi solamente. La parola “rancore” non esisteva nel mio
dizionario.
Sospirò
sollevato e si allontanò senza aggiungere altro.
Mah…
Uscii
in fretta dall’aula. Un minuto di più là dentro e avrei fatto la muffa.
Durante
il tragitto verso la caffetteria intercettaiAngie.
<
Hey, ciao Isa > mi salutò raggiante.
<
Ciao tesoro > la baciai.
<
Come stai? > Mi squadrò.
<
Bene, grazie, tu >
<
Benone. Mi sei mancata > mi
abbracciò forte.
<
Jess? > Le chiesi poi.
Mi
fissò per qualche secondo senza rispondere.
<
Allora? >
<
Pensavo lo sapessi … > iniziò < è arrabbiata con te >
<
E per cosa? >
<
Mike >
<
Andiamo Angie, non scherzare > risi
isterica.
<
è la verità >
Okay,
la giornata andava sempre a peggiorare.
Sospirai
sonoramente e senza aggiungere altro ci incamminammo
verso la mensa.
Avrei
dovuto parlare con Jess al più presto.
Edward e gli altri erano già al tavolo.
Appena mi vide mi regalò il suo solito sorriso.
Mi
trascinai al tavolo e sprofondai nella sedia.
<
Ciao > salutai atona.
<
Isa, tutto bene? > Chiese Jazz.
<
Sì, tutto okay > mi sforzai di sorridere. Falsa.
<
Allora > Edward si voltò verso di me < che mi sono perso? > Chiese riferendosi alla lezione di Banner.
<
Niente > alzai le spalle e infilai in bocca una forchettata di tagliolini al
ragù gentilmente offerti dai Cullen.
< A parte Sarah che è quasi svenuta alla vista del
sangue > precisai dopo aver deglutito.
< Beh, allora ho fatto bene a non venire >
< Direi proprio di sì…o forse > un pensieromi solleticò la corteccia
celebrale < l’hai saltata perché anche tu soffri il sangue >.
JaspereEmmett si buttarono a terra dal ridere seguiti a ruota da Edward come se avessi appena fatto la battuta del secolo.
Io non ci trovavo niente di così divertente.
< Piccola, sei fortissima > affermòEmm continuando a ridere.
< Ah ah > risi
sarcasticamente.
---------
Era
noioso, vero? Che ne pensate?
Scusate
il finale senza alcun senso… eheh! Avevo intenzione
di mettere anche la parte dello shopping con Alice e della discussione con Jess in questo ma sinceramente eravamo già a quota 8 pagine
word…sarebbe diventato un mattone senza considerare
che avrei postato anche con + ritardo (perché devo ancora scrivere entrambe i
pezzi).
Bèh,
credo che questi due temi li affronterò nel
prossimo…(se nessuno ha qualcosa in contrario ù.ù) e
in più posso anticiparvi che ci sarà una sorpresina che riguarda il nostro
orsetto Emmett…tutta da ridere ;)
Mi
dispiace non riuscirvi + a postare lo spoiler ma purtroppo i capitoli
successivi li devo ancora scrivere (non sono più a
credito di capitoli purtroppo ç__ç). Le idee però non mancanoooooo,
state tranquille.
Per
quanto riguarda Jacob oltre che a Taylor
mi sono ispirata a lui (okay non ridete):
Visto a chi mi sono ispirata per Jacob (per la gioia di tua cugina)? Ahah!
Mi sa che non riusciamo più a coordinarci… hai aggiornato CCT domenica e io
sto aggiornando adesso forse se aggiornassi oggi non sarebbero
due capitoli troppo ravvicinati (?).
Anche questo era abbastanza lunghetto anche se non mi entusiasma particolarmente…
Tu che ne pensi?
“tanto i problemi da cui si scappa prima o
poi ci trovano sempre” non sai quanto hai ragione!!! Mamma mia sei
anche mezza filosofa?
Ti ringrazio moltissimo per tutti i complimenti che mi fai!
Questo? Che ne pensi di questo
capitolo?
Che carina ad avvisarmi che inizi l’Uni!
Ti faccio un grandissimo IN BOCCA AL LUPO! Che facoltà hai
scelto? Mi raccomando tienimi aggiornata sugli
esami e sugli esiti! Se non riuscirai a recensire
sei scusata, lo capisco…anche se mi mancheranno le tue recensioni! T___T.
Tesorina, grazie del
commento. Ho apprezzato molto che anche se andavi
di fretta sei riuscita a commentare!
Certo che ad Eddinoimporta di Isa… altrimenti non si comporterebbe così!
Jacob rimarrà solo e soltanto un amico…
ho infatti sottolineato che i due si attraggono ma
non potranno mai stare insieme!!! (anche io sono per Edward)
XD
Ciau beta! Scussssa
per tutti i punti di domanda staccati dalla fraseeeegiuro che ci starò più attenta! Grazie mille per
l’ottimo lavoro che hai fatto! Presto ti invierò
anche l’altro (che in realtà devo ancora scrivere ç___ç).
Per quanto riguarda Isa anche io avrei avuto la sua stessa
reazione (se non peggio), bèh la cosa si è risolta (sembrerebbe)… anche
perché non mi andava di scrivere due o tre capitoli in cui i due non si
parlavano. Ho preferito farli chiarire in fretta attraverso un “accordo”,
che ne pensi? Ho fatto bene?
Anche io a Jake lo preferisco di gran lunga con i capelli corti!!! Abbiamo li stessi
gusti!
Grazie anche alla tua recensione ti assicuro che il mio umore
è molto migliorato! GRAZIE
Ciauuuutesorina! Concordo con quello che hai scritto, anche a
me avrebbe dato fastidio, tanto da farmi espellere lo stesso se proprio fosse successa una cosa così!
MaEdward è
scemo. Pur di non perderla ha pensato di agire in questo modo anche contro
il parere di Isa.
Mi scuso se ho fatto arrivare il messaggio sbagliato che con i
soldi si ottiene tutto…non era nelle mie
intenzioni… anche se (aimè) nella vita ci sono
persone che vanno avanti così.
Il compromesso al quale sono arrivata è che Isa restituirà i
soldi lavorando (anche se ci vorrà un po’ di tempo). Che
ne pensi?
La recensione non faceva affatto schifo…
l’ho apprezzata molto.
Continua a farmi sapere che ne pensi della storia (mi sei
molto d’aiuto).
Tesora, ciau! Sono d’accordo con te. Jacob
passa sempre per l’antagonista che si intromette
nella relazione tra Edward e Bella! In questa ficJacob è il suo più grande
amico che vuole solo il meglio per lei! Per scoprire perché Eddy si
comporta così dovremmo aspettare un po’ comunque
la tua teoria non è sbagliata (la prima intendo).
Approfitto,
per chi non avesse visto l’aggiornamento per avvertire
che la scorsa settimana ho aggiornato ICE HEART (che non aggiornavo da un
pò ç__ç ). Ho notato che i commentini
sono calati moltissimo (dai 20 commenti a capitolo a 9 ç___ç). Per favore continuate a far sentire la vostra voce
attraverso le vostre opinioni. Grazie.
Piccola premessa: adoro Alice è uno dei
personaggi che amo di più. Non tutto quello che troverete in questo capitolo
rispecchia le mie idee e opinioni su questo personaggio (così in ogni caso mi
sono parata il cu- sedere ^^).
Premessa
2: non chiedetemi come mi vengono certe idee. Non lo so nemmeno io.
Ringrazio
moltissimo la mia beta barbyemarco! Vi
consiglio di andare a leggere anche le sue ff che sono tutte molto belle e appassionanti!
--------------------
Bad Girl
[Isabella
Swan]
Cap. fifteen –The
Devil Wears D&G
Ero
a casa, finalmente.
Tirai
un sospiro di sollievo.
Chiusi
la porta con ben cinque mandate di serratura, tanto
per essere sicura che quel folletto malefico non mi seguisse fin dentro la mia
camera.
Sbirciai
dalla tenda e vidi che Alice era ancora in macchina. Si accorse di me e mi
salutò con la manina prima di ripartire, finalmente.
Salii
goffamente le scale.
Se
fossi rotolata giù per la rampa forse avrei perso la
memoria e forse, dico forse, c’era una piccola eventualità di rimuovere dai
meandri del mio cervello le ultime ventiquattro ore… anzi facciamo pure
l’ultima settimana… abbondiamo: gli ultimi diciassette anni. Anche se ero certa
che, con la fortuna che mi ritrovavo, se fossi caduta
dalle scale sarei morta sul colpo.
Potevano
esistere giornate più merdose di questa?
No.
Poteva
andare peggio di così nelle prossime ore?
Impossibile.
Iniziavo
a pensare che essere nata di venerdì 17 avesse i suoi perché, dopotutto.
Lanciai
la borsa dall’altra parte della camera e mi buttai stancamente sul materasso
facendone cigolare le molle.
Avevo
litigato con Jess.
Una
di quelle litigate per le quali non bastava un sms
carino per tornare quelle di una volta.
Era
convintissima che la versione corretta fosse quella del suo povero e indifeso
Mike, secondo la quale – assurdo ma vero – io ci avrei provato con lui
e, quando luiaveva rifiutato le mie ricorrenti
e insistenti avances, accecata dalla rabbia l’avevo colpito, per evitare che
venisse a raccontarle l’accaduto.
Newton:
che cazzo ti scusi a fare se poi sei la solita merda di sempre?
E Jess era solo una povera illusa.
Non
ci avrei provato con Newton neanche se fosse l’unico
uomo sopravvissuto a seguito di un disastro nucleare, neanche se mi avessero
assicurato un premio mensile di 10.000 dollari e neanche se mi fossi trovata in
una situazione di astinenza acuta con tanto di ragnatele incorporate…e questo
perché, oltre ad avere una grave repulsione per quell’essere invertebrato, principalmente
perché non avrei mai fatto una cosa del genere ad una mia amica. Mai.
Avevo
cercato di spiegarle i fatti, senza alcun successo.
Aveva
persino blaterato frasi del tipo “io sì che sono un’amica vera. Ho sempre
ignorato le occhiatine che Edward mi riservava”.
Occhiatine
che vedeva solo lei, tra l’altro.
All’ennesima
mia delucidazione sull’accaduto – non avendo nessun altro modo di controbattere
– se n’era uscita con una frase che suonava
pressappoco così “anche se quello che dici fosse vero, che figura ci ho fatto
io con tutta la scuola? La figura di quella il cui ragazzo ci
prova con le altre?”.
Da
quest’ultima frase avevo capito tutto: non le importava di Newton e neanche di
chi dei due ci avesse realmente provato con l’altro, la cosa che le importava
maggiormente era di sé stessa e della reputazione che si sforzava di mantenere.
Le apparenze erano tutto per lei.
Come
avevo fatto a non capirlo prima? La sua amicizia, non appena mi ero trasferita
a Forks, non era che un modo come un altro per assicurarsi un posto al centro dell’attenzione.
Mentre rimuginavo, alcune lacrime mi
bagnavano le tempie e cadevano direttamente sul cuscino impregnandolo.
Non
piangevo solo per aver perso quella che credevo un’amica
ma per la rabbia che ancora avevo in corpo.
Se avessi potuto, avrei spaccato tutto.
Quante
volte avrei voluto un pungi ball in stanza? Tante.
Ecco ora l’avrei disintegrato a furia di calci e pugni.
Presi
un fazzoletto, mi asciugai le lacrime e mi soffiai sonoramente il naso.
Avevo
raccontato tutto ad Alice, una volta in macchina durante il viaggio per Port
Angeles. Mi aveva ascoltata, capita e consigliata.
Fin
qui era stata davvero perfetta e fantastica. Non avrei potuto chiedere di
meglio… finché non se n’era uscita con la frase, accompagnata da un bel
sorriso, “ io so quello che ci vuole per te! “.
Complice
la mia assoluta mancanza di collegare il cervello alle corde vocali e la mia
ingenuità, avevo avuto il malaugurato ardore di chiederle un semplice “ cosa? “.
Non
sapevo ancora cosa mi aspettasse neanche quando aveva risposto dolcemente “ un
po’ di sano shopping è quello che ci vuole! “.
Peccato
solo che io ed Alice avevamo due visioni
completamente discordanti del concetto di “sano shopping”.
Per
me quest’ultimo si articolava in poche semplici fasi che consistevano:
nell’entrare in un negozio con già un idea di quello
che serviva, verificare il prezzo, provare il vestito, pagare ed uscire. Se proprio avanzava del tempo con Angie e Jess ci
divertivamo a provare capi d’abbigliamento costosi che non potevamo permetterci
e fotografarci con il cellulare per poi pubblicare le foto sul nostro profilo
di Facebook.
Per
Alice, invece, la cosa era decisamente più articolata.
Tanto
per cominciare, appena entrate, la commessa ci aveva fulminato con lo sguardo e
per tutto il tempo era stata preda di uno strano tic
nervoso all’occhio destro, segno che conosceva molto bene Alice.
Timidamente,
a spalle curve si era avvicinata per chiederci se avevamo
bisogno di aiuto.
In
questo caso la frase magica era sempre: “grazie,
stiamo solo dando un occhiata”.
No.
Alice esordi con un < Grazie > e poi proseguì <abbiamo
bisogno di tutta la collezione Armani, Dolce & Gabbana e Gucci >
annoverò altri due stilisti di fama mondiale – presumibilmente francesi o
italiani- e poi continuò < Tutti i colori disponibili tranne il marrone e il
verde >.
La
commessa annuì affranta, a un passo dal suicidio,
pensai.
<
Taglie XS e > mi lanciò una rapida occhiata < S >.
E io che c’entravo adesso? Non potevo
quasi permettermi un “Pucci” o un “Dolce e Cabbana” dai
marocchini figuriamoci un Gucci originale!
A
nulla erano valse le mie proteste, le mie preghiere e i miei piagnucolii. Dopo un attenta e accurata selezione - secondo alcuni criteri a
me ignoti - mi aveva costretta a provare una quindicina di abiti. Tutti
bellissimi ma soprattutto costosissimi.
Alla
fine mi aveva messa di fronte ad una scelta.
Dinanzi
a me tre vestiti: uno corto nero incrociato sul
davanti, l’altro rosso con molte trasparenze “vedo-e-vedo” e l’ultimo a
fantasia floreale molto scollato sia dietro che davanti.
Mi
rifiutai di leggere le etichette e mi chiesi mentalmente se accettassero
pagamenti rateali alla cassa.
Dopo
un elenco dettagliato dei pro e dei contro di ogni
vestito stilato dalla folletta, scelsi quello nero.
Mentre
lei, senza battere ciglio, ne prese tre, tutti fantastici: uno azzurro con la
gonna stile ballerina classica e stretto sul petto che metteva in risalto il
suo seno e le sue gambe magre, l’altro nero a tubino con un cinturone in vita
molto sexy e provocante e l’ultimo, quello che preferivo
in assoluto, un vestito di Dolce & Gabbana bianco indossato anche da
Rihanna agli MTV Music Awards. Stupendo.
<
Cambiati. Io torno subito > fu proprio con questa
frase che mi fregò…
Pochi
minuti dopo scoprii che aveva pagato tutto lei, anche il mio abito.
No.
Forse sulla mia fronte a caratteri cubitali c’era scritto per caso “Caritas” e
io non lo sapevo?
Perché tutti si sentivano in dovere di spendere
dei soldi per me?
Quando la rimproverai rispose candidamente:
< ti serviva un vestito per la mia festa >.
Nonostante
il suo inutile tentativo di farmi gli occhioni dolci da cerbiatta, avevo
controbattuto irritata informandola che un vestito per la festa l’avevo già.
<
Ah sì? E quale? > Aveva chiesto ironicamente
alzando entrambe le sopracciglia < Quello grigio che hai
indossato per lo scorso ballo di primavera?>.
<
Perlato > ebbi la pessima idea di precisare.
Mi
guardò torva e fu così che scoprii un insegnamento che mi sarebbe servito
sicuramente in futuro: mai contraddire Alice su argomenti come la moda, i
colori, le collezioni, lo shopping, gli abbinamenti, gli accessori e gli
avvenimenti mondani.
Mai.
All’ennesima
spiegazione sul perché quest’anno il giallo paglierino era “out” mi accasciai
senza forze sul sedile del passeggero della sua auto intervenendo sporadicamente
con dei monosillabi alternati: “Sì”, ”Mhh”,”Certo” e
“Assolutamente”.
Arrivati
a Forks intravidi la via della salvezza.
Giunti
di fronte casa mia mi sembrò di udire persino un accorato coro di angeli.
<
Comunque questo vestito ti sta d’incanto >
riattaccò facendomi pure l’occhiolino < e poi voglio che Edward non ti dica
un semplice e banale “sei bellissima”, deve proprio rimanerci a bocca
aperta… anzi no, spalancata e deve dirti “sei assolutamente strepitosa”
> affermò inspiegabilmente eccitata con occhi sognanti.
Mi
affrettai a risponderle con uno svelto “grazie” prima di scendere dall’auto e
filare dritta dritta dentro casa.
Adesso
che ci pensavo: lei come diavolo faceva a sapere dell’invito di
Edward?
Sbuffando
adirata mi alzai dal letto e andai ad accedere il pc. Dovevo ancora cercami un lavoro.
Mentre aspettavo si caricasse, andai a fare
pipì, tornai e lo schermo era ancora sulla pagina iniziale del logo Microsoft
accompagnato da quella canzoncina idiota.
Maledii
Bill Gates e aspettai che il computer si svegliasse tamburellando con le dita
sulla scrivania.
Finalmente
l’immagine del desktop fece la sua apparizione.
Nella
foto io al centro, Angie a sinistra e Jess a destra con delle calze rosse al
posto dei guanti sulle mani. Immediatamente cambiai l’immagine optando
per quelle stupide colline verdi disabitate.
La
connessione si stabilì subito, forse il pc aveva capito
che oggi non era proprio il caso di farmi incazzare.
Digitai
le parole “Job Forks” sul motore di ricerca e aspettai che apparisse qualcosa di interessante.
Cuoco,
imbianchino e assistente calzolaio le uniche tre offerte.
<
Cazzo > imprecai, quando la mia attenzione fu catturata da un annuncio.
“Hai
buone doti comunicative?”
<
Sì > risposi al vento.
“Hai
voglia di divertirti?”
<
Cazzo, sì, ovvio > ribadii allo schermo.
“Hai
una bella presenza?”
<
Direi di sì >
“Allora
abbiamo il lavoro che fa per te!”
<
La escort? > Mi chiesi tra me e me.
“Vieni
a lavorare al nostro nuovissimo pub”
<
Volentieri > risposi mentre appuntavo l’indirizzo e i vari riferimenti.
<
Bene > sospirai soddisfatta.
Ma non era ancora finita.
Se
volevo raggiungere l’obiettivo di cinquantamila dollari in poco tempo dovevo fare molto di più che un semplice lavoretto
part-time. Dovevo vendere qualcosa, e dal momento che ero pressoché
nullatenente, l’unica cosa che potevo rifilare a qualcuno era il mio pick-up.
Andai
su e-bay.
Scelsi
una foto che avrebbe certamente catturato l’attenzione degli internauti uomini:
la mia immagine ammiccante sul pick-up quando ancora la vernice non si era del
tutto scrostata, e quotai il rottame centomila dollari tondi tondi. Forse qualche
stupido avrebbe abboccato, o per lo meno così speravo.
Sentii la porta d’ingresso sbattere con forza.
Charlie.
<
Bella, so che sei a casa. Scendi, dobbiamo parlare.
Subito > Quella voce non prometteva nulla di buono.
Opss.
Era già venuto a sapere della biblioteca?
Inspirai
una boccata di ossigeno e acari, e scesi in cucina
armata del sorrisino più ingenuo e innocente possibile.
<
Questa cos’è?> Sventolò dei fogli alla velocità
della luce.
<
No so. Carta? > Chiesi sarcastica.
<
Non mi sembra il momento di scherzare > disse e mi
lasciò i fogli in mano.
No.
Non si trattava della biblioteca.
Era
anche peggio: la bolletta del telefono.
Sbiancai.
Il
diversivo della donna in costume e del buono sconto al Mc aveva tenuto per poco.
<
DUECENTO DOLLARI DI BOLLETTA TRA TELEFONO E CONNESSIONE > urlò
indicando la cifra sul foglio.
Ma com’è che la scritta “Caritas” sulla mia fronte la
vedevano tutti fuorché lui?
<
Ritieni il pc e il telefono sequestrati fino a nuovo ordine>.
Quando
faceva così non era difficile immaginare che lavoro
facesse.
Non
poteva togliermi il pc e il telefono! Era come staccare i fili a un malato terminale.
Voleva
che vivessi da eremita senza contatti con il mondo esterno?
<
E non fare quella faccia. Avrai la scuola e le uscite
con gli amici e sappi che sono stato fin troppo
clemente con te >.
Lo
conoscevo fin troppo bene per sapere che tra qualche minuto avrebbe cambiato
idea privandomi anche di uscire la sera con gli amici. Dovevo anticiparlo e…
fregarlo.
<
Ch-papà > iniziai < Volevo parlarti di una cosa
>.
Mi
fissò allarmato. Sapevo cosa gli passava per la testa:
Incinta.incita.incita.incita.
<
Non sono incinta > parve tranquillizzarsi.
<
Conosci Alice Brandon? > La presi molto alla larga.
<
Sì, la figlia di Carl > rispose.
<
Ecco, vedi > tergiversai < è la presidentessa
del comitato per l’apertura di una biblioteca a Forks > continuai.
<
Sì, sono anni che si parla di questa biblioteca. A quanto
pare non ci sono i fondi, ma questo cosa centra? > Scosse la testa.
<
I fondi ci sono...adesso
> spiegai.
Mi
schiarii la voce con un colpetto di tosse e impiegai tutte le mie doti oratorie
da fare un baffo a Marco Antonio < e per l’operato
di un grande uomo, che da anni si occupa di riportare la giustizia nella nostra
cittadina rischiando egli stesso con la sua persona, si è deciso all’unanimità,
di dedicare quest’opera a Charlie Swan >.
Chiusi
gli occhi immaginando per un attimo lo scrosciare degli applausi della folla in
visibilio.
Il
mio futuro era in politica, assolutamente.
<
Mi prendi in giro? > Chiese ancora stranito.
<
Affatto > risposi < Volevo fosse una sorpresa ma
non sono riuscita a trattenermi >.
<
è da non credere > rise sotto i baffi visibilmente compiaciuto e borbottò tra sé e sé
frasi del tipo: “alla facciazza di Tony e Mich. Prendetevi questo. Ah ah!”
<
Missione compiuta > mi congratulai mentalmente con
l’omino del mio cervello.
Tanto
prima
o poi sarebbe venuto a saperlo e poi la biblioteca era “Biblioteca Swan” e non
“Biblioteca Isabella Swan”.
<
Ah! Signorina > mi chiamò < il telefono e il computer rimangono comunque sequestrati >.
<
Cazzo > imprecai sottovoce e mandai un sms ad
Angie.
---------
Ragazze
lo so che siete curiose, eccovi i vestiti che le due
pazze hanno comprato:
Ho
descritto la parte dello shopping (che in realtà potevo anche non mettere)
semplicemente perché volevo introdurre questa “amicizia” tra le due prima della
festa. Che ne dite? Ho fatto bene?
Per
la sorpresina di Emmett, mi sono sbagliata… ne parlo
nel prossimo… scusate!!!
Ringrazio
tantissimo le 13 tesore (abbiamo
stabilito un nuovo record) che hanno recensito lo scorso
capitolo… <3
Ciau Tesora, che bello leggere le
tue analisi/recensioni… non hai neanche idea di quanto mi facciano piacere!
Sono contenta che il compromesso ti
sia piaciuto!!! Non preoccuparti per “esserti
scaldata un po’ troppo” anzi, vuol dire che ti appassioni molto alla storia
^^ e poi ogni tanto recensioni di questo tipo ci vogliono (insomma si
capisce che dici quello che pensi e che sei assolutamente sincera)!!!
Anche io ho adorato la
scena dei due “tonni che si rincontrano” *me modesta*. No, è che me la sono
immaginata bene…tipo che nella testa mi facevo i film, hai presente?
Per quanto riguarda Robert Pattinson
mi piace, non posso mentirti su questo ma non credo sia al primo posto
della mia lista degli uomini da sposare…hihi.E poi, non so se
hai notato, in questa fic Edward è interpretato da Michael Murray…di lui
che ne pensi? (lo scelto perché rispetto a Rob ha la faccia meno da bravo
ragazzo, non trovi?).
Spigolone… ahahahahahaahahha! Ho
riso mezzora!
Davvero credi fosse
un finale perfetto ? e io che volevo cancellarla quella scena !!! GRAZIE!
”Non ti rendi conto di quanto, anche con una semplice
frase, riesci a coinvolgerci subito? E poi, la vita attraverso gli
occhi di Isa è uno spasso: il suo umorismo, delle
volte tagliente e cinico, mi ha conquistato!” questo complimento è
bellissimooooooooooo non so davvero come ringraziarti!
Di questo capitolo che ne pensi? Mentre scrivevo il pezzo dello shopping pensavo a te che mi maledivi. So che odi queste
cose ma non ho potuto fare a meno (anche negli originali Alice acquista
spesso abiti per Bella). Insomma,non me ne volere.
n.d.a. : non è una strana sigla in codice alieno
vuol dire Nota Dell’Autrice! (Però ora sono
curiosa di sapere le “peggio sigle” che ti sono saltate in testa).
È pensare che l’ultimo pezzo lo volevo
eliminare … che bello sapere che ti sei fatta 4 risate accasciata sulla
tastiera! Ahah questo mi rende molto felice perché uno dei miei intenti è
quello di farvi ridere!
Spero di leggere il tuo commento anche a questo capitolo!
Jessica è una cretina. Non mi è mai stata troppo simpatica e avevo bisogno di “eliminarla” in qualche modo… e così si
è scoperto il suo lato falso e ipocrita!
Sono d’accordo con te riguardo a Mike e vedrai che non è
finita…
Isa in questo caso lo preferisco a Bella…
Bella mi sa di ragazza timida e impacciata, Isa è sicuramente più
adeguato!
Grazie per tutti i bellissimi complimenti, spero tanto che
anche questo ti sia piaciuto!
non ti preoccupare per il ritardo sei
stata fantastica con le correzioni (ti avrò fatto impazzire con tutti gli
errori). Questa volta ho seguito molto i tuoi consigli.
Grazie tesora per quello che hai scritto! Il capitolo non lo
disconosco e lo lascio così com’è! Spero che anche questo ti sia piaciuto!O
avresti preferito dell’altro? Accetto volentieri i tuoi consigli e le tue
opinioni!
Per quanto riguarda Mike a tutto c’è
un perché… non ho voluto sottolinearlo molto nel capitolo, ma diciamo che
scusarsi non era proprio tra le sue priorità…diciamo pure che è stato leggermente
spinto a farlo…
Cmq con Mike ne vedremo ancora delle belle.
Rispondo anche all’ultima tua domanda: sì, è stato Edward ha
spegnere il riscaldamento!
Spero di leggere presto il tuo commento su questo. Bacioni, Eli
Mi sembra di capire che ti piace molto Alice…in questo
capitolo era molto presente…anche se ha fatto
passare una giornataccia alla nostra Isa…ihihihihiihih!
GRAZIE a chi ha inserito
la ff tra le preferite/seguite e chi legge.
Per chi non è ancora
registrato consiglio di farlo, è facile è veloce e in più permette di seguire
le storie e sapere se i propri autori preferiti hanno aggiornato o meno.
Prima
o poi
mi faranno chiudere con le mie storie… ma per il momento vi posto un altro
capitoletto!
Premessa: Troverete duePOV uno della nostra Isa,
uno di Emmett (è la prima volta che scrivo
qualcosa dal suo punto di vista… siate clementi).
Premessa2: il POV di Emmett
è rosso/red/rouge soprattutto nel pezzo racchiuso in questo simbolo n quindi mi raccomando di saltarlo a pie pari se siete minori
(a tal proposito volevo chiedervi se è il caso di cambiare rating)
Ringrazio
la mia beta/consigliera barbyemarco che mi
ha corretto il capitolo ben due volte (povera) - GRAZIE TESORO.
--------------------
Bad Girl
[Isabella Swan]
Cap. Sixteen –
Who’s that girl?
< ‘Giorno > salutai con un sorriso un ominide di sesso
maschile che mi fissò per un attimo stupefatto. Probabilmente si chiedeva se
stessi salutando proprio lui, o se avesse avuto l’ennesima allucinazione
mattutina.
Oggi
era una di quelle giornate in cui niente e nessuno poteva essere in grado di
rovinarmi l’umore. Mi sentivo stranamente radiosa e … felice?
Ero
impazzita?
Gli
ormoni iniziavano a farmi brutti scherzi?
Era
l’aria di primavera?
O
semplicemente l’odore dierba fresca?
No.
Niente di tutto questo.
Semplicemente
oggi mi andava così.
E
tentare di capirmi era praticamente impossibile.
Era
più facile che stamattina inciampassi fortuitamente nel Sacro Graal e che
scoprissi il quarto segreto di Fatima piuttosto che cercare di capire cosa mi
passasse in mente.
Diciamo
che mi ero alzata col piede giusto… e basta.
Avevo
accantonato in un angolino remoto del mio cervello
tutte le sfighe dei giorni precedenti. Avevo deciso che non mi
importava nel mio nuovo abitino super-fashion, della confisca forzata
dei miei beni da parte di Charlie e neanche di quella cucciacazzi di
Jess… non mi importava di nulla, insomma.
Sorridi
e la vita ti sorride... no?
Ecco,
io avrei riso così tanto da farmi venire una paralisi facciale.
Avevo
dormito fantasticamente, mangiato un muffin cioccolatoso e poi… e poi tra poco
avrei visto quel gran-pezzo-di-gnocco di Edward
Cullen… Cosa avrei potuto chiedere di più? (n.d.a. un
amaro lucano J)
Mi
avviai con passo veloce verso l’entrata.
<
Lasciate ogni speranza voi che entrate > dissi
teatralmente varcando la soglia.
Alcuni
studenti risero della battuta e un professore mi guardò torvo.
Notai
che la mia allegria era contagiosa: più sorridevo e più gli altri studenti mi
sorridevano di rimando...
Un
sorriso a te. Uno a te, e uno a te strana forma di essere
vivente…
Mentre
ero intenta a dispensare sorrisi a tutti, riconobbi la chioma castana di Angela poco lontano.
<
Angie! > Chiamai la mia socia che si voltò e mi venne incontro.
<
Ciao Isa > mi salutò.
Le
sorrisi raggiante.
<
Che c’è? Perché ridi? >
Chiese titubante.
<
Niente. Non posso ridere? >
<
No... Sbaglio, o tuo padre ieri ti ha sequestrato telefono
e Internet? > Mi ricordò.
<
Esatto > risposi < ma mi va di ridere lo stesso
> sorrisi ancora di più, se possibile.
<
Chiunque tu sia > mi puntò minacciosa un indice in faccia < Esci dal corpo della mia amica > mi afferrò le braccia e
mi scosse avanti indietro ripetutamente.
<
Okay > strillai per farla smettere.
<
Ti sei ripresa? >.
<
Sì>.
Tirò
un sospiro di sollievo.
<
Ci vediamo dopo? > Mi chiese continuando a camminare verso la sua prossima
lezione.
Assentii
con un cenno della testa.
<
Vedi di non farti trovare di nuovo con quella strana paralisi della faccia. Non
è da te > vociò prima di sparire.
Aveva
proprio ragione.
Da
quanto tempo non sorridevo? Non sorridevo davvero... non
parlo dei sorrisi falsi di stamattina…
Da
quanto tempo non sorridevo spontaneamente ?
Da
tanto...
Da
troppo.
<
Hei Isa > trillò Alice con la sua solita energia.
<
Sì, satana? > Scherzai imitando alla perfezione la voce di
Ice Ventura (n.d.a. il
video).
Rise
e mi unii a lei.
<
Ti vedo… contenta > constatò.
Annuii
sorridente.
Poi
si sporse per guardare al di là delle mie spalle <
Credo stia arrivando E… > non le feci neanche terminare la frase facendole
segno di zittirsi con un dito.
Sapevo
già di chi stava parlando.
Certe
cose una donna le sente…
Decisi
di prendere la palla al balzo…
<
Alice, credo proprio che adesso mi volterò e bacerò il
primo ragazzo che mi troverò davanti > scandii bene le parole in modo che lui
mi sentisse.
Alice
mi fissò per un attimo stranita e poi fece spallucce.
Mi
voltai con il mio miglior sorriso.
E…E R I C
<
Eric? > Dissi disgustata.
Ammiccò
sorridente.
<
Sto aspettando > disse indicandosi con l’indice quella sottospecie di cavità
inesplorata posta in posizione “culo di gallina” quale
doveva essere la sua bocca.
< Sparisci > ordinai
bruscamente.
Bye
bye buonumore…
Alice
scoppiò a ridere divertita e la fulminai con uno sguardo assassino.
Niente.
La sfiga non voleva proprio mollarmi.
Forse
oggi era il caso di rifugiarmi in un posto sicuro e starmene ferma immobile
limitando al massimo i danni.
[Emmett Cullen]
Non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso.
Continuavo
a fissarle quelle gambe lunghe e lisce.
Mi
passai la lingua sulle labbra pregustando il momento di assaporare la sua pelle
ancora una volta.
Cazzo
Em, riprenditi!
Parlava
con le sue amiche, ma si vedeva lontano un miglio che non prestava loro la
minima attenzione.
Quando poteva mi lanciava delle occhiatine
eloquenti e io, di rimando, la guardavo con un ghigno divertito.
<
Ti devo parlare > lessi il suo labiale e sentii
nitidamente il suo bisbiglio, dopo qualche attimo si alzò.
Una
folata del suo delizioso odore mi investì.
Non
me lo feci ripetere due volte.
Aspettai
qualche minuto per non destare troppi sospetti e poi la seguii.
Vidi
che entrava in uno stanzino, mi guardai attorno per accettarmi che non ci fosse
nessuno, e le andai dietro.
<
Emmett > iniziò con tono fermo.
Il
suo sguardo era duro e le braccia erano intrecciate sotto il seno.
Sebbene la stanza fosse poco illuminata
riuscii a scorgere ogni singolo dettaglio del suo viso accigliato e come sempre
bellissimo.
<
è meglio che la finiamo qua > disse tutto d’un fiato come per volersi liberare da un peso.
Ressi
al suo sguardo di ghiaccio nonostante le sue parole bruciassero con più
intensità di una zampata di orso in piena schiena.
Appoggiai
le spalle contro il muro e adottai la sua stessa posizione allacciando le
braccia attorno al petto.
<
è quello che vuoi? > Chiesi
come se la cosa non mi sfiorasse minimamente.
Dio, se faceva male…
<
No > sospirò < è
solo la cosa più giusta >.
Risi
amaramente.
<
Proprio tu parli di giusto
o sbagliato? > Le scagliai addosso le mie
parole come fossero lame taglienti.
Proprio
lei che si divertiva a giocare contemporaneamente con i sentimenti di due
ragazzi?
Lei
che si scopava un altro – me - all’insaputa del suo fidanzato?
Lei
che manteneva in un equilibrio instabile due cuori contemporaneamente?
Immaginai
per un attimo di trovarmi in equilibrio su un filo di nylon sottilissimo.
<
Sai cosa penso? > Le chiesi retorico, e senza aspettare che parlasse
continuai < Sei solo un’ipocrita egoista >.
Il
solo pensiero che avesse sceltolui mi fece
gelare il poco sangue in circolo nelle vene.
Strinsi
le mani in pugni e cercai di controllarmi. Chiusi gli occhi in cerca di
quell’autocontrollo che però non sopravveniva.
Se avessi potuto avrei ridotto a
brandelli ogni cosa.
<
Basta > sibilò tra le labbra.
Come
se fosse sufficiente per cancellare quell’inspiegabile elettricità che non ci
permetteva di allontanarci l’uno dall’altra.
Anche lei lo sapeva...
Distolse
lo sguardo dal mio e fu proprio in quell’istante che intravidi
una possibilità.
Mi
avvicinai con uno scatto al suo corpo. Le posai entrambe le mani sul viso e le spostai i capelli biondi dalla fronte incollando i suoi
occhi ai miei.
<
Dimmi che non mi vuoi e io sparirò dalla tua vita > le soffiai sulle labbra deciso.
<
Dimmi che ami lui e non ti darò più fastidio. Dimmelo! > Continuai
inducendola a parlare.
Non
rispose ma non c’era silenzio più eloquente di questo.
Accarezzai
le sue labbra morbide che al contatto con il mio pollice freddo si schiusero, e
mi girai per andarmene sia da quel posto che dalla sua
vita.
<
Aspetta > mi fermò ma non mi voltai. Non volevo più
guardarla.
Afferrò
il mio braccio e mi lasciai trasportare.
I
nostri sguardi si trovarono nuovamente. Ghiaccio e miele fusi insieme.
<
No > disse solamente.
<
No, cosa? > scandii bene le parole.
<
Non lo amo > ammise e si lanciò tra le mie braccia
premendo il viso contro il mio petto.
Sentii
l’odore salino
delle sue lacrime e la maglietta bagnarsi.
All’apparenza
così forte e all’interno così fragile…
Presi
il suo mento tra le mani e la invitai ad alzare il suo viso.
Asciugai
i suoi occhi con le dita.
n
Era
un angelo e un diavolo combinati in un'unica persona.
Le
sorrisi dolce
e in risposta mi baciò leggero sulle labbra uno, due, tre… varie volte.
Mi
impadronii della
sua bocca e la baciai con passione, con urgenza.
Era
mia…
Le
nostre lingue si incontrarono ansiose e frenetiche
lasciandoci sporadiche occasione per prendere aria.
Mordicchiò
il labbro inferiore imprigionandolo tra le sue labbra. Se
fossi stato umano avrei quasi certamente sentito dolore.
Accarezzai
le sue gambe e lentamente risalii fino a sotto la gonna.
Sussultò
al contatto della mia pelle fredda.
Strinsi
le mie mani sul suo sedere sodo e massaggiai le natiche con un movimento
circolare spingendola verso di me.
Si
lasciò scappare dalle labbra un sospiro di piacere che mi eccitò oltre il
lecito.
Senza
smettere di baciarla scesi a sbottonarle la camicetta della divisa.
Mi
estasiai ancora una volta della visione del suo magnifico corpo. Non mi sarei
mai stancato di contemplarla.
Mi
sfilò la maglietta a maniche corte e tracciò i contorni dei miei addominali
scolpiti afferrandomi poi per la cintola dei pantaloni per spingermi ancora
verso di se.
Le
liberai i seni, lasciando che il reggiseno raggiungesse il pavimento, e scesi a
baciarglieli con impeto.
<
Emmett > gemette pronunciando il mio nome quando con la lingua giocai con
uno dei suoi capezzoli.
Presi
qualche secondo
per godermi l’espressione di godimento sul suo volto. Qualcosa di unico e indescrivibile: i capelli spettinati le donavano
un’aria quasi selvaggia, le labbra rosee e carnose leggermente dischiuse mi
lasciavano sprofondare nelle più indicibili fantasie erotiche…
Passò
una mano fra i miei capelli scompigliandone i ricci e mi condusse ancora verso
il suo petto. Ripresi a giocare con i capezzoli
mordicchiandoli delicatamente.
Accarezzai
lentamente la sua schiena nuda, la sua vita sottile, il suo collo così
invitante per noi vampiri e i suoi capelli morbidi beandomi dei suoi gemiti.
Riuscii
a percepire l’odore della sua eccitazione. L’aria oramai ne era
satura.
Mi
inebriai di quel
nettare pungente e così invitante che i miei istinti selvaggi presero il
sopravvento. Quasi certamente i miei occhi erano nero pece.
Scostai
la stoffa delle sue mutandine bagnate e accarezzai la sua femminilità
delicatamente.
Emise
un verso di piacere e si spinse con il bacino verso le mie dita.
Mi
liberai dei jeans e dei boxer con facilità mentre
anche il suo ultimo indumento veniva eliminato.
Con
un piccolo saltello si avvolse al mio corpo incrociando le gambe dietro la mia
schiena. Sebbene riuscissi a tenerla con facilità la feci
cozzare con la schiena contro il muro.
Le
nostre sessualità si toccarono appena.
Intenzionalmente
presi a sfiorarle il sesso con il mio membro più e più volte, giocando con la
sua parte più intima.
Mi
introdussi in lei
solo con l’estremità e di nuovo uscii velocemente.
Mugugnò
lagnandosi sempre più impaziente.
<
Dimmi che mi vuoi > le sussurrai all’orecchio.
Ho
bisogno di sentirtelo dire…
<
Sì > riuscì a sussurrare mentre continuavo la piacevole tortura.
Non
mi bastava...
<
Dì che mi desideri > continuai.
<
Emmett, ti voglio > Scandì con voce più acuta e
ferma < Ora >.
Entrai
finalmente in lei con tutto me stesso.
Completandoci.
Mi
mossi sempre con più vigore finché non sentii una fiammata di calore avvolgermi
totalmente e le sue labbra stringersi convulsamente attorno a me facendomi
letteralmente impazzire.
Il
suo cuore batteva all’impazzata e il suo respiro era ansante.
Ma non era ancora finita…
Entrai
ancora in lei con una spinta facendole ripetutamente
pronunciare il mio nome.
Prolungai
così la sua estasi e anche io finalmente mi lasciai andare dentro di lei beandomi
del suo calore.
Appoggiò
la sua testa nell’incavo del mio collo esausta e si calmò. Anche
i battiti del suo cuore tornarono gradualmente regolari.
Da
tigre a gattina…
n
<
Tutto bene? > Le sussurrai baciandole i capelli.
Si
voltò verso di me soffiandomi sul collo < mai stata meglio > mi sorrise
stringendosi di più al mio corpo.
Me
ne compiacqui. Lui non le faceva provare le stesse emozioni.
Sarei
potuto rimanere così per sempre. In questa posizione per l’eternità...
Io,
lei e nessun’altro.
Ma la realtà non era questa. La realtà
faceva dannatamente male.
---------
Mi
sa che siete ancora così O__O…
Scusate
ma io vi avevo avvertito…mi spiace ma quando si tratta di quel figo di Emmett non posso di certo restare troppo sul soft…(che
volete farci io me lo immagino così… anzi, in realtà me l’immagino anche peggio
hihiihihii).
Forse
il POV di Emmett vi sembrerà troppo riflessivo e
profondo per uno come lui ma secondo me quando si tratta di emozioni e
sentimenti anche il nostro Emmy-pooh sa essere dolce/romantico, no? Che ne pensate?
Sappiate
che all’inizio il POV di Isa ha un suo perché… ù.ù ma
non vi dico altro.
Area sondaggio
1. le fotine nel capitolo vi piacciono o è meglio toglierle? (sempre che le vediate)
2. rinnovo la domanda fatta
sopra: devo cambiare rating?sinceramente non
so se metterò altri capitoli così hot ma mi dispiacerebbe togliere la
possibilità di leggere tutta la storia a molti/molte solo per alcuni
capitoli.
A
proposito delle fotine, visto che sicuramente non
leggerete cosa c’è scritto, ve lo scrivo qui.
Nella
prima ho preso una frase del capitolo “Sorridi e la vita ti sorride...no?
Ecco, io avrei riso così tanto da farmi venire una paralisi facciale”; nell’altra
c’è un pezzo della canzone di Masini “Bella stronza” (ascoltatela).
Ringrazio
tantissimo le 11 tesore che hanno recensito lo scorso capitolo…
<3GRAZIE SIETE
FANTASTICHE!
Ahah!anche io vorrei incontrati su
msn qualche volta … ma si vede che abbiamo orari diversi L! Per la patente faccio le comiche (povero istruttore u.u). speriamo di
riuscire a dare l’esame per il 13 *me incrocia le dita*. Cmq ti
racconterò…ahahaha!
Mi hai incuriosito con Merlin… vedrò
di trovarlo su internet!!! Poi ti saprò dire senz’altro chi dei due
preferisco ;)!
Grazie tesora per tutti i complimenti che mi fai!!! Davvero lo scorso capitolo è quello che ti ha fatto
ridere di più? Che bellooooooooo! *me troppo
felice*
Di questo capitolo che ne pensi?
club anti Jessica? Certo che ci sto!
Aaahhahahah… troviamo un modo per sbarazzarcene definitivamente.
Che bello che ti ho fatto ridere nello scorso capitolo!!! Non sai quanto mi faccia piacere sentirtelo dire. E
poi io adoro Alice… se non fosse che ho 22 anni e
che il mio ragazzo mi avrebbe letteralmente uccisa questo halloween mi
sarei vestita da lei…sisi…
Di questo che ne pensi? Troppo spinto? Aiuto! Fammi sapere
qualcosa!
Ciao tesora! Grazie per tutti i
complimenti!!!!!!!!! che bellooooooo sentire che
quello che scrivo non è solo una perdita di tempo… se so che da qualche
parte c’è qualcuno che ride/sorride di quello che scrivo… è qualcosa di
assolutamente stupendo! Quindi GRAZIE DAVVERO! Di
questo capitolo che mi dici? Troppo? È il caso di cancellarlo e sostituirlo
con qualcosa di più soft? Cambio rating?Fammi
sapere. bacioni
Direi che sono riuscita nel mio intento: non hai avuto tempo
per irritarti perché subito dopo ho inserito la parte della Caritas…!
Ahaha! Bene.
io e il mio rapporto con lo shopping:
una via di mezzo tra Alice e Isa. Dipende dalla giornata. Cmq in linea di
massima sono veloce (odio stare nel camerino a provare mille vestiti).
Sono contenta che il vestito di Isa
ti piaccia!!! Ho optato per qualcosa di elegante ma semplice e d’effetto e
credo di averne trovato uno che si addiceva perfettamente a quello che
avevo in testa!
Domanda: chi è il tuo primo marito? Se il secondo è Michael
Chad Murray… non oso immaginare proprio chi possa
essere il primo!!!
Per quanto riguarda Jess stendiamo un velo pietoso…
Grazie mille per tutti i complimenti e per le recensioni che
mi lasci!
Grazie tesora per la recensione e per i complimenti! Si, adoro
Rob ma in questo caso mi serviva un Eddy meno
dolce e credo che Chad Murray sia perfetto!
Chi credi che sia la ragazza con
Emmett? Vedremo che succede… hihih
Io bene a parte che ho
l’esame di guida venerdì 13. AIUTOOOO! Okay… non vi interessa, lo so.
Sinceramente credevo
che lo scorso capitolo facesse più clamore…
Va bèh…
Dopo il capitolo
pervertito direi di tornare nuovamente sui nostri passi con un capitolo della
nostra Isa.
Ringrazio
la mia beta/consigliera barbyemarco- GRAZIE TESORO.
--------------------
Bad Girl
[Isabella Swan]
Cap. Seventeen –Mistery, Music
and Job.
OhMioDioo OhMioDioo OhMioDioo OhMioDioo
OhMioDioo OhMioDioo OhMioDioo OhMioDioo
OhMioDioo OhMioDioo OhMioDioo OhMioDioo
<
Okay, calmati e respira > ripetei reggendomi al bordo del lavandino.
Non
potevo ancora crederci.
Ero
da poco entrata nel mio personale rifugio - lo sgabuzzino – in cerca di un po’
di tranquillità, avevo aperto l’anta scorrevole del posticcio armadio in legno
e mi ero infilata tra una mensola e l’altra, chiudendomi poi dentro, con
l’intento di ascoltare il mio i-pod...quando sentii la porta aprirsi e
richiudersi.
Pensando
fosse qualche professore, avevo fatto in modo di restare più nascosta possibile
fermando la musica e limitando al massimo ogni rumore.
Altro
che professore…
Quando
avevo realizzato cosa stava per accedere era ormai troppo tardi per uscirmene
con frasi del tipo “emh scusate… mi fate passare?”
Deglutii
a fatica solo al ricordo.
Non
avevo mai assistito a qualcosa di così disgustoso e, al tempo stesso, così…
eccitante.
Non
riuscivo a togliermi quelle immagini dalla testa.
Un
ragazzo e una ragazza. Avvinghiati. O sarebbe meglio definirli inglobati,
tanto da non capire dove finiva uno e iniziava l’altro…
Ero
sicura che il ragazzo fosse Emmett. Per due motivi: primo, la ragazza continuava
a ripetere il suo nome fino all’esasperazione; e secondo, era lui, punto, non
c’era bisogno di aggiungere altro…
Diciamo
solo che la storia della “L” è una stronzata inventata da qualche nanetto
megalomane. Ne avevo appena avuto una controprova assai soddisfacente.
Ma
lei chi era?
Bionda.
Fisico statuario. Tatuaggio a forma di rosa sulla schiena…
Mhh,
il campo si restringeva parecchio…
Ma
in fondo che mi importava?
Saranno
pure affari loro, no?
<
Isa? Ci sei? > Qualcuno richiamò la mia attenzione sventolandomi una mano
davanti agli occhi.
Angie.
<
Mhh, si > mi ripresi focalizzando il suo viso.
<
Conosci una ragazza bionda con un tatuaggio a forma di rosa?> Chiesi senza
neanche prendere aria tra una parola e l’altra.
Ottimo
Isa! Menomale che non ti importava…
Ci
pensò per un attimo.
<
Sì, Debby Sunders! È una cheerleader e ha un tatuaggio così, perché? > Angie
sembrava perplessa.
Certo
Debby! Come avevo fatto a non pensarci prima? E poi, c’era qualcuno che non si fosse
ancora fatto?
Se
non sbaglio stava con Steve…ma a quanto pareva non era molto fedele…
<
Scusa ma io proprio non ti capisco >.
<
Dove stata tutto questo tempo? > Mi interrogò la mia amica.
Sbuffò
esasperata roteando gli occhi verso l’alto.
<
Ora che ne dici di andare a pranzo?>.
<
Sì, certo > la seguii.
Il
problema ora era uno: come avrei fatto a guardare in faccia Emmett senza
scoppiare a ridere?
Mi
armai di tutta la (poca) serietà che avevo in corpo ed entrai in caffetteria
decisa.
Scorsi
subito il nostro tavolo.
<
Bene > tirai un sospiro di sollievo. Emmett non era ancora arrivato.
<
Ciao ragazze >. Ci salutarono sorridenti Jazz e Ed mentre noi ci
accomodavamo.
<
Ciao > li salutammo in coro.
Edward
mi guardò divertito < Mi hanno detto che stamattina volevi baciare Eric…
>.
Alzai
entrambe le sopracciglia dapprima stupita.
<
Solo perché pensavo fossi tu > risposi calma infilandomi in bocca la
cannuccia della Coca.
<
Ah > rimase spiazzato dalla mia schiettezza.
<
Mi sa che hai bisogno di un paio di occhiali > mi schernì.
<
Perché? Sembrate gemelli! > Scherzai. Avevo pressoché bestemmiato. Paragonare
Edward a Eric era come paragonare il cioccolato alla merda.
Sfiorai
la mano di Edward che mi risultò ghiacciata.
<
Ma tu sei sempre così freddo? > Mi lamentai.
<
Se appoggio la lingua sul tuo braccio mi rimane appiccicata?> Infierii
ironicamente.
<
Dipende da dove l’appoggi…> rispose Jazz alquanto maliziosamente.
Edward
non trattenne una risata e gli diede il cinque e anche io e Angie iniziammo a
ridere.
<
Per stasera?> Mi chiese, poi, tornando serio.
<
Mi passi a prendere per le nove, va bene?>
<
Perfetto > confermò.
<
Ah! Allora ricordati che mi devi un bacio... > disse riferendosi all’
equivoco con Eric.
Anche
due…
<
Emmett? > Chiese poi Angie.
Iniziai
a tossire: la Coca-cola mi era andata di traverso. Ancora poco e mi sarebbe
uscita dal naso…
<
Credo sia in giro > disse Jazz giocherellando con il cibo dentro il piatto
< ha detto che aveva una cosa da fare >
Ancora?
Mi
voltai con non-chalance – neanche troppa a dirla tutta - verso il tavolo delle
cheerleader.
Indovinate
chi mancava?
Debby
Sunders.
___
<
La finisci di fare quella faccia imbronciata?> Mi chiese Edward distogliendo
per un attimo lo sguardo dalla strada.
<
Non è mica colpa mia se il tuo rott- Pick-up non parte! > Rise.
Il
pick-up era morto nel parcheggio della scuola e adesso mi ritrovavo sul sedile del
passeggero della Volvo di io-sì-che-sono-figo-Cullen che gentilmente si
era offerto di accompagnarmi a casa.
Ringraziai
il cielo che Emmett avesse il test di ammissione per entrare a far parte dalla
squadra di football, altrimenti avrei avuto delle serie difficoltà a restare
seria per tutto il tragitto.
Jasper,
invece, si era ricordato proprio all’ultimo momento di avere degli impegni dopo
scuola.A chi voleva darla a bere? Come
se fossi così tonta da non capire che l’aveva fatto apposta.
<
Sempre meglio della tua auto da vecchi > risposi acida.
E
con quell’affermazione non mi riferivo di certo al modello dell’auto – che tra
l’altro adoravo - ma allo stato in cui era tenuta. Tappetini completamente
puliti, sedili senza la ben che minima macchia e per niente sgualciti, neanche
un’ammaccatura, e quel che è peggio: l’odore di nuovo che ancora si respirava
all’interno…
Dio,
Edward devo insegnarti tutto io?
Si
sporse ad accendere lo stereo e sintonizzò su una stazione che trasmetteva
pezzi degli anni Settanta.
Non
ci siamo proprio…
Dopo
“Radio Maria” quella era la seconda frequenza assolutamente da evitare.
<
Senza offesa, Edward. Ma davvero tu ascolti questa roba? > Chiesi schietta
lasciando trasparire la mia avversione per questo genere.
Bèh
qualche difetto doveva pur averlo…
Rise
senza alcun ritegno.
<
Gli anni Settanta hanno segnato un’ epoca > puntualizzò convinto.
<
Senza questa musica non ci sarebbe quella attuale. Vedi? Nasce tutto da
questo> disse alzando anche il volume per enfatizzare il suo discorso.
<
Anche io nasco da mia madre. Che vuol dire? Io sono meglio > ribattei senza
pensare.
Mi
guardò storto.
<
Okay, okay > ammisi alzando le mani < Paragone del cazzo, scusa >.
Rise.
<
Ciò non toglie che – scusa se te lo dico – a volte sembri proprio mio nonno
> precisai.
<
Non mi avevi mai detto di avere un nonno così bello >
<
…e modesto > continuai io.
Rise
irradiando ancor di più la sua bellezza, se possibile.
___
< Ahahaha! Angie ti giuro > risi
al telefono come una cretina e mi lanciai sul letto ancora avvolta
nell’asciugamano. I capelli bagnati prendevano un colore rosso scuro, quasi
tendente al nero.
Erano
quasi due ore che eravamo al telefono.
<
Non posso crederci! È dopo averlo assaggiato lui cosa ti ha detto? > Chiese
la mia amica curiosa.
<
Ha fatto un’espressione strana come quando un bambino assaggia qualcosa per la
prima volta, e poi mi guarda e mi fa “sei assunta” >.
<
Sei grande! > Si complimentò.
Nel
pomeriggio ero andata a fare il colloquio al pub prendendo in prestito – a sua
insaputa- la volante di Charlie.
Un
posticino carino alle porte di Forks. Credo che prima quel locale fosse una
macelleria o qualcosa del genere.
In
un primo momento il proprietario credeva fossi un’ispettrice sanitaria (come si
fa a scambiarmi per un’ispettrice sanitaria, lo sa solo lui…) ma poi si era
fidato.
Mi
aveva messo alla prova chiedendomi se sapevo fare qualche cocktail e io l’avevo
stupito con un drink di mia invenzione: il charlie’s angels.
Era
un cocktail nato in una serata di assoluto fancazzismo a casa di Jess. Fuori
pioveva, perciò avevamo deciso di
rimanere a casa a ubriacarci.
L’armadietto
degli alcolici del padre di Jess era meno fornito del minibar del più squallido
motel, per cui avevamo dovuto arrangiarci con ciò che c’era.
Ne
era venuto fuori un intruglio verdastro-raddiattivo di dubbia bontà.
Assaggiandolo, però, ci eravamo ricredute, certo il sapore di prezzemolo si
sentiva più del dovuto, ma a parte quel piccolo inconveniente, il gusto era più
che gradevole. E anche al proprietario aveva fatto la stessa impressione, tanto
da volerlo inserire nella lista.
La
mia anima di procacciatrice di affari non era di certo rimasta in ascolto:
avevo fatto prevalere subito i “diritti di brevetto” della mia invenzione
chiedendogli la quota di due dollari (sui 5 del costo) su ogni ordinazione del
charlie’s angels e lui (ingenuamente) aveva accettato.
Illuso. Come minimo avrei consigliato
all’novantanovevirgolanovepercento della clientela quel drink.
Si
prevedevano guadagni extra…
Il
mio futuro non era in politica, era nel commercio.
<
E quando cominci?> Chiese
<
Sabato sera> Sbuffai giocando distrattamente con una ciocca di capelli.
Ecco
l’unico inconveniente di lavorare in un pub…
<
Bèh, se ti va possiamo venire da te a farti compagnia > propose.
<
Davvero? Oh Grazie! > Amavo quella ragazza.
<
Certo > rise < Prometto di prendere il Charlie’s Angels >
<
Come minimo > rimarcai.
<
Stasera che metti? L’abito perla?> Chiese cambiando discorso.
<
No > risposi prontamente.
<
Ne indosso uno nuovo >.
<
Una cosuccia così… > spiegai.
Definire
quel vestito “una cosuccia così” era da pazzi.
Immaginai
il vestito prendere vita, fluttuare lievemente fino al letto e strangolarmi con
charme.
<
Anche io ne metto uno nuovo. Vedrai… >
<
Colore? > Chiesi mentre infilavo le mutande tenendomi in equilibrio su un
piede.
<
Giallo >
<
Mh, paglierino? >
<
Sì, come lo sai? >
Oh
oh! Forse era il caso di non farsi vedere da Alice
<
Intuizione femminile > risposi solamente, non era il caso di abbatterla con
discorsi sulla moda.
<
Adesso forse è meglio che vada a prepararmi >.
<
Sì, certo! Stavo per dirti la stessa cosa> concordò.
<
Ci vediamo dopo. Bacio. Smack > e riappesi.
<
Cazzo > imprecai ad alta voce.
Erano
le otto e un quarto e ancora dovevo asciugarmi i capelli, vestimi e truccarmi.
Dovevo
fare presto. Non volevo che Edward pensasse che fossi una di quelle ragazze
vanitose che ci mettono un’eternità a prepararsi.
---------
Okay
i pomodori dopo, grazie…
Che
ne pensate?
Per
quanto riguarda Isa non vorrei fosse classificata come guardona (sì un po’ lo
è…ù.ù ) ma mettetevi nei suoi panni. Voi cosa avreste fatto? *me curiosa di leggere le
vostre opinioni in merito*.
Nel
prossimo troverete finalmente la festa di Alice… (dico “finalmente” perché è un
capitolo che avevo previsto di scrivere due capitoli fa… ma poi c’erano anche altre
cose da dire e ho dovuto rimandare…*quando Dio ha distribuito il dono della sintesi
io ero momentaneamente assente*).
Vi
anticipo che dopo il prox (tra due in poche parole) ci sarà (al 90%) un Pov Jazz
*perché mi avventuro in queste ponderose imprese? Ç___ç*
Per
la questione del rating sto valutando ù.ù. Dopo la minaccia di Synie,
per il momento lo lascerei arancione
con la precisazione, ad ogni inizio capitolo hot, del simbolo rosso.
Area sondaggio
1. secondo voi Emmett sa che Isa sa (mamma
che giro di paroleeeee) o era talmente preso da non accorgersi della sua
presenza?
2. trovandovi nella stessa situazione di Isa
che cosa avreste fatto?
Ringrazio
tantissimo le 9 fantastiche ragazze (i commentini sono un po’ calati L) hanno recensito lo scorso capitolo…
Se
ci sono ragazzi mi piacerebbe facessero sentire la loro opinione…
Si, in effetti Isa è leggermente sfigata *me inizia a pensare
di aver sbagliato il titolo della storia che avrebbe fatto meglio ad essere
Sfig Girl*… ma secondo me un po’ se lo merita, dopotutto lei conosce Edward
quindi come minimo un pochino di sfighe ci devono essere per compensare,
non trovi?
Non ci rimanere male per la scelta di non postare altri capitoli hot anche perché
sicuramente ce ne saranno altri, ma non posso metterli frequentemente
altrimenti dovrei cambiare immediatamente rating!
Se non ci fossi tu come farei??? Con il tuo commento mi hai
rallegrato la giornata, dico davvero!
Ti spiego: pensavo che il pov di Isa dello scorso capitolo
venisse sottovalutato e invece ecco che tu mi scrivi esattamente ciò che intendevo
far trasparire! SEI MITICA!
Nouuuuu vorrei sentire la tua risata…uffa sn curiosa… eheh
Che bello che hai apprezzato anche la scenetta con Eric… ihihi!
Quoto quello che hai detto su Emmett, la penso esattamente come
te! E grazie per avermi detto la parte hot non era volgare (ho fatto il possibile
per evitarlo).
Fabio Cannavaro è un bellissimo uomo. C’è stato un periodo che piaceva
anche a me ma essendo Juventina non ho potuto fare a meno di avercela con lui
per la scelta di lasciare la squadra in un momento come quello!
Anche io sono tifosissima di calcio (un’altra cosa in comune).
Faccio anche fantacalcio! Hihi
L’hai davvero incontrato? Che culo! Ma sei di Napoli?
Grazie ancora per tutti i complimenti e per le tue bellissime
recensioni.
Stavo pensando, magari quando finisce un’altra ff sul tuo
gruppo di FB (top secret è conclusa), perché non provi a chiedere ad Amalia
di considerare anche questa? (chiedo così… in effetti ci sono tantissime
altre ff più belle a cui dare la precedenza). Boh fammi sapere.
Per quanto riguarda Emmett mi ero posta anche io lo stesso
problema e quindi alla fine ho deciso di far scegliere alle lettrici…
Per il prossimo (forse) ci saranno problemi di tempi a causa
dell’esame del 13… cerco lo stesso di mandartelo entro venerdì altrimenti
posto con qualche giorno di ritardo (non penso che le lettrici mi
ammazzeranno per questo).
Tra l’altro dobbiamo ancora sentirci per la tua idea della fic
a quattro mani (potremmo magari utilizzare un nuovo nick barby&ely in
cui postarla oppure fare come hai detto tu). Direi che un capitolo ciascuno
(e retaggio reciproco) va benissimo.
Bèh le altre idee sul compleanno di Alice già le sai…
Vi avviso già che alla
fine di questo capitolo vorrete ammazzarmi per diversi motivi…
Non avete poi tutti i
torti ma poi chi la finisce la ff?
Ringrazio
la mia beta/consigliera barbyemarco- GRAZIE TESORO.
--------------------
Bad Girl
[Isabella
Swan]
Cap. Eighteen –Surprise
La piastra sui capelli ancora bagnati
emanava uno strano fumo biancastro accompagnato da un odore acre simile a
quello dello zafferano o del pollo arrosto, ma non avevo proprio tempo per
curarmene adesso.
Ripassai
più volte i due ciuffi davanti che erano diventati inspiegabilmente elettrici e
che mi davano l’aspetto di una che ha appena preso la corrente. Ma più ripassavo la piastra e più le ciocche svolazzavano
senza alcun ritegno davanti al mio naso.
Maledetti…
Stremata,
decisi di fermarli con due pinzette a forma di orsetto
mentre correvo in camera per vestirmi.
Maledii
in ordine alfabetico tutte le attrici di Hollywood che nei film si svegliano alla mattina già truccate, con i capelli perfettamente in
ordine e, che quando devono prepararsi in pochi minuti, in quattro e
quattr’otto non solo sono pronte, ma sono anche tanto perfette che potrebbero
gareggiare a Miss Mondo.
Tutte
stronzate assurde…
Nonostante il ritardo, infilai con estrema cura
il vestito.
Se
solo si fosse leggermente spiegazzato non osavo
immaginare la reazione di Alice.
Puntai
con lo sguardo l’orologio appeso alla parete di camera mia.
Cinque
minuti.
Sperai
che Edward non fosse poi così puntuale…
Passai
immediatamente alla parte del restauro del viso applicando un leggero strato di
fondotinta e una spennellata di fard sulle guance, completando quella che ero solita chiamare l’“impalcatura”.
Applicai
con un dito sulle palpebre l’ombretto “viola-pungo-in-un-occhio” che, a parer
mio, valorizzava il color nocciola dei miei occhi, e
completai il tutto con una striscia di matita nera sia sopra che sotto e una
bella passata di gloss super scintillante sulle labbra.
Il
suono di un clacson mi fece sobbalzare.
Era
già arrivato?
Mi
affacciai alla finestra del bagno.
Sì,
nel vialetto la Volvo faceva bella mostra di sé.
Guardai
nuovamente l’ora.
Le
lancette segnavano le otto e cinquantotto minuti.
<
Hey, è in anticipo! > Mi lamentai davanti allo specchio.
Tolsi
le ridicole mollette dai capelli e cercai di schiacciare con le mani i ciuffi
ribelli.
Velocemente
dipinsi le ciglia di mascara nero, presi la borsa e i trampoli da dieci
centimetri dalla scarpiera e scesi velocemente le scale a piedi nudi.
Meglio
evitare spiacevoli cadute…
<
Esci? > Mi chiese annoiato Charlie affacciandosi dalla poltrona del salotto.
No,
mi piace fare i salti mortali per vestirmi e truccarmi in tempo record solo per
stare a casa a guardare del sano football con te…
Ma che razza di domande faceva mio
padre?
<
Mhh, sì > mugugnai infilandomi le scarpe.
<
Non fare tardi, allora > si raccomandò solamente ritornando con lo sguardo
sulla televisione.
Mi
sorpresi parecchio. Non era da lui essere così calmo e rilassato. Generalmente,
prima che uscissi, iniziava con la solita menata.
Bèh,
meglio così…
<
Okay > risposi chiudendo la porta alle mie spalle con un tonfo.
Affondando
ad ogni passo con i tacchi sul sentiero ghiaioso, in equilibrio instabile,
raggiunsi la Volvo grigio metallizzata del mio
cavaliere.
Aprii
la portiera e mi sistemai sul sedile.
<
Ciao, Edw- > mi bloccai non appena vidi che non era Edward quello seduto al
posto di guida.
Jazz
mi guardò e sorrise dolcemente. Era davvero bello con la camicia nera abilmente
sbottonata ma… non era comunquelui.
<
Lui, dov’è?> Chiesi sorpresa.
<
Ciao anche a te, Isa > rispose ironico.
<
Dov’è?> insistetti.
<
Emh > mugugnò < purtroppo ha avuto un
contrattempo…>.
Cosa?
COSA?
Non
poteva che essere uno scherzo. Immaginai che da lì a poco sarebbe spuntato
Edward dal sedile posteriore con uno strano cappellino a forma di cono e una
trombetta in bocca.
Aspettai
qualche minuto ma non accadde nulla di ciò che speravo.
Brutto
stronzo, puttaniere, deficiente, stupido, figlio di uno scaricatore di porto
abusivo, mentecatto, insulso, cretino, ebbeota, bastardo,,
coglione…
<
Come, “ha avuto un contrattempo”? > Iniziavo davvero a
innervosirmi.
Doveva
avere proprio una buona ragione per farmi questo…
Un’improvvisa
infiammazione dello scroto? Un meteorite l’aveva colpito? Aveva scoperto di essere gay e di amare segretamente Newton?
Eliminai
quelle scabrose immagini dal mio cervellino e attesi la risposta di Jasper.
<
Purtroppo sono arrivate le nostre cuginette dall’Alaska. Sai, una visita inaspettata > spiegò agitando le mani
all’aria.
<
Le mie cuginette sanno essere davvero molto insistenti e petulanti…> precisò.
E io avrei dovuto crederci?
L’irritazione
e l’ira si irradiavano dall’alluce dei miei piedi alla
punta dei miei capelli.
<
Queste sono per te > disse poi tendendosi verso il
sedile posteriore e porgendomi un mazzo di rose rosse.
Lo
guardai totalmente basita.
<
Emh >, si schiarì la voce, < Sono da parte di Edward
> precisò.
Sai
dove se le può mettere le rose il tuo caro fratellino?
Aprii
lo sportello e me ne sbarazzai gettandole sul terreno umido.
<
Sai com’è… Sono un’ecologista! > dissi sarcasticamente.
<
Hai ragione! Mio fratello è un perfetto idiota > mi
supportò.
<
Scusa, ma perché ti ha mandato fin qui per dirmelo? > Dopotutto
esistevano i cellulari…
<
Veramente sono venuto per portarti alla festa >.
Di
male in peggio.
Mi
sentivo così… patetica. Anzipatetica era un
eufemismo.
Sospirai
sonoramente.
<
Jazz. Non importa, davvero > cercai di sorridergli
forzatamente.
<
Non devi sacrificarti per quell’imbecille di tuo
fratello > risposi contrariata.
Era
lampante che Jasper si fosse offerto solo perché gli facevo pena.
Ribadisco: patetica…
<
Lo faccio volentieri > mi sorrise.
Improvvisamente
ogni singola particella del mio corpo si rilassò.
Dov’era finita tutta la rabbia di poco fa?
Il
nervosismo?
La
delusione?
L’impulso
omicida?
Che
fine avevano fatto?
Mi
sentivo inspiegabilmente allegra…su di giri, come se avessi appena fumato una
canna.
Tutto
per un attimo mi apparve più semplice e chiaro.
Immaginai
un Edward ridotto allo stremo, con tanto di goccioloni agli occhi, da due
bambine paffutelle dai capelli biondi boccolosi che l’obbligavano a fare il
cavalluccio tirandogli i bronzei capelli, che gli facevano il solletico o altre
cose terribili...
<
Allora? Che ne dici? Verresti come
me alla festa?> Jazz interruppe le mie sadiche fantasie incollando i
suoi occhi, tanto simili a quelli di suo fratello, ai miei.
<
Certo > risposi ilare, molto più eccitata di quanto potessi
mai immaginare.
Potevo
godermela io al party, dopotutto.
Anzi,
mi sarei divertita per tutt’e due… alla sua facciazza.
<
Grande > mise in moto con un tonfo secco, ingranò la prima e partì.
<
Grazie > sussurrai piano e probabilmente non mi sentì.
Per
tutto il viaggio non facemmo altro che ridere per ogni
minima cosa, tanto da aver quasi le lacrime agli occhi.
Mi
sentivo totalmente ubriaca.
<
Davvero Emmett si è offerto per andar a prendere Angela? > Chiesi per
l’ennesima volta ridendo tra una parola e l’altra.
Immaginai
la faccia di Angela che aprendo la porta si sarebbe
trovata di fronte quell’ammasso di muscoli quale era Emmett.
<
Comunque sarò ripetitivo… > iniziò Jazz tornando
serio < …ma credo che mio fratello sia un imbecille >.
<
Bèh, su questo non c’è il ben che minimo dubbio >
<
Sai cosa ti dico? > Capii dal sorrisino malizioso
che aveva in mente qualcosa per fargliela pagare.
Non
potevo che essere tutt’orecchi.
Ricambiai
il suo guardo con uno di intesa.
<
Apri qui > mi indicò il cassetto del cruscotto
davanti al mio sedile.
Obbedii
e estrassi una custodia per cd nera.
Il
primo raptus fu quello di far volare “accidentalmente”, uno ad uno, i cd della collezione di stronzo-Cullen dal
finestrino della Volvo in corsa, ma poi scorsi un cd, l’unico rivolto al
contrario.
Accidentalmente
rivolto al contrario ,
pensai.
Non
conoscevo bene Edward, ma potevo affermare con certezza che avesse
un’indole maniacale per l’ordine.
Voltai
il cd e mi sorpresi di ciò che c’era inciso sopra in bella calligrafia.
Sequestrai
tutti i cd infilandoli subito nella mia borsa.
<
Per questo impazzirà. Te lo assicuro > Jazz rideva, probabilmente già si immaginava la possibile reazione di Edward.
<
Qui svolta a sinistra > diedi indicazioni a Jasper.
Rimasi
letteralmente pietrificata dallo spettacolo che mi si proponeva davanti agli
occhi.
Ricontrollai
l’indirizzo segnato sull’invito sicura di essermi
sbagliata…
No,
era proprio questa.
Altro
che ragazzi che sorseggiano champagne con il mignolo alzato…
La
villa di Alice era irriconoscibile.
La
musica all’interno era talmente alta da sentirsi chiaramente da diversi metri.
La
casa era completamente avvolta nella carta igienica…
Nel
giardino, solitamente impeccabile, giacevano completamente ubriachi due ragazzi
in boxer e uno senza.
Una
ragazza, sotto gli effetti devastanti di non so quale droga, con gli occhi
spiritati e un sorriso ebete stampato in faccia, danzava saltellando come una
mina impazzita.
Io
e Jazz ci scambiammo uno sguardo alquanto significativo.
Tutto
questo non era da Alice.
Un
ragazzo barcollante si scaraventò sul parabrezza della Volvo bofonchiando
parole senza senso. Lasua faccia
spiaccicata sul vetro dava un effetto quasi esilarante.
Attivai
i tergicristalli ma non si scrostò.
<
Ah ah > risi < Posso rifarlo? >
Jazz
mi ammonì con lo sguardo.
Scendemmo
alla ricerca di Alice, Em e di Angie.
All’entrata
fermai un ragazzo che mi pareva ancora abbastanza normale.
<
Scusa, sai dov’è Alice? > Urlai per sovrastare la musica.
Ci
pensò su qualche secondo e poi rispose < Chi è
Alice?>.
Oh
mamma…
Guardando
in giro mi resi conto di una cosa: tutta questa gente conosceva a malapena
Alice o non la conosceva affatto.
Fui
invasa da uno strano senso di tristezza.
Alice,
una delle più ricche, carine e popolari ragazze di Forks, in realtà non aveva amici. Non aveva amici veri.
I
presenti erano quelli che io definivo i cosiddetti “arrampicatori sociali” che sfruttavano
l’amicizia di Alice
per altri scopi.
Scorsi
Emmett, impossibile non vederlo subito, seduto sul divano accerchiato da
ragazze carine, ma di Angie neanche l’ombra.
<
Vado a cercare Angela e Alice > mi avvicinai
all’orecchio di Jazz per farmi sentire.
<
Okay > acconsentì < io guardo di là >.
Facendo
lo slalom tra le diverse bottiglie sul pavimento, mi spinsi verso quello che
doveva essere il soggiorno.
Finalmente
trovai un viso conosciuto: Sarah, frequentavamo lo stesso corso a biologia.
<
Ciao Sarah. Scusa hai visto Alice? > La interruppi.
<
Mhh, sì > disse subito < Poco fa, senza invito,
hanno fatto irruzione i giocatori della squadra di football. Credo che
l’abbiano portata di sopra >.
Come
di sopra?
Un
forte senso di angoscia mi investì.
Ringraziai
velocemente e mi fiondai al piano di sopra.
---------
Cosa vi avevo detto io?
Quante
di voi vorrebbero pestarmi a sangue alzino la mano? (tutte
le lettrici simultaneamente alzano la manina con sguardo omicida).
Opss…
Ovviamente
Isa in qualche modo si vendicherà con Eddino (la vendetta è un piatto che va
servito freddo, no?).
Per
quanto riguarda Alice non posso dirvi nulla (solo che il prossimo sarà un Pov
Isa e Jazz).
Spero
tanto che questo capitolo non azzeri completamente i preferiti/seguiti.
Ragazze
ci pensate che domani verrà FINALMENTE proiettato
nelle sale italiane l’attesissimo NEW MOON?
Io
sono in fermento. Due settimane fa ho prenotato per sabato sera (ultimo
spettacolo). Vi prego di non anticiparmi niente (solo se vi è piaciuto o no)
fino a sabato.
Spero
solo di non trovare le ragazzine che urlano ad ogni sorriso di Robert o di
Taylor (altrimenti non rispondo delle mie azioni).
È
molto che aspetto di vedere questo film e non vorrei perdermi neanche la minima
battuta (penso che sia un sacrosanto diritto, no?).
Area sondaggio
1. Il cd che Isa ha sequestrato a Edward
cosa contiene?
2. cosa succederà secondo voi
nel prossimo capitolo?
Ringrazio
tantissimo le14 meravigliose ragazze
(new record) che hanno recensito lo scorso capitolo… un benvenuto particolare
a tutte le new entry… GRAZIEEEEEE!
Tesoraaaa ma che bella recensione lunga lunga (grazie per aver
recensito anche quello che ti eri dimenticata). Grazie.
Ti informo che sono una patentata. Ebbene sì… dopo aver fatto venire i capelli bianchi
all’istruttore eccomi con la mia nuova patente nuova nuova di zecca! Grazie
per gli auguri (sono serviti).
Uff, non sono ancora riuscita a vedere Merlin… devo
assolutamente trovare il tempo.
Ma quanti complimenti? Così mi
poimi monto la testa…
Spero che questo capitolo non ti abbia delusa.
Come dice il vecchio saggio “meglio tardi che mai”, no? Quindi ti ringrazio infinitamente per aver iniziato a
commentare.
I commenti mi carburano e mi fanno venire sempre molte
ideine…quindi GRAZIE!
Anche io, come te, per quanto adori la
saga e tutto il resto mi son detta “urge una Bella più contemporanea” (e
meno tonna dell’originale) e sono strafelice che il risultato ti piaccia.
Ciau tesora! visto? La pensiamo allo stesso modo! ;)
ahah mi hai fatto morire “soffermandomi su alcuni particolari”… bèh, anche io
l’avrei fatto! Ahahaha! XDDD
aspetto tue notizie.
Può darsi che tu abbia ragione su
Rose… ma non ti svelo niente…muahhahahah!
Di questo che mi dici?
Rimasta male?
A presto, Eli
Sperando
di farvi cosa gradita vi posto alcuni dei personaggi di questa ff
(scusate il risultato, sto imparando a utilizzare
photoshop in questi giorni L).
Sottolineo che non ho nulla in contrario col
cast originale scelto per interpretare la saga, è solo che essendo questa ff un
OOC e avendo cambiato i protagonisti principali non posso non cambiare anche
tutti gli altri (per par condicio).
Il Pov di Isa era
praticamente pronto da più di una settimana quello di Jazz ha avuto vari
problemi tra cui la cancellazione di un pezzo che ho dovuto riscrivere L
Avverto che il capitolo
è più lungo del solito spero non sia un problema…
Ovviamente
un ringraziamento va alla mia beta/consigliera barbyemarcoche è sempre disponibilissima! GRAZIE DAVVERO
PER TUTTO QUELLO CHE FAI PER ME!
--------------------
Bad Girl
[Isabella
Swan]
Cap. Ninenteen -little Star
without sky
Dio,
Con lunghe e decise falcate raggiunsi
il piano superiore
Dio,
ma quanto era grande questa casa?
Volsi
lo sguardo da destra a sinistra, e ancora da sinistra a destra.
Davanti
a me un corridoio molto lungo rivestito di parquette lucido.
Mai
visto un pavimento più lustro in vita mia!
Immaginai
una schiera di diligenti colf filippine pulire e lucidare con sollecitudine e accuratezza.
Dovevano
esserci almeno una decina di stanze qui sopra.
Che
se ne facevano?
La
musica era assordante e i bassi delle casse sembravano amplificare perfino il
battito del mio cuore.
Continuai
ad avanzare ed ecco che, in fondo al corridoio, i cinque ragazzi della squadra
di football – presumibilmente ubriachi – stavano ridendo e scherzando tra di
loro.
Sembravano
un branco di scimmie urlatrici. Anzi no, le scimmie urlatrici potevano anche
offendersi del paragone con tali esseri sottosviluppati.
Sarah
mi aveva informato che Alice doveva essere con loro...
Ma
dov’era?
Uno
di loro, quello con la faccia da cavallo, si accorse di me e diede una gomitata
al suo vicino. Quando tutti si voltarono, mi indicò e disse qualcosa ai suoi
compagni ridendo.
Ridi
pure adesso…
Vedremo
poi chi riderà quando ti tirerò un calcio dritto dritto nelle palle…
<
Guarda guarda chi si vede > horse-face parlò ancora con lo stesso ghigno
stampato in faccia avanzando di qualche passo verso di me con le braccia
incrociate.
I
suoi lineamenti erano molto squadrati, quasi appuntiti. Tutto, nel suo viso,
sembrava messo lì per incutere timore: il suo mento stretto e aguzzo, il naso
lungo e dritto e, per finire, grosse sopracciglia nere rendevano ancora più
minaccioso il suo sguardo scuro.
L’avevo
intravisto parecchie volte nei corridoi ma non mi ero mai chiesta né chi fosse,
né come si chiamasse. Semplicemente perché non m’importava.
Puzzava
di alcool in una maniera pietosa.
Qualsiasi
altra ragazza con un briciolo di istinto di sopravvivenza, sarebbe certamente
scappata. Ma io, a Phoenix, avevo quotidianamente a che fare con gradassi del
genere, sapevo come muovermi, insomma.
<
Isabella Swan > precisò quello più basso e tozzo di tutti. Non capivo come
potesse fare parte della squadra di football: credevo che tutti i giocatori
fossero per lo meno attraenti.
<
Chi? > sghignazzò un altro ragazzo biondino < Quella con la figa d’oro?
>.
<
Eh?> domandai allungando le sillabe all’infinito accompagnate da un
espressione di completo stupore.
Scoppiarono
a ridere tutti.
Tutti
tranne me, ovviamente.
<
Sì, è quella che per una scopata si è fatta pagare cinquantamila dollari!>
Infierì quello tozzo.
Questo
era davvero troppo!
Sapevo
benissimo a chi attribuire quest’assurda malignità: Jessica.
Seguirono
altre risate accompagnate da battutine.
Ipotizzai
che scontrarmi contro cinque gorilla, non era proprio consigliabile, anzi, era
proprio da evitare.
Il
sopracciglio mi tremò dal nervoso ma cercai di calmarmi.
Con
un colpetto di tosse mi schiarii la voce.
<
Alice, dov’è?> Chiesi con tono aspro e duro andando direttamente al punto.
Meglio
sbrigarmi…
Horse-face
si avvicinò, indietreggiai di qualche passo ma mi raggiunse ugualmente.
Maledetti
tacchi…
<
Non preoccuparti per la tua amica... > parlò a pochi centimetri dalla mia
guancia e riuscii indistintamente a sentire la puzza di liquore nel suo alito.
Feci una smorfia e cercai di allontanarmi da lui.
Le
sue parole sortirono esattamente l’effetto contrario.
Non
ero preoccupata... di più.
<
La ragazza è in buone mani > rise quello grosso indicando con il pollice una
porta in mogano chiusa alle sue spalle.
Oh
Dio!
Senza
neanche riflettere mi avventai nella direzione indicata.
<
Dove credi di andare?! > Le mani di qualcuno mi impedirono di raggiungerla.
Ero tenuta ferma con le bracciada uno
alle mie spalle.
<
Lasciami andare, subito!> Urlai provando a divincolarmi, ma fu inutile.
Più
mi dimenavo e più aumentava la stretta fino a – giurerei – bloccare l’afflusso
di sangue nelle mani che pian piano divennero più fredde.
Che
stupida! Come avevo fatto a non capirlo prima?
Si
trovavano lì per un motivo ben preciso: dovevano fare da palo mentre in quella
stanza si consumava chissà quale crudeltà.
Non
riuscivo a sentirla – data la musica - ma sicuramente Alice piangeva,
scalpitava e chiedeva aiuto mentre io ero a pochi metri da lei, ostacolata, e
non potevo fare niente per liberarla.
<
Bastardi! > Ringhiai mentre le lacrime mi irrigavano le guance.
Dovevo
trovare un modo…
Con
un tutta la forza che avevo, con i tacchi, pestai il piede del mio aguzzino che
bestemmiò lasciando finalmente la mia presa.
Mi
lanciai nuovamente verso la porta ma un altro fu pronto a fermarmi, di nuovo.
Quello
a cui avevo pestato il piede si avvicinò con tale furia che per un attimo
desiderai che tutto questo fosse solo un brutto incubo dal quale mi sarei
svegliata molto presto sana e salva.
<
Puttana > sputò a un centimetro dal mio naso prima di colpirmi in pieno
volto con uno schiaffo che mi face finire a terra, incapace di rialzarmi.
Ora
avevo l’assoluta certezza che non fosse un incubo; la guancia bruciava dal
dolore, la percossa fu talmente energica e forte che mi sorpresi di avere
ancora la mascella attaccata al resto del corpo.
Quello
tozzo si piegò, scostò i capelli dal mio volto per guardarmi bene in faccia, e
rise.
<
Ragazzi! È ancora cosciente! > Affermò come se avesse appena assistito ad un
evento soprannaturale.
<
Che ne facciamo? > Disse il biondino che finora aveva parlato poco.
<
Forse dovremmo chiedere a Royce… > disse Tozzo-Man insicuro.
<
Non vedi che adesso è occupato? > Rispose l’altro dandogli una sberla
amichevole sulla nuca.
<
Me ne occupo io > ancora lui, Horse-Face.
<
Lasciatela subito andare! > Finalmente una voce familiare.
Jasper.
Fortunatamente
era salito a controllare dove fossi sparita.
<
Jazz, Alice!> Urlai subito segnalando la priorità maggiore.
<
Aprite subito la porta! > Ordinò Jasper. La sua voce, per quanto sembrasse
calma e pacata, metteva quasi i brividi.
<
E tu chi saresti, pivello?! > Risero i cinque stronzi, accerchiandolo.
Quattro
di loro erano più alti, e tutti e cinque fisicamente più possenti di Jasper.
Faceva
male ammetterlo, ma anche il suo intervento sarebbe stato inutile.
<
Aprite > ringhiò e questa volta mi venne la pelle d’oca.
In
tutta risposta faccia-di-cavallo gli scagliò un pugno contro.
Chiusi
gli occhi di riflesso.
Quando
li riaprii, mi aspettavo di ritrovare anche il povero Jasper sul pavimento,
accanto a me.
Ma
così non fu.
La
mano del ragazzo, ancora chiusa a pugno, era bloccata da quella di Jasper che
con il palmo ne avvolgeva le nocche.
Apparentemente
sembrava non facesse il minimo sforzo, al contrario di Horse-Man che, invece,
pareva mettercela veramente tutta, lo testimoniavano anche, le vene che
spuntavano dal braccio e dal collo in tensione.
Poi
vidi Jazz stringere lentamente la sua mano attorno a quella del ragazzo che,
ero quasi certa, – nonostante la musica, - prese a scricchiolare.
Sui
volti dei ragazzi all’unisono si disegnò una maschera bianca di assoluto
terrore. Erano completamente impietriti dalla paura.
Mai
vista una tale espressione di sgomento mista a panico, neanche quando avevo
costretto Angie a guardare l’esorcista in camera mia da sola.
Non
riuscivo davvero a spiegarmelo.
È
vero, Jasper aveva dimostrato di avere una forza superiore ma, erano comunque
in cinque e per loro non doveva essere un grosso problema disfarsene in poco
tempo.
Jasper
lasciò poi andare la mano del ragazzo e tutti e cinque presero a correre.
Subito
aprì la porta e la scena che mi si presentò davanti mi lasciò senza parole.
[Jasper Cullen]
Come una furia entrai nella
stanza spalancando la porta. Fortunatamente era una porta abbastanza robusta da
contenere il colpo senza sbriciolarsi.
Sapevo di dovermi trattenere
dall’istinto omicida che, col passare dei minuti, prendeva sempre più piede
dentro di me, ma stasera era una continua istigazione, un continuo minare la
mia pazienza che, sapevo bene essere parecchio limitata, purtroppo.
Ecco la principale fregatura del
mio potere: quello di non poterlo utilizzare su me stesso quando serviva.
Considerando che gli umani di
prima avevano già esaurito la mia dose giornaliera di buonsenso, per questo sconosciuto le
cose si mettevano veramente male…
Il ragazzo si spaventò
dell’inaspettata intrusione e mi fissò minaccioso.
Era pressoché un bamboccio che
nulla avrebbe mai potuto contro di me.
Dentro di lui percepivo
un’eccitazione che via via stava scemando lasciando il posto all’irritazione
per essere stato interrotto nel momento clou.
Lo stimolo che più mi spingeva
verso il suo prossimo dissanguamento, e conseguente sbriciolamento dei resti,
era che la sua non era un’eccitazione dovuta all’attrazione fisica - che non
avrei comunque tollerato -, ma era più un senso di onnipotenza, di superiorità
nei confronti di una povera ragazzina indifesa…
Quelli come lui erano da
sterminare senza esclusione di colpi.
Adesso volevo proprio vedere chi
di noi due era superiore…
< Ma che diavolo… > si
lamentò additandomi con rabbia.
Umh, non sono il diavolo…ma non
sai quanto ci sei andato vicino… pensai e un ghigno mi si disegnò in volto.
Isa raggiunse subito la
ragazzina dai capelli corvini che tremava in un angolo della stanza.
La coprì con la sua giacca e la
abbracciò forte, rassicurandola e accarezzandole i capelli.
Nella stanza non percepii
l’odore del suo sangue, segno che la ragazza non era stata violata.
L’unica esalazione era quella che proveniva dalla spaccatura del labbro di Isa
per il colpo subito prima che io arrivassi.
Ecco una ragione in più per
farlo fuori. Gli avrei fatto pagare anche questo con gli interessi…
Il profumo sublime di quel
nettare iniziava a darmi seriamente alla testa.
Ora capivo perfettamente Edward…
Presi il ragazzo per il bavero
della camicia e lo scaraventai contro la prima parete disponibile senza neanche
lasciargli il tempo di rielaborare l’accaduto.
La mia presa, una morsa ferrea
intorno al collo, non gli permetteva neppure di respirare. Solo dei mugoli
soffocati, insieme al battito incontrollato del suo cuore, erano le uniche
attività che imploravano di risparmiargli la vita.
Nei suoi occhi lessi il terrore
e questo era solo l’inizio di quello che avrebbe dovuto sopportare. Gli avrei
fatto patire mille volte la paura che aveva fatto provare alla ragazza.
Strinsi ancora più forte la mia
mano attorno alla carne della feccia umana.
Per un attimo, un decimo di
secondo, i miei occhi incontrarono quelli di un mostro.
Ero io.
Era il riflesso del mio volto
nello specchio posto sulla parete alla mia destra.
< Hey > qualcuno afferrò
con forza il mio braccio, quello che teneva la preda incollata al muro,
tanto da farlo sembrare un tutt’uno con la parete.
Conoscevo quella forza...
Emmett.
Se io ed Edward avevamo dei poteri
aggiuntivi come quello dell’empatia e della lettura del pensiero, Emmett non
era da meno, aveva indubbiamente una potenza superiore alla nostra; anche se il
mio orgoglio non mi aveva mai portato ad ammetterlo.
< Non che la cosa mi
dispiaccia più di tanto ma… così lo ammazzi > affermò dandomi una pacca
sulla spalla.
Emmett aveva ragione.
Sentivo dal suo stato d’animo,
che anche lui per questo sconosciuto sentiva una fortissima repulsione…
nonostante le motivazioni fossero molto diverse dalle mie.
Lasciai progressivamente la presa permettendo all’inutile umano di respirare.
Non era il caso di sporcarmi le
mani con una simile nullità. Senza considerare poi, tutte le conseguenze alle
quali saremmo dovuti andare incontro, compreso l’ennesimo trasferimento.
<
Mi occupo io di loro, pensa alla ragazza > mi sussurrò in modo che potessi
sentirlo solo io.
Annuii
con un leggero movimento del capo.
Emmett
abbandonò la stanza allontanando il ragazzo dalla mia vista.
<
Isa, avverti il capo Swan > le dissi lanciandole il mio cellulare in grembo.
Mi
fissò per un attimo insicura sul da farsi. Probabilmente non voleva abbandonare
la ragazza.
<
Ci penso io > la tranquillizzai.
Le
lanciò un ultimo sguardo prima di abbandonare la stanza.
Mi
sistemai seduto sul pavimento poco distante da lei. Non volevo starle troppo
vicino ma allo stesso tempo volevo che non si sentisse sola.
La
fissai per un attimo.
Era
ancora rannicchiata nello stesso angolo con le ginocchia al petto. Alcuni
ciuffi neri scompigliati le solleticavano le guance rosse.
Tremava
ancora impaurita ma non piangeva.
Dondolava
impercettibilmente su se stessa come a volersi cullare.
Tornai
con lo sguardo sui lacci delle mie scarpe incapace di parlare.
Avrei
utilizzato il mio potere per tranquillizzarla e poi l’avrei lasciata nelle mani
di Isa.
Mi
concentrai sulle sue emozioni e rimasi, per la prima volta nella mia lunga
vita, assolutamente sconvolto.
Chi
l’avrebbe mai detto?
Quanto
calore, amore, sentimento poteva contenere un piccolo e fragile corpo?
Tanto.
Molto
di più di quanto avrei potuto mai immaginare.
Mi
lasciai trasportare, chiudendo gli occhi per qualche minuto, dalle sue
sensazioni e per un attimo ebbi quasi l’impressione di essere tornato umano.
Mi
ripresi in fretta, a minuti sarebbe tornata Isa e io dovevo ancora utilizzare
le mie capacità su di lei.
Incanalai
tutto il mio potere, e lo rivolsi verso il suo corpicino.
…
Niente.
Le
sue emozioni erano talmente forti, non solo da essere praticamente immuni al
mio potere sedante, ma tanto potenti da trasmetterle anche a me.
Ero
totalmente inutile...
Neanche
con il mio potere potevo donarle un po’ di pace.
Mi
rialzai lentamente da terra pronto ad andarmene.
<
A-aspetta > una vocina tremante, poco più che un lieve sussurro, arrivò alle
mie orecchie.
<
Cosa? > Le domandai senza voltarmi.
Non
potevo guardarla soffrire senza riuscire a intervenire in alcun modo.
<
Non andartene, ti prego >.
Automaticamente
tornai seduto nella stessa identica posizione di prima.
<
Ti prego, resta qui con me > disse ancora con il capo piegato sulle
ginocchia.
Davvero
voleva che restassi con lei?
<
Va bene, resto >.
<
Me lo prometti? >Sollevò il suo
visino e rimasi letteralmente pietrificato.
Quant’era
bella?
I
suoi grandi occhi neri erano di un espressività quasi unica.
Mi
ci potevo perdere dentro quelle pozze.
<
Te lo prometto >.
Sorrise
debolmente.
<
Grazie >.
Tra
noi calò nuovamente il silenzio.
Era
così imbarazzante.
Eppure
era la prima volta che mi accadeva una cosa del genere.
Impercettibilmente
mi voltai nuovamente verso di lei, sperando che non mi notasse. Non volevo che
vedesse che la stavo fissando con così tanto interesse.
Ma
incontrai i suoi occhi fissi su di me.
Distolsi
subito lo sguardo come un bambino imbarazzato.
Cazzo
Jazz, che ti prende?
Sentii
qualcosa di molto simile a una risatina.
Era
lei.
Non
ero riuscito a utilizzare il mio potere ma ero comunque riuscito a farla
ridere?
Da
non crederci…
Valutai
poi, che quella posizione doveva essere scomoda per un umano.
<
Poss…> iniziai ma mi interruppi subito.
Che
razza di idee mi venivano in mente?
Mi
fissò speranzosa che continuassi a parlare.
E
oramai il dado era tratto.
Mi
avvicinai a lei con il chiaro intento di prenderla in braccio.
Il
suo buonissimo profumo mi investì ma potevo resistere.
<
Posso? > Le chiesi.
Dopo
quello che le era appena accaduto non volevo toccarla senza il suo permesso.
Acconsentì
con un cenno della testa.
Passai
le mie braccia fredde sotto le sue gambe e lei si aggrappò al mio collo.
La
sollevai e la depositai sul letto poco distante da dove era rannicchiata e la
coprii con un piumone bianco.
<
Me l’hai promesso > disse soltanto per ricordarmi di non abbandonarla.
<
Dormi, non temere, ora ci sono io qui a proteggerti, bambolina >
<
Non sai quanto ti abbia aspettato... > sussurrò prima di chiudere gli occhi
e regolarizzare il suo respiro.
---------
E
anche questo è finito!
Fiuuuuu
ragazze non potete immaginare che fatica con Jazz.
Spero
di avervi trasmesso quello che effettivamente avevo in mente (lettrici: che
avevi in mente?), volevo che, a differenza di Edward e Emmett, Jazz fosse
diverso, qualcosa di più platonico (ha quasi paura a toccarla…per adesso poi…
si vedràààà), non sa ancora di amarla ma già in qualche modo lo scombussola…
Mi
ha ispirato indirettamente la canzone di Elisa e Giuliano “ti vorrei sollevare”
e la frase in inglese nel POV di Jazz è la frase di una canzone degli Oasis,
Lyla e significa:
“ ho aspettato mille anni che
arrivassi e mi hai scombussolato la testa”
Nel
prossimo Edward ed Isa!
Ringrazio
tantissimo le15 meravigliose ragazze
(new record!!!)che hanno recensito lo scorso capitolo!
Area sondaggio
1. il personaggio di Alice: qualcuno sa
indicarmi qualche possibile attrice (che non sia Ash)?
Ho cercato a lungo ma credo che Ashley
Greene sia inimitabile!
Recensione di simo87 [Contatta]
del 20/11/2009 - 11:31PM al capitolo 18: Surprise -
Firmata
Ciao Simo!!!
Tranquilla le cose si sistemeranno presto per tutti!
Ti ringrazio per la recensione! Spero continuerai a seguire!
Carissima amoruccia! Certo che sei perdonata!!!! <3
Grazie per avermi fatto sapere cosa pensavi anche dei capitoli
che non avevi recensito! Mi ha fatto molto piacere ^^!
“anche se mi ci metterei volentieri io al posto di
Rosalie!!!!!!!!” XDDDDDDDD! Non sei l’unica…
Esatto il chappy "mistery, music and job" era chappy
di transizione.... ogni tanto ci vogliono!
Hai indovinato le cuginette sono proprio le denali, purtroppo!
Tranquilla a Jazz non piace Bella!
Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto! Fammi sapere!
Un bacione!!!
Recensione di araich [Contatta]
del 18/11/2009 - 10:13PM al capitolo 18: Surprise -
Firmata
Chiara, giusto?
BENVENUTAAAAAA!
Che bello che hai letto la storia in due giorni! Non sai
quanto piacere mi faccia! ^^
1) Esatto, volevo che la protagonista fosse più una ragazza dei “nostri
giorni” una che non ha paura di dire quello che pensa, che dice parolacce,
ecc… la Bella originale (per quanto la adori) sembra un po’ troppo di
un'altra epoca!
2) Certo che sì!! Ci piacciono eccome gli uomini che si fanno valere! ;)
3) Grazie, davvero? Io avevo paura di non riuscire a collocarli e di non
riuscire a dar loro il giusto spazio!
Tranquilla non cambio il rating (per adesso) e semmai dovessi farlo ti
invierò una e-mail personale ad ogni aggiornamento!
Per i cd dovremmo aspettare ancora il prossimo capitolo… non è detto che tu
sia andata proprio fuori strada!
Se leggi e recensisci fino alla fine ti farò una statua in giardino!
Il vero motivo per cui ho postato in ritardo riguarda il fatto
che ero ancora letteralmente scioccata da NM ma se mi metto a parlare del
film mi sa che aggiorno domani…
Tesoraaaaa grazie per avermi risparmiato la vita!
Sìììì sono sadicissima ahahahahahahahaha!
Per quanto riguarda il sondaggio:
1. il cd cosa contiene??? per moi contiene le composizioni di Eddy
dedicate a Isa*_____* forse ci sei…ma non ti anticipo nulla (vedrai nel
prox)
2. cosa succederà???? ahahaha io che ne so, sei te l'autrice;)!!!
Bella risposta! XDDDD BRAVA!
Muaaahhhhhhhhhhhhhhaaaahhhhhhhh new moonnnnnnnnnnnn! Che ne pensi?
E del capitolo?
Fammi sapereeeeeee!
Un bacione grande grande!
Ps: spero che tu ti sia ripresa
Recensione di Lauuh [Contatta]
del 17/11/2009 - 11:31PM al capitolo 18: Surprise -
Firmata
Fiùùù per fortuna non mi hai trovata e io sono ancora viva
(per il momento).
Lo sai che mi hai fatto morire dal ridere? “io me concio così
pe andà a buttà la mondezza” u.u cavolo perché non ci ho pensato io? Potevo
inserirla come battuta di Isa!
Le cose contenute nel cd si scopriranno nel prossimo capitolo…
Ciao carissima! Passati gli scatti omicidi verso la
sottoscritta?
No?
Emhhhhhhh…
Allora…
Abito in via gianfilippo strutti principe d’Italia n° 122225
se vieni ti apro! ;)
1. per il cd… forse ci hai azzeccato! Vedremo nel prossimo!
2. mamma mia che visione pessimistica…somigli a me! che te ne pare del
continuo?
Un bacione, Eli
Recensione di _Niki_ [Contatta]
del 17/11/2009 - 09:07PM al capitolo 18: Surprise -
Firmata
Ciau bella!
Eh! Sì, ci sono rimasta male anche io che non sia andato lui a
prendera! Cmq la descrizione particolareggiata di Ed nudo non
mancherà--- promesso!
Alice è salva (e lo sono anche io, per il momento).
Inizio a credere che avrei fatto meglio a seguire la tua continuazione
della storia (Wow! Che fantasia, complimenti!).
Per quanto riguarda il cd…lo scopriamo nel prossimo!
un bacione grande!
Ciao GDM (sarebbe Genio del male) eddy sisi kon le kuginette ,sn proprio pikkole bella non temere -.-
muahhhhhh --- tutta colpa di Jazz che le manda i poteri sonniferosi…
Anche io amo Alice e credimi quando ti dico che tirerà fuori gli artigli
(altro che piccola bimba senza amici)
Visto NM? Che te ne pare? bella ma buttali tutti i cd anzi scendi metti il piedino nella kakka di
kane e makkiagli i tappetini della makkina xD SEI UNA GRANDE ;)))))
un bacio
Eli
Recensione di Giuliii [Contatta]
del 17/11/2009 - 07:26PM al capitolo 18: Surprise -
Firmata
Ciao tesora,
vuoi ancora uccidermi?
Sì vero?
Uffa! Ma cacchio! Non ci poteva restare Jazz o Emmett con le cuginette?
-.-" No perchè Tanya vuole Edward… Comunque giuro che se mi violentano Alice, in qualche modo astruso entro
nella tua ff e faccio una strage alla Kill Bill! ç.çXDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDD!
*ancora ridendo* che ne pensi di NM? E del capitolo?
“non credo che isa li trovi tutti attorno a un tavolo da poker
con i sigari fumanti che rendono l'aria fumosa e appestata, mentre puntano
montagne di soldi” ahahahaha XDDDDD sei troppo forte!
Sìsì proprio così…sono tayna e le altre denali!!!!
No, adesso voglio sapere chi è l’altro attore for Edward, me
lo dici, please?
Ciao Francesca! BENVENUTA in questa ff pazzotica (hai firmato
il modulo dal quale mi esonero da eventuali problemi psichici?)…ehm, bene…
Grazie per aver letto, per la recensione e grazie che
continuerai a seguirmi!
Spero che questo cappitolo ti sia piaciuto!
