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Quand'è
stata la prima volta in cui mi sono reso conto di essere la persona
sbagliata per te? Quando? Quand'è che ho capito che
avrei dovuto separarmi da te immediatamente, andandomene e
cancellando le mie tracce? Non ce l'ho fatta, non è
successo. E ora mi torturo le mani, cerco risposte dove non ce ne
sono, osservo il soffitto nel tentativo di dare un nome a tutto
quello che sta succedendo. Non può essere, mi sono detto. No,
è uno scherzo. Un cazzo di scherzo del destino. Trovo
buffo quanto sia inutile dire che nulla di tutto questo dovrebbe
succedere, ma perché non ne sono capace? Dovrei cancellare
ogni singolo pensiero dalla mia mente, ingoiare parole dette a
sproposito e mentire, mentire e mentire ancora. Dimenticarmi di te,
abbandonarmi all'idea di non essere più in grado di
innamorarmi di nuovo. Qui non si tratta di alchimia, qui si tratta di
me, del mio corpo, di come desidero te che sei la persona più
importante della mia vita. Si tratta di te, dei sacrifici che
abbiamo fatto, che ho fatto e di cui non mi pento minimamente. Ho
scelto di perdere ogni mia singola capacità per te, rinunciare
ad anni di lavoro e fatiche. Sì, ho buttato tutto a puttane
con l'unica consapevolezza di riportare indietro il tuo corpo,
cosicché la tua anima potesse ritrovare di nuovo se
stessa. Bene, no? Un sacrificio per un sacrificio, uno scambio
equivalente. Esattamente quello che la legge alchemica prevede.
Credevo sarebbe stato più difficile, ma mi sono reso conto che
il problema non è la perdita che ho subito, ma l'averti
ritrovato così come sei. Non riesco a fare a meno di pensare a
te ogni singolo secondo della mia esistenza, come e più di
prima: da freddo metallo, involucro apparentemente vuoto che eri, sei
tornato carne, calore e sangue. Sei tornato, e ancora ora appena
ti sfioro sento qualcosa spezzarsi dentro. Mi alzo a fatica e mi
trascino davanti allo specchio. L'immagine riflessa è l'ombra
di quello che ero. Pallido, le occhiaie violacee evidenti, occhi
stanchi. Non posso continuare così, non posso sperare di
insabbiare tutto. Se solo potessi dirtelo... Cosa cambierebbe?
Probabilmente mi allontaneresti o peggio ancora. Potresti stringermi
a te, accostare i nostri petti, respirare uno nell'altro fino a dare
fiato a cose innominabili che non dovrebbero neppure uscire dalla mia
testa. Al, non posso stare ancora qui, non con te. Perdonami,
perdonami.
Ed.
Accartocci
il foglio di carta scaraventandolo in un angolo della camera e ti
trascini mollemente fino alla sala nella speranza di non incontrarlo.
Libri sparsi nel salotto e sul pavimento dimostrano una volta di più
quanto quello disordinato non sia solo tu. Ti abbassi a raccoglierne
un paio per poi riadagiarli silenziosamente sul tavolo, notando con
dispiacere che ogni singolo volume aperto parlava di come
riappropriarsi di qualcosa di perduto. "Sei un vero
idiota." Lo sai cosa ha intenzione di fare, e questa
consapevolezza sgradevole ti provoca un moto di repulsione verso ogni
cosa. Stringi i pugni scaraventando a terra tutto ciò che
stava sul ripiano ligneo, riaprendo gli occhi solamente quando senti
la porta di casa richiudersi. «Ed?» Te
ne vai senza rispondere prendendo la direzione di camera tua, una
stanza che fino a poco tempo fa ospitava due letti, ma che ora porta
le silenziose tracce di un solo frequentatore. Sei tu che lo hai
mandato via, tu che lo stai escludendo dalla tua vita, dai tuoi
spazi, da qualsiasi attività ideata all'ultimo per portarti
via del tempo. Ti accasci sulla porta scura chiusa con poca
delicatezza, nella speranza che possa lasciarti in pace. Sai che
anche oggi insisterà fino allo sfinimento, ma hai deciso di
non cedere. «So che sei lì, rispondimi...» Senti,
o credi di udire una mano che sfiora la superficie fredda, nella
speranza di creare un varco, entrare e pararsi di fronte a te
pretendendo spiegazioni che ancora non hai avuto il coraggio di
concedere. Sai che non lo farà, tuo fratello è troppo
leale per utilizzare le sue capacità al fine di accontentare
quello che pensi sia solo un suo capriccio. Percepisci un altro
rumore non ben identificato, e te lo immagini lì, in piedi, le
braccia tese in avanti e la fronte poggiata sul legno, ad
aspettare. Aspettare cosa, poi? Una dichiarazione? Un "mi
dispiace" sussurrato tristemente? Oppure chissà, un
abbraccio. D'altronde erano anni che aspettavate quel momento, vero?
