Quasi Immortali

di Lilylunapotter004
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


FineUn finale piuttosto raccapricciante per una come me. Era la prima volta che leggevo un romanzo in cui non c'era Il "vissero per sempre felici e contenti" e ciò mi aveva reso molto triste. Sarebbe assurdo pensare che una persona ci rimanga male per uno stupido libro di cui nulla di tutto ciò che vi è scritto è reale. Per me però era diverso... Pensavo che quel libro fosse stata la via di fuga da quella triste realtà che mi circondava. Ma quel finale non aveva fatto altro che peggiorare il mio umore già precario. Anche quel libro contribuì ad alimentare il ricordo di quella notte che non riuscivo a togliermi dalla testa:l'incidente del 1 Gennaio 2018. Chiusi il libro, lo fissai ancora un attimo prima di metterlo nella mia piccola e polverosa libreria, e fu proprio in quel momento che una lacrima mi rigò la guancia. Mi asciugai subito il viso, non volevo che mia madre entrasse in camera e mi vedesse in quello stato. Non era il caso che si preoccupasse ancora per questa faccenda. Ormai erano passati otto mesi e se mi avesse visto così, stavolta mi avrebbe portata veramente da uno strizzacervelli. Posato il, aprì la finestra della camera e uscì sul mio balcone personale. Il sole stava tramontando e il freddo crepuscolare iniziava già a farsi sentire. Mi accovacciai sul dondolo che papà mi aveva comprato quando ero più piccola, e iniziai a spingermi lentamente avanti e indietro. A quell'ora il quartiere era molto silenzioso e poche erano le persone passavano che passavano per strada. Una folata di vento mi scompiglio i capelli, mentre alcune foglie si adagiavano sul balcone. Una di queste fini sulle mie gambe. La presi e me la girai tra le mani. Era grande quanto il mio palmo, di un colore rossiccio molto particolare e aveva venature ben visibili e definite. Quel colore mi piaceva tanto, mi ricordava un po' il caldo estivo che ormai stava scandendo in tutta la città. Appoggiai la foglia accanto a me e mi voltai alla mia destra dove c'era un grande grande albero, i cui rami tendevano ad intrecciarsi con la ringhiera del balcone. I vicini, una coppia di anziani, mi dicevano sempre che quell'albero c'era da prima che loro nascessero,e che nonostante fosse ingombrante, nessuno in città aveva mai avuto intenzione di tagliarlo. Questo perché, secondo le leggende, quell'albero era stato piantato quando era stata fondata la nostra città. Era un po' il simbolo di Sunshine. Arrivò un'altra folata di vento, più fredda della precedente. Un brivido mi percorse tuttala schiena, facendomi tremare non poco. Rientrai quindi in camera. Chiusi la finestra e prima di accostare la tenda color cremisi, lanciai uno sguardo all'albero. La chioma, in balia del vento, si muoveva vivacemente da una parte all'altra. Ad ogni folata qualche foglia si staccava dai rami, si liberava in volo e poi si posava delicatamente sul ruvido asfalto. Ogni volta che guardavo quell'albero capivo che il tempo passava. Ormai stava arrivando l'autunno, e quindi anche il tempo delle piogge, e tra qualche giorno il cielo si sarebbe fatto plumbeo e minaccioso. Mi consolai pensando che comunque non sarei rimasta tutti i giorni in camera, annoiandomi a morte. Sarei andata a scuola come tutti gli anni, avrei studiato, preso buoni voti, chiacchierato e sarei uscita con i miei amici. C'era quindi qualcosa che poteva distrarmi da tutta questa tristezza che mi aveva colpito da un po' di mesi. Lasciai andare la tenda, quando mia madre mi chiamò dalla cucina. -Abby staccati un po' dai tuoi libri e vieni a mangiare!