The Maze Runner - Live

di Inevitabilmente_Dea
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 4: *** Get to know me! ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8. ***
Capitolo 10: *** Video Newtlena ***
Capitolo 11: *** Capitolo 9. ***
Capitolo 12: *** Capitolo 10. ***
Capitolo 13: *** Capitolo 11. ***
Capitolo 14: *** Capitolo 12. ***
Capitolo 15: *** Capitolo 13. ***
Capitolo 16: *** Capitolo 14. ***
Capitolo 17: *** Capitolo 15. ***
Capitolo 18: *** Get to know me, China and 13 things about me ***
Capitolo 19: *** Capitolo 16. ***
Capitolo 20: *** Capitolo 17. ***
Capitolo 21: *** Capitolo 18. ***
Capitolo 22: *** Capitolo 19. ***
Capitolo 23: *** Capitolo 20. ***
Capitolo 24: *** Capitolo 21. ***
Capitolo 25: *** Risposte alle vostre domande! ***
Capitolo 26: *** Capitolo 22. ***
Capitolo 27: *** Capitolo 23. ***
Capitolo 28: *** Capitolo 24. ***
Capitolo 29: *** Capitolo 25. ***
Capitolo 30: *** Capitolo 26. ***
Capitolo 31: *** Capitolo 27. ***
Capitolo 32: *** Capitolo 28. ***
Capitolo 33: *** I'm still alive, I promise ***
Capitolo 34: *** Il Dolente risponde ***
Capitolo 35: *** Capitolo 29. ***
Capitolo 36: *** Capitolo 30. ***
Capitolo 37: *** Capitolo 31. ***
Capitolo 38: *** Capitolo 32. ***
Capitolo 39: *** Capitolo 33. ***
Capitolo 40: *** Riassunto generale: ***
Capitolo 41: *** Capitolo 34. ***
Capitolo 42: *** Capitolo 35. ***
Capitolo 43: *** Capitolo 36. ***
Capitolo 44: *** Capitolo 37. ***
Capitolo 45: *** Capitolo 38. ***
Capitolo 46: *** Capitolo 39. ***
Capitolo 47: *** Capitolo 40. ***
Capitolo 48: *** Capitolo 41. ***
Capitolo 49: *** Capitolo 42. ***
Capitolo 50: *** Capitolo 43. ***
Capitolo 51: *** Capitolo 44. ***
Capitolo 52: *** Capitolo 45. ***
Capitolo 53: *** Capitolo 46. ***
Capitolo 54: *** Capitolo 47. ***
Capitolo 55: *** Capitolo 48. ***
Capitolo 56: *** Capitolo 49. ***
Capitolo 57: *** Capitolo 50. ***
Capitolo 58: *** Capitolo 51. ***
Capitolo 59: *** Capitolo 52. ***
Capitolo 60: *** Capitolo 53. ***
Capitolo 61: *** Capitolo 54. ***
Capitolo 62: *** Capitolo 55. ***
Capitolo 63: *** Capitolo 56. ***
Capitolo 64: *** Capitolo 57. ***
Capitolo 65: *** Capitolo 58. ***
Capitolo 66: *** Capitolo 59. ***
Capitolo 67: *** Capitolo 60. ***
Capitolo 68: *** Capitolo 61. ***
Capitolo 69: *** Capitolo 62. ***
Capitolo 70: *** Capitolo 63. ***
Capitolo 71: *** Capitolo 64. ***
Capitolo 72: *** Capitolo 65. ***
Capitolo 73: *** Capitolo 66. ***
Capitolo 74: *** Capitolo 67. ***
Capitolo 75: *** Capitolo 68. ***
Capitolo 76: *** Capitolo 69. ***
Capitolo 77: *** Capitolo 70. ***
Capitolo 78: *** Capitolo 71. ***
Capitolo 79: *** Capitolo 72. ***
Capitolo 80: *** Capitolo 73. ***
Capitolo 81: *** Capitolo 74. ***
Capitolo 82: *** Capitolo 75. ***
Capitolo 83: *** Capitolo 76. ***
Capitolo 84: *** Capitolo 77. ***
Capitolo 85: *** Capitolo 78. ***
Capitolo 86: *** Capitolo 79. ***
Capitolo 87: *** Capitolo 80. ***
Capitolo 88: *** Capitolo 81. ***
Capitolo 89: *** Capitolo 82. ***
Capitolo 90: *** Capitolo 83. ***
Capitolo 91: *** Capitolo 84. ***
Capitolo 92: *** Capitolo 85. ***
Capitolo 93: *** Epilogo. ***
Capitolo 94: *** Ringraziamenti. ***
Capitolo 95: *** Q&A: curiosità e domande ***
Capitolo 96: *** Ultimo addio. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***


Silenzio.
Ecco chi era stato il mio compagno nei momenti di buio.
Freddo, vuoto, distante. Forse sono questi gli aggettivi adatti per descriverlo.
Credo che la sensazione di essere da sola, sola con il silenzio, si fosse rivelata essere ancora peggio del caos che la precedette. Il dolore, l'angoscia, il terrore. Non erano nulla in confronto all'abbandono che sentivo in quel momento.

Non sapevo quanto tempo fosse passato, da quanto fossi svenuta.

Ma... Ero svenuta?

O ero morta?
Cosa fosse successo di preciso non mi era chiaro. Certo, ero cosciente del fatto che mi fossi buttata sopra Thomas, spintonandolo di lato, e anche che quel pezzo di muro mi fosse piombato addosso. E poi cosa era successo?
Qualcuno mi aveva tirata fuori dalle macerie, ne ero sicura, ma chi? 
Buio.
Silenzio.

Ero stanca di essere circondata da entrambi, ma per quanto avessi provato a cambiare la mia situazione non ci ero riuscita e in un certo senso forse non volevo che cambiasse. Avevo paura di aprire gli occhi.
Avevo paura di allontanarmi dallo stato in cui ero bloccata e tornare alla realtà, perchè non sapevo cosa mi attendesse. 
Non sapevo se fossero passati ore, giorni, mesi o addirittura anni. Cosa mi era successo e cosa era successo al mondo?
Di certo il silenzio non aveva risposte per me ed il buio invece continuava ad isolarmi, continuamente. Era come se fossi chiusa in una stanza totalmente priva di luce, come se stessi fluttuando nel vuoto senza mai fermarmi. Non c'erano sogni ad animare i miei occhi, solo ombre fredde e viscide che ogni tanto mi sfioravano.
E non c'era modo per il mio corpo di muoversi.

Ci avevo provato e riprovato ancora, ma la mia mente sembrava essersi disconnessa dal resto. Eppure non riuscivo nemmeno a pensare lucidamente, a controllare i miei pensieri.
Ero incatenata in un limbo senza fine. O almeno così credevo.
Poi, dopo chissà quanto tempo, riuscii a percepire qualcosa.
Fu come essere investita una cascata gelida e trafitta subito dopo da un fuoco caldo. I miei occhi iniziarono a tremare e farsi all'improvviso pensanti, eppure mi sembrava improvvisamente più semplice aprirli. Le mie orecchie si riempirono di suoni deboli, probabilmente tutti affievoliti dal battere del mio cuore che si era rifatto finalmente vivo. La pelle del mio corpo venne percorsa da una serie di pizzichi soffici e tuttavia fastidiosi, come se delle formiche stessero camminando su di me. La mia testa si fece pesante e improvvisamente bollente. Mi sentivo andare a fuoco letteralmente, come se non fosse solo una sensazione.
Mi feci coraggio e inspirando profondamente provai a sollevare le pesanti palpebre. Mi sorpresi quando ci riuscii e così presi a battere le coglia più volte per avere una vista chiara.

La prima cosa che vidi fu la luce. Dopo tutto quel buio, finalmente la luce. Non fu fastidioso quel cambio di luminosità, anzi, fu quasi un sollievo. Poi le cose si fecero mano a mano più definite: ogni cosa iniziò a prendere la sua forma e il suo colore.
I miei occhi erano puntati verso delle assi di legno scuro, solide e quasi familiari. Per un attimo pensai di trovarmi di nuovo nel vecchio Casolare, con le assi in legno traballanti e le decine di sacchi a pelo stese per terra. Poi una consapevolezza si insinuò nella mia mente: il Labirinto era stato distrutto e con lui anche la Radura.
Sbattei le palpebre e riaprirle fu decisamente più difficile del previsto. Lottai con tutta me stessa per non tornare di nuovo a dormire e riuscii finalmente a spalancare gli occhi, trovando per un attimo una vista sfocata di ciò che avevo messo a fuoco un attimo prima.
Qualcosa di nuovo entrò nel mio campo visivo, come risvegliato dal mio respiro improvvisamente più accelerato e mi ci volle un po' per mettere a fuoco anche quella figura: era un uomo giovane e con gli occhi color azzurro spento, tendenti al grigio, puntati su una parte del mio corpo; il corpo esile avvolto in dei vestiti stracciati qua e là; i suoi capelli neri e arruffati incorniciavano il suo volto con i lineamenti ben marcati.

Solo dopo qualche secondo sentii un tocco leggero sulla mia gamba e, come se quel contatto avesse risvegliato il dolore, una fitta mi pervase il corpo, facendomi gemere.
L'uomo sussultò sorpreso e puntò immediatamente lo sguardo sul mio volto, spalancando i suoi occhi quando mi vide cosciente.
Lo vidi sorridere e quel gesto mandò in tilt il mio cervello. 
Rividi lo sguardo malato di Janson su di me e quel sorriso sinistro che celava ombre e oscure intenzioni. Percepii il tocco degli scienziati sul mio corpo e le lame dei loro bisturi sulla mia schiena. Mi sentivo come se tutto stesse per iniziare daccapo, come se il nastro della mia vita si fosse riavvolto e mi ritrovassi per l'ennesima volta su uno di quei dannati lettini da laboratorio.

Il mio corpo fremette e la mia testa scattò.

Potevo percepire la paura, più concreta che mai, e non esitai ad agire di conseguenza.

Respirando in modo affannato mi drizzai a sedere, indietreggiando il più possibile da quell'uomo e sentendo subito il dolore aumentare in me. Le mie gambe facevano così male che pensai di essere finita all'inferno.

Gridai per il dolore e il terrore e vidi la confusione nascere negli occhi di quell'uomo che subito indietreggiò con le mani sollevate. 
L'uomo pronunciò qualcosa, ma il rumore dei battiti del mio cuore all'improvviso più veloce era ancora troppo forte nelle mie orecchie. Mi mossi ancora e questa volta le fitte non furono clementi con il mio corpo: come se fossi stata appena trafitta da lame affilate, le mie gambe iniziarono a tremare per il dolore senza che riuscissi a controllarle e non osai provare ancora a muoverle, troppo spaventata per le conseguenze. Abbassai lo sguardo sul mio corpo e feci appena in tempo a vedere due assi attaccate ai lati della mia gamba destra che la mia vista si annebbiò, condizionata dai giramenti di testa. Prendendo un profondo respiro e animata dalla necessità di andarmene da quel posto, qualunque esso fosse, provai a piegare le ginocchia per drizzarmi in piedi ed iniziare correre. Solo in quel momento mi accorsi di non riuscire a muovere la gamba destra e la cosa mi terrorizzò.

Mugugnai per il dolore e cercai di muovermi ancora, con pessimi risultati.
"Ferma, ferma... Così peggiorerai e basta, credimi." disse l'uomo, avvicinandosi di qualche passo.
"Non ti avvicinare!" gli gridai, la voce rotta e tremolante, forse per il terrore, forse per il dolore.

L'uomo portò le mani in avanti, come per chiedere una riappacificazione tacita, e per qualche motivo i miei occhi indugiarono su di lui. Iniziai ad analizzarlo per capire se fosse una minaccia o meno e, dopo diversi secondi in cui l'uomo non accennava a muovere un solo muscolo come gli avevo chiesto, decisi di dargli una possibilità per conquistare la mia fiducia dato che, come avevo potuto constatare, le mie gambe erano ancora addormentate, distruggendo il mio tentativo di correre via da quel luogo. "C-Chi sei?" domandai stringendo i denti e lanciandogli un'occhiataccia, per poi guardarmi intorno. Ero in una stanza totalmente in legno, costruita con assi deformi e spesso rotte, vuota praticamente di tutto ad eccezione di due o tre letti improvvisati, fatti di assi in legno e strati di foglie miste a muschio. "Dove caspio sono?" domandai ancora, alzando il tono di voce e suscitando una risatina nell'uomo.

"Certo che voi ragazzi parlate in modo veramente strano." mormorò l'uomo, avvicinandosi a me e scuotendo la testa. "Gli altri mi avevano detto che eri una tipa tosta e be', devo ammettere che svegliarsi in questo modo aggressivo non è da tutti." osservò ancora l'uomo, iniziando a stuzzicare la mia pazienza. "Comunque io sono Matthew e tu sei nel reparto malati, se così si può chiamare. In realtà è solo una casetta in legno costruita di fretta per ospitare i feriti, ma è più di quanto si possa desiderare al momento."
"Dove sono i miei amici?" chiesi, sentendomi via via sempre più confusa.
"Al momento non lo so, ma ti posso assicurare che c'era sempre qualcuno qui con te. Un ragazzo, in particolare, continuava a venire più degli altri. Non so, forse è il tuo ragazzo. Vuoi che lo vada a chiamare?" mi spiegò Matthew con un tono talmente gentile e calmo che capii di potermi fidare di lui, almeno per il momento.
"Ehm... Sì, sì sarebbe gentile da parte tua, grazie." mormorai, cercando di cambiare approccio. Durante tutti quegli anni alla W.I.C.K.E.D. avevo imparato che con le proteste non si risolveva niente, se invece fingevi di collaborare forse le cose potevano anche migliorare. Appoggiai la schiena contro la parete alle mie spalle e sentii il sudore colare sul mio collo.
Matthew annuì sollevato e fece per muoversi verso l'uscita quando qualcuno entrò dalla porta, precipitandosi affannato all'interno della stanza. Sorrisi spontaneamente quando riconobbi la chioma marroncina e arruffata di Thomas.
"Oh, a quanto pare non serve più che io lo vada a chiamare." rise Matthew, salutando con un cenno il ragazzo che, vedendomi sveglia, si tranquillizzò.
Quindi era Thomas quello che era venuto più spesso a trovarmi? 
Strano, io avrei scommesso su Stephen o Gally o magari Minho. Precisò la mia mente, rifacendosi viva dopo tutto quel tempo passato al buio.
"S-Sei sveglia." mormorò affannato il ragazzo, avvicinandosi immediatamente a me e osservandomi attentamente. "Ho sentito urlare. Cos'è successo? C-Come stai?"
"Meglio di te sicuro, Tom." ridacchiai, cercando di nascondere il dolore sul mio volto. "Riprendi fiato, pive."

Thomas arrossì impacciato e si sedette sul 'letto' affianco al mio. Ingoiai il groppo di saliva e, tentando di parlare con voce ferma, domandai: "Da quanto..."

"Ben cinque giorni." rispose immediatamente il ragazzo, senza neanche farmi finire la domanda. "Sei svenuta subito dopo che ti abbiamo cavato da sotto il masso e da allora non hai mai aperto gli occhi." spiegò prontamente, aprendo subito dopo la bocca per aggiungere altro. "A proposito, grazie. Mi hai salvato la vita mentre io me ne stavo lì impalato. N-Non so cosa mi sia preso, i-io..."
"Va bene così, non ti rincaspiare." lo tranquillizzai. "E' stata una cosa istintiva e soprattutto una mia decisione. Se potessi tornare indietro lo rifarei, Tom."
Il volto del ragazzo si spense al suono delle mie parole e il suo sguardo si abbassò ai suoi piedi, diventando triste e angosciato all'improvviso.

Interpretai quella sua reazione come un senso di colpa nei miei confronti e sorrisi per confortarlo. "Te l'ho detto, Tom. Io sto bene e anche tu. Questo è l'importante."
"Sì, n-non era quello." mi corresse subito lui, grattandosi la nuca e lanciando un'occhiata a Matthew che, cogliendo quella richiesta implicita, sobbalzò e si sbrigò a lasciare la stanza, trovando una scusa banale per andarsene. Thomas lasciò trascorrere qualche secondo, giocherellando in modo ansioso con le sue dita, poi, quasi evitando il mio sguardo, si mise a fissare un punto indefinito della parete.
"C'è qualcosa che ti turba?" domandai al ragazzo, morendo lentamente ad ogni secondo che passava. Sentivo che c'era qualcosa, qualcosa di grosso, che non mi stava dicendo, e quell'attesa mi distruggeva. Era capitato qualcosa agli altri?

"Devo confessarti una cosa..." sussurrò Thomas, forse sperando che non lo sentissi.

Tacqui, concentrandomi sulle sue labbra che avevano preso a tremare. 
"Io ho..." la voce del ragazzo si fece debole, tremolante, roca, come se fosse sul punto di piangere.
Dei mormorii fuori dalla stanza fecero scattare Thomas sul posto e confusa seguii il suo sguardo verso la porta, dove ben presto comparvero Stephen e Minho. Entrambi con un'espressione radiosa sul volto. "Ce l'hai fatta, bambolina." esclamò Minho felice, raggiungendomi in due o tre falcate e avvolgendomi in un abbraccio talmente caloroso da togliere il fiato. "Sapevo che avresti aperto quei begli occhietti prima o poi."
"Già, ora levati prima di soffocarla." brontolò Stephen, spingendo con una mano sulla spalla del Velocista. 

"Stai zitto, femminuccia-biondo-tinto." borbottò Minho, lasciando la presa su di me e guardando male Stephen.

Mi erano decisamente mancati. Suggerì la mia mente, centrando nuovamente l'obbiettivo e facendomi sorridere.

"Io non sono una femminuccia e non sono nemmeno biondo, ho semplicemente i capelli bianchi e non sono tinti, credimi." replicò Stephen, chinandosi su di me e sorridendomi sollevato, per poi abbracciarmi impacciato.
"E vorresti farmi credere che sono naturali?"
"Non ho mai detto questo, testa bacata." lo corresse il ragazzo, sollevandosi in piedi e rivolgendomi un'espressione sollevata e felice. "La W.I.C.K.E.D. testava diversi farmaci e strani liquidi su di me. Alcuni mi facevano stare male tutta la notte, altri avevano effetti... discutibili. Uno dei loro intrugli ha fatto sì che i miei capelli perdessero definitivamente colore."
"Woh, fortuna che allora non è toccato a me e ai miei bellissimi capelli." ribattè Minho, accarezzandosi premurosamente la testa. 

Non feci nemmeno in tempo ad elaborare ciò che Stephen aveva appena svelato che un'altra voce catturò la mia attenzione.

"Possiamo, per favore, non nominare più quella... associazione?" chiese Thomas, che fino a quel momento era rimasto in disparte a fissarsi le scarpe imbarazzato. Da quando erano entrati gli altri due sembrava si sentisse fuori posto, come se fosse l'estraneo della situazione.

Minho si voltò di scatto, strinse la mascella e i pugni e gli rifilò uno sguardo totalmente privo di razionalità. Mi spaventai per quel gesto, ma ciò che il ragazzo disse dopo fu peggio. "Perchè? Mi pare che la parola W.I.C.K.E.D. si addica abbastanza a te, non credi?"
"Minho, smettila." lo rimproverò Stephen diventando serio all'improvviso e perdendo ogni traccia di divertimento sul suo volto.

Non riuscivo a capire come quella situazione così leggera e priva di umorismo avesse potuto sfociare in tutta quella tensione, ma compresi che qualcosa non andava tra Minho e Thomas. Qualcosa nel loro rapporto doveva essersi rotto. Qualcosa di grosso doveva essere successo, a giudicare dall'espressione di Minho, e il colpevole doveva essere Thomas, a giudicare dalla sua espressione. Forse era proprio quello ciò che Thomas stava cercando di riferirmi poco tempo prima?
"Cosa..." mormorai confusa, passando lo sguardo da Minho a Thomas in cerca di spiegazioni
Thomas guardò per qualche momento il ragazzo asiatico, poi lo vidi annuire sconfitto e le sue narici si ingrossarono, come se stesse facendo uno sforzo enorme per contenere qualcosa, come rabbia o tristezza, poi si alzò senza proferire parola e strascicò i piedi per tutta la stanza, uscendo in silenzio dalla porta.
"Cos'era quello?" domandai dura, agitando il dito tra Minho e la porta da cui era appena uscito l'altro Velocista. 
Il ragazzo sembrò rilassarsi per un momento, ma potevo ancora percepire la sua rabbia. Il ragazzo mi guardò per un po', quasi come se stesse cercando le parole adatte per rispondermi, ma poi incrociò lo sguardo di Stephen e subito percepii dell'intesa tra di loro, accennata in particolare dallo sguardo curioso del ragazzo dai capelli bianchi. In seguito ad una profonda occhiata, Minho decise di tacere e scosse la testa. "Nulla." mi rispose accennandomi un sorriso e mettendomi una mano sulla spalla. "Scusami, abbiamo solo avuto una piccola discussione su... be', le solite cose. Non preoccuparti per noi, piuttosto pensa a rimetterti in sesto." mi rassicurò il ragazzo, scuotendo la testa. "Mi sei mancata, bella bambolina."
Detto ciò il ragazzo si voltò di spalle e così come aveva fatto Thomas uscì dalla stanza, lasciando me e Stephen soli. Era quasi impossibile dimenticare l'espressione di sconforto e rabbia che aveva ricoperti i volti dei due con così tanta facilità, così decisi di interpellare l'unica persona rimasta in quella stanza: Stephen.
"Okay, o sta per finire il mondo o è successo qualcosa di cui non sono a conoscenza." dissi. "Insomma, Minho che litiga con Thomas e poi mi definisce bella... Cosa diamine gli è capitato?" domandai rivolta al ragazzo, che tuttavia sembrò ignorare la mia domanda. "Stephen?" lo chiamai poi, volgendo il mio sguardo verso il ragazzo che aveva preso a grattarsi la nuca con fare imbarazzato.
"Oh, io mi sono appena ricordato che Hailie deve ancora mangiare." mi informò il ragazzo, incamminandosi verso la porta.
"Non ci provare, amico." lo frenai subito, puntandogli un dito contro. "Ora tu vieni qui e rispondi alle mie caspio di domande."

Il ragazzo arricciò il naso e si morse un labbro, poi però, seguendo mal volentieri le mie parole, si mosse verso di me e si sedette sul mio letto, facendomi percepire il suo tepore. "Hai ragione, necessiti delle risposte, ma... Non sono io a doverti dire cosa è successo tra quei due, okay? E non sono nemmeno tanto stupido da rifilarti una cavolata come risposta, so che capisci quando mento."

"Be' facciamo progressi." ammisi. 
"Anche se, in realtà, non so bene cosa sia successo tra i due. Certo, ho qualche ipotesi, ma..."

"Non ne sei sicuro e non hai intenzione di sbilanciarti e dirmelo." finii la frase per lui.
"Esatto."
Del silenzio calò tra di noi e dopo qualche secondo il ragazzo parlò di nuovo, cercando di scacciare dal suo volto ogni traccia di sentimento negativo. "Bene così. Detto ciò, puoi tempestarmi di domande." rispose il ragazzo, rivolgendomi un sorriso leggero.

Ci riflettei su per diversi secondi, cercando di allontanare la mente da ciò che era appena successo, poi domandai: "Dov'è Gally?" 
L'accenno di sorriso sul volto di Stephen svanì, rimpiazzato da uno sguardo freddo e distante, come se quella mia domanda lo avesse infastidito. "E' nel comitato per l'edilizia. Sicuramente è andato nel bosco a buttare giù qualche altro albero."

Annuii silenziosamente e preferii non chiedergli più nulla riguardo al ragazzo. Era palese che tra i due non scorresse buon sangue ed era meglio non peggiorare la situazione.
"Cosa..." presi un respiro e scelsi bene le mie parole. "Cosa è successo dopo che sono svenuta?"

Le sopracciglia di Stephen si sollevarono e il ragazzo non esitò a rispondere. "Be', ti abbiamo tirata fuori dalle macerie e ti abbiamo trascinata con noi attraverso il Pass Verticale. Thomas non ragionava più quando ti ha vista in quelle condizioni ed ha praticamente perso la testa. Minho e Gally ti hanno trascinata tra la folla chiedendo aiuto ed è arrivato Matthew. Ha detto di essere un medico, almeno prima che la W.I.C.K.E.D. lo catturasse, e che poteva curarti, ma servivano tempo e bende, tante bende."
"E poi?" domandai curiosa, evitando di abbassare nuovamente lo sguardo sulla mia gamba. 

"Ha guardato in che condizioni fossi e... Avevi perso molto sangue e quel masso aveva solo peggiorato la situazione. La tua gamba era..." sentii il ragazzo rabbrividire. 
"Rotta?" suggerii.
"Già..." sbuffò il ragazzo lanciando un'occhiata preoccupata alla mia gamba. "A Matthew serviva qualcosa per tenere ferma la tua gamba e a Minho è venuto in mente che si potevano tagliare due stecche di legno per metterle ai lati della gamba. Poi il resto è stato abbastanza disgustoso..."
"Cioè?" insistetti.
"Dovevano anche ricucire la ferita che aveva lasciato il pugnale e Matthew ha usato ago e filo davanti a tutti." ridacchiò amaramente il ragazzo, cercando di nascondere il suo disgusto. "Thomas ha anche vomitato."
"Solo Thomas? A giudicare dalla tua faccia sembra che anche tu..."
"No." mi interruppe subito. "Diciamo che io ho semplicemente distolto lo sguardo." ammise poi, diventando rosso in viso.
"E dove avete trovato le bende e l'ago?"
"Quando siamo usciti dal Pass Verticale ci siamo trovati in una specie di casotto di legno. Non c'era gran ché, solo un kit medico, qualche ascia, corde e cose di vario genere." spiegò Stephen. "Abbiamo preso tutto quello che c'era da prendere e poi abbiamo dato fuoco al casotto. Giusto per essere sicuri che non sarebbe entrato nessun altro da quel Pass."
Annuii lentamente, poi sorrisi a Stephen e mi mossi lentamente verso di lui. "Aiutami a scendere, voglio vedere com'è qui fuori." 

Senza brontolare il ragazzo mi mise il braccio attorno alle sue spalle e, reggendo la maggior parte del mio peso, mi aiutò a tirarmi in piedi, guidandomi con pazienza verso l'uscita.
Non appena varcai la soglia della porta vidi... verde. Tanto, tanto verde. Erba, alberi, fiori, cespugli. 
Sorrisi e per la prima volta dopo tanto tempo mi sentii veramente felice e sollevata. Ce l'avevamo fatta. Eravamo salvi.

Quando misi piede fuori dalla stanza, dovetti fermarmi ad ammirare. Eravamo in un posto che ci avevano detto non esistere più. Rigoglioso, con tanto verde e vibrante di vita. Ci trovavamo ai piedi di una collina sopra un campo di erba alta e fiori selvatici, cosparso di casette alcune complete altre ancora in fase di costruzione. Le persone camminavano da una parte all'altra di quel luogo, ridendo e parlando felici, alcuni intenti a lavorare alcuni impegnati a schiacciare un pisolino sotto l'ombra di qualche albero. Alla mia destra potevo vedere una vasta distesa di alberi altissimi che sembravano estendersi per chilometri, alla fine della quale c'era una parete di montagne rocciose che si spingeva verso il cielo azzurro e terso. Alla mia sinistra, sorpassa la piccola collina c'erano campi erbosi che si trasformavano dolcemente in una boscaglia e poi in sabbia. E dopo, l'oceano, con le sue grandi onde scure e la cresta che diventava bianca infrangendosi sulla spiaggia.

Il paradiso. Eravamo in paradiso.
"Quanti siamo in tutto?" domandai a Stephen, incrociando il suo sguardo altrettanto felice.
"Quasi duecento."
Duecento. Ripetei nella mia mente. 
Mancava solo una persona a rendere tutto quello perfetto: Newt.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


Ero rimasta priva di sensi per cinque giorni, ma dovevo ammettere che in quel poco tempo le persone si erano date da fare: quello spazio verde era ormai cosparso di casette costruite in legno.
Stephen mi spiegò che il progetto dei Costruttori - così come Gally aveva deciso di chiamarli, in memoria dei vecchi tempi - consisteva nel costruire una casa per ogni famiglia, anche se a dire la verità in pochi avevano ancora la fortuna di veder vivi i propri cari. In generale le persone si erano divise in gruppi: c'era chi aveva deciso di vivere con i propri amici, chi con le persone appena conosciute, chi con i colleghi di lavoro e chi da solo.
La cosa che tuttavia mi sorprese e mi rattristò particolarmente fu scoprire che molti bambini erano rimasti orfani e così per evitare di spartirli tra persone adulte, che per i bambini non erano altro che estranei, avevano deciso di costruire una grande abitazione - simile al Casolare, ma di dimensioni più ridotte e ad un solo piano - in cui ospitare ogni bambino.
"Dov'è Hailie?" domandai continuando ad osservare il paesaggio che mi circondava.
"Con gli altri bambini. Ormai passa più tempo con loro che nè con me." ammise il ragazzo scuotendo la testa e sorridendo imbarazzato.
"Qualcuno qui è geloso, huh?" lo punzecchiai. "Be' credo che dovresti essere felice per lei. Intendo, non ha mai avuto amici della sua età, lasciala essere felice. Ora che siamo al sicuro anche lei merita di vivere serena."
"Sì, sì, certo. Non è questo... Solo che mi sembra che stia crescendo troppo in fretta." ammise il ragazzo mordicchiandosi il labbro.
"Non preoccuparti. Sei un bravo fratello. In più devi vedere il modo in cui ti guarda... Se quello non è amore, allora la mia vita è stata una bugia totale." lo rassicurai, lanciandogli un'occhiata divertita, felice di scoprire sempre più lati di Stephen. Quel ragazzo non smetteva mai di sorprendermi.
Ripresi a guardarmi intorno, intenta ad immagazzinare ogni minimo dettaglio di ciò che mi circondava come per paura di dimenticarmelo. Per un attimo ebbi la sensazione di essere di nuovo nella Radura e il dubbio che tutto quello non fosse reale, ma solo una ambiente costruito per tenderci una trappola, mi terrorizzò. Dopotutto ci avevano già ingannato più volte, come facevo a sapere che tutto quello non fosse l'ennesimo test?
La W.I.C.K.E.D. è crollata. L'ho visto con i miei occhi. Mormorai nella mia mente, cercando di trovare un po' di conforto in quelle parole. L'ho visto con i miei occhi e i miei occhi non sbagliano.
Janson è morto. L'ho visto con i miei occhi. Continuai poi, iniziando a sentirmi gradualmente più tranquilla. L'ho visto con i miei occhi e i miei occhi non sbagliano.
Avrei potuto fare almeno altri mille punti nella lista delle cose che i miei occhi avevano visto, cose terribili e non , ma decisi di fermarmi lì, prendendo un bel respiro e cacciando tutte le cattive sensazioni. 
Il mio sguardo si puntò sulle casette in legno e all'improvviso una domanda emerse spontanea nella mia mente, permettendomi per un secondo di distrarmi dalle visioni di persone uccise e quel luogo in fiamme. La mia mente stava decisamente correndo troppo. 
"Con chi sono stata smistata in casa?" domandai a Stephen, insonorizzando con la mia voce tutti i miei pensieri sinistri. Quasi sovrappensiero girai lievemente il volto verso Stephen e colsi un cambio di espressione nel suo viso: il sorriso appena accennato sulle labbra venne immediatamente celato da un'espressione seria e infastidita; sentii il suo corpo irrigidirsi; strinse la mascella, accentuando ancora di più i suoi lineamenti marcati; i suoi occhi si raffreddarono e da azzurri passarono ad un distante color ghiaccio.
"Gally ha insistito per stare con te." mi informò il ragazzo, evitando di rivolgermi lo sguardo. "Inizialmente dovevi essere messa nella stessa casa di Violet, ma Gally ha fatto di tutto per cambiare i piani. Io e Minho ci siamo un po' alterati e abbiamo cercato di fargli cambiare idea, ma tu stessa sai quanto Gally possa essere cocciuto." aggiunse poi il ragazzo con un tono talmente infastidito che da farmi comprendere la sua scontentezza al riguardo. "In più ora che Thomas e Minho hanno litigato, Minho non ci ha pensato due volte ad abbandonare la causa contro Gally: doveva trovare qualcuno con cui stare in casa e, dato che quel qualcuno non poteva di certo essere Thomas, inutile dire che abbia scelto Violet."
"E Thomas con chi andrà?" avanzai subito la domanda, preoccupandomi per la salute mentale del ragazzo. L'ultima volta che lo avevo visto aveva una pessima cera e di certo non aveva l'aria di uno che poteva essere lasciato solo e allontanato. Aveva bisogno di qualcuno che gli tirasse su il morale, qualcuno che lo accendesse come un fiammifero.
"Con Teresa."
"Teresa?" domandai sbalordita, ma allo stesso tempo felice. Se tutto quello che Teresa mi aveva raccontato riguardo a Thomas era vero, lei era la persona ideale per lui.
"Sì, da quando siamo arrivati qui si sono avvicinati molto e la cosa è abbastanza straordinaria dato che sono passati appena cinque giorni." borbottò Stephen ridacchiando. "Inutile dire che Brenda se l'è presa abbastanza."
"Oh, cavolo." sospirai, sentendo in quelle parole una soddisfazione enorme. "Credimi, so che è cattivo da dire, ma ti giuro che non posso che essere felice. Era ora che quella sottospecie di sanguisuga si staccasse da Thomas. Gli stava letteralmente facendo il lavaggio del cervello. Non so perchè sia ancora con noi quella ragazza." ammisi, sentendo un peso enorme staccarsi dal mio stomaco. Era la prima volta che dicevo veramente ciò che pensavo di Brenda ad alta voce e la cosa era abbastanza soddisfacente.
"Perchè la usavamo per le sue conoscenze sulla W.I.C.K.E.D. Ricordi?"
"Oh, giusto." sibilai sorridendo. Era palese che Stephen condividesse le mie parole, dato il ghigno divertito e compiaciuto sul suo volto.
Mi morsi la lingua quando mi accorsi di essere sul punto di dire qualcosa che forse avrebbe potuto rovinare tutta quella atmosfera. Attesi, in silenzio, cercando di capire se ritornare a quell'argomento fosse adatto dopo l'espressione che Stephen assumeva ogni volta che gliene parlavo. Ma dovevo tentare, perchè dopotutto sapevo che quando mi aleggiava un pensiero per la testa era difficile archiviarlo e ancora di più dimenticarlo. Prima o poi sarebbe saltato fuori il discorso, perciò perchè non proprio in quel momento?
"Steph..." richiamai l'attenzione del ragazzo. "Perchè non ti piace Gally?"
"Gally?" domandò semplicemente il ragazzo, stranamente senza nessun cambio di umore. "Non è che non mi piace..."
"Be', non sembra che ti stia simpatico, ma è un bravo ragazzo te lo assicuro." ammisi, alzando lo sguardo e puntandolo nei suoi occhi che tuttavia erano ancora intenti ad inseguire una piccola farfalla bianca nel cielo.
"Non mi hai fatto finire la frase." mi informò lui, per nulla scocciato.
Attesi in silenzio ed evitai di scusarmi dato che sapevo quanto gli desse fastidio quella parola.
"Non è che non mi piace..." riprese il ragazzo. "Io lo odio proprio."
"Ma per..."
Non feci nemmeno in tempo a finire la frase che una voce alle nostre spalle ci fece sussultare entrambi. "La cosa è reciproca." 
Non mi servì vedere il volto di Gally per capire che era stato lui a parlare. Mi voltai lentamente, saltellando sulla mia gamba buona e sorreggendomi sempre a Stephen che, dopo un lungo respiro e dopo aver ruotato gli occhi al cielo, seguì i miei movimenti.
Gally aveva un'aria parecchio stanca, ma nonostante questo sul suo volto aleggiava un sorriso sincero e contenuto, totalmente in contrasto con le parole piene di amarezza che aveva pronunciato un momento prima. Il ragazzo aveva un leggero fiatone e delle gocce di sudore scendevano sulle sue tempie e sulle sue braccia, bagnando una gran parte della maglietta color marrone. Notai che aveva un'ascia in mano e non mi ci volle molto a collegare l'aspetto del ragazzo a ciò che Stephen mi aveva riferito riguardo alla sua occupazione: doveva essere andato nel bosco a buttare giù qualche albero per costruire le case e guardando meglio il suo aspetto doveva aver lavorato per parecchio tempo.
Gally si mosse in avanti e, dopo aver lasciato cadere l'ascia sull'erba, aprì le braccia e si diresse verso di me. "Ben tornata alla realtà, Fagiolina." mormorò il ragazzo avanzando ancora verso di me, chiedendomi palesemente di abbracciarlo.
Sentii Stephen irrigidirsi, probabilmente accecato di nuovo dalla sua gelosia o forse dal suo odio per Gally, ma non ci feci caso e, stando bene attenta a non usare la gamba rotta, mi distaccai da Stephen e allungai le braccia sulle spalle di Gally in modo da non cadere.
Il ragazzo non attese neanche che ristabilissi il mio equilibrio che subito mi racchiuse in uno dei suoi soliti abbracci forti, uno di quelli che ti tolgono il respiro, ma che ti infondono forza e coraggio. "Mi dispiace doverti abbracciare in questo stato così pessimo, ma tu mi hai abbandonato per cinque giorni."
Ridacchiai e, quando il ragazzo allentò la presa, saltellai su me stessa per ripristinare il mio equilibrio e mi tenni ben stretta alle spalle di Gally che mi rifilò un'occhiata sollevata. "Cos'è, una specie di punizione?"
"Se vuoi vederla così, allora sì." mi rispose di rimando il ragazzo, accennando ad una risata di pura cortesia. 
In effetti ora che gli ero più vicina potevo notare che la sua maglia era praticamente zuppa, ma la cosa non mi infastidiva: era talmente tanta la malinconia che provavo da farmi dimenticare ogni altra cosa. Vedere Gally nuovamente felice e notare nei suoi occhi quella leggerezza che lo aveva abbandonato dai tempi della Radura era come un respiro di aria fresca. Sapevo che in quel luogo eravamo finalmente al sicuro, nonostante la mia testa continuasse ad elaborare ogni tipo di strategia per farmi credere il contrario, ma leggerlo nei suoi occhi era stata una maggiore conferma che mi permise di archiviare tutte le preoccupazioni.
Il mio sguardo venne catturato da una fogliolina verde posata tra i suoi ciuffi e non potei fare a meno di raccoglierla per poi abbandonarla nel vuoto e vederla volteggiare fino a terra.
Mi sorpresi quando con la coda dell'occhio notai che il ragazzo non si era fatto distrarre dai miei movimenti, ma aveva continuato a guardarmi negli occhi come se non vedesse il mio volto da anni e ne fosse improvvisamente catturato.
Quando il ragazzo si accorse di essere stato colto in flagrante subito distolse lo sguardo e arrossì per poi tossicchiare imbarazzato. "Allora..." mormorò cercando di sembrare a suo agio. "Hai già conosciuto qualcuno?"
Mi morsi il labbro e dopo averci pensato su scossi la testa. "Solo Matthew per il momento."
"Bene così, ti va se ti faccio fare un giro?" propose il ragazzo, lanciando poi un'occhiata di sbieco a Stephen che, essendo dietro le mie spalle, non riuscivo a vedere.
"Certo." acconsentii.
Gally prese delicatamente il mio polso e lo fece scorrere sulle sue spalle in modo che il mio braccio fosse ben ancorato a lui, poi dopo aver portato una mano sul mio fianco iniziò ad avanzare lentamente per darmi la possibilità di muovermi senza troppo fatica, riuscendo a contenere leggermente anche il dolore. La mia gamba faceva abbastanza male, ma rispetto al dolore che avevo provato quando il pugnale mi aveva perforata quello era solo un fastidio. Forse Matthew mi aveva dato qualcosa per calmare il dolore o forse mi ero semplicemente abituata a sentirlo sulla mia pelle.
Gally mi presentò diverse persone, principalmente uomini che lavoravano con lui, poi dopo diverse imbarazzanti conversazioni il ragazzo mi condusse verso una casa più grande rispetto alle altre. Il flusso di bambini che scorrazzavano da una parte all'altra mi fece capire che quell'edificio doveva probabilmente essere la casa dei bambini. 
"Loro sono quelli più socievoli." mi informò Gally, indicando con un cenno del mento un gruppo di maschietti che giocavano a fare capriole tra l'erba.
Il ragazzo indicò poi un gruppo di quattro bambine che, con un mazzo di margherite in mano, ci stava osservando incuriosito. "E loro sono..." Gally si interruppe quando le vide correre verso di noi tutte insieme, ridacchiando e gridando. "Sono le più dolci, ma credo che lo vedrai presto tu stessa."
Non appena il ragazzo pronunciò quelle ultime parole le bambine ci raggiunsero, sorridendo felici e spensierate. Due di queste avevano i capelli castani, i visi paffutelli e si assomigliavano parecchio, quindi ipotizzai che dovessero essere sorelle; un'altra aveva i capelli rossicci, come il pelo di una volpe, le lentiggini sparse su tutto il volto e il nasino all'insù; l'ultima, con in mano il mazzetto di fiori, aveva i capelli biondi, tendenti al color cenere, gli occhi castani e il sorriso sdentato, ma comunque contagioso. Fu proprio quella bambina ad allungarmi il mazzetto di margherite, sorridendo raggiante e saltellando su se stessa per cercare di raggiungere le mie mani.
Non potei fare a meno di sorridere anche io e, quando accettai il piccolo mazzo stringendolo forte in un palmo, la bambina si rilassò e con le mani si sistemò i capelli all'indietro, alzandosi poi sulle punte dei piedi. "Sappiamo che ti sei fatta male alla gamba, così ti abbiamo raccolto questi." spiegò indicandomi i fiorellini stretti tra le mie dita. "Volevamo portarteli noi, ma dato che sei venuta tu..."
"Oh, grazie." mormorai, sorridendo verso tutte per ringraziarle. "Siete veramente... dolci." aggiunsi poi, lanciando uno sguardo a Gally che, con un sorriso appena accennato sulle labbra, si limitò ad annuire. 
"Tu devi lavarti, signorino." continuò poi sempre la stessa bambina, puntando un dito contro il ragazzo che si portò una mano al cuore e finse di essersi offeso. "Puzzi come una mucca."
Gally spalancò gli occhi e, dopo averla guardata a lungo, mi rivolse il suo sguardo. "Ti dispiace se ti lascio un momento?" mi domandò. Poi dopo aver ricevuto un 'sì' come risposta, mi lasciò andare delicatamente e ripuntò gli occhi sulla biondina.
"Così posso dare una lezione a questa birbante." bofonchiò il ragazzo strofinandosi le mani e avanzando di un passo verso la bambina che, con un sorriso smagliante e divertito, iniziò a sghignazzare e a correre per sfuggire da Gally.
"Ora ti impuzzolisco tutta!" gridò il ragazzo iniziando a correrle dietro, scatenando in me una risata sincera. Le altre bimbe iniziarono a lanciare gridolini acuti e solo le due sorelline iniziarono a correre cercando di raggiungere Gally per frenarlo. La bambina dai capelli rossi invece mi sorrise divertita e con un passo mi raggiunse, mettendosi a guardare la scena vicino a me.
"Tu come ti chiami?" le domandai, lanciandole uno sguardo veloce e poi tornando con l'attenzione sul ragazzo che, fingendo di essersi fatto male, si sdraiò a terra e subito venne assalito dalle bambine.
"Adelle." pronunciò lei tra una risatina e l'altra.
"Io sono Elena." le risposi, spalancando poi gli occhi quando dopo essere inciampata sui suoi piedi la bimba bionda cadde in ginocchio. Pensai che sarebbe scoppiata a piangere, ma al contrario la bambina si rialzò in piedi più energica che mai e, dopo essersi pulita i pantaloni con le mani, continuò a gridare e correre come se nulla fosse successo.
L'inseguimento durò ancora per poco e ben presto Gally tornò da me con il fiatone ed una mano a tenersi il petto. "Hanno più energia di me, cosa ci devo fare?" brontolò il ragazzo ansimando.
"Sarà la vecchiaia." ribadii lanciandogli uno sguardo di sfida.
"Probabile." ridacchiò il ragazzo, guardandomi di sottecchi.
"Oh, andiamo bambinone! Non mi dirai che ti sei stancato!" brontolò la biondina avvicinandosi a lui e continuando a saltellare su se stessa.
"Sono esausto. Hai vinto." decretò Gally, alzando le braccia in aria per stiracchiarsi. "E ora puzzo ancora di più solo grazie a te."
"Oh no, Elizabeth!" gridò Adelle portandosi le mani sulla bocca con fare teatrale. "Ora puzzi anche tu di mucca!"
Al suono di quel nome i miei occhi si sgranarono e nella mia mente qualcosa si accese.
Elizabeth. Mi ripetei. Dove l'ho già sentito?
Gally mi disse qualcosa, ma non riuscii nemmeno a sentirlo, forse per via delle grida delle bambine, forse per via della sensazione che quel nome mi aveva causato.
Un brivido mi percorse la schiena quando, dopo diversi tentativi di ricordare, finalmente arrivai alla conclusione, o meglio, ad un ricordo specifico.
All'improvviso potevo vedere la scena davanti ai miei occhi, come se stesse accadendo in quel momento: io e gli altri stavamo cercando Thomas ed io mi trovavo nella stanza di controllo; stavo sbirciando tra le cartelle private della W.I.C.K.E.D., prendendone alcune a caso; potevo ancora sentire la carta di quella foto in bianco e nero nella mia mano e potevo ancora vedere perfettamente la foto di quel bambino che quella volta non ero stata capace di riconoscere; riuscivo ancora a sentire le parole scritte su quel foglio fluire nella mia mente. 
Soggetto n. 16, Elizabeth.
"Elizabeth." sussurrai a me stessa. "Come ho fatto a non notarlo prima?"
Sentii il mio cuore smettere di battere per un attimo e le mie gambe tremare. Mi sentii improvvisamente piccola, fragile, inghiottita da quel nome e dal ricordo della persona a cui era collegato. 
Elizabeth. 
Osservai meglio la bambina per essere sicura di non sbagliare: capelli biondo cenere a caschetto, naso a patata e leggermente all'insù, occhi castani, vispi e profondi, labbra sottili e rosee. 
Come avevo fatto a non notarlo prima?
La somiglianza era strabiliante.
Elizabeth.
Newt.
"Soggetto n. 16, Elizabeth. Sorella minore del Soggetto A5." sussurrai a me stessa come se fosse una filastrocca imparata a memoria.
Le mie labbra tremarono e le parole che mi passarono per la testa furono troppo grandi per essere contenute nel pensiero. "Elizabeth è la sorellina di Newt." 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. ***


Sbattei più volte le palpebre e all'improvviso mi sentii investita da una serie di sentimenti contrastanti: da una parte ero felice di aver finalmente scoperto una parte così importante del passato di Newt, ma allo stesso tempo ero anche triste nel constatare che il ragazzo non era lì con me per guardare con i propri occhi la sorellina di cui non aveva nemmeno memoria. Mi chiesi come sarebbero cambiate le cose se Newt avesse accettato di farsi ripristinare i ricordi e mi domandai se il ragazzo avesse mai accettato di rimanere con noi per la sorella. In un certo senso, in fondo alla mia mente e al mio cuore, sapevo già quale fosse la risposta: Newt aveva preso le sue decisioni per me, si era allontanato per colpa mia, solo perchè non voleva che soffrissi nel vederlo trasformare in qualcuno che non era, e quindi probabilmente la situazione non sarebbe cambiata se il ragazzo avesse saputo della sorella.
Eppure... Eppure non riuscivo a togliermi di dosso la sensazione che tutto avrebbe potuto cambiare se solo Newt avesse saputo della sorellina. Sapevo che la mia mente era inaffidabile già da tempo, ma in un certo senso speravo che le cose cambiassero con quella nuova rivelazione.
Cosa ti aspetti? Che Newt spunti fuori dal nulla solo perchè hai scoperto che Elizabeth è sua sorella? Mi domandai nella mente, sentendo il mio cuore restringersi, inghiottito da delle ombre di tristezza. Povera illusa.
E Elizabeth... Elizabeth probabilmente non sapeva neanche quale fosse il volto di suo fratello, ne ero certa. Se la W.I.C.K.E.D. aveva agito secondo gli standard, Newt ed Elizabeth erano stati separati quando lei era ancora troppo piccola per ricordarsi di lui. Magari sapeva di avere un fratello, ma di certo non sapeva chi fosse o che volto o voce avesse. Magari le avevano perfino detto che era morto per essere sicuri che non sarebbe mai andata a cercarlo.
La cosa era così triste e... Ed io mi sentivo solo egoista.
Mi ero cacciata in una situazione dove ogni mia mossa sarebbe stata sbagliata: riferivo ad Elizabeth che aveva un fratello e che si chiamava Newt o me ne stavo zitta?
Nel caso avessi scelto la prima opzione ero sicura che, dopo aver ricevuto quell'informazione la bambina avrebbe avanzato un sacco di domande e, inevitabilmente, alla fine le avrei rivelato la pura e triste realtà: avevo amato Newt e lo avevo lasciato andare, e per colpa di questa mia debolezza ora suo fratello si trovava chissà dove ad affrontare da solo un problema più grande di lui. 
E poi la bambina avrebbe di certo pronunciato quella fatidica domanda a cui io non avrei saputo rispondere: Newt è vivo?
In un certo senso ci speravo e pregavo che non stesse soffrendo.
Il mio cuore e la mia mente erano in disaccordo su ciò, causandomi una confusione e un tormento interiore così elevato da farmi venire il voltastomaco ogni volta. Per cosa dovevo pregare? Per la vita di Newt? Per la sua morte?
Se avessi dovuto pregare per la sua vita, nella speranza di ritrovarlo un giorno, di certo sarei stata egoista: magari il ragazzo stava soffrendo, incatenato in un corpo che forse non gli rispondeva più. E allora dovevo pregare per la sua morte? Come potevo anche solo farlo dopo tutto ciò che quel ragazzo aveva significato nella mia vita? Lasciarlo andare era difficile.
Ed Elizabeth cosa avrebbe detto di tutte quelle mie incertezze? 
Come potevo anche solo fare una rivelazione del genere ad una bambina di appena dieci anni? 
Ma d'altro canto come potevo nasconderle una così grossa verità? Dopotutto Newt era una parte fondamentale della sua vita ed aveva tutto il diritto di esserne a conoscenza.
Sentii i miei occhi riempirsi di lacrime, terrorizzata da ciò che avevo davanti. 
Una scelta così enorme che avrebbe potuto cambiare la vita di una bambina.
Cosa avrei dovuto fare?
Scossi la testa.
Volevo andarmene da lì. Non avevo intenzione di crollare in una delle mie crisi proprio davanti alle bambine.
"Stai bene?" mi domandò Gally, la sua voce mi arrivò ovattata.
Scossi la testa e senza riuscire a distogliere lo sguardo da Elizabeth, che ora mi guardava preoccupata, allungai una mano verso Gally, incastrando le mie dita nella sua maglietta e pregandolo con la mente di portarmi via da lì.
"Ti senti male?" insistette il ragazzo, non avendo ricevuto risposta.
Elizabeth era tutto quello che mi era rimasto di Newt.
Come avrei fatto a guardarla negli occhi senza pensare a lui?
Come avrei fatto a portarmi dietro anche quel peso?
"Portami via, ti prego." sussurrai con voce roca, aumentando la stretta sulla maglietta del ragazzo.
La terra stava tremando. O forse ero io a tremare.
"O-Okay." mormorò confuso il ragazzo, mettendosi davanti a me. Osservò per qualche secondo il mio volto e vidi la preoccupazione crescere in lui. "Riesci a camminare?" mi domandò il ragazzo posando una mano sulla mia spalla.
Quel contatto fu la goccia che fece traboccare il vaso. Mi morsi le labbra per evitare di scoppiare in lacrime proprio là davanti e riuscii solo a scuotere la testa facendo segno di no. Avevo troppa paura di parlare, troppo paura di sentire la mia debolezza fluire con la mia voce.
"Ehi, ehi..." sussurrò Gally mettendo l'indice sotto il mio mento e obbligandomi a sollevare lo sguardo. "Va bene, non preoccuparti. Ti porto in braccio io, okay? Non c'è nessun problema."
Inghiottii il groppo di saliva che lentamente mi si era annidato in gola, facendomi male e bloccandomi quasi il respiro.
Annuii e strinsi la mascella quando una fitta si propagò sulla mia gamba destra per colpa del tocco del ragazzo. Gally mi sollevò senza fatica e mi tirò a sè, tenendomi bella stretta per non farmi cadere. 
"Aspetta, il mazzo!" sentii Elizabeth gridare, correndo dietro di Gally.
Chiusi gli occhi e nascosi il volto sul petto del ragazzo. Non riuscivo. Non riuscivo a guardarla senza pensare a Newt e a quanto fosse terribile e malvagio ciò che la W.I.C.K.E.D. aveva fatto a lui e alla bambina per separarli.
"Li vengo a prendere dopo, Beth." disse Gally con un tono teso e sbrigativo, come se avesse notato la mia reazione alle grida della bambina. "Ora non credo sia il momento giusto..." aggiunse poi con voce più bassa, sicuramente lanciandomi uno sguardo.
Tenni le palpebre serrate fino a che non mi sentii appoggiare delicatamente sul letto di muschio e foglie, solo allora mi decisi a riaprire gli occhi, constatando di aver passato abbastanza tempo racchiusa nel vortice dei miei pensieri.
"Stai male? Vuoi che vada a chiamare Matthew?" mi domandò il ragazzo con quel suo solito tono premuroso che mi faceva sentire al sicuro. Ma non quella volta. Quella volta avevo solo bisogno di stare da sola. 
"No." mi schiarii la voce, cercando di trattenere le lacrime ancora per un po'. "Ho solo bisogno di... riposare."
Sentii i palmi di Gally toccarmi le guance e per un attimo ebbi il terrore che una lacrima fosse sfuggita dal mio controllo e che il ragazzo la stesse asciugando. Invece Gally si limitò ad accarezzarmi una guancia, per poi portare l'altra mano sulla mia fronte.
"Scotti un po', sei sicura di..."
"Ti prego..." sussurrai spostando delicatamente il suo palmo. "Devo solo riposarmi, ma grazie."
Lo supplicai di andarsene con lo sguardo e con tutte le forze che mi erano rimaste per resistere e, dopo diversi attimi di esitazione sui miei occhi, il ragazzo lasciò la stanza a passi lenti, chiudendo la porta dietro di sè.
Rimasi a fissare il soffitto per qualche attimo e tirai un sospiro di sollievo o forse di frustrazione quando capii di aver finalmente ottenuto ciò che volevo.
Ero sola.
Senza nessuno. 
Solo io, il silenzio e le pareti di quella stanza.
E allora perchè mi faceva così male? Perchè sentivo la necessità di colmare il vuoto che sentivo nello stomaco?
Insomma, non potevo voler essere completa ma allo stesso tempo lasciata sola, giusto?
"Cosa è successo?" sentii la voce acuta di Stephen fuori dalla porta. Un tono abbastanza infuriato e preoccupato allo stesso tempo.
"Non lo so." si difese Gally. "Prima era tutta felice e poi é impallidita all'improvviso, non sembrava sentire cosa le dicevo e i suoi occhi erano... vuoti, come trasparenti."
"Spostati." ordinò Stephen, probabilmente cercando di entrare in quella stanza.
"No, spostati tu, idiota." ordinò Gally. "Ho visto la sua faccia e, credimi, quella faccia non porta mai a nulla di buono. Lasciala stare, almeno per il momento."
Un velo di silenziò calò attorno a me e, dopo qualche minuto, sentii le ultime parole di Stephen prima che se ne andasse. "Ti sei mai chiesto perchè ogni volta che è con te sta male?"
Una domanda a cui Gally non rispose.
É tutta colpa mia.



 

I miei occhi si aprirono lentamente, pesanti e bollenti come non mai. Mi sentivo le pupille a fuoco, come se ogni traccia di lacrima o idratazione oculare fosse evaporata con un solo battito di ciglia.
La mia pelle andava a fuoco, ma era una sensazione quasi piacevole. 
Finalmente riuscivo a sentire qualcosa sopra il dolore emotivo, una percezione di sensi che era stata soffocata dal tormento interiore, ed era un sollievo riuscire a provare qualcosa che non fosse panico o terrore o tristezza.
Mi sentivo vuota, come se qualcuno durante il mio sonno mi avesse aperto la pancia per tirarmi fuori ogni minima cosa, perfino l'anima.
Sentivo il freddo e il caldo scorrere insieme nelle mie vene, lasciandomi sulla pelle dei brividi fastidiosi e incontenibili. Non riuscivo nemmeno a controllare il mio cuore o la mia mente, figuriamoci gli scatti del mio corpo.
Mi mossi lentamente sul letto e, nonostante non avessi per niente toccato o mosso la gamba rotta e ferita, una fitta si diramò lungo tutta l'area circostante, percorrendomi la schiena e regalandomi un pizzichio fastidioso lungo tutto il corpo. Una vampata di calore mi invase e sospirai, constatando che anche l'aria che stavo respirando sembrava fuoco puro. Mi sollevai lentamente a sedere e con un po' di fatica mi addossai alla parete. Nella stanza c'era solo un'altra sagoma, seduta sul letto accanto al mio, con la schiena appoggiata anch'essa al muro.
Il dolore mi fece tornare con l'attenzione sulla mia gamba, così allungai le mani tremanti verso di essa e la esaminai a fondo.
Due stecche di legno che andavano dal mio ginocchio fino alla caviglia erano attaccate ad entrambi i lati della mia gamba con delle bende ben legate da nodi.
Invece nel punto preciso della coscia in cui il pugnale si era andato a conficcare era presente un foro largo cinque o sei centimetri sui miei pantaloni, particolarmente accentuato dalla macchia rosso sangue che si spargeva fino quasi al ginocchio. Se sbirciavo attraverso il buco dei miei pantaloni potevo notare diversi strati di bende attorcigliate sulla mia ferita ed ero stupita nel constatare che solo due o tre gocce di sangue erano riuscite a filtrare fino all'ultima striscia di bendaggio.

Eppure, nonostante questo dettaglio, mi accorsi che non era la gamba rotta a dolermi, ma la ferita del pugnale.
Mi asciugai la fronte con il braccio e realizzai di essere madida di sudore. Sia la mia maglietta che i primi strati di muschio erano bagnati. Cosa mi stava succedendo?
Un altro brivido di freddo mi percorse la schiena e sentii la necessità di rannicchiarmi tra le coperte. Forse stavo chiedendo troppo, già era molto se fossi riuscita a tornare a dormire.
Lanciai uno sguardo alla figura che dormiva sul letto accanto al mio e non mi stupii quando riconobbi il volto di Stephen che, con la testa appoggiata alla parete e la bocca aperta, aveva appena smesso di russare senza però svegliarsi.
Sentendomi in imbarazzo nonostante sapessi che il ragazzo non poteva vedermi,mi sollevai leggermente dal letto e con una mossa repentina mi abbassai i pantaloni quanto bastava per vedere direttamente le bende. Sapevo già che mi sarei pentita di ciò che stavo facendo, ma dovevo scoprire perchè quella ferita fosse tornata a farmi male così velocemente e perchè mi stesse facendo sudare così tanto.
Dopo essere riuscita a sciogliere il nodo delle bende, iniziai a srotolarle con delicatezza, stando bene attenta a non toccare o sfiorare la ferita. Dopo ben sette giri attorno alla mia coscia, finalmente arrivai all'ultimo strato di bendaggio. Presi un profondo respiro prima di sollevare anche questo e guardare direttamente la ferita.

Questa, come Stephen mi aveva descritto, era stata ricucita con del filo nero abbastanza spesso e un ago, ma nonostante questa era ancora aperta e incrostata di sangue secco e pus.

Mi venne il voltastomaco e dovetti distogliere per un attimo lo sguardo. Era così disgustoso e quella ferita era anche maleodorante.

Mi morsi le labbra e combattei contro i conati di vomito, poi dopo aver tenuto gli occhi chiusi per abbastanza tempo, ripuntai lo sguardo sulla ferita, notando altri dettagli meno disgustosi, ma più preoccupanti: l'area della pelle attorno alla ferita era totalmente arrossata e anche abbastanza gonfia, ma la cosa che mi preoccupava più ogni altro dettaglio erano delle sottili linee rosse che si irradiavano dalla ferita. 

Non avevo mai visto una cosa del genere su una delle ferite che ero solita curare nella Radura. Cosa poteva stare a significare? Di certo non una cosa buona.

Avevo la sensazione che quella ferita non stesse guarendo come avrebbe dovuto. Anzi, forse si stava addirittura allargando.
Mi portai una mano sul volto e trascinai i palmo su tutta la mia faccia per asciugare il sudore. Mi sembrava letteralmente di aver fatto una doccia e di non essermi asciugata il corpo.
Mugugnai per il dolore quando un'altra fitta, accompagnata questa volta da un bruciore esageratamente accennato per essere una semplice ferita in via di guarigione, si diramò addirittura lungo il mio collo. 
Sentii Stephen muoversi nel letto accanto e in un secondo riuscii ad accantonare per il momento il dolore e vedermi sopraffare dall'imbarazzo. Non volevo che il ragazzo mi vedesse in mutande.

"Cosa stai fac..."

Non gli lasciai nemmeno finire la frase e portai le mani sull'inguine, cercando di coprire la pelle delle mie gambe scoperta. "C-Chiudi gli occhi." borbottai imbarazzata.
"Ma cosa..."
"Fai come ti dico, dannazione." ordinai poi sentendomi arrossire spropositatamente. Il ragazzo smise di brontolare e fece come dissi, così potei avanzargli un'altra richiesta. "Per favore, vai a chiamare Matthew. Qualcosa non va con la mia ferita."
"O-Okay." 

Il ragazzo si girò di spalle e solo in quel momento aprì gli occhi per avanzare verso la porta senza inciampare su qualcosa. Non mi chiese neanche come stessi o se avessi bisogno di qualcosa, semplicemente esaudì le mie richieste e sparì dalla stanza senza proferire parola, tutte cose che in quel momento apprezzai.
Presi un profondo respiro e mi ripromisi di non abbassare nuovamente lo sguardo sulla ferita, così mi lasciai andare ancora di più contro la parete ed asciugai nuovamente il sudore dalla fronte e dal collo. Socchiusi gli occhi e in un istante tutta la stanchezza mi investì, facendomi sbadigliare.
Attesi qualche minuto con gli occhi chiuso, lottando contro me stessa per non riaddormentarmi e poi finalmente la porta si aprì di nuovo, facendomi saltare sul letto.
Matthew entrò di corsa, mostrandosi subito allarmato, e Stephen lo seguì titubante, evitando di incrociare di nuovo il mio sguardo. Feci per dire al ragazzo di voltarsi di spalle o di andarsene, ma nel momento in cui lo beccai a sbirciare la mia situazione mi accorsi che ormai fosse troppo tardi.
"Cosa?" esclamò sbalordito il ragazzo. "Mi hai fatto voltare solo perchè sei rimasta in mutande?"
"Solo perchè..." evitai di ripetere la sua frase e mi portai una mano alla fronte, scuotendo la testa. 

"Oh, andiamo." borbottò lui. "Non mi dire che ti vergogni."

"Be', sai... Sei un ragazzo con degli occhi funzionanti ed io sono una ragazza in mutande." lo aggiornai, notando che Matthew aveva assunto un'espressione dubbiosa.
Sicuramente lo stavamo mettendo in imbarazzo.

"Ma io sono praticamente tuo fratello." ridacchiò Stephen, con un tono talmente ovvio che per un attimo mi sorprese.
Quindi la cosa era ufficiale? Per lui io ero all'altezza di sua sorella?
Arrossi e incrociai le braccia al petto, poi feci per parlare, ma Matthew intervenne.
"Non vi assomigliate tanto per essere fratelli." disse l'uomo, camminando verso di me e lanciando uno sguardo alla ferita della mia gamba.
"Tecnicamente non lo siamo, ma... E' una storia complicata." borbottai stanca, sentendo un'altra vampata di caldo investirmi totalmente.
"Mi sento offeso." dichiarò il ragazzo lasciandosi cadere sul letto accanto al mio.
"Senti, se veramente vuoi rimanere qui, stattene zitto." ordinai puntandogli un dito contro e cercando di mostrarmi sicura nonostante il rossore sulle mie guance. "Mi dispiace di averti disturbato, Matthew, ma credo che qualcosa non vada con la ferita." riferii all'uomo che, senza che gli dicessi nulla, iniziò ad esaminare le ferita senza azzardarsi a toccarla.
"Mmh..." mormorò il dottore, giocando con le sue labbra e arricciando il naso. La smorfia sul suo volto non mi piaceva. 
"C-Cosa?" domandai allarmata, osservandolo poi posare lo sguardo sulla mia maglietta bagnata dal sudore e poi sul mio volto.
"Be', direi che non è un ben segno." rivelò Matthew, portando una mano sulla mia fronte e ritirandola dopo qualche secondo. "La ferita è infetta e a giudicare dalla tua temperatura il tuo corpo sta già combattendo contro i batteri."
"E quindi cosa dovrei fare?" 
"Non è quello che devi fare tu, ma quello che dovrò fare io." mormorò l'uomo allungando le mani sulla mia coscia e appoggiando i palmi accanto alla ferita in modo delicato. "Stephen, prendimi delle bende pulite e del disinfettante. Elena... questo ti farà male, sei pronta?"
Mi morsi le labbra ed immediatamente compresi le intenzioni dell'uomo: intendeva spremere sulla mia ferita in modo da far uscire l'infezione. 
Ero pronta a del nuovo dolore?
Decisamente no.

*Angolo scrittrice*
Hey pive!
Non ho fatto in tempo a revisionare l'ultima parte del capitolo, ma spero non ci siano troppi errori. Spero che il capitolo vi piaccia :3
Baci, 
Elena :-*

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Get to know me! ***


{ATTENZIONE: se non volete leggere tutto il capitolo, passate però a dare un'occhiata all'ultima domanda che mi hanno posto, si trova in fondo al capitolo.}

Sì, non sono morta. Non ancora almeno. Sono stata in gita per qualche giorno e nel frattempo ho chiesto ai miei followers su Wattpas (l'altro sito su cui scrivo) di farmi delle domande personali o che riguardavano la storia. Siccome è venuta fuori una cosa molto carina e ho anche chiarito molti dubbi sulla storia, ho pensato che sarebbe stato bello pubblicarlo anche qui. Ovviamente se anche voi avete delle domande basta chiedere e io risponderò!
Bene così, detto ciò possiamo iniziare!

Partiamo con le domande di voicesoftenedofnewt:

1) Minuscolo spoiler su Newt?
Ehm... Non credo di potere, sorry. Peró posso dirti che sta meglio di quanto si possa pensare (parlo dal punto di vista fisico, non morale).

2) Cosa ti ha portato ad amare Newtie Cutie?
Be' innanzitutto la sua dolcezza e il suo modo di fare da Mama Noot. Poi, quando per la prima volta ho guardato il film in originale l'ho amato anche per il suo accento *·*

3) Che piani hai per il futuro? 
Dipende tutto da come andrà il prossimo anno in America. Se mi troveró bene ci torneró per fare l'università, in caso contrario proveró con la Gran Bretagna. Poi cerceró di trovare un lavoro (io pensavo tipo a interprete o insegnante) e a tempo perso mi metteró a scrivere. Sarebbe figo diventare un po' come Alessandro D'Avenia.

4) Lotteresti mai per incontrare Newtie Cutie?
Certo che sì *·* ma... Se per lottare intendi andare agli Hunger Games, allora non ne sono poi così sicura.
Ma in caso mai dovessi fare una foto con il cast di Maze Runner o anche solo con Thomas Brodie, sarei tipo:

Ma in caso mai dovessi fare una foto con il cast di Maze Runner o anche solo con Thomas Brodie, sarei tipo:

5) Elena e Newt potranno essere felici?
Maybe... 😏

6) Hai paura di andare in America? Nel senso, ti mancheranno gli amici e la famiglia?
Abbastanza, ma dopotutto, se non hai paura non sei umano, giusto?
E comunque credo di sì, mi mancheranno tanto gli amici e la famiglia, ma anche il cibo, l'Italia e tutte le cose che prima caratterizzavano la mia quotidianità.

7) Se un domani avessi un bambino, lo chiameresti mai con il nome di un personaggio di Maze Runner?
Mmh, dipende. Mi piacerebbe un sacco mettergli il nome di un Raduraio, ma poi ho paura che venga preso in giro. Non é da tutti i giorni chiamarsi Gally o Newt. Certo, Teresa e Thomas sono nomi più comuni, ma non mi piacciono molto. Peró per Stephen e Hailie ci farei un pensierino *·* sono nomi che adoro!

8) Another spoilerini for Newt please!
Okay... Posso dirti che non é nella Zona Bruciata.

9) Di che città sei?
Abito in un paesino tra Pesaro e Urbino (esatto, la città che Eddie aka Newt é venuto a visitare poche settimane fa. E io dov'ero? A casa, ovviamente. Già.)

10) Mi vuoi bene?
Ti voglio tanto bene quanto Stephen ne vuole ad Elena. ❤

Ora passiamo alle domande di gentileroberta:

1) Pensi che dopo il quarto libro ci sarà un quinto?
Mmh... Domanda interessante. Non lo so ad essere sincera. Insomma, ci ho pensato, ma non credo che lo faró. Non per ora almeno, ma magari in futuro cambieró idea :3

2) Mi descrivi Hailie?
Sure! Me la immagino bionda con i capelli a caschetto, gli occhi azzurri chiari e delle sfumature oro, un po' come quando il sole fa il riflesso sull'acqua del mare. Il naso a patatina e le labbra sottili.
Bassina e paffutella nel volto, con delle guanciotte piene tipo castorino. 
Per quanto riguarda il carattere me la immagino giocherellona, ma anche paziente e seria quando serve. Insomma, un carattere troppo maturo per la sia tenera età, ma dopo tutto quello che ha visto e passato non volevo darle una sfumatura troppo innocente o spensierata.
Giusto per fartela immaginare meglio:

Giusto per fartela immaginare meglio:

 

Passiamo alle domande di miriamcardi03:

1) Di quanti capitoli circa sarà questa storia?
Non so dirtelo, mi dispiace. Ma non credo che supereró i 70 capitoli come bel libro scorso.

2) Come hai fatto ad avere una borsa di studio per l'America?
Ogni anno l'INPS eroga un tot di borse di studio per i figli dei dipendenti pubblici (ovverso persone che lavorano per lo stato). Siccome mia mamma é una maestra (quindi dipendente pubblico) ha potuto fare richiesta di una borsa di studio per me per studiare un anno all'estero. Puoi scegliere tra una borsa di tre, sei o dieci mesi da passare in un paese a tua scelta. Dopo le borse vengono assegnate in base ai tuoi voti scolastici (più sono alti più sali in graduatoria) e in base al reddito (più é basso più la borsa di studio ti copre le spese).
Spero di essere stata chiara, in caso contrario non esitare a chiedere!

3) Su cosa punti il tuo futuro, cioé che lavoro vorresti fare?
Per ora sono orientata verso un lavoro che mi permetta di viaggiare, ad esempio l'interprete. In caso fallisco la seconda scelta é fare l'insegnante (superiori o elementari).

4) Consigli in generale da darmi?
Non credo di poterti essere d'aiuto per quanto riguarda l'amore o l'amicizia (sono una persona molto asociale), ma per quanto riguarda il resto...
Se parliamo di lettura, dipende dai tuoi gusti, ma se sono libri fandom vai sul sicuro 💪
Se parliamo di scrittura credo che tu debba scrivere ció che ti senti e sforzarti di scrivere anche quando non ti va. Io di solito non ho mai ispirazione quando inizio a scrivere, ma scrivendo poi lei idee mi balzano in testa naturalmente! E soprattutto non preoccuparti per la grammatica, le trame elaborate o le frasi perfette. Lo so, sembra quasi un controsenso, ma scrivendo si migliora un sacco. Vedi me: il primo libro é scritto letteralmente con i piedi e piano piano, con il passare dei capitoli e poi dei libri sono migliorata e ancora ho tanta strada da fare!

E ora le domande di *rullo di tamburi* rossella_rose:

1) Quanto tempo è passato da quando Elena è arrivata nella Radura per la prima volta?
Non so dirtelo precisamente, ma per quanto possa sembrare strano sono passati solo 2 mesi e 3 settimane. Questo perchè Elena ha passato quasi due settimane nella Radura, quasi due settimane nella Zona Bruciata, quasi un mese e due settimane tra W.I.C.K.E.D. e Denver e cinque giorni nel posto sicuro in cui sono ora.

2) Il mio piccolo Steph avrà mai qualcuno al suo fianco?
Non proprio... Ma diciamo che ci sarà un bacio tra Steph e un'altra persona.

3) Ci sarà mai una scena romantica fra Thomas e Teresa?
Yes baby 😏

4) Hai intenzione di far soffrire Brenda? Scherzi a parte, che ne sarà di quell'antipatica?
Ma che scherzi? Ovvio che ho intenzione di farla soffrire. Ho già pensato ad una scena e mi piace. Tanto.

5) Quali sono i commenti che ami di più nei tuoi capitoli?
Quelli sclerotici!

6) Hai mai pensato di scrivere una storia originale e provare a pubblicarla come libro? Magari dopo una prima esperienza su Wattpad.
Yes, sto pensando ad una storia fantasy e mi piace come trama, quindi una volta finito Maze Runner la pubblicheró qui su Wattpad.

Ora le domande di NicolRinaudo35

1) Rivedremo mai Newt?
Certo che lo rivedrete. Ma chissà se nella realtà o nei sogni di Elena 😏

2) Stephen avrà mai qualche scena romantica con qualcuno?
Romantica romantica no, ma una specie sì...

3) Gally troverà mai qualcuno che non lo friendzoni?
Per ora non penso, ma chissà, magari un giorno cambieró idea.

4) Come ti é venuta in mente l'idea di Elena e come inserirla nel mondo di TMR?
Era una fredda notte d'inverno quando... No vabbé, giuro che veramente mi é venuta l'idea di Elena in Maze Runner durante le vacanze natalizie! Avevo appena guardato il film di Maze Runner e avevo deciso di scrivere la storia daccapo dato che non ci avevo capito nulla (per farvi capire quanto avevo compreso il film vi racconto uno dei miei pensieri: la prima cosa che mi é venuta in mente quando i Radurai hanno letto il biglietto "Lei é l'ultima. Per sempre." nelle mani di Teresa ho pensato che la ragazza avrebbe dovuto accoppiarsi con tutti i Radurai come una dannata solo per far sì che la stirpe dei Radurai non morisse con loro.).
Tornando al discorso, avevo iniziato a scrivere e quella stessa sera avevo pubblicato il primo capitolo (penoso, obv). Poi scoprii che ci fossero i libri e iniziai a leggerli, scoprendo che il film fosse stato girato malissimo, usando solo 5 delle 389 pagine del libro. E, dopo aver compreso il motivo per cui non ci avevo capito una mazza, decisi di continuare a scrivere delle avventure di Elena, trovando che sarebbe stata una buona idea.

5) Cosa vorresti fare una volta finita la fanfiction ne farai altre sul tema Maze Runner o punterai su qualcos'altro?
Nope, credo che mi concentreró su altri temi. Ad esempio stavo pensando ad un'altra storia di cui peró non vi sveleró ancora la trama 🙊

6) É da un po' che penso di iniziare a scrivere delle fanfiction, ma ho troppa paura (anche perché il mio italiano fa schifo e sono troppo insicura di me stessa). Qualche consiglio da darmi?
Buttati. Go for it. Veramente. Archivia la paura e inizia a scrivere. Come ho già detto prima scrivendo si migliora ed é normale fare errori! Quindi fai sì che la passione per lo scrivere superi di gran lunga la tua paura/insicurezza! Good luck, darlin!

Passiamo a nikymesy:

1) Elizabeth saprà di Newt?
Non per ora, ma lo scoprirà. E (ancora devo decidere) ma verso la fine della storia sarà Elena a rivelarglielo.

2) Minho e Thomas perché hanno litigato? Non l'ho capito.
Tranquilla, è normale che tu non abbia capito dato che non ho accennato a nulla, ma è una cosa voluta. Infatti lo scoprirete tutte tra qualche capitolo, perciò evito di rispondere a questa domanda. Sarebbe uno spoiler enorme!

3) Newt torna VERO?
Sì e no. Ni e so. 

4) Stephen ammetterà di essere segretamente innamorato (perché so che è così) di Elena?
Uhm, no... Mi dispiace rompere la tua ship, ma Stephen non è innamorato di Elena. Prova per lei un affetto talmente forte e sincero che la vede addirittura come una vera e propria sorella. E non sto parlando di "Hey, fratello, come ti butta?", ma proprio di fratellanza a livello sanguigno. Ovviamente ci tengo a specificare che Stephen ed Elena non sono veramente parenti, don't worry!

5) Minho troverà una Pive tutta per se?

Non proprio una Pive, ma una Stecca. Sì, credo ormai si sia capito, ma rendiamolo ufficiale: Minho ama Violet e Violet ama Minho. Almeno per loro sembra esserci un lieto fine.

6) Farai la scrittrice da grande? Perché sei bravissima ❤
Be' io ci spero con tutto il cuore, ma non so cosa il futuro serbi per me.

Ora è il turno di giorgiasaladino:

1) Come mai hai scelto Emily per interpretare il ruolo di Elena?
In realtà è successo per caso dato che sono partita a scrivere senza aver scelto un'attrice e siccome poi mi sono accorta che si poteva aggiungere il cast ho cercato su internet una ragazza che avesse le stesse caratteristiche che avevo descritto. Per caso mi è+ uscita l'immagine di Emily Rudd, ma non sapevo il suo nome. Solo dopo diverso tempo ho scoperto chi fosse :') 

2) Già lo hanno chiesto ma lo faccio anche io: Stephen troverà la sua amata o resterà nella friendzone?
Stephen non è nella friendzone, sia perchè non si è mai dichiarato (e mai lo farà, sorry), sia perchè non nutre quel tipo di affetto nei confronti di Elena.

4) Ci sarà un quinto libro?
Ancora devo decidere, ma per ora non credo.

5) Cosa farai una volta che finirai di scrivere Maze Runner? Scriverai altre ff?
Mi cimenterò in un altro libro e questa volta sarà totalmente di mia invenzione. Niente fanfiction, ma continuerò sul genere avventura/azione/fantasy... Insomma, i tipici libri fandom.

E per ultima, ma non meno importante, bnjjkkk mi chiede:

Quando aggiorni il prossimo capitolo?
Ebbene sì, sono tornata dalla gita da venerdì sera, ma sabato sono stata ad un compleanno e oggi ho scritto questo capitolo, quindi non ho avuto modo di iniziare a riscrivere la storia, ma giuro che il 10 pubblico! Però dopo quella data sparirò per altri giorni (dall'11 al 13), non mi ammazzate. Devo andare all'Orientation: sono tre giorni in cui ci spiegheranno (a me e ad altri ragazzi che partono come me) come comportarci in famiglia, in aeroporto, a scuola, ecc... Non posso assolutamente mancare e in quei giorni ovviamente non riuscirò a scrivere. Ma vi terrò aggiornati scrivendo un messaggio in bacheca (probabilmente il 15, che per chi lo volesse sapere è il giorno del mio compleanno) con la data della pubblicazione del nuovo capitolo.
Quindi stay tuned :3

Detto questo mi dileguo.

Spero che questo capitolo particolare vi sia piaciuto!
Baci, 

Elena ♥

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Capitolo 5
*** Capitolo 4. ***


Le ore successive furono le peggiori della mia vita. Una tortura senza una fine o una tregua temporanea.
Ero convinta di essere stata sul punto di svenire almeno cinque o sei volte, ma ogni volta i miei sensi venivano prontamente accesi dal dolore, come un fiammifero sul fuoco.
Le mie imprecazioni cercavano di soffocare le grida che mi nascevano spontanee in gola e, non so come, ma riuscii a non piangere. Be', in realtà non proprio... Diciamo che ero riuscita a mantenermi nella fase pre-pianto, dove gli occhi ti si appannano per le lacrime e le guance ti pizzicano, dove senti il respiro mancare e l'aria che inali si fa pesante come cemento, dove ad ogni lamento sembra che una mano si aggiunga al tuo collo per prendere a stringere come le altre.

Insomma, sarebbe stato meglio piangere e liberare tutto, ma non avevo intenzione di farlo davanti a Stephen o a Matthew. 
Quest'ultimo sembrava già soffrire abbastanza per me, scusandosi quando sentiva uno dei miei lamenti, mentre Stephen aveva tentato di porgermi la mano, sperando forse che trovassi conforto nello stringerla. Inutile dire che la respinsi immediatamente, ringraziandolo e spiegandogli che se avessi accettato saremmo stati in due a soffrire dato che gli avrei stritolato la mano senza contegno. Inoltre preferivo rimanere libera da ogni contatto in momenti di dolore: non avevo ancora capito perchè, ma ogni volta che qualcuno che non fosse Newt provava ad interagire con me per alleviare la mia sofferenza e darmi conforto non faceva altro che peggiorare la situazione. Forse era per il fatto che mi sentissi in un certo senso in trappola, indipendentemente dal tipo di contatto: abbraccio o stretta di mano erano equivalenti per me ed entrambi mi regalavano una sensazione di soffocamento.
D'altra parte, oltre al dolore che provavo per quella lenta tortura, sentivo la nausea e il disgusto crescere in me. Non avevo realizzato che spremere una ferita infetta avrebbe comportato anche l'uscita di sostanze alquanto disgustose oltre al sangue, ma di certo me ne resi conto quando, dopo qualche minuto dall'inizio della tortura, Stephen si voltò di spalle sbiancando e tenendosi una mano premuta sulla bocca.
Tenere gli occhi aperti mi faceva solo venire la nausea, così mi limitai a mettere le mani sugli occhi per evitare di aprirli per sbaglio.

A mala pena mi accorsi della fine della tortura, tanto era il dolore e il bruciore che non mi abbandonava nemmeno negli attimi in cui Matthew si fermava per disinfettare. Mi limitai a rimanere seduta sul letto, i palmi sul volto e il sudore lungo tutto il mio corpo.
Le mie guance si erano incendiate ancora di più e a quel punto potevo veramente sentire il fuoco vivo correre lungo la mia pelle, ma senza mai bruciare veramente.
Era semplicemente un caldo soffocante, ma veramente fastidioso.

"Bene, abbiamo finito." rispose Matthew, la sua voce subito seguita dal bruciore tipico del disinfettante sulla ferita. "Spero solo di non doverlo fare nuovamente. Come stai?"
Presi un profondo respiro e feci scivolare le mani lungo il volto per asciugare tutto il sudore. "Me lo stai chiedendo veramente?" chiesi sbalordita, guardandolo con un'espressione che la diceva lunga sul mio stato fisico e morale in quel momento.
"Hai ragione: domanda stupida." si corresse subito l'uomo, nascondendo una risatina. "Questa volta ho anche anestetizzato l'ago, giusto per precauzione."
"La prima volta non lo avevi fatto?"
"Ecco, diciamo che mi sono dimenticato..." ammise il dottore, grattandosi la nuca imbarazzato. "In ogni caso, se la ferita guarisce in fretta e in modo sano, la febbre dovrebbe passarti nel giro di due o tre giorni." cambiò subito discorso, temendo forse una mia arrabbiatura che, al contrario, non provai nemmeno. Capitava a tutti di fare degli errori e, anche se non ero del tutto felice di dover essere io a subirne le conseguenze, ero sollevata nel comprendere che avrebbe potuto andarmi anche peggio.

"Bene così. Grazie." mormorai con voce roca, tossendo subito dopo. In realtà non era per niente buono avere la febbre, dato che sarei stata costretta a rimanere da sola nei miei pensieri per diversi giorni. Speravo solo che qualcuno fosse venuto a trovarmi per tenermi compagnia.
"Prima di fasciare la ferita però..." borbottò Matthew tra sè e sè, grattandosi il mento e corrucciandosi. "Ho notato delle piantine di verbena lungo il limite del bosco e data la loro proprietà cicatrizzante potrei usarle. Devo solo far bollire le radici e... Certo, come ho fatto a non pensarci prima?" mormorò Matthew, sempre più assorto nei suoi pensieri.

L'uomo ebbe uno scatto e poi, assumendo un'espressione totalmente felice e fiera di sè si incamminò spedito verso la porta, voltandosi all'ultimo momento per dire qualcos'altro. "Ehm, Steven. Tu stai qui con lei fino a che non torno, d'accordo?"
"In realtà mi chiamo Steph..."
"Certo, certo..." lo interruppe subito il medico, correndo fuori dalla porta, troppo preso dalla sua intuizione.
Stephen ridacchiò per il comportamento buffo dell'uomo e, dopo essere rimasto a fissare la porta chiusa per qualche secondo, si voltò verso di me e mi sorrise sollevato.

"Non hai una bella cera." mi informò il ragazzo, sedendosi nel letto vicino al mio e lanciando un'occhiata diffidente alla mia ferita.
"Oh, ma davvero, Mr Ovvio?" lo sbeffeggiai scuotendo la testa. "Be' di sa il caso che neanche tu sia tutta questa bellezza naturale. Sei pallido come un lenzuolo."
"E andiamo... Stavo solo cercando di fare conversazione." brontolò il ragazzo, allungando un braccio verso di me e dandomi un pugno leggero sulla spalla. "Magari preferisci che ti chieda cosa ti è successo mentre eri con Gally?"
"Perchè invece non restiamo in silenzio finchè non torna Matthew?" proposi sollevando le sopracciglia e guardandolo scocciata. Non avevo voglia di affrontare quel discorso in quel momento e non ero nemmeno così sicura di voler rivelare la mia scoperta riguardo Elizabeth a tutti. Sapevo che se avessi chiesto a Stephen di mantenere il segreto lui non mi avrebbe mai tradita, ma non riuscivo a dire quelle parole ad alta voce senza sentirmi male.
Lei e Newt erano così simili...

Osservai lo sguardo implorante di Stephen e scossi la testa. "Credimi, non è stata colpa di Gally. Ho solo avuto uno di quei momenti."
"Uno di quei... momenti?" chiese dubbioso Stephen, sporgendosi sul bordo del letto, improvvisamente più interessato.
"Già. A volte mi capita di venire investita da dei ricordi tutto d'un tratto. Non so perchè mi succeda, ma ogni volta che accade non sono mai dei bei ricordi. Ecco perchè mi sono sentita male." spiegai brevemente al ragazzo, tralasciando la maggior parte della storia, ma dicendogli pur sempre la verità. Era veramente accaduto quello che gli avevo rivelato, ma semplicemente non era tutto.
"Oh..." sussurrò Stephen indietreggiando imbarazzato, come se avessi capito di aver toccato un tasto dolente che avrei preferito rimanesse privato. "Immagino siano ricordi collegati a..." Stephen si interruppe e, mentre guardava verso il basso, lo vidi sgranare gli occhi terrorizzato e desolato per aver pronunciato quella frase.
Lo osservai arrossire e grattarsi la nuca imbarazzato per poi tossire e tentare di cambiare argomento.

"Steph." lo interruppi, non riuscendo nemmeno a seguire la logica delle frasi che aveva iniziato a pronunciare per nascondere il suo disagio. "Puoi dire il suo nome, sai?" informai il ragazzo, quasi offendendomi per la reazione che aveva avuto. Veramente credeva che potessi rimanere male per così poco? Certo, non nascondevo il fatto che anche al solo sentir pronunciare il nome di Newt il mio stomaco si contorceva e il mio cuore mancava di un battito, ma ciò non significava che se per una volta lo sentivo nominare svenivo dal dolore.
Veramente Stephen credeva che fossi così debole? Veramente temeva che sarei scoppiata a piangere o che lo avrei sgridato per aver esposto alla luce un pezzo fondamentale della mia vita che oramai avevo perso?
"Sì, scusami." rispose sincero il ragazzo. "Mi dispiace, io non volevo..." Stephen si interruppe e, dopo aver meditato a lungo sulle parole da scegliere, continuò il discorso. "Anche io odio la compassione che la gente sforza in situazioni del genere. Credimi, sono il primo ad aver odiato quegli sguardi pieni di tristezza e pietà che qualsiasi persona, perfino quella che conosci a malapena, ti rivolge quando ti capita una disgrazia. Odio sentirmi... debole agli occhi degli altri. Quegli sguardi non fanno altro che peggiorare tutto."
"Va bene così." lo rassicurai. "Anche io odio quegli sguardi e le tipiche frasi fatte, ma a volte mi capita di usarli, quindi va bene così."

Dopo quell'affermazione io e Stephen rimanemmo in silenzio ad attendere pazienti il ritorno di Matthew. Il ragazzo non sembrava voler parlare ed io, presa com'ero dal dolore e dal bruciore, di certo non mi mettevo a pensare ad un argomento di conversazione.
Passarono diversi minuti e il tempo venne scandito dal silenzio inarrestabile, ma stranamente non fastidioso che aleggiava nella stanza. Mi domandai che ora fosse e per quanto avessi dormito, ma a giudicare dalla luce che filtrava leggera attraverso le fessure presenti tra le travi, potevo constatare che fosse ancora giorno.
Però, se dovevo essere sincera, c'era in effetti una sensazione che forse avrebbe potuto raggiungere il pari del dolore: la fame.
Erano infatti proprio i brontolii del mio stomaco ad interrompere quel silenzio di tomba e la cosa era alquanto imbarazzante.
Chissà da quant'era che non mangiavo qualcosa.
O che non mi facevo un bagno.
O che semplicemente mi rilassavo.

Non appena Matthew torna glielo chiedo. Pensai tra me e me.
Quasi come se l'uomo avesse ascoltato i miei pensieri, la porta si aprì di nuovo e lui si incamminò nella stanza a piccoli passi, sorreggendo qualcosa in mano con una grande cautela. Solo quando l'uomo fu abbastanza vicino mi accorsi che teneva tra i palmi una piccola ciotola d'acqua calda e fumante che si affrettò ad appoggiare ad un piccolo tavolino attaccato alla parete per poi strofinarsi le mani.
"Allora, ti spiego un po' cosa andrò a fare." mi informò il dottore. "Quest'impacco..." mormorò prendendo un rotolo di bende e attorcigliandolo debolmente attorno alla mano per poi sfilarlo e mettere quel malloppo di bende a mollo nell'acqua. "è costituito da acqua e radici di verbena. Te lo applicherò sulla ferita e te lo verrò a cambiare tre o quattro volte al giorno. La verbena ha una proprietà cicatrizzante, perciò dovrebbe favorire la guarigione della tua ferita."
"Non c'è bisogno che tu venga ogni volta. Se mi spieghi come proseguire posso anche fare da sola." lo informai, dando una veloce occhiata all'intruglio che, contro ogni aspettativa, aveva un buon odore.
"E' molto semplice, in realtà." spiegò Matthew. "Devi intingere bene nell'impacco e poi strizzare, lasciando però abbastanza umide le bende. Applichi sulla ferita in modo delicato..." si fermò un attimo e dopo aver strizzavo via l'acqua dal malloppo di bende, lo appoggiò sul taglio, procurandomi una leggera sensazione di fastidio. "...e poi ci applichi due strati di bende sopra, giusto per essere sicura che non scivoli via dalla zona lesa."
"Bene così." mormorai sfilandogli il rotolo di bende dalle sue mani e affrettandomi a fare ciò che mi aveva appena spiegato. Dopo aver rotto con i denti un'estremità, attorcigliai il bendaggio attorno alla mia coscia e feci un doppio nodo non troppo stretto, ma neanche troppo lento.

"Ehm, volevo chiederti..." iniziai subito, restituendogli il rotolo e guardandolo negli occhi. "C'è qualcosa che non posso fare? Non so, tipo il bagno o camminare o..."
"Be' credo che prima di bagnarti dovresti aspettare qualche giorno almeno per dare il tempo alla tua ferita di rimarginarsi in parte, ma poi potrai entrare in acqua tranquillamente, magari stando attenta a non starci troppo." mi informò l'uomo. "Per quanto riguarda il camminare, te lo vieto severamente. Dovrai stare a letto per almeno due settimane prima di provare ad appiggiare il piede, perciò per ogni spostamento... Be' dovrai semplicemente sfruttare i tuoi amici." ridacchiò sovrappensiero, poi si rivolse a Stephen. "Mi sembri un ragazzo sveglio, posso affidarti il compito di tenerla a letto per almeno due settimane?"
"Io?" domandò Stephen sbalordito. "E' già tanto cercare di farle cambiare opinione, figurati obbligarla a stare ferma per due settimane. Questa è iperattiva."
"Ehi! Io non sono..."
"Ecco, vedi? E' una testa calda, ma..." Stephen si interruppe e, dopo avermi lanciato un sorrisetto beffardo, riprese a parlare per completare la frase. "Ma come hai detto sono un ragazzo sveglio, quindi penso che tu ti possa fidare di me per questo compito."
"Benissimo!" esclamò soddisfatto l'uomo. "Allora io me ne vado a caccia di erbe. Per qualsiasi dubbio non esitate a chiamarmi."

Il dottore si avviò verso l'uscita e nel momento in cui fece per uscire dalla stanza si voltò di scatto e mi indicò. "Oh, quasi dimenticavo. Cerca di dormire più che puoi. Il tuo corpo ha bisogno di ricaricare le energie, perchè tra il coma, l'infezione, la gamba rotta e la febbre il tuo organismo avrà molto da lavorare."
Mi morsi il labbro e annuii due volte per rassicurarlo. Se c'era una persona capace di dormire ovunque e a qualsiasi ora del giorno, quella ero proprio io. Finalmente c'era qualcosa in cui ero brava, anche se in realtà non c'era molto da vantarsi.



 

Quel giorno passò abbastanza lento, ma tutto sommato riuscii a tenere i miei pensieri a bada. Stephen si era premurato di portarmi un piatto di cibo, sorprendendomi con uno scoiattolo arrostito e delle erbe varie messe insieme a formare una specie di insalata improvvisata, e mentre io mangiavo voracemente il mio pranzo, Stephen si era steso sul letto accanto al mio, iniziando a spiegarmi come tutti in quel posto si fossero organizzati velocemente.
Il ragazzo mi raccontò che si erano subito messi a creare dei gruppi di persone, ognuno con incarichi diversi: c'era chi dispensava il cibo; chi costruiva case; chi andava in esplorazione; chi forniva aiuto medico; chi metteva a disposizione il suo ingegno e la sua praticità per creare le cose che avevamo sempre dato per scontato, come letti, pentole, piatti, ecc...
Insomma, una situazione di massima collaborazione e impegno da parte di ognuno in quella nuova piccola comunità. 
Ognuno aveva messo un mattone solido per continuare una convivenza pacifica e il tutto sembrava andare a gonfie vele.

Gli Esploratori - o Gruppo di Ricerca, come Stephen li aveva chiamati - avevano scoperto un piccolo fiume di acqua apparentemente incontaminata che finiva in un laghetto largo appena quattro metri. Stephen mi spiegò che, essendo in pochi ad esplorare gli spazi, avevano deciso di partire dalla foresta, trovandolo di gran lunga più utile in caso di scoperta di cibo e altre necessità, poi una volta che avessero analizzato ogni angolo di quel bosco sarebbero passati alle montagne.
La maggior parte delle persone si era aggregata al gruppo dei Costruttori - o Gruppo per l'Edilizia - mentre altri lavoravano come dottori, babysitter e cuochi.
Non mi sorprese affatto sapere che Frypan si era aggregato a questi ultimi, provando nuovamente l'ebrezza di poter metter mano sul cibo, anche se per la maggior parte delle volte si trattava di animali di piccola taglia cotti allo spiedo sul fuoco.

Anche la scelta di Minho e Thomas di entrare negli Esploratori non mi colpiva più di tanto, dato che quella era la professione che più si avvicinava a quella di Velocista.
Stephen invece mi confessò di essersi offerto per stare con i bambini nella Grande Casa - così veniva chiamata la dimora dei bambini orfani - per riuscire ad essere il più vicino possibile ad Hailie. La sua scelta, al contrario, mi stupì più delle altre: pensai che dopo la perdita delle sue due sorelle fosse più vulnerabile ed emotivo quando si trattava di bambini piccoli, ma contro ogni mia aspettativa il ragazzo non si faceva intimorire così dalle ombre del suo passato ed era capace di affrontare petto a petto le sue emozioni.
Quanto avrei voluto essere capace di fare lo stesso.

Teresa invece si era data alla scienza o meglio ancora alla progettazione di piccoli marchingegni. Non riuscii a capire come avesse fatto ad essere così previdente, ma non solo si era intascata alcuni progetti della W.I.C.K.E.D.: era anche riuscita a rubare qualche attrezzo e qualche pezzo di macchinari vecchi. Forse, se ci pensavo a fondo, riuscivo ad ipotizzare il momento in cui la ragazza avrebbe potuto entrare in contatto con tutte quelle cose: quando era stata mandata nella sala di controllo per disattivare le telecamere dell'Hangar e darmi la possibilità di attaccare, l'avevo vista tornare al nostro gruppo intenta ad infilarsi qualcosa nei pantaloni. Allora non ci avevo dato molto peso, ma se ci ripensavo in quel momento dovevo ammettere che quella ragazza era veramente un fenomeno.
Anche Brenda e Jorge avevano provato ad offrirle il loro aiuto nel campo, ma Teresa si era rifiutata tassativamente e la cosa mi rendeva ancora più fiera di lei.

Ora manco solo io. Pensai sorridendo distrattamente. 
Dovevo trovare un modo per contribuire a quella comunità non appena mi fossi rimessa in forma e l'idea di riprendere a fare la Medicale non mi affascinava più di tanto.
Forse avrei potuto aggiungermi al Gruppo di Ricerca dato che in pochi avevano partecipato. Di certo se lo avessi fatto avrei potuto trovare facilmente una scusa per cercare un modo di trovare Newt. 
Sapevo che il ragazzo era là fuori da qualche parte, dovevo solo capire dove e poi andare a prenderlo o magari rimanere io con lui.
Mi rimaneva solo da aspettare la guarigione e poi sarei entrata in azione.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5. ***


Era passata ormai una settimana quando Matthew si decise a lasciarmi uscire dall'Infermeria.
In effetti non capivo il motivo del suo segregarmi in quella stanza, dato che la febbre mi era passata dopo qualche giorno e l'impacco che l'uomo mi preparava ogni giorno sembrava funzionare alla grande.
Alla mia richiesta di spiegazioni Matthew aveva risposto che preferiva tenermi sott'occhio e che non voleva rischiare che trasgredissi le regole che mi aveva imposto e iniziassi a camminare per conto mio.
Peró almeno mi procurava tutto ció che mi necessitava per sopravvivere, come cibo, bevande e spesso anche una bacinella piena d'acqua con qualche straccio con cui lavarmi senza mai bagnare la ferita.
Sebbene consapevole che quello fosse l'unico metodo che potevo utilizzare per mantenermi pulita evitando la zona ferita, non potevo ignorare il mio bisogno di una vera doccia. Nonostante mi bagnassi due volte al giorno mi sentivo perennemente sporca e la sensazione non era gradevole. 
Così, dopo giorni e giorni di continue richieste, Matthew si decise ad assecondare le mie lamentele e di lasciarmi andare a fare un vero e proprio bagno.
Mi disse che, sebbene la ferita si fosse in gran parte rimarginata, formando una grossa crosta, dovevo stare bene attenta a non urtarla e soprattutto a non rimanere troppo a mollo nell'acqua.

Il mio entusiasmo peró si spense un poco quando l'uomo si premuró ad aggiungere che non mi avrebbe lasciata andare da sola, ma che avrei dovuto scegliere uno dei miei amici per trasportarmi fino al mare e tenermi costantemente in braccio in modo che non appoggiassi mai il piede a terra.
Nonostante l'idea non mi piacesse più di tanto dato che non avrei avuto privacy, non riuscivo a dire di no sia per il fatto che farmi un bagno era il mio desiderio più grande in quel momento, sia per il fatto che era la prima volta che mi immergevo nelle acque del mare.
Quando Matthew specificó che avrei dovuto scegliere un ragazzo, perché avrebbe avuto abbastanza forza da sorreggermi, il mio primo pensiero andó a Stephen, ma poi cambiai idea.
Forse Minho era una scelta più astuta dato che avrei potuto sottrargli qualche informazione riguardo la sua litigata con Thomas.
Comunicai la mia scelta al dottore che subito uscì dalla stanza per andare a chiamare il ragazzo.
Passai pochi minuti da sola e poi i due tornarono, Matthew con la sua solita espressione felice e sollevata e Minho con un aria dubbiosa e preoccupata.
"É successo qualcosa?" mi domandó turbato il ragazzo avvicinandosi al mio letto e osservandomi attentamente.
"No, semplicemente Matthew mi ha obbligata a..."
Non feci nemmeno in tempo a finire la frase che l'uomo si mise in mezzo difendendo le sue ragioni. "Siccome mi ha espresso la sua necessità di fare un bagno al mare, io ho risposto con le mie necessità per preservare la sua salute." mi corresse l'uomo, lanciandomi un'occhiata di rimprovero come se lo stessi incolpando ingiustamente. "Non puó appoggiare la gamba rotta a terra, perció sarai tu a trasportarla e a rimanere con lei per tutto il tempo. Tienila in braccio anche quando sarete in acqua."
"Cosa?" esclamó Minho arrossendo. "Vuoi dire che devo farmi anche io il bagno?"
"Be' questo non é necessario, ma dato che in ogni caso devi entrare in acqua..." rispose Matthew, ignorando completamente l'imbarazzo che stava nascendo sia in me che in Minho.
"E-E non puó essere una ragazza a trasportarla?" borbottó il ragazzo.
Matthew fece spallucce e poi rispose: "Se tu conosci una ragazza forzuta tanto quanto te ben venga, ma non credo che una signorina gracile sia in grado di tenerla sollevata per tutto il tempo."

"Oh, be'..." il ragazzo si interruppe e mi lanció uno sguardo. La sua espressione quando incontró i miei occhi mutó completamente e sul suo volto venne cancellata ogni traccia di imbarazzo, sostituita da uno sguardo compassionevole e quasi triste. "Certo, certo." rispose il ragazzo con un tono dolce. "Ti porto io, non c'é problema."
Corrugai la fronte e gli lanciai un'occhiata interrogativa. Cosa lo aveva portato a cambiare non solo espressione ma anche decisione?
Forse provava pietà perché sapeva che ero ferita?
Be' in effetti non ero ridotta tanto bene, ma sotto quella sua espressione sapevo che ci fosse di più. Non si mutava in modo così drastico in così pochi secondi per colpa di una gamba rotta e una ferita. No, doveva esserci una motivazione più profonda di cui ovviamente io non ero a conoscenza.
"Bene, allora buon bagno!" esclamó il dottore aprendo la porta per poi uscire e sparire nel boschetto lì accanto.
Minho mi si avvicinó senza proferire parola e delicatamente fece scorrere un suo braccio sotto l'incavo delle mie ginocchia e l'altro nella parte superiore della mia schiena.
Buttando fuori l'aria con il naso il ragazzo mi sollevó senza problemi e mi venne quasi meccanico buttare le mani dietro al suo collo per sorreggermi.

Il ragazzo mi trasportò fuori dalla stanza e poi lungo tutta la pianura estesa al di sotto della collina. Solo quando toccò con i piedi la sabbia del mare iniziò a parlare. 
"Mi dispiace se in questi giorni non sono venuto a trovarti, è solo che..." il ragazzo si interruppe e, dopo aver evitato il mio sguardo guardando altrove, continuò a spiegare. "Ho avuto molto da fare con gli Esploratori. Nome ridicolo, vero? Era meglio Velocista." ridacchiò il ragazzo, cambiando subito argomento con fare imbarazzato.
Decisi di assecondarlo. Sapevo che qualcosa non andava nel ragazzo dato il suo comportamento alquanto insolito. Era come se mi stesse evitando cercando di nascondermi qualcosa, ma percepivo che fosse qualcosa di grosso e pesante per lui da sostenere dato il suo sguardo ogni volta che incrociava per sbaglio i miei occhi. Forse era addirittura qualcosa che cercava di celare perfino a se stesso, qualcosa che non voleva ammettere e che non voleva di certo esordire ad alta voce. "Sì, Velocista suonava meglio, ma intanto ringrazia che non sentiamo più parlare di Dolenti." 
"Già..." rispose il ragazzo con fare distratto, già assorto nei suoi pensieri. "Ti appoggio un attimo a terra, non scappare, mi raccomando." borbottò il ragazzo assumendo un sorriso distante e decisamente forzato.
Annuii e mi lasciai calare a terra, poi quando i miei polpastrelli entrarono in contatto con la sabbia spessa fui io a sorridere, ma in modo sincero e divertito. Affondai le dita in una montagnetta che si era venuta a creare vicino a me e quella fu la sensazione più gradevole e appagante di sempre. Era così rilassante e... strano. Era la prima volta che sentivo quel tipo di sostanza tra i miei palmi e questo fatto suscitava in me una sensazione che non avrei saputo descrivere a parole.
Rimasi per qualche istante assorta tra i miei pensieri, intenta a chiedermi come mai non fossi mai andata al mare prima d'allora e navigando tra le poche memorie che avevo di me da bambina potevo percepire una certa familiarità, ma non un ricordo palpabile. Era brutto dover ammettere che non mi ricordavo il volto, la voce o il tocco dei miei genitori, ma per qualche strano motivo percepivo che quella non fosse la mia prima vera volta al mare. Per lo meno, la mia mente non se lo ricordava, ma il mio corpo aveva reagito in un modo talmente singolare che non potevo ignorare quella sensazione di familiarità che pizzicava i miei polpastrelli.

"Vuoi che ti aiuti?" domandò Minho facendomi tornare alla realtà.
"Ehm, cosa?" domandai ancora prima di incrociare il suo sguardo.
Non appena i miei occhi si puntarono sul ragazzo si spalancarono sorpresi: Minho si era tolto tutti i vestiti, rimanendo solamente in mutande.
Sbattei le palpebre e sentii il mio viso venire avvolto dalle fiamme, tanto era l'imbarazzo che provavo in quel momento. Non riuscivo a distogliere lo sguardo dal fisico del ragazzo, perciò mi premurai di portare una mano davanti agli occhi.
La cosa che mi tranquillizzò maggiormente fu non sentire quella sensazione particolare nello stomaco che al contrario percepivo ogni singola volta che stavo a contatto con Newt, in particolare quando questo rimaneva in boxer, indossando il suo miglior ghigno divertito sulle labbra.
Eppure in qualche modo ne ero incuriosita. Le forme di Minho erano talmente diverse da quelle del biondino, che per me il suo corpo ben piazzato era quasi una novità: spalle large, fianchi stretti e addominali ben definiti, braccia muscolose con delle vene che dai polsi si diramavano lungo gli avambracci, gambe piene con muscoli guizzanti.
Insomma, Minho era totalmente l'opposto di Newt, forse con l'unica eccezione dell'altezza. 
"Oh, andiamo fagiolina." mi sbeffeggiò il ragazzo con il suo solito tono provocatorio. "Capisco la sorpresa di fronte la mia innata bellezza, ma non mi dirai che ti vergogni a farti vedere in biancheria!" 
Mi feci coraggio e abbassai la mano da davanti agli occhi, evitando comunque di incrociare nuovamente il suo sguardo. "Lo faccio perché so che hai occhi solo per Violet." 
"Parole sante, bambolina. Parole sante." mi rispose, riacquistando una piccola parte sarcastica tipica del vecchio Minho che conoscevo.
Senza attendere che il coraggio mi sfuggisse dalle mani mi sbrigai a sfilarmi di dosso la maglietta e a slacciare i pantaloni. E' come se avessi un costume addosso. Mi ripetei nella mente. Al mare si sta in costume, quindi va bene. 
Mi feci aiutare da Minho per sfilarmi i pantaloni e, dopo diversi tentativi falliti, riuscii finalmente a cavarli dai piedi, rimanendo totalmente in biancheria.

Il ragazzo mi trasportò delicatamente verso l'acqua e stranamente iniziai a sentirmi a mio agio nel momento in cui il Velocista non fece nessun tipo di commento nei confronti del mio corpo e di questo gli fui veramente grata. Ero talmente abituata alle sue battutine pungenti e piene di sarcasmo sulla sua bellezza che era abbastanza strano non sentirlo cavare fuori uno dei suoi soliti commenti.
Camminammo lentamente nell'acqua e nel frattempo osservai le piccole onde correre a bagnare Minho, arrivando appena al suo ginocchio. Il ragazzo continuò a muoversi dentro quell'acqua così limpida e quando finalmente quelle piccole onde toccarono anche i miei piedi e la mia schiena non potei fare a meno di iniziare a ridere.
Era una sensazione così bella e rilassante, come una carezza fresca, ma non per questo fastidiosa. La mia pelle non sentiva quel tipo di contatto da chissà quanto tempo che, anche per un solo piccolo spruzzo, avevo i brividi ovunque e non dovuti al freddo, ma al solletico che l'acqua mi procurava.
"Perchè stai ridendo?" mi domandò Minho perplesso, lanciandomi un'occhiata dubbiosa e nascondendo a stento un sorrisetto.
"Non lo so..." ammisi trattenendo per un attimo la risatina e limitandomi a chiudere gli occhi per godermi al massimo quella sensazione stupefacente. "E' la prima volta che entro in un mare."
"Oh, be' se è per questo anche io ho avuto una reazione simile quando ho toccato l'acqua con i piedi." mi raccontò il ragazzo. "Okay, scherzavo. In realtà non ho avuto il coraggio di avvicinarmici fino ad oggi."
"Veramente? Un ragazzo robusto e forte come te ha paura dell'acqua?" domandai stupita, senza nessun'intenzione di offenderlo o giudicarlo.

"Non ho mai visto il mare prima d'ora e non credo di saper nuotare... Non so."
"In tal caso affogheremo insieme, sei felice?" domandai riaprendo una fessura tra gli occhi e guardandolo di sottecchi. Toccai il suo petto con il polpastrello del mio indice per due o tre volte e poi aggiunsi: "Morire con la persona più bella e carismatica dovrebbe essere un onore."
"Oh, grazie. Sei troppo gentile." rispose Minho imitando la mia voce, ma fallendo miseramente.
"Guarda che i complimenti erano riferiti a me stessa!" lo rimproverai, dandogli una manata sul braccio. "In ogni caso sappi che..."
Mi interruppi da sola prima di finire la frase, tirando un urlo sia di sorpresa che di dolore. Mi attaccai di più a Minho e sentii i muscoli del ragazzo irrigidirsi, visibilmente in difficoltà e forse spaventato anche lui per la mia reazione. Cosa era appena successo? Mi aveva morso qualcosa? C'erano le meduse?
"C-Cosa è successo?" domandò turbato Minho, guardandosi attorno e tenendomi ben distante dall'acqua sebbene questa avesse ormai bagnato anche le mie gambe.
"Non lo so, qualcosa... La ferita. Mi brucia la ferita. Forse qualcosa nell'acqua mi ha toccata e..."
Minho si mise a ridacchiare, ma continuò a sorreggermi per evitare che mi immergessi ancora nell'acqua con le gambe.
"Cosa c'è da ridere?" lo rimproverai, osservandolo in cerca di risposte.
"Dai, lo scherzo è stato divertente e lo ammetto, ho veramente creduto che ci fosse qualcosa in acqua, ma ho capito il giochetto, quindi puoi smetterla." spiegò il ragazzo.
"Cosa? Quale gioco?"
L'espressione del ragazzo mutò in uno sguardo turbato e perplesso. "Non stavi... fingendo di non sapere, quindi?"
"Cosa? Sapere cosa, scusa?" domandai preoccupata. "Una cosa mi ha morso o..."
"Oh, sì. Il sale ti ha morso."
"Guarda che non sto scher..."
"Nemmeno io, Eli. Non ti sto prendendo in giro, sto solo dicendo che è veramente stato il sale." spiegò Minho con un tono più dolce e calmo. "Mai sentito parlare dell'effetto che ha il sale marino sulle ferite?"
"Ehm... No. Dovrei?"
"Be', credevo che lo sapessi. Sai, dai tuoi ricordi." ammise il ragazzo facendo spallucce e poi tornando con lo sguardo verso l'orizzonte. "Una volta, quando ancora tu non eri arrivata alla Radura e quando io ancora ero un novellino nel campo dei Velocisti, per sbaglio avevo quasi rischiato di finire tra le braccia di un Dolente. Mi ero salvato per un pelo, ma avevo qualche graffio, niente di chè. Quando era arrivato il momento che Jeff mi medicasse, abbiamo scoperto di non avere disinfettante così il Medicale era andato a prendere del sale in cucina - cosa che Frypan non cedette con tanta facilità - e me lo aveva applicato sulla ferita. Credimi, le mie urla di allora sono bastate a ricordare a tutti quale effetto aveva il sale sulle ferite. Certo, è ottimo per disinfettare, o almeno così aveva sostenuto Jeff, ma brucia. Cacchio se brucia!"

Mi lasciai fuggire una risatina e scossi la testa sorpresa perfino da me stessa: come facevo a non saperlo? Avevo perfino fatto la Medicale! Forse i miei genitori non me lo avevano mai detto, quindi non lo avevo mai imparato.
"Buono a sapersi." risposi ridacchiando e lanciando un'occhiata curiosa verso l'acqua.
"Ti prometto che la seconda immersione sarà meno dolorosa. Devi lavarti dopotutto, giusto? A te la scelta." spiegò Minho lanciando un cenno alla mia ferita sulla gamba.
"Mi hai preso per una Fagiolina? So resistere ad un po di bruciore, Pive."
"Agli ordini, bambolina." acconsentì il ragazzo prima di procedere e chinarsi nuovamente verso l'acqua.
Fu nel momento in cui le onde mi bagnarono la ferita che constatai sulla mia pelle della grossa bugia che il Velocista mi aveva riferito: era vero, il dolore non era lo stesso della prima volta, ma al contrario era due volte peggiore. Mugugnai quando sentii un bruciore fastidioso e penetrate scorrere dalla zona lesa a tutta la gamba. Mi aggrappai al collo di Minho, il quale per un attimo tentennò e smise di immergersi, poi capendo che oramai la mia gamba era stata comunque bagnata, continuò ad abbassarsi lentamente fino a quando l'acqua non raggiunse il mio collo.
Strinsi i denti e feci di tutto per non lamentarmi e nonostante il bruciore riuscii a controllare le mie emozioni. Avevo provato dolori ben peggiori di quello che sentivo al momento, perciò se pensavo a tutto quello che avevo sofferto altre volte, un po' mi rassicuravo.
Il bruciore si alleviò a poco a poco e già dopo qualche minuto potevo sentire un leggero pizzichìo sulla pelle attorno alla ferita, ma nulla di più.
Quando il ragazzo notò che la mia espressione si era rilassata e le mie braccia non erano più serrate attorno al suo collo con il tentativo di decapitarlo, anche lui si lasciò andare, abbandonandosi leggermente all'indietro e mantenendosi il equilibrio con il mio peso.

"Mi sento uno stupido a non essermi immerso prima di oggi." mi confidò Minho abbandonando la testa all'indietro e chiudendo gli occhi per godersi al massimo quella sensazione sublime.
"Meglio tardi che mai, giusto?"
"Giusto." confermò il ragazzo tornando dritto con la testa. Delle goccioline d'acqua salata corsero veloci lungo le sue tempie e affogarono lungo la pelle del suo collo per poi tornare dalle loro amiche nell'acqua infinita.
Decisi di fare lo stesso, allungando il mento all'indietro e sentendo le piccole onde accarezzarmi i capelli e regalandomi dei brividi di solletico tipici di quando qualcuno gioca con le mie ciocche. Aprii lentamente gli occhi e osservai il cielo cosparso di piccole nuvolette bianche, che si aggregavano a formare disegni celesti ricchi di immaginazione. Se mi concentravo bene potevo scorgere la forma di due sirene che si baciavano o che lottavano tra di loro, a seconda del punto di vista; i loro volti vicini e quasi indistinguibili; le loro code mischiate e lunghe; le loro braccia strette a quelle dell'altro.

Un pensiero corse nella mia mente e all'improvviso tutta la felicità che provavo nel vedere quelle forme svanì. L'acqua, le onde, quel luogo e quel cielo divennero tutti... vuoti.
Non riuscivo a sentirmi totalmente felice o sollevata senza sentirmi in colpa.
Sarebbe dovuto esserci Newt lì con me, a godere con i propri occhi di tutto quel ben di dio. Potevo perfino immaginarmi la scenetta di lui che fissava la superficie calma del mare rotta ogni tanto da qualche piccola onda ribelle. Potevo leggere nel suo sguardo quel senso di tranquillità e potevo palpare in lui la consapevolezza che oramai eravamo tutti al sicuro. E poi, chissà per quale pensiero o ricordo nella sua mente, i suoi occhi si fissavano su di me, brillando e splendendo di tante emozioni, troppe emozioni, tutte insieme. Ancorava il suo sguardo al mio e la sua espressione mi pregava silenziosamente di non rompere quel contatto. E poi quella scintilla, quello sbalzo di luce che stava a significare che a quel punto non vedeva nient'altro che me. Quegli occhi che dicevano tutto quello che c'era da sire e allo stesso tempo rimanevano taciti di richieste per paura di rompere quell'atmosfera.

"Qualcosa non va?" domandò Minho frantumando i miei pensieri. Lentamente, la chioma bionda di Newt venne sostituita da quella scura di Minho; la sua pelle chiara da quella olivastra del ragazzo; i suoi occhi ricchi di anima con quelli grigi e turbati dell'asiatico; le sue labbra sollevate in un discreto sorriso da quelle tese del Velocista.
Newt tornò ad essere solo un ricordo.
"Stavo solo pensando che Newt dovrebbe essere qua con noi." ammisi, non trovando una buona motivazione per nascondere i miei sentimenti al mio amico.
Finalmente potevo parlare con qualcuno che comprendeva e provava ciò che sentivo dentro, qualcuno che non avrebbe cercato di trovare soluzioni per consolarmi perchè era consapevole che ce ne fossero ben poche degne di razionalità, qualcuno che non mi avrebbe rifilato quello sguardo pieno di compassione tipico di chi non poteva capire ciò che provavo.

O almeno così credevo.
E invece Minho reagì in modo completamente diverso da quanto mi sarei aspettata: le sue labbra si assottigliarono e serrò la mascella, segno che la rabbia aveva preso il sopravvento; il suo corpo - potevo sentirlo sotto di me - si stava irrigidendo, segno che non si sentiva più a suo agio in quella situazione; la presa sul mio corpo aumentò, segno che avrebbe voluto prendere a pugni il mondo, e se avesse avuto le unghie più lunghe probabilmente mi avrebbe lasciato il segno. 
Ma la cosa forse più devastante e che mi destabilizzò maggiormente fu il suo sguardo e ciò che non avrei mai pensato potesse contenere. Proprio vicino alla tristezza, una piccola pagliuzza dorata stava emergendo dalle sue iridi marroni: della compassione si fece strada lungo il suo sguardo, pietrificandomi all'istante.

*Angolo scrittrice*
Hey pive! 
Scusate se sono sparita così all'improvviso, ma sono stata per qualche giorno all'Orientation e quando sono tornata a casa che era il mio compleanno e avevo alcune verifiche da recuperare per essere mancata da scuola. Che bello studiare il giorno del proprio compleanno, eh?
Spero che il capitolo sia valso l'attesa :-*
Baci,

Elena :3

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Capitolo 7
*** Capitolo 6. ***


Inutile dire che dopo nemmeno due minuti, Minho mi trascinò fuori dall'acqua con la scusa di dover tornare con gli Esploratori per un altro turno di ricerca. Protestai e cercai di resistere, ma dopotutto era il ragazzo a trasportarmi, perciò non avevo scelta.
Il ragazzo mi appoggiò a terra con poca delicatezza, probabilmente senza volerlo, e poi si precipitò a raccogliere i suoi vestiti, rimettendoli in fretta e furia nonostante fosse bagnato.

"Minho!" lo chiamai preoccupata, osservandolo diventare sempre più arrabbiato per colpa dei pantaloni che, a contatto con la pelle bagnata, non ne volevano sapere di andargli più in su del polpaccio.
"Minho fermati!" lo supplicai ancora, notando la sua ossessione crescere a dismisura. Il ragazzo non mi aveva nemmeno sentito e ora stava dando dei veri e propri strattoni ai suoi indumenti che, dopo l'ennesimo tentativo, si appiattirono bagnati anch'essi alla sua pelle.
Guardai in basso sulla sabbia e accanto alla mia mano trovai un bastone di piccole dimensioni. Senza nemmeno pensarci troppo su lo afferrai e lo lanciai su Minho, colpendo il ragazzo sul bicipite. "Minho! Smettila, mi stai mettendo paura."
Il ragazzo sollevò immediatamente lo sguardo e punto i suoi occhi infuriati e lucidi di rabbia su di me. Il suo volto era pieno di tormento e angoscia, velato a qualche tratto da delle sfumature di tristezza, mentre i suoi occhi erano fuoco vivo e rabbioso che mi incenerirono in un istante.
"Perchè fai così?" domandai con un tono più dolce, cercando di tranquillizzarlo.

"Perchè faccio così?" chiese Minho irritato, con un tono di voce più acuto del normale, segno che la rabbia gli era sfuggita decisamente fuori controllo. Il ragazzo incrociò infuriato i miei occhi e, dopo neanche qualche secondo, parve accorgersi del suo atteggiamento e mutò completamente. Il suo volto diventò paonazzo e strinse la mascella, ma questa volta percepivo che la rabbia non fosse rivolta verso di me. I suoi occhi diventarono lucidi e il ragazzo si morse impercettibilmente il labbro, affibbiandomi un'occhiata piena di pentimento. "Scusami, non so cosa mi sia preso." ammise il ragazzo portandosi una mano sulla fronte e trascinandola poi sul viso. "Tu non..." scosse la testa e sbattè le palpebre più volte. "Mi dispiace di averti trattata in quel modo. Oggi è una brutta giornata per me." 
Lo osservai senza sapere cosa dire e, quando incontrai il suo sguardo, capii che in fondo non mi stesse mentendo, ma nonostante questo sapevo che doveva per forza esserci un motivo sotto tutto ciò che il ragazzo aveva detto e fatto. Non lo avevo mai visto così angosciato e turbato, come se qualcosa lo stesse logorando internamente in modo lento.

"Va bene, anche io ultimamente non sono del mio umore migliore." ammisi. "E' solo che..." mi bloccai, cercando le parole adatte da dire. Sapevo che se avessi continuato ad insistere non avrei ottenuto nulla dal ragazzo, se non rabbia e distacco. "Minho..." lo chiamai sovrappensiero, ottenendo le attenzioni del ragazzo. "Lo sai che se qualcosa non va o se semplicemente hai voglia di parlare io sono qui, vero?"
Sul volto del ragazzo si abbozzò un sorriso sincero, ma anche pieno di tristezza e malinconia. "Certo, bambolina." mi assicurò il ragazzo dirigendosi verso di me. "Non ti arrendi mai, neanche con i casi persi, vero?"
"Nah, mi piacciono i casi complicati." lo stuzzicai, afferrando la mano che il ragazzo mi stava porgendo e sentendomi sollevare senza nemmeno avere il tempo di appoggiare i piedi. "E comunque, se c'è qualcosa che posso fare per risolvere una brutta situazione, mi fa sempre piacere aiutare."
Dopo un attimo di esitazione, il ragazzo mi rispose evitando il mio sguardo. "Come vorrei poter dire lo stesso."
Cercai di ristabilire un contatto con i suoi occhi, ma tutto sembrò inutile. "Vuoi che ti riporti in..."
"Assolutamente no." mi affrettai a rispondere. "Se per te non è un problema io resto qui ancora un altro po'."
"Va bene." acconsentì il ragazzo. "Immagino di non dover dire nulla a Matthew."
"Assolutamente no." ripetei ridacchiando.

"Caspio, sto avendo una pessima influenza su di te, huh?"
Feci spallucce e mi feci aiutare a risedermi a terra. "Aspetta ancora qualche giorno e inizierò a fare battute sarcastiche."
Sentii il ragazzo ridere alle mie spalle e poi il suo saluto appena accennato. Continuai a fissare le onde del mare ed evitai di voltarmi verso il ragazzo anche solo per salutarlo per paura che dalla mia bocca potesse uscire qualche domanda inopportuna o troppo azzardata che avrebbe rovinato i progressi che avevo compiuto fino ad allora con il ragazzo.

Rimasi a fissare il mare con uno sguardo vuoto, cercando di perdere i miei pensieri tra quelle piccole onde che, delicate come una carezza, ogni tanto infrangevano la superficie piatta e calma. Osservare quel paesaggio mi metteva una sorta di tranquillità addosso e sentire il rumore delle onde contro la sabbia non mi faceva sentire sola.

A vedere tutta quella distesa di acqua limpida e senza troppe increspature che terminava con una linea sottile all'orizzonte che rendeva il mare appena distinguibile dal cielo, non potevo non pensare a quanto io e quel mare fossimo diversi. Io non ero per niente una persona tranquilla, calma e aggraziata come invece lo era la superficie dell'acqua.

Se proprio dovevo paragonarmi al mare, allora come minimo potevo definirmi un mare in burrasca o in tempesta che rovescia ogni nave e affoga chiunque prova a nuotarem.

Certo, era una visione alquanto esagerata della mia personalità, ma alla fine io ero veramente così: irrimediabilmente pessimista, sempre agitata e preoccupata, inghiottita dai problemi e dai pensieri rigorosamente negativi, totalmente impacciata e alla ricerca di guai con cui riempire il mio tempo.
Sono un casino totale. Pensai sospirando e lasciandomi cadere con la schiena sulla sabbia. Chiusi gli occhi e inspirai a fondo quel profumo di sale e acqua, sentendo una tranquillità a me estranea nuotare nelle mie vene e scaldarmi come stava facendo il sole.
Aprii bene le orecchie e mi concentrai su quel suono così dolce e rilassante, quasi come una ninna nanna. 

Poi percepii un rumore. Passi lontani ma non per questo silenziosi. Sentii qualcuno camminare tra l'erba, calpestando a volte dei rametti e respirando in modo profondo.

Avrei riconosciuto quel respiro tra mille.
"Ciao, Gally." bisbigliai aprendo una piccola fessura tra le palpebre.

Il ragazzo si fermò non appena mi sentì pronunciare il suo nome, poi mi guardò di sottecchi e lo vidi arrossire impercettibilmente.

"Mi dispiace, non volevo disturbarti." borbottò il ragazzo continuando ad avvicinarsi e raggiungendomi con due o tre falcate veloci. Lo osservai lasciarsi cadere a terra accanto a me per poi portarsi le ginocchia al petto e cingerle con le braccia. 
Il ragazzo rimase ad ammirare quella distesa di acqua per qualche istante, senza dirmi nulla, poi quasi distrattamente volse lo sguardo verso di me, muovendo impercettibilmente la testa e guardandomi di sottecchi con la coda dell'occhio.
Indugiò per un attimo sulla mia pelle pallida e nuda e sulle goccioline che, illuminate dal sole, sembravano un abito di diamanti, poi quasi con fatica alzò lo sguardo verso i miei occhi che mi premurai a chiudere velocemente per evitare l'imbarazzo.
"Allora..." il ragazzo tossicchiò e lo sentii muoversi sulla sabbia accanto a me. "Matt ti ha lasciata andare?"

Abbozzai un sorriso e aprii gli occhi, sorprendendomi quando lo trovai a due palmi dal mio volto, steso a terra su un fianco e sostenendosi la testa con un braccio. Sbattei le palpebre sorpresa, ma stranamente non sentii la solita sensazione di disagio o la vocina che mi diceva di allontanarmi e ripristinare le distanze. Il mare aveva proprio un effetto calmante su di me.
"Mi ha permesso di farmi un bagno e diciamo che ne sto approfittando." ammisi facendo spallucce e mettendomi nella sua stessa posizione, stando bene attenta a non muovere troppo la gamba rotta.
"E della tua amica lì sotto cosa mi dici?" domandò poi allungando uno sguardo sulle assi di legno che mi tenevano ferma la gamba.

" Ti dico solo che se respirare avesse comportato l'uso delle gambe, probabilmente Matthew mi avrebbe proibito anche quello." 
"Woh... Quindi immagino che in questi giorni tu non abbia avuto la possibilità di girare tanto, giusto?" chiese Gally alzando un sopracciglio e abbozzando un sorrisetto furbo, segno che aveva in mente qualcosa.
"Giusto." constatai, annuendo impercettibilmente.
"Bene così. Vorrà dire che questa volta sarò io a farti fare il tour della Radura." mormorò il ragazzo mettendosi in ginocchio per poi saltare in piedi. "Sperando solo di non fare un altro autoscontro. Ancora mi ricordo la testata che mi hai dato sul petto..." ammise massaggiandosi il torace e facendo una smorfia di dolore. Sorrisi a quel ricordo e mi venne da ridere quando ripercorsi i miei pensieri quel primo giorno nella Radura. 
Veramente avevo sperato di fuggire andando nel Labirinto? Pensai scuotendo la testa.

Gally mi porse la mano e titubante la afferrai. "Se non ti metti nella mia strada non succederà di nuovo." ridacchiai dandogli una piccola schiaffa sulla spalla e saltellando sulla gamba ancora buona. "Comunque prima devi aiutarmi a vestirmi." lo informai, gettando un'occhiata ai miei vestiti ancora abbandonati sulla sabbia.

Senza fare storie e senza avanzare nessuna battutina, il ragazzo si chinò per afferrare i miei pantaloni e si avvicinò a me, dicendomi di aggrapparmi alla sua spalla mentre lui cercava di infilarmeli senza farmi troppo male. A parte qualche piccolo inconveniente nel far passare i pantaloni sulle due assi di legno attorno almeno alla metà della mia gamba, il ragazzo fu abbastanza delicato e la cosa mi sorprese. Era strano come, facendo il lavoro di Costruttore che consisteva nell'abbattere alberi, tagliare, mettere chiodi e faticare per caricarsi le assi sulla spalla, il ragazzo avesse sviluppato quella delicatezza e precisione che invece dovevano essere propri di un Medicale. Una delicatezza di cui io, tra parentesi, non ero dotata.

Dopo essere riuscito a farmi arrivare i pantaloni fino a sopra il ginocchio, Gally si tirò indietro, lasciandomi lo spazio di concludere da sola e, anche se non glielo dissi esplicitamente, gli fui immensamente grata. Il ragazzo nel frattempo si chinò a raccogliere la mia maglietta e, dopo essersi alzato, me la lanciò sul volto, iniziando a ridacchiare sotto i baffi.
"Vestiti, scostumata." mi punzecchiò il ragazzo. 
"Come se tu facessi il bagno con i vestiti." gli risposi lanciandogli un'occhiata di rimprovero, ma sempre scherzando.

"Oh, no..." disse il ragazzo scuotendo la testa. "Io non me lo faccio proprio il bagno."
"Ew, che schifo. Ecco perchè puzzi." lo stuzzicai, ridendo come non facevo da tempo e dandogli una gomitata. Mi infilai la maglietta e nel frattempo il ragazzo mi parlò, confidandomi una cosa intima e forse approfittando del fatto che, avendo la testa incastrata dentro la maglia, non avrei potuto guardarlo negli occhi.

"In realtà è perchè non so nuotare." ammise lui con un tono di voce basso, quasi come se si vergognasse. 

Mi sbrigai a far passare la testa attraverso il buco della maglietta e poi gli lanciai uno sguardo per capire se il ragazzo fosse effettivamente serio. Quando incontrai i suoi occhi sinceri e notai il lieve rossore sulle sue guance, mi diedi della stupida per non esserci arrivata prima: Gally aveva passato tutta la vita nella Radura, dove non aveva mai visto nemmeno un lago o un fiume, perciò era ovvio che non avesse mai imparato a nuotare.

"Ti posso insegnare io." proposi, facendo spallucce e facendogli capire con lo sguardo che non saper nuotare non era una cosa poi così grave. "Tu mi aiuti a camminare, io ti aiuto a nuotare. Mi sembra uno scambio equo."
Gally abbozzò un sorriso sincero, pieno di gratitudine per un gesto così semplice. "Sali sulla schiena e tieniti forte." mormorò il ragazzo, accettando implicitamente la mia proposta.
"Agli ordini, mio prode cavaliere." borbottai. "O forse sarebbe meglio dire cavallo? Se ti devo montare in schiena dovrei essere io ad impersonare il cavaliere."

"Fingerò di non aver sentito." contestò il ragazzo, scuotendo la testa e abbozzando un sorriso. Appoggiai le mani sulle sue spalle e vidi le mani del ragazzo allungarsi dietro, segno che era pronto per prendermi al volo. Aggrappandomi bene su di lui e posizionando bene la gamba sana sul terreno, piegai il solo ginocchio funzionante e saltai sulla sua schiena, sentendo subito dopo le sue mani afferrarmi per le cosce e tirarmi un po' più su.
Mugugnai quando per sbaglio le nocche del ragazzo inciamparono sulla trave in legno, appiattendomela contro la gamba, ma il dolore fu immediato e veloce e ben presto mi scordai perfino di averlo provato.

Il ragazzo si scusò e subito si mise in marcia, camminando veloce e chinato leggermente all'avanti.

Gally mi ricondusse verso le abitazioni e una volta arrivato più o meno vicino alla Grande Casa, il ragazzo si fermò e si guardò attorno, poi riprese a camminare. Mi sorpresi quando compresi la sua direzione: stava camminando verso una casetta, a mio parere la meglio fatta. Si fermò davanti alla porta costruita in assi di legno ben allineate e sistemate tra loro e con un piccolo calcio la aprì, rivelando una stanza più grande di quanto sembrasse dall'esterno. Il ragazzo entrò e con un altro calcio all'indietro richiuse la porta, facendola sbattere leggermente. 
La stanza era pavimentata sempre con assi di legno e l'unica cosa presente oltre ad un piccolo armadio in legno erano due letti, su uno dei quali era stesa con una coperta marrone, fatta probabilmente da pelle di animale. 
"Come avete..."

Gally non mi fece finire la frase ed entusiasta iniziò a spiegare. "Bella, vero?" mormorò avvicinandosi al letto e appoggiandomi delicatamente su di esso. "Gli Esploratori qualche giorno fa sono riusciti a cacciare un vero e proprio orso. E' stato assurdo!" esclamò euforico il ragazzo. "Devo dire che abbiamo avuto una fortuna pazzesca: in un solo colpo ci siamo procurati cibo, corde elastiche e perfino delle coperte."
"Corde elastiche?" domandai curiosa, accarezzando la coperta e rabbrividendo al pensiero che quella una volta era stata la pelle ed il manto di un animale vivo.
"Sì, Minho mi ha raccontato che hanno scuoiato l'orso dall'inguine fino al collo, facendo attenzione a non tagliare anche le fasce muscolari e le viscere interne. Poi lo hanno spellato completamente e hanno eliminato il grasso e le interiora. Dopo gli hanno tagliato la carne a pezzi e hanno sfilato i tendini in modo che potessimo utilizzarle come corde elastiche e..."
"Sì, mi basta così, grazie." lo fermai, sentendo la nausea montare in me. Era proprio necessario darmi i dettagli?

"Sta di fatto che ora abbiamo messo la carne ad essiccare, in modo da farla conservare per più giorni." finì il ragazzo facendo spallucce ed ignorando la mia faccia disgustata. "In ogni caso questo è solo un esperimento per ora." mormorò Gally indicando la coperta di pelle. "Dobbiamo trovare il modo per non farla puzzare e soprattutto per non farla marcire."
Annuii lentamente mi guardai attorno, cercando di capire il motivo per cui il ragazzo mi aveva portata proprio lì.
"Benvenuta a casa." borbottò Gally sorridendo e aprendo le braccia, subito chiarendo i miei dubbi.

Accennai un sorriso e, senza neanche avere il tempo di ammirarla ancora un pochino, Gally mi fece segno di risalire in groppa perchè, secondo lui, avevamo ancora molto da vedere.
Il secondo luogo che Gally mi fece vedere fu il bosco vicino all'infermeria. Ci inoltrammo nel fitto degli alberi e per un attimo mi sembrò di essermi immersa nel boschetto della Radura. 
Mi aspettai di trovare le Facce Morte da qualche parte lì intorno, ma in realtà l'unica cosa che notai non essere una pianta fu un piccolo ruscello di acqua limpida e probabilmente fresca che Gally decise di seguire. Dopo qualche minuto arrivammo alla fine del piccolo fiumiciattolo che sfociava in un lago di piccole dimensioni, al massimo cinque o sei metri di diametro.
Gally me lo indicò con un cenno del mento e mi informò che quell'acqua era potabile e perciò la nostra fonte maggiore di vita.

Il ragazzo non si soffermò troppo su quel luogo e continuò a camminare lungo il bosco, fino a quando non raggiunse la fine di questo, soffermandosi quando tra i cespugli si intravide una caverna incavata in quello che supponevo essere il lato di una delle montagne che avevo visto quando avevo aperto gli occhi per la prima volta in quel posto.
"Be' credo che siamo arrivati alla fine." borbottò Gally, guardandosi attorno.
"Dici che in questa caverna ci stesse l'orso che hanno ucciso?" domandai curiosa, allungando il collo per sbirciare oltre la spalla del ragazzo.
"Probabile."

"E come fanno gli Esploratori a sapere che quell'orso non avesse una famiglia?"
"Non ho mai detto questo. In un certo senso Minho e gli altri Esploratori sperano ci siano altri orsi. Dicono che almeno possiamo ricavare ancora cibo e altro." spiegò il ragazzo.

"E gli Esploratori non hanno trovato altro di cui cibarsi? Che ne so, tipo bacche, frutti, erbe..."
"Non credo che abbiano scoperto molto. Hanno paura di raccogliere qualcosa di velenoso senza saperlo, non sanno molto in fatto di piante."
"E Matthew? Lui ne sa parecchio in fatto di piante."
"Oh, sì. Peccato che non si scolli mai dai suoi intrugli. Di solito va a prendere le piante che gli servono per la medicina e basta. Non credo che abbia intenzione di istruire gli Esploratori."

"Magari potrei chiedergli di insegnarmi." proposi. "Potrei imparare bene ogni pianta e il suo utilizzo in modo da poter fare la Medicale e l'Esploratrice allo stesso tempo, che ne dici?"
"Dico che non è una pessima idea. Dopotutto ti servirà tempo per far guarire questa gamba, no? Potresti impiegare queste settimane nello studio e io nel frattempo potrei parlarne con Minho e gli altri Esploratori." continuò il ragazzo mentre si rimetteva in cammino.

"Certo, sarebbe fantastico."
"Allora siamo d'accordo." sancì Gally. "A proposito... Chiederò a Matthew di trasferirti dall'infermeria alla casa. Non credo che sia bello stare lì tutto il giorno, giusto?"
"Veramente lo faresti?" domandai con occhi sognanti, immaginando ad occhi aperti la libertà che quel cambiamento avrebbe comportato. Certo, in ogni caso non potevo camminare da sola, ma avrei avuto più privacy e di certo non avrei dormito sola, ma in compagnia di Gally. 
"Ovvio. Per te questo e altro." ridacchió Gally con un tono scherzoso.
Già il fatto che non sarei stata isolata dagli altri mi rassicurava. Il pensiero di poter trascorrere qualche ora delle mie giornate con Gally era quasi un sollievo, dato che con lui non avrei avuto modo di ancorarmi ai soliti ricordi e ai pensieri negativi.
Forse dopotutto, quelle settimane di guarigione non sarebbero state così pesanti.

*Angolo scrittrice*
Hey pive!

No, contro ogni aspettativa non sono morta e sì, so ancora scrivere (almeno spero). Il motivo della mia assenza in questi giorni (lo ammetto, è passato troppo tempo dall'ultima pubblicazione) è la scuola.
Sapete com'è: gli ultimi di maggio, lo spirito organizzativo dei professori (si fa per dire) che alla fine di ogni anno si accorgono magicamente che mancano i voti, le verifiche per recuperare o per alzare i voti. Insomma, in una sola parola, l'inferno.

Non solo mi sono ritrovata la mattina stessa della verifica a studiare perchè non avevo altro tempo a disposizione, ma sono stata alzata fino a tardi per fare un dannatissimo video sulla gita che ho fatto i primi di maggio con la scuola.

So, I'm back and I hope I'll never leave this story again.

Ora le verifiche stanno finendo e me ne mancano poche, perciò ho più tempo per scrivere e le pubblicazioni dovrebbero tornare come erano pri...

No. Non lo dico che magari porta sfiga.

Comunque volevo solamente dirvi che per ora la storia è proceduta abbastanza lenta perchè Elena doveva ambientarsi, scoprire il nuovo luogo in cui vive, conoscere persone e soprattutto guarire.

Vi avviso già che nel prossimo capitolo ci sarà un salto temporale di qualche settimana, sia perchè voglio accelerare e arrivare al bello della storia, sia perchè non posso raccontare tanto dato che Elena avendo la gamba rotta non può muoversi.

Spero che la storia non vi stia annoiando.
Se avete suggerimenti sono tutta orecchi!
Baci,

Elena ♥

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Capitolo 8
*** Capitolo 7. ***


Gally era riuscito a convincere Matthew a farmi trasferire dall'infermeria a casa, anche se il realtà per accettare il dottore aveva voluto fare un compromesso: lui mi avrebbe lasciato andare se Gally gli avesse costruito un armadio dotato di sportelli in cui conservare tutte le piante con proprietà curanti. Inutile dire che il ragazzo accettò subito, sia per farmi contenta, sia perchè anche lui in realtà preferiva vedermi a casa in modo che potesse stare più tempo con me.

Le settimane seguenti a quella decisione tuttavia furono abbastanza monotone per me. Alla mattina mi svegliavo con la luce del sole che entrava dalle finestre e Matthew mi portava ogni giorno una pianta o una bacca diversa come colazione: se ne indovinavo il nome e gli usi potevo mangiarmela, altrimenti se la sarebbe divorata il dottore. L'uomo inoltre mi affidava un piccolo malloppo di pagine piene di disegni, parole in latino e descrizioni riguardanti le piante e i frutti che avrei potuto trovare, con il compito di impararle a memoria. perciò principalmente me ne restavo a studiare tutta la mattina o almeno fino a che Gally, verso l'ora di pranzo, veniva a portarmi la mia razione di cibo e rimaneva un'oretta a parlare con me di costruzioni, piante e aggiornamenti che avevano luogo all'infuori della mia abitazione. Il momento di pausa però terminava per entrambi quando Gally doveva tornare a lavorare, con la conseguenza che pure io dovevo riprendere lo studio. Ogni giorno, prima che si facesse sera, Matthew tornava a trovarmi insieme a Stephen –  che era stato di nuovo trascinato in quella faccenda dal medico – che mi portava in braccio in mezzo al bosco, seguendo le indicazioni di Matthew che, ad ogni passo, si fermava e mi indicava una pianta, chiedendomi il suo nome, le sue proprietà e il suo grado di velenosità.

Questa routine andò avanti per giorni e, sebbene sembrasse alquanto noiosa e pensante, in realtà io ero totalmente felice di seguire quei passi. Avere qualcosa con cui tenere la testa impegnata la maggior parte del tempo era quasi un sollievo dalle preoccupazioni e dai pensieri negativi, e sebbene nella mia mente ci fosse abbastanza confusione tra nomi e piante, in realtà tutto si metteva in ordine quando passavo alla pratica e quando potevo toccare le piante con le mie mani, annusarle e osservarle come fossero opere d'arte.

Mai avrei creduto che potessero esistere delle specie così uguali ma allo stesso tempo con proprietà e grado di nocività diversi. Addirittura mi era capitato di studiare un tipo arbusto noto con il nome di terebinto, le cui proprietà erano praticamente essenziali per la vita di tutti i giorni: dal tronco ad esempio si estraeva facilmente la resina, mentre le foglie erano ricche di una sostanza miracolosa per non fare deteriorare le pelli degli animali e per medicare ferite o scottature. Inutile dire che Gally impazzì quando gli rivelai che avevo appena scoperto un modo per mantenere le pellicce degli animali che gli Esploratori avevano continuato ad accumulare.

Non solo io stavo cambiando in quel periodo, ma anche il villaggio –  o almeno così mi raccontava Gally. Le case erano ormai state tutte costruite e ora Gally ed il suo gruppo si stavano impegnando a costruire tavolini e sedie che non erano mai abbastanza. In ogni casa oramai c'erano almeno due letti e un piccolo armadio privo di sportelli e siccome i compiti da fare stavano diventando sempre più particolari e piccoli, Gally aveva deciso di dividere i Costruttori in base a ciò che ogni gruppo decideva di fabbricare: c'erano i Pellicciari che creavano le pellicce; gli Intagliatori che mettevano insieme le assi per costruire tavolini e sedie; i Mastri d'Armi che fabbricavano armi di vario tipo per la caccia –  spesso aggiungendo pietre appuntite o creando archi; i Ludici che costruivano giocattoli per bambini come scivoli o bambole; ed infine i Conservatori che erigevano grandi case per contenere cibo coltivato o raccolto, dispense di acqua, sale e altre spezie per cucinare, frutti e verdure selvatiche e altro.

Anche coloro che lavoravano negli Orti si erano dati parecchio da fare, coltivando ogni centimetro di terra fertile e stando bene attenti a non sfruttare troppo le risorse del sottosuolo. In questo caso anche io diedi loro un aiuto enorme dato che, grazie alle mie indicazioni e spiegazioni, gli Esploratori avevano iniziato a fornire loro ogni tipo di frutta da cui raccogliere semi per ripiantarli. 

Per quanto riguardava i miei amici, non c'era molto da dire: Minho e Thomas, da come mi riferiva Gally, continuavano ad essere ostili l'uno all'altro; Frypan si era trovato un posto fisso in cucina, tornando a volteggiare tra fornelli e pentole, più felice e indaffarato che mai; Stephen continuava a tenere d'occhio i bambini, organizzando a volte piccole esplorazioni nel bosco e nel mare, anche se a volte qualcuno si distaccava dal gruppo e si perdeva, ed era proprio a questo punto che interveniva Teresa; Teresa infatti aveva scoperto un chip presente in ognuno dei bambini – sicuramente inserito precedentemente dalla W.I.C.K.E.D. – e tramite la sua intelligenza e praticità sul campo era riuscita a capire che tramite questo chip, i bambini avrebbero potuto comunicare tra di loro, come se fossero dotati di telepatia. Teresa mi rivelò che lei stessa aveva aiutato a progettarli quando ancora era una bambina e che quindi sapeva come funzionavano e per quale scopo erano stati creati, uno scopo di cui la Teresa bambina non era ovviamente al corrente, ma che crescendo aveva iniziato a collegare i pezzi e a capire: la W.I.C.K.E.D. stava progettando un altro dettaglio delle Prove, che avrebbe permesso ai ragazzi dotati di quel chip di comunicare tra di loro. I primi due soggetti prescelti erano stati proprio Teresa e Thomas, accompagnati poi da Aris e una certa Rachel, ma dato che Teresa non era mai entrata nel Labirinto, avevano deciso di tagliare il collegamento ad entrambe le coppie. Ma ovviamente la W.I.C.K.E.D. non si era fermata davanti a questo inconveniente e aveva deciso di continuare a costruire questi chip ed inserirli nei Soggetti successivi, ovvero i bambini. 

Nonostante ciò fosse una cosa orribile e allo stesso tempo stupefacente, Teresa aveva trovato il modo di entrare nel sistema dei chip ed inserire un collegamento fondamentale: la ragazza aveva semplicemente utilizzato gli auricolari che ci eravamo portati dietro dal piano del Braccio Destro ed era riuscita a creare un collegamento tra questi e i chip. Infatti, nonostante avessi compreso solo il dieci percento delle parole che la ragazza mi aveva vomitato addosso durante una visita, avevo compreso che tramite questi chip ogni bambino sarebbe stato capace di comunicare con chiunque avesse indossato l'auricolare, con la conseguenza che chiunque si fosse perso, avrebbe potuto comunicare la sua posizione e di conseguenza essere trovato in poco tempo.

Era incredibile come la ragazza fosse riuscita a creare un oggetto del genere con dei semplici auricolari e per di più lavorando da sola, senza l'aiuto di nessuno. In realtà Jorge e Brenda avevano provato più volte ad offrirle il loro aiuto, ma la ragazza aveva sempre rifiutato. Da come avevo potuto capire Teresa stentava a fidarsi di loro e per questo, nel profondo del mio animo, la stimavo.

Violet, invece, era quella che mi era stata più vicina ultimamente. Qualche giorno dopo il mio trasferimento nella casa era venuta a scusarsi per non essersi fatta viva prima e aveva promesso che si sarebbe fatta perdonare. Inutile dire che mi pentii di non averle creduto sulla parola, quando compresi che la ragazza avrebbe animato tutte le mie giornate, o almeno la maggior parte di esse. Infatti spesso veniva a trovarmi e si offriva di aiutarmi a studiare, interessandosi sinceramente a tutte le scartoffie con cui ogni giorno avevo a che fare. Ogni tanto veniva anche lei nel bosco con me, Stephen e Matthew, ma ciò capitava più di rado dato che spesso si ritirava per andare a passare del tempo con Minho. La ragazza mi aveva confidato che, oltre al piacere di venirmi a trovare, aveva deciso di aiutarmi con lo studio anche perchè aspirava anche lei a diventare un'Esploratrice per stare di più vicino al suo ragazzo.

I due si erano affiatati parecchi nell'ultimo periodo e una cosa che mi rassicurava era sapere che nemmeno Violet sapeva del litigio tra il suo ragazzo e Thomas – o almeno così mi aveva confessato. Eppure, nonostante la ragazza non fosse al corrente della storia, era sempre stata il più vicina possibile al Velocista, supportandolo e coccolandolo ogni volta che lui era giù di morale.

Violet e Minho formavano una bella coppia e da una parte li invidiavo. Li invidiavo perchè ero consapevole che loro avessero ancora la propria anima gemella al loro fianco, mentre la mia era dispersa chissà dove.

Perfino Thomas e Teresa si erano avvicinati con una velocità sorprendente. Forse Teresa aveva iniziato a raccontare al ragazzo dei suoi ricordi e lui aveva percepito in essi una leggera familiarità o comunque la sincerità e l'amore nelle parole della ragazza.

Ciò ovviamente non era piaciuto a Brenda che, da come Teresa mi aveva riferito, cercava sempre un modo per stare sola con Thomas o per mettersi nel mezzo delle questioni che riguardavano solo il ragazzo e Teresa. La cosa era alquanto fastidiosa per entrambi, ma nonostante il ragazzo facesse di tutto per far capire a Brenda che per lei provava solo amicizia e niente più, la ragazza continuava a chiedere attenzioni, risultando spesso esagerata e ingombrante.

A parte tutto questo, non era successo gran che nel villaggio e la cosa mi faceva comprendere che forse eravamo ormai veramente al sicuro dato che, se la W.I.C.K.E.D. – o quello che ne era rimasto – avesse voluto attaccare, non lo avrebbe fatto di certo dopo due mesi abbondanti passati in quel posto.

Tutto sembrava girare per il verso giusto e finalmente potevo dirmi tranquilla. Perfino il mio stato fisico stava migliorando di gran lunga e potevo affermare ciò non solo in seguito alle parole rassicuranti di Matthew, ma anche da ciò che percepivo: la costante sensazione di dolore alla gamba stava lentamente scemando e la ferita da pugnale si era praticamente rimarginata, lasciando una cicatrice bianca e abbastanza spessa. 

Mi sentivo anche più carica di energie e forse tutto quello era dovuto al fatto che i pensieri negativi ultimamente non mi avevano più sfiorato. Certo, Newt continuava a mancarmi, ma vivevo nella speranza di diventare Esploratrice e trovare un modo per trovarlo. In più i miei amici facevano di tutto per non lasciarmi quasi mai sola e questo mi aiutava a tenere la mente impegnata, passando così la maggior parte delle mie giornate a sorridere.

Ma, ad essere sincera, le visite che attendevo con più impazienza erano quelle di Matthew. Infatti speravo che il dottore un giorno mi avrebbe portato la notizia della mia completa guarigione, con la conseguenza che sarei potuta tornare a camminare.

Dovetti aspettare quasi due mesi prima che questo mio desiderio si avverasse, ma quando accadde la mia felicità fu incontenibile.

 Il dottore mi tolse dalla gamba tutte le fasciature e le due assi di legno e, ignorando le mie esclamazioni senza senso dovute alla felicità, mi controllò con attenzione la gamba.
Lo sentii tastare, massaggiare, picchiettare e poi mi chiese di muovere la gamba. La mia gioia divenne ancora più incontenibile quando mi accorsi che effettivamente riuscivo a muovere la gamba, anche se con un po' di fatica. La sentivo debole e stanca, come se fosse rallentata e ogni impulso di movimento che partiva dal mio cervello arrivasse ai muscoli della gamba solo dopo cinque minuti. 

Matthew mi disse che quella sensazione di intorpidimento era del tutto normale e che per un periodo avrei dovuto fare allenamento, cercando di camminare lentamente, piegando la gamba e stendendola, nuotando nell'acqua e massaggiando i muscoli per riscaldarli.
Inoltre, come era solito fare Matthew, si raccomandò di non buttare troppo peso sulla gamba tutto in una volta e di recuperare tutte le funzioni in modo graduale. 

A tal proposito, per aiutarmi con tutti i movimenti, Matthew mi portò un bastone intagliato e ben levigato, spiegandomi che avrei dovuto appoggiarmi ad esso ogni volta per camminare, portandomelo sempre dietro se volevo essere più indipendente negli spostamenti.

Dopo avermi affidato il bastone, Matthew mi aiutò ad alzarmi e mi chiese di camminare.
Feci come richiesto e non appena appoggiai il piede di nuovo funzionante per terra, un leggero brivido mi percorse la gamba. Non era nè dolore nè fastidio, semplicemente il mio corpo stava reagendo in modo familiare con una superficie fredda che non percepiva da un po'.

Sorrisi felice di riuscire a stare di nuovo in piedi e mi appoggiai con entrambe le mani al bastone, tenendolo ben saldo e stando attenta a non sbilanciarmi. Mi sentivo un po' strana ad avere entrambi i piedi a terra e ad un certo punto capii che c'era qualcosa che non andava.

Forse era solo una sensazione dovuta al fatto che non appoggiavo entrambi i piedi a terra da molto, ma mi sentivo come se mi mancasse qualcosa.

"Ora prova a camminare." mi incitò Matthew, indicandomi la stanza. 
Annuii indecisa e, tornando immediatamente seria, mossi i primi passi all'avanti, sentendo i miei muscoli tremare.
Zoppicai.
Aggrottai le sopracciglia e mi rassicurai pensando che forse zoppicare era solo un effetto dovuto alla debolezza della mia gamba destra che l'altra cercava di compensare.

Riprovai e mossi altri passi.

Quando anche questa volta mi accorsi di zoppicare, mi preoccupai. Non potevo controllarlo e non era dovuto al fatto che una delle mie gambe fosse più debole, lo sentivo.

"Matt?" chiesi dubbiosa, voltandomi verso il medico che stava fissando i miei piedi.
"Potrebbe esserci una complicazione." mormorò tra sè e sè, probabilmente intuendo già ciò che avrei voluto chiedergli. "Stenditi, per favore."
Feci come mi chiese e trattenni il fiato quando lo vidi abbassare lo sguardo lungo le mie caviglie.
"Mh... Interessante." biascicò iniziando a tastare la gamba destra e poi quella sinistra.

"Cosa? Cosa è interessante?" lo incalzai, sentendo la preoccupazione montare in me.

"A volte," iniziò il medico. "quando si rompono alcune ossa, può capitare che non si riformino correttamente e che la gamba rotta possa allungarsi o accorciarsi. In questo caso la tua gamba destra si è accorciata, con la conseguenza che ogni volta che camminerai sarà inevitabile per te zoppicare."
Trattenni il fiato e sbattei più volte le palpebre. Zoppicare?
"Non preoccuparti, non comporterà alcun tipo di problema, devi solo farci l'abitudine." mi consolò Matthew osservando preoccupato il mio sguardo.

Strinsi la mascella e sentii una nube nera vorticare dentro il mio stomaco. Finsi un sorriso. "Sì, sì, certo." mormorai annuendo e fingendo di non sentire quella pessima sensazione nello stomaco. "Non è nulla di che."
Mi morsi la lingua e cercai di annegare il ricordo che la mia mente stava cercando di proiettarmi davanti agli occhi. 
Respira. Mi ordinai. E' solo un ricordo, non può farti male.
Perchè ogni volta che le cose sembravano andare per il meglio qualcosa mi obbligava a ripensare a lui? Prima la quiete che avrei voluto condividere con lui, poi il desiderio di rivedere il suo volto quando aprivo gli occhi e in quel momento anche la caratteristica dello zoppicare.

Perchè dovevano per forza esserci così tante analogie tra noi due?

Perchè non potevo semplicemente cambiare e provare ad essere felice per una volta?

Cosa avevo fatto di così male da meritarmi quel continuo dolore?

"Oh, Gally!" esclamò il dottore aprendo le braccia e dando al ragazzo una o due pacche sulla spalla. "Arrivi giusto in tempo!"

Sbattei le palpebre e lo scorrere dei ricordi davanti ai miei occhi si dissipò nell'aria. Presi un respiro e mi misi a sedere sul letto, osservando il ragazzo che era appena entrato e il suo stupore nel vedere la mia gamba finalmente libera da tutte quelle bende e dalle assi.

"La sua gamba è finalmente guarita, ma..." il dottore si fermò e mi lanciò uno sguardo preoccupato. "Be' avrai modo di constatarlo tu stesso." si limitò a dire, forse per paura che ripetere il fatto che ora zoppicassi potesse creare in me nuovo turbamento. "Vi lascio soli, a dopo!"

Accennai un sorriso per salutare il medico e poi lanciai uno sguardo a Gally che mi osservò con occhi luccicanti di gioia come se fossi un'opera d'arte. "Quindi puoi camminare ora?" domandò entusiasta avvicinandosi a me.
Gli sorrisi incoraggiante e annuii, cercando di alzarmi in piedi di fronte a lui. Non appena fummo alla stessa altezza il ragazzo iniziò a ridere felice e mi abbracciò, indietreggiando poi di un passo e iniziando a girare su se stesso, causandomi una risata spontanea. Mi tenni salda al suo collo fino a quando il ragazzo non mi riappoggiò a terra, prendendomi le spalle e continuando a ridere.

"Quindi vorrà dire che puoi finalmente insegnarmi a nuotare?" domandò poi aprendo ancora di più gli occhi.
"Be' suppongo di sì." acconsentii facendo spallucce.
"Grandioso!" esclamò lui battendo le mani e strofinandole velocemente. "Iniziamo da subito?" domandò cogliendomi alla sprovvista.
"Non devi lavorare?"
"Oh, al diavolo il lavoro!" borbottò il ragazzo prendendomi per mano e tirandomi delicatamente verso la porta.
"Aspetta!" esclamai, affrettandomi poi a raggiungere il bastone e portandolo con me. Gally osservò l'oggetto per qualche secondo, poi sorrise e mi confidò di essere stato lui a crearlo per me.

Il ragazzo mi porse di nuovo la mano e sorridendomi mi fece segno di uscire da quella stanza.
Ricambiai quello sguardo spensierato e accettai il suo aiuto, appoggiando delicatamente il mio palmo al suo. 
Gally mi condusse all'aperto e la sensazione di prigionia che avevo percepito in quelle lunghe e interminabili settimane mi abbandonò all'istante.
Fui totalmente felice di abbandonare anche i pensieri negativi per trovare nuovamente la tranquillità e godermela con il mio migliore amico.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8. ***


"Okay... Riproviamo." mormorai sfinita, rialzandomi in piedi nell'acqua per l'ennesima volta e facendo un cenno a Gally che, tossendo, si scrullò i capelli zuppi. "Ora immergiti lentamente." 
Vidi il ragazzo annuire e passarsi una mano lungo il viso per asciugare le gocce salate.
"Ricordati di muovere le braccia e i piedi." 
Il ragazzo prese un bel respiro e si allungò leggermente in avanti, poi si lasciò cadere con un tonfo sulla superficie dell'acqua e iniziò a muovere braccia e piedi in modo del tutto scoordinato, tentando di seguire le mie istruzioni, ma senza riuscirci. Lentamente infatti lo vidi affondare in acqua, cercando invano di tenere il collo al di sopra della superficie.

Poco dopo il ragazzo abbandonò l'impresa e si tirò nuovamente in piedi, scuotendo la testa e riempendomi di schizzi. "Okay, okay..." mormorai portandomi le mani davanti al volto. "Proviamo in un altro modo."
Feci cenno al ragazzo di venirmi vicino e lui mi raggiunse come richiesto, ponendosi davanti a me. "Ora mettiti di lato." ordinai, osservando il ragazzo voltarsi di centottanta gradi. Gli appoggiai un braccio sulla schiena bagnata e gli dissi di stendersi all'indietro. "Ora prova a galleggiare sull'acqua. Ti tengo io." lo rassicurai osservando il suo volto dipinto di rosso dall'imbarazzo. 
Sentii il ragazzo tremare, forse per il freddo, ma mi ascoltò senza proferire parola, stendendosi all'indietro e appoggiandosi completamente al mio braccio. Le mie dita arrivavano a malapena a toccare le sue spalle, perciò decisi di infilare anche il braccio libero sotto il ragazzo, reggendolo per le gambe.
Lo sentii irrigidirsi e vidi le vene sul suo collo marcare la pelle. "Rilassati e smettila di trattenere il respiro." lo rimproverai, lanciandogli uno sguardo ed incrociando i suoi occhi. 

"Io sono rilassato."
"E io sono un Dolente." replicai scuotendo la testa e cercando di mantenere il contatto visivo per rassicurarlo.
Passò qualche minuto e finalmente sentii il ragazzo abbandonarsi totalmente a me. Era il momento di lasciarlo andare. "Ora chiudi gli occhi ed inizia ad aprire e chiudere le gambe."
spiegai, spostando il primo braccio per permettergli di muovere facilmente gli arti inferiori. Il ragazzo inizialmente tremò quando sentì la mia presa venire meno, ma non si perse d'animo e continuò a muoversi con gli occhi chiusi. "Ora le braccia, come ti ho spiegato prima. Prima alzi, poi abbassi sopra la testa e poi con le dita ben chiuse e tenendo il braccio rigido ritorni con le mani sui fianchi." spiegai con voce calma, quasi sussurrando.
Il ragazzo non mi disse nulla, semplicemente prese a nuotare e fu a quel punto che mi sentii libera di lasciare la presa anche sul secondo braccio. Il ragazzo non se ne accorse nemmeno e tranquillo continuò a nuotare con gli occhi chiusi. "Ora inizia a sbattere i piedi." suggerii a voce più alta, notando che il ragazzo si stava allontanando lentamente.
Sorrisi fiera e mi immersi velocemente nell'acqua stando bene attenta a non fare troppo rumore e con due o tre bracciate lo raggiunsi e poi lo accompagnai per diversi minuti.

"Bene così." mormorai felice, osservando i suoi occhi ancora chiusi. "Ora apri lentamente gli occhi, pesciolino."
Vidi il ragazzo arrossire per quel nomignolo e poi sollevare lentamente le palpebre. All'inizio si perse a guardare il cielo per diversi secondi, ma poi allungò lo sguardo di lato, cercandomi probabilmente al suo fianco. Quando Gally realizzò che stava veramente nuotando da solo, senza appoggi nè appigli, spalancò gli occhi e si agitò, con la conseguente persa dell'equilibrio e l'inizio della confusione. Il ragazzo infatti iniziò a sbattere braccia e piedi senza un ordine e abbassò subito il bacino, perdendo l'equilibrio che aveva trovato sulla superficie dell'acqua. Ben presto lasciò affondare anche i piedi, smettendo di sbatterli e perciò affondando sempre di più. Scossi la testa e mi affrettai a far toccare i piedi sulla sabbia per poi correre ad aiutarlo, ma quando una sensazione di vuoto si impossessò di me, per un secondo andai in panico: non mi ero accorta che ci fossimo spinti così al largo.
Abbassai lo sguardo e attraverso l'acqua limpida constatai che il suolo era abbastanza lontano dalla punta dei miei piedi, ma non era nulla di spaventoso per me, dato che sapevo nuotare.
Gally invece non credevo che la pensasse esattamente come me dato che per lui il panico era una costante quando stava in acqua. Allungai lo sguardo verso il ragazzo e quella volta fui io a sbiancare dal terrore quando non lo vidi da nessuna parte. Non persi nemmeno tempo per pensare e subito, dopo aver preso un bel respiro, mi immersi totalmente sott'acqua, sentendo i miei capelli solleticarmi la schiena e le spalle. Spalancai gli occhi e ignorai quel lieve bruciore dovuto al sale presente nell'acqua. 

Mi ci volle poco ad individuare il ragazzo dato che continuava a dibattersi come una foca allarmata e ben presto lo raggiunsi, toccandogli la spalla per tranquillizzarlo. Il ragazzo aprì gli occhi terrorizzato e prese a gridare come un forsennato, emanando bollicine e guardandosi attorno spaventato. Quando però incrociò il mio sguardo allungò le braccia verso di me e mi afferrò per un polso, facendomi affondare ancora di più. 
Mi liberai difficilmente dalla sua presa e nuotai fino a trovarmi perfettamente davanti a lui. Feci passare le braccia sotto le sue ascelle e chiusi saldamente le mani dietro la sua schiena, poi muovendo energicamente le gambe, iniziammo a risalire in superficie. Alzai lo sguardo verso l'alto e vidi che la luce del sole non era poi così fioca da sotto, ciò significava che non eravamo affondati così tanto come credevo. Rilanciai uno sguardo a Gally e per poco gridai quando lo vidi con gli occhi chiusi. Non mi persi d'animo ed iniziai a muovere le gambe con ancora più energia, aumentando la velocità e tremando per lo sforzo. Il ragazzo non era per nulla leggero e il suo peso ancorato al mio continuava a trascinarci nelle profondità dell'acqua.
Dopo alcuni secondi che trascorsero come eternità riuscii finalmente a riaffiorare sulla superficie, prendo un gran respiro e tossicchiando quando delle gocce d'acqua mi andarono di traverso. Anche Gally riaprì gli occhi all'improvviso e mi buttò le braccia al collo, facendomi di nuovo affondare senza preavviso. Cercai di prendere fiato all'ultimo momento, con la conseguenza che inalai più acqua che aria, sentendo il sapore amaro di quel liquido salato investirmi la bocca e scendermi nei polmoni.
Sbattei le gambe ancora con più vigore e riuscii a riemergere, iniziando a tossire e a fare facce schifate per quel saporaccio.

"Stai bene?" domandai con una voce tremolante.
Alzai lo sguardo sul ragazzo e lo vidi con gli occhi spalancati, ma senza alcuna traccia di terrore. Iniziai a preoccuparmi quando non vidi in lui nessun segno di vita, ma poi il ragazzo sorrise. "E' stato fighissimo!" gridò entusiasta. "Rifacciamolo!"
Spalancai gli occhi sorpresa e lo osservai ridere. Era quasi annegato e voleva... rifarlo?
Scossi la testa ed iniziai per prima cosa a nuotare più verso riva. Sentii il ragazzo portare le mani dietro la mia schiena per tenersi bene e sbuffai per la fatica quando lo sentii abbandonarsi completamente su di me. "Gally..." bofonchiai iniziando a scivolare sempre più verso il basso per colpa delle goccioline d'acqua presenti sui nostri corpi. "Se muovessi... i piedi... sarebbe..."
"Oh, sì, sì, certo." mormorò il ragazzo scuotendo la testa ed iniziando a muovere appena i piedi.
Fortunatamente dopo poco sentii i miei piedi toccare i granelli di sabbia presenti sul suolo e rilasciai un sospiro. Senza neanche avvisare il ragazzo abbandonai la presa su di lui, aspettandomi che si sarebbe eretto in piedi da solo, ma al contrario il ragazzo lanciò un acuto alquanto singolare per un maschio e mi si buttò sopra allarmato.
"I-Io stavo scherzando!" mi rimproverò spiaccicando la testa sul mio petto e stritolandomi la schiena con le sue braccia. "N-Non voglio veramente rifarlo."
Aggrottai le sopracciglia e abbassai lo sguardo su di lui per capire se stesse scherzando. Quando constatai che sul suo volto aleggiava nuovamente il terrore allo stato puro, compresi quanto fosse serio in quel momento.
"Gally?" chiamai il ragazzo, lasciando sulla sua testa due pacche in modo delicato. "Se allunghi le gambe vedrai che puoi toccare la sabbia." spiegai sentendo il ragazzo irrigidirsi.
Con una velocità assurda Gally si distaccò da me, diventando rosso e incrociando le braccia al petto. Alzò il mento e guardando da un'altra parte prese a parlare. "Certo, lo sapevo." si giustificò. "Stavo solo scherzando."
Alzai un sopracciglio, ma decisi di non dire nulla. Mi limitai a ridacchiare e a scuotere la testa e poi, dopo essermi girata verso la riva, presi a camminare nell'acqua con l'intento di uscirvene.
"Per oggi basta." decretai, alzando una mano in aria e scuotendola. "Ci vediamo dopo, pesciolino."





 

Mi ero asciugata il corpo e mi ero vestita nuovamente, raccogliendo i capelli in una crocchia disordinata. Mi ero stesa sul letto e avevo ripreso in mano il malloppo di fogli che avrei dovuto impararmi per quel giorno.
Presi in analisi uno dei tanti disegni ed iniziai a memorizzarne ogni minimo dettaglio, studiandolo come fosse una vera e propria opera d'arte, fino a quando qualcuno bussò alla mia porta.
Mi alzai di scatto e zoppicai fino all'entrata, lanciando un'occhiataccia al bastone che giaceva vicino al mio letto: potevo anche camminare da sola per quella volta.
Aprii sorridente credendo che davanti all'entrata si sarebbe presentata la solita chioma disordinata di Violet, arrivata per l'ennesima volta ad aiutarmi con lo studio, e perciò fu una sorpresa quando al contrario trovai la figura snella di Thomas tremare sulla soglia.

"Tom!" esclamai sorpresa, ma anche felice di vederlo. Osservai il suo volto precedentemente rivolto al suolo alzarsi lentamente e mostrarsi in tutto il suo pallore. Il ragazzo era dimagrito e ora i suoi zigomi risaltavano ancora di più sulle sue guance. "Stai bene?" domandai osservando i suoi occhi spenti.
"Ehm, sì. Certo..." bofonchiò il ragazzo. "Posso... Posso entrare?"
Mi feci indietro. "Ma certo, vieni pure." acconsentii facendogli segno di venire avanti. La figura pallida del ragazzo mi superò e così chiusi la porta dietro di lui, per poi seguirlo e trovarlo a fissare con sguardo perso il bastone steso vicino al mio letto.
"Oh, sì." mormorai scuotendo la testa. "Matt ha detto che devo usarlo per camminare. Mi avrebbe aiutata a zoppicare di meno, ma sinceramente non vedo differenza."
"Oh." disse semplicemente il ragazzo. Analizzai più attentamente la sua figura, trovando curioso il fatto che il ragazzo non avesse avuto reazioni alla parola 'zoppicare', eppure ero sicura che non lo sapesse. Forse in realtà non aveva nemmeno sentito le mie parole.

"Quindi..." tossicchiai imbarazzata e camminai lenta di fronte a lui. "Cosa ti porta qui? Minho ha di nuovo tentato di mangiare una bacca velenosa?"
Il ragazzo non abbozzò nemmeno un sorriso, ma si limitò a scuotere la testa e ad abbassare lo sguardo sui suoi piedi, uccidendo letteralmente il sorriso leggero accennato sulle mie labbra.
"Devo dirti una cosa, ma forse é meglio se ti siedi." mormorò Thomas indicandomi il letto con l'indice tremolante.
"Ehm... Okay." sussurrai facendo ció che mi aveva chiesto e iniziando a sentire l'ansia montare in me. "Inizio a preoccuparmi, cosa é successo?"
Lo fissai per alcuni istanti e capii da come si muoveva che in quell'istante il ragazzo avrebbe preferito essere dovunque tranne che dove si trovava. I suoi occhi passavano velocemente da un oggetto all'altro, senza fermarsi mai in un luogo in particolare e senza mai incrociare il mio sguardo. "Tom!" alzai la voce per attirare la sua attenzione. "Cosa é successo?"
Sentii quella sensazione familiare eppure ogni volta terrificante artigliarmi lo stomaco. 
Cattive notizie. Era quella l'unica cosa a cui riuscivo a pensare.

Lui mi rivolse per pochi secondi il suo sguardo e quello che vidi nei suoi occhi bastò a farmi raggelare il sangue nelle vene. Le sue iridi marroni erano scurite dalla tristezza, mischiata a del senso di colpa e agitazione. Era ovvio che, qualunque cosa mi stesse per dire, avrebbe preferito tenersela per sé. E allora cosa lo spingeva a dirmelo comunque?
"Okay, ora basta. Sputa il rospo." dissi con voce tesa, osservando le gambe del ragazzo tremare. Quell'attesa era straziante.
"I-io... Devo parlarti di una cosa." ammise grattandosi la nuca. "Volevo dirtelo già da quando ti eri svegliata, ma poi... Be' sai come sono andate le cose tra me e Minho quel giorno."
"Sì, sì, certo, me lo ricordo ancora." lo rassicurai. "E' successo qualcosa tra voi due? Mi vuoi parlare di questo?" domandai sentendomi già più tranquilla.
"No. Cioè, sì. In un certo senso sì." borbottò il ragazzo torturandosi i capelli. "Il motivo per cui ho aspettato tutti questi mesi è che... non volevo... ti vedevo così felice e..."
"Thomas, stai tranquillo, veramente." lo rassicurai, sentendo la sua voce tremare. "Vuoi sederti? Magari un bicchiere d'acqua potrebbe aiutarti?" domandai facendo per alzarmi.
"No, no!" quasi gridò allarmato, facendomi cenno di rimanere a sedere. 

"Be', allora parla diamine." borbottai sentendo la mia pazienza arrivare alla fine. "Inizia con il dirmi chi riguarda ciò che mi devi dire."
Il ragazzo si morse il labbro violentemente e per un attimo ebbi il timore che potesse ferirsi da solo, ma ciò non accadde perchè dopo poco il ragazzo aprì di nuovo la bocca per parlare. "E' una cosa che riguarda..." si fermó di colpo e giurai di aver visto i suoi occhi riempirsi di lacrime, prima che lui potesse tirarle indietro.
"Cosa? Tom, di cosa stai parlando?" chiesi spazientita.
"Riguarda..." altri attimi di silenzio. Poi prese un profondo respiro e sussurró: "Newt."
Forse sperava che non lo sentissi pronunciare quel nome, ma io lo avevo colto.
Lo avevo sentito come avevo percepito il mio cuore acquistare un'altra crepa.
Il mio stomaco si contorse e sentii una mano nera perforarmi il ventre.
"N-Newt?" chiesi iniziando a sudare freddo per il male al petto.
Mi sorpresi di me stessa. Era una delle poche volte che riuscivo a pronunciare il suo nome a voce alta senza tremare.

In pochi secondi pensai a tutto. Venni investita da pensieri negativi e preoccupazioni, fino a sfiorare il surreale, poi però in questa marea nera spuntò un piccolo punto luminoso. Una piccola speranza si accese in me e mi ci aggrappai a fatica, trattenendo il respiro e scattando in piedi. "Lo avete trovato?" chiesi zoppicando e quasi incespicando per raggiungere Thomas.
L'unica risposta che ricevetti dal ragazzo fu un passo indietro e il volto ancora più reclinato a terra, ora totalmente privo di ogni colore all'infuori del grigio. Non ricevendo alcuna replica continuai, nella speranza che in quel silenzio potesse nascondersi in fondo una buona notizia. "Come sta? É ancora uno..." presi un profondo respiro. "Spaccato?"
"Rimettiti a sedere, non mi hai fatto finire di par..."
Lo interruppi immediatamente: "Dov'é?" gridai frustrata. Sentii i miei occhi pizzicare per colpa delle lacrime imminenti, forse dovute alla gioia, forse dovute all'affanno, ma le ricacciai indietro bruscamente.

Sentii l'angoscia crescere in me. Sarei veramente stata capace di rivederlo?
E se fosse peggiorato?
E se non mi avesse riconosciuto?
"Thomas, ti prego." mormorai osservando l'espressione del ragazzo farsi sempre più piena di angoscia. 
"Ti prego, rimettiti a sedere." disse teso il ragazzo, una voce letteralmente distorta dalle lacrime che mi fece comprendere quando mi fossi sbagliata. Newt non era lì. Quella che Thomas doveva darmi non era una buona notizia. Per quanto le mie gambe stessero tremando, non riuscii a piegarmi nuovamente sul letto. 
Sentii le mie labbra tremare. "Io non..."
"Lui non c'é piú." sussurrò il ragazzo, evitando il mio sguardo.

Cosa? 
Il mio cuore perse di un battito e il mio respiro si bloccò in gola.
"In che senso non c'é piú?" chiesi indietreggiando di qualche passo e andando a sbattere contro il legno del letto.
"Nel senso che é morto." sputó secco.
Mi portai una mano al petto quando sentii una lama trafiggermi il cuore. Il mio respiro si incastrò in gola e la mia mente andò in tilt. Non riuscivo a respirare tanto era il peso che sentivo in quel momento sul petto. Le mi orecchie avevano iniziato a fischiare, come se qualcuno mi avesse stordito con una botta in testa e mi sentii all'improvviso distante dal mondo, come se fossi confinata in una bolla di vetro. Abbassai lo sguardo e feci un passo indietro, tremando e sentendo il vuoto sotto di me. Ero in caduta libera e nulla avrebbe potuto fermare quella discesa nel buio.
Nero. Solo questo potevo vedere attorno a me. Un nero denso e soffocante, che mi derubava di ogni pensiero felice e ogni emozione colorata. 

Lui non poteva essere morto. Non era possibile.
"No... É uno scherzo." dissi scuotendo la testa e facendo un sorriso isterico.
Sperai solo che Thomas non mi contestasse, che mi lasciasse credere che tutto fosse veramente un grande scherzo, ma il ragazzo parò di nuovo e questa volta fu totalmente chiaro, non lasciando posto per altre interpretazioni. "No, Ele. É morto ed é la caspio di realtà." disse grattandosi la fronte ansioso.
Non seppi perché, ma avevo la sensazione che quello che mi aveva detto non era tutto, che c'era ancora dell'altro.
"C-Come fai ad esserne certo?" insistetti lottando con me stessa per non scoppiare in lacrime.
"Perché io..." si fermó e mi guardó negli occhi. Si posó su di essi per attimi infiniti, poi completó la frase con voce tremante e abbassando lo sguardo: "Perché io l'ho ucciso."

*Angolo scrittrice*

Hey pive!
Lo so, sono malvagia, ma ehi... Nulla è mai come sembra giusto?
Ricordatevelo. Ora è veramente diventato veramente fondamentale.
E' arrivata l'ora di rendervi partecipi dei video Newtlena. Sono due e spero vi piacciano. Il punto è che li ho fatti in inglese (è una droga) ve li tradurrò entrambi, ma farò un capitolo a parte.

Quindi che aspettate? Girate pagina (si fa per dire) e godetevi i video!

Baci, 

sempre vostra Inevitabilmente_Dea :3

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Capitolo 10
*** Video Newtlena ***


Ecco qui i video che ho tanto atteso di pubblicare! 
Ne ho fatti due: il primo è stato creato con i vostri suggerimenti e con gli spezzoni del libro che vi sono piaciuti di più, solo che essendo il primo video in assoluto che creavo, non mi è venuto proprio bene; il secondi video è stato creato con gif, spezzoni del film e soprattutto con le voci (sempre in inglese) e perciò è decisamente più carino del primo, ma ha ancora qualche macchiolina, nel senso che non è venuto così bene come speravo. 
E' la prima volta che faccio video, perciò spero che non rimarrete delusi dai miei 'primi lavori'.

In entrambi i video le canzoni di sottofondo sono in inglese, perciò ho deciso di dedicare un interno capitolo ai due video, in modo che io possa scrivervi qua sotto le traduzioni e i lyrics.

Come vi ho già detto ci sono anche delle parti parlate in inglese e siccome non sempre si capisce cosa queste voci dicano, vi tradurrò anche queste.
Vi anticipo che le traduzione le faccio io, perciò non so fino a che punto possano essere corrette.

Primo video (https://www.youtube.com/watch?v=dIq56uSkXJU):

   

Canzone: Lana Del Rey || I still love him 

Traduzione della canzone:

E mi ricordo il momento in cui l'ho incontrato, era così chiaro
che era lui l'unico adatto a me.

L'abbiamo capito entrambi, immediatamente.

E col passare degli anni, le cose si sono fatte più difficili –
avevamo più sfide da affrontare.

L'ho implorato di rimanere.
Provando a ricordare quello che avevamo all'inizio.
Era carismatico, magnetico, elettrico, e tutti lo sapevano.
Quando entrava in una stanza la testa di ogni donna si voltava, tutti si alzavano per parlargli.
Era una sorta di ibrido, una sorta di miscuglio di un uomo che non riusciva a contenere sé stesso.

Ho sempre avuto la sensazione che fosse in bilico
tra l'essere una brava persona e
perdersi tutte le opportunità che la vita avrebbe potuto
offrire a un uomo magnifico come lui.

E in quel senso lo capivo
e lo amavo.
Lo amavo, lo amavo, lo amavo.
E lo amo ancora.
Lo amo.

Secondo video (https://www.youtube.com/watch?v=na0r0o9H2xs):

   

Canzone: Fleurie || Hurts like hell
Traduzione della canzone:

Come posso dirlo senza spezzarmi?
Come posso dirlo senza assumere il controllo?
Come posso spiegarlo in poche parole, quando è quasi troppo per la mia anima sola?

Ti ho amato e ti ho amato e ti ho perso.
Ti ho amato e ti ho amato e ti ho perso.  
Ti ho amato e ti ho amato e ti ho perso.
E fa un male infernale.
Sì, fa un male infernale.
 
Non voglio che loro sappiano i segreti.
Non voglio che loro sappiano il modo in cui ti ho amato.
Non credo che loro lo capiscano, no.
Non credo che mi accetterebbero, no.

Ti ho amato e ti ho amato e ti ho perso.
Ti ho amato e ti ho amato e ti ho perso. 
Ti ho amato e ti ho amato e ti ho perso.
E fa un male infernale.
Sì, fa un male infernale.  

Sogni che combattono contro macchine
dentro la mia testa come avversari.
Vieni a lottare per me, rendimi libera e pulita dalla guerra.

Il tuo cuore si adatta come una chiave
dentro la serratura nella parete.
Mi sono girata, mi sono girata,
ma non posso scappare.
Mi sono girata, mi sono girata.

Ti ho amato ed ti ho amato e ti ho perso.
Ti ho amato ed ti ho amato e ti ho perso. 
Ti ho amato ed ti ho amato e ti ho perso.
Ed fa un male infernale.

Traduzione di ciò che dicono:

minuto 0.11
Newt cosa vedi?

E' una ragazza.
Cos'ha nella mano?
Lei è l'ultima per sempre. Cosa diamine significa?

minuto 1.10
Sei la ragione per cui siamo liberi. Non tutti ce l'hanno fatta, va bene, ma gli altri ti seguiranno comunque. 

minuto 2.28
Hey, amore.

minuto 2.39
C'è un posto per noi là fuori da qualche parte.
Non mi sono sentita abbandonata.
Non so dove sia. Ma ciò che so è che troppi dei nostri amici sono morti per farci arrivare così lontano. Quindi non possiamo arrenderci. Tu non puoi arrenderti, non te lo lascerò fare.

minuto 3.09
Lui è morto. Lui è morto ed era morto per tutto questo tempo e io... Oh, mio Dio... 

Hey, parlami. Posso aiutarti.

Come... Come fai ad aiutarmi? Come?

minuto 3.34
Elena, bisogna che ti calmi.
No, no! Non ci riesco, non ci riesco. No, fa male. Fa male. Per favore fallo smettere. Fallo smettere, fa male. 

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Capitolo 11
*** Capitolo 9. ***


"Perchè io l'ho ucciso."
Quelle parole furono la goccia che fece traboccare il vaso.
Sentii il mio cuore frantumarsi e rimpicciolirsi, come se qualcuno me lo stesse stritolando da dentro. Strinsi la mascella e guardai Thomas dritto negli occhi.
Un'ultima occasione. Pensai deglutendo. Ti prego, ti prego, dammi solo un'ultima occasione.
"Mi stai dicendo la verità?" la mia voce rotta uscì quasi in un sussurro, ma le mie parole si sentirono chiare come un ruggito. "Nessun test, nessuna bugia per vedere le mie reazioni, è la verità? E' la realtà?" sentii le mie gambe tremare e le lacrime premere dietro ai miei occhi, bruciando come se avessi fuoco vivo sulla pelle. "Thomas, ho bisogno di saperlo."
Lo osservai attentamente e incatenai i miei occhi ai suoi, impedendogli di distogliere lo sguardo. Il ragazzo non disse nulla e non si mosse. Continuò a fissarmi con quell'odioso sguardo pieno di compassione e senso di colpa, e fu allora che senza una parola o una spiegazione, dedussi la mia risposta.
"Tu non..." sentii il mio fiato mancare e il mio corpo farsi debole, pregandomi di lasciarmi andare. Era troppo da sostenere, ma cercai comunque di farlo. Non ero debole, non volevo esserlo.
"Devi andartene." ordinai con voce roca, alzando il mento e mostrandomi forte nonostante le lacrime sulle guance che, distruggendo tutti i miei tentativi di trattenerle, avevano comunque solcato le mie guance. "Vattene e non farti più vedere."
"Eli, ti prego."

"Vattene!" gridai odiandolo per avermi chiamato in quel modo dopo avermi confessato ciò che aveva fatto.
"Posso spiegar..."
"Ho detto di andartene!" urlai sentendo la mia voce rompersi. Un singhiozzo perforò la mia schiena. "Non ci sono... spiegazioni per quello che hai fatto."
Scossi la testa e mi morsi la lingua, singhiozzando di nuovo. 
Il dolore era così insopportabile.
"Lui... Lui mi ha chiesto..."
"Non mi importa!" gridai facendo un passo avanti e dandogli uno spintone, nel tentativo di spaventarlo. Volevo che se ne andasse. Volevo che sparisse dalla mia vita portandosi via tutti i suoi sorrisi e tutte le menzogne che mi aveva addossato per tutti quei mesi. Come faceva a sopportare il mio sguardo? Come aveva potuto convivere tutto quel tempo con un tale segreto?
Ero stata piena di speranza per mesi, architettando ogni modo possibile per riuscire a ritrovare Newt, avevo perfino pensato di poterlo guarire.
Per tutti quei mesi avevo vissuto con la speranza di incontrarlo nuovamente. Ero riuscita a crearmi un nuovo mondo con i bei ricordi che avevo costruito con Newt.
Avevo a stento sfiorato la pazzia per riuscire a camuffare la sua assenza. Ed erano bastate quelle semplici parole per mandare tutto in frantumi.

"Eri il suo migliore amico!" gridai in preda alla rabbia e alla tristezza, facendo un altro passo verso il ragazzo. "Eri il suo migliore amico e l'hai ucciso!"
Lanciai uno sguardo pieno di odio verso Thomas, nella speranza che quella volta il ragazzo si sarebbe veramente voltato e avrebbe lasciato quella stanza, ma lui continuava a tenere lo sguardo basso, gli occhi lucidi e pieni di tristezza.
Sentii la rabbia crescere verso di me e nonostante le lacrime copiose sulle mie guance e i singhiozzi, non c'era modo di disintegrare quello che provavo in quell'istante. Odiavo Thomas con tutto il mio cuore. Perchè non poteva essere lui quello morto? Perchè aveva dovuto togliermi l'unica persona che avevo mai amato? Come aveva fatto ad uccidere il suo migliore amico per poi riferirmelo con tanta leggerezza?
Non riusciva nemmeno a guardarmi negli occhi.
Mi disgustava.
"É stato il suo ultimo desiderio." si giustificó con voce rotta. "E' stato lui a puntarsi la pistola alla testa. Ho dovuto sparargli."

Quell'affermazione bastò per accendere una parte di me che pensavo non esistesse e da quel momento tutto quello che provavo si ridusse ad un solo sentimento: rabbia.
In un attimo mi ritrovai sopra di lui con i pugni serrati ed entrambi cademmo a terra, lui immobile sotto di me. Tutto intorno a me sparì in un istante, impedendomi di riacquistare la ragione. Iniziai a sfogarmi su Thomas, tempestandolo di pugni e calci senza riuscire a controllarmi.
In ogni colpo mettevo tutta la mia rabbia e tutta la mia tristezza. Promettevo a me stessa che ogni pugno sarebbe stato l'ultimo, ma non smettevo mai. Non ci riuscivo. E per quanto orribile fosse, mi sentii bene in quell'istante. Per quanto la rabbia, la tristezza e la frustrazione avessero preso il sopravvento in me, riuscivo a prendere un sospiro di sollievo che però moriva dopo poco, soffocato dalle altre emozioni
"Tu l'hai ucciso!" gridai con voce roca mentre le lacrime offuscavano la mia vista. Era come avere un velo davanti agli occhi, ma il rosso del sangue sul viso di Thomas spiccava comunque.
Nonostante tutti i colpi Thomas non aveva provato a difendersi e dalle sue labbra non era uscito nemmeno un sibilo. 
"Sono passati mesi!" gridai a pieni polmoni, battendo il pugno sul suo petto e sentendo dei singhiozzi rompere il silenzio tra le mie grida. Non sapevo dire con certezza se fossero i miei o quelli di Thomas, ma non mi importava. "Mi hai mentito per tutto questo tempo! Sei un codardo!" gli urlai a pieni polmoni.

La rabbia era talmente tanta in quell'istante, che mi otturó tutti i sensi.
Non udivo piú nulla, se non il suono delle mie nocche contro la sua pelle.
Non vedevo piú nulla, se non l'immagine di Newt che soffriva.
Non percepivo piú nulla, se non il mio cuore battere impazzito contro la gabbia toracica, come per aprirla.
Non provavo piú nulla, se non rabbia e dolore.
Sentii qualcuno afferrarmi le braccia e trascinarmi lontano da Thomas e urlai frustrata. Continuai a ribellarmi per quelli che sembrarono istanti infiniti finchè qualcuno non mi circondò con le sue braccia.
Non avevo nemmeno sentito la porta aprirsi e speravo solo che tutto quel dolore lasciasse le mie membra.
Dopo diversi attimi smisi di ribellarmi e mi limitai a piangere e gridare per il dolore. Era troppo da sopportare.
Volevo gridare fino a perdere la voce, volevo lanciare pugni contro il muro fino a spaccarmi tutte le ossa nella mano, volevo solo chiudere gli occhi per poi riaprirli e scoprire che tutto era stato solo un dannatissimo sogno. Ma non c'era prova più grande del dolore e del panico che provavo, e tutto quello che avevo sentito era vero. Era tutto vero e non c'era nulla che potessi fare per cambiare la realtà.

"Calmati!" sentii qualcuno gridarmi nelle orecchie. Scansai il volto quando sentii le labbra di qualcuno appoggiarsi sul mio orecchio. Smisi di urlare, ma non di piangere e mi sembró solo che più lacrime rilasciavo, più il dolore aumentava. Continui singhiozzi mi perforavano la schiena e la gola. Il respiro bloccato nei miei polmoni, incapace di muoversi da lì, mi faceva sentire morta.
"Smettila, ti prego." disse la stessa voce che precedentemente mi aveva urlato di calmarmi, ma ora era piú debole e con un tono quasi compassionevole.
Un'altra figura entró nella stanza e mi ci vollero diversi attimi per metterla a fuoco tra le lacrime.
Minho stava fissando il corpo di Thomas con il volto paonazzo.
Tornai con lo sguardo verso il ragazzo ancora steso a terra e mi meravigliai per come lo avessi ridotto: il suo volto era appena riconoscibile, con delle chiazze di sangue gli coprivano occhi e bocca, tagli che solcavano le sue guance e piccole macchie rosse lungo tutta la pelle. Il petto del ragazzo faceva su e giú con fatica ed insistenza, e sembrava quasi che ogni suo respiro fosse accompagnato da una fitta di dolore. E fu proprio nell'istante in cui incrociai i suoi occhi che compresi di non essere l'unica a piangere: Thomas stava singhiozzando.
Per un attimo provai angoscia per lui e mi sentii in colpa. Come avevo potuto ridurlo così?
Poi peró le sue parole risuonarono nelle mie orecchie come se le avesse ripetute in quel momento. 
L'ho ucciso.

Lanciai un altro grido di dolore e mi lasciai a peso morto su colui che mi stava ancora tenendo ferma.
É stato il suo ultimo desiderio.
Basta! Gridai nella mia mente.
Ho dovuto sparargli.
Quelle parole dovevano uscire dalla mia testa. Dovevo dimenticare tutto, volevo dimenticare tutto.
É morto.
Smettila! Pensai scuotendo la testa e sentendo le lacrime invadermi la gola
Newt é morto.
É stato il suo ultimo desiderio.
Ho dovuto sparagli.
E' stato lui a puntarsi la pistola alla testa.
Io l'ho ucciso.
E' morto.
Newt è morto.
"Basta!" gridai frustrata cercando di contenere i singhiozzi.
"Elena cerca di calmarti." mi intimó Minho avanzando verso di me con una mano in avanti.
Gli lanciai un'occhiata e lo vidi osservare preoccupato il mio volto, poi quando fece per avvicinarsi a me, cambiò improvvisamente idea e si affiancó a Thomas, per poi chinarsi su di lui.

"Cosa é successo..." sussurró all'amico e pronunciando quella frase quasi come una consapevolezza, piuttosto che come una domanda.
"Digli cosa hai fatto, codardo!" urlai. "Digli cosa hai fatto!"
"Calmati." mi sussurró una voce nell'orecchio.
Solo allora capii che era la voce di Gally, che mi stava ancora bloccando per le braccia.
"Digli cosa hai fatto..." mormorai abbandonandomi completamente al ragazzo.
Thomas fissò Minho negli occhi per qualche secondo, per quanto gli fosse possibile a causa del sangue, le labbra del ragazzo tremarono e sussurrò: "Mi dispiace."
Vidi Minho annuire debolmente e diventare triste, poi sollevò delicatamente l'amico.
"Aspetta..." sussurrai.
Una consapevolezza varcó la mia mente.
"Tu lo sapevi?" chiesi a Minho mettendo un altro mattone sul mio petto.

Lui mi guardó per qualche secondo con occhi pieni di tristezza e poi abbassó lo sguardo.
"Tu lo sapevi e non me lo hai detto!" gridai facendo crescere il dolore dentro di me.
Con alcuni strattoni mi liberai dalla presa di Gally e vidi Minho indietreggiare impaurito.
Mi voltai verso Gally e lo guardai negli occhi.
"Tu? Tu non lo sapevi, vero?" chiesi sperando in una sua risposta negativa.
Lui mi fissó per qualche istante con uno sguardo carico di preoccupazione e tristezza.
"Io posso spiegarti..." disse grattandosi la nuca. "Spettava a Thomas dirtelo e io..."
Lo interruppi: "No!" gridai mettendomi le mani tra i capelli e tirandoli leggermente. "Non voglio sentirtelo dire. Voi siete miei amici e non mi avete detto niente!" urlai sentendo un altro ciclo di lacrime salire a pizzicarmi gli occhi.
"Da quanto lo sapete?" chiesi cercando di mantenere la calma.
"Da quando siamo arrivati qui." spiegó Minho alle mie spalle. "E' per questo che io e Thomas abbiamo litigato, ma..."
Non mi girai verso di lui e continuai a tenere il contatto visivo con Gally.
"Sono passati mesi! Ho vissuto ogni giorno con la speranza di rivederlo e solo ora voi mi dite che é morto?" gli gridai contro, battendo i pugni sul suo petto e vedendolo sbattere contro la parete, per poi riavvicinarsi. "Anzi, mi correggo: mi dite che l'ha ucciso."

Feci una risata isterica e alzai gli occhi sul soffito per non piangere di nuovo.
"Eli, mi dispiace..." sussurró Gally.
Un'altra scarica di rabbia mi pervase.
"Non chiamarmi in quel modo!" gli gridai contro, dandogli un altro spintone e facendolo sbattere contro il muro. "Solo lui poteva..."
Le parole mi morirono in gola.
"Ti prego, perdonami." sussurró Gally appoggiando una mano sulla mia spalla.
"No!" urlai scostandola con uno schiaffo. "Uscite di qui! Tutti! Ora!"
Minho non aspettó altro e uscì dalla casa trascinandosi dietro Thomas, Gally invece esitó qualche istante. Lo vidi ferito dalle mie parole, ma non mi importava. Non mi importava piú di niente e di nessuno.
Newt era morto e la mia vita non aveva piú un senso.
"Ti ho detto di andartene." scandii incenerendolo con lo sguardo.
Lui mosse qualche passo verso la porta e poi si giró per guardarmi un'ultima volta. "Scordati di tutto, Gally. Non voglio più vederti."
Vidi una lacrima scendere silenziosa sulla sua guancia, poi uscì chiudendo la porta dietro di sé.

Nel momento in cui udii il suono della porta chiudersi, le mie ginocchia tremarono, spezzandosi e lasciandomi cadere a terra. Mi accasciai al suolo, incapace di riuscire a sopportare ancora il peso del mio corpo, aggravato dal dolore. Lasciai libere le mie emozioni di soffocarmi e i singhiozzi colsero l'occasione per dominarmi insieme alle lacrime.
Ero consapevole che quella volta non sarei stata capace di raccogliere i pezzi del mio cuore e rimetterli insieme.
Newt era la colla che mi teneva insieme, ma ora lui non c'era piú.
Lui era la mia colla e senza di lui ero caduta a pezzi.
Sapevo già che da quel giorno in poi non sarei stata più capace di sorridere, perchè avevo perso l'unico motivo che mi spingeva a farlo ed ero consapevole che nulla avrebbe potuto riparare ciò che era successo, nulla avrebbe potuto far tornare le cose a come erano prima di rompersi.
Ero consapevole di aver perso l'unica persona capace di rendermi felice e di avere un buco freddo e dolorante dove una volta era presente il pensiero del ragazzo.
E quel vuoto silenzioso e terrificante non era altro che la scia che Newt aveva lasciato con la sua morte.

Sapevo che l'unico modo per non provare quel dolore fosse di dimenticarlo, ma non ci riuscivo. Non riuscivo a gettare nel buio i ricordi più belli della mia vita. 
Avevo solo bisogno di non provare più nulla per un ragazzo morto.
Avevo bisogno di non pensarci.
Odiavo quella sensazione di impotenza che non faceva altro che spaventarmi. 
Avevo paura che le cose sarebbero peggiorate e che avrei continuato a vivere in quell'incubo con il terrore di muovermi e perfino di respirare per paura che qualcosa di terribile avesse potuto cogliermi di nuovo impreparata. 
Come sarei sopravvissuta senza Newt? Senza mai più rivedere il suo volto, o sentire la sua voce o percepire il suo tocco sulla mia pelle.
E questa era tutta colpa mia. Io mi ero permessa di amarlo, io mi ero permessa di non avere paura di lui quel primo giorno dentro la Scatola. Io gli avevo permesso di entrare nella mia vita e nel mio cuore per poi non lasciarli più. 
Potevo ancora sentire la sua voce nella mia testa e la cosa era opprimente.
"Lasciami stare." bisbigliai tappandomi le orecchie con i palmi.
Lo sai che non posso. Mormorò il ricordo del ragazzo nella mia mente. Te l'ho promesso, ricordi?
E allora perchè hai lasciato che Thomas ti sparasse?





 

Di quello che successe dopo la notizia di Thomas mi ricordavo solo i pianti, le grida, i pensieri confusi e poi il buio. Non me ne ero nemmeno resa conto, ma mi ero addormentata a terra, nel pavimento freddo, forse perchè tutto quel piangere e sfogarmi mi aveva resa esausta, forse perchè la mia mente non aveva retto tutto quel dolore e tutto quello stormo di pensieri negativi.
Poi un paio di mani mi aveva sollevato mentre dormivo, svegliandomi per pochi secondi da quel riposo privo di sogni. Quel qualcuno mi aveva trasportato fino al mio letto e mi aveva rimboccato le coperte. Non avevo voluto aprire gli occhi, non avevo voluto parlare. Avevo semplicemente trattenuto il fiato fino a quando quel qualcuno non mi aveva depositato un bacio sulla fronte e poi se n'era andato.
Allora, quasi senza volerlo, ero piombata nuovamente in un sonno profondo.

Ero seduta in cima ad una scogliera che si affacciava sull'oceano, con i piedi che penzolavano oltre il bordo. Il sole era quasi calato dietro l'orizzonte, che brillava come fuoco. Era uno degli spettacoli più belli a cui avessi mai assistito, eppure non riuscivo a godermelo a pieno.
Vicino a me c'era Newt ed eravamo mano nella mano, così vicini da poter sentire l'uno il respiro dell'altra. Eravamo vicini, certo, ma io lo sentivo distante. Era come se non lo percepissi, come se al posto del suo solito tepore emanasse un freddo glaciale che sapeva di morte.
"Perchè mi hai lasciata?" domandai osservando il sole calare lentamente dietro l'orizzonte. 
"Non mi appartenevo più."
"Perchè ti sei arreso?" insistetti, stringendo ancora più forte la sua mano.
"Non avevo più controllo sulla mia mente. Non volevo continuare a vivere dentro un corpo che non riuscivo a controllare." mi rispose lui con un tono dolce, come se non stesse badando al peso che avevano le sue parole.

"Ma avremmo potuto fare qualcosa. Io ti avrei trovato, lo sai."
"No, Eli." mi corresse, sorridendomi e scuotendo la testa delicatamente. "Non mi avresti mai trovato. Non ero più io. Non c'era più traccia del vecchio Newt. E tu lo sai. Sai che non avresti potuto far nulla per cambiare le cose."
"Be', avrei potuto obbligarti a restare quando decidesti di lasciare la W.I.C.K.E.D." mormorai sconfitta, appoggiando la tempia sulla sua spalla.
"No, mi hai amato e hai fatto quello che sapevi mi avrebbe reso felice. Non avresti potuto fare scelta migliore." mi rassicurò, appoggiando una mano sulla mia guancia e depositando una fredda carezza.
"Perchè mi hai abbandonata?" tentai nuovamente. "Senza lasciare un biglietto, nè un saluto. Sapevi che mi avrebbe distrutta, ma lo hai fatto comunque."
"Ti ho già dato il mio addio, nel Palazzo degli Spaccati. Quando ci siamo visti lì, quello che ho detto e quello che ho fatto... sapevo che sarebbe stata l'ultima volta in assoluto." mi confidò. "Non potevo continuare a vivere in quel modo. Non senza di te e non con te. Non in quel modo."
"E io non posso stare senza di te. Come dovrei continuare la mia vita, huh?"
"Eli, devi lasciarmi andare."
"Cosa? No."
"Devi lasciarmi andare. Costruisci una nuova vita, hai tanti amici, so che ce la puoi fare. Sei forte e coraggiosa." mi rassicurò il ragazzo, distaccandosi da me e tirandosi in piedi per poi porgermi la mano.