Quanto è stato bello quando hai potuto stringerlo a te nella
forma originale, umana, calda. Un cuore palpitante, aria nei polmoni,
respiri a scuotere il petto. Eppure... Eppure? Nulla, non
apri nemmeno stavolta, conscio che lui starà lì fino a
che la speranza non avrà allentato la sua mano sulla gola e
sui polsi. «Va via...» L'unica cosa che riesci a
sussurrare, più a te stesso che non ad Alphonse. «Ti
prego, va via.» Prendi le ginocchia tra le mani, poggiandoci
il capo e rimanendo fermo immobile. Il duro pavimento si lamenta
della tua presenza, le giunture cominciano a dolere; da quanto tempo
sei lì esattamente, in quella stessa posizione? Ti arrischi ad
alzarti facendo forza sull'automail, imprecando dentro di te perché
in questa giornata di pioggia l'attaccatura fa maledettamente male.
Cedi e ti accasci con un tonfo. A quel punto Al supera
l'invisibile linea di demarcazione che sta tra l'essere prudente e
passare per impudente: spalanca la porta pronunciando più
volte il tuo nome. Ti scuote, ti accoglie tra le sue braccia, ti
stringe forte a sé come se quel contatto potesse in qualche
modo farti star meglio. Ed è così, almeno in parte. Ti
senti sollevare di peso ed adagiare sul letto con delicatezza.
Sorridi, perché una volta di più ti rendi conto di come
tu sia effettivamente rimasto il più basso, nonostante il tuo
essere il fratello maggiore. Vorresti dirgli qualche cosa, una
qualsiasi, ma la stanchezza accumulata fino a quel momento si
ripresenta sulla tua testa e sul torace come un macigno, impedendoti
di parlare coerentemente e di spiegarti. «Al...» La
tua mano stretta tra le sue, ancora quel tepore. «Sono qui.
Sei davvero uno stupido, un incorreggibile stupido. Lo sai,
fratello?» Lo senti chinarsi verso di te, nonostante gli
occhi chiusi e la sensazione di essere completamente perso nel
dormiveglia. Lo senti anche mentre ti sussurra che è
preoccupato per te. Percepisci una piccola perla liquida e calda
atterrare sul tuo palmo e scivolare dal polso giù, fino al
lenzuolo. Lo hai sempre reputato un incorreggibile sentimentale,
eppure ti fa piacere. Ti fa piacere perché sai che è
ancora vivo. Il suo respiro alterato, la pelle delle sue mani, il
leggero tremolio dei suoi muscoli... Tutto questo dimostra che è
vivo, che è lì. È di nuovo lui, Alphonse
Elric, tuo fratello minore non più legato a mero metallo
gelido. È lui. Sorridi
nel sonno, inconsapevole se sia ancora lì al tuo fianco. Poco
importa ormai, non saresti più riuscito a resistere nel
mantenere quell'insensata lontananza che ti eri imposto di
rispettare. «Ed.» Un'ultima carezza, prima di
avvertire un lieve tocco sulle tue labbra. Potresti anche averlo
sognato, non lo saprai mai. «Ed.»
Eh
ma Stefy, sempre queste cose allegre eh! Sembrava tu ti fossi redenta
con la questione della commedia original, ma non puoi fare a meno di
affrontare argomenti difficili e coppie al limite, vero? Decisamente
vero, ahahah! Non ci posso fare nulla, io e l'amore tra fratelli
abbiamo un certo feeling che mi porta a voler parlare di loro con la
dovuta distanza, la delicatezza che si estrania dal mero eventuale
problema sessuale, e che si insinua all'interno delle loro menti nel
tentativo di sciogliere i mille dubbi che li assillano stando uno
accanto all'altro. Che dire, fatemi sapere che ne pensate, ho
bisogno di conoscere le vostre opinioni a tal merito. Mi auguro come
sempre di avervi regalato qualche riga interessante, una lettura
piacevole e diversa dal solito. Un abbraccio a tutti, e un
pensiero speciale a Mahlerlucia,
a Blueroar e Miryel,
a tutte le ragazze fantastiche
del gruppo BoysLove
e a chiunque abbia dedicato un poca di vita per leggere tutto questo.
Thank you!
Stai
ancora stringendo quelle dita calde mentre Edward si è fatto sopraffare dal
sonno e ti ha lasciato vigile in camera sua. Sua, vostra semmai. Una volta non
faticavate certo a condividere la stessa stanza, gli stessi spazi. Tutto è
cambiato quando entrambi avete raggiunto la consapevolezza del ritorno del tuo
corpo; le cose si sono decisamente complicate, e quel rapporto profondo e
speciale, unico, che vi legava ora sembra aver tutt'altra valenza.