- strillò dal piano di sotto. Uscita dalla camera andai in bagno per lavarmi le mani e legarmi quella matassa di capelli biondi che mi coprivano il viso, facendomi sembrare una specie di zombie. Cancellai dalla faccia qll'espressione di agonia e, messe le forcine, scesi di corsa le scale e mi diressi in cucina. Entrai mostrando uno dei miei migliori finti sorrisi, vedendo mia madre con in mano un tegame di lasagne alla bolognese. -Mamma! Come mai oggi si mangia così bene?- le chiesi intono scherzoso. Lei mi sorrise tra il rimprovero e il diverito. -Beh, diciamo che io e tuo padre abbiamo una buona notizia per te!- annunciò, mentre mi faceva segno di prendere posto a tavola. -E di che si tratta?- le chiesi incuriosita. -Ne parliamo dopo mangiato quando arriva tuo padre- concluse lei frettolosamente e così ci sedemmo a tavola a gustarci quella delizia. Come al solito in meno di un minuto il mio piatto era già vuoto e, mentre aspettavo che mia mamma finisse di mangiare, iniziai a fissarla. Era davvero bella: capelli castani e lunghi che ammorbidivano la forma del suo viso e occhi verdi risaltavano sul roseo colore della pelle; era anche poco più alta di me e magra al punto giusto. Avrebbe potuto avere una carriera come modella, ma lei ci aveva rinunciato per amore. Ci aveva rinunciato per mio padre. Non le avevo mai chiesto il motivo per cui avesse deciso di rinunciare a una vita da celebrità, perché non volevo ferire i suoi sentimenti: a volte i miei litigavano a causa dello stress del lavoro, e quando mio padre le rinfacciava che avrebbe dovuto fare la modella, la mamma se ne andava in camera e iniziativa a piangere. Ogni volta poi papà andava da lei a consolarla e a chiederle scusa per il suo comportamento. E mentre divagavo nei miei pensieri qualcuno suonò alla porta. Stavo per andare ad aprire ma mamma, come al solito, mi battè sul tempo. La seguì verso l'ingresso e mi appoggiai al muro aspettando che papà entrasse in casa. -Ciao Robert! Finalmente sei arrivato! Oh ciao anche a te Simon!- esclamò mia mamma piena di entusiasmo mentre io, a sentire il nome Simon trasalii e sbiancai completamente. Che diavolo ci faceva qui Simon? -Ciao Mary, scusami se ho fatto tardi ma ho incontrato Simon per strada e così ho pensato di farlo venire un po' da noi- disse mio padre. Nel frattempo erano entrati in soggiorno e fu in quel momento che i due notarono la mia presenza. Mentre mamma stava apprendendo le giacche, papà mi fulminò con lo sguardo, per costringermi ad avvicinarmi per salutarli. Mi scostai allora dal muro e mi avvicinai di malavoglia a pugni stretti. Stavo andando verso mio padre, senza degnare di uno sguardo Simon, quando questo mi si parò davanti e mi porse la mano in segno di saluto. -Ciao Abigail, come stai?- mi chiese l'uomo in tono troppo formale e stringendomi la mano. -Tutto bene grazie..- risposi con un filo di voce, stringendo a mia volta la sua gelida mano e guardando quegli occhi di un azzurro ghiaccio che si addicevano perfettamente ai suoi atteggiamenti autoritari e freddi. Mi sentivo sempre sotto soggezione quando c'era Simon,e nonostante cercassi di nascondere la mia timidezza, questa sgorgava sempre fuori. Poi fu la volta di papà che vedendomi così imbarazzata mise via quello sguardo severo, riempendo i suoi occhi scuri di tanta dolcezza, facendo così risalire le sue guanciotte, e mi abbracciò forte. -Papà mi stai soffocando!- cercai di ribbellarmi da quella mossa inaspettata. Infatti non accadeva spesso che mio padre mi abbracciasse così, senza motivo. Cercavo di capire il perché, e supposi quindi che quel abbraccio fosse dovuto alla sorpresa che mi volevano dire i miei. -Abby, sei sempre la solita! Devi smetterla di fare la timida- rise lui slegandomi da quel abbraccio così affettuoso. In realtà non ero affatto timida, solo che tendevo a chiudermi a riccio in presenza di estranei o persone per cui non provavo alcuna simpatia. -Ehm, io devo lasciarvi da soli perché domani ho scuola e sono molto stanca...