Viatico

di Reginafenice
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV parte seconda ***
Capitolo 15: *** Capitolo XIV parte prima ***
Capitolo 16: *** Capitolo XIV parte terza ***
Capitolo 17: *** Capitolo XV ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 19: *** Capitolo XVII ***
Capitolo 20: *** Capitolo XVIII ***
Capitolo 21: *** Capitolo XIX ***
Capitolo 22: *** Capitolo XX ***
Capitolo 23: *** Capitolo XXI ***
Capitolo 24: *** Capitolo XXII ***
Capitolo 25: *** Capitolo XXIII ***
Capitolo 26: *** Capitolo XXIV ***
Capitolo 27: *** Capitolo XXV ***
Capitolo 28: *** Capitolo XXVI ***
Capitolo 29: *** Capitolo XXVII ***
Capitolo 30: *** Capitolo XXVIII parte prima ***
Capitolo 31: *** Capitolo XXVIII parte seconda ***
Capitolo 32: *** Capitolo XXIX ***
Capitolo 33: *** Capitolo XXX ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


La celebrazione funebre commosse tutti gli uomini e le donne giunti nella piccola cappella privata a sud di Londra per dare l'ultimo saluto a un uomo dal valore umano tanto grande quanto quello imprenditoriale che lo aveva contraddistinto durante tutta la sua vita. Una dote, questa, che lo aveva portato a coltivare delle amicizie profonde con la maggior parte dei suoi colleghi e con chi, senza doppi fini, lo aveva accompagnato nei lunghi mesi della malattia restituendo l'amore ricevuto nell'unico modo possibile: standogli accanto fino alla fine.

Ray Penvennen aveva ceduto il suo posto come Presidente del Consiglio di amministrazione del Royal Cornwall Hospitals NHS Trust appena due settimane prima di morire, come se pensasse di avere ancora una possibilità di sopravvivere alla sua malattia, se non altro per continuare a dirigere con passione quel lavoro che aveva portato i suoi ospedali ad un grado di eccellenza senza precedenti in tutta la Cornovaglia.

Sulla soglia della porta, la bellissima Caroline lasciò che una lacrima le scendesse lungo la guancia davanti al triste spettacolo della bara di suo zio, pregando che tutto finisse al più presto e asciugandosi rapidamente gli occhi bagnati con il dorso della mano, grata del tempismo con cui la pioggia aveva deciso di cadere così fitta da impedire a chiunque di notare quella sua piccola debolezza.

L'unico punto di riferimento, il suo protettore, colui che le aveva insegnato ogni cosa l'aveva abbandonata lasciandola completamente disorientata. Ma Caroline Penvennen non aveva paura, o meglio questo era ciò che continuava a ripetersi con il desiderio di riuscire a crederci davvero sin da quando aveva osservato la sua elegante silhouette nera riflessa nello specchio della sua camera, appena prima di iniziare il corteo. Allora aveva realizzato che il passato aveva ormai esaurito il suo tempo e che quella che sembrava profilarsi come una nuova fase della sua vita si era da poco aperta con la terribile scoperta della sua solitudine futura.

"Signorina Penvennen, temo di doverle rubare qualche minuto." Harris Pascoe teneva tra le mani le ultime volontà testamentarie del suo cliente deceduto. Da vero gentiluomo offrì il suo ombrello a Caroline, consegnando alla giovane ereditiera anche la lettera che aveva con sé, prima che questa potesse fare la stessa fine del suo cappotto sotto il peso spietato della pioggia di novembre.

"La ringrazio Harris, le farò avere mie notizie non appena riuscirò a leggerla."

Caroline si congedò dall'anziano notaio e si allontanò dalla folla in tutta fretta, ma all'improvviso una mano le si posò gentilmente sulla spalla e fu costretta a interrompere il suo cammino.

"Mi dispiace molto per tuo zio..."

Bastarono queste parole a riportarla indietro di un anno, suscitando in lei delle emozioni alle quali non osò dare un nome. Se solo la nostalgia non fosse stata un sentimento così difficile da tollerare, forse avrebbe avuto il coraggio di mantenere lo stesso contegno con cui in passato si era separata da quella voce, invece di rimanere impietrita con il terrore di voltarsi e affrontare chi le stava parlando.

"Sono ancora così insopportabile, Caroline? Tanto da non riuscire nemmeno a sostenere il mio sguardo?"

"Niente affatto, ma ammetto di essere sorpresa di vederti qui." Si girò verso di lui con uno sforzo immane, ben celato dalla maschera di freddezza che le ricopriva il viso.

Il dottor Enyes rimase in silenzio, cercando di penetrare quegli occhi d'acciaio mentre il cuore gli batteva nel petto in maniera del tutto insolita. Anche lui si era imposto di mantenere un certo controllo, di non lasciare che la sensazione di rivedere il suo bel volto dopo tanto tempo potesse incidere sul suo umore e scombussolare la tranquillità che aveva raggiunto con tanta fatica nella sua quotidianità.

"Perché ti stupisce? Del resto il signor Penvennen è stato un mio paziente, malgrado il nostro rapporto si sia deteriorato irrecuperabilmente negli ultimi tempi."

"Certo, che sciocca sono stata a non ricordarmi della tua lealtà verso i tuoi pazienti! Scusami, sono sempre stata io quella cinica e senza sentimenti, ma questo non significa che anche gli altri debbano essere come me." Gli tese una mano con l’intenzione di salutarlo, ma Dwight non assecondò i suoi tentativi di fuga e riprese la conversazione, "Ho saputo che hai completato il tuo percorso universitario brillantemente, d'altronde come non aspettarselo da una come te. Cosa hai in programma, adesso che non devi più temere di perdere ciò che ti è di più caro?"

Caroline gli rivolse uno sguardo tagliente, "Al dire il vero, desidero andarmene al più presto via da qui."

"Perdonami, non era mia intenzione offenderti." Dwight arretrò di qualche passo, avendo percepito lo stato di frustrazione in cui si trovava Caroline. Ben presto, infatti, la giovane fece altrettanto ed entrambi capirono che era giunto il momento di salutarsi definitivamente.

Nel frattempo, sul volo Cambridge-Truro, il neo strutturato dottor Ross Poldark attendeva l’atterraggio sulla sua terra natale dopo aver trascorso le ore di viaggio a rimuginare su quanti cambiamenti lo avrebbero accolto al suo arrivo. Cinque anni erano passati in un lampo per lui, distratto dall’esperienza adrenalinica che aveva vissuto grazie all’addestramento come medico d’urgenza nelle zone di guerra dell’Iran, ma lo stesso non poteva dirsi per chi lo aveva aspettato a casa con la paura di poter ricevere in qualsiasi momento la notizia della sua morte. Certo, non avrebbe mai preteso che Elizabeth acconsentisse a mantenere una relazione del genere, sebbene lui le avesse promesso di tornare da lei ogni qualvolta avrebbe potuto, e aveva ottenuto conferma dell’intolleranza a questa vita da parte della sua fidanzata proprio il giorno della consegna del diploma, al termine del corso di specializzazione che lo aveva condotto prima in America a studiare ad Harvard e poi direttamente sul campo di battaglia in Medio Oriente, lontano da lei.

Un semplice messaggio era bastato a licenziarlo dalla sua vita e chissà cosa ne era stato di tutti quegli anni in cui gli aveva professato il suo amore con una veemenza tale da fugare ogni dubbio riguardo al contrario. Da quel giorno, Ross non aveva più avuto notizie di Elizabeth ma il suo cuore si ostinava ancora a domandarsi se davvero non si potesse fare più nulla per rimediare, magari attraverso un confronto diretto adesso che la distanza non sarebbe stata più un problema. E così stava tornando in Inghilterra, nella sua amata Cornovaglia, e ad aspettarlo in aeroporto suo cugino Francis lo avrebbe scortato fino a Trenwith, nell’attesa di decidere a quale ospedale inviare il suo curriculum e di conseguenza stabilirsi in una casa tutta per sé. Tuttavia, appena sceso dall’aereo, Ross ricevette una notifica da parte di Francis in cui si scusava per il ritardo con cui lo avrebbe potuto raggiungere se avesse deciso di aspettarlo. Ross, troppo stanco per trascorrere altre ore in aeroporto, declinò la sua offerta optando per affittare una macchina presso un’agenzia lì vicino e si mise in moto con un grande senso di aspettativa: forse l’idea di rivedere Elizabeth lo eccitava più di quanto gli costasse ammettere.

Arrivata finalmente nella suite dell’albergo in cui alloggiava, Caroline si tolse i tacchi e li scaraventò sul pavimento della stanza. Poi si buttò a peso morto sul soffice letto di piume d’oca e si abbandonò ad un breve sonno ristoratore, sperando di recuperare le forze per sostenere il resto della giornata. Era psicologicamente esausta, ma non così tanto da rimandare la lettura del testamento di suo zio. Infatti, quando fu di nuovo sveglia, non avendo alcuna voglia di occupare la mente con qualsiasi cosa avesse a che fare con l’incontro avvenuto al cimitero, estrasse un foglio di carta dalla busta leggermente umida che le aveva affidato Pascoe e iniziò a leggere:

‘Mia carissima nipote,

di tutte le cose che ci siamo detti prima che la morte ci separasse, silenziando per sempre la mia bocca e privandoci senza alcuna pietà della reciproca compagnia, soltanto di una cosa non ho avuto il coraggio di informarti. Quando ti ho impedito di continuare a vedere il dottor Enyes, ti ho privato di una delle gioie più grandi di questo mondo, per quello che i tuoi ideali romantici avranno facilmente potuto credere. Ma la verità è che l’ho fatto soltanto per garantirti un futuro stabile e pieno di soddisfazioni economiche. Quel caro ragazzo non ha le stesse ambizioni che io nutro per te, perciò temevo sarebbe riuscito a convincerti a seguirlo in un paese desolato del mondo per progredire nella sua carriera di medico, privandoti delle possibilità di un tuo avanzamento come manager all’interno dei miei ospedali. Ti prego di vedere la scelta di ricattarti attraverso la revoca del pagamento dei tuoi studi come l’unica arma che avevo per assicurati un bene più grande di quello che tu in quel momento potevi immaginare.

A te lascio la direzione del Consiglio, sperando che il tuo ritorno in Cornovaglia non rievochi i vecchi dissapori che ci sono stati tra di noi e non ti impedisca di adempiere al tuo dovere come mi aspetto da una mente geniale come la tua. Tuttavia, ti lascio anche la responsabilità di vivere senza il mio aiuto nel caso in cui scegliessi di fare altrimenti.

Perdonami se puoi,

il tuo orgoglioso zio Ray’

L’ultima cosa che avrebbe desiderato al mondo si trovava scritta tra quelle righe. Ritornare in Cornovaglia, vivere a due passi da lui e continuare a considerarlo poco più di un conoscente, mentre tutti i suoi sogni di andare a lavorare in America sfumavano di fronte alla scelta che suo zio le aveva offerto: accettare il ruolo di Presidente o rinunciare alla sua eredità e ripartire da zero, affidandosi esclusivamente al talento di cui disponeva. No, senza l’appoggio economico di suo zio non sarebbe mai arrivata fin dove avrebbe voluto.

Caroline gettò la lettera nel camino acceso, vergognandosi della sua codardia.

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


L’agenzia gli aveva assicurato che la macchina messa a sua disposizione godeva del rifornimento di benzina necessario per attraversare senza problemi l’intero tratto di autostrada che gli interessava per arrivare sino a Trenwith. Tuttavia, una volta acceso il motore, Ross si rese conto che la spia del carburante lampeggiava di una luce rossa piuttosto eloquente. Ormai sarebbe stato inutile lamentarsi e chiedere indietro i suoi soldi, visto che quel pezzo d’antiquariato era l’unico disponibile al momento e non ci sarebbe stato nient’altro di meglio da scegliere se non prima di mezzogiorno.

Per fortuna, qualche ora prima del decollo, Ross aveva prelevato del denaro dal bancomat dell’aeroporto per disporre di una certa liquidità in caso ne avesse avuto bisogno per rimediare ad emergenze come quella, perciò non poté far altro che sperare che la macchina lo conducesse almeno fino alla stazione di servizio più vicina.

Dopo circa tre chilometri, si materializzò alla sua vista proprio quello che cercava, quasi fosse un miraggio. Rallentò per svoltare a sinistra e immettersi nella lunghissima coda di macchine che lo precedevano, cercando nella sua borsa da viaggio un paio di occhiali da sole per proteggersi da quella mattinata particolarmente luminosa.

A giudicare dal tempo, il suo ritorno in Cornovaglia sembrava già segnato da un inizio se non altro caloroso. Così, preso dal buon umore, aumentò il volume della radio e aspettò pazientemente il suo turno, lanciando di tanto in tanto uno sguardo al paesaggio che lo circondava, mentre una bellissima sensazione di sollievo si faceva spazio nel suo cuore nostalgico.

“Ragazza, è da due ore che aspetti qui! Si può sapere cosa ne vuoi fare di quel randagio?”

Il proprietario del punto di rifornimento sbraitò contro una macchina accostata vicino al bar, richiamando l’attenzione di molti degli autisti in coda, tra cui Ross. La ragazza sostenne senza paura lo sguardo minaccioso dell’uomo, continuando ad accarezzare il pelo di quel cane che non voleva saperne di andare via da lì, chiaramente traumatizzato anche a causa della ferita che aveva su una zampa.

Di fronte alla testardaggine della chioma rossa che faceva capolino da dietro la macchina, il benzinaio reagì afferrando un vecchio tubo d' acciaio con l’intenzione di costringere il cane ad allontanarsi dalla sua proprietà. Con la lingua che gli sporgeva da un angolo della bocca, lasciò che un suo dipendente lo sostituisse e si incamminò con determinazione verso il malcapitato.

Ross aveva osservato con attenzione tutte le fasi di quella scena assurda che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi, facendo il tifo per la ragazza, di cui riusciva a scorgere soltanto i bellissimi capelli rossi, e il meticcio che lei tentava di difendere disperatamente dalla violenza dell’uomo. Ma, quando intuì che la situazione avrebbe potuto degenerare, non esitò nemmeno un secondo a precipitarsi fuori dall’automobile per disarcionare quel bruto che si stava per lanciare contro il cane.

Un urlo si levò nel momento in cui l’arma mirò il suo obiettivo. La ragazza si schierò in difesa del cane, pronta a ricevere il colpo lei stessa piuttosto che vedere soffrire ulteriormente l’animale che aveva appena salvato da un incidente potenzialmente mortale.

Il sacrificio le fu risparmiato. Ross gettò via con un colpo solo quell’arma improvvisata e insieme ad essa l’uomo che la impugnava.

“Cosa diavolo hai fatto, eh? L’avevo quasi preso quel figlio di…”

La ragazza rimase quasi pietrificata, con gli occhi ancora protetti dalle mani che le nascondevano il viso, spiando con cautela tra le dita ciò che succedeva a qualche metro di distanza da dove si trovava. Dopo aver constatato che il pericolo era scampato, aprì rapidamente lo sportello della macchina e sistemò sul sedile posteriore la povera creatura spaventata.

“Non avere paura, adesso andiamo via da qui. Te lo prometto.”

Ross prese la rincorsa per poterla raggiungere prima che lei entrasse in auto e partisse a tutta velocità, “Aspetti! Posso fare qualcosa per lei?”

“Oh, no. Ha fatto già tanto, non credo sia il caso di privarla ulteriormente del suo tempo.” La ragazza si voltò verso di lui, rivelando uno splendido paio di occhi azzurri. Era molto magra, ma non troppo esile ed emanava un carisma raro, attraverso delle espressioni e degli atteggiamenti in cui Ross riusciva curiosamente a ritrovare una parte di se stesso.

Si guardarono intensamente, poi la ragazza distolse lo sguardo in preda all’imbarazzo.

“Mi scusi se l’ho messa a disagio. E’ solo che…niente, scusi di nuovo. La stanchezza inizia a farsi sentire.” Ross si sporse per guardare meglio la ferita sulla zampa del cane, togliendosi gli occhiali da sole per ispezionarla meglio. Era stata fasciata con una sciarpa dal tessuto leggero, da cui traspariva il colore del sangue ormai secco.

“Vedo che se la cava bene con le fasciature. Mi dica, come ha…?”

“Per prima cosa gli ho messo su una museruola, precisamente quella offertami da un signore che ha deciso gentilmente di aiutarmi togliendola al suo bulldog. Poi ho disinfettato la zona interessata con della semplice soluzione salina, sa la porto con me per via delle lenti… Dopo aver irrorato anche un ago da cucito che mi ritrovavo nella borsa, ho preso del filo interdentale e ho cucito i lembi di pelle. Infine ho protetto la ferita con la mia sciarpa, e questo è tutto.” Concluse con un sorriso soddisfatto sulle labbra.

“Bene, ora si spiega tutto. Lei è un medico, suppongo.”

“Un medico specializzando. E pensare che oggi avrei dovuto iniziare il mio tirocinio! Ma non importa, almeno qui sono stata d’aiuto.”

Ross la incoraggiò, “Si consoli  pensando alle conseguenze che questo inconveniente avrà su di me. Ovviamente dovrò cercare un altro punto di rifornimento, solo che non credo che la macchina camminerà ancora per molto.”

“Potrei darle io un passaggio, se vuole. Dove deve andare?”

“Lei conosce Trenwith? Non è troppo lontano da qui.”

“Oh, certamente. Io abitavo a Illuggan, conosco benissimo quella zona.” Si interruppe, sforzandosi di ricordare un dettaglio che in quel momento sembrava volersi dileguare inconsciamente dalla sua memoria… In realtà, sentiva che quello non era il momento di rivangare il passato e che tutto sommato sarebbe stato meglio lasciarsi alle spalle anche quei pochi ricordi felici che si ostinava a tenere conservarti per poter ritornare ogni tanto su quelle scogliere solitarie dove da piccola si rifugiava per sfuggire alle botte di suo padre. A volte ci tornava col pensiero per ripararsi da un altro tipo di colpo, quello infertole dalla solitudine e dalla paura del futuro. Solamente quando il dolore subito, a causa del peso della povertà e del vizio, aveva la meglio sul suo umore, la lontananza da casa le appariva come una benedizione e il sentimento di tristezza decisamente più sopportabile del bruciore alle piaghe che le marcavano la schiena.

Anche la cicatrice disegnata su un lato del viso di quello sconosciuto raccontava una storia, probabilmente difficile come la sua, che la intrigava e intimoriva al tempo stesso. Non conosceva nemmeno il suo nome, ma era sicura di averlo già visto da qualche parte.

“Io mi chiamo Demelza Carne, mi scusi se non mi sono presentata prima. Allora, pronto per partire?”

Dopo aver spostato la macchina in un’area di sosta e trasferito i suoi bagagli in quella di Demelza, Ross prese posto sul sedile accanto al suo. Dentro di lui sentiva che era esattamente di questa svolta che aveva bisogno per iniziare ad avvertire davvero il calore di casa e, chissà, magari Demelza lo avrebbe condotto persino più lontano di quanto riusciva ad immaginare.

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Al Cornwall Hospital di Truro, Francis stava per dare inizio ad una riunione straordinaria del Consiglio di amministrazione per discutere con gli altri soci a proposito delle importanti novità emerse dagli atti notarili del vecchio Ray, resi noti soltanto al giovane Poldark il giorno stesso in cui egli aveva appreso della sua morte.

Francis ricopriva il ruolo di amministratore delegato della società ospedaliera più famosa della Cornovaglia da quando suo padre aveva lasciato nelle sue mani quell’incarico di grande prestigio, con la speranza di riuscire a convincersi di aver sempre sbagliato a giudicare il suo primogenito un completo inetto, incapace di prendersi le sue responsabilità e mantenere alto il buon nome della sua antichissima famiglia.

Quel pomeriggio, Francis si rese conto per la prima volta di quanto poco assomigliasse a suo padre. L’orgoglio dei Poldark di Trenwith, l’esclusività delle relazioni sociali che era costretto a mantenere anche quando sentiva di desiderare qualcosa di più semplice, la dedizione agli affari rappresentavano la gabbia da cui spesso aveva desiderato evadere.

Non c’era da stupirsi, dunque, di quanto la sua morte fosse stata una liberazione per Francis. Si, perché insieme a Charles Poldark se ne erano andate anche tutte le grandi aspettative che egli nutriva su di lui e i confronti, più o meno diretti, tra la sua passività e l’intraprendenza di suo cugino Ross. Adesso che stava per sposarsi, sentiva di aver raggiunto una nuova maturità e fremeva dalla voglia di dimostrare a chiunque quanto valore ci fosse in lui, a prescindere dal cognome che portava. Era un vero Poldark, ma a modo suo.

Entrò nella sala riunioni con in mano un comunicato da parte dei rappresentanti della signorina Penvennen, “Aspettavamo tutti con grande impazienza questo momento, dico bene?”

Sventolò la busta immacolata davanti all’assemblea riunita in religioso silenzio e rivolse un sorriso fiducioso ai membri del Consiglio che lo fissavano seduti composti nelle loro postazioni, disposte intorno a un elegante tavolo di cristallo. Dall’espressione sui loro volti era piuttosto semplice riconoscere chi tra di loro avesse più interesse degli altri a scoprire quale svolta avrebbero preso le cose, quelli il cui avanzamento sociale e lavorativo dipendeva tutto dalle parole che Francis non aveva ancora pronunciato ad alta voce.

Tra questi, George Warleggan spiccava prepotentemente. Il direttore finanziario del Royal Cornwall Hospitals NHS Trust sperava di poter godere finalmente dei frutti che le sue arti adulatorie, messe in atto a più riprese con il signor Penvennen durante i loro incontri professionali, avevano seminato con estrema perizia e lungimiranza.

“Bene, possiamo procedere. Confesso che quando mi è giunta la notizia della morte del caro Ray, temevo che i nostri ospedali avrebbero perso molto sotto una nuova direzione. Mi chiedevo se il suo sostituto sarebbe stato disposto a continuare la stessa linea di pensiero attuata con successo sino ad oggi…Certo, in quel caso avremmo dovuto far valere le nostre opinioni, ma combattere contro il Presidente si presentava come un’opzione di cui avrei sicuramente voluto fare a meno. Perciò, capirete la mia felicità quando ho saputo il nome di chi è stato indicato come potenziale candidato al ruolo.”

George cambiò posizione sulla sua poltrona, in preda ad un’eccitazione quasi incontenibile. Doveva essere lui, da come ne parlava Francis era chiaro. Chi altri se non lui, l’unico che godeva dell’ammirazione nazionale per la sua abilità nel fare denaro attraverso la duplice attività di responsabile dei conti di ben tre ospedali e proprietario della banca più influente di tutta la Cornovaglia?

“Si tratta di una persona il cui nome significa molto per noi. Beh, possiamo anche dire che segna una certa continuità con il passato pur proiettando nel futuro tutto il lavoro che abbiamo già iniziato.”

I membri si scambiarono cenni di curiosità crescente, mentre Fancis continuava a tenerli sulle spine.

George e suo zio Cary avevano ormai smesso di nascondere il luccichio che brillava nei loro occhi e reso palese a tutti l’emozione che provavano.

Ma Francis, appoggiato ad uno spigolo del tavolo, dovette presto sgonfiare ogni loro tronfia illusione. Iniziò a leggere ad alta voce, “In nome della nostra cliente, comunichiamo al gentile Consiglio che, secondo la clausola prevista nel testamento del defunto Ray Penvennen, la signorina Caroline Penvennen rivestirà il ruolo di Presidente del Consiglio di amministrazione con incarico immediato.”

“Che ve ne pare? Io ne sono entusiasta!” Francis sottolineò la sua contentezza attraverso la solita risata che faceva quando era davvero esaltato da qualcosa, ma notò che non tutti i presenti sembravano condividere con lui questo spirito ottimistico.

“Quindi le voci che giravano sulla lite tra zio e nipote erano infondate?” Una voce si levò dal coro di chiacchiericcio che riempiva sommessamente la sala.

“Mi pare che questo comunicato le smentisca del tutto, George.”

“Suppongo di sì.” Il giovane Warleggan tirò il collo in avanti, poi scambiò una rapida occhiata con suo zio e si tirò su dalla sedia con l’intenzione di andarsene via.

Francis intuì la fretta dei due Warleggan e si sbrigò a dichiarare sciolta l’assemblea, ma prima di uscire fermò il suo vecchio amico, trattenendolo per un braccio, “Qualcosa non va? Avresti preferito un completo estraneo?”

“Vedremo in quanti mesi Caroline Penvennen riuscirà a distruggere la memoria di suo zio. Io sono pronto ad assistere al suo fallimento, e tu Francis?”

“Io le do fiducia. E’ una ragazza in gamba, da quello che si dice in giro.”

Se George non gli avesse espresso con tanta chiarezza ciò che pensava, Francis avrebbe potuto credere facilmente che la sua fosse la normale reazione di un professionista spaventato. Tuttavia, c’era qualcosa di nervoso nella calma apparente dei suoi gesti che riusciva a trasparire nonostante lo sforzo per farlo sembrare meno evidente.

Francis non era sicuro che la sua sensazione fosse fondata, ma sospettava che la stranezza dell’atteggiamento di George non avesse a che fare esclusivamente con Caroline Penvennen.

Fuori dall’ospedale, Elizabeth e Verity chiacchieravano sedute su una panchina sorseggiando del buon caffè, in attesa di essere scortate da Francis sino a Trenwith per dare il benvenuto a Ross. Per quanto l’idea di rivederlo la terrorizzasse, Elizabeth aveva scelto di apparire al meglio, sperando che l’immagine di lei che Ross ricordava coincidesse con la persona che si sarebbe ritrovato davanti. A Verity l’eleganza della sua amica non stupì più del solito, dal momento che non l’aveva mai vista diversa da così: sembrava una bambola di porcellana, di una bellezza delicata e irraggiungibile ma proprio per questo estremamente ambita anche da chi non aveva ancora avuto l’onore di conoscerla personalmente.

“Non riesco a trattenere l’emozione, Elizabeth cara! Mi è mancato talmente tanto, che potrei scoppiare a piangere quando lo rivedrò in carne ed ossa!”

Elizabeth si limitò a farle un accenno di sorriso. Le sue guance erano diventate incredibilmente scarlatte, ma per il resto nessuno avrebbe potuto intuire lo sconvolgimento interiore che si celava dietro l’apparente imperturbabilità del suo aspetto esteriore, nessuno a eccezione di Verity.

“Certo, deve essere dura per te. Eppure, qualcosa mi dice che non ne sei completamente dispiaciuta, o sbaglio?”

“Sai perfettamente che non è così. Un'insinuazione del genere sarebbe ingiusta per Francis, per Ross e anche per…”

“Andiamo, Elizabeth! Sii onesta con te stessa, non c’è nulla di male nel provare piacere a rivedere un amico!” Le prese una mano ghiacciata e la riscaldò tra le sue.

“Ma tu pensi che ci sia speranza per una sorta di perdono?” La paura di perdere la stima di Ross stava tutta in quella domanda che Elizabeth fece a Verity, mentre l’amica le fissava l’anello che cingeva trionfante l’anulare della mano sinistra, sforzandosi di nascondere la sua perplessità a riguardo. Elizabeth lo captò ugualmente ma, anziché perseverare nel tormentarsi sulla reazione di Ross alla notizia che presto avrebbe dovuto dargli, preferì concentrarsi sui sentimenti positivi che entrambi avrebbero provato nel riunirsi a Trenwith, proprio come i vecchi tempi.

Francis le salutò da lontano. Soltanto quando riuscì a raggiungere la panchina sulla quale erano sedute, fu libero di manifestare loro la sua immensa emozione; mostrò a Elizabeth il contenuto del messaggio che aveva appena ricevuto, ponendole sotto agli occhi lo schermo luminoso del suo smatrphone, e rivolse a sua sorella uno sguardo pieno di commozione, prima di esclamare: “Ross è tornato!”

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


cap iv

Borse, zaini e valigie varie occupavano esattamente metà del sedile su cui si trovava il pelosetto, lasciando a Ross solo un misero spazio per sistemare la sua borsa a mano. Demelza era riuscita ad incastrare il suo bagaglio tra le altrettante innumerevoli cose che riempivano il cofano della macchina, continuando a scusarsi con lui per la scomodità con cui avrebbe dovuto affrontare il viaggio.

A Ross parve di stare in un accampamento improvvisato, eppure in tutto quel disordine non riusciva a non sentirsi a suo agio, divertito dall’eccentricità che trasmettevano sia l’arredamento dell’abitacolo che la sua proprietaria. Con un po’di imbarazzo, Demelza si voltò verso di lui per sincerarsi che stesse effettivamente comodo come sosteneva e, anche se sapeva che lo aveva detto soltanto per essere gentile, le sembrò che Ross non stesse poi così male come credeva.

“Posso darti del tu? Dovremo condividere un bel po’ di strada insieme, quindi…” Scrutò il suo sguardo mentre si allacciava la cintura di sicurezza, come se avesse paura di aver detto la cosa sbagliata.

“Ti prego, non sono ancora così vecchio!” Il sorriso con cui Ross aveva accompagnato quella dichiarazione sortì l’effetto sperato: fece sciogliere Demelza e allentò la tensione tra di loro, rendendoli un po’ meno estranei.

“E allora qual è il tuo nome, turista senza mezzi che ama fare l’eroe?” Domandò lei alzando un sopracciglio.

Ross scoppiò a ridere, “Cosa ti fa pensare che io sia un turista? Se è per via delle valige che mi porto dietro, mi dispiace doverti contraddire.”

“In realtà, ho pensato che non fossi di qui per il semplice fatto che, dal momento che tutti conoscono la brutta fama delle nostre agenzie per il noleggio delle auto, tu ti sei lasciato abbindolare proprio come accade a quei poveretti. Ma non ti preoccupare, se non fosse stato per la tua buona fede non oso pensare cosa sarebbe potuto succedere.”

“Beh, meglio così allora. Comunque, mi sembra che anch’io ne abbia tratto dei vantaggi…” Entrambi sentirono i brividi percorrere la loro pelle, ma nessuno dei due azzardò aggiungere un commento a quella frase. Dalla prima volta in cui si erano visti, si era innescata un’inspiegabile chimica tra di loro e la reciproca attrazione per il fascino che contraddistingueva la loro persona era evidente dall’imbarazzo con cui reagivano ogni volta che entravano in contatto.

Nel frattempo, il cagnolino si era appisolato sul sedile proprio dietro di loro, appoggiando il musetto provato dalla sofferenza e dalla stanchezza sulla morbida pelle della valigia di Ross. Dallo specchietto retrovisore, Demelza gettò un’occhiata su di lui e non riuscì a non commuoversi alla vista della pace che trasmettevano quegli occhietti chiusi in un sogno decisamente più felice della vita a cui i suoi padroni lo avevano costretto, abbandonandolo sul ciglio della strada. Aveva addosso ancora il collare quando lo aveva avvistato arrancare sanguinando verso di lei, ma prima di quel momento nessuno si era degnato di fermarsi per prestargli soccorso.

Voltandosi nella sua direzione, Ross si accorse con stupore dei suoi occhi lucidi e, sebbene si fosse ripromesso di non fare domande riguardo al motivo per cui non vivesse più a Illuggan, qualcosa gli suggeriva che lo stato d’animo in cui si trovava Demelza non era dovuto soltanto alla partecipazione emotiva per le disavventure del cagnolino ma a qualche ricordo spiacevole riconducibile al paese che aveva lasciato. Decise allora di riportarle il sorriso mettendo su una ricerca per il nome da dare al loro nuovo amico, “Sai, non credo che sia molto educato da parte nostra rivolgerci a lui definendolo “cane”. Ognuno di noi ha un nome: tu sei Demelza, io sono Ross, lui invece chi potrebbe essere?”

“Lui è Garrick. L’ho letto sulla medaglietta che teneva appesa al collo quando l’ho trovato.”

Aprì il cruscotto parallelo al sedile di Ross e ne estrasse il collare a mo’ dì prova. Lo consegnò nelle sue mani e riprese a concentrarsi sulla brevissima strada che ancora mancava per raggiungere Trenwith.

“Mi dispiace molto. Pensare che la tua famiglia si sia stancata di te, che preferisca sbarazzarsi di qualcuno con cui si è condivisa una parte di vita piuttosto che sacrificare qualche comodità in nome dell’amore è qualcosa che ancora non riesco a capire…”

“Non tutte le persone sono fatte per dare amore. Forse è un bene che loro l’abbiano capito, così adesso Garrick potrà essere libero di ricominciare una nuova vita, senza bisogno di scappare da chi non gli ha mai voluto bene.”

Ross posò la sua mano su quella di Demelza, che era ferma sul cambio delle marce e fredda come il marmo, “E tu, posso chiederti da cosa stai scappando? Dove andrai quando mi lascerai a Trenwith?”

Prima di rispondere, Demelza si prese un bel po’ di tempo per riflettere su cosa dire. Erano due settimane che se n’era andata di casa e quella macchina rappresentava il suo alloggio attuale, almeno fino a quando non avrebbe iniziato a guadagnare. Il motivo della sua fuga? Avere l’ ambizione di disintossicarsi dall’aria di ubriachezza che le riempiva i polmoni da quando era piccola e dal peso della responsabilità di essere a tutti gli effetti una madre per i suoi fratelli, badando prima a loro che a se stessa. Ross lo avrebbe compreso? Lui, che all’apparenza sembrava un uomo abituato al lusso e sicuro del proprio status sociale.

“Posso solo dirti che capisco benissimo cosa deve aver provato Garrick. Nel mio caso è stata una scelta ben meditata quella di allontanarmi da casa, non semplice ma necessaria. Lo hai dedotto dalle valigie, vero?”

“Vuoi dire dopo aver scartato l’ipotesi che fossi una turista?” Ross ritirò la mano dalla sua, ma non smise di contemplare il suo bellissimo viso. Demelza ridacchiò di quella battuta spiritosa che voleva richiamare l’insinuazione che lei stessa gli aveva fatto in precedenza per prenderlo un po’ in giro. Ormai erano giunti davvero in prossimità dell’enorme cancello che proteggeva la tenuta dell’antica famiglia dei Poldark, quando Demelza decise di accostare qualche metro prima e di fermarsi lì. Spense il motore ed uscì fuori dalla macchina, seguita a ruota da un Ross alquanto sorpreso.

“Non vorresti accompagnarmi almeno fino al giardino? Mi piacerebbe presentarti ai miei cugini e a mia zia Agatha, se per te non è un problema.” Sfilò dalla tasca interna del suo giubbotto un pacco di sigarette e ne offrì una a Demelza, che però declinò con gentilezza.

“Sono solo una persona di passaggio nella tua vita. Presumo che non interessi a nessuno...”

“A me interessa moltissimo, invece.” Fece il giro con l’intenzione di ritrovarsela davanti e la guardò per alcuni secondi, mentre inalava il fumo della sua sigaretta. Quell’espressione doveva aver fatto molte conquiste, questo era ciò che Demelza aveva sospettato sin dall’inizio, considerata la sua stessa difficoltà a evitare di essere colta in flagrante mentre lo osservava più di quanto fosse opportuno.

“Potrei fare un’eccezione e tenerti un pò compagnia, ma credo che ci sia già qualcuno ad aspettarti…” Indicò una Lamborghini parcheggiata all’ombra della pianta centrale che decorava il giardino. Tuttavia Ross, sentita la prima parte del discorso, non perse tempo a tirar fuori dalla macchina le sue valigie e svegliare Garrick affinché li seguisse.

Francis, Verity ed Elizabeth erano arrivati da circa venti minuti. Pur non essendo una brutta giornata, le due donne avevano preferito attendere l’arrivo di Ross al riparo dal vento, nel giardino d’inverno. L’ora del tè era vicina e la vecchia zia Agatha, comodamente seduta sulla migliore poltrona disponibile, decise di ingannare l’attesa intrattenendosi con il suo passatempo preferito: le carte.

Francis, da parte sua, non avendo ereditato la stessa dose di pazienza di sua zia, si liberò dal costume proprio dell’etichetta british che imponeva di aspettare le cinque e al posto del tè consumò un bel bicchiere di brandy francese, sovvertendo anche in questo la tradizione. I domestici di Trenwith predisposero sandwich, tartine e scones farciti con burro e marmellata su dei raffinatissimi vassoi d’argento, mentre Elizabeth si pizzicava le guance e si sistemava il rossetto sulle labbra carnose, servendosi di uno specchietto da borsa.

Dal momento che Elizabeth risultava assorta nei suoi pensieri e Francis era troppo occupato a spulciare i registri che si era portato dall’ospedale, Verity fu la prima ad avvistare alcuni movimenti sospetti nei dintorni del cancello.

“Francis, per caso Ross ti ha detto che sarebbe venuto con qualcuno? Mi sembra di intravedere una donna lì in fondo…” Strizzò gli occhi per vedere meglio.

Francis strappò un morso da un toast al formaggio e si avvicinò a sua sorella. Si mise dietro di lei e, grazie alla statura non propriamente alta di Verity, riuscì a spiare attraverso il vetro, “Non che io sappia, però sarei felice di sbagliarmi.”

Elizabeth si alzò di scatto da dove era seduta: l’eventualità che Ross potesse essersi messo con un’altra donna non l’aveva mai sfiorata e adesso si sentiva messa in secondo piano, immeritatamente gelosa del fatto che lui fosse riuscito ad andare avanti senza di lei. Per sua fortuna, fu la vecchia Agatha l’unica testimone di quella reazione.

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Ross e Demelza avevano da poco varcato la cancellata di ferro di Trenwith, quando si imbatterono nel dolce viso di Verity che, con le lacrime agli occhi e il rossore sulle guance dovuto alla corsa che aveva fatto per precipitarsi ad abbracciare suo cugino prima di tutti gli altri, diede loro il benvenuto con un trasporto letteralmente travolgente. Ross esplose in un grido di gioia, la sollevò da terra e le fece fare un giro in aria tenendola ben stretta in vita, sotto lo sguardo divertito di Demelza.

“Oh, Ross! Non posso ancora crederci!” I suoi singhiozzi, mescolati alle risate di Francis, che si godeva la scena a qualche metro di distanza da semplice spettatore, trasmisero a chi non faceva parte della famiglia una sensazione di notevole contrasto.

“Come hai fatto a riconoscermi tra tutte queste lacrime che ti offuscano la vista?” Ross asciugò i suoi occhi completamente bagnati e le accarezzò una guancia. Quello tra Verity e Ross era sempre stato un rapporto speciale, ma la bellezza del sentimento che li univa aveva  provocato spesso non poche gelosie da parte di Francis, il cui legame con suo cugino, seppur forte e persino più viscerale rispetto a quello che lui aveva con sua sorella, mancava di una dose di semplicità che rendeva naturale una confidenza del genere. Alcune volte succedeva che l’ammirazione di Francis per Ross si trasformasse in invidia, quasi fosse una risposta alla sua frustrazione perenne e al suo non sentirsi mai all’altezza della situazione.

Demelza si accovacciò per accarezzare Garrick. Leggermente insicura su come presentarsi a quella donna, preferì dedicare le proprie attenzioni al cane piuttosto che rivolgerle all’incontro che si stava svolgendo in quel momento tra due cugini che non si vedevano da anni e che, probabilmente, avevano sentito molto la mancanza uno dell’altra.

“Sono stata una vera maleducata! Ma anche tu Ross, perché non mi hai ancora presentato la tua ragazza?” Verity si rivolse a Demelza con uno sguardo pieno di tenerezza, poi si avvicinò a lei e attese che almeno uno dei due dicesse qualcosa. Ma né Ross né Demelza riuscirono a liberarsi dall’imbarazzo creato da quell’ equivoco dichiarato senza alcuna malizia. Si guardarono e scoppiarono a ridere, lasciando la povera Verity più che perplessa.

Quando ebbe recuperato un briciolo di serietà, Ross prese sotto braccio sua cugina e le sussurrò in un orecchio, “Ci conosciamo solo da qualche ora. Demelza mi ha dato un passaggio in autostrada.”

Verity divenne paonazza e abbassò lo sguardo sull’erba appena calpestata dalle sue scarpe, “Mi dispiace, non avevo intenzione di metterti a disagio mia cara. Perdona anche la scenata a cui hai dovuto assistere, ma faccio appello alla tua clemenza confessandoti che sono cinque anni che aspetto questo momento!”

“Oh, non si preoccupi. E’ lei che deve scusare me per aver invaso l’intimità di questa occasione. Ho provato a spiegarlo a Ross, ma forse lui ne ha sottovalutato l’importanza.” L’amabilità di Demelza l’aveva già conquistata. Dentro di lei, Verity pensò che fosse davvero un peccato che quei due si conoscessero a malapena da mezza giornata, ma niente avrebbe potuto impedire a Demelza di trattenersi ancora un po’.