Non era l'armatura il problema dunque: era sempre stato quel filtro fisico che
vi permetteva la piacevole vicinanza. Per quanto possa sembrarti assurdo ancora
ora, ti manca.
«Che cazzata.» Ridi ironico, perché sai bene che lo scopo primario del vostro
viaggio e dei vostri sacrifici è stato raggiunto con successo. «Però, se fossi
ancora il vecchio Alphonse, ora potrei abbracciarti, infilarmi tra le coperte
che ti avviluppano e tenerti stretto durante la notte senza avere paura delle
conseguenze. Sì, è proprio una cazzata.»
«Certo.»
Sussulti inaspettatamente. Non credevi tuo fratello potesse sentirti, come non
ti saresti aspettato una sua risposta. Lo osservi e ti stupisci del fatto che
non abbia ancora aperto gli occhi nonostante il suo intervento.
«Dormi?»
«No, sto solo ascoltando le stronzate dette da un ragazzino.»
«Infierisci, eh?» Sbuffi divertito. Ultimamente scherzare con lui è diventato un
fatto più unico che raro.«Quando mi trovavo
rinchiuso tra quelle pareti di metallo, sembravi più felice, vero? Eri più
tranquillo, non puoi negarlo.» Spalanca
gli occhi dorati incontrando i tuoi di una tonalità più scura
e brillante.
Si solleva seduto. «Sì, effettivamente era tutto più facile.» Lo
immaginavi, eppure non credevi avrebbe fatto così male sentirselo dire.
Il problema è questo dunque: essere tornato umano. Lasci la stretta delle sue
dita e ti alzi senza dire una parola. Aspetti un attimo nella speranza che ti
richiami a sé, che si scusi o che tenti di trattenerti in qualche modo.
Non accade nulla di tutto questo.
Ti dirigi verso quella porta tanto familiare ed in un ultimo moto di speranza
indugi qualche secondo di più sulla maniglia.
«Al?»
Sapevi che non avrebbe potuto trattarti davvero così. Ti volti teso, vuoi
solamente sentirti dire che ha bisogno di te e che desidera la tua presenza
come quando eravate piccoli.
«Ho deciso di partire.»
Ti si spezza qualcosa dentro, lo senti distintamente: qualcosa di irreparabile,
un dolore che si è conficcato senza pietà. Una parte di te vorrebbe scappare
senza voltarsi; la tua irrazionalità invece ti sta guidando verso di lui. I
nervi tesi, così come i muscoli, ti portano ad afferrarlo per la canotta,
percependo per un attimo con i polpastrelli il duro metallo della sua spalla.
Rabbrividisci come tutte le volte al ricordo del dolore che tuo fratello ha
patito per poter farsi innestare quel dannato automail, eppure non stacchi gli
occhi dai suoi, non stavolta. Non più.
Vorresti dirgli tante cose: che non vuoi abbandonarlo, che hai bisogno della
sua vicinanza, che è l'unica famiglia che ti rimane e la persona più importante
che esista. Vorresti, ma non lo fai. Resti in silenzio, le lacrime che
pizzicano; le ricacci a fatica nel tentativo di non dimostrarti un debole, non
dopo tutto quello che avete passato. Regge il tuo sguardo senza neppure abbassare
le palpebre, ma quando senti le guance accaldate di rabbia inumidirsi
d'improvviso, si volta dall’altra parte.
Vigliacco.
«Non andartene...» Poco più che un sussurro. «Non farlo. Non abbandonarmi ora
che finalmente sei riuscito a riportarmi indietro...»
Un singhiozzo ti scuote il petto. Maledizione, ripeti a te stesso, non saresti
dovuto cedere, il tuo orgoglio non avrebbe dovuto permetterlo.
Spalanca le iridi luminose mordendosi il labbro. Con quelle ultime parole lo
hai scosso fin nell'anima, e ne sei consapevole: glielo leggi addosso. Le dita
si stringono maggiormente alla carne ed il tuo respiro accelerato si smorza nel
momento in cui Ed prende il tuo volto tra le mani.
Il tempo sembra fermarsi.
Non ti capaciti ancora di stare piangendo davanti a lui.
Ti sussurra accanto alle labbra, mosso da piccoli tremiti. Ti dice che non può,
che non deve. Ti rivela che è tutto tremendamente sbagliato, compreso quello
che sta succedendo adesso.
Sta fremendo più forte, ed il suo sospiro strozzato si spezza a metà.
Pensi a quanto sia assurdo che una persona all’apparenza così forte riesca a
cedere tanto rapidamente. Lo riadagi sul materasso stando attento a lasciargli
i dovuti spazi, ma lui si aggrappa a te annaspando in cerca di ossigeno. Sa di
stare sbagliando, ne è consapevole come è consapevole di non dover fare nulla.
Eppure ti strattona baciandoti.