- iniziai a blaterare cercando una scusa per sgattaiolare in camera. E subito i miei alzarono gli occhi al cielo e subito mi fecero segno che potevo andare a dormire. Stavo salendo le scale quando Simon mi rivolse la parola. -Abigail, Ethan mi ha detto di avvisarti che domani ti aspetta davanti alla scuola, dice che deve parlarti.- disse con la sua consueta voce pacata. -Okay- mi limitai a rispondere e dopo aver salutato velocemente con un gesto della mano, salì di sopra. Arrivata in camera mi chiusi a chiave e lanciai un sospiro di sollievo per essermi scampata la serata con Simon e i miei genitori. Mi accasciai sulla porta, pensando a Simon, il migliore amico di papà. Fino a qualche tempo fa adoravo Simon, gli volevo bene come a uno zio. Mi piaceva fare conversazioni con lui, sui più svariati argomenti. Ogni volta mi lasciava meravigliata da tutte le cose che conosceva e che esponeva con una tale intensità da coinvolgerli pienamente, anche nei discorsi meno interessanti come la politica, o l'economia. Durante quel periodo non mi ero mai sentita sotto soggezione come adesso, forse perché erano cambiati i sentimenti che provavo per lui. Ormai odiavo Simon, lo odiavo con tutta me stessa. Era stato lui a incolparmi dell'incidente, anche se non era vero, o perlomeno era quello che credevo. I miei non sapevano nulla di tutto ciò che e, fortunatamente non se ne erano mai accorti. Avevano soltanto notato che dal giorno dell'incidente io e Simon ci eravamo in qualche modo allontanati. Infatti era vero, tutto era cambiato durante una discussione avvenuta due giorni dopo l'incidente... Flashback Ero all'ospedale, mi ero appena svegliata e invece che vedere i miei genitori c'era Simon. Stava camminando avanti e indietro ai piedi del mio letto, e non faceva altro che borbottare parole incomprensibili tra sé e sé, sembrava quasi che ringhiasse. Avevo intuito che era molto nervoso e quella sensazione si impossessò anche di me. Mi iniziarono a tremare le mani. Sembrava che si sentisse in colpa per qualcosa, forse per quello che mi era successo, e invece appena notò che ero sveglia, il suo volto divennero neri, cupi di rabbia. Proprio quanto stavo per chiedergli cosa avesse, lui iniziò a parlarmi in malo modo e con molta foga. -Abigail hai rovinato tutto! Per colpa tua Lui se nè andato! E' morto! Vi siete ubriacarti e siete usciti in macchia, ma cosa vi è salutato in mente di fare! Ora è un casino, come faremo a proteggervi e...- di fermò di colpo. Io ero così confusa e così spaventata dalla sua reazione violenta che non riuscì ad emettere neanche un suono e non capì l'ultima parte del discorso. Abbassò per un attimo la testa, per autocontrollarsi, e poi la ringraziò e mi guardò fissa negli occhi senza parlare. Non c'era bisogno che parlasse, perché i suoi occhi parlavano di soli, urlavano di rabbia e di dolore. Probabilmente non continuò il suo discorso perché sentì arrivare i miei genitori, i quali appena mi videro sveglia mi assalgono con i loro abbracci. -Oh Abby! Come stai piccola? Per poco non ci hai fatto prendere un infarto!