Osservai il suo palmo e desiderai con tutto il mio cuore che mi accarezzasse ancora. Quanto mi mancava il suo tocco gentile e cauto, come se stesse sfiorando l'oggetto più prezioso di tutti.
Dopo un momento di esitazione distorsi la bocca e ancorai le mie dita alle sue, stringendogli forte la mano come a pregarlo di non lasciarmi andare. Newt mi tirò su senza fatica e in meno di un secondo mi ritrovai ad un palmo di distanza da lui. Lo guardai negli occhi e li vidi pieni di tristezza. "Io ci sarò sempre per te, Eli." 
Sentii le lacrime premere e pizzicare, ma questa volta le ricacciai violentemente indietro. Non volevo che la tristezza rovinasse l'ultimo mio momento con lui. "Io vivo nei tuoi ricordi. Quando ti mancherò cerca nella tua mente e nel tuo cuore."
"Cosa succede se mi dimentico di come sei fatto? Dei tuoi lineamenti, della tua voce, del tuo tocco..." domandai frustrata appoggiando una mano sul suo petto e cercando di percepire il battito del suo cuore. Mi disperai quando non sentii nemmeno il ruvido della stoffa dei suoi vestiti sotto la mia mano. Perchè non sentivo nulla?
"Non è importante. Ti devi ricordare di quello che provavi e di quello che io provavo." mi rassicurò stringendomi a lui in un abbraccio delicato. "I sentimenti non sbiadiscono come i ricordi."
Sospirai e abbandonai la testa sul suo petto, chiudendo gli occhi e inspirando il suo buon odore che, come del resto tutto quanto, non riuscivo a percepire. Strinsi la mascella e maledissi mentalmente i miei sensi.
"Ricordati che io ti aspetterò, per sempre." mormorò il ragazzo sussurrando al mio orecchio con un tono dolce. "Eli, io ti amo e chi si ama, si aspetta."
Sorrisi leggermente, sentendo la malinconia scorrere nelle mie vene, poi qualcosa di più forte e più tenebroso mi risucchiò ogni altra emozione, e una nube nera apparve davanti al sole. Mi distaccai da Newt e guardai preoccupata l'orizzonte, ormai inghiottito da un nero viscoso e denso.
"Cosa sta..."
"Eli..." la voce storpiata di Newt pervase le mie orecchie, una voce profonda, rotta, distorta e quasi meccanica. "Aiutami, Eli."
Spalancai gli occhi e mi voltai di scatto, capendo ben presto che Newt non era più vicino a me, ma lontano di qualche metro. Se ne stava immobile, a terra, con gli occhi spalancati dal terrore e le labbra tremanti ed insanguinate. Tremava e con le mani stringeva forte la canna di una pistola. Sopra di lui Thomas che, con un ghigno divertito e malato, spingeva la pistola in giù nonostante la resistenza del biondino.
"Aiu..." la voce del ragazzo venne interrotta da un tuono. Non persi nemmeno tempo a guardare in cielo e mi misi a correre, come se quel tuono mi avesse dato il permesso di partire. All'inizio fu semplice avanzare, ma in pochi secondi tutto mutò: le mie gambe diventarono pesanti e i passi sempre più lenti; più mi muovevo in avanti, più mi sembrava di arretrare.
"Ti prego, Eli." pianse Newt, le lacrime lungo le guance e gli occhi imploranti.
Mi morsi il labbro e impiegai ancora più energia, mugugnando per lo sforzo e agitando sia braccia che gambe.
Continuai a tenere lo sguardo fisso sul ragazzo, non volevo rischiare di perderlo, ma fu il biondino a distogliere gli occhi dai miei quando sentì la canna della pistola toccare finalmente la sua fronte. Allora il biondino levò lo sguardo implorante su Thomas.
"Per favore, Tommy." mormorò Newt, guardandolo negli occhi. "Per favore."
Gridai a pieni polmoni, ma Thomas non si voltò, nè Newt mi rivolse il suo ultimo sguardo.
Un colpo di pistola.

Un grido.
Il nero che inghiottiva l'ultimo pezzo di sole rimasto.

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 10. ***


Mi svegliai urlando, sudata e con la bocca secca.
Spalancai gli occhi e continuai ad urlare fino a quando delle mani non mi afferrarono per le spalle. Solo allora mi ridussi ad un sussulto e ad un singhiozzo appena accennato. Sentii le mie guance bagnate, segno che avevo pianto nel sonno, mentre il resto del mio corpo, soprattutto i capelli, erano madidi di sudore. 
Sentivo il mio cuore pulsare contro la gabbia toracica e riuscii a percepirlo attraverso i polpastrelli perfino quando mi toccai le tempie per calmarmi. Chiusi gli occhi e abbassai la testa, sollevando le ginocchia al petto e nascondendoci il viso. Presi a respirare profondamente, ma ogni boccata d'aria che prendevo era bollente e mi raschiava la gola, come se stessi ingoiando fuoco e sabbia.
Ben presto mi dimenticai delle mani che mi avevano svegliata e pensai di essere ancora da sola, stesa sul pavimento. Un attimo di smarrimento mi colse quando appoggiai le mani su un letto morbido, riconoscendo il muschio, e quando accarezzai la coperta di pelle d'orso con le dita.
Inspirai violentemente e sollevai la testa, osservando la sagoma sfocata che si parava davanti a me, inghiottita dal buio della notte ma pur sempre familiare.

"Eli... Stai bene?"
Il mio cuore mancò di un battito. 
Newt. Newt era lì.
Lo sapevo! Lo sapevo che era solo un incubo! Gridai nella mia mente, esibendo il mio sorriso più smagliante e sincero. Mi portai le mani a coprire la bocca e chiusi gli occhi per riprendermi, poi non riuscendo più a trattenermi gettai le braccia attorno al collo del ragazzo.
"Sapevo che fosse solo un incubo. Ho sognato che Thomas ti uccideva." borbottai nascondendo il volto tra i suoi vestiti. Inspirai a fondo il suo odore e mi sentii sollevata nel capire che quella volta riuscivo a percepirlo, anche se in realtà mi sembrava un po' diverso. Forse ero solo ancora traumatizzata dal sogno.
Era stato così orribile.
"Tranquilla, sono vivo e sto bene." sussurrò il ragazzo al mio orecchio, mentre per confortarmi mi accarezzava delicatamente la testa.
Sorrisi ancora una volta e mi distaccai di poco da lui. Accarezzai il suo collo e portai i palmi sulle sue guance, per poi osservarlo. La sua figura era ancora sfocata per via delle lacrime ancora presenti sui miei occhi, ma era indubbiamente Newt. I suoi capelli biondi erano più ribelli del solito, segno che si era appena svegliato; i suoi occhi avevano quasi assunto una sfumatura azzurra sotto la luce della luna che filtrava tra le aperture delle assi, il che era alquanto strano, ma possibile; il suo naso a patata era seminascosto nell'ombra; le sue labbra sottili, rosee e...
Morbide. Non proprio come me le ricordavo, ma dopotutto era passato diverso tempo dall'ultimo bacio.
Ma la sensazione che provai non appena le nostre labbra si incontrarono fu la prova finale.
Le farfalle nel mio stomaco ripresero vita, creando un tornado di emozioni positive che accolsi con un sorriso.
Il ragazzo, invece, si irrigidì di scatto, ma le sue mani scivolarono lungo le mie spalle, fermandosi poco sotto il mio collo e accarezzandolo.
Lo sentii mugugnare e rabbrividire quando sfiorai il suo labbro inferiore con la lingua, ma quando sentii le mani del ragazzo fare pressione su di me, subito dopo la magia finì, uccidendo in un respiro tutte le farfalle e le buone sensazioni.
Newt mi aveva... respinta?

Aggrottai le sopracciglia e nonostante il ragazzo si fosse distaccato da me, stentavo ancora ad aprire gli occhi. 
Una sensazione negativa stava fluendo nelle mie vene e il terrore che questa avesse potuto anticipare la realtà mi fece gelare il sangue.
In un attimo mi ricordai di tutto quello che era successo, dalla rivelazione di Thomas al mio sogno, e compresi di aver commesso un errore madornale, senza nemmeno essermene accorta.
Quando il suono della pistola che avevo sentito nel sogno si ripetè nuovamente nel mio cervello, spalancai gli occhi terrorizzata e fissai la sagoma davanti a me, ora più nitida.
I capelli che prima avevo visto biondi, in realtà erano di un bianco tendente al platino.
I suoi occhi erano effettivamente azzurri e non un gioco di luci ed ombre.
Il naso in penombra non era a patata, ma dritto e quasi perfetto.
Le labbra erano piene e rosee.
Sentii il mio corpo tremare mentre il mio cuore si congelava, smettendo per un attimo di battere.
Il mio respiro si arrestò completamente e sentii nascere un peso sul petto.
Rilasciai un respiro a fatica e sbattei le palpebre.
Davanti a me, con occhi spalancati e turbati, c'era Stephen.

Mi portai le mani sulla bocca e trattenni di nuovo il fiato, sbiancando all'istante e indietreggiando sul letto fino a toccare la parete con la schiena.
Il mio cervello aveva di nuovo giocato con me. Mi aveva posto nel mezzo di uno scherzo che avevo troppo desiderato e che perciò non ero stata capace di rifiutare. 
Ed il peggio era che io ero stata al gioco, cercando di negare anche quei piccoli allarmi che la mia memoria tattile e olfattiva avevano cercato invano di farmi notare. Avevo distorto la realtà pur di rifugiarmi in quel sogno così tanto desiderato, perchè dopo ció che avevo passato – iniziando dal segreto di Thomas, fino ad arrivare a quel bacio – volevo solo chiudere gli occhi e rifugiarmi per sempre nel mio mondo felice e perfetto.
E invece ero stata di nuovo catapultata alla realtà, come se questa fosse una catena legata alla mia vita che ogni volta mi illudeva, lasciandomi volare per un poco nel mio mondo, per poi tirarmi di nuovo tra le ombre, stringendo sul mio stomaco come una morsa infernale finchè non aprivo gli occhi e vedevo il buio.
"M-Mi dispiace..." balbettai, scuotendo la testa e cercando di capire se quelle parole fossero rivolte più a Stephen o a me stessa. "I-Io..." mi bloccai e quasi mi venne da ridere istericamente. "Ho perso la testa."
"N-Non fa nulla." mormorò Stephen imbarazzato, rimettendosi dritto con la schiena e tossendo per spezzare quel silenzio. "Minho mi ha detto quello che è successo e sono corso appena l'ho saputo, ma tu stavi già dormendo. Così ho pensato di portarti a letto e di stare un po' con te, ma tu poi hai iniziato ad urlare e così..."
"No, no. Va bene, grazie." lo interruppi, desiderando di poter stare da sola. "Ti ringrazio per avermi svegliata, è stato un gesto gentile."

"Sei sicura di stare bene?" mormorò Stephen dopo un'attenta analisi. "Mi ci è voluto molto per svegliarti." ammise grattandosi la nuca. "Ti dibattevi, calciavi, piangevi... E' stato orribile. Sembrava quasi che qualche spirito si fosse impossessato di te."
"No, era solo la mia immaginazione." spiegai battendo il dito sulla mia tempia e parlando con una tranquillità che non pensavo di avere più ormai. Da una parte ero consapevole di essermi arresa. Stavo impazzendo e quelli erano i fatti. Non avevo più il controllo della mia mente e se non fossi stata certa di essere Immune probabilmente avrei pensato di aver contratto l'Eruzione.
Ero rassegnata alla realtà e la cosa mi faceva soffrire ancora di più.
Avevo smesso di lottare anche se a Newt avevo sempre promesso di fare il contrario.
Ma dopotutto nemmeno lui aveva mantenuto la sua promessa di rimanere sempre al mio fianco, quindi non aveva più senso rimanere fedele a ciò che avevo detto, no?
Che senso avevano ora tutte quelle parole che io e Newt ci eravamo scambiati?
Quali di esse erano mai state vere e sincere?  
Quali non aveva infranto?
Quante ne aveva rispettate?

"Mi dispiace per quello che è successo, Eli." confessò il ragazzo avvicinandosi e allungando una mano per toccarmi la spalla.
Indietreggiai terrorizzata, non tanto da quel gesto, ma per quel nome. Anzi, forse in realtà non avevo nemmeno paura di lui e del modo in cui aveva pronunciato quel nomignolo, ma di me e del modo in cui la mia mente reagiva ad esso.
Sul volto di Stephen si formò una smorfia di dolore quando ricevette quel rifiuto secco da parte mia e per un momento mi sentii in colpa. "Scusami, sono ancora turbata per il sogno e quel nome... Ti prego, non chiamarmi con quel nome."
Il ragazzo sembrò rilassarsi, ma solo in parte perchè il suo volto rimase turbato. 
"Credi che tornerai a..."
"Dormire?" domandai sorridendo. "No, assolutamente no."
"Bene così, allora fammi posto." ordinò tornando serio e duro, come se l'imbarazzo precedente fosse letteralmente sparito.
"Come?" chiesi dubbiosa, corrugando la fronte.
"Fammi posto. Trascina quel tuo culo più verso il muro e fammi posto." 
Lo guardai per qualche secondo e quando lo vidi togliersi le scarpe e gettarle a terra facendole rotolare sul pavimento feci spallucce e mi mossi sul letto, facendomi da parte.
Il ragazzo sollevò la coperta e si intrufolò sotto di essa, spingendo i suoi fianchi contro i miei e appiattendomi ancora di più al muro. "Steph così non ci sto."
"Be' nemmeno io. Non è mica colpa mia se sei nata con il culo troppo grosso."
"E non è di certo colpa mia se sei nato con un cervello così piccolo. C'è un letto a due metri di distanza, genio." replicai acida, ma sollevata nel poter pensare a qualcosa che non fosse Newt.

"Non volevi dormire, no? Ti sto aiutando a rimanere sveglia." spiegò il ragazzo; poi analizzando la mia espressione turbata, specificò: "Se stai scomoda non ti addormenti, genio."
Rilasciai un sospiro e mi misi su un fianco per permettere al ragazzo di spostarsi ancora di più e di non cadere dal letto. Sussultai quando Stephen allungò un braccio dietro la mia schiena e la sua mano sfiorò la mia spalla.
"Non è un po' imbarazzante per te? Insomma, dopo che ti ho baciato."
"E per te lo è?"
"No, ma..."
"Ecco, vedi? Ti sei risposta da sola." mi zittì il ragazzo, lanciandomi poi uno sguardo. Cercai di nascondere la preoccupazione nei miei occhi, ma più pensavo a quel bacio, più avevo paura che il ragazzo potesse fraintendere. "Senti," iniziò lui, leggendomi nella mente. "so che pensavi di baciare Newt, non sono mica scemo." si interruppe e corrugò la fronte. "Be' un po' scemo lo sono, in effetti, ma non fino a questo punto."
Mi sentii strana quando una risata sincera mi fece sorridere.
"Come hai fatto a..."

Il ragazzo non mi fece nemmeno finire la frase e scosse la testa. "All'inizio ero convinto che stessi parlando con me. Pensavo che avessi sognato la mia morte. Poi peró, il modo in cui mi parlavi e mi toccavi era così... delicato e premuroso. C'è solo una persona – solo una – a cui dedichi questa delicatezza e di certo quella persona non sono io."
Sospirai e mi morsi il labbro.
"Possiamo parlare di altro, per favore?" domandai sentendomi scomoda e a disagio in quel discorso. Non volevo parlare ancora di Newt. Volevo solo dimenticare tutto.
"Pensi che ti aiuterà a superarlo?" chiese il ragazzo rivolgendomi lo sguardo.
"Io non devo superare nulla." ribattei schiva, incrociando le braccia al petto e distogliendo lo sguardo. "Devo solo dimenticare e tutto si sistemerà."
"Dimenticare?" chiese Stephen turbato, aggrottando le sopracciglia e scuotendo la testa contrariato. "Come puoi dimenticare una cosa del genere? Devi solo imparare ad accettarlo e..."
"Accettare il fatto che Newt sia morto?" domandai rivolgendogli uno sguardo infuriato. "O magari accettare che sia stato Thomas ad ucciderlo?"

Stephen socchiuse gli occhi come se la mia sofferenza fosse anche la sua, poi rilasciò un sospiro e riaprì gli occhi. "Se continui così non si risolverà niente."
"Non ho intenzione di risolvere niente con nessuno." ribadii scontrosa. "Thomas non me lo ha detto subito. Minho, Gally e chissà, forse anche Violet, lo sapevano eppure non mi hanno detto nulla! Non mi hanno..." sentii le parole morirmi in gola e deglutii il groppo di lacrime.
"Quello che Thomas ha fatto non è giustificabile, è vero, in nessun modo. Ma che colpa hanno gli altri?"
"Te l'ho detto." biascicai sentendomi frustrata. "Ora parliamo di altro?"
"Forse dovresti sapere tutta la storia." mi rivelò il ragazzo, accarezzandomi la spalla per riacquistare la mia attenzione.
"Ma se tu non sapevi nulla del litigio..." replicai confusa.
"Ed era così, infatti." confermò il ragazzo. "Ma prima che venissi qui Minho mi ha raccontato tutto. E dubito che tu sappia tutta la storia."

"Be' forse non voglio saperla." decretai sospirando e sistemandomi meglio sul letto.
"Se è veramente questo che vuoi, allora me ne starò zitto." acconsentì il ragazzo, sorprendendomi e attirando la mia attenzione.
"Bene così." mormorai fingendomi tranquilla. Tossicchiai e cercai di trovare alla svelta un argomento di conversazione. "Hailie come sta?"
"Bene. Ha colto quest'occasione per lasciarmi definitivamente." ammise il ragazzo ridacchiando.
"Quale occasione?"
"Gally mi ha detto che non volevi più vederlo e mi ha chiesto di venire ad abitare qui per non lasciarti sola, così..."
"Gally?" domandai sorpresa, sentendo una fitta al cuore. "Gally ha chiesto a te, il suo peggior nemico, di..." mi stoppai da sola, cercando di uccidere e soffocare il mio stupore. 
Non mi importa più nulla di Gally. Ripetei nella mia mente. Perciò non mi dovrebbe nemmeno importare del fatto che ha messo da parte il suo orgoglio e l'odio per Stephen pur di non farmi stare da sola. Giusto?

Scossi la testa e sospirai. Perchè mi rimaneva così difficile mettere tutto da parte? Perchè non potevo semplicemente odiare una persona senza che il mio affetto per questa arrivasse a rovinare le cose? Essere indifferente quando in fondo mi importava era difficile, ma necessario. Dovevo solo farci l'abitudine. 
Avevo perso Newt, la persona a me più cara e la mia ragione di vita, e di conseguenza avevo deciso di perdere anche coloro che nel momento del bisogno mi avevano voltato le spalle. Nessuno aveva voluto riferirmi ciò che era successo e perciò io non avevo più voluto nessuno nella mia vita, se non le persone di cui mi fidavo veramente.

Gally, Minho e soprattutto Thomas.
Avevano tradito la mia fiducia ed era come se mi avessero pugnalato alle spalle. 
Non riuscivo ad accettare il fatto che mi fossi fatta fregare di nuovo. Io, più di ogni altro ormai, avrei dovuto sapere come andavano le cose, avrei dovuto sapere che la felicità non esisteva o che comunque era temporanea per me, avrei dovuto sapere che la fiducia arrecava solo danni e che era da stolti.
Ero arrabbiata con me stessa perchè mi ero permessa di credere, per una volta ancora, che tutto stesse andando nel modo giusto. Avevo cercato di affogare i pensieri negativi e sperare in un futuro migliore, ma ancora una volta ero rimasta delusa. E avevo perfino lasciato che quell'ennesimo fallimento mi facesse di nuovo male. Ero crollata a terra, priva di forze, tante altre volte, ma la caduta che aveva seguito la notizia di Newt era stata quella decisiva per me.

Ero consapevole del fatto che quella volta non mi sarei rialzata e che anche se con il passare del tempo le cose fossero diventate sbiadite, non per questo sarebbero state meno dolorose. Perchè dopotutto era quella la realtà: più cadevo più mi riusciva difficile rialzarmi, lo percepivo.
E quella volta per me era stato come se le circostanze mi avessero dato il colpo finale, mettendomi fuori gioco una volta per tutte. 
E dubitavo che qualcuno mi avrebbe aiutata, quella volta. Avevo cacciato tutti proprio per evitare di essere vista come la ragazza sofferente che aveva bisogno di aiuto. Non volevo che qualcuno mi porgesse una mano e che mi obbligasse a rimettermi in piedi per ricominciare. Avevo paura che se anche quella volta mi fossi rialzata, le vertigini si sarebbero impossessate di me, facendomi nuovamente cadere.
"Mi stai ascoltando?" chiese Stephen, dandomi un colpo delicato sulla spalla. 
"Scusami, mi sono persa... Stavi dicendo?" replicai scuotendo la testa e riacquistando a fatica l'attenzione.
"Stavo dicendo che Hailie si è trasferita nella Grande Casa. E' stata più che felice di abbandonarmi per andare a stare con le sue amiche." mi spiegò il ragazzo, facendo spallucce. 
"Quindi rimarrai qui?" domandai rimanendo a fissare le mie mani nascoste in parte dal buio.
"Se tu vorrai, sì."

Feci spallucce, fingendo che non mi importasse, ma ci pensai su veramente. Potevo fidarmi di Stephen? Volevo veramente giocare la carta della fiducia ancora una volta? Ma soprattutto, ero abbastanza forte per vederla bruciare quando Stephen mi avrebbe ferita?
Per ora non avevo una risposta, ma solo percezioni e ipotesi. Quando ero con Stephen mi sentivo al sicuro, come se fosse veramente mio fratello e mi potesse capire perchè mi conosceva dalla nascita. 
Aveva mai fatto qualcosa per farmi male? Sì, ma era stata solo una recita con uno scopo ben preciso che non mi riguardava, perciò non era un tradimento voluto per ferirmi.
"Non devi decidere subito." mormorò il ragazzo, leggendomi nella mente ancora una volta. 
"No." scossi la testa e abbozzai un sorriso. "Va bene, puoi restare." dissi immediatamente, poi sorprendendomi delle mie stesse parole. Non volevo nemmeno dirgli quello, non ero stata io a deciderlo, eppure il mio istinto aveva deciso per me. Forse era un segno. Forse potevo veramente fidarmi, magari stando bene allerta.
"Bene così, allora se non ti dispiace vado ad occupare quel letto." mugugnò il ragazzo indicando l'altro lato della stanza, prima di essere colto da uno sbadiglio. 
Lo sentii muoversi e nonostante non sapessi bene cosa stessi facendo, mi mossi senza pensare, afferrandolo per un polso e trattenendolo dall'andare via.
"Potresti..." mi interruppi, accorgendomi di quando quella frase suonasse stupida nella mia testa. Eppure non potevo ignorare il panico che avevo provato nel momento in cui avevo sentito il braccio del ragazzo sfilarsi da sopra le mie spalle. "Potresti rimanere qui, per questa notte?" domandai arrossendo e dandomi mentalmente della stupida.
Non avevo il coraggio di addormentarmi di nuovo, non se lo facevo da sola.
Ogni volta che avevo avuto un incubo nella Radura, Newt mi aveva stretta forte a sè e in qualche modo riusciva sempre a proteggermi dai miei incubi. Ma da quando dormivo da sola mi sentivo scoperta, come se non avessi abbastanza difese con cui ripararmi.

Non ero sicura che la stessa cosa avrebbe funzionato anche con Stephen, ma potevo pur sempre provare.
"Certo." acconsentì comprensivo il ragazzo, rimettendo le gambe sotto le coperte e riposizionando il braccio sopra le mie spalle. "Ma sappi che se russi ti infilo uno dei miei calzini in bocca."
"Ew." mormorai schifata, arricciando il naso e sorprendendomi quando un sorriso solcó le mie labbra. 
Presi un bel respiro e mi feci coraggio, cercando di trovare una posizione comoda. Poi, agendo lentamente per paura di un rifiuto da parte del ragazzo, mi sistemai su un fianco e delicatamente appoggiai la mia testa sul suo petto. Sentii l'imbarazzo nascere in me, ma quando capii che il ragazzo non aveva intenzione di spostarmi, decisi di continuare a muovermi, avanzando con il braccio  lungo il suo addome e arrivando a sfiorare il suo fianco. Qui lo strinsi in un mezzo abbraccio impacciato ed il rossore sul mio volto svanì quando la comodità e la sensazione di essere al sicuro mi riempirono il cuore.
Sentii la mano del ragazzo scorrere sulla mia schiena e tirarmi a lui, per poi circondarmi anche con l'altro braccio. Poco prima di cadere in un sonno profondo percepii il suo fiato caldo sulla pelle del mio collo e la sua guancia strofinarsi sulla mia testa come una carezza celata.

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 11. ***


Era passato qualche giorno dalla notizia che Thomas mi aveva dato e le cose non erano affatto migliorate per me. Nei giorni successivi non avevo conosciuto altro che buio e dolore, senza parlare poi della costante frustrazione che mi assaliva ogni volta che capivo di non poter far nulla per cambiare quella situazione.

I miei giorni erano fatti di buio e solitudine. Nulla di nuovo per me, se non fosse per il fatto che mi sentivo sola perfino quando mi trovavo nel mezzo di tanta gente. Era come se la notizia della morte di Newt avesse fatto cadere un muro di pietra attorno a me, escludendomi dal mondo.
Era come se avessi un costante mal di testa che mi impedisse di fare tutto, perfino respirare mi era difficile, a volte. Ogni giorno mi ripetevo che fosse temporaneo, mi dicevo che sarebbe passato, che era solo un brutto giorno. 
Ma non era affatto così.

Le mie giornate erano invase dalle ombre, talmente dense e piene di spine che a volte era anche solo difficile aprire gli occhi e alzarsi dal letto. Era come se fossi incatenata nelle mie emozioni più nere, senza avere la chiave e senza nemmeno vedere una via d'uscita. 
E mi sentivo strana, costantemente. Come se fossi fuori luogo ovunque, come se nulla fosse più casa mia. Gli oggetti che prima sentivo familiari erano diventati insignificanti e così anche le persone.
Le piccole cose che una volta mi avevano lasciata a bocca aperta e con un senso di tranquillità, come il mare, ora mi erano indifferenti. 

Probabilmente ero stata etichettata come la ragazza matta, che urlava e picchiava persone, la ragazza senza freni con cui era impossibile discutere e che non usciva mai di casa. 
Il motivo per cui me ne rimanevo sempre chiusa tra quelle quattro mura?
Escludendo la fatica e la pesantezza del mio corpo che percepivo ogni giorno e che mi spingeva a restare a letto, mi rimaneva un solo motivo valido per rimanere in casa: gli sguardi della gente. C'era chi mi guardava con paura, chi con pietà e compassione, chi con tristezza... E la cosa per me era insopportabile. Sostenere i loro sguardi non era poi così difficile, certo, dato che alla fine erano sempre loro a distogliere gli occhi, troppo intimoriti dalla mia espressione e dalla mia reputazione. La cosa più insostenibile, invece, era osservare quelli che una volta erano stati miei amici. Da loro ricevevo un solo sguardo, ogni tanto. La maggior parte delle volte camminavano affrettati, guardando verso il basso o parlando tra di loro, fingendosi troppo impegnati per notarmi.

Minho forse era quello che ci aveva provato di più, ma senza riuscire a controllarmi lo avevo respinto.
Mi era venuto a parlare, chiedendomi come stavo, portandomi fiori strani che trovava durante le sue esplorazioni, ma dopo le mie continue risposte secche e il mio cattivo umore, aveva smesso di venire, prima riducendo le visite e poi cessandole completamente.

Gally? Gally era praticamente sparito, proprio come gli avevo chiesto.
Proprio come gli avevo chiesto... Era quasi fastidioso non vederlo più in giro, ma era la realtà. Era proprio ciò che gli avevo ordinato, eppure mi mancava.
Lo odiavo profondamente per quello che mi aveva fatto, ma sapevo di non poter fare a meno di lui e la cosa mi dava sui nervi.

Anche Thomas era sparito, ma non di sua volontà. Era stato spostato nell'Infermeria per curare ciò che gli avevo fatto. O almeno così Stephen mi aveva riferito.

Stephen. Lui, invece, era l'unico che non mi aveva data per persa, l'unico che aveva continuato a provare e riprovare nonostante il mio pessimo carattere. Tutti i giorni si alzava, mi portava un bicchiere d'acqua vicino al letto e mi dava un bacio sulla fronte come saluto prima di andare a lavorare. Quando tornava io ero ancora stesa sul letto, stessa posizione, stessa espressione, il bicchiere d'acqua ancora pieno.

Non avevo fame.
Non avevo sonno.
Non avevo energie.

Era come se stessi vivendo in un limbo senza uscita. Su un filo in bilico tra vita e morte.
Eppure Stephen non si era dato per vinto. 
Mi aveva obbligato a mangiare, imparando ad ignorare le mie lamentele e spesso a buttarmi il cibo in bocca con la forza. 
Mi aveva svegliato ogni volta che ero perseguitata dagli incubi, stringendomi a lui fino a che non smettevo di piangere e non mi tranquillizzavo.
Mi aveva trascinato nel mare almeno due volte alla settimana e durante tutto il tragitto non mi aveva mai lasciato la mano, perchè sapeva quanto potesse essere difficile per me camminare.

Ad ogni passo che facevo zoppicando non potevo che pensare a Newt.
Lui era diventato zoppo dopo aver tentato il suicidio.
Io ero diventata zoppa dopo aver salvato la persona che poi lo aveva ucciso.
Era buffo in un certo senso, perchè mentre io ero stata disposta a dare la mia vita per Thomas, lui era stato disposto ad uccidere il mio unico amore e il suo migliore amico.

Questo pensiero mi perseguitava fino a che non toccavo di nuovo il cuscino e mi addormentavo, spegnendo l'interruttore della realtà e accendendo quello degli incubi.
Mi era difficile capire quale dei due fosse il più insopportabile. A volte erano entrambi troppo terrificanti per permettermi di distinguerli.
Avevo perfino smesso di fingere che tutto andava bene, che io stavo bene. Mi ero tolta dal volto quella maschera fatta di sorrisi sporchi di tristezza e l'avevo sbriciolata tra le dita, continuando a vivere tra tutte quelle persone in un modo o nell'altro.

Perchè era questo quello che dovevo fare.
Vivere in un modo o nell'altro.
Sopravvivere in un modo o nell'altro.
Era quello che facevo.
Quello che le altre persone facevano.
Togliermi quella maschera dal volto era stato come togliermi un peso dallo stomaco. Tutte le recite che avevo fatto fino a quel momento, tutti i sorrisi falsi e forzati, tutte le risate finte per non creare imbarazzo... Tutto si era distrutto, ma con esso non il problema che mi aveva portato a creare quel mondo di finzione.

Mi ero lasciata cadere ed era questa la mia colpa.
Mi ero emarginata, isolata da tutto e da tutti.
Era come se stessi vivendo la mia vita da spettatore esterno. Tutto era rallentato dallo scorrere del tempo e i giorni diventavano indistinguibili tra loro, perchè accomunati dalle stesse emozioni e dallo stesso dolore che mi riempivano la testa ed il corpo, rendendolo pesante.
Niente mi faceva più provare nulla e la felicità era solo un puntino sbiadito alla mercè delle tenebre. 
Avevo la sensazione che nulla mia avrebbe più resa viva e capace di provare emozioni all'infuori della rabbia e della tristezza. 
Ero stanca di tutto quello, ma non c'era alcun modo di cambiarlo.

O almeno così credevo.



 

"Elena." una voce familiare interruppe il ronzio nelle mie orecchie.
Il mal di testa martellava nelle mie tempie al ritmo del mio cuore, diventando quasi insopportabile. 
Aprii gli occhi a fatica e una luce lieve spaccò il buio che prima mi circondava. Osservai attraverso la fessura delle palpebre la figura che si parava immobile davanti a me e aspettai che mi riferisse cosa aveva da dirmi.

"Perchè non vai a fare un giro?" domandò Stephen, accovacciandosi vicino al mio letto e afferrando con le dita il lembo della mia coperta tirata fin sopra il naso.
Delicatamente iniziò a farla discendere fino ad arrivare alla mia spalla, poi si fermò. Rabbrividii e non per il freddo, ma al pensiero che la domanda del ragazzo non fosse una proposta, ma un vero e proprio ordine a cui non potevo oppormi. Il solo pensiero di dover uscire dal letto e camminare mi pesava sullo stomaco come un macigno.

Mugugnai, lamentandomi, ma non mi mossi e il ragazzo non si diede per vinto, avanzando verso di me il suo indice e stuzzicando con esso il dorso della mia mano appiccicato sul naso.
"Avanti... Questa volta prometto che ti lascio libera di andare dove vuoi." propose il ragazzo, scostando un ciuffo ribelle dal mio volto e ponendolo dietro l'orecchio.
Non lo degnai di risposta, curiosa di sapere con cosa si sarebbe ingegnato per farmi uscire dal letto.

Se non altro in quei giorni avevo imparato che il ragazzo era un pozzo infinito di idee e proposte. Inutile specificare che aveva sviluppato questa capacità dal suo lavoro di babysitter e inutile perfino sottolineare che il modo in cui si rivolgeva alle bambine ed il modo in cui si rivolgeva a me non era poi così diverso.
"Puoi andare da sola, se vuoi. Giuro che non ti seguirò." continuò il ragazzo, evidentemente in difficoltà. 
Rilasciai un sospiro.

Prima esco dal letto e vado a fare questo giro, prima posso ritornare tra le coperte. Dissi nella mia mente, rilasciando un sospiro e sbattendo gli occhi nella speranza che la sonnolenza lasciasse il mio corpo. 
Non appena il mio alluce sfiorò il pavimento, il mio corpo diventò il triplo più pesante, ma con l'aiuto di Stephen riuscii comunque ad alzarmi. Il ragazzo mi porse il bastone e mi sorrise incoraggiante.
"Penso che andrò a fare un bagno nel lago." mormorai con voce roca, senza sapere esattamente il motivo della mia decisione.
"Ottima idea... Ricordati di asciugarti bene. Non voglio vederti di nuovo malata." si raccomandò il ragazzo, assumendo per un istante i panni di una mamma preoccupata.
"Agli ordini, capo." biascicai muovendo prima il bastone e poi le mie gambe indolenzite.

Uscii dalla casa ed ignorai il fastidioso bruciore agli occhi dovuto al fatto che non uscivo almeno da qualche giorno.
Camminai al lato della casa e poi puntai dritta verso il bosco, camminando lenta e sentendo le mie gambe riprendere lentamente energia. Sollevai il capo solo due o tre volte per essere sicura di starmi dirigendo nella direzione giusta e per evitare di incrociare gli sguardi curiosi degli altri.
Mi morsi il labbro pur di non rivolgere loro le mie peggiori occhiate assassine e continuai per la mia strada fino a che qualcuno non mi si parò davanti.
"Guarda chi si vede, la mia alunna preferita." la voce inconfondibile di Matthew mi riempì le orecchie, facendomi sospirare.

"La tua unica alunna, direi." borbottai cercando di assumere un sorriso che non fosse inquietante o troppo forzato. Dalla faccia del dottore compresi di aver miseramente fallito nel mio tentativo.
"Severa, ma giusta." ridacchiò l'uomo, grattandosi la nuca visibilmente in imbarazzo. "Senti, so che è un brutto periodo per te, ma volevo solamente dirti che... Senti, mi dispiace per quello che ti è successo, credimi, ma restare in casa, sempre a letto, non ti aiuta. Non fa bene al tuo cervello nè al tuo corpo e contando che hai una gamba da riabilitare, non le fa bene rimanere sempre ferma."
Scossi la testa. Tipico.
"Lo so, infatti stavo proprio andando a farmi un bagno." mormorai stanca, indicando il bosco e alludendo al piccolo laghetto che Gally mi aveva mostrato durante il tour.

Gally. Una fitta al cuore accompagnó quel nome.
Il dottore blateró qualcosa che non riuscii a cogliere, ma si fece da parte per lasciarmi passare, perciò non persi quell'occasione per filarmela.
"Oh, giusto..." mormoró Matthew dietro di me, facendomi voltare. "Prima ti ha cercato... Come si chiama... Quel tizio che fabbrica mobili. Quello con il nome strano. Gatty? Gilly?"
"Gally." buttai fuori.
"Sì, sì. Gelly, lui."
Scossi la testa e non provai nemmeno a correggerlo. "Voleva sapere come stavi e gli ho detto di andarlo a chiedere direttamente a te!" ridacchiò il dottore, come se fosse la cosa più banale della terra. "Gli ho detto anche che la compagnia non ti fa male, ma lui se n'è andato senza dirmi niente. Ho presupposto che avesse seguito il mio consiglio." 
Annuii senza sapere bene cosa dire. 
"Quindi è venuto?" insistette l'uomo.

Feci spallucce. "No. Non è venuto." scossi la testa e da una parte mi sentii triste. Gally non era venuto.
E' quello che gli ho chiesto, dopotutto. Mi ricordai. Sta semplicemente rispettando le mie richieste.
"Oh, be' mi dispiace." mormorò l'uomo, tutto il suo entusiasmo svanito nell'aria. "Sono sicuro che verrà." mi rassicurò, probabilmente all'oscuro di tutto ciò che era accaduto tra di noi. 
"Sì, sono sicura." borbottai mentendo perfino a me stessa. Volevo solo concludere quella conversazione e buttare la testa sott'acqua.
"Allora buon bagno, unica allieva." ridacchiò Matthew imbarazzato, salutandomi con la mano. Mi voltai e ricambiai il gesto da dietro, per poi concentrarmi sull'arrivare al laghetto nel minor tempo possibile.

Quando finalmente scorsi l'acqua tra tutto quel fogliame tirai un sospiro di sollievo. Appoggiai il bastone sui cespugli che circondavano una piccola parte del laghetto, poi mi tolsi le scarpe e le disposi accuratamente vicino al bastone, perdendomi poi ad osservare l'acqua così calma e trasparente da farmi provare l'angoscia di doverla raggiungere subito per entrare a far parte di quella tranquillità.
Non persi nemmeno tempo a spogliarmi ed entrai nell'acqua con tutti i vestiti, senza nemmeno curarmi delle conseguenze di quella scelta.
Sentii i capelli solleticarmi la schiena e sfiorarmi le spalle non appena appoggiai la testa sulla superficie dell'acqua, poi allungai gambe e braccia, sollevando il bacino leggermente ed iniziando a galleggiare. Chiusi gli occhi nella speranza di liberare la mente, ascoltai il canto degli uccellini e mi concentrai sul rumore del vento tra le foglie, quasi comparabile al suono delle onde nel mare.

Presi un profondo respiro e, quasi come se con esso avessi inalato anche le ombre, all'improvviso una miriade di pensieri mi invase, rendendomi pesante e dolorante. La mia testa riprese a dolere e il mio petto a martellare contro la gabbia toracica, impedendomi quasi di respirare in modo regolare. Il mio equilibrio venne a mancare e per un momento mi ritrovai a buttare la testa sott'acqua per riuscire a riacquistare il controllo del mio corpo e farlo risalire in superficie.

Poi, però, avvenne una cosa strana.
Non appena aprii gli occhi sott'acqua mi accorsi di avere la mente libera, pulita, come se tutte le mie preoccupazioni fossero rimaste fuori dall'acqua perchè incapaci di nuotare. 
Sbattei le palpebre e rilasciai un piccolo soffio d'aria che ben presto raggiunse la superficie sotto forma di bollicine. Scostai i capelli da davanti i miei occhi e mi guardai attorno, notando che la mia maglia bianca si stava alzando verso la superficie mentre i miei pantaloni rimanevano attaccati alla mia pelle. Mossi le braccia e andai a finire ancora più in profondità e quando sentii il mio sedere andare a sbattere contro il terreno di fondo, mi fermai, rilasciando un altro po' d'aria.

Rimasi immobile fino a quando a quando i miei polmoni non iniziarono a rimpicciolirsi e a bruciare, chiedendo disperatamente aria. Il mio cuore iniziò a battere sempre meno velocemente e se rilasciavo un po' d'aria riprendeva a battere con furia.
Un pensiero mi attraversò la mente e macchiò il bianco di essa con un puntino rosso e fastidioso. Lentamente il punto iniziò ad allargarsi e ben presto tutto il bianco venne risucchiato in quella macchia color cremisi.
Fu un attimo. Un attimo solo e poi tornò la pace.

La mia mente era di nuovo vuota, libera e questa volta perfino leggera.
Il mal di testa era peggiorato, ma non era più fastidioso.
Il dolore al petto, quello fisico, aumentava, mentre quello emotivo diminuiva.
Aprii la bocca e lasciai che le ultime bollicine d'aria lasciassero le mie labbra. 
L'inferno prima della quiete. Pensai chiudendo gli occhi.

Quando arrivai al limite, tutto il dolore cessò insieme alla pena, e il mio ultimo pensiero fu per Newt.
Riaprii gli occhi per quella che credevo essere l'ultima volta e mi parve quasi di vederlo. I suoi occhi spalancati, i capelli biondi accarezzati dall'acqua, le labbra serrate e l'addome con gli addominali appena scolpiti sotto la maglietta bagnata.
Sorrisi malinconica e tossii senza riuscire a controllarmi, per poi bere l'acqua del lago in cerca d'aria. Riaprii gli occhi e mi obbligai a fissare il volto di Newt. Feci appena in tempo a scorgere le sue braccia che si allungavano verso di me, come a chiedermi un abbraccio prima del buio, poi mi sentii stringere a lui, una sensazione spaventosa e allo stesso tempo strana. Come riuscivo a percepire il suo tocco?

In meno di un secondo realizzai: il mio cervello aveva di nuovo provato a giocare con i miei sensi.
Mi sentii trasportare verso l'alto e chiusi istintivamente le braccia attorno al corpo che mi stava trascinando verso la salvezza che non ero sicura di meritare nè di volere.
Tossii per la seconda volta e solo dopo aver riaperto gli occhi mi accorsi di essere tornata in superficie. Colta alla sprovvista dall'istinto di sopravvivenza presi un profondo respiro, forse troppo violento, che non fece altro che chiudermi la gola ancora di più, come se fosse stato quello a farmi soffocare. Iniziai a tossire e quando percepii l'erba sotto i miei palmi conficcai le dita nella terra e continuai a tossire, sputando fuori la mia anima insieme a tutta l'acqua che avevo inalato.
Continuai fino a che la mia gola non prese a bruciare, come se fosse stata graffiata da rocce appuntite e spine, e nonostante il dolore che mi perforava anche i polmoni in fiamme, respirare era un sollievo.

Mi sedetti a terra e portai il braccio ad asciugare l'acqua sulle mie labbra, ottenendo l'effetto contrario e bagnandomi ancora di più. Feci per portarmi una ciocca di capelli dietro le orecchie per poter vedere il volto della persona che mi aveva portata fuori, quando mi sentii catapultare all'indietro, sbattendo la testa e la schiena contro il suolo.
"Che diamine pensavi di fare, eh?" ruggì una voce rabbiosa sopra di me.
Sentii delle goccioline bagnarmi il volto e aprii gli occhi, ritrovandomi a fissare il volto gocciolante di Gally. Il ragazzo era fradicio d'acqua: i suoi capelli arruffati cadevano sul suo volto, rilasciando goccioline e bagnandomi il volto; i suoi vestiti erano zuppi e per questo appiccicati al suo corpo, sottolineando ancora di più le forme dei suoi muscoli; il volto contratto in una smorfia di rabbia e confusione, lucido per via dell'acqua; le sue ciglia annerite perchè bagnate e il suo naso rosso e colante acqua.

"Elena, cosa pensavi di fare?" continuò il ragazzo scuotendomi al suolo e spaventandomi.
Solo dopo qualche attimo mi accorsi che la paura che provavo non era rivolta alla brutalità nei movimenti del ragazzo, ma a me stessa. Avevo paura di me stessa e terrificata da ciò che ero arrivata a fare.
Cosa ho fatto?

*Angolo scrittrice*
Hey, pive!
Una cosa veloce prima di lasciarvi. 
Ci tengo a specificare che con questo capitolo non promuovo in alcun modo la scelta del suicidio come soluzione alla depressione. Siate pazienti e aspettate il prossimo capitolo dove vi spiegherò meglio il motivo della scelta di questo argomento.

Baci,

Elena ♥

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Capitolo 14
*** Capitolo 12. ***


{ATTENZIONE: please, leggete l'angolo scrittrice in fondo, so che è lungo, ma è importante!}

"Lasciami stare Gally." ordinai spingendo le mie mani sul suo petto nel tentativo di staccarmelo di dosso.
"No, diamine." grugnì il ragazzo scuotendo la testa. "Ti lascio solo se mi dici cosa ti è preso e se mi prometti che ti calmerai."
Lo fissai per un po' negli occhi e strinsi la mascella. "Sai cosa mi è preso." borbottai spintonandolo via e rotolando lontano da lui. Mi sollevai sulle ginocchia e poi mi alzai in piedi, vedendo il ragazzo fare lo stesso.
Allungai lo sguardo per cercare il mio bastone e lo trovai a poca distanza dai piedi del ragazzo, il quale si stava sostenendo al tronco di un albero.
Gally parve accorgersi del mio intento di riprendermi il bastone, perciò vi si piazzò davanti incrociando le braccia.
"Oh, andiamo." mormorai frustrata, facendo un passo avanti. "Spostati."
Il ragazzo sollevò il sopracciglio e mi guardò stupito. "Prego per averti salvato la vita, eh."
Scossi la testa ed avanzai verso di lui, avvicinandomi all'albero per poter così aggirare il ragazzo e afferrare il bastone. Prevedendo anche questa volta le mie mosse, il ragazzo scattò verso di me, allungando il braccio verso la corteccia e piazzandolo proprio davanti al mio naso, impedendomi di passare.

Sbuffai e lo guardai negli occhi. "Fai sul serio?" domandai corrugando la fronte. Aspettai per diversi secondi una risposta da parte del ragazzo, ma quando questo si limitò a fissarmi negli occhi in cerca di chissà cosa, sbottai. "Va bene." brontolai. "Fai come vuoi, io me ne vado."
Mi voltai decisa a lasciare quel posto con o senza bastone, ma feci appena in tempo a compiere solo due passi prima che il ragazzo mi afferrasse il polso, strattonandomi all'indietro. "Sai una cosa? A me non va bene." grugnì Gally, obbligandomi ad assecondare i suoi movimenti per far sì che la presa sul mio polso diventasse più tenue.
"Lasciami andare." brontolai strattonando il braccio inutilmente e facendo un passo indietro. Non appena sentii la mia schiena scontrarsi con il tronco dell'albero, capii di essere in trappola.
"No, non ti lascio. Non questa volta. Non di nuovo." mormoró il ragazzo scuotendo la testa e appoggiando il braccio libero sulla corteccia, proprio all'altezza del mio volto.
"Lasciami in pace, non sono fatti tuoi." dichiarai a bassa voce, abbassando lo sguardo verso le sue dita strette attorno al mio polso.

Se dovevo proprio essere sincera, iniziavo ad avere un po' di timore. Il ragazzo non si era mai comportato il quel modo con me ed ero sicura che la forza con cui stava stringendo il mio polso fosse solo un'assaggio della sua potenza.
Dopo le mie parole il ragazzo aveva distorto la bocca in una smorfia di disapprovazione e aveva scosso la testa. "Oh, così io non posso ferirti, ma tu puoi tentare il suicidio?" domandó sbalordito il ragazzo, negli occhi uno sguardo ferito. "Certo che sono fatti miei, Elena! Sei la mia migliore amica, caspio."
"Ex-migliore amica." lo corressi facendo il broncio e distogliendo lo sguardo.
"Pensi che sarebbe fiero di te se ti vedesse ora?" chiese il ragazzo di punto in bianco.
Spalancai gli occhi, ferita dalle sue parole, ed aprii la bocca sbalordita, rifilandogli uno sguardo deluso. Strinsi la mascella e vietai alle lacrime di uscire. "Pensi che si sarebbe fatto sparare se gli fosse importato di me?" ringhiai obbligando la mia voce a non incrinarsi, riuscendoci a stento.
Gli occhi di Gally si spalancarono e i suoi occhi cambiarono totalmente, diventando più apprensivi e tristi. "Davvero la pensi così?" domandó stupito e colpito dalla mia affermazione, riducendo di poco la presa sul mio polso.
"Cos'altro dovrei pensare di un ragazzo - il mio ragazzo - che prima dice di amarmi, mi fa tante promesse del caspio e poi si fa uccidere senza nemmeno lasciare un biglietto, huh?"
Il ragazzo fece per aprire la bocca, ma lo precedetti. "Cosa dovrei fare? Ringraziarlo?" serrai i denti e sentii la frustrazione nascere in me. "Tu non sai cosa significa amare una persona con tutto se stessi e vederla sparire per sempre." Abbassai lo sguardo a terra quando sentii le lacrime pizzicare sulle mie guance. "Non sai cosa significa impazzire e arrivare perfino ad odiare una persona che fino a pochi momenti prima si amava."

"Eli..." il ragazzo si interruppe subito e poi si corresse. "Ele, ascolta." disse con tono più calmo. "Non puoi andare avanti così. Devi reagire."
"Sì, magari provare ad essere anche felice, vero?" ridacchiai nervosa.
Osservai il ragazzo negli occhi, la sua espressione era così triste e frustrata che per un attimo mi dimenticai della paura che avevo provato precedentemente. Sapevo che il ragazzo non mi avrebbe mai fatto del male. Lo vidi aprire la bocca per replicare e a quel punto le parole mi uscirono dalla gola senza che lo avessi ordinato e, per la prima volta dopo mesi, stavo veramente parlando con il cuore, aprendomi e sfogandomi in modo sincero come non avevo mai fatto con nessuno. "So cosa dirai... 'Tutto passerà, vedrai che andrà meglio', ma non è così. Non andrà mai meglio. Per quanto credi che io riesca a non pensare a lui, huh? Per un minuto? Un giorno, forse. Ma quell'attimo, quella giornata, alla fine non risolvono niente. Io mi risveglierò la mattina ed un attimo dopo realizzerò che lui non è lì con me e che non lo sarà mai più. Quindi..." presi un profondo respiro e ricacciai indietro le lacrime, sempre più difficili da contenere. "Gally, non è facile. Quando perdi qualcuno non è mai facile, perchè sei consapevole che nulla lo porterà mai indietro. Non un sogno, non uno stupido ricordo. Quando perdi qualcuno le uniche cose che ti rimangono sono dei buchi nella tua vita: un buco nello stomaco che non ti fa mangiare; un buco nella mente che non ti fa dormire; un dannato buco nel cuore che non ti fa più provare nulla all'infuori del dolore." serrai le labbra e mi morsi la lingua per riuscire a controllarmi. Lanciai un'occhiata al ragazzo, il suo sguardo era attento e comprensivo.

Mi stava ascoltando e già questo era un sollievo. Presi un respiro e continuai: "Ma la cosa peggiore, è che nemmeno questa è la parte più insopportabile. La parte più insopportabile della tua vita arriva quando ti rendi conto che la persona che hai perso si è portata via una parte di te, lasciando così un vuoto incolmabile che fa dannatamente male e..." la mia voce si ruppe e un singhiozzo uscì libero dalle mie labbra. Conficcai le unghie nel mio palmo e nonostante tutti i miei sforzi non riuscii a continuare.
La corda della mia resistenza e ciò che mi permetteva di contenermi andò in frantumi nel momento in cui sentii il ragazzo tirarmi a sè e imprigionarmi in un abbraccio forte e solido. "E' normale che tu ti senta vuota dopo aver lasciato pezzi di te in quello che amavi. Ti conosco bene Ele e so che il tuo modo di amare non è mai parziale. Tu ami con tutta te stessa e per questo sei coraggiosa." il ragazzo mi accarezzò una schiena e mi strinse ancora di più a sè. "E sei forte."
"Sì, certo." ridacchiai nervosa, affondando il mio volto sul suo petto per poi asciugarmi le lacrime con il dorso della mano. "Ecco come sono forte." dissi ironica.

"Oh, piangere non è essere deboli, piccola." mormorò Gally, sicuramente con un sorriso sulle labbra. "Le persone piangono perchè sono state forti troppo a lungo."
Il ragazzo depositò un bacio sulla mia tempia, poi mi allontanò lentamente, prendendo il mio viso tra i suoi palmi. "Essere forti non significa riuscire a trattenere le emozioni, ma a crollare ogni volta che ce n'è bisogno per poi rialzarsi più indistruttibili di prima." spiegò asciugando con i pollici le lacrime sulle mie guance. "Proprio come fai tu." aggiunse poi con un sorriso sincero.
Qualcosa di strano accadde dentro di me.
Non saprei come descriverlo, ma di certo era qualcosa che non mi capitava da tanto.
Una sorta di luce bianca e candida che mi riscaldava dolcemente. Una luce che in un battito di ciglia aveva trasformato le mie preoccupazione e le mie ombre in raggi luminosi. In qualche modo mi sentivo come se non avessi più dovuto scappare dai miei problemi.
In qualche modo riuscii a capire in che cosa consistesse la chiave che avrebbe potuto sciogliere le mie catene e liberarmi dal buio.
Non dovevo scacciare le ombre. Io dovevo... accettarle e trasformarle in qualcosa di unico, di personale.
"Sei arrivata ad un bivio, Eli." il ragazzo si corresse ancora una volta per poi riprendere a parlare. "Ele, ora possono succedere solo due cose: puoi decidere di chiedere aiuto o puoi tentare il suicidio."

Ebbi un colpo al cuore. 
Newt mi vorrebbe vedere felice. Mi vorrebbe vedere lottare. Pensai inghiottendo un groppo di saliva.
Promettimi che non smetterai mai di lottare. Le parole del ragazzo risuonarono chiare nella mia mente, come se fosse stato lui in persona a sussurrarmele all'orecchio.
Se veramente un giorno morirò o comunque sarò lontano da te, promettimi che continuerai a vivere, lottando per entrambi come se fossi ancora insieme a te. 
Era vero: Newt aveva fatto molte promesse e ne aveva infrante altrettante. Dovevo accettarlo e comprenderlo perchè sbagliare era umano e sapevo anche che Newt non le aveva infrante per farmi male, ora lo potevo comprendere. Ma solo perchè lui aveva infranto le sue promesse, questo non significava che anche io avrei dovuto incorrere nello stesso errore.
"Quindi... Cosa scegli, Eli?"
Guardai il ragazzo negli occhi e subito la speranza che vidi in questi venne macchiata da uno strato di preoccupazione. Il ragazzo aprì la bocca per correggere di nuovo il soprannome con cui mi aveva chiamata, ma lo precedetti. "Non devi correggerti, Gally." spiegai sorridendogli incoraggiante. "Va bene così."
Il ragazzo parve sorpreso, ma non disse nulla, così gli afferrai la mano e la strinsi forte alla mia. "Decido di chiedere aiuto."



 

Io e Gally eravamo rimasti seduti all'ombra di un cipresso per quelle che erano sembrate ore. Avevamo parlato di tutto, affrontando anche l'argomento Thomas. Gally mi aveva più volte chiesto scusa per non avermelo detto prima, chiarendo il fatto che l'unico motivo per cui non me lo aveva detto era stato che pensava che Thomas avrebbe potuto riferirmelo in modo migliore, rispondendo alle mie domande sull'accaduto e dandomi la versione più veritiera di ciò che era successo. Quello che però il ragazzo non aveva preso in considerazione era stata la mia reazione e il mio rifiuto di sentire tutta la storia. Sapevo che dovevo conoscere come erano andati i fatti, ma ancora non mi sentivo pronta.
Una cosa che però mi rassicurava era sapere che Gally mi aveva promesso di non raccontare ciò che avevo fatto a nessuno, perciò almeno da quel punto di vista potevo stare tranquilla.
Avevamo continuato a parlare fino a che Minho non ci aveva raggiunto con un'espressione preoccupata, interrompendoci. "E' successo qualcosa?" chiese il ragazzo osservando la tranquillità sul mio volto. "L'hai sedata o qualcosa del genere?"
Cercando di nascondere il sorriso che quella battuta sarcastica aveva suscitato in me, rifilai al ragazzo un'occhiataccia mortale che subito lo fece indietreggiare. "S-Stavo scherzando."
"Nessun sedativo, faccia di caspio." ribadii, scuotendo la testa. "Gally mi ha fatto capire che devo provare a reagire e quindi... sto solo provando, ecco tutto."
"Q-Quindi avete... fatto pace?" domandò il ragazzo aggrottando le sopracciglia e accovacciandosi davanti a me.

"Sì, spazzolino per il cesso." borbottai sforzando un sorriso e pensando a quanto fosse strana quella situazione. Per un attimo mi sembrava di essere tornata ai vecchi tempi.
Minho aprì la bocca e assunse un'espressione offesa. Si portò una mano sul petto e l'altra sui capelli, poi fece per parlare, ma all'improvviso il suo volto si illuminò, segno che aveva appena avuto un'idea geniale. "Aspetta un secondo..." mormorò il ragazzo gattonando più vicino a me. "Se ti lascio chiamarmi 'spazzolino per il cesso' per il resto della vita," il ragazzo fece una pausa e mi puntò il dito contro. "sono perdonato anche io?"
Mi morsi il labbro e affogai la rabbia che mi salì spontanea non appena pensai all'accaduto. Le occhiate che Minho mi aveva rifilato, quella freddezza e quel carattere distaccato che mi avevano fatto sempre credere di aver sbagliato qualcosa, quando invece il ragazzo stava solo cercando di nascondere un segreto troppo grande.

Ero davvero disposta a perdonarlo?
In realtà non mi sentivo per niente pronta a farlo, ma se dovevo contare tutti i tentativi che aveva fatto per farsi perdonare e l'amicizia che avevamo nutrito prima dell'accaduto, forse si meritava il mio perdono. O per lo meno una seconda occasione.
"Perchè questo silenzio non mi fa pensare a nulla di buono?" sussurrò Minho a Gally, socchiudendo gli occhi e guardandomi con sospetto.
"Perchè sei perdonato, spazzolino per il cesso." borbottai alzando gli occhi al cielo e scuotendo la testa.
Il ragazzo aprì la bocca in un sorriso e mi guardò con occhi luccicanti e pieni di felicità. 
"Posso chiamarti anche io 'spazzolino per il cesso'?" domandò Gally curioso, allungando il volto verso Minho e attendendo una risposta.
"Stai zitto e levati, faccia di sploff." ordinò Minho, piazzando la sua mano sulla faccia di Gally e spingendolo via in modo poco delicato. Il ragazzo poi aprì le braccia e fissandomi con uno sguardo sognante mi si gettò addosso, stritolandomi in un abbraccio. "Che bello, bambolina, pensavo mi avresti tenuto il broncio per anni."
Dopo diversi secondi di quella dimostrazione d'affetto più simile ad una mossa di soffocamento piuttosto che ad un abbraccio, il ragazzo si distaccò e mi sorrise sincero per poi rivolgersi a Gally il quale era intento a massaggiarsi il naso.
"Non pensavo che l'avrei mai detto, ma penso che sia necessario, ora come ora." borbottò il Velocista facendo spallucce e mettendo una mano sulla spalla di Gally. "Grazie per averla trasformata di nuovo in un cucciolo indifeso, senza denti e senza artigli, Gally."

"Ehi, io sono ancora qua!" esclamai dando un pugno sul braccio di Minho e osservandolo ridere.
Scossi la testa e mi portai le ginocchia al petto, appoggiandoci sopra il mento.
"Oh, a proposito." mormorò Minho dandosi una botta in fronte come se si stesse rimproverando per essersi dimenticato qualcosa. "Posso rubartela un attimo?" domandò a Gally, indicandomi con un cenno del mento.
Gally sollevò le mani in aria e poi fece spallucce. "Tutta tua."
"Bene così." borbottò Minho, allungandomi una mano e tirandomi su con agilità.
"Dove andiamo?" domandai quando vidi che il ragazzo mi stava trascinando verso chissà dove. Facevo quasi fatica a seguirlo e usare il mio bastone era abbastanza difficile quando dovevo camminare velocemente.
"Ma tu le odi proprio le sorprese?"
"Io? Be' dipende... In un certo senso odio non sapere cosa succederà."
"No, credimi, non c'è nulla di cui preoccuparsi." mi rassicurò il Velocista anche se stentai a credergli dato che, contando la sua ironia non sempre coglibile e il suo carattere sempre burlone e spiritoso, dubitavo che quella sorpresa fosse veramente nulla di cui preoccuparsi.
Decisi però di fidarmi e mi lasciai condurre dal ragazzo che - me ne accorsi solo dopo molto - mi stava portando proprio a casa mia. Spalancai gli occhi sorpresa e poi corrugai la fronte dubbiosa. Se nel momento precedente avevo avuto qualche ipotesi riguardo a cosa quella sorpresa avrebbe potuto essere, in quel momento non ne avevo nessuna.
Minho mi condusse alla porta e solo in quell'istante lasciò la sua presa sulla mia mano, battendo sul legno con un ritmo strano. "E' casa mia, puoi entrare senza..."

"Shh, bambolina." disse Minho facendo un passo indietro e lanciandomi un'occhiata divertita. "So quello che faccio." 
Gli rifilai un'occhiata dubbiosa e allo stesso tempo preoccupata: già il fatto che il ragazzo stesse indietreggiando non mi piaceva affatto.
"Tu non entri con me?" domandai aggrottando le sopracciglia e indicando la porta ancora chiusa.
"Io? Ehm, no... Ho da fare... Sai, questa sera... Be', devo andare, eh." mi liquidò il ragazzo, scuotendo la mano in aria e voltandosi per poi prendere a camminare nella direzione opposta a quella da cui eravamo venuti. 
"A sta sera, bambolina." esclamò il ragazzo dopo qualche passo, agitando una mano in aria e sorridendomi incoraggiante.
Non feci nemmeno in tempo a chiedergli cosa intendesse con 'ci vediamo questa sera' che la porta si aprì, catturando immediatamente la mia attenzione e facendomi dimenticare del tutto che quella sera non avevo preso appuntamenti con Minho.
"Ciao." mormorò felice una voce, ancora prima che riuscissi ad elaborare a chi appartenesse la figura davanti a me. "Come va?"
Spalancai gli occhi e aspettai un po' prima di rispondere. 

Violet se ne stava in piedi sulla soglia della mia porta.
Non sapevo se essere più stranita per il fatto che fosse lei ad essere dentro la mia casa ed io fuori di essa, o per il fatto che era scomparsa per tutto quel tempo per poi piombare nella mia vita come se nulla fosse. 
Non mi era venuta a trovare nemmeno una singola volta dopo quello che era accaduto con Thomas ed era inutile specificare che ci ero rimasta molto male. Nonostante in quel periodo non avessi voluto vedere nessuno, un po' mi aspettavo una sua visita ed ero rimasta delusa quando lei non si era presentata.
"Cosa ci fai qui?" domandai, suonando più fredda di quello che avrei voluto.

Ricordati la promessa fatta a Gally. Mi ricordò la mia mente.
Il sorriso sulle labbra di Violet si spense e la ragazza all'improvviso perse tutta la sua sicurezza, facendosi più scura in volto. "So che è un brutto periodo per te, ma... P-Puoi... Possiamo parlare?"
Combattei con tutta me stessa contro la voglia di lanciarle un'occhiata di fuoco e andarmene da quel posto senza rivolgerle la parola, ma con tutto quello che lei aveva fatto per me in passato e l'amicizia sincera che avevamo condiviso, sommate al comportamento strano di Minho quel giorno, non potevo non darle un'occasione in più. Ero curiosa.
Annuii serrando le labbra e mordendomi la lingua per non dire cose acide o stupide. 
La ragazza parve sorpresa dalla mia risposta, ma il suo sorriso appena accennato fu abbastanza spontaneo da farmi capire che ci teneva veramente a me, al contrario di quanto avevo pensato.

Violet si fece da parte e mi fece segno di entrare.
"Credo che dire 'fai come se fossi a casa tua' sarebbe abbastanza controsenso qui, non è vero?" domandò la ragazza cercando di spezzare quell'atmosfera glaciale. 
"Già." borbottai facendo spallucce e rivolgendole la mia completa attenzione.
"Senti..."
"Non sei mai venuta a trovarmi."
Le parole mi uscirono di bocca senza che riuscissi a controllarle. Non mi accorsi subito di quanto la mia voce fosse risultata fredda e distaccata, ma al contrario Violet reagì immediatamente, irrigidendosi e mordendosi il labbro.
"Lo so, e forse... forse ho sbagliato, ma..." la ragazza prese un respiro e con un sorriso sforzato lanciò uno sguardo a qualcosa dietro di me. 
Mi trattenni dal girarmi. Volevo chiarire con lei il prima possibile.
"Volevo farlo. Veramente. Poi però ho visto gli effetti che le visite degli altri avevano su di te e ho capito che venirti a trovare qualche volta non era abbastanza." spiegò la ragazza. "Sai come sono fatta e sai anche che mi piace fare le cose come si deve, quindi... quindi capirai anche questo." mi informò la ragazza, indicando qualcosa alle mie spalle.

Mi voltai lentamente, dubbiosa, e quando vidi il mio letto riempito di fogli non capii. Mi avvicinai ancora di più e presi in mano uno di essi, esaminandolo. Inizialmente mi sembrò uno dei soliti schizzi di Matthew e un po' rimasi delusa, ma quando mi misi ad analizzare le scritte più attentamente, capii che qualcosa non andava. "Questo... Questo non è uno degli schizzi di Matt." decretai. "Almeno, non mi sembra di averlo mai studiato."
"Esattamente." disse entusiasta la ragazza. "Mi sono impegnata molto in questi giorni per farti qualcosa di speciale e sono uscita in esplorazione diverse volte. Alla fine, quasi per sbaglio, mi è capitato di scoprire nuovi tipi di piante e, provando e riprovando, analizzando anche la loro discendenza e il loro ramo di appartenenza, Matthew mi ha permesso di aggiungerle all'elenco di piante utili." mi raccontò la ragazza. "So quanto ti piaccia andare in esplorazione nel bosco, ma dato che in questi giorni non sembri dell'umore adatto, ho deciso di portare io il bosco da te. Anche con l'aiuto di Minho." aggiunse la ragazza, sorridendomi incoraggiante e alludendo a tutti i fiori che il Velocista mi aveva consegnato nelle sue visite.
Non riuscivo a muovermi, tanto era il sollievo che provavo in quel momento. Quello che Violet mi aveva fatto era la dimostrazione che non sempre tutto quello che osservavo dal mio punto di vista era la verità. Non riuscivo mai ad impararlo a fondo che nulla era mai come sembrava e ogni volta cascavo nello stesso tranello.
Vedendo la mia espressione muta, Violet si spense un po', poi però qualcosa si accese in lei, come un'ultima speranza, e la ragazza sollevò la coperta di pelle stesa sul mio letto.

Sul muschio giaceva un arco lungo e intagliato, totalmente in legno.
"Questo non posso dire di averlo fatto tutto io. Diciamo che Gally ci ha messo le mani... Spesso... Molto spesso. Il fatto è che commettevo errori nell'intagliare e quindi..."
"Violet." stoppai la ragazza, interrompendo la sua parlantina agitata. 
La ragazza si fece paonazza e i suoi occhi vennero avvolti da tristezza e preoccupazione. "E' perfetto." decretai, accennando un sorriso e causando nella ragazza un immediato sospiro di sollievo. "E' tutto perfetto." aggiunsi poi racchiudendola in un abbraccio sincero.

*Angolo scrittrice*

Hey pive!
Sono qui solo per dirvi due cose:
1- Se avete sommato la frase "O almeno così credevo" (la frase del capitolo precedente che era riferita al fatto che Elena non potesse fare nulla per uscire dalla depressione) al suicidio che la ragazza ha tentato dopo, allora vi siete sbagliati.
Gally ha dato ad Elena due decisioni, giusto? Chiedere aiuto o tentare il suicidio.
Con la frase "O almeno così credevo" ho voluto sottolineare che c'è sempre un modo per uscire dai problemi, ma di certo questo non è il suicidio. Quello che Elena poteva effettivamente fare per uscire dal suo stato di depressione era chiedere aiuto, smettere di stare da sola e obbligarsi a stare in compagnia.
Personalmente non ho mai sofferto di depressione, ma mi sono informata parecchio prima di scrivere il capitolo, in quanto non volevo rischiare di dire cose sbagliate. 
Sappiamo tutti che la depressione non è una semplice tristezza, ma qualcosa di molto più grande e incontrollabile. 
Colgo l'occasione per dirvi che se mai qualcuno soffrisse veramente di depressione, non deve lasciar perdere. Non deve gettare la spugna, anche se sembra impossibile andare avanti. Ci sono tanti modi per uscire dalla depressione e uno dei migliori è farsi aiutare.
Amici, famiglia, psichiatra, psicologo e perfino dagli sconosciuti. Chiedete aiuto e non restate soli.
Perchè a volte ci sono problemi più grandi di noi che non sempre possiamo risolvere da soli.
Detto ciò, spero che nessuno abbia frainteso il mio messaggio.
Ripeto, scrivendo questi capitoli non avevo assolutamente intenzione di istigare al suicidio o robe simili, bensì il contrario.
Mi dispiace se i capitoli vi sono sembrati pesanti, ma ho pensato che far riflettere su un argomento del genere fosse importante.

2- Sto lavorando su un altro video Newtlena. Sì, un altro. Non so se sono fissata perchè mi diverto o perchè ancora non sono soddisfatta, ma in ogni caso spero che questo esca meglio. Vi prometto una qualità migliore, questa volta. Ma... Dato che ho un'indecisione colossale nella musica da scegliere, vi propongo due canzoni e poi in base a quella che ha ricevuto più voti, sceglierò.

La prima canzone si chiama All I Want - Kodaline. Una delle canzoni più belle a mio parere, ma anche perfette per il nostro contesto, dato che le parole sono molto simili alla situazione di Newt ed Elena. Ho pensato perciò che sarebbe stato carino usare una cover femminile e non la canzone originale per far sembrare che sia proprio Elena a parlare. Perciò qui sotto trovare il link al lyrics della cover che Emma Bale ha fatto. Di questa canzone sono fondamentali le parole, quindi se siete curiose andate a leggervi la traduzione che è quasi uguale alla canzone originale (fatta eccezione per alcune parole come 'girl' al posto di 'man' o 'scenes' al posto di 'screens').

https://www.youtube.com/watch?v=68fAjd29pR0   

La seconda canzone si chiama Flares - The Script ed è altrettanto bella e significativa. Questa parla più di come si sente Newt, anche se a tratti ci sono frasi che si possono accoppiare ad Elena, come il dolore, la perdita e il buio senza luce che vede e sente costantemente. Quindi, ancora una volta, siccome le parole sono mooooolto importanti e significative, se siete curiose andate a leggere la traduzione.

https://www.youtube.com/watch?v=OojKI0DpodU   

E' una scelta molto difficile, quindi I need your help. Votate 'canzone 1' o 'canzone 2' nei commenti, poi tra qualche capitolo vi farò sapere il vincitore.

Baci,

Elena ♥

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Capitolo 15
*** Capitolo 13. ***


{ATTENZIONE: andate a leggere l'angolo scrittrice! E' fondamentale! Giuro!}

 

La sorpresa che Violet mi aveva fatto era stata molto dolce e sincera, proprio per questo mi ci era voluto ben poco a buttare via tutti quei pregiudizi e i pensieri negativi che avevo avuto su di lei. Avrei dovuto sospettare una cosa del genere dalla ragazza, dato che, conoscendola fin troppo bene, sapevo che non era nella sua natura fare qualcosa di semplice. Quella ragazza era una scoperta continua e da un lato amavo questo di lei, anche se non sempre mi piaceva ricevere sorprese.

Per mia sfortuna, però, il 'regalo di consolazione' – così come lo aveva chiamato Violet – non era finito lì, in quanto la ragazza mi aveva annunciato di aver indetto una festa in mio onore. Inutile specificare la mia smorfia di disapprovazione quando la ragazza mi riferì di aver invitato praticamente tutto il villaggio, ma ovviamente con Violet non ebbi nemmeno una parola in capitolo e la ragazza non ammise repliche da parte mia.

 

Come se all'improvviso le avessi dato l'idea di essermi interessata all'evento, Violet si mise a spiegarmi tutti i particolari della festa, iniziando col dirmi che si tenesse in spiaggia e finendo per specificare della presenza di un falò che Minho e altri stavano già sistemando sulla spiaggia.
Quando la ragazza si decise ad aggiungere l'ultimo particolare, ovvero il fatto che la festa fosse quella sera, compresi il motivo per cui Minho pochi istanti prima mi avesse dato appuntamento per qualche ora più tardi. E così una mezz'ora prima della festa mi ritrovai ad essere trascinata per il braccio da Violet verso la spiaggia, dove gli altri, a quanto pareva, erano già arrivati e stavano già parlando tra di loro. Tra la folla potevo riconoscere Gally, che nel frattempo stava trasportando dei grossi pezzi di legno e rami che Minho cercava di disporre in modo ordinato; Stephen, che stava cercando inutilmente di tenere uniti tutti i bambini che al contrario stavano correndo per la spiaggia bagnando spesso il ragazzo con l'acqua del mare, ed infine avvistai Teresa che, con un sorriso sulle labbra, stava parlando con Thomas, il quale sembrava non ascoltarla nemmeno. Mentre cercavo di far rallentare Violet, la quale mi stava trascinando in direzione di Minho, colsi l'occasione per analizzare le condizioni di Thomas: il suo volto era quasi irriconoscibile, dato che era pieno di more sulla maggior parte della pelle; delle chiazze rosse risaltavano sui suoi zigomi, messe in risalto dalle ferite incrostate di sangue; uno dei suoi occhi era color violaceo e si vedeva che il ragazzo faceva fatica ad aprirlo da quanto era gonfio; il suo labbro aveva un taglio molto visibile proprio al centro, mentre il suo mento presentava dei puntini rossi. Per la seconda volta mi senti in colpa per aver ridotto il ragazzo in quello stato, ma come era già capitato, subito dopo mi venne in mente il motivo per cui lo avevo fatto e tutto il pentimento svanì come polvere nell'aria. Thomas aveva lo sguardo rivolto verso terra e sembrava assorto sono nei suoi pensieri più profondi. Il ragazzo non sembrò notarmi, e ciò fu un sollievo, ma già dopo poco tutte le mie aspettative di passare inosservata andarono in frantumi nel momento in cui il ragazzo alzò lo sguardo. Parve immediatamente stupito e non seppi se la sorpresa che potevo leggere nei suoi occhi fosse legata al fatto che non si aspettasse di vedermi lì o se fosse dovuta al fatto che si fosse accorto che lo stavo fissando. In ogni caso distolsi subito lo sguardo comportandomi come se nulla fosse successo, assumendo un atteggiamento distaccato e freddo e seguendo poi Violet nei suoi ultimi passi verso Minho. Quest'ultimo ci accolse con un sorriso e rinchiuse Violet in un abbraccio caloroso, per poi distaccarsi e concentrarsi su di me, rifilandomi due pacche sulla spalla e mormorandomi un 'te lo avevo detto che ci saremmo rivisti'.

Scossi la testa e feci spallucce. Apri la bocca per replicare, ma una mano si appoggiò sulla mia spalla e una stretta gentile mi fece voltare. Per un attimo credetti che potesse essere Thomas, ma quando mi accorsi che si trattasse semplicemente di Gally, tirai un sospiro di sollievo e gli rivolsi un sorriso educato.

"Mi fa piacere che tu sia venuta." mormorò il ragazzo ricambiando il sorriso.

"Già. Non che Violet mi abbia dato altra scelta." ammisi ridacchiando e osservando la mia amica andarsene con il Velocista. Li fissai per qualche secondo e quando notai le loro mani unite e le dita incrociate, sul mio cuore si formò una crepa e per un attimo mi parve di soffocare. Non avrei mai più potuto tenere Newt per mano.

"Tra un paio di minuti dovrei aver finito, poi ti raggiungo, okay?" mi disse il ragazzo, lanciando un'occhiata al falò per poi ritornare con l'attenzione su di me. Uscendo dai miei pensieri e accantonando per quanto possibile la tristezza, annuii e gli dissi di fare con comodo, per poi specificare che lo avrei aspettato a riva.

Camminai per qualche secondo, usando il mio bastone e raggiungendo tranquillamente le onde, qui mi fermai e mi chinai per togliermi le scarpe che abbandonai lontano dall'acqua per non bagnarle. Una volta sbarazzatami anche dei calzini, mi mossi in avanti usando il bastone e mi avvicinai all'acqua, ma non appena un'onda mi bagnò i piedi un brivido mi percorse la schiena, facendomi venire la pelle d'oca. In realtà l'acqua non era nemmeno così fredda, ma forse non ci ero più abituata. Feci per tornare indietro e riprendere le mie scarpe, quando delle urla stridule mi pietrificarono uno sul posto. In men che non si dica due bambini mi raggiunsero di corsa, schizzandosi e rincorrendosi a vicenda. Quando mi videro, iniziarono ad usarmi come riparo dagli schizzi e, nonostante tutti i miei richiami, alla fine mi ritrovai più bagnata di quanto lo fossero le due pesti. I due decisero di continuare i loro giochi, ignorandomi completamente, fino a quando Stephen a corse a separarli da me.

"Diego e Alex!" li rimproverò il ragazzo, tenendoli ben saldi per le spalle. "Non è questo il modo di comportarsi davanti ad una signorina!" li sgridò il ragazzo, lasciandosi però sfuggire un sorrisetto. Purtroppo solo quando ormai fu troppo tardi capii che il sorriso sulle labbra del ragazzo non era dovuto alle mie condizioni o allo scherzo di bambini, ma piuttosto era il segno che aveva qualcosa in mente. Infatti Stephen si voltò verso di me e quando mi sembrò che stesse per chiedermi scusa, al contrario calciò il piede nell'acqua, ricoprendomi di schizzi e ridendo di gusto. "Vedete?" disse poi, lanciando un'occhiata ai bambini che, sorpresi e divertiti allo stesso tempo, mi stavano indicando e stavano ridendo tra di loro. "Ecco il modo in cui ci si comporta. Ora andate a giocare con gli altri, lo spettacolo è finito."
Colsi quell'occasione e, sfruttando il fatto che il ragazzo fosse voltato di spalle, mi chinai e dopo aver immerso le mie mani nell'acqua, gliela gettai addosso, bagnando tutta la sua maglietta e restituendogli il favore. Il ragazzo si lasciò scappare un urletto soffocato e pieno di sorpresa, per poi voltarsi di scatto verso di me e rivolgermi un'occhiata assassina. "E così vuoi la guerra, huh?" mormorò, con un sorriso distorto. "Te ne pentirai, pasticcino."
Spalancai gli occhi quando lo vidi chinarsi e, usando il bastone come fosse una spada, lo puntai verso di lui, indietreggiando divertita e allo stesso tempo terrorizzata. Non volevo bagnarmi più di quanto lo ero già!
"Ah-ah." mormorò il ragazzo muovendo l'indice e facendomi segno di no. "Hai voluto sfidarmi tu, tesoro, ora ne accetti le conseguenze."
"Ma sei stato tu ad iniziare!"
"E allora?"
"E allora cosa?" domandai sbalordita. "Tu puoi schizzarmi e io no?" 
"Vedo che capisci in fretta." rise il ragazzo, abbassandosi ancora di più verso l'acqua.

 "Stephen!" lo sgridai preoccupata, facendo un salto indietro e temendo quello che sarebbe successo. "Non provar..." non feci nemmeno in tempo a finire la frase che il ragazzo mi lanciò addosso quella che mi sembrò una vera e propria onda, che finì per bagnarmi tutta.
Lanciai un grido quando vidi il ragazzo abbassarsi per servirmi il bis e mi misi a correre, abbandonando il bastone sulla spiaggia e tentando di fuggire il più lontano possibile dal ragazzo. Ciò che però non avevo contato era la debolezza della gamba appena guarita che, dopo essere rimasta immobile per troppo tempo, ancora doveva riacquistare la sua potenza. Il dolore alla gamba e lo zoppicare iniziarono a combattere in mio sfavore, perciò a Stephen ci volle ben poco per raggiungermi e catturarmi.
Il ragazzo mi sollevò il aria, appiccicandomi a lui e dopo il freddo iniziale dovuto all'impatto con i suoi vestiti altrettanto bagnati, il suo tepore mi riscaldò la pelle. Questa sensazione di calore tuttavia fu passeggera, in quanto di lì a poco mi sentii cadere all'indietro, trascinata dal ragazzo.
Solo quando ormai fu troppo tardi compresi che il ragazzo avesse deciso di buttarsi all'indietro con me sopra, tenendomi ben stretta a lui ed immergendosi nell'acqua. Velocemente presi un bel respiro e mi tenni salda al corpo del ragazzo per non perdere l'equilibrio, poi quando l'impatto con l'acqua avvenne, il freddo mi tolse il fiato. Spalancai gli occhi sotto l'acqua e gridai il nome di Stephen, emanando solo delle bollicine ed un suono confuso. Il ragazzo però sembrò capirmi, infatti aprì gli occhi e mi rivolse un sorriso divertito e complice. Battei il pugno sul suo petto, chiedendogli implicitamente di lasciarmi andare, e dopo aver emesso qualche bollicina, il ragazzo si tirò in piedi, trascinandomi con lui senza mai lasciarmi.
Liberai le mie braccia dalla sua presa e le portai a strofinare gli occhi, mentre il ragazzo agitava la sua testa per liberare i capelli dalle goccioline o forse solo per farmi un altro dispetto, ma non staccò le braccia dalla mia schiena, obbligandomi a rimanere attaccata a lui per non perdere l'equilibrio.
Dopo aver tolto l'acqua dal mio volto, aprii gli occhi e alzai lo sguardo verso il ragazzo che già mi stava guardando con un'espressione tra il divertito e il soddisfatto. Gli feci la linguaccia e premetti sul suo petto per distaccarmi, riuscendo così a liberarmi dalla sua presa per poi voltargli le spalle.
"Oh, poverina... Si è offesa." ridacchiò il ragazzo dietro di me.
Mi fermai di scatto e mi voltai verso di lui, avvicinandomi e annullando di nuovo le distanze. Quello che accadde dopo fu più istintivo che programmato e senza che me ne accorgessi nemmeno mi ritrovai ad agire. Misi le mie mani sulle sue spalle e quando il ragazzo continuò a fissarmi divertito, forse in attesa di una mia sgridata o altro, approfittai della sua distrazione per mettere la gamba sana dietro le sue, come a fargli uno sgambetto da dietro. Poi, usando tutta la mia forza, lo spintonai all'indietro, premendo anche con la gamba per fargli perdere l'equilibrio. Lui assunse un'espressione preoccupata e tentò un passo indietro per riacquistare l'equilibrio, ma essendo le sue gambe incastrate con la mia, il ragazzo non fece altro che peggiorare la situazione, cadendo all'indietro come un baccalà e venendo inghiottito dall'acqua.
Sorrisi compiaciuta e mi voltai nuovamente di spalle, per poi riprendere a camminare verso la riva dove, con mia sorpresa, Gally mi stava attendendo con un sorriso fiero sulle labbra.
Lo raggiunsi velocemente e quando fui a qualche passo da lui la voce di Stephen mi raggiunse. "Ehi!" gridò il ragazzo. "Così non vale!"
Ignorando del tutto il suo commento, mi rivolsi a Gally, il quale non aveva mai distolto il suo sguardo dal mio. "Piaciuto lo spettacolino?" domandai divertita, aprendo le braccia e guardandolo. "Oppure sei qui solo per un abbraccio?" domandai poi, facendo un passo in avanti, un ghigno furbo al posto del sorriso.
Il ragazzo spalancò gli occhi e mise le mani in avanti. "Penso che passerò per questa volta, ma grazie." si sbrigò a dire, indietreggiando di qualche passo. "Sono venuto a dirti che i ragazzi stanno cuocendo la carne, quindi ci conviene andare a prendere un posto a sedere vicino al falò."
"Mh, cibo e fuoco." mormorai tra me e me, lanciando uno sguardo oltre le spalle del ragazzo e accorgendomi che avevano già acceso la legna. "Per questa volta ti sei salvato dal mio abbraccio bagnato, sei fortunato." borbottai incrociando le braccia per darmi calore e superando il ragazzo.  
"Aspetta! Hai dimenticato il bastone." mi informò Gally mentre già mi stavo chinando per raccogliere le mie scarpe.
"Ah..." borbottai, rispondendo con uno sbuffo. "Chiederò a Matthew se posso smettere di usarlo. E' troppo ingombrante e non mi aiuta affatto."
"Quindi vorresti dire che intendi buttare via uno dei miei regali?" domandò il ragazzo, correndo per raggiungermi e poi camminando al mio fianco.
"Non è un regalo quello!" brontolai dandogli una spinta delicata. Poi, ripensando a ciò che Violet mi aveva mostrato qualche ora prima nella casa, mi venne in mente l'arco che Gally si era premurato ad intagliare. "A proposito..." mormorai voltandomi verso di lui e continuando a camminare all'indietro. "Violet mi ha mostrato l'arco. Volevo ringraziarti."
"E' sempre un piacere costruire armi mortali per persone pericolose e instabili." ammise il ragazzo, ridacchiando e caricandosi il bastone in spalla, come se fosse una mazza da baseball. "Hai provato ad usarlo? Come lo senti? Forse l'ho fatto troppo rigido." 
"Ancora non l'ho provato, ma dubito che uno dei tuoi lavori possa uscire male, Gally." lo rassicurai, voltandomi nuovamente e mettendomi al suo fianco, continuando poi a camminare normalmente. "Ci sediamo vicino al fuoco?" domandai speranzosa mentre un brivido di freddo mi percorreva la pelle. "Sto congelando."
Gally annuì e dopo pochi passi si lasciò cadere sulla sabbia vicino al falò, allungando le gambe e porgendomi una mano per aiutarmi a sedermi. "Non sono così impedita." lo informai ridacchiando e schiaffeggiando il suo palmo aperto per poi sedermi con un tonfo da sola.
"Tanto aggraziata quanto permalosa." disse ironico per poi osservarmi tremare per colpa di un altro brivido. "Vuoi che ti vada a prendere una coperta?"
Scossi la testa e lo ringraziai, rassicurandolo e spiegandogli che mi sarei asciugata in fretta. 
Rimanemmo in silenzio per qualche minuto, entrambi intenti ad osservare il cibo che veniva cotto sul fuoco e poi distribuito alla gente. A quel punto la festa si era animata maggiormente e nonostante fossimo in molti non c'era poi così tanto rumore. Certo, si erano formati diversi gruppetti ed ognuno stava parlando, ridendo e scherzando con qualcun'altro, ma tutto sembrava procedere tranquillamente. Lanciai un'occhiata davanti a me e notai con stupore che anche Stephen aveva seguito le nostre orme, andandosi a sedere poco distante dal fuoco. Al nostro contrario, il ragazzo era circondato da bambine che, ridacchiando tra di loro, stavano infilando nei suoi capelli zuppi di acqua ogni tipo di fiore o foglia, arrivando a formare una corona degna della regina della flora.
Abbozzai un sorriso che aumentò nel momento in cui il ragazzo incrociò il mio sguardo e fece spallucce, guardandomi con un'espressione che descriveva perfettamente la sua rassegnazione.
Un altro brivido mi scosse e colsi l'occasione per distogliere lo sguardo da Stephen e puntarlo su Gally, il quale era intento a fare dei disegni con le dita sulla sabbia. "Pensavi di tornare?" domandai, ancora assorta dai miei pensieri. Poi comprendendo che la domanda dovesse essere alquanto incomprensibile per il ragazzo, decisi di specificare. "Intendo... Ora che le cose tra di noi si sono sistemate, pensi di tornare a dormire con me?"

Vidi le sopracciglia del ragazzo sollevarsi di scatto e immediatamente si voltò verso di me, osservandomi attentamente con un accenno di sorriso. Sembrava sorpreso, ma anche sollevato. "Se vuoi..."
"Se vuoi..." replicai storcendo la bocca ed imitando la sua voce per sbeffeggiarlo, suonando però solo ridicola. "Be' per me è uguale, basta che quando prendi la tua decisione poi la comunichi anche a Steph. Sai, giusto per non diventare tre in una casa con solo due letti per dormire."
"Be', in caso qualcuno condividerà il letto." bisbigliò Gally guardandomi di sbieco, assottigliando gli occhi e rivolgendomi un ghigno complice.

"Oh, sì." replicai restituendogli il sorriso. "Tu e Stephen potreste abbracciarvi per risparmiare spazio nel letto." lo punzecchiai, rigirandogli la battuta.
L'espressione di Gally mutò immediatamente, passando da uno stato di divertimento ad uno stato di orrore puro. La sua bocca si aprì in una smorfia e il ragazzo scosse la testa disgustato. "Oh, no." mormorò poi. "Se lo facessi poi tutti scoprirebbero la nostra relazione segreta." disse poi, con un tono più acuto del suo solito, stando al gioco e causando in me una risata genuina. "Sarebbe uno scandalo." 
"Già, un vero e proprio scandalo!" ribadii agitando la mano per aria e poi posandola sulla sua spalla, come a compatirlo. 
Un altro brivido mi scosse il corpo, facendomi muovere le braccia che subito mi premurai ad incrociare per mantenere vivo il poco calore corporeo che mi era rimasto. Avevo proprio sbagliato a lasciarmi trasportare dagli stupidi giochi di Stephen e ora ne stavo pagando le conseguenze.

"Okay, ora basta." asserì Gally, voltandosi verso di me e quasi spaventandomi. 
"Cosa?" domandai osservandolo afferrare i lembi della sua maglietta per poi sfilarsela dalla testa. Colta alla sprovvista mi sentii arrossire e subito distolsi lo sguardo dal suo addome per puntarlo in modo casuale sul falò che ancora scoppiettava vicino a noi.

"Ti do la mia maglia." spiegò il ragazzo.
Ripuntai il mio sguardo su di lui e mi avvicinai per poi sussurrargli: "Non ho intenzione di spogliarmi davanti a tutta questa gente." gli spiegai per poi allontanarmi. "E poi così senti freddo tu."
"Io non sento freddo, non preoccuparti." mi rassicurò il ragazzo. "Per quanto riguarda la gente, facciamo veloce e nessuno se ne accorgerà. Tu sfili e io metto." propose iniziando ad allargare il buco per la testa presente nella sua maglia.
Mi morsi il labbro e mi guardai attorno, venendo scossa da un altro brivido. In effetti avevo parecchio freddo e una maglia calda e asciutta avrebbe potuto migliorare la situazione, ma tutta quella gente...

"Andiamo." mi incitò il ragazzo, insistendo. "Così evito di farti prendere una polmonite."
Inspirai a fondo e lanciai un'occhiata al ragazzo, sentendo già le mie guance andare a fuoco per l'imbarazzo. "Fai veloce." gli intimai, allungando le dita ad afferrare i lembi della mia maglietta fradicia di acqua.
Nel momento in cui sollevai l'indumento, facendolo passare per la testa e gettandolo via malamente, sentii della stoffa ricoprirmi e infilarsi subito su di me senza nemmeno sfiorarmi un orecchio.

Mi premurai ad infilare velocemente le braccia nei due buchi sui lati e poi mi raccolsi i capelli di lato per non far bagnare la maglia asciutta.

Potevo sentire il buon odore di Gally e perfino quello in piccola parte mi riscaldava, dandomi una sensazione di sicurezza.

"Grazie..." borbottai arrossendo e lanciando degli sguardi sospettosi in giro. Nessuno sembrava essersi accorto del mio veloce cambio, eppure mi sentivo ancora in imbarazzo. 

Il ragazzo in risposta strofinò velocemente le sue mani sulle mie braccia e ciò mi scaldò ancora di più, facendomi fare un altro brivido. 

Senza sapere cosa altro fare, iniziai a raccogliere i miei capelli in una treccia.
"Io vado a prendere da mangiare prima che finisca la carne." mi informò il ragazzo alzandosi in piedi e allontanandosi da me per poi raggiungere uno dei ragazzi che stava distribuendo il cibo.
Osservai i due parlare per qualche secondo, poi distolsi lo sguardo e mi misi a fissare qualche gruppetto in modo distratto, mentre con l'elastico al polso chiudevo la mia treccia, impedendo così ai miei capelli di uscire dall'acconciatura.
La mia attenzione venne catturata da una figura in particolare: Brenda stava parlando con Thomas il quale, per la prima volta durante tutta quella serata, era senza Teresa. Brenda sembrava alquanto arrabbiata e stava agitando le mani in aria mentre faceva a Thomas quella che mi sembrava una bella ramanzina. Li osservai incuriosita per qualche istante e per quanto cercassi di sforzarmi a captare qualche parola del loro discorso, i due erano troppo distanti per permettermi di origliare. 
Il mio sangue si gelò nelle vene nel momento in cui il ragazzo sollevò lo sguardo da terra e per la seconda volta nel giro di nemmeno un'ora incrociò il mio sguardo, rivolgendomi la stessa occhiata pentita e preoccupata. Questa volta, però, nei suoi occhi potevo intravedere una sfumatura di dubbio, come se il ragazzo stesse ragionando e non fosse certo di come comportarsi.
Non riuscii a distogliere subito lo sguardo da lui, ma quando lo feci il suono di una pistola mi invase la mente rievocando il sogno che avevo avuto riguardo Newt. Non avrei mai pensato che un incubo avuto qualche giorno prima potesse rimanermi così impresso.

E la cosa che mi stupiva più di tutte era il dolore che quel suono accompagnava. 
Inghiottii un groppo di saliva e sentii il mio petto dolere, percependo immediatamente una sensazione di freddo invadermi il corpo, come se una mano di ghiaccio mi avesse perforato e stesse stritolando il mio cuore.
Rilasciai un sospiro e mi sollevai da terra. Lanciai uno sguardo veloce al mare e tutto sembrò colorarsi di rosso, come se al posto dell'acqua fosse stato versato sangue. Sbattei gli occhi e in meno di un secondo tutto tornò al suo colore naturale.
Dovevo andarmene da lì. Non riuscivo più a respirare in quel posto, volevo tornarmene a letto. 
Il pensiero di Gally mi attraversò la mente, ma lo accantonai con facilità, dicendo a me stessa che non vedendomi più alla festa avrebbe capito da solo che me ne ero andata di mia spontanea volontà e che quindi non doveva preoccuparsi.
Presi un profondo respiro e questo sembrò bloccarsi nella mia trachea, obbligandomi a tossire e subito dopo a riprendere ossigeno violentemente.
Barcollai e feci appena in tempo a compiere due passi che una voce mi raggiunse.
"Ehi!" gridò qualcuno, una voce femminile e anche piuttosto arrabbiata. 

Non feci nemmeno in tempo a girarmi che mi sentii spintonare. Facendo due o tre passi all'indietro riuscii a riacquistare l'equilibrio e mi voltai di scatto. 

Brenda se ne stava davanti a me, con il volto contratto in un'espressione di rabbia e preoccupazione e i pugni serrati sui fianchi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*Angolo scrittrice*

Hey pive!

Sono qui solo per dirvi due cose velocissime:

1. Pls andate a commentare il capitolo precedente scrivendo la vostra canzone preferita tra le due che vi ho proposto nell'angolo scrittrice. 

2. Mercoledì prossimo (quindi tra una settimana esatta) parto per la Cina e ci sto per due settimane. Siccome ho tanti giri da fare prima di partire, non so se riuscirò a dedicare tanto tempo allo scrivere un nuovo capitolo (anche se ho parecchio tempo per pubblicarne almeno uno). Perciò abbiate pazienza se in questa settimana che mi rimane aggiornerò a caso e poco ( o addirittura non aggiornerò). Ho deciso di fare questo capitolo più lungo in modo da farmi perdonare in anticipo!

Baci,

Elena♥

 

 

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Capitolo 16
*** Capitolo 14. ***


"Qual è il tuo problema?" domandai arrabbiata, aprendo le braccia e cercando di cacciare via dal mio stomaco quella morsa di dolore e panico.
"Qual è il mio problema?" domandò la ragazza spalancando gli occhi e facendo un passo verso di me. "Qual è il tuo di problema! Sei una psicopatica senza controllo." la ragazza fece un altro passo verso di me, arrivando ad un palmo dal mio naso. Non indietreggiai e la fissai negli occhi, sostenendo il suo sguardo in modo freddo e distante.
"Oh, questa è bella." mormorai tra i denti. "Non so di cosa tu stia parlando, ma non mi interessa. In caso non te ne fossi accorta me ne stavo andando." ribadii, voltandole le spalle e facendo appena due passi in avanti.
"Ti piacerebbe, eh?" grugnì la ragazza afferrandomi il polso. "Be' io non ho finito."
Stai calma, Elena... Stai calma. Mi urlai nella mente. Non vogliamo picchiare un'altra persona, no?
Presi un profondo respiro e tornai sui miei passi, cercando di mantenere la calma. "Allora muoviti a parlare." borbottai strattonando via il mio polso. Lanciai un'occhiata in giro, ma nessuno sembrava essersi accorto di noi due, ad eccezione di Thomas che, ora in piedi, ci osservava preoccupato, senza però fare nemmeno una mossa.
"Bella faccia, eh?" domandò acida Brenda, accorgendosi del mio sguardo rivolto a Thomas. "Non ti vergogni almeno un po'?" mi chiese rifilandomi uno sguardo di disgusto.

"Come, prego?" esclamai spalancando gli occhi e sentendo la mia rabbia aumentare.
"Tutti sappiamo quanto poco riesci a controllare la tua rabbia, ma... Fare questo ad un tuo amico..." la ragazza prese un respiro. "Sei disgustosa."
Spalancai la bocca, offesa e ferita. Come si permetteva? Come osava parlarmi e giudicarmi senza neanche sapere cosa il suo caro amichetto aveva fatto? "Ti conviene rimangiarti tutte le tue parole, Brenda, prima che io perda la pazienza. Non sai tutta la storia."
"Non mi interessa. Ho visto quello che ha passato Thomas e..."
"Thomas non ha passato nulla in confronto a me!" gridai esasperata. "E' lui il colpevole e io la vittima, quindi vedi un po' di rivedere le tue opinioni."
"Dovresti chiedergli scusa." mi intimò Brenda, ignorando completamente le mie parole.
"Dovresti smetterla parlare." ribadii. "Magari per sempre. Faresti un favore all'umanità. Sono sicura che anche a Thomas farebbe piacere."
"Tu non sai nulla di cosa farebbe piacere a Thomas." sibilò la ragazza avvicinandosi ancora di più, visibilmente irritata. 
"Questo è vero." dissi. "Ma sono sicura che Teresa gli piaccia. E anche tanto." sparai acida, vedendo il volto ferito della ragazza.

Feci appena in tempo a vedere la sua espressione mutare in rabbia che sentii le sue mani sulle mie spalle. La ragazza mi spintonò all'indietro e riuscii appena in tempo a riprendere l'equilibrio che vidi il suo palmo avvicinarsi al mio volto ad una velocità impressionante. Non feci in tempo a schivarlo. Mi arrivò dritto sulla guancia come un proiettile, intontendomi e lasciandomi anche un bruciore fastidioso. "Ma sei pazza?" domandai portandomi una mano sulla guancia e causandomi una fitta di dolore. Sentii le mie dita entrare in contatto con qualcosa di viscido e quando abbassai il palmo vidi il mio indice sporco di sangue. Non sapevo cosa Brenda avesse avuto intenzione di farmi, se darmi uno schiaffo o graffiarmi, ma in ogni caso li aveva fatti entrambi.
"Dovresti veramente vergognarti. Attaccare in quel modo uno dei tuoi amici e poi insultare chi cerca di difenderli." ribadì la ragazza. "Mi fai vomitare."

"Thomas. E'. Il. Colpevole." grugnii con i denti serrati. "Thomas è un traditore e un bugiardo, e giuro che è un miracolo che sia ancora vivo."

"Dici questo di Thomas solo perchè sei gelosa." mi disse la ragazza, abbozzando un sorriso perfido. "Thomas ha me, mentre il tuo Newt è chissà dove. Poverina, ti sentirai sola."
"Stai zitta!" gridai esasperata, attirando l'attenzione di qualcuno che si voltò ad osservarci incuriosito. Lanciai uno sguardo a Thomas e non appena il ragazzo vide il mio volto iniziò a camminare nella nostra direzione. Mi domandai cosa avesse visto nei miei occhi per preoccuparsi a muovere le sue gambe, ma non mi interessava. Forse aveva visto il segno della manata di Brenda. Forse aveva letto della sofferenza nei miei occhi. Forse aveva interpretato quell'occhiata come una richiesta d'aiuto.

Volevo andarmene da lì, non mi sentivo bene. Era troppo da sopportare. 
Le emozioni negative stavano nuovamente prendendo il sopravvento e non riuscivo a respirare.
"Ti ha lasciata da sola." sibilò Brenda. "Ti ha abbandonata."
"Lui non mi ha abbandonata." ringhiai facendo un passo verso di lei con i pugni serrati, le unghie conficcate nella pelle per riuscire a trattenermi. "Thomas ha..."
"Magari non ti amava più e si è trovato un'altra." aggiunse la ragazza, un sorriso perfido e divertito sulle labbra. "Che stronzo, eh. Lasciarti qui, da sola. E' proprio un bastardo, ma dopotutto... i simili si attraggono."
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.

Non mi importava tutti gli insulti che la ragazza mi lanciava addosso, o le frasi perfide che si inventava per ferirmi. Poteva dire quello che le pareva su di me, non mi interessava, ma non poteva permettersi di gettare dello sporco sul nome di Newt.

Non doveva nemmeno osare pronunciare il suo nome.
Senza riuscire a controllarmi le saltai addosso e la buttai a terra, gridando arrabbiata e dandole un pugno sulla mandibola con tutta la mia forza. La presi per la maglietta e la strinsi tra le mie dita come a volergliela strappare di dosso. "Non parlare di Newt. Non sai come sono andate le cose. Non osare nominarlo nei tuoi perfidi giochetti."
Brenda rise divertita. "Deve averti proprio ferita." 
"Smettila!" le urlai contro, spingendola a terra e osservandola in cagnesco.
Sentii degli schiamazzi poco lontano da noi. Probabilmente tutti si erano accorti della nostra lite e stavano iniziando ad agitarsi. Sentivo qualcuno che ci urlava di smetterla, qualcun'altro che ci richiamava, ma non mi importava. Dovevo chiudere quella questione.
"Rimangiati tutto ciò che hai detto o te ne pentirai." intimai alla ragazza.

"Chiedi scusa a Thomas." replicò lei.
"Ehi, ehi!" gridò qualcuno dietro di noi. Non feci nemmeno in tempo a voltarmi che sentii qualcuno afferrarmi in vita e tirarmi su con la forza, sollevandomi in aria e allontanandomi da Brenda. "Che diamine vi prende, eh?"
Mi voltai di scatto non appena riconobbi quella voce e un brivido di disgusto mi percorse quando mi ritrovai appiccicata a Thomas. Le stesse mani che avevano ucciso Newt ora mi stavano tenendo ferma. Le stesse mani che si erano intrise con il suo sangue ora mi stavano toccando. 

Mi venne la nausea che, mischiata alla rabbia mi faceva stare ancora più male. "Lasciami andare!" gridai affannata, sentendo la necessità di distaccarmi da lui. Mi disgustava.

Quando le dita di Thomas toccarono la mia pelle mi immaginai intrisa del sangue di Newt e mi venne da vomitare. "Toglimi le tue sporche mani di dosso!" gridai in preda al panico, sentendo l'ansia crescere in me. Era troppo da sostenere. Volevo andarmene. "Sei uno sporco traditore! Lasciami sta..."

Non feci nemmeno in tempo a finire la frase che qualcosa mi colpì alla guancia precedentemente ferita da Brenda. Sentii i miei occhi bagnarsi per la botta, ma ricacciai indietro le lacrime, troppo concentrata sul disgusto di sentire il fiato del ragazzo sul mio collo. Mi sentivo oppressa, come se fossi in una gabbia.

"Brenda!" gridò Thomas, ignorando le mie richieste. "Smettila! Ti stai comportando da bambina!"
Sollevai lo sguardo e osservai la ragazza agitare la sua mano in aria e massaggiandosela. Mi aveva anche dato un pugno!
La rabbia scoppiò in me, facendomi salire una sete di sangue mai provata prima d'ora.
Iniziai a dibattermi per cercare di distaccarmi da Thomas e dopo diversi forti strattoni, il ragazzo mollò finalmente la presa. "Te la sei cercata." sibilai tra i denti, sfuggendo ai tentativi di Thomas di riprendermi e scattando in avanti verso la ragazza.

Brenda indietreggiò presa alla sprovvista e i suoi occhi si spalancarono, mostrando del panico che la ragazza subito si preoccupò di nascondere. Faceva tanto la faccia tosta quando qualcuno mi teneva ferma, ma quando potevo ribattere se la filava con la coda tra le gambe. Era così patetica e codarda, proprio come Thomas.
Strinsi i pugni sui miei fianchi e fissai Brenda negli occhi, il fuoco nelle vene e la rabbia che annebbiava mente e corpo. Non sbattevo nemmeno le palpebre da quanto avrei voluto incendiarla con lo sguardo, ma per sua fortuna non riuscii a raggiungerla perchè qualcuno mi si parò davanti, oscurandomi la vista e obbligandomi a fermarmi.
Alzai lo sguardo stringendo la mascella e sbuffando stressata. Non appena vidi il volto di Minho mi tranquillizzai, realizzando che non fosse di nuovo Thomas.
"Lasciami passare." lo pregai con voce ferma.

"Non scendere così in basso, bambolina." mi rispose lui, appoggiando delicatamente le sue mani sulle mie spalle. "Lasciala credere quello che vuole."
"Ma lei ha..."

"Ti prego, lascia perdere."
Mi morsi le labbra talmente forte che ad un certo punto sentii il sapore metallico del sangue sulla punta della mia lingua. Presi un profondo respiro e per una volta provai a fidarmi degli altri. Scossi la testa e feci un passo indietro, alzando le mani in aria in segno di resa. "Va bene, lascio perdere." mormorai. "Ma sia chiaro: se ti avvicini di nuovo a me, ti spezzo il collo in due." sibilai, puntando un dito contro Brenda e vedendola assumere un ghigno soddisfatto.

L'aveva avuta vinta, ma non mi importava. Il suo essere disgustosamente patetica era già una vittoria, per me.
"Stai bene?" domandò una voce dietro di me. 

Mi voltai di scatto e quando vidi il volto di Thomas e la sua espressione preoccupata mi infuriai ancora di più. Il ragazzo appoggiò una mano sulla mia spalla. La scacciai con una schiaffa e feci un passo indietro. "Stammi lontano."

"Senti, mi dispiace, ma..."
"Ehi..." si intromise Minho vedendo la mia reazione. Appoggiò una mano sul petto di Thomas e premette leggermente per farlo allontanare. "Non è questo il momento, Thomas. Lasciala stare."
Lanciai uno sguardo attorno a me e mi accorsi che gli occhi di tutti stessero oscillando tra me e Thomas, tutti curiosi e preoccupati allo stesso tempo. Qualcuno bisbigliava nell'orecchio di qualcun'altro, altri tenevano il piatto di cibo ormai freddo in mano, i bambini avevano smesso di giocare e si erano raggruppati insieme.

Incrociai lo sguardo di Stephen, di Violet, di Frypan, poi quello di Gally. I suoi occhi erano colmi di preoccupazione, ma a differenza di quanto mi sarei aspettata non c'era traccia di delusione o rabbia nei miei confronti. Il ragazzo si avvicinò lentamente a me e quando mi fu di fronte lanciò uno sguardo di ringraziamento a Minho. Poi il suo sguardo tornò su di me e il ragazzo si fermò al mio fianco, allungando una mano dietro la mia schiena e avvicinandomi a lui. "Ce ne andiamo, d'accordo?" mi domandò calmo, con un sorriso rassicurante sulle labbra.
In tutta risposta presi a camminare al suo fianco, cercando di soffocare la rabbia che permaneva ancora nel mio corpo. Il ragazzo fece scivolare la sua mano dalla mia schiena alla mia spalla, per poi stritolarmi ancora di più a lui e sfregare il suo palmo sulla mia pelle, come se stesse nuovamente cercando di scaldarmi. Non dissi nulla, semplicemente appoggiai la mia testa contro di lui esausta e sfinita per ciò che era appena accaduto.
Il dolore sulla mia guancia era peggiorato con il tempo e la pelle sul mio zigomo tirava e bruciava, come del resto il taglio sul mio labbro. Almeno quello era stato opera mia.
Camminammo in silenzio verso la nostra casa, ma prima di arrivarci Gally fece una sosta in Infermeria, uscendone con uno straccio in mano.

Quando finalmente varcammo la soglia di casa, tirai un sospiro di sollievo. Mi sembrava di poter respirare di nuovo.

"Avanti, siediti." ordinò il ragazzo con un tono che non riuscii bene a interpretare. Feci come disse e lo osservai afferrare una sedia nell'angolo adiacente alla porta. Aggrottai le sopracciglia.

"E questa da quanto è qui?" domandai curiosa, indicando la sedia in legno che il ragazzo trascinava verso di me. 
Gally fece spallucce e la posizionò proprio di fronte al mio letto dove ero seduta. "Non ha importanza." riferì sbrigativo, sedendosi sulla sedia e lanciando uno sguardo alla distanza presente tra noi due.

Senza pensarci due volte il ragazzo pose le sue mani appena sotto le mie cosce, proprio dietro il ginocchio e mi tirò più vicina a lui. La disinvoltura con cui aveva fatto quel movimento mi aveva lasciata a disagio, dipingendo il mio volto di un colorito rossastro.
Il ragazzo notò il mio imbarazzo e subito distaccò le mani dalle mie gambe, lasciando sulla pelle che aveva toccato una specie di fuoco. Era una sensazione strana, non fastidiosa o dolorosa, semplicemente... particolare.

Forse il motivo di quella mia reazione era dovuto al fatto che non avevo contatti del genere da tanto.
"S-Scusami." borbottò Gally arrossendo. "Non ci ho pensato... Ho solo visto la distanza e l'ho tolta. Avrei dovuto chiedere, ma mi è sorto spontaneo. Io..."

"Gally, va bene." lo rassicurai allungando la mia mano verso la sua, dove stringeva ancora il panno preso in Infermeria. "Respira."
Il ragazzo abbozzò un sorriso, ma ritrasse la mano, impedendomi di prendere il panno. "Faccio io." disse lui, tutto l'imbarazzo sparito, il tono di voce nuovamente incomprensibile. 

Era difficile capire se ce l'avesse con me o no. Era vero, gli avevo promesso di reagire in modo positivo a tutto ciò che mi stava accadendo e di non aggredire più nessuno, ma era stata Brenda ad istigarmi! Mi aveva provocato e aveva subito le conseguenze.
Guardai il ragazzo negli occhi mentre avvicinava il panno alla mia ferita e la tamponava delicatamente. Il bruciore che provavo a contatto con il disinfettante era quasi un solletico in confronto al dolore che provavo nel ripensare alle parole di Brenda. Sapevo che non avrei dovuto farmi toccare dalle sue stupide accuse, ma ciò che aveva detto su di Newt ancora mi bruciava addosso come fuoco vivo.
"Sei arrabbiato con me?" domandai di punto in bianco, fissando Gally negli occhi, il quale era concentrato sulla ferita sulla mia guancia.
Il ragazzo sollevò appena lo sguardo e corrugò la fronte. "Cosa?" domandò, fermandosi un momento e appoggiando il dorso della sua mano sulla mia gamba.

"Sei deluso per come ho reagito con Brenda?" chiesi, specificando ancora di più.
Il ragazzo si fece indietro e un sorriso spontaneo solcò le sue labbra. Mi stupì quando iniziò a ridacchiare. "No, Eli." mormorò. "Diamine, no! Pensi veramente che io sia così rigido e attaccato alle regole?"

"Be', pensavo che non volessi più vedermi così fuori controllo, quindi..."

"Questo è vero, ma..." il ragazzo scosse la testa. "Era ora che qualcuno desse una lezione a quella testa calda." ammise, riprendendo a tamponare la mia ferita.

Gli afferrai il polso e allontanai la sua mano dal mio viso per un momento. Mi sporsi in avanti e lo fissai dritto negli occhi per essere certa che non stesse scherzando. "Aspetta... Dici sul serio?"

Il ragazzo fece una faccia confusa. "Certo che sì. Si comporta come se sapesse tutto, in ogni occasione. E poi il modo in cui cerca di controllare le persone... come se il mondo girasse intorno a lei!"

Abbozzai un sorriso e scossi la testa. Quella sì che era una sorpresa.
"Sia chiaro, mi dispiace che lei ti abbia rovinato il bel faccino che ti ritrovi, ma ti sei fatta valere, piccola." specificò il ragazzo allontanando la mia mano dal suo polso e riprendendo a tamponare.
"Oh sì." mormorai ridacchiando, per poi indicare il mio zigomo graffiato e arrossato. "Ecco come mi sono fatta valere."

"Ehi." mi riprese il ragazzo, immediatamente serio. "Ti ha attaccata quando Thomas ti teneva ferma nel tentativo di separarvi. E' stato sleale e non ha fatto altro che sottolineare la sua codardia." specificò il ragazzo. "Chiunque potrebbe avere la meglio su una persona immobilizzata, ma non per questo sarebbe più forte."

"Be' grazie." mormorai facendo una smorfia per l'improvviso bruciore sulla guancia. "Pensi che si gonfierà?" domandai preoccupata.
"Brenda?" chiese fingendo di non aver capito la domanda. Il suo tentativo di farmi ridere riuscì alla grande, aumentando però il dolore sul mio volto.

"Il mio zigomo, idiota."

"Oh, contando che oltre ad aver incassato un gancio destro bello forte ora hai un bellissimo taglio lungo la guancia e la forma rossa ben delineata di una mano... Sì, il tuo zigomo si gonfierà fino a che tutti non lo scambieranno per un terzo occhio chiuso." analizzò il ragazzo, abbassando nuovamente il panno sulla mia ferita e causandomi nuovamente bruciore.

Mugugnai e mi sottrassi dal suo tocco. "Brucia." spiegai.
Il volto del ragazzo si avvicinò al mio e rimasi sorpresa quando lo sentii soffiare sulla mia ferita. "Va meglio?" domandò, osservando la mia espressione sorpresa.

"Dove lo hai imparato?" domandai curiosa.

"Certo che hai una memoria pessima." borbottò lui, scuotendo la testa e abbassando nuovamente la mano sulla mia coscia senza nemmeno rendersene conto. "Nella Radura." specificò. "Io mi ero tagliato inciampando e cadendo su un caspio di sasso. Era il tuo primo giorno da Medicale e mi hai disinfettato la ferita sulla fronte per poi soffiarci sopra."

Spalancai gli occhi. Come faceva a ricordarselo? "Ehm, wow... Io non me lo ricordavo."

Il ragazzo fece spallucce e gettò sul letto il panno macchiato leggermente di sangue.

"Ho imparato dalla migliore." spiegò il ragazzo battendo due volte sulla mia gamba per poi alzarsi e allontanarsi. "Ora dovresti dormire. Domani vedrò di svegliarti in tempo per fare una bella colazione dato che questa sera non hai cenato." mi informò lui sorridendomi. "Vado alla spiaggia per avvisare Stephen del mio ritorno in questa casa e per prendere le tue cose, poi torno."
Annuii impercettibilmente e lo osservai raggiungere la porta per poi rivolgermi un sorriso ed uscire dalla casa. Presi un respiro e mi stesi sul letto, tirando su la coperta fino al mento e nascondendo un sorriso.
Sapere di avere un alleato era una sensazione unica.

*Angolo scrittrice*

Hey pive!

Sono riuscita ad aggiornare! Yeeeh!
Comunque, questo mercoledì parto per la Cina e quindi sparirò da Wattpad per due settimane dato che non avrò la connessione ad internet.
Perciò spero che questo capitolo vi sia piaciuto!

 

Una cosa veloce prima di lasciarvi.
Qualcuna ha intenzione di andare al Rimini Comics quest'anno?

Se sì, sarebbe bello incontrarci dal vivo! *-* Io sarò vestita dalla versione femminile di Ichigo Kurosaki (il protagonista dell'anime Bleach).
Fatemi sapere, anche se ancora abbiamo tempo (il Rimini Comics inizia il 20 luglio se non sbaglio).

Baci,

Elena :3

 

 

 

 

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Capitolo 17
*** Capitolo 15. ***


Non sapevo quante ore avessi dormito di preciso, ma dalla luce del sole che filtrava insistente attraverso gli spiragli presenti tra le assi della casa dedussi che fosse giorno inoltrato e dal brontolio del mio stomaco intuii di aver saltato il pranzo.

Tuttavia non furono la luce del sole e la fame a svegliarmi, bensì le voci che potevo sentire parlare fuori dalla porta chiusa della mia casa.

Inizialmente non riuscii a captare abbastanza parole per formare un discorso con un senso logico, ma dopo aver messo da parte la sonnolenza mi impegnai per cogliere ogni singolo sussurro. Ben presto capii che si trattasse di Stephen e Gally che, sorprendendomi, stavano parlando in modo civile. La cosa che invece non mi sorprese affatto fu il loro argomento di conversazione, che era niente di meno che la mia condizione di salute.

A quanto pareva Stephen stava cercando di convincere Gally a lasciarlo entrare in casa per vedere come stavo, ma il mio coinquilino non sembrava voler cedere, continuando a sottolineare che mi servisse riposo e pace. Trattenni una risata quando per un attimo li sentii alzare la voce entrambi infastiditi e abbassarla subito dopo per paura di svegliarmi.

Scossi la testa e mi sollevai dal letto, appoggiando i piedi a terra e stiracchiandomi la schiena.
Rilasciai un sospiro e delicatamente portai il mio palmo sullo zigomo che Brenda si era divertita a ferire la notte precedente. La mia pelle stava tirando e nonostante il bruciore fosse sparito, ora provavo quasi un indolenzimento su tutta la superficie del viso, quasi come se avessi del cemento al posto della carne. Feci una smorfia quando per sbaglio urtai la crosta che si era formata sopra il taglio sullo zigomo e ritirai la mano per evitare di fare altri danni.

Mi sollevai in piedi e mi sistemai i capelli dietro le orecchie mentre lentamente zoppicavo verso la porta. Esitai qualche secondo sulla maniglia e prima di aprirla rimasi ad ascoltare un altro pezzo di conversazione tra i due ragazzi.

"Ti ho detto che sta bene, ma che starà peggio se vedrà la tua brutta faccia fin dal mattino." ringhiò Gally.

"E io ti dico che questa faccia l'ha già vista come prima cosa al mattino e che sì, per tua informazione era felice di vederla."

"Certo che sei proprio un testone faccia di sploff, non mi sorprende che ti odiassero così tanto nel Labirinto." borbottò Gally.

"Già, ora che mi ricordo ero seduto al tavolo delle persone odiose ogni volta, proprio come te, piscio di mucca." replicò Stephen con tono acido.
"Si da il caso che qui l'unica cosa più vicina al piscio di una mucca siano i tuoi capelli, mio caro idiota."
"I miei capelli? Ma scusa, dico... Ti sei guardato allo specchio per caso? E se sì, non hai notato le ali di aquila che ti ritrovi al posto delle sopracciglia?" disse Stephen. "Sembri uno psicopatico qualsiasi espressione tu faccia."
Cercai di non ridere e mi decisi ad aprire la porta prima che i due iniziassero ad andarci giù pensante con gli insulti.

"Okay, okay, devo essere io a giudicare chi dei due è il più infantile oppure ci arrivate da soli?" domandai spalancando la porta e facendo saltare entrambi sul posto dallo spavento.

"Vedi? Te l'avevo detto che l'avresti svegliata!" brontolò subito Gally incrociando le braccia al petto e lanciando uno sguardo truce al ragazzo di fianco.

"Smettetela." ordinai scuotendo la testa ed uscendo definitivamente di casa. "Tutti e due." aggiunsi poi lanciando uno sguardo verso entrambi che, come offesi, evitarono i miei occhi.

Dopo aver aspettato qualche secondo e aver inteso che nessuno dei due sembrava voler parlare, mi decisi ad aprire bocca per far terminare quel silenzio imbarazzante. "Vi prego, ditemi che non ho saltato il pranzo."

Stephen mi rivolse il suo sguardo e prima che Gally potesse rispondere fece spallucce. "Potrei anche dirtelo, ma mentirei."

Alzai gli occhi al cielo e portai entrambe le mani sullo stomaco, sentendolo brontoloare di nuovo. 

Dannazione, Elena. L'unica volta in cui ti devi svegliare presto tu ti ostini a dormire. Mormorai nella mia mente. Mi ero svegliata all'alba per giorni, avevo desiderato di poter chiudere gli occhi e dormire profondamente ogni volta che appoggiavo la testa sul cuscino, ma in cambio avevo ricevuto solo notti insonni. Ora che invece speravo di poter fare un bel pranzo, dormivo troppo e mi svegliavo nel pomeriggio. Tutto in regola, insomma.

"Non preoccuparti, Eli." si sbrigò ad aggiungere Gally, lanciando un'occhiata di rimprovero al ragazzo di fianco. "Lo sai che Frypan ti adora. Vai in Cucina e vedi se riesci a convincerlo a cucinare fuori orario."



 

Solo quando varcai la soglia della Cucina il mio stomaco smise di brontolare, dandomi per un attimo sollievo. Sentii il rumore di pentole sbattere fra di loro e immediatamente capii che Frypan stesse lavando i piatti sporchi. Non mi sorpresi infatti quando, dopo essere entrata in una delle stanze seguendo quel suono, lo vidi indaffarato a strofinare una padella incrostata di chissà cosa, fischiettando e muovendo i fianchi al ritmo di una canzone improvvisata.

Sorrisi felice ripensando ai tempi in cui lo aiutavo ai fornelli, combinando più guai che buone azioni. Mi schiarii la voce e feci sussultare il cuoco che per poco non fece cadere la padella a terra.

Vidi il suo volto girarsi verso di me, incuriosito e infastidito allo stesso tempo, poi quando incrociò il mio sguardo mutò espressione, diventando immediatamente allegro e sorpreso.
"Fagiolina!" esclamò mollando la padella sul tavolo di legno accanto a lui e venendomi incontro con le braccia aperte. "Che bello rivederti!" aggiunse poi stritolandomi in un abbraccio e sollevandomi leggermente in aria.
"Anche per me..." borbottai soffocata, dandogli due pacche impacciate sulla schiena. 

Dopo qualche secondo il cuoco mi lasciò libera di respirare, ma non si allontanò, restando a guardarmi orgoglioso per qualche istante. 

"Cosa ti porta qui?" domandò curioso. "Hai deciso di tornare a lavorare con me?" chiese speranzoso.
"N-No, Fry, mi dispiace." borbottai imbarazzata, distruggendo con poche parole il suo entusiasmo. "In realtà sono venuta a chiederti un favore." iniziai. "Oggi ho dormito fino a tardi e... Be' ieri sera non ho mangiato e oggi ho saltato il pranzo e..."
"Un bel piatto di carne è in arrivo, Fagio." mi rassicurò subito il cuoco, senza neanche farmi finire la richiesta. "Siediti pure nel frattempo." mi propose indicando una sedia di fronte al tavolo.

Gli sorrisi riconoscente e zoppicai verso la sedia in legno per poi lasciarmi cadere sopra di essa.
"Ho visto quello che è successo ieri." mi informò il cuoco, cavando una fetta di carne cruda e infilzandola in una stecca di legno. "Non per dire, ma... non ho mai visto così tanti pugni in così poco tempo. Prima Thomas, poi tu..."

Alzai lo sguardo non appena sentii nominare il ragazzo e un brivido di disgusto mi percorse la schiena, facendo raggrinzire anche il mio cuore. Chissà se Frypan sapeva il motivo che mi aveva spinto a ridurre Thomas in quel modo.

"E dato che ormai ho toccato l'argomento..." borbottò il ragazzo, il tono di voce più dolce e sussurrato, quasi come se non volesse disturbare i suoni della natura attorno a noi. "Mi dispiace per Newt. Ha fatto male quando l'ho saputo, ma credo che per te sia stato devastante. Insomma, è un po' come quando scoppia una bomba: più ci sei vicino quando accade, più vieni ferito. Ecco, in questo caso la bomba era Newt e tu eri la persona più vicina a lui."
Mi morsi il labbro e abbassai lo sguardo tentando di nascondere le lacrime che come ogni volta avevano trovato il modo di bagnare i miei occhi. "Già." replicai tentando di ricacciarle indietro. "Non credo di poterlo spiegare meglio di così." aggiunsi sincera, tamburellando sulla superficie in legno del tavolo con i miei polpastrelli. "A volte mi chiedo cosa sarebbe successo se non fossi mai arrivata nel Labirinto. Se non fosse stato per me forse..."

"Forse saremmo ancora nel Labirinto." mi interruppe il cuoco con un tono freddo, quasi di rimprovero. "Anzi, no. Saremmo tutti morti per colpa dei Dolenti." si corresse poi. "Non c'é modo di evitare ciò che è successo, Fagiolina, non fartene una colpa."

Rilasciai un sospiro e mi sistemai sulla sedia per poi unire i miei due palmi e osservarli combaciare perfettamente. Le mani di Newt erano più grandi delle mie, avevano dita più lunghe e affusolate, avevano più calli per colpa del continuo lavorare negli Orti eppure erano delicate e sempre attente a muoversi con la precisione e l'accuratezza di chi lavora con la porcellana.

"Bene così, vado ad accendere un fuoco di fuori e poi torno con la tua carne." mi informò il ragazzo, rivolgendomi un sorriso accogliente e incamminandosi verso l'uscita della Cucina.

Lo osservai muoversi fino a quando non sparì oltre la soglia e solo allora distolsi lo sguardo.

Passai solo qualche secondo in compagnia del silenzio, perchè dopo qualche attimo potei sentire dei passi affrettati dirigersi verso di me.

Sorpresa della velocità del cuoco feci per voltarmi stupita, ma quando vidi delle manine spuntare vicino a me, intente ad appoggiare con fatica qualche scodella di argilla sul tavolo, mi bloccai.

Corrugai la fronte e guardai in basso, incrociando due occhi spensierati color nocciola.
Questi occhi... Pensai sentendo una fitta al cuore.

"Oh, ciao." mormorò la bambina sorpresa tanto quanto me di vedermi.

"Ciao." replicai sorridendole a fatica, senza riuscire a distogliere lo sguardo dal suo volto. Era così simili al fratello e la cosa mi faceva stare male. "Come va, Elizabeth?" fu l'unica cosa sensata che mi uscì dalla bocca.

"Bene. Mi stavo annoiando così ho preso in prestito qualche ciotola. Ogni tanto mi piace giocare a fare la strega così mischio tutte le erbe che trovo e ci faccio gli intrugli." spiegò la bimba camminando vicino alla sedia di fianco a me e arrampicandosi per potercisi sedere sopra. Una volta con le gambe a penzoloni, la bambina mi fissò con occhi preoccupati e mi rivolse la sua totale attenzione. "Tu invece? Come stai?" domandò con un tono sospettoso, come se fosse un investigatore e stesse indagando.

"Bene, credo." mentii.

"Lo sai che la mia intelligenza non è tanto poca quanto i miei anni, vero?"

Aggrottai le sopracciglia e cercai di nascondere il sorriso spontaneo che quella risposta sarcastica mi aveva causato. "Pensi che ti stia prendendo per stupida?"

"Be' contando che mi stai mentendo... Non so." spiegò lei con un sorriso leggero, ma sincero. "Sai, sono una persona che osserva molto. Mi diverte analizzare la vita della altre persone e tu sei abbastanza particolare da aver attirato la mia attenzione." confessò lei, stupendomi e spaventandomi allo stesso tempo.

Era un gioco per bambini? Era normale che una bambina con così pochi anni pensasse così tanto?

Contando che aveva in corpo lo stesso sangue del fratello era piuttosto comprensibile la sua saggezza per la sua poca età. Anche Newt era sempre stato così.

"E' colpa della cattivona di ieri se sei triste? Quella che ti ha fatto questo..." specificò lei, allungando la sua manina sulla mia guancia ferita e appoggiandola sopra il mio zigomo in modo delicato. Il suo tocco non mi fece male e quasi mi commossi quando la sentii lasciami una carezza sulla pelle. Sorrisi sincera e cacciai indietro il groppo di lacrime che aveva iniziato a formarsi in gola. Presi un bel respiro a appoggiai la mia mano sulla sua, gustandomi quel tocco quasi terapeutico, così dolce e sincero. 

Ha la delicatezza di Newt. Pensai.

"No, tesoro." la rassicurai. "Quello che è successo ieri è una vecchia storia, non te ne devi preoccupare."

"Allora è colpa di Gally se sei triste?" chiese lei ritirando la mano e socchiudendo gli occhi a fessura per analizzarmi meglio.

"Gally?" domandai stupita.

La bambina annuì e subito dopo spalancò la bocca incredula, sbarrando gli occhi e portandosi le mani sul cuore, come se avesse appena avuto un'intuizione terribile. "No! Non mi dire che ti ha lasciata, quello scemo di un mammut." esclamò quasi spaventata. "Lo sapevo che prima o poi avrebbe fatto un errore degno della sua stupidità!"

"C-Cosa?" domandai arrossendo e sbattendo le palpebre incredula. "Io e Gally non stiamo insieme."
"C-Cosa?" esclamò lei ancora più incredula di me, facendo cadere le mani sul grembo. "M-Ma siete così carini insieme!"

"Confermo." borbottò la voce di Frypan dietro di noi. "Anche se in realtà mi piace più Stephen."

"C-Cosa?" domandai per l'ennesima volta, voltandomi di scatto e rifilandogli uno sguardo di rimprovero per nascondere il rossore sul mio volto. "Ma state per caso progettando il mio futuro o cosa?"
"Ma se non stai con Gally e neppure con Stephen..." iniziò la bambina, attirando nuovamente la mia attenzione. "Chi ti piace?"
"Chi mi... piace?" domandai corrugando la fronte.

"Sì, insomma... Chi vorresti baciare?" chiese con occhi sognanti mentre Frypan mi allungava un piatto con la mia fetta di carne sopra.

"Vedo che siete nel bel mezzo di un discorso da donne, quindi..." iniziò il cuoco indietreggiando imbarazzato, pulendosi le mani sulla maglia. "levo il disturbo. Buon appetito." mormorò prima di sparire dalla mia vista ancora una volta.

"Allora?" insistette Elizabeth, senza nemmeno darmi il tempo di prendere un respiro. 
"Io non..." borbottai visibilmente in difficoltà. 

"Non hai una persona da baciare?" chiese lei delusa. "Neanche sulla guancia?" insistette. "Ma... Ma è triste." poi il suo volto si illuminò. "Sei triste per questo, vero?"

Distolsi lo sguardo dai suoi occhi illuminati di speranza e fissai la mia attenzione sul piatto di carne fumante. Il mio stomaco si era chiuso all'improvviso.

"Oh..." sussurrò la bambina, traendo le sue conclusioni dal mio silenzio imbarazzato. "Scusami, non volevo rattristarti. Ero solo curiosa... Io non ho mai baciato qualcuno." mi confessò lei, facendomi sorridere leggermente per la sua innocenza. 

La bambina, notando il cambio nella mia espressione, colse l'attimo per rivolgermi un'altra domanda. "Tu hai mai dato un bacio? Uno vero intendo, quelli sulle labbra."

Allungai lo sguardo stanco verso di lei e annuii leggermente, davanti agli occhi il ricordo del mio primo bacio con Newt e nel cuore la sensazione unica che avevo provato quando era accaduto.

"Raccontami." mi pregò la bambina. "Lui come era?"

Sorrisi e la guardai negli occhi. 'Magnifico' fu la prima parola che mi passò per la testa, poi però mi accorsi di quanto quelle lettere messe assieme in realtà non riuscissero a descrivere a pieno la sua persona. Newt era... troppo. Newt era stato troppe cose per me e non sapevo se sarei riuscita a descriverlo come avrei voluto.

"Come vi siete conosciuti?" insistette la bambina, appoggiando una mano sul mio ginocchio e scuotendolo leggermente come ad incitarmi a cominciare. "Voglio sapere tutto, ti prego."

Le lanciai uno sguardo e ci pensai su. Le stavo per raccontare di suo fratello, dei ricordi che avevo con lui, del suo carattere e della sua persona, delle cose che mi aveva detto, di ciò che aveva fatto... Se solo Elizabeth avesse saputo...
"L'ho incontrato nel primo giorno della mia nuova vita. Lui è stato la prima cosa che i miei occhi hanno visto." sorrisi malinconica e rilasciai una risata. "Mi ricordo di avergli puntato un coltello al collo. Bel modo di cominciare, vero?" scossi la testa. "Lui era... carismatico. Aveva uno sguardo magnetico che se lo incrociavi faceva sparire tutto ciò che avevi intorno, lasciando che lui fosse l'unica cosa ad esistere in quel momento. Ogni volta che lui mi era vicino c'era elettricità nell'aria, tanto che la mia pelle era costantemente scossa da brividi. Sai, ti assomigliava molto." azzardai, deglutendo a fatica e osservando lo stupore sul volto della bambina. "Anche lui era biondo e aveva gli occhi color mandorla, degli occhi che una volta osservati non si dimenticano, degli occhi che raccontavano mille sentimenti opposti tutti in un istante. Era sempre raccolto nei suoi pensieri e non si rendeva mai conto di quanto potesse essere un libro aperto per chi avesse osato leggergli lo sguardo. Era quel tipo di persona che mette sempre il bene altrui davanti al proprio, anche se questo spesso non faceva che nuocergli." presi un respiro, sperando di avere abbastanza coraggio e tenacia per continuare il racconto. "Quando per la prima volta avevo incrociato i suoi occhi avevo percepito un senso di tranquillità, come se le mille domande che avevo in testa fossero svanite in un istante. Nei giorni seguenti avevo percepito come il mio corpo reagiva ogni volta che lui era nei paraggi. Sai, le mitiche farfalle nello stomaco, le ginocchia che tremano, il fiato che viene a mancare..." spiegai facendo spallucce. "Ma con il passare dei mesi le cose si sono complicate. La W.I.C.K.E.D. ci sottoponeva a delle prove sempre più difficili e non c'era un momento in cui non temevamo per la nostra vita o per quella delle persone che ci stavano accanto. E' stato orribile, ma Newt mi è sempre stato accanto, riscaldandomi col suo tepore e il suo essere positivo. In un certo senso era rassicurante."
"Newt..." ripetè la bambina. "Era questo il suo nome?"

Mi morsi il labbro e annuii. "In realtà non so quale sia il suo vero nome. La W.I.C.K.E.D. ci ha dato nomi falsi prima di metterci nel Labirinto. Newt sta per Isaac Newton, sai quel simpatico signore che ci ha spiegato la gravità e le leggi della dinamica, la luce bianca e i colori, eccetera." borbottai scuotendo la mano. "In realtà anche il mio nome è un falso. Rebeca, ecco qual è il mio vero nome. Elena deriva da Elena di Troia, quella che secondo Gorgia ha unificato i Greci verso un unico obbiettivo, anche se poi ha fatto scoppiare la guerra."

Quasi per sbaglio incrociai lo sguardo della piccola e quando notai la sua espressione corrucciata e confusa, mi ricordai di stare parlando con una bambina e non con un adulto. "Scusami, non la volevo fare così complicata, ma non importa." mi corressi sorridendole e facendo spallucce. "Comunque, tutto sembrava andare fin troppo bene per noi due quando abbiamo scoperto che lui era malato di Eruzione." sputai fuori, sentendo un peso calare sul mio cuore. "E' stato... opprimente. Come quando sei nel mare aperto e all'improvviso delle onde troppo grosse per essere schivate iniziano a travolgerti e non riesci più a risalire in superficie perchè il mare continua a buttarti giù, e non riesci a respirare per via dell'acqua nei polmoni. E' straziante sapere che non puoi fare nulla per cambiare quella situazione e ciò ti fa stare male." confessai, sentendomi in colpa per essere la causa dell'espressione triste sul volto della bambina. "Lui ha... Newt ha deciso che era meglio separarci. Non voleva che io lo vedessi perdere il senno e venire imprigionato in un corpo che non controllava più, ed io l'ho lasciato andare. So che non avrei dovuto, ma l'ho fatto." sentii l groppo di lacrime crescermi in gola, dandomi una sensazione di soffocamento e oppressione. "Ho lasciato le sue mani, mi sono voltata e mi sono allontanata senza mai guardare indietro. Ho sempre pensato che fosse stato lui ad avermi abbandonata, ma solo ora mi accorgo che... sono stata io ad abbandonarlo." spiegai, dando luce ai miei pensieri e sentendomi male. 

Lanciai uno sguardo alla bambina e la vidi con gli occhi lucidi pieni di tristezza. "E ora dov'è?"

Presi un sospiro. 

Le avevo raccontato tutto in ogni minimo dettaglio, proprio come mi aveva chiesto, ma non riuscivo ad andare avanti. Quella domanda era troppo difficile, troppo complicata e scomoda per ricevere la risposta che meritava.

"Lui è..." presi un respiro. "Newt vive nei miei ricordi e nel mio cuore, dove è sempre stato e sempre sarà."

*Angolo scrittrice*

Yo what's up greenies?

Allora, ho un big annuncio per voi. 

Finalmente so in che parte degli Stati Uniti andrò: Michigan. Partirò il 23 agosto (sempre che la data non cambi) e tornerò a giugno del prossimo anno.

Un'altra big news è che sono tornata dalla Cina e siccome in molti su Wattpad mi hanno chiesto di raccontare cosa ho fatto e come mi sono trovata, ho deciso di fare un capitolo a parte in cui risponderò a tutte le loro (e ovviamente anche vostre) domande sul viaggio (perciò scrivete qua sotto nei commenti cosa siete curiosi di sapere) e vi dirò anche qualche curiosità.

L'ultima e per questo meno importante (no, scherzo... forse...) notizia è che una personcina carina (KATNISS4102002 ti odio ♥) mi ha taggata in una nuova e originalissima challenge! *inizia a ridere* *la sua risata si trasforma in un pianto di frustrazione* IO ODIO LE CHALLENGE. Be' odio anche i funghi e lo spago, quindi tutto in regola.
Perciò nel capitolo dedicato alla Cina ci sarà anche la challenge "tredici cose che non sapete su di me". Siccome poco fa ho fatto un "Get to know me", mi domandavo se ci fosse ancora qualcuno che vuole sapere qualcosa di particolare su di me o magari sulla storia. In caso non esitate a farmelo sapere nei commenti!

Baci,

Elena ♥

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Capitolo 18
*** Get to know me, China and 13 things about me ***


Zalve personcine!

Questo, da come avrete già capito, non è un capitolo, ma un misto di troppe cose per avere un titolo unico (ecco spiegato perchè il Get to know me, China and 13 things about me).
Premetto una piccola cosina. Ho scritto questo capitolo mentre ero con la mia migliore amica (Iax_Awinita) e ho pensato che farla partecipare come da voce dietro le quinte fosse divertente, perciò tutte le scritte che trovate a lato in corsivo sono i suoi commenti :')
Detto questo possiamo partire dalle domande che mi avete fatto nei commenti!

La prima è maddysqueen, che mi chiede:

1) Ti piace più Gally o Stephen? (Come carattere ect..)

1) Ah... Be' questa è difficile.
Dipende dai punti di vista, dopotutto sono due personaggi completamenti diversi.
Quindi... da un lato amo Gally per il suo essere premuroso, severo quando è necessario e sempre preoccupato nei confronti di Elena nonostante tutti i rifiuti che ha ricevuto.
Ma d'altro lato amo anche Stephen, in quanto è un personaggio definito da me.
E' come se me ne sentissi l'artefice (dire mammina sembrava troppo strano)  e quindi il suo carattere è il frutto della mia immaginazione.
Mi piace il suo essere freddo, ma contemporaneamente presente.

Voce da dietro le quinte: *cough cough* come mio fratello...

Ora che mi ci fai pensare è inquietante la somiglianza...

Non è più inquietante il fatto che tutti stanno pensando che tu stia parlando da sola?

Ma io non sto parlando da sola!

Nulla è mai come sembra.
(Originale: infatti la puzza dei piedi è tutta la tua).

*fa una faccia imbarazzata* *le lancia una scarpa addosso*
*coff coff* prossima domanda, per favore.

2) Di Minho cosa ne pensi?

2) Minho è la Sassy Queen.

Altro da aggiungere?

Sì, portami le patatine.

3) Come sono i cinesi?

3) Cinesi.

Dai, non puoi rispondere così!

*le lancia il pacchetto di patatine finito*
I cinesi sono contro il bon ton (a proposito di bon ton, se siete curiosi continuate a leggere che poi ci sarà un punto al riguardo su 13 things about me): sputano per strada, fanno la pou per strada (chi vuole intendere intenda)...

Gli altri in roulette!

...
...
... 
Fuori da casa mia.

Comunque dicevo che sono poco igienici e poco discreti, spesso fissavano e facevano foto a me e alla mia famiglia, solo perché non hanno mai visto degli occidentali in vita loro.

4) Hai visto cartelloni su Austin Mahone?

4) Non neanche chi sia, quindi se c'erano non li ho notati. Mi dispiace :3

5) Come era il cibo?

5) Il cibo personalmente non mi è piaciuto.
Il fatto è che usano troppe spezie e non si sentono i veri sapori. Diciamo che detta così non rende l'idea, ma per farvi capire il disgusto vi prendo ad esempio una spezia in particolare che viene chiamata coriandolo e che sa di sapone. Buona, eh?

6) Ti sei divertita? Hai capito qualcosa di quello che dicevano?

6) Si, dai, mi sono divertita abbastanza (anche se il viaggio in generale è stato faticoso).
Però, no, non ho capito nulla di quello che dicevano e loro ovviamente non capivano me nonostante parlassi inglese.
Le uniche cose che credo di aver appreso sono due: a Pechino la maggior parte delle strade o stazioni hanno un nome che inizia con Jinsong; i cinesi quando parlano dicono spesso "nigga" quando non sanno cosa aggiungere (un po' come il nostro "ehm" o il "you know" americano).

7) Hai incontrato italiani? Ti è mancato scrivere? Ti siamo mancati? Mi adori vero? e.e

7) Sì, ho incontrato pochi italiani, ma già questo è molto. Sono perfino andata a mangiare in una pizzeria napoletana, dove il proprietario aveva il tipico atteggiamento italiano stereotipato.
Per quanto riguarda la storia, sì, mi è mancato scrivere, anche se credo che questa "pausa" mi sia servita per iniziare di nuovo con più energia. Oh, e mi siete mancati tanto quanto spero io sia mancata a voi ♥
E sì, ti adoro hahahah

Adori anche me, vero?

Ti direi di sì, ma sai... nulla è mai come sembra.

Ora passiamo alle domande di francyvolpe (ps: ho saltato qualche domanda a cui ho già risposto sopra, spero non ti dispiaccia):

1) Sinceramente dicendo... con chi shippi Elena?
1) Ovviamente con Newt, anche se devo ammettere che spesso e volentieri la trovo carina anche con Gally e Stephen.

2) Hai sofferto quanto noi nel scrivere La Rivelazione (riferimenti puramente casuali) di ciò che successo a Newt?
2) Assolutamente, inesorabilmente e inevitabilmente sì.

3) Quale dei tuoi personaggi maschili preferisci?
3) Newt, ovviamente.

4) E di quelli femminili?
4) Brenda.

*alza gli occhi allucinata* 
*inizia a sfilare il coltello da sotto le coperte*

Eh, eh! Ve l'ho fatta!
Volevate insultarmi, eh? E invece non potete, perchè ovviamente stavo scherzando.

*nasconde lentamente il coltello fingendo che nulla sia mai accaduto*

Il mio personaggio preferito è Elena, anche se apprezzo molto pure Hailie ed Elizabhet.

5) Perché non fai fuori Brenda?

Bella domanda.

5) Perché ancora non è giunta la sua ora.

6) Stephen o Newt?

6) Newt.

7) OTP del tuo libro? OTP proprio di Maze Runner?

7) Newtlena (Newt+Elena) per il mio libro e Thomesa (Thomas+Teresa) per Maze Runner originale.

8) Di che colore hai i capelli? Che ne pensi di chi si tinge i capelli di blu, grigio o altri colori del genere?

8) I miei capelli originali sono marrone chiaro, anche se al momento ho ancora qualche rimanenza della tinta nera che ho fatto qualche mese fa.
Per quanto riguarda la seconda domanda... Be', sinceramente penso che siano persone come le altre :') io stessa mi volevo tingere di blu, ma poi avevo paura di rovinare i capelli con la decolorazione e quindi ho lasciato perdere.

9) Hai qualche tatuaggio o ti piacerebbe averne?

9) Non ho nessun tatuaggio, ma sto progettando di farmene qualcuno non appena compio 18 anni.

10) Colore degli occhi? 

10) Occhi castani :3

11) Cosa ti piace di te esteticamente? Cosa no?

11) Di me stessa mi piacciono molto le labbra, le ciglia, il naso e i capelli
Le cose che non mi piacciono invece... *si schiarisce la voce* *inizia a parlare alla velocità di Eminem* piedibrufolipiedipiedipiedipiedipiediditadeipiediconpiedi (poi capirete perchè nelle 13 things about me).

12) Il tuo carattere? Cosa non ti piace del tuo carattere? Cosa sì?

12) Sono riservata, non molto loquace e selettiva nei confronti delle mie amicizie.
Mi definisco una persona tranquilla, a cui piace scrivere e cantare.
Non piace il mio essere troppo testarda e il fatto che spesso rinfaccio di aver ragione sugli altri.
Della mia personalità apprezzo la determinazione e il non dipendere dagli altri.

*cerca di avvicinarsi per un abbraccio*
Sei fantastica!

Ah, dimenticavo.
Non sono una persona incline agli abbracci. Odio ogni contatto fisico che sia di troppo.

13) Cosa ti piace nelle persone? Cosa no?

13) Le cose che ritengo fondamentali nelle persone sono la gentilezza e la sincerità.
Detesto la sfrontatezza e la presunzione, per non parlare dell'ipocrisia.

14) Com'è stato il viaggio? Con cosa hai viaggiato? Com'era il cibo?
14) Il viaggio è stato molto lungo, troppo. Ho preso un aereo da Bologna e dopo 8 ore sono arrivata a Dubai. Qui ho aspettato per quattro ore il volo di coincidenza e dopo altre 9 ore sono arrivata a Pechino.
Il cibo sull'aereo era abbastanza decente, ma servito a orari totalmente sballati! Per farvi capire vi dico solo che mi hanno dato la cena alle sei di pomeriggio e dopo appena due ore la colazione.

Il cibo cinese invece era abbastanza disgustoso (vedi la risposta 5 che ho dato a maddysqueen) e soprattutto conservato in luoghi piuttosto discutibili (trasportano la carne nei sacchetti di plastica!)

15) Come si comportavano con te?
15) Come ho già detto, quando capitava che girassi per le strade, tutti si fermavano a fissarmi. Per i primi giorni era quasi imbarazzante, poi però è diventato veramente insopportabile. La cosa divertente è che molti cercavano di parlarmi, ma non sapendo io il cinese e loro non sapendo l'inglese era piuttosto difficile conversare. Ho avuto un dialogo abbastanza strano con un ragazzo che lavorava come controllore su un autobus. Per farsi capire lui ha usato un traduttore sul cellulare che traduceva peggio di google. Vi lascio immaginare le risate.

16) Qual è la principale differenza che hai notato?
16) Il codice stradale! I Cinesi hanno un codice stradale abbastanza strano: ci sono strade cittadine da quattro corsie; gente che supera a destra e a manca; i motorini e le biciclette possono non rispettare il codice stradale in quanto possono viaggiare sui marciapiedi e sulle piste ciclabili, perfino in contromano (non scherzo); usano il clacson per ogni minima cosa; il semaforo rosso è valido per tutte le macchine tranne per quelle che girano a destra (non chiedetemi perchè), sulle autostrade il limite di velocità è 60km/h. Poi anche lo smog (non si riesce a vedere un palazzo a 400 metri distante) e il fatto che tutti scataracchiano per strada(per chi non sapesse cosa vuol dire, sarebbe quando si fanno dei rumori schifosi con la gola per far risalire il catarro e la saliva per poi sputare a terra) e scorreggiano in pubblico. No, non sto scherzando.

17) Dove sei stata precisamente? Com'era il posto?
17) Sono stata in due città in particolare: Pechino, che è molto popolata e inquinata; Xian, che è altrettanto popolata, ma dalle costruzioni e dalle strade mi è apparsa molto più ordinata e pulita.

18) Hai parlato cinese o inglese? 
1
8) Ho parlato solo inglese, anche se nessuno lo capiva (l'unica cosa che sanno dire è "excuse me/hi/ bye bye).

19) Se ti spostavi usando mezzi pubblici quali hai usato? Com'è stato?
19) Ottima domanda! I mezzi pubblici in Cina sono fantastici! Io ho usato solo i tram e la metro, ma posso dire che sono molto organizzati! I tram e i treni passano ogni cinque minuti e non solo sono molto semplici da usare per chi non parla Cinese, ma anche molto economici! L'unico problema è che sono sempre pieni di persone e quindi io ho sempre viaggiato in piedi schiacciata contro i finestrini a morire di caldo.

20) Puoi farci vedere qualche foto?
20) Purtroppo di foto ne ho poche, ma sto preparando un video che vi mostrerò a breve!

 

21) C'è qualche stereotipo che puoi confermare o negare?
21) Allora... il primo stereotipo che mi viene in mente è: i Cinesi sono veramente tutti uguali? Be', in effetti sono molto simili tra di loro, ma semplicemente perchè hanno gli occhi a mandorla, capelli e occhi scuri, ecc... E' ovvio che non tutti sono identici, ma molti si assomigliano.
I Cinesi mangiano i cani? No, mi dispiace sfatarvi il mito, ma in Cina è vietato mangiare carne di cane.
Non mi viene in mente altro, sorry.

22) Cosa ti mancherà di più? Cosa di meno?
22) Mi mancherà mia sorella! Probabilmente è l'unica cosa che mi mancherà della Cina hahahahah No, dai... Mi mancheranno molto anche i luoghi un po' più antichi che sono andata a visitare, perchè credetemi, sono veramente belli!

23) Cosa ti è mancato di più dell'Italia? C'erano ristoranti italiani?
23) Il cibo e il calore amichevole che solo gli Italiani riescono a darmi sono le cose che mi sono mancate di più. Ma comunque sì, c'erano ristoranti italiani, il punto è che bisogna saper distinguere quelli falsi da quelli reali. E' facile per noi Italiani comprendere questa differenza, ma per i Cinesi  e altri turisti no :')

Passiamo ora alle domande di rossella_rose (scusa ancora se mi sono dimenticata... oh, ho saltato anche qualche domanda a cui avevo già risposto).

1) Hai mangiato qualcosa di particolare?1) Sì! Il primo cibo strano che ho mangiato è stato un dolce che inizialmente ho comprato perchè credevo che fosse con la cioccolata, ma solo dopo averlo assaggiato ho capito che dovesse trattarsi invece di marmellata ai fagioli. Già. Fagioli. Altri cibi particolari possono essere i ravioli (molto buoni!), i noodles (molto disgustosi!) e... avete presente quelle cose che mangia Po di Kung Fu Panda? Ecco, non mi ricordo come si chiamano, ma sono veramente buoni!

2) Hai parlato un po' di cinese?2) No :') L'unica cosa che so dire è Siesie (grazie) e Buchecì (prego). Ve li ho scritti come si pronunciano hahahaha

3) Il tempo com'era?3) Era super, mega, extra caldo! Uscivi da casa, facevi due passi ed eri già madido di sudore. Per farvi capire... Io solitamente sono una persona che beve poco, ma quando sono andata in Cina almeno due litri in un pomeriggio me li scolavo e avevo ancora sete!

4) Hai fatto qualche esperienza speciale? 4) No, ma ho visto alcune cose strane e divertenti, come ad esempio il modo in cui fanno i noodles (che poi vedrete nel video).

5) Il posto più bello che hai visto?

5) La Muraglia Cinese! E' un'opera mastodontica e stupenda, veramente.

6) Hai mangiato un cane, una medusa o un topo?

6) No hahahaha che poi a dire la verità non ho mai visto un topo per le strade nonostante la poca igiene.

Per forza non ne hai visto nemmeno uno: se li mangiano!

7) Hai provato la cerimonia del the?7) No, purtroppo non l'ho provata. In effetti l'unico the che ho bevuto mentre ero là era troppo dolce per i miei gusti, per il resto ho bevuto solo acqua calda con limone o cetrioli (sì, in Cina nei ristoranti non esiste acqua fredda).8) Ci hai pensato? Ti siamo mancate?

8) Certo che vi ho pensato e che mi siete mancate! Non sapete quanto era triste svegliarsi senza le solite notifiche su Watt...

9) Sei stata ispirata da qualcosa?9) Mh... Intendi per la storia? Be' in effetti mi è venuta qualche idea mentre ero lì e infatti ho scritto qualche spezzone mentre ero in treno.

Bene, le domande personali sono finite... Ora passiamo al 13 things about me.
KATNISS4102002 mi ha taggata in questa bellissima challenge (ironia portami via) che in realtà ho già fatto.
Praticamente devo dirvi 13 cose che non sapete su di me e poi taggare altre 15 persone (muahahahahahh non lo farò mai).

Partiamo!

1) Ho sempre pensato che il bon ton fosse un dolce. Quando poi ho scoperto che in realtà fossero le buone maniere mi sono sentita tradita e delusa :')

2) Ho un dito più piccolo nel piede destro (ecco spiegato il motivo per cui odio così tanto i miei piedi).

3) Ho una cicatrice lunga la bellezza di 17 cm.

4) Amo l'odore di erba tagliata e l'odore della colla vinilica.

5) Quando ero piccola ho dato almeno una decina di forti botte in testa che miracolosamente non mi hanno causato un'emorragia celebrale (ecco spiegata la mia poca sanità mentale).

6) Quando ero piccola ero terrorizzata dal famoso 'mostro sotto il letto' perciò quando ho avuto la possibilità di farmi una nuova camera mi sono comprata un letto che toccasse a terra, senza perciò lasciare lo spazio al mio mostriciattolo. Tutt'oggi, soprattutto dopo aver guardato un film horror, mi capita di avere il terrore di toccare i bordi del letto per paura di essere afferrata da delle mani.

7) Ho paura delle altezze, tanto che mi sono messa a piangere sulla Muraglia Cinese.

8) Odio il caffè.

9) Ho scritto ben 15 storie, ma ho pubblicato solo quella di Maze Runner.

10) Ho iniziato a scrivere quando ero alle elementari e il mio primo racconto era una favola per bambini lunga ben 100 pagine.

11) Mi piace costruire cose :3

12) Nonostante io sia una ragazza, a volte assumo un comportamento totalmente maschile ad esempio odio andare in bagno insieme ad altre mie amiche, non ho la tipica indecisione femminile su ogni minima cosa, odio lo shopping, non parlo mai, odio i film romantici e amo quelli d'azione, ecc...

13) Ho tre abilità nascoste: so fare la voce di Stitch; so fare la voce di Saw l'Enigmista; quando ero piccola sapevo muovere le ossa presenti nelle nocche della mano (ora purtroppo non ci riesco più).

Bene! Dire che posso concludere questo capitolo! Ringrazio la mia bae per avermi aiutato e spero che questo non-capitolo vi sia piaciuto.

Baci,
Elena ♥

PS: mi prendo qualche giorno in più per scrivere il prossimo capitolo, in quanto succederà qualcosa di fondamentale che voglio descrivere bene e in modo dettagliato.

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Capitolo 19
*** Capitolo 16. ***


L'espressione di Elizabeth mutò improvvisamente e i suoi occhi si bagnarono di lacrime, diventando improvvisamente lucidi e tremanti. La bambina tirò fuori il labbro inferiore e il suo volto si contrasse in un'espressione forzata, quasi come se stesse cercando di trattenere il suo pianto. La sentii tirare su col naso e mi preoccupai, sgranando immediatamente gli occhi e porgendomi in avanti come per vedere meglio. Non potevo credere ai miei occhi... Avevo fatto piangere una bambina!
Complimenti ragazza, la tua depressione ha finalmente avuto successo anche su altri. Mi sgridai mentalmente. 
"E-Elizabeth..." la chiamai preoccupata, scendendo dalla sedia e avvicinandomi a lei. Le appoggiai una mano sulla spalla e la strinsi leggermente nel tentativo di causare in lei una risposta positiva.
"E'..." iniziò la bimba tirando su col naso e singhiozzando. "E' così triste!" urlò per poi scoppiare a piangere e gettarsi su di me. 

Le sue braccia mi circondarono la vita e la bimba affondò il suo volto tra i miei vestiti, stringendoli tra i pugni come se non volesse lasciarmi andare mai più. 
Le accarezzai la testa imbarazzata e cercai di pensare a qualcosa di sensato da dirle.
"E' orribile!" gridò ancora la bambina tra un singhiozzo e l'altro, affondando il suo volto ancora di più. 
"Sì, ma... sono cose che succedono." mormorai incapace di dire altro. "Quando si ama qualcuno si è consapevoli di quello a cui si va in contro e purtroppo la morte fa parte della quotidianità, Lizzy." spiegai alla bambina, cercando di non farmi sciogliere dalle sue lacrime. Se non tenevo duro ben presto ci saremmo ritrovate entrambe a piangere.
"C-Cosa si prova?" domandò la bambina, ancora curiosa nonostante tutto. La sentii allentare la presa su di me e lentamente si distaccò, asciugandosi le lacrime sulle guance con la manina tremante e rifilandomi uno sguardo con quei suoi bellissimi occhi profondi, ora macchiati dalla tristezza.
Mi morsi il labbro e le accarezzai la guancia, asciugando le ombre del suo pianto. "E' diverso per ogni persona..." buttai giù, cercando di rimanere quanto più generica possibile. Non avevo intenzione di farla piangere ancora.
"E per te come è stato?" chiese lei, insistendo e facendomi venire un groppo alla gola.
"E' stata come un'esplosione." spiegai riutilizzando le parole di Frypan. "Non saprei dirti se fossi io stessa la bomba o se semplicemente mi fossi trovata troppo vicina al momento dello scoppio, so solo che ha fatto dannatamente male."
"Hai pianto?" chiese lei, tirando su col naso.
Annuii leggermente. "Fino ad esaurire tutte le lacrime, poi ho iniziato ad piangermi dentro. Era come se... come se urlassi disperatamente aiuto, ma nessuno potesse sentirmi." mi morsi il labbro talmente forte da farmi male.
La osservai negli occhi e per l'ennesima volta mi sentii morire. Sarebbe cresciuta senza un fratello. Non lo avrebbe mai conosciuto e si sarebbe persa tutte le emozioni di crescere con qualcuno di familiare e non con un branco di estranei. Sarebbe stata sola. Si sarebbe sentita sola nonostante tutto l'amore che avremmo potuto darle.
Era ingiusto.
Sentii le lacrime arrivare a pizzicare i miei occhi e capii di essere incespicata quasi vicino al cedimento. Non avevo intenzione di piangere sulla sua spalla, aveva già troppo peso da sopportare quella bambina per riuscire a sostenere anche il mio dolore.

Non se lo meritava.

"Ora devo andare." mormorai con un sorriso, sperando di riuscire ad ingannarla. "E' stato bello parlare con te, Lizzy."
"Ma non mangi la tua carne?" domandò la bimba, indicando stupita il piatto.
"No, tranquilla non ho più fame. Puoi mangiarla tu se vuoi." proposi incamminandomi verso l'uscita.
La bambina assunse un sorriso e annuì felice, poi con una mano si avvicinò il piatto di carne e lo sollevò leggermente, osservandolo affamata. 
Feci per uscire dalla stanza, ma all'improvviso mi fermai. Le avevo raccontato tutto tranne la cosa più importante. Non potevo andarmene senza dirglielo.

Mi bloccai sul posto e feci un passo indietro per poi voltarmi verso di lei. "Lizzy." la chiamai con un filo di voce, indugiando sui miei passi. 

La bimba alzò lo sguardo, le guance piene di cibo e gli occhi pieni di curiosità. "Per quanto possa aver fatto male, rifarei tutto daccapo. Conoscerei Newt e mi innamorerei di lui per altre mille volte, se fosse possibile." spiegai con un sorriso leggero che celava amarezza. "Perciò non avere mai paura di amare qualcuno solo perchè un giorno potrebbe non essere più con te. La vita non è infinita proprio per permetterci di godere dei più bei sentimenti senza darli per scontato, non dimenticarlo mai."

Non attesi una sua replica, nè una risposta nel suo sguardo. Semplicemente girai su me stessa e cercai di camminare verso l'uscita nascondendo il mio zoppicare. 
Quando fui fuori dalla Cucina girai a destra e mi accasciai contro la parete, sfinita e a pezzi. Presi un profondo respiro e conficcai le unghie sulla parete in legno dietro la mia schiena. Sentii alcune schegge conficcarsi nella mia pelle, ma ignorai ogni sorta di dolore che non fosse quello emotivo, il quale era già abbastanza da controllare. Chiusi gli occhi e mi concedetti qualche secondo per riuscire a rimettere in gabbia tutta la rabbia e la tristezza accumulati.

Non è giusto. Era una frase che avevo ripetuto troppo per i miei gusti, eppure ogni volta mi ritrovavo a comprendere a pieno il suo significato e a condividerlo.

"Eli..." mormorò una voce sopra di me. La sua voce. 

Mi morsi la lingua così forte che sentii il sapore metallico del sangue invadermi la bocca. Sollevai lo sguardo, pesante come mai prima d'ora. Incrociai gli occhi preoccupati di Gally e mi incatenai ad essi, riuscendo quasi a prendere un respiro di sollievo sopra i sentimenti negativi. Mi sentivo affogare.
"Stai be..." 
Non riuscii a fargli finire la frase. Mi gettai in avanti prima di accorgermene e in un attimo mi ritrovai ad abbracciarlo. Avevo bisogno di sentirmi sollevare da tutti i problemi, avevo bisogno di sentire qualcosa di solito attorno a me per riuscire a trovare un appiglio con cui fuggire dalle mie ombre, avevo bisogno di ricevere abbastanza affetto per riuscire a far tacere le voci nella mia testa e abbastanza tepore per sciogliere i coltelli infilzati nel mio cuore.

Gally non osò dire una parola e acconsentendo alla mia tacita richiesta mi strinse a sè in uno dei suoi soliti abbracci profondi e togli fiato. Per una volta era quasi un sollievo riuscire a trattenere il respiro abbastanza a lungo da sentire i propri polmoni bruciare.
"Ogni tanto provo a chiudere gli occhi e mi dico di stare bene, ma sembra non essere mai abbastanza." confessai, sussurrando con la testa appoggiata alla sua spalla. 
"Devi solo aspettare... A volte ci vuole molto tempo per riprendersi da delle cose così grosse e pesanti." mi rassicurò Gally.

"Lo so, ma..." intrappolai la sua maglietta nel mio pugno. "Sono stanca di aspettare. Pensavo di potercela fare, lo pensavo veramente. Pensavo di poterlo superare, ma perchè continuo a provarci se so già che fallirò e cadrò di nuovo? Sento come se stessi sprofondando sempre di più. Ho abbandonato la superficie da tempo e ora mi ritrovo inchiodata al terreno."

Il ragazzo fece un attimo di silenzio, poi lo sentii sospirare. Allentò la presa e mi distaccò lentamente per poi allungare una mano sul mio volto per spostarmi dietro l'orecchio una ciocca di capelli. "Andiamo, ti porto a caccia."
Quella fu l'unica cosa che disse, ma bastò a lasciarmi senza parole. Gli avevo appena confessato come mi sentivo e... lui voleva portarmi a caccia?

"A caccia." ripetei, sentendo quando quelle parole suonassero stupide.
"Sì." rispose lui indicando il bosco con la testa leggermente inclinata. "Hai bisogno di sfogarti e  questo è il modo migliore che conosco per farlo." spiegò in modo tranquillo.
Lanciai uno sguardo oltre le sue spalle e osservai la nostra casa. Non ero molto convinta che una passeggiata in mezzo al bosco per cacciare animali indifesi mi fosse molto d'aiuto in quel momento, ma d'altronde non avevo di meglio da fare in quel momento e sapevo per certo che andarmene a crogiolare a letto non fosse la scelta migliore.

"Vado a prendere l'arco e le frecce." lo informai ritornando con lo sguardo su di lui e osservandolo sorridere in modo spontaneo.
Non sapevo se sarei riuscita a sentirmi meglio, ma almeno ci avrei provato. "Ci vediamo tra cinque minuti davanti all'entrata del bosco."




 

Io e Gally eravamo stati a caccia per ore e al contrario di quanto avevo ipotizzato la mia rabbia e la mia tristezza si erano calmate. Non seppi ben dire se quel mio stato di tranquillità fosse dovuto al fatto che stessimo camminando in mezzo alla natura, accompagnati dal dolce canto degli uccellini e soprattutto lontano da tutti, o se fosse dovuto al fatto che in ogni freccia che lanciavo mettevo tutta la rabbia e la frustrazione, sbarazzandomene quando lasciavo la freccia libera di librare in aria.

In ogni caso entrambi avevamo passato più tempo a cercare qualche preda da uccidere piuttosto che a parlare e già questo mi aveva aiutata molto.
Probabilmente una delle cose che mi piacevano di più di Gally era la sua capacità di adattarsi al mio umore: con lui non avevo bisogno di esprimere cosa provassi per sentirmi compresa, perchè gli bastava leggermi negli occhi per sapere ciò di cui avevo bisogno quando nemmeno io ne ero consapevole. 
E in quel momento le uniche cose di cui necessitavo erano isolarmi e stare in silenzio, ed ero profondamente grata a Gally per averlo capito da solo. 

"Per essere solo un Costruttore te la cavi con la caccia." affermai osservandolo raccogliere l'ennesimo scoiattolo ucciso da terra e appenderlo per la coda alla sua cintura da caccia.

"Lo prenderò come un complimento, Fagiolina." ridacchiò lui pulendosi le mani sui pantaloni e poi voltandosi verso di me. "Dovremmo tornare... si sta facendo tardi." 
Allungai uno sguardo alla mia cintura e osservai le prede che avevo cacciato. Nonostante io ed il ragazzo avessimo deciso di uccidere solo animali di piccola taglia, la mia cintura si stava facendo abbastanza pesante. Rivolsi nuovamente il mio sguardo al ragazzo e annuii per poi seguirlo tra gli alberi.
"Senz'altro ora Frypan avrà molto da..." la mia frase venne interrotta da uno sparo.

Mi bloccai sul posto e sentii il sangue gelarsi nelle vene quando riconobbi il leggero rumore di elettricità che lo aveva accompagnato.

Mi voltai in un secondo e incrociai lo sguardo di Gally, spaventato e confuso tanto quanto il mio. Senza neanche dire una parola entrambi iniziammo a correre verso il villaggio. 
Più ci avvicinavamo più tutto si faceva silenzioso. Nessuno urlava o piangeva, nessuno sparava o gridava ordini. Sembrava quasi che dopo quello sparo una cupola di vetro fosse calata attorno a me, impedendomi di sentire qualcosa all'infuori del mio respiro affannato. 
Tutto era fin troppo silenzioso.
Strinsi il mio arco e continuai a correre al fianco di Gally.
Cosa stava succedendo?
A meno che non fossi impazzita del tutto ero sicura di aver sentito il rumore di un lanciagranate.
Nel momento in cui vidi la fine del bosco accelerai per raggiungerla il prima possibile e superai Gally che continuò a corrermi dietro.
Poi, dopo aver allungato uno sguardo alle case adiacenti al bosco, scorsi una sagoma nera.
Feci appena in tempo a notare il lanciagranate che quella persona teneva in mano che mi sentii afferrare da dietro. Quando sentii un braccio bloccarmi per l'addome e tirarmi per fermarmi, istintivamente lanciai un urlo che però venne soffocato da una mano premuta forte e con decisione sulle mie labbra.
Se non fosse stato per il suo odore, probabilmente non avrei riconosciuto Gally e avrei continuato ad urlare attirando l'attenzione di quella strana figura che si aggirava tra le nostre case.
Sentii il ragazzo muoversi e immediatamente mi trascinò con sé dietro ad un albero dal tronco abbastanza largo per coprirci entrambi. Lo sentii stringermi ancora di più contro di lui e nel momento in cui la mia schiena entrò in contatto con il suo petto percepii che stesse cercando di trattenere il suo respiro affannato, senza però riuscirci.
Stando bene attenta a non uscire dalla copertura dell'albero, sollevai una mano e la posai sopra quella di Gally che aveva usato per tapparmi la bocca. Delicatamente la afferrai e la feci scorrere, scostandola dalle mie labbra e facendola posare sul mio petto che, proprio come quello del ragazzo, faceva su e giù in cerca di ossigeno.

"Chi diavolo era?" sussurrai al ragazzo, guardando fisso davanti a me.
"Non lo so, ma il lanciagranate credo che spieghi molte cose." bisbigliò lui, muovendosi leggermente.
Chi diamine era? Urlai nel mio cervello, sentendo il panico crescere in me. La W.I.C.K.E.D. era stata annientata dal Braccio Destro. Il Braccio Destro era scomparso, ma in ogni caso non avrebbe avuto il coraggio di ricominciare ciò che la W.I.C.K.E.D. aveva lasciato a metà. 
La W.I.C.K.E.D. era morta! La W.I.C.K.E.D. era morta e con lei il suo piano irragionevole.

"Aveva qualcosa..." spiegò Gally sussurrando improvvisamente dal nulla, spaventandomi. "Aveva qualcosa nel braccio. Tipo una fascia o un'etichetta." continuò poi.
"Avrebbe anche potuto avere una maschera da maiale, non cambia nulla." replicai dura. "Quello che ci dovrebbe importare è come riuscire a raggiungere il villaggio senza farci notare."
"Volevo solo dire che magari è una fascia di riconoscimento. Ti è mai capitato di vederla prima d'ora?" domandò lui.
"No." dissi sicura, poi ripensandoci mi corressi. "Non credo, almeno. Non ne sono sicura."
Lo sentii prendere un profondo respiro, segno che aveva appena iniziato a pensare profondamente e in modo attento. Lo sentii muoversi leggermente e per un attimo temetti che volesse uscire dalla copertura, poi realizzando quanto quella mossa stupida non fosse tipica di Gally, mi tranquillizzai.
"Sta facendo un giro di controllo attorno alle case." mi informò lui. Alzai lo sguardo e storcendo un po' la testa riuscii a vederlo intento a sbirciare oltre la corteccia dell'albero. "Quando finisce il giro deve per forza andare dall'altra parte delle case per iniziare di nuovo il ciclo. Dovremmo avere qualche secondo di copertura tra una casa e l'altra, possiamo sfruttarlo."

Annuii convinta. Era un piano abbastanza rischioso, ma alla fine era l'unica scelta che avevamo. 
Passammo qualche momento immobili, senza fiatare, ascoltando attentamente tutto ciò che ci circondava per paura di trovare altre brutte sorprese, poi finalmente dopo pochi minuti sentii la mano di Gally battere sulla mia spalla, segno che era ora di uscire allo scoperto e iniziare a correre. Avanzai, allontanandomi dal ragazzo e prendendomi i miei spazi per riuscire a cavare una freccia dalla faretra senza urtarlo. La posai sulla corda dell'arco e quasi subito sentii le mie dita pizzicare. Quel tremolio leggero si diffuse dai miei polpastrelli alle mie braccia e solo dopo aver chiuso gli occhi per un momento riuscii a far cessare quel fastidioso pizzichìo. Prendere quell'arma in mano non mi aveva mai trasmesso nulla fino a quel momento e ciò era stato un sollievo perchè l'unica cosa che quell'arco avrebbe potuto rievocare sarebbe stata la morte che avevo sottratto con esso, freccia dopo freccia.
Eppure, ora che mi ritrovavo ad utilizzare quell'oggetto per l'ennesima volta, ma per un motivo diverso, che era quello che fino a qualche mese prima mi spingeva a tendere la corda, sentivo il freddo fluire nelle mie vene, come se tutte le persone che avevo ucciso fossero tornate e stessero cercando di fermarmi dal commettere l'ennesimo errore.
"Stai bene?" domandò Gally, notandomi ferma a fissare il vuoto.
Presi un bel respiro e scacciai le ombre del passato attorno a me. "Andiamo." ordinai decisa.

 

 

 

Io e Gally avevamo percorso il tragitto che ci separava dal villaggio in fretta, ma stando sempre ben attenti a non farci scoprire. La guardia, come Gally aveva predetto, aveva cominciato daccapo il suo giro di ispezione, partendo dalla parte opposta delle case e dandoci così la possibilità di passare inosservati durante i nostri spostamenti. 
Quando ci trovammo incollati alla parete esterna di una casa, ci fermammo a delineare i passi seguenti del piano. 
"La cosa mi sa abbastanza chiara." disse Gally. "Per prima cosa facciamo fuori la guardia di sorveglianza e poi avanziamo. Non dobbiamo impiegarci troppo, altrimenti qualcuno si accorgerà della sua assenza."
"Sì, ma il problema è: quante altre guardie ci sono?" domandai. "E soprattutto: dove sono?"
Gally si morse il labbro inferiore e rilasciò un sospiro, poi quando fece per parlare di nuovo, una voce ci fece paralizzare entrambi.
"Okay, ho aspettato abbastanza." disse qualcuno con un tono teso e abbastanza infastidito. "Quanto diamine ci vuole a caricare degli stupidi bambini su una Berga, eh?" continuò.
Un brivido mi percorse la schiena. La voce sembrava essere abbastanza distante da noi, eppure suonava chiara e riconoscibile. Sperai di aver sentito male, ma ciò che Gally disse dopo non fece altro che confermare ciò che le mie orecchie avevano captato.
"I bambini?" domandò lui, tanto sconcertato quanto me. "Cosa vogliono dai bambini?"
"Non lo so, ma dobbiamo muoverci e..."
"Signore, stiamo facendo il possibile." ribadì un'altra voce, fin troppo familiare per essere ignorata. Sentii altri brividi lungo la schiena. Non era possibile! Non lui, non di nuovo...
"Be' il possibile non è abbastanza!" gridò infuriato quello che probabilmente doveva essere il capo. Sentii un gridolino soffocato e non ci volle molto a capire che provenisse da una delle bambine. 
"Hey!" la voce di Minho mi arrivò chiara alle orecchie. "Lasciala in pace!" urlò il ragazzo infuriato. "Lasciateci tutti in pace!"
Un attimo di silenzio e poi il suono di colpo sordo. Nessuno aveva sparato eppure ero sicura che qualcuno avesse colpito Minho dato che la sua voce non si fece più risentire.
"Dobbiamo dividerci." ordinai asciugandomi le mani sudate sui pantaloni. Il sangue mi si era bloccato nelle vene, più congelato che mai; il respiro debole continuava a raschiarmi i polmoni; la paura mi attanagliava la gola come un artiglio nero.
"Cosa? No!" si oppose Gally.
"Credo di aver capito di cosa si tratta." confessai, sperando solo di aver sbagliato ipotesi. Forse la voce che avevo sentito era solo molto simile a quella che ricordavo con tanto terrore. "E se ho ragione, è meglio dividerci."
Gally sgranò gli occhi. "Non mi dire che..."
"Sì." buttai fuori sentendo la mia bocca farsi sempre più asciutta e amara, le labbra tremanti e la lingua stretta tra i denti. "La W.I.C.K.E.D. è tornata."

*Angolo scrittrice*

Hey pive! Come va?
Scusate se ci ho messo tanto, ma dovevo essere sicura di cosa scrivevo in modo da non cambiare idea più avanti.
Come vi sa il capitolo? Spero non noioso.

Di chi pensate che sia la misteriosa voce che Elena confessa di aver riconosciuto?
Ma soprattutto...

Qualcuno viene al Rimini Comics questa domenica? *fa uscire il labbro inferiore e osserva le lettrici con occhi a panda in stile Elizabeth* vi pregooooo... *piagnucola*

Dai, a parte gli scherzi. Lo so che ve l'ho già detto, ma ve lo annuncio ancora una volta. Domenica 23 sarò al Rimini Comics e verrò vestita dalla versione femminile di Ichigo Kurosaki, perciò se mi trovate, fermatemi che vi voglio conoscere! *^*

Baci, 

sempre vostra Elena :3

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Capitolo 20
*** Capitolo 17. ***


L'espressione di Gally mutò mentre pronunciavo quelle pesanti parole. Il volto del ragazzo si fece pallido e spento, quasi come se avesse visto la morte davanti ai suoi occhi; la sua bocca si socchiuse leggermente e ci fu un momento, un breve istante, in cui il ragazzo perse il suo autocontrollo e lasciò che la paura gli facesse tremare le labbra; i suoi occhi fissi sulla mia bocca, quasi increduli di ciò che gli avevo appena detto, in cerca di spiegazioni ulteriori da parte mia; le sue guance precedentemente rosse per via della corsa, persero tutto il colore, diventando di un bianco glaciale, privo di vita.

"Non... Non può essere." mormorò lui con la sua solita voce profonda, ma questa volta con una nuova sfumatura. Sapevo che non fosse semplice paura... C'era anche dell'altro, eppure non riuscivo a capire cosa.
"I-Io..." presi un profondo respiro. Non era il momento adatto per farsi prendere dal panico. La vita di tutti ━ in particolare quella dei bambini ━ dipendeva da noi e dal modo in cui decidevamo di giocare le nostre carte. Eravamo in vantaggio, questo era vero: nessuno sapeva dove fossimo e se eravamo ancora più fortunati la W.I.C.K.E.D. non aveva nemmeno notato la nostra assenza. Dovevamo solo riuscire a sfruttare questo in nostro favore, agire in modo silenzioso, senza farci notare e poi attaccare a sorpresa. La cosa negativa era che non sapevamo quanti fossero, ma in ogni caso non saremmo riusciti a batterli tutti con combattimenti corpo a corpo. Dovevamo impedirgli di portare via i bambini, ma come...

Un'idea balzò nella mia mente. "Distruggiamo le loro Berghe." proposi.
"Già, come?" domandò frustrato lui. "Io propongo di trattenerli fino a che riusciamo. Dobbiamo arrivare alla mente di tutto. Se riusciamo a prendere il capo dell'operazione e lo minacciamo forse potremmo avere abbastanza tempo per liberare gli altri e cacciarli."
Mi morsi il labbro. In effetti non avevo la minima idea di come funzionassero le Berghe e in ogni caso non sarei riuscita a sabotarne una da sola, anche con l'aiuto delle mie frecce. Il piano di Gally era molto più rischioso, ma allo stesso tempo fattibile. 
"Okay." accettai annuendo preoccupata. "Tu uccidi la guardia di controllo e io vado a prendere il capo."
Gally sgranò gli occhi. "No, diamine." replicò. "Restiamo insieme."

Alzai gli occhi al cielo e sbuffai, poi però decisi che avevamo perso fin troppo tempo a discutere e che la guardia doveva aver ormai finito il suo giro esterno delle case. Ordinai a Gally di muoversi fino alla prima casa e di acquattarsi accanto alla parete di essa, rimanendo nascosto dietro l'angolo fino a che la guardia non lo avesse raggiunto. A quel punto sarei entrata in gioco io. Non appena la guarda fosse sbucata dall'angolo, le avrei lanciato contro una freccia, dritta alla trachea in modo che non potesse urlare. Gally sarebbe uscito e gli avrebbe dato il colpo finale.
Il ragazzo, fortunatamente, fece come richiesto e seguì alla perfezione il mio piccolo piano, riuscendo perciò nell'intento di operare in modo silenzioso. Il corpo morto della guardia venne trascinato dal ragazzo nel bosco e nascosto dietro ad uno dei tanti cespugli. Gally poi mi raggiunse di nuovo, tenendo saldo a sè il lanciagranate rubato alla guardia deceduta.
"Ora inizia la parte difficile." constatò il ragazzo. "Abbiamo poco tempo prima che si accorgano della sua assenza." mi informò indicando in modo distratto il punto in cui aveva nascosto il corpo.

"Sfruttiamo la copertura delle case." proposi, avanzando in avanti e sporgendomi attentamente quando arrivai alla fine del muro della prima abitazione. Sbirciai oltre il bordo e quando constatai che nessuno ci potesse vedere, corsi per pochi metri e mi nascosi dietro un altro muro.
Io e Gally avanzammo in questo modo fino a che non raggiungemmo l'ultima casa della fila adiacente al bosco. Qui ci fermammo ad ascoltare le voci fattesi sempre più alte e chiare.
"Qualcun'altro ha qualcosa da dire?" domandò una voce, altamente scocciata. "No?" insistette ancora.
Lanciai uno sguardo a Gally e con un'occhiata compresi i suoi pensieri. Lui, proprio come me, aveva intuito che i nostri cari amici della W.I.C.K.E.D. dovessero essere dalla parte opposta della casa.
Presi un profondo respiro prima di sbirciare per la prima volta oltre il bordo di quell'abitazione e ciò che vidi bastò a raggelarmi il cuore: tutti i nostri amici e gli altri abitanti del villaggio erano stati catturati e messi in ginocchio, con la testa china e il corpo tremante per la paura; delle guardie armate di lanciagranate facevano avanti e indietro, controllando attentamente ogni persona in modo che nessuno fuggisse; i bambini erano stati tutti raccolti e accalcati in gruppo, e uno ad uno salivano sulle due Berghe presenti. Lanciai uno sguardo al portellone aperto dell'aeromobile e mi accorsi della guardia che controllava ogni bambino e ne segnava il nome su una cartella, per poi farlo salire sulla Berga e passare al prossimo da registrare.
Riuscii a fatica ad identificare il corpo di Minho, steso a terra con le mani legate dietro la schiena. Il ragazzo aveva un taglio sulla fronte, ma non sembrava sanguinare molto. Probabilmente lo avevano colpito con il calcio del lanciagranate e lui era svenuto, ma ero sicura che in fin dei conti stesse bene.

Poi, per ultima cosa, decisi di dare un'occhiata alle due figure maschili che vedevo al centro: uno di loro mi erano sconosciuto, ma avrei giurato fosse il capo dell'operazione, dato il suo sguardo infastidito e la sua espressione tipica da chi da ordini ma non fa nulla per aiutare; al suo fianco una guardia armata di lanciagranate, che però a differenza di tutti gli altri non indossava il casco nero di protezione. Quando alzai lo sguardo sul suo volto, mi pietrificai.
Le mie orecchie non mi avevano giocato qualche brutto scherzo e di certo la mia memoria non si era arrugginita. La voce che avevo sentito... La sua voce...
David era tornato.
Lo stesso uomo che aveva cercato di buttare giù Brenda dalla Berga nella Zona Bruciata, lo stesso uomo che aveva cercato di separarmi da Newt quella stessa notte era tornato. Ero sicura che fosse lui: avrei riconosciuto i suoi capelli rossi e la sua faccia di caspio tra mille.
Mi trattenni dall'urlare di rabbia. Pensavo che quella feccia fosse morta nello scoppio, ma a quanto pareva non era stato così.

Mi ritirai velocemente indietro e lanciai uno sguardo preoccupato a Gally, sottolineando tutta la mia frustrazione. Il ragazzo d'altro canto ignorò la mia espressione e si stese su di me per riuscire a sporgersi anche lui. Dopo qualche secondo ritornò alla sua posizione iniziale, il volto paonazzo di chi aveva appena incrociato lo sguardo di un fantasma.
"Non ce la faremo mai." constatò il ragazzo, spiazzandomi.
"C-Cosa?" domandai stupita. "Gally sei stato tu a progettare tutto! Non possiamo mollare, non ora." continuai. "Non è questo il momento adatto per farsi prendere dal panico." lo rimproverai.
Presi un profondo respiro e cercai di calmarmi. Dovevo pensare in fretta ed architettare un piano.
Forse potevamo cercare di arrivare al capo, ma il problema era come raggiungerlo passando inosservati.

Mi sporsi una seconda volta, stando bene attenta a non farmi notare. Osservai il gruppo di persone inginocchiate a terra e mi venne un'idea geniale.
"Possiamo confonderci nella massa, ma dobbiamo essere cauti." proposi. "Ma dobbiamo dividerci. Tu conosci i boschi meglio di me, Gally: devi riuscire ad aggirarli e spuntare dall'altra parte. Io distraggo e guardie, mentre tu con il tuo bel coltellino inizi a liberare gli altri." spiegai. Poi, dopo aver letto l'espressione contrariata di lui, mi affrettai ad aggiungere. "Questa volta facciamo come dico io, credimi, funzionerà." lo rassicurai.
Il ragazzo mi lanciò una lunga occhiata di disapprovazione e mi fissò stanco, in attesa di una mia nuova trattativa. Poi quando comprese che non mi sarei tirata indietro e che nulla di quello che fosse uscito dalla sua bocca sarebbe riuscito a farmi cambiare idea, alla fine abbassò lo sguardo. "Va bene, ma aspetta che io arrivi prima di agire, okay?"
"Okay." accettai immediatamente, causando nel ragazzo un'espressione preoccupata.
"E non fare cose stupide." aggiunse poi, puntandomi l'indice contro.
"Oh, Gally." borbottai. "Mi conosci... Non farei mai nulla di stupido." lo informai con un sorriso poco rassicurante sul volto.





 

Avevo lasciato che Gally partisse per primo dato che per raggiungere l'altro lato ci avrebbe badato un po' e nel frattempo osservai attentamente gli schemi che le guardie sembravano seguire.
Le persone in ostaggio erano state raccolte in gruppetti abbastanza numerosi e ogni gruppo era sorvegliato da una guardia che passava lo sguardo continuamente su ogni sua vittima, come se avesse paura che qualcuno potesse creare una rivolta. I bambini erano spinti in fila diretti alla Berga e in realtà non c'era nessuno a controllarli o a tenerli in riga, se non la guardia addetta a prendere i nomi e a spedirli sulle due Berghe atterrate. Non avevo proprio capito la sequenza secondo la quale un bambino veniva mandato in un aeromobile piuttosto che un altro, ma la cosa non mi importava più di tanto. La cosa fondamentale per me era sapere che sia Hailie che Elizabeth non erano ancora state registrate.

Lanciai uno sguardo perfino agli abitanti del villaggio per riuscire ad individuare i miei amici e ciò fu abbastanza semplice dato che erano praticamente gli unici ad avere il viso alzato e non rivolto verso il basso, quasi come se stessero facendo una protesta silenziosa. Inutile specificare che anche in questa situazione Brenda faceva da eccezione, rimanendo china con il capo.
Quando decisi che avevo atteso abbastanza, mi organizzai per entrare in azione.
C'era un gruppo non molto distante da dov'ero, perciò sicuramente avrei puntato lì, ma ancora non sapevo come arrivarci senza attirare troppe attenzioni. Il mio maggior problema però non era come far passare inosservata la mia improvvisa presenza in quel gruppo, ma piuttosto come riuscire a nascondere l'arco e le frecce.
Decisi di sporgermi un'ultima volta e attendere una miracolosa distrazione della guardia.

Proprio in quell'istante, il volto di un abitante si girò in mia direzione.
Thomas, ad appena due metri di distanza, mi stava fissando con occhi sgranati. Era nell'ultima fila e aveva il volto reclinato, perciò non attirava molte attenzioni, eppure il fatto che mi guardasse mi dava fastidio.
Lo vidi allungare uno sguardo al mio arco e poi alla guardia davanti al suo gruppo, poi ancora verso di me. Non seppi dire con certezza quando decisi di fidarmi di lui in quell'occasione o perchè mi venne in mente, ma nel momento in cui vidi il suo sguardo, compresi che avesse capito le mie intenzioni e subito mi comunicò le sue con un'occhiata.
Sollevò le sopracciglia e con il capo sempre basso mi indicò il posto libero vicino a lui. Notai con felicità che al contrario di molti, Thomas aveva le mani legate davanti al busto e non dietro la schiena. Non mi ci volle molto a capire che fosse stato lui stesso a portare le sue braccia davanti per cercare forse di liberarsi o per sciogliere i nodi di altri. In ogni caso, vedendo i suoi polsi legati davanti, mi venne in mente un'idea.
Gli indicai l'arco e le frecce per poi puntare lo sguardo verso il posto libero accanto a lui. Quando il ragazzo sembrò aver afferrato il mio messaggio, decisi di lasciarlo perdere per un secondo e osservare la guardia affidata al gruppo di Thomas.
All'improvviso Dio sembrò ascoltare le mie preghiere, perchè tutto d'un tratto il capo parlò. "Dove cavolo è finito quell'incapace addetto al controllo generale?" sbraitò, attirando l'attenzione di tutte le guardie. Approfittai della situazione per far rotolare la faretra con le frecce verso Thomas, il quale si sporse per afferrarla e subito la nascose davanti a sè. Lanciai un'occhiata alla guardia e quando realizzai di avere ancora un po' di tempo, feci strisciare l'arco a terra, allungandolo il più possibile verso Thomas. Il ragazzo fece appena in tempo ad afferrare l'arma e a tirarla verso di sè per nasconderla che la guardia si voltò di scatto, puntando lo sguardo dritto su di lui.

Il respiro mi si bloccò in gola e mi appiattii veloce alla parete della casa, passando inosservata.
"Ehi, tu!" gridò la guardia. "Ragazzo! Sì, tu." continuò poi. 
Ci fu un momento di pausa e trattenni il fiato, ascoltando il cuore scoppiarmi nel petto. "Abbassa il capo." ordinò poi l'uomo, causandomi un sospiro di sollievo. Appoggiai la testa all'indietro e mi portai una mano al petto, sentendolo calmarsi lentamente.
"David." sentii il capo parlare. "Manda qualcuno a cercare quell'incapace del controllo generale."
Spalancai gli occhi. Dovevo muovermi!
Mi sporsi per l'ennesima volta oltre il muro della casa e sbirciai nuovamente la situazione. Dovevo cercare di creare un diversivo per fare in modo che le guardie puntassero la loro attenzione altrove, lasciandomi così la possibilità di sgattaiolare verso Thomas senza essere notata.
Lanciai uno sguardo dalla parte opposta e osservai attentamente i volti delle persone inginocchiate per vedere se Gally fosse arrivato o meno, ma ben presto realizzai che non ci fosse alcuna sua traccia. Feci per allungare lo sguardo altrove quando per sbaglio incrociai gli occhi di Stephen. Lo vidi aprire la bocca e spalancare le palpebre, ansioso e preoccupato all'improvviso, e di conseguenza mi allarmai anche io. Per un attimo temetti che avrebbe fatto qualcosa di stupido, attirando così l'attenzione e facendomi scoprire, poi però realizzai che forse avrebbe potuto essere lui il mio diversivo.
Sorrisi incoraggiante e sollevai le sopracciglia nel tentativo di svegliare Stephen dal suo stato di stupore. Quando finalmente il ragazzo riuscì a tornare neutro iniziai a lanciargli dei piccoli segnali. Passai lentamente con lo sguardo dal ragazzo al posto vicino a Thomas e poi tornai con gli occhi su di lui, sollevando nuovamente le sopracciglia. Stephen mi guardò dubbioso per qualche istante, poi però assottigliò le palpebre e mi guardò confuso, cercando forse di capire lo scopo del mio piano. Mi fissò per qualche attimo e poi vidi il suo viso rilassarsi e le rughe sulla sua fronte sparire. Lo osservai annuire leggermente e così rimasi in attesa di una sua mossa.
Il ragazzo guardò altrove e sul suo volto si formò un sorrisetto malefico, un ghigno talmente strano che per un attimo ebbi nuovamente timore di una sua mossa stupida. 
Poi, all'improvviso, il ragazzo scoppiò a ridere.
Inizialmente fu una risata leggera, quasi soffocata, ma dopo qualche istante si trasformò in una risata malvagia, come se fosse un malato mentale o uno psicopatico assassino.
Inutile dire che tutte le guardie si voltarono preoccupate. Perfino il capo dell'operazione gli rivolse la sua totale attenzione, fissandolo con occhi spalancati e pieni di terrore.

Non persi altro tempo e subito strisciai verso Thomas, il quale ora aveva il capo alzato.
Lo raggiunsi in poco tempo e fortunatamente nessuno si sembrò accorgere di nulla, tutti ancora troppo intenti a fissare Stephen, il quale non aveva ancora smesso di ridere.
"Cosa sta succedendo?" sbraitò il capo, le vene del collo improvvisamente gonfie. Attese qualche secondo e nessuno lo degnò di una risposta. "Perchè diamine sta ridendo?" chiese poi, rivolto a David. "Chi diavolo è?"
La guardia non esitò a rispondere. "Signore, quello era una delle nostre Cavie. E' stato torturato per anni e ha perso le sue sorelle... Non mi stupisce che sia impazzito." spiegò con un ghignò divertito sul volto.
Mi morsi la lingua pur di non piantargli una freccia in fronte seduta stante. 
"Cosa stai facendo?" mi sussurrò Thomas, cogliendomi di sorpresa e facendomi sussultare.
Portai le mani sul mio arco e delicatamente lo trascinai davanti a me insieme alla faretra. "Non sono affari tuoi." borbottai sbrigativa, cancellando quel piccolo sputo di fiducia che ero riuscita a tirare fuori pochi attimi prima per lanciargli le mie armi.
"Siamo in questo casino insieme." replicò il ragazzo con un tono grave, quasi ferito.
"Veramente? Non mi ero accorta." sputai acida.
Sapevo che non fosse quello il momento più adatto per litigare con lui, ma non riuscivo a non odiarlo e di conseguenza la mia antipatia nei suoi confronti si rispecchiava nelle mie parole. "Thomas..." bisbigliai, stanca di doverci parlare inutilmente. "E' troppo complicato da spiegare."
"Capisco." borbottò di conseguenza il ragazzo, abbassando la testa e rispondendomi con un tono totalmente deluso e triste.

Sapevo che voleva solo parlarmi, che stava cercando di rimediare a ciò che aveva fatto, che voleva spiegarmi come le cose erano veramente andate, cosa lo aveva spinto a fare quello che aveva fatto e come si sentiva, ma... Non ci riuscivo. Non sopportavo nemmeno l'idea di guardarlo negli occhi o di stringere in modo amichevole le stesse mani che aveva usato per togliere la vita a Newt. 
Da una parte desideravo sapere come tutto era successo, perché sapevo che ci fosse ancora un bel pezzo di storia che non avevo voluto sentire, eppure non ce la facevo. Forse avevo paura che una sua rivelazione avesse potuto appesantirmi il cuore ancora di più. Forse avevo paura che la stessa rivelazione avrebbe invece potuto farmi giustificare o in qualche modo accettare le sue azioni. Forse avevo paura di scoprire che la stessa identica rivelazione in realtà avrebbe potuto farmi pensare che magari anche io sarei stata capace di commettere un tale scempio.
O forse, in fin dei conti, avevo più paura di scoprire i miei pensieri più nascosti, piuttosto che ascoltare ciò che lui aveva da riferirmi.
Una voce mi fece sprofondare nuovamente nella realtà, distogliendomi dai miei pensieri.
"Fatelo smettere." ordinò il capo, visibilmente scosso da quella risata insensata di Stephen, il quale ancora non aveva smesso. "Immediatamente!" gridò poi, infuriato.
Vidi la guardia del gruppo del ragazzo allungare il lanciagranate verso il suo petto, ma un altro ordine da parte del capo lo fece indietreggiare. "Vi ho già ordinato di non sprecare inutilmente le granate elettriche, ignoranti!" sbraitò, anticipando le azioni della guardia. 
Comprendendo gli ordini del capo alquanto infastidito, l'uomo vestito in nero si sistemò il casco sopra la testa e poi sollevò il lanciagranate in aria, mettendo in mostra la fascia rossa legata attorno al suo braccio destro. In meno di un secondo il silenzio tornò a regnare: Stephen, colpito violentemente in testa con il calcio del lanciagranate, era caduto a terra privo di sensi, emettendo solo un lieve lamento. 
Avrei voluto difenderlo, urlare o piantare una freccia nel braccio della guardia che lo aveva ferito, ma sapevo di aver promesso a Gally di non agire prima del suo arrivo. Non potevo rischiare di mandare tutto in aria. 
Guardai nuovamente i gruppi davanti a me, analizzando attentamente ogni volto e cercando quello del mio complice, ma non sembrava ancora essere arrivato.
Dove diamine era finito? Ma soprattutto, perchè ci stava mettendo così tanto?
Lanciai un'occhiata alla fila di bambini in cerca di Hailie ed Elizabeth, e quando realizzai che le due bambine fossero quasi arrivate alla guardia che era stata incaricata di registrare i nomi di ogni bambino, il mio cuore perse un battito.
Dovevo sbrigarmi, ma senza Gally non potevo muovermi, glielo avevo promesso!
Rischiavo di mandare tutto in aria.
Mi morsi il labbro e continuai a fissare la fila di bambini diminuire sempre di più.

Lanciai di nuovo uno sguardo ai gruppi inginocchiati a terra, per notare nuovamente l'assenza di Gally. Non era ancora arrivato, ma io non potevo più aspettare.
Strinsi ancora di più la presa sul mio arco e mi sforzai di tenerlo nascosto ancora qualche attimo.
"Signore!" gridò una guardia, raggiungendoci di corsa. "Signore!" urlò ancora una volta avvicinatosi al capo. "La guardia addetta al controllo generale..." borbottò con il fiatone. "E' morta, signore. Ho trovato il suo corpo nascosto in mezzo ai boschi con una freccia conficcata in gola e una ferita al cuore."

Il capo sembrò sconvolto dalla notizia e si fece prendere dal panico. "Prendi cinque guardie e vai a cercare il colpevole. Qualcuno deve esservi sfuggito di mano, incapaci!" li sgridò, poi indicò la guardia addetta al mio gruppo. "Tu! Vai con loro." ordinò, poi si rivolse alla guardia addetta a registrare i bambini. "E tu muoviti, imbecille!" 
Trattenni il respiro e guardai nuovamente nella folla, in cerca di Gally di cui ovviamente non c'era ancora traccia.
Andiamo, Gally. Pensai. Muovi quelle chiappe e vieni qui.
Non sapevo quanto tempo avessimo ancora a disposizione prima che le guardie si accorgessero della truffa e si rendessero conto della mia presenza di troppo. O magari avrebbero prima trovato Gally... Non osavo immaginare cosa avrebbero potuto fargli.
Dovevo pensare e agire. In fretta.
Lanciai uno sguardo alla fila di bambini e vidi Hailie entrare nella Berga, spinta dalla guardia. Subito dopo lei, Elizabeth si fece avanti per essere registrata. 

Sgranai gli occhi e aprii la bocca, ma dalle mie labbra non uscì nulla. Avrei voluto gridare, alzarmi e sparare una freccia dritta sul petto di ogni guardia, ma dovevo attenermi al piano.
Oppure no?
Non sapevo più cosa fare.
Le promesse a volte sono fatte per essere rotte. Sentii una voce estranea parlare nella mia testa, ma subito capii a cosa si riferisse.
Forse avrei dovuto ascoltare il mio istinto e lasciare perdere Gally.
Quasi come se il destino avesse deciso per me, incrociai per sbaglio lo sguardo di David.

Inizialmente i suoi occhi rimasero neutri, quasi annoiati oserei dire. Ma quando mi riconobbe il suo sguardo si riempì di rabbia e delusione, quasi come se il suo sogno di vedermi morta si fosse infranto. Passò lo sguardo sul mio corpo e quando notò che le mie mani erano dritte in avanti, libere da ogni sorta di corda, un lampo di consapevolezza invase i suoi occhi verdi e un ghigno di divertimento malsano invase le sue labbra. Lo vidi allungare le mani sul suo lanciagranate e a quel punto capii di non potermi più nascondere.
Afferrai l'arco con decisione e presi la prima freccia che mi capitava sotto tiro. La sistemai sull'arco e puntai l'arma contro David senza nemmeno prendere bene la mira. Infatti sfortunatamente la freccia librò nell'aria e si andò a conficcare nel suo braccio destro, impedendogli di prendere il lanciagranate.
"Fermi tutti!" gridai a pieni polmoni, attirando l'attenzione di tutti e infilandomi alla svelta la faretra. Cavai un'altra freccia e la caricai, puntandola nuovamente su David, il quale si stava premendo la mano sul braccio, intento a cercare di sfilarsi la freccia.
Il capo si voltò in mia direzione e sembrò quasi sorpreso.
Immediatamente passai con la freccia da David a lui, osservandolo attenta.
"Oh, andiamo." sbuffò il capo. "Cosa hai intenzione di fare?"
"Io?" domandai ironica. "Oh, niente di che. Solo una protesta pacifica."
Il capo scoppiò a ridere e scosse la testa, ma prima che potesse aprire la bocca per parlare lo anticipai. "Ora voi ci lasciate in pace, tornare sulle vostre Berghe e ve ne andate. Per sempre." ordinai con voce ferma.
"Altrimenti?"
"Mi pare ovvio." mormorai. "Inizio a farvi fuori uno ad uno."

*Angolo scrittrice*

Heilà, Pive!
Scusate se sono sparita in questi giorni, ma ho avuto parecchio da fare.
Scusate se il capitolo è un po' noioso, ma non riuscivo a fare di meglio.
Nei commenti su Wattpad molti si aspettavano una rinascita di Janson e invece no, rispunta fuori David. Ve lo ricordate, vero?
Spero di sì :') comunque è interpretato da Jan Siegmund.

Baci,

Elena ღ


 

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Capitolo 21
*** Capitolo 18. ***


Dove sei Gally? Pensai lanciando un'occhiata veloce al folto del bosco dietro gli abitanti del villaggio ancora inginocchiati a terra. La cosa che mi preoccupava era che nessuno si fosse mosso dalla sua posizione iniziale, perfino i miei amici, quasi come se non credessero che potessi davvero farcela, ma d'altro canto erano ancora legati e non potevano fare nulla per aiutarmi in quelle condizioni.

Vedo David notare la mia esitazione, così torno con l'attenzione completamente su di lui, ripetendomi di rimanere calma. Dovevo mostrarmi sicura e ferma nelle mie azioni.
Rinforzai la presa sull'arco e feci qualche passo in avanti per avvicinarmi a David e al suo capo.
Quest'ultimo fissava la punta della mia freccia con disgusto, osservandola puntare dritta alla sua fronte. Un colpo e sarebbe morto. Questo lo sapeva anche lui.
"Chi sei tu e cosa hai intenzione di fare con i bambini?" domandai dura, cercando di racimolare un po' di tempo e sperare che Gally arrivasse presto.

Sul volto del capo si abbozzò un sorriso ironico. "Tu mi chiedi chi sono..." ripetè, accennando ad una risata. "Inutile ragazzina." borbottò per poi rivolgermi uno sguardo di odio. "Io sono la W.I.C.K.E.D. in persona, tesoro."
"La W.I.C.K.E.D. è stata..."
"Distrutta? Rasa al suolo? Fatta esplodere? Da chi? Dal Braccio Destro?" l'uomo scoppiò in una risata genuina. "Oh, veramente? Ma per favore..." si lamentò, sbracciando e alzando gli occhi al cielo. "E' così facile farvi credere a tutto. Quella che avete visto non è l'unica sede della W.I.C.K.E.D., sciocchi ragazzini." spiegò. "Il Braccio Destro ha distrutto e raso al suolo uno dei tanti edifici, come ordinato. Inizialmente il test non consisteva in ciò, ma dato che non tutto è andato come ci aspettavamo, abbiamo dovuto... improvvisare. Dopo che quel traditore di Hans vi ha tolto il chip non avevamo più modo di controllarvi da lontano, ma come è ormai risaputo la W.I.C.K.E.D. ha mille risorse. Abbiamo ingaggiato quello stupido gruppo di ribelli. Abbiamo corrotto i loro capi e li abbiamo pagati cari pur di riuscire a riportavi alla W.I.C.K.E.D. e analizzarvi da vicino. Era l'ennesimo test per mettervi alla prova e studiare il vostro cervello. Anche se abbiamo perso molte menti all'interno di quella sede, ne è valsa la pena. Il fine giustifica i mezzi, no?"
Sgranai gli occhi, scossa da ciò che avevo appena sentito. Quindi era stato tutto un inganno? Tutta una finzione? E noi ci eravamo di nuovo cascati, accecati dalla sete di vendetta. Tutti eravamo stati imbrogliati e la cosa peggiore era che avevamo permesso loro di giocare di nuovo con le nostre menti. Non feci nemmeno in tempo ad elaborare ciò che l'uomo aveva spiegato che mi ritrovai a dover ascoltare ancora. "Janson, uno dei migliori in quella sede, ha dato la sua vita pur di riparare ai danni che quella stupida traditrice di Ava Paige ci ha causato. Farvi fuggire in quel modo... è stato davvero un atto orribile, una pugnalata alle spalle." spiegò l'uomo portandosi una mano sul petto e facendo una smorfia di dolore. Poi un sorriso malsano gli solcò le labbra e continuò a parlare. "Ovviamente ne ha pagate le conseguenze."
Scossi la testa e cercai di rimanere focalizzata su di lui. Non dovevo perdere la concentrazione e non dovevo lasciarmi prendere dalla frustrazione.

Eppure... era tutto così dannatamente sbagliato! L'unica persona che aveva finalmente compreso quanto le azioni della W.I.C.K.E.D. stessero diventando estreme e fuori di testa era stata fatta fuori, se non torturata. E Janson... Definire Janson come una delle menti più brillanti e uno dei migliori era un oltraggio! Quell'uomo era stato la causa principale della nostra sofferenza e dei nostri problemi. Ci aveva sempre guardato soffrire dietro a degli stupidi schermi senza mai fare nulla per trovare un'altra soluzione meno drammatica per trovare la maledettissima Cura.
"C-Come avete fatto a trovarci?" domandai poi, dando voce ad una delle mille domande che mi bombardavano la mente.
Il capo rise di nuovo e subito David parlò. "Non sono fatti tuoi. Signore, non deve per forza..."
"No, no." rispose immediatamente l'uomo, asciugandosi una lacrima di divertimento. "Va bene così, David. Merita di sapere quanto siano stati talmente stupidi da essersi scavati la fossa da soli." sputò acido. "Quando avete preso i bambini e gli altri Soggetti, non avete fatto attenzione a disattivare i loro chip. Voi potrete anche non averli più, ma loro sì." 
Spalancai la bocca tremante. "M-Ma..."

Teresa aveva hackerato quelli dei bambini, ma... non avevamo minimamente pensato agli adulti!
L'uomo aveva ragione: eravamo stati imprudenti e stupidi.
"Se non sbaglio mi avevi posto un'altra domanda, vero?" continuò lui, rivolgendomi un sorriso soddisfatto nel vedere il mio sconcerto. "Che ne faremo dei bambini? Nonostante il tuo aspetto credo che tu sia abbastanza intelligente da capirlo da sola."
Le mie gambe tremarono quando realizzai ciò a cui i bambini sarebbero andati incontro.