“Demelza, non è così che ti chiami?”

“Si, è esatto.”

“Possiamo avere l’onore di ospitarti per il tè? Sai, a parte Ross, siamo tutti fin troppo abituati alla compagnia reciproca e la zia Agatha sarà entusiasta di fare una nuova conoscenza.”

Prima che potesse rifiutare, Ross si accinse ad aggiungere, “Ci farebbe piacere presentarti al resto della famiglia. Noi Poldark siamo molto testardi, quindi ti conviene accettare se non vuoi perdere un altro giorno di lavoro a discutere fino a domani mattina.”

Demelza rispose con un sorriso, ma in realtà aveva un bel po’ di ansia. Inoltre, conoscere gli altri membri di quella famiglia, che sembrava rivestire una certa influenza nel panorama sociale cornico, le avrebbe fatto sentire tutto il peso della differenza che c’era tra la sua condizione e la loro. Accettò ma rimase incollata al braccio di Ross, un riflesso involontario di cui non si rese conto fino a quando divenne troppo tardi per potersi tirare indietro.

Fino ad allora, Francis aveva deliberatamente scelto di non pensare ai probabili ripensamenti che Elizabeth avrebbe potuto avere sul loro imminente matrimonio, una volta messa di fronte all’evidenza dei fatti. Tuttavia, la gioia di accogliere Ross da padrone di casa e condividere con lui gli aspetti più lieti della nuova fase della sua vita subì una drastica svolta non appena egli vide la sua promessa sposa partire alla ricerca di un amore che probabilmente non era ancora riuscita a dimenticare. Nonostante fosse stata proprio Elizabeth l’artefice della rottura della loro relazione, Francis nutriva da sempre il sospetto che l’unico motivo per cui ciò era accaduto doveva essere rintracciato nella sua paura di rimanere da sola nel caso in cui Ross avesse deciso di restare in America e arruolarsi definitivamente nell’esercito. No, Elizabeth non era fatta per quella vita e sicuramente si sarebbe pentita di aver assecondato un progetto di vita che non condivideva e che avrebbe arrecato nient’altro che infelicità ad entrambe le parti coinvolte. La situazione si configurava come troppo instabile per i suoi gusti e le sue ambizioni mondane.

Così, fermi ad aspettare sulla soglia d’ingresso del giardino d’inverno, Francis ed Elizabeth evitarono di comunicare perché troppo spaventati dalle dichiarazioni che sarebbero potute uscire dalle loro bocche.

“E’ davvero bella. Credo che a lui piaccia molto…” Elizabeth pronunciò quelle parole a bassa voce, come se stesse parlando tra sé e sé, ma Francis non se ne rese conto e rispose che era pienamente d’accordo con lei. Poi, quando la tensione divenne quasi insopportabile, Verity urlò loro da lontano che sia lei che Ross sarebbero entrati in casa a lasciare le valigie in una delle stanze per gli ospiti e pregò Francis affinché accogliesse e intrattenesse Demelza nel frattempo, ignorando le proteste della ragazza che avrebbe preferito cento volte attendere con un po’ di pazienza lì fuori oppure entrare insieme a loro piuttosto che affrontare da sola la gabbia del leone.

Francis non se lo fece ripetere due volte, “Oh, naturalmente! Abbiamo una varia gamma di tè da scegliere. Elizabeth è una grande esperta in fatto di varietà di foglie di tè, quindi può darti un consiglio.”

“Certo, mi farebbe piacere.”

Francis si domando se per caso Ross le aveva parlato della sua precedente storia d’amore con Elizabeth, mentre mostrava a Demelza la strada per raggiungere il mini buffet allestito nel padiglione della villa. Quella ragazza emanava una solarità ipnotizzante, totalmente diversa dall’algida raffinatezza di Elizabeth, che secondo Francis ben si accordava alla tenebrosa e complicata personalità di Ross, quasi fosse il raggio di luce necessario a illuminare la parte più nascosta del cuore di suo cugino.

Elizabeth mise su un sorriso di circostanza, nervosa almeno quanto Demelza per la strana situazione in cui si trovavano. Si fece da parte per far passare entrambi e poi rimase in silenzio, aspettando che fosse lei a introdurre l’argomento.

Agatha si svegliò improvvisamente dal torpore in cui era sprofondata, anche a causa del piacevole calore emanato dal camino acceso nella stanza, e si sforzò di trovare qualche tratto riconoscibile nell’etera fisionomia di Demelza, ma ovviamente non ne trovò nessuno.

“Elizabeth, chi è questo piccolo bocciolo? E dov’è Ross?” Francis si avvicinò alla sua vecchia prozia e pensò a rispondere alle sue domande, evitando di esporre la sua fidanzata a quell’interrogatorio alquanto imbarazzante per la sua attuale situazione.

“E’ una piacevolissima giornata, non torvi cara?”

“Da quanto ricordo ce ne sono state di decisamente peggiori, ha ragione.” Demelza si rigirò una ciocca di capelli intorno all’indice della mano destra, incantata dalla bellezza della donna che si ritrovava davanti. Elizabeth aveva i lunghi capelli lucenti raccolti in uno chignon basso, con qualche ciocca che le ricadeva sulla fronte, un trucco leggero ma eseguito magistralmente e un profumo sofisticato, tutto disperso sulla camicetta di raso blu che creava uno splendido contrasto con il pallore della sua pelle diafana. Ai piedi indossava un paio di decolleté in suede nere dal tacco sottilissimo, mentre dai lobi delle sue orecchie pendevano due zaffiri blu con taglio a smeraldo, circondati da piccoli diamanti perfettamente coordinati all’anello di fidanzamento scelto per lei da Francis. Gli orecchini erano un regalo di Agatha per la promessa sposa, preso direttamente dai gioielli di famiglia che lei, essendo l’unica donna Poldark della generazione precedente a quella di Verity, aveva ereditato dai suoi antenati.

“Posso farti una domanda, Demelza?” Chiese Francis.

“A dire la verità, non amo molto le domande. Spesso portano a risposte scomode…Quindi dipende dal genere di domanda che lei vuole farmi, signore.”

“Ho avuto un’epifania improvvisa. Se non ricordo male, ho visto il tuo nome tra le domande di tirocinio in uno dei nostri ospedali. Può esserci del vero in questo?” Prese il malloppo di documenti che si era portato dall’ufficio e iniziò a sfogliarlo alla ricerca di una conferma.

Demelza spiegò loro ciò che era accaduto alla stazione di servizio durante quella mattinata, dal salvataggio di Garrick all’incontro casuale con Ross, alla sua proposta di scortarlo fino a Trenwith come gesto di gratitudine per averla difesa in quella circostanza, ma non aggiunse nient' altro. Non sapeva chi fossero quei Poldark e quale legame intercorresse tra il loro nome e quello dell’ospedale presso cui avrebbe dovuto lavorare, perciò preferì non esporsi troppo.

“Domani spero di cominciare senza alcun intoppo.”

Ross e Verity arrivarono proprio in quel momento, ma fu solo Verity ad entrare. Ross si bloccò davanti al vetro della porta che rifletteva il profilo di un fantasma, di fronte alla cui bellezza non riusciva ancora a rassegnarsi. Francis si fiondò fuori e lo salutò abbracciandolo forte: prima di procurarsi il suo odio, attraverso la notizia del suo fidanzamento con Elizabeth, preferì mostrargli quanto realmente ci tenesse a lui. Se questo sarebbe potuto servire a qualcosa, di certo Francis poteva solo sperarlo.

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Caroline e George non ebbero modo di conoscersi personalmente fino al giorno del meeting di presentazione, fissato dalla giovane ereditiera per il pomeriggio successivo alla giornata in cui Francis aveva esposto a tutti il comunicato che la nominava nuovo presidente del consiglio di amministrazione. A George serviva un piano d’azione per metterla in difficoltà sin da subito ma, non avendo tra le mani niente di davvero compromettente sul fronte professionale, fu costretto a rivolgersi ai suoi scagnozzi per sondare nell’ambito della vita privata e sentimentale della ragazza.

Le origini nobili di Caroline fungevano da ulteriore motivo d’astio per George, ma l’aspetto più insopportabile di quella situazione era il fatto di essere stato scavalcato da una donna, per giunta priva di qualsiasi tipo di esperienza. Come al solito, il nepotismo aveva prevalso sul buon senso della politica aziendale “non di parte” teorizzata da molti e messa in pratica da pochi. Non c’era spazio per un parvenu come lui nel circolo elitario dei “purosangue” che detenevano la maggior parte delle azioni della società, e questo George lo aveva sempre saputo fin dall’inizio.

Con le mani impegnate a contare i soldi per poi pesarli sulla sua bilancia personale, George continuava a pensare a quale fosse la soluzione migliore per non avere guai con la nipote di Penvennen, pur tramando contemporaneamente alle sue spalle.

“Credi davvero che quella poppante riuscirà a farsi valere nel nostro ambiente spietato? Anche se fosse la regina d’Inghilterra, al giorno d’oggi sono i soldi a contare e la capacità di produrli, non una corona di rubini appoggiata sulla testa!” Cary Warleggan cercò di risollevare l’umore di suo nipote.

“Ne sono convinto anch’io, zio. Ma se solo potessi accelerare i tempi…”

Cary fece una smorfia che espresse perfettamente il suo scetticismo a riguardo.

“Ho chiesto a Tom Harry di accumulare informazioni sul suo conto. Mi pare di ricordare che il forte litigio avvenuto tra lei e Ray avesse a che fare con vecchie questioni d’amore.”

Il grugnito di suo zio gli fu sufficiente come risposta. Cary decise, infatti, di cambiare argomento, “La settimana prossima siamo stati invitati al ricevimento per il fidanzamento ufficiale di Francis ed Elizabeth, avevo dimenticato di comunicartelo. Ecco l’invito, se ti interessa.”

George tossì automaticamente, poi allungò il collo in avanti e si alzò dalla scrivania per prendere l’invito ed esaminarlo con cura, “E’ un vero peccato! Elizabeth non sa in che guaio si sta cacciando…”

“In che senso?”

“Francis sta prelevando una quantità spropositata di denaro dalla nostra banca. Certo, in parte lo userà per il matrimonio, ma non so perché qualcosa mi dice che non gli serve solo per quello. Conosci il suo vizio per il gioco, no?”

“Suo padre aveva il vizio del bere e del mangiare in quantità disumane, suo zio Joshua quello di andare a donnacce e fare debiti a destra e a manca. E’ nel loro sangue!”

Cary ci pensò su per un po’ prima di decidere se dargli anche un’altra notizia, quella del ritorno di Ross Poldark, ma giunse alla conclusione che era meglio non mettere troppa carne sul fuoco. Riprese a leggere il quotidiano sprofondando nel suo cinismo atavico verso tutto ciò che riguardava il mondo al di fuori della mura della sua preziosissima banca.

Caroline aveva iniziato a consultare gli ultimi documenti che erano giunti in possesso di suo zio nei mesi precedenti alla sua morte. Lettere di richieste per tirocini universitari, dimissioni e moduli di trasferimento e poi anche curriculum di medici professionisti come quello di Ross Poldark.

Si trattava di un ottimo pretendente al posto di primario in chirurgia d’urgenza, con esperienza sul campo e referenze eccezionali. Peccato che Caroline lo avesse conosciuto quasi in un’altra vita, attraverso la sua amicizia con Dwight. Il suo codice morale le imponeva di essere imparziale e considerare l’assunzione di Ross come un bene per ospedale, ma la sua parte più intima, e forse anche quella più fragile, faticava a consideralo un espediente vantaggioso per il suo proposito di dimenticare ogni possibile riferimento alla vita a cui aveva dovuto rinunciare. Ne avrebbe discusso con gli altri, per quanto in cuor suo sapesse perfettamente cosa fare…

I Poldark, quei gentiluomini aristocratici che si divertivano a fare gli eroi! Quando Ross le aveva telefonato a Bath, dove lei si trovava per studiare economia grazie al sussidio assicuratole da suo zio per l’ultimo anno della specialistica, con l’obiettivo di convincerla a cambiare idea, Caroline lo aveva considerato una specie di paladino della giustizia e difensore dell’amore, ancora troppo ingenuo nel suo sopravvalutare il potere dei sentimenti. Di lì a poco, anche lui avrebbe conosciuto delle delusioni piuttosto cocenti.

Quelle stesse ingiustizie, derivate dal mondo che Ross si era tanto impegnato a proteggere, rappresentavano per Caroline la prova più tangibile di quanto avesse fatto bene a non ascoltare il suo consiglio. Come Ross ed Elizabeth, anche lei e Dwight sembravano avere interessi diversi, in fondo. Quale senso aveva opporsi all’inevitabile, soltanto per inseguire un futile ideale d’amore?

A Trenwith, Ross dovette farsi un grande coraggio per sopportare la presenza di Elizabeth, dopo quello che era successo tra di loro. Una parte di lui non l’avrebbe mai perdonata per aver scelto il modo più codardo di cavarsela, affidando a un tristissimo messaggio il compito di informarlo della sua decisione di porre fine alla loro storia. Ma la sua parte più sensibile al fascino di quella donna non riusciva a mettersi l’anima in pace e lasciare le cose così come Elizabeth stessa aveva deciso nell’ultimissimo contatto che aveva avuto con lui. Ed ora si trovavano faccia a faccia, entrambi incapaci di esternare persino a loro stessi le proprie emozioni a riguardo.

“Ross, forse dovrei togliere il disturbo…” Demelza si accorse del suo mutismo e del disagio con cui le altre persone presenti si guardavano tra di loro, senza sapere come superare quel momento che tuttavia sapevano sarebbe arrivato prima o poi. La povera Demelza si mise la borsa in spalla e fece per andarsene, quando la mano di Ross la trattenne per il polso e la convinse ad aspettare. I suoi penetranti occhi neri la pregarono di non lasciarlo lì da solo. Demelza pensò che fosse strano che Ross preferisse avere un’estranea al suo fianco piuttosto che un parente, ma sin da subito si era creato un feeling così forte tra di loro da farle credere che, in una situazione simile, anche lei avrebbe fatto lo stesso.

“Ross, io…” Elizabeth non riuscì a terminare la frase che una lacrima le scese lungo il viso di porcellana, rendendolo ancora più pallido di quanto già non apparisse normalmente. Per Demelza si trattava di una situazione surreale, perché non aveva la benché minima idea di cosa avesse potuto provocare quel tipo di reazione emotiva nella compostissima figura che adesso si era seduta sul sofà bianco vicino al camino e che sembrava esercitare una forte influenza su Ross.

Francis si riempì il bicchiere con dell’altro brandy e lo mandò giù tutto d'un fiato, mentre Verity lasciò che fosse il suono della voce di suo cugino a riempire il silenzio della stanza. Ross accarezzò il braccio di Demelza, come a volersi scusare per averla coinvolta in quell’ imprevisto tutto privato che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi, poi andò a sedersi al fianco di Elizabeth.

“Non mi aspettavo di trovarti qui.”

“Io invece ho temuto per giorni questo momento, perché ero certa che sarebbe stato difficile per entrambi.”

“Io rispetto la tua scelta, Elizabeth. Non posso dire che essere lasciato con un messaggio mentre mi trovavo dall’altra parte del mondo sia stata un’esperienza piacevole, però sono sopravvissuto. Spero solo che tu non abbia avuto dei ripensamenti nel frattempo…”

Elizabeth si girò per la prima volta dalla sua parte e lo guardò dritto negli occhi. Il suo era uno sguardo misto di sollievo e risentimento, “Ne sono lieta Ross, ma avrei gradito una risposta. Anche se devo riconoscere che il tuo silenzio è riuscito perfettamente nell’intento.”

Agatha si sollevò dalla sua poltrona e camminò barcollando verso di loro, ma prima di raggiungerli deviò e si fermò vicino a Demelza. La sua voce riecheggiò ad altissimo volume nella forma di un commento sulla freschissima bellezza di quella ragazza che non aveva mai visto prima, mirando dritta al suo obbiettivo. Elizabeth, infatti, fu costretta a ritornare alla realtà e a prendere le distanze dalla presenza sempre più vicina delle gambe di Ross alle sue ginocchia tremanti.

“I miei due nipoti hanno un ottimo gusto in fatto di donne, e non ci sarebbe alcun problema se non fosse che una di loro agita il cuore di entrambi…”

“Zia, lascia che Elizabeth finisca il discorso.” Francis rimase di spalle, voltandosi il giusto indispensabile perchè le sorde orecchie di sua zia recepissero chiaramente il messaggio. Ma Elizabeth rimase chiusa in se stessa a lottare contro la paura di poter perdere definitivamente la stima di Ross, e forse anche qualcosa altro.

“Ho bisogno di sapere se c’è ancora speranza…” Ross le prese la mano e stampò l’impronta delle sue labbra sul suo dorso candido, ma presto si accorse che la risposta di Elizabeth non sarebbe potuta essere più chiara della luce del diamante che brillava sul suo anulare sinistro. Annuì, rimproverandosi per essersi aperto così tanto e aver lasciato trasparire le sue stupide idee romantiche riguardo una possibile riconciliazione con una donna che adesso stava per sposarsi con un altro. Che sciocco! Era rimasto appeso a un filo per tutto quel tempo, rifuggendo qualsiasi tipo di relazione, più o meno seria, per quasi un anno della sua vita nella vana speranza che succedesse un miracolo e che Elizabeth cambiasse idea.

“Mi dispiace doverti dare questa notizia proprio oggi, ma sarebbe stata solo una questione di tempo. ”

“Evidentemente non mi reputavi all’altezza di un tale compito. Ti ho dato mai l’impressione di vivere la nostra relazione come una cosa di poco conto? Ti sei sentita offesa in qualche modo?”

“No, Ross. Non mi hai offesa in nessun modo, ma il mio posto è al fianco di un uomo che sappia garantirmi stabilità e sicurezza sotto ogni punto di vista. Sii onesto e dimmi se saresti stato in grado di offrirmi tutto questo!”

Verity posò una mano sulla spalla di Elizabeth e la incoraggiò a svelargli l’identità del suo futuro sposo. Ormai si era spinta troppo in là per comunicare solo una parte della verità.

“E adesso credo sia giunto il momento…” Elizabeth si sollevò con una grazia regale dal divano e fece rimbombare i passi dei suoi tacchi sul parquet fino al punto in cui si trovava un Francis ancora agitato, nonostante avesse appena finito di far rifornimento di un’abbondante dose di coraggio liquido. Si presero sotto braccio, poi Francis le baciò una guancia.

Ross non disse nulla. Il suo sconcerto era tale da lasciarlo addirittura senza parole.

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


Francis ed Elizabeth si sarebbero sposati a gennaio. O almeno, questo era ciò che Demelza poteva leggere sulla partecipazione di cui Francis le aveva gentilmente fatto dono, sperando che quel gesto di genuina apertura verso quella che pensava fosse un'amica di suo cugino sarebbe arrivato lì dove le sue parole non sarebbero mai riuscite, cioè al cuore di Ross.

Mentre le sue dita scorrevano lungo i due nomi scritti a mano su un semplicissimo foglio di carta, Demelza non poté fare a meno di notare con quale espressione Ross la stesse guardando: sembrava un cucciolo indifeso, ferito e abbandonato, proprio come Garrick quando lo aveva trovato in autostrada, appena qualche ora prima del loro incontro. Se solo avesse avuto una più ampia conoscenza del quandro generale, ma soprattutto una maggiore intimità con il diretto interessato, avrebbe sicuramente pensato a un modo per fargli sentire ancora di più la sua vicinanza.

"Ross, ci dispiace aver dovuto aspettare tanto tempo prima di renderti partecipe della nostra felicità…” Francis si separò da Elizabeth e cercò timidamente di avvicinarsi a lui.

“Certo, come se io avessi mai potuto esserne felice! Mi stai prendendo in giro, Francis? Cos’è che ti aspettavi di preciso, forse che mi mettessi a fare i salti di gioia e vi augurassi il meglio per il vostro matrimonio?”

“No, ovviamente. Sapevamo che avresti reagito così... Ma questo non vuol dire che ci sia qualcosa di sbagliato nell’unione di due persone che si sono ritrovate dopo aver chiuso definitivamente le proprie relazioni precedenti e che ora desiderano ufficializzare il loro amore e condividerlo con i loro cari, senza fare torto a nessuno.”

Ross si alzò di scatto da dove era seduto, “Dovrei credere dunque che si tratta di amore?”

“Non hai il diritto di avanzare una tale insinuazione, Ross!”

“Hai perfettamente ragione. La donna che credevo di amare non è altro che poco più di una sconosciuta per me, un’estranea di cui non so nulla e che finalmente mi sono reso conto di non aver mai imparato a conoscere.” Disse queste parole rivolgendosi direttamente ad Elizabeth, ma nemmeno i suoi occhi lucidi riuscirono a placare la rabbia che lui provava nei suoi confronti. Ross era un uomo estremamente orgoglioso, perciò non avrebbe consentito a se stesso di mostrarsi troppo frustrato da quella situazione e soprattutto non aveva voglia di far capire ad Elizabeth quanto altro dolore gli avesse inferto, come se la dose dell’anno precedente non gli fosse bastata. Prese Demelza per mano e la condusse fuori dalla stanza, nell’ampio giardino dove Garrick si era intrattenuto sguazzando nelle pozzanghere, tra l’erba bagnata e i fiori mezzi chiusi, nonostante la ferita alla zampa. Il sole stava già tramontando, come le speranze di Demelza di tornare a Truro in tempo per cercare un posto dove passare la notte.

Ross fumò un’altra sigaretta, sotto lo sguardo contrariato di Demelza, che fremeva dal togliergliela dalla bocca per sbarazzarsene e salvaguardare la sua salute. Ancora non sapeva che oltre il danno c’era anche la beffa, dal momento che Ross conosceva benissimo le conseguenze del fumo sulla sua salute, ma non era mai stato capace di liberarsi da quel vizio, come da tanti altri…

“Posso farti notare una cosa?” Lo chiese con le braccia incrociate sul petto, stringendosi nel suo cappotto per via del freddo che iniziava a sentire sulla pelle. Il suo sguardo contrariato vagava dalla sua bocca fumante alla sigaretta che teneva tra l’indice e il medio.

Ross scosse la testa e, avendo già intuito a cosa alludesse, rispose, “Non credo di poterlo fare, sai. E’ un aiuto a cui non posso rinunciare in questo momento.”

“Quindi vivere più a lungo è un’idea che non ti alletta per niente? Beh, non importa! Tanto sei solo uno di passaggio nella mia vita...” Demelza lo guardò con un sorriso che smontava la serietà del suo discorso, poi aggiunse, “Comunque non era questo che volevo dirti.”

Ross la guardò per cercare di capire dove volesse andare a parare, “Riguarda la scenata di qualche minuto fa? Sono mortificato per averti coinvolta in quella pagliacciata!”

“No, non riguarda nemmeno questo.” Si appoggiò al tronco di un albero, con le braccia dietro la schiena e la mente rivolta altrove. Nel frattempo Garrick si era acciambellato ai suoi piedi, approfittando di un posticino asciutto dove far riposare la sua zampina.

“Sei un uomo intelligente, quindi suppongo tu abbia capito che non ho un posto fisso dove andare. Una volta che ci saremo separati, tu avrai questa bellissima casa con il camino acceso e un letto morbido pronto ad accogliere il tuo sonno, mentre io avrò solo la mia macchina fredda e buia. Devo farti proprio pena, non è vero?”

“Speravo che tu non ti facessi pregiudizi su di me, visto che sono l’esatto opposto di tutto quello che hai visto sino ad ora. Trenwith non è la mia vera casa, ma da quando è morto mio padre Nampara è in stato di abbandono e, visto che domani ho un importante colloquio di lavoro, ho preferito fermarmi dai miei cugini per questa notte. Purtroppo è stata una scelta sbagliata, come hai potuto vedere… Farei volentieri a cambio con te, credimi!”

Mentre Ross parlava, Demelza si accorse di non riuscire a tenere il suo sguardo. Per fortuna il sole stava scomparendo giusto in tempo per coprire le sue guance, che diventavano rosse ogni qualvolta lui le rivolgeva la parola. Anche Ross, da parte sua, si sentiva inspiegabilmente felice quando lei entrava accidentalmente in contatto con il suo corpo, ma tentava di resistere all’impulso di indugiare troppo sui suoi occhi azzurri perché, per una strana ragione, non voleva spingersi oltre e riconoscere che quelli erano in realtà i sintomi di una passione di cui non poteva ancora immaginare la portata.

“Ti chiederei di rimanere qui stanotte, se non avessi paura di essere frainteso.”

“Temi che potrei giudicarti un impudente? Dopotutto mi hai dimostrato di essere un salvatore di cuccioli in pericolo!” Si misero a ridere rumorosamente, attirando l’attenzione di quelli che invece si stavano torturando la coscienza all’interno del giardino d’inverno.

“Sono contenta di averti fatto ridere. Prima eri così imbronciato! Non sei tenuto a raccontarmi la causa del vostro litigio, ma spero sia una cosa recuperabile.” Gli tese la mano come se stesse per congedarsi da lui, disorientandolo giusto per un attimo.

“Ritorni a Truro, allora…” I suoi occhi risalirono la stretta delle loro mani fino alle labbra di Demelza, dischiuse in un timido sorriso.

“Certo, ma non prima di domani. E’ ancora valida la tua offerta?”

Ross cambiò radicalmente espressione. Emise un sospiro di sollievo e se ne andò verso la macchina, dopo averle sussurrato in un orecchio la risposta. Non spettava a lui ringraziarla, eppure Ross aveva interpretato il fatto che Demelza avesse accettato di condividere con lui un altro po’ del suo tempo come una gentilezza di cui sentiva di avere estremamente bisogno. Trascorrere una notte a Trenwith, insieme ai suoi cugini e soprattutto ad Elizabeth, era una prospettiva al cui solo pensiero non poteva che rabbrividire. Se non fosse stato per Demelza, avrebbe preferito camminare a piedi fino a Nampara e riposare tra le ragnatele della sua vecchia camera da letto. Ma la serata si annunciava decisamente più dolce di quanto sia Ross che Demelza avrebbero potuto prevedere fino ad allora, e di questo ne erano entrambi segretamente grati.

Prima che Demelza potesse sbattere le ciglia, i suoi bagagli erano già parcheggiati sulla soglia d’ingresso della casa. Verity si allontanò dal resto della sua famiglia per giungere sino a lei, entusiasta dell’inaspettato risvolto che la serata aveva preso, con Demelza pronta a distogliere Ross da pensieri negativi a cui lei stessa, in primis, non voleva concedere troppo spazio.

A dispetto di ciò che pensava Ross, Verity comunicò a Demelza la notizia che suo fratello avrebbe dormito fuori, perché l’indomani aveva un impegno importantissimo, e quindi anche Elizabeth avrebbe tolto il disturbo subito dopo cena. 

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


Il giorno del meeting arrivò in un lampo per Caroline, ansiosa com’era di riscuotere una buona opinione sul consiglio di amministrazione. Era una completa estranea per la maggior parte dei membri che ne facevano parte, ma né questo né l’alta portata del compito che si apprestava a svolgere riuscivano ad intimidirla, dal momento che le bastava far ricorso al suo temperamento forte e determinato per avere una garanzia di successo necessaria a placare ogni tipo di ansia. Gli obiettivi che già si era prefissata, una volta conseguiti, le avrebbero fruttato dei riconoscimenti importanti, derivanti solo e soltanto delle sue capacità professionali e non dal cognome che portava, contrariamente a quello che gli altri avrebbero potuto credere e, chissà, magari anche recriminarle.

Oltre alla compagnia del suo adorato Horace, Caroline non aveva nessuno. Trascorreva le sue giornate da sola a studiare e ad anticipare gli argomenti che intendeva trattare sin da subito con i suoi colleghi, ma spesso si sentiva avvinta da un irritante senso di solitudine e malinconia verso ciò che ne era stato della ragazza frizzante e spensierata di cui adesso non conservava altro che l’aspetto fisico.

Guardò le lancette dell’orologio che aveva al polso e si rimproverò per essersi concessa un sonno troppo lungo, quando all’inizio della riunione mancava soltanto un quarto d’ora. Prese le chiavi della sua macchina, salutò il carlino, ancora appisolato su un lussuosissimo cuscino da salotto e a stento consapevole di quanto stesse succedendo intorno a lui, poi partì verso la sua nuova avventura.

Intanto, Francis sprofondò il viso nel cuscino accanto al suo, ancora memore dell’impronta della testa che lì aveva riposato, e si trasferì al centro dell’enorme letto matrimoniale dell’appartamento di Elizabeth per riprendersi dalla notte insonne che aveva passato pensando continuamente a Ross.

“Che ore sono? Elizabeth, non ti avevo chiesto di svegliarmi per le nove?” Si tirò su ad aspettare il bacio mattutino della sua fidanzata, all’apparenza riposata e fresca come una rosa, che stranamente non arrivò. Elizabeth gli porse con gentile impazienza una tazza di te caldo e scomparve oltre la porta del bagno che si trovava all’interno della camera da letto.

Chiusa la porta alle sue spalle, si lasciò scivolare lungo il legno color panna sulla soglia interna del bagno, tenendosi la testa tra le mani. Il cuore le palpitava velocemente ogni volta che la sua mente tendeva a dimenticarsi del buon senso, dirottando i pensieri verso un unico e pericolosissimo argomento, di fronte al quale Elizabeth si era autoconvinta, nel corso di quel lunghissimo anno, di non provare più niente di romantico. Eppure, l’incontro che aveva avuto con Ross a Trenwith l’aveva a dir poco sconvolta. Come poteva sposarsi con Francis, quando dentro di sé aveva la sensazione di aver sempre mentito a se stessa riguardo al superamento del suo amore per Ross? Ciò che metteva in discussione, tuttavia, non era la realizzazione del matrimonio con Francis e nemmeno l’affetto che provava per lui, quanto piuttosto la credibilità futura che avrebbe avuto il suo rapporto con un cognato, dal quale non poteva negare di essere ancora attratta. Per Elizabeth, essere al centro del mondo di Ross valeva più di qualsiasi altra cosa e perdere la sua stima avrebbe incrinato irreversibilmente quel sistema a cui si era tanto affezionata.

“Tardi ancora, amore mio?” La voce di Francis la raggiunse come un secchio d’acqua fredda gettatole direttamente sul viso, con l’effetto di risvegliarla dal breve sogno in cui era caduta. Finì di aggiustarsi il trucco e uscì in tutta fretta dal bagno, ritrovandosi Francis proprio davanti alla porta.

“Vorrei che tu andassi a Trenwith stamattina. Sempre che non ti pesi…” Le cinse la vita con un braccio e poi la baciò sulla bocca, appassionatamente.

“Mhmm, credi che Ross ne sarà entusiasta? La reazione che ha avuto ieri mi fa pensare a tutt’altro.”

“Mio cugino dovrà imparare ad accettarlo. Io e te ci sposeremo tra pochissimi mesi e lui ha il dovere di rispettare entrambi per la nostra decisione. Potrebbe anche fare un passo verso l’accettazione, evitando di disertare il party che abbiamo organizzato nel week-end. Anzi, perché non glielo chiedi tu di venire? Lo apprezzerebbe, credo.”

Elizabeth abbassò lo sguardo, in preda a una grande inquietudine di cui però non fece alcuna mostra. Gli prese una mano e la strinse forte nella sua, “Lo farei volentieri, credimi. Ma, ho l’impressione che spetti a te questo compito. D’altronde sei tu la persona a cui tiene maggiormente.”

Francis dubitava fortemente che le cose stessero così come sosteneva Elizabeth, però decise di non contraddirla. La liberò dalla sua stretta e si precipitò in bagno per tentare di radersi e lavarsi a tempo di record.

George Warleggan si mise d’accordo con il suo autista sul tempo che quest' ultimo avrebbe dovuto aspettare prima di  passare a riprenderlo, una volta terminato il meeting aziendale. Aveva un’espressione trionfante sul volto, come se stesse già pregustando la vittoria sulla giovane Penvennen, mentre attraversava le strisce pedonali perpendicolari all’ingresso principale dell’ospedale. Le carte che aveva in mano non potevano che portarlo al trionfo, facendo esse parte di un gioco astuto messo in atto in un contesto di assoluta legalità. Fu tra i primi ad arrivare, perciò aspettò che gli altri facessero altrettanto dedicandosi ad un ultimo esame dei documenti che aveva portato con sé.

Caroline superò con grande calma la soglia della porta di vetro che delimitava l’area della sala riunioni. Si tolse gli occhiali da sole e appoggiò la borsa sul tavolo, in corrispondenza del segnaposto con il suo nome. Ovviamente era a capotavola e affianco a lei sedevano le più importanti figure del consiglio: l’amministratore delegato e il direttore finanziario dei conti dell’ospedale.

“Buongiorno, spero che il signor Poldark arrivi presto. Ho tante cose di cui discutere questa mattina.” Aveva notato la sua assenza, appena entrata.

In quell’esatto momento, anche Francis fece capolino nella stanza e, dopo aver rivolto al consiglio un sorriso di rammarico per il ritardo inammissibile proprio in quel giorno epocale, prese ufficialmente posto accanto al Presidente. Caroline lo scrutò per qualche secondo in silenzio, al contrario di George che non perse occasione di sottolineare, in maniera non eccessivamente indisponente, l’assenza di professionalità che tradiva il gesto del suo collega.

Analizzarono la situazione generale dell’ospedale in più di due ore di esposizione, compiuta a ruota dai vari membri e intervallata da lunghi interventi da parte di Caroline riguardo alle novità che intendeva apportare ai numerosi reparti e al personale, nonché alla politica aziendale. A proposito del cambiamento di personale, George aveva qualcosa di importantissimo da dire.

“Sono lieto di ritrovare perfettamente in lei il mio modo di pensare alla ristrutturazione interna dell’ ospedale, Presidente. In questi giorni, ho condotto una mia personale ricerca sui benefici economici che potrebbero derivare dall’istituzione di una nuova branca relativa all’assistenza sanitaria.”

Gli occhi di Caroline si illuminarono: finalmente vedeva le sue idee attecchire in altre persone. Si alzò in piedi e ascoltò con attenzione il seguito del discorso di Goerge, mentre lo zio Cary cercava in tutti i modi di trattenersi dal ridere nel prefigurarsi la reazione che Carloine avrebbe avuto conseguentemente alla sorpresa finale.

“Pensavo di istituire un poliambulatorio in grado di fornire assistenza medica gratuita per le persone con reddito quasi inesistente. La logica che sta dietro a questa mia idea è quella di creare una società in cui tutti hanno diritto alla cura della propria salute, senza dover perire pur di non ricorrere alla consulenza di specialisti nel settore oppure dover rivolgersi a medici farlocchi.”

“Davvero interessante, signor Warleggan. Ma mi dica, con quali finanziamenti desidera offrire un supporto di qualità a questa gente?”

“E’ vero, per avere il meglio devi fare dei sacrifici. Tuttavia, sono convinto che dopo un investimento iniziale ad opera della mia banca l’ospedale avrà ottenuto un tale riconoscimento internazionale da riuscire ad autosostenersi con i soli fondi nazionali ed internazionali che sicuramente arriveranno in seguito."

Francis guardò basito difronte a lui, dove si trovava George. Mai, in tutta la sua vita, avrebbe immaginato tanta generosità da parte della famiglia Warleggan, “Hai avuto un’idea brillante, George. Vorrei solo poterla mettere in pratica subito…”

George sorrise, “Con il benestare del Consiglio, credo che si possa fare anche domani. Ho già individuato il nome della figura professionale di riferimento che fa al caso nostro, ma prima gradirei che si andasse al voto.”

“Quanti di voi sono favorevoli?” Caroline alzò la voce per farsi sentire bene da tutti. La risposta fu unanime: George aveva centrato appieno il suo obiettivo.

“Ah, giusto! Dimenticavo una cosa molto importante di cui avevo intenzione di parlarvi. Sfogliando i curricola che mi sono stati gentilmente spediti dal signor Poldark, ho selezionato quello che mi sembrava il più qualificato, anche a seguito del pensionamento della dottoressa Collins. Ci tengo a sottolineare che questo candidato non ha in alcun modo attirato la mia attenzione grazie alla sua parentela con l’amministratore delegato della compagnia. Si tratta del dottor Ross Poldark, appena tornato dall’America.”

Francis faticò a non balzare in piedi dalla sedia, “Che splendida notizia! Ross ha un master come medico d’urgenza sul campo, inviato dalla compagnia dell’esercito britannico!”

Al contrario, George impallidì clamorosamente. Non era pronto ad incassare un colpo del genere!

“Siamo d’accordo, dunque?” 

Anche in questo caso l’assemblea votò unanimemente per il sì. Ma George, che aveva dovuto nascondere la sua amarezza esprimendosi positivamente, interruppe Caroline, dandole il suo affondo finale.

“Appena terminata la riunione mi prodigherò a contattare il futuro direttore del policlinico, il dottor Dwight Enys. Sono sicuro che troverà in lei la sua più agguerrita sostenitrice.”

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Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


All’incirca nelle stesse ore in cui stava avvenendo la riunione, Trenwith si svegliava per fare colazione.

La serata era passata decisamente troppo in fretta per Ross e Demelza, i quali trovarono conveniente riunirsi vicino al fuoco del camino acceso nel salotto per sfuggire ai discorsi noiosi, e a dir poco indelicati nei confronti di Ross, intavolati da Francis ed Elizabeth a proposito dell’allestimento floreale a cui pensare per rendere l’antica dimora dei Poldark la cornice perfetta in cui inserire la loro attesissima festa del week-end.

Sebbene si fosse allontanato con la scusa del fumo, non fu difficile per gli altri capire il motivo reale per cui Ross aveva preferito lasciare il suo posto e rifugiarsi in un’ala privata della casa, dove dar libero sfogo ai suoi turbamenti interiori e alle considerazioni in merito alla scena a cui aveva assistito, servendosi dell’importantissimo sostegno di una persona completamente estranea alle dinamiche interne di quella famiglia. Ross offrì a Demelza un bicchiere di porto, osservandola con stupore mentre lo mandava giù tutto d’un sorso.

“Cosa c’è? Non sei l’unico ad aver bisogno di aiuto, sai?”

“Beh, ognuno ha i suoi vizi. Di certo, non sono io la persona più adatta a rimproverare gli altri!” Ross alzò un sopracciglio, rivolgendole contemporaneamente un sorriso malizioso.

Demelza accarezzò la testolina di Garrick, seduto proprio accanto alle sue gambe. Sentiva come una strana sensazione: un misto di pace ed eccitazione che si agitava ogni volta che quell’uomo, così dannatamente affascinante, posava il suo sguardo su di lei. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era prendersi una cotta per lui, legarsi sentimentalmente a un’altra persona e dargli il suo amore, senza nessuna garanzia di poter essere ricambiata. Le era successo con quello che avrebbe dovuto essere l’uomo più importante della sua vita, se non fosse stato tutto tranne che un padre, un’ombra che si faceva sentire a suon di botte e non conosceva altro linguaggio se non quello della violenza per comunicare con i suoi figli. Fidarsi di un uomo non sarebbe mai stato facile per Demelza…

Parlarono fino a mezzanotte, si sfiorarono, e ad ogni sguardo che Ross le rivolgeva, con una verve di innocente sensualità, finalizzata soltanto a godere pienamente della bellezza che Demelza emanava da ogni poro della sua pelle e della sua anima, corrispondevano i gesti timidi e le espressioni buffe di chi aveva dentro così tanto da non riuscire nemmeno a rendersi conto della propria ricchezza. Ross se n’era accorto dalla prima volta che l’aveva vista, o meglio quando aveva sentito il suono perfetto che produceva l’incastro tra le loro due personalità, e non sapeva ancora come fare per renderlo palese anche a lei.

Demelza buttò indietro il collo, appoggiando la nuca sulla morbida testata del divano su cui erano seduti, e chiuse gli occhi per qualche istante.

Provò a far scomparire ogni traccia di malinconia dal suo viso, ma non riuscì ad evitare che Ross se ne accorgesse. Si rimise dritta e abbassò lo sguardo, sperando di non dover giustificare per forza quello che le era appena accaduto. La situazione che si era venuta a creare con Ross e l’atmosfera surreale in cui si era trovata coinvolta rappresentavano soltanto una piccola parentesi della sua problematica vita, che era sicura sarebbe svanita moto presto, lasciandola di nuovo in balia del destino che si era scelta. No, questo a Ross non sarebbe proprio riuscita a dirlo…

“Domani ci aspetta una giornata piena, direi che sarebbe meglio se andassimo a dormire.”

“Giusto, ma…” Guardò Garrick, poi mirò nella prospettiva di Ross, rivolgendosi a lui con un’espressione quasi fanciullesca e allarmata, “Lui dove dormirà stanotte?”