- disse mia mamma in preda alla paranoia. Io però non la stavo ascoltando, continuavo a guardare Simon, continuavo a guardare Simon, continuavo a osservare i suoi occhi che non si erano ancora staccati dai miei. Cercavo di trovare nel suo sguardo una bugia sulle che mi aveva urlato in faccia, ma il suo volto era troppa sincero e trasparente. Non mu stava mentendo. Era tutto vero. Fu in quel momento che amare lacrime iniziarono a rigarmi il viso, e iniziai così a piangere a dirotto... Lui era morto. Fine flashback Fortunatamente il cellulare iniziò a squillare così scacciai via quel vecchio ricordo che mi stava divorando lentamente l'anima. Mi diressi verso la scrivania e presi il cellulare. Era un messaggio da parte di Ethan. "Ciao domani ci vediamo alle 7:40 davanti alla scuola. Mi raccomando non fare tardi. Buona notte :) P.S. Immagino che mio padre ti abbia già avvertito ma sai com'è volevo assicurarmi che ricebessi il messaggio." Un piccolo sorriso illuminò il mio volto. In quel momento capì quanto era importante per me Ethan. Era l'unico che nei momenti più difficili riusciva a farmi star bene. Era anche per quella ragione che era il mio migliore amico, il fratello maggiore che non avevo mai avuto, ma che avevo sempre desiderato. Erano le dieci passate, e sapendo che Ethan dormiva già, non risposi al messaggio. Spento il telefono mi preparai la borsa e i vestiti per andare a scuola e sistemai il tutto sulla scrivania. Dopo di ché mi misi il pigiama sciolsi i capelli e, preso l'I-pod dal comodino indossai le cuffie e mi intrufolai nel mio enorme letto. Dopo qualche canzone la stanchezza prese il sopravvento e sprofondai in un sonno agitato.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Alle sei e mezza la sveglia iniziò a squillare fortissimo facendomi svegliare di soprassalto. Per poco rischia di cadere giù dal letto per lo spavento. Mi affrettati a spegnere quell'aggeggio infernale per non svegliare anche i miei genitori, poi mi trascinai in bagno per darmi una ripulita. Mi appoggiai al lavandino, come se potesse tenermi in piedi, e guardai fisso davanti a me la mia immagine riflessa allo specchio. Avevo un aspetto orribile. I capelli erano tutti arruffati, quasi ci avesse fatto un nido uno stormo di uccelli, e ricadevano malamente sul viso cereo. Quel colore smorto faceva risaltare ancora di più le occhiaie nere che circondavano i miei occhi ambrati, dandomi così un aspetto inquietante. Se Ethan mi avesse visto in quelle condizioni si sarebbe sicuramente spaventato. Sorrisi a quella bizzarra idea che mi passò per la mente e mi decisi poi a lavare energicamente la mia faccia, utilizzando l'acqua fredda per svegliarmi meglio. Ogni volta che la mia pelle incontrava quell'acqua così fredda, un brivido mi percorreva tutto il corpo. Sembrava che la mia pelle portasse contro quel freddo e ogni volta ne usciva sconfitta ma più forte di prima. Asciugato il viso, tornai in camera, mi infilai i vestiti e diedi una rapida occhiata allo specchio sull'anta dell'armadio per controllare che tutto fosse in ordine: jeans blu, maglia e converse grigie calzavano a pennello. Dopotutto dovevo solo andare a scuola e non a un appuntamento. Poi fu la volta dei capelli che legati in una coda distratta e infine mi fionda giù in cucina per mettere qualcosa nello stomaco. Stavo mangiando placidamente i cereali, pensando a chissà cosa aveva di tanto importante da dirmi Ethan quella mattina, quando mi resi conto che erano già le sette e diedi. In fretta e furia tornai al piano di sopra, lavai i denti e presi la borsa a tracolla e cellulare. Sfreccia poi in soggiorno, presi una felpa a caso dall'attaccapanni e finalmente uscii di casa. Camminando verso la fermata dell'autobus, notai che il tempo non era dei migliori: densi nuvoloni neri minacciavano di scatenare un un'acquazzone. Sbuffai. Ci mancava solo la pioggia. L'autobus arrivò dopo qualche minuto e trovai subito posto vicino ad uno dei tanti finestrini che davano