Un bacione
Recensione di Synie [Contatta]
del 17/11/2009 - 03:27PM al capitolo 18: Surprise -
Firmata
Istinto di sopravvivenza? O___O che cosa essere?
Okay… faccio la brava
per il cd ci tocca aspettare il prossimo capitolo… vedremo ù.ù
esatto, se non fosse arrivato Emmy probabilmente Jazz avrebbe massacrato tutti! (e la cosa non
mi sarebbe dispiaciuta poi molto!)…
La tua visione delle cose mi piace…
Spero che mi farai sapere qualcosa anche di questo!
appena ho 21 minuti in croce leggo le tue ff (me curiosa)! Promesso! Un
bacione! ^^
1) il file con tutta la fic non si apriva
più ç___ç per qualche astruso motivo (forse ho tolto la
chiavetta senza il procedimentoù.ù) mi diceva che il percorso non era corretto e di aprire
il doc tramite “apri” ma anche così non si apriva ç___ç…
non vi dico quanto tempo ci ho perso…poi finalmente ho trovato il modo J). (lettrici: nuooo era meglio che perdeva
tutti i dati della fic!!!)
2) la mia adorata beta ha problemi con internet e per questo motivo
vi comunico che il capitolo non è betato. Non appena
potrò, verrà sostituito con quello corretto! spero che risulti per lo meno leggibile e mi scuso per tutti
gli eventuali errori!
Vi avviso inoltre
che, i primi due capitoli di questa fic sono stati
corretti da tutte le imperfezioni sempre dalla mia beta barbyemarco!
Avvertenze: Troverete un piccolissimo
spoiler a New Moon
(il film). Che poi non è proprio uno spoiler (è proprio un’altra persona che
parla e il contesto è differente…). Bhè insomma vedete voi se leggere (comunque
quella frase la coloro di blu in modo che chi non ha ancora visto il film possa saltarla).
Ora basta chiacchere… ecco il capitolo!
--------------------
Dedico questo capitolo a
Una grande
amica
Una persona speciale
Colei che inconsciamente
Mi ha ispirato il
capitolo
Anche se probabilmente
non lo leggerai mai
Ely, Grazie!
Bad Girl
[Isabella
Swan]
Cap. Tweenty -Isa’s Lullaby
<
Bella? > Charlie entrò spalancando la porta della
mia stanza.
Il
filo della connessione a internet, precariamente
sistemato sullo stipite della porta, crollò.
<
Non si usa più bussare?> domandai sarcasticamente
senza neanche voltarmi nella sua direzione.
<
Ha chiamato Angela Weber e, uno dei figli del dott. Cullen
è passato di qui, il rosso > sottolineò con spregio.
<
Gli ho detto che non volevi vedere nessuno… >.
<
Uh, grazie > risposi sperando di chiudere definitivamente il discorso e che sparisse in cucina.
<
è la terza volta che chiama >
puntualizzò nel desiderio che mi alzassi finalmente dallo stato di totale
apatia nella quale ero riversa.
Non
lo degnai neanche di una risposta, limitandomi a giocherellare arricciando una
ciocca di capelli attorno all’indice.
<
Ehm > tossicchiò in evidente imbarazzo.
<
Io vado in centrale > disse facendo per andarsene.
<
Papà > lo chiamai.
<
Promettimi che li chiuderai in cella e butterai la chiave…> dissi seria guardandolo dritto nelle palle degli occhi.
<
Io non… > scosse la testa e poi sospirò.
<
Okay, ci proverò > disse chiudendosi la porta alle
spalle.
<
Grazie > risposi anche se le possibilità che mi avesse sentito erano scarse.
Sentii
Charlie armeggiare giù in salotto, inciampare su
qualcosa, non lasciandomi alcun dubbio su da chi avessi
ereditato il gene della totale mancanza di equilibrio, imprecare e, da
ultimo, uscire di casa.
Finalmente
sola.
<
Uffa > sbuffai sistemandomi un cuscino sulla faccia.
Quante
ore erano passate?
Quant’era che ero chiusa in camera senza
uscire?
Era
uno di quei giorni grigi, uggiosi in cui il tempo passa
sempre troppo lentamente.
Sentivo
la pioggia picchiettare fastidiosa sul vetro come a volermi insistentemente
ricordare di ritirare i panni stesi in giardino. Non l’avrei fatto, ovviamente.
Preferivo
starmene sdraiata sul letto a guardare il soffitto bianco della mia camera.
Troppo
bianco.
Ci
voleva un po’ di colore.
Tracciai
immaginarie linee colorate su quelle pareti immacolate.
Il
giallo, il rosso, l’azzurro, il verde…
Piccole
pennellate si accostavano l’una accanto all’altra come in uno di quei quadri
impressionistici.
I
colori mi aiutavano in certi momenti… ma neanche quelli servivano, oggi.
Forse
la musica era quello che ci voleva…
Mi
allungai verso il comodino, aprii il primo cassetto e
estrassi il mio vecchio lettore cd. Uno dei pochi esemplari sopravvissuti dell’epoca
post-moderna.
Lo
schiusi e vidi che conteneva ancora un cd regalatomi da Phil,
il compagno giovane di Renèe, di una band che
conosceva solo lui, dal nome impronunciabile, per altro.
Infilai
le cuffie e sparai la musica nelle orecchie.
Un
pezzo che, definire metallaro era un eufemismo, iniziò a martellarmi i timpani,
l’incudine e la staffa.
Perfetto!
Questa
musica non mi avrebbe permesso di pensare a niente per un po’ e, se andava
bene, avrebbe compromesso seriamente anche gli ultimi due neuroni attivi del
mio cervello.
Mi
ritrovai a considerare che, se l’avessi ascoltato al contrario, avrei potuto
decifrare un messaggio subliminale di tipo satanico, neanche troppo celato.
Arrivai
alla conclusione che doveva essere così… dopotutto anche Phil
ascoltava questa roba e stava con mia madre!
Non
è che se continuavo ad ascoltare mi sarei votata anche
io a Renèe?
Rabbrividii,
subito pigiai il tasto stop e lanciai il lettore sul tappeto ai piedi
del mio letto.
<
C’è nessuno? > Sentii qualcuno vociare al piano di sotto.
Una
voce maschile in casa mia non attribuibile a Charlie?
Oddio.
Chi
poteva essere?
Adagio
mi alzai dal letto attenta a non produrre il minimo
rumore, cercando, inverosimilmente, di respirare silenziosamente.
In
punta di piedi raggiunsi la scrivania e mi armai del primo oggetto contundente
a disposizione nelle immediate vicinanze: un affilatissimolima
unghie.
Lentamente
mi accostai allo stipite della porta in posa 007
brandendo tra le mani la mia arma.
Coraggio
Isa…
Le
lezioni di taekwondo dovevano pur servire a qualcosa,
no?
Cercai
di ripassare i fondamentali …ma l’unica cosa nitida nella mia testa erano gli
addominali scolpiti del maestro.
Mentre
ero assorta nei miei pensieri sentii che i passi dell’intruso
si facevano sempre più vicini.
…
Smisi
di respirare dalla paura, mi feci coraggio e quando fui certa di riuscire a avvertire la sua incombente presenza, mi ci gettai addosso
con uno slancio degno di Catwoman, travolgendolo.
<
Fermo! Sono armata! > Urlai mentre cercavo in qualche modo di farlo
prigioniero.
<
Hey, che ti prende? > Disse l’intruso sotto di me
che cercava inutilmente di tenermi ferma.
<
Sei impazzita?>.
Ah!
Ora l’estraneo mi dà anche della pazza?
Mi
misi seduta sullo stomaco del ragazzo e lo guardai dritto in faccia.
Jacob???
<
Dammelo! > Ordinò indicando il lima unghie che
ancora impugnavo nella mano destra.
Glielo
porsi senza fare tante storie.
<
E questo sarebbe un’arma? > Rise rigirandosi
l’oggetto tra le mani.
In effetti come strumento di difesa non valeva una cicca…
<
Mi hai fatto paura > lo rimproverai schiaffeggiandogli
i pettorali e mi rialzai da quell’ambigua posizione.
<
Come sei entrato? > Chiesi poi indignata.
<
La chiave nel sottovaso > rispose alzando le spalle con una nota di ovvietà nella voce.
Ah!
Era una cosa di dominio pubblico?
<
Ahh! Adesso finalmente so chi prende i soldi dalla
calza! > Affermai colpendomi con la mano la fronte.
E io che ero letteralmente impazzita per far quadrare i
conti…
<
Oh!> Fu tutto quello che riuscì ad articolare e una piccola “o” gli si formò
sul viso a indicare il suo stupore.
Beccato…
<
Solo qualcosina… un piccolo…prestito?!> Farfugliò
grattandosi convulsamente la folta criniera bruna.
<
Mi serviva qualche pezzo per la moto, sai… avevo intenzione di restituirli, comunque >.
Più
falso di Giuda.
Lo
guardai accigliata.
<
Davvero > si mise anche una mano sul petto per avvalorare le sue parole.
<
Okay…> dissi chiudendo il discorso.
Non
era il momento di affrontare questo argomento.
Sospirò
di sollievo per essere momentaneamente scampato alla mia furia.
<
Jay, che ci fai qui? > Chiesi mentre mi lanciavo
sul letto.
<
Non posso venire a trovare la mia ingrata amica? > Domandò retorico.
Si
accomodò sulla sedia a dondolo facendola scricchiolare e mimò scherzosamente di
limarsi le unghie con la mia arma.
<
Fai attenzione con quella! È un cimelio storico! > Lo ripresi ma lui
continuò a dondolarsi come se non avessi neanche fiatato, non curante dei
sinistri scricchiolii che questa emetteva.
<
Tuo padre è venuto a trovare il mio... > iniziò.
Quei
due erano peggio di due pettegole professioniste…
<
E sai che quando si parla di te mi si rizzano le
orecchie > sorrise.
<
Spero solo quelle! > Lo punzecchiai con una squallida
battutina.
<
Ah ah > rise sarcasticamente.
<
Vedo che nonostante il malumore tu non possa fare a meno delle tue solite
allusioni a sfondo sessuale > constatò argutamente.
<
Fa parte di me > risposi fiera.
Dopo
un primo momento di assoluto silenzio scoppiammo
inevitabilmente a ridere come due babbuini.
Incredibile!
Anche lui, come Jazz, era in grado di farmi
tornare il sorriso con poche e semplici mosse.
<
Come sta la tua amica? > Chiese tornando improvvisamente serio.
<
Uhm, meglio, ora > di nuovo un ondata di tristezza
mi investì e Jacob se ne accorse.
<
Che ne dici di venire al cinema con me domani sera?
> Se ne uscì con un invito.
<
Sì, perché no? >
< Ti va “Amore scritto al contrario è sempre amore?”
<
Eeehhh??>
<
A parte che “amore” scritto al contrario si legge
“eroma”, primo > puntualizzai
<
E poi non ti facevo appassionato di questi tipi di film da ragazzina… >
<
Allora che vuoi vedere? > Chiese lasciandomi carta bianca.
<
Quello degli zombie! > Saltellai sul letto come un emerita
idiota.
<
Perché non puoi essere come le altre diciassettenni?
> Scosse il capo contrariato.
<
Se fossi come le altre non sarei io. E poi chi
ti dice che, al contrario, io non sia l’unica normale?> Gli
feci l’occhiolino per essere ancora più convincente.
Sorrise lasciando scorgere la sua dentatura perfetta.
<
Comunque > tossicchiò
<
Ciò non toglie che i tuoi gusti sono orrendi >
<
Punti di vista > Gli feci il verso.
<
No, dico davvero! Hai dei gusti osceni >
<
Chi altro se non tu potrebbe mangiare ifonzies nello yogurt > fece una faccia schifata per
rimarcare il concetto.
<
Che ne sai se non provi, eh? >.
<
Mi piacerebbe proprio conoscere il tuo amico… Edwin > rise.
<
Cos’è una specie di marziano? > Continuò pungente.
<
Una specie…>.
A
volte con Edward era davvero come se provenissimo da
due mondi diversi.
<
Ascolta, io devo andare > disse poi di punto in
bianco alzandosi dalla sedia a dondolo.
<
Aspetta un attimo! > Lo fermai in tempo.
Raccolsi
il lettore cd da terra e lo aprii.
<
Tieni questo > gli porsi il cd della band di Phil.
<
Consideralo un regalo per essere passato >.
Quel
cd proprio non lo volevo in casa mia…
<
Grazie > mi sorrise sincero, come sempre.
<
La strada la conosci… solo, chiudi la porta quando esci> Gli ricordai.
Sentii
la porta dell’ingresso chiudersi.
Di
nuovo lo scrosciare della pioggia si fece più pesante sebbene piovesse come
prima.
Ed eccomi ancora sola.
Io
e il mio vecchio lettore cd, vuoto.
Ah!
Improvvisamente
mi ricordai di un altro cd.
Sicuramente
più interessante di quello di Phil.
Molto
più interessante…
Mi
fiondai sulla borsa nell’armadio e
estrassi l’oggetto del mio interesse: il cd di Cullen.
Mi
rigirai l’oggetto tra le mani e i riflessi dei colori
dell’arcobaleno mi abbagliarono.
Con
le dita lambii le lettere che componevano la scritta “Isa’sLullaby”.
Senza
indugiare oltre introdussi il cd e schiacciai il tasto play.
Vogliate scusarmi
per i ripetuti ritardi ma questa settimana è proprio da dimenticare… a lavoro
sono piena di impegni (tra i quali spedire ancora
tutti i biglietti di auguri a tutti i clienti (O___O))
Non vedo l’ora
delle vacanze di natale… *me sogna ad occhi aperti*
Ah! Dimenticavo:
quest’anno parto dal 23 dicembre al 4 Gennaio (sempre solito posto sperduto
nella zona più meridionale della Sicilia)… vi prometto che scriverò anche
durante le vacanze ma non so proprio se riuscirò a postare (dipende tutto se
riesco a sottrarre il pc a mia cugina e se riesco a
stabilire una connessione ad internet con la chiavetta 3)
Dopo tutte queste
precisazioni delle quali non ve ne po’ fregar di meno
passo al capitolo…
Ringrazio con
tutto il cuore la mia beta barbyemarco! Che in un solo pomeriggio ha corretto questo capitolo!
--------------------
Bad Girl
[Isabella
Swan]
Cap. Twenty one – Juliet &Romeo
Lasciare morire una persona sul
proprio davanzale, facendo in modo che gli agenti atmosferici la decompongano
lentamente, era da considerarsi un reato?
Probabilmente,
sì.
Rivolsi
lo sguardo alla finestra dove Edward, completamente
zuppo, se ne stava appollaiato.
Mi
fissava con aria implorante, o almeno così mi sembrava.
I
suoi capelli, che così bagnati assumevano un colore più scuro e simile al
bronzo, si erano incollati sulla fronte in modo particolarmente sexy. Le gocce
di pioggia attraversavano il suo viso, accarezzavano le guance, e si ricongiungevano
sul mento per poi scendere sul suo collo.
Sembrava
un pulcino…
Serrai
le labbra per trattenere un ghigno.
<
Allora mi fai entrare ? > Riprovò.
Feci
un’espressione sul “pensoso andante” mettendo anche una mano sotto al mento.
Poi,
decisa, alitai sul vetro, all’altezza delle sue labbra, creando un piccolo
alone di condensa opaco e, con un dito, il più lentamente possibile, trascrissi
il mio responso a chiare lettere.
“
N O ”
In risposta fece un sorrisino
irresistibile socchiudendo leggermente gli occhi, e appoggiò l’indice sul vetro
in prossimità del mio che era rimasto sulla circonferenza della “O”.
Non
sapevo bene il perché, ma questo semplice gesto, stile “E.T.-telefono-casa”, mi risultò di
una dolcezza indescrivibile.
Per
di più, dovevo ammettere che, arrampicarsi fino alla finestra della mia camera,
non doveva essere per nulla un’ impresa facile…
Figuriamoci
scendere!
Sbuffai
rumorosamente ed aprii la finestra per permettergli di entrare.
Complimenti
per la coerenza Isa…
Un
vento gelido mi investì in pieno facendomi venire la
pelle d’oca fin sopra la punta dei capelli, e un brivido mi attraversò la
schiena facendomi trasalire.
<
Grazie >, disse con un sorriso non appena poggiò i piedi all’interno.
Mi
porse un mazzo di fiori sgangherato che, originariamente, dovevano essere delle
rose rosse. Riconobbi subito essere quelle che avevoecologicamente
riciclato nel vialetto di casa mia.
Ops…
<
Cosa ti hanno fatto di male? > Chiese ironico.
<
Loro nulla…> risposi acida buttando le rose nel cestino.
<
Aspetta un attimo >, dissi allontanandomi.
Corsi
nel bagno per recuperare un asciugamano per permettergli di asciugarsi, e
tornai di corsa in camera dove Edward se ne stava
ancora in piedi infradiciandomi la moquette con lo sguardo rivolto alle mensole
poste sulla mia scrivania.
Prelevò
un volumetto malconcio, giallastro, tutto
impolverato.
<
Shakespeare? > Chiese alzando un
sopracciglio rigirandosi il libretto tra le mani incredulo. La nota di
scetticismo nella sua voce era evidente.
Alzai
le spalle offesa, gli tolsi il libro dalle mani e lo
riposizionai nuovamente sulla mensola a fare la muffa.
<
Che cosa c'è in un nome? > Mi stuzzicò prendendo
tra le dita una mia ciocca di capelli.
<
Ciò che noi chiamiamo con il nome rosa, anche se lo chiamassimo con un altro
nome, serberebbe pur sempre lo stesso dolce profumo... > Avvicinò
la ciocca al suo naso ispirandone l’odore.
Mi
scostai con malagrazia.
<
Notevole >, risposi increspando le labbra arcigna.
Vuoi
anche un applauso?
In
effetti
la situazione sfiorava il ridicolo.
Risi
nervosamente tra me e me.
Edward che si presentava, sfidando le
intemperie e la forza di gravità, alla mia finestra e faceva sue frasi di Shakespeare.
Un
Romeo moderno dagli occhi miele che, al posto del cavallo, mi raggiunge in Volvo?
Praticamente il sogno di ogni ragazza etero.
E io?
Io
avrei dovuto essere Giulietta?
La
graziosa ragazza a modo, con forti valori morali?
Peccato
solo non fossi io.
Ancora
distratta notai l’espressione sconcertata di Edward.
E non aveva tutti i torti: il mio
sguardo perso nel vuoto non era esattamente incoraggiante.
Imbarazzata
gli lanciai il morbido telo azzurro che lui afferrò prontamente.
< La tua camera puzza >, se ne uscì
mentre con l’asciugamano si frizionava i capelli.
Sebbene
sotto il letto ci fosse la mia discarica personale io
non percepivo alcun tanfo.
< Bèh, grazie! Anche
io sono molto contenta di vederti >, risposi ironicamente.
Con
un scatto improvviso il suo sguardo malizioso si posò
sui miei occhi e, come se non bastasse, come per infliggermi un ultimo colpo,
mi sorrise sghembo. Dovetti fare provvista di ossigeno
extra per permettermi di rimanere lucida e per mantenere appieno il controllo
delle mie, già scarse, facoltà mentali.
I
capelli così arruffati donavano al suo viso un aria selvaggia.
Tutto di lui sembrava gridare a pieni polmoni: “prendimi”.
Scossi
la testa per scacciare quei cattivi pensieri.
Piegò
in modo perfetto il telo che appoggiò sulla piccola scrivania in legno; poi, con un gesto fluido, si spogliò del cappotto
scuro, rimanendo in camicia. Una camicia bianca che fasciava alla perfezione il
suo torace.
Tornò
con lo sguardo sul mio viso come se, improvvisamente, si fosse accorto di
qualcosa. Corrugò le sopracciglia e, attento, continuò ad
studiarmi con minuzia, oserei dire.
Metteva
quasi i brividi.
Mi
feci piccola piccola stringendomi nelle spalle.
Odiavo
essere fissata in quel modo.
Deglutii
con difficoltà promettendomi, per nulla al mondo, di non abbassare lo sguardo,
reggendo il confronto.
Si
avvicinò di qualche passo con la stessa preoccupante espressione stampata sul volto, ora leggermente inclinato da un lato.
Quando fu abbastanza vicino aprii la bocca
per reagire ma lui, inaspettatamente, senza che potessi in alcun modo scansarmi,
lambì con un dito le mie labbra soffermandosi sulla piccola ferita.
<
Cosa hai fatto? > Chiese, inchiodandomi con i suoi
occhi miele fuso così terribilmente vicini.
Percepii
il suo alito fresco su una guancia.
Non
mi aspettavo quella domanda. Possibile che Jasper ed Emmett non l’avessero informato dalla scorsa notte?
Cercando
di mantenere il controllo, schiusi le labbra per parlare ma non ne uscì alcun
suono.
Maledissi mentalmente la mia scarsa lucidità,
ricollegai il cervello alle corde vocali e riprovai.
<
Niente >, mentii abbassando gli occhi, allontanandomi di scatto dalla sua
presa.
Gli
diedi le spalle, mordendomi stupidamente il labbro inferiore
come se, assurdamente, volessi in qualche modo nasconderlo alla sua
vista.
Posò
le sue mani, ancora fredde, sulle mie braccia stringendomi da dietro in un
mezzo abbraccio.
Si
piegò sulle ginocchia arrivando alla mia altezza e avvicinò pericolosamente il
suo viso nell’incavo del mio collo mettendomi i brividi.
La
punta del suo naso sfiorò il mio lobo e il mio cuore perse un battito.
<
Ti prego >, mi sussurrò, e quasi non mi sciolsi.
Mi
scostai dall’abbraccio incapace di mantenere un secondo di più quella
posizione.
<
Jasper non ti ha detto proprio nulla? > Parlai con
voce ferma, incrociando le braccia al petto.
Prima
era bene documentarmi su quanto sapesse.
<
No >, rispose secco.
<
C’è qualcosa di cui dovrei essere al corrente? >
<
Niente che ti riguardi
>.
<
Se si tratta di te, e si tratta sicuramente di te, non
può non riguardarmi >
Risi
nervosamente sfiorando l’isteria.
<
Forse, se fossi venuto, come avevi promesso, alla festa con me, sapresti cos’è accaduto…>
<
Mi spiace > disse, e sembrò sincero.
Sospirai
sonoramente e mi preparai a vuotare il sacco.
<
Alice era in pericolo >, feci una pausa < così
sono accorsa in suo aiuto >.
<
Cosa? >.
Lo
ignorai e continuai a parlare.
<
Ma grazie a Dio, Jasper è
intervenuto in tempo > arrivai subito al sodo.
<
Prima che? Da chi era in pericolo, Isa? > Urlò.
<
Stai calmo >, urlai più di lui e sembrò, almeno
apparentemente, tranquillizzarsi.
<
Prima che… King potesse approfittare di lei >
dissi tutto d’un fiato.
<
Oh Dio >, sospirò portandosi le mani sul volto.
<
Sta bene, ora >.
<
Avrei dovuto proteggerti >, disse incollando i suoi
occhi ai miei.
<
Come vedi, adesso sto bene >, cercai di stemperare
l’atmosfera che si era creata con un sorriso.
Ma non sortì l’effetto desiderato.
<
Non proprio > fissò ancora una volta le mie labbra.
Sbuffai
infastidita da tutta questa improvvisa apprensione nei
miei confronti, e mi lanciai sul letto prona, con la faccia tra i due cuscini.
Silenzio.
<
Perché sei qui ?> Parlai con voce smorzata dal
cuscino.
<
Volevo vederti >.
Mi
sollevai sulle ginocchia e lo guardai dritto negli occhi.
<
Mi hai visto >, constatai.
<
E poi… > le sue labbra si allargarono in un
sorriso.
<
Credo che tu abbia qualcosa che mi appartiene... >
Lanciò
una fugace occhiata al comodino dove c’era la custodia dei suoi cd.
Guardai
la custodia e poi Edward, poi di nuovo la custodia e
sicura, mi avventai, con un braccio, verso il comodino… fin quando Edward salì sul letto bloccandomi.
Cercai
di divincolarmi ma era troppo forte per me.
Mise
una gamba in mezzo alle mie e mi bloccò i polsi con le mani.
<
Allora? > Mi sfidò a un soffio dalle mie labbra.
<
Okay! Hai vinto >, dissi con un finto broncio.
Allentò
la presa, e proprio in quel momento, sgusciai da sotto
il suo corpo e raggiunsi i cd vittoriosa.
<
Ridammi ciò che è mio >,
cercò di fare una voce fintamente minacciosa.
<
Non esattamente >, precisai con un sorriso che la diceva lunga.
<
Questi, è vero, sono tuoi... > mi avvicinai e gli
porsi la custodia.
<
Ma uno è mio... >, sussurrai sensualmente
avvicinandomi al suo orecchio.
Capì
immediatamente che mi stavo riferendo alla sua composizione.
<
È da perfezionare > si lamentò, e notai che,
nonostante non volesse darlo a vedere, era terribilmente in imbarazzo.
<
È perfetta >, lo contraddissi.
<
Grazie >, mi alzai sulle punte e lo baciai.
---------
Che ve ne pare?
Vi
è piaciuto?
All’inizio
sono andata un po’ in crisi: volevo ci fosse dolcezza ma allo stesso tempo non
volevo che Isa lo perdonasse così velocemente… così spero di essere riuscita a
trasmettere “l’acidità” di Isa all’inizio, e poi la
dolcezza che c’è tra loro…
Aspetto
in ansia le vostre impressioni…
Vi
anticipo che il prossimo capitolo sarà dedicato (credo interamente) ai ragazzi Cullen…una specie di riunione di famiglia!!!
Non l’ho ancora scritto ma credo che sarà il POV di uno di loro(credo Edward).
Avviso:
Ho saputo che purtroppo si continuano a verificare plagi di storie di
questo sito. Sono solidale con le autrici. Sapere che molte ffapprezzatissime a causa di qualche imbecille vengano sospese se non addirittura cancellate mi saltano i
nervi (a causa di uno ci rimettono tutti).
Questo
mi rende molto triste e insicura… pensare che qualcuno possa impadronirsi di
qualcosa che mi appartiene, che nasce direttamente da dentro, è qualcosa di
veramente ignobile. Noi “scrittici” scriviamo
qui senza alcuno scopo di lucro, solo ed esclusivamente per condividere con voi
le nostre “creazioni”, sperando di riuscire a farvi sorridere, divertire,
commuovere ed emozionare…
Ad
oggi le mie ff sono solo pubblicate su EFP (ad esclusione di Top Secret e di Bad Girl che sono anche
presenti sul gruppo di Amalia89 e barbyemarco di FB http://www.facebook.com/home.php?ref=home#/group.php?gid=89140027720).
Vi prego di informarmi qualora ci fossero plagi.
Passiamo i ringraziamenti:
per prime vorrei ringraziare le18 meravigliose ragazzeche
hanno dedicato qualche minuto del loro tempo per lasciarmi un commentino
Tesora, non preoccuparti
anzi ti ringrazio per questo commento! Appena puoi (se puoi) lasciamene
altri…ti assicuro che aiutano al morale
Sono contentissima che apprezzi il mio modo di scrivere!
pensa che io ho inventato Isa a posta… c’era
bisogno di una ragazza più forte.
Non sn sicura di aver capito cosa intenti per “storia spezzettata”, forse intendi che alterno troppo i POV? O forse
ti riferisci all’intreccio delle altre storie che si immettono
nella storia? Se puoi attendo tue spiegazioni… sai, i consigli sono sempre
ben accetti se si vuole migliorare ^^
Tu sei, sei … non ho parole. Forse FANTASTICA?
No sarebbe troppo poco! La tua recensione era
stupenda! 1) mi hai fatto morire dal ridere e 2) mi stavi facendo
commuovere.
Bèh GRAZIE DAVVERO per tutti i complimenti
Sono contenta che anche Jake in questa ff ti sia simpatico
Grazie anche per i complimenti sulla scelta della ninnananna
non ero sicura che il cambiamento fosse apprezzato! Davvero l’hai scaricata
*O*
Sì, credo ci sia una “ISA” in
tutte noi
E se non sei normale tu io cosa sono? Bèh non rispondere…domanda
retorica.
Edoardo si è comportato bene? Cosa ne pensi del capitolo… sii
sincera non mi offendo mica
Bèh ti saluto…
Asdrubalorulez (che ormai è diventato il
nostro saluto ufficiale)
Tesora non so come
ringraziarti per quello che hai scritto… mi hai dato la prova che la
melodia come ninna nanna funziona! Sono contenta che la tua sorellina si
sia calmata (che carina).
Tesorina,scusa ancora una
volta il ritardo. Cmq, no ù.ùnon mangio i fonzies
nello yogurt. Ma una mia amica sì! Non sentirti l’unica!
Sì, in Isa c’è davvero molto di me. Lei
nasce da quello che sento. spesso i suoi “sbalzi d’umore”
sono anche i miei, le sue emozioni, le sue sensazioni… ed è difficile perché
io di mio sono molto complicata e immagino che Isa per voi dev’essere ancora più enigmatica…e come dici anche tu
non sempre c’è un filo logico ma penso che per alcune cose non dev’esserci necessariamente una spiegazione. A volte si
agisce d’istinto o perché ci si lascia guidare troppo dai sentimenti senza
interpellare prima il cervello. Diciamo che la “non-razionalità” fa parte
della natura dell’uomo.
Tuttavia, io e Isa
siamo due persone diverse: lei è “eccessiva” a volte mentre io sono molto
più pacata… lei ha coraggio, io non so se riuscirei a fare come fa lei… non
so, magari rispecchia il lato “nascosto” di me (?).
Sicuramente in me c’è una piccola
Isa come in tutte voi, del resto… quante volte ti sarà
capitato di pensarla al suo stesso modo? O di
rispecchiarti in alcuni suoi atteggiamenti?
Tu, come al
solito, riesci a leggere tra le righe e capire anche il significato che si
cela oltre ogni singola e, all’apparenza banale, parola. Riesci a vedere
oltre è questo è davvero bellissimo.
Spero mi farai sapere qualcosa su
questo capitolo. Soprattutto ci tengo sapere se ti è piaciuto!
No, sono solo io
con qualche chilo in più…e soprattutto sono ancora viva…
So che molte di
voi mi attendono con un forcone e con uno sguardo tutto fuorché amichevole… avete ragione da vendere e non sono so davvero come fare per farmi perdonare questo ritardo
stratosferico… ç_______ç
Vi avevo
anticipato un capitolo tutto al maschile!!! Il Pov è
quello di Edward.
Vi anticipo che
il linguaggio utilizzato è a tratti volgare essendoci
discorsi tra uomini, ma ho comunque cercato di limitarmi il più possibile.
Ringrazio di
cuore la mia amica Elyper avermi aiutata. Grazie davvero!
E come semprebarby&marcoper il supporto.
--------------------
Bad Girl
[Edward Cullen]
Cap. Twenty Two – Disperate
vampire
Un milione quattrocentocinquantuno
pecore…
Un
milione quattrocentocinquantadue pecore…
Un
milione quattrocentocinquantatre pecore…
Gli
umani credono che questo stupido giochino aiuti a conciliare il sonno... a me aveva fatto solo venir fame.
Stupide
pecore…
Se fossi un umano, con ogni probabilità,
i gorgoglii del mio stomaco risuonerebbero fino in città. Uhg!
Stupidi
animali…
Ero
tremendamente assetato.
Sentii
la gola ardere come se avessi appena ingoiato una sigaretta accesa, anzi, non
una, cento.
E con questo tempo, qui a Forks, non
girava neanche una mosca per sbaglio.
Digiuno
forzato uguale Edward incazzato nero, è risaputo.
E se passassi all’ospedale per un
rifornimento di sacche?
No,
questo è proprio da escludere! A meno che non io voglia passare il resto della
mia esistenza ad ascoltare, nella mente di Carlisle, mio padre e creatore, i
sensi di colpa per non essere riuscito ad allevare un figlio secondo la “dieta
vegetariana” che non prevede l’assunzione di sangue umano.
…E
se invece, mi cibassi dei canarini di Esme? Sarebbe
pur qualcosa…
No
no no! Conoscendo mia madre mi ridurrebbe a pezzettini e
senza pensarci troppo allestirebbe una pira, a modi barbecue, in
giardino, con i miei resti…
È
la donna e la mamma più dolce del mondo ma, come tutte le donne, quando vuole
sa essere spietata, e quando la definisco “spietata” è perché sono fin
troppo clemente e benevolo nei giudizi.
Quindi, mi sarebbe toccato spostarmi
altrove. Magari in un posto dove tutte le forme di vita non fossero in letargo
o ibernate dal freddo.
Schiusi
lentamente gli occhi come se mi fossi appena svegliato da un sonno profondo.
Vidi
piccoli fiocchi di neve danzare nell’aria leggeri per
poi posarsi sul mio viso.
Non
si sciolsero a contatto con la mia pelle. Ne sentii la consistenza delicata
accarezzarmi e subito ripensai al tocco delle sue labbra delicate,
morbide…saporite… mhh…
Ecco,
avevo troppa fame per pensare a lei.
Anzi,
non dovevo proprio pensare.
Scossi
la testa facendo cascare la neve depositata su di essa.
Senza
neanche respirare, mi beai del suono del silenzio. Era così raro e così
maledettamente piacevole.
<
Eeeeeedwardddd > una voce, quasi un eco, mi raggiunse rompendo la mia pace.
Come
non detto…
Cercai
di rimanere perfettamente immobile mimetizzandomi nella neve.
Sono
solo un illuso…
I
passi veloci, insieme ai pensieri dei miei due fratelli, si fecero sempre più
vicini.
Poco
dopo mi comparirono davanti.
<
Che ci fai così imbalsamato fratellonzo? > La
risatina ilare di Emmett mi inquietò. Come faceva ad
essere così vivace a stomaco vuoto?
Mi
sollevai con uno scatto repentino.
<
Credevo non ti piacesse cacciare gli orsi mentre
dormono > sollevai scettico un sopracciglio. Emmett amava la competizione.
Non ce lo vedevo proprio a introdursi in una grotta e
attaccare un povero orsetto in letargo.
<
Infatti… > mi sorrise storto in una poco riuscita
imitazione del mio famoso sorriso sghembo.
Lo
fulminai con lo sguardo.
<
Hey > con un gesto appena accennato, quasi smorto, Jazz mi rivolse il saluto
e si avvicinò.
Dovevo
ammettere che il suo poco entusiasmo mi consolava: non
ero l’unico vampiro a risentire della sete qua giù.
Ci
sedemmo ai piedi di una quercia, sull’umido terriccio dal quale spiccava
qualche filo d’erba, al riparo dalla neve.
Emmett
prese posto al centro, nella tipica posizione dei capo tribù
indiani: con le gambe e le braccia conserte.
Jazz
si sdraiò poco distante con le mani dietro la testa. Sul volto un espressione cupa e pensierosa.
Emmett
ci squadrò entrambi per qualche secondo con un aria saccente
stampata in volto, poi sospirò, e infine, con un sorrisino, decretò <
So esattamente di cosa avreste bisogno voi due!>.
Prima
che potesse continuare a parlare intervenni.
<
E M O G L O B I N A > sillabai esasperato.
Sangue
fresco, globuli rossi…
<
Non solo di quello, credimi… > continuò ambiguo.
<
E di cosa, sentiamo? > Speravo proprio che Jazz non
glielo chiedesse.
<
Semplice: sesso > rispose lui, tranquillo.
Jazz
gli mostrò il medio e io non mi sprecai nel mandarlo a quel paese.
<
Dì un po’….con Isa a che punto siete arrivati?>
Continuò imperterrito Emm con aria di chi la sa molto lunga.
<
I cazzi tuoi mai, eh? > Risposi seccato.
<
è evidente che se risponde così e
perché non ci ha fatto niente > Jazz intervenne
sforzandosi di rimanere serio giocherellando con un filo d’erba.
<
Non ti ci mettere anche tu, ora > sbottai incazzato puntandogli un dito
contro. Era meglio per loro che la finissero qui se
non volevano vedersela brutta.
Emmett
scosse la testa contrariato.
<
Cioè… l’hai vista? Secondo me quella
sta solo aspettando che la porti in qualche posto isolato per …. >lo interruppi con uno sguardo assassino.
“Biscotto!” fu l’ultima parola che riuscii a percepire dalla sua testa.
<
Dai andiamo…Non hai visto come ti guarda? > Continuò.
<
E perché tu hai visto come la guarda lui?> Jazz
scoppiò a ridere tanto che sembrava quasi si stesse strozzando. Che si
strozzasse sul serio quel pirla…
Sospirai
stufo.
<
Siete totalmente fuori strada… >
I
due si guardarono dubbiosi.
<
Te lo avevo detto che se l’era già fatta > strepitò vittorioso il gigante.
<
E bravo fratellino…> mi diede una forte pacca sulla spalla che quasi non mi ribaltai.
Poi
si avvicinò all’apatico < Sono cento dollari, Jazz > allungò il palmo
della mano verso quest’ultimo il quale tirò fuori dalla
tasca dei jeans un po’ di carta accartocciata e gliela porse in malo modo.
Direi
che il limite era stato superato. Come si permettevano
a scommettere su di me questi idioti?
<
E tu poi ci racconti… nei dettagli >
<
Te lo puoi pure scordare > ringhiai.
I
due si scambiarono uno sguardo di intesa e poi
scoppiarono a ridere.
<
E la vipera invece,dove l’hai lasciata? >
Tanya
Ma si erano riuniti in una combutta
contro di me?
<
Sincero? Non lo so e non lo voglio neanche sapere > risposi
irritato.
Tanya
Denali, una delle vampire più attraenti che conoscessi. Capelli lunghi biondi, occhi color caramello a testimonianza della sua dieta vegetariana,
labbra rosse, carnose capaci di accendere qualsivoglia desiderio maschile,
agile, caparbia, insomma la donna perfetta… peccato fosse anche molto stupida, piuttosto
banale e prevedibile. Non c’era certo bisogno di leggerle nel pensiero per
capirla: estremamente egoista, egocentrica e vanitosa.
Un oca starnazzante, insomma.
La
immaginai davanti a uno specchio o a scegliere lo
smalto per le unghie.
Maledii
che, contrariamente a come si vedeva nei film, i vampiri potessero
realmente riflettere la propria immagine.
<
Ti starà cercando > il grizzly accentuò volutamente
il tono minatorio della frase facendomi quasi trasalire. Ma
non mi scomposi.
Passandomi
una mano tra i capelli ne tolsi i residui di neve con studiata lentezza.
Sapevo
bene dove voleva arrivare a parare con questi discorsi.
Il
suo obiettivo era farmi irritare per potersi confrontare nell’ennesima gara
contro di me.
Direi
che se il suo scopo era questo ci stava riuscendo alla perfezione visto che mi stavano girando a mille. Purtroppo per lui,
però, non era proprio giornata. Non avrei di certo sprecato le ultime energie
con uno stupido.
<
Non credo mi troverà facilmente > Sbottai fingendo
indifferenza al riguardo.
<
Potresti non tornare più a casa per anni, lo sai? >
Mi schernì nuovamente.
Effettivamente
questa non era una cosa da escludere, conoscendola…
<
Non dovresti comportarti così con lei. Io le donne le conosco bene. Fidati >
mi fece l’occhiolino e si immerse totalmente in una
sequenza incontrollata di immagini porno nella sua testa. Disgustoso!
<
Andiamo Emmett la vuoi finire? Se
non sbaglio, tu che dici di conoscere le donne, sei in una situazione peggiore
della mia > Lo smontai.
Ero
uno stronzo con la esse maiuscola. Tirare fuori
l’argomento della bionda non era stata una mossa leale, visto e
considerato, che tutto ciò che sapevo era frutto di intrusioni
nella sua testa ma ero davvero al limite.
Mi
guardò truce quasi come se l’avessi appena accoltellato.
Seguì
un lunghissimo e imbarazzante minuto di silenzio.
<
Vuoi parlarne? > Se ne uscì Jasper. Chi meglio di lui poteva percepire come
si sentisse Emmett in questo momento? Nessuno. Nemmeno io con la mia capacità
di leggergli nel cervellino bacato che si ritrovava: a volte i suoi pensieri
erano talmente sconnessi e senza un apparente filo logico che mi risultava difficile persino decifrarlo.
Emm
scosse la testa imbronciato facendo oscillare alcuni
riccioli neri. Nonostante la sua stazza nerboruta a volte
sembrava proprio un poppante.
<
Allora? > Lo esortò Jazz.
Le
labbra di Emmett si allargarono in un sorriso
cancellando in un baleno l’espressione triste di un minuto prima.
<
Davvero credete che due mammole come voi possano darmi
dei consigli sulle donne? Nahh! > scoppiò in una fragorosa risata.
Si
ostinava ancora a fare il duro, come se, noi non sapessimo
che in realtà, dentro, era un cucciolo.
<
Tu ad esempio > mi indicò con l’indice.
<
Fai tanto il santarellino ma poi… >
Non
riuscii a trattenere un sorrisetto decisamente
eloquente, non serviva leggere nei pensieri per capire a cosa stessi pensando.
<
Ha ragione Emm! Devi mettere in chiaro le cose… con una delle due, almeno >
Jazz si alleò , ancora una volta, con orso Bubu.
<
Giusto > ribadì quest’ultimo picchiando un pugno
sul palmo aperto dell’altra mano mettendosi in posizione di ascolto.
<
Ma che diavolo dite? Con Tanya non c’è assolutamente
niente >
<
Dai diccelo che te la sei scopata…anche lei > affermò Emmett divertito senza
troppi peli sulla lingua. Lui era fatto così: diretto.
Anche Jazz non riuscì a trattenere una
risatina maliziosa.
<
Emh…Sì > ammisi abbassando lo sguardo < Ma il fatto che abbiamo condiviso il letto in passato non significa proprio
niente. Avevamo entrambi bisogno di compagnia, niente di più… > aggiunsi mettendo in chiaro le cose.
Per
me Tanya era solo una bambolina di rara bellezza. Con lei avevo passato intere
nottate di sesso, non nascondendole, comunque, la mia
riluttanza a una rapporto che andasse al di là di qualcosa di prettamente
fisico e lei sembrava condividere.
<
Credo che i vostri giochini si siano tramutati in qualcosa di più… per lei…>
pronunciò Jazz con aria da filosofo cinese.
E se lo diceva con questo tono voleva
dire che sapeva qualcosa che io non sapevo.
Cazzo
Jazz perché devi sempre essere così enigmatico?
Al
contrario di Emmett, Jasper aveva sviluppato un
efficace sistema per eludere il mio potere.
Era
riuscito a creare un’altra “frequenza” nella sua testa per i pensieri che
voleva tenere sottochiave. Così mi erano disponibili solo pensieri di poco
conto, roba poco interessante. Dovevo concentrarmi più del dovuto, sprecando le
poche forze rimaste, per riuscire a scovarne qualche frammento.
Maledetto
cervello vampiresco evoluto …
Feci
confluire le poche energie sulla sua mente e fu così che riuscii a scorgere
qualcosa dalla quale evidentemente voleva tenermi all’oscuro.
<
Jazz > sussurrai ancora incredulo inchiodandolo con lo sguardo.
“Volevo
dirtelo”
<
E quando, sentiamo? > dal tono della mia voce si
percepiva tutta la rabbia che provavo.
“Presto,
credimi”
<
Non è una decisione che spetta a te > Lo ammonii
ringhiando.
Istintivamente
si mise in posizione di difesa.
<
Lo sai. Sono gli accordi > ribadì lui.
<
Hey, voi due > Emmett si frappose tra noi.
<
Volete spiegarmi che succede? > sbottò Emmett visibilmente irritato
<
Chiedilo a lui! > Puntai il dito contro Jasper che però non parlò, si limitò
a tornare in posizione eretta e cercò di utilizzare il suo potere calmante su
di noi.
Emmett
lo esortò a parlare con un gesto della mano.
<
Dobbiamo andarcene > disse Jazz secco.
<
Cosa? > Urlò l’orso incredulo.
<
Hai sentito benissimo > ribatté l’apatico.
<
Ma che cazzo vai blaterando?!>
<
Alla festa di Alice…> iniziò Jazz.
<
Jasper, andiamo! Sono certo che nessuno si sia accorto di nulla. Sono intervenuto in tempo e con attenzione > lo interruppe
Emmett.
<
Non mi riferisco a quello > Jazz deglutì il veleno.
<
La ragazza sa > affermò con convinzione.
Mille
domande mi balzavano nella testa. Come aveva potuto Jasper rivelarle la nostra
vera natura?
<
Perché l’hai fatto? > Domandò Emm cercando di
mantere il controllo.
<
Io non ho fatto un bel niente > disse e fui certo che
non stava mentendo.
Vidi dalla sua testa come stavano realmente le
cose mentre lui le raccontava. Sembrava di vedere un film con un
narratore esterno che descrive i fatti.
“Non sai quanto ti abbia
aspettato” la frase sussurrata da
Alice prima di addormentarsi rimbombò
come un eco nella mia testa.
< Non significa niente questo, Jazz > lo
rassicurai < La ragazza era sottoschock e probabilmente già non si ricorda,
senza considerare che quella frase potrebbe avere un altro significato >
< Sì, la nanetta potrebbe
provare qualcosa per te > disse
il gorilla dandomi manforte.
< Lo escludo > disse
accigliato.
Era così assurdo che una ragazza si innamorasse di lui?
Corrugò le sopracciglia e assunse un aria pensosa. Lo conoscevo tanto bene da sapere che
l’espressione sul suo volto era la tipica “espressione del
soldato”, la utilizzava quando
macchinava qualcosa.
< E se invece sapesse
qualcosa?> Disse poi.
< A quel punto non
avremmo altra scelta: dovremmo andarcene >
disse mesto rispondendo da se.
< Oppure…dovresti
farla fuori > continuò Emmett serio.
Io e Jazz lo inchiodammo con lo sguardo. Come
poteva uscirsene con certe sparate?
< Non guardatemi così. Io non ho alcuna intenzione di andarmene > intrecciò le braccia al
petto.
Non era difficile capirne il motivo…
Sospirai.
<Per il momento terrò
sottocontrollo la situazione sondando costantemente la sua mente.
Se ci sarà il benché minimo riferimento alla nostra vera natura dovremmo
informare Carlisle >
E questa ultima ipotesi
significava solo una cosa:partenza immediata.
Solo al pensiero mi si gelava il poco sangue
nelle vene. Non era mai stato un grosso problema per me lasciare una città ma
adesso era diverso…
E
probabilmente a questo punto non ero il solo a sentirmi tanto legato da non
volermene andare per nessuna ragione.
---------
SighSigh…
Vero
che non mi ammazzate? E che mi volete ancora tanto
bene?
Prometto
solennemente che cercherò di non ritardare più così tanto ç____ç
Allora
si sono scoperti alcuni altarini…tipo che Edward e Tanyahannotrombato emhh… vabbè avete capito benissimo, ma come avete potuto notare
non gli interessa nulla di lei…forse perché il suo cervellino è occupato a
pensare a un'altra???? Mha…chi lo capisce a quello…
Ulteriore colpo di scena: a Jazz non sfugge
proprio nulla da bravo soldatino! Chissà se ha ragione lui: Alice sa o non sa? Thisis the question!
Il
prossimo sarà più divertente e meno depression…sono
già a buon punto ;)
Vi
lascio anche un piccolissimo spoiler: il titolo del capitolo
My little snot (= ilmio
piccolo marmocchio) XDDDDD
Ringrazio tutte quelle persone che
nonostante il ritardo non mi hanno cancellato tra le seguite/preferite!GRAZIE DAVVERO DI
CUORE!
Un grazie particolare alle23 meravigliose ragazzeche
hanno dedicato qualche minuto del loro tempo per lasciarmi
un commentino
Ciao Nanita!
Wow ti sei letta tutta la fic?
GRAZIEEEEEEEEE! Sei troppo un amorino!
Bèh non dovrei anticiparti nulla ma credo
che tu ci sia vicina. Alice non prevede proprio il futuro (non essendo una
vampira) ma ha già questa predisposizione, diciamo! ;)
Amoraaaaaaaaa che bello il tuo commy! Sei eletta commentatrice ufficiale! XDDDD
Non ti scusare perché ti si è cancellato il commento, è
successo anche a me! sigh. È so che questo fa
molto inca***e ma ho AMATO anche questo…e poi considero un po’ come se ci
fosse ;)
E poi se tu ti scusi per questo, io
cosa dovrei dire che ho aggiornato dopo 1000 anni?
Il capodanno tutto ok, spero che
anche tu ti sarai devastata un pochino!!! Io al
secondo bicchiere di champagne insistevo a voler ballare con tutti i
presenti… e questo è tutto dire…
Grazie ancora per
tutto carissima. Spero di sentirti presto AsdrubaloRulez (Y)
Amora…come sempre hai ragione al 1000%!
Anche io, come te, come minimo gli saltavo addosso SBAV
ma Isa che cretina forte che ci vuoi fare?
alla prossima tesoro,
E sì interrompo sempre sul più
bello…lo so, sono una carogna! Prometto di impegnarmi di più (già rispetto
all’inizio sono molto più lunghi i capitoli, l’hai notato?)
Oddio mi hai fatto morire dal ridere con questo tuo commento!
XDDDDD muahahahah
Certo, puoi farti tutti i sogni che vuoi…sapessi
quanti me ne faccio io per scrivere ‘ste cose!!!
Rispondo alla tua domanda: sì la camicia era bagnatissima e lasciava intravedere i pettorali
perfetti di edward! ecco ora sto sbavando sulla tastiera…aspè
che pulisco…
Non sei una matta in recuperabile…e nel caso lo fossi,
come vedi sei un buonissima compagnia XDDD
Grazie per gli auguri mi hanno fatto molto piacere ^^
Ma come a scuola con il prof di musica cantate sempre
"Metti l'agrifoglio in casa fa la lalalalala”????Che cavolo è sta cosa? Sicura di non fumarti niente?
O___O
Aspetto la tua opinione su questo!
AMORAAAAAAA, scusa per il tremendo
ritardo. Sorry ç____ç
Come sempre le tue recensioni sono
splendide…verrebbe voglia di stamparle e tenerle accanto alla scrivania per
i periodi senza un briciolo di ispirazione. Perché
è leggendo i commenti come i tuoi che do una
risposta alla mia domanda “ma perché scrivo?” perché è un modo come un
altro per sfogarsi, per leggersi dentro ma soprattutto per condividere
qualcosa con le lettrici: un sorriso, una lacrima, un’emozione... e sapere
che dietro a un computer c’è qualcuno che gioirà, riderà,
si commuoverà per le mie storie mi rende felice. Davvero tanto. Grazie di
cuore.
Spero di leggere presto la tua
impressione anche su questo…cara la mia psicologa di capitoli! <3
La cosa più bella è sentirsi dire che si è migliorati. Io sono partita ha scrivere quasi per gioco. Non sono mai
stata una luminare della letteratura … ma mi sono sempre impegnata per
migliorare e sapere che pian piano ci sto riuscendo mi rende felicissima.
Grazie
Ragazzi sono
ancora una volta in ritardo…uffà! Colpa mia! Sembra che quando hanno
distribuito il dono della sintesi io fossi a fare la fila al carrello degli hot
dog!
Il capitolo è
esageratamente lungo… vi avverto fin da subito!
Magari a molte di
voi fa anche piacere leggere di più … non so fatemi sapere se devo tornare alle
lunghezze standard dei primi capitoli (max 4 pagine word) o se devo continuare
così (queste sono 9 pagine word), considerate però che più lunghi sono e più
tempo impegno per scriverli. -.-
Ringrazio di
cuore la mia amica Ely per avermi aiutata dandomi qualche prezioso consiglio. Grazie
davvero!
E come sempre barby&marcoper il
supporto.
Non appena il capitolo verrà
corretto anche dalla mia beta ufficiale barby&marco verrà sostituito. Capitolo sostituito con quello corretto in data 25/02/2010.
Spero sia tutto
leggibile…
--------------------
Bad Girl
[Isabella Swan]
Cap. Twenty Tree – My little snot
<
Groooooammm! > Sbadigliai tanto forte da aver le lacrime agli occhi.
Stropicciai quest’ultimi con i pugni chiusi e mi stirai facendo scricchiolare
diverse ossa.
Avevo dormito da schifo: per tutta la notte la
pioggia battente e le folate di vento mi avevano tenuta sveglia.
Tesi un orecchio in ascolto di qualche rumore
proveniente da fuori.
Niente, solo rumore di stoviglie dal piano di
sotto.
Questo voleva dire che aveva smesso di piovere,
almeno.
Con immenso rammarico, scansai le coperte aiutandomi
con le gambe, abbandonando così, il dolce tepore all’interno.
< Edward >, sospirai abbracciando il
cuscino tra le gambe con forza. Non si capiva se l’intento fosse quello di un
gesto affettuoso o di un tentativo di soffocamento.
Forse entrambe.
Quel ragazzo mi scombussolava totalmente.
Non mi era mai capitato di essere così presa.
Accarezzai convulsamente – come una psicopatica
– il cuscino.
Non lo capivo. No.
A volte sembrava estraniarsi totalmente dal
mondo. Quasi come fosse uno spettatore esterno della sua vita, come se si
rifugiasse in qualche dimensione parallela che chiaramente non mi comprendeva.
Altre, invece, sembrava quasi che il suo mondo fossi io.
Boh.
Ma poi? Io pretendevo di capire lui, quando
ancora – dopo diciassette anni –, non ero riuscita a capire me stessa?!
Sbuffai guardando assorta il soffitto.
Cosa provavo per lui?
Non lo sapevo.
La sola cosa certa era che ero
totalmente e incondizionatamente attratta da lui in un modo, oserei
definire, quasi ossessivo. Bastava che mi facesse uno di quegli sguardi,
quel sorriso sghembo, o che, semplicemente, mi si avvicinasse più del dovuto per
accendere la zona rossa del mio cervello.
Ma potevo parlare di amore?
E soprattutto: perché mi stavo facendo tutte
queste seghe mentali alle sette del mattino?
Mi girai prona con la faccia in mezzo ai
cuscini.
< Cazzo >, imprecai tra i denti non appena
sollevai di poco la testa.
Come al solito mi ero dimenticata di struccarmi
la sera prima e adesso, il cuscino presentava una chiazza nera. Lo girai con
disinvoltura dal lato immacolato come se non fosse successo nulla.
Ancora mezza sonnacchiosa scesi dal letto, in
un precario equilibrio, in cerca delle mie maledette pantofole, che, come al
solito, non trovai.
La scarsa luce nella mia camera, proveniente
solo dalle piccole fessure della persiana, non mi permetteva di vedere nulla.
Affidandomi all’unico neurone sveglio,camminai
attraverso le insidie del pavimento della camera quando il mio povero mignolino
urtò contro la scrivania provocandomi un acuto dolore.
< Ahiiiiii >, saltai come una scimmia urlatrice
tenendo un piede sollevato.
Maledizione…
Ancora irritata entrai in bagno, facendo molta
attenzione a non specchiarmi, per fare pipì.
Quando scesial piano di sotto, il forte odore di
caffè appena fatto mi investì. Adoravo quell’aroma così intenso. Presi un
grosso respiro, inebriandomi di quella fragranza, ed entrai in cucina.
< Buongiorno >. Charlie
mi salutò scostando per un attimo il giornale che brandiva tra
le mani e mi rivolse una rapida occhiata indagatrice.
Se voleva sapere se fossi ancora arrabbiata con
lui la risposta era:
sì. Certo.
Facendo come se lui non esistesse, mi versai
del caffè in una tazza abbastanza capiente, mi sedetti al mio solito posto e
assaporai quel nettare scuro fumante emettendo sgradevoli gorgoglii ad ogni
sorso.
< Bella non puoi rimanere arrabbiata con me
per sempre >, disse con la voce di un superiore che parla al proprio
sottoposto.
Come no? Certo che potevo.
Mi allungai per afferrare una ciambella dalla
scatola posta al centro del tavolo ma Charlie l’allontanò rimanendo in attesa
di una mia risposta.
< Me lo avevi promesso >, risposi atona
senza neanche guardarlo negli occhi.
< Lo sai che non ho potuto fare niente >
disse alzando il tono di voce.
Una delle cose che mi dava più fastidio in
assoluto era proprio questa: nessuno, con un briciolo di istinto di
sopravvivenza, poteva permettersi di alzare il tono di voce con me dalle sette
ad almeno le novedel mattino … e lui lo
aveva appena fatto.
Ora non ero arrabbiata. Di più.
< Senti >, parlai tra un sorso di caffè e
una pausa utilizzando lo stesso riserbo che si può avere con uno sconosciuto.
< Sei o non sei il capo della polizia di
questa cazzo di città? > Poggiai con forza la tazza sul tavolo e quasi
non ebbi la sensazione che mi fosse rimasto il manico in mano.
Diventò paonazzo e boccheggiò disarmato alla
ricerca di una qualche risposta.
< Bella, le parole…>, mi rimproverò
scostandosi totalmente dal discorso.
Faceva sempre così: quando non aveva un
argomentazione a sostegno delle sue tesi si appigliava sempre a qualcos’altro,
sviando così il discorso verso altri orizzonti, in modo che, volente o nolente,
il torto fosse comunque mio.
È così, purtroppo: i genitori sono convinti che
in ogni caso il torto appartenga ai figli. Sempre e comunque.
E no caro. Questa volta, no.
Emisi un sorrisino sardonico, a mio parere,
molto inquietante, e mi alzai indisposta dalla sedia senza aver neanche finito
la mia colazione.
< Bella >, mi chiamò con tono, giurerei,
quasi supplichevole.
Mi voltai per riservargli un occhiataccia.
< Ricordati: quella ragazza potevo essere io
>, gli sussurrai e mi vennero i brividi solo al pensiero.
Com’era possibile che quattro soldi
permettessero a degli stronzi di essere ancora a piede libero?
Scesi
dal pick-up con uno strano formicolio al piede destro probabilmente, dovuto al
fatto che, guidavo costantemente con il pedale dell’acceleratore a tavoletta.
Nell’aria percepivo uno strano fermento.
Alcuni ragazzi scherzavano allegramente nel
parcheggio della scuola emettendo schiamazzi indecifrabili al mio cervello non
ancora del tuo collegato a quest’ora del mattino.
Solitamente non era così. Il più delle volte,
il rientro a scuola il lunedì, ricordava di più una processione funebre.
Mi ero persa qualcosa? Era previsto qualche
sciopero oggi? Autogestione? Era morto qualche prof.?
Ravvivai i capelli con una mano, facendoli
venir fuori dall’intreccio della mia sciarpa, poi, ancora infreddolita, tirai
il cellulare fuori dalla tasca del giubbotto per controllare che non ci fossero
messaggi e, proprio in quel momento, sullo schermo
apparve un numero a me sconosciuto e il telefono prese a vibrare e suonare allo
stesso tempo.
< Pronto? > Risposi premendo il tastino
verde, portandomi il cellulare all’orecchio ancora leggermente frastornata.
< Pronto? > Ripetei rischiarandomi la
gola, visto che, la voce con la quale avevo risposto prima, somigliava al rantolo
di una povera vecchietta ammalata.
Dall’altra parte il suono
più bello del mondo, quello della sua voce.
< Buongiorno principessa >, la voce calda
di Edward mise a dura prova il mio equilibrio.
Erano tre giorni che non lo vedevo e che non lo
sentivo.
< Dove diavolo sei? > Risposi portandomi
l’indice sopra l’altro orecchio in ascolto della risposta.
Di nuovo rise. < Credo di esserti mancato
> valutò.
Benché la sua non fosse proprio una domanda,
ma più un’ affermazione - un’affermazione corretta,
per giunta - soccombei alla ricerca
della risposta più appropriata.
Se mi era mancato? Sì, mi era mancato un
casino ma, non l’avrei mai ammesso e, quindi, optai per una mezza verità.
< No >, risposi sicura, < Ero solo
preoccupata >.
< Tu > iniziò, < Tu, sì >.
Sbaglio o aveva appena ammesso che gli ero
mancata?
Se avessi potuto vedere un'ecografia del mio
cuore in questo preciso istante lo avrei visto saltellare di gioia.
< Quando torni? >. Repressi tutta la gioia
adottando un tono abbastanza neutro.
< Presto >, rise.
< Quando? >, insistetti.
< Dipende >.
< Da cosa? >
< Da te >, sogghignò.
Da me???
Senza darmi il tempo materiale di metabolizzare,
continuò < Sei arrabbiata? >
< Sì e no >, risposi e lasciai volutamente
la questione in sospeso. Ora ero io quella che voleva tenerlo un po’ sulle
spine.
La cosa mi fece sorridere. Sembrava ci
rincorressimo entrambi facendo però attenzione a non esporci troppo l’uno con
l’altro.
< Sì, perché sparisci per giorni senza
neanche avvertirmi. Sarei potuta venire con te, ovunque tu fossi;
e no, no perché, in realtà, tu sei libero di sparire quando vuoi e senza
nessuna spiegazione >, risposi sinceramente nonostante quest’ultima
rivelazione mi fosse costata un po’ di fatica.
< Mhh >. Sembrò pensarci un po’, forse un
po’ deluso dalla risposta.
< Ci sta. Anche se speravo in una risposta
diversa >
Repressi un sorriso di
compiacimento allontanando di poco il ricevitore. A quanto pareva non gliel’avevo
data vinta, almeno per questa volta.
< Mi piaci quando sorridi >
Possibile che mi avesse sentita?
< E chi ti dice che io stia
sorridendo in questo momento? >.
< Nessuno. Lo so >.
Prontamente mi guardai intorno alla ricerca dei
suoi occhi. Ma non lo trovai.
Possibile che fosse vicino e che mi stesse osservando?
Ma no, che stupida. Mi prende solo in giro.
Si diverte, lo stronzo.
< Molto divertente, Edward >, risposi
ironica appoggiando nuovamente la cornetta all’orecchio.
< Vediamo… >, disse pensoso.
< Se non fossi davvero qui, come potrei
sapere che in questo momento hai una ciocca di capelli dietro l’orecchio? >
< Semplice coincidenza >, affermai rimettendo
il ciuffo davanti al viso istintivamente. Non ci voleva certo un indovino:
capitava spesso che portassi i capelli in quel modo per comodità come la maggio
parte delle altre ragazze, del resto.
< Potrebbe anche essere come dici tu…ma >,
sospirò misterioso e immaginai l’espressione buffa – ma
non per questo meno eccitante - che doveva avere in questo momento. Mi morsi un
labbro.
< Ma…come potrei sapere che sei splendida
vestita di blu?>.
Di riflesso mi guardai addosso: indossavo realmente
un maglioncino blu che si intravedeva sotto la giacca aperta.
La cosa, per nulla confortante, era che, se non
avessi controllato, non ne sarei potuta essere così certa; questo, a ulteriore dimostrazione
che la mattina ero proprio messa male.
Mi guardai, ancora una volta, attorno, ma con
più discrezione, roteando solo gli occhi, questa volta.
Dunque, aveva detto di aver visto il mio
sorriso e la ciocca dei capelli dietro l’orecchio, quindi, doveva
per forza trovarsi in un’ottima posizione proprio di fronte a me.
Focalizzai il mio sguardo in quest’ultima
direzione senza però riuscire a vederlo.
< Dai uffa! >, piagnucolai battendo i
piedi per terracome una bambina.
< Voltati >, ordinò. La sua voce fu un eco
e non proveniva solo dal ricevitore, era vicina.
Mi girai senza farmelo ripetere due volte e lo
vidi.
Edward era di fronte a me, inverosimilmente più
bello dell’ultima volta.
Mi guardò con occhi sorridenti che mi
sembrarono più chiari del solito; se prima li avrei paragonati all’ambra, ora
non potevo fare altro accostamento che con il miele fuso.
Provai a dire qualcosa ma sembrava che avessi
dimenticato come si facesse.
Mi anticipò, afferrò le mie braccia e mi tirò verso
di sé.
I nostri corpi aderirono e mi ritrovai con il
seno premuto contro il suo petto.
Che bella sensazione…
Per un istante chiusi gli occhi per godermi
quell’attimo di paradiso, in cui c’eravamo solo io e lui.
Inaspettatamente mi baciò la fronte
soffermandosi poi, a ispirare l’odore dei miei capelli.
Mi scostai di poco dal suo corpo, giusto per
tirargli un lieve buffetto sui pettorali ma, subito, mi riprese tra le sue
braccia di slancio, come se, il fatto di stare così vicini, fosse
quasi un esigenza, una necessità.
< E quello per che cos’era? >. Respirò sui
miei capelli e potrei giurare che stesse sorridendo.
Appoggiai il mento al suo petto per poterlo
guardare dritto negli occhi.
Mossa sbagliata. Guardarlo da così vicino era
un sacrilegio. Come le opere d’arte che si rispettino, lui doveva essere
osservato da debita distanza, magari attraverso una vetrinetta di vetro
antiproiettile…o forse i miei due neuroni si erano fusi e stavo iniziando a
dire minchiate.
< Non farlo mai più >, mugugnai piano.
< Se ti riferisci allo scherzetto del
cellulare io… >.
< No >, lo interruppi senza mai lasciare
il suo sguardo < Scherzi? Grazie a quello mi hai ricaricato il cellulare di
ben 5 dollari >, asserii facendolo sorridere.
< Intendevo...non andartene più >.
Cazzo,
l’avevo detto?
Se i sensori addetti all’arrossamento delle
guance, in caso di imbarazzo, non fossero andati in pre-pensionamento già da un
po’ di anni, a quest’ora sarei arrossita.
< Che ne è stato della Isa che poco fa mi ha
detto “sei libero di fare come credi”? >Cercò
di imitare la mia voce producendo un suono stridulo da cornacchia che
non si addiceva per nulla alla sua bellezza.
< Oh! Ma come siete carini >, Angie con le
mani intrecciate a mò di preghiera ci fissava con occhi sognanti.
Edward e io ridemmo della sua espressione
estasiata.
Se non la conoscessi come le mie tasche avrei avuto
qualche dubbio sulla possibile assunzione da parte sua di sostanze considerate
illegali.
< Ehm! Ero venuta per avvisarvi che bisogna
entrare. Gli altri sono già in aula magna > ci informò.
< Aula magna? > Chiesi sorpresa. Ma alla
prima ora non c’era Trigo?
< Sì >, confermò sbuffando < Isa non ricordi
dell’introduzione del nuovo corso interdisciplinare di economia domestica a
classi unificate? >.
< Eh??? Inter che? Ma come possono inserire
questa materia senza neanche avvisarci? > Commentai indispettita.
< Isa, ci hanno consegnato una circolare più
di un mese fa e ne abbiamo parlato per giorni, ricordi? >.
Ma dove cazzo era il mio cervello mentre
accadeva tutto questo? Alle Maldive a prendere il sole?
< Tu lo sapevi? > Indicai con l’indice
Edward che annuì sorridente.
L’aula
magna era già totalmente presa d’assalto dai ragazzi.
Il loro chiacchiericcio veniva enfatizzato
dalla grandezza della stanza rendendo le loro voci un miscuglio incomprensibile
di suoni e rumori fastidiosi.
Era la prima volta, da quando mi ero trasferita
a Forks, che veniva utilizzata quest’aula grande e fredda.
Notai che le matricole avevano occupato i primi
posti, i ragazzi delle ultime classi, quelli dietro. Con ogni probabilità noi
avremmo dovuto occupare quelli più sfigati di fronte al professore, visto il
ritardo.
< Di qua >, Edward mi indicò la via e io
lo seguii.
Contro ogni aspettativa, trovammo tre posti
abbastanza defilati nell’angolo
destro della sala.
Mi sedetti tra Edward e Angela.
< Chi si rivede >, qualcuno si affacciò da
dietro appoggiando il proprio mento sulla mia spalla facendomi sobbalzare.
Emmett.
< Ciao orso >, lo salutai non riuscendo a
trattenere un sorrisino. Era più forte di me: ogni qualvolta che lo incontravo
mi saltavano in mente quelle immagini…
Chissà se Debby si era seduta accanto a lui?
Spinta dalla mia smisurata curiosità,mi
voltai.
No, accanto a lui c’era suo fratello, Jasper.
< Ciao Jazz>, lo salutai con allegria e
lui ricambiò con un gesto della mano e un sorriso da orecchio a orecchio.
Probabilmente questi posti strategicamente
nascosti erano opera loro. Anzi, doveva essere sicuramente così.
Era stupido da pensare, ma mi sentivo come una
vip. Prima, per i posti migliori dovevo sempre minacciare qualcuno.
Il fastidiosissimo suono stridulo del microfono
riportò i ragazzi al silenzio.
Una signora con un copri spalle beige scuro a
costine iniziò il suo discorso.
Non avevo mai visto nessuno parlare con una
simile lentezza. Persino i preti durante le messe erano più vivaci.
Spiegava, con apatia, come i giovani di oggi,
soprattutto le ragazze, si concedano facilmente, di come conservare la propria
virtù e altre stronzate simili.
Mi sa che doveva passare alle
medie…
Decisi di non stare più a sentirla – premendo
il tasto “mute” del mio cervello - e focalizzai il mio sguardo sull’aspetto di
quella donna. Ad occhio e croce doveva avere una trentina d’anni. Peccato che,
da come si conciasse, ne dimostrasse almeno il doppio. Alcuni fili di capelli
bianchi spiccavano sulla chioma nera del caschetto demodé e, fin da qui, potevo
notare i suoi orridi baffetti.
La persona meno indicata per
spiegarci come mantenere intatta la nostra virtù, visto che, nel suo caso,
urgeva regalarla al primo passante.
Distolsi lo sguardo da quella donna per posarlo
sul mio vicino di posto.
Edward sembrava assorto dal discorso, mentre
Lauren, seduta accanto a lui dall’altro lato, se lo stava mangiando
letteralmente con gli occhi.
La odiavo quella. Se fossero esistiti gli
“Oscar della Stronzaggine” lei avrebbe, senza dubbio, fatto l’amplein di
statuette.
< Scusa >, la sentii parlare con la sua
vocina nasale e altezzosa.
< Tu devi essere Edward Anthony Cullen,
vero? > Gli allungò una mano < Io sono Lauren >.
< Edward >, rispose solo, senza
considerarla.
Sorrisi di soppiatto.
Edward si inclinò con il busto verso di me <
Che c’è? >.
< Niente, Anthony >, risi più forte
guadagnandomi un’ occhiataccia dalla
fila davanti.
Arricciò le labbra offeso.
< Senti, Edward > lo chiamò quella
nuovamente, attirando la sua attenzione.
< Mi chiedevo: qualche volta potremmo
pranzare insieme… >.
Avevo sentito bene?
Strinsi le mani al bracciolo
di legno.
Non erano affari miei, lo sapevo. Ma allora
perché tutta questa gelosia?
< Mhh >, fece lui come se ci fosse anche
da pensarci.
< No, mi spiace sono occupato >, rispose
poi.
A quelle parole mi rilassai un po’.
< Ah! Allora potremmo fare un altro giorno…
domani? >. Lauren tornò all’attacco imperterrita.
A quel punto agii d’istinto. Con un braccio
feci spostare Edward sullo schienale per avere una visuale completa della
finta-bionda.
< Lauren, Edward sarà occupato anche domani
e dopodomani e per il resto della sua carriera scolastica alla Forks High
School >.
Ero impazzita?
Che cazzo mi prendeva?
Se lo sguardo di Lauren avesse potuto
incenerire, in quel momento, mi sarei ritrovata un mucchietto di polvere.
< Isa, non esagerare…>, mi rimproverò
stronzo-Cullen con uno sguardo di ammonimento.
Un attimo che devo cercare le mie
braccia: mi sono cadute…
< Lauren >, si voltò dandomi le spalle,
parlando con il suo solito tono di voce provocante.
< Non sarò occupato per il resto delle mense
alla High Forks School,ma per il resto della mia esistenza >.
Posso urlare di gioia? Posso?
Non urlai. Non
mi voltai nemmeno a osservare lo sguardo che doveva avere Lauren
in quel momento, mi trattenni fingendomi totalmente estranea alla cosa.
< Mi piace quando sei gelosa > mi sfiorò la punta del naso con la punta del
suo indice freddo.
Non gli risposi, feci come se non
avesse neanche parlato,
fingendo indifferenza.
Mi piaceva oltre il lecito
quando faceva così lo stronzo.
< Bene ragazzi, detto ciò, ora vi divideremo
in gruppetti >, captai quest’ultima frase detta al microfono con una leggera
enfasi rispetto al tono funebre del resto del discorso.
Ci divisero secondo la nostra disposizione di
posti per cui, il mio gruppo comprendeva oltre me, Edward, Angela, Jasper ed
Emmett anche Lauren, Jessica, il suo fedele cagnolino, Newton e un ragazzo di
cui non conoscevo neanche l’esistenza, un certo Ben.
L’Ambrogio
della situazione entrò nella piccola aula che ci avevano assegnato - una
piccola palestrina nei sotterranei dell’istituto - spingendo un cigolante
carrellino quadrato di quelli che si utilizzavano per la raccolta dei palloni.
< Dunque…,
> la professoressa prese la parola spostando l’attenzione su di sé.
< Adesso formeremo le coppie. Ogni
coppia avrà a disposizione un budget
familiare con il quale dovrà mandare avanti una famiglia
>.
< E questi a che diavolo servono? >. Ben
si sporse nella cesta da cui tirò fuori – tenendolo per un piede – un
bambolotto vestito di rosa che subito l’insegnante gli tolse dalle mani in malo
modo.
Rabbrividii solo alla vista di
quegli esseri.
Non avevo mai giocato con i bambolotti, neanche
quando ero piccola.
Quei pupazzi dalle sembianze umane, mi
mettevano un’insolita inquietudine.
Probabilmente ero l’unica ragazza al mondo ad
avere un istinto materno pari a zero.
Era anche pur vero che, forse, il voto di
questo corso, avrebbe potuto risollevare, in qualche modo, la mia carente media scolastica e, quindi nolente o dolente,
non potevo far altro che farmelo andar bene.
La professoressa preparò dei bigliettini, con i
nomi dei ragazzi presenti, li appallottolò e li inserì in un piccolo cestello.
A quanto pareva gli accoppiamenti erano
lasciati al caso e, con la sfiga che mi ritrovavo, sarei senza dubbio capitata
con quel Ben o, peggio, con Newton.
La prima a pescare fu Lauren. Mescolò più e più
volte i bigliettini, manco dovesse pescare il numero jolly del superenalotto.
Quando finalmente l’ebbe tra le mani lo aprì lentamente. Pregai in tutte le
lingue che conoscevo che su quel pezzetto di carta non ci fosse scritto “Edward”.
Poi Lauren, con voce squillante, diede il
responso: Jasper Cullen. Sorrise.
Il povero Jazz alzò gli occhi al cielo già con
la consapevolezza di quello che avrebbe dovuto sopportare con
una così.
< Jasper, tu sei uno psicologo e tu > indicò Lauren passandole un foglio con tutte le
indicazioni < tu, sei proprietaria di un negozio di articoli per la casa. Il
vostro tenore di vita è, come potete notare, abbastanza agiato > indicò un
punto sul foglio.
< E questo >, si sporse nella cesta, < è
vostro figlio, congratulazioni >, disse passandogli un marmocchio dei tanti.
Lauren accolse tra le braccia quel pupazzo con
uno sguardo amorevole stampato in volto manco l’avesse appena partorito lei.
Successivamente, fu il turno di Angela che,
senza troppa enfasi, pescò il bigliettino più vicino a sé.
< Ben >,annunciò
e le sue guance diventarono irreparabilmente rosso fuoco. Era così buffa: ogni
qualvolta si sentisse in imbarazzo, subito riteneva, se pur inconsapevolmente, di
far sapere al mondo il suo effettivo stato d’animo.
< Ben, tu sei un meccanico di auto e tu,
Angela, un'insegnante di yoga in un centro ginnico molto frequentato >. Passò
anche a loro il foglio riepilogativo e il pargolo.
Jess si sbracciò per essere la prossima a pescare.
Mi lanciò un occhiatina di sfida prima di infilare
la mano dentro la cesta. La conoscevo tanto bene da sapere che, al suo Newton,
avrebbe preferito Edward, solo ed esclusivamente, per farmi un torto.
Sfortunatamente per lei non fu così.
< Emmett >, disse cercando comunque di
sorridere. Falsa.
< Emmett Cullen sei un agente di borsa e la
Stanley un’insegnate alla scuola materna > stabilì passando loro la scheda
con i datie un bebè di azzurro
vestito.
Toccava a me pescare.
Di fronte a me solo due palline di carta
accartocciate. Le fissai per qualche secondo, come se, in qualche modo, potessi
leggerne il contenuto
Edward o Newton?
Mille volte Edward, se avessi potuto scegliere.
Sospirando indirizzai la mia scelta al quella
di sinistra. Ma prima di afferrarla, all’ultimo secondo, optai per l’altra. Forse
così facendo, avrei raggirato la sfortuna, per questa volta.
---------
Uff
Uff
Mi
sa che vi annoiate… vero???
Che
ne pensate? Chi sarà il “padre” del bambino? Edward o Newton?
Vi
piace questa nuova materia? Sicuramente lo sapete già: in America esiste
veramente…l’ho vista in qualche telefilm (Popular, Dawson’s Creek…ecc…).
Il
pezzo dell’abbraccio e dello scherzetto telefonico vi è piaciuto?
Quei
due già sembrerebbero persi l’uno dell’altro…
Insomma,
aspetto i vostri lunghissimi commenti su tutto il capitoloooo!
Mi
scuso ancora per eventuali obbrobri di ortografia. ç__ç
Vi
lascio un piccolissimo spoiler: il titolo del prossimo capitolo:
Lesson of Chocolate
Mhhh….non dico altro…
Un grazie particolare alle 15 meravigliose ragazzeche
hanno dedicato qualche minuto del loro tempo per lasciarmi un commentino
Carissima Michiù non so davvero come ringraziarti. Hai avuto
coraggio a leggere 22 capitoli della mia storia pazza di seguito!
COMPLIMENTI A TE! Non pensavo che oramai qualcuno la
iniziasse…GRAZIEEEEEEEE
E grazie anche per i complimenti che fanno sempre tanto tanto
piacere U.U
Per quanto riguarda Jessica non posso che darti ragione. Anche
se, sono in una situazione moooolto complicata. Ti spiego meglio: in questa
ff ho deciso di far intrecciare la storia di Isa e Edward a quelle di
Alice, Jasper, Emmett, Rosalie ecc... raccontando i capitoli con diversi
POV. È molto complicato gestire tutti questi personaggi e, infatti, credo
di non aver ancora caratterizzato come si deve Alice e Rose (spero di
riuscirci in seguito). L’abbandono del personaggio di Jessica è dovuto in
primis a questo e poi anche ad altri due motivi: 1) la litigata con Isa. La
protagonista si è sentita ferita dal suo comportamento ed è come se in un
certo senso l’avesse cancellata; 2) è un esigenza di copione…vedrai in
seguito perché.
Comunque coglierò il tuo prezioso consiglio (già in questo, in
un certo senso, è più presente, no?).
ASSOLUTAMENTE non me la prendo…figurati. ANZI, mi fa tanto
piacere quando una lettrice mi fa notare certe cose …apprezzo senza dubbio
più questi commenti che quelli stringatissimi “bella”, “continua”, “mi
piace”, almeno sono costruttivi ;) e non fanno altro che migliorami…quindi
sei più che autorizzata a farli ;)
spero di sentire la tua opinione anche su questo
Me la cavavo bene, sì! ma non pensare fossi la secchiona di
turno…anzi, ero più quella che istigava il casino…ma che non veniva mai
beccata *me con la faccia d’angelo*. hihihihih
Carissima! Sono imperdonabile devo ancora commentare le tue
storieeee! Uffà dovrebbero fare le giornate più lunghe…prometto che appena
posso, passo a commentare u.u.
Grazie per i complimenti, sono contenta che il capitolo ti sia
piaciuto.
Spero che anche questo ti sia piaciuto!
Per PS se mi dici la tue e-mail te lo mando io (aumma aumma)
Amora, che ci sarai sempre mi fa un casino di piacere!!!!
Che ne pensi del capitolo? Piaciuto?
Mi sa che il prossimo sbaverai un pochino……chissààààà
“si capiscono al volo...hanno un livello di intimità davvero
alto” e sì, dopo 100 anni di convivenza hanno imparato a conoscersi bene XD
Alice, come per la nostra zia steph, ha già una
predisposizione al suo potere ;), come hai perfettamente detto tu “ha
percezione inconscia. come se avesse sviluppato un sesto senso ma che non
lo padroneggiasse …” u.u
Ho avuto un
problema con il capitolo vero e proprio…nel senso che il caro documento word ha deciso di non
aprirsi più, o meglio, si apriva, peccato solo che, ogni qualvolta volessi
modificare o scrivere qualcosa, mi si richiudeva da solo… ho provato in mille
modi a copiare-incollare il contenuto su un nuovo foglio oppure salvare il
contenuto sul blocco notes ma non c’è stato nulla da fare ç____ç
Ragion per cui ho
optato per riscriverlo tutto da capo (qualcuno cel’ha
con me? perché mi succedono queste cose????). Senza
considerare che questo scherzetto di word ha anche compromesso la mia voglia
(ci pensate a riscrivere tutto il capitolo da capo?O__O) e infatti ho colto
l’occasione per finire l’altra mia ff Ice Heart.
Detto questo,per
il capitolo vero e proprio ci vorranno ancora diversi giorni. Volevo avvisarvi.
Però ho pensato
vi facesse piacere, nell’attesa, godervi un piccolo sketch del nostro Emmy
Pooh! <3 (non è uno spoiler del capitolo è una
scenetta comica a parte).
Cercherò di fare
il più presto possibile con il capitolo vero e proprio che verrà postato qui.
Scusatemi ancora *me si inginocchia*.
Bad Girl
[Emmett Cullen]
~Sketch #1
La
testa sorridente di un bambolotto fa capolino dal divano.
Emmettimitando la
voce di un poppante:«
Noooonna Esme! Nooona Esmeeee »
Esme senza sollevare lo sguardo dalla rivista di arredamento: «Emmett
finiscila di fare l’idiota »
Emmettimitando il pianto di un bambino e
muovendo il bambolotto a mò di marionetta: «
Ma nonna Esme! Io voglio stare con te! Papà Emmy è cattivo. Mi tratta male. Ho tanto
bisogno d’affetto e di cure, nonnina cara… »
Esme spazientita: «
Emmett, lo sai che non posso! È contro le regole! Devi gestirlo tu. E magari,
così facendo, imparerai finalmente qualcosa di utile ».
Emmettrialzandosi da dietro il divano e tornando a parlare con la sua voce: « Ma
mamma io devo uscire! ».
Esme continuando a leggere:
« Portalo con te! ».
Emmettammiccando: « Ci sono cose che è meglio
che lui – rivolgendosi al bambolotto – non veda, almeno fino ai diciott’anni….!
hihihih ».
Esme O_______O con i
capelli che per qualche astruso motivo le si sono spettinati: « Dammelo
subito! ».
~end
Vi ringrazio infinitamente
per i commenti dello scorso capitolo ai quali risponderò con il capitolo^^.
Grazie ovviamente
anche a chi mi ha aggiunta tra i preferiti e i seguiti!Dimenticavo: lo scorso capitolo è stato sostituito con quello corretto dalla beta!
Come diceva un vecchio detto: chi non muore si rivede!!!
Scusate infinitamente il ritardo ma, come
sapete, avevo avuto problemi con word che inseguito sono diventati dei problemi
più gravi (leggesi: il pc del lavoro si è fuso ç__________ç) della serie:
questo capitolo non s’adda da fare…
Detto questo per farmi perdonare ho pensato di
postarvi questo capitolo lunghissimo che in realtà avrei potuto dividere in 2
parti. Quindi siete avvisate sono 12 pagine word scrittura 11 O__O.
Per finire, poi vi lascio alla lettura,
ringrazio infinitamente la mia beta ufficiale barbyemarcoche ha corretto il capitolo
egregiamente in una sola notte e la mia carissima amica
Elisa che ancora non capisco come faccia a sopportarmi :P.
Il capitolo lo dedico a tutte voi ed in
particolare a luisina (Luisina, anche se non ci conosciamo, sapere che
stai seguendo questa fic mi rende onorata. Grazie) e
a ILoveSmile_17
per le sue recensioni magnifiche e per avermi trovata anche su FB.
Alla fine trovate un piccolo sondaggio e le
doppie risposte alle recensioni.
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Bad Girl
[Isabella Swan]
Cap. Tweenty four – Lesson of Chocolate
“Vattene”.
“Aspetta, parliamone un po’”,
“Vuoi parlarne? No, e per favore non seguirmi”.
“Fammi almeno spiegare!”.
“Vuoi spiegare? Sai quando dovevi spiegare? Quando ci
incontravamo al bar, prima che iniziasse tutto! Sì, in quel momento dovevi
parlare”.
“Senti, lo so cosa provi”.
“Tu lo sai? Scusami ma non ti credo, perché se lo sapessi
non fiateresti nemmeno, ti volteresti e torneresti subito dentro perché avresti
capito che ho una gran voglia di salire in auto e investirti e passarti sopra
un migliaio di volte”.
< Grande >, mormorai elettrizzata e mi ritrovai a
immaginare cosa sarebbe successo se Meredith avesse attuato realmente il suo
proposito…
Adoravo questa scena. Veneravo questo telefilm.
Non c’era niente di meglio che avere la casa a completa
disposizione e starsene spaparanzati sul proprio letto a guardare l’ennesima
puntata di Grey’s Anatomy.
Quando c’era Charlie la cosa era decisamente più complicata
e anche molto imbarazzante.
Infatti, il mio caro paparino, pieno di fiducia per la
propria figlia in piena crisi ormonale, ad ogni rumore sospetto – vale a
dire: ad ogni scena di sesso sfrenato del suddetto telefilm – con una
scusa banale trovava il modo di intrufolarsi nella mia stanza e accertarsi che
quei gemiti non provenissero dalla bocca della propria figlia. All’inizio era
divertente e dovevo ammettere che, talvolta, alzavo anche il volume della tele
per godermi l’ennesima scenetta comica ma, col passare del tempo, era diventata
più una scocciatura
< Come dici? >, Domandai senza aspettare di ricevere
una risposta.
< Meredith ha esagerato? >.
< Ma che dici? Ha fatto benissimo! >, sbuffai
stizzita.
< Ma che ne vuoi sapere tu che sei appena nata? >,
puntualizzai scoccando un’occhiataccia alla mocciosa che se ne stava immobile
con la solita inquietante espressione stampata sul viso.
< Chi tace acconsente >, affermai convinta dopo non
aver ricevuto, naturalmente, alcuna risposta dal bambolotto. Silenziosa tornai
a guardare le immagini che scorrevano nel tubo catodico.
Era normale che parlassi con degli oggetti inanimati?
No, era assolutamente da considerarsi insano o forse, -
difficile da accettare -, semplicemente, mi mancava Jessica.
Infondo, era lei quella a darmi retta quando affrontavo
questioni superficiali e senza alcun nesso logico come questa e poi, era
evidente il perchè avessi pensato subito a lei, difatti il livello del
quoziente intellettivo del bambolotto e il suo erano pressoché identici;
l’unica differenza sostanziale era che almeno Jessica dava alito alle sue
stupide considerazioni, per quanto irragionevoli e insensate fossero.
Ad ogni modo, io e sbrodolina-primi-passi avevamo
comunque trovato il modo di socializzare.
All’inizio eravamo partite decisamente col piede sbagliato,
tuttavia, fortunatamente, conoscevo svariati metodi persuasivi per farle
capire, una volta per tutte, chi tra noi due comandasse.
Aveva pianto per tutto il santo giorno: a scuola, a mensa,
sul pick-up, a casa, nella vasca e persino sotto il letto di Charlie, tanto da
farmi venire il dubbio che mi avessero consegnato intenzionalmente un moccioso
difettoso con l’intento di far fondere gli ultimi miei due neuroni sani e
sbarazzarsi di me, almeno per qualche tempo. Evidentemente non mi conoscevano
affatto.
Poi, improvvisamente, non appena era iniziato Grey’s
Anatomy, aveva magicamente smesso.
Che si fossero ossidate, a causa del tentativo di
annegamento, le batterie?
O forse, più semplicemente: il Dott. Stranamore aveva fatto
colpo anche questa volta?
Possibile, era pur sempre mia figlia lei, no?
Era sul padre che avevo i miei dubbi.
Il solo pensare agli avvenimenti della mattina mi faceva
salire un nervoso difficilmente gestibile con le sole due sigarette che mi
rimanevano nel pacchetto.
Per una volta in vita mia avevo cercato di aggirare, di
eludere, la sfortuna facendo una scelta più ragionata, non quella impulsiva
dettata dall’istinto.
Avevo optato per il bigliettino che il mio istinto non
avrebbe pescato, credendo che in esso fosse contenuto il nome di Edward.
Ed ancora una volta la sfortuna si era presa gioco di me.
Maledetta legge di Murphy!
Io e la sfiga eravamo un tutt’uno, come una specie di ombra
cucita ai miei piedi, dalla quale era praticamente impossibile sfuggire.
Io e lei finchè morte non ci separi.
Avevo sentito spesso dire che la fortuna è cieca e, nel mio
caso, non era solo orba, era anche sorda, muta e soprattutto, non aveva il
benché minimo senso dell’orientamento; per contro, la sfiga ci vedeva alla
grande, anzi, era quasi come se avesse un radar perennemente sincronizzato su
di me.
Dopo aver fatto la mia scelta, avevo stirato con le mani il
piccolo pezzo di carta, incredula del risultato che spiccava a chiare lettere
blu sul fondo bianco.
< Newton >, avevo dichiarato senza alcun entusiasmo.
Jessica mi aveva quasi fulminata con lo sguardo dopo aver
ascoltato il responso ma, ero pronta a scommettere che, l’avrebbe fatto anche
se fosse uscito Edward. Faceva parte del suo scarno repertorio d’espressioni,
d'altronde.
Mike si era avvicinato con la sedia fino ad raggiungere il
mio banco e io avevo sbuffato sonoramente della sua vicinanza non gradita, non
degnandolo neanche di uno sguardo.
< Molto maturo, Isa >, mormorò Newton.
Lo sapevo, era un comportamento infantile e poco proficuo,
ma proprio non ci riuscivo ad andare d’accordo con la gente falsa.
La professoressa aveva ignorato la mia poca disponibilità a
collaborare e si era avvicinata con il foglio di riepilogo in mano e con il suo
solito sorriso svampito.
Visto l’andazzo, non mi sarei più sorpresa se, come lavoro,
mi fosse capitato quello dell’omino degli hot dog sulla quattordicesima.
< Isabella, tu sei un’avvocatessa. Lavori presso uno
studio di avvocati molto stimato >, mi sorprese invece.
D’altronde come avvocato non sarei stata per niente male,
considerato che, una delle cose che mi riuscivano meglio era rigirare la
frittata a mio favore o, per lo meno, con Charlie era sempre stato così;
tuttavia, sapevo che era impossibile per me un giorno intraprendere quel tipo
di carriera.
Non era avere una scarsa fiducia in se stessi era
unicamente essere realistici.
Se guardavo al mio futuro, attualmente vedevo solo un
grande punto di domanda nero roteante su uno sfondo psichedelico.
Di una sola cosa ero più che certa, considerato il mio
rapporto a dir poco coflittuare con lo studio in tutte le sue forme e la poca
disponibilità di denario, mi pareva scontato che non avrei frequentato
l’università.
Oltretutto, non c’era niente in cui spiccavo veramente:
l’arte mi interessava ma non avrei saputo distinguere un Monet da un Renoir, la
musica mi piaceva ma non ero in grado di suonare nessuno strumento, per non
parlare poi dello sport, in quello facevo proprio schifo.
Più ci pensavo e più mi deprimevo.
Era proprio per non avvilirmi, per non sentirmi così inutile,
che avevo sempre sostenuto una delle mie filosofie di vita: vivere giorno
per giorno, il resto si vedrà.
Ed era esattamente ciò che avevo fatto fin’ora.
Non ero in grado di programmare concretamente neppure cosa
avrei mangiato per cena, figuriamoci poi tutto il resto. Solo adesso mi rendevo
conto che, in realtà, quello era solo un modo, una patetica scappatoia, per
rimandare i problemi senza pensare che un giorno ci avrei sbattuto il naso
contro.
Iniziavo a odiare seriamente questo corso.
< Mike >, parlò l’insegnante dopo averci consegnato
il foglio, < tu sei un operatore di call center >.
Ma chi diavolo li faceva gli accoppiamenti?
Avvocato con operatore precario dei call center. Ci stava
come i cavoli a merenda.
Anche se dovevo dire che Mike come operatore dei call
center - tralasciando la sua irritante voce nasale – ce lo vedevo proprio bene.
Inopportuno, seccante e molto ma molto rompi coglioni. (n.d.a. mi scuso con
tutti gli operatori di call center ù.ù).
< Hey ma lei guadagna più di me >, affermò Newton
sconcertato con gli occhi puntati sulle cifre stampate sul foglio.
< Molto maturo, Newton >, gli feci il verso.
< Mike, siamo nel ventunesimo secolo >, spiegò
l’insegnante, < non è poi così inconsueto che una donna guadagni più del
proprio compagno > sorrise arcigna.
Forse adesso riuscivo a capire il perché di questo
accostamento apparentemente insensato: la prof. era una di quelle femministe convinte
e questo era senza dubbio un punto a mio vantaggio.
< Questo è il vosto bel bebè > e così dicendo ci
consegnò un bambolotto che, prontamente, Mike raccolse tra le sue braccia.
Una femmina, dedussi visto il colore rosa confetto della
sua tutina.
Disgustoso…
< Edward, sei rimasto solo tu >, unì le mani in una
sorta di mezzo applauso, inspiegabilmente euforica.
Mi guardai per un attimo attorno.
Era vero.
Ero stata tanto presa da non aver neanche considerato che
Edward era rimasto l’unico senza compagna.
Da un lato non potei che gioirne.
Non mi era poi difficile pensare cosa sarebbe successo se
fosse capitato con una qualsiasi ragazza con un minimo di vista.
Aspettai però a cantare vittoria troppo presto e restai
all’ascolto.
< L’avevo previsto >, sorrise la donna fino a
mostrare le gengive rosee.
Non vorrà mica chiedergli di ‘accoppiarsi’ con lei, spero…
< Edward
Cullen, sei un uomo d’affari…single >, affermò convinta.
Ah ah! Questa sì che era bella!
< Sei un imprenditore del settore termosanitario >,
continuò a spiegare.
Ma era uno scherzo?
Cioè, già Edward Cullen uomo single era difficile da
concepire come circostanza, figuriamoci poi un Edward Cullen uomo single
imprenditore di cessi!
Faceva troppo ridere…l’avrei preso in giro per i prossimi
tre mesi, poco ma sicuro.
< Purtroppo per te >, fece una pausa e s’accigliò,
< abbiamo finito i bambolotti a nostra disposizione >.
< Potrei chiedere al capo d’istituto di farcene recapitare
degli altri o - >, proseguì in evidente difficoltà.
< Non si preoccupi. Non fa niente >, la interruppe
Edward con gentilezza, < tutto sommato sono un uomo d’affari con pochissimo
tempo a disposizione >, poggiò i gomiti sul tavolo e intrecciò le dita delle
mani tra loro sotto il suo mento.
Per un fottuttissimo minuto, per il tono e per la posizione
che adottò, sembrò quasi che quello che stesse dicendo fosse vero. Se non fossi
stata al corrente del corso, e mi fossi sintonizzata solo in quel momento sul
pianeta Terra, avrei creduto che lui fosse un dannatissimo imprenditore di
cessi, ci avrei messo la mano sul fuoco.
< Inoltre >, sorrise sghembo senza abbandonare la
posizione da “imprenditore hot”, < sono un uomo solo, senza una
compagna… >, si sbilanciò un po’ in avanti con gli occhi sempre puntati su
quelli della prof. che oramai sfiorava l’aritmia cardiaca.
Ancora qualche minuto e avremmo avuto bisogno di un
salvagente…
< Grazie >, gli sorrise gaia, < sono certa che
farai comunque un ottimo lavoro >, aggiunse con tono carezzevole da far
venire la nausea persino a Hello Kitty e Co.
< Ragazzi >, si volse verso la classe con ancora i
postumi del dolce annebbiamento causatogli da Cullen, < PRESTATE ATTENZIONE!
>, Sbraitò facendoci sobbalzare tutti, considerato che il richiamo fù del
tutto inaspettato: non volava neanche una mosca.
< Da ora i vostri bebè sono attivi e voglio che, da
questo momento, non li considerate più come degli oggetti ma come degli
individui >, ci informò recuperando immediatamente la calma.
< Non ci saranno break di nessuna natura. I neonati sono
attiviventiquatt’ore su ventiquattro,
giorni domenicali e festivi compresi >, ci spiegò e continuò euforica, <
come tutti i bambini necessitano di tutte le cure possibili: hanno bisogno di
mangiare, di essere cambiati, di riposo…e soprattutto di amore e di affetto
>.
< CHIARO??? >, Urlò nuovamente abbattendo la barriera
del suono. Vidi Angela portarsi una mano al petto dallo spavento.
Stentavo a crederci.
Com’era possibile? Che per caso fosse posseduta da qualche
demone?
Dietro di me sentivo chiaramente Jasper e Emmett
sghignazzare dei continui sbalzi d’umore della prof., gli unici, perché tutti
gli altri erano totalmente esterrefatti, me compresa.
< I pupi sono dotati di un microchip che memorizza le
varie attività ed è in grado di segnalarci, attraverso degli indicatori, il
loro livello di felicità >, sorrise a trentadue denti.
Oh no! In questo facevo proprio schifo!
Avevo perso il conto di tutte le volte che avevo fatto
morire il cane del tamagotchi.
< Avete tre settimane di tempo per preparare una
relazione esaustiva >, ci informò, < tuttavia, a campione,
settimanalmente, verrà scelto uno studente per verificare che tutto stia
andando per il verso giusto…quindi, per qualcuno di voi il lavoro potrebbe
finire prima del previsto >.
La campanella iniziò a suonare e alcuni ragazzi iniziarono
a raccogliere le loro cose per scappare all’ora successiva.
< NON HO FINITO! >, tuonò con fare nuovamente
isterico, molti ragazzi si pietrificarono nelle pose in cui erano, freddati
dalla sua voce acuta.
< Voglio solo che sappiate che questo voto farà media
>, ci minacciò sadicamente prima di darci le spalle e iniziare a ridere
senza alcuna apparente motivazione.
Mah, chi la capisce è bravo…
Avrei voluto parlare con Edward ma non avevo proprio tempo
per farlo. Raccolsi la cartella e mi preparai alla fuga prima che Newton mi
sbolognasse il marmocchio.
< Isa >, mi chiamò invece mandando in fumo il mio
piano di evasione.
Sospirai roteando gli occhi al cielo, pure lui fece una
faccia esasperata e poi parlò.
< Noi due non ci piaciamo, lo so > si passò una mano
tra i capelli biondo cenere cercando probabilmente le parole per continuare il
discorso.
Aspettai che proseguisse senza interromperlo.
< Però sappiamo benissimo entrambi che questo voto ci
serve >, sostenne a ragione, < quindi, che ne dici di fare un piccolo
sforzo? >.
< Mhh, una sorta di tregua, dici? > Mi mordicchiai il
labbro inferiore pensosa.
< Sì, direi che si può fare, per questa volta >,
accordai infine.
Eravamo in acque neutrali, adesso.
Le sue labbra si allargarono in un ampio sorriso.
Se, i miei canoni di bellezza non fossero diventati
improvvisamente irraggiungibili a causa dei fratelli Cullen e se non lo
conoscessi affatto, avrei potuto dire che infondo non era male fisicamente.
< Dobbiamo darle un nome >, se ne uscì portando la
faccia del bambolotto ad una spanna dalla mia.
Indietreggiai di un passo.
< La pazza vorrà saperlo >, precisò riferendosi alla
professoressa.
< Mhh, che ne dici di botolino di ciccia? Anzi no:
marmocchio pulcioso? O forse, meglio: ammasso di caccole? > Proposi.
< Sii seria >, mi riprese.
< Trovato! >, Saltai all’istante.
< Figlio del demonio? >, Chiesi cinica.
< Considerata la madre potrebbe anche andar bene >,
mi schernì.
< Com’è che si chiama tua madre? >, Chiese subito
dopo tornando serio.
Mi sorpresi della domanda: non l’avrei mai detto che Newton
fosse un tipo così all’antica da dare i nomi dei nonni.
< Renèe >, risposi.
< Allora che ne diresti di Marlene? >
Marlene? Come la mela?
< Mary più Renèe >, spiegò vista la mia esitazione
muovendo velocemente le mani.
< Dico che è una puttanata >. Ma come gli venivano
certe idee?
< Allora? > Insistette.
< Come vuoi >, sbuffai, < non m’importa >.
Non avevo altro tempo da perdere con lui.
Voltai i tacchi e feci per incamminarmi, quando la sua mano
mi bloccò.
< Dove credi di andare? >, Domandò incredulo corrugando
le sopracciglia sulla fronte.
< Cos’altro c’è? >, Sospirai infastidita.
< Dobbiamo organizzarci sui turni >.
< Okay >, scoccai la lingua, < ora tocca a te >
stabilii.
< Non se ne parla neppure! >, strepitò.
E meno male che lui era quello del “veniamoci incontro”…
< Ho un compito di letteratura inglese alla prossima
>, si lamentò.
< Mike, io ho ginnastica. Come faccio ad occuparmene?
>, Domandai alzando entrambe le sopracciglia.
< Da quando tu fai ginnastica?>. Domandò scettico.
< Da quando tu mi spii? >, Ribattei furente, < ad
ogni modo, da oggi >, lo informai. Falsa.
Non lasciandogli altro modo di replicare lo abbandonai in
corridoi con Marlene.
Alla fine della lezione di ginnastica, mi trovavo
placidamente seduta sulla panca di legno degli spogliatoi femminili, sebbene
non avessi la necessità di cambiarmi, visto che, come previsto, non avevo
svolto neanche un esercizio, quando sentii un pianto meccanico perforarmi i
timpani farsi sempre più vicino e minaccioso.
Newton, fregandosene delle ragazze mezze nude, entrò
furioso nello spogliatoio.
Evitai di chiedergli come fosse andato il compito di
letteratura inglese perché, a giudicare del suo sguardo assassino, dedussi che
non doveva essere andato a meraviglia, decisamente no.
< Ciao Mike >, tentai titubante alzando il palmo
della mano verso l’alto con un mezzo sorriso.
< Ciao un cazzo >, fu la sua risposta.
< Questo coso mi ha rotto i coglioni durante
tutto il compito. Non ha fatto altro che piangere >. Dal modo in cui lo
disse temetti che potesse scoppiare a piangere anch’esso.
In due non li avrei proprio sopportati…
< Lo devi tenere tu >, disse e suonò come un ordine.
< O-okay >. Non ebbi il coraggio di contraddirlo. Il
suo sopracciglio destro stava tremando dal nervoso, era prossimo all’isteria.
Ed ecco che me l’aveva affibiata per tutto il pomeriggio.
DRIIIINDRIIIIN
Lo squillo del telefono mi riportò alla realtà.
< Stai buona qui >, mi rivolsi a Marlene prima di
scendere dal letto per andare di sotto a rispondere.
Scesi i gradini a due a due e mi precipitai sulla cornetta
del telefono posta all’entrata della cucina.
< Pronto? >, risposi.
< Isaaaaaaaaaaaa >, l’inconfondibile voce di Alice mi
giuse dall’apparecchio compromettendo seriamente il mio udito.