“Dove preferisci tu, cara. Non accetto obbiezioni da parte di nessuno.” Verity entrò improvvisamente nel soggiorno e posò le mani sulle spalle di Demelza, “Con nessuno, intendo te cugino caro. Lo sai, vero?”

Ross si strinse nelle spalle, “Se lo desideri posso anche cedergli la mia stanza!” Poi fece un occhiolino a Demelza.

“Non è per niente una cattiva idea, visto che avevo pensato di sistemare la nostra ospite nella stanza difronte alla tua. Ma sono curiosa di sapere cosa ne pensa lei…”

“Mmmh, vediamo… per questa volta, lascerò che il legittimo proprietario riposi nella sua camera da letto. Mi sembra giusto, dopo il lungo viaggio che ha affrontato.” Demelza riuscì a stento a trattenere una risata al pensiero di Garrick stravaccato sul lettone di un uomo di ascendenza nobiliare, mentre i suoi occhi non faticarono affatto a trovare il sorriso di Ross, come se anche lui stesse pensando la stessa cosa. Quando si sollevò dal divano, le loro gambe entrarono in contatto per la prima volta e, dal momento che Demelza indossava un sottilissimo strato di calze nere sotto la gonna, riuscì a percepire ancora meglio il suo calore. Prima che Verity potesse farle da Cicerone, guidandola nell’immensità di quella casa a lei completamente sconosciuta, si fermò per augurare a Ross la buonanotte, ricevendo in cambio un abbraccio straordinariamente più lungo del previsto: era forse un modo per farle capire che aveva intuito quali emozioni l’avessero turbata qualche minuto prima di quel saluto?

La luce del giorno entrò placidamente nella bellissima stanza che era stata riservata a Demelza, accarezzandole il viso seminascosto dal cuscino. Il suo turno in ospedale sarebbe dovuto iniziare alle otto, ma la sua indole ansiosa fece sì che la sveglia suonasse per le sei, quindi il cielo che si ritrovò a contemplare, oltre lo strato di rugiada che ricopriva il vetro della finestra, conservava ancora un po’ di oscurità della notte. Era come se anche la Natura non volesse porre fine a quell’esperienza, ritardando l’arrivo di un nuovo sole per consentire a quello vecchio di splendere ancora un po' sulla sua vita.

Il silenzio che si respirava nell’aria contribuì a rendere la casa fuori dal tempo, ma lungo i corridoi un’estesa galleria di ritratti sembrava voler riempire quel silenzio, comunicando l’antica storia della famiglia Poldark attraverso l’espressione dei volti dei vari antenati. Prima di lasciare la stanza, Demelza preferì riordinare tutto e sistemare il disordine causato da Garrick, ma aveva dimenticato di pensare ai suoi capelli, oltre che al trucco e avvertiva il bisogno di fare una doccia. Tentò invano di trovare il bagno, evitando di coinvolgere i proprietari della casa in quella che considerava una situazione leggermente imbarazzante, quando fu Ross stesso, involontariamente, ad indicarle quale fosse la via giusta.

Il suo corpo perfettamente tonico, avvolto in un candido asciugamano, rendeva il tutto ancora più imbarazzante. Dentro di lei, Demelza sperò di poter sgattaiolare fuori dalla sua visuale il prima possibile, ma Garrick rovinò ogni suo proposito, costringendola a farsi coraggio e affrontare con simulato stoicismo l’ostacolo che si ritrovava a pochi metri di distanza. Ross si voltò di scatto verso di loro, con i folti capelli ricci che, grondando acqua, contribuivano in maniera decisiva a rendere irresistibile l’intera sua figura.

“Non credevo che anche tu fossi una tipa mattiniera.”

Demelza si avvicinò a lui con cautela, “In realtà, anch’io nutro dei forti dubbi che uno come te si svegli a quest’ora del mattino per combattere contro l’ansia del primo giorno di lavoro.”

“Cosa te lo fa pensare?” Questa volta fu lui ad accorciare maggiormente lo spazio tra di loro.

“Sai benissimo a cosa mi riferisco. Riesco ancora a percepire il profumo delle donne che hanno passeggiato lungo questo corridoio… Smentiscimi, se ne hai il coraggio!”

“Non qui, puoi starne certa. I ricordi che mi legano a questa casa sono schegge di vetro, ormai. Ma devo stare attento a non tagliarmi…” Si riferiva ad Elizabeth, ovviamente.

“Potresti sempre fare affidamento su di me. Sono abbastanza pratica a curare tagli e ferite, dico bene Garrick?” Si guardarono intensamente. Quella frase, pronunciata ingenuamente, conteneva una verità di cui Ross si sarebbe accorto molto presto e una profondità comunicativa che arrivava dritta al suo cuore, ancora non del tutto consapevole. Quando Demelza si accorse della forte allusività delle sue parole, divenne paonazza e distolse lo sguardo, affrettandosi a superare la strettoia per potersi fiondare rapidamente nel bagno.  

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Capitolo 10
*** Capitolo X ***


“Pronto?” La voce sorpresa di Dwight arrivò al suo orecchio senza filtri, come un pugno nello stomaco. Caroline volle essere a tutti i costi la prima persona a parlare con lui quel giorno, l’unica responsabile ammessa a comunicargli l’importante decisione che il Consiglio aveva preso all’unanimità, a seguito della proposta di George Warleggan.

“Dottor Enys, mi stupisce il fatto che tu abbia conservato il mio numero di cellulare. Credevo che fosse finito nell’archivio dei contatti da dimenticare…”

“Caroline, sei davvero tu?” Dwight continuava a mostrarsi meravigliato da quella telefonata, che mai avrebbe immaginato di ricevere, specialmente dopo la freddezza con cui si erano lasciati il giorno del funerale di Ray Penvennen.

“Hai lasciato la marina, vero? Immagino che adesso tu sia impegnato in qualche bettola a curare la varicella dei piccoli indigenti della costa. Ma non ti sei stancato di tutto questo?” Parlò velocemente, in modo che lui non potesse nemmeno tentare di controbattere.

“Beh, si… Sono qui ad occuparmi dei miei pazienti. E non mi interessa se siano piccoli indigenti che vivono in una bettola oppure ricchi proprietari di case di lusso, come la tua. Se posso essere utile, sono disposto anche a rimanere a digiuno per giorni. Non mi interessano i soldi.” Il tono di Dwight non voleva comunicare nessuna nota astiosa o risentita, ma solo la sua immensa passione per il lavoro che faceva e per la gioia che provava dopo la guarigione delle persone che si affidavano alle sue cure, anche se si trattava di famiglie per niente influenti. Caroline si rese conto che, ogni volta che l’argomento della conversazione virava su questioni che non riguardavano il suo lavoro, la voce di Dwight diventava sempre più distaccata e questo la fece sentire in pena per lui, sebbene si fosse ripromessa di non farsi più coinvolgere da simili debbolezze.

“Non è difficile capire il motivo per cui George Warleggan abbia fortemente voluto te, come direttore del nostro poliambulatorio gratuito. Ma, nel caso in cui dovessi accettare la nostra offerta, saresti costretto a ricevere un orribile, ripugnante e comunissimo stipendio da parte dell’ospedale. Saresti disposto a sopportare un tale affronto?”

Dwight strinse le labbra per reprimere un sorriso. Fortuna che Caroline non poteva vederlo e, soprattutto, leggere nei suoi pensieri! Avrebbe avuto un’idea troppo sincera dei sentimenti che si agitavano dentro di lui sin dal primo momento in cui aveva sentito la sua voce al telefono.   

“Cosa intendi con direttore del poliambulatorio? Non ne so assolutamente nulla!”

“Te ne vorrei parlare, ma preferirei che tu venissi qui da me. Adesso.” Caroline spiò oltre la porta di vetro del suo ufficio, per assicurarsi che non ci fosse nessun Warleggan nelle vicinanze.

“Non mi sembra una buona idea… A dirla tutta, mi suona piuttosto strana una proposta del genere!”

“E’ solo per affari. So che ci tieni tanto al tuo lavoro, quindi perché scartare a priori la mia offerta?”

Ci pensò su per un po’. Effettivamente, era da tempo che cercava un’avventura più stimolante e, ora che aveva lasciato la marina, avvertiva ancora di più il bisogno di tenersi impegnato in una nuova occupazione. Voleva distogliere la sua mente dal pensiero di Caroline, ritornare a contare solo su se stesso e dedicarsi anima e corpo ai suoi pazienti, però l’idea di poter fare del bene su larga scala, per di più da una posizione privilegiata che gli avrebbe consentito di apportare un cambiamento reale nel sistema sanitario della Cornovaglia, lo allettava parecchio.

‘Sono solo affari’ Continuava a ripetersi, pur sapendo benissimo che non si trattava solo di quello. Almeno da parte sua, Dwight non poteva fingere di essere completamente apatico al pensiero di dover riavere a che fare con Caroline.

“Aspettami, allora.”

“E’ una promessa?” Premette le sue labbra contro lo schermo del telefono, come a volerlo sentire ancora più vicino e percepire il suo fiato da lontano.

“No, spero proprio di no. Fare promesse mi rievoca brutti ricordi…”
“Solo perché tu non sei riuscito a mantenerne una? Anch’io ho la mia parte di colpa. Non sono certo un angelo, a dispetto di quello che si possa dedurre dal mio aspetto fisico.”

Rimasero in silenzio. Per quale santa ragione George Warleggan aveva fatto il nome di Dwight? Perché riaprire vecchie ferite ormai cicatrizzate, perché voltare l’ultima pagina di un libro già finito per continuare a scriverci su? Non c’era più niente da aggiungere a quel finale, purtroppo. E adesso avrebbero dovuto sopportare la reciproca presenza ogni giorno, sempre se Dwight avesse accettato l’offerta del Consiglio.

“Ti aspetto, dottor Enys.”

Chiusa la telefonata, Caroline si accertò che non ci fosse nessuno nelle vicinanze. Poi, con una scusa, comunicò alla sua segretaria di sollecitare il direttore finanziario affinché si recasse urgentemente da lei: attraverso questa manovra, sperava di tenere a bada George e impedirgli di mettersi in contatto con Dwight.

A Trenwith, Ross e Demelza si ritrovarono di nuovo faccia a faccia, questa volta decisi a non guardarsi troppo per non compromettersi oltre. Ross la condusse nella ricca sala da pranzo, decorata con pannelli di legno e finestre in stile Tudor, con l'intento di fare colazione e ricongiungersi con Verity. Da vero gentiluomo, fece entrare per prima Demelza, sfiorandole delicatamente la schiena e incoraggiandola a fare un passo in avanti.

Verity seguì la scena di sottecchi, spiando oltre il bordo della sua tazza da té. Le movenze impacciate con cui si relazionavano l’uno all’altra, non poterono che apparirle goffe. Tuttavia, ai suoi occhi ormai abituati a riconoscere da lontano le più impercettibili sfumature dell’amore quello strano comportamento si mostrava già come il naturale presupposto di una sempre più crescente infatuazione.

“Dormito bene, stanotte?” Chiese loro Verity, con uno scintillio negli occhi.

Ross e Demelza risposero all’unisono, guardandosi immediatamente dall’aggiungere dell'altro. Apparvero ancora più rossi in volto, ma per niente intenzionati ad abbandonare quella sensazione di piacevolezza nel fare le proprie considerazioni riguardo alla timidezza con cui continuavano a studiarsi.

Verity passò a Demelza la teiera di porcellana e un vassoio pieno di dolcetti, mentre Garrick cercava di far cadere a terra il prezioso piatto in argento su cui erano disposte le delizie, aggrappandosi al braccio della povera ragazza.

“Seduto, Garrick! Fai il bravo!”

“No, lascialo fare! Così finirà per sporcarti il vestito e noi avremmo più tempo per godere della tua compagnia!”

“Magari, sta cercando il modo per convincerti a rimanere…” Ross spalmò un velo di marmellata sulla sua frittella, parlando senza guardarla negli occhi.

“Oppure vuole disperatamente attirare le tue attenzioni, affinché ti decida a sollevare lo sguardo su di noi. Ross, perché non ti offri di accompagnare Demelza in ospedale?”

“Non è necessario, Verity. Ho la mia macchina, quindi sarebbe solo una perdita di tempo per Ross…” Finalmente i loro occhi si incrociarono e Verity, di fronte a quello spettacolo, non poté che rimanere senza parole. La chimica che producevano era tale da lasciare senza fiato chiunque li osservasse. Ma, prima che Ross potesse replicare al suo rifiuto, il maggiordomo di Trenwith annunciò l’arrivo di un ospite inatteso.

Si trattava di Elizabeth, che alla fine aveva deciso di seguire il consiglio di Francis e andare a parlare a tu per tu con Ross. Entrò con passo leggero ed elegante, portando involontariamente su di sé tutta l’attenzione dei presenti, in particolare quella del suo ex fidanzato.

"Elizabeth cara, non ti aspettavo così presto! Questa sì che una bella sorpresa!” La sorella di Francis posò una mano sulla sedia accanto alla sua, in modo che Elizabeth capisse quale posto sarebbe stato meglio evitare di occupare.

“Spero di non aver rovinato questo momento. Sembravate così sereni pochi istanti fa!” Elizabeth si riferiva al repentino cambiamento di espressione che aveva notato sul volto di Ross, ma anche all’imbarazzo palese di Demelza.

“Posso parlare con te, Ross?” Lo pregò, sbattendo le ciglia come fosse un cerbiatto indifeso.

Lui non rispose, ma si alzò da tavola e la prese sottobraccio. Insieme uscirono per passeggiare e discutere in privato nel giardino della vecchia casa di famiglia, lasciando intuire a Verity che non ci sarebbe stato nessun passaggio disponibile per Demelza.

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Capitolo 11
*** Capitolo XI ***


Arrivò in ospedale alle otto in punto. Nessuno si era preoccupato di darle maggiori informazioni riguardo a quello che avrebbe dovuto fare quel giorno, ma Demelza non si perse d’animo e sperò di trovare altri colleghi con cui condividere l’avventura. Aveva chiesto a Verity di badare a Garrick fino a quando non sarebbe stata libera di tornare a Trenwith, giusto per riprendere le sue cose e cercare un nuovo alloggio. Chissà se a Ross fosse passato per la mente che avrebbero potuto non rivedersi mai più, quando si era alzato dal suo posto per seguire la scia di briciole sparse da Elizabeth dietro di sé, affinché si illudesse di avere ancora una possibilità per nutrirsi della vecchia felicità, ormai andata perduta. Non credeva di poter stare così male al pensiero di dover accettare la fine dell’incantesimo, per ritornare ad essere la Demelza di sempre. Come Cenerentola, anche lei aveva avuto la sua occasione di evadere per qualche ora dalla solfa di una vita che incominciava ad andarle stretta, fatta di sacrifici continui senza alcuna ricompensa in cambio, anche se purtroppo la carrozza si era trasformata in zucca molto prima che lei potesse rendersi conto che il tempo della magia fosse finito.

Le eroine delle favole e i loro idilli servivano soltanto per dare false speranze a povere bambine ingenue, innamorate di quel lato romantico dell’esistenza che gli scrittori continuavano a vagheggiare come se fosse reale, non a una donna come lei, già conscia delle delusioni e della vacuità di tante promesse…

Una pila di documenti, in bilico sul piano della scrivania della reception, cadde improvvisamente a terra a causa della corrente provocata dall’apertura della porta d’ingresso. Demelza, che si trovava nelle vicinanze, si offrì di raccogliere i fogli, ma ben presto trovò l’aiuto di un altro paio di mani.

“Posso aiutarla?” Un uomo bellissimo, dalla folta capigliatura dorata e dagli occhi color azzurro cielo, sfoderò un sorriso gentile, mentre con fare esperto tentava di racimolare in fretta il maggior numero di fogli possibile per dare una mano alla giovane piegata per terra.

“Oh, grazie mille! Lei lavora qui?” Demelza si soffiò una ciocca di capelli via dalla fronte, così da avere una visuale più completa del suo viso.

Dwight scosse la testa e, in maniera non proprio convinta, le rispose, “Credo di no. O meglio, in realtà credo di non volerlo sapere. Sono stato convocato dal capo supremo, quindi immagino che lei non si sia allontanata troppo dalla verità.”

“Beh, non mi avevano detto che fosse così terribile! E’ il mio primo giorno da tirocinante, perciò sono un po’ spaventata…” Si strinse nelle spalle, mordendosi ansiosamente le labbra.

“Oh, no! No, no, non era mia intenzione quella di spaventarla! Ci sono passato anch’io, quindi so quello che si prova.” La guardò con sincera costernazione ma anche con tanta tenerezza, “Mi riferivo ad una questione privata, nient’altro. Non ha nulla a che vedere con quest’ospedale.”

Demelza tirò un sospiro di sollievo, “Menomale! Ma allora lei deve essere un paziente, mi scusi, a volte parlo troppo!”

“No, non sono un paziente, non si preoccupi. Non ha fatto nessuna gaffe!” L’atteggiamento di Demelza avrebbe intenerito chiunque, ma Dwight si sentì particolarmente colpito dal suo imbarazzo perché gli sembrò di riavere davanti agli occhi l’immagine del vecchio se stesso, durante il suo primo giorno di lavoro in ospedale.

Tuttavia, le esperienze successive che aveva vissuto avevano contribuito in larga parte a renderlo un medico molto più sicuro di sé, nonché uno dei migliori giovani professionisti di tutto il Regno Unito. L’umiltà intrinseca del suo nobilissimo animo non avrebbe mai consentito a Dwight di riconoscere pubblicamente il suo valore, per quanto ne fosse interiormente consapevole, perché dopotutto non era mai stata la gloria ciò a cui aspirava.

Proprio in quel momento, la segretaria di Caroline raggiunse l’atrio principale per assicurarsi che Dwight fosse arrivato, “La dottoressa Penvennen la sta aspettando, mi segua.” Prima di affrontare la prova del nove, necessaria per rendergli chiara una volta per tutte la sua posizione di fronte alla domanda che presto gli sarebbe stata riformulata da Caroline, e a cui non aveva ancora avuto il coraggio di rispondere, il giovane dottor Enys si avvicinò a Demelza per salutarla.

“Spero di poterla rivedere presto, dottoressa Carne. E’ così che si chiama, giusto?” Indicò il nome cucito sul suo camice immacolato.

“Mi troverà qui, a meno che io non combini disastri già nella mia prima settimana di servizio!” Si strinsero la mano per poi prendere strade diverse.

Dwight entrò nell’ufficio della personalità più importante dell’ospedale, quasi trattenendo il fiato per l’emozione. Non era capace di indossare una maschera per celare i suoi reali sentimenti, come aveva avuto modo di dimostrare ampiamente all’unica donna che fosse mai riuscito ad amare. Adesso, quell’ impietosa dea della caccia, travestita da Venere, che aveva inutilmente creduto di poter dimenticare, aspettava di spezzargli il cuore con una delle sue frecce infuocate.

“Grazie Dominique, ora puoi lasciarci soli.” La segretaria uscì fuori, chiudendosi accuratamente la porta alle spalle. George Warleggan era stato congedato da Caroline pochi minuti prima dell’arrivo di Dwight, ma la sua curiosità lo aveva indotto a rimanere comunque nei paraggi, visto che era riuscito a captare un’ombra di mistero nell’atteggiamento della sua superiore. Avrebbe scommesso che la stranezza di Caroline fosse un’ovvia reazione al colpo basso che le aveva inferto attraverso la nomina di Dwight come direttore del poliambulatorio, ma un piccolo dettaglio urtava clamorosamente contro la sua velleità a cantar subito vittoria. Quando si accorse della presenza di Dwight in ospedale, tentò di riflettere su quale potesse essere il motivo per cui, anziché fuggirlo, Caroline avesse deciso di contattarlo il giorno stesso in cui era sta approvata la sua proposta.

“Si accomodi, dottor Enys. Non vorrei che mi si accusasse di trattare male i miei dipendenti.”

Dwight eseguì l’ordine, ma non mancò di farle notare che non poteva ancora considerarlo un suo subordinato. Almeno per il momento, erano solo un uomo e una donna seduti l’uno di fronte all’altra.

“Ma certo, altrimenti perché ti saresti scomodato a venire sin qui, lasciando i tuoi pazienti in balia della febbre o di insopportabili dolori alle articolazioni? E tutto per colpa di una viziatissima bambina che si diverte a fare l’imprenditrice!”

“Farò finta di non aver sentito ciò che hai appena detto…” La fissò intensamente, con un sentimento di infinita nostalgia per quel fastidiosissimo cinismo, caratteristico della sua personalità, con cui lo aveva sempre bonariamente preso in giro.

“George Warleggan ha proposto la creazione di un centro specializzato ad altissimo livello, in cui professionisti appartenenti a varie branche della medicina possano offrire i loro servigi a pazienti bisognosi che non possono permettersi di pagare consulti clinici di tale livello. Se il progetto andasse in porto, gli stipendi dei medici disponibili sarebbero completamente finanziati dalla banca Warleggan e, nel caso in cui funzionasse, non escluderei il coinvolgimento di altre banche interessate a seguire il suo esempio.”

Dwight la ritenne un’idea geniale, anche se non riusciva a capire come un’idea del genere potesse essere stata concepita dalla mente di un arrogante egoista come George Warleggan. Doveva riconoscere che il principio su cui si fondava era esattamente in linea con la sua filosofia e che avrebbe fatto davvero un gran bene a tantissime persone.

“E perchè mai George Warleggan avrebbe fatto il mio nome? Credevo fosse in ottimi rapporti con il dottor Choake, perciò mi pare una mossa strana da parte sua. Tu cosa ne pensi?”

“L’importante è che abbia scelto un professionista di cui mi fido ciecamente…”

“Ma hai pensato alle conseguenze? Saremmo costretti a vederci quasi tutti i giorni!” L'uomo si sistemò nervosamente sull’estremità della sua sedia, per guardare dritto negli occhi di Caroline e sperare di trovarvi qualche traccia di cedimento, ma niente: l’apparente serenità con cui rispondeva al suo sguardo rappresentava una risposta sufficiente a fargli cadere ogni speranza.

“E’ finita, Dwight. Dovremmo partire da questa consapevolezza per evitare l’ imbarazzo e poi fare come se nulla fosse successo.”

“Qualcosa è successo, però…”

Caroline fece finta di non averlo sentito. Si alzò dalla sua poltrona e invitò Dwight a fare altrettanto, “Conto su di lei, dottor Enys. Dominique le farà avere tutte le informazioni nello specifico, compreso l’elenco in cui può inserire liberamente le sue preferenze circa il gruppo di collaboratori di cui si vuole avvalere.La ringrazio per la sua disponibilità.”

In quegli ultimi istanti, Caroline gli aveva dato l'impressione di essersi trasformata in una macchina automatica, senza nemmeno un briciolo di umanità. Dwight lasciò l'ospedale con il cuore nuovamente a pezzi, un foglio su cui scrivere l'inizio di quella che si profilava come una delle avventure più difficili della sua vita, ma soprattutto senza la forza di formulare il benché minimo pensiero a riguardo.

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Capitolo 12
*** Capitolo XII ***


Anche per Ross quello sarebbe stato un giorno di fondamentale importanza, per diversi motivi. Aveva ricevuto la comunicazione di un colloquio di lavoro presso la sede centrale dell’ Royal Cornwall Hospital soltanto il giorno prima, attraverso un messaggio di posta elettronica del tutto inaspettato, firmato direttamente da Caroline Penvennen.

Questa bellissima novità lo avrebbe senz’altro entusiasmato, se non fosse stato per l’insistenza di un pensiero che ruotava continuamente nella sua testa, privandolo del tempo e della libertà di dedicarsi completamente a un tale tipo di sentimento. Ciò che adesso provava nel cuore era un profondo senso di vuoto, l’impressione di trovarsi di fronte a un bivio, tormentato dalla scelta di proseguire dritto sulla strada intrapresa appena tornato dall’America, lungo la quale aveva trovato Demelza, oppure svoltare senza esitazioni nella via appena riaperta dalle ambigue dichiarazioni di Elizabeth.

Quando si era presentata a Trenwith, durante la colazione, la futura signora Poldark aveva riacceso un bagliore di speranza nel suo cuore, gli aveva fatto capire che sposare Francis non rappresentava una certezza granitica come poteva sembrare agli occhi degli altri, quanto piuttosto un’idea a cui anche lei aveva iniziato ad abituarsi nell’attesa del suo ritorno, prima di prendere coscienza del madornale errore che aveva commesso nel porre fine alla loro storia in maniera così frettolosa.

“Quindi, sei venuta  per dirmi che hai intenzione di lasciare Francis?” Mentre Elizabeth cercava di attingere dalla sua riserva interiore di coraggio la forza per affrontarlo, Ross continuava a voltarsi insistentemente verso la finestra della sala da pranzo, dove Verity e Demelza stavano continuando a consumare il loro primo pasto della giornata, chiacchierando in tutta calma.

“Non esattamente. Credimi, in questo momento mi sento davvero confusa e l’ultima cosa che vorrei fare è sbagliare un’altra volta finendo tragicamente col ferire Francis oppure, ancora peggio, dando a te false speranze.”

“Non mi sembravi tanto indecisa ieri pomeriggio. Dovrei forse pensare che ti stiano costringendo a sposarti?”

Elizabeth lo guardò con aria di rimprovero, rinnegando con fermezza la sua assurda insinuazione, “Ero soltanto agitata dalla tua presenza, Ross. Rivederti ha rispolverato vecchie sensazioni, di cui avevo dimenticato l’esistenza…” Rimasero in silenzio a osservarsi intensamente, Elizabeth desiderosa di scorgere nei suoi occhi tracce di quell’antica ammirazione nei suoi confronti che temeva di aver perduto per sempre e Ross con l’intento di leggere nello specchio della sua anima un accenno dell’ardore di un tempo.

“Non ho mai dubitato di questo, Elizabeth. Io so, e ho sempre saputo, che quello che c’è stato tra di noi non ha potuto dissolversi in un anno. Come posso fare a renderlo palese anche a te? E’ così chiaro, così naturale…”

“Non puoi fare nulla, se non rispettare i miei tempi. So perfettamente che il matrimonio sarà tra soli due mesi, ma non riesco a non pensare alle conseguenze che potrebbero esserci. Se annullassi le nozze, chi mi garantirebbe che tu resterai qui in Cornovaglia e non partirai di nuovo per qualche missione suicida dalla quale solo Dio sa come potresti uscire? Se sposassi Francis, invece, le cose sarebbero molto più semplici, in quello che probabilmente potrebbe rivelarsi un matrimonio molto più felice di quello che sembra.”

Ross ascoltò senza commentare, avvinto dalla consapevolezza di non poter fare niente di concreto per aiutarla a risolvere quel dilemma. Si trattava di una questione terribilmente delicata che Elizabeth avrebbe dovuto risolvere da sola, senza l’intercessione di nessuno. Eppure, sperava follemente che potesse cambiare idea e rendersi conto di non aver mai desiderato altro che stare al suo fianco.

Aveva perso la cognizione del tempo nel momento esatto in cui l’argomento della conversazione si era rivelato in tutta la sua importanza, perciò si ricordò soltanto allora della proposta che aveva in mente di fare a Demelza. Alle sue spalle, il rumore del motore di una macchina in movimento lo riportò alla cruda realtà, impedendogli di correrle dietro e di fermarla. Sapeva quanto quel lavoro in ospedale fosse di vitale importanza per lei e non desiderava che si beccasse una nota di rimprovero per colpa sua. Forse era troppo tardi per convincerla a tornare indietro, ma non troppo tardi per porre fine a quella conversazione e mettersi in marcia verso l’ospedale per cercare di raggiungerla. Riaccompagnò Elizabeth dentro casa e la lasciò in compagnia di Verity, seguendo l’unica via che il suo cuore martellante gli suggeriva per non perderla. Per non perdersi di nuovo.

Demelza finì il suo turno, sentendosi così esausta da desiderare soltanto un letto su cui tuffarsi una volta recuperato Garrick da Trenwith. Verity la stava aspettando e probabilmente avrebbe fatto di tutto per trattenerla un’altra notte lì con loro, ma Demelza non poteva permettersi di usufruire ancora della generosità della loro famiglia senza poterla ricambiare in qualche modo. Si era fatto tardi e il cielo, illuminato da un tappeto di stelle, sembrava volerle raccontare una bellissima favola, in cui questa volta era lei a salvarsi dai pericoli della vita, attraverso la forza di quell' indipendenza che mai nessun principe avrebbe potuto garantirle.

Si riparò il collo con il bavero del cappotto per sfidare il vento invernale. Era certa che quella notte l’avrebbe passata in macchina, abbracciando forte il suo pelosetto per non sentire troppo il freddo e la solitudine dell’oscurità. Tuttavia, la vista inaspettata di un viso familiare la costrinse ad arrestare il passo e a rivedere alcuni punti del suo programma.

“Avevo perso di vista una cosa. Sono venuto a cercarla e ora che l’ho trovata, posso tornare a casa insieme a lei.”  

“Sei così sicuro che succederà? Dopo stamattina, non mi sarei certo aspettata di trovarti qui. Quindi, come puoi vedere, non sempre le cose vanno come uno se le immagina…” Il suo tono di voce era chiaramente ironico, ma proprio per questo perfettamente appropriato al messaggio che Demelza intendeva comunicargli. Voleva che Ross si mettesse per qualche secondo nei suoi panni per sentire la stessa delusione che l’aveva scossa quando si era resa conto di non essere abbastanza importante per lui da meritarsi la sua considerazione, rispetto al più urgente bisogno che aveva dimostrato di parlare per quasi un’ora con Elizabeth. Avrebbero potuto non rivedersi mai più, ma Demelza aveva dovuto accettare l’idea che questa preoccupazione riguardava soltanto lei e pertanto abbandonare ogni illusione in cui scioccamente si era concessa di indugiare, pensando a Ross come un uomo migliore degli altri.

“Non avrei dovuto trascurarti, Demelza.” Si tolse la giacca e la mise intorno alle sue esili spalle, proteggendola ancora meglio dal freddo che percuoteva le sue membra. Quel profumo, il suo profumo la inebriò cingendola se possibile meglio di un abbraccio e lasciandole una piacevolissima sensazione di subbuglio nello stomaco, oltre che un brivido di adrenalina lungo la schiena. Lo fissò, indecisa su quali parole scegliere per rispondergli.

“Come è andata la tua prima giornata di lavoro? Devo ammettere di averti spiato da lontano, non appena sono uscito dallo studio di Caroline.” Mentre la sua bocca produceva una nuvola di fumo nell’aria giacchiata, Ross si accese una sigaretta. “Poi ho aspettato che finissi, dando un’occhiata ad un progetto molto interessante di cui abbiamo discusso insieme.”

“Caroline? Non sapevo che tu e la dottoressa Penvennen vi conosceste. In realtà, non credo di sapere neanche il motivo per cui tu sia venuto, a parte cercare di riacquistare la mia fiducia…”

“Anch’io sono un medico. Precisamente un chirurgo specializzato in medicina d’urgenza.” Osservò divertito l’espressione al limite tra lo stupore e l’imbarazzo che aveva dipinta sul volto. Possibile che fosse così naturalmente irresistibile? Non aveva bisogno di nient’altro, se non di quel suo meraviglioso modo di essere una persona genuina, gentile e soprattutto buona. La grazia e il fascino unico che la contraddistinguevano esteriormente erano soltanto degli attributi aggiuntivi, ma non per questo indegni di considerazione.

“E per la cronaca, sei stata fenomenale con quel marmocchio che aveva il braccio slogato! L’hai rimesso a posto in un battito di ciglia, senza che lui se ne accorgesse nemmeno.” Sentì il dovere di aggiungere qualcosa, per riempire il silenzio che si era intraposto tra di loro.

Demelza storse il naso, “So che non è vero. Lo dici tanto per farmi piacere, pur sapendo benissimo che si trattava di una manovra molto semplice.”

“Ma io non mi riferivo soltanto alla manovra, quanto piuttosto alla fiducia che sei riuscita a trasmettere al bambino. Anche se quegli occhi incanterebbero chiunque…”

“E’ una lusinga oppure un complimento vero?” Si avvolse sempre più stretta nella giacca di Ross, ancora intrisa del suo inconfondibile profumo, aspettandosi un’altra battuta da parte sua. Tuttavia, Ross si fece serio e le porse una mano affinché lei gliela afferrasse. Mise l’altra mano nella tasca della giacca che ora indossava Demelza ed estrasse un piccolo oggetto tintinnante, di cui nascose l’aspetto nel palmo della mano candida che teneva nella sua. Demelza la guardò incuriosita, poi dischiuse lentamente le dita rivelando la natura del dono che le aveva fatto Ross. Era un mazzo di chiavi dalla forma vintage, tenuto insieme da un antico nastro color oro su cui era stato ricamato un nome che Demelza non aveva mai sentito prima.

“Cosa significa questo?”

“A te serve una casa e io ne ho una, Nampara. E’ un piccolo cottage immerso nel verde e vicinissimo a Trenwith, per cui se avrai bisogno di aiuto ci saremo io e Verity pronti ad aiutarti in qualsiasi momento.”

Demelza fece appena in tempo per apprezzare la magnanimità di quel gesto, che lui si girò per andarsene, lasciandola sbigottita e senza parole.

“E adesso te ne vai?”

Ross si voltò verso di lei con un sorriso sulle labbra, “Vado a bere qualcosa per festeggiare la mia vittoria sul tuo orgoglio. La prenderesti come un'offesa se ti invitassi a unirti ai festeggiamenti?"

"Niente affatto. Meglio berci su!"

Procedettero insieme fino alla prima svolta della strada, imponendosi con estrema fatica di non tenersi ancora per mano.

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Capitolo 13
*** Capitolo XIII ***


Quella prima settimana a Nampara fu una delle più serene della sua vita. Insieme a Garrick, si era ritrovata a conoscere il vero valore della felicità e a sperare di poter avere la fortuna di non svegliarsi più da quel sogno per continuare a godere di quella meraviglia. Ross si era dimostrato un uomo dal cuore grandissimo, capace di compiere gesti di antica galanteria ed eccezionale magnanimità nei confronti di una persona completamente sconosciuta ma palesemente bisognosa di aiuto e soprattutto d'affetto, e questo Demelza non l’avrebbe mai potuto dimenticare…

Come non avrebbe potuto dimenticare nemmeno l’amicizia di Verity: la giovane Poldark si era dimostrata alla stregua di una sorella, sempre pronta ad accogliere le sue confidenze e a tirale su il morale nei momenti di forte stress e malinconia. Anche Francis aveva dato sfoggio di una particolare simpatia nei confronti del suo carattere, così lontano da quello della maggior parte delle persone con cui era entrato a contatto sin dall’infanzia e in particolare di Elizabeth. Forse era per via della sua capacità di non arrendersi mai, di non perdersi di fronte alle difficoltà e di sapersi adattare, ritrovando sempre se stessa e facendo di tutto per non fingere di essere una persona diversa da quella che era realmente, che Demelza era riuscita a far breccia nel suo cuore. Una persona rara, dunque preziosa e necessaria per cercare di migliorarsi, guardando a lei come un esempio di grande virtù morale.

Il giorno della festa di fidanzamento tra Francis ed Elizabeth coincideva con il suo primo weekend libero, perciò Demelza si concesse il lusso di dormire fino a tardi, recuperando tutte le ore di sonno perse a causa del lavoro in ospedale e dell’impegno extra che si sentiva in obbligo di mettere studiando intensamente anche a casa, persino la notte.

Non conosceva i dettegli precisi del ricevimento che era stato organizzato a Trenwith, ma non aveva osato neanche pensare di chiedere maggiori informazioni a Verity o a Ross, perché avrebbero potuto scambiare facilmente la sua curiosità per invadenza. No, i Poldark avevano fatto già fin troppo per lei e non intendeva chiedere loro nulla di più del dovuto, perché persino la loro presenza nella sua vita era tutt’altro che scontata e, pur desiderando avidamente di partecipare alla festa, il suo cuore non poteva essere più appagato di così. Presto si sarebbe messa l’anima in pace.

Scese di sotto per fare colazione, stringendosi nella sua vestaglia color ametista, quando vide Garrick curiosare insistentemente nei pressi della soglia d’ingresso. Si accorse subito di una busta infilata a metà nella fessura della porta, ancora integra nonostante l’umidità della giornata.

“Quale messaggio segreto ci sarà scritto qui dentro per noi, lo scopriamo insieme Garrick?”

Il cane si limitò a scodinzolarle e a guardarla con un’espressione confusa, inclinando leggermente la testa di lato. A primo acchito, Demelza pensò che fosse posta per Ross, magari qualche bolletta non pagata oppure avvisi simili a quelli che aveva trovato il primissimo giorno in cui si era trasferita a Nampara: si trattava di vecchi telegrammi spediti da amici e colleghi di Ross in occasione della morte di suo padre Joshua. Ma, questa volta, l’indirizzo sulla busta era rivolto proprio a lei, ragion per cui decise subito di leggerne il contenuto, placare la sua ansia e scoprire chi mai avesse potuto apprendere così presto del suo trasferimento.

Prima di entrare nel vivo della lettera, Demelza prese un profondo respiro e cercò con tutte le sue forze di allontanare la paura che suo padre fosse riuscito a rintracciarla e avesse scritto intimandole di tornare immediatamente a casa dai suoi fratelli. Non era difficile comprendere quante difficoltà la sua assenza gli avesse comportato, soprattutto perché il vecchio Carne era stato costretto ad abbandonare momentaneamente il suo maledetto vizio di libertà, per quel minimo di responsabilità richiesta nel prendersi cura dei suoi figli e non lasciarli in balìa di se stessi.

Quando lesse il primo rigo, sentì la tensione alleggerirsi e tutta l’adrenalina trasformarsi rapidamente in eccitazione per la sorpresa di quello che i suoi occhi stavano leggendo. Quella calligrafia non le era per nulla nuova, dal momento che ricordava di averla vista a Trenwith sulla partecipazione di nozze dei futuri coniugi Poldark. La lettera che aveva davanti non era altro che un invito, da parte di Francis, a unirsi al resto della famiglia e degli amici nella celebrazione del loro fidanzamento.

“Oh Dio, Garrick!!! Siamo stati invitati, ci credi?” Demelza prese il muso del cane tra le sue mani e lo riempì di baci e di carezze, mentre stava inginocchiata alla sua altezza, con il peso del suo corpo sulle gambe. Una volta messo da parte l’entusiasmo, però, non tardò ad arrivare il senso di inadeguatezza rispetto alla crème della crème di invitati che senza dubbio avrebbe omaggiato Francis ed Eilzabeth della propria esclusiva presenza a Trenwith, e allora tutta la magia si disperse intorno a lei, come un profumo ormai lontano e irraggiungibile.

Chi era lei, se non una povera disgraziata salvata, servita e riverita dai Poldark in ogni suo bisogno, quasi si sentisse già la scroccona desiderosa di accalappiarsi lo scapolo della famiglia che tutti avrebbero avuto modo di considerare, ascoltando la storia rocambolesca della sua vita. Eppure quest’immagine era ciò che più di lontano potesse esserci dalla verità, dal suo modo di essere e di concepire certe cose.

Smarrita nei meandri di quest’altalena di emozioni, si dimenticò completamente del suo aspetto arruffato e aprì la porta distrattamente, ritrovandosi un Ross con le lacrime agli occhi per le risate.

“Sembro uno spaventapasseri, lo so!” Anche Demelza scoppiò a ridere, facendogli segno di entrare.

“In realtà sembri più una bambola spettinata, ma pur sempre una bambola…” Appoggiò sul tavolo un vassoio pieno di manicaretti, in modo da risollevarle l’umore, “Credo di aver fatto l’investimento migliore, dandoti in custodia la mia casa. E’ incredibile il lavoro che hai fatto in una sola settimana per riportarla in auge!”

“Mi dispiace che tu non possa godertela. Spesso mi sono sentita sola e ti confesso che avrei gradito molto la tua presenza qui…Scusa, è stata la parte più egoista di me a parlare!”

Si sedettero uno di fronte all’altra, vicino al camino ancora spento. Demelza divenne rossa come un peperone, ma dentro sentiva di aver detto la verità, senza nessuna malizia o provocazione. Era esattamente ciò che le diceva il cuore. Ross andò ad accendere il fuoco, passandole velocemente davanti con la speranza di riuscire a nascondere la sua reazione alla confessione appena fattagli.

Non poteva certo dirsi felice quel giorno, tanto atteso da Francis quanto temuto dalla sua speranza di assistere all’annullamento della nozze. Evidentemente Elizabeth aveva preso la sua decisione oppure era così debole da non riuscire a non soccombere al peso del senso di colpa, dimostrandosi incapace di porre un freno alla catena di eventi che lei stessa aveva messo in moto.