sulla strada. Le case si scambiavano una dopo l'altra con lentezza, occasionalmente superavamo qualche ragazzino che camminava per strada e il più delle volte ci fermavamo, come se dovessimo aspettare ciò che ci eravamo lasciati indietro. Alla terza fermata scesi, ritrovandomi davanti all'enorme ingresso della scuola che, per via dell'orario, era ancora destro, dando così all'edificio marmoreo un aspetto tetro e inquietante. Sapendo che Ethan sarebbe arrivato con i mezzi, scartai l'opzione di aspettarlo nel parcheggio a una decina di metri da me, optando così per il piccolo parco sul lato opposto del viale su cui mi trovavo. Mi sedetti su una delle panchine di legno scuro e guardai l'ora sul cellulare. Le sette e mezza. Ero arrivata con dieci minuti di anticipo. Almeno stavolta non ero io la ritardatario. Ad aspettare la noia iniziò a farsi sentire, così mi ritrovai ad ascoltare un po' di musica mentre ascoltavo alcuni professori muoversi verso il loro regno. Il mio sguardo si posò in particolare sul professore Finch. Finch era il mio professore di matematica e fisica, un'uomo tarchiato sulla cinquantina conosciuto da tutti gli studenti per la sua meticolosità e la sua severità. Ovviamente, destino volle che io non afferrassi quasi nulla di matematica e, ogni anno rischiavo di non essere promossa per via di quella dannata materia. Istintivamente guardai malissimo il professore, consapevole che non mi avrebbe vista. Finch però sembrò sentirsi osservato perché iniziò a guardarsi intorno alla ricerca dello scrutatore. Fortunatamente mi girai in tempo dall'altra parte poco prima che mi beccasse. Ma invece di far finta di ammirare il paesaggio mi ritrovai davanti Ethan e non potei fare altro che sussultare per lo spavento. -Ethan ma sei scemo!- gridai con tutta l'aria che avevo nei polmoni lanciandogli un'occhiata di fuoco. -Abby sei proprio scema!- esclamò lui sbellicandosi dalle risate. Vederlo ridere in quel modo mi fece strappare un mezzo sorriso, mandando all'aria il mio mistero tentativo di tenergli il broncio. -Sai- mi disse ancora ridendo -non devi prendertela tanto con Finch, se fai schifo in matematica. E comunque ti ho promesso che ti avrei dato una mano io a studiare...- -Si, okay- lo interruppi io bruscamente. -Allora, cosa volevi dirmi?- cambiai subito discorso. -Ti ricordi di quel volantino che hanno dato l'altro ieri a ricreazione?- mi chiese allora lui, attirando nuovamente la mia attenzione. -Si, quello del concerto dei Thundercold, l'ho vagamente letto perché?- -Indovina un po'? L'organizzatore del concerto è un'amico di mio padre e così gli ha regalato due biglietti!- disse lui sprizzante di felicità e in attesa della mia reazione. Lo guardai perplessa, non capendo il nesso che c'era fra me, Ethan, Simon e i due biglietti in questione. Dopo qualche secondo capii e non riuscì a non far trasparire il mio sguardo diffidente. -Ehi Abby! Di qualcosa!- mi incitò lui con un velo di preoccupazione nella sua voce. -Mi stai dicendo che Simon ti ha dato il suo biglietto per portarmi al concerto?- gli chiesi stupita e turbata al tempo stesso. Ethan aggrottò le sopracciglia. -Cos'è non mi credi?- mi canzonò, prendendomi in giro. Lo guardai un attimo negli occhi, grigi come il mare in tempesta, alla ricerca di una qualsiasi espressione che mi facesse capire che stava raccontando una balla. Niente, non riuscivo a decifrarlo. -Non è che non ti credo, però mi fai sempre scherzi! E poi se i biglietti ve li hanno regalati, non mi sento giusto che io..- -Ma stai tranquilla, - mi interruppe subito lui -tanto a mio padre non glie ne può fregar di meno di andare al concerto, mentre tu adori i Thundercold e quindi mi sembrava giusto così. Quindi non starti a creare strani problemi, dimmi solo che vieni e basta.