Avevano intenzione di iniziare nuovamente le prove, come se nulla fosse mai successo.. Nuovi Soggetti, nuove sfide, nuovi orrori.
"Perchè?" domandai infuriata, quasi con le lacrime agli occhi per il dolore che provavo nel pensare che erano stati addirittura capaci di prendere dei bambini come Cavie. "Tutto quello che ci avete fatto, tutti i vostri stupidi dati, le vostre Variabili e... Perchè di nuovo?"
Il capo mi rifilò uno sguardo annoiato. "I dati raccolti non sono stati completati. Tutti i dati sul Candidato Finale sono automaticamente stati archiviati con la vostra scomparsa temporanea. E' passato ormai troppo tempo ed è ora di iniziare nuove prove, con nuovi candidati. Chissà, forse questa volta troveremo veramente la Cura!"
"Mi stai prendendo in giro?" scoppiai, facendo dei passi avanti e puntando la freccia al suo cuore, per riuscire a vederlo meglio negli occhi. "Questa è una pazzia!"
"Pensi veramente che riuscirai a fermarci?" domandò David con un sorriso derisorio in faccia. "Credi veramente che ti lascerei scagliare quella freccia senza subire conseguenze?"

Gli rifilai uno sguardo annoiato e alzai un sopracciglio. "Cos'è? Vuoi un'altra freccia impiantata nel braccio?" domandai infastidita, senza nemmeno rivolgergli lo sguardo.

Sapevo qual era il suo scopo. Voleva temporeggiare; parlarmi e distrarmi quanto bastava per trovare un buon momento per colpirmi e farmi fuori. Veramente pensava che fossi così stupida?
"Stai rischiando grosso, ragazzina." mi intimidì il capo.
"Non ho nulla da perdere, quindi perchè non rischiare?" mormorai facendo un altro passo avanti, sempre più decisa a far partire quella dannata freccia.
Le mie dita tremarono, frementi di lasciare la presa sull'arco e far librare la freccia in aria. 

Perchè Gally ci stava mettendo così tanto? 

Sapevo di non avere speranze senza di lui. Certo, potevo scagliare la freccia e uccidere il capo, ma poi il resto delle guardie si sarebbero aizzate contro di me e ovviamente non avrei potuto farle fuori tutte da sola. Avevo bisogno dell'aiuto degli altri! Gally aveva il compito di liberare tutti, non potevo farlo da sola! 
"Sei sicura di non avere nulla da perdere?" domandò David sorridendo in modo sadico, quasi come se si divertisse a giocare con la mia mente.
Mi morsi la lingua pur di non urlagli in faccia la verità. Volevo gridargli che sì, ero sicura, perchè Thomas mi aveva strappato di mano l'unica cosa più importante per me.
Non c'era modo di convincermi del contrario. Non avrei permesso che la W.I.C.K.E.D. giocasse ancora con il mio cervello, facendomi credere a cose che in realtà non esistevano.

Newt era morto. Thomas lo aveva ucciso.
Solo dopo essermi catapultata fuori dai miei pensieri realizzai di aver puntato lo sguardo su Thomas, il quale mi fissava turbato. La rabbia si impossessò del mio corpo e a stento riuscii a trattenermi. Strinsi la mascella e mi urlai di mantenere l'autocontrollo. "Sì." sibilai rifilando al ragazzo uno sguardo spento per poi riprendere a fissare David. "Sono sicura." mormorai con un sorriso acido, pieno di rancore e tristezza.
Lo sguardo di David si illuminò e le sue labbra vennero solcate da un sorriso perfido, malato e distorto. Una risata eruppe dal nulla, infastidendomi più del dovuto. La guardia finse di asciugarsi una lacrima e poi tornò immediatamente seria, facendomi quasi paura.

Il suo sguardo non celava nulla di buono. Sembrava quasi che gli avessi appena servito la mia debolezza su un piatto d'oro, dandogli ciò che voleva per sconfiggermi.

La guardia inclinò leggermente la testa e mi fissò in modo sinistro. Per un attimo mi sentii nuda davanti al suo sguardo, come se fosse riuscito a capire tutto di me e di quello che era successo, e mi sentii debole e indifesa alla mercè delle sue cattiverie.

Dovevo riprendere il controllo delle mie emozioni.
Gli occhi della guardia si staccarono da me e rapidamente il suo sguardo sorpassò la mia spalla.
Mi ripetei di non girarmi e di rimanere fissa su di lui con lo sguardo. Avevo intuito quale fosse il suo intento, ma non sarei caduta nella sua stupida trappola. Voleva che mi voltassi e che puntassi la mia attenzione altrove, ma ciò non sarebbe successo.
Strinsi la presa sull'arco e la puntai meglio sulla testa del capo, stando bene attenta a non perdere il mio obbiettivo. 
Poi, tutto d'un tratto, David indicò qualcosa dietro le mie spalle con un lieve cenno del mento, ma anche questa volta mi sforzai di non guardare, rimanendo con lo sguardo fisso nei suoi occhi.

Capii di aver sbagliato tutto quando un lamento si diffuse alle mie spalle.
Sgranai gli occhi e sentii le mie gambe tremare. 
Non mi sarei voltata.

Non lo avrei fatto.

E se invece avessi dovuto farlo?

Non sapevo più a cosa credere. Un piano di David per farmi voltare oppure l'uomo aveva veramente dato l'ordine di prendere in ostaggio qualcuno alle mie spalle?
Mi morsi la lingua e mi spostai lentamente di lato, tenendo lo sguardo sempre fisso su David e il capo. Mi spostai alle spalle di entrambi, facendo così in modo di avere dietro di me solamente la Berga e poi con la coda dell'occhio osservai alla mia sinistra il gruppo di persone inginocchiate a pochi metri da me. Con orrore notai di aver sbagliato ogni cosa: Thomas era in piedi e mi stava fissando con occhi imploranti; dietro di lui una guardia con un coltello puntato sul suo collo.

David mi guardò, lo sguardo di chi aveva appena ottenuto ciò che sperava e il ghigno soddisfatto di chi sapeva di aver già vinto in principio. Le sue braccia si aprirono, quasi come a suggerirmi di arrendermi, facendomi notare lo scudo che lui aveva creato.

"Sei pessima a mentire, sai?" mi derise, sollevando le sopracciglia in segno di sfida. "Getta l'arco e lasceremo vivo il tuo fidanzatino."

"Lui non è il mio fidanzatino." grugnii infastidita. Thomas mi stava ancora creando problemi e la cosa mi faceva impazzire. Perché diamine doveva sempre mettermi i bastoni tra le ruote?

Mi morsi le labbra talmente forte che senti una fitta e subito dopo il sapore del sangue riempirmi la bocca, ma non feci nemmeno una smorfia e continuai a fissare Thomas dritto negli occhi. Dai un'occhiata rude, piena di risentimento e di rabbia nei suoi confronti. Volevo che si sentisse in colpa, volevo che capisse che per me non era altro che un ostacolo. Volevo che comprendesse cosa significava sentirsi di intralcio e inutili al mondo, perché almeno così avrebbe compreso come mi ero sentita io in tutti quei mesi.

Era tutta colpa sua.

Thomas sembrò cogliere i miei pensieri o perlomeno lesse la mia espressione, e quando comprese che nel mio sguardo non ci fosse preoccupazione o pena per lui, si trasformò. Un barlume negli occhi del ragazzo mi colse di sorpresa, destando mi dai miei pensieri e attirando la mia attenzione. Non capii immediatamente di cosa si trattasse, ma solo quando diedi una seconda occhiata riuscì a leggere i suoi occhi color mandorla: lo sguardo di Thomas aveva perso ogni traccia di preoccupazione e ora, al posto del implorazione che avevo precedentemente letto, potevo notare una rassegnazione disarmante. Thomas sbattere le palpebre e mi lancio uno sguardo vuoto, quasi spaventoso tanto era privo di emozioni, poi il ragazzo sorrise. Un sorriso malinconico, di chi aveva appena capito di non avere scelta virgola di essere arrivato alla fine. Mi sembra quasi che le sue labbra avessero pronunciato la frase 'sapevo che questo momento sarebbe arrivato', ma in realtà mi accorsi che la sua bocca non si può semmai mossa. Il ragazzo mi guardo ancora per qualche secondo, poi i lineamenti del suo volto si rilassarono e a quel punto le sue labbra iniziano veramente a muoversi. "Fai quello che devi fare." mi disse serio. "E' giusto così."

Spalanca gli occhi, tanto sorpresa quanto lo era David in quel momento. 
Thomas mi aveva appena chiesto di uccidere il capo nonostante ci fosse la sua vita in ballo?
Sentii le mie dita tremare, esitanti sulla freccia e sudate per la troppa tensione.
Mi morsi il labbro e distolsi lo sguardo da Thomas, puntandolo nuovamente sul capo.

Era quello che volevo, no? E allora perchè mi sembrava sbagliato?

Sbattei le palpebre più volte e cercai di concentrarmi sul mio respiro.
Tirai la corda dell'arco ancora di più e sentii il mio braccio tremare per lo sforzo. Osservai la freccia puntare dritta al centro della fronte dell'uomo e rilasciai un sospiro.
Lentamente il mio corpo si rilassò e la mia mente si liberò da ogni pensiero. Okay, potevo farcela. Dovevo farcela.
Feci per lasciare la freccia, quando qualcosa nel mio corpo si mosse. Non ero stata io ad ordinarlo e nemmeno lo avevo pensato, semplicemente era accaduto. Le mie braccia si erano velocemente spostate e ora la freccia non puntava più sul capo, ma sulla guardia che teneva Thomas fermo. Non ebbi nemmeno il tempo di realizzare ciò che il mio istinto aveva scelto per me che sentii il rumore della freccia staccarsi dalla corda, ora tremante, e fluttuare in aria.
Non vidi dove la freccia andò a conficcarsi, ma dal suono crudo e dal lamento che lo seguì compresi di aver centrato il bersaglio. Feci appena in tempo a notare l'espressione stupita e sconvolta di Thomas che mi sentii catapultare all'indietro con forza.
Sentii il mio corpo sbattere violentemente contro una superficie dura e fredda, ma non riuscii nemmeno a mugugnare per il dolore di quell'impatto che sentii una mano stringersi sul mio collo. Il fiato mi venne a mancare, incastrato in gola, e abbandonai l'arco a terra per concentrare entrambe le mani sulla presa che ora mi stava soffocando.
Annaspai in cerca d'aria e conficcai le unghie nelle mani del mio aggressore, senza però riuscire a risolvere granchè. Allungai i piedi e stirai le gambe nel tentativo di riuscire a toccare terra, ma ogni mio tentativo fu inutile. Ero sospesa in aria, tenuta attaccata alla Berga per il collo.
Sentii il mio corpo tremare e l'istinto di tossire e vomitare mi impregnò la mente, peggiorando di gran lunga quando compresi di non riuscire a fare nessuno dei due.
Con gli occhi ormai fuori dalle orbite, abbassai lo sguardo e incrociai due pupille verdi, piene di soddisfazione e malsano divertimento.

Non mi ci volle molto a capire che si trattasse di David.

Lui mi rivolse il suo solito ghigno distorto e le sue labbra si mossero. "Cos'è? Non riesci a respirare?" domandò, fingendosi preoccupato per me. "Colpa mia... Sono troppo mozzafiato."
Del sano disgusto nacque dalle mie membra, scuotendomi e nauseandomi più del dovuto.
Quell'uomo era rivoltante.
Sentii i miei polmoni andare in fiamme e il mio cuore pompare sangue nelle vene, impazzito e senza controllo. Riuscii appena ad inalare un filo di ossigeno, che però non fece altro che peggiorare la situazione, perchè i miei polmoni iniziarono a contrarsi per riceverne di più.
Sentii un grugnito uscire dalle mie labbra, seguito poi da un lieve lamento.
David strinse la sua presa ancora di più, facendomi scalciare pur di riuscire a liberarmi. Iniziai a dare pugni sulle sue braccia, senza però smuoverlo di un millimetro.
Vidi il suo volto avvicinarsi al mio e le sue labbra aprirsi leggermente, per poi sfiorare il mio orecchio destro. Nonostante non potessi vederlo, compresi che stesse sorridendo malignamente, soddisfatto del mio dolore.
Il panico si impossessò di me quando capii di essere arrivata alla fine della sopportazione.
Serrai gli occhi e strinsi i denti, lamentandomi ancora.
"Alla fine sembra che sarò proprio io ad ucciderti, troietta." mi sussurrò lui, causandomi dei brividi di disgusto lungo tutta la schiena.
Un grido irruppe nell'aria, macchiando il silenzio e attirando l'attenzione di tutti, tranne quella di David.
Lui non si distanziò da me nemmeno di un millimetro.
Poi, quando pensai di aver veramente passato il limite, il panico abbandonò il mio corpo.
Un urlo più di sorpresa che di dolore venne dalle labbra di David, il quale immediatamente mollò la presa su di me.
Caddi a terra e strisciai il più lontano possibile da lui. Tossendo e sbavando in cerca d'aria.

L'ossigeno tornò a riempire i miei polmoni che quasi sembrarono dimenticare come si respira, perchè subito iniziarono a contrarsi e a dolere. Una tosse improvvisa e violenta mi scosse, perforandomi la schiena e la gola.
Conficcai le mie dita nella terra e appoggiai la testa al suolo, chiudendo gli occhi e cercando di non strozzarmi. Pensai di dover vomitare perfino l'anima, ma nulla accadde.

Sentii delle persone gridare dietro di me, ma non riuscii ad ascoltare le parole che si urlavano a vicenda, troppo impegnata a recuperare il fiato per prestare attenzione.

Incanalando tutte le mie forze nelle braccia, riuscii a tirarmi in ginocchio e lentamente mi trascinai contro la parete della Berga. Mi accasciai contro di essa e delicatamente mi portai le mani al collo, sentendolo in fiamme e bruciante al mio tocco.
Feci una smorfia, ma non mi diedi per vinta. Diedi un'occhiata veloce intorno a me e all'improvviso notai una figura muoversi veloce tra le guardie.

"Sparategli, idioti!" gridò il capo, nascosto dietro a tre guardie. "Sparategli!"

Socchiusi gli occhi e cercai di mettere a fuoco la figura appannata che correva di guardia in guardia, attaccando e poi scappando.
Gally.
Gally era arrivato.

 

{PS: scusatemi veramente tanto, ma non ho avuto il tempo di revisionare il capitolo. Chiedo umilmente scusa per gli eventuali errori.}

 

 

 

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Capitolo 22
*** Capitolo 19. ***


{IMPORTANTISSIMISSIMISSIMO: leggete l'angolo scrittrice. So che è lungo, ma è fondamentale che tutti - e dico TUTTI - lo leggiate!}

Lanciai uno sguardo veloce alla parete esterna della Berga e notai un pugnale infilzato nel metallo, proprio dove prima David stava cercando di soffocarmi. Non mi ci volle molto per capire che era solo merito di Gally se l'uomo mi aveva lasciata andare e ora mi stava ignorando del tutto, troppo impegnato a dare ordini per badare a me. Solo dopo che la mia vista si mise a fuoco su di lui notai il taglio profondo che partiva da una sua tempia e gli arrivava quasi alla guancia, segnando di rosso perfino l'occhio che l'uomo teneva serrato per evitare che il sangue gli entrasse dentro le palpebre. 

Distolsi lo sguardo da David e immediatamente capii di dovermi muovere. Gally non poteva farcela da solo e, sebbene anche con il mio aiuto l'impresa sarebbe stata ardua, volevo almeno restituirgli il favore. Mi voltai e feci appena in tempo a mettermi in ginocchio che una figura in movimento colse la mia attenzione: a qualche metro da me, una guardia stava correndo nella mia direzione, brandendo il lanciagranate come se fosse un prolungamento del suo braccio.

Velocemente cercai a terra il mio arco e quando lo individuai a meno di un metro di distanza, mi gettai in avanti per riuscire ad afferrarlo in tempo. Tanta era la fretta di trascinarlo vicino a me che sradicai anche qualche ciuffo d'erba, ma non ci diedi peso e subito sfilai dalla faretra una freccia, puntandola a caso nella direzione in cui avevo visto la guardia.

Lo stupore ben presto si confuse col terrore quando realizzai che la guardia fosse sparita dalla mia vista. Il mio cuore perse di un battito, ma scossi semplicemente la testa, cercando di cacciare via quel dubbio per concentrarmi su altro.
Puntai la freccia verso la massa di guardie che stavano cercando di attaccare Gally e non appena lasciai la corda, sparando il mio colpo, sentii qualcuno afferrarmi per le spalle e spintonarmi a terra. Questa volta non feci l'errore di mollare a terra l'arco e lo tenni ben stretto nella mia mano, mentre con l'altra cercavo di afferrare una freccia nella faretra alle mie spalle.
Le mie dita fecero appena in tempo a sfiorare il legno delle frecce che qualcuno alle mie spalle mi colpì di nuovo, spiaccicandomi a terra.
Mi girai velocemente a pancia in su e notai con orrore che ad attaccarmi era stata la guardia che precedentemente avevo visto correre in mia direzione. La vidi alzare la gamba e solo quando fu troppo tardi capii che volesse tirarmi un calcio. Cercai di rotolare di lato per evitare il colpo, ma il suo piede finì comunque sul mio fianco, facendomi mugugnare di dolore.

Gattonai all'avanti, cercando di guadagnare un po' di terreno per riuscire a scagliargli la freccia addosso senza che fosse troppo vicino, ma tutti i miei tentativi furono vani perchè all'improvviso lo sentii afferrarmi per i capelli. Un urlo mi uscì dalle labbra quando la guardia mi sollevò di peso in piedi, tirandomi poi all'indietro con violenza e probabilmente staccandomi qualche ciocca.

Cercai di controllare il dolore e tentai di pensare ad un modo per liberarmi, quando il mio sguardo venne catturato da una guardia a qualche metro di distanza, intenta a puntare il lanciagranate contro Gally. Senza nemmeno pensarci due volte alzai l'arco e tirai la corda prendendo bene la mira, poi lasciai la freccia, facendo perfettamente centro. Il ragazzo non si accorse nemmeno della mia azione e continuò a correre nel tentativo di guadagnare un po' di vantaggio per riuscire a liberare qualcuno dei abitanti del villaggio e ricevere un aiuto.
Nella folla individuai perfino Thomas che nel caos totale era stato completamente ignorato e usando finalmente per la prima volta la sua intelligenza si era inginocchiato nuovamente nel suo gruppo per fingersi legato e nel frattempo slegando i nodi degli altri.
Il sorrisetto soddisfatto sul mio volto mutò in smorfia quando la guardia dietro di me mi diede un altro strattone. Stanca di quella situazione e indolenzita lungo tutta la testa tirai una gomitata all'indietro, colpendo la guardia. Questa non mollò la presa, ma esitò per qualche istante, colta di sorpresa. A quel punto, facendo forse la cosa più stupida o masochista in tutta la mia vita, tirai violentemente all'avanti per liberarmi. Nonostante la presa dell'uomo si fosse allentata dopo il mio colpo, la guardia riuscì comunque a staccarmi qualche ciocca, ma cercai di non fiatare, mordendomi il labbro e concentrandomi sulla nuova freccia che ero pronta a sparare dritta al suo petto. Una volta colpito mi voltai di scatto e continuai con il mio piano principale, avanzando e dandomi una grattata distratta alla testa. La pelle tra i miei capelli bruciava un po' e potevo sentire perfino il mio collo pizzicare, ma sapevo che qualche capello strappato potesse di certo aspettare. Dovevo aiutare Gally finchè potevo.

Raccolsi una freccia, la puntai sull'arco, presi la mira tirando bene la corda, poi lasciai la freccia liberare di fendere l'aria e conficcarsi dritta nel cranio di una delle guardie.
Senza perdere tempo cavai un'altra freccia e colpii un'altra guardia intenta a rincorrere Gally.
Un'altra freccia in meno nella mia faretra, un altro uomo in più che cadeva morto a terra.

Una freccia, una morte; un tiro d'arco, un urlo di dolore; una mira ben presa, un corpo che si accasciava a terra.

Per un attimo pensai di poter continuare con quella routine all'infinito o almeno così credetti fino a che David non mi puntò il dito contro, ordinando alle guardie di bloccarmi.

Senza pensarci due volte iniziai a lanciare frecce con ancora più assiduità, puntando in particolare verso chiunque cercasse di avvicinarsi.  Mi sentivo imbattibile.

Poi un fischio di elettricità nell'aria e il suono di una granata che veniva sparata. Non mi ci volle molto per individuare chi fosse stato l'artefice: David aveva afferrato il lanciagranate che precedentemente aveva appeso dietro la schiena e aveva sparato in direzione di Gally, colpendolo al petto.

Vidi il ragazzo drizzarsi con la schiena e immobilizzarsi all'istante. Ogni suo muscolo si irrigidì e lo vidi stringere i pugni lungo i fianchi, rimanendo immobilizzato in quella morsa di elettricità. Gally non urlò e non emise un fiato, semplicemente continuò a tremare fino a che le sue ginocchia non ressero più il peso del corpo e a quel punto crollò a terra fumante, colto continuamente da spasmi.

Gridai senza nemmeno accorgermene e mi ritrovai a correre in direzione di David, con una freccia puntata sull'arco. L'uomo si voltò in mia direzione e mi sorrise, quasi come se avesse capito di aver colpito il mio punto debole e ne fosse soddisfatto.

Lanciai un altro grido, arrabbiata e frustrata, e feci per lasciare partire la freccia puntata al suo petto in un colpo mortale, quando qualcuno decise di buttarsi su di me per placcarmi. Lasciai partire la freccia nella speranza di colpire comunque il mio avversario, ma quando caddi a terra l'unico lamento di dolore che sentii fu il mio, comprendendo perciò di aver fallito il tiro.

Feci per trascinarmi in avanti e sfuggire dalla presa della guardia sopra di me, ma questa mi tirò nuovamente all'indietro e mi obbligò a voltarmi a pancia in su. Mi resi conto di avere il fiatone solo quando la guardia mi bloccò a terra con il suo ginocchio, puntando proprio sul mio petto e spingendo in basso, rendendomi difficile riprendere fiato.

Mi dimenai e cercai in tutti i modi di allontanarmi, ma ogni mio tentativo divenne vano quando la guardia sopra di me alzò il lanciagranate in aria, anticipandomi le sue mosse.
Quasi istintivamente sollevai le mie mani a coprire il mio volto nel tentativo di proteggermi, ma il calcio del lanciagranate andò comunque a segno, colpendomi sia l'orecchio che la tempia. Le mie mani attutirono il colpo quanto bastava per farmi rimanere cosciente. 
Inizialmente non provai nulla, solo una forte pressione sul lato del mio volto. Sentii l'impatto fresco del lanciagranate sulla mia pelle, ma solo dopo qualche secondo iniziai a percepire l'intontimento.

Sbattei le palpebre più volte, ma per qualche istante vidi solamente nero. Spalancai gli occhi, ma le cose non migliorarono, anzi la testa iniziò a girarmi, diventando improvvisamente leggera e poi nuovamente pesante.
Girai la testa e guardai in alto, riuscendo a scorgere il nero della divisa della guardia, ancora intenta a bloccarmi a terra. Un battito di ciglia e già non riuscivo più a distinguere la terra e dal cielo.
La mia mente si fece ancora più confusa quando, appoggiata la guancia colpita sull'erba, le mie orecchie iniziarono a fischiare e la mia pelle prese a tirare e a bruciare come se fosse stata cosparsa di fiamme ardenti.

Feci una smorfia e tentai di dire qualcosa, senza sapere esattamente cosa, ma l'unico suono che uscì dalle mie labbra fu un lamento.
Sentii delle voci a distanza parlare tra di loro, discutere su un qualcosa riguardante le Berghe e i bambini e sul fatto di velocizzare l'operazione.

Cercai di muovere le braccia e colpire la guardia sopra di me, ma solo dopo qualche tentativo di troppo capii che l'uomo o la donna che stava sotto quel casco nero mi stava bloccando i polsi sopra la testa e stava a sedere sopra le mie gambe, impedendomi ogni tipo di movimento.

Non seppi con precisione quanto tempo avessi passato in quella condizione, ma il dolore sulla tempia sembrava essersi diramato ovunque sul mio corpo, scandendo i secondi che passavano come fossero secoli.

Chiusi gli occhi per un attimo e cercai di fare ordine nella mia mente, ma caddi in un vortice nero. Il mio corpo divenne pesante e cercai in tutti i modi di riaprire gli occhi, trovando però quest'azione molto difficile. Sembrava quasi che due pesi fossero stati attaccati alle mie palpebre, rendendomi difficile perfino creare una fessura per vedere. Dopo diverso tempo passato in quello stato, decisi di prendere un bel respiro e finalmente riuscii a spalancare gli occhi.
Solo dopo essermi guardata attorno compresi che qualcosa non andasse nel verso giusto.
Le guardie stavano tutte correndo verso le Berghe e solo alcune erano rimaste a fare da guardia ai gruppi. 

Cercai di sollevarmi e questa volta ci riuscii, scoprendo che perfino la guardia sopra di me era sparita nella massa. Sbattei le palpebre e cercai di individuare la fila dei bambini in attesa di essere smistati nelle Berghe e con orrore mi accorsi che non era rimasto più nessuno.
Mi misi a gattoni e delle fitte mi accecarono, rendendomi la testa pesante. Mi portai un palmo sulla tempia e non mi stupii quando le mie dita si impregnarono di una sostanza viscida, sicuramente sangue.
Con tutte le forze rimaste mi sollevai in ginocchio e mi guardai attorno, realizzando di essere svenuta per un po' di tempo. Quando avevo chiuso gli occhi avevo perso sia i sensi sia ciò che mi succedeva attorno, rimanendo così con un buco nero al posto di ciò che era accaduto.
David stava procedendo nel dare ordini, continuando ad indirizzare le guardie verso le Berghe. Il capo dell'operazione era già sparito - cosa che per qualche motivo non mi stupì più di tanto - e i miei amici erano ancora a terra. Diedi un'occhiata veloce dietro di me e vidi che la metà delle persone del gruppo di Thomas, lui compreso, erano state colpite con delle granate elettriche, mentre il restante era tenuto sotto controllo da una delle guardie rimaste.

Gattonai per qualche secondo, ma immediatamente mi sentii cadere all'avanti. Riuscii ad evitare di sbattere il volto a terra e cercai di rialzarmi con le braccia. Notai il mio arco abbandonato a terra proprio davanti a me e quando lo raccolsi e le mie dita sfiorarono il legno, realizzai tutto ciò che era successo. Avevo fallito.

Alzai nuovamente lo sguardo e, appena notai che anche le ultime guardie se ne stavano andando, il panico mi strinse il cuore. Vidi David aspettare che tutti fossero partiti per mettersi anche lui a correre verso le Berghe e solo quando l'uomo fu abbastanza distante riuscii a reagire.

Mi tirai in piedi e mugugnai per le fitte alla testa. Feci due passi e caddi a terra, battendo forte le ginocchia.

Strizzando gli occhi mi alzai nuovamente e presi a correre. Il mio zoppicare di certo non mi aiutò e ben presto realizzai di stare avanzando completamente storta. Ad ogni passo mi sembrava di dover cadere di lato, ma ogni volta continuavo a ripetermi di dovercela fare.
Non mi persi d'animo e continuai a correre, con l'arco stretto nel pugno e lo sguardo fisso sulle due Berghe che ora avevano accesso i motori, alimentando un vento caldo e forte che non fece altro che ostacolarmi la corsa.

Metro dopo metro mi avvicinai ai due aeromobili, ma quando questi si alzarono in aria aumentando la potenza dei propulsori un grido di rabbia uscì dalle mie labbra, soffocato dal rumore di quegli aggeggi infernali.

Continuai a correre e cavai una freccia dalla faretra, puntandola immediatamente sull'arco. Senza pensarci due volte la lanciai, permettendo ad un mio urlo di accompagnarla nel tragitto. 
Gridai ancora, frustrata più che mai, quando osservai la freccia sollevarsi in aria e per un attimo sparire nella luce del sole, per poi precipitare nuovamente al suolo e conficcarsi nel terreno.

Inciampai nuovamente e rotolai a terra. Ignorai il dolore e l'indolenzimento per quell'impatto violento, mi rialzai in piedi e continuai a correre, rischiando più volte di inciampare nei miei stessi piedi. 

Continuai ad arrancare all'avanti fino a che le Berghe non divennero un puntino scuro nel cielo e poi sparirono dietro le montagne. Solo a quel punto rallentai la corsa e mi gettai a terra in ginocchio, osservando il punto in cui i due aeromobili erano spariti.

Lasciai che le braccia cadessero morte sui fianchi e che la rabbia fosse poi attenuata dalla delusione e dalla tristezza. Volevo urlare e inveire contro la W.I.C.K.E.D., ma sapevo che il mio fiatone non me lo avrebbe permesso.

"No." un sussurro fu l'unica cosa che riuscì a perforarmi le labbra, carico di frustrazione e delusione.
Due nomi si formarono nella mia mente.

Hailie.

Elizabeth.

Avevo permesso alla W.I.C.K.E.D. di portarmele via.

Avevo promesso a me stessa che le avrei protette con la mia stessa vita e avevo fallito.

Hailie mi ricordava così tanto Chuck, il povero e innocente bambino che non ero riuscita a salvare.

Elizabeth era l'unica cosa che mi rimaneva di Newt, l'unico ricordo per cui valesse la pena lottare e mi era stata strappata via, proprio come il fratello.
Avevo fallito ed era tutta colpa mia.

*Angolo scrittrice*

Hey pive!

Ho tante cose da dirvi, perciò sarò breve e chiara.
1) Scusatemi se vi ho fatto attendere così tanto, ma tra compleanni, impegni pre partenza e pure il computer rotto non ho veramente avuto il tempo di mettermi giù a scrivere in questi giorni. 

2) Questo sarà l'ultimo capitolo per qualche mese. Lo so, manca ancora molto alla mia partenza, ma ho deciso di prendermi del tempo da passare con la mia famiglia e i miei amici. 
Una volta che in America mi sarò ambientata e sistemata inizierò nuovamente a scrivere. Ma. C'è un ma importantissimo. Non ci sarà più un periodo di pubblicazione preciso (ad esempio "ogni tre giorni pubblico") perchè: a) non avrò molto tempo; b) non voglio isolarmi troppo nella mia camera per scrivere, perchè facendo così rischio di perdermi dei bei momenti; c) con tutte le emozioni contrastanti e tutte le novità, la mia mente sarà bombardata di pensieri, rendendomi perciò difficile concentrarmi su questa storia.

Come vi ho già spiegato, scriverò a tempo perso su un quaderno, poi invierò le foto alla mia bae Iax_Awinita che si è gentilmente offerta di ricopiarmi su EFP ogni parola e poi pubblicare i capitoli. Quindi mi sembra giusto un "Grazie" corale verso la sua santità e pazienza :') Ovviamente sarò io a scrivere i capitoli e a leggere le vostre recensioni, e tra l'altro spero vivamente di avere almeno il tempo di rispondervi! In caso contrario,  vi prego, non vi offendete: sapete che vi voglio un mondo di bene ♥

3) Ho fatto un piccolo sondaggio su quale storia di Maze Runner vi sia piaciuta di più. Se volete dare la vostra opinione aprite il sito https://strawpoll.com/e6w6h3f7 e lasciate il vostro voto.

4) Ho finalmente creato il video del mio viaggio in Cina! Se siete interessate ecco qui il link (consiglio di vederlo in HD):

   https://www.youtube.com/watch?v=YtY80OLpAaI

5) Che fine ha fatto il video Newtlena che ci avevi promesso? Tranquille, arriverà. Solo che vorrei aspettare che uscisse il trailer di The Death Cure (se non il film) in modo da avere più spezzoni da cui prendere spunto e non usare sempre gli stessi.

6) Durante il mio soggiorno in America posterò molte foto o video o altre cose sui miei social, perciò chiunque fosse interessato a stalkerarmi mi può trovare:

su Facebook al link https://www.facebook.com/elena.deangeli.967
su Instagram al link https://www.instagram.com/elena.angeli/
su YouTube al link https://www.youtube.com/channel/UCYWrg-IVz4lDpGfT2NBS2xQ

 

 

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Capitolo 23
*** Capitolo 20. ***


Ero rimasta in ginocchio a fissare il cielo per talmente tanto tempo che alla fine avevo smesso di guardare veramente. Se prima stavo attenta al movimento delle nuvole e il mio sguardo veniva catturato dagli uccelli passeggeri, ora riuscivo a malapena ad elaborare che il cielo fosse azzurro. Ma forse la cosa più strana non era nemmeno quella. La cosa strana era che dentro di me avevo tante di quelle emozioni contrastanti e forti che alla fine non provavo nulla, come se tutte quelle sensazioni si annullassero a vicenda, lasciandomi però con una calma fastidiosa e terrificante. Per mia sfortuna conoscevo quello stato. La calma prima della tempesta. Un po' come succedeva quando il cielo stava per sfogare la sua rabbia con lampi e pioggia, ma prima di farlo se ne rimaneva in silenzio, immobile. Perfino gli uccelli smettevano di volare e tacevano. Poi con una velocità estrema il cielo si ricopriva di uno strato grigio, come se fosse stato invaso da ruggine, ed era allora che tutto prendeva una piega pessima, con tanto di tuoni e pioggia fitta.
Ma nel mio caso, io non ero il cielo in attesa di sfogare la sua pioggia. No, io ero la tempesta in persona.

Sentii come un crack, come se qualcosa di meccanico dentro di me si fosse rotto all'improvviso e una perdita d'acqua avesse iniziato a riempirmi fino a soffocarmi. La calma che mi accompagnava iniziò a macchiarsi sempre più e per un attimo giurai di aver visto il cielo tingersi di nero, come se ci fosse stato un grosso black out. Solo dopo essermi sfiorata una guancia con il palmo tremante compresi che la pioggia avesse avuto la meglio.
Non era uno di quei pianti chiassosi, con tanto di singhiozzi e urla. Era silenzioso e lento, ma anche distruttivo e devastante. Era come se tutte le mie energie stessero scivolando via insieme alle lacrime. Iniziai a tremare e ben presto capii che fosse la rabbia o forse la debolezza a farmi ciò.

Lasciai cadere l'arco a terra e conficcai le unghie nel terreno. Un singhiozzo mi spezzò la schiena e uscì soffocato dalle mie labbra, rompendo per un secondo il silenzio attorno a me.
Avevo fallito.
Avevo permesso alla W.I.C.K.E.D. di portarmi via Hailie ed Elizabeth. Avevo promesso di proteggerle e non ci ero riuscita.
Perchè ero così debole?

Serrai il pugno e lo alzai in aria per poi abbatterlo di nuovo sulla terra. Ripetei l'azione con sempre più forza fino a quando la mia mano iniziò a dolermi. A quel punto lanciai un grido.
Non mi accorsi nemmeno di stare urlando fino a che la gola non iniziò a farmi male.

Basta. Ordinai nella mia mente, con voce ferma e rigida. Sentii la mia voce rompersi ad un certo punto e le mie lacrime bloccarsi negli angoli dei miei occhi, come se qualcuno avesse messo in pausa il mio pianto. Poi tutto cessò.
Allentai la presa sull'erba, mi pulii le mani sui pantaloni e mi scostai una ciocca di capelli ribelli da davanti agli occhi, incastrandola dietro il mio orecchio. Una calma inquietante si calò su di me ed iniziai a comportarmi come se la crisi precedente non fosse nemmeno esistita. E nonostante fossi io stessa a compiere quelle azioni, mi spaventai. Il fatto che mi stessi muovendo a rallentatore, come se avessi tutto il tempo del mondo a disposizione, mi terrorizzava. Eppure non riuscivo a velocizzare i miei spostamenti, forse perchè avevo paura di rovinare la calma che ero riuscita a costruire falsamente attorno a me cercando di mascherare il tornado, o forse perchè ogni mio muscolo pesava come fosse costituito di catrame secco e polveroso.

Impiegai tutte le mie forze per alzarmi in piedi e quando ci riuscii mi voltai verso il bosco. Lo fissai a lungo, cercando di decidere cosa fare esattamente. 
Basta. Mi ripetei nella mente, con un tono che non ammetteva repliche.
Avrei voluto correre tra gli alberi finchè tutto lo stress e la rabbia fossero spariti o almeno finchè i miei piedi lo avrebbero permesso, invece afferrai l'arco e camminai in tutt'altra direzione.

Basta. Avevo pianto, gridato, preso a pugni l'erba, insultato me stessa e perso abbastanza tempo. Era ora di mettere da parte i sentimenti e agire. Sapevo che dovevo riuscire a spegnere tutto ciò che provavo finchè non fossi riuscita a ritrovare ciò che avevo perso, in modo da essere impassibile nella vittoria e nella sconfitta, nella tristezza e nel dolore.
Dovevo riuscire a mettere tutta me stessa nel tentativo di cercare ciò che mi era stato rubato, dovevo trovarlo e poi metterlo in salvo. Solo a quel punto avrei potuto riattivare i miei sentimenti come una macchina, permettendomi di distrarmi e di perdere tempo in emozioni inutili che ogni volta non facevano altro che danneggiarmi.

Individuai il corpo di Stephen ancora steso a terra e lo raggiunsi per poi inginocchiarmi al suo fianco. Sentii qualcuno parlarmi e chiedermi cose in modo confuso e veloce. Ignorai ogni parola molto facilmente dato che le mie orecchie sembravano essersi spente assieme ai miei sentimenti. Presi il volto del ragazzo e sollevando la sua testa delicatamente la appoggiai sulle mie ginocchia con affetto. Gli accarezzai la guancia e fissai i suoi occhi chiusi, sembrava dormire e la sua espressione era così rilassata che assomigliava ad un angioletto, con tanto di capelli bianchi.

Scostai una sua ciocca da davanti i suoi occhi e la mischiai al resto di ciuffi spettinati, scoprendo la ferita sulla sua tempia destra. La osservai attentamente e parte le gocce di sangue che coprivano la maggior parte della superficie della ferita, non sembrava nè profonda nè mortale. Doveva solo essere disinfettata e curata prima che si infettasse, ma il ragazzo sarebbe sopravvissuto.
Mi chinai lentamente verso di lui e appoggiai le mie labbra sul suo orecchio. "Troveremo Hailie e la porteremo indietro. Lei e tutti gli altri bambini, te lo prometto."
Sapevo che il ragazzo non mi poteva sentire, ma non mi importava, forse dirlo ad alta voce era una rassicurazione anche per me.

Sollevai la testa in cerca di Matthew e solo quando alzai lo sguardo in alto mi accorsi che Thomas mi stava ancora parlando con aria preoccupata e spaventata, gesticolando come non lo avevo mai visto fare.
"Vai a chiamare Matthew." fu tutto quello che gli dissi, ignorando completamente tutto ciò che disse prima di quella mia frase. "Digli di cercare chiunque abbia bisogno di cure e di portarlo in infermeria. Portalo prima da Stephen, a Gally ci penso io."
Thomas fece per aprire la bocca e replicare, ma sollevai un dito in aria e lo interruppi, dandogli altri ordini con una calma costante e terribilmente spaventosa. "Quando hai fatto vai a liberare tutti e ordina di fare lo stesso. Quando siete tutti pronti vi voglio qui. Tutti. Non uno più non uno meno."

Appoggiai Stephen delicatamente a terra e poi mi alzai in piedi, mettendomi l'arco sulle spalle. Nel momento in cui feci per andarmene un'idea geniale mi balzò in mente e finalmente il mio petto si liberò di un peso. Sorrisi per un secondo, poi tornai terribilmente seria.
"Oh." mormorai, attirando di nuovo l'attenzione del ragazzo che ora con occhi spalancati mi fissava preoccupato, come se fossi diventata un fantasma. "Se vedi Teresa dille che la cerco e che le devo parlare."
Non aggiunsi altro e mi incamminai in direzione di Gally, cercando di accelerare il passo senza però riuscirci più di tanto. Era come se mi mancasse la grinta o l'energia per fare quel passo di qualità.

Sorpassai qualche persona ancora legata e prima di inginocchiarmi vicino a Gally mi asciugai le guance ancora bagnate con il palmo. Tirai su col naso e fissai il ragazzo in attesa di capire se stesse respirando ancora. Quando vidi la sua pancia alzarsi e abbassarsi ritmicamente tirai un sospiro di sollievo, ma giusto per essere sicura di aver visto bene portai l'indice e il medio sul suo collo, premendo delicatamente sulla vena per captare il battito cardiaco. 
Una volta constatato che anche quello fosse regolare, cercai di sistemare i suoi capelli tutti drizzati in aria per via della scossa elettrica che aveva ricevuto, cercando di ignorare la puzza di bruciato che il ragazzo emanava. Osservai attentamente il suo corpo in cerca di qualche ferita e quando notai un lungo taglio sul braccio mi apprestai ad analizzarlo. Questo, a differenza della ferita di Stephen sembrava un po' più profondo, in particolare nella parte iniziale. Sicuramente qualcuno gli aveva lanciato un coltello mentre si stava muovendo, con la conseguenza che la lama non si era conficcata in un solo punto, ma era scivolata su tutta la pelle per poi andarsi ad infilzare da qualche altra parte. Diedi una veloce occhiata alle mani di Gally e individuai il pugnale a poca distanza dalle sue dita, sull'erba. Lo raccolsi e poi mi sollevai, mantenendo gli occhi sul suo volto.

Sollevai lo sguardo in cerca di qualcuno che mi potesse aiutare a trasportare Gally e quando trovai due uomini abbastanza forti li chiamai a me, spiegando la situazione e chiedendo di portare il ragazzo e qualsiasi altro ferito in infermeria.
Dopodichè mi voltai e iniziai a liberare chiunque si trovasse ancora legato a quelle stupide corde, dicendo ad ognuno di non allontanarsi troppo e di rimanere insieme.

Avevo ormai liberato una ventina di persone quando notai una figura snella e pallida camminare in mia direzione. Dopo aver messo a fuoco la sagoma e dopo aver riconosciuto Teresa mi sbrigai a tagliare le corde legate attorno ai polsi di una donna e mi alzai alla svelta, andandole in contro.
"Thomas ha detto che..."
"Sì." la interruppi subito. "Ho bisogno della tua intelligenza." 
Teresa sorrise timidamente, ma sul suo volto c'era ancora traccia di tristezza e abbattimento. "Hai presente il chip che hai creato?" domandai, aspettando poi che la ragazza annuisse per continuare. "E' possibile riuscire a ricevere il segnale a lunga distanza?"
Teresa aggrottò le sopracciglia, ma subito dopo il suo volto si illuminò di gioia, facendomi capire che la ragazza aveva già intuito a cosa volevo arrivare. "Se anche solo uno dei bambini si ricordasse di mandare l'allarme con il chip, allora..."

"Allora tu riceverai il segnale, ti segnerai le coordinate e potremmo partire seguendo le loro tracce." finii, annuendo e accennando un sorriso contenuto. Non volevo essere felice, non ancora. Avevo solamente avuto una brillante idea, ma ciò non significava nulla. Tutto avrebbe potuto fallire, per quanto mi riguardava: i bambini avrebbero potuto non ricordarsi del chip; la W.I.C.K.E.D. avrebbe potuto toglierlo o convertirlo nuovamente; il segnale ricevuto avrebbe potuto variare con il passare del tempo e non essere quello definitivo. Tutto era possibile e non volevo rischiare di cantare vittoria prima ancora di iniziare la battaglia. Era da stolti.

"D'ora in poi ogni secondo potrebbe essere buono. Vado subito a prendere gli auricolari. Il segnale potrebbe arrivare in ogni momento d'ora in poi." mi informò la ragazza, già correndo a gran velocità verso la sua abitazione.
Mi morsi il labbro cercando di soffocare un sorriso. Non avevo tempo per le emozioni, ora dovevo concentrarmi sul gestire quella situazione al meglio.

Mi guardai attorno e individuai un uomo più o meno sulla quarantina. Senza pensarci due volte lo chiamai a me e gli chiesi di spargere la voce che quella sera tutti si dovessero presentare in spiaggia per discutere della situazione e per decidere come agire. Dopo che lo vidi annuire, lo ringraziai e mi sbrigai a raggiungere Matthew nell'infermeria. 
Non sapevo quante persone fossero ferite, ma in ogni caso sapevo che delle mani in più non facessero mai male.

Quando varcai la soglia della stanza mi bloccai sul posto: c'erano diverse persone stese a terra, altre sedute con la schiena contro la parete, alcune piangenti e altre con l'espressione più avvilita che avessi mai visto. Tutti erano feriti, chi meno con un piccolo taglio sul collo, chi più con un coltello piantato sulla spalla o i segni evidenti di una granata elettrica.
Passai lo sguardo per la stanza cercando Matthew, ma vidi solo Violet e qualche altra persona che non avevo mai notato prima correre da un paziente all'altro con il sudore sulla fronte. Con una camminata veloce raggiunsi la ragazza e lei non appena mi vide lasciò a terra tutto ciò che aveva in mano per venire ad abbracciarmi.

"Dio santo, Elena. Stai bene? Sei ferita?" mi domandò preoccupata analizzando attentamente il mio collo. "Hai ancora i segni rossi delle luride mani di quel..." 
Le sorrisi e raccolsi i suoi palmi nei miei. "Violet, sto bene, tranquilla. Dov'è Matt?"
La ragazza storse la bocca, non molto convinta della mia affermazione, ma lasciò perdere e si guardò attorno esausta, asciugandosi la fronte con il braccio. "E' andato a prendere qualche erba medica, tornerà presto."
Mi morsi il labbro e il mio sguardo cadde su una donna seduta nell'angolo della stanza, lo sguardo vuoto di chi si é perso per non tornare piú, le braccia prive di vita lasciate morte lungo i fianchi e sul pavimento, un profondo taglio sullo zigomo destro e diversi segni di graffi sul petto. Il respiro mi si bloccó in gola quando realizzai che probabilmente io non ero l'unica ad aver perso qualcuno in quella giornata.
Mi morsi il labbro e poi presi un profondo respiro.
"Bene così, allora diamoci da fare." mormorai con voce decisa, arrotolandomi le maniche lungo le braccia.

Stavamo ormai lavorando da ore, correndo da un letto all'altro, curando ferita dopo ferita, rassicurando i pazienti, buttando via garze intrise di sangue e cucendo tagli profondi, ma nonostante il passare del tempo quella giornata sembrava non voler finire mai.
Finii di arrotolare una benda attorno al gomito di un signore sulla quarantina, poi mi discostai lentamente e gli sorrisi incoraggiante, ricordandogli di non fare sforzi troppo pesanti per evitare di riaprire la ferita.
Feci per passare ad un altro paziente quando sentii Violet alzare la voce, spazientita. "Senta, mi dispiace, ma se lei non mi lascia aiutarla io non posso fare nulla." 
Sollevai lo sguardo preoccupata e ben presto la individuai, notandola in piedi intenta a sbracciare davanti alla signora seduta a terra che avevo precedentemente notato per il suo stato fisico ed emotivo.

Mi incamminai verso di loro quando la mia amica parló ancora. "Abbiamo parecchio lavoro da fare quindi se non ha intenzione di lasciarmi fare il mio lavoro allora dovrebbe alzarsi e levare il..."
"Violet." la richiamai in modo delicato, appoggiando una mano sulla sua spalla e interrompendola. "Ci penso io, okay?" 
La ragazza strinse le labbra, visibilmente stanca e frustrata. "Ma lei non..."
"Sei stanca, Violet. Lo siamo tutti, qui. Ma ora ci sono meno persone da curare e sono certa che io e Matt abbiamo la situazione sotto controllo, quindi perché non vai a mangiare qualcosa e poi a farti una bella dormita?" 
La ragazza abbassó esausta lo sguardo. "Sì." concesse alla fine. "Suppongo che sia una buona idea. Devo anche andare a controllare come sta Minho, quindi va bene." mi informó con voce debole, quasi come se non si fosse resa conto di stare parlando ad alta voce.
Si grattó la testa in modo distratto, poi mi rivolse un debole sorriso e tornó in sé. "Grazie, El. Vedi di non incaspiarti troppo, okay?"
Ricambiai il sorriso e annuii sincera, osservandola poi lasciare la stanza.
Puntai lo sguardo sulla donna ancora seduta a terra con lo stesso raccapricciante sguardo negli occhi.
Mi inginocchiai accanto a lei e lanciai un'occhiata alle bende e al disinfettante che Violet aveva abbandonato a terra accanto a lei.
Lanciai un'occhiata ai suoi palmi rivolti verso l'alto, anche loro abbandonati a se stessi.

Non sempre le ferite si curano con ago e filo. Pensai tra me e me.
Osservai di nuovo le dita della donna e quasi automaticamente mi ritrovai a stringerle forte alle mie.
"Mi dispiace."
La donna sollevó lo sguardo, quasi sorpresa. "Come?"
"Mi dispiace per tua figlia." mormorai ancora.
Lei strinse le labbra e mi scrutó con attenzione per poi correggermi. "Figlio. É un maschio." le sue labbra tremarono. "Come fai a..."
"Sapere che hai perso qualcuno oggi?" domandai, rubandole le parole di bocca. "Quasi tutti hanno perso qualcuno oggi e le espressioni sul volto spesso parlano per noi." 
Lei serró le labbra. "Si chiamava Allen."
"Elizabeth ed Hailie." replicai, sorridendo malinconica e afferrando il disinfettante.
"Sorelle?"
Annuii senza nemmeno pensare alla parola e al suo significato. Non eravamo sorelle di sangue, certo, ma le avrei protette con la mia stessa vita perché facevano parte della mia vita, della mia famiglia.
"Me lo hanno strappato dalle braccia." ricordó lei, sfiorandosi con le dita i graffi sul petto e rivelandone altri lungo le braccia.
Le afferrai la mano e le passai sopra il disinfettante con delicatezza, vedendola abbandonarsi alle mie cure, quasi come se quel contatto le stesse dando sollievo dal dolore.

"Ti prometto che faremo di tutto pur di riprendere ciò che ci è stato sottratto." la rassicurai, passando a curare le ferite sul suo petto.

La donna rilasciò una risata amara, spenta e priva di ogni sorta di divertimento. "Ragazzina, stai parlando della W.I.C.K.E.D., non di una normale associazione." il sorriso debole si spense sulle sue labbra e il suo volto si rabbuiò, diventando spento e accentuando le rughe attorno i suoi occhi e sulla sua fronte. "Io non abbraccerò mai più il mio bambino e tu non rivedrai più le tue sorelline. L'unica cosa che possiamo fare è sperare di continuare a vivere la nostra miserabile vita nella speranza che la W.I.C.K.E.D. non torni a farci visita."

Interruppi le mie cure e scostai la mano indaffarata a disinfettare le ferite, portandomela al petto come se mi fossi scottata. Come poteva una persona perdere la fiducia in così poco tempo? Come poteva qualcuno gettare la spugna ancora prima di aver provato? Come poteva una madre mettere da parte la scomparsa del proprio figlio per continuare a vivere?

Aprii la bocca per replicare, ma la donna parlò ancora, lasciandomi con ancora più delusione nel cuore. 

"Si conquista solo una cosa alla volta, bambina cara." mormorò alzandosi in piedi e guardando il vuoto davanti a sè, senza abbassare lo sguardo verso di me. "Abbiamo avuto la libertà, non possiamo anche chiedere la felicità. Ogni cosa ottenuta ha un prezzo e questo è ciò che dobbiamo pagare per essere fuggiti dalla W.I.C.K.E.D."

E con la stessa espressione vuota e priva di ogni sentimento, la donna iniziò a muoversi verso l'uscita. Rimasi a fissarla allibita finchè la sua figura si fece sfocata e si mischiò alla folla ancora presa dal caos.

Ogni cosa ha un prezzo, ma non vale solo per noi. Ripetei nella mia mente, per poi alzarmi in piedi e pulirmi i pantaloni in modo distratto. Ora è il momento che la W.I.C.K.E.D. paghi il suo debito.

*Angolo scrittrice*

HEY-HEY-HEY-HEYYY!

I'm back! Vi sono mancata? Spero di sì, perchè voi mi siete mancate un sacco.

So che aspettavate questo capitolo da più di un mese, ma questa nuova vita richiede molto dal mio corpo e dalla mia mente, perciò anche quando ho qualche momento libero è molto difficile scrivere qualcosa di sensato e coinvolgente.

Probabilmente avrete un sacco di domande da farmi, perciò sbizzarritevi nei commenti! Cercherò di rispondere meglio che posso o magari potrei farci un piccolo capitolo se le domande sono tante.

Nel frattempo ci tengo a dirvi due piccole cose:

1) Sto scrivendo una specie di diario di sopravvivenza, dove appunto ogni giorno cosa faccio e come mi sento, in modo che mi ricorderò per sempre questa esperienza. Ma poi ho pensato: perchè non condividerla? Perciò il progetto è, una volta tornata in Italia e dopo essermi messa in pari con lo studio arretrato, di pubblicare questo piccolo diario in modo che ognuno di voi possa vivere la mia stessa esperienza attraverso i miei occhi. Chissà, magari un giorno sarà anche un aiuto per i prossimi exchange students!

2) Vi assicuro che qui sto bene, quindi non preoccupatevi per me. I primi giorni è stato difficile, molto difficile, ma ogni giorno le cose migliorano e a volte ho i miei momenti di nostalgia. La scuola è difficile, ma solo per la lingua, perchè i test sono mooolto semplici. Lo sport è anche quello difficile, ma quella è colpa mia: ho scelto corsa e, non avendo mai camminato in vita mia, ora mi ritrovo a dover partecipare a gare lunghe 3 miglia con atleti molto preparati. Be' se devo scegliere tra la fatica per una sola mezz'ora tre volte a settimana e il tornare rotolando in Italia per via del mio peso esagerato, scelgo la prima con tanto di fiato corto in allegato!

Perciò, se avete domande sulla mia esperienza (o anche sulla storia, perchè no), bombardatemi nei commenti e sarò felice di rispondervi!

Mi siete mancate, lettrici del mio cuore 

Baci,

sempre vostra Elena ღ

 

 

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Capitolo 24
*** Capitolo 21. ***


La situazione si era finalmente calmata e dopo un paio di ore ero finalmente stata capace di sedermi su uno dei letti vuoti in infermeria.
L'unica persona rimasta in quella stanza era Gally. 
Le altre persone svenute per via delle granate elettriche o dei colpi alla testa si erano già svegliate ed erano state mandate ognuna nella propria abitazione.
Gally era l'ultimo rimasto e la cosa mi preoccupava.
Avevo controllato tutto in lui, dal battito cardiaco al respiro, e tutto era regolare. Dopo essermi torturata la mente per capire cosa avrebbe potuto impedirgli di svegliarsi, alla fine semplicemente rinunciai e mi dissi che ognuno aveva i propri tempi di guarigione.

Non sapevo esattamente quando le mie palpebre avevano iniziato ad essere pesanti, ma di certo l'idea di stendermi su uno dei letti accanto a quello di Gally non aveva migliorato la situazione. Il sonno era calato su di me come un masso e in poco tempo mi ero ritrovata a fluttuare in sogni pieni di orrore in cui Hailie ed Elizabeth dovevano scappare dai Dolenti. Avevo visto i loro volti contratti dalla paura e avevo percepito il loro panico sulla mia stessa pelle.

Poi lo scenario d'orrore si era fatto meno pesante e un angelo era comparso in lontananza, intento ad osservare la scena, impotente tanto quanto me. Non aveva ali e non era vestito di bianco, ma aveva un qualcosa di speciale, una specie di aura angelica che non appena l'avevo percepita mi ero sentita immediatamente più tranquilla.

Ero rimasta a fissare i suoi lineamenti per così tanto tempo che alla fine tutto intorno a me era sparito. Anche lui sembrò percepire la stessa cosa perchè il suo volto si girò verso di me ed i suoi occhi si illuminarono, curiosi e desiderosi. Non avevo visto le sue labbra muoversi, ma avevo comunque percepito la sua voce, come se fosse entrato nella mia testa e mi avesse parlato telepaticamente.

"Non è colpa tua." mi disse, facendomi rizzare i peli sulla nuca. Da subito percepii quanto la sua voce fosse familiare.

Tutto il mio corpo aveva vibrato nell'udire quelle parole, quasi come se anche la mia pelle avesse riconosciuto la sua voce, ma la mia mente ancora esitava e non sembrava voler collaborare. Era come avere una pallina nel cervello, un buco che mi impediva di elaborare il nome a cui quella voce apparteneva.

Poi nel sogno l'angelo aveva allungato un braccio in mia direzione e aveva teso la mano, facendomi subito percepire un tocco leggero sulla guancia, come una carezza, ma tre volte più delicata e dieci volte più rassicurante, con il potere che solo un bacio possedeva ed immediatamente, come un fulmine a ciel sereno, un nome si era formato nella mia mente.

Newt.

Al solo suono di quel nome i miei occhi si spalancarono, riportandomi alla realtà, ma il calore della sua carezza era ancora presente sulla mia guancia, anche se ero sicura di non stare ancora sognando.

Sbattei le palpebre delicatamente, la testa ancora immersa nel sogno, e distrattamente mi portai la mano sulla guancia, ansiosa di toccare quel tepore rassicurante ancora presente sulla mia pelle. Solo quando le mie dita si posarono su qualcosa di solido e concreto capii il motivo per cui quel tocco non era svanito: la mano di Newt era ancora posata sulla mia guancia.

Possibile che stessi ancora sognando?

All'idea di poter rivedere Newt il mio cuore perse un battito e sollevare lo sguardo fu un'azione del tutto naturale e spontanea, quasi come anche i miei occhi avessero bisogno di vederlo per ricevere sollievo. 
Quando notai una figura al mio fianco, però, il respiro mi si bloccò in gola e le mie guance si infiammarono. Dovetti contenermi per non saltare subito addosso al ragazzo e invece fermarmi  riflettere.

Un sorriso deluso si formò sulle mie labbra e tutta l'emozione provata si dissipò nell'aria quando mi resi conto che probabilmente tutto quello era solo uno dei tanti giochi a cui la mia mente ancora si divertiva a sottopormi. La mia testa mi aveva sempre ingannato, mischiando ricordi e desideri con la realtà e rendendomi incapace di distinguere ciò che era reale da ciò che era fantasia. I miei sensi erano annebbiati da questi continui giochetti ed io stessa ero stanca di essere presa in giro. Questa volta però ero un passo avanti, questa volta avevo realizzato ciò che mi stava succedendo, questa volta avevo ragionato, ignorando i miei impulsi e le mie sensazioni.

Newt è morto. Ripetei nella mia mente, uccidendo me stessa e tutta la speranza che si era accumulata nel mio cuore dopo quel tocco. Newt è morto.

Mossi delicatamente le dita sul dorso della mano ancora appoggiata alla mia guancia e chiusi gli occhi per gustarmi ancora qualche secondo di quella perfetta illusione, poi, quando mi sentii pronta per ricevere un pugno al petto, aprii gli occhi e misi a fuoco la figura accanto al mio letto.

Quasi come se la nebbia si fosse dissipata e i miei sensi avessero ripreso a funzionare, riuscii ad identificare il ragazzo accanto a me, comprendendo di aver ragione: non era Newt, ma Gally.

Quando i nostri sguardi si incrociarono, vidi il ragazzo arrossire e subito ritirare la sua mano, indietreggiando di un passo.

"M-Mi dispiace..." mormorò lui imbarazzato. "Non volevo svegliarti. Stavo solo... scostando una ciocca di capelli." mentì, causandomi un sorriso spontaneo.

Mi morsi il labbro e mi tirai a sedere sul letto, lottando con tutta me stessa per non scoppiare a piangere davanti a lui. Per quanto fossi fiera di me per aver saputo anticipare e bloccare il flusso di ricordi nella mia mente, ero anche distrutta e stanca di dover affrontare la realtà che stavo vivendo, una realtà in cui Newt non esisteva più e una realtà in cui la libertà era solo un valore privo di felicità per me senza di lui.

Ero stanca di soffrire per la sua perdita, stanca di sentirmi così triste e nostalgica dei tempi in cui, anche se privati della nostra vera vita, almeno eravamo assieme ed eravamo felici in quel poco che avevamo.

Da quando Newt non c'era più avevo fatto di tutto pur di tenere la mia mente occupata in altro, avevo escogitato di tutto pur di non rimanere da sola con i miei pensieri che, apparentemente, erano perfino più forti di me. La mia mente aveva addirittura escogitato un giochetto illusorio per farmi credere che Newt non se ne fosse andato veramente, pur di non affrontare veramente la sua perdita e il dolore che essa aveva causato.

Ero stanca di percepire un costante vuoto in ogni cosa su cui posavo lo sguardo ed il vuoto che percepivo in me stessa era straziante.

Da quando la notizia della sua morte mi aveva colpita come un proiettile avvelenato, la mia felicità sembrava essersi dissolta nelle mie stesse lacrime e anche se a volte mi capitava di essere allegra, subito rinchiudevo me stessa nello stato di depressione, sentendomi in colpa per essermi crogiolata nella mia temporanea gioia anche solo per un istante. I miei sorrisi si erano fatti radi e quei pochi che regalavo spesso erano forzati. Ogni parte del mio corpo doleva quando dovevo fingere allegria.

Sapevo di voler essere felice, eppure non riuscivo a raggiungere quello stato di calma e allegria senza pensare a quanto tutto fosse sbagliato senza di lui. 
Avevo cercato di mentire a me stessa, raccontandomi fandonie su quanto fossi diventata forte e capace di gestire le mie emozioni, ma la cosa non aveva funzionato e per quanto odiassi ammetterlo il mio obbiettivo più grande era quello di sopravvivere alla giornata. Non mi interessava nemmeno vivere. Sopravvivere era abbastanza per me.

Quando udii il suono delle dita di Gally schioccare davanti al mio volto sbattei le palpebre e mi riportai velocemente alla realtà. Non mi ero nemmeno accorta di aver iniziato a fissare le mie mani chiuse a pugno sulle mie gambe, ma il ragazzo doveva averlo notato.

"Stai bene?" domandò lui preoccupato, sedendosi accanto a me.

Lo fissai per qualche istante, cercando di decidere se sputare fuori la verità o tenermela per me finchè non fossi riuscita a soffocarla. Scegliendo la seconda opzione, con un sorriso sforzato risposi: "Dovrei essere io a chiedertelo. Sei rimasto svenuto per ore per colpa di una granata elettrica. Mi hai fatto preoccupare, non riuscivamo a svegliarti."

"Lo so, in realtà stavo solo fingendo di dormire per evitare la tua ramanzina arrabbiata e allo stesso tempo affettuosa su quanto la mia momentanea morte ti avesse fatta impazzire." scherzò lui divertito.

"Oh, sì. Se fossi morto veramente ti avrei resuscitato solo per ammazzarti di nuovo con le mie stesse mani." ribadii, tirandogli un pugno sulla spalla.

Il ragazzo rispose quasi immediatamente al mio gesto con una smorfia di dolore e un lamento di agonia. Non mi ci volle molto per collegare i fatti ed elaborarli nel mio cervello e quando lo feci mi portai immediatamente le mani sulla bocca, spalancando gli occhi stupita di essermi scordata la ferita presente sul bicipite del ragazzo.

"Scusami, scusami, scusami, scusami!" quasi gridai allarmata, porgendomi in avanti verso il suo braccio e sfiorandolo questa volta con una cura e una delicatezza senza confini.

"E' tutto okay, sapevo che fossi rimbambita, quindi dovevo aspettarmi una cosa del genere." ridacchiò lui, sul suo volto ancora qualche traccia di dolore.

"Ehi, vuoi un altro pugno, per caso?" domandai rifilandogli una falsa occhiataccia. Lui in tutta risposta agitò un palmo e rise.

Presi l'orlo della sua manica e iniziai ad arrotolarla su per il braccio per scoprire la ferita e controllarla, ma quando la sua maglia si bloccò al gomito perchè troppo stretta lasciai perdere e la srotolai in senso contrario.

"Questo è il momento in cui mi tolgo la maglia e tu resti estasiata dai miei muscoli, vero?" ridacchiò lui, rivolgendomi tuttavia uno sguardo vergognato.

"Non la metterei proprio in questo modo, panzone, ma sì, dovresti sfilarti la maglia così posso controllare." lo informai.

"Panzone? Oh, dopo questa offesa col cacchio che ti lascio ammirare i miei muscoli, Fagio."

"Come vuoi, posso sempre andare a chiedere a Violet se..."

"No. Cosa? No, stavo scherzando, dai." borbottò il ragazzo, improvvisamente terrorizzato, poi alla mia espressione turbata, decise di spiegarsi. "Apprezzo il lavoro che fa Violet, ma cacchio, quella ragazza non ha idea di cosa sia la delicatezza!"

Gli rivolsi un sorriso leggero e scossi la testa. "Deve solo prenderci la mano." la giustificai, facendo spallucce. "Togli la maglia."

"Ora me lo ordini pure, wow." rise lui. "Senti, sfacciata che non se altro, non è che mi aiuti a toglierla? Non riesco a sollevare bene il braccio senza farmi male."

"Ma certo, delicatino che non sei altro." mormorai afferrando i lembi della sua maglia per poi sollevarla senza tanti complimenti. Con un po' di fatica entrambi riuscimmo finalmente a sfilare la maglia dalla sua testa, rivelando così il suo braccio fasciato da cui traspariva però una macchia rossa.

"Credo sia il momento di..." distolsi lo sguardo dal suo braccio ferito per cercare il disinfettate nella stanza e per sbaglio il mio sguardo cadde sul suo addome. Arrossii immediatamente e le parole mi si bloccarono in gola. Gally non era mai stato un ragazzo troppo muscoloso, se non nelle braccia per via dei pesi che doveva trasportare ogni volta per via del suo lavoro da Costruttore, ma dall'ultima volta che lo avevo visto a petto nudo dovevo ammettere che aveva fatto un grande cambiamento. Ora i suoi pettorali erano ben delineati e sotto di essi emergevano leggermente anche gli addominali. Per quanto mi vergognassi di me stessa non riuscivo a distogliere lo sguardo. Non avevo mai negato il fatto che Gally fosse un bel ragazzo, ma la cosa non mi aveva mai smosso più di tanto come stava invece succedendo ora che potevo osservarlo da più vicino.

"Cosa?" domandò Gally, osservando la mia espressione imbarazzata e sorpresa allo stesso tempo. Il ragazzo abbassò lo sguardo preoccupato e quando capì il motivo del mio blocco si portò le mani sull'addome sperando che quel gesto passasse come distratto e non volontario.

Mi schiarii la gola e mi sollevai dal letto in cerca di nuove bende e di un po' di disinfettante. "Credo che sia ora di cambiare la fasciatura." continuai per poi tossire imbarazzata nella speranza che il rossore sulle mie guance sparisse completamente.

Cosa diamine mi era preso? Non solo mi ero messa in imbarazzo da sola, ma avevo messo in imbarazzo pure lui.

Cercando di non pensarci troppo afferrai l'occorrente e tornai a sedermi accanto a lui, questa volta ponendo tutta la mia attenzione sulla sua ferita. Avevo appena iniziato a srotolare le fasce vecchie e imbrattate di sangue quando il ragazzo parlò di nuovo. "Sbaglio o stavi fissando spudoratamente i miei addominali?" domandò lui con l'intento di stuzzicarmi e facendomi salire la voglia di ammazzarlo all'istante.

Mi morsi il labbro e lasciai cadere accanto a me le fasce sporche per poi afferrare il disinfettante. "No... Stavo solo pensando. A volte mi blocco a fissare un punto quando lo faccio." mentii, sperando di coprire un pochino la mia sfacciataggine.

"No, no." replicò lui con voce ferma che nascondeva un pizzico di divertimento. "Non mi freghi, piccola. Tu stavi fissando i miei addominali."

"Come preferisci." tagliai corto, facendo spallucce. 

"Quindi ammetti di averli fissati spudoratamente. E ti è pure piaciuto quello che hai visto." aggiunse il ragazzo, spingendosi troppo oltre per i miei gusti.

"Senti, ero solo sorpresa di questo tuo cambiamento. Tutto qui, quindi non montarti la testa... piccolo." lo scimmiottai. 

"Oh, sentila. Ora mi sbeffeggia pure." rise lui. "Da quando sono arrivato qui ho avuto molto lavoro da fare per costruire case e ho anche iniziato ad allenarmi singolarmente, quindi penso sia normale un miglioramento nel mio fisico."

Sollevai gli occhi e li rotolai al cielo, scuotendo poi la testa. Lasciai cadere quell'argomento ed iniziai a fasciare la ferita accuratamente. 

"Quindi..." riprese il ragazzo senza demordere. "Hai apprezzato il cambiamento?"

Senza rifilargli nemmeno una risposta, annodai i lembi della fasciatura e di proposito strinsi più del dovuto, causando nel ragazzo un sobbalzo e una smorfia di dolore. "Ehi! E questo per cos'era?" domandò stupito, portandosi una mano sul bendaggio e coprendosi la parte ferita.

"Questo cosa?" domandai ingenua, alzandomi in piedi e gettando via la fasciatura vecchia. 

Il ragazzo mi rifilò un'occhiata divertita e poi distolse lo sguardo ridacchiando. "A volte mi dimentico del genietto malefico che vive sotto quell'aspetto angelico."

"Mi sottovaluti, questo mi offende."

"Sottovalutarti? Oh, mai." rispose lui infilando solo la testa nella maglietta. "Non è che mi aiuteresti?" domandò poi indicando le maniche ancora afflosciate ai lati.

"Hai abbastanza muscoli per farcela da solo." ribattei con un sorriso, stuzzicandolo, per poi camminare verso l'uscita e all'ultimo momento voltarmi indietro. "Quando hai finito vieni in spiaggia."

Ignorando le sue lamentele mi voltai verso l'uscita e aprii la porta per poi attraversarla.

 

 

 

Ero stata una delle prime persone ad arrivare in spiaggia e avevo pazientemente atteso l'arrivo degli altri parlando un pochino con Minho e Stephen, gli unici ragazzi apparentemente puntuali tra tutti. Dopo poco era anche arrivato Gally, ma apparentemente ancora molto stanco, si era subito messo a sedere su uno dei mezzi tronchi a terra, escludendosi momentaneamente dalla nostra conversazione. Nonostante le lamentele di entrambi i ragazzi avevo insistito nel controllare come procedesse la loro situazione per essere certa che il loro corpo si stesse riprendendo nel modo adeguato dopo la lotta. La ferita alla tempia di Stephen era abbastanza superficiale, quindi senza infezioni avrebbe iniziato a mostrare i primi segni di guarigione già dal giorno successivo. Per quanto riguardava Minho, invece, oltre ad un grosso bernoccolo in testa, il suo corpo non aveva subito altri danneggiamenti.

Ben presto anche il resto del gruppo ci raggiunse e in qualche minuto l'intera spiaggia si popolò di persone. Alcune, ancora tremanti e piangenti, erano state praticamente trascinate dai propri amici; altre stavano parlando con qualcuno, ma il loro volto era serio e preoccupato; altri ancora cercavano conforto negli altri, scambiandosi abbracci e strette di mano.

Quando constatammo che nessuno mancasse all'appello, io ed i miei amici camminammo verso il centro della folla, attirando immediatamente l'attenzione di tutti i presenti, che smisero di parlare per darci totale ascolto.

Scambiai qualche occhiata con i miei compagni e poi, prendendo un bel respiro, diedi voce ai pensieri che non avevano fatto altro che affliggermi per tutta la giornata.

"Grazie per essere venuti." iniziai, stritolandomi le dita della mano. "Penso che tutti sappiate il motivo per cui questa sera vi abbiamo chiamati qui. La maggior parte di noi oggi ha perso un figlio o una figlia, magari un nipote o anche solo un conoscente. La W.I.C.K.E.D. si è presa una parte di questa comunità, una parte delle nostre vite e per quanto abbiamo provato, non siamo riusciti a fare nulla per evitarlo. Io ed i miei amici siamo stati privati delle nostre vite per anni, torturati da quei folli e presi in giro dai loro continui esperimenti. Sono sicura che tutti voi sappiate bene di cosa la W.I.C.K.E.D. sia capace: non si fermeranno finchè non troveranno una Cura e prima che questo accada saremo tutti morti. Hanno preso quei bambini per sottoporli ad esperimenti pianificati, esperimenti privi di umanità. Verranno trattati come topi da Laboratorio, come Cavie..." lanciai uno sguardo a Stephen, che annuì leggermente e mi diede il coraggio di continuare. "Ma questa volta possiamo fermare questa pazzia prima che accada. Io ed i miei amici stiamo lavorando su un progetto che ci permetterà di individuare la posizione attuale dei bambini e una volta tracciato il percorso partiremo per andarli a riprendere."

Un accesso mormorio si sparse tra la folla, fino a quando un uomo sollevò il braccio e a gran voce disse: "Verrò con voi!" 

Prima che potessi replicare i mormorii ripresero, ma questa volta più numerosi e accesi. Qualcuno iniziò a farsi avanti e piano piano metà folla aveva le braccia alzate in aria, urlando di voler partecipare alla spedizione. 

Gridando e agitando le braccia, piano piano iniziai a riconquistare l'attenzione delle persone che, turbate e confuse, iniziarono lentamente a calmarsi e a donarmi nuovamente ascolto.

"So come tutti voi vogliate contribuire per andare a salvare i bambini, ma purtroppo non sappiamo cosa ci aspetterà lì fuori. Dobbiamo cercare di attirare meno attenzione possibile, dobbiamo passare inosservati. Essere in molti potrebbe farci scoprire e potrebbe comportare un fallimento. Perciò io ed i miei amici..."

La folla scoppiò di nuovo in trambusto, chi brontolando chi urlando contro le mie parole, e questa volta fu Minho ad aiutarmi a ripristinare il silenzio. "Sentite," ripresi. "so che l'idea non vi piace, ma vi prego di comprendere. Io ed i miei amici abbiamo avuto a che fare con la W.I.C.K.E.D. per tutta la nostra vita. Potremmo anche sembrare dei ragazzini, ma vi assicuro che abbiamo affrontato bestie e problemi che nessuno di voi potrebbe mai immaginare. Ognuno di questi ragazzi qui presenti ha capacità strabilianti, non vi sto mentendo. La W.I.C.K.E.D. ci ha scelti per la nostra intelligenza, poi ci ha fatto sviluppare la capacità di sopravvivenza. Vi assicuro che se ci donate fiducia torneremo con ogni singolo bambino. Non permetteremo alla W.I.C.K.E.D. di torcere loro un capello. Ma tutto questo non avrà un senso se poi, una volta salvati i bambini, non avessimo un posto a cui tornare. Chi penserà al villaggio se tutti partissimo per salvarli? Abbiamo bisogno che qualcuno rimanga qua per prendersi cura delle persone e delle cose che ancora non ci sono state sottratte."

Feci una pausa e poi continuai. "Io ed i miei amici partiremo quando avremo le coordinate esatte, ci porteremo via qualche provvista e le armi necessarie per il viaggio. Vi prego di comprendere la nostra decisione e di darci fiducia." conclusi.

Questa volta fu il silenzio a spargersi tra la gente, fastidioso come non mai. Trattenni il fiato e indietreggiai insicura verso i miei compagni, sentendo Violet cercare la mia mano e stringerla.

Vi prego, non siate stupidi. Mormorai nella mia mente.  

Poi, senza preavviso, l'uomo che precedentemente aveva parlato facendo iniziare il trambusto fece un passo in avanti e parlò con voce chiara. "Non chi voi siate, ma se quello che mi dici è vero, allora ragazza hai tutto il mio appoggio. Andate ad impartire una lezione alla W.I.C.K.E.D. e riprendetevi ciò che non gli appartiene."

*Angolo scrittrice*

Hey pive! 

Lo so, è passato un altro mese, ma vi assicuro che è veramente difficile trovare ispirazione per scrivere, qui. Sono spesso triste e quando non sono triste o sono impegnata o non ho abbastanza ispirazione per buttare giù qualcosa di decente. Per questa ragione vi prego di perdonarmi se questo capitolo non è il massimo. Sto dando del mio meglio per continuare questa storia, ma non sempre riesco nel mio intento.

Sto anche lavorando sulle risposte alle vostre domande riguardanti l'America, quindi sentitevi libere di aggiungerne altre se volete.

Baci,

Elena ღ

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Capitolo 25
*** Risposte alle vostre domande! ***


*esce da dietro il sipario* *clicca play sullo stereo che inizia a sparare una musica eroica*

Dopo anni che erano sembrati secoli, dopo battaglie e attese strazianti, dopo cioccolatini mangiati per colmare il senso di nostalgia, dopo ore di sonno affogate nel caffè, dopo...

Minho, dalla folla: Sì, abbiamo capito. Arriva al punto.

*mette pausa allo stereo* *tossisce imbarazzata*

Ehm, sì, in pratica dopo secoli sono riuscita a trovare il tempo per rispondere alle vostre domande.

Ma prima vorrei dirvi che...

*Gally tira fuori un pomodoro, seguito da Minho e Stephen*

Minho: Che ne dici di iniziare a rispondere alle domande, eh?

Stephen: La tua maglia è troppo bella per essere sporcata, non credi?

*spalanca gli occhi e lancia un'occhiata disperata ad Elena che si limita a fare spallucce*

Sì, dicevo...

*lancia un'occhiata ai ragazzi*

Iniziamo!

maddysqueen mi chiede:

1) Com'è? Cosa hai notato subito di diverso con L'Italia? 
1) L'America è... molto differente dall'Italia. E con differente intendo veramente, veramente diversa.
Le persone, la cultura, la scuola, la comunità, la lingua... Tutto è diverso.
Le persone qui sono molto cordiali, per farvi capire meglio mi basta dire che quando cammino per le strade e incontro qualcuno, anche qualcuno che non conosco, quella persona mi saluta sorridendomi.

Il cibo, ovviamente, è totalmente differente. Per fortuna sono capitata in una famiglia molto brava in cucina, quindi non mi lamento con il cibo, ma in generale ho notato che i pasti qui non sono molto salutari. Gli americani mangiano molta carne e usano molto le salse e il burro. Poi ci sono quei tipi di snack che hanno quel sapore mezzo dolce e mezzo salato (es: burro di arachidi) che ti fa venire voglia di mangiarne sempre di più senza saziarti mai. Per non parlare della varietà che una stessa marca puó offrirti. Se da noi esistono solo gli M&Ms regolari, con dentro l'arachide, qua ci sono almeno altre sette varianti, dal caramello, al burro di arachidi, al cioccolato.
Inoltre qui hanno cibo e snack ovunque. Ovunque! Perfino in un negozio di sport (true story). E quindi è normale vedere gente in sovrappeso girare per strada, ma, sfatando il mito, non sono tutti obesi.

Motivo? Fanno molto sport.
Esatto. A scuola c'è gente che fa qualcosa come tre sport in contemporanea e non perchè obbligati, ma perchè è proprio nella loro cultura. Qui si socializza soprattutto se si fanno degli sport, quindi inutile dire che anche io, pigra come sono, ho dovuto scegliere uno sport.

Un'altra differenza con l'italia è la scuola. Avete presente le scuole che si vedono nelle serie tv? Ecco, praticamente quelle. Si cambia classe di ora in ora, si mangia il pranzo nella Cafeteria, si studia molto durante la lezione e si danno pochi compiti a casa, i test sono tutti a crocette (raramente domande aperte) e non esistono orali (spesso addirittura danno l'esercitazione ore compito in cui in pratica ci sono le stesse domande presenti nel test).

I professori sono molto alla mano e molto simpatici. Qui la paura che esiste tra professore e alunno non esiste. Hai fallito un test, stai andando male in una materia, dormi in classe o fai chiasso? Nessun problema, basta che "dai del tuo meglio" in ogni situazione.

I miei compagni di classe sono un po'... schifosi, ecco. Non tutti, eh, ma c'è gente che rutta e scoreggia in classe (a quanto pare qui è una cosa normale), gente che risponde ai professori o fa il cacchio che gli pare durante la lezione (es: ascoltare musica, guardare video o semplicemente stendersi a terra per un pisolino). 
Avete la bocca spalancata? Fareste meglio a chiuderla perché questo é nulla, credetemi.
Insomma... siamo in America, amici.
Mi basta dire che sto scrivendo il capitolo in classe, mentre i miei compagni giocano a pallavolo con un palloncino. Sì. In classe. Sì, durante la lezione.

2) Hai già degli amici? 
2) E' stato molto difficile farmi degli amici, ma proprio perchè faccio uno sport ho avuto modo di legare con due o tre ragazze della mia stessa squadra con cui siedo allo stesso tavolo per il pranzo. 
Ho anche altre due amiche all'infuori dello sport, ma ho l'occasione di vederle solo durante la prima ora di scuola. Vorrei farmi nuovi amici, perchè vedo che le altre due exchange students (perchè ce ne sono altre due oltre a me) legano molto facilmente con tutti e ad essere sincera sono un po' gelosa, dato che essendo una persona molto timida e silenziosa non lego facilmente.

subjectA5_theglue mi chiede:

1) Come sta andando la tua esperienza?
1) Tutto sommato bene, dai. Ci sono periodi in cui sono molto nostalgica e piango in continuazione, ma ho anche dei periodi in cui sono molto felice e mi sento a casa! Mi trovo bene sia con la famiglia, sia a scuola, quindi devo solo darmi un po' di tempo per scacciare la nostalgia e quando succederà vivrò da favola (spero).

2)Probabilmente l'hai già detto ma al momento ho un lapsus, in che parte dell'America sei esattamente?
2) Michigan, baby. Lo stato dei laghi. 

3) Nella nuova famiglia come ti trovi? E con i compagni di classe?3) Come ho già detto sopra i miei compagni di classe sono pazzi

3) Nella nuova famiglia come ti trovi? E con i compagni di classe?
3) Come ho già detto sopra i miei compagni di classe sono pazzi. Ovviamente non tutti sono così, ma la maggior parte... Ci sono delle persone molto carine e dolci, ma ho avuto la sfortuna di capitare in una città dove ci sono molti sostenitori di Trump, quindi spesso la gente non vede di buon occhio gli stranieri e quindi non prova neanche a parlarci. Ma lasciamo perdere.

La mia famiglia, invece, è molto aperta di mente (grazie al cielo, aggiungerei). Sono una coppia giovane e molto simpatica. Sono divertenti e grazie al loro essere così carismatici non riesco a vederli come genitori, ma come amici. Certo, devo ammettere che hanno abbastanza regole (soprattutto per quanto riguarda il cibo da mangiare), ma mi ci devo solo abituare. Ho quattro fratelli, ma vivo solo con due di loro (sorellina e fratello più piccoli di me, rispettivamente 11 e 16 anni) perchè gli altri due (sorella e fratello rispettivamente di 21 e 20 anni) vanno al college e vivono da soli.

3) Le lezioni come sono? (primi mesi a parte che saranno stati un po' uno shock tutte le lezioni in inglese hahahah

3) Le lezioni sono molto semplici. Innanzitutto ognuno si sceglie autonomamente le proprie materie. Se ne possono scegliere fino a 7, tra cui obbligatorie una materia scientifica, una matematica e una riguardante storia o comunque governo. Dico questo per farvi capire che la difficoltà delle classi cambia anche in base alle scelte fatte individualmente dallo studente. Per alcune materie ci sono i gradi di difficoltà (ad esempio inglese I, II, III o Algebra I, II, eccetera).

Nel mio caso io ho scelto Biologia, Governo/Economia, Storia Americana, Geometria (che però cambierò con Algebra II), Arte e Inglese II.

Fare i compiti non è difficile perchè tra vocabolario, computer e libri me la cavo. La lezione a scuola dipende molto dalla capacità del prof di farsi capire in modo semplice e conciso, perchè ad esempio il prof di Biologia è talmente arzigogolato quando spiega che nemmeno gli studenti madrelingua lo capiscono a volte. Ma penso che la cosa più complicata arrivi quando ti chiedono di prendere appunti mentre riproducono un video o un film. A quel punto è difficile perchè comprendo parole qua e là, a volte non sempre abbastanza per comporre una frase con senso e quando finalmente riesco a capire una frase, me la dimentico prima ancora di aver buttato giù la prima parola.

I test a scuola sono la cosa più semplice della terra. Sono a crocette e, detta tra noi, che tu studi o no non cambia. Certo, non vado a scuola impreparata, ma diciamo che leggere una volta le cose fatte a scuola mi basta come "studio" per il test e riesco comunque a prendere A.

Una cosa buffa che gli americani fanno sono le esercitazioni in classe. Quelle hanno lo stesso peso di un compito scritto, quindi se ti impegni a fare anche quelle hai un buon voto preso in modo semplice. Perchè semplice? Ti basta aprire il libro, trovare la risposta e copiarla parola per parola. Non ti devi nemmeno sforzare di capire il significato o cercare di rielaborarla che ai professori andrà bene comunque.

Tutto uguale all'Italia, insomma.

 

gentileroberta domanda:

1) In che città sei?
1) Sono a Coleman, è una cittadina abbastanza piccola. Nella scuola per farvi capire ci sono 200 studenti.

miriamcardi03 chiede:

1) Come sono i ragazzi in america? Simpatici, stupidi, popolari, fighi da far paura?
1) Sono molto socievoli qui i ragazzi. Ti parlano e ti danno quasi sempre da dire (non tutti, ma la maggior parte). Alcuni sono molto simpatici, altri sono solo fastidiosi e stupidi. Ho qualche amico a scuola e per la maggior parte mi fanno sorridere. 

Fighi surreali in stile Zac Efron? Nah... Ma devo ammettere che c'è qualcuno molto carino, ma dalla parte opposta anche qualcuno mooolto brutto. Ma l'importante è il carattere, no?

2) Hai incontrato celebrità?
2) Sì! Un giorno ero in un negozio chiamato Macy's con la mia famiglia ospitante e abbiamo visto Ice-T, la moglie Coco e il figlio. Non ho la minima idea di chi fossero quindi non ci ho dato peso quando ci abbiamo camminato vicino, ma il resto della mia famiglia ospitante ha spalancato la bocca.

Nonostante questo sia successo qualcosa tipo il 2 settembre e ora siamo il 2 di novembre, io non ho ancora la minima idea di chi sia questo Ice-T.
A parte lui non ho visto nessun altra celebrità. Mai una gioia.

Thomas Brodie: Questo perchè io abito a Londra

Sì, la prossima volta vengo a trovarti, amore.

 

Per concludere il capitolo vi elenco alcune curiosità random:

1) Il paesaggio qui è favoloso! Il cielo assume colori da dipinto, gli alberi hanno sfumature fantastiche, i laghi sono enormi e puliti...

2) Il cibo ha una vastità nella scelta che potrebbe sfidare l'immaginazione di un bambino. Vuoi assaggiare degli M&Ms che abbiano dentro... che ne so... del caramello? Vai a fare la spesa e troverai un'intero reparto di M&Ms con quello che vuoi.

3) Non hanno la minima idea di come si cucini la pasta. Mi basta dire che spezzano gli spaghetti, scuociono la pasta, usano il pomodoro crudo con tanto di origano messo a caso, hanno barattoli di ragù vegetariano (e allora che ragù è, scusate?) e potrei continuare all'infinito. Ma almeno ci provano, dai.

4) Le persone sono molto cordiali, ma hanno un modo di pensare completamente diverso dal nostro.

5) Le cheeleader non sono tutte antipatiche e oche come nelle serie TV, alcune sono molto simpatiche e gentili, altre invece proprio non si sopportano.

6) Non hanno la minima idea di come sia il mondo fuori dagli Stati Uniti. Mi hanno posto domande che penso che non solo mi si siano rizzati i peli sulle braccia, ma mi sono pure caduti. Esempi? Ma in Italia che lingua parlate? Avete il wifi in Italia? Ma quindi polpette e spaghetti non è una ricetta italiana? Oh, quindi l'Olive Garden non è un ristorante italiano? In italiano so solo dire "bonjuor". E potrei continuare all'infinito. 

7) Alcuni mi chiedono... Cavoli, sei in America, la meta dei sogni. Se potessi scegliere di vivere la lo faresti? No. Insomma, è un bel posto da visitare e vivere, ma penso che l'italia rimane nel cuore... Insomma è il paese in cui sono nata, cresciuta e in cui mi sono creata dei ricordi. Questa é la bellezza che non riesco a ritrovare qui e nonostante io mi possa creare nuove memorie, penso che la bellezza italiana non sia sostituibile nel mio caso. In questo viaggio all'estero ho scoperto alcune bellezze che prima davo per scontato e solo ora mi rendo conto di tutto ciò che avevo e che non ho mai notato. L'Italia è davvero un bel paese... la cultura, i paesaggi di campagna, le città storiche, il mare da una parte e le montagne dall'altra, il cibo, la lingua che qui in america molti descrivono come melodica, i contatti (tipo i due baci sulle guance come saluto), le chiese e i castelli... Insomma, abbiamo tutto.

8) I ragazzi qui sono molto indipendenti. Prendono la patente a sedici anni e spesso una volta che sono al college si trovano una casa in cui vivere da soli.

9) Lo spreco di cibo purtroppo è molto elevato. Non esiste il concetto "metti nel frigo, domani si mangiano gli avanzi". Cucinano in eccesso e poi buttano nel bidone, se provi a conservare il cibo ti dicono "perchè mangi quel cibo? E' di ieri, è disgustoso"

10) Si fanno la doccia ogni giorno (con tanto di capelli lavati) e sprecano un sacco di acqua, shampoo, balsamo e bagnoschiuma.

11) Lo sport che ho scelto è Cross Country. Sarebbe corsa ma nei boschi. Si devono correre tre miglia (circa 5 kilometri) ad ogni gara. Le competizioni sono molto frequenti (quasi una alla settimana se non due) e gli allenamenti quasi tutti i giorni.

12) Gli sport vanno a stagioni e ad esempio Cross Country è finito con ottobre. Durante dicembre inizierò con Bowling.

13) Qui sono fissati con la caccia e la pesca. Ci sarà un giorno in novembre in cui le scuole saranno chiuse perchè tutti andranno a caccia e di conseguenza in pochi verrebbero a scuola.

14) Sono molto patriottici! Facciamo l'inno con tanto di mano sul cuore e sguardo rivolto alla bandiera ogni mattina prima di iniziare scuola e prima di ogni partita di football. Non a caso ci sono bandiere dell'america ovunque. Ogni casa ne ha almeno una.

15) L'inglese parlato da loro non è molto corretto... Perfino gli insegnanti usano espressioni non corrette o slang. Mi sono ritrovata a sapere più grammatica dei miei compagni di classe.

16) Se tutto va bene tornerò a fine giugno, attorno al 26.

17) Ancora non ho iniziato a sognare in inglese, ma non penso più in italiano!

18) Non hanno un'idea di cosa "abbinamento di colori" significhi. Anzi, mi correggo. Non sanno cosa sia la moda o almeno cosa sia vestirsi decenti. Un giorno sono andata a scuola con la maglia del mio pigiama e nessuno ha notato nulla perchè molti qui sembra che indossino il pigiama.

19) Le pantofole qui sono considerate scarpe adatte per uscire.

20) Vedo sandali e calzini ovunque. OVUNQUE.

21) Il profumo qui non si mette, viene quasi considerato un insulto.

22) La polizia è molto presente ed efficiente.

23) Se succede qualcosa mentre si è a scuola (tipo una sparatoria nella città accanto), la scuola va nella "security mode" dove si chiudono le porte finchè non viene dichiarato lo stato di sicurezza.

24) Il codice stradale è molto rispettato.

25) Vedere scoiattoli (neri in particolare), cervi e cerbiatti, conigli e talpe in giro è molto comune.

Per ora non mi viene in mente altro, ma se avete altre domande sarò felice di rispondervi direttamente nei commenti!

Spero di non avere fatto errori grammaticali o di non aver inventato parole... ultimamente mi sembra di non sapere più l'italiano perchè quando parlo lo mischio con l'inglese.

Spero che vi sia piaciuto il capitolo!

Baci, 

Elena ღ

 

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Capitolo 26
*** Capitolo 22. ***


Era ormai notte fonda quando sentii bussare forte sulla porta di casa. I colpi erano veloci e sonori, dati con decisione e fretta. Nonostante fosse tutto scuro riuscii ad individuare la figura di Gally che, dall'altra parte della stanza, si era drizzato a sedere sul letto proprio come me. Lo vidi voltarsi in mia direzione e fissarmi in quello che interpretai come uno sguardo di intesa. I colpi si fermarono per qualche secondo, poi ripresero ancora più forti e frequenti di prima. Senza pensarci due volte rotolai fuori dal letto e accorsi alla porta quasi rischiando di cadere. Non sapevo nemmeno io perchè avevo esitato così tanto prima di decidere di aprire, ma di sicuro era colpa del mio cervello che, appena svegliato, non riusciva nemmeno ad elaborare il mio stesso nome.

Spalancai la porta con il fiato corto per il panico: in quei brevi secondi tutti gli scenari possibili mi erano passati per la testa, da un nuovo attacco della W.I.C.K.E.D. all'atterraggio di un asteroide nel mare. Non feci nemmeno in tempo ad abbandonare la presa sulla maniglia che qualcuno si precipitò dentro la stanza, urtando la mia spalla e fiondandosi all'interno senza nemmeno dire una parola.

Sentii Gally mormorare qualcosa ma non ci feci caso e nel frattempo iniziai a tastare vicino alla porta per riuscire ad individuare la candela da accendere. Quando tastai la forma irregolare della cera me la portai al petto, sorridendo quasi senza volerlo. Prima che i bambini venissero presi dalla W.I.C.K.E.D. Stephen aveva insegnato loro come ricavare delle candele dal grasso animale. Era stato una serie di progetto divertente ed educativo in cui ogni bambino aveva prodotto qualcosa di fondamentale per la nostra vita in quel posto, dato che non avevamo a disposizione l'elettricità, e poi ogni bambino aveva donato la sua piccola creazione a chi preferisse.

La mia candela era stata creata da Elizabeth e se mi sforzavo un pochino potevo ancora vedere la bambina correre in direzione mia e di Gally, mostrando in aria la sua candela, sul volto un sorriso fiero e con qualche dente mancante.

Fino a quel momento avevo mai avuto il coraggio di accenderla, sia per paura di consumarla troppo in fretta, sia perchè in realtà durante il giorno la luce di una candela non serviva a nessuno e durante la notte nè a me nè a Gally piaceva restare svegli, di conseguenza a nessuno dei due serviva un lume. Mi morsi il labbro quando realizzai che in quel momento ero effettivamente obbligata ad usare quel regalo che ora mi era così caro, ma buttai giù la malinconia e mi decisi ad accendere uno dei fiammiferi per poi avvicinarlo alla candela. 

Una piccola fiamma bianca e gialla spiccò nel buio e in pochi secondi illuminò la stanza con la sua luce fioca, rivelando la figura presente al centro della stanza. Il mio cuore si fermò di un battito, poi quando riconobbi la persona davanti a me riprese a battere.

 

Teresa, con una mano sopra il cuore e un gran fiatone, era leggermente piegata all'avanti, i suoi occhi fissi nei miei. La ragazza non disse nulla, semplicemente mi allungò un piccolo radar e lo lasciò cadere nelle mie mani.

"E questo dove lo hai preso?" domandai curiosa, rigirandomi l'oggetto tra le mani per capire a cosa servisse.

"L'ho rubato... ad una delle guardie che... abbiamo ucciso." mormorò la ragazza tra un respiro affannoso e l'altro. 

Gally si alzò in piedi e mi raggiunse, ponendosi dietro di me e osservando il radar nelle mie mani da sopra la mia spalla. "A cosa serve esattamente?" domandò il ragazzo dubbioso, prendendo la candela dalle mie mani e avvicinandola di più al piccolo aggeggio.

Teresa prese un bel respiro e fece qualche passo in nostra direzione, poi ignorando completamente la domanda di Gally iniziò a parlare: "Un bambino si è finalmente ricordato del chip. Ha lanciato il segnale, ma non riuscivo bene a comprendere cosa mi stesse dicendo. Le voci erano... confuse, storpiate. Sicuramente colpa delle interferenze, della distanza, magari perfino dei materiali con cui è costruita la nuova struttura della W.I.C.K.E.D, non so." la ragazza si interruppe e dopo essersi schiarita la gola, poi riprese fiato e continuò a parlare. "Ma sono riuscita a guadagnare abbastanza tempo per intercettare la loro posizione. Ho semplicemente convertito le coordinate del radar e collegandolo alle onde ricevute dall'auricolare sono riuscita a trovare la posizione da cui il segnale è partito. Purtroppo non è la posizione precisa, ma almeno ora sappiamo dove dirigerci, una volta arrivati sapremo da soli dove proseguire, ne sono certa."

Avrei voluto gettarmi ai suoi piedi e lodarla, avrei voluto saltarle addosso e riempirla di baci, avrei voluto perfino prenderle le spalle e agitarla convulsamente, ma mi limitai ad allungare una mano e a poggiarla sul suo braccio. "Grazie Teresa, veramente." mormorai stringendo il radar al petto. "Non so come avremmo fatto senza di te."

"Aspetta un secondo..." interruppe Gally con un tono dubbioso. "Non credo di aver afferrato bene... Chi ha dato il segnale a cosa?"

Alzai gli occhi al cielo con un sorriso stampato sulle labbra e sentii Teresa ridacchiare. Era come se dopo l'aiuto enorme della ragazza la situazione drammatica si fosse alleggerita un poco, facendo diradare la nebbia di brutte sensazioni. 

"In breve, testa di sploff, ora sappiamo dove sono i bambini." semplificai, sorridendogli e vedendo il suo sguardo illuminarsi.

"Veramente? E cosa ci facciamo ancora qui?" esultò lui, precipitandosi verso il suo letto e afferrando la felpa accasciata ai piedi della coperta.

"Frena, Pive." lo bloccai. "Anche io vorrei poter partire adesso, ma è buio e in più abbiamo bisogno di riposo. Non sappiamo cosa ci aspetti lì fuori, quindi abbiamo bisogno di energie. Domani mattina ci prepariamo le provviste, raccogliamo tutti e poi partiamo. Spero solo che gli altri abitanti non cerchino di fermarci, non credo di avere la forza di combattere pure loro."

"In quel caso potremmo semplicemente aspettare la notte e partire di nascosto." propose lui, ricevendo un mormorio di intesa da Teresa. 

"Sì, suppongo che possa essere il nostro piano B." annuì Teresa, raccogliendosi i capelli neri in una coda.

Annuii in risposta e porsi il radar alla ragazza. "Prenditi un po' di riposo, okay? Ti vengo a svegliare io quando stiamo per partire. Immagino tu sia stata sveglia tutta la notte."

La ragazza mi sorrise e prese il piccolo marchingegno. La sentii ringraziarmi e dopo esserci augurati la buona notte la osservammo camminare fuori, diretta verso la sua casa.

Mi voltai verso Gally e gli sorrisi, finalmente sollevata che qualcosa iniziasse ad andare per il verso giusto. Il ragazzo non ricambiò il sorriso, ma la sua espressione si fece profonda, come se stesse provando troppe emozioni tutte allo stesso tempo per riuscire a mostrarne anche solo una. Il sorriso si spense sulle mie labbra e il mio cuore perse un battito. Cosa stava succedendo?Mi sembrava quasi che lui sapesse qualcosa che io ignoravo e la cosa mi faceva sentire vulnerabile. Non era felice di aver finalmente un piccolo sentiero verso la speranza?

Gally fece un passo in avanti e poi un altro, fino a quando non arrivò ad un palmo dal mio naso. Sentii il suo respiro caldo e calmo sulla pelle del mio collo, poi il ragazzo si chinò all'avanti e mi abbracciò. Sbattei le palpebre più volte e rimasi pietrificata. Cosa stava succedendo?

O meglio: cosa mi stava succedendo?

Non sapevo perchè il mio corpo stava reagendo in quel modo, ma all'improvviso mi sentii calma, rilassata, come se tutte le preoccupazioni fossero sparite con il resto dei miei pensieri. Ero come un foglio bianco, vuoto e la sensazione era indescrivibile, magnifica.

Quel gesto fu totalmente inaspettato e forse era per quello che mi aveva fatto piacere.

Ricambiai la stretta e affondai il volto nella sua maglia.

"Andrà tutto bene, vedrai." sussurrò lui, come se avesse capito che non riuscivo nemmeno a comprendere me stessa e i miei sentimenti. "So che fa paura. Ogni volta che sembra che le cose stiano andando bene succede qualcosa e..." il ragazzo si interruppe e in quel silenzio io iniziai finalmente a capire. "Ti prometto che farò di tutto per far sì che questa spedizione sia un successo, dovessi dare la mia stessa vita. Nessuno vuole un altro insuccesso, e tu fra tutti sei quella che si merita di meno un altro fallimento."

Mi morsi il labbro, chiedendomi come avesse fatto a capirmi quando nemmeno io stessa ero riuscita a decifrare le mie emozioni.

Ero talmente abituata ad essere sulla montagna russa delle emozioni che oramai mi ero dimenticata del terrore di non sapere quando le cose sarebbero di nuovo precipitate dalla felicità al caos e alla negatività.

Ero stata talmente tanto a contatto con la tristezza e la frustrazione che avere un momento di sollievo dai pensieri era come vedere la luce in fondo al tunnel.

Inspirai profondamente e mi gustai il tepore delle braccia di Gally per qualche altro momento, attorno a noi solo il silenzio tremolante della notte. Mi concessi per un piccolo istante di essere debole, di non pensare ai problemi che ancora avevo da risolvere o alle cose che ancora dovevo fare, permisi a me stessa di essere coccolata per una volta, lasciai che fosse Gally ad avere le redini della mia vita, e anche se era solo per qualche secondo mi sentii libera, sollevata.

Abbandonai tutto il mio peso su di lui e sentii le sue braccia aumentare la presa su di me, sostenendomi in tutti i sensi.

Mi era mancato essere abbracciata. Mi era mancato essere debole.

 

 

 

Durante quella notte mi svegliai più volte, attanagliata dal pensiero della partenza e bombardata dai continui sogni confusi in cui succedeva qualcosa di inaspettato che ogni volta ostacolava il nostro viaggio verso la W.I.C.K.E.D.

Mi ritrovavo madida di sudore, a sedere sul letto, intenta a fissare fuori dalla finestra nella speranza che il sole spuntasse fuori e mi liberasse da quella lenta tortura senza fine. Volevo semplicemente alzarmi e uscire dalla casa per andare a preparare le provviste, ma allo stesso tempo sapevo che avevo bisogno di riposo perchè non ero certa di quando avrei potuto usufruire di un letto così confortante di nuovo.

Mi rimisi a dormire un'ultima volta e quando mi svegliai dopo l'ennesimo incubo, notai con sollievo che la lieve luce del sole stava filtrando silenziosa attraverso le assi di legno sul muro.

Quel piccolo cambio di tonalità nel buio della stanza mi bastò come scusa per sgusciare fuori dal letto e sgattaiolare in Cucina.

Mi guardai attorno alla ricerca di Frypan e non mi sorpresi quando non lo vidi dietro ai fornelli intento a cucinare qualcosa: era appena l'alba, di sicuro stava ancora dormendo.

Presi alcuni sacchi e iniziai a riempirli di carne essiccata, bacche e vegetali vari, poi afferrai i lembi di ogni sacco e li legai assieme in un nodo bello grosso. Feci lo stesso processo ancora un paio di volte, assicurandomi di prendere abbastanza cibo, ma allo stesso tempo stando attenta a non riempire troppo i sacchi: era vero che dovevamo sopravvivere per chissà quanti giorni con quelle provviste, ma dovevamo anche muoverci velocemente e troppo peso sulle spalle ci avrebbe solamente rallentato.

Per ultima cosa raggiunsi la piccola dispensa nell'angolo della stanza e mi chinai per afferrare i piccoli sacchi di pelle che i Costruttori avevano fabbricato utilizzando la pelle di animali più piccoli o gli avanzi di quelli più grandi. Osservai attentamente le cuciture che legavano ogni pezzetto assieme e mi domandai se avessero la capacità di contenere dell'acqua senza farla filtrare di fuori. Feci spallucce e decisa di tentare presi quattro sacchi, pregando che sarebbero stati delle perfette borracce.

Con passo affrettato mi inoltrai nel bosco e quasi automaticamente i miei piedi mi condussero al piccolo fiumicello, noto anche come la sorgente e la ragione della nostra sopravvivenza in quel posto.

Attesi pazientemente che tutti e quattro i sacchi si riempissero fino all'orlo e poi testai la loro resistenza agitandoli, strizzandoli, facendoli cadere. Dopo diversi test constatai che i Costruttori avessero fatto un ottimo lavoro, come sempre d'altronde. 

Con non poca fatica riuscii a trasportare tutte e quattro le piccole borracce nelle mie braccia, stringendole con attenzione per paura di farne cadere qualcuna. A grandi passi raggiunsi di nuovo la Cucina e appoggiai le borracce vicino ai sacchi. Il mio cuore continuò a battere emozionato anche quando uscii dalla stanza per dirigermi verso l'Armeria.

Mi sentivo come una bambina la mattina di Natale, piena di speranze e impaziente di aprire i regali, solo che nel mio caso l'unica cosa che non vedevo l'ora di fare era uccidere ogni singolo membro della W.I.C.K.E.D. una volta per tutte.

Spalancai la porta e quando vidi qualcosa volteggiare vicino al mio volto per poi oltrepassarmi, il mio cuore si fermò veramente per qualche secondo, e questa volta non per l'emozione.

Mentre la mia testa rimaneva pietrificata nella stessa posizione, i miei occhi ruotarono lentamente verso la porta aperta vicino a me e si puntarono sulla lama luccicante e affilata del coltello conficcato nel legno. Un sibilo uscì dalle mie labbra e con mano tremante afferrai l'impugnatura e tirai con forza per liberare la punta dell'arma dalla porta.

Una volta ottenuto il coltello alzai lo sguardo e incrociai due occhi a mandorla spalancati per il terrore. Solo dopo qualche secondo il ragazzo si decise a parlare, o meglio balbettare. "S-Scusami." mormorò. "Stavo puntando alla porta quando l'hai spalancata e... avevo già lanciato il..." Minho si interruppe e si schiarì la gola. "Mi fa piacere vederti viva, bambolina."

"Oh, anche io sono felice di essere viva, senza ombra di dubbio." borbottai in risposta. "Da quanto tempo precisamente hai la passione per..."

L'omicidio ragazze innocenti. Completò il mio cervello.

"...il lancio dei coltelli?" composero le mie labbra.

Minho fece spallucce e si guardò intorno con aria innocente, evasiva. 

Sollevai un sopracciglio e dopo aver chiuso la porta dietro di me, mi avvicinai al tavolo delle armi, dove allineai il coltello vicino agli altri sette.

"Spesso non riesco a dormire..." confessò il ragazzo lasciandosi cadere sulla sedia accanto al tavolo. Gli lanciai uno sguardo preoccupato: Minho aveva un'aria esausta, come se avesse appena combattuto contro sette Dolenti.

"Violet russa?" provai a scherzare nel tentativo di farlo sorridere. Tuttavia il ragazzo rimase terribilmente serio e la paura mi attanagliò lo stomaco. "I suoi piedi puzzano più dei tuoi?" tentai di nuovo, non ricevendo alcuna reazione.

Minho che perdeva la sua ironia e la sua voglia di scherza equivaleva al prosciugamento di ogni singola goccia d'acqua sulla terra: evento catastrofico, terrificante.

Il ragazzo sembrò disconnettersi dalla realtà, intrappolato così profondamente nei suoi stessi pensieri che non sbatteva nemmeno le palpebre e i suoi occhi sembravano nascondersi dietro un velo nero.

Feci un passo in sua direzione e appoggiai una mano sulla sua spalla cercando di confortarlo o almeno di attirare la sua attenzione, ma in realtà lo feci solo sussultare.

Minho mi concesse il suo sguardo e non appena vidi i suoi occhi luccicare per via della tristezza, immediatamente capii. Come se fosse stato Minho a suggerirmelo, sentii una voce estranea sussurrare nella mia mente un singolo, inconfondibile nome.

Newt

Dei brividi mi percorsero la schiena e le mie spalle si fecero improvvisamente pesanti. Le mie gambe iniziarono a tremare, così come le mie mani. Un freddo polare mi risucchiò tutte le energie facendomi sentire fragile, come se fossi costituita di ossa deboli e cenere.

Mi appoggiai sul tavolo e cercai di assumere sul volto un'espressione sicura, uno sguardo forte, che dona conforto e non panico.

"Non ti capita mai..." il ragazzo si interruppe e lo sentii ingoiare il groppo di saliva o forse di lacrime che aveva in gola. "Cosa fai quando..." la voce del Velocista tremò di nuovo.

"E' come se fosse una figura attaccata alle mie pupille. Lo vedo ovunque." continuò finalmente dopo aver preso qualche respiro profondo. Non ci fu nemmeno bisogno di spiegazioni, il ragazzo sapeva già che io avevo capito. "Mi fissa come si fissa il colpevole in una scena del crimine. E' come se avessi un dito puntato contro, ogni cosa che faccio, ogni respiro che prendo. Non capisco cosa..."

"Cosa mi sta succedendo, Elena?"

Le mie dita strinsero di più sulla sua spalla e dopo aver cancellato dalla mia mente l'intenzione di cadere sulle mie ginocchia e piangere, mi decisi ad aprire le labbra e ad usare la mia voce che tuttavia uscì come un sussurro, come se fosse troppo spaventata di svegliare il panico nel mio stomaco.

"Anche io avrei voluto prendere il suo posto." confessai, causando nello sguardo del ragazzo una scintilla di dolore, segno che avevo colpito a pieno il punto dolente. "Non sai quanto darei per vederlo anche solo per un minuto."

"Perfino respirare mi sembra sbagliato, come se non fossi autorizzato a vivere a pieno." continuò lui, nella sua voce sempre meno speranza. "Come se..."

"Come se fosse sbagliato provare a costruirsi una vita senza di lui." completai puntando lo sguardo sulla punta delle mie scarpe.

"Già." sussurrò lui prima che un velo di silenzio cadde su di noi.

"Non è giusto." mormorai.

"Lo so. Pensavo di aver perso tutto con il Labirinto, pensavo di aver perso la mia casa, la mia vita, ma solo ora mi accorgo che casa non è il luogo, ma le persone." 

"E Newt era una delle colonne portanti." conclusi. "La colla che teneva tutti assieme."

*Angolo scrittrice*

Hey Pive! 

I'm back! 

Come vi è sembrato il capitolo? Qualche consiglio o richiesta sul continuo della storia? Intendo, so come procedere con gli eventi (mi sono fatta una scaletta eh eh), ma ho pensato che se avevate qualche idea o qualcosa che vi piacerebbe succedesse durante il viaggio o più avanti (es: i Radurai devono affrontare nuovi mostri creati dalla W.I.C.K.E.D.) sono felice di accontentarvi!

Scrivete qui sotto nei commenti e chissà, forse vedrete il vostro suggerimento prendere parte alla storia (con i crediti ovviamente).

Baci,

sempre vostra Elena ღ

PS: per chi mi volesse aggiungere su Snapchat mi chiamo Inevitabile_Dea. Di solito non posto niente sulla mia storia, ma rispondo sempre in chat ;)

 

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Capitolo 27
*** Capitolo 23. ***


Non ci riesco.
Non riesco ad andare avanti.
E non voglio.
Non riesco a sopportarlo, è più forte di me. 
Non riesco a sopportare il fatto che non ci sia più.
Non riesco a sopportare questi sentimenti, queste ombre, che continuano ad inghiottirmi costantemente. E' quasi come essere a bagno in un lago profondo e scuro: so di saper galleggiare, eppure ogni volta che mi stendo sulla superficie dell'acqua torpida la consapevolezza di non sapere cosa c'è sotto di me mi spaventa, mi terrorizza a tal punto da farmi dimenticare come si resta a galla, come si tiene la testa fuori dall'acqua per sopravvivere.

Annegare. Ecco cosa avevo fatto per tutti quei mesi. Ero annegata, metro dopo metro, annaspando in cerca di ossigeno, ma non facendo altro che confondere il mio senso di orientamento. Per quanto mi riguardava potevo anche star nuotando nella direzione sbagliata, sprofondando me stessa in quell'abisso, nella falsa speranza di rompere la superficie dell'acqua. La situazione sarebbe anche potuta sembrare buffa se vista dall'esterno: nessuno può veramente capire che in quel lago qualcuno sta affogando perchè la superficie dell'acqua è così calma, lineare, senza nemmeno una crepa di imperfezione. Eppure se qualcuno avesse il coraggio di immergere la testa nell'acqua scura e di dare un'occhiata a cosa si nasconde sotto quella superficie così perfetta, potrebbe scoprire quanto orribili le cose siano in realtà.

Per tutti quei mesi ero annegato da sola, o almeno così credevo. Certo, c'era stato qualcuno che si era veramente preoccupato, qualcuno che aveva perfino rischiato di annegare con me pur di riuscire a salvarmi, eppure... 
Eppure sapevo che il resto delle persone non sapevano nemmeno come comportarsi con me. Essere etichettata come quella bipolare e violenta nel villaggio aveva le sue conseguenze. Di domande stupide come "tutto bene?" le mie orecchie ne erano piene. La gente fa delle domande del genere solo per cortesia, ma in realtà si aspettano che tu dia la risposta che loro vogliono sentirsi dire, non la verità. Vogliono vedere un sorriso formarsi sul tuo volto e la tua voce rompere la verità che solo tu sai mentre rispondi "sì, tutto bene".

E' così... ingiusto.
E forse anche io sono così: ingiusta.
Ero talmente concentrata sul salvare me stessa, sul ritrovare la superficie, che non mi ero nemmeno accorta che a poca distanza da me c'era qualcun'altro nella stessa situazione. Un compagno di sventura o forse solo un'altro ingenuo come me che aveva permesso a se stesso di stendersi sulla superficie, pur sapendo che non ci sarebbe stata una via di ritorno.

Per tutti quei mesi non avevo fatto altro che annegare. Per tutti quei mesi Minho non aveva fatto altro che trattenere il fiato sott'acqua, troppo spaventato di urlare per paura che qualcuno al di fuori del lago lo potesse sentire.

Pensavo veramente di potercela fare, pensavo veramente che se fossi riuscita a sopravvivere alla giornata allora forse sarei riuscita a sopravvivere per il resto della mia vita, e chissà, magari perfino a vivere davvero.

Ma Minho mi aveva appena ricordato il motivo per cui non ci ero mai veramente riuscita: io avevo paura di vivere. 
Avevo paura dei miei pensieri e ancora di più dei miei sentimenti. Fingere di sorridere e di stare bene era come respirare polvere: dava fastidio, ma quando finalmente riuscivi ad abituartici i tuoi polmoni iniziavano a cedere sotto il peso di quella lenta tortura che tu stessa ti infliggevi. E a quel punto iniziava la tosse. Un pochino ogni giorno, finchè non finivi con il soffocare, con il non riuscire più a resistere, a tenerti tutto dentro.

Io avevo raggiunto quel punto tanto tempo addietro, più volte. Ma Minho... Per Minho quella era la prima volta.
E dopo la conversazione che avevamo avuto avevo compreso perfettamente come le cose sarebbero andate a finire.

Non c'era modo per noi di dimenticare cosa era successo, nè di cercare di ignorare il problema finchè non fosse sparito da solo, perchè apparentemente io ci avevo provato per mesi senza però riuscirci.

Non c'era molto che potessimo fare, se non aspettare che il tempo e la rassegnazione iniziassero a levigare la scheggia di vetro che avevamo entrambi conficcata nel cuore. A quel punto forse avremmo potuto mettere da parte la paura di essere egoisti e provare veramente a vivere, o almeno sopravvivere.

Fino a quel momento ci eravamo riusciti più o meno, zoppicando e cadendo nell'abisso a volte, ma tirando sempre avanti, perchè alla fine è questo che si fa, giusto? Ci si pulisce le ferite e si va avanti. E' questa la cosa giusta da fare, giusto? O almeno è questo che dovrebbe essere. E' quello che gli altri vogliono, quindi dovrei volerlo anche io, giusto?

Giusto?







 

Dopo essere stati divorati da un silenzio talmente potente da essere il portavoce dei pensieri che non avevamo espresso, finalmente io e Minho decidemmo di renderci produttivi e di iniziare a selezionare le armi che avremmo portato in viaggio. Dopo essermi armata di arco e frecce chiesi a Minho di finire di raccogliere gli ultimi coltelli rimasti sul tavolo e nel frattempo andai svegliare Teresa. 
Bussai alla sua porta e quando Thomas aprì rimasi spiazzata. Sapevo che i due ragazzi vivevano nella stessa casa, ma vederlo e stargli così vicino era troppo per me, soprattutto dopo la conversazione avuta con Minho.

Finchè ero io quella a soffrire non importava, potevo farcela, potevo sopportare e se non ce la facevo non mi importava, ma nel momento in cui erano i miei amici ad essere feriti... be' a quel punto non c'era pietà, nè perdono.

"Sono venuta a svegliare Teresa." informai breve, la mia voce dura. "Ce ne andiamo tra poco."

Il ragazzo si morse il labbro e abbassò lo sguardo, fingendo di essere interessato alle sue scarpe, poi mugugnò un "va bene" e si richiuse in casa.

 

 

Dopo qualche ora tutti si erano raccolti nella spiaggia, non mancava nemmeno un abitante del villaggio e non sapevo se la cosa fosse positiva o negativa. Mi sembrava ci fossero tutti. Be' tutti tranne me almeno.

Io mi ero isolata per qualche momento, zoppicando con fatica per raggiungere la vetta dello strapiombo che dava sull'oceano. Una volta arrivata in cima mi ero seduta sul margine e avevo lasciato i miei piedi liberi di oscillare nel vuoto. Non sapevo esattamente perchè, ma essere ad un passo da una morte certa mi dava quasi una sensazione di sollievo. Ondeggiare su un filo tra la morte e la vita, essere io quella ad avere la scelta sulla mia esistenza mi faceva sentire potente, decisa e sollevata, perchè ero consapevole che tutto dipendesse da una mi semplice decisione. Avrei potuto saltare, certo. Ma avevo comunque deciso di non farlo. Eppure sapere che alla fine della lista ci fosse un modo per liberarsi di tutto il dolore era quasi... un sollievo.

Insomma, non che il mio obbiettivo più grande fosse quello di gettare la spugna e abbandonare le poche persone che mi erano rimaste, ma almeno sapere che c'era una via d'uscita se le cose si fossero messe male era tranquillizzante. Alcuni avrebbero pensato che togliersi la vita sia da codardi. Huh, provateci voi a camminare sull'orlo del precipizio, le ginocchia tremanti e gli occhi fissi sul vuoto che aspetta solo di inghiottirvi. Provate voi ad ignorare il sudore che scivola lento sulle tempie mentre state per compiere quella che forse sarà l'ultima decisione della vostra vita.

Codardi, eh?

Scuoto la testa e allungo la mano verso la tasca posteriore dei miei pantaloni. I miei polpastrelli sfiorano un foglio di carta piegato e, con la cura che una madre riserva al suo bambino, lo sfilano dalla fessura.

Osservo il pezzo di carta davanti a me e lo rigiro più volte tra le mani, cercando di trovare il coraggio per aprirlo. So già le parole scritte su quel foglio. Le ho memorizzate nella mia mente perchè non erano altro che pensieri ed emozioni che avevo sempre conservato.

Cercai di distogliere l'attenzione da quel foglio di carta per un attimo, concentrandomi sul suono delle onde che si infrangevano sulla riva presente metri e metri sotto di me. Le voci delle persone sulla spiaggia erano offuscate dall'armonia dell'acqua, creando così una ninna nanna rilassante. Eppure in me c'era ancora quella tensione inspiegabile... Un po' come quel filo teso tra le dita che non riesci mai a tagliare con le forbici. Rimane lì, non come tutti i fili che hai precedentemente tagliato, e non capisci perchè quella volta dovrebbe essere diverso.

Chiudo gli occhi e prendo un profondo respiro mentre sento un gabbiano sussurrare il suo richiamo in lontananza. Osservo la luce gialla e arancione del mattino filtrare attraverso le mie palpebre e quando riapro gli occhi vedo qualche macchiolina nera coprire il sole, ma poi svanire subito, come vergognosa.

Abbasso lo sguardo sul foglio e lo apro con cautela per non far cadere il fiammifero nascosto tra le pieghe di quella lettera nera e grigia.

Lentamente dispiego il foglio e faccio scorrere gli occhi sulla mia calligrafia arzigogolata e spesso macchiata da lacrime. Sorrido malinconica e per un attimo vorrei semplicemente rimettermi la lettera in tasca e gettare via il fiammifero, poi però mi ricordo il mio scopo finale e penso che anche Newt avrebbe voluto che prendessi questo atto di coraggio, che provassi seriamente a superare la sua perdita una volta per tutte. Bruciare i miei pensieri e le mie preoccupazioni era simbolico per me. Era come se stessi dando fuoco alla mia tristezza nel tentativo di vederla sparire o mutare in cenere.

Rilessi attentamente ogni singola parola e nel farlo provai una sensazione di calma, di pace interiore che provavo solo quando parlavo con Newt e per un momento sperai veramente che lui fosse lì seduto accanto a me, la sua mano nella mia, ad ascoltare le mie parole tacite, con il cuore caldo e la mente aperta. Chissà se anche lui come me stava rileggendo le parole che avevo scritto con frustrazione e malinconia su quel foglio.

Nella speranza che lui fosse davvero lì con me abbassai la lettera e guardai l'orizzonte per poi sussurrare: "So che sarai con me ogni volta che chiuderò gli occhi prima di addormentarmi. E sappi che sarai il primo pensiero al mattino."

Afferrai il fiammifero e con decisione sfregai la sua testina contro un sasso steso a terra, incendiando il bastoncino di legno in pochi istanti.

Lo avvicinai alla lettera e la osservai arricciarsi e bruciare sotto il calore della fiamma, e mentre la osservavo bruciare aggiunsi: "Per sempre, te lo prometto."

Prima che la fiamma raggiungesse le mie dita lasciai la lettera libera di fluttuare per aria. 

Diedi un'ultima occhiata al sole e poi lanciai uno sguardo al posto vuoto a terra vicino alla mia mano. Mi aggrappai all'erba, conficcando le unghie nel terreno e poi alzai lo sguardo, fissando il nulla. Sorrisi. Il primo sorriso sincero che avevo da tempo. Il primo sorriso leggero, privo di preoccupazioni.

Tutto per lui.

Solo io sapevo cosa avevo scritto nella lettera e sperare che Newt in qualche modo fosse capace di comprenderla in ogni suo significato mi rassicurava. "Il nostro ultimo piccolo segreto." mormorai al nulla. "Mi ha fatto piacere confidarmi e parlarti per l'ultima volta, ma ora devo andare." spiegai con calma, la mia voce stranamente fluida e priva di rotture o tremolii.

E con quella piccola anticipazione mi alzai in piedi e mi allontanai dallo strapiombo, il corpo diretto verso la spiaggia, pronto a raggiungere i miei amici, la mia mente priva di ogni pensiero, il mio cuore pieno di coraggio e forza d'animo.

Quando raggiunsi gli altri sulla spiaggia Minho mi lanciò un sorriso che mi fece subito comprendere che lui sapesse esattamente cosa provavo e perchè avevo sentito la necessità di fare quello che avevo fatto.

Ero convinta che anche lui fosse arrivato alla mia stessa conclusione: nessuno è veramente morto se vive nei nostri ricordi.  Per quanto male possa fare, almeno siamo certi che i nostri sentimenti per quella persona siano ancora vividi e veri come lo erano una volta. 

Mi schiarii la gola e mi avvicinai a Gally sorridendo sollevata. "Stai bene?" chiese subito lui. Apparentemente vedermi in quello stato di tranquillità e pace fosse talmente raro che ormai era etichettabile come preoccupante, se non come allarme rosso.

"Mai stata meglio." contestai. "Siamo pronti per partire?" domandai guardandomi attorno con cautela.

"Stranamente sì, lo siamo." rispose il ragazzo, seguendo il mio sguardo. "Quelli che si erano mostrati contrari hanno capito che siamo ragazzi degni di fiducia e pieni di potenzialità. Ci lasceranno andare senza problemi."

Annuii felice e gli accarezzai la spalla per poi voltarmi verso il resto delle persone che sembravano quasi tutte già con l'attenzione proiettata su di me. Da quando ero diventata io il capo di riferimento?

Mettendo da parte la confusione mi feci coraggio e parlai. "Vi ringrazio per la vostra fiducia e il vostro supporto, vi prometto che non vi deluderemo. Riporteremo a casa i nostri bambini e sconfiggeremo la W.I.C.K.E.D. una volta per tutte." 

Dopodichè mi voltai verso i miei amici e cavando fuori ancora più coraggio continuai. "Stiamo per iniziare un altro lungo viaggio. Non sappiamo cosa ci aspetterà, nè come reagiremo, nè cosa la W.I.C.K.E.D. si aspetti da noi. Sarà pericoloso, ma..." mi interruppi. "Insieme abbiamo affrontato tante, troppe sfide che sembravano impossibili. Abbiamo combattuto fianco a fianco, rischiato e sacrificato altre vite, siamo stati una famiglia fino alla fine. Ognuno di voi ha un potenziale e delle capacità uniche. Non siete solo miei amici, voi siete tutto quello che ho." feci una pausa. "Ed è per questo che voglio che sappiate che non siete tenuti a venire. Questa volta non è un esperimento in cui è d'obbligo sopravvivere. Per la prima volta abbiamo l'occasione unica di vivere. Ce lo siamo meritati, ma intraprendendo questa nuova avventura, potremmo rischiare di perdere tutto questo, di perdere noi stessi nel tragitto."

Passai lo sguardo su tutti, attendendo che il silenzio spiegasse ciò che le mie parole non avevano espresso. "Perciò voglio che sappiate che va bene se non volete venire, va bene se volete restare qua. Non è da codardi, nè da egoisti. Ognuno nella propria vita deve prendere le decisioni che crede siano migliori per sè e per gli altri, ed è per questo che non posso dirvi io cosa fare, nè obbligarvi a farlo. Siete voi a decidere, ma vi prego di farvi avanti ora, perchè una volta iniziato il viaggio potrebbe non esserci via di ritorno."

Vidi un paio di sguardi abbassarsi e un altro paio guardare altrove. Il mio cuore perse di un battito all'idea di iniziare un'avventura senza qualcuno dei miei amici, ma poi mi ripetei che non si trattasse solo di me.

Frypan fece un passo in avanti, poi un altro e un altro ancora, fino a quando non allungò una mano e la appoggiò sulla mia spalla. "Ragazzi, voi siete la mia famiglia, ma purtroppo sento che questa non è la mia missione. Non fraintendetemi: voglio riportare quei bambini a casa tanto quanto lo volete voi, ma sento di aver finalmente trovato il mio posto e so che vi sarò d'intralcio se intraprendo questo viaggio senza volerlo pienamente." il ragazzo fece una pausa e si voltò verso gli altri. "Mi prenderò cura del villaggio." ci assicurò. "Farò in modo che le persone che sono rimaste qui non muoiano di fame." borbottò con un sorriso sincero, accolto dagli amici con altri sorrisi.

"So già che non avrai problemi nel far ingrassare le persone." mormorai dandogli pacche sulla schiena. "Hai una dote speciale in questo."

Il ragazzo rispose con una risata grassa e poi mi strinse forte in un abbraccio. "Vado a prendere i sacchi di provviste, non vi lascio partire senza quelli." informò prima di incamminarsi verso la sua amata cucina.

Ritornai con lo sguardo sul gruppo di amici e domandai se qualcun'altro volesse rimanere con Frypan. Aris si fece avanti: "Io e le ragazze del Gruppo B abbiamo deciso di rimanere per proteggere il resto di noi che restano qui. Abbiamo costruito tutto questo con fatica e tempo, sarebbe stupido lasciare tutto allo scoperto in caso la W.I.C.K.E.D. decidesse di attaccare di nuovo: nessuno di noi vuole rischiare di non avere un posto a cui tornare."

Annuii per confermare la loro decisione quando un movimento alla mia destra catturò la mia attenzione: Matthew stava cercando di infiltrarsi dietro ai miei amici nel tentativo di non attirare la mia attenzione. "Ehi, amico, dove credi di andare?" domandai riprendendolo.

L'uomo alzò lo sguardo sorpreso e corrugò la fronte. "Ma come? Io non posso scegliere di venire?"

"No." ordinai. "Il villaggio ha bisogno di un medico, noi ce la caveremo da soli. Hai educato due alunne perfettamente indipendenti." lo rassicurai facendo un occhiolino a Violet che mi rispose con un sorriso complice. Sentii l'uomo borbottare e lamentarsi, ma alla fine si allontanò dal gruppo: anche lui sapeva che quella fosse la giusta decisione.

Attesi qualche altro secondo, ma nessun'altro si fece avanti. A quel punto decisi di riprendere la parola e, dopo aver incrociato lo sguardo di Brenda e Jorge, scelsi di specificare un piccolo particolare. "Anche voi avete la vostra scelta, nonostante io non mi fidi di voi." ammisi. "E' un dato di fatto, mi dispiace, ma non posso farci niente. Non mi fido di voi, non l'ho mai fatto, ma so anche che se aveste voluto pugnalarci alle spalle lo avreste fatto tempo addietro." 

Puntai un dito contro Brenda e specificai. "Tu non mi piaci, ma ormai fai parte del gruppo, entrambi ne fate parte. Ma basta una cazzata, un solo passo falso e siete fuori, chiaro?" sollevai il sopracciglio e quando la vidi deglutire a disagio senza sapere cosa rispondere, accennai un sorriso falsamente rassicurante. "Bene così." esclamai, battendo poi le mani. "Ora che è tutto chiaro direi di prendere tutte le provviste, le armi e mi raccomando," dissi guardando Teresa. "anche il localizzatore. Poi si parte."

Lanciai nuovamente uno sguardo ai miei amici e quando li vidi annuire mi sentii ancora più sicura e felice di prima. Nonostante avessi perso una delle colonne portanti nella mia vita, sapevo che la maggior parte di me fosse ancora in piedi grazie ai fantastici compagni che avevo davanti. Sapere che avevo qualcuno che si sarebbe preso cura di me perchè veramente interessato e non per dovere era una bella rassicurazione. 

Newt sarebbe fiero di noi. Pensai sorridendo e lanciando distrattamente uno sguardo allo strapiombo.

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Capitolo 28
*** Capitolo 24. ***


In meno di mezz'ora tutti eravamo pronti per partire, con i sacchi in spalla e le armi strette forte in mano. Tutti eravamo agitati e ansiosi per il viaggio nell'ignoto che ci aspettava, tuttavia non c'era nemmeno una persona che fosse spaventata o che avesse iniziato a pensare di abbandonare l'impresa. Ogni singolo membro del gruppo era deciso e determinato a trovare i nostri bambini ad ogni costo. D'altronde era impossibile non preoccuparsi per la loro incolumità: noi stessi eravamo stati oggetto della W.I.C.K.E.D. ed essa non si era mai fatta impietosire da nulla, non aveva ceduto nemmeno davanti a delle piccole vite innocenti. Avevano ucciso le sorelle di Stephen senza battere ciglio: nessuno poteva dire con certezza che i bambini sarebbero stati al sicuro.

Era come se la storia si stesse ripetendo daccapo e a quel punto ognuno di noi si chiedeva se anche a noi fosse capitata la stessa sorte quando eravamo piccoli. Magari vivevamo in un bel posto con le nostre famiglie e con quelli sopravvissuti miracolosamente dall'Eruzione. Magari stavamo tutti dormendo quando la W.I.C.K.E.D. era venuta a sottrarci dalle braccia materne per poi buttarci in quell'incubo di labirinto ed iniziare gli esperimenti.

Perfino io che avevo riacquistato la memoria non sapevo dire con certezza cosa fosse successo durante la mia infanzia.
Da quanto mi ricordavo ero sempre cresciuta nei corridoi della W.I.C.K.E.D., scappando dalle guardie troppo severe, e venendo rinchiusa troppo spesso in camera mia per una punizione che nemmeno io mi sapevo spiegare. Mi ricordavo degli esperimenti, del dolore sia fisico che emotivo, e le ferite sulla schiena che ogni volta che mi piegavo all'avanti si riaprivano causandomi fitte acute. Non sapevo chi fossero i miei genitori e sinceramente non volevo scoprirlo: avevo già perso troppe persone, non volevo iniziare a piangere qualcuno di cui non mi ricordavo nemmeno il volto o la voce.

Francis forse era l'unica figura positiva nella mia infanzia, ma spesso evitavo di pensare a lei. Dopo che ero stata gettata nel Labirinto l'avevo dimenticata. Me l'avevano fatta dimenticare. 
E lo sguardo sul suo volto quando mi aveva rivisto per la prima volta dopo essere usciti dal Labirinto era indescrivibilmente triste e malinconica. Con il Labirinto lei aveva perso una figlia, o almeno ciò a cui lei teneva di più; io avevo perso i ricordi più dolci e rassicuranti della mia vita precedente.

Da quando la mia nuova vita era iniziata però, il nostro rapporto si era riagganciato, anche se sembrava quasi impossibile farlo tornare come era in principio. Riacquistare i miei ricordi mi aveva aiutata a fidarmi completamente di lei, eppure non appena avevamo iniziato a riavvicinarci e a diventare affiatate proprio come una volta, il Braccio Destro me l'aveva strappata.

Non avevo visto il suo corpo, nè ricevuto notizie della sua morte, eppure ero certa che nessuno fosse rimasto vivo dopo quel lacerante bombardamento.

Avrei potuto salvarla, come lei aveva salvato me dandomi le cure e l'affetto di una madre, ma non lo avevo fatto.

Non ci avevo nemmeno provato.

Era come se il mio cervello l'avesse cancellata perchè già troppo impegnato a dover pensare di salvare i miei amici. Lei era passata in secondo piano e lì era rimasta finchè la sua vita non le era sfuggita dalle mani.

"Non puoi salvare tutti." mi diceva sempre Newt. Lo sapevo, ma allora perchè mi sentivo così in colpa?

Avevo fallito nel salvare Chuck.

Avevo fallito nel salvare Newt.

Avevo fallito nel salvare Francis.

Avevo fallito nel salvare Hailie.

Avevo fallito nel salvare Elizabeth.

Ma soprattutto avevo fallito nel salvare me stessa.
Avevo riacquistato la mia memoria, ma avevo perso me stessa nel tragitto.
Non ero la stessa ragazza che in quel giorno confuso era arrivata alla Radura e non lo sarò mai più stata. Avevo visto troppe persone scivolare nelle braccia della morte, troppi orrori per dormire tranquilla la notte, troppa pazzia negli occhi degli uomini per avere ancora fiducia nella razza umana.

In fin dei conti tutti noi avevamo visto e provato troppe cose che nessun ragazzo dovrebbe mai vedere e provare. Eravamo diventati adulti prima del tempo, saltando la nostra infanzia e con essa la gioia che si prova ad essere piccoli ed innocenti quando si guarda il mondo con occhi sognanti e pieni di speranza.

Ed era proprio per questo che ognuno di noi era pronto per iniziare quel viaggio e dare alla W.I.C.K.E.D. una lezione che non avrebbe mai dimenticato.







 

Eravamo diretti verso nord, iniziando come prima cosa a sorpassare le montagne che ci proteggevano dal resto del mondo e poi continuando verso l'ignoto per almeno 5 chilometri. 
Sebbene tutti fossero ansiosi di raggiungere al più presto la nuova sede della W.I.C.K.E.D., avevamo deciso di mantenere un passo costante, ma non veloce, perché nessuno sapeva cosa ci aspettasse all'infuori dell'area in cui avevamo vissuto per mesi, perciò dovevamo risparmiare le forze ed essere sempre pronti a combattere in caso si fosse rivelato necessario.

Salire sulle montagne e trovare un valico da percorrere non fu semplice per me. Il mio continuo zoppicare non solo rendeva il camminare in salita faticoso, ma anche pericoloso: se appoggiavo la gamba malmessa sulla roccia sbagliata e scivolavo, nulla mi avrebbe salvata dal rotolare giù per la montagna e le mie gambe non sarebbero state in grado di frenare la caduta.

Dopo qualche metro in salita già il sudore e la fatica iniziavano a prendere possesso del mio corpo e ad ogni passo una smorfia di dolore per il troppo sforzo si formava sul mio volto. 
Ora capivo cosa provasse Newt. 
Cosa provava. Mi corresse il mio cervello.

Scacciai in fretta quei pensieri nella mia mente: avevo già troppo a cui pensare e aggiungere dolore emotivo alla fatica non era una buona idea.
Per due o tre volte avrei voluto sedermi o abbandonarmi a terra per riposare le mie gambe, ma non mi fermai mai, nemmeno per un secondo: non volevo essere di peso o rallentare il gruppo.

Continuammo a camminare fianco a fianco per altri due o tre metri, senza mai trovare un valico tra le montagne o un sentiero da seguire, poi, quando tutti iniziarono a perdere le speranze, finalmente trovammo una discesa piccola ma ripida che conduceva in uno stretto passo tra due montagne.
A quel punto mi fermai preoccupata e osservai rocce piccole e grandi cedere sotto il mio passo e rotolare sul sentiero al di sotto con una rapidità impressionante.

Mi bloccai mentre tutto gli altri continuarono a scendere. Solo Gally rimase dietro di me e anche se non potevo vederlo in faccia, avrei giurato che avesse il solito sguardo preoccupato sul volto. Lo percepii avvicinarsi di qualche passo e poi fermarsi: sapeva che, per quanto gli sarebbe piaciuto aiutarmi, avrebbe potuto irritarmi dato la mia personalità orgogliosa e non voleva rischiare di beccarsi un'occhiataccia.

Tirai un sospiro e decisi di mettere da parte l'orgoglio mentre il resto del gruppo, ormai raggiunto il sentiero in basso, aveva iniziato ad alzare lo sguardo verso di me, chiedendosi cosa mi spingesse ad esitare così tanto.
Mi voltai lentamente e lanciai uno sguardo supplicante a Gally che, senza bisogno di nessuna parola o richiesta, avanzó verso di me e mi sorrise.

"Mi dispiace." mormorai e indicai la gamba zoppa. "Non ce la faccio con..."
Gally non mi fece nemmeno finire di parlare e ponendosi dietro di me mi afferró saldamente per i fianchi e mi sollevó da terra senza fatica. Appoggiai le mani sulle sue nel tentativo di tenermi salda e non cadere all'avanti, mentre nel frattempo il ragazzo si avvicinó alla ripida discesa e guardò in basso. Il primo a capire subito le sue intenzioni fu Stephen che, tornando indietro sui suoi passi, lanció uno sguardo verso di noi e sollevó le braccia verso di me, in una tacita offerta d'aiuto a Gally.

Per la prima volta il Costruttore non si lamentò e decise di collaborare col ragazzo al di sotto. Con molta cautela mi caló su una roccia piatta e abbastanza stabile lungo la discesa e poi sempre tenendomi stretta anche lui iniziò a scendere di pochi passi, fermandosi dietro di me, con i piedi su diverse rocce frastagliate.
A questo punto il ragazzo fece la stessa procedura e mi caló altre due volte. 
Nel frattempo Stephen aveva teso le braccia in aria, pronto ad afferrarmi in caso fossi scivolata.

Dopo aver sceso ancora un pochino, Gally saldò la presa sui miei fianchi, poi, facendo forza sul terreno iniziò a sollevarmi in aria e lentamente mi sporse in avanti, verso le braccia di Stephen, ma proprio in quel momento si sentì un suono di rocce spezzarsi sotto i piedi di Gally e il ragazzo tremó, forse per la paura di cadere, forse per la fatica. 
Tutto accadde in un secondo: uno dei piedi di Gally era appoggiato su delle rocce instabili e quando aveva applicato più forza su di esso per sollevarmi le rocce avevano ceduto, facendo scivolare il suo piede all'avanti. Il ragazzo grugnì e per miracolo riuscì a ritrovare l'equilibrio.
Allungando le gambe cercai un appoggio a terra, ma i miei piedi erano ancora per aria. Un altro scricchiolio e anche le rocce sotto il suo altro piede iniziarono a sbriciolarsi.

Le braccia di Stephen erano ancora troppo distanti per riuscire ad afferrarmi, così Gally provò ad appoggiarmi a terra senza fare movimenti bruschi, ma proprio nel momento in cui le sue braccia iniziarono a calarmi a terra il ragazzo perse completamente l'equilibrio e cadde all'avanti, lasciando la presa su di me e iniziando a rotolare per la discesa spingendomi involontariamente all'avanti.

Per un nano secondo mi ritrovai a cadere nel vuoto, poi i miei piedi toccarono terra violentemente e le mie ginocchia si piegarono per lo sforzo, facendomi sbilanciare all'avanti. Tentati per ben due volte di trovare un appiglio sicuro sotto i miei piedi, ma le rocce continuavano a frantumarsi. Proprio quando iniziai a pensare che l'unico modo per farmi meno male fosse quello di rotolare per la discesa proprio come Gally, mi venne in mente un'idea.

Feci un altro passo traballante all'avanti, poi mi diedi un forte slancio all'avanti, buttando tutta a forza che avevo nelle gambe. Volai nel vuoto per un secondo e trattenni il fiato spaventata. Vidi Stephen sporgersi all'avanti per afferrarmi e quando le sue braccia mi presero, entrambi cademmo all'avanti per colpa del mio peso mal distribuito su di lui.
Lo sentii grugnire quando la sua schiena fece impatto col suolo, poi i suoi occhi sbarrati si aprirono e le sue labbra rilasciarono un lamento, mentre il ragazzo iniziò a tossire.

"Stai bene?" domandai preoccupata, osservandolo mentre con il palmo si massaggiava il petto, proprio dove precedentemente la mia testa lo aveva colpito.
"Starei meglio se tu potessi alzarti." ammise il ragazzo fissandomi con i suoi occhi azzurri, le sue ciglia folte che li nascondevano a tratti mentre sbatteva le palpebre.
Spalancai la bocca e scossi la testa, muovendomi immediatamente per spostarmi da sopra di lui.

"Certo, scusami." borbottai facendo forza sulle mie braccia per sollevarmi da terra. Poi una volta in piedi iniziai a scuotermi via la polvere dai vestiti. 
Dopo aver alzato nuovamente lo sguardo porsi una mano a Stephen che, ancora a terra, il ragazzo accettò volentieri.

Mi ero quasi dimenticata di Gally e della fatica che aveva fatto per aiutarmi, fino a quando un grugnito alle mie spalle non solo mi ricordó della mano che mi aveva dato, ma anche della brutta fine che aveva fatto. 
Mi voltai di scatto e corsi verso di lui, inginocchiandomi al suo fianco e sfiorando la sua schiena con un palmo mentre il ragazzo era appallottolato su se stesso.
"Gally? Sei tutto intero?" domandai preoccupata, sporgendomi per vedere oltre la sua spalla.

"Mmh, mmh..." mugugnò lui rotolando sulla sua schiena e agganciando il suo sguardo al mio.

Sorrisi sollevata e allungai le dita sul suo volto, premendo leggermente sul suo mento per fargli girare il viso e osservare la ferita che aveva sulla tempia. Tirai la manica della mia maglia lungo il palmo e con delicatezza tamponai il sangue sulla sua ferita, ignorando il suo sguardo ancora perso nel mio.

Mi morsi il labbro quando incrociai i suoi occhi e ritirai la mano subito dopo, come se mi fossi scottata. Dopo tutto quel tempo ero ancora capace di leggere il suo sguardo come fosse un libro aperto, anche se in quel momento dovevo ammettere che non mi sembrava che il ragazzo stesse cercando di contenersi o nascondere quella sua espressione languida.
Se una volta quel suo sguardo mi avrebbe fatta sentire a disagio, ora mi rendeva solamente triste.

Mi ama ancora. Pensai tra me e me, interpretando le emozioni appena lette dal modo in cui mi guardava. 
Una consapevolezza si infiltrò sotto la mia pelle. Non smetterà mai di farlo.

Non seppi se sentirmi felice o triste per quella rivelazione: di certo era bello sapere che i suoi sentimenti non potevano essere più che veri nei miei confronti, ma allo stesso tempo mi dispiaceva sapere che il suo affetto nei miei confronti non faceva altro che costruire barriere davanti a lui, impedendogli di trovare qualcun'altra da amare o addirittura rendendolo incapace di comprendere chi provasse amore nei suoi confronti.

"Che c'è?" domandò lui corrugando la fronte. "Perchè quella faccia triste?"
Sollevai le sopracciglia sorpresa ed uscii dai miei pensieri. Accennai ad un sorriso e scossi la testa, aiutandolo ad alzarsi. "Nulla, semplicemente mi è dispiaciuto vedere il tuo sedere rotolare per una discesa. Sembravi una tartaruga in difficoltà."

"Be', non c'è bisogno che mi ringrazi per averti aiutato, Fagio dei miei stivali."

"Grazie, Capitan Gally." ridacchiai dandogli due pacche sul petto e vedendo la polvere delle rocce sollevarsi a piccole nuvolette.

"Ora che siamo tutti allo stesso piano," cominciò Teresa con un sorriso gentile, desiderosa di alleggerire quella situazione imbarazzante. "possiamo continuare a marciare."

"Prima però facciamo un piccolo scambio." propose Minho allungando con il braccio teso un sacco pieno di provviste a Stephen e praticamente abbandonandolo tra le sue mani. "Quel coso pesa. Sono stanco di portarlo io." ammise.

Sorrisi e scossi la testa. "Va bene, femminuccia." lo sbeffeggiai. "Ora rimettiamoci in cammino."







 

Stavamo percorrendo il passo tra le montagne da ormai un'ora, quando finalmente iniziammo ad intravedere una foresta fitta in lontananza. C'era un piccolo sentiero sul fianco della montagna che se percorso con calma e cautela portava direttamente a terra, permettendoci poi di continuare il cammino direttamente tra gli alberi alti e fitti.

Velocizzammo il passo di un poco, in modo da raggiungere in fretta la fine del nostro sentiero ed iniziare a scendere. Era ormai arrivata ora di pranzo e tutti volevamo fermarci per mangiare e riprendere le energie, e di certo sostare in un bel posticino tranquillo all'ombra di un albero non sarebbe stata affatto una cattiva idea.

Ci muovemmo come scalatori professionisti e, uno ad uno, iniziammo a percorrere lo stretto sentiero ai lati della montagna. Io fui l'ultima ad aggiungermi alla fila e mentre gli altri iniziavano a muoversi decisi di dare una bell'occhiata a quel panorama. 
Essere così in alto mi permetteva di vedere ampi spazi che a terra non avrei potuto notare: la foresta si estendeva per miglia, in larghezza e lunghezza, arrivando a sembrare un mare verde, fatto di foglie e rami; ogni albero era perfettamente attaccato all'altro, non permettendo a nessun occhio umano di vedere attraverso quel manto rigoglioso. 
Seguendo il volo di alcuni uccellini nero pece allungai lo sguardo sulle altre montagne proprio di fronte a noi: quest'ultime erano cosparse solo a tratti di qualche albero – pini per la maggior parte. 
Era proprio a qualche metro di distanza dalle nuove alture che la vegetazione così fitta di alberi terminava all'improvviso, lasciando così un piccolo spazio di terra spoglia da dove poi cominciava ad ergersi la montagna più grande, seguita dalle sorelle a fianco.

Era una sensazione strana vedere tutto quello spazio che fino a quel momento non avevamo mai esplorato, ma dopotutto sapevo che dopo aver corso e combattuto per anni, cercando sempre di sopravvivere e senza mai sentirci a casa, una vita semplice e tranquilla come quella che avevamo costruito non era abbastanza.
Una volta avevamo messo in piedi il villaggio nessuno aveva mai proposto di spingersi troppo oltre con le esplorazioni: il nuovo luogo in cui eravamo capitati aveva tutto quello che ci serviva per vivere e non volevamo di certo andare a cercare problemi che avessero potuto rompere quell'atmosfera di sicurezza e tranquillità in cui avevamo vissuto per mesi.

"Elena!" mi chiamò Teresa, ferma all'inizio del piccolo sentiero in attesa di una risposta da parte mia. Chissà da quanto tempo mi stava chiamando. "Stai bene?"
"Sì." sorrisi gentilmente, per poi lanciare un ultimo sguardo a quella desolazione così colma di pace. "Stavo solo guardando il paesaggio. Possiamo andare." conclusi aggiustandomi l'arco sulle spalle e seguendola con un lieve sorriso.

Portai la faretra sul davanti e cautamente mi appoggiai con la schiena contro la montagna, iniziando proprio come gli altri a camminare di lato per fare in modo di non perdere l'equilibrio e soprattutto di non appoggiare il piede su una roccia traballante.
Anche da lì si poteva avere una bella vista del paesaggio, ma tutti – me compresa – erano troppo impegnati a stare attenti a non cadere per fare caso alla bellezza che ci circondava.

Aver vissuto per mesi nel villaggio, attorniata da persone familiari e con un'infinità di giorni tutti noiosamente uguali e tranquilli da vivere, ma solo ora che ero di nuovo in movimento mi rendevo conto di quanto quel periodo di pace statica fosse stato frustrante. Avevo corso e combattuto per la mia vita per tutto quel tempo e starmene a casa a studiare delle piante di certo non era una cosa così emozionante per me. E poi, soprattutto dopo la morte di Newt, avevo sempre desiderato qualcosa di intrigante, emozionante ed eccentrico che avrebbe potuto destarmi da tutti i miei pensieri e tenermi occupata.

L'idea del viaggio di per sè era ottima: solo con gli amici più stretti come ai vecchi tempi, in un paesaggio mozzafiato e con la sicurezza di avere del cibo e delle armi a disposizione. L'unica cosa che rimaneva orribile tuttavia era lo scopo di quel viaggio: riprendere ciò che la W.I.C.K.E.D. ci aveva sottratto.

Tutti sapevano che non saremmo usciti indetti e immacolati. Se avevamo imparato una cosa, quella era di certo che non si ottiene mai nulla senza combattere. E tutti sapevamo bene che colore avesse la parola "combattere".

Rosso scarlatto.

Del sangue sarebbe stato versato, ma questa volta sarebbero stati gli innocenti a vedere i colpevoli cadere a terra.

 

*Angolo scrittrice*
Ehilà! No, non sono morta.
Scusate se ci bado sempre tanto per scrivere i capitoli, ma non riesco veramente a trovare abbastanza tempo.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, in caso contrario fatemi sapere cosa vi ha deluse e cosa vorreste nel prossimo!
Baci,

Elena ღ

PS: come sono andate le vacanze Natalizie e il Capodanno?

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Capitolo 29
*** Capitolo 25. ***


La discesa era stata più semplice e veloce del previsto e in meno di dieci minuti tutti eravamo arrivati ai piedi della montagna.

Davanti a noi ci attendeva la vastità di alberi e la copertura di rami e foglie intrecciate tra loro.
Ci fermammo un secondo per rivalutare le coordinate e dopo aver individuato il percorso ci dirigemmo a nord, infiltrandoci nella selva.
L' odore di muschio e terriccio era quasi tranquillizzante e per un attimo mi fece sentire come se stessi facendo una delle solite gite nei boschi alla ricerca di qualche nuova pianta con Matthew.
Per un momento mi dimenticai della missione e del terrore per la sorte dei bambini.
Solo quando sentii una presenza prendere posto accanto a me realizzai di essere rimasta indietro rispetto al gruppo. 
"Pensierosa?" domandò una voce familiare, riportandomi alla realtà.
Mi voltai leggermente e notai il volto dai tratti marcati di Stephen.
Gli rivolsi un sorriso in segno di saluto e feci spallucce. "Ultimamente mi capita spesso di rimanere incastrata nei miei stessi pensieri."
Lui ridacchiò e poi posò un palmo sulla mia testa, scompigliandomi i capelli.
"Ti preoccupi troppo, pasticcino."
"Non dovrei?" replicai, rendendomi conto solo in quel momento di quanto avessi bisogno di un po' di conforto, di essere rassicurata dalle sue parole.
"No." disse secco lui, mettendo un braccio sulle mie spalle e tirandomi un pochino contro di lui.
"Come fai ad essere così tranquillo?" domandai curiosa, alzando lo sguardo per incrociare i suoi occhi azzurri, ma trovandolo perso a guardarsi intorno curioso.
"Conosco la W.I.C.K.E.D, so le procedure: non li spediranno nel Labirinto. Non subito almeno. Ci sono una serie di esami, prima. E poi sono troppo pic..."
"Steph." lo interruppi, forse troppo bruscamente.
"Stiamo parlando della W.I.C.K.E.D, hai presente? L' associazione senza scrupoli, la stessa che ha ucciso..." mi bloccai immediatamente, arrossendo al solo pensiero di finire la frase.
La stessa che ha ucciso le tue sorelline. Continuai nella mia testa, schiaffeggiandomi mentalmente per anche solo aver pensato di ricordarglielo.
"La stessa che ha ucciso i nostri amici, persone innocenti, senza nemmeno battere ciglio." continuai, cercando di contenere la vergogna.
Lui fortunatamente non se ne accorse.
"Questa volta hanno meno tempo, sono disperati." continuai. "Useranno ogni mezzo a loro disposizione."

Da parte sua ci fu un silenzio titubante. Forse anche lui aveva realizzato che in fin dei conti rimanere tranquilli in una situazione del genere era assurdo, da stupidi. Le uniche volte che ci eravamo fidati della W.I.C.K.E.D. o che l'avevamo sottovalutata, eravamo finiti per farci ancora più male, sbattendo contro la dura realtà.

Nessuno di noi sapeva con certezza cosa la W.I.C.K.E.D. volesse fare con i nostri bambini e nessuno se lo voleva nemmeno immaginare. Rimetterli nel Labirinto e ricominciare tutto da capo? No, ci sarebbero volute troppi anni e troppi fondi che, sicuramente, la W.I.C.K.E.D. non aveva. Testarli fisicamente, analizzando le loro risposte al dolore? No, erano troppo piccoli per sopportare quella tortura, non sarebbero sopravvissuti e anche se sapevo che la W.I.C.K.E.D. non si fermava di certo davanti alla barriera dell'eta', ero sicura che anche loro fossero coscienti del rischio di questa procedura: loro stessi lo avevano sperimentato con le sorelle di Stephen e avevano visto i risultati "deludenti".

Quando Stephen riaprì la bocca per parlare, ciò che mi disse mi sorprese. "Pensi che lo perdonerai mai?"

Sbattei le palpebre, confusa. Aveva cambiato discorso senza rispondere alla mia domanda, aveva ignorato l'argomento ed era passato avanti. Non sapevo se lo avesse fatto apposta perchè non voleva più affrontare la realtà o se semplicemente per lui quella conversazione si fosse chiusa. In ogni caso decisi di accontentarlo e di continuare a parlare normalmente, come se non avessi notato il cambio improvviso di argomento.

Lanciai uno sguardo a Thomas che stava camminando davanti a noi, parlando tranquillamente con Teresa. Sebbene stessero solo camminando fianco a fianco potevo sentire l'intensità tra di loro, anche in quella piccola cosa. La loro vicinanza emanava una passione e un affetto così profondo che sottolineava ciò che ai miei occhi stava diventando più di una semplice amicizia. Le loro braccia, stese lungo i lati del loro corpo, si sfioravano a tratti e le loro mani sembravano quasi cercare il contatto delle dita dell'altro, ma senza mai avvinghiarsi tra loro, come se avessero paura di essere visti. Il volto di Thomas era teso oltre la spalla di Teresa e gli occhi del ragazzo stavano guardando qualcosa in mano alla ragazza, ma la sua attenzione era tuttavia rivolta al viso solitamente pallido di lei che pero' questa volta aveva qualche traccia di rossore sulle guance, segno che anche lei percepiva quell'affetto che la faceva sentire a disagio, ma anche apprezzata.

Le labbra di entrambi erano leggermente piegate all'insù, dimostrando in tutto e per tutto quanto entrambi apprezzassero la compagnia dell'altro. Sembrava che si fossero isolati in un altro mondo, in un pianeta più bello, lasciando fuori tutti i problemi e i pensieri.

Per un attimo mi venne da sorridere, perchè entrambi mi ricordarono di una delle memorie che avevo con Newt. Non sapevo se fosse un ricordo reale o creato dalla mia mente per riempire il vuoto nel mio cuore, ma per un momento mi sentii inghiottita dal ricordo e il mio corpo venne come trasportato in un'altra dimensione. Per un secondo chiusi gli occhi e riuscii quasi a percepire il tocco di Newt sulla mia mano, ma quando aprii le palpebre quella sensazione sfocò assieme alla mia vista, ora annebbiata da qualche lacrima che cercai di trattenere.

Ero gelosa, arrabbiata. Non era giusto che Thomas avesse potuto sorpassare il senso di colpa così facilmente grazie a Teresa. Non era giusto che lui avesse ancora la persona che amava, mentre io l'avevo persa per mano sua. Lui aveva qualcosa da ammirare al mattino, quando Teresa si svegliava. Lui poteva ancora osservare il suo volto calmo mentre lentamente si svegliava, lui la poteva sfiorare per toglierle qualche ciocca di capelli dal volto e le poteva sorridere quando lei apriva gli occhi pieni di vita.

Thomas poteva ancora parlarle, ridere e confidarsi con lei. Lui aveva ancora un'anima gemella, una persona che era capace di capirlo anche senza l'uso di parole, ma solo di sguardi. Lui poteva ancora provare quella sensazione di tranquillità e pace interiore quando, ogni volta che era preoccupato o triste, le bastava guardarla negli occhi per sprofondare nella sua anima e perdersi i pensieri per strada.

Lui aveva tutto ciò che io e Newt avevamo costruito lacrima dopo lacrima, bacio dopo bacio, sguardo dopo sguardo.

E lui ora aveva tutto quello che mi aveva sottratto.

E ora io avevo solo silenzio, l'unica cosa rimasta nel vuoto.

"No." risposi secca, sentendo la mia voce tremare perfino in quella piccolo sillaba.

"Non so come faccia a vivere tutti i giorni con quel peso. Non so come faccia a vivere nel suo corpo e a dormire la notte, vagando per la sua testa. Dovrebbe essere lui quello tormentato dagli incubi, lui quello che piange e che fa fatica ad alzarsi dal letto. Lui quello con l'assenza di appetito perché il suo stomaco è già pieno di sensi di colpa." borbottai incrociando le braccia al petto e cercando di soffocare la rabbia che aveva preso a nascere dentro di me. "Dovrebbe essere lui in questo stato, non io."

Stephen mi lanciò un'occhiata con la coda dell'occhio e io feci finta di non notarlo, continuando a puntare il mio sguardo omicida su Thomas.

"Lo so che non è giusto, lo capisco. Ma se fossi stata tu al suo posto cosa avresti fatto?" chiese Stephen, scavando nella mia coscienza e cercando di trovare quel pizzico di misericordia rimasto.

"Se Newt fosse davanti a te, ora... Se fosse diventato pazzo con l'Eruzione, se stesse soffrendo, piangendo, implorandoti di porre fine alla sua sofferenza con un colpo di pistola. Se come ultimo desiderio ti chiedesse una morte veloce e indolore, tu cosa faresti?" continuo' poi il ragazzo, colmando il mio silenzio con ancora più dubbi.

Feci per rispondere, ma Stephen non me ne diede il tempo, ponendomi un'altra domanda.

"E Newt?"

"Cosa?" risposi, ancora confusa dalla domanda precedente.

"Newt lo perdoni?" domandò lui cauto. "Per essersi lasciato uccidere, per aver implorato Thomas di farlo."

Non risposi nemmeno a quella domanda, troppo spaventata perfino per pensarci. Tutte quelle domande, volendo e non, me le ero già poste tanto tempo fa. Avevo trovato delle risposte? Forse, ma le avevo represse, sapendo di non voler conoscere la risposta.

Cosa avrei fatto io? Lo avrei risparmiato, obbligandolo a vivere una sofferenza per il resto della sua vita? Avrei potuto vivere con quel senso di colpa?

Oppure avrei ascoltato il suo desiderio e gli avrei tolto la vita? Anche in quel caso, avrei potuto vivere con quel senso di colpa?

Troppe domande, troppe questioni irrisolte per una mattina bella come quella che stava accadendo intorno a me.

Sapevo già che questioni del genere, nel mio caso, venivano affrontate di notte, tra incubi e ore passate ad occhi aperti e bagnati da lacrime. Quella sarebbe stata una lunga serata.

 

 

 

La notte era arrivata presto a scurire il cielo. Avevamo percorso quasi tutto il tratto dentro la foresta, ma prima di uscire avevamo deciso di accamparci sotto la protezione e la copertura visiva degli alberi. Ognuno era stanco e affamato, così decidemmo di accendere un fuoco e cuocere un po' di cibo. Non avevamo visto molti animali durante il nostro cammino, ma ero sicura che se ci fossimo messi ad aspettare in silenzio avremmo trovato qualche scoiattolo da uccidere e arrostire.

Mentre gli altri preparavano la legna da accedere e sistemavano alla meglio le borse e le giacche a terra per mettere insieme una specie di letto comodo su cui dormire, io decisi di prendere il mio arco e andare a fare una passeggiata in mezzo agli alberi. Quando gli altri mi chiesero dove fossi diretta usai la scusa di voler cacciare, ma in realtà volevo solo schiarirmi le idee, e rimanere da sola era il modo migliore per evadere dalle barriere che fino a quel momento avevano catturato i miei pensieri.

Camminai nel buio, osservando affascinata il modo in cui la luce lunare filtrava timidamente tra i rami e le foglie, lasciando qualche tratto di erba non coperto dall'oscurità. I miei passi erano leggeri eppure a volte facevano rumore, calpestando per sbaglio qualche rametto o qualche foglia secca, che si andava a mischiare con il canto ritmico delle cicale.

Dopo aver camminato per qualche altro metro sentii un suono dolce di acqua non molto distante da me. Drizzando bene le orecchie riuscii a individuare la direzione da cui provenisse, perciò velocizzai i miei passi verso una piccola apertura tra due grossi alberi e, dopo qualche minuto, mi ritrovai con i piedi inzuppati in un lago abbastanza ampio, che mi sorpresi di non aver notato quando eravamo in cima alla montagna.

L'acqua era nera per via dell'oscurità della notte e la sua superficie era talmente liscia e tranquilla che per un attimo mi sentii così anche io: ferma e tranquilla all'esterno, anche se ancora buia all'interno.

La situazione si fece ancora più rassicurante e meravigliosa quando un gruppo di lucciole svolazzò sul lago, attraversandone diversi tratti e divertendosi a danzare qua e là, come se anche loro fossero fuori per una passeggiata notturna al chiaro di luna. Mi sedetti a terra sulla riva del lago, mi sfilai le scarpe e inzuppai i piedi nell'acqua fresca, rendendo la sua superficie un po' più frastagliata per un attimo. Abbandonai l'arco accanto a me e circondai le mie ginocchia con le braccia, appoggiando la testa su una di esse e osservando stanca i piccoli insetti luccicanti.

Tu cosa avresti fatto? Mi domandai di nuovo. La risposta a quella domanda mi trasmetteva panico, terrore. Avevo paura di considerarmi colpevole, qualsiasi scelta avessi compiuto, e l'idea mi spaventava. Perchè doveva essere tutto così sbagliato? La vita non era giusta.

Se solo Newt fosse stato Immune, ora staremo ancora insieme.
Se solo io non fossi stata Immune, ora staremo ancora insieme.

"A volte mi chiedo se tu mi abbia pensata in quell'ultimo istante." dissi, trovando conforto nel sentire la mia voce finalmente rompere il silenzio. La consapevolezza di star parlando da sola non mi faceva sentire stupida o a disagio, come invece avevo pensato, ma mi faceva sentire libera, sollevata.

"Mi chiedo se tu ti sia pentito nel momento stesso in cui hai avanzato la richiesta, se ti sei mai chiesto cosa ne sarebbe stato di me. Probabilmente eri certo che non ci saremmo mai più potuti rivedere. E allora che senso aveva continuare a vivere soffrendo, giusto?" domandai a me stessa, fissando lo sguardo su una serie di cerchi apparsi sulla superficie del lago, probabilmente causati da qualche pesciolino al di sotto.

"Magari hai pensato che Thomas non me lo avrebbe mai detto, forse è per questo che non mi hai lasciato nulla. Non un messaggio o una lettera o una parola. Nulla."

Rimasi in silenzio e poi qualche altra parola uscì dalle mie labbra, senza che però ci pensassi su. "E forse è colpa mia." bisbigliai, come se stessi confessando alla notte i miei segreti. "Se mi fossi rifiutata di abbandonarti al Palazzo degli Spaccati, se fossi rimasta con te, magari ti avrei aiutato ad affrontare tutto. E forse non ti saresti sentito così solo e senza speranza da... da abbandonare tutto, da porre fine a tutto."

"Non c'è nulla che avresti potuto fare, Eli. Niente più di quello che hai già fatto." una voce parlò alle mie spalle, facendomi sussultare all'istante.

Il nome di Newt mi saltò in mente, con le solite speranze e illusioni legate attorno ad esso, ma poi planai di nuovo sulla realtà e la delusione si impossessò del mio cuore quando, voltandomi, ritrovai il volto di Gally appena illuminato dalla luce opaca della luna.

Gli risposi con un sorriso debole e arrossii imbarazzata per essermi fatta beccare a parlare da sola. Il ragazzo ricambiò il sorriso, tuttavia nel suo sguardo c'era ancora qualche traccia di preoccupazione.

Camminò verso di me, poi si sedette al mio fianco e fissò le dita dei miei piedi giocherellare con l'acqua. 
Dopo averci pensato su per qualche secondo decise di non seguire il mio esempio e di tenersi addosso le scarpe. "Pensi davvero che avresti potuto cambiare la situazione?" domandò poi il ragazzo, cercando il mio sguardo che tuttavia puntai altrove, non volendo che lui scoprisse la tristezza nelle mie iridi spente.

"Se solo avessi..."

"Perchè ti tormenti così tanto?" chiese senza farmi finire di parlare. "Non ti odiare per ciò che è successo, Eli. Non è colpa tua."

Accennai un sorriso come ringraziamento per le parole rassicuranti del ragazzo. Sentire qualcuno dire quelle cose era come un sollievo, un respiro di libertà. Mi sentivo come se avessi smesso per un attimo di affogare, come se per un secondo fossi riuscita ad emergere dalla superficie di problemi.

Presi la mano del ragazzo e la racchiusi tra i miei palmi, portandomela vicino alle labbra e baciando il suo dorso, come un maggiore ringraziamento.

Gally mi sorrise e poi liberò la sua mano, portando il braccio sulle mie spalle e tirandomi a sè, stringendomi come non aveva mai fatto prima. Mi attorcigliai a lui e affondai il volto nella sua maglia, annusando il profumo tipico del ragazzo e trovandovi la sensazione di essere finalmente al sicuro. Chiusi gli occhi e mi lasciai coccolare dalle sue dita che mi accarezzavano i capelli dolcemente.

"So che a volte non sembra contare più di tanto e so anche che è difficile vederla in questo modo, ma devi renderti conto di tutto quello che hai ancora e non sempre focalizzarti su ciò che hai perso." dicendo ciò posò la mano libera sulla mia e trascinò il mio palmo sul suo petto, per poi premere contro di esso. "Lo senti il mio cuore che batte? Potrò anche non essere Newt, ma ti assicuro che il suo cuore batteva così forte ogni volta che ti era vicino, proprio come sta facendo il mio. "

Tenni gli occhi chiusi e mi focalizzai su quel battere ritmico sul suo petto. Mi godetti ogni singolo attimo, col rossore di imbarazzo sulle mie guance, poi decisi che non era giusto nei confronti del ragazzo e spezzai l'atmosfera. "Gally," cercai di ritrarre la mano, ma il mio desiderio di immaginarmi con Newt in quel momento fu più forte di me. "io non..."

Mi interruppi. Volevo continuare a sognare ad occhi aperti, eppure sapevo che non fosse corretto nei confronti di Gally, un ragazzo vivo, in carne ed ossa, che respirava, il cui cuore batteva per me. Un ragazzo che mi aveva amato per tutto quel tempo e avrebbe continuato ad amarmi nonostante tutto, anche se io non ricambiavo i suoi sentimenti.

"Lo so." parlò lui per me. "So che non ricambi quello che provo, ma non mi interessa. Sono tuo amico e gli amici si prendono cura gli uni degli altri perchè sotto c'è dell'affetto. Il mio affetto è più intenso del tuo, ma ciò non deve essere una barriera. Non devi preoccuparti di costruire le barriere, te lo prometto." confessò lui. "Non mi stai illudendo, non sono stupido e capisco che dopo quello che è successo non riuscirai mai a lasciar andare Newt e crearti un'altra vita con qualcun'altro. So che non ce la fai, so che non ti sembra giusto." parlò, togliendomi i pensieri dalla testa e dandogli una voce. "Ma voglio solo che tu sappia che ti meriti di essere felice, che non è sbagliato. E se mai un giorno cambiassi idea e volessi condividere quella felicità con qualcuno, io sarò qui."

Mi morsi il labbro e ringraziai il destino per avermi dato la possibilità di conoscere Gally, senza il quale non saprei come avrei fatto ad arrivare a quel punto.

"Grazie." fu tutto quello che bisbigliai prima di circondarlo di nuovo con le mie braccia e riposarmi tranquilla sul suo petto, gustandomi a pieno quella sensazione di tranquillità esteriore e pace interiore.

 

 

*Angolo scrittrice*

Hey pive, vi rubo qualche secondino per chiedervi come sta andando. Come state? Il capitolo vi è piaciuto? Un ringraziamento particolare va alla mia bae Iax_Awinita che mi ha aiutata a ricopiarlo.

Baci,

Elena :3

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Capitolo 30
*** Capitolo 26. ***


Rimanemmo attorcigliati l'uno all'altra per qualche minuto, finchè un movimento veloce sulla riva del lago, non molto distante da noi, catturò l'attenzione di entrambi: uno scoiattolo si stava pulendo il musetto, prima immergendo le zampine e poi strofinandosi i baffetti e le guance. 

Per quanto quella scena potesse essere carina e dolce, la prima cosa che mi spuntò in mente fu piantare una freccia nel corpo dell'animaletto e arrostirlo per cena. Senza farmi frenare dalla compassione o dalla dolcezza di quella scena, mi distaccai da Gally per poi afferrare l'arco accanto a me. Tuttavia, nel momento in cui mi alzai in piedi, lo scoiattolo puntò il musetto in mia direzione e, percependo il pericolo, se la diede a gambe correndo verso il bosco.

Senza perdere tempo tesi l'arco e feci due passi in direzione della foresta, cercando di individuare lo scoiattolo che nel frattempo si era arrampicato sulla corteccia di un albero.

Tesi la corda dell'arco ancora di più e sentii la presenza di Gally muoversi cautamente dietro di me e osservare attentamente oltre la mia spalla, per cercare di capire dove si fosse andato a nascondere l'animale.

Assottigliando lo sguardo e cercando di vedere attraverso l'oscurità, presi la mira e feci per scagliare la freccia quando, un movimento a non poca distanza dallo scoiattolo mi distrasse. Lanciai uno sguardo veloce e cercai di notare l'artefice di quel movimento. 

Con sorpresa riconobbi la sagoma ricurva all'avanti di Thomas che, con non poca fatica, stava provando ad attraversare il passaggio tra gli alberi cercando di non andare a sbattere contro qualche ramo troppo basso.

Trattenni il respiro quando un pensiero raccapricciante attraversò la mia mente. Subito dopo l'immagine di Thomas che sparava un proiettile nella testa di Newt senza nemmeno battere ciglio si proiettò davanti ai miei occhi, accecandomi dalla rabbia.

Quel pensiero si insinuò di nuovo nella mia mente, facendomi impazzire: avrei potuto lanciare la freccia e colpire Thomas. Tutto sarebbe potuto sembrare solo un brutto incidente, un errore fatale.

Le mie dita tremarono e la mia mira si spostò leggermente a sinistra rispetto allo scoiattolo. Sentii il mio respiro mischiarsi a quello di Gally dietro di me. Nel momento in cui la punta della mia freccia si spostò cautamente, sentii Gally sussultare. Lo aveva notato anche lui.

Il mio respiro si interruppe in gola, incastrato dietro al groppo di lacrime. La mia mente mi urlava infuriata di lasciare la corda dell'arco e di permettere alla freccia di trafiggere il suo petto, ma il mio cuore doleva, come ad annunciarmi un brutto presentimento.

Ero davvero un'assassina? Sarei stata in grado di lanciare quel colpo e poi accettarne le conseguenze?

Sentii il mio braccio tremare per la fatica di tenere la corda dell'arco così tesa per tanto tempo. Il mio respiro era ancora incastrato nei polmoni e ora potevo sentire la mancanza d'aria colorarmi il volto. Le mie guance bruciavano e potevo sentire le lacrime solcarle, ancora più calde della mia pelle.

Le mie dita giocherellarono con la coda della freccia e il mio pugno si strinse sull'arco, poi qualcosa successe. Thomas sollevò lo sguardo dopo aver scostato un ramo troppo basso dalla sua via e in un secondo la mia vista si annebbiò, obbligandomi a sbattere le palpebre. Quando riaprii gli occhi al posto di Thomas vidi la chioma bionda e arruffata di Newt emergere dagli alberi. I suoi occhi pieni di comprensione si incrociarono ai miei e non lessi delusione o rabbia nel suo sguardo, solo calma e una sottospecie di sorriso. In qualche modo sembrava che il ragazzo capisse ciò che provavo e ciò che ero sul punto di fare, eppure non mi stava giudicando. Ansimai per la fatica e senza pensarci due volte spostai l'arco verso destra e lasciai che la freccia si librasse in aria e andasse a conficcarsi nell'animaletto ancora aggrappato alla corteccia.

Emisi un sospiro ed ansimai ancora, un lamento di dolore e confusione. Indietreggiai di un passo e sentii le mie gambe tremare. Mi sentivo come se tutte le mie energie avessero abbandonato il mio corpo, come se fossi potuta cadere al suolo e rimanere così per il resto della vita.

Quando riportai lo sguardo su Newt, lui era sparito e al suo posto c'era di nuovo la figura di Thomas, questa volta immobile, con lo sguardo spalancato per la paura e fisso sullo scoiattolo morto a poca distanza dai suoi piedi. Poi una risatina nervosa uscì dalle sue labbra e il ragazzo sollevò l'animale morto afferrandolo per la freccia e se lo portò all'altezza del naso, osservandolo attentamente con un sorriso sulle labbra.

Le mie braccia caddero prive di forze lungo i miei fianchi e indietreggiai di qualche altro passo, arrivando al pari di Gally che, con uno sguardo spaventato e confuso mi fissava in cerca di risposte. Lui aveva visto la stessa cosa che avevo visto io, aveva osservato la traiettoria della mia freccia cambiare e aveva capito le mie intenzioni.

Sapeva cosa avevo pensato.

Gli lanciai uno sguardo altrettanto terrorizzato e confuso e in tutta risposta il ragazzo fece un passo in mia direzione, allungando il braccio verso di me e sfilandomi l'arco di mano con premura.

Poi poggiò una mano sulla mia spalla e interruppe il tremore del mio corpo.

"Woah, quel colpo era fantastico! Non avevo nemmeno visto lo scoiattolo!" esclamò Thomas entusiasta, completamente ignaro delle mie iniziali intenzioni. Il ragazzo si mosse veloce verso di noi, trascinando l'animaletto con se'.

Scossi la testa per riprendermi e mi asciugai le lacrime.

"Sono venuto a dirvi che la cena è pronta." ci informò il ragazzo.

Il mio corpo era debole e i miei muscoli tremavano, forse per la paura di ciò che ero stata sul punto di fare, forse per la fatica di reggermi in piedi quando tutto il mio corpo mi suggeriva di seppellirmi sotto terra. Era come se avessi viaggiato in un'altra dimensione, come se la mia mente e il mio corpo avessero attraversato uno spazio temporale per poi riportarmi bruscamente alla realtà.

Mi sentivo stremata al punto che se Gally non mi avesse tirata saldamente a se' probabilmente le mie gambe si sarebbero piegate al suolo.

Non avevo ne' la forza ne' il coraggio di pensare ed elaborare ciò che era successo e allo stesso tempo non volevo. Sapevo benissimo ciò che mi era passato per la testa e la cosa peggiore era che mi fosse persino sembrata un'idea accettabile.

Avevo perso la ragione quando la solita immagine del mio Newt steso a terra sanguinante mi era saltata in mente come un filmato.  Accecata dalla rabbia avevo perso la ragione poi l'avevo riacquistata quando Newt mi era apparso davanti agli occhi. La solita proiezione illusoria della mia mente, certo, ma mi era bastata per dirottare la direzione della freccia e non sacrificare un'altra vita.

Newt era sempre stato il mio calmante, la colla ai miei pezzi d'anima, e perfino ora che non mi era accanto il suo ricordo rimaneva altrettanto potente .

Abbassai lo sguardo al suolo quando un'altra lacrima minacciò di solcarmi il volto e fissai i miei palmi tremanti, chiedendomi fino a che punto sarei stata capace di spingermi se avessi continuato ad ascoltare i miei impulsi.

Quando rialzai lo sguardo mi accorsi di una luce fioca che filtrava tra gli alberi e lo scoppiettio famigliare del fuoco. Prima che potessi rendermene conto ci eravamo riuniti agli altri e ora risatine e voci familiari mi circondavano, riempendomi le orecchie e mandando il mio cervello ancora più in confusione. 

"Siete tornati finalmente!" esclamò Minho mettendo un braccio attorno a Violet che arrossì all'istante. "Una passeggiata romantica sotto la luna?" domandò il ragazzo, lanciando un'occhiata pervertita verso Gally e poi una confusa verso di me.

Incrociai gli occhi a mandorla del Velocista e in qualche secondo vidi nascere una piccola consapevolezza nel suo sguardo. Come se avesse letto i miei sentimenti con una sola occhiata il ragazzo sbiancò leggermente e il sorriso appena posato sulle sue labbra diminuì, fino a scomparire del tutto.

Vidi la sua bocca aprirsi leggermente, pronta a dare voce alle sue parole, ma proprio in quel momento Thomas saltò nel mezzo della situazione, oscillando in aria la mia freccia con ancora lo scoiattolo conficcato sopra. "Guardate un po' cosa ha preso la nostra cacciatrice!" informò il ragazzo tutto entusiasta.

Sbattei le palpebre e cercai di dissimulare la mia tristezza, cancellando il velo di lacrime sui miei occhi, poi distrussi la connessione tra il mio sguardo e quello di Minho, iniziando a fissare con occhi spenti il povero animaletto che avevo sacrificato per non causare una morte peggiore.

Gally mi diede qualche pacca di consolazione sulle spalle e poi una leggera carezza tra i miei capelli prima di allontanarsi e andarsi a sedere a terra, portando sempre con se' il mio arco. Deglutii a fatica e tentai di far sparire l'amaro nella mia bocca, ma senza riuscirci. Sollevai la faretra e dopo averla tolta di dosso la lasciai scivolare a terra, per poi abbandonarla lì e andarmi a sedere vicino a Stephen che, come al solito, mi stava osservando con uno sguardo preoccupato e confuso.

"Stai ben..."

Non lo feci nemmeno finire di parlare e risposi fredda: "Mai stata meglio." 

Vidi il volto del ragazzo indurirsi per qualche secondo, poi le sue mascelle si rilassarono e nei suoi occhi comparse una fastidiosa compassione che non fece altro che allontanare la ragione dalla mia mente. 

Ecco che cos'ero agli occhi degli altri: una pazza psicopatica capace di ammazzare gli amici, che ha perso la testa e che vive costantemente nel passato, una povera e indifesa ragazza che non è capace di controllare i propri sentimenti e che ha bisogno di appoggio.

E la cosa che mi spaventava di più di tutto ciò era che quella descrizione mi sembrava familiare e non estranea come invece avrebbe dovuto.

Forse ero veramente così. Avevo perso il mio coraggio e la mia forza d'animo nel tragitto, ma non sapevo come fare per riacquistarle.

Prima ero sempre la ragazza tosta del gruppo, la prima scelta di quelli che avevano bisogno di aiuto, quella che difendeva e che era pronta a morire per i propri amici. Ora ero solo quella che era disposta a ucciderli per vendicare una memoria a cui non avevo nemmeno assistito.

Eppure l'immagine di Newt sofferente e bagnato di sangue tormentava le mie notti insonni e i miei giorni privi di luce. Il pensiero di Newt che moriva da solo, al freddo mi assillava. Non aveva avuto nessuno al suo fianco nei suoi ultimi minuti di vita, se non Spaccati e l'assassino che l'aveva ucciso.

Era morto da solo, senza speranza o un viso familiare che lo consolasse e cercasse di alleviare il suo dolore con carezze e parole rassicuranti.

Mi morsi il labbro violentemente e inspirai dal naso, chiudendo gli occhi e cancellando quella brutta sensazione dal mio petto e sostituendola con dell'insensibilità. 

Quando riaprii le palpebre sentii ancora lo sguardo di Stephen su di me e mi sentii nuovamente un peso sulle spalle. Non avevo bisogno della misericordia altrui, potevo farcela da sola.

"Smettila di guardami in quel modo." sibilai tra i denti, scuotendo visibilmente Stephen ancora una volta.

"In che modo?"

Sospirai scocciata e mi voltai in sua direzione. "Come se fossi triste per me. Tutta la tua faccia sta mormorando 'oh, poverina, quanto mi dispiace'. Smettila." mormorai cercando di parlare sottovoce in modo che gli altri non ci sentissero.

Lo sguardo di Stephen si fece scuro, deluso e arrabbiato. In meno di un secondo la sua mascella si contrasse e le vene sul suo collo spuntarono attraverso lo strato liscio della pelle. "Lo sai che sei proprio una stronza?" sputò acido il ragazzo, rifilandomi uno sguardo di disgusto. "Sono tuo amico, uno dei pochi che ti sono rimasti per questo tuo carattere del caspio, e sto solo cercando di aiutarti ad attraversare questo periodo che capisco, credimi lo capisco, sta andando al peggio. Ma non posso aiutare qualcuno che un aiuto non lo vuole." disse onesto. "Credi di poter attraversare tutto da sola? Credi che l'aiuto altrui non ti serva? Fai come vuoi, a me non interessa... Non più, almeno." concluse alzandosi e spolverandosi i pantaloni in fretta e furia.

Sentii il mio volto prendere fuoco e una raffica di parole acide e arrabbiate salirmi in gola, pensieri che però sapevo già non mi appartenessero.

Feci per parlare e dare sfogo alla mia rabbia soppressa, ma il ragazzo mi puntò un dito contro e la voce mi si incastrò in gola. "Lo sguardo che tu descrivi come pieno di pietà era solo uno sguardo che diceva 'non so cos'è successo, ma so come ti senti'. Credi di essere l'unica ad aver perso qualcuno? Credi di essere l'unica ad avere gli incubi alla notte? Svegliati, Elena, siamo nel mondo reale. Le persone se ne vanno, non restano per sempre al mio fianco. E quando succede va bene essere tristi, deprimersi e piangere, essere arrabbiati con tutto e tutti. Va bene, è naturale, ma dopo un po' devi andare avanti." il ragazzo prese un respiro e provò a parlare, ma la sua voce tremò e poi si ruppe, annunciando le lacrime che poi bagnarono i suoi occhi. Con orgoglio il ragazzo le ricacciò indietro, prese un respiro e poi continuò. "Non credi che anche io stia male per le mie sorelle? Me ne hanno uccise due e l'ultima rimasta me l'hanno strappata da sotto il naso. Non credi che io incolpi me stesso ogni giorno per questo? Non credi che anche io veda i loro sguardi delusi nei volti delle persone? Non ci pensi mai che questo mondo non gira sempre tutto attorno a te e a ciò che ti succede? Che c'è anche della sofferenza che influenza altre persone? Smettila di essere egoista e cresci, ma soprattutto smetti di mentire a te stessa e affronta la realtà come avrebbe fatto la ragazza che conoscevo tempo fa, la stessa ragazza che ora invece è solo un verme che striscia sotto terra alla prima difficoltà che le si presenta davanti."

Sbattei le palpebre più volte, come ad assimilare il colpo appena ricevuto, e sentii tutta la rabbia filtrare fuori dalla mia pelle, lasciandomi con un volto pallido e pieno di delusione.

Stephen mi lanciò uno sguardo arrabbiato, poi il ragazzo si trascinò una mano sul volto, come per risvegliarsi dopo un brutto sogno, e quando i suo occhi incrociarono di nuovo i miei, lessi solamente tristezza e senso di colpa.

Il ragazzo si guardò le scarpe, poi mi guardò nuovamente negli occhi. Avrei voluto dire qualcosa, affermare che avesse ragione, che ero stata un'egoista, ma nonostante la mia bocca fosse spalancata, dalle mie labbra non uscì un suono.

Stephen strinse i pugni e con orgoglio si voltò di spalle, per poi camminare nella direzione opposta alla mia e scomparire lentamente tra il fitto degli alberi.

Sbattei ancora le palpebre, incredula di ciò che era appena successo e quando mi guardai attorno notai che tutti gli sguardi fossero fissi su di me, tanto stupefatti quanto lo ero io.

Mi portai la testa tra i palmi e chiusi gli occhi per un minuto, cercando di assimilare tutte le parole che il ragazzo mi aveva riversato addosso, poi sollevai le spalle e quando rialzai lo sguardo trovai la stessa situazione di prima: gli occhi di tutti erano puntati su di me, come se l'immagine fosse stata messa in pausa.

Inalai un respiro veloce e mi girai di spalle per poi stendermi a terra su un fianco. Incrociai le braccia e mi accarezzai la pelle nel tentativo di confortarmi da sola, poi portai le ginocchia al petto e sospirai. 

"E la cena?" sentii qualcuno domandare. "Abbiamo viaggiato tutto il giorno, lei non mangia?"

Feci finta di non aver sentito, non avevo voglia di parlare, nè di sostenere ancora tutti quegli sguardi. "Ha bisogno di riposare ora." sentii la voce di Gally sopra i mormorii altrui. "E' stata una giornata difficile per tutti, mangerà domani mattina prima di partire."

Ringraziai mentalmente il ragazzo per aver preso la parola al posto mio e chiusi gli occhi lentamente, sentendoli bruciare come se fossero fatti di fuoco vivo. Le mie labbra tremarono e sulla mia pelle si diffuse un brivido gelato e fastidioso che il mio corpo percepì con la violenza di un'artiglio che graffia la schiena. Ero stesa vicino al falò, ma il calore del fuoco non bastava per scaldarmi il gelo che avevo nel cuore.

Le parole di Stephen continuarono a rimbombarmi in mente, come se la mia coscienza si fosse risvegliata e si stesse alleando contro di me.

Credi di essere l'unica ad aver perso qualcuno? 
Credi di poter attraversare tutto da sola?
Devi andare avanti. 
Questo mondo non gira sempre tutto attorno a te.: 

Un altro brivido di consapevolezza mi percorse la pelle: ero stata egoista, mi ero comportata da bambina e lo sapevo.

Ero stata talmente debole e stupida da farmi influenzare da dei ricordi di una persona morta. Avevo amato Newt, e lo amavo ancora. Mi mancava tanto quanto alla luna mancano le stelle quando sono nascoste dalle nuvole di notte. Mi sentivo sola tanto quanto un lupo senza un branco. E soprattutto mi sentivo tanto fuori posto quanto un pesce fuori dall'acqua.

Ma, come aveva detto Stephen, la vita è fatta anche di queste ombre.

Il destino non sempre gioca a nostro favore, perchè siamo noi che dobbiamo giocare secondo il destino.

Era ora che riprendessi in mano la mia vita e iniziassi ad apprezzare tutto ciò che mi era rimasto, invece di piangere sempre tutto ciò che avevo perso.

Non ero l'unica ad aver perso qualcuno di amato.

Chuck, Alby, Jeff, Francis, le sorelle di Stephen, Newt...

Tanti erano i nomi cancellati sul Muro della Radura e tanti altri sarebbero stati cancellati dal tempo.

Ognuno soffriva a modo proprio: Minho soffocando i propri sentimenti, Violet distraendosi, Stephen guardando il mondo al positivo, Thomas negando la realtà, Gally combattendo per le cose che gli erano ancora rimaste. Ed io? Avevo pianto la morte di Newt per ormai troppo tempo.

Mi ero domandata troppe volte il motivo per cui quella ferita al cuore non guarisse, ma non mi ero mai accorta che la causa del suo continuo sanguinare fossi io stessa. Non avevo mai accettato la morte del ragazzo perchè non volevo farlo, non mi sembrava giusto nei suoi confronti e nei confronti di tutto ciò che avevamo creato assieme. La mia ferita non era mai guarita perchè ogni volta ero io a riaprirla, con la mia rabbia, la mia frustrazione e la mia malinconia. 

Per tutto quel tempo ero stata io la peggior nemica di me stessa. Avevo respinto i miei amici, avevo permesso alla rabbia e alla malinconia di controllarmi, mi ero vietata di essere felice perchè non mi sembrava giusto, mi ero permessa di vivere in un ricordo passato, in un'utopia, ma ora era arrivato il momento di passare oltre, di voltare pagina.

Avevo bisogno di un nuovo inizio, di una nuova me.

Promisi a me stessa che col sorgere del sole sarei cambiata. Avrei imparato a sopravvivere proprio come deve fare la luna quando le tenebre oscurano le sue stelle.

Non avrei permesso alle ombre di oscurare il mio sole.

Una lacrima solitaria uscì dalle mie palpebre chiuse e nel momento in cui tutte le voci e i rumori attorno a me si appiattirono e si fecero sfocati, proprio in quell'istante prima prima di addormentarmi, una frase appena sussurrata lasciò le mie labbra.

"Mi dispiace Newt, ma devo lasciarti andare. Addio."

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Capitolo 31
*** Capitolo 27. ***


Quando aprii gli occhi il mattino seguente, il mondo mi sembró diverso. Io mi sentivo diversa.

Facendo pressione sui miei gomiti mi tirai su a sedere e mi guardai attorno. Mi stropicciai gli occhi, cercando di scrollarmi di dosso gli ultimi veli di sonno che mi ricoprivano la mente. Mi massaggiai il collo e lo sentii scrocchiare dolorante per la superficie dura e scomoda su cui avevo riposato.
A quanto pareva, dato che nessun altro sembrava dare ancora segno di vita, ero la prima ad essersi svegliata, ad eccezione di Minho che, arrotolato su se stesso come un bambino, russava con la bocca spalancata.
Mi sollevai in piedi e passai le dita tra i capelli, cercando di ordinarli inutilmente e di togliere quanti fili d'erba potevo. Feci per raccoglierli in una lunga coda di cavallo, quando il mio sguardo si posò sul coltello affilato che pendeva dalla tasca di Brenda.

Mi guardai intorno di nuovo e quando fui sicura che tutti stessero dormendo mi avvicinai silenziosamente alla ragazza e mi accovacciai accanto a lei, allungando la mano verso la sua tasca e sfilando lentamente il pugnale.
Mi sollevai nuovamente in piedi e mi affrettai a raggiungere il laghetto che io e Gally avevamo scoperto la sera precedente, per poi immergere completamente la testa nelle sue acque. Strofinai la mia cute e quando fui certa di aver bagnato ogni centimetro dei miei capelli, alzai la testa e ordinai le ciocche in piccoli gruppetti.
Inspirai profondamente e poi rilasciai un sospiro mentre la lama del coltello si avvicinava alla prima ciocca di capelli.

Abbassai lo sguardo e ammirai per l'ultima volta la lunga chioma che avevo fatto crescere per tutti quegli anni. Per un secondo ebbi un ripensamento, ma poi mi ricordai il motivo per cui quella pazza idea mi fosse datata in mente: volevo qualcosa che mi ricordasse della promessa di cambiare che avevo espresso la notte precedente. Volevo essere sicura di non dimenticarmelo.
Accennando un sorriso iniziai a muovere la lama, prima lentamente, poi sempre con più forza e decisione. Osservai le ciocche cadere a terra, capello dopo capello, e con esse caddero anche i miei pensieri negativi, alleviando il peso sulle mie spalle.

Il sole si sollevò sopra gli alberi, illuminandomi con i suoi raggi proprio quando la lama del coltello tagliò l'ultima ciocca rimasta sulla mia spalla sinistra. Presi qualche minuto per osservarmi nello specchio d'acqua e dopo aver aggiustato qualche ciocca e tagliato qualche capello di troppo, conficcai la punta del pugnale a terra e mi strofinai velocemente i capelli, sentendoli così leggeri e corti. Ridacchiai felice e soddisfatta, scuotendo la testa a destra e a sinistra, e sentendo le piccole gocce d'acqua bagnarmi il viso.

Raccolsi il pugnale e mi sollevai in piedi, per poi allontanarmi dal lago e immergermi nell'ombra fredda e mattutina del bosco. Il sorriso non abbandonò  il mio volto nemmeno quando, tornando al nostro piccolo accampamento, qualche sguardo curioso si puntò su di me.
Speravo che i miei amici fossero ancora addormentati, ma a quanto pareva erano passati parecchi minuti da quando me ne ero andata, dato che quasi tutti i volti erano svegli e pronti per un'altra giornata.

Abbassai lo sguardo a terra e pulii il coltello sui miei pantaloni, per poi camminare vicino a Brenda e lanciarlo nella terra vicino alla sua gamba, sentendo la punta conficcarsi nel terriccio. 
La ragazza era intenta a cercare qualcosa nel suo sacco - probabilmente il coltello che le avevo rubato - e quando sentì la lama tagliare l'aria sussultò spaventata e si voltò di scatto, per poi sollevare lo sguardo verso di me e spalancare gli occhi sorpresa.
Brenda fece per aprire la bocca e dire qualcosa, ma non le diedi tempo di parlare, perche mi voltai e camminai verso il resto dei miei amici che, tanto per fare la differenza, mi osservavano con occhi spalancati, le sopracciglia aggrottate e la bocca semi aperta.
Cosa c'era di così strano? Mi ero solo tagliata i capelli, mica la gola.
Sollevai un sopracciglio dubbiosa, osservandoli tutti con un'espressione di attesa, una richiesta  tacita per delle spiegazioni. Speravo che qualcuno si decidesse a parlarmi, odiavo quegli sguardi silenziosi.

Dopo qualche attimo Gally mi si avvicinò lentamente, lasciando a terra il pezzetto di legno con cui stava giocando fino a qualche secondo prima, e mi rivolse un sorriso tiepido e gentile, fermandosi a qualche palmo di distanza da me. Lo vidi osservare attentamente la mia chioma piu leggera e sfoltita, poi sorridere di nuovo e allungare la sua mano in modo deciso verso il mio volto. Sentii le sue dita giocherellare con una mia ciocca ancora bagnata e accostarla dietro il mio orecchio, per poi dare un'altra occhiata generale ai miei capelli.
"Mi piace." mormorò lui, accennando un sorriso timido. Poi lasciò cadere il braccio lungo i suoi fianchi e fece un passo indietro, ricordandomi solo in quel momento di respirare. Non mi ero nemmeno accorta di star trattenendo il fiato. 
"Hai fame?" domandò lui, nascondendo le mani nelle tasche e sollevando le spalle come a scrollare di dosso la tensione.
Sorrisi di rimando, felice che il ragazzo non mi avesse domandato il motivo di quel cambiamento improvviso, poi annuii e lo seguii vicino al sacco del cibo, dove lo osservai tirare fuori un involucro di foglie larghe e verdi.

Gally tolse i primi strati di foglie e rivelò qualche pezzo di carne e ossicini, probabilmente appartenenti allo scoiattolo che avevo cacciato la sera precedente.
"Non sarà il massimo da freddo, ma da come Minho lo divorava ieri sera deve essere buono. Ho letteralmente dovuto strapparglielo dalle mani prima che lo finisse." mi informò il ragazzo, porgendomi il cibo e lasciandolo cadere sui miei palmi.
Ringraziai il ragazzo e mi sedetti a terra vicino alle ceneri rimanenti dal fuoco della sera precedente, per poi iniziare a spiluccare la carne dura dalle ossa.
Non era il miglior pasto della mia vita, certo, ma non c'era nulla da lamentarsi. Il mio stomaco, per lo meno, sembrava apprezzare il rifornimento di energie.

Quando finii di mangiare, bevvi qualche sorso d'acqua e mi affrettai ad afferrare il mio sacco, per poi raggiungere il gruppo di amici che si stava radunando attorno a Teresa per scoprire la direzione in cui eravamo diretti in quella giornata. 
"Abbiamo percorso più o meno cinque kilometri, quindi dobbiamo velocizzare il passo. Una volta fuori dalla foresta dovremmo dirigerci verso est e poi..." la ragazza prese del tempo per osservare bene il piccolo elettronico che aveva in mano, rigirandolo e fissando un piccolo puntino rosso nella griglia nera e sbiadita del monitor. "Dobbiamo allungarci verso nord per altri 10, forse 12 kilometri. Poi est di nuovo, per tre o quattro. Non è così lontano come sembra. Non capisco perché abbiano messo una stazione della W.I.C.K.E.D. cosi vicina a noi. Insomma... Non sarebbe stato piu sicuro posizionarla il più lontano possibile?"
Mi morsi il labbro e scrollai le spalle.

"Forse è stato volontario." azzardò Jorge. "Magari volevano la possibilita di osservarci e testarci, ma per farlo hanno bisogno di essere vicini."

"Ma in questo modo possiamo raggiungerli più facilmente. Non è un rischio?" domandò Minho.

"Non se vogliono che li raggiungiamo." mormorai sottovoce, come se fosse un pensiero personale che peró non ero riuscita a trattenere.

"Una trappola?" chiese Thomas, diretto più a me che al resto del gruppo.

Sollevai le spalle. "Probabile. Magari vogliono eliminarci una volta per tutte in modo da non averci tra i piedi e continuare i loro esperimenti senza nessun disturbo."

"Magari vogliono che torniamo per utilizzarci per altri test." propose Minho, sul volto un'espressione disgustata.

"Qualunque sia la spiegazione non importa." ci interruppe Teresa, scuotendo la testa. "Dobbiamo darci una mossa e rimetterci in marcia."

Annuii lentamente, ancora persa nei miei pensieri. Da quando eravamo usciti dal Labirinto non avevamo fatto altro che cercare di capire le mosse della W.I.C.K.E.D. e cercare di anticiparle, ma in un modo o nell'altro ci eravamo sempre trovati un passo indietro rispetto ad essa. Era un'impresa quasi impossibile riuscire a capire i piani di quell'associazione senza scrupoli, perchè non c'era una cosa che non fosse capace di fare.

L'unica soluzione era continuare con la nostra operazione di salvataggio e sperare che, almeno per una volta, le cose sarebbero andate per il meglio, anche se agli occhi di tutti sembrava un'utopia.

Sollevai lo sguardo giusto in tempo per scoprire che Stephen era intento a guardarmi. Nei suoi occhi non c'era la stessa rabbia e delusione che avevo visto con orrore la sera precedente, piuttosto c'era nascosta un'espressione sorpresa e, azzarderei dire, quasi compiaciuta. Il suo sguardo era fisso sui miei capelli, ora quasi del tutto asciutti, e quando i suoi occhi si posarono sui miei il ragazzo arrossì leggermente, per poi chiudersi a riccio e distogliere lo sguardo in modo freddo. Non mi aspettavo che assumesse un comportamento diverso da quello che aveva mostrato, non lo pretendevo, non dopo la discussione che avevamo avuto la sera precedente. Sapevo che lui avesse ragione e sapevo anche che le cose non si sarebbero sistemate da sole: dovevo andare a parlargli e a chiedergli scusa, ma sopratutto dovevo informarlo della mia decisione e della mia intenzione di cambiare il mio modo di affrontare le cose. Come aveva detto lui, era ora che io crescessi e che vedessi la realtà in una concezione positiva, più chiara rispetto alle tenebre con cui ero solita circondarmi.

Ben presto ci mettemmo in marcia, Teresa in testa, affiancata come sempre da Thomas, seguita da Jorge e Brenda, poi Stephen, Gally e infine me, davanti a Minho e Violet.

Mi presi qualche minuto per cercare di trovare le parole più adatte prima di raggiungere il ragazzo dai capelli bianchi. Provai diversi discorsi nella mia testa e, per quanto mi impegnassi, uno suonava più ridicolo dell'altro. Non sapevo da dove nascesse tutta quella insicurezza, ma riuscivo a notare quanto il mio imbarazzo nascesse quando ripensavo allo sguardo deluso e rammaricato che gli avevo visto negli occhi la sera precedente. Avrei voluto cancellare quella memoria, fare finta che non fosse successo nulla, ma oltre ad essere una cosa impossibile da fare, ero consapevole che quel comportamento non facesse altro che confermare le parole del ragazzo e andare contro il patto che avevo fatto con me stessa.

Per un secondo un pensiero mi sfiorò la mente.
Che consiglio mi darebbe Newt se fosse qui? Probabilmente mi rassicurerebbe dicendomi che se Steph è veramente mio amico capirà che sto provando a cambiare e mi darebbe una seconda chance. 
Scossi la testa e mi schiaffeggiai mentalmente, liberandomi la testa dai quei pensieri ancorati al passato. Niente più Newt. Mi rimproverai. Niente più Newt.

Quando mi convinsi che non ci fossero delle parole perfette o esatte da usare per introdurre il mio discorso a Stephen, erano già passati diversi minuti ed eravamo finalmente usciti dalla foresta. Presi un bel respiro e riuscii a raggiungere un certa pace interiore, che sebbene fosse instabile, mi diede abbastanza coraggio per aumentare il passo e cercare di raggiungere il ragazzo.

Dopo due o tre falcate, tuttavia, una mano si posò sulla mia spalla, costringendomi a rallentare e voltarmi indietro.
Minho, con il suo solito ghigno sul volto, si mise al mio pari insieme a Violet e mi circondò le spalle con un suo braccio. "Allora, Fagiolina." iniziò lui, usando quel nomignolo per la prima volta da tanto tempo e riportando alla mia mente diversi ricordi del passato.

Gli sorrisi sincera e replicai immediatamente. "Hey, spazzolino per il cesso." lo sbeffeggiai, causando un sorriso sulle sue labbra.
"A cosa dobbiamo questo cambiamento?" domandò lui, sollevando una ciocca dei miei capelli e poi lasciandola cadere contro il mio collo.

"Non ti piace?" chiesi, tentanto di aggirare la domanda.

"Sì, mi piace, ma è insolito da parte tua fare cambiamenti così drastici. Anche se devo dire che, una volta che ti metti in testa qualcosa, non c'è nulla che può farti cambiare idea." spiegò lui sincero.

"Ti sei risposto da solo, allora." confermai, annuendo leggermente. "Sentivo il bisogno di cambiare, di..."

"Toglierti un peso dalle spalle?" chiese Violet modesta, rivolgendomi un sorriso amico, gentile.

Le sorrisi di rimando, ringraziandola con lo sguardo per avermi reso la spiegazione più semplice e meno imbarazzante del dovuto. "Esattamente." confermai, leggendo negli occhi di entrambi i miei amici che avessero afferrato a pieno ciò che stavo cercando di dire.

"Sono fiera di te, è stata una scelta coraggiosa tagliare un qualcosa che ti è sempre appartenuto dopo averlo fatto crescere per così tanto tempo." mi informò la ragazza con un sorriso dolce.

A quel punto non ero più certa se stessimo ancora parlando dei miei capelli, ma sapevo che quella conversazione all'apparenza superficiale, stava in realtà celando un significato più profondo, nascosto solo agli occhi di coloro che non sapevano ascoltare con il cuore.

"Grazie." mormorai, restituendole quello sguardo complice, segno che entrambe sapevamo esattamente come leggere tra le righe.

Al contrario però, Minho decise di prendere una scorciatoia e di parlare apertamente, senza paura. "Sono sicuro che anche a Newt piacerebbe questa decisione, questo cambiamento."

Mi voltai verso di lui e per la prima volta mi sorpresi a scoprire che il mio cuore non doleva al solo suono di quel nome, anzi, al contrario, si era quasi riempito di gioia. Una gioia malinconica, certo, ma pur sempre gioia.

Annuii leggermente. "Lo so." mormorai. "Sarebbe fiero di tutti noi, ne sono certa."

Ci fu un attimo di silenzio, scandito dai nostri passi sulla terra quasi del tutto secca se non fosse per qualche ciuffo d'erba qua e là. Mi lasciai scaldare dal tepore del ragazzo che ancora mi teneva stretta a sè, approfittando di quel contatto amico che mi era mancato un sacco. Ultimamente io e Minho non avevamo avuto tanto tempo a nostra disposizione, ma nonostante ciò la nostra amicizia non si era sbiadita nemmeno di un poco.

Il mio sguardo si posò di nuovo su Stephen che aveva continuato a camminare senza mai voltarsi, totalmente ignaro delle mie intenzioni di chiarire con lui. Chissà se stava ripensando alla conversazione avuta la sera prima; chissà se anche lui aveva faticato ad addormentarsi quella notte; chissà se si sentiva in colpa o se fosse ancora in grado di fare tutto daccapo se fossimo tornati indietro nel tempo.