Questo, Demelza lo intuì quasi immediatamente. Gli occhi dell’uomo che contemplava erano più moggi del solito, attraversati da un inedito riflesso malinconico.

“Quindi, questa sera sarai impegnato a festeggiare. Immagino che tu non veda l’ora…”

“Come no! Di sicuro, non vedo l’ora di ritrovarmi circondato da gente che farà di tutto per ostentare il suo potere e la sua ricchezza. Spero che il sarcasmo possa aiutarmi a superare la serata, oltre ai fiumi di champagne che verranno gentilmente offerti da Francis.”

“Ed Elizabeth?”

Ross si alzò per andare a guardare il panorama fuori dalla finestra, “Dovrei smetterla di continuare ad urtare la testa contro lo stesso muro. Ma, è un movimento automatico che non mi concede tregua. Lei ha scelto mio cugino, questa è la realtà.”

“Non c’è cosa più difficile che accettare la realtà. E’ un processo che può apparire innaturale, se considerato con il cuore, ma  indispensabile per trasformare il dolore in apprendimento. Forse è stato un bene che Elizabeth abbia scelto di sposare Francis, perché se non fosse funzionata tra di voi le conseguenze sarebbero state ben peggiori di quello che immagini e uno dei due avrebbe sofferto atrocemente.”

Ross annuì, volgendosi verso di lei con gli occhi lucidi ma decisi a fidarsi delle sue parole. Demelza lo raggiunse, sventolandogli l’invito sotto al naso, “Allora saremo in due a sentirci a disagio, Ross. Non ho la più pallida idea di cosa indossare, di come comportarmi e di cosa dire agli altri ospiti per non apparire ridicola: sono questi i veri problemi della vita, credimi!”

“Ti avrei portata con me ugualmente, anche se non avessi ricevuto l’invito ufficiale. Tu sei la mia bussola, Demelza, e non posso permettermi di perderti se non voglio rischiare di perdere anche me.” 

"Oh, che belle parole! Sarei anche disposta a crederci, ma per il momento preferisco non affezionarmici troppo." 

Ross le accarezzò il mento, in un gesto di grandissima tenerezza.

"Dirò a Verity di portarti con lei a ritirare il suo vestito. Scegli ciò che ti piace e ti basti sapere che non accetterò repliche da parte tua."

"In questo modo sarò di nuovo in debito con te, però ti prometto che presto lascerò questa casa. Spero solamente di non..."

"Affezionartici troppo? Qualcosa mi dice che non ce n'è bisogno. E' già abbastanza chiaro per me e, checché tu ne dica, sono sicuro che non ci vorrà molto affinché tu inizi a fidarti anche del contenuto dei miei stentati discorsi romantici." Le stampò un bacio sulla guancia, poi la salutò frettolosamente e si richiuse la porta alle spalle, appoggiandosi per un istante sul battente di legno per rimettere in ordine i suoi pensieri, ancora più confusi del solito. 

 

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Capitolo 14
*** Capitolo XIV parte seconda ***


Adesso la scena era tutta sua. Come una moderna Cenerentola, Demelza notò immediatamente l’effetto dell’incantesimo prodotto dal suo arrivo negli occhi intrigati di chi, discretamente oppure in maniera molto più sfacciata, continuava a osservarla con curiosità sempre più crescente. Nonostante si sentisse davvero splendida nel suo abito di velluto smeraldo, consigliatole con immenso entusiasmo dalla sua fata madrina Verity, l’unico sguardo che per lei contava davvero era quello di Ross.

Facendosi strada a fatica tra sete pregiate e chiffon vari, la prima persona che ebbe la sfortuna di incontrare fu George. Il giovane rampollo dei Warleggan ebbe l’audacia di porgerle un flûte di champagne senza neanche conoscerla, fidandosi della prima impressione che quella ragazza così carismatica aveva esercitato non soltanto su di lui, quanto piuttosto sulla maggior parte delle dame e dei signori che potevano vantarsi di detenere il monopolio assoluto del potere sociale ed economico in Cornovaglia. Come loro, anche George non si sarebbe lasciato sfuggire dalle mani l’occasione succulenta di accattivarsi l’amicizia di una personalità di punta, magari scoprendola prima di tutti gli altri e quindi ponendosi in cima alla lista di coloro i quali avrebbero potuto trarre maggiore vantaggio da una simile conoscenza.

“Mi pare di non avere mai avuto l’onore di incontrala, signorina. Eppure, se ci troviamo entrambi qui stasera vuol dire che abbiamo qualcosa in comune di cui ancora ci sfugge l’esistenza.”

“No, infatti.” Demelza non sapeva cos’ altro dire, sentendosi presa alla sprovvista dall’irruenza dell’approccio di George. Si limitò a ringraziarlo per la gentile offerta dello champagne, una dose di coraggio liquido di cui aveva davvero bisogno per non sentirsi a disagio in quell’ambiente sofisticato e completamente estraneo alla sua natura.

“E’ una parente dei Poldark? Oppure dei Chynoweth?”

“Sono solo un’amica di Ross, oltre che del signor Francis naturalmente…” In quel momento si rese conto della rapidissima e quasi impercettibile smorfia fatta da George con le labbra, presto contratte in un finto sorriso a cui Demelza rispose con semplice educazione. Qualcosa nell’espressione generale di quell’uomo era cambiata da quando aveva sentito pronunciare il nome di Ross, tanto che Demelza trovò scontato immaginare una malcelata antipatia tra i due. Mentre George tentava di dischiudere il mistero della sua presenza a quella festa, Demelza si sentì insistentemente osservata da un giovane affascinante, che si trovava all’angolo estremo del tavolo dove sarebbe stato servito il buffet.

La sua pelle d’alabastro, resa ancora più visibile dalla scollatura del suo abito finemente confezionato e per niente volgare, brillava di riflessi dorati fungendo da piacevolissimo contrasto all’acconciatura semi raccolta dei suoi capelli vermigli. Pareva il soggetto di un ritratto preraffaelita a cui fosse stato dato il dono di un’anima, soltanto per diffondere le vestigia di un antico ideale di bellezza ormai eclissato da una moda scadente e di pessimo gusto in un mondo salottiero sì, ma non più mecenate e divulgatore di cultura emozionale di alto livello.

Della rarità di quella creatura, il primo a meravigliarsi fu il giovane nipote di Lord Flamuth, il tenente Hugh Armitage, il quale trovò opportuno congedarsi dalla sua compagnia di conoscenti per avvicinarsi al duo composto da George e Demelza nel più rapido tempo possibile.

Ogni volta che la mancanza di argomenti in comune con George rasentava il limite, Demelza sperava che la si lasciasse libera di riprendere la sua ricerca di Ross, ma l’inaspettato sopraggiungere di quell'altro uomo sembrò allontanarla ulteriormente dal suo obiettivo e accrescere la sua tensione.

“Quale fortuna ha baciato la mia mano perché potessi ritrovarmi di fronte agli occhi tanta bellezza!”

George si voltò di scatto, notando con un certo fastidio la presenza di Armitage, “La signorina Carne sembra attirare tutti gli uomini come una calamita, caro tenete. Potrebbe aiutarmi lei a convincerla a svelarmi qualcosa di più sul suo conto? E’ un tale peccato essersi accorti soltanto questa sera di lei, che vorrei rimediare in qualche modo.”

“Non sono così importante come crede lei, signor Warleggan. Anzi, vuole sapere la verità? Avevo paura che sarebbe rimasto deluso se avesse saputo chi sono in realtà, perciò ho preferito tenerla sulle spine e rimandare finché lei me lo avrebbe concesso.”

Demelza cercò l’appoggio di Hugh, il quale continuava ad ammirala come se fosse un esemplare unico di un essere divino ancora sconosciuto agli uomini. Le si avvicinò con passo elegante per farle il baciamano, “Non è una mano, né un piede, né un braccio, né un viso, nulla di ciò che forma un corpo. Prendi un altro nome.
Che cos'è un nome? Quella che chiamiamo "rosa" anche con un altro nome avrebbe il suo profumo…

“È molto gentile.” Demelza arrossì in preda al più totale imbarazzo, ma la delicatezza e l’onestà del modo in cui Hugh si rivolgeva a lei colpirono piacevolmente la sua sensibilità. Era una specie di corteggiamento affatto molesto, diversamente dalle occhiate che più di qualcuno aveva avvertito la necessità di lanciarle da lontano.

“Forse farebbe meglio a ringraziare Shakespeare...” Aggiunse George a bassa voce, alquanto seccato da quel patetico tentativo di lusinga.

“Ma se lei è Giulietta, allora chi è il suo Romeo? Non voglio credere che sia sola, sarebbe un affronto troppo grave!”

“Un momento di silenzio, per favore.”

Quando Francis richiamò l’attenzione collettiva per proporre un brindisi in onore della serata e di tutti gli amici che avevano accolto il suo invito, Demelza trovò fortunatamente l’occasione per fuggire dalle grinfie di George, ritrovandosi per contrasto tra le braccia forti e protettive dell’uomo che stava cercando. Ci mancò poco perché non cadesse a terra, a causa della difficoltà con cui ci si muoveva tra tutte quelle persone riunite in una stanza piuttosto stretta, ma la figuraccia che avrebbe potuto fare sarebbe valsa centomila inciampi se solo le avesse garantito quel conforto assoluto del contatto con Ross.

Si sorrisero a vicenda, entrambi con gli occhi lucidi e stregati dalla propria reciproca bellezza. Poi, Ross la prese per mano e la condusse dal suo migliore amico e da Caroline, i quali non aspettavano altro che conoscerla.

“Amici miei, mi dispiace disturbarvi proprio nel momento in cui Francis ha deciso di renderci partecipi della sua felicità, ma ho qui qualcuno che vale notevolmente di più di tutte quelle parole melense che altrimenti otturerebbero le nostre orecchie.”

“Io non ho nulla in contrario alla dichiarazione d’amore di un giovane realmente innamorato, e spero ricambiato, della sua fidanzata. E’ raro di questi tempi, ma sono felice di sapere che l’amore non si sia ancora estinto del tutto.” Le parole di Dwight contenevano una sottilissima ironia nei confronti di Caroline, che presto si accinse a rendere chiara la sua diversa opinione a riguardo.

“Oh cielo, neanch’io ho voglia di affogare nel romanticismo se ne ho la possibilità! Allora, chi è questa meravigliosa creatura che morivi dalla voglia di presentaci, Ross?” Caroline incrociò le braccia al petto, studiando attentamente i delicatissimi lineamenti del viso di Demelza.

Ma, prima che Ross potesse svelare loro il suo nome, Dwight fu preso da un’imminente epifania, “La dottoressa Carne!”

Lo sguardo di Ross prese a vagare con stupore dall’uno all’altra, mentre nel frattempo anche Demelza era riuscita a mettere a fuoco quel volto conosciuto.

“Come ha fatto a ricordarsi come mi chiamo?”

Dwight le rivolse un sorriso molto dolce, “Perché proprio stamattina ho inserito il suo nome tra quelli dei collaboratori che vorrei al mio fianco per il nuovo poliambulatorio dell’ospedale. Da oggi, credo che dovrò iniziare a fidarmi di Ross quando mi dirà di aver trovato una persona speciale che vorrebbe presentarmi!”

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Capitolo 15
*** Capitolo XIV parte prima ***


XIV

Le prime sfumature del tramonto tinsero il cielo di venature rosacee, come a fare da sfondo ideale alla monumentale costruzione di Trenwith, in modo da conferire all’atmosfera di festa un’impressione straordinariamente romantica. All’interno, sebbene tutto fosse stato sistemato a regola d’arte e selezionato con l’idea di poter trasmettere agli ospiti il gusto raffinato degli sposi, un’ombra profonda faceva da controcanto alla luce che batteva sui vetri policromi delle finestre, rendendo l’illuminazione interna dei preziosi lampadari una pallida e stonata imitazione della natura.

Ross era già pronto nel suo smoking scuro dal taglio perfetto per il suo corpo statuario. Era riuscito a domare i suoi capelli ricci con della brillantina, ottenendo un effetto irresistibilmente seducente a cui nessuno avrebbe potuto facilmente, o volontariamente, resistere. Certo, Ross era pronto ad assistere a quella che, dal suo punto di vista, rappresentava un’enorme farsa messa in scena dal protagonismo di Elizabeth e dalla sua voglia di impartire agli altri una lezione sull’amore per cercare di autoconvincersi che fosse proprio quello il sentimento che l’avrebbe condotta all’altare da Francis, senza nessun rimpianto. Ma poteva dirsi altrettanto preparato a cedere completamente ogni speranza, lasciando sfumare via il sogno di una vita con la donna che amava da quando era un ragazzino, e porre Elizabeth sullo stesso piano di una cugina?

“Ross, che fortuna averti trovato prima che la casa si riempia di persone!” Francis lo raggiunse, tentando goffamente di legarsi attorno al collo il papillon. Era visibilmente teso, ma anche eccitato e completamente incapace di riconoscere negli altri emozioni diverse da quelle che egli stesso provava in quel momento.

Ross gli sorrise e lo aiutò a sistemarsi il cravattino con affetto sincero, proprio come se fosse stato suo fratello, “Cosa volevi dirmi di così urgente?”

“Solo che ti stimo, tanto. Non credo che sarei stato capace di reagire come hai fatto tu, per questo volevo che tu sapessi quanto io ti ammiri.” Evitò di guardarlo in faccia, mantenendo un profilo basso. Ma Ross lo strinse forte in un abbraccio, preferendo tacergli ciò che pensava realmente della situazione per evitare di incupirlo proprio in uno dei giorni più importanti della sua vita. Era piuttosto raro che Ross facesse un passo indietro, eppure il legame famigliare con Francis aveva saputo tirare a freno il suo orgoglio smisurato in nome di un affetto più grande del debole che egli nutriva per il suo ego ferito.

Tra gli invitati di maggiore prestigio sicuramente non potevano mancare Caroline Penvennen e George Warleggan, i quali arrivarono con pochi minuti di scarto uno dall’altra, ma con le intenzioni più lontane e discordanti che ci potessero essere su quale bersaglio colpire e quale vittoria riportare da quel silenzioso campo di battaglia, travestito per l’occasione da elegante palcoscenico mondano. Si salutarono con finta cordialità, come l’etichetta prevedeva, per poi dividersi e perdersi tra la folla dei tanti ospiti che avevano già riempito il salone principale della casa.

Caroline aveva scelto di indossare un tailleur rosa corallo, con una camicetta in seta color champagne e un paio di decolleté d'orsay dorate, seguendo alla lettera le ultime novità dettate dalla moda londinese. Era magnifica e splendente, una stella luminosa su cui bastava puntare lo sguardo per rimanere abbagliati. Ben presto, tuttavia, si ritrovò circondata da una moltitudine di persone che morivano dalla voglia di conoscere la nipote di Ray Penvennen soltanto per poter esprimere un giudizio su di lei e contribuire alle chiacchere da salotto dell’alta società, dacché in giro non si parlava altro che della sua irrefrenabile scalata verso il successo.

“Signorina Penvennen, sono molto lieta di fare la sua conoscenza. Mi pare di capire che suo zio ci abbia visto lungo con lei…”

La vedova Withworth, accompagnata dal suo carissimo figliuolo Osborne, fu la prima a rivolgersi a Caroline.

“Mi fa piacere che sia questa l’opinione in voga al momento. E’ passata solo una settimana da quando ricordo che il mio nome era sulla bocca di tutti, o perlomeno di tutti quelli che pensavano fossi poco più di una semplice raccomandata incapace di svolgere un compito di tale livello. Lei di quale fazione fa parte?”

L’anziana signora la guardò inorridita. Sommersa dall’imbarazzo fino al collo, prese al volo un flûte di champagne e si congedò da lei con una scusa poco credibile, portandosi dietro un Osborne alquanto confuso e affamato. Finalmente, un birillo era caduto e difficilmente avrebbe potuto rialzarsi sulla pista a causa della forza invincibile della motivazione con cui Caroline si era presentata al cospetto di quel circolo di avvoltoi e aveva sferzato il suo primo colpo. Una sorta di riscatto da tutte le ingiuste maldicenze diffuse su di lei e sulle sue capacità professionali. 

Quando fu di nuovo sola, cercò una via di fuga per respirare l’aria fresca della sera ed espellere le tossine derivate dalle conversazioni avute fino ad allora, che avevano stremato il suo corpo rendendola a dir poco nervosa. Dietro di lei, un’ombra minacciò di riportarla a discorsi di cui avrebbe preferito fare a meno, almeno per un po’. Si voltò, dissimulando la propria seccatura, “Oh, quale grave mancanza! La futura sposa è appena arrivata e io non le ho ancora porto i miei saluti e le mie congratulazioni, se volete scusarmi vado a riparare subito…”

Fece di tutto per defilarsi in fretta da quel vicolo cieco, quando si rese conto di aver commesso un gravissimo errore di valutazione.

“Dottor Enys, arriva giusto in tempo per salvarmi dalle bocche affamate di quei lupi laggiù. Non pensavo che la mia posizione mi avrebbe messo in mostra come in una vetrina di un negozio di cristalleria e, soprattutto, non immaginavo di fare così tanta fatica ad apprezzare questo interessamento. Non lo trova sconvolgente?”

“La tua indole egocentrica inizia a sottomettersi alla dolcezza che c’è in fondo al tuo cuore. È difficile ammetterlo, anzi sono sicuro che non ci riusciresti nemmeno volendolo, ma è la pura verità.”

Caroline si sforzò di mantenere un atteggiamento disinteressato, giocherellando con i bracciali che aveva sul polso, “Trovo che tu sia persino a più agio di me in questa serata. Strano davvero… Dovrei forse iniziare a preoccuparmi?”

“Preoccuparti di te o di me?” Dwight si rese conto di aver colpito la parte più sensibile della donna che aveva davanti agli occhi, una persona che aveva amato immensamente e che probabilmente continuava ancora ad amare, suo malgrado. Ma, prima di poter stabilire un vero e proprio contatto con lei, Ross si avvicinò alla coppia, bisognoso almeno quanto Caroline di sfuggire al peso di una serata soffocante.

“Vi prego, ditemi che finirà presto!” Guardò entrambi con un’espressione esasperata, quasi fosse un bambino annoiato a morte.

Dwight gli diede un'amichevole pacca sulla spalla, come segno di incoraggiamento, “Mi dispiace ma è appena iniziata, Ross. Ti offrirei volentieri un passaggio, se non sapessi che questa è la festa di tuo cugino e che non gli faresti mai un simile sgarbo solo perché non sopporti gli eventi mondani. Dico bene?”

“Spero che il tuo sia sarcasmo, Dwight… E per la cronaca, sono ancora qui perché l’ho promesso ad una persona a cui tengo molto e che mi piacerebbe tanto presentarvi, ma non riesco a rintracciarla in tutta questa confusione…”

Con il fiato smorzato in gola per l’emozione, Ross fu costretto ad interrompersi improvvisamente: lungo la sofisticata scala di legno che immetteva proprio al centro della sala principale di Trenwith, una figura etera scendeva lentamente i gradini, facendo brillare il diamante che aveva al dito sotto la luce dei riflettori accesi e sotto lo sguardo estasiato anche di chi assisteva a quella prodigiosa visione da lontano. Elizabeth accolse la mano di Francis, che la stava aspettando all’ultimo gradino, incantato dalla bellezza della donna che presto avrebbe avuto l’onore di chiamare sua moglie. Fluttuante come su una soffice nuvola bianca, Elizabeth riuscì a focalizzare su di sé il centro della scena, per buona pace di Caroline e di tutte le altre signore presenti nella stanza.

Ma fu un attimo che, oltre alla luce riflessa dalle due indiscusse regine della serata, comparve sulla scacchiera una terza dama, addirittura più incantevole e raggiante delle sue avversarie.

 

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Capitolo 16
*** Capitolo XIV parte terza ***


La festa era iniziata da un po’ di tempo, ma il colpo di scena principale doveva ancora arrivare e con esso tutte le conseguenze che ne sarebbero scaturite sul rapporto, ancora in fase germinale, tra Ross e Demelza.

Caroline ascoltò la storia del loro incontro con un sorriso malizioso sulle labbra, come a voler esprimere attraverso quel cenno silenzioso la sua personalissima opinione in merito al prologo di un capitolo che, ne era certa, avrebbe previsto molto presto una svolta sentimentale piuttosto passionale tra i due. Il modo in cui interagivano, gli sguardi fugaci che si scambiavano continuamente e la strana sintonia che si percepiva nel loro atteggiamento erano il chiaro segnale di una chimica speciale, capace di entusiasmare chiunque se ne fosse accorto.

Tuttavia, il senso acuto di Caroline le fece notare anche che, sebbene Ross sembrasse realmente preso dalla donna che si trovava accanto, il più delle volte la sua attenzione veniva rapita dalla leggiadria con cui Elizabeth si muoveva tra gli ospiti, emanando solarità e grazia da ogni poro della sua pelle. Era un riflesso ancora più forte della volontà di mostrarsi indifferente, una sorta di richiamo a cui il suo sguardo sembrava non saper resistere, provocandogli delle fitte insopportabili allo stomaco.

Anche Demelza si accorse dello strano atteggiamento di Ross, ciononostante cercò di mascherare quanto più possibile la sua perplessità riguardo a quell’isolamento. Sentiva il calore del corpo di Ross vicino al suo, la presenza concreta di un uomo al suo fianco, diviso però tra due sentimenti in lotta continua tra di loro che lo facevano apparire paradossalmente distante anni luce dal resto della comitiva. Decise, pertanto, di intrattenere la conversazione con Dwight e Caroline, lasciando il suo cavaliere a struggersi nelle sue dolorose fantasie su Elizabeth.

“Mi hai chiesto di darti del tu, ma per me sarà molto difficile considerare un mio superiore al pari di un amico.”

“Invece, è proprio ciò che ti prego di fare. Quello che mi fa più piacere della collaborazione con gli specializzandi è la possibilità di essere il primo a notare il grande potenziale che si nasconde dentro di loro, magari cercando di farlo emergere attraverso le modestissime abilità che mi riconosco. Per non parlare dell’opportunità che ho di calarmi insieme a loro sul campo, di condividere vittorie e fallimenti in nome di un comune amore per la medicina. Sei d’accordo con me, Demelza?”

Lei annuì entusiasta, ritrovandosi completamente in sintonia con il suo modo di pensare.

“Sempre la solita modestia, dottor Enys! Non avrei consentito il tuo ingaggio se ciò che dici fosse stato anche solo parzialmente vero. Non ti commuove sentirlo parlare così? Credo che un altro, al posto mio, potrebbe intossicarsi di buonismo, se non sapesse che non si tratta di ipocrisia ma di vera generosità.”

Dwight la guardò con gli occhi lucidi, consapevole che quello fosse il modo più dolce in assoluto con cui Caroline avrebbe mai potuto riconoscergli la sua stima, difendendolo persino dal rigore eccessivo con cui lui stesso si giudicava. Forse le cose tra di loro non erano poi così tragiche come spesso si era ritrovato a considerare, vista l’impassibilità di Caroline nei suoi confronti e la palese ritrosia con cui respingeva i suoi timidissimi tentativi di riavvicinarsi a lei.  

Quando l’orchestra intonò i primi accenni di melodia, il tenente Armitage fece nuovamente capolino dinanzi a Demelza, offrendosi come suo pretendente per il primo ballo della serata. In realtà, più di qualcuno aveva covato segretamente lo stesso desiderio, prefiggendosi, se non altro mentalmente, l’obiettivo di sfidare la gelosia delle proprie accompagnatrici per inebriarsi della bellezza di quella sconosciuta, giusto il tempo di una breve danza.

Tuttavia, una volta che Ross si fu ripreso dal sogno in cui era letteralmente sprofondato, l'affascinante Poldark si pose tra i due stringendo con entusiasmo la mano di Demelza, come a voler finalmente reclamare il suo ruolo nella loro relazione.

“Sono spiacente, ma dovrà attendere la prossima tornata. Non ho nessuna intenzione di disertare il mio compito proprio adesso, perciò, se volte scusarci…” Salutò Hugh con un cenno del capo, poi trascinò dietro di sé la sua incantevole dama, sotto lo sguardo invidioso di chi, come George Warleggan e il tenente Armitage, era arrivato troppo tardi per sottrargli quel bene dal valore inestimabile.

Si misero uno di fronte all’altra, sorridendosi a vicenda con il cuore che gli batteva nel petto all’impazzata. Il tocco delicato della mano di Demelza sulla sua spalla virile contrastò con la passionalità del gesto con cui Ross avvicinò la sua vita al suo busto, stringendo la presa per non farsela scappare dalle braccia.

Demelza non riusciva a trovare le parole per esprimere ciò che stava provando. Aveva la sensazione di essere sola con lui, tra tutte le altre coppie che ugualmente avevano raggiunto il centro della sala, rapita in un’estasi che non prevedeva nessun altro se non Ross.

Un primo passo, poi un altro e subito si ritrovarono nel cuore di un lento, romanticissimo assolo di violino. I fianchi di Demelza ondeggiavano elegantemente sostenendo il peso della mano di Ross, sempre più reale e sempre meno estranea.

“Sembravi così distante poco tempo fa…”

“Distante da cosa?” Le sussurrò, accostando le labbra al suo orecchio.

Più di una volta, Elizabeth e Francis si ritrovarono vicinissimi a loro ma, mentre Francis non riusciva a nascondere il suo sollievo nel vedere Ross totalmente attratto da Demelza, e quindi non impegnato a rimuginare su Elizabeth, la sua fidanzata faceva ancora un’immensa fatica a pensarla allo stesso modo. Dispensare sorrisi e mettersi in mostra faceva parte del gioco, ma ciò non implicava affatto che il suo senso di colpa nei confronti di Ross fosse sparito e che il fuoco della gelosia fosse scomparso del tutto. Se gli occhi con cui guardava Ross corteggiare Demelza avessero potuto parlare, si sarebbe detto che il suo reale interesse non fosse per Francis, ma per il cugino che aveva abbandonato al pari di un giocattolo vecchio, tanto amato quanto ormai incapace di garantirle ciò di cui finalmente aveva capito di aver bisogno.

“Cos’hai, amore? Ti vedo pallida.” Francis si interruppe proprio quando il brano iniziava a prendere forma, grazie all’aggiunta del suono melodioso di un’arpa e al delicato ingresso del pianoforte. In effetti, Elizabeth sentì un violento fastidio percuoterle le membra e la sempre più crescente sensazione di trovarsi in un luogo asfissiante, dove l’aria non bastava a riempire i suoi polmoni. Così, in preda ad un vero e proprio attacco di panico, trovò prima la forza di spostarsi ai margini della pista da ballo e poi di allontanarsi per raggiungere il piano superiore, barricandosi nella stanza da letto di Francis.

Ross e Demelza non intuirono nulla, finché Verity non fu costretta a dividere quello che sembrava essere inseparabile. Tentò di avvicinarsi a loro in maniera discreta, vergognandosi profondamente di dover essere l’esecutrice materiale della loro separazione nonché la messaggera della fine del divertimento, quantomeno per Ross.

“Ross caro, Elizabeth è in piena crisi e nessuno di noi è riuscito a farla ragionare! Ha detto che non uscirà dalla camera di Francis se non avrà prima parlato con te!”

Ross portò Demelza ancora più vicina a sé e, senza smettere nemmeno un secondo di guardarla, rispose, “Non è più una questione che mi riguarda, Elizabeth dovrebbe essere la prima a saperlo. Del resto, è stata chiarissima con me.”

Demelza non riuscì a sostenere il suo sguardo, preferendo concentrarsi sul parquet che continuavano a calpestare a suon di musica, nonostante la presenza costante di Verity. Era una situazione imbarazzante e lei non sapeva come fronteggiarla, se assecondare i capricci di Elizabeth convincendo Ross ad andare da lei oppure fare finta di niente e pensare a se stessa, una volta tanto che ne aveva l’occasione.

Guardò Verity, che nel frattempo aveva assunto un’espressione sconsolata ed era quasi sul punto di gettare la spugna, quando all’improvviso decise di fermarsi. Si passò la lingua sulle labbra, rese secche dall’emozione che aveva provato anche solo a toccare Ross, e iniziò a parlare, “Dovresti accertarti delle sue condizioni, Ross. Sarà così spaventata dalla grandezza del passo che sta per compiere che sicuramente avrà bisogno di un amico con cui confidarsi.”

Ross ci pensò un po' su, “Non voglio lasciarti da sola.”

“Da sola? Ma Ross, non vedi che si è creata una fila lunghissima di aspiranti?" Presto qualcun altro prenderà il tuo posto, puoi starne certo.” Verity rivolse a Demelza un sorriso complice.

Pochi minuti dopo, Ross si ritrovò a bussare alla porta della stanza di suo cugino, con un nodo in gola e con la voglia disperata di risparmiarsi anche quel calvario. I singhiozzi di Elizabeth raggiunsero presto il suo orecchio, ma fu necessario specificare che non fosse accompagnato da nessuno per convincerla ad alzarsi dal letto e aprire la serratura.

Il trucco era ormai scolato inesorabilmente lungo le sue gote arrossate dal pianto, eppure il suo viso era ancora magnifico, come scolpito nel marmo, nel momento più alto di páthos. Elizabeth indietreggerò, facendogli spazio per entrare, e poi si ritirò sul letto di Francis mantenendo la sua solita postura composta.

“Non credevo arrivasse tanto in fretta…”

Elizabeth gli fece cenno di sedersi accanto a lei, “Cosa intendi?”

“Il tempo del rimpianto. A cosa è dovuta altrimenti tutta questa agitazione?”

“So perfettamente come la pensi, Ross. Tuttavia, mi dispiace doverti informare che non si tratta di rimpianto.”

Il silenzio di Ross espresse meglio di qualsiasi parola lo scetticismo che provava a riguardo.

“Ma non credere che non mi sia accorta del gran da fare che ti sei dato per rendermi gelosa di Demelza.”

“Ti sbagli, perché, per quanto assurdo possa sembrarti, Demelza è molto di più di questo.” Si alzò con l’intenzione di ritornare alla festa, ma Elizabeth lo raggiunse sulla soglia della porta rimasta semi aperta, pregandolo di aspettare.

“Possiamo almeno dirci addio? Per non fare in modo che ciò che di bello c’è stato tra di noi finisca così, nel freddo rancore di chi non si è mai amato davvero.”

La forza ipnotica con cui aveva pronunciato quella richiesta lo catturò completamente, facendo sì che Ross andasse ben oltre ciò che Elizabeth si aspettava. Le prese il viso tra le mani e la baciò con una passione rabbiosa, lasciando erompere tutta la sua frustrazione nel non poter più reclamare quelle labbra una volta che Francis ne avrebbe avuto ufficialmente l'esclusiva.

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Capitolo 17
*** Capitolo XV ***


16

Nessuno riuscì a capire il motivo per cui Ross fosse tornato dal piano superiore così sconvolto e totalmente diverso da come lo ricordavano un’ora prima, nessuno ad eccezione di Demelza. Fu in un attimo che si giunse al termine di quella festa grandiosa, eppure la sensazione con cui gli ospiti lasciarono Trenwith non fu esattamente quella sperata.

Verity ringraziò il cielo per aver fatto in modo che la visita di Ross nella stanza in cui Elizabeth si era rinchiusa avesse sortito l’effetto sperato. Avrebbe scommesso tutto ciò che aveva che, alla fine, la sua futura cognata sarebbe tornata in sé e avrebbe svolto egregiamente il suo dovere di ospite, raggiungendo Francis senza che nessuno potesse accorgersi della sua breve assenza dalla festa.

Ma, se in Ross si era verificato un notevole cambiamento d’umore in negativo rispetto all’inizio della serata, anche Demelza sembrava essersi trasformata. Era diventata fredda e scostante nei suoi confronti, tanto che per un fuggevole istante la mente di Ross si avvicinò pericolosamente alla verità, pur continuando a girarci intorno per paura di scoprire di aver indovinato.  

Per tutto il tempo, da quando aveva cercato di mascherare il suo turbamento andando a recuperare Demelza, il tenente Armitage l’aveva tenuta gelosamente vicino a sé, ora con la scusa del ballo che ancora gli doveva ora con qualche altro futile pretesto, che però agli occhi di Demelza non faceva altro che rappresentare una piacevole distrazione dai suoi pensieri agitati. Perciò non trovò alcun motivo di eludere quegli amabili sforzi da parte di Hugh di catturare il suo interesse, nonostante fosse ben conscia del ritorno di Ross.

“Credo che per me sia arrivato il momento di togliere il disturbo.” Hugh le prese una mano, sul cui dorso posò la delicatissima impronta delle sue labbra carnose, mentre Demelza gli sorrideva grata.

“Mi pare di ricordare di aver letto che gli artisti vivono di notte. Forse mi abbandoni per via di qualche splendida idea che ti è venuta in mente e che non vedi l’ora di buttar giù su un foglio o su una tela? Sono curiosa di sapere se si tratta di un dipinto o di una poesia, visto che mi hai confessato siano queste le tue più grandi passioni.”

Hugh lasciò andare la sua mano con un po’ di riluttanza, “Hai indovinato, Demelza. Ti lascio immaginare chi sia la mia musa ispiratrice…” E, detto questo, se ne andò voltandosi di tanto in tanto a contemplare ancora un’altra volta la magnifica silhouette della sua musa.

Indecisa su cosa fare e, soprattutto, su quale direzione prendere, Demelza trovò necessario fare di nuovo ricorso allo champagne per affrontare il gruppo composto da Dwight, Caroline e Ross. Prima o poi avrebbe dovuto farlo, ma l’incendio impetuoso che le divampava dentro continuava a farle rimandare quel momento, consapevole di quanto fosse difficile domare le fiamme della rabbia, sempre che il fuoco non decidesse di spegnersi all’improvviso, lasciando trasparire l’ancora più inesorabile desolazione della cenere.

“Scommetto che Demelza sia stata l’unica ad essersi divertita veramente. Guardate le nostre facce imbronciate e poi paragonatele al suo viso fresco, completamente sbalordito da ciò che la circonda. Ma forse siamo tutti un po’ troppo disillusi sull’amore per fidarci ancora delle prime sensazioni che fanno palpitare il cuore…” Caroline sospirò, in preda a quei ricordi nostalgici in cui anche i suoi compagni parevano essere assorti.

Finalmente, Demelza si fece avanti, evitando in tutti i modi possibili di incontrare lo sguardo di Ross che, in ogni caso, percepiva insistentemente su di sé, “Scusatemi se vi ho trascurato per un po’, ma parlare con Hugh è stato così interessante…”

“Hugh? Vedo che siete già entrati in confidenza. Io avrò cenato almeno una decina di volte con lui e con suo zio, eppure per me è ancora il tenete Armitage.”  Caroline alzò un sopracciglio, percependo la gelosia con cui Ross seguiva la conversazione, poi aggiunse, “Ma ce ne faremo una ragione, non è vero Ross?”

Nessuno rispose, fino a quando Dwight decise che fosse meglio finirla lì e pensare agli impegni che avrebbero coinvolto tutti e quattro a partire dall’indomani, “E’ stata un’occasione piacevole per incontrarsi all’infuori del lavoro, ma domani mi aspetta una sfilza di scartoffie da compilare per poter dare il via definitivo al progetto. Quindi, io andrei volentieri a dormire.”

“Dove è finita la tua voglia di avventura, dottor Enys? Lo sai che a mezzanotte l’incantesimo si spezzerà e torneremo ad essere le solite persone di sempre? Quindi, io ne approfitterei…”

Demelza sollevò timidamente gli occhi su Ross, per poi distoglierli immediatamente non appena si rese conto di aver incrociato il suo sguardo. Ciò che aveva detto Caroline era la pura verità, per quanto facesse male a tutti ammetterlo.

“Non ero io quello in cerca di avventure, come ben sai. Non faccio altro che ripensare con gratitudine al tempo in cui stavamo insieme, perché è stato solo merito tuo se mi sono convinto a fare cose che andavano ben oltre i miei limiti.”

“Anche arruolarti nella marina? Ne dubito, dal momento che era l’ultima cosa che avrei voluto tu facessi. Ma ora le cose sono cambiate sia per me che per te, fortunatamente.”

“E’ un capitolo chiuso, infatti.” Il giovane medico lo disse con poca convinzione.

“Dwight, potresti accompagnarmi a casa? Ho voglia di togliermi queste scarpe e di mettermi a letto.” Anche per Demelza si profilava la fine di una serata che di certo non avrebbe dimenticato tanto facilmente.

“Naturalmente, ma prima di andare vorrei salutare Francis ed Elizabeth. Vieni con me?”

“Ti raggiungo tra un attimo.” Demelza aspettò che fosse Ross il primo a muoversi nella sua direzione, quando sentì la sua mano stringerle il polso. Risalì con lo sguardo dalla mano che la tratteneva al viso a cui apparteneva quella mano: era di Ross, ovviamente.

Caroline si defilò, trovando l’occasione per prendere una boccata di vento fresco dopo aver respirato per ore la stessa aria consumata contemporaneamente da più di cinquanta persone. Allora, Ross si sentì libero di spiegarsi, “Credo di averti offesa, in qualche modo…”

Demelza represse una risata, continuando a non guardarlo, “No, Ross. Se desideravi davvero fare quello che hai fatto, non vedo dove stia il problema. Mi hai promesso qualcosa? No. Quindi non mi hai recato nessun torto, puoi stare tranquillo con la tua coscienza.”

Incrociò le braccia al petto, impaziente di tornare a casa e allontanarsi da lui. In realtà aveva mentito dicendo a Dwight che presto lo avrebbe raggiunto, in quanto non aveva nessuna intenzione di sopportare anche la soddisfazione dipinta sul sorriso affettato di Elizabeth. Sarebbe facilmente potuta passare per una maleducata, ma era sicura che Francis l’avrebbe perdonata se avesse visto ciò a cui lei stessa aveva assistito prima di convincersi a credere ai suoi occhi.

“Possiamo parlarne? Ti prego, Demelza.”

“Affinché tu possa imbastire una bella storiella per farmi credere di aver frainteso il bacio che vi siete scambiati di sopra? Per non parlare di quello che ne sarà seguito…” In quel momento la rabbia venne fuori, impedendole di trattenere le lacrime. Prima che Dwight potesse accorgersene si asciugò il viso con il dorso della mano, “Non chiedermi scusa per qualcosa che è morto prima ancora di nascere. Buona serata, Ross.”

Così si ritrovò solo a meditare su ciò che aveva fatto, rimproverandosi per non aver voluto fermarsi lì dove sapeva di non doversi addentrare. Comunque, non sarebbe riuscito ad aspettare il sorgere del nuovo giorno per tentare un chiarimento con Demelza, quindi quando anche l'ultimo invitato se ne fu andato prese la macchina e partì in direzione di Nampara.

 

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Capitolo 18
*** Capitolo XVI ***


16

Come poteva illudersi di riuscire a dormire dopo il turbinio di emozioni che aveva vissuto soltanto poche ore prima? Magari Ross stava già riposando beato come se nulla fosse successo, cullato dalla piacevole sensazione del ricordo delle labbra di Elizabeth sulle sue, non curandosi affatto delle atroci sofferenze che le stava procurando. Eppure qualcosa era accaduto, qualcosa di così difficile da digerire per Demelza da lasciarla insonne e sconsolata a rigirarsi continuamente nel suo letto, affondando la testa nel cuscino umido di lacrime. Garrick le si era acciambellato ai piedi, con la speranza di poterle fornire una seppur minima consolazione, ma quando avvertì il rumore di una macchina farsi sempre più vicino il suo istinto lo portò ad abbaiare in difesa della sua padrona, come avrebbe fatto il migliore antifurto in circolazione.

Pertanto, Demelza si alzò dal letto per cercare di calmarlo, constatando amaramente che il mattino non sarebbe giunto mai tanto in fretta quanto desiderava. Accese la luce della cucina e mise a bollire dell’acqua per prepararsi una tisana, nonostante sapesse bene che nessun intruglio avrebbe potuto guarire l’enorme delusione che provava nei confronti di Ross.

Mentre aspettava che fosse pronto, sentì bussare alla porta: in cuor suo temeva di aver intuito chi potesse essere, ma la speranza che si trattasse davvero della persona a cui aveva pensato si affievoliva ogni volta che la disillusione prendeva il sopravvento, per poi crescere nuovamente in proporzione alla rabbia e alla voglia matta che aveva di sbattergli tutto il suo risentimento in faccia.

Forse anche Garrick aveva riconosciuto un tocco familiare, in quanto aveva smesso di ringhiare optando per un tono più ospitale e meno aggressivo. Si era steso, infatti, sul tappetino della porta d’ingresso in attesa di accogliere il visitatore, indifferente al comando di Demelza di raggiungerla per lasciare che l’ “ospite” ricevesse un’accoglienza glaciale.