- concluse lui con uno dei suoi ampi e luccicanti sorrisi. Lo guardai stupefatta della risposta che mi aveva dato. Essendo troppo contenta per il regalo che mi aveva fatto gli gettai le braccia al collo, e stritolai il suo corpo marmoreo. -Lo sai che ti adoro?- gli dissi con uno dei miei più accesi sorrisi. -Lo so- mi confermò semplicemente -però se vuoi venire al concerto oggi pomeriggio devi aiutarmi a prepararmi in storia- riprese Ethan sciogliendomi dal suo abbraccio e alzandosi dalla panchina. -E che sarà mai passare un pomeriggio a studiare scusa?- dissi alzandomi a mia volta e sgranchendomi le gambe. Mi accorsi che mi stava guardando con il suo sorriso schembo, che precedeva sempre qualche scherzo o imbroglio. -Bhe, la tua difficoltà starà nel fatto che dovrai venire a casa mia.- ribatté lui con aria di sfida, senza togliermi lo sguardo di dosso. A sentire quelle parole cambiai decisamente umore, sentendo il sangue fluire alla testa per via del nervosismo che stavo provando. Cercai però di calmarmi e iniziai a camminare avanti e indietro per eliminare tutta quell'adrenalina che avevo accumulato nel giro di un minuto. -Ovvio che se non vieni addio concerto gratis!- aggiunse il ragazzo, nel tentativo di mettermi alle strette. Ignorai la sua ultima affermazione e continuai a camminare, pensando a quale sarebbe stata la scelta migliore. Sapevo benissimo che rinunciare ad andare a vedere i Thundercold, solo perché non volevo vedere Simon, sarebbe stata una stupidaggine. Mi fermai davanti a Ethan e lo guardai con occhi infuocati dalla rabbia. Lui però non si fece intimorire, anzi, si mise a braccia conserte in attesa della mia risposta definitiva. -E va bene- gracchiai seccamente -Ma sappi che un giorno te la farò pagare- aggiunsi in tono serio e accennando un ghigno. Ethan mi squadrò con aria perplessa, e per qualche secondo si perse nei suoi pensieri. Sembrava che stesse prendendo sul serio quella minaccia. Di punto in bianco fece spallucce e mi si avvicinò, dandomi un colpetto sul braccio. -Vedrai che sabato mi ringrazierai- concluse lui, sempre con aria di sfida. Intanto mi accorsi che ormai non eravamo più soli: davanti alla scuola, infatti, si erano radunati tutti i ragazzi, che aspettavano come noi di entrare in quella sorta di manicomio. Presi il cellulare e guardai l'ora. Tra cinque minuti si entrava. -Senti io vado dai miei compagni di classe, sai com'è non devo sembrare un'asociale- bofonchiai ironica. Ethan ridacchiò divertito. -Ci vediamo direttamente a casa mia perché oggi esco prima. Mi raccomando fatti viva per le quattro- mi disse divertito. -Va bene...- brontolai ancora e con un cenno della mano lo salutai e mi diressi verso l'entrata. Mentre mi stavo avviando verso l'entrata vidi la mia amica, non che compagna di banco, Anna che stava chiacchierando con due ragazze. Mi avvicinai e appena mi vide lanciò uno di quei urletti da femminuccia. A sentire quello stridio tutti si voltarono a guardarci prima di tornare ai loro discorsi. Anna non mi diede neanche il tempo di salutarla che mi balzò addosso. -Ah, Abby, Abby! Ti devo raccontare una cosa! Una cosa importantissimo- urlò, stritolandomi in un'abbraccio. Cercai di liberarmi dalla sua forte presa e tentai di calmarla ma Anna era troppo agitata. -Allora dimmi che è successo?- le chiesi, fingendomi incuriosita. -Sai John, quello con cui esco da tipo un mese? Ieri ci siamo messi insieme!