Minho seguì la traiettoria del mio sguardo e poi si rivolse a me. "Problemi in paradiso tra voi due?" domandò, scuotendomi leggermene, come per risvegliarmi da un sogno ad occhi aperti.

Scossi le spalle. "A quanto pare." ammisi. "Ma era necessario. Vorrei solo..."
Smisi di parlare, le parole conficcate nella gola, confuse e indecise. Non sapevo nemmeno io cosa volevo dirgli esattamente.

"Non mi è mai piaciuto quel ragazzo, devo essere sincero, però sono sicuro che se è veramente tuo amico capirà." mi confortò il ragazzo, sconcertandomi per un attimo. Quelle erano esattamente le parole che mi ero immaginata uscire dalla bocca di Newt. Che fosse un segno? No, probabilmente era solo una coincidenza.

Annuii leggermente e gli sorrisi in segno di ringraziamento. 
Non passò troppo tempo prima che fosse il turno di Violet per parlare. "Thomas?" domandò lei curiosa. "Qualche cambiamento nel tuo modo di vedere il problema?"

Mi morsi il labbro. Con tutto quello che era successo ultimamente il pensiero di Thomas e ciò che aveva fatto non mi aveva sfiorato la testa, ad eccezione di quando avevo quasi voluto piantargli una freccia nel petto. In un certo senso, dopo quell'avvenimento mi sentivo in colpa verso di lui. Non che lui si fosse accorto delle mie intenzioni, certo, ma avevo realizzato che alla fine io e lui non eravamo così diversi.

Se non avessi ritrovato la ragione quella sera, ora anche io sarei etichettata come omicida. Non ci avevo pensato più di tanto a porre fine alla sua vita, non avevo mostrato compassione, né amicizia. Il solo fatto di aver preso in considerazione la cosa mi aveva resa disgustata di me stessa, o almeno di ciò che ero diventata.

Tutti commettiamo degli errori, certo, ma come pretendevo di essere capace di perdonarlo quando non riuscivo nemmeno a perdonare me stessa? Era una colpa pesante da inghiottire, anche se nel mio caso era stato solo un pensiero fuggente. Solo io e Gally sapevamo cosa mi era passato in mente quella sera, eppure il ragazzo non mi aveva rimproverata, ma mi aveva mostrato supporto e comprensione quando avevo iniziato a dare di matto dopo aver realizzato il peso di ciò che ero stata sul punto di fare. Mi aveva perfino rassicurata e non c'era stato nemmeno un attimo in cui il suo sguardo mi aveva mostrato delusione o rabbia.

Eppure io non riuscivo ancora a concepire la parola 'perdono' per le mie intenzioni. E in un certo senso mi sentivo ancora più male, perché sapevo che se io non ero riuscita a perdonarmi per aver pensato qualcosa di orribile, allora Thomas era seguito perennemente dai sensi di colpa, non solo per ciò che aveva fatto a Newt, ma anche per ciò che aveva fatto a tutti noi.
Doveva sentirsi come un verme, giorno dopo giorno, ed ero sicura che le ombre lo soffocassero anche alla notte. Eppure non lo aveva mai mostrato, perché conoscendo il ragazzo, ero sicura che non volesse fare la parte della vittima.

Era terribile ciò che aveva fatto, questo era vero. Quasi imperdonabile, se non fosse per tutte quelle volte che Thomas ci aveva mostrato lealtà e affetto. 
Tutti meritano una seconda chance. 
Io avevo avuto la mia dopo aver tradito i miei amici nella Zona Bruciata, dopo aver ferito i sentimenti e tradito la fiducia di tutti.

Loro mi avevano perdonata per averli pugnalati alle spalle.

E allora chi ero io per negare il perdono a Thomas per aver pugnalato Newt alle spalle?

In fin dei conti la mia coscienza non era poi così pulita per comportarmi come se fossi superiore a lui.

"Penso che sto iniziando a capire il suo punto di vista." ammisi, probabilmente sorprendendo Minho, che sobbalzò non appena quella frase lasciò le mie labbra.

"Davvero?" chiese lui stupefatto.

Annuii e poi spiegai: "Quando abbiamo lasciato Newt nel Palazzo degli Spaccati," iniziai. "è come se lo avessimo ucciso. Lo abbiamo abbandonato al suo destino, ad una morte lenta e in solitudine. Rimpiango di essermi voltata di spalle e di essere uscita da quell'edificio. Non c'è giorno in cui non desidero di tornare indietro per cambiare le cose."

"Ma è quello che Newt voleva." disse Minho, cercando forse di trovare un motivo per giustificare le nostre azioni quel giorno.

"No, ciò che Newt voleva era mettere una fine alla sua sofferenza, una volta per tutte." ammisi nonostante facesse male. "L'unica persona che avuto il coraggio di macchiarsi la coscienza e realizzare l'ultimo desiderio di Newt è stato Thomas. Lui ha posto fine alla sofferenza del ragazzo, facendosi però carico del peso che quella scelta avrebbe comportato. E' stato un gesto coraggioso, oserei addirittura dire nobile."

Sul volto di Minho si formò un'espressione stupita, sbiancata dal senso di colpa e dal dolore che le mie parole avevano aggiunto sulle sue spalle. Il ragazzo fece per aprire la bocca, ma lo anticipai. "Non sto cercando di incolpare nessuno, se non me stessa per non aver preso io stessa quella decisione. Eppure Thomas ha avuto il coraggio di farlo e tutto ciò che ha ricevuto in cambio è stato odio e disgusto. Solo ora mi rendo conto di quanto sono stata ingiusta ed egoista verso di lui. Avrei dovuto capirlo prima."

Inghiottii il groppo di saliva. "Quel povero ragazzo ha già sofferto abbastanza per colpa mia e non lo biasimerei se decidesse di non accettare le mie scuse. Credo che sia arrivato il mio turno di portare il peso delle mie decisioni."

*Angolo scrittrice*

Hey pive! Ecco qui un altro capitolo, spero di non avervi esasperato nell'attesa!

Cosa ne pensate delle parole di Elena? Se fosse state nella sua posizione, cosa avreste fatto? Avreste perdonato Thomas oppure no?

Dovrò essere sincera, non avevo mai pensato di vedere le cose dal punto di vista di Thomas, ma poi mi è venuta in mente Teresa e di come tutti la chiamino Traditrice senza però analizzare i dettagli dietro la sua decisione. Ero talmente arrabbiata che tutti la additassero in questo modo, che ho deciso di scrivere il libro in cui un nuovo personaggio (Elena) compieva le stesse azioni, ma spiegava il perchè. Ora ditemi, c'è qualche lettore che non ha perdonato Elena per ciò che ha fatto nella Zona Bruciata?

Ultimamente ho capito che io stavo facendo la stessa cosa con Thomas: giudicare le sue azioni senza però sapere cosa ci fosse dietro. E, proprio come Elena, sono giunta alla conclusione che anche lui merita una seconda chance, un perdono.

Nel prossimo capitolo Elena spiegherà altre ragioni per cui ha intrapreso questa scelta e vedrete anche la risposta di Minho a tutto ciò.

Perciò vi ripropongo la domanda, non perchè voglio che mi diate la risposta che voglio sentire, ma perchè sono curiosa di sapere il motivo della vostra risposta.

Se foste Elena, perdonereste Thomas anche se ha ucciso l'amore della vostra vita?

Se foste Minho, perdonereste Thomas anche se ha ucciso il vostro migliore amico?

E se invece foste Thomas? Perdonereste voi stessi per aver tolto la vita ad un vostro caro amico?

Spero vivamente di aver suscitato una discussione nei commenti! Mi raccomando, date la vostra opinione e rispettate quelle altrui!

Sempre vostra,

Inevitabilmente_Dea ღ

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Capitolo 32
*** Capitolo 28. ***


{ATTENZIONE: leggete assolutamente l'angolo scrittrice! Ci sono alcune novità importantissime che tutti i lettori devono sapere!}

Dopo aver espresso i miei pensieri in parole così piene di comprensione che faticavo a credere mi appartenessero, ci furono diversi attimi di silenzio imbarazzanti. Violet non accennò una parola, forse perchè aveva capito che non ci fosse molto da dire da parte sua dato che, non avendo avuto la possibilità di conoscere Newt in modo più approfondito, quella conversazione non le apparteneva.

Minho, d'altro canto, sospirò diverse volte, forse in cerca delle parole giuste da dire, forse nel tentativo di digerire la verità che gli avevo appena messo davanti agli occhi. In realtà non c'era nulla in particolare che volessi sentirmi dire: il suo silenzio mi bastava per confermare che, anche se fosse difficile da accettare, le mie parole dicessero il vero.

Non sapevo perchè mi ci fosse voluto cosi tanto tempo per raggiungere quelle conclusioni e dovevo ammetterlo, non ero molto fiera del comportamento che avevo assunto. Non solo mi ero permessa di mettere le mani addosso a Thomas, ferendolo fisicamente, ma poi avevo pure continuato a fare la stronza, lanciandogli continuamente sguardi freddi e parole acide, ferendolo anche emotivamente.

Non avevo fatto altro che ricordargli ciò che, ero sicura, fosse stato costretto a fare. Ero una persona orribile e la cosa ancora più sconcertante era essere consapevole che mi ci era voluta una litigata con Stephen per capire che il mio comportamento da bambina capricciosa non era accettabile.

"Non gli ho creduto." borbottò Minho, tutto cupo, interrompendo il suo silenzio all'improvviso.

"Come?" domandai confusa, lasciando bruscamente i miei pensieri alle spalle.

"Quando Thomas mi ha detto cosa aveva fatto..." spiego il ragazzo. "Non ho voluto credere alle sue parole. Non riuscivo a capire perchè Newt gli avesse chiesto una cosa del genere." ammise lui. "Ero geloso ed arrabbiato per il fatto che fosse stato Thomas a prendere una decisione così importante per il mio migliore amico."

Ci fu un ulteriore attimo di silenzio, poi il ragazzo continuo: "Solo ora mi rendo conto del motivo per cui Newt abbia scelto Thomas e non me per un incarico del genere."
Sentii la voce del ragazzo rompersi e subito dopo lui si schiarì la gola, come se cercasse di mascherare il tremore di paura e tristezza che spiccava in ogni sua parola.
"Minho, non..."

Il mio intervento venne immediatamente interrotto dal ragazzo, che non sembrò nemmeno notare il mio tentativo di confortarlo. "Io non sono capace di ascoltare. Non penso mai con il cuore, solo con la testa. Se Newt mi avesse confidato le sue intenzioni, io avrei proposto ogni modo alternativo, avrei cercati di trovare un'altra via per evitare l'inevitabile. Ma non sarei mai stato capace di esaudire il suo ultimo desiderio. Mai."

"Nemmeno io sarei mai stata capace, Minho, non ti devi incolpare di ciò. Dobbiamo imparare a lasciar andare le cose che appartengono al passato iniziando dall'accettare il presente." proposi. "Per il momento sento che la cosa giusta da fare sia cercare di riparare il presente per costruire un futuro migliore. E il primo passo da compiere é perdonare Thomas."

Continuammo a camminare per diversi minuti, ascoltando i nostri passi scandire il tempo e i respiri profondi accompagnare il canto degli uccellini che si nascondevano nei loro nidi tra gli alberi. Minho non aveva più aggiunto i suoi pensieri a quella conversazione e né io né Violet avevamo avuto il coraggio di continuare a parlare di quell'argomento, né di cambiarlo improvvisamente, così eravamo rimasti tutti e tre in silenzio, ognuno imprigionato nei propri pensieri.

In un certo senso volevo staccarmi dalla coppia e avvicinarmi a Thomas per parlargli, ma non mi sentivo pronta e il cuore palpitante con tanto di fiato sospeso sembravano cercare di farmi capire che il coraggio mi aveva abbandonata. 
Continuavo a ripetermi che non avrei voluto interrompere la conversazione che stava avvenendo tra lui e Teresa, utilizzando questo motivo come una scusa che però iniziava a perdere credibilità ad ogni istante che rimanevo a fissarli.
Avevo paura, ero spaventata a morte, perché volevo dire la verità a Thomas, scusarmi con lui, ma allo stesso tempo non ero pronta per sentire la sua risposta. Non essere perdonata dal ragazzo sarebbe risultato come un fallimento ai miei occhi e non ero ancora pronta per accogliere la delusione che ne sarebbe derivata.

Mentre la giornata continuava ad avanzare, il sole che prima spiccava alto in cielo aveva iniziato a sparire dietro delle nuvole scure, che di certo non sembravano portare buone notizie. Nonostante i raggi del sole fossero ora bloccati fa quello strato grigio, la temperatura continuava a salire testarda, quasi come se fosse determinata a scioglierci.
Ci fermammo per qualche minuto sotto gli ultimi alberi della foresta per fare un veloce spuntino e poi ripartimmo in marcia.

Uscimmo dal folto del bosco e iniziammo a dirigerci verso una schiera di montagne che ci bloccava la visuale di ciò che ci aspettasse al di là di esse. 
Come avevamo già fatto in precedenza, cercammo di trovare un sentiero tra le montagne, in modo da evitarci la grande scalata che non avrebbe fatto altro che indebolirci inutilmente e farci perdere tempo. Con Teresa e Thomas in testa ci dirigemmo leggermente verso est per infiltrarci nella piccola apertura naturale tra due montagne più basse rispetto alle compagne, ma pur sempre massicce.

Quasi meccanicamente Gally mi si avvicinò e mi sorrise in segno di saluto. Il ragazzo si pose al mio fianco e prese a camminare al mio passo, facendomi implicitamente capire che fosse pronto ad aiutarmi in caso avessi bisogno di supporto mentre camminavamo sui bordi delle due montagne. 
Questa volta non era presente un sentiero, perciò ci ritrovammo a dover poggiare i piedi dal lato di una montagna all'altra, evitando di incastrarci nel mezzo, dove le due montagne si incontravano e si univano.
Non fu semplice per nessuno mantenere l'equilibrio, ma il mio zoppicare non aveva molta influenza su di me questa volta, specialmente perché spesso decidevo di gattonare o ad appoggiarmi addirittura a sedere per scavalcare qualche passaggio particolarmente stretto o con rocce pericolanti.
Per un attimo mi ritrovai perfino a dover aiutare Gally stesso che, forse per la poca attenzione, forse perchè aveva messo il piede sulla roccia sbagliata, stava quasi per cadere a faccia all'avanti.

Solo quando riuscimmo finalmente ad arrivare alla fine del passaggio, ci fermammo come sempre a contemplare ciò che ci aspettava davanti. Con sorpresa trovammo una pianura ricoperta d'erba e qualche fiore bianco qua e là che si estendeva per qualche metro, seguita poi da un altro bosco folto. 
Un forte vento ci complicò la discesa della montagna, ma aiutandoci a vicenda riuscimmo ad arrivare ai piedi di essa e a riunirci in gruppo prima di proseguire. Nessuno si domandò il motivo della comparsa improvvisa di quel vento, dato che probabilmente era presente anche da prima, ma avendo la copertura delle montagne da entrambi i lati nessuno lo aveva percepito.

Cercando di domare i miei capelli che ora mi stavano schiaffeggiando il volto, mi avvicinai a Teresa che nel frattempo aveva iniziato a comunicare con Thomas. Sarei volentieri rimasta fuori da quella conversazione, se non fosse stato per il fatto che la ragazza non solo era pallida come un cadavere, ma i suoi occhi erano strabuzzati e spaventati, come non li avevo mai visti. 
Il vento si fece ancora più forte, soffiando sia da destra che da sinistra come se stesse cercando di spazzarci via, e il fatto che non avessimo protezione da esso era un evento piuttosto sfortunato per tutti noi. 
Il sole in cielo continuava a nascondersi dietro le nuvole, come se anche esso cercasse riparo dal vento furioso. In compenso le nuvole avevano iniziato a sprofondare sempre più verso l'oscurità, dipingendosi di colori scuri e preoccupanti.

Teresa continuò a parlare, agitando le braccia e scuotendo il piccolo radar nella sua mano, urlando per evitare che il vento coprisse il tono della sua voce e le rubasse le parole prima ancora che gli altri potessero sentirle.
Nonostante fossi molto vicina alla ragazza, riuscii ad intercettare solo qualche parola, come "segnale", "tagliato", "radar" e "funziona".
Mi avvicinai ancora, riuscendo finalmente a sbirciare oltre le spalle di Jorge e fissare lo sguardo sul radar che la ragazza ora teneva ben fermo tra le sue dita, digitando velocemente qualcosa sulla tastiera grigia.
Spalancai gli occhi quando mi accorsi che il segnale rosso che era sempre stato presente sul monitor, ora era sparito nel nulla. Solo dopo qualche secondo mi accorsi che Teresa stesse inserendo delle coordinate sullo schermo, probabilmente nel tentativo di intercettare nuovamente il segnale e individuare la posizione sulla griglia.
Jorge si voltò improvvisamente verso di me e mi urlò: "La W.I.C.K.E.D. deve essersi accorta del nostro giochetto e deve aver interrotto il segnale." mi informò l'uomo, lanciando uno sguardo preoccupato a Brenda. "Dobbiamo andarcene, raggiungere la foresta per avere più copertura. Se è vero che non siamo molto distanti dalla loro struttura non ci vorrà tanto prima che vengano a cercarci con le Berghe."

Annuii all'uomo, dimostrandogli di aver capito ciò che mi aveva detto e che condividevo le sue osservazioni, poi mi voltai indietro, osservando le montagne e rimpiangendo il riparo che ci avevano offerto dal vento fino a quel momento.

Sapevo benissimo che non potevamo tornare indietro perchè sarebbe stata solo una perdita di tempo, ma allo stesso tempo ero consapevole che quel vento non avrebbe fatto altro che complicare il nostro proseguimento.

Girai lo sguardo attorno a me e individuai la foresta di alberi davanti a noi, a qualche metro di distanza. Forse potevamo provare a infiltrarci nel folto degli alberi e trovare un po' di riparo almeno lì.

Come se l'universo avesse udito il mio tentativo di trovare una soluzione, il cielo vibrò sotto la pressione dei tuoni e le nuvole iniziarono a perdere la presa sulle gocce d'acqua che fino a quel momento avevano tenuto strette al petto.

Il vento utilizzò quell'opportunità per intensificarsi ancora di più e sfruttò le piccole gocce d'acqua per trasformarle in proiettili sulla nostra pelle. Le mie braccia si fecero a macchie rosse e bianche in poco tempo e le mie guance si infuocarono. Come era possibile che fosse così caldo in una situazione del genere? Il sole era ora nascosto dalle nuvole, ma potevo sentire i suoi raggi filtrare nella mia pelle e incendiarmi all'interno.

Mi accorsi di essermi persa a fissare il cielo solo quando qualcuno mi tirò per il braccio. Tornai alla realtà in modo brusco e dovetti accelerare il passo per evitare di inciampare sui miei stessi piedi e cadere all'avanti in modo goffo.
Vidi Gally lanciarmi uno sguardo preoccupato e poi puntare gli occhi in alto, come ad avvisarmi che la situazione non sarebbe migliorata. Il suo volto era bagnato dalle gocce d'acqua che non avevano smesso di cadere dal cielo, ma anzi si erano intensificate. Il ragazzo si scostò una ciocca ribelle di capelli da davanti gli occhi, poi continuò a muoversi all'avanti, tirandomi dietro lui e accelerando il passo per riuscire a raggiungere il resto del gruppo che si stava muovendo veloce a pochi metri da noi.

Sentii una folata di vento spingermi all'avanti in modo brusco, con una potenza che non avevo mai percepito, un po' come se anche esso mi stesse dicendo di muovermi più velocemente. Strinsi la mano di Gally con più forza, spaventata che potessi essere trascinata via, mentre con l'altro palmo cercavo di coprirmi gli occhi dalla pioggia.

Un tuono potente riempì le nostre orecchie e scosse il suolo sotto i nostri piedi, poi subito dopo un lampo illuminò il cielo, come il flash di una fotografia.
Vidi i nostri amici infiltrarsi nel bosco e correre in mezzo agli alberi per poi sparire dalla nostra vista.

Immediatamente capii che quella di ripararsi in una foresta durante un temporale non fosse l'idea migliore che avessimo mai avuto, ma dopotutto non avevamo altra scelta: dovevamo avere una copertura sopra le nostre teste se non volevamo che la W.I.C.K.E.D. ci trovasse, e tutti sapevamo benissimo che un temporale fosse mille volte meglio della W.I.C.K.E.D.

Io e Gally eravamo ormai a pochi metri di distanza dall'inizio del bosco quando un fulmine lasciò il cielo e si schiantò su uno dei primi alberi della foresta. La potenza del fulmine ci colpì con poco ritardo, costringendoci a indietreggiare velocemente e facendoci cadere a terra spaventati e sorpresi. Mi rialzai velocemente e scossi Gally che continuava a fissare terrorizzato l'albero che era appena stato colpito. Tirai il braccio del ragazzo e gli urlai di alzarsi in piedi, sebbene sapevo che le mie parole sarebbero state risucchiate dal rumore della tempesta che infuriava attorno a noi. Solo quando Gally si eresse in piedi, mostrandomi tutta la sua altezza, mi voltai a fronteggiare l'albero che era stato colpito e con sorpresa e terrore lo vidi andare a fuoco.

Indietreggiai di qualche passo spaventata, senza sapere cos'altro fare. Fu Gally a prendere in mano la situazione e a tirarmi dietro di lui mentre correva verso il bosco, cercando di mettere della distanza tra noi e l'albero colpito, ma pur sempre cercando di ricongiungersi con i nostri amici.

Lo seguii senza dire nulla, sebbene non fossi totalmente convinta che quella sua azione fosse sicura e priva di pericoli. Come risposta ai miei presentimenti, quando mi voltai indietro dopo essere entrati nella foresta, vidi gli alberi venire contagiati col fuoco causato dal fulmine e uno dopo l'altro bruciarono in una sequenza senza fine.
Nonostante ora fossimo immersi nel folto del bosco, potevamo ancora sentire il vento infuriare intorno a noi, anche se la sua potenza era diminuita leggermente.

Inciampai in una radice a terra e saltai all'avanti per evitare di perdere l'equilibrio, poi continuai a correre storta, cercando di riprendere la stabilità. Gally continuava a tirarmi all'avanti, mentre il suo volto si girava in ogni direzione, gli occhi spaventati che venivano illuminati dal fuoco vivo dietro di noi.
Ad un certo punto, mentre correvamo nella foresta, riuscimmo ad individuare i nostri amici muoversi a poca distanza da noi. Aumentando di un pochino la velocità riuscimmo a raggiungerli e ad unirci a loro. Anche i loro volti erano ricoperti di paura e nei loro occhi potevo leggere il terrore e la confusione nel cercare di capire cosa fare e come riuscire a scappare da quel disastro naturale in cui ci eravamo trovati.
Continuammo a correre in quella foresta che sembrava non voler finire mai, ma ben presto ci accorgemmo che fossimo a corto di tempo: il fuoco che prima sembrava seguirci alle spalle, ora si era dilagato tutto intorno a noi, radendo al suolo albero dopo albero. In poco tempo ci ritrovammo a tossire e ad asciugare i nostri occhi che ora lacrimavano, bruciando come se fossero andati a fuoco anch'essi.

Mi voltai un'altra volta, un'ultima volta, e ciò che vidi bastò a gelarmi il sangue nelle vene, nonostante tutto attorno a noi fosse in fiamme. In qualche modo il vento era riuscito a risucchiare l'incendio e creare insieme ad esso qualcosa di più grande e distruttivo: un tornado di fuoco era nato e sembrava provenire direttamente dall'inferno, racchiudendo le fiamme ardenti al suo interno.

*Angolo scrittrice*
Amiche care!
Ho una brutta notizia da darvi e no, non ho intenzione di abbandonare la storia, tranquille.

La brutta notizia è che questo è l'ultimo capitolo che pubblico per un bel periodo di tempo.

Why? Mi chiederete voi.
Questa mia esperienza in America si sta finalmente volgendo ad una fine: me ne andrò dal Michigan il 17 giugno, ma poi viaggerò con i miei genitori negli USA fino al 7/8 luglio, con la conseguenza che, tra tutti i documenti da preparare, tutte le valige da fare, tra un viaggio e l'altro, le lacrime e gli addii, non avrò nè il tempo nè la voglia di scrivere.

A questo punto voi direte: Aspetteremo quando tornerai in Italia, allora!
Ehm... non proprio.

Be', cercate di capirmi: quando tornerò sarò sommersa di emozioni. Le mie giornate d'estate, almeno per il primo mese, saranno piene di serate con gli amici, pomeriggi in famiglia, gite al mare e dai parenti, e notti insonni scandite dal ronzio delle zanzare, ore passate a pensare a ciò che ho abbandonato negli Stati Uniti. Insomma, in breve sarà un periodo molto overwhelming e travolgente per me, cercate di comprendere, pls. Mi sentirò come se avessi un tornado di emozioni contrastanti (he he, ho fatto la battuta) e non credo che sarò capace di concentrarmi sulla storia e pubblicare buoni capitoli, almeno non finché sarò in grado di ricreare una sorta di equilibrio e stabilità nella mia nuova/vecchia vita.

Lo so che questa storia sta andando a rilento, ma vi prometto che quando rinizierà la scuola io tornerò ad essere puntuale come prima e spero di riuscire a pubblicare una volta ogni tre giorni. Spero, ma non prometto!

Sappiate che anche se sono in pausa, continuerò a leggere tutti i vostri commenti e messaggi, quindi sentitevi libere di scrivermi, proprio come alcune di voi hanno fatto per questo mio soggiorno in America.

In fine, vi voglio ringraziare un sacco per avermi supportata durante questo viaggio, per avermi mostrato il vostro calore e soprattutto per avermi mostrato pazienza e comprensione, anche quando i capitoli ritardavano ad arrivare e quando ciò che scrivevo non era il massimo.

Grazie, veramente. Se sono riuscita a vivere questa esperienza fino alla fine, senza mai gettare la spugna, è anche merito vostro ♥️
Grazie di cuore.

Baci,
Inevitabilmente_Dea aka Elena :3

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Capitolo 33
*** I'm still alive, I promise ***


Come già dice il titolo, volevo solo farvi sapere che sono ancora viva. So che sono sparita per mesi senza dare mie notizie e ultimamente la mia attività su Watt è stata silenziosa: guardavo le notifiche, leggevo i commenti, rispondevo... Insomma, ho fatto di tutto a parte scrivere, in questi mesi.

Quindi, facendola breve, vi dico ciò che tutte state morendo dalla voglia di sentire: no, non ho abbandonato la storia e sì, ho ancora intenzione di continuarla e FINIRLA.

Sto lentamente lavorando sulla storia e anche se non ho scritto nulla, ho fatto una scaletta delle cose che voglio far accadere, ho steso una specie di finale, delineato gli eventi più importanti e altro che mi servirà una volta che riprenderò a pubblicare. 

Quando arriverà il prossimo capitolo? Progetto di pubblicare il nuovo capitolo in un giorno qualsiasi, che può andare da inizio settembre al 15 dello stesso mese.

Se entro il 30 settembre non ho ancora pubblicato nulla siete autorizzate a linciarmi. :3

Per quanto riguarda il motivo della mia sparizione, be' ho delle spiegazioni da darvi.

Partiamo, ovviamente, dalla vacanza che ho fatto con i miei negli USA. Ovviamente in quel periodo non avevo proprio tempo per scrivere.

Una volta tornata ho passato più di un mese tra uscite con amici, giornate con i parenti e serate passate a godermi la mia vita in Italia. Insomma, anche in questo periodo non avevo proprio voglia di aprire il computer e mettermi giù a scrivere.

Dopodichè è arrivato lo studio. Maree di libri di testo, tsunami di fogli con appunti, una onda anomala di sapere che in pratica avrei dovuto ━ in realtà ho fallito miseramente ━ ficcare nella mia testa in qualche modo, e ciò implicava rinchiudersi in casa ed escludersi dal mondo, manco avessi la caspio di Eruzione. Tutto questo perchè a fine agosto dovrei avere gli esami su tutte le materie, perciò mi sono dovuta recuperare tutto il programma che le mie compagne di classe hanno fatto l'anno scorso, mentre io ero negli USA. Sto tutt'ora studiando, ma siccome mi sono accorta di non aver dato nessun avviso del mio essere ancora in vita, ho realizzato che avreste potuto supporre molto facilmente che fossi morta.

Perciò: Hey! Sono ancora viva!

Escludendo tutte queste informazioni confuse sul perchè sono sparita improvvisamente, c'è altro che dovrei dirvi.

Una lettrice del libro mi ha posto alcune domande riguardo il mio exchange year all'estero, perciò mi domandavo se  ━ ora che ho terminato quest'esperienza  ━ ci fossero domande al riguardo. Bombardatemi pure qui sotto nei commenti o scrivetemi in privato. Raccoglierò tutte le questioni e le racchiuderò in un capitolo di risposta, come quelli precedentemente fatti.
Spero di risentirvi presto e soprattutto spero che questa attesa non vi abbia spazientite, hehe.

Baci,

sempre vostra Elena ღ

PS: sto anche lavorando anche sul mio italiano, dato che da quando sono tornata non faccio altro che usare la lingua in modo strano o scorretto (a volte, purtroppo, entrambi i modi allo stesso momento). Perciò se vedete errori, abbiate misericordia e pazienza nel segnalarmeli: provvederò a correggerli il prima possibile!

 

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Capitolo 34
*** Il Dolente risponde ***


Eccomi qui, come promesso sono tornata per darvi delle risposte alle domande che mi avete posto. Spero di darvi la spiegazione più esauriente per ogni questione :3

Partiamo da KATNISS4102002 che mi chiede:
1. Consiglieresti quest'esperienza? 
1. Certo! Ho sempre pensato (e penso tutt'ora) che con un'esperienza del genere si ha sempre una marcia in più rispetto agli altri. E non parlo solo di un puntino in più nel curriculum quando cercherete lavoro, ma anche di un'indipendenza maggiore rispetto ai vostri amici, per non parlare poi del livello che raggiungerete nella lingua usata dal vostro paese di scelta (nel mio caso l'inglese - anzi, l'americano). 

2. Quale consiglio daresti a qualcuno che sta pensando di fare un exchange year all'estero? 
2. Vi direi di credere in voi stesse/i. Mi ricordo che prima di partire molte persone mi dicevano "dieci mesi sono molti, sicura di farcela?" oppure "sarà difficile, sicura che vuoi partire?".

E a me nel frattempo nasceva un senso di sfida: volevo dimostrare a tutte quelle persone che ce la potevo fare, che avrei concluso tutti i dieci mesi. Mi ero posta l'obbiettivo di completare l'esperienza per poi tornare in Italia e dire a testa alta: "sì, ce l'ho fatta. Sorpresi, vero?"

In realtà poi avrei anche voluto ricoprirli di insulti pesanti, ma ragazze, ricordatevi che si deve vincere sempre con eleganza 😌

3. Costa molto? 
3. Sì, parecchio. Però poi il prezzo cambia in base a quanti mesi decidete di fare all'estero, dall'associazione con cui decidete di partire, da che tipo di visto dovete fare, eccetera.

Ma c'è una buona notizia: esistono le borse di studio che le persone secchione che non hanno un soldo (come me, hehe) possono richiedere. Poi ovviamente ci sarà una classifica per determinare chi effettivamente può accedere alla borsa di studio e chi no.

4. Qualche suggerimento per convincere mia madre a farmi partire?
4. Falle una lista di tutte le cose positive che ricaverai da questa esperienza e ricorda: anche le esperienze negative ci insegnano tanto!

Poi dipende anche dal motivo per cui non ti vuole far partire. Se é un problema di soldi accenna le borse di studio, se é un problema di indipendenza dimostrarle che puoi essere responsabile, se é un problema affettivo dille che alcune associazioni permetteranno ai tuoi genitori di venirti a trovare dopo la prima metà del programma all'estero (nel caso in cui deciderai di fare dieci mesi).

5. Lo rifaresti?
5. Sí, lo rifarei volentieri, ma in un luogo è in una famiglia diversa (io e la mia famiglia ospitante non andavamo molto d'accordo).

Infatti sto già progettando di fare qualche settimana da volontaria in Africa la prossima estate e di fare un anno in un paese d'Europa durante l'università.

6. Come si sono comportati gli altri studenti al tuo arrivo?
6. Io ho avuto la sfiga di andare a finire in un paesino con persone di mentalità molto chiusa, quindi la maggior parte di loro non mi parlava nemmeno. Gli studenti che invece facevano eccezione e che sapevano distinguere un Exchange Student da un immigrato (sí, la maggior parte della gente era pure ignorante) sono diventati miei amici molto velocemente. C'erano anche altre due Exchange Student con me ed eravamo legatissime!

7. Manterrai i contatti con loro?
7. Sí, li sto mantenendo anche se é difficile perché abbiamo orari diversi e numerosi impegni che ci intralciano la strada.

8. Trovi che quest'esperienza ti abbia migliorata, in qualche modo?
8. Sí, parecchio. Ora sono molto indipendente, sono più ordinata (nonna e mamma apprezzano), sono più sicura di me stessa, la timidezza é sparita del tutto, sono più distaccata (nel senso che molte cose non mi toccano più, come gli insulti o i commenti negativi della gente), ho imparato a preoccuparmi delle cose importanti e a lasciar perdere quelle che non ne valgono la pena (ad esempio i filmini mentali). 
Ah, e ovviamente padroneggio l'inglese come una madrelingua (scherzo, non credo di essere arrivata a quel livello, però sono migliorata tantissimo).

@selma_essalhi mi chiede:
1. La sensazione che hai provato quando sei ritornata in Italia? Io non riesco a stare lontana più di un mese da questo paese, figuriamoci un anno 😂
1. Be', in effetti la parte più difficile dell'anno all'estero é saper controllare e convivere con la malinconia. Per fare ciò devi contare su tre cose:
Te stessa: se non impari a stare da sola, a sentirti a tuo agio con i tuoi pensieri e i tuoi silenzi, se non riesci ad essere tu la migliore amica di te stessa, allora sei fregata. Devi essere in grado di contare su te stessa, perché non sempre potrai fare affidamento sugli altri.

La tua Host Family e i tuoi amici di scuola: in questo caso però non sapete dove andrete a finire, quindi potreste capitare bene come potreste capitare male (e in questo caso ritorniamo al discorso riferito al contare su se stessi). 
 

giorgia__27 mi chiede:
1. Com'è la vita negli U.S.A.? 
1. Molto diversa da quella italiana. Ma davvero? Non me lo sarei mai immaginata. 
A parte gli scherzi, è bella, perché ti senti finalmente adulta, in grado di prendere  decisioni importanti da sola, perché vieni a contatto con una cultura diversa e persone diverse.

É difficile, perché ci saranno spesso incomprensioni (e poi risate dopo aver chiarito), perché per i primi mesi vi sentirete fuori posto e non capirete quasi nulla di quello che vi diranno.

É unica, perché ogni paese ha una storia diversa e di conseguenza avrà qualcosa di speciale in serbo per voi.

É frustrante, perché a volte vi sembrerà di non fare progressi o perché non sempre capirete la loro mentalità e la loro cultura.

É soddisfacente, perché anche se compirete piccoli passi sarete fiere/i di voi stesse/i.

É malinconica, perché capiterà che a volte vi sentirete sole/i.

É stupefacente, perché farete esperienze che non avreste mai immaginato e sperimentato se foste rimaste/i in Italia.

2. Come sono le persone di là? 
2. Molto gentili! Sempre disponibili ad aiutare e molto pazienti, soprattutto quando si tratta di aiutare uno straniero o un turista. A volte però possono risultare fastidiose per via dell'eccessivo patriottismo: prendono qualsiasi commento come un insulto e credono di essere i re del mondo, quelli che risolvono sempre la situazione, insomma, i migliori in tutto, quindi spesso non riconoscono i propri sbagli.

3. Il cibo è stato di tuo gradimento?
3. Mah... diciamo 50/50. Oddio, il cibo nei ristoranti é molto buono e anche i miei host parents erano molto bravi a cucinare, ma il cibo è pieno zeppo di roba chimica e grassi. Ho preso ben 10 kili! Mi basta dire che spesso nel frigo io trovavo più salse che cibo vero.
Una volta a casa di una amica, come spuntino, mi ha preparato il cioccolato alla vaniglia messo a mollo nella Coca Cola. Esatto, questi si mangiano il "gelato" (tra virgolette perché non ha nulla del gelato italiano) dentro la coca.

4. Ti senti ancora con gli amici che hai conosciuto?
4. Sí, ci teniamo ancora in contatto, anche se é difficile farlo con costanza. 


 

Perfetto, le domande sono finite, quindi io vi lascerei anche andare! Spero che le mie risposte siano state esaustive, ma se ne avete altre da pormi non esitate a commentare.

L'unica domanda proibita che non dovete mai fare é: ma Newt dov'è?

Elena: esatto, dicci dov'è Newt, brutta baldr...

Gally: hey hey hey! Rimaniamo nel family friendly, per favore.

Zart: siete usciti dal family friendly quando avete iniziato a parlare di me e Glader.

Elena: ma tu non eri morto?

Zart: proprio come Newt.

Glader: boom bitch.

Elena: IO TI AMMAZZO. *inizia a rincorrerlo*

Gally: meglio che vado a fermarla prima che ci scappi il morto. 

 

Okay, a parte questo sclero temporaneo, vi auguro una buona serata. 
Baci, 
Elena :3

PS: per chi si stesse chiedendo il motivo del titolo, ricordatevi che io sono un Dolente. Esatto, la vostra amata scrittrice é un mostro del Labirinto che tenta di ingannare le vostre menti scrivendo dal punto di vista di uno dei buoni. Il mio piano malefico sta riuscendo alla perfezione MUAHAHAHHAHAHA

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Capitolo 35
*** Capitolo 29. ***


Mi voltai immediatamente e ritrovai Gally fisso con lo sguardo alle nostre spalle, come se anche lui avesse percepito il pericolo e volesse osservarlo con i suoi stessi occhi. Vidi il suo volto perdere colore e i suoi occhi spalancati dal terrore rispecchiavano le fiamme del fuoco che continuava a crescere attorno a noi.

Urlai al ragazzo, ma la voce mi si incastrò nella gola, costringendomi a tossire . Strinsi gli occhi annebbiati dal fumo e li strofinai, riuscendo solamente a farli bruciare ancora di più. 
Tirai Gally per un braccio, ma lui sembrò essersi pietrificato sul posto, lo sguardo ancora incatenato alle fiamme ardenti e le gambe tremanti fisse sul terreno.

Gridai il suo nome nel panico più totale e mi voltai verso i miei amici nella speranza che almeno loro potessero aiutarmi, ma ben presto realizzai di averli persi tra gli alberi. 
Diedi uno strattone al braccio del ragazzo, poi un altro ancora, urlai il suo nome e lo scossi, ma lui sembrava non riuscire a muoversi, pietrificato dal terrore.

Solo quando un altro albero vicino a noi prese fuoco Gally sembrò mostrare segni di vita. Il ragazzo indietreggiò spaventato e mi rivolse lo sguardo, tanto terrorizzato e confuso quanto lo era il mio. 
Poi tutto accadde velocemente: un albero vicino ad entrambi scoppiettò ed iniziò a cigolare in modo sinistro, prendendo fuoco e lanciando fiamme attorno a sé come una bomba. Sia io che Gally cademmo a terra per la sorpresa, ma quando io mi rialzai, lui non lo fece.

Mi ci volle qualche secondo per processare ciò che stava succedendo, ma le sue grida di dolore erano alte e chiare. Strabuzzai gli occhi quando vidi le fiamme avvolgere il ragazzo e continuare a bruciare sulla sua schiena. La mia mente si spense totalmente, rimanendo nera e vuota mentre le urla disumane del ragazzo continuavano ad incenerire il mio cuore.

Sentii le mie gambe tremare e la confusione prendere il sopravvento. Cosa dovevo fare? 
Continuai a voltarmi a destra e a sinistra nel tentativo di trovare qualcosa da gettare addosso al ragazzo, ma trovai solo aghi secchi che avrebbero causato l'effetto contrario a quello voluto.

Poi i miei occhi si posarono su un pezzo di terra nascosto da foglioline secche: al di sotto di esse si intravedeva uno strato spesso di muschio verde. 
Bingo. Pensai abbozzando un sorrisetto.

Senza attendere oltre mi fiondai sul muschio, scacciando via le foglie secche con violenza e velocità, poi una volta fatto risalire il verde in superficie mi voltai e corsi verso Gally, che nel frattempo aveva iniziato a rotolarsi sull'erba, urlando come un forsennato.

Non appena lo raggiunsi mi chinai su di lui e tentati di chiamare il suo nome, ma tra la confusione e il dolore lancinante il ragazzo non riuscì a sentirmi. 
Tentennante e con le braccia tremante allungai le mani verso la maglia del ragazzo, mugugnando e reprimendo l'istinto di ritirare subito i palmi quando il fuoco entrò in contatto con la mia pelle, bruciando immediatamente.

Iniziai a sudare freddo e soffocando uno strillo acuto tra i denti, afferrai Gally sotto le ascelle e iniziai a tirarlo verso lo strato di muschio, incanalando tutta la forza che avevo in corpo per contrastare il dimenarsi continuo del ragazzo che di certo non mi facilitava l'impresa.

Non appena fui sopra il muschio lasciai cadere il corpo pesante di Gally, che riprese a rotolarsi come un forsennato urlando a squarcia gola in quello che era il lamento più straziante e tormentato che io avessi mai sentito. Quando trovai di nuovo il coraggio di avvicinarmi al ragazzo, iniziai a battere le mie mani sulla sua schiena, in modo di attutire il fuoco e farlo cessare quanto prima.

Continuai a battere anche quando il fuoco prese a divorare la pelle dei miei palmi e non smisi di farlo finchè l'ultima scintilla non si spense sulla schiena di Gally.
Solo a quel punto mi permisi di cadere in ginocchio accanto al ragazzo e a rilasciare un singhiozzo soffocato, prodotto del terrore e dello shock momentanei. Non persi nemmeno tempo a controllare la condizione delle mie mani e subito gattonai il più vicino possibile al ragazzo che, con mio stupore, era ancora cosciente.

Lo rigirai a petto all'insù in modo che potesse respirare meglio, poi mi guardai attorno allarmata. Non avevo tempo per controllare lo stato delle sue ferite, nè di medicarle: prima dovevamo metterci in salvo e se non avessimo iniziato a muoverci, non saremmo stati capaci di vedere la fine di quell'inferno vivente.

Alzando prima un ginocchio e poi l'altro tirai su Gally che mi ruggì contro, accecato dal dolore. "Lo so, lo so..." mormorai cercando di far nascere un po' di spirito di lotta nel ragazzo. "Dobbiamo andarcene, Gally. Ora. Se ti sorreggo riesci a camminare?" domandai nella speranza che il ragazzo comprendesse a pieno le mie parole e mi dicesse proprio ciò che volevo sentire.

Osservai il suo volto madido di sudore e storto in una smorfia di dolore in attesa di ricevere una qualsiasi risposto, poi finalmente lo vidi annuire e mugugnare controvoglia, probabilmente lottando contro ogni cellula del suo corpo che gli diceva di abbandonarsi a terra ad aspettare che la sorte facesse il resto. Senza attendere oltre lo sollevai con fatica e iniziai a muovermi passo dopo passo, un braccio attorno alle costole di Gally e una mano intenta a sorreggere il suo arto che penzolava oltre la mia spalla. Tentai di aumentare la velocità dei miei movimenti, ma non feci altro che sprecare energia preziosa per senza nulla: il peso morto del ragazzo, mischiato al fumo che bloccava i miei polmoni come cemento armato, non faceva altro che annebbiare i miei sensi.

Ben presto mi ritrovai a boccheggiare in cerca di ossigeno, colta alla sprovvista dal fiatone. Potevo sentire il sudore infuocarsi sulla mia pelle ed evaporare immediatamente prima di lasciare il mio corpo per finire a terra; i miei occhi si erano fatti sempre più secchi e infuocati, bruciando come dannati; la mia mascella serrata nel tentativo di soffocare un grido di aiuto e panico; le mie gambe tremanti e sempre più incerte nel sostenere sia il mio peso che quello di Gally.

"Forza." mormorai al ragazzo, ma prendendolo anche come un incoraggiamento per me stessa.

Trascinai le mie gambe in avanti, lottando contro la voglia di abbandonare tutto e fermarmi a prendere un minuto di riposo, poi strizzai gli occhi nel tentativo di inumidirli quanto bastasse per rendere la mia vista meno sfocata. La testa prese a girarmi, sempre più pesante, e il petto venne perforato dai colpi di tosse sempre più frequenti, ma continuai per la mia strada, decisa a non mollare.

Mi guardai attorno velocemente e il panico diramò le sue radici nel mio petto quando mi accorsi che nemmeno tutti i miei sforzi erano serviti a guadagnare un pochino di vantaggio sul fuoco. Mi voltai nuovamente all'avanti giusto in tempo per cogliere una figura scura e sbiadita muoversi verso di noi. Dopo qualche secondo la figura sparì dietro alle sagome degli alberi, poi riapparve dal nulla, ma questa volta si era sdoppiata.

Sbattei le palpebre e per poco non incespicai: dovevo stare attenta a dove mettevo i piedi, non dovevo distrarmi. Così puntai di nuovo lo sguardo a terra, focalizzata sul'evitare radici scoperte e rami caduti, almeno finchè non sentii un grido propagarsi nell'aria.

Se i miei sensi non mi ingannavano e se ancora le mie orecchie erano funzionanti, il suono non era stato emesso da Gally ma era arrivato da qualche metro di distanza da noi, probabilmente da davanti, dato che dietro di noi regnava solo cenere, portata dalla distruzione causata dall'incendio attecchito dal fulmine.

Il mio sguardo attuò una circospezione veloce dello spazio che si protraeva per metri davanti a noi e colsi nuovamente il movimento di quelle due figure che avevo notato prima. Forse quella visione non era stata solo il frutto della mia immaginazione o disperazione, forse c'era veramente qualcuno che ci stava correndo incontro.

Stremata dalla fatica, ma animata dalla speranza, tirai un urlo disperato: "Aiuto!"

Feci un altro passo in avanti quando vidi le figure avvicinarsi sempre di più, la speranza e l'attaccamento alla vita mi stavano alimentando della forza necessaria ad uscire da quella situazione. Se quelle due figure non erano solo una mia visione, ma appartenevano veramente a qualcuno che era tornato indietro per venire a cercarci, allora forse c'era davvero una speranza. Continuai a muovermi in avanti, questa volta più velocemente, fino a quando la voce sommessa di Gally mi fece sussultare. Il ragazzo, che fino a quel momento era rimasto in un silenzio di tomba, aveva iniziato a mormorare qualcosa, ancora e ancora, ma solo dopo la quarta volta riuscii a comprendere le parole che aveva pronunciato: "Basta, ti prego."

Vidi il ragazzo alzare la mano libera in avanti e, con una fatica assurda, la allungò verso di me, senza però riuscire a sfiorarmi. Il braccio ricadde morto lungo il suo fianco, ma questa volta anche il resto del suo corpo sembrò cedere e le gambe del ragazzo si piegarono, abbandonando all'improvviso tutto il peso del ragazzo su di me. Mi gettai sotto di lui nel tentativo di afferrarlo al volo e cercai in tutti i modi di sorreggerlo, ma non riuscii a rimanere in equilibrio, cadendo di schiena sul terreno duro, che mi diede il colpo finale e, mischiato al peso del ragazzo sopra di me, mi tolse il respiro.

Il dolore non venne subito, ci fu infatti un sottile momento di pace in cui, come per magia, tutto sembrò svanire nel fumo, ma quando il tutto tornò alla normalità, tutte le sensazioni si riversarono sul mio corpo partendo da un punto ben preciso: la mia testa.

Il bruciore, il dolore, la fatica, il sudore, la mancanza di ossigeno... tutto esplose dentro di me con una forza micidiale che mi annebbiò la mente. Il mondo si fece pesante, offuscato; i colori iniziarono a mischiarsi tra di loro, oscillando sempre di più verso l'oscurità; le mie labbra si aprirono nel tentativo di chiamare il nome di Gally, ma rimasero immobili, la lingua rattrappita dalla secchezza; il cuore, dopo aver raggiunto il picco della sua velocità, aveva iniziato a calare e ora nelle mie orecchie rimbombava il suono di esso, come rintocchi secchi di un vecchio orologio.

Incanalai le mie ultime energie per sollevare le mani sul volto di Gally e alzarlo verso il mio. I suoi occhi erano chiusi, contornati dalle sue ciglia scure e la sua bocca era semiaperta, ma secca tanto quanto la mia. Assottigliando gli occhi riuscii a malapena a vedere le piccole e disordinate lentiggini che partivano dal suo naso e andavano poi a scomparire sulle sue guance in quel momento prive del loro colore naturale. Il volto del ragazzo mi fronteggiava pallido come il lenzuolo della morte e imperlato di sudore.

Un ultimo pensiero attraversò la mia mente prima di cedere al dolce cullare delle tenebre: dopo tutte le battaglie e le sofferenze affrontate, era questo che il destino aveva in serbo per me?

Pensavo sarei morta corrosa dai miei stessi sentimenti, ma apparentemente sarebbe stato il fuoco esterno a ridurmi in cenere.







 

Il mio risveglio non avvenne in modo particolarmente tranquillo, nè graduale: i miei occhi si spalancarono al suono di un urlo acuto.

Prima ancora che riuscissi a capire cosa stesse succedendo scattai a sedere e il mio primo istinto fu di agitare un braccio nel vuoto, intento a colpire forse l'aria o forse la causa del dolore che sentivo provenire dalla mia mano destra. Il mio pugno apparentemente centrò qualcosa di duro e un altro grido, questa volta più profondo, fendette l'aria, unendosi all'altro grido acuto che non era mai cessato.

L'urlo non finí finchè una mano non si posò sulle mie labbra, serrandole e interrompendo quel suono, facendomi rendere conto solo in quell'istante che ero io l'artefice di quel lamento acuto.

Sbattei le palpebre pesanti e nonostante avessi gli occhi aperti da un pezzo, solo in quel momento venni catapultata nella realtà e iniziai realmente a vedere il mondo intorno a me.

Mi guardai attorno: ero stesa a terra su un prato verde e rigoglioso, totalmente in contrasto con il terreno su cui ero svenuta durante l'incendio; l'aria era fresca attorno a me o, ancora meglio, addosso a me, dato che i miei vestiti erano totalmente bagnati, in particolare la parte superiore del mio corpo; le mie narici inalavano ossigeno libero da ogni sorta di fumo, nonostante potessi ancora captare la puzza di bruciato e l'odore insopportabile carne cotta.

Mi voltai lentamente verso sinistra e incrociai lo sguardo di due occhi azzurri e premurosi: quelli di Stephen. Sbattei le palpebre e annuii leggermente, facendogli segno che ero tranquilla e che poteva togliere il suo palmo ancora appoggiato sulla mia bocca.

Come richiesto il ragazzo scivolò via e mi si inginocchiò accanto, squadrandomi attentamente. Feci per bombardarlo di domande, quando un mugugno appena accentuato attirò la mia attenzione dalla parte opposta. Mi girai a destra e notai il corpo di Minho rannicchiato di fianco a me, intento a tenersi la mascella tra le mani, come se volesse prevenire la sua caduta improvvisa.

Corrugai la fronte e mi guardai il pugno, comprendendo all'istante che ero stata io a colpire il ragazzo per sbaglio. Quando dischiusi le nocche e voltai la mano per osservare il mio palmo, rimasi allibita alla sua vista: la maggior parte del mio strato superficiale di pelle era stata corrosa, lasciando intravedere sotto una patina viscida di sangue, mista ad un'acquiccia giallognola e maleodorante.

Aprii la bocca in una smorfia di dolore e disgusto, poi allontanai il palmo, lasciando perdere quella vista orribile. Mi concentrai di nuovo su Stephen, archiviando per un secondo la "questione Minho": mi sarei scusata col ragazzo più tardi, prima dovevo sbrigare altre questioni più importanti.

Mi girai nuovamente verso Stephen, pronta a sommergerlo di domande, quando all'improvviso mi torno in mente la figura sofferente di Gally e tutte le domande che volevo fare sparirono e si fusero tutte in una: "Dov'è Gally?" chiesi preoccupata.

Stephen mi osservò per qualche istante, forse cercando le parole giuste per rispondere. Alla fine il ragazzo decise di fare un singolo cenno con il mento, indicando alle sue spalle e poi facendosi lentamente da parte, permettendomi solo di vedere la sagoma di Jorge e Brenda, girati di spalle e chini su un corpo steso a terra.

Senza attendere altro, mi sollevai in piedi cercando di non fare troppo peso sulle mani ancora doloranti, poi affrettai il passo ancora incerto e tremante verso le tre figure situate vicino ad un laghetto calmo e pulito.

Jorge mi scorse con la coda dell'occhio e subito toccò la spalla di Brenda, indicandomi con un cenno di mento. Vidi la ragazza voltarsi di profilo e osservarmi con attenzione, mordendosi un labbro forse per concentrarsi meglio. Poi il volto della ragazza si rilassò e si fece velocemente da parte, permettendomi di vedere il volto a tratti rosso e a tratti nero di Gally.

Il ragazzo aveva ancora gli occhi serrati, le labbra invece erano schiuse in una smorfia di dolore. Il petto si alzava e si abbassava velocemente, facendomi capire che stesse prendendo dei respiri corri e veloci. 
Quando il ragazzo emise un lamento soffocato, simile ad un singhiozzo, compresi che fosse sveglio.

"Non fa altro che svenire e rivenire per colpa del dolore." spiegò Jorge con un tono preoccupato. "Abbiamo provato a immergerlo nel lago per diminuire il dolore, ma sembra non funzionare. Se non lo curiamo gli prenderà un'infezione e questa è l'ultima cosa che ci serve."

*Angolo autrice*

Salve Pive!
Sí, sono viva e sí, mi dispiace tantissimo per questi mesi di silenzio assordante.
Potrei starvi a spiegare le mille cose che mi sono successe o potrei semplicemente scusarmi per quest'assenza.
In questi mesi ho cambiato molto della mia vita... dopo essere tornata dall'America ho capito tante cose su di me, su quello che voglio essere e quello che voglio fare. 
Ho preso alcune decisioni giuste, altre stupide, però diciamo che per ora sono in una fase abbastanza tranquilla della mia vita, anche se super impegnata.
Sto prendendo la patente, sto andando in palestra per migliorarmi fisicamente, sto studiando molto per arrivare a prendere un buon voto alla maturità e sto anche passando più tempo coi miei amici e il mio ragazzo. Pensate che mi sono perfino creata una nuova cerchia di amici e ho conosciuto molte persone nuove.
Insomma, ho dato una svolta alla mia vita. 
Quindi no, non sono stata tutti questi mesi a girarmi i pollici, ma ho fatto qualcosa di costruttivo.

Detto ciò, passiamo a ciò che vi interessa davvero: hai intenzione di smettere il libro? No, nope, nein, noh.
Quindi riprenderai a pubblicare come prima? Ehm, no... purtroppo tutti questi impegni mi impediscono di scrivere quotidianamente come facevo prima e di certo al momento ho la testa un po' altrove.
Peró prevedo che quest'estate le pubblicazioni saranno più rapide, almeno finché non andrò all'università.

Detto ciò... come vi sembra il capitolo? 
Qualche novitá che vi sono successe e che volete raccontarmi? 
Impressioni, domande, insulti e consigli che volete dedicarmi? 
Come sempre sono tutt'orecchi!

Dalla vostra Elena ♥️

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Capitolo 36
*** Capitolo 30. ***


Fu come se Gally avesse percepito la mia presenza vicino a lui, perchè non appena mi inginocchiai al suo fianco il ragazzo schiuse leggermente gli occhi e li fissò su di me, e per un attimo sembrò quasi che quel contatto visivo avesse alleviato il suo dolore fisico. 

 

Mi lanciò uno sguardo che implorava salvezza e, anche se i suoi occhi parlavano da soli, il ragazzo tentò comunque di aprire la bocca per comunicare, ma dalle sue labbra uscì solo qualche mormorio soffocato ben presto da dei grugniti di dolore. Gally serrò gli occhi, scosso probabilmente da una fitta improvvisa, ma nonostante tutto volette provare di nuovo ad aprirli per guardarmi.

Le sue pupille, più dilatate del normale, si focalizzarono di nuovo su di me e una scarica di tensione mi pervase la schiena. Sapevo che dovevo aiutarlo in qualche modo, volevo aiutarlo. Era quello il pensiero fisso nella mia mente.

Vedere Gally in quel modo sbloccò come un interruttore nella mia testa. Non dovetti neanche pensarci su troppo, mi alzai in piedi con uno scatto e mi spostai dietro le spalle del ragazzo, ordinando e Jorge di aiutarmi a trasportare il suo corpo dentro il laghetto.

L'uomo fece come richiesto e con tutta la delicatezza che avevamo, riuscimmo ad immergerlo totalmente dentro l'acqua. Jorge uscì dal laghetto e agitò le gambe nel tentativo di asciugare i pantaloni inzuppati, io nel frattempo rimasi a sorreggere la testa del ragazzo fuori dall'acqua, sussurrandogli parole dolci all'orecchio nel tentativo di calmarlo.

Cento nomi di erbe curative diverse spuntarono nella mia mente, ma per mia sfortuna poche erano reperibili nel luogo in cui ci trovavamo. Riflettei ancora sulla questione... ci servivano bende, disinfettanti, infusi... non saremmo mai stati capaci di trovare tutto ciò in un luogo e in una situazione del genere.

Alzai lo sguardo su Brenda. Non avrei mai pensato di chiederle aiuto, ma al momento mi serviva qualcuno che fosse svelto e attivo. "Tu e Violet dovete andare a cercare due specie di fiori." ordinai con voce ferma, dando loro giusto un'occhiata per vedere se mi stessero prestando attenzione. Poi ritornai con lo sguardo su Gally, accarezzandogli una guancia. "Se abbiamo fortuna forse riuscirete a trovarne almeno uno." continuai a voce alta, anche se in realtà voleva essere una rassicurazione per me e il ragazzo. "Se ci riuscite, riportateli subito qua. Raccoglietene in quantità."
Riportai alla mente il nome di quei due fiori e il loro aspetto, poi iniziai a descriverle in modo dettagliato alle due ragazze. Quando ebbi finito di spiegare, mi rivolsi a Violet con uno sguardo preoccupato: "Ti ricordi ancora che forma hanno, vero? Le avevamo studiate insieme..."

La ragazza mi sorrise compiaciuta e mi fece l'occhiolino, rispondendo in modo positivo alla mia domanda.

Era molto difficile che le ragazze riuscissero a trovare entrambi i fiori nello stesso luogo, ma la mia disperazione era così elevata da farmi aggrappare alla speranza che l'improbabile diventasse possibile. Entrambi i fiori avevano delle capacità curative non indifferenti. Le radici del primo fiore, l'Echinacea, potevano essere anche considerate droga, perchè capaci di stimolare l'organismo a reagire in determinate condizioni di stress, oltre ad essere sedative e antibatteriche. Il secondo fiore, ovvero la Calendula, era altrettanto utile e ottima come rimedio contro le ustioni. 

Purtroppo limitarsi a mettere Gally a mollo nell'acqua non sarebbe bastato a curarlo. Certo, avrebbe raffreddato la pelle e limitato i danni ai tessuti in superficie, ma servivano impacchi efficaci. L'ustione si sarebbe potuta curare e cicatrizzare nel giro di un mese, se avevamo fortuna e se eravamo capaci di evitare infezioni batteriche magari anche prima. 

Le ragazze partirono immediatamente, Violet ripetendo velocemente a Brenda le caratteristiche delle due piante. 

Io invece rimasi al fianco di Gally, incapace di lasciare il ragazzo e andarmene a fare la mia parte anche io. Per la prima volta il pensiero di perdere davvero il ragazzo aleggiava nella mia testa senza trovare riposo. Mi sistemai meglio di fianco a lui, rinforzai la presa sul suo corpo cercando sempre di essere delicata. Con un braccio lo sorreggevo sotto la schiena, come si fa con un neonato, e con l'altra gli scostai delicatamente qualche ciocca dal viso così pallido e allo stesso tempo arrossato in posti insoliti. 

Feci per togliere la mano dal ragazzo quando lui inspirò violentemente per il dolore e fece una smorfia, feci per spostarmi, ma vidi la sua mano emergere a fatica dall'acqua e cercare la mia. Incrociai le mie dita con le sue, poi il ragazzo riportò il mio palmo ad accarezzare il suo volto, alla ricerca di un contatto affettivo che levigasse il suo dolore almeno in parte.

Abbozzai un sorriso che però sentivo che si sarebbe potuto rompere in pianto in ogni momento che passava. I miei pensieri e tutte le preoccupazioni vennero messe in pausa quando il ragazzo tentò di far uscire qualche parola soffocata dalle labbra secche e rotte in diversi punti.

"Non..." tentò con voce rauca. Lo vidi deglutire, poi fare una smorfia di dolore, ma non mollò e provò ancora. "Non lasciarmi." disse, poi con voce spezzata aggiunse: "Ti prego."

Avvicinai le mie labbra al suo viso e una mia ciocca ribelle cadde sulla sua guancia. La tolsi in fretta e mi avvinai al suo orecchio, in modo che potesse sentirmi lui e soltanto lui. "Mai, Gally." sussurrai. "Mai."

Sul volto del ragazzo si formò una pace insolita, che fece rilassare tutte le rughe e le crepe sul suo volto, poi svenne di nuovo.

 

 

 

Violet e Brenda ci avevano messo abbastanza tempo prima di tornare con l'occorrente e la cosa mi aveva spazientita, ma il bottino con cui erano tornate era così stupefacente da farmi rallegrare subito. Mi ero messa subito all'opera non appena le ragazze mi avevano consegnato tutti i fiori raccolti. Feci qualche impacco di Calendula, poi utilizzai la radice di Echinacea con attenzione.

Dopo aver fatto stendere Gally sul prato e averlo curato, il ragazzo era piombato in un sonno agitato, ma almeno sembrava già essere più tranquillo di prima. Forse era tutta una cosa psicologica, come l'effetto placebo che inganna la tua mente e fa sì che sia la tua convinzione nel potere del farmaco a farti stare meglio, piuttosto che il farmaco in sè e per sè. Oppure, cosa che speravo fosse vera, le mie capacità da Medicale erano ancora attive e per una volta avevo fatto la scelta giusta.

Dato che Gally sembrava aver bisogno di un buon riposo per riprendersi, mi permisi di allontanarmi qualche secondo da lui per riunirmi agli altri e buttare giù un piano. Purtroppo però non eravamo riusciti a capire come riparare l'oggetto, né men che meno sapevamo cosa fare. Ci eravamo confrontati tutti, ma nessuno aveva idee al momento. Teresa inoltre era nel panico più totale, e stava analizzando il dispositivo insieme a Thomas, che forse cercava di rassicurarla o di darle un appoggio in quel momento.

Thomas. Pensai. Mi ero quasi scordata della discussione che avevo avuto con Violet e Minho. Ero arrivata ad una conclusione prima che tutto quel casino avvenisse. Devo dire a Thomas che lo perdono.

Mi avvicinai lentamente al ragazzo, che nel frattempo se ne stava inginocchiato a terra, insieme a Teresa, rigirandosi tra le mani il piccolo aggeggio elettronico. Feci qualche passo incerta: stavo per fare un salto nel vuoto senza sapere se il ragazzo mi avrebbe mai perdonata per il mio comportamento. Se solo Newt avesse visto come lo avevo trattato ero certa che sarebbe rimasto deluso di me. Mi sono comportata in modo così spregevole che...

I miei pensieri vennero interrotti dalla voce di Thomas che pronunciava il mio nome con una punta di incertezza. Che stupida, ero rimasta talmente tanto assorta nei miei pensieri che non mi ero accorta di aver raggiunto la coppia. Probabilmente me ne ero rimasta lì in piedi a fissarli per chissà quanto tempo.

"Ah..." borbottai insicura, poi mi schiarii la voce per riprendermi. "Volevo parlarti, ecco... Posso rubarti un attimo?"

Teresa inarcò le sopracciglia sorpresa, lanciando uno sguardo interrogativo a Thomas, quest'ultimo invece schiuse leggermente le labbra, contenendosi probabilmente dallo spalancare la bocca. Le sue guance arrossirono leggermente, poi abbassò lo sguardo sulle sue scarpe mentre diceva: "Certo... ehm..." si grattò la nuca e poi evitò di incrociare il mio sguardo. "Facciamo una passeggiata?"

Annuii, ora più sicura di me. Il discorso di scuse aveva già iniziato a formarsi nella mia testa, più pietoso che mai. Aspettai che fosse il ragazzo a scegliere la traiettoria e poi mi limitai a seguirlo sotto lo sguardo attento e incredulo di tutti, a partire da Stephen, che addirittura si era messo a bisbigliare con Minho per capire cosa stesse succedendo, ottenendo però scarsi risultati dato che il Velocista gli diede un pugno sul braccio e lo allontanò, per poi rimettersi a parlare con Violet.

Una piccola bozza di sorriso si formò sulle mie labbra quando realizzai che, nonostante avessimo litigato, Stephen era ancora preoccupato per me e probabilmente non voleva che facessi mosse stupide. Non preoccuparti, Steph. Pensai tra me e me. Ho capito cosa cercavi di dirmi, davvero. Ne ho preso atto e sto cercando di cambiare chi sono.

"Tommy..." quel nome uscì dalla mia bocca prima ancora di passare per la mia testa. Vidi il ragazzo sobbalzare, tanto sorpreso quanto me nel sentirsi chiamare con quel nomignolo. Solo Newt lo chiamava così... Che fosse il ragazzo ad aver iniziato la conversazione per me? Il mio cuore saltò un battito. Arrossii violentemente e mi portai la mano sulle labbra. 

"Thomas." ripresi, acquisendo il controllo dei miei pensieri. Il rossore sulle guance iniziò a scemare lentamente. "Volevo chiederti scusa."

La mia spiegazione non fece altro che rendere il ragazzo ancora più confuso. 

"Da quando Newt è morto io..." continuai cercando le parole adatte. Tutto il discorso che avevo avuto in mente fino a quell'istante era svanito nel nulla. "Mi sento di vivere dentro il corpo di una persona che non conosco. Sono cambiata, ma è stato un cambiamento rapido e forzato. Il dolore mi ha consumato, ha consumato tutti noi, ma su di me sembra aver fatto l'effetto peggiore che potesse mai fare." Presi un respiro e mi feci forza. "Ma ciò non giustifica il modo in cui ti ho trattato. Non dovevo, io non avevo il diritto di farti sentire così, di dirti quelle cose orribili e addirittura metterti le mani addosso... io... non so cosa devo aver avuto davanti agli occhi per non capirlo, non so dove io abbia perso la testa o l'anima, ma quello che ti ho fatto è davvero disumano. Ti ho trattato malissimo e non te lo meritavi, sicuramente ti avrò fatto sentire un verme che..."

"Me lo meritavo." mi interruppe Thomas con voce roca. "Tu meritavi di sfogarti, dopo quello che ti ho fatto, dopo quello che ho fatto a..." la sua voce venne a mancare. Il ragazzo scosse la testa. "Io ti giuro che se potessi tornare indietro..." prima che potesse finire la frase Thomas si voltò verso di me e quando incrociò il mio sguardo, cosa che fino a quel momento aveva evitato, i suoi occhi si riempirono di lacrime, ma il ragazzo cercò comunque di trattenersi. "Non c'è un giorno che io non rimpianga ciò che ho fatto. Vedere tutto il dolore che ho causato, la vita che mi sono preso la libertà di prendere in modo egoistico... Io non..." 

E fu allora che il ragazzo scoppiò in lacrime davanti a me, facendomi rendere conto di tutto il dolore che aveva dentro, della voragine che lo stava risucchiando lentamente.
Mi tremarono le labbra. Ero stata così egocentrica da non accorgermi nemmeno che esistesse anche il dolore altrui. Ero così focalizzata sui miei problemi e su come fossi incapace di superare la cosa, che mi ero scordata dell'esistenza altrui.

Persino Minho. Non avevo mai chiesto a Minho come si sentisse. Non che non ci avessi mai pensato... forse era quella la cosa peggiore: avrei potuto chiedergli più volte come stesse affrontando la cosa, ma non volevo farlo perchè non volevo parlare dell'argomento. Avevo finto che il problema non ci fosse a priori, nella speranza di dimenticarmene, un giorno.
Ero così... Così... "Thomas." dissi in modo fermo, senza sapere davvero cosa gli avrei detto successivamente. Tra un singhiozzo e l'altro il ragazzo alzò lo sguardo, ma non abbastanza. Presi il suo volto tra i palmi e lo sollevai delicatamente, cercando di incrociare i suoi occhi sotto tutte quelle lacrime. "Ascoltami, Thomas." sussurrai dolcemente, trattenendo io stessa le lacrime generate dal senso di colpa.

Asciugai le sue guance con i pollici, poi continuai ad accarezzarlo anche quando queste si asciugarono. Per un attimo mi sembrò di avere il volto di Newt tra le mani, in uno di quei suoi momenti di debolezza, dove si chiudeva in sé e io lo rassicuravo, sentendomi un po' una mamma. Cacciai via quel pensiero e con esso le lacrime che stavano per solcare i miei occhi.  "Non sono mai riuscita ad ammetterlo a me stessa. Forse gli altri hanno cercato di farmelo capire, ma... Non ho voluto capire. Non ho mai voluto accettare la realtà perchè sono una codarda." ammisi. "Ma ora... ora mi accorgo della verità e comprendo che è la verità. Ora lo capisco, ma faccio comunque fatica ad accettarlo perchè non... non lo so, ho solo così tante domande per la testa, forse è per questo che mi è difficile accettarlo." Stavo allungando il discorso volontariamente. Ero ancora una codarda, avevo paura che se l'avessi mai detto ad alta voce, credendo addirittura in quello che dicevo, una punizione divina mi avrebbe afflitto. Forse temevo che Newt tornasse dal mondo dei morti per rimproverarmi, per dirmi che quello che pensavo non era vero, che era deluso di me... Scossi la testa. 

Basta, Elena. E' ora di crescere. Mi rammentai. "Thomas, è stata una decisione di Newt." asserii secca. "Newt ha scelto di morire." ripetei. Negli occhi di Thomas si insidiò una paura reale, che non avevo mai visto prima.

"Perchè non... perchè non ha provato a..." tentennò il ragazzo. "Perchè ha chiesto a me di farlo e non..."
Perchè non si è suicidato? Terminai nella mia mente. Un sorriso debole mi si formò sulle labbra. Lasciai libero il volto di Thomas e mi portai una mano al petto. Il mio cuore sembrava volerne uscire a tutti i costi. Batteva così forte e mi faceva così male... Mi venne in mente una notte particolare, una notte che avevo archiviato nei miei ricordi, ma che ora riviveva nitida nella mia mente.

Newt aveva provato a suicidarsi per ben due volte. Aveva provato a gettarsi dalle mura del Labirinto, ma senza riuscirci. Poi, la seconda volta... 
Come se qualcuno avesse schiacciato un pulsante nella mia mente, il ricordo iniziò a riprodursi nella mia mente. Era così nitido che per un attimo mi estraniai dalla realtà. Mi sembrava quasi di essere di nuovo con lui in quella notte. Mi ricordo benissimo l'odore di alcol su di lui, il contatto del suo sangue con le mie mani. Quattro tagli. Me li ricordo come se fosse successo ieri.

"Uno per ogni amico perso." mi aveva confidato Newt quella notte, la notte in cui Alby, Minho e Thomas erano rimasti chiusi dentro il dannatissimo Labirinto. Era convinto di averli persi, tutti lo erano. Ma lui era l'unico che aveva reagito di conseguenza.

"Essere il leader di questi ragazzi era difficile già prima che Alby morisse." 

Potevo sentire le parole del ragazzo risuonare nella mia mente. La sua voce rotta dal pianto disperato. 

"Tutti vogliono uscire da questo fottutissimo posto! Tutti fanno affidamento su Minho per uscire di qui. Io ed Alby siamo le loro guide. E tutto è andato perso! "

E poi un ultima frase prima di sentire le lacrime spingere di nuovo per uscire. "Non riesco a tenere tutto sulle mie spalle..."

Gli avevo promesso che l'avrei aiutato io, che avremo trovato una soluzione insieme e lui si era lasciato aiutare. 

"Un taglio per Minho, uno per Alby, uno per Thomas e..." sentii il respiro morirmi in gola. "Uno per te. Sapevo che questa notte avrei perso anche te."

Scossi di nuovo la testa, terrorizzata, ma questo non servì a mandare via il ricordo, bensì un altro venne a galla, facendomi rabbrividire. 

Io e Newt siamo stesi nel suo letto, stretti stretti per riuscire a starci entrambi. Io sono accoccolata sul suo petto. Intreccio una delle mie gambe tra le sue, poi gli osservo i polsi fasciati. Gli chiedo di promettermi una cosa fondamentale, gli chiedo di non lasciarmi mai sola. 

Sentii nascere dentro di me gli stessi sentimenti che provai allora: imbarazzo per avergli fatto una domanda così banale, ma anche paranoia, perché avevo bisogno di sentirmelo dire. 

"Te lo prometto, Eli. Ora mettiti a dormire, ti proteggo io dai tuoi incubi." la sua voce che si fa sempre più sonnolenta, i suoi occhi che si chiudono pesanti, il respiro che si fa più profondo, ma prima di dormire, ha un ultimo momento di lucidità. Mi lascia un bacio sonoro sulle labbra e poi mi stringe forte a sé. 

Mi morsi la parete interna della guancia talmente forte da sentire il sapore metallico del sangue. Newt era la mia colla, lo era sempre stato. Senza di lui, proprio come avevo pensato quella notte con terrore, saremmo crollati tutti a pezzi. E l'abbiamo fatto. 

La voce di Thomas mi riportò nel mondo dei vivi. "Non so perchè me l'abbia chiesto. Perchè a me?"

Mi schiarii la voce e sentii le mie gambe tremare. Forse Newt avrebbe voluto che Thomas sapesse. "Senti..." iniziai, sentendo le mie gambe sempre più deboli. "Ti va di sederti? Ho bisogno di..." senza attendere la sua risposta lasciai che il mio peso si riversasse a terra, prima cadendo sulle ginocchia, poi sistemandomi a sedere. "Il motivo per cui te l'ha chiesto era perchè si fidava di te. Si fidava a tal punto da affidarti la sua vita."

"Be', si fidava anche di Minho e di t..."

Lo interruppi immediatamente. "Sì, si fidava di tutti noi, ma sapeva che sia io che Minho avremmo fatto di tutto pur di fargli cambiare idea, perchè siamo cocciuti. Anche se una persona soffre, anche se sta andando incontro ad una morte lenta, oppure, nel caso di Newt, entrambe..." presi un respiro. "Noi lo avremmo mantenuto in vita, pur sapendo che non era quello che voleva. Forse è egoismo, forse una speranza che non vuole mai morire. Tu invece ascolti le persone, le ascolti davvero. Se qualcuno soffre e ti chiede di far terminare la sua sofferenza, perchè non c'è più nulla da fare... Be' tu lo fai, perchè comprendi che non è più possibile fare nulla, se non eliminare quella sofferenza interminabile. Anche se è un'azione così terribile da portarsi appresso, anche se è il peso più soffocante di ogni altro, tu sei disposto a portarlo con te a vita, pur di regalare a quella persona un ultimo briciolo di sollievo."

"Ma perchè non farlo da solo? Perchè non..." il ragazzo si mise le mani tra i capelli.

"Thomas, so che è difficile da capire, ma..." sospirai. Non avrebbe mai capito, lui non sapeva tutto. "C'è un qualcosa che Newt non ti hai mai detto." mormorai, torturandomi l'unghia del pollice con le dita.

Il ragazzo mi lanciò uno sguardo incerto. Aggrottò le sopracciglia, ma non proferì parola, facendomi capire che era pronto per ascoltare quello che avevo da dire.

Mi dispiace Newt. Pensai tra me e me. So che volevi fosse un segreto tra noi due, ma Thomas deve saperlo. Glielo devi, almeno questo glielo devi. 

Poi, dopo essermi strisciata i palmi sul volto, come per risvegliarmi completamente, iniziai a raccontare tutto al ragazzo.

 

*Angolo scrittrice*

PIVEEEE!!!!!!!!

Mi siete mancati.

Punto.

Non pensavo avrei avuto questa sensazione addosso, ma vi giuro che mi sta battendo forte il cuore. Sono così emozionata! Non mi ricordavo che pubblicare un capitolo mi rendesse così fiera e soddisfatta.

Scusate se vi ho fatto aspettare così tanto, ma è successo molto ultimamente e avevo perso l'ispirazione. Davvero, è stato frustrante. Ogni volta che mi mettevo giù a scrivere qualcosa sentivo le idee abbandonare la mia mente. Scrivevo e poi cancellavo. Mi sembrava tutto banale, non all'altezza di ciò che avevo precedentemente scritto.

Ma non mi sto scusando per questo, perchè un blocco può capitare a tutti. Mi sto scusando perchè, dopo averci provato e riprovato, alla fine ho deciso di abbandonare, di non provarci più e dedicarmi ad altro.

Poi oggi, non so cosa mi abbia spinto ad accendere questo computer, ma l'ho fatto. Ho aperto Wattpad, visto tutte quelle notifiche, tutte quelle persone che mi chiedevano dove fossi finita e... non so spiegarlo, è stato come se mi si fosse accesa una lucina nel cuore. Ha iniziato a battermi più forte e tutto d'un tratto mi sentivo che volevo scrivere, quella frenesia nelle dita, di quando non riesci a tenerle ferme, e ho capito che volevo tornare a immergermi in questo mondo come facevo una volta. 

E così ho fatto. E non potrei esserne più fiera.

Ora, so che è passato davvero tanto tempo, quindi non vi biasimo se deciderete di abbandonare questa storia (o se lo avete già fatto). Lo capisco, davvero.

Ma a quelli che sono rimasti e rimarranno... Grazie, grazie davvero per la pazienza, per non aver archiviato anche voi questa storia come avevo fatto io. Grazie per essere ancora qua a votare e (spero) a dare le vostre opinioni personali sul capitolo!

Per concludere, vorrei chiedervi: cosa vi aspettate che succederà nel prossimo capitolo?

Sono curiosa di leggere le vostre aspettative!

Baci,
la vostra Inevitabilmente_Dea, che sarà sempre anche la vostra Elena

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Capitolo 37
*** Capitolo 31. ***


Ricordare episodi del genere era un conto, ripercorrerli ad alta voce era un altro. Mentre raccontavo a Thomas i miei ricordi su Newt, mi sentivo raggrinzire il cuore. Non sapevo se fosse perché avevo infranto la promessa di mantenere il segreto su quell'episodio, o se fosse perché erano momenti che mi ero scordata di aver vissuto, ma che si erano conservati così bene nella mia mente da risultare ancora dettagliati in tutto e per tutto.

Ovviamente Thomas non era al corrente di tutto quello che gli stavo raccontando: la notte in cui Newt aveva tentato il suicidio per la seconda volta, Thomas era rimasto chiuso dentro il Labirinto. In più nei giorni successivi erano successe così tante cose che Newt non aveva avuto il tempo di dirglielo. O forse, molto semplicemente, anche se ne avesse avuto il tempo, non glielo avrebbe mai confessato.

Newt era sempre stato così: odiava farsi vedere debole, eppure con me riusciva in qualche modo ad aprirsi, come se lo mettessi così tanto a suo agio da farlo sentire come se fosse in compagnia di sé stesso.

Quando finii di raccontare la storia, su me e Thomas calò il silenzio. Il ragazzo non sapeva cosa dire di tutto ciò, troppo sconvolto per proferire parola, segno che, in fin dei conti, aveva capito il motivo per cui Newt gli avesse chiesto di ucciderlo, piuttosto che tentare di togliersi la vita da solo.

Poi un piccolo pensiero si insinuò nella mia mente: forse il ragazzo non aveva solo paura di fallire di nuovo, magari non si era suicidato perchè si sentiva venire a meno di una promessa. Quella notte mi aveva promesso che non ci avrebbe mai più riprovato, che quella era l'ultima volta.

Ti aveva anche promesso che non ti avrebbe lasciata, e invece guarda cosa è successo. Mi disse una voce nella testa, come un sussurro acido. Forse una parte di me ancora lo odiava per avermi lasciata da sola in questo mondo. Ma cosa avrebbe potuto fare in quelle condizioni? Povero Newt. Si sentiva un peso, vedeva che causava sofferenza a me e agli altri... Forse facendosi cancellare dalle nostre vite, sperava solamente di fare un ultimo atto di gentilezza verso di noi. Replicai alla voce, sentendomi stupida per non averlo capito prima.

Lasciai cadere la testa sulle ginocchia e sospirai. Ero una causa persa. 
"Mi manca Newt." ammisi, accennando ad un piccolo sorriso. Non mi ricordavo di averlo mai ammesso ad alta voce. 
Vidi Thomas allungarmi uno sguardo, poi non appena vide il sorriso sulle mie labbra, si mosse un po' verso di me, finché i miei fianchi non toccarono i suoi. Poi il ragazzo mi mise un braccio sulle spalle e mi tirò a sé, strattonandomi un po', dopodiché mi accarezzò la spalla. "Lo so, manca a tutti, ma posso capire che a te faccia un effetto diverso."

Mi venne in mente di quando eravamo ancora in marcia, prima che l'incendio avvenisse, prima delle mie scuse. Stavo camminando con Minho e Violet quando mi era caduto lo sguardo su Thomas e Teresa che camminavano davanti a noi, ridacchiando e scambiadosi sguardi che parlavano da soli. Allora mi ero arrabbiata, non capivo perchè Thomas poteva avere a fianco a sé l'amore della sua vita quando aveva strappato il mio dalle mie braccia.

In realtà però, l'amore della mia vita era scivolato via dalla mia presa molto tempo prima che Thomas mettesse fine alle sue sofferenze. In un certo senso avrei voluto essere lì in quel momento, per potergli dare il mio ultimo vero addio, per poterlo baciare o anche solo sfiorare un'ultima volta. Ma sapevo che era solo un'idea pazza: non avrei mai superato la morte di Newt se avessi visto la sua uccisione davanti ai miei occhi.

"Senti, Thomas." dissi poi dal nulla. "Io..." tentennai. "Forse è sbagliato chiedertelo, dopotutto ne abbiamo parlato solo poco fa, ma ho bisogno di sapere."
Il ragazzo si allontanò di poco per guardarmi meglio, poi annuì per incoraggiarmi.
"Pensi di riuscire a perdonarmi tutto?" domandai.
Il ragazzo ridacchiò, una risata sollevata che non sentivo da chissà quanto tempo. "Ma certo. Non che pensavo di doverti perdonare di qualcosa, non ho mai smesso di volerti bene. Posso capire come ti senti, ma ti ringrazio per essermi venuta a parlare. Mi hai tolto un peso dal cuore, ecco..."

Ricambiai il sorriso, poi avanzai un'altra domanda. "Ho visto come guardi Teresa, Tom. Quando ti deciderai a dichiararti?" poi, dandogli una gomitata, aggiunsi: "Siete molto carini insieme e immagino che quello che provate entrambi ora è molto forte. In un certo senso mi manca quella sensazione, però... Ecco, volevo solo dirti che non devi sprecare nemmeno un secondo, okay? Non fare il mio stesso errore di dare per scontato tempo e persone."

Thomas mi guardò triste e mi sentii di nuovo male per lui, non volevo farlo sentire in colpa, la mia era solo una semplice confessione, come quella che si fa ad un amico di vecchia data. "Ho bisogno che me lo dici anche tu." mi disse il ragazzo, serio come non mai, archiviando per un attimo il discorso "Teresa". "Ho bisogno che mi dici che mi hai perdonato."

Gli lanciai un sorriso velato, poi gli scapicciai i capelli. "Ma certo, scemo." dissi arricciando il naso. "E' vero che ho perso Newt, ma ho ancora i miei amici qua accanto. Continuerò a vivere e ad essere felice con loro."

Il ragazzo accennò un mezzo sorriso, ma ancora non sembrava convinto, così aggiunsi: "Ricordati, Thomas, che Newt vive nei nostri ricordi. Lui è sempre qua con noi. A volte..." mi bloccai e tentai un respiro. Il groppo alla gola stava aumentando, ma più che un pianto di rabbia, era un pianto di malinconia che tentava di impossessarsi di me. "A volte, soprattutto quando dormo, ho la sensazione di sentirlo. Hai presente quando stai per cadere nelle braccia del sonno, ma ancora sei sveglio?"

Non appena il ragazzo annuì, continuai: "Be' a volte lo sento. Anzi, se apro gli occhi lo posso vedere, ma solo la sua sagoma, la sua ombra riconoscibile nella notte. Lo vedo che mi accarezza, a volte mi sento riempita di... No, non è essere riempiti di gioia, non saprei come descriverlo. E' come se il tuo corpo si sollevasse da terra all'improvviso, come se non avesse più il suo peso. E tu ti senti solo fluttuare in un vuoto che è così colmo di tranquillità e conforto che per un secondo ti senti come abbracciata da dio in persona. Come se la tua anima si liberasse di tutti i problemi e riuscisse per un secondo a respirare davvero."

Il ragazzo continuava a guardarmi affascinato, forse in attesa che proferissi di più, che non smettessi di raccontare. "So che è lui." confermai. "E' Newt che riesce ancora a prendersi cura di me."

Thomas aveva gli occhi lucidi. Io avevo l'anima in subbuglio. Dire tutto quello ad alta voce era una liberazione così forte che mi veniva da piangere. Piangere gioia mista a dolore.
Il ragazzo mi mise una mano sulla mia, poi la strinse forte. Sentii una fitta, mi ero scordata di avere le mani tutte bruciacchiate e probabilmente se l'era scordato anche il ragazzo. Però a nessuno dei due interessava: a me mancava da tempo un contatto così spontaneo, umano e confortevole; lui sentiva la necessità di esprimermi il suo affetto.

"Hai ragione." mi rispose Thomas. "E' una cosa di cui Newt sarebbe capace."







 

Quella giornata fu insolitamente tranquilla. Thomas tornò sereno da Teresa, che lo accolse con un sorriso e uno sguardo che parlavano chiaro. I due si misero a parlare tra loro, poi Teresa gli accarezzò la guancia e si girò solo per un momento verso di me, sorridendomi e abbassando leggermente il capo, forse come segno di riconoscenza.

Violet più tardi mi raggiunse insieme a Minho, il quale mi chiese in prestito l'arco per poter andare a caccia. Quando aveva notato una faccia dubbiosa, mi aveva spiegato che non doveva essere poi così difficile lanciare frecce contro qualcosa. Scrollai le spalle e acconsentii a patto che me lo avrebbe riportato sano e salvo. Il ragazzo mi sorrise soddisfatto, diede un bacio sulla guancia a Violet e le promise che sarebbe tornato prima che avesse fatto buio.

La ragazza lo scacciò con la mano, dicendogli che per lei poteva anche non tornare più. Ovviamente scherzava, lo si vedeva, era palese. Se Minho non fosse davvero più tornato lei si sarebbe disperata. Ridacchiai con la mia amica di vecchia data quando il ragazzo finse un attacco di cuore e si allontanò gattonato. Mi piaceva il fatto che nonostante tutto quello che avevamo passato, Minho fosse ancora capace di scherzare. Se avesse perso il suo sarcasmo ne sarei rimasta delusa, credo.

Violet si sedette accanto a me e lanciò un'occhiata a Gally, che ancora sonnecchiava dietro di noi. Mi girai di poco verso il ragazzo, gli avevo sentito la fronte poco prima che Violet arrivasse, ma ero in pensiero per lui, così allungai la mano sul suo volto nuovamente. Un pochino scottava, ma contando quello che aveva passato, non era niente di grave. Gli lasciai una piccola carezza sulla guancia prima di girarmi di nuovo verso Violet.

La ragazza mi stava fissando. "Che c'è?" chiesi.
Mi sorrise timida, poi mi disse: "Mi dispiace se non siamo tornati subito indietro... In tutto quel trambusto non ce ne siamo accorti."
Sentii Gally mugugnare qualcosa nel sonno, ma non prestai così tanta attenzione a quello che diceva, aveva blaterato nel sonno per tutto il pomeriggio. "Non preoccuparti, Violet. Va bene così, ora siamo tutti insieme: è questo l'importante."

La ragazza lanciò di nuovo un'occhiata attenta a Gally. "Vedrai che se la caverà, okay?" mi rassicurò. "Non è uno che molla facilmente, soprattutto quando ha ancora qualcuno da proteggere."

Le lanciai un'occhiataccia scherzosa. "Io non ho bisogno della protezione di nessuno. Me la cavo da sola." poi le diedi una spallata amichevole e aggiunsi: "In più sono io ad aver salvato il culo a lui questa volta, quindi farà meglio a riprendersi presto!"

Ridacchiammo insieme, più per la leggerezza di quel momento che per la mia affermazione. Era strano avere momenti di pace, ma in quella giornata sembravamo tutti più tranquilli. Dopotutto però, come altro avremmo dovuto sentirci? Eravamo appena scampati ad un tornado infuocato, fulmini e ad un incendio. Eravamo tutti salvi, alcuni più sani di altri, ma andava bene così.

La WICKED ancora non aveva vinto, era quello a nutrirci ancora di speranze.

"Prima ho parlato un po' con Teresa." mi confessò lei. "Abbiamo entrambe un'ottima memoria e così abbiamo deciso di mettere insieme i pezzi di strada che ancora ci ricordiamo. Domani dovremmo riprendere la marcia."

Annuii sollevata. "Bene." poi mi venne un pensiero in testa. "Come faremo a trasportare Gally? Non credo sia in grado di camminare: ha la schiena tutta bruciata."
La ragazza si rabbuiò un po', ma alla fine, dopo qualche secondo di pausa, rispose. "Ne abbiamo parlato con gli altri, ma abbiamo capito di non avere i materiali giusti per costruire una barella. Purtroppo non abbiamo un tessuto abbastanza resistente da sostenere il suo peso." La ragazza fece un secondo di pausa e poi riprese: "Quindi abbiamo deciso che se sarà necessario lo porteremo in due a turno: uno per i piedi e l'altro per le braccia. Andremo avanti in modo lento, ma non lasciamo più nessuno indietro."
Annuii e la ringraziai per essersi occupata lei della questione. Meno pensieri per la testa per me. 




 

Passammo qualche ora tra chiacchiere e silenzi. Dovevo ammettere che mi era mancata molto la sua compagnia e per un momento mi sembrava quasi di essere tornata ai tempi della Radura, dove ci radunavamo nei tavoli e chiacchieravamo per riempire le giornate. Pur sapendo che Violet non era stata nello stesso mio Labirinto, per un attimo fu come rivivere un ricordo che però non era mai esistito.

Alla fine, mantenendo la sua promessa, Minho tornò prima dell'imbrunire, con quattro o cinque scoiattoli per mano, più un uccello nero. Il ragazzo mi riconsegnò l'arco e mi congratulai con lui per la sua abilità innata nel tirare le frecce.
"Ehm... ecco riguardo a quello." ridacchiò il ragazzo sotto i baffi. "Diciamo che ho deciso di usare l'arco per tramortire le prede e poi le ho sgozzate col mio coltello. Non ti ho sprecato nemmeno una freccia, ma l'arco è stato utile!"

Scossi la testa. Se non altro aveva trovato un modo alternativo per usare quell'arma. "Ah, però ho scoperto di essere molto bravo a lanciare i sassi. Può essere una contraddizione, dato che non so lanciare frecce, ma... Be', ad ognuno i suoi talenti!" esordì felice facendo ballonzolare il volatile nero davanti ai miei occhi.

Lo scansai schifata e poi lo osservai andarsene insieme a Violet. Mi dissero che per quella sera avrebbero fatto tutto loro: scuoiare gli animali e accendere il fuoco per cuocerli. Io dovevo riposare, a loro avviso.
Vidi Stephen e Thomas darsi da fare per trasportare a turno tutta la legna che avevano raccolto in quel poco di bosco rimasto dopo l'incendio. Jorge nel frattempo tentava di accendere il fuoco strofinando con insistenza due sassi tra loro. Brenda insegnava a Violet e Minho come togliere la pelle agli animaletti così piccoli senza sprecare troppa carne.

Solo Teresa rimaneva in disparte, guardando ancora l'aggeggio meccanico. Sicuramente stava cercando di fare una mappa mentale o forse stava pensando a chissà cos'altro. In ogni caso, aveva un'espressione molto concentrata, non mi andava di raggiungerla e disturbarla per avere un po' di compagnia. E poi di che compagnia avevo bisogno se di fianco a me avevo la bellissima e intrigante presenza di Capitan Gally il Signore dei Pisolini?

Ridacchiai tra me e me, ma per la prima volta non mi sentii in colpa di provare dei sentimenti all'infuori della tristezza o del lutto. Vedi? Nessuna punizione divina è calata dal cielo per questo tuo gesto. Puoi concederti di essere felice, ogni tanto. Dissi a me stessa, guardando in alto. 
Le nuvole avevano iniziato ad assumere un colore rosastro, all'orizzonte si scorgevano gli ultimi raggi di sole, ormai di un giallo-arancione spento e non più accecante, che iniziava a lasciarsi cadere sempre più dietro le montagne. Tutto iniziava a farsi più silenzioso, come se tutte le creature, del bosco e del cielo, avessero capito che era ora di tornare ognuno al proprio nido e prepararsi per la notte. Si sentiva solo qualche cicala canticchiare, ma il suono era piacevole, mi cullava, quasi.

Sentii Gally mugugnare ancora, ma non ci feci caso. Poi lo rifece, e poi di nuovo ancora, così mi voltai. Lo vedevo con gli occhi semi aperti che mi guardava, mi osservava quasi l'anima. Era perso. Gattonai e gli andai più vicino, poi sorridendogli mi stesi a pancia in giù accanto a lui, osservandolo e appoggiando il mento sul mio palmo. "Allora dormiglione?" domandai. "Come ti senti?"

"U... o..." gli uscì un suono gutturale, poi si schiarì delicatamente la gola, fece una smorfia e riprese. "Un po'... bruciato."

"Ah, ah." finsi una risata. "Hai sete?" 
Il ragazzo annuì debolmente, così mi alzai con la borraccia ormai vuota, raggiunsi il laghetto e la riempii velocemente. Quell'acqua non era di prima qualità, certo, sapeva un po' di pesce a volte, ma andava benissimo per noi. Mi riavvicinai al ragazzo e mi inginocchiai di fianco a lui. Muovendomi nel modo più delicato e lento possibile, lo rigirai a pancia in su, scusandomi nel momento in cui il ragazzo mugugnò e digrignò i denti dal dolore. Quando sembro essersi abituato, ripresi a muovermi con cura e lentezza: gli alzai la nuca e ci infilai sotto le mie cosce, così che il ragazzo fosse leggermente rialzato e potesse bere senza strozzarsi.

Lo aiutai a fare qualche sorso, poi qualche pausa per prendere il respiro e nuovamente qualche sorso. Quando sembrò soddisfatto mi lanciò un'occhiata di gratitudine. Il suo viso si girò lentamente verso gli altri, poco distanti da noi. Ciò che aveva attirato lo sguardo del ragazzo era stato il fuoco, appena acceso da Jorge che ora esultava e si strofinava compiaciuto le mani. Osservai Minho calare uno scoiattolo conficcato in un bastone sul fuoco e sorridere furbetto a Violet, poi riportai lo sguardo su Gally appena in tempo per vederlo aprire di nuovo la bocca.

Pensai avesse nuovamente sete e feci per afferrare la borraccia, ma il ragazzo parlò. "Devi mangiare." proferì. Annuii lentamente. "Non preoccuparti, questa sera saremo serviti. Sorprendente - vero? - quello che devi passare per far sì che i tuoi amici ti trattino bene, eh?" ridacchiai, causando un piccolo sorriso anche nel ragazzo.

Il suo sguardo si posò di nuovo su di me e questa volta non era uno sguardo estasiato o perso, bensì serio e preoccupato. Dopo qualche secondo gli toccai delicatamente una guancia, il che bastò a distrarlo per un secondo. "Che hai, Gally?"
Il ragazzo abbassò lo sguardo. "Non ci sono riuscito." disse. "A proteggerti. Non ci sono..."
"Shh..." lo interruppi subito. "Non sprecare nemmeno fiato, okay? Non potevi farci nulla, Gally. Eri tu quello in fiamme! Non io."

"Già..." poi lo vidi accennare un sorriso con fatica. "Per una volta sei tu a salvare le mie chiappe arrostite."
Ricambiai il sorriso. "Esattamente, Capitan Gally." poi lo osservai per qualche minuto, incerta se esporgli i miei pensieri o se tenerli per me. Alla fine cedetti. "Non permetterò che mi venga tolta un'altra persona a cui tengo. Quindi se hai intenzione di abbandonarmi anche tu, sappi che non te lo lascerò fare, chiaro?"

Cercai di rimanere con il sorriso sulle labbra, di metterla sul ridere, come se fosse una battuta, ma mi ero dimenticata di quanto fosse bravo Gally a leggermi dentro. Aveva imparato a farlo nella Radura e da allora non aveva mai smesso, per lui ero un libro aperto. Mi stupiva il fatto che a volte Newt non riuscisse a leggermi così chiaramente come faceva Gally.

"Non..." il ragazzo fece una smorfia di dolore mentre tentava di alzare un braccio verso me. "Non ti abbandono, lo prom..."
Lo interruppi e sentii il groppo crescermi in gola. Non le parole dannate, per favore. Non portano mai nulla di buono con loro. Scossi la testa. "Non dirlo, ti prego."
Gally capì subito e si zittì, allungando però comunque il braccio verso di me. Dopo qualche attimo riuscì a raggiungere la mia guancia e mi lasciò una carezza maldestra, ma allo stesso tempo così delicata nel suo genere.

Spinsi leggermente contro il suo palmo e lo sentii umidiccio per via delle ferite che iniziavano ad emarginarsi. Non mi interessava però, quel tocco era così confortevole...
Per un attimo lasciai che fosse Gally ad alleviare un po' del mio dolore. 

 

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Capitolo 38
*** Capitolo 32. ***


Io e Gally passammo qualche minuto a guardarci l'un l'altra. All'improvviso su di me era calato il sonno, come se il mio corpo con quel tocco si fosse rilassato a tal punto da poter perfino dormire. Chiusi gli occhi per un po', ma continuai a sorridere leggermente. Mi sentivo in pace con me stessa: mi ero riappacificata con Thomas, avevo salvato Gally dalle fiamme e soprattutto, mi ero messa in pace l'anima. Il mio cuore gemeva ancora per la mancanza di Newt ed ero consapevole che quella sensazione di vuoto non sarebbe passata facilmente, ma sentivo che stavo facendo dei passi verso la guarigione. Sapere ciò che era accaduto al ragazzo era stato uno shock. Era come se all'improvviso mi fosse stato negato tutto, anche un futuro. Vedevo tutto nero, solo ombre e sussurri nel buio, ma mi andava bene così: per un lungo periodo mi ero lasciata assopire dal lutto, permettendomi solo di esistere, vivendo per metà, ecco. 

Ogni volta che ridevo o che qualcuno mi faceva spuntare un sorriso mi sentivo in colpa, come se Newt mi stesse guardando dall'alto e interpretasse ogni mio distacco dalla tristezza come un'indifferenza nei confronti della sua morte. Ma non era affatto così, alla fine l'avevo capito anche io: essere felici non era un peccato, non dovevo sentirmi male quando provavo un qualcosa all'infuori della rabbia e della malinconia.
Ma soprattutto, non era quello che avrebbe voluto Newt per me. In un certo senso, in me era nata l'idea che, se il ragazzo avesse preso una decisione del genere, nonostante sapesse che mi avrebbe ridotta in frantumi, voleva dire che credeva che sarei stata capace di superarlo. Forse il ragazzo continuava a sopravvalutarmi anche da morto: ultimamente piangevo per ogni minima cosa eppure lui mi credeva abbastanza forte da superare senza problemi il suo lutto.

Lanciai uno sguardo a Gally e lo vidi ancora perso nei miei occhi. Quello sguardo mi fece venire in mente un altro pensiero: forse Newt aveva preso quella decisione perchè sapeva che ero circondata da persone forti d'animo e piene d'affetto nei miei confronti, da potermi affidare a loro per avere il sostegno di cui avevo bisogno. Tuttavia ero consapevole del fatto che se fossi riuscita a ritrovare un po' di forza in me stessa e avessi permesso agli altri di aiutarmi nei momenti di debolezza, forse sarei riuscita a sperare il dolore, prima o poi.
Non avevo ancora perso tutto. Avevo ancora i miei amici e non avrei potuto chiedere di meglio.

I miei pensieri vennero interrotti dalle parole del ragazzo steso sotto di me: "Puoi dormire vicino..." Gally si bloccò e per un attimo giurai di averlo visto arrossire, per quanto fosse possibile notare un cambiamento nel colore della sua pelle che era già bella arrossata. "...vicino a me, se puoi, ecco."

"Certo, Gally. Non ti mollo finchè non guarisci." lo rassicurai, poi portai la mia mano bendata sulla sua, ancora appoggiata alla mia guancia. "Prima di andare a dormire sta sera ti faccio qualche impacco extra e rimetto le fasciature. Dovrò stracciare qualche altro pezzo di vestito, ma andrà bene. Almeno so che dormirai sereno."

"Uh-uh..." sussurrò il ragazzo. "Ho sempre sognato di vederti con meno vestiti addosso."
"Sì, certo." lo schernii, sorridendo imbarazzata e sentendomi arrossire. "Continua a sognare, Capitano."
Il ragazzo parve accorgersi del colorito animato sulle mie guance e gli comparve un sorrisetto soddisfatto sulle labbra. Inarcai un sopracciglio quando lessi nei suoi occhi uno sguardo vittorioso, poi alzai un dito davanti al suo naso. "Toglitelo subito dalla testa, pervertito." lo minacciai. 
Gally ridacchiò leggermente, poi fece una smorfia di dolore. "Così tu mi puoi far togliere la maglia con la scusa di medicarmi il braccio solo per guardarmi gli addominali, ma io non posso ammirare..."

Lo interruppi seduta-stante, diventando ancora più rossa in volto. "Hey! Non è vero! Quella volta ero persa tra i miei pensieri, te l'avevo detto. E' stata una coincidenza che il mio sguardo fosse proiettato lì."
Il ragazzo inarcò un sopracciglio. "Sì, certo. E io sono un Dolente con addosso un tutù da ballerina."
Sbuffai e alzai gli occhi al cielo. Era vero, quando le guardie della W.I.C.K.E.D. lo avevano colpito con un coltello e gli avevo fatto togliere la maglietta per medicarlo. mi era caduto lo sguardo sul suo addome. Il fisico del ragazzo era cambiato parecchio dai tempi della Radura e non ci avevo mai fatto caso. Ma di certo non stavo sbavando sui suoi addominali, come sembra aver capito lui! Pensai, arricciando il naso. Stavo solo... osservando quel cambiamento, ecco.

"Sarà meglio che tu mi dia ragione, Gally." gli intimai, alzandomi in piedi e pulendomi i pantaloni con qualche scossone. "Altrimenti ti lascerò senza cena."
"Oh, così sei perfida." mi rispose divertito il ragazzo. "Tanto so che non mi lascerai morire di fame, non riusciresti a sopportare il peso di una vita senza di me." disse con fare teatrale.
Scossi la testa e indietreggiai di qualche passo, senza dare una risposta al Costruttore. Poi, mentre mi incamminavo verso gli altri per ritirare la mia porzione di cibo e quella del ragazzo, mi spuntò un sorriso sincero sul volto. Io e Gally ci eravamo avvicinati molto da quando eravamo arrivati al Posto Sicuro, e il mio affetto per il ragazzo non aveva mai smesso di crescere. Non sapevo come ci riuscisse, ma aveva una soluzione a tutto, sapeva sempre come prendermi, indipendentemente dallo stato mentale in cui ero rinchiusa. 

In un certo senso, ora sei tu quello che mi tiene insieme. Pensai. Poi, facendo trapelare i miei pensieri ad alta voce, bofonchiai: "E' ovvio che non posso fare a meno di te, scemo."
 

 

 

Quando raggiunsi gli altri, li trovai tutti raggruppati intorno al fuoco, intenti a mangiare e a ridacchiare tra loro. Mi sedetti accanto Stephen, quasi sovrappensiero, come se ormai fosse un'abitudine, poi mi ricordai di avere ancora qualche conto in sospeso con lui.
Il ragazzo non aveva ancora notato la mia presenza accanto a lui, dato che era intento a litigare con Minho riguardo la cottura estrema del suo scoiattolo. Il ragazzo dai capelli bianchi sosteneva che l'ex-Velocista l'avesse fatto apposta a bruciare il suo pezzo di carne, mentre l'asiatico continuava a ripetergli che era stato un errore e che non doveva fare la femminuccia e mangiarlo comunque. Solo quando mi scappò una risata, Stephen si voltò scocciato, poi, vedendomi lì accanto a lui, cambiò espressione. 

Nonostante Minho stesse continuando a parlargli, Stephen aveva totalmente smesso di ascoltarlo, per puntare su di me tutta la sua attenzione. Mi osservò per qualche secondo con uno sguardo confuso, poi vidi i suoi occhi luccicare, segno che in fin dei conti era felice di avermi là vicino.
"Minho è pessimo come cuoco." gli spiegai, nascondendo imbarazzo. "Non a caso nella Radura Frypan non lo lasciava mai avvicinarsi alla sua cucina." 
Stephen mi lanciò un sorriso e poi, rivolgendosi per l'ultima volta a Minho, gli disse: "Vedi? Non sono l'unico che la pensa così!"
L'asiatico scosse la testa e agitò una mano per aria, sbuffando, segno che quella conversazione per lui era conclusa. 
Quando il ragazzo dai capelli bianchi tornò con l'attenzione su di me, mi diede una spallata leggera, in modo scherzoso. Mi lanciò un'occhiata di sbieco mentre addentava la coscia del piccolo animaletto infilzato sul bastone e, mentre masticava, mi analizzò attentamente, come se stesse cercando di capire cosa mi fosse passato per la testa.

Alla fine, dopo essermi presa qualche momento per pensare alle parole da dire, decisi di interrompere quel silenzio e di dare voce ai miei pensieri. "Non mi sono più scusata con te, alla fine." mormorai, iniziando a fare qualche disegno immaginario sui miei pantaloni per concentrare altrove il mio imbarazzo. "E so anche quanto odi che qualcuno si scusi con te, perciò non lo farò, credo." 
Sul volto del ragazzo si formò un'espressione sinceramente dubbiosa, ma anche incuriosita, tuttavia non disse nulla, troppo intento a divorare gli ultimi pezzettini di carne rimasti intorno al bastone. Così continuai: "Non mi è mai piaciuto ammettere di avere torto, ma questa volta ce l'avevo, e anche un bel torto marcio. Quindi invece di scusarmi, ti ringrazio per avermi fatto aprire gli occhi."
Stephen fece per aprire bocca, ma prima che potesse proferire parola, continuai. Volevo che finisse prima di ascoltare quello che avevo da dire. "Ho capito cosa cercavi di dirmi e anche se lo hai fatto in modo brusco, va bene così. Fino a quando non mi hai spiaccicato davanti la realtà ero... Non so, vedevo solo me e il mio dolore, ma avevi ragione: devo crescere." presi un respiro. "Sto cercando di farlo, davvero questa volta. Ci sto provando e sinceramente già inizio a sentirmi meglio."

Il ragazzo mi sorrise, poi mi mise un braccio intorno alle spalle e mi portò a sé, accarezzandomi un pochino la spalla. "Sono felice che tu l'abbia compreso, alla fine. Però ricordati che non sei da sola. Proprio perchè non sei l'unica ad aver perso qualcuno, ricordati che ci sono tante altre persone che si sentono come te e che ti possono dare conforto perchè capiscono benissimo quello che provi."
Annuii e quasi sovrappensiero posai lo sguardo su Gally, a qualche metro di distanza da noi, ancora steso vicino al laghetto. Stephen seguì il mio sguardo e solo allora si staccò da me. Per un attimo ne rimasi delusa, credendo che il motivo di quel distacco fosse dovuto al suo odio nei confronti di Gally. Ultimamente mi sembrava si fossero posti una specie di tregua, ma forse mi sbagliavo. Dopotutto, ora che mi sentivo meglio, forse il loro scontro senza fine poteva finalmente riprendere.
"Capisco che sei preoccupata per lui, però..." il ragazzo si schiarì la gola e quando lo guardai attentamente mi accorsi che fosse arrossito. "Ecco, stai attenta, okay?"

Il mio sguardo dubbioso bastò a far continuare il ragazzo a parlare, senza bisogno che gli chiedessi ulteriori spiegazioni. "Vedo il modo in cui ti guarda. Non mi piace."
Mi intenerii alle sue parole. Stephen si comportava proprio come un vero fratello maggiore nei miei confronti: era protettivo, ma allo stesso tempo sosteneva le mie decisioni. Aveva sempre un occhio di riguardo nei miei confronti e sapeva come confortarmi quando ne avevo bisogno, ma nonostante a volte lo considerassi anche io come un fratello, dato l'affetto che provavo per lui e date le esperienze simili che avevamo vissuto, ogni tanto avrei voluto strozzarlo perchè insopportabile. La sua personalità oscillava spesso dall'essere protettivo, all'essere scontroso, poi tornava di nuovo sulla simpatia, per poi ondeggiare nuovamente verso l'essere infantile. 
Ma in quel momento non provai fastidio per quel suo commento, né rabbia perchè non riusciva proprio a farsi piacere Gally che, proprio come lui, mi voleva bene e voleva solo proteggermi.
Al contrario mi sentii piccola, vulnerabile a tal punto da necessitare le sue avvertenze e la cosa, stranamente, non mi fece sentire offesa. E' bello avere qualcuno preoccupato per me, ogni tanto. Pensai, sorridendo.

"Lo so, Steph." confessai. "So benissimo cosa prova per me Gally, quindi puoi dirlo apertamente che non ti piace." mormorai, portandolo allo scoperto. "Ma non posso farci nulla: è il mio migliore amico, è sempre stato accanto a me nei momenti di bisogno e non. Posso quasi dire che ormai viviamo in simbiosi, caspio. Ma anche lui è consapevole di quello che provo e che superare Newt non è semplice. Se ciò che ti turba è che lui possa mettermi fretta o farmi pressione, allora puoi stare tranquillo: lui vuole solo il mio bene, proprio come te."

Stephen mi guardò per qualche secondo, analizzandomi lo sguardo con un'attenzione peculiare, sembrava quasi che vi avesse letto qualcosa, ma che non sapesse bene come interpretarlo o magari come reagire. Il suo sguardo poi si fece dubbioso e quando corrugò la fronte lo vidi avvicinarsi di qualche centimetro al mio volto, come per vedere meglio. "C-Che c'è?" chiesi perplessa, toccandomi lo spazio tra le due sopracciglia, quasi spaventata di trovarci un insetto o dello sporco. Cosa aveva catturato così tanto la sua attenzione da renderlo così perplesso? Forse aveva frainteso le mie parole? 
Poi, come se fosse caduto all'improvviso fuori da suo stato di trance, il ragazzo scrullò la testa e si passò una mano sugli occhi. "Forse..." iniziò, lanciando un'occhiata a Gally, poi tornando con lo sguardo su di me. "Forse è solo una sensazione che ho, ma..."
Il ragazzo si interruppe e scosse la testa, forse trovando lui stesso strane le proprie parole, poi riprese il discorso su un filo totalmente diverso: "Non scottarti col fuoco, okay?" si raccomandò, più serio che mai. "Ancora non ti sei ripresa, ci vorrà tempo."
Gli lanciai un'occhiata confusa. Be' certo, ero appena scampata da un incendio, era ovvio che non mi andassi a buttare sul fuoco per gioco. 
Eppure una parte di me stentava ancora di capire quella sua raccomandazione, come se in realtà il ragazzo stesse usando una metafora che non avevo compreso totalmente. O forse avevo frainteso il suo discorso.
Quando Stephen discostò di nuovo lo sguardo da me e con un cenno del mento mi indicò Gally, non fui più così sicura della mia prima interpretazione alle sue parole. 
"Quindi non scottarti di nuovo." ripetè il ragazzo, alzandosi e allontanandosi da me, lasciandomi così da sola con le mie domande.

Provai un attimo di imbarazzo, senza capire veramente la causa di quel sentimento. Mi sentivo quasi scoperta, come se con quelle parole Stephen mi avesse fatto intendere di aver capito un qualcosa di importante, un qualcosa che stavo custodendo avida in un angolo remoto del mio cuore, per paura che qualcuno lo venisse a scoprire. Me l'ero negata più volte, ripetendomi che forse mi sbagliavo, che forse, proprio come diceva Stephen, era solo una sensazione. Ma se non lo era?
Se Stephen avesse ragione?
Scossi la testa e mi portai una mano sulle labbra, che iniziarono a tremare.
Guardai Gally e lo vidi muoversi lentamente nell'ombra. In quel preciso istante, sorse in me del senso di colpa, che però mi sbrigai a cacciare via.
No, mi sbaglio. Pensai. Anche Steph, si sbaglia. Non... E' di sicuro una sensazione naturale, perchè adesso sono viva, perchè ho ancora i miei amici. Ho confuso felicità, spensieratezza e gratitudine per qualcos'altro.

Scrollai le spalle e mi alzai anche io, notando solo in quel momento la presenza di Teresa a qualche passo da me, intenta a guardarmi incerta mentre teneva in mano tre scoiattoli cotti. Scacciai con violenza i miei pensieri e la raggiunsi, assumendo un sorriso gentile e cercando di mostrarmi sicura. "Hey." la salutai. "Qualche progresso con l'aggeggio elettronico?" domandai, aggrappandomi alla prima cosa che mi passò per la testa, nel tentativo di sembrare naturale e spensierata.
"Ehm, no..." mormorò la ragazza, ancora un po' preoccupata e non totalmente convinta dalla mia recita. "Cioè, sappiamo la direzione in cui stiamo andando, quindi suppongo che vada bene così, ma ancora non ha ripreso a funzionare." si corresse, poi, allungandomi due dei tre spiedini, riprese: "Uno per te e uno per Gally," spiegò. "Abbiamo anche mangiato qualche bacca, quindi se avete ancora fame puoi tornare a prenderle. Sicura che vada tutto bene?" mi chiese infine, cambiando discorso, ma dando così voce alle sue preoccupazioni.
"Sì, sì." mormorai scuotendo la testa e agitando la mano con fare spensierato. "Stavo solo valutando se portare Gally più vicino al fuoco oppure no. Vicino al lago fa freddo, non so se gli fa bene dormire là."
Ringraziando poi la ragazza, presi in mano il cibo e indietreggiai di un passo, come se quell'azione potesse fare da scudo ai miei pensieri e non renderli così chiari agli altri. "Intanto pensate a mangiare e a ricaricare le energie. Poi se non riesce ad alzarsi fai un fisco e obbligherò Minho e Thomas a venirti a dare una mano per sollevarlo."
Sorrisi, pensando che quella ragazza fosse davvero un angelo, Thomas era fortunata ad averla. "Certo." mormorai. "Certo, lo farò. Grazie ancora."

 

 

Quando tornai da Gally, scoprii che in ragazzo era riuscito a mettersi a sedere e che ora stava cercando di pulirsi le mani sulla maglia sporca e bruciacchiata. Quando mi vide arrivare alzò lo sguardo e mi sorrise, tornando poi con l'attenzione sulle sue mani. "Ce ne hai messo di tempo per prendere la cena." disse. "Iniziavo a credere che stessi davvero valutando di lasciarmi senza cibo."
Mi sedetti accanto a lui e gli porsi il suo spiedino. "Riesci a stare seduto quindi?" domandai curiosa, dato che fino a poco prima per ogni movimento provava dolore.
Il ragazzo afferrò il bastone e, dopo aver dato un bel morso, annuì e mi parlò con la bocca piena. "Sì." bofonchiò. "Ha fatto male, ma non potevo mangiare steso, no?"
"Avrei potuto aiutarti oppure, non so, sorreggerti io mentre mangiavi." spiegai facendo spallucce e addentando anche io il mio pezzo di carne.
"Per quanto mi piaccia essere coccolato quando sto male, questa volta potevo farcela anche da solo." ammise il ragazzo, lanciandomi un'occhiata mentre addentava la coscia dell'animaletto. "Piuttosto, cosa vi stavate dicendo tu e Capelli-di-Piscio?"

Per poco non rischiai di strozzarmi nel deglutire la ciccia che avevo in bocca. Tossii violentemente e mi portai una mano al petto, sentendo il boccone scendermi lentamente nello stomaco. Non sapevo se avevo avuto quella reazione per il soprannome buffo che Gally aveva affibbiato a Stephen o se fosse perchè in realtà non volevo proprio dire al ragazzo ciò di cui avevamo parlato. Se lo avessi fatto ero convinta che non ci sarebbe voluto molto, prima che il ragazzo mettesse insieme i pezzi e capisse. Scossi la testa e mi rimproverai mentalmente. Non c'è niente da capire. E' solo una sensazione, vi siete sbagliati entrambi, okay?
Feci spallucce e cercando di essere il più vaga possibile mi limitai a raccontargli che Stephen mi aveva spiegato verso dove ci saremo diretti il giorno dopo e che poi avevamo analizzato la sua situazione, pensando bene a come spostarci insieme a lui senza che faticasse troppo. Il ragazzo sembrò abboccare a quella bugia e mise subito in chiaro che non aveva bisogno di alcun aiuto - soprattutto se proveniva da Capelli-di-Piscio - e che aveva solo la schiena bruciata, non le gambe mal funzionanti. Sembrò quasi essersi offeso dalla mia spiegazione, come se l'idea di ricevere aiuto o di essere considerato in difficoltà rispetto agli altri lo facesse imbestialire. 

Quando finì di mangiare lasciò cadere il bastone ormai vuoto al suo fianco, poi mi guardò preoccupato. "Più che altro non credo che sarò molto in grado di aiutarti a scalare altre montagne, non credo di riuscire a sollevarti senza riaprirmi tutte le ferite sulla schiena." spiegò con un tono affranto.
Feci spallucce e gli sorrisi. "Io me la cavo, tranquillo. Ancora fame?" domandai poi, notando che stesse fissando il mio spiedino quasi finito. 
Il ragazzo scosse la testa. "No, sono solo stanco."
Annuii in silenzio, finii velocemente di mangiare e poi indicai il fuoco. "So che magari vorresti evitare di avvicinarti ancora alle fiamme, ma che ne dici di spostarci verso gli altri? Questa notte potrebbe fare molto freddo e dormire accanto al fuoco aiuterebbe."
Il ragazzo sembrò analizzare la cerchia di amici con circospezione, poi tornò con lo sguardo su di me, sembrava quasi deluso da quella mia richiesta, come se proponendoglielo avessi scombussolato i suoi piani. "Certo, certo..." bofonchiò, tentando di nascondere la tristezza. "Raggiungiamo gli altri."

 

*Angolo scrittrice*

Hey Pive!
Come vi va la vita?

Volevo solo avvisarvi di una piccola novità. Siccome ho notato che alcuni di voi non si ricordano alcuni pezzi di storia e - detto proprio sinceramente - anche io ho avuto qualche difficoltà nel ricordarmi di alcuni particolari, ho pensato di fare un riassunto dei miei libri fino ad ora.

Be' ovvio, tenterò di essere il più breve possibile e di ripercorrere solo la spina fondamentale di tutte le storie, in modo da avere un background ben solido e di poter continuare a scrivere tranquillamente il continuo di questo libro, aggiungendo anche momenti o ricordi dei libri passati.

Che ne dite? Un breve riassunto potrebbe farvi comodo?

Fatemi sapere!
Un bacio,

Elena ღ

PS: come sta procedendo la storia secondo voi? Vi piace ancora o la trovate noiosa?

 

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Capitolo 39
*** Capitolo 33. ***


Era stata davvero una lunga giornata quella e anche io, proprio come Gally, iniziavo a sentirmi stanca, così, quando raggiungemmo i nostri amici intorno al fuoco, aiutai Gally a sedersi a terra. Come promesso, gli cambiai le fasciature, utilizzando di nuovo gli impacchi che avevo creato con i fiori e le loro radici, depositando poi l'intruglio rimasto in due bocchette che mi porse Teresa. Le infilai nel mio sacco, in modo da potercele portare in viaggio e usarle all'occorrenza. 
Questa volta avevo deciso di stendere la sostanza anche sui palmi del ragazzo e di fasciarle subito dopo. Una volta finito, aiutai Gally stendersi a terra e poi io feci lo stesso, dando le spalle al fuoco e guardando negli occhi il ragazzo per capire se stesse bene. Aveva voluto camminare fino a lì da solo, a tutti i costi e, nonostante mi pesasse lasciarglielo fare e ignorare i suoi lamenti di dolore ogni volta che si muoveva, alla fine gliel'avevo permesso. 
Chiusi gli occhi per qualche secondo e sbadigliai, sistemando meglio il braccio sotto la mia testa e sospirando. Intorno a noi si sentiva una quiete tranquilla, segno che anche la natura attorno a noi stesse dormendo. Qualcuno nel gruppo ancora parlava, ma era un bisbiglìo soffocato, che non dava per nulla fastidio, ma anzi che animava la notte.

Da quando avevamo raggiunto gli altri, Stephen mi aveva lanciato un altro paio di sguardi preoccupati quando aveva notato che avevo intenzione di dormire vicino a Gally, poi però lasciò perdere e andò a coricarsi poco distante da noi, come se volesse comunque essere sicuro di non lasciarci da soli. Sorrisi senza potermi trattenere e di nuovo provai tenerezza: era così dolce a preoccuparsi sempre per me, anche quando non ce n'era bisogno.
Richiusi gli occhi e mi avvicinai di più a Gally: il fuoco aveva iniziato a scaldarmi troppo la schiena ed iniziava ad essere fastidioso. "Vuoi fare a cambio?" domandò il ragazzo, notando il mio spostamento.
Mugugnai un "no" stanco e mi risistemai sul braccio già indolenzito, sbadigliando un'altra volta. 
Sentii Gally muoversi delicatamente di fianco a me e sentii una sua gamba sbattere per sbaglio contro la mia. Il ragazzo bofonchiò delle scuse e in tutta risposta, premetti con la punta del mio piede tra le sue gambe, chiedendo tacitamente l'accesso, nella speranza di poter aggrovigliare le mie gambe alle sue.

Inizialmente non ci feci subito caso, probabilmente per via della sonnolenza che si stava facendo sempre più strada nel mio corpo, poi però mi accorsi di quel gesto così intimo e per un attimo me ne vergognai. Sbarrai gli occhi di scatto e arrossii, quando il ragazzo comprese ciò che volevo fare e racchiuse la mia gamba destra tra le sue, strofinando le sue scarpe contro la mia, come una specie di carezza. Tossicchiai imbarazzata e, rendendomi conto che gli altri sembravano essersi messi tutti a dormire, iniziai a sussurrare: "Scusami... E' una cosa che di solito facevo sempre quando..." mi bloccai. Lo facevo sempre quando dormivo con Newt nella Radura, non sapevo il motivo di quella mia necessità, ma se non aggrovigliavo le mie gambe alle sue durante la notte, non riuscivo proprio ad addormentarmi. Lo avevo fatto anche in quelle poche volte che avevo dormito insieme a Stephen, nel periodo in cui avevo litigato con Gally e gli altri, e quindi il ragazzo dai capelli bianchi era venuto ad abitare con me temporaneamente. Solo una notte avevamo dormito nello stesso letto, perchè avevo fatto un incubo e non riuscivo a dormire, ma con lui era diverso: Stephen era mio fratello, praticamente. Non avevamo un legame di sangue, certo, ma la nostra storia comune, le esperienze che entrambi avevamo vissuto e il nostro carattere compatibile erano bastati a sancire quel legame per sempre.

Ma ora che applicavo la mia abitudine su Gally, acquisiva una sfumatura del tutto diversa, sembrava quasi che per sbaglio il mio corpo lo avesse scambiato per Newt e avesse fatto quel gesto in modo innocente, spontaneo. Gally, al contrario di me, non sembrò così imbarazzato e si limitò a dirmi che non mi dovevo preoccupare e che andava bene così.
Chiusi nuovamente gli occhi e, ancora titubante, valutai più volte se sfilare la mia gamba dalle sue o se far finta che me ne fossi dimenticata. Dopotutto sarebbe risultato ancora più strano se, dopo che mi aveva rassicurata che a lui stava bene, avessi ritirato quel gesto presa dalla vergogna. Non c'era nulla di cui vergognarsi, dopotutto, no? Eravamo solo amici.
Siamo solo due amici che dormono insieme. Ripetei nella mia mente. Tutto qua. Se va bene con Stephen andrà bene anche con Gally. E' tutto a posto. Non c'è nulla di cui vergognarsi. Giusto? Perchè non c'è niente da nascondere, no? Solo amicizia, tutto qui. Come con Stephen.
Continuai a ripetermi più e più volte, finchè alla fine mi auto-convinsi, permettendo al mio corpo di scivolare nuovamente nella sonnolenza.

Iniziai a concentrarmi sullo scoppiettio del fuoco accanto a me e su come quel suono danzasse bene con il rumore dei nostri respiri profondi. Tutti sembravano essersi calati tra le braccia del sonno, mancavo solo io. Il tepore del fuoco, mischiato a quello corporeo di Gally, crearono per me un ambiente sicuro, in cui mi potevo abbandonare. Per una volta ero tranquilla nell'affrontare la notte, dato che non avevo nulla da temere: lo sentivo che per quella notte gli incubi mi avrebbero lasciata in pace.
Feci un altro respiro profondo e ringraziai mentalmente perchè potevo ancora addormentarmi tranquilla, circondata da degli amici preziosi, che mi volevano davvero bene. Piano piano forse, anche io stavo imparando a volermi di nuovo bene e a non incolparmi sempre di tutto. Era una bella sensazione, la pace.

Poi accadde un qualcosa, un qualcosa di inaspettato, che mi colse alla sprovvista. Ero sicura di non stare ancora dormendo, anche se dovevo ammettere che c'ero vicina, quindi sapevo per certo di non stare sognando. Rimasi pietrificata sul posto, senza riuscire né a muovermi, né ad aprire gli occhi. Sulle mie labbra si era appena posato un qualcosa di caldo e morbido per qualche secondo. Avevo sentito il profumo di Gally molto vicino a me, ma non avevo percepito il suo respiro sul mio volto, segno che l'avesse trattenuto per un po', forse per non svegliarmi.
Dopotutto, credeva che stessi dormendo, no? 
Il ragazzo aveva appena depositato un piccolo bacio sulle mie labbra, un bacio rubato, e poi si era rimesso probabilmente nella sua posizione iniziale, senza dire nulla.
Non sapevo cosa fare, come reagire, ma sapevo anche che non sarei riuscita a nascondere il rossore sul mio viso per ancora molto tempo. Sentii il braccio del ragazzo scivolare lentamente sulla mia schiena e poi tirarmi lentamente a lui. Trattenni il respiro e il mio cuore saltò un battito. Dovevo continuare a fingere di dormire oppure dovevo fargli notare di essere ancora sveglia? Non sapevo esattamente quale delle due fosse la scelta migliore.

Quella che comporta meno danni. Mi suggerì la mia mente. Se continui a fingere sarà un segreto che custodirete entrambi, ma senza che Gally lo sappia. Ci sarà imbarazzo da parte tua e dovrai celarlo per non fargli comprendere che tu in realtà sai benissimo quello che è successo. Mi bloccai un attimo, ricordandomi solo in quel momento di star ancora trattenendo il fiato. Lo lasciai sfuggirmi dal naso nel modo più naturale possibile, simulando il respiro profondo di una persona addormentata. Se invece decidi di fargli capire che sei sveglia, ci sarà imbarazzo da parte di entrambi. Per l'eternità. Quindi... a te la scelta.
Ci pensai su ancora un po', ma più il tempo passava, più l'idea di farmi vedere sveglia sembrava sempre più assurda. In più era passato troppo tempo, se volevo davvero non fingere, avrei dovuto agire prima.
Serrai leggermente le labbra e ci passai sopra la lingua, quasi come a ripercorrere quel bacio.

Ancora non riuscivo ad elaborare quello che era appena successo. Gally mi aveva baciata, di nuovo. Di certo però, la reazione che avevo avuto la prima volta nella Radura e nei due baci successivi, non era stata quella che si aspettava, così questa volta aveva preferito farlo di nascosto.
Ed era anche inutile chiedersi perchè lo avesse fatto di nuovo: il ragazzo ancora mi amava e probabilmente soffriva ad avermi accanto a lui tutti i giorni senza però potermi avere davvero.
Mi sentii a disagio quando un'altra domanda sorse spontanea nella mia testa. La vera domanda è: perchè non ti sei mossa per rifiutarlo anche questa volta?
Mi portai un palmo sulle labbra, rannicchiando le mie dita sotto il naso, come facevo di solito quando dormivo, nel tentativo di farlo sembrare un gesto che una persona che dorme fa inconsciamente. Sentii un sussulto nel ragazzo, che si irrigidì. Passò qualche secondo in cui mi premurai di zittire pure i miei pensieri, forse per paura che il ragazzo li potesse ascoltare telepaticamente come per magia, e mi obbligai a continuare a respirare profondamente, proprio come una persona addormentata.

Dopo qualche attimo il ragazzo si rilassò e risistemò meglio il braccio sulla mia schiena. Poi, cogliendomi di nuovo di sorpresa, sentii le dita di Gally giocare con l'orlo della mia maglietta. Tentai di non irrigidirmi, pensando che il ragazzo stava solo cercando di farsi cogliere dal sonno, sicuramente. Poi, dopo qualche secondo, sentii il suo palmo, ruvido per via delle fasciature, accarezzare la pelle del mio fianco sotto la maglietta. Continuai a non muovermi, a questo punto curiosa di ciò che il ragazzo voleva fare. Dopotutto sapevo che non aveva brutte intenzioni: era pur sempre Gally e mi fidavo di lui.
Dopo qualche secondo di tentennamento, finalmente il ragazzo fece la sua mossa finale e infilò la sua mano totalmente sotto la mia maglia, accarezzandomi la schiena nuda. Non si mosse troppo in alto però, non si avvicinò nemmeno lontanamente all'attaccatura del mio reggiseno e questo bastò a tranquillizzarmi del tutto e a scacciare i pensieri negativi e ovviamente errati che la mia mente aveva formulato.
Il ragazzo mi stava semplicemente accarezzando il fondo della schiena da sotto la maglietta, probabilmente perchè necessitava di sentire un contatto umano vero e non bloccato dai tessuti dei vestiti.

Poi, per sbaglio, il suo indice - o almeno credevo che fosse il suo indice - trovò una delle mie numerose cicatrici e la percorse con polpastrello. Tutti avevano visto le cicatrici sulla mia schiena nella Radura, mi ricordavo perfettamente quel giorno, quando Thomas, dopo essersi svegliato dalla Mutazione, aveva iniziato a spiegare a tutti quello che la W.I.C.K.E.D. voleva da noi e anche quello che era capace di fare. Per dare una dimostrazione aveva voluto che mostrassi a tutti le mie cicatrici. Tutti sapevano che era stata la W.I.C.K.E.D a farmele, tutte le avevano viste, ma nessuno sapeva la storia per completo. Nessun altro, fino a quel momento, aveva toccato con mano le cicatrici formatesi sulla mia schiena in seguito agli esperimenti della W.I.C.K.E.D. e all'attacco da parte di Ben durante la sua Mutazione. Nessuno a parte Newt, ovviamente, che ora potevo confermare essersi portato quel segreto nella tomba. Non volevo che qualcun altro toccasse con mano una parte così brutta della mia vita, era un qualcosa di privato, un dolore che ancora non si era del tutto appassito dentro di me: quello che mi aveva fatto la W.I.C.K.E.D. sarebbe per sempre rimasto indelebile sulla mia pelle, anche se avessi voluto cancellarmi quel periodo dalla mente, le cicatrici sarebbero sempre rimaste lì a ricordarmelo.

Tutto quello che vedevo sul mio corpo era un costante rammentarmi di quello che avevo passato: prima le cicatrici sulla schiena, risalenti al mio periodo da Cavia; poi il tatuaggio "La Traditrice" sul mio addome, ricordo di ciò che avevo dovuto inscenare nella Zona Bruciata; poi sull'incavo tra la spalla e il corpo, giacevano i segni del morso ricevuto da uno Spaccato; ed infine alla lista si erano aggiunti anche il segno dell'arma da fuoco di David sulla mia spalla destra e il marchio lasciato dal pugnale che mi aveva ferita alla coscia nell'ultima battaglia avvenuta nella sede della W.I.C.K.E.D.
Ma mi andava bene se Newt sapeva tutta la storia delle mie cicatrici: lui ne aveva custoditi tanti di segreti per me, dopotutto era la mia anima gemella e non riuscivo a tenergli qualcosa nascosto.

Ma ora che anche Gally aveva toccato con mano le cicatrici del mio passato... Mi sentivo in qualche modo violata, perchè dopotutto il ragazzo si era preso la libertà di accedere ad una parte privata della mia vita senza chiedere il permesso e la cosa non mi andava giù. Sperai che togliesse la mano da lì sotto e sperai anche che si allontanasse: ero rimasta ferita da questo suo comportamento. Così mugugnai nel sonno e finsi uno scatto del mio corpo, simulando una persona addormentata alle prese con un incubo. La mia tattica funzionò solo in modo parziale però, dato che il ragazzo tolse effettivamente la mano da sotto la mia maglia, ma per poi posarla sopra di essa e tirarmi ancora più a sé. 
Nonostante fossi infastidita, quel gesto mi rassicurò un pochino, ricordandomi ancora una volta che Gally mi voleva bene e che quando aveva infilato la mano sotto la mia maglia, in realtà non sapeva cosa si celasse al di sotto.
Mi morsi di nuovo il labbro quando però riconobbi che il ragazzo, quella notte, si fosse preso molte libertà, a partire dal bacio che mi aveva rubato convinto che stessi dormendo.
Premetti ancora di più le nocche sulle mie labbra, come a proteggerle da ciò che era accaduto poco prima.
Perchè non l'hai respinto? Mi domandò di nuovo la mia mente. Non lo so. Le risposi.
Oh, secondo me lo sai benissimo il perchè. Continuò lei. No, non è vero, lasciami in pace.
E con ciò tutti i miei pensieri si spensero, permettendomi finalmente di scivolare tra le braccia del sonno.




 

Mi svegliai durante la notte quando sentii un rumore e dei movimenti accanto a me. All'inizio non capii subito cosa stesse succedendo e il primo pensiero che mi spuntò in testa era che Minho ci aveva svegliato tutti all'alba e che ognuno stava preparando il proprio sacco, preparandosi all'imminente partenza. Solo quando aprii gli occhi, tuttavia ancora senza muovermi, mi accorsi che in realtà era notte profonda, dato che il fuoco proprio davanti a me ormai si era spento, lasciando però dietro di sé qualche carbone ancora ardente, segno che non doveva essere passata la mezzanotte da poco. Il cielo era ancora avvolto nel suo manto nero e le stelle spiccavano in quel colore come tanti fori luminosi.
Quando i miei occhi si abituarono all'oscurità, notai una figura che si stava allontanando passo lento dal resto del gruppo. Quando misi a fuoco la sua sagoma, capii subito che si trattasse di Gally: le sue forme e la sua camminata erano inconfondibili per me. Forse però anche l'assenza di tepore dove prima era steso il corpo del ragazzo, mi aiutò ad arrivare velocemente alle conclusioni. Non capivo ancora il motivo il motivo per cui si stesse allontanando, ma forse il ragazzo aveva fatto un brutto sogno e aveva bisogno di schiarirsi la mente.

Preoccupata mi alzai a sedere e, stando bene attenta che tutti dormissero ancora, raggiunsi il ragazzo con passo felino. Vidi Gally camminare ancora un po', poi dopo aver raggiunto una roccia bella grande, si lasciò cadere goffamente a terra e appoggiò la schiena contro il masso, nascondendo così il suo corpo dietro di esso.
Allungai il passo e, quando finalmente lo raggiunsi, il ragazzo non sembrò sorpreso di vedermi là. 
"Brutto sogno?" domandai preoccupata, inginocchiandomi davanti a lui.
Sul volto del ragazzo spuntò un sorriso che mi scaldò il cuore. "No, Eli, nessun brutto sogno. Non riesco a dormire."
Aggrottai le sopracciglia e mi misi a sedere vicino a lui, incrociando le gambe e rimanendo in ascolto. Si sentivano solo le cicale in quel luogo e un leggero venticello, ma non si era fatto così freddo come pensavo. "Cosa ti turba?" chiesi infine, dato che il ragazzo non sembrava voler sputare il rospo così facilmente. Invece poi, la risposta mi arrivò immediata, come se il ragazzo non stesse attendendo altro che quella domanda.
"Ecco... io lo so che non te lo vuoi sentir dire, ma perdonami per questa volta, ho bisogno di buttarlo fuori, è tutta la notte che ci penso." ammise sussurrando, forse temendo che lo avrei sentito. 
Annuii curiosa e forse anche un po' preoccupata. Poi Gally mi prese una mano tra le sue e la accarezzò con fare spensierato, come se quell'azione gli fosse venuta spontanea.
Quando il ragazzo incatenò il suo sguardo al mio, sentii il mio cuore saltare un battito e un calore improvviso mi fece arrossire. In un attimo avevo capito cosa il ragazzo intendesse dirmi.
Feci per aprire la bocca, ma Gally fu più veloce. "Io ti amo..." buttò fuori, senza nemmeno un pizzico di timidezza nella voce, mostrandosi sicuro di sè e delle sue parole. "Non ho mai smesso di farlo, in realtà."

Le mie labbra tremarono e iniziai a sudare, sentendo la vampata di calore farsi sempre più intensa. Ero sicura che se non ci fosse stata tutta quell'oscurità, il ragazzo avrebbe notato subito il rossore sulle mie guance. Solo quando il mio cuore accelerò a dismisura, mi resi conto di star trattenendo un respiro. Abbassai lo sguardo e lo ancorai sulle nostre mani ancora strette l'una nell'altra.
"Ga-Gally, io..." biascicai a stento il suo nome, poi decisi che era arrivato il momento. Lo guardai negli occhi e vidi nascere nel ragazzo la sorpresa derivante da quella mia sicurezza improvvisa. "E' da un po' che ci penso, in realtà." ammisi, vedendo il ragazzo farsi un poco più vicino a me, segno che era totalmente preso da quello che gli stavo dicendo. "Da quando siamo fuggiti dalla W.I.C.K.E.D. io e te ci siamo avvicinati molto, e credimi quando ti dico che sono felice che tu sei ancora qua accanto a me. Insomma, stiamo affrontando l'ennesima avventura insieme e non avrei potuto chiedere un compagno migliore, ma..."
Mi interruppi. Era quello ciò che volevo? Quello che avevo appena detto al ragazzo era certamente la verità, ma iniziavo a rivalutare il continuo di quel discorso. Quelle parole del rifiuto persistevano nella mia mente, come se fossero già state scritte da tempo e io stessi semplicemente rileggendo un vecchio copione che ormai conoscevo a memoria, ma ero ancora sicura di stare dicendo il vero? 
Nulla è cambiato da quel primo bacio nella Radura? Mi chiesi sovrappensiero. I sentimenti che provi quando sei con lui, quello che senti e quello che pensi quando non è con te... Sicura che sia lo stesso?

Scossi la testa, accorgendomi di non riuscire quasi più a stare dietro al mio cuore, che aveva iniziato a battere all'impazzata.
"Gally..." ripresi, notando la speranza che si era ora accesa negli occhi del ragazzo. "Io non lo so se... Non lo so se comprendo bene quello che provo, ecco. Mi sento confusa." ammisi.
"Posso capirlo." disse semplicemente il ragazzo. "Non mi aspetto che tu mi dica che mi vuoi sposare, è ovvio. Però vorrei farti una domanda, una semplice, e vorrei che rispondessi in modo sincero, senza aver paura delle conseguenze."
Annuii sicura e, quando il ragazzo parlò, sembrò quasi che avesse ritagliato una frase dai miei pensieri e l'avesse incollata nel concreto. "Quello che provi per me ora, è lo stesso che provavi quando eravamo nella Radura?"
Sbattei le palpebre e il mio cuore saltò di un battito. Poi la risposta uscì dalle mie labbra, senza nemmeno passare per il mio cervello. "No." dissi secca, poi portai la sua mano che stavo stringendo a terra sul mio petto e premetti affinchè il suo palmo fosse totalmente a contatto con la mia pelle. "Credo che il batticuore saprà risponderti meglio di quanto possa mai fare io." spiegai.
Sul volto del ragazzo si sparse un'espressione stupita ed emozionata allo stesso tempo. Le mie parole l'avevano colto di sorpresa e l'avevano fatto sorridere in modo sincero. Vidi i suoi occhi indugiare nei miei e poi spostarsi velocemente sulle mie labbra. Fu un movimento repentino, quasi impercettibile, quando il ragazzo si allungò su di me e annullò del tutto le distanze tra di noi, premendo le sue labbra sulle mie.
 

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Capitolo 40
*** Riassunto generale: ***


Dato che sono sparita per più di un anno, ho deciso di fare un riassunto generale di tutti i libri, giusto per rinfrescare sia la mia che la vostra memoria. Ma sarò breve, non preoccupatevi. Se vi ricordate benissimo ogni dettaglio del libro e non avete voglia di leggere, tranquilli, potete benissimo saltare questa parte, dato che non aggiungerò nuove informazioni, ma mi limiterò a ripercorrerle passo passo insieme a voi.

Allora, direi che possiamo cominc... 
*un trambusto improvviso nella stanza della scrittrice la fa voltare impaurita*

*i personaggi del libro entrano incavolati e la buttano giù dalla sedia, prendendo possesso del computer*

Minho: bene così, ragazzi. Legatela ben stretta, mani e piedi. No, il bavaglio no, lasciamola con la libertà di parlare nel caso voglia aggiungere qualche commento.

Scrittrice: aiuto, per favor...

*Minho cambia idea e le lega subito un bavaglio sulla bocca*

Minho: così andrà meglio. Prego, Newt, a te l'onore di cominciare!

Newt: allora dato che questa storia ci riguarda saremo noi a raccontarla, non tu. 
*lancia un'occhiata furibonda alla scrittrice* 
Mi hai ammazzato e hai già fatto abbastanza casini per quanto mi riguarda! Insomma, Gally che bacia Elena? E quello che succede dopo, poi? Andiamo, è una caspiata!!!

Gally: be', tu non ci sei più, qualcuno dovrà pur prendersi cura di lei, no?

Elena: smettetela entrambi! Racconterò io la storia al posto della scrittrice, sennò voi litigate e basta!

*la protagonista si scrocchia le dita e inizia a il suo racconto*

Elena: allora, partiamo col primo libro! Come tutti ben sapete, vengo portata nella Radura attraverso la Scatola. O mio dio, una ragazza, wow, che cosa strana, eheh, oddio!
*imita la voce dei Radurai* 
Non c'è bisogno che vi spieghi come è andata a finire, no? Credo che vi ricordiate tutti benissimo: nel giro di qualche giorno sono stata capace di farmi ben due nemici mortali – ovvero Zart e Glader – che hanno tentato più volte di uccidermi, incolpandomi di essere la causa di tutte le cose strane accadute nel Labirinto e anche della morte di Ben. Però grazie al cielo mi sono fatta anche diversi amici, quindi sono stata capace di sopravvivere per il resto della storia.

Attraverso i sogni che ho di notte, comprendo di essere una Cavia della W.I.C.K.E.D., associazione malvagia che ci ha rinchiusi in quella Radura circondata da un labirinto popolato da Dolenti, mostri mortali. Ma anche questo lo sapete benissimo, quindi andrò avanti.

Mentre tutti sono impegnati a cercare un'uscita, io inizio a capire di più sul mio passato: scopro di chiamarmi Rebeca e che in quel luogo, in realtà, mi ci ero buttata da sola per scappare dalle guardie che mi stavano inseguendo. Solo che facendo così avevo solo scombussolato i piani della W.I.C.K.E.D. che in realtà pianificava di mandare Teresa in quel luogo, un'altra ragazza di cui non si parlerà fino al terzo libro.

Grazie a questi sogni scopro addirittura che la W.I.C.K.E.D., dopo avermi usata come Cavia per anni, aveva alla fine raccolto tutti i dati che le servivano, decidendo così che sarei stata più utile se mi avessero affidato un nuovo incarico. Tentando di cancellare gli esperimenti disgustosi che avevano testato su di me per tutti quegli anni, mi avevano affidato una nuova identità, ovvero quella di Elena, e poi mi avevano dato il compito di monitorare il Labirinto attraverso le telecamere installate nelle Scacertole – bestioline che si aggiravano per il Labirinto. Solo che il mio caratterino mi faceva sempre fare qualche dispetto ed è per questo che una volta, andando ovviamente contro gli ordini che mi erano stati affidati, ero riuscita a manipolare i comandi di due Dolenti, facendoli ammazzare tra di loro e salvando Ben, un Velocista.

Anche se poi, sappiamo tutti come è finita. Quando la W.I.C.K.E.D. decide che qualcuno deve morire, be', in un modo o nell'altro quello muore.

Ben: già, lo sappiamo perfettamente.

Elena: comunque... Mi innamoro di Newt 
*ammette lanciando un bacio al ragazzo che se ne sta seduto nella stanza insieme agli altri Radurai* e ci mettiamo insieme! Olee!

Poi un nuovo ragazzo sale per la Scatola e pronuncia il mio vero nome, wow!

Thomas: quel ragazzo sarei io, eheh.

*Elena lo spinge via malamente e riprende il controllo della tastiera*

Elena: questa è la mia storia, non intrometterti. Comunque, dicevo... Ah, sì, scopro che io e Thomas eravamo fidanzati prima del Labirinto! Ew, se ripenso al fatto che ci siamo baciati...

Non importa, è acqua passata. Comunque Thomas porta con sé un biglietto scritto direttamente dai Creatori, che comunica che io ero stata uno sbaglio e che la Scatola non sarebbe più salita con i suoi rifornimenti. O mio dio, siamo fregati, dobbiamo uscire da qui! E così facciamo. Scopriamo, grazie alla mente geniale di Thomas – o forse, ancora meglio – grazie ai ricordi che aveva riacquistato dopo essersi lasciato...

Newt: dopo essersi lasciato pungere da un caspio di Dolente per affrontare volontariamente la Mutazione!!! Tommy, ancora non mi capacito come tu abbia potuto fare una...

Thomas: ma era necessario affinchè io...

Elena: riuscite a stare zitti? Stavo parlando io! Comunque, grazie a Thomas scopriamo il codice nascosto e, dopo una strenua battaglia contro i Dolenti, riusciamo ad inserire il codice e ad uscire al Labirinto.
Tuttavia una volta usciti, arriva la figura incappucciata di Gally – sorprendendoci tutti dato che il ragazzo era voluto rimanere a tutti i costi dentro la Radura – che, venendo controllata dalla W.I.C.K.E.D. lancia un coltello in direzione di Thomas, uccidendo però Chuckie che si era gettato davanti al ragazzo per proteggerlo. 

Gally: se solo non gli avessi permesso di controllarmi io...

*Elena gli prende la mano e gli sorride incoraggiante, dicendogli di andare avanti*

Gally: a quel punto Thomas mi riempie di pugni e, quando delle persone irrompono nella stanza in cui ci trovavamo e portano via gli altri verso un'altra struttura, io vengo lasciato a terra a morire dissanguato.

Stephen: e così inizia il secondo libro, dove finalmente compaio anche io. Se non ti dispiace, da qui inizio io il racconto. 
*spinge Gally da parte e si impossessa della tastiera*
Allora, iniziamo dal fatto che tutto quello che succede nel secondo libro è stato ordinato da Janson: io ed Elena non abbiamo colpe, siamo stati entrambi minacciati e obbligati a fare cose di cui non andiamo fieri, ma non è colpa nostra.

Poco prima della fine del libro la combriccola di amici era stata separata, anzi in particolare Elena era stata isolata rispetto al resto del gruppo. Così il secondo libro inizia con la ricongiunzione del gruppo che, aiutato dal sottoscritto, riesce a scappare dalla struttura e a raggiungere la Zona Bruciata, luogo non affatto sicuro, dato le tempeste di lampi e gli Spaccati.

Jorge: non sareste sopravvissuti un giorno senza me e Brenda.

Minho: la prima volta che ci siamo incontrati mi hai prima picchiato e poi hai minacciato di tagliarmi le dita delle mani!!!

Jorge: be', stavo recitando la mia parte da Spaccato... lo so, sono un ottimo attore.

Elena: tutti zitti, fate finire Stephen o non finiremo più.

Stephen: grazie, pasticcino. *fa un occhiolino alla ragazza, che alza gli occhi al cielo*
Stavo dicendo, inizialmente Elena ha spiegato a tutti – come ordinato da Janson – che tutti noi avevamo contratto l'Eruzione, ma che, se fossimo riusciti a raggiungere il Porto Sicuro entro due settimane, avremmo ricevuto come premio la cura. 

E così abbiamo fatto: abbiamo viaggiato a fianco del nostro gruppo, il Gruppo A; poi abbiamo incontrato Brenda e Jorge che effettivamente ci hanno aiutato molto (anche se allora si stavano fingendo Spaccati seguendo anche loro il piano che Janson gli aveva ordinato di perpetuare). Dopodiché io ed Elena ci siamo separati da loro e – come ordinato da Janson – abbiamo raggiunto le ragazze del Gruppo B e abbiamo iniziato la nostra recita, spiegando loro che avevamo lo stesso loro incarico, ovvero uccidere Thomas. Una volta acquistata la loro fiducia, ci siamo uniti a loro per raggiungere lo scopo comune.

Elena: è stato orribile... scusaci, Thomas.

*il ragazzo fa spallucce*

Stephen: in realtà, io ed Elena sapevamo di non dover uccidere sul serio Thomas, ma il Gruppo B faceva sul serio. Così ci siamo accollati a loro per riuscire a rapire Thomas dal Gruppo A e poi, quando il gruppetto di ragazze non se ne accorgeva, abbiamo attirato il ragazzo con un inganno, portandolo ad abbandonare il Gruppo B e a seguirci in una sottospecie di bosco morto.

Elena: ti sei dimenticato una cosa fondamentale... *gli lancia un'occhiata furiosa* Prima di partire Janson mi aveva impiantato nel collo un chip che avrebbe diffuso nel mio corpo delle scosse elettriche nel caso in cui avessi tentato di spifferare a tutti il piano che ero stata obbligata ad accettare.
Ma ovviamente Janson ha dato a te l'incarico di controllarmi ed eri tu a darmi le scosse elettriche ogni volta che cercavo di dire la verità a Thomas!!

Stephen: non puoi incolparmi, sono stato obbligato. Comunque, continuando il racconto... Finalmente riusciamo a condurre il ragazzo nel posto che ci aveva indicato Janson per "ucciderlo". Abbiamo concluso la nostra recita chiudendolo in una sottospecie di stanza a gas e poi abbiamo aspettato. Dopo aver atteso il tempo indicato da Janson, l'abbiamo cavato fuori e gli abbiamo spiegato che tutto quello che avevamo fatto era solo una finzione che ci era stata imposta dalla W.I.C.K.E.D. e che oramai non aveva più senso tenere il fatto segreto dato che la W.I.C.K.E.D. aveva probabilmente già raccolto tutti i dati di cui aveva bisogno.

Thomas riacquista la fiducia in noi e così raggiungiamo gli altri, che nel frattempo si erano riuniti al Gruppo B per raggiungere in contemporanea il Porto Sicuro. Dopo qualche ora siamo riusciti tutti a raggiungere il luogo prescritto, per poi scoprire che il Porto Sicuro non era altro che una bandiera. Increduli abbiamo atteso il tempo restante che ci era stato concesso per raggiungere quel luogo, nella speranza che succedesse qualcosa, mentre una tempesta ci minacciava dall'alto. Alla fine, però un qualcosa è successo veramente...

Minho: puoi dirlo forte, caspio! Quei mostri erano peggio dei Dolenti! Non ho dormito per giorni! Quelle teste di sploff della W.I.C.K.E.D. avevano superato il limite!

Elena: qualcuno qua sembra aver perso il suo coraggio, eh Minho?

Minho: andiamo, so che ti sei sploffata anche tu nei pantaloni, solo che non vuoi ammetterlo.

*Elena sbuffa e Minho ne approfitta per spingere Stephen vuole dalla sedia e impossessarsi della tastiera*

Minho: dei mostri sono apparsi in delle capsule e così abbiamo combattuto strenuamente contro quegli affari. Ho fatto di tutto pur di difendere i miei amici e ho combattuto valorosamente, usando al massimo i miei bellissimi muscoli e mai perdendo la concentrazione. I miei capelli rilucenti risplendevano mentre mi muovevo in modo scaltro tra quei mostri e senza fatica li combattevo. Poi usando la mia astuzia...

*Newt dà un pugno sulla spalla a Minho e gli sottrae il computer dalle mani, mettendosi a scrivere sul letto*

Newt: a nessuno interessa di come tu abbia combattuto, faccia di sploff. In più non è andata veramente come hai detto tu: eri in difficoltà come tutti noi. Comunque, sorpassando questo tema, alla fine siamo riusciti davvero a sconfiggere quei mostri, anche se con non poche difficoltà, dato che erano dieci volte peggio dei Dolenti. *lancia un'occhiataccia a Minho* 
Poi finalmente una Berga è venuta a prenderci e anche se a fatica siamo riusciti a salire tutti.

Brenda: non dimenticarti di specificare la parte in cui Thomas ha deciso di sacrificarmi quando David gli ha ordinato di scegliere tra me e Jorge!

Thomas: ma, ma io...

Elena: e andiamo, la scrittrice aveva promesso di essere veloce nello spiegare e voi state rovinando tutto! Tacete, porco caspio! 
*lancia un'occhiata truce a tutti, tranne che a Newt, guardandolo con amore* Continua pure, amore mio.

Newt: ehm *tossisce imbarazzato* sì, dicevo... Be' si, Brenda era stata scelta per essere buttata giù dalla Berga, ma alla fine Tommy l'ha difesa e siamo rimasti tutti a bordo. Ci hanno convinto che eravamo al sicuro, ci hanno dato da mangiare, ci hanno fatto fare una doccia e ci hanno suggerito di dormire, ma...

Thomas: ma poi ci hanno attaccato nel sonno, addormentandoci tutti.

Elena: in realtà io e Newt ci siamo svegliati mentre stavano iniettando agli altri un liquido bianco. Abbiamo provato a fermarli e a combatterli, ma non è finita proprio bene. 
*ammette, lanciando un'occhiata alla sua spalla destra e accarezzando la cicatrice a forma di buco* 
David mi ha sparato e sono svenuta. Il secondo libro finisce così, purtroppo.

Frypan: bene così, ora sta a me! Il terzo libro inizia con un bellissimo banchetto organizzato dal sottoscritto, dove ho cucinato per tutti e c'erano certe prelibatezze che... *gli esce la bava dalla bocca*

Jorge: non è vero, te lo sei sognato, hermano. *gli dà una gomitata sulle costole, riportando il ragazzo alla realtà*

Elena: in effetti ognuno all'inizio del terzo libro ha dovuto affrontare un test personale, ma dubito che il tuo consistesse in questo, Frypan. Forse te lo sei solo sognato. Io invece, ad esempio, ho dovuto affrontare Zart o meglio, una riproduzione robotica di Zart, dato che quello vero era morto nel Labirinto. Me l'hanno fatto uccidere con una pistola che non sparava proiettili, ma che risucchiava energia elettrica, in modo che io potessi usare l'arma solo contro la riproduzione robotica del Raduraio e non contro me stessa. È stato un incubo. Certo che la W.I.C.K.E.D. pensa sempre a tutto...

Newt: già, è stato difficile per tutti quel test, credo. Ognuno di noi ha dovuto lottare contro la propria paura peggiore. Però la cosa positiva è che alla fine siamo riusciti a riunirci tutti. Be', tutti a parte Tommy, che era stato isolato dalla W.I.C.K.E.D. perché – così come ci aveva spiegato Janson – aveva raggiunto uno stadio di Eruzione troppo pericoloso per potergli permettere di starsene semplicemente in compagnia degli altri.

Minho: inutile dire che non ce la siamo bevuta.

Elena: già, proprio per niente. Non siamo mica teste puzzone sceme.

Minho: porco caspio, tu sei stata fantastica in quel libro, bambolina! Eri una macchina da guerra inarrestabile!

*Elena arrossisce e biascica un ringraziamento, mentre Newt lo guarda in modo truce*

Newt: non incoraggiarla alla violenza. Anche se devo ammettere che è solo grazie alla mia Eli se siamo riusciti a rubare la tessera magnetica all'uomo Ratto e a trovare la Sala di Controllo. Da lì, siamo riusciti ad individuare in che stanza fosse imprigionato Thomas. Purtroppo però delle guardie ci hanno messo K.O. e non siamo riusciti nell'intento di liberare il ragazzo.

Thomas: alla fine però mi hanno liberato loro stessi dalla prigionia e mi hanno restituito al resto del gruppo! 

Minho: già ma la felicità è durata ben poco: quegli spocchiosi ci hanno rivelato che Newt non era Immune all'Eruzione, mentre noi lo eravamo. Così abbiamo deciso di fuggire. Poco prima Janson aveva dato a tutti la possibilità di riacquistare la memoria, ma io, Newt e Thomas – senza contare la bambolina e la femminuccia di nome Stephen, che la memoria l'avevano già riacquistata prima della Zona Bruciata – ci eravamo rifiutati.

Newt: e ovviamente abbiamo ben pensato di poter cogliere il momento in cui tutti se ne andavano a riacquistare i loro ricordi per attuare il nostro piano di fuga, nella speranza che tutti fossero troppo presi a smanovrare col cervello della maggior parte dei Radurai, per notarci sgattaiolare via.

Elena: già, ma sappiamo tutti come è andata a finire.

Thomas: esatto, la W.I.C.K.E.D. aveva di nuovo previsto le nostre mosse e ci aveva rinchiuso in uno stanzino, minacciandoci che ci avrebbero comunque fatto riacquistare la memoria, che lo volessimo oppure no.

Minho: ma grazie al cielo abbiamo le teste più dure del cemento, quindi siamo riusciti a farla franca anche questa volta. Anche Brenda ci ha dato una mano, rispuntando dal nulla e combattendo insieme a noi contro le guardie dell'Uomo Ratto, poi però è scoppiato il trambusto. Le luci erano andate via e c'era un allarme che suonava di continuo, annebbiandoci il caspio di cervello. All'inizio avevamo addirittura preso in considerazione l'idea che degli Spaccati fossero riusciti ad entrare nella struttura, ma poi...

Stephen: tu ti perdi nelle descrizioni, amico. Facendola breve: abbiamo combattuto contro le guardie, ne abbiamo presa una in ostaggio e siamo andati a recuperare le mie sorelle che però...
*la voce gli si spezza, Elena gli mette una mano sulla spalla e gli sfila lentamente la tastiera dalle mani*

Elena: purtroppo la W.I.C.K.E.D., forse presa dal panico perché aveva capito di non avere più tempo, aveva utilizzato due delle sorelle di Stephen come Cavie, sottoponendole agli stessi esperimenti che io e Stephen avevamo subito per anni. Ma essendo molto piccole... non ce l'hanno fatta, ecco. Però siamo riusciti a recuperare Hailie, la più piccola delle tre e con lei ci siamo diretti all'Hangar, dove erano custodite tutte le Berghe, nella speranza di poter fuggire in quel modo.

Jorge: e qui entro di nuovo in azione io! Racconto a tutti loro che, poco prima del loro arrivo, i loro amichetti e il Gruppo B, capeggiati da una ragazza di nome Teresa, erano riusciti ad impossessarsi di una Berga e a volare via senza però aspettarli.

Minho: è stato un colpo al cuore, quelle teste di caspio avrebbero potuto aspettarci! Però, dopo un altro combattimento contro altre guardie, alla fine siamo riusciti anche noi a fuggire con una Berga, aiutati da Jorge.

Brenda: e alla fine siamo arrivati a Denver, seguendo la traiettoria della Berga partita poco prima di noi, cercando di ricongiungerci con i loro amichetti.

Elena: arriviamo a Denver e, nonostante tutti i miei tentativi di rimanere con Newt sulla Berga, Stephen e Minho riescono a trascinarci fuori. Alle mura della città consegniamo i nostri documenti falsi e poi veniamo sottoposti ad un esame per vedere se abbiamo contratto l'Eruzione. Dato che siamo tutti Immuni, riusciamo ad entrare facilmente, ma non appena compiamo qualche passo nella città, un signore incappucciato ci consegna un bigliettino con su scritto un messaggio da parte di Gally.

*Gally inizia ad urlare fingendosi spaventato*

Elena: già grazie, non ce n'era bisogno. Rimaniamo tutti stupiti e pensiamo "cavolo, ma abbiamo abbandonato un Gally quasi morente per colpa di Thomas subito dopo essere usciti dal Labirinto! Forse è una trappola della W.I.C.K.E.D.?"

Minho: sta di fatto che alla fine decidiamo di andare all'incontro che il nostro Gally ci aveva chiesto e, una volta raggiunto l'indirizzo indicato sul biglietto, ci accorgiamo che non è una trappola, ma che Gally è vivo e vegeto.

Gally: poi racconto loro brevemente che mi ero unito al Braccio Destro, un'associazione di ribelli, e che con esso pianificavo di ribaltare la W.I.C.K.E.D., usando i mezzi dell'associazione perfida e i suoi soldi per fare però un qualcosa di buono per quello schifo di mondo rimasto. 

Spiego loro anche che stavo collaborando con Teresa, che per tutto quel tempo aveva fatto da spia, passandomi molte informazioni private sulla W.I.C.K.E.D.

Thomas: dopo quella bella rimpatriata, lasciamo Gally al suo appartamento, promettendogli che saremo tornati solo quando, dopo aver trovato un certo Hans – ex medico alla W.I.C.K.E.D. –, ci saremo fatti rimuovere il chip di rilevamento in modo da non poter più essere rintracciati o controllati dalla malvagia associazione.

Elena: stranamente questa volta riusciamo nel nostro intento e, dopo esserci liberati dei chip, tentiamo di tornare da Gally, ma la situazione a Denver si fa preoccupante. Thomas nel frattempo dice di aver ricevuto un messaggio dall'Uomo Ratto, che l'aveva avvisato di tener sott'occhio Newt poiché l'Eruzione stava avanzando velocemente in di lui. E' questo a spingerci a tornare alla Berga.

Minho: ma a quel punto era ormai troppo tardi. Troviamo un biglietto di Newt che ci comunica di essere stato portato in un posto migliore da delle guardie.

Brenda: io e Jorge capiamo ben presto che il luogo che nomina il biondino nel biglietto fosse il Palazzo degli Spaccati e così li portiamo a recuperare il loro amico.

Thomas: ma le cose non vanno come previsto, ancora una volta. Newt si rifiuta di tornare con noi e alla fine la situazione in quel luogo inizia a farsi veramente pericolosa, quindi siamo costretti a fuggircene a gambe levate da quel posto per non lasciarci la pelle.

Elena: così alla fine decidiamo di tornare a Denver per incontrare Gally, ma anche questo, ovviamente, non è stato possibile. Siamo stati catturati da delle guardie che ci hanno portato in un luogo misterioso in cui però abbiamo ritrovato le ragazze del Gruppo B e Teresa.

Violet: ed è lì che abbiamo capito di aver compreso male la situazione, dato che sin dal principio sia io che Elena ci accusiamo a vicenda di aver abbandonato l'altra nella sede della W.I.C.K.E.D. In realtà si trattava solo di uno stupido fraintendimento e quindi torniamo ad essere super best friends.

Gally: e qui compaio di nuovo io. Spiego a tutti che, nel tentativo di anticipare la W.I.C.K.E.D., avevamo iniziato a rapire quanti più Immuni possibili – loro compresi – e a metterli in salvo, perchè sapevamo per certo che l'associazione malvagia stesse progettando di riniziare gli esperimenti da capo con nuovi Immuni.

Thomas: a quel punto Gally mi spiega che avevano trovato un modo per disattivare tutte le armi della W.I.C.K.E.D. attraverso un dispositivo, ma che gli serviva un qualcuno che portasse l'aggeggio dentro la loro struttura senza però essere ucciso. E ovviamente mi sono offerto volontario, consapevole che la W.I.C.K.E.D. non avrebbe mai alzato un dito su di me.

Elena: nel frattempo noi tutti ci armiamo e, dopo qualche giorno, ci dirigiamo alla W.I.C.K.E.D., dove iniziamo la nostra battaglia finale.
Dopo aver combattuto a lungo vengo ferita da un pugnale alla coscia, ma alla fine riesco comunque a tenermi più o meno in piedi.
Dopo aver reso la situazione "tranquilla" ed esserci sbarazzati della maggior parte delle guardie, anche Thomas si ricongiunge a noi, informandoci che Ava Paige gli avesse lasciato una mappa con sopra indicato il luogo dove custodivano gli Immuni che avevano precedentemente rapito e anche un percorso che ci avrebbe condotti, attraverso un Pass Verticale, ad un luogo sicuro.
Poi il ragazzo ci spiega anche che non avevamo molto tempo a disposizione, dato che il Braccio Destro pianificava di far saltare in aria quel posto.

Minho: iniziamo così a seguire il primo percorso e scopriamo che porta di nuovo dentro la Radura, così rientriamo nel Labirinto e percorriamo ancora una volta il percorso per uscirne, portando in salvo con noi tutti gli Immuni rinchiusi al suo interno.
Riusciamo a far uscire tutti e ci dirigiamo verso il Pass Verticale mentre l'intero palazzo della W.I.C.K.E.D. ci crolla addosso.

Thomas: poco prima di entrare nel Pass Verticale, Janson e le sue guardie ci attaccano. Riusciamo a sconfiggerli e finalmente io riesco ad avere la meglio sull'Uomo Ratto, comprendendo che probabilmente fosse affetto dall'Eruzione. Solo che, proprio quando io ed Elena, sorreggendoci a vicenda, stiamo per attraversare il Pass Verticale...

Elena: un pezzo di soffitto ci crolla addosso e a quel punto, nel tentativo di salvare Thomas lo spintono di lato e poi cerco di lanciarmi anche io, ma senza avere ottimi risultati, dato che un masso mi spiaccica la gamba già ferita e mi fa svenire.

Gally: ed è a questo punto che inizia l'ultimo libro, bei pive. Non starò a raccontarvi cosa è successo mentre Elena era in coma, ma in breve ci siamo ritrovati in un luogo bellissimo, pieno di vegetazione rigogliosa – con addirittura un oceano – circondato di boschi e montagne. Abbiamo cercato di ricostruirci una vita da capo, una volta costatato che quello era davvero il nostro Posto Sicuro.

Minho: abbiamo avuto una vita pacifica almeno finchè Thomas non ci ha confidato di aver ucciso Newt quando, nel terzo libro dopo esserci alleati al Braccio Destro, lui lo aveva incontrato nel tragitto di ritorno alla W.I.C.K.E.D.

Thomas: era ridotto male... I-Io... mi ha minacciato con una pistola, poi se l'è puntata alla testa e mi ha chiesto di porre fine alle sue sofferenze e... I-Io giuro che...
*al ragazzo vengono gli occhi lucidi ed Elena gli prende la mano*

Elena: tranquillo, è tutto a posto, Tom. Ammetto di non averla presa per niente bene, ma alla fine l'ho perdonato nei capitoli poco precedenti a questo riassunto. Comunque, concludendo in breve, dopo essermi ripresa dal coma e dalla gamba spezzata – che è la causa per cui ora zoppico – la pace in quel luogo non è durata tanto.

Gally: mentre io ed Elena eravamo a caccia nei boschi abbiamo sentito degli spari e siamo tornati al villaggio, per comprendere poi che la W.I.C.K.E.D. ci aveva raggiunti con due Berghe per portarsi via i bambini Immuni che eravamo riusciti a salvare. 

Elena: abbiamo tentato di lottare ma è stato tutto inutile. Ho persino intrapreso un combattimento con un vecchio nemico: David. Non vi ricordate ancora chi è? Avete presente l'uomo dai capelli rossi che mi aveva sparato alla spalla alla fine del secondo libro? Ecco, proprio lui.

Lui e il suo capo ci spiegano brevemente che in realtà il Braccio Destro era solo una finzione: dopo che nel terzo libro ci eravamo fatti rimuovere il chip della W.I.C.K.E.D., questa aveva dovuto architettare un altro modo per controllarci a distanza e così aveva corrotto i capi del Braccio Destro affinchè si alleassero a loro. E quindi eravamo caduti anche quella volta in un altro stupido test. Il Braccio Destro aveva davvero raso al suolo una delle sedi della W.I.C.K.E.D. per rendere il test ancora più reale, ma il punto era che quella non fosse l'unica sede della perfida organizzazione.

Minho: dopo essersi riorganizzati nella nuova sede, quelle teste puzzone erano tornate a riprendere i soggetti immuni di cui avevano bisogno per riniziare da capo i test. Ed è per questo che ora abbiamo intrapreso questo viaggio per andarli a recuperare.

Teresa: come ultima cosa, vorrei rispiegarvi come abbiamo fatto a rintracciare la posizione corrente dei bambini... *si schiarisce la voce* Il problema principale che avevamo riscontrato nel Posto Sicuro era che, data la vastità della foresta attorno a noi, ogni volta che i bambini entravano per giocarci finivano per perdersi. Così, nel tentativo di risolvere quel problema, ho scoperto che in ognuno dei bambini era presente un chip, probabilmente inserito dalla W.I.C.K.E.D., che permetteva loro di comunicare telepaticamente. Ricordandomi di avere ancora qualche auricolare che avevamo utilizzato nell'ultima battaglia contro la W.I.C.K.E.D. per mandarci segnali e comunicare tra noi a distanza, ho deciso semplicemente di hackerare il sistema dei chip e di collegare al loro circuito anche gli auricolari. In questo modo, ogni volta che un bambino si perdeva, gli bastava parlare telepaticamente e la voce sarebbe arrivata all'auricolare, potendo così comunicare la propria posizione.

Thomas: sei un genio...

Teresa: già, ma non è finita qui, fammi finire.
*lancia un'occhiata dolce al ragazzo* quando le guardie sono venute a trovarci sono riuscita a rubare loro un piccolo radar. Quando finalmente uno dei bambini si è ricordato dei chip e ha lanciato un messaggio telepatico, il mio auricolare l'ha ricevuto immediatamente. A quel punto ho semplicemente convertito le coordinate del radar e, collegandolo alle onde ricevute dall'auricolare sono riuscita a trovare la posizione da cui proveniva il segnale. 

Elena: dopo aver spiegato tutto questo credo che non ci sia altro da aggiungere, no? Dopotutto credo che tutti vi ricordiate benissimo che siamo partiti in nove: Violet, Minho, Stephen, Gally, Thomas, Teresa, Jorge, Brenda e io. Immagino vi ricordiate anche dell'incendio a cui siamo tutti scampati per miracolo, anche se Gally ha preso fuoco e ora si ritrova la schiena bruciacchiata.

*finalmente la scrittrice riesce a liberarsi e tenta di riafferrare il computer*

Scrittrice: be', se avete domande da porre su cose che non vi sono chiare o se avete semplicemente dubbi, non vi fate problemi a chiedere. Se questi brutti pive non si sono spiegati, risponderò a tutte le domande che avete in serbo per me con piacere!

Gally: detto ciò, davvero nessuno mi shippa più con Elena?

*Newt gli dà una spallata*

Newt: certo che no, razza di cesso parlante! La Newtlena regna!!!

Scrittrice: ehm sì, chiudo questo capitolo prima che inizi una rissa nella mia stanza. Al prossimo capitolo, care lettrici!

 

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Capitolo 41
*** Capitolo 34. ***


Sentii la sua mano scivolare dal mio petto a dietro la mia nuca, per poi spingere leggermente per attirarmi di più a sé. Fu in quel momento che il mio corpo non reagì come mi aspettavo. Anche se la mia mente mi urlava di respingerlo e di terminare quel bacio, il mio corpo fece di testa sua e anzi, si permise di sciogliersi sotto quel tocco così dolce.
Quando Gally notò che stavo ricambiando il suo bacio, si permise di aumentare la presa sul mio corpo, strisciando velocemente più vicino a me e posando una mano sul mio fianco. Le sue dita si strinsero su di esso e poi iniziarono a fare una lieve pressione, come se mi stesse chiedendo implicitamente di spostarmi ancora più su di lui. E così feci. Armandomi di una sicurezza che non credevo di avere, alzai una gamba e mi misi a sedere sul suo ventre, attorcigliando poi le mie gambe dietro la sua schiena, attirandolo ancora di più a me.
La vicinanza dei nostri corpi rendeva ormai gli spazi che li dividevano quasi nulli. Danzavamo all'unisono, senza mai staccarci l'uno dalle labbra dell'altra. La presa di Gally si fece più ferrea sui miei fianchi e lo seguii quando sentii le sue mani fare pressione su di essi per muoverli avanti e indietro. Iniziai ad ondeggiare sul di lui, causando nel ragazzo un gemito di piacere. 
La sua lingua mi entrò in bocca, incontrando ben presto la mia e iniziando a giocarci, causando in me una scarica di elettrica che, partendo dal basso ventre, iniziò a risalire per tutto il corpo, arrivando in fine al mio viso, che si chiazzò ancora di rosso.
Poi il ragazzo decise che quello che stava avendo non era più abbastanza per lui e mi discostò leggermente dal suo petto, per poi sfilarmi velocemente la maglietta, lasciando che la luna rischiarasse la mia pelle bianco latte.

"Non sai per quanto ho desiderato tutto questo." mormorò il ragazzo ancora col fiatone addosso, guardandomi come se fossi la cosa più bella sul pianeta terra e facendomi arrossire in modo violento. "Dio, non sai per quanto ti ho desiderata." concluse, ammirando il mio corpo e mangiandomi con gli occhi.
Gally si fiondò nuovamente su di me, ma questa volta dopo un bacio passionale sulle labbra, iniziò a scendere sempre si più, passando prima sul mio collo, dove lasciò una fila di baci umidi, e arrivando in fine al mio seno. Sentii le labbra del ragazzo posarsi sulla pelle appena sopra il reggiseno e iniziare a succhiare. 
Lasciai che un gemito mi uscisse dalle labbra e chiusi gli occhi, presa dal piacere. La mia testa si accasciò all'indietro, lasciandomi assaporare al massimo quella sensazione.
Dopo qualche secondo il ragazzo si distaccò da me con uno schiocco di labbra e quando guardai in basso notai una piccola macchiolina scura dove poco prima si erano depositate le sue labbra.
"Così non vale..." sussurrai con un ghigno sulle labbra. "Anche io voglio marchiarti. Voglio che ti ricordi di questo momento."
Sul volto del ragazzo si formò un sorriso divertito e quando feci per togliergli la maglia, il ragazzo mi lasciò fare, alzando le braccia in aria e facilitandomi il lavoro. Accarezzai la sua pelle liscia e priva di imperfezioni, poi feci scorrere le mie dita sui suoi addominali per poi farle fermare alla sua cintura, che afferrai con decisione e usai come mezzo per portare il ragazzo ancora più vicino a me.
Feci passare la mia lingua sui suoi pettorali e poi mi fermai appena sotto la sua clavicola, iniziando a succhiare avidamente la sua pelle. Forse lo feci in modo troppo brusco o vorace, poiché sentii il ragazzo gemere, ma quando le sue dita si conficcarono nella mia pelle e mi attirarono ancora di più a sé, continuai con il mio marchio.

Quando mi staccai il ragazzo non perse tempo: invertì le posizioni, alzandomi delicatamente e depositandomi al suolo, per poi ricoprirmi col suo corpo. Sentii il mio seno schiacciarsi contro i suoi muscoli e, quando il ragazzo si alzò leggermente, posò una sua mano sulla mia pancia. Mi accarezzò la pelle e riprese a baciarmi con foga, facendo risalire nel frattempo le sue dita verso il mio petto e intrufolandole sotto il mio reggiseno.
Sobbalzai quando sentii la mano del ragazzo chiudersi attorno il mio seno destro: quelle poche volte che avevo fatto l'amore con Newt, il ragazzo era sempre stato delicato e rispettoso, chiedendomi sempre il permesso prima di fare qualsiasi cosa. Gally invece era più sicuro nei suoi gesti: se voleva qualcosa, se lo prendeva. 
Lo sentii stringere ancora e sussultai di nuovo, presa ancora alla sprovvista, e forse questa volta Gally interpretò male quel mio gesto e in men che non si dica spostò la sua mano dietro la mia schiena, puntando le dita sulla mia pelle.
Chiusi gli occhi quando lo sentii premere su di essa con le unghie, lasciandomi andare al piacere, ma quando la sua presa iniziò a farsi sempre più violenta, le farfalle nello stomaco morirono all'istante, sostituite da un senso di confusione e preoccupazione.
Lasciai che le mie dita accarezzassero la sua schiena liscia e arrivassero delicatamente alle spalle per cercare di scostarlo.
Solo in quel momento mi resi conto che c'era un qualcosa che non andava. La pelle di Gally era liscia, la sua schiena era totalmente pulita: non c'era traccia delle bruciature del giorno prima.
Quando le unghie del ragazzo si conficcarono ancora di più nella mia carne, rilasciai un gemito di dolore, comprendendo a pieno che qualcosa non tornava. "Gally." lo chiamai con una voce macchiata dalla paura. "Gally, mi fai male." 
Il ragazzo smise di riempirmi di baci e si fece rigido su di me, come se quelle parole l'avessero pietrificato, però non si spostò, né tolse le sue unghie dalla mia schiena. Quando però alzò lo sguardo su di me, iniziai a sperare che non l'avesse mai fatto.

"N-Newt?" domandai scioccata. Se la mia mente stava di nuovo giocando sporco, questa volta non era affatto piacevole: il volto di Gally era stato sostituito da quello del biondino e la sua apparizione in un momento del genere era una pugnalata al cuore.
Il ragazzo mi sorrise innocentemente, causando in me ancora più confusione e dolore. Cosa stavo facendo? Tutto quello era sbagliato.
Quando vidi il volto del ragazzo iniziare a muoversi e a trasformarsi, lo shock iniziale venne sostituito dal terrore: la faccia di Newt era cosparsa di pieghe e sfumature innaturali per un viso così angelico; le vene avevano iniziato a tingersi di rosso, blu violaceo e verde, ingrossandosi a dismisura sulle guance e sul collo; i suoi occhi si tinsero di rosso, come se mille capillari fossero esplosi tutti allo stesso istante e le sue iridi si fecero sempre più nere e cupe, cancellando per sempre l'espressione pacifica che il biondino mi aveva mostrato poco prima.
Newt aprì la bocca, che non aveva mai smesso di essere piegata all'insù, in un sorriso ancora più ampio, ma ora alquanto inquietante. Lo spettacolo che mi si mostrava davanti era a dir poco raccapricciante: il ragazzo mi mostrò tutti i suoi denti, cosparsi però di una sostanza nera e viscida, come se fosse sangue secco e raggrumato.
"Cosa succede, Eli?" domandò il ragazzo con voce rauca. "Non ti piace più quello che stiamo facendo?" 
Poi, senza attendere una risposta, si calò lentamente su di me, facendomi sussultare. Non riuscii a muovermi, nè a urlare. Era come se al posto del sangue, nelle vene avessi del ghiaccio. Tentai di parlare, ma solo un sibilo soffocato si fece strada tra le mie labbra. Non riuscivo nemmeno a chiudere gli occhi di fronte a tutto quell'orrore mentre vedevo la chioma di Newt abbassarsi sempre più sopra di me, senza però mai staccare i suoi occhi dai miei.
Vidi la sua lingua uscire sporca dalla bocca e per un attimo percepii il suo fiato caldo e maleodorante sul mio collo, prima che questa si depositasse sulla mia pelle. Newt iniziò a risalire lentamente verso il mio viso, poi qui si fermò con la faccia esattamente al pari della mia.
"E ora lascia che sia io a marchiare te." grugnì il ragazzo, spalancando gli occhi da pazzo e aprendo la bocca voracemente. Poi si scagliò sul mio volto.




 

Urlare fu tutto quello che riuscii a fare. Urlai a pieni polmoni, spaccando i miei stessi timpani, e continuai ad urlare quando, nonostante ora avessi gli occhi ben aperti, potevo ancora sentire la presa di Newt stringere sul mio corpo.
"Ti prego, lasciami!" urlai, iniziando a scalciare e a dimenarmi per allontanarmi da lui, riuscendo finalmente a liberarmi dalla sua presa e a trascinarmi distante. Arrancai sempre più indietro, scalciando i piedi al suolo e piantando le mani sul terreno per tirarmi indietro.
Solo quando vidi Minho correre veloce nella mia visuale, ritornai alla realtà. Era l'alba, forse il sole era spuntato in cielo da poco, ma quella poca luce bastava a farmi capire di aver sbagliato tutto: davanti a me, o meglio, ormai a qualche metro da me c'era Gally, seduto a sedere, che mi fissava con un'espressione terrorizzata e confusa.
Minho, che ora era davanti a lui, gli stava urlando contro un qualcosa che però non compresi, anche se capii che dovesse essere alquanto furioso, dato le vene che gli sporgevano sul collo.
Quando una mano si posò sulla mia spalla all'improvviso sussultai spaventata e mi trattenni dal cacciare un altro urlo, dato che avevo già creato abbastanza trambusto.
Il volto di Stephen, ad un paio di centimetri dal mio, mi stava guardando con aria ansiosa e preoccupata. Quando le labbra del ragazzo si mossero, come per magia mi venne ridato l'udito e, sopra le urla inferocite di Minho, riuscii a comprendere quello che il ragazzo mi disse. "Tutto okay?" 
Annuii, ancora terrorizzata dal sogno che avevo vissuto. Era un sogno, vero? Chiesi a me stessa, ancora più terrorizzata di prima. Poi riportai lo sguardo su Gally, che ancora continuava a fissarmi scioccato. Non sembrava nemmeno che il ragazzo sentisse le grida di Minho, troppo concentrato su di me. Quando vidi il Velocista afferrarlo bruscamente per la maglia e alzare un pugno in aria, compresi che dovevo muovermi a fermarlo.

Arrancai per tirarmi su in piedi e corsi velocemente verso i due ragazzi in modo instabile, tentando di inciampare e cadere più volte a terra. "Minho!" urlai a squarcia gola, attirando così l'attenzione del ragazzo che sembrò perdere completamente interesse per Gally, lasciando libera la sua maglietta e voltandosi completamente verso di me.
Quando lo raggiunsi il ragazzo mi prese per le spalle e mi osservò cautamente, girandomi velocemente da una parte all'altra per vedere se fossi ferita. "Stai bene?" continuava a chiedermi. "Cosa ti ha fatto Gally?"
Nonostante sapevo benissimo di dover rispondere, il mio sguardo era incatenato a quello del ragazzo che, ancora seduto per terra, non riusciva nemmeno a sbattere le palpebre dallo spavento.
Il Velocista continuò: "Giuro che se quel testa puzzone ti ha fatto qualcosa..."
Quello che avevo sognato era ancora impresso vivido nella mia mente, più indelebile dell'inchiostro. Se mi concentravo potevo ancora sentire le mani di Gally accarezzarmi i fianchi, i suoi baci umidi sul corpo, la sua stretta sul mio seno e tutte le sensazione che derivanti da tutta quella scena.Mi feci rossa in viso mentre mi tornavano in mente ancora più particolari. Era davvero tutto un sogno? Domandai a me stessa, stentando a credere che fosse avvenuto tutto nella mia mente.
"...se ha anche solo allungato un dito su di te..."
Era così... Pensai tra me e me. Reale.
Come se formulando quel pensiero mi si fosse accesa una lampadina nel cervello, mi liberai dalla presa di Minho e mi gettai in ginocchio davanti a Gally, che si limitò a seguirmi con lo sguardo, ma senza muoversi. Senza esitare oltre afferrai delicatamente la sua maglia e la allargai verso di me, sbirciando poi da sopra e causando nel ragazzo un sussulto, tuttavia mi lasciò fare.
Gli addominali che avevo sognato in maniera così dettagliata e reale erano ancora lì, ma sotto la sua clavicola non c'era il segno del succhiotto che gli avevo fatto e, soprattutto, la sua pelle era ancora un po' bruciacchiata e sporca, segno che ero effettivamente tornata nella realtà e che tutto quello che era successo, era accaduto solo nella mia mente.
Sospirai sollevata e mi lasciai cadere a sedere, portandomi subito la testa tra le mani e inspirando profondamente. Solo in quel momento Minho si inginocchiò accanto a me e ruppe il silenzio, mettendomi una mano sulla spalla e inducendomi a guardarlo negli occhi. "Bambolina, stai bene?" chiese, corrucciando lo sguardo e passando velocemente lo sguardo da un mio occhio all'altro.

"Sì, Minho." mormorai con voce tremolante. "Ho solo avuto un incubo... un incubo terribile." sputai fuori, sentendomi ancora terrorizzata. Non potevo credere a quello che la mia mente aveva appena proiettato nei miei sogni. "Forse il peggiore che ho avuto fino ad ora." conclusi.
Il Velocista sembrò tranquillizzarsi un poco, ma sul suo volto permaneva una leggera preoccupazione. "Tranquilla, ora sei sveglia." spiegò il ragazzo. "E diamine se lo siamo anche tutti noi, mi hai fatto sploffare nei pantaloni."
Quella battuta sembrò avere un effetto positivo su di me, riportandomi completamente alla realtà. Chiesi a Minho di aiutarmi ad alzarmi in piedi e, quando lo feci e mi guardai attorno, mi accorsi che tutti avessero addosso la stessa espressione terrorizzata e dubbiosa. Ognuno di loro era paralizzato in piedi e mi fissava in attesa di spiegazioni.
"Scusatemi, ragazzi. Scusatemi davvero." dissi ad alta voce, cercando di far sembrare la mia voce controllata. "Era solo un incubo, ora sto bene."
A quelle parole tutti sembrarono rilassarsi, alcuni addirittura si lasciarono ricadere pesanti a terra, dove incrociarono le gambe e si presero la testa tra le mani, facendola ciondolare. 
Solo Teresa fece qualche passo verso di me sorridendomi e, quando mi raggiunse, mi mise una mano sulla spalla, stringendola delicatamente. "Non ti preoccupare, Elena." mi disse in modo gentile e rassicurante, facendomi pensare che la voce di una mamma dovesse suonare proprio come la sua. "Avremo dovuto svegliarci presto in ogni caso." mi rassicurò. "Hai solo svegliato questi pigroni con più ardore, tutto qui. Ora prendiamoci un momento per riprenderci tutti e fare qualche scorta d'acqua, poi ci mettiamo in cammino. Okay?"

Annuii sicura e le rifilai un'occhiata piena di gratitudine. Il sorriso della ragazza si intensificò ancora di più, poi prima di tornare al suo sacco, mi disse: "Non preoccuparti, vedrai che rimettendoti in marcia e camminando un po' ti sentirai meglio."
Annuii nuovamente, incapace di dire anche solo un'altra parola, poi la seguii con lo sguardo mentre se ne andava. Quando feci per voltarmi e togliermi da sotto lo sguardo di tutti, incrociai gli occhi di Stephen che tuttavia mi guardavano ancora preoccupati. Nonostante il ragazzo non avesse mosso le labbra, potei sentire la sua voce rimbombare nella mia testa.
Allora non era solo una sensazione, pasticcino. Che ti è successo?

Mi portai una mano sulla fronte e la trascinai sul volto, sentendo le bende premere sulla pelle e asciugare tutto il mio sudore. Scossi la testa per riprendermi da quell'incubo orribile e accantonarlo – o per lo meno sperai di poterlo accantonare – in un angolo buio della mia mente, nella speranza che prima o poi avrei ritrovato la calma, proprio come mi aveva assicurato Teresa.
Eppure non potevo fare a meno di chiedermi cosa significasse quel sogno. Forse la mia mente cercava di dirmi un qualcosa che non volevo accettare? In ogni caso, per il momento sentivo di voler mantenere le distanze da Gally, sia per riuscire a schiarirmi le idee, sia per l'imbarazzo che quel sogno aveva fatto nascere in me.
In più la mia mente non voleva proprio dimenticarsi dei gesti che il ragazzo aveva fatto poco prima che mi addormentassi: potevo ancora percepire il suo bacio rubato e il suo dito percorrere le mie cicatrici. Mi sentivo a disagio, talmente a disagio che per un attimo mi si accapponò la pelle.

Scossi la testa violentemente, ripetendomi che dovevo smetterla di girarci attorno: quell'argomento era chiuso lì. Così, decisa a lasciarmi alle spalle tutti quei sentimenti, mi incamminai a grosse falcate verso il sacco che avevo abbandonato la sera precedente vicino al corpo di Gally. Quando il ragazzo mi vide arrivare verso di lui in maniera così decisa, alzò le mani davanti a sé, come per difendersi. "S-Sei sveglia ora!" si affrettò a dire, come per paura che la mia mente fosse ancora intrappolata in quell'incubo.
"Lo so, Gally..." mormorai, sentendomi subito in colpa per non essermi scusata prima col ragazzo. Quando mi ero svegliata eravamo ancora abbracciati l'uno all'altra, ma il mio cervello aveva scambiato la sua stretta per la presa ferrea di Newt e io avevo reagito di conseguenza, scalciando e tirando pugni. "Scusami se ti ho colpito, ti ho fatto male?"
Il ragazzo scosse la testa, il ché mi rassicurò velocemente, poi mi porse la domanda che avrei voluto evitare più di ogni altra cosa al mondo, in quel momento: "Cosa hai sognato per svegliarti così terrorizzata? E soprattutto perchè... perchè hai sbirciato sotto la mia maglietta?" 
Il respiro mi morì in gola e mi sentii arrossire, così senza perdere tempo mi accovacciai a terra e iniziai a frugare dentro il mio sacco, cercando di mantenermi distante da quei pensieri negativi e imbarazzanti. "Non ho proprio voglia di raccontartelo e ripercorrere l'incubo, scusami." bofonchiai, servendogli su un piatto d'argento la prima risposta che mi era venuta in mente, anche se d'altronde non potevo considerarla propriamente una bugia. Era vero il fatto che non volessi raccontargli del sogno, ma non era di certo vero che il motivo per cui non lo volevo fare era perchè avevo paura.

Se solo Gally avesse saputo quello che era successo tra di noi nella mia testa quella notte, ero sicura sarebbe impazzito di gioia e si sarebbe subito fatto venire strane idee per la testa. Non volevo illudere il ragazzo, specialmente quando ancora non ero sicura dei miei sentimenti. Fino alla notte precedente ero sicura di quello che leggevo nel mio cuore: Gally era un mio caro amico e il mio rapporto con lui era così speciale e pieno d'affetto da provare una gioia infinita e un senso di sicurezza ogni volta che lo vedevo. Quel sentimento, quella sensazione che avevo quando ero con lui, era totalmente differente da quella che avevo provato – e che continuavo a provare tuttora – per Newt. Ero innamorata persa del biondino e mi mancava come l'aria durante un attacco di panico. Nonostante il ragazzo mi avesse lasciata e vivesse ora nella mia mente solo sotto forma di ricordo, i miei sentimenti per lui non erano appassiti, anzi rimanevano indelebili nel mio cuore, in memoria di tutti i bei momenti passati insieme.
Forse però la consapevolezza costante di essere ormai rimasta da sola, come una vedova che piange da anni per lo stesso lutto, aveva fatto crescere in me la voglia di ripercorrere tutte quelle belle sensazioni che avevo provato con Newt: i baci, le carezze, gli abbracci... Era tutto sfumato in una nebbia scura dopo la sua morte, ma il mio cervello si ostinava a non voler cancellare quelle sensazioni e anzi, a volerle riprodurre a tutti i costi.

Quello che provavo per Gally non era amore e quello mi era più chiaro, ora che ci riflettevo a mente lucida. Be' certo, anche io amavo il ragazzo a modo mio, ma non era un amore passionale e carnale... Era più una sensazione di necessità improvvisa, come se non volessi perderlo e fossi costantemente terrorizzata all'idea di non averlo più accanto a me. Quando Newt era stato portato al Palazzo degli Spaccati a Denver e noi eravamo andati a riprenderlo, perdendolo però per una seconda volta, in me era nato un panico talmente grande e confusionario che come un tornado mi aveva lacerato in mille pezzi. Lasciando Newt in quel posto, avevo perso il mio Collante. Mi ricordavo benissimo la discussione che avevo avuto con Stephen in quello stesso giorno e, se mi sforzavo, riuscivo ancora a sentire le sue parole nella mia mente. Il ragazzo mi aveva avvertita che sarei riuscita a ritirarmi in piedi solo dopo aver trovato un'altra ancora di salvezza a cui aggrapparmi. Allora ero rimasta offesa da quel commento, perchè l'avevo interpretato come un tentativo del ragazzo di farmi dimenticare Newt e semplicemente di rimpiazzarlo con altri. Solo ora mi rendevo conto del vero significato della raccomandazione di Stephen: il ragazzo voleva volo assicurarsi che sarei riuscita a trovare un altro motivo per vivere.
E in quel momento, come se avessi aperto gli occhi per la prima volta dopo tanto, compresi: Gally era diventato il mio nuovo Collante, ecco perchè provavo quell'affetto immensurabile per lui, che ogni volta mi spingeva a preoccuparmi e a tirarlo sempre più vicina a me nel tentativo di proteggerlo. Avevo bisogno di Gally e non ne potevo fare a meno, perchè era davvero una delle poche cose che mi erano rimaste nella vita e sapevo che, se anche lui mi avesse abbandonata, non sarei riuscita ad alzarmi di nuovo in piedi.

E forse, in un piccolo angolo buio della mia mente, persisteva ancora il terrore che un giorno sarebbe successo, che magari mi avrebbe messa da parte perchè stufo di provare per me dei sentimenti che non erano corrisposti.
Forse era anche per questo che la mia mente aveva proiettato nei miei sogni quella scena: cercava di convincermi a provare un qualcosa di diverso per Gally, pur di non perderlo.
Feci un sorrisetto, sentendomi sempre più tranquilla, e solo quando la voce di Gally arrivò alle mie orecchie mi accorsi di essere rimasta per chissà quanto tempo a frugare in quel sacco del caspio senza mai cavare fuori nulla.
"Tutto okay, Eli?" domandò lui, toccandomi con l'indice il mio polso e lasciandoci sopra una piccola carezza incerta.
Mi fermai e lo guardai per un attimo. "Sì, testa di puzzone." mormorai, poi finalmente afferrai la borraccia e la strinsi al petto. "Ora sto bene, davvero." mi allungai verso di lui e gli lasciai un bacio sulla fronte, per poi alzarmi e andare a riempire la borraccia nel piccolo laghetto a pochi metri da noi.

 

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Capitolo 42
*** Capitolo 35. ***


Quando feci ritorno vidi che il ragazzo si era messo in piedi e che ora stava cercando anche di raddrizzare la schiena lentamente. Corsi verso di lui e lanciai bruscamente la borraccia ormai chiusa dentro il sacco. "Sicuro che riesci a camminare senza un aiuto?" domandai preoccupata, sfiorandogli un braccio per catturare la sua attenzione.
"Sì, non sono un caspio di neonato, posso camminare da solo." sbuffò lui scocciato.
"Woh, calmino Capitan Gally." ridacchiai, issandomi il sacco sulla spalla. "A volte tendo a confondermi tra età mentale ed età fisica." mormorai nel tentativo di sembrare a mio agio intorno a lui, come se nulla fosse successo nella mia mente quella notte. Lo vidi lanciarmi un'occhiata cattiva, ma divertita, segno che non aveva percepito il mio imbarazzo e colsi quel momento per raggiungere velocemente gli altri, piombando in particolare nel bel mezzo di una conversazione tra Minho e Violet. 
"Piccioncini!" urlai, appoggiando la mia mano in modo del tutto tranne che delicato sulla spalla di Minho e facendolo voltare di scatto spaventato. Violet, che al contrario mi aveva vista arrivare, si limitò a ridacchiare sotto i baffi. 
"Per tutti i Dolenti, è il secondo spavento della giornata che mi fai prendere, sicura di non volermi ammazzare, bambolina?" chiese lui in tono accusatorio, portandosi una mano al cuore.
"Oh, poverino... ti sei sploffato nei pantaloni?" dissi ridendo, per poi indicargli col mento Gally, un po' più distante da noi. "Ascolta, che ne dici di andarci a fare una chiacchieratina? Non ha fatto altro che ripetermi di non voler aiuto per camminare, ma nel caso in cui necessiti davvero una mano, ad un certo punto, non credo di essere abbastanza forte da poterlo trasportare io in braccio."

Sul volto di Minho si dipinse un'espressione disgustata e infastidita. "E dovrei pensarci io? Se non vuole un aiuto allora non vedo perchè..."
A quel punto si intromise Violet nel discorso: "Oh e andiamo, Minho! Non lo devi portare in braccio come se fosse una principessa, gli devi solo camminare a fianco e intervenire solo nel caso in cui debba aver bisogno di aiuto. Non sei nemmeno obbligato a raccontargli tutti i tuoi segreti, potete rimanere in silenzio e camminare fianco a fianco come due morosini."
La mia risata si unì a quella della ragazza, che subito si premurò di aggrovigliare il suo braccio attorno alle mie spalle, per poi stringermi a lei. "E dai Minho... Almeno posso anche rubarti Violet per un po' senza sentirmi in colpa." insistetti.
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, ma poi rilasciò uno sbuffo rassegnato, segno che alla fine aveva deciso di darci corda e accettare la nostra richiesta. "Va bene, ma solo per questa volta, sia chiaro." detto ciò, l'ex-Velocista lasciò un bacio fugace sulla guancia della ragazza e se ne andò veloce verso Gally, che ora vedevo intento a camminare storto per raggiungerci.
Quando l'asiatico lo raggiunse, il ragazzo non sembrò troppo felice della sua presenza e non gli servì neanche tanto per capire chi avesse obbligato Minho a raggiungerlo. Subito dopo, infatti, mi ritrovai a subire una delle sue occhiate da 'quando ti prendo ti ammazzo' e in tutta risposta mi portai le mani al collo e finsi di strozzarmi, facendogli intuire che stava facendo la parte del bambino noioso e che ne avevo fin sopra i capelli delle sue lamentele.
Gally non era invincibile e doveva capirlo. Dopotutto, chiunque ha bisogno di un aiuto, ogni tanto. Mormorai nella mia mente, indecisa se quel commento fosse più rivolto al ragazzo che a me stessa.







 

Io e la ragazza avevamo camminato fianco a fianco per diverso tempo, senza però dirci mai qualcosa di veramente importante e dovevo ammettere che Teresa aveva avuto ragione, se non altro, dato che muovermi alla fine mi stava facendo davvero bene: ero troppo concentrata a guardarmi attorno e ad ammirare la natura, per concentrarmi sui miei pensieri. Quella che stavamo attraversando era una distesa totalmente verde, con fiori sparsi qua e là, che si estendeva a perdita d'occhio davanti a noi. Sembrava quasi una contraddizione, dato che tutto quel verde e tutta quella vita che cresceva rigogliosa avanti ai nostri occhi era in netto contrasto con ciò che restava della foresta alla nostra destra: l'incendio che avevamo scampato qualche giorno prima l'aveva ridotta ad una spessa nube nera piena di morte. I rami di quei pochi alberi della foresta che non erano stati cancellati dall'incendio erano ormai privi di foglie e giacevano nudi e irti. I tronchi erano neri, bruciati, e non si vedeva nemmeno un'ombra di vita in tutto quel grigiore.

Se invece mi voltavo verso sinistra mi sembrava di essere entrata in tutt'altro mondo: un prato talmente rigoglioso e ricco di colori che quasi accecava la vista; piccoli cespugli sparsi qua e là a volte ricoprivano delle rocce grigiastre e frastagliate; i fiori sparsi un po' ovunque erano visitati da farfalle e api, che animavano quello spazio e lo rendevano ancora più magico. Ogni tanto la vista del prato veniva però interrotta da alcune colline che si ergevano qua e là nascondendoci ciò che ci aspettava oltre ad esse. Se guardavo davanti invece notavo due montagne, molto più basse rispetto a quelle che avevamo scalato prima, separate di netto tra di loro da un fiume abbastanza largo, ma ancora molto distante da noi.

"E' proprio fantastico questo posto, vero?" mi domandò Violet tutto d'un tratto. "Sembra quasi che sia puro, incontaminato."
"Già, rispetto alla Zona Bruciata sembra un paradiso in terra. Non sembra vero che due posti così diversi tra loro coesistano in uno stesso pianeta, vero?" annuii, alzando gli occhi al cielo giusto in tempo per vedere una coppia di uccellini svolazzare via sopra le nostre teste.
"Sì, però dopotutto non sappiamo in che parte del mondo ci abbia spedito quel Pass Verticale."
Annuii e mugugnai in tutta risposta. Continuando a camminare al fianco della ragazza, tenendo le mani giunte dietro la schiena e la testa alta, presa ancora ad osservare quel luogo.
Ci volle qualche altro attimo di silenzio prima che la ragazza mi parlasse di nuovo. "Senti, non pensare che io mi voglia fare i cavoli tuoi ma..." si bloccò per un attimo e lanciò uno sguardo sospetto a Stephen, poi si voltò verso di me. "Secondo me quel ragazzo è innamorato perso di te." 
Mi bloccai sul posto e la guardai scioccata, poi portai lo sguardo sul ragazzo dai capelli bianchi che camminava da solo poco dietro Thomas e Teresa. "Chi? Stephen?" domandai stupita, riprendendo lentamente a camminare, come se muovere i piedi mi aiutasse ad elaborare la domanda che mi era appena stata posta. Quando vidi Violet annuire convinta, non riuscii a trattenere una risata, causando nella ragazza un'improvviso rossore al viso. Violet iniziò a guardarsi intorno terrorizzata e, probabilmente accorgendosi che quella mia risata aveva attirato l'attenzione di tutti, mi diede una gomitata sul fianco. 
"No, Violet. Dio, no!" sentenziai, asciugandomi le lacrime sotto gli occhi. "Io e quello bisticciamo ogni due per tre, manca solo che ci mettiamo le mani addosso e poi abbiamo attraversato anche l'ultimo stadio dell'essere fratello e sorella."
La ragazza mi osservò turbata, come se non comprendesse a pieno le mie parole, così decisi di spiegarmi meglio. "Io e Stephen ci consideriamo fratello e sorella, Violet." le dissi, cercando di rendere la cosa quanto più semplice possibile. "Non siamo davvero imparentati, è ovvio, ma abbiamo talmente tante cose del nostro passato in comune che a volte ci sembra di essere cresciuti insieme. Ci punzecchiamo sempre e ci infastidiamo a vicenda come due bambini, però non posso negare di volergli bene. Credo che anche lui provi lo stesso affetto protettivo per me."

La ragazza annuì dubbiosa, come se ancora non fosse totalmente convinta di quelle parole. "Cosa te l'ha fatto pensare?" chiesi curiosa e, solo quando la ragazza diventò improvvisamente agitata e rossa in viso, compresi di aver centrato in pieno il bersaglio.
La vidi alzare lo sguardo e guardare ancora Stephen, valutando forse se rispondere o meno alla mia domanda, poi alla fine sputò il rospo: "Forse non dovrei dirtelo, ma..." si guardò attorno con circospezione poi si allungò su di me e iniziò a sussurrare. "Ieri, mentre parlavi con Thomas, Stephen è venuto a chiedermi se mi avessi parlato in qualche modo di Gally. Non mi ci è voluto molto per capire quello a cui voleva arrivare nonostante i suoi giri di parole, ma mi sembrava palese che mi stesse chiedendo se ti eri presa una cotta per Gally." fece una pausa, come se stesse pensando bene a come continuare. "Quando gli ho detto che non sapevo niente e che dubitavo fortemente che ti fossi innamorata di lui, mi ha lanciato un'occhiata furibonda, come se avesse compreso che in realtà ti eri confidata con me e che io stavo mentendo per coprirti. Sembrava un fidanzato geloso, è per questo che ho tirato le mie conclusioni."
Sbarrai gli occhi. Quindi era questo quello che intendeva Stephen con il discorso di ieri! Mi urlai nella mente. Non scottarti col fuoco perchè ancora non ti sei ripresa, ma certo! Come ho fatto a non pensarci prima?
Scossi la testa. Per un attimo dovevo ammettere che anche io avevo iniziato a dubitare dei miei sentimenti per Gally, ma era solo un pensiero e alla fine l'avevo risolto, accorgendomi infatti che mi stavo sbagliando, ma... Stephen? Era davvero convinto del contrario?
"Wow..." dissi a voce alta. "No, credo che sia solo preoccupato per me. Non vuole che io mi innamori di Gally per poi rimanere di nuovo col cuore spezzato." spiegai alla ragazza, causando in lei un sospiro di sollievo.
Poi la sentii irrigidirsi accanto a me e la domanda che mi porse dopo non mi colse di certo di sorpresa. "E... E tu credi di... insomma... Stephen ha ragione a preoccuparsi?" chiese incerta.