“Se vuoi entrare, usa le tue chiavi!” Sbottò, impaziente di scoprire quale espressione avesse sul volto. Non attendeva di certo una risposta, ma il rumore della chiave inserita nel congegno della serratura arrivò come un brivido sulla sua pelle in modo ancor più violento di quello che avrebbe potuto fare Ross se avesse palesato la sua identità con la voce. Quella era la prova che si trattava davvero di Ross.

Per quanto si fosse ripromessa di comportarsi in maniera algida con lui, la sua affascinante presenza al suo cospetto minò fortemente ogni sua capacità di perseverare in quell’atteggiamento, “Ah, a quest’ora ti facevo immerso nel più splendido dei sogni. Sarà mica che Francis ti ha rubato il posto? Peccato! D’altronde, gliel’hai riscaldato con tanta premura… ”

Ross si richiuse delicatamente la porta alle spalle, rimettendosi le chiavi del suo cottage in tasca. Accarezzò la testolina di Garrick e poi sollevò lo sguardo su di lei, “Cosa vuoi dire?”

Demelza ruotò gli occhi in segno di evidente incredulità, “Vuoi farmi credere che sei così ingenuo? Non sembravi per niente un principiante mentre baciavi Elizabeth, quindi chi vorresti prendere in giro?”

Ad ogni passo in avanti che Ross faceva per avvicinarsi a lei, corrispondeva un passo indietro di Demelza. Ross fu, dunque, costretto a fermarsi, “Spiegami cosa credi sia successo in quella stanza, Demelza. Dopo ti racconterò la mia versione dei fatti.”

“Io… ero salita per indicare alla signora Withworth dove si trovasse il bagno. Ricordavo bene o male che fosse vicino alle stanze da letto, ma a quanto pare avrei dovuto lasciare fare alla servitù.  Avresti dovuto vedere lo sbigottimento della signora Withworth quando mi sono offerta di accompagnarla! Chissà cosa ha pensato!”

Demelza si morse il labbro inferiore per trattenere una risata, visto che era ancora intenzionata a mantenere il punto con Ross. Poi riprese, “Non avreste dovuto lasciare la porta aperta…”

Ross abbassò lo sguardo, in preda a un profondo imbarazzo.

“Eri così preso da quel bacio che mi hai lasciato persino il tempo di trovare un posto per nascondermi dalla tua vista; Mi sono subito appoggiata alla parete della rientranza del muro, trattenendo il fiato affinché non poteste sentirmi e pregando che, se fossi uscito proprio in quel momento, non ti saresti accorto di me. Che sciocca che sono stata! Fortunatamente, pochi minuti dopo Elizabeth si è degnata di risparmiarmi lo spettacolo che ne è seguito.”

“E’ vero: sono stato io a baciarla. Ero fuori di me, ma soltanto adesso riesco a capire che si è trattato di una forza più grande di qualsiasi volontà, che mi ha fatto completamente dimenticare di tutto il resto… persino di te.”

Il fischio del bollitore interruppe la confessione di Ross, ma non placò l’ira che si era impadronita di Demelza al suono di quelle giustificazioni prive di qualsiasi forma di credibilità, che sembravano quasi voler scagionare Ross da ogni colpa.

“Oh, per te è naturale allora! Quantomeno ti ringrazio per la sincerità, perché nessuno mai mi aveva fatta sentire così trasparente e insignificante in vita mia! Neppure mio padre!”

Avendo intuito l’offesa fatta da Ross alla sua padrona, Garrick si lanciò in un ringhio violento contro di lui. Demelza non voleva che Ross avesse anche la soddisfazione di vederla piangere, perciò tirò indietro le lacrime e prese un profondo respiro per calmarsi, “Da bravo, Grarrick… E’ inutile darsi tanto da fare per una persona che presto non rivedremo più.” Lo richiamò al suo fianco, guardando Ross di sbieco.

“Te ne vuoi andare per caso?” Non era preparato a sentire ciò che temeva. Possibile che un equivoco del genere potesse prevedere un risvolto così grave da compromettere la loro amicizia? Ma doveva essere sicuramente una decisione che Demelza aveva preso d’impulso in balia dell’emotività del momento, niente di irreversibile.

“Domani libererò il cottage, senza che tu me lo chieda. Sei stato troppo gentile con me, Ross, ma la verità è che siamo e saremo sempre due sconosciuti che il destino ha voluto far incontrare per puro caso.”

“Mi stupisce il fatto che tu creda nelle coincidenze. Niente è a caso, lo sai meglio di me.”

"Come abbiamo potuto credere che potesse funzionare? Quel giorno avrei dovuto lasciarti a Trenwith e andarmene subito..."

Ross la guardò con scetticismo, "Perché, è tutto da buttare quello che ne è scaturito? Non per me, almeno."  

Demelza non rispose. Le emozioni che provava erano fuori da ogni logica, ma la tristezza dipinta sul volto di Ross, anche quella era fuori da ogni logica. Si avvicinò con cautela, facendo in modo che Ross capisse che quella mossa non era casuale, ma che apriva la strada alla ricerca di una possibile, sebbene sudata, riconciliazione.

“Appena Elizabeth ha chiuso la porta, la ragione è tornata a illuminare le mie azioni e i miei pensieri. Anche lei deve essersi resa conto della stupidaggine che abbiamo commesso, perché si è rimessa a piangere con un impeto ancora maggiore di quando ha incominciato.”

“Non hai mai pensato che fosse una trappola, un modo per suscitare la tua pietà e sperare di riconquistare la tua più profonda amicizia? Per non dire amore…”

Ross sorrise senza guardarla, chiaramente assorto dal ricordo della scena che stava descrivendo e dalla sincera tenerezza che gli aveva suscitato la vista di Elizabeth in quello stato, “Mi ha confidato di essere incinta e di volersi trasferire a Trenwith per tutta la durata della gravidanza.”

“E tu come farai? Voglio dire, sono problemi tuoi naturalmente…” Demelza si corresse subito, facendo finta di ribadire la sua volontà di abbandonare Nampara, ma non nascondendo un certo sollievo alla notizia della gravidanza di Elizabeth.

“Non potrei mai vivere insieme a lei, credo che questo sia ovvio. Se tu lo vorrai, però, potremmo condividere questa casa senza problemi, come farebbero due bravi coinquilini e spero anche amici.” 

"Sarei un intralcio per te. Sicuro che non vuoi che me ne vada? "

"Non è mai stata mia intenzione quella di scacciarti. No, è l'ultima cosa che vorrei. E poi, anch'io potrei essere d'intralcio per te se ci pensi, quindi valuta bene prima di rispondere." 

Ross prese posto su una delle due panche che arredavano il salone, davanti al caminetto spento. Mentre Demelza prendeva tempo, più per tenerlo sulle spine che per altro, dal momento che aveva già deciso di restare, Ross si lasciò sfuggire un commento del tutto inaspettato, "Non te l'ho detto prima, ma credevo non fosse necessario sottolinare a parole ciò che spero i miei occhi siano riusciti a comunicarti lo stesso: eri bellissima in quell'abito verde. Credo che tu te ne sia accorta dal numero di spasimanti che ti giravano attorno, soprattutto Armitage..."

"Si, Hugh è stato molto carino con me. Ma non sarei così sicura di piacergli nel senso che intendi tu. Ci siamo incontrati soltanto oggi."

"E questo dovrebbe essere un limite? L'attrazione non ha bisogno di anni per innescare un sentimento più profondo..."

Demelza lo guardò dritto negli occhi, "Come è successo tra noi due, vuoi dire?"

Ross annuì in silenzio, rispondendo con grande coinvolgimento al suo sgaurdo. Demelza gli porse la sua tazza di infuso fumante, sedendogli accanto, "Tieni, è meglio che la prendi tu. Forse non sono io quella ad averne più bisogno."

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Capitolo 19
*** Capitolo XVII ***


Il clima di generale entusiasmo dei primi frenetici mesi di lavoro, trascorsi a progettare e a sperare di poter raccogliere il frutto delle loro fatiche, ben presto si tramutò nella paura di aver fatto un passo decisamente più lungo della gamba. Non che a loro mancassero le capacità, anzi erano proprio quelle altissime competenze a far storcere il naso a chi, per diffidenza o ignoranza, non riusciva a capacitarsi dell’offerta che veniva messa a loro disposizione senza pagare nemmeno un contributo, finendo col smontare l’ottimismo di Caroline e di tutti i medici che si erano lasciati coinvolgere dal folle piano di George.

Non si aspettavano di certo che le prenotazioni sarebbero piovute come una manna dal cielo già dalla prima settimana, risolvendo l’enorme questione sollevata dalla proposta di George Warleggan: era possibile tentare di cambiare l’ordinario sistema sanitario britannico attraverso un’intuizione fondata su un principio filantropico e disinteressato al denaro della povera gente?  Passarono le settimane e in un baleno anche i mesi e con essi la fiducia in una miracolosa ripresa dell’attività, o perlomeno in un timida partenza, che potesse risollevare gli animi e salvare un progetto che valeva davvero la pena di vedere la luce.

Tuttavia, dopo un po’ di tempo, anche il più ottimista del gruppo aveva incominciato a percepire la delusione della risposta che sarebbe giunta a seguito di quel coraggiosissimo interrogativo posto con le migliori intenzioni all’intera comunità cornica, una risposta che però si profilava già come la più negativa immaginabile.

Quel giorno, a dispetto di tutti i notevoli problemi lavorativi che aleggiavano come nubi cariche di una tempesta incombente sopra le loro teste, si presentò l’occasione buona per evadere dai meandri di pensieri tristi e paralizzanti nel tanto atteso matrimonio tra l’amministratore delegato e la sua incantevole fidanzata, a cui erano stati invitati tutti i medici del team di Dwight, oltre che naturalmente i membri del Consiglio di amministrazione della società, che a differenza dei primi non avevano nessun motivo di preoccupazione in quanto semplici osservatori di un progetto che, sebbene avessero votato, non avrebbe comportato nessuna perdita significativa per le loro tasche. Era George Warleggan l’unica persona tra questi a rischiare di perdere qualcosa, avendo egli stesso finanziato la realizzazione del poliambulatorio. Tuttavia, nel più ampio schema delle cose elaborato dalla sua mente diabolica, anche questo piccolo danno economico arrecato alle sue casse avrebbe sortito un effetto positivo, comportando l’inevitabile fallimento del progetto e quindi l’affondamento della fiducia data dall’intero Consiglio a Caroline Penvennen, la quale si sarebbe rivelata presto l’artefice di una politica aziendale debole e completamente lontana dalla gloria dei tempi in cui suo zio dirigeva la società. Si trattava, dunque, di un piccolissimo sacrificio messo in conto sin dall’inizio per rovesciare la gerarchia, rovinare i più forti e soprattutto stroncare la carriera di gente arrogante come Ross Poldark.

Nella Chiesa di Sawle, scelta da Francis per il suo grandissimo valore affettivo, essendo stata da sempre il luogo sacro impiegato dalla famiglia Poldark per celebrare i propri matrimoni, zio e nipote Warleggan presero posto dietro la panca su cui erano già seduti Caroline, Dwight e Demelza, senza nascondere un certo disappunto per la disposizione degli invitati adottata dagli sposi.

“Possibile che questi poveracci vengano prima di noi? Ad averlo saputo, non mi sarei nemmeno degnato di venire.” Bisbigliò acidamente Cary all’orecchio del nipote, impassibile nella sua austera compostezza.

“Ogni cosa a suo tempo, zio. Sono sicuro che le cose cambieranno presto...  Non senti che tira un vento nuovo? Un vento finalmente favorevole alla nostra causa, intendo.”

A Cary bastò guardare il sorriso sornione sul viso di George per convincersi della validità di quelle parole. Si raddrizzò la cravatta e assunse involontariamente lo stesso ghigno e atteggiamento di suo nipote, pregustandosi già la vittoria promessagli. Nel frattempo Demelza continuava a girarsi verso il portale principale, da cui entravano gli ultimi ospiti, con la speranza di veder arrivare anche Ross.

Erano trascorsi appena due mesi da quando la sua vita era stata completamente stravolta e migliorata, grazie ad un semplicissimo e inaspettato incontro che mai avrebbe immaginato potesse incidere tanto profondamente su di lei, spingendola addirittura a farle dimenticare la sofferenza del passato per iniziare a concentrarsi sul florido futuro che le si prospettava dinanzi. Demelza aveva ottenuto la libertà, un dono di cui avrebbe sempre ringraziato Ross, ma soprattutto le era stata concessa la possibilità di essere felice e di crearsi la propria indipendenza economica, senza la paura costante di dover cedere tutti i suoi guadagni a suo padre, soltanto per poi vederli sperperati e non poter fare niente di concreto per fermare quel disastro. Era da tempo che non pensava alla sua famiglia, in quanto l’ebrezza della serenità che le generava la convivenza con Ross non le aveva ancora concesso il tempo di sprecare le sue energie a piangersi addosso, ma a volte nutriva un profondo senso di colpa per aver lasciato che i suoi fratelli restassero prigionieri di quella brutta e povera realtà, mentre lei poteva vantare un benessere di cui loro non avrebbero mai beneficiato.

Se non ci fosse stato Ross, forse non ce l’avrebbe fatta a trattenersi dall’andare a trovarli per accertarsi con i suoi stessi occhi che stessero davvero bene e soprattutto che suo padre non facesse mancare loro niente, ma purtroppo sapeva che si trattava di un’utopia e che magari sarebbe stato meglio non averne la certezza andando a constatare di persona, risparmiandosi un ulteriore dolore. Si, Ross le aveva ripetuto più di una volta che se si fosse fatta viva ad Illugan, anche solo inviando a suo fratello Sam dei soldi, suo padre avrebbe fatto di tutto per risalire al mittente scoprendo con facilità il luogo dove si trovava e allora nulla sarebbe valso a persuaderlo che lasciarla lì sarebbe stata la prima scelta giusta che avesse mai potuto fare per il bene di sua figlia.

La chiesetta di Sawle era ormai quasi piena, ma di Ross ancora nessuna traccia. In compenso, Hugh Armitage aveva notato la presenza di Demelza e, dopo aver presentato le sue scuse a coloro che lo accompagnavano, si alzò con discrezione dal posto riservatogli per raggiungere la sua musa, con la speranza che due mesi di lontananza non fossero bastati a farle dimenticare il suo viso.

“Oh, guarda un po’! Credo che il Tenente Armitage sia qui per te Demelza…” Caroline le fece l’occhiolino, sotto lo sguardo perplesso di Dwight. Più di una volta, infatti, il medico si era ritrovato a riflettere sull’atteggiamento impacciato di Ross quando gli capitava di dover lavorare fianco a fianco con Demelza, trovando piuttosto anomalo quel suo modo di fare dal momento che i due condividevano la stessa casa e si conoscevano già da abbastanza tempo per potersi ritenere degli ottimi amici. Fu quando Ross gli confessò di aver paura che il padre di Demelza potesse trovarla e convincerla a tornarsene con lui, che Dwight giunse alla diagnosi, rimproverandosi di non esserci arrivato subito: il suo vecchio amico, il capitano medico Ross Poldark, stava iniziando a superare il trauma della perdita di Elizabeth, nutrendo un forte interesse per Demelza.

Intuendo che anche Armitage avesse una cotta per la splendida ragazza che ormai tutti avevano imparato ad amare, gli sembrò poco carino da parte di Caroline incoraggiare la nascita di una relazione con Hugh piuttosto che avvantaggiare Ross.

“Sono lieto di rivederti, Demelza. E’ da quando ci siamo lasciati alla festa di fidanzamento che aspetto questo momento, semplicemente per assicurami che il ritratto che ho abbozzato quella sera stessa fosse davvero fedele a ciò che ricordavo del tuo bellissimo volto.”

“Conoscendo le vostre eccellenti capacità ritrattistiche, siamo tutti convinti che le abbiate reso giustizia.” George si intromise nella conversazione, attirando su di sé anche l’attenzione di Caroline, la quale si rimproverò interiormente di non aver notato prima la sua presenza, proprio alle sue spalle.

Hugh si accorse solo allora del rossore che tingeva le gote di Demelza.

“Mi è parso di vedere che questo posto fosse vuoto, sapete dirmi se rimarrà tale fino alla fine della cerimonia?”

Ancora una volta, George si sentì in dovere di rispondere prima di Demelza, “Ross non se la sarà sentita di partecipare alle nozze della sua ex fidanzata. Come dargli torto, d’altronde?”

Demelza arrossì ancora di più, decisamente a disagio su come rispondere a quella domanda, “Deve esserci stato qualche contrattempo…” Si rivolse ai suoi amici per cercare in loro una sorta di rassicurazione, mentre Hugh la guardava con un’espressione sempre più rapita e piena di tenerezza.

“Sarà sicuramente così. Quando Ross arriverà, potrà sedersi qui vicino a me, non preoccuparti. Nel frattempo tenente, siete libero di prendere posto dove preferite. Vi dirò di più: la vostra visita non poteva essere più opportuna, visto che ci sentivamo un po’ soli, non è vero?”

Demelza sorrise imbarazzata, pregando Hugh di sedersi accanto a lei senza nessuna esitazione e ringraziando con un cenno Caroline per essere accorsa in suo aiuto. Ma cosa era potuto succedere mai di così grave da impedire a Ross di partecipare al matrimonio di suo cugino? Spiò nella direzione di Verity, tentando disperatamente di cogliere anche sul suo viso un segno di preoccupazione, tuttavia sembrava che fosse lei l’unica persona ad agitarsi.

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Capitolo 20
*** Capitolo XVIII ***


18

Demelza non ricordava di aver mai visto Ross più agitato di quella mattina, preso com’era da un’irrequietezza che non lasciava adito alle interpretazioni. Ovviamente, poteva soltanto immaginare quanto fosse doloroso per lui persino il pensiero di assistere alle nozze di Elizabeth, un pensiero che, applicato alla realtà, lo avrebbe costretto ad essere ciò che non era, fingendo entusiasmo e approvazione per un’unione che aveva richiesto grandissimi sacrifici da un'unica parte: la sua.

Ciononostante, per affetto e lealtà nei confronti di Francis, Ross non si sarebbe tirato indietro e, ancora una volta, avrebbe sacrificato il suo orgoglio andando a porgere i suoi più sinceri auguri alla donna che amava da sempre ma che presto sarebbe diventata la moglie di un altro, se non fosse stato per un piccolo inconveniente.

La causa scatenante di quell’agitazione che Demelza non aveva mancato di notare, tenendo gelosamente per sé le sue considerazioni, non risiedeva infatti in lacrimevoli rimpianti per ciò che sarebbe potuto essere se avesse scelto di non partire per l’America e rimanere al fianco di Elizabeth, ma in una angoscia profonda per quello che con tutta probabilità sarebbe accaduto di lì a pochi minuti, se non avesse scelto di non partecipare al matrimonio, sacrificando la gioia di Francis per un motivo ben più valido, ossia la felicità di qualcuno bisognoso di una serenità che non avrebbe nutrito soltanto se stessa ma tante altre persone in difficoltà, compreso lui.

Demelza era di una bellezza a dir poco impressionante, con i capelli acconciati in una treccia naturale che le conferiva un aspetto da vera bohémien e con addosso un abito lungo in tulle color cipria, adornato con roselline ed altri fiori selvatici. Ross non escludeva che tutto quello splendore avrebbe potuto facilmente far sfigurare chiunque, persino Elizabeth nel giorno del suo matrimonio, tuttavia non riusciva ancora ad esprimerle i suoi sentimenti e renderla partecipe di quei pensieri che formulava soltanto nel cantuccio della sua anima.

“Sono sicuro che oggi riceverai un bel po’ di proposte interessanti, quindi sta attenta a scegliere con cura chi meriti veramente la tua attenzione…”

Demelza si sbirciò un’ultima volta nello specchio, poi al suono di quella curiosa raccomandazione si voltò di scatto verso di lui, “E con questo cosa vorresti dire? Credevo che non ci sarebbe stato spazio per altri, all’infuori di te. Mi vuoi cedere in pasto a gente senza scrupoli che nemmeno conosco?”

La sua espressione di assoluta ingenuità lo commosse. Si avvicinò a lei, “No, affatto. Però, ci tenevo che tu sapessi quanto mi sta a cuore il tuo benessere e che non permetterei mai a nessuno di farti soffrire.”

“Ragion per cui, sarai tu stesso a proteggermi dai pericolosi tentacoli di Sir Hugh Bodrugan. Non penso esistano sguardi più eloquenti di quelli che mi ha lanciato il giorno della festa di fidanzamento.”

Ross non rispose, se non con un amaro sorriso a fior di labbra.

Demelza gli sistemò il cravattino, in un piccolo gesto di intimità che non mancò di procurare ad entrambi un lieve ma piacevolissimo imbarazzo. Per ricambiare quella premura, Ross tirò indietro una ciocca dei suoi capelli ribelli, sempre desiderosi di sfuggire alle regole dell’acconciatura in cui erano costretti.

Non voleva lasciarla andare, distogliere lo sguardo da quei magnetici occhi azzurri per poterla ricordare in ogni dettaglio, nel caso in cui suo padre si fosse mostrato inamovibile e Demelza non avrebbe avuto altra scelta che tornare a Illugan, alla mediocrità di quella vita che l’avrebbe relegata per sempre ai margini del successo e dell’amore. No, Ross aveva un impegno più importante a cui non poteva mancare e, anche se questo comportava dover mentire, o continuare a mentire, alle persone che amava, nulla poteva distoglierlo dalla decisione che aveva preso già da un paio di settimane.

“Ross, ho sentito il rumore della macchina di Dwight. Sbrigati, se non vuoi far aspettare il tuo migliore amico!”

“Precedetemi voi. Ho ancora un’ultima cosa da fare…”

Demelza lo guardò con gli occhi languidi, “Promettimi che verrai e che non farai nessuna stupidaggine. Sai a cosa mi riferisco…”

“Sta tranquilla, non sarò io quello che interromperà la cerimonia per impedire il matrimonio di mio cugino! Non è nel mio stile, checché se ne possa dire.” Il sorriso ricolmo di dolcezza con cui Ross accompagnò quell’affermazione bastò a rincuorarla. Uscì dalla porta, mandandogli una battutina piuttosto pungente, “Comunque, se la sposa dovesse far troppo tardi, vorrà dire che avrò indovinato il motivo del tuo ritardo…”

Ross scosse la testa, “Non succederà.”

Circa mezz’ora dopo che Dwight e Demelza se ne furono andati, le lancette dell’orologio scandirono il momento dell’incontro con il signor Carne. Ross aveva organizzato tutto affinché Demelza non fosse presente quando suo padre avrebbe fatto la sua comparsa a Nampara, convincendolo ad aspettare quella domenica per reclamare sua figlia.

Una mano pesante e resa ancora più aggressiva dalla forza dell’alcool prese a bussare prepotentemente sulla porta. Ross non aveva alcun dubbio che si trattasse dell’uomo che stava aspettando, perciò andò subito ad accoglierlo senza chiedere nemmeno chi fosse.

L’imponente figura che gli si parò dinanzi aveva gli occhi dello stesso colore di Demelza, ma non per questo potevano dirsi simili, privi come erano della dolcezza espressiva di quelli della figlia.

“Signore, vedo che è venuto accompagnato dalla sua scorta. Posso chiederle il motivo di questa diffidenza?” Ross lanciò un’occhiata ai due colossi che aspettavano solo un segno del padrone per rendergli chiaro il motivo della loro presenza.

“Bene, signore…” Esordì il padre di Demelza, ponendo una particolare enfasi su quel “signore”, perché Ross potesse cogliere pienamente il senso sarcastico delle sue parole, “Come lei sa, ho scoperto che è qui che mia figlia ha deciso di traslocare, se così si può dire, circa due mesi fa senza dirmi niente e soprattutto facendomi morire dalla paura che le fosse accaduto qualcosa di grave. Quindi, sono venuto a riprendermela e a darle una bella lezione, così imparerà una volta per tutta a non fare di testa sua! Dov’è?” Strattonò Ross con una spalla, atteggiandosi come se fosse il reale proprietario della casa, ed entrò dando un’occhiata al mobilio che arredava l’ingresso.

Ross lo seguì dapprima con lo sguardo, trattenendosi con tutte le sue forze dal riportarlo al suo posto con la forza di pugni e insulti, “Non è qui, al momento. Può girare dappertutto e constatare con i suoi occhi che quel che dico è la verità.”

“Ma mi aveva detto che l’avrei trovata. Cos’è questa storia?” Il suo tono si faceva sempre più minaccioso.

“Sua figlia non ha nessuna intenzione di tornarsene a casa, quindi prima lo accetterà e meglio sarà per lei convivere con questa realtà.” Incrociò le braccia, guardando con insistenza l’orologio.

“E quale diritto crede di avere lei a parlami così? Sono io suo padre e se dico che Demelza verrà con me, non sarà certo un bellimbusto come lei a impedirmi di esercitare il miei diritti su mia figlia!”

“Quali diritti? Demelza non è una merce, né tanto meno una bambina costretta alla sua tutela. E’ una donna, un medico in gamba che non ha nessun dovere, se non quello di cercare la felicità lontano dalla violenza di un uomo come lei!”

Il signor Carne digrignò i denti in preda alla più feroce rabbia. Poi richiamò con un fischio gli altri due uomini con la vivissima intenzione di far intimidire Ross, profilandogli la possibilità di un imminente scontro a quattro, uno scontro chiaramente impari.

Ross si era sbarazzato della giacca ed ora stava procedendo a risvoltare le maniche della sua camicia immacolata, che presto sarebbe diventata un canovaccio a brandelli tinto del suo sangue. Carne fu il primo a colpirlo, mandandolo dritto contro il tavolo del soggiorno, ma Ross non tardò a rialzarsi con l’agilità propria di un guerriero abituato a quel tipo di combattimento e sferzò un pugno sulla bocca del suo assalitore. Doveva avergli rotto qualche dente, perché Carne spuntò una grande quantità di sangue sul pavimento prima di retrocedere per dar spazio agli altri picchiatori, i quali fecero del loro meglio per evitare che Ross potesse rialzarsi facilmente come la prima volta.

La maggior parte dei soprammobili cadde a terra, quindi anche le schegge di vetro provocate dalla caduta di vasi e bicchieri si rivelarono pericolosissime armi da cui guardarsi ogni volta che si giungeva con il viso rivolto sul pavimento. Ross aveva diversi tagli sulla guancia dove già imperava la profonda cicatrice che aveva riportato da una missione di guerra, ma le condizioni in cui presto si ritrovarono tutti e tre i suoi aggressori si dimostrarono persino peggiori delle sue.

Furono costretti dunque a ritirarsi, sventolando bandiera bianca e riconoscendo a malincuore la superiorità di quell’uomo che mai, neppure per un istante, aveva mostrato segni di cedimento o codardia, combattendo fino alla fine pur di ottenere il suo scopo: a Carne sarebbe convenuto fidarsi della sua parola, perché la testardaggine con cui Ross aveva difeso la libertà di Demelza gli era valsa parecchi lividi, alcune ossa rotte e più di qualche dente fracassato, ma assolutamente niente di ciò per cui aveva fatto l'enorme sacrificio di scomodarsi e partire a piedi da Illugan sino a Nampara.

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Capitolo 21
*** Capitolo XIX ***


Ross aveva scelto di non presentarsi in quelle condizioni al matrimonio dell’anno, preferendo rimanere a casa ad aspettare che la festa finisse e Demelza tornasse da lui. Non che gli mancasse il coraggio, ma questa volta convenne che se avesse seguito le regole del buon senso si sarebbe risparmiato una lunga e noiosissima serie di giustificazioni necessarie per arginare i danni che quel polverone avrebbe causato, soprattutto a Demelza.

La cerimonia religiosa si concluse con un fragoroso applauso dedicato alla novella coppia che, ammirata da tutti gli astanti, iniziava a procedere lentamente verso il sagrato della chiesa. Se Demelza non lo avesse saputo da Ross, due mesi prima, mai avrebbe potuto indovinare il perché Elizabeth avesse optato per un abito dalle forme morbide e dal taglio imperiale che, nonostante la sua condizione, le conferiva l’aspetto di una raffinata principessa greca. Più di una volta, la sorprese a volgere il suo sguardo verso la platea di invitati, cercando discretamente la presenza di qualcuno che tuttavia non riuscì a scorgere, per poi tornare a concentrarsi sul suo ruolo come se nulla fosse.

Hugh, invece, non aveva avuto occhi che per lei. La contemplava come se fosse dinanzi ad un’opera d’arte, senza fare nessuno sforzo per nascondere la sua ammirazione e il suo interesse nei suoi confronti. A dirla tutta, ogni volta che Demelza rispondeva ai suoi sguardi, il giovane poeta tentava di sfiorarle la mano candida che sostava delicatamente sulla stoffa del suo lungo cappotto, ma che prontamente ritirava in un pugno chiuso all’interno della manica. Quando furono in piedi, niente poté più impedirle di trattenere l’agitazione che provava per l’assenza di Ross.

Si allontanò da Hugh con un sorriso, senza dargli alcuna spiegazione a riguardo, ed andò a raggiungere Verity. La dolce cugina di Ross, asciugandosi gli occhi bagnati a causa della forte emozione, all’inizio non fece caso all’espressione preoccupata che avevano assunto le sopracciglia di Demelza, ma non ci mise troppo tempo per accorgersi che l’inquietudine ritratta sul suo volto non fosse altro che il riflesso del vuoto provocato dalla mancanza di Ross. Possibile che l’avesse notato soltanto allora?

Si voltò nuovamente verso di lei, stringendole una mano gelida nella sua, “Credo di non sbagliare a pensare che tu stia in pena per Ross…”

“Perché, tu no? Oh Verity, mi aveva promesso che sarebbe venuto!”  Demelza abbassò lo sguardo, trattenendo quanto più poteva le lacrime calde che minacciavano di rigarle le bellissime gote.

“Hai provato a contattarlo?” Chiese Verity con la più viva speranza.

Demelza scosse la testa, “La domenica non risponde mai al telefono…”

“Allora, cosa potremmo fare? Vederti in questo stato mi angoscia terribilmente e farei di tutto per sollevarti, mia cara.” Guardò Francis ed Elizabeth salire in macchina per partire alla volta di Trenwith, “Forse se andassimo ora a Nampara faremmo in tempo a tornare per il ricevimento, che ne dici?”

“E se non fosse a Nampara? Non vorrei mai che ti perdessi quest’occasione per assecondare la malinconia di un amante depresso. No, sono sicura che Ross mi abbia mentito anche questa volta e che pianga per aver perso Elizabeth...” Adesso, il tono della sua voce aveva assunto una sfumatura leggermente più dura mentre i suoi occhi lanciavano saette infuocate al solo pensiero di quanto fosse stata stupida a permettergli nuovamente di prenderla in giro in maniera così patetica e prevedibile.

Uscì di corsa dalla chiesa, volontariamente indifferente al chiacchiericcio che quella sua teatrale uscita di scena aveva provocato, la cui eco continuò a seguirla ininterrottamente almeno fino a quando non riuscì ad inoltrarsi indisturbata sul sentiero ghiacciato che conduceva a Nampara. Intorno a lei faceva un freddo orribile, ma la forza e la rabbia che aveva dentro le consentirono quasi di non sentirlo, tanto forte era il suo desiderio di parlare con Ross.

Come aveva previsto, la macchina di Ross era parcheggiata all’interno del recinto di sua proprietà e Garrick era dentro casa, indice che qualcuno aveva pensato bene di tenerlo al calduccio con sé. Iniziò a bussare alla porta, facendo finta di essere un estraneo pur avendo le chiavi conservate nella sua pochette, ma nessuno andò ad aprirle. Bussò con più insistenza, ma ancora niente: a dispetto di tutte le apparenze, sembrava davvero che non ci fosse anima viva.

Allora, pensò che quella fosse l’ennesima umiliazione perpetrata da Ross ai suoi danni, quindi trasse fuori le chiavi con estrema reticenza e grande irritazione, attendendo un altro paio di minuti prima di procedere. Tuttavia, a un certo punto, fu disposta a deporre le armi solo e soltanto per via del freddo che iniziava a intorpidirle le mani.

“Grazie del riguardo, Ross. Non ti sei degnato nemmeno di aprirmi la porta! E quanto a te Garrick, non pensare che non abbia notato il tuo assenso silenzioso!” Si tolse le décolleté che aveva ai piedi e si liberò dal cappotto, lasciando tutto per  terra.

Dal piano superiore, sentì i passi felpati del suo pelosetto indirizzarsi vero le scale, seguiti a ruota da quelli umani un po’ più flemmatici che davano maggiore peso al legno dei gradini. Garrick le andò incontro scodinzolando, come a voler giustificare il suo comportamento precedente dimostrandole tutto l’affetto che nutriva per lei. Nonostante le apparenze, sarebbe sempre rimasta Demelza la sua preferita…

“Me lo aspettavo…” Disse Ross, mentre raggiungeva il pianterreno dove lo aspettava una Demelza infuriata e a braccia conserte.

“Cosa ti aspettavi? Che mi sarei…” Demelza fu costretta ad interrompersi, in quanto a mano a mano che il viso di Ross si poneva sotto l’impietoso riflesso della luce del sole, ai suoi occhi si facevano sempre più evidenti tutte le ferite della lotta. Aveva la mano destra fasciata, diversi tagli sulla guancia destra e un’espressione di infinita dolcezza sulle labbra, ma una volta che le fu di fronte faticò parecchio a sostenere il suo sguardo.

“Cosa è successo?” Demelza recuperò a stento la facoltà di parola che le era mancata davanti a quell’orribile spettacolo, mentre dentro di lei continuava a regnare il silenzio della consapevolezza che a Ross fosse accaduto qualcosa di grave per colpa sua. Gli prese la mano ferita e la accarezzò dolcemente, poi prese l’altra e fece in modo che Ross la seguisse sino alla cucina.

Andò a riempire una bacinella d’acqua calda, tenendo quasi sempre  i suoi occhi ricolmi di lacrime fissi sulla figura dell’uomo, che nel frattempo si era seduto placidamente su una delle due panche perpendicolari al camino acceso. Ross era rimasto con il completo elegante che avrebbe dovuto sfoggiare al matrimonio, anche se aveva fatto appena in tempo a cambiare la camicia sporca di sangue con una immacolata prima dell’arrivo di Demelza.

“Me lo puoi dire, se è stato mio padre a ridurti così non ho bisogno che tu mi protegga dalla verità. Anche perché potrei riconoscere l’impronta della sua mano lontano un miglio…” Si mise in ginocchio con la bacinella sul grembo, iniziando a srotolare le fasce che coprivano alla buona la mano di Ross.

“E’ stato eccitante, credimi. Non mi sentivo così vivo da quando ho lasciato il campo di battaglia!”

Demelza lo guardò di sbieco, “Eccitante, dici?”

Ross annuì, ridendo interiormente del tono beffardo usato da Demelza. Con un moto di grande tenerezza le sollevo il mento con un dito, mentre lei continuava a medicargli la ferita, “Perché piangi? Questa ferita non è niente se paragonata al valore di quello che ho ottenuto in cambio…”

“Ma ne valeva davvero la pena, Ross?” Scostò il viso dalla sua presa, facendo per alzarsi. Tuttavia, una volta che si ritrovò in piedi, Ross la prese per la vita ponendosela sulle gambe. Con un gridolino, Demelza assecondò quel gesto e piantò su di lui i suoi occhi espressivi. Ross, dal canto suo era completamente attratto dalla sua bocca come una calamita, tanto che questa volta toccò a Demelza sfioragli dolcemente la guancia malconcia in modo che potesse guardarla, “Vuole che io torni dai miei fratelli, non è vero?”

“E’ venuto con questa intenzione, non lo nego. Ma se ne andato con tutt’altra idea, puoi strane certa.”

A ogni movimento delle dita di Demelza sui tagli ancora freschi, Ross depositava un bacio sui suoi polpastrelli, avvertendovi però un impercettibile tremore. Poi Demelza riprese, “Vorrebbe dire che dovrei ringraziarti per avermi salvato la vita un’altra volta? Ma forse in questa occasione ti accontenterai di poco…”

Con le labbra fresche e rosse come una rosa, depositò un tenerissimo bacio sulla sua guancia, ben conscia del fatto che Ross si aspettasse tutt’altro…

“Oppure…” Continuò Ross, guardandola al culmine della passione “potremmo continuare questa conversazione partendo da qui…”

Accostò le labbra alla bocca socchiusa di Demelza, tenendole ancora un pò a distanza affinché respirassero l’uno il fiato dell’altra, prima di sfogare in un bacio interminabile ogni fibra di un sentimento che per troppo, troppo tempo aveva finto di assopirsi sotto il peso invadente dell’orgoglio.

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Capitolo 22
*** Capitolo XX ***


Ross e Demelza sapevano che, dal momento in cui avrebbero messo piede sull’ultimo gradino della scala che conduceva alle camere da letto, la loro relazione non sarebbe più stata la stessa…

Così, Demelza rimase con le gambe che le tremavano irrefrenabilmente tra le braccia di Ross, mentre lui si dirigeva verso la camera da letto, continuando a baciarla con una tenerezza sconvolgente. Era bastato un semplice, timido contatto tra le loro labbra a spazzare via la polvere che giaceva sul suo cuore ferito, allontanando in un solo istante l’invadente ricordo dell’esperienza vissuta precedentemente con Elizabeth.

“Non mi avevi detto che oltre ad essere un medico eccellente, sei anche un’ottima infermiera…” Le sfiorò rapidamente le labbra, prima di posarla con delicatezza sul suo letto, mentre si sbottonava la camicia senza toglierle gli occhi di dosso.

“Ti fa ancora molto male, non è vero?” Demelza si alzò, stringendolo forte contro il suo petto per cercare di curare attraverso quell’abbraccio anche una parte della sua anima, ferita almeno tanto quanto lo era stato il corpo di Ross a causa delle botte di suo padre.

“Adesso non sento nessun dolore…” Indirizzò la sua mano ammaccata da lividi e cicatrici verso la chiusura del vestito di Demelza, rendendo sempre più palesi le sue intenzioni a mano a mano che la cerniera nascosta dal tessuto sottile procedeva la sua discesa verso il basso, mostrando la pelle diafana della sua schiena nuda. Ross si allontanò leggermente dall'abbraccio per accertarsi che nel suo sguardo avrebbe rivisto il suo stesso desiderio, mentre infilava delicatamente la mano in quell’apertura magica che già al tatto prometteva meraviglie.

Demelza alzò alquanto scettica un sopracciglio, “Ma quanto sei bugiardo!”

“Se vuoi saperla tutta, l’unica cosa di cui ho bisogno per stare veramente meglio è proprio davanti ai miei occhi. Reclamo l’attenzione del mio medico ancora per un po’… ” Avvicinò di nuovo la sua vita sottile al suo torace muscoloso, producendo in Demelza un fremito interiore ogni volta che il suo fiato caldo soffiava sul suo collo prima che le labbra potessero stamparci su milioni di baci affamati.

“E cosa potrei fare di più di quel che ho già fatto per il mio paziente insoddisfatto?” Anche la sua voce ormai sembrava uscirle a fatica dalla gola, sebbene le rimanesse quel tanto di energia sufficiente a formulare la sua domanda con toni ironici.

“Permettermi di prendermi cura di te, di farti conoscere un po’ di quella tenerezza che ti è sempre mancata da parte degli uomini…”

“Questo è un bel paradosso, non trovi?”

Ross scosse la testa, “Ci sono delle lesioni più difficili da individuare di altre, ma non per questo meno gravi di quelle che gli occhi possono vedere. Persino un medico esperto come te può perdere di vista ciò a cui soltanto l’empatia e l’onestà di cuore hanno il privilegio di poter accedere.”

Demelza fece per aprir bocca, ma Ross le posò prontamente un dito sulle labbra, “No, Demelza. Il tempo delle parole è finito, adesso devi scegliere se fidarti o meno di questo sentimento che è nato tra di noi… Forse, per la prima volta in assoluto, sono stato io il primo ad aver trovato la soluzione: con quale nome chiameresti tu un impulso che ti da speranza e ti restituisce la voglia di tornare a concedere il tuo cuore a qualcuno, dopo aver accettato la possibilità di essere infelice per il resto della vita?”

Rimase in silenzio a studiarlo, percependo la sincronia del suo cuore che batteva alla stessa velocità di quello di Ross.