< Alice >, risposi anche io con entusiasmo.
< L’hai già fatto fuori?>, Chiese ironicamente
riferendosi al bambolotto.
< No. Almeno credo >, risposi titubante, < è di
sopra > precisai per rimarcare il fatto che non me ne fossi sbarazzata, non
ancora.
Per tutto il resto della conversazione non fece altro che
parlarmi di Samantha, la sua bambina, e di quanto fosse meraviglioso il
lavoro che le era capitato, quello di pediatra.
< Ma mi stai ascoltando?>, Domandò poi, certamente
disturbata dal rumore di pentole in sottofondo.
< Sì, scusa >, mormorai con il mestolo di legno tra
le labbra mentre cercavo di afferrare il tegamino che, come al solito, era
finito, non si sa come, nell’angolo più irraggiungibile della credenza.
< Mi stavo preparando una cioccolata >, ammisi
vittoriosa quando l’ebbi finalmente raggiunto.
Rise sommessamente. Chissà forse mi stava immaginando in equilibrio
precario sul mobile della cucina con un piede dentro il lavello e l’altro sul
piano cottura con il filo del telefono attorcigliato attorno al collo.
< In realtà non ti ho chiamata solo per Samy, comunque>,
disse poi, < volevo chiederti un favore >.
< Quale? >, Chiesi mentre mescolavo il latte nel
piccolo tegame.
< Mio padre domani sarà fuori città per un convegno
medico >, m’informò, < volevo chiederti se ti andava di dormire da
me>, affermò speranzosa.
< Certo > risposi senza neanche pensarci.
La capivo: dopo quello che le era successo era più che
comprensibile che non volesse restare da sola e, inoltre, visto il rapporto con
mio padre in questi utimi giorni, non mi sarebbe dispiaciuto per niente stargli
lontana.
< Grazie, sei un tesoro > riattaccò.
Con brevi e piccoli passi, alternando
le dita che man mano si scottavano per reggere la tazza, cercai di raggiungere
la mia camera senza versare la cioccolata sulla moquette: Charlie mi avrebbe
uccisa se, per sbaglio, l’avessi fatto.
Con un piede spinsi la porta e AAAAAAAAAAAAAAHHHHHH quasi
non mi versai tutto il contenuto bollente della tazza sul viso.
< Edward, che ci fai qui? >, domandai di getto.
Certo, non era da tutte trovare un Edward sdraiato sul
proprio letto e, sicuramente, moltissime ragazze avrebbero pure pagato per
averlo, ma così rischiava di farmi venire seriamente un infarto prima del
tempo.
Si alzò lentamente, quasi svogliatamente, dal mio letto come se l’avessi in qualche
modo disturbato. Mi tolse la tazza dalle mani e l’appoggiò sul comodino.
< Ciao avvocatessa
>, sorrise sghembo come se nulla fosse.
< Ciao >, mi imbambolai a osservare la maliziosa
pieghetta che si era formata all’angolo destro delle sue labbra.
Cercando di fare leva sull’unico neurone disponibile,
ripresi lucidità.
< Che ci fai qui? E come sei entrato?>.
< Dalla finestra >, rispose come se fosse ovvio, <
era aperta, pensavo mi stessi aspettando>.
< Veramente no >.
< Bèh >, iniziò avanzando verso la finestra, < se
vuoi me ne vado >.
< No >, l’enfasi nella mia voce mi tradì.
Rise sommessamente.
Si sdraiò nuovamente sul letto portando entrambe le mani
dietro la testa.
Rimasi per qualche lunghissimo
secondo ad osservarlo.
Indossava una camicia azzurro cielo, leggermente
spiegazzata, lasciata volutamente fuori dai pantaloni. I primi due bottoni
erano slacciati e si intravedeva un lembo di pelle candida del suo petto e una
piccola collanina di caucciù. Le maniche erano arrotolate fino al gomito.
Sotto, indossava un paio di jeans chiari che fasciavano alla perfezione le sue
gambe toniche.
E, ancora in piedi, mi domandai che cosa ci facesse un
ragazzo come Edward nella mia stanza…
Sorrise leggermente spostando il suo sguardo su di me che,
ancora, gli stavo facendo una radiografia completa.
< Vieni qui >, sussurrò con voce profonda e si spostò
da un lato per farmi spazio sul letto.
Notai che Marlene era stata spostata sulla sedia a dondolo
accanto al letto.
Lo raggiunsi e mi accoccolai accanto a lui.
< E così conosci David Aardsma? > Mi domandò alzando
scettico un sopracciglio.
< Chi?>.
< Mi riferisco a questa >, disse alzando un piccolo
lembo della mia maglietta a righe.
< è solo
il mio pigiama! >, alzai le spalle.
Ridacchiò.
< Sei proprio strana, sai?>, sostenne.
< Emmett pagherebbe oro per avere questa maglietta e tu
la usi come pigiama! >.
< è una
storia lunga >.
< Abbiamo tutto il tempo >, disse tranquillo.
< Tempo fa, quando ancora abitavo a Phoenix con mia
madre >, iniziai a raccontare, < Phil, il suo compagno, insistette per
portarmi a una partita di baseball… >.
< Una noia mortale: Phil è un fanatico del baseball e
strillava come un ossesso ad ogni battuta mentre io mi limitavo a scagliare i
pop corn addosso alle persone davanti >.
Edward rise.
< Alla fine della partita insistette anche per andare
giù negli spogliatoi. Sai anche lui gioca a baseball in una serie minore>,
spiegai velocemente, Allora, arrivati là mi disse "perché non vai da quel ragazzo a farti fare un autografo?”>,
raccontai cercando anche di imitare la voce di Phil.
< All’inizio mi rifiutai, insomma: che m’importava di
avere l’autografo da quel tizio? >.
< Ma, quando capii che, più avrei desistito e più tempo
avrei dovuto rimanere in quel luogo, mi decisi ad andare >.
Fissai Edward che, con attenzione, stava seguendo il mio
racconto.
< Il ragazzo, vedendomi arrivare, si tolse la maglietta,
l’autografò e me la porse sorridente. Insomma: fece tutto lui, non ebbi bisogno
né di dire né di fare nulla >.
< Tornai da Phil con la maglietta e quasi non mi svenne
davanti >, risi ricordando esattamente la scena.
< Non so dirti con precisione per quanti giorni
insistette per averla. Mi assillò e cercò inutilmente di corrompermi. Ma ormai
era mia. Se la volava poteva andare lui, no?>.
< Stronzetta >, mi pizzicò una guancia. Gli feci un
finto broncio sporgendo il labbro inferiore all’infuori, come i bambini.
< Comunque, seriamente >, soffiai, < non è che non
mi faccia piacere…mache ci fai qua?
Insomma tu sei tu, Edward Cullen, e
io sono io. Non sono esattamente la ragazza perfetta >.
< Non hai una bella considerazione di te stessa, vedo
>, affermò incollando il suo sguardo al mio.
Si sollevò sui gomiti e si avvicinò.
Portò la sua mano sulla mia guancia e l’accarezzò
lievemente con le dita.
Al suo tocco leggero fui attraversata da una scarica di
adrenalina lungo la schiena che mi fece desiderare un contatto decisamente più
approfondito.
Schiuse la sua mano a coppa sul mio viso, incatenando i
nostri sguardi.
Era incredibile la capacità attrattiva che avessero le sue
iridi color miele. Come due calamite potentissime non facevano altro che
attirare il mio sguardo costantemente su di lui. E io, d’altra parte, non
chiedevo altro che poterlo guardare da così vicino, respirare il suo respiro, inspirare
il suo odore, sentirlo potente su di me…
E il naufragar m'è dolce in questo mare…
Bèh, qualcosa potevo
dire di averla imparata se mi venivano certi rimandi!
< Se solo potessi vederti come ti vedo io…>, respirò poi
sulle mie labbra facendomi rabbrividire.
Lo vidi deglutire piano. Le sue labbra tremarono appena mentre
le mie non desiderarono altro che unirsi alle sue.
La sensazione del suo respiro fresco sulla pelle era
destabilizzante. Dovetti abbandonare il contatto visivo, chiudendo per qualche
secondo gli occhi, per impormi di non annullare la distanza tra le mie labbra e
le sue.
< è quello
il problema >, contrariamente alle mie aspettative, riuscii a parlare.
Restò immobile in attesa che mi spiegassi meglio.
< Io non sono come tu mi vedi. Non mi conosci veramente.
Ho fatto cose di cui non vado fiera… >, ammisi mordendomi nervosamente un
labbro.
< Potrei essere pericolosa…>,
aggiunsi piano, quasi vergognandomene.
Le sue labbra si allargarono in un sorriso amaro.
Il suo sguardo, sempre più penetrante, sembrava voler ricercare
qualcosa nei miei occhi.
Dicono che gli occhi siano lo specchio dell’anima e che
difficilmente riescano a mentire. Che Edward stesse cercando un riscontro con
le mie parole? Forse non credeva che potessi essere in qualche modo pericolosa?
Lo ero. Avevo appurato di avere un ascendente negativo
sulle persone che mi stavano intorno. Chi aveva tentato di cambiarmi, in
passato, aveva finito mutare se stesso e diventare anche peggio.
Come era successo ad Alex…
Nessuno doveva avere mai la sventura di innamorarsi di me.
< Non m’importa del tuo passato. M’importa di quello che
sei adesso >, sorrise dolcemente.
< Non innamorarti di me, ti prego >, lo supplicai.
Ma anche il mio corpo sembrò andare contro le mie stesse parole.
È risaputo: cuore e cervello non vanno quasi mai di pari
passo.
Alzai una mano e iniziai a tracciare i lineamenti del suo
viso con un dito quasi a volerli imprimere nella mia mente.
< Le persone non cambiano >, sussurrai mentre
continuavo ad accarezzare i contorni perfetti del suo viso.
< Ma fanno delle scelte >, mi bloccò la mano e ne
baciò le dita.
< Le scelte, giuste o sbagliate che siano, ti portano in
determinate direzioni. Non puoi cambiare la tua natura, è vero. Ma puoi
scegliere quale via prendere. Puoi, in un certo senso, scegliere di essere migliore…>,
sostenne con convinzione.
Nei suoi occhi lessi una scheggia di sofferenza e per un
attimo mi chiesi se lui avesse scelto di essere migliore di quello che era in
realtà.
Forse non eravamo poi così differenti, forse non c’era un abisso,
come pensavo, tra me e lui.
Traduzione del testo della canzone Iris dei Goo Goo Dolls
Traduzione
del testo della canzone Iris dei GooGooDolls
E ho rinunciato per
sempre a toccarti perchè so che tu mi senti in qualche modo
tu sei più vicina al paradiso di quel che io sia mai stato
e non voglio andare a casa ora
e tutto quello che posso assaporare è questo momento
e tutto ciò che posso respirare è la tua vita perchè presto o tardi è finita
e io non voglio perderti questa notte
e io non voglio che il mondo mi veda perchè non penso che la gente capirebbe
quando tutto è stato fatto per essere distrutto
io voglio solo che tu sappia chi sono
e tu non puoi combattere le lacrime che non stanno per arrivare
o il momento della verità nelle tue bugie
quando tutto sembra come nei film
si tu sanguini solo per capire che ancora sei vivo
e io non voglio che il mondo mi veda perchè non penso che la gente capirebbe
quando tutto è stato fatto per essere distrutto
io voglio solo che tu sappia chi sono (x3)
io voglio solo che tu sappia chi sono
io voglio solo che tu sappia chi sono
io voglio solo che tu sappia chi sono
La sfiga non vuole
proprio finirla di perseguitarmi e, per completare in bellezza, ha deciso di
farmi fare pure un incidente venerdì…mah speriamo che passi presto ç____ç anche
perché oggi è il mio compleanno ^^
Non potete neanche immaginare
quanto sono felice che abbiate apprezzato lo scorso capitolo che, vi dirò, è
uno dei miei preferiti.
Wow! non credevo di
ricevere tutto quest’affetto! Mi sono sorpresa di come molte di voi abbiano
letto tra le righe quello che intendevo dire realmente e non perché vi reputo
delle capre ma perché so a volte di non risultare chiara…
Questo capitolo, come vi
avevo anticipato, è composto dai pov di Isa e di Jazz. Come ormai da mia
consuetudine, troverete un pov allegro e divertente (spero) e uno molto
riflessivo (chissà quale, eh?). Capisco che dopo questo capitolo avrete mille
dubbi e mille domande…sappiate però che sono a disposizione per rispondere ad
ognuna di voi.
Ovviamente ringrazio
infinitamente la mia beta ufficiale barbyemarco. Senza
di leiquesta
ff si sarebbe fermata al 3 capitolo. Un grazie anche alla mia amica
non virtuale Elisa che sopporta le mie pazzie e
m’ incoraggia.
Il capitolo come sempre lo
dedico a tutte voi ed in particolare ad artemide88 per la bellissima
recensione che mi ha lasciato <3, a Lampra che mi ha lasciato ben 2
commenti, a Nightmare123 per la fantastica recensione e per
la piacevole discussione su msn e
alla mia music
beta Sheba_94 per la musica che mi consiglia che è fonte
immensa d’ispirazione. Avrei altre dediche da fare ma se continuo non finisco
più per cui rimando al prossimo capitolo.
Passo e chiudo.
--------------------
Bad Girl
[Isabella Swan]
Cap. Tweenty five - The girl on
the river
Sognare. Non c’era cosa che mi
riuscisse meglio.
Sognavo ovunque, anche ad occhi
aperti.
Per quel che ne sapevo, avevo
sperimentato tutte le sessantaquattro posizioni del Kama Sutra, nei sogni.
Avevo visitato le principali capitali
del mondo, sempre nei miei sogni.
Ero stata la vincitrice di indefiniti
concorsi a premi e avevo viaggiato in groppa al mio fedelissimo Falkor
Purtroppo, spesso, la mattina, non ne
serbavo neppure il minimo ricordo per quanto mi sforzassi, eppure sapevo di aver
sognato. Non potevo non averlo fatto anche solo per poche ore. Altrimentinon si sarebbe spiegato il rincoglionimento
tipicodelle prime ore del mattino.
Altre mattine, invece, gli incubi mi
lasciavano così turbata da portarne un vivido ricordo durante tutto il giorno.
Ad ogni modo, potevo affermare di
vivere in una sorta di dormiveglia continuato, perenne, favorito dalle deprimenti
ore di lezione.
Tra
sogno e realtà.
E poi c’era lui. Edward.
Difficilmente collocabile.
Era un effimero e meraviglioso sogno, o la pura e, sempre meravigliosa,
realtà?
Mi accoccolai meglio al cuscino.
Non
ricordavo di aver mai dormito così bene in vita mia.
Sentivo
che ogni parte di me era completamente rilassata, distesa.
Le
lenzuola trapelavano ancora il dolce profumo di Edward. Ne inspirai ogni fibra
inebriandomi di quell’aroma.
Stamattina
non mi sarei alzata per nulla al mondo…
<< Ueeeeehhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh!
>>.
Qualcosa
ebbe l’ardore di disturbare il mio sonno.
Allungai il braccio per spegnere quel
maledetto arnese chiamato sveglia e riportai il soffice piumone fino a sopra il
naso.
<< Ueeeeehhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh!
>>.
Più che infastidita, mi allungai
nuovamente verso il comodino per zittire definitivamente la sveglia.
La mia manata ebbe come risultato
quello di farla cascare sul pavimento producendo un tonfo sordo.
Così
non mi avrebbe più disturbata, almeno.
<<
Ueeeeehhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh! >>.
No, non era possibile…
Ah!
Marlene…
Solo in quel momento mi ricordai dell’agglomerato
di plastica anallergica che mi era stato affidato.
< Vado io >, mi avvertì la sua voce profonda e melodiosa e sentii
le sue calde[2]
braccia sciogliere lentamente il dolce
abbraccio in cui erano impegnate.
< Grazie >, mugugnai
stringendomi ancor di più nel caldo piumone.
No,
aspetta un attimo.
IO
CHI?
Mi voltai all'istante dall’altra parte
del letto sbattendo il naso contro qualcosa di duro. Ricordai di aver provato
un dolore simile quando a scuola mi ero scontrata con quell’energumeno di
Emmett Cullen.
Ahiu.
Il suono di sorrisino beffardo mi
giunse all’orecchio.
Aprii gli occhi per poi scoprire di
vedere solo bianco. Li strizzai stupita.
Indietreggiai un poco con la testa per
mettere bene a fuoco, e l’immagine iniziò ad
avere un senso.
Il petto nudo di Edward.
Ah!
È solo il petto....
NUDO?
Boccheggiai alla ricerca di ossigeno.
Il fatto di essermi appena svegliata non contributiva affatto.
< Tu che … cosa… >, parlai
confusamente quasi come se, ad intermittenza, mi stessero alimentando ad
elettricità.
< E Charlie? >, chiesi subito,
allarmata che potesse scoprirci a letto insieme.
Mi zittì con un dito e assunse un aria
quasi seccata.
< Charlie è uscito quasi un’ora fa...
e mi hai chiesto tu di restare,
ricordi? >, domandò guardandomi intensamente negli occhi.
Cercai velocemente di fare mente
locale alla sera prima e immediatamente una serie di immagini iniziarono a
balzarmi davanti: cioccolata. Edward.
Cioccolata. Edward. Bacio alla cioccolata. Charlie che rompe i coglioni…
“Forse è meglio che vada “.
“No, rimani questa notte “.
< Ho accettato e dopo qualche
minuto sei crollata >, constatò sorridendo.
Io
che mi addormentavo con Edward accanto.
No,
questo era assolutamente da non raccontare in giro.
L’ennesima dimostrazione che la mia
stupidità era infinita.
Portai entrambe la mani sul viso.
Mi vergognavo. Per la prima volta dopo
tanto tempo avvertivo un forte senso di imbarazzo.
Sempre con le mani davanti al viso
bofonchiai delle parole d’ammonimento incomprensibili perfino per le mie
orecchie.
Senza considerare che, adesso che ci
pensavo, appena sveglia dovevo aver un aspetto a dir poco mostruoso.
Perché non poteva essere come nei
film? Perché non potevo svegliarmi già truccata e perfettamente pettinata?
Perché non poteva esserci un efficientissimo Diego Della Palma appollaiato sul
mio comodino munito di piastra per capelli?
Com’era
ingiusta la vita…
Non so dire quale delle due cose mi
desse più fastidio: se l’essermi addormentata con un ragazzo come lui nel letto,
o l’essere vista in quelle condizioni a dir poco pietose.
Edward sbuffò.
Sbirciai, tra un dito e l’altro, la
sua espressione.
< Era meglio mentre dormivi >,
scherzò, < dicevi senz’altro cose più sensate e divertenti >.
NO.
QUESTO NO.
Perché
non c’è mai una botola dove sprofondare nei momenti come questi?
Parlavo sempre, troppo e a sproposito,
il più delle volte. E purtroppo lo facevo anche in sonno.
Quante volte Charlie me lo aveva
detto? E Angela?
Chissà, forse nel mio cervello c’era
una sorta di meccanismo inceppato che non mi permetteva di chiudere bocca per
un solo secondo, un interruttore difettoso perennemente sull’ “on” che dava alito a tutto quello che mi
passasse per la testa. Senza filtro.
Ora il problema era uno: che diavolo avevo detto quella notte?
La cosa era decisamente imbarazzante.
Pregai in tutte le lingue che
conoscevo di non aver sognato, per quanto possibile, proprio la
sessantacinquesima posizione del Kama Sutra, l’elicottero, quella notte.
C’era solo un modo per scoprirlo.
< Cos-cosa ho detto? >, chiesi
titubante.
< Ah ah >, rise stringendo gli
occhi e buttando la testa all’indietro.
< Non te lo dirò mai >, aggiunse
facendomi venir voglia di picchiarlo.
< Ah sì? >, minacciai alzandomi
in piedi sul letto.
Scesi velocemente cercando di non
procurarmi l’ennesima frattura e presi da terra la prima cosa a disposizione
come ostaggio: una scarpa o un
transatlantico, qual si voglia, vista la dimensione del piede di Cullen.
Risi furbetta incontrando il suo
sguardo dubbioso.
Mi avventai svelta alla finestra
aprendola di getto.
< O me lo dici o butto la tua
scarpa di sotto…>, minacciai.
Ma Edward non si lasciò intimorire.
Con un espressione distesa si sollevò dal letto e prelevò, tenendolo da un
tallone, il bambolotto malefico dalla sedia a dondolo.
< E tu puoi dire pure addio al tuo
progetto di economia domestica…>, replicò alla mia intimidazione,
avvicinandosi anch’esso pericolosamente alla finestra aperta.
Lo osservai con alterigia alzando un sopracciglio.
Davvero credeva me ne fregasse
qualcosa di quel coso?
Certo, un aggiuntivo brutto voto anche
in questo stupido corso non avrebbe favorito la mia promozione senza poi considerare
che avrei dovuto sorbirmi la probabile reazione isterica di Newton …
Iniziai a ridere. Meglio fuorviare.
< Non m’importa >, ribattei.
Rimase un tantino turbato dalla mia
risposta.
< Allora? Che fai me lo dici o no?
>, riprovai simulando anche il lancio della sua scarpa.
< Mai >, sibilò tra i denti
orgoglioso.
< D’accordo >, alzai le spalle
con noncuranza e lanciai la scarpa oltre la finestra.
La guardammo fare diverse capovolte
nell’aria, a rallenty, finché non si posò sul terreno ricoperto di ghiaia
bianca del retro della casa producendo un tonfo secco.
Tonf.
Mi voltai a osservare per un secondo
l’espressione di Edward ancora fissa sulla scarpa bianca dell’Asics.
Il suo viso era una maschera senza
alcuna espressione.
La
calma prima della tempesta,
pensai.
Okay, forse, dico forse, avevo un po’
esagerato…
Indietreggiai di un passo pronta a
scappare ma Edward si voltò inchiodandomi con lo sguardo.
Il respiro mi si spezzò in gola. Rimasi
immobile in attesa della sua prossima mossa.
Lentamente l’espressione spigolosa del
suo viso si attutì, i suoi occhi si addolcirono, le sue guance si ammorbidirono
e le sue labbra si inarcarono nel suo solito, stupendo, sorriso sghembo, facendomi perdere un battito.
Sorrise e poi rise più forte
lasciandomi allibita.
< Giuro >, disse fra una risata
e l’altra, < non pensavo che l’avresti fatto davvero >. Quasi si
congratulò.
La sua risata contagiò anche me e ci
ritrovammo a ridere sulla moquette come due stupidi.
< Sì, però adesso vai a prenderla
>, puntualizzò tornando serio in un attimo. Voce e sguardo non ammettevano
obiezioni.
[Jasper Cullen]
Eppure
l’ho già vista…
Non avevo memoria di quando ero ancora
un umano, se non per frammentarie schegge di ricordi relativi agli istanti
immediatamente antecedenti la trasformazione.
Ricordavo esattamente la percezione dell’ardere
vivi, la cruda sensazione di avere delle fiamme nelle vene, la speranza di
morire il più velocemente possibile per non sopportare oltre l’agonia della
trasformazione e, ho impresso nella mente, come un marchio a fuoco che mi
seguirà per il resto dei miei giorni, il viso di colei che credevo di amare e
che mi ha ingannato togliendomi la vita.
Il
nemico a volte ha la faccia di un angelo… questo l’ho imparato troppo tardi, però.
Se la mente degli umani è labile,
semplice, evanescente, esattamente come tutta la loro esistenza: incomprensibile,
pletorica e passeggera. La memoria
vampiresca, al contrario, è una fonte inesauribile di immagini, suoni e
sensazioni indelebili. Ogni singolo suono, ogni odore è immediatamente
associabile a diversi frangenti, a diverse epoche.
Tuttavia, quando si è immortali,
quando si vive per sempre, si cerca di non fossilizzarsi troppo sul passato.
Ci si impone di non attingere, per
quanto possibile, dai ricordi della memoria.
Tutte
le persone che conosci prima o poi muoiono…
Ma questa volta non potevo non
sforzarmi di ricordare dove l’avevo già vista, per quanto mi sembrasse assurdo
e insensato.
Quando per la prima volta i miei occhi
si erano posati sui suoi pozzi neri mi si era subito aperto un cassetto della
mente. Un cassetto che avevo cercato di tenere ben chiuso. Tanto impenetrabile
da essere sfuggito pure al potere di Edward e, tanto remoto, da crederlo, io per
primo, definitivamente rimosso.
Il
suo viso, i suoi occhi…
Alice.
Ecco perché, senza neanche rendermene
conto, avevo corso fino a qui. In quest’angolino di bosco quasi impenetrabile
dove tutto sembrava essere rimasto inalterato, congelato ad allora.
Se non fosse stato per la leggera
pioggerellina che, insistente, percuoteva i contorni di ogni cosa, e per la
sfumatura brunastra del cielo tipica delle prime ore del mattino, mi sarebbe
sembrato di essere tornato a quel giorno.
Era qui che l’avevo vista per la prima
volta.
Più di venticinque anni erano passati
da quel giorno.
Era
uno di quei giorni in cui la sete superava qualsiasi altra necessità. La gola
ardeva assiduamente bramando del sangue umano. Uno dei primi duri mesi di
allenamento alla nuova dieta, alla nuova vita.
Ero
solito emarginarmi in quel periodo. Non mi sentivo all’altezza della mia
famiglia. Di coloro che riuscivano a controllare i loro istinti con naturalezza
mentre non c’era parte di me che non implorasse altro che poter saziarsi di
vite umane.
Per
anni avevo serbato segretamente del rancore nei loro confronti.
I
loro sentimenti verso di me erano così limpidi, cristallini, che non potevo
credere fossero reali.
In
fondo, cosa davo loro in cambio?
Eppure
avevo appurato che nelle loro intenzioni non c’era traccia di qualsivoglia interesse.
Ognuno
di loro credeva
in me. Ognuno di loro mi dava fiducia.
Troppa.
Lo
detestavo.
Se
solo avessi letto un minimo di sospetto, anche solo una leggera perplessità,
forse avrei potuto permettermi di cedere.
Mi
guardai intorno.
Il
bosco non aveva alcun segreto per me. Conoscevo ogni singolo squarcio di quel
luogo. Giornalmente mi ci addentravo per nutrirmi, più del necessario, di
animali. Confidavo che, così facendo, mi sarei assuefatto
con più facilità alla nuova dieta. Per di più, risultando sazio, credevo di non
avvertire il desiderio di sangue umano.
Ma,
per quanto mi sforzassi, sapevo di mentire a me stesso.
Il
sangue animale era poco appagante come surrogato e non era che
un’infinitesimale consolazione del potenziale che aveva invece il sangue umano.
Quel
pomeriggio il cielo era limpido come in rare occasioni da queste parti. L’aria
era stranamente frizzantina.
La
mia attenzione fu catturata da uno stupido alce che, incurante del pericolo, si
era appena esposto all’attacco del nemico, il peggior predatore esistente.
Con
uno slancio mi avventai sull’animale con forza.
Ma,
mentre mi nutrivo, i miei sensi captarono una scia poco distante dal luogo nel
quale mi trovavo. Senza riflettere gettai la carcassa esanime sul terriccio
autunnale e seguii inebriato quel dolcissimo profumo.
Come
il canto delle sirene per gli sventurati marinai, il suo sangue mi richiamava.
Un
richiamo al quale era impossibile opporsi.
Corsi
veloce seguendo quella scia. Nessuno avrebbe potuto fermarmi.
Più
mi avvicinavo, più l’odore si intensificava e, come una miriade di schiaffi, mi
colpiva in pieno volto senza darmi il tempo di sottrarmi a quella piacevole
tortura.
Rallentai
il passo sino a camminare a lentezza umana, sebbene di umano non avessi più
nulla in quel preciso istante.
Attento
a non produrre il minimo rumore, mi avvicinai. Superai due fusti ricoperti di muschio,
incurvati secondo la foggiatura che il vento aveva comandato, e la vidi.
Seduta
sulla riva del fiume che attraversava il bosco, una ragazza attendeva ignara la
sua morte.
Ero
predatore. E lei, la mia preda. Non c'era altra
verità al mondo[3].
Ogni
singolo muscolo del mio corpo pulsava dal desiderio di attaccare all'istante.
Inaspettato,
silenzioso e letale.
Nessuno
si sarebbe accorto di nulla. Avrei impiegato quanto? Uno, due al massimo tre
secondi.
Se
già l’odore era così inebriante non osavo immaginare il gusto del suo sangue…
Mi
bagnai le labbra con la lingua pronto ad assaporare quel delizioso nettare.
In
quel momento non m’importava di quello che avrebbero pensato Carlisle e il
resto della mia famiglia. Avrei frantumato quella fiducia che mi avevano
offerto in un attimo, ma sapevo già che mi avrebbero perdonato, prima o poi.
Cautamente
mi misi all’ascolto di ogni singolo rumore o movimento e mi resi conto che la
ragazza era sola.
Mi
sorpresi. Cosa ci faceva a quell’ora del mattino una ragazza sola nel bosco?
Ma
infondo che importava?
Dopotutto
era un elemento che non faceva altro che favorirmi: nessun testimone da
eliminare, nessun’altra vita da spezzare. Solo lei.
Lentamente
mi avvicinai ancora di qualche passo pronto ad attaccare.
Le
lunghe e sottili ciocche di capelli inchiostro che ondulavano, mosse da
leggere brezze, nella mia direzione, erano un ulteriore richiamo per la mia già
logorante sete.
Così
preso dalla smania di volerla, non mi ero neppure accorto che la ragazza, quasi
sussurrando, aveva intonato un canto soave. Una sorta di ninnananna
malinconica.
Le
sue emozioni erano un miscuglio di tristezza, gioia e attesa che mi
confondevano totalmente.
Curioso
avanzai ancora di qualche passo anche se sapevo che non potevo permetterle di
vedermi.
La
morte è più semplice se improvvisa e indolore. Per cui restai immobile ancora
nascosto nell’oscurità dell’intreccio che le fronde producevano attorno a me.
La
melodia terminò d’un tratto.
Solo
i battiti del suo cuore scandirono quel momento.
“Non
mi farai del male” la ragazza parlò con voce ferma senza voltarsi, come se
sapesse che ero lì a pochi passi da lei.
Mi
irrigidii dalla sorpresa.
Com’era
possibile che mi avesse sentito arrivare?
Una
risatina si levò nell’aria: la sua.
Rimasi
nuovamente sconcertato della sua reazione.
“Ce
ne hai messo di tempo”, disse lanciando un sassolino nell’acqua.
“Ma
l’importante è che tu ora sia qui”, affermò tornando seria.
Era
ovvio che mi avesse scoperto. Non c’era nessun’altro se non io.
In
quel momento la cosa più razionale da fare era scappare immediatamente da quel
luogo.
Non
mi aveva ancora visto e, di conseguenza, questo non avrebbe compromesso il mio
segreto e quello della mia famiglia.
Eppure
non riuscii a fare neanche un passo per fuggire. La curiosità superava ogni altra
necessità in quel momento.
Chi
era quella ragazza?
Senza
neanche rendermene conto ormai le ero vicino, dietro le spalle.
Il
suo cuore batteva calmo.
Perché
non aveva paura di me?
Portò
le ginocchia al petto e le circondò con le braccia.
Indossava
un lungo maglioncino color panna che copriva il palmo delle sue mani piccole.
Lanciò
un altro sassolino nel fiume e m’incantai ad osservare le increspature
concentriche dell’acqua. Quando queste terminarono, vidi il mio viso riflesso
nello specchio dell’acqua e vidi, per la prima volta, il suo viso.
Aveva
due grandi occhi neri di un’espressività disarmante, naso sottile e rettilineo
e labbra rosee carnose. Restai affascinato da quell’immagine.
Così somigliante ad Alice…
La
ragazza si alzò e i nostri occhi s’incontrarono. Ci scrutammo per qualche
istante.
Mi
osservava attenta con la fronte leggermente corrugata. Come se mi conoscesse… come
se, in qualche modo, mi avesse già visto.
Non
potei non notare il lieve velo di tristezza nei suoi occhi.
“Adesso
devo andare”, disse.
“Sono
felice di averti incontrato”, sorrise dolcemente, “anche se…”, interruppe la
frase a metà e quasi mi sentii morire, nuovamente.
“Anche
se questa sarà l’ultima volta che ci incontreremo”, disse poi accompagnando la
frase con un sorriso amaro.
“Addio”,
sussurrò quasi.
---------
Lo
so che vi starete chiedendo: che razza
significa? O___O
Pensateci bene perché mi
piacerebbe vedere delle vostre ipotesi. *la ely già se la ride*
Comunque
non sono così stronzetta come immaginate, perciò già nel prossimo capiremo se
la ragazza del fiume è Alice…
Quindi,
nel prossimo capitolo dovrete sorbirvi di nuovo jazz (XD). Lo so che è pesante
ma che ci può fare il ragazzo?
No
dai, nel prossimo c’è ancora Isa e soprattutto Alice e quindi non può essere noioso
(almeno spero ù.ù).
Aspettatevi
più che altro un capitolo romantico.
Come
sempre chiedo venia riguardo gli aggiornamenti. Sappiate che appena posso
scrivo ma non posso garantirvi tempi brevissimi.
Aspetto
con ansia le vostre impressioni su questo. Bacioni
Senza
addentrarmi troppo nella termodinamica
che è un campo che proprio non mi appartiene, sono arrivata a questo pensiero.
Edward e Isa hanno una chiara differenza di temperatura. Nei libri della Meyer
se il corpo di Edward entra in contatto con quello di Bella è quest’ultima a
patire il freddo (questo probabilmente per scoraggiare maggiormente un loro
avvicinamento fisico e per far fare più seghe mentali al nostro Eddino). Per me
è proprio l’opposto. Grazie al metodo per conduzione,
secondo me, è Isa a trasferire energia, senza poi considerare il calore
dell’ambiente esterno (camera con tanto di termosifoni accesi e il piumone) che
avvalora la mia tesi. Se poi pensiamo che Edward si nutre di sangue di animali,
per di più di mammiferi, si potrebbe dire che nelle sue vene scorre del sangue
a una temperatura che si aggira attorno ai nostri 37 gradi, se non di più.
Lo
so che è stupido cercare spiegazioni scientifiche visto che in questa ffnon c’è niente di realistico ma sapevo che se
avessi lasciato quell’aggettivo senza una minima spiegazione me lo avreste
fatto notare in molte :P.
Con
questo non voglio assolutamente dire che la Meyer non abbia fatto bene o altro.
Ha solo aggiunto un ulteriore ostacolo alla loro relazione con lo scopo di
mettere ancora più suspance (e direi che ci ha tenute in milioni incollate su
quelle pagine *-*).
In questa ff mi serve che sia così…qui non ci sono
ostacoli al loro avvicinamento fisico (se non per il bisogno di sangue di
Edward).
Ciao carissima! Grazie mille per il
doppio commento che ho molto apprezzato! Sono contenta che la storia ti
risulti scorrevole vuol dire che non ti annoi a leggerla e questo mi pare
proprio una buona cosa.
Per ora Bella non ha ancora capito (è
tonta la ragazza, eh?) però presto lo scoprirà…speriamo bene
Spero tanto che anche questo capitolo
ti sia piaciuto!
Aveva gli occhi iniettati di sangue e quando,
per pura curiosità, gli ho chiesto il perché mi ha risposto candidamente con un
“è da quarantotto ore che non dormo”
O__O
Poi ad alimentare i miei sospetti è stata un
ulteriore cosa: verso le 14:00 gli ho chiesto se avesse fame e mi ha risposto
che lui non mangiava…non mangiava? O__O
Peccato che non fosse neanche lontanamente come
Edward Cullen. L
Detto questo, come primissima cosa vi faccio,
anche se in ritardo, gli auguri di buona pasqua e mi scuso con tutte voi per il
ritardo. Purtroppo non riesco proprio a far prima. Mi dispiace. Spero che
continuerete a seguirmi ugualmente.
Piccolo cambiamento di programma vi avevo promesso che già in questo avrei affrontato la questione
Jasper…poi mi sono dilungata su altro (10 pagine word carattere 11) e quindi ho
deciso di dedicare a lui il prossimo
capitolo dando il giusto spazio che si merita il suo personaggio.
Attenzione. Avviso chein questo capitolo ci sarà una
piccolissima scena alla fine che potrebbe infastidire qualcuno (avvertimento SHOJO AI). Chi non se la sentisse è
pregato di non continuare.
Come sempre ringrazio ufficialmente la mia beta
barbyemarco sia per l’ottimo lavoro che svolge che per il sostegno. e la mia Ely per tutto l'aiuto che mi da.
Il capitolo lo dedico a tutte voi ed in
particolare a Simo87
(per i meravigliosi auguri di buona pasqua con tanto di uovo di
Eclipse =) ) e a Costance_Fry per le sue recensioni magnifiche. Ti adoro.
Angolino pubblicitario
Di solito non lo faccio mai anche perché,
segnalandovi le ff più belle, non faccio altro che farvi capire quanto questa
mia ff sia tremenda… ^^ ma era doveroso ù.ù
Tra le ff di Twilight (per chi non le
conoscesse) segnalo:
“Linee” di Mirya che è in
assoluto la più bella fic che abbia mai letto su twilight. Come scava nell’Io
di Bella l’autrice, neanche la Meyer.
E “Indecent affairs” che è una ff di un autrice
straniera (birobird93) tradotta
egregiamente dalla nostra tsukinoshippo. Volete scoprire se la nostra
impacciata studentessa Bella Swan riuscirà a conquistare il bel professore di
inglese? Leggetela.
Tra le originali segnalo una one-shot di Lady Vibeke
“101 caffè con panna”. Davvero molto carina.
E per finire, tra le ff su attori (Robert
Pattinson, chi sennò) consiglio “paparazzi” di roriy. Riuscirà la nostra
giornalista Claire a realizzare il suo sogno?
--------------------
Bad Girl
[Isabella Swan]
Cap. Tweenty six–Love game
<
Vai prima tu o
prima io? >, domandai a quella specie di Dio greco che avevo di fronte.
< Io >, rispose avanzando verso
il bagno con la sua immancabile camminata sexy.
Possibile che anche di primissima
mattina fosse così perfetto?
< D’accordo >, scrollai le
spalle, < intanto io preparo la colazione >, lo avvertii attraverso la
porta di vetro smerigliato del bagno.
< Non faccio colazione la mattina
>, disse quando ormai ero sulle scale.
Feci finta di non sentirlo e continuai
a camminare con passo spedito verso la cucina.
Quella mattina mi sentivo stranamente
volenterosa e frizzantina.
Bèh, svegliarsi con
Edward accanto aveva decisamente i suoi lati positivi.
Lavai i piatti, ancora nel lavabo
dalla sera precedente, li asciugai e li riposi con cura nella credenza.
Misi a scaldare nel tostapane alcune
fette di pancarré e, nel contempo, apparecchiai la tavola con due tovagliette,
– una di fronte all’altra -, due tazze, due cucchiai, una scatola di corn
flakes, del miele, la nutella e del latte.
Controllai poi le lancette
dell’orologio apposto all’entrata della cucina.
Se Edward non si muoveva avremmo fatto
senz’altro tardi e alla prima ora c’era Banner.
< Edward >, bussai alla porta.
< Il bagno serve anche a me >,
gli feci notare.
< Ho quasi finito >, rispose tra
gli scrosci dell’acqua della doccia.
Perché non avevamo due bagni come la
maggior parte degli abitanti di questo paese e, soprattutto, perché non avevo
avuto l’arguzia di proporre una doccia insieme?
Altra dimostrazione della mia
stupidità.
Se avessi avuto un bollino per ogni
cazzata che avevo fatto nella mia vita, mi sarebbero spettati di diritto la
batteria di pentole Mondial Casa, la mountain bike con il cambio Shimano, il
copriletto e, per finire, anche Giorgio Mastrota compreso nell’offerta.
< Edward, se finisci l’acqua calda
ti uccido >, lo minacciai scherzosamente.
Lo sentii ridere.
Nel frattempo che Edward stava
ultimando le scorte d’acqua per i prossimi vent’anni, corsi in camera per
preparare la cartella.
Preparai anche il necessario per
andare a dormire da Alice; non sarei sicuramente passata a casa dopo la scuola.
Cercai invano di fare stare il tutto
nella borsa ma, vedendo che non si richiudeva, avevo deciso di dimenticare casualmente qualche libro a
casa (soprattutto quello di mate che
aveva le dimensioni-piuma di un dizionario di latino dalla A alla Z).
< Edward! >, riprovai
sistemandomi nuovamente davanti alla porta del bagno.
Maledetto vetro
opaco…
< Senti, se non ti sbrighi
arriveremo tardi >, cantilenai adducendo un ulteriore pretesto per farlo
uscire alla svelta. Era da appena sveglia che le mie povere tube di Falloppio
avevano bisogno di vuotarsi e, il ripetitivo scroscio dell’acqua, non era di
certo d’aiuto.
< Edward! >, insistetti.
Ero pronta a bussare nuovamente ma il
pugno rimase sospeso a mezz’aria perché, prima che potessi rendermene conto,
Edward aveva aperto la porta palesandomisi di fronte con un solo asciugamano
legato in vita.
Il suo petto era ancora ricoperto da
minuscole goccioline d’acqua che sembravano così felici di restare lì dove si
trovavano …
I capelli bagnati sulla fronte
formavano una lunga frangetta disordinata che arrivava quasi sino agli occhi
rendendo il suo sguardo più sensuale di quanto non fosse già.
< Ho finito >, m’informò e una
piccola fossetta gli si disegnò sulla guancia.
Come se potessi sentire quello che
stava realmente dicendo.
In quel momento tutto il mio corpo era
totalmente attratto da ben altro.
Avevo sentito dire che se si pensa
intensamente a qualcosa è possibile che essa accada1. Forse se mi
concentravo sull’asciugamano…
“Fa che gli cada”
“Fa che gli cada”
“Fa che gli cada”
< Mh? >, domandò stranito
inclinando leggermente la testa da un lato.
< Fa che gli cada >, recitai
placidamente il mio pensiero a alta voce.
Davvero l’avevo fatto?
< Eh? >, chiese ridendo.
< No. Dicevo: “Fa che sia calda….”>, ingoiai la saliva manco fosse un masso di
svariate tonnellate, < l’acqua, intendevo >, mi arrampicai sugli specchi
bagnati e insaponati.
The winner is: Isabella Swan. Avevo appena vinto il premio come
migliore attrice protagonista del “Le migliori figure di merda”.
Senza aggiungere altro, mi fiondai in
bagno sbattendo la porta alle mie spalle. Era necessario che annullassi il
contatto visivo con il corpo di Edward se volevo essere consapevole delle mie
azioni.
Come me li faceva
girare lui gli ormoni, nessuno…
Il cuore martellava all’impazzata nel
mio petto. Abbassai la tavoletta e mi sedetti sul water.
Dovevo calmarmi.
Non era la prima volta che vedevo un
uomo semi-nudo… che mi prendeva?
Sospirai inquietaportandomi le mani nei capelli.
Solo di tre cose ero assolutamente
certa:
Primo, Edward era davvero figo. Perfino troppo bello per essere vero.
Secondo, ma non per questo di minore
importanza, così facendo stava seriamente attentando al mio, già limitato,
autocontrollo. Scherzava con il fuoco.
E terzo, non sapevo a che gioco stesse
giocando, ma era ovvio che, ormai, c’ero dentro con tutte le scarpe. Se eravamo in gioco valeva la pena giocare…
La cosa che m’infastidiva maggiormente
erano le mie incontrollabili e del tutto irrazionali reazioni.
Solo lui era in grado di rimbambirmi
totalmente con un nonnulla, anche solo avvicinandosi più del dovuto.
Mi destabilizzava…
Ma la cosa anche peggiore di tutto ciò
era che ne era consapevole.
Perché lo era.
Non potevo non notare quel sorrisino
bastardo che gli spuntava in viso ad ogni mio rintronamento, ad ogni singolo
incespicamento…
Quasi come se potesse percepire
l’effetto da mille volt che aveva sul mio cuore.
Piroettai verso la doccia, mi svestii
del pigiama ed entrai svelta nel box.
Rimasi sotto il getto dell’acqua
finché il mio stomaco decise che era arrivato il momento di scendere in cucina.
< Adesso sei
decisamente più ‘baciabile’ >,
affermò Edward divertito prendendomi il viso tra le mani e stampandomi un bacio
a fior di pelle.
Era incredibile come fosse attraente
anche da vestito.
Nonostante indossasse i vestiti della
sera precedente, sembrava appena uscito da una boutique di alta moda.
< Avevo detto di non fare colazione, mi
sembra >, puntualizzò poi fissando la tavolaapparecchiata
per due.
Feci spallucce mentre prendevo posto.
< Testarda >, sibilò tra i denti
sedendosi di fronte a me.
Lo ignorai ancora una volta versandomi
dei cereali dentro la tazza ai quali aggiunsi un po’ di latte. Lui fece lo
stesso.
Giocherellai con il cucchiaio prima di
riempirlo di corn flakes ma, mentre ero occupata a fare ciò, una ventata di
vento gelido mi colpì per ben due volte.
Rabbrividii.
< L’hai sentita? >, mi rivolsi a
Edward che tranquillo stava finendo la sua colazione.
< Cosa? >, chiese totalmente
indifferente.
< Dev’esserci qualcosa che fa
corrente >, constatai stranita tornando sulla tazza.
Ma, non appena inzuppai il cucchiaio
nella pappetta, un’altra ondata gelida mi trafisse nuovamente.
Alzai il mio sguardo interrogativa.
< è
la corrente >, spiegò pacato lui.
Notai che la tazza di Edward era già
vuota2.
< E meno male che non facevi
colazione la mattina >, lo schernii alzando un sopracciglio.
Nel parcheggio della
scuola tutti gli occhi erano inevitabilmente puntati sul mio pick up e la
ragione era più che evidente.
Edward.
Mi sarebbe piaciuto sapere che cosa
stessero pensando quelle oche solo per farmi due risate, anche se non era poi
tanto difficile immaginarlo.
Visto lo sguardo che ci dedicò Lauren,
immaginai che il suo fegato si stesse lentamente decomponendo dall’invidia.
Con la classe che mi contraddiceva le
mostrai fiera l’indice.
< Sei incredibile >, sbottai
voltandomi verso il mio passeggero.
Allargò le braccia con aria innocente.
Lui che di innocente aveva ben poco.
< Inutile. Non fare il finto tonto.
Lo sai >, feci manovra per un parcheggio impossibile tra due auto guardando
lo specchietto retrovisore.
< Edward Cullen >, continuai
parcheggiando, < sei il sogno erotico vivente di ogni ragazza in questa
scuola >. Tirai con forza il freno a mano.
< Te compresa? >, domandò con un
sorriso che la diceva lunga.
Me compresa.
Evitai di dirglielo tanto lo sapeva
già.
< Mi spiace un po’ ammetterlo >,
disse facendo una bellissima smorfia di disappunto, < i ragazzi guardano
tutti te >, confessò.
< Cos’è, Edward. Un tentativo di commiserazione
nei miei confronti?>, domandai.
< No >.
< Ma preferirei tanto che lo fosse
>, affermò fissando con avversione due ragazzi che stavano guardando nella
nostra direzione.
E quello cos’era?
Sbaglio o aveva
appena fulminato con lo sguardo due beduini perché mi stavano fissando?
Non riuscii a trattenere una risatina.
Forse non solo il
gioco era ancora aperto, ma ero io a condurlo…
<
è meglio che cerchi i miei fratelli, adesso >, disse scendendo dal
pick-up con un agilità da far invidia a Sandokan, la Tigre della Malesia.
< Non farai tanta fatica >.
Indicai poco lontano Mr. Bigbird3 che si avvicinava con passo
sostenuto.
Non appena fu a qualche metro di
distanza da Edward, gli lanciò la cartella con un vigore che, se al posto suo
ci fossi stata io, sarei ruzzolata all’indietro per diverse ore prima di
fermarmi. Edward, invece, neppure si scompose.
< Mi devi un favore >, disse
Emmett riferendosi al fatto che gli avesse portato la cartella.
< Ciao BB >, lo salutai
irriverente. Ricambiò con un cenno del capo.
< Fatte le ore piccole, fratellino?
>, domandò in modo sfrontato fissando me.
< Qualche problema? >, chiesi in
risposta, reggendo il confronto con il suo sguardo pece.
Mi fissò di rimando per qualche
minuto, - in realtà forse non più di qualche secondo -, credendo diintimorirmi e poi scoppiò in una risata fragorosa.
< Sei forte >, sentenziò infine.
Alzai gli occhi al cielo e quando li
riposai notai qualcosa di strano nel parcheggio poco distante da dove mi
trovavo.
Aguzzai la vista in quella direzione.
All’interno dell’auto di Angie c’era
qualcuno.
< Devo andare >, biascicai
velocemente.
< Ci vediamo a biologia >, colsi
quest’ultima frase prima di allontanarmi.
Mi avvicinai all’auto verde muschio in
cui, all’interno, nel lato guidatore, c’era seduta Angela con la testa poggiata
sul volante. Nei sedili posteriori notai i seggiolini dei due suoi fratellini e
qualche peluche deturpato.
Senza avvertire della mia presenza,
feci scattare la maniglia della portiera ed entrai all’interno, sedendomi a
lato passeggero.
Com’era prevedibile si spaventò
dell’intrusione, alzò il viso all’istante, quanto bastava per vedere i suoi
occhi ricoperti di lacrime.
Sentii una fitta all’altezza del
petto.
Niente e nessuno doveva far soffrire
la mia migliore amica. Fare del male a lei equivaleva farne a me.
< Angie >, l’abbracciai forte
accarezzandole la chioma disordinata. I suoi capelli erano acconciati in una
treccia sbrigativa dalla quale fuoriuscivano alcune ciocche di capelli castani.
< Che è successo ? >, domandai
con tono rassicurante perché smettesse di piangere.
Mi sentivo così colpevole.
Avevo dedicato moltissimo tempo a me
stessa, a Edward e ad essere felice, scordandomi quasi di avere un amica.
Angie si scostò di poco dalla mia
spalla cercando di calmarsi.
< Angie dimmi che è successo >,
la esortai.
< Ben >, singhiozzò. Il suo
corpo sembrava percosso da scariche elettriche.
Ben. Se non sbagliavo si trattava del ragazzo
con il quale Angela svolgeva il compito del corso di economia domestica.
< Ben, cosa? >.
< Ben …> singhiozzò nuovamente.
Okay, un altro “Ben” seguito da un
singhiozzo e sarei corsa per fargliela pagare, ovunque esso si trovasse.
< Ben… il compito…>, piagnucolò
ancora.
Con uno scatto scesi velocemente
dall’auto.
L’avrei trovato, poco ma sicuro.
Scandagliai ogni corridoio alla
ricerca di Ben. Per fortuna mancava ancora qualche minuto prima dell’inizio
della lezione. Finché non lo notai tra la folla, accanto al suo armadietto.
Impossibile non notarlo con i quasi due metri di altezza. Era il classico
ragazzo esile e smilzo isolato dal resto della popolazione scolastica. Il tipo
di ragazzo che s’interessa più di videogiochi e di informatica che di donne.
Uno di quei tipi asociali e solitari del quale non ti stupiresti se, un giorno,
venisse armato a scuola e iniziasse a sparare all’impazzata sulla folla.
Indossava dei jeans da cavallo
esageratamente basso che raggiungeva le ginocchia, abbinati a una maglietta
nera di tre, forse quattro, taglie più grande della sua sulla quale risaltavano
frasi contorte che mettevano in evidenza svariate volgarità. A completare il
tutto, un’abbondante felpa nera con cappuccio rigorosamente alzato sulla testa.
Presi un grosso respiro e avanzai
svelta verso di lui.
< Fermo lì >, ordinai perentoria
puntando l’indice verso il ragazzino.
Ovviamente si voltarono tutti fuorché
il diretto interessato.
Avanzai di qualche passo fino ad
essergli di fronte. Peccato che neanche se ne accorgesse, tanto era concentrato
sul videogioco di ultima generazione che brandiva tra le mani.
Da così vicino notai che aveva il viso
ricoperto di lentiggini che risaltavano sulla sua carnagione fin troppo chiara,
pallida quasi come quella di Edward e dei suoi fratelli. Le sue lunghe e folte
ciglia bionde non mi permettevano di guardarlo negli occhi.
< Hey, tu! Dico a te >, cercai
di attirare la tua attenzione.
Ma niente. Non si staccava.
Con forza gli tolsi il giochino dalle
mani.
< Hey, ma che cazzo fai, stronza
>, inveì contro di me.
Bèh, se non altro avevo ottenuto la
sua considerazione.
< Ridammelo subito! >, ordinò.
< Ero arrivato all’ultimo mondo e
quella è la mia ultima vita >, spiegò come se fossero informazioni di vitale
importanza.
< Sì, esatto. Sarà proprio la tua
ultima vita se non mi stai ad ascoltare >, minacciai.
< Che cazzo vuoi? >, si arrese.
< Angela Weber, ti dice niente?
>.
< Eh, allora? >.
< Ti consiglio di scusarti con lei,
qualsiasi cosa tu le abbia fatto >, ordinai.
< Cosa? >, sembrava davvero
cadesse dalle nuvole.
Uno strano sorriso irrisorio gli si
disegnò sul viso mettendo in evidenza i canini pronunciati < Semmai è
proprio l’opposto >. Si sistemò il cappuccio. Aspettai che continuasse.
< Non sono di certo io quello che
ha perso il bambolotto per il compito. Per cui prenditela con la tua amica
anziché rompere i coglioni >, affermò scrollando le spalle.
Non potei fare a meno di ridere. Stava
parlando di Angela Weber, la figlia del reverendo. Come potevo credere a una
cosa del genere?
< E adesso ridammi il gioco >,
si allungò verso di me e si riprese quella diavoleria elettronica avanzando poi
contrariato verso la sua aula.
Non mi sembrava stesse mentendo.
Ma com’era possibile che Angela
facesse una cosa del genere? Lei che aveva sempre fatto i compiti, persino
quelli di religione?
< Isa >, sentii una voce
affannosa chiamarmi.
< Angela? >.
< Io avevo cercato di dirtelo…
>, abbassò vergognosa gli occhi e iniziò a torturarsi le mani.
< Dunque è vero? >, domandai
ancora comprensibilmente scettica.
< Sì >, ammise dispiaciuta, <
l’ho cercato dappertutto ma non sono riuscita a trovarlo. Ieri dovevo badare
anche a Isaac e Joshua e il bambolotto continuava a piangere e dovevo pagare la
bolletta della luce alla posta e…>.
< Calmati >, le intimai.
< Dopo la scuola ti aiuterò a
cercarlo >, promisi.
< Davvero? >, chiese con uno
scintillio negli occhi.
< Davvero >. Confermai.
Il problema era solo uno, adesso.
Avrei dovuto cambiare strada ogni qualvolta che avrei incrociato Ben. Ma per un
amica questo ed altro.
< Te l’avevo
detto che l’avremmo trovato >, cantai vittoriosa balzando stancamente sul
letto matrimoniale di Angela.
Avevamo scandagliato ogni luogo in cui
era stata il pomeriggio prima Angie. Eravamo partite a cercare da casa sua,
eravamo passate alla posta e infine, avevamo fatto un salto nell’unico centro
ginnico di Forks, nel quale la mia amica era andata a chiedere informazioni
dettagliate per la sua ricerca4. Ed era proprio lì che l’aveva
dimenticato.
La giovane istruttrice si era detta
dispiaciuta di non aver potuto avvisare prima, e si era giustificata dicendo di
non aver nessun recapito per poterla rintracciare.
Andiamo, come se a Forks ci fossero
davvero problemi di questo tipo. Le sarebbe bastato chiedere al primo passante
per farsi dare nome, cognome, via, numero di telefono e codice fiscale dei
Weber.
Ad ogni modo, l’importante era che
avessimo ritrovato il moccioso in tempo, così, sarei potuta andare anche da
Alice, come promesso, senza rischiare la vita in caso di forfait all’ultimo
minuto.
< Ma Ben cosa ti ha detto di
preciso? >, chiese Angie sedendosi affianco a me sul copriletto rosa.
Capii immediatamente che la domanda
non era stata formulata a caso e, dal modo ansioso in cui me l’aveva posta,
certamente nascondeva qualcosa sotto.
Che per qualche strano caso fosse
interessata a Ben?
Difficile da credere che qualcuna
potesse essere attratta da un tipo il cui prolungamento del braccio era un ipod
o qualcosa del genere ma, conoscendola, non era da escludere.
< Niente >, risposi vaga
giocherellando con una ciocca di capelli, < ha solo detto che il bambolotto
l’avevi perso tu e… che ti trova attraente… >, la buttai lì per scorgere una
sua reazione.
< Come? >, arrossì dall’alluce
dei piedi alla punta dei capelli.
Esattamente come
pensavo.
Colpita e affondata.
< Angie, mi devi dire qualcosa?
>,la stuzzicai sorridendo.
Io e Angela eravamo diverse anche in questo.
A volte mi chiedevo davvero come
facessimo ad essere così amiche, noi, che, nel più assoluto dei modi, non
avevamo davvero niente in comune.
Angela era una ragazza
fondamentalmente riservata, lo era anche quando si trattava degli affari degli
altri. Difficilmente mi faceva delle domande sul rapporto con Edward se non ero
io stessa a intavolare il discorso e, in ogni caso, non si spingeva mai oltre
un certo limite; di solito ero io che mi perdevo in dovizia di particolari
senza essere stata interpellata.
Manteneva i giusti spazi. Lo capivo e
l’apprezzavo. Con lei potevo sfogarmi, avere minuti di assoluti silenzi o
piangere per ore.
Avevo imparato a conoscerla e a capire
da uno sguardo se qualcosa non andava. Il mio compito era quello di
estrapolarle con le tenaglie quale fosse il problema.
< Non è che un certo Ben Cheney ha
fatto colpo? >, andai dritta al sodo senza tergiversare oltre.
< Ma che dici >, affermò. Ma si
vedeva lontano mille chilometri che in realtà quello era un sì.
< Okay >, affermai convinta
agguantando immediatamente le vesti del dott. Stranamore in persona.
< Se hai bisogno di un consiglio
dell’esperta >, le feci l’occhiolino, < io sono qui a disposizione >.
< Isa, non lo so >. Si
mordicchiò un labbro.
Angela era l’insicurezza fatta a
persona.
< Ora ascoltami >, mi alzai
repentinamente dalla posizione stile bradipo nella quale ero per posizionarmi
esattamente di fronte a lei.
< Angie, guardati >. Indicai il
suo corpo snello e longilineo.
Non aveva forme evidenti che potessero
attrarre immediatamente un uomo, – è vero -, e quelle poche che aveva si
riguardava bene dal non mostrarle, un po’ per timidezza e un po’ per la
rigidità degli insegnamenti del padre. Il suo viso era acqua e sapone e quelle
poche volte che applicava del make up era impossibile non accorgersene. Il suo
punto forte erano senza dubbio le lunghe gambe sottili. Se solo avesse
indossato dei leggins o delle gonne non sarebbe di certo passata inosservata.
Ma era proprio questo il punto: Angela voleva passare inosservata.
Lei era così e mi stava più che bene.
Non doveva cambiare per nessuno.
< Vai benissimo >, la
incoraggiai.
In risposta fece una smorfia
contrariata. La conoscevo abbastanza per scommettere che non si vedesse neanche
lontanamente una ragazza carina.
La ripresi con lo sguardo.
< Angie, quando ti deciderai ad
uscire da quel guscio che ti sei creata? >, sbuffai ricadendo all’indietro
sul materasso.
< Sai nella vita bisogna tentare,
bisogna sempre buttarsi…solo così un giorno potrai dire di non avere alcun
rimpianto >.
L’aria da filosofa non mi si addiceva
per niente ma ero fermamente convinta delle mie parole.
< E se non gli piacessi? >,
domandò con voce flebile. Solo il pensiero di essere rifiutata le faceva male.
< è
un eventualità >, illustrai senza mezzi termini, < ma potrebbe anche
essere il contrario: potresti piacergli, invece >.
< Non credo. In quel caso avrebbe
fatto lui il primo passo >, constatò pensierosa.
< Guarda, per quel poco che l’ho
conosciuto lo farebbe solo se tu fossi la principessa di Supermario bross >,
stemperai l’atmosfera con una battuta da bettola di terz’ordine.
< E poi lo sai: sei la figlia del
reverendo Weber. I ragazzi sanno che per uscire con te hanno bisogno della estrema unzione >, scherzai e riuscii
anche a strapparle un sorriso.
< Sono scoraggiati, capisci >.
< Allora dici che dovrei essere io…
>.
< Assolutamente >.
Si posizionò prona affianco a me con
un sorriso.
< Mhh, mi piacerebbe essere più
come te >, ammise.
< Non è una gran cosa, ti assicuro
>.
< Sto aspettando solo che Edward se
ne accorga per scappare a gambe levate >, risi ma c’era un fondo di verità
in quell’affermazione.
< Non lo farà >, affermò con
convinzione.
Quanto avevo bisogno di una sigaretta
in quel momento. Peccato che sapessi che a casa Weber era severamente vietato
farlo.
< Se ti confido una cosa prometti
di non ridere? >, chiese seria.
< Promesso >.
< Penso di non saper baciare >,
ammise con una faccia buffissima.
Nonostante la promessa, non potei fare
a meno di ridacchiare.
< Hey, l’avevi promesso >, mi
diede un lieve buffetto sulla spalla.
< Scusa ma non è possibile >,
chiarii tornando seria, < è una cosa naturale >.
< Ci sono cose che non c’è bisogno
che nessuno ti spieghi >.
< Come i neonati che sanno che devono
attaccarsi al seno materno per nutrirsi è…naturale >, esaminò.
< Bèh, il paragone non è dei
migliori ma, sì, il sistema è quello >.
< Poi però ci sono le eccezioni
>, iniziai alzando un indice con aria di chi sa di che sta parlando. Mi
fissò attenta aspettando che continuassi.
< Tutti sanno baciare ma non tutti
lo sanno fare come si deve >,
precisai.
< Ah >.
< Ci sono i ‘centrifugatori’, ad esempio, che sono quelli che vanno troppo
veloci >, iniziai, < le ‘bavose’
poi, sono quegli esseri che quanto ti baciano ti lasciano l’ottanta percento
della loro saliva sulla faccia >.
< Bleah, disgustoso >.
< E non hai ancora sentito i
migliori: quelli della categoria
‘attentatori’ >, asserii, < che si dividono tra gli ’affogatori’, che sono quei ragazzi
convinti che infilare tre metri di lingua nella bocca della propria ragazza
senza preavviso sia una cosa sexy e gli ‘alitosmaniosi’
che sono quelli con l’alito cattivo >.
< Poi ci sono altre due categorie minori, difficilmente
trovabili: i ‘mandibolatori’ e gli ‘odontoiatri’ >.
< I primi sono quelli, - difficile
da credere ma ti assicuro che esistono -, che mentre ti baciano sono lì lì per
perdere la mandibola per strada. Mentre sei intenta a baciarli senti
indistintamente il cric crac della
precaria struttura ossea… da brividi; e gli ultimi, gli ‘odontoiatri’ sono quelli che, ogni due per tre, fanno scontrare i
loro denti con i tuoi >.
Angela
rimase con uno sguardo turbato durante tutta la mia spiegazione.
Risi
della sua espressione.
<
Nonostante tutto, credimi quando ti dico che non c’è niente di meglio di un bel
bacio caldo, passionale…; quel bacio che riesce a trasmetterti un’ emozione
unica e indescrivibile … >.
Stavo
ancora continuando a esporre con enfasi il mio modo di pensare su questo tema, quando le labbra di Angela si posarono
inaspettatamente sulle mie.
Rimasi
totalmente impietrita da quel gesto improvviso.
Le
sue labbra si mossero prima lentamente a piccoli e delicati baci, quasi
sfiorati, fino a sfociare in un vero e proprio bacio.
Quando
si staccò, sul suo viso lessi panico, puro panico.
Sussurrò
un leggero “scusa” quasi non udibile.
Era
la prima volta in assoluto che baciavo, - anzi, che venivo baciata-, così da
una ragazza.
Forse,
un’altra al posto mio sarebbe scappata e magari non le avrebbe mai più rivolto
la parola.
<
Niente male >, la sorpresi, invece.
<
Davvero? >, si stupì.
<
Sai baciare molto bene >, ammisi, < quasi bene quanto me >, scherzai.
<
Ma >, rimarcai, < mancava un elementofondamentale perché fosse eccitante… >.
<
E sappiamo entrambe di che si tratta, giusto? >.
<
Il pene >5, rispose.
<
Già >, confermai.
---------
Ciau, spero di non
avervi turbato troppo.
Ovviamente non ho
assolutamente nulla contro gli omosessuali e spero non sia passato il messaggio
contrario. ^^
Angela comunque, se
ve lo state chiedendo, non è lesbica. Ci avevo pensato. Infondo, mi è
capitato di vedere telefilm (tipo Buffy) in cui la migliore amica della
protagonista fosse lesbica ma poi ho pensato che era meglio di no.
Anche se
apparentemente non succede un granché in questo capitolo. In realtà, le
motivazioni per le quali l’ho scritto ci sono. Per prima cosa volevo dar spazio anche a personaggi secondari come
quello di Angela. Mi sembrava troppo inverosimile che la migliore amica
della protagonista fosse menzionata solo rarissime volte e solo nei primissimi
capitoli. Poi, non so se vi siete accorti, ma cerco di mettere sempre al centro
dei capitoli tematiche attuali come la
l’amore, l’amicizia, aimè la violenza, il sesso, l’omosessualità, le varie
paure adolescenziali....
Da ultimo, volevo
creare un presupposto per un parallelo
(più avanti) tra un rapporto amoroso tra umani e un rapporto tra vampiri e
umani che mi pare interessante.
Non dimentichiamoci
poi il punto focale: love game.
Riuscirà Isa a mettersi in gioco o con uno come Edward il gioco è già perso in
partenza?
Mi spiace ancora
non aver potuto parlare di Jazz e della misteriosa ragazza X (come l’ha
chiamata qualcuna di voi ^^) prometto tutto nel prossimo.
Sondaggini:
1. Sono capitate
anche a voi quelle categorie di ‘baciatori’? Ne conoscete anche altre? XD
raccontatemi le vostre (dis)avventure chissà che non le aggiunga più avanti ;)
2. Nomignoli di
Emmy: ne avete qualcuno da suggerirmi (possibilmente che lancino frecciatine
riguardo quella scena hot con la famosa ragazza bionda).?
1Spunto preso da “La vita è bella” di
quel genio incontrastato di Roberto Benigni.
2 Se non lo aveste
capito: Edward si muoveva velocemente e svuotava la sua colazione in giardino,
per quello Isa sentiva delle folate di vento ^^.
3 Nomignolo riferito
alla scena del capitolo 16 alla quale Isa assiste involontariamente.
4 Se vi ricordate,
durante le estrazioni del corso di economia domestica, ad Angela era capitato
il ruolo di insegnante in un centro ginnico.
5 Quest’ultimo
dialogo del bacio tra Isa e Angie è preso (ma adattato qui da me) da una
puntata di Ally Mcbeal (se non sbaglio 2episodio della 3a stagione).
Ringrazio di cuore le 19 meravigliose ragazze che hanno commentato
lo scorso capitolo.
Ringrazio anche andutzik1 per
aver proposto questa storia per il concorso per migliori personaggi originali
ma purtroppo, anche se OOC, i miei personaggi non possono essere considerati
originali. Grazie comunque ;).
Ciao Fra! Come primissima cosa ti ringrazio per i complimenti e per il
tuo appoggio ^^. Su quello di Jasper, visto che l’ho rimandato al prossimo,
non vorrei anticiparti nulla se non…che sei andata davvero molto vicina
alla soluzione…
Grazie Miky per gli auguri, davvero molto accettati! ;)
Per quanto riguarda l’incidente, grazie dell’interessamento. Sei così
cara con me ç__ç. Comunque niente di grave, nessun ferito, per lo meno.
Solo la mia povera macchinina che ho dovuto far riparare 550,00 € in un
colpo solo K…vabbè poteva andare
peggio
Ti piace giocare a calcio? Wow! Stai diventando il mio idolo. Anche a me
piace anche se non ci gioco dagli anni… una delle volte che ci ho giocato a
scuola il più carino della classe mi era caduto sopra con il risultato che
mi ero dovuta ingessare un braccio… credo di essere l’unica al mondo che
giocando a calcio si rompe un braccio…stendiamo un velo pietoso.
Eheh proprio l’esperta di termodinamica dovevo trovare? Ehehe
No scherzo. Non Posso fare altro che dirti che hai ragione anche perché
io non ci capisco nulla di fisica. :P
Sono contenta che appoggi comunque le mie teorie scientificamente
sbagliate ^^… (passami almeno che il sangue che gli scorre nelle vene ha
una temperatura di 37°, ti prego).
Cmq se anche la Meyer dovrebbe mettersi a spiegarci scientificamente
com’è possibile che gli spermini di un non-morto di 100 anni fa riescano a
fecondare ^^ saremmo proprio a cavallo.
un po’ di ironia ci dev’essere sempre secondo me. Sono una persona molto
autoironica, spessissimo mi ritrovo a scherzare sui miei difetti e forse
anche Isa lo fa.
Per quanto riguarda Diego della Palma sul comodino personalmente non lo
vorrei. Sai che spavento di prima mattina? XD
Cmq generalmente la mattina sono così stordita da ricordarmi a stento
il mio nome quindi niente piastre o robe simili.
Anche se ammetto che mi piacerebbe svegliarmi “perfetta” (della serie
che punterei la sveglia giusto per il tempo del tragitto da casa a
lavoro).^^
Grazie mille per i complimenti sul pov di Jasper. Anche se mi dispiace
tu debba aspettare il prossimo per sapere se era Alice o meno! Ç___ç
“e se solo fossi un pò capace a scrivere” ??? ma tu sei capace. Lo si vede
da come scrivi le recensioni. Le analizzi alla perfezione, non dimentichi i
particolari rilevanti e scrivi in italiano corretto. Che vuoi di più dalla
vita?
Dai, mi piacerebbe avventarmi nella lettura di qualche tuo scritto
perché so già che risulterebbe interessantissima.
Aspetto notizie su questo capitolo che spero non ti abbia delusa.
Tesoro questo capitolo è dedicato a
te! Spero ti faccia piacere anche se meritavi di meglio… magari mi rifarò
dedicandoti un altro capitolo più in là.
Ti ho già detto che la tua recensione
era magnifica? Mi pare di sì!
Per quanto riguarda Alice mi spiace
farti aspettare ç___ç comunque posso dirti che non ci sei andata tanto
lontana….
Io? No no, non vi nascondo nulla
ahahah. Ti dico solo che su una cosa ci hai preso: la ragazza era/è una
veggente!
Eh si sono sadica…molto ma molto
sadica ù.ù! nu, scherzo mi spiace lasciarvi sempre a bocca asciutta ma
davvero se dovessi scrivere tutto su un unico capitolo ci metterei mesi e
mesi prima di un aggiornamento (già ci metto tanto).
Anche io li trovo adorabili
soprattutto quando in questo fanno i due piccioncini gelosoni… muahahah
Nessun vuoto di memoria. Non l’ho
descritto. Edward nel capitolo precedente la camicia l’aveva poi, per andare a nanna, se l’è tolta
(altrimenti si sarebbe spiegazzata). Ottima osservazione.
Stai certa che anche io come minimo
sarei svenuta :Q___
Oltre che un ottima osservatrice sei
anche perspicace perché su Mike hai detto benissimo. Ho già in mente una
scenetta in particolare…
Ma come sconclusionato? Io il tuo
commento l’ho adorato dalla prima all’ultima riga!
Dopo quello che hai detto su Midnight
Sun non posso che adorarti ancora di più! Adoro il punto di vista di Edward
(forse anche più di quello di Bella) e anche io non vedo l’ora che venga
pubblicato. A proposito di questo, ho sentito che sta uscendo un libro su
Brie (si scrive così), la vampira di una scena di BD. Ma io dico, per
quanto possa essere interessante, ma anziché perder tempo con quello non poteva
finire MS? bo.
Se scrivi sempre poemi a me non può
che farmi piacere.
spero che questo capitolo ti sia piaciuto e aspetto con ansia le tue
impressioni
Tesora, capitolo dedicato a te…anche se non era zuzzuso volevo
ricompensarti del MAGNIFICO uovo pasquale che mi hai fatto trovare in
bakeka. WOW. Lo voglio davvero!
Spero non ti abbia delusa il capitolo e aspetto una tua opinione
Grazie tesora dell’interessamento. Grazie a Dio non mi sono fatta niente.
Solo la macchinina si è distrutta ç___ç 550 € di paraurti *Eli bestemmia in
turco* ehehe no, dai, l’importante è che non mi son fatta nulla.
Per Jazz si saprà tutto tutto nel prossimo capitolo
Sì, sto benone. Grazie dell’interessamento. Sei troppo cara e gentile.
Ti ringrazio anche per i splendidi complimenti che mi fai ^^ davvero molto
graditi
Per Alice ci tocca aspettare al prox aggiornamento che cercherò di postare
al più presto.
Sì, la scenetta della scarpa non potevo non metterla. Potrebbe sembrare
una stupidata (un po’ lo è ù.ù) ma secondo me è dalle piccole cose che si
capisce il loro affiatamento (come te e la tua amica simpaty).
Sei riuscita a confondere anche me i tuoi pensieri su Alice e Jazz…come
hai fatto? XD
Carissima, grazie mille per gli auguri!
Grazie per l’interessamento riguardo l’incidente. Va benissimo, almeno fisicamente.
È l’auto che ci ha rimesso di più con 550 € di riparazione ç__ç.
Se ti piace l’ironia di Isa immagino che anche questo capitolo ti sia
un pochino piaciuto, almeno poco poco, eh? Ti plego.
Sono d’accordissimo con te. Isa ci rappresenta, o almeno rappresenta
alcune di noi. È apparentemente forte ma dentro è molto fragile. Senza
considerare le mille sfaccettature che spero di essere riuscita a
trasmettervi. Ci tengo davvero molto a questo personaggio. Ha molto di me.
Sì. È molto veritiera. Ad esempio: difficilmente noi ragazze
ammetteremmo di fare sogni erotici e via dicendo e invece lei quasi ci
scherza su. La Bella della Meyer sembrava fin troppo matura per la sua età
effettiva è per quello che ho creato Isa così com’è: più adolescente, se
vogliamo (comprese le sue pazzie).
Davvero ti è piaciuto il pov di Jasper? Temevo che dopo 25 capitoli lo
avreste trovato noioso quindi mi fai felice dicendomi questo.
Grazie di tutto e spero che mi farai sapere presto qualcosa anche su
questo. I tuoi commenti sono preziosi e imperdibili.
Tesora ti capisco, se vuoi sfogarti, anche in privato, sarò felice di
ascoltarti.
Ho scoperto da pochissimo che sei anche tu una scrittrice e che sei
anche parecchio brava…eheh non dirmi niente, eh? Appena posso darò un
occhio alle tue opere ;).
Ti ringrazio dei magnifici complimenti!
spero di leggere il tuo commento anche per quanto riguarda questo capitolo.
due, lo so che è inutile combattere contro il destino e infatti non lo
faccio. Sorrido alla vita sperando che un giorno possa sorridermi lei.
tre, grazie perl’interessamento
riguardo l'incidente. Io sto bene è la macchina che ha subito danni!
Certo che mi è piaciuta la mia recensione anzi non mi è solo piaciuta, l’ho
adorata. E non mettere mai indubbio che il tuo parere non mi interessi. Lo
prendo seriamente in considerazione.
ah! Giusto! Anche io dovrei leggere le tue storie non tanto per una sorta
di favore reciproco ma perché se già le recensioni le scrivi così bene non
oso immaginare le ff… e poi, a dirla tutta, sono proprio curiosa. Appena ho
tempo ci faccio un saltino.
Bèh non credo che farò morire Newton. Non per mano di Edward per lo meno.
Magari solo qualche minaccia qua e la (trallalerotrallalà)…
guarda che anche secondo me Edward è molto dolce (tranne quando volava
uccidere Marlene -.-)!
Chissà perché il mio cervello tende sempre arrivare alla soluzione
seguendo il percorsi più incasinati e meno praticabili? Questo dovrei farmelo
spiegare bene da un buon psicologo. Ù.ù. Mi riferisco al fatto che ho perso
mezzora per leggere su Wiki qualche nozione di Termodinamica quando la
soluzione più semplice e più adatta era proprio sotto gli occhi.
SENSAZIONE. Che bella parola che hai usato. Bellissima. E secondo me molto
azzeccata. La sensazione di calore umano che, nonostante non possa darle
per ovvi motivi, riesce ugualmente a trasmetterle… fantastica
Visto che non sei la prima che me lo chiede direi che presto si sarà cos’ha
sognato Isa!
Come analizzi tu le cose mi fai paura. Sei bravissima. Hai inquadrato il
carattere di Jasper alla perfezione. Ho voluto fosse lui quello complessato
rubando il posto di Edward nell’originale. ^^
All’inizio però, non so se ti ricordi, era molto più spontaneo e
simpatico (vedi episodio con Isa in macchina). Questo perché secondo me
Jasper rimane una persona molto CARISMATICA, che attrae le persone verso di
se. Il comportamento complessato arriva solo dop,o quando incontra Alice.
Diciamo che gli ho fatto subire una sorta di metamorfosi. Da carismatico
ragazzo a militare calcolatore. Spero non ti sia dispiaciuto.
Per il resto non vorrei svelarti nulla visto che si scoprirà nel
prossimo capitolo ;). Azzardo anche io un ipotesi: la ragazza del fiume secondo
me sei tu (capirai il perché).
Ti ho scritto un poema epico come risposta…poveretta.
Spero che questo capitolo ti sia piaciuto e aspetto, se hai voglia, un
altro commento simile ;)… ti ho già detto che gli adoro i tuoi commenti? XD
Purtroppo la mia beta barbyemarco
ha il pc fuori uso. Provvederò
a sostituire il capitolo non appena riceverò la versione corretta.
Colgo comunque l’occasioneper ringraziarla per tutto quello che fa per
me. Ringrazio anche e la mitica Ely per i suggerimenti, senza di lei non avrei
saputo come fare.
Perdonate gli errori
che potrebbero esserci.
Il capitolo lo dedico a
tutte voi sperando possiate perdonarmi i ritardi ed in particolare a Bella_kristenche
commenta ogni singolo capitolo di questa fic. Ti adoro.
Angolino pubblicitario
Tra le ff di Twilight
(per chi non le conoscesse) segnalo due ff in cui i nostri beneamati
protagonisti sono entrambe umani:
una ff che ho scoperto
da pochissimo che sto cercando di leggere nei ritagli di tempo: “Life” di Anthy
E “My boss is…”
di Luisina. Non penso che questa ff
abbia bisogno ditroppe presentazioni.
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Bad Girl
[Isabella Swan]
Cap. Tweenty seven– You are special
L’indicatore della benzina del pick-up
segnalava ‘empty’, vuoto.
Lo stesso vuoto che si riproponeva nei
meandri bui e ventilati del mio cervello.
Da quando Edward era entrato nella mia
vita l’aveva sconvolta portandosi via anche l’unico spiraglio di razionalità
che era rimasto appigliato all’unico neurone superstite. Ora quel neurone non
urlava altro che “nudo” ogni volta
che nell’inquadratura ottica si spostava su Edward e il suo sedere.
Parcheggiai la ferraglia rosso
sbiadito di fronte a casa di Alice e scesi dal pick-up. Più tardi avrei fatto
benzina.
Mi posizionai sullo zerbino immacolato
e suonai lievemente il campanello che emise un suono prolungato ma gradevole.
Era davvero incredibile la villa di
Alice.
La facciata era in stile coloniale,
immensa, con il tetto che dava sull’azzurrino e, già dall’esterno, si poteva
facilmente intuirne l’immensità.
Mentre ero intenta a contemplare
quella bellezza architettonica sentii la serratura scattare e vidi la porta
aprirsi.
< Ciao >, una ragazza bionda
fece capolino sull’uscio.
Debby Sunders, la ragazza con la quale se la faceva Emmett.
La fissai stranita per un attimo prima
di arretrare di qualche passo per esaminare meglio il numero civico
dell’abitazione che, incorniciato da diversi ghirigori verdi, segnalava che si
trattasse proprio della casa di Alice.
Rise boriosa senza mostrare i denti come
se non potesse aprire la sua bocca più di così. Sì sì, come no.
Guardandola bene, da vicino, non
capivo davvero come potesse interessare a uno come Emmett.
Insomma, sì, aveva lunghissimi e liscissimi
capelli biondo camomilla, occhi azzurro cielo e il tipico fisico della
cheerleader ma il suo naso aquilino sfiorava quasi il labbro superiore
infierendole un aspetto da tapiro.
< Non hai sbagliato >, m’informò
divertita.
< Non sapevo fossi la nuova colf di
casa Brandon >, affermai sarcasticamente facendole immediatamente svanire
quel sorriso canzonatorio.
< Ciao Isa >, Alice piroettò
all’entrata leggiadra e mi fece cenno di entrare.
< Vedo che avete avuto già modo di
conoscervi >, constatò scoccando un’ occhiata eloquente ad entrambe.
< Se avessi saputo che eri già in
buona compagnia non sarei venuta >, ammisi senza peli sulla lingua.
Come era facile intuire, Debby Sunders
non mi piaceva affatto.
Era la classica ragazza snob e
popolare che si divertiva a giocare con i sentimenti altrui secondo i proprio
interessi, manovrando gli uomini come fossero marionette sotto il suo potere.
Per lei bastava aprire un po’ le gambe per far perdere completamente la testa
agli uomini. Il che in parte era anche vero… ma il ragazzo in questione era
Emmett. Non poteva non sfiorarmi la cosa.
No che io fossi un angioletto e,
certamente, ero anche la persona meno indicata per una paternale; il solo
innalzarmi al ruolo di paladina della giustizia mi faceva venire l’orticaria.
< Scusa >, sussurrò Alice
baciandomi una guancia.
< Purtroppo il dovere chiama! >,
cantilenò piena di energie.
Non capii cosa intendesse dire.
< Debby è una delle consigliere al
comitato per la biblioteca della scuola e, se ti ricordi, noi abbiamo un
progetto da definire… >, spiegò riferendosi senza alcun dubbio alla famosa
donazione per l’apertura della biblioteca a mio nome.
Era una cosa che avevo rimosso, tanto
mi infastidiva.
< Se te l’avessi detto non saresti
venuta >, constatò con aria machiavellica stampata in volto.
Sbaglio o mi aveva
incastrata?
Okay, ora
l’orticaria mi era ufficialmente venuta.
< Alice… >, iniziai, < mi
sono appena ricordata di una cosa urgentissima… >, parlai velocemente
dirigendomi all’uscita. Ripresi la borsa e il giubbotto e tentai una fuga in
extremis.
< Hey, dove credi di andare? >.
Mi afferrò per un passante della cintura dei jeans.
Era incredibile la forza che avesse
nonostante la sua corporatura da scricciolo.
< Dai, prometto che non ci
metteremmo molto >, mi pregò con aria supplichevole.
Era possibile
resistere al suo sguardo da cucciolo di foca indifeso?
< Ho già preparato delle bozze a te
spetta solo l’approvazione finale >, si intromise pure Debby in suo favore.
< D’accordo >, cedetti sbuffando.
Alzai gli occhi al cielo facendo scivolare la borsa sul pavimento.
Alice fece tre saltelli sul posto
allegra.
< A proposito, Melania dove l’hai
lasciata? >.
< Marlene >, precisai.
< E’ con Newton >.
< L’hai affibbiata al padre, dunque
>, rise.
< Sì, ma purtroppo gli ho dovuto
promettere che domani ci saremmo visti a casa mia per iniziare la relazione
>.
< Ah, perché non l’avete neanche
iniziata?>, domandò stupita, < Io l’ho già finita >.
< Grazie del conforto, davvero
>, affermai ironica.
Il salotto di Alice era qualcosa di
davvero unico.
I colori che predominavano erano
quelli dell’alba mattutina: il giallo dorato, l’arancione e l’indaco
magistralmente mescolati. Nonostante la spaziosità, appariva davvero un luogo
molto accogliente.
< Alice la tua casa è bellissima
>, affermai con sincerità. L’ultima volta che c’ero stata non avevo avuto
modo di ammirarla.
< Grazie >.
La mia attenzione si spostò poi su un
dipinto affisso su una parete all’interno del soggiorno. Mi stupii che un
quadro così bello non fosse esposto dove poteva essere più facilmente ammirato.
Magari sopra il camino.
Ritraeva una ragazza dai lunghi
capelli corvino di spalle in riva a un fiume. I colori del bosco sembravano tanto
realistici che per un attimo mi persi totalmente in quell’immagine, in quella
miscellanea di colori e sfumature.
< Bello vero? >, Alice dissuase
la mia attenzione dal quadro.
< Molto >, confermai.
< Come mai non lo sposti più al
centro? >, chiesi mentre prendevo posto ai piedi del tavolino mogano sul
quale Debby aveva già posizionato le sue bozze.
< No, non è di un artista famoso.
L’ha fatto mia madre… >, si incupì un po’ e decisi di non approfondire il
discorso.
< Allora hai capito la disposizione
delle sedie ? >, chiese Debby dandomi una lieve gomitata per richiamare la
mia attenzione.
Non avevo ascoltato nulla di quello
che mi aveva detto finora, trovando più interessanti due statuette di bronzo
situate sul mobiletto accanto ai divani.
Buffai stiracchiando le braccia verso
l’alto.
< Sentite… >, mi schiarii la
voce, < ma devono proprio esserci tutti questi libri? >.
< E’ una biblioteca, Isa. Cosa ti
aspettavi? >, mi richiamò Alice.
< Okay >, feci una smorfia di
disgusto.
< Allora facciamo così >, presi
il progetto tra le mani della Sunders e iniziai a scarabocchiarlo con la penna
blu.
< Tutti questi scaffali pieni di
libri dal centro li portiamo ai muri >, iniziai.
< E qua realizziamo una sorta di internet
cafè con un piccolo bar e un area relax>, conclusi soddisfatta delle mie
idee.
Ecco, ci voleva tanto? Io in due
minuti avevo finito mentre queste qui erano da due ore che discutevano su dove
mettere letteratura francese dell’ottocento.
< Sì, ma qui al centro rimane
vuoto. Non va bene >, affermò contrariata Debby indicando quello che ormai
rimaneva del suo progetto.
< Ma dev’essere proprio così! >,
puntualizzai facendo scoccare la lingua, < Più spazio c’è meglio è! Potremmo
organizzare delle feste qua, vi pare? >, ammiccai nella loro direzione
sperando di essere stata abbastanza convincente.
Rimasero per qualche minuto in
silenzio; non compresi se stessero valutando positivamente la mia proposta o se
fossero rimaste tanto schioccate da rimanere senza parole.
< Potrebbe andare… >, sentenziò
infine la folletta non avendo nulla da obiettare.
< Ma? L’hai detto anche tu che è
una biblioteca! >.
< Sì, ma è la biblioteca “Isabella Swan”…può fare come crede >,
scrollò le spalle e si alzò leggiadra.
< Mi sembra una buona idea, comunque
>, si rivolse nella mia direzione con un sorriso. Non immaginavo fosse così
facile ottenere la sua approvazione. Avevo già avuto modo di conoscere la sua
irruente cocciutaggine quando avevo avuto la brillante idea di accompagnarla a
fare shopping (seppure avessi tentato di rimuovere quel ricordo).
< Volete altro the alla pesca?>,
domandò ghermendo il vassoio con bicchieri vuoti tra le mani.
< No, grazie >, declinò la Sunders.
Che avesse paura che ingrassasse di un
millesimo di grammo?
< Per me sì, grazie >, accettai invece
io, non tanto perché avessi sete ma era necessario che rimanessi qualche minuto
sola con Debby per una questione in sospeso...
[Jasper Cullen]
< Edward, Edward >, sussurrai
accostandomi al muro.
Non c’erano dubbi sul fatto che mi
sentisse ma era troppo occupato con la sua
umana per prestarmi la minima attenzione.
Stronzo…
Come diavolo avevo fatto a proporre
una cosa simile?
Sì, perché era stato proprio il mio
cervello, ormai fossilizzato, ad avere la geniale idea di venire qui, a casa
Brandon.
“Per proteggerle” avevo mentito con
convinzione non appena avevo saputo dell’opportunità.
Ero più che convinto che Edward non
stesse minimamente collaborando, così come anche Emmett, come avrebbero invece dovuto
fare.
Doveva concentrarsi sui pensieri di
Alice per verificare se sapesse realmente qualcosa e, invece, perdeva il suo
tempo comportandosi come un umano, dimenticandosi totalmente di chi fosse in
realtà, della sua vera natura.
Non capito come diavolo facesse ad
essere così rilassato e, soprattutto, non comprendevo minimamente le sue
intenzioni. Davvero credeva di frequentare un’umana così intimamente senza che, prima o poi, essa venisse a scoprire chi
fosse realmente?
Non conosceva forse le regole? Gli
umani non dovevano venire a sapere del nostro segreto, della nostra vera natura.
La legge, in questo senso, non transigeva. Non faceva sconti.
Ma, a questo punto, erano entrambi troppo
coinvolti emotivamente per agire obiettivamente.
Per questo ragione avevo deciso di
nascondergli della ragazza del lago e avrei continuato a mentirgli, a celargli
le mie intenzioni, fino a ché non avessi scoperto qualcosa. Per questo che ero
venuto fin qui.
Mi lasciai cadere sul letto
sospirando.
La camera degli ospiti di Alice,
contro ogni mia aspettativa, era elegante e sobria. I mobili di rovere moro
disegnati in stile moderno. I colori predominanti in assoluto erano il marrone
scuro e l’avorio ma la cosa che mi colpiva di più era la scelta del dipinto
appeso sulla testata del letto. Non la solita raffigurazione religiosa ma un’
ottima riproduzione della Guernica di
Pablo Picasso.
Chissà se lei era a conoscenza del significato di questo dipinto o se la
scelta era ricaduta su di esso per la compatibilità di colore con
l’ambientazione della stanza.
Ritraeva la guerra, la distruzione, la
morte…
Mi ritrovai a sorridere amaro: senza
neanche farlo apposta era capitato nella camera giusta, io che la guerra
l’avevo vissuta.
Inquieto mi voltai da un lato
incontrando le cifre rosse della radiosveglia sul comodino che segnava le tre
di notte.
Generalmente ero in grado di rimanere
immobile senza respirare per giorni interi, settimane, ma qui era diverso.
Probabilmente perché, di riflesso, le emozioni che stava provando Edward mi
colpivano e, di conseguenza, mi rendevano così patetico.
Patetico e inquieto.
Come un insonne che si gira e si
rigira senza mai trovare il verso giusto, senza mai trovare la pace del sonno.
Era lecito spiarla?
Non ero forse qui per questo?
Mi concentrai sui suoni e rumori
provenienti dalla stanza di fronte alla mia, quella di Alice.
Senza alcuna difficoltà trovai il suo
cuore. Per il mio udito fu semplice distinguerlo da quello di Isa che in quel momento
stava facendo gli straordinari.
Forse, se mi fossi concentrato su quel
suono ritmico e cadenzato, avrei trovato modo di calmarmi, finalmente.
Così, restai in ascolto di ogni
singolo respiro profondo, di ogni suo minimo movimento. Sentii indistintamente
lo strofinio delle lenzuola sulla sua pelle delicata.
A quanto pareva dormiva beata.
Era meschino e scorretto spiarla in
questo modo, nel suo più intimo.
Dopotutto che collegamento poteva
esserci con la ragazza del fiume incontrata fugacemente più di venticinque anni
fa?Nessuno.
Ero stato stupido a pensare che
potesse esserci la ben che minima connessione.
Per quanto assurdo mi sembrasse,
poteva essersi trattata di una semplice coincidenza, di un brutto scherzo del destino o di una suggestione, di una
visione dovuta alla sete, un po’ come avviene ai nomadi del deserto, spossati
dal caldo, ai quali pare di avvistare un oasi all’orizzonte.
Tuttavia non dissipai il mio udito
altrove, ma rimasi ancora su quell’organo che, come una primitiva melodia,
accompagnava la mia notte.
Ero davvero patetico…
Cosa speravo?
Come potevo illudermi che l’improvvisa
accelerazione del suo cuore, ogni volta che i suoi occhi scuri si posavano su
di me, significasse qualcosa?
Era così per qualsiasi umano,
dopotutto.
Eravamo creati per attirare le nostre
prede, sebbene non ce ne fosse alcun bisogno.
Se avesse potuto vedermi realmente. Il
mio aspetto l’avrebbe terrorizzata e disgustata, ne ero certo.
Sollevai il gomito e osservai le
innumerevoli cicatrici che lo ricoprivano, segni intangibili di quello che ero
stato: un assassino. Erano sempre lì a ricordarmi da dove provenissi, il mio
passato.
Mollemente riappoggiai il braccio
lungo il corpo imponendomi di non pensare più a nulla. Se avessi continuato
Edward, nella stanza accanto, avrebbe avvertito i miei pensieri, anche se in
quel momento era impegnato su ben altro…
Tutto inutile.
Con un balzo mi sollevai dal letto, mi
liberai della camicia bianca, - poggiandola sul quest’ultimo, - e abbandonai la
stanza silenziosamente.
“Sarò qui fuori”, pensai una volta
nel corridoio.
Non sarei scappato, volevo che lo
sapesse.
L’esterno era davvero qualcosa di
unico.
Pensai che forse l’aria fresca e
frizzantina mi avrebbe aiutato a rischiare un po’ le idee.
Ero sempre stato un tipo amante della
solitudine.
Non a tutti piaceva stare da soli. A
me aiutava a ritrovare me stesso, in un certo senso.
Quando ero in mezzo ad altre persone,
non potevo non avere timore che le mie sensazioni, le mie emozioni, fossero
condizionate ininterrottamente dall’ambiente esterno. Come una spugna assorbivo
la loro felicità, il loro amore, la loro tristezza, i loro più profondi
sentimenti…per questa ragione, ogni
tanto, avevo bisogno di sapere che quelle sensazioni mi appartenevano, di
sapere che non ero solo un contenitore vuoto. Solo così ne avevo conferma.
M’incamminai lentamente verso il giardino
illuminato da piccoli faretti di luce bianca che conferivano all’esterno un
atmosfera quasi magica. Se Esme l’avesse visto se ne sarebbe certamente innamorata.
Percossi il piccolo vialetto di pietra
chiara che portava al retro della casa.
Qui un roseto faceva bella mostra di
sé.
Non mi era mai piaciuto l’odore che
questi fiori emanavano. Troppo dolce per i miei sensi. Eppure questi sembravano
emettere un profumo in grado perfino di rilassarmi.
Procedetti lentamente fino al bordo
della grande piscina.
Come uno stupido mi incantai ad
osservare il lento movimento dell’acqua, spinta dalla morbida brezza notturna.
Fissai i giochi di colore, le sfumature cerulee che si alternavano
gradualmente.
Senza pensare, mi spogliai dei jeans,
lasciandoli sul bordo, e mi tuffai all’interno della piscina.
L’acqua era indubbiamente fredda visto
il leggero strato di bruma che la ricopriva ma per me non era certo un
problema.
Solo il frinire stridente e monotono delle
cicale mi teneva compagnia. Tutto il resto taceva.
Nuotai fino a raggiungere l’altro
bordo della piscina.
L’acqua accarezzava leggera ogni
singolo lembo della mia pelle marmorea donandomi un immenso senso di sollievo.
Per un momento accantonai tutti i miei
problemi, tutti i miei piani e mi lasciai andare del tutto.
Immaginai, per un secondo, che fossero
le mani di Alice a sfiorarmi con delicatezza.
L’erezione che si manifestò così
facilmente, solo al pensiero delle sue mani sul mio corpo, era una chiara indicazione
del fatto che era da fin troppo tempo che non mi accompagnavo ad una donna.
M’immersi totalmente sotto la
superficie dell’acqua sottraendomi, per quanto possibile, dal fantasticare in
questo modo su di lei.
Mi inabissai fino a sedermi sul fondo.
Avevo proprio
toccato il fondo,
in tutti i sensi.
Qui i pensieri, rispetto all’esterno,
erano come ovattati.
Il mio olfatto totalmente annullato.
Mi disintossicai momentaneamente del suo odore.
Pian piano i miei sensi si inibirono
totalmente permettendomi per un attimo di interrompere il flusso continuo dei
miei scoccianti pensieri.
Avevo sens’altro fatto bene a venire
qui.
Un rumore mi ridestò dall’effetto di
estasi nel quale ero sprofondato e immediatamente ritornai in superficie.
Una volta fuori dall’acqua, il suo
profumo mi colpii in pieno, triplicando la brama di lei.
< Ah ah>, una figura minuta nella notte rise
dell’espressione sgomenta che dovevo avere in quel momento.
< Pensavo non riemergessi più >,
constatò divertita Alice.
< Da quanto tempo sei qui? >,
domandai con tono fin troppo duro.
Ma si poteva essere più stupidi di
così? Tutti questi sforzi per indagare su quello che realmente sapesse e poi
ero il primo a comportami tutt’altro che in modo naturale davanti a lei.
< Qualche minuto… >, rispose
irritata dal tono che le avevo riservato poco prima.
< Non dormi? >, le chiesi
cercando di mantenere un tono più cortese. Lo stesso tono gentile e
accondiscendente che utilizzavo in presenza di umani.
< Neanche tu >, constatò
indicandomi con un lieve cenno della testa.
< Ho il sonno leggero… diciamo >,
rispose avvicinandosi di qualche passo al bordo della piscina fino ad arrivare
dove avevo lasciato i jeans.
Avevo fatto delle ricerche su di lei.
Suo padre era un chirurgo famoso molto rinomato e spesso era in Europa per
diversi convegni o per complicate operazioni, mentre di sua madre non avevo
avuto molte informazioni. Nessuno l’aveva mai neanche solo menzionata.
Era così abituata a rimanere da sola
che ogni piccolo rumore la disturbava.
< Ti ho svegliata. Scusa >,
risposi colpevole.
< Non è colpa tua >, negò con la
testa facendo oscillare alcune ciocche di capelli.
Adesso che la paura iniziale di essere
stato scoperto era svanita, potei osservarla con più calma. Notai che era
stretta in un plaid colorato sulle spalle. Sotto indossava un tutina azzurra a
pantaloncini corti con dei bottoncini sul davanti.
Graziosa…
< Ti prendo un asciugamano >, si
offrì spostandosi verso le sdraio poste a lato.
Annui cercando di sembrare convinto.
Avrei potuto uscire anche senza. Il
pudore non era un sentimento che mi apparteneva ma se non avessi almeno finto
di provare freddo si sarebbe insospettita di sicuro.
Tornò poco dopo con un telo bianco tra
le mani. Lo adagiò con cura poco distante dal bordo, accanto alla scaletta
della piscina in modo che non si bagnasse, e si distese su una delle sdraio.
Sì, sì sì tranquille è tutto reale non è frutto della vostra
immaginazione. Ho aggiornato davvero *si innalza un canto di angeli scesi in
terra per l’occasione straordinaria*.
Scusate sono stata
letteralmente immersa nel lavoro e, come se non bastasse, una volta scritto il
capitolo non mi piaceva affatto e ho deciso di riscriverlo ù.ù
per poi invece postarvi oggi un collage del vecchio col nuovo (altrimenti non
ne venivo più a capo). Il risultato lo lascio giudicare a voi sperando che non
mi pervengano lettere minatorie a casa.
Prima di iniziare.
Il capitolo è composto
da diversi POV: Edward, Isa e poi di nuovo Edward (c’è comunque scritto di
volta in volta ma mi sembrava giusto precisarlo prima).
Avevo promesso un
capitolo che si collocava sempre a casa di Alice. Se nello scorso ci siamo strutte
con il capitolo melodrammatico di Jasper e Alice qui troveremo il capitolo di
Edward e Isa (con un antefatto, diciamo).
L’ultimo POV di Edward è rosso, red, rouge, 红色, أحمر(per quanto abbia cercato di renderlo meno
esplicito e volgare possibile). Donne avvisate mezze salvate.
Ultimissima cosa:
avrete notato che nel titolo ho evidenziato la dicitura “Parte Prima” ecco, questo perché originariamente il capitolo doveva
essere unico poi, come al solito, mi sono dilungata prendendo i più reconditi
sentieri del mio ‘cervello’ e quindi ho deciso di dividerlo a metà (l’altra
parte è ancora in fase di lavorazione) per non farvi aspettare un altro secolo.
In ogni caso prendete il titolo del capitolo come spoilerone del prossimo ;).
Un grazie speciale alla
mitica Elisa (non io, ovviamente…non
sono così pazza da autoelogiarmi in questo modo) che
si meriterebbe un monumento per il solo fatto di tollerarmi e alla fantastica barbyemarco, mia guida spirituale nonché beta di
questa fic, che senza di lei si sarebbe fermata al
secondo capitolo, alla quale voglio dedicare il capitolo come
(piccolo) regalo di compleanno. AUGURIIIII (tesoro anche se non ci sentiamo
più spesso come prima sappi che faccio sempre tesoro dei tuoi consigli ;)).
Vi avverto che la Beta
ha ancora il pc ko. Il capitolo non è betatoe verrà sostituito con quello corretto non appena lo riceverò.
Vorrei ringraziare
personalmente Miryaper la bellissima e commovente recensione!
Ricevere un commento da una scrittrice del tuo calibro mi rende più che
onorata. Grazie, davvero!
--------------------
Bad Girl
[Edward Cullen]
Cap. Tweentyeight– In Vodka Veritas[first part]
<
… una pastiglia la mattina e una la sera dopo i pasti >.
Ascoltai
le voci provenire dallo studio di mio padre.
“Il dottor Cullen, una vera benedizione per noi vecchietti”
I
pensieri dell’anziano erano di riconoscenza. Come del resto quelli di tutti gli
altri suoi pazienti.
Mio
padre, oltre che lavorare all’ospedale di Forks, svolgeva, ad appuntamento,
delle visite presso il suo studio per tutte quelle persone impossibilitate a
raggiungere l’ospedale o che volessero una sua personale consulenza.
Nonostante
lo scetticismo iniziale per la giovane età del dottor Cullen, la voce che fosse
un buon medico era circolata velocemente e ben presto il suo studio era
diventato un via vai continuo di persone.
Ancora poco e
avremmo dovuto mettere il numerino all’entrata.
Esme
diceva che era un bene che non restassimo troppo isolati per non destare sospetti.
Sbuffai
infastidito.
Era
incredibile il numero di persone ipocondriache in questo posto con un rapporto
di una discoteca su dieci farmacie.
“Questa sciatica non
mi da tregua”
<
Arrivederci signor Smith >, disse Carlisle con il suo solito tono cortese.
Sentii
le ruote della poltrona muoversi, segno che si era alzato per accompagnare il
suo paziente alla porta.
<
Mi chiami per qualsiasi cosa >, aggiunse.
<
La ringrazio dottore. Arrivederci >, si congedò.
Mi
sollevai stancamente dal divano in pelle per raggiungere il piano di sopra.
Sulle
scale incrociai il Signor Smith che lentamente le scendeva.
“Fammi passare
ragazzo!”, pensò con tono
incazzoso nonostante sul suo viso rugoso non ci fosse alcun segno di astio,
anzi, dalla piega orizzontale delle sue labbra sembrava addirittura sorridermi.
Mi
scansai per fallo passare seguendolo con lo sguardo.