Mi grattai la testa, improvvisamente mi sentivo in imbarazzo. "Non credo. Devo ammettere che per un attimo tutte le sue attenzioni e le sue premure nei miei confronti mi hanno un po' confusa, ecco." ammisi. "Quello che provo per Gally è un forte affetto e un senso di dovere, quasi. Mi sento di doverlo proteggere, ad ogni costo. La W.I.C.K.E.D. mi ha già tolto molto della mia vita, o di quello che ne è rimasto. Non voglio perdere anche lui."
Violet annuì, segno che aveva compreso a pieno quello che intendevo dire. Sapevo per certo che la ragazza aveva capito il mio punto di vista e che per questo non aveva intenzione di pormi altre domande. Se fossi rimasta in silenzio sapevo che il discorso sarebbe anche potuto finire lì, ma in un certo senso non volevo. Mi mancavano quei momenti di intimità in cui io e Violet ci scambiavamo segreti e racconti imbarazzanti. Da quando eravamo arrivati in quel luogo io e la ragazza non ci raccontavamo molto, specialmente lei, che forse tra le due aveva più dettagli e racconti interessanti da confidarmi, si era tenuta tutto per lei. Potevo a stento immaginare quante cose volesse dirmi su Minho e sulla loro relazione, magari aveva consigli da chiedermi o paure da confidarmi, eppure non mi aveva mai accennato ad un episodio passato con il ragazzo e, dopotutto, potevo comprenderne benissimo il motivo. Forse era convinta che, condividendo con me i momenti passati insieme alla sua metà, mi avrebbe resa triste e mi avrebbe in parte ricordato che Newt non c'era più e che quei bei momenti che lei ancora poteva condividere con Minho, io non li avrei più vissuti con il biondino.

"So che forse smettere di amarlo mi renderebbe le cose più semplici, ma non so come si fa a cancellare ricordi e sentimenti così facilmente." continuai dal nulla, causando in Violet un sussulto. "Amo Newt, nonostante tutto il mio cuore è ancora attaccato al suo e non si vuole staccare. Forse penserai che sono pazza, ma non riesco a non pensare a lui e a cancellare tutto quello che abbiamo vissuto insieme. E' un po' come se stessi ancora vivendo la nostra relazione, però nei ricordi."
La ragazza mi sorrise gentile, poi mi prese la mano e la strinse alla sua, infondendomi coraggio. "Non ti credo pazza, anzi, suppongo che sia normale il modo in cui ti senti." mi rassicurò la ragazza. 
"Ti ricordi di quando eravamo alla W.I.C.K.E.D. e ci intrufolavamo nei condotti per arrivare ai dormitori dei ragazzi?" le chiesi, con un sorriso sincero sulle labbra, cambiando del tutto discorso. 
"Oddio, sì! Quelli sì che erano piani ben architettati, cara mia." mi rispose lei, prendendomi a braccetto e aumentando il passo di quella camminata, segno che le avevo migliorato l'umore. "Tra l'altro, non ho mai capito il perchè, ma l'ultima canottiera che ti ho prestato e che mi hai restituito ora mi va larga. Non capisco, tu sei magra e io di certo non ho perso peso! Sembra che l'abbia indossata un elefante e che me l'abbia allargata." borbottò lei incerta, riportandomi alla mente un ricordo che ero convinta di aver dimenticato, ma che invece era ancora impresso vivido nella mia mente. 
L'ultima volta che ero riuscita ad entrare furtivamente nel dormitorio dei ragazzi, Violet mi aveva prestato una delle sue canottiere attillate per fare colpo su Newt. Quando io e il ragazzo avevamo condiviso quello che poi si sarebbe rivelato il nostro ultimo momento di intimità, nel rivestirci avevamo commesso un piccolo errore e Newt si era infilato la mia canottiera che, tuttavia, gli era rimasta incastrata sotto le ascelle. Non a caso quella canottiera non andava più a Violet!
"Già, non me lo spiego..." mormorai, ridacchiando tra me e me.

"Be', detto sinceramente però, anche se quello era un periodo felice, non tornerei indietro per riviverlo. Ancora eravamo incarcerati come topi." biascicò la ragazza.
Ci pensai su anche io: tornare indietro significava riavere Newt e poterlo vedere, eppure sapevo anche che era solo una felicità utopica, e dato che la W.I.C.K.E.D. tendeva a distruggere ogni gioia della mia vita, ero sicura che anche se fossimo rimasti là a vita, avrebbero trovato un modo per togliermi tutto quello che avevo. Almeno adesso, anche se non mi è rimasto molto, ho pur sempre la libertà. Valutai nella mia mente.
"Anche io." mormorai sorridendo alla ragazza. "Una volta ripresi i bambini, credo che riuscirò a ricostruirmi una vita felice." le spiegai, facendo una sorta di promessa a me stessa. "Anche se sarà una vita senza Newt, voglio vivere al meglio anche per lui."
Violet ricambiò il mio sorriso e mi strinse ancora di più a lei, stritolandomi un braccio e squittendo felice. "Mi eri mancata, tesoro." mi confidò. "Mi era mancato vederti nuovamente felice."




 

Dopo quasi due ore di camminata ci eravamo fermati per riposarci. L'orologio sul braccio di Teresa indicava che mancavano pochi minuti alle otto di mattina e, dato che quel giorno ci eravamo messi in cammino davvero presto, la ragazza ci concesse una mezz'ora di pausa. Ci eravamo radunati tutti in cerchio, per discutere ancora una volta sulle direzioni da prendere e sul piano da attuare non appena fossimo arrivati alla W.I.C.K.E.D.
La ragazza ci informò che in quel momento ci stavamo dirigendo verso nord e che una volta superate le montagne la rotta non sarebbe cambiata. Dovevamo percorrere ben 50 chilometri in quella direzione e, secondo i suoi calcoli, se riuscivamo a tenere un ritmo costante allora la ragazza ci avrebbe concesso una mezz'ora di pausa ogni due ore. Teresa aveva tenuto conto del mio continuo zoppicare e anche della fatica che ora faceva Gally, perciò sapeva che per colpa nostra saremo potuti avanzare più lentamente, ma a suo avviso non c'era nessun problema.
"Contando che abbiamo da attraversare ancora..." abbassò lo sguardo verso destra e le sue labbra si mossero leggermente, senza però emettere suono, segno che stava ancora calcolando. "Contando la velocità a cui stiamo andando, direi che in due ore riusciamo a percorrere dieci chilometri. Quindi mantenendo questo ritmo, dovremmo riuscire a fare altri trentacinque, quaranta chilometri prima che diventi sera, facendo pause ogni tanto." la ragazza ci guardò tutti e, quando intuì che tutti eravamo d'accordo con lei, proseguì. "Questa notte dovremo recuperare tutte le forze, perchè se ci riusciamo, domani percorreremo l'ultima distanza che ci separa dalla sede della W.I.C.K.E.D."
"Quindi dopo essere andati a Nord, domani proseguiamo sempre in quella direzione?" domandai, cercando di farmi un'idea generale del percorso.
"No, domani dovremmo dirigerci ad est per una ventina di chilometri, ma credo che se ci svegliamo presto dovremo essere a destinazione prima di pranzo, sempre che non incontriamo ostacoli." sospirò la ragazza, grattandosi distrattamente la nuca.

"Quando lavoravi alla W.I.C.K.E.D. hai mai sentito dell'esistenza di un'altra sede?" domandò Minho, portandosi le gambe al petto. 
La ragazza fece spallucce e storse il labbro inferiore. "Sì, sapevo che avesse altre sedi sparse per il mondo, ma detto sinceramente ero convinta che una volta distrutta la Sede Centrale non avremmo avuto più problemi. Non ho mai sentito parlare di altri sedi in cui si svolgevano esperimenti come quelli del Labirinto. Non avevano abbastanza fondi e tempo per costruirlo in tutte le zone, a quanto ne so."
"Quindi potrebbero esserci nuovi esperimenti..." borbottò Stephen con un'espressione preoccupata in volto. 
"E' probabile, mi dispiace..." mormorò Teresa, abbassando lo sguardo a terra e giocherellando con l'erba. "Però se riusciamo a raggiungere la sede domani abbiamo il vantaggio del tempo. Non credo che la W.I.C.K.E.D. abbia già sottoposto i bambini a qualche test, di solito i preliminari e i test di preparazione richiedono molto tempo."
"Secondo te la struttura interna della sede sarà come quella vecchia?" domandò curioso Minho. "Perchè credo di ricordarmi abbastanza bene la posizione delle stanze e il contenuto dei pochi piani visitati, sarebbe un altro dettaglio a nostro favore."
Teresa scosse la testa e lanciò un'occhiata a Thomas. "Sinceramente non lo so, ragazzi. Può darsi che sia così, ma io non ci farei troppo affidamento. Tuttavia sono abbastanza sicura che questa sede non sarà così grande come la Sede Centrale. Tu cosa ne pensi, Tom?"
Il ragazzo si morse il labbro e dopo aver sospirato ci espose i suoi pensieri: "Già, anche secondo me questa volta non sono così ben forniti come lo erano alla Sede Centrale. Dopotutto, basta vedere quante guardie hanno mandato per riprendere i bambini." ci illustrò. "Non credo che fallire una missione di recupero importante come quella fosse nei loro piani, quindi hanno sicuramente mandato quante più guardie potevano. Mi sembra ovvio però che non abbiano a disposizione così tanto personale, dato che le guardie erano poco più di una decina."

Annuii incerta e mi racchiusi per un attimo nei miei pensieri, ripensando ad ogni possibile dettaglio. Tutto sarebbe potuto andare storto nel nostro piano, ma speravo con tutto il cuore che questa volta la fortuna ci avesse assistito. 
Elizabeth... Pensai, torturandomi l'unghia dell'indice con i denti. Ti prego, fa che io arrivi in tempo per salvarla.
 

 

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Capitolo 43
*** Capitolo 36. ***


Dopo una breve pausa di mezz'ora ci rimettemmo tutti in cammino, ma questa volta Minho tornò imperterrito verso me e Violet, lamentandosi del fatto che Gally fosse scorbutico e che non accettasse il minimo commento riguardo la sua situazione fisica. Il Velocista mi spiegò che più volte aveva rischiato di cadere a terra perchè trascinava i piedi senza alzarli, forse per la fatica o per la stanchezza, e nonostante Minho si fosse proposto di aiutarlo a camminare, il ragazzo non solo si era rifiutato, ma gli aveva anche risposto in modo acido e brusco.
Minho le aveva definite come 'le due ore peggiori della mia vita', ma ero sicura che stesse solo esagerando. Certo, Gally quando voleva sapeva essere pesante, ma se sapevi come prenderlo prima o poi anche il ragazzo si sarebbe accorto del suo comportamento e avrebbe cercato di scusarsi. 
"E' tutto tuo!" buttò fuori Minho, alzando le braccia al cielo e ponendosi dietro a Violet. "Dico davvero, ci ho provato, ma sono stufo." 
Scossi la testa e vidi Violet lanciarmi uno sguardo dispiaciuto, come se si stesse scusando al posto del ragazzo. Feci spallucce, facendole capire che non c'era problema e poi li avvisai che sarei andata io ad aiutare Gally. A quanto pareva ero l'unica con cui il ragazzo non dava di matto, forse perchè con me aveva più confidenza, forse perchè i suoi sentimenti per me lo spingevano a vedermi con occhi diversi e quindi anche a trattarmi diversamente rispetto agli altri.

Se proprio dovevo essere sincera, però, ancora non me la sentivo di tornare vicino al ragazzo. Ero convinta che dopo qualche ora l'imbarazzo nato in me per via di quel sogno sarebbe svanito nel nulla, ma al contrario il cuore mi batteva ancora forte, se ci ripensavo. 
Non ero sicura di riuscire a trattenere l'imbarazzo o un eventuale rossore sul viso nel caso in cui Gally avesse provato a chiedermi nuovamente del sogno, ma da un lato sapevo che non lo avrebbe fatto. In realtà non mi era rimasta molta scelta: o andavo io da Gally, o ci mandavo Stephen – anche se sapevo benissimo che non sarebbe finita bene, dato il sentimento di odio tra i due –, o chiedevo a Thomas di stargli vicino – ottenendo però anche in quel caso lo stesso risultato che avevo ottenuto chiedendo quel favore a Minho.
Sospirai rassegnata. Non avevo affatto scelta e di certo non potevo continuare ad ignorare il ragazzo all'infinito.
"Va bene, non c'è problema." borbottai grattandomi distrattamente la nuca. "Gli faccio compagnia io."
Fu in quel momento che una quarta persona entrò nel mio campo visivo, intromettendosi nella nostra conversazione e imponendo quasi la sua presenza. "Vengo anche io con te. Sai, nel caso in cui Gally debba aver bisogno d'aiuto non credo che tu ce la faccia." disse Stephen, guardandomi serio, con un'aria quasi severa.

Sbattei le palpebre quasi scossa dalle parole del ragazzo. Magari poteva anche ingannare gli altri con le sue parole, ma non poteva di certo credere che mi sarei bevuta quella sua fandonia. Sarebbe venuto con me nel caso in cui Gally avesse avuto bisogno d'aiuto? Oh, andiamo. Pensai. Se mi avesse detto che in realtà sotto la sua pelle si nascondeva Janson e che quella era solo una maschera, ci avrei creduto più facilmente.
Era palese, almeno ai miei occhi, che il ragazzo non volesse lasciare me e Gally soli nemmeno per un secondo, forse per il suo odio nei confronti del ragazzo, forse per il timore che facessi qualcosa di stupido.
Per un attimo mi rivenne in mente il discorso di Violet e arrossii violentemente: sotto lo sguardo di Stephen mi sentivo quasi nuda e quell'occhiata severa che mi aveva rifilato mi aveva fatto tornare in mente il sogno, quasi come se il ragazzo sapesse.
Scossi la testa e mi portai una mano sulla fronte, cercando di scacciare via quel pensiero. Era ovvio che Stephen non potesse leggermi nella mente, era solo una mia paranoia. Sicuramente il ragazzo aveva solo sbagliato ad interpretare quello che aveva visto dipinto sul mio volto ed era giunto come al solito alle conclusioni sbagliate.
"E va bene." acconsentii, causando in Stephen un sussulto di sorpresa. Forse, conoscendomi fin troppo bene, si aspettava che mi sarei opposta o che avrei brontolato. 
Oh, pasticcino... Pensai, schernendolo nella mia mente. Per una volta sono io un passo davanti a te.
"Certo," continuai sorridendo e portando avanti la sua bugia. "perchè no? Gally potrebbe aver bisogno d'aiuto."

Ero certa che Stephen non sapeva di ciò che Violet mi aveva raccontato, quindi ero abbastanza curiosa di vedere come si sarebbe comportato con me e con Gally. Chissà, magari avrebbe fatto qualche allusione per portarmi a confessare o per creare in me una qualche reazione da lui sperata. Magari avrebbe anche stuzzicato Gally, chi lo sapeva. Ero solo convinta del fatto che camminare per le prossime due ore in compagnia di quei due sarebbe stato divertente.
Stephen mi lanciò un'occhiata dubbiosa, sul suo volto c'era dipinto un grosso punto di domanda e dovetti trattenermi dal ridergli in faccia. 
Mi limitai a prenderlo per braccetto e a trascinarlo verso Gally che, ancora una volta, era rimasto in fondo alla fila. Lo raggiungemmo in fretta, giusto in tempo per vederlo scuotere via un po' di terra dai suoi pantaloni.
"Hey, Gally." richiamai la sua attenzione con un sorriso leggero sulle labbra, nel tentativo di sembrare il più naturale possibile. Prima che il ragazzo alzasse il capo, lo vidi sorridere in modo spontaneo e ricambiare il saluto con altrettanto entusiasmo, poi quando i suoi occhi si posarono su di me e in seguito passarono su di Stephen, l'allegria lo abbandonò. Ora nei suoi occhi esisteva solo odio e fastidio per quella presenza palesemente non ben accetta. "Stephen..." lo salutò il ragazzo, sibilando tra i denti e cercando di contenersi forse perchè c'ero anche io, o forse per mantenere comunque una soglia di sopportazione nei confronti dell'altro ragazzo.

"Gally." mormorò Stephen in tutta risposta, assorbendo quasi l'espressione dell'altro e riproducendola alla perfezione anche sul suo viso.
Iniziamo bene, direi. Pensai, sorridendo ancora di più e tentando di trattenermi. Mi infilai tra i due ragazzi in modo quasi spontaneo, anche se sapevo benissimo che il mio tentativo principale era quello di evitare che i due si prendessero a pugni. 
"Non sei stato molto gentile con Minho." iniziai lanciando un'occhiata di sbieco a Gally e sentendomi quasi una mamma che sgrida il proprio figlio.
"Be' nessuno ha chiesto il suo aiuto, quindi..."
"Non è comunque un buon motivo per comportarti di sploff." lo sgridai. "Voleva solo darti una mano, Gally."
"Si dà il caso che io non abbia bisogno dell'aiuto di nessuno, quindi..."
Lo interruppi ancora una volta, alzando un sopracciglio e mettendo il broncio. Solo perchè sapevo come prendere Gally, non significava che avrei accettato tutto quello che il ragazzo mi avrebbe buttato addosso in modo acido. "Quindi me ne vado anche io, dato che non ho motivo di rimanere qua con te." asserii con tono severo, giungendo le mani dietro la schiena e facendo qualche passo in avanti per andarmene.
Sentii la sua mano stringersi sul mio polso e dentro di me nacquero due emozioni così contrastanti tra di loro che per un attimo fui confusa: da un lato quel suo gesto non mi sorprendeva affatto e, dopotutto, era quello che mi aspettavo facesse dopo che gli avevo detto appositamente quelle parole; dall'altro però, quel tocco riportò a galla le sensazioni provate nel sogno e, nel momento in cui mi immaginai le sue mani percorrere la mia pelle nuda, rabbrividii di imbarazzo e combattei contro il rossore sul volto.
Proprio per questo motivo non mi voltai subito, attendendo che il sangue lasciasse il mio viso per tornare a fluire sul resto del corpo. Tuttavia Gally interpretò quel gesto come se gli avessi chiesto implicitamente di lasciarmi andare perchè non solo sentii le sue dita abbandonare il mio polso, ma dalla sua bocca uscirono anche delle scuse. Non serviva che mi girassi per capire che anche il ragazzo adesso era rosso in viso. "Scusami, non era quello che volevo dire, davvero." borbottò il ragazzo, colto dall'imbarazzo. "Lo sai che sono pessimo con le parole e che sono anche una testa calda quando mi ci metto, ma davvero, non volevo essere scorbutico. Non con te, almeno." continuò poi. Se non fosse stato per quell'ultima frase palesemente diretta verso Stephen come frecciatina, avrei pensato che non fosse stato davvero Gally a parlare.

Sorrisi tra me e me, poi mi voltai lentamente e annuii, tornando sui miei passi e ponendomi di nuovo tra i due ragazzi. "Accetto le tue scuse, ma la prossima volta che mi rispondi male ti do un pugno nello stomaco." mormorai, guardandolo con un sorrisetto gentile, causando in lui un sorrisetto divertito. 
"E va bene, non lo rifarò, ma nel caso... be', me lo sarò meritato, suppongo." borbottò, guardandomi con la coda dell'occhio. Il suo volto iniziò lentamente a tornare al suo colore iniziale. "Allora, sei venuta qui per aiutarmi o per farti aiutare?" chiese poi, ritrovando tutto d'un tratto la sua sicurezza e posando lo sguardo in modo distratto sulla mia gamba zoppa.
"Per aiutarti, testa di puzzone." sospirai e scuotendo la testa mi avvicinai al ragazzo, prendendogli delicatamente un braccio e ponendolo sulle mie spalle.
"Hey, io so camminare benissimo." mi rispose lui, quasi scocciato, poi si riprese. "Davvero Eli, non mi serve supporto, però se dovessi avere difficoltà prometto che te lo chiederò, d'accordo?"
Lo osservai per qualche istante, cercando di arrivare velocemente ad una diagnosi completa per convincere me stessa delle parole appena pronunciate dal ragazzo. Feci scorrere il mio sguardo dalla sua testa, alla sua schiena e alle sue gambe, per poi ripetere il percorso all'incontrario e fermarmi sui suoi occhi, che in quel momento sembravano del tutto sinceri. In effetti non avevo motivo di preoccuparmi, dato che Gally sembrava stare davvero bene: le sue gambe erano integre e senza nessun segno di bruciatura; la sua schiena aveva ancora un aspetto terribile, ma rispetto al giorno precedente potevo dire con sicurezza che quegli impacchi avevano fatto miracoli; il ragazzo procedeva solo un po' chino all'avanti, dato che probabilmente non riusciva a stendere del tutto la schiena, ma per il resto non sembrava aver bisogno d'aiuto.

"Okay." acconsentii, lasciando libero il suo braccio e portandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Quando le mie dita caddero nel vuoto, segno che i miei capelli erano terminati, mi sorpresi: ero talmente abituata ad accarezzarmi ciocche lunghe e quasi infinite, che mi ero scordata di essermi tagliata i capelli a caschetto – o quasi – qualche giorno prima.
Le mie furono le ultime parole a risuonare nell'aria, dato che nessuno dei due ragazzi accennò più a parlare per quelle che mi sembrarono ore, anche se ero convinta che fossero passati a mala pena quaranta minuti. Quando iniziai a capire di essermi inserita in una situazione così imbarazzante – rimpiangendo anche la compagnia così allegra di Violet –, Stephen parlò dal nulla, facendomi però pentire immediatamente di aver desiderato che qualcuno proferisse parola, dato che la domanda posta dal ragazzo non sembrava preannunciare nulla di buono.
"Allora, Gally..." iniziò lui, con un ghigno stampato in faccia. "Hai fatto fatica ad addormentarti la notte scorsa?"
Strabuzzai gli occhi e il mio pensiero ricadde quasi automaticamente sul bacio che il ragazzo mi aveva rubato prima che io mi addormentassi. Eppure ero sicura che tutti stessero dormendo...
Se è per questo anche Gally era convinto che tu dormissi. Replicò la mia mente. Annuii lievemente, rispondendo quasi ai miei pensieri che, dopotutto, avevano ragione. 
"Ehm..." Gally sembrò improvvisamente imbarazzato e così decisi di cacciarmi in mezzo a quel discorso, fingendo di non essere al corrente di nulla.
"Perchè?" domandai in modo innocente a Stephen, il quale mi sorrise con fare rassicurante, portando poi una mano sulla mia testa e strofinandomi i capelli, come una sorta di carezza impacciata.

"Semplice curiosità..." rispose il ragazzo, abbassando il suo tono di voce mentre finiva la frase. "Ho notato le occhiaie sotto i suoi occhi, tutto qua."
Gally non sembrò voler rispondere e, quando anche Stephen fece qualche momento di silenzio, mi convinsi che la discussione fosse terminata là, ma mi sbagliavo, perchè ben presto il ragazzo dai capelli bianchi tornò all'attacco.
"Ho pensato che avessi avuto qualche problema con la schiena..." riprese Stephen, sottolineando in particolare l'ultima parola. "La tua schiena, ovviamente." continuò poi, non facendo altro che sottolineare a quello che Gally aveva fatto subito dopo avermi baciata.
Ciò significava che Stephen aveva probabilmente visto la mano del ragazzo intrufolarsi sotto la mia maglietta e giocare con le mie cicatrici. In un certo senso non mi stupii della sua reazione: anche se non aveva visto il bacio, era ovvio che Stephen fosse particolarmente protettivo nei confronti delle mie cicatrici, dato che sapeva benissimo cosa significassero per me e che non fossero un qualcosa da condividere così facilmente con gli altri. Lui più di tutti comprendeva il motivo per cui quel pezzo della mia vita passata fosse inaccessibile al pubblico e anche lui probabilmente aveva percepito il gesto di Gally come un'invasione della mia privacy.
Alzai lo sguardo, curiosa di osservare l'espressione del ragazzo e non dissi una parola. Sapevo che non avrei mai avuto il coraggio di dirlo io stessa a Gally ed ero felice che qualcun altro lo stesse facendo per me, mettendo in chiaro le cose per evitare che una situazione del genere si ripetesse.
Mi aspettai di vedere Gally con il capo chino e il volto rosso dall'imbarazzo, per questo mi stupii ancora di più quando lo vidi con la testa alta e il mento puntato contro Stephen, negli occhi quasi uno sguardo di sfida o di rimprovero. Era ovvio che il ragazzo non voleva che la cosa si venisse a sapere, o meglio, che io decifrassi le parole in codice di Stephen e che arrivassi da sola alle conclusioni.

Continuando con la mia recita da innocente e ignorante, rivolsi a Gally la mia espressione più confusa, per poi passare lo sguardo su Stephen e tornare in fine su quello del Costruttore. "Cosa..." iniziai, fingendomi totalmente perplessa. "Cosa sono questi sguardi?"
"Oh," iniziò Stephen, lanciandomi un sorrisetto e portandosi un palmo sul petto, come se fosse stato ferito dall'occhiataccia dell'altro. "non so perchè mi stia guardando così. Io gli ho solo fatto una domanda."
Dovetti trattenere una risata. Dio, Stephen. Non sai quanto sei bravo a mostrarti innocente quando in realtà sei solo perfido. Pensai, abbassando la testa e concentrandomi sulle mie scarpe per tentare di cacciare via la risarella che minacciava di fuggire via dalle mie labbra da un momento all'altro. Sei sempre stato bravo nei tuoi giochetti.
Una volta ripreso il controllo, riportai il mio sguardo su Gally che ora era visibilmente in difficoltà. "Gally?" domandai, fingendomi insicura.
Anche tu non sei da meno, vedo. Commentò la mia mente. Mi sto solo adattando alla situazione. Le risposi schiva.
Il ragazzo non replicò e si limitò ad abbassare lo sguardo sui suoi piedi, arrossendo leggermente. "Non capisco," mormorai abbassando lo sguardo e tentando di catturare quello abbassato del ragazzo, senza però riuscirci. "cosa sta succedendo esattamente?" tentai per l'ultima volta, decisa che, nel caso in cui il ragazzo si fosse deciso a raccontarmi cosa si era preso la libertà di fare la notte prima, forse l'avrei perdonato. Nel caso contrario promisi a me stessa che non avrei più indagato sull'argomento e che avrei continuato a fingere di non aver capito nulla. Dopotutto Gally si era preso comunque un bello spavento e anche una sottospecie di ramanzina implicita da parte di Stephen: ero sicura che sarebbe bastato quello a fargli capire che non si doveva più permettere di fare certe cose.

In un certo senso però ero ancora ferita da ciò che il ragazzo aveva fatto. Potevo anche sorvolare sul bacio, perchè non era la prima volta che il ragazzo provava quel contatto e le mie reazioni erano state di rifiuto ogni volta, quindi in un certo senso capivo il motivo per cui l'aveva fatto: forse non voleva soffrire per via di un altro rifiuto, ma voleva comunque provare di nuovo quella sensazione. Magari aveva per la mente qualche brutto pensiero e sperava di mettere a tacere la sua testa attraverso quel breve contatto.
Eppure non riuscivo a non sentirmi tradita e ferita per l'azione che aveva seguito quel bacio. Anzi, non ero nemmeno ferita dall'azione in sé e per sé, bensì dal fatto che non avesse trovato un modo per accennarmi quello che aveva fatto. Magari avremmo potuto parlarne e gli avrei potuto spiegare il significato che quelle cicatrici avevano per me. Avrebbe potuto scusarsi e comprendere che ciò che aveva fatto era stato invadere una parte della mia vita che preferivo non condividere con nessuno. Eppure Gally non aveva fatto nulla di tutto ciò e questo mi mandava su tutte le furie.
Alla fine, dopo quelli che mi sembrarono attimi infiniti, il ragazzo sembrò ritrovare la voce. "Preferirei parlartene quando siamo da soli." fu tutto quello che disse, guardandomi a mala pena per la vergogna.
"Uhm... okay, sì va bene." borbottai. Questa volta non ci fu bisogno di fingere: la richiesta del ragazzo mi aveva davvero colta di sorpresa. Non mi aspettavo che alla fine decidesse di parlarmene, ma ne ero davvero felice.
Mi voltai verso Stephen nel tentativo di chiedergli di lasciarci soli per un attimo, ma quando mi voltai notai sul volto del ragazzo un'espressione di puro odio. Le vene sul suo collo stavano fuoriuscendo a dismisura, segno che il ragazzo era furibondo, la pelle sul suo volto si stava facendo sempre più rossa, mostrando che il ragazzo stesse per scoppiare.

Prima che il peggio capitasse, posai un mio palmo sul suo petto e feci lievemente pressione, inducendolo ad abbassare lo sguardo per guardarmi dritto negli occhi. "Steph," mormorai, analizzandolo attentamente e cercando di riportarlo alla realtà. "Va tutto bene."

"No." sbottò lui, tornando con lo sguardo su Gally, ancora più infuriato di prima. "No, non va affatto bene, perchè questo..." lo vidi allargare le narici e bloccarsi per cercare la parola più giusta, puntando il dito contro l'altro ragazzo. "Questo... Lui si è preso alcune libertà che non gli spettavano." disse, abbassando leggermente il tono di voce, segno che si era accorto anche lui di aver perso le staffe, ma che stava cercando di rimediare.
"Gally mi spiegherà tutto, ne sono certa." lo rincuorai, tentando di calmarlo. 
"No, tu non capisci!" replicò lui in modo brusco, arrabbiandosi ancora di più. "Ieri sera, quando lui era convinto che tutti dormissero, ha deciso di..."
"Non sono cose che ti riguardano." asserì secco Gally, interrompendo bruscamente il ragazzo e lanciandogli un'occhiata severa. "Ho detto che le parlerò e intendo farlo. La tua presenza è superflua ora, così come le tue spiega..."
Il ragazzo non riuscì nemmeno a terminare la frase che Stephen gli fu addosso in un balzo. Lo afferrò per il colletto della maglia e lo tirò in modo brusco a sé, annullando quasi del tutto le distanze tra i loro due corpi e lasciando che il viso di Gally fosse a due dita dal suo. Le sue narici ora si ingrandivano mentre buttavano fuori aria in modo violento, del tutto innaturale; il suo petto si alzava e si abbassava a ritmi irregolari; alcune ciocche di capelli erano cadute ribelli sul suo volto, ora del tutto rosso, acceso dall'ira; le sue braccia, così come il suo collo, erano cosparse di vene, tutte saltate fuori quasi all'unisono; la mano con cui stringeva forte la maglia del ragazzo tremava, segno che quella presa non si sarebbe sciolta presto.

 

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Capitolo 44
*** Capitolo 37. ***


"Steph..." tentai di chiamarlo e avvicinarmi a lui, anche solo per mettergli una mano sulla spalla per calmarlo. Non pensavo che quella situazione sarebbe finita in quel modo: certo, pensavo sarebbe stato bello vederli punzecchiarsi a vicenda e lanciarsi frecciatine, ma se avessi saputo che la situazione sarebbe degenerata in quel modo non avrei mai assecondato Stephen nel suo intento di far parlare Gally.
Mannaggia a me e alla mia boccaccia. Pensai, maledicendomi mentalmente. 

"Non è affare mio dici?" disse Stephen, la voce talmente sotto controllo che per un attimo mi spaventò. Mi girai velocemente verso gli altri, ma ognuno aveva continuato a camminare, segno che nessuno si era accorto di cosa stesse succedendo alla fine della fila.
"Certo che è affare mio!" continuò Stephen, aumentando la presa sul ragazzo e scuotendolo leggermente. "Tu osi toccare mia sorella e poi fingi di non aver fatto nulla? Non hai alcun diritto di posare le tue manacce su di lei mentre..." si bloccò e rilasciò una risata. "E' talmente ingenua che ti ha concesso di dormire accanto a lei e tu... tu te ne approfitti per..."
"Stephen basta." ordinai, avvicinandomi ai due e mettendo la mia mano su quella stretta attorno alla maglia di Gally. Dovetti forzare un po' prima che il ragazzo lasciasse effettivamente la presa. "Ti ringrazio, davvero." mormorai, mettendomi davanti a Gally per proteggerlo. "So che stai facendo tutto questo per il mio bene, però lascia che ora me la cavi da sola, okay?"
Feci qualche passo verso di lui e, quando lo vidi ancora con lo sguardo puntato furioso verso Gally, gli presi una mano che era ancora stretta a pugno tra le mie, portandola poi vicino alla mia guancia e accarezzando il dorso con essa. Solo a quel punto Stephen sembrò tornare alla realtà, lasciando dietro di sé il suo sguardo omicida e guardandomi in modo affettuoso e preoccupato. Sentii il suo palmo aprirsi e rilassarsi, poi depositò una carezza sulla mia guancia e mi scostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

"Scusami, non volevo perdere il controllo." mormorò il ragazzo, facendosi cupo in volto. "So che odi quando mi intrometto nelle tue cose e do di matto, ma questa volta... questa volta ho sentito che la questione riguardasse anche a me, in parte. Volevo solo proteggerti." mi spiegò, indugiando ancora con la mano sulla mia guancia, per poi lasciarla ricadere sul fianco.
"Non preoccuparti, lo capisco e non ti odio." lo confortai. "Però ora ci penso io, d'accordo?"
Vidi il ragazzo sospirare e guardare in basso, poi dopo qualche secondo, rialzò il capo e mi guardò dispiaciuto. "Sì, certo. Suppongo che te la saprai cavare, ma nel caso in cui..."
"Me la cavo, Steph." tagliai corto. Ero davvero felice che fosse intervenuto per proteggermi e per difendermi, ma non ero una caspio di bambina di due anni. Okay, a volte mi comportavo come tale, però mi sapevo far valere, se volevo.
"Hai ragione. A volte mi dimentico che dentro di te si nasconde una macchina da combattimento. Colpa dell'apparenza..." bofonchiò, cercando di trattenere un sorrisetto. Poi mi accarezzò per l'ultima volta i capelli, si girò e, dopo aver lanciato un'ultima occhiata minacciosa a Gally, camminò velocemente per raggiungere gli altri, che ora erano abbastanza distanti da noi.
Mi avvicinai al ragazzo, che fino a quel momento era rimasto zitto, poi gli feci un cenno con il mento per indicargli gli altri. "Non sembra che si siano accorti che siamo rimasti indietro." spiegai con calma, cercando di capire in che stato mentale fosse il ragazzo, senza però riuscirci. I suoi occhi sembravano vuoti, indecifrabili. "Che ne dici di incamminarci mentre parliamo?"

Quando il ragazzo annuì, rimanendo però ancorato alla sua espressione dispiaciuta e imbarazzata, mi mossi per prima, scandendo il passo di quella camminata: né così veloce da mettergli fretta, né così lenta da rimanere perennemente indietro rispetto agli altri.
Gally mi seguì senza lamentarsi, posizionandosi al mio fianco e toccandosi imbarazzato il braccio. Era palese che non sapesse proprio come iniziare il discorso, perciò decisi si aiutarlo un pochino, senza mai forzare nulla, per metterlo a suo agio: una conversazione piena di imbarazzo e vergogna non era ciò che volevo, preferivo che il ragazzo fosse tranquillo.
"Hey Capitan Gally..." iniziai, lanciandogli un sorrisetto e cercando il suo sguardo che però era tutto d'altra parte, i suoi occhi ancora stentavano ad incrociare i miei e la cosa mi faceva sentire ancora più in colpa. Forse non avrei mai dovuto dare corda a Stephen. "Senti, indipendentemente da quello che ha detto Stephen, io so chi sei, Gally." lo rassicurai, sfiorandogli il mignolo col mio, poi, in modo quasi automatico, incatenai le nostre due dita, causando nel ragazzo una rigidezza improvvisa. "So che qualsiasi cosa tu abbia fatto, hai una spiegazione. Okay?" sottolineai, sentendolo sospirare e rilassarsi all'improvviso. 
Quando lo vidi girare il volto in mia direzione per un attimo fui davvero sollevata anche io. Avevo bisogno che tutto tra me e Gally fosse a posto, odiavo i punti e virgola nelle relazioni: non erano affatto rassicuranti dato che lasciavano il rapporto in sospeso tra una frase e l'altra, senza concludere mai niente.

"Forse questa volta non ho una spiegazione, Elena." esordì lui, staccando improvvisamente il suo mignolo dal mio e lasciandomi turbata. "Questa volta ho esagerato, me lo sento. Non avrei dovuto..." il ragazzo si fermò, quasi come se fosse combattuto tra due strade e non sapesse bene quale intraprendere. "Stephen ha ragione."
Corrugai la fronte e lo guardai con un'aria perplessa. Iniziò ad insidiarsi in me la sensazione che il ragazzo si fosse spinto oltre, dopo che mi ero effettivamente addormentata. Che fosse successo altro di cui non ero a conoscenza? Il solo pensiero mi faceva rabbrividire.
Ma certo che no, Gally è Gally, andiamo. Pensai, scuotendo la testa e ritornando alla realtà.
"Ero convinto che dormissi e, per un qualche motivo, la mia testa ha pensato che fosse giusto farlo proprio perchè tu non l'avresti saputo. Ma ora mi rendo conto che non funziona esattamente così." iniziò il ragazzo, facendosi leggermente distante e incrociando le braccia al petto. "Ti ho baciata. L'ho fatto altre volte, certo, e ogni volta ho sbagliato e tu me lo hai fatto capire. Ma questa volta è diverso: tu non potevi respingermi e per un qualche motivo speravo che solo perchè non potessi rifiutarmi anche questa volta, allora significava che mi avevi accettato." confessò il ragazzo, rilasciando subito dopo una risatina nervosa. "Che stupido, eh?"
Mi sentii crepare il cuore, realizzando che in effetti potevo venire ingoiata delle tenebre più di quanto non fossi già. Per quanto avessi voluto dire in quel momento, le mie labbra sembravano incollate l'una all'altra.
"So che il tuo cuore appartiene ancora a Newt." bisbigliò il ragazzo, perdendo improvvisamente la forza di parlare ad alta voce. Il modo in cui lo disse, mi bastò per farmi vergognare dei miei sentimenti: era vero, ero ancora follemente persa per Newt e non era un sentimento che potevo cancellare facilmente. Quello che avevo provato per il biondino, quello che avevo vissuto con lui, i sentimenti, i tocchi, i sussurri al buio, i baci, i sospiri... tutto mi aveva travolto con la potenza di un uragano e nonostante tutto quello fosse stato cancellato dal mio futuro, io continuavo a vivere nel presente trascinandomi dietro quelle sensazioni ormai perdute.

"Da un lato mi ripeto che va bene così, che fa parte di chi sei. Tu sei capace di... darti completamente ad una persona. Ami con tutta te stessa e in un certo senso sono sempre stato invidioso che tutto di te appartenesse a lui e a lui unicamente." il ragazzo fece una pausa, poi sorrise leggermente e abbassò lo sguardo. "Eppure dall'altro lato, sono sempre più convinto che non sia giusto che tu abbia dato tutta te stessa e che ora tu sia rimasta con nulla tra le mani. Vorrei che... Vorrei che tu potessi avere quello che ti meriti, vorrei che ti lasciassi amare come ti meriti, ma..." Gally guardò di lato all'improvviso, fissando lo sguardo su delle colline solitarie a qualche chilometro di distanza. Nei suoi occhi mi sembrò di vedere un velo di tristezza e un gelo tale da farmi rabbrividire, così mi portai le braccia al petto e mi circondai, premendo leggermente con le dita sui bicipiti e stringendomi in cerca di conforto e calore.
Perchè mi stava dicendo quelle cose? Perchè ora?
"Ma so di non essere io quello che ti meriti." continuò lui, senza mai tornare a guardarmi. "Proprio perchè meriti il meglio di quello che possa venire... io sono sbagliato, io faccio cose sbagliate." spiegò lui. "Io non sono Newt e i tuoi occhi non mi vedranno mai come vedevi lui. E' ovvio che questo lo sappia anche tu, dato che ti comporti di conseguenza. Sei sempre gentile con me, sei premurosa e si vede che mi vuoi bene e che ti si spezza il cuore quando mi vedi triste o dolorante." continuò, a mala pena riuscii a percepire un cambio di tonalità nella sua spiegazione e la cosa mi confondeva ancora di più, sembrava quasi che il ragazzo stesse sputando fuori quelle frasi in modo meccanico. Il mio cuore lottava contro il mio cervello, dicendogli che quella era solo una recita e che Gally in realtà non credeva davvero a quello che diceva. "Eppure non mi vedi come Newt." rincalzò il ragazzo. "Pensavo che dopo qualche mese avresti potuto iniziare ad aprirti con me, e parlo di aprirti su cose che mi hai sempre tenuto nascoste. Ma io non sono Newt e tu non mi dici tutto come facevi con lui. Per me sei un libro aperto, sai? Eppure ci sono cose a cui comunque non riesco ad accedere e la cosa mi fa... mi fa infuriare a volte."

Scossi la testa leggermente, le mie labbra cercarono di muoversi per iniziare finalmente a pronunciare qualcosa, ma tutto quello che ottenni fu un suono astratto, confuso, seguito poi da un tremore improvviso e dal silenzio. Ingoiai un groppo di saliva e ritentai, questa volta riuscendo nel mio intento. "G-Gally, io non capisco... C-Cosa vuoi..."
"Sto parlando di tante cose, tanti dettagli della tua vita che ancora non so. Tu sai tutto su di me, ma ci sono lati di te a cui io non ho accesso e dopo tutto questo tempo pensavo... pensavo che sarei riuscito a raggiungere la cima e che tu finalmente avessi iniziato a vedermi diversamente. Pensavo che ad un certo punto mi avresti detto tutto." il ragazzo fece una pausa e poi, alla fine, portò il suo sguardo su di me, incatenandomi a quei suoi occhi che per un attimo mi sembrarono così spietati. Il ragazzo mi stava ferendo profondamente, le sue parole mi raggiungevano come dardi avvelenati, diffondendo la nube tossica in tutto il mio corpo e avanzando in modo lento ma decisivo, conquistando ogni millimetro del mio corpo e distruggendomi pezzo dopo pezzo.
"Io non so nulla della tua vecchia vita, Elena." disse con tono fermo e severo, non notando nemmeno – o forse ignorando del tutto – le lacrime che minacciavano di lasciarsi cadere dai miei occhi. Ero sicura che le mie pupille avevano perso tutto il loro colore azzurro, arrivando ad un grigio spento e gelido. "Non so cosa ti abbia fatto la W.I.C.K.E.D. per farti rimanere tutte quelle cicatrici sulla schiena; non capisco che relazione ci sia tra te e Stephen, dato che lo conosci da meno tempo di quanto conosci me, eppure questo non ti ferma dall'avere una relazione più profonda con lui; non comprendo nemmeno come ti senti ad avermi accanto, se per te sono solo un peso, se mi hai scambiato per una persona che non sono, se mi odi per quello che ti sto dicendo; so che hai recuperato la memoria, ma non mi hai mai parlato dei tuoi genitori e della tua vita prima del Labirinto." la sua voce si spezzò all'improvviso e il ragazzo si premurò di alzare nuovamente gli occhi al cielo. "E dio, la cosa che mi spaventa di più in tutto questo è che potrei continuare con questa lista all'infinito."

All'improvviso mi accorsi che in realtà, avrei preferito non sapere quelle cose: a volte giacere nell'ignoranza totale mi aiutava a sorvolare sui possibili problemi esistenti, ma ora che il ragazzo mi stava spiaccicando la realtà in faccia, non riuscivo nemmeno a distogliergli lo sguardo di dosso. In un certo senso mi sentivo come se, guardandolo negli occhi, avrei ricevuto una maggiore conferma di ciò che stava succedendo. Non riuscivo a credere alle sue parole, non riuscivo a credere che non capisse la mia motivazione dietro a tutto quello. Se come diceva lui, io ero un libro aperto, mi meravigliava sentirmi dire quelle cose. Gally mi aveva spezzato il cuore. "I-Io..." mormorai a mala pena, stringendomi ancora di più nel mio stesso abbraccio e abbassando lo sguardo. "I-Io posso spiegare." biascicai incerta, tentando di mettere a posto quella situazione ormai irrimediabile. "Non pensare che non ti ho detto tutto quello che non ti ho detto perchè non mi fido di te. Gally, tu sei l'unica cosa buona che mi è rimasta in questo mondo, non riuscirei a..."
"Oh sì, sì che ce la faresti... se io non ci fossi tu te la caveresti comunque, solo che sei convinta del contrario e credimi quando ti dico che sono davvero felice di sentirtelo dire, ma non è vero, Elena." mi corresse lui, la sua voce finalmente macchiata da del tenero, ma che non addolciva per niente le sue parole, ancora armate e ferenti come artigli. "Hai Stephen, Violet, Minho e ora anche Thomas. Ma soprattutto hai te stessa. Sei più forte di quanto credi, non ti serve un sostegno. E' un po' come quei bambini che sono convinti di non saper andare in bici senza che i genitori li conducano da dietro, eppure quando si girano e si accorgono che nessuno li sta più tenendo, non sono spaventati, perchè sanno che sono loro stessi a sostenersi da soli. E non chiedermi come faccio a ricordarmi una cosa simile, perchè davvero non saprei come risponderti, dato che non mi ricordo di essere mai salito su una bicicletta in vita mia."
Aggrottai le sopracciglia e sollevai lo sguardo su di lui, senza riuscire a capire se stesse cercando di rimediare al male che mi aveva fatto o se stesse solo divagando alla ricerca di altre spiegazioni.
"G-Gally io..." tentai per l'ennesima volta di cacciare quelle parole da fuori la mia gola. Volevo dirgli che non era vero, che lui era la mia ancora, che i miei giorni andavano avanti perchè sapevo di volerlo proteggere fino alla fine. Avevo bisogno di lui, dei suoi sorrisetti e del suo sguardo quando era perso tra i suoi pensieri, dei suoi abbracci lava problemi e delle sue pessime battute. Una colonna della mia vita era già crollata, portando dietro sé la maggior parte dell'edificio, ma ciò che era rimasto in piedi, ciò che ancora reggeva senza crollare a terra, doveva la sua magnificenza alle poche colonne rimaste a sostenere ciò che forse non valeva nemmeno più la pena di sostenere.

"So che non è semplice da capire, ora come ora, ma devi imparare a reggerti i piedi da sola, senza aver paura di cadere se non sei circondata da altri." spiegò lui, abbassando lo sguardo su di me e osservandomi come se fosse l'ultima volta che mi avrebbe vista. "So che sei testarda e che non lo farai mai, è per questo che ti sto rendendo la cosa più semplice, facendo io il primo passo."
Il mio cuore perse di un battito. Avevo compreso dove il ragazzo volesse arrivare e in un attimo il panico mi travolse. Volevo mettere in pausa quel momento, tornare indietro, ripetere tutto da capo, vivere in modo diverso quella situazione, raccontargli tutto di me prima che fosse troppo tardi. 
"Te lo sto spiegando perchè non voglio che pensi che sia colpa tua se mi allontano. E' che alla fine ho capito, ho capito che se ti sto vicina ti danneggio e basta. Sono un egoista e Stephen ha ragione, perchè ieri sera, mentre ti rubavo quel bacio, lo stavo facendo per sentirmi meglio, fregandomene di te e di quelle che sarebbero potute essere le tue reazioni se tu fossi stata sveglia." continuò, fissandomi per ancora qualche secondo, prima di tornare con lo sguardo avanti. "Tu non mi lascerai mai andare, nutri troppo affetto verso di me per prendere una decisione tale e vedermi soffrire. Quindi perdonami se per una volta scelgo di fare quello che è giusto e non quello che voglio." mormorò, poi quando lo vidi aumentare leggermente il passo, mi sentii travolta dal panico. Mi sentivo affogare e l'unico appiglio più vicino a me se ne stava andando, voltandomi le spalle e lasciandomi annegare in quelle acque nere. Dovevo star affogando nel petrolio, perchè sentivo la mia gola bruciare e i miei polmoni restringersi in cerca d'aria.
"Starai meglio senza avermi attorno." il respiro mi si bloccò in gola e allungai un braccio verso di lui per afferrarlo e interrompere quel suo momento, ma era ormai troppo tardi. Vidi le mie dita sfiorare l'aria e perdersi nel vuoto. L'altra mano si strinse al petto. I miei piedi cessarono di funzionare e mi ritrovai inchiodata al suolo. "Sarà così. Te lo prometto." la sua voce oramai ridotta ad un vocio indistinto raggiunse le mie orecchie, facendole poi fischiare, anche loro incredule a tutto quello che avevano sentito.

Le mie labbra tremarono ancora e con le ultime forze che mi rimanevano portai un palmo a coprirle. Non ero riuscita a dire nulla. La cosa peggiore era che avrei potuto dire di tutto, ma non ci ero riuscita.
Rimasi immobile, con una mano sul cuore e l'altra sulla bocca. I miei occhi seguirono la figura di Gally ora sempre più distante da me. La fissai allontanarsi da me in tutti i sensi finchè la vista mi si annebbiò.
Solo quando il ragazzo riuscì a raggiungere gli altri, ponendo così l'ultimo mattone tra noi e sancendo una volta per tutte la sua separazione da me, mi permisi di respirare. Sentii una fitta al cuore e per la seconda volta in quel giorno, mi domandai fino a quanto fosse possibile continuare a sgretolare un qualcosa che era già rotto da tempo.
Se solo Newt fosse stato qua, mi avrebbe dato una soluzione.
Se solo... Se solo fossi davvero così forte come crede Gally.

Abbassai lo sguardo al suolo, sentendomi così sola e disperata. Era una sensazione orribile. Ero stata abbandonata per la seconda volta e, come previsto, il mio cuore non aveva tenuto il colpo.
Temendo di superare la sottile linea che mi divideva dalla pazzia e dalla disperazione, mossi un passo in avanti, obbligandomi a camminare verso gli altri che ora erano solo forme sfocate in lontananza. 
Starai bene. Mormorò la mia mente, un sussurro tra le mille grida. Una nebbia nera si antepose ai miei occhi, riportandomi alla gelida realtà. Il mio cuore venne coperto da un velo ghiacciato e per un attimo mi sentii sopraffatta da ogni sentimento. Un formicolio fin troppo familiare si fece strada nella mia bocca e sentii la lingua tremare, così la strinsi tra i denti, cercando di cacciare quella confusione dalla mia testa. Il mio petto venne schiacciato da due mani invisibili, ripiegandosi su se stesso e bloccandomi il respiro. L'aria che raggiungeva i miei pomoni, ma che io non riuscivo a percepire in nessun modo, era un ulteriore indizio a quello che mi sarebbe successo di lì a poco. 
Un attacco di panico. Pensai, presa dal terrore.

Poi, come se qualcuno mi fosse entrato in testa e avesse spento l'interruttore della luce, ci fu un black-out totale dentro di me e quando le luci si riaccesero di nuovo, qualcosa in me era cambiato.
Una consapevolezza si infilò viscida tra le mie membra, facendomi venir voglia di inginocchiarmi a terra, ma la repressi con violenza, intimandomi di non sentire nulla. Il formicolio nella mia bocca sembrava essere svanito nel buio, lasciandomi con un sapore amaro, quasi metallico; il mio petto, nonostante fosse ancora schiacciato da un enorme peso, sembrava riuscire a far entrare abbastanza aria nei polmoni; aria che, almeno per quel momento, riuscivo a percepire.
"Ora starai bene." ripetei ad alta voce, riprendendo a muovermi in modo meccanico, quasi come se il mio corpo si stesse spostando con il pilota automatico. Rabbrividii quando sentii la mia voce risuonare così priva di emozioni, così fredda e severa nei miei confronti, quasi come se la frase pronunciata non fosse affatto una rassicurazione, bensì una vera e propria minaccia, un ultimatum per me stessa. Un brivido mi percorse la schiena, mentre la stessa frase si ripeteva ancora nelle mie orecchie. "Sì, vedrai che starai bene."

 

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Capitolo 45
*** Capitolo 38. ***


Alla fine, passo dopo passo, ero riuscita a ricongiungermi ai miei amici, notando però con sconforto che nessuno si fosse accorto della mia assenza. Solo Stephen ogni tanto si voltava per lanciarmi un'occhiata. La prima volta che l'aveva fatto aveva addosso un'espressione davvero stupita, come se vedere la mia figura distaccata da quella di Gally per lui fosse una novità, un qualcosa che non aveva predetto.
Tuttavia il ragazzo non mosse un muscolo e continuò a camminare da solo. Dopo qualche minuto però, si girò nuovamente, e questa volta il suo sguardo si posò su Gally, che continuava ad avanzare nella sua marcia con lo sguardo fisso a terra e la testa visibilmente tra le nuvole. La sua schiena ancora era china, ma non sapevo dire con esattezza se fosse ancora per il male che gli faceva stenderla completamente, o se quella posizione fosse una conseguenza naturale di un peso che si portava dentro.
Eppure ha preso lui la sua decisione. Mi ricordò la mia mente, sgridandomi. Non ti deve più importare.
Mi morsi il labbro e, quando feci per riportare lo sguardo su Stephen, lo trovai a fissarmi con la sua solita espressione in cui potevo leggere un mix di confusione, preoccupazione e curiosità. Mi limitai a fissarlo con uno sguardo spento, grigio morto, e guardando da un'altra parte mi strinsi nelle spalle e scossi la testa, segnando la fine di quel contatto visivo.
Sperai con tutto il mio cuore che il ragazzo non sarebbe venuto a chiedermi spiegazioni, dato che al momento volevo rimanere da sola per scaricare un po' tutto il nero che mi sentivo addosso. Mi sentii ancora più sollevata quando, dopo qualche minuto, ebbi il coraggio di rialzare lo sguardo su Stephen per trovarlo girato di spalle e con lo sguardo alto davanti a sé, segno che aveva lasciato perdere la mia espressione e che non aveva il minimo interesse di venirmi a parlare.

Forse però avrei potuto sbagliarmi: magari il ragazzo voleva davvero raggiungermi e controllare come stavo, ma forse la mia espressione e la mia indifferenza avevano parlato chiaro anche senza usare parole, convincendolo a rimanere dov'era.
Mi sentivo abbandonata a me stessa, sola. Gally mi aveva abbandonata e non facevo altro che chiedermi se, in fin dei conti, non centrassi davvero qualcosa anche io. Sapevo che il fine della sua spiegazione era proprio quello di non farmi sentire responsabile delle sue scelte, ma non riuscivo a non buttarmi nel mezzo e a scagliarmi pietre addosso. 
Lui sosteneva che non gli avevo mai raccontato nulla del mio passato e non potevo negare che avesse dannatamente ragione. Da un lato potevo capire il suo sconforto e il suo sentirsi quasi tagliato fuori da una parte della mia vita; ciò che non capivo invece era come poteva non essersi accorto di tutte quelle parti della mia vita in cui lo avevo accolto. C'erano stati tanti momenti in cui mi ero lasciata andare con lui, in cui gli avevo spiegato come mi sentivo e in cui ero letteralmente crollata su di lui, proprio perchè sapevo che il ragazzo avrebbe mantenuto il segreto e mi avrebbe anche capita. 
Non comprendevo come non riuscisse a capire che gli avessi permesso di entrarmi addirittura sotto la pelle, ed era per questo che a volte, quando tentavo di nascondergli qualche emozione, mi sentivo nuda davanti a lui, perchè sapevo con quanta facilità riuscisse a smascherarmi. Da questo punto di vista era come se Gally fosse il mio punto debole: davanti a lui non ero capace di nascondere nulla.

Certo, anche Newt per un lungo periodo aveva ricoperto lo stesso ruolo: lui era il mio scrigno di segreti per eccellenza. Con il biondino mi confidavo su tutto, anche se in realtà non c'era bisogno che io gli rivelassi molto della mia vita, dato che la maggior parte del mio tempo la condividevo con lui. Per quanto riguardava le emozioni, invece, potevo contare sulle dita di una mano le volte in cui io e Newt parlavamo di sentimenti: non ce n'era quasi mai bisogno, dato che quello che provavamo l'uno per l'altra riuscivamo a sentirlo sulla nostra pelle, senza bisogno che fosse messo giù a parole.
Per quanto riguardava la mia vita passata, non avevo mai svelato a nessuno i ricordi che mi erano stati ridati. Certo, mi ricordavo di aver spiegato a Newt come fosse il mondo nei miei ricordi, ma per quanto riguardava i miei genitori... be', avrei voluto raccontare a qualcuno di loro, ma purtroppo non ne avevo memoria, dato che probabilmente la W.I.C.K.E.D. mi aveva strappato dalle loro mani troppo presto per formare con loro delle memorie. Mi ricordavo di una voce, però, una voce maschile, profonda, intensa e tranquillizzante. Non che associassi questa voce a frasi particolari o a parole pronunciate: era solo una sensazione, se così la potevo definire. Un po' come a volte mi capita di sentire un odore familiare senza riuscire a ricollegarlo nel tempo e nello spazio: quella voce per me era solo una sensazione, un ricordo sfumato a cui non riuscivo però ad attribuire un'età o una provenienza. A volte mi piaceva pensare che fosse la voce di mio padre e forse, nel profondo del mio cuore, la tranquillità che provavo ogni volta che ripensavo a questo ricordo nebbioso era la prova che le mie supposizioni fossero corrette.

Eppure, a parte questi piccoli e insoliti dettagli della mia vecchia vita – che tra l'altro ero convinta di non dover raccontare a nessuno, dato che erano memorie che custodivo con avidità – non c'era davvero molto di cui parlare. Certo, Newt sapeva della mia relazione passata con Thomas ed era anche a conoscenza di che tipologia di test sperimentassero su di me – e quindi il motivo di tutte quelle cicatrici –, ma tutto finiva lì. Mi ricordavo ancora dei sogni rivelatori che ero solita avere nella Radura: Newt era l'unico di cui mi fidavo veramente allora, quindi era stata la prima ed unica persona a sapere di quel pezzo della mia vita, dato che ero convinta che mi avrebbe potuto aiutare a ricostruirla pezzo per pezzo.
Ma escludendo Newt, gli unici a conoscenza di ciò che era capitato alla vecchia me erano Thomas – a cui erano stati ridati i ricordi della nostra relazione prima di entrare nella Zona Bruciata – e Stephen, a cui in realtà nessuno aveva mai raccontato la mia storia, ma dato che aveva vissuto le mie stesse esperienze, gli bastava copiare quello che aveva vissuto lui e proiettarlo su di me per ottenere un buon riassunto di quello che avevo passato.
Quindi come pretendeva Gally di sapere tutto della mia vita, quando in realtà non era mai stata mia intenzione dirlo a qualcuno? Certo, non che custodissi questi miei ricordi come un segreto oscuro, ma non mi veniva in mente di andare a raccontare a tutti i miei ricordi. Non lo avevo ritenuto importante e forse Gally aveva interpretato quel mio silenzio come se lo stessi tagliando fuori dalla mia vita, ma non era affatto così. Non ritenevo importante il mio passato perchè appunto era solo il mio passato. Ciò che vivevo, i ricordi delle nostre avventure, le sensazioni negative e positive che avevo vissuto insieme ai miei amici... quello era ciò che contava per me e in questo caso, Gally era a conoscenza di tutto.

Per non contare poi il fatto che fosse così ossessionato dalle mie cicatrici. Potevo capire benissimo che fosse preoccupato per me e per ciò che avevo passato, ma la decisione di parlarne o meno spettava a me e fino a quel momento non ne avevo parlato con nessuno, se non con Newt. In un certo senso quell'argomento mi rendeva agitata, in imbarazzo, e sapevo benissimo che quelle sensazioni fossero indice di una mia repressione ostinata di quei momenti: non avevo ancora assimilato e digerito tutto quello che mi era stato fatto e riportare l'argomento a galla mi faceva soffrire, quindi a volte mi limitavo semplicemente a seppellirlo nel fondo della mia testa. Prima o poi, forse, sarei riuscita a parlare apertamente di quell'argomento senza che mi venissero i brividi di terrore e disgusto, ma fino a quel momento quel ricordo così orribile sarebbe rimasto solo mio.
E se Gally non lo voleva accettare, mi andava bene comunque. Prima o poi avrebbe capito anche lui, forse. 









 

Continuammo a camminare sempre rivolti verso nord per non so quanto tempo. A dire la verità però non mi ero nemmeno accorta della fatica accumulata, troppo intenta a lasciarmi distrarre dai miei pensieri. 
Come speravo, nessuno mi era venuto a fare compagnia e in un certo senso, quelle ore passate in solitudine mi erano servite a fare chiarezza nella mia mente. Ero arrivata alla conclusione che probabilmente, anche se Gally non voleva ammetterlo, io ero stata la causa maggiore che lo aveva spinto a distaccarsi da me: voleva che io mi rafforzassi, che mi tenessi in piedi da sola e che lo facessi senza ricadere sempre sull'aiuto degli altri.
Il ché sarebbe stato anche un ragionamento nobile e che avrei compreso e assimilato più facilmente, se non fosse stato per quel piccolo puntino fastidioso che continuava a spuntare tra i miei ragionamenti. Certo, Gally aveva fatto tutto quello per me, ma dubitavo che l'avesse fatto solo per me.
Il discorso che mi aveva fatto qualche ora prima parlava da sé: era palese che il ragazzo si fosse dichiarato nuovamente, anche se in modo un po' più distaccato e ferito rispetto alle altre volte, segno che sapeva già la risposta e che non la voleva risentire.
Ma allora perchè distaccarsi così? Domandai a me stessa.
In un certo senso sapevo benissimo la risposta a quella domanda, ma odiavo ammettere di aver ragione in questo caso. 
Gally si era allontanato per proteggere anche sé stesso, proprio perchè il ragazzo mi amava ancora e proprio perchè aveva capito che il mio cuore appartenesse ancora a Newt, non riusciva a starmi vicino senza soffrire.
C'erano state occasioni in cui avevo pensato che la nostra amicizia sarebbe potuta essere una lenta tortura per lui, ma dopo il modo in cui si era comportato dopo essere arrivati al Posto Sicuro, ero convinta che avesse accettato la cosa e che fosse andato avanti. 
Dopotutto era stato lui ad iniziare tutto, a permetterci di avvicinarci di più, sia fisicamente che emotivamente. Il mio affetto per il ragazzo era già forte dai tempi della Radura, ma dato il modo in cui si era preso cura di me dopo la sparizione di Newt aveva fatto sì che abbattessi anche le ultime barriere che avevo eretto per evitare di lasciarmi andare completamente con lui.

E dopo tutto quello che avevamo costruito insieme, dopo tutte le notti insonni passate a parlare, dopo i bagni nell'oceano, le battute di caccia e le chiacchierate accanto al fuoco, lui decideva di interrompere tutto come se nulla fosse?
A che punto di quella relazione aveva iniziato a soffrire così tanto da non poterla più sopportare? E soprattutto, perchè non me ne aveva mai parlato?
Dopo tutti quei pensieri e tutte quelle domande irrisolte, solo una frase persisteva nella mia mente e forse era stata proprio quella frase a darmi il colpo finale e a svuotarmi di tutto.
Quando eravamo ancora nella Radura, una delle prime notti in cui le porte del Labirinto avevano smesso di chiudersi e i Dolenti avevano iniziato a prendere una vittima per notte, mi ricordavo di una conversazione avuta con Jeff. Il giorno prima il ragazzo aveva perso Clint, il suo migliore amico e la sua spalla. Era scosso, certo, triste e a pezzi, eppure riusciva comunque a ragionare in modo lucido e a fare la sua parte per farci uscire tutti da quel casino. Quando mi ero fermata a parlarci quel giorno, preoccupata per il suo stato mentale, il ragazzo mi aveva risposto con una saggezza tale da stupirmi e lasciarmi senza parole. Mi ricordavo benissimo cosa avesse detto il ragazzo e forse il suo breve discorso sarebbe stato uno di quelli che non sarei mai riuscita a cavarmi dalla testa.
E' proprio questa la cosa negativa che segue l'amicizia: se sei tanto coraggioso da attaccarti ad una persona, allora significa che sei pronto per affrontare la sua perdita. Soprattutto in un posto del genere. E in quel momento, non potevo fare a meno di pensare a quanto fossero vere le sue parole.

Avevo lasciato entrare Gally completamente nella mia vita, consapevole che forse un giorno l'avrei perso, eppure avevo preso la mia decisione: l'avevo lasciato vivere sotto la mia pelle, proprio come avevo fatto con Newt e, proprio nel momento in cui tutte le mie difese erano state abbassate, il ragazzo mi aveva abbandonata all'improvviso.
Proprio come Newt. Pensai.






 

Il nostro cammino era continuato ad intervalli regolari, facendo sempre pause di mezz'ora ogni due ore di camminata. Nonostante camminare così a lungo fosse davvero stancante, sia per la schiena ma in particolare anche per la mia caviglia, quelle pause mi servivano a recuperare abbastanza energie per iniziare poi tutto da capo.
Avevo continuato a proseguire da sola e la cosa non mi pesava affatto dato che, nonostante avessi posto un filtro ai miei pensieri, alleggerendomi di gran lunga la testa e il petto, avevo continuato a distrarmi in un modo o nell'altro, focalizzandomi ad esempio sulla natura che ci circondava o sul fatto che forse questa volta saremmo davvero riusciti ad essere un passo avanti rispetto alla W.I.C.K.E.D.
I miei pensieri erano sempre rivolti a Elizabeth ed Hailie che oramai costituivano un puntino perenne nella mia testa. Salvarle era mio dovere e se pensavo a quanto dovessero essere spaventate e confuse in quel momento mi si stringeva il cuore. Speravo solo che Teresa avesse ragione e che le bambine non potessero già essere state sottoposte ad alcuni esperimenti brutali, dato che i test di preparazione richiedevano molto tempo.
Eppure continuavo a chiedermi se la W.I.C.K.E.D. non fosse disperata a tal punto da saltare i test di preparazione a piedi pari per focalizzarsi completamente sul loro vero scopo.
Mi venne in mente la frase che David mi aveva detto quando era atterrato con le Berghe e i suoi stupidi seguaci nel Posto Sicuro: "Il fine giustifica i mezzi." 
Risentire quella frase nella mia mente mi faceva rabbrividire di disgusto.
Speravo solo di riuscire ad arrivare in tempo per fermare l'orrore che sarebbe venuto dopo per tutti quei bambini rapiti. Se me li immaginavo stesi sullo stesso lettino che per anni mi aveva tormentata mi veniva da piangere. Quando ero stata strappata io alla mia famiglia non mi era rimasto nessuno, nessuno sarebbe venuto mai a salvarmi e questa consapevolezza mi aveva sempre fatta sentire disperata, senza via d'uscita.
Ma Hailie, Elizabeth e tutti gli altri bambini dovevano credere in noi e rimanere ancorati alla speranza che prima o poi saremo riusciti a raggiungerli e che allora tutto sarebbe finito e sarebbero stati salvi.

Quando il sole raggiunse il suo apice nel cielo, Teresa ci fece fermare per pranzare e riposarci un po'. Come tutte le altre volte, ognuno scelse il suo spazio personale in cui appollaiarsi e cavare fuori qualcosa di buono da mangiare dal proprio sacco. Teresa e Thomas si premurarono di distribuire il cibo a quelli che l'avevano finito o a coloro che non stavano trasportando un sacco. Per quanto riguardava me, mi ero seduta a terra un po' più distante rispetto agli altri e mi ero appoggiata con la schiena contro il tronco di un albero che con le sue foglie mi riparava dal sole di quella giornata che sembrava farsi sempre più calda.
Presi dal mio sacco un po' di carne essiccata e qualche bacca, assaporandoli con gusto e ogni tanto rinfrescandomi la gola con dell'acqua.
Ero talmente concentrata sul finire la mia porzione di cibo che non mi accorsi nemmeno della figura che mi si era avvicinata; quando però delle scarpe entrarono nel mio campo visivo, compresi di non essere più sola e, al pensiero che la persona che mi si poneva davanti fosse Gally, sentii il mio cuore fermarsi per un secondo, per poi riprendere a battere velocemente.
Alzai lo sguardo titubante e con sorpresa mi accorsi di essermi sbagliata: davanti a me, mostrandosi in tutta la sua altezza, c'era Stephen.
Gli sorrisi sollevata e gli feci cenno di sedersi accanto a me all'ombra, però non dissi nulla, infilandomi in bocca tutte le bacche rimaste sul mio palmo e masticando con vigore.
Causai nel ragazzo una risatina mentre mi osservava mangiare come uno scoiattolo dalle guance rigonfie di cibo, poi dopo una breve pausa di silenzio il ragazzo iniziò a parlarmi.
"Allora hai chiarito con Gally?" mi chiese, arrivando dritto al punto e facendomi quasi andare di traverso il cibo.
Mi attaccai alla borraccia e per non soffocare bevvi avidamente qualche sorso d'acqua. Dopo essermi ripresa mi pulii la bocca con il dorso della mano e, quando sentii una sensazione di pienezza risalirmi per la gola, decisi di rispondere al ragazzo in un modo del tutto particolare. Quando un rutto mi uscì dalle labbra, il ragazzo strabuzzò gli occhi e poi scoppiò in una risata sincera, tenendosi addirittura lo stomaco con le mani. 

"Ti basta come risposta?" domandai, trattenendo un sorriso e cercando di sembrare quanto più seria possibile.
Senza mai smettere di ridere il ragazzo annuì e si asciugo le lacrime sotto gli occhi. "Wow, sei proprio una signorina cacchio."
"Eh, già." bofonchiai, sorridendogli e rimettendo a posto la borraccia nel sacco. "Ho imparato dal migliore, ah no scusami! Dimenticavo che tu sei una femminuccia e che queste cose non le fai."
Il ragazzo si portò una mano al petto e finse un'espressione addolorata, come se l'avessi colpito con una freccia al cuore. 
"Sarò anche una femminuccia," iniziò lui, tornando serio. "ma di certo non sono scemo, quindi non pensare di riuscire a cambiare argomento così facilmente."
Alzai gli occhi al cielo e sbuffai, non avevo voglia di raccontargli cosa fosse successo. Era come se ormai avessi digerito l'idea di non avere più Gally accanto, certo, non potevo ancora dire che non ero più spaventata all'idea di non poter più contare su di lui, però il suo messaggio mi era arrivato forte e chiaro: non aveva intenzione di riprendere i contatti con me, perciò tanto valeva costruire un muro di pietra tra noi due e fingere di non essere mai stati amici. 
Era ovvio che gli volessi ancora un mondo di bene e che vederlo sempre solo mi faceva morire dentro, però se mi ripetevo che alla fine aveva preso lui quella decisione, spezzandomi anche il cuore e facendomi sprofondare nel senso di colpa, mi sentivo meglio. Era come se il mio corpo avesse messo in circolo l'odio verso di lui – in parte finto, in parte forzato per coprire il dolore – per aiutarmi a superare la cosa più facilmente e senza mettere in gioco troppi sentimenti. 
Quando avevo avuto quel black-out non me ne ero resa conto subito, ma poi alla fine avevo capito: la mia mente non avrebbe retto un altro crollo emotivo, perciò si era limitata a cancellare dal mio cuore tutti i sentimenti che provavo e a sostituirli con odio e fastidio.

"Senti, non è che non te ne voglio parlare, è solo che non ne ho voglia." gli risposi sincera, facendo spallucce e accasciandomi contro il tronco totalmente. Chiusi gli occhi e rilasciai un sospiro. "Però se proprio sei curioso, ti permetto di farmi cinque domande a cui però io risponderò con un sì o con un no. Quindi scegli bene il tuo cavallo da corsa, pasticcino." gli proposi, sorridendo nel sentirlo sussultare quando pronunciai il nomignolo che lui usava così spesso su di me.
"Oh, ma guarda un po' come si invertono i ruoli." borbottò divertito, poi lo sentii muoversi più vicino a me e lasciarsi cadere anche lui contro il tronco. Eravamo ormai spalla a spalla e, quando lo sentii sospirare, aprii leggermente gli occhi per sbirciare.
Il ragazzo aveva seguito le mie mosse ed era ora nella mia stessa posizione: la testa reclinata indietro, gli occhi chiusi, il naso leggermente all'insù, le labbra leggermente socchiuse, il pomo d'Adamo in bella vista, le spalle rilassate e le mani giunte sul ventre.
"E va bene, brutta peste che non sei altro." mormorò il ragazzo, aprendo gli occhi e incatenandoli ai miei appena socchiusi. "Accetto la sfida."

 

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Capitolo 46
*** Capitolo 39. ***


"Hai detto cinque domande, giusto?" precisò il ragazzo, guardandomi con fare indagatore.
"Sì, erano cinque, ma ora te ne sono rimaste quattro." lo informai, indossando il mio sorriso più perfido.
"Oh, dai! Così sei scorretta!" mi sgridò lui, dandomi una gomitata e guardandomi male. "Però siccome mi piacciono le sfide, mi va bene così. Cominciamo."
Ci fu un momento di silenzio, segno che il ragazzo stava pensando bene a quale domanda pormi per prima per scoprire cosa era successo tra me e Gally.
Da un lato speravo che le sue domande non fossero troppo specifiche o che andassero a toccare un argomento troppo personale, ma avevo promesso di rispondere sinceramente, quindi non potevo più tirarmi indietro.
"Ti ha confessato di aver giocato con le cicatrici sulla tua schiena come se fossero un semplice gioco?" sputò fuori, tra le sue parole ancora si nascondeva qualche traccia di odio e fastidio.
Ci pensai su, accorgendomi in effetti che Gally non me lo avesse accennato, segno che probabilmente non si rendeva nemmeno conto di cosa potesse significare per me.
"Ecco, no. In realtà mi ha confessato del bacio, ma di avermi toccato le..."
"Cosa?" sbottò Stephen, alzandosi di scatto a sedere e portando le gambe al petto, avvicinandosi velocemente a me e fissandomi su tutte le furie. "Cosa ha fatto? Lui ti ha..." il ragazzo si bloccò, mettendosi sulle ginocchia e facendo per alzarsi. "Giuro che ora vado lì e lo ammazzo una volta per tutte."
Quando capii che faceva sul serio, gli afferrai il polso ed iniziai a tirare con tutta la forza che avevo verso il basso, obbligandolo a fermarsi e a tornare sui suoi passi. "Calmati, Steph." gli intimai, trascinandolo di nuovo a sedere e faticando per tenerlo fermo accanto a me. "Davvero, è tutto okay."

Il ragazzo mi guardò esterrefatto e all'improvviso smise di muoversi, rimanendo con quella sua solita espressione stupita, confusa e preoccupata. "Aspetta un secondo..." mormorò, togliendo con delicatezza la mia mano dal suo polso. "Ti prego, dimmi che non ti sei innamorata di quella sploff vivente." 
Sbarrai gli occhi sorpresa e scossi la testa leggermente, aggrottando le sopracciglia. "No, Steph. Non mi sono innamorata di lui, ma gli voglio davvero bene. Ormai mi sono abituata a certe cose."
"Oh, e quindi ora lui può fare quello che vuole perchè tu ci hai fatto l'abitudine." sbottò lui, lanciandomi un'occhiata severa e ferendomi leggermente. Mi ero dimenticata che con Stephen non potevo tralasciare nessun dettaglio: ogni volta che gli spiegavo qualcosa il ragazzo tendeva subito a capire quello che voleva capire e a comportarsi da fratellone protettivo, se volevo placare quella sua rabbia diretta soprattutto nei confronti di Gally, ma anche verso di me, dovevo raccontargli tutto.
"Senti, Steph..." mormorai, prendendogli una mano e racchiudendola tra le mie. "Voglio davvero bene a Gally, ma non per questo gli permetto di fare quello che vuole. Semplicemente mi ha spiegato il motivo per cui lo ha fatto e in un certo senso, anche se non mi andava bene, l'ho capito. E' per questo che non me la sono presa, anche se ammetto che la storia delle cicatrici mi ha ferita, ma a dire la verità credo che non si renda conto del significato che le nostre cicatrici nascondono. Penso che l'abbia fatto sovrappensiero o che comunque non l'avesse fatto con cattive intenzioni."
Vidi Stephen scuotere la testa, segno che non approvava affatto il mio ragionamento, ma lo vidi rilassarsi e appoggiarsi nuovamente contro il tronco, accostando la sua spalla alla mia, e la cosa mi rilassò, permettendomi di scivolare via dalla difensiva.

"Non capisco come puoi perennemente giustificarlo. Non è un bambino, dovrebbe aver capito che ogni sua azione ha una conseguenza." borbottò lui contrariato, incrociando le braccia al petto, togliendo così la sua mano dalle mie. "Però anche tu ragioni con la tua testa e, anche se non ti capisco affatto, accetterò le tue scelte. Tanto so già che se poi sbagli, ti fai male e torni da me piagnucolando e dicendomi in ginocchio che avevo ragione. Va sempre a finire così."
Questa volta fui io ad assestargli una gomitata nel fianco, sentendolo ridacchiare sotto i baffi. "Non è vero. Però apprezzo che mi lasci fare le mie scelte, fratellone."
In tutta risposta il ragazzo storse le labbra e mi fece la linguaccia, tornando poi a fissare davanti a sé, tenendo sempre le braccia incrociate al petto.
"Passando alla terza domanda..." 
"Ehm, no, quinta, se non sbaglio." lo corressi.
"No. Terza. Quelle precedenti non erano domande, ma affermazioni, pasticcino. Non imbrogliare." sottolineò lui, mettendomi l'indice davanti al naso e agitandolo facendo il sapientone. 
Portai gli occhi al cielo e scossi la testa. Dio, a volte sapeva essere così infantile. "Okay, okay. Continua prima che ti strangolo con le mie mani e pongo fine a questa tortura."
Vidi il ragazzo sorridere compiaciuto, segno che l'aveva avuta vinta anche questa volta, poi si portò le dita al mento, giocando a volte con le sue labbra a volte con la punta del naso, probabilmente assorto nei suoi pensieri.
"Okay, ci sono." esordì alla fine, ritornando con lo sguardo su di me. "Cosa ti ha detto per farti reagire così? Ora sembrate quasi due fidanzatini che hanno bisticciano e che non si parlano."
Alzai un sopracciglio e questa volta fui io ad agitare l'indice davanti al suo naso, ripagandolo con le sue stesse carte. "No, no, signorino. Puoi solo farmi una domanda a cui io posso rispondere sì o no."
Vidi Stephen leccarsi il labbro inferiore, segno che si stava infastidendo, poi fece schioccare la bocca e alzò le sopracciglia. "Bene, allora, dato che suppongo che non abbiate litigato per la sua confessione – dato che l'hai accettata con serenità, anche se ancora non me ne capacito –, mi viene da pensare che lui ti abbia detto un qualcosa che non ti è andato giù e che quindi ora gli tieni il muso e non vi parlare. E' vero?"
Sospirai. Se non altro usava dei modi intelligenti per arrivare a più conclusioni usando però solo una domanda. "Sì." sbottai. "Sì, è così. Quarta domanda."
Il ragazzo sorrise soddisfatto e si rinchiuse di nuovo tra i suoi pensieri. Dopo qualche attimo di silenzio, riprese a parlare. "Quindi... lui ha detto un qualcosa che non ti è andato giù e fino a qua ci siamo. Perciò come conseguenza gli hai detto di non avvicinarti più a te? Nel senso," si corresse, tentando il suo meglio per farmi comprendere a pieno la sua domanda per non sprecarla. "sei stata tu a cacciarlo per quello che ti ha detto?"

Alzai le sopracciglia di scatto, sorpresa per quella domanda così innocua apparentemente, ma che mi fece dolere il cuore. Quanto avrei voluto poter rispondere di sì, in un certo senso se fossi stata io a cacciarlo sapevo che prima o poi mi sarebbe passata e che alla fine l'avrei perdonato, facendo tornare tutto a come era prima, ma purtroppo le cose non stavano affatto così: era stata una decisione di Gally quella di andarsene e rompere il rapporto con me, e per quanto avessi voluto prevedere il futuro, non potevo stimare dopo quanto il ragazzo avrebbe cambiato idea e sarebbe tornato da me.
"No." buttai fuori con un sospiro. "No, è stato lui ad andarsene." bofonchiai, distogliendo lo sguardo da Stephen e guardando d'altra parte, nel tentativo di cancellare via i miei pensieri negativi prima che il ragazzo riuscisse a leggerli nei miei occhi. "L'ha fatto di sua spontanea volontà." aggiunsi poi, accennando ad un sorriso forzato.
Sentii il ragazzo accanto a me mugugnare in tutta risposta, poi lo vidi giocherellare con l'orlo della sua maglietta, visibilmente rinchiuso tra i suoi pensieri, forse per concentrarsi sulla prossima domanda da fare, o forse rimuginando sulla risposta che aveva abbattuto le sue aspettative.
Il ragazzo iniziò ad agitare le gambe in maniera quasi febbrile e questo movimento ripetuto attirò la mia attenzione. Quando mi voltai verso di lui lo vidi seriamente preoccupato e la cosa mi sorprese di gran lunga: ero convinta che alla notizia che Gally si era finalmente separato da me avrebbe fatto i salti di gioia, quindi perchè ora sembrava quasi che gli avevo appena confidato di volermi pugnalare da sola, ripetutamente e obbligarlo a guardare la scena?
Stephen era letteralmente diventato grigio in volto, assumendo la colorazione della sua maglia. Le mani gli tremavano, ma cercava di mascherarlo muovendole continuamente a darsi fastidio a vicenda. Si stava torturando il labbro inferiore con i denti e a volte allargava le narici, inspirando profondamente come se fosse entrato in trance. I suoi occhi guizzavano da un lato all'altro, senza mai davvero posarsi su qualcosa, sottolineando ancora di più il fatto che il ragazzo fosse davvero in allerta, come se una bomba potesse esplodere da un momento all'altro.
Poi all'improvviso si voltò verso di me, fissandomi con un terrore tale negli occhi che per un attimo pensai di essere io la bomba di cui aveva così tanto paura e, quando formulò la sua ultima domanda, mi accorsi che in effetti avevo scelto la descrizione perfetta per quel momento e che la bomba, in fin dei conti, ero davvero io. 

"Pensi che... insomma," il ragazzo si fermò per mordicchiarsi ancora una volta il labbro inferiore. "pensi che reagirai come hai reagito quando... quando hai preso Newt?"
Quella domanda mi colpì dritta nelle membra, facendomi venire voglia di contorcermi su me stessa e di rintanarmi in una bolla in cui nessuno poteva né vedermi né sentirmi. Solo allora riuscivo a comprendere a pieno il motivo di tutta quella agitazione: lui mi credeva davvero una bomba ad orologeria pronta a scoppiare da un momento all'altro.
Feci per aprire la bocca e rispondere, ma all'ultimo secondo decisi di cambiare le parole da dire e gli risposi con un'altra domanda. "Sei sicuro di voler usare l'ultima chance che hai così? Se vuoi puoi cambiare idea e formulare una nuova domanda." specificai, sentendomi in parte ferita e sperando che mi dicesse che in effetti era solo una domanda stupida a cui non dovevo realmente rispondere.
Davvero ha bisogno di una rassicurazione da parte mia? Davvero vuole sentirsi dire che starò bene? Pensai tra me e me, sentendomi improvvisamente piccola e sprovveduta.
Quando vidi il ragazzo annuire, qualcosa morì dentro di me e una consapevolezza mi strisciò dentro, insinuandosi in quel vuoto. Quindi anche Stephen pensava che fossi debole. Anche lui, come Gally, era convinto che da sola, senza la mia ancora, non sarei riuscita ad andare avanti usando le mie stesse gambe.
Perchè? Mi domandai, perfida e subdola. Pensi di farcela davvero?
Schiusi le labbra per lo sconcerto, anche se non sapevo bene dire cosa mi avesse ferito di più: se la mia mancanza di fiducia o quella di Stephen.
"Quando ti avevo suggerito di trovare un'altra ancora..." precisò Stephen, forse accorgendosi di avermi ferita e tentando di rimediare. "Lo avevo fatto senza tenere conto che..."
"...che se ho il coraggio di appoggiarmi di nuovo ad un'altra persona, significa che devo anche essere pronta a perderla?" domandai, citando un'altra volta Jeff e pugnalandomi da sola con le mie stesse parole.
Ma certo, come ho fatto ad essere così stupida? Pensai, schiaffeggiandomi mentalmente. Eri talmente convinta di riuscire a proteggere Gally da tutto, talmente convinta che pur di non perderlo avresti dato la tua vita, che non hai nemmeno preso in considerazione l'idea di non poterlo proteggere da te stessa?

Sbattei gli occhi più volte prima di riuscire a cavarmi dai miei pensieri e finalmente tornare alla realtà. "No." conclusi, scuotendo la testa e abbassando lo sguardo. "No questa volta so come prendermi, credo di..." mi bloccai, ricordandomi all'improvviso come aveva reagito la mia mente a quel sovraccarico di sentimenti negativi. Non ero capace di sostenere di nuovo tutta quell'ondata di dolore derivante l'abbandono, perciò la mia mente aveva semplicemente archiviato tutto il nero appiccicume che, da quando Newt era sparito, mi aveva tenuta incollata a sé, impedendomi di reagire. 
Per la seconda volta nella mia vita ero stata sommersa dall'onda dell'abbandono e quasi avevo iniziato a chiedere a me stessa cosa ci fosse di sbagliato in me o cosa avessi fatto di male per meritarmi tutto quello. Mi ero convinta che, se continuavo ad appoggiarmi agli altri forse sarei riuscita a continuare ad avanzare nel mio cammino senza mai cedere, perchè credevo fortemente che le altre persone, che i miei amici, fossero più stabili e più forti di quanto potessi essere io. Mi ero talmente convinta di essere debole e incapace di sostenermi da sola che avevo finito per diventare davvero così. Da quando Newt se n'era andato, bastava un nulla per farmi cadere a terra: un soffio di vento, una notizia inaspettata, un qualcosa che andava storto e io potevo aspettarmi di avere un crollo mentale.
Ciò che invece non avevo compreso, almeno fino al momento in cui Stephen mi aveva confidato il suo timore nei miei confronti, era che lo stato mentale in cui ero stata bloccata per tutto quel tempo era stata una mia scelta: avevo preferito essere debole e abbandonarmi io stessa, pur di non prendermi cura di quella situazione e di non trovare una via d'uscita. 
E solo in quel momento avevo capito che, proprio perchè era stata una mia decisione quella di entrare in quello stato d'animo, allora avevo di nuovo una scelta davanti e questa volta dovevo riflettere bene se volevo rimanere ancorata ai fantasmi del passato o se alzarmi e ritrovare la forza che avevo da tempo archiviato.
Sono forte. Pensai, ritrovando un po' di coraggio in me stessa. Devo solo ricordarmi come si fa.

"Questa volta continuo per la mia strada da sola, mi prendo cura di me. Non voglio più dipendere emotivamente da qualcuno." lo informai, suscitando nel ragazzo sollievo e sorpresa. "D'ora in poi sarò io stessa la mia ancora."
In tutta risposta, Stephen mi si avvicinò e mi posò un braccio sulle spalle, tirandomi stretta a sé e depositandomi un bacio sulla fronte.
Rimanemmo in silenzio per diversi minuti, osservando gli altri stiracchiarsi, chiacchierare tra loro o mangiare. Thomas addirittura aveva deciso di fare un breve pisolino, dato che, a differenza di tutte le altre volte, Teresa ci aveva permesso di riposarci per addirittura un'ora. Dalla parte opposta di Thomas notai Brenda che, masticando svogliatamente, guardava con occhi tristi la figura del ragazzo così vicina a quella di Teresa. 
Minho, a qualche metro di distanza da Jorge e Brenda, stava raccontando qualcosa a Violet e, notando la sua faccia contorta in una smorfia di disgusto e allo stesso tempo di curiosità, supposi che il Velocista le stesse raccontando di una delle sue famose battaglie contro i Dolenti o altre creature schifose. Trattenni un sorriso e alzai gli occhi al cielo, riconoscendo che il ragazzo non fosse effettivamente mai cambiato. Se non altro, la compagnia costante di Violet gli faceva davvero bene ed ero felice per entrambi.
Distolsi lo sguardo da loro e feci per puntarlo di nuovo sui miei piedi quando, all'improvviso, una figura più isolata rispetto agli altri colse la mia attenzione: ai piedi di un albero, seduto contro il tronco proprio come me e Stephen, misi a fuoco la sagoma di Gally. 
Il mio primo istinto fu quello di sentirmi in obbligo di raggiungerlo, perchè oltre a me, il ragazzo non aveva molti amici, dato che nel gruppo era sempre quello più silenzioso e, quando parlava, anche quello più scontroso.
Poi però mi ricordai che forse a quel punto non eravamo nemmeno più considerabili amici e che quindi, per quanto avessi voluto andare a fargli compagnia, non dovevo farlo.
Quando incrociai lo sguardo del ragazzo, qualcosa dentro di me riprese a bruciare, come se un ferro ardente mi si fosse incastrato tra le costole e, come si fa quando ci si brucia col fuoco, interruppi subito quel contatto. 

"Hey, pasticcino..." mi richiamò Stephen, cercando il mio sguardo col suo e riuscendo finalmente ad attirare la mia attenzione. Osservai le sue iridi grige tornare del colore del cielo e gli sorrisi, sentendo quel nomignolo come fosse una carezza. "All'inizio odiavo la W.I.C.K.E.D. per avermi utilizzavo come cavia, anzi, per averlo fatto ad entrambi..." iniziò lui, destando in me della sorpresa. Tra tutti gli argomenti che pensavo avrebbe cavato fuori, non avrei mai creduto che la W.I.C.K.E.D. potesse essere tra quelli. "Ma adesso come adesso, se osservo tutto quello che ho ora grazie a quello che ho passato... Insomma, per farla breve non ti avrei mai incontrato e mi sarei sentito per sempre solo nell'aver vissuto quel passato."
Abbozzai un sorriso e appoggiai la mia testa sulla sua spalla, allungando le mie braccia verso il suo busto e stringendolo delicatamente a me. Lo sentii inspirare e, quando mi depositò un bacio tra i capelli, sentii il suo respiro calmo su di me. "Quindi, se cancellare il mio passato comportasse non averti qua con me tra le mie braccia, allora probabilmente non lo cancellerei mai. Ogni cicatrice mi ha condotto da te. Non avrei potuto chiedere un paradiso migliore in cui custodire i miei demoni."
Chiusi gli occhi e mi lasciai cullare da quelle parole così dolci che non pensavo avrebbero mai lasciato le labbra del ragazzo. Sentii il mio respiro farsi sempre più profondo e mi lasciai sprofondare su di lui, affogando il mio volto nelle pieghe della sua maglietta.
Quando sentii il suo palmo accarezzarmi la schiena e lasciare dietro di sé una scia di tepore, così rassicurante e guarente, il sorriso sulle mie labbra si allargò.
"Ti voglio bene." sussurrai, arrossendo leggermente a quelle parole che non gli avevo mai detto, ma che ora risuonavano melodiche e piene di affetto nell'aria.

 

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Capitolo 47
*** Capitolo 40. ***


Verso l'una riprendemmo il cammino, avvicinandoci sempre di più alle montagne che notavamo in lontananza. Secondo le predizioni di Jorge saremo riusciti a raggiungerle entro la fine della giornata dato che, nonostante sembrassero ormai abbastanza vicine data la loro grandezza, in realtà erano ancora lontane almeno un'altra ventina di chilometri.
Dopo la nostra chiacchierata all'ombra di quell'albero, io e Stephen avevamo proseguito quella giornata insieme, punzecchiandoci a vicenda ogni tanto e passando il nostro tempo a ricordare i vecchi momenti nella Zona Bruciata.
Il tempo passò in fretta e, tra una pausa e l'altra, passo dopo passo, lasciandoci anche dietro qualche sbuffo di fatica, il sole iniziò finalmente a scaricare il suo calore sul mondo, lasciandoci un po' di respiro sopra quell'afa che stava iniziando a diventare davvero fastidiosa.
Questa volta fui sollevata nell'accorgermi che Gally non era rimasto l'ultimo della fila – posto che aveva felicemente lasciato a Minho e Violet intenti a scambiarsi effusioni – e aveva raggiunto anzi la testa di essa, aggiungendosi a Teresa e Thomas, parlando con loro riguardo un qualcosa.
Come previsto da Teresa riuscimmo a mantenere il passo per quasi tutta la giornata, ma quando la sera calò, inevitabilmente la stanchezza iniziò ad avere la meglio su di noi, rallentandoci e rendendo difficile l'avanzata.
Alla fine, dopo una breve consultazione, decidemmo all'unisono di abbandonare l'idea di fare anche un altro passo per quella giornata. Alle sette e quarantanove precise, ci lasciammo tutti cadere a terra sfiniti. Per quella sera, nessuno si prese la briga di andare a cercare qualche rametto per accendere un fuoco, ma nemmeno nessuno si lamentò di aver tralasciato quel piccolo dettaglio: durante la giornata aveva fatto davvero caldo e oramai eravamo distanti dagli ultimi pezzi di foresta viva che avevamo lasciato alle spalle, quindi quella notte non sarebbe stata poi così umida e fredda come la precedente.
Cogliendo il momento perfetto, decisi di gettarmi nel bel mezzo di un silenzio pieno di stanchezza tra Minho e Violet. Salutai entrambi e, mentre il ragazzo era intento a grattarsi la schiena – o meglio, ad agitarsi in modo convulso per raggiungere un punto che apparentemente non gli era possibile toccare – chiesi alla mia amica di sostituirmi e medicare lei le ferite a Gally. Nel tentativo di evitare le domande che sarebbero seguite alla sua prima, ovvero perchè non lo facevo io stessa, mi limitai a dirle che io e il ragazzo avevamo litigato e che per il momento non volevo averci a che fare.
Anche se titubante, la ragazza accettò le boccette dalle mie mani, rigirandosi i liquidi tra le dita e ascoltando attentamente le mie istruzioni su come applicarli sulle ferite. Probabilmente era troppo stanca per affrontare uno dei nostri momenti di confessione e le fui grata di non aver avanzato affermazioni o altre questioni. Dopo averla ringraziata, me ne tornai da dove ero venuta, raggiungendo nuovamente Stephen che ora parlava con Teresa.

In totale, stando ai conti della ragazza, quella giornata avevamo percorso più o meno una cinquantina di chilometri, raggiungendo quindi l'obbiettivo che ci eravamo preposti. Come mi aspettavo, dopo aver consumato una bella cena – carne essiccata, qualche rimasuglio di scoiattolo e alcune bacche, come sempre, d'altronde –, ognuno si appartò o si unì a qualcuno per andare a dormire. Prima che il sole calasse del tutto e ci lasciasse solo una piccola luce rosa-violacea, almeno la metà di noi era già piombata nel sonno più profondo. 
Se non altro, il continuo russare di Stephen, che era praticamente svenuto non appena toccato terra, non faceva altro che confermare la stanchezza che avevamo accumulato in quella giornata.
Combattendo contro il sonno, decisi di godermi le ultimi luci di quel giorno, osservando il cielo sfumarsi e dipingersi da solo. Mi focalizzai sui suoni che mi circondavano e se mi concentravo abbastanza ero quasi certa di riuscire a sentire il leggero scivolare dell'acqua sulle pietre, riportandomi subito in mente l'immagine di un fiume che probabilmente doveva scorrere non molto lontano da noi, senza che però riuscissimo a vederlo.
Mi guardai un po' attorno incuriosita e tentai di passare in rassegna tutte le cose che ci circondavano. Nonostante la mia voglia di trovare quel rigagnolo d'acqua fosse molto forte, ben presto i miei occhi si stancarono di guizzare da una parte all'altra alla ricerca di un qualcosa che non riuscivo a vedere, perciò alla fine abbandonai quell'idea e mi focalizzai sulle poche persone rimaste sveglie proprio come me.
Notai Jorge – sempre seduto vicino ad una Brenda ben oltre la soglia del sonno – intento a cavarsi qualche sassolino dalle scarpe con fare infastidito, poi vidi la figura di Thomas, molto più alta rispetto a tutte le altre accasciate al suolo. Teresa dormiva poco distante da lui, ma il ragazzo non sembrava avere minimamente voglia di raggiungerla per riposarsi, anzi, se ne stava in piedi, con lo sguardo rivolto verso l'orizzonte a fissare il vuoto, con le mani in tasca e le spalle stancamente gettate all'avanti, lasciandomi così capire che, nonostante il suo corpo mostrasse segni evidenti di stanchezza, lui continuava a combatterlo.

Mossa da una voglia improvvisa di raggiungerlo, abbandonai di lato la mia pigrizia e mi alzai, scuotendo la terra dai miei pantaloni e muovendomi verso di lui in modo lento, prendendomi tutto il tempo per arrivare al suo pari.
Per non spaventarlo, dato che non sembrava aver notato la mia presenza accanto a lui, decisi di schiarirmi la voce, causando comunque un sussulto da parte sua. Quando i suoi occhi si ancorarono ai miei, li vidi immersi nella tristezza, sentimento che il ragazzo tentò di celare al mio sguardo con un sorriso abbozzato.
"Tom..." mormorai, avvicinandomi a lui e inclinando leggermente la testa. "Tutto okay?"
Vidi il ragazzo stringere le labbra in una linea dritta e sottile, poi rilasciarle con un sospiro. "Sì, stavo solo pensando."
Annuii e rimasi in silenzio, dicendo a me stessa che non lo volevo forzare a dirmi nulla di cui non avesse voglia di parlare. Da questo punto di vista io e il ragazzo eravamo uguali: nessuno avrebbe mai ottenuto nulla da noi, forzandoci a parlare; avremmo detto quello che ci passava per la testa solo se avevamo voglia di condividerlo.
Infatti, dopo qualche minuto d'attesa, il ragazzo decise di aprirsi con me. "Non riesco..." iniziò titubante, mordendosi il labbro e battendo il piede a terra con fare agitato. "Non riesco a togliermelo dalla testa." continuò, la voce sempre più incrinata, segno che si stava trattenendo dal piangere. "Ci sono giorni in cui riesco ad ignorarlo, in cui riesco a distrarmi e tutto va bene. Ma ci sono dei momenti in cui... in cui..."la voce gli si ruppe di nuovo e lo vidi trascinare un palmo sul volto nel tentativo di riprendersi. "A volte mi manca il fiato, non riesco a respirare, come se avessi un blocco nella gola. Mi sento soffocare... non lo so, è come se volessi uscire, uscire dalla mia testa, dal mio corpo, ma non ce la faccio. Mi sento bloccato, non riesco ad uscire. N-non riesco ad uscirne, c-come faccio?"
Thomas, con la voce ormai tremolante e incrinata per via delle lacrime, si portò entrambi i pugni sulle tempie, dandosi dei colpi forti e spaventandomi all'istante. Il ragazzo sembrava avere perso il senno completamente, non l'avevo mai visto così fuori di sé. 
Piombai davanti a lui e gli afferrai i polsi, tentando di fermarlo o almeno di attutire i suoi colpi sulla testa, ma tutto sembrava inutile, il ragazzo non voleva smettere. Chiamai il suo nome più volte, ma lui non aprì nemmeno gli occhi, ora serrati forse per trattenere le lacrime che però riuscivano comunque a scappare copiose dalle palpebre. Tentai un'ultima volta di fare forza sui suoi polsi e, questa volta, come se un qualcosa si fosse acceso nella sua mente, il ragazzo si bloccò di scatto, spalancando gli occhi all'improvviso e fissandomi terrorizzato.

"Tom, va tutto bene." tentai di rassicurarlo. Sentendomi un po' più sicura mi permisi di abbandonare i suoi polsi per depositargli una carezza sulla guancia e asciugare in parte le sue lacrime. Non avevo la minima idea di che cosa stesse parlando il ragazzo, ma le sue emozioni e le parole che aveva usato per descriverle mi facevano pensare solo ad un argomento: anche Thomas era perseguitato dal fantasma di Newt ma, mentre io in parte ero riuscita a superare leggermente la cosa, Thomas non era riuscito a fare altrettanto. Ancora non avevo capito bene se quello che mi aveva descritto fosse un attacco di panico, ma ne dubitavo: ero quasi convinta che si sentisse a disagio con se stesso. Quello che aveva fatto, quello che i suoi occhi avevano visto e ciò che le sue mani avevano compiuto quel giorno, gli erano rimasti impressi dentro, incastrati sotto la pelle e dietro le palpebre. Era ovvio che il povero ragazzo non riuscisse a vedere altro quando chiudeva gli occhi e si disgustava di sé stesso ogni volta che ripercorreva quei ricordi.
Eppure non riuscivo a spiegarmi una delle emozioni che il ragazzo mi aveva mostrato quella sera: il terrore che avevo visto nei suoi occhi subito dopo averli aperti.
Che sia stato risucchiato da quel ricordo anche ora? Pensai tra me e me, analizzando con attenzione gli occhi del ragazzo ancora puntati su di me.
"Tom." ripetei con voce più chiara e sicura, muovendo il pollice sulla sua guancia e causando in lui un sussulto che lo riportò alla realtà.
"M-Mi dispiace..." mormorò lui, tentando di parlare con voce ferma, ma senza riuscirci. "Io sono orribile. Sono una persona orribile."
Sbattei le palpebre, sorpresa dalle sue parole e lasciai cadere la mia mano sul fianco, osservandolo asciugarsi le lacrime col polso e tirando su col naso. "Thomas, non è vero. Hai fatto la scelta che..." mi bloccai. Definire giusta la scelta che lui aveva intrapreso mi faceva male, davvero male e per un attimo fui costretta ad ingoiare il groppo di saliva amaro che mi si era formato in bocca, buttando giù con lui l'odio che tentava di rinascere dentro di me.
Va bene. Mi dissi, cercando di rassicurarmi. Stai consolando Thomas per quello che ha fatto, va bene così. Non è stata... Anche i miei pensieri si bloccarono, riluttanti nel continuare.
Avevo perdonato Thomas, gli avevo detto che non era stata colpa sua, che sapevo che era stato Newt a chiederglielo e lo avevo accettato. L'ho accettato, vero?
"Thomas, hai fatto quello che ritenevi giusto." continuai fredda, cercando di intorpidire il mio risentimento e il mio odio, ma risultando improvvisamente scontrosa. "E mi dispiace che l'abbia dovuto fare tu." cercai di rimediare, dando voce ai pensieri nascosti nei meandri della mia mente. "Qualcuno avrebbe dovuto farlo prima o poi, ma sei stato tu quello sfortunato e di questo non hai colpe. Non ti meriti tutto questo, Tom, dico davvero. C'è abbastanza sofferenza in tutti noi, ma mentre noi riusciamo ad andare avanti e magari anche ad illuderci, tu..." mi bloccai, sfiorandogli il braccio e sentendolo tremare sotto quel tocco. "Tu invece rimani ancorato ai ricordi di quel giorno e non riesci ad andare avanti."

Sentii il ragazzo tentare di soffocare un singhiozzo. Per un attimo nei suoi occhi mi parve di vedere un bagliore, come se avessi colto a pieno ciò che la sua mente aveva gridato fino a quel momento. Per tutto quel tempo i suoi occhi non avevano fatto altro che chiedere aiuto, ma senza mai farsi capire, eppure, ora che ero riuscita a centrare il bersaglio, la gratitudine e il sollievo che ero riuscita a leggere in lui svanirono all'istante, venendo rimpiazzati di nuovo da terrore e ansia.
"N-No." si bloccò lui, indietreggiando di un passo e guardandomi, solo guardandomi con quegli occhi che imploravano pietà ed erano così terrorizzati allo stesso tempo. "Perchè mi giustifichi? Ho fatto qualcosa di orribile, ho ucciso Newt con le mie mani e forse, indirettamente, ho ucciso anche te. Quindi perchè mi difendi?"
Scossi la testa e rilasciai un respiro profondo, tentando con tutta me stessa di non scoppiare a piangere. Era vero, Thomas mi aveva ferita e da un lato c'era una parte di me che ancora lo odiava per le sue azioni, ma dall'altro lato, la maggior parte di me e il buon senso combattevano contro l'odio e mi facevano mettere nei suoi panni.
Anche se Thomas aveva fatto una cosa sbagliata, orribile, aveva pagato abbastanza per essa. Non meritava più di soffrire così tanto per una cosa che era stato obbligato a fare.
"Perchè ti conosco." mi limitai a rispondere. "So che hai un cuore d'oro e che volevi molto bene a Newt. Anche lui te ne voleva, Tom. Quando parlava di te gli si illuminavano gli occhi, caspio." ridacchiai, alzando gli occhi al cielo e riuscendo finalmente a cacciare indietro le lacrime. "So che non riesci ad andare avanti e credo anche di aver capito perchè non ci riesci: hai lo sguardo perennemente puntato su quell'avvenimento, su quello che hai fatto, e non riesci a guardare avanti o a pensare a cosa potresti fare per migliorare tutto questo."
Mi morsi il labbro, incerta nel voler continuare o meno quel discorso.
L'immagine di Elizabeth mi si palesò davanti e per un attimo mi sembrò davvero di avere la ragazzina lì davanti a me, con i suoi capelli biondi, il naso a patata e il suo sorrisino sdentato sulle labbra. Per un attimo le vidi muoversi, quasi impercettibilmente. Va bene. Mi sussurrò la bambina. Lo puoi dire.
"Thomas abbiamo ancora una possibilità di salvare Newt." borbottai a voce alta, distogliendomi dai miei pensieri e facendo svanire nell'aria la sagoma che mi ero immaginata. Vidi il ragazzo sbattere le palpebre violentemente, come se fosse stato scosso dalla sorpresa. Fece per aprire le labbra, ancora bagnate dalle lacrime, ma lo anticipai. "Possiamo ancora salvare una parte di lui e il solo pensiero mi fa sentire più leggera, perchè so che non tutto è andato perduto."

"Non capisco..." mormorò il ragazzo, muovendo leggermente la testa e stropicciandosi gli occhi con due dita, come per risvegliarsi da un brutto sogno. "Ele, ho rovinato tutto, ti ho rovinato la vita. Non c'è modo per porre rimedio alle mie azioni. E anche il fatto che ora ne sto parlando con te..." una risata nervosa gli uscì gutturale dalle labbra. "Dio, sono un egoista. Mi piango addosso quando invece dovresti essere tu a sfogarti su di me. So che è difficile anche per te distinguere l'illusione dalla realtà, a volte. Però rifugiarsi nell'immaginario di quello che potrebbe essere se solo non fosse accaduto quello che è accaduto, non è la soluzione."
Strinsi le labbra e inspirai profondamente. "No, Tom." lo corressi, accennando ad un sorriso e tentando di trovare il coraggio per ammettere ad alta voce la scoperta a cui ero arrivata tempo fa e che ancora non avevo avuto il coraggio di rivelare a nessuno. "Non capisci quello che cerco di dirti. Una parte di Newt, una parte importante della sua vita, è ancora viva." tentennai, vedendolo corrugare le sopracciglia e guardandomi curioso. "Ti ricordi di Elizabeth?" domandai poi, cercando di farlo arrivare alla conclusione che io non ero capace di ammettere ad alta voce, terrorizzata all'idea che quella mia scoperta si sarebbe potuto trasformare in immaginazione e sparire per sempre.
Thomas annuì due volte, ma non disse nulla, segno che voleva che continuassi. "Be', non ti sei mai accorto della sua cacchio di somiglianza con Newt?" domandai scuotendo la testa. Probabilmente mi ero solo immaginata tutto. Magari era stata la mia mente a farmi credere che Elizabeth fosse davvero la sorellina di Newt per aiutarmi ad affrontare la sua perdita. Per quanto ne sapevo, ormai non potevo nemmeno più fidarmi di me stessa e il fatto che, dette ad alta voce, le mie parole suonassero ancora più ridicole che nella mia mente, era la prova finale che mi sbagliavo.
Poi Thomas spalancò gli occhi, colto da un'improvvisa illuminazione e mi dovetti trattenere dal fare i salti di gioia. Allora forse, in fin dei conti, non ero totalmente pazza.
"S-Stai cercando di dirmi che..." vidi il suo sguardo guizzare da una parte all'altra, inseguendo un pensiero dopo l'altro e arrivando passo dopo passo alla conclusione.
"Sì, Tom." esordii, trattenendo una risata e mordendomi il labbro inferiore. "Elizabeth è la sorella di Newt."
"E-E questo... e quindi... s-se noi riuscissimo a salvarla..." il ragazzo si portò una mano sulle labbra, ma intravidi la sua bocca incresparsi leggermente all'insù.
"Non tutto sarà perduto." conclusi, sentendo il mio cuore scoppiare di speranza. "Se riusciremo a salvare lei e tutti gli altri bambini, se riusciremo a proteggerli nella loro crescita..." mi dovetti trattenere dal piangere di gioia. La sola idea di un'Elizabeth adolescente, alta e secca, proprio come il fratello, piena di vita, di gioia, col naso arricciato quando un qualcosa non le sarebbe andato giù, con la sua risata contagiosa e i suoi capelli biondo grano arruffati al mattino, mi riempiva di felicità. "Newt vivrà in lei, nella sua immagine. Non lo avremo mai perso, se riusciamo a salvarla."

Vidi Thomas indietreggiare di un passo, come se quella rivelazione l'avesse colpito dritto al cuore, poi il suo sguardo mutò completamente e divenne pieno di speranza, sentimento che non leggevo da molto nei suoi occhi. Le sue labbra abbozzarono un sorriso e il ragazzo mi guardò per qualche secondo, perso nei suoi pensieri.
All'improvviso, dopo qualche attimo di silenzio, sembrò uscire dal suo stato di trance e prima che riuscissi ad accorgermene, annullò le distanze tra noi, gettandosi su di me e stritolandomi in un abbraccio. Tutto l'odio e il risentimento che avevo provato qualche attimo prima tornarono strisciando nel loro antro, dove li incatenai nuovamente.
Ricambiai l'abbraccio, accarezzando la sua schiena e sentendo i suoi capelli solleticarmi la guancia. Chiusi gli occhi e mi lasciai pesare su di lui, permettendomi di essere sorretta dalle sue braccia che non sembravano voler lasciarmi andare. 
"Nulla è mai come sembra, eh Tom?" bofonchiai, tentando un respiro nella sua stretta. 
"Già." borbottò lui. "Non me ne sarei mai accorto, credo." 
"Però è questa la cosa bella della vita, non pensi anche tu?" domandai, sentendolo sospirare e rilasciarmi lentamente. I nostri occhi si incrociarono e quando notai che il suo sguardo fosse tornato il solito di sempre, solo animato da un pizzico di coraggio e allegria, mi sentii sollevata. "Che non sappiamo mai cosa ci capiterà."

 

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Capitolo 48
*** Capitolo 41. ***


Il mattino seguente fu un risveglio tragico per tutti: nonostante la luce del sole ancora tentennasse ad uscire, nascondendosi timida tra le nuvole e le montagne, la voce chiara e sonora di Minho ci destò tutti dai nostri sogni. Ognuno saltò sul proprio posto, chi guardandosi attorno spaventato, chi maledicendo il ragazzo asiatico che ora se la stava ridendo per via delle nostre facce da appena svegli. 
Sbadigliai e tentai di rimettere al proprio posto ogni articolazione del mio corpo: mi sentivo come se durante il sonno qualcuno si fosse divertito a dissezionarmi e ad inserire del cemento al posto del sangue. I miei muscoli erano tirati e, se provavo a stiracchiarli, mi dolevano a dismisura. Sapevo che sarei riuscita a sopportare abbastanza bene l'indolenzimento alla schiena e alle gambe, ma la mia caviglia non sembrava essere d'accordo con le mie buone intenzioni di iniziare quella giornata e mettermi in cammino. La massaggiai più volte e finalmente qualcosa al suo interno sembrò scattare, allentando la tensione nei tendini e nei muscoli, alleviando così un po' il dolore.
Non avevo intenzione di gettare la spugna finchè non sarei riuscita a salvare tutti i bambini: eravamo ormai così vicini alla sede della W.I.C.K.E.D. che avevo le palpitazioni al solo pensiero dell'imminente battaglia che avremmo affrontato.
Secondo le indicazioni di Teresa, ci mancavano solo una ventina di chilometri prima di arrivare alla sede o per lo meno a dove il segnale lanciato dai bambini tentava di condurci, quindi entro il pomeriggio saremo arrivati a destinazione.
Tutti quella mattina sembrarono muoversi in modo febbrile: c'era chi preparava il proprio sacco, chi affilava la punta delle proprie armi con qualche sasso particolarmente appuntito, chi stava facendo un po' di stretching... Eravamo tutti pronti a metterci in cammino e a quel punto era ovvio a tutti che, una volta avvistata da lontano la sede della W.I.C.K.E.D. ci saremo dovuti muovere in modo repentino e silenzioso.

Non era un'impresa facile, certo, ma avevamo due fattori molto importante a nostro favore: il poco tempo che avevamo impiegato per avanzare e dimezzare le distanze tra noi e l'associazione, ci permetteva di prendere le cose con più calma e quindi di ragionare bene sulle nostre mosse, concentrandoci questa volta più sulla strategia che sull'istinto; il secondo particolare invece era il numero di persone con cui eravamo partiti, poichè, nel caso di un attacco aereo o altro ci saremo potuti nascondere con facilità e senza fare troppo rumore.
Certo, magari il nostro numero si sarebbe poi rivelato essere a nostro sfavore nel caso di una battaglia corpo a corpo, però ero sicura che ci saremo riusciti a giostrare bene anche in quella situazione, dato che un numero minore di persone permetteva un'organizzazione del lavoro migliore e più efficace da giostrare.
Alle sei puntuali, dopo esserci confrontati sulla destinazione da prendere, Teresa puntò il dito verso est, indicandoci l'inizio di una foresta ai piedi delle montagne che avevamo tentato di raggiungere il giorno prima. La distanza che ci divideva dagli alberi era davvero poca, forse cinque o sei chilometri, il che era ottimo dato che avremo potuto sfruttare la copertura della foresta nel caso di un attacco aereo da parte della W.I.C.K.E.D.
Prima di unirmi a Stephen e iniziare con lui il cammino, lanciai un'occhiata verso il bosco, accorgendomi solo in quel momento che il fiume che avevo sentito scorrere la sera prima era situato proprio all'entrata del bosco, infiltrandosi in esso e probabilmente proseguendo verso le montagne e oltre.
Feci per guardare altrove, quando incrociai per sbaglio lo sguardo di Thomas. I nostri occhi si ancorarono gli uni agli altri per qualche momento, poi un sorriso delicato sulle labbra del ragazzo mi fece mancare un battito, ricordandomi la chiacchierata che avevamo avuto il giorno prima. Non solo ero felice nel vedere che il ragazzo stesse effettivamente meglio rispetto alla sera prima, ma, ora che anche lui sapeva dell'identità di Elizabeth, dovevo ammettere di essere anche più sollevata. Sapevo che il ragazzo avrebbe combattuto tanto quanto me per riavere i bambini indietro, ora che anche lui era consapevole di quel mio segreto. Avremmo fatto di tutto pur di riavere indietro quella parte fondamentale del nostro futuro che però in parte ci avrebbe ricordato anche del nostro passato.

Sorrisi anche io e annuii impercettibilmente, ricambiando il suo saluto, poi mi ancorai al braccio di Stephen e mi permisi di scivolare per qualche minuto nel silenzio di quella mattinata, interrotto solo dai nostri passi sul terreno. Non riuscivo a contenere la mia impazienza: volevo arrivare alla sede della W.I.C.K.E.D. e volevo farlo subito, ma sapevo benissimo che fare le cose di fretta non portava mai a nulla di buono. 
Il terrore che i bambini fossero già stati sottoposti ai test mi faceva accapponare la pelle, ma dovevo continuare a sperare che saremo arrivati in tempo, che questa volta ce l'avremo fatta.
"Pronta per spaccarti le gambe anche oggi?" chiese Stephen, cacciando via i miei pensieri e riproiettandomi davanti la realtà.
Mugugnai un sì, annuendo anche per confermare ulteriormente quella mia risposta, poi liberai il suo braccio dalla mia stretta, sistemandomi il sacco in spalla e aumentando leggermente il passo.
Sentii Stephen ridacchiare, ma decisi di non distrarmi e di puntare lo sguardo dritto davanti a me, con gli occhi sempre fissi sulla nostra destinazione più prossima: la copertura degli alberi.
"Sai che non dicevo sul serio, sì?" domandò il ragazzo accanto a me. "Prendila con calma, pasticcino. Non ci servirai a nulla se tra un'ora ti farà troppo male la caviglia per muoverti. Iniziare a correre non servirà a nulla, anzi, la stanchezza che ne deriverà ci darà solo più svantaggio."
Sbuffai, rallentando leggermente e accorgendomi di non aver per niente superato il ragazzo che, semplicemente aumentando l'ampiezza delle sue falcate, mi era sempre stato dietro senza fatica. Era una cosa che avevo sempre odiato: secondo quale logica a me erano toccate delle gambe corte e persino mal funzionanti, mentre Stephen ne aveva due lunghe e veloci?

Continuammo a dirigerci verso est, avvicinandoci al bosco con passo spedito e costante, segno che nessuno di noi stava più nella pelle: tutti eravamo ansiosi di raggiungere la W.I.C.K.E.D., ognuno con i propri sacchi in spalla e le armi infilate scomodamente da qualche parte. 
Io e Stephen parlammo poco quella mattina, probabilmente perchè nessuno dei due era una persona molto amichevole e chiacchierona la mattina presto, ma fui grata per quel silenzio, che mi permise di concentrarmi sui suoni e sulle cose che mi circondavano.
Come ogni giorno, lanciai un'occhiata a Gally per assicurarmi che stesse bene. Dovevo ammettere che la sua compagnia iniziava un po' a mancarmi, ma la sua assenza era stata attutita da Stephen che aveva fatto del suo meglio per tenere la mia mente impegnata, cosa di cui gli ero davvero grata.
Gally in realtà sembrava stare benone o per lo meno dava l'idea di uno che si fosse ripreso in fretta: camminava in modo più eretto rispetto ai giorni precedenti, segno che la schiena aveva smesso di fargli male e che stava guarendo. Magari mi sbagliavo e la schiena ancora gli faceva male, però sembrava essersi abituato a quella sensazione di dolore.
Il ragazzo stava camminando dietro Brenda e Jorge quando, forse sentendosi osservato, si voltò indietro, alla ricerca di un qualcosa o di un qualcuno, incontrando però il mio sguardo. Mi sentii arrossire dall'imbarazzo, sentendomi come una ladra che viene beccata con le mani nel sacco, ma non riuscii a distogliere lo sguardo da lui. Avrei dato qualunque cosa pur di andare a parlargli e, forse, la cosa peggiore di tutto quello era che potevo guardarlo, ma comunque non potevo raggiungerlo, toccarlo o parlargli. La nostra relazione era ormai morta, eppure ero costretta a vederlo tutti i giorni, come se nulla fosse mai successo.
Vidi il ragazzo mordersi il labbro e inalare un respiro profondo, poi, dopo aver distolto lo sguardo e aver stretto la mascella, si voltò, dandomi le spalle e lasciandomi con l'amarezza in bocca.
Posai lo sguardo sulle mie scarpe e tentai di focalizzarmi su qualcos'altro, iniziando ad origliare quasi per caso una conversazione tra Minho e Violet che procedevano dietro di noi. Sapevo che era sbagliato stare a sentire discorsi che non mi riguardavano, ma Minho stava solo raccontando a Violet di una delle sue solite battaglie, perciò mi dissi che continuare ad ascoltare andasse più che bene. Quella mia distrazione temporanea, però funzionò per ben poco, dato che dopo non appena qualche minuto, mi stancai dei racconti così esagerati del ragazzo. Mi chiesi persino come facesse Violet non solo a starlo a sentire, ma persino mostrare interesse in quello che le diceva. Se non altro si sono accoppiati bene. Pensai.

Lanciai uno sguardo in avanti, notando che ci stavamo avvicinando velocemente al bosco. Probabilmente non era passata nemmeno mezz'ora, il che mi fece pensare che forse quella giornata si sarebbe rivelata più lunga rispetto alle altre. 
E' proprio vero che quando attendo con ansia un qualcosa, quello sembra non arrivare mai. Pensai, sospirando leggermente e appoggiandomi stancamente a Stephen. 
Per qualche momento riflettei su cosa avremo fatto una volta arrivati alla W.I.C.K.E.D., dato che in quei giorni nessuno aveva propriamente parlato di una strategia d'attacco e neanche secondo quale ordine avremmo proceduto. Certo, eravamo tutti armati, ma le nostre armi fatte a mano non erano nulla contro le armi elettroniche e potenti della W.I.C.K.E.D.
Mi strinsi al braccio di Stephen, ancorandomi a lui e sentendomi improvvisamente ansiosa. "Steph?" lo chiamai, alzando lo sguardo su di lui e osservando il suo pomo d'Adamo abbassarsi per un attimo mentre deglutiva.
Il ragazzo abbassò leggermente il mento e mi guardò alzando un sopracciglio, rispondendomi così implicitamente, per poi tornare con lo sguardo dritto davanti a lui. Osservai la sua mascella creare una linea perfettamente dritta per poi terminare nel suo mento, alzato come al suo solito. "Se mai dovessi essere in pericolo una volta che arriviamo alla W.I.C.K.E.D., promettimi che mi lascerai indietro e andrai a salvare i bambini." mormorai, sentendo il ragazzo irrigidirsi sotto la mia presa. I muscoli delle sue braccia si indurirono e il ragazzo lasciò una carezza leggera sulla mia coscia con un dito. 
"Prima salvo i bambini, poi torno a prenderti." asserì lui. "Solo se tu farai lo stesso. D'accordo, pasticcino?"
Sentii un sorriso solcarmi le labbra e mugugnai un sì poco convinto in tutta risposta. Poi, sentendo di nuovo l'ansia montare in me, decisi di avanzare una seconda condizione, un po' come se stessi stilando le regole per la sua sopravvivenza. "E devi anche promettermi che non rischierai la vita per me. Non fare cose stupide per tentare di proteggermi anche quando sono spacciata, capito? Se mi trovo nei casini, lasciami lì, mi la caverò da sola. E nel caso in cui non riuscissi a cavarmela e finissi male, non fartene colpe: se un macho come me non è riuscito a vincere, allora probabilmente nemmeno una femminuccia come te sarebbe riuscita a..."

Mi interruppi immediatamente quando sentii il ragazzo bloccarsi totalmente. Il suo corpo era immobile, le sue gambe si erano arrestate all'improvviso e i suoi muscoli iniziavano a irrigidirsi. 
Mi spaventai, per un attimo, credendo di aver detto un qualcosa di sbagliato senza averne l'intenzione, così mi distaccai e cercai il suo contatto visivo per comprendere cosa gli fosse preso, senza però riuscirci: il ragazzo era sbiancato all'improvviso e la sua mascella precedentemente contratta, ora si era come sciolta, lasciandolo a bocca aperta. 
Le sue labbra iniziarono a tremare e probabilmente il ragazzo cercò anche di parlare, riuscendo però ad emettere solamente qualche suono confuso. Una sensazione pessima si impossessò di me, pietrificandomi sul posto e facendomi battere il cuore all'impazzata.
Non seppi bene cosa mi avesse dato quella sensazione, ma, vedendolo in quello stato, compresi di non esserne io la causa. Il ragazzo era fin troppo scioccato per essersela presa per le mie parole di scherzo. 
"C-Cosa caspio..." sentii Minho mormorare alle mie spalle, facendomi drizzare sul posto e facendomi voltare di scatto verso il Velocista.
Quando incrociai il suo sguardo, puntato verso il bosco alle mie spalle, e vi riconobbi lo stesso terrore che prima aveva pervaso Stephen, una scossa mi percorse la schiena. Non volevo girarmi e seguire lo sguardo di tutti, eppure il mio corpo si mosse comunque al rallentatore, andando contro la mia volontà e facendo di testa sua.
Sentii il mio fiato venire a mancare, il cuore scoppiarmi nel petto e la confusione esplodermi in testa quando osservai la scena che ci si parava davanti: proprio all'entrata del bosco, a qualche metro di distanza da noi, c'erano le figure di due bambine, forse poco più grandi di quanto fossero Hailie ed Elizabeth. Una di loro era più alta dell'altra, nonostante entrambe avessero comunque una statura considerevole per la loro età, e portava i capelli castano chiaro dietro le orecchie. L'altra invece aveva i capelli di un biondo luminoso e vivace. Le due si stavano tenendo per mano, nascondendo le braccia libere dietro la schiena, e i loro occhi azzurri e vitrei ci fissavano privi di emozioni. 
Notai che tutti nella fila si fossero fermati e fummo costretti a rimanere bloccati nelle stesse posizioni per qualche minuto, troppo spaventati per fare una mossa verso di loro o anche solo di ignorarle e continuare nel cammino. Eppure, nonostante la nostra attesa, le due ragazzine non avevano mosso un passo, come se stessero aspettando qualcosa. Mi concentrai ancora di più su di loro, cercando di raccogliere maggiori informazioni: constatai che i loro lineamenti mi fossero abbastanza familiari, ma non riuscii a ricollegarli a qualcuno, così mi limitai a concentrai sui loro sguardi, accorgendomi di un piccolo particolare. Ero convinta che questi fossero puntati su tutti di noi, ma compresi di aver sbagliato, dato che le loro pupille erano concentrate su un solo membro della nostra fila: Stephen.

Il modo del ragazzo di ricambiare quello sguardo mi fece accendere una lampadina nella mente, facendomi immediatamente accapponare la pelle. Ricollegai quelle due ragazzine alle sorelle di Stephen e quasi subito mi diedi della stupida, rifiutando quella prima ipotesi che era piombata in modo così repentino nella mia mente. Come potevo essere arrivata così velocemente a delle conclusioni così sbagliate? Le sorelle di Stephen erano morte, la W.I.C.K.E.D. stessa aveva apertamente ammesso di averle ucciso, eppure... Per quanto quella teoria risultasse assurda nella mia mente, l'espressione sconvolta di Stephen mi fece ricredere.
Che potesse trattarsi davvero delle sue sorelle? 
Stephen aprì nuovamente la bocca e fece un passo in avanti, pronunciando forse un nome o forse mormorando altro in modo confuso. Poi lo vidi sussultare nuovamente e puntare gli occhi su un altro punto, obbligandomi così a tornare con lo sguardo verso le ragazze.
Le due non si erano mosse di un millimetro né avevano cambiato espressione, il che le rendeva alquanto inquietanti, ma non feci nemmeno in tempo a formulare un pensiero su quel loro strano comportamento che notai un movimento alle loro spalle: qualcuno si stava muovendo tra gli alberi.
Più di un qualcuno.
Vidi una ragazza riccia e dai capelli davvero corti uscire quasi all'unisono con la figura di Ava Paige. Sentii Violet dietro di me ansimare di disgusto e terrore quando vide la ragazza, ma non riuscii a distogliere lo sguardo da ciò che mi si poneva davanti per controllare come stesse la mia amica.

Vidi un'altra figura sbucare dalla foresta e per un attimo non credetti ai miei occhi: Jorge era appena uscito dalla boscaglia, seguito poi da Brenda. 
Sbattei gli occhi e istintivamente puntai lo sguardo verso la fila, cercando la figura di Gally che mi ricordavo essersi posizionata dietro ai due. Come facevano Jorge e Brenda ad essersi mossi così velocemente? E soprattutto perchè avrebbero dovuto farlo?
Quando i miei occhi però riconobbero le due figure ancora in fila davanti a Gally, che ora li fissava scioccato, le domande nella mia testa cambiarono forma e iniziai a chiedermi come potessero due persone essere in due posti allo stesso momento.
"C-Chuck?" sentii la voce di Thomas risuonare nell'aria, scuotendoci tutti come un terremoto. Nessuno aveva più nominato il ragazzino da quell'orribile accaduto, tutti troppo terrorizzati all'idea di ripercorrere nelle nostre menti quella scena. Eppure, se il ragazzo l'aveva nominato dal nulla, doveva pur esserci un motivo. Sperai solo con tutto il cuore che la ragione di quel richiamo non fosse quella che mi aspettavo.
Mi voltai di scatto e ripresi a guardare verso il bosco da dove, come già annunciato da Thomas, era appena spuntata la figura di Chuckie in carne ed ossa. Mi portai una mano sulla bocca e premetti forte quando una nausea improvvisa mi pervase, mentre con la mente ripercorrevo quel ricordo che speravo di essere riuscita a cancellare da tempo: il suono umidiccio provocato dal coltello quando questo aveva lacerato il petto del ragazzino; le urla di Thomas che mi trapanavano i timpani; il ragazzino cadeva a terra, ormai in bilico sul filo tra la vita e la morte. Tutto mi entrò in testa, facendomi vedere nero per un attimo.
Chuck era morto. Pensai. Chuck è morto. Che brutto scherzo è mai questo?
Il mio stomaco era in subbuglio e per un attimo sperai davvero di riuscire a vomitare e liberarmi finalmente di quella brutta sensazione che stava prendendo il sopravvento su di me, ma mi trattenni e continuai a fissare la scena, troppo scioccata per distogliere lo sguardo.
Forse la prima volta che avevo guardato ero rimasta talmente scossa dalla figura di Chuck per notare altro, ma ora che davo una seconda occhiata ero consapevole di altri due dettagli fondamentali che precedentemente mi erano sfuggiti. 

Il primo dettaglio fondamentale, e forse anche quello meno orribile, era che oltre a Chuckie tanti altri nostri compagni della Radura erano emersi dal bosco: potevo vedere Jeff, Glader, Ben e persino Alby. 
Il secondo dettaglio, e di conseguenza quello più preoccupante, era che tutti fossero armati: chi con lanciagranate, chi con coltelli e chi con lance.
Per un attimo mi balenò in mente il pensiero che tutti i nostri vecchi amici fossero tornati in vita per punirci di non averli salvati, ma ben presto esclusi anche quell'opzione quando, tra tutte quelle persone scorsi anche la figura di Minho e poi anche quella di Vice. Se la mia teoria del ritorno dei morti era corretta, allora cosa centravano loro due? Per non parlare poi delle copie di Brenda e Jorge.
Sbattei le palpebre più volte per accertarmi di non stare sognando eppure, dall'espressione di tutti, potevo constatare benissimo che non fossi l'unica a vedere quello che stava succedendo.
Pensai a tutte le possibili spiegazioni per quella situazione, ma riuscii a trovarne nemmeno mezza che non risultasse assurda. Poi, quando per sbaglio il mio sguardo incrociò quello della mia copia, il mio cervello andò in tilt, mettendo in pausa i miei pensieri e lasciandomi con un vuoto.
Una ragazza con le mie stesse esatte sembianze stava uscendo dal bosco, i suoi occhi incatenati ai miei come se sapesse di essere uguale a me, tenendo stretto nella mano destra un arco in acciaio e nella sinistra... una mano.
Non seppi come il mio cervello riuscì a riconoscere quella persona semplicemente osservando i dettagli della sua mano, ma prima ancora di alzare lo sguardo e puntarlo sul ragazzo che la mia copia teneva per mano, ero già consapevole della sua identità.
Seguii con lo sguardo il suo braccio, fissandomi poi sul suo petto e incespicando quando vidi le sue labbra aprirsi per prendere aria e il suo pomo d'Adamo muoversi leggermente per poi tornare alla sua posizione iniziale. Analizzai ogni suo dettaglio come per assicurarmi di non essermi sbagliata, eppure arrivata a quel punto, era alquanto improbabile che avessi sbagliato a riconoscere quella persona.
Abbassando leggermente il capo per evitare un ramo troppo basso, Newt uscì lentamente da bosco, puntando poi il suo sguardo su di me.

 

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Capitolo 49
*** Capitolo 42. ***


Il caos divampò nella mia mente come una macchia scura d'inchiostro, annebbiandomi i sensi. Chiusi gli occhi, consumata dal terrore che quella vista aveva causato in me e, come se il mio corpo fosse stato sottoposto ad un altro black-out totale, quando riaprii le palpebre un'ondata di dolore mi pervase.
Come uno stormo d'uccelli che si libra in aria quando sente uno sparo, i miei pensieri presero a girare convulsi per la mia testa, aggrappandosi ai ricordi che avevo seppellito e tentato di oscurare per tutto quel tempo. In un istante, vidi i miei momenti con Newt passarmi davanti agli occhi, come una vecchia pellicola cinematografica: ripercorsi i nostri ricordi della Radura, tutti gli abbracci che ci eravamo scambiati, le notte passate a dormire l'uno aggrappato all'altra per sopportare il peso del Labirinto, i baci rubati, le confessioni; poi un tuffo al cuore quando il mio primo ricordo della Zona Bruciata mi riportò davanti l'immagine di un Newt protettivo e preoccupato nei miei confronti, che mi custodiva come se fossi l'unica cosa che aveva, lanciando occhiatacce a Stephen; mi ricordai del palazzo degli Spaccati e di quanto fosse stato difficile lasciarlo andare; poi provai nuovamente senso di colpa e rimorso nell'aver preso quella decisione; i miei muri crollarono di nuovo, spogliandomi e lasciando il mio cuore ferito e bruciante in bella vista, ben presto trafitto anche dal ricordo della notizia di Thomas; ripercorsi l'incubo che avevo avuto su Newt e tutte le volte che la mia mente mi aveva ingannata, giocando con i miei sentimenti e divertendosi nel vedermi rincorrere la figura di un fantasma.
Mi strisciai i palmi sul volto e presi un respiro profondo, accorgendomi di aver un blocco enorme sul petto. Mi portai una mano sulla bocca spalancata e indietreggiai quando mi accorsi che Newt mi stesse ancora fissando, gli occhi pieni di odio e disgusto nei miei confronti.

Non sapevo se quello fosse un altro scherzo della mia mente o se quella fosse la vera realtà che mi si palesava davanti, ma quegli occhi, quello sguardo pieno di sentimenti che Newt non mi aveva mai rivolto, mi uccisero lentamente e mi portarono ad odiare me stessa.
Era come se il ragazzo sapesse tutto e mi stesse accusando di non essere rimasta con lui nel palazzo degli Spaccati. Era come se con uno sguardo fosse riuscito anche lui a ripercorrere tutti quei ricordi con me e che quindi fosse a conoscenza di ogni sentimento e pensiero che mi era nato dentro: sapeva del sogno che avevo avuto di lui e Gally; sapeva del modo in cui avevo perdonato Thomas; sapeva che mi ero permessa di continuare a vivere, lasciandomi dietro il peso di quel vuoto; sapeva che mi ero ricostruita una vita senza di lui e che cercavo continuamente di colmare quel vuoto che mi sentivo dentro. Sapeva tutto e mi stava incolpando di non essere stata abbastanza forte da oppormi a lui quella volta, di non aver scelto di rimanere con lui dal principio, di non essere tornata indietro per cercarlo... Non accettava che stessi cercando di superare la sua scomparsa perchè sapeva che era sbagliato, dopo tutto quello che avevamo vissuto insieme, come avevo potuto lasciarlo da parte per ricostruirmi una vita senza di lui?
Mi sentivo così egoista e, ora che me lo ritrovavo finalmente davanti, mi sentivo disgustata da me stessa. 
La mia ragione continuava a ripetermi che Newt era morto, che Thomas l'aveva ucciso e che quello che mi si parava davanti non fosse altro che una sua copia.
Il mio cuore invece si contorceva su se stesso, consapevole che quello fosse davvero Newt: quelle erano le sue mani, quello era il suo modo di camminare, quelli erano i suoi occhi...
I suoi occhi puntati su di me parlavano chiaro: sapeva benissimo chi ero e sapeva cosa avevo fatto. Come poteva una semplice copia del ragazzo provare quelle emozioni? Come poteva un robot, come quello di Zart che avevo affrontato tempo addietro, guardarmi in quel modo così umano?

Lasciai cadere il braccio lungo il fianco e feci un passo in avanti, sentendo il fiato mancarmi e le gambe tremare. Una stretta allo stomaco mi fece uscire un singhiozzo dalle labbra, un gemito di dolore soffocato. Tentai di muovere un altro passo in avanti, ma le mie gambe sembravano essere diventate macigni. Aprii la bocca nuovamente e questa volta provai a parlare, riuscendo solo a biascicare il nome del ragazzo in un tono decisamente troppo basso perchè lo potesse sentire. Poi allungai un braccio verso di lui e feci un passo in avanti, ritrovando il coraggio. Lo dovevo raggiungere, dovevo riuscire a spiegargli tutto, a chiarire.
Dio solo sapeva quanto avrei voluto saltargli addosso e nascondere il mio volto sull'incavo del suo collo, stringendolo a me come per non farlo più scappare via, stritolandolo sotto i palmi per assicurarmi che fosse davvero lì davanti a me.
Mossi un altro passo e lo chiamai nuovamente, continuando a fissarlo con aria implorante, ma senza mai riuscire a causare in lui un cambiamento emotivo. Un altro passo, poi un altro, tremando.
Poi finalmente un qualcosa cambiò sul volto del ragazzo: il suo sguardo si spense improvvisamente, diventando vitreo all'improvviso; poi mi sorrise. 
Un respiro mi uscì dalle labbra, causandomi una scossa per tutto il corpo.
Newt mi aveva sorriso eppure non era un'espressione rassicurante, bensì quasi... perfida. Sentii una mano stritolarmi il polso in modo poco delicato quando tentai di muovere un altro passo in avanti, ancora incredula, dopodiché mi sentii trascinare all'indietro.
Accompagnai quel movimento, troppo scioccata e debole per riuscire anche solo ad oppormi a due braccia che ora mi stavano tenendo stretta.
Mi sentii terrorizzata, abbandonata a me stessa, e in quell'istante compresi tutto, sentendomi così stupida e sola per aver sperato il contrario. 
Quello non era il mio Newt. Quella era solo una sua copia, simile, quasi perfetta in tutto e per tutto, ad eccezione della sua anima. Newt era morto.

"Newt è morto!" urlai a squarciagola, sentendomi pervadere dall'odio per la W.I.C.K.E.D. e per me stessa per averle permesso di nuovo di giocare con la mia testa. "Newt è morto, caspio!" gridai ancora, sentendo la mia gola bruciare e le mie guance infuocarsi.
La stretta su di me continuò a stringersi e solo in un secondo momento mi accorsi che fosse Minho a tenermi ancorata a lui, per proteggermi o forse per rassicurarsi.
"Newt è..." mormorai, abbandonandomi a quella presa e sentendo le lacrime minacciarmi di fuggire dalle mie palpebre. Vidi la mia copia sorridermi malefica e aumentare la stretta sulla mano del biondino accanto a lei. 
Mi voltai verso Minho e lo vidi sbiancato, con gli occhi lucidi e spalancati, puntati non solo su Newt, ma anche su tutti gli altri compagni magicamente tornati in vita. "Newt è morto, vero?" domandai, necessitando una rassicurazione al più presto. Non pensavo che una domanda del genere sarebbe mai uscita dalle mia labbra, ma la conferma ai miei pensieri, ai miei ricordi, era fondamentale in quel momento.
"Minho?" lo chiamai, con voce tremante e le lacrime pronte a lasciarsi andare. "Sono tutti morti, vero?"
Osservai il ragazzo muoversi a scatti, sbattendo le palpebre come per riprendersi lentamente, poi incrociò il mio sguardo e annuì lentamente. "Si stanno prendendo gioco di noi." mi rispose lui con voce rauca, segno che non dovesse essere messo così bene a livello mentale.
Sentii la presa del ragazzo allentarsi, così decisi di distaccarmi leggermente da lui, ponendogli una mano sulla spalla e stringendo. "Minho," mormorai, abbandonando il sacco ai miei piedi e togliendomi l'arco dalle spalle per poi stringerlo nel pugno destro. "ricordati chi sono i vivi, capito?"
Il ragazzo allargò le narici e ricacciò le lacrime indietro, annuendo impercettibilmente e impugnando il suo pugnale. 
Se la W.I.C.K.E.D. aveva sperato di ingannarci anche quella volta e metterci alla prova facendoci combattere con le copie dei nostri amici morti, allora avremo combattuto. Sarebbe stato difficile vederli morire una volta ancora e per di più per mano nostra, ma se volevamo raggiungere la sede e salvare i bambini, quello era il prezzo da pagare.

Mi mossi leggermente di lato e feci per girarmi quando, un sibilo veloce e fendente mi sfrecciò accanto, seguito dall'immagine di una freccia metallica che si conficcava a terra a non molta distanza da me e Minho. Sentii un bruciore improvviso all'orecchio e qualcosa prese a colarmi sul collo. Mi portai le dita su di esso e non mi sorpresi quando le vidi macchiarsi di sangue.
Come assalita da un'improvvisa rabbia, strinsi i denti e mi voltai di scatto, fissando la mia copia con ancora l'arco alzato e un'altra freccia incoccata. La vidi sorridere e poi notai il suo petto abbassarsi, segno che aveva appena espirato e che era pronta a lanciare il suo prossimo colpo.
"Giù!" gridai, riuscendo a gettarmi a terra giusto in tempo per evitare quella seconda freccia. Nessuno mugugnò o lasciò un grido, segno che ero riuscita a salvare tutti. 
"Brutta stronza..." mormorai, rialzandomi in piedi e incoccando una freccia. 
Potrà anche essere un robot infallibile, ma è pur sempre una mia copia. Pensai tra me e me, realizzando in quel momento che, dato che la ragazza doveva avere i miei comportamenti e il mio carattere – come mi aveva spiegato Janson dopo aver affrontato la copia di Zart –, allora di conseguenza doveva ragionare e agire come me, il che la rendeva prevedibile ai miei occhi.
Presi la mira e scoccai la freccia, che la ragazza evitò lanciandosi di lato in modo meccanico.
"Ognuno si scelga un bersaglio! Ce ne dovrebbero essere circa due a testa!" sentii Teresa urlare dalla testa della fila. La vidi impugnare la sua lancia con la mano destra e stringere in quella sinistra il suo pugnale, poi scattò in avanti, diretta forse in direzione della copia di Ava Paige.
Tornai con lo sguardo sulla mia copia e il terrore si diffuse nel mio corpo quando non la trovai più nel posto in cui l'avevo lasciata qualche secondo prima.
Incoccai un'altra freccia e indietreggiai di qualche passo, forse in modo in modo istintivo, forse per puro caso, ma quella mossa mi salvò la vita, dato che subito dopo una freccia mi volò davanti al naso, mancandolo di qualche millimetro.
Feci uno o due salti indietro, seguendo con lo sguardo la traiettoria dell freccia che aveva lanciato e ritrovando ben presto la mia copia, ora intenta a incoccare un'altra freccia. 
Dovevo riuscire a disarmarla e ad impossessarmi del suo arco: con le mie frecce in legno non sarei mai riuscita a raggiungere una potenza tale da equiparare la precisione e la forza con cui il suo arco sfornava quelle frecce metalliche.
Lanciai un altro colpo, riuscendo a ferirla sulla gamba di striscio, ma senza che la punta si conficcasse nella sua carne. 
La ragazza indietreggiò di un passo e si fissò la gamba con indifferenza, senza emettere nemmeno un sibilo di dolore.

Incoccai un'altra freccia e, sfruttando la sua distrazione, la puntai sulla sua fronte. Rilasciai il respiro e percepii le mie dita lasciare lentamente la coda della freccia, ma nel momento in cui questa si librò nell'aria sentii un peso improvviso farmi volare in aria, per poi crollare a terra sopra di me, causandomi il doppio del dolore che quella caduta brusca mi aveva provocato.
Riuscii a mala pena a prendere un respiro che sentii un pugno conficcarsi sulla mia mandibola, facendomi schizzare il volto di lato e mugugnare di dolore. Mi sembrava di essere appena stata colpita da una spranga di metallo.
Riportai lo sguardo sulla figura che ora mi stava sopra, tenendomi a terra con una mano e colpendo con l'altra. Feci appena in tempo a riconoscere la brutta faccia di Glader sopra di me che vidi un altro colpo partire dal ragazzo e schiantarsi questa volta poco sotto la mia tempia, stordendomi immediatamente e facendomi vedere tutto nero per qualche istante.
Sentii un altro colpo assestarsi nuovamente sulla mia mandibola e rigirarmi la faccia dalla parte opposta, ma questa volta non sentii dolore. Spalancai gli occhi e li sbattei più volte nel tentativo di recuperare la vista, ora sempre più annebbiata, e riuscii ad intravedere la figura della mia copia che camminava veloce in mia direzione, incespicando e facendomi notare il machete conficcato per metà sulla sua coscia. Non c'era traccia della freccia che avevo scoccato prima che il ragazzo mi atterrasse, segno che avevo mancato il bersaglio. 
Sentii le mani di Glader stringersi all'improvviso sul mio collo, facendomi mancare il respiro all'istante e strabuzzai gli occhi, annaspando in cerca di aria. Le mie mani si agitarono in aria e, quando finalmente trovarono il suo volto, iniziarono a premere su di esso: conficcai i pollici nei suoi occhi, spingendo con tutta la forza che avevo e, non appena sentii un click metallico rispondere a quella mia violenza, osservai i miei pollici spingere gli occhi del robot all'interno della sua testa, staccandoli da essa e facendolo cadere da qualche parte al suo interno. 
Quel rumore metallico fu tutto ciò che ottenni dal ragazzo, che continuò a stringermi la gola senza nemmeno emettere un grugnito di dolore. Tolsi le mie dita dai suoi occhi, disgustandomi subito alla vista di ciò che avevo appena combinato: al posto dei suoi bulbi oculari, ora c'erano due vuoti dentro cui era possibile vedere un qualcosa di metallico e qualche filo colorato.

Portai le mie mani sul suo collo e presi a stringere senza ottenere risultati, poi passai ai pugni, poi ai calci ed infine a delle manate date a casaccio e alla rinfusa: nulla sembrava funzionare sul ragazzo, nessuna mia mossa me l'avrebbe tolto di dosso e le mie forze iniziavano a diminuire.
La riserva di fiato rimasto nei miei polmoni prese a diminuire sempre di più e sentii la mia gola bruciare sotto la presa ferrea di Glader. Poi, all'improvviso, sentii il peso del ragazzo venire a mancare da sopra di me e per un attimo riuscii nuovamente a respirare. Annaspai in cerca d'aria e misi a ginocchioni, portando una mano sulla gola e tossendo come una forsennata, mentre con la mano libera mi reggevo e premevo a terra nel tentativo di rialzarmi.
I miei occhi presero a lacrimare e i miei polmoni presero fuoco, improvvisamente rianimati da quelle continue boccate di ossigeno. Individuai il mio arco a qualche spanna da me e, smettendo di massaggiarmi il collo, allungai la mano libera per afferrarlo, ma senza riuscirci.
Qualcuno mi assestò un calcio nello stomaco, facendomi piombare a terra dal dolore: sembrava che ogni muscolo del mio corpo fosse stato pugnalato da mille aghi, i miei organi interni si strinsero su se stessi, capovolgendosi e incrinandosi.
Mi sentii a mala pena urlare quando un secondo calcio raggiunse il mio costato, obbligandomi a rotolare su un lato e a cercare di proteggermi dal prossimo colpo per riuscire a guadagnare un po' di vantaggio. Notando che il mio assalitore fosse nuovamente la mia copia, la sua possibile prossima mossa mi balenò in testa ad una velocità impressionante: senza attendere oltre mi portai le braccia sul volto e con le mani mi circondai la testa, portando le ginocchia al mento e proteggendomi quanto più potevo da quel prossimo colpo.
Come avevo predetto, la mia copia mi assestò un altro calcio diretto al volto, riuscendo però a colpire solo le mie braccia. La vidi tirare la gamba all'indietro, segno che stava caricando un altro calcio, e compresi che quella fosse la mia ultima chance di colpirla.

Le afferrai la gamba appoggiata al suolo e con tutte le forze che avevo la tirai verso di me, riuscendo a farle perdere l'equilibrio. Non la guardai nemmeno cadere e agii in modo repentino, abbandonando l'idea di raggiungere il mio arco – che sarebbe solamente risultata in una perdita di tempo – e piombando su di lei, forzandola a terra con tutto il mio peso.
Vidi i suoi occhi tingersi d'odio, ma non mi lasciai distrarre dalla sua espressione, allungandomi all'indietro e afferrando il machete ancora conficcato nella sua gamba. Lo tirai via con forza, aprendole in due la coscia, poi lo portai sopra la mia testa, afferrando il manico con entrambe le gambe e caricando il mio prossimo colpo.
Digrignai i denti ed esitai, causando in lei un sorriso soddisfatto che però mi premurai subito di cancellare dal suo volto. 
"Tu non sei me!" le gridai infuriata, abbassando di scatto il machete e conficcando la lama nel mezzo della sua fronte. Vidi la sua bocca spalancarsi e qualche suono elettronico le uscì dalle labbra. La sentii parlare, mugugnare un qualcosa con una voce molto simile alla mia, ma macchiata da qualche traccia di meccanico, di rotto. Facendo forza verso di me riuscii a liberare la lama dalla testa della mia copia, risollevando in aria l'arma e assestando un altro colpo, molto più forte del primo, nello stesso punto.
Sentii la ragazza agitarsi sotto di me, colta da spasmi improvvisi e la sentii sibilare un qualcosa. Mentre stritolavo l'arma da una parte all'altra nel tentativo di farla uscire nuovamente dal suo cranio, incrociai il suo sguardo, ora pervaso di terrore, che chiedeva pietà.
Gridando a squarcia gola e sentendo la mia voce venirmi a mancare, strattonai l'arma in aria, riportandola sopra la mia testa e lanciando alla copia sotto di me un ultimo sguardo di odio e risentimento.
Lei non è me. Mi ripetei, stringendo i denti e obbligandomi a darle il colpo di grazia. Caricai all'indietro l'arma, inspirai profondamente, sentendo il mio costato gridare di dolore per quell'improvviso movimento, e poi portai le mie braccia a terra, stringendo con forza sul manico e riuscendo questa volta ad aprirle la testa in due.
Una metà della sua faccia volò distante dal resto che la completava, rotolando per terra e mostrando fili e pareti metalliche. 
La copia si bloccò immediatamente, cessando ogni movimento e chiudendo gli occhi – o quello che ne era rimasto. 
"Tu non sei me." le ripetei, alzandomi a fatica in piedi e premendo la mia scarpa sul suo petto per riuscire ad estrarre il machete conficcato brutalmente a terra, dove prima c'era la fronte della ragazza.

Barcollai leggermente e rischiai di perdere l'equilibrio quando la lama dell'arma finalmente scivolò via dal terreno, fendendo l'aria e tornando in mio pieno possesso. Mi guardai velocemente intorno, alla ricerca dell'arco della mia copia che avevo così tanto bramato. Lo trovai a qualche passo dal corpo della ragazza e subito me ne impossessai, rubando di conseguenza anche le frecce dietro la schiena del robot da me dissezionato.
Quando la guardai un'ultima volta per assicurarmi che fosse effettivamente morta, provai terrore per me stessa: avevo appena conciato a brandelli un robot che aveva le mie somiglianze e lo avevo fatto senza battere ciglio, non solo aprendogli il cranio in due, ma anche facendole partire una parte di testa qualche spanna più in là.
La osservai con riluttanza e, mettendomi in spalla il mio vecchio arco, impugnai quello in acciaio, sentendolo decisamente più pesante del mio ma anche di ogni altro arco che avevo mai impugnato in vita. Infilai il machete nel cinturino dei miei pantaloni, posizionandolo bene sul fianco in modo da non ferirmi, poi incoccai una delle mie vecchie frecce che ora erano mischiate a quelle nuove.
Mi guardai intorno alla ricerca della copia di Glader che era misteriosamente sparita da sopra il mio corpo qualche momento prima.
Notai, a qualche metro di distanza da me, il robot che lottava affannosamente contro Minho, il quale continuava ad assestagli un pugno dopo l'altro, senza però ottenere buoni risultati.
"Decapitateli!" gridai a squarcia gola, sentendo la mia voce incrinata e le mie corde vocali tremare sotto quello sforzo improvviso. Mi portai una mano sul collo e mi schiarii la gola, sentendo la pelle bruciarmi sotto il palmo. "Si spengono solo se li decapitate!" urlai nuovamente, riuscendo finalmente ad attirare l'attenzione dei miei amici che, come conseguenza, iniziarono a mirare alla testa.

 

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Capitolo 50
*** Capitolo 43. ***


Senza attendere oltre, decisi di aiutare Minho, il quale era rimasto disarmato per qualche motivo e cercava di tenere testa ai pugni meccanici di Glader. 
Tirai l'arco con tutta la forza che avevo, trovandolo molto più duro e meno flessibile del mio, ma non mi lasciai distrarre da quel particolare. Non ero sicura di saperlo utilizzare da subito dato che probabilmente prima avrei dovuto prenderci la mano e abituarmi alle sue caratteristiche totalmente diverse dal mio arco precedente, perciò decisi di puntare dritta alla testa del robot. Se fossi riuscita a centrare il colpo sarebbe stato mortale e non avrei dovuto sprecare altre frecce per farlo fuori.
Trattenni il respiro e presi bene la mira, cercando di calcolare bene i movimenti dei due: mi presi il mio tempo dato che non volevo rischiare di colpire Minho, ma allo stesso tempo non volevo neanche sprecare la freccia e lasciarla conficcarsi nel vuoto.
Poi, sfruttando un preciso istante in cui Glader riuscì a mettersi sopra Minho, tenendolo fermo a terra e riempendolo di pugni, rilasciai il respiro e tolsi le dita dalla corda dell'arco, osservando la mia freccia vibrare nell'aria e andarsi a conficcare esattamente al centro della tempia del robot, trapassandolo da parte a parte.
Vidi Minho sussultare sotto di lui non appena il robot, visibilmente fuori combattimento, si accasciò su di lui. Corsi velocemente verso il Velocista e lo aiutai a spostare quel cadavere – se così si poteva definire – da un lato, per poi porgergli una mano e tirarlo nuovamente in piedi.
Lo osservai attentamente alla ricerca di qualche ferita mortale o preoccupante, ma quando notai che i suoi vestiti fossero perfettamente integri, tirai un sospiro di sollievo. Solo il suo volto era chiazzato da qualche macchia rossa e da qualche traccia di sangue, ma in ragazzo sembrava stare bene.

"Grazie per avermi salvato la vita." mormorai, sfilando il machete dal cinturino e porgendolo al ragazzo. "Tieni, penso che ti potrà servire."
Il Velocista annuì e accettò l'arma, guardandomi con aria preoccupata e facendo saltare lo sguardo dal mio collo al mio volto. "Sicura di stare bene?" mi domandò alla fine, guardando velocemente alle mie spalle per essere forse sicuro che nessuno ci avrebbe dato rogne.
Annuii di scatto, sfilando un'altra freccia dalla faretra e incoccandola senza però tendere l'arco. Per quanto mi sarebbe piaciuto fermarmi a fare una chiacchierata con Minho e riprendermi, eravamo nel bel mezzo di una battaglia e molti dei nostri amici stavano ancora lottando, quindi era nostro dovere dare loro supporto e aiutarli nell'impresa.
"Stai attento." borbottai, guardandolo con un sorrisetto malizioso. "Non morire."
Poi, senza attendere una sua risposta, mi girai verso la battaglia, aumentando il passo e tentando di raggiungere i miei compagni.
"Hey!" sentii Minho urlare dietro di me. "Quella è la mia battuta!" continuò poi, causando in me un sorrisetto che però sparì ben presto.
Nel guardarmi attorno mi accorsi che la situazione in cui erano i miei compagni non fosse delle migliori. Vidi Brenda combattere contro la copia di Jorge, sembrava che se la stesse cavando bene, ma il suo corpo era pieno di tagli qua e là, probabilmente lasciati dal robot che continuava a lanciare colpi a casaccio con il suo coltello. Teresa, a qualche metro di distanza dall'altra ragazza, sembrava aver già atterrato Ava Paige – il cui corpo era steso a qualche metro di distanza, privo della sua testa – e ora stava aiutando il vero Jorge a mettere la copia di Vince fuori combattimento. I due stavano facendo un bel lavoro di squadra dato che, mentre Jorge tentava di tenere il corpo del robot più fermo possibile, Teresa lo colpiva agli arti, forse nel tentativo di staccarglieli dal resto del corpo. 

A qualche metro di distanza potevo notare Violet combattere contro la copia di Minho e una ragazza riccia e, dato il modo in cui la mia amica aveva reagito quando questa era uscita dal bosco, supposi che fosse una sua ex compagna di Labirinto. La ragazza stava avendo qualche difficoltà, facendo del suo meglio per tenere testa ad entrambi, ma decisi di non accorrere in suo aiuto dato che con la coda dell'occhio notai che Minho stesse già correndo in sua direzione.
Riportando lo sguardo verso l'inizio del bosco, trovai Thomas e Gally, circondati letteralmente dal caos più totale: non solo ai loro piedi c'era il corpo della copia di Brenda, ma i ragazzi stavano combattendo spalla a spalla nel tentativo di affrontare ben cinque robot in contemporanea, ottenendo però scarsi risultati.
Thomas stava lottando con tutte le sue forse contro la copia di Ben, che continuava a riempirlo di colpi usando solo le sue mani, mentre la copia di Chuck tentava di colpirlo con il suo lanciagranate, sfruttando il fatto che il ragazzo non lo stesse attaccando, ma solo schivando i suoi colpi. Non mi ci volle molto a comprendere il motivo per cui Thomas era restio a colpire la copia del bambino: sicuramente era ancora tormentato dalla scena a cui avevamo assistito tutti dopo essere usciti dal Labirinto. Thomas aveva già visto morire il bambino davanti ai suoi occhi e, conoscendolo bene, ero sicura che il ragazzo fosse convinto che la morte di Chuckie fosse colpa sua: di certo non l'avrebbe mai ucciso di nuovo con le sue stesse mani. 
Dall'altra parte, invece, Gally stava tenendo testa a tre ex-Radurai: Alby, Jeff e Newt lo stavano colpendo all'unisono, muovendosi con precisione e a volte invertendosi le posizioni.
Mi morsi forte il labbro e mi obbligai a tirare l'arco. Un conto era ferire e decapitare la mia copia o quella di colui che una volta aveva rappresentato il mio peggior nemico, un altro conto era piantare un freccia in testa ad una persone che una volta avevo considerato membro della mia famiglia.
Certo, ero consapevole che nessuno di loro fosse davvero mio amico, ma nonostante tutta la disumanità che li contrassegnava, quei robot avevano pur sempre le loro sembianze!

Decisa ad aiutare prima Gally, che sembrava essere in maggiori difficoltà, tesi l'arco e puntai la mia freccia verso Jeff. Continuai ad urlarmi nella mente che quella fosse solo una sua copia e che il ragazzo fosse già morto tempo addietro, e non per colpa mia. Presi un profondo respiro e rilasciai tutta la tensione accumulata, gridando a me stessa che era inutile ancorarmi ai ricordi: quelli che mi si paravano davanti non erano i miei amici, erano solo copie di persone care che avevo perso già da tempo. Sapevo che se esitavo nell'ucciderli, avrei potuto perdere le persone a cui tenevo e che erano ancora vive e vegete. Dovevo scegliere l'opzione che avrebbe portato con sé il minor numero di conseguenze negative: uccidevo le copie dei miei cari Radurai e mi portavo dietro quel peso e gli incubi che ne sarebbero derivati, oppure lasciavo che fossero i miei amici a cavarsela da sola e rischiare di perderli davvero?
Non riflettei un secondo di più su quella stupida questione e feci la mia mossa, scoccando la freccia e prendendo a pieno il bersaglio del ragazzo, che cadde a terra e venne cosparso da convulsioni, per poi spegnersi, rimanendo immobile per sempre.
Vidi Gally sussultare per lo spavento o forse per la sorpresa, ma non si voltò verso di me, troppo nei casini per potersi permettere anche solo un secondo di distrazione, che sarebbe potuto essere determinante per la sua vita. Sfilai una seconda freccia dalla faretra e la incoccai, tirando l'arco e puntandolo questa volta contro Alby, che stava giusto per sferrare un'accoltellata puntando allo stomaco del ragazzo.
Caricai il mio colpo e, poco prima di lanciarlo, sentii una scarica elettrica passarmi ronzando vicino al mio orecchio sinistro. Sussultai, ma non riuscii a trattenere la freccia che volò storta e si conficcò sulla spalla di Alby, che non notò nemmeno il colpo e continuò a sferrare i suoi colpi verso Gally, che saltellava da una parte all'altra nel tentativo di salvarsi le budella.
Mi voltai di scatto quando sentii un colpo e un altro ronzio elettrico fendere l'aria. Feci appena in tempo a notare la figura di Chuck che mi correva incontro con il lanciagranate stretto tra le mani, che sentii la granata elettrica infrangersi sul mio fianco, passandoci sopra di striscio per poi oltrepassarlo e schiantarsi a terra.

Nonostante la granata non mi avesse colpita in pieno, la parte delle scariche elettriche che erano riuscite a sfiorarmi si attaccarono sulla mia pelle, diramandosi come formiche e conquistando ogni parte del mio corpo ad una velocità esorbitante. Sentii il mio corpo irrigidirsi e, nel giro di un secondo, sentii la potenza di mille saette conficcarsi nella mia carne, perforandomi e riuscendo a raggiungere persino i miei organi interni. Caddi all'indietro e rotolai su un fianco nel tentativo di far svanire quella sensazione, ma tutto fu inutile e il mio corpo venne cosparso da spasmi.
Mi sentivo come se la mia pelle si stesse squagliando su se stessa, staccandosi dai muscoli e dalle ossa e bruciandoli nel processo. Il dolore fu così grande che spalancai la bocca per gridare, ma non uscì nulla da essa, né un sibilo né un lamento soffocato. Tutto in me stava tremando e potevo vedermi dimenare il mio corpo in modo convulso: tutto sembrava essersi scollegato, nulla era più sotto il mio controllo, come se i miei neuroni non riuscissero a mandare gli impulsi al resto del mio corpo. Tentai con tutte le mie forze di fermare le convulsioni, ma senza riuscirci.
Un ronzio martellante mi riempì le orecchie, otturandomi per un attimo l'udito e facendomi quasi percepire il battito del mio cuore, decisamente fuori controllo.
Digrignai i denti e rimasi in attesa che quella scarica elettrica terminasse e che fossi finalmente in grado di riappropriarmi del mio corpo. Dopotutto la granata non mi aveva colpita in pieno, quindi ero piuttosto sicura che non sarei svenuta, ma finchè quelle scariche elettriche non avessero lasciato il mio corpo, non sarei stata in grado di muovermi.
Attesi per quelli che mi sembrarono attimi infiniti, poi finalmente iniziai a sentire una sorta di intorpidimento sui miei muscoli lungo tutto il corpo e quella sensazione fu come un sospiro di sollievo per me, dato che, almeno ora, riuscivo a sentirmeli ancora attaccati al corpo.
Il dolore stava svanendo lentamente, lasciando spazio alla rigidità e alla stanchezza. Mi sentivo come se non sarei più riuscita a mettermi in piedi.
Lottando contro la rigidità e l'intorpidimento dei miei muscoli, mi misi su un fianco, osservando le ultime scariche elettriche strisciare via dal mio corpo e venire assorbite dal terreno. Mi girai a fatica a pancia in giù, grugnendo per lo sforzo e il dolore, poi premetti sul terreno per riuscire a mettermi a carponi. Allungai un braccio e afferrai l'arco che avevo abbandonato a terra, poi mi misi in ginocchio e allungai l'altro braccio dietro la mia schiena, afferrando una freccia. Feci per incoccarla quando sentii un altro botto risuonare nell'aria, segno che Chuck aveva lanciato un altro colpo.

Mi buttai a terra e rotolai due o tre volte di lato, riuscendo per miracolo ad evitare la granata che si schiantò a terra, diramando le sue scariche ma senza che riuscissero a raggiungermi. Sapevo che non ci fosse tempo per fermarmi a riprendere fiato e, mettendoci tutta la forza rimasta, scalciai a terra e riuscii a rimettermi in piedi, muovendo le mie gambe con fatica e sentendo i miei muscoli ancora duri come il marmo. Vidi il ragazzino ricaricare l'arma e compresi di non avere davvero più tempo a disposizione: incoccai la freccia, tirai l'arco, presi la mira e rilasciai il colpo. Il ragazzino continuò a corrermi incontro, probabilmente senza nemmeno accorgersi che gli avevo appena lanciato contro un dardo e per un attimo il tempo si fermò, riproiettandomi davanti i tempi del Labirinto. Per un momento mi sentii trasportare all'interno della Radura e vidi il suo verde circondarmi. Osservai Chuckie corrermi goffamente incontro, ma mi dimenticai del lanciagranate che aveva in mano, immaginandomelo ancora innocente e indifeso, probabilmente intento a raggiungermi perchè Zart e Glader gli avevano dato di nuovo fastidio.
Poi, con la brutalità di uno sparo, la mia freccia gli si conficcò in fronte, scaraventandolo all'indietro a braccia aperte, facendogli cadere il lanciagranate di mano. Rimanendo a bocca aperta, il ragazzino scivolò a terra e lì rimase senza più muoversi.
Il ricordo attorno a me prese a sfumare, dissolvendosi in aria e lasciandomi con un peso sul petto. Avevo ucciso Chuckie.
La mia mente tentò per l'ennesima volta di ricordarmi che quella fosse solo una sua copia e che mettendolo fuori combattimento non solo avevo salvato la vita dei miei amici, ma avevo salvato anche la mia.
Sentii il mio respiro bloccarsi in gola e cacciai via le mie lacrime in modo brusco, intimandomi che non fosse quello il momento giusto per mettermi a frignare. I miei amici erano ancora in pericolo ed ero sicura di poter dare ancora il mio contributo, nonostante lo stato in cui quella granata elettrica mi aveva conciata. Non potevo lasciarmi trasportare dalle emozioni. Non dovevo, non finchè non fossero stati tutti sani e salvi.
Facendo violenza su me stessa decisi di frantumare quei sentimenti venuti a galla, rimpiazzandoli con una freddezza glaciale. Facendo un passo avanti e sentendo la mia gamba tremare, mi obbligai a sfilare un'altra freccia dalla faretra, realizzando che non me ne fossero rimaste poi così tante.
Strinsi i denti e mugugnai quando, compiendo un altro passo, delle fitte si diramarono lungo il mio corpo, portandomi quasi a cedere. Combattei contro il dolore e l'intorpidimento e compii un altro passo all'avanti, tirando la corda dell'arco e puntando nuovamente verso Alby. Scoccai la mia freccia senza battere ciglio e la osservai conficcarsi nel collo del robot che finalmente esitò e indietreggiò quanto bastava per permettere a Gally di colpirlo con il suo coltello sullo stesso punto, facendogli saltare la testa.

Pronta per aiutare anche Thomas che ancora combatteva contro Ben, fui costretta a fare qualche passo all'avanti, notando che i due si erano distanziati parecchio da Gally e che ora rotolavano all'impazzata sul terreno, tentando di prendere il controllo sull'altro. Feci per allungare la mano dietro la schiena e raggiungere la faretra quando un grido disperato alle mie spalle catturò la mia attenzione.
Mi voltai di scatto e non appena notai la scena che mi si pose davanti, rabbrividii nel sentire il mio sangue gelarsi.
Stephen era steso a terra, ricoperto di tagli più e meno superficiali lungo tutto il corpo e una ferita molto profonda al polpaccio, che aveva già macchiato di sangue la parte finale dei suoi pantaloni. Una delle sue sorelle gli stava saltellando intorno, agitando in aria il suo pugnale insanguinato e ridacchiando gioiosa. L'altra invece gli si parava davanti, tenendo il braccio teso in alto e impugnando il suo coltello come minaccia, facendo brillare la sua lama al sole. Solo in un secondo momento notai che Stephen fosse conscio di tutto quello che stava accadendo, gli occhi puntati sulla sorella che lo stava per pugnalare, eppure non faceva nulla per opporsi.
Un movimento repentino nel braccio alzato della sorella fece risvegliare il mio corpo, riportandomi bruscamente alla realtà e causandomi una fitta di terrore al petto. 
Questa volta, quando aprii la bocca per urlare, un grido acuto mi lasciò le labbra fendendo l'aria come un proiettile e forando i miei stessi timpani.
Mi dimenticai di tutto e presi a correre all'impazzata verso il ragazzo che continuava a guardava la sorella con occhi socchiusi e persi, il viso pallido come la neve e le labbra semi aperte. Incespicai e più volte rischiai di cadere per colpa dei miei muscoli che ancora non mi rispondevano a dovere, ma non mi importava se dovevo strisciare per raggiungerlo. 
Mettendo da parte il dolore, sentii l'adrenalina e la rabbia crescere dentro di me, che mi portarono a far librare una freccia in aria prima ancora che mi accorgessi di averla incoccata.
Proprio in quell'esatto momento, la sorella abbassò il pugnale di scatto, ma prima che questo si conficcasse in modo netto nel petto del ragazzo, la bambina venne spintonata all'avanti dal colpo forte e secco della mia freccia, che l'aveva appena perforata con una violenza mai vista al centro della schiena. 
Vidi la ragazzina perdere l'equilibrio e cadere all'avanti, inciampando su una delle gambe di Stephen, ma non permisi nemmeno che le sue ginocchia toccassero terra e scagliai la mia seconda freccia, osservando la sua traiettoria e vedendola conficcarsi dritta nella sua guancia, trafiggendola da parte a parte.
La ragazzina stramazzò a terra e, nonostante avesse una freccia nella testa e una che la traforava da schiena a addome, la vidi continuare a muoversi, così aumentai la velocità e in breve tempo le fui sopra, atterrando malamente con le ginocchia e risentendo quel colpo lungo tutto il corpo. Ignorai il dolore alle gambe e feci per afferrare una delle mie frecce quando i miei movimenti vennero bloccati dalla seconda sorella che mi si gettò sopra, circondandomi con le sue braccia e conficcandomi il suo pugnale sul fianco, facendomi scattare di lato come un toro impazzito. La mia carne percepì quel colpo come se mi avessero appena aperto il corpo in due parte e un grido di panico e disperazione mi uscì dalle labbra quando il bruciore e il dolore lancinante iniziarono a spargersi lungo tutto il mio addome.

Le atterrai sopra e lo feci con violenza, sentendo la bambina ridacchiare e allungare il braccio per cercare di estrarre il pugnale dalla mia carne per poterlo riusare, ma anticipando le sue mosse e lottando contro l'idea della quantità di dolore che mi sarei causata da sola con quella mossa, afferrai il manico del pugnale, sentendo già le fitte diramarsi per il corpo. Con una mossa secca e decisa, sollevai il pugnale in aria, sentendo la sua lama ferirmi un'altra volta e causando in me un altro grido disperato e pieno di dolore. Fortunatamente la ragazzina non era stata troppo precisa nell'assestarmi quel colpo dato che la lama era andata a scontrarsi con il mio osso che ne aveva deviato la mira, permettendo al pugnale di conficcarsi solo in punta sulla mia pelle e comunque in modo obliquo. Dalla posizione in cui era rimasto infilato il pugnale potevo essere certa che non avesse preso nessun organo interno ed ero sicura che la ferita di Stephen fosse molto peggio della mia.
Rianimata dal pensiero del ragazzo, accantonai il dolore e conficcai la lama del pugnale nello spazio tra gli occhi della bambina, che ancora stavo soffocando sotto il mio peso, e solo quando tutto il pugnale venne risucchiato al suo interno, raggiungendo l'elsa, mi permisi di estrarlo.
La bambina non aveva dato segni di vita da quando le avevo assestato quel colpo, perciò mi permisi di ignorarla per un attimo e concentrarmi sulla sorella che invece era ancora colta da spasmi, segno che le mie due frecce avessero danneggiato qualche collegamento interno al suo sistema, mandandola così in tilt. 
Le riservai lo stesso trattamento della sorella e la osservai spegnersi lentamente, emettendo dei suoni elettronici che per un attimo scambiai per lamenti o qualcosa di simile.
Solo allora mi permisi di portare una mano sul fianco, premendo sulla ferita per fermare la fuoriuscita di sangue e, accantonando ancora una volta il dolore, gattonai velocemente verso Stephen che era ancora accasciato a terra senza muoversi.

 

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Capitolo 51
*** Capitolo 44. ***


Nemmeno nel giro di due secondi, fui sopra Stephen, muovendomi velocemente e portando le mie dita sul suo collo e premendo per riuscire a percepire il suo polso. Tirai quasi un grido di gioia quando riuscii a sentirlo battere debole sotto i miei polpastrelli.
Gli occhi del ragazzo si spalancarono a quel tocco e si incatenarono ai miei, pieni di terrore ma anche di malinconia. 
"Stephen!" lo chiamai ansiosa, lanciando un'occhiata al suo petto e constatando che in realtà non era una ferita così profonda come me l'ero immaginata. Probabilmente la copia della sorella non era riuscita a conficcare la lama del pugnale in tempo.
Mi allungai di conseguenza sulla sua ferita alla gamba, dimenticandomi per un attimo del mio fianco compromesso e guaendo come un cane in fin di vita non appena tentai di muovermi. 
Ignorando il dolore, tentai di sollevare l'orlo dei suoi pantaloni quando un sibilo acuto catturò la mia attenzione, seguito subito dopo da un mio lamento gutturale. 
Solo dopo aver sentito la fitta alla spalla notai la lancia che mi era appena piombata a fianco, tagliandomi la pelle e scagliandosi a terra, rimanendo conficcata nell'erba qualche metro più in là rispetto a me e Stephen. 
Senza attendere nemmeno un secondo, afferrai il mio arco e mi voltai di scatto, incoccando una freccia e puntandolo verso chiunque me l'avesse scagliata contro. Mi guardai attorno, ma non riuscii subito ad individuare il mio aggressore: alcuni dei miei amici, tra cui Teresa e Thomas, stavano ancora combattendo contro i robot che avevano scelto di affrontare, ma il resto delle copie sembrava essere a terra, totalmente non funzionante e senza testa.
Passai in rassegna i volti di tutti e solo la copia di un robot mancava all'appello: quella di Newt.
Mi alzai in piedi a fatica e lo cercai tra la folla, non riuscendo comunque ad individuarlo, poi incrociai lo sguardo di Gally, che mi stava correndo incontro in modo sbilenco, tenendosi una mano premuta sul costato in un punto in cui la sua maglietta era intrisa di sangue.

L'ultima volta che l'avevo lasciato stava ancora combattendo contro Newt, ma ora il ragazzo sembrava essere sparito dalla circolazione e la cosa non mi piaceva affatto: se la copia di Newt era tanto intelligente quanto il vero ragazzo, allora dovevo aspettarmi il peggio da lui. 
Devo riuscire ad anticipare le sue mosse, devo...
La voce gutturale di Gally mi trascinò verso la realtà. Il ragazzo indicò un qualcosa alle mie spalle, senza mai smettere di corrermi incontro, ma ancora era molto distante da me.
Mi voltai di scatto e puntai l'arco teso verso la prima cosa che vidi muoversi nel mio campo visivo. Per quanto mi fidassi dei miei riflessi, non potevo permettermi di sbagliare e di colpire uno dei miei amici alla testa convinta che fosse Newt, perciò mi concessi un secondo per ricontrollare meglio la figura che mi si stava scagliando addosso. Secondo che però mi costò il colpo decisivo, dato che riuscii comunque a scagliare la freccia, ma, data la vicinanza estrema del ragazzo, sbagliai mira e lo colpii al di sotto della clavicola. 
La copia del biondino non sentì nemmeno la freccia conficcarsi nella sua pelle, ma la sua spalla venne bruscamente gettata all'indietro a causa del colpo molto forte che avevo rilasciato da poca distanza. 
Tuttavia ciò non lo fermò dal saltarmi addosso e dal placcarmi al terreno con violenza, scaraventando il mio arco a qualche spanna da me. Il ragazzo mi si gettò sopra con tutto il suo peso, causandomi una fitta di dolore lancinante lungo il fianco non appena il mio corpo toccò terra violentemente. L'impatto mi fece mancare il respiro e, mentre Newt si muoveva sopra di me per rimettersi a gattoni e immobilizzarmi al terreno, tentai più volte di riempire i miei polmoni d'aria, senza però riuscirci. Ogni singolo millimetro del mio corpo era cosparso dal dolore, come se i miei muscoli avessero deciso di sfogare proprio in quel momento tutti i colpi e le ferite che avevano incassato fino a quel momento. Quando Newt premette un ginocchio sulla mia ferita al fianco, gridai di dolore, ritrovando per un attimo la forza di respirare, e mi contorsi sotto di lui, tentando di strisciare via dalla sua presa e di porre un fine a quell'agonia. 
Notai il ragazzo ridere di gusto, negli occhi ancora quello sguardo perfido, ma la sua voce non mi raggiunse le orecchie: le mie grida di panico e di dolore continuavano ad infilzarmi i timpani, lasciandosi dietro sibili e fischi indistinti.

Incrociai lo sguardo del ragazzo e attraverso le lacrime che mi avevano velato gli occhi, riuscii finalmente a sostenere il suo sguardo, causandomi però una fitta al petto. A quel punto non sapevo dire con certezza cosa mi stesse facendo più male, se le ferite al corpo o quella al cuore.
Vidi il ragazzo alzare il braccio in aria e per un attimo tutto il dolore che avevo provato per lui si trasformò in terrore pure. Quando il suo pugno si conficcò sulla mia guancia, facendomi girare la testa violentemente di lato e facendomi sputare una chiazza di sangue sull'erba verde, compresi che ero stata ingannata ancora una volta dai miei sentimenti.
Non è Newt, dannazione, lo vuoi capire? Mi gridai contro, tentando di combattere contro i singhiozzi che ora mi perforavano il petto, rendendomi ancora più difficile respirare.
Non sapevo per quale dolore in particolare stessi piangendo, ma era come se qualcuno si fosse dimenticato di chiudere i rubinetti di un lavandino. 
Rialzai lo sguardo su di lui giusto in tempo per vedere la sua mano scendere ancora sul mio volto. Serrai gli occhi in modo brusco, pronta a provare di nuovo quella fitta al volto, ma nulla di tutto ciò accadde, piuttosto sentii una carezza bruciarmi sulla pelle.
Spalancai gli occhi e mi voltai di scatto verso di lui, notando che avesse addosso un'espressione totalmente diversa, quasi di pietà o di pentimento nei miei confronti.
Sentii il suo palmo accarezzarmi la guancia, poi le sue dita scivolarono sulla linea della mia mandibola e scesero infine sul collo. Sentii Gally gridare il mio nome, ora più vicino di prima, ma ancora non abbastanza e, come se quel suono avesse risvegliato la parte sadica che risiedeva in lui, il ragazzo incatenò il mio sguardo al suo.
"Newt?" domandai, ancorandomi ai suoi occhi e forse sperando di vedere una qualche traccia d'umanità in lui.
Solo allora i lati delle sue labbra si incresparono all'insù, rivelando un sorriso sadico. "Speravo che lo dicessi." mormorò il robot, utilizzando però la voce del biondino che una volta avevo amato più della mia esistenza. Poi la sua presa sul mio collo prese a stringersi.

Allungai la mano e tastai a terra in modo confuso e disperato, alla ricerca del mio arco. Quando le mie mani entrarono in contatto con un qualcosa di duro e freddo, non persi altro tempo: afferrai l'arma e con tutta la forza che mi era rimasta colpii il robot alla testa, facendolo barcollare di lato per un attimo e obbligandolo a spostare le mani dal mio collo per tenersi a terra. Solo allora gli assestai il secondo colpo, tirandomi più in su a sedere e impiegandoci il doppio della forza. 
Gridando verso me stessa o forse verso il robot, in ogni caso per infondermi coraggio, arrancai indietro quanto bastava per riuscire a liberare le mie gambe dalla sua presa, poi caricai le ginocchia al petto e lo colpii bruscamente con entrambi i piedi sul costato, facendolo rotolare per terra, ma infondendomi anche del dolore al fianco. 
Sfilai una freccia dalla mia faretra e la incoccai senza perdere tempo, poi mi alzai bruscamente e, ignorando il dolore alla ferita, arrancai verso il biondino.
Sentii Gally gridare nuovamente il mio nome, ma lo ignorai e continuai con la mia avanzata verso il ragazzo, ancora steso a terra. Gli assestai un calcio alla testa e sentii il mio cuore spezzarsi sotto il peso di quell'azione quando lo vidi stramazzare a terra stordito. La sua tempia toccò il terreno e gli misi un piede sopra la parte alta della schiena, costringendolo a rimanere al suolo.
Gli puntai la freccia alla testa e lo osservai per un'ultima volta: memorizzai i suoi capelli biondo cenere, tutti scompigliati come se si fosse appena svegliato; le sue ciglia lunghe e chiare contornavano le palpebre che sbattevano ad intermittenza; le sue labbra semiaperte, come se stesse davvero respirando; il suo naso a patata storto di lato in una posizione decisamente innaturale, forse a causa del colpo d'arco che gli avevo assestato prima.
"Fallo." mi ordinò, le labbra contorte in un sorriso innaturale. "Sono stato programmato per questo, per farmi uccidere da te e da nessun altro."

A quelle parole tentennai, sentendo il fiato mancarmi in corpo e le mie dita strette attorno all'arco formicolare. Un movimento davanti ai miei occhi destò la mia attenzione: Gally ci aveva finalmente raggiunti ma, vedendo la scena, si era bloccato ad un metro o poco più di distanza.
Incrociai il suo sguardo e per un attimo avrei voluto solo abbandonare tutta quella situazione e andarmene via lontano. 
"Devi farlo, Eli." bisbigliò il ragazzo con voce sinistra, rovinando per sempre quel nomignolo che avevo sempre sentito uscire fuori dalle sue labbra in un tono dolce. Era la sua voce, erano le sue parole, ma l'intento era diverso. "Devi farlo o ucciderò uno ad uno le persone a cui tieni, a partire da..." 
Osservai il ragazzo muovere la testa e alzare lo sguardo su di Gally, che ora ci guardava esterrefatto, senza riuscire a muoversi o a proferire parole. "...lui."
Strinsi la presa sull'arco fino a far perdere colore alle mie nocche, poi mi decisi a tirare ancora di più la corda dell'arco e ad infliggermi da sola il dolore fisico che derivò da quello sforzo. Le mie ferite urlarono pietà, ma le ignorai. Era la punizione che mi meritavo per le mie azioni.
Poi, con il cuore che mi sprofondava in un abisso senza luce, lasciai che la corda mi fuggisse dalle dita, liberando così la freccia che andò a conficcarsi al centro del cranio del ragazzo, che si spense in automatico.
Sentii il mio arco scivolarmi di mano e mi osservai indietreggiare senza essere davvero io la direttrice di quei movimenti. Era come se la mia anima si fosse estraniata dal mio corpo. Non sentivo più nulla, né a livello fisico né a livello emotivo.
Forse, dopo averne uccisi così tanti, mi ero trasformata anche io in un robot e per un attimo sperai davvero che potesse essere così, in modo che i miei amici avrebbero potuto porre fine alla mia esistenza e cancellare tutto con una sola botta.

Sentii l'odore di Gally prima ancora di riuscire a vederlo. Il ragazzo era avanzato verso di me e ora mi stava stringendo forte a sé, ma non riuscivo a sentire assolutamente nulla, nemmeno il tepore del suo corpo che una volta era capace di infondermi coraggio e sicurezza.
Il vuoto, ecco cosa riuscivo a sentire. Vuoto, buio, una voragine di sentimenti negativi, paranoie e rimorsi. Potevo sentirli contorcersi nel mio stomaco. 
Una vampata di caldo mi si diffuse lungo tutto il corpo e, allontanando Gally con uno spintone, mi gettai a terra, vomitando sul terreno anima e corpo. 
Continuai finchè i conati non smisero di perforarmi la schiena, poi mi rialzai con gambe tremanti, trascinando i piedi verso Stephen che ora si era alzato a sedere e si stava esaminando la ferita con fare indifferente, come se il fatto di perdere sangue non gli interessasse minimamente.
"Stephen." lo chiamai, tentando di attirare la sua attenzione. Il ragazzo alzò lo sguardo su di me e lo vidi terribilmente stanco: ogni volta che sbatteva le palpebre sembrava che facesse una fatica assurda per riaprirle. "Stai bene?" domandai, inginocchiandomi accanto a lui e passando sopra al dolore al fianco come se fosse inesistente o quasi piacevole. 
Il ragazzo mi sorrise debolmente, poi si ricoprì la ferita al polpaccio con noncuranza. "Sì." si limitò a dire, la voce ferma e priva di sentimenti.
Solo in quel momento realizzai che il ragazzo stesse più che bene. Certo, era ferito in vari punti, ma sembravano essere solo taglietti. L'unica ferita che mi preoccupava di più era quella alla gamba, ma l'avevo osservata di sbieco quando il ragazzo aveva alzato l'orlo dei pantaloni e, contando che il sangue aveva già rallentato la sua velocità di fuoriuscita, compresi che non fosse poi così grave come me l'ero immaginata.
E in un certo senso, per quanto potesse sembrare un ragionamento incoerente, mi preoccupai ancora di più per il ragazzo. "Stephen..." iniziai, catturando nuovamente l'attenzione del ragazzo che non aveva mai smesso di guardarmi, ma che in realtà aveva due palle vuote al posto degli occhi e il suo sguardo sembrava oltrepassarmi, andare oltre senza nemmeno notarmi. "Stephen, se non sei ferito gravemente, allora perchè sei rimasto a terra senza opporre resistenza?"

Il ragazzo sembrò tornare alla realtà e per un attimo una consapevolezza gli sfrecciò davanti agli occhi, rendendoli nuovamente azzurro cielo, poi il suo sguardo si spense di nuovo, tornando vitreo e grigio. "Perchè me lo merito."
Strabuzzai gli occhi e per un attimo un giramento di testa mi colse alla sprovvista obbligandomi a chinarmi un'attimo all'avanti e a conficcare le dita nel terreno per non perdere l'equilibrio. "Cosa stai..."
Mi portai una mano sulla fronte mentre la mia vista si annebbiava e non riuscii a terminare la frase, a cui però il ragazzo decise comunque di rispondere. "Sono tornate per punirmi. Non le ho salvate e questa è la mia punizione." sussurrò lui, la voce priva di tono e colore.
Volevo solo stendermi a terra e chiudere gli occhi, ma sapevo di non poterlo ancora fare. Molte persone avevano bisogno di aiuto medico e le mie abilità di Medicale erano richieste in situazioni tali.
Ignorai totalmente il discorso di Stephen, sentendomi la testa decisamente troppo pesante e piena di vortici al suo interno per riuscire a fornirgli supporto o consolazione. "Fammi..." sentii la mia voce venire a mancare per un attimo, poi la vista mi si annebbiò ancora.
Sentii qualcuno chiamare il mio nome, ma non riuscii a collegare la voce alla persona e, in ogni caso, poco mi importava. Spalancai gli occhi nel tentativo di riuscire a vedere qualcosa al di sopra del nero e, dopo qualche secondo, mi venne restituita una vista annebbiata di colori e forme spoglie. 
"La gamba, Steph." bofonchiai. "Fammi vedere la gamba."
Il ragazzo non si oppose e alzò l'orlo del pantalone, facendomi esaminare la ferita. Come avevo già predetto non era così profonda come l'avevo vista la prima volta, e la cosa mi rassicurava, però di certo andava medicata.

Spingendo contro il terreno mi tirai su in piedi, sentendo le mie gambe tremare e la ferita al fianco gridarmi contro. La mia testa prese a girare su se stessa come un vortice senza fine e quando mi sentii inciampare sui miei stessi passi non ebbi la forza di oppormi o di alzare le braccia per attutire la mia imminente caduta.
Mi aspettai di crollare a terra e perdere finalmente i sensi, ma ciò non accadde. Sentii qualcuno raccogliermi appena in tempo e tenermi salda tra le braccia. 
Per la seconda volta in quella giornata, riuscii a riconoscerlo dal suo profumo prima ancora di riuscire a vederlo in faccia. Poi, sentendomi improvvisamente leggera e per un attimo anche al di sopra del caos che percepivo ovunque, riuscii ad alzare lo sguardo verso di lui.
Incatenai i miei occhi ai suoi e finalmente riuscii a vederle. Per anni erano rimaste nascoste al mio sguardo, come se il ragazzo si ostinasse a celarle in mia presenza, eppure, in quell'attimo, riuscii a vederle e non solo, le percepii: le mappe dei suoi occhi si erano aperte nuovamente per me.
Le vidi luccicare, cariche di preoccupazione e affanno. Lo sentii mormorare un no soffocato e roco, poi le mie luci si spensero e sentii il mio corpo scivolare totalmente tra le braccia di Gally.

 

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Capitolo 52
*** Capitolo 45. ***


[IMPORTANTE: leggete l'angolo scrittrice in fondo alla pagina, per favore!]

La luce si fece strada tra la sottile linea tra le mie palpebre, ma prima di aprire gli occhi e guardarmi attorno, mi gustai quei pochi secondi di inesistenza. Per gli altri ero ancora priva di sensi, incapace perciò di sentire i loro discorsi e di parteciparvi. Finalmente ero sola. Mi lasciai cadere nel vuoto della mia testa e subito i pensieri più oscuri si anteposero alle mie palpebre, rendendo quel galleggiare nella mente quasi un affogare istantaneo.
Il senso di colpa e la paranoia si attaccarono a me, raggiungendomi e attorcigliandosi al mio corpo come se fosse il loro unico appiglio. 
L'immagine della copia di Newt che stramazzava al terreno si proiettò nuovamente davanti ai miei occhi ora serrati completamente. Un sapore amaro mi risvegliò le papille gustative, facendomi subito venire il voltastomaco, le mie labbra secche si premettero tra loro, riducendosi ad una linea sottile. 
Inspirai profondamente e, riuscendo finalmente a trovare un appiglio nella melma nera e viscida, risalii in superficie, boccheggiando e aprendo gli occhi di scatto, rendendomi conto solo in quel momento che stavo trattenendo il respiro, causando un bruciore nei polmoni.
Mi tirai in piedi, conficcando le dita nell'erba non appena la mia ferita al fianco mi fece ricordare della sua presenza. Strinsi i denti, ma non lasciai che un solo lamento mi uscisse dalle labbra. 
Un movimento repentino di una figura mi entrò nel campo visivo, facendomi immediatamente scattare sulla difensiva e facendomi portare una mano all'altezza del volto. Sapevo che non avevo ucciso davvero Newt, sapevo che la sua copia avesse aspettato il mio risveglio solo per farmi nuovamente del male. Mi avrebbe colpita di nuovo, magari mi avrebbe anche ricoperta di insulti o di parole acide, ma non mi importava.
Continuai a tenere gli occhi serrati e le braccia davanti al volto, ma il colpo che mi aspettavo non arrivò mai, anzi, una mano calda mi accarezzò il polso, per poi stringersi delicatamente su esso. Non sussultai, né mi ritirai: quella mano aveva del tepore, era ruvida e soprattutto era tremolante, insicura, tutte caratteristiche mancanti nelle copie che avevamo appena affrontato.
"Sono io, va tutto bene." mi rassicurò una voce, la sua voce. Gally continuò a parlare con quel suo tono fastidiosamente inconfondibile, facendomi scivolare davanti ancora una volta la realtà. "E' tutto finito, davvero. Sei al sicuro ora."

E' tutto finito. Mi ripetè la mia mente. Se ne sono andati, Newt se n'è andato. 
Abbassai lentamente le braccia, seguendo la leggera pressione della mano di Gally, poi alzai gli occhi su di lui, trovando le sue pupille focalizzate talmente tanto su di me che stavano inglobando quasi totalmente le sue iridi color legno. 
Non gli rivolsi parola quando il ragazzo mi domandò come stessi, invece mi guardai attorno, notando che gli altri avessero approfittato del mio svenimento momentaneo per riorganizzarsi: Violet era china sulla gamba di Stephen, intenta a fasciargli la ferita ricoperta di sangue; il ragazzo in questione sembrava essersi parzialmente ripreso e ora accarezzava con un dito la ferita già medicata sul petto; Minho si era invece appartato insieme a Thomas, tenendogli un braccio sulle spalle e scuotendolo leggermente, segno che forse lo stesse consolando; Teresa stava parlando in modo sommesso con Jorge e Brenda, decidendo forse le nostre prossime mosse o analizzando la nostra situazione attuale.
Nonostante le diverse ferite che i miei amici sembravano aver accumulato in quella battaglia, sembravano stare tutti più o meno bene. Non ci voleva un genio per capire cosa fosse appena successo e perchè, la W.I.C.K.E.D. non era solita commettere errori e ad ogni sua azione c'era una spiegazione: l'obbiettivo di quell'attacco non era di certo ucciderci tutti prima che fossimo riusciti a raggiungere la base, bensì voleva attaccarci mentalmente, distruggere la nostra psiche aggrappandosi ai nostri ricordi più cari e rovinandoli una volta per tutte.
Quell'associazione aveva studiato per anni i nostri schemi mentali e forse era arrivata alla conclusione che un'attacco psicologico sarebbe stato più decisivo di uno fisico. Se non altro in tutte quelle disavventure eravamo migliorati nel combattimento e nella sopravvivenza, ma le esperienze che avevamo vissuto e tutti i brutti eventi che ci erano capitati non avevano fatto altro che demolire le mura protettive che la nostra psiche tentava ogni volta di ricostruire debolmente.

Ne avevamo passate di tutti i colori: avevamo affrontato mostri inimmaginabili, avevamo visto dei nostri amici cadere a terra per non rialzarsi più, avevamo rischiato la vita più volte, cavandocela per un pelo, ed eravamo caduti più volte nei tranelli altrui.
La speranza, se riuscivamo a portarcela dietro dopo tutto a cui eravamo sopravvissuti, non ci permetteva però di vivere nel presente. Ognuno di noi aveva lo sguardo rivolto ad intermittenza o ad un futuro forse improbabile, forse lontano, o ad un passato tanto terribile quanto concreto.
Con quell'ultima mossa la W.I.C.K.E.D. aveva cercato di portarcela via, per lasciarci con nulla all'infuori della disperazione e della frustrazione. Forse sperava che con quella mossa subdola ci avrebbe fatto capire di essere sempre un passo davanti a noi e che nonostante tutta la forza fisica e la determinazione, non saremo mai riusciti a sconfiggerla e a cavarci fuori dai guai senza subire qualcosa.
I robot che ci aveva spedito, in confronto ai mostri che avevamo affrontato in passato, erano deboli, prevedibili e con un punto debole ben visibile. Distruggerli sarebbe dovuto essere semplice, un gioco da ragazzi, ma non era stato affatto così: se quello che la copia di Newt mi aveva confidato era vero, ogni robot era stato programmato per colpire e farsi uccidere solo da uno di noi, magari due.
Era per questo che Chuck aveva attaccato Thomas, Alby aveva scelto Gally, Glader e Newt me, la copia di Minho aveva assalito Violet, le sorelle di Stephen si erano accanite contro il ragazzo stesso, e così via...
Ognuno di noi doveva affrontare i propri demoni del passato. Probabilmente se non avessi interferito in diverse battaglie, Thomas avrebbe dovuto uccidere il ragazzino con le proprie mani, la mia copia sarebbe toccata a qualcuno che teneva a me – probabilmente Gally, dato che era quello più difficile da buttare giù, sia mentalmente che fisicamente –, Jeff ad un certo punto sarebbe venuto ad attaccarmi, Ben si sarebbe scagliato contro Minho e tantissime altre combinazioni sarebbero potute avvenire, se solo io non le avessi bloccate.

Avevo preferito prendermi sulle spalle i demoni di tutti, farli fuori con le mie mani e soffrire, piuttosto che lasciare che qualcuno di loro dovesse ripercorrere quell'incubo ogni volta che chiudeva gli occhi. Io ero abituata a quella sensazione, a quella paura costante di lasciarmi andare. Avevo smesso da tempo di illudermi e vivevo a stretto contatto con la cruda realtà, facendomi male tutti i giorni e trascinandomi dietro rimorsi e sensi di colpa.
Sentire il peso qualche vita in più sulle mie spalle – anche se erano solo vite artificiali – andava bene. Non mi sarei fatta schiacciare ancora dal quel peso, non sarei caduta sulle mie ginocchia, non mi sarei mai più lasciata andare alle emozioni, non avrei permesso loro di controllarmi insieme ai pensieri negativi. Ora io ero il guardiano di me stessa, la mia ancora. Avevo io il controllo e lo avrei mantenuto in un modo o nell'altro, a volte risultando fredda e cattiva anche nei miei confronti.
"Elena?" la voce di Gally mi raggiunse leggermente sfocata, ma mi bastò per farmi tornare alla realtà. 
"Sì, sì." risposi sbrigativa nel tentativo di nascondere la mia trance momentanea. "Sto bene, scusami, ero intrappolata nei pensieri." mi giustificai, riuscendo solo in quel momento a distogliere lo sguardo da quello che mi circondava per focalizzarlo su quello che mi si poneva davanti.
Il ragazzo mi rivolse uno sguardo carico di preoccupazione, poi però distolse gli occhi, sentendosi forse in imbarazzo o in soggezione. Colsi quell'occasione per sbirciare la sua situazione fisica dato che, l'ultima volta che l'avevo visto prima di cadergli svenuta tra le braccia, riportava una ferita al costato. Violet sembrava già essersi attivata per medicare il taglio del ragazzo, ma dal tessuto che lo ricopriva potevo notare una leggera striscia di sangue che piano piano stava risalendo la garza.
"Tu sei ancora tutto intero?" domandai guardandolo con la testa inclinata. Tutto quello che ottenni come risposta fu un semplice cenno di testa, il ragazzo non si voltò né mi cercò con lo sguardo, il che sottolineava l'imbarazzo ancora palpabile tra di noi. Distolsi lo sguardo dai suoi lineamenti quando lo vidi contrarre la mascella e lo fissai sui miei piedi.
Nessun sentimento. Mi intimò la mia testa, obbligandomi a cancellare dal cuore quella sensazione di abbandono e solitudine. 
Mi morsi il labbro con vigore per riuscire a distrarmi col dolore, ma quando mi sforzai per alzarmi da terra e mettermi in piedi, una fitta al fianco riuscì perfettamente nell'intento di trasportare la mia mente su altro. Digrignai i denti, ma il dolore non mi fermò e sbuffando qua e là alla fine riuscii a mettermi dritta sulle gambe, portando immediatamente una mano sulla fasciatura che mi copriva il fianco e tenendo la ferita delicatamente, come se quella carezza la potesse far guarire più velocemente.

"Non dovresti muoverti tanto." mi rimproverò Gally, tornando quasi normale e seguendomi nei movimenti. Continuò a seguirmi anche quando, ignorandolo completamente, presi a muovermi lentamente ma con passo deciso verso Stephen. "Dico davvero, so che Violet ti ha messo i punti per richiudere la ferita. Era molto profonda, hai perso davvero tanto sangue, è per questo che sei svenuta."
Continuai a muovermi, decisa che non avrei risposto al ragazzo. Mi aspettavo delle scuse da parte sua, magari che accennasse alla nostra separazione, ammettendo che fosse stata una pessima idea e che si fosse sbagliato di grosso perchè me la sapevo cavare anche da sola, ma ero stata solo una stupida illusa a sperarci anche solo per un attimo.
Il ragazzo non aveva la minima intenzione di riprendere i rapporti con me, allora perchè continuava a insistere per proteggermi? L'aveva detto anche lui che non avevo bisogno delle sue cure, ero grande e vaccinata, me la sarei cavata anche senza i suoi consigli da mamma.
"Oh, andiamo Fagio." sbottò infine lui, bloccandosi sul posto e lasciando cadere le braccia pesanti sui fianchi. Non mi chiamava in quel modo dai tempi della Radura e forse furono proprio i ricordi che quel nomignolo riesumò in me a farmi fermare e girare verso di lui.
Incrociai le braccia al petto e attesi silenziosamente. "So che dopo il discorso che ti ho fatto, forse," iniziò lui, grattandosi la nuca indeciso e muovendo un solo passo verso di me. "forse sentirti sommergere da tutte queste mie raccomandazioni ti sembrerà incoerente, ecco. Però vederti in quello stato, vederti combattere contro Newt..."
"La copia di Newt. Gally, quella era solo la sua copia." lo corressi dura, causando in lui ancora più imbarazzo che lo portò a tossicchiare per nascondere il rossore sul volto.
"Sì, la sua copia, ma pur sempre con le sue sembianze." continuò lui, armandosi di coraggio. "Speravo di riuscire a raggiungerti per poterlo fare io, non volevo che ti portassi questo peso sulle spalle, ma non sono arrivato in tempo."
"Non avresti comunque potuto farlo." lo corressi nuovamente, sentendomi in colpa con me stessa per il modo in cui gli stavo rispondendo, ma seguendo gli ordini della mia testa. "Hai sentito le sue parole, no? Era stato programmato per lasciarsi uccidere solo da me, ti avrebbe ammazzato prima che fossi riuscito a torcergli un capello."

Il ragazzo indietreggiò di un passo, come se quelle mie parole l'avessero ferito, poi però cambiò idea e, scuotendo la testa, fece due passi in avanti e allungò una mano verso di me, toccandomi un braccio con fare delicato ma anche deciso. Lo lasciai fare, permettendomi di lasciarmi andare un poco sotto quel suo tocco affettuoso. Mi mancavano i suoi abbracci, avrei voluto gettarmi su di lui, nascondere il mio volto sul suo collo e lasciare che mi ripetesse più e più volte che andava tutto bene.
Poi rigettai quel pensiero con la potenza di uno sparo e nel farlo mi feci male, sentendo il mio cuore palpitare terrorizzato per poi cercare di ricomporsi vergognoso. Non dovevo più pensare a quelle cose, non dovevo più dipendere da nessuno.
"Lo so, Eli, lo so, ma..."
"Non chiamarmi..."
"Ti prego." mi interruppe nuovamente lui, guardandomi questa volta con tono severo e ferendomi per quella reazione così inaspettata. "Quello che cerco di dirti è che non devi sentirti in colpa con te stessa. Per quanto quella copia potesse sembrare reale, quello che ha detto, ciò che ha fatto... Non era davvero Newt, questo lo capisci, vero?"
Aggrottai le sopracciglia e mi distaccai da lui quanto bastava per far scivolare le sue dita dal mio braccio, lasciando fredda quell'area di pelle che era stata riscaldata dal suo tocco. Annuii, ma non proferii parola.
"E allora ti prego, non punirti per quello che sei stata costretta a fare." 
Rilasciai una risata nervosa e scossi la testa, facendo altri due passi indietro e causando nel ragazzo del rimorso visibile. I suoi occhi si scurirono, segno che probabilmente quella non era la risposta che si aspettava. Mi costrinsi a buttare fuori quelle parole che sentivo così sbagliate e false, ma che erano pur sempre necessarie, ripetendomi che fosse giusto così e che se avevo meno persone a cui tenere, la W.I.C.K.E.D. avrebbe potuto farmi meno male ed avrebbe evitato di cancellare altre vite per giocare con la mia testa. "E' quello che hai voluto tu fin dall'inizio, no?" domandai acida, mordendomi la lingua per sforzarmi di essere il più cattiva possibile con lui. Era questo quello che voleva, no? Chiesi alla mia mente, ma senza ottenere risposta. 
"Volevi che fossi forte, che mi sostenessi da sola perchè secondo te non ero capace di farlo." gli ricordai. "Quindi stai tranquillo, d'ora in poi me la cavo da sola. Sto benissimo, non è necessario che tu ti preoccupi per me."
Feci due o tre passi indietro, ma quando fui sul punto di voltarmi e dichiarare quella conversazione totalmente conclusa, il ragazzo mi richiamò, bloccandomi il polso e trascinandomi di nuovo verso di lui, ottenendo però il risultato opposto a quello da lui sperato.