Il sapore dolciastro delle labbra mischiate alle lacrime che scivolano sul viso
di entrambi ha un che di nostalgico, proibito, ricercato…
Meraviglioso.
Questo il termine che cercavi, questa la parola che meglio descrive ciò che
stai provando: non solo però. Disperazione, aspettative, consapevolezza
dell’errore stesso, delle distanze bruciate.
Tutto scompare, mentre le tue unghie si aggrappano alla sua schiena ed il contatto
diventa più profondo. Il resto non ha importanza perché sta accadendo ciò che
per anni è stato un tuo chiodo fisso, malato, assurdo: il sapore di tuo
fratello.
Ti stendi su di lui, sentendolo cercarti ancora, aggrapparsi ai tuoi capelli
color del sole, attingere alla tua bocca come fosse vitale. Riesci a notare il
rossore sul suo volto nell‘unico istante in cui i vostri sguardi si incrociano.
Non riesci a reggere le pupille liquide di dolore.
Serri le palpebre più che puoi, muovendoti su di lui e scorrendo le mani sul
suo automail. Intrecciate le vostre dita, pelle su metallo, mentre i respiri si
uniscono e stridono, si rincorrono nel tentativo di fondersi e trovare una sola
possibilità misera di salvezza per tutto ciò che sta accadendo.
È sbagliato e lo sai.
È
probabilmente la cosa più meschina che farai nella tua vita, ma insinui il tuo
ginocchio tra le sue gambe, strappandogli un gemito strozzato e malcelato.
Non deve succedere.
Eppure profuma di buono, sa di buono, e tu non riesci a fare a meno di
desiderarlo.
Le tue dita scendono sulla sua canotta nel tentativo di farsi strada sul suo
corpo; il punto di non ritorno ormai è stato raggiunto nel momento in cui avete
ceduto e vi siete sfiorati. Non avrebbe senso tornare indietro, non ora: è
questo che ti stai ripetendo nel tentativo di dare una spiegazione, cercare un
briciolo di razionalità.
Un secondo gemito spezza il silenzio nella stanza, e d’improvviso immagini e
ricordi confusi degli anni della vostra infanzia si appropriano della tua
ragione e ti fanno vacillare. Il suo sorriso innocente, quel divertimento
tipico dei bambini, l’allegria data dall’affetto fraterno e dalla
consapevolezza di avere sempre qualcuno accanto di cui fidarsi. Ti fermi come
per un attimo il tuo battere in petto. Fiducia. Certo, come se ora contasse
qualcosa. Quello che sta accadendo va al di là di ogni singola aspettativa
ricreata nella tua testa; quel tipo di pensiero che t’eri ripromesso di non
considerare dal momento in cui la vostra quotidianità aveva raggiunto di nuovo
un equilibrio ti sta accompagnando nel baratro, e non sei il solo. Ti fermi e
ti senti bloccato, mentre ancora lo sovrasti con il peso del tuo corpo e lo
tieni fermo sotto di te. Finalmente hai il coraggio di guardarlo meglio,
stringendogli i polsi tra le tue dita.
«Al… Alphonse…»
«Dimmi.» Vibri al suono del tuo nome pronunciato con tale desiderio. Fermati.
Le perle che scivolano dai tuoi occhi si infrangono silenziose sul suo viso. Fermati. Spalanca le pupille e ti guarda. Trema. Quasi non respira. Fermati adesso. Sussurri qualcosa di incomprensibile sulle sue labbra coprendole con
maggior forza. Il tuo bacino si muove impercettibilmente da sensazioni mai
avresti pensato di provare davvero. Alphonse, ti prego. Fermati. Credi di essere impazzito, perché la voce che impera nella tua mente e che
ordina perentoria non è altro che quella di Edward. Vorresti assecondarlo, ma
non lo fai. Anzi, non lo vuoi.
Sei consapevole di una cosa sola: la risposta delle vostre viscere, dei
neuroni, di ogni singola cellula che riempie il vostro essere è chiara ed urla.
Amalo.
Questo richiede.
Amalo.
Ahhh
non sentite il profumo di angst nell’aria? Io sì! Come mi sono ripromessa prima
di cominciare con
questa serie di storie sull’amore fraterno in difficoltà, non sono andata nel
particolare, però non è stato affatto facile. Mi sono mantenuta alla lontana
proprio, anche se una vocina dentro di me sussurrava continuaaaa, continuaaaaa…
No, io da brava mi sono trattenuta e ho mantenuto fede al mio impegno.
(Mannaggia!) Mi auguro chiudiate un occhio e comprendiate le limitazioni
imposte dai piani alti.
Al
prossimo capitolo dunque, augurandomi di non continuare a pensare a come
dovrebbe continuare questo. Ringrazio tutti voi che mi sostenete sempre e
riempite la mia attività di entusiasmo e sorrisi. Grazie!
-Stefy-