“Non ci sono più i
ragazzi di una volta”,
pensò contrariato valicando la porta d’uscita.
Peccato
che fossi anche più vecchio di lui…
Picchiettai
lievemente le nocche sulla porta semiaperta dello studio di Carlisle.
Come se non sapesse
già che ero lì fuori…
<
Entra >.
Con
l’ausilio di due dita spinsi lentamente la porta fino ad aprirla completamente.
<
Hai due minuti papà? >, chiesi con
un sorriso stampato sulle labbra.
Talvolta
mi risultava davvero difficile chiamarlo in quel modo.
L’uomo
che avevo di fronte non aveva che l’aspetto di un trentenne eppure la stima per
lui era qualcosa di molto profondo.
Non
potevo che ammirarlo. Ammirare quello che faceva per scontare una colpa che dopotutto
non aveva. Nonostante le mie due lauree in medicina e la mia competenza, non
avrei mai potuto svolgere il suo lavoro.
Una continua
tentazione.
Pressappoco
come un alcolista impiegato in un negozio di liquori, ecco come la vedevo io.
Per lui invece doveva essere come un diabetico in un negozio di dolciumi:
tentato ma non così tanto da farsi del male.
<
Certo >, mi fece cenno di accomodarmi sulla sedia di fronte a lui.
Osservai
le sue iridi ambrate così simili alle mie.
Si
mise in posizione d’ascolto appoggiando i gomiti sulla scrivania.
“Come posso esserti
utile?”.
Lessi
velocemente quella domanda nella sua testa.
Niente
inconvenevoli. Ammiravo anche questo in lui.
<
Ho bisogno di… informazioni >.
“È successo
qualcosa?”
<
Nulla >, scossi la testa e sembrò rilassarsi.
<
Alice Brandon >, pronunciai quel nome velocemente. Se qualche umano fosse
stato presente non se ne sarebbe minimamente accorto.
Era
da quando l’aveva vista alla sua festa che Jasper non faceva altro che pensare
a lei, malgrado avesse tentato di celarmi i suoi pensieri in tutti i modi.
Purtroppo
non avevo una visione completa e, quasi certamente, c’era qualcosa che mi stava
nascondendo.
L’
idea di chiedere informazioni a Carlisle era scaturita
poiché, saputo che Alice e Isa erano a casa da sole, Jazz aveva subito
insistito al voler andare a controllare. Questo non era proprio da Jasper.
“Per proteggerle”, aveva affermato
cercando di apparire convinto ma, purtroppo per lui, io non me la bevevo così
facilmente.
Avevo
comunque accettato la sua proposta mostrandomi per nulla sospettoso nei suoi
riguardi.
<
Lei sa? >, domandò Carlisle senza scomporsi.
Era
strano mi facesse una domanda del genere visto che, ancor prima di iniziare il
discorso, avevo assicurato che non si trattasse di nulla di cui preoccuparsi.
Il
tono poi in cui l’aveva pronunciata mi lasciò perplesso. Come se lo stesse
chiedendo più a se stesso che a me.
<
Non credo >, mi affrettai comunque a rispondere.
<
Ho conosciuto sua madre, Mary >, iniziò a raccontare e vidi immediatamente
materializzarsi nella sua testa il viso di una giovane donna.
Alice?
“So a cosa stai pensando: sono due gocce
d’acqua”, affermò mentalmente.
Era
davvero incredibile la somiglianza tra Alice e la donna che vedevo nella testa
di Carlisle. Stessi lineamenti sottili, stessi occhi
espressivi e neri, stesse labbra carnose…
Carlisle si alzò dalla poltrona di pelle nera.
Mi diede la spalle osservando qualche libro di medicina dalla libreria apposta
dietro la scrivania senza prestare reale attenzione a nessuno di quei titoli.
Iniziò
a raccontarmi di come l’aveva conosciuta in ospedale e, nuovamente, delle
immagini molto nitide si materializzarono nella sua mente, rivivendo quasi
l’accaduto.
A
quanto pareva quella donna in dolce attesa si trovava già in ospedale per un banale
controllo quando aveva accusato intensi dolori all’addome accasciandosi al
suolo.
L’immagine
poi si spostò da tutt’altra parte, in una anonima stanza d’ospedale, dove vidi
la donna distesa su un lettino improvvisato e moltissimo sangue irrigarle le
gambe. Come uno stupido trattenni il respiro come se mi fossi trovato lì,
realmente di fronte a quella donna.
La
cosa che mi colpii maggiormente fu l’espressione di Mary nonostante quello che
le stava accadendo. Certo, il suo viso era visibilmente contratto dal dolore,
eppure riuscivo a percepire una strana calma nei suoi occhi mentre l’infermiera
predisponeva il necessario per tentare un operazione d’emergenza.
Inaspettatamente
vidi gli estremi delle sue labbra rosee tirarsi in un sorriso nella direzione
di mio padre.
“Grazie” gli sussurrò appena.
<
Le condizioni di Mary erano critiche, il battito cardiaco diminuiva a vista
d’occhio…non c’era nulla da fare. Le stavamo perdendo >, Carlisle
parlò interrompendo per un attimo il flusso delle immagini.
<
Ma un leggero battito, quasi impercettibile persino per il mio udito, mi fece
immediatamente capire che forse non tutto era perso>.
.
<
Alice >, sussurrai incredulo.
Annuì
con un lieve cenno del capo.
Rimasi
immobile, pietrificato.
Quel
‘grazie’ al quale non avevo
inizialmente dato la minima importanza adesso celava mille, e più, significati.
Impossibile
non ricollegarlo a quanto analogamente era avvenuto con mia madre; quando aveva
pregato Carlisle di salvarmi da morte certa, come se,
in qualche modo, sapesse che Carlisle era in grado di
farlo, come se sapesse chi, o cosa fosse in realtà.
Sembrava
che il destino si divertisse a giocare in questo modo con le nostre anime…
che
anche Alice fosse destinata a diventare una di noi? E Jasper in che modo era
coinvolto in tutto questo?
Bad Girl
[Isabella Swan]
Con
Debby non andò esattamente come sperato.
Avevo
sì scoperto che tradiva il suo ragazzo ma… non con Emmett.
Per
poi alla fine venire a sapere anche che tutte le cheerleader avevano lo stesso
identico tatoo con la rosa in quanto peculiarità dello stemma della nostra
squadra: due rose intrecciate su una spada.
Chissà se qualcuno
lassù si divertiva delle mie continue figure di merda?
<
Menomale che se ne è andata… >, sbuffai appoggiandomi con i gomiti al
ripiano centrale della cucina di Alice riferendomi alla fuga di Debby.
<
Dopo che l’hai insultata direi che era il minimo che potesse fare >, lessi
una punta di rimprovero nella sua voce squillante.
Non l’avevo
insultata….
Fissai
Alice con lo sguardo più innocente di questo mondo e lei, di rimando, me ne
rivolse uno piuttosto eloquente.
Ok, forse un pochetto…
<
Ma come facevo a sapere che avessero tutte lo stesso tatuaggio, scusa? >, mi
lagnai in mia discolpa.
<
Credo fossi l’unica a non saperlo >, disse convinta mentre recuperava una
ciotola di plastica blu dal mobile in basso. Aveva in precedenza suggerito di
preparare una torta di mele.
<
Sbuccia queste >, ordinò passandomi delle mele e un coltello col manico
nero.
Era
ancora presto per la consegna della pizza. Impossibile che l’omino avesse
capito male anche se non lo escludevo poi del tutto.
Dopo
essersi asciugata le mani con uno strofinaccio bianco, Alice andò a vedere chi
potesse essere. Se era ancora Debby non avrei
resistito dal strapparle quella chioma bionda.
Mi
sbagliavo: nessun omino albanese delle pizze, nessuna oca bionda bensì due
figure dall’aspetto angelico che si palesarono in cucina sorridenti.
Indecente,
era assolutamente e assurdamente indecente, Edward. Come poteva presentarsi
vestito in quel modo senza che non immaginassi di sequestrarlo e legarlo al mio
letto, completamente nudo, per giorni. Ero malata, lo sapevo e, poco ma sicuro,
stavo sbavando, ne ero certa. Già potevo vedere la mia faccia con tanto di
occhi sbrilluccicosi e bavetta all’angolo della
bocca.
I
miei sospetti trovarono conferma perché Edward mi dedicò il suo solito sorriso
sbieco e bastardo di chi sa perfettamente l’effetto da cardiopalma che sorbisce
alle posseditrici sane di patata.
Decisi
di non cedere così facilmente al suo fascino, – o per lo meno di non farglielo
capire manifestamente, – svelta riacquistai un aspetto dignitoso recuperando la
quantità di salivazione necessaria per articolare una delle mie solite frasi
pungenti che denotasse la mia indifferenza, – decisamente mal celata -,nei suoi confronti.
<
Non riesci a stare proprio senza di me, eh? >. Il tono ironico e un tantino
pungente c’era, il sorriso da stronza pure. Perfetto.
In
risposta sorrise ancora più apertamente mostrando quella fila ordinata e
bianchissima di denti perfetti facendomi per un attimo dimenticare persino come
mi chiamassi.
Uno
a zero per lui, come sempre, del resto.
Bad Girl
[Edward Cullen]
Dannazione!
Perché
non riuscivo a leggere nella sua mente?
Io
e lei su quel letto da soli.
Come
due calamite i nostri corpi aderivano perfettamente e, nonostante la stoffa dei
vestiti, riuscivo a sentire indistintamente il calore della sua pelle sulla
mia.
Fuoco. Era bollente.
I
suoi capelli leggermente ondulati sapevano di balsamo e l’odore dolce della sua
pelle mi stava facendo impazzire.
Perché
non riuscivo a pensare ad altro che ai nostri due corpi nudi avvolti dalle
coperte?
Sfregò
leggermente la sua gamba contro la mia bloccata tra le sue. Sperai che il suo
fosse un gesto del tutto involontario. Fu la sua leggera risata a farmi capire
che non era affatto così. Indietreggiai di poco con la testa per guardarla
negli occhi.
Le
sue iridi color cioccolato mi scrutarono furbi. Era incredibile l’espressività
che avessero. I suoi occhi erano davvero l’unico specchio in grado di rilevare i
suoi pensieri.
Fu lei a distogliere lo sguardo per prima.
Gliene
fui grato, perché rischiavo davvero di non riuscire più a controllarmi.
E
invece quello non fu altro che l’inizio di un nuovo attacco.
Si
posizionò col viso nell’incavo del mio collo. Lentamente appoggiò le sue labbra
sulla mia pelle e iniziò a lasciare una scia di baci infuocati. Risalì
lentamente fino a scorrere di baci il contorno della mia mandibola.
Appoggiai
le mani sui suoi fianchi e prontamente invertii le posizioni. Ora ero io nella
posizione di comando, sopra di lei. Non poteva sfuggirmi.
Prese
a mordicchiarsi nervosamente il labbro inferiore mentre il suo sguardo penetrante
mi studiava minuziosamente.
Le
accarezzai lentamente una guancia e poi col pollice lambii le sue labbra
morbide e sentii il suo respiro eccitato sulla mia pelle.
Col
l’altra mano le sfiorai la pelle scoperta del fianco disegnando invisibili
cerchi. Sussultò a quel contatto.
Osservai
i suoi occhi sgranarsi dallo stupore mentre scendevo a baciarle il ventre
piatto con studiata lentezza. Non compresi se avesse la pelle d’oca a causa del
mio respiro fresco o per l’eccitazione. Immaginai fosse un combinazione di
entrambe le cose.
Baciai
ogni singolo lembo di pelle, sfiorandola leggermente con le labbra, per poi
assaporarne curioso il gusto con la punta della lingua. Aveva un buon sapore,
la sua pelle.
Presi
a mordicchiarle leggermente i fianchi facendola sospirare di piacere.
Il
desiderio incessante del suo sangue infiammava la mia gola. Ingoiai a vuoto un
fiottodi veleno che, piuttosto che alleviare la
mia sete, ne alimentò ulteriormente l’intensità. Ardeva.
Non
potevo e non volevo farle del male.
Le
sue dita affusolate tra i miei capelli richiamarono la mia attenzione. Portai
la sua mano sulle mie labbra e ne baciai delicatamente i polpastrelli uno ad
uno, lentamente.
<
Edward, cos’hai? >, domandò notando probabilmente il precedente attimo di
turbamento.
In
risposta avvicinai le mie labbra al polso e ispirai forte l’odore del suo
sangue, lì dove riuscivo a sentirlo pulsare con maggior intensità.
<
Mi stai facendo impazzire >, parlai con voce maledettamente roca e tremante.
Sorrise
birichina e strinse inaspettatamente le gambe attorno al mio bacino. In quel
modo, oltre l’odore, riuscivo a percepirne anche il calore che come una fiamma
viva mi stava man mano consumando.
Mi
presi un attimo per guardarla mentre non smettevo di baciarla.
Era
davvero bellissima. La schiera di nere ciglia folte non mi permettevano di
guardarla negli occhi. Sembrava davvero così…
concentrata.
Con
la lingua cercai di farmi spazio tra le sue labbra. Me lo permise schiudendo
leggermente le sue morbide e bagnate. Il bacio si fece man mano più intenso…
più famelico. Le nostre lingue si lambirono, si sfiorarono bisognose.
<
Forse…è…>, cercò di articolare tra una ripresa e l’altra d’ossigeno.
Sorrisi
di traverso e riportai le sue labbra sulle mie trattenendola.
Sarei stato ore ore a baciarla senza mai staccarmi, se
lei non avesse avuto bisogno di respirare.
Appoggiò
le sue mani sul mio petto e spinse debolmente, così debolmente da risultare più
una carezza che un tentativo di allontanamento. Era buffa, combattuta, ma buffa
e non potei fare a meno di sorridere di nuovo.
Mi
scostai dal suo corpo combattendo contro il desiderio di lei e quasi non cadde
in avanti.
<
Ti diverti? >, chiese infastidita.
<
Molto >, ammisi.
Si
mise a sedere sul lettone incrociando le gambe e guardandomi un po’ accigliata.
<
Usciamo? >, se ne uscì d’un tratto.
Cosa? Cosa? Cosa?
No, assolutamente
no.
< Dai lo sai che scherzavo, no? >,
tentai di persuaderla scostandole i capelli da un lato e baciandole lievemente
il collo.
Rise
vittoriosa.
<
Cattiva >, le mordicchiai leggermente il collo.
<
Te lo meriti >, evitò i miei baci alzandosi goffamente dal letto.
<
Andiamo? >, insistette picchiettando un piede a terra.
Neanche morto…o
meglio: neanche vivo!
Allungò
una mano verso di me, l’afferrai assecondandola ma, piuttosto che alzarmi, feci
leva sul mio peso all’indietro e cademmo sul letto insieme.
Si
posizionò meglio sopra di me sedendosi sulla mia erezione.
Mi sa che l’avevo
convita a restare…
Mi
baciò con enfasi, approfondendo il bacio fin da subito.
La
passione era palpabile, potevo percepirla, quasi toccarla e sicuramente
fiutarla.
Anche
lei mi voleva.
Invertii
nuovamente le posizioni facendo attenzione a non pesarle addosso.
Introdusse
le mani sotto la maglietta a maniche corte che indossavo col chiaro intento di
toglierla. La favorii aiutandola a eliminarla del tutto. Le sue mani scottavano
come lava sulla mia pelle. La maglietta finì ai piedi del letto.
Restò
a contemplare ammaliata per qualche instante il mio corpo. Disegnò i contorni
dei miei pettorali per poi scendere sugli addominali. Ebbi un sussultò quando
sfiorò la cintola dei jeans, jeans che erano diventati incredibilmente troppo
stretti, mi soffocavano.
Imprigionò
ancora le mie labbra succhiandole avida.
Scesi
a sbottonarle la maglietta che fungeva da pigiama. Le mie labbra trovavano
fameliche altra pelle da baciare ad ogni bottone che veniva aperto.
Le
baciai il seno morbido e tondo coperto ancora dalla stoffa del suo semplice
reggiseno nero.
Feci
scivolare una spallina mentre mi soffermavo a baciarle la clavicola.
Il
battiti frenetici del suo cuore mischiati ai nostri respiri scandivano i
minuti.
Le
spogliai completamente della maglietta e la guardai in tutta la sua bellezza.
Ci
morirei...ci morirei su quel tuo corpo bianco e bello morirei.
E
tu lo sai...Dio se lo sai…
Il
mio sguardo si posò più di ogni altra cosa sulle sue dolci rotondità.
Stupenda,
fantastica, eccitante Isa…
Mi
soffermai ad toccare i suoi seni sodi, li strinsi delicatamente, senza farle
male. Dalle labbra le sfuggì un gemito che mi eccitò oltre l’immaginabile.
Non
potevo resistere oltre.
Mi
sollevai dal letto e, di conseguenza, anche da lei. Mi fissò contrariata ma
capì immediatamente dopo il reale motivo.
Portai
svelto le mani al primo bottone con l’intento di sbarazzarmi definitivamente di
quei jeans ma la mano di Isa mi interruppe fin dall’inizio.
Per
un istante temetti che avesse cambiato idea e probabilmente impallidii, o
almeno più del normale.
Fu
da un suo sguardo che capii che in realtà non voleva che essere lei a farlo.
Allontanai
allora le mani dalla cintola lasciandole libero accesso.
Nonostante
la determinazione nei suoi occhi, le mani le tremavano.
Slacciò
il primo bottone con una lentezza che, ancora poco, e sarei diventato vecchio
in un istante, se possibile.
Era
meglio se avessi fatto da me.
Mi
strussi nell’ attesa. Anche se in realtà, dovevo ammettere che, tutto
quell’indugio non faceva che aumentare maggiormente il desiderio di lei, sempre
che già non ne avessi superato il limite.
Le
sue dita incerte sfiorarono accidentalmente la stoffa dei boxer.
Ero
davvero al limite della sopportazione.
Dove
diavolo era finita “miss fa che gli cada”
quando serviva?
I
suoi occhi color cioccolato si sgranarono inizialmente dalla sorpresa che
successivamente si sciolse in un sorriso malizioso che sembrò gridare a gran
voce: “sei mio”.
La
condussi con cura sul letto distendendomi sopra di lei.
La
sentì trasalire quando la mia erezione le sfiorò l’inguine.
Baciai
ogni millimetro del suo petto. Con foga – troppa forse - le scostai il
reggiseno. Il suo seno era ancora meglio di come lo avevo immaginato. Così
pieno, così morbido…così invitante. Ne succhiai i capezzoli già turgidi e mi
divertii a stuzzicarla lievemente con i denti mentre, sotto di me, il suo cuore
tamburellava impazzito e i suoi respiri erano sempre più accelerati.
“Edward, Edward”
I
pensieri di Jasper nella stanza accanto erano sempre più seccanti e irritanti.
Doveva volere davvero la morte se aveva l’ ardore di disturbarmi in un momento
come quello.
“Stronzo”
Ebbe anche la faccia tosta di
insultarmi.
Un
ringhio mi morì in gola. Non volevo di certo spaventare Isa per colpa di quello
stupido. Sperai comunque che lui mi avesse sentito e che gli fosse servito come
avvertimento.
“Sarò qui fuori”
Lo
sentii in corridoio mentre si dava alla fuga. Ecco bravo. Vai e non rompere
più.
<
Ahi! >.
Il
lamento di Isa mi ridestò dai pensieri omicidi verso mio fratello.
Mi
sollevai immediatamente sulle braccia e vidi quello che avevo appena combinato:
il petto di Isa era ricoperto da chiazze rosse lì dove erano passate le mie
labbra.
Ero
stato così preso da non accorgermi che i miei baci erano diventati sempre più
passionali, sempre più violenti e impetuosi.
Balzai
dall’altro lato del letto, superandola.
Sospirai
portandomi entrambe le mani sul viso. Come avevo potuto farmi prendere così la
mano?
<
Edward, non è successo nulla >, la sua voce era quasi un sussurro ma non
c’era traccia di paura. Avvertivo invece un tono di colpevolezza quasi come se
quello che era successo fosse a causa sua.
Sì,
questa volta non era successo nulla ma cosa sarebbe successo se l’avessi morsa
o, peggio, uccisa?
Non
potevo permettermi distrazioni in momenti come questi. Sarebbe bastata una
leggera pressione in più o un movimento sbagliato per massacrarla senza neanche
accorgermene.
Avvertii
le sue dita leggere sui miei capelli.
Mi
scostai in malo modo lasciandola allibita.
Non
volevo mi toccasse. Non in quel momento.
Mi
accorsi subito dell’ errore: lei non c’entrava nulla, l’unico con cui dovevo
prendermela ero io. Nessun’altro.
<
Scusa >, mi voltai verso di lei cercando di sorriderle senza mostrarle i denti.
Non era il caso di spaventarla ulteriormente.
<
Certo che sei strano forte, eh? >, mi riprese con il suo solito tono di voce
canzonatorio e poi scoppiò a ridere buttandosi all’indietro.
Rimasi
un po’ turbato.
L’avevo
letteralmente mangiata di baci e il mio comportamento in generale era stato
tutto fuorché normale e lei cosa faceva? Rideva come una matta.
Che
non fosse una ragazza comune l’avevo capito fin dall’inizio ma non immaginavo
così tanto.
Si
coprì col lenzuolo ma senza alcuna traccia di imbarazzo, piuttosto potevo
ancora intravedere nei suoi occhi ilarità. Si posizionò accanto a me, prona.
Emisi un sospiro di sollievo nel vedere che le chiazze rosse sulla sua pelle
chiara erano quasi ormai del tutto sparite.
Mi
attardai ad ammirare quelle parti di pelle ancora scoperti. Le cosce e parte
della schiena.
Era
davvero qualcosa di eccezionale: i capelli scompigliati le ricadevano sulla
fronte e sul viso, le labbra erano rosse e piene come non mai e gli occhi erano
lucidi e incredibilmente intensi.
Era il rallentato
risveglio di un fiore.
Il
mio corpo – era più che evidente - la desiderava ancora. Sentivo il bisogno di
stringerla nuovamente tra le braccia, di sentire il suo calore sulla mia pelle.
Ma
oramai il nostro il momento magico era rovinato.
Cercai
di reprimere l’erezione che ancora non mi aveva abbandonato. Forse più tardi
l’avrei accontentato solitariamente.
Mi
chinai solo per baciarle dolcemente una guancia ma lei si voltò all’improvviso
facendo sì che il bacio si depositasse leggero sulle sue labbra.
<
Andiamo? >, propose con un lieve sorriso.
<
Sì >, sospirai poco convinto sul suo volto.
Un
altro minuto in quella stanza e non sarei stato in grado di placare la voglia
che avevo di assaporare nuovamente il suo corpo.
---------
Care le mie bad girl il
capitolo si conclude qui…ma, come ho detto, ci
saranno parecchie sorprese nel prossimo (già il titolo dice tutto).
Devo dire che questo capitolo mi ha dato parecchio filo da torcere
e, tutt’ora, non ne sono completamente soddisfatta. Tutta la prima parte avevo
pensato di eliminarla e di partire direttamente dalla camera da letto ma,
seppur noiose, quel pezzo conteneva informazioni importanti e non trascurabili.
Spero che non vi sia dispiaciuto. Poi, come avrete già capito, mi piace incasinarmi
l’esistenza e quindi ho optato per il pov di Edward
nella parte hot quando forse mi sarebbe stato più semplice utilizzare quello di
Isa (col quale ho ormai più confidenza ;)). Spero che la mia scelta non vi
abbia lasciato insoddisfatte.
Visto che mi è stato giustamente fatto notare inserisco una
piccola spiegazione:
Nel secondo capitolo Edward e
Isa hanno un rapporto occasionale nel bagno di un bar ma questa è realmente la
prima volte che la vede nuda visto che in quel capitolo le alza solo la gonna e
consumano velocemente…diciamo che non aveva avuto il
tempo di contemplare il suo corpo in quell’occasione ;).
Da allora sono cambiate
sicuramente molte cose.
In ogni caso, questo Edward non
è come quello della Meyer è sicuramente un Edward che
si lascia guidare dagli istinti e non ha
alcun problema ad avere rapporti intimi con una donna, solo che rimane
comunque un vampiro: l’odore del suo sangue unito alla distrazione causata da
Jasper nella stanza accanto gli ha fatto perdere un po’ la testa e si è, penso
lecitamente, spaventato di averle fatto del male vista la sua innegabile forza.
Poi mi avete fatto notare lo stacco
netto tra le due parti del capitolo sul quale non posso darvi torto. Avevo
anche provato a descrivere tutto il pezzo mancante tra la scena della loro
entrata in casa e il passaggio in camera da letto ma la cosa diventava davvero
troppo pesante, credetemi, sia per voi lettori che per me.
Mentre per quanto riguarda lo
stacco tra questo capitolo e il precedente è normale che ci sia. Non era una
continuazione di quel capitolo visto che questo si svolgeva ‘nel mentre’.
Spero di aver fatto chiarezza e
rimango comunque a vostra disposizione per eventuali ulteriori chiarimenti
Preciso che le frasi:
Ci morirei...ci morirei su quel
tuo corpo bianco e bello morirei. E tu lo sai...dio se lo sai…
E
Era il rallentato risveglio di
un fiore.
Sono rispettivamente di Biagio Antonacci e di Umberto Tozzi.
Dopo questo, prima del capitolo di Emmett,
pensavo di inserire una cenetta alquanto particolare e divertente con degli
ospiti a sorpresa...
Vediamo che si può fare…lasciatemi
riordinare un pò le idee.
Siamo
arrivate a 380 recensioni… WOW! Ragazze sono davvero
commossa! Lasciatevi abbracciare virtualmente una ad una. SIETE LE MIGLIORI!
Capitolo 30 *** In Vodka Veritas [second part - in Edward’s dream ] ***
--------------------
3 things:
Scusateilritardo. Lo so che è da un
casino di capitoli che continuo a farlo ma davvero non riesco a postare prima.
Spero possiate perdonarmi.
Il capitolo non è betato (la beta ha ancora problemi col pc). Scusate con anticipo gli eventuali errori che
troverete (le segnalazioni sono gradite).
A un certo punto
il capitolo vi sembrerà un po’ insensato (più del solito), ecco è
assolutamente normale.
Per finire ringrazio la Ely per il supporto e il tempo che mi dedica <3 e un
ringraziamento a tutte coloro che leggeranno.
E’ stato un capitolo faticoso
da scrivere ci ho messo davvero anima, tempo e lacrime. Spero apprezzerete.
--------------------
Bad Girl
[Isabella Swan]
Cap. Tweentynine– In Vodka Veritas[second part - Edward’s dream ]
Prendiamo il tuo pick-up? >,
domandò Edward abbottonandosi il cappotto nero di panno, rivolgendo uno sguardo
al mio mezzo parcheggiato sul ciglio della strada.
Aveva
ancora i capelli scompigliati che gli donavano un’aria da dio selvaggio e
tormentato. Quel dettaglio fuoriposto lo rendeva perfetto. E pensare che prima
di conoscerlo, avevo fatta mia la frase: “la
perfezione ha un grave difetto ha la tendenza ad essere noiosa”1.
Con lui avevo ritrattato su tutta la linea, decisamente.
I
suoi occhi ambrati guizzarono di scatto sui miei facendomi perdere un battito.
Guardandolo
non potei non pensare che, delle volte, nonostante i lineamenti da adolescente,
mi sembrava quasi di avere di fronte un uomo vissuto.
<
No >, scossi la testa facendo oscillare alcune ciocche di capelli scacciando,
nel contempo, quegli assurdi pensieri.
Il
pick-up non era propriamente una buona idea, – tralasciando che era in riserva
di benzina da quel pomeriggio, - se l’avessi messo in moto avrei svegliato
tutta Forks e la prospettiva di essere denunciata per
disturbo alla quiete pubblica non era poi molto allettante, se per di più, si
sommava il fatto che lo sceriffo del paese fosse proprio mio padre allora era
una cosa da evitare, assolutamente.
L’aria
fresca tipica delle prime ore del mattino iniziava a pizzicarmi il viso e le
gambe scoperte. Dovevo ammettere che non era stata una brillante idea quella di
uscire col pigiama. Frettolosamente avevo indossato solo un paio di stivaletti
neri col tacco e recuperato borsa e cappotto (che per fortuna, era abbastanza
lungo da celare ciò che c’era sotto).
Mi
strinsi in quest’ultimo, sfregando entrambe le mani sulla stoffa, nella
speranza di scaldarmi più velocemente.
Sussultai
dalla sorpresa nel sentire il braccio di Edward cingermi le spalle. Mi accostò
al suo torace e strinse un po’ la presa. Bastò quel contatto per riportare il
mio pensiero a quello che era successo in camera di Alice, qualche istante prima.
Quei baci, che ancora bruciavano vividi sulla mia pelle, bastarono a scaldarmi.
Gli
sorrisi riconoscente e lui ricambiò con il suo solito sorriso sghembo.
Il
suo sguardo, – quello sguardo che riservava a me soltanto, - mi faceva sentire
unica e…preziosa.
Il
solo pensiero poi dei suoi occhi che ardevano dal desiderio di avermi, bastava
a farmi venire la pelle d’oca. Non mi ero mai sentita così desiderata prima di
allora.
<
Facciamo due passi, allora >, propose avanzando.
Mi
ridestai dai miei pensieri e annuii.
Camminammo
silenziosamente, l’uno affianco all’altro, godendoci quell’ anomalo silenzio. Avvertivo
perfino il suo respiro e, probabilmente, - se mi fossi concentrata meglio, - sarei
riuscita a distinguere anche il battito del suo cuore.
Il
mio riuscivo senz’altro a sentirlo quando ero con lui.
La via era deserta, come facilmente
intuibile a quell’ora. La città ancora del tutto addormentata.
Le
strade avevano un non so che di spettrale. Mancava solo quel leggero strato di
nebbiolina tipico dei film horror, per il resto poteva facilmente essere lo
scenario perfetto per qualche macabra scena. Hitchcock, ad esempio, l’avrebbe trovato grazioso.
Il
bosco, al margine della strada, dava come l’impressione che dovesse spuntare qualcosa
da un momento all’altro. Probabilmente il fruscio del fogliame, mosso da un
leggero venticello, favoriva questa mia assurda suggestione.
Eppure
i brividi che mi solleticavano la pelle non erano dovuti di certo alla paura.
Non
li conoscevo, erano nuovi per me, tuttavia era come se li avessi sempre
cercati.
E,
ora che li avevo trovati, non avrei smesso neanche un attimo di desiderarli.
Mi
facevano sentire così leggera e… felice.
Viva,
in un certo senso.
Imboccammo
delle stradine secondare che non rammentavo o che, più probabilmente, non
conoscevo affatto. Il che poteva sembrare ridicolo viste le dimensioni di Forks, perciò mi morsi la lingua e evitai di rivelarlo ad
alta voce.
Edward,
al contrario, sembrava così sicuro di ogni passo e si muoveva con scioltezza,
nonostante il buio.
Mi
lasciai guidare affidandomi ciecamente al suo senso dell’orientamento e evitai
persino di lamentarmi dei tacchi che iniziavano a torturare i miei poveri piedi
e della borsa che iniziava a pesarmi sulla spalla.
Edward
adeguò senza problemi il suo passo alla mia andatura lenta, restandomi sempre
vicino e non abbandonando mai la presa della mia mano. Ad ogni mio incespicamento era sempre pronto a sorreggermi. Maledii
ripetutamente la mia assoluta incapacità a camminare su superfici piane.
La
novità dei luoghi, delle vie e dei palazzi che ci circondavano mi fece
addirittura immaginare di trovarci in un altro luogo, in un’altra città.
Mi
godetti silenziosamente, passo dopo passo, questa nuova Forks,
quando, Edward, improvvisamente, aumentò il passo.
A
fatica cercai di stargli dietro. La presa della sua mano si fece più forte e le
mie gambe risposero prontamente, mosse da una strana inquietudine.
Proseguimmo
sempre diritto pur non sapendo bene da cosa o chi stessimo scappando, sempre
che stessimo scappando, ovviamente.
All’ultimo
momento svoltò a sinistra facendomi cozzare contro un muro di mattoni rossi che
nella penombra sembravano neri.
<
Ma che diavolo…? >, tentai di contestare ma mi zittì prontamente poggiandomi
un dito sulle labbra.
Osservai
la sua mascella irrigidirsi, così come anche il suo corpo. Strinse i pugni e
restò all’ascolto di qualcosa socchiudendo appena gli occhi, concentrato.
Mi
accorsi di essere troppo agitata e impaurita per riuscire a sentire qualsiasi
rumore, nonostante ci provassi. Probabilmente se in quel momento, a pochi metri,
fosse esplosa una bomba difficilmente ne avrei avvertito il fragore…più
facilmente sarei morta prima di accorgermene. E, con questo pensiero impresso
nella mente, osservai attenta ogni suo singolo movimento, pronta a scappare,
urlare o nascondermi, qualora me lo avesse ordinato.
Ma
nulla di tutto ciò sopraggiunse.
La
sua fronte, inizialmente aggrottata, pian piano si rilassò e lo sguardo tornò
ad essere sereno.
Era tutto finito?
Ma tutto cosa poi?
E perché non
riuscivo a smettere di tremare?
<
Isa, Isa? >.
La
voce angelica di Edward mi riportò alla realtà.
Misi
subito a fuoco le sue iridi dorate che, anche al buio, rispendevano come due
piccoli fari.
Ma,
di colpo, la mia attenzione fu catturata da altro. Mi voltai immediatamente
verso la fonte di un rumore che ruppe, - come un tuono al ciel sereno,- il
silenzio facendomi trasalire: una bottiglia di vetro che andava in frantumi.
Poco distante da noi, infatti, visualizzai la figura di un uomo. L’oscurità non
mi permise si distinguerne i tratti del volto ma dall’andatura barcollante e
instabile doveva essere presumibilmente un ubriaco.
Abbassai
il viso verso il basso, vergognandomi della reazione che avevo avuto e, allo stesso
tempo, sospirando di sollievo nel vedere cosa fosse in realtà.
Tutto quello
spavento per nulla.
Edward
appoggiò l’indice sotto il mio mento, sollevando il mio viso in modo che
potessi guardarlo negli occhi.
<
Tutto bene? >, chiese sinceramente preoccupato.
Annuii
con convinzione nonostante non fossi per nulla sicura della mia stabilità
mentale e fisica.
<
Andiamo >.
Cinse
il mio fianco col braccio destro ma non mi mossi.
<
Come hai fatto a sentirlo? >, fu la prima cosa che mi venne in mente di
chiedergli, stupidamente.
Contrariamente
a quanto mi aspettassi, la mia voce risuonò ferma e stabile.
Notai
una leggera esitazione nei suo volto, - dovuta probabilmente alla insensatezza
della mia domanda, - ma subito si apprestò a rispondermi.
<
Era dietro di noi >, sorrise senza mostrare i denti, < Ho pensato potesse
avere brutte intenzioni e, così…>.
Possibile
che fossi così presa da non accorgermi della presenza di quell’uomo?
Possibilissimo.
D’altronde era risaputo che quando stavo con Edward avevo la tendenza a perdere
la cognizione di ciò che mi circondava, estraniandomi dal mondo.
Accertatami del fatto che riuscissi
ancora a poggiare un piede dopo l’altro, proseguimmo fino a raggiungere
finalmente un posto a me familiare: la piazza del paese.
Era
deserta, anch’essa, anche se sicuramente molto più illuminata del resto delle
vie.
Oltre
alle lanterne di luce quasi arancione, piccole lucine colorate, - di cui la
maggior parte fulminate -, contornavano la piazza e l’insegna in legno dell’unico
bar presente. Erano per lo più residui delle varie feste natalizie che per
pigrizia non venivano mai del tutto disfate.
Erano
sempre le stesse, ogni anno, eppure lo spettacolo che ricreavano quella sera
era senza dubbio magico.
Era
assurdo come piccoli dettagli, ai quali comunemente non si prestava la minima
attenzione, si tingessero, quando meno te lo aspettavi, di un nonsochè di eccezionale. Come se si vedessero
realmente per la prima volta.
Mi
voltai a osservare Edward. Era anch’esso visibilmente compiaciuto dell’inaspettata
scenografia che ci si prestava dinnanzi. I suoi occhi ambrati erano due lucine
in più che contribuivano ad accrescere lo scarno apparato di luci.
La
sua espressione, il suo viso splendido, mi fecero persino dimenticare lo spiacevole
episodio di qualche istante prima.
< Prego >, da perfetto cavaliere
Edward, con un breve inchino, allungando la mano destra, fece cenno di sederci
a un tavolino esterno del bar.
Mi
accorsi che erano anche questi piccoli gesti, dal sapore dimenticato, a renderlo
diverso dagli altri ragazzi che conoscevo.
Scegliemmo
il tavolino sistemato in posizione centrale, in mezzo ad almeno una decina di
tavolini vuoti.
Era
un vero peccato che di giorno, quando il bar era aperto, fosse frequentato
dalla maggiorparte degli anziani del paese. Mi
sembrava quasi, assurdamente, di percepirne l’odore del loro tabacco intriso
nelle sedie e nei tavoli.
Sobbalzai
al contatto con la sedia d’acciaio gelida, nel sedermici.
Quasi certamente la pelle delle cosce mi ci si era incollata ma in quel momento
non me ne curai più di tanto. Sorrisi lievemente a Edward che mi stava fissando
e mi ritrovai, - colta da un imbarazzo che non mi era mai appartenuto, - a
disegnare cerchi immaginari con le dita sulla superficie fredda del tavolino. Edward
fermò la mia mano poggiandoci delicatamente sopra la sua.
<
Temo che nessuno verrà a prendere le nostre ordinazioni, stasera >, asserì
Edward con ironia riferendosi al fatto che, ovviamente, il bar fosse chiuso a
quell’ora.
<
Non importa >, sfoderai il mio migliore sorriso, quello di cui non bisognava
fidarsi mai.
Mi
chinai per prendere la borsa lasciata ai piedi della sedia. La aprii e ne tirai
fuori ciò che mancava per rendere la serata perfetta.
Appoggiai
le due bottiglie di vodka trasparente sul tavolo sotto lo sguardo stupito di
Edward.
Regola numero uno,
mai lasciare alcolici incustoditi in mia presenza.
A
quanto pareva Alice non mi conosceva poi molto bene se non si era nemmeno
premurata di svuotare precauzionalmente il fornito mobiletto di vetro della
camera.
<
E quelle? >, domandò lui ancora sconcertato.
<
Dobbiamo festeggiare, ovvio >, risposi con sicurezza.
Sembrò
confuso dalla mia affermazione.
<
Sono indiscreto se chiedo cosa? >.
Sgranai
gli occhi e spalancai esageratamente la bocca in un’espressione di completo stupore.
Osservai la sua espressione contrita per poi non riuscire a trattenermi dallo
scoppiare a ridergli in faccia. Era così strano vederlo in difficoltà.
<
Rilassati >, lo tranquillizzai, < scherzavo >.
Gli
lanciai una bottiglia che prontamente prese al volo.
<
A che brindiamo? >.
<
Al ragazzo più strano, dolce e, allo stesso tempo, più eccitante che abbia mai conosciuto
>.
<
Alla ragazza più bella, pazza, divertente e irresistibile che mi sia mai
capitato di incontrare in tutta la mia esistenza >.
Avvicinammo
le bottiglie che tintinnarono vibrando lievemente.
Mandai
giù un sorso di vodka che, come una fiammata, incendiò la mia gola. Non potei
fare a meno di strizzare forte gli occhi e aspettai che l’effetto si
affievolisse per berne ancora.
Edward,
invece, si limitò a contemplare assorto il liquido contenuto nella sua
bottiglia.
<
Che fai, non bevi? >.
<
E’ necessario che qualcuno ti riporti a casa sana e salva, più tardi >.
<
Dai andiamo, Edward, per una santissima volta: lasciati andare >, lo
ammonii.
<
Qual è l’ultima pazzia che hai fatto, sentiamo? >.
Aspettai
una risposta che però non arrivò.
<
Appunto… >, rimarcai.
Lentamente
appoggiò appena le labbra sulla bottiglia e ne bevve un piccolo sorso.
Dall’espressione
che ne seguì sembrò quasi non avesse mai bevuto alcolici in vita sua.
Chissà
perché tutte le leggi della fisica erano variate e nessuno si era premurato di
avvertirmi.
La
forza di gravità era stata improvvisamente annullata e tutto aveva iniziato a giraci
vorticosamente intorno.
Ero
così leggera che mi sorpresi di essere ancora con i piedi ancorati al suolo.
Per precauzione saldai i piedi alle gambe della sedia così che, anche se avessi
spiccato il volo, non avrei comunque avuto problemi diaffaticamento
di alcun genere.
Non
ricordavo di aver
mai riso così tanto in vita mia. Se c’era un limite alle risate di un uomo
lungo tutta la sua vita, io potevo dire di aver consumato tutte le riserve
concessemi in un'unica intensa nottata.
Non
seppi descrivere con precisione se tutto quello fosse dovuto all’alcool o se fosse
sempre e solo a causa di Edward che mi sentivo così, o entrambe le cose.
Il
viso di Edward mi appariva inspiegabilmente più pallido del solito, questo
forse perché i suoi occhi e le sue labbra, al contrario, sembravano aver preso
incredibilmente una colorazione più scura. Le sue iridi, particolarmente, mi
apparivano quasi nere. Mi stupii nel notare come nonostante ciò, mi apparisse
sempre bellissimo e inarrivabile.
<
Allora adesso puoi dirmi di che avevo parlato in sogno2? >, gli domandai
improvvisamente.
Mi
stupii io stessa di quella domanda, come se non l’avessi pronunciata neppure io.
Fino
a un attimo prima non ricordavo nemmeno di quell’episodio in particolare.
Probabilmente era una delle cose che erano rimaste in sospeso nel mio cervello
e che, nei momenti inopportuni, tornavano a galla. Potevo dire che l’alcool,
nel mio caso, non mi rendeva più sincera e schietta del solito, - visto che lo
ero già più che abbastanza da sobria -, solo, aveva come effetto quello di
scavare nel mio cervello e recuperare le cose che non ricordavo o che avevo momentaneamente
accantonato, ed erano davvero parecchie considerato che ero convinta di
soffrire di una prematura sindrome del morbo di Alzheimer; la stessa che puntualmente
mi faceva dimenticare i nomi un secondo dopo le varie presentazioni.
Mi
lanciò uno sguardo lascivo che mi fece intendere le peggiori cose, il suo
sorrisino poi la diceva davvero lunga, in tal senso. Mi chiesi se a volte fosse
meglio non sapere e restare col dubbio.
Appoggiò
un gomito sul tavolino e si avvicinò come se volesse confessarmi un segreto di
vitale importanza. Di riflesso approssimai il mio viso al suo, aspettando che
parlasse. Fissai le sue labbra per qualche minuto, forse solo qualche secondo,
in realtà.
<
Hai pronunciato il mio nome >, sussurrò e sentii il suo respiro fresco sulla
guancia.
Trasalii
nonostante sapessi, senza alcun dubbio, di aver sognato lui. Il problema era cosa avessi sognato, con esattezza.
Sospirai
rassegnata e pronta a scoprire il resto ma lui interpretò quel sospiro in modo
differente: < Non prendertela >, sorrise sghembo facendomi mancare un
battito.
<
Se fossi capace di sognare, sognerei te. E non me ne vergogno >.3
Non
seppi se esserne compiaciuta o delusa. Delusa perché ciò significava che non mi
avesse mai sognata, come invece avevo fatto io.
E
poi perché mai non dovesse essere in grado di sognare? Non era poi così
difficile. Io lo facevo sempre, costantemente, tanto che mi sembrava di vivere
in un sogno anche in quel momento. Io e lui nel mio sogno. Quindi, se era nel
mio sogno, voleva dire che stava sognando anche lui, era ragionevole.
Anzi,
a dirla tutta, forse questo doveva essere il suo di sogno, altrimenti non si spiegava il perché avessimo ancora tutti
i vestiti addosso.
Però
non era giusto! Nei sogni non si sentiva freddo, non si aveva la nausea e non
facevano male terribilmente i piedi.
La
sua risatina mi ridestò dai miei pensieri.
<
Che ridi? >, lo ammonì.
Va
bene che eravamo nel suo sogno e, che quindi, decideva lui, però non mi
sembrava corretto che si mettesse anche aderidermi in quel modo.
<
Non vuoi sapere che altro hai detto? >, mi provocò utilizzando volutamente
un tono di voce vellutato.
Annuii
e mimai il gesto di chiudermi la bocca con una zip.
<
Hai detto che mi amavi 4>.
Dovevamo
davvero essere nel sogno di Edward, anche se non sapeva sognare, perché l’amore
non sapevo cosa fosse realmente. Avevo avuto delle cotte, in passato, più o
meno intense, ma nulla che sfiorasse, neanche lontanamente, l’amore, quello
vero. Forse perché avevo sempre cercato, sebbene sapessi che non fosse un sentimento
prevedibile, di sfuggirgli il più possibile.
Ero
sempre stata più che convinta che l’amore fosse troppo per me. Non ero tagliata
per l’amore incondizionato, quello che si leggeva tra le righe dei romanzi.
Principalmente
ritenevo, in barba ai vari sentimentalismi, che fosse la principale causa di
tutti i mali. Il confine tra amore e sofferenza era troppo sottile e precario. In
sostanza, il passo era esageratamente breve, se poi era il mio: insicuro e
impacciato, allora le probabilità di inciampare e di cadere dall’altro lato
erano molto elevate.
Se
ami soffri, è dimostrato.
Non
amavo Edward. Per lui provavo indubbiamente una fortissima attrazione fisica,
quando non c’era mi mancava e se lo vedevo, anche solo parlare, con
qualcun’altra la mia mente iniziava automaticamente a progettare una serie di plurimi
omicidi, ma non era Amore. Per lui provavo un sentimento che ancora non sapevo
catalogare perché mai provato prima.
Non
era facile definire qualcosa che non si conosceva, dopotutto, neppure da
ubriachi.
Osservai
le sue palpebre aprirsi e chiudersi velocemente, per diverse volte.
Non
capii se dovessi rispondergli o se sapesse già tutto.
Normalmente,
–
trattandosi del suo sogno ,- doveva aver già sentito ogni cosa, ma
dall’espressione del suo viso, immaginai che non avesse udito nulla di quello
che avevo appena sognato di pensare.
<
Scusa, non hai letto nella mia testa ?>, domandai con ovvietà.
<
Non posso >, si dolse gelandomi con lo sguardo.
<
Isa, non posso leggere solo nella tua
mente >. Sembrava che ciò lo irritasse da morire.
<
Ah, giusto >, mi grattai la fronte. Come se avessi capito di che diavolo
stesse parlando.
<
Certo, ti amo è una parola grossa >, iniziai gesticolando più del
necessario, < Diciamo che per il momento ti,
e basta 5>.
<
Il passo è breve >, sorrise.
Nei sogni può piovere?
Non
mi era mai capitato di sognare la pioggia. Soprattutto da quando mi ero
trasferita a Forks: ce n’era già abbastanza nella
vita reale per tollerare anche di sognarla.
Mi
era capitato, invece, di piangere in sogno, e di farlo anche nella realtà, sul
cuscino. Forse, - utilizzando una similitudine, - la pioggia corrispondeva alle
lacrime. E, se questo era il sogno di Edward, voleva dire che stesse piangendo?
Lo
osservai attraverso le leggere gocce di pioggia: non l’avevo mai visto tanto
allegro.
Eppure
stava piovendo.
Da
quanto tempo aveva iniziato a piovigginare ?
Non
sapevo dirlo con precisione.
Il
tempo, quando ero con Edward, era solo una questione marginale, senza alcun
interesse.
E
per lo stesso motivo non seppi distinguere neppure da quanto tempo fossimo in
quel luogo: minuti? Ore? Oppure giorni?
La
testa iniziava seriamente a girarmi.
Perché
diavolo avevo bevuto?
Perché
la realtà era che ci piaceva maledettamente soffrire, perché senza sofferenza
non ci sentiremmo reali.
Sai
perché ti fai del male?
Perché
è meraviglioso quando smetti di farlo.6
Il
resto può solo farti stare bene.
Edward si alzò dalla sedia, si
avvicinò e si inginocchiò accanto a me.
Mi
prese la mano sinistra tra le sue e mi condusse nel centro esatto della piazza.
<
On peutvaicreavec une épéeetetrevaincu par un baiser7
>.
Non
capii una parola di quello che mi aveva appena detto, rimasi difatti, per
qualche istante frastornata, immobile.
Avevo,
fin in quel momento, sempre pensato che i ragazzi che parlavano francese
avessero un qualcosa di effemminato, tuttavia, per
Edward, non era assolutamente così. Anzi, la sua pronuncia melodiosa, – con
quella squisita r moscia -, era per
giunta più sensuale del solito.
La
cosa che mi turbava maggiormente era il perché in sogno Edward potesse parlare
un francese fluente e io, viceversa, non riuscivo minimamente a comprenderlo.
Ma
non ebbi il tempo di chiedere chiarimenti perché le sue labbra si posarono
sulle mie, lievi. Mi parve che avessero la stessa consistenza delle nuvole,
morbide. Un bacio leggero che sapeva di fresco e di vodka.
Mi
accorsi in quel momento di quanto poco mi importasse di sapere ciò che aveva
appena detto, desiderai solo che il bacio non finisse più.
Tuttavia,
finì. Lasciandomi nella mia più completa confusione mentale.
Si
staccò lievemente da me, a qualche centimetro dalle mie labbra, ancora ad occhi
chiusi.
Notai
quanto i muscoli delle sue braccia fossero in tensione, come se stessero
sollevando un enorme macigno, e Edward stesse facendo un notevole sforzo.
Ansimò.
<
J’ai soif8 >, bisbigliò appena. Inutile dire che, ancora una
volta, non compresi per nulla cosa intendesse dire, sperai solo non si stesse per
svegliare.
Prese
le mie mani delicatamente e se le portò entrambe attorno al collo.
Quasi
certamente le mie gambe avevano smesso di sorreggermi da parecchio tempo e, se
non ci fosse stato Edward, avrei finito per ripiegarmi su me stessa sul terreno.
Quello
fu abbastanza elementare da permettermi di capirlo.
Immaginai
che a quel punto partisse la musica che avrebbe accompagnato i nostri passi.
Ma
ciò non avvenne.
La
leggera pioggerellina era l’unico strumento che ritmicamente suonava per noi
posandosi su ogni cosa.
Mi
strinse fra le sue braccia, unico posto in cui avrei mai voluto essere.
Il
suo odore, da quella posizione, era più forte, mi inebriava. In quel momento
fui certa che la testa mi girasse più per quella vicinanza che per l’alcool.
Mi
lasciai cullare dolcemente.
Le
sue gambe sembravano esperte, tutti i movimenti erano fluenti, corretti.
Le
mie, di gambe, davvero non riuscivo a sentirle più.
Mi
sembrava di non poggiare più i piedi per terra. Era come se fossi sospesa a
qualche centimetro dal suolo.
< Fammi essere il tuo eroe >, sussurrò al mio orecchio facendomi
venire la pelle d’oca. Mi scostai lievemente dal suo petto per permettermi di
guardarlo negli occhi, ancora scuri.
Mi
sorpresi, e non per la frase in se, ma perché aveva smesso di parlarmi in
francese.
<
Sì >, risposi comunque senza alcun indugio.
< Balleresti se ti chiedessi di ballare? >.
<
Stiamo già ballando >, precisai.
Mi
sorrise. Ma non era il solito sorriso sghembo, era un sorriso diverso, che non
conoscevo. Uno di quei sorrisi che sapevano di amaro e che spesso si utilizzavano
per non piangere.
<
Perché sei triste? >, domandai flebile posando le mie dita sul suo viso volto.
Dita che si mossero autonomamente disegnando linee immaginarie, quasi volessi,
in qualche modo, modificare quell’espressione e tramutarla in un sorriso.
< Piangeresti se mi vedessi
piangere? >, continuò con voce arrochita.
<
Non vorrei mai vederti piangere, mai >. La mia fu quasi un’ imposizione.
La
sola prospettiva di vederlo stare male faceva stare male anche me.
Non
rispose, si limitò a fissarmi come se in quel momento non ci fosse cosa più
preziosa al mondo.
<
Correresti senza mai guardare indietro? >, domandò ancora.
Era
una cosa che avevo sempre fatto, quella.
Se
mentre corri guardi indietro solitamente finisci col culo per terra e rialzarti
è più difficile. Sempre meglio guardare avanti. Non è sempre necessario
fermarsi a chiedere: se conosci tutte le risposte e non hai più domande, vuol
dire che non hai nient’altro da scoprire, nient’altro da vivere10.
<
Sì >, risposi.
Ennesimo
sì, ulteriore conferma.
<
Tremeresti se ora io toccassi le tue labbra? >.
Tremerei comunque
per il solo fatto di averti qui vicino.
Si
accostò al mio viso, tanto che fui in grado di sentire il solletichio
delle sue ciglia sulla guancia, ma non depose le sue labbra sulle mie, - come
avrei sperato -, si limitò semplicemente a lambirle lievemente con l’indice.
E
tremai, davvero.
E
non solo perché le sue dita erano fredde come il ghiaccio e come la morte ma perché
ogni parte del mio essere ora vibrava come la superficie dell’acqua appena
sfiorata, con mille cerchi concentrici.
Non
ebbe bisogno di risposte, questa volta.
Lo
vide.
Appoggiò
il suo viso nell’incavo del mio collo, ispirando il mio odore con veemenza.
Rimase
così per non saprei dire quanto, con le sue labbra premute sulla mia pelle.
<
Salveresti la mia anima stanotte? >,
sussurrò sul mio collo.
Avrei
salvato la sua anima?
Sì,
l’avrei fatto, ammesso che ne avessi una io.
Forse,
insieme, così vicini da guardarci dentro l’un con l’altro, un’anima in due
l’avevamo.
<
Sì >, sussurrai quasi impercettibilmente.
Lo
sentii sorridere ancora amaramente mentre, lentamente, risaliva sulle mie
guance bagnate dalle lacrime.
Perché stavo
piangendo?
O era soltanto
pioggia?
Ebbi
la conferma che si trattasse proprio di lacrime quando ne assaggiai qualcuna
posarsi sulle mie labbra.
Per
riprova, piegai la testa all’indietro ad osservare il cielo ma non riuscii a scorgere
nulla. Allora chiusi gli occhi e aspettai che le gocce si posassero sul mio
viso, ma ciò non accadde. Aveva già smesso di piovigginare, a quanto pareva.
Edward
prese il mio viso tra le mani e, con i pollici, prese ad asciugare le lacrime
piano, facendolo accuratamente, con infinita dolcezza.
Davvero
non riuscii a comprendere il perché i miei occhi continuassero a riversare
sale.
<
Ora rideresti? >, mi supplicò, < Oh, ti prego, dimmi di sì >.
Sebbene
mi sembrasse una prospettiva impossibile in quel momento, sentii gli angoli
della bocca estendersi in quello che somigliava presumibilmente a un sorriso.
E
sorrise anche lui.
Dannatamente
incantevole.
Risi
più forte, tanto che sentii l’eco della mia risata risuonare nell’aria.
Era
così strano: ridere e piangere nel contempo.
Nessuno
dei due impulsi prevaleva sull’altro, come fossero esattamente in equilibrio su
una bilancia. Un equilibrio precario, - tuttavia, - sarebbe bastato un soffio o
un impercettibile battito d’ali per distruggerlo.
E
infatti crollai in ginocchio, non appena Edward si allontanò appena dal mio
corpo. Mi accorsi solo in quel momento che era lui a sorreggermi.
Ciò
nonostante continuai a ridere sulle mattonelle sporche della piazza tanto da
iniziare a sentire male allo stomaco.
La
nausea prese il sopravvento e pian piano le risa si attenuarono fino a
dissolversi, insieme al pianto.
Edward
mi aiutò a sollevarmi in tempo e mi tenne i capelli mentre vomitavo anche
l’anima. Poi mi pulì e si inginocchiò di fronte a me a terra guardandomi con
aria tormentata.
Presi
a respirare con la bocca per non sentire l’odore acre che mi sembrava ancora di
aver addosso.
< Posso essere io il tuo eroe,
piccola >.
< Posso far sparire il tuo dolore, se lo vorrai >.
< Davvero? >.
< Sì, però …
>, lasciò la frase in sospeso per quello che mi sembrò un eternità.
< Sapresti
mentire se te lo chiedessi? >
< Correresti e ti
nasconderesti persino dalla luce? >.
< Sì ma…Perché? >.
< Giureresti che
sarai per sempre mia? >
< E tu? >
< Io ti starò
vicino per sempre >.
< Tu sei l’unica
che riesce a togliermi il respiro >.
Anche per me era lo stesso. Se non c’era lui mancava l’aria.
Non avrei mai
pensato di essere così indispensabile per qualcuno.
< Ora, ora…
moriresti per l’unica persona che ami? >.
Ma subito dopo avermi
posto quella domanda, scosse la testa facendo oscillare alcuni ciuffi di
capelli bagnati.
< Scusa >,
mormorò abbassando lo sguardo a terra.
< Non…>, si bloccò, < scusa >, ripetette.
< Edward… >, lo chiamai.
< Ho perso la
testa, perdonami >.
< Edward, io…>
Una strana
inquietudine mi investii e ebbi come l’impressione di averlo perso per sempre.
< Io lo farei… per l’unica persona che amo >.
< Non importa >, si sforzò di sorridere, < Tu sei qui stanotte >.
Mi abbracciò forte,
tanto da sembrare un tutt’uno.
< Sì >, gli
sussurrai sulla pelle mentre con la mano risalivo per accarezzargli i capelli.
< Mi basta >.
3 le frasi: “hai
pronunciato il mio nome” e “ se fossi capace di sognare, sognerei te. E non me
ne vergogno” provengono, così come mamma Steph le ha
create, da Twilight.
4 “Hai detto che mi
amavi” viene sempre da Twilight
5 Frase ispiratomi
da “Ciao, tu”
6 Frase ispiratomi
da Gray’sAnatomy (scusate ma
non so che puntata fosse)
7 Trad. ita: Si puo vincere con la spada
ed essere vinti da un bacio
8 Tradita: Ho sete
9 Tradita: Per favore, mi concedi questo ballo?
10 Questa frase mi è
indirettamente stata ispirata da questa frase di Antonacci “Non ti va di fare
le domande, perché conosci le risposte” tratta da “Le cose che hai amato di
più”.
Da
ultimo, vorrei precisare che le domande di Edward da “fammi essere il tue eroe”
in poi, sono prese dalla traduzione della canzone di Iglesias “Hero” e opportunamente inserite, modificate e adattate da
me nel testo.
Lo
so, ci sono troppe citazioni, ma davvero senza musica non scrivo. E anche
quando non posso sentirla materialmente lei è sempre presente nella mia testa
ed è la maggiore fonte di ispirazione dei miei capitoli. Spero che questo non
vi crei particolari problemi.
La
frasi in francese non so quanto siano corrette. Ho ‘studiato’ francese per due
anni (si fa per dire)…se qualcuno notasse errori vi
prego di segnalarmeli.
Bèh
non saprei che altro aggiungere.
Ah!
Già una cosa c’è: immagino che adesso mi arriveranno centinaia di commenti del
tipo “Edward non può ubriacarsi perché è un vampiro”, Giusto? Ve lo stavate
chiedendo?
Ebbene
per me può farlo, come per la Meyer, ad esempio, può
concepire.
Un’altra
cosa che potreste chiedermi potrebbe essere “ma com’è che nel prossimo a Isa
non viene la broncopolmonite?” ecco qui da un lato potrei anche darvi ragione
ma tenete presente che i sensi di Isa erano molto alterati, infatti mentre
scrivevo immaginavo avesse solo piovigginato per pochissimo tempo (una
nuvoletta passeggera).
Se
avete domande, dubbi o qualsiasi altro quesito sono a vostra disposizione.
Le
risposte ai commenti verranno postate nei prossimi giorni (penso lunedì).
Le tue domande sono lecite. Vedrò di risponderti cercando di
essere il più chiara possibile:
Sì, nel secondo capitolo hanno un rapporto occasionale nel
bagno di un bar e in questa, è realmente la prima volte che la vede nuda
visto che in quel capitolo le alza solo la gonna e consumano velocemente…diciamo che non aveva avuto il tempo di
contemplare il suo corpo in quell’occasione ;).
Da allora sono cambiate sicuramente molte cose. Ci sono
sicuramente dei sentimenti di mezzo .
In ogni caso, questo Edward non è come quello della Meyer è sicuramente un Edward che si lascia guidare
dagli istinti e non ha alcun problema ad avere rapporti intimi con una
donna, solo che rimane comunque un vampiro: l’odore del suo sangue unito
alla distrazione causata da Jasper nella stanza accanto gli ha fatto
perdere un po’ la testa e si è, penso lecitamente, spaventato di averle
fatto del male vista la sua innegabile forza.
Sullo stacco netto tra le due parti del capitolo non posso
darti torto. Avevo anche provato a descrivere tutto il pezzo mancante tra
la scena della loro entrata in casa e il passaggio in camera da letto ma la
cosa diventava davvero troppo pesante, credimi, sia per voi lettori che per
me.
Ovviamente non è perché è sexy e quindi è logico che dovesse
finire così.
Ma penso che in 29 capitoli si sia capito quanto siano
attratti l’uno dall’altro e poi hanno dormito anche altre volte insieme a
casa di Isa quindi non ci vedevo nulla di così strano.
Confuso?
Addirittura?potrebbe
essere come dici tu perché in effetti, saltare da un pov
all’altro, passare da una coppia all’altra, non è facile per me figuriamoci
per voi.
Per quanto riguardo lo stacco tra questo capitolo e il
precedente è normale che ci sia. Non era una continuazione di quel capitolo
visto che questo si svolgeva ‘nel mentre’.
Spero di aver fatto chiarezza e rimango comunque a tua
disposizione per eventuali ulteriori chiarimenti
Ringrazio la mia Ely per il supporto e tutte quelle anime pie che continuano
a leggere e commentare questa storia.
--------------------
[EmmettCullen]
La
cosa in assoluto che mi piaceva fare oltre cacciare, importunare gli orsi e
giocare a baseball era guardarla dormire.
Aspettavo
in cortile, al buio, nascosto finché non sentivo il suo respiro farsi sempre
più pesante e allora, in quel momento, la raggiungevo e stavo tutta la notte
con lei.
Come
quella notte.
Era
patetico ma la verità era che solo così potevo rubare del tempo per stare un
po’ più con lei.
I
nostri incontri erano sempre troppo sfuggenti, troppo brevi per ritenermene
soddisfatto.
Non
mi bastavano mai.
Sì,
il suo odore mi rimaneva sulla pelle e sui vestiti anche ore dopo essersene
andata e i suoi gemiti vividi nella mente ma, onestamente, oltre che il sesso,
avrei voluto sentirla più mia e non
sentirmi, per una santa volta, un ladro che ruba di nascosto un pezzetto di
lei.
Volevo che fosse
tutta mia.
Eppure
non sapevo dirle di no.
L’unica
teoria che avevo in proposito era che fossi vittima di chissà quale
incantesimo. Una strega bionda dagli occhi azzurri che mi aveva stregato.
Doveva essere così.
Perché
non era da me.
Da
quando l’avevo vista per la prima volta, tutto quello che facevo e pensavo non
era più da me.
Il
vecchio Emmett avrebbe preso in mano la situazione, avrebbe preso, – anche con
la forza se fosse stato necessario -, quello che voleva.
Non
sapevo neanche come facessi a trattenermi dallo sbriciolare con le mie mani le
ossa di quel Royce.
Scossi
la testa scacciando quel pensiero, per quanto allettante mi risultasse.
Ero
stanco delle sue patetiche scuse. Ogni volta che nominava Royce era una
pugnalata nello stomaco. E, nonostante fosse evidente che il loro non era amore
ma solo una patetica imitazione, non capivo, per quanto mi sforzassi, il perché
fosse per lei tanto complicato sbarazzarsene definitivamente e rendere, una
volta per tutte, il nostro rapporto un
rapporto.
Royce
non era il tipo giusto per lei, era evidente.
Come
se non mi rendessi conto che ogni suo sorriso quando era con lui non era che un
surrogato dei suoi veri e ampi sorrisi. Come il suo sguardo spesso fosse
assente e triste…
Il
fatto che Royce fosse umano, per quanto fosse un punto nettamente a suo favore,
non lo rendeva migliore per lei.
Io,
io non sapevo dire quanto lo fossi, invece.
Anzi
probabilmente non ero affatto la scelta più giusta.
Ma,
di una cosa ero certo: nessuno avrebbe potuto amarla come l’amavo io.
Si
mosse sotto le coperte e m’incantai ad osservare il disegno che le ciocche
bionde di capelli disegnavano sul cuscino bianco.
Ormai
il sole stava per sorgere e la sua comparsa indicava inevitabilmente la mia
fuga.
Mi
chinai per darle un bacio sulla fronte.
La mia Rose.
Bad Girl
[Isabella Swan]
Cap. Thirty–- Bad Day
Nella
lunga lista delle cose da fare, prima
di congiungermi con Satana, avevo appuntato mentalmente di assassinare
brutalmente i protagonisti di quelle pubblicità di biscotti, ciambelle, cereali
e chi-più-ne-ha-più-ne-metta che al
mattino erano tanto gioiosi e tanto briosi da farti rotolare le palle a terra.
La mattina, era risaputo, ero alquanto
suscettibile di mio, se poi qualcuno, di non definita identità, continuava a
ripetere il mio nome neanche fosse una litania domenicale, allora la faccenda
si faceva alquanto odiosa.
Cercai
di non fare caso a quei continui
richiami afferrando un cuscino e rifugiandomici sotto. Certo, qui quella voce
maledettamente stridula appariva leggermente ovattata ma non particolarmente
attutita, come invece avrei sperato. Anzi la mia aguzzina mattiniera decise di
aumentare la mia irritazione alzando in quel momento il livello dei suoi
incomprensibili insulti.
Dio
Santo. Dio santissimo.
Ci
mancava questo tormento. Come se il mal di testa non fosse già abbastanza
potente da desiderare di svitarmi la testa dal corpo. Senza poi considerare
tutti i dolori articolari e il fastidioso bruciore alle narici e al contorno
labbra…
Perché
non poteva lasciarmi morire in silenzio? Non chiedevo altro, dopotutto.
Se
non fosse stato che giurassi tutte le sante volte che quella sarebbe stata l’ultima forse, questa volta, ci avrei
anche creduto.
Considerato
che la mia aguzzina non accennava minimamente a smetterla di importunarmi,
decisi che era una grande cosa per lei che avessi seguito il consiglio di alzarmi visto che, ancora
poco, e anche lei sarebbe stata inesorabilmente aggiunta alla famigliola del
Mulino Bianco per il felice massacro di gruppo.
<
Finalmente ti sei svegliata > la voce di Alice divenne improvvisamente
carezzevole come quella di una mammina cara.
Non
seppi articolare altro che qualche mugolio che nella mia testa corrispondeva ai
peggiori insulti conosciuti e non.
Quando
i miei occhi si abituarono alla luce la vidi.
Non
capii per quale assurdo motivo lei a quell’ora,- qualsiasi ora avesse fatto la
notte precedente, - apparisse sempre così assolutamente perfetta. Aveva
qualcosa di strano quella mattina. Ma il mio cervello valutò che fosse per via
dei capelli. Infatti, quest’ultimi anziché essere sparati come al solito, erano
disposti in un caschetto liscio e la frangetta raccolta con una pinzetta sulla
testa.
Benché
stesse bene, quella visione non poté che disgustarmi.
Restò
semisdraiata dal lato del letto nel quale avrei preferito trovare Edward.
Già,
Edward.
Dove
cavolo era finito?
Che
anche lui fosse stato vittima di questa aggressione mattutina da parte di
Alice?
Eppure,
anche aguzzando l’udito, non riuscii a sentire il minimo rumore provenire dal
bagnetto della camera.
Solo
in quel momento mi accorsi che Alice mi fissava con un cipiglio che denotava lo
stato delle mie condizioni.
<
Ci sarà più lavoro del dovuto da fare, stamattina > annunciò con scarso
entusiasmo.
<
Alice, non ce ne sarà bisogno >, la tranquillizzai, < non credo di essere
nelle condizioni di andare a scuola >.
Wow! Quante parole
ero riuscita a mettere una dopo l’altra? Otto? Dieci?
Mi
congratulai con me stessa per poi voltarmi dall’altro lato del letto e tentare
di recuperare qualche ora di sonno.
Con
sommo, anzi sommissimo, piacere sentii il peso sul
materasso alleggerirsi, segno indistinto che Alice si era alzata e il senno le
avesse suggerito di seguire il mio consiglio.
Le
mie aspettative crollarono miseramente poiché, dopo qualche minuto, sentii gli
irritanti tacchetti delle scarpe di Alice echeggiare nuovamente nella stanza
seguiti da un odore gradevolissimo che riconobbi essere caffè appena fatto.
Subito
i miei occhi si spalancarono guidati da quell’aroma.
Alice
e una caraffa di caffè su un vassoio. Se prima il mio cervello l’aveva schedata
come una spietata tiranna, adesso l’aveva rivalutata come salvatrice, era
questione di punti di vista, dopotutto.
<
Dopo potrai prendere queste >. Mi accorsi solo in quel momento che oltre il
caffè, sul vassoio erano presenti un bicchiere d’acqua, due pastiglie e una
brioche calda che dall’aspetto e dall’odore non chiedeva altro che essere
addentata.
Mi
sorpresi di tutte queste attenzioni da parte di Alice. Nessuno si era mai preso
cura di me quando stavo male. Non potei che sorriderle riconoscente.
Sollevandomi
mi accorsi che i dolori articolari, di cui prima avevo solamente avuto un
assaggio, adesso, con lo spostamento, erano divenuti un tormento.
Afferrai
la tazza calda tra le mani mentre, con un solo sguardo, feci capire ad Alice di
richiudere le tende. Si alzò di slancio e obbedì per poi tornare a sedersi ai
piedi del letto con uno sguardo carico di domande, domande che trovarono subito
alito:
<
Che ti è successo questa notte? >.
La
sua domanda non ebbe subito responso, non tanto perché non volessi risponderle
ma perché stavo cercando io stessa di fare mente locale alla serata precedente.
<
Mmm.. >.
<
Io e Edward siamo usciti >.
Ok,
su questo non c’era dubbio.
Incontrai
gli occhi di Alice ansiosi di sapere di più. Temporeggiai sorseggiando un altro
po’ di caffè.
<
Siamo andati in piazzetta >.
<
E? > continuò.
E?
Boh
Il
resto era un incognita anche per me.
Smise
di insistere con le domande. Evidentemente aveva capito che non mi ricordassi
granché della serata appena trascorsa.
“La cosa più che
certa era che a scuola stamattina non sarei andata”
Le
ultime parole famose.
Come
Alice era riuscita a convincermi ad alzarmi, lavarmi e vestirmi ancora era un
mistero anche per me.
Era
ovvio che il mio cervello, dopo una sbornia come quella, non riuscisse a
interagire come avrebbe dovuto (del resto neanche da sobria funzionava granché)
ma farsi fregare e non accorgersene nemmeno era proprio il colmo.
Infatti,
Alice non aveva utilizzato né minacce né la forza, la sua tattica era stata
sottile e affinata. Era un po’ come quelle pubblicità subliminali al cinema:
bastava un fotogramma, quasi impercettibile all’occhio, raffigurante un bel
bicchiere di Coca-cola con ghiaccio per farti immediatamente desiderare di
recarti a comprane una.
Aimè!
Se solo avessi avuto lo scontrino fiscale a quest’ora avrei fatto valere il mio
diritto al cambio della merce difettosa: il cervello.
Come
se non bastasse, il dolcevita che indossavo contribuiva alla mia già smisurata
irritazione. Avevo la sensazione che pungesse dappertutto. Alice me ne aveva
prestato uno dei suoi vista l’esigenza. Edward, a quanto pareva, la sera
precedente ci aveva dato dentro e adesso il mio petto era tappezzato di una
serie di succhiotti più o meno evidenti.
La
cosa positiva era che, arrivati a scuola, Alice si era congedata quasi subito
dicendo che doveva passare in segreteria per dei moduli da compilare per non so
quale progetto dei suoi, lasciandomi vagabondare da sola per il corridoio che
mi avrebbe portata dritta all’aula di storia, prima materia della mattina.
Forse, pensandoci, avevo ancora qualche possibilità per scappare.
<
Isa >. Una voce alle mie spalle richiamò la mia attenzione.
Mi
voltai trovandomi di fronte la persona che meno avrei voluto vedere oggi:
Newton.
Nonostante
questo mi misi in posizione d’ascolto con le braccia conserte sotto il seno.
Tutto purché perdere qualche minuto della guerra di secessione.
<
Ti ricordi che questo pomeriggio ci dobbiamo vedere, vero? >. Alzò dubbioso
un sopracciglio.
Increspai
le labbra e fissai lo sguardo su un punto indefinito del muro grigiastro
cercando di ricordare per quale assurdo motivo avessi un appuntamento con
Newton oggi.
<
Per il compito > precisò alzando gli occhi al cielo.
Giusto,
il compito.
<
Okay > approvai senza il minimo entusiasmo.
Prima
ci avremmo lavorato, prima l’avremmo finito e prima non avrei più avuto a che
fare con lui.
<
Alle quattro da te >. Fissò cominciando a camminare al contrario per
dirigersi in tutta fretta alla sua prima lezione del mattino.
La
noia si poteva affettare.
Il
tempo sembrava passare molto più lentamente. I minuti sembravano ore e per
tutta la lezione, -per tutte le altre lezioni previste al mattino, in realtà - non
feci altro che alternare sbadigli a sbuffate.
Il
professore Dunkan durante la seconda ora mi aveva definita “una fastidiosa
presenza spirituale” e il professor Givven di scienze, invece, aveva
avuto la pretesa che “sbadigliassi silenziosamente”.
A
quanto pareva l’ avversione era reciproca, quanto meno.
Tutti i compagni di
banco della mattina o erano i classici studiosi bruttini o i classici
deficienti patentati. Ty, ad esempio, aveva trovato alquanto creativo
intagliare la mia gomma attribuendole una forma fallica con tanto di scritta
“push me”. Forse in questo strano modo compiaceva i suoi desideri sessuali.
Tutto questo, in fin
dei conti, fu abbastanza sopportabile grazie alle pasticche miracolose di Alice
infatti, il mal di testa era sparito e adesso, per contro, le ore di sonno
perse chiedevano giustizia.
Al
quarto caffè della mattina i primi tremolii dell’occhio sinistro mi fecero
valutare di sospendere, per il momento, l’assunzione di caffeina.
Non
ero nervosa solo per il quello, in realtà. Tralasciando il brusco risveglio e
tutto il resto, la verità era che apparivo tremendamente in ansia per Edward.
Infatti, da quando mi ero svegliata non l’avevo ancora nemmeno intravisto o
sentito, salvo notare la sua Volvo metallizzata nel parcheggio della scuola.
Lui
era in qualche aula di quel posto e non l’aveva ancora cercata.
Forse
pensava che, dopo quella nottata, oggi non sarei venuta a scuola? Doveva essere
così, per forza. Neanche io ero, dopotutto, ne ero ancora così convinta.
Mentre
mi perdevo in inutili elucubrazioni (che di solito non erano da me), lo vidi e
quasi la mia mascella non si schiantò al suolo tanta fu la sorpresa.
Se
io, nonostante il trattamento intensivo di bellezza che Alice mi aveva fatto
subire, apparivo comunque uno straccio, non si poteva di certo dire ugualmente
di lui. Edward appariva sempre lo stesso e quindi bellissimo. Le occhiaie non
erano più accentuate del solito e il suo aspetto era identico agli altri giorni
salvo per lo sguardo. Quest’ultima cosa mi colpì particolarmente perché i suoi
occhi non erano luminosi e sorridenti come sempre bensì, al contrario,
sembravano essere quasi vacui e spenti.
Subito
mi composi e camminai a lunghe falcate verso di lui cercando di non pensare
all’aspetto orribile che dovevo avere in quel momento.
Alla
terza, forse quarta falcata, mi arrestai di scatto come se improvvisamente mi
fossi accorta di avere un muro davanti a me.
Sul
fatto che Edward mi avesse vista, almeno che io non fossi diventata
improvvisamente trasparente, non c’erano
dubbi, eppure, non appena mi ero avvicinata, si era voltato dall’altra parte e
aveva iniziato a camminare dandomi le spalle.
Voltò
l’angolo e sparì dal mio campo visivo.
E no, eh!
Iniziai
a correre nella direzione che aveva appena percorso, voltai il suo stesso
angolo ma di lui non c’era più la minima traccia. Osservai le porte delle aule
del corridoio. La maggior parte erano ancora aperte ma non osai affacciarmici.
Era
evidente che mi stesse evitando ma la domanda che continuava a rimbalzare sulle
pareti vuote del cervello era: perché?
Rimasi
per qualche minuto immobile con le braccia lungo il corpo a interrogarmi sul
suo comportamento finché il suono della campanella m’informò che il cambio
dell’ora era terminato.
Per
tutta la lezione di spagnolo restai con la testa sopra il banco, per fortuna la
professoressa non mi disturbò e continuò la lezione senza interpellarmi.
Una
parte di me, abbastanza predominante, mi suggeriva di scovarlo e parlarci per
chiarire qualsiasi malinteso potesse essere sbocciato, perché di un banale malinteso
doveva trattarsi. Dall’altro lato la Isa insicura ed esitante continuava a
ricordare quello sguardo freddo e distaccato di poco prima e batteva in
ritirata.
Fatto
stava che più ci pensavo e più non riuscivo davvero a capire cosa potessi avere
combinato per farlo arrabbiare in quel modo, contribuendo soltanto al mio
disboscamento celebrale.
Non
mi veniva in mente nulla o, forse, semplicemente non me lo ricordavo. E se così
era allora doveva essere qualcosa avvenuto ieri sera sotto l’effetto della
vodka.
Era
proprio vero che quando una giornata parte col piede sbagliato è difficile che
migliori. Quella era decisamente una di quelle giornate.
Anche
se fossi stata decisa a parlargli non avrei avuto comunque l’occasione di
farlo. A quanto pareva oggi non si era nemmeno presentato a mensa.
Più
volte - ogni cinque minuti, in realtà -mi ero voltata nella direzione del tavolo che solitamente occupava con i
suoi fratelli nella speranza di trovarlo lì seduto. Di questo passo mi sarebbe
venuto anche il torcicollo.
<
Isa, tutto bene? > mi domandò Angie.
Era
visibilmente preoccupata per me. Mi dispiaceva farla stare in pensiero perciò
cercai di sorriderle naturalmente.
<
Sì, tutto bene >.
Ma
a chi volevo darla a bere?
Persino
Angela se ne accorse e mi studiò con lo sguardo prima di rivolgermi nuovamente
la parola.
<
Non hai toccato niente > sottolineò osservando il contenuto del vassoio.
<
Non ho molta fame > risposi e questa volta era la verità. Lo stomaco mi si
era chiuso.
Presi
comunque una mela rossa e me la girai tra le mani nervosa poi abbassai lo
sguardo sul display del cellulare. La voglia di mandargli un messaggio o di
chiamarlo era troppa ma, non appena evidenziavo il suo numero dalla rubrica, mi
accorgevo che non avrei saputo nemmeno cosa dirgli.
Un
semplice “scusa” sarebbe bastato?
Ma
scusa per cosa poi?
Angie
sospirò ma non fece altre domande. Non era da lei insistere se non ero
direttamente io a parlarne.
Forse
però parlarne mi avrebbe aiutato anche se conoscevo abbastanza bene Angie per
sapere già cosa avrebbe risposto.
Angela
non riusciva mai a vedere i lati negativi delle persone o delle questioni, per
lei nessuno agiva in modo scorretto volutamente ma per tutto doveva esserci una
qualche spiegazione o un qualche inganno. Un inguaribile ottimista e ingenua
ragazza.
Sicuramente
sfogarmi con lei era un buon sistema per infondermi un pochino di fiducia.
<
Che ne dici di vederci dopo la scuola al Grill? > proposi addentando la
mela.
<
Certo > accordò sorridendomi.
<
Cosa vi porto? >, la cameriera ci raggiunse con il suo taccuino non appena
ci accomodammo.
<
Per me un the e un toast >, Angie ordinò per se dando
una breve occhiata al menù e poi la cameriera si voltò verso di me aspettando
che parlassi.
<
Lo stesso >, la liquidai sistemandomi meglio sulla poltroncina color crema.
Angie mi osservò per qualche minuto. Rimasi
immobile con lo sguardo di uno scoiattolo in letargo a fissare il vuoto con le
braccia sul tavolo che reggevano la mia testa.
<
Di cosa volevi parlarmi? >.
<
Edward > sussurrai senza abbassare lo sguardo da un punto indefinito dietro
le sue spalle.
<
Che centrasse lui l’avevo capito >, bofonchiò mentre la cameriera-barbie
tornava con le nostre ordinazioni.
<
Merda >, strepitai mordendomi subito dopo la lingua e facendo sobbalzare sia
Angela che la ragazza che quasi non rovesciò i bicchieri sul tavolo.
<
Isa? > Angie mi richiamò lanciando uno sguardo
mortificato alla ragazza che si allontanò ancora leggermente scossa.
<
Angie > iniziai e così seria non l’ero stata mai.
<
Ascoltami bene > parlai a
denti stretti.
<
Non devi assolutamente muoverti > le ordinai mentre cercavo di
posizionarmi strategicamente davanti alla sua figura in modo che lui non mi vedesse.
Ancora
poco e cuore mi sarebbe uscito dal petto. Trattenni il respiro e pregai in
tutte le lingue esistenti che non si voltasse e non mi vedesse.
<
Vuoi dirmi che sta succedendo? >, Angie era
tesissima, quasi quanto me e, nonostante parlasse sottovoce, mi sembrava stesse
urlando.
Fece
l’ultima cosa che avrebbe dovuto fare: si voltò.
Quando
tornò col viso verso di me vidi che anche lei era impallidita.
<
Non mi dire che lui è… >.
<
Sì, cazzo… >.
<
E che cosa ci fa qui? >.
<
Che ne so >, sospirai mettendomi entrambe le mani nei capelli. Rimasi in
quella posizione con gli occhi chiusi. In quel momento ero come quei bambini
sicuri che se loro non ti vedono allora neanche tu vedi loro. Forse funzionava… nei miei sogni.
---------
Allora eccoci qui
Lo so che vi starete chiedendo “ma che razza di capitolo, eh?” e avete
ragione ù.ù
In realtà il capitolo doveva intitolarsi “Add a place at dinner” (= aggiungi un posto a tavola che sarà il titolo
del prossimo capitolo) ma ormai, come sapete, continuo a dilungarmi troppo e di
questo passo avrei postato nel 2012 quindi scusate se vi lascio col questo
dilemma (io: non ci dormirete la notte muahahah, lettrici:
se se come no, l’importante è esserne convinti). 1000 punti a chi indovina,
comunque.
Ecco visto cosa succede a
mangiare davanti al pc? Ahhahahah
(ho letto della tua disavventura con la tazza di latte) ma tranquilla io
mangio SEMPRE davanti al pc (a pranzo) e a me, se
ti può consolare, era scoppiata la coca cola sulla tastiera.
Felicissima che lo scorso capitolo ti sia piaciuto. Per un attimo avevo
temuto che non avessi recensito perché ne eri rimasta altamente schifata
invece poi ho compreso le tue motivazioni e anzi, ti ringrazio comunque per
aver fatto i salti mortali per recensire ugualmente (lo sai che ti adoro,
vero?).
Ahahha BG
sta per Bad Girl. Lo so che in teoria
non mi costa niente scriverlo per intero ma sono troppo pigra.
Sono contentissima che il capitolo precedente ti sia piaciuto.
Ho messo veramente tutta me stessa per renderlo al meglio ed ero molto
preoccupata nel leggere le vostre recensioni…
quindi non posso che essere onorata nel sapere che invece vi è piaciuto.
Mi spiace aver dovuto mettere questo allontanamento di Edward
da Bella ma nel prossimo prometto di risolvere tutti i vostri dubbi (prima
che veniate ad uccidermi)
Adesso che Edward si è aperto però non è andata come molti si
aspettavano. Anzi penso di aver remato nella direzione opposta facendolo
allontanare da lei.
Sai, ho cercato (per quanto possibile) di immedesimarmi in lui
e penso che in questo momento il sentimento predominante sia proprio la
paura (e quando dico paura intendo molte cose tra le quali paura di averla
persa). Nel prossimo capiremo meglio le sue motivazioni.
mi sa che ti ho fatto aspettare ancora molto e inoltre penso
che non ti aspettavi nulla di questo tipo.
Ti prego non mi linciare. Aspetta almeno di leggere il
prossimo ;)
Comunque contentissima di sapere che lo scorso capitolo ti è
piaciuto un sacco. Ci ho messo me stessa per scriverlo e sapere che l’avete
apprezzato mi manda in estasi
Detto questo passiamo ad altre cose decisamente più
importanti:
CHE FIGURA DI CACCA CHE HA FATTO L’ITALIA.
Non ti dico che angoscia, tanto che non sono riuscita a scrivere niente di
decente ù.ù come hai potuto notare da questo…
Menomale che ci stai tu che un po’ mi sollevi il morale.
Comunque il fatto che questa ff ti
piaccia sempre di più mi rende felice =) perché almeno stai lavorando a un
progetto che ti piace (dimmi di sì).
Ciao tesora! Non ci crederai mai ma
anche o sono come te: prima cosa che faccio quando c’è un aggiornamento è
controllare se la scrittrice ha risposto alla mia recensione (nella maggior
parte dei casi no, ma a volte sono fic con oltre
60 commenti a capitolo e quindi capisco benissimo l’autrice) detto questo ciauuuuu è da un po’ che non ci sentiamo eh? Come sta
andando lo studio? Tutto ok? E le fic? In realtà
sto cercando di tergiversare perchè secondo me il
capitolo non è neanche degno di nota. <.<
“il potere dell'essere concisi ma efficaci” quanto vorrei
avere un po’ questa dote. Cavoli da un capitolo che nella mia testa era sì
o no 10 paginette si è trasformato in una riproduzione della divina
commedia formato Isa cioè ma come devo fare? E pensa che non ho scritto
neanche i pezzi più importanti! Risultato? Eccolo davanti i tuoi occhi e lo
so che dentro di te sei combattuta e vorresti linciarmi con un accetta di
lama 30 cm in modo da recidere direttamente la orta
e farmi tacere ù.ù ma confido nella mia buona
stella e sono certa che non lo farai prima di avermi perlomeno dato una
possibilità di riscatto con il prossimo capitolo (se così si possono
definire i miei intrugli di parole a casaccio).
quella parte del film dell’orrore non era messa così tanto per, in realtà. Nella
mia testolina bacata volevo farvi capire quanto poco sagace sia Bella che
si ritrova a pensare che il paesaggio è spettrale ecc e si sente al sicuro
con il suo Eddino accanto che in realtà è il
pericolo più pericoloso al quale può andare incontro nel raggio di
10548645454545604511020 chilometri.
però devo dire che la vodka è stata geniale, me molto modesta. E solo Isa
poteva fare una cosa simile (come uscire in pigiama, del resto).
cioè a tutto il resto del commento come faccio a rispondere ? quello che
hai scritto mi ha fatto emozionare e non ci sarebbero risposte giuste o
sufficienti o minimamente complete… ci provo
che le cose inaspettate siano le migliori è la pura verità
sono contenta che tu abbia colto questo particolare.
La cosa di pensare che fosse tutto un sogno…ma
un sogno di Edward è una cosa nata inaspettatamente (per l’appunto). Non l’avevo
previsto nemmeno io che mi è venuto in mente mentre scrivevo.
Non penso che tu sia andata troppo avanti con le ipotesi tutto
quello che hai scritto era giustissimo. Solo che ti sei dimenticata della
paura. La paura che adesso, da lucido, ha attanagliato Edward. La paura che
lo inganna e gli fa fare degli errori… come
quello di pensare che allontanarsi da lei sia la scelta migliore. La paura
che adesso lei sappia e che non lo voglia più…
Insomma forse avrei dovuto scrivere il capitolo dal punto di
vista di Edward…avrebbe avuto sicuramente più
senso. Ma non so, mi piaceva rendere il senso di vuoto e solitudine di Isa
quando Edward non è con lei (anche prima di vederlo in corridoio). È come
se lui, pian piano, sia diventando il suo mondo.
Comunque lo so che sono stata una stronzetta
a chiudere così il capitolo e spero nel prossimo di risolvere tutti i
dubbi. A proposito chi ha visto Isa???
quando ci sarà il pezzo dettato dall’illuminazione che mi hai fornito lo
capitai tu stessa ;)
oddio mi sa che ho scritto troppo e penso di aver detto un
mucchio di cavolate… spero mi comprenderai (i
gradi sono aumentati e il cervello si fonde ù.ù)
Grazie mille per i complementi per lo scorso capitolo.
La parte insensata era quella in cui Isa crede di essere in un
sogno… nel sogno di Edward. Era un po’ complicato
da descrivere ma penso che tu l’abbia inteso perfettamente.
Che altro dire?
Spero che questo capitolo ti sia piaciuto almeno un pochetto.
sei l’unica che mi ha fatto i complimenti per l’utilizzo del
francese nello scorso capitolo. Sappi che ho apprezzato moltissimo.
Sì, ha reso sicuramente molto rispetto a un “ho sete” nella
loro lingua e in più non ti nascondo che mi sono immaginata Edward che
parlava francese e ho sbavato come un cammello mentre lo descrivevo
OmmammaO.o ma tu hai letto circa 12 pagine sul cellulare. Ti
ringrazio infinitamente penso sia una dimostrazione di quanto ti piaccia
questa ff e ti ringrazio davvero tanto!
aspetto un tuo commentino (anche insulti) su questo
Dal tono della tua recensione ho capito che eri molto eccitata
ed frenetica. Bèh se è questo l’effetto che ti ha fatto lo scorso capitolo
non posso che esserne estremamente felice! GRAZIE.
Anche perché è un capitolo in cui ho messo veramente me
stessa.
Spero che questo non ti abbia delusa e spero di chiarire tutti
i tuoi possibili dubbi con il prossimo
in primis alla mia Elisa che
mi sopporta e poi a tutte coloro che nonostante tutto continuano a seguirmi
ancora. GRAZIE DI CUORE.
--------------------
Bad Girl
[Isabella Swan]
Cap. Thirty one- Add a place at dinner
Una
delle cose che avevo sempre desiderato fare era quella di prevedere il futuro:
compiti di scuola con ottimi risultati, moltissime figure di merda evitate,
essere sempre presente nel posto giusto al momento giusto, insomma, una volta
escluso l’effetto sorpresa, - che spesso aveva come prerogativa essenziale
quello di guastare anche una delle migliori giornate -, tutto il resto doveva
essere una passeggiata. Ad esempio, se avessi saputo che oggi per me le cose
sarebbero andate in questo modo avrei fatto di tutto per essere altrove: chessò
dentro un bunker militare? sarebbe stata un ottima idea, quella.
Dubitavo
fortemente che anche se avessi avuto il dono della preveggenza, direttamente
concessami da Nostradamus, sarei comunque riuscita a prevedere questo.
Prima
Edward che senza alcuna spiegazione mi evitava neanche avessi ingerito
un’intera piantagione di aglio e poi, nel posto più sperduto del mondo, in cui
con ogni probabilità si nascondeva persino Osama Bin Laden, chi mi ritrovavo di
fronte? Il mio ex.
<
Sei sicura fosse proprio Alex? > mi domandò ancora incredula la mia migliore
amica.
Bèh,
in effetti non aveva tutti i torti nel pormi quella domanda. A quanto mi
risultava Alex doveva essere in un qualche riformatorio di Phoenix lontano
miglia da qui.
<
Mettiamola così >, iniziai succhiando con avidità un sorso di the dalla
cannuccia,< se non è lui, è uno che
gli somiglia parecchio… ed è anche più figo >, valutai ripensando
all’aspetto di quel ragazzo.
Angie
sospirò. < Quindi tu mi hai fatto prendere uno spavento per nulla? >.
Cosa
credeva che l’avessi fatto apposta?
Io
come minimo su quel tavolo del Grill ci avevo lasciato sì e no cinque anni di
vita.
<
Sono già le tre e mezza? > esclamò poi Angie guardando l’orologio sulla
parete colorata del locale.
Già,
dimenticavo che questa lunga giornata non era ancora terminata, purtroppo. Alle
quattro sarebbe passato Mike per quello stupido compito.
<
Angie io vado, devo vedermi con Newton più tardi > la informai.
<
Okay, qui ci penso io > disse riferendosi al conto e la baciai sulla guancia
prima di uscire.
Una
delle poche cose positive di Forks era la depilazione. Sì, proprio quella.
Pantaloncini,
bermuda, canottiere e vestitini erano preclusi, in quel modo potevo dedicarmi
alla crescita selvaggia dei peli delle gambe.
No,
questo era prima di incontrare Edward, in realtà.
Da
quando lo avevo conosciuto avevo fatto in modo di avere sempre gambe lisce e
perfette (e non solo le gambe) come quelle della pubblicità delle strisce
depilatorie.
Nei
film la sfigata di turno, che non esce con un uomo da circa dieci anni, al
primo inaspettato appuntamento è sempre e totalmente priva di ogni minimo bulbo
di pelo… nella realtà invece, purtroppo, bisognava depilarsi.
Ed
ecco il perché gironzolassi per casa con la crema depilatoria dal ginocchio in
giù. E, come minimo, avrei ricevuto più visite impreviste in quel momento che
per il resto della mia vita. Attendevo, cellulare alla mano, i minuti per
togliere la crema che sta iniziando a pizzicare quando, ironia della sorte,
sentii il campanello suonare.
Come non detto…
Dilemma:
togliere la crema e poi scendere o scendere con la crema?
Nessuna
delle due opzioni.
Guardai
svelta il display del cellulare che segnava ancora le quattro meno venti.
Perché diavolo Mike aveva anticipato il nostro incontro senza neanche
avvertirmi?
Sospirai
e ancora con la crema sulle gambe mi affacciai alla balaustra delle scale e
urlai < Entra è aperto, io arrivo subito > e corsi immediatamente in
bagno prima che Mike mi vedesse e mi sputtanasse per tutta Forks.
Svelta
introdussi le gambe nella doccia senza nemmeno spogliarmi degli indumenti e
tolsi quella robaccia mista a peli dalle mie gambe.
Una
cosa era certa: Newton mi avrebbe sentita poi.
<
Ahhhhhh > urlai una volta uscita dal bagno.
Ma
era mai possibile essere così stupidi? Urlare alla vista della persona con la
quale era tutto il giorno che cercavo di avere un approccio: Edward.
<
Ti ho spaventata, certo > disse come se fosse una cosa normale, ovvia.
<
Che ci fai qui? Pensavo fossi… >.
<
Newton > mi anticipò concludendo la frase per me.
Annuii
solamente. Certo, dentro di me la voglia di sapere come facesse a sapere
dell’appuntamento-studio con Mike era tanta ma prima c’erano questioni molto più
importanti da risolvere.
Spostai
il mio sguardo su di lui. I suoi occhi non erano cambiati: stessa espressione
vitrea e vuota di quella mattina. Fissava un punto a terra per evitare di
guardarmi in faccia.
Inutile
dire che conoscevo quello sguardo. In quel momento parlava più di mille parole.
Gli
occhi iniziavano a pungere e le lacrime minacciavano di scendere inesorabili.
No,
non avrei pianto.
Non
questa volta.
Presi
un grosso e profondo respiro per richiamare indietro le lacrime.
Edward
se ne stava ancora immobile, cercando probabilmente le parole più adatte, le
parole giuste per troncare con me, troncare un qualcosa che in realtà non era
mai stato definito e che, nonostante ciò, mi era indispensabile come l’aria che
respiravo.
Prima
che potesse farlo parlai racimolando tutto il coraggio che avevo in corpo.
<
Edward, qualsiasi cosa io abbia fatto o detto, ti chiedo scusa >.
Si
irrigidì al suono di quelle parole. Vidi la sua mascella contrarsi e la sua
espressione tramutarsi in un qualcosa che non sapevo decifrare: Odio? Paura?
Dolore?
<
Isa… >.
Gli
feci cenno di tacere.
<
Sono inopportuna, sempre. Dico quello che mi passa per la testa senza mai
riflettere più di cinque secondi e sono tremendamente istintiva, l’avrai
capito, penso. E ho almeno un altro migliaio di difetti che forse non hai ancora
avuto modo di scoprire e che se inizierei a elencarti faremo notte inoltrata…
mi dispiace per ieri, Edward, davvero… >.
Maledette lacrime
traditrici!
Edward
si avvicinò cautamente come se avesse paura di fare un movimento sbagliato. Posò
delicatamente i suoi pollici sulle mie guance quasi come se al posto delle dita
avesse tante lame taglienti e potesse in qualche modo ferirmi solo sfiorandomi.
Forse non sapeva che la ferita più profonda me l’aveva inferta solo con quello sguardo.
Asciugò
quelle lacrime che avevano vinto la loro battaglia.
Chiusi
gli occhi per godermi, forse per l’ultima volta, ancora, quel contatto. Volevo
imprimere sulla pelle quella sensazione che mi coglieva ogni volta che le sue
mani mi sfioravano.
<
Isa, guardami > m’implorò.
Feci
a gara con me stessa per riaprire gli occhi e fissarlo nuovamente.
Era
incredibile come tutto il mio corpo non rispondesse minimamente ai miei
comandi.
<
Non hai niente per cui scusarti…niente >
<
Allora perché… >
Ma
la mia domanda rimase incompiuta perché il suono del campanello ci avvertii che
era arrivato qualcuno.
Non
ci fu bisogno di domandarsi chi fosse, al di là della porta si sentiva
indistintamente il pianto disperato e meccanico di Marlene.
Quando si dice ‘tempismo
perfetto’…
Edward
ritrasse le sue mani e io, dopo un attimo di smarrimento, mi avviai verso
l’ingresso.
La
voglia di lasciare Newton lì fuori era forte: avrei sempre potuto improvvisare
all’ultimo momento un malanno altamente contagioso ma era parecchio
inverosimile come scusa, purtroppo.
<
Hey, ciao > mi salutò allegro quello, ignaro che la sua presenza avesse
comportato l’interruzione di qualcosa di estremamente importante per me.
<
Ciao. Entra > lo salutai senza alcun entusiasmo.
Avevo
bisogno di parlare con Edward, da soli.
Avevo
assolutamente bisogno di sapere quello che aveva da dirmi, almeno di spiegarmi
il perché del suo comportamento.
Prima
ero stata troppo occupata a scusarmi per qualcosa, a suo dire, che non avevo
nemmeno fatto, non lasciandolo neanche parlare.
Mille
domande continuavano a vorticare furiose nella mia testa: perché quello
sguardo?
Perché
tutto il giorno mi aveva evitata?
Perché
tutto in lui, ogni suo singolo gesto, mi faceva intuire un suo allontanamento?
Un’altra
domanda mi sfiorò: Edward sapeva di Newton, in qualche modo… e se fosse venuto
per quello? Per tenerlo sotto-controllo, magari? La cosa iniziava seriamente ad
irritarmi.
Mike
rimase perplesso dal tono utilizzato, poi, dopo aver guardato alle mie spalle,
si irrigidì.
<
Cullen > lo salutò malvolentieri con un cenno del
capo.
Cercai
di non considerare gli sguardi che i due si lanciavano e iniziai a parlare.
<
Mike, va bene se studiamo in cucina? > gli domandai con un tono certamente
più cordiale di quello riservatogli all’entrata.
Prima
che venisse Edward e ancor prima della depilazione-lampo avevo fatto ordine in
quella stanza, solo in quella, in realtà.
<
Non sapevo che avessi un computer in cucina, forte! > se ne uscì ironico senza
dare alcun intonazione alla voce continuando a fissare Edward.
<
Okay > cercai di catturare la sua attenzione frapponendomi tra i due.
Newton
sospirò e finalmente abbassò il suo sguardo verso di me.
<
Andiamo in camera tua > disse indicando le scale che conducevano al piano
superiore.
<
Lì penso avrai un computer sul quale lavorare >.
Annuii
soltanto, nonostante l’idea non mi piacesse minimamente.
Gli
feci strada al piano di sopra e Edward ci seguì. Non aveva detto una parola da
quando era arrivato Mike. Neanche l’aveva salutato, se era per quello.
<
Scusa il disordine > annunciai ancor prima di varcare la soglia della mia
camera.
Gli
occhi azzurri di Newton, una volta entrato, puntarono immediatamente il letto
sfatto. Chissà quali assurdi film mentali si stava facendo in quella stupida testa.
<
Aiutami, per favore >. Sollevammo la scrivania e la spostammo in modo da
metterci uno di fronte all’altro.
Edward
prelevò silenziosamente uno dei libri impolverati dallo scaffaleche riconobbi essere Shakespeare e si sdraiò sul
mio letto.
<
Potevi evitare di chiamare il tuo ragazzo. Non mordo mica >.
<
Non l’ho chiamato io e non è il mio
ragazzo > puntualizzai senza sollevare lo sguardo dai fogli che la
professoressa ci aveva consegnato senza realmente leggerne il contenuto.
Meglio
mettere le mani avanti, qualsiasi cosa avesse da dirmi.
<
Fa paura >, sussurrò Mike, < il modo in cui ci guarda >.
<
Newton. Io sono qui > minacciò Edward senza sollevare lo sguardo dal libro.
Ero quasi certa che non lo stesse neanche leggendo, sfogliava le pagine troppo
velocemente.
<
Okay > sospirai passandomi una mano tra i capelli.
<
Pausa. Time out. Stop. > affermai a un passo dall’esaurimento nervoso.
Da
quanto tempo stavo scrivendo a computer? Non mi sentivo quasi più le dita.
La
relazione stava procedendo, Mike alla fine non era male come collaboratore ed
Edward era passato ad un altro libro senza aggiungere nient’altro. A volte si
fermava come per ascoltare qualcosa e poi proseguiva assorto nella lettura.
<
Isa, siamo appena a pagina tre >, m’informò Mike indicando lo schermo, <
di questo passo non la finiremo mai in tempo >.
<
Solo una pausa, promesso > implorai con occhi da cucciolo bastonato.
Vidi
la sua espressione mutare e ne compresi il tacito consenso.
<
Scendo in cucina. Vuoi qualcosa? >.
<
Solo acqua >.
<
Per te? >
Attesi
qualche secondo la risposta di Edward con le mani sui fianchi.
<
Nulla > disse poi.
<
Se mi verrà sete ci penserà Mike > affermò con un sorrisino.
Il
primo sorriso che faceva quel giorno. Direi che facevamo progressi.
<
No, hai capito male >, rispose quello irritato, < non sono di certo il
tuo cameriere. Se hai sete chiedi ora, altrimenti nulla >.
Edward
fece finta di non sentirlo e voltò un'altra pagina del libro con studiata
lentezza.
Dalla
cucina prelevai una bottiglia di acqua fresca, delle coche e dei biscotti che
in realtà non erano poi il massimo visto che avevano preso aria ed erano
diventati possi. Dovevo fare la spesa, non c’erano
dubbi.
<
Questi biscotti fanno schifo > annunciò Newton con la bocca piena.
<
Cioè, qui non torna nulla e il tuo unico problema qual è? I biscotti >
inveii contro Mike.
Mi
ero sbagliata sulla relazione. Era più difficile di quanto credessi: i conti
mensili non tornavano minimamente e oramai le mie facoltà mentali mi stavano
gradualmente abbandonando.