Pensava che le cose sarebbero tornate normali così dal nulla? Pensava davvero di non avermi ferita con le sue parole, di non avermi fatta sentire abbandonata? Quel suo discorso mi aveva fatta sentire come se avesse scelto di chiudere la nostra relazione, mi ero sentita lasciata in disparte, scartata, e non era una sensazione che se ne sarebbe andata con tanta facilità. 
"Gally mi devi lasciar andare." bofonchiai a denti stretti, incendiandolo con lo sguardo e tentando di sottrarmi dalla sua presa che però stava diventando più decisa su di me, senza mai farmi male.
Era come se l'idea di perdermi l'avesse fatto ricredere totalmente sulla sua decisione, ma il problema era che lui aveva già fatto la sua mossa, ora era il mio turno di decidere. Per quanto mi mancasse la mia amicizia particolare con lui, non riuscivo a farmi andare giù l'amaro in bocca. Ogni volta che ci provavo le sue parole di accusa mi tornavano in mente, facendomi sentire in colpa con me stessa e subito dopo arrabbiata per il fatto che, invece che prendermela con lui, incolpavo me stessa.
"Lo so che ti ho ferita." disse lui sbrigativo, ancorando i suoi occhi ai miei e fissandomi come se mi stesse supplicando di starlo a sentire. Smisi di strattonare il braccio e mi fermai, dandogli la mia completa attenzione e quasi sfidandolo a farmi cambiare idea, cosa che già sapevo che non sarebbe successa.
"So che mi odi per quello che ti ho detto, ma era necessario." si giustificò, facendomi per un attimo tornare in mente l'Uomo Ratto e disgustandomi.
"Era necessario?" sbottai, puntandogli un dito sul petto e cercando di contenere la voce per non far notare agli altri la nostra lite. "Gally, nel giro di cinque minuti con quel discorso hai distrutto la nostra amicizia, la mia stima per te e per me stessa. Era necessario per cosa, huh? Sono stracacchio curiosa di saperlo."
"Se non ti ferivo non ti saresti mai allontanata da me, ma dovevi farlo, dovevi capire quanto vali, che sai badare a te stessa e che devi imparare a farlo sempre." 
"Oh, be', allora suppongo che ti aspetti un grazie da parte mia. Wow, davvero. Sei..." mi bloccai, tentennando e correggendomi subito dopo. "Eri mio amico eppure hai scelto comunque di ferirmi. Potevamo parlare e trovare una soluzione, ma tu fai sempre di testa tua e... e..."
Vidi il ragazzo aggrottare le sopracciglia e attendere in silenzio che continuassi, poi alzò leggermente il mento e mi guardò dritto negli occhi, con uno sguardo severo, ma più verso se stesso che verso me. "Dillo, avanti. Sputami addosso quello che vuoi, me lo merito." mi ordinò. "Questo è sempre stato il mio modo di pensare e di agire, lo faccio di impeto e sai benissimo che a volte non penso molto alle conseguenze."
"Be', forse dovresti iniziare." suggerii, riuscendo finalmente a sfilare il mio braccio dalla sua presa. "Se davvero volevi farmi del bene cacciandomi via e abbandonandomi dopo che sapevi benissimo come mi sentivo al riguardo, dopo che..." mi bloccai, non volendo pronunciare il nome del biondino ad alta voce, e così deviai il discorso. "Sapevi benissimo che mi sarei sentita abbandonata e che la cosa mi avrebbe distrutto, ma l'hai fatto comunque. Quindi non ti aspettare che sarò disposta a dimenticare tutto solo perchè ora ti sei accorto di aver fatto una cazzata." 
Gli puntai il dito contro non appena lo vidi aprire bocca. Ero stufa marcia delle sue parole, delle sue azioni e dei suoi cambi d'umore. Finalmente avevo raggiunto una sorta d'accordo con me stessa e non sapevo se riaverlo nella mia vita di nuovo potesse essere una scelta sana. Lo sentii iniziare a parlare, ma lo bloccai e presi a parlargli sopra, scandendo bene le parole in modo che capisse a pieno come mi sentivo. "E sappi anche che io non sono debole." buttai fuori. "A volte me lo concedo, cado, piango, mi lascio sentire debole e mi attacco alle persone a cui tengo per ricaricarmi, proprio come ho fatto con te. Ma ricordati che è una mia scelta. Sono io a scegliere di cadere, di rimanere a terra e scelgo io a chi affidare la mia sanità mentale. Magari è sbagliato come ragionamento perchè do un peso sulle spalle di altri, ma penso che a volte tutti ne abbiamo bisogno."

Il ragazzo fece per aprire di nuovo bocca, ma gli posi un dito davanti al naso, bloccandolo e facendolo quasi sussultare. "Non ho finito." sbottai, allargando le narici e prendendo un bel respiro. "Se il tuo intento era quello di farmi crescere e di farmi diventare autonoma: ce l'hai fatta, ora sono io stessa il mio unico appiglio. Se il tuo intento era farmi sentire una testa di caspio per non averti raccontato parti private della mia vita che – oh, forse non lo sai – non ho mai raccontato a nessuno direttamente, nemmeno a Stephen o a Thomas o a chi caspio pensi che lo sappia: allora congratulazioni, mi sono sentita una sploff!" feci un passo verso di lui, riducendo le distante e facendomi venire voglia di prenderlo a schiaffi per quella sua espressione da cane bastonato che si ritrovava.
"Ora ho abbastanza... cose, in questa caspio di testa. Non ho tempo per stare dietro a te e ai tuoi cambiamenti d'umore o di pensiero improvvisi. Quindi vedi di metterti a posto e di rimediare al casino che hai fatto tra di noi, e forse allora accetterò di farti tornare ad essere parte della mia vita. Ma fino ad allora," puntai il dito verso i miei compagni alle mie spalle. "ho degli amici feriti di cui occuparmi, amici da consolare e dei bambini da salvare. La conversazione finisce qua."

*Angolo scrittrice*
Salve, miei pive!
Volevo solo informarvi che sto per entrare in sessione estiva e la prossima settimana mi aspettano ben sei esami da dare. La mia sessione terminerà totalmente il 9 giugno, quindi per un bel periodo sarò sommersa da studio e da esami.

Per questo motivo non so dirvi con certezza come andranno le pubblicazioni da adesso fino al 9 giugno! Può anche darsi che riuscirò a mantenere lo stesso ritmo di sempre (anche se dubito), può darsi che uscirà un capitolo a settimana, può darsi che ne uscirà uno ogni due o che non ne esca proprio più nessuno fino al 9 giugno.

Cercherò di fare del mio meglio, ma per questa sessione devo dare ben dodici esami diversi, quindi potete immaginare quanto sarà difficile per me avere tempo per fare altro.

Spero capirete!
Baci, Elena ღ

 

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Capitolo 53
*** Capitolo 46. ***


ATTENZIONE: leggete l'angolo scrittrice in fondo, per favore!

"Se ci hanno attaccato in questo modo, mandandoli a piedi verso di noi senza utilizzare una Berga, allora significa che siamo decisamente vicini." ci spiegò Teresa una volta che ci fummo tutti riuniti. "Il problema è che ora siamo in netto svantaggio." continuò poi, passando lo sguardo su ognuno di noi con fare preoccupato. "Non solo molti di noi sono feriti, ma abbiamo subito anche dei danni a livello psicologico. Siamo tutti scioccati e stanchi."
"Per non contare poi che non sappiamo nemmeno quello che ci aspetta." intervenne Minho, rimanendo però con lo sguardo a terra, quasi come se fosse demoralizzato, cosa che in effetti era totalmente comprensibile. "Nessuno di noi sa come sia fatta questa Sede, né sappiamo cosa ci sarà al suo interno."
Vidi Teresa annuire e abbassare lo sguardo di conseguenza. Quella battaglia ci aveva fatti tutti a pezzi. Osservai Brenda scuotere la testa e passarsi un palmo lungo la faccia, forse per riprendersi, poi parlò. "Secondo me dovremmo prenderci un attimo di pausa per..."
"Per cosa?" sbottò Minho, lanciandole un'occhiataccia di fuoco e quasi digrignando i denti come un cane inferocito. "Per dare loro più tempo per agire? Da che parte stai? Quei bambini stanno..."
"Minho." mi intromisi, allungando una mano sulla sua coscia e stringendo forte il suo ginocchio in modo che il ragazzo si calmasse. Potevo comprendere a pieno la sua reazione: eravamo tutti davvero stanchi, frustrati, senza speranze. 
Avevamo camminato per giorni, eravamo scampati a pelo da un incendio e quando finalmente eravamo vicini al concludere una volta per tutte quella missione, eravamo stati attaccati dalle copie dei nostri amici defunti.
Non era una cosa che ci sarebbe scivolata via di dosso come l'acqua, nessuno avrebbe mai dimenticato quel giorno. 
"Minho, ascolta. Brenda ha ragione." iniziai, sorprendendomi io stessa per quelle parole, ma rendendomi conto di un particolare fondamentale. Avevo finalmente capito chi fossero i nostri veri nemici: la W.I.C.K.E.D., che in tutti quegli anni era sempre rimasta dietro le sue mura, attaccandoci alle spalle e giocando sporco. Se Brenda e Jorge fossero stati degli infiltrati, dei traditori come avevo sempre pensato, ero sicura che avrebbero già agito. Arrivati a quel punto non aveva più senso pugnalarci alle spalle, se fossero stati davvero dalla parte dell'associazione noi saremmo già tutti morti. Non c'era motivo per dubitare ancora di loro.
Non che quello cambiasse i miei sentimenti nei confronti della ragazza: per quanto mi riguardava a volte era davvero insopportabile, quasi da prenderla a pugni in faccia. Però quando aveva ragione su qualcosa, aveva ragione e basta.

"Cerca di ragionare, pivello." mormorai abbozzando un sorriso e cercando di addolcire la sua rabbia con le mie parole. "Siamo tutti sfiniti, abbiamo la testa marcia e il corpo a pezzi. Mezz'ora o un'ora di pausa non guasterà nessuno. Se partissimo adesso senza esserci ripresi, sarebbe come correre incontro alla W.I.C.K.E.D. a braccia aperte." spiegai, lanciando un'occhiata a Brenda e vedendola annuire. "Dobbiamo riposarci, magari andare in ricognizione e attuare un piano. Non possiamo muoverci alla cieca, ora: ogni mossa è fondamentale per la riuscita di questa missione. Non possiamo fallire, non possiamo commettere nemmeno un'errore."
Vidi il ragazzo sospirare e portarsi una mano sulla fronte, poi sugli occhi. Li stropicciò, quasi come se volesse risvegliarsi da un'incubo durato fin troppo a lungo, poi portò lo sguardo stanco su di me. "E va bene. Avete ragione." sbottò, scuotendo la testa. "E' solo che stare con le mani in mano... Non lo so, ho paura che ogni minuto che perdiamo per riprendere le forze, è un minuto che regaliamo a loro per attuare i loro stupidi esperimenti."
A quel punto fu Thomas a prendere la parola, cosa che sorprese un po' tutti dato che il ragazzo sembrava essere rimasto in uno stato di trance fino a quel momento. Aveva gli occhi lucidi e sembrava che facesse fatica a tenerli aperti, le mani gli tremavano e le sue labbra erano quasi viola, come se il suo corpo stesse andando in ipotermia. "Potremmo organizzare delle squadre." propose, alzando lo sguardo e scuotendo leggermente i piedi, facendo traballare anche le braccia appoggiate sulle ginocchia. Nonostante fosse tutto passato era palese che il ragazzo fosse ancora sotto pressione, l'ansia in lui era visibile a metri di distanza. "Ci prendiamo un'ora di tempo. Una squadra va in ricognizione, una riposa, l'altra raccoglie tutte le armi dei robot o tutto quello che può esserci d'aiuto. Poi ci scambiamo i compiti e mentre qualcuno sta di guardia, il resto riposa."
Annuii decisa e vidi gli altri fare altrettanto. Poi, prima che qualcuno potesse aggiungere altro, decisi di mettere le mani all'avanti. "Io vado nel primo gruppo di ricognizione." mi proposi, destando però del disappunto su quasi tutti i volti. "Ho ancora l'adrenalina in circolo." mi giustificai. "E poi potete contare quello svenimento di prima come riposo."
Violet fu la prima a parlare, scuotendo la testa e guardandomi severa. "Non se ne parla nemmeno. A vista sei quella messa peggio, hai il volto pieno di lividi e graffi, per non parlare poi del fatto che ti ho dovuto ricucire la ferita al fianco che non smetteva di sanguinare. Sei svenuta perchè il tuo corpo ha perso molto sangue e tu hai bisogno di riposo."
Scossi la testa e feci per aprire la bocca, ma sentii Thomas aggiungersi alla ragazza, interrompendomi. "Ha ragione, Ele. Per di più credo che tu sia quella che ha rischiato di più in tutta la battaglia. Avrai fatto fuori almeno cinque o sei robot, hai salvato la vita a molti di noi, quindi quando parlavo di squadre, ti avevo già escluso. Tu devi solo riposare, al resto pensiamo noi."

"Cosa?" sbottai, scuotendo la testa e sentendo il sangue ribollirmi nelle vene. "Davvero, ragazzi, apprezzo le vostre preoccupazioni e le vostre cure, ma so badare a me stessa. Se vi dico che ce la faccio, ce la faccio. Credetemi, non ho proprio la testa per mettermi a schiacciare un cacchio di pisolino."
"Allora ci aiuterai a raccogliere le armi." si intromise Stephen, parlando per la prima volta dopo secoli. 
Continuai dritta sul mio pensiero, insistendo e diventando quasi insopportabile come una mocciosa che fa i capricci; poi, comprendendo che non avevo via di scampo, decisi di smetterla e di scendere a compromessi, accontentandomi di raccogliere le armi.
Se non altro era pur sempre un qualcosa con cui potevo rendermi utile. 
Alla fine, la prima squadra di ricognizione venne composta da Brenda, Jorge e Teresa. Vennero scelti i tre sia per la loro familiarità con le sedi della W.I.C.K.E.D., sia per la vastità dei loro ricordi. Una qualsiasi informazione celata nella memoria o comprensibile solo a chi aveva lavorato per l'associazione era fondamentale per noi. Tutti avevamo gli occhi per vedere e contare le guardie o gli strati di mura, ma solo quei tre avevano la capacità di estrapolare dati e compararli a ciò che già sapevano.
Per quanto riguardava il resto di noi – ad eccezione di Stephen, che per colpa della sua ferita alla gamba faceva fatica a camminare – decidemmo di raccogliere tutti insieme le armi per finire quel lavoro al più presto e riposarci. Quando il lavoro fu completo, Thomas ci fece notare che avremmo anche potuto spogliare i robot e utilizzare i loro vestiti come bende nuove o come ricambi. Tutti avevamo bisogno di farci una bella doccia calda per lavarci di dosso lo sporco e le brutte sensazioni, ma ci saremmo anche accontentati di vestiti puliti e non tagliuzzati ovunque. Dopo aver lasciato ogni singolo robot in mutande, Gally prese a spartire il vestiario insieme a Thomas. 
Solo dopo aver consegnato magliette e pantaloncini a tutti, Gally mi si avvicinò con lo sguardo basso e indeciso, ma non gli dissi nulla, curiosa di vedere quello che avesse in mente. Quando fummo a meno di un metro di distanza, il ragazzo allungò il braccio verso di me, porgendomi una maglietta color beige e un paio di pantaloni verde scuro.

"So che non mi vuoi parlare, ma pensavo che ti avrebbe fatto piacere avere la sua maglietta. I pantaloni invece sono quelli della tua copia, quindi dovrebbero andarti a pennello. Hanno solo un buco sulla coscia, ma credo che tu lo sappia già." Gally mi guardò si sbieco, accennando un sorriso e lasciandomi cadere gli indumenti tra le braccia.
Annuii e mi rigirai i tessuti tra le mani, domandandomi se avessero l'odore del ragazzo, ma poi rigettai quel pensiero. "Senti, Gally. Non è che non voglio più parlarti," chiarii, tentando di cacciare via la sensazione di abbandono e tristezza che mi assaliva ogni volta che il ragazzo mi approcciava. "è solo che non credo che sia questo il momento di sederci a parlare dei nostri problemi per chiarire la situazione. Abbiamo altro a cui pensare."
Vidi il ragazzo annuire e indietreggiare di qualche passo. "Sì, hai ragione, ci penseremo una volta aver salvato i bambini. Prometto che cercherò di rimediare."
Annuii anche io, mordendomi le labbra e cacciando via i pensieri negativi, desiderando solo che il ragazzo se ne andasse, lasciandomi finalmente sola.

Uno alla volta decidemmo di andare a darci una lavata al fiume, pulendo le ferite e lasciando che il nostro sangue mischiato allo sporco fluisse nell'acqua limpida. L'acqua del fiume era congelata, ma questo non fermò nessuno dal gettarvisi dentro e strofinare in modo quasi ossessivo la pelle. Dopo nemmeno una mezz'oretta eravamo già tutti puliti, con i capelli zuppi che venivano asciugati lentamente dal sole e i vestiti puliti. Quello che invece rimaneva dei nostri stracci venne ridotto in strisce per eventuali garze.

Ognuno si cambiò in disparte e in silenzio, come se lo shock permanesse ancora nel corpo di tutti, ma per quanto mi riguardava, non appena mi infilai la mia nuova maglietta mi sentii decisamente meglio. Non mi stupii più di tanto quando mi resi conto che quell'indumento non aveva l'odore di Newt, ma un po' ci rimasi male. Non sapevo se la mia decisione di accettare i vestiti del ragazzo fosse stata un atto di masochismo nei miei confronti o un privilegiarmi con un ricordo del passato. Mi ricordavo che ai tempi della Radura, il giorno stesso in cui ero salita dalla Scatola, era stato Newt a porgermi una delle sue magliette, proteggendomi sin dal primo momento. Forse, ripetendo quel gesto, mi sentivo protetta indirettamente, un po' come se il fantasma di Newt avesse trasmesso a quella maglietta tutti i suoi poteri da angelo. Mi sentivo invincibile, tutto d'un tratto, come se nulla potesse toccarmi o farmi male. Ed era una sensazione inafferrabile, ma piena, riuscivo quasi sentirla vibrare sotto la mia pelle. 
Probabilmente, se avessi avuto a disposizione uno scudo al posto della maglietta, mi sarei sentita più scoperta e insicura.

Mi avvicinai a Stephen, che nel frattempo si era steso a terra, con una mano sul petto e lo sguardo fisso al cielo azzurro. Ormai si era fatto giorno e il color roseo di un cielo all'alba aveva iniziato a sfumare dietro le nuvole e le montagne.
Quando mi stesi al suo fianco, il ragazzo non sembrò nemmeno notarlo, troppo preso dai suoi pensieri e dall'accarezzare l'erba con la mano libera per captare la mia presenza.
"Steph, senti..." mormorai, avvicinandomi ancora di più a lui e sfiorandogli la spalla con la mia tempia, per catturare la sua attenzione e per infondermi un po' di tepore.
Sentii il ragazzo mugugnare per tutta risposta e poi lo vidi girarsi verso di me, scivolando via dai suoi pensieri e prestandomi tutta la sua attenzione. I suoi occhi erano ancora grigi, scuri, segnati dalla tristezza e forse da qualche rimorso. Mi mancava il colore naturale dei suoi occhi, mi mancava lo spirito scherzoso e strafottente che lo contraddistingueva ogni volta. 
"Stephen, se non eri ferito gravemente quando ti hanno attaccato le tue sorelle..." iniziai titubante, spaventata dalla reazione che avrei potuto causare in lui. "Allora perchè non hai fatto nulla per difenderti?"
Vidi il ragazzo mordersi il labbro talmente forte da farlo diventare bianco, poi ancorò il suo sguardo al mio e, quando parlò con voce ferma, severa e forse anche priva di qualsiasi tono, mi sentii un peso calare sul cuore. "Perchè non le ho salvate." spiegò lui, semplicemente. "Non sono riuscito a salvarle ed ero convinto che fossero tornate in vita per punirmi. Sapevo di meritarmelo e gliel'ho lasciato fare."

Sbattei le palpebre più volte prima di capacitarmi del tutto di ciò che il ragazzo mi aveva appena confidato. Di certo, dopo quell'orribile esperienza, ognuno di noi era rimasto segnato, se non traumatizzato a vita. Ognuno di noi si portava appresso i propri rimorsi, i rimpianti e le proprie colpe. E la cosa mi faceva capire che non ero l'unica a fustigarsi sempre per ciò che non avevo fatto o per ciò che avrei potuto fare meglio, ma di certo scoprirlo non mi tirava su il morale. Dopo che le copie erano apparse, ognuno di noi nel profondo del proprio cuore aveva sperato che fossero davvero i nostri amici, tornati magicamente in vita per chissà quale scherzo del destino, ma mentre alcuni di noi si erano ben presto resi conto del contrario, altri erano rimasti ancorati a quella speranza. Stephen era uno di quelli che, troppo malinconici per rompere quell'illusione, si erano lasciati trasportare dai sentimenti. I suoi ricordi e i suoi rimorsi avevano fatto un brutto scherzo alla sua testa, inducendolo a pensare che la copia delle sorelle apparse così dal nulla fosse in realtà una punizione divina materializzatasi sulla terra. La cosa peggiore, però, era forse che il ragazzo avesse accettato tale tortura senza opporre resistenza e senza trovare altre soluzioni possibili. Se non fossi arrivata io a salvarlo, forse sarebbe morto con la convinzione di meritarselo.
"Steph, lo sai che non è colpa tua, vero?" domandai incerta, appoggiando una mano sulla sua e stringendola forte nella speranza di rianimarlo un po'.
Il ragazzo abbozzò un sorriso, poi tornò malinconico come prima. "Come fai ad esserne così sicura? Nella vita facciamo delle scelte che portano con sé delle conseguenze. Se siamo arrivati a questo punto è perchè abbiamo intrapreso una serie di decisioni. Tutto quello che ci aspetta davanti, ce lo siamo scelti noi." mi spiegò con una calma e una sicurezza quasi spaventose. "Se loro non sono più qui con me, sono solo io il colpevole. Io e le mie scelte che mi hanno portato a questo punto."
Scossi la testa contrariata, ma da un lato sentii quelle sue parole come fossero mie. Anche io mi ero sempre pentita di alcune azioni che mi avevano inevitabilmente portata a dove ero in quel momento, senza Newt e senza tanti altri miei amici. Avevo intrapreso delle decisioni, ero stata io a voler lasciare la W.I.C.K.E.D. con gli altri, ero stata io ad abbandonare Newt sulla Berga ed ero stata io ad abbandonarlo di nuovo nel Palazzo degli Spaccati. Se solo avessi insistito di più, se solo avessi fatto la parte della bambina capricciosa che mi viene spontanea ogni volta, se solo avessi tentato di convincerlo in tutti i modi, forse sarebbe stato tutto diverso.
Sì, con un Newt versione Spaccato che cerca di divorarti e che poi soffre e si sente in colpa, perchè lo vedi in quello stato. Mi ricordò la mia mente, riportandomi ancora una volta sulla sponda della normalità ed evitando la mia ricaduta nei sensi di colpa. E' stata una sua decisione e comunque non avresti potuto fare nulla per aiutarlo.
"Stephen, ascoltami bene." mormorai mettendomi di lato e stando attenta a non muovermi troppo per via della ferita. "Non è colpa tua quello che è successo, okay? Hai fatto tutto quello che ti avevano chiesto, hai seguito le regole, ma quando la W.I.C.K.E.D. decide qualcosa, va sempre in fondo." spiegai con calma, assicurandomi che il ragazzo mi stesse guardando e stesse capendo cosa gli stavo dicendo. "Quello che è successo alle tue sorelle è un qualcosa di orribile, ma non è colpa tua." scandii bene e lentamente, in modo da prepararlo a ciò che stavo per dirgli. "Una delle cose che mi ha insegnato la perdita di Newt è che ancorarsi al passato non serve a nulla. Devi continuare a dare il massimo di te stesso per combattere per le cose che hai ancora. Non hai pensato a Hailie? Non hai pensato che senza di te è persa? Focalizzati su quello che ti rimane e usalo come ancora per rimanere a galla e per non sprofondare nei sensi di colpa e nella pazzia. Non è semplice, lo so per esperienza, ma se anche una rincaspiata come me ce l'ha fatta, non vedo il problema nel tuo caso."

Vidi il ragazzo abbassare lo sguardo sulle mie dita ancorate alle sue e rilasciare un profondo respiro, ma finalmente le ombre nei suoi occhi iniziarono a sparire, venendo però rimpiazzate da un luccichio di realizzazione. 
Quando lo vidi annuire mi sentii un peso scivolarmi via di dosso, raggiungere le punte dei miei piedi per poi cadere tra l'erba e diffondersi sul terreno. Mugugnando leggermente – più per la stanchezza o per l'indolenzimento dei muscoli, che per i taglietti, probabilmente – Stephen si tirò in piedi, portando poi una gamba al petto e tenendo quella ferita distesa sul prato. Il ragazzo si girò verso di me per guardarmi, la maglietta sul suo busto si appiccicò alla sua pelle attorcigliandosi leggermente, poi mi indicò col mento e mi sorrise leggermente.
Lo seguii a ruota, tirandomi su in modo delicato e appoggiandomi al terreno con le mani, poi gli feci la linguaccia, presa alla sprovvista da quel suo fissarmi così serio ma allo stesso tempo sollevato.
"Hai ragione." mormorò lui semplicemente. "Cioè, alla fine l'ho capito che non erano davvero le mie sorelle, quindi non pensare di essere più intelligente di me, pasticcino. Però intendo..." il ragazzo si grattò la nuca, sembrando per un attimo quasi a disagio. Poi si alzò in piedi, ma non se ne andò e continuò a guardarmi dritto negli occhi. Se fosse stato possibile percepire il peso dell'anima altrui, probabilmente in quel momento avrei potuto dire con certezza che la sua si fosse finalmente alleggerita. "Insomma, hai ragione. E vedi di memorizzartele bene queste parole perchè non te le ripeterò mai più."
Lo vidi muovere qualche passo in avanti, un braccio teso verso di me diretto a scompigliarmi i capelli. Arricciai il naso quando le sue dita affusolate si intrufolarono tra le mie ciocche ancora zuppe con l'acqua del fiume e chiusi gli occhi quando muovendo velocemente la mano, mi agitò i capelli,  facendo volare in aria tante goccioline. "Non mi è rimasta solo Hailie, ci sei anche tu, quindi... Vedi di non prenderti un raffreddore, capito?" borbottò imbarazzato prima di abbandonare la presa sulla mia testa e sgattaiolare via silenzioso, zoppicando leggermente per via della gamba ferita.
Abbozzai un sorrisetto e portai le gambe al petto, cingendole poi con le braccia e lasciando il mio mento cadere sulle ginocchia. Soffiai forte per allontanare una ciocca indesiderata dal mio volto, poi appoggiai anche la guancia sulla gamba, lasciando andare via anche le ultime tracce di preoccupazione e ansia.
Ce la faremo. Pensai tra me e me.
"Dopo tutto questo, ce la faremo." sussurrai, sentendomi rianimata nello spirito. "Ce la faremo sempre, te lo prometto Newt." mormorai ancora, pregando che Elizabeth stesse bene e con lei anche gli altri bambini. Strizzai forte le maniche della mia nuova maglietta e tentai un'altra volta di captare l'odore del ragazzo, rimanendo ancora più delusa quando per la seconda volta non sentii assolutamente nessun profumo familiare. Mi morsi il labbro. "Mi manchi."

*Angolo scrittrice*
Ciao pive! Come vi va? 
Io ho quasi finito del tutto gli esami e sono andati tutti bene, quindi sono molto soddisfatta.

Purtroppo però ho una brutta notizia per voi: ho trovato lavoro in un hotel per tutta la stagione estiva e lavoro praticamente tutti i giorni tranne mercoledì. 
Di conseguenza mi sarà difficile aggiornare con costanza e spesso come facevo prima.

Abbiate pazienza, ma pensavo di non avere lavoro quest'estate data la situazione del virus, ma a quanto pare il posto è ancora mio e non posso rifiutare :3

Perciò, per favore, siate pazienti and bear with me, spero che riuscirò a finire presto il libro in modo da non lasciarvi troppo con la suspence.

Farò del mio meglio!

Love you all ♥️
Elena

 

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Capitolo 54
*** Capitolo 47. ***


Teresa, Brenda e Jorge erano tornati dopo nemmeno mezz'ora, con il capo rivolto verso il basso e un'aria abbattuta, segno che nulla di quello speravano era andato secondo i piani.
Come se fossimo stati tutti collegati telepaticamente, ognuno di noi si alzò dalla propria postazione per andare incontro al primo gruppo di ricerca. Teresa e Jorge stavano parlando in maniera sommessa tra loro, probabilmente cercando di risolvere un problema o di confrontarsi su un qualcosa. Brenda invece aveva lo sguardo diretto verso Thomas e il modo in cui scosse la testa e abbassò gli occhi a terra non appena lui incrociò la sua occhiata, mi fecero preoccupare di gran lunga.
Nel giro di pochi secondi ci ricongiungemmo tutti e questa volta fu Jorge a prendere la parola al posto di Teresa, chiarendo tutti i nostri dubbi, ma anche demoralizzandoci. "Mi dispiace, hermanos. Non siamo nemmeno riusciti ad avvistare la sede. Quel bosco si estende per parecchio ed è talmente fitto che se fossi stato da solo probabilmente mi sarei perso. Abbiamo anche provato a scalare qualche albero per avere una vista dall'alto, ma niente. Alberi e solo alberi per chilometri. Siamo fregati, jodidos! Abbiamo solo perso tempo."
Teresa alzò lo sguardo e lo puntò stranamente su di me, forse perchè sentiva che la stavo osservando in attesa che prendesse la parola e ci dicesse che fosse tutto un orribile scherzo, ma la ragazza si limitò a scuotere la testa, poi parlò. "Probabilmente siamo ancora distanti, ma se ho calcolato bene non dovremmo metterci più di tre o quattro ore. Proporrei di metterci in cammino e poi al massimo fermarci dentro il bosco. Sapete, giusto nel caso in cui la W.I.C.K.E.D. decida di mandarci altre sorpresine per via area."
A questo punto fu Brenda a inserirsi nel discorso, prendendo la parola e annunciandoci qualche ipotesi positiva, ma che tuttavia non sollevò il morale a nessuno di noi. "Abbiamo pensato che probabilmente la W.I.C.K.E.D. non abbia a disposizione così tante Berghe da mandarci contro, altrimenti l'avrebbe già fatto. Contando poi anche il fatto che nessuna guardia si è ancora manifestata, supponiamo che sia davvero a corto di risorse questa volta. Ma purtroppo, sono solo ipotesi."

Mi morsi il labbro, indecisa se esporre o meno i miei pensieri che anche questa volta erano andati a parare sul negativo, mettendomi addosso una sensazione di paranoia e ansia. Osservai i miei amici, tutti sembravano con il morale a terra, stanchi fisicamente e mentalmente, ma ero sicura che ancora fossimo in grado di reggere altro peso sulle spalle. Non avevamo affrontato tutte quelle disavventure per poi abbandonare all'ultimo e inoltre ero sicura che ognuno si fosse costruito la propria corazza nel corso degli anni.
Per non contare poi il fatto che la W.I.C.K.E.D. avesse speso anni a testare la nostra intelligenza e a migliorarla, ce l'avremmo fatta in un modo o nell'altro. Comprendendo che i miei pensieri non avrebbero potuto causare altro avvilimento, decisi di esporli ad alta voce, anche se ero sicura che l'idea fosse balenata nella testa di almeno tutti i miei compagni. "L'unica cosa che mi viene da pensare," iniziai titubante, guardando prima Jorge poi Teresa. "è che se la W.I.C.K.E.D. ha speso così poco sull'attacco, deve essere ben preparata sulla difesa. Dopotutto, se nessuno può raggiungerla non c'è motivo di radunare mille guardie, bestie feroci e Berghe in caso di fuga, no?"
Mi guardai di nuovo intorno, accorgendomi che Minho mi stesse fissando, assorto tuttavia nei suoi pensieri più profondi dato che aveva le sopracciglia corrugate e il naso arricciato. 
"Come una barriera invisibile? O magari un qualcosa di naturale che copre la sede, come una montagna o qualcosa di simile?" domandò Violet, incrociando le braccia al petto.
"E' possibile." mormorò Gally. "Il bosco stesso ne è una prova. Se è così confusionario e folto come dice Jorge, credo che sia una barriera naturale in tutto e per tutto."
Mi portai una ciocca di capelli dietro l'orecchio, c'era un qualcosa che non avevamo captato, un pezzo di puzzle che mancava. Quei robot non potevano essere spuntati dal nulla e di certo non potevano aver camminato per chilometri: la W.I.C.K.E.D li aveva resi autonomi, certo, ma come faceva a sapere che sarebbero arrivati a destinazione senza problemi? Doveva per forza controllarli in qualche modo. Per quanto mi fidassi dei calcoli di Teresa, compresi che non potevamo escludere l'idea che la W.I.C.K.E.D. stesse cercando di fregarci. 
L'unico motivo per cui non ci avevano portato quei robot attraverso una Berga poteva essere solo perchè erano troppo vicini per farlo. Se avevano davvero così poche risorse a disposizione e se davvero avevano puntato tutto sulla difesa e quindi sul tenere la base quanto più nascosta possibile, non potevano di certo rischiare di mostrarci l'entrata alla sede per colpa del rientro di una Berga.
E tutto quello poteva significare solamente che...
"Sono qui." quasi gridai, sentendomi fiera di me stessa per essere arrivata a quella conclusione che ora mi sembrava così palese. Come ho fatto a non pensarci prima? E' così ovvio! Pensai, portandomi una mano sulla fronte e sorridendo come un'ebete. "La W.I.C.K.E.D. è qui!" continuai, allargando le braccia e rivolgendomi agli altri che ora però si stavano guardando attorno con aria spaventata e preoccupata.

"Deve essere qua, da qualche parte e non ci è possibile vederla." mormorai tra me e me, girando su me stessa e tentando invano di scovare un qualsiasi indizio che mi permettesse di orientarmi meglio. Ero stata così concentrata sul trovare la sede e raggiungere il luogo che ci aveva indicato il segnale prima di sparire, che nel farlo avevo tralasciato parecchi dati. Non solo la posizione geografica del segnale poteva non essere corretta, ma avrebbe anche potuto essere una semplice deviazione programmata per buttarci tutti fuori strada. Dopotutto, se la W.I.C.K.E.D. aveva scoperto del segnale nel collo dei bambini, non si sarebbe solamente limitata a toglierlo una volta arrivati alla sede. 
No, no, così sarebbe stato troppo semplice per noi trovarla. Doveva aver capito che avevamo captato il segnale e che ci eravamo messi in marcia, quindi quale idea migliore di spostarsi di qualche chilometro dalla sede vera e propria per deviare il nostro percorso? 
"Pensateci bene, pive." dissi entusiasta. "Non abbiamo avvistato nulla in tutti i chilometri che abbiamo percorso, no? E loro tre non hanno avvistato nemmeno nulla davanti a noi. Per quanto possa essere distante questa sede, contate che dopo le montagne dovrebbe essere tutta pianura, come è stato fino ad ora, giusto?"
Vidi qualcuno annuire, altri osservarmi ancora increduli del mio comportamento e cercando di capire il punto del discorso. La W.I.C.K.E.D. era sempre un passo davanti a noi e, dall'esperienza che avevo racimolato vivendo tra le sue mura, avevo compreso che l'associazione era capace di tutto. Per quanto mi riguardava, la sede poteva anche trovarsi sotto i miei piedi in quel preciso momento senza che...
Un'altra illuminazione improvvisa mi balenò in testa. Se all'inizio avevo ipotizzato che la sede potesse trovarsi incastrata in qualche strano modo all'interno di una delle montagne che ci aspettavano, ora iniziavo a pensare che potesse trovarsi addirittura sotto terra.
"E se la sede fosse proprio sotto i nostri piedi ora?" borbottai, facendo qualche passo in avanti e guardando attentamente l'erba per cercare un qualsiasi errore o particolare che la W.I.C.K.E.D. avrebbe potuto lasciarsi sfuggire. 
"E il segnale, allora?" domandò Teresa, corrugando la fronte e guardandomi sia curiosa che diffidente. 
"Magari era solo una pista falsa." propose Gally, arrivando alla mia stessa conclusione. "In effetti avrebbe senso. Come ha detto lei, potrebbe essere questo il motivo per cui non abbiamo avvistato né avvisteremo niente nel giro di chilometri."

"Il bosco, invece?" domandò Minho, facendo un passo in avanti, gli occhi vispi e il volto colorito, visibilmente rianimato da quel nuovo mistero da risolvere. "Dopotutto i robot sono usciti da lì! E se ci fosse una specie di... di porta segreta o di..."
"Una Scatola." buttò fuori Thomas. "Per contenere tutte quelle copie in una volta sola, o deve essere un ascensore molto grande o una sottospecie di Scatola. Solo che invece che portare in una Radura..." mormorò, aprendo le braccia e indicando la vasta pianura che ci circondava. "porta al di sotto di essa."
Vidi Teresa aprire la bocca, forse per dire qualcosa o per avanzare una domanda, ma non disse nulla, rimanendo semplicemente con le labbra dischiuse e un'espressione stupita in volto. Immaginavo che stentasse a crederci, ma non potevamo scartare nessuna opzione. La W.I.C.K.E.D. era capace di tutto, perciò dovevamo tentare di tutto. 
"Cercate qualsiasi cosa che sia in rilievo o che sembri strana o... innaturale, non lo so, ma cercate, diamine." borbottò Gally, quasi preso dal panico o forse eccessivamente eccitato al riguardo; poi senza proferire altro, voltò le spalle e prese a camminare ricurvo con lo sguardo fissato al terreno. 
"Proporrei di controllare prima qua e poi di entrare tutti insieme nel bosco." annunciò Thomas. "Non possiamo rischiare di perderci, perciò è escluso che qualcuno lo vada ad esaminare da solo," specificò, guardandomi severo. "ed è anche escluso che ci andiamo tutti insieme ora senza prima aver analizzato questa pianura. Non possiamo rischiare di perderci tutti a furia di cercare tra gli alberi e poi non saper più come tornare indietro quando non troviamo indizi."
Annuii sicura e, come gli altri, senza proferire parola, iniziai a cercare attorno a me un qualsiasi dettaglio che mi facesse accendere la lampadina in testa. 
Il sole iniziava a farsi alto in cielo, ma ancora non era così pieno e cocente da arrostirci tutti come pesci alla griglia. Se non fossi stata ancora un po' bagnata dall'acqua del fiume probabilmente avrei sofferto di più il caldo, eppure mi sentivo la faccia e le braccia andarmi a fuoco, segno che molto probabilmente in quei giorni di esposizione costante al sole mi ero scottata parecchio.

Rianimata dalla necessità di lottare contro il caldo, o spinta forse dal fatto che fosse l'unico posto da esplorare che i miei amici avevano scartato, mi diressi verso il fiume, decisa ad esaminare ogni centimetro di esso e della sua sponda. Prima esaminai l'area che lo circondava, non trovando tuttavia nulla di interessante nell'erbetta che cresceva indisturbata lungo il fiume. 
L'ipotesi di Thomas mi aveva lasciata un po' turbata: pensare che mi trovassi nuovamente in una Radura, o una sottospecie di essa, mi faceva venire i brividi. Eppure, se mi mettevo ad osservare bene il posto, potevo affermare con sicurezza che delle familiarità con la nostra vecchia casa effettivamente c'erano. Ad eccezione del fiume che sembrava essere una novità, il resto di quel posto sembrava quasi voler copiare l'esperimento del Labirinto: le mura che una volta circondavano la nostra Radura, proteggendoci dai Dolenti, qui avevano preso la forma di montagne e boschi, dato che quella zona era letteralmente circondata da barriere naturali; il bosco da cui erano usciti i robot sembrava quasi richiamare quello delle Facce Morte e per un attimo ebbi quasi paura all'idea di attraversalo, quasi temessi di trovare davvero le tombe di coloro che avevamo perso per strada; l'erba cresceva incolta e rigogliosa, proprio come nella nostra vecchia casa.
All'appello mancavano solo il Casolare e la torre di vedetta che i Costruttori avevano creato nel corso degli anni, gli orti e la Scatola. Ma se le ipotesi di Thomas erano esatte, probabilmente avremmo trovato anche quest'ultima nel giro di qualche ora.
Dovevamo solamente capire dove fosse localizzata.
Eppure mi sentivo come se ci fosse un qualcosa di sbagliato in quel posto, un qualcosa che non centrasse più di tanto, se l'obbiettivo era quello di ricopiare la Radura del Labirinto. Non comprendevo il motivo di quel fiume. Certo, avrebbe potuto essere una coincidenza, una semplice dislocazione naturale di un fiume che scorre a valle, ma perchè costruire una sede proprio sotto un fiume? 
Mi inginocchiai accanto all'acqua e guardai dentro, analizzandolo e fissando i sassolini rotondi che giacevano sul fondo. "Forse per sfruttarlo? Magari ricavano acqua dal fiume, ma come?" mormorai tra me e me ad alta voce.

Feci quasi per alzarmi e camminare sulla sua sponda in un'altra direzione, quando all'improvviso un particolare catturò la mia attenzione, lasciandomi a dir poco esterrefatta.
L'acqua, il cui corso era sempre scivolato verso ovest, cambiò all'improvviso direzione, dirigendosi a tutta velocità verso est. Sbattei le palpebre più volte, poi quasi non credendo ai miei occhi, infilai una mano nel fiume, accorgendomi a tutti gli effetti di quel cambiamento repentino. L'acqua continuò a scorrere nella direzione sbagliata solo per qualche secondo, per poi riprendere il suo flusso naturale e calmo. 
Ragionai per qualche istante, non capendo come una cosa del genere fosse possibile. Valutai anche l'opzione che il tanto sole che avevo preso mi avesse dato alla testa.
Poi, con la velocità di una freccia, un'illuminazione mi pervase, facendomi quasi rabbrividire di curiosità. E se non mi stavo sbagliando del tutto e la sede della W.I.C.K.E.D. utilizzasse davvero l'acqua di quel fiume come risorsa infinita? E se il cambio di flusso improvviso fosse dovuto proprio a quest'utilizzo? 
"Per cambiare corso d'acqua," borbottai alzandomi in piedi e camminando veloce verso est, seguendo sempre il fiume. "significa che un qualcosa deve aver forzato la corrente dalla parte opposta."
Alzai lo sguardo, accorgendomi che il fiume mi stava portando proprio all'interno del bosco. "Magari hanno risucchiato l'acqua o hanno creato un vuoto, una cascata temporanea in modo che il fiume scorresse dalla parte desiderata." senza nemmeno accorgermene avevo ormai raggiunto il limite degli alberi, così mi fermai, spinta dalla curiosità a continuare sulla mia strada, ma bloccata allo stesso tempo dalla responsabilità verso i miei amici.
Non riuscendo più a contenere tutta quell'eccitazione, tornai sui miei passi, correndo veloce verso Thomas e spaventandolo quasi. "Thomas avevi ragione!" esclamai entusiasta. "E' una Radura, ma funziona al contrario! Ti ricordi che nella Radura l'acqua per gli Orti proveniva da delle tubature sotto terra?"
Vidi il ragazzo annuire confuso e guardarsi leggermente attorno, forse cercando lo sguardo di altre persone. "Solo che qui è tutto sotto sopra. La W.I.C.K.E.D. è qua sotto e si serve del fiume come riserva d'acqua. Raccoglie l'acqua dalla Radura e la utilizza per sé."

"F-Frena un secondo." borbottò il ragazzo, indietreggiando di un passo, come se non riuscisse a comprendere totalmente il mio ragionamento. "Come fai a saperlo? Hai scoperto tubature o botole o..."
Non lo feci nemmeno finire, scuotendo la testa e sorridendo. "No, Tom. Ho visto l'acqua scorrere in una direzione e poi venire trascinata all'improvviso in quella opposta. Deve esserci un qualcosa all'interno del bosco, un qualcosa che risucchia l'acqua del fiume o comunque un qualcosa che obbliga l'acqua a scorrere dalla parte sbagliata."
Thomas rimase in silenzio per diversi minuti, sbattendo le palpebre ad intermittenza quasi come se stesse rielaborando e assimilando le informazioni che avevo appena condiviso con lui, poi, quasi risvegliato dalla sua trance, spalancò le palpebre e mi sorrise entusiasta. "Dobbiamo radunare gli altri." fu tutto quello che mi disse, per poi precipitarsi veloce verso Teresa che era intenta ad analizzare il prato all'entrata del bosco. 
Per quanto ne sapevo, la W.I.C.K.E.D. avrebbe anche potuto controllarci con Scacertole o altre tipologie di aggeggi, quindi preferivo non urlare la mia intuizione a squarcia gola e anzi, seguendo l'esempio di Thomas, mi precipitai veloce da ognuno dei miei amici nel tentativo di radunarli. 
Quando andai ad avvisare Stephen, vidi Gally a non poca distanza da lui correrci incontro preoccupato, ma non appena vide la mia espressione sorridente però, cambiò espressione e interruppe quasi subito la breve spiegazione che stavo fornendo al ragazzo dai capelli bianchi.
"Che sta succedendo?" domandò preoccupato, mettendomi una mano sulla spalla e girandomi leggermente nella sua direzione. 
"Se aspettavi qualche secondo, brutta faccia di caspio..." buttò fuori Stephen, lanciando un'occhiataccia a Gally. "Me lo stava giusto spiegando, quindi sta zitto e apri le orecchie."
Il Costruttore gli rifilò la stessa occhiata scocciata, ma non replicò nulla, rimanendo semplicemente in silenzio e prestandomi la sua totale attenzione.
"Stavo dicendo che il fiume potrebbe essere la nostra pista. Non ho intenzione di rispiegarmi altre venti volte, perciò dobbiamo radunarci velocemente e poi proseguire dentro il bosco. Non appena saremo tutti raccolti spiegherò quello che ho scoperto e risolverò i vostri dubbi."

Dopo aver radunato tutti anche grazie a Thomas, iniziai a spiegare lentamente e in modo chiaro ciò che avevo scoperto, aggiungendo anche che probabilmente l'acqua doveva essere stata risucchiata nella direzione opposta o che magari – come aveva suggerito Thomas – era stata aperta una botola e l'acqua, cadendo al suo interno, aveva iniziato a circolare in direzione del buco. 
"Dobbiamo seguire il fiume." conclusi infine, arrivando perciò ad un'altra conclusione e esplicitandola a tutti i miei amici. "Dopotutto, se come ha detto Jorge il bosco è così confusionario, non penso che i robot siano stati in grado di attraversalo con facilità in autonomia. A meno che non abbiano una mappa mentale o delle coordinate inserite, devono per forza aver seguito il fiume per uscire da quel miscuglio di rami e foglie."
"E una volta trovata la botola o qualsiasi cosa risucchi l'acqua cosa facciamo?" chiese Minho, incrociando le braccia e lanciando un'occhiata al bosco con fare preoccupato. "Non credo che sarà così grande da permetterci di passare attraverso, non penso che la W.I.C.K.E.D. sia così stupida." 
Questa volta fu Stephen a rispondere, grattandosi la mascella e sollevando le sopracciglia. "Magari Thomas ha ragione e da qualche parte troveremo una sottospecie di Scatola."
"E se avessimo sbagliato tutto, invece?" chiese Brenda, lo sguardo preoccupato e rivolto totalmente a Thomas, come se il resto del gruppo non esistesse. 
La risposta del ragazzo fu immediata e per un attimo mi sembrò di rivedere in lui il vecchio Thomas, libero dai fantasmi del passato e carico di entusiasmo e speranza. "Dobbiamo comunque provarci." spiegò con calma. "Potrebbe essere una pista falsa e potremmo perdere del tempo prezioso. Oppure potrebbe essere la pista giusta, ma se non indaghiamo non lo sapremo mai."
Ci furono diversi attimi di silenzio, in cui ognuno si rinchiuse nei propri pensieri forse alla ricerca di possibili domande da proporre, o forse alla ricerca di una convinzione o una speranza a cui aggrapparsi per convincersi a seguire quelle tracce.
Come aveva detto Thomas, era rischioso, certo, ma non potevamo permetterci di escludere quella pista solo per paura di arrivare ad un vicolo cieco. 
"Che aspettiamo, allora?" domandò Violet, allargando le braccia e indicando l'inizio del bosco a qualche passo da noi. "Andiamo a risolvere questo mistero, no?"

 

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Capitolo 55
*** Capitolo 48. ***


Eravamo dentro quel bosco ormai da più di un'ora, eppure non eravamo riusciti a trovare nemmeno un qualcosa che potesse essere simile ad una botola o ad un tubo. Il bosco era davvero confusionario come lo aveva descritto Jorge: gli alberi si ergevano alti e attaccati gli uni agli altri; i rami bassi ci rendevano difficile il passaggio e spesso qualcuno si faceva male per colpa di legni appuntiti o di radici troppo in superficie rispetto al terreno. Continuammo comunque ad avanzare, sempre tutti in fila indiana seguendo il fiume ed analizzandolo con la massima precisione.
Purtroppo però, per quanto fossimo stati attenti e tutti concentrati sullo stesso obbiettivo, ancora non avevamo trovato nulla di interessante o degno di nota. Ogni tanto ci eravamo fermati per tentare di spostare dal fondo del fiume qualche sasso decisamente troppo grande rispetto agli altri, sperando di riuscire ad aprire un passaggio segreto o una botola nascosta, ma nulla di tutto ciò era successo e spesso i sassi erano talmente pesanti da non muoversi nemmeno.
Dopo aver camminato per altri minuti infiniti, alla fine raggiungemmo un punto non attraversabile del bosco, dove seguire il fiume rimaneva impossibile perchè i rami si intrecciavano tra loro creando una barriera naturale e invalicabile. Fummo costretti a fermarci e Minho tentò addirittura di passare sotto l'acqua del fiume e sorpassare la barriera da sotto, ma con scarsi risultati. Mentre alcuni si erano dati per vinti e si erano lasciati cadere a sedere per terra, io, Gally e Stephen avevamo continuato a perlustrare la zona, stando sempre attenti a non allontanarci troppo.
Avevo sempre uno sguardo rivolto verso il fiume, nella speranza che il flusso dell'acqua cambiasse di nuovo direzione, ma purtroppo non successe. Provammo nuovamente a spostare le rocce, nella speranza di riuscire a sollevarle almeno in tre, ma quando fallimmo miseramente, comprendemmo che ci fosse un qualcosa che non tornasse in quelle pietre: per quanto potessero essere pesanti, non potevano essere insollevabili perfino da tre persone.

Poi, come se fosse sempre stato talmente palese ai suoi occhi, Gally propose di spingere verso il basso. Io e Stephen ci guardammo per qualche secondo prima di eseguire la proposta del Costruttore, ed ero certa che il ragazzo dai capelli bianchi si sentisse tanto stupido quanto me per non averci pensato prima. 
Provammo con la prima roccia, ma non successe nulla, poi procedemmo con la seconda, poi con a terza e così via. Nessuna roccia si mosse di un millimetro, ad eccezione dell'ultima: non appena impiegammo tutta la nostra forza per spingerla verso il basso, sentimmo un suono metallico sonoro, come di ingranaggi che strisciano gli uni sugli altri. Tentammo un'altra volta e spingemmo nuovamente, questa volta con più ardore: la roccia sembrò comunque non muoversi, ma produsse nuovamente quel suono metallico, questa volta più forte del precedente. Ci guardammo tutti e tre, con le labbra socchiuse e l'incredulità sul volto. I nostri occhi luccicarono di entusiasmo per quella strana scoperta, eppure sapevamo benissimo che fosse ancora troppo presto per cantare vittoria. Gally ci chiese di metterci da parte e così facemmo, retrocedendo di qualche passo nell'acqua.
Vidi il ragazzo alzare la gamba sgocciolante, poi con tutta la forza che aveva colpire il sasso con la suola della sua scarpa. Questa volta il suono di ingranaggi fu palese e la roccia sprofondò di a mala pena un centimetro, rivelando attorno a sé una sagoma quadrata intagliata nel terreno. Senza attendere altro tentai del mio meglio per raggiungere in fretta gli altri e chiamarli a noi. Anche se la mia gamba zoppa non mi aveva dato troppi problemi quella giornata, purtroppo non potevo dire lo stesso della ferita al fianco. Ero stata troppo incauta e spesso mi ero sforzata per correre o per fare movimenti troppo bruschi, pagandone solo in quel momento le conseguenze. 
Tenni la mano premuta sulla ferita e accelerai il passo, sentendola tirare sul fianco. Quando raggiunsi i miei amici, Thomas, Jorge e Minho si proposero per aiutare Gally a far sprofondare a suon di calci quel sasso.

Dopo diversi minuti, finalmente la roccia – ora palesemente attaccata in modo artificiale al terreno – si abbassò di diversi centimetri, sempre producendo bruttissimi suoni metallici, segno che molto probabilmente stavamo forzando un ingranaggio a lavorare nonostante il suo meccanismo non fosse stato attivato. 
Mentre i ragazzi continuavano a forzare quella roccia dentro la terra, rivelando così uno spazio vuoto sul suo fondo, l'acqua prese a circolare verso il vuoto che si era venuto a creare, ma in maniera decisamente più lenta rispetto a come l'avevo vista correre qualche ora prima. Quella lentezza poteva stare a significare solo due cose: che solitamente, quando l'acqua veniva prelevata dal fiume, più rocce-botole venivano aperte contemporaneamente; oppure che oltre all'apertura di alcuni pezzi di terreno, ci fosse nel sottosuolo un meccanismo di risucchio dell'acqua che al momento non era stato attivato.
Dopo aver spinto la roccia insieme alla sua sponda quadrata abbastanza in basso, iniziammo ad analizzare cosa si potesse nascondere al suo interno, avanzando ogni possibile ipotesi. Per il momento, la luce naturale del sole che filtrava a tratti tra la boscaglia era troppo poca per illuminare quel buco così scuro nel terreno, così decidemmo che fosse troppo pericoloso mandare qualcuno in esplorazione dentro di esso.
Non solo il quadrato vuoto creatosi nel terreno era troppo piccolo per far passare alcuni di noi, ma era anche molto rischioso far intrufolare qualcuno per mandarlo a cercare l'interruttore che avrebbe aperto la vera porta d'entrata o Scatola che fosse. 
All'inizio ci era perfino sembrata una buona idea, ma poi, analizzando bene i rischi possibili, avevamo capito che molto probabilmente quell'acqua doveva finire in un contenitore sigillato in modo da essere purificata e che saremo probabilmente morti annegati prima di riuscire a trovare la via d'uscita.

Mentre i miei amici continuavano a discutere sulle possibilità di scelta che avevamo, un piccolo luccichio rosso colse la mia attenzione, andando a solleticare qualche ricordo nella mia memoria.
Compresi che, se davvero avevo riconosciuto la sorgente di quella lucina rossa, allora era meglio fare finta di nulla per riuscire a trarne del vantaggio, perciò decisi di non muovermi subito e di rimanere immobile, continuando ad ascoltare distrattamente i miei amici. Con la coda dell'occhio però, iniziai ad analizzare lo spazio intorno a me, riuscendo infine a notare da dove provenisse la lucina e accorgendomi che in fin dei conti la mia memoria non era così pessima e che le mie ipotesi fossero state azzeccate in pieno: una piccola Scacertola ci stava osservando – o meglio dire, registrando – appoggiata alla parete di una montagna di cui potevamo vedere solo il fondo, dato che gli alberi nascondevano tutto il resto della sua altezza.

La mia sorpresa iniziale e il mio entusiasmo per averla colta nel sacco, piano piano iniziarono a sfumare in paura mentre il piccolo animaletto elettronico rimaneva immobile, aggrappato sulla roccia, a trasmettere alla sede della W.I.C.K.E.D. tutte le nostre immagini e i nostri discorsi.
Da un lato, il sollievo di non essere completamente pazza e di aver avuto ragione riguardo la sede, mi rassicurò; dall'altro lato, però, compresi che la W.I.C.K.E.D. avesse ricevuto un segnale d'allarme – probabilmente dovuto alla botola che avevamo aperto a forza – e che ora stesse studiando un modo per non farci entrare.
Feci per distogliere lo sguardo e avvisare i miei amici di quella presenza di troppo, quando un movimento repentino dell'animaletto mi immobilizzò sul posto: zampettando veloce sul muro, la Scacertola infilò il musino in un punto specifico della roccia, poi agitandosi da un lato all'altro, fece sparire tutto il suo corpicino metallico dentro la montagna.
Sperando che la W.I.C.K.E.D. non avesse notato il mio sbirciare, abbassai immediatamente il volto a terra, fingendomi interessata alla botola ancora aperta sotto di noi. A quel punto, l'idea di entrare dentro quel buco mi sembrava ancora più scellerata: la W.I.C.K.E.D. ci stava osservando, aveva visto ciò che avevamo fatto, eppure ancora non aveva attivato i sistemi per richiudere la botola che avevamo aperto. Il tutto poteva significare solo una cosa: la W.I.C.K.E.D. sperava che ci entrassimo.
"E se invece provassimo a gettare dentro qualcosa?" propose Gally. "Dal rumore potremmo riuscire a capire quanto è profondo e se l'ambiente in cui cade è chiuso oppure no."
"No." buttai fuori secca, ma questa volta abbassando decisamente il tono di voce per paura che qualche altra creaturina ci stesse osservando nascosta chissà dove. 
Ricevetti uno sguardo confuso da tutti, soprattutto dal Costruttore che in effetti aveva fatto una proposta intelligente, ma che ancora non era al corrente di quello che avevo visto. "Cioè, sarebbe una mossa intelligente per capire..." mi bloccai, tentando di scusarmi per essere stata brusca senza motivo, ma poi lasciai perdere. Non avevamo tempo per scuse o spiegazioni lunghe. "Stiamo sbagliando strada." buttai fuori, guardando uno ad uno i miei amici.

"Ragazzi, non dovete girarvi, né fare movimenti sospetti, deve sembrare che ancora stiamo parlando della botola, okay?" sussurrai nella speranza che ognuno di loro comprendesse a pieno.
Li vidi annuire uno dopo uno, così continuai. "Ho appena visto una Scacertola osservarci per poi rientrare dentro la montagna e sparire. Deve esserci una fessura o magari una porta nascosta che non abbiamo notato. Iniziamo a cercare lungo le pareti, dobbiamo fare veloce perchè potremmo avere davvero poco tempo ancora a nostro vantaggio."
Senza attendere altro, mi diressi nel punto esatto in cui avevo visto la bestiolina entrare, ma nel muro non c'era assolutamente nulla, né un solco, né un pulsante per entrare, né una leva o un qualsiasi cosa di simile che indicasse un'entrata dentro la roccia. 
"Ma qui non c'è nulla." mormorò Stephen accanto a me, controllando ogni centimetro della pietra e rimanendo deluso. "Sicura di non avere le allucinazioni, pasticcino?"
Lo guardai in cagnesco e allargai le narici, trattenendomi dal rispondergli male. "Certo che non ho le allucinazioni. Ho visto benissimo, brutta testa di..."
"Provate a tastare." propose Teresa, facendo un passo all'avanti. "A volte i nostri occhi ingannano, non sempre tutto è come sembra."
La vidi chiudere le palpebre e fare un passo in avanti verso la parete, con le braccia tese all'avanti, iniziando ad accarezzare con cura la roccia. Le sue dita affusolate si fecero strada da destra a sinistra, da sopra a sotto, poi senza trovare nulla si spostò più a destra, sempre tenendo gli occhi chiusi e continuando a cercare.
Feci spallucce e decisi di seguire il suo consiglio, serrando le palpebre a mia volta e brancolando nel buio fino ad arrivare alla prima superficie dura che le mie mani percepirono.
Iniziai a tastare la parete fredda, accarezzandola con le mie dita e sperando di trovare un qualcosa. "Ehi pasticcino..." sentii di nuovo Stephen, decisamente troppo vicino a me. "Mi stai palpando i pettorali." 

Arrossi di botto e tolsi di scatto i palmi, sentendolo ridere a crepapelle di fianco a me. Riaprii gli occhi immediatamente e lo guardai infuriata. 
"Oh, guarda come ci sei cascata subito!" borbottò divertito, asciugandosi una lacrima. 
Feci per rispondergli a tono, ma Gally si intromise nella discussione, facendomi da porta voce. "Stattene zitto, bamboccio." ringhiò infuriato. "Dovresti seguire il suo esempio e iniziare a cercare. Non è questo il momento di scherzare, abbiamo poco tempo, lo hai capito?"
Vidi Stephen serrare la mascella, ma rilassarla poco dopo. Mi aspettai una risposta acida da parte sua o magari ironica, ma si limitò a starsene zitto e a seguire a ruota Teresa, chiudendo gli occhi e tastando la parete con le mani. 
Rimasi sorpresa, per un attimo: accettare con così tanta calma un ordine da parte di Gally, per lui non era di certo normale. Probabilmente doveva aver capito che il ragazzo in fin dei conti aveva ragione e che stavamo sprecando solo tempo prezioso.
Mi voltai verso Gally, che nel frattempo mi stava fissando visibilmente preoccupato. Gli sorrisi leggermente e annuii per rassicurarlo, anche se non sapevo esattamente da dove spuntasse quella sua preoccupazione verso di me.

Tornammo tutti all'opera, alcuni tenendo gli occhi aperti per non inciampare, altri tenendoli chiusi per amplificare il senso del tatto. Dopo qualche minuto di ricerca, fu Violet ad esultare, annunciandoci di aver trovato un piccolo buco nella parete. 
Ci radunammo intorno a lei, analizzando tutti quella piccola fessura che a mala pena avrebbe potuto ospitare un dito. Sentii Minho da dietro spingermi leggermente all'avanti e chiedermi con impazienza di infilarci il mignolo, dato che le mie dita erano le più piccole di tutto il gruppo.
Infilai il dito titubante, temendo ciò che avrei toccato o, peggio ancora, incontrato in quel buco.
Quando il mio polpastrello entrò in contatto con un qualcosa di duro, ma fatto di un materiale decisamente diverso dalla roccia, spinsi il dito ancora qualche centimetro in profondità. La fine del buco mi seguì a ruota, facendomi intuire che non fosse altro che un pulsante.

Si sentì uno sbuffo, poi nella parete davanti a noi un quadrato sulla roccia della montagna si incassò di qualche centimetro nella parete, per poi scorrere giù e sparire del tutto.
L'apertura a forma di cubo che si presentò davanti a noi non era rocciosa come ci si aspetterebbe dall'interno di una montagna, bensì ricoperta di un vero nero e liscio.
Si sentirono alcuni bip elettronici e due facciate del cubo si illuminarono di verde – quella sul fondo e quella alla base – formando così lo schermo e la tastiera di un computer virtuale.
Ci guardammo gli uni con gli altri, sbalorditi sia dalla capacità della W.I.C.K.E.D. di saper trasformare in risorsa elettronica perfino un elemento naturale, sia dalla nostra intuizione perspicace nell'aver trovato quell'aggeggio nascosto.
Sullo schermo di quel computer decisamente all'avanguardia apparirono dei simboli, destando così curiosità in tutti noi.
Appena sopra il centro dello schermo era comparso il disegno bidimensionale di tre casette stilizzate, denominate con i numeri 1, 2 e 3.
Proprio sotto queste tre, invece, erano presenti tre cerchi denominati delle lettere A, L e G. Prima che qualcuno potesse proferire parola, nell'angolo in basso a destra dello schermo apparve una scritta: Ci sono tre case che necessitano il collegamento alle industrie di Acqua, Luce e Gas. Collegate le case alle industrie senza mai intrecciare i fili.
Ognuno di noi lesse l'enigma nella propria mente e, mentre qualcuno aveva deciso di rileggere quel messaggio da capo, altri si erano fatti avanti, esprimendo ad alta voce il pensiero di tutti i presenti.
"E' un cacchio di scherzo, vero?" domandò Minho, facendo un passo in avanti e parlando con tono alquanto scocciato. "Ci stanno prendendo per Fagio nati ieri, che enigma del cacchio è mai questo?"
Prima che il Velocista potesse allungare la sua mano verso lo schermo, un'altra scritta apparve: un conto alla rovescia.
"Abbiamo..." iniziò Violet, mentre il braccio di Minho tornava sul suo fianco e sulla sua faccia si dipingeva un'espressione ancora più confusa. "tre minuti per risolverlo?"
"Tre minuti per una caspiata del genere?" domandò Gally, il suo tono quasi sull'offeso.
Scossi la testa. Ero sicura che ci fosse un qualcosa dietro a quell'enigma che non avevamo preso in considerazione. 
Per accedere ad una sede super nascosta al fine di renderla quanto più segreta possibile, bastava davvero collegare tre industrie a tre case? Era realmente così semplice? O forse la W.I.C.K.E.D. stava cercando di prendere del tempo e di ingannarci?
"Calmi ragazzi..." mormorò Thomas, facendo un passo in avanti e osservando lo schermo. "Sono sicuro che ci sia qualcosa sotto. Mi ricordo perfettamente delle tipologie di problemi a cui ci sottoponeva la W.I.C.K.E.D. quando eravamo piccoli."

Thomas fece una pausa, poi iniziò a a collegare le industrie alle case trascinando il suo dito sullo schermo e disegnando dei fili.
"E..." incalzò Stephen.
"E sono sicuro che non sarà così semplice come sembra. Spesso i loro problemi non avevano soluzioni. Altre volte invece dovevi pensare fuori dagli schermi per arrivare alla fine."
Vidi Teresa fare un passo in avanti e avvicinarsi a Thomas, toccandolo con la spalla.
Tutti ci facemmo più vicini, comprimendoci gli uni agli altri e osservando Thomas risolvere l'enigma mentre i secondi passavano.
Collegamento dopo collegamento, Thomas arrivò quasi alla fine dell'enigma. All'appello mancava solo una casa che non aveva ancora ricevuto tutti i connettori con le industrie: quella denominata col numero 2, a cui mancava il filo che la collegasse all'industria del Gas.
Vidi Thomas bloccarsi e irrigidirsi sul posto. Lasciò cadere il braccio su un fianco e si girò verso di noi, il volto segnato sia dalla sconfitta, che dalla consapevolezza.
"Ve lo avevo detto..." borbottò affranto, grattandosi la fronte e abbassando lo sguardo. "Non è così semplice come..."
"Prova di nuovo." lo incitò Minho, senza nemmeno dargli il tempo di finire la frase. "Prova a farlo in un'altra maniera. Prima sei partito collegando l'Acqua a tutte e tre le case, poi sei passato alla Luce e poi al Gas. Ora prova a partire dalle case."
Thomas rialzò lo sguardo e lo puntò dubbioso sul Velocista. "Non credo che cambie..."
"Prova, cacchio!" sbraitò l'asiatico, colto da un improvviso attacco di collera. "Ci mancano meno di due minuti, non sprecare tempo a parlare e riprova." ordinò secco.
Vidi Thomas annuire e provare di nuovo seguendo la modalità suggerita dal Velocista.
Anche io, come il ragazzo, ero dubbiosa riguardo il secondo metodo, dato che in fin dei conti seguiva lo stesso schema del precedente. Però in effetti avevamo ancora tempo a disposizione e tentare di nuovo non ci avrebbe fatto male.

Mentre Thomas riprendeva a collegare, lanciai uno sguardo verso Teresa, accorgendomi che non avesse proferito parola fin dall'inizio.
Mi domandai cosa avesse in mente e per un attimo sperai che avrebbe incrociato il mio sguardo, accorgendosi subito del dubbio nei miei occhi e spiegandomi le sue idee. La ragazza, però, era totalmente persa nei suoi pensieri e il suo sguardo era fisso sullo schermo, i suoi incisivi intenti a infastidire il labbro inferiore. 
Per la seconda volta, il braccio di Thomas ricadde sconfitto sul suo fianco e il ragazzo si voltò verso di noi, ora con rabbia e impazienza dipinti sul volto.
Lanciai un'occhiata veloce allo schermo: la terza casa e l'industria della Luce erano rimaste scollegate. "Altre idee?" sentii Thomas domandare, indicando il piccolo monitor alle sue spalle. Vidi alcuni del gruppo scuotere la testa e abbassare lo sguardo al suolo, cercando nella loro mente una soluzione a quel puzzle. Alla fine fu Stephen a rompere il silenzio, proponendo quella che mi sembrava una tattica a dir poco geniale. "Non è possibile far passare il collegamento da casa a casa? Così ci sarebbero meno fili..."

Thomas si voltò di scatto e subito trascinò il dito dall'industria dell'Acqua alla prima casa: il conduttore si creò, ma sparì non appena il ragazzo lo fece passare sulla seconda casa. Thomas fece un secondo tentativo, toccando col polpastrello la prima casa e collegandola con la seconda. Il collegamento sparì non appena il ragazzo alzò il dito.
"Altro?" domandò Thomas, affranto. 
"Si possono spostare le case?" domandai curiosa. 
Vidi Thomas fare spallucce, poi si voltò verso lo schermo e tentò di nuovo. Fece passare il dito sulla prima casa e tentò di muoverla a fianco l'industria della Luce, ma la casa rimase immobile. Thomas provò di nuovo, questa volta toccandola due volte, prima di tentare lo spostamento; dopodichè decise di tenere premuto sulla casa e tentò di nuovo il movimento, fallendo in entrambi i casi.
"Manca poco più di un minuto." specificò Violet preoccupata. "Inizio a pensare che non ci sia davvero una soluzione."
A quel punto, dopo essere rimasta in silenzio per diverso tempo, Teresa diede voce ai suoi pensieri. "No, infatti non c'è soluzione." ribadì, facendo segno a Thomas di spostarsi. Prese il posto del ragazzo davanti al monitor, poi iniziò a digitare qualcosa sulla tastiera virtuale.
"Non in questa dimensione, per lo meno." aggiunse poi. "Non credo che abbiano messo la tastiera a caso." annunciò, lo sguardo fisso sullo schermo e le dita veloci sui tasti illuminati di verde. Continuò a scrivere per qualche secondo, nonostante sullo schermo non stesse comparendo nulla di quello che digitava.

"In che senso?" domandò Gally, aggrottando le sopracciglia e facendo un passo in avanti per riuscire a sbirciare oltre le spalle della ragazza.
"Cosa sta scrivendo?" chiese curioso Stephen, lanciandomi un'occhiata dubbiosa. Feci spallucce e scossi la testa. Nonostante Teresa avesse spiegato la sua illuminazione improvvisa, non avevo la minima idea di cosa potessero significare le sue parole.
Per fortuna, la risposta alla domanda di Stephen arrivò dalla diretta interessata, che questa volta usò un linguaggio più chiaro e comprensibile a tutti. "Sto tentando di modificare il sistema. Se riesco a porre l'enigma in tridimensionale, i fili potrebbero – anzi, dovrebbero – non intrecciarsi."
Ci fu qualche attimo di silenzio, in cui ognuno di noi tentò di assimilare e comprendere a pieno la spiegazione breve che la ragazza ci aveva appena fornito.
"Pensa fuori dagli schermi..." sentii Thomas mormorare, sul volto un sorrisetto soddisfatto cancellò totalmente lo sconforto nei suoi occhi.

 

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Capitolo 56
*** Capitolo 49. ***


Teresa continuò a digitare sulla tastiera per qualche secondo, muovendo velocemente le dita lunghe sui tasti verdi, poi finalmente la schermata del computer iniziò a cambiare. Si colorò tutta di verde, poi di nero, poi iniziarono ad apparire una fila di numeri che per me – e sicuramente anche per gli altri – non avevano il benchè minimo significato. Una ciocca di capelli ricadde sul volto della ragazza, ma lei non si premurò nemmeno di spostarla, troppo intenta a modificare l'enigma e a porlo in una tridimensione.
Si sentì qualche bip elettronico, poi la schermata si fece di nuovo nera e, quando i colori apparirono di nuovo, davanti a noi si mostrarono le tre casette precedenti, denominate sempre con gli stessi numeri, con l'unica differenza che ora, invece di essere casette stilizzate bidimensionali, erano veri e propri cubi. Allo stesso modo, i cerchi che prima rappresentavano le industrie erano vere e proprie sfere, denominate sempre con le iniziali di Acqua, Gas e Luce.
"Mancano trenta secondi, ragazzi." incitò Violet, lanciando uno sguardo preoccupato a Thomas, la voce tesa per la pressione del momento.
"Ora dovrebbe andare." spiegò Teresa, facendosi da parte e lasciando il posto a Thomas. "Riprova seguendo la stessa modalità." 
Vidi il ragazzo farsi avanti, poi come aveva già fatto le volte precedenti, col polpastrello del suo indice iniziò a collegare le case alle industrie. 
"Quindici secondi." borbottò Stephen, prendendo il posto di Violet in quel conto alla rovescia.
Vidi Thomas accellerare e collegare casa dopo casa. Notai che anche i fili ora fossero disegnati tridimensionalmente e che un'altra caratteristica si era aggiunta a quell'enigma: ora Thomas poteva scegliere se far passare i fili sopra o sotto, riuscendo così ad impilarne diversi nella stessa traiettoria. La nostra tattica stava funzionando e a poco a poco i fili si snodavano tra case e industrie come rette parallele, senza mai intrecciarsi.
"Non capisco... perchè non si apre nulla?" domandò Thomas sorpreso, grattandosi la testa e facendo un passo indietro.
Il timer continuava a scorrere e l'enigma era ancora lì. 
Nove secondi. Mi scambiai un'occhiata con gli altri, tanto sorpresi quanto Thomas. 
Sette secondi. Lanciai uno sguardo al monitor del computer e ripercorsi ogni collegamento creato dal ragazzo, sicura che si fosse dimenticato qualcosa. 
Cinque secondi. La prima casa era totalmente collegata, la seconda anche. 
Tre secondi. Poi lo notai.
"Collega la terza casa alla Luce!" esclamai, saltando quasi sul posto dall'ansia e dalla sorpresa. Vidi Thomas sobbalzare a sua volta, poi fece scattare la mano verso la terza casa e in modo repentino fece scivolare il polpastrello sull'industria della Luce.
Un secondo.
Thomas alzò il dito.
Tempo scaduto.

Lo schermo si annerì totalmente e così anche le nostre menti. Rimanemmo col fiato sospeso e il cuore in gola. Nessuno osò fiatare, tutti troppo spaventati per conoscere la risposta alla domanda che aleggiava nella mente di tutti. Rimanemmo in silenziò finchè la parete della roccia sbuffò e iniziò a risalire, coprendo il computer ormai annerito.
"Il collegamento..." mormorò Jorge, esprimendo ad alta voce ciò che ci stavamo domandando tutti. "E' partito, vero? Si è collegato tutto, giusto hermano?"
Vidi Thomas fare spallucce e trascinarsi una mano sul volto pallido, preoccupato e in ansia tanto quanto lo eravamo noi.
"Mi pare che sia partito, ma..." iniziò il ragazzo titubante.
"Ti pare?" domandò Gally acido, muovendo un passo avanti, visibilmente innervosito. "La vita di questi bambini dipende da noi e a te... pare di aver finito l'enigma?" chiese furioso, le gote rosse e il panico negli occhi.
"Gally calmati." mormorai toccandogli un braccio e cercando di farlo indietreggiare leggermente. Il suo volto era molto vicino a quello di Thomas e a giudicare dall'espressione rabbiosa, ero sicura che avrebbe voluto prenderlo a schiaffi in faccia. "Aspettiamo un attimo prima di giungere a conclusioni affrettate."
Vidi il ragazzo mordersi il labbro e lanciarmi un'occhiata altrettanto furibonda, poi, non appena gli lanciai un'occhiataccia, vidi il suo volto calmarsi. Distese le mandibole e i lineamenti sul suo volto si fecero più delicati; ben presto il viso tornò del suo colore naturale.

"Magari dovevamo cliccare qualcosa alla fine?" domandò Stephen preoccupato, lanciando uno sguardo verso la parete dove una volta era presente il computer e ora c'era solo una parete rocciosa.
Sentii Minho schioccare la lingua."Magari dovevamo..."
Il Velocista non fece nemmeno in tempo a finire la frase che si sentirono una serie di sbuffi e di ingranaggi che iniziavano a muoversi. La terra sotto i nostri piedi tremò e per un attimo ebbi la sensazione di essere instabile, così mi aggrappai al braccio di Stephen accanto a me, che barcollò di poco, riuscendo però a mantenerci entrambi in piedi.
La roccia davanti a noi tremò, poi con diversi scricchiolii metallici, una fessura nella parete inizò ad aprirsi, scivolando verso l'interno della montagna come una parete scorrevole. Centimetro dopo centimetro, lo spacco nella roccia si fece sempre più ampio, fino a raggiungere la grandezza di una porta. Sbirciammo tutti all'interno, ma l'unica cosa visibile in quel buio denso era una luce rossa che si accendeva e spegneva a scatti. Solo quando la parete scomparì del tutto dentro la fessura nella montagna, la luce rossa si fece fissa, annunciandoci che la porta avesse completato la sua apertura.

Sentii Stephen sussultare accanto a me quando Brenda parlò con voce abbastanza alta per la prima volta dopo molto tempo. "Quindi... ce l'abbiamo fatta?" domandò curiosa, facendo capolino verso la porta e sbirciando dentro, ma senza riuscire a vedere granchè.
"Pare di sì." constatò Teresa, muovendo un passo all'interno della stanza e poi girandosi verso di noi in attesa. "Vogliamo entrare?" domandò incerta, indicando col mento l'interno della stanza buia.
Sentii Minho mugugnare dietro di me. "Non lo so, questa cosa mi puzza."
"Anche a me." spiegò Gally. "Però non abbiamo altra scelta, no?"

Mi morsi il labbro e feci un passo verso la stanza nera, sentendomi improvvisamente una stretta allo stomaco. Mi sfilai l'arco dalle spalle e lo impugnai saldamente, facendomi sbiancare le nocche. Poi incoccai una freccia e la puntai verso il buio totale. La stanza era talmente silenziosa che non sembrava esserci nessuno al suo interno, ma non potevamo mai essere sicuri totalmente quando si parlava di W.I.C.K.E.D.
"Statemi dietro." suggerii, facendo un altro passo in avanti e facendo guizzare gli occhi da una parte all'altra alla ricerca di una qualsiasi sagoma sospetta nel buio. "State pronti con le armi." ordinai, muovendo un altro passo verso il buio e sentendomi sempre più spaventata.
"Aspettami, bambolina." sentii Minho chiamarmi, facendo due falcate verso di me e piazzandosi al mio fianco, stringendo nella mano destra una lancia affilata rubata precedentemente ai robot che avevamo affrontato. "Non è da me rimanere nelle retrovie, quindi non pensare di prenderti tutto il divertimento dell'azione."
Abbozzai un sorriso e per un attimo fui davvero grata della sua presenza accanto a me. La paura non era diminuita e il cuore continuava a battermi forte nel petto, però in qualche modo riuscivo a sentirmi più sicura, come se la consapevolezza di avere qualcuno a guardarmi le spalle mi facesse sentire in qualche modo immortale.

Io e Minho ci muovemmo all'unisono, lui con la lancia pronta sopra la spalla e io con l'arco incoccato e pronto a scagliare freccie al primo segno di movimento.
Quando entrammo totalmente nella stanza, la vista si annerì, lasciandomi per un attimo spaesata. Sentii la mano di Minho cercare il mio fianco e posarsi delicatamente sulla mia schiena, premendo leggermente e invitandomi a continuare a muovermi all'avanti insieme a lui. 
Muovemmo qualche altro passo e all'improvviso sentimmo un rumore metallico sotto di noi, come di catene che cigolano. Sentii Minho esitare, poi continuò, sempre accompagnandomi con la mano. Percepii il suo fiato pesante poco distante da me e decisi perciò di concentrarmi sulle sensazioni riguardo all'ambiente che mi circondava. Essere totalmente al buio mi spaventava, come se le ombre si attaccassero al mio corpo, tirandomi sempre più nell'oscurità e lasciandomi appiccicata una sensazione insopportabile di claustrofobia. I nostri passi erano indecisi, ma ero quasi sicura che stessimo camminando su una lastra metallica, dato che i cigolii non avevano terminato un secondo, un po' come se fossimo saliti su una piattaforma che stesse cercando di assestarsi sotto il nostro peso.
Continuammo a muoverci, spinti anche dal rumore dei passi degli altri dietro di noi. La luce rossa sempre fissa non illuminava molto l'ambiente, ma più ci avvicinavamo a lei, più l'ambiente sembrava profondo. 
Respirai un'aria umida e fredda, che tuttavia aveva sapore di ruggine. Sentii qualcuno dietro di me imprecare e fui quasi sicura che fosse stato Gally a parlare, probabilmente perchè come al suo solito era andato a sbattere contro qualcuno.

Muovemmo altri passi verso il nulla fino a chè non si sentì un colpo acuto, come di metallo contro metallo, che fece sobbalzare Minho, bloccandolo sul posto. "La mia lancia ha toccato il fondo della stanza." spiegò muovendo un passo indietro. "Le pareti sono di metallo."
Mi permisi di mettere a riposo l'arco, riposizionando la freccia nella faretra, dato che era palese che lì dentro non ci fosse proprio nessuno. Mi mossi comunque nella stanza, avanzando con le braccia tese davanti a me e i palmi aperti, pronti ad accogliere la parete di fondo. Il contatto gelido con il muro di metallo che aveva preannunciato Minho avvenne quasi subito. Continuai a tastare come ci aveva mostrato precedentemente Teresa, accarezzando la parete con le dita alla ricerca di una qualsiasi cosa che stuzzicasse la mia curiosità.
Dopo qualche secondo, infatti, la mano mi andò a sbattere contro un oggetto metallico in rilievo rispetto al resto della parete dura. Accarezzai quell'oggetto, accorgendomi ben presto che dovesse essere una leva o un qualcosa di simile. 
"Ho trovato..." sussurrai nel buio. "quella che sembra una leva. Che faccio?"
Sentii Minho avvicinarsi a me e tastare la parete finchè non raggiunse la mia mano e scoprì anche lui il piccolo manico che attendeva solamente di essere tirato.
"Fatevi tutti vicini." ordinò il Velocita. "Prendetevi per mano, tenevi strette le chiappette, quello che vi pare."

"Non vi ricorda qualcosa?" domandò Stephen incerto, la voce bassa e il tono preoccupato, quasi sofferto. Era come se anche lui sentisse la claustrofobia e il panico nascere dentro di sé. "I rumori, l'odore, il buio..."
Prima che il ragazzo potesse finire di parlare, sentii Minho di fianco a me muoversi in uno scatto. Si sentì un rumore metallico, quasi un fischio acuto, che mi fece intuire che il Velocista avesse appena tirato la leva.
Il pavimento sotto a noi barcollò, poi dei rumori metallici e di catene che si scontrano e striciano le une sulle altre si diffuse tutto intorno alla stanza. La poca luce che ancora proveniva dall'esterno piano piano iniziò a calare. Mi voltai di scatto appena in tempo per vedere la parete rocciosa fuoriuscire dalla fessura nella montagna e tornare al suo posto, bloccandoci una volta per tutte la via d'uscita.

Rimanemmo al buio per quelli che sembrarono attimi infiniti, ma che in realtà dovevano essere a mala pena un paio di minuti, quando il pavimento sotto di noi non solo tremò in modo preoccupante, ma iniziò a calare verso il basso, causandomi un'improvviso vuoto d'aria nello stomaco. Dovetti trattenermi dall'accasciarmi a terra e per sentirmi più stabile mi appoggiai alla parete. 
Anche Minho di fianco a me sobbalzò e sentii un lamento fuoriuscire dalle sue labbra.
"Ho capito dove siamo." annunciò ad alta voce, tentando di sovrastare i rumori metallici che rimbombavano dentro la stanza. "Siamo di nuovo nella caspio di Scatola." mormorò, la voce intrisa dal terrore.
La sensazione di claustrofobia mischiata al vuoto d'aria nello stomaco, perdurarono per quelli che mi sembrarono attimi infiniti. Continuammo a scendere velocemente, senza interruzioni e senza mai cambiare velocità. Ogni tanto la Scatola sobbalzava, facendoci spesso perdere l'equilibrio. Mi aggrappai più volte a Minho nella speranza di riuscire a trovare un appiglio saldo, e dopo il quinto scossone, il Velocista mi prese per mano, stringendo forte le sue dita tra le mie. Mi sentii sollevata e per un attimo mi ricordai che non ero da sola a cadere nel vuoto, ma che tutti eravamo nella stessa situazione. Saremmo rimasti uniti nonostante tutto: eravamo arrivati fino a quel punto insieme e avremmo terminato quella missione insieme.

Quando alla fine la Scatola terminò la sua discesa verso gli inferi, si assestò con uno scossone e con diversi stridolii meccanici.
Il buio continuò ad inondarci finchè un'altra spia rossa si accese di fronte a noi, iniziando a lampeggiare proprio come la prima che avevamo visto. 
Trattenni il fiato e mi sbrigai a lasciare la mano a Minho, precipitandomi sul mio arco e afferrandolo saldamente. Quella luce poteva significare solo che la porta della Scatola si sarebbe aperta da un momento all'altro e quindi non potevo rischiare di farmi cogliere impreparata. Mentre incoccavo la freccia, sentii un rumore di vestiti che strisciano tra loro e compresi che anche i miei amici si stessero armando, pronti ad assalire qualsiasi cosa fosse spuntata da dietro la porta che si sarebbe aperta da un momento all'altro.
Uno sbuffo sonoro, poi uno spiraglio di luce si diffusero per la stanza. Quell'improvviso bagliore e quel taglio di luce bianca accecante, mi accecò, obbligandomi a sessare gli occhi nonostante tutti i miei tentativi inutili di lottare contro il bruciore alle pupille.
Sbattei le palpebre più e più volte, tenendo sempre l'arco teso in direzione del bagliore, nella speranza di riuscire ad acquistare nuovamente la vista e di farlo in fretta. 
"Vedete qualcosa?" chiese Thomas, probabilmente tanto accecato da quel bagliore quanto me.
Sentii un paio di no e altri mugugni, segno che nessuno di noi si fosse ancora abituato a quello sbalzo improvviso di luce.
Tentai per l'ennesima volta di aprire gli occhi e questa volta riuscii ad osservare l'ambiente che ci aspettava al di là della porta: nonostante la vista ancora sfocata, realizzai per prima cosa che non ci fosse nessuno ad attenderci. Sbattei nuovamente le palpebre e questa volta l'immagine di un corrioio dalle pareti bianche e grigie mi apparve più nitido. "Sembra ci sia un corridoio, ma non c'è nessuno." spiegai ad alta voce, facendo un passo all'avanti e proponendo tacitamente ai miei amici la stessa tecnica di prima. 
Mi misi in prima linea e, passo dopo passo, arrivai silenziosamente alla porta, tenendo ben saldo l'arco e puntandolo verso il corridoio. Una volta arrivata all'altezza della porta, mi appiattii contro la parete e feci capolino fuori dall'uscio. Rimasi all'ascolto mentre mi accertavo che non ci fosse effettivamente nessuno a tenderci un'imboscata, ma l'ambiente sembrava totalmente abbandonato. Incerta, uscii dalla Scatola totalmente e mi diressi nel corridoio, puntando immediatamente la mia arma a destra e a sinistra senza però mai trovare un bersaglio.
Feci segno ai miei amici di raggiungermi e loro avanzarono verso di me senza fiatare, le armi strette tra le mani e il fiato incastrato in gola.

Ci muovemmo veloci, lo sguardo sempre rivolto in avanti e decisi a combattere qualsiasi cosa ci sarebbe spuntata davanti. Corridoio dopo corridoio ci addentrammo sempre più nella sede, ma senza mai trovare anima viva. Minho era in testa al gruppo, dato che il suo senso d'orientamento e il suo intuito da Velocista erano sempre utili in situazioni del genere. Il ragazzo ci guidò tra i corridoio – che per quanto mi riguardava erano sempre tutti identici – quando, dopo aver svoltato l'ennesimo angolo, si bloccò di scatto, facendomi quasi andare a sbattere contro la sua schiena. 
"Non vi sembra strano?" domandò l'asiatico voltandosi verso di noi. "Siamo appena entrati in una struttura della W.I.C.K.E.D. e non solo nessun allarme è scattato, ma non c'è nemmeno nessuna guardia ad aspettarci."
Annuii, accorgendomi che la sensazione di essermi lasciata qualche dettaglio alle spalle era concreta e condivisa anche da tutti gli altri.

"Forse siamo in una zona dove non c'è effettivamente nulla da proteggere." propose Stephen, guardandosi intorno.
"Oppure stanno cercando di sviarci o di tenderci un'imboscata." spiegò Thomas. "In ogni caso non dobbiamo abbassare la guardia. Continuiamo a muoverci."
Vidi Teresa annuire, in pieno accordo con il ragazzo, ma prima di rimetterci in marcia, arrivò un'altra proposta dal Costruttore. "Dovremmo provare a seguire i tubi sul soffitto. Sicuramente trasportano acqua e sono sicuro che la portino dovunque ce ne sia bisogno." propose sollevando il dito al soffitto e facendomi rendere conto di un dettaglio che non avevo notato prima.
Seguendo alla lettera la proposta alquanto intelligente del ragazzo, Minho iniziò a correre leggermente alzando ogni tanto lo sguardo al soffitto per essere sicuro di star seguendo i tubi. Feci del mio meglio per mantenere il passo con il Velocista, ma la mia ferita al fianco sembrava non voler collaborare, così ben presto finii nel retro della fila, insieme a Stephen.
Il ragazzo non sembrava stanco o affaticato, ma anche lui con la sua ferita alla gamba faceva fatica a tenere il passo. 
Minho non sembrò nemmeno accorgersi della mia assenza accanto a lui e continuò a correre delicatamente e senza accennare al minimo sforzo tra i corridoi, seguito a ruota da Violet, Teresa, Thomas, Jorge e Brenda. Solo Gally sembrò notare che io e Stephen avevamo raggiunto ben presto le retrovie. Il ragazzo rallentò la sua corsa e attese paziente che lo raggiungessimo, poi si accodò a noi, stando al mio fianco e guardandomi preoccupato.
"Tutto bene?" chiese, lanciandomi un'occhiata verso il mio fianco per poi tornare a guardarmi negli occhi.
"Quindi ora ti interessa?" si intromise acido Stephen, senza nemmeno darmi il tempo di rispondere. Alzai gli occhi al cielo e pregai che non iniziassero con i loro soliti battibecchi.
"Per caso sei geloso che non lo chiedo a te, principessa?" ribattè altrettanto acido il Costruttore, guardando l'altro in cagnesco e arricciando il naso, segno che provava un grande fastidio nei confronti della presenza del ragazzo dai capelli bianchi.
Ecco... Pensai sbuffando. Ci risiamo. 
"Potete smetterla, per piacere?" brontolai, lanciando un'occhiataccia scocciata a entrambi. 
Sentii Stephen soffiare infastidito accanto a me, mentre per quanto riguardava Gally, il ragazzo continuò a camminare al nostro fianco con le braccia incrociate al petto e il mento alto, segno che anche lui fosse abbastanza indispettito.
Mi portai una mano al fianco e lanciai uno sguardo agli altri che si stavano allontanando sempre di più, poi tentai di aumentare leggermente il passo per non rimanere troppo indietro. Sapevo benissimo che il mio senso d'orientamento fosse già pessimo di suo, in più non avevo mai visto quell'ambiente e perciò i corridoi non mi erano familiari. Se rimanevo troppo indietro rispetto a Minho, rischiavo di perdermi. Certo, sarei pur sempre stata in compagnia di Stephen e Gally, ma dati i loro intercorsi sempre spiacevoli, ero sicura che sarebbe stato meglio perdermi da sola, che in loro compagnia.
"Vuoi una mano?" domandò di nuovo Gally, tentando disperatamente un altro approccio verso di me. 
"No, grazie. Ce la faccio da sola." spiegai brevemente, allungando il passo non appena vidi gli altri sparire dietro all'angolo dell'ennesimo corridoio. 
Vidi il Costruttore irrigidirsi e per un attimo mi sentii in colpa. Non era mia intenzione essere fredda nei suoi confronti, perchè dopotutto avevo deciso di archiviare per il momento la discussione che avevamo avuto. Però per quanto mi sforzassi di rimandare i chiarimenti e i sentimenti negativi ad un futuro vicino, non riuscivo a fare a meno di sentirmi ancora ferita dalle sue azioni.
Per quanto le sue intenzioni potessero essere state nobili, avrebbe potuto raggiungere il suo obbiettivo finale in almeno altri mille modi e magari senza ferirmi.
Svoltammo anche noi l'angolo e trovammo nuovamente il resto del gruppo che ora aveva iniziato a rallentare, accorgendosi probabilmente di aver lasciato una parte di squadra indietro. 
Gli altri non sembravano per nulla affaticati, anzi, avevano l'aria di chi avrebbe potuto correre per miglia e miglia senza mai fermarsi. 
Allungai il passo nel tentativo di diminuire le distanze tra noi nel minore dei tempi, ma una fitta al fianco mi fece subito pentire delle mie azioni. Mugugnai e premetti ancora di più sulla garza, sentendo la ferita bruciare sotto il mio palmo. 
Gally affrettò il passo e quando fu poco dietro a me, provò di nuovo a parlarmi."Forse dovresti..."
Tutto accadde improvvisamente: alzai lo sguardo, lo incatenai a quello di Minho che ci attendeva impaziente e poi un muro invisibile mi apparì davanti, bloccandomi il passaggio. Mi accorsi dlla sua presenza solo quando ci andai a sbattere contro, accecandomi per un attimo e annebbiandomi la testa. Caddi all'indietro, colta dallo spavento e dalla sorpresa e mi portai una mano al naso che nel frattempo aveva iniziato a farmi davvero male. Non seppi con certezza se Gally avesse smesso improvvisamente di parlare per colpa del suono sordo che si diffuse nell'aria o se avesse continuato, ma le sue parole non fossero mai arrivate alle mie orecchie per colpa dello stordimento causato da quella botta.
Rimasi col sedere a terra per diversi attimi, il buio totale nella mia mente, la confusione nel petto e il naso bruciante. Mi sorpresi quando non vidi uscire nemmeno una goccia di sangue, ma dal dolore che provavo mi sembrava quasi che il naso mi sarebbe potuto scivolare via dal volto da un momento all'altro.
Quando rialzai lo sguardo verso gli altri, li scoprii tanto stupiti quanto ero io da quella comparsa improvvisa. Se i ragazzi erano passati per quella strada, significava che il muro dovesse essere apparso dopo il loro passaggio, bloccando così la strada a me, Stephen e Gally.
Quest'ultimo si precipitò preoccupato verso di me, inginocchiandosi al mio fianco e appoggiando una mano sulla mia spalla nel tentativo di farmi girare verso di lui.
"Ma che caspio..." sentii Stephen mormorare mentre lentamente e con cautela si avvicinava al muro invisibile tenendo le mani dritte all'avanti. 
Osservai Minho correrci incontro e appoggiare anche lui le mani sul vetro, battendoci talmente forte da far rimbombare tutto il corridoio.
Con l'aiuto di Gally mi rialzai in piedi e, quando raccolsi il mio arco da terra, mi venne in mente un'idea. Mi avvicinai al vetro il quanto più possibile e mi posi di fronte al Velocista che ora mi stava fissando spaventato e allibito. "Allontanatevi!" gridai a squarcia gola, sperando che dall'altra parte del corridoio si sentissero le mie parole.
Vidi l'asiatico aggrottare le sopracciglia e scuotere la testa. Non compresi se quell'espressione significasse che non aveva capito ciò che gli avevo detto o che non aveva compreso il motivo del mio ordine, ma in ogni caso mi limitai a gridarlo ancora più forte, facendogli cenno con la mano di allontanarsi e poi indicai il mio arco.
Chiesi a Gally e a Stephen di tornare indietro di qualche metro e di ripararsi dietro l'angolo del corridoio che avevamo appena passato. Speravo con tutto il cuore di riuscire a spaccare quel vetro con le mie frecce, ma nel caso avessi fallito miseramente, non potevo rischiare che la freccia rimbalzasse sul pannello per poi rigettarsi sopra di noi.
Indietreggiai di qualche passo, incoccai la freccia, tirai l'arco e puntai nell'unico punto in cui non si erano rifugiati i miei amici dalla parte opposta. Pregai dentro di me che nel frattempo il pannello non si fosse alzato, poi lasciai la freccia.
La sua punta andò a sbattere contro il vetro producendo un suono orribile, ma il vetro non si incrinò nemmeno e la freccia, come avevo temuto, venne sbattuta dalla parta opposta, tornando indietro e quasi colpendomi ai piedi.
Mi allontanai ancora e decisi di provare di nuovo, tirando con maggiore ardore e pregando questa volta che la freccia avrebbe oltrepassato il vetro. Quando anche la seconda freccia si librò in aria, lo stesso rumore sordo di prima si diffuse per il corridoio e la freccia cambiò di nuovo direzione, puntando questa volta alla mia testa.
Sgranai gli occhi e mi gettai per terra, colta prima dal panico di essere infilzata dal mio stesso colpo, poi colta dal dolore che quella mossa brusca aveva causato alla ferita al fianco.
Rialzai lo sguardo non appena sentii la freccia cadere a terra e tintillare sul pavimento in pietra, poi gattonai verso il vetro, accorgendomi che i miei colpi non gli avessero inflitto nemmeno un graffio.
Mi lasciai cadere a sedere, portandomi una mano alla fronte e realizzando che eravamo rimasti intrappolati. Solo ora comprendevo che lo scopo della W.I.C.K.E.D. fosse quello di dividerci per renderci meno pericolosi. E noi ci eravamo cascati in pieno.

 

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Capitolo 57
*** Capitolo 50. ***


Continuai ad osservare Minho, una mano appiccicata contro il vetro e l'altra che batteva forte su di esso nel tentativo di spaccarlo con chissà quale forza sovrannaturale. Rimasi a terra, incapace di rialzarmi. Il mio cuore mi pesava nel petto e la consapevolezza di essermi lasciata fregare per l'ennesima volta dalla W.I.C.K.E.D. mi faceva imbestialire. Per l'ennesima volta eravamo caduti nelle loro trappole e nei loro giochetti. Era ovvio che un qualcosa del genere sarebbe accaduto prima o poi, altrimenti non si sarebbe spiegata l'assenza di un corpo di guardia sul piano d'entrata. La cosa che avevo compreso, e forse anche la più importante, era che questa sede della W.I.C.K.E.D. non giocava le sue carte usando la forza e l'aggressione, ma usando l'intelligenza e l'astuzia. Non eravamo preparati ad evenienze del genere e ci eravamo lasciati fregare in pieno, ma d'ora in poi avremmo giocato anche noi di conseguenza. 
Mi alzai di scatto quando notai che lo spazio tra Minho e gli altri si stava facendo pericolosamente ampio. Terrorizzata all'idea che il ragazzo potesse essere rinchiuso tra un vetro e l'altro, mi precipitai verso il pannello, gridandogli di allontanarsi e raggiungere gli altri.

Come la volta precedente, il ragazzo non mi sentì e continuò a premere le sue mani sul pannello, il panico negli occhi e la rabbia sul volto. 
Cercai di spiegare la paura che aleggiava nella mia testa a gesti e fortunatamente Thomas comprese il mio messaggio, parlando al Velocista e convincendolo probabilmente a tornare con loro. Non dovevamo più separarci, a quel punto. Restare uniti era l'unico modo per riuscire ad arrivare fino alla fine, sani e salvi.

Gally e Stephen mi raggiunsero in fretta, tanto allarmati quanto me e da quel momento in poi non lasciarono più il mio fianco.
Rivolgendomi a Thomas, questa volta, alzai il dito al soffitto e indicai i tubi, poi passai l'indice sul gruppetto rinchiuso dalla parte opposta alla nostra e gli feci segno di continuare per la loro strada. L'idea di Gally era ancora praticabile, ma non più da noi. Io, Stephen e il Costruttore avremmo dovuto trovare un'altra strada, nella speranza di riuscire a ricongiungerci con gli altri in un modo o nell'altro.

Guardai gli altri compattarsi quanto più possibile e procedere con molta più prudenza nel corridoio successivo, svoltando verso sinistra e scomparendo del tutto dalla nostra vista.
Solo allora mi voltai verso i due compagni che mi erano rimasti, maledicendomi mentalmente per essermi tirata la sfortuna di perdermi e rimanere da sola con loro. Inizialmente la mia era solo una paura, un timore che in un certo senso ero quasi sicura che non sarebbe accaduto finchè avessi continuato a seguire Minho, ma ovviamente il destino aveva deciso di servirmi su un piatto d'argento quello che prima avevo solo ipotizzato.

"Dobbiamo trovare un'altra strada ragazzi." proposi, guardandomi intorno spaesata e notando che non avevamo altra scelta se non tornare indietro e provare a prendere la strada opposta a quella che avevamo intrapreso. Ero sicura che ci saremmo persi se avessimo scelto di imbucare i mille corridoi alternativi che avevamo incontrato durante il cammino e che, se non avessimo prestato attenzione, ci saremmo ben presto ritrovati nuovamente davanti alla parete di vetro.

"Torniamo indietro e vediamo se siamo più fortunati degli altri e scopriamo effettivamente qualcosa." mormorai, avanzando qualche passo nella direzione opposta al vetro. Poi mi bloccai di scatto e girandomi, puntai il dito contro entrambi i ragazzi, guardandoli in cagnesco. "Vedete di comportarvi in modo civile, brutte teste di caspio." li minacciai. "Se sento un solo sibilo, una sola parola acida, vi farò rimpiangere di essere rimasti dalla parte sbagliata del vetro. Intesi?"

I ragazzi si scambiarono un'occhiata piena di disprezzo, poi girarono il viso dalla parte opposta. Usandomi come sparti acque, Stephen si mise alla mia destra e Gally alla mia sinistra. Scossi la testa affranta, ripetendomi che forse rimanere sola con loro sarebbe stato più semplice di quello che mi aspettavo, e continuai a camminare, attorniata da silenzio e disprezzo. Il loro odio reciproco era palpabile, come se un'aurea scura li circondasse, rendendoli inapprocciabili perfino per me. Dopo tutto quel tempo ancora non riuscivo a capacitarmi di come potessero andare così in disaccordo e non riuscivo nemmeno a trovare il motivo del loro disprezzo reciproco: dopotutto, nessuno dei due aveva fatto un torto all'altro.

L'unica cosa che li accomunava, veramente, era la mia amicizia e, nonostante fossi consapevole che il novanta per cento dei loro litigi riguardasse la mia persona, odiavo dover accettare il fatto che il motivo della loro antipatia costante fossi proprio io. Non avevano motivo di essere gelosi l'uno dell'altro, né men che meno dovevano sentirsi in dovere di proteggermi dalle cattiverie dell'altro, eppure lo facevano ogni volta.

Decisi di accantonare l'argomento nella mia mente, per fare spazio a ciò che, in quel momento più che mai, ci sarebbe tornato utile: trovare una via d'uscita – o anche d'entrata in qualche luogo interessante. 
Come da programma, tornammo da dove eravamo arrivati, riuscendo per miracolo a tornare verso quella che doveva essere la parete scorrevole che svelava la Scatola al suo interno. Non ci perdemmo, nonostante il mio sesto senso lo avesse predetto più volte, e alla fine riuscimmo davvero a tornare sui nostri passi, imboccando il corridoio nella direzione opposta a quella che avevamo già intrapreso.
Rimanemmo in un silenzio di tomba finchè Stephen parlò, la voce totalmente sorpresa e priva di ogni disprezzo verso Gally. "Ci sono altri tubi!" annunciò felice, indicando il soffitto e mostrandoci ciò che ci sembrava di aver già visto nella direzione che avevamo preso precedentemente.

"Cosa? Ci siamo già persi?" domandai scoraggiata. "Ma abbiamo appena imboccato il corridoio opposto, com'è possibile che siamo tornati indietro?"
Sentii Gally ridacchiare accanto a me e, quando lo guardai in cagnesco – più frustrata per il fatto di esserci persi, che per altro – lo vidi scuotere la testa e limitarsi ad un sorrisetto divertito.
"Non ci siamo persi..." spiegò con calma. "Abbiamo semplicemente trovato altri tubi."

Serrai le labbra e mi schiaffeggiai mentalmente per essere arrivata così velocemente alla conclusione sbagliata. Ero talmente stressata e preoccupata per la situazione in cui ci eravamo infilati che saltare a conclusioni negative mi veniva spontaneo.
Mi portai una mano sulla fronte e la strisciai sul volto nel tentativo di riprendermi. "Sì, giusto..." mormorai scuotendo la testa e sorridendo appena.

"Il problema è: se noi stiamo seguendo i tubi dell'acqua, gli altri cosa stanno seguendo?" domandò Stephen continuando a fissare il soffitto.
Sentii Gally brontolare tra sé e sé, poi acidamente, rispose al ragazzo: "Non necessariamente sono i tubi dell'acqua, brutto idiota. Magari trasportano..."

"Chissà, sarò anche idiota, ma una cosa è sicura: tu non sai leggere." ribattè Stephen aprendo le braccia e guardandolo con fastidio. Poi allungò una mano al soffitto, riuscendo ad avvicinarsi ai tubi di qualche spanna, l'indice dritto su un punto preciso del tubo. "Qui c'è scritto H2O, brutto deficiente."
Mi dovetti trattenere dallo scoppiare dal ridere, sia per mantenere la serietà delle parole minacciose che avevo rifilato loro precedentemente, sia perché non volevo rischiare di gettare benzina sul fuoco.
Osservai Gally irrigidirsi e stringere i pugni sui fianchi. "Bene, Einstein, allora conduci tu dato che sei così perspicace."

"Oh, per una volta hai fatto un'ottima scelta. A forza di stare con noi due inizia ad alzarsi la tua intelligenza." mormorò Stephen con un sorrisetto falso sulle labbra, poi si voltò dalla parte opposta e prese a camminare velocemente, nonostante il continuo zoppicare, ordinandomi dopo poco di rimanere al suo fianco.
Prima di allungare il passo verso il ragazzo dai capelli bianchi, lanciai uno sguardo leggermente divertito a Gally, che prima grugnì, emettendo un suono simile al ringhio di un cane, poi mi seguì lungo il corridoio senza proferire parola.

Ci affidammo veramente a Stephen, seguendolo corridoio dopo corridoio senza mai dubitare del suo senso dell'orientamento. Dopotutto, quando era nel Labirinto, prima di essere tirato fuori dai Creatori, era un Velocista. Ero sicura che tra i tre, lui fosse il più qualificato a farci da guida.
Ad un certo punto infatti raggiungemmo finalmente quella che era la prima porta che incontravamo in tutto il tragitto. Ci guardammo un po' a vicenda, intenti sul da farsi, poi decidemmo di aprirla di scatto, nel tentativo di cogliere di sorpresa chiunque si trovasse dalla parte opposta. L'idea era che – mentre Gally prendeva la carica e cercava di sfondare la porta con una sola spallata – io e Stephen stavamo pronti con le armi puntate, in modo da ferire o uccidere chiunque fosse dalla parte opposta. Per quanto potesse sembrare disumano o orribile il pensiero, sapevamo tutti di non poterci permettere di mantenere in vita anche solo una persona dello staff della W.I.C.K.E.D.

Avevamo imparato per esperienza che correre un rischio del genere solo per preservare ciò che ci era rimasto di umano, era da stupidi. In casi come quelli, la pietà e la tenerezza non potevano avere un posto nei nostri cuori: ciò di cui non ci sbarazzavamo, poi tornava a tormentarci. Dovevamo concludere quel capitolo una volta per tutte e quella volta avremmo fatto sì che nessun cattivo sopravvivesse a quella missione.
L'obbiettivo finale era salvare i bambini e ciò comprendeva anche radere al suolo qualsiasi minaccia presente e futura che sarebbe potuta tornare ad assillarli durante il resto delle loro vite.

"Pronti?" il sussurro di Gally mi riportò bruscamente alla realtà. Strinsi le dita sul mio arco, lo tirai ancora di più e avvicinai la coda della freccia alle labbra, espirando delicatamente. L'aria vibrò quando la buttai fuori e per un attimo riuscii ad allentare la tensione sui miei muscoli. Rilassai le spalle e pensai a Hailie e ad Elizabeth, immaginandomele sul lettino di ferro che mi aveva perseguitato per anni. Eravamo vicini, dovevamo solo trovarle e salvarle.

Annuii leggermente, rispondendo a Gally e dandogli il via. Il ragazzo prese la carica e quando andò a sbattere sulla porta, scaricando tutta la sua forza sulla spalla, l'entrata si spalancò con facilità, facendolo rotolare a terra immediatamente. Il ragazzo doveva aver inciampato sui suoi stessi piedi oppure doveva aver perso l'equilibrio per colpa della troppa forza impiegata.

Precipitò a terra con poca grazia e facendo decisamente parecchio rumore. Io e Stephen, invece, ci fiondammo nella stanza, ignorando per il momento i grugniti di dolore che emanava il ragazzo ancora steso a terra, nel tentativo di riuscire a rendere il luogo sicuro.
Quando, dopo aver perlustrato il perimetro più volte, ci rendemmo conto di essere soli, sentii Stephen ridere di gusto e, voltandomi verso di lui, lo vidi allungare il braccio verso il Costruttore, ancora steso a terra dolorante, con una mano premuta sulla spalla. "Dio, immaginavo fosse aperta." borbottò il ragazzo dai capelli bianchi con le lacrime agli occhi.

Mi guardai attorno, ispezionando solo in quel momento il luogo in cui eravamo finiti. Ero stata così concentrata sullo scovare una figura umana pronta a disintegrarci, che per un attimo mi ero scordata di controllare lo spazio che ci circondava.
Eravamo in una piscina al coperto, lunga come minimo venticinque metri e larga più o meno la metà. L'odore di cloro mi pervase le narici quando mi avvicinai a Gally, steso poco distante dal bordo della piscina, intento a litigare con Stephen e rifiutando la sua mano quando il ragazzo si propose di aiutarlo a rialzarsi. "Immaginavo fosse aperta, ma cacchio, non mi sarei perso questa scena per nulla al..."

La voce del ragazzo si spezzò non appena un sibilo delicato ma veloce fendette l'aria, facendomi subito alzare lo sguardo sul ragazzo dai capelli bianchi, che ora aveva un dardo conficcato sul collo. Vidi il suo corpo irrigidirsi immediatamente, la sua mano alzarsi debolmente verso il punto ferito. Il ragazzo tolse la freccetta dal suo collo e la esaminò con un sorrisetto divertito sulle labbra. "Porco caspio." biascicò ridacchiando. Poi tutto accadde velocemente: il suo corpo si rilassò di colpo, la sua mano ricadde floscia sul fianco, perdendo la presa sul dardo e il suo busto si piegò all'avanti, trascinando il resto del corpo dentro l'acqua della piscina.

Come se fossi stata trattenuta da un'ombra invisibile, solo quando la sua figura si disperse dentro l'acqua riuscii davvero a muovermi, riprendendo a ragionare e ad agire. Mi voltai nella direzione dalla quale il dardo doveva essere partito, puntando l'arco incoccato in diversi punti in quella stanza. Non lo individuai subito, infatti fu la seconda freccetta avvelenata a tradire la sua posizione: la guardia, evidentemente presa dal panico, non solo mancò il bersaglio, lanciando il dardo a qualche spanna dal mio collo, ma mi fissò anche con occhi sbarrati, pietrificato sul posto. A quel punto, mirai verso il malloppo di materassini impilati in orizzontale, dietro ai quali si nascondeva la sua figura nera, intenta a ricaricare con mano tremante l'arma.

Non mi ci volle molto per prendere la mia decisione: nessuna pietà, era quella la mia promessa. Non esitai, come invece fece lui nei ricaricare il suo arnese lancia-dardi, e lasciai che la mia freccia si librasse nell'aria con una precisione micidiale, oltrepassando metà della piscina e conficcandosi nel cranio dell'uomo che si accasciò dietro ai materassini che aveva scelto come inutile riparo.

Non mi premurai nemmeno di andare a controllare se fosse morto o meno: mi bastò sentire il rumore del suo corpo accasciarsi a terra. Mi voltai di nuovo, incoccando una nuova freccia e facendo scorrere lo sguardo per tutta la lunghezza della piscina, in cerca di un'altro nemico.

Quando mi fui accertata che l'uomo fosse solo, lasciai il mio arco a terra e mi gettai in acqua. A dire la verità, mi sarei aspettata che Gally fosse già dentro la piscina, intento a tirare fuori l'altro ragazzo mentre io mi occupavo di eventuali minacce, ma contro ogni aspettativa, il ragazzo era rimasto immobile a terra, troppo terrorizzato e colto alla sprovvista per agire.

Quando l'acqua mi perforò il petto, più gelida di quanto mi aspettassi, sentii i miei muscoli irrigidirsi e la mia mente risvegliarsi da ogni intorpidimento. Mi mossi velocemente verso il fondo della piscina, dove giaceva il corpo oramai privo di sensi di Stephen e tra una bracciata e l'altra riuscii a raggiungerlo con poca fatica, nonostante i miei vestiti mi ostacolassero molto i movimenti.

Quando lo raggiunsi, lo afferrai saldamente da sotto le ascelle, poi mi piegai sulle ginocchia e, dandomi un forte slancio, iniziai a scalciare quanto più forte possibile per raggiungere la superficie. Nel panico e nella fretta del momento, mi ero dimenticata la cosa più importante da fare prima di gettarsi in acqua nel tentativo di prevenire un annegamento: prendere un bel respiro.

E così, arrivata nemmeno a mezza via, mi sentii presa alla sprovvista: non solo la piscina era più profonda di quanto mi immaginassi, ma il corpo di Stephen sott'acqua non era di certo leggero se a nuotare ero solamente io. Iniziai a scalciare con più vigore quando sentii i polmoni bruciare e contrarsi disperati in cerca d'ossigeno.

Non respirare. Mi ordinai. Non tossire. So che vuoi farlo, vuoi prendere aria, ma resisti all'istinto di aprire la bocca. Continuai a ripetermi più e più volte.
Perchè cacchio Gally non si è ancora gettato in acqua? Mi domandai poi, terrorizzata all'idea che nell'istante in cui mi fossi lanciata in acqua, altre guardie fossero accorse nella stanza, dando problemi all'unica persona rimasta in superficie.

Delle bollicine mi uscirono dalle labbra, animate da un grugnito di fatica e di dolore, quando aumentai ancora la spinta sulle gambe, questa volta spingendo anche il corpo del ragazzo verso l'alto nel tentativo di farlo riemergere per primo.
Quando finalmente riuscii nel mio intento, mi rimasero ben poche forze a disposizione e lentamente riuscii a tirarmi con la testa fuori dall'acqua, iniziando a boccheggiare disperata, tenendo sempre d'occhio il ragazzo dai capelli bianchi, nella speranza che si risvegliasse e che mi aiutasse a trascinarlo fuori da quella dannatissima piscina.

Sperai anche che Gally si sarebbe precipitato ad aiutarmi, ma nemmeno questo successe: come temevo, preso alla sprovvista e disarmato di qualsiasi arma a lunga distanza, il ragazzo si era impossessato del mio arco e ora stava cercando di centrare la testa di un tizio che continuava a saltellare da una parte all'altra per evitare i suoi colpi.

Sbattei ancora i piedi e, aiutandomi anche con un braccio, riuscii a portare entrambi verso l'angolo della piscina. La vista del sangue arrivò prima del dolore, come ad annunciarlo. Non appena cercai di issare il corpo del ragazzo sulla sponda, qualcosa sulla mia pelle si strappò. Inizialmente non pensai ai punti che Violet mi aveva dato, piuttosto credetti che mi fossi sforzata a tal punto da strapparmi i tendini.

Solo quando vidi il rosso del mio sangue mischiarsi al cloro e disciogliersi nella piscina, compresi di aver fatto saltare in aria tutto il lavoro della mia amica. Poi, come se la vista del sangue avesse risvegliato i miei sensi, il dolore prese a tormentarmi il fianco, facendomi rivivere più e più volte la pugnalata che avevo ricevuto dal robot della sorella di Stephen. Potevo sentire la lama del suo coltello conficcarsi nuovamente dentro la mia pelle, per poi venire estratta lentamente e fatta rientrare con altrettanta lentezza. Fu una tortura che non si alleviò finché due braccia calarono prima su Stephen, liberandomi dal suo peso e poi su di me, trascinandomi fuori dall'acqua.

Dopo aver portato il corpo di Stephen interamente fuori dalla piscina, le mani di Gally si focalizzarono su di me. Per quanto mi sentissi male a fare il peso morto e a non aiutarlo per niente nel trascinarmi fuori dall'acqua, i miei muscoli sembravano essersi atrofizzati, lasciandomi con un leggero tremolio lungo gambe e braccia. Non appena la mia pancia toccò la sponda della piscina, feci forza sugli avambracci e riuscii a strisciare lontano dall'acqua, i vestiti zuppi incollati al corpo e il respiro corto. Gattonai verso Stephen, notando che Gally si fosse già attivato per rianimarlo, eseguendo delle manovre che non mi erano del tutto nuove. Tuttavia lo lasciai fare, sicura che sapesse come procedere, data la sicurezza che mostrava.

Dopo diverse spinte sul petto, finalmente Stephen iniziò a tossire, spuntando fuori acqua, ma ringoiandone la metà. Gally lo tirò a sedere e iniziò ad assestare colpi sicuri sulla sua schiena nel tentativo di aiutarlo a gettare tutto fuori, ma gli occhi del ragazzo dai capelli bianchi rimanevano chiusi e il suo corpo sembrava floscio tra le mani del Costruttore.
Quando la scarica di tosse terminò, il ragazzo si riaccasciò a terra, biascicando un qualcosa che né io né Gally comprendemmo. Da lì non si mosse più.

Solo quando mi avvicinai al corpo del ragazzo, il Costruttore alzò lo sguardo su di me e i suoi occhi si intinsero di paura non appena li posò sulla mia maglietta, bagnata di acqua e di sangue.
Si precipitò su di me prima che potessi dire qualsiasi cosa e mi sollevò la maglietta quanto bastava per scoprire la garza imbevuta di liquidi misti. La tirò appena verso di sé per sbirciare la ferita che nascondeva e, quando il suo volto impallidì, compresi di essere messa più male di quanto credessi.

"Premi sulla ferita." ordinò secco, togliendosi di fretta la maglietta e portandola immediatamente sulla garza ormai inutile. "Devi tamponare, Eli. Hai capito?"
Annuii debolmente, sentendomi ancora stanca e fiacca. Mi pesavano le ossa, come se si fossero imbevute d'acqua anch'esse, i miei occhi bruciavano, probabilmente per colpa del cloro e i miei muscoli sembravano ancora non essersi ripresi dallo shock.
"Non riesco a portare sia te che lui, riesci a camminare?" mi domandò preoccupato, poi dopo aver ricevuto un mio cenno, continuò: "Dobbiamo andarcene immediatamente da qui."

 

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Capitolo 58
*** Capitolo 51. ***


Nonostante avessimo abbandonato la piscina da ormai qualche minuto e ci fossimo buttati nei corridoi alla ricerca di una farmacia o di una qualsiasi stanza che potesse darci riparo, Stephen non sembrava volersi riprendere. Gally lo aveva caricato in spalla e quindi il suo camminare era più lento del solito, cosa che però non mi dava affatto fastidio dato che, qualsiasi movimento facessi, la ferita al fianco non faceva altro che ricordarmi della sua presenza.

Non sapevamo esattamente cosa avessero iniettato al ragazzo, ma prima di partire gli avevo fatto un controllo generale molto veloce e tutti i suoi valori sembravano essere giusti: temperatura, battito cardiaco, ritmo del respiro, ecc...
Sicuramente però, una cosa era certa: se avevano utilizzato su di lui un tranquillante e non un'arma da fuoco, poteva stare a significare solo che ci volevano vivi e in salute. Per quale scopo, però, era alquanto incerto. Poteva essere per sottoporci ad un semplice interrogatorio sul come avevamo rintracciato la sede, oppure –per quanto ci riguardava – avrebbe anche potuto essere che la W.I.C.K.E.D. necessitava dei soggetti per altri esperimenti.

In realtà non importava quali fossero gli scopi celati dietro all'uso di sonniferi piuttosto che pallottole, dato che di certo non ci saremo arresi così facilmente. Anzi, poteva anche essere una caratteristica da sfruttare a nostro favore: se la W.I.C.K.E.D. non aveva davvero intenzione di farci male o ucciderci, questo ci permetteva di poterci andare giù più pesantemente con le guardie che incontravamo.
L'unica cosa che forse in quella situazione andava a nostro sfavore, era che, bagnati come eravamo, io e Stephen stavamo lasciando goccioline ovunque, marcando così la strada che percorrevamo. Se delle guardie ci erano alle calcagna, ben presto ci avrebbero raggiunti. Dovevamo attuare un piano intelligente, ma che ci avrebbe fatto guadagnare tempo.

Come se il fato avesse sentito i miei pensieri, io e Gally raggiungemmo ben presto la fine della struttura. Nonostante fossimo stati attenti, sul piano in cui ci trovavamo non c'era nulla di utile: solo qualche magazzino contenente scartoffie e altre stanze contenenti oggetti per pulire e detersivi vari. L'unica porta che non eravamo riusciti ad aprire però, era stata quella che sicuramente doveva condurre ai purificatori dell'acqua per la piscina o comunque a macchinari simili, dato che appoggiando l'orecchio avevamo sentito rumore di sbuffi, ingranaggi e qualche bip elettronico. Tutti segni di una macchina al lavoro.
Il corridoio in cui ci trovavamo in quel momento, però, ci stava offrendo una via alternativa: proprio alla fine di esso ci stava attendendo un ascensore.

Non ci badammo molto a prendere una decisione e in men che non si dica stavamo già esaminando i pulsanti che portavano ai piani inferiori. Alcuni, tuttavia, erano ad accesso limitato e necessitavano di una chiave per poter essere sbloccati. Ci limitammo così a cliccare -2 e ad attendere la chiusura delle porte metalliche.
Con uno scossone poco rassicurante, l'ascensore iniziò a scendere, portandoci nella meta da noi indicata. Prima che le porte si riaprissero con uno sbuffo, il mio arco era già teso e pronto per eventuali stragi di massa, ma – proprio come nel piano che avevamo appena visitato – non c'era nessuno ad attenderci.

"Dobbiamo continuare. Non abbiamo tempo per controllare il perimetro." borbottò Gally dietro di me, la voce che gridava stanchezza e la fronte imperlata di sudore.
Annuii e prima di proseguire lanciai un'occhiata alla maglia che Gally mi aveva prestato per tamponare la ferita. Grazie al ragazzo ero riuscita a legarmela al fianco con la sua cintura e a tenerla così premuta contro la ferita, ma lasciandomi comunque le mani libere. Nonostante il panno iniziasse a macchiarsi lentamente di rosso, sembrava che avrebbe retto ancora per un po' di tempo.

Procedemmo così in fila: io per prima, con l'arco puntato e gli occhi guizzanti da una parte all'altra, e Gally dietro, con Stephen ancora dormiente in spalla.
Passammo di fianco a diverse stanze, tutte rigorosamente chiuse a chiave, ma non ci sforzammo nemmeno per buttarle giù ed irrompere: nel corridoio erano presenti diverse finestre trasparenti che permettevano al visitatore esterno di gettare un'occhiata al contenuto della stanza. Tutte in realtà erano simili all'interno: semplici camere da letto con un lettino, un tavolo, una sedia e una porta che dava in uno stanzino privato – probabilmente una sottospecie di bagno. 
Un'altra caratteristica che accomunava tutte le stanze era però il loro essere vuote, totalmente inabitate. In altre parole, eravamo finiti in corridoi deserti.

Continuammo a cercare una farmacia, ma senza mai avere successo, finchè non sentimmo dei rumori alle nostre spalle.
Ci bloccammo di scatto e rimanemmo all'ascolto: delle guardie ci avevano raggiunti con l'ascensore e – credendoci probabilmente distanti – avevano iniziato ad impartire ordini ad alta voce, dandoci così un'anticipazione sulle loro mosse.
"Mentre noi perlustriamo questo piano, la squadra alfa e beta si dirigeranno ai piani inferiori." ordinò una voce maschile abbastanza ovattata, come se stesse indossando una maschera o un casco che stesse attutendo la sua voce. 
"Mi raccomando, ci servono vivi." continuò poi.

Un rumore di passi si diffusero per i corridoi, come rintocchi di orologio e per un attimo mi ricordai di non avere tempo a disposizione. Noi eravamo lenti, loro veloci e probabilmente ci superavano anche numericamente.
Dovevamo giocare quella partita in modo astuto, prenderli alla sprovvista.
"Gally." sussurrai, facendogli cenno col mento di proseguire. 
Continuammo a muoverci quanto più silenziosamente possibile. Oltrepassammo stanza dopo stanza, stando meno attenti al contenuto che ci si presentava ogni volta di finestra in finestra. Svoltammo un angolo e una nuova fila di stanze con finestre ci si pose davanti: se continuavamo così non avremmo mai trovato un rifugio sicuro.

Continuammo a camminare velocemente finchè un movimento repentino all'interno di una delle stanze catturò il mio sguardo. Per una frazione di secondo notai una testa bionda sparire dalla vista della finestra e precipitarsi al riparo dietro il muro, andando così a nascondersi nell'unico punto cieco che la finestra non permetteva a nessun visitatore esterno di inquadrare.
Quel piccolo movimento fu talmente veloce e minimo che Gally non lo notò nemmeno, continuando a camminare, falcata dopo falcata, verso il corridoio successivo.

"Gally!" lo richiamai, sussurrando per evitare che le guardie ci sentissero. "C'è qualcuno qua dentro!"
Vidi il ragazzo frenare e girarsi lentamente, guardandomi con occhi fuori dalle orbite, più per la fatica che per la paura. "Non abbiamo tempo per..."
Il ragazzo venne interrotto dai passi sempre più vicini delle guardie. A occhio e croce forse avevamo un vantaggio di qualche minuto, ma se continuavamo a rimanere là ci avrebbero raggiunti presto.

Poi, come un lampo a ciel sereno, un'idea folle mi balenò in testa. Folle, pensai. Ma forse l'unica che abbiamo.
Non avevo a disposizione il tempo necessario di esplicare il mio piano al ragazzo, il quale ora mi guardava impaziente e spaventato. 
"Fidati di me e vai." ordinai, poi vedendolo scuotere la testa, aggiunsi: "Ti prego, Gally. Fidati."

Lo vidi tentennare mentre i secondi passavano preziosi. Allargò le narici e sospirò, sul suo volto calò un velo di preoccupazione che gli scurì lo sguardo, facendo diventare la sua espressione totalmente cupa. Poi, prima che si voltasse e riprendesse la sua marcia, aggiunsi un altro dettaglio importante: "Cerca di fare più rumore che puoi mentre avanzi."
Lo vidi aggrottare le sopracciglia confuso, ma non mi disse nulla e, senza attendere altro, riprese la marcia, battendo i piedi a terra e iniziando a respirare affannosamente e rumorosamente.

Abbozzai un sorrisetto, ma non lo osservai andarsene. Mi era rimasto poco tempo per reagire e dovevo fare tutto in fretta, ma anche  con precisione. Se il mio piano falliva, molto probabilmente non avrei più visto Gally, né men che meno la luce del sole.
Mi portai l'arco in spalla e feci un balzo verso l'estintore rosso che rimaneva attaccato alla parete adiacente la porta in cui avevo visto la testa muoversi. Con uno strattone lo sfilai dal suo giaciglio e, brandendolo con decisione, impiegai tutta la mia forza e precisione per dare un unico colpo secco, ma decisivo.

Lo alzai in aria e, incanalando nelle mie braccia tutta la forza e il coraggio che mi erano rimasti, lo abbattei sulla maniglia che non solo produsse un orribile suono che si diffuse per i corridoi, ma cadde anche a terra, aprendomi così la via di entrata in quella stanza.
"Veloci!" sentii il capo delle guardie urlare, probabilmente rianimato da tutto il casino che stavamo facendo.

Rimisi l'estintore nel suo posto e raccolsi la maniglia. Aprii leggermente la porta e, sperando che il mio piano funzionasse alla perfezione, tentai di rimettere la maniglia al suo posto, riuscendo così ad incastrarla nuovamente nel legno. L'unico dettaglio diverso dall'immagine precedente che avevo di quella porta era solamente un'ammaccatura nella parte superiore della maniglia, ma sperai che le guardie non ci avrebbero fatto caso.
Ascoltando il mio cuore martellante nel petto, mi gettai all'interno della stanza, richiudendola silenziosamente dietro di me.
La prima parte del piano era terminata. Ora dovevo solo sperare che le guardie mi passassero oltre, seguendo i rumori che Gally avrebbe dovuto lasciare sul suo cammino.

Se tutto andava secondo i piani, sarei riuscita a coglierli alla sprovvista facendo un attacco alle spalle ed eliminandoli prima che riuscissero a raggiungere Gally. 
Un movimento all'interno della stanza mi riportò alla realtà, facendomi ricordare di non essere sola.
Presa dal panico mi gettai verso la figura che ancora, data la fatica, la fretta e il terrore, mischiati anche alla poca illuminazione della stanza, non avevo messo a fuoco. 
Individuai le labbra dell'individuo e ci posi sopra la mia mano in modo molto poco delicato e mi appiattii contro di lui, nella speranza che le guardie non ci avrebbero notato dalla finestra. Sentii i loro passi sempre più vicini andare quasi a ritmo del mio cuore, che oramai potevo dire impazzito.

Sentii una vibrazione sotto il mio palmo e per una frazione di secondo mi permisi di far passare il mio sguardo dalla finestra alla persona che stavo decisamente tenendo in ostaggio sotto di me.
I miei occhi ne incrociarono un altro paio.
Il mio cuore cessò di battere per un momento che mi sembrò infinito. 
Il respiro mi venne a mancare. 
Un groppo alla gola e una confusione nella testa mandarono il mio corpo in tilt.
Mentre la mia bocca si spalancava incredula, il ragazzo parlò di nuovo, le sue parole nuovamente soffocate dal mio palmo.

Capelli biondi in crescita su una testa rasata e in parte bendata, occhi color mandola più stanchi del solito, naso a patata e guance rosse.
L'unica cosa che non mi ritornava in quella figura era l'odore. Non era il suo, era diverso.
Dimenticandomi delle guardie ancora distanti, ma per poco, feci un balzo all'indietro e puntai una delle mie frecce contro la figura, sentendomi così ferita e a pezzi, nonostante non fosse la prima volta che la W.I.C.K.E.D. tentava quel giochetto su di me.

"Una parola e ti faccio saltare il cervello." ordinai, gli occhi lucidi per lo shock derivante dall'inaspettato. 
Perchè anche se questa volta ho scoperto il loro gioco, mi sento comunque così? Pensai, tirando indietro le lacrime ed ignorando il dolore forte al petto. 
Vidi il ragazzo sobbalzare alle mie parole dette con cattiveria, ma segnate anche dalla stanchezza e dalla rassegnazione. Poi, la sua bocca si aprì, ignorando totalmente la mia minaccia di prima. "Eli?"
Fu l'unica frase che pronunciò, con dolore e sorpresa segnati sul volto.

"Fai basta, ti prego." sussurrai, facendo del mio meglio per ricacciare giù il groppo alla gola. 
"Sono io." continuò lui insistente, muovendosi in avanti. "Cioè... non del tutto io, ma..." lo vidi scuotere la testa e per un momento sentii la mia voce interiore rassicurarmi, dicendomi che se per quella volta mi volevo lasciar andare e abbandonarmi alla fantasia che quello che mi si parava davanti era davvero lui, allora andava bene. Solo per una volta.

"Eli, sono io." ripetè lui con più convinzione. "Cacchio, sono Newt!"
Sentii una lacrima scivolarmi calda sulla guancia e prima che mi raggiungesse le labbra, delle ombre si avvicinarono correndo alla finestra. Feci appena in tempo a togliere la freccia dall'arco e a precipitarmi al fianco del ragazzo che le guardie passarono veloci davanti la stanza, non notando le nostre figure e oscurandoci per un attimo la luce dell'esterno.
Solo allora notai che le stanza non fosse dotata di luci, nonostante fosse abitata.

"Cosa stai..." 
Gli assestai una gomitata sul fianco, irritata dalla sua presenza. "Zitto." ordinai, nel tentativo di concentrarmi sul rumore dei passi esterni per dimenticarmi la sensazione di vuoto al cuore. Trattenni il respiro e per un attimo mi sentii mancare quando tutti i passi sorpassarono la porta della stanza tranne uno, che rimase a far ombra davanti al vetro. 
Sentii un colpo deciso sulla parete di vetro, poi un altro e subito capii. Una delle guardie voleva accertarsi che Newt – o meglio, un'altra delle sue copie – fosse ancora chiusa dentro la stanza. Assestando un altro colpo sulle costole metalliche del robot, gli indicai la finestra, ordinandogli tacitamente di alzarsi in piedi e farsi vedere.

Lui obbedì senza fiatare e, dopo essersi eretto in tutta la sua altezza, vidi la sua mano sollevarsi dal fianco. Per un attimo pensai che mi avrebbe tradito, indicando la posizione di una persona aggiuntiva in quella stanza, ma, abbattendo le mie aspettative, vidi il robot salutare con un sorrisetto sarcastico sulle labbra. La guardia, decisamente irritata, diede un altro colpo sul vetro e poi si precipitò verso gli altri, ormai più distanti.
Quando sentii anche i suoi passi oltrepassare la porta, compresi che quella fosse la mia ultima chance per attuare il mio piano. Dovevo riuscire a mettere da parte i sentimenti contrastanti e agire con lucidità. Alla copia di Newt avrei pensato dopo.

Scattai in piedi, ignorando le continue domande della copia che stava visibilmente cercando di raccogliere quante più informazioni possibili per fare poi rapporto alla W.I.C.K.E.D.
Caricai l'arco e, dando un calcio alla porta, la spalancai, facendo ricadere a terra la maniglia rotta.
La guardia, che ancora non aveva girato l'angolo a differenza del resto del gruppo, si girò di scatto verso di me, tenendo in mano una pistola alquanto singolare. Prima che riuscisse a prendere la mira e a fare fuoco, la mia freccia si conficcò nel suo petto, facendo un suono umidiccio. Prima che il suo corpo cadesse rumorosamente a terra, mi precipitai su di lui, afferrandolo giusto in tempo e accompagnando la sua caduta a terra.
Senza fermarmi, ripartii lungo il corridoio, incoccando un'altra freccia e puntandola sulla prossima guardia.

Prima che l'ultima della fila girasse l'angolo insieme al resto della squadra, la abbattei con un'altra freccia, questa volta trafiggendo il suo cranio da tempia a tempia, perforando addirittura il casco protettivo che indossava. La distanza che ci separava era troppa per essere coperta con una corsa, perciò lasciai che il suo corpo cadesse a terra, attirando così l'attenzione delle altre guardie. 
Mi riparai dietro l'angolo da cui ero appena sbucata e attesi pazientemente il ritorno imminente del resto del corpo di guardia.

Caricai la freccia e la puntai più o meno ad altezza testa, attendendo la mia prossima vittima. Fui fortunata, dato che non solo una guardia fece capolino, cadendo nella mia trappola, ma addirittura un'altra la seguì a ruota, avvicinandosi di più a me e puntandomi contro la pistola, ma senza riuscire a concludere niente. 
Anch'essa cadde a terra con un grugnito.
Quando vidi solo la canna di una pistola sbucare da dietro l'angolo con un accenno di testa, mi riparai immediatamente, evitando per un pelo il proiettile che l'uomo aveva appena sparato.

Puntai lo sguardo in avanti, osservando ciò che quella strana pistola aveva sputato fuori e rendendomi conto che non fosse affatto una pallottola, bensì una specie di capsula contenente un liquido bianco, che era appena esploso sul muro.
Caricai un'altra freccia e feci capolino, mirando in fretta e purtroppo sbagliando obbiettivo. 
Prima che la mia freccia si conficcasse nel muro con uno schianto, mi riparai dietro l'angolo, evitando la seconda capsula di liquido.
Lanciai uno sguardo al corridoio dove notai l'arma della prima guardia che avevo ucciso. La pistola era poco distante da me, ma allungarmi per prenderla avrebbe significato uscire allo scoperto e rischiare di venire colpita. Mi serviva un diversivo, un qualcosa che distraesse la guardia.

Poi mi si accese una lampadina. L'estintore!
Mi precipitai a prenderlo, notando che la copia di Newt fosse ancora impalata davanti alla porta, fissandomi con occhi socchiusi e stranamente lucidi, come se lo sbalzo di luce dalla stanza in ombra al corridoio illuminato gli avesse dato fastidio. 
"Hai intenzione di startene lì impalato?" domandai scocciata, pensando che se non mi aveva ancora uccisa, forse c'era un motivo. Se non altro magari riuscivo a convincerlo ad aiutarmi.
Lo vidi scuotere la testa e sobbalzare leggermente, poi prese tra le braccia l'estintore e nei suoi occhi si accese una scintilla che interpretai come adrenalina o emozione.

Lanciai uno sguardo alle fasciature sulla sua testa e mi domandai se stessero inserendo nei programma dei robot delle funzioni aggiuntive che gli permettessero di ricopiare le emozioni umane a seconda della situazione.
"Al mio cenno, inizia a spruzzare tutto nel corridoio, okay?" domandai, vedendolo annuire e avvicinarsi insieme me all'angolo.
Prima di procedere, incoccai una seconda freccia e feci capolino oltre il muro, notando che la guardia che prima mi stava puntando, ora stava cercando di avvicinarsi a me, passando rasente al muro.
Riuscii ad abbatterla appena in tempo, prima che una pallottola dall'angolo in cui era precedentemente posizionato, mi graffiò il bicipite, lasciando un piccolo graffietto ma nient'altro.

Mi riparai dietro il muro, mentre la capsula che mi aveva mancata esplodeva a terra dietro di me. Lanciai un'ultimo sguardo verso la pistola a terra. Mi sarebbe bastato fare un balzo verso l'esterno, per poi prenderla e tornare al mio posto. 
Se la copia di Newt faceva bene il suo lavoro, potevo anche farcela.
Così mi voltai verso di lui e lo beccai a fissarmi con occhi preoccupati. Ignorando il suo sguardo e il suo rossore improvviso sulle guance, che non facevano altro che logorarmi il cuore, mi ripetei ancora una volta che il mio Newt fosse morto. Nel tentativo di togliermi dalla testa emozioni contrastanti nell'averlo vicino a me, annuii dandogli il segnale e lo osservai sollevare le sopracciglia sorpreso e arrossire ancora di più.

Il ragazzo impugnò saldamente l'estintore poi si gettò oltre l'angolo, spruzzando un gas biancastro lungo tutto il corridoio. Agii non appena il biossido di carbonio si diffuse nell'aria, creando una nuvola bianca e spessa: mi gettai anche io oltre l'angolo e riuscii ad afferrare non solo la pistola che avevo individuato, ma anche quella appartenente alla guardia che avevo appena ucciso; poi senza perdere il vantaggio che quella nebbia mi aveva regalato, puntai entrambe le pistole verso le poche guardie rimaste, che ora stavano cercando disperatamente di togliersi i caschi dalla testa per vedere meglio. Sparai quattro colpi e le atterrai tutte, servendomi delle loro stesse armi per farli fuori.

Decisi per sicurezza di prendere alcuni dei rifornimenti appesi alle cinture delle guardie ormai fuori combattimento, poi li derubai di tutte le loro armi, infilandone un po' nella cintura premuta sulla ferita e un po' sotto l'elastico dei pantaloni.
Mentre mi precipitavo a raccogliere l'ennesima pistola, sentii un braccio afferrarmi da dietro, facendo scattare in me l'istinto di sopravvivenza. Mi voltai di scatto e puntai la canna della pistola contro la testa del mio aggressore e, quando riconobbi il suo volto terrorizzato, dovetti trattenermi più volte per non sparare quel colpo che – dato il tremolio delle mie dita sul grilletto – sarebbe potuto partire da un momento all'altro.

La copia di Newt si era inginocchiata accanto a me e ora, celato dietro ad un primo strato di confusione, mi stava osservando preoccupato, ma anche malinconico.
"Fermati un secondo, per favore." mi mormorò affranto, posandomi una mano sulla spalla e indugiando un secondo sul colletto della mia maglia. Poi, cogliendomi del tutto alla sprovvista, il robot abbassò la mia manica lungo il braccio, scoprendo non solo la vecchia cicatrice di proiettile che David mi aveva inciso, ma anche il segnetto meno visibile del morso che uno Spaccato mi aveva regalato nella Zona Bruciata.

Schiaffeggiai il dorso della mano del ragazzo, sentendomi improvvisamente allo scoperto e insicura. Arrossi immediatamente e mi premurai di rialzare la manica, nascondendo le mie cicatrici.
Il ragazzo però non sembrò nemmeno notare quella mia reazione e continuò a fissarmi con occhi innamorati, improvvisamente addolciti da ciò che aveva appena visto, per un motivo o per l'altro.
"Sei davvero tu." lo sentii mormorare, allungandosi all'avanti e avvicinando il suo volto al mio.

 

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Capitolo 59
*** Capitolo 52. ***


Scalciai a terra, sentendomi improvvisamente attaccata. Se il robot avesse cercato di puntare sulla debolezza che mi caratterizzava ogni volta che mi trovavo vicino a Newt – o ad una delle sue copie – non avrei avuto scampo e non mi sarei potuta difendere. Avevo già ucciso una copia del ragazzo, ma non ero pronta a farlo di nuovo. 
Vidi il ragazzo rattristarsi, il suo volto incupirsi mentre si tirava indietro. "Perchè non mi credi?" domandò poi, distaccandosi affranto per il bacio che gli avevo appena negato.

Non ricevendo nessuna risposta da parte mia, poiché ancora stavo cercando di combattere contro i miei sentimenti contrastanti e contro la moltitudine di pensieri nella mia testa, il ragazzo continuò. "Eli, non so cosa ti abbiano fatto per farti diventare così, ma..."
Sentii il groppo alla gola aumentare a dismisura, rendendomi difficile respirare. "Ma ti giuro che sono davvero io. Sono Newt."
Un qualcosa dentro di me, a quel punto, si spezzò, lacerandomi il petto e impedendomi di trattenere oltre le lacrime. 
Riuscendo a stento a parlare oltre la confusione nella mia testa, mi sentii pronunciare una sola parola. "Provalo."

Vidi il ragazzo sorridere, poi prese uno dei miei palmi con delicatezza e lo appoggiò sul suo petto stranamente caldo per essere appartenente ad un robot. Sentii il battito del suo cuore premere ripetutamente sotto il mio tocco, veloce e caldo. 
"Puoi chiedermi qualsiasi cosa, dalla prima volta che ti ho vista dentro quella Scatola, così piccola, ma già testarda e pronta a combattere, fino all'ultima volta che ti ho vista partire con le lacrime agli occhi e ti ho osservato sparire tra gli Spaccati nel Palazzo." fece una pausa di riflessione e, quando ancorò il suo sguardo al mio, non ebbi più dubbi. "Ma credo che questa sia la prova migliore che io possa darti: il mio cuore non ha battuto così per nessuno, se non per te. Solo per te, Eli."

Tra le lacrime e il dolore al cuore, mi lanciai all'avanti senza nemmeno accorgermene. Era stato un riflesso, una vecchia memoria che avevo, un gesto che non avevo compiuto da tempo ma che ora sembrava così naturale e giusto. Nulla aveva più importanza. 
Nascosi il mio volto nell'incavo del suo collo ed inspirai a fondo quel suo odore che, senza riuscire a spiegarmene il motivo, nel tempo era cambiato. 
Proprio come una volta, le braccia di Newt riuscirono a spegnere la confusione nella mia testa, donandomi un senso di pace e facendomi sentire finalmente al sicuro, finalmente completa.

Come se i miei pezzi si fossero riuniti, una sensazione di pienezza sostituì il vuoto al cuore che non avevo mai smesso di provare da quando l'avevo abbandonato al Palazzo degli Spaccati.
"Newt..." sussurrai tra i singhiozzi. "Il mio Newt."
In un certo senso, una parte di me – probabilmente quella più severa, ma anche protettiva nei miei confronti – stentava a credere che il ragazzo biondo che mi si parava davanti fosse davvero Newt.

La parte restante di me invece, continuava a credere che quello fosse davvero il mio Collante. Anzi, doveva crederlo, per forza, ne sentiva la necessità, come se accettare che tutto quello fosse solo un altro imbroglio fosse inconcepibile.
Tutto quel tempo passato senza il ragazzo, pensandolo addirittura morto, non aveva fatto altro che alimentare in me una nuvola nera, che divorava qualsiasi emozione positiva o diversa dal solito grigiore. Mi ero abituata alla sua assenza e, in un certo senso, ero stata costretta a farlo. Ritrovarlo così, nuovamente a far parte della mia vita era...

Non sapevo nemmeno come sentirmi o cosa pensare al riguardo.
Nonostante nella mia testa aleggiassero milioni di domande, di dubbi e di cose da raccontare, sapevo che quello non fosse il momento di esprimere ad alta voce i miei pensieri. Avevo una missione, avevo la vita dei miei amici sulle spalle e quella dei bambini. Per il momento mi sarei lasciata cullare dalla consapevolezza che Newt era di nuovo con me, che stava bene e che era solo un po' più strano del solito.

Ma era con me, ed era quella l'unica cosa che contava.
Mi discostai lentamente da lui, obbligandomi a staccare le mie mani dal suo corpo e lottando contro la paura che, se l'avessi lasciato anche solo per un secondo, sarebbe svanito sotto i miei occhi.
Ti prego... Pensai nella mia testa, credendomi talmente stupida e debole per pregare per cose simili. "Ti prego, non lasciarmi mai più da sola." conclusi a voce alta, senza nemmeno accorgermene.
"Mai più, te lo giuro." rispose lui, annuendo per confermare ciò che aveva appena detto. I suoi occhi erano così sinceri e rassicuranti che chiedergli un altro giuramento sarebbe potuto quasi sembrare mancanza di fiducia. Eppure provavo la necessità di sentirmelo dire. Io dovevo sentire le parole lasciare le sue labbra, dovevo sentirglielo dire.
"Se io ti dico di venire con me, di seguirmi..." iniziai, tirando su col naso e asciugandomi le lacrime sulle guance inutilmente. "Tu prometti che mi ascolti, che mi segui e che non mi lasci mai. Capito?"

Lo sentii ridacchiare, ma non sembrava divertito, anzi, i suoi occhi avevano iniziato ad essere lucidi mostrandomi quanto fosse triste nel sentire la mia necessità di promesse e allo stesso tempo rincuorato nell'avermi finalmente ritrovata. Lo sentii buttare fuori un respiro più forte rispetto agli altri, poi le sue labbra tremarono. "Te lo giuro, Eli. Mi dovranno tagliare le mani per separarmi da te." 
Inspirai a fondo e, rivolgendogli un sorriso, depositai una carezza sul suo volto, sentendomi rivivere a quel contatto. Gli depositai un dolce bacio sulle labbra, assaporando a fondo quel sapore che mi era così mancato e mischiandolo con il salato delle mie lacrime, ma il ragazzo non sembrò nemmeno farci caso, arrossendo all'istante e ricambiando quel gesto d'affetto che fino a quel momento avevo solo potuto vivere nei miei sogni.

Mi abbandonai a quella tenerezza immane, inafferrabile, e mi lasciai cullare dal suo tocco, sentendomi vibrare sotto il tepore delle sue mani appoggiate ai miei fianchi. Dal modo in cui mi stringeva forte a sé, era come se anche lui avesse il terrore di vedermi dissolvere nel nulla. 
Quando compresi che il bacio stesse ormai per finire, mi sentii invadere dalla paura e dalla nostalgia. In un certo senso mi sentivo come se quello potesse essere l'ultimo, e la cosa mi terrorizzava. Non volevo più vedermi privata della dolcezza e delle coccole che il ragazzo mi aveva sempre riservato. 
Volevo riprendere tra le mani quella piccola parte della mia vita che, rispetto a tutto il resto, rimaneva colorata e piena di felicità. Volevo riprendermi la mia vita, la mia allegria. Ora, oltre ai bambini, avevo un altro motivo per rimanere in vita e lottare fino alla fine per proteggere le persone che amavo. 
Non mi sarei lasciata intralciare la strada facilmente.

Posai il mio palmo sulla sua guancia ed esaminai le fasciature sulla sua testa, preoccupandomi all'istante. Se quella non era un'apertura creata per installare un chip con delle emozioni nei robot, come invece avevo creduto prima, allora cosa gli avevano fatto?
"Stai bene, Newt?" domandai preoccupata. "Cosa ti hanno..."
Il ragazzo non mi fece nemmeno finire la frase, che subito rispose senza indugi. "Sto bene, o almeno per ora sembra. Mi stanno tenendo monitorato, dicono che ci vorrà del tempo."

Sbattei le palpebre, tanto confusa dalle sue parole quanto spaventata. "T-Tempo?" domandai titubante, non capendo cosa stesse cercando di dirmi il ragazzo. "Tempo per cosa? Perchè ti devono monitorare?"
Vidi il ragazzo portarsi una mano sulla fasciatura e accarezzare le bende, poi scosse la testa. "E' una lunga storia, Eli." si limitò a dire. "Non saprei nemmeno da dove cominciare per spiegartelo, ma..." lo vidi guardarsi intorno preoccupato, una realizzazione gli illuminò gli occhi. "Non qui, non ora. Vediamo di andarcene." spiegò, alzandosi in piedi con gambe tremanti e porgendomi una mano chiusa a pugno.

Vidi le sue dita aprirsi lentamente, una dopo l'altra, poi aspettare la mia mano. Accettai con piacere il suo aiuto e mi sollevai da terra, sfilando due delle pistole dalla mia cinta e porgendogliele. "Sei in grado di usarle?" domandai, lasciandogliele cadere entrambe sul palmo. "Sono davvero leggere rispetto alle pistole normali e non danno troppo rinculo." spiegai brevemente. "Lanciano delle capsule contenenti un sonnifero."
Il ragazzo però, non sembrava nemmeno aver notato le pistole depositate sui suoi palmi e anzi, aveva lo sguardo fisso sulla maglietta di Gally oramai quasi inglobata dal sangue.

"Cosa..." iniziò, indicando con il mento la mia ferita al fianco. "E perchè..."
Lo vidi deglutire, guardandosi attorno spaesato. "Perchè sei tornata qua? Come mi hai trovato?" poi, strabuzzando gli occhi e scuotendo la testa ancora più confuso. "Perchè sei sola? Come ti hanno ferita?" 
Lo vidi agitarsi sempre di più, finchè lasciò cadere le pistole a terra con un tonfo e si portò le mani davanti agli occhi, coprendosi forse dalla luce o tentando inutilmente di sbarrare l'accesso a tutte quelle domande. Feci un passo in avanti, tanto confusa quanto lui per quel suo comportamento.
Cosa gli era capitato? Perchè reagiva così?

"Newt è tutto okay." sussurrai, mettendogli una mano sul polso e premendo delicatamente per scostare i suoi palmi dagli occhi, obbligandolo così a guardarmi in faccia. "Tesoro, davvero, va tutto bene." continuai poi, la voce ancora più dolce, come quella di una madre che tenta di rassicurare il figlio terrorizzato dai mostri sotto il letto.
Lo vidi riaprire le palpebre lentamente e guardarsi intorno confuso e spaesato. Poi il suo sguardo si posò sopra di me, guardandomi con stupore e imbarazzo. "Sei qui." asserì, fissandomi incredulo. "Sei tornata per me."
Sbattei le palpebre e aggrottai le sopracciglia, domandandomi se quello che temevo fosse concreto. "Sì, Newt, ma..."

Il ragazzo mi interruppe di nuovo, fissandomi la ferita al fianco con terrore e preoccupazione. "Cosa ti hanno fatto?" mi chiese per la seconda volta, creando scompiglio nella mia testa e facendomi preoccupare sul serio.
Non sapevo con esattezza cosa gli avessero fatto, ma a giudicare dalle bende sulla sua testa, potevo dire con quasi assoluta certezza che la W.I.C.K.E.D. si fosse divertita a giocare con il suo cervello.
Tuttavia non avevo tempo di parlarne con il ragazzo, e di certo, ero quasi sicura che la cosa si sarebbe rivelata abbastanza inutile. Se aveva problemi di memoria, tentare di chiedergli informazioni sul suo stato non solo l'avrebbe spaventato a morte, ma l'avrebbe anche mandato in confusione. Da quanto mi era parso di aver capito, quando era sotto stress o sottoposto a troppe novità o questioni, la sua mente andava in tilt, azzerando tutte le informazioni e ricominciando da capo.

Quello di cui aveva bisogno in quel momento era solo riposarsi e prendere le cose un passo alla volta. Avrei pensato io a tutto il resto, a proteggerlo e a spiegargli le cose con calma.
"Ascoltami, Newt." borbottai, chinandomi per raccogliere le pistole che aveva lasciato cadere a terra. "Prendi queste e usale contro le guardie solo per difenderti, va bene?"
Lo vidi annuire insicuro, così decisi di passargli un'altra semplice informazione. "Tu seguimi e stammi vicino. Devo prima fare una cosa, poi ti prometto che ti faccio uscire da qua. Ti riporto a casa, Newt, promesso." 
Lo vidi annuire di nuovo e mormorare un 'va bene' un po' più convinto, poi mi seguì lungo il corridoio, guardandosi intorno spaesato e zoppicando notevolmente. Anche la sua camminata, ora che ci facevo caso, era cambiata e sembrava quasi che quell'azione non fosse una cosa naturale per lui, un po' come quando un neonato impara per la prima volta a camminare sulle sue gambe. Newt non sembrava aver bisogno di appoggi per sorreggersi, ma le falcate che faceva erano alquanto scoordinate e quasi innaturali. Il ragazzo alzava la gamba, la allungava verso l'esterno e poi riabbassava il piede, storcendo la punta leggermente verso l'esterno.

Ogni volta che invece doveva muovere la gamba zoppa, sembrava che fosse confuso, quasi stupito per la caratteristica particolare di quell'arto: ad ogni passo ne rimaneva affascinato, come se ogni volta fosse una sorpresa per lui.
Decisi per il momento di ignorare quel suo strano comportamento e focalizzarmi sul trovare innanzitutto Stephen e Gally e, di seguito, anche il resto del gruppo o per lo meno i bambini. 
A quel pensiero, mi venne in mente un dettaglio che fino a quel momento avevo quasi trascurato: se Newt era rimasto in quella sede per tutto quel tempo, forse non solo conosceva bene i corridoi, le stanze e i piani, ma magari sapeva anche dove avevano portato i bambini.

"Newt." lo richiamai, vedendolo alzare lo sguardo su di me e sorridermi felice e allo stesso tempo in imbarazzo. "In questa sede hanno portato dei bambini." gli dissi in modo chiaro. "Sai dove li hanno sistemati, per caso?"
Quando vidi il ragazzo annuire sicuro, il cuore smise di battere per un secondo. "Sì." mormorò Newt, aumentando il passo e posizionandosi di fianco a me. "Ci sono passato davanti qualche giorno fa, per un controllo."
A quella notizia mi rianimai, come se una scarica elettrica mi avesse attraversato il corpo da parte a parte, mi sentii carica di adrenalina. Ora che eravamo con Newt avevamo più possibilità di trovare i bambini e salvarli. Magari il ragazzo aveva in testa tante di quelle informazioni utili e preziose che con un po' del suo aiuto saremmo riusciti a scroprire di più sui piani della W.I.C.K.E.D.
Anche se, l'unica cosa che mi preoccupava al momento, era come arrivare ad estrapolare da lui quelle informazioni senza mandarlo in tilt.

Doveva essere una conversazione normale, un dialogo a cuore aperto, ma dovevo farlo con cautela. Domandare troppo o chiedere qualcosa di sbagliato avrebbe significato non solo non ricevere nessuna informazione o riceverla confusa, ma anche tornare indietro e dover rispiegare al ragazzo per che motivo ero lì e cosa dovevamo fare.
Cercando le mie parole con particolare attenzione ed esprimendole con calma, spiegai al ragazzo che non ero venuta in quella struttura da sola, ma che c'erano anche altri con me. Gli raccontai che ci avevano separato con delle pareti in vetro e che per questo motivo dovevamo stare sempre vicini, senza mai rischiare di dividerci.

Gli narrai di come io e Gally avevamo raggiunto la sua stanza e di come avevo fatto allontanare il Costruttore per via di Stephen. Mi aspettai che il ragazzo fosse impaurito o magari confuso dopo tutte quelle informazioni, tuttavia sembrò prenderle con calma e interesse, sconcertandomi più con l'unica domanda che mi pose, più che col suo comportamento. Domanda che, tra l'altro, non mi sarei mai aspettata.
"Da quando mi ha preso la W.I.C.K.E.D...." iniziò lui, titubante, accarezzandosi la fasciatura sulla testa. "Tra te e Gally... Ecco..."
Compresi i quei immediatamente cosa stesse cercando di farmi capire, ma non risposi subito, troppo intenta a nascondere l'improvviso rossore sul mio volto causato dal ricordo del mio sogno di qualche giorno prima. D'un tratto mi ricordai anche del bacio rubato da Gally e la sua mano che mi accarezzava le cicatrici. Poi, quasi contraddittorio rispetto a quelle sue azioni così dolci e premurose, la sua ramanzina e il mio conseguente distacco da lui.

"Insomma, capirei se tu avessi deciso di..." continuò Newt, venendo però subito interrotto dalle mie parole. 
"No, Newt, non c'è stato nulla." mi limitai a dire, suonando tuttavia più triste che sincera. Non sapevo dire con esattezza se quella che avevo detto al ragazzo era una bugia o meno. Ciò di cui invece ero consapevole era che stare senza di lui per tutto quel periodo, credendolo addirittura morto, aveva avuto delle conseguenze su di me e mi aveva cambiata. Dalla sua scomparsa, la mia mente aveva iniziato a giocare brutti scherzi su di me, ingannandomi più volte e rendendomi ancora più difficile dimenticarlo. Quando alla fine ci ero riuscita, anche se con qualche ricaduta ogni tanto, la W.I.C.K.E.D. aveva deciso di restituirmelo.

In un certo senso, una parte di me era convinta che fosse un ammonimento, una sorta di "prova a dimenticare i fantasmi del passato e loro torneranno nella tua vita", ma dall'altro lato mi sentivo anche rincompensata, come se la comparsa improvvisa di Newt stesse sottolineando il fatto che in realtà, la sua morte e tutto quello che avevo dovuto affrontare senza di lui erano stati solo una prova. Prova che avevo superato, a quanto pareva, e quindi ora riscuotevo il premio.
In ognuno dei due casi, non riuscivo a sentirmi pienamente felice o soddisfatta, né men che meno tranquilla. Proprio perchè non era la prima volta che la W.I.C.K.E.D. giocava con le nostre menti, mi sarei potuta aspettare di tutto. Solo perchè quello era davvero il mio Newt – o, almeno in parte, sembrava esserlo – non voleva di certo dire che avevo vinto la battaglia. Ero inquieta, rigida e mi sentivo il sangue formicolarmi nelle vene come ad avvertirmi di un brutto ed imminente presagio.
Dovevamo essere cauti, ora più che mai.

"Eli?" domandò Newt, rischiarandomi un po' il cuore da tutti i pensieri con la sua voce. Quanto mi era mancato sentirmi chiamare in quel modo da lui. Non mi sembrava vero di averlo di nuovo accanto a me, camminando di nuovo tra i corridoi della W.I.C.K.E.D. come se nulla fosse mai successo. "Tutto bene?" chiese ancora, facendomi rendere conto che il ragazzo avesse continuato a farmi domande ma senza mai ricevere mezza risposta da me, troppo presa dai miei pensieri e le mie paranoie.
"Sì." borbottai, sorridendogli stanca e avvicinandomi a lui fino a toccarlo con la mia spalla. Presi una delle sue braccia e la portai oltre la mia spalla, lasciando che il ragazzo mi stringesse di più a sé. Appoggiai la testa sulla sua spalla, ancora troppo alta per me, ma comunque comoda. Presi un profondo respiro, iniziando ad abituarmi a quel suo nuovo odore, poi sospirai e mi lasciai tranquillizzare da quella sensazione di protezione e cura che solo Newt sapeva regalarmi. 
"Ora che sei qui va tutto bene." asserii.

 

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Capitolo 60
*** Capitolo 53. ***


Io e Newt avevamo continuato ad avanzare finchè non eravamo stati attratti da un rumore dentro una delle stanze. Fino a quel momento non eravamo riusciti ad individuare né Stephen, né Gally, e non eravamo nemmeno riusciti a sentirli, nonostante avessi detto al ragazzo di proseguire con quanto più rumore possibile.
Newt mi aveva informata che quella struttura era provvista di un ascensore all'inizio e alla fine di ogni piano, quindi forse i due ragazzi avevano cercato riparo su un altro livello.

Almeno fino a quel momento io e Newt eravamo rimasti soli sul quel piano, o almeno così sembrava. Fermi entrambi davanti alla porta visibilmente aperta a forza, mormorai a Newt di farsi da parte, obbligandolo a ripararsi dietro il muro e di intervenire solo nel caso in cui si fosse rivelato necessario.
Dopo i primi secondi di rifiuto e di lamentele da parte del ragazzo, gli spiegai con calma che non stavo cercando di proteggerlo come si faceva con un bambino, ma che gli stavo chiedendo di fare lavoro di squadra. Non avevo dubitato nemmeno per un secondo della sua volontà di proteggermi: sapevo che l'avrebbe fatto ad ogni costo, anche nelle condizioni in cui si trovava, ma in quel momento avevo solo bisogno di accertarmi della presenza dentro quella stanza e lo potevo fare benissimo anche da sola.

Puntai la freccia contro la porta e la calciai, sentendo una fitta percorrermi il fianco. Mi morsi la lingua per non permettere a nemmeno un lamento di lasciare le mie labbra e, mettendo da parte il dolore, puntai il mio arco contro le due figure accasciate contro il muro opposto alla porta.
Non appena riconobbi i loro visi, abbassai la guardia, vedendo Gally fare lo stesso col pugnale stretto in mano.
Gli occhi del Costruttore si incatenarono ai miei, pieni di sollievo e allo stesso tempo stremati dalla fatica. Mi sorrise, un sorriso sincero che sottolineava quanto fosse felice di rivedermi, poi quando abbassò gli occhi verso la ferita sul mio fianco, sbiancò, alzandosi in fretta e furia e facendo una falcata all'avanti, lasciando totalmente perdere il corpo accasciato a terra e visibilmente privo di conoscenza di Stephen.
"Dio santo..." borbottò, abbassando il capo e allungando le mani verso la maglietta che mi aveva prestato, ormai zuppa di sangue. Ero sicura che se l'avessi spremuta, sarebbe uscita come minimo una bella pozzetta rossa. "Eli hai bisogno di..."

La sua frase venne interrotta dalla risposta acida, ma anche divertita di Newt che, sbucando prima testa e poi resto del corpo, lasciò il ragazzo a bocca aperta. "Eli?" chiese il biondino, divertito. "Non mi sembra di averti mai dato il permesso di chiamarla così."
Vidi Gally indietreggiare di due o tre passi, inciampando così sulla scarpa di Stephen e ricadendo all'indietro con poca grazia. Il ragazzo strisciò via, poi sembrò riprendersi, poi di nuovo si incupì, venendo inghiottito proprio come me da sensazioni contrastanti.
"C-Come..." iniziò, fissando lo sguardo sul vecchio compagno.
Poi, rivolgendosi a me, pieno di paura: "E' una sua copia, non è vero?"

Sorrisi, incapace di contenere ancora la mia felicità al riguardo e, come conferma ulteriore all'espressione palese che avevo sul viso, scossi la testa. "E' quello vero, Gally."
"Perchè cacchio nessuno mi crede?" brontolò Newt. "Vi siete tutti bevuti il cervello, razza di pive marci che non siete altro?"
Ridacchiai, rallegrata momentaneamente dal ricordo della Radura. Quei tempi felici, anche se utopici e a dir poco artificiali, sembravano così distanti dal nostro presente. Mi sembrava quasi di ricordare la vita passata appartenente ad un altra persona. 
Chuck, Jeff, Clint, Alby, Winston e tutti gli altri. Li avevamo persi durante il percorso, ma crepa dopo crepa eravamo comunque riusciti a rimanere uniti e a continuare a lottare fino alla fine. 
Anche se con il dovuto tempo e sfogando la sofferenza, eravamo sempre riusciti ad accettare la morte di coloro che una volta formavano insieme a noi una grande famiglia. 
La cosa a cui non eravamo abituati invece, era il ritorno dei morti. E non un ritorno artificiale e finto, per lo meno.

"Che c'è, cesso ambulante, ora non parli più?" rincassò Newt, abbozzando un sorriso e incrociando le braccia al petto. 
"C-Come è possibile?" domandò Gally, spiazzato da quell'apparizione improvvisa. "T-Tu eri morto."
A quelle parole, il sorrisetto sulle labbra del biondino sparì, venendo rimpiazzato da una nube di confusione e disorientamento. "Morto?" domandò il ragazzo, guardandomi di conseguenza, come a cercare una conferma alle parole che il Costruttore aveva appena pronunciato. 
Sbattei le palpebre più volte, incapace di reagire in altro modo alla sorpresa visibile sul volto del ragazzo. Newt non si ricordava la sua stessa morte? 
Poi, improvvisamente, compresi: probabilmente la W.I.C.K.E.D. doveva aver rimosso in lui il ricordo di Thomas che gli puntava contro una pistola e faceva fuoco. L'associazione doveva aver compreso che uno shock così forte avrebbe potuto compromettere la sua sanità mentale, perciò aveva deciso di tagliare quel pezzo della sua memoria.

L'unica cosa che ancora non mi spiegavo, tuttavia, era come facesse il ragazzo a sembrare totalmente sano: l'ultima volta che l'avevamo visto al Palazzo degli Spaccati era stato visibilmente consumato dall'Eruzione. Mi domandai più volte se fosse stato possibile per la W.I.C.K.E.D. farlo tornare indietro nel tempo. 
Era vero che l'Eruzione nel ragazzo era progredita così velocemente rispetto agli altri casi poiché il ragazzo era stato sottoposto a molto stress ed era stato costretto a prendere troppe decisioni. Forse, la W.I.C.K.E.D. era riuscita, portandolo nuovamente alla sede, a farlo riprendere e a rallentare la malattia. Tuttavia rimanevo alquanto scettica riguardo la possibilità dell'associazione di riparare ai danni che erano già stati causati: per quanto fosse molto preparata sul piano medico e avesse macchinari all'avanguardia, la W.I.C.K.E.D. rimaneva pur sempre una sede sperimentale come tutte le altre, non era di certo un'associazione di maghi o di dei capaci di poteri sovrannaturali, come invertire il tempo.

Ciò che invece era più probabile, era che la W.I.C.K.E.D. avesse maneggiato con qualcosa nel cervello di Newt per far sì che la malattia non progredisse oltre e, l'unico modo per farlo, era senz'altro quello di rallentare l'uso del cervello. Forse era per quello che quando il ragazzo era sottoposto ad una serie di informazioni o magari ad uno stress eccessivo, andava in tilt e cancellava in automatico tutte le informazioni ritenute 'dannose' dalla sua mente.
Venni bruscamente trascinata via dai miei pensieri dal richiamo di Gally che ora, gravemente preoccupato e preso anche dal panico, mi aveva assestato un colpetto alla spalla, indicandomi poi Newt col mento.

Il ragazzo, senza che me ne accorgessi, aveva iniziato a biascicare parole a caso, facendo saltare gli occhi da una parte all'altra. Ora nelle sue pupille non solo leggevo confusione e smarrimento, ma potevo palpare con mano la paura che aleggiava nella sua mente. La notizia della sua morte – di cui apparentemente non era al corrente – l'aveva spiazzato, conducendolo ad un'altra delle sue crisi.
Mi precipitai verso di lui e mi aggrappai alla prima scusa che trovai plausibile nel tentativo di calmarlo. Mi rivennero in mente le sue parole di quando aveva tentato di convincermi della sua identità: il ragazzo aveva accennato al Palazzo degli Spaccati, quindi forse quello era uno dei suoi ultimi ricordi. Magari il colpo di pistola di Thomas aveva causato nel suo cervello danni irriparabili. Magari – e la cosa mi terrorizzava a morte – il suo comportamento e i suoi movimenti alquanto singolari non erano dovuti ad un lavoro eseguito dalla W.I.C.K.E.D., ma erano stati causati dalla pallottola stessa.

Magari... Pensai, sentendomi gelare il sangue. La benda sulla testa serve per fasciare la ferita.
"N-Newt..." mi sentii balbettare. Ora non solo il ragazzo era in crisi, ma potevo sentire anche i miei pensieri mischiarsi confusi ad una stretta al petto. "Ascolta, era solo un modo di dire. Vero, Gally?"
Mi voltai verso il Costruttore in cerca di aiuto, ma il ragazzo si limitò ad annuire e attendere che continuassi con la mia frase. "Intendeva dire che dopo averti lasciato al Palazzo degli Spaccati ti credevamo morto." spiegai, nella speranza che il ragazzo abboccasse e credesse ciecamente alle mie parole.
Lo vidi bloccarsi, per un attimo, poi lentamente i suoi palmi scivolarono via dalla sua testa rasata e crollarono senza forze lungo i fianchi. "Ah, credevo..." cominciò, abbozzando un sorrisetto e coprendosi di rosso in volto. "Scusatemi, ero convinto di essermi dimenticato di... ecco, a volte mi capita di avere dei... vuoti mentali, per così dire."

Feci per annuire e limitarmi a rimanere in silenzio per evitare che il ragazzo fosse sottoposto ad un'altra crisi, ma Gally non fece altrettanto, dando di nuovo aria alla sua bocca, senza aver compreso a pieno la situazione. "Che tipo di vuoti?"
Mi voltai verso Gally, minacciandolo con lo sguardo, ma tutto ciò che ricevetti fu un'occhiata confusa e delle spallucce.
Fortunatamente, Newt iniziò a spiegare con non poco imbarazzo la sua situazione. Nel tentativo di farlo sentire più a suo agio, decisi di abbandonare la soglia della porta e di dirigermi verso Stephen per fargli un altro controllo generale. Mi mostrai indaffarata, ma continuai a guardare con la coda dell'occhio il biondino, che ora sembrava più rilassato. La prima cosa che compresi con dispiacere era quanto dovesse essere imbarazzante per lui fare quel discorso davanti a me, come se sentisse i vuoti mentali come una debolezza e ne provasse vergogna.

In cuor mio sentivo che era sbagliato origliare una conversazione da cui avevo deciso di tagliarmi fuori per il suo evidente disagio, ma alla fine la curiosità ebbe la meglio su di me e, nonostante il sussurrare del ragazzo, colsi la maggior parte delle sue spiegazioni.
"A volte capita che io abbia dei ricordi che... ecco, non sono propriamente i miei." spiegò con voce indecisa.
"Come dei sogni?" incalzò Gally nel tentativo di aiutarlo e capire meglio la situazione.
"No, sono memorie vere, è una realtà passata e di questo ne sono certo. Ma non è il mio cacchio di passato." continuò il biondino. "Nei ricordi vedo e parlo con persone che non conosco, e a volte mi capita anche di avere delle sensazioni al riguardo. In un certo senso, anche se quei ricordi non sono i miei, so dire se è un bel ricordo o no."
Sentii Gally mugugnare, poi porse un'altra domanda. "E' solo questo?" chiese, sminuendo forse involontariamente la problematica del biondino. Feci per girarmi e tirargli un calcio di rimprovero negli stinchi, ma il ragazzo si corresse subito, notando la sua mancanza di tatto. "Intendo... è solo questo ciò che ti ha turbato? Avevi accennato a dei vuoti, mi sembra. "

Newt mormorò un 'sì' ancora più imbarazzato, poi buttò fuori il resto. "Altre volte ho dei buchi, vuoti di memoria che non riesco a colmare. E' come se mi avessero cancellato una parte di vita, mentre un'altra..."
Lo sentii bloccarsi e osservai la sua sagoma irrigidirsi completamente dietro di me. Tossicchiò imbarazzato, ma non proseguì. Era ovvio che non voleva proseguire, ma questo Gally non l'aveva colto. "Mentre un'altra..?" incalzò il Costruttore, sottolineando ancora una volta quanto fosse difficile per lui avere un dialogo delicato e a cuore aperto. Per quanto dolce e premuroso potesse rivelarsi, Gally rimaneva sempre più puntato verso il pratico e non era propriamente bravo con le parole. Nonostante a volte sapesse leggermi nella mente, a quanto pareva Newt per lui era un messaggio illeggibile.
"Mi ricordo un qualcosa del mio passato." Newt fece una pausa. "Del mio passato prima del Labirinto, intendo. Ma é talmente poco che sembra anche quasi inutile dirvelo."

A quel punto, accorgendomi che non avevo fatto altro che tastare Stephen da ogni parte senza però riuscire a concludere nulla, mi alzai in piedi e, voltandomi verso Newt, mi avvicinai e gli presi una mano dolcemente. "Non devi dircelo, se non ti senti a tuo agio." sottolineai, ponendomi tra lui e Gallo come a fare da scudo alle sue domande invadenti. "E' una cosa privata, dopotutto. Riavere indietro una parte del tuo passato è una cosa meravigliosa, capisco se non la vuoi dire ad alta voce."
Sentii Newt agitarsi leggermente, poi prima che potessi aggiungere altro, il ragazzo scosse la testa come a scacciare una mosca fastidiosa e si calmò di colpo, guardandomi con occhi dolci e sorridendomi dolcemente. "Non c'è nulla che ti nasconderei, Eli, lo sai. Soprattutto le cose belle." borbottò imbarazzato, ricordandosi all'improvviso della presenza di Gally che, forse sentendosi di troppo, indietreggiò di un passo e si affiancò a Stephen, invertendo così i nostri ruoli.

"Ricordo di avere una sorellina." buttò fuori tutto d'un colpo. Lo vidi arrossire felice, poi ridacchiò. Poi, come se una luce fosse stata spenta dentro di lui, il suo volto si rattristò. "Ricordo di avere una sorella, ma non so dove si trovi né se sia ancora viva. Una stracacchio di fortuna, direi."
Mi irrigidii sul posto e dovetti fare tutto quello che era in mio potere per non girarmi e lanciare un'occhiata a Gally, nonostante riuscissi a sentire il suo sguardo fisso sulla mia schiena, in cerca di una connessione coi miei occhi. 
Quindi Newt si ricordava di Elizabeth. Mi chiesi però fino a che punto si ricordasse effettivamente di lei.
"Ma quindi..." sentii Gally iniziare, questa volta facendomi imbestialire sul serio. 
Mi voltai di scatto e feci due falcate verso Stephen, dando 'per sbaglio' un calcio alla gamba di Gally che grugnì dal dolore e mi guardò male.

"Oh, scusa!" dissi con voce dolce e dispiaciuta, ma guardandolo con occhi di fuoco che solo lui poteva vedere. 
Gli feci cenno di piantarla con le domande e questa volta mi concentrai totalmente su Stephen, controllando il suo battito cardiaco e chiedendomi come mai non si fosse ancora svegliato. "E' una bella cosa, comunque." mormorai in risposta a Newt, mentre passavo dal battito cardiaco alla respirazione. "Almeno hai qualcosa a cui ancorarti, qualcosa che ti mantiene umano, che ti tiene in vita."


 

Nonostante anche il secondo controllo generale di Stephen fosse andato per il meglio, il ragazzo continuava a non svegliarsi, iniziando a farmi dubitare sulla duratura dei sonniferi che avevo precedentemente ipotizzato. Immaginavo che sarebbe durata solo qualche minuto – giusto il tempo di un rapimento, insomma – ma ben presto mi accorsi che quei sonniferi fossero stati progettati anche per ciò che sarebbe seguito ad un veloce imbavagliamento. 
L'unica cosa che mi rimaneva da scoprire era però cosa pianaficava di fare la W.I.C.K.E.D. con noi dopo averci catturati. Esclusi come prima cosa, andando a logica, un interrogatorio: addormentare qualcuno per così tanto tempo e dover attendere pazientemente il suo risveglio solo per fargli un semplice interrogatorio, andava contro i loro interessi.

Non aveva senso, in una situazione d'emergenza come l'invasione della loro sede, perdere tempo nell'attesa che gli addormentati riprendessero conoscenza.
Poi un'idea mi venne in mente, un pensiero orribile, che mi fece accaponare la pelle in modo brusco. Dei brutti ricordi presero il soppravvento, facendomi addirittura rabbrividire. Le cicatrici sulla mia schiena iniziarono a tirare.
Mi strinsi nelle spalle e presi un respiro, sollevandomi dal corpo di Stephen e aiutando Gally ad alzarlo in piedi. 
Sperai solo che i miei presentimenti fossero sbagliati e che quel sonnifero non servisse anche nel caso di eventuali esperimenti o operazioni.
Il grugnito di fatica di Gally mi riportò alla realtà. I muscoli sulle sue braccia guizzarono mentre tiravano Stephen totalmente in piedi e i suoi addominali si contrassero non appena il ragazzo lo sollevò, portandosi il corpo del ragazzo sulle spalle, come un sacco di patate.

Mi sentii arrossire quando Gally incrociò la mia occhiata poco riservata e distolsi immediatamente lo sguardo, sentendo il ragazzo tossicchiare in preda all'imbarazzo. "Non so per quanto tempo riuscirò a trascinarmelo dietro. Dove andiamo ora?" chiede il costruttore, smorzando quel silenzio. 
Mi morsi il labbro e mettendo da parte tutti i pensieri, mi voltai verso Newt, totalmente tra le nuvole. Lo richiamai più volte, poi alla fine lo vidi riatterrare con la mente nel mondo dei vivi. "Andiamo al dormitorio." rispose con calma, muovendo un passo verso di me e allungando le dita verso la mia maglia oramai totalmente rossa. "Se non troveremo là i bambini proveremo in mensa, ma prima passeremo anche in infermeria. Pensi di poter resistere?" domandò, rivolgendomi uno sguardo preoccupato e accarezzandomi distrattamente un braccio.

Feci per rispondere con un 'sì', oltre che a limitarmi ad annuire, ma Gally fu più veloce di me e si tuffò in quella conversazione, il tono pieno di sorpresa e sollievo allo stesso tempo. "Sai dove sono i nostri bambini?" chiese, facendo un passo all'avanti e mettendosi al mio fianco.
Newt parve perplesso per qualche secondo, poi si fece cupo in volto. "I vostri bambini?" domandò ferito. "Mi avevi detto che tra voi due non c'era stato nulla!" mi rimproverò poi il ragazzo, guardandomi con occhi da cucciolo ferito e triste.
Sbiancai in volto e dovetti trattenermi dal dare una spallata a Gally, che nel frattempo mi stava lanciando un'occhiata altrettanto triste. "Infatti è così." risposi, sentendomi nuovamente una bugiarda. Non aveva senso raccontare a Newt del bacio rubato, né men che meno del mio sogno. L'avrebbe solo fatto preoccupare inutilmente, mandandolo in confusione e creando un casino. "Non sono veramente i nostri bambini." specificai. "Li abbiamo trovati dentro il Labirinto prima che..."

Mi interruppi, accorgendomi che raccontare quella storia sarebbe stato troppo complicato: troppe informazioni, troppi dettagli importati e un racconto decisamente troppo lungo per la situazione in cui ci trovavamo.
"Te lo spiegherò un'altra volta, okay? Per ora ti basta sapere che sono tutti Muni e che la W.I.C.K.E.D. ce li ha sottratti da sotto il naso per chissà quali scopi." mormorai, spiegandomi sbrigativa e ignorando l'espressione che si era incollata al volto di Gally da quando avevo sottolineato per la seconda volta che tra di noi non fosse accaduto proprio nulla.
"Oh..." mormorò Newt, improvvisamente sollevato e arrossendo all'istante. "Io non volevo insinuare..."
"Non abbiamo tempo per queste cose." interruppe Gally, freddo e duro come il metallo. "Dobbiamo andarcene ora, prima che arrivino altre guardie."

*Angolo scrittrice*
Hey pive! 
Come vi sembra la storia fino ad ora?

Scusate se questo capitolo è un po' più corto rispetto agli altri, ma ultimamente sono un po' giù di corda. Il lavoro è abbastanza pesante e ho davvero poco tempo per me ultimamente. Diciamo che passare l'estate costantemente chiusa in hotel a vedere gente in vacanza che si diverte, mentre io a mala pena riesco a vedermi con i miei amici è un po' deprimente.

La vostra estate invece come procede?

Al prossimo capitolo, care lettrici! 
La vostra Elena :3

 

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Capitolo 61
*** Capitolo 54. ***


Continuammo a percorrere i corridoi in totale silenzio, con Newt in testa alla fila per fare da guida e io e Gally dietro, con Stephen sulle spalle. Nonostante avessi proposto al ragazzo più volte di aiutarlo a trasportare il peso del ragazzo dai capelli bianchi, lui si era sempre rifiutato, ripetendomi che non avrebbe fatto altro che indebolirmi ancora di più e, almeno da quel punto di vista, non riuscivo a controbattere, accorgendomi che quella spiegazione fosse una verità non trascurabile. 
Perdere così tanto sangue mi aveva resa debole e mi sentivo le gambe pesanti, ma non volevo darlo a vedere: continuavo a ripetermi che c'erano cose più importanti al momento e che la mia ferita avrebbe potuto aspettare.

Solo quando Gally mi prese delicatamente la mano e mi tirò leggermente all'indietro, distaccandoci così da Newt – che però continuò a camminare indisturbato senza accorgersi di nulla –, mi staccai dai miei pensieri per lanciargli un'occhiataccia infuriata. Separarci era la cosa più stupida che potevamo fare al momento, non potevamo rischiare che Newt ci venisse strappato via di nuovo.
Ma non appena notai la faccia preoccupata del Costruttore, il mio umore mutò da scocciato a pensieroso. Incrociai il suo sguardo e, quando lo sentii sussurrare, mi avvicinai di più a lui per riuscire a captare le sue parole. "Cosa diamine gli è successo?" domandò sussurrando, indicando Newt con il mento.
Scossi la testa. "Non saprei dire se sia così da dopo che Thomas... Insomma, hai capito." mi schiarii la gola e continuai titubante. "Oppure se sia ancora la W.I.C.K.E.D. che si diverte a giocare con i cervelli, solo che questa volta ha fatto qualche casino."

Vidi il ragazzo annuire, poi il suo volto si fece di nuovo cupo. "Non trovi che stia piuttosto bene per essere uno Spaccato?" chiese ancora. Mi sentii ferita da quelle parole e non seppi nemmeno dire il perchè. Forse l'idea che Newt potesse essermi ancora strappato dalle braccia, ma questa volta per il naturale decorso dell'Eruzione mi terrorizzava a morte. Certo, contro la W.I.C.K.E.D. potevo lottare e dare addirittura la mia vita per salvarlo, ma contro una malattia mortale non avevo possibilità di vincere.
Notando la mia espressione improvvisamente grigia, sentii Gally scusarsi immediatamente e abbassare lo sguardo. "Mi dispiace, non intendevo..." poi si bloccò, riprendendo il discorso da un'altra prospettiva. "Insomma... Mi viene da pensare che la W.I.C.K.E.D. abbia fatto qualche esperimento su di lui per scoprire di più sull'Eruzione, non credi?"
Mugugnai un sì, poi scossi la testa indecisa, sospirando leggermente. "Non saprei, Gally. In un certo senso non vorrei nemmeno sapere la verità, ma..."

"Ma?" incalzò il ragazzo, dopo aver atteso con pazienza qualche mio attimo di silenzio.
"Ma è strano. Quando riceve troppe informazioni o è sotto stress va in tilt. Cancella tutte le informazioni che ha ricevuto di recente e rinizia da capo. E' come se il suo cervello andasse in black-out ogni volta che non riesce ad assimilare con ordine le novità."
Vidi Gally stringere la mascella e lanciare uno sguardo verso il biondino che continuava a muoversi in modo alquanto strano e quasi buffo, poi tornò con lo sguardo su di me, posandomi addosso due occhi che cercavano ardentemente di nascondere con una fredda durezza la tristezza che lo pervadeva. "E' per questo che non gli hai detto nulla di..." si bloccò, arrossendo e tossicchiando imbarazzato. "Insomma, del bacio che ti ho dato e di alcuni momenti che... non so, momenti che gli avrebbero potuto dare fastidio se fosse stato lì per vederli?"

Mi morsi il labbro e respirai profondamente, scuotendo la testa e chiedendomi come usare al meglio le parole senza ferirlo ulteriormente. Volevo davvero bene a Gally, ma proprio per questo motivo dovevo essere sincera con lui, anche se correvo il rischio di ferirlo o di farlo rimanere male. 
"Sì, in parte è per questo motivo." mi limitai a dire, nella speranza che il ragazzo fosse felice di quella risposta e lasciasse decadere lì il discorso.
Ciò in cui sperai, tuttavia, non accadde e il ragazzo riprese ad incalzare in attesa di ulteriori dettagli. "E dall'altra parte?"
Mi grattai la nuca, presa alla sprovvista dall'imbarazzo. Ora che Newt era tornato in scena forse l'amicizia tra me e Gally avrebbe subìto qualche cambiamento. Ero sicura che il mio ragazzo non avrebbe mai approvato il fatto che dormissi nella stessa casa e nella stessa stanza di Gally o magari sarebbe stato geloso nel vederci fare il bagno insieme o nel vedermi mentre lo coccolavo per tirargli su il morale o per tranquillizzarlo quando veniva ferito. 
Negli ultimi tempi avevo riservato a Gally parecchie cure e premure, e il nostro rapporto – almeno prima della litigata – aveva raggiunto un apice non trascurabile.

"D'altra parte..." iniziai, lanciandogli un'occhiata piena di scuse. "Quello che è successo, ecco..." mi bloccai, poi capendo che fosse necessario specificarlo per far sì che il ragazzo comprendesse a pieno, continuai. "Sai cosa ne penso del bacio, Gally. Mi dispiace che la mia reazione non sia stata quella che ti aspettavi, o meglio, che sia stata esattamente quella che ti aspettavi, ma io non riesco e non sono mai riuscita a togliermi Newt dalla testa."
Lo vidi annuire e abbassare lo sguardo sconfitto. "Lo so, non mi devi spiegazioni, tranquilla."
"No, invece te le devo." ribadii, sentendomi il volto andare a fuoco per l'imbarazzo e il cuore battermi forte in petto. "La nostra amicizia si è intensificata di molto, Gally e questo non lo posso trascurare né negare. Hai fatto molto per me da quando Newt è scomparso: non mi hai lasciata perdere e mi hai obbligato a lottare, per quanto male potesse farmi. Ti sei dimostrato un vero amico, anche quando avresti semplicemente potuto approfittarti della situazione. Non pensare che mi dimenticherò di tutto questo solo perchè ora ce l'ho di nuovo tra le braccia." spiegai con calma.

Lo vidi sorridere dolcemente, poi le sue spalle si rilassarono e il ragazzo mi guardò con la coda dell'occhio. Nonostante stesse facendo del suo meglio per nascondere la malinconia e la tristezza dietro ad uno strato di apparente calma, le sue vere emozioni mi erano chiare. Non voleva creare imbarazzo facendomi notare di esserci rimasto male, perciò aveva deciso di cambiare argomento e lasciar cadere lì il discorso. "Allora sono perdonato." borbottò prima di allungare il passo e avvicinarsi di più a Newt, dichiarando conclusa quella conversazione.
Prima che riuscissi a rendermi conto delle sue parole, il ragazzo era ormai al pari del biondino. Solo quando realizzai che si stesse riferendo alla nostra litigata, mi animai, mettendo anche io da parte l'imbarazzo e stando al gioco, fingendo di non essermi accorta della sua voluta digressione. "Hey!" sussurrai, tentando di richiamarlo a me, ma senza urlare. "Ancora non sei perdonato! Considera quella conversazione ancora in sospeso, brutto moccioso!"







 

Rispetto al primo piano che avevamo visitato, quello su cui ci trovavamo al momento sembrava essere infinito: corridoio dopo corridoio un labirinto di pareti e angoli si snodava su quel piano. L'unica cosa che faceva differire un'ala dall'altra era il semplice colore delle pareti, di cui Newt ci aveva spiegato pazientemente il significato, rispondendo con calma ai nostri dubbi, felice che quelle domande non riguardassero la sua situazione personale. 
Il giallo, a quanto mi sembrava di aver capito, simboleggiava le stanze di coloro che erano in cura o in fase di terapia. Newt fu abbastanza vago sul tipo di cura a cui i ragazzi venivano sottoposti, ma sia io che Gally liquidammo quell'argomento, capendo che il ragazzo non ci avrebbe dato maggiori informazioni al riguardo.

Invece i corridoi grigi e bianchi come quelli che avevamo incontrato nel primo piano che avevamo visitato, non significavano nulla di importante – o almeno così gli avevano spiegato le guardie quando l'avevano portato in quella sede.
C'erano anche altri colori nella struttura, come il rosa, il rosso e il verde, ma Newt pareva essersi scordato il loro significato, lasciandoci così con la curiosità e il dubbio. 
La cosa che ancora non riuscivo a spiegarmi però era l'assenza totale di guardie o di sistemi di attacco nel caso di emergenza. Rispetto alla W.I.C.K.E.D. a cui eravamo abituati, quella sembrava un luogo comune come un altro, dove accedervi e passeggiarci dentro era del tutto normale e permesso senza la creazione di troppi ostacoli.

Esposi il mio dubbio al biondino, nel tentativo di ricavare qualche altra informazione e – con mia sorpresa – la sua risposta non solo fu immediata, ma anche chiara e semplice. "Non ha senso mettere guardie dove non c'è nulla da nascondere. Dovete dimenticarvi della vecchia W.I.C.K.E.D., Pive. Questa sede è un po' più come un ospedale o, se volete, come un reparto ricerca e sviluppo." 
"Ricerca e sviluppo?" domandò Gally. "Cosa ricercano?"
Newt fece spallucce e ridacchiò leggermente, come se la risposta a quella domanda gli sembrasse così palese. "Una cura per l'Eruzione, cos'altro sennò?"
Mi bloccai sul posto e vidi Gally irrigidirsi. Forse il biondino non si ricordava che la vecchia W.I.C.K.E.D. stesse cercando esattamente la stessa cosa, o forse eravamo noi a prendere troppo sul serio la situazione.
"Newt, ma è esattamente ciò che faceva anche la vecchia sede." iniziai, riprendendo il cammino per non rimanere indietro.
"Non esattamente." mi corresse il biondino, voltandosi leggermente verso di me e rivolgendomi un sorrisetto. "La vecchia sede raccoglieva i dati per capire come funzionasse l'Eruzione. Questa sede invece elabora i dati e li mette in pratica. Facendola breve: creano più cure e poi le testano per vedere quale andrà a buon fine."

Le mie gambe iniziarono a tremare mentre una terribile consapevolezza prendeva il sopravvento su di me. Sperai solo con tutto il mio cuore che le mie ipotesi fossero sbagliate, ma decisi comunque di chiarirle. "Per fare esperimenti di questo genere sono necessari dei soggetti." feci una pausa e presi un bel respiro, lanciando un'occhiata preoccupata verso Gally che mi rivolse un'espressione altrettanto spaventata, segno che non ero l'unica ad essere arrivata a quelle conclusioni. "Newt, prima di raggiungerti, io e Gally abbiamo visto tantissime camere libere e – se non mi sbaglio – erano tutte con il muro giallo, il ciò significa che quelli erano pazienti in cura, proprio come te." attesi che il ragazzo parlasse, ma quando lo vidi continuare a camminare e irrigidirsi leggermente, decisi di pronunciare anche l'ultima frase ovvia che avevo nel mio repertorio. "Perchè ci sono così tante camere, ma solo la tua era occupata, Newt?"
Il ragazzo si fermò all'improvviso e dovetti frenare di botto per non finirgli addosso. Vidi le sue spalle abbassarsi sconfitte, poi il ragazzo si girò verso di noi, pallido in volto e sempre evitando il nostro sguardo. "Diciamo che le cure che hanno trovato fino ad ora non hanno funzionato."
Mi sentii il sangue bloccarsi nelle vene. Divenni un paletto di ferro, freddo e rigido, se non per qualche leggero tremore alle ginocchia. Quindi, nonostante l'obbiettivo finale fosse diverso tra le due sedi, il motto rimaneva lo stesso: il fine giustifica i mezzi.

Avevano ucciso chissà quante persone per testare la cura ad una malattia che ci era sempre parsa incurabile. Per quanto avessi sempre sperato di vedere Newt nuovamente sano, avevo compreso da tempo che non potevano continuare a sacrificare la vita di giovani Muni che non avevano colpe. Se quella malattia si era diffusa era per colpa dei nostri antenati, quindi perchè continuare a sacrificare vite nel vano tentativo di riparare ad un danno oramai radicato nel nostro mondo?
"Hanno testato la cura anche su di te?" domandò Gally, facendosi più vicino a me e toccando la mia spalla con la sua, come per richiamarmi e farmi uscire dai miei pensieri. 
Rimanemmo per qualche secondo contornati dal silenzio più totale, poi Newt finalmente parlò. "Sì. Sono uno dei pochi che è sopravvissuto."
Il mio cuore ebbe un tuffo e non seppi dire con esattezza se il nero che iniziai a vedere da quel momento in poi davanti ai miei occhi fosse dovuto alla notizia del ragazzo o al troppo sangue perso. Il mio cuore non aveva smesso un attimo di martellarmi dentro il petto e ora riuscivo addirittura a sentirlo battere insistente sulle tempie. Mi sentivo le dita delle mani e dei piedi totalmente congelati, eppure avevo iniziato a sudare freddo. 
"Quindi non hai più..." mi sentii pronunciare, la mia voce distante miglia e miglia mi arrivò ovattata alle orecchie. "...l'Eruzione?" continuai, biascicando lettera dopo lettera.
Prima di cadere totalmente al suolo come un albero che è appena stato sradicato, vidi Newt arrossire, poi fu solo vuoto e buio. "Diciamo che..." 
Le tenebre mi avvolsero, racchiudendomi con un involucro spesso e impossibile da aprire. 





 

Furono le vibrazioni a svegliarmi, raffiche di fitte qua e là e qualche giramento di testa. Sentivo il mio corpo vibrare, tremare leggermente, ma in modo costante. Pallini bianchi e rossi si alternavano davanti ai miei occhi ancora chiusi. Le ombre continuavano a circondarmi, ma potevo sentire che ora anche loro si fossero fatte più deboli.
Il mio risveglio non fu immediato e fui sicura di essere rinvenuta e poi svenuta diverse volte prima di riprendere totalmente conoscenza, ma quando aprii gli occhi di scatto a causa di una fitta al fianco, il mio cervello riprese a funzionare al massimo, attivato dal dolore improvviso, e da lì in poi mi fu impossibile scivolare di nuovo via tra le braccia delle tenebre.
Mi sentii da subito spaesata. Mi sarei immaginata di essere ancora distesa a terra, sulle mattonelle del pavimento freddo, invece mi ritrovai su un morbido lettino imbottito in una stanza dalla luce soffusa.

Alzai la testa e subito sentii una fitta nel dietro della nuca. Gemetti e subito ricevetti una risposta al mio lamento. Una testa bionda sbucò sopra di me, bloccandomi la vista di qualsiasi altra cosa in quella stanza, ma d'altronde, dopo essermi accertata della sua presenza accanto a me, non mi serviva vedere altro.
"Buongiorno, abbracciatrice di alberi." mormorò il biondino, regalandomi uno dei suoi sorrisetto da furbo e fissandomi con dolcezza.
Accennai ad un sorriso, ma i muscoli del mio corpo – compresi quelli del mio volto – sembravano non voler ancora collaborare con me. Li sentivo tirati, tremolanti e potevo percepire il sangue che fluiva formicolante sotto lo strato di pelle.

"Cosa è successo?" domandai, dimenticandomi all'istante di tutto ciò che era accaduto prima della mia perdita di sensi. Era come se, fino ad un attimo prima, avessi in mente la lista di tutti gli eventi accaduti e di tutte le domande rimaste in sospeso, ma che fossero poi scomparse non appena avevo aperto gli occhi.
Vidi Newt sbiancare leggermente e farsi indietro, sparendo per un attimo dalla mia vista, poi un'altra voce mi rispose: "Sei svenuta."
Alzai lo sguardo e lo incatenai ad una figura che, nonostante fosse abbastanza sfocata, ero sicura che stesse maneggiando con la mia ferita al fianco. Non mi ci volle molto a capire di chi si trattasse, una volta riconosciuto il tocco gentile ma sicuro sulla mia pelle.

"Davvero? Cacchio non l'avrei mai detto." borbottai sarcastica in tutta risposta.
Vidi Gally accennare ad un sorrisetto, ma il suo sguardo non si distolse mai dalla mia ferita, troppo concentrato e forse preoccupato per guardare altrove.
"Glielo dici tu o devo farlo io?" domandò il Costruttore, rivolgendosi a Newt.
Sentii il biondino tossicchiare imbarazzato, così con calma girai la testa di lato, abbandonandola di nuovo sul lettino e fissando il ragazzo con occhi stanchi. Dalla sua espressione non riuscivo a ricavare nulla di buono, eppure avevo come una sensazione dentro che mi suggeriva che avrei dovuto essere entusiasta. Entusiasta riguardo cosa, tuttavia, non riuscivo a ricordarmelo.

"Prima che svenissi, vi ho spiegato che questa sede è alla ricerca di una cura all'Eruzione." iniziò lui, mettendo da parte l'imbarazzo e avvicinandosi a me con un'espressione preoccupata e dispiaciuta. "Hanno fatto diversi test, non solo su di me, ma anche su altri. Io sono uno dei pochi che è ancora vivo o almeno in condizioni decenti."
Sbattei le palpebre, accecata da un'improvvisa ondata di realizzazioni e di domande. Tutto mi tornò in mente, dalle mie domande alle risposte alquanto evasive e imbarazzate di Newt.
Per una seconda volta, posi la domanda che avevo avanzato prima di svenire. "La cura su di te ha funzionato?"

Vidi il biondino deglutire, poi sviare il mio sguardo. "Non lo so. Eli, non voglio che tu sia entusiasta per un qualcosa che ancora è da verificare, ma... ma credo che tu voglia sapere tutti i dettagli, quindi ti dirò tutto quello che mi hanno riferito i medici, ma per favore: non farti false speranze."
Annuii, sentendo già la mia felicità smorzarsi sul momento. Tutte le immagini e i filmini mentali che mi ero fatta su un futuro roseo e pieno di vita con Newt scemarono nel nulla come vapore nel cielo. L'idea di riportalo a casa senza dovermi preoccupare del suo stato fisico e mentale iniziò ad ingrigirsi. La casa in cui mi sarei immaginata noi due vivere iniziò a diventare più cupa e l'idea che il biondino potesse tornare ad essere uno Spaccato mi si palesò davanti agli occhi, obbligandomi a serrarli per chiudere fuori dalla mia mente quell'orrore.

"Per ora sembra che il mio corpo stia reagendo positivamente al nuovo..." il ragazzo si bloccò, tossendo e facendosi rosso in viso. Distolse di nuovo lo sguardo e si portò una mano sulle bende, accarezzandole distrattamente. "...alla cura." concluse, tornando con lo sguardo su di me e mettendo da parte l'imbarazzo. "Ma è un processo lungo e sto seguendo una riabilitazione perchè ancora non riesco a... ecco..."
Annuii semplicemente, rassicurando il ragazzo che sembrava essere rimasto senza le parole giuste per proseguire. Ora mi era chiaro il motivo che si celava dietro ai suoi movimenti strani e sapere che non fosse dovuto alla pallottola sparata da Thomas mi faceva sentire di gran lunga sollevata.

"Sto cercando di recuperare la familiarità con il mio corpo, ecco. Ma non riesco a dire con certezza se la cura stia funzionando o meno. Sembra di sì, per ora, ma gli altri ragazzi che la stavano seguendo come me a volte avevano ricadute improvvise e il loro corpo rigettava..." Newt si bloccò nuovamente, girando il volto da un lato ed evitando il mio sguardo preoccupato. "Rigettava la cura, all'improvviso. Credo che arrivati a questo punto, se la cura farà effetto su di me oppure no dipenderà solo dalla fortuna."
Annuii nuovamente, incapace di pronunciare anche solo una parola. Nonostante il ragazzo mi avesse raccontato di tutto ciò che gli era successo e di ciò che stava passando in modo del tutto tranquillo e senza avere delle crisi, ora ero io quella con il cervello in fumo. Era come se la mia mente faticasse a raccogliere tutte quelle informazioni e ad archiviarle seguendo un ordine sensato e logico.

Avevo compreso ciò che mi aveva detto, ma solo in parte: migliaia di domande mi aleggiavano in testa e avrei voluto bombardarlo di interrogativi riguardo al perchè la cura richiedesse una riabilitazione o magari in che cosa consistesse quest'ultima o la terapia in sé. Mi chiesi anche il motivo degli effetti collaterali o per così dire indesiderati: non riuscivo a collegare come una cura contro l'Eruzione potesse andare a minare sulle abilità motorie del ragazzo. 
Sapevo benissimo che chiedere troppo a Newt avrebbe significato mandarlo in confusione, così decisi di fidarmi totalmente di lui e mi ripetei più e più volte che se c'era altro di importante di cui essere a conoscenza me l'avrebbe detto lui a tempo debito.
Tutto ciò che mi necessitava sapere era che lui stesse bene e che non rischiasse nulla seguendoci tra i corridoi alla ricerca dell'ennesima avventura spericolata.

Un'altra fitta al fianco mi fece saltare sul posto, causando rabbia a Gally che iniziò ad imprecare. Mi scusai con il ragazzo che tuttavia mise subito di lato il nervosismo, per guardarmi con occhi colmi di dispiacere. "Cerca di resistere, ho quasi fatto. I punti di Violet erano saltati e sto cercando di rimetterteli, ma come sai non sono proprio bravo in queste cose."
Annuii per rassicurarlo, ma ero tutto fuorchè tranquilla. Ogni volta che l'ago mi perforava la pelle l'istinto di scalciare e di abbattere il ragazzo a terra per poi fuggire prendeva il sopravvento, ma con un po' di buonsenso ogni volta riuscivo a calmarmi, ripetendomi in modo controllato che sarebbe finito tutto molto presto e che dovevo solo stringere i denti.

"Gally mi ha spiegato brevemente dei bambini mentre eri svenuta." riprese il biondino, avvicinandosi di nuovo a me e stringendomi la mano. Compresi subito che quella sua premura fosse dovuta ad un tentativo di distrarmi dal dolore e di darmi un motivo per concentrarmi su altro. 
Curiosa, ma anche grata al ragazzo per aver colto al volo l'occasione per aiutarmi, gli prestai la mia totale attenzione mentre parlava, accarezzandomi costantemente e in modo distratto il braccio.
"Deve essere stato brutto vederli partire così, senza nessuna spiegazione, e sono davvero felice che siate riusciti ad arrivare fino a qua nonostante tutto." iniziò, facendo scorrere due dita sul mio avambraccio fino a raggiungere il collo per poi riscendere dolcemente verso il polso. "Però dovete stare tranquilli, questa sede non è come quella vecchia: qui ci trattano davvero bene. Non so molto sui bambini, li ho visto solo un paio di volte mentre facevo riabilitazione in piscina, ma sembravano abbastanza tranquilli."

Abbozzai un sorriso e lo guardai in attesa di ricevere maggiori informazioni. Mi dovetti trattenere dal saltare nuovamente sul posto quando Gally mi spinse l'ago nella pelle con poca grazia. Mugugnai, ma non mi mossi, rimanendo immobile sotto quel bruciore costante. Era come se mi stessero versando addosso della benzina, punzecchiandomi con un coltello affilato al contempo.
"Credimi, è nel loro interesse mantenerli sani e in forma, dico davvero." concluse Newt.
Aggrottai le sopracciglia a quelle parole, tanto confusa quanto preoccupata.

È nei loro interessi... Pensai tra me e me, collegando informazione dopo informazione e riuscendo a vedere finalmente lo schema dietro ai piani della W.I.C.K.E.D.
Quindi sono essenzialmente carne da macello. Pensai, rabbrividendo e ricacciando giù per l'ennesima volta i miei ricordi d'infanzia legati alla W.I.C.K.E.D.
"Saranno utilizzati come soggetti, non è vero?" chiesi infuriata, creando scompiglio nel ragazzo che subito indietreggiò, come se la mia ira fosse rivolta verso di lui. "E' per questo che ci hanno studiato per tutti questi anni, no? Perchè siamo noi la cura. I soggetti che avevano sono morti e quindi ora hanno bisogno di altri Muni."

 

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Capitolo 62
*** Capitolo 55. ***


Nonostante la paura di conoscere la verità fino in fondo, continuai ad insistere affinché Newt mi desse informazioni specifiche circa le intenzioni della W.I.C.K.E.D. nei confronti dei bambini. Non capivo a cosa servissero ancora gli Immuni: se la W.I.C.K.E.D. aveva davvero trovato la cura all'Eruzione che senso aveva tirare ancora in ballo coloro che non erano malati?
A meno che la cura non provenisse direttamente dal sangue o comunque dai geni di un Mune, non riuscivo a capacitarmi del motivo dietro al rapimento dei bambini. Per non parlare poi del fatto che da quando eravamo arrivati alla sede, la W.I.C.K.E.D. non aveva fatto altro che tentare di separarci per indebolirci e renderci così facilmente attaccabili. Se la cura all'Eruzione poteva davvero essere ricavata solo dai Muni, riuscivo finalmente a spiegarmi anche il motivo della lunga durata del sonnifero: catturare un Mune e addormentarlo per ottenere ciò di cui si aveva necessità era di gran lunga più semplice di convincerlo a donare del sangue o altro per una battaglia che avevamo sempre creduto essere persa in partenza.