“Ho diagnosticato qualcosa, ma potrei sbagliarmi.” Lo guardò intensamente, poi distolse lo sguardo concentrandosi su un punto fisso e aggiunse, “E se non fosse vero, cosa ne sarebbe di noi? Non posso credere che sia tutto un’illusione… ”

Ross iniziò a sciogliere la treccia che le raccoglieva i capelli, “Affinché sia vero basta avere il coraggio di accettarne le conseguenze.” Terminato il suo compito, guardò lo splendore di quella chioma ribelle che fungeva da contrasto ideale per mettere ancora più in risalto la raffinatezza dei lineamenti del suo viso.

“Allora lasciamo che sia vero…” Demelza prese la mano di Ross, rimasta stazionata sul suo grembo, e la introdusse nella scollatura del vestito completamente aperto sulla schiena, prima di rimanere nuda di fronte a lui a godere come una Venere della sua primavera.

Intanto, a Trenwith continuava ad aver luogo il ricevimento nuziale più sontuoso di tutti i tempi. Francis ed Elizabeth furono omaggiati con balli e riverenze da tutti gli invitati, ad eccezione di George Warleggan, il quale sedeva assorto a contemplare i mirabili disegni della sua mente e a giudicare se quei progetti diabolici che vi vorticavano senza sosta valessero davvero tanta considerazione. Aveva appena saputo da suo zio che Hugh Armitage non godeva esattamente di buona salute, anzi le voci che erano giunte al suo orecchio profilavano una situazione a dir poco drammatica, al punto che si diceva fosse solo una presa in giro la storia del suo allontanamento volontario dalla Marina. In realtà, Armitage soffriva di un male incurabile che a detta dei più lo avrebbe portato alla morte ancor prima dell’estate, nonostante la scarsa considerazione attribuita dal giovane alla gravità di sintomi piuttosto eloquenti, primo fra tutti la perdita progressiva della vista.

Come avrebbe potuto sfruttare al meglio la grande influenza della famiglia Boscawen per trarne benefici personali? Come colto da un’improvvisa illuminazione, George si alzò di scatto dal canapè dove si trovava per raggiungere Armitage, impegnato in una conversazione con Elizabeth e Dwight Enys. A poca distanza da loro stava, seduta come un’imperatrice sul suo trono, la vecchia zia Agatha, completamente rapita da ragionamenti interiori che più di una volta l’avevano portata a ridere a crepapelle, finendo con l’attirare l’attenzione di tutti.

George provò ad inserirsi naturalmente nella conversazione, ma sembrava che gli altri non si fossero accorti della sua presenza fino a quando una voce piuttosto squillante riecheggiò facendoli voltare, “Perbacco! Perché non ti fai valere, George? Vedo che non è cambiato nulla da quando eri piccolo e venivi in questa casa a giocare con Francis e i suoi amichetti, dico bene?”

Elizabeth divenne improvvisamente paonazza per la vergona, “George, devi davvero perdonarci. Non è stato assolutamente intenzionale da parte nostra!”

George incassò il colpo con aria di finta nonchalance, “Non mi è passato per la testa nemmeno per un secondo che fosse intenzionale.”

Elizabeth sembrò rincuorarsi, ma Agatha non mancò di infierire ulteriormente su di lui, rigirando il coltello nella piaga già aperta, “Certo, non avrebbe mai potuto ammetterlo di fronte a te! D’altronde chi lo avrebbe fatto? Hai fatto bene George a fingerti indifferente, così una parte della tua dignità può dirsi ancora salva!”

George ignorò gli insulti dell’anziana, preferendo concentrarsi sul suo obbiettivo: irretire il giovane Armitage, convincendolo a sottoporsi a una visita nel nuovo poliambulatorio, in modo da ottenere la riconoscenza della sua famiglia oltre che un bell’acconto di popolarità, garantita attraverso la pubblicazione di un articolo in prima pagina sui migliori quotidiani locali che lui stesso si sarebbe prodigato a contattare, richiamando personalmente l’attenzione dei giornalisti.

“Potrei risultare indiscreto, ma credo che sia meglio riferire ciò che si dice di un amico piuttosto che lasciare che tutti sparlino alle sue spalle, senza che lui possa difendersi…”

Hugh lo guardò incuriosito, “Credo di averla vista soltanto un paio di volte in vita mia, comunque mi fa piacere che le mi consideri già un suo amico. Cosa mi vuole dire che io non sappia già?”

“Molti credono che lei sia tornato in Cornovaglia a causa di problemi di salute, è così?”

Hugh esplose in una fragorosa risata, “Pensi che secondo altri, invece, sono stato costretto da mio zio a tornare sulla terraferma per sistemarmi una volta per tutte con una delle donzelle più ricche della zona. Lei a cosa crede?”

A quella dichiarazione, Dwight reagì con un moto di tosse nervosa che pareva sul punto di soffocarlo.

Anche George aveva intuito che Armitage si riferisse a Caroline, tanto che il solo pensiero di un’unione tra le due famiglie dei Boscawen e dei Penvennen riuscì in un colpo solo a spaventarlo e a provocargli la nausea, “Beh, non posso che augurami che sia per il secondo motivo.”

“Può darsi che siano vere entrambe le teorie, signor Warleggan. Tuttavia io preferisco non dare troppa importanza a nessuna delle due, almeno fino a quando mi sarà possibile evitarlo.”

“La vedrebbe come un’offesa la mia proposta di sottoporsi ad una visita specialistica da parte dei medici del nostro nuovo ospedale? Sto parlando di eccellenze assolute, si intende. Magari potrebbero occuparsi loro di questo suo piccolo problema, lasciandola libero di dedicarsi alle sue passioni senza pensieri.”

Hugh si ricordò del breve colloquio avuto con Demelza il giorno del party di fidanzamento, in cui aveva saputo che quell’angelo mascherato da donna svolgeva il suo tirocinio proprio in uno degli ospedali della Royal Cornwall Hospitals NHS Trust, perciò non perse tempo ad accettare l’offerta: George aveva pienamente centrato il bersaglio.

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Capitolo 23
*** Capitolo XXI ***


Il tempo riuscì a sfuggirgli dalle dita come un sottilissimo granello di sabbia: la cognizione dei minuti che scorrevano trasformandosi rapidamente in ore non li riguardava più. Ross e Demelza erano ormai al di là di qualsiasi limite cronologico e spaziale, prigionieri di un fuoco travolgente che non accennava a spegnersi mai, ma che avvampava ogni volta lasciando dietro di sé la cenere di tutto quello che era stato della loro vita precedente.

“Perché stai sorridendo?” Demelza si voltò verso di lui, puntellandosi sui gomiti per poterlo vedere meglio.

“Quanto tempo ci abbiamo messo a capire che questo sarebbe successo prima o poi? Mi sembra di aver sprecato una vita!”

“Può darsi che lo sapessimo già, dentro di noi…”

Ross le accarezzò la schiena, sulla quale erano ancora ricamati i segni della violenza subita da piccola, inseguendo con un dito il corso di ogni cicatrice. Quella donna aveva conosciuto un doppio dolore: aveva perso la madre in giovanissima età e fatto i conti con le conseguenze di quel lutto nella mente di suo padre, una tragedia che lo aveva trasformato in un essere privo di amore e pieno di ira, capace di picchiare i propri figli soltanto per scontare la sua frustrazione.

Demelza sorrise tristemente, “Sono le mie ferite di guerra. Non credevi mica di essere l’unico ad aver combattuto sul campo, vero?”

“Come hai fatto a non impazzire? E perché hai aspettato tanto prima di andare via da quell’uomo?”

“Sono una guerriera gentile, Ross. Ma soprattutto, sono una persona responsabile che non si sarebbe mai sognata di lasciare che dei poveri bambini indifesi vivessero gli umori di un padre del genere senza la protezione che solo una sorella maggiore avrebbe potuto dare loro.”

“Non potrei ammirati di più.”

“Ti sbagli, perché come vedi ora sono qui…” In quel momento gli occhi di Demelza si velarono di una tristezza che Ross non aveva mai visto, come se quel complimento che le aveva rivolto fosse per lei l’esatto opposto, ovvero il riconoscimento di una colpa che, sebbene avesse comportato la sua salvezza, faticava a perdonarsi.

Ross, le sollevò il mento in modo da poter leggere sul suo viso ciò che aveva già intuito, “Non è colpa tua. Non ti sembra di aver dato abbastanza per questa causa, di aver sacrificato troppo? Sono sicuro che i tuoi fratelli se la caveranno anche da soli.” Afferrò morbidamente le sue labbra, tenendo intensamente la presa su di esse come a voler trasferire in lei un po’ di quella forza che lui stesso aveva ricevuto dai suoi baci. La risposta di Demelza non poté essere più chiara; con un piccolo sforzo si aggrappò al suo corpo e continuò a fare l’amore con lui, lasciando che i rimpianti svanissero definitivamente e che le sue ferite interiori si rimarginassero attraverso le carezze e i baci che Ross non perdeva l’occasione di depositare sulla sua schiena.

Quel che stava accadendo avrebbe certamente comportato un notevole cambiamento rispetto a quella che era stata fino ad allora la loro convivenza, ma contemporaneamente avrebbe aperto un’enorme questione su quale passo compiere dopo e su come comportarsi al lavoro, di fronte alla rinomata acutezza dei loro amici.

Dopo aver chiesto cortesemente a Caroline se avesse avuto bisogno di un passaggio per tornare a casa, vista l’ora tarda in cui la cerimonia aveva raggiunto il termine, e ricevuto in cambio un dignitoso “no”, Dwight decise di raggiungere Nampara per accertarsi dell’incolumità di Ross e Demelza. Non aveva saputo nulla su cosa ne fosse stato di Ross, ma le informazioni ricevute da Verity riguardo le intenzioni di Demelza lo avevano rassicurato notevolmente, tanto che aveva lasciato fare allo spirito intraprendente di Demelza evitando per una volta di immischiarsi. Adesso, però, credeva fosse giunto il momento di controllare di persona che la situazione fosse sotto controllo, anche perché Demelza non si era mai messa in contatto con lui da quando aveva lasciato la chiesa.

La presenza della macchina di Ross fu un segnale positivo che però non bastò a rasserenarlo del tutto, quindi parcheggiò la sua e camminò verso l’ingresso del cottage. Prima ancora di bussare alla porta, Dwight avvertì un rumore da lontano. Si trattava di un’automobile di lusso, dotata di due fari anteriori così potenti da squarciare persino a metri di distanza l’oscurità della notte.

Dwight pensò che fosse uno degli invitati facoltosi di Francis ed Elizabeth, il quale si ritirava nella sua modesta dimora passando da quella strada un po’ buia e desolata, per evitare di dare troppo nell’occhio. Tuttavia, l’auto si fermò proprio dietro quella di Dwight, facendogli presagire che in realtà fosse qualcun altro.

“A quanto pare abbiamo avuto la stessa idea, dottor Enys. Si vede che a entrambi sta cuore la vita di chi abita in questa casa.”

Dwight avanzò di qualche passo verso la donna che aveva parlato e che, naturalmente, si rivelò essere Caroline, “Non ti facevo così premurosa.”

“In effetti temo che il motivo per cui io stia in pena per loro riguardi più che altro le loro capacità professionali, di cui mai mi sentirei di poter fare a meno per il mio ospedale.”

Dwight scosse la tesa, indeciso se credere o meno a quel tono così ostentatamente balsé, “Oppure mi hai seguito per chiedermi scusa per la freddezza con cui pochi minuti fa hai rifiutato il mio passaggio.”

“E perché mai avrei dovuto farlo? Si capisce che non mi conosci per niente, caro Dwight…” Dal punto in cui si trovava, Caroline riuscì a scorgere una luce accesa proveniente da una delle finestre del piano superiore, allora un sorriso malizioso si disegnò sulle sue labbra.

“Bene, penso che non ci sia più nulla per cui essere afflitti. Ho appena risolto l’enigma!” Esclamò con un gridolino di gioia.

Dwight la guardò con perplessità, “E come avresti fatto? Sentiamo.”

“Elementare, Watson! Quando due persone spariscono senza informare nessuno per ore, lasciando accesa la luce della camera da letto, non c’è alcun dubbio che essi siano impegnati in qualcosa di molto interessante e piacevole come può essere solo il sesso, non credi? Per cui se noi palesassimo la nostra incursione, ho ragione di credere che sia Ross che Demelza si sentirebbero piuttosto in imbarazzo.”

“Non ti sfugge nulla Sherlock Holmes!”

Caroline alzò le spalle, come se la sua dote investigativa fosse cosa da poco conto. Riprese le chiavi della sua macchina dalla pochette e fece per andarsene, quando Dwight la trattenne ancora per un po’.

“Quindi hai scartato a priori ogni possibilità che Ross e Demelza stiano semplicemente parlando.”

Caroline scoppiò a ridere, sforzandosi di farlo in silenzio, per quanto possibile, “Ma come sei ingenuo Dwight! Era così naturale che sarebbe successo, non farmi credere che non ti eri accorto della  sintonia che c'era tra di loro.”

“Certo, ma ero convinto che Ross soffrisse ancora per Elizabeth.”

“Tu e il tuo reiterato romanticismo!” Caroline gli rivolse uno sguardo pieno di saggio disincanto e di materna tenerezza, ma Dwight non la lasciò andare via. Con un nodo in gola, si sforzò di affrontare un argomento che non smetteva di tormentarlo e che sentiva di dover tirare fuori dalla sua testa e condividere con lei, “Armitage ha lasciato intendere che non siano solo voci quelle che riguardano un vostro possibile fidanzamento. Dopo Francis ed Elizabeth, sarete voi la nuova coppia del momento?”

“Da quando in quando dai retta ai pettegolezzi? Ti consiglio di tornare a pensare ai tuoi pazienti, altrimenti correresti il rischio di perdere la stima che nutrono verso di te. Armitage, Trevaunance sono nomi che sentirai spesso collegati al mio, ma ti assicuro che nessuno di loro riuscirà a privarmi della mia libertà. Forse soltanto un uomo avrebbe potuto mettermi un anello al dito, se solo lo avesse voluto…”

Dwight accusò il colpo in silenzio, ritirandosi di qualche passo e concentrando tutte le sue energie per formulare una risposta all’altezza della situazione. Ma il tempo che Caroline gli aveva concesso era scaduto già da tempo e questo Dwight lo aveva sempre saputo, nonostante la speranza di un varco ancora aperto e di un sole ancora alto in un cielo limpido sopravvivesse a ogni minaccia di tramonto.

“Abbiamo pagato caro il prezzo della nostra indipendenza, Dwight. Ora non ci resta che convivere con le conseguenze delle nostre azioni, buonanotte.” Detto questo, si voltò e si affrettò a raggiungere la sua automobile per partire a tutta velocità.

A Dwight non rimase altro che sussurrare a se stesso, “Siamo sicuri che ne sia valsa la pena?”  

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Capitolo 24
*** Capitolo XXII ***


Era stata sufficiente una conversazione, tenutasi più di un anno prima del ritorno di Caroline in Cornovaglia, per far sì che la storia d’amore tra il giovane medico dagli alti ideali e la mondana ereditiera conoscesse la parola fine. Il cardine su cui ruotavano le divergenze tra i due era costituito da un impasse irrisolvibile, che prendeva il nome di futuro. Sì, perché Dwight e Caroline desideravano qualcosa di così diverso l’uno dall’altra da preferire sacrificare l’amore piuttosto che il proprio egoismo e chiudere gli occhi, illudersi di poterne fare a meno ignorando che l’origine di quel dolore, che nonostante tutto persisteva nella desolazione di un cuore monco della sua parte complementare, risiedeva esclusivamente nell’orgoglio.

Mentre si trovava nel suo ufficio, Caroline non poté fare a meno di ripercorrere con la mente il ricordo di quel giorno orribile in cui la risolutezza di Dwight le era apparsa tanto odiosa quanto l’arroganza con cui suo zio le aveva imposto di sacrificare una parte di sé in cambio del suo appoggio economico. Entrambi l’avevano ricattata, chiedendole di rinunciare a qualcosa: il vecchio Ray ad un amore che era sicuro costituisse una zavorra alla sua ascesa sociale e professionale, mentre Dwight le aveva fatto capire chiaramente che se avesse deciso di seguire le orme di suo zio la distanza che ci sarebbe stata tra di loro avrebbe inevitabilmente significato un allontanamento affettivo senza rimedio. Ma qual era delle due la richiesta più impossibile da accontentare? La risposta arrivò più inequivocabile che mai quando le sembrò che Dwight avesse scelto per tutti e due, negandole di fatto qualsiasi tipo di compromesso, una via di fuga accettabile per evitare di troncare il rapporto con l’unico parente rimastole ancora in vita.

“Ti prego, fa che non sia quello che immagino…” Caroline rimase immobile di fronte alla cloche argentata che un cameriere le aveva posto sotto il naso, indagando con gli occhi l’espressione di Dwight, seduto all’altro capo di un tavolo romanticamente apparecchiato soltanto per loro due. La sorpresa di Caroline fu dovuta al fatto che la cena fosse finta già da un po’ e che, prima dell’arrivo di quello scrigno misterioso, non aveva intuito minimamente il risvolto che avrebbe preso la serata.

“La tua perspicacia non ti permette di vivere al meglio il piacere della sorpresa, Caroline. Non che mi aspetti un miracolo, ma spero che questa volta l’emozione tradisca la tua corazza di cinismo e celi la verità che vi si nasconde dietro.”

Caroline deglutì con grande fatica, ponendo una mano tremante sulla sommità del coperchio che nascondeva il vassoio. Quell’esitazione era del tutto estranea al suo modo di fare, ma la paura le impedì di governare i suoi nervi come aveva sempre fatto scoprendo la sua parte più vulnerabile.

Dwight appoggiò la sua mano sicura su quella di Caroline, rassicurandola teneramente, “Avevo ragione, allora! Vuoi che ti aiuti?”

Ma fu un attimo che Caroline si rimpossessò del suo portamento altero e scosse la testa in segno di diniego. Per parte sua, Dwight fece il possibile per trasmetterle tutto il suo sostegno morale, andandole dietro e accarezzandole gentilmente le spalle nude. Così Caroline si sentì braccata e quasi senza fiato, mentre si preparava a contemplare l’oggetto riposto sul vassoio.

La sua attenzione fu catturata immediatamente da una ricevuta di pagamento che giaceva inerme sotto una scatolina di velluto blu, “Ammetto di essere alquanto perplessa, dottor Enys. Mi spieghi cosa significa?”

Si voltò verso di lui, incontrando i suo profondi occhi azzurri che, alla fioca luce della candela posta al centro del tavolo, apparivano ricolmi di un’emozione incontenibile.

“Significa che ho comprato una casa, anzi la nostra casa, a Truro. Ma se ti va puoi considerare questo pezzo di carta l’inizio della nostra vita insieme.”

“Non capisco…”

Dwight prese tra le mani la scatolina e gliela offrì mettendosi in ginocchio, “Forse ti sembrerà tutto più chiaro dopo aver aperto questa.”

“Non ho bisogno di questa sceneggiata per capire, Dwight. Ti avevo chiesto del tempo per risolvere la questione e tu te ne vieni con una proposta del genere? Anzi, non con una proposta ma con un’imposizione vera e propria!” Sfilò dalle sue mani il cofanetto e lo tenne chiuso sul suo grembo, ancora troppo terrorizzata dall’idea di vederne il contenuto.

Dwight sospirò esasperato, ritornando al suo posto con l’intenzione di aiutarla a mettere in ordine la confusione dei suoi pensieri , “Sapevo che avresti reagito in questo modo, eppure mi sono illuso che mi amassi almeno la metà di quanto io amo te. Una persona davvero innamorata non ci avrebbe messo tanto tempo a decidere…”

“Vuoi dirmi che ho sempre sbagliato a pensare che la pazienza fosse una delle tue migliori virtù?”

“Non sono un uomo perfetto.”

Lei lo guardò intensamente, cercando di appellarsi alla bontà che nonostante tutto percepiva nei suoi occhi, “Mi stai chiedendo di rinunciare alla possibilità di avere una mia carriera e di spezzare per sempre il legame con mio zio, mentre tu saresti libero di continuare a svolgere qui la tua professione, senza sacrificare nulla? Ti sembra un accordo equo questo?”

“Io non posso seguirti, Caroline. I miei pazienti hanno bisogno di me qui e non posso tradire la loro fiducia andando in giro per il mondo venendoti dietro, lo capisci?”

Caroline sgranò gli occhi incredula, “Non ho mai sentito parlare nessuno in termini più egoistici di questi!”

Dwight sorrise con sarcasmo, “Nemmeno tuo zio? Mi sorprende molto, visto che è evidente che hai ereditato da lui il tuo incommensurato amore per te stessa!”

“E quale sarebbe il progetto che avevi in mente per me? Mi auguro solo che non prevedeva dei marmocchi a cui fare la balia ventiquattro ore su ventiquattro.”

Quella confessione ferì Dwight nel profondo, tanto da lasciarlo senza parole. Abbassò lo sguardo per controllare meglio il fiume di emotività che minacciava di straripare dalla sua anima, ma non riuscì a rinvigorire il tono spezzato della sua voce mentre tentava di rispondere a Caroline.

“Credevo che entrambi avremmo voluto avere dei figli un giorno…”

“Non sono fatta per fare la madre. Non so nemmeno cosa significhi quella parola, essendo stata cresciuta da un uomo sin da piccolissima. A me basti tu…”

Caroline pronunciò quell’ ultima frase con una fatica incredibile, giocherellando nervosamente con il gambo del calice di vetro che aveva davanti. Dopo una lunga pausa, in cui nessuno dei due osò proferire parola, il giovane medico si alzò da tavola e le si avvicinò, consapevole che non sarebbe mai riuscito a farle cambiare idea.

“Mi dispiace, ma per me non vale lo stesso. Spero che tu possa imparare a fare a meno di me, sempre che poco tempo fa tu sia stata sincera.” Le diede un bacio sulla guancia e poi si voltò, dandole le spalle.

“Addio, Dwight. Spero di poterti dimostrare un giorno quanto io avessi ragione, di dimostrati quanto sarebbe stato stupido tarparmi le ali come avresti voluto!”

Dwight percepì solo distrattamente ciò che Caroline gli aveva detto, ma nella fretta con cui era partito aveva dimenticato di riprendersi l’anello, cosa a cui pensò soltanto una volta rientrato nell’appartamento che aveva in affitto. A Caroline quell’anello sarebbe servito come monito della sua sconfitta, ricordo doloroso dell’errore che l’aveva spinta verso una vita fredda e meccanica in cui di certo non le sarebbe mancato nulla di materiale, eccetto la  dimostrazione di cosa l’amore di Dwight sarebbe stato capace di offrirle, facendola ricredere completamente sulla sua stessa visione della vita e del futuro.

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Capitolo 25
*** Capitolo XXIII ***


L’audacia della mossa di George Warleggan sarebbe stata ricompensata presto da un successo senza precedenti. Hugh Armitage, infatti, aveva abboccato all’amo come avrebbe fatto un pesciolino qualunque fidandosi della finta benevolenza dell’astuto pescatore e, come se non avesse nemmeno intuito cosa volesse davvero quell’avvoltoio, aveva accettato di farlo felice immolandosi alla sua causa. Forse il rampollo dei Boscawen stava soltanto approfittando dell’opportunità che farsi visitare dal team specializzato del poliambulatorio gli avrebbe dato di entrare finalmente in contatto con Demelza, una donna così sfuggente quanto affascinante che continuava a popolare i suoi sogni senza dargli tregua sin dal momento del loro primissimo incontro.

Così, quel giorno tutta l’equipe medica fu istruita alla perfezione su come comportarsi davanti agli obiettivi delle macchine fotografiche che avrebbero immortalato il momento dell’ingresso di Armitage nell’ospedale.

Ovviamente Caroline non avrebbe permesso agli specializzandi di avvicinarsi a quel prestigioso paziente senza la supervisione di uno strutturato, ma essendo il suo un ospedale universitario non poteva nemmeno privare i giovani medici di un' esperienza simile. Il gruppo alla cui direzione era stato posto Dwight Enys aspettava da tempo l'occasione di mettersi alla prova, di dimostrare al mondo intero la validità di quel progetto sperimentale che, sebbene Hugh Armitage non fosse esattamente il tipo di paziente a cui era stato stabilito offrire cure specializzate a costo zero, adesso iniziava davvero a concretizzarsi.

Così l'ospite tanto atteso entrò finalmente in scena, accompagnato da una scia continua di flash che lo seguiva ad ogni minimo movimento per non perdersi l'esclusiva, lautamente concessa ai fotografi dal fecondo portafogli di George Warleggan: non capitava tutti i giorni che una figura del suo calibro rivelasse pubblicamente la sua vulnerabilità. Tuttavia, l'abitudine a quell' odiosa conseguenza dell'essere una personalità in vista non soltanto nel panorama sociale cornico, quanto anche e soprattutto londinese, era palese dalla naturalezza con cui Hugh continuava a camminare, quasi fosse completamente indifferente al numero spropositato di occhi indiscreti che lo spiavano da dietro l'obiettivo di una fotocamera. Si trattava di sadismo spietato, sapientemente alimentato dalle ambizioni e dalle manie di protagonismo del giovane direttore finanziario del Royal Cornwall Hospitals NHS Trust, che mai avrebbe perso l'occasione di risaltare persino in una situazione spiacevole come quella.

Ciò che al giovane interessava era scorgere in quella marea di gente due occhi familiari, una bocca delicata come un freschissimo bocciolo di rosa e una chioma di capelli rossi dall'aspetto indimenticabile. Era come se Demelza fosse l'unico vero motivo per cui aveva accettato un ulteriore consulto medico riguardo la propria malattia, l'ultimo sacrificio da compiere in nome di una ricompensa che prometteva il riscatto di tutte le sofferenze fisiche e spirituali che aveva provato recentemente.

“Buongiorno tenente Armitage.” Caroline gli tese gentilmente la mano, dimostrando la sua superiorità nel far finta di aver ignorato i pettegolezzi che da tempo circolavano su loro conto, “Credo, anzi sono piuttosto sicura di questo, che il dottor Warleggan le abbia già fatto gli onori di casa... “ Si interruppe lanciando un'occhiata alquanto eloquente al suo avversario, orgogliosamente eretto nella sua postura tutt'altro che naturale e perennemente pronto a sostituire il suo capo, qualora avesse potuto approfittare di qualche sua piccola distrazione.

Al cenno di assenso di Hugh, Caroline continuò, “Ritengo, dunque, sia meglio procedere alla presentazione del mio gruppo di lavoro. Ovviamente, colui che dirige tutti gli altri medici non poteva che essere il dottor Dwight Enys. Siamo davvero fortunati a vantare la sua presenza nel nostro team, mi creda.”

Hugh accolse la stretta di mano del giovane medico con un sorriso sulle labbra, “Dottor Enys, mi fido della dolcezza che emanano i suoi occhi. Se il mio senso non mi inganna, lei è una persona capace di entrare in estrema empatia con la maggior parte dei suoi pazienti... Sono sicuro che il mio caso non sarà un eccezione.”

Dwight arrossì, profondamente commosso dall'acuta sensibilità che il giovane aveva dimostrato di possedere: quello che gli aveva appena detto rappresentava il complimento più grande che avesse mai ricevuto, anche se l'elogio fattogli da Caroline per lui valeva qualcosa che non poteva essere comparata con nient'altro, tanto era raro e onesto.

Alla fine del tour, il Presidente introdusse gli ultimi membri del gruppo, ossia Ross e Demelza. Inutile sottolineare il fatto che Hugh avesse adocchiato la sua preda già dal primo secondo, provocando in lei un imbarazzo difficile da controllare. Era molto felice di rivederlo, sebbene avrebbe preferito farlo in una situazione diversa e soprattutto in un contesto che non fosse un ospedale, ma al tempo stesso sentiva che le attenzioni ricorrenti che le rivolgeva da lontano non potevano essere confuse con una semplice e pura dichiarazione di amicizia.

“Vi conoscete, per caso?” Le sussurrò Ross all'orecchio con un tono che però Demelza fraintese del tutto, percependo la sua domanda, priva di malizia, come un'accusa che rimbombava dentro di lei simile al suono di un sasso gettato in fondo al vuoto.

Lo guardò in preda al panico, “Sì, Ross. Perché me lo chiedi?”

Nel frattempo Hugh si era avvicinato pericolosamente verso di loro, con un sorriso luminoso sulle labbra che riproduceva con assoluta fedeltà la brillantezza che aveva negli occhi mentre ammirava impudentemente il tanto agognato oggetto del suo desiderio. Ben presto la sua mano fu avvolta nella morsa possente della stretta di Ross, il quale adesso incominciava a comprendere il motivo dell'irritabilità di Demelza e a collegare lo strano avvilimento di Armitage rispetto alla voluta indifferenza con cui lei sembrava rispondere ai suoi sguardi pieni di tenerezza.

“Non riesco a immaginare come un uomo facoltoso come lei abbia scelto il nostro poliambulatorio gratuito per farsi curare. Perdoni la mia curiosità, ma si tratta di un'opera di filantropia o c'è qualche altra ragione per cui l'ha fatto?”

“Questa potrebbe essere l'ultima spiaggia per me, dottor Poldark...” Lanciò un'occhiata triste nella direzione di Demelza, con l'intento di suscitare la sua compassione, e poi continuò, “Sebbene non nego che le doti persuasive del vostro direttore finanziario abbiano influito parecchio sulla mia decisione.” Hugh mentì spudoratamente, lasciando credere a George ciò che voleva e confermando a Ross l'ipotesi che aveva formulato nella sua mente, e cioè che fosse Demelza l'unica vera autorità in grado di condizionarlo.

“Certo, d'altronde come fare a non crederle vista la fama del “nostro” direttore finanziario?” Ross sorrise sarcasticamente verso George, il quale ignorò completamente l'ironia che si celava dietro quelle affilatissime parole. Hugh, invece, sembrò aver compreso perfettamente e per evitare di infilare il coltello nella piaga decise di andare al punto della questione, rivolgendosi direttamente a Demelza, “Si ricorda di me? La prego, non mi spezzi il cuore facendomi capire che mi ha dimenticato...”

Demelza sorrise, con il viso in fiamme per l'imbarazzo, “Non si preoccupi, le garantisco che non l'ho dimenticata. Anzi, se può farle piacere ricordo anche che avevamo deciso di darci del tu. Ovviamente ora lei è un mio paziente, perciò non so come vuole essere chiamato...”

Dimentico delle persone che aveva intorno, Hugh le prese la mano e, anziché stringerla come aveva fatto con tutti gli altri, la portò alle labbra e la baciò con delicatezza. Caroline nascose sotto i baffi un sorriso di compiacimento, prevenendo come le trame della relazione appena nata tra Ross e Demelza si sarebbero complicate con l'aggiunta di questo terzo elemento e non vedeva l'ora di assistere allo spettacolo, nonostante in cuor suo sapesse già per chi tifare.

George spalancò gli occhi per la sorpresa e si affrettò a porre fine a quella scena, inserendosi tra Hugh e la sua preda con fare sbrigativo e impaziente, "Bene, ora che vi conoscete un po' tutti posso procedere a esporle le visite a cui si sottoporrà per ricevere dal nostro team la diagnosi più accurata e di conseguenza la migliore terapia possibile. Mi segua Hugh...”

L'aria di confidenza con cui George lo aveva chiamato per nome produsse in Ross uno sdegno molto intenso. Non soltanto aveva dovuto assistere alle smancerie di quel bellimbusto nei confronti della sua ragazza, ma era stato costretto a ricoprire anche il ruolo di testimone di quei patetici tentativi di adulazione attraverso cui George aveva dimostrato chiaramente l'intenzione di accaparrarsi la simpatia del fortunato paziente, a svantaggio di Caroline e di tutto l'ospedale.

Rimasti soli, Ross e Demelza non avevano idea di cosa dirsi. Il loro amore era appena sbocciato che già un insetto insistente minacciava di contaminare l'imperturbabilità di quel fiore.


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Capitolo 26
*** Capitolo XXIV ***


Nei mesi che passarono dal giorno della visita di Hugh Armitage all'ospedale di Truro, i risultati raggiunti dalla terapia elaborata da Dwight non furono quelli sperati. Un clima di generale sconforto nei confronti di una probabile guarigione per il giovane rampollo di Lord Flamouth si insediò prepotentemente nell'animo della maggior parte dei medici facenti parte della prestigiosa eqipe, per lo più concordi nell' esprimere una condanna definitiva. Tutti ad eccezione di Demelza.

A George non era mai interessata particolarmente la salvezza di Hugh, almeno non quanto teneva ai soldi che suo zio elargiva abbondantemente con la speranza che prima o poi una cura sarebbe stata trovata e Hugh avrebbe potuto vivere spensieratamente il resto dei suoi giorni. Ovviamente auspicava che il ricovero durasse il più a lungo possibile, senza curarsi minimamente del risvolto che quell'esperienza aveva sullo stato d'animo del paziente, compromettendo in questo modo l'efficacia della terapia stessa.

Più che un medico, Demelza era diventata una sorta di infermiera personale, la compagna di qualche ora la cui presenza pareva essere l'unico giovamento lampante. Tuttavia, Hugh non sembrava condividere lo stesso spirito di amicizia che Demelza nutriva per lui: ciò che esprimevano i suoi occhi languidi ogni volta che si concentravano sul suo viso non era un semplice sentimento d'affetto, piuttosto un desiderio bruciante che lo tormentava e lo esaltava in egual misura, la catarsi necessaria per allontanare la malinconia derivata dalla consapevolezza di non avere niente da offrirle in quelle condizioni.

Mentre Demelza controllava che la flebo a cui era attaccato funzionasse correttamente, Hugh le trattenne il braccio con la mano, “Tu sai cosa mi servirebbe davvero. La garanzia della mia salvezza è riposta sulle tue labbra, Demelza.”

“Purtroppo non posso darti nulla di più di quello che ti ho già dato. Mi spezza il cuore vederti così debole e sofferente, però ti assicuro che sto cercando di fare tutto il possibile per evitare...”

“Che io muoia? Oh, non credere che sia la morte fisica quella io che temo, no. E' la morte di ogni speranza d'amore per te che mi fa decisamente più paura.”

Demelza si liberò dalla sua presa e si appoggiò alla poltrona posta di fronte al suo capezzale. Aveva gli occhi pieni di lacrime, ma una risolutezza tale da impedirle di piangerne anche una sola, “Per quanto Dwight, Ross e tutti gli altri siano contrari, io credo che una soluzione sia possibile.”

Hugh le sorrise dolcemente, “Hai visto? La pensiamo allo stesso modo. Sentiamo se la mia opinione coincide con la tua, allora.”

“Niente affatto, Hugh. Purtroppo non saranno le tue idee romantiche a salvarti la vita, ma un'operazione chirurgica che potrebbe assicurarti l'espianto della massa tumorale annidata nel cervello. Non ho nessuna capacità miracolosa in grado di evitarti l'intervento, però il dottor Poldark saprebbe sicuramente dimostrarti le sue straordinarie doti da chirurgo, se solo lo volessi...”

“E' riuscito a conquistare il tuo cuore, dunque immagino che goda di molte altre qualità oltre a quelle chirurguche...”

La franchezza con cui pronunciò quelle parole la fece arrossire violentemente, “Sì, certo. Ma non è questo il punto.”

“Perdonami, non volevo metterti in imbarazzo.”

Demelza si alzò di scatto, guardandolo dritto negli occhi con una certa commozione mista a risentimento. L'energia dei primi tempi, quando Hugh si recava all' ambulatorio per le consuete visite settimanali, sembrava essere scomparsa del tutto dal suo corpo. Ora era solo attraverso lo slancio dei suoi versi che il giovane poeta riusciva a conservare una parvenza di ciò che era precedentemente: un uomo libero, sano e soprattuto incosciente dei rischi.Vederlo così, come un uccellino ferito incapace di volare nonostante la sua volontà, era un incredibile strazio per chiunque, ma Demelza conosceva meglio di chiunque altro la sua commovente voglia di vivere e, proprio perché era ben consapevole della gabbia in cui era rinchiuso, soffriva per quella giovane vita che veniva inesorabilmente sprecata in un letto d'ospedale.

“Le tue poesie sono bellissime, ma mi turbano molto. Mi fa piacere che tu abbia un'opinione così alta di me, ma temo che sia anche decisamente irrealistica e che tu ti stia soltanto illudendo. La donna di cui sei innamorato è in realtà una persona imperfetta, lontanissima dal tuo ideale romantico, e sebbene non so cosa darei perché tu sia finalmente svincolato dalla prigione di questa malattia, so per certo che esiste qualcosa che non riuscirei mai a darti.”

“Ascoltami, ti prego. Ross è il mio medico, un uomo che stimo moltissimo, e comprendo che tu non voglia tradire la sua fiducia. Tuttavia, sono convinto che se tu decidessi di rendermi felice con un unico bacio, non solo non comprometteresti in alcun modo la tua virtù ai suoi occhi, ma faresti un regalo a un moribondo che ha solo quello in cui sperare.”

Hugh allungò nuovamente il braccio verso di lei, invitandola a tenergli la mano, “Se mi prometterai che quel giorno arriverà presto, mia cara Demelza, ti garantisco che mi sottoporrò all'intervento. Riuscirò a convincere mio zio che questa è l'unica via d'uscita, nonostante il parere contrario del dottor Enys e di Ross.”

“Non preoccuparti di quel giorno. Pensa piuttosto ai giorni che verranno dopo l'intervento.” Demelza si avvicinò alla porta. Con una mano sulla maniglia rimase in attesa che Hugh la congedasse.

“Hai ragione, ma adesso il mio cuore è in ansia. Penso che queste parole di Percy Shelley possano chiarire perfettamente il mio stato d'animo: «Non è giorno abbastanza? Perché scruto nell'oscurità del giorno a venire? Non è domani proprio come ieri? E cambierà, il giorno che segue la tua sorte? Pochi fiori crescono sul tuo cammino gelido: E chi ti aspetta nella casa tetra donde fuggisti e a cui devi tornare, oppresso dal fardello che ti rende incerto e triste?»”

Demelza scosse la testa, “Nemmeno tu sei un eroe romantico, Hugh. Non ti è dovuto il sacrificio, come non è dovuto a me.”

“Spero comunque che domani sia un giorno diverso e che il mio cammino gelido possa essere riscaldato da una tua risposta.”

Esattamente in quel momento, Demelza sentì la pressione di un'altra mano premere sulla maniglia posta sul lato opposto della stanza. Con il cuore in gola, sperò che chiunque fosse entrato di lì a pochi secondi non avesse intuito le allusioni che si celavano dietro quel discorso, dal momento che la porta era rimasta socchiusa per tutto il tempo.

“Beh, questo dipende dalla risposta...”

Ross le lanciò un'occhiata profondamente eloquente, prima di procedere ad auscultare i battiti del cuore di Hugh, non meravigliandosi affatto di quanto fossero più veloci del solito.

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Capitolo 27
*** Capitolo XXV ***


“Ross, spero che tu non abbia frainteso...” Demelza si avvicinò a lui sfiorandogli dolcemente la schiena curva sul suo paziente, cercando in questo modo di trasmettergli chiaramente quei sentimenti che l'imbarazzo dovuto alla situazione, e alla presenza adesso particolarmente silenziosa di Hugh, non le permetteva di tradurre in parole altrettanto efficaci.

Ross si schiarì la voce, cercando di dimostrasi apparentemente impassibile, “Mi è parso di intuire che la criticità della sua situazione sia evidente anche a lei, tenete Armitage. Credo sia arrivato il momento di dimetterla dall'ospedale e sancire definitivamente il nostro fallimento.”

Demelza lo guardò esterrefatta, “Ma ho spiegato a Hugh che una soluzione è ancora possibile. Perché abbattersi così facilmente?”

“Sì, sono piuttosto consapevole che Il tenente Armitage” - sottolineò con enfasi il cognome del giovane degente, ponendo Demelza di fronte all'innegabile evidenza di quanto intima fosse diventata la loro relazione anche agli occhi degli altri - “pretende di sapere quale sia il miracolo di cui ha bisogno per guarire, ma purtroppo la scienza sembra non condividere la stessa speranza.”

Hugh cercò di sollevarsi sui gomiti quanto più il suo corpo dolorante gli permetteva, ma ben presto dovette arrendersi alla debolezza dei suoi muscoli e intervenire nella questione facendo a meno di un po' di quella dignità fisica che ancora gli rimaneva, “Demelza mi ha parlato di un intervento...”

Ross lo interruppe immediatamente, scuotendo perentoriamente la testa in segno di disapprovazione “La dottoressa Carne, a volte, si lascia trasportare dall'entusiasmo senza considerare le conseguenza di determinate azioni. Io e il dottor Enys siamo assolutamente contrari ad intervenire e voglio che ciò sia chiaro.”