<
E tu che mi dici di queste spese? >, indicò un punto sullo schermo, < è
così fondamentale la depilazione laser permanente? >.
Sì, lo era.
<
Sono un avvocato importante, devo riguardare il mio look >.
<
Una cosa è certa > se ne uscì di colpo Edward facendoci zittire entrambi.
<
Siete entrati proprio nel vivo del progetto: sembrate proprio una normale coppia sposata >.
Dovevo ridere?
Lo
squillo del telefono mi trattene dal rispondergli male. Ingoiai la risposta al
vetriolo che stavo per servigli e scesi a rispondere.
<
Pronto > risposi ancora con voce irritata dal comportamento di Edward.
Dall’altra
parte della cornetta solo dei versi strani e gemiti che mi fecero pensare di
avere a che fare con qualche maniaco sessuale.
Ci mancava solo questa…
<
Pronto? > riprovai sdegnata e pronta a riattaccare.
<
Sì, eccomi > una voce squillante mi distolse dal mio originale intento.
<
Jake? >
<
Ma che cavolo stavi facendo? >.
<
Mi allenavo. Flessioni > affermò esultate.
<
Sicuro? > scherzai facendo riferimenti poco velati ad attività ludiche.
<
Lo sai ce per quello mi riservo a te >.
<
A che devo l’onore della chiamata? > cambiai prontamente argomento.
Lo
sentii sbuffare < Cos’è, non posso neppure chiamare la mia ingrata amica,
adesso? >.
Non
risposi immediatamente, troppo occupata ad osservare Newton che si avvicinava
con quell’affare urlante tra le mani. Gli feci una serie di gestacci per far si
che tornasse in camera, magari a continuare la relazione, già che c’era. Ma in
risposta con le dita mi fece cenno di tagliare la conversazione.
<
Isa? > mi chiamò il mio migliore amico.
<
Sì? > tornai alla chiamata eludendo i tentativi di Mike di appendere.
<
Cos’è? > chiese riferendosi chiaramente al pianto del bambolotto.
<
Mia figlia, Marlene > risposi ovvia.
Dall’altra
parte sentii dei rumori strani di sottofondo, vetri, o forse stoviglie, che
andavano in pezzi e una moto in lontananza.
<
Jay? >.
Tu, tu, tu…
Mah…
<
Mmm >, giocherellai con una matita sul quaderno
guardando il risultato al quale eravamo giunti io e Newton.
<
Potrebbe andare > gli sorrisi sincera.
Alla
fin fine avevamo trovato il modo per far quadrare i conti tagliando tutte le
spese superflue, concentrandoci principalmente sui bisogni di Marlene.
Probabilmente era questo lo scopo di questa relazione: sacrificarsi per le
persone che si amano, valeva anche in altri ambiti, dopotutto.
Forse
con Edward era proprio questo che avevo sbagliato. Mi ero sempre concentrata
egoisticamente sui miei bisogni, sulla smania di averlo tutto per me, sulle mie
emozioni e sensazioni non pensando cosa effettivamente fosse meglio per lui.
Già
a guardarlo, a primo colpo, era palese che fosse decisamente troppo per me.
Ero
stata sempre me stessa, con i miei pregi e i miei difetti, tanti, con lui ma
avevo finto di essereabbastanza quando evidentemente non era
così. Forse adesso se n’era accorto. Dopotutto era normale che prima o poi lo
facesse.
<
Isa? > Newton mi passò una mano davanti al mio sguardo distante anni luce da
quella stanza.
<
Sì, scusa > ritornai ai fogli sparsi di fronte a me.
<
Dicevi? >.
<
Dicevo che le manchi >.
<
Come, scusa? >.
<
A Jess > si passò una mano nei capelli biondo
chiaro.
Sentii
una fitta all’altezza della bocca dello stomaco.
<
Non me l’ha detto espressamente, in verità > precisò.
<
Ma non fa altro che dire: “Isa avrebbe saputo cosa fare”, “Isa avrebbe saputo
consigliarmi tra il vestito rosso e quello blu…” >
cercò di imitare la sua voce stridula facendomi ridere.
Anche
a me mancava, nonostante tutto.
Il
suono del campanello mi distolse dai ricordi nostalgici sui quali la mia mente
aveva già preso a vagare.
<
Mike, scusa potresti iniziare le conclusioni? Arrivo subito > gli dissi
alzandomi dalla sedia.
Prima
d’ora non avevo mai studiato così allungo nella stessa giornata. Immaginai il
mio sedere plasmarsi secondo la forma del sedile.
Okay,
troppo ore di studio facevano male, decisamente.
Arrivai
sulla soglia e mi presi un momento per osservare il profilo del sedere nello
specchio all’entrata.
Non
che fossi una persona esageratamente vanitosa, non ero di certo una di quelle
che passavano le giornate a prendersi cura del proprio corpo o cose del genere,
eppure non potevo fare a meno di specchiarmi ogni qualvolta m’imbattessi in una
superficie riflettente.
Comunque
la cosa positiva era che il mio sedere era apposto. Edward di quello non si
sarebbe potuto lamentare.
Il
campanello emise un suono più prolungato, segno che la persona in attesa
iniziava a spazientirsi. E anche io.
Sulla
soglia della porta di casa il mio Jake tutto sudato e
col fiatone.
Non
potei che rimanere ancora una volta sorpresa dal suo aspetto. Le cose erano
due: o ero io che continuavo a regredire e abbassarmi o era Jay che cresceva a
vista d’occhio.
Lo
guardai stranita e lui, una volta attraversata la soglia, storse il naso come
se avesse appena fiutato del pesce avariato da giorni.
<
Stai bene? > chiese seriamente preoccupato posando le sue mani sulle mie
braccia.
<
Jake, quante volte te lo devo dire: smettila di
fumare la roba che ti passa Quil>.
Era
da tempo che avrei voluto programmare un incontro tra Jacob e Edward. Avrei
preferito farlo quando le cose con Ed fossero state chiarite ma già che c’era…
I
due si guardarono dritto negli occhi senza aprir bocca. Edward rimase a
distanza, qualche gradino più su, mentre Jacob non si rimosse dalla porta.
<
Jacob, lui è Edward >.
<
Edward, lui è Jacob, il mio migliore amico > precisai.
Forse,
definendo il ruolo di Jake nella mia vita, Edward
avrebbe smesso di fulminarlo con quello sguardo. I due, al contrario, continuarono
a scrutarsi pericolosamente ed era come se ci fossero solo loro in quella
stanza. Da quando conoscevo Jake non lo avevo mai
visto così: lo fissava come se…come se fossero nemici.
<
Cullen > sputò con un sorriso appena accennato.
<
Black > Edward non fu da meno.
<
Scusate… > mi intromisi nella loro presunta muta
battaglia fatta di occhiate.
<
Vi conoscete? >.
<
No > rispose Edward.
<
Sì > rispose contemporaneamente Jacob.
Li
guardai sconcertata con un sopracciglio alzato.
<
Tecnicamente no > Edward rivide leggermente la sua risposta, stava di fatto
che io continuavo a non capirci nulla.
<
Diciamo che alcuni miei parenti hanno avuto modo di conoscerlo > si
intromise nuovamente Jacob.
<
A dire il vero: sembra passato un secolo > continuò con un sorriso sardonico
stampato sulla sua pelle ambrata.
La
cosa continuava a non tornare: Edward non mi aveva mai detto di essere già
stato da queste parti prima e Jake ero certa non
avesse parenti al di fuori della riserva ad esclusione di sua sorella che però
si era sposata da poco.
Questa
interminabile giornata aveva tutta l’aria di essere una vendetta di un qualche
Dio che mi stava facendo pagare con gli interessi gli errori commessi in
passato.
Jacob
ed Edward nella stessa stanza.
Avevo
come l’impressione che quei due non avrebbero dovuto abitare nemmeno nello
stesso paese, - ma che dico: nello stesso Stato -, tanto non si potevano
sopportare a vicenda, figuriamoci ritrovarseli insieme in neanche tre metri
quadrati.
Due
leoni in gabbia, praticamente, pronti a sbranarsi al minimo accenno.
Ma
quanto erano coglioni gli uomini?
Prima
che potessi fare le mille domande che spuntavano come funghi nel mio cervello, suonarono
nuovamente alla porta.
Ecchecavolo…
Qualcuno
aveva affisso sul tetto dell’abitazione l’insegna luminosa “ostello della
gioventù Swan” senza avvertirmi?
Chi
altro poteva essere?
Con
passo pesante mi avviai alla porta pronta a cacciare chiunque altro si fosse
presentato oggi.
<
Char-papà > esclamai forse con troppa enfasi e
subito assunse il suo solito sguardo sospettoso arricciando le labbra carnose
sotto i folti baffi molto stile far west.
I
suoi sospetti trovarono evidentemente adito e rimase bloccato all’entrata
lanciando occhiatacce dietro di me. Vedevo le sue iridi schizzare veloci da uno
all’altro dei miei ospiti e potei
solo immaginare lo sguardo che potevano avere loro.
<
Bella, che succede? >. Avanzò di un passo entrando in casa.
<
Nulla > risposi forse troppo agitata.
<
Sarà meglio che io vada, si è fatto tardi > s’inserì Mike cominciando a
camminare per prelevare le sue cose.
<
Fermo lì > gli ordino di scatto.
<
Fermi tutti > specificò con tono più pacato schiarendosi la voce con un colpetto
di tosse.
Certo
che il suo lavoro lo preveda troppo sul serio…
La
cosa preoccupante era che non aveva appeso la fondina con la sua pistola, come
d’ abitudine, all’entrata ma aveva preferito tenerla con se. Immaginai fosse per
lui una sorta di coperta di Linus, o almeno lo sperai.
Se
me l’avessero raccontato non ci avrei creduto: io, Charlie, Edward, Mike e
Jacob seduti allo stesso tavolo, a quello della mia cucina. Sembrava di essere
ad una sorta di festival delle bizzarrie: il più strano vinceva. Edward e Jacob
erano a pari merito, Mike era escluso perché, strano ma vero, sembrava il più
normale tra noi e Charlie era a un passo dalla vittoria.
A
capo tavola c’era lui, l’ispettore Swan, che aveva
invitato (leggesi costretto) i ragazzi a rimanere a cena da noi, alla sua
sinistra sedeva Newton che, come me, si stava certamente interrogando sul
perché di questo supplizio, accanto a lui Jacob che ero certa occupasse tutto
lo spazio da quel lato della tavola e di fronte a lui Edward. Secondo me era
già un miracolo che ci stessimo tutti quanti.
Avevo
provveduto silenziosamente a spartire la frittura di Harry Clearwater nei
piatti in egual misura.
Fosse
stato per Charlie avrebbe mangiato sempre quello e, onestamente, non capivo
come facesse a piacergli un qualcosa composto per un abbondante novanta
percento da olio, però non mi lamentavo, sempre meglio che se avessi cucinato
io.
Per
i primi cinque minuti buoni nessuno aprì bocca se non per mangiare e ciò mi
confortò. Il più impegnato in quest’attività era senz’altro Jacob.
Osservai
di sottecchi Newton di fronte a me che analizzava a uno a uno quelle strane
forme di pesce nel suo piatto piegando le labbra in una smorfia di disgusto. Lo
capivo ed era proprio per questo che avevo deciso di non esaminare più quello
che mangiavo: c’erano pesci che a quanto pareva esistevano solo a La Push.
<
Allora > iniziò Charlie ostentando la forchetta verso l’alto manco si
trattasse di uno scettro.
Ecco
che iniziava con il terzo grado. Strano non ci avesse ancora puntato una
lampada negli occhi.
Di
certo non stavamo facendo le orge se era questo che lo preoccupava, comunque.
<< Veramente
signore, io ero venuto solamente per finire la relazione > rispose Newton.
La
risposta sembrò piacergli perché piegò lievemente le labbra in quello che mi
sembrò un sorriso e mi tranquillizzai.
<
Chi di voi esce con mia figlia ?>
<
Tutti > rispose Jacob con la bocca piena sghignazzando.
Charlie
per un attimo spalancò gli occhi ma subito dopo sembrò riprendersi. Funzionava
come una vecchia macchina, leggermente a scoppio ritardato, ma sapevo con
certezza che non avrebbe mai detto nulla a Jay. Lo conosceva da quando era una
pulce e aveva una certa simpatia per lui.
<
Io, signore > rispose Edward educatamente alla domanda di mio padre.
Un
nodino di calamaro mi rimase in gola facendomi tossire, non tanto però da
perdermi l’occhiataccia che gli rifilò Jake, quasi
più perforante di quella che aveva Charlie in quel momento.
<
Mmm >, mio padre si passò un tovagliolo sotto i baffi,
< tu sei il figlio del dottor Cullen, non è vero?
>.
<
Esattamente > gli sorrise senza mostrare i denti.
<
In realtà pensavo di presentarmi prima ma non ho avuto occasione di farlo, la
prego di scusarmi >.
Cosa.stava.facendo?
Fino
a qualche ora fa sembrava volesse lasciarmi e adesso ci mancava soltanto che
chiedesse la mia mano a Charlie.
<
Qualcuno vuole il bis? > tentai di deviare il discorso proponendo una
seconda reazione di frittura. In realtà l’unico ad aver finito quella che aveva
nel piatto era Jake.
Nessuno
rispose al mio invito.
Aleggiava
un sinistro silenzio su quella tavola degno solo di una seduta spiritica.
Edward
sembrava strano, più del solito. Non aveva toccato nulla dal suo piatto. Alle volte
mi pareva stringesse le mani in pugni come a volersi trattenere dal fare o dire
qualcosa, o forse era solo una mia impressione (anche se le vene del braccio
non potevano essere una mia invenzione).
Lanciai
rapide occhiate agli altri commensali: Newton aveva abbassato la sua testa sul
piatto, sembrava quasi si stesse confessando; Charlie era nella tipica posa di
chi sta elaborando chissà quale malefico piano mentre Jacob sembrava quello più
rilassato di tutti, con molta nonchalance aveva posato entrambe i gomiti sul
tavolo, fissava Edward con un sorrisino di sfida stampato su quella faccia sfrontata
che si ritrovava.
<
Io le ho visto le tette, una volta > se ne uscì tranquillo Jacob e questa
volta a finire strozzata dal pesce non fui solo io ma anche Charlie.
Mike
gli diede un lieve colpetto sulla schiena equivalente a una carezza.
Io
con non pochi sforzi, con le lacrime agli occhi, riuscii a deglutire.
La
prima cosa che feci, non appena mi fui ripresa, fu quella di lanciare uno
sguardo carico di significati a Jay che rispose con una grossa risata.
<
Basta > Charlie lo mise a tacere.
<
Andate tutti fuori di qui > ordinò.
Non
se lo fecero chiedere due volte e nel giro di pochi minuti restammo solo io e
mio padre.
Sperai
non iniziasse proprio in quel momento con uno dei
suoi discorsi sul sesso, non l’avrei sopportato.
Fortunatamente
si limitò a farmi cenno di passargli i piatti ancora pieni di Newton ed Edward
per poi rovesciare il contenuto nel suo e cominciare a mangiare in silenzio.
Salii
in camera mia trascinando i piedi sulla moquette.
Alla
fine di questa lunga giornata non avevo concluso nulla. Non ero riuscita a
parlare con Edward, a chiedere spiegazioni a Jake per
il suo comportamento e nemmeno a concludere la relazione con Mike.
Mi
sentivo stanca e non fisicamente, stanca dentro.
Sbuffando
mi lanciai sul letto senza spogliarmi. Tolsi solo le scarpe che finirono in un
punto indefinito della camera facendo un tonfo sordo. Mi pentii subito di
averlo fatto: Charlie nella camera accanto dormiva e dopo oggi non era proprio
il caso di svegliarlo.
Mi
acciambellai al cuscino respirando l’odore del detersivo alla lavanda che
adoravo.
Avevo
tanta voglia di piangere ma le lacrime non avevano la minima intenzione di
uscire perciò restai immobile, trovando interessante un punto bianco sulla
parete dello stesso colore.
Tic tictic
Subito
avanzai alla finestra, da dove provenivano quegli strani ticchettii.
Scostai
la tenda e lo vidi.
La
voglia di abbracciarlo e baciarlo per essere tornato era tanta, troppa, ma mi
limitai ad un sorriso che lui ricambiò.
Era
un sorriso dolce eppure diverso dal quelli che conoscevo.
Può
darsi non fosse l’unica cosa ad essere cambiata tra di noi.
Avevo
come l’impressione, una sorta di sesto senso, che mi diceva che molte cosa
stavano per cambiare.
Ci
sedemmo silenziosamente a terra davanti alla finestra, l’uno di fronte all’altro.
Mi
resi conto che il suo viso, illuminato dai flebili raggi lunari, appariva
ancora più bello del solito. I suoi occhi erano chiari e sembravano quasi
liquidi, come se avesse appena pianto.
Mi
sorpresi ad osservare quella piccola spaccatura nel bel mezzo del suo labbro
inferiore. La conoscevo bene, come avevo imparato a memorizzare ogni piccola
parte di lui. Il mio sguardo si distolse nel momento in cui passo la lingua
proprio su quel punto.
Stranamente
prediligevo quelle piccole - seppur insignificanti - imperfezioni di lui proprio
come quel taglietto, ad esempio, oppure i suoi denti, per quanto fossero
bianchi e perfettamente allineati, avevo notato come i suoi canini fossero leggermente
più appuntiti.
Mi
prese una mano fra le sue, fredde e il mio sguardo passò alle nostra dita
intrecciate.
<
Isa, volevo scusarmi per ieri sera > iniziò.
<
Mi rendo conto che non sto facendo altro che confonderti con il mio
comportamento >.
<
Ma…Isa, ti giuro che vorrei far di tutto per non
perderti. Voglio viverti >.
<
Edward cos’è successo ieri? > parlai finalmente.
<
Davvero non ti ricordi? >.
Scossi
la testa in senso di diniego.
<
E’ tutto così… confuso >.
Quando
provavo a ricordare riuscivo solo a visualizzare frammenti senza alcun senso.
<
Ieri sera…sono stato troppo fragile e non ho avuto
proprio forza per resistere…scusami >.
<
Dirti tutto era impossibile. Era inutile >.
<
Dirmi cosa? Cosa significa? Dici di non volermi confondere e poi, ad ogni tua
parola, non fai altro che farlo >.
<
La cosa migliore era allontanarmi il più possibile da te. Ho pensato di farlo…
>.
Deglutii
faticosamente il nodo che mi si era formato in gola.
<
Ma non ho potuto… > strinse di più le mie mani.
<
Non ci sono riuscito. >
<
Non è facile per me dirti che sei diventata il senso di ogni mio giorno,
momento, attimo… >
Feci
per parlare ma mi fermò.
<
Isa, io ti amo >.
< Ed è giusto che
tu sappia tutto di me…>.
---------
Note: le ultime frasi di Edward sono tratte
(e opportunamente da me modificate) da una canzone di Modà
che vi consiglio di ascoltare (si intitola “quello che non ti ho detto
(scusami) e la potete trovare qui http://www.youtube.com/watch?v=lMQPgMndmYA
).
Piccola curiosità: mi porto sfiga da sola…avete presente la parte della depilazione? Ecco, è
capitata la stessa cosa a me L
Che dire?
Dunque penso che abbiate capito il perché del
titolo. Non so ma l’idea di una cena con quei protagonisti mi allettava troppo… mi sembrava divertente (a voi è piaciuta?). poi
penso sia un idea un pochino diversa per l’incontro tra Edward e Jacob, non
credete?
Per il resto non dico nient’altro…lascio commentare voi.
non preoccuparti per il ritardo… io
cosa dovrei dire? Altro che cenere!
Grazie per i complimenti su Emmett… ho sempre
paura di creare degli stereotipi. sul
comportamento di Edward hai perfettamente ragione… ma
anche i vampiri possono sbagliare… è un modo
secondo me per renderli più umani in un certo senso.
I tuoi commenti mi danno sempre la forza per continuare a
scrivere
Intanto tu dai sempre il meglio nelle recensioni ;)
ricordatelo.
Oddio ma ci hai messo davvero 3 ore per commentare???
Però hai un auto-controllo invidiabile, fosse stato per me il pc avrebbe fatto un volo memorabile dal quinto piano.
Per il resto Come va?
L’esame?
Come al solito riesci a comprendere perfettamente tutto (ma come fai?). hai
totalmente ragione su Emmett!!! Vedrai cos’ho in
mente per lui O.o
Perché parli di “trasferimento dei cullen”?
lo dai per scontato? Allora immagino che tu non ti aspettassi un “risvolto”
simile, eh?
Anche sul comportamento di Edward hai perfettamente ragione… ma anche i vampiri possono sbagliare…
è un modo secondo me per renderli più umani in un certo senso e poi mi
serviva perché solo così ha capito cosa provava realmente…
ha provato ad allontanarsi e non è durato nemmeno qualche ora nel suo
proposito ;)
Spero che il capitolo ti sia piaciuto. Se ti sei addormentata
mentre lo leggevi tranquilla penso sia normale…
ormai se non scrivo tante porcherie in un unico capitolo fino a impiegarci
settimane e tante tante pagine non sono contenta…che ci vuoi fare?
Fammi sapere mi raccomando (pc
permettendo) e scusa per la risposta lampo alla tua bellissima recensione
ma altrimenti non aggiornavo davvero più
abbiamo delle cose in sospeso. Come primissima cosa mi devi
ancora far vedere il video in condivisione sull’amicizia ^^
spero che la sbronza post Eclipse ti sia passata O.o
no, non credo.
Non è passata neppure a me… anche se
con tutta ‘sta strumentalizzazione un po’ ci ho perso l’entusiasmo. Ancora
poco e ci ritroveremo i pampers di Twilight.
Le mie pazzie sono infinite. Chi altro poteva pensare a una
cenetta di quel genere? La pazzia mi sta divorando ù.ù
è troppo tardi per me tu FORSE puoi ancora salvarti … forse.
Altro capitolo stra-lungo in cui mi perdo in mille cavolatine…
sarebbe il caso di tagliare il superfluo e concentrarci più sul succo della
ff…opspardon… mi sa
che non c’è nessun succo. Mmm
spero che tu sia riuscita a dormire ugualmente comunque ti
chiedo scusa oramai per scrivere le mie 12 paginette in word ci metto due settimane…davvero non riesco a fare prima.
Spero vivamente che comunque il capitolo ti sia piaciuto e
aspetto una tua impressione
Edward si è comportato così perché ovviamente è un coglioncino… no, scherzo era perché anche lui può
sbagliare (per renderlo più terreno e umano) e poi solo così ha potuto
davvero capire di non riuscire a starle lontano nemmeno un giorno *-*
spero comunque che il capitolo ti sia piaciuto
Io
e il letto eravamo sempre andati d’amore e d’accordo eppure non riuscivo ad
addormentarmici neanche fosse fatto di cemento armato.
Tutti
i peggiori incubi, le paure e le ombre oscure che da bambina venivano a
torturarmi la notte, mi tenevano compagnia, adesso, a distanza di anni.
Trovai
rifugio sotto la coperta, come facevo da piccola. Peccato che quando avrei sbirciato
al di là della trapunta quegl’incubi non sarebbero spariti.
Mi
girai e rigirai tra le lenzuola per diverso tempo senza trovare una posizione
che mi consentisse di entrare in quella specie di stato di trance che tanto
agognavo.
Il
perché era ovvio: avevo troppi pensieri per la testa, pensieri che rimanevano
purtroppo sigillati in quel poco spazio di cui disponevano e che non potevo
condividere con nessuno per scaricarmene, almeno in parte.
Emmett
era stato chiaro: la loro vera natura era e doveva restare un segreto per gli
umani. Rabbrividii nel pensare che fino a qualche ora fa facessi parte della
gente che ignorava totalmente l’esistenza di questo mondo e se finora non
c’erano stati umani in grado di raccontarlo un motivo doveva esserci...
Affondai
un pugno nel cuscino furiosa. A che serviva un migliore amico se non potevo
utilizzarlo per sfogarmi?
Il
nome di Jake quella notte mi si era presentato svariate volte come ancora di
salvezza per non impazzire. Ma poi ci pensavo e sapevo che se fossi andata da
lui all’ennesimo “Cosa c’è che non va? Cosa
non mi stai dicendo?” avrei finito per cedere e per rivelargli tutto
mettendolo inevitabilmente in pericolo. Stesso identico discorso per Angela.
Dovevo tenere fuori da quest’incubo tutte le persone a cui volevo bene.
In
realtà, adesso che ci pensavo, una persona con cui parlare senza rischiare di
dire troppo c’era. No, non era una buona idea rivederlo, non così presto,
almeno.
La
mattinata a scuola era trascorsa più lentamente del previsto quel giorno.
Probabilmente avrei dovuto seguire con più responsabilità le spiegazioni, visto
e considerato che il primo semestre era oramai agli sgoccioli. Gli anni passati
avevo sempre adottato quella linea, recuperando le materie in extremis, ma
proprio non riuscivo davvero a concentrami su nulla.
Sprofondai
nel divano e spostai la mia attenzione al dì la della finestra. Il tempo fuori
rispecchiava esattamente il mio stato d’animo: grosse nuvole cariche di pioggia
non permettevano di scorgere il benché minimo ritaglio di cielo. Presto o tardi
avrebbe piovuto e sarebbe stato un temporale con i fiocchi.
Mi
detestavo perché quella mattina avevo fatto leva su tutta la mia forza di
volontà per non mettermi a cercare la Volvo argentata nel parcheggio, con
successo, anche. Salvo poi tutto il giorno non fare altro che torturarmi per
sapere se lui era venuto a scuola o meno.
Non
avevo avuto lezioni in programma con Edward ma ancora non sapevo esattamente se
era stato un bene. Insomma per tutto il giorno non l’avevo visto e…e adesso
stavo semplicemente impazzendo.
E
poi non avevo avuto più notizie da parte di Emmett la
sera precedente.
“Ho bisogno di parlarti”, scrissi istintivamente
nel messaggio e rimasi a fissare per qualche istante il numero di Edward prima
di premere il tasto dell’invio.
Non
ebbi nemmeno il tempo materiale di posare il cellulare affianco a me, sul
divano, che un segnale acustico mi avvertii che era arrivata una risposta.
Possibile
fosse già lui?
Nello
stesso istante in cui ripresi il cellulare tra le mani, sentii il suono del
campanello di casa.
“Sto arrivando”, c’era scritto ma avrebbe
fatto meglio a scrivere “sono arrivato”
perché era già lì, di fronte a me.
Boccheggiai
alla ricerca di aria non appena i suoi occhi ambrati si posarono sui miei.
Dio quant’era bello!
Aveva
indubbiamente corso perché i suoi capelli erano sparati all’indietro e i suoi
vestiti non erano impeccabili come sempre. Anzi, a pensarci bene, erano gli
stessi indumenti che indossava la sera della rivelazione.
<
Ciao >.
<
Ciao >, risposi ingoiando la saliva.
Stetti
immobile a fissarlo con ancora il cellulare in una mano. Non avevo la minima
idea di cosa dirgli. Pensavo di avere più tempo per pensarci, in realtà.
Lo
condussi silenziosamente in cucina dove raggiunsi subito il piano di lavoro al
quale mi sostenni.
Non potevo resistere se mi guardava
così…
Armeggiai
alla ricerca di qualche strumento: no che avessi la ben che minima voglia di
mettermi a cucinare ma almeno così potevo evitare di guardarlo.
Spostò
rumorosamente una sedia per farmi intendere che lui fosse ancora lì e che
stesse aspettando una mia mossa.
Di
cose da dirgli c’è n’erano, eccome, di domande senza risposta ne avevo la testa
piena, eppure era assurdo di come non trovassi neppure una vocale per iniziare
a parlare.
<
Ho parlato con…>.
<
Lo so >. Non mi fece terminare neppure la frase, stroncando sul nascere il
primo tentativo di intavolare un discorso.
Com’era
prevedibile, tra noi calò nuovamente un velo di silenzio.
Presi
delle carote dal frigorifero e un tagliere di legno con una lentezza e
tranquillità che non mi appartenevano. Avrei fatto il ragù: occorreva tempo per
la cottura, così magari nel frattempo, avrei potuto trovare le parole giuste da
dirgli.
Iniziai
a tagliare le carote senza mai voltarmi nemmeno di sfuggita verso di lui. Ancor
più adesso che ero al corrente della sua velocità e che ogni mio tentativo
sarebbe stato miseramente scoperto.
Ad
ogni modo sapevo che fosse ancora lì.
Non
mi fece pressioni perché parlassi e al mio lato sadico piacque pensare che si
stesse struggendo nell’attesa.
In
realtà non sapevospiegare da dove derivasse
tutta questa mia pacatezza e tranquillità adesso che lui era qui. Mi facevo paura.
<
Avanti, parla! >, la sua voce risuonò come un tuono nel bel mezzo del nulla
e non per il tono che utilizzò – bèh, non era di certo calmo – ma perché non mi
aspettavo che parlasse.
Colta
di sorpresa il coltello mi cadde dalle mani producendo un rumore fastidioso a
contatto con le piastrelle del pavimento che sembrò echeggiare nella mia testa
per un tempo più prolungato di quello effettivo.
<
Parla, urla, grida, sfogati… fai come credi, ma parla, Cristo! Il tuo silenzio
mi sta uccidendo >.
Fu
in quel momento che mi voltai verso di lui.
<
Non dirmi quello che devo fare! >. Sibilai a denti stretti.
In
realtà era esattamente quello che avrei desiderato. Sfogarmi era tutto ciò di
cui avevo bisogno in quel momento ma solo per il semplice fatto che me l’avesse
detto lui, era da escludere che lo facessi.
<
Parlo io, allora >, mi sorprese.
Si
avvicinò per raccogliere il coltello a terra e lo appoggiò sul ripiano senza
mai lasciare il mio sguardo.
Avevo
come l’impressione che si stesse trattenendo dal fare qualcosa. Tutto in lui
era come ‘tirato’, dalla posizione in cui era ai muscoli delle braccia.
Mi
resi conto che quella era la prima volta che ebbi davvero paura di lui.
<
Sai cosa penso? >, iniziò.
<
Sei una ragazzina, una ragazzina dal passato difficile, ma non sarai né la
prima nell’ultima ad aver sofferto e, onestamente, c’è chi è messo peggio >.
Le
sue parole mi colpirono nel profondo. Non mi aveva mai parlato in quel modo. Mi
sentii ferita, ferita perché mi stava giudicando senza effettivamente conoscere
il mio passato o, forse, sapeva più cose di quello che pensavo ma semplicemente
la sua natura non gli permetteva di capire come mi sentissi realmente.
<
Sai qual è il tuo problema? >, Domandò senza aspettarsi una risposta.
<
Hai preferito indossare i panni della ragazza difficile, dell’incompresa e
menefreghista cosicché gli altri non avrebbero potuto avvicinarsi, ti avrebbero
ignorata e nessuno avrebbe mai preteso nulla da te. È facile così, non è vero?
>.
<
Guarda i mesi passati da quando ci conosciamo… >, fece una pausa ma i suoi
occhi trasmettevano anticipatamente quello che stava per dirmi.
<
Non hai fatto altro che mettere le mani avanti, chiudendoti nella tua
dimensione e cercando di allontanarmi: “sono
pericolosa, non innamorarti di me e blablabla” >.
<
Tutte stronzate! >, Sibilò con cattiveria facendomi sobbalzare.
<
E sai perché? Perché hai una stramaledettissima paura di soffrire, di nuovo
>.
<
…Di ammettere quello che provi…>, sussurrò avvicinandosi. Troppo, troppo vicino.
Le
sue parole bruciarono come sale nelle ferite. Fecero maledettamente male soprattutto
perché erano così…vere.
<
Penso che il problema non sia cosa sono.
Ora che quello pericoloso sono io e i
ruoli si sono invertiti, non hai più scuse, non è così? >.
Il
suo alito freddo sulla pelle del mio collo fu sufficiente per rischiarirmi per
un attimo le idee.
<
Tu.mi.hai.mentito >, la mia voce risultò spezzata in più punti. Ebbi solo la
forza di indietreggiare di qualche passo, fino a urtare contro il ripiano della
cucina, allontanandomi quando bastava da lui e dalle sue parole, che mi
annebbiavano.
Non
era possibile che mi stesse accusando in questo modo. Forse aveva ragione sul
fatto che avessi così paura di legarmi a qualcuno per non soffrire più, ma il
problema qui – era evidente – non ero solo io.
<
Tecnicamente non l’ho fatto >, si divincolò con maestria dal fulcro del
problema.
<
Sai? Possiamo pure andare avanti con tutti i “non lo so e i ma” che vuoi. Io ho tempo da vendere, onestamente
>.
<
Tu no >.
Il
colpo finale fu sferrato con abilità ed precisione tanto che dovetti portare
una mano sullo stomaco per non cedere definitivamente.
<
Rispondi solo a questa domanda: se il problema fosse quello che sono, perché mi
avresti cercato oggi? >, disse voltandosi e facendo per andarsene.
Come
poteva sostenere che il problema fossi io?
Tutto
quello che feci in seguito fu dettato principalmente dalla rabbia, dalla confusione
che avevo dentro e dal desiderio di dimostrargli quanto si sbagliasse.
Stupida,
sconsiderata e impulsiva, questa ero io. Anche in quel momento.
<
Cos- >. La domanda gli morì in gola.
Edward
si voltò istantaneamente nella mia direzione con una maschera di terrore
stampata sul viso. Mi raggiunse veloce come una scheggia, sebbene mantenesse
una certa distanza.
La
paura che avevo provato prima per il tono che aveva utilizzato non era che un
minimo accenno rispetto a quello che provavo in quel momento.
Il
sangue stava fuoriuscendo più velocemente e copioso di quanto avessi mai
immaginato. Non riuscivo a vedere quanto effettivamente il taglio che mi ero
procurata sul palmo della mano sinistra fosse lungo o profondo, tanto era il
sangue che lo ricopriva.
Mi
ero ferita molte volte a causa della mia imbranataggine e totale assenza di
equilibrio, ma non avevo mai fatto nulla di proposito, come in quel momento.
Non avevo mai effettivamente pensato al suicidio, prima di allora.
Smisi
di guardare la ferita; benché la vista del sangue non mi procurasse malessere,
sentivo come se la mia testa iniziasse a pesare.
Focalizzai
l’attenzione su Edward e mi maledii profondamente per averlo fatto.
Era
dritto di fronte a me. Le mani strette in pugni lungo il corpo.
La
prima cosa che notai fu il suo torace. Quest’ultimo non compiva i regolari
movimenti della respirazione: c’erano attimi, infatti, un cui appariva
completamente fermo, come se stesse evitando di respirare, e altri in cui si
muoveva a una velocità accelerata, come fosse in affanno.
Teneva
il capo basso, il che non mi permise di guardarlo in faccia.
Non
seppi dire con precisione se avesse più parlato, perché le uniche cose che
avvertivo erano due: il battito furioso del mio cuore e il fastidioso solletichio
del sangue che in quel momento, – lo sentivo, – gocciolava dall’estremità delle
mie dita verso il pavimento.
Quando
sollevò lo sguardo fu anche peggio. I suoi occhi erano neri come non gli avevo
mai visti.
In
cuor mio sperai che almeno fosse veloce e indolore.
Non
potei fare a meno di ripensare a ciò che mi aveva detto Emmett riguardo il
controllo e il desiderio del sangue, soprattutto se risultava per loro così attraente.
Benché
sapessi di non avere molte possibilità di scampo, continuavo a ripetermi che
tutto questo doveva avere almeno uno scopo. In fin dei conti poteva essere l’estrema
dimostrazione di quello che Edward provava per me. La dimostrazione che quello
che sentiva non fosse soltanto un’ossessione verso il mio sangue.
<
Perché > il suo risuonò come un pianto, un lamento che mi entrò dentro e mi
lacerò l’anima.
Ignorai
la sua domanda, soprattutto perché non avevo la risposta.
<
Baciami… >.
<
…O uccidimi >, riuscii nell’intento di risultare decisa nonostante non lo
fossi per niente.
In
risposta annullò la distanza che ci separava.
I
nostri corpi aderirono perfettamente ma evitai di sollevare il viso per
guardarlo nuovamente in faccia per paura di quello che avrei potuto vedere.
Avvertii
il suo respiro ancora affannoso sulla mia fronte e mi chiesi quali fossero le
sue intenzioni.
Improvvisamente
afferrò il polso della mia mano, quella ferita. Frappose il palmo insanguinato
fra noi due, in una posizione in cui non era difficile per entrambi
visualizzarne il taglio che rincorreva parallelamente la linea della vita.
Non
feci alcuna resistenza, se voleva il mio sangue lo avrebbe avuto.
Infilai
una di quelle dita in bocca, in quello che, in altro contesto, sarebbe potuto
apparire come una proposta indecente. Il sapore del sangue a contatto con la
mia lingua risultòferrigno e nauseante ma badai
ugualmente a ripulirne tutta la lunghezza, dalla base alla punta.
Quando
incontrai gli occhi di Edward, lessi disperazione e in quello stesso istante mi
sentii terribilmente in colpa per quello che gli stavo facendo.
Forse
meritavo che mi uccidesse, in fondo.
Avvertii
uno spostamento d’aria e, senza neanche rendermene conto, mi ritrovai uno
strofinaccio legato stretto al palmo della mano.
<
Sbrighiamoci >, disse con tono glaciale.
Stupida,
sconsiderata e totalmente irrazionale, è vero, ma adesso lo sapevo. Mi amava,
davvero.
---------
Lo so, lo so sono da fucilare!
Manco da un casino di tempo e poi torno con
un capitolo così. O.o
Vi capisco.
Il fatto è che in realtà doveva essere un
capitolo incentrato su Emmett e Rose ma avevo
quest’idea di un Edward incazzoso che mi girava e rigirava nel cervello e così…eccoci qua. Lo so che è difficile da immaginare –
l’Edward che conosciamo non perde mai la calma – ma perdonatemi, ogni tanto ce vò.
Precisazione: la frase “Kiss me or Kill me” (che trovate anche nel
titolo) è presa dalla serie tv “The vampire diaries”.
Il prossimo è un continuo di questo in cui
Isa conoscerà finalmente il nostro amato dottore *no,
non house* e ci sarà anche un’altra lite ma non vi
dico con chi. Poi poipoi
vi anticipo solo che nei prossimi capitoli vorrete farmi a fettine (già adesso
vorreste)!
Numero sessant’otto. Continuavo a
fissare quelle cifre stampate sul foglietto che tenevo tra le mani come se per
magia quel numero potesse cambiare per far arrivare il mio turno prima di domani.
Voltai quel quadratino di carta al contrario: numero ottantanove. Così era anche peggio. Non c’era via di scampo,
a quanto pareva.
Era assurdo che in una cittadina come
Forks ci fossero così tante persone in un'unica sala d’aspetto. Come se si fossero
tutti lì riuniti unicamente per farmi perdere la pazienza.
Oltretutto, odiavo gli ospedali. Quell’odore
di disinfettante sembrava entrarti permanentemente nelle narici, nei vestiti e
nei capelli.
Lanciai uno sguardo rapido alla mia
mano sinistra: dalla precaria fasciatura iniziava a intravedersi il colore
rosso acceso del sangue. Poi l’ennesima occhiata a Edward, seduto di fianco a
me. Dell’Edward furioso di qualche ora fa non era rimasto nulla, come se
l’avessi solo immaginato e niente più.
Sembrava – o forse, fingeva – di
essere tranquillo, apparentementenormale. L’unico dettaglio che lo
tradiva era la gamba sinistra che concitatamente muoveva su e giù. Comunque dall’esterno,
sarebbe potuto sembrare il fidanzato ansioso di una maldestra ragazzina che si
era accidentalmente ferita una mano
mentre cucinava. Nulla di ché, insomma, se non fosse che le apparenze non
rispecchiavano neanche lontanamente la realtà.
Ad ogni modo la sua ansia - reale o simulata
che fosse – iniziava ad agitarmi. Infondo non sarei morta, non per quello,
almeno.
< Aspettami qui un momento >
disse voltandosi leggermente verso di me.E quelle erano le prime parole che mi rivolgeva da quando eravamo
arrivati all’ospedale.
Annuii in risposta e l’osservai
avvicinarsi al bancone di legno lucido posto al centro della sala dove sedeva
una signora dai capelli così biondi da sembrare bianchi. Da quella distanza, e
a causa dell’incessante chiacchiericcio nella sala, non riuscii a captare nulla
di quello che le stesse chiedendo Edward. Tuttavia, riuscivo ad avere una vista
privilegiata del volto della donna che, o era improvvisamente in preda a una
strana paralisi facciale, o stava sorridendogli maliziosa mostrando tutta
l’arcata superiore della dentiera e parte delle rosee gengive. Auspicai fosse per
la paralisi ma dovetti cedere di fronte alla realtà dei fatti.
La cosa mi infastidì e preoccupò al
contempo; non tanto perché quella signora doveva avere più del doppio dell’età
di Edward - almeno apparentemente - ma
perché non potei fare a meno di chiedermi se anche per me fosse così. Se anche
io mi rincoglionissi totalmente ad ogni suo sguardo e mi sciogliessi in egual
modo al tono suadente della sua voce. Probabilmente sì. Cazzo.
Qualche altro sguardo languido e
sorriso civettuolo e Edward s’incamminò deciso per il corridoio alla sua
sinistra, sparendo dalla mia visuale.
Affondai sbuffando sul sedile che era di
una scomodità unica.
Sopra la mia testa aleggiava una
nuvola di confusione totale che vedeva come protagonista un'unica persona:
Edward. E ora che si era allontanato già, assurdamente, ne sentivo la mancanza.
Ero come un sub a chissà quante atmosfere di profondità, con assoluto bisogno
di ossigeno che però fuoriusciva ad intermittenza. Il guaio era che quando il
flusso s’interrompeva era perché lo stupido sub, cioè io, stringeva intenzionalmente
il tubicino tra due dita impedendo al vitale gas di arrivare.
“Masochista e autolesionista”… da
aggiungere alla mia lista di difetti.
Di tutto questo solo una cosa era
certa: il mio cervello non ne sarebbe uscito illeso.
In ogni caso più ci pensavo e più
finivo per farne una delle mie.
Non dovevo più pensare. Cazzo, non potevano
farlo un interruttore per quello?
Spento,
acceso, spento.
Ragionandoci però, conoscevo persone
che l’avevano perennemente ‘off’ e
non era una cosa affatto positiva. Forse l’alternativa era pensare ad altro.
Edward non era ancora ritornato così
attuai immediatamente il mio proposito focalizzando l’attenzione sulla signora
anziana seduta di fronte a me. Pareva stanca e non di una stanchezza di una o
due notti insonni. Sembrava stanca di vivere, ecco. Teneva gli occhi socchiusi
come se anche tenerli aperti le costasse fatica e la testa inclinata sospesa
leggermente da un lato. Affianco a lei un vecchietto, suo marito, le teneva la
mano tanto raggrinzita e violacea da ricordarmi una prugna secca. Un immagine
desolante, a prima vista, ma se li si guardava attentamente, tra le profonde
rughe del viso, quelle labbra sottili, quasi inesistenti, sembravano quasi sorridere,
come se dicessero: ‘quante ne abbiamo
fatte insieme’. Quel pensiero mi strappò un sorriso dolceamaro.
Le mani di Edward non sarebbero mai
diventate delle prugne secche che mi avrebbero trasmesso sostegno e calore. E le mie di mani?
Ecco che tutti gli intenti di concentrare
la mia attenzione altrove erano sfumati.
Accesi il cellulare che tenevo nella
tasca dei jeans, anche se avrei preferito di gran lunga non doverlo fare.
Sperai soltanto che mio padre non fosse stato ancora avvertito e non avesse già
provato a telefonare un centinaio di volte. I messaggi che mi arrivarono, non
appena il telefono si accese, non erano certo un buon segno. Sospirai di
sollievo nel constatare, però, che tutte le chiamate non provenivano dal numero
di mio padre; sollievo che tuttavia durò poco quando mi accorsi che arrivavano
da Newton che, con ogni probabilità, mi stava cercando per il famoso progetto
di economia domestica del quale mi ero totalmente dimenticata.
Mi sollevai in piedi con l’intento di
sgranchire un po’ le gambe.
Sotto lo sguardo vigile
dell’infermiera che precedentemente ci aveva provato con Edward, mi sporsi
proprio per il corridoio che aveva imboccato non trovandone alcuna traccia. Ma dove cavolo era finito?
Sbuffai esausta destando nuovamente
l’attenzione della bionda che questa volta mi fulminò con lo sguardo.
Anche se Edward mi aveva detto di non muovermi,
sentivo il bisogno di qualcosa da bere.
Non appena voltai l’angolo per
raggiungere la macchinetta del caffè, sentii una voce familiare alle mie
spalle.
< Ciao >, Alice mi abbracciò
calorosamente.
< Ciao, Alice >, risposi senza
troppo entusiasmo; non perché non mi facesse piacere vederla ma perché se mi avesse
chiesto cosa ci facessi lì – cosa molto probabile – avrei dovuto
inevitabilmente mentirle.
Era da quanto avevo saputo di Edward e
della sua famiglia che avevo cercato di mantenere al minimo i rapporto con le
mie amiche.
In realtà non doveva essere per me
così difficile mentire, ero sempre stata brava a fingere ma con loro non ci
riuscivo, forse perché mi conoscevano meglio di chiunque altro.
< Caffè? >, propose opportunamente
allungandomi il bicchiere fumante che teneva tra le mani.
< Proprio quello che ci voleva
>, dissi afferrandolo e il suo sguardo fu immediatamente catturato dalla
fasciatura alla mano.
< Stavo tagliando le carote… così…
>, mi giustificai prima che mi chiedesse informazioni al riguardo.
La sua espressione mi fece intendere
che se la fosse bevuta, anche perché non mi chiese altri particolari sulla
vicenda.
Insieme tornammo ai posti che precedentemente
occupavo insieme ad Edward, che non era ancora tornato.
Sorseggiai il caffè con attenzione per
non sporcarmi.
< Tu che ci fai qui? >, le
chiesi esaminando la schiuma sull’orlo della bevanda.
< Ogni tanto vengo a fare compagnia
ai bambini del reparto oncologico >.
La cosa non mi sorprese: Alice si
occupava attivamente di svariati comitati a scopi benefici e poi con un padre
come il suo che, prima di accettare la promozione, aveva lavorato in quello
stesso ospedale per diversi anni, non doveva certo avere alcun problema di
accesso. L’ospedale doveva essere una sorta di seconda casa per lei.
< Sai, molti non raggiungeranno
neppure il Natale >, dichiarò.
Ebbi una strana sensazione che si
manifestò come un blocco all’altezza della bocca dello stomaco dovuta,
probabilmente, a ciò che Alice mi aveva appena riferito. Sebbene non fossi mai
stata una buona osservatrice, sentivo come se qualcosa non quadrasse. Il tono
che aveva usato, la totale assenza di possibilità… era stano ne parlasse così.
In un reparto come oncologia chi aveva la sfortuna di entrarci sapeva che la
guarigione assoluta non era una sicurezza, ma si sentiva comunque parlare di
speranza, di fiducia e di preghiera. Tanto più che Alice era conosciuta per
essere una persona straordinariamente ottimista nei confronti della vita,
sebbene avesse lei stessa subito una perdita come quella di sua madre, neppure
conosciuta per giunta.
< Mi spiace >, si scusò, <
non volevo rattristarti >.
< No, scusami tu. Stavo solo
pensando >, mi giustificai.
< Tutto bene? >, il suo sguardo
si fece indagatore, < ti vedo strana > disse tutt’un tratto.
< Si, tutto ok >, risposi quando
in realtà avrei voluto urlarle di no.
No che non andava bene: in pochi
giorni si era capovolto totalmente il limite di tutto ciò di cui ero fermamente
convinta. Edward era un vampiro e mi amava e io non riuscivo a stargli lontana
anche adesso che sapevo la verità.
No, non andava affatto bene.
Il peggio era che, in un modo o
nell’altro, avrei dovuto metterla in guardia, prima che s’innamorasse
seriamente di Jasper. Sempre che già non l’avesse fatto.
Odiavo tutto questo. Chi ero io per
impedirle di vederlo? Nessuno, certo.
Ciò nonostante mi bastò pensare che se
fossi stata al suo posto – a ruoli invertiti – avrei voluto che qualcuno mi
avvertisse, iniziasse a darmi delucidazioni riguardo Edward.
Il problema era: come?
Non potevo dirle proprio tutto, come
avrei voluto.
Presi il foglietto di carta con il
numero del mio turno che avevo appallottolato in una tasca dei jeans e una
penna mangiucchiata dalla borsa.
DEVI STARE ATTENTA.
Scrissi con caratteri minuscoli e poco
leggibili in un angolo foglietto e gliel’ho mostrai.
Mi guardò stranita, dritta in quegli
occhi tanto grandi che riuscii a rifletterermici per qualche istante.
Ripresi il foglietto e continuai:
RIGUARDA JASPER. NON E’ ESATTAMENTE
QUELLO CHE CREDI.
La anticipai prima che potesse
chiedere spiegazioni.
In risposta scosse la testa.
In effetti non doveva avere molto
senso per lei tutto questo. E, pensandoci, anche io avrei avuto la stessa
reazione.
Ma ero pronta a prendermi tutti i
peggiori insulti e a perdere anche la sua amicizia se fosse servito.
< Ascolta, Alice >, iniziai,
< lo so che sembra assurdo… ma devi ascoltarmi >.
Ma prima che potessi continuare a
parlare studiai la sua reazione che mi lasciò allibita. La penna che stringevo
tra le mani rotolò sul pavimento.
Niente domande o insulti. Un ampio
sorriso nacque sulle sue labbra. Solo questo, ma bastò a farmi capire…
< Tu.lo.sai? >, Le chiesi a
denti stretti.
< Tu lo sapevi? >, ripetei con
un tono di voce più alto.
Il suo sorriso sparì all’istante
facendo posto ad un’espressione preoccupata.
Annuì piegando lievemente la testa in
segno affermativo. Non ebbi bisogno d’altro.
Delusione profonda, fu tutto ciò che
riuscii a sentire, come un eco tuonava nelle le mie membra improvvisamente
svuotate di qualunque altro sentimento.
Io non stavo esitando a dirle la
verità, mentre lei lo sapeva. Probabilmente non l’era passato neppure
dall’anticamera del cervello di dirmelo finché non avevo accennato di esserne
al corrente.
Non era questo forse ciò che fanno i
veri amici?
Schiusi le labbra senza emettere alcun
suono. Non c’era davvero nulla da aggiungere.
Le mie gambe si mossero pronte ad
allontanarsi il più velocemente possibile da lì, quando qualcosa mi bloccò un
braccio. La stretta che mi fermò non era energica, avrei potuto facilmente
liberarmene, ma qualcosa dentro mi disse di restare a sentire, come se sperassi che tutto ciò non fosse altro che
un malinteso.
< C’è così poca immaginazione nel
mondo. Una persona come me è praticamente sola. Se voglio vivere nel mondo dove
vivono gli altri devo fare uno sforzo speciale1 > disse come si
trattasse di una litania incolore.
Non intesi cosa volesse dire né osai
chiedere spiegazioni, semplicemente non volevo sentire più nulla, non da lei.
Così procedetti verso il corridoio ignorando i rimproveri dell’infermiera.
Ero talmente fuori di me al punto che
non seppi distinguere la figura che mi stava raggiungendo. La misi a fuoco solo
quando fu ad un passo da me.
< Hey >, Edward mi riscosse
momentaneamente dai miei pensieri. Puntai i suoi occhi di miele nei miei e
notai che aveva assunto un’espressione preoccupata.
Pian piano i suoi lineamenti duri si
sciolsero tornando quelli di sempre.
< Adesso può riceverti >, disse
con tono calmo e gentile.
Mi limitai a un cenno del capo.
< Santo Dio!>, sospirai
chiudendomi la porta bianca alle spalle come se così facendo isolassi tutti i
miei problemi al di fuori di quella stanza.
< No, mi spiace, non sono io >,
mi rispose una voce melodiosa ma non per questo meno calda.
Fu allora che visualizzai le fattezze
dell’uomo di fronte a me.
Non credevo in Dio, ma se avessi mai
dovuto identificarlo in un’immagine, avrei sicuramente fatto il nome di
quell’uomo.
Sotto il camice bianco la sua figura
mi appariva slanciata. Doveva essere, ad occhio e croce, più alto di Edward di
almeno tre o quattro centimetri. Ciò nonostante, a primo acchito, comunicava un
forte senso di protezione dovuto, probabilmente, al ruolo che ricopriva o, più
semplicemente, erano le sue mani grandi e le sue spalle possenti a darmi
quest’impressione. Impressione che venne rimarcata dall’ espressività dei suoi
occhi che comunicavano una dolcezza disarmante. Un misto di fascino, mistero e
riverenza2.
Si avvicinò con passo sicuro nella mia
direzione ma non riuscii comunque a togliergli gli occhi di dosso.
Mi accorsi di come non fosse facile
determinare a vista d’occhio quanti anni avesse, forse trentacinque, forse meno.
Indossava un maglioncino scuro – che decisamente lo invecchiava - dal quale
faceva capolino il colletto di una camicia chiara. Un altro elemento che lo
rendeva più maturo erano i capelli biondi pettinati all’indietro.
< Dottor Carlisle Cullen >,
lessi ad alta voce la targhetta appesa alla tasca del camice quando fu
abbastanza vicino e mi diedi mentalmente della stupida per non averci pensato
prima: insomma solo un essere non umano poteva apparire tanto perfetto.
< Solo Carlisle >, disse di
nuovo con quel tono, allargando le labbra sottili in un sorriso.
< Tu devi essere Isabella >, valutò
considerato che non accennavo a dare segni di vita, < accomodati pure >
disse accompagnando l’ offerta ad un gesto della mano.
< Solo Isa >, risposi.
Non aggiunsi altro, considerato che
sarebbe stato superfluo. Quell’uomo sembrava conoscermi già molto bene.
E poi c’erano i suoi occhi dai quali
cercavo di sfuggire miseramente. Nell’unico momento in cui si erano posati nei
miei, sembravano avermi letto dentro. Una sorta di radiografia dell’anima.
Raggiunsi il lettino passandogli
accanto, facendo attenzione a non sfiorarlo.
Gli porsi meccanicamente la mano
ferita che era come intorpidita.
< Fa vedere >, disse slegando la
stoffa che l’avvolgeva, ormai completamente intrisa di sangue.
Guardò per così poco tempo il taglio
che credetti di non avere nulla in realtà che
meritasse attenzione. Controllai, fissando la mia attenzione sulla mano, anche
se non aveva decisamente una bella cera, ma era sempre meglio di fissare
Carlisle. Non so, in qualche modo tutta la sua bellezza mi metteva in
soggezione.
Si spostò da un lato, rumoreggiando
con alcuni arnesi metallici.
Pensai che infondo mi fosse andata
bene: se Carlisle Cullen fosse stato un ginecologo non so come avrei reagito…
Si voltò improvvisamente, posando i
suoi occhi a raggi X nuovamente nei miei, facendomi vergognare dei miei
pensieri.
Sorrise mostrando i denti perfetti che
mi ricordarono una distesa di tasti di pianoforte, tanto erano bianchi.
Quando tornò di fronte a me, nella
mano destra stringeva un paio di lunghe pinze e un batuffolo imbevuto di
qualcosa di rosso che aveva tutta l’aria di bruciare tremendamente, una volta a
contatto con la ferita. Contrariamente a quanto previsto, quando passò il
cotone per disinfettare, non sentii nulla, fu quasi piacevole come una leggera
carezza. E commisi nuovamente lo sbaglio di guardarlo negli occhi, solo che
questa volta non distolsi subito lo sguardo, troppo rapita per farlo. Da quella
vicinanza notai come, pur avendo lo stesso colore degli occhi di Edward, i suoi
fossero differenti. Dalla pupilla si irradiavano piccole schegge ramate che man
mano si stingevano fino ad arrivare all’ambrato. Erano gli occhi più dolci che
avessi mai visto, avrei potuto perdermici.
Fu Carlisle a interrompere il
contatto, chinandosi sul taglio per continuare il suo lavoro.
< Come fa? >, la domanda mi
sfuggì dalle labbra curiose.
< Con il sangue, intendi? >, rimarcò
facendomi notare come non ci fosse nulla di male nel nominare quella parola.
< Abitudine >, rispose come se
stesse parlando di qualcosa di poco rilevante.
< Ad ogni modo >, sospirò, <
la prossima volta evita di scherzare col fuoco… >. Dietro la sua voce calda
e amichevole fu impossibile non notare la nota di rimprovero.
Non risposi ma
sperai avesse intuito ugualmente il mio rimorso.
< Di te non so se
posso fidarmi… >.
< Ma di Edward mi
fido ciecamente >
< Il suo segreto
è al sicuro >.
---------
Noioso
vero?
Intanto
mi scuso per il ritardo… ma il pc mi si è rotto, di nuovo -.-‘.
Diamo il
nostro caloroso bentornato alla Beta Barbara che è di nuovo tra noi… clap clap clap. Grazie per
essere tornata.
Un
ringraziamento speciale alla Ely che mi sopporta aiuta sempre. =) grazie
tesora.
Passando
al capitolo…
così
Alice sapeva… che ne pensate?
Carlisle
è sempre Carlisle anche se sicuramente più diffidente dell’originale.
Anticipazioni:
Nel
prossimo, se tutto va bene, vedremo l’alternarsi di tre POV. Isa, Emmett e
Jasper.
Note:
1 Citazione da “Mathilda” di
Victor Lodato
2 Frase suggerita dalla Ely.
Non so
come ringraziare la gente che ancora mi segue e commenta le mie pazzie.
I miei stravolgimenti di personalità inizio a pensare facciano
parte di me. mai sentito parlare di personalità multiple? Ecco, sono io,
anzi noi (io e le altre me).
Sì, l’istinto secondo me è un arma potentissima perché a volte
è una sorta di coraggio che altrimenti non avresti e talvolta supera anche
l’orgoglio. Ecco spiegato l’sms di Isa a Edward. Poi c’è quella sorta di
continua incertezza in lei che la fa passare da momenti di razionalità ad
altri, più frequenti, di assoluta pazzia. Momenti in cui vorrebbe
dimenticarsi tutto ad altri in cui non può fare a meno di Edward (cosa che
ho rimarcato anche in questo capitolo). Alla fine credo che l’unico sbaglio
sia quello di non cedere all’amore perché di maschere, lei che è così
istintiva e spicciola, credo non ne indossi.
La rabbia di Edward è sicuramente causata da una serie di fattori, in
primis il digiuno (come giustamente hai detto tu). [Sei una attenta
osservatrice, vedo. Infatti se ti ricordi c’è un capitolo (lesson of
Chocolate) in cui lui le lecca la ferita per fargliela rimarginare più
velocemente (anche se lei questo non lo sa) e questo dimostra che in
condizioni normali Edward non soffra la sete del suo sangue].
Poi è una rabbia causata dalla paura, paura che lei lo stia
rifiutando.
Nel prossimo vedremo se quello che le ha detto è stato per
ferirla o per farla reagire.
“la
rivelazione del divino in terra...” ahahahahhahah
Ok, mi riprendo.
Isa è una pazza ma è anche coerente, a modo suo.
Cit di Isa: amare è sofferenza.
Dunque facciamo impazzire Edward, dato che ci siamo:
tagliandomi una mano. =)
No, non la sto giustificando, affatto. Ù.ù
Devo dire che di solito sono dalla parte di Isa, ma mentre
scrivevo il capitolo scorso non lo ero. Ho preso le distanze per un attimo
per schierarmi dalla parte di Edward (in cambio di prestazioni
sessuali…ahah scherzo).
Isa
ha testato l’amore di Edward per lei, giusto!
ma
lei non dovrebbe testare il suo amore per lui? Giusto,
lo vedremo nel prossimo. Ù.ù
La scena con Jacob ci sarà è ovvio. Devo solo decidere quando
e come.
Passando a questo capitolo.
Spero che le mie cazzate micidiali abbiano abbastanza senso.
No, eh?
Passione, gelosia, amore, tristezza…
ero così stufo di sentire quel turbinedi
sentimenti contrastanti che penetrava in ogni particella del mio essere. La
sensazione, doveva essere quella di una raffica di vento gelido che mi
attraversava da parte a parte.
La serata stava
volgendo al termine ma c’era ancora qualche anima
viva nel locale. Nessuno degno della mia considerazione. Il sangue degli
alcolizzati è così… avvelenato da non sentirne la
minima tentazione. Acido.
Non sprecherei di
certo decenni di assoluta sobrietà per uno di quei volgari umani.
E ancora non mi
capacitavo di come Edward poteva essersi nutrito di quel sangue per anni. Che
coraggio!
< Ragazzo >,
il barista richiamò la mia attenzione con la sua voce fastidiosa. Una mosca che
batteva ripetutamente su un vetro sarebbe risultata meno seccante.
< Non sei troppo
giovane per quello? >, domandò con arroganza indicando il mio drink.
< Non, credo
>, mi limitai a rispondergli minaccioso quanto bastava per togliermelo di
torno.
Odiavo stare in quel
posto ma per lo meno era sicuro. Se avessi potuto scegliere avrei preferito
senz’altro il bosco ma, purtroppo, sulla caccia c’erano delle regole da seguire,
se non volevamo sterminare la fauna del posto.
E comunque non mi
lamentavo. Tutto fuorché stare a casa. Lì si respirava troppo nervosismo per i
miei gusti.
Che poi tanto lo
sapevamo tutti come andava a finire in quei casi: accumula accumula e poi
finiva che scoppiavo e la colpa di chi altro era se non mia?
Come se non avessi già abbastanza problemi…
Edward era quello che
mi dava più da fare ed era, difatti, la persona che cercavo di mantenere più
alla larga. Non solo perché era quello più inquieto, ma anche perché non sapeva
proprio farsi i cazzi suoi, era più forte di lui. Sempre con la sua mania di
entrarti nel cervello.
Io per lo meno non
lo facevo apposta, non potevo controllarlo. Ma lui sì, o meglio: aveva imparato
a gestirle, quelle voci.
E comunque potevano
anche puntarmi il dito contro e accusarmi quanto volevano ma questa volta non
l’avevo fatta io la cazzata.
Il problema era che quello
stupido aveva spiattellato ad un’umana la nostra vera natura, e noi non eravamo
preparati a gestire una simile situazione. Nessun umano ha mai saputo di noi,
d’altronde.
Il modus operandi
era sempre lo stesso: quando avevamo il sospetto che qualche umano dubitasse di
noi, levavamo le tende. Facile ed efficace se hai dalla tua parte un vampiro
che legge nel pensiero.
Nel caso specifico era
problematico fare affidamento su di lui.
Fino a che punto ci avrebbe detto la
verità qualora l’umana riferisse ad altri il nostro segreto?
Avrebbe mentito per il suo amore?
La risposta era sì.
Io lo sentivo quello che provava, anche se avrei preferito di gran lunga
tenermene alla larga. Poteva essere una cosa contagiosa quella.
Carlisle manco a dirlo si fidava ciecamente di
lui. Io no.
Ad ogni modo non era
semplice tenere sotto controllo la situazione.
Monitorare i
sentimenti della ragazza non era un buon affare. Le emozioni degli umani sono
talmente incerte e volubili, cambiano in un battito di ciglia. Da amore a odio,
non solo era possibile ma capitava più spesso di quanto si possa immaginare.
Tracannai il mio
drink dal bicchierino trasparente tutto d’un fiato.
Lo sapevo, domani
avrei vomitato anche l’anima, sempre che
ne avessi una.
Tuttavia l’alcool,
per quanto riluttante mi risultasse, era l’unico antidoto al mio potere.
Battei il bicchiere
sul bancone come ordine al barista di versarmene dell’altro.
< Brutta
giornata, eh? >, il ragazzo sorrise facendomi irritare.
La mia reticenza a
rispondergli fu interpretata come un tacito assenso tanto che, colto da improvvisa
compassione, mi lasciò direttamente la bottiglia accanto e, con mia grande
gioia, si allontanò.
Versai dell’altro
liquido chiaro nel bicchierino prima che il tizio tornasse a ronzarmi intorno e
bevvi tutto d’un fiato.
Quello schifo
funzionava davvero. I sentimenti dei presenti c’erano ancora ma erano relegati
in secondo piano a tal punto che riuscii quasi a rilassarmi. Era incredibile
come, una volta in circolo, l’alcool riuscisse a spegnere quel vortice
fastidioso di emozioni. E insieme a quello, sperai potesse estinguersi anche la
mia inquietudine.
Inquietudine alta uno-e-sessanta, per l’esattezza.
Giacché i guai non
arrivano ma da soli, avevamo da poco scoperto che Alice non era una comune
umana, come gli altri. O meglio, che non fosse comune era una cosa abbastanza chiara, almeno per me. Ma c’era
dell’altro.
Edward era un cazzone ma non era stupido.
Sondando i pensieri
di Alice si era sorpreso di quanto essi risultassero strani. Aveva da prima
supposto si trattasse di una ragazza dotata di una fervida immaginazione, ma si
era subito dovuto ricredere quando quei pensieri si erano dimostrati veri e
propri avvenimenti.
Considerato che ciò
non era né umanamente né statisticamente possibile, Carlisle
era giunto alla conclusione che Alicedovesse avere il dono della chiaroveggenza.
E la cosa, a dirla
tutta, mi spaventava.
Avevo sempre pensato
che l’esistenza non fosse altro che una serie di avvenimenti assolutamente
imprevedibili. Insomma non potevo che sentirmi come una specie di marionetta i
cui movimenti, le oscillazioni dei fili, erano già determinati, in qualche
modo.
Ecco cosa succedeva
quando il mio potere era totalmente neutralizzato: iniziavo a pensare, e anche
troppo.
Cazzo, mormorai tra me e me.
Restai immobile in
attesa che almeno una manciata di leggere emozioni di colpisse.
Il tintinnio dei
bicchieri, il battito del cuore degli umani presenti, il rombo dei motori delle
auto fuori… ma neppure un’emozione. Neanche il più
vile dei sentimenti.
Nulla, non sentivo
più nulla.
Non seppi se esserne
sollevato.
In fin dei conti
avevo convissuto con quel tormento per oltre un secolo, doveva essere naturale
sentirsi così dannatamente…leggeri.
Un sorriso mi sfuggì
dalle labbra.
Chiusi gli occhi
godendomi quella pace.
Ma neppure la
libertà momentanea dalla schiavitù del mio potere riuscì a darmi tregua.
Impossibile ignorare
quel tarlo che mi divorava dentro.
Stabilito che Alice
avesse quel potere, era possibile che anche lei fosse a conoscenza del nostro
segreto. Del mio segreto.
Ed ecco l’enorme
punto di domanda al quale, per quanto mi sforzassi, non riuscivo a dare una
risposta: perché si era comunque avvicinata a noi pur sapendo della nostra
natura?
Qualunque fosse la
risposta, di una cosa ero totalmente certo: dovevo restarle lontano.
E cosa ancor più
difficile: dovevo tenerla lontana dai miei pensieri.
Alice era qualcosa
di troppo pericoloso per me.
Alice era
semplicemente troppo per me.
Ero pronto ad
assaporare l’ennesimo sorso dal bicchiere, quando uno spostamento d’aria mi
mise in allarme.
Impossibile non
riconoscere quell’odore.
Cercai comunque di
mantenere una naturalezza che mi parve lontana anni luce dalla normalità. Con
studiata lentezza afferrai il bicchiere di fronte a me, analizzandone il
contenuto.
< Che ti porto, gioia ? >, le domandò quello
scocciatore del barista.
Mi buttai un sorso
d’alcool in bocca, lasciando correre l’appellativo con il quale l’aveva
chiamata.
< Una caipiroska alla fragola >, scampanellò lei sistemandosi
meglio sullo sgabello.
< Che ci fai qui?
>, le domandai senza alzare lo sguardo. Ma subito dopo avergliela posta mi
resi conto di quanto la domanda risultasse superflua.
Non c’era bisogno di
guardarsi intorno per capire che quello non era un ambiente per ragazze, per
Alice.
Sapeva che ero qui?
Ignorò la mia
domanda e si concentrò sui suoi capelli. Frugò velocemente tra la chioma
spettinata estraendo alcuni fermagli colorati.
Esausto appoggiai la
fronte sulle mani poste sul bancone, socchiudendo gli occhi.
Mi concentrai per
capire quali emozioni sentisse. Ma nulla.
La situazione
sfiorava l’inverosimile. Se poco prima il fatto che il mio potere fosse reso
inefficace dall’alcool mi sembrava una prospettiva a dir poco sensazionale,
adesso stava diventato quasi un incubo.
In più sentivo il
suo sguardo su di me, pesava come un macigno, tuttavia non ebbi il coraggio di
guardare se fosse realmente così. Mi sentivo maledettamente nudo e senza
protezione.
Non mi restava che
fare affidamento solo sui miei sensi sviluppati.
Il barman portò la
sua ordinazione e una ventata di vodka m’investì.
All'improvviso
avvertii un lieve spostamento che mi bloccò. Accorto trattenni il respiro.
Sentii la sua mano
indecisa sul da farsi sopra la mia testa. Scandagliai l’idea di spostarmi dalla
sua traiettoria ma il mio corpo non rispose minimamente al mio comando.
Una scarica di
elettricità mi sfiorò il collo prima ancora che Alice potesse toccarmi.
Dio quanto desideravo le sue dita tra
i miei capelli…
< è meglio che te ne vai >, asserii
con un tono che non ammetteva repliche.
Ritrasse la mano
come se si fosse appena scottata.
Fortunatamente l’ultimo
briciolo di coscienza rimasto mi condusse alla scelta giusta.
Questa è la scelta giusta, ribadii mentalmente per convincermi
che fosse così.
Strinsi gli occhi
trattenendomi dal ridurre in finissima polvere il bancone sul quale ero ancora
appoggiato, incapace di guardarla.
Perché era così dannatamente
difficile?
Lo scricchiolio
dello sgabello mi avvertii che si stava alzando.
Sollevai la testa
senza pensare che se l’avessi vista sarebbe stato ancora più difficile
guardarla andare via.
Cazzo, sibilai tra i denti.
Perché era sempre
così spaventosamente bella?
Nonostante il trucco
sbavato sotto gli occhi che la tradiva, rivelando che avesse pianto…
Nonostante quei
capelli così disordinati…
Nonostante fosse umana…
Una piccola umana speciale.
Quello che faceva
più male era il suo viso che era una maschera senza emozioni. Senza emozioni
che potessi sentire, per lo meno.
Mi sembrò di
leggerci tristezza, inizialmente.
Osservai il suo
profilo mentre sorseggiava il suo cocktail con la cannuccia, poi mi lanciò
un’ultima occhiata prima di voltarsi.
Sbaglio o aveva sorriso?
Mi sembrava di stare
giocando ad armi impari, era come leggere un libro in una lingua sconosciuta.
Senza pensare, le
mia labbra si mossero riproponendo la prima domanda che le avevo rivolto.
< Che ci facevi qui?
>.
Tirai un respiro di
sollievo quando la vidi fermarsi prima di varcare la soglia del locale.
Girò il viso di tre
quarti ma questa volta non mi sfuggì il suo sorriso.
< Sapevo di
trovarti qui >, disse piano ma la sua voce mi arrivò chiaramente. Non c’erano
possibilità che avessi capito male. Le sue labbra deliziosamente rosa lo
avevano pronunciato indistintamente eppure dentro avevo una gran voglia di
risentirle.
Ritornò indietro di
qualche passo e io, attratto come una calamita, mi avvicinai di altri due.
< Perché? >,
le chiesi con una voce che risultò come una supplica, e non mi riferivo di
certo al perché sapesse di trovarmi qui ma era un interrogativo che comprendeva
diversi ‘perché’.
Le pupille dei suoi
occhi guizzarono nelle mie e quasi mi ci persi, in quei pozzi.
< Penso che tu lo
sappia già, Whitlock
>.
Non mi domandai
neppure come facesse a sapere il mio vero cognome.
La verità mi
schiaffeggiò dritta in faccia, come se fosse sempre stata lì davanti per tutto
questo tempo.
Era tutto previsto.
Dall’inizio alla
fine. Fin da quando avevo visto sua
madre al fiume.
< E se non ti avessi fermata
stasera ?>, le chiesi debolmente non credendoci nemmeno io.
Il suo sorriso
risuonò come un milione di campanellini al vento.
< Sapevo che l’avresti
fatto >, affermò sicura guardandomi intensamente negli occhi.
Rimasi così, senza
sapere cos’altro aggiungere.
Mi fissò dubbiosa,
avvicinandosi fino ad essere ad un passo da me. Se avessi alzato un braccio
sarei riuscito a toccarla.
< Allora? >,
mi chiese esitante.
< Non lo so:
dimmelo tu >, replicai, < dovresti già saperlo quello che succede adesso
>.
Scosse la testa,
facendo oscillare alcune ciocche corvine.
Balzò di fronte a me
agilmente, annullando la distanza tra i nostri corpi. E le nostre labbra si toccarono.
---------
Dunque dunque alla fine ho postato solo un pov,
preferendo un aggiornamento veloce ad un capitolo lungo che vi avrebbe fatto
aspettare ancora.
Che dire?
Questo
capitolo potrebbe sembrarvi quasi un missing moment
dell’originale. Niente cene a lume di candela, spiaggia, o altri contesti
romantici... ho preferito lasciare come luogo del loro incontro speciale quello
della Meyer. Spero non vi dispiaccia.
Ovviamente
ringrazio la mitica, favolosa Barbara che ha corretto il capitolo.
I commenti
si sono praticamente azzerati ç__ç ma non demordo.
A presto
con il POV di Isa al rientro dall’ospedale.
sai che non avevo visto la tua recensione ed ero convinta di
averne ricevute solo 2?
Grazie,mi ha fatto davvero piacere.
Passando alla risposta alla tua recensione. Sì, bèh i miei
titoli danno spazio a diverse interpretazioni. In primis quello che dici
tu, nel senso che è come se ci fossero due Isa: una che ha accettato Edward
come uomo, l’altra che più di
non accettare lui non accetta il suo mondo. Ma ne riparliamo nel prossimo ù.ù. In secondis (XD) la mia migliorenemica era riferito ad Alice che sapeva già tutto ma non l’ha
avvertita.
Questo Pov di Jasper non è stato
difficile da partorire. Lo vedevo proprio. Piuttosto lo stile, spero tu
avrai notato che si differenzia dai pov di Isa
(almeno un po’, dimmi di sì).
Come ho già detto ho lasciato il bar come luogo di incontro
che segna la svolta tra i due perché se lo avessi ambientato in una sala di
grangalà, su una spiaggia al tramonto…non
so, non avrebbe reso l’idea.
Così adesso non ci sono dubbi sul potere di Alice.
Una cosa importante, non so se l’hai notata: l’ inefficacia
del potere come elemento ricorrente. Mi spiego: già dai primi capitoli
quando Jasper vorrebbe utilizzare il suo potere su Alice si vede travolto,
invece, dai suoi sentimenti, ancor più potenti del suo potere stesso
(cavoli che giro di parole). E in questo idem. Vorrebbe usarlo per capirla
ma non può. Giocano ad armi pari, contrariamente a quanto detto da Jasper,
perché così non c’è artifizio che tenga è tutto reale.
Insomma capitolo un po’ corto ma credo di non aver tralasciato
nulla.
E poi l’attenzione delle lettrici è andata a farsi benedire,
dunque meglio spicciarsi a concludere.
Quando uscii dallo studio del dott. Cullen mi sentii sollevata e preoccupataallo stesso tempo.
Sicuramente non era
altro che la mia immaginazione che giocava brutti scherzi, ma era come se
avessi gli occhi di tutti i presenti puntati su di me.
Occhietti curiosi e
taglienti che non aspettavano altro che rivelassi loro ciò che custodivo nello
scrigno più profondo della mia mente. O, peggio ancora, che – come era successo
per Alice Brandon - sotto quelle palpebre, che
contenevano una malcelata indifferenza, sapessero
già ciò che sarebbe stato meglio rimanesse nell’immaginario collettivo come
una marginale storia folcloristica.
Con lo stomaco
attorcigliato su se stesso, scandagliai tutti gli di occhi nella sala d’aspetto
nella speranza di trovare le gemme ambrate e familiari di Edward ad attendermi.
Mi accorsi di
essermi torturata le labbra con i denti solo quando sentii – per la seconda
volta in quel giorno – il sapore ferrigno del sangue sulla punta della lingua.
Edward se n’era
andato, lasciandomi sola.
Sentii una fitta
allo stomaco spandersi grande quanto una voragine e inglobarmi totalmente. Sarei
crollata se non avessi sentito una mano posarsi sulla mia spalla, dietro.
< Signorina >.
La voce alle mie
spalle non fu quella che speravo di sentire.
I battiti frenetici
del mio cuore si calmarono di colpo come se si fosse improvvisamente arrestato.
Quando mi voltai mi
accorsi che a richiedere la mia attenzione era quell’infermiera bionda di
prima. Cercai di non far trasparire la mia inquietudine, accennandole un
sorriso poco convinto.
Indugiò ad osservare
i solchi sotto i miei occhi per qualche istante – che rilevavano le notti
insonni fatte di incubi e di lacrime - e poi si affrettò a parlare.
< Il figlio del
dott. Cullen ha lasciato queste per te >, disse allungandomi
un mazzo di chiavi con una evidente smorfia sul volto.
Mi sporsi incredula
ad osservare più da vicino la chiave, sul cui portachiavi nero risaltava a
lettere argentee la parola ‘Volvo’
serrata all’interno del simbolo alchemico del ferro.
Le chiavi della sua
auto.
Senza ulteriori
indugi le afferrai strascicando un veloce ringraziamento, facendo per
andarmene. Ma prima che potessi farlo la bionda mi bloccò.
< Abbiamo tentato di avvertire tuo padre … >,
iniziò sospirando, < essendo tu minorenne, è la prassi >, terminò con un
espressione severa di ammonimento.
Sapevo bene a cosa
si stesse riferendo perciò mi limitai ad annuire fingendo un’aria colpevole.
Mi allontanai con un
sorriso derisorio pensando alla faccia che aveva dovuto avere quando, composto
il numero di riferimento in caso di emergenza, era stato il cellulare di Edward
a suonare.
Sorrisi anche in barba
alla mia stupidità: ero subito saltata alla conclusione che Edward mi avesse
abbandonata in ospedale quando c’erano svariati motivi che potevano averlo
spinto ad andarsene prima. Forse voleva sapessi che non avrebbe origliato la discussione tra me e suo
padre, o, più semplicemente, eravamo pur sempre in un ospedale e il che si
traduceva ovviamente in una continua tentazione per Edward.
Giocherellai con le
chiavi dentro la tasca del giubbino cercando con lo sguardo la Volvo argentata
nel parcheggio. Sollevai la cerniera al riparo dall’aria tagliente di Ottobre e
osservai estasiata il manto di foglie colorate sul terreno, piccole zattere
fluttuanti su un sottile strato di acqua.
Quando mi sedetti
all’interno dell’abitacolo, che sapeva di vaniglia e di nuovo, mi venne
l’irrefrenabile tentazione di schiacciare ripetutamente il clacson, ma non lo
feci.
Mi limitai a lambire
con la punta delle dita la pelle nera del volante, all’altezza della cucitura e
a respirarne a pieni polmoni l’odore.
Nonostante avessi la
sensazione di trovarlo lì, quando misi piede nella mia stanza, sussultai
ugualmente nel vederlo seduto sul mio letto.
Sarei mai riuscita
ad abituarmi alla sua bellezza?
Impossibile.
Ci si può abituare a
guardare il sole da vicino senza rimanerne abbagliati?
Se ne stava seduto al centro del
letto, le gambe incrociate, la schiena ricurva. Immobile.
Al contrario mio,
quando entrai non sembrò per nulla sorpreso di vedermi. Probabilmente aveva
avvertito la mia presenza ancor prima che sfrecciassi sul ghiaino del viale,
prima dell’ultima svolta in Green Boulevard.
Entrambi non
parlammo, ci limitammo a fissarci nel chiaroscuro del tardo pomeriggio che
filtrava dalla finestra della mia camera.
Avvicinandomi di
qualche passo, notai come i suoi lineamenti in quel momento apparissero più
distesi e i suoi occhi fossero decisamente più chiari nonostante
quell’immancabile ombra di gravità che gli conferiva un’aria da angelo
tormentato.
I suoi occhi ricordavano
il colore del mare al tramonto, tediato dalle increspature delle onde.
Quasi certamente si
era da poco nutrito per sopperire a quello che gli avevo fatto patire prima
piazzandogli la mia mano insanguinata sotto il naso.
La mia ipotesi fu
avvalorata anche dal fatto che si fosse cambiato i vestiti e ripulito.
Indossava una felpa scura con il logo dell’Harvard University
e un paio di blue jeans gli fasciavano le gambe.
Gli scricchiolii del
parquet sotto i miei piedi mi accompagnarono per tutto il tratto fino al bordo
del letto.
Mi distesi per
verticale, puntando gli occhi al soffitto e portando le mani al petto.
< Ti chiedo scusa
>, la sua voce penetrò il silenzio e mi giunse solleticandomi la pelle del
viso.
< …per quello che ti ho detto >, aggiunse considerato che
non accennai a rispondergli.
Ricordavo bene le
sue parole, parole che mi avevano ferita e mi avevano portata a compiere
quell’insensato gesto ma… ma quello che doveva
scusarsi tra noi due non era lui.
Sospirai e voltai la
testa da un lato, incontrando nuovamente i suoi occhi.
< Scusami tu
>, dissi piano, muovendo quasi solo le labbra e, prima che potesse addossarsi
qualche altra colpa che non aveva, mi posizionai seduta di fronte a lui,
sedendomi sulle ginocchia.
Gli sollevai il
cappuccio della felpa sulla testa e poi mi sistemai seduta tra le sue gambe.
Le sue braccia non
tardarono ad avvolgermi la vita, facendo in modo che il suo torace aderisse
alla mia schiena.
< Edward >, lo
chiamai con un debole respiro.
< Ho paura >,
ammisi più a me stessa che a lui, stringendomi di più al suo corpo.
La sua risposta non
fu immediata.
< Credo che sia normale che tu ne abbia >, rispose poi con
voce neutra, cercando di mantenere un certo distacco, ma non mancai di scorgere
all’interno di quella semplice risposta una certa amarezza.
< No >.
< Non hai capito
>, sottolineai.
Sganciò le sua mani
dal mio ventre, posizionandole sui miei fianchi e con un gesto fluido mi fece
girare su me stessa come se pesassi quanto un cuscino, o anche meno. In un
batter d’occhio mi ritrovai di fronte a lui. Così vicini da sentire il suo
respiro sulla pelle del viso.
Cercò di leggere nei
miei occhi quello che stessi per dire.
< Non ho paura di te > rimarcai a un soffio dalle sue labbra tanto
irresistibili quanto letali.
Una ruga si formò
sulla sua fronte liscia e perfetta. I suoi occhi guizzarono nei miei in cerca
di una qualche risposta. Incredulo, come se non ci fosse nient’altro al mondo
di cui avere paura, oltre che di lui.
Sorrisi sulle sue
labbra dolci.
< Ho paura di
quello che provo per te >.
Il colore che
assunsero i suoi occhi a quelle parole mi fece mancare un battito, o forse
anche due.
Si erano come accesi
di luce propria nella penombra della stanza.
Oro fuso.
Sorrise storto
mostrando una parte dei suoi denti perfetti.
< Non c’è bisogno
che tu aggiunga altro >, disse guardandomi come se avesse di fronte qualcosa
di estremamente prezioso e fragile, lambendo le mie labbra con l’indice in un
gesto intriso di infinita dolcezza e sensualità per non farmi proseguire a
parlare.
Non l’avrei fatto
comunque.
Che senso aveva
esprimersi a parole quando quel compito era già assolto dal cuore?
Sebbene sapessi che
lui poteva sentirlo quel piccolo organo impazzito, accostai maggiormente il mio
petto al suo, stringendolo in un abbraccio.
Più stretta
possibile a lui, tanto da renderci un’unica, indissolubile cosa.
Tanto da starci
male. Da non sentire più il calore e la consistenza dei vestiti, da non
avvertire altro che la pelle lacerarsi per poi rimarginarsi con la sua, dal
momento che fu come se le nostre costole si intrecciassero dando vita in
un’unica gabbia toracica.
Un cuore in due corpi.
< Ascolta >,
sussurrai sentendo come unica risposta il suo respiro che sapeva di una gioia a
stento contenuta tra le labbra.
< Lo senti come
batte? >, chiesi non aspettando nessuna risposta.
Io quel battito lo
sentivo nel petto, nelle orecchie e sulla pelle. Ovunque.
Solleticai la sua
pelle con le ciglia, sorridendo.
< Penso che possa
bastare per entrambi >.
--------
Eheh, eccomi.
Scusate
il ritardo ma è stata una settimana da brividi. (Non è che qualcuna di voi mi
ha fatto una bambolina woodo, eh?).
A lavoro
fino a tardi tutte le sere, poi faccio la pendolare (ritardi annessi e
connessi) e appena arrivo a casuccia devo anche
cucinare, fare le lavatrici ecc… (e non ci vedo più
dalla fame, vabbè ci stava ù.ù).
e la sera l’unica cosa a cui pensavo era trascinarmi a letto. spero che passi
almeno la sfiga.
Ma basta
tediarvi con i miei problemi.
Innanzitutto
ringrazio le miei due formidabili ragazze Ely e Barby per l’aiuto.
Passiamo
al capitolo: spero abbiate capito che la seconda parte ha tutta l’aria di essere
una vera e propria dichiarazione? Ecco, lo è.
Guarda
che vi ho viste dire “finalmente”. Sono ovunque.
No, no
lasciatelo dire anche a me: F I N A L M E N TE…fiuuuu ci voleva proprio ù.ù.
Il
prossimo sarà dedicato a Emmett e Rose per poi
tornare a occuparci di Isa e Edward con un capitolo che no, no ho cambiato idea, non ve lo dico. :P solo una domanda: ci
sono minori tra quelli che ancora seguono questa fic?
Su avanti alzate la manina!
Un GRAZIE
infinito va a tutte quelle persone che ancora continuano a seguirmi e anche a
recensire!
Le tue recensioni - è inutile che ci giro intorno- sono
particolareggiate, complete. In pratica ninfa vitale per me.
Mi fai capire tante cose.
Se ho tralasciato qualcosa, se il capitolo funziona o se no.
Cmq non preoccuparti prenditi tutto il tempo che vuoi, non
voglio che tu ti senta in colpa.
Non sai che piacere mi ha fatto che il capitolo ti sia piaciuto
tanto tanto. Visti gli ultimi così-così.
Come sempre hai colto tutto il senso sulle e tra le righe.
“lui
seduto in disparte ad annebbiare il suo potere (stavo per scrivere mente!
XD e forse non era tanto sbagliato, visto che non vorrebbe nemmeno pensare...)
con l'alcool. solo, rabbuiato e senza sapere come comportarsi. troppi
pensieri che nemmeno l'alcool può soffocare. una figura un po' scura, curva
su se stessa, come se i pensieri lo infiacchissero, per intenderci”
Wow, secondo me tu hai il potere di entrarmi nel cervello,
perché è proprio questo che intendevo. Brava ragazza!
Esatto, Alice vede solo le decisioni come anche nei libri.
Mi ha sempre affascinata il discorso di Alice umana, rinchiusa
in un manicomio a causa del suo dono e insomma ho cercato di immaginarla
uguale solo che nel 2010 quindi niente manicomio (e semmai potrebbe avviare
un’attività di cartomanti).
Emmett lo
vedrai nel prossimo. XD
Passando a questo capitolo, bèh non è che ci sia molto da
dire.
Diciamo che l’avevo in mente da un po’ ma avevo bisogno di
collocarlo al momento che mi sembrava più giusto.
Ti confido che una volta concluso per un paio di giorni ho
pensato a che canzone potessi mettere di sottofondo in quel pezzo… e per quanto fossero dolci, romantiche e belle
non ne ho trovata nessuna.
Sai perché? Perché anche voi avevate bisogno di silenzio
mentre leggevate per sentirlo, un po’ anche voi, quel cuore che batteva.
(Si lo so, sono andata.)
Così Isa gli ha fatto sentire
quello che prova senza bisogno di dirgli espressamente “ti amo”. Penso che
l’effetto sia lo stesso, o avresti preferito glielo dicesse?
Oltretutto non mettiamo in secondo piano una cosa importante
le scuse. Ma tanto lo avevi notato anche meglio di me ;).
La seconda, un'umana dotata di poteri soprannaturali. Come
l’originale che già da umana aveva le visioni e per questo è stata pure
rinchiusa in un manicomio.
Sono contenta che lo scorso capitolo ti sia piaciuto! Spero
che anche questo ti abbia soddisfatta
Ciao tesoro:)!
Io prima o poi ti erigerò davvero una statua. Tu commenti davvero sempre e
io non so cosa posso fare per ringraziarti almeno un po’!
Spero che questo capitolo sulla tua coppia preferita non ti abbia delusa
per prima cosa ti ringrazio per avermi fatto notare che
mancava una frase, tra l’altro importantissima!
Ti
rispondo anche per l'altro capitolo e si mi è piaciuto anche se vorrei che
si dessero una mossa, non ne posso più di stare sulle spine sperando che
almeno si diano un bacio, Alice e Jasper mica si fanno tutti sti problemi.
Gisto,
anche se ti ricordo che Isa e Edward hanno fatto mooolto
di più che un semplice bacio ;).
Comunque tra due aspettati di tutto e di più su questo punto
di vista.
Due
corpi che non erano perfetti, ma molto vicini ad esserlo.
La
ragazza allo specchio si passò una mano tra la chioma bionda, lisciando i
capelli sotto al suo tocco.
Gli
zigomi si sollevarono, un angolo delle sue labbra carnose si distese in un
sorriso.
Doveva
realmente esserci una sosia al di là del vetro perché lei, no, non avrebbe
sorriso in un momento simile.
Non
ne aveva motivo.
Successivamente,
la ragazza bionda fece scendere le dita lunghe e affusolate e,
impercettibilmente, sfiorò le punte dei suoi seni pieni.
Rimasi
ad osservarla a lungo ma lei non sembrava vergognarsene.
Il
suo sguardo rimaneva distante, imperturbabile come quello di una statua
percossa dagli inverni e dai secoli.
Poi
mi guardò dritta negli occhi, trapassandomi con quello sguardo azzurro
tempesta.
Le
sue dita si intrecciarono in grembo come fossero uno scudo, in un gesto
protettivo.
Lei sapeva.
Qualcosa
nel suo viso me ne diede la conferma. L’espressione di chi custodisce tutte le
verità.
Rimase
ad osservarmi accorta, valutandomi per un lunghissimo minuto.
Poi
i lineamenti del suo viso si rilassarono, le sue mani si sciolsero, e con una
dolcezza infinita iniziarono ad accarezzare la pelle della pancia –
lievissimamente arrotondata – con movimenti lenti e circolari.
Accarezzando quel
segreto.
La
verità era che non avevo mai pensato ad un bambino prima d’ora, non
concretamente, almeno.
La
cosa che più mi aveva sorpresa non era stato il ritardo, né tantomeno la
scoperta, ma il fatto di essere già – inaspettatamente – pronta.
Come
se per tutti questi anni l’avessi atteso come la terra arida che aspetta la
pioggia.
Chiusi
l’anta con lo specchio sospirando e mi sdraiai ancora nuda sul copriletto.
Due me.
La
ragazza dello specchio che rifletteva fedelmente le mie fattezze, la parte
superficiale e puramente estetica. La custodia di raso e pizzi che non
conteneva null’altro,che non si cibava che
delle lusinghe e degli sguardi pieni di ammirazione che ad essa venivano
rivolti. Vuota.
E
l’altra ragazza. Quella di cui sotto la pelle non scorreva solo sangue e vene.
Ma tra i suoi tessuti si snodavano sentimenti.
Quale
delle due fosse quella autentica non lo sapevo neppure io.
Per
troppo, troppo tempo avevo privilegiato unicamente la parte superficiale, tanto
da non essere poi molto sicura che, nel frattempo, l’altra non si fosse irrimediabilmente
deteriorata.
Vagai
con lo sguardo, soffermandomi sulla mensola bianco lucida sopra la scrivania,
dove una fila di Barbie sorridevano false nelle loro pose eterne.
Ognuna
all’interno della sua confezione.
Quante
volte avrei voluto aprire quel cartone e giocarci, spogliarle, tagliare loro i
capelli, o magari, staccare loro la testa. Eppure non lo facevo. E non era la
paura di trasgredire ad un ordine dei miei genitori – che probabilmente
avrebbero voluto che ci giocassi come le altre bambine - ero io che m’imponevo
di non farlo.
Non
volevo si rovinassero, perdessero la loro bellezza.
Restavo
lì, anche per ore, ad osservarle, splendide nei loro abiti perfetti.
Per
poter crescere, i serpenti cambiano tutta la loro pelle, quasi sempre in un
solo colpo. Contorcendosi e strofinandosi contro le rocce e altri oggetti
appuntiti, escono dalla loro vecchia pelle come da un vestito, mettendo a nudo
il nuovo strato formatosi al di sotto ed abbandonando il vecchio.
Avrei
mai potuto farlo? Liberarmi di quella pelle
e crescere?
Avevo
sempre pensato che amore, matrimonio e figli fosse il naturale percorso da
seguire, ma non era così, non per me, non più.
Piano
piano cadeva ogni mia più stretta convinzione svelandomila realtà.
Royce era il ragazzo più bello della
scuola, quello di cui le matricole si innamoravano a prima vista. Il classico ragazzo
bello, sexy e spiritoso, protagonista dei loro più intimi pensieri di adolescenti.
Quando
lo conobbi sapevo che quel quarterback non sarebbe rimasto solo un nome
segretamente scarabocchiato sul bordo di un quaderno di scuola. Sapevo che non
avrei mai tremato se il suo sguardo si fosse posato accidentalmente su di me e
che non sarei arrossita se mi avesse rivolto la parola, come facevano le altre.
Lo
sapevo perché io ero esattamente come lui, la copia al femminile.
Due
vincenti, almeno apparentemente.
Non
ci voleva certo un indovino per prevedere che, insieme, avremmo formato la
coppia perfetta e per questo invidiata da tutti.
Com’era
immaginabile ben presto mi aveva invitata fuori e – nonostante sapessi che la
scelta sarebbe ricaduta senza alcun dubbio su di lui – inizialmente mi ero
presa anche la briga di fare un po’ la sostenuta prima di accettare il
corteggiamento.
A
quel tempo credevo di avere di fronte la via spianata, definita, senza alcun
ostacolo. Riuscivo a vedere perfettamente dove gli altri, al contrario,
proseguivano a tentoni.
Tutto
pianificato così nei dettagli che niente avrebbe potuto andare storto.
Neppure
l’insicurezza che un giorno Royce non mi avrebbe più
voluta, perché io ero esattamente tutto ciò che lui potesse desiderare.
Insieme
avremmo terminato il liceo per poi trasferirci a Boston dove avremmo proseguito
gli studi. Io economia, lui legge – favorito dalla borsa di studio nello sport
- per poi un giorno prendere il posto di suo padre al timone della King L.
Corporation, lo studio di avvocati più stimato e rinomato dello Stato.
Inutile
dire che la mia vita si prospettava una discesa continua, senza fatica.
Bellezza, ricchezza,
prestigio.
Quello
di cui mi sbagliavo era che credevo che col tempo avrei finito per amarlo.
In
realtà io e Royce non amavamo altro che i nostri
rispettivi riflessi, nulla di più che l’incontro di due corpi vuoti. Due pietre
che anche se sfregate l’una accanto all’altra non generavano calore. Nessuna
scintilla.
E
comunque – per quanto patetico potesse risultare – a me andava bene così…
Almeno
finchè nella mia vita non era entrato Emmett Cullen.
Quella
variabile calcolata in modo errato all’interno dell’equazione che, non solo fa
saltare completamente il risultato finale, ma che compromette ogni singolo
passaggio. Ogni singola scelta.
Un
effetto domino infinito di errori.
Il mio sbaglio più
grande. Il mio sbaglio migliore.
Perché
era con Emmett che avevo conosciuto l’esistenza dell’altra me che, seppur
relegata in un angolino polveroso e oscuro, sapeva emozionarsi anche solo se
lui la guardava con quegli occhi trasognanti e così pieni d’amore, che era un
oltraggio anche solo soffermarsi a rubarne un pezzetto. Quella che si
addormentava col cellulare in mano aspettando un suo messaggio della
buonanotte. Quella che fremeva nell’attesa quando sapeva che lui la stesse
raggiungendo, anche solo per poco tempo.
Come
un lume che si consuma piangendo cera e, al mattino, dell’impetuosità del fuoco
non resta che cenere. Solo cenere.
Emmett
aveva il mio cuore, Royce il mio corpo. Dal momento
che nel mio ventre cresceva il frutto di un amore che non era amore.
Il
cuore e la ragione, come in uno dei migliori duelli, si sfidavano senza
esclusione di colpi.
Il
primo reclamava l’annullamento del fidanzamento con Royce
per vivere alla luce del sole quell’amore così intenso con Emmett, il secondo,
al contrario, sapeva che quella via non era praticabile.
Sarebbe
stato facile dare retta al cuore trascurando tutte le conseguenze, ma ero fin
troppo consapevole di quanto questa scelta implicasse il coinvolgimento di
altre persone che mai avrei voluto ferire. A partire dalla creatura che avevo
in grembo.
In
un paese come Forks sarei stata additata a vita come una
poco di buono, e mio figlio avrebbe sofferto il risultato dei miei errori. Un bastardo.
Senza
considerare che la famiglia Royce sarebbe stata
anch’essa rimasta gravemente offesa da un’azione del genere, vista la posizione
di spessore che occupavano in società.
E
la mia famiglia?
Non
riuscivo a immaginare il dolore nello sguardo grave di mio padre…
Poi
c’era quel grillo che veniva a tormentare le mie notti ma che non potevo
semplicemente scacciare con un gesto della mano: come potevo privare Royce di suo figlio?
[Emmett Cullen]
<
Avanti: Sali! > urlai dall’abitacolo della mia jeep.
Rose
continuò a camminare dritto per il marciapiede senza degnarmi della minima
attenzione mentre, con il mio fuoristrada, fiancheggiavo la banchina a passo
d’uomo.
Il
picchiettio dei suoi tacchi sull’asfalto era l’unico rumore presente nella via.
La
nuvoletta di condensa che le si formava davanti al viso era la chiara
indicazione di quanto facesse freddo lì fuori, ma lei continuava a camminare
orgogliosa e caparbia come poche, stretta nel suo cappottino di panno blu.
<
Rose, sali! Ti prego >, il tono della mia voce si addolcì ma la reazione
della ragazza non cambiò di una virgola.
<
Smettila di seguirmi >, mi intimò senza neanche voltarsi nella mia
direzione.
Erano
diversi giorni che mi stava evitando: non rispondeva ai miei messaggi e
parlarle era praticamente impossibile. Non mi guardava nemmeno negli occhi se,
per sbaglio, ci incrociavamo in un corridoio.
Lasciai
l’auto sul ciglio della strada, i fari accesi fendevano come due spade lucenti,
l’aria fredda. Se non voleva darmi retta con le buone, avrei usato le cattive
maniere.
Non
appena sentì la portiera sbattere si fermò di colpo con uno sguardo stanco
disegnato sul viso.
Era
come un cristallo prezioso sul punto di sgretolarsi in mille pezzi solo con un
soffio.
Solo
successivamente compresi che non era stanchezza quella che avevo percepito nei
suoi occhi, era uno sguardo di rinuncia.
Mi
avvicinai cauto e lei non si ritrasse.
<
Stai congelando >, disse con un tono preoccupato, che voleva essere un
rimprovero.
Quando
appoggiò le sue mani sulla pelle scoperta delle mie braccia, la vidi trasalire.
Questo pretesto bastò a farmi seguire finalmente all’interno dell’abitacolo.
<
Ma sei pazzo a uscire a maniche corte? >, urlò una volta salita a bordo.
Non
sapevo se, il suo, fosse un modo per tergiversare, ma la sua rabbia era reale.
<
Ora calmati >.
<
No, che non mi calmo >.
<
Senti >, iniziai a scaldarmi anche io, < se davvero ti importasse
qualcosa di me non mi eviteresti >.
Che
m’importava del freddo o della fame se lei non mi considerava?
La
risposta tagliente che mi aspettavo non arrivò.
In
compenso, nel silenzio, abbondanti lacrime bagnarono il suo viso.
<
Dobbiamo parlare >, disse asciugando con la punta delle dita lacrime e
mascara.
Nel
buio della sua camera solo il vento tra le fronde degli alberi disturbava il
nostro silenzio caricodi sofferenza.
Il
vento e due cuori che battevano. Uno più debole di un bocciolo che deve ancora sbocciare.
L’abbracciai
passandole una mano sul ventre. Si lasciò accarezzare la pelle liscia sotto
quella canottiera bianca che sapeva di lavanda.
Le
posai un bacio sulla spalla scoperta, lì dove la stoffa non la copriva.
<
Andrà tutto bene >, le dissi con la voce che tremava e il cuore che
sanguinava, rompendo per un attimo quel silenzio.
Non
sarebbe andata bene.
Sapevo
cosa avrebbe significato questo per me, per lei. Per noi.
Infondo
l’avevo sempre saputo.
Avrei
liberato le sue ali di farfalla…
-------
L’utente non è momentaneamente reperibile.
Lasciate un messaggio dopo il segnale acustico.
Biiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiip
Heilà ragazze, vi parlo direttamente dal mio rifugio
antiatomico!
Come state?
Il capitolo non è altro che frutto della vostra
immaginazione.
No, scherzo sono pronta a ricevere i vostri insulti
con dignità. Ù.ù
Lasciatemi almeno ringraziare la mia beta Barby (grazie davvero di tutto) e la mia Ely per il supporto.
Passando al capitolo vi posso dire che è stato davvero
difficile da scrivere:
1.Non avevo mai
scritto un Pov Rose in vita mia
2.Perché è la
prima volta che prendo totalmente le distanze da un mio personaggio.
Comunque tenete presente che non tutto è ancora perso… non dico altro ù.ù
Messaggio di servizio
Come avevo anticipato il prossimo capitolo vedrà come
protagonisti i nostri Isa e Edward.
Vista la presenza di minori ho due scelte di fronte:
1.Scrivere un
capitolo che possa accordarsi ad un rating arancio (entrando meno nei
dettagli).
2.Scrivere 2
capitoli. Avete capito bene. Uno che posterò all’interno della fic (normalmente), l’altro – a rating rosso – verrà postato
all’interno di una nuova fic (“hot vampires”) e comunque vi sarà fornito un link diretto.
Al momento sarei più propensa a scegliere la seconda
opzione anche perché potrebbe tornarmi utile più avanti MA non vi garantisco
nulla finché non avrò preso una decisione definitiva. Ovviamente i consigli
sono ben accetti.
Un GRAZIE infinito va a tutte quelle persone che
ancora continuano a seguirmi e anche a recensire! Sono felicissima che i
commenti siano nuovamente aumentati.*-*
Ho già risposto con la nuova funzione a tutte voi.
Nel
caso avessi inavvertitamente dimenticato qualcuna fatemelo notare, provvederò
immediatamente.