Ma crescere i bambini in modo sano solo per farli arrivare ad una certa età e poi usarli per salvare altre vite, non aveva senso. Anche se i bambini fossero sopravvissuti, in un certo senso la W.I.C.K.E.D avrebbe comunque rubato una parte dei loro anni migliori, negandogli la libertà. Dalla mia prospettiva era come prendere senza permesso una vita per salvarne un'altra e la cosa non era accettabile. 
Perché non si limitavano a prendere ciò che gli serviva e a lasciarci liberi? Cosa li spingeva a dover crescere in modo sano dei bambini? Cos'è che non poteva essere preso da loro a quella giovane età e richiedeva tempo? 
Nonostante tutte le mie insistenze, Newt continuò a tirarsi indietro, spaventato dalla mia reazione e comportandosi come se tutta quella situazione fosse colpa sua. Dopo qualche istante, vedendo la sua espressione confusa e imbarazzata, mi obbligai a calmarmi. Non era mia intenzione inveire contro il biondino e di certo mandarlo in tilt era l'ultima cosa che desideravo, ma ricevere quella notizia di punto in bianco e sentirla pronunciare da lui con quel tono calmo mi aveva fatta imbestialire.

"Newt, mi dispiace." mormorai, allungando un braccio verso di lui nel tentativo di raggiungerlo. "Scusami, non volevo spaventarti." continuai, riuscendo finalmente a sfiorargli le dita di una mano.
Vidi il ragazzo circondare la mia mano con la sua, poi tornò vicino a me titubante, come se ancora non si fidasse a starmi vicino. "Devi capire che sono bambini, non sanno difendersi da soli come noi." spiegai con calma nel tentativo di convincerlo a collaborare con noi.
Non capivo perchè si rifiutasse di passare alcune informazioni riguardanti la Cura e la cosa mi terrorizzava. Osservando le espressioni del suo volto, avevo letto ansia, senso di colpa e imbarazzo. Perchè mai, sentendo parlare della Cura, avrebbe dovuto provare quelle emozioni? Cosa centrava lui personalmente per sentirsi così stressato e nervoso al riguardo?
"Per favore, Newt." insistetti, sentendomi male per spingerlo così tanto a fare un qualcosa che non voleva fare. "Abbiamo bisogno di informazioni, i bambini potrebbero essere in pericolo e..."

"Non lo sono, fidati." disse lui, diventando improvvisamente cupo e severo. "Non posso dirti cosa pianificano di fare, ma posso assicurarti che avete tempo. Non gli torceranno un capello, te lo assicuro."
"Ma Newt..."
"No, niente ma. Dovreste pensare a voi piuttosto." riprese il ragazzo, guardandomi con un'occhiata di rimprovero e poi rivolgendosi a Gally. Quel suo cambio improvviso di umore mi spaventò, lasciandomi per un attimo perplessa e senza parole.  "Ve ne dovete andare, al più presto. Siete voi quelli in pericolo, non i bambini, non per qualche anno ancora, per lo meno, ve lo assicuro."
Scossi la testa, incredula alle parole del ragazzo e alla sua incapacità di metterci al corrente dei piani dell'associazione. L'unica cosa che riuscivo ad immaginarmi dietro a questo suo blocco mentale era che la Cura fosse una cosa terribile, oltre ogni immaginazione: arrivati a quel punto non ero poi così certa che si trattasse di prendere sangue o magari altro di così semplice.
Feci per rispondere al ragazzo, ma Gally mi precedette e, dopo aver finito la sua opera con un cerotto bello grande, si alzò e si pose davanti al biondino. Nonostante fosse più basso di lui, Gally era il doppio più muscoloso di Newt, il che faceva sembrare il biondino indifeso e debole.

"Non abbiamo tempo per queste caspiate, Newt." disse duro, stringendo i pugni e facendomi preoccupare. "Quei bambini dipendono da noi, siamo venuti qua con uno scopo, non ce ne andremo senza di loro."
Vidi Newt incrociare le braccia al petto e guardarlo in modo truce. Mi misi a sedere e, ignorando il bruciore continuo al fianco, mi avvicinai ai due, spaventata all'idea di vederli prendersi a schiaffi. 
"Vi porterò da loro, lo farò." si limitò a dire Newt. "Ma se la missione dovesse rivelarsi più rischiosa del previsto dovete prendere la prima Berga che vi capita e andarvene."
Scossi la testa. Perchè non capiva? Persino sua sorella era stata catturata dall'associazione, ma questo lui non lo sapeva e chissà se quell'informazione aggiuntiva gli avrebbe fatto cambiare idea. Non potevo dirglielo, non in quel momento, non con quel clima. Non sapevo nemmeno se i bambini fossero ancora vivi, se Elizabeth ed Hailie stessero bene. Non potevo rischiare di dargli false speranze, non ora che era così instabile a livello mentale.
"Non possiamo..." iniziai, venendo subito interrotta dalla voce ora decisamente alta del biondino che, rosso in volto, iniziava ad alterarsi.

"Perchè non capite, diamine?" sbraitò, dando uno spintone forte a Gally e facendolo indietreggiare. Sentii il cuore galopparmi in petto e il volto andarmi a fuoco per la paura. Mi interposi tra i due, ma a mia sorpresa Gally non sembrò nemmeno voler ribattere a quella provocazione: per una volta nella sua vita sembrava non importargli se qualcuno gli metteva le mani addosso.
Tentai di parlare, ma il ragazzo continuò, le vene in risalto sul collo. "Dovete fidarvi di me! Siete in pericolo, prima ve ne andate e meglio è. Se loro vi prendono..." fece una pausa e incrociò i miei occhi, oramai velati di lacrime. 
Non capivo più nulla e mi sentivo terrorizzata. Per la prima volta nella mia vita provavo paura di fronte ai piani sconosciuti della W.I.C.K.E.D., anche se quella non era la prima volta che mi capitava di essere all'oscuro di tutto. Ciò che aveva causato quell'attacco di panico dentro di me era stata la reazione di Newt: se il ragazzo era davvero così preoccupato, per non dire terrorizzato, allora si trattava di qualcosa di davvero grosso, forse più grosso di noi.

Avevo paura per la vita degli altri, rimasti soli in chissà quale parte dell'edificio. Avevo paura per i bambini, ridotti in chissà quale stato e intrappolati chissà dove. E per la prima volta nella mia vita avevo anche paura per me stessa, perchè sapevo che se fossi morta, non ci sarebbe stato più nessuno a proteggere Newt: Gally non sarebbe riuscito a badare a Newt mentre si portava dietro Stephen.
Per non parlare poi del terrore attanagliante per lo stato in cui si trovava il biondino: i suoi continui cambi di umore, i suoi ragionamenti, il modo di muoversi e di comportarsi. Ciò che fino a quel momento era stata solo una brutta sensazione, ora iniziava a farsi più concreta. C'era qualcosa nel ragazzo che non mi quadrava, un qualcosa di macabro in lui che mi faceva accapponare la pelle. Per quanto mi ripetessi che quello fosse il mio Newt, il mio corpo sentiva che c'era qualcosa di sbagliato in lui. Persino il suo odore era cambiato.

"Eli, ti prego, fidati." sussurrò il ragazzo, calmandosi all'istante non appena notò la paura nei miei occhi. Venni bruscamente riportata alla realtà e sussultai spaventata quando me lo ritrovai a qualche spanna dal volto. Sentii una stretta al cuore. Mi sentii piccola, indifesa. "Se vi prendono, i bambini non avranno altre possibilità. Voi siete la loro unica chance di uscire da questo posto. Dobbiamo essere prudenti, scaltri. La W.I.C.K.E.D. qui funziona così."
Mi morsi il labbro e mi girai verso Gally in attesa di una sua opinione al riguardo. Era come se qualcuno mi avesse risucchiato tutto il coraggio, lasciandomi sola con l'insicurezza e con un senso di spaesamento. Mi sarei affidata al Costruttore, qualsiasi cosa avesse scelto, mi sarei fidata di lui. Per quanto amassi Newt, non ero più sicura di quello che diceva. I suoi continui sbalzi d'umore, i segreti, la memoria cancellata a tratti e il suo costante imbarazzo, iniziavano a farmi dubitare sempre più di lui.
Avevo paura che la Cura avesse in qualche modo intaccato la sua personalità o il suo modo di pensare, ma continuai a pregare che, una volta usciti da quel posto, lui sarebbe tornato ad essere il mio Newt.
Ma sopra ogni altra cosa, iniziavo ad essere sempre più convinta che la W.I.C.K.E.D. gli avesse fatto il lavaggio del cervello. Quello non era totalmente Newt o per lo meno, non era il ragazzo della Radura che conoscevo e la cosa mi faceva sentire terribilmente confusa e spaesata.

Gally fissò il suo sguardo nel mio per qualche attimo, intento a decifrare le mie emozioni e a pensare alla scelta più giusta da intraprendere, poi si voltò verso Newt e si fermò qualche istante a fissarlo. Lo osservò con attenzione, poi il suo volto si rilassò di poco e il ragazzo tornò a guardarmi.
"Forse dovremmo fare come dice lui. Se è davvero così pericoloso, non voglio rischiare di perdere nessuno. Abbiamo vissuto troppe morti, ora basta." sottolineò duro, poi addolcendo un po' il tono fece un passo verso di me. "Eli, arriveremo ai bambini e cercheremo di salvarli, ma devi promettermi che se ti troverai in pericolo di vita, cercherai di fuggire. Troveremo un modo per riprenderli, te lo prometto, ma ho bisogno di te viva. Capito?"
Scossi la testa. "Gally non esisto solo io, ho vissuto la mia vita, per quanto breve sia stata. Quei bambini meritano un futuro e io..."
"E lo avranno, credimi." mi rassicurò. "Se non ce la faremo questa volta, riproveremo più avanti. Se Newt ha ragione abbiamo ancora anni a disposizione per buttare giù un altro piano e prepararci, nel caso dovessimo fallire questa volta. Ma non avremo un'altra chance se moriremo tutti o quasi in questa battaglia."
Mi morsi il labbro e abbassai lo sguardo, sentendomi così debole e impotente nei confronti di quel gigante senza scrupoli che era la W.I.C.K.E.D.

Nonostante odiassi ammetterlo, sapevo che il ragazzo avesse ragione. Come aveva detto Newt, dovevamo usare l'intelligenza e non la forza. Sempre che le informazioni che il ragazzo ci stava dando fossero quelle corrette e non quelle che l'associazione voleva farci sapere. "Va bene, faremo come dite voi." acconsentii, sentendomi piccola e indifesa, e odiando me stessa per essere ancora così debole dopo tutto quel tempo passato a combattere demoni, morti e cattivi.
Così ci rimettemmo in cammino, questa volta con destinazione mensa. Newt e Gally, mentre ero svenuta, avevano controllato personalmente i dormitori, trovandoli tuttavia desolati. Poi mi avevano trascinato in infermeria e medicato con pazienza.
Ora che ero di nuovo in sesto potevamo proseguire e sperare solo che Stephen si svegliasse presto e che ci aiutasse a perquisire stanza dopo stanza tutto quel piano.
Mentre continuavamo ad avanzare prudenti, Newt ci informò che se non avessimo trovato i bambini nemmeno lì ci saremmo dovuti avvicinare sempre di più all'hangar nel caso in cui una fuga improvvisa si fosse rivelata necessaria.

Mentre camminavamo, avevo deciso di tenermi a debita distanza dal biondino e di affiancare Gally, la cui presenza mi faceva sentire più sicura. Ero terrorizzata all'idea di scoprire tutti i segreti e le cose orribili che Newt aveva dovuto passare e in un certo senso mi sentivo in colpa per essere così diffidente: se fossi stata io nei suoi panni, vederlo così prudente nei miei confronti mi avrebbe ferita. Ma non potevo fare altro che ricacciare indietro quei pensieri negativi e fidarmi di lui: senza il biondino, io e Gally eravamo senza un piano e senza una direzione da seguire. Se Newt fosse stato davvero manovrato dall'associazione, avremmo trovato un modo per fuggire. 
Quando alzai lo sguardo, scacciando dalla testa la nuvola di pensieri pessimisti, notai il Costruttore intento ad analizzarmi preoccupato. "Tutto okay?" sussurrò. "Sembri terrorizzata."
Feci spallucce e mi strinsi nelle spalle, lanciando un'occhiata al biondino qualche passo davanti a noi. "Non riesco... a capire." scossi la testa e mi trascinai un palmo sul volto nel tentativo di riprendermi. "Ha un comportamento strano, non riesco a fidarmi totalmente e la cosa mi fa sentire come un verme."
Vidi Gally accennare ad un sorriso e sfiorarmi il dorso della mano con le dita. "Non preoccuparti, andrà tutto bene e poi sei pur sempre in compagnia di un ragazzo a dorso nudo e di una femminuccia svenuta. Cosa mai potrà capitarti di male?" ridacchiò nel vano tentativo di tranquillizzarmi. Poi, accorgendosi che il mio corpo fosse ancora in tensione costante, pronta a scattare al primo accenno di pericolo, il ragazzo si voltò verso Newt, puntandolo.

"Hey, Newt." mormorò Gally, avvicinandosi al ragazzo e toccandolo leggermente con il gomito. Il biondino si voltò in modo lento verso di lui, un'espressione serena sul volto, ma visibilmente sovrappensiero. Era come se nei momenti morti il ragazzo entrasse nel suo mondo e si perdesse in esso, dimenticando momentaneamente la realtà. 
"Che ti è successo alla testa?" domandò il Costruttore, facendo come solito di testa sua e ignorando totalmente ciò che gli avevo detto qualche momento prima riguardo ai blocchi di Newt.
Alzai gli occhi al cielo e puntai il mio sguardo sulla sua schiena, sperando di avere il potere di potergliela mandare a fuoco. Lo sbalzo d'umore di Newt fu evidente: il ragazzo impallidì di colpo, come se quel ritorno brusco alla realtà l'avesse scosso, poi le sue guance presero fuoco mentre il ragazzo distoglieva lo sguardo imbarazzato, puntandolo a terra.
"Ecco io..." biascicò incerto, incrociando le braccia al petto come da protezione.

Vederlo in quello stato, così piccolo e chiuso su sé stesso, come se fosse indifeso e in gravi difficoltà, mi fece crepare il cuore. Gally in confronto a lui sembrava un macigno di sicurezza e muscoli, facendo così sembrare il ragazzo bendato molto più piccolo, nonostante l'altezza del biondino fosse maggiore.
Proprio come ai vecchi tempi, un istinto protettivo nei confronti di Newt si accese ardente nel mio petto, infuocandomi la pancia e facendomi reagire di scatto, senza pensarci troppo su. Era ovvio che il ragazzo non desiderasse toccare l'argomento e, per quanto fossi anche io curiosa di scoprire la verità, ero decisa ad aspettare finchè non si fosse sentito totalmente a suo agio con quel discorso.

Con due sole falcate annullai le distanze tra me e Gally e lo strattonai per un braccio, tirandolo via da Newt e trattenendomi dal dargli uno scappellotto sul collo.
"Cosa credi di fare, huh?" borbottai sotto voce sperando che Newt non sentisse.
"Cosa?" domandò lui di rimando, tanto stupito quanto imbarazzato. "Avevi detto che non capivi. Io stavo solo..."
"Ignorando quello che ti ho detto prima, sì, me ne sono accorta." lo ammonii. "Apprezzo il tuo tentativo di mettermi a mio agio, ma non è questo il modo. Ci dirà quello che vuole a tempo debito, magari ha solo bisogno di sentirsi anche lui a suo agio con noi. Lasciagli un po' di spazio." sussurrai nella speranza che Newt non origliasse.

Lanciai un'occhiata al biondino, ma lui sembrava essersi perso nuovamente nel suo mondo di pensieri e sogni, ignorando del tutto ciò che era appena accaduto e cambiando improvvisamente discorso. Newt ci informò che il piano dell'hangar doveva essere alquanto sorvegliato e che per raggiungerlo in ascensore ci sarebbe servita una chiave d'accesso.
A quelle sue parole un'illuminazione improvvisa prese il sopravvento nella mia testa, facendomi sentire stupida per non averci pensato prima. "Dobbiamo tornare indietro." li informai, bloccandomi sul posto e indicando il corridoio alle mie spalle. "Dobbiamo tornare dalle guardie che abbiamo ucciso o addormentato e dobbiamo perquisirle. Forse loro avranno una chiave."
Vidi Gally scuotere la testa. "Non possiamo rischiare di tornare lì. Dobbiamo proseguire."
Newt fece per aprire la bocca e proporre la sua idea, quando delle urla improvvise e rumori di passi ci misero subito in allerta, facendoci saltare sul posto.

Rimasi in ascolto e riuscii a dire con quasi totale certezza che i rumori provenissero da davanti: probabilmente qualche guardia doveva aver preso l'ascensore e doveva averci trovati. Ora non avevamo scelta: dovevamo davvero tornare indietro e cercare di guadagnare un po' di terreno o per lo meno scoprire un nascondiglio per riuscire ad attaccare in modo scaltro e senza farci trovare impreparati.
"Preso, l'infermeria!" bisbigliò Gally, come se si fosse connesso ai miei pensieri e avesse ascoltato la mia strategia. Dopodiché si precipitò sul corridoio da cui eravamo appena sbucati. Falcata dopo falcata, il ragazzo si allontanò in fretta, mettendo da parte la stanchezza e lasciando me e Newt indietro di qualche metro. 
Lanciai uno sguardo al biondino e lo trovai bianco in volto, immobile e spaventato. "Sono qui per voi." bisbigliò, incapace di muoversi. 
Con un passo lo raggiunsi, prendendogli la mano e tirandomelo dietro mentre con la mano libera stringevo forte l'arco. 
Nel giro di qualche secondo ci affiancammo a Gally e solo allora mi permisi di lasciare la mano di Newt per afferrare una freccia.

"Newt la pistola." gli suggerii, indicando con il mento il piccolo aggeggio metallico incastrato nei suoi pantaloni. Il ragazzo mi guardò spaesato, poi fece come gli avevo ordinato, prendendo con mano tremante lo spara sonniferi e stringendolo con entrambi i palmi per avere più fermezza. 
Continuammo a ripercorrere i nostri passi, tentando di essere il più silenzioso possibile e allo stesso tempo cercando di muoverci in fretta. Quando riuscimmo finalmente a raggiungere l'infermeria, un altro grido dietro di noi ci fece allungare il passo. 
"Presto!" ordinò una guardia nel preciso istante in cui Gally mi gettò dentro la stanza per prima, per poi tirare in avanti anche Newt e tentare per ultimo di entrare nell'infermeria.

 

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Capitolo 63
*** Capitolo 56. ***


Gally trascinò Stephen per la stanza, andandolo a posizionare accanto al muro di fianco la porta d'ingresso. Lasciò cadere il suo corpo a terra in maniera poco delicata, poi si precipitò di nuovo verso la porta. "Mettetevi tutti contro il muro." borbottò, puntando il dito contro il corpo senza sensi del ragazzo dai capelli bianchi.
Newt obbedì subito, ma un qualcosa dentro di me aveva iniziato a capire che c'era un qualcosa che non andava. Perchè Gally non aveva ancora chiuso la porta dell'infermeria?
"Fai come ti dico!" mi ordinò, guardando ad intermittenza il corridoio fuori e il mio volto paonazzo. "Sbrigati!" 
Sbattei le palpebre più volte prima di riuscire a sbloccarmi del tutto, poi iniziai a camminare velocemente verso Newt e Stephen. "Vieni anche tu." dissi sottovoce, appiattendomi contro il muro ma senza inginocchiarmi a terra come gli altri.

Vidi Gally estrarre la chiave dalla serratura della porta, poi mi lanciò un ultimo sguardo pieno di scuse che non riuscii a comprendere del tutto. "Non si fermeranno finchè non troveranno qualcuno e prima o poi ci scopriranno." si limitò a dire, lanciando un'altra occhiata preoccupata verso il corridoio. "Non fare cose stupide." ammonì poi, guardandomi con preoccupazione, prima di lanciarsi nel corridoio e chiuderci dentro a chiave.
Nei primi istanti mi sembrò quasi che il mondo si fosse fermato e rimasi a guardare la porta allibita, mentre Gally armeggiava con la serratura, poi quando vidi il suo volto scomparire della piccola finestrella sulla porta, mentre fuggiva in avanti nel tentativo di seminare le guardie, il tempo riprese a scorrere.
Mi gettai sulla porta e tentai più volte di aprirla a calci e a pugni, senza però risolvere granché. Non potevo credere a ciò che era appena successo e sperai con tutto il mio cuore che tutto quello fosse solo un incubo e che ero ancora svenuta sul lettino dell'infermeria. Mi dovetti trattenere dall'urlare il nome del ragazzo, troppo spaventata per vanificare il suo tentativo di salvarci dalle guardie: attirandole verso di lui, gli uomini in divisa forse non ci avrebbero notati.

Sentii dei passi sul corridoio e la luce all'interno della stanza si spense quasi subito con un click. Poi una mano mi strascinò bruscamente a terra e sentii delle braccia cingermi il corpo mentre, incapace di opporre resistenza, mi lasciavo cadere a sedere. "Gally..." pronunciai, cercando nella mia testa mille soluzioni possibili per salvarlo senza però trovarne nemmeno una.
Una mano si appoggiò sulla mia bocca e premette leggermente. Solo in quel momento riconobbi il nuovo e strano odore del ragazzo biondo. Dopotutto, pensai subito dopo, dandomi mentalmente della stupida. chi altro avrebbe potuto essere se non Newt?
Espirai in modo affannato e lasciai cadere la mia testa sul petto del ragazzo, chiudendo gli occhi e tentando di fingere che andasse tutto bene. Mi ripetei che quello era solo un sogno e che in realtà nulla di tutto quello era mai accaduto: io ero una normale adolescente, avevo una famiglia, e vivevo in un mondo sicuro e sano, in una casa tutta mia.

Ma anche prima di aprire gli occhi nel buio di quella stanza, mi sentii una stupida anche solo per averci sperato. Tutto quello che avevo affrontato insieme ai miei amici ci aveva portati lì dove eravamo: il Labirinto con i Dolenti; la Zona Bruciata con i suoi Spaccati; la W.I.C.K.E.D. con tutte le sue perfidie e i suoi esperimenti; la morte e la rinascita; gli inganni e le menzogne. Tutto, ogni singola cosa era accaduta ed era irreversibile.
Non ci restava che proseguire, bendati come prigionieri che stanno per essere giustiziati. Non sapevamo cosa sarebbe successo, non avevamo nessuna certezza e, ancora peggio, iniziavamo anche a perderci tra di noi.

Furono i passi delle guardie che correvano veloci davanti alla nostra porta, ignorandoci e passando avanti, a risvegliarmi dal mio stato di trance. Mi ricordai solo allora di dover respirare, sentendo i miei polmoni bruciare. Dovevo salvare Gally a tutti i costi. Dovevamo tornare dai nostri amici, trovare i bambini e andarcene una volta per tutte.
Avrei raso al suolo la W.I.C.K.E.D. e lo avrei fatto senza pietà alcuna, per ripagarli con la stessa cura e le stesse premure che loro ci avevano riservato.
Avrei distrutto e ridotto in cenere chiunque avesse cercato di intralciarmi e lo avrei fatto in modo brutale, senza battere ciglio.

Sentendomi il cuore battermi forte in petto come un tamburo che annuncia una battaglia imminente, mi alzai di scatto, liberandomi con uno strattone dalle braccia di Newt.
Mi avvicinai alla porta con una sola falcata e, ignorando i continui richiami terrorizzati di Newt, iniziai a prendere a calci la porta con tutte le forze che avevo in corpo. Colpo dopo colpo, i rumori si diffondevano per la stanza e per il corridoio esterno. Sperai solo che le guardie potessero sentirmi e avessero iniziato a fare dietro front. Non notando alcun cambiamento nella porta che continuava a rimanere serrata, prendendosi gioco di me, iniziai con le spallate, facendomi soltanto male e non risolvendo nulla.

Ricordandomi all'improvviso di un dettaglio non trascurabile, lasciai perdere la porta per qualche istante, gettandomi in ginocchio di fianco a Stephen e afferrandolo per il colletto. Era rimasto svenuto per troppo a lungo, era ora di riportarlo alla realtà. 
Sotto i rimproveri increduli di Newt, iniziai a schiaffeggiare il ragazzo sul volto, prima con delicatezza pacata, poi con più ardore. Al quarto schiaffo, il ragazzo balzò a sedere terrorizzato e prendendo diversi respiri affannati. Si portò le mani sulle guance e un urlo soffocato gli uscì dalle labbra secche. Con il volto totalmente paonazzo, se non fosse stato per il rossore eccessivo sulle gote, lui si girò in mia direzione, guardandomi in modo truce e confuso.

"Che diamine..." iniziò, ma non lo feci finire, troppo presa dall'uscire da quella stanza per poter sprecare tempo in racconti.
"Muovi il culo." ordinai. "Vieni ad aiutarmi ad abbattere la porta, ti spiegherò dopo."
Facendo come gli avevo ordinato, il ragazzo si tirò su lentamente e mi raggiunse alla porta, ignorando totalmente la presenza di Newt ancora seduto a terra, troppo incredulo per parlare. Sorprendendomi, Stephen non fece nessuna obbiezione, né si lamentò e prese posto accanto a me. Ci muovemmo in perfetta sincronia, alternandoci tra spallate, calci e spintonate alla porta. Dopo diversi cigolii e qualche scricchiolio di legno, la porta si spalancò e qualche bulbo della serratura in metallo iniziò a tintinnare sul pavimento, correndo via lontana dalla nostra brutalità.

Non appena la porta cedette, spalancandosi verso l'esterno e facendo un brutto rumore, la luce filtrò copiosa nella stanza, illuminando non solo gli oggetti dell'infermeria, ma anche il volto paonazzo di Newt che, lentamente, iniziò a tirarsi in piedi.
Mi voltai verso Stephen, pronta ad impartirgli nuovi ordini, ma non appena lo vidi accorgersi della presenza di Newt dietro di lui, non potei fare a meno di sorridere. Il ragazzo spalancò la bocca da cui uscì un urletto acuto, poi balzò all'indietro, correndo dietro di me e riparandosi con il mio corpo. "C-C-C-Cosa cacchio..."
"Anche io sono altrettanto stupito nel vederti ancora vivo e vegeto, pensavo che avresti lasciato le penne in qualche avventura, ma ti vedo ancora in forma." iniziò Newt, avanzando nel corridoio in direzione di Stephen, che però fece un passo indietro e mi fissò, cercando di analizzare la mia reazione e studiando la situazione.

"Sto sognando? Sono in paradiso?" domandò lui. "Sei morta anche tu?"
Mi portai una mano sul volto e scossi la testa, incredula. "No, brutto scemo che non sei altro." abbaiai, guardandolo in cagnesco. "Mentre ti spiego, iniziate a muovervi." ordinai con voce ferma, poi puntando lo sguardo su Newt, suggerii: "Le pistole, prendile entrambe e usale per coprirmi." Puntai il dito contro Stephen e, cavando altre due pistole dai miei pantaloni, gliele porsi, guardandolo mentre le afferrava e le rigirava tra le dita, esaminandole curioso. "Sono leggere per..."

"Usale senza pietà. Sono sonniferi, non proiettili. Manderanno le guardie K.O. per abbastanza tempo da permetterci di fuggire." spiegai brevemente. "E ora seguitemi senza fare storie e state pronti a sparare."
Sentii Stephen borbottare dietro di me, tenendosi a debita distanza da Newt e guardandolo con fare circospetto. "D-Dove, cosa... Dove stiamo andando?" domandò, poi subito dopo riprese con gli interrogativi: "Cosa è successo? Perchè Newt è vivo improvvisamente e sono solo io a sclerare?"
Scossi la testa, ma la risposta del biondino arrivò prima della mia. "Ancora con questa storia della morte?" borbottò scocciato. "Che diamine, voi pive avevate poca fiducia nelle mie capacità di sopravvivenza, vedo."
"Ma se Thomas..." iniziò Stephen, allarmandomi e facendomi reagire immediatamente.

"Non abbiamo tempo per questo, Steph. Sta zitto e ascolta." ordinai dura, nel tentativo di spaventarlo a tal punto da non farlo più parlare. Non potevo gestire tutto contemporaneamente: se combattevo contro le guardie e mi creavo un piano mentale nel frattempo, non potevo anche tenere a bada la linguaccia lunga di Stephen mentre evitavo che a Newt venissero altre crisi. "Se ti sento fiatare ti sparo una pallottola nel collo e ti rimando nel mondo dei sogni, chiaro?" sbottai, voltandomi velocemente solo per guardarlo con aria truce e ricevendo in risposta un 'sì' balbettante.

Mi dispiaceva essere così dura con lui, soprattutto contando la confusione mentale e lo spaesamento in cui doveva trovarsi. Non solo si era perso metà del viaggio che avevamo fatto fino a quel momento, ma si era anche perso la novità di Newt, tornato di nuovo nel mondo dei vivi, e soprattutto tutte le informazioni che ci aveva fornito su di lui e sulla sede.
Non avevo tempo per aggiornarlo su tutto, quindi mi limitai a fare una lista delle cose più importanti al momento. "Gally sta facendo da diversivo e sta attirando le guardie. Noi lo stiamo seguendo, quando incontriamo le uniformi, iniziamo a sparare. Ci riprendiamo Gally e poi raggiungiamo gli altri."
"Dove sono gli altri?" domandò Stephen curioso, allungando il passo e ponendosi vicino a me. "Li avete trovati? E i bambini?"
"C'è anche Thomas?" chiese Newt curioso, allungando il passo e mettendosi anche lui al mio lato.

"Sì, c'è anche Thomas, ma non sappiamo dove sono finiti. Né dove sono i bambini, ci stiamo ancora lavorando su." mi limitai a dire in modo sbrigativo.
"Chi altro c'è?" continuò il biondino, affrettando il passo per riuscire a starmi dietro. 
"Minho, Violet, Brenda, Jorge e Teresa." elencai, inserendo una freccia nell'arco e caricandola non appena iniziai a sentire i primi rumori provenire dalle guardie ancora in vantaggio davanti a noi.
"Violet?" domandò confuso. "E chi è?" 
Feci per rispondere, riconoscendo sedutastante un'altro dei vuoti mentali del ragazzo, ma il biondino mi anticipò. "E Teresa chi... Frypan?" chiese terrorizzato, interrompendo la frase all'improvviso. "Ti prego dimmi che..."
"Non è morto." lo rassicurai, lanciandogli un'occhiata di sbieco per assicurarmi che fosse tutto a posto. "Ha scelto di non prendere parte a quest'avventura. Ci aspetta a casa." mormorai, sorridendo appena quando mi venne in mente il Posto Sicuro e il ragazzo dietro i banconi della cucina, intento a preparare un'altra delle sue delizie. Quanto mi mancavano i pasti di Fry.

"E-E..." il biondino tentennò leggermente, con la coda dell'occhio lo vidi arrossire. "Thomas è... insomma, è dalla parte dei buoni?"
Dovetti lottare contro l'istinto di puntare i piedi a terra e di voltarmi di scatto verso di lui. Cosa intendeva dire con quella frase? Notai Stephen lanciarmi la stessa occhiata confusa, ma nessuno dei due fece in tempo a rispondere, dato che un proiettile ci colse tutti di sorpresa.
Eravamo talmente distratti e concentrati nel parlare, che per un attimo ci eravamo scordati del resto, non notando nemmeno che il rumore di passi e il frusciare di vestiti si fosse interrotto all'improvviso. Le guardie, ora in schiera davanti a noi, stavano iniziando a raggrupparsi, ma erano solo in cinque. 
Solo una, tra tutte, aveva la pistola puntata su di noi e, presa dall'ansia dell'azione, aveva anche sbagliato colpo, mancando Newt di un soffio.

Prima che le altre guardie riuscissero a caricare le loro pistole, la mia freccia si era già direzionata verso la testa della prima guardia, facendo schizzare il suo sangue sul muro non appena avvenne l'impatto mortale. Il corpo dell'uomo senza vita si accasciò a terra con un tonfo e vidi Newt indietreggiare spaventato. Mentre Stephen puntava l'arma contro un'altra guardia, lanciando qualche colpo ma mancando il bersaglio, io mi posi davanti al biondino, sentendomi nuovamente in dovere di proteggerlo.

Caricai l'arco e, facendo due passi in avanti, lasciai che la freccia si andasse a conficcare nella spalla della guardia, mancando di molto il suo cuore, a cui avevo puntato. Presi la ricorsa e mi lanciai su di lui, atterrandolo con una spinta e bloccandolo a terra con le mie gambe. Caricai velocemente un'altra freccia non appena vidi una guardia muoversi in mia direzione. Lanciai la freccia senza prendere troppo bene la mira e gliela conficcai nello stomaco, poi usando l'arco, lo colpii forte alle gambe, riuscendo a fargli perdere l'equilibrio e a ribaltarlo all'indietro.

Sentii la guardia sotto di me gemere e fare forza per liberarsi. Mi afferrò le braccia e tentò di spostarmi di lato, così puntai i piedi a terra e forzando i muscoli, riuscii a colpirla alla testa con la coda dell'arco di metallo. Il casco protettivo della guardia si sganciò e rotolò per il pavimento, rivelandomi la sua faccia. Un lieve accenno di barba, naso ad aquilino, occhi azzurri e tanto stanchi quanto spaventati. Soffocando la voce che mi pregava di mostrargli pietà e risparmiare la sua vita, tentai di affibbiargli un altro colpo con l'arco, impossibilitata a prendere un'altra freccia, ma questa volta l'uomo anticipò le mie mosse e, con un movimento repentino, mi sollevò le braccia e facendo forza sulle gambe riuscì a ribaltarmi dall'altra parte.

Non appena sentii la schiena toccare il pavimento, cercai di inarcarmi per rimettermi almeno in ginocchio, ma questa volta la guardia fu più veloce di me e con un balzo mi fu addosso, facendomi sbattere le braccia a terra con forza e brutalità in modo che abbandonassi le armi.
E così feci, nonostante avessi tentato di mantenere salda la mia presa attorno all'arco, la mia mano si aprì automaticamente non appena il polso sbatté a terra con violenza, facendomi male.

Mugugnai per il dolore della botta, ma non mi diedi per vinta e, non appena la guardia allungò una mano verso l'ultima pistola ancora inserita nella fibbia, feci la mia mossa. Gli afferrai con la mano libera il colletto della divisa e la strattonai verso di me, cogliendolo di sorpresa, poi non appena la sua testa fu abbastanza vicina alla mia, presi la carica e sbattei il mio cranio contro la parte morbida della sua fronte. Il colpo fu talmente forte e veloce che per un attimo stordì anche me. 
Terrorizzata all'idea di perdere il vantaggio, feci di tutto per ignorare il giramento di testa e mettermi in ginocchio. Non appena individuai il mio arco a terra, lo afferrai velocemente e lo caricai, sperando che il mio colpo sarebbe andato a segno nonostante la vista sfocata.
Presi la mira, cercai di trattenere il respiro, portai la corda alle labbra e poi lasciai il tiro, osservando la freccia conficcarsi nella gola dell'uomo che immediatamente si portò i palmi sulla ferita e ricadde all'indietro boccheggiando in cerca d'aria.

Senza attendere altro, mi tirai su in piedi e, portandomi una mano sulla testa e strizzando forte gli occhi, riuscii a riprendermi parzialmente dal colpo che avevo appena assestato. Osservai Stephen combattere a mani nude contro una guardia, schivando alcuni dei suoi colpi, mentre altri andavano a segno. I movimenti del ragazzo erano sicuramente ancora rallentati dal sonnifero, rendendogli così impossibile muovere tutti i muscoli e le parti del corpo con sincronia e ordine.
Tuttavia, quando notai che un'altra guardia giaceva dormiente ai suoi piedi, con ancora una delle mie frecce conficcate nell'addome e diversi colpi di pistola sulle gambe, compresi che il ragazzo non avesse il benché minimo bisogno di aiuto. 
Il panico invece mi colse non appena notai che la quinta e ultima guardia fosse sparita dalla mia vista. Mi voltai di scatto e feci appena in tempo a notarla che una capsula piena di sonnifero mi esplose sull'arco, direzionata dove prima c'era la mia spalla.

Vidi l'uomo trascinarsi dietro Newt, tenendolo saldo per il colletto, mentre con la pistola cercava di spararmi diversi colpi. Grazie al dimensarsi continuo del biondino, prendere bene la mira era impossibile per la guardia, regalandomi così una soglia di vantaggio su di lei. Presi a correre e, decisa a non sprecare altre frecce, cavai l'ultima pistola che mi era rimasta dalla cinta in vita, puntandogliela contro e sparando un solo colpo diretto al petto. Vidi la guardia gettarsi di lato, colta alla sprovvista e riuscì per miracolo ad evitare la capsula della pistola, che esplose sul muro alle sue spalle.

Le sue gambe vacillarono leggermente quando, nel tentativo di buttarsi a lato, si era dimenticata del peso di Newt, sbilanciandosi e rischiando di perdere totalmente l'equilibrio. La sua pistola si agitò di lato insieme al suo braccio nel tentativo vano di riacquistare la stabilità ormai perduta e Newt, cogliendo al volo quell'occasione, afferrò il braccio che lo teneva per il colletto e lo strattonò malamente a terra. La guardia gli cadde goffamente addosso e dalle labbra del biondino uscì un lamento soffocato dai vestiti dell'uomo che, contorcendosi su se stesso, stava cercando un appiglio per rimettersi in piedi.
Decisa a finirlo una volta per tutte, avanzai verso i due che oramai avevano iniziato a rotolare per terra, lanciandosi colpi alla rinfusa nel tentativo di colpire l'altro in tutto quel casino. Quando il pugno della guardia andò a finire sulla mandibola del ragazzo, stordendolo visibilmente, un grido si levò dalle sue labbra e il biondino serrò gli occhi spaventato, chiudendosi su se stesso come un riccio e coprendosi la testa con le braccia.

 

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Capitolo 64
*** Capitolo 57. ***


Fu quella la goccia che fece traboccare il vaso. Animata improvvisamente dal senso di protezione, mi lanciai sulla guardia, placcandola da dietro e scaraventandola a terra a qualche metro di distanza da Newt, ancora chiuso su se stesso e confuso.
Per via del forte impatto l'arco mi volò via, facendo un orribile suono metallico che si propagò per tutto il corridoio. Prima di iniziare a prendere a pugni la guardia sotto di me, la trattenni al suolo con una mano premuta sul collo. Con il pollice riuscii a sganciare la piccola cinghia che teneva il casco incollato alla sua testa e con una manata glielo feci volare via.

Alzai il pugno in aria e feci per mettere a segno il mio tiro, quando un'improvvisa realizzazione mi scosse. Quello che stavo affrontando non era un uomo, bensì una donna giovane, dai lineamenti dolci e con delle lentiggini sul naso a patata. Mi prese un colpo al cuore quando notai i suoi occhi colmi di paura e adrenalina allo stesso tempo, poi la ragazza sorrise, la bocca inarcata in un ghigno pieno di soddisfazione e perfidia. Fu lei a lanciarmi il primo colpo che andò a segno proprio sotto il mio mento, lanciandomi la testa all'indietro e facendomi sbattere i denti tra di loro. Sentii una scossa elettrica percorrermi il cranio, a partire dalla mandibola e boccheggiai mentre mi gettavo all'indietro nel tentativo di acquistare un po' di terreno per difermi dal prossimo colpo che mi sarei aspettata arrivare da un momento all'altro.

Serrai gli occhi quando lo stordimento di quella botta si mischiò alla testata precedente, annebbiandomi i sensi e facendomi perdere l'equilibrio. Caddi con le chiappe a terra, sbattendo forte l'osso sacro e maledicendomi mentalmente per la svista che non mi sarei mai dovuta permettere: non potevo rischiare che pietà e sentimenti facessero scalpo sui miei obbiettivi. La W.I.C.K.E.D. non aveva mai battuto ciglio prima di farci del male, perchè avrei dovuto farlo io?
Il fine giustificava i mezzi? E così sarebbe stato. Gli avrei fatto assaggiare ogni parola di quel loro motto del caspio.

Quando riaprii gli occhi, notai che Newt avesse ripreso a lottare contro la donna, assestandole qualche debole colpo al viso, ma senza riuscire a scalfirla più di tanto. Il ragazzo aveva perso entrambe le pistole nel combattimento e ora si trovava disarmato. Un colpo della donna andò a segno sul naso del ragazzo che lo stordì quanto bastava per riuscire a cavare la pistola di riserva da dietro la schiena e a puntargliela appena sopra la scapola.
"Stai fermo o..."

Non le feci nemmeno finire la frase. Mi gettai su di lei come una furia, urlando rabbiosa e scaraventandola di lato. Un colpo partì dalla sua arma, ma fortunatamente non andò a segno. Nel tentativo di usare la sua stessa pistola contro di lei, iniziai a storcerle il braccio. Lei mi urlò contro, cercando di ribattere al mio attacco e, non appena notai che non sarei riuscita a forzarla a girare la canna in sua direzione, optai per la tecnica che uno dei suoi colleghi aveva appena usato su di me: con due colpi secchi e violenti, sbattei il suo braccio a terra, colpendole il polso della mano che stringeva la pistola sul pavimento. Lei urlò e allungò la mano libera per toccarsi il polso, ma la pistola le scivolò dalle dita, strisciando sul pavimento.
Mi allungai a fatica e la presi senza fare troppe storie, poi mi misi nuovamente in posizione eretta, puntando la pistola al suo petto e sparando immediatamente senza nemmeno darmi il tempo di prendere bene la mira. Lanciai tre colpi consecutivi, che risuonarono nell'aria, ponendo la parola fine a quel combattimento.

Lasciai cadere l'arma a terra disgustata e, con il fiatone e l'adrenalina ancora in corpo, mi tirai su in piedi, affrettandomi verso Newt e controllandolo immediatamente. Il biondino, nonostante lo spavento iniziale, sembrava stare bene; Stephen invece pareva essersi svegliato totalmente e ci aveva raggiunti con una corsetta veloce, la fronte imperlata di sudore e il fiato corto.
"Avevi detto che ci sarebbe stato Gally." mi ricordò il ragazzo dai capelli bianchi. "Dove diamine si è cacciato?"



 

Eravamo arrivati troppo in ritardo per poterlo salvare, eravamo stati troppo lenti e incauti. E ora, dovevamo trovare un modo per poterlo riprendere tra di noi e strapparlo dalle grinfie della W.I.C.K.E.D.
Non avevamo altra scelta, se non quella di tornare sui nostri passi e tentare l'accesso ad altri corridoi nel tentativo di recuperare Gally. Vedermelo strappare via da davanti agli occhi senza poter fare nulla per aiutarlo era stato frustrante e mi aveva lacerato il cuore.
Avevo provato più volte ad abbattere il muro invisibile che ci divideva dal corpo del ragazzo, steso a terra e placcato da una delle guardie, ma come ben sapevo quel muro era indistruggibile. Forse solo una granata avrebbe potuto mandarlo in frantumi, ma per mia sfortuna, l'unica cosa pronta ad esplodere che avevo addosso in quel momento, era il mio cuore.

Battendomi all'impazzata contro il petto, come se volesse lacerarmi le interna e scappare via lontano, il battito del mio cuore andava a ritmo con i pugni che stavo affibbiando all'impazzata sulla parete trasparente, facendomi male alle nocche e ricordandomi per l'ennesima volta di essere viva, eppure incapace di preservare le vite altrui.
Urlai invano il nome del ragazzo che però non notò mai la mia presenza al di là della parete, troppo impegnato ad opporre resistenza, anche se le sue azioni – e ora era palese anche ai miei occhi, nonostante odiassi ammetterlo – si stavano rivelando alquanto inutili contro il bestione che gli stava sopra nel tentativo di immobilizzarlo e contro l'altra guardia, più secca, che gli puntava contro una pistola.
Ora la situazione mi era chiara e la cosa mi faceva imbestialire: quella squadra di guardie era stata più scaltra di noi questa volta e, mentre un piccolo gruppetto era tornato indietro verso di noi per tenerci occupati e catturarci, le due guardie restanti avevano continuato a dare la caccia a Gally, riuscendo ad avere la meglio su di lui.

Era ovvio che, nel caso in cui il piano di dividerci in questo modo fosse fallito, la prossima mossa della W.I.C.K.E.D. sarebbe stata una parete trasparente e, soprattutto, invaricabile.
Continuai a battere sul vetro con tutte le mie forze, finchè la prima guardia si girò verso di noi, notando solo in quel momento la nostra presenza. Come se Gally si fosse accorto di quella sua distrazione, riuscì a muoversi più liberamente senza paura di essere sotto tiro e, approfittando anche della distrazione della seconda guardia, che stava cercando probabilmente di richiamare all'attenzione la prima, il ragazzo riuscì a liberarsi dalla sua presa, strisciando via da lui in modo agile.
Battei ancora più forte sul vetro e sperai che Gally mi guardasse. Non volevo che pensasse di essere da solo, non volevo che credesse che lo avessimo abbandonato in quel modo.
Lui doveva vederci, doveva capire che, anche se non potevamo fare nulla per aiutarlo in quel momento, sapevamo cosa gli era successo e saremo tornati a prenderlo ad ogni costo.

Vidi il ragazzo notarci e improvvisamente correre verso di noi, per poi sbattere violentemente contro la parete in vetro che il ragazzo non pareva aver notato. Dopo un primo stordimento, il ragazzo fece qualche passo indietro e poi si gettò di nuovo sulla parete invisibile, appiattendo il busto contro di essa e spingendo terrorizzato verso di noi. Lo vidi battere il pugno sul vetro e appoggiai il palmo sulla parete, riuscendo a mala pena a sentire la vibrazione dei colpi del ragazzo.
"Torneremo a prenderti!" gridai con tutto il fiato che avevo in corpo. "Gally, torneremo!" sbraitai ancora, sentendomi la gola in fiamme e gli occhi bruciare.
Non volevo separarmi dal Costruttore, non volevo che lo portassero via da me.
Ma quando una capsula si andò a conficcare nella sua schiena e il ragazzo si accasciò sorpreso sulla parete, non riuscii a fare altro se non appoggiare la mia fronte sul vetro, mettendola quasi al pari della sua.
Vidi i suoi occhi illuminarsi all'improvviso non appena incrociarono i miei, sul suo volto sparì di colpo tutta la paura e l'adrenalina che avevo notato prima. "Tornerò a cercarti." gli promisi, sussurrando quel giuramento più per infondere coraggio a me stessa, che a lui.
Le sue labbra si mossero leggermente e mi sorrisero. Poi gli occhi del ragazzo si ribaltarono totalmente all'indietro e lui cadde a terra privo di sensi.

Una mano mi afferrò il polso e mi strattonò all'indietro, facendomi riacquistare solo in quel momento l'udito e riportandomi alla realtà in modo brusco.
"Dobbiamo andarcene!" mi gridò Stephen, trascinandomi all'indietro e riuscendo a farmi muovere qualche passo, ma senza attirare la mia attenzione, ancora totalmente fissa sul corpo di Gally accasciato al suolo, per metà appiccicato contro la parete.
Come se un vecchio ricordo si fosse attivato nella mia mente, all'improvviso riuscii ad associare la sua voce, alle parole che avevo precedentemente decifrato dalle sue labbra prima che il ragazzo perdesse totalmente conoscienza.
Sei tornata a cercarmi. Ripetè la voce di Gally nella mia mente, più e più volte, come ad imprimere ancora più nel profondo la promessa che gli avevo assicurato più volte. 
"Tornerò sempre." gli risposi ad alta voce, nonostante fossi consapevole che il ragazzo non potesse sentirmi. 
Un altro strattone di Stephen e, nel mio campo visivo, entrò anche la figura del bestione che aveva atterrato Gally: la guardia stava parlando ad un ricettore inserito sulla spalla della sua divisa. Ci stava fissando, ma per via del casco non riuscii a vedere la sua espressione, anche se potevo giurare che stesse sogghignando.

"Dobbiamo andarcene, Elena! Muovi il culo, diamine!" mi gridò contro Stephen, dandomi subito dopo un colpetto alla guancia. Non fu proprio uno schiaffo, ma il ragazzo non fu nemmeno delicato. Tuttavia quel colpo mi bastò per riprendermi totalmente. Il ragazzo aveva ragione, dovevamo muoverci, sparire dalla circolazione e dovevamo farlo in fretta.
Se non fosse stato per Stephen che continuava a strascinarmi corridoio dopo corridoio, svolta dopo svolta, probabilmente i miei piedi sarebbero rimasti incollati al suolo, incapaci di muovere un solo passo nella direzione opposta a Gally e abbandonarlo lì.
Non avevo la minima idea di dove lo avrebbero portato, ma ora, le parole e le spiegazioni che ci aveva riportato Newt qualche momento prima mi spaventavano a morte. Se il biondino aveva ragione, eravamo noi quelli in pericolo, noi quelli che la W.I.C.K.E.D. voleva. Le pareti per separarci, i sonniferi e le continue caccie all'uomo ne erano la prova: servivamo loro vivi e servivamo loro in fretta.

Continuammo a correre per i corridoi alla rinfusa, senza mai riceve indicazioni chiare da Newt che sembrava stesse per andare in tilt. Non sapevo cosa avesse scatenato quella confusione in lui, se la battaglia, l'imminente pericolo o la cattura di Gally, ma quello era il momento meno opportuno per cancellare i ricordi e tornare indietro nel tempo.
Con uno strattone, mi liberai dalla presa di Stephen, ordinandogli di fermarsi e ignorando completamente le sue lamentele, poi mi avvicinai a Newt, trovandolo a balbettare qualche parola tra sé e sé, il volto pallido e l'espressione confusa. "Non è veramente così." borbottò il ragazzo scocciato tra sé e sé. 
"Newt, tutto okay?." lo richiamai, portandolo a guardarmi in volto e accorgendomi immediatamente del cambiamento nel suo sguardo. Il ragazzo sembrava quasi che stesse soffrendo per qualcosa e, in principio, interpretai quell'espressione ferita sul volto come una manifestazione del dolore fisico. 
"Non è così, ti ho detto. Smettila!" sussurrò di nuovo, evitando il mio sguardo. Presi il suo volto tra i palmi e lo rigirai da una parte all'altra, alla ricerca di una ferita o di un qualcosa che non andava, ma a parte una mandibola e un naso arrossati e gonfi, il ragazzo sembrava stare bene.

O almeno così mi ripetei, finchè il biondino, con la stessa espressione ferita in volto, mi prese i palmi e li tolse dalle sue guancie, lanciandomi un'occhiata fredda, distaccata, ma ancora brutalmente ferita, nonostante stesse cercando di nasconderlo.
"Sto bene." disse secco, spaventandomi per quell'improvviso cambio d'umore. "Non è niente. Andiamo."
Inizialmente pensai che stesse ancora dialogando con sé stesso, ma l'occhiata che mi aveva affibbiato parlava da sé: il ragazzo era furioso con me, sembrava quasi offeso o deluso per qualcosa che non mi sapevo spiegare. Ciò che invece era certo, invece, era che la freddezza delle sue parole erano rivolte a me e a nessun altro. 
Poi, senza degnarmi di un altro sguardo o di un'altra parola, il biondino girò attorno e, ponendosi al fianco di Stephen, riprese a camminare in avanti, conducendoci con una freddezza e una sicurezza che mi spiazzarono. Incrociai per una frazione di secondo lo sguardo di Stephen e mi aspettai di trovarlo tanto confuso quanto me, perciò mi sentii totalmente spaesata quando in realtà nei suoi occhi trovai una consapevolezza altrettanto triste e una compresione quasi empatica nei confronti del biondino.
Non seppi dire con certezza se quello che lessi sul suo volto, fosse compassione per il suo stato fisico e mentale o se fosse un dispiacere nei suoi confronti per un qualcosa che non avevo ancora compreso – ed ero terrorizzata a morte, se era questo il caso. A quanto pareva, se io non ero riuscita a capire la causa del dolore visibile sul volto di Newt, Stephen ci era riuscito eccome.

Mi sentii ferita non appena l'espressione addolorata del ragazzo e il suo sguardo freddo mi tornarono in mente. 
Quello sguardo che mi aveva lanciato era... 
Scossi la testa. No, non può essere così, devo aver visto male. Pensai tra me e me. 
Perché mai Newt avrebbe dovuto guardarmi addirittura con disgusto?
Mettendo da parte la confusione, riuscii a continuare a seguire i ragazzi. Non ebbi il coraggio di chiedere a Stephen cosa fosse appena successo al biondino, non sarei riuscita ad ascoltare la sua risposta senza scoppiare in lacrime, perchè ero certa che la notizia che avrebbe potuto darmi riguardo lo stato emotivo di Newt mi avrebbe spezzata.
In un certo senso, però, potevo immaginare che avesse a che fare con il mio comportamento nei suoi confronti. Forse aveva percepito che ancora non riuscivo a fidarmi completamente di lui e, per quanto mi distruggesse ammetterlo, potevo capirlo se si trattava di questo. In un certo senso mi sentivo disgustata io stessa dalla mia mancanza di fiducia: essere così diffidente nei suoi confronti non era da me, avrei dovuto essere felice, riempirlo di baci e abbracci, sentire le farfalle svolazzarmi nello stomaco e invece, nulla di tutto quello stava avvenendo dentro di me. Ciò che mi circondava le viscere, non erano belle farfalle svolazzanti, bensì una sensazione di panico, confusione e terrore.

Newt era improvvisamente tornato nel mondo dei vivi, ma prima di quella sua apparizione in carne ed ossa, avevo vissuto tanti suoi ritorni enigmatici e dolorosi: la mia mente più volte aveva cercato di riportarlo in vita, non solo nei miei ricordi, ma anche nei miei sogni; più volte mi era capitato di sentire il suo profumo, o la sua voce nella mia testa nei momenti più difficili; troppe volte mi ero immaginata il suo volto sul corpo di altre persone, ingannata dal mio inconscio; per non parlare poi della copia del ragazzo che avevo dovuto affrontare e uccidere senza avere altra scelta.
Vederlo lì, davanti a me, con il suo solito zoppicare e tutte le novità che si portava dietro mi aveva spiazzata e colta talmente tanto alla sprovvista che non ero riuscita a lasciarmi andare totalmente. Accettare quella verità sarebbe stato difficile e ancora più doloroso se alla fine di tutto, il Newt che mi ritrovavo di fronte si fosse rivelato essere un altro dei giochetti della W.I.C.K.E.D.
Se quello fosse stato il caso, sarei anche potuta rimanere alla sede, offrendomi volontariamente come paziente soggetta a pazzia e facendomi analizzare per bene il cervello.

Solo dopo qualche parola scambiata in modo tranquillo con Stephen, il quale continuava a porre domande e dubbi sulla situazione di Newt, il biondino si decise a parlarmi, regalandomi però un tono freddo e quasi scocciato.
"Mentre eri intenta a piagnucolare per Gally, io e Stephen abbiamo perquisito le guardie e abbiamo trovato una chiave. Forse ci condurrà all'hangar, ma per..."
Fu come se il mio cuore avesse smesso di battere per istanti che mi sembrarono infiniti. Una stretta al petto fece sentire il suo peso su di me, obbligandomi a trattenere il fiato. Sentii tutte le certezze crollarmi addosso.
Piagnucolare per Gally? Ripetei nella mia mente. 
"Come scusa?" borbottai, sentendo un altro sentimento farsi strada nella mia pancia, arrossandomi le guance e facendomi ribollire il sangue nelle vene.
Il ragazzo sospirò scocciato. "Ho detto che per sicurezza andremmo prima a controllare in mensa, poi al massimo ci dirigeremo verso..."
Lo interruppi sedutastante, cercando di controllare la mia rabbia improvvisa e chiedendomi chi dei due avesse ragione al momento: se lui con la sua apparente gelosia nei confronti di Gally o se io, con la mia confusione in testa per quella sua apparizione improvvisa dopo aver passato mesi a crederlo morto.

Presi un bel respiro e cercai di parlare con calma. Magari l'umore del ragazzo era anche dovuto alla cura che stava seguendo, magari era facilmente suscettibile per aver passato così tanto tempo da solo. "Gally è il mio migliore amico, Newt. Cosa intendi..."
"Oh, sì, migliore amico." sbottò lui, fermandosi di botto e voltandosi verso di me. Vidi Stephen fare qualche passo di lato, appiattendosi contro la parete e desiderando probabilmente di essere in qualsiasi altro posto all'infuori di quello in cui si trovava. "Quindi mi vorresti dare a bere che tra di voi non c'è e non c'è stato un cacchio di nulla, vero? Il modo in cui parla, ti guarda e... ti tocca. Abbiamo quasi litigato, quando sei svenuta, perchè voleva ricucirti lui a tutti i costi, sai? Non mi sembra che questo sia un comportamento da amici. Per non parlare della scenetta che hai fatto quando..."
"Scenetta?" sbottai, sentendo tutti i miei filtri e le mie resistenze per contenere la rabbia andare in fumo. "Come cacchio ti permetti di parlarmi così, Newt? Che diamine ti è successo?"

"Non mi è successo proprio nulla, Eli." borbottò sarcastico, ponendo un particolare accento sul nomignolo, come a sottolinearlo o ad imitare il tono di Gally. "Prima mi abbandonate nel Palazzo degli Spaccati e non tornate più a cercarmi, poi all'improvviso vi ritrovo qua ed è come se tutti si fossero dimenticati di me. Anzi, mi avete persino dato per morto, quindi inutile dire che non mi avete mai cercato."
Sentendomi sull'orlo delle lacrime per quella sua affermazione, feci un passo indietro, ferita come se fossi appena stata colpita dall'impatto con una granata.  
"Non ti ho abbandonato." sussurrai, sentendo la mia voce tremare, quasi incerta e piena di senso di colpa. Davvero la pensava così? "Tu mi hai chiesto di..."
"Oh, giusto. Brava, sì, hai fatto ciò che ti ho chiesto. Come se non avessi una testa per pensare da te." abbaiò, muovendo un altro passo in mia direzione e attivando indirettamente l'istinto protettivo di Stephen nei miei confronti che, con un balzo, smise di stare dietro le quinte e mi si parò davanti, allungando una braccio dietro di sé e afferrandomi la mano.
"Smettila, Newt." ordinò lui, con voce ferma. "Non sai quello che stai dicendo, amico."
"Amico?" sentii il biondino ridacchiare e per un attimo desiderai solo non averlo mai incontrato, sentendomi ancora più in colpa con me stessa. Perchè non potevo semplicemente vivere con il bel ricordo che mi era rimasto di Newt? Perchè la W.I.C.K.E.D. doveva rovinare sempre tutto ciò di bello che mi tenevo stretto al cuore? Perchè, arrivati a quel punto, doveva essere per forza un brutto scherzo della W.I.C.K.E.D.

"Mi sei sempre stato sul cacchio, pure tu." sbottò Newt, lanciando a Stephen la stessa occhiata di disprezzo che mi aveva riservato qualche attimo prima. "Quindi ti sei divertita con Gally dopo che la W.I.C.K.E.D. mi ha preso dal Palazzo degli Spaccati, no? Bel modo di rimpiazzarmi." affermò sputando acido in ogni direzione.
Non riuscii nemmeno ad elaborare tutte le informazioni nascoste in quella sua accusa, troppo intenta a tenere insieme i pezzi della mia anima che stavano crollando su se stessi, come cenere al vento.
"Dopo che la W.I.C.K.E.D. ti ha preso dal Palazzo degli Spaccati?" ripetè Stephen, incredulo.

 

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Capitolo 65
*** Capitolo 58. ***


Stephen parlò per me, stringendo la presa sulla mia mano. "Cosa intendi dire?"
"Be' non è difficile, genio. È successo qualcosa tra lei e Gally, non è vero?" sbraitò in mia direzione. Sentii le mie guance bagnarsi. Abbassai lo sguardo ai miei piedi e, incapace di farmi vedere da lui in quello stato, appoggiai la mia testa nell'incavo creatosi tra le scapole di Steph, desiderando solo che il ragazzo avesse il potere di cancellare tutto e portarmi fuori da lì.
Dall'essere la colla che mi teneva assieme, Newt era passato ad essere il fucile a pompa che mi stava distruggendo lentamente, colpo dopo colpo.
"Intendevo la parte della W.I.C.K.E.D. nel Palazzo degli Spaccati, brutta testa di caspio che non sei altro." sbraitò Stephen, visibilmente irritato. "E vedi di badare bene a come parli, non sai cosa dici e mi sa anche che non ti ricordi bene di come sia fatta Elena, quindi tieni quella tua linguaccia..."

"Tu non puoi permetterti di parlarmi così." mormorai con voce tesa, bloccando la frase di Stephen e sentendo il silenzio calare su di me. Ricacciai indietro le lacrime e, tirando su col naso, decisi di prendermi le mie resposabilità e di risolvere quella situazione da sola. Mi sentivo di aver perso tutto il coraggio, ma la realtà dei fatti era che, dopo tutto quello che avevo passato, dopo averlo creduto morto per mesi, non avevo né la voglia né le forze di fare quella conversazione con lui. Me la sarei sbrigata da sola, senza l'aiuto di Stephen, nonostante apprezzassi i suoi tentativi di difendermi.
"Non so cosa ti sia successo in questi mesi, Newt." iniziai titubante, sentendo la mia voce farsi sempre meno roca e più convinta. Non mi importava cosa l'avesse spinto a parlarmi in quel modo, ma di certo non mi sarei lasciata mettere i piedi in testa, nemmeno se si trattava del biondino. "Ma nulla ti da il diritto di comportarti in questo modo. Sono stata mesi senza di te, piangendo e disperandomi perchè ero davvero convinta che fossi morto. Lo eravamo tutti, perchè in qualche modo avevamo le prove della tua morte, ma non sta a me spiegarti come o perchè." feci una breve pausa e mi portai le braccia conserte davanti al petto, nel tentativo di sentirmi un po' più sicura di me e di consolarmi. Strofinai un pochino sulle braccia, infondendomi un po' di calore e coraggio. "Ho dovuto trovare un modo per vivere senza di te e mi sono ricreata una vita."

"Quindi sei andata a letto con quel..."
La mia mano si mosse prima che riuscissi a fermarla. Uno schiaffo sonoro si posò sulla guancia del ragazzo, che sbarrò gli occhi incredulo e fece un passo indietro, visibilmente ferito da quel mio gesto. Gli puntai il dito contro e continuai con il mio discorso, ignorando il dolore che quella sua affermazione aveva causato in me. "Non sai cosa ho dovuto passare in tua assenza. Ho dovuto imparare di nuovo a stare sola, a vivere con me stessa e con i miei pensieri. Gally è semplicemente stato un buon amico. Non si è mai approfittato di me e tra noi non c'è assolutamente nulla, quindi non ti permetto di parlarmi in questo modo e di arrivare a conclusioni simili."
Vidi Newt sbarrare ancora di più gli occhi e guardarsi attorno, quasi spaesato. Il ragazzo lasciò scivolare sul fianco la mano che aveva tenuto premuta sulla guancia, rivelando così un rossore innaturale su di essa. "Ormai lui è famiglia e anche tutti voi ne siete parte. Avrei reagito allo stesso modo se chiunque di voi fosse stato trascinato sotto le grinfie della..."
Questa volta fu il biondino ad interrompermi. "Scusa." fu tutto quello che disse, sottovoce, ma lo sentii in modo chiaro, come se avesse urlato. Poi, scoppiò in lacrime, lasciandomi di stucco.
La prima sensazione che provai fu senso di colpa. Mi sentii male per avergli tirato quello schiaffo, ma ancora di più per avergli nascosto il bacio rubato di Gally e il mio sogno al riguardo. Tuttavia sapevo benissimo che il ragazzo non l'avrebbe presa bene, contando lo stato confusionario e l'arrabbiatura del momento.

"Io non so cosa..." si portò entrambe le mani sulla fasciatura e iniziò a stringere, come a strizzare via i mille pensieri dalla sua testa. "Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace..." singhiozzò, gettandosi a terra in ginocchio e gattonando verso di me.
Rimasi pietrificata sul posto, incapace di dire o di fare nulla, poi, non appena il ragazzo mi raggiunse e appoggiò la sua testa sul mio grembo continuando a versare lacrime, mi sentii addolcire. Mi dimenticai di tutto, di tutte le parole brutte che aveva detto, delle sue accuse, dei suoi sguardi truci e del suo comportamento altalenante. Ero disposta a perdonargli tutto e a mettere da parte la ferita al cuore.
Con delicatezza portai entrambi i miei palmi sui suoi capelli rasati e iniziai a coprirlo di carezze nel tentativo di calmarlo. "Va tutto bene, Newt."
"No, no, no, no." rispose lui, stringendomi ancora di più in vita e togliendomi quasi il fiato. "Io non vado bene, sono... sono..."
"Newt." lo riprese Stephen, muovendosi di qualche passo in nostra direzione, la voce calma, che aveva perso ogni traccia di rabbia nei suoi confronti, proprio come la mia. "Cosa intendevi quando hai detto che la W.I.C.K.E.D. ti è venuta a prendere al Palazzo degli Spaccati?"
Sentii il ragazzo inspirare profondamente per tentare di controllare il suo pianto, poi alzò lo sguardo, posando i suoi occhi rossi e lucidi prima su me e poi su Steph.

"Esattamente quello..." borbottò il biondino, la voce ancora rotta dal pianto. "Qualche giorno dopo che ve ne siete andati un gruppetto di guardie è venuto a prelevare degli Spaccati. Hanno scelto noi perché eravamo quelli messi meglio, quelli che erano in bilico sull'orlo della pazzia, ma che ancora non ci erano caduti. Ci hanno scelto come carne al macello." spiegò il ragazzo, schioccando la lingua con fare disgustato e cancellando dalla sua voce ogni traccia di debolezza e pianto. "Eravamo tutti abbastanza giovani, c'era anche una coppia tra noi che però non avevo mai visto prima al Palazzo." continuò poi, abbozzando un sorrisetto malinconico, come se quel ricordo avesse attivato in lui una bella sensazione passata. "Ma perché me lo chiedete? Pensavo lo sapeste già."
Io e Stephen ci scambiammo uno sguardo confuso. "Q-Quindi..." iniziò Stephen, titubante.

Continuai io per lui, sentendomi sempre più confusa e in ansia. "Quindi non hai mai attuato la tua fuga da quel posto insieme ad altri Spaccati? Ti ricordi, la fuga di cui mi parlavi quando..."
"Certo che me lo ricordo." mi interruppe Newt, prendendo quella mia frase come fosse un'accusa verso la sua pessima memoria. Il ragazzo si asciugò le lacrime e si tirò in piedi, riuscendo piano piano a contenere i suoi sentimenti. "Ma la W.I.C.K.E.D. è arrivata prima e tutti i nostri piani sono andati in fumo. Perchè avete quelle espressioni?"
Mi sentii impallidire e le mie labbra tremarono. Prima ancora di riuscire a formulare un qualsiasi pensiero, sentii Stephen parlare. Il ragazzo formulò la frase troppo velocemente perchè io potessi interromperlo o sviare il discorso, o forse lo stupore aveva causato in me una lentezza nel pensiero e nelle reazioni. "Quindi se Thomas non ha sparato a te, allora a chi ha sparato?"

"Thomas?" iniziò Newt, il volto ancora pallido e gli occhi leggermente lucidi. La crisi di pianto che aveva appena avuto sembrava essere svanita nel nulla e nel volto del ragazzo non si leggeva più tristezza o senso di colpa, bensì confusione per l'affermazione recente di Stephen, il quale, all'oscuro dei black-out di Newt, aveva sottoposto alla sua attenzione la questione più importante e tragica.
Fino a quel momento avevo sempre creduto che la W.I.C.K.E.D. avesse trovato il corpo di Newt ancora miracolosamente in vita nella Zona Bruciata, dopo che Thomas se n'era andato perseguitato dagli incubi dell'azione fatta.
Avevo anche ipotizzato automaticamente che le bende intorno alla sua testa e il motivo dei suoi capelli rasati fossero dovuti al suo ricovero immediato: se non altro – o almeno così avevo pensato – i dottori della W.I.C.K.E.D. avevano dovuto fare un bel lavoro con la sua testa per estrarre il proiettile e riparare i danni. Soprattutto contando che effettivamente il ragazzo non aveva sofferto alcun tipo di conseguenza sul suo fisico o ripercussione per il suo cervello: ad eccezione degli effetti indesiderati della cura, Newt sembrava sano come un pesce.

"Io non capisco, in che senso Thomas mi ha sparato?" chiese il biondino, grattandosi la nuca e guardando prima me, poi Stephen. "E' per caso un ricordo che ho rimosso?" domandò poi, rivolgendomi la sua totale attenzione, per poi passare lo sguardo velocemente sul ragazzo al mio fianco. "Scusa, è che a volte ho dei vuoti di memoria e non mi ricordo bene tutta... be' non mi ricordo alcuni... pezzi e..."
"No, Newt." lo interruppi, notanto che ammettere quella sua mancanza ad alta voce per la seconda volta in quella giornata, continuava comunque a farlo sentire a disagio. "Potrebbe non dipendere da te questa volta, temo..." mormorai incerta.
Arrivata a quel punto, non riuscivo più a distinguere la verità dalle menzogne: se Newt stava dicendo la verità e la W.I.C.K.E.D. lo aveva veramente prelevato direttamente dal Palazzo degli Spaccati, allora, come Stephen aveva anticipato, significava che Thomas non avrebbe mai potuto sparare a Newt, dato che il ragazzo non avrebbe mai potuto essere nella Zona Bruciata in quel momento.

Ma se invece i ricordi di Newt fossero offuscati? O se magari, come aveva confidato a me e a Gally precedentemente, quelli non fossero affatto i suoi ricordi?
Non riuscivo a comprendere, ma l'espressione davvero preoccupata e confusa sul volto di Newt mi spinse a parlare comunque, decidendo per una volta di essere sincera con lui: il ragazzo sembrava essersi ripreso un pochino e le sue crisi sembravano essere diminuite, anche se, a dirla tutta, non volevo comunque rischiare di essere io la causa di uno dei suoi black-out.
"C'è stato un momento in cui Thomas..." iniziai, indecisa su come procedere con le mie spiegazioni. Spettava davvero a me confidare quel ricordo così orribile? Dopotutto, non sapevo come Newt avrebbe potuto prenderla. Ma se provavo a mettermi nei suoi panni, ero sicura che alla notizia del gesto omicida del suo migliore amico nei suoi confronti, avrebbe di certo dubitato del loro rapporto, vedendo il compagno con occhi diversi. Thomas meglio di tutti poteva spiegare l'accaduto, perciò a raccontare al biondino i dettagli e le dinamiche sarebbe stato lui e nessun altro. Volevo che avesse la possibilità di spiegarsi come si deve e, nel caso in cui si fosse rivelato necessario, di giustificarsi senza necessariamente mandare in rovina il rapporto. "Vedi, Newt, in realtà non spetta a me dirtelo. Né a Steph, né a nessun altro. Una volta che saremo tutti ricongiunti, sarà Thomas stesso a parlartene, te lo prometto." conclusi, accennando un lieve sorriso di incoraggiamento.

Vidi Newt guardare Stephen con timidezza, ma nel suo sguardo c'era qualcosa di più, dalla sua epsressione sembrava quasi che il biondino stesse cercando di parlare telepaticamente con Stephen, che tuttavia sembrava tanto confuso quanto me. "Ecco..." balbettò indeciso, porgendo poi una domanda al ragazzo ed evitando timidamente il mio sguardo. "Chi sarebbe Thomas con esattezza?"
Il mondo parve crollarmi addosso. Ora riuscivo a capire la domanda del biondino riguardo le parti prese dal Velocista in tutta questa storia: non era sicuro che fosse un buono o un cattivo perché non si ricordava di lui. A quanto pareva, la W.I.C.K.E.D. aveva deciso di cancellare il ragazzo dalla sua vita, senza un motivo apparente – o così almeno sembrava ai miei occhi. 
Stephen mi lanciò un'occhiata disperata, così presi la parola. "Eravate ottimi amici, nel Labirinto." iniziai, poi notando la tristezza e il senso di colpa crescere nello sguardo del ragazzo, decisi a malincuore di mettere da parte quel discorso, almeno per il momento. Proprio come la questione dell'omicidio – o a quanto pareva, fallito omicidio (fortunatamente) – del ragazzo, tutti i ricordi che Newt condivideva con Thomas non sarebbero potuti essere spiegati da nessun altro se non dal ragazzo in questione. La loro amicizia, i loro momenti assieme, le battute che capivano solo loro, le difficoltà attraversate insieme... non sarei stata capace di riassumere tutta la loro amicizia in poche parole. Non avrei potuto sminuirla in quel modo. E, ahimè, non avevamo nemmeno il tempo di sederci attorno ad un falò per riportare in vita vecchie memorie.

"Newt, mi dispiace, ma ora ho bisogno che ti concentri e che ci porti in mensa. Credimi, vorrei poterti spiegare tutto, così come muoio dalla voglia di sapere la tua storia e del perchè diamine la W.I.C.K.E.D. ti abbia portato in questa sede, ma purtroppo temo che non abbiamo più tempo per spiegazioni."
Vidi il ragazzo abbassare lo sguardo e mordersi il labbro. "Perché mi devono sempre togliere qualcosa di mio?" domandò sconsolato. "Perché togliere una parte così felice della mia vita, se era davvero così importante come lo descrivevi?"
Arricciai il naso e gli posi una mano sulla spalla, stringendo leggermente. "Sono sicura che recupererete tutto insieme. Sarà come vivere tutto da capo, non è poi così male."
Sentii Newt rilassare le spalle e sbuffare sconsolato, ma quando rialzò gli occhi, puntandolo su di me e sorridendomi carico, mi sentii piena di energie. "Sì, certo. Hai ragione, non è questo il momento di piangermi addosso." mormorò lui, accarezzandomi la guancia e sorridendomi dolcemente. "Farò meglio a portarvi dove vi ho promesso, prima di rincaspiarmi del tutto."


 

Come da promessa, Newt ci condusse al piano inferiore, seguendo quasi a memoria la strada per la mensa. Quando arrivammo all'ascensore, tuttavia, il ragazzo ci condusse verso le scale d'emergenza, avvisandoci che, senza riuscire a capire da dove provenisse quella sua fobia, il biondino aveva sviluppato un terrore per gli ascensori. "Mi fanno venire il vomito, a volte. E claustrofobia. E poi ho sempre una cattiva sensazione al riguardo, come se in passato avessi avuto brutte esperienze con questi aggeggi."
Era stata questa la sua spiegazione, breve ma alquanto esplicativa per noi che, riconoscendo immediatamente la connessione che il suo corpo doveva aver attivato ogni volta che si ritrovava dentro un'ascensore, riuscimmo a capire che il ricordo di cui stesse parlando il biondino non potesse essere altro che la Scatola. Non che lo biasimassi: dopotutto l'esperienza dentro la Scatola era stata traumatica per tutti.

Iniziammo a scendere velocemente i gradini e notai come, distratto dal parlare e dalla nostra compagnia, il biondino riuscisse a muoversi più naturalmente e quasi più in fretta. Se non altro sembrava che il suo corpo lavorasse meglio quando il suo cervello non faceva troppo caso a controllare i movimenti.
"Come fai a conoscere così bene la pianta di questo edificio?" domandai curiosa, notando solo in quel momento che fosse alquanto strana la sua conoscenza della posizione delle stanze e di come accedervi, dato che quando io e Gally l'avevamo trovato lui era chiuso a chiave dentro una stanza.
Vidi il biondino fare spallucce, mentre si avvicinava alla porta antincendio della rampa di scale e attendeva che lo raggiungessimo per aprirla. "Quando non siamo sotto lock-down come in questo caso, ci permettono di uscire liberamente. Dicono che esplorare nuovi ambienti e memorizzare la dislocazione delle varie stanze può aiutare molto il corpo e la mente. Fa parte della terapia, credo."
"Ci permettono?" domandò Stephen curioso, avvicinandosi per primo al biondino, ma facendogli segno di aspettare prima di aprire la porta antincendi.

"C'erano altri pazienti come lui." spiegai brevemente, raggiungendo per ultima i ragazzi e sentendo un dolore costante alla caviglia che iniziava a far sentire la sua presenza. "E' una lunga storia, ma facendola breve, Newt sta seguendo una cura per combattere l'Eruzione. Non ci sono altri pazienti, lui è l'unico..." tossicchiai, notando che il biondino mi stesse guardando, ma che tuttavia non sembrava ascoltare le mie parole, troppo perso a guardarmi con occhi illuminati, come se avesse appena visto il sole sorgere. "Sopravvissuto, ecco." terminai, poi, scrollando le spalle nel tentativo di sciogliere la tensione e far sparire il rossore improvviso sulle mie guance, tolsi l'arco dalle spalle e lo caricai. "Pronti?"
Vidi Stephen chiudere immediatamente la bocca e archiviare temporaneamente tutte le domande con cui ero certa volesse bombardarmi, per poi afferrare le pistole e controllare se fossero cariche o meno.

Quando lo vidi annuire, sorrisi leggermente a Newt e gli feci segno di aprire cautamente la porta. Con uno spiffero leggero la porta antincendio si aprì, rivelandoci l'ennesimo corridoio vuoto. Fummo sul punto di entrare, quando il rumore di una porta che sbatte e dei passi ci fecero congelare sul posto. Delle urla si diffusero per la rampa di scale, terrorizzandoci e mettendoci tutti in allarme. Sembrava che delle guardie ci stessero inseguendo nuovamente, ma questa volta i rumori provenivano da qualche piano sotto di noi. 
Con un balzo mi gettai sulla ringhiera metallica e guardai sotto per accertarmi di quanto tempo avessimo a disposizione per fuggire, ma solo dopo qualche attimo realizzai che la situazione era diversa da come me l'ero immaginata: quelle guardie non stavano dando la caccia a noi, bensì ad un ragazzo sudato e col fiatone, che stava tentato di salvarsi le chiappe facendo le scale a due a due per risalire il più velocemente possibile. 
Non mi ci volle molto ad identificare la sua figura grazie ai movimenti inconfondibili del ragazzo: sguardo attento, occhi a mandorla, maglia zuppa per la grande corsa e nonostante tutto capelli inevitabilmente perfetti. Minho stava facendo una corsa per la sopravvivenza in memoria dei vecchi tempi del Labirinto. 
"Preparatevi!" ordinai verso i due. "Il primo ad arrivare sarà Minho, il resto sono guardie. Sei per l'esattezza. Due di loro sono in netto vantaggio, l'ultima invece è una rampa più indietro rispetto alle altre."

Vidi Stephen sbarrare gli occhi per la sorpresa di sentirmi pronunciare quel nome e io non potei fare a meno di sorridere. Non solo ero felice di vederlo sano – e sperai anche salvo, in seguito al nostro intervento –, ma finalmente potevo dire di sentirmi un pochino più tranquilla, se avevo anche la sua presenza al mio fianco. Il Velocista mi aveva sempre protetta e le sue abilità fisiche, aggiunte ad un gruppo dove due su tre zoppicavano e uno su tre era ancora mezzo addormentato, erano sicuramente un acquisto per noi. Certo, sapevo che anche Stephen e Newt sarebbero stati capaci di coprirmi le spalle nel caso di pericolo, ma avere Minho al mio fianco mi faceva sentire ancora più calma.
Mi posi di lato, puntando l'arco verso il primo pianerottolo che mi era visibile dalla mia posizione e attesi, con l'arco in tensione e la freccia assetata di sangue che tremolava sul filo, anche lei tanto trepidante quanto me.

 

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Capitolo 66
*** Capitolo 59. ***


Quando sentii il respiro affannato del ragazzo farsi sempre più vicino, mi posi ancora di più in allerta: avvicinai la corda alle labbra e trattenni il fiato, chiudendo un occhio e prendendo bene la mira. Non appena vidi la figura del Velocista corrermi davanti, puntai la freccia sulla persona immediatamente dietro lui. Rilasciai la pressione sulla coda della freccia e non osservai nemmeno la prima divisa nera cadere a terra, che già stavo caricando il mio prossimo colpo. Il Velocista non notò nemmeno il mio intervento, tanto che continuò a salire velocemente le scale senza mai voltarsi. Quando la mia seconda freccia partì e risuonò secca contro il casco di una delle guardie, però, il Velocista si voltò per una frazione di secondo osservando giusto in tempo la seconda guardia cadere a terra esanime. Quella distrazione, tuttavia, gli fu fatale: non calcolando bene la posizione dello scalino rispetto al suo piede, lo vidi appoggiare la scarpa nel vuoto e poi scivolare a terra lanciando un grido. Senza attendere altro mi precipitai verso di lui, scendendo qualche scalino di fretta e caricando nel frattempo un'altra freccia.

Mi posi davanti al ragazzo per proteggerlo e, accorgendomi di aver perso la mia posizione di vantaggio, lanciai di fretta il mio primo colpo che andò a finire sbadatamente sulla coscia di una delle guardie. Il colpo la rallentò, facendola chinare di fretta per premere contro la ferita e creando così un blocco per le guardie subito dietro, l'uomo in divisa al suo fianco tuttavia non si arrestò, puntandomi contro una pistola. Dando ascolto al mio istinto, agitai l'arco in aria, colpendolo al braccio e facendogli volare via l'arma, poi gli assestai un calcio sullo stomaco, premendo con tutta la forza che avevo, e riuscendo a ribaltarlo all'indietro. 
La guardia ruzzolò sopra le altre, creando un ammasso di divise nere in agitazione.
Cogliendo quell'opportunità, caricai e lanciai due frecce una dopo l'altra, uccidendo due uomini di fila e bloccando così le guardie ancora vive che ora erano intente a spostare di lato i corpi dei loro compagni. Lanciai un veloce sguardo a terra, accorgendomi che il Velocista fosse ancora steso sugli scalini, intendo a guardarmi con occhi spalancati e il fiatone ancora pesante. Una goccia di sudore gli colò sugli occhi, obbligandolo a strizzarli. "Vattene!" gli urlai. "Raggiungi..."

Non feci nemmeno in tempo a finire la frase che un colpo di pistola mi fece bloccare le parole in gola. La capsula, tuttavia, non era stata sparata dalle guardie, ma da qualcuno dietro di me. Con la coda dell'occhio notai che si trattasse di Newt che, improvvisamente rianimato dall'adrenalina, aveva deciso di correre in mio aiuto. Un altro colpo di pistola mi fece voltare di scatto, seguendo il tragitto della seconda capsula sparata dal biondino e vedendola conficcarsi malamente contro il petto di uno degli uomini in divisa. Feci un breve conteggio visivo: cinque morti, ma della sesta guardia non c'era più traccia. Ero convinta di averla vista arrivare con un breve ritardo rispetto alle altre, ma mi sembrava che anche lei fosse rimasta bloccata nell'ammasso di corpi morti. Tuttavia, nessuna divisa nera sembrava più muoversi, segno che avevamo fatto il nostro lavoro su cinque di loro. La sesta sembrava essersela data a gambe. 
O per lo meno, così credetti, finchè un click metallico colse la mia attenzione, giusto un piano sotto rispetto al nostro. Non feci nemmeno in tempo ad affacciarmi oltre la ringhiera, che vidi un oggetto volare sopra la mia testa e rimbalzare sul pianerottolo dietro di noi. Non mi ci volle molto per capire che si trattasse di gas fumogeno. Trattenni il respiro e caricai l'ultima freccia, ma nella foga di muovermi velocemente, il mio piede si spostò fuori dallo scalino, facendomi perdere l'equilibrio. Incapace di tenere saldo l'arco, caddi all'indietro lasciando l'arma a terra.

Il primo istinto dopo il forte colpo alla schiena fu quello di urlare e prendere un bel respiro per riempire i polmoni brucianti, ma mi accorsi subito di quanto fosse una pessima idea. Fortunatamente, però, dopo aver sbattuto la schiena contro un paio di gradini ed essere rotolata malamente verso il pianerottolo, ero atterrata sui corpi inermi delle guardie, attutento così la mia caduta. Mi rigirai a sedere e, trattenendo il fiato, spinsi contro i corpi con i palmi nel tentativo di tirarmi in piedi, accorgendomi tuttavia di essere rimasta incastrata in qualche modo. Sentivo una presa sulla mia maglia e nel momento in cui tirai più forte per liberarmi, delle dita si attorcigliarono al mio polso, stringendo in modo violento e facendomi uscire un mugugno di dolore.
Prima di voltarmi verso la mano che mi stringeva, vidi Minho afferrare la bomboletta di gas e rilanciarla di sotto nel tentativo di colpire la guardia rimasta in vita che tuttavia stava risalendo le scale munita di maschera anti gas. Presa improvvisamente dal panico , ma sentendo ancora l'adrenalina scorrermi nel sangue, mi allungai verso l'arco, ma la presa sul mio polso si intensificò, strattonandomi nuovamente all'indietro. Vidi le dita della guardia ancora miracolosamente viva farsi sempre più bianche mano a mano che la presa su di me aumentava. Mentre l'uomo soffocava sotto il peso di altri corpi era riuscito ad afferrare l'altro mio braccio, tenendomi saldamente a terra e impedendomi di fuggire.

Strattonai con tutta la mia forza, ma l'ossigeno nei miei polmoni iniziava a mancare, indebolendomi e mandandomi sempre più in confusione. Anche gli occhi iniziavano a bruciarmi e tra tutto quel fumo e quella nebbia iniziavo a trovare difficile distinguere le sagome amiche da quelle nemiche. Strinsi i denti e strizzai gli occhi, poi feci per dimenarmi ancora di più quando una sagoma che ricondussi alla figura di Minho mi raggiunse a carponi, cavando dallo scarpone quello che mi sembrava un pugnale e conficcandolo nella prima mano della guardia. Mentre il ragazzo puntava alla seconda mano, tenendosi un braccio premuto davanti a bocca e naso, la guardia rimasta ancora viva ci raggiunse, puntando la pistola contro la schiena del Velocista. Muovendo la prima parte del corpo che sentii abbastanza libera per mirare al suo corpo non molto distante da me, calciai mirando alle sue gambe e sperando di fare centro. La feci atterrare violentemente a terra e dalla sua maschera di levò un grido soffocato. Il Velocista non sprecò tempo, conficcando la lama del pugnale nel suo petto per due volte di seguito.

Con uno strattone riuscii a liberarmi dalla presa dell'uomo ormai esausto sotto di me, poi aiutata dal Velocista mi alzai, raccolsi di fretta il mio arco e lo seguii verso la porta antincendio. Fu grazie a Minho che riuscimmo a trovare l'uscita e a sorpassarla senza troppi problemi: i miei occhi bruciavano talmente tanto che ero andata alla cieca, inciampando anche su qualche scalino. Il Velocista invece, tra qualche imprecata tossicchiata e qualche strattone di troppo era riuscito a portarmi oltre la porta e a chiuderla prontamente dietro di me con un tonfo, liberandoci tutti da quel gas e permettendoci finalmente di poter respirare senza problemi. Solo dopo qualche secondo mi sforzai di riaprire gli occhi e li strofinai forte, riuscendo ad avere una visione alquanto sfocata del corridoio in cui ci trovavamo. Fortunatamente non sembrava esserci nessuno, così mi permisi di posare il mio culo a terra e di riprendere fiato, appoggiando la schiena contro la porta e respirando affannosamente. Stephen e Newt stavano bene, ma anche a loro serviva una piccola pausa per poter ripredere totalmente il fiato: mentre Stephen era appoggiato con le mani e la testa contro la parete, Newt era piegato all'avanti, tenendosi una mano sul petto che faceva su e giù ad insistenza e una sul ginocchio tremolante.

Minho invece era quello che stava peggio di tutti: dopo il fiatone dovuto alla sua corsa per la soppravvivenza doveva essere stato difficile per lui trattenere il fiato e non respirare per quegli attimi. L'asiatico era per terra a carponi che continuava a tossire freneticamente e a sputare sul pavimento nel tentativo probabilmente di togliersi il gas dalla bocca. Tra una smorfia e un respiro, il ragazzo sembrò iniziare a calmarsi lentamente, riuscendo ad asciugarsi le gocce di sudore sulla fronte e mettendosi in ginocchio.
Mi avvicinai gattonando al Velocista e mi lasciai cadere di fianco a lui, dandogli un colpetto sul braccio e catturando la sua attenzione. "Tutto okay?"
Lo vidi abbozzare un ghigno storto, ma sincero. Avevo la sua totale attenzione e il suo sguardo non sembrava volermi mollare. In meno di un secondo non solo mi ritrovai catturata dai suoi occhi, tanto lucidi quanto i miei in quel momento, ma anche da un suo abbraccio stritolante. "Diamine bambolina. Sei tutta intera e mi hai anche salvato le chiappe."
"Ci puoi scommettere." replicai, ricambiando felice quell'abbraccio. Finalmente ci eravamo riuniti.

"Gli altri dove..." non feci nemmeno in tempo a finire la frase che la voce di Newt a pochi passi dietro di me mi fece sobbalzare. Mi ero quasi dimenticata che, se ero viva e vegeta, era anche merito suo e dei suoi colpi decisi: mi immaginavo che sarebbe stato difficile per lui prendere la mira e centrare qualcuno, ma il ragazzo sembrava non aver permesso che la sua coordinazione sballata interferisse con i suoi piani. Mi piaceva credere che fosse stato spinto dal senso di protezione nei miei confronti e che l'adrenalina che gli avevo visto negli occhi in quel momento fosse stata il prodotto del vedere una persona amata in difficoltà.
"Minho?" fu tutto quello che disse il biondino, sbucando con la testa sopra di noi e dandomi un buon motivo per sciogliere quell'abbraccio così confortevole. Mentre il Velocista sotto di me si irrigidiva, io mi voltai delicatamente, porgendo una mano a Newt e chiedendo indirettamente un suo aiuto per alzarmi in piedi. Newt sembrò accorgersene subito e, prendendomi delicatamente per un braccio, iniziò a sollevarmi. "Sei davvero tu brutto spazzolino per il ce..."

L'insulto del ragazzo, tuttavia, ebbe vita breve. Solo quando mi sentii strattonare di lato riuscii a vedere la figura di Minho che, veloce come un Dolente, scattò in aria e placcò Newt al terreno con violenza. Vidi i due ruzzolare a terra e solo dopo qualche secondo capii che Minho non stesse tentando di stritolare anche il biondino in un abbraccio, bensì di soffocarlo con le sue stesse mani. "Un'altra copia e giuro che io faccio saltare in aria questa sede del..."
"Minho!" gridai terrorizzata, lanciandomi sul posto seguita a ruota da Stephen. Con un paio di forti strattoni lo trascinammo via dal biondino che, ancora steso a terra intontito, si stava massaggiando il collo e stava riprendendo lentamente aria.
"Lasciatemelo fare!" gridò il Velocista, dimenandosi tra le nostre braccia e cercando di creare un varco per terminare il suo attacco. 
"Smettila!" lo rimproverai, urlandogli nelle orecchie e osservandolo subito lanciarmi un'occhiata infuriata. "E' quello vero, caspio." borbottai, tentando di motivare il mio precedente urlo con quella scusa. "E' lui, è Newt."
Sentii il biondino tossicchiare e sollevarsi a fatica a sedere. Poi, strizzando gli occhi e attorcigliando il naso infastidito, lanciò un'occhiata arrabbiata a Minho, che nel frattempo sembrava che si stesse calmando a poco a poco. "E'..." borbottò l'asiatico. "E' lui? C-Come..."

"Giuro che non ti chiamerò più con quel soprannome, se questa sarà la reazione." mormorò Newt, alzandosi lentamente in piedi in modo sbilenco e sorridendo nel tentativo di nascondere il fiatone. "Anche se credo che ti si addica parecchio, dato quei tuoi fastidiosi capelli del caspio."
Fidandomi totalmente del Velocista, che ora si era limitato a fare da statua, troppo incredulo per dire o fare qualcosa, feci un passo indietro, lasciando il suo braccio e facendo gesto a Stephen di fare lo stesso. Minho sembrava essersi pietrificato sul posto: gambe tremanti, occhi spalancati, bocca aperta per lo stupore, mani strette a pugno. "Newt?" fu l'unica cosa che gli uscì dalle labbra violacee.
Quando il biondino annuì e vidi l'asiatico rilassarsi immediatamente. Newt parlò ancora. "E tu devi essere Capitan Piede Marcio. Dio, si sente la puzza dei tuoi calzini da qua, vedo che non è cambiato niente dalla Radura."
Minho scoppiò a ridere, una risata sincera, sana e totalmente inaspettata persino dal biondino, che probabilmente non capiva come quel suo fallito tentativo di battuta avesse potuto causare nel Velocista tanto divertimento. Poi, lasciando tutti di stucco, la risata di Minho si trasformò in pianto e poi in crisi isterica mentre, tirando su col naso, il ragazzo fece due falcate verso il biondino che si ritirò spaventato e mise le braccia all'avanti per proteggersi.

"Newt!" gridò Minho, tirandolo a sé contro la sua volontà e stritolandolo in uno dei suoi abbracci ammazza fiato. "Come diamine è possibile?"
Gridò al suo orecchio, sollevando in aria il biondino e aumentando ancora di più la presa su di lui. Solo quando lo riappoggiò a terra e gli permise di prendere qualche respiro, il biondino abbozzò un sorriso e diede due pacche sonore sulla sua spalla. "Arrivati a questo punto inizio a chiedermelo anche io, sai?" ridacchiò lui, poi trasformando il sorriso in un ghigno divertito, arricciò il naso e iniziò a prendere in giro l'amico, il cui volto era ancora cosparso di lacrime e sudore. "Non c'è bisogno che piangi, so quanto sia stato difficile vivere senza la mia presenza indispensabile e il mio humor..."
Quelle parole non fecero altro che intensificare il pianto del Velocista che esplose in una vera e propria crisi emotiva. "Vieni qui e stai zitto." ordinò, tirandolo nuovamente in un abbraccio e singhiozzando sulla sua spalla, lasciando Newt nuovamente esterrefatto. "Non hai nemmeno idea, amico. Nemmeno un briciolo di idea."
Tirò sul col naso e lo strinse ancora di più a sé, costringendo Newt a ricambiare debolmente quella stretta.

Solo in quel momento mi resi conto di quanto fosse stato difficile per Minho sapere la verità su Newt e affrontare la sua morte. Io e il ragazzo avevamo sempre evitato di parlarne troppo, incapaci di affrontare completamente il discorso e paurosi di attivare bei vecchi ricordi l'uno nell'altra. Nessuno dei due aveva mai davvero accettato la sua morte, ma mentre io ero riuscita a perdonare Thomas dopo un certo periodo, Minho non ci era riuscito, troppo ancorato ai ricordi e alla presenza mancante del biondino, per riuscire a lasciarsi andare e accettare la realtà.
Vedere Newt vivo e vegeto davanti ai suoi occhi era stata un'emozione così forte da superare la sorpresa e lo spavento. Gli era bastato avere la nostra parola per accettare che Newt fosse ancora vivo: aveva talmente tanta fiducia in tutti noi che non si era fermato ad analizzare i perchè e i ma, si era semplicemente buttato, accogliendo subito e con felicità la notizia. Probabilmente gli era stato ancora più semplice accettare che Newt fosse miracolosamente vivo, senza ottenere spiegazioni, perchè ancora non aveva totalmente assimilato la sua morte. Forse, a dirla tutta, aveva subito creduto alle nostre parole perchè aveva sempre sperato in cuor suo che fosse tutto un brutto incubo e che il biondino fosse ancora in vita da qualche parte chissà dove.
Probabilmente Minho non aveva mai smesso di sperare, a differenza di tutti noi.

Dopo che la crisi isterica di Minho andò a scemare mano a mano, facendosi sempre più lieve fino a scomparire del tutto, rimpiazzata da una semplice felicità, il ragazzo sembrò accorgersi anche della nostra presenza nella stanza, girandosi verso di noi, ma senza mai allontanarsi da Newt, che teneva in ostaggio a fianco a sé mettendogli un braccio sulle spalle.
"Per quanto io sia strafelice di riaverti tra di noi, brutto pive che non sei altro, purtroppo non abbiamo tempo di sederci e aggiornarci sul tempo passato separati. Soprattutto tu, pive, mi devi spiegare molte cose, ma..." il Velocista si interruppe e, dopo avermi lanciato un breve sguardo, la sua espressione mutò velocemente, trasformandosi da felice a preoccupato. "Aspetta un secondo, ma voi due non eravate rimasti con Gally?"
Mi morsi il labbro e per un attimo la discussione appena avuto con Newt mi tornò in mente, facendomi arrossire. Chissà cosa avrebbe detto Minho se fosse mai venuto a sapere del bacio tra me e Gally o addirittura del mio sogno su di lui. Mi sentii le guance andare a fuoco, ma repressi la vergogna, ripetendomi che non c'era motivo di essere timidi al riguardo: era una questione tra me e Gally e la cosa più importante al momento era appunto il ragazzo.

"L'hanno catturato." spiegai brevemente, evitando lo sguardo di Newt per timore che, se avesse letto la tristezza nei miei occhi e avesse interpretato nel modo sbagliato il mio arrossire, sarebbe scoppiato in un'altra delle sue crisi d'identità. 
"Anche lui?" domandò il Velocista, ammazzando il suo abbozzo di sorriso e rimpiazzandolo con un'espressione da cane bastonato. Per un attimo avrei quasi giurato che fosse preoccupato per il Costruttore – cosa che senz'altro mi avrebbe sorpresa, dato che tra i due non c'era poi un'amicizia così profonda – ma solo dopo che parlò compresi a pieno il motivo celato dietro alla sua espressione. "Anche Violet è stata presa. Non ho potuto fare nulla se non stare a guardare con Jorge e Brenda per poi darmela a gambe quando altre guardie ci hanno raggiunti."
Violet è stata presa. Pensai tra me e me, sentendo subito una fitta al cuore. Ora la W.I.C.K.E.D. era in possesso di ben due persone a me care e la certezza che la lista di catturati sarebbe aumentata, fu come un pugno allo stomaco. Non potevamo fare nulla per aiutarli finchè non scoprivamo dove li tenevano e, dato che sembrava quasi che questa W.I.C.K.E.D. preferisse nascondersi dietro vetri trasparenti e sonniferi piuttosto che uscire allo scoperto per combattere, non ci rimaneva altro che continuare a tentare, proseguendo alla cieca, e aspettare un colpo di fortuna.

"Se sei rimasto con Brenda e Jorge allora dove sono finiti?" chiese Stephen incerto, lanciandomi poi un'occhiata preoccupata.
"E..." tentennò Newt, facendo quasi sobbalzare Minho col suono della sua voce, quasi come se si fosse dimenticato che il biondino fosse lì al suo fianco. "E Thomas?"
"Oh, belle domande." borbottò il Velocista grattandosi la nuca. "Io, Violet, Brenda e Jorge siamo stati separati da Teresa e Thomas mentre stavamo cercando una sala di controllo per dare una sbirciatina dalle telecamere. Violet è rimasta troppo indietro, l'hanno separata da noi con uno di quei caspio di muri invisibili."

 

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Capitolo 67
*** Capitolo 60. ***


Dopo essersi torturato le labbra per qualche secondo, Minho prosegui con la sua spiegazione, deglutendo a fatica e con la voce tremolante. "Abbiamo proseguito in fretta, ma non appena Teresa e Thomas hanno girato entrando un altro corridoio, siamo entrati in contatto con un altro muro, perdendo anche loro due. A quel punto abbiamo iniziato a fuggire tutti, da lati opposti ovviamente, per paura di fare la stessa fine di Violet." 
Il Velocista fece una piccola pausa, poi si grattò nuovamente la nuca sconsolato. "Io, Brenda e Jorge siamo tornati indietro e abbiamo preso una strada diversa, ma abbiamo incontrato un gruppo di guardie. Tante guardie." sentii il ragazzo sbuffare e scuotere la testa. "Ho pensato ingenuamente che se avessi preso un'altra strada forse le guardie si sarebbero divise, dandoci più possibilità di vincita, ma erano troppi anche così. O almeno lo erano per me. Non so che fine abbiano fatto gli altri due, spero solo che non siano su un diamine di lettino operatorio o..."

"Col cacchio che lo siamo, hermano." una voce dal fondo del corridoio ci prese tutti alla sprovvista, facendoci saltare sul posto. 
Istintivamente Minho si era posto davanti a Newt, proteggendolo col suo corpo e facendomi scappare un sorrisetto compiaciuto. Era così dolce il suo modo attento di comportarsi col vecchio amico. 
"Come diamine?" Stephen non fece nemmeno in tempo a finire la frase che Brenda irruppe nel corridoio, col fiato corto e la fronte imperlata di sudore. "Non abbiamo tempo per questo." rispose acida. "Guardie. Alle calcagna." disse semplicemente, correndo verso di noi e notando immediatamente la nuova presenza del gruppo. La ragazza frenò all'istante la sua avanzata, bloccandosi sul posto e puntando un dito contro Newt, la bocca spalancata e gli occhi pieni di terrore. "Ammazzatelo, che state aspettando?" poi, strabuzzando ancora di più gli occhi e facendo qualche passo indietro verso Jorge, continuò, cavando una vera e propria pistola dal dietro dei suoi pantaloni e puntandocela contro. "O siete tutti delle dannate copie?"
Vidi Jorge irrigidirsi e allungare anche lui una mano dietro le spalle, probabilmente alla ricerca anche lui di un'arma per difendersi. Mi sentii subito in dovere di chiarire la situazione, mettendo i palmi davanti in segno di difesa e facendo un passo indietro. "Calma, ciccia." borbottai scocciata, non era di certo quello il modo in cui mi sarei aspettata di riconciliarmi con i miei amici. "Siamo noi, in carne ed ossa. Newt compreso. A quanto pare non era mai morto, ma questa è una lunga storia."
Sentii Newt ridacchiare e girarsi divertito verso di me. "Immagina se dovessi riniziare il racconto da capo ogni volta che arriva qualcuno. Sarebbe fantastico vederti rincaspiare, Eli." 
Mi morsi il labbro per nascondere un ghigno divertito e gli lanciai un'occhiata di finto fastidio per prendermi gioco di lui. "Peccato che sarai tu a raccontare tutto, non pensare di lasciare il lavoro sporco a me."
Lo vidi alzare le mani in segno di rinconciliazione e ridacchiare ancora.

Vederlo nuovamente in quello stato mi fece saltare il cuore di un battito: finalmente sembrava essere il Newt di una volta e non uno sconosciuto con problemi di personalità. Ricambiai il sorriso e tornai con lo sguardo su Brenda che, avendo già abbassato l'arma, aveva ripreso la sua marcia verso di noi. "La stupidità è decisamente la tua, quindi ti credo. Se fossi stata una copia mi avresti già attaccata e non avresti sprecato fiato in inutili parole"
Feci per aprire la bocca e ribattere a tono, lanciandogli anche un'occhiata di fuoco, ma non ebbi nemmeno il tempo di prendere fiato che dei passi veloci iniziarono a farsi sentire a qualche corridoio di distanza da noi. "Come ho detto..." riprese Jorge. "Felice di vedervi, ma dobbiamo alzare le tende, muchachos."
Senza attendere altro iniziammo a seguirli a ruota, armandoci tutti e proseguendo compatti per paura di essere nuovamente divisi. I due nuovi arrivati non sprecarono né fiato né tempo per spiegare come fossero sopravvissuti e apprezzai la cosa, dato che quel silenzio, scalfito solo dal suono delle nostre scarpe veloci sul pavimento e il nostro fiatone, mi permetteva di monitorare anche l'andamento delle guardie dietro di noi.

Aumentando il passo e mettendo da parte il dolore alla caviglia, mi avvicinai a Newt, affiancandolo e continuando a correre per tenere il passo. Nonostante le difficoltà motorie e la sua caviglia difettosa, il ragazzo non sembrava fare troppa fatica a tenere il ritmo, a differenza mia che invece sentivo la stanchezza impadronirsi sempre più dei miei muscoli. "Dobbiamo..." iniziai, prendendo un bel respiro e cercando di controllare il fiato corto. "...trovare Violet e Gally." presi un altro bel respiro. "Hai idea di dove... siano?"
Il biondino girò il volto leggermente in mia direzione e, dallo sguardo sconsolato che mi rivolse, capii la sua risposta ancora prima che parlasse. "Mi dispiace, ma ci sono ale di questa struttura che non mi è consentito visitare."
Mi morsi il labbro, più per la fatica di quella corsa che per il dispiacere. Li avrei trovati in qualche modo, sapevo che mi sarebbe venuta ben presto un'idea brillante, ma avevo bisogno di riprendere fiato e di farlo per ben più di pochi minuti. Sapevo che non sarei riuscita a tenere quel ritmo per ancora molto e la cosa mi preoccupava: non sapevo esattamente a cosa fosse dovuta la debolezza che mi sentivo premere nelle ossa, scavando nei miei muscoli come viti appuntite.

Probabilmente il perdere così tanto sangue dalla ferita non aveva aiutato la mancanza di cibo e acqua: da quando eravamo entrati nella struttura non avevamo fatto altro che fuggire senza mai riuscire a ricaricare le energie. In un certo senso mi vergognavo ad ammettere di essere stanca, dato che gli altri sembravano essere in ottima forma, ma se non mi fossi fermata, ben presto mi sarei accasciata al suolo, rimanendo solo un peso per gli altri. 
Come se la mia caviglia avesse deciso di tirare la corda proprio in seguito ai miei pensieri al riguardo, quando la appoggiai a terra per muovere il prossimo passo, la mia gamba sembrò cedere. Come se non avessi più controllo su di essa, la sentii crollare: nonostante il mio piede si fosse appoggiato perfettamente a terra, una fitta improvvisa alla caviglia si diramò per tutta la gamba, facendo tremare il ginocchio che, non riuscendo più a reggere il mio peso, si piegò in due, facendomi crollare.
Portai le mani all'avanti per attutire la caduta e notai Newt frenare di botto e lanciarsi all'indietro per prendermi, ma senza riuscirci.

L'impatto con il terreno venne attutito dalle mie braccia che fortunatamente erano riuscire a rimanere salde e ad addolcire la caduta, ma non appena il mio ginocchio già morto battè a terra, un'altra fitta di dolore si diramò come una scarica elettrica per la gamba, aumentando il bruciore alla caviglia e implorandomi di restare ferma.
Con un grugnito mi girai a pancia all'insù e tentando di riprendere fiato, mi sollevai a sedere toccandomi subito la gamba e sentendola vibrare sotto il mio tocco. Un crampo si diffuse per il polpaccio, facendomi grugnire una seconda volta, così distesi nuovamente la gambe, abbandonando l'idea di sollevarmi nuovamente in piedi.
"Che ti succede?" domandò Newt preoccupato, buttandosi al mio fianco e mettendo un braccio sotto le ascelle per tentare di rialzarmi. Stephen fu subito al suo fianco, seguito a ruota da Minho che mi fissava con uno sguardo preoccpato. 
"La sua caviglia." borbottò il Velocista, osservando i due ragazzi mentre mi alzavano delicatamente da terra. "Ha raggiunto il limite."

Mugugnai quando, nel tentativo di mostrare agli altri che stavo effettivamente bene, appoggiai il piede a terra con la conseguenza che un'altra fitta – probabilmente di rimprovero da parte della mia caviglia – mi fece tremare sul posto. "Ce la faccio, devo solo..." lanciai uno sguardo alla mia gamba, notando che all'apparenza sembrava stare totalmente bene. "Rallentare un pochino, ecco."
"Caviglia?" domandò Newt. "Cos'ha che non va la sua caviglia?"
"Be' ora siete amici di zoppicata, non te l'ha ancora detto?" rispose sarcastico Stephen, tuttavia lanciandomi un'occhiata di rimprovero. "Non ce la fai, non puoi proseguire così."
"Non possiamo nemmeno rallentare." brontolò Brenda, visibilmente scocciata, correndomi incontro e guardandomi infuriata, quasi come se mi stesse accusando di essermi fatta male di proposito. 
"La porto io." rispose Newt, abbassando un braccio sotto l'incavo del ginocchio e facendo per sollevarmi verso il suo petto.
"No." si impuntò Minho, facendosi avanti. "Senza offesa amico, ma nemmeno la tua gamba ci sarà d'aiuto se dovrai portare anche il suo peso."
Il biondino si morse il labbro e mi guardò sconsolato. "Ma..." fece per ribattere, tuttavia Brenda ci regalò un altro dei suoi rimproveri, interrompendolo bruscamente. 
"Smettetela, qualcuno se la prenda e continuiamo."

Nonostante la voglia irrefrenabile di lanciarle un pugno in faccia, compresi che aveva ragione: non avevamo tempo per tutto quello, dovevamo muoverci e per colpa mia avevamo già perso un po' di vantaggio rispetto alle guardie che si facevano sempre più vicine. "Le affronteremo e basta." propose Jorge, ponendosi al mio fianco e osservando preoccupato la gamba. "Mettiamoci tutti uniti, ognuno si concentri su una guardia e poi passi alla prossima senza attendere. Se siamo veloci forse..."
"Ma se ci..." iniziò Brenda, brontolando e lanciando a Jorge un'occhiata preoccupata. 
"Non ci prenderanno." la rassicurò l'uomo, depositandole una carezza sulla guancia e cavando con la mano libera la pistola.

 

L'ennesima battaglia contro le guardie era stata tanto lunga quanto impegnativa, ma alla fine – come già predetto da Jorge – ce l'eravamo cavata. Questa volta, senza bombe fumogene e con una netta disparità numerica delle guardie, gli altri erano stati capaci di cavarsela discretamente, senza collezionare troppe ferite o lividi. Nonostante avessi insistito più volte per partecipare a quella battaglia, Jorge mi aveva esclusa sin dal principio, ordinando a Newt di portarmi nell'angolino più isolato del corridoio e attendere con me, proteggendomi da eventuali guardie che sarebbero scappate dal loro controllo.
Per fortuna, tuttavia, io e il biondino non venimmo disturbati, riuscendo così ad avere un attimo per noi e soprattutto a riposarci un pochino. Newt non parlò molto, limitandosi a guardarmi ogni tanto con la coda dell'occhio e a sorridere timidamente ogni volta che lo coglievo sul fatto. Alla fine, non riuscendo più a sopportare quella freddezza e quel senso di vergogna tra noi, mi decisi a parlare per prima, cercando di sovrastare i rumori della battaglia che si infuriava a qualche passo da noi.

"Newt, come ti hanno trattato qua?" domandai, accorgendomi solo in quell'istante che non avessi la più pallida idea di cosa avesse passato per tutto quel tempo nella nuova struttura. "Insomma... le guardie qua mi sembrano un po'... addolcite, ecco. Quelle che conoscevo erano perfide, qui invece sembra quasi che..."
"Non vogliono farvi del male." si limitò a dire lui. "Tutto qua. Diciamo che è nel loro interesse farvi rimanere sani. Per studiarvi e... Be', per i soliti esperimenti." il ragazzo si bloccò all'istante, arrossendo voluminosamente e facendomi domandare se mi stesse davvero nascondendo qualcosa. Forse, però, stava tacendo per il mio bene: non potevo sapere se la verità che mi stava celando sarebbe stata semplice da digerire e, nonostante tutti gli sbalzi d'umore e i comportamenti strani, mi fidavo di Newt o per lo meno del ragazzo della Radura di cui mi ero innamorata. 
"Vedi," continuò poi, aggiustandosi leggermente i pantaloni e facendosi più vicino a me, racchiudendosi le ginocchia con le braccia. "finchè fai quello che ti dicono – che non è poi così difficile, dato che sono semplici richieste, come quella di rispettare il coprifuoco – ti lasciano vivere in pace. Devi dimenticarti della vecchia W.I.C.K.E.D. quando si parla di trattamento dei pazienti. Qui sembrano avere un po' più di tutela per le vite altrui. Anche se..."

Lo sentii irrigidirsi, ma non dissi nulla mentre, con lo sguardo, lo osservavo portarsi un palmo sulla fasciatura e accarezzarla, come lo avevo ormai visto fare mille altre volte. Sembrava fosse quasi diventato un tick nervoso per lui. "Anche se a volte fanno delle scelte etiche discutibili. In più, purtroppo, hanno sempre la stessa visione della vecchia W.I.C.K.E.D., quindi in realtà non sono poi così diversi." terminò lui, abbassando la mano sulle gambe e guardandomi disinteressato. 
"Tu invece?" domandò poi, rivolgendomi un abbozzo di sorriso e puntando subito lo sguardo sulla mia caviglia. "Cosa intendeva dire Stephen con..."
Non lo lasciai nemmeno finire, trovando che la frase detta poco prima dal ragazzo dai capelli bianchi fosse totalmente di cattivo gusto. Non che io non accettassi il cambiamento nella mia gamba con cui oramai convivevo da tempo, anzi, la cosa che mi dava realmente fastidio era che quel suo commento fosse anche riferito a Newt, che in realtà non aveva ancora accettato completamente quella sua mancanza. Dei ricordi troppo brutti e bui erano legati a quel suo zoppicare continuo e il ragazzo non riusciva semplicemente a girare pagina, rimpiangendo ogni giorno le scelte che lo avevano portato a camminare così.
"E' stato un incidente." mi limitai a spiegare. "Facendotela breve, per salvare un mio caro amico sono finita sotto un masso quando il vecchio edificio della W.I.C.K.E.D. crollava a pezzi."
Vidi il biondino sgranare gli occhi. "L-L-L'edificio della W.I.C.K.E.D... a pezzi?"

Ridacchiai, gustandomi a pieno quella sua espressione e ricordandomi per l'ennesima volta che fosse ancora all'oscuro di tutto. Mi dimenticavo ogni volta che non fosse al corrente di tutta la storia, perciò quando parlavo dovevo stare bene attenta a non portare alla luce fatti che avrebbero potuto gettarlo in un'altra delle sue crisi. "Sì, diciamo che siamo riusciti a far saltare in aria il vecchio edificio e che l'abbiamo scampata sani e salvi. Solo che io ho avuto una... complicazione, ecco. Mi si è rotto qualche osso nella caviglia, pezzi di ossa che non si possono sistemare facilmente, quindi ora è come se avessi una gamba più corta dell'altra. Ecco perchè..."
"Perchè zoppichi come me." concluse lui, rivolgendomi un sorriso caldo e accogliente, capace di farmi sentire totalmente a mio agio con me stessa.
Quasi distrattamente il ragazzo allungò una mano verso i miei capelli, prendendo delicatamente una ciocca tra due dita e giocherellandoci. Si morse le labbra e analizzò le punte dei miei capelli con fare sospetto, poi posizionando la ciocca dietro il mio orecchio con dolcezza, la sua espressione confusa si tramutò in un sorriso gentile.

"Mi piacciono così corti." mormorò, accarezzandomi delicatamente la testa e togliendomi qualche ciocca ribelle dal volto. "Ti fanno sembrare una tosta."
Ridacchiai appena, prendendo la sua mano tra le mie e accarezzando il suo dorso. "Lo sono sempre stata." mentii, riuscendo a causare in lui un altro sorrisetto soddisfatto. 
Allungai la mano verso la sua testa e questa volta fui io ad accarezzare i suoi capelli, o almeno quello che ne era rimasto, osservandolo abbandonarsi completamente a quel mio tocco, come se quella dimostrazione d'affetto per lui fosse più vitale di prendere una boccata d'ossigeno. Quando feci scorrere le dita sulla fasciatura, tuttavia, lo sentii irrigidirsi completamente. Ritirai le dita velocemente, terrorizzata all'idea di mandarlo in tilt per quella mia mossa troppo invadente. 
Nel tentativo di recuperare a quel mio errore, gli sorrisi e biascicai la prima scusa che mi passò per la testa, annunciando però un'opinione che pensavo davvero. "Io invece preferivo i tuoi lunghi, ma immagino che tu non abbia avuto scelta." lo punzecchiai, gustandomi a pieno la sua espressione da finto offeso. "Purtroppo ormai mi sono messa con te però, non resta che tenerti anche con i capelli rasati. Un giorno ricresceranno."

Lo vidi ridacchiare con un ghigno stampato in faccia e per un attimo mi dimenticai di tutti i problemi ancora in attesa di essere risolti. Per un attimo mi sembrò di essere tornata alla Radura, a quel mondo di pace utopica, di noiosa ma rassicurante routine e soprattutto a quell'antro di paradiso pieno di amici, considerati oramai famiglia, dove l'unico problema imminente erano solo delle bestiacce meccaniche. Ma ora eravamo nel mondo reale e mi sembrava quasi che si facesse sempre più duro con il passare del tempo. Simulazioni, variabili ed esperimenti non ci avevano preparato per affrontare la dura realtà dei fatti ed ora ci ritrovavamo soli in un mondo che non sembrava appartenerci. 
Appoggiai la testa sulla sua spalla, sospirando, e mossi un braccio sotto il suo, tirandolo di più verso me e rannicchiandomi contro di lui. Inspirai a fondo il suo buon odore, che oramai si era mischiato anche al sudore dovuto alla recente battaglia, e mi domandai per l'ennesima volta come fosse possibile cambiare il profumo di una persona. Non dipendeva dai prodotti usati sui vestiti che indossava, né da una nuova marca di shampoo o da una saponetta diversa: ogni individuo, per me, aveva un odore personale e inconfondibile, di conseguenza anche quello Newt – che era una tra le mie persone preferite – mi era familiare. Non riuscivo a capacitarmi di come potesse essere cambiato in modo così drastico: a meno che il mio naso o le mie memorie non mi stessero ingannando, se chiudevo gli occhi e lo annusavo sembrava essere totalmente un'altra persona.

Accarezzai distrattamente la sua pelle, facendo scorrere l'indice in su e in giù in modo alternato, poi portai una mano sul suo petto, premendo contro il tessuto della sua maglia nel tentativo di trovare il punto in cui il suo battito cardiaco si percepiva di più. Quando finalmente scoprii quelle leggere palpitazioni, scoprii che il suo battito fosse più accellerato del solito. Sorrisi, appoggiandomi ancora di più a lui e sentendo il suo battito aumentare ancora. Non avevo più dubbi: quello era davvero il mio Newt e il suo cuore batteva ancora all'impazzata per me.
"Mi sei mancato molto." sussurrai.

*Angolo scrittrice*
Allora ragazze care! 
Come vi sembra la storia fino ad ora? Devo ammettere che sta diventando più lunga del previsto, ma mi perdo sempre in descrizioni e in dialoghi che a volte mi dimentico che devo proseguire con la trama.

Per questo vi chiedo: volete che mi dia una sbrigata o questa lentezza sta piacendo anche a voi? 
Come vi prosegue l'estate? Spero stiate tutte bene :3

Vi mando tanti bacini,
Elena

 

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Capitolo 68
*** Capitolo 61. ***


{AVVISO IMPORTANTE: pensavo, a fine libro, di fare un capitolo "spiegazioni e curiosità", quindi se volete che la vostra domanda sia presente tra le altre e che i vostri dubbi abbiano finalmente una soluzione, non esitate a scrivermeli nei commenti o in chat privata. Anche se non risponderò direttamente, sappiate che prenderò in considerazione ogni singola richiesta (sempre che non venga poi spiegata nei capitoli a venire!). Grazie per aver letto e per l'eventuale partecipazione! Godetevi la lettura :3} 

Dopo aver atteso impaziente che anche quella battaglia finisse, al sicuro tra le braccia di Newt e sentendomi inutile per non poter fare nulla per aiutare i miei amici, avevo capito di non poter continuare in quel modo. La stanchezza si faceva sempre più strada nel mio corpo, la mia caviglia non sembrava voler più collaborare e la mia ferita al fianco aveva ripreso a farsi sentire sempre più, bruciando ogni volta che, in seguito ad un movimento, strisciava contro la fasciatura. La sentivo bruciare ad ogni passo, premere e pulsare all'impazzata, come se temesse che mi fossi scordata della sua presenza e ci tenesse a farmela ricordare.
Gli altri sembravano invece stare tutti bene e, a parte qualche graffio e livido qua e là, nessuno sembrava essere a corto di forze. Nemmeno Minho, che aveva corso e combattuto all'impazzata finchè non ci aveva trovati sembrava sentirsi debole o stanco.

C'era un qualcosa che non quadrava in me e i brividi che mi accapponavano la pelle ogni dieci minuti cercavano di sottolineare l'ovvio: il mio corpo aveva raggiunto il limite, per un qualche motivo, non potevo più tenere il ritmo sostenuto fino a quel momento.
Nonostante il mio corpo fosse K.O. riuscivo ancora a ragionare bene con la testa e, dopo aver visto Stephen ripulire le tasche delle guardie, un'illuminazione si diffuse rapidamente nella mia mente, ponendomi su un piatto d'argento la soluzione perfetta.
"Mi travestirò da guardia e andrò a cercare i bambini, Violet e Gally. Voi nel frattempo proseguite e raggiungete l'hangar. Pulitemi la strada meglio che riuscite, troverò un modo per raggiungervi." proposi, appoggiandomi quanto possibile al muro per riuscire ad alzarmi. Newt mi diede una mano, mostrandosi per l'ennesima volta il Newt dolce e premuroso della Radura, ma quando incrociai il suo sguardo, mi sembrò di vedere un estraneo: i suoi occhi erano cupi, severi e quasi infastiditi da quella mia proposta. 
"Non se ne parla, non andrai da sola. Non in queste condizioni almeno, è pericoloso: ti cattureranno prima di quanto tu creda." mi rimproverò, incalzando le sue parole con un continuo scuotere di testa.
"Ma Newt non ho altra..."

"Non ci andrai." mi interruppe lui, ancora più severo di prima, lanciandomi un'occhiata truce e facendomi rabbrividire. Dove era finito il Newt dolce e tranquillo di un attimo prima?"
"Andrò con lei." si propose Stephen, camminando verso di noi e porgendomi una pistola caricata a capsule di sonnifero. "E' un buon piano, biondo, pensaci. Io mi travesto da guardia, fingo di averla catturata e mentre la riporto alla base operativa, cerco di scoprire di più. Sarà un'infiltrazione perfetta, nessuno sospetterà nulla."
"Da sola con te un'altra volta non ce la lascio. Ti ricordi della Zona Bruciata? Già, non ho intenzione di ripeterlo." sbottò Newt. "Andrò io con lei."
Per quanto sapessi che quel piano fosse pericoloso e stupido, a quell'affermazione mi sentii riscaldare: avere Newt al mio fianco mi faceva sentire più tranquilla, ora che il ragazzo sembrava essersi ripreso. Tuttavia, se pensavo a tutti i pericoli a cui saremo andati incontro e alle possibili crisi di Newt, mi bloccai. Mi immaginai il ragazzo, steso a terra in presa ad un black-out, mentre le guardie, dopo aver scoperto il nostro travestimento, lo prendevano a calci.
Un altro brivido mi percorse la schiena. Era giusto trascinare Newt con me in quella follia?
A quel punto fu Minho ad intervenire, iniziando già a togliere la giacca ad una delle guardie. "Non se ne parla, vado io con la bambolina insieme al brutto pive tinto qui, tu seguirai Jorge e Brenda."
Stephen lo interruppe, mostrandosi scocciato e infastidito. "Ma io non sono tin..."

Minho proseguí nel suo discorso, troppo impegnato a convincere Newt per accorgersi dell'intervento di Stephen. "Newt, è troppo pericoloso, in più messa nelle condizioni in cui è sarebbe stupido mandarla da sola con te. Non sto dubitando della tua forza, ma..."
Minho si interruppe per qualche secondo, osservando la giacca appena sfilata dalla guardia e assumendo un'espressione seria ma al contempo imbarazzata. "Ho già vissuto una tua morte, amico, non sono pronto a vederti ferito o su un caspio di lettino operatorio o intrappolato o..." si schiarì la voce, grattandosi la nuca e incatenando il suo sguardo a quello di Newt. Nei suoi occhi potevo leggere tristezza e un insistente supplicare. "Ti prego, lascia che vada io."
Newt abbassò lo sguardo, poi mi guardò di nuovo. Sentii la sua mano cercare la mia e le sue dita accarezzarmi dolcemente il dorso di essa. Il ragazzo sospirò e, dopo aver stretto più forte come per imprimere ancora di più il suo tocco sul mio palmo, lasciò la presa.
"D'accordo, ma andrete entrambi e starete attenti, okay?" vidi Minho e Stephen annuire convinti, lanciandosi uno sguardo d'intesa e iniziando a togliere i vestiti alle guardie.

Una sensazione di panico mi attanagliò lo stomaco. I ricordi della Zona Bruciata mi tornarono in mente e per un attimo ripercorsi il momento in cui avevamo incontrato per la prima volta Brenda e Jorge. Il modo in cui si erano comportati allora, nonostante fosse solo una recita imposta loro dalla W.I.C.K.E.D., mi causò un rigetto immediato dell'idea di lasciare Newt da solo con loro. Nell'ultimo periodo avevo iniziato a fidarmi di più dei due, ma ora che avevo nuovamente Newt con me, non avevo intenzione di correre nessun rischio, nemmeno la minima traccia di esso. Come facevo a sapere con certezza che non l'avrebbero lasciato indietro per salvarsi? Chi mi assicurava che l'avrebbero protetto nonostante tutto, rischiando la loro vita?
No, non potevo permettermi di separarmene. Avevo promesso che non l'avrei mai lasciato da solo, che l'avrei protetto con il mio stesso corpo se necessario, ma, contando le condizioni in cui ero, iniziavo a dubitare anche delle mie capacità di combattere.
Se allora portarlo con me era rischioso, ma non mi fidavo nemmeno di lasciarlo in compagnia di Jorge e Brenda, rimaneva solo una soluzione. 
"Minho." richiamai il ragazzo, cogliendolo di sorpresa e vedendolo sussultare mentre toglieva con uno strattone la prima scarpa di una guardia. "Tu andrai con Jorge, Brenda e Newt." ordinai secca, distaccandomi dal biondino e zoppicando verso l'asiatico. Gli sfilai lo scarpone dalle mani e lo porsi a Stephen. "Io e Steph attueremo l'infiltrazione." 
Sentii Newt affrettare il passo dietro di me, ma prima che ci raggiungesse mi affrettai a concludere, iniziando a bisbigliare all'orecchio di Minho, ma stando attenta che comprendesse a pieno le mie parole. "Non mi fido di quei due, tu saprai proteggerlo meglio di quanto possa fare io." mi morsi il labbro e quando sentii la mano di Newt premere sulla mia spalla mi distaccai da Minho, incatenando il mio sguardo al suo e lanciandogli un'occhiata supplichevole e preoccupata. "Per favore, Minho."

Vidi l'asiatico corrugare le sopracciglia e stringere forte la mascella, troppo incastrato dietro ai suoi pensieri per riuscire a prendere in considerazione le lamentele continue del biondino che si facevano più intense secondo dopo secondo. 
Lo vidi abbassare lo sguardo e strisciarsi una mano sul volto nel tentativo di riprendersi. "Okay, io e Newt li seguiremo all'hangar. Voi siate prudenti e..." il ragazzo si interruppe e, dopo aver incrociato il mio sguardo, mi appoggiò una mano sulla spalla. "Trovate Violet, riportatela da me. D'accordo?"
Abbozzai un sorrisetto e sperai con tutta me stessa di riuscire a mantenere quella promessa. Avrei trovato la mia amica, l'avrei cercata ovunque e protetta finchè non saremo stati al sicuro con gli altri su una Berga, in volo verso casa. Giurai a me stessa di non lasciare quella dannata base finchè non avrei portato in salvo Gally, Violet e i bambini.
"D'accordo." acconsentii. "La troverò, te lo prometto."


 

Non fu facile convincere Newt a collaborare. Anzi, a dirla tutta, alla fine dei conti non si trattò di averlo convinto, piuttosto si potè definire come un furto di persona, dato che Minho fu molto vicino dal caricarselo in spalla e trascinarlo via da me. Non solo Newt non si fidava di Stephen, continuando a immaginare scenari terribili in cui venivo uccisa in diversi modi per colpa del ragazzo, ma aveva anche deciso che non intendeva separarsi più da me. 
Alla fine, quando Minho riuscì a calmarlo e a fargli ritrovare la ragione, Newt si rassegnò avvilito, riconoscendo che, se nessuno lo supportava nelle sue lamentele, aveva ben poca voce in capitolo. Dopo averci spiegato almeno in tre modi diversi la strada per la palestra e per la mensa, Newt si incamminò verso di me e poi, guardandomi come un cane bastonato, mi abbracciò forte, come se fosse l'ultima volta. Gli depositai un bacio leggero sul collo e gli sussurrai di non preoccuparsi, che me la sarei cavata. Guardandomi sconsolato, poi raggiunse gli altri e dopo aver consegnato la chiave dell'hangar a Jorge, si diressero tutti insieme verso il prossimo corridoio, lasciando me e Stephen da soli.

"Perchè non posso travestirmi anche io da guardia?" brontolai mentre fissavo il ragazzo togliere i pantaloni alla guardia, lasciandolo in boxer. 
"Perchè i vestiti ti starebbero larghi e perchè non sai recitare." borbottò lui di rimando. "E anche perchè tutte le guardie qui hanno stampato sulla loro divisa un nome da uomo e per quanto ne so la tua voce è troppo femminile per sembrare quella di un uomo."
Sbuffai e mi lasciai cadere lentamente a terra trascinando la schiena contro il muro. Persino stare in piedi era diventato difficile. "Muoviti allora." brontolai, osservandolo cavarsi le scarpe e iniziare a slacciarsi i pantaloni. Quando il ragazzo arrivò alla zip dei jeans mi lanciò uno sguardo infastidito e si girò di schiena, dandomi le spalle. "Potresti non guardare? So che ti piace vedermi nudo, ma ora che Newt è tornato non mi sembra il caso, pasticcino." mi punzecchiò lui, lanciandomi un'occhiata pervertita e gustandosi a pieno la mia espressione disgustata.
"Certo, sogna pure." ribattei a tono. "Cos'è, ti vergogni a cambiarti davanti alla tua sorellina? Oh, ma che carino che sei, stai diventando tutto rosso."

"Non è vero che mi vergogno." brontolò lui, imbronciandosi proprio come un bimbo piccolo. Poi, probabilmente per dispetto, si calò i pantaloni, rimanendo in mutande e osservandomi soddisfatto. "E' che vorrei evitare che tu ti innamorassi di me. Rifiutarti e vederti soffrire sarebbe duro per me." spiegò lentamente, fingendo una voce seducente. 
Lottando contro l'imbarazzo e cercando di non chiudere gli occhi per non dargliela vinta, fissai il mio sguardo al suo, ignorando completamente le sue gambe nude e alzando un sopracciglio per sbeffeggiarlo. "Innamorarmi di te? Quando Janson si rincarnerà in un ratto, allora lo farò." risposi sarcastica, rivolgendogli un sorrisetto divertito e soffocando il rossore alle guance. 
"Contando che ultimamente mezza Radura sta tornando in vita, io non scommetterei su una cosa del genere." sibilò lui, sfilandosi anche la maglietta e chinandosi di fianco a me per raccogliere i vestiti della guardia. Non compresi a pieno il motivo di quel suo comportamento: Stephen mi considerava come una sorella, quindi il suo stuzzicarmi non era un modo banale per provarci. Aveva qualcosa in mente e questo era chiaro, solo che non capivo dove volesse andare a parare. 
Prima di rialzarsi del tutto, il ragazzo avvicinò il suo volto al mio, sfiorando il mio orecchio con le sue labbra e sussurando. Rabbrividii di nuovo quando il suo fiato caldo mi solleticò il collo, ma mi sforzai di non spostarmi. Stephen non l'avrebbe avuta vinta così facilmente.

"Immagino che sia difficile resistermi, contando che tu e Newt non avete un momento di intimità da molto..." sussurrò lui, facendomi salire il disgusto alla sola idea. Stephen era come se fosse mio fratello, come diamine si permetteva di parlarmi così? "Anche se, da quanto mi sembra di aver capito, forse preferisci il corpo di Gally al mio."
Dunque era quella la sua fermata finale. Ecco il motivo di quel suo comportamento, ecco spiegata la finalità delle sue parole. Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso: non era più uno scherzo, arrivati a quel punto e, se lo era, non era affatto divertente. Avevo smesso di stare al gioco. "Vestiti prima che ti tiri un ceffone." ordinai, lanciandogli un'occhiata truce e spingendolo via da me, le guance troppo a fuoco e il cuore esageratamente galoppante in gola per riuscire a capire se quel mio stato dipendesse dalla rabbia o dall'imbarazzo. 
Stephen si raddrizzò ridacchiando e iniziando finalmente a vestirsi. Mi voltai dalla parte opposta, incrociando le braccia al petto e mettendo il muso. Non lo degnai di uno sguardo finchè, dopo essersi infilato anche i pantaloni, il ragazzo mi punzecchiò di nuovo. "Se reagisci così vuol dire che un fondo di verità in quello che ho detto c'è." disse, tornando improvvisamente serio e guardandomi preoccupato. "Non ti giudico, in fondo. Eri convinta che il tuo Newt fosse morto e hai cercato di andare avanti. Pasticcino, non offenderti, ma sostituire il biondo con Gally non mi sembra un'ottima scelta."

Corrugai le sopracciglia e gli lanciai un'occhiata di fuoco, che tuttavia non ebbe l'effetto desiderato, dato che il ragazzo continuò a guardarmi preoccupato. "Non ne ho mai avuto l'intenzione." abbaiai, digrignando i denti. 
"Oh, andiamo..." brontolò Stephen, alzando lo sguardo al cielo e allacciandosi la cinta. "E' palese. Anche se non vuoi ammetterlo, hai sentito un qualcosa per lui, ma sembra che nessuno dei due se ne sia accorto. Cacchio, Gally è tanto cieco quanto testardo. Anche se, dato che l'hai rifiutato più volte, posso capire che sia difficile per lui capire i tuoi sentimenti."
Stanca di quel suo farneticare, mi sollevai lentamente in piedi e zoppicai in sua direzione, puntandogli contro un dito. "Non è vero un caspio di quello che hai detto!" sbraitai, sentendomi accusata, ma forse anche colpevole senza capirlo fino in fondo. "Io non... Io e Gally..."
"Sì?" insistette lui.
Tra me e Gally non c'era mai stato nulla, se non qualche bacio rubato e qualche...
Qualche sogno erotico di troppo? Mi ricordò la mia mente, sbeffeggiandomi e gustandosi la confusione nella mia testa. 
Quel sogno non significava nulla. Mi mancava Newt, Gally mi aveva mostrato tutto il suo affetto, mi piacevano le sue attenzioni, mi piaceva sentirmi al sicuro quando stavo intorno a lui e mi piaceva sentirmi genuinamente amata da qualcuno. Anche se pensarlo era alquanto egoistico da parte mia, sapere di avere qualcuno sempre dalla mia parte, che mi apprezzava per quello che ero e che sarebbe stato al mio fianco nonostante tutto, mi faceva sentire speciale.

Ma non avevo mai corrisposto i sentimenti del Costruttore. 
Davvero? Mi domandò la mia coscienza, ridacchiando quando un senso di malessere e di imbarazzo mi percorse il corpo. Una stretta allo stomaco mi fece saltare il cuore di un battito. 
Vuoi nascondere la sensazione che hai provato quando ti ha baciata mentre tu fingevi di dormire? O il sogno che hai avuto quella stessa notte? Vuoi fingere che tu non abbia mai sentito nulla, quando gli stavi attorno? E la stretta al petto quando hai creduto più volte di perderlo? Queste cose come le spieghi?
Scossi la testa, tanto turbata e confusa quanto imbarazzata. Perchè proprio ora? 
Newt era tornato da me, ed era quello ciò che contava veramente. Ero ancora innamorata del biondino e la cosa era ovvia, ma sarei stata pronta a fare dei cambiamenti alla relazione con Gally per lui? Per salvaguardare Newt, per essere corretta nei suoi confronti, dovevo mettere qualche paletto e qualche restrizione alla mia amicizia con Gally che, effettivamente, si era spinta ben oltre da parte del ragazzo in alcuni momenti.

Quello che avevo provato io non aveva importanza. Ero solo molto confusa e col cuore a pezzi per ragionare con lucidità. Il mio cuore si sarebbe aggrappato a qualsiasi anima che si fosse mostrata dolce e premurosa nei miei confronti, pur di ricevere un po' di conforto.
"Allora, pasticcino?" riprese Stephen, trascinandomi via dai miei pensieri e guardandomi impaziente. Solo in quel momento mi accorsi di quanto tempo fosse passato da quando mi ero rifugiata nei miei pensieri: il ragazzo era totalmente vestito con la divisa, ora stava solo tentando di infilarsi il casco e a quel punto sarebbe stato irriconoscibile perfino ai miei occhi. 
"Tra me e Gally c'è una profonda amicizia, nient'altro." sibilai, zoppicando verso di lui e sorpassandolo per raccogliere il mio arco che avevo steso precedentemente a terra. 
"Huh, huh..." mormorò lui, guardandomi di sbieco. "Allora ti consiglio di recitare meglio la prossima volta e di trattenere di più i tuoi sentimenti per lui. Newt non è stupido, l'ha già capito, ma si fida ciecamente di te."

Mi morsi il labbro e stringendo forte l'arco fino a farmi sbiancare le nocche, annuii. "So che dovrei dirgli la verità riguardo alcune cose successe tra me e Gally, come quel bacio o quando mi ha toccato le cicatrici, ma non so come reagirà. Ora mi sembra instabile."
Sentii Stephen mormorare un "sì" da sotto il casco, poi tornò a parlarmi, la voce leggermente soffocata dal tessuto. "Non parlavo solo di quello. Il modo in cui Gally ti guarda, o anche quando ti sfiora un braccio. È palese quello che prova per te e certi sguardi che gli riservi parlano chiaro anche da parte tua." 
Scossi la testa. "Gli voglio solo molto bene, Steph. Ci sono affezionata e non voglio perderlo."
"Uhm, uhm. Ma sei affezionata anche a me, eppure non ti ho mai vista con quell'espressione quando mi sei attorno." spiegò lui. "Non ti sto accusando, Ele. Capisco che sei confusa, dopo tutto quello che hai attraversato. Ti sto solo dicendo che devi riuscire a cavarci le gambe, in qualche modo, tenta di capire cosa conta di più per te e prendi una decisione. Andando avanti così come stai facendo ora, rischi solo di inferocirli entrambi. Hai mai visto come si comportano due cani quando devono mangiare dalla stessa ciotola?" domandò poi, facendomi aggrottare le sopracciglia confusa.

Feci un passo indietro quando il ragazzo caricò il fucile consegnatogli da Jorge in spalla e posizionando le pistole nelle fascette apposite. "Diventano feroci, voraci. Lottano e si attaccano per avere il pasto, finché uno dei due ha la meglio sull'altro e la rivalità termina fino alla prossima razione di cibo."
Rilasciai uno sbuffo. "Be' loro non sono dei cani."
Sentii Stephen ridacchiare e porsi al mio fianco, prendendo il mio braccio e stringendolo leggermente. "Ma di certo sei la portata principale per due persone che non mangiano da tempo."

 

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Capitolo 69
*** Capitolo 62. ***


Fortunatamente la conversazione con Stephen riguardo quell'argomento finì lì: io non avevo osato rispondere, troppo scocciata per ammettere che un fondo di verità in quello che aveva detto esisteva; lui d'altro canto non si permise di continuare, riconoscendo anche lui di averla avuta vinta. 
Nonostante volessi continuare a tenergli il muso per aver messo allo scoperto i pensieri e sentimenti più nascosti della mia anima, compresi ben presto che non fosse quello il momento di comportarmi da bambina: avevamo altri problemi ben più importanti di quello da sbrigare.
"Il piano qual è?" domandai, osservandolo iniziare a trascinarmi gentilmente all'avanti per il braccio. 
"Semplice: io sono la guardia e tu quella che ha sterminato tutti i miei compagni. Ti ho catturata prima che riuscissi a fuggire, i tuoi amici sono fuggiti ai piani superiori." Stephen si bloccò di colpo, colpendosi il casco con una mano e scuotendo la testa. "Giusto, dammi il tuo arco e le frecce o non sarà credibile." 
Senza oppormi, cavai l'arma dalla spalla e gliela consegnai, aiutandolo a caricarsela bene dietro la schiena senza rovinare la corda dell'arco. "E come pensi di raggiungere il centro operativo?" domandai curiosa.

Lui fece spallucce e scosse la testa, come se per lui quella risposta fosse così scontata da non necessitare nemmeno di una spiegazione. "E' ovvio: chiamerò i rinforzi e verranno a prendermi. Dirò che sei pericolosa, pazza, e che non ho intenzione di muovermi senza una squadra di recupero. Dopotutto sono una recluta, sono qui da poco..." mormorò, assottigliando la voce proprio sull'ultima frase e tamburellando con l'indice sulla targhetta attaccata al petto della divisa.
Mi avvicinai per leggere meglio e scritto in stampato su una targa in metallo, risiedeva il nome della guardia brutalmente attaccata dagli altri nella recente battaglia. "Recluta 1085. Daniell Grayson." lessi ad alta voce. "Sì, sembra un nome da imbranato pappa molle, in effetti. Ti si addice." lo punzecchiai, dandogli un buffetto sulla spalla e osservandolo alzare la testa al soffitto. Non potevo vedergli il volto, se non gli occhi, ma ero sicura che avesse un'espressione infastidita. Peccato solo che non me la potevo gustare.
"Sta zitta e cammina." ordinò lui, prendendomi per il braccio e riprendendo a camminare per il corridoio.
"Wow sei già entrato nella parte." ridacchiai, cercando di stare al passo con lui e di zoppicare il meno possibile. "Anche se ora sei una guardia, vedi di mostrarmi un po' di pietà: va più piano."

Lo sentii rallentare immediatamente e scusarsi in modo distratto mentre si guardava attorno e ispezionava con cautela lo spazio circostante. Dopo qualche secondo, iniziò a trascinare i corpi delle guardie verso la porta antincendio che dava sulle scale. Non riuscendo a trasportare il peso di un uomo per colpa della mia gamba zoppa, mi limitai a tenere la porta aperta, osservando Stephen chinarsi ogni volta e trascinare via i corpi. Del gas fumogeno che aveva precedentemente riempito tutta la rampa di scale non c'era più traccia: era come se si fosse disperso totalmente nell'aria, lasciandoci il ricordo della battaglia solo per mezzo dei corpi ammazzati sul primo pianerottolo ai piani bassi. 
Dopo aver trasportato tutti i corpi uno ad uno, Stephen tornò verso di me e mi si piegò davanti, chinandosi leggermente e dandomi le spalle. "Sali in groppa. Dobbiamo allontanarci un po' per sicurezza, se trovano i corpi capiranno l'inganno non appena noteranno il povero Grayson nudo."
Aiutandomi con la gamba buona feci forza sul piede e mi issai sulla sua schiena, sentendo immediatamente le sue dita attorcigliarsi alle mie cosce e issarmi ancora più in su. Dopo essersi assestato per bene, Stephen prese a camminare con me in groppa, procedendo in modo veloce e senza mostrare la minima fatica. "Dio, sotto questi caschi non si respira." brontolò dopo un po', ma senza mai rallentare.
Svoltammo un paio di corridoi in completa solitudine, apprezzando il silenzio che ci circondava e sperando di riuscire ad attuare fino alla fine il piano di infiltrazione. Dopo aver sorpassato qualche altro angolo, Stephen mi appoggiò delicatamente a terra, consigliandomi di sedermi e fingermi sfinita – il che non fu difficile per me, dato che in realtà c'era ben poco da fingere – , mentre  lui prendeva il radiolino dalla spalla e lo attivava per parlare. "Qui è la Recluta 1085, Daniell. Mi ricevete? Passo." parlò chiaro, rilasciando immediatamente il pulsante non appena terminò il messaggio.

La risposta non tardò ad arrivare e, dopo essere stata introdotta da un lieve ronzio, la voce di un uomo si fece chiara attraverso la radiolina. "Squadra di controllo a Recluta 1085. Ti riceviamo."
"I miei compagni sono stati messi fuori gioco, ho qui la colpevole. Chiedo il supporto di una squadra di recupero prima di avanzare. Passo." 
Trattenni il fiato quando la risposta tardò ad arrivare, temendo che fossimo già stati scoperti. 
"Squadra di recupero non disponibile. Gli ordini erano chiari: addormentala e portala alla base. Passo." ordinò la voce schietta, senza un minimo tono di sentimento nella voce. 
Vidi Stephen mordersi il labbro e stropicciarsi gli occhi con due dita. Eravamo fregati, non saremo mai arrivati alla base senza qualcuno che faceva da guida e, se non avessimo raggiunto il luogo in tempo, le guardie avrebbero iniziato a farsi qualche domanda e a quel punto avrebbero mandato qualcuno a cercarci, scoprendo così i corpi e rivelando il nostro inganno.
La scomparsa di un ostaggio insieme ad una guardia non era una cosa trascurabile, dovevamo trovare il modo per arrivare alla base. 
Sentii Stephen premere nuovamente il pulsante e rimasi in ascolto, senza fiatare. "E' rischioso, signore. La ragazza è in gravi condizioni, ha perso molto sangue, se la addormento potrebbe non risvegliarsi. Attendo ordini. Passo."
Abbassai lo sguardo sulla mia ferita, passandolo poi sulla gamba e domandandomi se Stephen avesse appena mentito sul mio stato fisico o se avesse solamente espresso il suo punto di vista nei miei confronti. Non mi sembrava di essere messa così male o, per lo meno, pensavo di essere riuscita a mascherarlo piuttosto bene. A quanto pareva mi sbagliavo di grosso.

"Stiamo mandando il sergente, identifica la tua posizione, recluta. Passo." 
Dovetti trattenermi dall'esultare: per il momento il piano sembrava andare liscio come l'olio.
"Piano meno tre. Stanza..." Stephen si interruppe per qualche secondo, guardandosi intorno spaesato e cercando disperato un numero o una lettera che l'avrebbero aiutato ad orientarsi. In fondo al corridoio si trovava una piccola porta sporca, leggermente graffiata, con sopra la scritta "magazzino 4". Bingo. "Magazzino quattro." recitò Stephen, facendomi cenno con il mento di seguirlo davanti la porta dello stanzino. "Passo e chiudo."
La comunicazione terminò lì e dall'altro capo della radio non arrivarono più ordini o informazioni. Io e Stephen attendemmo qualche minuto in silenzio, col fiato incastrato in gola e il cuore a mille nel petto. Solo quando iniziammo a sentire dei passi pensanti e veloci ci animammo: io fingendo il fiatone e la mia miglior faccia addolorata e affaticata del repertorio, mentre Stephen mi sfilava la pistola dalle mani e me la puntava contro con fare minaccioso. 
Dall'altro capo del corridoio si aggiunse un mormorare al rumore dei passi e, dal tono scocciato con cui venivano pronunciate quelle parole di lamentela, comprendemmo ben presto che il Sergente non fosse poi così felice di esserci venuto a recuperare. "Dannate reclute... Sempre una spina nel fianco. Perché diamine non hanno mandato qualcun altro a prenderli?"
Dopo aver continuato così per qualche secondo, finalmente vedemmo la sagoma del famoso Sergente apparire alla fine del corridoio. L'uomo svoltò l'angolo con velocità, ruotò gli scarponi al suolo e riprese a camminare con altrettanto vigore in nostra direzione, agitando addirittura le braccia. Stephen, preso probabilmente dal panico, si mise in posizione di saluto, con un palmo aperto sul casco e l'altro braccio dritto lungo il fianco. "Saluti, Ser..."

"La pistola!" sbraitò l'uomo, cavando una delle sue pistole dal taschino e puntandomela contro con fare infuriato. "Brutto cretino cosa ti salta in mente? Mai abbassare la guardia, anche se è messa male." lo sgridò dandogli uno schiaffo sul casco e facendolo indietreggiare di un passo per la sorpresa. 
Serrai i pugni, ma dovetti trattenermi dal reagire per difendere Stephen. Se non altro quel Sergente non sembrava avere pazienza. "Soprattutto con questa stronzetta, la conosco bene e non demorde mai. Per essere così docile deve essere davvero messa male." 
Aggrottai le sopracciglia. Quell'uomo mi aveva riconosciuta, ma perchè? Il tessuto soffocava la sua voce, rendendomi difficile riconoscere il suo timbro e il casco gli copriva l'intera faccia, impedendomi di analizzare i suoi tratti somatici. 
"Che c'è? Sembri sorpresa. Non mi hai riconosciuto?" sibilò lui, spostando via Stephen con una spallata e inginocchiandosi al mio fianco, puntandomi la pistola sulla spalla e facendo intrufolare la canna di essa sotto la mia maglietta, scoprendo appena il morso dello spaccato sull'incavo del collo e la cicatrice del proiettile sulla spalla destra. 
Quando sentii la pressione della pistola proprio su quest'ultima, ma senza riuscire a percepire il freddo del metallo per via dell'insensibilità del tessuto cicatrizzato, un volto mi balenò in testa. "Eppure porti ancora il mio marchio su di te." sibilò l'uomo, premendo ancora più forte con la pistola ma senza riuscire a farmi male. Quella era una vecchia ferita, non mi avrebbe torturato giocandoci, quello che mi faceva più male al momento erano invece tutti i ricordi collegati alla sua brutta faccia.

"David..." ringhiai a denti stretti, chiedendomi come caspio avesse fatto una persona come lui a diventare Sergente.
"Oh, ma allora sei brava." mi sbeffeggiò, sollevandosi in piedi ma senza mai togliermi la pistola di dosso. Allungò una mano verso di me e mi agguantò per il braccio, stringendo forte e obbligandomi a tirarmi su con la forza. Gemetti quando, con uno strattone, mi forzò a muovermi all'avanti, facendomi appoggiare la gamba zoppa a terra in modo violento e creando una ripercussione anche nella mia ferita al fianco. "Mi era mancato vederti conciata in questo stato." ghignò lui, trascinandomi ancora dietro di lui e stritolandomi sempre di più il braccio. Stephen mi fu subito dietro, pronto per aiutarmi a camminare, ma gli lanciai un'occhiata fredda, terrorizzata: se avesse fatto qualsiasi cosa per proteggermi, entrambi saremo finiti male. Doveva continuare a stare al gioco anche se questo lo obbligava ad andare contro la sua morale e a recitare la sua parte. David continuò a trascinarmi lungo il corridoio con impazienza, dando sempre le spalle a Stephen come se fosse un'insignificante mosca fastidiosa. 
"Mi stupisco nel vedere che sei ancora in ottima forma dopo esserti scontrato con lei, l'ultima volta che l'ho vista era una pazza furiosa." mormorò poi David, guardando di sbieco Stephen e ispezionando la sua divisa in cerca forse di qualche ferita. "L'hai ridotta tu così?" 
Vidi Stephen irrigidirsi e le sue mani iniziarono a tremare, probabilmente per la rabbia, poi però si calmò e infilò la pistola nella cinghia. "Ho fatto del mio meglio, signore."

"Dovrei bastonarti per averla conciata così, i dottori non ne saranno felici per niente, ma..." si voltò verso di me e, anche se non riuscivo a vedere la sua espressione, avrei giurato che stesse sorridendo. "Ma per lei farò un'eccezione, mi eccita sentire piagnucolare questa stronzetta." 
Un altro forte strattone mi fece perdere l'equilibrio, catapultandomi all'avanti e facendomi piegare nel tentativo di ritrovare la stabilità. Scalciai a terra cercando di porre poco peso sulla gamba zoppa, ma nonostante il mio tentativo riuscì, lo sbilanciamento era troppo per riuscire a ritrovare l'equilibrio usando solo una gamba. 
Caddi all'avanti, inciampando sui miei stessi piedi e rischiando di finire con il muso a terra. David non fece nulla per fermare la mia caduta, anzi, mollò la presa sul mio braccio, impedendomi così di aggrapparmi a lui per ricevere almeno un minimo di sostegno. 
Crollai rovinosamente a terra, sbattendo forte le ginocchia e rotolandomi poi sul fianco ancora sano, nel tentativo di proteggere la ferita. Rimpiansi immediatamente di non essermi liberata prima dalla presa di David per riuscire almeno ad attutire il colpo col pavimento: i miei tentativi di proteggere le parti sensibili del mio corpo erano falliti miseramente. Mi rannicchiai su me stessa, obbligandomi a non urlare per il dolore quando una fitta acuta mi percorse il corpo, partendo dal costato, trafiggendo la ferita al fianco che sembrò esplodere infuriata in tutto il suo bruciore, e arrivando infine alle gambe tremanti, riducendole quasi ad un mucchio di ossa in disuso. Cercai ancora di trattenermi per non dare a David la soddisfazione di vedermi in difficoltà. Nonostante tutto il dolore, non emessi nemmeno un gemito, guardandolo anzi con un'espressione infuriata e sfidandolo. Tuttavia l'uomo non sembrò accettare quella risposta da parte mia, spingendomi col piede sul fianco ferito per obbligarmi a rigirarmi a pancia in su.

Non appena la suola della sua scarpa entrò in contatto con la mia ferita, la testa mi parve esplodere dal dolore. Sentii il cuore martellante nelle tempie, il sudore scendermi freddo sulle guance e raggiungermi il collo, il respiro intrappolato nella gabbia toracica esplose in un grido di aiuto, gli addominali contratti e tremanti, incapaci di sopportare quel dolore. Sembrò quasi che una bomba costituita da aghi affilati fosse saltata a qualche passo da me, inondandomi con i suoi artigli e ferendomi ovunque. 
A stento mi arrivarono le parole di David. "Sembra che ho scovato il tuo punto marcio." sibilò lui, velenoso e divertito. 
"Sergente." lo riprese Stephen, la voce visibilmente tremolante. Agli occhi di David, forse, quella sua emotività sarebbe potuta passare per una paura nei confronti del superiore, ma per me era palese che l'unico motivo nella discontinuità del suo tono di voce fosse dovuta ad un'ira repressa a stento. "Non le sembra il caso di salvaguardarla? Come ha detto lei, i dottori non..."
"Ragazzo, ti dimentichi chi è al comando qua." abbaiò David, afferrandomi nuovamente per un braccio e strattonandomi in piedi. Assecondai i suoi movimenti per ricevere il meno dolore possibile e mi sistemai al suo fianco, sforzandomi di non piegarmi in due nuovamente. Boccheggiai per riprendere aria, ma David mi impedì anche quello, ponendo una delle sue manacce sul mio collo e stringendomi il mento, obbligandomi ad avvicinarmi a lui. "Se dico che sei stato tu a conciarla così nessuno dubiterà di me. Questa stronza mi ha causato fin troppi problemi quando ero al comando sotto Janson, ora che sono riuscito a riemergere non le permetterò di rovinare tutto."

Vidi Stephen fare un passo avanti per ribattere o per aiutarmi a liberarmi dalla sua presa, ma quando David mi lasciò improvvisamente, permettendomi finalmente di inalare litri d'aria nei polmoni e sputare a terra nel tentativo di riprendere forza, il mio amico si fece indietro, stringendo i pugni lungo i fianchi e sentendosi probabilmente la persona più inutile sul pianeta terra.

Odiavo quell'uomo più di quanto avessi mai odiato Janson in vita mia. Certo, l'Uomo Ratto era stato spietato nei nostri confronti, ci aveva utilizzati come cavie per anni e non ci aveva mai visto come esseri umani, all'infuori della nostra figura di soggetti, ma in fin dei conti, il poveretto aveva già scontanto la sua pena, non solo prendendosi la malattia che aveva tanto cercato di evitare, ma anche rimanendo ucciso nel tentativo di trovare l'impossibile cura. Ancora non mi era chiaro se le sue azioni durante il corso di tutti quegli anni fossero state in qualche modo influenzate dall'Eruzione divoratrice del suo cervello, ma poco mi importava. David, al contrario, era spietato e crudele senza un motivo di base. Non credevo minimamente che fosse interessato a trovare una cura, né che si curasse di noi: non ci considerava nemmeno speciali o preziosi, cosa di cui invece era convinto Janson. No, lui ci odiava. Ci disprezzava e basta, senza motivo e per lui non eravamo altro che carne da macello, anzi, scarti di ossa inutili.

Voleva vederci soffrire e il suo scopo numero uno era toglierci da sotto il naso tutto ciò che ci era più caro al mondo, per poi disintegrarlo davanti ai nostri occhi.
Non sapevo cosa alimentasse questa sua crudeltà e, ancora una volta, non mi interessava minimamente sapere le sue motivazioni. Ciò di cui invece ero convinta era che l'avrei eliminato con le mie stesse mani.
Avevamo troppi conti in sospeso, io e lui: a partire dal nostro primo sfortunato incontro, quando con violenza mi aveva separata da Newt, marchiandomi con uno dei suoi proiettili e addormentando il ragazzo con un sonnifero; fino ad arrivare all'ultima volta che l'avevo visto nel Posto Sicuro, intento a sottrarci i bambini e a colpire qualsiasi bersaglio si fosse messo in mezzo ai suoi piani. Ma allora, se non mi ricordavo male, David era ancora una semplice guardia sotto gli ordini di un capo. Come aveva fatto una bestia spietata del genere a diventare addirittura Sergente? 
Devono proprio essere disperati... Pensai tra me e me, riuscendo a stento ad abbozzare un sorriso.
La guardia continuò a trascinarmi dietro di sé, non curandosi del mio continuo zoppicare e del mio strattonare per ricevere un po' più di libertà. "A quale squadra appartenevi, recluta?" domandò poi l'uomo, di punto in bianco, continuando a camminare come se nulla fosse e prendendo alla sprovvista sia me che Stephen. 
"A-A quale..." balbettò Stephen, non capendo nemmeno da dove partire per inventarsi un nome o un numero di una possibile squadra d'attacco.

"Non è difficile, ragazzo. Il nome della squadra a cui sei stato affidato." ripetè David scocciato, continuando a camminare e senza mai degnarsi di girarsi per guardarlo in faccia.
Dovevo fare qualcosa, dovevo inventarmi un diversivo. Che fosse una frase pronunciata, un gesto o anche un semplice colpo di tosse, dovevo farmi venire in mente un modo per far dimenticare a David la domanda appena posta.
Mi guardai attorno presa dal panico e, quando compresi di non avere poi così tanta scelta, optai per l'unica azione possibile: agli occhi di David ero una pazza? Ebbene gli avrei dato di me la visione che si aspettava.
Cogliendo l'impulso di adrenalina nel sangue, mi scaraventai in modo repentino verso l'esterno, obbligando David ad allungare il braccio e a sbilanciarsi verso di me, aumentando la presa sul mio polso, per non perdermi completamente. Poi, quando la guardia iniziò ad imprecare e a tirarmi nuovamente verso di sé per evitare che fuggissi, decisi di assecondarlo: con una spinta altrettando forte mi gettai velocemente e in maniera brusca addosso a lui, facendomi male a mia volta ma godendomi a pieno le sue imprecazioni e i suoi lamenti. 
Lo seguii a ruota mentre l'uomo perdeva l'equilibrio e faceva qualche passo indietro, agitando l'unico braccio che aveva libero e tenendomi ancora stretta con l'altro: dovevo ammettere che era perseverante, probabilmente una di quelle persone che non getta mai la spugna.

Ascoltando il mio istinto e cavando fuori l'ultima mossa intelligente del mio repertorio, mi gettai letteralmente su di lui, montandogli a cavalcioni sulla schiena e iniziando a colpire col braccio libero il suo casco. Mi dimenai, strattonando a forza il braccio e lottando contro il continuo e incessante dolore ai muscoli e alle articolazioni. Era come se il mio corpo si stesse pietrificando minuto dopo minuto, lasciandomi sempre meno libertà di movimento e costringendomi a spostarmi con la lentezza di un dolente in fin di vita.
Gridai e mi agitai ancora, scuotendolo da una parte all'altra e riuscendo finalmente a liberare la mia carne dalle sue manacce. Spinsi in avanti con tutta la forza che mi era rimasta e lo vidi arrancare all'avanti tentando in tutti i modi di riprendere l'equilibrio, ma fallendo miseramente e cadendo in avanti. 
L'uomo non emise un fiato, tuttavia, e subito fu di nuovo in piedi. Prima che potesse girarsi completamente verso di me e ridurmi in poltiglia, facendomela pagare cara per quel comportamento da mocciosa, indietreggiai velocemente fino a trovare il corpo coi piedi pietrificati al suolo di Stephen. Non appena la mia schiena entrò in contatto col suo addome, il cui petto faceva su e giù a ritmi irregolari, gli diedi una leggera spinta all'indietro per smuoverlo dalla sua trance momentanea. "Lasciami!" gridai, fingendo di essere appena stata catturata da lui e sperando con tutta me stessa che il ragazzo si svegliasse all'improvviso e decidesse di tenermi il gioco, afferrandomi almeno per le spalle o – ancora più furbamente – incatenandomi le braccia dietro la schiena.

Fortunatamente Steph fu abbastanza sveglio da optare per la seconda scelta, afferrandomi d'istinto i polsi e tirandomeli all'indietro con non poca grazia. Mugugnai quando la mia ferita al fianco decise di regalarmi una fitta senza eguali, che si diramò per tutto il costato, obbligandomi a piegarmi in due. Mi sentii la pelle bruciare, andare letteramente a fuoco e non riuscii a trattenere un urlo di disperazione. Volevo far cessare quelle fitte, quel continuo pizzicchio e bruciore sempre più insistenti sulla mia pelle. Ripresi a sudare freddo e sentii le gambe tremare sotto il peso del mio corpo che aveva iniziato a farsi sempre più pesante a ogni minuto che passava. 
Digrignai i denti e mi sforzai di rimettermi nuovamente eretta: mi ero ripromessa di non farmi vedere debole da David, non potevo dargli proprio ora quella soddisfazione.
Quando però riuscii a rialzarmi, appoggiandomi sfinita contro Stephen, un qualcosa di nero si mosse velocemente davanti ai miei occhi, finendo poi in modo brusco contro la mia tempia in un colpo sonoro, che mi fece voltare la testa di scatto, zittendo all'istante tutti i miei mugugni e il mio fiatone.
La fitta di dolore si diramò intensa per tutto il cranio, trapassandomi il cervello come mille spine, ma il panico duro poco: ben presto mi sentii scivolare via tra le braccia accoglienti delle tenebre, mantenuta in piedi solo dalla presa di Stephen. 
Sperando almeno di averlo salvato con quel mio intervento, abbozzai un sorriso prima di venire risucchiata completamente da un sonno logorante.

 

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Capitolo 70
*** Capitolo 63. ***


Il mio risveglio fu tutto fuorchè graduale e pacifico. Avete presente quelle belle ragazze che, dopo essere svenute o essersi addormentate, si risvegliano con delicatezza, mostrando a tutti quanto siano belle da appena sveglie? Ecco, scordatevi quest'immagine. Il mio ritorno nel mondo dei vivi fu tutto fuorchè aggraziato o bello. Mi alzai di scatto, urlando in ritardo per la brusca botta ricevuta prima di svenire. Non riuscivo a capire bene con cosa David avesse deciso di porre fine alla mia scenata isterica, ma date le forti fitte e il dolore costante diramato per tutta la testa, potei constatare con quasi assoluta certezza che avesse usato il calcio della sua pistola per mettermi definitivamente K.O.


Potevo quasi sentirlo parlare nella mia testa, immaginandomi l'eventuale frase da lui pronunciata dopo il mio svenimento: "sprecare un sonnifero per questa stronzetta non ne vale la pena". Magari con tanto di risata malefica come uscita finale di scena.
Nonostante avessi ripreso i sensi, però la mia testa continuava a svalvolare e a girare confusionaria su se stessa, facendomi rivalutare il mio modo violento di svegliarmi ogni volta che mi sentivo essere in pericolo: alzarsi di scatto non era di certo una bella mossa dopo aver ricevuto un colpo in testa. Se non altro ora stavo pagando le conseguenze alle mie decisioni. Un attacco di nausea improvviso mi fece volare via dal lettino su cui ero stata stesa, lanciandomi con tutte le forze rimaste verso il primo contenitore che trovai e rigurgitando anche l'anima. Non mi sorpresi quando, oltre al vomito, mi ritrovai a sputare via qualche accumulo di sangue. 
Disgustata dalla mia creazione, depositai a debita distanza dal mio lettino il cestino oramai inutilizzabile e sgattaiolai via, gattonando a terra e trascinandomi dietro le gambe, sentendole solo come pesi del tutto inutili.


Mi sentii tremare e il freddo si impossessò di me, costringendomi a fermarmi contro una parete e accasciarmi ad essa. Mi sentivo le ossa deboli e i muscoli rattrappiti dal freddo, come se fossi stata lasciata in mezzo alla neve senza nessun vestito addosso. Mi strinsi con le braccia e iniziai a strofinare i palmi sui bicipiti nel tentativo di scaldarmi e riprendermi piano piano. La mia fronte, tuttavia, sembrava andare a fuoco insieme alle guance, nonostante riuscissi a sentire solo un freddo fastidioso per il corpo. Non mi ci volle molto per capire che mi fossi appena presa una bella febbre. 
Mi portai una mano sulla fronte e mi sistemai i capelli all'indietro, accorgendomi solo in quel momento di avere il volto madido di sudore, ma le labbra secche e tremanti, per non contare poi il terribile sapore in bocca. 


Volevo andarmene da lì, ma a dire la verità non ero ancora riuscita a capire dove si trovasse esattamente quel "lì". Con occhi stanchi mi guardai attorno: un lettino imbottito di color azzurro sbiadito; un bidone pieno di vomito; un carrello di metallo probabilmente con i cassetti chiusi a chiave, con sopra qualche disinfettate e altre bottigliette piene di liquido; una tenda totalmente tirata e sporca qua e là che divideva la stanza in due; delle fastidiosissime e accecanti luci al neon e, come ciliegina sulla torta, una porta probabilmente chiusa anch'essa a chiave.
"Infermeria." mormorai annoiata, tentando di rialzarmi in piedi e di raggiungere almeno il carrello, nella speranza di trovarci un qualcosa di utile per ripulire la mia ferita.
Ero sicura che la febbre provenisse da quella: sicuramente si era infettata e il mio corpo stava cercando di lottare contro l'infezione. Per quanto riguardava il sangue nel vomito, invece, non riuscivo a spiegarmene l'esistenza. Forse David mi aveva colpita troppo forte nello stomaco o magari avevo ingoiato io stessa del sangue, proveniente dal mio naso o dalla bocca. 
Se non altro almeno ero sicura che la ferita da pugnale inflitto dalla falsa sorella di Stephen non avesse raggiunto gli organi vitali, dato che altrimenti sarei già morta da tempo.


Con le ginocchia tremanti e sul punto di crollare, raggiunsi finalmente il carrellino, afferrando immediatamente il primo panno che trovai e cercando alla rinfusa tra le mille bottigliette una che indicasse una soluzione contenente alcol o un qualsiasi altro prodotto disinfettante. Non mi interessava che la ferita cicatrizzasse bene senza lasciare segno, avevo smesso di vergognarmi o di dare peso alle mie cicatrici, volevo solo che smettesse di sanguinare e iniziasse a guarire.
Come se la ferita avesse sentito i miei pensieri e si fosse offesa, la sentii infuocarsi di colpo e mangiarmi la pelle. Digrignai i denti e afferrai la prima soluzione che mi sembrò di colore familiare, per poi stapparla a morsi e annusarla per sicurezza. Bingo: la soluzione aveva quel tipico odore di disinfettante che amavo così tanto. Forse, fare la Medicale prima nella Radura e poi nel Posto Sicuro aveva influenzato i miei gusti, dato che tutti i pazienti disprezzavano quell'odore acre e pizzicante. 


Imbevetti il panno di liquido e, facendo qualche passo indietro, mi sedetti titubante sul lettino, usandolo come appoggio per evitare che mi cedessero completamente le gambe. Sollevai la maglietta e mi stupii quando notai una nuova garza sterile applicata probabilmente di recente sulla ferita. Sembrava che qualcuno prima di me ci avesse messo le mani, ma la bastarda aveva comunque continuato a bruciare come una forsennata. 
Tolsi quanto più delicatamente il cerotto che tuttavia, impregnandosi del sangue e del pus della ferita, si era appiccicato ad essa, rendendomi quella manovra non solo dolorosa ma anche difficile. Lasciai il cerotto sul lettino e premetti il panno sulla ferita senza degnarmi di guardarla: sapevo già che la vista disgustosa dell'infezione mi avrebbe fatto salire un altro conato di vomito.


Continuai a fare pressione finchè non la sentii sgonfiarsi un pochino, poi discostai il panno e osai dare una singola breve occhiata cercando di memorizzare quanti più dettagli possibili: i punti di sutura della ferita inseriti da Gally erano ancora lì, segno che almeno loro erano riusciti a sopravvivere a tutti i movimenti e i colpi ricevuti; il pus, nonostante ne avessi rimosso la maggior parte con il panno, aveva già iniziato a ricrearsi, uscendo copioso insieme ai grumi di sangue secco rimasti incastrati in qualche modo all'interno della ferita; il liquido giallastro e puzzolente invece non ne voleva sapere di cessare, continuando ad appiccicarmi nonostante tutti i miei tentativi di asciugarlo via.


Imprecai quando per sbaglio un filo del panno si incastrò nel nodo del filo utilizzato per i punti. Imprecai di nuovo quando, dopo un movimento brusco da parte mia nel tentativo di sollevare lo straccio, il filo mi seguì a ruota, stringendosi e tirando la ferita. Con la pazienza di un bufalo inferocito, staccai il filo del panno da quello dei punti, liberando la mia pelle e sentendola tornare bruciante al suo posto. 
Aprii il primo e unico cassetto senza serratura del carrellino, trovando magicamente garze e cerotti di varia grandezza. Afferrai il primo cerotto che mi passò sotto tiro, strappando la carta protettiva con i denti e maneggiandolo con cura per non sporcarlo di sangue e pus, poi lo applicai sulla ferita, pensando ad un modo per far passare in fretta quella brutta infezione.
Se fossimo stati nel Posto Sicuro avrei di certo utilizzato le erbe di Matthew, ma in quel luogo non avevo la minima idea di dove mettere le mani prima per cercare un qualcosa di utile.

"Vedo che hai già fatto come se fossi a casa tua." mormorò una voce alle mie spalle, facendomi saltare sul posto, il cuore in gola e le mani subito strette a pugno. Nel tentativo di contenere il dolore e concentrarmi al massimo per curare la ferita, non avevo nemmeno sentito la porta aprirsi. Un uomo sulla cinquantina con i capelli brizzolati e la barba rigorosamente ben curata e non troppo lunga era appena entrato in infermeria e, dall'uniforme giallina che indossava, potevo constatare senza ombra di dubbio che dovesse trattarsi di un infermiere.


"Dove è..." mi trattenni dal pronunciare il nome di Stephen, ricordandomi solo in quel momento del nostro piano di infiltrazione e della sua copertura. Non sapevo se dopo il mio svenimento il ragazzo avesse continuato con la sua recita in modo convincente, ma sperai con tutta me stessa che non avesse destato il minimo sospetto e fosse riuscito a raggiungere la base operativa scortato da un David ignaro di tutto. "Dove mi trovo?" domandai in modo stupido, cercando di riparare al mio errore, ma senza riuscire a pensare ad una domanda più intelligente da porre.
Sentii l'infermiere ridacchiare e infilarsi le mani nelle tasche dei pantaloni gialli. "Be' direi che sei in infermeria, ma pensavo fosse palese." mi rispose gentile, destando così in me un irrefrenabile sospetto. Nessuno era così genuinamente felice e gentile all'interno della W.I.C.K.E.D., era chiaro che stesse cercando di mettermi a mio agio e di calmarmi per altri scopi.
L'uomo fece per avvicinarsi e aprire la bocca, ma lo fermai prima che potesse parlare. "Voglio essere lasciata libera." ordinai, poi, aggiungendo altro, ripresi: "E voglio anche Gally e Violet liberi. So che li state tenendo rinchiusi qua da qualche parte."


Una seconda risata dilaniò il silenzio della stanza, questa volta però era meno genuina della prima, come se l'infermiere fosse stato colto da un'improvvisa tristezza o dal senso di colpa. "Vedo che continui ad avere grinta nonostante le tue condizioni precarie." borbottò lui, allungando le mani nella tasca del camice ed estraendo un paio di guanti in lattice. "Il tuo amico... Galileo..."
"Gally." lo corressi dura, incendiandolo con lo sguardo. 
"Be' in realtà il suo nome..." lo vidi bloccarsi e scuotere la testa. "Sì, comunque...Gally," riprese. "mormora sempre il tuo nome da quando l'hanno addormentato."


Mi bloccai sul posto quando lo sentii pronunciare quelle parole e muovere qualche passo verso di me. "Stai fermo dove sei." ordinai dura, alzandomi in piedi con le gambe tremanti e allontanandomi dall'uomo. "Dove è?" chiesi ancora, spazientita. 
"Non dovresti pensare prima a te?" domandò lui, alzando le mani in segno di riappacificazione e muovendosi verso il carrellino, osservando il panno pieno di sangue e pus e poi voltandosi verso di me. "Vedo che hai già fatto il mio lavoro, ma quella ferita ha bisogno di riposo. E'..."
"Infettata, lo so. Il mio corpo sta già provvedendo ad eliminare le tossine. Non mi serve riposo, mi serve trovare Gally." spiegai con calma, sentendo la testa girare ancora e le labbra tremare insieme al resto del corpo. Nonostante i brividi continui però, ora iniziavo a sentire davvero caldo, come se mi avessero gettato direttamente all'interno di una stufa.


Vidi l'infermiere abbozzare un sorriso e fare un altro passo indietro, lasciandomi i miei spazi e sfilandosi i guanti in lattice. "Siete ancora molto affezionati?" domandò lui con genuino interesse. "È cambiato molto Galile... Gally?" 
Aggrottai le sopracciglia e lo guardai confusa. Quelle domande erano il frutto di una seria curiosità oppure solo un modo per distrarmi o di prendere tempo? Eppure sembrava un uomo calmo, pacato. 
E cosa lo aveva spinto a pormi proprio quelle richieste? Da come parlava sembrava quasi che conoscesse Gally. 


"Ora sono io a fare domande." risposi secca, tentando di porre ancora altrettanta fredda distanza tra me e lui. Qualunque fosse il suo piano, non avevo intenzione di cadere in trappola. 
Lo vidi abbozzare un sorriso, quasi malinconico, ma dalla sua espressione sembrava aspettarsi quella risposta da me. "Immaginavo sarebbe stato difficile parlare con voi ragazzi, ma non vi biasimo. Dopo tutto quello che avete passato è normale aver perso la fiducia nel genere umano." spiegò, indietreggiando di qualche altro passo e appoggiandosi alla parete con le braccia incrociate. "Non devi preoccuparti però, io sono qui solo per rimetterti in sesto. David mi ha detto che è stata la guardia che ti ha catturata a ridurti così, ma non ci credo nemmeno dovesse spuntarmi la coda da asino. Quel cretino pensa di fregare tutti con la sua autorevolezza, ma non inganna di certo me: la cattiveria lo sta mangiando dentro, ben presto diventerà marcio."


Assottigliai lo sguardo. Non sapevo se fosse una finta o meno, se magari mi avessero letto i pensieri del cervello e tentato un approccio in base a quelli per farmi avvicinare, ma potevo dire con certezza che almeno su quello io e l'infermiere eravamo d'accordo.
"Gally e Violet." sillabai ancora, spazientita. 
"Sono in cura, proprio come te." mormorò lui sospirando. "Non seguo io Violet direttamente, ma so che sta bene. Gally invece..."
Strabuzzai gli occhi. Cosa era successo a Gally? 
"Gally ha ripreso conoscenza un paio di volte, ma solo per gridare il tuo nome e attaccare la prima persona che gli capitava sotto tiro per uscire dalla stanza. Quindi per adesso stiamo aspettando che si svegli per iniziare i test motori." concluse con calma, come se fosse la prassi più naturale del mondo.
"Test motori?" domandai.


"Perchè non ti stendi un po' sul lettino? Ti vedo debole." propose lui, indicandomi il lettino e sorridendomi incoraggiante.
"I test motori." ripresi, ignorandolo del tutto. "Sono come quelli a cui li sottoponevate prima di farli entrare nel labirinto?" 
"Ascolta..." mormorò lui, abbassando il tono di voce e guardandosi intorno, avvicinandosi a me di un passo. "Io so chi sei molto bene, Frances mi ha parlato molto di te in questi anni. Solo che..." si bloccò di colpo, arrossendo e grattandosi la nuca imbarazzato. "Mi dispiace disturbarti con una domanda così fuori luogo, ma sapevo che ultimamente avevate avuto contatti nella sede della W.I.C.K.E.D., quindi..." tossicchiò imbarazzato. "Non ricevo più sue lettere da quando la vecchia sede è andata distrutta. Ecco, sai per caso se è riuscita a fuggire o se è arrivata con voi al Posto Sicuro?"


Mi sentii il mondo schiacciarmi a terra. Il senso di colpa si impossessò subito di me, regalandomi un'orribile stretta allo stomaco e facendomi ricordare dei miei rimpianti. Per quanto avessimo cercato di salvare tutti, non eravamo super eroi o adolescenti dotati di magnifiche capacità fuori dal normale. Anche noi eravamo umani, vulnerabili, e come tali commettevamo i nostri errori.
Dimenticarmi di Frances in tutto il casino successo nelle ultime ore alla vecchia sede della W.I.C.K.E.D. era stato un errore fatale che avrei rimpianto probabilmente per tutta la vita, ma anche se mi fossi ricordata della donna che mi aveva accudito per anni, trattandomi come sua figlia, non sarei mai stata in grado di trovarla e portarla al sicuro, date le condizioni in cui ero messa.


Anche se fossi stata sana, comunque, non avrei saputo da dove iniziare per cercarla.
Mi morsi il labbro e scossi la testa, implorandolo con gli occhi di scusarmi per quel mio errore fatale e di non chiedermi altro di lei. "Mi dispiace." borbottai, sentendomi un po' più vicina al suo dolore, ora palesemente disegnato in volto. Vidi i suoi occhi diventare lucidi, poi lo sentii schiarirsi la gola e portarsi una mano sulle labbra. 
"S-Scusami se ti ho importunato con queste domande." sospirò, la voce improvvisamente rauca. "Io devo..." scosse la testa, come per riprendersi. "Tornerò presto con il dottore, tu nel frattempo riposati, qui sei al sicuro, non preoccuparti." annunciò frettoloso prima di precipitarsi sulla maniglia della porta.
"Aspetta!" gridai presa dal panico, allungandomi all'avanti e sentendo la testa penzolarmi da una parte. "Il tuo nome! Non mi hai detto il tuo nome."
Lo vidi sorridermi, visibilmente commosso. "Kurt, sono Kurt" poi, poco prima di varcare la soglia della porta, si bloccò e tornò indietro di un passo, rivolgendomi un ultimo sguardo. "Sono felice che qualcuno si prenda cura di Gally, sembra che siate ancora molto legati, voi due. Mi fa piacere sapere che questo rapporto tra di voi sia rimasto puro nonostante tutto come in principio."
Poi, lasciandomi con mille domande e dubbi per la testa, chiuse la porta alle sue spalle, abbandonandomi da sola in quella stanza.


"I test motori..." borbottai tra me e me. "Ti sei dimenticato di parlarmi dei test." 
Scossi la testa, ritrovandomi improvvisamente spaesata in quella stanza. Era come se il mondo avesse preso a vorticare intorno a me, confondendomi i sensi e donandomi un senso insopportabile di nausea. 
Mi sedetti sul lettino nel tentativo di riprendere stabilità e di fermare la corsa della mia mente. Mi portai una mano sulla fronte, asciugando le gocce di sudore e premendo sulla pelle per captare la temperatura che sembrava salire ogni secondo di più. 
"Gally..." biascicai. Perché Kurt si era interessato così tanto a lui? E quale relazione aveva con Frances? Per scambiarsi lettere dovevano essere intimi o per lo meno ottimi amici. 
I test motori... Pensai ancora. Gally dovrà essere terrorizzato. 

 

Un altro giramento di testa mi obbligò ad accasciarmi sul lettino. Un altro brivido mi scosse il corpo come una scarica elettrica. 
Violet. Devo trovarla. Minho, riportarla a Minho. E poi i bambini. E Gally. E i test motori, devo capire i test motori. Chissà dove è Newt. Devo trovare anche Newt.
In un vortice infinito di pensieri confusi e mischiati tra loro, finalmente riuscii a trovare la pace chiudendo gli occhi e lasciandomi cullare dai giramenti di testa in un oblio senza fine. Quando finalmente l'interruttore nella mia testa decise di spegnersi, una calma interiore mi avvolse, trascinandomi tra le braccia del sonno e lasciandomi in balia di incubi agitati e sogni senza senso.

 

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Capitolo 71
*** Capitolo 64. ***


Aprire gli occhi per la seconda volta mi fu più difficile. Era come se il sonno non volesse lasciarmi andare, troppo geloso per lasciarmi scivolare tra le braccia della realtà. Mi ero svegliata e riaddormentata ad intermittenza, come se il mio corpo non riuscisse ad uscire da quello stato di trance e la mia mente fosse troppo debole per imporglielo.
In un certo senso mi sentivo completamente anestetizzata, come se il mio corpo non mi appartenesse più: provavo a muovere le dita ma le sentivo rattrappite, rigide; la testa, nonostante avesse smesso di girare, sembrava pesarmi sul lettino come un masso di cemento; le gambe, come se fossero staccate dal resto del corpo, non riuscivo nemmeno a percepirle.

Furono delle voci a staccarmi da quella sensazione di nero appiccicoso, come pece, trattenendomi per qualche minuto in uno stato di dormi-veglia abbastanza cosciente. Sembravano due uomini grandi, a giudicare dal timbro delle voci, ma per quanto cercassi di sforzarmi e aprire gli occhi, le palpebre continuavano a rimanere serrate, incollate tra loro. Non mi rimaneva altro che rimanere in silenzio ad ascoltare nella speranza di non crollare di nuovo nelle tenebre fatte d'inchiostro appiccicoso.
"...una motivazione. Se non gliela diamo non collaborerà mai." mormorò una delle due presenze in quella stanza. "La ragazza si è fidata della nostra parola, ma lui..." si interruppe. "Dobbiamo sfruttare la situazione adesso. Ci possiamo inventare una scusa, come quella che la ragazza necessita una trasfusione di sangue e lui potrebbe essere un donatore, ma abbiamo bisogno di valutarlo."

"Dovrete riuscire ad essere credibili, non si fida di voi." replicò un'altra voce molto familiare.
"Non si fida di noi, vorrai dire. Per quanto le tue idee e il tuo collegamento con lui possano essere forti, fai parte anche tu di tutto questo, Kurt." 
Oh, ecco perchè mi sembrava familiare. Pensai, riuscendo a nuotare piano piano in superficie e farmi strada tra lo strato spesso e opaco dei miei pensieri confusi. E l'altro chi è?

"E' per questo che sarai tu a portarlo da lei, forse l'inconscio del ragazzo ti darà ascolto." continuò la voce sconosciuta, muovendo qualche passo verso di me e facendomi salire il cuore in gola. Tentai in tutti i modi di mantenere un respiro regolare, calmo, proprio come quello di una persona addormentata, ma non riuscii totalmente a controllare il panico che continuava a sormontare dentro il mio petto, crescendo avaro e nutrendosi delle mie ansie.
Di chi stavano parlando? Avevano forse catturato Stephen e stavano tentando di sottoporre anche lui a dei test? Non riuscivo a darmi altra spiegazione del suo ritardo nel liberarmi, altrimenti. Da quanto tempo ero dentro quella stanza? Dove diamine era finito il mio complice?

"Dovremmo solo assicurarci che lei non si svegli mentre lui è qua." riprese l'uomo.
"Sai bene che non gli basterà vederla attraverso un vetro come Biancaneve." rispose sarcastico Kurt. "Questi ragazzi non vivono in un mondo di favole, conoscono bene gli inganni ed Ace capirà subito che c'è qualcosa che non va. Vorrà entrare nella stanza, esaminarla, parlarle per cercare di svegliarla..."
"Non è quello il suo nome ora e questo tu lo sai bene. Ti prego di dividere lavoro da vita privata. Il nome del ragazzo prima del Labirinto porta con sé ricordi e memorie, che sono tutte cose pericolose." lo corresse l'uomo. "C'eri anche tu quando abbiamo tutti giurato di non portare mai più a galla il passato, eri d'accordo con il bruciare tutti i file troppo dettagliati sulle vite di questi ragazzi."

Sentii Kurt mugugnare, poi mormorare un qualcosa che mi arrivò però ovattato. Terrorizzata all'idea che il sonno potesse nuovamente impossessarsi di me, strisciandomi nelle membra e attutendomi i sensi, mi morsicai la lingua il quanto più forte possibile. Dovevo restare sveglia.
"...motivo. Io pensavo che sarebbe stato doloroso per loro sapere il passato a cui li avevamo strappati."
Un'ombra buia mi passò davanti alle palpebre chiuse, sentii le mie labbra socchiudersi e la testa farsi pesante. Buio.

"...è giusto."

"... ma Ace ed Elena sono collegati da..."

"...lo sai bene che la loro relazione è ancora forte come una volta..."

"...è come se fossero sopravvissuti..."

Nuovamente buio.

No, non devo...

Ombre con le unghie affilate mi stavano trascinando per le braccia, puntando i loro artigli nella mia carne e trascinandomi sempre più nell'oblio.

"...calmerà..." sussurri confusi mi si annidarono nelle orecchie. "...la febbre... basterà una piccola dose... annebbiare... i sensi... sembrerà sia in coma..."

Le mie gambe iniziarono a formicolare insieme alla mia lingua, amara e secca come se non bevessi acqua da anni. 
Presi un respiro profondo e mi ritrovai a girare, la testa tra le nubi scure, annebbiata, troppo leggera per rimanere ferma sul lettino.

"...cibo per endovena..." riprese un'altra voce, forse quella di Kurt forse quella di un'altra persona ancora, arrivati a quel punto non sapevo nemmeno dire con certezza se quello fosse un sogno o la realtà. "Dovrai dirglielo... il rigetto potrebbe avvenire in qualsiasi..."

Buio per qualche secondo e un fastidioso fischio nelle orecchie.

"E' pericoloso se riuscissero a fuggire con lui..."

Altra nebbia, questa volta molto più spessa e densa. La mia mente iniziava ad abbandonarmi.

"...collaborare..." e a quel punto le voci iniziarono a farsi sempre più lente, come se qualcuno si fosse divertito a giocare con la velocità dei suoni. I timbri si fecero sempre più profondi, le parole lunghe, con vocali gutturali, lente, le consonanti quasi tutte sibilanti, dolci. "la cura deve funzionare..."
E poi, come se fossi inciampata nei miei stessi piedi, mi sentii cadere all'avanti, atterrando in un lago di petrolio e affogando dolcemente in quel liquido denso senza riuscire a muovermi.







 

Fu un sonno privo di immagini. Nessuna visione venne a farmi visita, nessun colore e nessuna forma mi si palesarono davanti agli occhi e per un attimo mi sembrò di essere veramente caduta in coma. La sensazione dopotutto era la stessa: mi sentivo schiacciare sul petto, come se fossi caduta così in fondo da non riuscire più a trovare la superficie, spinta sempre più in giù dalla pressione costante e dal nero catrame.
Ad un certo punto però mi sembrava di aver percepito una presenza familiare, un odore buono, rassicurante e quello bastò per darmi il coraggio di lottare contro i miei sensi annebbiati e di tentare un respiro all'infuori di quel lago nero. Probabilmente però quella sensazione fu solo una mia impressione, frutto della mia immaginazione fin troppo imbambolata dal sonno, dato che al mio ennesimo risveglio, la stanza era totalmente vuota.

Respirai a fondo dal naso e spalancai gli occhi, troppo terrorizzata dal ricadere in un altro sonno profondo per darmi pace. Mi sentii il cuore battermi forte contro il petto, come in segno di protesta per essermi lasciata di nuovo andare al mondo dei sogni e poi una consapevolezza mi investì la mente, sciogliendo definitivamente le ultime tracce di intorpidimento dal mio corpo.
Tutto mi tornò in mente in un baleno e fu come venire investita da migliaia di pensieri ed emozioni contrastanti tutti in una volta. Una stretta allo stomaco e un'inquietudine crescente mi obbligarono ad alzarmi, mettendomi a sedere sul lettino e obbligandomi a guardarmi intorno.

Mi ricordai del tentativo mio e di Stephen di infiltrarci e del modo in cui mi ero risvegliata in infermeria dopo che David mi aveva colpita in testa. Mi ricordai della febbre causata dalla ferita e istintivamente portai una mano sul fianco, premendo su di essa e ignorando il bruciore. Mi ricordavo il mio discorso con Kurt e il mio stato costante di coma. Poi mi ricordavo le voci e la sensazione di venire trascinata via da degli artigli neri.
Lanciai uno sguardo alle braccia quando mi accorsi di riuscire ancora a sentire le unghie delle ombre incastrate sotto la mia pelle. Al contrario di tante dita nere, però, ciò che torturava le mie braccia erano degli aghi collegati a dei tubi. Mi avevano bucato diverse parti di entrambe le braccia e nella maggior parte di essi potevo vedere una mora dolorosa e di color violaceo pulsare sulla pelle. "Delicati..." mormorai, staccando ago dopo ago con una smorfia e sentendomi immediatamente più libera.

A giudicare dalle sacche a cui i tubi erano collegati e dando una veloce occhiata alle sostanze scritte sopra, mi sembrava quasi che fossero tutti liquidi innocui, volti per lo più a farmi riprendere le energie o comunque i valori più importanti. Se non altro mi ero indebolita parecchio tra lotte, perdite di sangue e vomito. Ma ora mi sentivo già meglio. La fronte scottava comunque, ma era del tutto sopportabile, se non fosse stato per quel costante dolore alle ossa che mi faceva sentire debole, come fatta di carta pesta.
Ma ora non avevo tempo per riposare o starmene lì seduta a pensare. Dovevo trovare Stephen, Gally e Violet, poi dovevamo raggiungere gli altri.

Gli altri... Pensai tra me e me, tirandomi in piedi e muovendo qualche passo verso la porta, che mi sembrava così distante e irraggiungibile. Chissà se hanno raggiunto l'hangar.
Allungai la mano verso la maniglia, quando all'improvviso sentii dei passi nel corridoio esterno. Agendo prima di riuscire effettivamente a pensare ad una soluzione, mi ritrovai già dietro la tenda che divideva la stanza in due, alla ricerca forse di un'arma efficace o di un qualsiasi altro oggetto che mi sarebbe tornato utile per difendermi. Ahimè, trovai solo un'inutile poltrona attaccata ad un tavolo di legno logoro con sopra un computer del tutto fuori moda: quell'arnese era talmente vecchio e datato che sembrava quasi che la W.I.C.K.E.D. se lo fosse dimenticato lì col passare degli anni.

La porta dell'infermeria si spalancò, una voce serena e genuinamente felice irruppe nella stanza. "Ah-ah! Lo sapevo che c'era ancora qualche scorta da qualche..." la voce si bloccò di botto, probabilmente poichè la persona doveva essersi accorta della mia assenza. Poi, una risatina divertita svelò l'identità della presenza aldilà della tenda sudicia. "Andiamo, ti vedo i piedi, puoi uscire da lì."
Mi irrigidii sul posto, incapace di muovermi. Nascondermi qua dietro era stata una mossa stupida, avrei dovuto tendergli un'agguato da dietro la porta, assalirlo prima che si accorgesse della mia assenza, ma oramai era troppo tardi. "Guarda che manca solo un'iniezione e poi potrai uscire. Anzi, dovrai uscire. Ho il compito di spiegarti la cura e come avviene la terapia."

Mostrarmi la cura? E con quale scopo? Probabilmente l'idea della W.I.C.K.E.D. era quella di portarmi a collaborare mostrandomi passo per passo tutti gli effetti positivi di quella cura. Ero persino certa che avrebbero cercato di convincermi a rimanere là e a collaborare anche per il bene di Newt: premere sulle cose a noi più care nel tentativo di storcerle o di minacciarci era del tutto tipico della W.I.C.K.E.D.
"Andiamo, immagino che anche tu vorrai sapere di più su cosa facciamo qua, giusto?"
Ci pensai su ed effettivamente mi accorsi che non era poi così nel torto: se sapevo in cosa consistesse la cura e la terapia, forse sarei riuscita a scoprire di più su Newt e magari sarei anche arrivata a capire alcuni dei suoi comportamenti.
Mordendomi il labbro e pregando che quella fosse la scelta giusta da intraprendere, uscii dal mio nascondiglio per poi fissare con occhi stanchi la figura di Kurt, con una piccola siringa in mano, trasbordante di un liquido azzurro.

Lo guardai male non appena l'uomo, dopo aver chiuso la porta dietro di sé, mi si avvicinò facendo uscire un po' di liquido dalla punta dell'ago. "Tranquilla," mi disse lui subito, notando la mia espressione e regalandomi un sorriso incoraggiante. "è un liquido che serve per accelerare il processo di guarigione. Incentiva le cellule a guarirsi e ricomporsi più in fretta, tutto qua."
Inarcai un sopracciglio, guardandolo con sospetto. 
"L'abbiamo messo a punto di recente, in particolare per accelerare le guarigioni dopo aver operato il paziente in cura dall'Eruzione." mi spiegò con calma, muovendosi nella stanza e raggiungendo il carrellino. "Devo dirti la verità: ancora la stanno migliorando. Non che abbia mai dato problemi fino ad ora, sia chiaro: ha sempre fatto il suo lavoro in maniera ottima. Solo che i dottori stanno studiando dei metodi efficaci per inserire anche delle sostanze che permettano di evitare il rigetto dell'organo. Per adesso stiamo usando una vecchia terapia. Funziona anche quella, certo, ma a volte ha le sue pecche."
Tutto quel suo farfugliare mi diede alla testa, obbligandomi a sedermi sul lettino e a ragionare intensamente per comprendere tutte le sue parole. Tutte quelle informazioni mi erano state gettate addosso con così tanta velocità che ancora non le avevo comprese a pieno. Ripercorsi parola dopo parola nel tentativo di dare loro un senso, ma alla fine mi ritrovai con il doppio delle domande con cui ero partita.

Sapevo però che Kurt non avrebbe risposto a tutti i miei dubbi e così, dopo aver spulciato tra tutte le mie domande, decisi di avanzarne solo una, la più importante: "Hai parlato di rigetto dell'organo... La cura consiste davvero in questo? Trapiantare organi?"
Questa volta fu l'infermiere ad aggrottare le sopracciglia a quella mia domanda, rigirandosi tra le dita un pezzettino di cotone e guardandomi curioso. "Mi aspettavo che..." lo vidi mordersi il labbro e scuotere la testa. "Fa nulla, ti spiegherò tutto una volta usciti da qua. Sarà un tour interessante, spero che riuscirà a chiarirti le idee." 
Lo vidi fare spallucce e avvicinarsi a me, tenendo stretta tra le mani la siringa e sorridendomi sempre incoraggiante. C'era un qualcosa in quel suo comportamento sempre gentile e pacato che mi innervosiva. In un certo senso, però, la sua presenza intorno a me sembrava familiare, anche se non ero ancora riuscita a ricollegare nulla di lui ad un ricordo ben preciso: nonostante il suo nome mi fosse totalmente nuovo, mi sembrava di aver già sentito la sua voce e di questo ne ero sicura.
Ma se l'uomo non mi aveva mentito e conosceva davvero Fanny, allora forse mi sarei dovuta fidare: dopotutto, la donna che mi aveva accudita per anni non avrebbe mai permesso a qualcuno di pericoloso o sospetto di ricevere informazioni su di me. Se davvero i due si scrivevano lettere, forse c'era un legame forte tra di loro.

"Posso?" domandò Kurt, indicando con lo sguardo il mio fianco e poi la siringa. "Probabilmente brucerà parecchio, ti sentirai anche la pelle tirare e muoversi. Molti dicono che sia fastidioso, ma sono sicuro che riuscirai a sopportarlo."
Mi morsi il labbro e lo guardai assottigliando lo sguardo. Mi dovevo fidare?
Dopotutto però, se ci pensavo bene, una persona che avesse voluto farmi del male non si sarebbe presa la briga di mettermi a mio agio e spiegarmi tutte quelle cose: mi avrebbe iniettato quel siero, che io l'avessi voluto o no.
Annuii debolmente e sollevai quanto bastava l'orlo della maglietta, lasciando che poi fosse lui a staccare il cerotto dalla ferita e ad esaminarla. Notai che il pus e il sangue accumulato non destarono nell'infermiere nessun tipo di reazione, come se i suoi occhi fossero abituati a ben peggio di una semplice ferita infettata. "Spero che risolverà anche la questione della febbre, ma ricordati che questo non ti ridarà anche le energie. Dovrai mangiare, prenderti cura di te stessa per riprenderti completamente."

Annuii discreta e lo osservai affascinata mentre avvicinava la punta della siringa alla mia pelle e la perforava con una delicatezza che non avevo mai sentito dalle mani grosse di un uomo. La ferita pizzicò un po' quando Kurt spinse il liquido dentro il buco e per un attimo riuscii a sentire una sensazione di freddo improvviso scorrermi sotto la pelle, che però ben presto si ritrasformò in bruciore, era come se sotto il primo strato di pelle si fosse annidata della lava incandescente. 
Mi morsi il labbro inferiore, ma strinsi i denti e non mugugnai nemmeno. Nonostante fosse una sensazione fastidiosa, proprio come aveva annunciato l'uomo, riuscivo a sopportarla senza problemi: avevo vissuto ben di peggio nella mia vita e la mia soglia del dolore era estremamente alta. Da questo punto di vista ero un toro senza freni che avrebbe continuato a lottare anche se fosse stato ferito a morte.
Dopo aver inserito tutto il liquido con lo stantuffo, Kurt cavò delicatamente l'ago dalla mia pelle, premendo sul buco col batuffolo di cotone e rimanendo in quella posizione per un po' di tempo.

Come predetto dall'uomo, iniziai a percepire la mia pelle muoversi, tirare e bruciare, attivandosi frenetica per riparare il tessuto danneggiato e sostituirlo con cellule nuove e sane. Era incredibile il livello di conoscenza e di tecnologia posseduta dalla W.I.C.K.E.D.
Il processo, a detta di Kurt, sarebbe durato ancora qualche minuto, quindi potevo tranquillamente alzarmi e seguirlo in corridoio, nel frattempo. Come promesso, l'infermiere fu del tutto calmo e tranquillo mentre, agendo proprio come una guida turistica, indicava ogni stanza attorno a noi, spiegando che al momento avevano in cura più di cento e due pazienti.
"Se quel liquido che mi hai iniettato funziona così bene perchè allora non lo usate per riparare le cellule infettare dall'Eruzione?" domandai curiosa, seguendolo lentamente per i corridoi e stando bene attenta a memorizzare ogni angolo e stanza di quell'edificio. 
Avevo deciso che per il momento sarei stata docile, tranquilla, una persona di cui fidarsi, insomma. Ma alla prima occasione di fuga non avrei perso tempo in ringraziamenti e giri di parole: avrei mollato tutto e sarei corsa dai miei amici.

"Non è così semplice, temo." spiegò con un filo di tristezza nella voce. "Se fosse una malattia temporanea, come una febbre o un'infezione, potrebbe anche funzionare. Ma purtroppo l'Eruzione è una malattia che risiede nei geni, si ricrea in continuazione. Riparare le cellule infettate significherebbe riportare il soggetto malato ad uno stato sano per... mezz'ora? Forse alla più lunga un'ora, a seconda dell'intensità della sua attività celebrale." continuò lui, sembrandomi per un momento più un dottore che un infermiere. "Ma nel giro di poco le cellule malate riprenderebbero a diffondersi, annullando l'intero processo. E purtroppo produrre la sostanza che ti ho iniettato costa davvero molto. Richiede tante risorse e tanto tempo, cose che purtroppo al momento non abbiamo."
Allargai gli occhi. Allora avevamo ragione a pensare che la nuova sede della W.I.C.K.E.D. fosse a corto di risorse da cui attingere: a differenza della vecchia sede che si erano divertiti a far saltare in aria, manovrando il Braccio Destro come fossero burattini, questa nuova sede sembrava totalmente sprovvista.
Eppure ciò non l'aveva fermata dal concludere ciò che si era iniziato.

"La cura è un processo molto più profondo e complicato. Ci sono voluti anni per metterlo a punto... e pensare che abbiamo avuto il primo risultato completamente positivo solo qualche settimana fa: Newton, mi pare si chiami." continuò lui, destando in me ancora più curiosità. "Ho sentito dire che siete riusciti a trovarlo e ora è disperso. Quindi immagino che lo conoscerai."
Annuii distrattamente. Se Newt era davvero il primo caso ad aver ottenuto la cura con successo, allora perchè la W.I.C.K.E.D. non aveva posto più controlli su di lui? Lasciarcelo prendere in quel modo era stato fin troppo semplice... C'era un qualcosa che non quadrava in quella storia.
Mettendomi nei panni della W.I.C.K.E.D., se avessi davvero avuto sotto mano un successo vivente, non me lo sarei di certo lasciato sottrarre da sotto il naso. L'associazione era un'esperta quando si trattava di trattenere le persone contro il loro volere per studiarle e utilizzare come cavie, quindi non capivo come mai si fosse lasciata sfuggire da sotto mano un soggetto così fondamentale per la sua ricerca.
A meno che non fosse stato un qualcosa fatto di proposito, non mi capacitavo di come non si fosse minimamente attivata per riprenderselo.

E in più, anche se fosse stata una cosa pianificata, la fuga di Newt insieme a noi, quale poteva essere il motivo dietro a questa scelta? Rischiare così tanto, ma per ottenere cosa, esattamente?
"...trapianto di cervello." quelle parole mi catapultarono nuovamente nella realtà, facendomi rendere conto che Kurt avesse continuato a parlare per tutto il tempo, nonostante la mia mente l'avesse posto in modalità silenziosa.
"Come?" domandai, leggermente scossa.
L'infermiere si voltò verso di me e mi sorrise incoraggiante, ma nascondendo dietro la sua espressione superficiale un brutto e viscido senso di colpa. "La cura è in realtà un trapianto di cervello." mormorò. "Per spiegarla a parole brevi, il corpo è sempre quello di Newton, messo nuovamente in sesto con il liquido che ti ho iniettato prima. Tuttavia, il cervello che ha ora non è il suo, bensì quello di un donatore."

 

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Capitolo 72
*** Capitolo 65. ***


A quelle parole mi sentii gelare il sangue. Ma certo. Era così ovvio e allo stesso momento così inaspettato che non seppi bene come comportarmi. Mi sarei dovuta chiedere prima come mai Newt avesse quella benda in testa e il motivo dietro cui, ogni volta che provavo a toccargliela, lui si innervosiva o si irrigidiva, diventando freddo.
Quello che tuttavia non mi era ancora chiaro era come mai il ragazzo avesse nascosto un particolare così importante ai miei occhi. Mi vennero in mente tutti i momenti in cui, dopo aver iniziato un discorso in maniera genuina, il biondino si era interrotto, irrigidendosi e diventando tutto rosso in volto, per poi concludere la sua spiegazione in maniera più trattenuta, fredda, come se stesse cercando di essere molto attento a non lasciarsi sfuggire un qualcosa che non doveva essere detto.

Aveva avuto mille occasioni per aggiornarci su quel suo cambiamento così drastico e importante, eppure aveva sempre sviato l'argomento con destrezza, senza destare il minimo sospetto in noi.
Certo, ad ognuno quel suo comportamento e quel suo continuo arrossire erano sembrati alquanto strani, ma nessuno si era fatto troppi problemi, assumendo che fosse così o per l'imbarazzo di essere stato così tanto tempo senza di noi, o per il suo comportamento mutato per colpa della "terapia di riabilitazione" di cui ci aveva accennato.
Ma nessuno di certo si era immaginato che la cura riguardasse un vero e proprio trapianto di cervello. Mille domande mi pervasero, mandandomi in confusione, incapace di scegliere esattamente quale questione sottoporre prima all'infermiere. La cosa che mi feriva di più era l'incapacità di comprendere il motivo dietro al comportamento losco di Newt: perchè mai avrebbe dovuto nascondermi una cosa del genere?

"Q-Quindi..." iniziai titubante. "Newt è ancora Newt?"
L'uomo si prese un po' di tempo prima di rispondere, rimanendo per qualche secondo di troppo in silenzio e facendomi dubitare di ricevere una risposta positiva. "E' ancora lui, ma la terapia di cura è complicata..." mormorò, sviando l'argomento e riprendendo a camminare per il corridoio come se nulla fosse. 
"Parla chiaro." ordinai, seguendolo a ruota e ponendomi al suo fianco. "Sputa il rospo."
Lo vidi corrucciarsi preoccupato, poi, dopo essersi guardato attorno riprese. "Quando trapianti il cervello di un donatore in un nuovo corpo, devi essere certo di preservare la vita della persona malata d'Eruzione. Il problema è escludere il donatore dal nuovo corpo: è impossibile ripulire del tutto il cervello dei suoi ricordi, delle sue emozioni e dei suoi collegamenti neurali."
"Cosa intendi?" insistetti, sentendo l'ansia montare in me. 
"Be', ad esempio: se il donatore di cervello ha subito l'amputazione di un braccio e, come succede di solito, la persona continua ancora a provare dolore per l'arto che non possiede più, anche una volta che il cervello verrà inserito nel nuovo corpo, i neuroni si ricorderanno della parte mancante del corpo e continueranno a mandare impulsi di questo genere, nonostante il nuovo corpo abbia tutti gli arti." borbottò Kurt, fermandosi per un secondo e voltandosi verso di me. "Come sta la tua ferita, a proposito?" domandò, forse nel tentativo di sviare quel discorso.