- trillò lei estasiata, saltando come un grillo. In quel momento suonò la campanella e i bidelli aprirono le porte, e così io e Anna ci dirigemmo in aula. Appena entrate, andammo infondo alla classe, in un banco vicino alla finestra e ben lontano dagli sguardi degli insegnanti. Le lezioni furono molto noiose e infinite; per di più c'era Anna che non faceva altro che parlare di John. Arrivai così all'ultima ora con la testa che scoppiava. Fortunatamente suonò l'ultima campanella e così svignai via il più velocemente possibile prima che Anna rincominciasse a tartassarmi. -Ehi Abby! Aspettami non ho finito!- mi richiamò Anna in tono supplichevole, per cercare di convincermi ad aspettarla. -Mi dispiace Anna ma devo andare oggi ho un impegno! Semmai mi racconti domani. Ciao!- la salutai velocemente, mentre uscivo dall'aula. Non sentii nemmeno la sua risposta che mi avviai verso l'uscita della scuola. Una volta all'aria aperta, mi diressi verso la fermata dell'autobus dove una folla di ragazzi aspettava l'arrivo dell'autobus. Sbuffai nel vedere tutta quella gente e così decisi di andare a piedi. Tanto in una ventina di minuti sarei arrivata a casa. Il vantaggio di abitare poco lontano da scuola. Decisi strada, giardino a destra e costeggiai il posteggio dove c'erano le macchine dei professori e degli studenti. Anche qui era pieno di gente: ragazzi che facevano vedere le nuove auto agli amici, fidanzati che si sbaciucchiavano sul cofano, madri che suonavano il clacson per richiamare l'attenzione dei figli e professori che correvano verso la loro macchina, sperando che nessuno l'avesse rigata. Mentre superavo un gruppetto di studenti, notai la presenza di un ragazzo, che non avevo mai visto prima. Se ne stava in disparte, appoggiato a quella che doveva essere la sua macchina, una BMW nera. Nonostante fossi lontana da lui una decina di metri, notai che era davvero bello: abbastanza alto, fisico asciutto ma tonico, capelli castani e spettinati che davano al suo viso un aria selvatica, come se si trovasse fuori posto. Se ne stava fermo immobile ma ogni tanto girava la testa di qua e di là, come se stesse cercando qualcuno. Stavo camminando molto lentamente, per non perdere di vista quell'essere che sembrava appena uscito da uno dei tanti libri che avevo nella mia polverosa libreria, quando il ragazzo si voltò improvvisamente verso di me. Mi voltai di scatto, rossa dalla vergogna e uscì velocemente dal parcheggio. Prima di svoltare a destra per lasciarmi alle spalle la scuola, notai però che il tizio mi stava ancora fissando ma questa volta aveva un mezzo sorriso sul volto. Stava sorridendo a me? Come un'idiota mi guardai attorno per capire se il ragazzo stava in realtà sorridendo a qualcuno dietro di me ma c'ero solo io, ferma come una statua in mezzo al marciapiede. Oddio, ecco che avevo fatto come al solito la figura dell'idiota! Senza ricambiareil sorriso, accellerai il passo, lasciandomi così il suo sguardo alle spalle e tornando a respirare normalmente. Per qualche assurda ragione ero andata in apnea. Avevo fatto una figuraccia a guardarlo in quel modo, però non era mica colpa mia se era così bello! Era la prima volta che mi sentivo così strana guardando un ragazzo. E chissà perché poi, dopotutto non era di certo il primo bel ragazzo che vedevo a scuola. Basta prendere come esempio Ethan: alto, biondo, occhi azzurro-grigio e un fisico da mozzare il fiato. Sembrava quasi un dio da quanto era figo, per non parlare del fatto che tutte le ragazze gli sbavano dietro. Quel ragazzo invece, a differenza di Ethan e altri, mi aveva letteralmente ammaliato in un'attimo. Come un fulmine a ciel sereno. E con la testa ancora annebbiata da quello strano scambio di sguardi ripresi a camminare verso casa.

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