Mi scuso IMMENSAMENTE per il
TREMENDO ritardo ma questa volta sono in parte scusata perché ho avuto
l’appendicite (lettrici: non sei scusata ugualmente. Io: -.-‘)…
Poi la Beta Barbara ha il pc fuori uso L! A tal proposito ringrazio,
come sempre la mitica Ely la guest
star Dany per l’aiuto all’editing, con le quali
abbiamo rischiato di imbatterci in un assassino… -.-‘
Comunque adesso sono tornata con un capitolo lungo lungo (ben 13 pagine word).
Come vi avevo promesso ho aperto la nuova fic “Vampires hot”.
potete leggere la versione a Rating Rosso dello
stesso capitolo.
Mi sembra giusto precisare che il capitolo varia
davvero in pochissime parti e per chi desidera non scendere troppo nei
particolari, anche se maggiorenne, può benissimo leggere questo a Rating
Arancione.
Avremmo
dovuto essere seduti sul divano a guardare la videocassetta di Romeo e
Giulietta per il compito di letteratura del giorno seguente.
E tecnicamente eravamo su quel divano…
solo non seduti.
E effettivamente sullo schermo si
alternavano le immagini del film in questione…
E quella che avrebbe dovuto essere una
noiosa tortura si stava rivelando sì una tortura, ma una tortura estremamente
piacevole.
Edward mi sovrastava, attento a non
pesare sul mio corpo. Da quella posizione scorgevo le vene delle braccia in
tensione e, la cosa, neanche a dirlo, mi eccitava più del dovuto.
< Sarebbe il caso che seguissi il
film >.
Non mi sfuggì il singolare ma non ebbi
il tempo di controbattere perché, nel frattempo, con un movimento tanto veloce
da non rendermene conto, aveva fatto scendere le sue mani sotto il mio sedere,
sollevandomi all’altezza del suo bacino.
< Non vorrei essere il responsabile
del tuo brutto voto di domani >, disse mentre, con esasperante lentezza,
strusciava la sua eccitazione contro il mio bacino.
Diavolo
tentatore…
Era come proporre ad una persona
estremamente golosa di iniziare la dieta presentandole sotto il naso un bel
pezzo di torta sacher con la panna.
< La conosco…la storia >,
riuscii ad articolare con evidente difficoltà attirandolo nuovamente verso di
me.
Sorrisi sapendo che, a dispetto della
sue remore, il movimento non sarebbe stato possibile se lui non lo avesse
assecondato.
La cascata ambrata dei suoi capelli mi
solleticava il viso mentre con la lingua disegnava il profilo del mio collo
lentamente.
< Gattina… >, il suo sussurro
lambì il lobo del mio orecchio e, nonostante non potessi vedere la sua
espressione da quella posizione, avrei giurato stesse sorridendo.
Mi accorsi solo all’ora che
quell’appellativo non era stato utilizzato a caso e che, preda dell’
eccitamento, stavo stringendo sotto le mie unghie il tessuto leggero della sua camicia.
In risposta, senza alcun imbarazzo, mi
aggrappai con più forza alla stoffa nel misero tentativo di strappare quello
che oramai non era che un inutile ostacolo.
< Se vuoi posso farti un ripasso?
>, propose muovendosi sopra di me, facendomi impazzire.
Chiuse gli occhi per un momento e
quando li riaprì la sua espressione era diventata improvvisamente seria. Le sue
dita delicate si chiusero a coppa sul mio viso.
<Oh! qui io fisserò il mio sempiterno riposo, e scoterò, da questa
carne stanca del mondo, il giogo delle avverse stelle >, recitò
contemporaneamente alla voce dell’attore che personificava Romeo, che giungeva
dalla tv ancora accesa.
< Occhi, guardatela un'ultima volta
>.
Lambì le mie labbra con il pollice
della sua mano.
< Braccia, prendete il vostro
ultimo abbraccio >.
Le nocche fredde mi solleticarono il
viso in una carezza che scese fin da subito sul mio collo, sulle spalle e sulla
scollatura del mio seno, bloccandomi a metà un respiro.
< E voi, labbra >, indugiò per
qualche secondo osservando le mie labbra ad un soffio dalle sue, < voi che
siete la porta del respiro, suggellate, con un leale bacio un contratto
indefinito con la morte che tutto rapisce!>.
Mi baciò con così tanta passione e
tormento che per un attimo mi parve di essere davvero Giulietta, creduta morta
tra le sue braccia.
Lo smarrimento durò solo per pochi
istanti perché subito ripresi coscienza delle sue labbra sulle mie e giocai con
la sua lingua godendo dei suoi respiri.
Qualche minuto dopo mi ritrovai ad
stringere l’aria attorno a me.
Ci misi qualche secondo per capire che
Edward si fosse materializzato sulla poltrona di fronte alla tv, perfettamente
pettinato, i bottoni della camicia - che faticosamente ero riuscita a
sbottonare -allacciati, diritto e con espressione rilassata in volto. Doveva
essersi mosso tanto velocemente da non aver sentito neanche lo spostamento
d’aria.
< Ma… >, iniziai, ma la domanda
mi morì in gola quando sentii delle chiavi muoversi nella toppa di casa.
Mi sollevai immediatamente a sedere,
cercando di sistemarmi alla meglio i capelli scarmigliati in una coda alta e di
abbottonare la camicetta (anche se l’impresa si rivelò ardua visto che le mani
mi tremavano per la fretta).
Edward nel frattempo mi osservava serio,
ma lo conoscevo abbastanza bene per affermare che stesse cercando di trattenere
con tutte le sue forze una risata.
Gli scoccai un’occhiataccia.
A quanto sapessi Charlie oggi aveva il
turno serale che partiva dalle sei di pomeriggio ma evidentemente i suoi piani
erano saltati. Ed ora anche i miei…
Sentii la porta chiudersi e, anche se
non potevo vederlo attraverso il muro dell’entrata, immaginai esattamente ogni
singolo movimento di Charlie, risultato della sua routine quotidiana.
Mi sorprese invece, poiché, prima di
spogliarsi della giacca della divisa e di abbandonare la pistola d’ordinanza,
avanzò di qualche passo comparendo sotto la mia visuale.
Alzai perplessa un sopracciglio quando
lo vidi scrutare, con sguardo indagatore, le scale che conducevano al piano
superiore.
< Papà >, lo chiamai indossando
la maschera dell’ingenuità.
Si drizzò subito e cercò di non dare
il sospetto di essersi spaventato.
< Sono qui >.
< Siamo qui >, mi corressi anche se oramai Charlie aveva già fatto
il suo ingresso in salotto tenendo sotto tiro con lo sguardo Edward.
< Buonasera >, Edward sollevò
una mano in segno di saluto e sorrise garbatamente con una grazia che rivelò
un’educazione d’altri tempi.
Charlie ricambiò farfugliando un
frettoloso ‘ciao’.
I suoi occhi guizzarono da Edward a
me, da me a Edward.
< Stavamo guardando un film per il
compito di letteratura di domani >, risposi alla sua muta domanda indicando
lo schermo in cui due spadaccini - Mercuzio e Tebaldo -stavano
duellando.
In realtà – a quanto ricordassi - il
film doveva essere terminato con la morte dei due amanti, ma evidentemente qualcuno aveva trovato anche il tempo
per riavvolgere una parte di nastro.
Anche se sapevo si stesse domandando
come mai stessi studiando, dall’espressione del viso, Charlie sembrò bersela.
Si lisciò i baffi con una mano e sparì in cucina bofonchiando qualcosa sui
nuovi metodi d’insegnamento.
< Tu lo sapevi! >, brontolai.
Lanciai un cuscino a Edward ma lui non
si scompose, lo afferrò velocemente per un angolo, lo spolverò con una mano e
se lo ficcò sotto la testa soddisfatto.
Sapendo che Charlie ci teneva
sott’osservazione dalla cucina, ci concentrammo sul film.
Edward si concentrò sul film, perché
io rimasi per quasi tutto il tempo a osservare il suo profilo nella penombra.
Di tanto in tanto mi spiegava – senza
che glielo domandassi – alcuni passaggi a voce abbastanza alta perché Charlie
potesse udirlo.
Mi mangiucchiai tutta la pellicina
delle unghia dal nervoso.
Quando poco dopo Charlie apparve
nuovamente in soggiorno, per un istante temetti si autoinvitasse a restare,
finché non notai che non si era ancora spogliato della divisa.
Con un colpetto di tosse si schiarì la
gola e lanciò un’occhiata allo schermo.
< Sto uscendo >, ci informò
continuando a guardare la tv.
Seppur non mi stesse osservando,
cercai di mantenere in viso un’espressione che denotasse la mia più completa
indifferenza a riguardo.
Poi si voltò verso Edward e continuò:
< ma tornerò presto, molto presto >.
< Sono Swan,
Charlie Swan >, gli feci il verso una volta
sentita la porta di casa chiudersi.
Edward rise e con attenzione risvoltò
le maniche della camicia fino ai gomiti, scoprendosi le braccia.
Se io ero irritata, nervosa e
insoddisfatta dall’interruzione, lui pareva sereno, ad eccezione di quel
sorriso irriverente che faceva supporre avesse qualcosa in mente.
Prima che potessi rendermene conto, me
lo ritrovai di fianco. Sussultai impercettibilmente non ancora abituata alla
sua velocità.
Quando gli sfiorai la mano, scoprii
che la sua pelle aveva abbandonato quell’accogliente tepore generato dalla mia
vicinanza, tornando fredda. La strinsi tra le mie donandogli un po’ del mio
calore.
Il suo sorriso s’illuminò
maggiormente, se possibile.
< Mentiva >, disse ad un tratto.
< Non sarà di ritorno prima di
domattina >, m’informò, riferendosi a Charlie.
< Dunque quella cosa della mente
funziona davvero? >, domandai incrociando una gamba sotto l’altra,
interessata.
< Già >.
Le sue labbra si arricciarono in un
dolcissimo broncio, < Peccato che l’unica mente di cui vorrei conoscere i
pensieri mi è relegata… >.
< A penny for your thoughts1>, mi
sussurrò in un orecchio.
Scossi la testa, < è molto meglio
che tu non li conosca, credimi >.
< Sì >, convenne infine, <
questo in effetti rende le cose più…
interessanti >. Ancora una volta il suo sorriso sghembo mi suggerii che avesse
qualcosa in mente.
< Anche se non ti nascondo che per
me non è difficile intuirli ugualmente… >, strofinò la punta del naso sul
mio collo.
Un respiro mi morii in gola, immaginando
dove volesse arrivare a parare.
< Ogni movimento, sospiro o anche
solo battito di ciglia ti tradisce… è inevitabile
>.
< Avverto il battito del tuo cuore
accelerare se faccio così… >, solleticò la pelle all’altezza delle
clavicole, tracciandone i profili marcati, delicato, come se stesse tessendo
invisibili filamenti di seta.
< E se… >, lasciò in sospeso la
frase e si chinò per baciare la pelle nello stesso punto.
Benché le sue labbra fossero fredde,
sentivo che ogni bacio era un marchio a fuoco sulla pelle.
<… il tuo respiro diventa
impercettibilmente irregolare e la tua pelle non riesce a celarmi i brividi dai
quali è percorsa… >.
< Stai giocando sporco >. Cercai
di dare alla mia voce un’impronta decisa, ma in realtà non volevo che smettesse
per nulla al mondo.
Mi sfidò con lo sguardo e,
all’improvviso, fece saltare i primi due bottoni della mia camicetta con un
gesto rapido e aggraziato allo stesso tempo.
Raggiunse subito il mio seno,
massaggiandolo delicatamente.
Socchiuse poi gli occhi come per
deliziarsi si una fantastica sinfonia.
< Mmm…
Questa è decisamente quella che preferisco procurarti… >, affermò
riferendosi alla naturale reazione del mio corpo al suo gesto.
Lo sguardo che mi riserbò allora mi
trafisse, lasciandomi senza fiato.
Ogni sua espressione, o movimento, o
parola. Era come se facesse l’amore con tutto ciò che lo circondasse.
I suoi occhi erano miele sciolto,
velati di un barlume di mistero e di un qualcos’altro che non avrei saputo
descrivere.
Era qualcosa di più del semplice
desiderio del mio corpo.
Era
un implicito invito al Proibito.
Al Peccato nella sua forma che più
preferivo.
Socchiusi gli occhi, spiandolo al di
sotto delle mie ciglia lunghe, incapace di chiuderli del tutto per non
rinunciare a quel piccolo miracolo
demoniaco che mi soprastava.
Quell’invito aspettava una risposta.
Le mie dita s’infilarono tra i suoi
capelli morbidi e invitanti, spingendolo verso di me.
Quando le nostre bocche si
incontrarono, gli consegnai la chiave per accedere oltre. Per attraversare
quella soglia che conduceva alla più totale perdizione. Lasciandomi guidare completamente
lì dove lui vedeva anche nell’oscurità.
Il baciò si approfondì fin da subito.
Gli affondi divennero sempre più profondi ed espliciti.
Le nostre lingue si contorsero
fameliche.
Ci baciammo con un’intensità tale che
sembrò che le nostre anime, oltre i nostri corpi, si fondessero.
< Io ti voglio. Ti voglio più di
qualsiasi altra cosa al mondo >, bisbigliò sulle mie labbra.
< D’accordo >, disse infine.
< Assaggerò questa roba, ma ad una condizione… >.
< Sarebbe?>.
< Che debba assaggiarla sopra di te
>.
Il patto non avrebbe potuto essere più
vantaggioso. Così accettai senza pensarci due volte.
< Spogliati >, ordinò.
< Spogliati… o lo farò io >.
Lo fissai inebetita per qualche
secondo.
< Vuoi che assaggi, o no? >,
chiese spazientito.
Slacciai i jeans e gli lasciai
scivolare sulle gambe. Sbottonai poi la camicetta rimanendo in intimo sotto il
suo sguardo che penetrava ogni cellula del mio corpo.
Mi sembrò, per un istante, vederlo
passarsi la lingua sulle labbra ma il movimento fu così rapido da non poterne
essere così sicura.
Ciò che invece notai senza alcun
dubbio furono i suoi occhi, scuriti dalla passione. Due pozzi così neri che
avrei potuto precipitarci in eterno, senza mai toccarne il fondo.
Quando poi sorrise vidi i due canini –
appunti e letali – che sembravano essere più aguzzi, pronti ad mordere la sua
prossima preda.
Avrei dovuto aver paura, forse.
Tremare, almeno.
Ma tutto ciò che riuscii ad avvertire
fu un certo languore nel basso ventre che chiedeva solo di essere soddisfatto.
Perversa.
< Sdraiati >, ordinò indicando
il tavolo della cucina.
< Non mi piace mangiare in piedi
>, disse con un sorrisino irriverente.
Il contatto con il legno freddo del
tavolo non fu la sola origine dei brividi che mi percorsero.
< Che ne dici? >, sorrise
rigirandosi tra le dita qualcosa, < Iniziamo dal piccante? >.
Notai allora che ciò che maneggiava
tra le dita come un prestigiatore esperto, era proprio un peperoncino.
Rosso.
Piccante. Lucido.
< Dicono che abbia grandi capacità afrodisiache… >, fece scorrere la punta della spezia tra
il mio petto fino all’ombelico, sul quale indugiò.
Come
se ce ne fosse bisogno… pensai
< Gli aztechi lo usavano anche
nella cioccolata prima delle grandi battaglie o… >, sorrise diabolico, <
…prima di grandi prestazioni >.
Con le dita fece scivolare le spalline
del reggiseno sulle spalle. La sua lingua prese il loro posto, scorrendo sulla
mia pelle nuda.Poi – senza slacciarlo -
trascinò verso di sé l’indumento, scoprendo i miei seni sodi.
Inarcai la schiena perché lui potesse
baciarli. E così fece.
Fece poi rotolare il reggiseno sui
miei fianchi e me lo sfilò con una lentezza esasperante dalle gambe.
Mi
portò alle labbra il peperoncino che leccai con fare provocatorio. Mi osservò
come se stessi leccando lui.
Poi lo morse e l’avvicinò le sue
labbra alle mie.
Subito avvertii il sapore piccante
nella bocca, lenito solamente dalla freschezza della sua lingua.
Sentivo le labbra bruciare e il cuore
battermi in petto come mai prima d’allora, ma continuai a baciarlo.
Sbottonai la sua camicia e non ci
staccammo nemmeno quando gliela sfilai. Questa si arrestò ai polsi - dove trovò
l’impedimento dei bottoni dei polsini - bloccandogli le mani dietro la schiena.
Un
dio incatenato.
Ed ora era lui ad essere in mio
potere.
I suoi addominali, costretti in quella
posizione, risultavano più marcati, così come i muscoli delle braccia.
Seguii con le dita le linee definite dei
suoi addominali fino ad arrivare a quella striscia sottile di peluria ambrata
che, dall’ombelico portava fino al suo pube.
L’oggetto
del desiderio.
Infilai una mano nei jeans trovandovi
immediatamente la sua eccitazione che premeva contro la stoffa.
Percorsi tutta la sua lunghezza
stupendomi di quanto mi desiderasse.
Soffocò un ringhio tra i denti, sentii
i bottoni dei polsini saltare in aria e vidi la camicia cadere sul pavimento.
Mi bloccò la mano con la sua,
lanciandomi un’occhiata d’ ammonimento.
Non era ancora il momento.
Ormai potevo sentire la voglia che
avevo di lui pulsare tra le mie gambe. Sembrò percepirlo, perché, subito, mi
liberò anche dell’ultimo indumento rimasto.
Osservò il mio corpo nudo come se
volesse imprimere nella sua testa ogni centimetro, ogni curva. Con venerazione.
Mi aveva già avuta una volta e aveva
già visto il mio corpo senza veli ma era come quella fosse la prima volta. Con
Edward era così. Il modo in cui mi guardava o sfiorava ne erano un chiaro
indicatore.
Era fin troppo semplice dare la colpa
al peperoncino, ma la verità era che non stavo avvampando solo a causa di
quello.
Prima che potessi dire o fare
qualsiasi cosa, sentii sulla pelle dell’addome qualcosa di fresco dall’odore
inconfondibile.
Adoravo il gusto agro del limone, se
accompagnato con dell’ottima tequila.
Mi domandai se Edward non sapesse già
esattamente i vari sapori del cibo umano e che non stesse utilizzando di
proposito quelli con i gusti più estremi…
Non potei fare a meno di stringere gli
occhi e di lacrimare quando sentii il succo acre del limone sulla lingua. Ciò
nonostante mi imposi di riaprirli nel momento in cui sentii che Edward si era
unito all’assaggio direttamente sulle mie labbra.
Disse qualcosa in francese che non
riuscii a comprendere ma che, dal modo in cui l’aveva pronunciata, aveva tutta
l’aria di essere un’imprecazione.
Mi ritrovai seduta sul ripiano della
cucina senza sapere come esserci arrivata. Le gambe leggermente divaricate
senza alcun pudore ed Edward di fronte a me che mi reggeva per i polsi. Mi
liberai dalla stretta e, con l’aiuto delle gambe, feci aderire il suo corpo al
mio.
Alzai un indice e lo inchiodai con lo
sguardo per bloccare quel tentativo di replica che, immaginavo, stesse per
fuoriuscire dalla sua bocca.
Scivolai tra il suo corpo e il mobile
fino ad toccare il pavimento con la punta dei piedi.
< Stai attenta a quel che fai…>, disse con un tono che mi suggerì di fare
esattamente il contrario.
Scesi fino al suo bacino e, con forza,
slacciai il primo bottone dei jeans.
L’intenzione principale era quella di
tenerlo sulle spine, esattamente come lui stava facendo con me, ma l’eccitazione
era troppa e mi stava letteralmente divorando, per lasciarmi andare a questi giochini. Così al primo bottone, seguirono immediatamente
gli altri tre.
Portai entrambe le mani al bordo dei
jeans e, con un solo movimento, lo liberai anche dei boxer.
Dal basso spiai il suo viso, quando sentii
che si era piegato e aveva posato le mani, strette in pugni, sul ripiano. Mi
compiacqui di vederlo completamente rapito dal movimento che prese ad
accompagnare con il suo stesso corpo, lentamente.
Ansante. Sotto le lunghe ciglia, i
suoi occhi erano socchiusi un’ espressione tra il sofferto e il più totale
trasporto.
Mi rammaricai pensando che - data la
mia umanità - mi stessi perdendo le mille e più sfaccettature del suo viso
mentre lui potesse compiacersi delle mie.
Provavo un piacere profondo nel
procurargli piacere.
Il
suono gutturale che eruppe dalle sue labbra mi persuase ad aumentare il ritmo.
Quando ormai non doveva mancare molto,
mi arrestai, impedendogli di raggiungere l’apice. Sapevo che più avrei ritardato
quel momento, e più gli sarebbe risultato piacevole, dopo. Il secondo motivo,
per nulla trascurabile e più vicino ad un mio beneficio, era che in quel modo
avevo acceso in lui qualcosa di più intenso e devastante di un incendio che,
immaginai, avrebbe voluto estinguere subito, anziché alimentare.
Indugiò appoggiato al ripiano, il suo
corpo flesso in avanti, i capelli che ricadevano sulla fronte e la testa bassa.
Respirava profondamente, imponendosi di calmarsi.
Mentalmente, s’intende, poiché il suo
corpo era tutt’altro che disteso.
Purtroppo avevo sottovalutato il
livello della sua sopportazione…
Avevo ancora il suo sapore sulle
labbra quando mi si addossò, facendomi aderire con la schiena contro il mobile.
Mi s’inginocchiò di fronte.
< Sei stata cattiva con me >,
disse con un sorriso, piegando la testa da un lato.
Ghermì la mia coscia piena e se la
portò su una spalla.
Seppi che non ci avrei messo molto a
raggiungere l’orgasmo.
Sembrava conoscere esattamente tutti i
movimenti che più mi procuravano piacere.
Strinsi i suoi capelli in due pugni,
cercando un appiglio, e inarcai la schiena, gettando la testa all’indietro,
mentre l’ondata di piacere m’investiva e mi percuoteva.
Rimase in quel punto anche dopo che
ebbi lasciato la presa dai suoi capelli e il mio corpo si fu rilassato.
Brontolai debolmente ma Edward fece
finta di non sentirmi.
Solo quando iniziai a cospargergli i
capelli di farina – che avevo abilmente prelevato dal mobile del quale oramai,
avevo gli ornamenti impresse in bassorilievo sul sedere – decise di scostarsi.
Si rialzò senza alcuna fretta,
trascurando le mie risate.
Mi fece sdraiare nuovamente su quello
che era diventato il nostro letto,
lasciandomi il tempo necessario per riprendermi.
Mi rilassai intrecciando le gambe e
l’osservai perlustrare ad una ad una le ante della cucina, in cerca di
qualcos’altro da assaggiare.
La posizione mi offriva un panorama di
tutto rispetto che non ci mise molto a farmi riprendere le forze.
< Oh la là, chéri
>, affermò una volta essersi voltato nella mia direzione ed essersi così
accorto che avevo abbandonato la posizione precedente, optando per un’altra
molto più esplicita che davvero non lasciava molto all’immaginazione.
Prese posto di fronte a me, sulla
sedia.
Era incredibile che, nonostante la
situazione e il fatto di essere entrambi completamente svestiti, ogni gesto
avesse una valenza così naturale, priva di imbarazzo.
Tra noi non c’erano barriere. Era come
essere sospesi in una realtà parallela dove tutto era concesso.
Sistemò davanti a sé un vasetto di
vetro che riconobbi essere quello contenente il burro di arachidi.
Ne prelevò una noce con un cucchiaino
e, dopo averlo osservato a lungo, lo portò alle labbra.
L’espressione che seguì fu buffissima.
Gonfiò le guance e ridusse gli occhi in due fessure.
< Fa schifo >, farfugliò con il
cucchiaino tra le labbra.
< Peggio del limone? >, domandai
alzando un sopracciglio.
< No, quello è anche peggio >,
rispose serio.
Risi.
< Senti, se non ti piace, perché
continui a tenere in bocca il cucchiaino? >.
< Mmm
>, ci pensò, < credo che questa dannata cosa crei dipendenza >, ne
riempì un altro po’ e lo rimise in bocca.
< E io? >.
Scosse la testa.
< A te spetta il dolce… >,
disse con tono promettente.
Quello che seguì fu un completo
putiferio con la farina, tanto che la mia pelle si presentava ancora più
pallida di quella di Edward.
Era divertente vedere le impronte
delle sue mani infarinate sulla mia carne. In realtà davvero poche erano le
zone trascurate dalle sue attenzioni…
Non avrei mai pensato di avere così
tante zone erogene nei posti che mai avrei considerato …
< Vuole qualcos’altro, marmoiselle? >, disse appoggiato a un gomito.
Annuì curiosa di scoprire cos’altro
avesse in mente.
< Voltati >, ordinò con voce maledettamente roca.
Sentii qualcosa di caldo e
denso nell’ incavo tra la schiena e il sedere.
Quando quella conca fu
piena, la crema iniziò a straripare calda ed avvolgente sui fianchi e sul
coccige.
< Dulce de leche3 >,
mi sussurrò ad un orecchio, scostandomi un ciuffo ribelle.
Percorse con le dita tutta la mia
schiena e si intrattenne a osservare l’effetto del suo tocco sulla mia pelle.
La mia sopportazione fu messa a dura
prova quando, con studiata lentezza, mi ripulì con la sua lingua, attento a non
trascurarne alcuna zona.
< Edward, ti prego >, gemetti.
Le mie suppliche furono presto
accolte.
Lo sentii gradualmente sdraiarsi su di
me.
Schiuse le mani sui miei seni.
Mi baciò con dolcezza la schiena. Quel
bacio mi fece venire i brividi a fior di pelle.
Edward sapeva amarmi in ogni modo
possibile.
Con dolcezza e tenerezza e con forza e
passione.
Ero come un’isola nel bel mezzo del
Pacifico. Accarezzata dalle onde e dal dolce tormentodalle
tempeste.
Ed era così che volevo essere amata.
Con totalità.
Inaspettatamente invertì le posizioni,
ritrovandomi in quel momento sdraiata supina sul suo corpo.
Subito ne approfittai per stuzzicarlo,
muovendomi su di lui.
Capii che anche la sua tolleranza era
al limite quando cercò di trattenere un gemito.
Mi ritrovai sdraiata sul tavolo.
Edward mi si piazzò in piedi di
fronte.
Potevo scorgere nei suoi occhi quella
scintilla di desiderio che ormai lo stava consumando.
Oramai entrambe a limite della
sopportazione, ci lasciammo andare senza freni.
Edward era uno spettacolo, più di
quanto non lo fosse generalmente.
Le sue mani mi fasciarono con vigore i
fianchi e condusse le spinte.
Mi sollevai col busto e ancorai le
mani attorno al suo collo, lasciandomi totalmente trasportare.
Le nostre lingue si toccavano fugaci,
tra un ansimo e un altro.
Le sue dita dai fianchi risalirono il
mio corpo fino al viso dove le infilò dentro i capelli, sollevando la chioma
dalla nuca in una sorta di coda improvvisata.
Affondai le unghia sulla pelle della
sua schiena, salvo poi notare di come mi si fossero tutte irreparabilmente
spezzate.
Raggiunsi per prima l’apice del
piacere.
Edward socchiuse gli occhi e si
abbandonò completamente alle ultime, decisive, spinte,lasciandomi
intendere di come si fosse fino ad allora trattenuto.
Rimase dentro di me a lungo.
Mi accoccolai tra il suo viso e la
spalla chiudendo gli occhi.
Vestita
unicamente della sue braccia, ascoltavo i suo respiro in silenzio.
L’aria era intrisa dell’odore
zuccherino della frutta, del caramello e di farina; farina che contribuiva
anche a rendere l’atmosfera velata, dando l’impressione di guardare attraverso
una pellicola d’altri tempi.
L’odore del legno del tavolo non
l’avevo mai sentito così forte e inebriante.
Sul ripiano della cucina, tutta
raggrinzita, giaceva una fettina di limone spremuta e il torsolo di una mela
originariamente rossa.
Sul pavimento apparivano - come nella
neve soffice – le orme dei nostri piedi scalzi nella farina.
Sussultai nel ripensare a ciò che
avevamo fatto e Edward, pensando si trattasse di un brivido di freddo, mi spinse
il leggero lenzuolo bianco fino al seno. Quando l’avesse preso non mi era dato
saperlo.
Nella calma dell’appagamento del corpo
e dell’anima, ad un tratto, mi lasciai andare a una risata liberatoria. Quelle
risate di quando pensi a qualcosa di buffo e non puoi fare a meno di ridere
anche nei momenti meno opportuni, una risata com’era da tanto che non me ne
facevo.
Risi fino ad avere le lacrime agli
occhi mentre Edward mi guardava curioso e paziente.
< Stavo pensando >, dissi
asciugandomi le lacrime, < domani mattina Charlie farà colazione su questo
stesso tavolo!>.
Allora fu lui a ridere.
< Direi che è anche fortunato che
non l’abbia distrutto >.
< Non hai idea di quanto mi sia
trattenuto dal farlo…>.
Pensai a quale scusa avrei potuto
utilizzare per giustificare una cosa del genere a Charlie e giunsi alla
conclusione che un’invasione di castori non era affatto plausibile.
Tralasciando le mie stupide
considerazioni, che mi facevano ringraziare il cielo di essere immune al potere
di Edward, le sue parole mi avevano portata a riflettere.
Edward aveva detto di essersi
trattenuto.
Benché fosse immerso nel vortice della
passione almeno quanto me, una parte di lui era rimasta vigile, attenta a
modulare la sua forza per evitare che mi ferissi, che sanguinassi…
Non potevo dire lo stesso di me
stessa. Non avevo pensato ad altro che ai suoi baci, alle sue carezze, a lui
sopra e dentro di me.
E arrivai alla conclusione di essere
stata meno umana di un vampiro.
< Puzzi >, disse ad un tratto
arricciando il naso in una smorfia infantile.
In effetti sentivo la pelle
appiccicosa in diversi punti del corpo e gli odori delle varie pietanze, così
accostati, non avevano un bell’effetto.
Per cui non replicai, limitandomi ad
annuire mentre Edward mi passava un braccio sotto le gambe per portarmi al
piano di sopra.
Mi lasciai coccolare dello scrosciare
dell’acqua nella vasca, dalla nebbia di vapore che ne fuoriusciva, dal profumo
dolce di bagnoschiuma, in uno stato di intorpidimento.
Il calore dell’acqua combinato al
fresco petto di Edward però, mi tenevano ben lontana dall’addormentarmi del
tutto.
Le dita leggere di Edward giocavano
con le ciocche dei miei capelli bagnati.
Sentivo ogni singola giuntura del mio
corpo indolenzita ma non m’importava.
Il solo sentire il suo corpo nudo
dietro di me era un buon rimedio.
< Quante volte ti sei innamorato?
>, la domanda mi sfuggì dalle labbra contro la mia volontà prima che potessi
allontanarla dalla mia testa.
Era assurdo che dopo tutto quello che
avevamo fatto, detto o anche solo pensato, fossi tanto incapace di guardarlo
negli occhi.
Iniziai a giocare con una ciocca di
capelli bagnata, attortigliandola attorno all’indice, nervosa.
Ero la prima ad affermare che il
passato non contava e che era stupido e assurdo esserne gelosi, eppure non
potevo non pensare al fatto che Edward nei suoi cento anni avesse avuto altre
storie.
Lo vidi di sottecchi portarsi una mano
sotto il mento, in una posa pensierosa.
Inspiegabilmente sentii il sangue
ribollire dentro le vene.
Una parte di me era tentata di
coprirsi le orecchie e cantare a squarciagola per non sentire la risposta, quella
masochista invece fremeva nell’attesa.
< Tre volte >, rispose poi.
Avrei scommesso molte di più e mi
stupii della risposta, ciò nonostante non riuscivo a scacciare quel senso di
fastidio che mi logorava dentro.
La verità era che avrei avuto la
medesima reazione anche se avesse risposto ‘una’.
Questo perché non riuscivo a concepire
che avesse amato altre donne perché io, lo sapevo, non avrei mai potuto provare
per nessun’altrola millesima parte di quello
che provavo per lui.
Intrecciò le sue dita nelle mie e,
quando lo sentii sorridere, sollevai lo sguardo su di lui.
< Tutte le volte della stessa
persona >, parlò lentamente, scandendo bene le parole perché non ci fosse il
benché minimo equivoco.
Un brivido mi attraverso il corpo
facendomi vacillare.
Edward mi passò un braccio attorno al
collo e mi lasciai trasportare sul suo petto, avvolta dall’odore della sua
pelle. Chiusi gli occhi beandomi di quel calore che solo lui poteva darmi con
questa nuova consapevolezza dentro che mi rischiarava il cuore.
< La prima volta che ti ho vista mi
sono innamorato del tuo corpo, la seconda – quando ti ho conosciuta – del tuo modo
di essere, del tuo calore, della tua semplicità, della tua pazzia – sì, anche
di quella - e del tuo carattere >, mi baciò i capelli.
Resto in quella posizione a lungo poi
respirò sui miei capelli.
< La terza quando, credendo oramai
di averti persa, mi hai accettato per quello che sono >.
La vista mi si appannò sotto il velo
di lacrime che tentavo disperatamente di ricacciare indietro.
Edward si sporse a baciare a una ad
una quelle gocce di anima mentre ridevo e piangevo allo stesso tempo.
Gli strinsi le mani al collo e restai
così finché le lacrime non mi si asciugarono sul viso.
< Ti amo >, respirai sulla sua
pelle e un attimo dopo m’irrigidii nel pensare con quanta facilità e leggerezza
avessi pronunciato quelle parole che mi erano sempre sembrate pesanti come
macigni. Forse erano sempre state lì, sulla punta della lingua, pronte a
sgusciare - come una farfalla dal suo involucro - sul collo di Edward.
Prese il mio viso tra le sue mani,
schiudendo le sue dita a coppa su di esso.
Mi sentivo ancora gli occhi e le
ciglia pesanti dal pianto.
< Quattro, ora quattro >, vidi
le sue labbra schiudersi in un dolcissimo sorriso.
______________
Eccoci qui.
Spero IMMENSAMENTE (per la fatica che ci ho messo a
scriverlo) che questo capitolo vi sia piaciuto!
Ovviamente attendo i vostri COMMENTI, CRITICHE,
INSULTI echipiùnehapiùnemetta.
Due piccole note del capitolo:
1 A penny foryourthoughts, per chi non lo
sapesse è un modo di dire inglese. Letteralmente: un penny per i tuoi pensieri.
2 Vousêtesdouce: credo in francese significhi “sei dolce”
(google translaterules),
vi prego di segnalarmi nel caso la frase fosse sbagliata!
3 Dulce de leche, è una crema fatta col caramello.
4 I fotomontaggi sono stati presi da: http://robert-pattinsonfanforum.forumcommunity.net/
Che altro dire?
Ho voluto che il capitolo fosse dolce e passionale
allo stesso tempo. Spero di esserci riuscita. Fatemi sapere la vostra
impressione, non siate timide.
Dovrei già aver risposto ai commenti del capitolo
precedente. Se mi fossi dimenticata di qualcuno vi prego di scusarmi e magari
di segnalarmelo per ovviare alla mia negligenza.
Nel prossimo ci saranno di nuovo i nostri due
protagonisti in una veste insolita (elegante) ma non mancheranno nemmeno gli
altri personaggi. Qualcuno indovina l’occasione?
Per i minorenni che volessero ricevere il capitolo
rosso possono lasciarmi il loro indirizzo e-mail anche se ripeto che il
capitolo cambia davvero poco.
Il pessimismo intriso nel Dna era una
precauzione.
La tipica persona che tra il bicchiere
mezzo pieno o mezzo vuoto vedrà il bicchiere totalmente vuoto, perché quasi
certamente il resto se l’è scolato.
Io ed Edward.
Non avrei mai potuto neanche
lontanamente desiderare di meglio.
Ogni giorno non era mai uguale a
quello passato perché sempre ricco di sorprese.
E lui, lui era qualcosa di
tremendamente prezioso, splendido e mio.
Eppure non riuscivo a non pensare che
se avessi anche solo pronunciato la parola ‘felicità’,
quest’ultima sarebbe di colpo svanita nel nulla.
Lo sapevo, era dannatamente stupido da
parte mia avere paura di essere felice.
Come si può avere paura di qualcosa
del genere, dopotutto?
Il punto era che quando si è felici,
di solito, qualcosa va storto…
Edward, sdraiato da un lato del mio
letto, mi riscosse dai miei presagi di sventura inclinando la testa in modo da
apparire sotto la mia visuale. Osservai i suoi lineamenti perfetti, dall’alto,
senza parlare. In risposta lui sbatté le ciglia più volte e infine sorrise
sghembo.
Ecco. Quando faceva così era difficile
pensare che non fosse davvero umano.
Tutta quella serie di gesti,
atteggiamenti o espressioni, lo rendevano un comune ragazzo di diciotto anni.
Bèh,
“comune” non proprio…
Avevo sempre creduto di essere una
sorta di satellite gravitante attorno a Edward, quando in realtà- per quanto la cosa mi sembrasse assurda –
era lui ad adattarsi ogni giorno a me, semplicemente fingendo di essere umano.
Io
ero il recipiente di vetro e lui il liquido che prendeva forma in esso.
Sarebbe stato più che stupido, a
questo punto, avere anche il minimo dubbio o sospetto su Edward e sui
sentimenti che provava per me e, infatti, non ne avevo alcuno. Solo, mi
chiedevo fino a che punto arginasse la sua parte istintiva, animalesca. Vampiresca.
< A che pensi? >, mi domandò
prendendo una mano fra le sue, ne lambì la pelle, lievemente con il labbro
inferiore in uno stuzzichevole baciamano.
Era una domanda che mi faceva spesso,
quasi a compensare l’inefficacia del suo potere su di me. Doveva
destabilizzarlo parecchio, abituato com’era ad avere un posto privilegiato
nella testa delle persone.
Peccato che la mia mente non doveva
essere poi molto diversa da quella delle altre ragazze della mia età. Era un
grosso vantaggio e, insieme, un grande inganno. Mi sopravvalutava,
probabilmente.
La posizione in cui eravamo in quel
momento, poi, non favoriva certo il flusso di pensieri casti e puri. No,
decisamente.
Io in piedi a poco meno di un passo
dal bordo del letto, Edward sdraiato in obliquo con il capo rivolto verso di me.
Studiò silenziosamente ogni mia
singola espressione, aspettando che rispondessi alla sua domanda.
< Voglio venire con te… >.
Svoltò il palmo della mia mano ancora
sotto le sue attenzioni, tracciando con la punta delle dita i profili delle
linee in essa riportate.
< Credevo l’avessi già fatto…>, soffiò malizioso.
Appoggiai le mani sul materasso, flettendomi
in avanti, e la cascata dei miei capelli castani gli solleticò il volto.
Prese il mio viso tra le mani e mi attirò
verso di se. Le sue labbra a un soffio dalle
mie, al contrario.
Mi beai del suo respiro sulla pelle,
socchiudendo gli occhi.
Ma prima che la questione potesse
prendere quella piega, mi affrettai a
parlare. < Voglio venire con te… la prossima volta
che andrai a caccia >.
La sua espressione cambiò di colpo.
Come un cielo attraversato improvvisamente da pesanti nubi che promettevano un
temporale.
< Scordatelo >, rispose senza
possibilità di replica. E pioggia fu.
< Perché ? >, insistetti.
Si sistemò sui gomiti e mi baciò il mento.
< Perché quando caccio perdo ogni
inibizione >.
Le sue parole mi fecero tremare, e non
di certo dal terrore.
Chiuse gli occhi per un secondo, come se
cercasse di immaginare l’eventualità che andassi con lui.
< Potrei attaccarti >, concluse
quasi bisbigliando.
Con una mano simulai il gesto di
scacciare una mosca fastidiosa, allontanandomi da quella posizione che Edward
avrebbe potuto usare a suo vantaggio, per persuadermi.
< Andiamo, Edward! >, iniziai,
< Hai già abbondantemente dimostrato di potermi resistere >.
Piroettai dall’altro lato della
stanza, riflettendo la mia immagine sulla grande specchiera dell’armadio.
< Quando mi sono tagliata una mano,
e anche l’altro giorno… >, mi morsi la lingua
evitando di dire: “quando affondavi nella
mia debole carne…”, optando per un innocuo: <…in cucina >.
< E sono sicura che anche se mi
tagliassi ora non correrei nessun rischio… >,
lanciai il guanto di sfida, voltandomi nuovamente nella sua direzione.
< Non lo farai >, chiarì per
prima cosa.
< E poi non è lo stesso… >.
< Quindi mi stai dicendo che non
spegni mai quell’interruttore? Che ti
controlli ventiquattrore su ventiquattro? >.
< No, non è così >, rispose, ma
notai immediatamente come si fosse pentito di avermi dato quellapreziosa informazione.
< Disturberesti >, esibì prontamente
come ulteriore scusa.
< Faresti scappare tutti gli
animali >, aggiunse con uno dei suoi soliti sorrisi bastardi stampati in
volto.
< Sarò una tomba >, risposi
calma, reggendo il confronto.
Abbassò lo sguardo come se ciò che
stesse per dirmi gli costasse una certa fatica.
< Quello che vedresti…
>, sibilò lasciando la frase in sospeso.
< Potrebbe non piacerti >, sputò
infine.
< Potrebbe non piacermi o potresti
non piacermi? >, domandai pungente.
L’espressione che seguì mi diede la
conferma di aver toccato il tasto giusto.
Una risata isterica fuoriuscì involontariamente
dalle mie labbra.
< Questa. È. Una. Cazzata. >.
Come poteva solo pensare una cosa
simile?
Fino a prova contraria, l’avevo
accettato e voluto per ciò che era.
Stava, ormai, esaurendo tutte le
giustificazioni a sostegno della sua tesi; sentivo stesse per cedere.
< Domani? >, proposi assaporando
sulle labbra il gusto della vittoria.
< No >.
< Dammi tempo. Non voglio essere
nelle condizioni peggiori, quando verrai >.
< Potresti prima andare con i tuoi
fratelli >, proposi.
< D’accordo >.
< Tra due settimane >, si arrese.
***
< Sei proprio sicuro? >.
< Per l’ennesima volta, Isa, sì
>, rispose passandosi una mano tra i capelli e alzando gli occhi al cielo.
Osservai indecisa la marea di abiti
distesi sul mio letto.
Erano tutti vestiti di Esme, la madre
di Edward, che lui mi aveva portato affinché ne scegliessi uno per la festa di
quella sera.
Quando l’avevo visto arrivare con
quella infinità di appendiabiti mi ero inizialmente irritata. Dove il termine
‘irritata’ non era che un eufemismo.
Potevo comperare un vestito - magari
non uno come quelli – con i soldi che
guadagnavo al bar o, comunque – cosa che preferivo non fare – avrei potuto
chiederli in prestito a Charlie.
La rabbia si era di colpo affievolita
quando mi aveva spiegato che lo faceva soltanto per evitare degli inutili
sprechi.
Mi aveva infatti raccontato di come
sua madre fosse solita ad acquistare tutti i modelli di una collezione, salvo
poi scartare quelli o che non le piacevano, o che semplicemente non riusciva ad
indossare, dal momento che l’anno successivo quel capo sarebbe già passato di
moda.
Inutile dire che a questo punto avevo
dato ragione ad Edward.
Non condividevo la filosofia di Esme.
Anche se effettivamente, la tentazione di votarsi a San Vuitton era forte.
Accarezzai distrattamente il raso di
un abito blu per poi passare le dita tra i pizzi di un altro abito.
< Mmm…
>.
< Se scegli quello non posso
assicurati che andremo alla festa… >, mi provocò.
< Attento! Potrei prenderti sulla
parola >, scherzai, adagiando il vestito sul mio corpo.
In realtà, se avessi potuto esimermi,
avrei volentieri disertato la festa, anche se Edward non se ne fosse uscito con
allettanti proposte, come quella.
Ma purtroppo – anche se il solo
pensiero mi faceva venire l’orticaria – quella era la mia festa.
Più esattamente: la festa di
inaugurazione della biblioteca finanziata – almeno formalmente – da Charlie Swan. Al quale, tra le altre cose, avevo mentito, facendo
credere meschinamente che la struttura fosse un riconoscimento onorifico per la
sua preziosa attività in polizia, e quindi, per il suo solerte contributo in
società.
< Mi piacerebbe poter essere il tuo
cavaliere questa sera >, affermò tornando serio.
< Piacerebbe anche a me… >,
Sfortunatamente avrei dovuto andare
all’inaugurazione con mio padre per poi tallonarlo fedelmente per tutta la sua durata
per evitare che qualcuno facesse cadere il castello di carte che abilmente
avevo realizzato, smentendomi.
Se poi a tutto ciò sommavo che
l’organizzazione, da quando avevamo litigato, era passata esclusivamente nelle
mani di Alice Brandon, le cose non potevano che
andare di male in peggio.
Solo chi non la conosceva non poteva
neanche lontanamente immaginare cosa sarebbe stata questa festa, che già negli
inviti richiedeva una veste formale da gran galà.
Onestamente non sapevo che aspettarmi.
Tranne per pochissime indicazioni, non mi ero interessata né del progetto né
dello stato avanzamento dei lavori. Avevo addirittura saputo che ai curiosi non
era permesso neppure sostare all’ombra del cantiere.
La villa non era che a pochi
chilometri dal centro di Forks, eppure, man mano che
avanzavamo, le case iniziavano sempre più a diradarsi, lasciando posto al bosco
più fitto.
I fari d’arresto dall’auto davanti
alla nostra si accesero ancora una volta e la volante frenò di conseguenza.
Non avevo mai visto tante macchine
tutte insieme, qui a Forks.
Alice doveva aver invitato persino la
Signora Montgomery, la gattara del paese.
Pensai che forse avrei impiegato di
meno andando a piedi.
Charlie sbuffò tamburellando le dita
sul volante.
Era inutile che facesse così,
dopotutto il modo per evitare quella fila glie l’avevo proposto, io. Ma quando
gli avevo suggerito di accendere la sirena, mi aveva linciato con lo sguardo, e
insistere avrebbe significato metterlo di cattivo umore. Cosa assolutamente da
evitare, almeno per quella sera.
In realtà la villa che avevano scelto
per la nuova biblioteca, per quanto ne sapessi, c’era da sempre.
Per anni era stata adibita a residenza
del sindaco di Forks. Finché Will Wood, l’ultimo
sindaco ad ad averla abitata, vi era stato trovato
morto per cause non ancora del tutto accertate.
Così i predecessori, più per
scaramanzia che per altro, avevano preferito non utilizzarla più, lasciandola
al più completo abbandono.
Andarci, quella sera, mi creava una
certa eccitazione.
Per anni, ogni estate – benché per i
genitori quella fosse una zona offlimits - avevo osservato la villa
dall’esterno della sua cancellata con un misto di paura e di curiosità. Ricordavo
di quelle volte in cui restavamo ore a fissare col cuore a mille le ampie
finestre aspettando invano che il fantasma di Wood le attraversasse. Una volta,
con Jake, ero pure arrivata ad arrampicarmi al
cancello per una scommessa, ma non ero mai riuscita ad andare oltre. E per
quanto ne sapessi nessuno ci era mai entrato.
Eppure, quando la scorsi, ai miei
occhi la villa sembrò essere stata eretta in una sola notte.
Osservai con stupore i pilastri,
solcati dalle piccole venature del marmo, risplendere con il bagliore della
luna.
La villa rivelava un’anima antica e
potente.
Il giardino – che ricordavo come una
jungla di sterpi alti quanto un bambino – era stato sistemato e tutto sembrava
rimandare a un’altra epoca.
Sussultai quando Charlie posò una mano
sulla mia schiena, indicandomi di procedere.
L’interno mi lasciò ancora più
sbalordita, se possibile.
Non potevo dire se, e quanto, avessero
stravolto il suo aspetto originale, ma sembrava che ogni cosa fosse
assolutamente in perfetta armonia.
All’ingresso un’imponente scala bianca
si elevava elegante. Una cascata di scalini che nasceva più stretta e si
tuffava nel pavimento lucido. La balaustra – che per l’occasione era addobbata
da intrecci di fiori bianchi e rosa tenue - si diramava al piano di sopra in
due direzioni.
Incassate alle pareti della sala come
fossero un tutt’uno – a testimonianza che ci trovassimo in una biblioteca - si
trovavano gli scaffali riempiti di libri ordinati, illuminati dall’altro da
piccoli fari di luce dorata.
Gli stessi scaffali occupavano le
pareti del piano superiore.
In quel momento il sindaco Newton,
accompagnato dalla moglie, si avvicinò per salutare.
Sorrisi di circostanza, stringendo la
mano ad entrambi. Poi il sindaco si congratulò con Charlie per la biblioteca e rimasi
ad ascoltare giusto le prime battute per poi estraniarmi totalmente dalla
conversazione. Anche la signora Newton sembrava annoiarsi terribilmente,
represse addirittura uno sbadiglio, quando pensava non la stessi guardando.
Concentrai la mia attenzione sull’anello che portava all’indice sinistro.
< Allora, Isabella che ne dici?
>.
Tornai immediatamente in modalità on non appena sentii pronunciare il mio
nome.
Sorrisi debolmente dando l’impressione
di essere semplicemente un po’ timida, quando in realtà non avevo capito un
accidente di ciò che mi aveva appena chiesto.
< Sì, è una buona idea Al >,
intervenne la moglie inspiegabilmente euforica, < perché non vai a cercare
Mike, nostro figlio?>.
Le sorrisi ringraziandola sia per il
suggerimento, sia per la scappatoia che mi aveva appena fornito su un piatto
d’argento. Oltretutto, se sapevo che Charlie era con il sindaco Newton potevo
stare tranquilla. L’avrebbe trattenuto per un paio d’ore, almeno.
< Certo! >.
Non appena voltai le spalle,
appoggiato allo stipite della porta che conduceva all’altra sala, vidi Jasper.
Per un attimo il sangue mi si raggelò
nelle vene ripensando a quando Edward mi aveva dato buca e Jasper aveva preso
il suo posto, accompagnandomi alla festa di Alice.
Sorrise rassicurante, leggendo il mio
stato d’animo e tirai un respiro di sollievo.
Così come Edward poteva leggere i
pensieri delle persone, Jasper aveva il dono dell’empatia. Capiva e
condizionava a suo piacimento gli stati d’animo e le emozioni di chi gli stava intorno.
Quando Edward me lo aveva spiegato,
ero riuscita a comprendere il perché di tutti i miei inspiegabili e repentini
cambiamenti d’ umore.
< Isa sei…
>, iniziò quando l’ebbi raggiunto.
S’interruppe osservando qualcosa – o forse
qualcuno – alle mie spalle.
< … molto elegante >.
< Sino a poco fa, avevo voglia di
strozzarti >, gli dissi riferendomi a come avesse per tutto quel tempo
manovrato i miei già squilibrati umori.
< Ma chissà perché adesso… >.
< Jasper!>, lo ripresi
sorridendo, rendendomi conto di come lo stesse ancora facendo.
< Perdonami…
>, si avvicinò di un passo, prendendo la mia mano tra le sue e chinandosi
per un baciamano come si conviene, senza che le labbra sfiorino realmente la
pelle.
< Ma se non lo facessi, rischierei
di impazzire… >.
Era ovvio si riferisse al mio
temperamento e a come subisse i miei continui sbalzi d’umore, ma non mi sfuggì
la malizia con cui pronunciò la frase, quasi come se volesse provocare qualcuno più che lusingarmi…
Un colpetto di tosse alle mie spalle
mi fece sussultare.
Ecco che quel qualcuno era venuto a rivendicare ciò che gli apparteneva.
Il
suo odore.
Sì, non c’era bisogno di avere un
olfatto vampiresco per sentirlo.
Avvolgente,
sensuale…
Feci l’errore di voltarmi nella sua
direzione.
Per fortuna fissava Jazz bieco per
accorgersi di quanto lo stessi mangiando con gli occhi.
Edward era qualcosa di indicibile nel
suo smoking nero. Era davvero troppo.
I miei ormoni impazziti concentrarono
il loro interesse sull’unico punto del corpo dove l’epidermide era scoperta.
Tra i capelli e l’orecchio.
Mmm…
< Jasper, non hai nient’altro da
fare? >.
La
sua voce.
Aggraziata anche se, in quel momento,
celava una velata minaccia.
Calda…
< Sì >, rispose il biondo, <
ma preferisco di gran lunga divertirmi con la tua gelosia…>
Alla sua esternazione, portai una mano
sulle labbra per trattenere una risata.
Jasper mi squadrò, facendomi intendere
ne avesse anche per me.
< E la tua…>.
< No, vabbè,
siete divertenti entrambi… >, mi fece l’occhiolino
facendomi comprendere che percepiva la mia eccitazione, ora che Edward mi era
vicino.
Edward sogghignò leggendo nella sua
mente a cosa si riferisse.
La voglia di strozzare Jazz era appena
tornata, più forte di prima.
< Ciao >, disse come se ci
fossimo appena visti, non appena Jazz si fu allontanato.
Un saluto un po’ freddo, se non fosse
stato per il sorriso che mi dedicò immediatamente dopo.
Si spostò di lato. < Tuo padre ci
sta guardando >, m’informò.
Mi sporsi e constatai che fosse
esattamente come mi aveva detto.
Sorrisi pensando che il proposito di
non perdere di vista Charlie si stava concretizzando, ma dalla parte sbagliata.
Edward mi guardò interrogativo e lo
fissai sapendo cosa stesse per chiedermi.
< Okay. Non ti chiederò a cosa stai
pensando. Tanto non me lo diresti >, mi passò un flute con del prosecco.
< Vorrei morderti un orecchio >,
dichiarai mentre salutavo con una mano una compagna di corso e con l’altra
afferravo il bicchiere che mi porgeva.
Sorrise. < Funziona così, allora?
>. Portò una mano sotto il mento, quasi parlando tra se e se. < Quando ti
dico di non fare una cosa la fai? …Interessante >.
< Dunque, non mi dirai quello che pensi per tutta la serata? >.
< Solo per questa sera, niente segreti…>.
< Niente segreti >, convenne.
< Speravo non scegliesti quello… >, portò il suo bicchiere alle labbra,
sorseggiando – almeno sembrava così –il suo drink.
< Intendo il vestito >, precisò
vedendomi confusa.
< Ah >, mi limitai a rispondere,
abbassando lo sguardo.
Come si trattasse di un gesto
involontario, passò leggermente le dita sulla mia schiena scoperta.
< Non penso ti renda giustizia.
Anche se… nessuno di quelli avrebbe potuto farlo
>, mi sussurrò ad un orecchio.
< Sei una continua tentazione… >, aggiunse distogliendo lo sguardo. Impossibile
non notare come la sua voce si fosse leggermente arrochita.
La regola della più completa sincerità
iniziava davvero a piacermi.
Era come avere un po’ del suo potere
in prestito, per una sera.
La strategia di continuare a offrire
manicaretti ai vari interlocutori di mio padre per evitare che parlassero, non
poteva durare in eterno. Inoltre, erano diversi minuti che dovevo andare in
bagno.
Osservai di sottecchi Edward
chiacchierare con qualcuno e desidererai ardentemente essere lì con lui, mentre
allungavo l’ennesima tartina al salmone alla Signora Stanley, la madre di
Jessica.
Se riuscivo a scampare anche alla loquacità
della Stanley, avevo solo un'altra lingua lunga da temere: il preside Smith.
< Buonasera capo Swan >, una voce calda che ricordavo molto bene s’
introdusse nel discorso.
I due risero e rimasi interdetta di
fronte all’ intesa che sembravano possedere.
Messi uno di fronte all’altro mi
sembrava assurdamente di assistere a una pubblicità di un prodotto miracoloso
in cui mostravano il prima e il dopo la cura.
Seppur il completo elegante donasse a
Charlie qualche anno di meno, era impossibile non accorgersi della sua
goffaggine, soprattutto se paragonato al suo interlocutore.
< Isa, sei splendida >, mi si
rivolse il dottore e non potei che sentirmici
davvero, se era lui a dirmelo.
< Grazie Carlisle
>, gli risposi ricordandomi di avergli promesso di dargli del tu.
< Complimenti davvero >,
Carlisle si congratulò poi con Charlie allargando le braccia per indicare ciò
che li circondava.
Ciò che si dissero successivamente mi
risuonò ovattato, come se improvvisamente qualcuno avesse impugnato il
telecomando del volume e avesse quasi azzerato le voci.
M’ immobilizzai a guardare la donna al
fianco del dott. Cullen.
Dio
mio.
La donna mi sorrise dolcemente ma non
riuscii a muovere nemmeno un muscolo, o almeno così mi sembrava.
< Così tu sei Isabella >, disse.
Cazzo, parlava anche.
Era così…
paradossale. Un conto era ammirare un’opera d’arte, e un conto era che l’opera
d’arte in questione, non solo ti si mettesse a parlare, ma conoscesse anche il
tuo nome.
E forse non dovevo averla notata prima,
solo perché poteva benissimo sembrare una statua raffigurante una venere, così
di bianco vestita.
< Sì >. Anche solo pronunciare
quel monosillabo mi costò una certa fatica.
< Io sono Esme, la madre di Edward
>, mi allungò una mano.
< Piacere di conoscerla >,
gliela strinsi, incontrando la fresca temperatura a cui ero abituata con
Edward.
< Il piacere è tutto mio >, e lo
disse come se fosse vero.
Immaginavo che la signora Cullen non potesse essere una donna brutta e avevo anche
diversi indizi che me lo facevano supporre. Il marito che si ritrovava, il
fatto che portasse la mia stessa taglia e per ultimo, per la sua natura, ma non
potevo neanche lontanamente immaginare potesse essere bella a tal punto.
< Indossi un bellissimo vestito
>.
< G-grazie
è davvero molto bello >, le risposi spolverando con una mano della polvere
inesistente sulla gonna.
< La ringrazio per avermelo
prestato >.
Avrei voluto aggiungere che avrei
cercato di non sporcarlo ma sicuramente, subito dopo averlo detto, mi sarei
rovesciata addosso un catino di sangria.
< Prego >, mi si avvicinò di
qualche passo e sorrise vedendo di come non la temessi ma che fossi
semplicemente affascinata da lei, < Ma questo vestito non è mio >.
Restammo a fissarci per qualche
secondo.
< Edward! >, pronunciammo
contemporaneamente. L’unica differenza - al di là della mia voce che
confrontata a quella di Esme si avvicinava più ad un
raglio – era che lei lo pronunciò con tono amorevole, io no.
< Stavate cercando me? >, il reo scoperto si palesò, cingendomi un
fianco con un braccio, attirandomi verso di se.
Lanciai immediatamente un’occhiata
prima a Charlie – che per fortuna era troppo preso dalla conversazione per curarsi
di me – e dopo a Esme che ci stava guardando come se, insieme, io ed Edward,
fossimo la cosa più bella al mondo.
< Mamma >, la salutò con un
semplice gesto del capo e lei gli regalò un bellissimo sorriso, in risposta.
Sentire Edward chiamare “mamma” una
donna che si o no, avrebbe potuto dimostrare poco più che una trentina d’anni,
appariva strano. Eppure Esme custodiva quel qualcosa nel suo aspetto, o
semplicemente nello sguardo, che solo una madre poteva possedere.
Edward si piegò e il suo respiro
fresco mi solleticò il collo scoperto.
< Sarebbe possibile ballare con la
ragazza più bella della festa? >.
< Non lo so. Non l’ho vista >,
risposi con una buona dose di acidità nel tono di voce, indice di come fosse
ancora arrabbiata con lui per la questione del vestito.
Esme rise di quella che secondo lei
non era che una battuta.
< Te l’avevo detto, no, che era
fantastica? >, le disse Edward, sguardandomi adorante.
Mi lasciai trascinare al centro della
pista per il ballo. Non feci resistenza perché tanto avrebbe ottenuto
ugualmente ciò che voleva, e poi avevo bisogno di parlargli, da sola. Sebbene
sapessi che, volendo, ad Esme non sarebbe sfuggita nemmeno una virgola.
< Com’è la storia del vestito?
>, chiesi risoluta nonostante quel contatto ravvicinato con il corpo di
Edward mi facesse perdere lucidità.
< Ma non appena ho visto la tua
reazione ho dovuto improvvisare >, ammise con sincerità.
Adagiò la mano alla base della mia
schiena, riponendo il pollice nel suo incavo, accostandomi al suo corpo.
Collocò l’altra mano sotto il mio
mento, costringendomi a guardarlo negli occhi.
< Sono perdonato? >.
Annuii.
Non potevo essere arrabbiata a lungo
se faceva così e poi – anche se la cosa mi irritava - l’aveva fatto a fin di
bene.
< Ma fa che sia l’ultima volta
>.
< Non posso promettertelo >.
Gli scoccai un’occhiataccia. <
Allora te lo restituirò >.
< In tal caso, lo rivoglio adesso
>.
Non potei fare a meno di spalancare la
bocca. Non poteva sfidarmi in quel modo.
< Vorrà dire che tutti gli ospiti
mi vedranno nuda >, lo provocai, a mia volta.
Portai le mani dietro la schiena
simulando di volerlo davvero sfilare, ma mi bloccò immediatamente, deponendo la
sua mano sulla mia.
Sorrisi, cantando vittoria…troppo
presto.
< Non te lo impedirò, se è questo
che vuoi >, la sua mano scivolò via, lasciandomi libera di attuare il mio proposito,
< Sappi solo che se lo farai poi mi toccherà prenderti qui e fare l’amore
con te in tutti i modi possibili, potenzialmente illegali e decisamente
irripetibili … >.
Aveva pronunciato quelle parole in un
modo così semplice ma allo stesso tempo così provocante da farmi mancare il
respiro, per un attimo.
< Non ti nascondo che la cosa non
mi turberebbe >.
< Vedo che stiamo continuando sulla
via della sincerità … >.
Appoggiai un orecchio al suo petto,
lasciandomi finalmente cullare dalla musica e dal suo odore.
Tra l’altro, con un ballerino come
Edward, non dovevo nemmeno preoccuparmi dei passi.
Mi domandai, socchiudendo gli occhi,
se ci fosse qualcosa che non sapesse fare.
In quella posizione riuscivo a sentire
il suo cuore vibrare.
Un attimo.
Il suo cuore?
…vibrare?
Mi scostai dal suo petto e l’osservai
dubbiosa.
< Scusa >, disse prelevando dal
taschino della giacca il suo cellulare.
“Tanya”riuscii a leggere il mittente della
chiamata.
______________
Lo so sarei da fustigare. È più di un mese che non
aggiorno questa fic. Ç_ç
Il modo per scusarmi con voi è quello di essere il
più sincera possibile.
Non è corretto dire che si è trattato di un vero e
proprio blocco dello scrittore. Già il termine “scrittore” riferito alla mia
persona stona.
Era più una sorta di insicurezza. ogni frase che
scrivevo veniva poi cambiata mediamente una trentina di volte, col risultato
che non andavo mai avanti (figurarsi a scrivere 10 pagine in questo modo!).
Altro problema di cui mi sono accorta è quello di
dilungarmi troppo da qualche capitolo a questa parte.
Io le scene che scrivo le ho nel cervello, in 3D.
Però mi rendo conto che tutti quei particolari sull’ambiente o sui vestiti
finiscono per appesantire notevolmente la lettura. Ditemi voi se è
effettivamente così.
È anche per questo motivo che ho deciso di dividere
in due questo capitolo.
Nella prima parte mi interessava riprendere una cosa
che c’è nell’originale. Quando Bella chiede a Edward di andare a caccia con
lui. Come sapete in quel caso Edward le dice assolutamente di no. Qui, invece,
sono arrivati a un compromesso. Penso che se mai Isa dovesse un giorno decidere
di trasformarsi, vorrei che prima vedesse a 360° cosa comporta quella scelta.
Poi la festa di inaugurazione. Dovevo metterla,
prima o poi per dare continuità alla storia.
E non di poca importanza, la conoscenza dell’ultimo
elemento della famiglia che ancora non conosceva: Esme.
Nella seconda parte vedremo se i due continueranno
sulla via della sincerità, parlandosi a cuore aperto. Forse Edward le dirà di Tanya e forse Isa gli parlerà del suo passato? Vedremo.
Ringrazio
di cuore l’unica persona che mi ha dato la voglia di terminare questo capitolo:
la mia Beta Barby che me l’ha fatto sembrare meno
orrendo di quello che sembravo e la divina Mirya per
avermi dato il permesso di inserire una sua citazione.
Due note prima di concludere:
1. Lo sapevo,
era dannatamente stupido da parte mia avere paura di essere felice.
Come si può avere paura di
qualcosa del genere, dopotutto?
Il punto era che quando si è
felici, di solito, qualcosa va storto…
(Charlie Brown
e Lucy Van Pelt)
2. “potenzialmente
illegali e decisamente irripetibili” da gentile concezione di Mirya.
Capitolo 42 *** Inauguration II [ open-heart operation ] ***
Bad Girl
______
Bad Girl
[Isabella Swan]
Cap. Forty one- Inauguration II [ open-heart operation ]
< Tanya?
>, gli domandai cercando di mantenere un tono neutro, che non tradisse tutto
il mio interesse e, soprattutto, tutta la mia gelosia.
Edward premette il tasto di “rifiuto chiamata” e rimise il telefonino
nel taschino della giacca con disinvoltura.
Normalmente non mi sarei azzardata a
chiedere spiegazioni. Da immatura, qual’ero, avrei preferito crogiolarmi nel
dubbio per giorni e notti intere, tenendo ovviamente il muso ad Edward finché
non mi avesse dato i dovuti chiarimenti. Ma c’eravamo promessi di essere
totalmente trasparenti l’uno con l’altro. Non avrei potuto non chiederglielo come
lui non poteva esimersi dal rispondere.
< Tanya
Denali, una delle mie cugine dell’Alaska >, rispose.
Un momento: sua cugina dell’Alaska?
< È la stessa per la quale non sei
venuto alla festa di Alice? >.
Annui.
< Lei è…
>.
< Sì >, anticipò la mia domanda,
< è una vampira >, confermò quasi sottovoce.
E io che, quando ancora ignoravo la sua
vera natura, pensavo fosse – come mi aveva fatto credere erroneamente Jasper –
una cuginetta. Una bambina, insomma.
Evidentemente non lo era.
Un terribile presentimento venne a
farmi visita.
L’unica vampira di sesso femminile che
avessi mai visto era Esme. Se quella Tanya fosse
stata, anche solo un decimo, bella come lei, allora questo voleva dire che ero
nella merda.
< È… >,
iniziai, ma nuovamente Edward interruppe la mia domanda sul nascere.
< Sì, è molto bella >, rispose
con onestà. Peccato non fosse quella la domanda che stavo per porgergli.
Sentii il sangue raggelarmi nelle vene
ma cercai di mantenere una calma che che proprio in
quel momento non mi apparteneva.
< Veramente >, mi schiarii la
voce conquistando un momento per calmarmi, < stavo per chiederti se è una
tua ex… >.
Il silenzio in quell’istante mi parve
assordante.
Non avevo mai visto Edward così
impreparato di fronte a una domanda semplice, tutto sommato.
< Non proprio >, rispose vago, mettendo
tacitamente la parola “fine” al discorso.
Quella risposta mi lasciò un amaro in
bocca. Un amaro difficilmente digeribile.
In primo luogo – nonostante la nostra
promessa – non aveva risposto sinceramente alla mia domanda. Anzi, a dirla
tutta: non aveva proprio risposto.
Cosa significava “non proprio”?
O era “sì” o era “no”.
Che quella non-risposta fosse un modo
per dire che il loro “rapporto” - qualsiasi fosse la sua natura - non era
definibile?
Un po’ come il nostro, dopotutto.
Ero certa che se qualcuno gli avesse
posto la stessa domanda, chiedendogli di me, avrebbe risposto allo stesso modo.
Nemmeno io, ora che ci pensavo, avrei
saputo definire con precisione cosa fossimo davvero io ed Edward.
Al contrario, sapevo perfettamente
cosa non fossimo. Di certo non
semplici amici o compagni di classe!
O forse, non ne avevo la minima idea
semplicemente perché non c’erano classificazioni per definire il nostro
rapporto. In fondo, le statistiche “rapporto
vampiro-umano” nonsarebbero
potute venire in mio aiuto.
Proprio non capivo da dove mi uscisse questo
risentimento. Perché me la prendevo tanto?
Io ero sempre stata allergica alle
etichette, dopotutto.
Il dito freddo di Edward mi solleticò
il mento.
< Hey,
tutto okay? >.
< Sì >, mentii. Mi scrutò con
uno sguardo indagatore, sintomo che non se la fosse bevuta.
L’ultima nota del pezzo che stavamo
ballando mi salvò da qualsiasi altro imbarazzo.
< Charlie >, mi schiarii la
voce, < mi starà cercando >, e con quella scusa mi allontanai da lui.
Afferrai i lembi della gonna,
sollevandola un po’, in modo che non fosse d’ostacolo alla mia fuga. Sì, perché
fuggire era proprio quello che stavo facendo.
Mi imposi di non stropicciare gli
occhi con le dita, anche se l’impulso era forte, e mi avviai verso il bagno
delle donne. Luogo nel quale sperai di essere al sicuro.
Appoggiai le mani sul supporto in
marmo del lavandino e chiusi gli occhi.
Edward era uno stupido e io lo ero
ancora di più.
Mi sentivo così confusa e… fragile come non l’ero mai stata.
Che m’importava di quella Tanya o di qualsiasi altra ragazza?
Edward aveva detto di essersi
innamorato solo di me in tutta la sua lunga esistenza perché dovevo sempre
rovinare tutto con le mie fisime mentali?
Ma io ero “Isa la regina Errori” ed ero in grado di distruggere e deturpare
qualsiasi cosa, anche la più infinitamente bella e preziosa, come quello che
c’era tra me ed Edward, di qualsiasi cosa si trattasse.
Mi ero allontanata da lui pur sapendo
che il suo petto glaciale era l’unico posto dove volevo stare in quel momento.
La cosa che mi mancava maggiormente
era qualcuno con cui sfogarmi.
Avevo Angie
ma avrei dovuto nasconderle troppi particolari
perché avesse una visione completa.
Sistemai i capelli anche se non ce ne
era bisogno, e mi avviai nuovamente verso la sala pronta a chiarire con Edward,
quando la mia attenzione fu catturata, per la seconda volta quella sera, da
Jasper.
Era seduto placidamente su una
poltroncina bianca dai bordi dorati con un piede a ciondoloni su un bracciolo e
l’aria di un principino annoiato. Lui forse poteva aiutarmi. Infondo, chi
meglio di Jasper poteva sapere come mi sentissi? Nemmeno io.
Quando gli fui vicina, notai un
piccolo particolare che impreziosiva il suo aspetto al quale non avevo badato
prima. I suoi capelli – che parevano tanti fili d’oro messi uno accanto all’altro
- erano legati con un nastro di velluto viola in una coda bassa e ordinata.
Nell’istante in cui aprii bocca per
parlare, alzò un indice per indicarmi di tacere, troppo concentrato su qualcosa
o qualcuno alla sua sinistra. Mi sedetti sul divanetto di fronte a lui e guardai
in quella direzione, incuriosita.
Una ragazza e un ragazzo stavano
litigando. Il ragazzo era paonazzo e aveva l’aria di stare per esplodere da un
momento all’altro. Si potevano contare le goccioline di sudore sulla sua
fronte. La ragazza piangeva e singhiozzava in preda a spasmi.
Scoccai un’occhiataccia a Jasper.
< Senti, ma ti diverti? >.
Nuovamente mi fece cenno di tacere e
m’indicò di guardare ancora in quella direzione. Strabuzzai gli occhi: ora il
ragazzo e la ragazza si stavano baciando avvinghiati come polipi.
< Non sono comunque d’accordo >,
sbottai.
< Ma per chi mi hai preso? >, mi
domandò, corrugando la fronte perfetta, < non sono mica Eros, il dio
dell’amore >, precisò irritato.
< Ho dato loro solo una mano >.
Lo scrutai scettica. In fondo Jazz non
aveva proprio l’aria del tipo che dispensava favori. Me lo immaginavo più come
un calcolatore, uno che non li avrebbe aiutati, se non per un motivo specifico.
< E va bene, quei due mi stavano
facendo impazzire >, chiarì facendo tornare i miei conti, < proprio come
lo stai facendo ora tu >, sbuffò.
< Ma che vi prende a tutti quanti?
>, domandò esasperato.
Abbassai lo sguardo, incapace di
guardarlo negli occhi.
< Dai, spara, cos’è tutta questa
gelosia? >, il tono della sua voce si era decisamente addolcito e io iniziai
a beneficiare degli effetti positivi del suo potere. Mi appoggiai allo
schienale riuscendo quasi a rilassarmi.
< Non sono gelosa >, dissi con
una voce che mi faceva sembrare completamente fatta.
Rise per un breve istante, prima di
essere fulminato dai miei occhi.
< Non prendermi in giro. La
riconosco bene, la gelosia. Non ci crederai ma è il sentimento più frequente
con il quale ho a che fare e… lo odio. Sai cosa? Di
solito è totalmente immotivata… >.
< La tua che nome ha? >.
< Tanya
>, sussurrai quasi, distogliendo lo sguardo.
< Ops
>, le sue labbra formarono una piccola “o” e sul suo viso spuntò uno sguardo
che sembrava volesse dire “devo andare”.
< Temo che la solita frase “cosa ha
lei più di me” in questo caso sia a mio netto svantaggio…
>, pensai a voce alta.
< Già…>,
si portò una mano alle labbra come a voler reprimere una risata < …se ti piace lanciare un salame in una galleria! >.
Non potei credere alle mie orecchie.
Scoppiai a ridere con la consapevolezza che non ci fosse lo zampino del suo
potere, questa volta.
Appoggiai una mano sulla sua spalla per
ringraziarlo mentre con l’altra mi ripulivo delle probabili sbavature dell’eyeliner sotto gli occhi.
< Alice? >, domandai.
Non la sentivo dall’ultima volta all’ospedale,
quando avevo scoperto che lei sapesse già tutto sulla vera natura dei Cullen.
Varie volte l’avevo intravista nei corridoi della scuola e avevo sentito dire
che adesso passasse molto tempo con Jasper. Motivo per cui mi ero stupita di
non trovarla con lui, stasera.
< E’ all’aeroporto >.
< E’ andata a prendere suo padre
che tornava stasera dall’Europa >, mi spiegò subito dopo.
Era strano e forse era solo una mia
impressione, ma gli occhi di Jasper si erano come illuminati quando parlava di
lei.
< Dice che vuole passare più tempo
possibile con suo padre, finché può… >.
< Scusa, Isa? >. Mi voltai verso
colui che mi stava reclamando.
< Ciao, Mike! >, lo salutai
forse troppo allegra per i miei canoni. Guardai di sottecchi Jasper, ordinandogli di smetterla.
Il biondino si grattò la testa con
aria poco intelligente. < Mia mamma mi ha detto che mi stavi cercando e così… >.
No, mi sbagliavo su sua madre. Non
aveva capito un accidente.
Eppure non ebbi la volontà di
rispondergli in malo modo. Gli sorrisi, per di più.
< Non volevo disturbarti >,
indicò Jasper seduto di fronte a me, < ma mia madre sa essere così insistente… >.
< No, tranquillo! >.
Non ne potevo davvero più di tutta
questa accondiscendenza e gentilezza. Mi faceva venire la nausea.
Scoccai l’ennesima occhiata di
ammonimento a Jasper che se la rideva sotto i baffi, a mio discapito.
Se fossi stata in lui non avrei riso
in quel modo. Prima o poi quell’effetto esilarante sarebbe svanito e io sarei
andata a cercarlo in lungo e in largo, anche se avessi dovuto strozzarlo con un
sorriso sulle labbra dovuto al suo potere.
< Andiamo a ballare? >.
< Perché no? >, gli risposi. Un
po’ perché ero impossibilitata a rispondere in altro modo, un po’ perché non
era proprio il caso che restassi un minuto di più nella stessa stanza con
Jasper.
In quel momento nella sala si ballava
un lento.
Newton pareva impacciato così presi in
mano la situazione. Accompagnai la sua mano sul mio fianco e presi l’altra
nella mia.
< Non so ballare >, ammise.
Sorrisi guardando i nostri piedi che
non seguivano alcuno scherma.
< Se per quello nemmeno io >.
Una volta tanto non ero io l’unica
incapace.
Così ci limitammo a dondolare come due
pinguini imbalsamati.
< Pensavo stessi con l’altro fratello… >, mi domandò d’un tratto.
< Non sto con nessuno, attualmente
>, mi accorsi di quanto la cosa potesse suonare come un invito a farsi
avanti.
< Ci pensi che tutto questo è stato
realizzato a causa tua? >, gli domandai, cambiando prontamente discorso.
< Ah! >, fece una smorfia
fingendosi offeso, < ti ricordo che io sono quello che ha preso un pugno.
Per essere una ragazza meni forte >.
< Bèh grazie! Ma non puoi certo
dire che non te lo meritavi… >.
Newton osò, facendomi fare una
giravolta.
< Ti avviso, se continui così ci
nomineranno i vincitori del ballo >, scherzai.
Si schiarì la voce, tornando serio.
< In realtà non è solo per mia madre che ti ho invitato a ballare >.
< Si tratta di Jessica >, fece
un cenno del capo per indicarmela alle mie spalle.
< No, non ti girare >, ordinò.
< Sto cercando di farla ingelosire
>.
Risi. < Bèh, allora credo che tu ci
stia riuscendo >.
Ricordavo bene il temperamento di
Jessica. Era gelosa – o per meglio dire: ossessivo-possessiva
– non solo verso i suoi ragazzi, ma con tutti quelli che semplicemente le
piacevano.
Preso da una ventata di coraggio, Mike
azzardò avvicinando il mio corpo al suo, facendoli quasi combaciare.
Stavo per replicare quando notai
Edward in piedi ai margini della sala che mi fissava . “Fissava” non era il termine adatto, oserei dire che mi stesse
perforando con lo sguardo.
Per quanto quello che stava facendo
Mike per fare ingelosire la sua ragazza mi sembrasse stupido e immaturo, non
potei che pensare non fosse poi molto differente da quello che stavamo facendo
io ed Edward, nonostante i suoi cinquant’anni per gamba.
Appoggiai il mento sulla spalla di
Newton. < Appena finisce la musica, va da lei.
Potresti dirle qualcosa del tipo: “ho ballato con la Swan
ed è stato piacevole ma non ho sentito nulla, nessuna scossa, nessun calore o
profumo che fosse minimamente paragonabile al tuo. Starei bene ovunque, purché
con te. Senza di te fa troppo freddo >.
Okay, mi rendevo conto di avere un pochino esagerato, ma probabilmente i
residui del Jazz-power
erano ancora in circolazione.
< Chiedo perdono >, una voce che
conoscevo fin troppo bene interruppe il nostro ballo. Ci fermammo e alzai lo
sguardo verso un Edward furente.
A quanto ne sapessi era buona norma
aspettare che il ballo finisse prima di venire a reclamare la dama, ma
evidentemente – come era successo a me con Tanya poco
prima – la gelosia lo stava letteralmente divorando.
< Vorrei ballare con la mia ragazza, se non ti dispiace >.
Nonostante la domanda fosse formulata
in modo educato, non prevedeva certo una risposta negativa.
< Certo >, la mano di Mike
abbandonò il mio corpo come se improvvisamente si fosse scottata, ma io rimasi
immobile, incapace di dire o fare qualsiasi cosa.
Aveva detto “la mia ragazza”, non potevo sbagliarmi.
Oddio quant’ero stupida ma non riuscivo
a contenere quell’emozione che,
sottoforma di formicolio allo stomaco, mi aveva colta al suono di quelle
parole.
Sentii di nuovo gli angoli degli occhi
pizzicarmi dalle lacrime che minacciavano di uscire e rovinarmi il trucco.
< Credevo stessi cercando Charlie
>. Impossibile non notare quella nota di fastidio nella sua voce.
Mi ritrovai ad abbracciarlo così forte
da sentire le braccia dolermi.
< Scusami per prima >, parlai
con la faccia premuta contro il suo petto.
< La gelosia e la paura mi hanno
accecato >, ripresi la strada della più completa sincerità.
La sua mano si insinuò nei miei
capelli, imponendomi di sollevare il viso.
< Forse è meglio che noi due
facciamo una bella chiacchierata >, non sembrava arrabbiato ma nemmeno così
calmo.
< Ma non qui >, aggiunse guardandosi
intorno.
In quel momento mi sentii come una
bambina e non potei fare altro che annuire.
Intrecciò una mano alla mia e mi guidò
fuori dalla pista.
< Aspetta >, mi fermai, < non
posso lasciare qui Charlie >.
< Non ci allontaneremo >,
promise.
Schiuse una porta laterale vicino
all’entrata. Mi sporsi a guardare dietro le sue spalle.
< Il guardaroba? >, domandai perplessa
pensando fosse quello il luogo che avesse scelto.
Non rispose nemmeno alla mia domanda e
mi porse una pelliccia.
< Ma questa non è mia! >.
< Ne avrai bisogno. Mettila >,
ordinò.
La indossai sperando per lo meno fosse
di pelo sintetico.
L’aria fredda fuori mi ricordò di
quella volta che ero uscita in pigiama con lui per poi risvegliarmi con un mal
di testa da post-sbronza da Vodka.
Anche se non era passato molto tempo, mi
ritrovai a considerare che tante cose erano cambiate da allora.
Imboccammo una via laterale, seguendo
il perimetro della villa.
L’illuminazione era pressoché assente
per cui mi affidai completamente ad Edward.
Nel buio, si voltò improvvisamente e
quasi non mi scontrai contro il suo petto.
< Stringiti
forte a me >, mi raccomandò.
Sentii le sue braccia cingermi i
fianchi e mi strinsi a lui, come mi aveva suggerito.
< Chiudi gli occhi >, mi
sussurrò e mi beai del suo alito fresco sulla pelle.
< Perché mi hai fatto chiudere gli
occhi? >, domandai dopo appena qualche secondo, riaprendoli.
< Oh, Dio >.
Nonostante non avessi avvertito il ben
che minimo movimento, non eravamo più nello stesso punto. Eravamo al di sopra
di esso, per essere esatti.
< Perché ci tengo particolarmente a
questa giacca >, rispose alla mia precedente domanda con un sorriso.
< Quando hai detto che volevi
parlarmi lontano da sguardi indiscreti, non immaginavo questo! Il tetto? Ma
come ti viene in mente? >.
< Qui non ci vedrà nessuno >.
< Inoltre, come da tua richiesta,
non ci siamo allontanati dalla villa… tecnicamente
>.
< E poi >, continuò, < anche
volendo non potresti più scappare. Siamo solo io e te, faccia a faccia >.
Quest’ultima precisazione mi fece salire
il cuore in gola. Nessuna scusa, nessun Jasper o Mike di turno avrebbero potuto
salvarmi.
< D’accordo >, sospirai.
< Siediti qui >. Mi aiutò,
premuroso come sempre, a farmi accomodare in un posto che sembrava stabile,
senza che strappassi o rovinassi il vestito.
< Che ne dici se iniziamo dal
principio? >, disse sedendosi accanto a me.
< Dunque…
>, disse tamburellandosi con un dito le labbra, < Tanya
>.
Sussultai sentendo quel nome,
stringendomi nella pelliccia.
< Non è la mia ex ragazza >,
precisò per prima cosa.
< Quando la incontrai per la prima
volta - tempo fa ormai - restai
indubbiamente affascinato dal suo aspetto, non te lo nascondo, e fu lo stesso
per lei. Sai, leggendo nella sua mente non era difficile per me capirlo …>.
< Oltre l’aspetto, c’era un’altra
cosa in lei che mi incuriosiva.
Devi sapere che Tanya
non aveva problemi ad avere rapporti con uomini umani.
Per me era inconcepibile. Non avrei
neanche mai potuto immaginare di sfiorare un umano senza spezzargli l’osso del
collo e poi c’era la questione “sangue” che, pur avendo deciso di seguire una
dieta “vegetariana”, era sempre presente.
Vidi nella sua testa anni e anni di
prove. Alcuni uomini le morivano tra le braccia durante l’atto senza avere
nemmeno il tempo di capire che si stavano spegnendo >.
Della
serie: anziché “venire”, se ne andavano, pensai.
Evitai di fare quella battutaccia e aspettai
che continuasse.
< Ma col tempo e per la ricerca
continua di piacere - che Tanya bramava più dell’aria
che respirava - aveva imparato a non far
loro del male. A controllarsi, in qualche modo >.
< Ma tu hai dimostrato di poterlo
fare senza problemi… >.
Edward si voltò lentamente nella mia
direzione. Il suo viso, per metà accarezzato dalla luce della luna, possedeva
un aspetto quasi irreale.
< Se ti stai chiedendo se anche io
ho fatto dei tentativi prima, la
risposta è no >.
< Tu sei l’unica…
umana >. Lo disse con una dolcezza così disarmante da farmi vibrare dentro.
L’aria attorno a noi si fermò.
< Tornando a Tanya.
Mi provocava e mi voleva a tutti i costi, glielo leggevo nella mente,
continuamente. Finimmo per essere l’uno la distrazione dell’altro. Nessun tipo
di sentimento. Solo sesso, niente più >.
< Quella volta che non sei venuto
alla festa… >.
< No, non saltare subito a quelle conclusioni >, m’interruppe.
< L’ho rifiutata e questo, temo,
l’abbia fatta infuriare. Le ho parlato di te ma non è stata una buona idea… ho solo contribuito a ferire il suo orgoglio >.
< Ergo, adesso ho una rivale
vampira superbellissima >, sbuffai
stringendomi le ginocchia al petto.
< Ma ti ascolti? >, disse
infastidito.
< Quando ti guardo, non c’è una
sola cosa che cambierei di te >.
Abbassai gli occhi, lusingata dalle
sue parole.
< E per la cronaca: quando ti sto
vicino sento un calore unico, che solo tu sei in grado di darmi e il tuo
profumo non c’è bisogno che ti spieghi quanto mi faccia impazzire. Starei bene
ovunque, purché con te. Senza di te fa troppo freddo >.
< Così non vale >, feci una smorfia nell’udire
le esatte parole che avevo suggerito a Mike poco prima.
< E adesso tu >, mi scostò una
ciocca di capelli dietro l’orecchio, < Ti va di dirmi perché sei sempre
sulla difensiva. Perché fuggi dall’amore? >.
Ingoiai la saliva, nervosa.
Non era mai facile parlare del mio passato
perché questo avrebbe significato ritornare indietro e ricordare quello che
invece preferivo tenere in un angolino polveroso della mia mente.
Edward si era aperto e, anche se il
passato era pur sempre passato, era giusto che sapesse cosa mi avesse portata
ad essere la Isa di adesso.
< Dicono che non si conservino i
ricordi di quando si è molto piccoli. Di solito non sono altro che reminiscenze
o i “ricordi trasmessi”, come li chiamavo io, quelli che in pratica si pensa di
ricordare ma che non sono altro che aneddoti che hanno raccontato i genitori in
seguito >, iniziai.
< Io non ne ho alcuno dei miei
primi anni di vita. Non ci sono foto che mi ritraggano pelata e senza denti. Ma
devo averli passati bene, quegli anni, finché c’era stata mia nonna Mary, la
madre di mia madre, a prendersi cura di me >.
Parlare di mia nonna mi faceva sempre
un certo effetto. Benché non avessi la fortuna di ricordare molto di lei,
custodivo ancora da qualche parte un topolino di gomma che sapeva di biscotti
fatti in casa. E proprio quell’odore era ormai indelebilmente associato a lei.
< Dicono che non si hanno ricordi
di quando si è piccoli ma credo che i bambini – come delle spugne – assorbano
l’amore e l’affetto che gli si dà. Io non ho raccolto nulla di tutto ciò, tant’è
che, fino a poco tempo fa, avrei giurato di non poterne dare, di amore, nemmeno
a spremermi fino al limite >.
Spiai Edward che mi scrutava attento
ad ogni parola, quasi avesse paura di perderne una. Avevo l’impressione che seguisse
il tono e le inclinazioni della mia voce per leggere, di conseguenza, quello
che sentivo dentro.
< Non mi ricordo nessun gesto o
parola d’affetto da parte di Renèe. A dire il vero,
mi rivolgeva la parola solo per ricordarmi di quanto fossi un peso per lei e di
come fossi stata il più grande errore della sua vita.
Quando sentivo le chiavi girare nella
toppa, il cuore mi andava a mille. Non potevo mai sapere di che umore sarebbe
stata mia madre.
Non era stabile e totalmente lunatica.
Poteva passare facilmente da momenti di calma a scatti di totale isterismo in
cui se la prendeva con me per qualsiasi cosa, anche se mi azzardavo a respirare
nella sua stessa stanza >.
Mi accorsi che non faceva poi così
male questa operazione a cuore aperto.
Mostrare ad Edward ciò che avevo dentro non si stava rilevando particolarmente
doloroso, come avevo pensato. Era più un alleggerimento, forse.
Edward poi era l’ ascoltatore per
antonomasia. Non domandava, non era avido di particolari e soprattutto non
cercava di spiegare o, peggio, giustificare il comportamento di Renèe per rendere le cose più facili di come non fossero.
Non contribuiva a scavare più affondo di quanto già non stessi facendo da me.
Mi lasciava il mio tempo.
< Le cose, paradossalmente,
andavano meglio quando trovava un uomo.
Era più tranquilla e, per quanto non
mi piacesse avere degli estranei in casa, per lo meno venivo ignorata e
lasciata in pace.
Il limite, un giorno, venne raggiunto
quando mi accusò dell’ennesima rottura, con l’ennesimo uomo. Facevo la civetta,
diceva.
Malgrado ciò, tutte le volte che
minacciavo di trasferirmi da Charlie si ammutoliva e diventava improvvisamente
malleabile. Non l’avrei fatto concretamente. Non mi sarei mai trasferita a
Forks di mia spontanea volontà. Per quanto con gli anni avessi imparato a non
dare peso alle parole di Renèe, fin da piccola, aveva
radicato in me la convinzione che Charlie fosse un uomo cattivo.
Ad ogni modo, non credo che non
volesse lasciarmi partire perché tenesse a me o per chissà quale tipo di
sentimento, credo, semplicemente, avesse paura della solitudine.
In fin dei conti ero tutto ciò che le rimaneva
di sicuro >.
Lo sguardo di Edward esprimeva un
certo tipo di comprensione e partecipazione. Era plausibile, infondo, che anche
lui nutrisse una paura simile.
< Potrai ben immaginare che in
questo quadro, anziché prendere le distanze da mia madre e comportami in
maniera responsabile, cominciai a frequentare cattive compagnie. Più nello
specifico gente come me. Senza una vera famiglia. Senza alcun controllo >,
sospirai portandomi le mani sulle guance, forse troppo accaldate per la
temperatura esterna.
Quella era decisamente la parte più
difficile da raccontare. Non aver ricevuto amore quando non si era ancora in
grado di capire nemmeno cosa sia, non può essere una colpa. Si è invece
direttamente responsabili delle proprie azioni e dei propri comportamenti che, chiaramente,
non possono essere giustificati o cancellati da un passato difficile. Ne ero
consapevole.
< Iniziai col fare sempre più tardi
la sera, fino a non rincasare proprio certe notti.
Il mio migliore amico era Jack. Jack
Daniel.
Le volte in cui ero lucida si potevano
contare sul palmo di una mano.
La situazione a scuola andava sempre a
peggiorare, e non sto parlando solo di voti. Così, mi affidarono un tutor, un
ragazzo di qualche hanno più grande.
Alex.
La prima volta che lo vidi, ricordo di
avergli riso in faccia per mezzora, di aver girato i tacchi e di averlo
lasciato in aula da solo.
Non poteva funzionare, lui era un po’
come te, per certi versi >, mi persi per un momento nei suoi occhi
impazienti.
< Un ragazzo perfetto. Uno di quei
tipi bravi a scuola ma che scampano dall’etichetta di “secchione” grazie alla
loro bellezza e alla bravura negli sport.
Provò a rimettermi sulla buona strada
- ammesso che ci fossi mai davvero stata - costringendomi alle ripetizioni
>.
Mentre parlavo, i ricordi iniziavano
violentemente ad accavallasi, pronti a contendersi un posto in prima fila dopo
anni di segregazione.
“Tu
perché sei qui?
Insomma
devi pur aver fatto qualcosa. Non mi pare questa sia una punizione solo per me.
Dimmi,
ti hanno beccato a copiare? ”
E proprio quando iniziai ad
intravedere uno spiraglio di luce nell’oscurità, spirai su quella debole
fiammella che avrebbe dovuto farci strada.
< Vinse la mia personalità e per
qualche strano motivo iniziai ad interessargli >, notai, con la coda
dell’occhio, che Edward si era irrigidito ma, anche questa volta, non fece
domande.
“Facciamo
un patto. Esci con me una sera e dirò al preside che non c’è più bisogno che tu
segui questo corso”
< L’inizio della fine.
Le ore che passavo con lui in aula in
fin dei conti mi tenevano alla larga dai guai.
Iniziammo a vederci al di fuori della
scuola finché una sera non finimmo per fare sesso nella vasca idromassaggio dei
suoi, completamente ubriachi >.
“Ahi!”,
piegai un ginocchio, portandomelo al petto per constatare quanto fosse profondo
il taglio.
Non ricordavo nemmeno il momento in
cui me l’ero fatto.
“Fa
vedere”, Alex mi afferrò un polpaccio e mi tirò verso di sé,
facendomi sbattere la testa contro il pavimento. Risi come una cretina.
“Ma
come cazzo te lo sei fatto?
C’è
del vetro qui dentro!”.
Sputò sulla ferita per disinfettarla.
“Hai
una pinzetta?”.
“Nella
mia borsa”, risposi non sapendo nemmeno dove fosse. In realtà, in quel
momento, non sapevo dove fossi nemmeno io.
“Andrew,
passami quella borsa”, urlò aumentando il mio mal di testa.
“E
cazzo, mettiti un paio di cazzo di mutande!”
< Quando anche l’alcool ci stancò,
passammo alle droghe leggere. Sapevo che quel senso di estraniazione dalla
realtà non era che una sensazione di passaggio e che subito dopo sarebbe stato
anche peggio, e proprio per quel motivo presi a fumare sempre più
frequentemente in modo che gli intervalli di lucidità non durassero che pochi
giorni.
Il mio punto di svolta arrivò, una
sera, quando Dave collassò >.
“Hey, amico, sveglia!”, Alex lo schiaffeggiò
sulle guance perché rinsavisse, ma Dave non si svegliava.
Alex non mi degnò di una risposta,
trascinò Dave per le gambe all’interno della casa.
“Aiutatemi
a metterlo sul divano”
Ero confusa e agitata. Con mani
tremanti cercai il cellulare nella mia borsa finché non la vuotai completamente
sul tappeto.
“Cosa
cazzo stai facendo?”.
“Sto
chiamando aiuto”.
“Cosa
credi diranno appena ci vedranno in questo stato? Non capisci che se la polizia
perquisisse la casa, rischierei grosso? Ci vuoi mettere nei casini?”.
Gli altri sembravano d’accordo con
lui. Possibile fossi l’unica persona preoccupata per la vita di quel ragazzo?
“Dove
la nascondi?”
“Solito
posto, perché”.
“Dobbiamo
sbarazzarcene. Io intanto chiamo aiuto. Non possiamo lasciare Dave così”.
Mi strappò il cellulare dalle mani.
“Non
chiamerai nessuno. Ora si riprende”.
< Grazie a Dio si riprese. Ma lo
spavento preso fu impossibile da cancellare.
Non sto certo dicendo che diventai una
santarellina, ma almeno smisi con quella robaccia.
In fin dei conti avevo capito che per
loro la vita di ognuno di noi non valeva più di una denuncia o di una notte in
carcere >.
Mi fermai ad osservare il manto
stellato che da quell’altezza sembrava potesse essere toccato, se solo avessi
alzato una mano.
Edward non aveva detto ancora una
parola e, se prima la cosa mi stesse più che bene, adesso stava diventando per
me sintomo di ansia.
Che quello che gli avevo raccontato
fin ora gli aveva fatto cambiare idea su di me?
< Hey
>, mi riscosse dai miei pensieri.
Delicato come avesse a che fare con un
cristallo prezioso, mi scostò una ciocca di capelli dal volto.
< Se non te la senti di continuare… >.
< No, va bene così >, presi un
bel respiro e parlai.
< Alex divenne insistente, diceva
che ero io che l’avevo portato a tanto e che non potevo abbandonare quella che
era essenzialmente la mia vita, ormai.
Il senso di colpa veniva a bussarmi la
notte. Alex era un bravo ragazzo con una splendida famiglia e io l’avevo
trasformato in un mostro o, comunque in un qualcosa di molto simile a me >.
< Per quello, all’inizio, avevo
paura con te >, ammisi, < Temevo potessi farti del male, come l’avevo fatto
ad Alex >.
Edward sembrò incupirsi per qualche
istante. Forse credeva che, al contrario fosse lui quello pericoloso tra i due.
Gli afferrai una mano cercando di trasmettergli tutta la fiducia che riserbavo
in lui.
< Cercai di spiegargli che potevamo
stare bene, insieme, anche senza farci o ubriacarci e che, anzi, dopo saremmo
stati meglio>.
“Alex,
ti prego”
“D’accordo”,
soffiò imprigionando il mio labbro inferiore tra la sua bocca.
“Promesso?”.
“Ti
amo, stronza”.
< Sembrava avesse capito e io gli credetti. In fondo se c’ero riuscita io, poteva farcela
anche lui…
Tornò ad essere lo stesso ragazzo di
un tempo, quello che avevo conosciuto nell’aula di recupero. Quello che mi
faceva ridere, che mi coccolava e che mi spiegava le funzioni, quando non le capivo >.
< Ma le cose non erano esattamente come
sembravano>.
“Cos’hai
qui?”.
“Non
essere stupida, non ho niente”.
< Alex c’era dentro fino al collo.
Qualche giorno dopo che l’ebbi
scoperto, qualcuno fece la soffiata alla polizia, denunciandolo. Immagino sia
stato qualcuno al quale aveva rubato il lavoro o chiunque ce l’avesse con lui.
Ma Alex non la pensava allo stesso modo >.
< Ha pensato fossi stata tu? >.
< Già >, Edward intrecciò le
dita con quelle della mia mano, cercando di confortarmi.
< I giudici non furono clementi con
lui, nonostante provenisse da una famiglia ricca. Venni chiamata a pronunciarmi
e … >, sospirai al ricordo degli occhi di Alex seduto in quel tribunale.
< …dovetti
dire la verità >.
Edward mi passò un braccio dietro la
schiena, permettendomi di poggiare la testa sulla sua spalla.
La ferita dentro era ancora troppo
profonda perché si rimarginasse in poco tempo, ma sentivo che con Edward il
dolore si attenuava.
< Così dovetti abbandonare la città
>, conclusi il mio racconto, ricomponendo tutti i pezzi della mia vita.
Edward mi strinse tra le sue braccia e
mi depositò un bacio sulle labbra.
Dolce, sensuale, come solo lui sapeva
essere.
< E’ tutta la sera che aspetto di
farlo >, mi confidò baciandomi la punta del naso.
Sorrisi scoprendo i denti.
< Non sei deluso? >.
< E di cosa, scusa? Non dico che il
tuo passato non mi interessi, sarebbe una falsità. Mi interessa tutto di te, lo
sai.
La sola cosa che importa è che ora tu
sia qui, tra le mie braccia, su un tetto, durante l’inaugurazione di una biblioteca
a tuo nome- e il che in effetti
potrebbe sembrare insensato e al limite del surreale -ma se me lo permetterai, io ci sarò sempre
>.
< Per sempre il…mio ragazzo ? >, sdrammatizzai.
< Per sempre il tuo ragazzo >.
___________
Ragazze non potete immaginare che fatica!
Povera la mia beta. L’ha dovuto ricorreggere per ben
due volte!!
Era tutto già delineato dall’inizio questo suo
passato ma sono sempre stata incerta se raccontarlo o meno. Ditemi se per voi
ho fatto bene.
Mi ucciderà, ma io continuo a pensare che sia noioso
anche se ho cercato di renderlo il meno pesante possibile.
Così finalmente sapete il passato di Isa. Spero non
siate rimaste deluse.
Nel prossimo, che è già scritto per metà ci sarà
l’episodio della caccia…non ve lo perdete ;)
Ringrazio
di cuore tutte le ragazze che hanno commentato e che continuano a leggere e a
seguire/preferire questa storia. Non so cosa farei senza di voi. Ringrazio
ovviamente anche la mia Beta Barby per la pazienza.
< Mi piace guardarti mentre mangi
>, le risposi appoggiando la testa sui palmi delle mani, anche se avrei
voluto risponderle “Mi piace guardarti”,
punto.
Armonia
e bellezza allo stato puro.
Vibrante
di una vita troppo fragile.
Un
battito di ciglia.
Un
respiro.
Tutto
l’Universo che si colloca dentro il suo piccolo essere e trova una perfezione
imperfetta di piccole luci fulminate come piccole stelle addormentate.
< A me non piace tanto essere fissata mentre mangio, non se l’altro
commensale non mangia insieme a me…>.
< Va bene >, prelevai un piatto
di verdure e me lo piazzai di fronte. L’odore era disgustoso ma potevo resistere… senza respirare.
< Se vuoi posso far finta, sono
bravo in questo >, le dissi brandendo la forchetta.
< No >, mi fermò, < voglio
che tu sia te stesso >.
Le sorrisi, sincero.
Da quanto tempo non ero me stesso?
Si pulì le labbra con un tovagliolo.
< Che ne dici se andiamo sul divano? >, mi domandò.
Accettai la sua proposta, alzandomi
lentamente dalla sedia.
Volevo essere me stesso ma avevo paura
di spaventarla.
< Basta che non mi costringi a
guardare il telefilm dell’altra volta >, sdrammatizzai.
Alzò un sopracciglio e scoppiò a
ridere. < Cosa aveva che non andava? >.
< Tutto >, ammisi.
Si bloccò per qualche istante ma non
sembrò offesa dalla mia totale sincerità, anzi, sorrise.
< D’accordo >, convenne, < ma
scordati i documentari o i film sulla guerra >.
M’impegnai a fingere un’espressione
offesa per farla ridere.
Che m’importava? L’unica cosa che
contava era stare con lei.
Io ed Alice non potevamo essere più
differenti. Non avrei mai pensato di trovarmi così bene con una persona con la
cameretta tinteggiata di rosa.
Un’ondata del suo odore mi travolse
quando mi passò di fronte per raggiungere la piccola videoteca del suo salotto.
M’imposi di non trattenere il respiro. Dovevo abituarmici.
E poi in quella casa tutto sapeva di lei, impossibile non notarlo.
< Mmm…
>, passò il dito sulla copertina di alcuni titoli di dvd, < direi che gli
horror e i thriller sono da escludere… >.
< Troppo sangue >, disse
divertita voltandosi e facendo ondeggiare i suoi capelli corvini.
Se
quello era sangue io ero Padre Ralph, ma evitai di riportare il mio
pensiero ad alta voce.
< Se hai timore che possa leggere la
tua paura… >, la punzecchiai.
< Forse…
>, iniziò divertita, < dovrei iniziare con l’averne di te >, mi zittì.
< Touchè
>.
Colpito e affondato.
Come poteva una piccola umana
misurarsi con me e… superarmi?
< Un film che non hai mai visto?
>, domandò tornando ai titoli.
< è
difficile trovarne uno >.
< Trovato! >, disse brandendo
tra le mani la copertina di un dvd, troppo colorata per i miei gusti.