“Certo, posso comprendervi. Ciononostante ritengo che Demelza sia meno imprudente di quanto pensiate e che se per lei ho ancora una speranza, qualunque suo desiderio sarà anche il mio.”

“Sinceramente non la capisco. Non esiste nessuna garanzia di non recidiva e in più correrebbe il rischio di perdere la vista a la facoltà di parlare. Questa che è la vita che vorrebbe?” Scandì bene la domanda, affinché anche Demelza tornasse a ragionare e cambiasse idea.

Al contrario, Demelza sembrava essere sul punto di scoppiare in una sfuriata memorabile, perciò dovette attingere a tutta la sua calma interiore per evitare di correre il rischio di indisporre quello che, nonostante tutto, rimaneva il suo superiore esponendogli il suo inamovibile punto di vista, “Forse, il dottor Poldark dimentica che lord Flamouth ha spesso convenuto con me a riguardo e che le percentuali di successo esistono, seppur non siano altissime. Mi sembra un tale spreco far finta di niente e arrendersi alla morte, così senza nemmeno provarci.”

Ross rispose con un sorrisetto ironico, continuando a scuotere la testa incredulo dell'assurdità della sua presa di posizione. Dal canto suo, Demelza era intenzionata a non dargliela vinta e a insistere che quello fosse un gesto dovuto da parte dell'equipe medica che per mesi si era interessata al suo caso, l'ultimo atto di umanità che un giovane quasi privo di aspettative meritava.

“Allora è deciso. Mi opererò quando voi lo riterrete più opportuno, anche se non trovo alcun motivo per ritardare ulteriormente. Domani potrebbe incominciare una nuova vita per me e non ho intenzione di sprecarne nemmeno un secondo.”

Ross e Demelza si scambiarono un'occhiata fugace, poi Demelza tornò su Hugh con un sorriso pieno di ottimismo e sollievo, mentre Ross abbassò lo sguardo soltanto per risollevarne dopo un ancora più aggrottato sulla coppia, che proprio in quel momento si stava tenendo stretta per mano con l'intento di diffondersi reciproco coraggio. O perlomeno, questo accadeva solo da parte di Demelza visto che Hugh traeva da quel contatto un beneficio notevolmente diverso.

“Dovremo discuterne con il Consiglio. Non credo che saranno favorevoli.”

Demelza si staccò da Hugh e si mosse verso di lui, “Proviamoci, ti prego!”

Trenwith si stava preparando ad accogliere una nuova vita, ovvero il primogenito di Francis ed Elizabeth, nonché il prossimo erede del titolo e della fortuna dei Poldark. Il buonumore delle donne della famiglia diventava ogni giorno più contagioso: la vecchia zia Agatha, fiduciosa nei suoi tarocchi, aveva preannunciato la nascita di un bel maschietto identico al padre, un piccolo principino biondo dagli occhi azzurri che avrebbe fatto innamorare di sé tutti quanti, facendo spudoratamente finta di ignorare il verdetto più che palese emerso già dalle ecografie; Verity credeva che le premure per questo bambino avrebbero colmato una parte del grande vuoto d'affetto che aveva nel cuore, un vuoto che si faceva sempre più difficile da sopportare e da riempire; infine Elizabeth sapeva che il piccolo sarebbe stato il vero amore della sua vita, l'unico uomo verso cui non avrebbe mai nutrito alcun dubbio e l'unico per il quale avrebbe lottato con tutte le sue forze pur di difenderlo dalle difficoltà della vita...

Francis, invece, sembrava essersi incupito. All'esterno il suo atteggiamento diffidente poteva essere riconducibile all'ansia di diventare genitore per la prima volta, una paura del tutto comprensibile, ma in realtà era il timore di aver perso quasi tutto il suo denaro che lo logorava internamente.

Negli ultimi mesi aveva intensificato le visite al casinò, ottenendo di rimando una cospicua perdita di denaro che gli aveva reso necessario richiedere un prestito presso la banca dei Warleggan. Cosa avrebbe potuto offrire a suo figlio? Soltanto debiti di gioco. E cosa ad Elizabeth? La soddisfazione di poter dire a se stessa 'te l'avevo detto', rendendo in questo modo naturale e inattaccabile qualunque ripensamento da parte sua sul loro matrimonio.

Su cosa sua moglie avrebbe potuto fare a quel punto, Francis non nutriva alcun dubbio. Non la si poteva biasimare se avesse manifestato il chiaro desiderio di cercare la felicità tra le braccia del suo primo amore. Ross non l'avrebbe mai delusa quanto lui, sebbene la presenza di Demelza nella sua vita rendesse più improbabile, ma non impossibile, la disponibilità di suo cugino ad accorrere in aiuto di Elizabeth.

Non potendo affrontare l'argomento con Ross, Francis aveva trovato saggio confidarsi con George e raccontare a lui i suoi problemi economici e familiari. A dire il vero, era stato proprio il suo collega a fomentare il sospetto su un'eventuale rinascita di ciò che c'era stato tra Elizabeth e Ross.

Per il momento sarebbe stato stupido concentrasi su questa paura, ma il seme del dubbio si insinuava già da parecchio tempo nei suoi pensieri: forse Elizabeth non sarebbe mai stata davvero felice con lui e probabilmente anche i suoi sentimenti verso di lei non erano più gli stessi. C'era qualcosa nella sua apparente perfezione che lo irritava e lo deprimeva al tempo stesso, i loro bisogni e desideri non coincidevano come avrebbero dovuto.

Eppure si sentiva geloso, insicuro e tormentato nei confronti di Ross. L'uomo del successo era sempre stato lui, malgrado la sua testa calda e tutto il resto...


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Capitolo 28
*** Capitolo XXVI ***


Durante il viaggio in macchina verso casa, Ross e Demelza non si scambiarono nemmeno una parola. Ross era ancora arrabbiato e fin troppo orgoglioso per tirare fuori l'argomento per primo, correndo il rischio di dimostrarsi vulnerabile alle insinuazioni di Delmelza riguardo alla sua “ingiustificata” gelosia nei confronti di Hugh Armitage.

La mente di Demelza, invece, correva veloce in direzione opposta e tutto ciò che desiderava era eliminare il risentimento presente tra di loro, squarciare la nube minacciosa che oscurava la loro felicità e far capire a Ross che non c'era alcun pericolo da temere. Probabilmente l'esperienza vissuta con Elizabeth, il fatto di averla vista sfuggire dalle sue mani così facilmente e l'aver dovuto accettare in maniera passiva che un altro uomo avesse preso il suo posto, influiva pesantemente sulla mancanza di fiducia che ora Ross dimostrava nei suoi confronti. Ma lei non era come Elizabeth...

“Rimanere in silenzio non fa altro che peggiorare le cose, Ross.” Gli rivolse un sorriso pieno di comprensione.

Ross si limitò ad aggrottare le sopracciglia, scuotendo la testa sempre più incredulo dell'assurdità della situazione che si era andata a creare a causa delle pretese impossibili di un giovane viziato in punto di morte. Ovviamente, Hugh era stato abituato ad avere tutto dalla vita. Ad ogni richiesta seguiva il suo naturale appagamento, così come ad ogni scossa data dalle sue aristocratiche mani al campanello della sua insolenza rispondeva un cameriere pronto per farsi in quattro pur di appagare i vagheggiamenti di un animo sofisticato come il suo.

Demelza gli accarezzò lentamente il dorso della mano che teneva su volante, “Se credi che...”

“No, ma se ritieni opportuno mettermi al corrente di cosa sia giusto che io pensi, allora accomodati. Ormai è evidente che non si tratta più di una semplice speculazione, ma di qualcosa di ben più tangibile che temo ti abbia già coinvolta abbastanza.” Si fermò presso un'area di sosta, lasciando che Demelza si voltasse più facilmente verso di lui per parlarle in maniera diretta.

“Se Armitage è arrivato a tanto, la colpa è solo mia. Non avrei dovuto permetterti di seguire il suo caso.” Continuò approfittando della quiete che regnava nell'aria, nonostante la densità dei sentimenti che provavano entrambi, “Con questo non voglio dire che tu non ne fossi capace, però vi siete affezionati in maniera eccessiva l'uno all'altra ed ora... ”

Le ultime parole risuonarono come il risultato di un grande sforzo emotivo da parte di Ross.

“Ed ora hai paura di avermi persa, ma non è così...”

Ross alzò lo sguardo sui suoi occhi incredibilmente espressivi, trovandovi una sicurezza e un affetto sinceri e del tutto lontani dall'atteggiamento esitante e lezioso con cui Elizabeth gli si era approcciata il giorno della festa di fidanzamento a Trenwith con la speranza di salvare un pezzo di quel cuore, frantumato a causa del suo bisogno di trovare in Francis quel qualcosa in più che lui si era dimostrato incapace di offrirle. Demelza riusciva a tirargli fuori con schiettezza alcuni intricati discorsi interiori che, per sua natura, trovava difficili da esternare, sbalordendolo continuamente per la sua innata capacità di leggere nel cuore delle persone con cui entrava in contatto. Era successo così anche con Hugh? Si domandò con una certa irritazione.

“Spero di no.”

Le prese il viso tra le mani e lo avvicinò al suo, in modo che le loro fronti si incontrassero. Rimasero così per qualche secondo, poi Demelza partì alla ricerca delle sue labbra per baciarlo con una dolcezza straordinaria, ricolma di tutte quelle risposte necessarie per convincerlo dell'onestà del suo sentimento verso di lui.

Ben presto la dolcezza si trasformò in una passione impetuosa, quasi da togliere il fiato. Quei baci trascinanti non bastavano più, la combinazione perfetta delle loro labbra aveva spalancato le porte a un desiderio impellente di carezze che superava le barriere fisiche del corpo per raggiungere qualcosa di più profondo come l'anima. Si cercavano con la sete di trovarsi lì dove avrebbero potuto riconoscersi, senza barriere e timori: un luogo di solitudine condivisa che vibrava d'amore.

Caroline, intanto, aveva deciso di fare un salto al poliambulatorio per salutare il paziente più illustre che avessero ricoverato sino ad allora, nonostante fosse già tardi e l'aspettasse un'orribile notte insonne sui registri dei conti dell'ultimo mese. In realtà, quello era solo il pretesto che le serviva per trascorrere qualche minuto con una determinata persona... Un uomo che, sebbene non volesse ammetterlo, cominciava a risvegliare in lei degli affetti volontariamente assopiti da tempo.

“Vedo che Ross ne ha approfittato per godersi l'esclusiva su Demelza... Sbaglio o oggi era il suo turno?” Si piantò davanti a Dwight con le braccia incrociate sul petto, in attesa che il suono dei ciondoli del suo braccialetto richiamassero l'attenzione del medico, in quel momento impegnato a cercare una cartella clinica nell'archivio situato dietro il bancone della reception.

"Se non sta attento potrebbe perderla. Una ragazza così preziosa e ambita..."

La giovane infermiera addetta ad accogliere gli arrivi spalancò gli occhi, in preda ad un forte imbarazzo causato all'assoluta indifferenza mostrata da Dwight nei confronti dei numerosi tentativi del Presidente del Consiglio di Amministrazione di ottenere la sua considerazione.

Iniziò a balbettare qualche parola, ma alla fine preferì svignarsela lasciando che se la cavassero da soli.

“Per quanto ancora vorrai ignorarmi, dottor Enys? Non ho molto tempo da perdere, quindi ti pregherei di sollevare lo sguardo da quelle scartoffie per qualche minuto e degnarmi di un minimo di rispetto.”

“Oh, scusami Caroline. Ehm, volevo dire, scusi tanto Presidente. Ora sono tutto per lei, qualcosa non va? Horace ha mangiato troppe caramelle anche questa volta?” La guardò con un'espressione sfacciata e per nulla contrita, cercando di nascondere il divertimento che provava di fronte alla permalosità che traspariva dal suo atteggiamento.

“No, fortunatamente Horace gode di ottima salute.”

“Bene, allora per quale motivo ti saresti scomodata a venire a trovarmi?” Si indirizzò verso di lei, con la cartella di Hugh Armitage sotto il braccio.

“Ero convinta che fossi io quella egocentrica, ma ora mi rendo conto di essere piuttosto sbalordita dalla tua presunzione. Un vanesio in germe... Effettivamente, sono qui per chiederti una consulenza.”

“Di che tipo?” Lo sguardo di Dwight si fece più serio.

“Medico, ovviamente.”

“Dimmi tutto.” Le sfiorò timidamente la schiena, invitandola con una leggera pressione ad entrare nella stanza delle visite.

“Credo di avere una distorsione alla caviglia. Ho cercato di minimizzare, ma fa davvero male!”

Dwight la guardò con aria dubbiosa, “Non ne sono così sicuro, sai? Altrimenti non avresti potuto camminare tutto il giorno su quel tipo di scarpe e per di più guidare come se nulla fosse.”

“Infatti, stavo scherzando!” Lo punzecchiò, evidentemente compiaciuta di se stessa, e lo invitò a sedersi sul lettino, mentre con una mossa alquanto agile e imprevedibile gli sfilò la cartella clinica da sotto il braccio per poi mettersi a leggerla silenziosamente proprio come se fosse lei il medico.

Dwight alzò gli occhi al cielo, “E la privacy dove la mettiamo?”

“Oh, ma per me non vale! Dovresti saperlo bene, altrimenti quali sarebbero i vantaggi di essere il capo?” Ritornò con lo sguardo sui fogli immacolati, cercando di capirci qualche cosa. Alla fine dovette cedere e riconsegnare il materiale rilegato al medico che l'ammirava con aria rassegnata e divertita al tempo stesso: Caroline sembrava una bambina che non voleva ammettere la sua ignoranza in materia.

“Cosa vuoi sapere?” Le chiese molto pazientemente.

“Solo se ci sono i presupposti per un intervento chirurgico. Mi sembra una soluzione drastica, ma ho ricevuto una telefonata da parte di Lord Flamuth in cui mi è stata comunicata l'intenzione di suo nipote di sottoporsi ad un'operazione e ora mi domando se sia davvero il caso di correre questo rischio.”

“Se Flamouth ha già deciso, non vedo alternative...”

Caroline ci pensò su per un attimo prima di parlare, “Certo, però vorrei che ascoltasse il parere dell'equipe di chirurghi prima di procedere. Suo nipote non è un medico, malgrado ne abbia l'arroganza.”

Dwight si alzò e aprì la porta alle spalle di Caroline, “Quindi credi sia opportuno convocare il Consiglio?”

“Non vorrei che questa storia si concluda in tragedia. O perlomeno, non per responsabilità dell'ospedale.” Varcò la soglia della porta, assicurandosi che nessun infermiere impiccione fosse lì nei paraggi.

“Mi ricordi George Warleggan quando parli così...”

Gli rispose con un sorriso malinconico, “Siamo entrambi senza cuore, non è vero?”

“Ti devo smentire, Caroline. Da medico posso assicurarti che senza cuore nessun uomo potrebbe sopravvivere.”

“E questo sarebbe quello che hai imparato dai libri di anatomia? Perché, per quanto mi riguarda, per sopravvivere alla vita è meglio fingere di non averlo.”

“Non accetterò il tuo consiglio.”

Caroline alzò le spalle, allontanandosi dalle minacce di una vita governata dalle emozioni sulle sue vertiginose decolleté scamosciate.


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Capitolo 29
*** Capitolo XXVII ***


Non so se posso dirlo...

Ross la guardò con unaria interrogativa, volgendo il viso alla sua destra, dove Demelza gli giaceva accanto con la testa posata sul suo petto. Le dita procedevano indomite tra i ricci di quella capigliatura fiammeggiante, fino a quando non furono proprio le dita di Demelza a chiudersi come uno scrigno a custodire la sua mano.

Perché non dovresti? Le baciò la fronte per incoraggiarla a parlare.

Semplicemente perché ho paura che svanisca. Non mi sono capitate tante cose belle nella vita, perciò vorrei tenerle strette più forte che posso e non lasciarmele sfuggire. Si strinse sempre più forte a Ross, in modo da cingergli la vita con entrambe le braccia e sigillare in un abbraccio tutto ciò che in quel momento sentiva per lui: si trattava di qualcosa di molto potente, un senso di gratitudine e rispetto unito al costante desiderio che le faceva sentire le farfalle nello stomaco ogni volta che lo guardava.

Ross le accarezzò i capelli, procedendo lungo il profilo della sua schiena e dei fianchi, Siamo qui, uno accanto all'altra. Cos'altro potremmo desiderare?

Beh, forse la certezza che questo momento non finirà mai.

L'espressione di Ross si fece più seria, Non sai cosa darei per potertelo garantire... Per ora facciamoci bastare quello che stiamo vivendo e i ricordi che abbiamo avuto, le promesse che ci siamo fatti silenziosamente in questi mesi. Le sfiorò la punta del naso con un dito.

Demelza non poté fare a meno di sorridere al ricordo del loro primo incontro, alla stazione di servizio dove lei si era fermata per accudire il povero Garrick finendo col perdere la sua prima giornata di lavoro ma al tempo stesso guadagnando un bene dal valore inestimabile: l'aver salvato la vita di quel tenero pelosetto e trovato Ross aveva finito col rivelarsi un riscatto per la sua stessa condizione di vagabondaggio, una vera e propria via d'uscita dal passato verso un nuovo punto di partenza. Una fortuna doppia che correva su un unico binario rappresentava la più splendida premessa del destino e il viatico di cui aveva bisogno per affrontare finalmente il viaggio della sua vita da adulta.

Tutto d'un tratto, il suono di una notifica appena arrivata sul loro smartphone ebbe l'effetto di spezzare la magia di quel momento, riportandoli ai loro doveri reali. Non potevano far finta di niente e, dal momento che entrambi avevano dato la propria disponibilità per essere reperibili in qualsiasi momento, erano ben consci del fatto che qualcuno o qualcosa avrebbe inevitabilmente interrotto la loro amorevole conversazione notturna prima che arrivasse l'alba. La speranza di rimanere abbracciati così per un tempo che superasse almeno il crepuscolo non tardò a infrangersi contro l'oggettiva esistenza del mondo reale.

Le condizioni di Hugh si sono aggravate. Demelza lesse il messaggio ad alta voce, pur consapevole che Ross avesse sotto gli occhi la stessa comunicazione. Afferrò al volo la camicia da notte che era disposta sul pavimento e la infilò in un lampo.

Dwight pensa dovremmo intervenire subito se vogliamo che sopravviva fino a domani. A questo punto credo che sia meglio che tu non venga, Demelza.

Il viso di lei esprimeva qualcosa di simile all'incredulità e all'indignazione, o comunque qualcosa che in ogni caso non avesse nulla a che fare con la comprensione. No, non c'era assolutamente niente di comprensibile in quell'imposizione, camuffata sotto forma di disinteressato suggerimento, se non la gelosia che continuava a corrodere l'animo di Ross persino in un'urgenza come quella, che richiedeva l'intervento immediato da parte di tutti e in special modo da parte sua.

Hugh è un mio paziente, come pensi che possa permettere una cosa del genere? Starmene con le mani in mano quando potrei e dovrei fare qualcosa per aiutarlo!

Te lo ripeto, Demelza: sei troppo coinvolta. Non obbligarmi a parlarne con Caroline.

Non ho nulla da nascondere!

Ma tutto da perdere... Come fai a non renderti conto che sarebbe un rischio troppo alto? Sono io il tuo capo, quindi sta a me decidere se farti partecipare o meno.

Bene, immagino che non abbia scelta.

Ross la scrutò con esitazione, incerto se fidarsi di lei e consentirle di assistere all'operazione oppure fidarsi del suo intuito che continuava a suggerirgli di tenere il pugno di ferro. In fondo sapeva che quella era l'unica soluzione possibile, per evitare spiacevoli conseguenze sia a Hugh che a Demelza. Commettere un passo falso a causa dell'intensa partecipazione emotiva che nutriva per la condizione del suo paziente l'avrebbe condannata alla fine di una carriera appena nata, questo Demelza non voleva proprio riconoscerlo nemmeno a se stessa.

Ormai era quasi pronto per uscire, ma mentre si allacciava la cintura dei pantaloni provò perlomeno ad alleggerire la tensione, Non mi piace l'idea di lasciarti qui da sola, comunque. Dici che possiamo fidarci di Garrick? Sarebbe un buon guardiano?

Sono io quella di cui non dovresti fidarti...

Ross sollevò gli occhi su di lei, sforzandosi di gestire al meglio la sua esasperazione, Davvero lo faresti? E io che ti credevo una ragazza matura!

Lasciami venire con te. Ti prometto che sarò una semplice osservatrice.

Ci pensò un po' su, poi annuì quasi impercettibilmente, Daccordo, ma sappi che non ti perderò docchio!

Nel cuore della notte, quando una giovane vita minacciava di spegnersi al culmine di una malattia ignobile, Trenwith si stava preparando insapettatamente ad accoglierne una nuova. Verity aveva mandato a chiamare urgentemente Dwight Enys, per assicurarsi che sua cognata e suo nipote ricevessero le migliori cure possibili anche nella delicatissima fase del travaglio, tuttavia lospedale aveva indugiato a confermarle la disponibilità del medico a causa di unimpellenza ancora più improrogabile. Certo, avrebbero potuto inviare il rispettabilissimo dottor Choake per seguire il parto della signora Poldark se solo Verity non avesse rifiutato categoricamente la sua consulenza, ben memore dei supplizi a cui aveva sottoposto il vecchio Charles adottando i suoi soliti metodi medievali.

Quella era anche lennesima notte che Francis passava fuori casa, trastullandosi chissà dove e con chi. Provare a contattarlo non sarebbe servito a niente, anzi forse sarebbe stato meglio che non si presentasse nemmeno a suo figlio nello stato in cui si trovava: ubriaco fradicio, fuori di sé e irritabile nei confronti del mondo intero.

Lultima cosa che Verity desiderava era che suo fratello finisse collimprimere nel piccolo un primo ricordo di suo padre così spiacevole e alterato, perché in cuor suo sapeva che il vero Francis meritava di più…

Elizabeth era irriconoscibile, il viso contratto in smorfie di dolore che Verity non sapeva come alleviare. Agatha, invece, era scesa al pianterreno e ingannava il tempo divertendosi con i suoi amati tarocchi, in camicia da notte e con un bicchiere di porto sempre pieno posato sull'orlo del tavolino, sperando che il nascituro sarebbe diventato con il tempo un degno compagno di gioco.

Oh, che pena vederti in quello stato Verity! Scommetto che Elizabeth sia fresca come una rosa a confronto! Agatha ridacchiò, finendo col tossire a causa del liquore che stava ingerendo mentre si rivolgeva sarcasticamente alla sua nipote preferita.

Nessun medico nei paraggi che possa venire a Trenwith ad eccezione di Choake!” La giovane si accasciò sul sofà in preda allo sfinimento. Non ricordava più quante volte avesse digitato il numero dell’ospedale e della guardia medica di turno, con la speranza di ricevere la risposta che aspettava. Adesso Elizabeth si trovava in compagnia di una cameriera ancora più terrorizzata di lei, mentre Agatha pensava a sorseggiare la sua bevanda inebriante come se fosse un sedativo per fuggire al caos che si agitava nella casa. Possibile che fosse Verity l’unica persona responsabile della famiglia?

“Consoliamoci, mia cara, pensando che il piccolo verrà al mondo in un’atmosfera tutta femminile. L’influenza del nostro sesso sarà positiva, credimi. E poi, non trovi che gli uomini e il loro orgoglioso testosterone siano sopravvalutati ormai? Probabilmente Marple farà nascere mio nipote meglio di qualsiasi medico maschio che si vanti di aver aiutato a far partorire la regina in persona!

“Zia, non si chiama Marple… E’ Bess, la figlia del nostro maggiordomo.” Verity si passò una mano sulla fronte fradicia, alzando gli occhi al cielo.

“E’ uguale. Ma, aspetta un attimo…” L’anziana donna smise di giocherellare. 

Sotto lo sguardo stupito di Verity, stava fissando come rapita da una rivelazione un punto indefinito oltre le finestre che affacciavano su un paesaggio completamente buio. L’illuminazione le era arrivata senza nessuno sforzo, “Misericordia! Che aspetti a chiamare Ross?”

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Capitolo 30
*** Capitolo XXVIII parte prima ***


Lesito di quella notte turbolenta non era ancora stato deciso, ma Dwight avrebbe fatto di tutto per garantire un finale favorevole e il sorgere di un nuovo giorno di vita per Hugh Armitage. Nonostante si fosse dimostrato sempre contrario ad ogni tipo di intervento nei confronti del paziente, ormai troppo debilitato e inevitabilmente condannato alla morte, limpellente necessità di salvargli la vita aveva reso inutile il documento firmato qualche ora prima dallo stesso Armitage affinché procedessero come sostenuto da Demelza e la convocazione del Consiglio di amministrazione per valutare meglio le probabilità di successo.

A Hugh non sarebbero rimasti comunque che pochi mesi, ma valeva la pena tentare in modo che potesse goderseli davvero. Quando Dwight venne finalmente raggiunto da Ross e da Demelza, nulla riuscì a trattenerlo dal liberare un sospiro di sollievo, Ross, hanno bisogno di te a Trenwith. Io non posso allontanarmi per nessun motivo da qui.

Ross rimase sgomento, Chi è che sta male e perché non hanno chiamato una guardia medica?

Tua cugina sta per partorire. Credi che una guardia medica sia sufficiente? Nel tono di voce di Dwight si poteva riscontare del nervosismo, dovuto principalmente allespressione insofferente che aveva notato sul viso del suo migliore amico. Cosa si aspettava? Che il capo delle équipe medica abbandonasse il suo paziente soltanto perché avere a che fare con Elizabeth avrebbe risvegliato in lui ricordi imbarazzanti e compromesso in questo modo le sue eccezionali doti chirurgiche?

No, però sai bene che ostetricia e ginecologia non è esattamente la mia specializzazione. Si guardò intorno per constatare se Demelza stesse ascoltando. Si trattava di una questione molto delicata ed era convinto che sarebbe stato difficile per lei accettare una situazione del genere.

Demelza cercò di tenersi lontana dai due, facendo finta di distrarsi scambiando qualche battuta con la responsabile della reception. In un certo senso si stava profilando proprio la situazione che Ross aveva temuto potesse realizzarsi coinvolgendola nellintervento di Hugh ma, per quanto potessero essere simili i contesti, una differenza sostanziale rendeva difficile paragonare i due casi: Demelza non amava Hugh, mentre il sentimento che aveva legato Ross ad Elizabeth era stato così profondo, almeno da parte di Ross, da potersi dire mai del tutto superato, quindi facilmente risvegliabile.

Capisco quanto tu possa sentirti a disagio, Ross. Ma al momento non abbiamo nessun altro medico disponibile…” Dwight proseguì sottovoce, “…ad eccezione di Choake.

Bene, ora è tutto più chiaro. Si grattò il mento, analizzando razionalmente le alternative a cui Dwight non aveva ancora pensato. Tutto dun tratto, guardando Demelza conversare in lontananza, arrivò lintuizione che stava cercando, Può andare Demelza. Lho esonerata dalloperazione, quindi è libera di seguire il parto di Elizabeth mentre noi ci occupiamo di Armitage.

Dwight rimase senza parole.

Daccordo, allora. Vado a prepararmi e a comunicarlo a Demelza…”

Aspetta, Ross. Sarai tu ad andare a Trenwith. Lassistenza di Demelza mi sarà sufficiente.

Dwight aveva assunto unaria irremovibile. Erano davvero rare le occasioni in cui Ross ricordava che il dottor Enys affermasse così la propria assertività di fronte a un chiaro rifiuto da parte sua. Credeva che in passato Dwight avesse sempre avvallato senza troppi problemi ogni sua decisione, ma adesso poteva leggere nei suoi occhi qualcosa di nuovo, una difformità di opinioni piuttosto seria che si era intromessa tra di loro e che non gli avrebbe consentito di averla vinta.

A quel punto Demelza si congedò dalle infinite e ingiustificate lamentele salariarli dellinfermiera dietro il bancone dingresso, avanzando timidamente verso i suoi superiori. Dwight le rivolse un sorriso pieno di risolutezza, mentre Ross tentava inutilmente di trovare un senso a quello che di lì a poco sarebbe accaduto.

Lanestesia avrà presto effetto, perciò ti chiedo di correre a preparati. Gli occhi verde acqua si colmarono di grande riconoscenza verso Dwight, ma le sue labbra non riuscivano a curvarsi in un pieno sorriso al pensiero di quanto difficile potesse rivelarsi loperazione e di quanto dura sarebbe stata per Ross andare a Trenwith. In fin dei conti, lidea che entrasse nuovamente in intimità con Elizabeth, seppure per un fine totalmente diverso, le faceva molto meno male di quanto non facesse a Ross il pensiero di lasciarla operare Hugh. Se lintervento fosse andato a buon fine, Demelza immaginava già quale sarebbe stata la paura di Ross: il fatto che Hugh potesse avere il pretesto di cercarla e lusingarla per avergli salvato la vita, per aver creduto che la sua giovane anima potesse vivere ancora, avrebbe compromesso la serenità di Ross.

Tuo cugino ti sarà riconoscente per sempre. Farai nascere suo figlio, Ross. Dwight gli diede una pacca sulla spalla con lintenzione di infondergli coraggio.

Certo…”

Mentre Dwight guardava lora segnata sul suo orologio, Caroline apparve improvvisamente alle loro spalle con in mano il suo smartphone, Ci siamo tutti, vedo. Ho paura che mentre voi cercherete di salvare vite io trascorrerò il tempo a ragguagliare costantemente il caro George Warleggan, seduta su quella poltrona lì. Non mi perdonerebbe mai sebeh, insomma, ci siamo capiti.

Buon divertimento, allora. Ross si predispose a lasciare il gruppo per andare a svolgere la sua missione, senza mascherare troppo il suo disappunto.

Dove va il dottor Poldark? Credevo che avessimo bisogno di lui. Caroline esaminò attentamente ogni piccolo movimento dei muscoli facciali di Ross.

La signora Poldark è in travaglio. Sebbene sia Dwight il suo medico, ha convenuto che sia io a doverlo sostituire. Visti i trascorsi che ci sono stati tra me ed Elizabeth, non credo che sia la scelta più saggia. Guardò Demelza distogliere prontamente lo sguardo.

Come responsabile di questo ospedale non posso tirarmi indietro di fronte ad unurgenza di tale portata, Caroline. Spero che concorderai con me. Se fossi nei panni di Elizabeth, non preferiresti questo ai metodi antiquati del dottor Choake? La sua era una domanda totalmente ingenua, ma anche totalmente retorica e decisamente inopportuna.

Caroline e Demelza si guardarono a lungo, poi laffascinante imprenditrice trovò le parole giuste per rispondere in tutta onestà alla domanda di Dwight, Non c’è nessun dubbio a riguardo.

Il suo sorriso malizioso di accompagnamento fece arrossire tutti gli altri, in special modo Demelza.

Convieni anche tu, cara? Certo che sì. Che sciocchezza chiedertelo!

Mi fido di Ross.

Caroline si interpose tra Ross e Demelza, appoggiando una mano sulla spalla di lei, Sono sicura che una ragazza matura come te si rifiuterà di lasciarsi prendere dalla gelosia. Il dottor Enys ha fatto molte conquiste in questo modo, però scommetterei tutto ciò che rimane della mia credibilità che il suo cuore non si è mai corrotto a causa di unaltra donna.

Dwight lanciò a Caroline unocchiata fulminante. Non poteva credere quanto indelicata si fosse dimostrata. Prese Demelza sottobraccio per parlarle privatamente, lontano da quei due, Ross deve vincere questo suo limite. Credimi, non avrei avuto problemi a lasciargli operare Hugh, ma so che in casi come questi la disciplina è lunica cosa che serve. È per il suo bene e anche per il tuo.

Per il mio? Chiese Demelza, leggermente incredula.

Per la tua carriera, è questo quello che ci vuole. Se non sapessi che ce la puoi fare non te lo chiederei.

Demelza annuì, Sono pronta.

Bene. Dwight la riaccompagnò da Ross, scambiando Demelza con Caroline. Il tempo stringeva e adesso era necessario che ognuno pensasse al proprio lavoro, ma non prima di un incoraggiamento reciproco. Lasciò che Caroline prendesse posto nella sala daspetto, dove presto sarebbe stata raggiunta da Lord Flamouth.

Ross, invece, fece un respiro profondo e prese il viso di Demelza tra le mani. Lamava perdutamente. Quel tentennamento che aveva avuto nellaccettare lordine impostogli da Dwight era causato proprio dallamore che nutriva per lei, dalla paura che assistere Elizabeth avrebbe rivelato la sua fragilità come uomo e compromesso il suo impegno reale e profondo nei confronti di Demelza. Poter scoprire che non era riuscito a dimenticare il suo primo amore, nonostante la benedizione che lingresso di Demelza nella sua vita avesse rappresentato, costituiva una fonte di ansia e di dolore di cui avrebbe preferito fare a meno.

Ce la faremo, Ross. Io sono sempre qui…” Indicò con un dito il cuore di Ross, “…qualunque cosa accada.

Mi basta sapere questo, mi basta sapere che ti fidi di me…”

Probabilmente molto di più di quanto tu stesso faccia.

Doveva riconoscerlo: Demelza era lunica persona che credeva davvero in lui. Il solo pensiero di lei, del suo viso, delle sue mani e del suo profumo riusciva a spezzare il muro dellinsicurezza e a renderlo un uomo migliore.

Affronta la tua paura e vincila!

Prima di andare le baciò rapidamente le labbra, carico ormai del supporto che gli serviva per affrontare la nottata in compagnia di se stesso e della sua  forza di volontà.

……………………………………………………………………………………………………………………….

Qualche ora dopo, a Dwight toccò lingrato compito di informare Lord Flamouth della morte di suo nipote.

La massa tumorale si era diffusa in una maniera irrecuperabile nel cervello di Hugh, portandolo alla morte celebrale. La perizia chirurgica con cui avevano proceduto non era stata sufficiente a estirpare la malattia che alla fine aveva preso il sopravvento.

Quello con Demelza era stato un incontro brevissimo in cui entrambi, a modo loro, avevano beneficiato dellattimo di irrealtà, di sogno fiabesco e di avances non troppo segrete che la vita aveva offerto loro.

Il paradosso che Hugh aveva creato stava nel suo essere così sensibile e romantico ma al tempo stesso pragmatico rispetto al desiderio di realizzare una fantasia condivisa solo da parte sua. Viveva nel suo sogno, sperando che un giorno potesse trasformarsi in realtà e  ignorando la presenza di un altro uomo nel mondo reale di Demelza.

Così, con una mano che stringeva nella tasca del suo camice lultimo messaggio di Hugh, Demelza si unì a Dwight per raggiungere la sala daspetto. Nel silenzio della morte, le sue parole continuavano ad attraversarle la mente come se fossero state pronunciate giusto un attimo prima.

Chiuse gli occhi per pochi secondi, raccogliendo lemozione che scalpitava per esplodere ma che fino ad allora era riuscita a controllare, da vera professionista. Forse Ross non si era sbagliato, forse ascoltare la notizia stando dall'altra parte come presto avrebbero fatto Caroline e Lord Flamouth sarebbe stato meglio anche per lei, anziché partecipare con le mani legate ad un epilogo preannunciato.

Dwight affrontò la situazione con grande contegno e delicatezza, sostenendo il peso del dolore che anche il cuore di un fiero aristocratico dimostrava di provare. Caroline, invece, non poté far altro che inviare il messaggio del decesso allonorevole direttore finanziario, consapevole che George avrebbe letto tra le righe la conferma che aspettava da tempo, ovvero linizio del declino della sua carriera come Presidente dellOspedale.

Dopo una tragedia del genere come esordio per il Poliambulatorio e per lo stesso Royal Cornwall Hospitals NHS Trust, chi mai avrebbe voluto investire più del denaro o quantomeno della fiducia in lei e nel suo progetto? La colpa non era di nessuno, ma qualcuno avrebbe pagato comunque il prezzo dellincoscienza, della leggerezza con cui avevano preso lapparente sollecitudine di George Warleggan nel dare il suo contributo a una causa tanto nobile. I fondi derivavano dalle casse dei Warleggan, perciò spettava soltanto a loro proclamare il terribile verdetto e prendere il posto della nipote di Ray Penvennen nella direzione del circuito ospedaliero più importante della Cornovaglia. Caroline non si era dimostrata all'altezza della scaltrezza dei suoi rivali e ora il suo turno era finito.

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Capitolo 31
*** Capitolo XXVIII parte seconda ***


Quando arrivò a Trenwith, Ross cercò di guadagnare un po' del tempo perduto a discutere con Dwight in ospedale affrettando il passo fino al portone principale della grande tenuta di famiglia. Oltre lisolotto verde che troneggiava nellombra notturna del giardino, lo stava aspettando una Verity piuttosto infreddolita e avvolta in camicia da notte e vestaglia di lana color panna.

Le gote di sua cugina avevano assunto la caratteristica colorazione purpurea dovuta al freddo pungente, ma i suoi occhi brillavano emanando un calore che esprimeva gratitudine e gioia nel vedere il viso di Ross e soprattutto nel sapere che ora Elizabeth e il suo bambino potevano contare sullassistenza di un medico, Non immagini quanto siamo felici, Ross!

A dire il vero mi aspettavo di trovarti in preda al panico. Dov’è Francis? Ross le depositò un rapido bacio sulla guancia.

Entrarono lasciandosi il freddo alle spalle, ma ora lo sguardo di Verity aveva assunto unespressione triste e antitetica rispetto al sorriso con cui lo aveva accolto. Prima di raggiungere le scale che portavano al piano di sopra, Ross fu costretto a fermarsi e non procedere oltre il lungo tavolo che ornava la maestosa sala da pranzo. I singhiozzi di un neonato furono sufficienti a chiarirgli la situazione: Elizabeth aveva partorito pochi minuti prima del suo arrivo e tutto era filato liscio, ma di Francis non cera alcuna traccia.

Verity scosse la testa e provò a illustrare a Ross linspiegabile situazione che stavano vivendo, Non sappiamo che fine abbia fatto. E irreperibile da ore ormai e io non so se essere più triste perché  non abbia potuto condividere con noi questo momento di dolcezza infinita oppure più sollevata al pensiero che forse sia stato meglio così.

Da come ne parli sembra sia diventata unabitudine per voi…”

Non lo riconosco più, Ross. Temo si sia messo nei pasticci con i Warleggan ma non ho prove che lo dimostrino.

Cosa te lo fa pensare? Chiese con una punta di preoccupazione.

Verity cedette a un crollo emotivo, abbandonandosi in un pianto disperato contro il petto del cugino. Ross la prese sotto la sua spalla, stringendola forte, e cercò di rassicurarla inducendola a cambiare prospettiva. Era a conoscenza del fatto che George e Francis si erano avvicinati molto recentemente e che i Warleggan gestivano da tempo le finanze della famiglia Poldark, sin da quando Charles era ancora in vita, ma non vedeva il nesso con i problemi di cui gli aveva parlato Verity. Probabilmente le incombenti responsabilità a lavoro e lansia di potersi dimostrare inadeguato al ruolo che lo aspettava con larrivo di un bambino di cui prendersi cura avevano provocato in Francis uno stato di stress elevato.

Ha perso quasi tutto quello che ci ha lasciato nostro padre. Sono sicura che ha scommesso al gioco anche le sue azioni dellOspedale, perché due giorni fa è arrivata una notifica dalla banca in cui ho potuto leggere chiaramente che George Warleggan è diventato il nuovo proprietario delle sue quote nella società. Valevano tantissimo, perciò mi è sembrato strano che le avesse vendute così per puro capriccio. Inoltre, sono lunica fonte di guadagno per la nostra famiglia. Perché avrebbe dovuto gettarle al vento?

Ross rimase attonito di fronte a quella notizia inaspettata. Si rimproverò della sua negligenza nei confronti di Francis, di aver reputato priortarie altre situazioni piuttosto che accertarsi della felicità dei suoi cugini e della zia Agatha. Se le preoccupazioni di Verity si fossero rilevate fondate, ciò che attendeva Francis e la sua famiglia sarebbe stata una vita decisamente diversa rispetto a quella che avevano condotto sino ad allora. Vivere di rendita sarebbe bastato per poco: se Francis non si fosse deciso a tornare presto sulla retta via, nemmeno Trenwith poteva dirsi più al sicuro.

Le cose si sistemeranno, te lo prometto. Gli parlerò e vedrò cosa posso fare per arginare i danni.

Verity mise da parte lo scoraggiamento, si asciugò le lacrime e tornò a sorridere, La speranza è lultima a morire. Non è così che si dice?

Ross annuì, felice di essere riuscito a infonderle un po' di fiducia. Successivamente si spostarono insieme verso il salotto tenuto al caldo dal camino accesso, presso cui sonnecchiava la vecchia Agatha con in testa la sua immancabile cuffia di pizzo e in mano ancora il bicchierino di liquore mezzo vuoto.

Appena Ross le si avvicinò, Agatha spalancò gli occhi e si riprese completamente dal sonno, Alla buonora, ragazzo mio!

Verity allontanò il brandy dalla sua portata prima che potesse vederla, mentre Ross tentava di distrarla facendole il baciamano.

Perdonami zia, ma sono sorti dei problemi piuttosto seri in clinica. Sono riuscito a venire soltanto ora, ma come intuisco dal pianto a pieni polmoni che proviene dalla camera di Elizabeth la mia presenza qui sarebbe stata superflua anche trenta minuti fa.

Non che mi fidi degli uomini, però mi hanno detto che sei un medico capace. Ora, vai a fare il tuo lavoro e portami il bel maschietto che i miei tarocchi hanno pronosticato! Evidentemente, non aveva capito granché né di quello che era successo prima che si addormentasse né sentito con chiarezza il discorso appena fatto da Ross.

Zia, abbiamo già un bel maschietto! È nato mentre dormivi ed è sano come un pesce. Credo che assomigli molto al suo papà…”

Agatha sembrò leggermente confusa, ma si riprese immediatamente, Allora cosa aspetti, Ross? Vai su a conoscere tuo nipote! Lo esortò a salire con un impaziente gesto della mano, Sono sicura che Elizabeth apprezzerà, soprattutto ora che Francis non è in casa.

Ross e Verity si scambiarono unocchiata colma di imbarazzo, entrambi perfettamente consci del fatto che la zia non si fosse allontanata poi così tanto dalla verità. A quel punto il momento non poteva essere rimandato ulteriormente.

Forse sarebbe meglio che tu restassi qui, cara.

Verity si fermò al primo gradino, rivolgendo a Ross uno sguardo mortificato. Per la prima volta nella sua vita le sembrò difficilissimo riuscire a controllare la rabbia nei confronti dei patetici tentativi di sua zia di lasciare che Ross ed Elizabeth rimanessero soli e si riavvicinassero dopo tanti mesi di lontananza. Ingoiò il boccone amaro facendo finta di niente, Aspetterò ostinatamente il ritorno di Francis e mi occuperò di alcune faccende che avevo lasciato in sospeso. Ti raggiungerò non appena avrai finito di visitarla, non temere Ross.

Gli diede una lieve pacca sulla spalla e scomparve nella sala da pranzo, ignorando gli insistenti richiami della zia Agatha affinché si unisse a lei per giocare a carte.

Lultima volta che Ross aveva percorso quel tragitto era stata durante il ricevimento in onore del fidanzamento di Francis ed Elizabeth, quando aveva trovato appropriato dirle addio baciandola con tutta la forza e la passione di un amore che ormai credeva di non poter più provare per lei. In quel momento aveva compiuto una scelta: guardare avanti e continuare a vivere senza di lei, fidandosi completamente di ciò che percepiva nei confronti di Demelza.

Demelza gli aveva dato una speranza, ricucito le ferite più profonde del suo cuore e riportato alla luce una parte di sé che probabilmente non aveva mai pensato di conoscere. Come poteva essere messo in discussione tutto questo? Come poteva anche solo immaginare di riuscire a farne a meno per spingersi in unimpresa rischiosa, recuperando dal passato una vita che non gli apparteneva più e che ormai gli sarebbe andata fastidiosamente stretta?

Le difficoltà affrontate da Francis nel suo matrimonio aprivano uno spiraglio di luce, una possibilità che il vecchio Ross non si sarebbe lasciato sfuggire tanto facilmente. A ben vedere, però, il vero rischio sarebbe stato inseguire un fuoco fatuo lasciando indietro il sole, il cui calore aveva raggiunto finalmente il gelo del luogo in cui si trovava. Se solo non avesse conosciuto Demelza. Se solo non gli fosse entrata così dentro da far dipendere la sua felicità dal sapere di poter contare sulla sua presenza nella sua vita

Prima di entrare, bussò alla porta con un tocco leggero in modo da non eccitare il bambino e concedere a Elizabeth qualche minuto di tregua per riprendersi dalla fatica. Quando raggiunse il letto matrimoniale, Bess uscì silenziosamente dalla stanza portando via con sé le lenzuola sporche e richiudendosi la porta alle spalle.

Elizabeth sembrava la principessa addormentata di una favola, con i capelli che le cascavano sulle spalle in morbidi boccoli castani, le guance color cremisi piene di vita e gli occhi chiusi in un placido sogno che faceva vibrare come piume al vento le sue lunghe ciglia scurissime. Peccato che il suo principe non fosse Ross, ma un cavaliere lontano chissà quanti kilometri da lì, e che nessun bacio avrebbe potuto annullare il passato e rimediarvi aprendo le pagine di un nuovo capitolo. Ross le sfiorò un braccio, con lintenzione di svegliarla per poter controllare più scientificamente in che condizioni lavesse lasciata il parto. A prima vista, sebbene fosse evidente il sudore sulla sua fronte, un estrano avrebbe descritto il suo aspetto incantevole come non mai e avrebbe faticato a credere che avesse partorito da appena trenta minuti.

A contatto con la pelle di Ross, Elizabeth venne presa da una debole scossa e dischiuse le palpebre rivelando i suoi occhi colmi di gioia, Ti sono infinitamente grata, Ross.

E per cosa? Non cercare di attribuirmi meriti che non ho. Ross ricambiò il suo sorriso e si voltò per porre la borsa da medico sul comodino. Mentre le dava le spalle, Elizabeth si raddrizzò sul letto quel tanto che le forze le consentivano e si sistemò i capelli in preda a un forte imbarazzo al pensiero di quale opinione avesse suscitato in Ross il vederla in quello stato.

Sai perfettamente a cosa mi riferisco…”

Ross alzò le spalle, provando a rispondere in modo non impacciato, Se ci pensi, questo è il mio mestiere. Non c’è nulla per cui essere grati. Rientra tra i miei doveri, anche se comprendo come tu possa sentirti ora…”

Non ti si addice affatto quellaria da superiore, sai? Suppongo che il disagio provenga da entrambe le parti, anzi sono convinta che nemmeno Demelza ne sia entusiasta.

Sentire pronunciare il suo nome fu come una coltellata al cuore. Perché aveva limpressione di tradirla ogni volta che i suoi occhi indugiavano sul viso di Elizabeth? Prima di procedere con la visita, Ross sentì la necessità di sedersi per un attimo ai suoi piedi e mettere in ordine i pensieri che gli affollavano la mente.

Non è necessario che tu Insomma, che tu faccia questo per me. Sto bene, davvero.

Lo vedo perfettamente. La osservò, questa volta senza nessun pudore. Era splendida, quale senso avrebbe avuto nasconderle la sua ammirazione?

Elizabeth abbassò lo sguardo sul suo ventre ancora gonfio, Bess aveva più esperienza di quanto lei stessa non credesse ed è stata un angelo con me. Quando Verity mi ha detto che il dottor Enys non sarebbe potuto venire ho immaginato subito che avrebbe mandato Demelza. Giocherellò con il suo anello di fidanzamento, continuando a non guardarlo.

Sicuramente, ero lultima persona che ti saresti aspettata di vedere e, ad essere sinceri, nessuno avrebbe potuto darti torto. Scrutò il suo viso, facendo particolare attenzione alle sue labbra, in quel momento incurvate in un sorriso.

Spero di non aver seminato discordia tra voi due. Deve essere stato difficile per lei…”

Ross scosse la testa, Demelza è più altruista di quanto immagini." Cercò di evitare di nominare ulterilomente il suo nome, "Invece, cosa mi dici di Francis? Sarebbe stato capace di accettare una cosa del genere?

Elizabeth si incupì allimprovviso, Francis non è più felice con me. Credo che si sia pentito di avermi sposata.

E tu, sei mai stata veramente felice con lui? Fino a quel giorno, Ross non aveva la benché minima percezione che Francis ed Elizabeth fossero in crisi, anche perché era da tempo che non frequentava quella casa. Eppure, nel porgerle quella domanda, una parte di lui conosceva già la risposta. Una risposta di cui, in realtà, era al corrente da sempre.

Elizabeth decise di non replicare, dimostrando chiaramente lintenzione di spostare largomento della conversazione su qualcosaltro. I suoi occhi erano tornati raggianti, mentre si rivolgeva al piccolo che dormiva nella culla posta affianco a Ross.

Vuoi sapere qual è il suo nome? Gli chiese con evidente trepidazione.

Ross non fece in tempo a rispondere che Francis apparve sulla soglia della porta, sostenuto da Verity e con il viso rigato dalle lacrime. Non riusciva a tenere lequilibrio a causa degli strascichi della sbornia, ma laver saputo della nascita di suo figlio, appena tornato a Trenwith, lo aveva reso completamente lucido e impaziente di conoscerlo. Neppure la sorpresa di vedere Ross, lì dove avrebbe dovuto esserci lui, riuscì a smorzare la sua tracotante felicità.

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Capitolo 32
*** Capitolo XXIX ***


In quella stanza, latmosfera stava diventando sempre più opprimente. Allarrivo di Francis, Ross si sentì in dovere di lasciare condividere ai neogenitori la gioia di quel momento nella giusta intimità, approfittandone per prendere una boccata daria e ridurre la tensione ancora palpabile tra lui ed Elizabeth.

Non gli era passata neanche per un momento lidea di come stesse andando loperazione di Hugh Armitage. Se fosse morto o se Dwight gli avesse miracolosamente salvato la vita, pareva non importargli. A Demelza, invece, aveva pensato per lo più in relazione al senso di colpa nutrito verso di lei mentre ammirava limperitura bellezza di Elizabeth, una sensazione che -si vergognava ad ammetterlo- era durata soltanto i primi minuti della visita nella sua camera da letto. Ross aveva percepito il graduale defluire dellimbarazzo tra di loro a mano a mano che la conversazione procedeva e aveva avuto limpressione che linteresse di un tempo si stesse risvegliando. Gli sarebbe stato impossibile non avvertire linconscio e colpevole allontanarsi del pensiero di Demelza dalla sua mente

Più di una volta aveva ignorato il persistente desiderio di baciare Elizabeth.

Come poteva essere stato così crudele nei confronti di Demelza? Sebbene non lavesse tradita concretamente, il solo pensiero di voler baciare sua cugina non era sufficiente ad accusarlo di infedeltà? Si sentiva orribilmente confuso, diviso tra due fuochi incomparabili. Da una parte cera la donna del suo passato, il suo primo e indimenticabile amore; dallaltra parte stava una ragazza dai trascorsi molto sofferti, con la quale era riuscito a sintonizzarsi sin da subito, sorprendendosi di come in realtà fosse stata lei a salvare lui, e non viceversa, da uninesorabile caduta nel baratro della rabbia e della disperazione a causa della frantumazione del suo sogno di ricongiungersi con Elizabeth. Ma in tutta onestà, chi avrebbe visto al suo fianco in futuro se Francis avesse divorziato? L istinto gli suggerì la scelta meno scontata.

Dopo aver sceso le scale, Ross recuperò il suo cellulare e, scorrendo le notifiche, si accorse di non aver ricevuto nemmeno un messaggio da Demelza. Soltanto Dwight aveva voluto ragguagliarlo del decesso del paziente, chiedendo a sua volta informazioni sul conto di Elizabeth. Quella comunicazione risaliva a unora prima, perciò Ross sentì come un pugno nello stomaco allidea del profondo turbamento di Demelza. Probabilmente, avrebbe fatto meglio a imboccare la via del silenzio per lasciarle assorbire in tutta solitudine il dolore e il dispiacere di non aver potuto fare abbastanza per Hugh Tuttavia, rimaneva il fatto che parlare con Elizabeth gli aveva fatto perdere la cognizione del tempo, precludendo a Demelza la possibilità di piangere sulla sua spalla e trovare conforto nella presenza al suo fianco delluomo che amava. Era adirata con lui, oppure la gelosia non l'aveva sfiorata neanche per un secondo ed era lui ad avere la coda di paglia?

Perché quellespressione corrucciata? La zia Agatha era riuscita a intercettarlo con la coda dellocchio dalla poltrona da cui non si era mai spostata.

Ross mise in tasca il telefonino e andò a salutarla, per convincerla a non consumare le poche ore notturne rimaste ad abbioccare ripetutamente in salotto. Verity aveva seguito il suo esempio e, una volta assicuratasi dello stato in cui si trovava Francis, raggiunse il pianoterra con lobiettivo di portare a Ross il suo cappotto.

Per fortuna Francis è tornato sano e salvo. Possiamo dire che la serata si è conclusa nel migliore dei modi. Rivolse a Ross un sorriso roseo.

Agatha storse il naso, dimostrandosi in disaccordo con la nipote, Non essere troppo entusiasta, piccola Verity. Forse Ross non ha buone notizie da darci, o sbaglio?

Non che riguardino Elizabeth o il bambino. Si infilò di fretta il cappotto, sperando di fare in tempo a raggiungere la clinica per riaccompagnare a casa Demelza.

Verity tirò un sospiro di sollievo. Poi si ricordò dellurgenza per cui il dottor Enys non aveva potuto assistere al parto di Elizabeth e si rimproverò per essere stata tanto egoista. Si avvicinò a suo cugino, Mi dispiace, Ross. La perdita di una vita è un lutto per tutti.

Specialmente per alcuni…”

Sono sicura che, di chiunque si tratti, abbia lasciato un grande vuoto nella vita dei suoi parenti.

Non immagini quanto. Era il nipote di Lord Flamouth. Ross stampò un bacio sulla fronte di sua zia.

Hugh Armitage! Ora capisco a chi ti stessi riferendo. Se non sbaglio, Demelza era una sua cara amica.

Mentre procedevano verso lanticamera, Ross assentì senza aggiungere altro. Con la mano sulla pesante maniglia del portone principale, attese un attimo prima di spingerla e uscire fuori, Manterrò la mia promessa.

Verity lo guardò intensamente, ricordandosi del discorso che avevano fatto in precedenza su Francis, Lo so. Solo tu puoi convincerlo a risalire la china e non rovinarsi la vita. Se non altro, non più di quanto non abbia già fatto.

Una volta entrato in macchina, Ross rabbrividì al brusco contatto con laria umida dellalba ormai imminente. Sarebbe andato direttamente da Demelza, nonostante morisse dalla voglia di stendersi sul suo letto e dormire almeno un paio dore, perché il bisogno di vederla superava di gran lunga qualsiasi altra necessità dettatagli dalla stanchezza.

Circa unora prima, a fare compagnia a Demelza, in ospedale, erano rimasti Caroline e Dwight. Lord Flamouth aveva preferito alloggiare presso un hotel nelle vicinanze per poter tornare lindomani ad occuparsi del necessario, con maggiore comodità.

Caroline gettò unocchiata fugace allorologio appeso alla parete della hall, Possibile che Ross non sia ancora tornato?

Dwight era indeciso se rispondere o meno, in quanto il fatto che Ross non avesse ancora visualizzato il suo messaggio lo aveva reso piuttosto inquieto e non desiderava che anche Demelza si agitasse o si sentisse in dovere di raggiungerlo.

Dopotutto, sono passate ore e non è successo nulla. Avrebbe chiamato unambulanza molto tempo fa, se fosse stato necessario. Ad ogni modo, credo sia giunto il momento che ti ritiri, Demelza.

Non ho passaggi. Siamo venuti con la sua macchina. Dwight e Caroline percepirono le lacrime che minacciavano di caderle dagli occhi rossi. Si guardarono, cercando di studiare un rapidissimo piano per risolvere la situazione. Erano tutti stanchi, ma Caroline doveva rimanere lì per assicurarsi che la cartella clinica di Armitage fosse immacolata e senza alcuna falla, poiché il giorno che stava per sorgere lavrebbe vista protagonista di un dibattito legale già programmato da Lord Flamouth dietro implicita indicazione di George Warleggan. Dwight le serviva per capirci qualcosa a livello strettamente medico, perciò anche lui non poteva lasciare lospedale.

Rimarrò qui fino allarrivo di Ross. Prima o poi dovrà tornare, giusto?

Il tono ingenuo di Demelza finì per colpire profondamente Dwight. Avrebbe aspettato anche lui, almeno fino a quando il sospetto non si fosse trasformato in vera preoccupazione.

Fu soltanto dopo unora, che Dwight decise di fare qualcosa. Dalle indicazioni che Verity gli aveva dato al telefono, sembrava che il lungo travaglio di Elizabeth stesse per terminare, quindi non capiva perché la visita di Ross fosse durata così tanto. Aveva stabilito con se stesso di non pensarci troppo, ma la visualizzazione del messaggio senza risposta e la pena suscitatagli da Demelza finirono col costringerlo ad ammettere la verità. La ritrovò accucciata su una sedia, vicino alla macchinetta delle bevande, con la sua giacca di pelle a mo di coperta.

Prima di svegliarla, si recò nuovamente nello studio di Caroline, trovandola addormentata sulle scartoffie che avevano appena finito di esaminare insieme. Un ricordo del passato gli percorse la mente, veloce come un treno, e altrettanto prontamente lo abbandonò sul ciglio del binario del presente: un tempo in cui, dietro al dottor Enys, sembrava non esserci più il Dwight di cui era innamorata Caroline. Scostò la tazza di caffè per evitare che il suo gomito facesse riversare a terra la bevanda, in un riflesso involontario.

Perdonami, ma ho bisogno che tu sia sveglia. Le rivolse un sorriso nostalgico.

Caroline si riassestò distrattamente la camicetta, rimanendo seduta, ancora un po' assonnata. Odiava essere colta in fallo, ma laffaticamento aveva avuto la meglio sulla sua ferrea forza di volontà e così aveva ceduto.

Hai notizie di Ross?

Ha visualizzato il mio messaggio circa dieci minuti fa, ma non ha replicato in alcun modo. Dovrei chiamare Verity?

Se non altro, sappiamo che è altamente probabile che sia vivo.

Dwight alzò gli occhi al cielo, Ti sembra il caso di scherzare? Non ho mai messo in discussione il fatto che potesse non essere vivo. Piuttosto, credo che sia unaltra la ragione del suo ritardo.

Lo conosci meglio di chiunque altro, non è vero? Caroline si alzò in piedi, leggermente abbagliata dallintensità dellimpianto elettrico.

Purtroppo. In casi come questi vorrei che non fosse così. Ho paura che la visita a Trenwith lo abbia turbato più del previsto. Francis non era in casa nel momento in cui Verity ha chiamato.

Lo guardò con aria perplessa.

Se ti chiedi come faccio a saperlo, è perché le avevo fatto questa domanda nel caso in cui fosse stato necessario guidare per portare Elizabeth in ospedale. Verity non ha la patente.

Ora capisco.

Dwight si meravigliò della concisione di quel commento.

Perciò, ti chiedo di riaccompagnare Demelza a Nampara. È un sacrificio troppo grande per te?

Non mancheranno gli argomenti di conversazione, questo è poco ma sicuro.

Dwight intese che quello era un sì, Ma ti prego di non far menzione di ciò che ti ho appena detto. Parlate di qualcosaltro, magari.

Come per esempio di scarpe, abiti, acconciature alla moda oppure del gossip del momento? Avere un modo di fare naif non vuol dire essere superficiali.

Dwight trattenne una risata, E tu saresti una persona naif?

Mi riferivo a Demelza. Per conto mio, sono fiera di definirmi unostinata mondana, frivola e disincantata. Il suo esatto opposto, praticamente.

Sulla camicetta di raso bianco, Dwight osservò una macchia di caffè, di cui Caroline non aveva ancora avuto il tempo di rendersi conto. La piccola chiazza scura spiccava proprio in prossimità del suo seno e Dwight se ne servì come scusa per diminuire ancora di più la distanza tra di loro e toccarla con discrezione, malgrado il tessuto impedisse un vero contatto tra le reciproche parti di pelle.

Non è il caso, Dwight. Non sono ancora pronta per questo…”

Volevo solo indicarti la macchia che hai qui, vedi?

Caroline abbassò gli occhi sul suo indumento, rimproverandosi amaramente di aver frainteso, Che sciocca! Cercherò di riparare a questo danno. Per quanto me ne sarà possibile...

Prima di uscire, si voltò unultima volta verso Dwight. Aveva unespressione piuttosto assorta e appagata. Quale parte del discorso aveva potuto sortire quelleffetto su di lui, Caroline non riusciva a immaginarlo.

Perché sorridi? Non è stata quel che si dice una giornata memorabile quella che èappena passata. E tanto meno florida sarà quella che ci aspetta.

Per me lo è stata, invece. Ad eccezione del povero Hugh, naturalmente.

Caroline si dimostrò spazientita, mentre aspettava con aria insofferente una spiegazione da parte sua. Demelza stava ancora riposando, ma il tempo stringeva e se proprio doveva fare una sfacchinata per portarla a Nampara e poi tornare subito lì, tanto valeva sbrigarsi a far concludere quel siparietto.

Oggi ho avuto la conferma che ti sbagli a considerarti quel tipo di persona. Se ti fa stare meglio credere in un idolo che ti sei costruita da sola, ve bene così. Io, però, vedo che dentro di te c’è tanta fragilità, bontà e bisogno daffetto. Tutto ciò suona stonato con la Caroline cinica e fredda che pensi di essere, lo so. Perciò non mi aspetto che tu mi creda.

Allora quale sarebbe il lato divertente della faccenda? Era stata punta sul vivo. Caroline era consapevole del fatto che lanalisi di Dwight rispecchiasse perfettamete la realtà, ma ammetterlo non sarebbe servito affatto a sostenere quella menzogna che continuava a ripetersi da sempre. Soltanto quando erano stati insieme, il ghiaccio si era sciolto rivelando la natura tenera e calorosa del suo carattere, per poi riformarsi, in una cinta muraria ancora più resistente, una volta allontanatasi da Dwight.

Non lo definirei divertente, a dire la verità. Piuttosto parlerei di sollievo. Sollievo nel constatare che non sei cambiata, dopotutto.

Gli occhi di Caroline sembravano più luminosi del solito, ma per il resto la durezza dei suoi lineamenti non era scomparsa. A Dwight era bastato quelleffimero bagliore per sentirsi libero di ricominciare a sperare di portare di nuovo lamore nella vita di una donna tendenzialmente scettica, iperbolicamente convinta di essere troppo snob e ambiziosa per un uomo come lui.

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Capitolo 33
*** Capitolo XXX ***


Caroline e Demelza percorsero il tragitto sino a Nampara cercando di conoscersi un po' meglio. La strada era abbastanza lunga da consentire una soddisfacente chiacchierata tra donne, pertanto la più matura delle due, secondo un dato puramente anagrafico, decise di rompere il ghiaccio per prima.

Ti piace lessenza che ho scelto per profumare lambiente? Adoro laroma delle arance! Fece dondolare laggeggio in acciaio addetto a tale funzione, che pendeva da un gancio sotto lo specchietto retrovisore, proprio come se si trattasse di un giocattolo.

Demelza approvò timidamente. Continuava a guardarsi attorno, quasi incredula di trovarsi davvero in quel tipo di macchina. Il lusso della Rolls-Royce in cui stava viaggiando era inimmaginabile per una come lei, abituata comera ai vecchi rottami di seconda o terza mano spesso rubati da suo padre a dei poveri malcapitati.

Non posso credere che Dwight ti abbia costretta ad accompagnarmi a Nampara!

E io non posso credere di essermi lasciata costringere! Le lanciò una rapidissima occhiata per accertarsi che avesse colto il suo tono sarcastico, poi proseguì, Ma, sai come si dice, a volte è difficile resistere allo sguardo di un uomo supplichevole e sullorlo del pianto.

Caroline era ben consapevole dellimbarazzo di Demelza: una semplice tirocinante, emotivamente turbata dalla morte del suo primo paziente, condotta a casa dalla dirigente e proprietaria dellospedale in cui lavorava poteva certamente definirsi un caso più unico che raro. Pur volendo, Demelza, non sarebbe stata capace di dissimulare quella fastidiosa sensazione di disagio, nonostante avesse già avuto occasione di constatare limprevedibile attitudine di Caroline a non farle pesare affatto la netta discrepanza tra lumilissimo retaggio sociale da cui proveniva e la sua posizione privilegiata. 

Rimaneva il fatto che, prima di allora, non si erano mai trovate da sole a condividere uno spazio così piccolo e propenso a contenere confidenze e segreti, in una notte già contaminata dalle prime tinte dellalba. Nondimeno, qualcosa distintivo si ostinava a suggerire a entrambe che la persona seduta al proprio fianco sarebbe stata quella giusta per svolgere un compito di tale importanza e necessità.

Se Dwight fosse qui, sarebbe ansioso di smentire il mio resoconto e smascherarmi miseramente. Non immagini quanto ne gioirebbe!

Demelza la osservò con attenzione, sicura di aver scoperto in Caroline un aspetto del suo carattere che ancora le era sfuggito, Sembra quasi che in fondo lo desideri davvero.

Caroline rispose con una risata nervosa, Paradossale, vero? Siamo completamente diversi luno dallaltra, eppure non possiamo fare a meno di stuzzicarci.

Un po' come facciamo io e Ross. Prendersi in giro è una forma di ironia che funziona spesso in una coppia. Sai, serve per stemperare il dramma che inevitabilmente si crea quando si è tanto ostinati e orgogliosi da trovare difficile raggiungere un compromesso. Sorrise un po' stanca, pensando con leggera malinconia a Ross.

La differenza sta nel fatto che noi non siamo una coppia.

Ma in passato lo siete stati. Non posso credere che non ti manchi nemmeno un po'! Lo sguardo pungente di Demelza esprimeva una nota di malizia che non sfuggì a Caroline. Per quanto potesse essere efficace la sua tecnica, la giovane Penvennen era intenzionata a non dargliela vinta. Optò, dunque, per la tattica del silenzio.

Demelza scosse la testa dubbiosa, Comunque, io mi sono fatta unidea a riguardo.

Linstancabile ottimismo di Demelza Carne ha partorito unaltra mirabolante idea! Sono troppo stanca per il patetismo sdolcinato di certe supposizioni, perdonami. Finse di sbadigliare, coprendosi teatralmente la bocca con una mano libera dal volante.

“È pura evidenza e constatazione dei fatti. Perché da quando tu e Dwight vi siete lasciati non hai avuto nessun altro uomo al tuo fianco? Non può essere una coincidenza. La fila dei pretendenti alla tua mano supera il chilometro, ne sono certa.

Tu sei unottima rivale da quel punto di vista. Anzi, oserei considerarti la più ambita delle due. Notò il lampante rossore sulle guance di Demelza, meravigliandosi della sua ingiustificata mancanza di autostima, Tornando alle tue insinuazioni, ti stupirò con una risposta a cui ovviamente non crederai: la maggior parte degli uomini è intimorita dallinfluenza della mia posizione, dalla vastità del patrimonio che ho ereditato e dal carattere che mi ritrovo. A volte, penso che essere così…” Indugiò a trovare la definizione più appropriata.

Cocciuta? O meglio, propensa a non accettare i consigli altrui? La aiutò Demelza, risultandole adorabile nella sua garbata franchezza.

Lo confesso. Il mio non è un atteggiamento particolarmente cordiale quando ho a che fare con gli uomini. Faccio fatica a risultare meno irritante di quanto non sia in realtà.

Secondo me, non ci hai provato con convinzione. E poi, ti sei mai chiesta il motivo per cui con Dwight ha funzionato?

Lui è riuscito a vedere oltre…”

A quella frase seguirono secondi interminabili di silenzio assoluto. Nessuna delle due aveva idea di come procedere, chiaramente consapevoli del fatto che, se avessero commentato ulteriormente, la verità sarebbe venuta a galla. Sebbene Demeza fosse convinta che sarebbe stato meglio per Caroline scoprire le proprie carte esternando ad alta voce i suoi sentimenti verso Dwight, decise di rispettare i suoi tempi. Forse, quel momento sarebbe arrivato presto e lei non si sarebbe tirata indietro di fronte allesigenza di uno sfogo risolutivo che avrebbe fatto ordine tra i pensieri aggrovigliati di Caroline.

Ebbene, siamo arrivate a destinazione. La Rolls-Royce rallentò in prossimità della curva che rivelava la bellezza rustica, semi nascosta da alberi e cespugli, del cottage di Nampara.

Demelza rimase in macchina ancora per qualche minuto, indecisa se scendere o meno. Anche Caroline si era accorta della presenza di Ross in casa: la sua macchina era parcheggiata sotto il pergolato della stalla e la luce filtrava attraverso le tende della camera da letto.

Spense il motore e osservò Demelza, sforzandosi di comprendere quale fosse la ragione di quella riluttanza a uscire fuori e raggiungere il suo uomo dopo ore di fatica e tensione. Demelza le rivolse un piccolo sorriso, Scusami, ti lascio subito libera di tornare ai tuoi doveri. Fece per aprire lo sportello, ma Caroline le bloccò la mano, impedendole di svignarsela senza darle una spiegazione.

Avrei creduto che ti saresti precipitata dentro casa come una saetta, impaziente di ripiombare tra le braccia di Ross. Evidentemente c’è qualcosa che ti turba, ma non sono brava quanto te a scavare dentro lanima delle persone e tirare fuori la verità come per magia. Quindi, ti pregherei di evitarmi una fatica inutile.

Pensavo fosse più facile. Ammise, non nascondendo la propria preoccupazione.

Reggere il confronto senza uscirne indenni? Bene, adesso puoi capire meglio quello che deve aver provato Ross con Armitage. Caroline assunse unespressione quasi materna, ma al tempo stesso convinta delle sue opinioni.

Demelza annuì, Sì, ma io non ho mai amato Hugh.

Non trovarti scuse, Demelza. Pur ammettendo che non era amore ciò che ti legava a quel ragazzo, dallesterno lattrazione da parte di Armitage era piuttosto evidente. È plausibile che Ross si sentisse geloso di lui.

Ma Caroline, Elizabeth e Ross erano sul punto di sposarsi! Probabilmente ti è sfuggito questo piccolo dettaglio.

Non mi è sfuggito nulla, te lo assicuro. Frequentavo la coppia quando erano felicemente fidanzati, quindi conosco perfettamente ciò di cui parlo. La sicurezza che emergeva dalle parole di Caroline non era affettata, mirata semplicemente a rassicurarla.

Non ho mai visto Ross guardare Elizabeth con la stessa energia che riserva a te. È qualcosa di diverso, più intenso, quasi indefinibile e decisamente coinvolgente.

Demelza scrollò le spalle, Vedremo se Elizabeth è riuscita comunque a irretirlo e a fargli cambiare idea Può darsi che tu abbia ragione e che a parlare sia il mio senso di inferiorità.

Prima di partire, Demelza aveva provato a chiamarlo ma il suo telefono risultava irraggiungibile. Poteva darsi che fosse scarico, ma una volta arrivato a Nampara avrebbe potuto contattarla. Perché non lo aveva ancora fatto? Da quanto tempo si trovava lì? Si rifiutava di pensare che non avesse nemmeno provato a raggiungerla in ospedale

Devi andare, Demelza. Caroline le posò una mano sulla spalla, infondendole il coraggio di procedere. Quel turbamento che la affliggeva era dovuto soprattutto al fatto che, per Demelza, doveva essere un po' come ammettere di non avere fiducia in Ross, malgrado ciò che aveva ripetuto a se stessa per tutta la notte e il coraggio dimostrato a Ross. Non gli aveva mentito, semplicemente perché non ne sarebbe stata capace, ma lansia aveva messo scompiglio tra i suoi pensieri e ora sentiva la sua parte più emozionale prendere il sopravvento: la speranza di poter essere qualcosa di più per Ross, e non soltanto la seconda scelta, era frutto della potenza dellamore che nutriva per lui e, per quanto potesse sembrare assurdo allora, aveva scelto di fidarsi di questa sensazione. Ma ora le cose erano diverse...  

Camminò stringendosi nella giacca per riscaldarsi, inumidendosi spesso le labbra rinsecchite dal freddo e sforzandosi di non apparire troppo nervosa agli occhi di Ross. Il primo a raggiungerla fu come al solito Garrick, pipante e riposato come se avesse dormito tutte le ore perse dalla sua padroncina, ma non ci volle molto prima che Ross la raggiungesse con un sorriso leggermente forzato abbozzato sul volto. Si era preparato un discorso ma adesso, ritrovandosela di fronte, sentiva come se tutte le parole si fossero perse nel vuoto tra le sue dita e risultassero inadeguate a ciò che realmente avrebbero dovuto esprimere. Era sempre stato così: i discorsi gli rimanevano chiusi dentro e un blocco interiore gli impediva di dichiarare i suoi sentimenti senza filtri, senza risultare insensibile, egoista o inopportuno.

Dopo qualche secondo di esitazione, Demelza si fiondò tra le sue braccia e lo strinse come se non si vedessero da anni e non volesse più farselo sfuggire. Gemette contro il suo petto, abbandonandosi ad un pianto liberatorio simile a quello che Ross aveva raccolto da Verity, ma privo di quella disperazione che invece esprimevano le lacrime di sua cugina per la situazione drammatica profilata dal comportamento di Francis verso la sua famiglia e verso se stesso. No, in questo caso Demelza piangeva per sfogare la tensione accumulata durante le ore dellintervento, per la tristezza seguita alla morte di Hugh e infine per la paura di poter perdere anche Ross, sebbene in un senso completamente diverso.

Ross chiuse gli occhi e le baciò la fronte, mentre le sue braccia possenti l'avvolgevano come una coperta calda in un giorno di pioggia incessante, trasmettendole il calore di cui aveva bisogno. Non si era mai sentita tanto fragile in vita sua e allo stesso tempo così protetta, al sicuro, compresa e connessa fisicamente con qualcuno come in quel momento. Le loro anime stavano comunicando seguendo delle regole tutte loro, impossibili da spiegare verbalmente e notevolmente più efficaci di qualsiasi parola.

Tra i singhiozzi, Demelza riuscì a scandire una piccola frase, Alla fine, siamo ancora qui. Chi lavrebbe detto?

Non poteva andare diversamente. Le accarezzò i capelli, come se fosse una bambina da consolare.

Demelza sollevò lo sguardo per incontrare i suoi occhi scuri, E ne sei felice? Oppure avresti sperato in qualcosa di diverso?

Mi stai chiedendo se sono deluso? Se, in fondo, desideravo che quel sentimento che provavo per Elizabeth si risvegliasse e mi riportasse indietro, in un tempo in cui tu non facevi parte della mia vita? Attese una risposta, sapendo già che era esattamente quello che Demelza voleva sapere.

Ross, perché non sei venuto a prendermi? Non hai nemmeno cercato di contattarmi e io ho bisogno che tu mi risponda per capire…”

In realtà sono appena arrivato. Ho chiamato Dwight circa dieci minuti fa per avvisarlo che sarei passato, ma voi eravate già in viaggio e sarebbe stato inutile. Il suo tono era piuttosto dimesso e colpevole, ma comunque sincero, perciò Demelza non esitò un istante a credergli.

Si staccarono, per riprendere fiato. Erano entrambi esausti e facevano fatica a reggersi in piedi.

Hai evitato di telefonarmi, però.

Ross annuì, Non volevo disturbarti. Posso comprendere come ti sia sentita dopo la morte del tuo amico e il mio intervento sarebbe stato fuori luogo, per non dire indesiderato. Avrai sentito la necessità di stare sola per un po', immagino. Evitò di sottolineare lironia insita nellappellativo riferito a Hugh per sorvolare limbarazzo di Demelza.

Forse per un po', ma sicuramente non per ore. Mi sono preoccupata molto.

Per la mia incolumità fisica? Ross la interrogò con tenerezza e gratitudine.

Sì, anche per quella Sono una persona molto apprensiva e non me ne vergogno.

Ross non aveva alcuna intenzione di affrontare largomento che invece Demelza fremeva di esplorare, ovvero come si fosse sentito in compagnia di Elizabeth e a quale conclusione fosse giunto. La conclusione riguardava inevitabilmente il futuro della loro relazione e quale ruolo avrebbe dovuto svolgere Demelza nel caso in cui Ross si fosse dimostrato incantato dal fascino della moglie di suo cugino, per lennesima volta.

Tentò invano di convincerla a riposare un po', ma la caparbietà di Demelza ebbe la meglio costringendolo a confessarle la verità. Ancora in piedi di fronte alla porta, si fissarono intensamente, poi Ross incominciò, E stato diverso da come me lo aspettavo Non ho visitato Elizabeth, ma in compenso abbiamo parlato per un po''. Mi sono stupito di quanto mi abbia consentito di esplorare una parte di lei che sono sicuro abbia nascosto a tutti per molto tempo, quella della paura di non essere amata.

Demelza sospirò, trattenendosi dal fare commenti. Lasciò che Ross proseguisse per avere più chiaro il quadro della situazione.

Francis si è messo nei guai e la trascura sotto ogni punto di vista. Elizabeth avrebbe meritato di essere costantemente al centro dei suoi pensieri e invece...

Come lo è per te? Questa volta non riuscì a mordersi la lingua. Lemotività stava prendendo il sopravvento e temeva di poter dire cose di cui si sarebbe pentita.

Ross la ignorò completamente, Non avrei mai pensato che la prospettiva di un divorzio potesse…” Demelza lo interruppe di nuovo, prendendo la parola al suo posto.

Ascolta, Ross. Perché non me lo dici chiaramente? Mi eviteresti unagonia di cui farei volentieri a meno. Se questa prospettiva, come la chiami tu, ha rivoluzionato i tuoi progetti facendoti cambiare idea è bene saperlo subito. Saresti disposto a tornare da lei? La ami fino a questo punto? Le lacrime tornarono a rigarle le guance, ancora più calde di prima.

Ross provò ad accarezzarle il viso, con gli occhi lucidi ed espressivi, ma Demelza si scansò e prese le distanze.

Non fino al punto di perderti, Demelza. Non nego di averci pensato. Per qualche millesimo di secondo mi è balenata questa assurda idea, ma è stato tuttalpiù limpulsivo riflesso di ciò che ero in passato. Elizabeth è stato il mio primo amore, ma non lultimo. A quello ci hai già pensato tu. Sei arrivata come un uragano nella mia vita e hai stravolto tutto ciò che conoscevo di me. Sorrise, con il cuore che gli batteva allimpazzata.

Io ti amo, come non ho mai amato nessuno, Ross. Ma quale garanzia mi offri per convincermi che quello con Elizabeth resterà per sempre un capitolo chiuso? A differenza mia, tu hai due amori da soppesare sulla bilancia e prima o poi sarai costretto a scegliere quello che ti fa sentire meno pesante. So che la vita con Elizabeth sarebbe più leggera per te, meno problematica visti i miei trascorsi e le mie difficoltà. Inoltre, il prestigio legato al suo cognome ti aprirebbe molte più porte ti quante possa fare il mio, e meriteresti davvero di raggiungere certi traguardi…”

Si può dire tutto di me, fuorché che sia un tipo prevedibile. Specializzarmi sui campi di battaglia in Iran, quando avevo mio zio tra i membri del consiglio di amministrazione del migliore ospedale della Cornovaglia a cui chiedere raccomandazioni, ti sembra una scelta scontata? Non scelgo le vie più facili, Demelza. La vita non è facile e probabilmente trascorrerla con Elizabeth avrebbe rivelato maggiori complessità, presto o tardi.

Cosa te lo fa pensare? Chiese con scetticismo.

Ross alzò le spalle, Siamo troppo diversi. Elizabeth ha delle ambizioni che non coincidono con le mie e nemmeno con quelle di Francis, a dirla tutta. Noi Poldark siamo personalità inquiete e, a dispetto dei titoli blasonati che vanta la nostra famiglia, desideriamo vivere come e con la gente comune. Siamo cresciuti così, convinti che non esitano differenze tra uomini e donne di ceto sociale diverso.

Demelza si avvicinò di nuovo, sfiorandogli il braccio muscoloso. Ross ne approfittò e le cinse la vita con entrambe le mani, sporgendosi per baciarla. Lei si irrigidì leggermente, evitando di assecondare il suo gesto. Infine, nascondendo il volto nellincavo tra il collo e la spalla di Ross, gli sussurrò, E se mi rivelassi una delusione?

Non pensi che anchio potrei deluderti? Non serve a nulla rimuginare su qualcosa che non accadrà mai. Che ne pensi di rimandare questa conversazione a domani?.

Demelza rifletté sul significato di quelle parole e sospirò, Se nei sei sicuro…”

Unora dopo erano abbracciati luno allaltra tra le lenzuola sgualcite del loro letto, immersi ognuno nel proprio sogno agitato ma comunque ancora vicini, tanto da percepire la perfetta sincronia tra il battito del proprio cuore e quello della persona che avevano accanto.

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