< Un film d’amore? Quasi quasi preferisco quel tuo telefilm…
>.
< Ormai è deciso >, impose,
introducendo il cd nel lettore.
Venne ad accovacciarsi sul divano
accanto a me. Troppo vicino.
< Sei teso >, constatò.
< Non rubarmi il lavoro, sono io
quello empatico, ricordi? >, la buttai sul ridere ma ancora una volta riuscii
a stupirmi. Ci aveva preso.
< Vieni qui, allora >, ordinò,
< Più vicino >.
Forse avrei dovuto inventarmi qualcosa
per mantenere una certa distanza di sicurezza, ma finii per essere
completamente addossato a lei.
Le sorrisi per non farle comprendere
quanto, in realtà, mi sentissi in imbarazzo.
Nessun potere vampiresco poteva competere
con questo. Le donne, o per meglio dire, lei, Alice. Avrebbe potuto farmi fare
qualsiasi cosa, se avesse voluto.
La cosa era preoccupante. A dir poco
preoccupante e anche… snervante. Avrei potuto
accendere una lampadina se me la fossi messa in bocca.
Valutai che non fosse proprio il caso
di rivelarle questo piccolo “tallone
d’Achille”. Chissà per quale motivo la mia mente soldatesca registrava
queste informazioni come riservate, da non cedere per nessun motivo, nemmeno
sotto le più estenuanti torture, al nemico. Sì, perché lei era il nemico. Un
nemico piccolo e insidioso con un odore in grado di stordirmi, la pelle morbida
e delle labbra provocanti e quel décolleté....no, non potevo davvero pensare
che lo facesse apposta. Alice era una piccola umana, una piccola e ingenua
umana.
Lo pensai fino a quando non si sistemò
con le gambe sulle mie.
Piccola
tentatrice!
Il film era iniziato da diversi minuti,
la mia mente registrava quello che gli attori recitavano senza capirne il senso
neanche avessero parlato in idioma caldeo. Anzi, che stupido, quello lo
conoscevo perfettamente!
Proprio quando iniziai a rilassarmi,
la sua mano curiosa sfiorò i miei capelli. M’immobilizzai assicurandomi la
parvenza di una scultura di me stesso. Idiota.
Odiavo quando qualcuno mi toccava i
capelli, l’ultima volta che lo aveva fatto Emmett gli avevo lanciato la
lavastoviglie in testa. E se lo faceva Alice quasi mi scioglievo…
dovevo avere qualche rotella fuori posto, per via dell’età, forse.
Mi slegò la coda con un gesto veloce
ma non mancai di avvertire ogni minimo spostamento delle sue dita fra i capelli.
< Sono più lunghi dei miei >,
constatò continuando ad accarezzare distrattamente la ciocche bionde.
Non
sa quel che fa, mi dissi mentalmente, imponendomi un controllo.
Osservai il suo musino imbronciato.
< Mi piacciono i tuoi capelli >,
la rassicurai. E lo pensavo davvero tanto che, nonostante la situazione,
riuscii a dirlo con un sorriso.
< E poi anche se volessi, non potrei
tagliarli >, le confidai.
< Non dirmi che funziona come
Sansone e che perderesti tutte le tue forze >.
Le mie forze le avrei perse di sicuro
se avesse continuato a guardarmi in quel modo.
Sembravo un malato e forse lo ero. Ma
non ero abituato a sentirmi così dannatamente attratto da qualcuna. Di solito a
torturarmi c’era l’altro problema, forse meno grave, quello del sangue, che, per
la verità, era quello che occupava il novantanove percento della mia
attenzione. Non avevo tempo per pensare ad altro. Tuttavia con lei la
percentuale veniva magicamente stravolta.
< Il fatto è che ricrescerebbero
nel giro di qualche ora >.
Mi fissò stupita e al tempo stesso
affascinata.
< Se stai pensando di fare di me il
tuo manichino, scordatelo >, puntualizzai.
Fesso proprio no. Anche se ero sicuro
che con un po’ di impegno avrebbe ottenuto pure quello.
Meglio cambiare discorso prima che le
venisse in mente di insistere.
< Com’è andata con tuo padre? >.
< È andata bene >, rispose con
un sorriso che subito dopo si spense, < anche se è rimasto solo per tre
giorni. Comunque mi ha promesso che la prossima settimana torna >.
< È bene che passiate un po’ di
tempo insieme >.
< Già. Avrei potuto farlo prima… >.
< Ehi >, le sollevai il viso,
dimenticando quasi l’effetto devastante dei suoi occhi su di me.
< Per quanto possa sembrarti
impossibile, ne avrai anche dopo… >.
< Dovremmo parlargli di tutto
questo >, affermò con risolutezza.
< Quando sarà il momento >,
risposi forse troppo agitato.
Alice sbuffò.
< Se sei preoccupato di non
piacergli, non sai quanto ti sbagli >.
Dritta al problema, come sempre.
< Già >, sorrisi ironico, < a
chi non piacerebbe un fidanzato vampiro per la propria figlia? >.
< E una figlia vampira? >. I
suoi occhi si riempirono di lacrime.
< Tuo padre ti ama, lo sai, non c’è
bisogno che te lo confermi io >.
Avevo sentito i sentimenti che provava
il Signor Brandon per sua figlia ed ero certo che
l’avrebbe amata comunque, qualsiasi cosa avesse scelto per se.
< Senti >, si sforzò di parlare,
smorzando le lacrime, < tu non sei costretto a farlo solo perché ti senti,
come dire, obbligato o per quella
strana promessa fatta a mia madre
prima che nascessi… >.
< Non dire assurdità! >, la
ripresi forse con un tono troppo duro per la situazione.
I singhiozzi si intensificarono e mi
sentii inerme. Senza i miei poteri non ci sapevo proprio fare con le persone.
< Alice >, la chiamai per nome
ed erano poche le volte in cui lo facevo, < è dal primo giorno che ti ho
vista che mi hai preso totalmente…
>.
Si specchiò nei miei occhi e io mi
persi nei suoi. Tremai dentro pensando a quanto fosse vicina...
< Perché non dici mai quella
parola? >.
Per la prima volta durante la mia
lunga esistenza mi sentii mancare l’aria nei polmoni.
Cercai di riprendere fiato.
< Cambierebbe qualcosa? >
< Mi faresti solo sentire “amata” >, disse a denti stretti.
Feci una smorfia contrariata. Non
erano quelle due parole a fare la differenza.
< Potrei anche scegliere di non
farlo, di non farmi trasformare >, disse con un cipiglio serio.
Su questo non c’era nemmeno da
discutere.
< In tal caso >, mi schiarii la
voce in modo da risultare il più chiaro possibile, < io lo farei ugualmente… quando non saresti più in grado di scegliere
>.
Mi fulminò con lo sguardo. Sentivo la
sua rabbia anche se non riuscivo a controllarla o attenuarla.
< Se lo farai io…
io verrei a cercarti fino all’ angolo più remoto del mondo e ti ucciderei >.
< Tu mi uccidi già, possibile che
non te ne renda conto?
< Con quegli occhi grandi e quelle labbra… ferisci più di una spada >, non so dove trovai
il coraggio ma glielo dissi.
< Vorrei che tu mi desiderassi
quanto ti desidero io e non mi guardassi come stai facendo adesso…
con compassione >.
< Tu non capisci >, scossi la
testa come per cancellare quel moto che mi si era scatenato dentro. Come se per
anni non avessi fatto altro che racimolare sentimenti altrui e adesso, senza
controllo, mulinassero dentro di me, confusi. Perché non poteva essere mia
quella rabbia che mi ribolliva ardente nelle vene e quel calore che si era
irradiato nel petto quando mi aveva confessato di desiderarmi. Lei mi
desiderava. La mia felicità era offuscata solo da quel senso di inadeguatezza.
< Io ti desidero più di qualsiasi
cosa al mondo >, ringhiai.
< Dimostramelo, allora >, mi
sfidò.
I suoi occhi riflettevano
determinazione e qualcosa che compresi essere desiderio.
< Fa l’amore con me >.
Non potevo credere a quello che avevo appena
sentito.
Senza rendermene conto mi ero
allontanato da lei. Me ne accorsi solo quando non percepii più il suo calore
vicino.
< N-nonposso… >, abbassai il capo per non leggere sul suo viso
più di quanto non stessi già sentendo dalle sue emozioni.
Delusione,
rifiuto, paura…
< Non posso farti del male >,
continuai, supplicandola di ragionare e feci l’errore di guardarla.
Fu come uno schiaffo e sentii una
morsa stringermi il petto.
Era inginocchiata a terra. Piccola e
indifesa.
Volevo pregarla di non guardarmi in
quel modo, ma non ci riuscii.
< Shh,
Jazz. Io l’ho già visto! Non mi farai del male, puoi credermi >.
Ripresi per un attimo lucidità e mi
avvicinai lentamente a lei.
La sollevai sul divano delicatamente.
< Ho fiducia nel tuo potere, ma sai
anche l’effetto che hanno le tue emozioni sul mio, su di me. Mi travolgono,
Cristo! >, nuovamente mi lasciai trascinare dalla rabbia.
< Se…
>, abbassai lo sguardo cercando le parole adatte per non ferirla più di
quanto non avessi già fatto, < Basterebbe un secondo per ucciderti >,
conclusi non trovando altro modo per dirglielo.
Ero arrabbiato ma non con lei. Con me
stesso.
Io volevo amarla, davvero.
Con tutto me stesso.
Ogni parte di me voleva amarla come
meritava di essere.
Se solo avessi potuto, l’avrei stretta
tra le braccia e baciata sino a che facesse notte e poi di nuovo giorno. Fino a
sentire le braccia e le labbra stanche. Dio, se avrei voluto, sentire il suo
calore e il suo profumo penetrarmi dentro.
Sarei potuto morire dentro di lei.
< Non lo farai >, insistette
ancora.
< Non puoi esserne sicura >.
< Ma Edward…
>, chiese timidamente.
In quel momento provai rancore nei
confronti di mio fratello. Avevo sempre invidiato la sua forza d’animo seppur
il suo trattenersi e il suo rinnegare la sua natura mi facessero repulsione. E adesso… avrei voluto essere lui.
< È diverso >, risposi soltanto.
< Non lo è. È anche lui un vampiro.
Sembra che tu non voglia nemmeno provarci… >.
< Tutto è più intenso quando sei un
vampiro. Quando feriamo, lo facciamo sul serio. Ma quando amiamo ...>.
< Amami, non chiedo altro >,
affermò con impeto, < se è quello che vuoi anche tu, s’intende…
>, abbassò lo sguardo e la voce simultaneamente, diventando quasi inudibile.
< È quello che voglio >, chiarii
senza indugio.
Smisi di respirare, seppur non ce ne
fosse motivo, quando appoggiò le sue mani sul mio viso. La sua fronte calda a
dare sollievo alla mia e viceversa.
Sebbene sapessi che era soltanto un’impressione,
mi sentivo stremato.
Stanco di lottare contro un qualcosa
che volevo ardentemente mi travolgesse.
La corolla di folte ciglia scure non
mi permettevano di guardare i suoi occhi ma avvertii l’odore salino delle sue
lacrime.
Quando le sue labbra si posarono sulle
mie, ne sentii anche il sapore.
Avrei voluto piangere allo stesso modo
affinché anche lei sentisse il sapore di quello che io provavo per lei.
Il bacio fu breve e dolce. Fugace e
intenso, allo stesso tempo.
< È tutto nuovo anche per me >,
sussurrò ancora sulle mie labbra. Ingoiai le sue parole e le sentii ardere in
gola.
< Insegnami ad amarti, ti prego.
Permettimi di amarti >.
Le sue parole mi fecero sentire nudo e
vulnerabile.
Ancora una volta la piccola umana mi destabilizzò.
Lambii le sue labbra con due dita,
beandomi del suo respiro sulla pelle.
Ne baciò le punte.
< Insegnami tu…
>, ingoiai un fiotto di veleno < a conoscerti>.
Chiusi gli occhi, cercando di ignorare
le fiamme che mi laceravano la gola.
< Insegnami passo a passo a
conoscere la tua femminilità, il tuo corpo. Ogni tuo respiro o gemito affinché
io non possa farti del male >.
___________
Allors… è passato del tempo durante
il quale Jasper e Alice si sono molto avvicinati (come ha anche anticipato Isa
nel capitolo precedente) e, a quanto pare, hanno già anche discusso sulla
trasformazione di Alice che sembra data per scontata, o quasi. Perché? Lo
scopriremo presto. Promesso.
Per quanto riguarda la questione fisica ho pensato
che per Jasper fosse più complicato. Innanzitutto per via della “sete” (ma il
fatto che Jasper soffra la sete più degli altri è ripreso dall’originale),
l’elemento nuovo è determinato dal fatto che Jazz, non solo non riesca a
controllare le emozioni di Alice, ma ne sia addirittura travolto. Quindi vi
lascio immaginare un’ipotetica scena intima tra i due…
Niente minacce del tipo “dopo il matrimonio” ( per
quanto la cosa sia romantica). La “soluzione” alla quale sono giunti è un stepbystep
(passo a passo).
Impareranno ad amarsi in quel senso? Si prevede un
capitolo hot nell’apposita sessione.
Presto il capitolo IsaxEdward
che vi avevo promesso.
Precisazione:
la frase “Tutto è più intenso quando sei un vampiro.
Quando feriamo, lo facciamo sul serio. Ma quando amiamo…”
è tratta dal telefilm “The vampire Diaries”.
Il capitolo è un po’ corto, forse (rispetto agli
ultimi) ma credetemi: era da tanto che non scrivevo così di getto, senza
soffermarmi ore su un'unica frase! Spero si noti questa “freschezza” durante la
lettura. Spero si noti anche l'impegno a mettermi nei panni di Jazz quando scrivo i suoi pov.
Spero di aver risposto a tutti i commenti del
capitolo precedente. Ditemi se ho dimenticato qualcuno.
Ricordo che i commenti (o anche le critiche) sono
bene accette e mi danno la carica per scrivere più velocemente i prossimi
capitoli ;)
Quella era decisamente la prima volta
che rischiavo di arrivare, non in orario, ma addirittura in anticipo ad un
appuntamento.
Per la verità, era dal giorno
precedente, quando avevo ricevuto la telefonata di Edward, tanto criptica
quanto attesa, nella quale mi diceva solo “E’
tempo. Ci sarai?” - neanche fossimo intercettati dai Servizi Segreti degli
Stati Uniti d’America - che fremevo dall’eccitazione.
Avevo capito subito a cosa si stesse
riferendo e avevo risposto con un “sì”
forse troppo concitato per ciò che avremmo dovuto fare.
Così, non avevo chiuso occhio tutta la
notte, osservando il mondo dalla finestra di camera mia e pregando il giorno di
non farsi attendere.
Era anche una prima volta ben più
importante.
Avrei visto un vampiro – il mio vampiro – cacciare.
Ingranai la prima marcia facendo
tossire il mio Chevy e mi diressi verso casa di
Edward.
Giacché le mie scarse conoscenze sul
mondo dei vampiri mi avevano già largamente depistata dalla realtà, questa volta
mi avviai verso casa Cullen con la certezza di non vedermi palesare in
lontananza le mura di un castello con tanto di fossato. Per una volta mi ero
fatta un’idea molto più realistica e pratica. Casa Cullen non doveva che essere
una casetta in mezzo al bosco, anche abbastanza ordinaria, per non dare
maggiormente nell’occhio.
Afferrai il cellulare dalla borsa sul
lato passeggero mentre con l’altra mano tenevo il volante. Ma subito cambiai
idea. Insomma, che bisogno c’era di avvisare Edward che stessi arrivando?
Infondo con i suoi sensi sviluppati mi avrebbe sentita arrivare ugualmente e
poi – pensandoci – non si doveva certo essere dei vampiri per sentire il mio
pick-up anche a distanze non proprio ravvicinate.
La casetta ordinaria in mattoncino
rosso era una grave offesa. Quello che avevo di fronte non era un castello, ma a
quanto “mantenere un basso profilo” non c’eravamo comunque.
Non era un palazzo, ma definirla una villetta mi sembrava riduttivo.
Una costruzione quadrata uscita
dall’estro di qualche ingegnoso architetto si parò dinanzi ai miei occhi. La
cosa colpiva era che, nonostante si vedesse fosse frutto di un design moderno e
sofisticato, si integrava perfettamente con l’ambiente circostante forse anche per
merito delle ampie finestre che occupavano quasi interamente la superficie verticale,
sempre per rimanere in tema di segretezza. La casetta di Hansel e Gretel
avrebbe dato meno nell’occhio, forse.
Dopo aver socchiuso gli occhi per un
attimo e tirato un grosso respiro, scesi dall’auto.
Mi avviai con passo fin troppo svelto,
per essere in anticipo, alla porta. Non ebbi bisogno di suonare perché mi
accorsi che la persona che cercavo era proprio lì fuori.
Nel giardino – se proprio lo si voleva
definire così – circostante l’abitazione, Edward si stava…
allenando?
Mi si seccò la saliva in gola e rimasi
imbambolata ad osservarlo in tutta la sua bellezza.
Aggrappato ad una barra faceva dei sollevamenti con le braccia.
La cosa che maggiormente turbava i
miei ormoni era che non indossava altro che la parte inferiore di una tuta
grigio-chiaro, legata alla cintola da un laccio che dava l’idea di essere
facilmente slegabile...
A complicare ulteriormente le cose ci
si metteva quella leggera pioggerellina che, facendomi provare una certa
invidia, accarezzava tutto il suo corpo e i suoi capelli, dando quasi la
parvenza si trattasse di sudore dovuto all’attività che stava praticando.
Gli addominali e i muscoli delle
braccia risultavano così evidenti sotto sforzo che sembravano urlare a gran
voce di tastarli.
Nonostante sapesse perfettamente che
fossi lì, continuò comunque la sua attività.
< Centocinquantasei…
>, lo sentii sussurrare tra le labbra all’ennesimo sollevamento.
< Sì, dai, ora non fare lo spaccone
>, lo salutai.
< Veramente erano i tuoi battiti
cardiaci quelli che stavo contando… >, sorrise
sghembo senza accennare a fermarsi, < sono aumentati, ero preoccupato >,
continuò con tutta l’aria di sapere esattamente il perché.
Rise più forte vedendo che non avevo
parole per replicare.
< Dai, ti prendo in giro… >.
Altro sollevamento.
< Va bene >, soffiai, < ma
adesso basta con questo teatrino! A che ti serve fare attività se sei… morto? >.
< Visto che sono morto non dovrei
nemmeno parlarti >, mise in evidenza, < o baciarti, o ancora…
>.
< Okay >, lo interruppi
bruscamente, < ho capito >.
< E poi non dirmi che non sei
neanche minimamente… impressionata >, al che levò
un braccio dalla sbarra e continuò a sollevare il peso del suo corpo con
l’ausilio di un solo braccio.
< No >, mentii.
Mi guardò, scettico.
< Okay, un po’ >, ammisi dopo
qualche secondo.
Neanche il tempo di terminare la
frase, che Edward con un salto tanto elegante quanto felino, mi raggiunse.
Prelevò un asciugamano di spugna
bianco appeso ad un ramo e se lo passò tra i capelli.
Sexy.
< Non puoi averlo fatto solo per …
impressionarmi >, iniziai cercando di guardarlo il meno possibile.
< Infatti >, confermò ripiegando
con cura l’asciugamano.
< Il mio e il tuo organismo non
sono così diversi come credi >.
Rimasi ad ascoltarlo, interessata.
< Per farla breve, quando ti nutri
una parte di quello che ingerisci ti fornisce le energie per affrontare la
giornata, una parte viene accantonata e una, infine, viene espulsa dal tuo
organismo >, spiegò con semplicità.
< Vedi, quando noi ci nutriamo, il
sangue che ingeriamo ci entra in circolo,
anche se la parola “circolo” non è proprio corretta.
Come sai, infatti, non avendo un cuore
che pompa il sangue a tutte le zone del corpo, per far sì che esso le raggiunga
ugualmente devo fare attività. In questo modo il sangue giunge a tutti i
muscoli per farli entrare in funzione >, mi fece l’occhiolino sottolineando
così tutti i sottointesi del caso.
< Quand’è stata l’ultima volta che
… >.
< Mi sono nutrito? >, completò
la frase per me.
< Ieri >, rispose immediatamente
dopo.
Già, c’era da aspettarselo da uno come
Edward. Conoscendolo, per non correre rischi, immaginai avesse contribuito
all’estinzione della fauna del bosco di Forks.
< Se hai cambiato idea… >.
< No >, risposi fingendomi
calma.
< D’accordo, allora >, fece una
smorfia, < che ne dici se prendiamo il tuo mezzo? >, mi domandò
infilandosi una felpa, non tanto perché sentisse freddo ma probabilmente per
farmi rispondere il più lucidamente possibile.
< Faremmo molto prima se andassimo
a piedi >, constatò prima che
potessi rispondere, < ma non vorrei che prendessi freddo >.
< Anche se >, sorrise sornione,
< un’influenza non è decisamente la cosa peggiore che possa capitarti oggi… >.
< Se le stai escogitando tutte per
far sì che mi tiri indietro, hai sbagliato persona >, lo superai per
dirigermi al pick-up.
Prima con la visione del suo corpo
mezzo nudo mentre si allenava e poi cercando di farmi paura. Le stava provando
proprio tutte.
< Siamo arrivati >, annunciò
battendo le mani.
Mi guardai intorno pensando che da
sola non sarei riuscita a tornare indietro, senza perdermi almeno un centinaio
di volte.
Il silenzio era palpabile, solo il
rumore delle foglie e il cinguettio di qualche uccello ci facevano compagnia.
Mi strinsi le braccia attorno al corpo
e osservai Edward distendere sull’erba soffice un telo tartan che si era
portato in uno zaino. Ci si sdraiò con le braccia incrociate dietro la testa.
L’immagine del più completo relax.
Lo fissai incredula, sbattendo più
volte le ciglia.
< Mi stai prendendo in giro?>,
sbottai.
< Affatto >, rispose limitandosi
ad aprire un solo occhio.
< Bèh, certo >, soffiai, <
quindi tu non vorrai che creda che un vampiro caccia così? >, lo indicai,
< sì, e tra poco mi dirai che gli unicorni alati esistono >, eruppi
nervosa.
Mi aveva promesso che mi avrebbe fatta
assistere alla caccia… e invece?
< Gli unicorni volanti sono
pericolosi >, si sollevò di colpo, assumendo un’aria pensierosa, <
soprattutto ti auguro di non capitare mai sotto la loro traiettoria … >.
Strabuzzai gli occhi e quasi la saliva
non mi andò di traverso.
< Dimmi che stai scherzando >.
No, questo non avrei potuto reggerlo.
< Sto scherzando >, ripeté come
per farmi un favore.
< No, dico. Seriamente? >.
Scoppiò in una risata. Se avesse
potuto avrebbe pianto.
< Già >, soffiai offesa alzando
gli occhi al cielo.
< Scusa >, disse tra le risate,
< ma sei troppo divertente >.
< Peccato che io non mi diverta
affatto >, mi sedetti di fronte a lui con le gambe e le braccia conserte.
Chiusa a riccio.
< Ma come? >, si ricompose
incrociando le gambe, < non eri tu quella tutta allegra?>.
< Ho creato un mostro >,
sospirai tra me e me.
Rise di nuovo e, nonostante la mia
pazienza infinita, iniziai a innervosirmi.
< Non ho mai conosciuto un’altra
come te >,
< Una di cui puoi prenderti gioco?
>, alzai un sopracciglio.
Me lo ritrovai di fronte, piegato
sulle ginocchia, ad un palmo dal viso.
< Io con te non gioco, ricordatelo
>, soppesò volutamente ogni singola parola.
< Dico solo che è bello stare con
te >, appoggiò un polpastrello freddo sul mio naso.
Gli posai una mano sulla spalla e lo
spinsi. Cadde all’indietro tornando a sdraiarsi sul plaid quadrettato dietro di
se come se nulla fosse.
< Allora dovrei prenderlo come un
complimento? >.
< Lo è >, confermò.
< Ma ora sta zitta >.
Cosa?
Valutai di prenderlo a calci ma era
meglio per me non farlo, se non volevo ingessarmi un piede.
< Sei uno stupido vampiro! >, sputai
sperando di offenderlo.
< Ora va meglio. Grazie >,
affermò non ricevendo nessuna risposta da parte mia.
Mi sollevai da terra, pronta ad
andarmene.
< Dove stai andando? >, me lo
ritrovai di fronte senza rendermene praticamente conto e quasi non sbattei
contro il suo petto.
< A casa >, ringhiai cercando di
superarlo.
< E perché? >, mi domandò con
tutta l’innocenza di questo mondo.
< E me lo chiedi? Perché avevi
promesso di farmi assistere alla tua caccia e invece…
Ti sdrai e fingi di dormire >.
< Guarda che non c’è altro modo
>, sbuffò, < non posso cacciare normalmente
se ci sei tu. Non mi vedresti neppure farlo! A quest’ora, per la cronaca,
avrei anche terminato o sarei già al confine… >, spiegò.
< Se vuoi assistere, come dici,
devi avere pazienza >, parlò con più calma, < Dovremmo aspettare che il pranzo arrivi da sé. Per quello ti ho
chiesto di fare silenzio >.
< Non potevi dirmelo prima? >.
< Pensavo ci arrivassi…
umana stolta >, scherzò tamburellandomi la fronte con un dito.
Non pensavo di riuscire a rilassarmi.
Insomma, per quanto cercassi di non darlo a vedere, la faccenda della caccia mi
aveva messo su una certa agitazione. L’avevo chiesto io ed ero pronta ad
accettarne ogni implicazione. Senza dubbio la mia idea su Edward non sarebbe cambiata
ma, come per ogni cosa nuova, non sapevo ancora come avrei reagito. Lui non era
fuggito e non si era mostrato nemmeno lontanamente scalfito quando gli avevo
svelato il mio passato. Mi aveva stretta e baciata. Sarei riuscita a fare lo
stesso dopo che lui si sarebbe mostrato per quello che era davvero? Per la
prima volta, un vampiro.
Finora il lato irrazionale aveva
deciso per me. Io l’amavo indipendentemente da tutto. Il mio lato ragionevole,
se c’era, avrebbe preteso voce in capitolo?
Sentii un fastidio sul naso. Con una
mano scacciai quello che pensavo fosse un insetto. Ma la seccatura non cessò.
Certo, era Edward che mi torturava con un fiorellino giallo.
Lo guardai in modo torvo perché la
smettesse. In realtà, anche se oggi era una tortura stare con lui, mi piaceva.
Mi piaceva questa spensieratezza ed allegria. Per la prima volta da quando lo
conoscevo potevo dire senza esitazioni che era un ragazzo di diciotto anni, o
anche meno. Forse perché tutti i muri erano stati abbattuti. Prima con la
verità sul fatto che fosse un vampiro e poi con la verità sul mio passato. Era
per quello che eravamo così leggeri?
< Hai freddo? >, mi domandò
sottovoce. Il suo sospiro freddo mi solleticò una guancia e in effetti mi venne
la pelle d’oca.
Scossi la testa e gli sorrisi.
< Sei bella >, stabilì
sorridendo a sua volta.
Non replicai. Se mi guardava in quel
modo, non potevo che crederci.
< Credi che passiamo troppo tempo
assieme? >, domandai senza guardarlo negli occhi, girandomi fra le dita lo
stesso fiorellino giallo con il quale prima mi aveva tormentata.
La mia domanda lo sorprese. Si girò su
un lato, sostenendo la testa con un braccio. Nel suo sguardo un turbine di
pensieri. < Tu pensi sia troppo? >.
< No >. Scossi la testa.
Per la verità il tempo che passavo con
lui non mi bastava mai. Per questo non ero attendibile. Era stato Charlie a
farmelo notare prima che uscissi.
Che lo dicesse perché era semplicemente
geloso e protettivo? O era davvero così?
In effetti era da tempo che non uscivo
con Angie.
Un ringhio sommesso catturò la mia
attenzione.
< Scusa, non capisco cosa stai
pensando >, si passò una mano tra i capelli ribelli.
Gattonai verso di lui e mi accoccolai
vicino al suo petto, respirando a pieni polmoni il suo odore.
< Penso che se potessi non dormire,
lo farei, per passare più tempo con te >, risposi schietta giocherellando
con il laccio della sua felpa.
Sorrise, socchiudendo gli occhi e si
piegò a stamparmi un bacio sulla fronte.
< È stato tuo padre a dirtelo,
vero? >.
Annuii non sprecando nemmeno una parola
per chiedergli come l’avesse intuito.
Il suo sospiro mi solleticò le guance.
< Per quanto mi costi ammetterlo, ha ragione >, riconobbe mestamente.
< Forse dovresti passare più tempo con persone
normali >.
Le sue parole mi strapparono una
risata. < Da quando io posso essere definita “normale”? >.
Sapevo di aver ragione e che stesse
trattenendo quel ghigno che mi piaceva tanto, ma lo assecondai.
< Okay, organizzerò presto
un’uscita con Angie >. Possibilmente la prossima volta che andrai a caccia, ma questo
evitai di dirglielo. La sua espressione mi fece comprendere quanto ancora non
fosse soddisfatto della mia decisione.
< E con…
? >, cercò di suggerirmi.
Lo scrutai interrogativa non capendo
dove volesse arrivare.
< Con Newton? >, domandai
scettica.
Nei suoi occhi lessi per qualche
attimo un lampo omicida. < Questo ragazzo lo vuoi proprio morto, non è vero?
>, scherzò.
< Intendevo: con Alice >,
propose, immediatamente dopo.
La mia espressione dovette suggerirgli
che non era proprio una buona idea.
< Non avete ancora chiarito >.
La sua non era una domanda.
< Già >, sospirai.
< Non sono affari miei, ma lascia
che ti dica come la penso >, iniziò cingendomi la vita con il braccio,
attirandomi verso di se.
< Sei arrabbiata con lei per non averti
messa in guardia da quello che eravamo >.
Annuii confermando le sue parole.
< Peccato che nessuno di noi, né io
né i miei fratelli, le avessimo ancora detto la verità >, chiarì.
Non dovevano esserci molte differenze
tra la mia espressione e quella di una triglia, in quel momento.
< Vuoi dire che l’ha scoperto da
sola? >. Certo, Edward e i suoi fratelli non erano ragazzi comuni, lo si
capiva al primo sguardo, ma da qui a indovinare che non fossero nemmeno umani,
ne passava di acqua sotto i ponti…
< Non proprio…
>, rispose grattandosi il mento glabro, < ma forse è meglio che ne parli direttamente
con lei >. Pose la parola fine al discorso lasciandomi ancora con troppe
domande nel cervello.
Detestavo essere l’ultima a sapere le
cose. Ma allo stesso tempo ammiravo la sua correttezza. Se c’era dell’altro che
dovevo sapere era giusto fosse Alice a parlarmene.
< Sei sicuro che il tuo pranzo –
come l’aveva definito lui stesso – verrà? >, gli domandai scettica,
cambiando discorso. Ne dubitavo. Infondo, quella cosa chiamata “istinto di
sopravvivenza” era intrisa nell’indole in ogni essere vivente, o quasi.
< Credo di sì >, disse
scompigliandosi i capelli in un modo naturale e sensuale al tempo stesso, <
in caso contrario mi accontenterò di te >.
Mi aggredì per gioco, tuffandosi sopra
di me e prese a baciarmi il collo.
Scalciai. Mi faceva il solletico.
< Come fai ad esserne così sicuro?
>, gli domandai cercando di riprendere aria.
< Perché, benché ho sempre pensato fosse
superfluo, tutto di me attrae: la mia voce, la mia faccia, il mio odore,
perfino >.
< Cosa vuoi dire? >.
< Fa parte del nostro essere >,
rispose alquanto criptico.
Lo fissai interrogativa, facendogli
intendere quanto la sua risposta fosse stata insufficiente. Ma dal momento che
non accennava ad aggiungere altre spiegazioni, presi nuovamente la parola. <
intendi dire che come altro potere vampiresco c’è da contare anche questa sorta
di… ammaliamento? >, articolai la domanda
risuonando incredula persino alle mie orecchie.
Lo vidi contrarre una mascella, segno
che si trovasse in difficoltà.
< Una cosa del genere >, rispose
solamente distogliendo per un attimo lo sguardo.
< Ma >, aggiunse premendo un
dito sulle mie labbra perché non potessi ribattere, guardandomi nuovamente
negli occhi, < funziona solo all’inizio e non sono così sicuro che tu
l’abbia subito >.
Nonostante l’ennesima scoperta
sconvolgente, non riuscii a trattenermi dal ridere. < Credimi. Sì >,
confermai.
Sorrise e notai una strana luce nei
suoi occhi. Forse non si aspettava una simile reazione.
< Non la penso come te. Dopotutto
tu sei alquanto…singolare
>, disse quasi sovrappensiero.
< Voglio dire >, si morse un
labbro e per un attimo mi mancò il respiro, < questa cosa del fascino agisce
per attirare le prede, immediatamente dopo, dovrebbe subentrare la paura o
qualcosa di molto simile. Io la posso sentire. Per questo sono certo che tu non
ne provi >.
Non so in che modo e in quale misura
influisse il suo potere su di me ma ero certa che quello che provavo per Edward
ormai andava al di la del suo aspetto.
Scese con le mani sul mio seno e
nonostante il tocco fosse solo superficiale, non potei fare a meno di fremere
spudoratamente. Subito, la coscienza che lui si trovasse ancora sopra di me e
che fossimo completamente soli si fece spazio nella mia testa.
Si piegò portando i gomiti all’altezza
del mio viso. Prese il mio labbro inferiore tra la sua bocca e lo succhiò.
< Isa, io sono fatto per uccidere
>.
Possibile che non riuscissi ad essere confusa
o almeno preoccupata dopo la sua ultima confessione?
Possibile che non riuscissi a sentire
paura?
Con il pollice lambì le mie labbra.
< Non ti temo. Ti voglio >,
dichiarai con fermezza.
Discese nuovamente sul mio torso,
nello spazio tra i due seni. Sollevò con l’indice la sottile banda di stoffa
del reggiseno e la tirò verso l’alto. Un colpo secco, uno strappo. Sotto la
felpa avvertii l’indumento allentare la sua adesione e i seni liberarsi della
costrizione.
< Edward, non possiamo >, sussurrai
e mi resi conto di quanto il tono della mia voce reclamasse il contrario.
Le sue labbra si suggellarono sulle
mie, impedendomi di aggiungere altro.
Le baciò senza fretta come se stesse
gustando il succo di un frutto maturo. Poi le sue labbra si schiusero permettendo
alle nostre lingue di toccarsi.
Non mi sarei mai stancata del suo
sapore.
Gemette sotto le attenzioni delle mie
labbra e sentii un calore propagarsi dal basso ventre e la voglia di averlo si accese
come fosforo sotto le sue carezze.
Come se avesse letto le mie intenzioni
nel pensiero, sentii la sua mano chiudersi sul mio ginocchio, invitandomi,
senza troppe cerimonie, a schiudere le gambe.
Si sistemò tra le mie cosce ed ebbi la
conferma che anche lui mi desiderava quanto lo desideravo io. Ma quella
vicinanza non bastò a placare il mio desiderio.
Sfregò velocemente le mani sui jeans
per scaldarle e subito dopo si fece spazio sotto la mia felpa lambendo la mia
pelle, fin troppo desiderosa delle sue attenzioni.
< Sai una cosa? Qui potrai urlare
quanto vuoi >, mi leccò il collo, < nessuno ti sentirà >. Quella
provocazione non mi lasciò indifferente. Lo sfidai con lo sguardo senza
smettere di baciarlo. Avvicinai le gambe verso l’interno in modo che sollevasse
di conseguenza il bacino.
Saltando ogni altro passaggio, infilai
sfrontatamente una mano nei suoi pantaloni. I suoi occhi ambrati si sgranarono
per la sorpresa e sorrisi soddisfatta pensando di essere riuscita a stupire un
vampiro centenario.
Mi sollevai col busto e lui non poté
fare altro che inginocchiarsi di fronte a me, quasi inerme.
Calai i pantaloni della sua tuta
quanto bastava e continuai la mia tortura.
Non smisi di guardarlo per un secondo
mentre era in mio completo potere. Le espressioni del suo viso, il suo respiro
a tratti irregolare, il modo convulsivo in cui con le mani stringeva la stoffa
del plaid, il suo odore… erano potentissimi
afrodisiaci per me.
Lo osservavo mentre si scioglieva come
argilla sotto le mie mani.
E lo sentii gemere.
< O forse, quello ad urlare sarai
tu >, lo provocai, ulteriormente.
D’impeto ghermì il mio viso tra le
mani e mi baciò con audace passione. Sfamandosi delle mie labbra
Si fermò per un attimo stupito. Mi
guardò negli occhi per comprendere fino a che punto arrivassero le mie intenzioni.
Dovette leggervi fermezza, desiderio, voglia di andare oltre…
< Scusa >, respirò con affanno.
Non capivo perché si stesse scusando.
Volevo lo facesse.
Compresi a cosa si stesse riferendo
immediatamente dopo, quando sentii il sapore ferrigno sulla punta della lingua.
Le mie labbra sanguinavano. Doveva
essere successo nella foga del bacio.
< Non è niente >, affermai
mentre Edward mi ripuliva con attenzione la pelle con dei kleenex.
Non era certo la prima volta che mi
ferivo le labbra. Capitava spessissimo che me le mordessi involontariamente o
dal nervoso.
< Sei troppo…
>, lasciò la frase in sospeso, guardandomi con venerazione.
< Cosa? >, domandai mentre
passavo distrattamente la lingua sulle labbra, nel punto dove ancora sentivo il
sapore del sangue.
< Arrapante? >, disse tra sé,
< no, di più >.
Lo guardai interrogativa e in risposta
mi indicò ciò che stavo facendo finora innocentemente. Assaggiando il mio
stesso sangue.
< Dio, Isa, penso che non resisterò
se continui a farlo >, affermò languido.
Il punto era: resistere a fare cosa?
Dall’uccidermi o dal possedermi?
Lesse la tacita domanda sul mio viso.
< Voglio. Averti >, dichiarò con
gli occhi del predatore.
___________
Eh eh,
ragazze scusate davvero per l’ennesimo ritardo ma sembra che la mia vita sia un
susseguirsi di casini. Il tempo per scrivere è davvero ridottissimo. Ma
resisterò.
Alla fine ho scritto 7 pagine word senza arrivare mai alla caccia vera e
propria.
ma quei due mi sfuggono quando scrivo!
pensano solo a darsi da fare -.-'
non è colpa mia, giuro.
Fatemi utilizzare questo spazio per ringraziare la mia beta Barby che mi continua a sopportare e tutte quelle persone
che nonostante i quarantadue capitoli, continuano a leggere, commentare e
sostenere questa fic. Grazie di cuore, davvero.
A volte sono così sfiduciata da pensare di lasciare perdere. Mi
basta leggere i vostri commenti per riprendere a scrivere. Con le vostre
recensioni riuscite a farmi emozionare, a farmi ridere e pensare (ebbene sì, a
volte penso anche io). Vi prego – lo so che anche per voi il tempo è tiranno –
ma se potete non smettete di lasciarmi la traccia del vostro passaggio, nel
bene e nel male.
Note:
“Non ti temo
Ti voglio”
È presa da un verso di
una poesia di Marina pratelli
Le frasi “tutto di me ti attrae … e sono fatto per
uccidere” arrivano da Twilight.
Capitolo 45 *** The dance of death [Edward’s Story] ***
Bad Girl
______
Bad Girl
[Isabella Swan]
Cap. Forty Four- The dance of death [Edward’s Story]
Si nutrì.
Non avrei potuto immaginare come
sarebbe stato se non l’avessi visto con i miei stessi occhi.
E guardandolo capii perché avevo
insistito tanto per vederlo cacciare. Una parte di me sperava ancora di
risvegliare quella parte assopita del mio cervello che avrebbe dovuto avere
paura.
Edward era scattato, ancora
completamente nudo, attratto da qualcosa o da qualcuno che non potevo né
sentire né vedere.
Tutto il suo corpo rispondeva a quel
richiamo silenzioso e invisibile ed ebbi la sensazione di stare per assistere a
qualcosa di veramente speciale.
Si era flesso sulle ginocchia mentre i
muscoli delle sue gambe pulsavano, aspettando il momento giusto per scattare,
così come le sue braccia.
I suoi occhi erano distanti, lontani.
Così concentrata sul suo corpo, mi
accorsi solo successivamente che ciò che Edward aveva sentito arrivare molto
prima, adesso era lì a qualche decina di metri da noi.
Gli occhi dell’alce per uno strano
macabro gioco del destino sembravano proiettati su quelli del cacciatore, privi
di espressione.
Guardava
la morte in faccia.
Non si mosse. Forse quell’animale,
apparentemente stupido, aveva capito di non avere scampo e aspettava, inerme,
che la sua ora giungesse. Si era avvicinato al fuoco, come una falena attratta
dalla luce, e da li a poco si sarebbe scottato.
L’immobilità del petto di Edward mi confermò
che aveva smesso di respirare e anche io mi accorsi di stare trattenendo il
respiro.
Un solo battito di ciglia. Quando
riaprii gli occhi, Edward era già sulla sua preda.
Movimenti fluidi ed eleganti. Passi
studiati, eseguiti con una cadenza dettata forse dal cuore della preda che
stava diffondendo la sua ultima sinfonia.
Il
danzatore della morte.
Le braccia di Edward attorno al collo
dell’animale davano la parvenza di un gesto carezzevole. Il viso piegato
all’indietro, nascosto dal manto scuro, come se gli stesse sussurrando una
ninna nanna.
L’animale emise un lamento strozzato.
Gli arti anteriori gli cedettero senza
forze, ma rimase ugualmente in piedi, sorretto da colui che si stava nutrendo
della sua ninfa vitale.
Poi tutto finì.
La carcassa cadde sul terreno,
emettendo un tonfo sordo.
Sul corpo di Edward non c’era la
minima traccia di sangue e neppure sul corpo ormai senza vita dell’animale.
Persino il terreno sotto i suoi piedi scalzi non era stato intaccato dal
liquido scuro.
Nemmeno una goccia ne era stata
sprecata.
Guardandola da quella distanza, la
bestia sembrava essersi improvvisamente addormentata.
Edward si avvicinò con cautela tenendo
gli occhi bassi. Lasciandomi, se avessi voluto, il tempo per indietreggiare e
poi per scappare lontana da lui.
Non mi mossi. Tuttavia lui continuò a
camminare con il capo chino, temendo, questa volta, di incontrare i miei occhi e
leggerci qualcosa che l’avrebbe distrutto.
Quando mi fu vicino, non riuscii a
spiccare parola e dovette interpretare il mio silenzio come qualcosa di
spiacevole.
In realtà non avevo la minima idea di
cosa dirgli.
Avevo bisogno di tempo per elaborare.
Il mio cervello non era certo come quello di un vampiro. Ero lenta. Forse la
spia rossa che avrebbe dovuto segnalarmi di avere paura si sarebbe accesa più
avanti, quando avrei rielaborato quello che era successo con lucidità. Ma per
il momento rimase spenta.
La nausea, quella avrebbe dovuto
arrivare subito. Ma non arrivò. Non guardando Edward, almeno. Ero però certa
che se mi fossi avvicinata alla carcassa avrei vomitato anche l’anima.
Rimasi dov’ero, cercando di ragionare.
I cavi del cervello dovevano però
essersi scollegati perché tutto ciò che riuscivo a pensare era che ero
affascinata da quello che avevo visto. Come se avessi appena guardato un
documentario su National Geographic.
Normale, mi
diceva la mia mente. Come se i vampiri fossero da sempre un anello della catena
alimentare.
Guardavo Edward ma i miei occhi non si
erano ancora focalizzati davvero sulla sua immagine. Quando l’osservai davvero,
mi venne un colpo.
La pelle, gli zigomi, si erano
coloriti di un rosa pallido. La parte interna delle labbra era sfumata di un
fucsia che non sapevo se fosse dovuto al sangue che aveva appena ingerito.
Sul plaid, sdraiato su un lato, con un
braccio a sorreggergli la testa, Edward se ne stava con lo sguardo lontano,
pensieroso troppo occupato a tormentarsi, com’era così bravo a fare.
Gli posai una mano sul collo per
richiamare la sua attenzione ed ebbi l’ennesima sorpresa. La sua pelle emanava
un lieve tepore.
Normale.
< Sembri così… >, iniziai.
< Animalesco >, concluse lui con
voce grave.
< Umano >, lo corressi senza
smettere di toccarlo.
Si voltò, incontrando finalmente i
miei occhi. Notai che i suoi erano chiari. Miele fuso.
Nel suo sguardo c’era sorpresa e…
amore.
< Avevi gli occhi verdi? >, gli
domandai senza pensare.
Increspò le sopracciglia per un attimo
e annuì confermando la mia intuizione.
Mi prese la mano tra la sua,
intrecciando le dita.
< Non durerà molto. Il calore, dico
>, affermò afflitto.
Portai la mano che stringeva la mia
sulla guancia, avvertendo maggiormente il dolce calore che la sua pelle trasmetteva.
Socchiusi gli occhi godendomi quella carezza umana.
< Com’eri? >.
< Non molto diverso da adesso >.
Aprii gli occhi e lo guardai, allora,
cercando di immaginarlo con abiti di altri tempi e con qualche imperfezione ma pur
sempre bellissimo.
< Dovevi avere la fila di
spasimanti già allora >, constatai.
< Non credo proprio >, sorrise
rilassandosi finalmente, < nell’epoca in cui sono nato erano gli uomini che
corteggiavano le donne…>, mi guardò malizioso, < anche se in realtà non è
che ci fosse molta scelta >.
Al di là del riferimento poco velato
al mio atteggiamento disinibito, mi soffermai sulla seconda parte della frase.
< Eri promesso? >, domandai
d’impeto, salvo poi mordermi le labbra nel punto in cui ancora le sentivo
gonfie e indolenzite.
< Sì >, rispose con una
tranquillità disarmante. Un taglio con la carta tra le dita, sarebbe stato più
piacevole di quella risposta.
Sorrise lievemente, sollevando solo un
angolo delle labbra. < Si chiamava Caterina, ma non posso dirti altro >.
Perché non poteva? C’erano cose che
non potevo sapere?
< Non posso dirti altro
esclusivamente perché non ricordo altro >, aggiunse, intuendo la mia
preoccupazione.
< I ricordi umani sono come una
tela ad acquarelli sotto la pioggia, pian piano, col tempo, sbiadiscono, fino a
scomparire. Tutto quello che so è ciò che mi è stato raccontato da Carlisle >.
< È stato lui a farti diventare un
vampiro? >.
Annuì.
Mi accoccolai più vicina al suo petto.
La nudità non sembrava essere un problema per lui e di certo non lo era per me.
< Lo odiai per questo >, mi
confidò facendomi trasalire.
Si apprestò a continuare prima che
potessi domandargli il perché. < Ero un ragazzo pieno di vita, innamorato
dei valori. Volevo andare in guerra e combattere insieme ai miei fratelli >.
Restai ad ascoltarlo, completamente
rapita dalle sue parole. Mi colpii tanto che sentii un nodo alla gola. Edward
era pronto a lottare e, di conseguenza, era pronto a morire per la sua patria, per i suoi valori.
Sapeva a cosa andava in contro,
nonostante fosse poco più che un ragazzino.
< Mi ammalai di spagnola lo stesso
anno in cui sarei dovuto partire >.
< Mia madre, Elizabeth, morì per la
stessa malattia e di lì a poco l’avrei seguita. L’incoscienza mi risparmiò il
dolore di vederla esalare l’ultimo respiro mentre chiedeva a Carlisle di
salvarmi… >.
< Lei lo sapeva? >, domandai,
ignorando la mia voce tremante a causa delle lacrime che minacciavano di
fuoriuscire.
< Carlisle non ne è certo, ma non
lo esclude >.
Mi accorsi che il calore che il suo
corpo emetteva andava via via scomparendo per cui cercai di rubarne ancora un
pochino, stringendomi di più a lui.
Ero superficiale come una pozzanghera.
Avevo finora contemplato e ammirato solo i lati positivi dell’essere come
Edward: la bellezza eterea, la velocità, la forza, la vita eterna…
Non avevo fatto i conti con tutti gli
aspetti negativi che questa scelta, anche se una scelta per Edward non era
stata, comportava.
La morte era così vicina ad Edward da
essere un'unica persona. Respirava attraverso di lui.
Edward
era la morte in persona.
Per anni e anni, aveva visto morire
persone che conosceva. Giornalmente, da anni, egli stesso era causa di morte.
< Se ti stai chiedendo se avrei
voluto diventare un vampiro se avessi avuto scelta, la risposta non è così
scontata >. Un barlume gli attraversò lo sguardo. Una tristezza antica che
mai avrei potuto cercare di comprendere.
Mi passò un braccio attorno alla vita,
< ma questo mi ha dato la possibilità di incontrarti >, soffiò baciandomi
i capelli.
< Come si diventa un vampiro? >,
la mia voce tremò come se solo a fargli quella domanda avrei potuto frantumare
un’intera cristalleria.
La risposta si fece attendere.
< Non è semplice >, rispose
criptico.
< La maggior parte dei tentativi
non va a buon fine >, si sforzò di sorridermi.
< Il rischio è farsi prendere dalla
frenesia del momento e di spezzare la vita alla quale invece, si voleva
regalare l’immortalità. Bisogna sapersi fermare al momento giusto: prima che il
cuore smetti di pulsare. Io, Emmett ed Esme eravamo comunque condannati. O la
morte o la non-morte. Ardua scelta >, concluse ironico. La sua risata
echeggiò affine ad una serie di campanellini mossi dal vento.
< Il processo di trasformazione è
la cosa che più ti fa desiderare che la morte ti raggiunga presto. Oh, se c’è
una cosa che difficilmente si dimentica della propria vita umana è proprio
questo: il dolore della conversione. La commemorazione della tua anima che
brucia in quel momento all’inferno >.
< Per questo odiavi Carlisle?>.
< Non solo >.
< Quando mi risvegliai nella mia
nuova vita non ero padrone di me
stesso >, il tono della sua voce si assottigliò sino a diventare quasi un
bisbiglio. Ebbi giusto il tempo di notare che i suoi occhi si erano offuscati
di un velo dimalinconia, prima che nascondesse
le sue iridi sotto le ciglia ambrate.
< Il mio corpo reagiva ai comandi
prima che potessi rendermene conto. Ero al buio ma distinguevo ogni cosa che mi
circondava. Gli odori mi tormentavano e poi le voci. Quelle voci che scoprì, sentivo
solo io. Lessi nella mente di Carlisle quello che mi aveva fatto, prima che
potesse spiegarmelo con le parole. E poi la sete… >, scosse la testa come
per cacciare indietro quel tormento.
Gli posai una mano sulla guancia e lo
costrinsi a guardarmi. C’ero io adesso con lui.
< Passai i primi anni con il
desiderio di distruggerlo >, mi confidò tra i denti.
< Non mi aveva dato una nuovavita, mi aveva dato un’eternità di sofferenza >.
< Ci misi del tempo per capire che
le intenzioni di Carlisle non erano state egoistiche. Non cercava solo un
compagno. Tutt’altro! Mi vedeva come un figlio e, in quegli anni, nonostante
gli fossi ostile, cercò di compiacermi in tutto. Mi fu maestro e m’insegnò a
controllare i miei istinti >.
< Sono stato fortunato ad incontrare
lui sulla mia strada >, sospirò, < Confrontandomi con altri della mia
specie, scoprii l’esistenza di un legame inscindibile che li legava al loro
creatore. Un vincolo, una sorta di sudditanza. Che li odiassero o amassero,
avrebbero dato la loro esistenza per loro. Al contrario Carlisle non mi aveva
mai imposto nulla. Mi ha sempre lasciato libero. Il legame che ci lega è
affetto >.
< Ci misi molto a capirlo e dovetti
anche separarmene per un periodo >.
< Come lo trovasti? >.
Sorrise. < Fu lui a trovare me. E
quando gli porsi la stessa domanda, mi rispose che la famiglia, in un modo o
nell’altro, si ritrova sempre. Capii in quel momento che io e Carlisle eravamo
proprio questo: una famiglia >.
C’era dolcezza nel modo in cui parlava
della sua famiglia, una dolcezza quasi infantile, che mi emozionava.
Sollevai lo sguardo dalle sue labbra,
più su, sui suoi occhi.
Ci sono
sguardi che ci fanno sentire vivi. Di più: vivi e unici. Sguardi che ci
scelgono e ci illuminano: quello era il modo in cui Edward mi guardava.
Sperai, nel mio piccolo cuore, di trasmettergli lo stesso con
il mio.
Scostò con delicatezza i miei capelli dalla spalla e mi
baciò sulla guancia, leggero.
< Se tu fossi un vampiro, ti avrei appena sfidato a
morte >, mi sussurrò facendomi rabbrividire.
Scoppiò in una risata, < allora riesco a metterti paura!
>, affermò continuando a ridere.
Tic.
La luce soffusa, proveniente dal piccolo abat-jour, si
spense.
La finestra di camera mia doveva essere stata l’ultima ad
essersi oscurata, vista l’ora.
Portai il piumone fin sopra al naso e mi sistemai meglio
sul cuscino.
La mia vista umana non mi consentiva più di vederlo ma
sapevo che c’era. Sentivo il suo respiro sulla pelle rimasta scoperta.
< Adesso, dormi >, mi sussurrò dolce.
< Non ho sonno >, risposi con voce che tradiva,
invece, la mia stanchezza.
Sorrise e si mosse tra le lenzuola, allontanandosi da me.
Mugolai qualcosa in contrario ed Edward sorrise di nuovo.
Tirai un sospiro di sollievo quando mi accorsi che non se
ne stata andando, si era soltanto portato sopra le coperte.
Dovevo proprio sembrare un bozzolo di bruco. Solo che io,
al contrario, domani non sarei diventata una farfalla. Anzi.
Chiusi le palpebre, fattesi troppo pesanti, solo per un
istante, li avrei riaperti sub….
< A
volte vorrei dormire per giorni.
No, non
fare quella faccia. Non ho detto morire. Dormire.
E poi
svegliarmi e trovarti qui accanto. Con lo stesso sorriso e la stessa felpa un
po’ stropicciata e quel ciuffo ribelle sulla fronte e baciarti e poi ancora
baciarti senza più sentire freddo… >.
__
Hola, ragazze. No, non sono
fuggita.
Vi dirò la verità: una
settimana fa ero tentata di postare un avviso nel quale dicevo che mi prendevo
una pausa a tempo indeterminato. Una pausa forzata perché davvero tra tutti i
vari problemi non riuscivo a trovare il tempo materiale per buttare giù nemmeno
una riga. Poi ho cercato di lasciare fuori, per qualche ora, tutti i problemi
dalla mia testa ed sono riuscita a
scrivere questo.
Forse l’avrete trovato
noioso ma non volevo tralasciare il discorso “caccia”. Era importante che lei
lo vedesse.
Nella parte in cui Ed
racconta della trasformazione c’è poco di nuovo, è vero, ma ho pensato che
potesse essere utile visto che sarà un tema che affronterò molto presto…
Inoltre, oltre alle cose
sapute e risapute dell’originale, ho inserito elementi nuovi tipo questa sorta
di subordinazione verso il proprio
creatore e il fatto che odiasse Carlisle (non mi pare che nell’originale ci
sia).
La parte finale: Isa,
nonostante si fosse imposta di non farlo, si è addormentata e a quanto pare continua
a parlare nel sonno…
Cosa succederà?
Fatemi gli auguri, ragazze.
Tra qualche ora è il mio compleanno!
Un grazie gigante a chi
continua a seguirmi e a trasmettermi il proprio calore con un commento e,
ovviamente, alla mia beta Barby che nel giro di pochi giorni mi ha corretto il
capitolo!
Capitolo 47 *** When a woman meets a diamond (parte I) ***
bg47
I'm
come back.
Credo
che non esistano scuse sufficienti per avervi abbandonato
così, senza alcuna
spiegazione. Quindi vi lascerò direttamente alla lettura.
Questo
capitolo lo dedico a tutti coloro che lo hanno aspettato con ansia.
Un
grazie megagigantesco alla mia Beta Barbara. Senza di lei non lo avrei
mai
portato a termine.
Bad Girl
[Isabella Swan]
Cap. Forty
seven - When a woman meets a diamond (parte I)
Lei
era davvero bella. Forse la ragazza più bella
che avessi mai visto in vita mia.
Si
muoveva con tale delicatezza da sembrare sospesa
nell’aria, e al suo passaggio il profumo di mille petali di
rose rosse, quelle
rose che stringeva in un bouquet tra le manie
che non potevano certo reggere il confronto, accompagnava il suo
incedere. Lo
potevo sentire anche da quella distanza.
La
sua figura era accarezzata dalla cascata di seta
color avorio del lungo abito indossato che fasciava il suo corpo come
un
candido guanto.
Un
leggero strato di pizzo le lambiva il decolté
suggerendo ingenuità e sensualità allo stesso
tempo.
Sembrava
irradiare luce propria, una luce
abbagliante che schiariva tutt’intorno, rendendo
l’atmosfera magica e irreale.
Era come assistere all’animarsi di una vecchia polaroid.
Un
passo e poi l’altro.
Senza
esitazioni.
Senza
mai abbassare lo guardo, nemmeno per
controllare dove mettesse i piedi o, se per caso, stesse pestando il
vestito.
Non
potevo vederla in faccia a causa del velo ma
avevo la certezza che tendesse le labbra in un bellissimo
sorriso.
Come
una ladra me ne stavo in un angolo appartato a
contemplarla, combattendo contro me stessa per stabilire quali
sentimenti tra
gelosia e ammirazione prevalessero dentro di me.
Come
nel gesto più antico del mondo il padre
consegnò la sua mano in quella dello sposo che
l’attendeva all’altare.
Lo
sguardo di lui era lo sguardo di un uomo che
aveva aspettato ogni singolo istante della sua vita quel momento, quel
piccolo
ma grande gesto.
Potevo
sentire la sua gioia come un raggio di sole
scaldarmi la pelle attraverso il suo sorriso, quel sorriso sghembo che
conoscevo bene e che avevo tanto amato…
Il
calore del sole che immediatamente prima mi
aveva lusingato, divenne un unico fuoco impietoso che ardeva attorno a
me,
inghiottendomi.
«
No, Edward! », urlai in preda al dolore.
Rimasi
ad osservare il soffitto sopra di me,
imponendomi di respirare lentamente.
«
Era solo un incubo », rassicurai me stessa.
La
stanza era inondata dalla luce che proveniva
dalla finestra e capii la ragione per la quale il calore che avevo
patito nel sogno
era stato così vivido, reale e sofferente.
A
febbraio non era così usuale che il sole a Forks
facesse capolino. Avevo pressoché teorizzato che doveva
esserci un impedimento,
un meccanismo che s’inceppava proprio quando la Terra compiva
il suo giro attorno
al sole, che non permetteva a Forks di essere mai totalmente esposta.
Una volta
avrei fatto i salti mortali per una giornata del genere ma in quel
momento non
potei fare altro che rattristarmene.
Incassata
la delusione iniziale, con ogni
probabilità Edward ne avrebbe approfittato per cacciare e
passare un po’ di
tempo con la sua famiglia. Una sorta di bonus dalla scuola, dalla
routine e da
me.
Lo
sapevo, si trattava di un unico giorno, perché
domani sicuramente sarebbero tornate le beneamate
nubi ma, egoisticamente, non potevo sopportare l’idea di non
vederlo, specialmente
dopo l’ incubo che mi aveva svegliata.
Era
del tutto irrazionale ma dovevo tastare con
mano che fosse ancora mio e che nel frattempo non avesse sposato
nessuna.
Controllai
l’ora dalla sveglia, che non era ancora
suonata, e la disattivai: era fin troppo presto per i miei canoni, ma
tentare
di riaddormentarmi era da escludere, così scesi dal letto.
I
miei piedi nudi furono subito accarezzati daqualcosa di morbido e setoso.
Quando
elaborai che quelli sotto le mie dita erano
petali di rosa, gli stessi che poco prima avevo visto nel sogno, fui
attraversata da un tremore che mi ributtò
all’indietro, facendomi finire
nuovamente a letto.
Il
mio corpo rimase totalmente paralizzato, ancora
non in grado di metabolizzare l’episodio.
Non
appena fui in grado di muovermi mi tirai un
pizzicotto sul braccio, tanto per verificare che non stessi ancora
dormendo:
non ero mai stata tanto sveglia.
Mi
sembrava di essere finita in uno di quei film
psicologici che tanto odiavo in cui non si capiva mai se il
protagonista avesse
realmente vissuto quegli avvenimenti o se li avesse solo sognati. O,
forse il
signor Burnham* era venuto a farmi visita quella notte.
Non
ci volle molto a scoprire chi era venuto a
farmi visita in realtà, fin da come erano distribuiti quei
petali sul pavimento
e dal fatto che avesse agito senza il minimo rumore: Edward.
Seguii
la scia che portava fuori dalla mia stanza,
attraversava il corridoio e scendeva le scale fino ad arrivare alla
cucina,
dove riconobbi l’odore dei plumcake al cioccolato e
l’aroma del caffè appena
fatto.
Non
doveva essere trascorso molto tempo da quando
Edward era stato lì, mi sembrava di avvertirne ancora la
presenza. Con ogni
probabilità aveva aspettato che Charlie se ne fosse andato
prima di organizzare
ogni cosa.
Socchiusi
gli occhi immaginandolo vicino.
Mi
sedetti nell’unico angolo apparecchiato della
tavola, posai assorta due mani sulla tazza calda e riflettei sul fatto
che
Edward avesse corso un bel rischio a uscire a quell’ora da
casa mia con quel
sole lì fuori.
Che
non si riducesse ad un brandello di polvere mi
era stato chiaro dal momento in cui avevo compreso che loro
erano pressoché indistruttibili e, se potevamo noi umani
sopravvivere ai raggi ultravioletti, non vedevo come a loro avrebbero
potuto
recare danno con una pelle così spessa e dura.
Ricordai
dell’unica volta che avevo visto il suo
aspetto sotto la luce solare: era stato tanto scioccante quanto quella
volta
che mi aveva rivelato di essere un vampiro.
Tutt’intorno
a lui una sorta di aura splendente lo
aveva illuminato e più che un demone mi era parso di vedere
un angelo. Più lo
guardavo e più mi convincevo che doveva essere
così.
Una
volta avvicinatomi mi ero accorta di come
quella strana luminosità provenisse dalla sua pelle, del
modo in cui minuscoli
diamanti accostati l’uno accanto all’altro,
riflettessero la luce.
Avevo
avvertito in Edward il solito timore,
l’insicurezza di chi portava con se, come un marchio impresso
sulla pelle,
l’appellativo di “mostro”.
Accostandomi
ricordai di averlo abbracciato e, con
ancora la consapevolezza di stare toccando un angelo, di avergli
rivelato ciò
che lui nella mia mente non poteva sentire: “Quest’
abbraccio vuol dire; tu non
sei una minaccia. Non ho paura di starti così vicino. Posso
rilassarmi,
sentirmi a casa. Sono protetta, e qualcuno mi comprende**”.
Era
per tutto questo che sarebbe stato alquanto
difficile spiegare ai vicini – tanto più se questi
erano il reverendo Weber e consorte
– che ciò che era uscito da casa mia non era la
cometa di Harley o, peggio,
l’arcangelo Gabriele venuto a farmi visita.
Tremai
percossa da un presentimento che mi fece
venire la pelle d’oca. Come se avessi appena trovato un pezzo
di puzzle mancante,
un pensiero si fece prepotentemente spazio nella mia testa: la stessa
intensa e
affascinante luminosità della ragazza dell’incubo,
era la medesima che
contraddistingueva quelli come Edward.
Così
nella mia sadica fantasia il mio attuale
ragazzo sposava una vampira.
Sbuffai
pensando quanto fosse assurdo lasciarmi
condizionare in questo modo da uno stupido incubo.
Non
indugiando oltre addentai il plumcake più buono
del mondo e feci in tempo a portare alla bocca la tazza di
caffè, quando mi
accorsi che Edward aveva lasciato un biglietto.
Sulla
carta spessa a chiare ed eleganti lettere
spiccava il mio nome.
Lo
aprii senza attendere oltre.
Con
una grafia d’altri tempi diceva:
Dolcissimo
amore mio,
il
giorno mi sembrerà interminabile oggi senza te.
Non
ho mai desiderato tanto
accorciare le ore che ci dividono, ne conterò i minuti, poi
sarò tuo.
Ripongo
le mie attese alla notte
dunque,
nella
speranza che tu mi aspetterai.
Intanto
prenditi cura della cosa più preziosa che ho: te stessa.
Ti
amo sempre di più ,ogni istante che vivo
Tuo
per sempre
Edward
Commossa
posai il biglietto sul petto, all’altezza
del cuore che aveva accelerato i suoi battiti, come se facendolo Edward
avrebbe
potuto sentirli.
In
un attimo l’incubo di quella mattina non aveva
più alcun significato.
Finii
la colazione e mi preparai per la scuola con
il desiderio di vedere al più presto il sole tramontare.
Ero
in perfetto orario quando uno squillo sul
cellulare mi avvertii che Angela mi aspettava sotto casa sua. Per
fortuna non
avevo dimenticato che oggi sarei dovuta passare a prenderla per andare
a scuola
insieme.
Non
appena svoltai nel viottolo dei Weber, superata
quella ridicola cassetta per le lettere, la vidi venirmi in contro e
non potei
far a meno di notare il suo abbigliamento.
«
Angela? », domandai appena salì in auto, mettendo
in dubbio che fosse davvero lei.
«
Emh », farfugliò tornando la Angela che
conoscevo, « dici che è troppo? ».
«
Assolutamente no! », le risposi ingranando la
retromarcia prima che potesse chiedere di scendere a cambiarsi.
« Stai
benissimo », aggiunsi.
Indossava
un vestitino sopra le ginocchia tutto
colorato molto in stile hippy ed a coprirle le lunghe gambe delle
parigine
color ocra. Angela faceva pandant con quell’insolita bella
giornata.
Notai,
dal modo in cui si stava torturando le mani,
che era nervosa.
«
Tutto okay? », le chiesi distogliendo per un
attimo lo sguardo dalla strada per fissarla.
«
Ti ricordi di Ben? Ben Cheney? », mi domandò
inaspettatamente.
«
Ben », ripetei.
Sì,
me lo ricordavo. Più precisamente, dopo la
figura di merda che avevo fatto con lui, ricordavo perfettamente le
occhiatacce
che mi inviava ogni qual volta lo incrociassi in corridoio, quando non
era
impegnato a giocare ai suoi videogame.
«
Certo », risposi.
Se
questa volta aveva davvero fatto qualcosa di
male…
«
Mi ha chiesto di uscire. Oggi. Stasera », disse
come un fiume in piena.
«
Uh », sulla mia bocca si disegnò
un’espressione
poco intelligente di chi si è perso qualche puntata.
«
Ho fatto come mi hai consigliato tu », spiegò
eccitata. « Gli ho fatto capire che ero interessata a lui.
Con delicatezza,
s’intende. Sai, abbiamo passato qualche pomeriggio insieme
dopo scuola per il
compito… ».
Si
stava verificando un’inversione di ruoli: io ero
Angela, Angela era me. Lei aveva rimediato un appuntamento romantico,
io mi ero
quasi commossa di fronte a un plumcake.
«
Sono fiera di te », le sorrisi sincera e lei
ricambiò. Forse non si era ancora resa conto che
l’attendeva un resoconto
dettagliato – molto dettagliato – di tutto.
Era
evidente: Angela stava finalmente uscendo dal
suo guscio. Stava prendendo le redini della sua vita.
«
Isa. Tu credi. Pensi mi bacerà stasera? »,
domandò e l’insicurezza la si poteva tagliare a
fette.
«
Voglio sperare di sì. Insomma: ti sei vista? ».
«
E se non lo facesse? ».
«
Puoi sempre farlo tu ».
«
No, penserebbe che sono una sfacciata ».
Alzai
gli occhi al cielo.
«
Succederà, se vorrai e se è destino che succeda
»,
conclusi ma non sembrò comunque rilassarsi.
«
Se vuoi », mi venne un’idea, « potremmo
organizzare un’uscita a quattro. Così per
qualsiasi… ». Il suo sguardo
eloquente stroncò la mia proposta sul nascere.
«
Scusa, Isa », disse, « Ce la posso fare da sola,
ce la devo fare da sola », respirò a fondo.
«
Dopotutto oggi è San Valentino! », disse allegra.
Frenai
di colpo il pick-up e quasi l’automobile
dietro non mi tamponò.
«
Dio perché quando hai distribuito i cervelli ti
sei dimenticato di me? ».
Angela
rise, « non l’avrai scordato…
».
In
un attimo collegai tutto: la colazione, le rose,
il biglietto…
Diavolo,
era San Valentino ed io l’avevo
dimenticato!
Non
che fosse poi così difficile dal momento che
con Edward lo era tutti i giorni. Anche se, volendo essere sinceri, non
avevo
mai pienamente approvato questa sedicente ricorrenza.
Tuttavia
era impossibile non accorgersi della
strana atmosfera che si respirava a scuola. L’aria era carica
di aspettative,
di frasi sussurrate all’orecchio, di sorrisi rubati e di
pensieri più o meno
casti.
Mi
pareva di dover camminare in punta di piedi per
evitare di rompere quell’equilibrio che si era creato. Anche
Angela, che mi
camminava a fianco, sembrava aver contratto lo stesso morbo e se ne
stava più
silenziosa del solito, persa in chissà quale fantasia.
Osservai
desolata i corridoi. La solita confusione
era rimandata di un giorno sostituita da deprimenti amoreggiamenti.
«
Si può sapere cosa hanno tutti? », domandai ad
alta voce.
Angela
mi guardò perplessa, quasi come se non
capisse a cosa mi riferissi, come se quelle stranezze le avessi colte
solo io.
Quando
i suoi occhi incrociarono quelli di Ben, in
fondo al corridoio, capii che non avrei più avuto alcun
segno di vita da parte
sua, ma fu abbastanza da suggerirmi la risposta che stavo cercando.
Era
semplicemente amore. Soltanto che per esaminare
lucidamente la realtà avevo bisogno di non avere il mio
sguardo unicamente
puntato su quello di Edward e quella era la mattina giusta per farlo.
Mi
defilai senza nemmeno bisogno di accampare una
scusa e osservai Angela avvicinarsi timidamente a Ben. Se in tempi non
sospetti
mi avessero detto di scommettere su loro due come coppia avrei
desistito. Non
potevano essere più differenti. Ma pensandoci: chi mai
avrebbe puntato anche
solo un quarto di dollaro su me ed Edward?
Si
scambiarono qualche parola, poi la mia amica gli
porse qualcosa che riconobbi essere dei deliziosi biscotti al
cioccolato a
forma di cuore fatti in casa.
Prima
che la nausea prendesse il sopravvento mi
avviai con passo sostenuto verso l’aula di storia.
L’invisibilità
concessami nel corridoio divenne un
faro proiettato sulla mia nuca non appena mi sedetti al mio solito
posto,
accanto a quello vuoto di Edward.
Sulle
facce dei miei compagni si disegnarono tanti
punti interrogativi che si diradarono, per fortuna, non appena la prof.
fece
capolino nell’aula. Doveva essere impensabile per loro che
Edward non fosse
accanto a me proprio nel giorno dedicato agli innamorati.
Sbuffai
stizzita mentre esaminavo i raggi del sole
attraversare il vetro e posarsi sul suo banco.
Le
ore che mi separavano da Edward non sembravano
passare.
Per
me, questo San Valentino non era iniziato nel
migliore dei modi. Lo conoscevo abbastanza però per poter
affermare con
convinzione che avrei ricordato quel giorno. L’attesa sarebbe
stata largamente
ripagata, e di sicuro Edward avrebbe trovato, sebbene fossi restia a
qualsiasi
regalo, qualcosa di speciale e di assolutamente perfetto.
Chissà perché poi
glirisultasse
tanto difficile capire
che lui era già il miglior regalo che potessi mai desiderare.Farmene degli
altri avrebbe solo significato
alimentare già l’insormontabile debito con lui.
Avevo
nel portafoglio trentasette dollari e qualche
centesimo. Sufficienti per comprare dei deliziosi, quanto scontati,
cioccolatini, ma più che un regalo gli avrei fatto un torto.Il fai-da-me
era da escludere nel più assoluto dei modi: non sapevo
appiccicare un
francobollo su una busta e, anche se Edward avrebbe comunque apprezzato
l’impegno, preferivo non cimentarmi in nulla che potesse
costarmi un arto.
Dopotutto, l’avevo promesso.
Sbuffai
conscia del fatto che non esisteva il
regalo perfetto per un ragazzo perfetto, qualunque cosa gli avessi
donato
sarebbe comunque risultata inadeguata. E lui già soltanto
con un biglietto
aveva fatto fare gli straordinari al mio cuore.
Per
tutto il pomeriggio avevo cercato di ingannare
il tempo: ero passata dalla biblioteca e mi ero addirittura addentrata
in un
negozietto di antiquariato, che non avevo nemmeno idea esistesse prima
di
allora, dove avevo incredibilmente trovato qualcosa che faceva al caso
mio. Avanzatomi
tempo, avevo infine deciso di
prepararmi per la serata anche se con largo anticipo, inaugurando
persino una
spazzola per le unghie a forma di ippopotamino e lavandomi i denti due
volte.
Il
problema mi si era presentato davanti
all’armadio, non sapendo esattamente come vestirmi. Non che
Edward mi avesse
fornito indicazioni in tal senso. Per quanto ne sapessi – e
ne sarei stata più
che felice - avremmo potuto anche passare l’intera serata in
camera mia.
Dopo
tanto riflettere, alla fine avevo optato per
una via di mezzo: un vestitino semplice dalle spalline sottili,
facilmente
sfilabile all’occorrenza.
Nonostante
i miei sforzi però le lancette
dell’orologio appeso in cucina segnavano ancora le 17:38. Non
sapevo neppure
quando Edward sarebbe passato esattamente. L’unica cosa di
cui ero certa era
che se avessi continuato a guardare l’orologio
l’avrei sicuramente consumato.
Appoggiai
il mento sulle mani e proiettai lo
sguardo alla foto sul tavolo. La telecronaca della partita di football
in
salotto faceva da sottofondo musicale ai miei pensieri.
Uno
scatto rubato.
Ritraeva
me ed Edward alla festa di inaugurazione
della biblioteca.
Non
certo una delle migliori foto. A parte per la
presenza di Edward in smoking, non aveva apparentemente nulla di
speciale. Non
era perfettamente centrata, era anche leggermente sfocata e nessuno dei
due
guardava l’obiettivo.
Era
speciale per me, però.
Nella
foto ci guardavamo negli occhi e potevo
cogliere nel nostro sguardo quel qualcosa che era impossibile cercare
di
spiegare a parole ma che in quell’immagine risultava persino
palese
Sembrava
che il mondo gravitazionasse attorno a
noi, come se in quel momento non esistessimo nient’altro che
noi.
Il
fotografo, per di più, era stato in grado di immortalare
una delle cose che valeva la pena vedere prima di morire: il sorriso
sghembo
del mio vampiro.
Fino
a quel momento avevo concentrato tutta la mia
attenzione su Edward per accorgermi di quanto anche io stessi bene tra
le sue
braccia. Come la luna, vivevo di luce riflessa. Non sapevo esattamente
come ci
riuscisse, ma Edward sapeva estrarre la mia parte migliore, quella
parte che
non sapevo nemmeno di possedere.Quando ero con lui
mi sentivo una
persona migliore.
Il
campanello interruppe le mie elucubrazioni.
Constatato che per nulla al mondo Charlie si sarebbe perso un secondo
della
partita per andare ad aprire, andai alla porta e con mia grandissima
sorpresa
trovai il mio Valentino
sull’uscio.
Affascinante
era
l’unico aggettivo che i miei due neuroni rimasti riuscivano
ad elaborare in
quel momento. Con quel cardigan scuro, sembrava appena uscito da una
pubblicità
di Tommy Hilfiger. Anzi, a dire il vero, lui era anche meglio del
modello del
cartellone pubblicitario. La celebrazione del
“bello” fatta persona.
Non
riuscendo a trattenere la gioia di vederlo, lo
abbracciai di slancio.
«
Hey », mi baciò i capelli sorridendo della mia
irruenza.
«
Che ci fai qui? ».
«
Sono le 17:45, il sole è tramontato da quasi
cinque minuti », mi sussurrò in un orecchio.
In
effetti non mi ero ancora accorta che fuori il
cielo iniziava ad imbrunire.
Lo
studiai dal basso verso l’alto, circospetta. «
Come mai usi l’ingresso principale? ».
«
Perché questo è un appuntamento, signorina Swan,
un appuntamento vero », disse porgendomi un mazzo di rose
rosse.
Lo
ammonii dolcemente con lo sguardo. « Sono
davvero bellissime », cedetti facendomi da parte per farlo
entrare.
Lo
sentii salutare mio padre in salotto mentre
cercavo un vaso per i fiori in cucina.
Quando
lo udii chiedere il permesso per portarmi
fuori quasi non scoppiai a ridere. Avrei pagato per sapere cosa
passasse per la
testa di Charlie in quel preciso momento.
Contrariamente
a quanto mi sarei aspettata, la
tattica – probabilmente avvalorata dai modi fin troppo
garbati di Edward –
aveva funzionato e mio padre si era di mostrato fin troppo disponibile.
«
Sei pronta? », mi chiese quando feci la mia
apparizione in salotto.
Annuii
e salutai mio padre che non pose stranamente
nessuna condizione d’orario e non borbottò nulla
circa il mio abbigliamento. A
quanto pareva non ero l’unica a subire il fascino di Edward.
«
Sembra che anche Charlie abbia un appuntamento
galante stasera », mi confidò Edward non appena
fuori.
Razza
di …
Sorvolai
dall’immaginare qualsiasi attività ludica
che avesse come protagonista mio padre per soffermarmi su
ciò cui valesse
realmente la pena concentrarmi…
Prima
che potessi però dire o fare qualsiasi cosa
Edward mi sollevò prendendomi alla sprovvista e
posò le sue labbra sulle mie.
Era
straordinario come, anche soltanto con un
semplice bacio, potesse trasmettermi tanto. Tutto ciò di cui
avessi bisogno.
Non
era difficile percepire, quando eravamo così
vicini, cosa provavamo l’uno per l’altro.
Gli
passai una mano dietro la nuca e il bacio si
approfondì.
Considerata
la sua immunità alle frecce di Cupido,
era scontato che tutto l’amore che provava per me, lo
sentivo, era qualcosa che
trascendeva ogni cosa. Era qualcosa di inspiegabile.
«
Buon San Valentino », disse non appena le nostre
bocche si separavano.
«
Scusa, se te lo chiedo così », iniziai non appena
salii sulla Volvo argentata, « con tutti i San Valentino che
hai alle spalle…»,
mi bloccai, facendo il possibile per non risultare indelicata
chiedendoglielo.
« Come mai tutto questo attaccamentoa questa
festa? ».
«
Non è sempre stato così », mi
confidò, « però,
beh, ora ho più che una ragione per festeggiarlo
», affermò guardandomi
intensamente negli occhi.
«
Per di più », aggiunse mettendo in moto
l’auto
che fece le fusa al suo tocco, « mi fornisce
l’occasione, altrimenti
difficilmente concretizzabile, di fare cose
che diversamente non potrei fare con te…».
«
Quale genere di cose? »,
domandai piuttosto interessata.
«
Ahah », rise immaginando cosa mi stesse passando
per la testa, « Non ora. Lo vedrai ».
«
Come te la sei cavata oggi a scuola senza di me? »,
domandò, sviando la nostra conversazione altrove.
«
B-Bene », mentii abbassando lo sguardo.
«
Oggi sembravano tutti impazziti. Se fossi venuto
avresti dovuto procurarti un furgoncino per trasportare tutti i
dolcetti che ti
riguardavano », sdrammatizzai.
«
Vorrei poter dire, dunque, che sono felice di non
essere venuto ma mentirei. La verità è che mi sei
mancata moltissimo oggi », mi
confidò con l’aria da cucciolo. « Senza
considerare che avrei dovuto
trattenermi più del solito… », aggiunse
poi con un sorriso tirato.
Guardai
circospetta il posto sterrato dove Edward
stava conducendo l’auto.
Attorno
a noi, illuminazione era pressoché
inesistente e, da quanto potessi distinguere solo con
l’ausilio dei fari della
Volvo, mi sembrava di scorgere in lontananza una lunga cancellata scura.
Il
luogo dove ci fermammo aveva tutta l’aria di
essere un parcheggio abbandonato, solo più inquietante. Se
non ci fosse stato
Edward al mio fianco me la sarei sicuramente fatta sotto.
Ancora
non riuscivo a collegare cosa ci facessimo
lì esattamente. Se voleva semplicemente trovare un luogo per
appartarsi, poteva
semplicemente chiedere.
Quando
fummo più vicini presi atto che la
cancellata non era stata frutto della mia immaginazione, solo non avevo
notato
fosse incorniciata per tutto il suo perimetro da filo spinato. Era
impossibile
poi non notare da quella distanza quell’
“ALT” affisso su un cartello che
metteva in guardia in più lingue che si trattava di un area
privata e di farsi
riconoscere.
Guardai
Edward dubbiosa.
«
Che c’è? », mi domandò come
se non ci fosse
proprio nulla di strano.
Scese
dall’auto con tutta la tranquillità di questo
mondo mentre il mio cuore perdeva un battito. Lo seguii con lo sguardo
fare
qualche passo in mezzo alla sterpaglia pregando non mi chiedesse di
raggiungerlo.
Il
tonfo che ne seguì fu la prova che in qualche
modo Edward aveva aperto il cancello per consentirci di proseguire.
Aspettai
che tornasse in macchina. « Cosa diavolo
stiamo facendo? Mi sembrava ci fosse scritto chiaramente di non
oltrepassare
quella zona », sbottai.
«
Le regole sono fatte per gli uomini », mi rispose
accendendo l’auto.
*Lester Burnham
è uno dei protagonisti di
American Beauty. A Isa viene in mente di collegarlo ai petali
di rosa
trovati ai piedi del suo letto in quanto in American Beauty Mr Burham
ha
continue fantasie sessuali su un’adolescente, amica di sua
figlia, in cui i
petali di rose rosse sono un motivo ricorrente
L’errore
più grande è stato quello di voler avere
la presunzione di descrivere e rappresentare le dimensioni della vita
umana in
toto con strumenti scientifici e pretendere che la realtà
fosse quella regolata
dal meccanicismo scientifico.
Tuttavia
questa descrizione e segmentazione del
tempo non rappresenta la realtà ma un mondo mentale
condiviso dalla comunità
per ragioni pratiche di convivenza, in quanto il tempo è un
flusso continuo che
non si può arrestare ed in particolare ogni
istante può avere per ognuno di
noi una durata ben diversa, soggettiva. *
Bad Girl
[Isabella Swan]
Cap. Forty - I
Can Fly (parte II)
Le
sorprese mi piacevano peccato che la mia indole
curiosa non riuscisse a governare l’impazienza.
Dopo
aver superato la cancellata off-limits Edward
ed io ci eravamo ritrovati in un luogo meno tetro e apparentemente meno
pericoloso rispetto a quello precedente ma altrettanto buio per
permettermi di
capire dove fossimo e, soprattutto, cosa ci facessimo lì.
Il
riscaldamento al massimo, voluto da Edward perché
non congelassi, stava iniziando ad appannare il parabrezza e i
finestrini
laterali, peggiorando ulteriormente la mia situazione visiva.
Mentre
la mia vista non andava al di là del vetro,
Edward al contrario sembrava avere una panoramica ben definita del
luogo in cui
ci trovavamo. Sorrise e con il suo solito tono di voce ipnotizzante
disse: «
dovremmo aspettare, purtroppo ».
«
Aspettare cosa, esattamente? ». L’ansia mi stava
divorando. « Credi sia possibile sapere qualcosa adesso?
».
Scosse
la testa in senso di diniego con il suo
solito sorriso bastardo stampato in volto.
Forse
c’era una cosa che avrei potuto utilizzare a
mio favore, come merce di scambio. «Anche io ho qui qualcosa
per te », affermai,
pronta a negoziare.
«
Spiacente, dolcezza », Edward frantumò ogni mia
possibilità di contrattazione ancor prima di cominciare.
Sospirai
buttandomi all’indietro sul sedile. Non
c’erano modi per convincerlo.
«
Tieni »,
gli porsi comunque il sacchettino che avevo tenuto fino in quel momento
in
borsa. Non ero proprio il tipo che la tirava per le lunghe.
«
Ah », mi guardò stupito. E per il solo fatto di
essere riuscita a sorprendere un vampiro centenario mi presi la mia
piccola
rivincita.
«
Pensavi stessi bluffando prima? », lo guardai
fintamente risentita.
«
Solo, pensavo fossi refrattaria a qualsiasi cosa
inizi con “regal” e finisca con
“o” », nel suo tono di voce notai una
piccola
nota di rimprovero.
Annuii
completamente d’accordo con la sua
affermazione.
Abbassò
lo sguardo al sacchetto e poi mi guardò
nuovamente negli occhi. « Proprio per questo motivo non ho comprato nulla per
te », dichiarò,
ma non mancai di notare quel sorrisino sardonico che cercava mal
celatamente di
nascondere. Evitai di indagare. Qualunque cosa fosse, l’avrei
scoperto. Prima o
poi.
Infilò
una mano nel pacchetto. « Sense and
Sensibility by A Lady** », lesse ad alta voce una volta
estratto il libro.
Mi
fissò nuovamente negli occhi, ancora più stupito
di prima, se possibile. « Come fai ad averne una copia?».
«
Tecnicamente non si tratta proprio di un regalo »,
mi morsi un labbro nervosa. « Dovrò
restituirlo », puntualizzai sorridendo come una bambina
appena scoperta a fare
una delle sue marachelle.
I
manoscritti e i testi antichi erano in realtà
consultabili solo presso la biblioteca, ma, una volta capito che fossi
Isabella
Swan – quella Isabella Swan, – la bibliotecaria
aveva acconsentito, non con
poche raccomandazioni, perché lo tenessi qualche giorno.
«
Non so quanto possa centrare, ma mi ha fatto
pensare a te », ammisi arrossendo.
«
Ah, sì? », mi domandò incuriosito.
«
E’ vecchio. Prezioso. E non morirà mai
».
Non
mi sfuggii il suo sorriso emozionato e al tempo
stesso divertito. « E’ un bellissimo pensiero. Non
so davvero come ringraziarti
».
«
Non è nulla », minimizzai muovendo una mano come
a voler scacciare una mosca, « Ma se proprio
insisti… un’idea ce l’avrei »,
ammiccai nella sua direzione, sperando che mi prendesse in parola.
Sorrise
guardandomi intensamente negli occhi. Come
se fossi qualcosa di estremamente prezioso. Con quel solo millimetrico
movimento delle labbra sembrava riuscire a far quadrare ogni cosa.
Aveva il suo
posto, in armonia con l’universo. Ed io avevo trovato il mio,
tra le sue
braccia.
Prima
che potessi perdere la cognizione di me
stessa, solo guardandolo, mi preparai a prendere la seconda cosa che
avevo
pensato per lui.
Fino
ad allora ero stata combattuta sul darglielo o
meno.
Lo
tenni stretto in un pugno per qualche minuto
finché non mi decisi. « Non è tutto
», annunciai prima che potessi cambiare
idea.
Questa
volta lessi nel suo sguardo una lieve forma
di dissenso che mi fece quasi desistere.
Non
era né il luogo né il momento più
adatto, ma
oramai era tardi per i ripensamenti.
Afferrai
la sua mano destra e nel palmo depositai
l’oggetto.
Quando
lo aprì si ritrovò in mano una piccola
scatolina.
Il
piccolo campanello posto sulla porta annunciò la mia
presenza e mi suggerì
altresì, che era oramai troppo tardi per scappare.
Non
avevo mai notato quel negozietto di antiquariato prima e non ci sarei
mai
entrata se non fossi stata così disperata.
«
Ciao », una voce gioviale mi diede il benvenuto non appena
mossi il primo passo
all’interno del negozio.
Poco
dopo una ragazza dalla pelle ambrata e i capelli corvini fece capolino
da sotto
il bancone. Mi stupii non poco di vedere una ragazza così
giovane lavorare in
un posto del genere.
«
Ciao
», le risposi arrangiando un sorriso. Impossibile non
rimanere contagiati dalla
sua allegria.
«
Sono
Keya », si presentò sollevando una mano e notai
che nell’altra impugnava la
cornetta di un telefono. « Posso aiutarti? ».
Annuì
tornando al suo interlocutorementre
con le
forbici ritagliava strane formine nella carta.
Sospirai
guardandomi intorno.
La
bottega
poteva avere suppergiù le dimensioni della mia stanza ma
avevo la vaga
impressione di potermici perdere. La mia prima preoccupazione fu quella
di riuscire
a muovermi al suo interno senza creare pasticci. L’equazione
“oggetti fragili
uguale danno” rientrava tra i miei must, dopotutto.
Sembrava
il luogo dove giungevano gli oggetti smarriti provenienti da ogni dove.
Quasi
mi aspettavo di trovare anni e anni di calzini spaiati.
Vagai
in mezzo ai varchi tra mobili dorati di dubbio gusto e acchiappasogni
di ogni
forma e colore. Finché il mio sguardo non si posò
su un orologio adagiato in un
bauletto color porpora. Uno di quegli orologi da taschino.
La
mia mente vagò in un luogo lontano, in un’altra
epoca, e visualizzò Edward in tight
con lo stesso orologio tra le mani.
Per
me gli oggetti erano sensoriali: se riuscivano a trasmettermi qualcosa
allora
erano quelli giusti.
Quando
lo presi con cura tra le mani notai però che le lancette
erano ferme alle
dodici.
«
Non funziona », imprecai sottovoce.
Ruotai
una delle due rotelline poste a lato nella speranza di riuscire a
riattivarlo
in qualche modo ma le lancette non si mossero. Invece una dolce melodia
riempì improvvisamente
la bottega.
Keya
alzò gli occhi dal bancone e mi sorrise divertita.
Più
che imbarazzata premetti nuovamente il pulsante nella speranza che
smettesse,
ma la musica continuò finchéil
motivetto non si esaurì con le ultime note, imponendomi ad
ascoltarlo
interamente.
Allora
una voce arcaica alle mie spalle quasi non mi fece cadere contro dei
fragilissimi
oggetti di vetro. Mi voltai nella direzione da cui mi sembrava
provenisse e
misi a fuoco una vecchia.
Non
potevo
sapere se fosse sempre stata lì, completamente mimetizzata
tra le
cianfrusaglie, o se fosse appena sbucata dagli inferi.
Per
la seconda volta trasalii fissando le sue iridi d’alabastro e
i lunghi capelli
bianchi che le incorniciavano la pelle bruna incartapecorita.
Guardandola
la mia mente evocò l’immagine di un albero. Una
quercia secolare. Il paragone
era rafforzato dal fatto che così seduta, non riuscivo
nemmeno a distinguere
dove finissero i suoi piedi e iniziasse il pavimento.
«
Ho
detto », riprese muovendo le labbra ridotte a due linee
orizzontali, « siete
innamorata ».
L’osservai
stranita ma non risposi dato che la sua non aveva per niente il tono di
una
domanda.
«
Avvicinatevi ».
Guardai
oltre le mie spalle nella speranza che si stesse rivolgendo a qualcun
altro ma per
mia sventura non c’era nessuno. Alla fine avanzai verso
quella donna. Non che il
suo tono austero ammettesse rifiuti.
Prese
la mia mano e la strinse con energia.
«
Sì, che lo siete », rise mostrando la scacchiera
di quei pochi denti che le
erano rimasti.
«
Altrimenti
non vi venderei quell’orologio », il suo tono
divenne improvvisamente duro.
«
Nonna?
Quante volte ti ho detto di non importunare i clienti? »,
Keya la riprese, poi
si voltò nella mia direzione e mimò con le labbra
di non darle retta.
«
Posso vederlo? ». Il dito adunco come un ramo della vecchia
indicò l’orologio
che tenevo in mano. Benché mi sembrasse un controsenso dato
che era
visibilmente orba, esaudii ugualmente la sua richiesta mettendole
l’oggetto tra
le mani.
Con
un sorriso passò meticolosamente le dita tra le intarsiature
dorate che lo
decoravano. Poi, con l’ausilio dell’altra mano,
forzò la cassa. Contraddistinsi
un “tic” che mi fece imprecare mentalmente.
Contrariamente a quanto mi
aspettassi però, l’orologio non mostrò
i suoi meccanismi, ma svelò al suo
interno una specie di intercapedine nascosta.
L’”albereggiante”
vecchia passò un indice al suo interno e, ancora una volta,
il suo risolino da
strega mi fece tremare.
Quando
finalmente me lo mostrò vidi cosa esso conteneva rimanendo
senza parole.
Nemmeno
se l’avessi commissionato avrei ottenuto un
oggetto tanto perfetto.
Il
silenzio che ne seguì fu assordante.
Avrei
preferito che mi dicesse che quell’orologio
era la cosa più orrenda che gli avessero mai regalato
piuttosto che restare
così, senza nemmeno un commento. Per di più non
riuscivo a decifrare dalla sua
espressione cosa ne pensasse.
Edward
era rimasto letteralmente di sasso. Non
ricordavo di averlo mai visto così prima.
«
Ehm », mi schiarii la voce rompendo il silenzio,
« penso di poterlo cambiare, se non ti piace », lo
informai, anche se l’idea di
rivedere la vecchia mi faceva venire la pelle d’oca.
«
No », affermò e per lo meno ebbi un segno di
vita.
«
Anche questo ti ha fatto pensare a me? », domandò.
Il suo tono era grave.
Il
motivo per il quale fossi tanto restia a dargli
quel regalo era proprio per il timore che potesse mal interpretarlo.
Come
infatti mi pareva stesse facendo.
Un
orologio, sinonimo del tempo che scorre mentre
lui era bloccato nel suo aspetto da diciassettenne, senza
possibilità di
cambiamento; come le lancette di quell’orologio era fermo
mentre tutto scorreva
attorno a lui.
Con
le parole non ero mai stata brava. Così mi
avvicinai, gli presi di mano l’orologio e ne feci scattare il
vano segreto,
mostrandoglielo.
L’intercapedine
mostrava al suo interno un’
incisione latina chiara e profonda:
“In
aeternum”.
In
eterno. Per sempre.
«
Questo non è solo un orologio »,
l’anziana abbassò gli occhi come colta
improvvisamente da un sonno profondo.
«
Si
tratta di una promessa », aprì nuovamente gli
occhi e proiettò le sue iridi
vitree nei miei, come per leggermi dentro l’anima. Non mi
sottrassi, curiosa di
sapere oltre. Lei era cieca ma sembrava percepire cose che gli altri
non
riuscivano a vedere.
«
Ogni
oggetto racconta una storia.
Se
questo potesse parlare rivelerebbe la storia del ragazzo che
l’aveva posseduto.
Un ragazzo tanto sciocco quanto innamorato. Follemente innamorato di
una
ragazza tanto diversa da lui senza cuore e senza spirito, ancorata al
mondo da
una menzogna.
Cedette
la sua anima al diavolo per quell’amore che non poteva avere.
Così trovò il
modo di stare con lei per sempre.
Ma
quando il ragazzo tornò, profondamente cambiato,
scoprì che lo stesso demone a
cui si era rivolto l’aveva ingannato, prendendosi in cambio,
la vita di colei
che amava di più ».
«
Non
sentite il suo pianto attraverso questa musica? », mi
domandò interrompendo il
racconto.
Sorrise
amara e continuò. « Non ci mise molto a
raggiungerla. Per sempre ».
Azionai
la melodia ruotando la rotellina
dell’orologio e, mentre le note volteggiavano
nell’abitacolo, feci mie le
parole dell’anziana che aveva saputo leggermi dentro.
« Questo non è un
orologio », dissi.
«
E’ una promessa », promisi guardandolo intensamente
negli occhi.
Le
mani di Edward si schiusero a coppa sul mio viso
e coi pollici lambì leggero le mie guance, fissandomi
intensamente negli occhi.
«
Ti amo »,
sussurrò sulle mie labbra.
«
Ti amo anche io », risposi baciandolo.
Il
timore che lui travisasse il significato di quel
dono era del tutto svanito.
Edward
aveva compreso che quelle lancette immobili
non descrivevano la sua condizione.
D’altronde
non avevo fatto sistemare l’orologio per
scelta: solo in quel modo le lancette potevano rimanere sempre unite.
Due.
Proprio come noi.
Così
vicine da toccarsi. Sovrapposte.
Al
di là del tempo e dello spazio.
In
fondo quando ero con Edward che significato aveva
il tempo?
I
fari di un’auto di fronte alla Volvo mi
scostarono con forza dai miei pensieri come un brusco risveglio.
L’idea
di passare l’intera notte di San Valentino
in una cella mi sembrava si stesse pian piano sempre più
concretizzando. Senza
considerare che avrei dovuto fornire qualche spiegazione –
anche se io per
prima non ne avevo, - a Charlie.
Che
scusa avremmo potuto inventare per esserci
addentrati in un area vietata?
Edward
sorrise eccitato, voltandosi nella mia
direzione. « Se stasera potessi andare ovunque, ovunque tu
voglia, dove
vorresti andare? ».
Phoenix.
Nonostante
la sua domanda mi suonasse insensata e totalmente
fuori luogo, la mia mente mi aveva preceduto elaborando una risposta,
una
risposta che nemmeno io mi sarei aspettata. Erano mesi che non sentivo
Renèe e,
nonostante non si potesse certo dire che la parola
“mamma” le si addicesse, era
comunque la persona con cui avevo passato più della
metà della mia vita. Forse
mi mancava.
«
Non so »,
risposi, mettendo a tacere la mia stessa coscienza.
«
Allora non ti dispiacerà se lo stabilisco io ».
«
La tua cripticità mi destabilizza».
«
Un’ultima cosa», accennò ignorandomi vistosamente,
« hai paura di volare? ».
Mise
in moto l’auto e seguì quella che ci
precedeva.
Sarebbe
stato più facile immaginare che il
teletrasporto, come dote vampiresca aggiuntiva di cui ancora non ero a
conoscenza, fosse la soluzione a quelle strane domande di prima, ma non
questo.
Un
uomo sulla trentina in uniforme e guanti bianchi
si avvicinò all’auto. « Signor Cullen,
perdoni il ritardo»,
disse con accento straniero aprendomi galantemente
la portiera.
Non
potevo credere ai miei occhi.
«
Tu? Possiedi un aereo? », gli domandai confusa.
«
No»,
rispose, « è un jet».
Edward
rise della mia espressione che in quel
momento doveva essere simile a quella di una triglia.
«
In realtà non è mio. L’ho solamente
affittato »,
precisò solo dopo essersi goduto la mia faccia.
Edward
ed io eravamo diversi in molte cose. Una di
queste indubbiamente era il peso che ognuno di noi dava alla parola
“solamente”.
«
Tu, cosa?», urlai per sovrastare il rumore dei motori.
Una
volta messo piede all’interno del jet, mi
sembrò di essere stati catapultati nella hall di un hotel a
cinque stelle.
L’uomo
in divisa mi aiutò a togliere il cappotto e
mi fece accomodare su un divanetto beige.
«
Edward », lo avvertii prima che potesse
architettare altre sorprese come quella, « ti ricordo che
devo essere a casa,
diciamo almeno entro domattina. Charlie sarebbe capace di recludermi in
camera
mia per i prossimi cinque anni ».
«
Bene, almeno potrò farti visita in qualsiasi
momento », rispose provocante.
Il
maitre sogghignò sotto i baffi.
«
Quindi », articolai posando una mano sotto il
mento, « tra le tante doti di Edward Anthony Cullen stasera
c’è da aggiungere
quella di pilota di jet? », utilizzai volutamente un tono
acido. Delle volte
era snervante avere a che fare con qualcuno che sapesse fare proprio
tutto. Mi
faceva sentire così piccola.
«
E rinunciare al piacere di passare la serata con
una così bella donna? », affermò
avvicinandosi. « Affatto », rispose a se
stesso.
«
In realtà abbiamo un ottimo pilota in cabina,
mademoiselle », s’ intromise il maitre.
«
Gustave? », lo interpellò, « ti spiace
portare
alla signorina qualcosa da bere? ».
«
Oui », disse e scattò come se si fosse scottato i
piedi.
Poco
dopo Gustave tornò spingendo un carrellino.
«
Excellent millésime, monsieur [Ottima annata, signore] »,
disse versandogli dello
champagne all’interno di un flute.
Edward
avvicinò il bicchiere alla bocca senza bere.
« Il est [lo
è]»,
ribatté dopo essersi bagnato le labbra e a
quel punto il maitre ebbe il consenso di riempire anche il mio.
Dopodiché
ci lasciò finalmente soli.
«
A noi », brindò Edward facendo tintinnare i
nostri calici.
«
Cin cin»,
risposi bevendo tutto d’un fiato.
L’osservai
fare altrettanto e mi ricordai di quella
volta, – quando ancora nemmeno sospettavo cosa fosse, - che
avevamo trincato
vodka fino a stare male.
Quella
volta l’alcool l’aveva aiutato a tenere a
freno il desiderio del mio sangue e a sfoderare in lui un lato
estremamente
sincero che a momenti mi stava per svelare la verità,
ammesso che il mattino
seguente fossi riuscita a ricordarmene.
Da
quella volta erano cambiate molte cose,
specialmente per quel che riguardava la sua sete. Avevo
l’impressione che fosse
talmente assuefatto dal mio odore da non creargli più il
minimo problema. Era
un sollievo, e non soltanto per la mia
giugulare, che non dovesse trattenersi continuamente, ventiquattrore su
ventiquattro.
«
Non credi che sia ora di dirmi dove stiamo
andando? ».
Se
non fosse stata sua intenzione rivelarmelo,
speravo che almeno lo champagne avesse iniziato a fare effetto.
«
In un luogo, in tanti posti ».
Già,
le bollicine bionde avevano fatto effetto, ma
non nel modo in cui speravo.
Sbuffai
delusa dalla risposta e avvicinai il
bicchiere per una seconda dose di quel nettare.
«
Ah, no! », mi redarguì, « prima dovrai
mettere
sotto i denti qualcosa ».
«
Abbiamo degli ottimi ravioli ai funghi, se
gradisce », mise un’altra volta becco Gustave in
piedi come uno spaventapasseri
dietro di noi.
«
Gradisco », risposi mal interpretando la parte di
una signora d’alto borgo.
Edward
mi osservò con gli occhi pieni di desiderio.
Se
continuava così l’avrei assalito.
«
Se tu gradisci… », proposi, « non mi
offenderebbe
affatto se anche tu mettessi qualcosa sotto i denti », dissi
riferendomi al maitre.
«
Gustave? », lo reclamò e il mio cuore perse un
battito.
«
Puoi portarci il vassoio in camera? », gli
domandò invece.
In
un attimo dimenticai persino come mi chiamavo.
La
camera, come l’aveva chiamata Edward, non era
altro che un vano oltre il salotto diviso da un enorme pannello di
vetro
oscurato. L’ambiente caldo e intimo, illuminato da piccoli
abat jour
disseminati sulle pareti, mi trasmetteva una certa calma manco fossi
sotto
l’influsso del potere di Jasper. Il letto non aveva
esattamente le dimensioni
di un letto matrimoniale, ma avrei mentito se avessi detto che mi
dispiaceva
avere un pretesto in più per stringermi ad Edward.
Sfilai
i tacchi e sentii la morbida moquette
accarezzarmi i piedi.
Gustave
lasciò ciò che avevo ordinato sul
carrellino, eclissandosi subito.
«
Avevi ragione », annunciai, « quando dicevi che mi
dai la possibilità di fare cose che diversamente non potrei
fare… cose nuove ».
«
Voglio solamente che tu abbia la possibilità di provare
tutto », affermò.
«
Per esempio: hai mai mangiato senza veli? »,
domandò conoscendone bene la risposta.
«
Veramente sì », stetti al gioco.
Rise
e mi gettò sopra il letto.
«
Ma potrei sempre ripetermi », mi portai a
cavalcioni sopra di lui. La gonna del vestito si sollevò,
mostrando le mie
cosce.
«
Potremmo, sì, però non ti garantisco che ti
lascerò mangiare », disse mentre si faceva spazio
con le mani, risalendo sotto
il vestito.
L’
inopportuno brontolio del mio stomaco demolì i
nostri promettenti piani.
«
Scusa ».
«
No, per niente. Io li trovo graziosi », rise come
un pazzo.
«
E comunque dovremmo aspettare… »,
affermò
posandomi delicatamente sul letto.
Non
capii cosa intendesse dire perciò lo fissai in
attesa che continuasse.
«
Sempre a proposito di provare cose nuove: hai mai
fatto l’amore in quattro Stati diversi? ».
Stavo
per rispondere quando proseguì.
«
Contemporaneamente? ».
«
Che? », domandai.
«
Un piccolo aiutino? », chiese divertito.
«
Utah », sollevò l’indice come se stesse
iniziando
una conta.
«
Colorado ».
«
Arizona ».
«
E New Mexico », conclusi io per lui.
«
Four Corners, ma certo! », congetturai ad alta
voce. Il luogo dove i confini di quei quattro Stati si toccavano.
« E’ lì che
stiamo andando, non è vero? ».
Assentì.
« In un luogo, in tanti posti », replicò
come se la risposta fosse sempre stata scontata.
«
E’ grandioso », dissi emozionata abbracciandolo,
« ho sempre desiderato andarci ». E sarebbe stato
altrettanto grandioso
concretizzare i suoi propositi.
Nello
stesso momento il telefono della camera
squillò.
«
Non rispondere », asserii immaginando fosse
quell’impiccione di Gustave.
Edward
ignorò la mia richiesta e si chinò a
rispondere.
«
Sì, me lo passi pure », disse con tono grave.
Nonostante
la mia vicinanza alla cornetta, non
riuscii a captare nulla della conversazione, ma non mancai di notare
che, dopo
qualche battuta, l’espressione di Edward manifestava che
qualcosa non andasse.
«
Capisco ».
«
Cercheremo di essere lì il prima possibile ».
Riattaccò.
«
Edward, che succede? », chiesi preoccupata.
«
Era Carlisle. Si tratta di Alice ».
ciao
ragazze!
non
so davvero come ringraziarvi di essere arrivate fin qui.
Ricordatevi
di lasciatemi un commento (anche negativo)
ps:
è normale che la musica non parta subito...aspettate qualche
secondo et voilà!
Capitolo 49 *** In the place where the fairies smile ***
Bad Girl
______
Bad Girl
[Jasper Cullen]
Cap. Forty
nine- In the place where the fairies
smile
Per
vincere in Guerra non bastava avere l’esercito più numeroso o, apparentemente
più forte. Fondamentale era conoscere il proprio nemico e la sua strategia, per
sgretolarla attuandone una migliore, che ne anticipi le mosse.
Di
guerre ne avevo vinte tante in vita mia, di molte ne portavo ancora i segni.
Non
avere punti deboli era il mio indiscusso vantaggio: quando non hai niente da
perdere non temi che la tua ora possa sopraggiungere.
Non
c’erano battaglie che avessero segreti per me.
Ma se si
trattava di un nemico silenzioso, capace di celarsi anche per anni e di
distruggerti a poco a poco?
Se
l’avversario ti attacca dall’interno?
Come si
può rispondere senza finire per distruggere se stessi?
Queste
erano le domande che tormentavano ogni istante della mia esistenza da quando
avevo conosciuto Alice.
Ed erano
le stesse che mi rimbombavano in testa da ore, mentre controllavo che i valori
sul monitor mantenessero livelli soddisfacenti.
Quando
avevo pensato fosse troppo tardi, avevo pregato Dio e nemmeno credo nella sua
esistenza.
D'altronde
che non ci fosse un Dio ne ero consapevole. La stessa nostra esistenza ne era
la prova tangibile. Ma ne avevo avuto la conferma definitiva con Alice.
Quante
sofferenze ancora doveva sopportare quella povera creatura? Prima la perdita
della madre – che lei attribuiva a se stessa – e adesso questo.
Riflettevo,
esaminando strategie, che ancor prima di elaborare, risultavano inefficaci.
Le lancette dell’orologio segnavano appena le nove, quando
sentii bussare.
Non c’era bisogno di chiedere chi fosse.
Era puntuale.
Sentii di non potermi muovere.
Cercai di deglutire un fiotto di veleno, con non poche
difficoltà.
Carlisle mi dedicò uno sguardo apprensivo prima di
pronunciare, con la solita cortesia che lo contraddistingueva, la parola «
Avanti ».
L’uomo che si presentò dinanzi la porta aveva da poco
superato la quarantina ma il volto stanco e tirato contribuivano a conferirgli
un aspetto più maturo.
Nonostante indirizzassi tutto il mio potere su di lui, non
riuscii tuttavia a decifrare appieno ciò che provava. Avvertivo dolore ma anche
un qualcosa che somigliava a speranza.
« Carlisle », il padre di Alice sorrise avviandosi alla
scrivania, sorvolando su ogni formalità.
« Eric », lo salutò Carlisle con calore.
« Non sei cambiato di una virgola », il signor Brandon scoppiò in una sonora risata, « non sai quanto ti
invidio! ».
Rimasi sconvolto, tanto da non riuscire a chiedere
spiegazioni.
Si conoscevano?
Eric Brandon sapeva cosa fosse
mio padre?
« Jasper », Carlisle intuì il mio sconcerto.
« Così tu sei il famoso Jasper? », lo interruppe Eric.
Avvicinandosi a me, senza temermi.
Mi fissò dritto negli occhi. Da uomo a uomo.
Paradossalmente fui io quello tra noi ad avvertire una
certa insicurezza. Infondo ero sempre quello che usciva con sua figlia.
L’osservai allungare una mano e posarmela su una spalla,
senza sottrarmi.
« Ho sentito molto parlare di te da Alice e… », si schiarì la voce, « da mia moglie ».
« E’ un piacere conoscerti, finalmente », disse sincero, «
malgrado le circostanze non siano delle migliori», aggiunse e non mi risultò difficile notare
la leggere flessione della sua voce.
« Il piacere è tutto mio signor Brandon
», riuscii finalmente a parlare.
Eric rise. « Andiamo, sei più vecchio di me! Dammi pure del
tu », sdrammatizzò.
« Io ed Eric abbiamo frequentato medicina insieme », spiegò
Carlisle, intervenendo nel discorso.
« Eric era il più bravo del corso », lo elogiò.
« Dopo di te », precisò l’altro.
« Beh, se solo tu non avessi dovuto dormire, ogni tanto, mi
avresti certamente superato ».
Eric lo guardò scettico: « Allora eri già a, quanto, la tua
terza laurea? ».
I due risero complici.
La mia mente collegò i pezzi: Eric Brandon
doveva essere quell’aggancio che mio padre aveva utilizzato per lavorare
all’ospedale di Forks. Non che avesse bisogno di
raccomandazioni ma di sicuro di qualche ritocchino alle cartesì.
Senza indugiare oltre, Eric allungò la cartellina con le
ultime analisi e i risultati della risonanza magnetica di Alice.
Carlisle ne studiò in silenzio le carte, cercando di non
lasciar trasparire le sue sensazioni che però non mancai di cogliere. Infondo non
ci voleva una laurea in medicina per capire quale fossero le sue condizioni.
« Temo che il tempo stringa », Eric manifestò ciò che noi
non osavamo dire, posando lo sguardo prima su Carlisle e poi su di me.
« Maledizione », imprecai tra i denti non riuscendo a
trattenermi.
« Quest’area », indicò la lastra, « è compromessa.
Inoperabile ».
« Qui…», iniziò mio padre
fissando un punto in particolare.
« Sapevo l’avresti notato », disse l’altro senza nemmeno
farlo finire. Roteò la risonanza di centottanta gradi per portarsela di fronte
e continuò « Il modo in cui la massa preme su quest’area…
».
« E’ la ragione per cui Alice ha quelle visioni? »,
intervenni incredulo.
« Già. Immagino possa esserne una causa ».
Carlisle annuì a sostegno della sua tesi.
« Eric, è giusto che tu sappia che ciò che hai in mente non
è una cura, la risoluzione del problema », evidenziò mio padre.
Il signor Brandon sospirò passandosi
una mano tra i capelli brizzolati.
Non era facile dover dare voce a quelle paure che finora
erano rimaste sigillate nella sua testa come si trattassero solo di un brutto
incubo e non della realtà.
« La mia etica di medico mi imporrebbe di fare del mio
meglio, di somministrale le cure e i trattamenti più idonei, pur sapendo che
tutto ciò rallenterebbe solo le cose, e poi aspettare, inerme, l’inevitabile ».
Era un medico, un bravo medico anche. Ma prima di tutto era
un uomo, un padre.
« Ma sapete? E’ stata lei stessa a dirmi che non voleva
sottoporsi alla chemio: “che senso avrebbe
allungarmi la vita di quanto? Mesi? Per poi passare questo periodo a letto,
incapace di muovermi anche solo per andare al bagno e passare le mie giornate
vomitando l’anima. Trascorrerei il tempo concessomi solo nella speranza che
esso finisca in fretta”.
Cos’altro dovrei fare? Come padre non potrò mai accettare
che mia figlia – la mia piccola Alice – stia morendo ».
« Ti capisco », disse Carlisle, « ma il processo di
trasformazione non è così semplice. Come per ogni intervento, esiste il rischio
di non riuscita… ».
« Non ho altre alternative. Devo rischiare ».
Mio padre annuì. « I miei figli – Edward ed Emmett – e la
stessa Esme sono stati trasformati da me proprio poco prima che il loro cuore
smettesse di battere. Ritengo sia quello il momento più adatto per agire ».
« Grazie », Eric sorrise quasi come fosse stremato.
«Hey », le dissi non appena aprì gli occhi.
Mi
sorrise. Era felice di vedermi.
Anche al
buio era impossibile non rimanere accecati dalla luce che emanava.
« Mi hai
fatto spaventare », le sussurrai piano, prendendole una mano.
« Tu che
ti spaventi? », rise.
Le feci
cenno di abbassare la voce. Non era proprio il caso che mi scoprissero lì.
L’orario delle visite in ospedale era passato da ore, ormai.
Si
spostò da un lato del letto e fece cenno di venire a sdraiami accanto a lei.
Scossi
la testa. Non era una buona idea.
Capì al
volo e si coprì meglio, avvolgendosi le coperte addosso.
Insistere
non sarebbe servito così mi misi accanto a lei.
« Come
ti senti? », le domandai.
« Bene »,
mentì.
« Guarda
», le mostrai una cosa che avevo preso in prestito dal reparto pediatria.
L’aggeggio si illuminò.
« Wow!
Una bacchetta », si sorprese e sorrise raggiante, nonostante tutto. « E’
magica? ».
Annuii
facendola ondeggiare. « Ora noi due faremo un gioco ».
Appoggiai
la punta della stella sulla punta del suo nasino.
« Come
stai? Davvero? », le chiesi nuovamente.
« Ti ho
d- ».
« Ah! »,
la fermai indicandole la bacchetta.
Volevo
solo fosse sincera, che si sentisse libera di dirmi tutto, anche se non mi
sarebbe piaciuto.
Volevo
che tutto questo non si riducesse a una scelta valutata a tavolino – seppure
fosse per il suo bene - ma che Alice esprimesse qualsiasi dubbio o perplessità
o, addirittura, si sentisse libera di rifiutare, se lo avesse desiderato. Che
fosse una sua libera scelta, insomma.
La sua
forza d’animo era ammirabile ma non poteva passare il suo tempo a compiacere
gli altri. Per una volta, almeno una sola volta, doveva pensare a se stessa.
Forse,
parlarne le avrebbe giovato.
Le sue pallide
labbra si contrassero in un sorriso tirato.
« Sto
morendo ».
Nonostante
fossi pronto al peggio, non riuscii comunque a non boccheggiare in cerca
d’aria. O, di un appiglio che non mi facesse crollare.
Mi
sentivo esattamente come un uomo che precipita in un baratro senza la
possibilità che arrivi il definitivo momento di schiantarsi.
« Non
succederà ».
Osservai
i suoi occhi scuri farsi dubbiosi.
« Se è
quello che vuoi ».
Io
stesso avevo pensato di farla finita, di porre fine alla mia inutile esistenza,
un paio di volte, nel corso degli anni. Ma per me era stato diverso. Non mi era
stata data la possibilità di scegliere.
Ma a conti
fatti mi sentivo debitore del mio stesso nefasto destino: tutto quello che
avevo passato alla fine mi aveva condotto ad Alice.
E adesso
rischiavo di perderla…
La
scelta era sua, certo, e avrei dovuto accettarla anche se non so cosa avrei potuto
fare se lei avesse scelto di morire.
Scosse la
testa come se avesse potuto leggere nei miei pensieri. « Non fraintendermi.
Voglio farlo ».
Mi
sentii svuotare di ogni angoscia ma aspettai che continuasse.
Sbatté le
ciglia velocemente per trattenere le lacrime. « Ma sai cosa significherebbe? ».
« Che non
rivedrò mai mia madre », lo disse come se si fosse liberata di un macigno che
la opprimeva e le lacrime presero a riversarsi sulle sue guance.
Le
asciugai ad una ad una. « Tua madre ti guarda sempre e è orgogliosa
della donna che sei diventata. Lei l’avrebbe voluto, lo sai questo? ».
Annuì
asciugandosi il viso con la manica del pigiama. « Prima che tu arrivassi e che
le mie visioni, quindi, si dimostrassero veritiere, avevo più che preso in
considerazione la possibilità di andarmene. Ogni giorno vissuto era un giorno
in più. Svegliarmi la mattina e respirare a pieni polmoni l’aria, guardare la
pioggia alla finestra... la malattia mi ha portato a vedere le cose in altro
modo. Ho preferito non dirlo a nessuno, nemmeno alle persone a cui voglio più
bene, e ho chiesto anche a mio padre di non farlo, perché non volevo passare il
tempo che mi rimaneva sotto lo sguardo pietoso degli altri…
pensavo di essermi abituata all’idea. Capisci? ».
« No.
Non ti eri abituata, ti eri solo arresa », affermai convinto.
« Forse
come motivazione non varrà molto per convincerti », le strinsi una mano, « ma
io non voglio che tu muoia perché non ci può essere un “noi” se tu non ci sei ».
Sorrise
e strinse a sua volta la mia mano « Io credo in noi ».
Restammo
così mano nella mano a guardare il soffitto e nel buio della stanza mi vennero
in mente le parole di una canzone che avevo ascoltato e che sembrava parlare di
me.
Say I’m still the soldier in your eyes
I may not have the softest touch
I may not say the words as such
And though I may not look like much
I’m yours
And though my edges may be rough
And never feel I’m quite enough
It may not seem like very much
But I’m yours
[Dici che sono ancora un soldato ai tuoi occhi.
Posso non avere il tocco più delicato
Posso non dire le parole in modo esatto
E anche se posso non sembrare un granché Sono tuo
E anche se posso avere degli spigoli
E sembra che io non sia mai abbastanza
Può non sembrare molto
Ma sono tuo]
« Non
credo di essere pronta», disse tra le
lacrime.
Era la
prima volta che lo ammetteva, ad alta voce.
« Non capisco
perché non riesco ancora a vederlo! Ci sono troppe cose che ancora vorrei poter
fare da umana. Potrebbe essere troppo tardi, poi. Potrei non essere nemmeno la stessa…».
« Perché
c’è qualcosa di così sbagliato in me? », si domandò.
« Oh,
come puoi anche solo pensarlo? », le dissi scostandole i capelli attaccati al
viso. « Non c’è niente di sbagliato in te, tanto che riesci a migliorare anche
me soltanto standoti accanto ».
« Farà
male? », mi chiese sul mio petto.
«
All’inizio », decisi di essere sincero, « ma poi ti sentirai meglio, te lo
prometto ».
« Mi
fido di te », disse ma ebbi l’impressione che non si riferisse solo a
quest’ultima promessa sapevo che cosa volesse sottintendere: voleva fossi io a
farlo.
Scusate
il ritardo ma non è stato facile scrivere questo capitolo per me.
All’inizio
volevo eliminare tutto il pezzo relativo il padre e dare forse più spazio alle
paure di Alice ma poi ho deciso di lasciarlo com’era. Perché nell’originale una
cosa che non mi è andata giù è stata proprio il fatto che Charlie (in questo
caso il sig. Brandon) non fosse informato di nulla!
E’
così finalmente lo sapete: Alice ha il cancro al cervello (che tra l’altro le
provoca le visioni). Negli scorsi capitoli ho cercato di lasciare qualche
indizio (nel capitolo in cui Isa e Alice si incontrano all’ospedale e anche in
“love me”) ma dai commenti non mi pare l’aveste capito.
La
canzone che trovate nel testo e alla fine del capitolo è “I’m yours” – the script.
Spero
mi lasciate un commentino. Aiutano molto a darmi la carica per scrivere.
Quando ti svegli e hai la sensazione ch e il tuo
braccio sia completamente addormentato, non reagisce ai comandi e anche la
sensibilità è nulla, come se esso appartenesse a qualcun altro ma basta meno di
qualche minuto perché le dita ricomincino a muoversi.
Tutta me stessa si sentiva esattamente così: intorpidita,
lenta, paralizzata, solo che le cose non miglioravano col passare del tempo.
Congelata, mentre tutto intorno le cose cambiavano
senza che me ne accorgessi.
Evitai accuratamente di passare davanti casa di
Alice. Vedere tutti quei fiori posati lì davanti con tutte quelle dediche e le
vecchiette scuotere il capo afflitte, non facevano altro che accrescere il mio
senso di smarrimento di vivere in una grande menzogna. Così optai per la strada
più lunga da percorrere, sebbene fossi ansiosa di rivedere Alice. Volevo godere
di ogni minuto passato in sua compagnia, finché potevo.
Mentre guidavo considerai che in realtà le
trasformazioni facevano parte della vita stessa. Come la morte. Ognuno di noi subisce
nel corso degli anni, per forza di cose, mutamenti fisici e mentali. Trasformazioni.
Quello di Alice era un piccolo grande evento che
avrebbe determinato, come un effetto domino, un cambiamento non solo per se
stessa ma inevitabilmente anche per le nostre vite. Bastava un sassolino
scagliato nell’acqua per creare sulla superficie cerchi concentrici sempre più
grandi attorno ad esso.
Una
mutazione definitivamente immutabile, suonava buffo e privo di senso ma per Alice
stava per diventare una realtà.
Vita o
morte?
Aldilà dell’altisonante shakespeariana, chi, potendo scegliere, non avrebbe
preferito la prima?
Non potevo certo biasimarla per aver scelto di
continuare a vivere e io stessa, se avessi saputo, avrei premuto affinché lei
optasse per questo. Ma ingannare la morte aveva comunque i suoi contro…
Parcheggiai il pick-up nel piazzale di casa
Cullen e scesi chiudendo la portiera alle mie spalle che emise un tonfo sordo.
Non appena mi avvicinai alla porta qualcuno fu già pronto ad aprirmi.
« Ciao », Edward mi salutò spostandosi di lato
per lasciarmi libero il passaggio.
« Ciao », risposi schiva per dirigermi di corsa
al seminterrato senza che nessuno mi accompagnasse.
Lo scantinato di casa Cullen in realtà non era
altro che una specie di bunker blindato. La prima impressione che mi aveva dato,
non appena attraversata la porta spessa quanto due muri accostati (che per
fortuna trovai aperta), era quella di trovarsi in un ospedale. All’interno,
infatti, vi si trovavano diversi strumenti medici e piccole attrezzature. I
neon bianchi illuminavano quello che non era altro che un unico vastissimo vano
del perimetro pari alle stanze del piano di sopra e un piccolo bagnetto spoglio.
Dietro un piccolo divisorio si trovava il
lettino dove era disteso il corpo di Alice.
« Isabella », la voce musicale di Esme mi diede
il benvenuto seguita da un dolce sorriso. Aveva i capelli color caramello
raccolti sulla testa in uno chignon da cui spuntavano piccole ciocche
sbarazzine.
Con una piccola spugnetta imbevuta d’acqua era
intenta a lavare delicatamente le braccia di Alice. Avrebbe potuto senz’altro
farlo molto più velocemente e ugualmente bene ma svolgeva quel compito come l’avrebbe
fatto un qualsiasi umano, con l’aggiunta però di una cura e un amore che non mi
era difficile percepire.
Salutai a mia volta, stupita di non trovare
Jasper che braccava assiduamente quel luogo in attesa che Alice si svegliasse.
Il mio sguardo si posò su Alice. Rispetto al
giorno precedente notai che stava già perdendo il suo colorito rosato e non
potei fare a meno di sentire una fitta all’altezza della bocca dello stomaco
poiché adesso sembrava davvero morta.
« Ti spiace aiutarmi? », disse la giovane donna
passandomi una spazzola.
Annuii sedendomi su uno sgabello che qualcuno si
era preoccupato di portare laggiù per me e iniziai a spazzolare i capelli corvini
di Alice. Le setole procedevano con fin troppa facilità. Le sue ciocche erano
setose, morbide e luminose come dopo uno di quei trattamenti professionali dal
parrucchiere.
« Può sentirci? », le domandai dopo qualche
minuto di silenzio.
Quando l’avevo vista, il giorno precedente, non
ero riuscita a far altro che piangere e baciarle le guance e le mani. Il calore
e il colorito della sua pelle mi avevo rassicurata ma non ero ugualmente
riuscita a dire una parola, nulla di tutto ciò che avrei voluto dirle.
Esme assentii muovendo leggermente la testa. «
Il ricordo più vivido della trasformazione è senz’altro il dolore », iniziò ma
si fermò immediatamente, forse notando l’espressione che dovetti aver assunto a
quelle parole.
« Edward ti ha mai raccontato di come fui
trasformata? », mi domandò subito dopo.
Edward, sebbene rispondesse volentieri alle mie
curiosità, non era molto incline a parlarmi degli affari degli altri. Sapevo
esclusivamente che quando Esme fu trovata lottava tra la vita e la morte e che
Carlisle la trasformò per farne la sua compagna.
Seppur non avessi risposto, lei continuò.
« Nel 1911, quando ero solo una ragazzina di
sedici anni, mi ruppi la gamba cadendo da un albero. La mia famiglia viveva in
una fattoria fuori Columbus e mia madre mandò mio fratello a cercare il dottore
locale che però quella sera non c’era.
Era già calato il buio quando mi portarono nel
piccolo ospedale della città. Ricordo che promisi a mia madre che non mi sarei
mai più arrampicata sugli alberi mentre lei mi ripeteva che se mi fossi
comportata come conveniva a tutte le signorine della mia età questo non sarebbe
successo e che se fossi rimasta zoppa nessun brav’uomo mi avrebbe voluta
sposare.
Il dottore che mi curò era di una bellezza
angelica e mi rassicurò dicendo che solo un folle non avrebbe voluto sposarmi ».
« Carlisle? », domandai affascinata dal suo
racconto.
Annuii e sulla sua guancia destra comparve una
piccola fossetta come se parlarne la emozionasse ancora.
« Sì, e non dimenticherò mai quel nostro primo
incontro.
Il mio grande sogno era quello di trasferirmi ad
Ovest e diventare un’insegnate ma mio padre non riteneva fosse rispettabile per
una signorina vivere da sola. In quello stesso periodo Charles Evenson, figlio
di amici di famiglia, mostrò il suo apprezzamento per me e così la mia famiglia
mi convinse a sposarlo all’età di ventidue anni.
Mi resi presto conto di aver commesso un errore.
Le mie idee sul matrimonio e sugli uomini furono presto disattese da quello che
era diventato mio marito. Il lato privato di Charles era diverso da quello che
si sforzava di mantenere in pubblico. Era un uomo violento che abusava di me. Quando
fu chiamato per combattere la prima Guerra mondiale fu un grande sollievo e quando
scoprii di aspettare un bambino decisi di scappare. Non volevo che la mia
creatura crescesse in quella casa ».
Esme si fermò un momento. Se non avessi saputo
che fosse un vampiro, avrei potuto giurare di riuscire a vedere una lacrima
scorrerle sul viso. Poi, con sguardo distante, continuò a raccontare.
« Purtroppo Jeremy morì poco dopo la sua nascita
ed io, ormai sola, presi la decisione di raggiungerlo ».
Smisi di respirare a quel punto. Se non me
l’avesse raccontato lei stessa sarebbe stato difficile credere fosse andata
davvero così.
« Mi crederono morta e mi portarono direttamente
in obitorio. Non avevo idea che Carlisle stesse lavorando proprio ad Ashland.
Quando mi vide si ricordava ancora di me e della ragazza felice che ero stata
quando avevo sedici anni, così decise di salvarmi.
Le mie condizioni erano davvero critiche e il
veleno dovette risistemare diverse ossa rotte. Probabilmente è per quello che
ho sofferto tanto durante il processo di trasformazione. L’unica cosa che mi
dava la forza era sentire la voce di Carlisle sempre al mio fianco ».
Osservai il corpo immobile di Alice.
« Non posso esserne certa, ma credo che lei non
stia soffrendo », mi rassicurò.
« Posso farti una domanda? ».
« So già cosa stai per chiedermi e sì, sono
contenta che Carlisle l’abbia fatto », rispose esattamente a ciò che stavo per domandarle.
La domanda mi era sorta spontanea: in fin dei
conti Esme aveva preso la terribile decisione di suicidarsi e invece, ironia
della sorte, ora era costretta a vivere per sempre. Per Alice era diverso: lei
aveva scelto di diventarlo.
Strizzò la spugnetta in una piccola bacinella e
lambì la pelle bagnata con un asciugamano bianco. « Ho sempre sognato di avere
una figlia femmina », mi confidò fissando Alice e io non potei fare a meno di
avere un po’ paura.
Esme sorrise comprensiva. « Fui trasformata in
vampiro quando il mio corpo era ancora quello di una madre. L’essere un vampiro
enfatizza le tue percezioni, le tue emozioni e senza dubbio anche le tue attitudini
e inclinazioni. Edward, ad esempio, fin da quando era umano aveva la
propensione a capire e comprendere le persone… Se c’è una cosa che credo di
aver ereditato dalla mia umanità è il mio senso di maternità e protezione. Sono
felice di aver avuto la possibilità di fare da mamma a dei ragazzi stupendi e
adesso di occuparmi di Alice… ».
Pensandoci, per Esme non doveva essere stato
affatto facile. Per un secolo era stata l’unica donna in una casa di vampiri.
Non aveva mai potuto confrontarsi con nessuno.
« Quanto ti ci volle per non essere più tentata
dal sangue umano? », quella era la domanda di cui avevo più timore di sentire
la risposta ma che era indispensabile le facessi. Tradotta suonava: quanto
tempo ci vorrà prima che possa rivedere e riabbracciare Alice?
Mi scrutò forse per valutare se essere onesta o
meno, e poi rispose. « Non poco. È un desiderio che è sempre presente solo
sopito all’interno di noi. Quando Alice si sveglierà sarà molto forte perché
dentro di lei scorre ancora sangue umano e il desiderio di bere sarà
insopportabile ».
« E’ per questo che non potrò più vederla? »,
nonostante l’avessi già preventivato, non potei fare a meno di piangere.
In un attimo Esme fu da me. Asciugò le mie
lacrime e cercò di confortarmi.
« Adesso ti lascio sola con lei », disse, « così
potrai parlarle ».
Bad Girl
[Jasper Cullen]
Cap. 51 extra- dr Chestnat
Non c’era niente di più irritante di stare in un
posto quando si vorrebbe essere da tutt’altra parte.
Lo psicologo della scuola, il dott. Chestnat,
aveva insistito con il vedermi. Era convinto di riuscire a risolvere la mia
sofferenza e di farmi elaborare il lutto.
Cazzate. Se Alice fosse morta realmente, nemmeno
se avesse avuto il controllo diretto sulla mia mente avrei potuto
accettarlo.
La verità era che se non avessi dovuto fingere
di essere un comune ragazzo avrei volentieri fatto a meno di lui e della sua
terapia per quelle ore ogni giorno.
« La fase che stai passando è una fase molto difficile…
», disse l’uomo di fronte a me sistemandosi gli occhialini rotondi sul naso.
Cercai di trattenere una risata. Era la
milionesima volta che me lo ripeteva.
Ma cosa voleva saperne quest’uomo?
Di sicuro da queste tre sedute avevo appreso più
io di lui, che viceversa. Di fronte a me visualizzavo la figura di un uomo che
cercava di nascondere le sue insicurezze, titubanze che sicuramente non avrei
rilevato se non avessi avuto potere di farlo. Sulla sua fronte un velo di
sudore, quasi si stesse impegnando a elaborare chissà quale teoria freudiana. Non
mi sprecai nemmeno a utilizzare il mio potere su di lui per tranquillizzarlo.
« La morte della tua amica è sicuramente un
evento tragico ma bisogna riuscire a trarre le cose belle da tutto», continuò retorico.
« Qual è il tuo ricordo più bello che hai di
Alice?», mi domandò.
Finsi di pensarci intensamente. Sapevo
esattamente quale fosse, anche se nella mia testa se ne alternavano più di uno.
Ma di certo non l’avrei detto a lui.
Non accennai quindi a nessuna risposta, come
sempre del resto.
Il signor Chestnat aveva catalogato la mia
svogliatezza e totale mancanza di interessamento nei suoi confronti come una
“fase di negazione”, o almeno era questo che aveva scarabocchiato nei suoi
appunti. Con una freccia poi aveva aggiunto: “assenza si lacrime”. Ottima osservazione, Watson.
Osservai il timer sulla scrivania, aspettando
ansiosamente il momento in cui sarebbe suonato.
Erano ormai passati tre giorni dal momento in
cui Alice aveva subito la trasformazione. Edward aveva passato quei giorni in
allarme, concentrato sui pensieri delle persone, semmai avessero sospettato di
noi e fino allora nessuno lo aveva fatto. Il signor Brandon e Isabella erano le
uniche persone che giornalmente, senza creare alcun sospetto, erano venute a
farci visita, fino ad oggi. Da domani ogni umano si sarebbe dovuto tenere alla
larga il più possibile da casa nostra. L’Alice vampira era un’ incognita
persino per me che avevo avuto a che fare con una miriade di neonati. Mi ero
persuaso che lei sarebbe stata meno selvaggia e più controllata considerato che
la sua trasformazione era frutto di una scelta consapevole. Allo stesso modo
ero conscio della forza che avrebbe avuto e sapevo che senza Emmett non sarebbe
stato facile tenerla a bada.
Tic. Premetti il tasto per
interrompere il cronometro, poco prima che questo suonasse.
« Per oggi abbiamo terminato », annunciò il
dott. Chestnut.
« Temo che questa sia la nostra ultima seduta
dottore »,comunicai, « adesso mi scusi
ma vado di fretta: ho un appuntamento al quale non potrei mancare per nulla al
mondo… ».
Ciao
ragazze!
Non
riuscirò mai a scusarmi abbastanza con voi per il ritardo con cui posto.
Cercate di comprendermi.
Il
capitolo come avrete notato è un capitolo di passaggio. Non viene detto nulla
di nuovo. Infatti la storia di Esme è la sua vera storia http://it.wikipedia.org/wiki/Esme_Cullen
Personalmente
non la conoscevo così nel dettaglio quindi ho deciso di riportarvela.Mi piaceva che Isa avesse la possibilità di
passare un po’ di tempo con Mamma Cullen.Fatemi sapere se ho fatto bene.
“Chestnut”
(il nome dello psicologo) tradotto vuol dire castagna. È il modo in cui io e le
mie compagne di classe appellavamo il nostro prof. di matematica per il suo
modo di vestirsi sempre delle tonalità del marrone.
Non
so se avete notato che il rapporto Isa-Edward si è un po’ incrinato, vedremo
presto perché…
Nel
prossimo, come avrete capito, Alice si sveglierà…
Spero
che mi lasciate un piccolo commento! È appurato che mi aiutino a scrivere.
È
da un po’ che me ne dimentico ma è assolutamente indispensabile che io lo
faccia: un GRAZIE megagalattico alla mia beta Barbara che pazientemente corregge le mie pazzie.
dalla
fretta di aggiornare non mi sono nemmeno accorta che abbiamo un motivo per
festeggiare: abbiamo
superato il CINQUANTESIMO capitolo di questa fic.
Non credo che sia una cosa da poco! Vorrei ringraziarvi tutte, ad una ad una,
soprattutto chi, dopo tutto questo tempo, è ancora qui a commentare e a leggere
questa storia. Grazie per avermi tenuto compagnia, avere condiviso le mie
parole, le emozioni…mi avete fatto ridere, emozionare
e, soprattutto grazie di avermi la forza per continuare a scrivere ancora.
Un
grazie immenso va alla mia beta Barbara che è dal primo capitolo di questa fic che mi segue. Grazie
a te, nel mio piccolo, credo di essere migliorata tantissimo.
Purtroppo,
anche a causa del mio ritardo ad aggiornare, i commenti e le letture si stanno
sempre via via riducendo ma cercherò di tenere duro,
almeno finché questa fic non sarà conclusa.
Ne approfitto per ringraziare bedw, una nuova lettriceche
non solo ha avuto il coraggio di leggere letto tutti i capitoli di
questa fic ma mi ha pure lasciato un commento! Grazie graziegrazie!
Vi avviso anticipatamente che il capitolo è più corto del
solito ma per lo meno questa volta ho rispettato i tempi.
Bando alle ciance: vi lascio alla lettura.
______
Bad Girl
[Alice Brandon]
Cap. 52- Innocence
Libera. È esattamente così che
mi sento.
Leggera come una piuma
trasportata dal vento.
Sento che se voglio posso muovere le dita dei
piedi e delle mani. Ed è la più bella sensazione che si possa trovare dopo
giorni (anni?) bloccata, in balia delle fiamme.
Sospesa. Come se stessi
galleggiando su una nuvola soffice.
Non ho paura, non voglio scendere da questa
giostra di serenità. Temo soltanto che aprendo gli occhi tutto possa svanire.
Percepisco la luce anche se ho ancora le
palpebre chiuse e sento odori e profumi che mi fanno capire di non essere sola
qui. Non sono sola.
Sento emozioni, tante, tutte insieme ma
composte, non mi travolgono, piuttosto mi cullano.
Forte. Avverto l’energia
scorrermi nelle vene.
Viva. Come non lo sono mai
stata.
Mi scappa da ridere senza un motivo particolare.
E devo aver riso davvero perché sento qualcuno sottolinearlo ad alta voce. E’
un ragazzo ed ha una voce meravigliosa. Deve avere anche un bell’aspetto. Lo conosco?
Apro gli occhi e svegliandomi, vedo che non è
cambiato nulla, che la realtà è ancora meglio del sogno. Tutto va bene e penso
che è la prima volta nella mia vita.
Incrocio quattro paia di occhi dorati e
l’emozione dentro di me è tanto forte da contenere, che mi sembra di svenire.
Avverto un formicolio salirmi dalla gola e il suono di una risata riempie di
colpo la stanza. Sobbalzo come se avessi il singhiozzo. Mi blocco.
Sono io? Sono proprio io che ho riso?
Rido ancora più forte e gli sguardi delle
quattro persone che mi stanno di fronte si fanno confusi. Avrei voglia di
abbracciarli e baciarli tutti. Sono così belli. Adesso vorrei avere una reflex,
fargli una foto e metterla in un diario segreto in modo che nessuno, oltre a
me, possa ammirarla.
Mi guardo intorno e sono così meravigliata.
Dove mi trovo?
Il paradiso lo immaginavo diverso. Nuvole, ali e
zucchero filato. Birkin, probabilmente.
Eppure, sarò sincera: non cambierei niente di
tutto questo.
Mi sento calma. So di appartenere a questo
posto.
Lambisco in vestito color ciliegia che indosso e
vorrei fare una giravolta.
« Ti senti bene?», mi domanda uomo dai capelli biondi pettinati all’indietro.
Lui lo conosco, di sicuro. L’ho visto mentre
bruciavo che si prendeva cura di me. Annuso l’aria e ingoio solo cose buone. Ho
voglia di ringraziarlo.
« Alice?», richiama la mia attenzione considerato che non sono riuscita a rispondergli.
“A-L-I-C-E”, sillabo nella mia mente. Ha un bel
suono. Adoro questo nome.
Un ragazzo biondo mi si avvicina. Ha l’aria
tormentata.
“Non c’è nulla di cui tu ti debba preoccupare”,
avrei voglia di dire ma non lo faccio.
La sua vicinanza mi mette in imbarazzo e non ne
capisco il motivo. Forse perché è il ragazzo più bello che io abbia mai visto e
in questa stanza nemmeno gli altri scherzano a quanto fascino.
Mi sfiora un braccio e la mia pelle scotta al
suo tocco ma non mi allontano. Lo fisso negli occhi ambrati e il sorriso spunta
sulle mie labbra.
C’è
qualcosa in lui…
« Angelo mio», riesco a chiamarlo accarezzandogli la pelle del viso guidata per un
momento da un’audacia e una confidenza che non so se posso permettermi con lui.
Ritraggo la mano.
Rallento.
L’espressione dei presenti muta. Nei loro occhi
leggo paura come se di fronte a loro improvvisamente si fosse materializzato un
mostro.
Mi sento così piccola.
« Edward che cazzo succede? », domanda il mio
angelo rivolgendosi al ragazzo dai capelli rossi.
In un momento tutto cambia. Non so come ci siano
finiti così in fretta, ma vedo che sono tutti attorno ad un tavolo di legno
scuro e spesso in un'altra stanza. Stanno discutendo di me, quasi come se non
ci fossi. Poi, d’un tratto, tutto torna dove l’avevo lasciato. Nella grande
stanza bianca.
« Temo che Alice abbia perso la memoria», risponde il ragazzo di nome Edward più
pallido di prima, se è possibile.
______________________________
“So di appartenere a questo posto”.
Lo so, lo so, vi avevo avvisate
che sarebbe stato corto.
È la primissima volta in
assoluto (non solo in questa fic) che utilizzo il POV
di Alice. Vi dirò: non è facile. Magari alcune di voi lo daranno per scontato
e, forse, la differenza non si nota poi molto. Ma cerco sempre di dare, ad ogni
Pov, un’impronta, uno stile diverso in base al
personaggio. In questo di Alice volevo che la parola chiave fosse: semplicità(l’opposto di quelli di Jasper). Vi prego anche di perdonarmi il tempo utilizzato. Ho usato il presente
perché ho pensato fosse la scelta più giusta per questo capitolo.
Isa nello scorso capito aveva
anticipato che la trasformazione aveva i suoi contro. Ovviamente si riferiva alla sete che Alice avrà di sangue!
Ma, come avrete ormai imparato, non sarei io se non mi complicassi la vita, per
cui ho voluto che Alice, come per il personaggio originale, perdesse la memoria (infondo la sua
malattia era al cervello e il veleno ha dovuto principalmente agire su quello).
In altri tempi avrei coraggiosamente aperto una nuova fic
per raccontare meglio le vicende AliceXJasper ma non
credo che lo farò. Prevedo ovviamente altri capitoli ma penso di trattare la
loro vicenda in modo marginale, come contorno a quella tra Isa ed Edward.
Da ultimo, ma non di poca importanza,
l’ispirazione di questo capitolo va tutta ad una canzone di Avril Lavigne: Innocence (della quale troverete delle citazioni nel testo)
per prima
cosa mi scuso immensamente per il ritardo!
Ma spero di
farmi perdonare con questo capitolo bello lungo che già dal titolo promettente …
(“non essere gentile”, "non andarci piano").
Per le
maggiorenni: qui
trovate il capitolo esteso e non censurato.
Ringrazio in particular modo la mia beta Barbara per il betaggio e redapple e Aleswan per le loro
divertenti congetture sullo spoiler bastardo che avevo lasciato nelle risposte
ai loro commenti!
______
Bad Girl
[Edward Cullen]
Cap. 53 -Do not go gentle
La direzione dei miei pensieri era inevitabilmente
proiettata verso lei, Isa. Lei che in
così poco tempo era riuscita a legarmi in un modo così indissolubile da farmi
dimenticare cosa fossi. Con Isa ero prima di tutto un uomo e poi un
vampiro.
Un qualche dio si stava divertendo con noi. Con
un grosso cubo di Rubik tra le mani controllava le
nostre vite. Forks
era stata quella mossa che aveva fatto coincidere i colori su tutte le facce
del dado. Io, Jasper e persino Emmett avevamo trovato in quel luogo la risposta
ai tanti perché che cercavamo. Dentro di noi, segretamente, iniziavamo a
domandarci infatti se mai avremmo avuto la fortuna di trovare qualcuno che ci
completasse, come era successo per Carlisle ed Esme. Nessuno di noi lo credeva
davvero possibile. Eppure era successo.
Tuttavia, nonostante ognuno di noi avesse
finalmente trovato la propria ragione di esistere, le cose non sembravano
comunque ancora volgere nel verso giusto. Come un affamato che deve cibarsi con
un contagocce.
« Quando credi di tornare? », domandai a mio
fratello.
« Non lo so ancora », dalla cornetta la voce di
Emmett mi arrivò cupa, quasi quanto i suoi pensieri.
Non era ancora pronto per tornare ma io non
l’avrei chiamato se non avessimo avuto bisogno di lui.
Alice era come una palla pazza. Un’incognita
incontrollabile e imprevedibile nel modo in cui poteva esserlo un qualsiasi
neonato, ed a complicare ulteriormente le cose, come se non bastasse, ci si
metteva pure un’amnesia che avrebbe potuto giocare a nostro netto sfavore. Auspicavamo
che presto avrebbe riacquistato i suoi ricordi perché, altrimenti, insieme a
quelli, avrebbe perso la sua umanità per sempre.
« Adesso devo lasciarti. Mi farò vivo », riattaccò
Emmett senza lasciarmi la possibilità di replicare.
Era passata una settimana esatta da quando Alice
si era risvegliata nella sua nuova condizione di vampira e, per il momento, dovevamo
ammettere che stava reagendo piuttosto bene. Certo, i suoi pensieri erano il
più delle volte orientati al desiderio di sangue e questo era un vero e proprio
tormento per me, costretto com’ero a passare la maggior parte del mio tempo di guardia
ma, per nostra fortuna, Alice era piuttosto mite per essere una novellina e non
c’era stato bisogno dell’utilizzo della forza.
In generale, il controllo sulla neonata si stava
rivelando abbastanza semplice, del resto, non avevo neppure bisogno di leggere
le sue mosse nei suoi pensieri considerato che, di riflesso, avevo acquisito il
dono addirittura di prevederle attraverso di lei. Avevo imparato a riconoscere
il momento immediatamente prima di una visione: i suoi occhi cremisi si
sbarravano e Alice prendeva tutte le sembianze di una statua di sale.
Paradossalmente quello che mi preoccupava era
Jasper. Nonostante si sforzasse di risultare calmo, i suoi pensieri tradivano
tutto il dolore e la rabbia per la perdita della memoria di Alice. Il fatto che
non si ricordasse di lui era stato un duro colpo difficile da digerire. Le
parlava a malapena, solo se strettamente necessario, e a volte sentivo che era
un vero e proprio martirio per Jasper vederla così, starle vicino. Solo io
potevo realmente sapere quanto desiderasse baciarla, stringerla come non aveva
mai potuto fare per paura di ferirla. Ma non l’avrebbe fatto, almeno finché lei
non avrebbe ricordato o non l’avesse voluto.
I ricordi di Alice riguardo tutti noi si
riducevano alle visioni che aveva e che aveva avuto durante la trasformazione. Quelli
che riguardavano Jasper erano diversi, contornati da uno strano alone, quasi si
trattasse di sogni più che di ricordi.
“Angelo
mio”, sospirava spesso guardandolo furtivamente. Poi, ricordandosi che io
potevo leggere nella sua mente, mi guardava imbarazzata e nei suoi occhi
leggevo la preghiera di mantenere il segreto. Era convinta che Jasper nutrisse
per lei una sorta d’indifferenza, quasi un’avversione. Avrei voluto poterle
dire che non era affatto così e quando ne avrei avuto l’occasione, e cioè
quando finalmente Jasper si sarebbe allontanato, l’avrei fatto.
Scandagliando continuamente i pensieri di Alice mi
ero sorpreso di sentire il nome di Isabella. Lei le aveva tenuto compagnia e
l’aveva confortata mentre stava soffrendo le pene dell’inferno. Ritenevo che
fosse possibile metterle in contatto. Non ero certo così stupido da rischiare
la vita della ragazza che amavo ma con le nuove tecnologie Alice e Isa
avrebbero potuto, almeno finché la neonata non fosse stata pronta, sentirsi
telefonicamente, chattare o addirittura vedersi tramite webcam. Isa ne sarebbe
stata felice e Alice avrebbe potuto trarre giovamento sia per riacquisire la
memoria sia per rimanere attaccata alla sua umanità.
Fatto stava che quegli impegni per l’intera
settimana mi avevano tenuto a distanza forzata dalla mia ragazza. Avevo avuto
pochissime occasioni di vederla e, anche quando questo accadeva, lei mi era
sembrata fredda, quasi distaccata. Non le era stato più permesso di venire a
trovarci e non mi aveva mai più chiesto di Alice dal suo risveglio. Anche se
non potevo ancora leggerle nel pensiero sapevo che stava soffrendo per ciò che
era successo alla sua amica. Volevo darle modo di liberarsi della sofferenza e
speravo di farlo dicendole che Alice aveva chiesto di lei e che avrebbe potuto
parlarci. Non vedevo l’ora di darle la notizia.
Avevo fatto in modo che sapesse che quel venerdì
avrei avuto finalmente il pomeriggio libero. Carlisle, che era riuscito a
spostare i suoi turni in ospedale, mi avrebbe sostituito. Probabilmente peccavo
di egoismo verso la mia famiglia ma sentivo il bisogno di staccare da tutto.
Dai pensieri sanguinari di Alice e dai tormenti amorosi di Jasper. Stare con
Isa era esattamente quello che mi ci voleva. Non potevo fare a meno di lei,
come la mia dose di eroina preferita.
La lontananza, come una bomba ad orologeria, non
aveva fatto altro che aumentare il mio desiderio di stringerla, baciarla, respirarla… possederla. Mi mancava oltre il lecito e
l’unico modo per lenire il mio tormento era quello di toccare la sua pelle, di
sentire il suono dei suoi gemiti. Mi ritrovai eccitato, come uno stupido, solo
al pensiero di lei svestita.
Cercai di calmarmi e le inviai un messaggio per
avvertirla che sarei presto arrivato a casa sua.
Abbottonai la camicia e saltai con un balzo
dalla finestra per attraversare di corsa il bosco.
Mentre correvo, fendendo l’aria intorno a me, il
segnale acustico del telefonino mi avvertì che era arrivato un messaggio.
Sorrisi tra me e me, carico di aspettative. Ma la delusione prese presto posto
all’euforia. Era Isa. Diceva di essere spiacente, ma aveva già detto ad Angie che avrebbe passato l’interno pomeriggio con lei,
oggi.
Sospirai frustrato e di nuovo, la coscienza di
essere essenzialmente una persona egoista si impadronì di me. Avrei voluto Isa
tutta per me senza considerare che Angela, che piangeva ancora la morte di
Alice, ne aveva più bisogno.
Deviai per la biblioteca, decidendo di prendermi
comunque un pomeriggio di riposo. Il luogo non era ancora molto frequentato e
la tranquillità che vi si respirava lo avevano promosso come posto prediletto,
dopo la radura.
Passai il dito sui tomi contrassegnati dalla
lettera “H”. Tra titoli più che familiari, prelevai un’opera di Hesse. Ma il
volume quasi non mi cadde dalle mani quando il mio sguardo si posò al di là
degli scaffali dedicati alla letteratura straniera.
« Ciao Edward », farfugliò dolcemente Angela accortasi
di me, venendomi incontro con una breve corsetta.
« Angela », la salutai a mia volta, sorridendole
senza mostrarle i denti. Evitai di chiederle di Isa perché era evidente che non
fosse con lei e che non avesse la minima idea di dove fosse.
« Isa? », mi domandò, infatti, innocentemente.
« Scusami », la superai eludendo la sua domanda
e lasciandole tra le mani “Siddharta”, « mi sono appena ricordato di una cosa… », la liquidai, dandole le spalle.
Mi guardò stranita per un momento prima di fare
spallucce.
Una volta fuori l’edificio, cercai inutilmente
di chiamare Isa al cellulare.
“ In
questo momento non posso rispondere, lasciate un messaggio e forse sarete richiamati…”.
Riattaccai e quasi non mi feci sopraffare dalla
voglia di accartocciare il telefono in una mano.
A lunghe falcate raggiunsi il piccolo sentiero
dietro la struttura e, dopo essere stato sicuro che non ci fosse anima viva nei
paragi, mi lanciai in una folle corsa. Destinazione: casa Swan.
Avevo urgente bisogno di parlare con Isa anche
se la collera che mi scorreva nelle vene non prometteva nulla di buono.
Perché mi
aveva mentito? Cosa era successo? Avevo fatto qualcosa di sbagliato? L’avevo
ferita?
Gli scenari di mille possibili congetture mi
tormentarono durante tutto il tragitto e i propositi di calmarmi non si concretizzarono
affatto. Doveva centrare qualcosa con il suo strano comportamento. A qualche
decina di metri dalla meta, ordinai alle mie gambe di rallentare. Proseguii
camminando, cercando di darmi un contegno.
La finestra di Isabella era chiusa e dalla casa
non proveniva nessun rumore, segno che fosse deserta. Il pick-up non era
parcheggiato nel piazzale così come la volante della polizia.
Sentii il mio cuore senza vita nel mio petto
lacerarsi.
Doveva senz’altro esserle successo qualcosa,
magari mentre cercava di raggiungere Angela. Non era da lei mentirmi. Mi
ammonii solo per averlo pensato.
Ripescai il mio cellulare dalla tasca e provai a
telefonarle nuovamente. La sorpresa fu grande quando sentii la suoneria del suo
telefono provenire dalla sua stanza.
Strabuzzai gli occhi e balzai felino sul
davanzale della sua camera. Attraverso la tendina colorata non riuscii a vedere
all’interno della stanza. Il cellulare continuò a squillare finché la voce
registrata di Isa non interruppe la suoneria.
Forzai la finestra e riuscii ad entrare. La
facilità con cui mi ero introdotto in casa sua mi fece riflettere sul fatto che
lei non fosse mai del tutto al sicuro, se non con me.
Se da un lato fui più che sollevato da non
trovare il suo corpo privo di vita, dall’altro la mia mente continuava a
interrogarsi su cosa potesse esserle successo. Investigai ma in cucina non c’era
traccia di nessun biglietto e nemmeno in camera sua.
Paranoico oltre ogni limite e senza nessun’altra
possibilità, decisi di affidarmi al segugio che era in me anche se sapevo che
avrebbe significato abbandonarmi totalmente alla mia natura di vampiro.
Chiusi gli occhi e mi concentrai sulla scia del
suo inconfondibile odore, impresso indelebilmente nella mia testa.Sentii le narici bruciare e i polmoni riempirsi del
suo dolce profumo. Ingoiai un fiotto di veleno e mi lanciai sulla pista che
avevo fiutato. Corsi costeggiando la strada principale scrutando
contemporaneamente nella mente di chiunque si trovasse nel raggio del mio
potere in cerca di informazioni utili.
La mia corsa terminò bruscamente. Frenai
puntando i piedi sul terriccio umido quando mi accorsi di stare per superare il
confine dei Quileute. Il loro fetore ne era una
chiara indicazione, segnalava una linea di demarcazione del loro territorio.
« Dannazione », ringhiai tra i denti.
Purtroppo secondo un accordo stretto coi natii
indiani d’America di L.A.Push
non mi era concesso oltrepassare quel confine.
In altra circostanza l’avrei fatto comunque,
rischiando persino di rompere quel patto lungo un secolo, ma dopo la recente
trasformazione di Alice che non avevano certo gradito, non potevo rischiare di
dare loro il pretesto che stavano tanto cercando per sfociare in una guerra. L’
incognita neonata e l’assenza di Emmett ci avrebbero nettamente sfavorito,
senza considerare l’ipotesi che forze più potenti avrebbero potuto scomodarsi
per ripristinare l’equilibrio e questo non sarebbe stato positivo per nessuno
di noi, compresa Isa.
Abbandonai un sommesso ringhio al vento come
avvertimento e in un attimo sparii.
Forse il fatto che fosse con il suo amico Jacob Black e che non fosse caduta vittima di chissà quale
disgrazia o calamità naturale, avrebbe dovuto tranquillizzarmi, in qualche
modo, ma non riuscii tuttavia a placare la collera che mi accecava. Non
riuscivo a saperla del tutto al sicuro con lui. In fin dei conti i mutaforma erano ben noti per il loro scarso autocontrollo.
E poi il fatto che Black e Isa condividessero
quell’amicizia così intima...
In sostanza mi rendeva le cose più difficili. Non
avrei potuto ucciderlo senza imbattermi nell’odio di Isa.
Tornai nella sua stanza, decidendo di aspettarla
lì, circondato dalle sue cose e dal suo odore.
[ Isabella Swan ]
Scostai i capelli umidi di sudore dalla fronte e
mi sporsi dal letto per vedere che ore fossero. Le cifre rosse lampeggianti
sulla radiosveglia indicavano che fossero da poco passate le tre di notte.
Sbarrai gli occhi e cercai di alzarmi dal letto ma la morsa del braccio
bollente e massiccio di Jay mi resero le cose un tantino difficili. Dopo
diversi tentativi, riuscii a scivolare sotto il suo arto e a divincolarmi dal
suo corpo.
Lo guardai nella penombra della stanza. La sua
figura occupava gran parte del letto perciò non mi stupii di aver dormito così
male. Era talmente grosso che i suoi piedi sconfinavano oltre il materasso.
Non era la prima volta che condividevano il
letto ma, osservandolo, mi resi conto di quanto il mio migliore amico fosse
cambiato. Il suo corpo, coperto solo dai pantaloncini, era quello di un uomo
adulto. Alto, muscoloso e possente. Sudato e peloso. Caldo ed accogliente.
Le mie guance s’imporporarono pensando a lui in quel modo, così differente da prima.
Portai la testa da un lato pensando a quando eravamo piccoli e a quanto anche i
nostri problemi lo fossero…
Recuperai le mie cose da terra e uscii dalla
stanza. Tentare di svegliarlo era del tutto inutile. Anche se me l’avrebbe
fatto pesare, ero in grado di tornare a casa da sola. Non c’era nulla
che poteva capitarmi, a parte imbattermi nel mio ragazzo vampiro, s’intendeva…
Aspirare l’aria di un palloncino e riempirlo dei
propri pensieri. Jacob aveva quest’effetto su di me. Con lui i miei problemi si
annullavano, come quando ero bambina. Peccato che al risveglio quest’ultimi
erano già tornati, più pressanti e dolorosi di prima, a bussare alle porte della
mia testa. Portai una mano alla fronte come per frenare l’emicrania che
mi stava martellando le tempie.
Durante il tragitto fui sollevata di non essermi
imbattuta in Edward che, a quanto pareva si era bevuto la storia di Angela.
Aprii la porta d’ingresso e, con le scarpe in
una mano, salii lentamente le scale per non svegliare Charlie. Ma non perché
temessi una ramanzina; affatto, ero certa che anche se fossi rincasata il
pomeriggio successivo non avrebbe battuto ciglio. Non sapevo per quale motivo,
ma nutriva per Jacob una sorta di ammirazione. Mi stupii di non sentirlo
russare, così mi ricordai che non era nemmeno in casa considerato che il
venerdì aveva il turno di notte.
Nella mia camera il letto era vuoto e
assolutamente intatto. Respirai quel silenzio, socchiudendo le palpebre pesati
e stanche. Quando le riaprii, il mio cuore quasi non si fermò. I miei occhi si
posarono su quelli di Edward, seduto nel buio sulla sedia a dondolo.
Perfettamente immobile mi guardava senza
lasciare trasparire alcuna emozione. Boccheggiai in cerca d’aria e, con la
scusa di posare le scarpe a terra, mi voltai per eliminare il contatto visivo
con lui.
Riempii i polmoni d’aria sentendo ancora il suo
sguardo trafiggermi la schiena.
« Senti, Edward… », mi
voltai nella sua direzione posando le mani sul viso, « tutto ciò di cui ho
bisogno adesso è una doccia calda e un po’ di riposo », portai le mani nei
capelli come a volerli raccogliere in una coda alta e terminai la frase,
sperando di posticipare quella che aveva tutta l’aria di diventare una furiosa
discussione.
Edward non parlò ancora, limitandosi a guardarmi
con i suoi occhi luminosi come fari. Mi morsi il labbro, aspettando
pazientemente che si muovesse. Temevo che se avessi fatto una qualsiasi mossa o
avessi anche solo aperto bocca, lui sarebbe esploso. Potevo sentire il mio
cuore risuonarmi nelle orecchie e mi domandai mentalmente se non fossi proprio
io quella a sgretolarsi sotto il suo sguardo.
Per una volta avrei voluto essere io quella a
leggere nella mente, per sapere i suoi pensieri in quel momento.
« Dove sei stata? », domandò rompendo il
silenzio e sentii le sue parole pesare sulla mia testa, come la lama di una
spada dietro la nuca.
« Ho dormito
da Jacob », risposi, sottolineando la parola “dormito”.
Osservai il suo volto contrarsi in una smorfia
di dolore e sentii le gambe cedermi.
« Hai addosso il suo odore! », sentenziò con una
furia ceca che mi ferì.
« Ti ha toccata? Rispondi! », sollevò la sedia a
dondolo e la scagliò contro il muro opposto, sbriciolando il legno in mille
pezzi. L’osservai spaesata e impaurita pensando di avere a che fare con un
estraneo. L’avevo visto nutrirsi e sapevo quanto fosse smisurata la sua forza,
eppure non l’avevo mai visto così… eroso dalla
gelosia. Non ebbi nemmeno il tempo di risentirmi sotto il peso della sua
accusa.
« Ti ha toccata? », domandò nuovamente. Le sue
labbra tremavano e i suoi occhi fiammeggiavano come fuochi in attesa di una
risposta.
« No! », gridai.
Solo allora mi resi conto di tremare. Per quel
lunghissimo momento temetti per il mio migliore amico. Avrei tanto voluto chiudere
gli occhi e non essere costretta a sopportare un attimo di più di vederlo in
quel modo. Distrutto.
In un attimo fu davanti a me. Indietreggiai fino
a cozzare contro il muro. Ma ovviamente Edward fu più veloce e mi afferrò i
polsi, bloccandomi nella sua morsa fredda, senza via d’uscita.
« Perché mi hai mentito? Hai idea di quanto
fossi preoccupato per te? Di quanto fossi stato vicino a venirti a
prendere?», la sua furia espose contro
di me. Non c’era più niente di calmo o misurato in quello che diceva, nella
forza con la quale tratteneva il mio corpo limitato tra lui e il muro dietro.
Ebbi come l’impressione che sarebbe stato più facile scappare scavando con le
unghie nella parete, piuttosto che superare lui.
Mi resi conto di stare piangendo solo quando le
lacrime calde bagnarono le mie labbra. Edward non sembrava farsi impietosire
nemmeno da quelle, per cui gli sputai la verità in faccia, riversandogli la mia
rabbia.
« Proprio tu parli di mentire? Quando pensavi di
dirmi che dovrete lasciare Forks? », sentii la sua
presa farsi più lieve a quelle parole e osservai i suoi occhi sbarrarsi per la
sorpresa di essere appena stato scoperto, « O forse pensavi di non dovermelo dire
affatto? Avresti lasciato la città senza dirmi nulla, come se non fossi mai esistito? », la voce mi si spezzò in gola
come se avessi appena ingoiato un pezzo di vetro.
Ammetterlo a voce alta aveva solo contribuito a
renderlo più reale e più amaro di quanto già non fosse. Avrei voluto urlargli
che lo odiavo ma quelle parole non sembravano volere uscire dalle mie labbra,
come se facendolo avessi bestemmiato. Detestavo il fatto di non riuscire
minimamente ad odiarlo, nonostante il male che mi stava facendo e che ero certa
non si sarebbe mai potuto rimarginare.
Volevo solo che tutto finisse il più velocemente
possibile. Non avrei potuto sopportare di respirare ancora il suo odore, un
attimo di più.
« Vattene via! Vattene. Ora », riuscii a dire
tra le lacrime.
Infondo gli stavo rendendo solo le cose più
semplici. Non aveva avuto il coraggio di farlo lui, così adesso lo stavo
lasciando io. Lo affermai con convinzione cercando di racimolare tutta la forza
per vederlo andare via dalla mia finestra per l’ultima volta, col mio cuore tra
le mani.
« Isa », mi chiamò. Il suo tono di voce si era
addolcito.
« No, no, no», urlai cercando di divincolarmi
dalla sua presa. Non volevo sentire nessuna scusa, nessun’altra bugia e non
volevo che usasse il suo potere ammaliante su di me.
« Isa, Isa, ti prego », disse sfiorando il
profilo della mia guancia bagnato dalle lacrime.
« Non toccarmi! », lo fulminai.
In tutta risposta mi bloccò nuovamente,
incollando il suo corpo contro il mio. « Non vado da nessuna parte, senza te »,
sibilò.
Mise una mano tra i miei capelli, facendomi
inclinare la testa all’indietro e costringendolo a guardalo negli occhi.
« Come puoi averlo anche solo pensato? », mi
domandò rabbioso, « Come puoi pensare che ti lascerei? ». Respirò sulla mie
labbra dicendo qualcosa che non riuscii a comprendere ma che somigliava tanto a
“sei la mia vita”.
« Come devo dirtelo che ti amo? », nei suoi
occhi leggevo la preghiera di credergli perché non c’era niente di più vero dei
sentimenti che provava per me.
« Ti amo », mugolai poiché la stretta nei miei
capelli si era fatta più forte e in tutta risposta incollò le sue labbra alle
mie, senza lasciarmi fiato. Il bacio fu, fin da subito, di un’urgenza mai
vista. Si cibava delle mie labbra, avido, desideroso di averne sempre di più.
Avrei voluto dirgli che ero solo sua,
sua e di nessun altro ma non mi permetteva di staccare le mie labbra dalle sue,
così non trovai altro modo di dimostrarglielo che cedere al suo tocco.
Ah, quanto mi erano mancati i suoi baci! Pregai
perché questo non finisse mai, anche se avrebbe significato non respirare più.
Le sue mani scesero sui miei fianchi e mi accarezzò
attraverso il vestito. La mia pelle al di sotto sembrava scottare. Inarcai la
schiena in modo da far combaciare i nostri bacini. Gemette dal desiderio e con
forza mi strappò il vestito di dosso. Non me ne importò, non m’importa di nulla
che non fosse lui in quel momento.
Scese a baciare la mia mandibola e poi, più giù
la cavità del mio collo facendomi boccheggiare dalla passione.
Senza che potessi rendermene conto, ridusse a
brandelli anche il mio intimo, lasciandomi nuda alla sua completa mercé.
Si staccò per osservarmi meglio e nei suoi occhi
lessi il puro desiderio di possedermi. Temevo, che non avrei resistito tanto a
lungo se avesse continuato a guardarmi in quel modo. Mi morsi un labbro,
pregustando il momento in cui questo sarebbe avvenuto.
Si liberò anche lui dei vestiti tanto
velocemente da non lasciarmi nemmeno il tempo di elaborare la cosa. Mi strinse
nuovamente tra le braccia. Sospirai di piacere e infilai le mie dita tra i suoi
capelli, attirandolo verso la mia bocca. Le nostre lingue si trovarono. Presi
la sua tra le labbra e la succhiai avidamente.
Volevo che mi prendesse in quel momento, lì,
contro il muro ma si limitò a baciarmi lasciandomi consumare nel fuoco
dell’eccitazione. Mi strisciai contro di lui. Un altro po’ e l’avrei
supplicato.
« Avevi detto che avevi bisogno di una doccia,
prima », disse e non mancai di notare il perverso sorrisetto impresso sulle sue
labbra, « Bèh, sono d’accordo », mosse il naso come se gli pizzicasse.
Mi scagliò sotto il getto dell’acqua della
doccia ancora fredda. Senza alcuna delicatezza strinse i palmi delle mani attorno
al mio sedere.
« Edward », lo pregai svergognatamente.
Mi accontentò subito. Prendendomi.
« Sei mia », ansimò mentre i nostri corpi
scivolosi si univano con urgenza, possesso, amore.
Mi aggrappai con le unghia alle sue spalle,
arcuando la schiena e accompagnando i suoi movimenti con il mio bacino. Ero
maledettamente vicina all’orgasmo più potente che avessi mai provato.
« Edward, ancora, di più! », gemetti
spudoratamente.
Uscì improvvisamente dal mio corpo, ancora
insoddisfatto, ma prima che potessi lamentarmi mi afferrò i fianchi e mi fece
girare su me stessa. Gli schizzi dell’acqua calda mi solleticarono la schiena.
Gemette e ringhiò come non l’avevo mai sentito
fare. Il solo fatto di sentirlo così, abbandonato al piacere, contribuivano ad
aumentare le sensazioni positive che stavo provando dentro di me.
Edward era dentro di me, dentro le mie vene,
dentro la mia anima.
Avvertii le sue mani dai miei fianchi scorrere
lentamente lungo la mia schiena, sfiorò il profilo dei miei seni e salì fino a
bloccare le mie mani tra le sue sopra la mia testa, sul vetro della doccia.
Il freddo del suo corpo in contrapposizione al
calore dell’acqua, mi fecero venire i brividi.
Le sue dita scivolarono lungo il mio ventre e
cominciò a stimolarmi. Edward mi stava donando un piacere senza confini.
Venni in quel modo, con Edward che mi stimolava
su due fronti, urlando di piacere.
Non mi sembrava più di ricordare nemmeno come mi
chiamassi. Ero più che convinta che fosse Edward a reggermi ancora in piedi.
Ripresi fiato tra le sue braccia, mentre l’acqua scivolava tra i nostri corpi
nudi e ansanti.
Il mio vampiro mi prese tra le braccia e mi
portò, ancora nuda e fradicia com’ero nella mia camera. Osservai tutto quello
sgocciolamento sul pavimento dietro le nostre spalle, sorridendo ancora
stordita. Mi convinsi che avrebbe pensato lui ad asciugarmi e a mettermi tra le
coperte. Mi depose infatti sul copripiumino e feci
appena in tempo ad osservarlo inarcare un sopracciglio bramoso. Si sistemò sul
letto ancora nudo ed eccitato e cominciò ad imprimere sul mio corpo una scia di
baci mentre io giocavo con i suoi capelli bagnati. Poi si inginocchiò
all’altezza del mio bacino e leccò con la punta della lingua la pelle
dell’interno coscia provocandomi i brividi.
Sbarrai gli occhi dalla sorpresa quando sentii
la sua lingua scivolare nel mio ventre, facendo risvegliare subito la mia
voglia di averlo. Mugolai indispettita e lui rise birichino. Forzai perché si
scostasse da lì ma la mia convinzione cedette immediatamente, conquistata dai
suoi movimenti. Non mi restò che abbandonarmi totalmente a lui.
« Mmm… », miagolai,
trattenendo le mie labbra dall’emettere altri gemiti. Strinsi i suoi capelli
nei miei pugni mentre mi portava pericolosamente vicino al limite.
Edward si tolse poco prima che potessi
raggiungere il secondo orgasmo della giornata.
Mi misi in ginocchio, guardandolo desiderosa
negli occhi. Mi condusse su di lui, ormai impaziente. Presi il suo viso tra le
mani e lo baciai ripetutamente sulle labbra mentre, con lentezza estenuante mi
sedevo su di lui. Mi piaceva condurre il gioco. Ringhiò sommessamente mentre lo
osservavo abbandonarsi al piacere più profondo.
Invertì le posizioni e ed entrò nuovamente in
me, sovrastandomi col suo corpo.
« Isabella », gemette chiamandomi col mio nome
per esteso mentre raggiungevamo insieme l’ orgasmo. Il mio corpo fu scosso da
una violenta onda di piacere e mi abbandonai tra le sue braccia.
Scostò i miei capelli dal viso, baciando
dolcemente le mie labbra.
« Sei bellissima », sussurrò sulle mie labbra.
Risi, consapevole di non essere nemmeno
paragonabile a lui.
« Sei pronta? », mi domandò, « non abbiamo
ancora finito… ».
______________________________
Eeehh, quanto
adoro i litigi che terminano in questo modo!
Spero
che il capitolo vi sia piaciuto tanto quanto è piaciuto alla nostra Isa. Era da
un po’ che non aggiornavo la versione hot della fic.
Direi
che ogni tanto ci vuole, no?
Spero
di non aver esagerato troppo. Lasciatemi il vostro parere, please!
Per le maggiorenni: qui trovate
il capitolo esteso e non censurato.
Ringrazio come sempre mia beta Barbara
______
Bad Girl
[Rosalie Hale]
Cap. 54 – Don’t
go away
« Quanti passeggeri? », mi domandò la ragazza
mora del check in.
« Due », risposi senza pensarci, « Scusi, volevo
dire “uno” », mi corressi subito, sfiorandomi lo stomaco.
« Ce la fai? », mi domandò Roy, passandomi il
borsone.
Annuii e me lo misi a tracolla, cercando di
sorridergli.
Dovevo
farcela e
non mi riferivo certo al peso del bagaglio…
« Stanno chiamando il mio volo », dissi
prestando attenzione alla voce gracchiante proveniente dall’altoparlante.
« Vai », mi abbracciò il mio ragazzo. « Vedrai
che starai bene », mi rassicurò ad un orecchio.
Assentii muovendo la testa.
« Chiamami quando arrivi », urlò quando già
stavo iniziando ad allontanarmi da lui.
Non avevo mai preso l’aereo in vita mia ma avevo
l’ impressione di non essere agitata per quello.
Mi guardai intorno. Tra le persone che
camminavano, perse nei loro pensieri, nei loro sogni, una coppia mi colpì in
particolare. Un ragazzo e una ragazza con i volti bagnati dalle lacrime confessavano
di amarsi, si promettevano di aspettarsi a vicenda e infine si salutavano.
La cosa mi fece male non tanto perché il saluto
con Royce non era stato neanche lontanamente paragonabile
a quello, ma perché quel saluto tra innamorati non poté fare a meno di
ricordarmi l’addio che ci eravamo scambiati io ed Emmett.
Mi ero ripromessa di non pensarci più ma il mio
cervello tradiva ancora una volta le mie stesse convinzioni.
Rallentai il passo, voltandomi per guardare
indietro.
Era folle ma ancora una parte di me sperava di
vedere un ragazzo dagli occhi color miele attraversare di corsa le vetrate,
superare i controlli e stringermi disperatamente fra le sue braccia, come
succedeva nelle migliori commedie romantiche.
Ma non potevo permettermi di fantasticare quando
ero stata io a decidere di tagliare le ali a quei sogni.
Come poteva Emmett
raggiungermi all’aeroporto se nemmeno sapeva che stessi partendo?
Anche oltreoceano avrei ancora sentito i passi
di quel ragazzo risuonare nella mia testa?
Salii sull’aereo e mi accomodai sul sedile
accanto ad un uomo che gentilmente mi aiutò a sistemare la borsa nella
cappelliera.
Chiusi gli occhi pensando a quante cose erano e
stavano ancora per cambiare nella mia vita. Nel giro di poco meno di un anno
avevo scoperto di aspettare un bambino, avevo trovato e successivamente ripudiato
il mio primo vero grande amore e adesso stavo lasciando la città.
Il cielo di Londra non era molto diverso da
quello di Forks, cercai di convincermi.
L’idea era venuta a Royce.
Quel giorno avevo trovato il coraggio di dirgli
che aspettavo un bambino e stranamente non aveva battuto ciglio. Nessuna festa
e nessun dramma. L’avevo visto più felice dopo aver fatto un touchdown, ma mi aspettavo fosse così, dopotutto questa
gravidanza era stata inaspettata anche per me.
Si era attaccato al telefono con suo padre e
dopo una bella oretta in ansia mi aveva detto che sarebbe stato meglio per me
abbandonare la città per affrontare la gravidanza a Londra, dai suoi zii. Lui
sarebbe venuto a trovarmi di tanto in tanto e io avrei potuto concludere
l’ultimo anno laggiù finché la gestazione me l’avrebbe consentito e poi, una
volta partorito, sarei potuta andare a Boston, dove Royce
avrebbe iniziato l’Università e dove avremmo preso una casa insieme. Nessuno
scalpore a Forks, insomma. Inutile dire che i miei si
erano subito trovati d’accordo. Tutto fuorché sbarazzarsi della propria figlia perlopiù
incinta.
Avevo
accettato. Per quanto non mi entusiasmasse l’idea di passare cinque lunghi mesi
a casa di estranei, dovevo ammettere che era un’ottima soluzione. Lontana dai
pettegolezzi e da inopportuni pensieri avrei potuto condurre una gravidanza più
tranquilla. Forse, con l’oceano a separarmi, avrei potuto anche dimenticarmi di
Emmett…
Quello che poi mi aveva colpito maggiormente era
stato proprio Royce. Una parte di me credeva che a
quella notizia mi avrebbe lasciata o, che peggio, mi avrebbe imposto di
abortire. Ovviamente mai avrei accettato di farlo per cui ero felice di come
l’avesse presa. Pensai di rivalutarlo, dopotutto. Anche se non era il ragazzo
che amavo.
[Isabella Swan]
Gioia e
dolore.
Sentire ogni singola giuntura del corpo
indolenzita come se ti avessero più volte staccato e poi, in seguito,
riattaccato le gambe e le braccia a loro posto, non dovrebbe essere
accompagnato da un sorriso di totale beatitudine sulle labbra.
Ma per me quella mattina era così.
Ora lo sapevo. Il paradiso non era un luogo, ma una
sensazione. La stessa sensazione che si potrebbe provare se improvvisamente ti
spuntassero delle ali sulla schiena e tu iniziassi a volare.
Coperti solo dal velo di luce rosata proiettata
sui nostri corpi nudi. Sentire il tocco di Edward disegnare il profilo del mio
corpo, lentamente.Sentire il suo fresco
respiro sulla pelle era la prova inconfutabile che non fosse così assurdo
pensare che gli angeli esistessero davvero. E lui lo era.
La porta della mia camera quasi certamente non
era chiusa a chiave. Almeno che non avesse provveduto Edward, io ero stata
troppo occupata su altro per preoccuparmene. Se Charlie o chiunque altro fosse
entrato in quel momento ci avrebbe trovati completamente nudi e stretti in un
abbraccio. Anima e corpo fusi insieme, questo eravamo.
« Sei sveglia », mi sussurrò Edward nell’incavo
del collo.
Non era una domanda quella.
« No », risposi senza aprire gli occhi. Anche
solo muovere le labbra mi era parso un’impresa. Le immaginavo così gonfie da
fare concorrenza ad Angelina Jolie.Lindsay Lohan Lindsay Lohan
Lo sentii ridacchiare, divertito dalla mia
risposta.
Io non ci trovavo nulla di così divertente.
Facile per lui: svolgere la maratona del sesso no-stop come se si fosse fatto
una passeggiata!
Non disse più nulla, decidendo di regalarmi il
riposo di cui avevo bisogno. Si limitò a scivolare tra le mie braccia, più
vicino al mio corpo.
Trattenni il respiro quando sentii chiaramente
che si era chinato a stampare un bacio sul mio seno. Sorrise birichino
dell’effetto ottenuto sulla mia pelle.
Aprii finalmente gli occhi e incontrai il suo
sguardo oro fuso.
« Buongiorno »,sorrise sghembo.
“Possibile che anche di prima mattina fosse così
dannatamente splendido?”, mi ritrovai a chiedermi per l’ennesima volta.
L’unico segno che portava addosso della battaglia che si era consumata durante
la notte erano i suoi capelli arruffati.
« Vuoi fare l’amore? », mi domandò con gli occhi
da cucciolo.
Non so quanto pesasse il potere ammaliante che
aveva su di me, fatto stava che, già dal tono più che seducente che aveva
utilizzato, stessi quasi per rispondere affermativamente.
« C’è Charlie di là », sussurrai piano, cercando
di rimanere il più possibile lucida.
In risposta circumnavigò con la punta delle dita
la pelle del mio ventre per arrivare al mio ombelico.
« Stai tentando di battere un record? », domandai
con un sopracciglio alzato.
« Scusa », tossicchiò, « ma è colpa tua. Sei una
continua tentazione, lo sai? ».
Mi diede un bacio a fior di labbra.
Era incredibile come ormai i suoi baci e le sue
carezze fossero diventati un nutrimento per il mio corpo e la mia anima.
Mi sporsi per baciarlo nuovamente ma lui si
scostò. « Pensavo mi avessi rifiutato poco fa… »,
affermò fintamente risentito.
In risposta mossi una coscia che andò a sfiorare
maliziosamente il suo inguine.
« Così non aiuti », si schiarì la voce.
Risi spensierata come un bambina pentendomene
immediatamente.
Restammo immobili per qualche minuto per sentire
se per caso Charlie non si fosse svegliato. Benedii il suo sonno pesante.
Il gioco-tortura di Edward poteva continuare per
la gioia dell’affascinante carnefice affianco a me.
« Tra un po’ Carlisle
inizierà il suo turno in ospedale », dichiarò, « non ho molto tempo », concluse
come se stesse facendo una valutazione tra sé e sé a voce alta.
Mi rattristai.
Per tutta la settimana precedente c’eravamo
visti col contagocce, solo per qualche ora, e per di più la mia stupidità aveva
contribuito ad aumentare la nostra distanza.
Edward catturò nuovamente la mia attenzione
sfiorandomi il seno con le dita.
« Devi andare? », domandai con un fremito dovuto
al suo tocco. Non chiedevo altro che restasse.
Improvvisamente avevo cambiato idea…
Assentii muovendo la testa e scese a baciarmi il
petto, all’altezza del cuore.
« Alice ha chiesto di te », dichiarò, « avrei
voluto dirtelo ieri ma poi la serata ha preso una piega inaspettata…
».
« Davvero? Avevi detto che non ricordava più
nulla! ».
« Già », confermò, « ma la sua mente ha
continuato a registrare durante la trasformazione… ».
Questo significava che Alice mi aveva sentito.
Avvertii il mio cuore gonfiarsi dalla gioia. La
mia amica aveva ricevuto le mie scuse ed aveva avuto il mio sostegno.
« Penso che possiate vedervi », asserì.
Lo guardai perplessa non riuscendo a credere
alle sue parole.
« Al pc,con una buona
webcam », precisò, sollevando l’indice.
Non avrei potuto chiedere di più.
Avevo passato gli ultimi tempi a domandarmi come
avrei fatto a sopportare il fatto di non vederla più. Questa era davvero una
grande notizia.
Quasi i miei occhi non si riempirono di lacrime.
« Per quello che riguarda ciò che hai detto ieri
», iniziò, « è stato Jasper a dirtelo? ».
Annuii e mi presi qualche secondo prima di
domandargli ciò che stavo pensando. « Partiranno presto? », constatai con un
groppo in gola.
La commozione che cercavo di trattenere era
dovuta a due fattori. Per prima cosa, chissà quando avrei potuto riabbracciare Carlisle, Esme, Jasper, Emmett e soprattutto Alice. E la seconda, era la ragione
che mi faceva battere il cuore così forte in petto, tanto da farmi quasi male:
Edward aveva scelto me.
“Non vado
da nessuna parte senza te”, le parole che aveva proferito qualche ora prima
mi risuonavano in testa.
Non potevo che esserne felice, eppure una parte
di me si doleva per il fatto che Edward avrebbe dovuto separarsi dalle persone
con le quali aveva trascorso più di un secolo: la sua famiglia.
« Non è questione di giorni », mi tranquillizzò
intuendo la mia esitazione. « Tutto dipende da Alice. Prima dobbiamo essere
sicuri che sia in grado di uscire dal di casa senza essere troppo attratta dal
sangue umano. Non possiamo permetterci che ci sfugga attraverso il bosco per
raggiungere il paese. Potrebbero volerci anche mesi…
», valutò continuando la perlustrazione del mio corpo.
Un’ idea mi balenò per la mente. Era davvero un
sollievo che Edward non potesse leggere i miei pensieri. Odiavo dover tenere dei
segreti con lui ma sapevo che diversamente non me l’avrebbe mai lasciato fare.
Certo, speravo che i Cullen si trattenessero a Forks il più possibile ma volevo anche che Alice potesse
vivere una vita normale come Edward e la sua famiglia, a contatto con le
persone. Sapevo di poter essere utile in questo.
Passai le mie dita tra i suoi capelli,
attirandolo verso di me per baciarlo sulla bocca.
« Mmm, non dirmi che
hai cambiato idea… », mi sussurrò ad un orecchio.
Risposi con i fatti, lasciandogli una scia infuocata
di baci sul collo. Ripercossi poi la sua mandibola con la punta della lingua
per giungere nuovamente sulle sue labbra.
« Tu-mi-farai-morire
», sillabò con ironia strizzando i miei seni verso l’alto.
Sorrise sghembo per poi scendere a solleticare
la pelle del mio basso ventre. Un fremito mi colse quando sfiorò la striscia di
peluria che portava al centro del mio piacere.
Continuò a guardarmi negli occhi mentre con due
dita valutava il grado della mia eccitazione.
« Mm », ghignò soddisfatto dell’effetto che
aveva su di me; di fatto per me era del tutto inutile cercare di fingere
indifferenza, il mio corpo parlava da solo.
Ma come potevo resistere?
Era provocante quello che stava facendo e il suo
sguardo che non abbandonava mai i miei occhi per non perdersi nessuna delle mie
espressioni di piacere. Era come se in quegli occhi leggessi una sfida.
Colsi al volo la provocazione. Lo massaggiai
mentre lui stuzzicava me con movimenti lenti che mi stavano portando
all’esasperazione.
Mi morsi le labbra per non rischiare di emettere
alcun suono. E forse il gioco era reso ancora più intrigante proprio da questo.
Per non essere scoperti nessuno dei due poteva dare sfogo verbale a ciò che
stava provando. Dovevamo affidarci solo ai nostri sensi e la nostra complicità
aiutava moltissimo in questo.
Consumato dal piacere, lo osservai corrugare la
fronte e socchiudere gli occhi mentre giocavo con lui. Per quanto mi spiacesse non
scorgere più le sue iridi ambrate, godei nel vederlo così, totalmente
abbandonato alle mie mani.
Ma come sempre Edward riuscii a sorprendermi: senza
che avessi il tempo di elaborare, invertì le nostre posizioni in modo che io mi
ritrovassi sistemata sul suo corpo, al contrario.
Non potevo di certo dire di non avere una buona
visione di lui da quella prospettiva. Le mie guance s’imporporarono quando
pensai che lui aveva la stessa privilegiata panoramica di me.
Non c’era nessuna cosa che potesse descrivere
fino in fondo quello che Edward mi stava facendo provare.
Cercai di recuperare un minimo di lucidità per
non lasciarmi sopraffare così presto dall’ impazienza e dall’imbarazzo.
Il suo odore, accentuato dall’eccitazione, era
un forte richiamo, difficile da non seguire. Perciò decisi di seguire ciò che
l’istinto mi suggeriva, cercando di donare lo stesso piacere che Edward stava
dando a me.
Qualcosa mi disse che c’ero riuscita quando lo
sentii ansimare eccitato, sotto il mio tocco. Avvertii allora la sua presa
farsi più robusta e capii che se avessimo continuato così non avremmo resistito
a lungo. Già potevo distinguere il cigolio del letto sotto i nostri corpi.
Sospese infastidito con un ringhio sommesso ciò
che stava facendo, inducendomi a fare lo stesso. Mi sollevò prendendomi con sé,
tra le braccia, per adagiarmi successivamente sulla moquette. Solo allora mi
resi conto di come il pavimento fosse stato completamente ripulito da ciò che
restava della mia sedia a dondolo, ma non ebbi il tempo di farglielo notare
perché Edward diversamente dalla notte precedente, si adagiò sul mio corpo
lentamente.
Sospirai di piacere guardandolo negli occhi. I
suoi erano di una luminosità incredibile.
S’inginocchiò di fronte a me e mi donai
totalmente a lui.
Avvertii ogni singolo muscolo rilassarsi mentre
il mio corpo veniva attraversato da una scossa di piacere che purtroppo non
durò molto.
Restammo così, ancora uniti mentre i nostri
gemiti soffocati riempivano l’aria attorno a noi.
Vezzeggiai la sua schiena su e giù, proprio tra l’incanalatura
della sua colonna vertebrale, fino ad arrivare al suo sedere sodo, sentendolo
rabbrividire.
Si sollevò sulle braccia facendo risaltare la
muscolatura della schiena per non pesarmi addosso. « Non sai quanto mi dispiace
dovermene andare così presto », mi sussurrò.
« Ah, io che pensavo che fossi appena venuto », ironizzai, colpendolo
lievemente sui pettorali con uno schiaffetto.
Lui rise, accarezzandomi il dorso della mano.
« Tornerò appena possibile », promise.
« Sarò qui », precisai, « dato che dubito che
oggi riuscirò ad alzarmi ».
Scosse la testa divertito, facendo oscillare i
suoi capelli ramati e mi baciò sulle labbra prima di rialzarsi e andare via.
______________________________
Ciao ragazze, all’inizio non era
mia intenzione fare un altro capitolo hot ma, sapete, questi due ci han preso
gusto. Non avevo mai descritto prima d’ora questa posizione (°///°) spero che
1) si capisca 2) non sia troppo volgare.
Nel pezzo all’inizio ho ripreso la
storia di Rose e Emmett, finalmente. Questo pezzo
della partenza di Rosalie si colloca prima della “morte” di Alice e dopo il
capitolo “Hello, Googbye”.
Cosa ne pensate? Voi cosa avreste fatto? Emmett si
tirerà indietro ?
Per chi non si ricordasse, dopo
così tanti capitoli e dopo tante fic, ho in mente
presto di fare un breve sunto di tutto.
Vi avviso che sono un po’ indietro
con la stesura del prossimo e non so quanto tempo mi ci vorrà per finirlo. M’impegnerò
per non farvi aspettare troppo.
Ultimissima
cosa: ho notato che, nonostante le letture si siano ridotte rispetto
ai primi capitoli, i preferiti, seguiti e i “da ricordare” aumentano (anche se
di poco). Le nuove lettrici sono per la maggior parte “recensori junior” con 0
o poco più recensioni all’attivo. Rubo la vostra attenzione per ricordavi che
gli “scrittori” su EFP scrivono gratis
(ritagliando anche delle ore del loro tempo per farlo) e le vostre recensioni
(critiche o positive che siano) sono
l’unica “ricompensa” che ricevono da voi (senza considerare che le critiche
costruttive possono sempre aiutare a migliorare). Per cui, non parlo solo per
me, ma, se potete, spendete quei due
minuti del vostro tempo per lasciare una vostra traccia.
Anche io all’inizio ero timida e
la maggior parte delle volte non sapevo nemmeno da dove iniziare, ma una volta
superato ciò, credetemi, è bello istaurare questo tipo di rapporto con lo scrittore
(che se leggeste un libro non avreste), dare consigli, chiedere spiegazioni o
semplicemente lasciargli un vostro saluto. Kiss
« La zuppa è di tuo gradimento, cara? », mi
domandò la signora King alzando solo per un attimo lo sguardo verso di me.
« Sì, davvero ottima », risposi con gentilezza.
Magda King sorrise frivola, sventolando una mano
nell’aria. « Ho chiesto a Fred di utilizzare il nostro migliore tartufo, vero
Joseph?».
Sorrisi falsa mentre il signor King, uomo di
poche parole, si limitò ad annuire.
Era poco meno di un mese che i signori King, zii
di Royce, mi avevano presa sotto la loro ala
protettiva a Londra e già i miei nervi ne erano messi a dura prova. Non che
fossero cattive persone o che mi facessero mancare qualcosa, ma non riuscivano
proprio a non ostentare la loro ricchezza in tutto ciò che facevano e dicevano.
Nonostante non provenissi affatto da una famiglia di umili origini, non potevo
fare a meno di sentirmi provocata dai loro miseri tentativi di sminuirmi.
La prima settimana lì era stata terribile. Le
continue nausee, i repentini sbalzi d’umore, combinati con il fuso orario erano
stati un incubo. Inutile dire come la signora King non fosse stata minimamente
d’aiuto in tutto ciò, troppo preoccupata che non le rovinassi le pareti rivestite
di stoffa pregiata o i tappeti persianicol vomito.
Per fortuna avevo avuto accanto Agnese la
governante e, a modo suo, Britney, l’unica figlia dei signori King.
Britney King aveva, almeno anagraficamente,
diciassette anni ma ne dimostrava molti meno e non solo per il suo aspetto
fisico. In comune avevamo unicamente il colore dei capelli e degli occhi solo
che lei, piccola e diafana com’era, sembrava possedere le esatte inquietanti
sembianze di una bambola di porcellana parlante. Il suo carattere così ingenuo
e irruento, oltre a farle guadagnare i rimproveri di sua madre, mi avevano fatto considerare che mai io e
lei saremmo potute andare d’accordo. Ma forse, il mio nuovo istinto materno a
protezione dei più deboli mi aveva tradita e così, nel giro di poco tempo,
eravamo diventate amiche.
« Ci pensi che il grande giorno è alle porte? »,
chiese Magda a nessuno dei commensali in particolare. L’esuberanza che
trasudava da ogni poro si sarebbe potuta raccogliere a cucchiaiate. Era ormai
arcinoto: il “ballo delle debuttanti” era
finalmente previsto per quel sabato stesso.
Storsi la bocca inconsciamente sperando poi di
non essere stata notata da nessuno. Alzai lo sguardo e incontrai in un angolo
quello di Ana, la cameriera, che mi sorrise complice.
Era dalla prima sera che l’avevo conosciuta che
la signora King parlava di questo maledetto evento e, a quanto pareva, l’aveva
fatto anche prima, quanto mancava più di un mese.
« Coming-out** », affermò Britney sprezzante,
beccandosi un’occhiataccia dalla madre che, temetti si sarebbe apprestata a
raccontarci, per l’ennesima volta, come era stato splendido e indimenticabile
il suo, nel quale aveva conosciuto Joseph, suo marito.
Anche Britney riponeva molte speranze in quello
che per me non era altro che un semplice ballo in cui ragazzine, più o meno
stupide, si mettevano in mostra al miglior offerente.
« Rosy », la biondina mi ridestò dai miei
pensieri, « perché non vieni anche tu? Ti prego, ti prego », mi domandò per la
centesima volta, nonostante ritenessi l’argomento chiuso e sepolto, ma Magda mi
precedette prima che potessi declinare l’invito, « Britney, tesoro, lo sai che
non può », la riprese, « Vedrai, Agnese, si prenderà cura di te », aggiunse
poi, rivolgendosi a me.
Non avrei potuto chiedere di meglio di una
giornata totalmente libera dal vedere
le loro facce. Sebbene io fossi libera quanto poteva esserlo una farfalla con
le ali recise.
I King, Royce
compreso, non avevano fatto altro che imprigionarmi in una gabbia, una gabbia
fatta d’oro ed ipocrisia, tenendosi ben lontani dal mostrarmi e nascondendomi
come se io e il mio bambino fossimo un disonore.
Mi ero illusa
che a Londra avrei potuto frequentare un college, stare a contatto con altre
persone, continuare a vivere la mia vita normalmente, ma tutto quello che mi
era stato concesso, con la scusa di non farmi affaticare troppo e per il bene
del bebè, era stato un istitutore privato e delle noiosissime lezioni di
pianoforte.
Non mi ero illusa solo di quello, però. C’era un
altro pensiero che, come una tarma, scavava nel mio cuore: non sapevo quanto mi fossi sbagliata a considerare
che dall’altra parte dell’Oceano, così lontana e impegnata a ridisegnare la mia
esistenza, non avrei più pensato ad Emmett…
Certo, potevo continuare a fingere che lui non
esistesse, come se non fosse mai entrato nella mia vita, ma dentro sentivo
farsi sempre più grande quella voragine che prima o poi, lo sapevo, mi avrebbe
annientata.
Intanto, non mi restava che contare segretamente
i giorni che mancavano per tornare, insieme al mio bambino, alla mia vita.
« Roooosy! », urlò
Britney entrando di corsa nella mia stanza, svegliandomi di soprassalto.
« Che
c’è? », le risposi guardandola in malo modo.
Una piccola “o” le si disegnò sulla bocca e il
suo sguardo si fece scontento.
Non era mia intenzione trattarla male ma avevo
passato l’intero pomeriggio abbracciata alla tavoletta del water ed a piangere, tutto ciò che mi
ci voleva era un po’ di riposo e tranquillità ma a quanto pareva Britney non
era dello stesso avviso.
« Ma io volevo solo…
», provò a scusarsi, « Non hai una bella cera, sai? », mi disse guardandomi
meglio, piegando la testa di lato il che, anziché irritarmi, mi fece sorridere.
Non ero abituata a tutta quella
schiettezza a Forks. Certo, a volte era del tutto
inappropriata ma per lo meno era vera. Era appurato che a Forks,
anche se avessi avuto le sembianze di un alieno, le mie compagne di squadra mi
avrebbero comunque assicurato di essere bellissima.
« Volevo raccontarti del ballo…
», il suo viso s’illuminò pensando a ciò che fremeva dal dirmi. Si inginocchiò
al bordo del letto, accanto a me, infischiandosene dell’abito bianco che si
sarebbe potuto sciupare. Sembrava una piccola sposa.
« Non puoi raccontarmi un’altra volta? Domani,
per esempio ? », proposi con una voce più calma.
Britney parve pensarci un po’ ma poi scosse i
suoi capelli boccolosi. « No, Rosy! È importante. Troppo. Troppissimo.
Davvero ».
« D’accordo », asserii. Dopotutto era difficile che riprendessi sonno subito.
Con l’aiuto dei gomiti mi misi a sedere e Brit mi aiutò a posizionare meglio il cuscino dietro la
schiena, dopodiché le feci spazio perché anche lei potesse sdraiarsi accanto a
me sul letto.
« Pronti? », mi domandò appoggiando la mano
sulla mia pancia tonda.
Sorrisi e l’anticipai: « Scommetto che hai
conosciuto un ragazzo… ».
Sbarrò gli occhi sorpresa arrossendo, il che mi fece
capire che ci avevo proprio preso.
« No », lisciò la fascia rossa del vestito sotto
il seno imbarazzata, « non è un ragazzo… è un uomo »,
mi corresse.
« Matt McCarty », scandì il suo nome con orgoglio come fosse il
suo eroe, il suo eroe personale.
« Uhhh », la presi in
giro, solleticandole un fianco.
Le guance le si imporporarono di un rosso
acceso, in contrapposizione col suo solito colorito latteo.
« Sei rossa come la tua fascia », la schernii.
« Smettila o non ti dirò più nulla », minacciò
alzando l’indice. A volte sembrava tale e quale a sua madre.
« Già non dovrei essere qui a raccontarti nulla
», precisò, « E’ tutto un segreto. Un segreto d’amore ».
« Questo l’ha detto lui? », alzai un
sopracciglio.
Iniziavo a preoccuparmi. Infondo Brit era una ragazza ingenua, facilmente condizionabile.
« Bèh », giocherellò con i suoi capelli, « in
realtà ha detto solo che era un “segreto”, “d’amore” l’ho aggiunto io », dichiarò
arrossendo nuovamente.
« Cosa si prova, Rosy? Cosa si prova ad essere
innamorati? », mi domandò agitata, cogliendomi alla sprovvista.
« Non credo esista una legge universale, uguale
per tutti », replicai osservando il suo viso un po’ deluso dalla risposta.
« Cosa si prova? », domandai più a me
stessa,« È qualcosa di magico e bello.
Unico, ecco. Il tuo stomaco è un completo tumulto di farfalle colorate e ti
senti come se potessi volare. Senti che potresti urlare il suo amore al mondo
intero e avverti un’incredibile solitudine quando lui non c’è. Pensi che non
possa mai esserci nessuno come lui, nessuno che ti farà sentire come ti fa sentire
lui tra le sue braccia.
Completa. E quando lo baci per la prima volta, ecco, quello è il preciso
istante in cui vi donate parte della vostra anima… ».
Raccolsi una lacrima nell’angolo dell’occhio prima che Brit
si accorgesse che stavo piangendo.
« E’ stupendo, Rosy, davvero stupendo »,
confermò lei, completamente rapita dalle mie parole e con gli occhi carichi di
speranza, « Beh, tu sei fortunata ad avere il mio bellissimo cugino Roy »,
annunciò improvvisamente euforica, « anche se, senza offesa, Matt lo batte. Oh,
sì, lo batte », ribadì con convinzione.
« Sentiamo… », la
sfidai.
Britney si schiarì la gola come stesse per
iniziare il discorso per la
notte degli oscar. « Quanto è entrato in sala è stato impossibile non
notarlo. Ho sentito domandare a qualcuna chi fosse ma, sinceramente, ero troppo
impegnata a contemplarlo per prestarci attenzione ».
Sorrisi immaginandola con la bocca semi-aperta e
gli occhi sgranati in direzione di quello sconosciuto che l’aveva rapita al
primo sguardo ma Brit non mi prestò attenzione,
continuando il suo racconto.
« Ha ballato con Mel e Nicole ma poi… », gli occhi le si illuminarono e sbatté più volte le
ciglia prima di continuare, « ma poi ha voluto ballare solo con me. Per tutta
la sera », disse con sguardo trasognato, « Non puoi immaginare, Rosy, temevo
che il cuore mi uscisse dal petto, lì, proprio davanti a tutti ».
Provai una piccola gioia a vederla così e anche
un po’ di commozione, ad essere sincera, verso quella che, nel giro di un mese,
era diventata una sorellina per me. Nemmeno un briciolo di gelosia o invidia.
La gravidanza mi stava cambiando. Emmett mi
aveva cambiata, facendomi sentire cose che non pensavo nemmeno di riuscire a
provare prima. Della Rosalie stronza non era rimasta che la facciata, la
testardaggine e l’orgoglio. Il mio aspetto fisico, anche quello, stava mutando.
« Ti ha proprio stecchita », ironizzai per non farmi troppo prendere dai sentimentalismi.
« Già », confermò sorridendo.
« Mi ha fatto tantissime domande », rivelò, « dove
abitavo e se avessi sorelle o se, oltre alla mia famiglia, abitassi con qualcun’altro…»
« Ma io so così poco di lui…», il suo sguardo s’intristì.
« Quando vi rivedrete? ». Avrebbe avuto altro tempo a disposizione
per sapere tutto di lui. Era bello scoprirsi piano piano.
La vidi agitarsi, toccandosi la gonna di tulle.
« Non lo so ». Si morse le labbra nervosa, « Ha detto che sarebbe dovuto
partire ma che tornava… ha la mia mail. Oddio, Rosy,
sento che non potrò resistere un giorno senza vederlo », piagnucolò.
Le sorrisi, un sorriso di quelli che lasciano un
sapore amaro sulle labbra per la veridicità di quanto affermava.
« Potevi, dovevi dirmelo che l’amore
rincoglionisce! », piagnucolò battendo i piedi sul materasso.
Affido a questa lettera i miei sentimenti
affinché arrivino alla persona giusta.
Non sono ancora convinto, una volta finita,
se la invierò o se rimarrà l’ennesimo mio fallimento.
Non dovrei scriverti e neanche pensarti, se è
per questo, ma non mi riesce possibile. Anche solo calpestare il tuo stesso
suolo è un’ infamia. Parto proprio adesso che ti ho trovata…
Non riesco a smettere di pensare a quanto
sono stato vigliacco e a quanto lo sono anche ora a nascondermi tra le parole
di questa lettera. Ma non posso farne a meno. M’illudo che così sentirò meno la
tua mancanza. Mi sembrerai più vicina.
Non
so come abbia fatto ma sono convinto che tusia
la persona che più sia riuscita
a capirmi, anche se in così poco tempo… ma ci sono
cose che dovresti sapere di me, che ancora non sai, e che non ho avuto il
coraggio di dirti…è successo tutto così in fretta…
e non mi era mai capitato di innamorarmi a prima vista di qualcuno, come è
avvenuto con te. Non mi era mai capitato di innamorarmi punto. Mi odieresti e
disprezzeresti per il resto della tua vita ma, almeno, non saremmo più due
cuori che si cercano disperatamente.
Non
avrei dovuto lasciarti quella sera. Avrei dovuto stringerti e non lasciarti
andare via, per nessun motivo al mondo.
Hai
idea di cosa significhi toccare il paradiso e poi ritrovarsi in quest’inferno?
Non
so se vuoi sentirtelo dire, ora come ora, ma ti amo.
Tuo
per sempre…
…matt
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*
Il titolo è un gioco di parole e fonico, allo stesso tempo. In italiano sarebbe
“ti presento Matt”. Come sapete in inglese la “a” si legge “e” quindi si
legge “MitMett”…
**L'espressione
abbreviata comunemente usata, coming out, ha un
contenuto ironico, in quanto era – e in parte è ancora – l'espressione usata per
indicare il "debutto in società" di una giovane adolescente, di
solito al ballo
delle debuttanti.
In
Italia, l'espressione coming
out, che indica una scelta deliberata, è molto spesso confusa con outing, che indica invece l'esposizione dell'omosessualità di qualcuno da parte di terze
persone senza il consenso della persona interessata. [Fonte: Wikipedia ]
Eccomi.
Se siete riuscite a reggere fino alla fine, vi ringrazio molto.
È
un momento in cui l’ispirazione mi sta abbracciando un po’ in tutti gli ambiti.
Non posso che esserne stracontenta.
Abbiate
pazienza ma sono reduce da un addio al nubilato che ho organizzato interamente,
pur non essendo la testimone e direi che è stato un successone! Mi faccio i
complimenti da sola.
Tornando
al capitolo.
per
prima cosa mi scuso: so che per chi legge fan fiction avere nuovi personaggi
spesso è una rottura, ma cambiando ambientazione (in questo caso addirittura
città) non potevo non descrivere un minimo dell’ambiente, delle persone che
circondano Rose... Degli zii non vi chiedo neanche, ma di Brit
che ne pensate?
Non
so ancora se il prossimo capitolo sarà un AlicexJasper
o se sarà un Pov Isa. Preferenze?
Questa
volta non concludo con le preghiere a recensire. Onestamente a volte penso di
sprecare fiato (in questo caso i tasti del pc)…
quindi fate un po’ come vi sentite di fare (davvero, ve lo dico col sorriso).
Ultimissima
cosa, poi, giuro, vi lascio andare: insieme alla mia Beta (che non finirò mai
di ringraziare) abbiamo iniziato una nuova originale: S(he). Nel caso ve la foste persa e avete
voglia di leggerla ecco il link: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1024243&i=1