"Sta bene." dissi fredda. Aveva detto che mi avrebbe dovuto spiegare la cura, allora perchè era così preso alla sprovvista dalle mie domande e soprattutto perchè era così schivo nel fornirmi informazioni? "Parlami meglio di questa questione... Quindi è come se ora Newt avesse due personalità in un solo corpo?" domandai preoccupata. Se non altro quello avrebbe spiegato i suoi comportamenti alquanto inusuali. 
"Parlare di bipolarità è esagerato. Ci sono delle probabilità che una problematica del genere si sviluppi, certo, ma non è il caso di Newton." prese un respiro e, dopo aver abbandonato l'idea di controllarmi la ferita, riprese a camminare. "Alcuni ricordi del donatore sono ancora presenti nel cervello e, durante l'operazione, provvediamo ad inserire un chip con tutti i ricordi del vecchio cervello. Ricopiamo emozioni, memorie, sensazioni, persino il comportamento della persona. E' come se andassimo a duplicare l'anima, reinserendola poi nel nuovo cervello." si fermò di nuovo, questa volta davanti all'ascensore, poi schiacciò un tastino con il numero -7 e le porte di quell'aggeggio metallico si chiusero con uno sbuffo.

L'ascensore prese a scendere velocemente e senza scossoni. "Il problema si forma quando i vecchi ricordi della persona interferiscono con quelli del donatore. Spesso quello che accade è che alcuni ricordi vengano persi non appena la persona si sveglia dopo l'intervento. E' come se venissero distrutti nel sonno. Altri ricordi invece si mischiano e questo crea confusione nella persona, perché ha ricordi di vite differenti. Per questo motivo abbiamo deciso di ridare tutti i ricordi presenti della vita prima della W.I.C.K.E.D. ai soggetti operati. In questo modo il soggetto si ricorderà di chi è veramente e non si perderà in falsi ricordi, evitando così eventuali crolli psichici o crisi d'identità."
Ora capivo a pieno il motivo dietro al problema dei ricordi di Newt. Il ragazzo ci aveva accennato dell'instabilità delle sue memorie che non solo spesso erano poco chiare o distinte da vuoti temporali molto vasti, ma anzi, spesso erano anche presenti dei ricordi o delle sensazioni che lui non si ricordava di aver vissuto. Tutte le persone che diceva di ricordarsi, ma senza riuscire ad identificarle nella sua vita poiché nella realtà non le aveva mai incontrare, erano in realtà spezzoni della vita del donatore. 
Chissà chi è il donatore... Pensai tra me e me, decidendo però di tenere quella domanda per ultima. Prima dovevo capire se Newt stesse bene o se fosse in pericolo.

"E perchè Newt ha anche problemi motori?" chiesi in modo schietto, ricordandomi del suo modo buffo di camminare. 
"Molto spesso capita che il cervello del donatore e il corpo dell'ospite non siano compatibili. Quando l'organo non viene rigettato, causando la morte del paziente, il cervello ci bada un po' a connettersi con il nuovo corpo, poiché è come se dovesse riprendere da capo le funzioni più basilari. Per questo è sempre necessario seguire una fisioterapia per diversi mesi. Alcuni pazienti potrebbero anche metterci anni a riabituarsi a fare anche le cose più quotidiane, come correre o saltare."
"Quindi il corpo di Newt ha accettato il nuovo cervello?" chiesi, notando solo in quel momento che l'ascensore fosse arrivato a destinazione. "Si può dire Immune?"
Seguii Kurt fuori dalle porte di metallo e poi nell'ennesimo corridoio. "Non è più a rischio di contrarre l'Eruzione, esatto. E sì, il trattamento immunosuppressivo che stiamo utilizzando su di lui sembra funzionare, quindi finché continua a prendere le sue medicine, il suo corpo continuerà ad accettare il nuovo cervello. Ma si tratta di farmaci pesanti anti-rigetto: è una terapia lunga, sai... per non parlare poi del percorso con lo psicologo."

Mi sentii immediatamente stupida per non essere riuscita a comprendere a pieno le sue parole. "Terapia immuno-che?" domandai a voce alta, per poi venire investita da un dubbio altrettanto importante. "Aspetta, quindi Newt viene seguito da uno psicologo?"
"Psicologa, per l'esattezza, sì. Stanno lavorando anche insieme ad un fisioterapista per riuscire a prendere coscienza delle nuove modifiche, a partire dai ricordi fino ad arrivare alle difficoltà motorie." Kurt si fermò poco prima di svoltare un corridoio e si voltò verso di me, assumendo un'espressione seria. "Il trattamento immunosopressivo, invece, è un processo molto lungo e delicato. Voglio che tu lo comprenda a fondo, Elena."
Aggrottai le sopracciglia. Non riuscivo a provare nulla di chiaro, dentro di me. Era come se i miei sentimenti fossero andati in tilt, contrastandosi e impazzendo. Da un lato ero felice che Newt potesse finalmente dirsi Immune, ma dall'altro avevo paura per lui: cosa gli sarebbe successo una volta lasciata la sede della W.I.C.K.E.D.? Di certo l'avrei potuto aiutare con la fisioterapia in quanto Matt mi aveva aiutata molto nei mesi dopo aver rotto la gamba e oramai sapevo a memoria la prassi e la frequenza con cui gli esercizi andavano fatti.

Ma per quanto riguardava il trattamento farmacologico di cui parlava... Se avevo compreso bene le informazioni ricevute, sembrava si trattasse per lo più di dosi volte a combattere il rigetto spontaneo di un organo da parte del corpo. Nonostante fossi solo una Medicale, addetta per lo più a curare ferite da arma e bruciature, comprendevo anche io la serietà della riabilitazione post-operazione in quel caso. Senza quella terapia Newt sarebbe probabilmente peggiorato, se non morto. Il suo corpo non mi sembrava in ottime condizioni e di certo senza il supporto dei farmaci dubitavo che si sarebbe ripreso con le erbe mediche che io e Matt eravamo soliti usare. 
"Devi capire che l'operazione a cui è stato sottoposto Newton è molto pericolosa: consiste nel trapiantare il cervello, il midollo spinale e la regione lombare di un soggetto sano ad uno infetto. Il motivo per cui spesso l'organo viene rigettato, causando così la morte del paziente, è che testa e colonna vertebrale non sempre riescono ad integrare con successo così tanto DNA di un'altra persona. Una soluzione che abbiamo testato direttamente su Newton è stata, ad esempio, quella di trasferire anche i batteri intestinali e le cellule staminali del soggetto donatore. In questo modo ci si sbarazza del vecchio DNA e lo si colonizza con quello del donatore."

"Frena." dissi in maniera brusca, scuotendo la testa ed indietreggiando di qualche passo. Quindi, nonostante le apparenze fossero quelle del Newt che conoscevo, in realtà il suo corpo aveva ricevuto un cambiamento enorme. Persino io stentavo ad accettare che la W.I.C.K.E.D. si fosse divertita così tanto a giocare a fare Dio, cambiando addirittura il DNA di una persona. L'associazione si era spinta decisamente oltre il proprio limite. Non riuscivo nemmeno ad immaginare come potesse sentirti Newt: praticamente era un'anima intrappolata in un corpo che non sentiva più suo. 
Mi domandai se avesse mai pensato di risultare diverso ai miei occhi proprio per il modo in cui si sentiva. Forse era per questo che non mi aveva detto subito la verità: aveva paura che l'avrei scambiato per un'altra persona e che non l'avrei accettato.
Newt, tesoro... Pensai, venendo immediatamente pervasa da una tristezza senza eguali. Mi sentii subito in colpa per averlo lasciato da solo. Ora che sapevo cosa c'era dietro ai suoi comportamenti, non riuscivo a togliermi dalla testa quanto dolore dovesse provare in quel momento.
Poi, una lampadina mi si accese nella testa. "Avete mai chiesto a Newt il permesso?"
Quando Kurt spalancare gli occhi, in un certo senso capii già quale potesse essere la risposta. "Ecco..."

Mi sentii pervadere dalla rabbia. "Vi divertite così tanto a distruggere le vite altrui, immagino." sputai acida, piazzandomi ferma davanti a lui e stringendo così forte i pugni per non colpirlo da farmi male. "Non vi è mai saltato in mente di chiedere prima di trasformare la vita di una persona? Huh?" domandai sarcastica, aumentando il tono di voce e facendomi più vicina, vedendo Kurt indietreggiare con le mani in avanti ed un'espressione totalmente triste. Mi aspettai che avesse provato paura, magari che fosse arrossito per senso di colpa o imbarazzo, ma non lessi nulla di tutto ciò nei suoi occhi: solo tristezza.
"Abbiamo solo cercato di salvargli la vita."
Una risata mi spaccò l'espressione furiosa in volto. "Salvargli la vita distruggendo non solo il suo futuro, ma anche la vita del donatore? Che mi dici di lui, huh? Immagino che non avrete chiesto il suo permesso prima di togliergli il cervello dal cranio!" gridai furiosa, sentendo le unghie conficcarsi sempre di più nel mio palmo, incapace di fermarmi. "E non avete mai pensato a come si possa sentire ora Newt? Oh, no... Immagino che non credevate nemmeno che sopravvivesse, giusto?"

Kurt fece per allungare un braccio verso di me e parlare, ma lo scostai con una schiaffa sulla mano e ripresi a gridare in preda all'ira. "Voi fate sempre così! Siete degli egoisti, volete la cura solo per voi, non per salvare il mondo!"
Quando pensai di aver ormai raggiunto l'orlo del mio autocontrollo sulla rabbia, una voce maschile si intromise nella conversazione e poco dopo una figura bianca entrò in scena, portando con sé una cartella clinica azzurrina e raggiungendo in fretta me e Kurt. "Suvvia, suvvia." borbottò l'uomo in camice, sorridendo pacatamente, ma in modo del tutto falso ad entrambi. "Non c'è bisogno di essere così drammatici. Ti abbiamo ridato l'amore della tua vita, giusto? Mi aspettavo almeno un ringraziamento, invece vedo che sei proprio un'ingrata."
Mi morsi l'interno della guancia così forte che dopo qualche secondo sentii subito il sapore metallico del sangue pervadermi la bocca. Ingoiai quel liquido con riluttanza e castigai il mio interlocutore con uno sguardo di fuoco. Si sarebbero dovuti vergognare, tutti loro.
Giocare così con le vite e i sentimenti umani per poi vantarsene come se avessero fatto un favore al mondo. "Voi lo avete distrutto. Newt era pronto a morire e voi lo avete obbligato a riniziare una vita da capo. A quale costo poi? Rimanere qua per chissà quanti altri anni per finire la terapia anti-rigetto?" sbraitai, sentendo il volto andarmi a fuoco per la rabbia.

"Si chiama trattamento immuno..."
"Non mi interessa un cacchio sapere il nome di quella caspio di terapia!" urlai, facendomi quasi scoppiare le vene sul collo. "Dovevate fermarvi quando eravate ancora in tempo." conclusi, sentendo la voce venirmi a mancare e finendo così la frase in un sussurro.
Sentii le lacrime sormontare i miei occhi non appena il mio pensiero tornò su Newt.
Oh, Newt... Pensai tra me e me, guardandomi attorno alla ricerca di chissà cosa. Dovevo tornare da lui, volevo tornare da lui al più presto e porlarlo via da tutto quello, ma... Come avrei fatto? Non avevo la chiave per l'hangar e avevo anche promesso di trovare Gally e Violet. Per non parlare poi del fatto che anche Stephen fosse sparito così nel nulla. 
Ma Newt... Immaginarmelo solo e spaventato per i mutamenti del suo corpo e della sua mente mi terrorizzava. E se un'altra crisi avesse preso il sopravvento? E se nessuno fosse riuscito a calmarlo in tempo, prima che perdesse nuovamente la memoria a breve termine? E se si fosse dimenticato anche di me o di tutti gli altri, ritrovandosi in un luogo sconosciuto, con volti che non riconosceva? 
Dovevo sbrigarmi al più presto, trovare i miei amici e poi correre a recuperarlo. Avevo aspettato fin troppo, non c'era più tempo.

E una volta trovato? Non sapevo nemmeno io quale fosse la scelta più giusta da intraprendere. Mi ritrovavo ad un bivio, un orribile e perfido bivio in cui nessuna delle due scelte avrebbe comportato la felicità di tutti. Da un lato, avrei potuto portare via Newt con noi, condurlo al nostro Posto Sicuro e vivere con lui i pochi mesi o anni rimasti. Gli avrei regalato almeno il tempo di vivere gli ultimi bricioli di vita felice, insieme ai suoi amici e alla sua famiglia, prima che il suo corpo collassasse, rigettando l'organo, ma morendo comunque tra noi, in libertà e felice. Dall'altro lato invece, sarei potuta rimanere lì con lui: avrei mollato tutto e tutti per stargli accanto questa volta e non mi sarei mai permessa di ricommettere l'errore del Palazzo degli Spaccati. Non l'avrei lasciato solo questa volta e sarei rimasta con lui per tutto il tempo necessario per concludere la terapia. Solo una volta terminata avrei architettato un piano di fuga, portandolo al sicuro con me. 
Ma in ogni caso, entrambe le opzioni sembravano così giuste e sbagliate allo stesso tempo. Come potevo chiedergli di sacrificare la sua vita e fuggire via da quel luogo con me ora che finalmente era Immune? E allo stesso tempo, come potevo chiedere ai miei amici di abbandonarci tutti lì? Ero sicura che se non avessimo distrutto la sede, la W.I.C.K.E.D. sarebbe comunque tornata a cercarli, quindi la fuga sarebbe stata del tutto inutile. Ma anche se li avessero lasciati in pace, contenti di avere almeno me e Newt, come facevo a sapere con esattezza quanto tempo ci sarebbe voluto per terminare la terapia? E se non si fosse trattato di mesi, ma di anni se non addirittura una vita intera?

Immaginarmi un Newt ottantenne che cerca di fuggire dalle guardie pilotando una Berga con me in sedia a rotelle alle calcagna, mi fece quasi ridere. Ridere di frustrazione.
Eravamo dannatamente incastrati, ancora una volta topi in una gabbia, e sapere di dover intraprendere io quella scelta mi faceva sentire così piccola e schiacchiata.
"Quando durerà la terapia?" domandai, la voce tremolante e gli occhi scuri, nella speranza che la risposta del dottore mi avrebbe aiutata a decidere. 
"Oh, la terapia non finisce mai. Dura tutta la vita, per non parlare poi delle complicazioni che potrebbe causare." mormorò il medico, sostituendosi palesemente a Kurt e ponendosi addiritturadavanti a lui. Mi sentii morire dentro. Tutta la vita? 
Strinsi i pugni. "Complicazioni?" domandai, aggrottando le sopracciglia e guardando male Kurt. "Non mi avevi parlato di altre com..."
"Stavo giusto per arrivarci." mormorò l'infermiere. "Non volevo sommergerti di dettagli negativi e..."
"Il nostro Kurt qua è sempre sensibile ed emotivo." ridacchiò il medico, interrompendolo in modo poco educato e riprendendo la parola. "Sì, a lungo andare ci sono effetti indesiderati. Il più importante comunque è l'inevitabile indebolimento del sistema immunitario del soggetto. Per questo si chiama trattamento immunosoppressivo. Ergo, il paziente sarà più suscettibile a contrarre infezioni e..."

Non riuscii più a trattenermi. Prima di capire veramente cosa stavo facendo, vidi la mia mano sfrecciare a pugno sul naso del dottore, catapultandogli il volto all'indietro e causando in lui un urlo di dolore e sorpresa.
"Ora curati questo effetto indesiderato, brutta testa di sploff." abbaiai a denti stretti, muovendo qualche passo in avanti e bruciandolo con lo sguardo. "Vuoi un'altra dose, dottore? Perchè non ti lasci modificare un po' la struttura del tuo setto nasale, huh? Mi sembra divertente!"

 

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Capitolo 73
*** Capitolo 66. ***


Mi gettai sul dottore, approfittando del fatto che fosse caduto goffamente a terra, perdendo anche gli occhiali, in seguito al mio colpo. "E cosa diamine volte dai bambini, huh?" sbraitai, alzando un altro pugno in aria e stando pronta a colpire.
"David!" urlò l'uomo a squarciagola. 
"Risposta sbagliata." pronunciai secca, conficcando le mie nocche nuovamente nel suo volto, questa volta colpendogli la mandibola. 
"S-Sono soggetti di riserva!" urlò l'uomo in preda al terrore, poi guardando Kurt, divenne rosso in volto dalla rabbia. "Chiama David, brutto..."
Un altro mio pugno andò a segno, zittendo l'uomo nel bel mezzo della frase. Vidi l'infermiere muovere un passo, pronto a fuggire, ma gli puntai un dito contro. "Fai un passo e giuro che gli stacco il collo a morsi. So benissimo dove sono posizionate le arterie e anche quanto ci possa badare una persona a morire dissanguata. Sarà finito prima del tuo ritorno e io non ci sarò più."
Lo vidi tentennare, tremolante sui suoi passi e indeciso su che scelta intraprendere. "T-Ti darà tutte le risposte che cerchi, non serve essere così spietati." borbottò lui scioccato, guardandomi con paura e disgusto.
"Ah, sì? Quindi ora essere spietati è disumano, giusto? Ma quando siete voi le bestie allora va bene." ridacchiai, tornando con lo sguardo sull'uomo con il naso sanguinante ancora sotto il mio peso. Si era messo a frignare come un neonato e la cosa mi fece imbestialire ancora di più. "Dottore, mi dica... I bambini, che ruolo hanno?" mormorai in toni sarcastico.

"Te l'ho detto!" piagnucolò lui, coprendosi il volto con le mani ed evitando il mio sguardo. "Ci servono! I cervelli!" 
Non appena vide un altro mio pugno caricarsi in aria, si premurò a continuare. "A-Aspetta!" gridò in preda al terrore. "Non subito, non ora... L-Li stiamo cresc-scendo forti e-e sani... I-Il loro cervello non è ancora p-p-pienamente sviluppato."
Sentii la nausea salirmi in corpo e un giramento di testa mi fece credere che sarei stata capace di vomitargli addosso in quel preciso istante. Mi immaginai l'orrore che si potesse celare dietro ai disgustosi piani della W.I.C.K.E.D. e la sola idea mi rese schifata: iniziai a pensare ai bambini, cresciuti nella struttura per anni come vera e propria carne da macello, per poi essere sfruttati come donatori, contro il loro volere, una volta che fossero cresciuti e il loro cervello si fosse sviluppato a puntino. 
Un altro pugno si scagliò sul volto dell'uomo e un altro schizzo di sangue colorò le mattonelle del pavimento. Mi rivenne in mente il blaterare del capo – o a quanto pareva ex-capo – dell'operazione, di quando lui e le sue guardie ci erano venuti a trovare al Posto Sicuro per prelevare i bambini. Se la mia memoria non mi ingannava, l'uomo allora aveva parlato di riniziare i test da capo con nuovi soggetti e allora perché quel dottore mi stava dicendo l'esatto contrario? E perché non avevo ancora visto un Labirinto nella struttura?

"Il Test del Labirinto." spiegai dura. "Non avete intenzione di sottoporli ad alcun test?"
Il dottore scosse immediatamente la testa. "N-No, sarà tutta una simulazione. I tempi sono stati ridotti, durerà al massimo un anno e..." lo vidi bloccarsi, soffocandosi con il suo stesso sangue e tossire in preda al panico, sputando in ogni direzione. 
"Non esiste un labirinto?" domandai, questa volta venendo calmata dall'improvvisa sorpresa. Si sarebbe trattato di una semplice simulazione? "Quindi nessun rischio reale?" chiesi, sollevando di peso l'uomo tirandolo per il colletto e obbligandolo a mettersi a sedere. Certo, escludendo i traumi psichici a cui sarebbero potuti andare in contro i bambini, per lo meno non avrebbero rischiato di rimanere uccisi e, una volta resosi conto che quella era in realtà solo una simulazione, sarebbero rimasti sollevati nel sapere che nessuna di quelle cose orribili era davvero successa. Forse Newt aveva ragione: questa W.I.C.K.E.D. agiva in modo diverso sotto alcuni aspetti e forse aveva un occhio di riguardo in più per dei bambini, ma c'era comunque un dato di fatto non trascurabile. Il fine, per loro, giustificava sempre i mezzi ed era per questo che i bambini sarebbero comunque serviti da donatori. Ed era per questo che continuavano a fare delle scelte orribili infischiandosene del genere umano. L'assenza di un Labirinto fisico, in fondo, poteva essere semplicemente la conseguenza di un'inevitabile assenza di fondi e non necessariamente doveva simboleggiare un'improvvisa presenza di sentimenti simili alla pietà. L'uomo sputò il sangue a terra e mi guardò in cagnesco.

"Te l'ho detto: non esiste. Non abbiamo abbastanza risorse per costruirne un altro."
Bingo. Ecco spiegato tutto. L'assenza di tatto e di buon senso erano per cui ancora delle colonne portanti per la W.I.C.K.E.D. 
Feci per scagliare il mio prossimo pugno sul dottore, incapace di formulare altre domande in maniera lucida, quando mi sentii sollevare da dietro in maniera brusca. Quando il mio corpo venne gettato a terra con violenza, ciò che provai non fu dolore, bensì ira: mi sentivo alimentata dalla rabbia in una maniera così esagerata che non mi sarei stupita se fossi esplosa lì davanti.
Non mi servì togliere il casco della guardia che mi aveva appena atterrata e che ora mi stava sopra, togliendomi il fiato e trattenendomi al suolo premendo sui miei polsi e incastrando le sue gambe sulle mie. Solo una persona aveva quella delicatezza nel trattare una signorina. Infatti, non mi stupii nemmeno dello schiaffo che ne seguì.
Non emisi un lamento e mi costrinsi a tornare a fissare la guardia negli occhi. Era David, non c'erano dubbi.
"Dottore sta bene?" chiese in modo cortese, tuttavia potei percepire un leggero tono divertito nella sua voce, quasi come se si stesse godendo a pieno la scena del dottore, ancora spaparanzato a terra che, impiastricciandosi con il suo stesso sangue, tentava di rialzarsi in piedi.

Vederlo strisciare in quel modo mi portò alla mente solo un'immagine. Verme parassita. Pensai, abbozzando un sorriso e dandomi un cinque mentale per congratularmi dell'ottimo lavoro svolto su di lui. Avrebbe sentito le ripercussioni dei miei colpi per giorni. Finalmente avevamo qualcosa in comune.
"Ce ne hai messo di tempo." brontolò l'uomo. "Ho premuto il pulsante di chiamata almeno sette volte. Cosa ti ha trattenuto di così importante?" lo sgridò il medico, aggrappandosi a Kurt senza che l'uomo gli avesse offerto il suo aiuto e quasi calandogli i pantaloni per quanto tirava per rialzarsi.
"Ero in armeria, signore. Stavo prendendo il mio gioiellino, giusto per sicurezza."
"Ah..." brontolò schifato l'uomo, pulendosi gli occhiali sul camice macchiato e guardandolo infastidito. "Voi e le vostre stupide armi."
Poi, incanalando tutta la sua rabbia su di me, mi rivolse uno sguardo d'ira, puntandomi contro il dito e assumendo un tono talmente grave e severo che per un attimo sembrò stesse recitando. "Il tour finisce qua, signorina." poi, rivolgendo un cenno del capo a David, ordinò: "Portala nella sua stanza."

Poi, forse avendo un ripensamento, lo vidi assottigliare lo sguardo e abbozzare un sorriso perfido. "Non farle del male, ma... nel tragitto, mostrale la stanza del ragazzo."
Vidi David annuire e spingere contro di me per rialzarsi in piedi e trascinarmi con lui. 
Lanciai un ultimo sguardo a Kurt prima di andarmene, realizzando che l'uomo non fosse per niente spaventato da me. Avrei creduto di avergli dato l'immagine peggiore di me stessa, ma tutto quello che lessi nei suoi occhi quando li incrociai, fu un profondo senso di colpa e della tristezza grigia e spessa. Era come se l'uomo si sentisse male per me, come se tentasse di farmi trapelare la sua pietà.
Lo guardai in cagnesco e poi girai i tacchi, assecondando i passi affrettati di David ed essendogli grata per una volta in tutta la mia vita per il modo brusco in cui mi stesse trascinando via da quella situazione.


 

Mi aspettai che David dicesse un qualcosa di spiacevole durante il tragitto. Magari un insulto a poco prezzo, una strattonata di troppo, forse mi sarei aspettata addirittura una tirata di capelli o uno spintone, ma la guardia fu alquanto pacata. Inutile dire che quell'assenza di reazioni in lui mi innervosì, facendomi pensare che ci fosse un qualcosa sotto quel suo comportamento strano.
"Quindi ora sei Sergente." mormorai, non capendo bene nemmeno le mie intenzioni. Volevo davvero stuzzicarlo? Per una volta che mi lasciava in pace e mi trattava da essere umano, volevo davvero accendere la sua ira con la mia linguaccia?
Decisamente sì. Pensai tra me e me, rendendomi sempre più conto di quanto quel suo silenzio mi rendesse nervosa e agitata. Dovevo capire cosa aveva in mente, prima che i suoi piani mi prendessero alla sprovvista.

Il silenzio della guardia in seguito alla mia domanda mi spazientì ancora di più. "Come hai fatto a sopravvivere all'esplosione della sede iniziale?" domandai secca, rendendomi conto di quanto quel dubbio mi avesse ucciso dentro per tutto quel tempo. Prima della sua comparsa nel Posto Sicuro, me lo ero immaginata morto stecchito sotto le macerie come tutti gli altri, e invece era ancora sano come un pesce, pronto a tormentarmi come suo solito.
"Allora?" incalzai, incapace di attendere altri minuti in silenzio. 
Sentii la presa della guardia farsi sempre più violenta sui miei polsi e, per quanto potesse essere un pensiero masochista, fui sollevata da quella sua reazione. "Ti interessa davvero, stronzetta?" 
Abbozzai un sorriso. Non attendevo altra risposta. "Certo. Sono curiosa di sapere come sei riuscito a cavare il tuo culo flaccido dalla sede prima che crollasse, perchè immagino che sia andata così: riesco addirittura a vederti, mentre fuggi con la coda tra le gambe per salvare la tua inutile vita da cacca-sotto. E ora il tuo essere codardo ti ha portato addirittura alla carica di Sergente, complimenti."

La reazione che attendevo, finalmente, emerse a galla. L'uomo non se lo fece ripetere due volte e, senza pensarci su, cambiò improvvisamente direzione, trascinandomi dietro di lui in modo violento e facendomi arrancare per riuscire a stargli dietro. Poi, come mi sarei aspettata da una bestia come lui, sentii una delle sue mani afferrarmi una ciocca di capelli e spingermi verso la prima finestra che trovò, spiaccicandomi il volto contro il vetro.
Non appena il mio zigomo sbattè violentemente contro il pannello freddo, rilasciai uno sbuffo più di sorpresa per quell'impatto violento che per il dolore. Sentii il suo corpo spingermi lentamente contro la parete e per un attimo mi sentii mancare il respiro, il petto troppo schiacciato contro il vetro e il mio corpo con troppo poco spazio per riuscire a prendere una bella boccata d'aria. Mi sentii soffocare, per un attimo, ma fu breve e ben presto la sensazione di claustrofobia scemò, venendo sostituita da un'attenzione nei confronti dei movimenti della guardia.
Continuando a torcermi il braccio dietro la schiena e spingendomi sempre di più contro la parete, la guardia si tolse il casco, rivelando finalmente il suo volto da sbruffone e i suoi capelli color zucca marcia. Le sue labbra si accostarono al mio orecchio e sentii il suo fiato caldo solleticarmi in modo disgustoso il collo. "Guarda attentamente, ragazzina." bisbigliò in tono cattivo, sfociando quasi in un divertimento malsano. "Guarda dove il tuo comportamento da egoista e da brutta stronza ha portato i tuoi amici, le persone che ti sono care."

Inizialmente non capii a cosa si stesse riferendo, poi quando sentii la sua mano premermi la testa ancora più contro la finestra, compresi che mi stesse invitando a guardarci attraverso. Nel tentativo di prendere un respiro, spinsi la testa indietro, sforzandolo ad allentare la presa di quel poco che bastava per osservare al di là del vetro. Mi immaginai che si affacciasse su una camera, dato che essendo la struttura sotto terra era impossibile avere una visuale sull'esterno, e in effetti non mi sbagliai di molto: dall'altro lato del vetro non c'era una cameretta, bensì una sorta di sala operatoria o comunque una stanza simile.
La cosa in sé per sé non mi stupì granché, dato che praticamente la W.I.C.K.E.D. basava la sua attività proprio su esperimenti e operazioni di vario genere. No, non fu la vista di un lettino che mi sembrava di conoscere fin troppo bene a farmi mancare il fiato, bensì la presenza sopra quel lettino metallico.
"G-Gally..." bisbigliai, ancorando il mio sguardo al corpo del ragazzo e analizzando ogni centimetro del suo corpo alla ricerca di ferite o segni di violenza. Ma la pelle del ragazzo, ad eccezione di qualche vecchia cicatrice e qualche mora accumulata in seguito ai vari combattimenti, sembrava priva di ferite pullulanti di sangue o contusioni.

"Osserva bene." sibilò ancora David e questa volta fui sicura che stesse sorridendo. "Lui è sveglio, sa cosa gli stanno facendo, eppure non oppone resistenza. Sai perchè?"
Osservai inorridita i numerosi tubi attaccati alle sue braccia che risucchiavano dalle sue vene il sangue color cremisi. Come descritto fin troppo bene da David, Gally non era svenuto o addormentato: i suoi occhi erano aperti, certo, non vispi come lo erano sempre stati, ma il ragazzo era cosciente di tutto ciò che gli stava accadendo intorno.
Vidi i suoi occhi spostarsi stanchi dalla figura femminile che aveva appena sostituito una prima sacca di sangue piena con una vuota, per poi posarsi in modo lento e triste sui diversi fili attaccati al suo petto nudo.
Seguii con lo sguardo la direzione di questi ultimi, accorgendomi che fossero collegati ad una macchina dallo schermo nero che, con delle lineette colorate, misurava in modo attento e costante il suo battito cardiaco. Lessi i numeri sul display, ma non riuscii a capirci granchè, così riportai lo sguardo sul ragazzo.
Sembrava stare bene, dopotutto, ma la sua espressione era diversa, aveva un qualcosa di sbagliato, che non mi tornava. La voce di David tornò a risuonarmi nelle orecchie. "E se ti dicessi che si è offerto volontario per una causa in cui crede così tanto, ma che in realtà non esiste?" borbottò divertito, spingendo sempre di più il suo corpo sul mio.

"Staccati da me." ordinai secca, la voce più ferma che mai e il disgusto attorcigliato allo stomaco. La sua vicinanza mi dava la nausea. Dovevo riuscire a chiamare Gally, a farlo guardare attraverso il vetro. Perchè non mi aveva notata? Certo, a giudicare dalla sua espressione sembrava essere stanco, quasi addormentato, ma non potevo non biasimarlo: eravamo in movimento da giorni, senza mai essere riusciti a prendere davvero una pausa tranquilla per riposarci per bene. Per non parlare poi dei numerosi combattimenti e anche del fatto che gli stessero rubando sacche e sacche di sangue. Era ovvio che fosse indebolito, ma il fatto che lo fosse così tanto da non notarmi nemmeno attraverso il vetro era preoccupante.
"Quanto è semplice ingannare una persona accecata dall'amore." sussurrò lui, non ascoltando le mie parole e arrivando addirittura a stendersi quasi totalmente contro di me, continuando a spingermi. "Anche se i suoi gusti sono discutibili, non lo incolpo. Sei una puttana ingannatrice, ti diverti a giocare con i sentimenti degli altri, modellarli e usarli a tuo piacimento. Non sei poi così diversa da noi, sai?"

Sentendo la rabbia crescere in me, diedi uno scossone al mio corpo, riuscendo tuttavia a muovermi solo di qualche centimetro, per poi tornare esattamente nella posizione iniziale. "Di cosa stai parlando?" domandai scocciata, iniziando a dimenarmi sempre di più sotto la sua presa ma senza ottenere risultati. 
"L'hanno portato da te mentre eri addormentata ferita, gli hanno fatto credere che fossi in uno stato di coma e che ti servissero delle trasfusioni di sangue." spiegò lui, la voce distorta da un abbozzo di risata. "Dio, ha abboccato così facilmente che è stata quasi una scena esilarante." 
Sbuffai dal naso e spinsi con più ardore all'indietro. Dovevo farmi notare da Gally, volevo che mi guardasse, dovevo farlo guardare verso di me. Gally doveva sapere che stessi bene, che era tutto solo un inganno.
Sforzando i muscoli del collo e sentendoli tirare in modo alquanto doloroso, mi obbligai a tirare la testa quanto più indietro possibile, spingendo contro la mano di David e sperando con tutto il mio cuore che la guardia si opponesse con tutte le sue forze a quel mio movimento.

Quando la mia testa si distaccò di qualche centimetro dal vetro e sentii il palmo di David spingere nella direzione opposta, compresi che avesse abboccato e lo assecondai nei suoi movimenti, non solo smettendo di opporre resistenza ma anzi, accompagnando addirittura il suo movimento, con la conseguenza che la mia fronte andò a sbattere in modo alquanto violento contro il vetro, facendolo quasi tremare. Non mi importava di essermi fatta male, non mi interessava sapere che molto probabilmente quella scelta mi avrebbe portato ad avere un mal di testa fuori dal normale: ciò che contava veramente era il suono causato da quell'impatto violento, suono che, avverando ogni mia aspettativa, destò l'attenzione del Costruttore, che sollevò il volto e guardò dritto nella mia direzione.

Quando i suoi occhi incontrarono però i miei, sembrarono andare oltre il mio corpo, attraversarmi senza nemmeno vedermi davvero. Non ci fu traccia, nel suo sguardo, della solita scintilla che incontravo ogni volta che il ragazzo mi guardava. Gally era spento, di un pallore quasi grigiastro. Sembrava quasi che oltre al sangue, gli stessero risucchiando anche l'anima.
Con un sospiro di rassegnazione, osservai il ragazzo abbassare lentamente lo sguardo sul suo petto e portarsi una mano sul volto per poi strisciare il palmo lungo il viso, come per riprendersi. 
Poi, con una lentezza indicibile, lo vidi allungarsi all'indietro e lasciarsi andare sul lettino, rilassando tutta la muscolatura e ancorando il suo sguardo al soffitto. Gli occhi lucidi e il cuore a pezzi.
Un filo di voce mi uscì dalle labbra, ma fu quasi un sospiro, troppo leggero perché il ragazzo o qualsiasi altra anima presente nella stanza lo sentisse. "Gally?"

 

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Capitolo 74
*** Capitolo 67. ***


{A chi può interessare, ho creato due playlist su Spotify da ascoltare mentre leggete la fanfiction. Se avete musica che volete che io aggiungi, specificate il nome della canzone e in quale playlist volete che la metta.
Playlist per i momenti tristi e/o sentimentali
https://open.spotify.com/playlist/5Z6yPPYY2x2tWa8350lcGG?si=TQXypvLPRQOcy9a6F8zXcw

Playlist per i momenti di combattimento e/o fuga
https://open.spotify.com/playlist/679IHDE9EA3sCzwuSbX9aI?si=Nt0TSDKRSqqoi50z2B7fJA }

Ero rinchiusa in quella che doveva essere la mia stanza da ormai ore ed era da quando avevo messo piede in quella camera che non riuscivo a togliermi dalla testa le parole di David e l'espressione afflitta che avevo visto segnata sul volto di Gally. Una guardia mingherlina mi aveva portato addirittura un vassoietto con sopra del cibo abbastanza appetibile e, se il mio stato d'animo non fosse stato tanto smagliante quanto una gomma da masticare sputata sul ciglio della strada e investita da quattro carri armati, probabilmente avrei anche mangiato qualcosina. Ma il mio stomaco non ne voleva sapere di ingoiare nemmeno una briciola di pane, troppo contorto su se stesso dai sensi di colpa e dalla nausea per riuscire a digerire qualcosa. E così il polpettone aveva continuato ad incassare ogni mia forchettata, spappolandosi su sé stesso e invadendo lo spazio del purè di patate senza mai lamentarsi.

Le parole di Kurt mi rivennero in mente – "...dovrai rimetterti in forze da sola" – e per un attimo mi sentii ancora più una debole. I miei amici potevano essere in pericolo, Gally era in pericolo e Violet... Violet probabilmente stava ancora attendendo che qualcuno la venisse a salvare, forse perdendo sempre di più la speranza. Il pensiero tornò ancora una volta sull'espressione tremendamente triste che avevo visto piazzata sul volto di Gally e il mio cuore si accartocciò su sé stesso, ricordandomi ancora una volta quanto il mondo fosse grande e io piccola, in confronto alle difficoltà che esso mi poneva davanti.

"Inutile provarci: non può vederti." furono le ultime parole che David aveva pronunciato prima di strattonarmi all'indietro in modo brusco e obbligarmi a seguirlo lungo il corridoio fino alla mia camera – o meglio ancora, fino alla mia stanza di prigionia. Se avevo capito bene il modo in cui funzionavano le finestre della W.I.C.K.E.D., chiunque si trovasse nel corridoio esterno avrebbe potuto sbirciare all'interno della stanza, ma per chi era rinchiuso dentro, tutto ciò che veniva proiettato sulla finestra era un semplice e banalissimo vetro oscurato. Mi chiesi quante persone fossero passate davanti la mia stanza in quel momento e quante ancora ne sarebbero passate, fermandosi magari ad osservarmi come si fa quando si deve scegliere un taglio di carne piuttosto che un altro.

Se proprio dovevo essere sincera, ero rimasta delusa dal fatto che Kurt non fosse venuto a trovarmi o ad accertarsi che stessi bene o semplicemente a farmi un controllo generale. Mi sarei aspettata la sua testa sbucare da dietro la porta almeno un milione di volte, ma l'infermiere non si era mai palesato, lasciandomi sola con il mio polpettone maciullato e il purè ormai freddo.
Se dovrò scappare... Pensai tra me e me, osservando il polpettone e assottigliando lo sguardo come per trasmettere a lui i miei pensieri. Dovrò essere in forze, quindi ti devo mangiare.
Presi una bella forchettata di carne e, lottando contro la sensazione di doverlo sputare via non appena mi toccò la lingua, masticai un paio di volte e inghiottii, apprezzando il nuovo sapore nella mia bocca fino a quel momento amara, ma rimpiangendo di aver ingoiato il cibo in seguito ad un brontolio di opposizione da parte del mio stomaco.

"Dovrai collaborare bello mio." mormorai, toccandomi la pancia e massaggiandola. 
Altrimenti come pretendi che salviamo gli altri se sembriamo degli zombie viventi, huh? Terminai nella mia mente, troppo spaventata che qualcuno mi stesse ascoltando per mormorare i miei pensieri ad alta voce.
Un'altra forchettata e già mi sentii meglio, la nausea sempre più debole e lo stomaco sempre più disposto a ricevere nutrimento. Alternai purè e polpettone fino a che sul mio piatto non rimase solo un po' di salsina e in quel momento pensai a quanto sarebbe stato bello avere un pezzo di pane per poter fare la scarpetta.

Feci spallucce e lasciai il vassoio di fianco a me nel letto, indietreggiando di qualche spanna sul materasso e appoggiandomi alla parete fredda. Mi misi a fissare le pareti rosa e cercai di trovare un modo intelligente per uscire di lì. Forse avrei potuto aspettare che la guardia tornasse per prendere il vassoio per attaccarla. Magari se fossi stata veloce avrei potuto superarla e chiuderla dentro la stanza. Oppure avrei potuto fingere di stare male e accasciarmi improvvisamente al suolo per poi attaccarla non appena si fosse avvicinata. Avrei anche potuto rubarle gli abiti per passare inosservata, almeno finchè qualcuno non avesse notato che la mia presenza all'interno della stanza fosse stata sostituita da quella di una guardia in boxer.

Abbozzai un sorrisetto all'idea, ma poi la mia espressione tornò seria, troppo appesantita dai pensieri per riuscire a tenere le labbra inarcate all'insù. La mia priorità era Gally e quello era certo: dovevo riuscire a liberarlo prima che lo sottoponessero a qualsiasi altro test e, da quanto mi aveva detto David, dopo il prelievo del sangue il ragazzo avrebbe fatto qualche test motorio per annotare dati sulla salute del suo corpo. Quindi, se decidevo di fidarmi di quanto detto dalla guardia, avevo ancora un po' di tempo prima che Gally passasse all'ultimo step nei test. David non mi aveva spiegato nello specifico che cosa riguardasse, ma dall'espressione compiaciuta che indossava quando aveva accennato all'ultimo step, compresi da sola che non si trattasse di nulla di buono.

Ragionai tra me e me per riuscire a delineare una bozza di quelli che sarebbero potuti essere i piani della W.I.C.K.E.D., per essere un passo davanti a lei e riuscire a predire cosa avrebbe attraversato Gally, ma nella mia testa c'erano solo ipotesi tanto improbabili quanto possibili. Mi immaginai che se fossi stata io la W.I.C.K.E.D. in persona, mi sarei voluta accertare che, dopo tutti quei mesi passati senza averci sotto controllo costante, i miei sforzi non si fossero vanificati. Se davvero quell'associazione ci aveva sottoposto a tutte quelle prove e quegli esperimenti per anni solo per poi utilizzare il nostro cervello e gettare il nostro corpo in una pattumiera, pensai che forse sarebbe stato bene fare un controllo allo stato del cervello e stabilire se fosse ancora idoneo o meno.

Ma come diamine si faceva a misurare l'idoneità di un cervello? E su quale base un cervello era più adatto di un altro?
Sbuffai e tirai un calcio nell'aria, colpendo il vuoto e facendo poi ricadere la gambe sulle lenzuola bianche. Se non altro le mie gambe sembravano essersi riprese dopo tutto quel riposo, anche se dovevo ammettere che il dolore alla caviglia era sempre persistente, come quella macchia sulla maglia che non riesci mai a togliere indipendentemente da quante volte la lavi.
Mi trascinai i palmi sul viso per riprendermi e tentai di concentrarmi, ma ogni volta che arrivavo ad una conclusione, non sapevo come continuare, ripartendo sempre dalla domanda che azzerava tutti i miei sforzi: dove sarei andata una volta uscita da quella stanza? Se Gally era stato spostato in un'altra stanza non c'era modo per me di scoprire la sua dislocazione, né avrei avuto il tempo per tentare ogni singola stanza che avrei incrociato lungo il mio cammino.

La presenza di Stephen al momento mi sarebbe stata piuttosto d'aiuto, ma il ragazzo aveva deciso di disperdersi senza lasciare traccia, il che mi rendeva difficile supporre se fosse vivo, in pericolo o addirittura morto. 
Feci per abbandonare ogni speranza di uscire da quella maledetta stanza e nascondermi sotto le coperte come un ghiro indifeso e rimanerci per sempre, quando un tonfo e una vibrazione improvvisa sulla finestra mi fecero saltare sul posto. 
Il primo pensiero andò a Gally e me lo immaginai nella stessa situazione in cui mi ero trovata io prima: naso spiaccicato contro il vetro, testa che sbatteva sul pannello nel tentativo di catturare la mia attenzione. Poi però mi resi conto che fosse impossibile: sicuramente il Costruttore era ancora tra le grinfie della W.I.C.K.E.D.

Mi sarei immaginata Stephen, tornato improvvisamente a salvarmi come nelle favole più belle, ma subito scacciai quel pensiero e impedii che altri come quello si formassero. Ognuno aveva preso la propria strada: Minho, Newt, Brenda e Jorge verso l'hangar; Gally e Violet intrappolati come me chissà dove; Teresa e Thomas verso la sala di controllo e Stephen disperso forse tra i mille corridoi.
Probabilmente un medico aveva inciampato, cadendo contro il vetro, oppure un infermiere sbadato aveva sbattuto il carrellino, o addirittura avrebbe potuto essere una guardia che si era appoggiata in modo troppo brusco.

La causa della vibrazione sarebbe potuta essere una qualsiasi, ma dubitavo fortemente che fossero i miei amici: nessuno sapeva dove ero e nessuno di loro aveva così tanta fortuna da tirare ad indovinare il piano e la stanza ed azzeccare entrambi.
Quando però un altro forte tonfo – questa volta il doppio più violento e rumoroso del primo – si percosse sulla finestra, facendola tremare in modo grave, non avevo più dubbi: qualcuno stava cercando di entrare e non aveva preso in considerazione di usare la porta, segno che probabilmente non aveva la giusta tessera per entrare.

Scattai in piedi quando un terzo boato si diramò per la stanza, partendo dalla parete della finestra e rimbombando nelle mie orecchie. Se le persone dall'altro lato del muro fossero riuscite nel loro intento, su di me sarebbe piombata una pioggia di schegge irrefrenabile. Dovevo trovare un riparo e dovevo farlo subito, dovevo anticipare la botta finale prima che fosse troppo tardi. Mi guardai attorno rendendomi conto di non avere nulla in quella stanza all'infuori di un tavolino troppo piccolo per potermici nascondere sotto e di un materasso fin troppo pesante per poterlo alzare e infilarmici sotto, usandolo come scudo.

Poi, non appena i miei occhi si aggrapparono disperati alle coperte del letto mi venne in mente un'idea: infilarmi sotto il piumone sarebbe stato stupido, dato che sarebbe bastata una scheggia troppo affilata e troppo veloce per perforare la stoffa e beccarmi in pieno, dato che il letto era poco distante dalla finestra. Forse però, se mi fossi coperta come un burrito e mi fossi accucciata nell'angolo della stanza, avrei potuto evitare facilmente la pioggia di schegge da quella distanza.
E così feci: sradicai in maniera brusca le coperte e mi trascinai dietro il piumone, correndo verso l'angolo più lontano dalla finestra e arrotolando ogni centimetro del mio corpo nella stoffa. 

Dopo aver nascosto bene anche la testa sotto i diversi strati di coperta, mi accucciai ancora di più al muro e rimasi in attesa col fiato corto, tentando di osservare la scena attraverso i giochi di luci e ombre proiettati attraverso il tessuto. Non riuscii a vedere granché, ma quando il tonfo più assordante di tutti si abbatté sulla finestra, mandandola in frantumi, non ebbi esitazioni: chiunque avesse tentato fino a quel momento di fare irruzione nella mia stanza, alla fine ci era riuscito.
Sentii due figure calarsi all'interno della stanza, la prima persona entrò in maniera davvero brusca, forse inciampando e arrancando di qualche passo dentro la stanza, spiaccicando i vetri a terra; la seconda invece entrò in maniera quasi felina, del tutto aggraziata, senza produrre ulteriore casino.

Fui quasi sul punto di sbucare da sotto il mio nascondiglio, felice che il mio tentativo di proteggermi dai vetri avesse funzionato alla grande, per osservare i due intrusi e comprenderne l'identità, quando una voce – alquanto affannata e al contempo divertita – si propagò per la stanza, facendomi già intuire di chi si trattasse. "Bambolina, non sei di certo invisibile, sai?"
Abbozzai un sorriso prima di scoprirmi il volto di scatto, tanto stupita quanto felice di averlo lì insieme a me. Ero convinta che Minho fosse andato all'hangar con Newt e gli altri, proprio per proteggere il biondino, ma a quanto pareva doveva aver cambiato idea.

Il mio primo istinto fu quello di preoccuparmi: se era tornato indietro allora doveva essere successo qualcosa. Ma quando i miei occhi ne incontrarono un paio color nocciola, pieni di preoccupazione e sollievo allo stesso tempo, mi sentii riempire di felicità. "Newt!" quasi urlai per la gioia, incredula che il ragazzo fosse effettivamente lì nella mia stanza. "C-Che cosa..."
Mi interruppi all'istante quando sentii la gioia che avevo provato nel vederli tornare a prendermi, venire rimpiazzata da un orribile senso di smarrimento e terrore. Perchè avevano corso il rischio di tornare indietro? Perchè non erano rimasti nell'hangar? Lì non era sicuro, non per Newt, dovevano tornare indietro al più presto.

Mi alzai di scatto, trascinandomi il piumone dietro e puntando un dito contro Minho, il quale – forse preso alla sprovvista – balzò all'indietro, come spaventato. "Tu." pronunciai secca. "Mi avevi promesso che sareste arrivati all'hangar sani e salvi. Cosa diamine ci fate qua?"
Il Velocista sbattè le palpebre ripetutamente, come se non credesse alle mie parole, poi si scambiò un paio di sguardi con Newt e fece spallucce, tornando con lo sguardo su di me. "No, io ti ho promesso che avrei protetto lui. Non ti ho mai detto che l'avrei portato all'hangar."
Mi portai una mano sul viso e la trascinai per tutta la faccia, cercando di pensare alla svelta ad un piano che avrebbe combinato il salvataggio di Gally e Violet, più lo scortamento di Newt fino all'hangar senza incontrare pericoli.

"Comunque prego per averti salvata." borbottò Minho scocciato, incrociando le braccia al petto. 
"I-Io..." scossi la testa. "Certo che sono felice di vedervi, soprattutto perchè ora sono di nuovo libera di andare a spaccare qualche testa, ma..."
Trascinai il mio sguardo su Newt, accorgendomi solo in quel momento che il ragazzo fosse rimasto nella stessa posizione, con la stessa espressione facciale fin dall'inizio. Sembrava quasi essersi congelato. I suoi occhi, perennemente ancorati ai miei, esprimevano una frustrazione così straziante che per un secondo mi sentii in colpa. Loro avevano rischiato la vita per venirmi a salvare e io ero solo capace di rimproverarli?

"Mi dispiace, ragazzi." borbottai, lasciando il piumone a terra e muovendo un passo verso Newt. "E' solo che non voglio che rischiate la vita per me." Mossi un altro passo in avanti e vidi il biondino rianimarsi un poco, abbozzando un sorriso malinconico verso di me e incanalando nei suoi occhi tutta la dolcezza e l'amore che provava nei miei confronti.
"Newt, non voglio rischiare di perderti di n..."
"Non potevo lasciarti sola." fu tutto quello che il ragazzo disse, prima di tuffarsi all'avanti e rinchiudermi in un abbraccio. "Non potevo lasciarti indietro, io non..."
"Ma io l'ho fatto, Newt." lo interruppi, incapace di ricambiare quella stretta con altrettanto vigore e abbandonandomi a lui. "Al palazzo degli Spaccati..." rammentai. "Non volevo lasciarti. Neanche tu volevi che me ne andassi veramente, ma io... io l'ho fatto comunque."

Lo sentii buttare fuori aria dal naso, come se quella mia frase lo avesse divertito, poi intensificò l'abbraccio. "Tutto quello che ho sempre voluto nella mia breve vita, nella vita che hanno scelto per me..." mi distaccò da lui di qualche spanna, fissando i miei occhi nei suoi e guardandomi in modo talmente dolce e innamorato da sciogliermi il cuore. Non mi meritavo un ragazzo del genere. "Sei tu. Sei stata tu la mia prima scelta in una vita già decisa in ogni minimo dettaglio, il mio primo passo verso la libertà per me sei stata tu, Eli."
Abbozzai un sorriso, sentendo le lacrime iniziare a pizzicarmi gli occhi. Feci di tutto per obbligarmi a ricacciarle indietro e rimasi ad ascoltarlo, perdendomi in quelle parole. 

Newt mi accarezzò una guancia e la sua mano esitò per qualche istante sul mio volto, per poi scendere lentamente sul collo e scostare di qualche centimetro la mia maglietta, rivelando così le vecchie cicatrici e dedicando anche a loro qualche dolce carezza. "Quando ho capito di avere il potere di toglierti la tua di libertà, obbligandoti ad occuparti di me – perchè so che lo avresti fatto, pur di non gettare la spugna mi avresti dedicato la tua vita intera –, obbligandoti a vedermi peggiorare nonostante tutti i tuoi sforzi... Non potevo chiederti tutto quello, così ho fatto la mia seconda scelta verso la libertà: ho preferito preservare la tua. Ti ho lasciata andare perchè speravo che distaccandoti da me saresti riuscita a crearti una vita da nuovo, senza di me e con di certo più felicità e spensieratezza di quanto io ti avrei mai potuto dare."
Scossi la testa, sentendo le lacrime premere insistenti contro i miei occhi e le mie gote farsi sempre più calde e rosse. "Newt io non potrei mai rimpiazzarti con..."

"Io ci speravo, invece. Speravo che mi dimenticassi." mi bloccò lui, tornando con il palmo sul mio volto e scostandomi una ciocca ribelle dietro l'orecchio. "E credimi, ho avuto una paura marcia quando ti ho vista voltarti e andartene da quel palazzo." Poi si bloccò, scuotendo la testa e abbozzando un sorriso. "Non paura di morire, no. Avevo il terrore di dimenticare, di dimenticare chi ero per colpa di quel virus, di dimenticare tutti voi, di dimenticarmi di te. E quando la cura ha funzionato, ho avuto paura di perdere quei pochi ricordi che mi erano rimasti. Così tutte le notti ripetevo i vostri nomi finchè non mi addormentavo; e anche se non mi ricordavo nulla di alcune persone se non il loro nome, io continuavo a ripeterli: Alby, Chuck, Minho, Thomas, Winston, Jeff... Li ripetevo finchè un qualcosa non tornava a galla, perchè a volte capitava."

Lo vidi abbozzare un sorriso e perdersi nei ricordi. "Mi ricordo dell'odore degli Orti, del sapore dello stufato di Frypan – non avrei mai immaginato che mi sarebbe mancata quella sbobba insapore – e mi ricordo di te, del primo giorno che sei spuntata dalla Scatola e mi hai minacciato con un coltello. E mi hai salvato, tutt'ora continui a salvarmi, Eli. E in ogni caso, se potessi tornare indietro, farei tutto da capo. E non cambierei nulla. E anche se fossimo distanti, io verrei a cercarti, sempre. E' per questo che non potevo lasciarti andare. Non questa volta."
Senza riuscire più a contenere la bomba luminosa di gioia che iniziava a premermi sulla gabbia toracica, mi tuffai sul suo petto, forse colpendolo troppo forte, ma annegando il volto nei suoi vestiti. 
Sentii un paio di lacrime sgattaiolare via dai miei occhi, infischiandosene del mio tentativo di autocontrollo e trovare riposo nella maglietta di Newt. Inspirai a fondo quel suo nuovo odore e ringraziai chiunque fosse l'artefice di quel mondo così sbagliato, per avermi donato una persona così giusta, preziosa e pura. 

A volte mi veniva da pensare che Newt fosse stato davvero un dono, per me. Tutti quegli anni passati sulla superficie fredda di quel maledetto lettino, tutto il dolore, gli affanni, tutto quello che la W.I.C.K.E.D. mi aveva rubato, a partire dalla mia identità... Tutto quello che avevo passato, alla fine, era stato ricompensato con la presenza di Newt nella mia vita. Come se un qualcuno si fosse svegliato un giorno e avesse pensato che i miei affanni e i miei dolori erano stati vissuti da una sola persona per fin troppo tempo e che mi meritassi finalmente una metà con cui dividere e condividere i demoni. Inspirai nuovamente quel suo nuovo buon odore, iniziando ad abituarmici un pochino e sentendomi improvvisamente più calma. Poi, quando mi rivennero in mente le parole di Kurt, sentii il cuore mancarmi di un battito, ripiombando nuovamente nella preoccupazione.

"Come stai?" fu la prima cosa che gli chiesi, allontanandolo leggermente da me e controllando ogni centimetro del suo corpo alla ricerca di ferite o more, anche se in realtà la mia domanda era più rivolta al suo stato mentale, che fisico. 
"Sto bene, ora sto bene." mi rassicurò lui. "Non te la prendere con Minho, però, ho insistito io per tornare a prenderti e lui mi ha assecondato, tutto qua."
Abbozzai un sorriso e scossi la testa. 
"Il pive qua ha ragione. Non devi prendertela con me." si intromise Minho, facendo un passo verso di noi e afferrando il piumone steso a terra. Poi, con un sorrisetto da furbo aggiunse: "Anche se devo ammettere che anche a me sembrava stupido lasciarti andare con quel principe azzurro rincretinito, quindi non ho opposto resistenza quando mi ha detto che voleva tornare a prenderti. Sembra che avevamo ragione a preoccuparci, dopotutto."

"Già." borbottò Newt con una smorfia, guardandosi attorno. "Dove diamine si è cacciato quel testa di puzzone?"
Abbozzai un sorrisetto nel sentirlo usare ancora il gergo della Radura, sembrava ricordarselo bene, almeno quello. Anche se sarebbe stato buffo dovergli spiegare quel linguaggio che probabilmente anche lui aveva aiutato a creare.
"Non lo so, ci hanno separati quasi subito. Non l'ho più rivisto e spero per lui che sia ancora travestito da guardia." spiegai brevemente, osservando curiosa il Velocista, che nel frattempo aveva iniziato a muoversi per la stanza.
"In ogni caso," conferì Minho, stendendo il piumone sopra la soglia della finestra oramai vuota nel tentativo probabilmente di coprire eventuali schegge. "dovremmo muoverci. Abbiamo fatto un bel chiasso, sicuramente stanno già partendo per venirci a prendere. Quindi, rimandate le smancerie per dopo, quando entrambe le vostre chiappuzze saranno al sicuro. Allora vi potrete sbaciucchiare quanto vorrete."

 

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Capitolo 75
*** Capitolo 68. ***


Minho mi aiutò ad uscire dalla finestra issandomi verso l'alto e passandomi delicatamente a Newt che, attendendomi dalla parte opposta, mi attirò verso di lui con dolcezza per posarmi poi a terra. Minho ci raggiunse in un attimo saltando oltre la soglia della finestra ormai rotta e, subito dopo essere atterrato in modo agile sul pavimento, il ragazzo affibbiò un brusco calcio all'estintore che avevano usato per spaccare il vetro della finestra, facendolo rotolare via. Il Velocista si mise in testa alla fila, brandendo con sicurezza una pistola a sonniferi e puntandola verso il corridoio vuoto.
"Questa volta non farò la stessa caspiata dell'ultima volta. Vi ricordate di quando ci eravamo messi a cercare Thomas tra i corridoi della vecchia W.I.C.K.E.D.? Be' io mi ricordo fin troppo bene la puzza di bruciato di quando mi hanno colpito con quei dannati lanciagranate." sghignazzò il Velocista, rivolgendo a Newt un sorrisetto storto e poi passando il suo sguardo su di me. "Faremo del nostro meglio per proteggerti, bambolina, ma nel caso dovessi essere in pericolo usa pugni e unghie, capito? Cercheremo di trovare delle armi al più presto, ma fino ad allora dovrai combattere con la furia di uno Spaccato."

Gli sorrisi incoraggiante, poi strinsi la mano a Newt per cercare un po' di sicurezza e infine mi limitai a seguire i due ragazzi nei corridoi. Mentre avanzammo decidemmo di aggiornarci velocemente su tutto ciò che sapevamo, in modo da essere preparati su tutto. Come prima cosa, Minho mi spiegò con non poca fierezza che quando erano arrivati all'hangar erano riusciti a fare fuori le guardie con non molta fatica, riuscendo ad isolare addirittura il luogo grazie all'aiuto di Thomas e Teresa che, nel frattempo, dopo aver raggiunto la sala di controllo generale, erano riusciti a mettersi in contatto con loro tramite gli speaker nell'hangar. I due avevano spiegato al gruppetto che stavano cercando ancora di capire come funzionassero la maggior parte dei comandi, ma che con un po' di fortuna erano riusciti a scovare i pulsanti collegati alle famose pareti trasparenti. E così, dopo aver discusso un po', alla fine Minho e Newt avevano dato ordine ai due ragazzi ai comandi di chiudere, solo una volta che loro fossero usciti, entrambi i pannelli divisori situati nelle due entrate all'hangar. In questo modo Brenda e Jorge sarebbero rimasti lì al sicuro e isolati, nel tentativo di capire come pilotare quei nuovi aggeggi che apparentemente erano una vecchia versione delle Berghe a noi conosciute. 

Io dal mio canto, invece, spiegai loro in modo molto breve e conciso che sapevo dove tenessero Gally, ma che ancora non conoscevo la posizione di Violet e che quindi saremmo dovuti andare a casaccio e affidarci alla fortuna. Poi, pensando un po' più a fondo, mi venne in mente che con la fortuna che avevano avuto i due nel riuscire a trovare la mia stanza in così poco tempo, la ricerca sarebbe stata un giochetto da ragazzi. "Andremo a sentimento." conclusi, riferendomi alla stanza di Violet. "Come avete fatto voi per venire a liberarmi, insomma." conclusi facendo spallucce e attendendo dietro l'ennesimo corridoio nell'attesa che Minho ci facesse segno che questo fosse libero. 
"Ti sbagli, bambolina." mormorò l'asiatico, voltandosi giusto di qualche centimetro per farci cenno di proseguire. Lo seguimmo nel prossimo corridoio, procedendo sempre rasenti al muro e stando attenti ad ogni suono. Per un secondo mi sembrò davvero di essere tornata alla vecchia sede della W.I.C.K.E.D., quando dopo la Zona Bruciata ci avevano separato da Thomas e nel tentativo di riprendercelo, avevamo iniziato a fare delle ricerche notturne. Certo, allora al gruppo si era aggiunto anche Stephen, ma per il momento del ragazzo non c'era ancora traccia.

Chissà dove è finito e se sta bene... Pensai tra me e me.
Dato che Minho parve voler fare il misterioso, alla fine fu Newt a spiegarmi con calma come avessero fatto i due a trovarmi. "Non si tratta di fortuna, Eli. Thomas e Teresa ci hanno guidato fino a qua utilizzando le luci a neon sul soffitto. Pazzesco, vero?" borbottò il biondino, cercando probabilmente di parlare sussurrando, ma fallendo miseramente. "Sono riusciti a farli accendere ad intermittenza e a segnare il nostro percorso."
"Non mi sorprende, dato che stiamo parlando di Tom e Teresa... Quando quei due si mettono a lavorare insieme sono dei geni imbattibili." mormorai, sorridendo felice che almeno loro fossero riusciti nel loro intento.
"Spero solo che quel testa puzzone riesca a condurci fino a Violet." spiegò Minho, con un tono tra lo scocciato e il preoccupato.
"E da Gally." aggiunsi, ricevendo da parte del Velocista uno sbuffo.
"Non possiamo semplicemente lasciarlo qui?" propose sarcastico Minho, sghignazzando come se la sua fosse l'idea del secolo.
Gli rivolsi un'occhiataccia, osservandolo poi ridacchiare felice e alzare le mani in segno di resa. "Stavo scherzando, stavo scherzando..." si giustificò. "Anche se non sarebbe male, almeno non dovrò vedere la sua brutta faccia ogni volta che voglio venire a trovarti." 

Sentii Newt bloccarsi affianco a me. Il ragazzo si irrigidì e mi lanciò un'occhiata curiosa e preoccupata allo stesso tempo. Prima che facesse le sue supposizioni e si preoccupasse più del dovuto, mi limitai a scuotere la testa come a sottolineare che non fosse un dettaglio poi così importante e mi affrettai a spiegare. "Io e Gally viviamo insieme in una casetta. L'ha costruita lui, sai? E' piuttosto carina, ti piacerebbe!" mormorai, cercando di divagare.
Il biondino assottigliò lo sguardo e, quando Minho si distanziò di poco da noi per andare a sbirciare nel prossimo corridoio, il ragazzo mi sfiorò le dita con le sue, richiamando la mia attenzione e rivolgendomi un'espressione alquanto preoccupata. "Letti separati, vero?"
Sorrisi senza riuscire a trattenermi, colpita ancora una volta dalla dolcezza e delicatezza del ragazzo, poi con decisione incatenai le mie dita alle sue, aumentando la presa sulla sua mano. Portai il suo palmo sulle mie labbra e vi depositai un bacio delicato. "Certo. Di Gally hai memoria, vero? Ti ricordi che ho già messo le cose in chiaro con lui, no?"

Vidi il volto del biondino contrarsi in una smorfia di disgusto, poi scuotere la testa. "Sì, di lui mi ricordo anche troppo, in particolare di quanto possa essere ostinato e anche del fatto che non perde mai l'occasione per..."
Alzai gli occhi al cielo, ma scossi la testa e gli sorrisi incoraggiante. "Non so se ti potrà rassicurare, ma dato che siamo in tema..." lanciai un'occhiata a Minho, giusto in tempo per vedere il ragazzo farci segno di raggiungerlo. Sempre tenendo la mano di Newt, lo trascinai all'avanti con me, facendogli cenno di seguirmi. "Abbiamo dormito vicini un paio di volte, credo. Non ha mai fatto nulla per..." mi bloccai, ricordandomi improvvisamente del bacio rubato. Dire che non ci avesse mai provato forse era una bugia, ma d'altronde quando l'aveva fatto era convinto che dormissi, quindi non era un'azione con secondi fini. Feci per continuare, ma Newt sembrò elaborare solo in quel momento le mie parole, stritolandomi all'indietro e perdendo contro ogni tentativo di rimanere in silenzio.

"Aspetta, ci hai dormito insieme?" esclamò stupito e imbarazzato, tingendosi di rosso in volto, forse per la rabbia, forse per la gelosia. "E-E-E quante volte? Avete dormito abbracciati o..."
Quando raggiungemmo Minho, il Velocista ci rifilò un'occhiataccia e fece cenno a Newt di rimanere in silenzio, prima di proseguire controllò nuovamente che il corridoio fosse libero e poi ci si infilò. 
"Poche volte, Newt. Credo due, al massimo tre. In ogni caso non è stata una cosa romantica, principalmente era per avere dei sogni tranquilli, ecco..." mi morsi il labbro, ripetendomi mentalmente che fosse stata davvero una mossa stupida da parte mia confessarglielo proprio in quel momento. Ma dato che c'ero, tanto valeva dirgli tutta la verità. "Non è mai stato lui a fare la prima mossa, se ti può rassicurare. Sono sempre stata io a chiederglielo, ma non pensare male, Newt." tenendolo per mano, lo portai con me nel prossimo corridoio, cercando di temporeggiare per trovare le parole migliori per spiegarglielo. "Quando te ne sei andato, quando ti credevo morto, ho avuto delle giornate pesanti e le notti erano anche peggio. Dormire con qualcuno a volte mi aiutava, anche se devo ammettere che spesso la mia testa scambiava Gally per te e quindi riuscivo a calmarmi. Non voglio che pensi che io ti abbia rimpiazzato, ma ci tengo comunque a dirti la verità."

Lo vidi deglutire e abbassare lo sguardo sconfitto, come se quella rivelazione per lui fosse stata peggio di un proiettile nello stomaco. Lo osservai annuire debolmente e poi scuotere la testa per riprendersi. "Sì, sì, scusami per la reazione. Immagino di non avere voce in capitolo dato che sono sparito per mesi e che mi credevi morto. In ogni caso, se fossi morto davvero – e devo ammettere che in un certo senso è come se una parte di me lo fosse – avrei voluto che tu trovassi conforto negli altri, che cercassi un modo per andare avanti. Ed è quello che hai fatto, quindi non posso fartene una colpa. Anche se..." si morse il labbro, poi lanciò uno sguardo verso Minho. "Non potevi sceglierti Minho?" domandò di punto in bianco, facendomi quasi scoppiare in una risata fragorosa. Vedendo la mia espressione divertita, il biondino si sbrigò a spiegarsi. "Mi fido più di lui e so che non farebbe mai nulla con..."

"Dormire e sopportare la puzza dei suoi piedi da Velocista?" borbottai divertita, cercando di sopprimere una risata genuina. "Per di più Minho ora sta con Violet... te la ricordi?"
Vidi Newt corrucciarsi. "In effetti mi stavo domando chi fosse questa pive e perchè fosse così importante..." poi, grattandosi il mento e fissando lo sguardo sulla parete davanti a lui, lo vidi illuminarsi leggermente. "In effetti mi ricordo di questo nome, però per qualche motivo quando ci penso mi viene in mente solo una canottiera."
A quel punto, senza riuscire più a trattenermi, scoppiai davvero a ridere, bloccando subito il chiasso con i miei palmi premuti sulle labbra, nel tentativo di soffocare il divertimento e di evitare così l'occhiataccia di Minho che ne seguì.

"P-Perchè ridi? E' la verità." si giustificò scoraggiato il biondino, tirandomi verso il Velocista e facendomi acquattare al suo fianco. 
"Niente più chiacchiere, voi due." ci sgridò Minho. "Fate troppo casino."
Mi asciugai qualche lacrima, sopprimendo il ricordo delle famose canottiere di Violet che la ragazza mi obbligava ad indossare ogni volta che dovevo sgattaiolare via dalla mia camera per andare nel dormitorio di Newt. Ancora riuscivo a vedere in maniera nitida la figura di Newt che, rivestitosi al buio, si era infilato per sbaglio la canottiera striminzita della ragazza, facendola incastrare proprio all'altezza del petto. 
"Smettila di sghignazzare e dimmi ancora una volta dove hai visto Gally, se vuoi che salvo il suo culo flaccido." mi sgridò Minho, trasformandosi per un momento per una mamma arrabbiata nei confronti del proprio figlio. 
"Sì, scusa..." borbottai, riprendendomi completamente e mettendomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. "Era in un'infermeria, c'era una finestra proprio come quella della mia stanza. Era al settimo piano, quindi dobbiamo solo scendere di uno e poi andare avanti per un paio di corridoi."
Vidi il ragazzo annuire, poi ripartire diretto verso il prossimo corridoio. "Muoviamoci allora, prima che la W.I.C.K.E.D. lo ammazzi del tutto."

 

 

 

 

Trovare la stanza di Gally non fu poi così semplice come avevo pensato e nonostante tutto, una volta arrivati, la scoperta non fu quella sperata. Non solo la stanza in cui avevo precedentemente visto il ragazzo era vuota e con la luce spenta, ma i corridoi continuavano a rimanere vuoti, privi di guardie armate fino ai denti nel tentativo di fermarci. Iniziai a pensare che forse l'assenza di controllo da parte della W.I.C.K.E.D. fosse dovuta al fatto che non ci fosse nulla da tenere al sicuro su quel piano. Effettivamente, dopo pochi minuti, scoprii di non avere tutti i torti, dato che, una volta arrivati all'ascensore e alla scala d'emergenza, non ci rimaneva più nessuna stanza da controllare. Non avevamo ancora scovato nemmeno un viso familiare, né intravisto l'ombra di una guardia. Eravamo soli, per quanto rassicurante potesse essere in una situazione simile.

Cercai di non farmi prendere dal panico, ma la sola idea che Gally potesse essere in pericolo e che fosse tutto successo per colpa mia, mi prese alla sprovvista, mandandomi in confusione e facendomi sentire scomoda, come se stessi sbagliando qualcosa nella mia ricerca del ragazzo, come se non stessi facendo abbastanza.
Con tutto quello che era successo, con tutte le informazioni che avevo ricevuto e che continuavo ad elaborare nella mia mente, mi sentivo persa, paralizzata all'interno delle mie decisioni senza riuscire più a capire quale fosse la scelta giusta da intraprendere.
Essere responsabili di altre vite oltre alla mia mi faceva sentire instabile, insicura. Da un lato, sapevo che dovessimo uscire al più presto dalla sede, tornare al posto sicuro e portare con noi quante più persone possibili per evitare che altre vite venissero sacrificate in quell'esperimento senza etica e senza lieto fine.

Dall'altro lato, al solo pensiero che se ce ne fossimo andati forse per Newt sarebbe stata la fine, mi sentivo frustrata, arrabbiata fino al midollo per le azioni ancora una volta egoistiche della W.I.C.K.E.D.: avevano dato un'altra possibilità al ragazzo, certo, gli avevano donato una nuova vita sana, ma a che prezzo? Continuare a vivere nella sede per tutta la vita, ero sicura che non rientrasse nei piani del ragazzo, eppure... Come facevo io a scegliere per lui? Eppure, a vedere Newt, il ragazzo sembrava così tranquillo e in pace con sé stesso, che avrei quasi giurato non fosse a conoscenza della gravità della sua situazione.
E ora anche Gally, che era sempre stato al mio fianco, che aveva sempre tentato di proteggermi, pagava per le sue decisioni e alla fine, proprio per i suoi soliti e ostinati tentativi di mettere il mio bene davanti al suo, lo avevo condotto alla rovina.
Non ero nemmeno più sicura di riuscire a salvarlo, a recuperarlo prima che fosse troppo tardi, prima che il suo ultimo respiro gli fuggisse dalle labbra.
Alla fine la W.I.C.K.E.D. aveva ottenuto quello che voleva e gli aveva tolto l'ultima cosa che gli era rimasta: un motivo per opporsi, per combattere con le unghie e coi denti per uscirne vivo.

Forse, in questa situazione, Newt e Gally avevano un qualcosa in comune. 

"Gally. Gal-ly! G-A-L..." la voce improvvisamente alta di Minho mi scosse dai miei pensieri, catapultandomi nuovamente nella realtà e riuscendo finalmente a riacquistare una sorta di concretezza nella mia presenza. Per un attimo mi ritrovai con i piedi a terra, a ripetermi che fino a quel momento era sempre andato tutto per il meglio, che tra una brutta avventura, un litigio, una lotta e qualche graffio, ce l'avevamo sempre fatta. 
Perchè dovrebbe essere diverso questa volta? Pensai tra me e me. Troveremo un modo per cavarci le gambe anche questa volta. 
"...L-Y!" esclamò Minho nuovamente, facendomi realizzare solo in quel momento che il Velocista si fosse posto proprio davanti ad una telecamera, le mani a coppa intorno alla bocca, intento a gridare il nome del ragazzo disperso in maniera quasi esilarante.

"Che diamine..." il Velocista non mi fece nemmeno finire di parlare, che si voltò con un sorrisetto soddisfatto. 
"Sto cercando di parlare con Thomas e Teresa, non so se le telecamere hanno il microfono, quindi spero che quei due sappiano leggere il labiale." borbottò veloce, guardandosi intorno e poi fissando lo sguardo sulle luci al neon. "Spero che facciano lo stesso giochetto di..."
Come per magia le luci al neon iniziarono a lampeggiare ad intervalli regolari, susseguendosi a tratti, indicandoci la via giusta nel corridoio, segno che Thomas e Teresa avessero compreso a pieno il messaggio di Minho, il quale mi rivolse un ghigno divertito e riprese a correre nella direzione delle luci.
Il percorso illuminato terminò proprio nelle scale d'emergenza, per poi riprendere oltre la porta antincendio e condurci ancora più in profondità di due piani.

Sia io che Newt tenemmo il passo senza lamentarci e quando finalmente le scale finirono, ci buttammo tutti e tre nel nuovo piano da esplorare, i ragazzi tenendo sempre stretti tra le mani le armi come fossero prolungamenti delle loro braccia e io strabordante di adrenalina. 
Le luci ci condussero per diverse svolte lungo i diversi corridoi, che Newt ci fece notare essere tutti rosa. "Solitamente viene usato per indicare il reparto per ragazze, ma magari mi ricordo solo male." aveva detto il ragazzo, facendo spallucce e continuando a starci dietro senza troppa fatica.
Il biondino sembrava aver preso un po' più destrezza con il suo corpo, dato che la sua camminata non solo era più coordinata, ma anche più veloce. Non sapevo se si stesse impegnando al massimo in quell'azione così quotidiana e spesso data per scontato, o se semplicemente non ci stesse pensando troppo, lasciando fare tutto al suo istinto e ai ricordi custoditi dal suo corpo.

Continuammo a seguire le luci per un minuto abbondante, stando sempre attenti ad ogni svolta e muovendoci quanto più silenziosamente possibile. 
Poi, poco prima di svoltare per l'ennesima volta, sentimmo dei rumori provenire da qualche corridoio più in là, perciò ci acquattammo tutti all'istante, rimanendo in silenzio e guardandoci tra di noi, uno più terrorizzato dell'altro.
Vidi Minho farci segno di rimanere in silenzio e di mantenere le nostre posizioni, poi fece capolino oltre il corridoio, rientrando dopo pochi secondi. I rumori iniziarono a farsi sempre più intensi, segno che coloro che lo stavano producendo si stavano avvicinando sempre di più alla nostra posizione. 
Inspirai profondamente e mi preparai per quella battaglia inevitabile e oramai imminente, ma non mi mossi di un millimetro, stando ben attenta ai suoni per cercare di ricavare qualche informazione in più.

Oltre al rumore di passi e al fruscio di vestiti, non riuscii a captare granché, segno che molto probabilmente una pattuglia di guardie era stata probabilmente affidata a quella sezione della struttura. Poi, d'un tratto, riuscii a sentire anche una voce risuonare tra gli altri rumori, distinguendosi chiaramente e permettendomi immediatamente di riconoscere il suo proprietario. Kurt. "Lo so che è la procedura, ma vi assicuro che non ho bisogno di ben tre guardie del corpo."
"Signore, stiamo solo seguendo gli ordini." replicò una voce ovattata, probabilmente una delle guardie con il casco protettivo addosso. "Ci sono degli invasori a piede libero, non è sicuro girare per la sede da solo."
"Non c'è modo di farvi cambiare idea, vero?"

A quel punto, come se Minho avesse colto la domanda dell'infermiere come un segnale d'attacco, si voltò verso di Newt con un'espressione estremamente seria, ma non gli disse nulla, semplicemente si limitò a mimargli un qualcosa con le dita. Prima alzò il mignolo e l'anulare in contemporanea, mostrandoli bene al biondino e poi, con un movimento repentino, si puntò l'indice alla gola, fingendo di tagliarsela, e poi si puntò lo stesso dito contro il petto; dopodiché, alzò solamente il mignolino, ponendole nuovamente davanti al naso a patata di Newt e facendo subito lo stesso gesto alla gola e puntando poi invece il dito contro il petto del ragazzo in questione. In fine, alzò l'indice in aria, mostrandolo questa volta direttamente a me, ma invece che mimare uno sgozzamento, il ragazzo strinse la mano a pugno e con le labbra mi mimò una sola parola, che tuttavia compresi a pieno.

Non mi ci volle molto a comprendere cosa quello scambio di gesti e numeri stesse ad indicare: Minho stava spiegando al biondino che si sarebbero divisi le guardie e che, mentre il Velocista si sarebbe occupato di metterne due K.O., il biondino avrebbe dovuto metterne fuori gioco solamente una. E il mio ruolo in tutto quello, nonostante fosse abbastanza difficile, era fondamentale per la riuscita totale del salvataggio di Violet e Gally. 
Ostaggio. Mi ripetei nella mente, dando voce alle parole prima solamente mimate da Minho. 
Io, in un modo o nell'altro, avrei dovuto prendere in ostaggio Kurt.

 

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Capitolo 76
*** Capitolo 69. ***


Li prendemmo alla sprovvista, come un fulmine a ciel sereno, sfruttando al massimo quei pochi attimi di tentennamento delle guardie causati dalla sorpresa. Minho e Newt agirono in modo veloce, mettendo al tappeto le prime due guardie semplicemente sparando loro addosso diverse capsule di sonnifero. Io nel frattempo, corsi incontro a Kurt, sorridendogli gentile e alzando le mani in segno di riappacificazione. Non volevo fargli del male, dato che fino a quel momento non mi aveva dato motivo di odiarlo o di picchiarlo a sangue, se non per la sua pessima scelta di seguire i terribili passi della W.I.C.K.E.D.

Sapevo di stare correndo un rischio decidendo di non saltargli addosso all'improvviso e placcarlo a terra, dato che l'uomo se la sarebbe potuta dare a gambe senza che riuscissi a fermarlo, ma in fondo al mio cuore sapevo che non lo avrebbe fatto, che sarebbe rimasto lì a darci tutte le spiegazioni di cui necessitavamo.
In fondo non sembrava un uomo malvagio o con brutte intenzioni, anzi, per quanto avevo potuto vedere e sperimentare nei pochi attimi trascorsi in sua presenza, avevo percepito in lui un lato alquanto insolito, per essere un cagnolino della W.I.C.K.E.D.

Nell'uomo sembrava esserci come un piccolo seme di ribellione ancora troppo indifeso e solo per crescere rigoglioso, una sorta di ostentazione costante e volontà non solo di opporsi ai piani della W.I.C.K.E.D., ma di incenerirli o ribaltarli per un fine migliore. 
E per di più, la sua connessione con Fanny e il modo in cui mi aveva trattava, parlavano troppo chiaro per poterli ignorare come inutili particolari.
Tuttavia, come potevo comprendere benissimo, l'infermiere era rimasto leggermente scioccato dal modo in cui avevo aggredito il medico davanti ai suoi occhi, perciò indietreggiò di qualche passo, con addosso un'espressione leggermente preoccupata.

"Tranquillo, non ti farò... Anzi, non ti faremo nulla." mi corressi immediatamente, mostrando all'uomo di essere disarmata e facendo un veloce giro su me stessa. "Ma ci serve il tuo aiuto, spero collaborerai." gli spiegai, facendo quasi sembrare quella mia spiegazione una minaccia.
Vidi l'infermiere annuire taciturno e la sua espressione mutò leggermente, mostrandosi quasi curioso o sollevato, ma non di certo impaurito. 
Poi, proprio quando l'uomo aprì la bocca per dire qualcosa, sentimmo degli schiamazzi e delle grida provenire dal corridoio successivo, sottolineando così la presenza di un'altra pattuglia di guardie che sicuramente, dopo averci sentiti combattere lì vicino, avessero preso in considerazione l'idea di intervenire.

"Cerca di rimanere il più distante possibile, okay?" spiegai brevemente all'uomo, ponendomi davanti a lui e facendogli cenno di mettersi da parte. "Quando avremmo finito ho bisogno di spiegazioni." gli rifilai un'occhiata veloce, poi, ricordandomi del suo interesse alquanto strano nei confronti del Costruttore, aggiunsi: "Su Gally in particolare."
Lo vidi sghignazzare divertito e pieno di orgoglio, poi dopo aver annuito un paio di volte, mi rivolse la sua risposta, che mi lasciò alquanto perplessa. "Sapevo che avresti trovato il modo di tornare da lui."
Non feci nemmeno in tempo ad elaborare le sue parole che mi sentii spingere all'indietro sul pavimento. Sbattei forte il sedere, ma non sentii nemmeno la botta, troppo intenta a rialzarmi subito in piedi per preoccuparmi del dolore, ma un'altra spinta – questa volta molto violenta sulla spalla – mi fece stendere completamente a terra e sbattere anche la testa.

Ignorando i giramenti causati dalla botta, misi a fuoco il mio aggressore che ora si imitava a tenermi attaccata al suolo premendo con uno scarpone sulla mia spalla sinistra e puntandomi una pistola caricata a sonniferi sulla spalla libera. 
Non le diedi il tempo di premere il grilletto. 
Risvegliata improvvisamente dall'adrenalina, alzai una delle mie gambe in aria, portandola quanto più in alto possibile e assestando un calcio violento sulla schiena del mio aggressore. Poi, osservandolo vacillare in avanti e spostando il piede dalla mia spalla al pavimento per riuscire a riprendere stabilità, mi sollevai a sedere con uno scatto e lanciai un pugno bello forte sul primo punto che mi capitò sotto tiro.

Osservai la guardia rannicchiarsi su se stessa, tenendosi stretta tra i palmi il punto tra le gambe appena colpito, lasciando così cadere a terra la pistola. Senza attendere altro la afferrai e sparai un primo colpo ad una distanza fin troppo ravvicinata per sbagliare mira e agevolai l'uomo nella sua caduta a terra sferrandogli un calcio alle costole, per poi passare alla mia prossima vittima.
Mi guardai intorno velocemente per riuscire a rendermi conto della situazione in cui ci eravamo cacciati, ma non feci in tempo a contare il numero delle guardie che vidi una sagoma nera indistinta sfrecciarmi poco distante dal volto. Presa alla sprovvista o forse incoraggiata dal cuore improvvisamente saltellante in gola, seguii l'istinto e mi abbassai di scatto, schivando quello che poi compresi essere un pugno diretto alla mia mascella.

Puntai la pistola contro la guardia che aveva cercato di colpirmi, ma questa fu più veloce e usando il calcio della sua pistola, mi colpì al braccio disarmandomi velocemente. Nel tentativo di ricambiarle il favore, le saltai addosso con tutta la forza che avevo, facendola sbilanciare all'indietro e attaccandomi alla sua pistola nel tentativo di strattonargliela di mano. La guardia non demordette, riuscendo a tenere il mio peso e a rimanere in equilibrio. Decisi così di iniziare a colpirla al volto finchè mollò la presa sulla pistola, lasciandola cadere a terra di propria volontà per iniziare a colpirmi con le mani.

Se avesse tentato di mettere a segno diversi colpi con la pistola avrebbe sicuramente fallito per via della poca distanza instauratasi tra i nostri corpi, ma con mani e braccia aveva decisamente maggiori possibilità di colpirmi e staccarmi di dosso. Dopo diversi tentativi falliti o di poco successo, la guardia decise di gettarsi direttamente a terra, sfruttando il peso del suo corpo per spiaccicarmi contro il pavimento e togliermi il fiato in modo brusco. L'impatto con il suolo freddo mi tolse il fiato e non appena tentai di prendere un respiro al di sopra dell'affanno, mi accorsi di avere le manone dell'uomo sopra di me proprio sulla gola.
Le sue dita si stringevano attorno al mio collo in maniera quasi ossessiva, come se volessero spezzare le ossa al suo interno e ridurle in cenere.

Non sarei riuscita a liberarmi usando semplicemente le mie mani, ero troppo debole e con troppo poco ossigeno nei polmoni per prenderlo a pugni in faccia o per sforzarmi inutilmente in altri modi. Dovevo fare una singola mossa, solo una, ma che si fosse rivelata quella vincente. Non potevo permettermi di sbagliare o ci sarei rimasta secca. Accantonai la confusione in testa, ignorai il cuore martellante per la paura di rimanere soffocata e una volta messi a tacere i pensieri rumorosi e vibranti come corde vacillanti, tentai di pensare lucidamente.

Ben presto mi accorsi che non sarei riuscita a staccare le mani dell'uomo dalla mia gola solo tirando nel senso opposto, dato che a quel punto sarebbe stata una questione di forza, di chi spingeva di più, ed io certamente avrei perso. Compresi velocemente che l'unico modo per togliermelo di dosso era forse proprio attirarlo ancora di più a me per riuscire a scavalcarlo con le gambe e a ribaltarlo dalla parte opposta, invertendo così i ruoli. Pregando che il mio fosse un piano costruito in maniera saggia ed efficiente, e che non fosse solo il prodotto di terrore e confusione, iniziai ad agire velocemente, animata dal fuoco che sentii ardere sul volto.

Gli afferrai saldamente il polso sinistro, stringendolo forte con tutte le dita da un lato per non farmelo scappare, poi con la mano libera gli afferrai il gomito dello stesso braccio, tirandolo verso il basso in modo da avvicinarlo al mio fianco e tenerlo in maniera più sicura. L'uomo sembrò esitare per un secondo, forse confuso dalle mie mosse o dalla mia assenza apparente di autodifesa, e fu in quel momento che, sfruttando il suo attimo di distrazione, mossi le mie carte.
Sollevai la mia gamba sinistra e la posi sopra la sua senza, dopodiché, con la gamba destra ancora libera tra le sue, iniziai a spingere il mio bacino in alto con tutta la forza che mi era rimasta per ribaltare la situazione, senza mai lasciargli libero il braccio.

Trovandosi improvvisamente spinto all'insù e incapace di usare il braccio per mantenersi in equilibrio, la guardia si ritrovò in un attimo al tappeto, schiacciata al suolo dal mio peso e incapace di colpirmi per via dello stupore che quella mia mossa le aveva causato.
Ripresi il respiro in modo affannato ma mi sforzai di non tossire e di non perdere la vista sull'uomo che, oramai ripresosi dallo shock, iniziò a smuoversi da sotto di me.
Senza perdere tempo, iniziai a colpire la guardia a casaccio, prestando tutta la mia attenzione alla ricerca della pistola che l'uomo aveva lasciato cadere al suolo poco tempo prima.

Quando finalmente la trovai, non persi più tempo. Assestai un ultimo pugno al casco della guardia, facendomi male alle nocche, poi mi gettai all'avanti, liberandola dal mio peso ma riuscendo così ad afferrare l'arma. Quando lo feci, la strinsi saldamente tra i palmi e posi il dito sul grilletto, pronta a sparare. Nello stesso momento in cui mi sentii trascinare all'indietro per la caviglia, mi voltai sotto sopra, volgendo lo sguardo al soffitto e trovandoci quasi immediatamente il volto della guardia nascosto ancora dal casco. Senza attendere oltre, presi la mira e sparai il mio colpo, centrando il bersaglio di qualche dito sotto rispetto al punto che avevo preso di mira.

Complimentandomi con me stessa per la mira sempre più buona, mi rialzai velocemente in piedi, dando una veloce occhiata in giro per rendermi meglio conto della situazione. Minho e Newt erano alle prese con le guardie rimaste e mi spaventai quando nella mia mente si proiettò l'immagine di tanti tafani grossi e minacciosi con il loro pungiglione che, nel tentativo di attaccare i due poveri Radurai, avevano preso a girargli attorno. Avevamo affrontato Dolenti, creature alte il doppio di noi e addirittura Spaccati, ma nonostante tutto, il nemico peggiore e più difficile da affrontare per noi erano proprio le persone come noi. 

I Dolenti erano solo creature meccaniche create in laboratorio, senza cervello né anima; i mostri che avevamo affrontato nella Zona Bruciata erano forse quelli che si erano avvicinati di più ad avere una forma umana, ma comunque rimanevano senza volto e senza umanità, cosa che ci rendeva più semplice farli fuori; gli Spaccati dal canto loro non potevano nemmeno più definirsi persone in sé e per sé, risucchiati oramai da una malattia impossibile da debellare – o almeno così credevamo, prima di scoprire la Cura – e quindi togliere loro la vita per noi era stato non solo un atto di auto difesa, ma anche di compassione, donando loro una morte veloce e indolore per espiare le pene di tutta una vita.

Ma ora che ci ritrovavamo ad affrontare persone proprio come noi, con una mente funzionante, un volto riconoscibile, degli occhi pieni di sentimenti e di un cuore, anche se gelido, ma esistente, era difficile anche solo pensare di eliminarli dal mondo dei vivi. Le prime uccisioni, almeno per me, erano state terribili: mi sentivo sporca, macchiata perennemente dal loro sangue ormai freddo che mi scorreva lungo la pelle, macchiandomi irrimediabilmente per i miei peccati; spesso avevo incubi al riguardo, sognando che porre un fine alla loro vita fosse il solo modo per uscirne viva; altre volte invece, ripensandoci mi sentivo un mostro perchè non sapevo richiamare alla memoria i volti delle miriadi di persone che avevo ucciso con il mio arco, non conoscevo i loro nomi, non sapevo se avessero una famiglia o meno, o se quello che avevano fatto fosse stato il frutto di minacce o costrizioni.

Stavamo punendo gli scagnozzi della W.I.C.K.E.D., certo, ma non eravamo giustizieri immacolati, capaci di distinguere il buono dal malvagio, eppure ci comportavamo di conseguenza, ripagando gli orrori che avevamo vissuto per anni con altri incubi terrestri e concreti. Come potevamo anche solo pensare di condurre una vita spensierata e felice dopo tutto quello che avevamo fatto? 
"Elena attenta!" una voce storpiata da un grido acuto mi riportò alla realtà, facendomi rendere conto di essermene rimasta impalata sul mio posto per fin troppo tempo.
Due guardie accortosi della mia distrazione temporanea, avevano iniziato a corrermi incontro, tuttavia entrambe disarmate. Sparai alla prima che mi capitò sotto tiro, ma non ebbi chance con la seconda, che mi saltò nuovamente addosso, mirando alla mia gola, come il mio assaltatore precedente.

Arrivati a quel punto era chiaro che le guardie non potessero fare granché contro di noi, probabilmente obbligate dagli ordini ricevuti a contenersi e a farci meno danni possibili. Sicuramente il loro scopo era quello di farci svenire, magari per asfissia, magari premendo su qualche nervo o connessione che avrebbe reso inarrestabile la perdita di sensi.
La guardia si posizionò salda tra le mie gambe, premendo il suo corpo sul mio per tenermi ferma a terra e strozzandomi con entrambe le mani. Cercai il manico della pistola vicino al mio corpo, tastando sul pavimento, ma trovai solo il vuoto, segno che l'arma era scivolata ben distante da me.

Poi, agii d'istinto: mi aggrappai al polso dell'uomo e con il braccio libero posi la mia mano sull'incavo tra la sua spalla e il suo collo; portai una gamba sul suo inguine e spinsi riuscendo a discostarlo solo di un poco, poi con l'altra gamba circondai la sua schiena; mossi velocemente la gamba dal suo inguine a sopra la sua testa, scavalcandola e ponendo la gamba al posto della mia mano ancora posizionata tra l'incavo del collo e della spalla, riportando la mano ormai libera insieme all'altra e stringendo ancora di più sul suo polso.

Sentii la presa dell'uomo aumentare ancora di più sul mio collo, ma nonostante la mancanza di aria, non mi diedi per vinta, sollevando il bacino e metà schiena, riuscendo ad allontanarlo finalmente da me. L'uomo cadde dalla parte opposta, spinto a terra dalle mie gambe sopra il suo addome, il suo braccio ancora stretto tra di esse e tenuto ben saldo dai i miei palmi avvinghiati al suo polso. Poi, senza nemmeno comprendere come mi fosse saltata in mente quell'idea, sempre tenendo stretto il suo polso e stringendolo verso il mio petto, alzai il bacino di colpo e spinsi il suo polso ancora più verso di me. Si sentì un crack sonoro, seguito dalle urla disumane dell'uomo che, rotolandosi su sé stesso libero dalle mie grinfie, si stava tenendo con una mano il braccio spezzato a metà.

Non persi tempo e, dopo aver finalmente trovato la pistola abbandonata a terra, la afferrai e posi fine alla sua sofferenza, evitando di guardare il modo in cui avevo malridotto il suo povero braccio.
Sollevai lo sguardo appena in tempo per vedere una guardia che, china sopra Kurt, tentava in tutti i modi di farlo alzare dal suo nascondiglio per portarlo in salvo nonostante tutte le lamentele e le opposizioni dell'infermiere. Vidi la guardia afferrare il suo ricevitore e dare precise istruzioni circa la nostra posizione, richiedendo più e più volte l'intervento di un'altra squadra.
Posi fine al suo continuo blaterare nel momento stesso in cui una delle mie capsule si andò a conficcare sul suo collo, facendolo crollare a terra privo di sensi.

Corsi velocemente verso Kurt e lo aiutai a sollevarsi, guardandomi velocemente intorno per accertarmi che la situazione fosse ancora sotto controllo. Newt e Minho sembravano cavarsela piuttosto bene, ma il biondino iniziava forse a sentire la stanchezza, incassando sempre più colpi e affibbiandone sempre di meno e con meno potenza. Lo liberai della prima guardia sparando un colpo, ma per la seconda non fui così fortunata, dato che la mia pistola sembrava aver esaurito le capsule al suo interno. Non avendo un caricatore e non sapendo come altro aiutare il ragazzo, lanciai con forza l'arma, facendola atterrare con violenta sul casco apparentemente slacciato della guardia che volò in aria, permettendo così al biondino di aumentare la forza dei suoi pugni su un bersaglio scoperto.

"Non possiamo affrontare un'altra pattuglia come questa. Siamo disarmati, non dureremo tanto a..."
Un rumore proveniente dalla radiolina sul corpo della guardia priva di sensi ai miei piedi mi interruppe seduta stante. Rimasi in silenzio e mi chinai velocemente per capire cosa stesse blaterando la persona dall'altro lato della frequenza. "Due squadre sono in arrivo, mantenete la posizione. Ripeto, mantenete la posizione. Passo e chiudo."
"Oh, andiamo!" esclamai, alzandomi in piedi e allargando le braccia esasperata. "Bene, due squadre stanno per raggiungerci. Siamo spacciati." mormorai, rivolgendomi all'infermiere e guardandolo afflitta. 

"Non so dove sia il deposito delle armi, se devo essere sincero." iniziò l'uomo, grattandosi la nuca imbarazzato. "Non ci è permesso l'accesso ovunque, ma..." l'uomo si guardò attorno, analizzando i ragazzi alle prese con l'ultima guardia rimasta in gioco, anche se per poco. "Ma forse posso aiutarvi a crescere di numero."
Corrugai la fronte e lo guardai confusa. Non sapevo se stesse scherzando o se si stesse prendendo gioco di noi. Era davvero pronto a collaborare con dei fuggitivi? Per quanto lo riguardava, noi per lui eravamo solo proprietà di gran valore per la W.I.C.K.E.D. e in quanto tali non poteva permettersi di farci fuggire e farla franca in questo modo. O forse mi sbagliavo?

Forse l'uomo si era finalmente deciso a dare ascolto alla piccola vocina in fondo alla sua coscienza che gli diceva di andare contro ogni principio impartitogli dalla W.I.C.K.E.D. e ascoltare la sua morale, per una buona volta. "Sono anni che aspetto il vostro arrivo, cari ragazzi." mi confessò lui, improvvisamente commosso. "Ora che apparentemente non ho più nulla da perdere..." continuò, toccandosi il camice all'altezza del petto e stringendo un qualcosa al di sotto del tessuto, probabilmente una collana o simili. "Vi aiuterò ad uscire da qua una volta per tutte, ma non sarà semplice. Soprattutto per..."

Gli occhi dell'infermiere si posarono per un secondo su Newt e sembrò rattristarsi, poi, incanalando tutti i suoi sentimenti nello sguardo, mi perforò il petto con un'ultima frase. "Ho sempre pensato che avresti scelto Ace, alla fine, ma ora che vi vedo insieme, capisco tutto. Sei sicura di voler lasciare la W.I.C.K.E.D. e portare Newton con voi? Sai che potrebbe essere rischioso e compromettere la riuscita della cura, vero?"
Annuii, incapace di capire completamente le sue parole, ma troppo in confusione per domandargli anche solo una spiegazione. Non sapevo chi diamine fosse Ace, né come fosse correlato a me, ma dopo tutto quel casino, ero certa solo di una cosa: non avrei mai più abbandonato Newt e non gli avrei permesso di scivolarmi via dalle braccia ancora una volta. Avrei trovato un modo per farlo sopravvivere. Avrei regalato a Newt il futuro che si meritava.

 

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Capitolo 77
*** Capitolo 70. ***


Kurt annuì, ma nei suoi occhi sembrava esserci ancora della preoccupazione. "Se questa è la tua scelta, dovrai crederci fino in fondo, accada quello che accada." si raccomandò l'infermiere, lanciando un'altra occhiata verso Newt, ora intento a disarmare le guardie messe al tappeto insieme all'amico.
"Cosa intendi?" borbottai confusa. Avevo riflettuto su quella scelta per parecchio tempo, valutando i pro e i contro almeno un milione di volte, ma alla fine ero arrivata ad una conclusione e non me ne sarei staccata così facilmente.

Kurt mi guardò perplesso, poi corrugò le sopracciglia e mi rivolse un sorriso educato. "Non l'hai ancora capito?" domandò sinceramente stupito, indicando poi Newt con il mento. "Non ti sei mai chiesta perchè non ti abbia detto della sua situazione?" 
Feci per rispondere, ma l'infermiere mi anticipò, rivolgendomi anche un'altra domanda. "Quindi non vi siete mai nemmeno chiesti come mai la W.I.C.K.E.D. vi abbia permesso di ricongiungervi così tranquillamente a Newton... Wow, pensavo che voi ragazzi foste un po' più audaci di così."

Scossi la testa contrariata e sollevai le mani in avanti, facendogli cenno di fermarsi e smettere per un attimo di parlare. "Frena, frena." borbottai offesa. "Ci abbiamo riflettuto su, certo, ma non siamo mai giunti ad una conclusione. I piani della W.I.C.K.E.D. per noi sono sempre troppo complicati da prevedere."
L'uomo scosse la testa e abbassò le spalle affranto. "Mi dispiace dover frantumare il tuo mondo in questo modo, ma voglio che tu sia preparata, che lo siate tutti." spiegò lentamente l'infermiere, mettendo una mano sulla mia spalla e avvicinandomi leggermente a lui, come se stesse per svelarmi un segreto.

"La W.I.C.K.E.D. vi ha attirato qui utilizzando i bambini come esca e il motivo per cui vi ha poi permesso di ricongiungervi con Newton è perchè lei vuole che voi collaboriate per trovare una cura e, sfruttando il ragazzo, spera di darvi una motivazione abbastanza forte da poter plasmare a suo favore la vostra disposizione ad accettare." raccontò l'uomo, poi rivolgendo un'ultima occhiata intensa a Newt per accertarsi che il ragazzo fosse ancora distante da noi e che non ci stesse sentendo, aggiunse: "Credo che Newton abbia capito tutto nel momento stesso in cui lo avete fatto uscire dalla sua camera, è un ragazzo davvero intraprendente, davvero. Tuttavia, credo che vi abbia taciuto la sua condizione proprio per questo motivo: per spingervi ad andarvene dalla sede senza pensarci troppo su."

"Quindi Newt sa perfettamente della gravità della situazione, ma preferisce comunque..."
"Credimi, tesoro..." mi interruppe l'uomo, lasciandomi una carezza sul braccio. "Quello che ha vissuto in questi mesi, tra cure, aghi, procedure, test, iniezioni... Ha vissuto l'inferno quel povero ragazzo. Non vuole coinvolgere i suoi amici, anche se questo significasse mettere a rischio la sua vita. E' stanco di vivere in questo modo e lo posso capire."
Scossi la testa e mi portai una mano sul volto a nascondere la mia insicurezza improvvisa. Newt sapeva tutto, aveva sofferto in silenzio per tutto quel tempo, solo per proteggerci. 
"E la W.I.C.K.E.D. sfrutterà l'attaccamento che hai nei suoi confronti per convincerti a rimanere e poi sfrutterà te per far cambiare idea al gruppo." continuò lui, trascinandomi di qualche passo più in là lungo il corridoio.

"Usare me per far cambiare idea al gruppo?" domandai insicura. "Io non sono il Leader, quello è Minho."
Vidi Kurt abbozzare un sorriso sincero e scosse la testa. "Elena. Non ricordi perchè ti hanno dato questo nome? A chi fosse riferito?"
Aggrottai le sopracciglia, confusa in primo luogo, ma sentendo la consapevolezza nascere dentro di me come un germoglio non gradito nel mio stomaco. "Elena di Troia, colei che secondo Gorgia mosse tutti i Greci verso uno scopo comune per la prima volta. Quindi intendono usarmi per condurli tutti a scegliere di rimanere, perchè la W.I.C.K.E.D. sa che mi seguirebbero in questa decisione, se solo lo chiedessi loro."

Vidi Kurt annuire lentamente e mordersi leggermente il labbro inferiore. "E' quello che fanno. Sfruttano le vostre connessioni emotive, le vostre relazioni profonde per estrapolare ciò di cui hanno bisogno o per convincervi a fare quello che vogliono. Proprio come hanno sfruttato la connessione che Ace ha con te a loro vantaggio. E' quello che hanno sempre fatto e continueranno a fare."
Indietreggiai di un passo, sempre più confusa e terrorizzata dalle capacità della W.I.C.K.E.D. di ottenere ogni volta ciò che desiderava. E tutte quelle informazioni e rivelazioni tutte insieme erano semplicemente troppo. "Continui a parlarmi di questo Ace, ma non ho la minima idea di chi sia."

Questa volta fu Kurt a quasi balzare all'indietro, sorpreso dalla mia affermazione. L'uomo scosse la testa e ridacchiò nervoso, poi tornò serio all'improvviso e si avvicinò a me con una falcata, prendendomi per le spalle e avvicinandomi a lui, osservandomi cautamente negli occhi forse per individuare un briciolo di sarcasmo nelle mie parole, che però era inesistente. "T-Tu davvero non ricordi... Ti hanno ridato i ricordi, giusto? Frances mi aveva informato che Janson te li aveva ridati poco prima di iniziare la Fase Due. Sbaglio?"
Mi morsi il labbro e sentii una nube nera crescere attorno al mio cuore mentre pronunciava il nome della donna che si era presa cura di me per tutti quegli anni e di cui tuttavia non ricordavo quasi nulla. Purtroppo ciò che era rimasto dei miei ricordi era davvero poco e la parte in cui la mia tutrice pareva essere stata presente, ovvero la mia infanzia, sembrava essere totalmente inesistente nelle mie memorie.

"Ho avuto indietro i miei ricordi, ma quelli della prima infanzia, di quando ero ancora bambina, sembrano non essere mai esistiti." ammisi, grattandomi distrattamente una tempia e sforzandomi, per l'ennesima volta da quando mi avevano ridato i ricordi, di riportare alla luce anche solo una memoria che riguardasse i miei genitori, o la mia infanzia in generale. Ricordavo solo immagini frammentarie, suoni, a volte odori o addirittura voci, ma nulla aveva una solida connessione e mi ritrovavo con in mano dei pezzi di puzzle che probabilmente non si sarebbero mai collegati, lasciandomi più smarrita che mai.

Kurt mi lasciò andare, affranto più che mai. Scosse la testa e si lasciò cadere sulla parete dietro a lui. "I ricordi belli di tutti una vita... spariti." mormorò tra sé e sé. "Ma la connessione tra te e Ace è ancora così forte che io credevo che..."
Lo vidi prendersi il volto tra le mani, più disperato che mai. Non compresi di cosa stesse parlando l'infermiere e quell'attesa mi stava uccidendo, facendomi innervosire. "Chi è Ace? Diamine, sputa il rospo!"
L'infermiere scostò le mani dal volto e mi guardò dal basso, gli occhi pieni di malinconia per un ricordo che probabilmente non avrei mai potuto condividere insieme a lui. "Galileo, è questo il nuovo nome che gli hanno affibbiato. Rebeca, davvero non ti ricordi dell'infanzia trascorsa con lui?"

A sentirmi chiamare in quel modo rabbrividii, indietreggiando spaventata di un passo. Quindi io e Gally ci conoscevamo da prima del Labirinto e il suo vero nome era Ace?
"G-Gally?" domandai titubante. "Cosa dovrei ricordarmi di lui?"
Sentii un lamento provenire dalle labbra di Kurt, un sincero lamento oppresso, pieno di tristezza e forse anche rabbia. "Tu ed Ace siete praticamente cresciuti assieme. I suoi genitori ti hanno cresciuta insieme a lui per chissà quanti anni prima che la W.I.C.K.E.D. venisse a prendervi entrambi. Avevate una connessione fuori dal comune, vi capivate senza parlare, eravate praticamente due anime gemelle divise e ritrovatesi per via di una triste svolta del destino."

"Triste... svolta del destino?" domandai, aggrappandomi alla prima incognita che mi si palesò davanti, ancora troppo sconcertata per riuscire a rielaborare tutte le informazioni ricevute. 
"I tuoi genitori..." sospirò l'uomo, visibilmente affranto, ma incapace di stupirsi ancora delle lacune nei miei ricordi. "Li conoscevo, anche i genitori di Ace li conoscevano, eravamo amici molto stretti finchè la situazione del mondo non è degenerata all'improvviso con l'espandersi dell'Eruzione. Eravamo riusciti ad andarcene e impiantarci in un luogo sicuro e isolato prima che scoppiasse l'inferno e molti di noi non sembravano nemmeno aver contratto l'Eruzione, ma tua madre... Tua madre è... è impazzita prima del previsto. Non riusciva a sopportare che tuo padre continuasse a rimanere sano mentre lei degenerava, credeva che fosse tutta una recita per avere finalmente un motivo per allontanarla di casa e strapparti dalle sue braccia. Così una notte..."

Vidi l'uomo interrompersi all'improvviso e deglutire a fatica. "Abbiamo sentito le grida di tua madre. Aveva probabilmente tentato di uccidere tuo padre cogliendolo nel sonno, ma aveva fallito, ferendolo gravemente. Tuo padre aveva avuto la forza di combattere, di allontanarla e a chiuderla a chiave in una stanza quanto bastava per portarti via, ma quando è uscito in strada con te tra le braccia per chiedere aiuto, tua madre si è gettata dalla finestra e dopo essersi rialzata lo ha... lo ha ferito da dietro colpendolo con una scaglia di vetro e..."

"Fermo." sussurrai, sentendo le mie ginocchia tremare. "Come fai a sapere tutto questo in maniera così dettagliata? Cosa mi dice che non stai mentendo?"
Vidi Kurt abbassare lo sguardo alle scarpe, ma dopo un attimo di esitazione rispose alla mia domanda. "Lo so perchè quella notte ero sceso in veranda perchè non riuscivo a dormire. Ho sentito e visto tutto, ma ero come pietrificato e... Vedere tua madre in quel modo, vedere che era stata la pazzia a portala ad uccidere tuo padre e a tentare di portarti via da lui per salvarti da chissà quale menzogna, che mi ha spinto a lavorare con la W.I.C.K.E.D. anni dopo, per trovare una cura. All'inizio ci credevo veramente, ma quando hanno iniziato a..."

Lo bloccai nuovamente, mettendogli una mano davanti al volto e scuotendo la testa contrariata. Non volevo sentire un'altra parola sul mio passato, per lo meno non su quella parte. "Cosa centra Gal... Ace in tutto questo?" chiesi fredda, incenerendolo con lo sguardo per avermi aperto una finestra su un mondo di cui speravo di non scoprire mai più nulla.
"Mentre io ero pietrificato, io, un uomo grande e robusto, Ace è uscito correndo di casa trascinandosi dietro i suoi genitori per venirti a proteggere. Mentre i suoi cercavano di calmare tua madre, lui ti ha preso per mano e ha cercato di portarti via, ma tu non volevi muoverti, non parlavi e a dire la verità dopo quell'accaduto non hai parlato per parecchio tempo. Mi ricordo perfettamente che quella volta hai semplicemente ignorato Ace e sei tornata da tuo padre gattonando a terra come se nulla fosse, cercando di svegliarlo, ma Ace non ha lasciato perdere. Non ti ha mai lasciato perdere, lui... Anche se per tutti era una causa persa, lui continuava a provarci, ad aiutarti con tutto l'ardore che aveva."

Mi portai un palmo sulle labbra, stringendo i denti e abbassando lo sguardo, persa nei pensieri. Quindi il rapporto che era nato tra me e Gally, l'attaccamento che sentivamo l'uno per l'altra e che era nato in poco tempo e in maniera così spontanea, era il frutto del ricordo di un'infanzia vissuta assieme. Sapere che il ragazzo mi era sempre stato accanto, che era sempre stato al mio fianco senza mai chiedere nulla in cambio, proteggendomi come se ne dipendesse della sua vita, aiutandomi, tenendomi per mano nei momenti difficili... Probabilmente crescere insieme a lui, i momenti felici passati insieme da bambini, sarebbe stata l'unica cosa che avrei rimpianto di non ricordare. "Avevate solo cinque anni, eppure quando eravate insieme sembravate una coppia di adulti. Vi guardavate le spalle l'un l'altra e il modo in cui vi capivate a vicenda senza bisogno di parlare era semplicemente incredibile."

"E mia madre?" domandai trascinandomi un palmo sul volto per riprendermi. Mi sentii sprofondare e in un attimo la sensazione di claustrofobia si impossessò di me. Mi sembrò di vacillare e cadere nel vuoto. Dire che mi sentissi profondamente scossa era limitativo. 
Tutti quei dettagli, pezzi della mia vita sparsi qua e là e circondati dal grigiore della vecchiaia, tutte quelle novità su una vita che apparente avevo vissuto in ogni suo centimetro, ma che comunque non sentivo miei, erano semplicemente troppo da ingoiare come se nulla fosse.
La mia relazione con Gally, i miei genitori... Avevo dei genitori, quindi. Mi ero sempre chiesta cosa fosse successo loro, ma quando avevo riacquistato i ricordi e loro non erano stati compresi nel pacchetto, mi ero domandata se avessi veramente voluto scoprire quale triste destino li avesse spinti a lasciarmi portare via dalla W.I.C.K.E.D.

Solo ora che conoscevo la storia completa e che sapevo che non mi avessero semplicemente abbandonata, o venduta come soggetto ad un'associazione senza scrupoli, riuscivo a sentire una sorta di sollievo dentro, nonostante il mio cuore fosse in costante subbuglio. 
"Tua madre si è tolta la vita davanti ai tuoi occhi." mormorò l'uomo, la voce rotta, derubandomi di un altro battito del mio cuore. "Ha riacquistato un ultimo attimo di lucidità, ti ha vista accanto al corpo di tuo padre e ha capito. Ha capito non solo quello che aveva fatto, ma anche quello che stava diventando. Ti è venuta a salutare, sai? Ti ha lasciato una carezza, poi ha raccolto un pezzo di vetro, ti ha dato le spalle e si è tagliata la gola. Ace ti si è praticamente buttato sopra nel tentativo di non farti vedere nulla, ma era troppo tardi ormai. In un certo senso sono felice che tu non ti ricordi di quel particolare, o di quella giornata in generale."

Scossi la testa, profondamente turbata da quelle parole. Mi sentii tremare. I miei genitori erano morti per proteggermi, spinti ognuno da una motivazione diversa, mia madre dalla pazzia e mio padre dalla ragione, ma entrambi avevano cercato di proteggermi dall'inevitabile ed avevano perso la vita. E anche Gally, dal suo canto, mi aveva donato la sua, il suo tempo, solo per prendersi cura di me. Come un fratello maggiore, un amico, un angelo custode. E io non ne avevo memoria.
Anche se ora riuscivo a spiegarmi molte cose della nostra relazione, continuavo a non riuscire a mandare giù la sua presenza nella mia vita passata e a come la W.I.C.K.E.D. si fosse permessa di portarmi via la parte più bella e forse anche più dolorosa della mia infanzia. Ora capivo da dove provenisse la sua impressionante capacità di capirmi in modi che neanche Newt riusciva, o il suo modo di sapere sempre come prendermi, come tranquillizzarmi e soprattutto il modo in cui mi sentivo quando gli gironzolavo attorno: protetta, al sicuro da tutto e tutti. Non potevo fare a meno della sua presenza nella mia vita perchè ne era sempre stato una parte integrante nonostante io non ne sapessi nulla.

"Ho bisogno di trovarlo, Kurt." borbottai, le lacrime agli occhi, la voce tremolante sotto il peso dei sentimenti. "Ho bisogno di dirglielo, di ringraziarlo, di dirgli quello che significa per me. Ho bisogno di... di..."
"Lo so, Rebeca, ne sono consapevole." mi tranquillizzò lui, prendendomi una mano e racchiudendola tra le sue. "Ma non è il momento di lasciarci trasportare dai sentimenti, anche se devo ammettere che nemmeno io sto facendo un buon lavoro..." ridacchiò lui, trattenendo le lacrime e tirando su col naso. 
"Ora come ora, dobbiamo pensare e agire in maniera saggia, astuta." mi spiegò lui. Vidi il suo sguardo venire catturato dai due ragazzi a qualche metro da noi, così ne seguii la traiettoria e mi ritrovai improvvisamente ancorata agli occhi color mandorla del biondino, preoccupati come sempre. Gli sorrisi appena, desiderando solo di trovarmi tra le sue braccia in quel momento, ma mi sforzai di tornare con lo sguardo su Kurt. L'uomo aveva ragione: non potevamo permetterci di lasciarci andare alle emozioni, dovevamo essere lucidi e agire in modo intelligente.

"Pensiamo innanzitutto a fare fuori queste due squadre di guardie, poi andiamo da Violet e Gally. So dove sono, entrambi. Dopodiché cercheremo di armarvi in qualche modo e poi..." lo vidi bloccarsi. "Potrebbe non piacerti, ma dopo che avrete trovato le armi, potreste dover lasciare qua i bambini che state cercando per andare a cercare rinforzi."
Scossi la testa contrariata. "No, cosa... cosa intendi con..."
Non riuscii a terminare di formulare la domanda che la figura di Newt, seguita da quella di Minho ci si pararono accanto, interrompendo le nostre confessioni e riportandoci bruscamente alla realtà.
"Di cosa state parlando?" chiese il biondino, guardandomi in maniera preoccupata e poi incenerendo con lo sguardo l'infermiere. "Perchè sembra che potresti scoppiare a piangere da un momento all'altro?" domandò ancora, voltandosi completamente verso di me e prendendomi le mani tra le sue.

Con una leggera spinta il ragazzo mi attirò a sé e avvicinò il suo volto al mio. Mi lasciai andare a quel tocco, facendomi inondare dal suo nuovo profumo e gustandomi il suo respiro caldo sulla mia pelle. Sapevo che non avessimo tempo per continuare a parlare e che dovevamo tenerci pronti per l'arrivo delle nuove due squadre di guardie, ma rimanere ancorata a lui come se fosse l'ultima cosa al mondo che mi permettesse di non annegare nel mio mondo di pensieri, in quel momento era l'unica cosa che desideravo veramente fare.
"Stai bene, Eli?" chiese dolcemente, ponendo un palmo sulla mia guancia e depositandoci una carezza piena d'affetto. Mi lasciai andare a quel tocco, appoggiandomi al suo palmo e guardandolo terrorizzata. Dopo tutto quello che Gally aveva fatto per me, sarei stata capace di salvarlo anche quella volta? E Violet, sarei stata capace di riportare tra noi l'unica amicizia femminile che ero mai stata in grado di creare? 
E Stephen, che mi aveva sempre protetta, trattandomi come una delle sue sorelle, non avevo nemmeno la minima idea di dove fosse e non sapevo nemmeno da dove iniziare per cercarlo.

E Newt? Speravo di regalargli un futuro, una vita felice e spensierata, ma probabilmente non sarei nemmeno riuscita a farlo sopravvivere.
"Sì, sì, sto bene..." borbottai, distogliendo lo sguardo e grattandomi nervosamente la fronte. Come facevo ad incrociare il suo sguardo senza sentirmi in colpa? Quando incrociavo i suoi occhi riuscivo solo a pensare a quanto avesse sofferto tutti quei mesi da solo, a quanto fosse difficile per lui reagire, vivere con una mente che non sentiva più sua e un corpo che gli sembrava sconosciuto. Per non parlare poi del fatto che nonostante tutto quello che stava affrontando, il ragazzo aveva comunque posto noi e la nostra incolumità davanti a tutto. Ci aveva contati come priorità, mettendo da parte la sua stessa sopravvivenza.
Rimanendo costantemente sereno, tranquillo. Attaccato ai momenti di felicità e dolcezza come se fossero gli ultimi, ma senza mai perdere il sorriso e senza mai lamentarsi.
"Abbracciami e basta." sussurrai, allungando le mie braccia verso di lui e accarezzandogli la nuca con i palmi. "Ti prego."

 

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Capitolo 78
*** Capitolo 71. ***


{IMPORTANTE: Scusate se ultimamente aggiorno davvero poco, ma ho iniziato l'università e quest'anno la affronto da pendolare, quindi vivo praticamente a scuola e nel treno, con la conseguenza che ho davvero poco tempo per me stessa. Mi manca molto scrivere, quindi sto soffrendo insieme a voi, ma proprio per questo motivo avete la certezza che, anche se vado a rilento, non abbandonerò mai questa storia. Ormai manca poco alla fine :3 Siate pazienti, pls}

Prima che entrambe le squadre di guardie armate ci raggiungessero, riuscimmo ad individuare la stanza di Violet, apparentemente a pochi corridoi di distanza rispetto a dove ci trovavamo. Compresi ben presto che fino a qualche attimo prima, Thomas e Teresa non ci stessero guidando verso la stanza di Gally, piuttosto verso quella della ragazza. Sia io che i due ragazzi ci sentimmo stupidi per aver scartato subito l'indizio delle pareti rosa dei corridoi e non esserci arrivati prima, ma alla fine dei conti poco importava. Avremmo salvato entrambi in ogni caso, non interessava chi trovavamo prima e chi dopo.
Fui sollevata nel vedere che la ragazza, osservandoci titubante da dentro la sua stanza, sembrava essere in salute, senza tagli, lividi o violenze di altro tipo. La ragazza non sembrò sorpresa nel vedere Kurt aprire la sua porta con una tessera magnetica e un codice digitato sopra velocemente, anzi, si stupì piuttosto della nostra presenza dietro l'infermiere. Violet non si alzò dal suo letto, né ci corse incontro, guardandoci con un'insicurezza e una diffidenza che d'altronde comprendemmo subito.

Non appena i suoi occhi avevano incrociato quelli di Newt – che lei ancora credeva essere morto – per poi passare ai miei e a quelli di Minho, vedendoli entrambi così felici e rilassati, sicuramente doveva aver collegato la nostra presenza là ad un ulteriore esperimento con i robot, scambiandoci per automi. Ma non appena Minho si lanciò all'avanti, gettando l'infermiere di lato con non molta grazia, la ragazza sembrò improvvisamente riconoscerlo, forse grazie ai movimenti di lui che oramai conosceva bene come le sue tasche, o forse per l'espressione che il Velocista aveva stampata in faccia da quando Kurt si era fermato davanti alla porta della ragazza.
Non lo avevo mai visto così felice, imbarazzato e ansioso allo stesso tempo, prima d'ora. Sembrava un bambino a cui era appena stata offerta la possibilità di andare a vivere in un parco giochi fatto interamente di zucchero filato commestibile. Ero davvero lieta nel vedere che finalmente, nonostante il suo carattere testardo e a volte anche egocentrico, Minho fosse riuscito a trovare la sua felicità in una persona così buona di cuore.

Violet era sempre stata una buona amica per me, nonostante ci conoscessimo da poco, ma era anche un ottimo partito per il Velocista: sapeva tenergli testa come non avevo mai visto fare a nessun altro; sopportava, ma soprattutto amava, il carattere e la personalità del mio vecchio amico; sapeva prenderlo anche nei suoi momenti scorbutici e, più importante che mai, era riuscita a scoprire delle debolezze che non avevo mai visto in Minho, aiutandolo tuttavia a superarle e a fortificarsi sempre di più. Dire che i due fossero l'uno il motore che muoveva l'altro era forse riduttivo.
Chissà se anche io e Newt sembriamo così agli occhi degli altri... Pensai tra e me, lanciando un'occhiata di sbieco al ragazzo e osservandolo in ogni suo dettaglio, nel tentativo di memorizzare tutte le caratteristiche del suo volto.

Nonostante fosse in nostra compagnia da ormai parecchio, ancora non riuscivo a capacitarmi che fosse vivo: era come se il mio corpo si fosse abituato così tanto a vivere in sua assenza, che ora la sua figura di fianco a me mi era quasi estranea. Ogni volta che incrociavo il suo sguardo per sbaglio il mio cuore veniva colto di sorpresa, saltellando emozionato, realizzando più e più volte il miracolo che mi era stato donato. Quando il ragazzo mi toccava, la mia pelle prendeva fuoco, innamorata follemente del suo tocco e dannatamente persa ormai da tempo per le sue dita affusolate. Per non parlare poi della confusione che mi si attivava in testa, azzerando ogni altro rumore e pensiero al di fuori di lui, quando Newt mi rivolgeva uno dei suoi tipici sorrisi impacciati, pieni di comprensione, preoccupazione e infinita dolcezza di cui solo lui era capace.
Nulla mi avrebbe mai permesso di ringraziare il destino per averlo restituito alle mie braccia. Senza di lui, ciò che era rimasto del mio mondo era grigio e senza armonia, ma ora, con la sua presenza, sembrava quasi aver acquisito una forma e una melodia diversa.

Un suo leggero pizzicotto sulla guancia mi riportò alla realtà con un sobbalzo, causando in lui un piccolo ghigno divertito. "Mi guardavi in modo così dolce che non sono riuscito a trattenermi. Avevi uno sguardo così perso, innamorato..." sussurrò lui, accarezzandomi la spalla; poi mi indicò la coppia. "Sono felice che anche quel brutto pive abbia trovato la sua compagna per la vita."
"Già." borbottai, attaccandomi al suo braccio e appoggiando distrattamente la mia testa al suo bicipite, godendomi quel momento di tranquillità e amore, che tuttavia durò ben poco.
Questa volta non sentimmo nemmeno i rumori, accorgendoci della presenza delle guardie solo una volta che queste sbucarono dalla fine del corridoio, questa volta armati di una sorta di guanto o scudo attorno al braccio destro, che terminava con una sorta di plastica o metallo duro intorno alle nocche. Più che una corazza di protezione, mi sembrò che fosse una sorta di arma offensiva, pensata forse per permettere colui che la indossava di sferrare meno pugni, ma più decisivi.
Dando una seconda veloce occhiata, tuttavia, mi resi conto che il problema maggiore per noi non sarebbero state quelle sottospecie di guantoni da pugile, bensì il solo lanciagranate impugnato in maniera alquanto pericolosa dalla prima guardia in testa alla fila.

Sembrava quasi che la W.I.C.K.E.D. si fosse stancata di porre in primo piano la nostra incolumità e, annoiata ormai dai nostri giochetti da bambini capricciosi, aveva optato per una scelta violenta e decisiva, come d'altronde ci aveva trattato per tutti quegli anni. 
Non ci fu tempo per Violet di stupirsi della presenza di Newt, né per nessuno di noi di metterci al riparo.
Il primo colpo arrivò risuonando nell'aria. Una granata elettrica sparata direttamente al soffitto, come un tacito avvertimento a non muovere un muscolo e a collaborare.
"Lasciate andare l'infermiere e forse potremmo anche valutare l'idea di non carbonizzarvi tutti subito." spiegò con calma la guardia armata di lanciagranate. La sua voce arrivò inconfondibile alle mie orecchie, per via del timbro così fastidioso e meschino. "Signore, si muova lentamente verso..."
"Tu non muori mai, vero?" borbottai scocciata, ponendomi davanti a Newt quasi involontariamente. Quel movimento mi venne così automatico che non feci nemmeno caso a quanto potesse sembrare ridicolo agli occhi delle guardie vedere una ragazzina bassa e minuta proteggere con il suo corpo un ragazzo grande e slanciato.

"Oh, vedo che tu e il tuo principe difettoso vi siete ritrovati." sghignazzò l'uomo, abbassando per un secondo il lanciagranate per schiacciare poi un piccolo pulsante sulla cinghia che gli circondava il mento. Si sentì un click leggero, poi l'uomo tirò il casco all'insù, rivelando a tutti la sua brutta faccia. "Come va la testa, biondo? Mi riconosci o hanno giocato troppo con il tuo..."
Newt intervenne subito, irrigidendosi dietro di me, ma toccandomi delicatamente per spostarmi di lato e fare un passo in avanti. "Riconoscerei la tua faccia anche se fosse ricoperta di merda di Dolente." sputò acido lui. "Probabilmente sarebbe anche una visione migliore di quella che ci hai appena donato. Che ne dici di fare un favore a tutti e rimetterti il casco, huh?"
Dovetti trattenermi dallo scoppiare a ridergli in faccia e, data l'espressione rossa di rabbia che si incendiò sul volto di David, compresi ben presto di avere fatto la scelta giusta a rimanermene in silenzio.
"Volete continuare a giocare così per ancora molto?" abbaiò lui cercando di sembrare annoiato, ma risultando ancora visibilmente infastidito. "Quelli ai piani alti si stanno stancando delle vostre bambinate. Abbiamo cercato di prendere le cose con calma per farvi capire che restare qua è meglio per tutti, ma dato che sembrate non comprendere..."

L'uomo fece una pausa, ma proprio nel momento in cui Minho fece per aprire la bocca e rispondere a tono con uno dei suoi insulti da strafottente, la guardia si attivò all'istante per farlo tacere. "Non vi faranno mai uscire da qui, ma voi sembrate non averlo ancora compreso. Vedo che vi piace molto giocare a nascondino tra i corridoi..." sibilò, grattandosi il mento e assottigliando lo sguardo. "Sarebbe stato bello attivare una caccia all'uomo: voi come topi in trappola e noi come i liberatori di questa terribile piaga quale siete. Peccato che non ci sia più tempo per giocare."
"E' davvero un peccato." borbottò Minho da dietro, tenendo Violet per mano come se avesse il terrore di perderla di nuovo. "Sarebbe stato divertente vedere il tuo culo rugoso da vecchio correrci dietro nel tentativo di capire come usare quel lanciagranate per farci alla griglia."
Il ghigno di divertimento sparì dalle labbra di David non appena il Velocista terminò la sua frase, rimpiazzato immediatamente da un'espressione così infastidita e rabbiosa che per un attimo mi pentii di aver acceso quel battibecco.
Le mosse di David furono così rapide che nessuno ebbe il tempo per stupirsi. L'uomo alzò il lanciagranate e lo puntò dritto al petto di Minho, come a dimostrargli l'esatto opposto a quanto affermato dal Velocista. Tuttavia, l'uomo non sparò.

"Le istruzioni sono molto semplici." ci zittì l'uomo, facendo un passo avanti e brandendo il lanciagranate come se fosse un prolungamento delle sue braccia. "Ci ridate l'infermiere e fate i bravi mentre vi scortiamo ai piani alti. Penso che anche voi vogliate sapere cosa è successo al vostro amico, giusto?" borbottò l'uomo, indicando Newt col mento e causando in lui una reazione immediata.
"Loro non hanno bisogno di sentire un cacchio di nulla." si agitò il biondino, stringendo i pugni sui fianchi e tremando leggermente. Il ragazzo fece un passo avanti, ma come se il suo cervello avesse deciso in quel momento di riattivare la sua incapacità di camminare, Newt alzò la gamba, la distese all'avanti, poi la abbassò al suolo di scatto, muovendo quelli che mi sembrarono i primi passi di un robot appena uscito da un laboratorio.
Sembrava quasi che quando il ragazzo veniva distratto da emozioni forti, come paura, ansia, timidezza, senso di colpa, confusione o altro, il suo cervello non riuscisse più a concentrarsi bene sulle azioni più basilari come camminare.

"Oh e invece dobbiamo informarvi su tutto." borbottò David, trattenendo una risatina malsana. "Quindi perchè non mi seguite e basta? Magari, dato che vi siete affezionati così tanto da prendere in ostaggio il nostro infermiere qua, potrebbe darvi lui una buona motivazione per ascoltarmi e non opporre resistenza." spiegò, facendo un cenno a Kurt e invitandolo a convincerci, o, dal nostro punto di vista, a minacciarci.
L'infermiere si girò con calma verso di noi, sorridendomi in modo triste, ma mantenendo un certo senso di autorità per continuare la recita iniziata inconsciamente da David. La guardia era così convinta della nostra malvagità da non aver nemmeno preso in considerazione l'idea che fosse stato l'infermiere a prendere spontaneamente parte al nostro gruppo. 
"Ragazzi..." iniziò l'uomo, portando le mani in avanti in segno di riappacificazione. "Credo che questi uomini siano stati mandati qui con un unico ordine e se per portavi dai pezzi grossi dovranno spaccarvi dita, costole o mandibole, non credo che si tireranno indietro. La W.I.C.K.E.D. ha tentato di radunarvi con le buone, per così dire, ma il tempo stringe."

Lanciai un lungo sguardo all'infermiere per riuscire a captare un qualsiasi messaggio in codice o parola chiave che avrei potuto comprendere tra le sue parole, ma capii ben presto che il messaggio dell'uomo avesse un significato univoco. Questa volta non potevamo fuggire, attuare un piano alternativo per darcela a gambe. Non ci potevamo permettere di rischiare e mandare tutto all'aria. Magari, una volta arrivati ai piani alti e una volta ascoltata tutta la situazione di Newt, avremmo potuto fingerci d'accordo, fingere di collaborare e mettere su un teatrino quanto bastava per darcela poi a gambe nel momento giusto.
Ero sicura che però Newt non avrebbe mai e poi mai accettato che noi sapessimo della sua situazione. Ancora non era nemmeno al corrente di ciò che sapevo io, grazie alle spiegazioni esaustive di Kurt, ma ero sicura come non mai che se gli avessi detto la verità, si sarebbe lasciato trasportare nell'oblio da un'altra delle sue crisi.

Newt non voleva che venissimo a sapere del suo trapianto di cervello, del motivo della sua doppia personalità, della causa dei suoi sbalzi d'umore e delle difficoltà motorie. Se gli avessi rivelato che l'infermiere mi aveva già spifferato tutto, o quasi, senza il suo consenso, ero certa che lo avrebbe ucciso con le sue stesse mani.
Da un lato però, ero terrorizzata anche io all'idea che gli altri venissero a scoprire la verità. Minho era davvero legato al biondino e non ero poi così sicura che, se la W.I.C.K.E.D. gli avesse servito la possibilità di tenerlo in vita e al sicuro su un piatto d'argento, lui avrebbe rifiutato l'occasione. Dopotutto, proprio come me, aveva già perso il ragazzo una volta, ma in questa occasione, si trattava di scegliere noi il suo destino: rimanere dentro una gabbia o fuggire dall'orrore; vita in prigione o morte nel mondo libero. Tempo prima, quando eravamo venuti a conoscenza del fatto che Newt non fosse un Mune come noi, Minho non aveva esitato quando l'amico gli aveva espresso il suo desiderio di andarsene e abbandonare l'idea della cura. 
Ma questa volta era diverso. Avevamo già appurato che la scelta di fuggire dalla W.I.C.K.E.D. infischiandocene dei suoi tentativi disumani di porre rimedio ad un mondo in rovina, fosse la scelta più sbagliata da intraprendere. E Minho era uno che imparava dai suoi errori.

Quindi come avrei fatto a convincere tutti ad andarcene? La prima volta, quando dovevo spingere tutti nella direzione opposta, e quindi a rimanere, nessuno mi aveva dato ascolto. Cosa mi assicurava che questa volta i miei compagni mi avrebbero seguita? 
Dopotutto avrei dovuto chiedere loro di prendere parte alla rovina di una vita umana. Chi avrebbe mai accettato un carico simile?
D'altronde non riuscivo ancora a convincere completamente me stessa, già divorata dai sensi di colpa. Continuavo a ripetermi che avrei trovato un modo per farlo sopravvivere, ma nonostante tutto l'ardore e l'impegno, sapevo che lasciando la sede, avrei firmato la condanna a morte di Newt. La sua sopravvivenza era utopica e, stando alle previsioni di Kurt, se fosse durato due settimane senza cure avrebbe potuto considerarsi un miracolo vivente. E io, di miracoli, ne avevo già ricevuti troppi.
"Dovremmo andare." mormorai, riuscendo a stento a sentire le parole pronunciate da me stessa. 
"Come?" rispose Newt, la voce tremante, visibilmente ferito nell'orgoglio. "Eli, ti assicuro che quello che ti diranno non..."

Per un attimo smisi di ascoltare, presa da un panico improvviso. Cercai la mano di Newt e quando la trovai, la strinsi forte, terrorizzata all'idea di perderlo e lo guardai dritto negli occhi, pregandolo non solo di ascoltarmi, ma di comprendermi sul serio. "Qualsiasi cosa mi diranno, continuerò a rimanere al tuo fianco."
"No, no, no..." borbottò lui tra sé e sé, il fiato già corto e le goti rosse. "Tu mi vedrai in modo diverso, mi lascerai perchè sono difettoso, non mi amerai più perchè ai tuoi occhi sarò un mostro. Ti prego non andare, non seguirli..."
Presi il suo volto delicatamente tra i palmi e gli sorrisi incoraggiante, canalizzando tutto l'affetto e l'amore che provavo per lui in un solo sguardo. Non lo avrei lasciato per nulla al mondo. "Qualsiasi cosa accada, io resto al tuo fianco." 
Lo avvicinai a me quanto bastava per riuscire a depositargli un dolce bacio sulle labbra. Il ragazzo sembrò calmarsi leggermente, ma per qualche motivo sentii che quella sua pace superficiale fosse in realtà solo una maschera per non farmi preoccupare. "Ti prometto che non ti lascio più."
Lo vidi annuire debolmente e abbassare lo sguardo, forse finalmente convinto dalle mie parole, forse solamente rassegnato al peggio.

"Bene! Ora che siamo tutti d'accordo mi seguirete ai piani alti. Tutti tranne lei, signore." spiegò David, interrompendo il nostro momento di intimità con la sua voce eccessivamente allegra per l'occasione. "Per lei abbiamo l'ordine di andare a prendere il Soggetto A9 e di raggiungerci in sua compagnia. La faremo scortare da due guardie in modo da..."
Non appena Kurt interruppe David, l'uomo non sembrò prenderla bene. Se non altro, dalla faccia che aveva appena assunto, sembrava che gli avesse fatto il torto peggiore, ma Kurt continuò comunque, imperterrito come suo solito. "Con tutto il dovuto rispetto per gli ordini provenienti dai piani alti, ma non credo che il ragazzo sarà pronto. Ha appena..."
"Non sono affari miei e le consiglio vivamente di seguire gli ordini senza protestare." tagliò secca la guardia. "Ci vediamo nella Sala Nera. Voi." ordinò poi, puntando il dito contro due guardie a caso. "Andate con lui e assicuratevi che il soggetto non dia problemi. Sarà divertente vedere il modo in cui reagirà appena vedrà la ragazza." ghignò, lanciandomi uno sguardo luccicante di malvagità e disprezzo che fecero a pezzi anche le ultime tracce di sicurezza che avevo racimolato. 
Che fosse proprio lui il Soggetto A9?

 

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Capitolo 79
*** Capitolo 72. ***


Le guardie ci guidarono lungo una serie di corridoi che mi sembrò infinita, forse per l'ansia che provavo o forse per l'impazienza. Ero terrorizzata al solo pensiero di come avrebbe potuto reagire Newt, spaventata all'idea che un'altra delle sue crisi lo avrebbe risucchiato e che si sarebbe dimenticato di me. Ero sicura che non gli avrebbe fatto di certo piacere vedere tutti i suoi tentativi di tenere segreta la sua situazione venire polverizzati come cenere. 
E, per quanto riguardava me, non ero sicura di voler riascoltare tutto. I sensi di colpa ancora mi divoravano ogni volta che incrociavo il suo sguardo e persino tenerlo per mano in quel momento mi sembrava da egoisti, come se lo stessi trascinando io stessa verso l'entrata dell'inferno. Eppure non riuscivo a lasciarlo andare.

Avevo bisogno di lui più che mai prima d'ora e alla sola idea di liberarlo dalla presa delle mie dita anche solo per un secondo, potevo sentire una stretta afferrarmi lo stomaco e contorcerlo a suo piacimento. Non riuscivo a non chiedermi cosa sarebbe successo non appena avessimo davvero lasciato la W.I.C.K.E.D. e, parlando sinceramente, non me la sentivo nemmeno di immaginarmi tutti gli scenari terribili a cui Newt sarebbe potuto andare incontro. 
Sapere che la scelta di partire e lasciarci tutto alle spalle, diretti verso un destino fatale per lui, fosse stata una scelta condivisa e presa anche da me, mi faceva sentire irrimediabilmente colpevole.
Avevo già perso Newt una volta, come avrei fatto a convivere ancora con quel peso sul cuore? Mi ci erano voluti mesi per abituarmi alla sua assenza, al fatto che quel vuoto che mi divorava ogni giorno sarebbe stato per sempre. Ma alla fine ce l'avevo fatta, avevo superato la sua mancanza e grazie alla presenza di facce familiari e calore amichevole ero riuscita a rimettere a posto i pezzi della mia vita.

E proprio quando mi ero abituata al freddo sul materasso vicino a me di notte, Newt era stato riportato bruscamente nella mia vita. Non credo che sarei mai riuscita a vivere nuovamente il trauma dovuto alla sua morte e a trovare poi la forza di rialzarmi dopo qualche mese. Nemmeno dopo anni sarebbe stato uno scenario possibile vedermi girovagare per il Posto Sicuro con un sorriso cucito sul volto.
Eppure non avevamo altra scelta e, anche se potevamo pur sempre rimanere e soffrire come topi in gabbia per il resto delle nostre vite, Newt non ce l'avrebbe mai permesso.
Quando raggiungemmo la cosiddetta Stanza Nera e oltrepassammo la soglia della porta, compresi immediatamente il motivo del suo nome. Eravamo entrati in una sorta di piccolo auditorium dalla forma semi circolare, dove la parete tonda era cosparsa da tanti piccoli schermi neri, come specchi opachi incapaci di riflettere tutte le cose orribili che la W.I.C.K.E.D. aveva cercato di tenere al segreto. Una parete totalmente scura. Nera come l'anima di quell'associazione.

Al centro dell'auditorium c'era un tavolo in legno scuro fin troppo lungo per il numero delle sedie posizionate dietro. Sopra ognuna di esse era appollaiato uno dei cosiddetti "pezzi grossi". Uomini principalmente di mezza età, ad eccezione di alcuni più anziani che mi sembrarono quasi marcire nello stesso istante in cui respiravano. Ognuno di loro ci fissava, chi dietro a degli occhiali metallici, chi da dietro una cartella gialla e chi da dietro un velo di odio e indifferenza che non compresi.
Nonostante nella stanza ci fossero tante altre sedie libere, posizionate probabilmente per ospitare un eventuale pubblico, nessuno ci chiese di accomodarci e, dall'espressione di David, non sembrava che fosse un'azione che ci era permessa.
Le guardie ci raggrupparono e poi ci misero l'uno accanto all'altro esattamente davanti alla prima fila di sedie, mentre David ci puntava addosso il lanciagranate, probabilmente terrorizzato a morte da una nostra possibile ribellione. 
Una volta messi tutti in ordine come un gregge di pecore, le guardie si disposero tutte dietro gli uomini seduti al tavolo, dando le spalle alla parete semi circolare, ma pur sempre tenendo gli occhi fissi su di noi.

Solo David continuava a gironzolarci intorno come un cane in attesa del momento giusto per andare a mordere le chiappe di un postino. Brandiva quel suo fastidioso lanciagranate come se grazie ad esso avesse nelle mani tutto il potere del mondo. Quel suo atteggiamento strafottente mi fece imbestialire così tanto che a stento riuscii trattenermi dal saltargli addosso e riempirlo di pugni, soprattutto contando che l'uomo non mi aveva mai staccato gli occhi di dosso, come se mi ritenesse la minaccia maggiore in quella stanza.
Il solo pensiero mi faceva ridere. Certo, gliene avevo combinate di tutti i colori, ma ero certa che se avessimo attaccato tutti insieme, avrebbe dovuto preoccuparsi più di Minho, il quale di certo gli avrebbe affibbiato colpi più violenti di quanto avrebbe potuto fare una ragazza mingherlina.
Ignorai totalmente i suoi sguardi accusatori e mi focalizzai invece sull'uomo al centro del tavolo che si era appena alzato in piedi, gettando la sua sedia a rotelle quasi addosso alla guardia posizionata dietro.

"Vedo che sei presente anche tu, Soggetto A5." iniziò l'uomo, rivolgendo a Newt un sorriso totalmente costruito. "Se ti senti affaticato, prenditi pure la libertà di sederti."
Alle parole apparentemente cortesi dell'uomo, Newt reagì di pancia, stringendo i pugni come a volersi far male e fissandolo con un'espressione che se fosse stata fuoco non avrebbe lasciato superstiti. "Non sono un cacchio di infermo, posso usare benissimo le mie cacchio di gambe e rimanere in piedi."
"Ottimo, vedo che stai riacquistando anche la tua personalità." continuò il dottore, ignorando completamente il tono acido e arrabbiato del ragazzo. Il biondino fece per riaprire la bocca e sfornare altre parole di sfogo o magari minacce, ma l'uomo lo precedette, allargando le braccia ad indicare le persone sedute affianco a lui. 
"Ora io e i miei collaboratori qui vi spiegheremo bene come la cura abbia funzionato in modo ottimale sul vostro amico, rendendolo, in tutti i sensi, immune all'Eruzione." spiegò con calma, esprimendosi sempre con un sorriso sforzato cucito sulle labbra.

"Non hanno bisogno di conoscere nulla della cacchio di cura." si oppose il biondino, facendo un passo in avanti stringendo i pugni, ma venendo quasi subito bloccato da David, che lo spinse nuovamente all'indietro premendo sul suo petto con la canna del lanciagranate.
"Ne abbiamo già parlato, Soggetto A5... è necessario affinchè loro facciano la scelta giusta e..."
"Lo sai che ha un nome, vero?" borbottai scocciata, incanalando nel mio sguardo tutta la cattiveria che nascondevo in corpo. "Newt. Si chiama così."
"Oh, tu devi essere la famosa Elena." mi rispose l'uomo, ignorando ancora una volta l'acidità che trasudava dalle nostre parole. Era come parlare ad un muro: nessuna reazione, nessuna risposta. "Tu, più di tutti qui, dovresti essere propensa ad ascoltare ciò che ho da dire. Non ti interessa sapere come il tuo ragazzo qui ha combattuto e vinto l'Eruzione?"
Feci per aprire la bocca e rispondere, ma l'improvvisa mano di Newt sulla mia mi fece voltare di scatto. Non ebbi nemmeno il tempo di abbassare lo sguardo verso le nostra dita incrociate o a incontrare il suo sguardo, che sentii il suo fiato caldo sul collo e i suoi bisbigli affannati al mio orecchio. "Siamo ancora in tempo per andarcene, non devi ascoltare queste fandon..."

Lo spintone violento di David non solo lo fece distaccare dalla mia mano, ma lo fece anche cadere malamente sulla sedia dietro di lui. "Rimani seduto dove sei e non fare altri scherzi." lo minacciò la guardia. "Potrai anche essere un miracolo in campo medico, ma se mi farai incazzare ancora non esiterò a premere il..."
"David, per piacere." lo rimproverò un uomo sulla destra, seduto sulla sedia alla fine del tavolo. "Ciò che il mio collega stava tentando di dire è che Newt ha superato con successo il trapianto di cervello e ora sta seguendo una terapia per mantenere tutti i valori sotto controllo. Ma ha funzionato, ragazzi. Abbiamo finalmente trovato una cura."
"Frena." obbiettò Minho, aggrottando le sopracciglia e girandosi di scatto verso il biondino, ora seduto con il broncio sulla sua sedia. "Trapianto di che? Amico, di che diamine sta parlando?"
Non fu difficile notare il cambiamento in Newt. Per un attimo sembrò quasi non comprendere a pieno ciò che era appena stato detto dall'uomo sulla sua operazione, ma quando sentì Minho pronunciare quelle parole, dire che il sangue se ne fosse andato all'improvviso dalle sue vene era forse limitativo.

In quella stanza così nera e priva di colori, Newt risaltava come un puntino bianco. Era pallido e aveva uno sguardo quasi febbrile. Le sue labbra iniziarono a tremare mentre, tenendo sempre lo sguardo a terra, iniziò a scuotere la testa in modo convulso. "Io sapevo che questo sarebbe successo... Io sapevo che... Non dovete... Non ascoltate..." mormorò tra sé e sé. "Possiamo andarcene, non c'è niente da sapere. Dobbiamo... Uscire... fuggire, prima che sia troppo tardi e..."
"Newt." lo richiamai con voce ferma, ma comunque dolce. Non potevamo rischiare che il ragazzo avesse un'altra delle sue crisi e gettasse nel cestino tutti i progressi fatti fino a quel momento. "Ascoltami, tesoro." sussurrai, in modo che potesse sentirmi solo lui, e mi accovacciai al suo fianco, prendendogli la mano.
La reazione di David fu immediata e non appena sentii le sue manacce afferrarmi per le spalle e trascinarmi all'indietro, dimenai un braccio in aria nel tentativo di colpirlo, ma fallendo miseramente. Fu la voce dell'uomo che aveva parlato per primo a fermare le azioni senza cuore di David. "Lasciala fare, per l'amor del cielo."

Non appena alzai gli occhi per guardare male David, mi accorsi che una guardia esile appena dietro al dottore che aveva parlato aveva rotto le righe, muovendo un solo passo in avanti e fissandomi preoccupata. Per chi diamine mi avevano preso tutti? Per la dinamite della situazione pronta a esplodere? Non mi servivano tutti quegli occhi addosso, stavo solo confortando Newt, mica lanciando pugnali in aria tentando poi di riprenderli con la lingua. Guardai male anche la seconda guardia, ma tornai ben presto con tutta la mia attenzione su Newt. Dovevo riuscire a calmarlo e, a giudicare dal modo in cui il ragazzo aveva iniziato a dondolarsi sulla sedia, compresi che non sarebbe stata un'impresa tano semplice. 
"Ascoltami, Newt." sussurrai, prendendogli la mano e stringendola per richiamare la sua attenzione. Come se quel contatto per lui fosse stato un richiamo, il biondino alzò immediatamente lo sguardo e lo ancorò al mio, supplicandomi di farlo uscire dalla sua testa e da quel luogo una volta per tutte. "Non importa cosa ti abbiano fatto, okay? Tu sei sempre il mio Newt, il ragazzo della Radura. Il nostro Newt. Nulla cambierà mai quello che sei, okay? Nemmeno un caspio di trapianto di cervello. Tu eri e rimani una parte fondamentale dei Radurai. Rimani te stesso, d'accordo?"
Non appena conclusi il mio discorso, che mi sembrò tanto breve quanto privo di conforto, e vidi l'espressione di tristezza formarsi sul volto del ragazzo, mi sentii improvvisamente inutile. Era come se la mia capacità di parlare e produrre discorsi rassicuranti si fosse ridotta al minimo. Sapevo di poter far meglio di così, di poter trovare migliori parole di conforto, di potergli dare più appoggio, di fargli sentire di più il mio contatto e la mia vicinanza in quella terribile situazione, ma non riuscivo ad aggiungere nulla.

Ero paralizzata. 
Newt scosse la testa e si abbassò leggermente verso di me, facendo in modo che sussurrando al mio orecchio solo io sarei riuscita a sentirlo. "Il cervello che ho in testa... è quello di un altro ragazzo. Dovevo morire e invece sono sopravvissuto uccidendo un'altra persona. Io non sono il Newt della Radura, sono un assassino."
Spalancai la bocca, tanto stupita quanto spiazzata dalle sue parole. Non mi era mai capitato di domandarmi o anche solo di formulare un minimo pensiero su chi fosse il donatore. Certo, era palese che chiunque fosse stato era morto nel processo, ma non mi era mai saltato in testa che Newt potesse incolparsi per una cosa del genere. Ero sicura che non fosse stato lui ad accettare di essere sottoposto a quell'operazione, quindi perchè era inseguito da quei sensi di colpa?
"Newt, non è colpa tua." risposi, senza parole. Sbattei le palpebre più volte e scossi la testa. "Sono loro i burattinai di tutta questa storia. Magari il donatore sarebbe..."
Non feci nemmeno in tempo a terminare la mia frase che un uomo giovane, forse sulla trentina, mi interruppe, iniziando a parlare in modo tranquillo come se fosse sempre stato parte di quella conversazione intima. "Oh, sì, il donatore era affetto da distrofia muscolare di Duchenne. Di solito i pazienti affetti da questa patologia non sopravvivono oltre i vent'anni e si da il caso che il Soggetto Donatore 23 ne avesse già 17."

"Donatore... 23?" ripetè Newt, schifato, alzandosi improvvisamente in piedi e riprendendo un po' del suo colorito. "Ed erano tutti affetti da difrosia muscolare?" ringhiò, serrando la mascella.
"Distrofia, ragazzo, si chiama distro..."
"Non mi interessa un cacchio di come si chiama!" sbraitò il biondino. 
"Hanno donato la loro vita alla scienza per salvare anche alcuni dei tuoi amici, mi sembra. Dovresti essere loro riconoscente." rispose un altro membro di quello che sembrava un consiglio improvvisato di dottori. "Altri soggetti non ce l'hanno fatta, ma tu..."
"Non si chiamavano Soggetti. Cale, Alicia... è colpa della vostra incapacità se sono morti. E con la loro dipartita avete anche sprecato le vite di altri due donatori." biascicò il ragazzo, le vene sul collo ormai grosse quanto un mignolo. "E mi dite che devo essere riconoscente? Riconoscente per cosa? Una vita, una seconda possibilità che non ho mai chiesto? Huh?" sbraitò Newt, spaventandomi e ferendomi un poco. 
Una volta non comprendevo come mai il ragazzo fosse così convinto nel gettare via la possibilità di collaborare alla ricerca e all'eventuale creazione della cura, ma ora che ciò che poneva un limite alla sua vita non era l'Eruzione, bensì la cura stessa, riuscivo a capire il suo punto di vista.

Arrivata a quel punto, forse anche io avrei preferito morire a causa di una stupida malattia, piuttosto che avere una seconda possibilità e doverla rovinare e gettare via per alcuni giorni di libertà. Perdere tutti per una seconda volta sarebbe stato doloroso per lui e, continuando su questa linea di ragionamento, forse riuscivo anche a capire il motivo che lo avesse spinto a fuggire da noi per recarsi al Palazzo degli Spaccati tempo addietro: era meglio farla finita da solo, che lasciare che i tuoi amici assistano alla tua lenta e tragica fine. 
Aveva ricevuto una seconda occasione di vita, certo, ma se il prezzo era dover rimanere chiuso nella sede della W.I.C.K.E.D. per continuare le terapie, allora non poteva chiamarsi vita. Non eravamo nati per essere topi in trappola, eppure lo eravamo stati per tutta la nostra vita. 
Se Newt voleva godersi i suoi ultimi giorni insieme ai suoi amici, in un posto sicuro e lontano da dottori e da orribili operazioni, allora lo avrei appoggiato, nonostante perderlo ancora una volta mi avrebbe uccisa.

Un altro veloce movimento, proveniente sempre dalla stessa guardia che aveva rotto le righe poco prima, pronta per correre in aiuto di David nel caso in cui avessi deciso di attaccarlo, colse il mio sguardo. Per un attimo mi sembrò quasi che l'uomo mi stesse rivolgendo delle espressioni buffe, data la distorsione strana dei suoi occhi, ma riuscendo a vedere a malapena questi ultimi, scartai l'opzione. Probabilmente l'uomo mi stava solo guardando male.
Ma quando agitò nuovamente la mano, coperta da quella sottospecie di guantone da pugile, per me non ci furono più dubbi: mi stava minacciando, mostrandomi la sua arma e ricordandomi in ogni momento che, al primo passo falso, le guardie sarebbero entrate in azione.
E se avesse in qualche modo compreso il mio piano di fingere di collaborare per poi darcela a gambe? Era davvero così palese sul mio volto?
Lo spalancarsi improvviso della porta dietro di noi mi distrasse. Due figure entrarono nella stanza: Teresa varcò per prima la soglia, seguita dalla guardia che la teneva saldamente con le braccia dietro la schiena.

"Abbiamo trovato solo lei per il momento, Sergente." borbottò la guardia con il fiatone. "Il ragazzo non si trova, gli altri lo stanno ancora..."
La risposta di David fu tanto immediata quanto spietata. "Riprendete a cercarlo, allora. Il vostro lavoro non è finito." 
Il capo delle guardie raggiunse il suo burattino sulla porta e, strattonandogli la ragazza via dalle mani, gli indicò l'uscita. Prima che la stanza fosse nuovamente isolata dallo sbattere dell'uscio, una voce chiara e fin troppo alta arrivò dal corridoio esterno. "Aspetti un secondo! Stiamo arrivando!" 
Non mi ci volle molto a ricollegare il timbro di quella voce, al viso dell'interlocutore. Infatti non mi stupii quando vidi la chioma dell'infermiere spuntare dalla porta e scusarsi in modo affannato con David, che in tutta risposta lasciò la porta aperta e si fece da parte, sempre tenendo Teresa per un braccio.

"Sembra che stia bene." borbottai ai miei amici, ricevendo un mugugno di consenso da parte di Violet. Anche Minho fece per aprire la bocca e dare voce ai suoi pensieri, ma a dire la verità non scoprii mai cosa avrebbe voluto dire, né fui sicura che qualcosa fosse effettivamente uscito dalla sua bocca.
La nostra attenzione e preoccupazione nei confronti di Teresa scomparirono nel momento stesso in cui un'altra persona, scortata da due guardie, entrò nella Stanza Nera.
Con la presenza di un fantasma a cui erano stati appena sostituiti gli occhi con due buchi neri, Gally mosse qualche passo assente oltre la soglia.
Nel momento in cui la porta si chiuse dietro di lui, fu come se il ragazzo si fosse risvegliato dal suo stato di trance. 
Alzò la testa e ci guardò tutti, ma senza notarci davvero: era come se il suo sguardo ci stesse oltrepassando. Poi, quando i suoi occhi stanchi e solcati da due profonde occhiaie si fusero ai miei, il Costruttore sembrò illuminarsi.
Mi sorrise, prima spontaneamente, in maniera vivace, poi spegnendosi del tutto e sostituendo la sua espressione di gioia con una malinconica. "Ciao, Reb." mormorò. 
Le sue parole come archi tesi con frecce dirette al mio cuore. Ciao, Reb.

 

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Capitolo 80
*** Capitolo 73. ***


Gally venne scortato in silenzio verso di noi e venne posizionato al mio fianco, seguito immediatamente da Teresa che si limitò ad affiancarlo senza nemmeno guardare in faccia a nessuno. Anche Gally non disse nulla, non rispose nemmeno ai continui inviti di Kurt di sedersi sulla sedia e continuò ad ignorare l'uomo perfino quando questo gli spiegò con la dolcezza di un padre che avrebbe persino potuto permettersi di stendersi a terra se si fosse mai sentito mancare o se veniva invaso da dei giramenti di testa.

Era come se dal momento stesso in cui era entrato nella stanza avesse escluso e sfocato ogni altra cosa all'infuori di me: i suoi occhi, profondi come due miniere e pieni di parole gridate, di pensieri confusi, di ricordi e di malinconia continuavano a scavare nei miei disperati, alla ricerca di una risposta da parte mia. Il suo sguardo per me era sempre stato una mappa indecifrabile, piena di troppi sentimenti e pensieri tenuti così avidamente sotto l'ombra da poter essere compresi, ma in quel momento avevo quasi la sensazione di star leggendo un libro in una lingua che mi sembrava così familiare e che tuttavia avevo dimenticato da tempo.

Il dottore seduto al centro del tavolo continuò a parlare, ma fu come se ogni sua parola fosse stata risucchiata dalla parete di schermi neri dietro di lui, poichè al mio orecchio non arrivò assolutamente nulla. L'unica cosa che la mia mente continuava a ripetere sempre di più erano le due parole mimate dalle labbra di Gally non appena il ragazzo aveva incrociato il mio sguardo. 
Ciao, Reb. Lo sentii sussurrare ancora nel mio cervello.
"Sono felice di vedere che stai bene." mi bisbigliò il ragazzo, sorridendomi in modo strano, quasi malinconico. Il modo in cui mi guardava, in cui mi parlava... era come se avesse davanti a sé un'altra persona. Nel suo atteggiamento nei miei confronti non c'erano più la timidezza o la strafottenza di cui una volta era carico. Era quasi come se...

"Mi hanno portato a vederti, sai? Mi hanno detto che avevi bisogno di sangue... sono felice di essere servito a qualcosa." continuò il ragazzo, questa volta voltandosi verso il dottore che nel frattempo aveva continuato a parlare indisturbato.
Aggrottai le sopracciglia, tanto scossa da quello che il ragazzo aveva detto quanto confusa. Trasfusioni di sangue? Kurt mi aveva curata con quella specie di sostanza miracolosa, o almeno così credevo. Pensavo che fosse stato quello a rimettermi in sesto, ma a quanto pareva era stato anche Gally a donarmi il suo sangue. 
Non sapevo che fossimo compatibili. Pensai tra me e me. 
"Devo dirti tante cose..." sussurrai, tornando con lo sguardo sul dottore ancora intento a parlare, ma ponendo tutta la mia attenzione su Gally. Dovevo cercare di dirgli quanto più possibile.

"Anche io, Re..." il ragazzo si bloccò di colpo, scuotendo la testa e poi riprendendo come se nulla fosse. Non riuscii a fare a meno di voltarmi di scatto verso di lui, fissandolo impietrita nel sentirlo pronunciare ancora una volta quel nome. Che sapesse tutto? "Eli, ho... Ho scoperto tanto su..."
"Voi due!" gridò David, avvicinandosi a noi in due falcate e puntando la canna del lanciagranate sotto il mento del Costruttore. "Una sola parola e vi separo."
Trangugiai l'odio provato nei confronti della guardia e abbassai lo sguardo incapace di sostenere il peso di quelle poche parole che mi ero scambiata col ragazzo. Il battito del mio cuore aveva iniziato a farsi sempre più debole come se gli mancasse qualcosa per andare avanti. Perchè mi sentivo come se avessi appena perso un qualcosa che in realtà non avevo mai avuto?
Avevo aspettato così tanto per rivederlo e dirgli tutto quello che mi sentivo dentro e ora non riuscivo a trovare le parole, ancora incastrate insieme ai sentimenti nel mio stomaco.

Sentii Minho intervenire, chiedere qualcosa in modo scocciato, ma non riuscii a focalizzarmi sulla sua voce, troppo risucchiata dai miei pensieri e dai vortici neri nella mia testa per comprendere le sue parole.
Dovevo dirgli qualcosa. Ringraziarlo per ciò che aveva fatto per me quando eravamo piccoli, anche se non ne avevo memoria, per dirgli che riconoscevo il fatto che non mi avesse mai abbandonata, nemmeno quando eravamo cresciuti ed eravamo stati separati per entrare nel Labirinto. Volevo chiedergli come stesse, il motivo delle sue occhiaie sotto gli occhi e del suo umore sotto le scarpe. Volevo sapere cosa gli avessero fatto in quel lasso di tempo che era stato separato da noi, volevo capire come mai all'improvviso avesse iniziato a chiamarmi col mio vero nome. Avrei voluto aprire la bocca e bombardarlo di frasi e dubbi, ma riuscivo a malapena a obbligarmi a respirare con calma, troppo confusa per poter fare altro.

"Quindi oltre all'Eruzione avete anche curato i danni creati dal proiettile di Thomas?" domandò Minho, cogliendo la mia totale attenzione. Questa volta fu un giovane dottore a rispondere, ponendosi addosso il ghigno più fastidioso che avessi mai visto, come se quella ricevuta fosse stata la domanda più stupida che gli avessero mai posto. "Pensavamo tutti che a questo punto ci sareste arrivati da soli." mormorò deluso. "Be', Thomas ha visto quello che volevamo fargli vedere. Credo che oramai siate familiari ai soggetti D, giusto? Thomas ha solo usato una pistola speciale su un robot." 
La spiegazione rilasciata frettolosamente da Janson dopo aver finito il mio terzo stadio di prove e aver ucciso la copia di Zart, mi tornarono in mente. Non feci nemmeno a ripercorrere ciò che mi ricordavo di quelle informazioni, che realizzai di avere altro a cui pensare al momento. Come avrebbe reagito Newt? 

Lanciai uno sguardo al biondino, ancora accasciato sulla sedia, ora improvvisamente bianco. "Q-Q-Quindi..." lo vidi lanciarmi uno sguardo confuso, quasi ferito. "E' per questo che mi credevate tutti morto? E' questo il motivo per cui non siete mai venuti a cercarmi?"
Sentii una freccia colpirmi diretta al cuore. Quindi Newt aveva davvero sperato che un giorno saremmo finalmente arrivati a salvarlo. Chissà quanti mesi aveva passato, sveglio la notte, a chiedersi se lo avevamo davvero abbandonato o se un giorno saremmo tornati. 
"Io pensavo di averti perso. Tutti lo pensavamo." mormorai. Feci per aggiungere altro, per scusarmi con lui per averlo nuovamente lasciato solo, ma il dottore non me ne diede il tempo.

"Lo abbiamo salvato dall'Eruzione, certo, ma dovete capire che senza la terapia antirigetto, senza gli immunosoppressori, senza le sue sedute di fisioterapia e dalla psicologa non sarà..."
"Smettila!" gli gridò contro Newt, tornando improvvisamente scontroso e alzandosi di scatto dalla sedia, puntando il dito contro il dottore che aveva parlando, facendolo sbiancare immediatamente. "Perché dovrei bermi le vostre cavolate? Alla fine sapete tutti fin troppo bene che finirò come gli altri! E quando arriverà quel momento cosa farete, huh? Farò la fine di Alicia? O di Cale? Mi farete sparire all'improvviso, da ogni documento, dalla mente di tutti, come se non fossi mai esistito? Come avete fatto con loro?"

Aggrottai le sopracciglia confusa. Newt aveva già menzionato quei due nomi, ma ancora non riuscivo a ricollegarli a delle facce conosciute.
A meno che il ragazzo non stesse nuovamente confondendo i suoi ricordi con quelli del suo donatore, era probabile che avesse fatto amicizia all'interno dalla struttura. Dopotutto Kurt mi aveva accennato al fatto che ci fossero state altri soggetti ad essere stati sottoposti alla cura proprio come Newt, quindi era alquanto probabile che avessero legato tra loro.
"Reb." sentii Gally sussurrare di nuovo. Nonostante fossi più che curiosa di sentire la risposta alla domanda appena posta da Newt, non riuscii a fare a meno di dare nuovamente la mia attenzione a Gally. Questa volta cercai di non dare nell'occhio, voltandomi leggermente verso il dottore che nel frattempo aveva ripreso a parlare, fingendo di essere interessata nel sentire la sua risposta. 

Gally rimase in silenzio per poco, poi riprese a bisbigliare, stando ben attento a smettere di parlare non appena David ci passava accanto. "Non possiamo rimanere qui, lo sai vero?"
"Lo so, ma..." mi interruppi, non sapendo nemmeno io perché stessi nuovamente esitando su quella scelta. Andarsene da quel luogo era la cosa giusta da fare, eppure, ogni volta, mi sembrava di tornare sui miei passi, di commettere sempre gli stessi caspio di errori.
Mi sembrava di tornare a quando Janson ci aveva dato la notizia della non-immunità di Newt e di quando avevamo comunque scelto di fuggire e di dirigerci verso Denver. Mi sembrava di essere nuovamente catapultata a quel giorno sulla Berga, quando ero stata costretta a lasciare da solo il biondino per entrare in città e poi, di nuovo, al Palazzo degli Spaccati, quando avevo voltato le spalle al ragazzo per l'ultima volta e l'avevo lasciato andare.

Mi ero pentita di ognuna di quelle scelte, nel corso del tempo, ed ora non sapevo più cosa fosse giusto e sbagliato. Ora, proprio come una volta, avevo sulle spalle la vita di una persona a me cara. Anche se fuggire fosse stata la scelta giusta, come avrei fatto a convivere con il senso di colpa e il senso di inutilità nel vederlo morire dopo appena qualche settimana?
"Troveremo un modo, potremmo..." Gally si interruppe, vedendo David passare davanti a noi col lanciagranate saldo in mano, gettandoci addosso un'occhiata del tutto minacciosa. "Potremmo prendere qualche macchinario per sottoporlo a dei controlli." continuò non appena la guardia girò i tacchi dalla parte opposta e riprese il suo giro da sentinella. "Potremmo prendere questi immunosoppressori e..."

"E i bambini? Li lasciamo qua mentre derubiamo la W.I.C.K.E.D. dei suoi materiali?" risposi scocciata, scuotendola testa. Apprezzavo i tentativi di Gally di tranquillizzarmi e di darmi una visione diversa di come sarebbero potuti andare gli avvenimenti, ma al momento ogni idea mi sembrava così stupida e inutile da farmi sentire più frustrata del normale. Vidi il ragazzo deglutire in silenzio, forse offeso da quella mia risposta acida e all'improvviso mi tornò in mente la nostra litigata di qualche giorno prima.

Col passar del tempo avevo imparato anche a comprendere il suo punto di vista, almeno per quella storia, ma ora che sapevo del nostro passato condiviso e di tutto quello che avevamo vissuto assieme senza esserne consapevoli, la cosa mi faceva ancora più male.
Gally aveva solo cercato di fare la cosa giusta, di farmi rendere conto che mi stavo appoggiando troppo agli altri, che stavo perdendo la mia capacità di tirarmi in piedi da sola, di difendermi con le mie forse. Aveva tentato di farmi riacquistare il mio scudo e, anche se era da riconoscere che lo aveva fatto con le parole e con i metodi sbagliati, il suo intento era comunque nobile.
Eppure al momento l'avevo vissuta come una pugnalata alle spalle, come un tradimento dalla persona di cui mi fidavo di più e solo ora mi rendevo conto di quanto fosse stato stupido da parte mia tenergli il broncio. 

E poi mi tornarono in mente anche le sue parole durante il litigio, il suo accusarmi di tenermi tutto dentro, di non parlargli troppo di me, di non aver condiviso con lui i ricordi che avevo riacquistato... Forse anche lui col passare del tempo aveva capito di aver sbagliato o, per lo meno, di aver affermato un qualcosa di totalmente falso: certo, ero una persona riservata e lo riconoscevo, ma Gally era sempre stato capace di leggermi dentro, anticipandomi così nelle mie confessioni. Non avevo mai sentito il bisogno di esprimermi con lui, di sedermi e parlargli di quello che provavo o dei pensieri che mi assillavano la testa: per lui ero sempre stata un libro aperto e non ne avevo mai capito il perché.

Solo dopo la rivelazione di Kurt ero riuscita a collegare i pezzi e forse, in qualche modo, c'era riuscito anche Gally. "Perché mi chiami Rebeca?" sussurrai, guardandolo con la coda dell'occhio, curiosa di una sua reazione.
Lo vidi alzare un angolo della bocca, ma rimanere immobile e silenzioso. Attese che David ci passasse nuovamente davanti, per poi riprendere. "Forse non è questo il momento per dirlo, ma..." 
La voce appena bisbigliata del ragazzo venne bruscamente interrotta dall'urlo di monito acuto proveniente da una delle guardie. Mi voltai di scatto verso l'uomo che aveva appena sbraitato, saltando quasi all'indietro per l'improvviso suono inaspettato, facendo appena in tempo a notare il suo dito puntato verso la nostra estremità della fila. Mi girai verso Gally in cerca di spiegazioni: stavamo solo bisbigliando tra di noi, come aveva fatto una guardia dall'altro lato della stanza a beccarci? Tuttavia, non appena incrociai lo sguardo del ragazzo, lo vidi già rivolto verso Teresa. La ragazza, nonostante avesse lo sguardo rilassato e un leggero sorriso depositato sulle labbra, teneva in mano un oggetto metallico dalla forma cilindrica, mentre con il pollice teneva premuto quello che mi sembrò un grosso pulsante rosso sulla cima dello strano aggeggio.

La ragazza non disse nulla, si limitò a strizzare gli occhi, come se si stesse concentrando, poi lanciò l'oggetto metallico in aria, diretto agli uomini seduti nel tavolo semicircolare. L'oggetto esplose all'improvviso, forse attivato dall'assenza di pressione sul pulsante rosso, e del fumo grigio e spesso iniziò a diffondersi per la stanza. Vidi David, ormai all'estremità della stanza opposta a noi, correre nella nostra direzione per fermare la ragazza che, dopo aver riaperto gli occhi all'improvviso, aveva cavato dal suo reggiseno una seconda bomba fumogena. Non esitò ad attivarla e, non appena anche questa venne lanciata in aria, diffondendo sempre più fumo, mi fu impossibile riuscire a vedere nuovamente la sua sagoma.

Nel giro di pochi secondi persi anche la vista su Gally e, se non l'avessi avuto vicino a me in quel momento, mi sarei anche convinta di essermi persa in mezzo a tutto quel trambusto.
Si sentirono diversi schiamazzi, grida, rumore di passi, ordini impartiti a casaccio e la prima cosa che mi venne da fare fu allungare le mani verso dove poco prima era situato Newt.
Trovai la sua mano – o quella che sperai fosse la sua – e lo chiamai urlando, nel tentativo di sovrastare tutto quel chiasso improvviso. Gli dissi di tapparsi naso e bocca e fui quasi sul punto di fare lo stesso, quando una mano mi afferrò il polso, tirandomi leggermente all'indietro.

"Rebeca?" sentii la voce di Gally riempirmi i timpani, sovrastando ogni altro suono, e per un attimo fui felice nel sentirlo chiamarmi in quel modo. "Teresa ha detto che non è tossico! E' solo nebbia artificiale!" 
Feci per rispondergli o, per lo meno, di comunicare la stessa cosa a Newt, ma non ne ebbi il tempo. Venni trascinata dal ragazzo verso chissà dove e, di conseguenza, portai Newt con me. "Gli altri!" gridai al Costruttore. "Non possiamo andarcene senza gli altri!" 
Sentii Newt parlarmi, ma non riuscii a capire cosa stesse cercando di dirmi, poiché una granata elettrica lanciata all'improvviso – probabilmente da David – andò a finire contro la parete cosparsa da schermi neri della stanza, infrangendosi in mille scintille e causando un brutto rumoraccio di vetri infranti.
Gally continuò a portarmi con lui, come se non avesse nemmeno sentito il mio richiamo e, incapace di fare altro, continuai a seguirlo. Dovevamo trovare la porta e uscire nel corridoio, solo allora avremmo potuto constatare in quanti eravamo ed eventualmente tornare indietro a prendere gli altri.

"Minho!" mi gridò Newt da dietro. "Non sono riuscito a prendere Minho!" continuò il ragazzo, la voce attanagliata dal panico.
"Fidatevi di me!" una voce femminile arrivò ovattata alle mie orecchie, ma compresi subito a chi appartenesse. Teresa non parlo più, ma dopo quella sua affermazione capii ben presto che avesse un piano in mente e, conoscendola, doveva di sicuro essere un ottimo piano.
In poco tempo ci ritrovammo catapultati al di fuori della Stanza Nera, nel corridoio che fino a pochi attimi prima mi sembrava tanto lontano quanto irraggiungibile in quella nebbia.
Feci appena in tempo a vedere Teresa correre verso la porta dalla quale eravamo appena usciti, lanciare una terza e ultima granata, per poi chiudere la porta di scatto.
"Cosa cacchio..." brontolò Newt, la faccia contratta in un'espressione tanto confusa quanto arrabbiata. "Minho e... e..."
"Violet." gli suggerii, accorgendomi solo in quel momento di avere il fiatone. Strinsi più forte la mano del biondino. 
"Sì, lo sapevo." rispose, ignorandomi e facendo una falcata all'avanti. "Minho e Violet sono ancora là dentro! Perché cacchio hai lanciato un altro di quegli aggeggi?"

Solo quando realizzai che Newt fosse ormai distante da me, mi resi conto che la mano che stavo stringendo con così tanta avidità fosse quella di Gally. "S-Scusa." borbottai, scegliendo il peggior momento per diventare timida e imbarazzata. 
Nonostante Newt stesse continuando a gettare su Teresa una domanda dopo l'altra, legata anche a qualche insulto o imprecazione, la ragazza continuava a tenere gli occhi serrati e la mano pronta sulla maniglia, come se stesse contando nella mente quanti secondi stessero passando. 
Poi, come se il tempo fosse improvvisamente scaduto, Teresa allungò il braccio verso Newt e con un movimento veloce lo fece spostare di lato e aprì la porta di scatto. Come se la ragazza avesse preso le giuste misure, non appena la porta venne spalancata, tre figure si gettarono nel corridoio.
Saltai nuovamente all'indietro, colta alla sprovvista, aspettandomi che quelle figure appartenessero a delle guardie. Ciò che invece non mi sarei mai aspettata era invece di ritrovarmi Thomas davanti: il ragazzo, con il volto ricoperto parzialmente da degli strani occhiali neri che gli circondavano addirittura metà naso e la parte dietro della nuca, aveva portato insieme a sé sia Minho che Violet.

Questi ultimi si stavano guardando intorno terrorizzati e confusi, chiedendosi forse come avessero fatto ad uscire sani e salvi da lì dentro. Le uniche domande che invece continuavano a formularsi di continuo nella mia testa erano sia come diamine avesse fatto Thomas a tele trasportarsi dentro la stanza, quando fino a qualche momento prima la guardia che aveva scortato Teresa l'aveva quasi dato per disperso, sia come diamine aveva fatto la ragazza a calcolare l'esatto momento in cui Thomas avrebbe varcato la porta tenendo per mano gli altri due.
Sbattei le palpebre più volte, ma non ci fu il tempo per inondarli con le mie domande. 
"Seguitemi!" ci ordinò Thomas, togliendosi di dosso quegli occhiali ingombranti e lasciandoli cadere a terra. 
Tutti presero a seguirlo come se fosse appena successa la cosa più naturale del mondo, mentre io rimasi inchiodata sul mio posto, incapace anche solo di muovere un muscolo.
Feci passare lo sguardo su ogni persona del gruppo e all'improvviso una realizzazione mi attanagliò lo stomaco. Mancava solo Stephen.

"Stephen!" gridai a voce alta, fregandomene del fatto che avessero tutti preso a correre e che io fossi l'unica rimasta indietro. 
Fu Thomas a fermarsi di colpo, voltandosi e fissandomi come se avessi appena urlato il nome di Janson. "Io e Teresa abbiamo osservato le telecamere per ore. Non lo abbiamo mai notato, deve aver trovato il modo per uscire da qui."
"Cosa?" borbottai stupefatta. Steph non se ne sarebbe mai andato senza di noi. Non mi avrebbe mai lasciata da sola e di certo non se ne sarebbe scappato senza prima recuperare Hailie.
Vidi Gally minimizzare la distanza che ci separava in un paio di falcate. La sua espressione stanca e malinconica se n'era andata del tutto, rimpiazzata da una carica di adrenalina, ma anche di paura. Il ragazzo mi prese per il polso e iniziò a trascinarmi all'avanti, continuando a ripetermi che ce ne dovevamo andare e che lo avremmo cercato nel tragitto.

Li seguii di malavoglia, continuando ad oppormi, ma comprendevo anche io che prima fossimo riusciti ad allontanarci dal covo di guardie e dottori da cui eravamo appena fuggiti, meglio sarebbe stato per noi.
Solo quando Gally ebbe il coraggio di lasciarmi il polso, certo che li avrei seguiti, per affiancarsi a Thomas e bombardarlo di domande, Newt si avvicinò a me. "Lo cercheremo, okay?" mi rassicurò il biondino, prendendomi per mano e chiedendomi tacitamente di correre al suo fianco. Annuii fingendomi sicura, ma dentro di me un'ondata di pessimismo e orribili pensieri iniziò a tormentarmi.
Avevo una pessima sensazione. Me lo sentivo, stava per succedere qualcosa di grosso.

 

 

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Capitolo 81
*** Capitolo 74. ***


"Scusatemi se ci ho messo tanto ad arrivare, ragazzi." mormorò Thomas, continuando a condurci a passo svelto di corridoio in corridoio, muovendosi veloce e preciso. "Ho una bella e una brutta notizia per voi..." annunciò in seguito, ricevendo sguardi curiosi e impazienti da tutti noi. "Quella bella è che ho trovato il magazzino delle armi e che, con parecchia fortuna, forse troveremo anche quelle che ci sono state sequestrate."
"E la brutta?" insistette subito Minho, incapace di contenere la sua curiosità. "Parla, diamine."
Thomas abbozzò un sorrisetto malinconico, come se quel commento lo avesse riportato ai vecchi tempi della Radura, ma ben presto la sua espressione mutò in preoccupazione. "Quella brutta è che da quando me ne sono andato, non c'è più nessuno nella sala controlli, quindi i muri di vetro sono ancora attivi e sotto il loro dominio." 

Mi morsi il labbro e quasi automaticamente strinsi più forte la mano di Newt. Il giochetto dei muri divisori ci aveva fregato la prima volta, dividendoci in piccoli gruppetti e rendendoci perciò vulnerabili, ma questa volta non avrebbe attaccato con noi. Eravamo più furbi, scaltri. Sapevamo a cosa stessimo andando incontro. L'unica preoccupazione che continuava davvero ad assillarmi ad ogni respiro, però, era l'idea che Stephen fosse stato scoperto e che fosse tenuto in ostaggio da qualche parte. Se l'avessero isolato con le pareti, per noi sarebbe stato impossibile ritrovarlo. Per non parlare poi del fatto che non avevamo tutto il tempo di percorrere ogni angolo della W.I.C.K.E.D. per scovarlo.
"Quindi Jorge e Brenda ora sono allo scoperto?" chiese Newt, aumentando il passo e tirandomi dietro lui. 

Vidi Thomas bloccarsi per un attimo, colto di sorpresa dalla voce del biondino. Fu in quel momento che realizzai che quello fosse il primo incontro per entrambi. La camminata di Thomas rallentò passo dopo passo, poi, dopo qualche istante si fermò, girandosi timido verso Newt, ma senza mai guardarlo negli occhi. "A proposito..." borbottò imbarazzato. "M-Mi fa piacere vedere che... ecco..." 
Newt fece per aprire bocca, ma Thomas lo precedette. "Volevo scusarmi per quello che è successo nella Zona Bruciata." buttò poi fuori tutto d'un tratto. Il ragazzo alzò tentennante lo sguardo verso l'amico ed ebbe questa volta il coraggio di ancorare il suo sguardo al suo. "Non so cosa mi sia preso... Avrei dovuto... Avrei... Avrei dovuto trovare la forza di oppormi. In primo luogo mi sarei dovuto sacrificare per permettere loro di trovare una cura, come mi avevano chiesto."

Minho intervenne, animato improvvisamente dalle parole del ragazzo. "Thomas non credo che..."
"No, fammi finire." ordinò il ragazzo, tingendosi di rosso e facendo qualche passo in avanti. Lasciai la mano di Newt, permettendo al ragazzo di avvicinarsi anche lui all'amico. "Non avevo il diritto di fare quello che ho fatto, anche se sei stato tu a chiedermi di ucciderti, io... io... Non avrei mai dovuto premere quel grilletto, mi dispiace." continuò con voce tremante. Era palese che il ragazzo stesse affogando nel suo stesso dolore, trattenendo a stento le lacrime e, per un attimo, mi sentii spiazzata. Non avevo mai pensato a come avrebbe potuto reagire Thomas all'improvvisa ricomparsa di Newt.
Quando il biondino aprì finalmente la bocca per parlare, sentii il mio cuore tremare. "Thomas... I-Io... Non so cosa tu abbia visto di fronte a te nella Zona Bruciata, ma... Non ero io, era un robot, una creazione della W.I.C.K.E.D. Qualsiasi cosa sia successa, io non ne ho mai subito gli effetti." 

Thomas rimase a bocca aperta, gli occhi spalancati che sottolineavano ancora di più le due brutte occhiaie scure al di sotto di essi. Le sue labbra tremarono e nei suoi occhi per un attimo si diffuse una realizzazione che lo fece quasi sorridere, ma poi Newt parlò di nuovo, in modo schietto, e l'espressione di Thomas cambiò immanente, come se avesse ricevuto uno schiaffo in pieno volto. "E, dato che sono in vena di confessioni, credo di doverti dire che non mi ricordo molto di te, amico." rivelò il biondino con timidezza. "Quando hanno... Ecco, quando hanno provato la Cura su di me io... io... Ho perso la maggior parte dei miei ricordi, ecco. E' una storia lunga e forse questo non è il momento migliore per raccontarla, ma..."
Fu il pallore sul viso di Thomas a bloccare la parlantina imbarazzata di Newt che, accortosi della reazione dell'amico, si affrettò a porre rimedio alla situazione. "Ma ciò non significa che io mi sia dimenticato tutto. M-Mi ricordo di quando sei salito per la Scatola e... e... di quando ci hai fatti uscire dal Labirinto e..." il biondino si bloccò di nuovo, a corto di idee. "Mi ricordo che fossimo molto legati, quindi sono abbastanza positivo che ricreeremo ben presto quest'amicizia, dico bene, Fagio?"

Thomas chiuse la bocca, ancora scioccato per quella rivelazione, incapace di dire nulla eppure con un sacco di domande stampate in faccia. "Forse... forse dovremmo parlarne in un altro momento." si limitò a rispondere, abbassando nuovamente lo sguardo e asciugandosi il sudore sopra il labbro con il dorso della mano. Il ragazzo si grattò la testa e poi si voltò verso Teresa che, con uno sguardo dolce, si limitò a sorridergli timidamente. "C-Cosa... Non mi ricordo di cosa stavo parlando."
La ragazza gli prese la mano delicatamente, poi ci suggerì di riprendere a camminare e da quel momento fu lei a continuare con le spiegazioni, trascinandosi dietro Thomas che, come un corpo senza anima, si limitò a seguirla tenendo sempre lo sguardo fisso sulle sue scarpe.
"Ho sentito delle guardie dire che era stato ordinato loro di catturare Jorge e Brenda il prima possibile. Devono aver capito che sono la nostra unica occasione di fuga." spiegò distrattamente la ragazza, forse nel tentativo di far concentrare ognuno di noi su altre tematiche in modo da lasciare a Thomas e Newt lo spazio e il tempo di riflettere su cosa fosse appena successo senza venire invasi da sguardi curiosi e preoccupati.

Avrei voluto andare a parlare con Thomas, a dirgli che nulla fosse perduto, ma non riuscivo nemmeno a mentire a me stessa, figuriamoci ad un amico. Non c'era tempo per Thomas e Newt di recuperare quell'amicizia così profonda che avevano coltivato in tutto quel tempo: una volta usciti dalla sede della W.I.C.K.E.D., Newt non sarebbe riuscito a sopravvivere a lungo. Per quanto il mio cuore si incrinasse ogni volta che il solo pensiero del suo destino mi sfiorava la mente, ancora non ero riuscita a trovare una soluzione. Perdere Newt una seconda volta ci avrebbe distrutti, uno dopo l'altro. Forse, dopotutto, sarebbe stato meglio continuare a crederlo morto con la consapevolezza che non avessimo comunque potuto fare niente per salvarlo.
Eppure non comprendevo come mai mi fosse stata data una seconda occasione. Cosa avrei mai potuto fare per salvarlo questa volta? Perché era palese che chiunque avesse deciso di restituirmi Newt, avrebbe voluto che lo salvassi, questa volta.

Vidi il ragazzo in questione avvicinarsi a me trascinando i piedi a terra e guardandomi di sottecchi. Sollevai lo sguardo e ricambiai il sorriso timido che si era formato sul suo volto, poi, accogliendo con sollievo la sua mano tra le mie dita, decisi di togliermi dalla testa quei brutti pensieri e focalizzarmi sul presente. Riflettei su parecchio, analizzando prima di tutto i nostri punti forti e quelli che invece avrebbero portato alla nostra distruzione. Per tutto il tempo in cui ci eravamo impegnati a distruggere la W.I.C.K.E.D., ci eravamo sempre concentrati sullo scovare uno dei suoi punti deboli, trovandone sempre pochi e permettendo all'associazione di rimanere sempre un passo avanti a noi. Non avevamo mai pensato di valutare noi stessi, adeguandoci ad un piano che ci avrebbe permesso di porre una toppa anche sulle cose che non andavano, rendendoci efficaci e indistruttibili.
"A questo punto mi sembra possibile un solo piano d'attacco." mormorai a bassa voce, pensando tra me e me, persa nella foschia venutasi a creare nella mia testa.

Vidi Gally voltarsi verso di me e lanciarmi un'occhiata dubbiosa. Ricambiai lo sguardo preoccupato, ma non mi lasciai trasportare dalle emozioni che mi si scatenavano nel petto ogni volta che incrociavo il suo sguardo. Certo, avevo molto da dirgli, almeno un milione di domande da gettargli addosso e come minimo un abbraccio stritolante da regalargli, ma non era quello il momento per sedersi e discutere dei bei vecchi tempi.
Una volta usciti da quella situazione ci saremmo potuti raccontare di tutto, non c'era fretta.
"Abbiamo tre punti deboli al momento: i bambini che la W.I.C.K.E.D. potrebbe usare come ostaggi per convincerci a rimanere qua; Jorge e Brenda scoperti, e senza di loro possiamo dire addio al passaggio in Berga, e il nostro numero che, in confronto a quello delle guardie, decisamente non basta." spiegai con chiarezza, seguendo gli altri nell'ennesimo corridoio.

"Quindi cosa proponi, bambolina?" domandò Minho, rallentando leggermente e ponendosi al fianco di me e Newt, riprendendo la corsa stando sempre al nostro passo. 
"Per fare fronte allo svantaggio in cui ci butterà il nostro numero, dobbiamo agire in modo efficace." anticipai, lasciando per un secondo la mano di Newt e mostrando a tutti tre dita della mia mano destra. "Ci divideremo in tre gruppi e..."
Violet mi interruppe subito, guardandomi stupita, come se avessi appena detto un qualcosa di inaudibile. "Ma la prima volta ci hanno fregato proprio in questo modo, dividendoci!"
Le sorrisi, rendendomi conto solo in quel momento quanto fossi felice di riaverla indietro sana e salva. Chissà cosa era successo a lei e al Costruttore mentre eravamo alla loro ricerca. Sperai solo che stessero entrambi bene emotivamente e fisicamente. "Non se usiamo questa cosa a nostro favore." spiegai, tenendo alzato solo l'indice e continuando poi con la raffica di informazioni. "Il primo gruppo dovrà andare alla sala di controllo, prenderne il totale dominio e riattivare i muri per proteggere Brenda e Jorge e, se sarà necessario, anche gli altri due gruppi."

Feci una pausa, guardando Minho curiosa della sua reazione. Lo vidi corrucciato, ma sembrava che stesse prendendo in considerazione la mia proposta, il che mi fece sentire decisamente più sicura di me, così continuai, alzando oltre all'indice anche il dito medio. "La seconda squadra si precipiterà ad aiutare Brenda e Jorge, eliminando ogni guardia che incontrerà lungo il percorso. Immagino che servirà tempo per prendere il controllo della sala comandi, quindi fino a che questo non accadrà avremmo bisogno di protezione fisica. Viene catturato Jorge, muore la nostra unica possibilità di uscire da qui." 
Alzai l'anulare, pronta a spiegare l'ultima parte del piano, ma anche quella più difficile da attuare. "Il restante di noi dovrà andare a cercare i bambini. Nella speranza che quando li troveremo, l'hangar sarà già libero da ogni minaccia e la Berga pronta a decollare."

"E come facciamo a tenerci in contatto l'uno con l'altro se ci dividiamo?" domandò Gally, visibilmente preoccupato. 
Mi morsi la lingua, colta di sorpresa da quel dettaglio così importante e che tuttavia non avevo nemmeno preso in considerazione nel mio piano. Esitai, titubante, rivalutando più e più volte le mie mosse, ma fu Teresa a soccorrermi. "Non preoccupatevi di quello." spiegò con voce serena, lanciando uno sguardo innamorato a Thomas e facendogli l'occhiolino, come a sottolineare un segreto di cui solo loro fossero a conoscenza. "Siamo riusciti a contattare Brenda usando un walkie-talkie, Thomas rimane in contatto con lei usando una frequenza privata. Per quanto riguarda invece il gruppo che non avrà né Thomas, né Brenda come portavoce, ci sarò io a riferire tutte le conversazioni tra di loro, passando a mia volta informazioni a Thomas, che le passerà a sua volta a Brenda. Sarà un sistema comunicativo un po' lento, ma potrebbe funzionare."
Vidi Minho storcere il naso e guardare Violet in cerca di spiegazioni, che tuttavia non arrivarono mai dalla ragazza, la cui espressione, tanto stranita quanto quella del Velocista, trasudava fatica e stanchezza. 

"Forse ho saltato un passaggio, ma..." Minho si schiarì la voce, rivolgendosi principalmente a Thomas, ma proponendo la domanda praticamente a tutti. "Come farete tu e Thomas a contattarvi se c'è solo un walkie-talkie e ce l'ha Brenda?" 
Thomas continuò a tenere lo sguardo basso a terra, perciò fu Teresa a dover rispondere all'ennesima domanda. "Io e Thomas abbiamo un impianto installato nel cervello che ci permette di comunicare tra di noi nella mente. Sarebbe servito una volta che fossi entrata nel Labirinto dopo di lui; era fondamentale per le prove, ma quando Elena ha anticipato tutti, gettandosi nel Labirinto prima di me e addirittura prima di Thomas, la W.I.C.K.E.D. si è ritrovata improvvisamente a corto di tempo. Non avrebbero potuto sottoporci ad un'altra operazione per rimuoverlo, quindi si limitarono a disattivarlo nella speranza che ce ne saremmo dimenticati." 
La ragazza prese una pausa, prendendo un bel respiro e pensando alle parole da dire. 

"Quando a Thomas è stata tolta la memoria ho evitato di cercare di contattarlo, anche se da sola ero riuscita a trovare il modo di riattivare il dispositivo. E quando gli è stata ridata una parte di memoria, non potevo comunque cercare di parlargli. Avevo paura che la W.I.C.K.E.D. se ne sarebbe accorta e avesse rimediassero all'errore." continuò poi, tenendoci tutti appesi alle sue labbra, nutrendoci delle sue parole e stupendoci ad ogni sua affermazione. Era incredibile che la W.I.C.K.E.D. avesse trovato un modo per connettere le persone telepaticamente. Ma la cosa che mi stupiva più di tutte era che si fosse permessa di prendere alla leggera la decisione di disattivare semplicemente l'aggeggio. Per una volta eravamo stati capaci di superarla di un passo, approfittandoci di una sua svista.

"Ho atteso la fine della Fase Due per provare a raggiungerlo telepaticamente. Soprattutto quando era tenuto in isolamento all'inizio della Fase Tre. Gli ho insegnato ad usarlo e, con un po' di pratica e tempo, siamo riusciti a prenderne il pieno controllo solo una volta arrivati al Posto Sicuro. Ora riusciamo a parlarci nella mente con destrezza. Il che ci rende dei walkie-talkie viventi." terminò brevemente la ragazza, tagliando corto e terminando la storia. "Ecco perché noi due non saremo smistati nello stesso gruppo." ordinò la ragazza, indicando col mento Thomas.

Sembrò quasi che fosse sul punto di parlare di nuovo, ma l'improvviso intervento di Thomas ci sorprese tutti. Il ragazzo non parlava da così tanto che ormai mi ero perfino dimenticata della sua esistenza. Sembrava che avesse ripreso un po' di colorito e la cosa mi rendeva decisamente più sollevata. "Ecco qui la stanza." sentenziò il ragazzo, entrando in una porta mezza chiusa e rivelando a tutti noi il famoso deposito delle armi. 
Rispetto a quello che avevamo trovato nella vecchia W.I.C.K.E.D., questo sembrava più uno sgabuzzino un po' più spazioso del solito, contenente però gli oggetti dimenticati o le armi inutilizzare. Ad eccezione di due lanciagranate esposti orgogliosamente dietro due lastre di vetro impolverate, il resto della stanza era composta da scaffali metallici e arrugginiti, ospitanti qua e là qualche scatolone contrassegnato da una scritta.  

Alcuni, per la maggior parte, erano denominati "Mun." che supposi fosse l'abbreviazione per "munizioni", facendomi così ben presto intuire il loro contenuto; mentre altri erano riempiti da pezzi rotti di polistirolo che nascondendo avidamente le pistole a sonniferi. 
Non mi stupii nel notare che, a differenza del deposito d'armi trovato nella vecchia W.I.C.K.E.D., questo fosse pieno di armi vecchio stile. Se c'era una cosa che sapevo bene sulla W.I.C.K.E.D. era che imparasse velocemente dai suoi errori. L'avevamo fregata una volta torcendole contro le sue armi all'avanguardia quando, aiutati dal Braccio Destro, avevamo disattivato l'alimentazione elettrica dei lanciagranate e di tutte le altre armi. L'associazione non si sarebbe lasciata fregare per una seconda volta, quindi era ovvio che avesse preferito munirsi di armi più vecchio stile, come pistole, e di altre fatte addirittura di plastica dura, come quelle caricate a sonniferi.

Gally si precipitò immediatamente ad aprire alcuni scatoloni recitanti "armi da fuoco", cavando fuori un paio di pistole e maneggiandole con un entusiasmo fuori dal comune. Nel frattempo, il resto di noi entrò nella stanza sparpagliandosi un po' ovunque. 
"Cavolo, queste sì che sono vere e proprie pistole! Ups Match senza neanche un graffio, anche se personalmente preferisco le Desert Eagle." mormorò il Costruttore tra sé e sé.
Aggrottai le sopracciglia e, mentre Newt aiutava Thomas a tirare giù da un alto scaffale uno scatolone ancora non nominato, io mi avvicinai al Costruttore, inginocchiandomi vicino a lui e osservando bene le pistole tra le sue mani. Nonostante fossero piccole rispetto ai grandi lanciagranate che ero abituata ad usare, sembravano parecchio minacciose. Prima di iniziare una conversazione col ragazzo però, decisi di lanciare un paio di sguardi curiosi al biondino, intento a borbottare qualcosa insieme a Thomas, per assicurarmi che i due stessero bene. Dalla faccia timida e rossa di Thomas, compresi che Newt dovesse aver ripreso il discorso di prima. Per evitare di sembrare troppo ficcanaso, mi voltai e dedicai tutta la mia attenzione a Gally.  "Da quando in qua ti intendi di pistole?" domandai dubbiosa, accarezzando cautamente una delle canne. 

In tutta risposta il ragazzo mi mollò una delle cosiddette "Ups Match" in mano, invitandomi forse a testarne il peso. "9 millimetri per 19 di calibro parabellum." disse semplicemente, puntandola davanti a sé e controllandone lo stato. "Fabbricazione tedesca. Canna decisamente più pesante della Ups Tactical, ma questo aiuta la precisione. Vedi questi?" domandò, indicandomi tre tacchette presenti sopra la canna della pistola. Annuii distrattamente, ma quel mio cennò bastò a Gally, che continuò con la sua spiegazione. "Sono dei barili di bilanciamento per modificarne il tiro utile. Come dei pesetti, ecco."
Depositai l'arma nel suo nascondiglio tra il polistirolo, strabuzzando gli occhi terrorizzata all'idea che in qualche modo sarei stata capace di far partire il colpo se l'avessi tenuta troppo in mano. "Sì, ora è tutto decisamente più chiaro, ma... come fai a sapere tutte queste cose?" chiesi ancora, appoggiando una mano sulla sua spalla e riuscendo finalmente a catturare la sua attenzione, distogliendolo per un secondo dall'arma che ora fissava innamorato.

"Oh, sì." borbottò, mettendo la sicura alla pistola e infilandosela sotto la cintura del pantaloni per poi coprirla con la maglia. "Mio padre aveva un'armeria. Ero troppo piccolo per maneggiare queste bestiacce, perciò mi ricordo che mi permetteva di sparare con quelle a piombini. Conoscevo il nome di ogni arma che aveva in negozio."
Le sue parole mi investirono come macigni. Sbattei le palpebre, colpita da quel suo improvviso ricordo e mi portai una mano sul cuore. "T-Ti ricordi dei tuoi genitori?" borbottai scioccata. Sentii le mie labbra tremare e l'aria fermarsi all'altezza dei polmoni. 
Gally si voltò di scatto, perdendo ogni interesse per le armi e concentrandosi totalmente su di me. 

"S-Scusa non volevo rivelartelo in questo modo, ma..." il ragazzo si bloccò di scatto, inclinando leggermente la testa e scuotendola indeciso, come se all'improvviso gli mancasse un pezzo del suo puzzle mentale. "Aspetta. Tu non ricordi?" domandò, sinceramente confuso.
Aggrottai le sopracciglia, limitandomi a scuotere la testa. "Ho recuperato i ricordi, certo, ma quella parte della mia infanzia sembra... sparita, in qualche modo."
Un'improvvisa tristezza calò sul ragazzo, rendendolo freddo e cupo come marmo nero, poi un luccichio di malinconia si imprigionò dei suoi occhi, celandoli dietro ad un velo scuro. Uno dei miei sguardi preoccupati bastò per riportarlo alla realtà, ma non per farlo riprendere del tutto. "Non ti ricordi... Non... Ti ricordi di me? Di cosa successe quando fummo costretti ad abbandonare tutto e cercare riparo prima che l'Eruzione ci trovasse impreparati?"
Ad un mio secondo scuotere di testa, il ragazzo girò il suo corpo totalmente verso di me, osservandomi preoccupato e donandomi la sua completa attenzione. 

Poi un'improvvisa illuminazione gli fece sbarrare gli occhi. Le sue labbra tremarono per un secondo, ma il ragazzo si premurò di nascondere quella sua debolezza temporanea ai miei occhi. Ma non fu abbastanza veloce e quell'attimo per me fu abbastanza per capire che ci fosse qualcosa che non andasse. 
"Cosa non mi stai dicendo?" lo punzecchiai, sistemandomi a sedere e guardandolo di sbieco. Un'improvvisa sensazione di familiarità mi invase. Era come se avessi già vissuto quel momento. Quella vicinanza con Gally, lo sguardo inquisitorio, le domande nella testa, il suo sguardo preoccupato e timido che cerca di nascondere la verità. Mi sembrava quasi che la mia testa avesse deciso di riproiettare un vecchio film.
"Credo di aver capito perché non ricordi e, da un lato, forse è meglio così." spiegò brevemente lui, cercando a tutti i costi di nascondere la tristezza sul suo volto, ma incupendosi sempre di più.
"Sono state le esatte stesse parole di Kurt." ammisi, appoggiando il mento sul ginocchio e sorridendogli amichevolmente, ancora riscaldata da quella bella sensazione di familiarità.

"Cosa ti ha raccontato?" chiese curioso, avvicinandosi a me. Il mio cuore accelerò, ricatapultandomi di nuovo su quella sensazione di familiarità. Era come se, in un antro del mio cervello fosse ancora presente un ricordo, ma per quanto cercassi di raggiungerlo e acciuffarlo, questo continuava a farsi distante, lasciandomi con quel prurito fastidioso. Da quando eravamo arrivati al Posto Sicuro le sensazioni di déjà-vu, come ricordi riemersi dall'oltretomba, si erano intensificate. Spesso erano così forti da insinuarsi sotto la mia pelle, cogliendomi completamente alla sprovvista e impossessandosi lentamente della mia serenità. Mi sentivo come se la W.I.C.K.E.D. mi avesse per sempre derubata di un qualcosa di così intimo e personale, da farmi arrivare a sentire incompleta.

"Di mia madre." dissi semplicemente, dopo un lungo tempo di pausa, causando così in lui un balzo. "E di mio padre. E di te, ovviamente. Della nostra relazione e del rapporto speciale che avevamo." riassunsi brevemente, abbassando lo sguardo sulla punta delle mie scarpe, nel tentativo di cacciare via i pensieri.
Per un attimo mi sentii invasa dalla vergogna, come se non fossi degna di possedere delle memorie così belle con il ragazzo e non potervi comunque accedere. Se non riuscivo a ricordarne nemmeno una, come potevo essergli veramente riconoscente? Era come se mi avessero sottratto una parte della mia vita. E sentire quel costante buco in testa era una sensazione spiazzante, destabilizzante.
"Be', allora credo che il trauma di tua madre abbia anche spazzato via i bei ricordi." rispose lui con calma, premendo delicatamente sulla mia guancia per farmi rialzare lo sguardo. "Vorrà dire che una volta usciti da qua ti dovrò aggiornare su tutto quello che mi ricordo io."

Sorrisi sincera, felice che il ragazzo non avesse preso all'ingiù la mia rivelazione. Se comparavo la sua reazione a quella che Thomas aveva avuto qualche minuto prima alla confessione della perdita dei ricordi di Newt, potevo ritenermi soddisfatta. Sarebbe potuta andare peggio. "Solo a patto che mi insegni anche i nomi delle armi." scherzai, suscitando però un eccessivo entusiasmo nel ragazzo, segno che forse avesse interpretato il mio sarcasmo come una vera e propria richiesta. 
Lo sentii ridacchiare, ma il suo momento di felicità e spensieratezza venne interrotto da un rumore brusco. Io e Gally ci girammo di scatto giusto in tempo per cogliere l'occhiata colpevole che Newt e Thomas si scambiarono. Inutile dire che Thomas distolse ben presto lo sguardo, arrossendo a dismisura e chinandosi immediatamente a raccogliere le armi rovesciatesi fuori dalla scatola e cadute sul pavimento. Quando lo vidi afferrare il mio arco, feci per alzarmi e aiutarlo, ma Gally mi afferrò il polso, pregandomi di ascoltarlo per un'ultima volta. 

"Scusami se ti ho accusata di non avermi raccontato nulla del tuo passato. Non è stato corretto da parte mia chiederti cose così private, per di più presupponendo che tu fossi in possesso di quei ricordi, quando invece non era così. Sono stato un caspio di insensibile testa puzzona."
Sorrisi a quella sua affermazione e gli accarezzai il dorso della mano, la quale era rimasta ancorata al mio polso. "Sei perdonato." sussurrai, fingendo quasi che fosse anche quello un segreto. "Ho sempre saputo che in fondo fossi più zucca vuota di un Dolente. La tua stupidità ti scusa da sé."
Lo vidi aprire la bocca, portandosi una mano sul cuore e fingendo che lo avessi appena spezzato, per poi ridacchiare divertito e sollevarsi velocemente in piedi. Mi allungò una mano e mi tirò su con poca fatica, dopodiché mi lasciò un pugno sul braccio, spintonandomi poi leggermente di lato e sorridendomi maligno.

"Anche se non te lo ricordi, sappi che ti ripagherò di tutti i dispetti e gli scherzi terribili che mi hai fatto quando eravamo piccoli." mi avvisò, lanciandomi uno sguardo di sfida per poi dirigersi verso Newt e Thomas che nel frattempo avevano preso a distribuire le armi ai loro iniziali proprietari. 
Per quanto quella situazione fosse terribile, piena di ansie e paranoie, piena di incertezze e mille scenari devastati dalla morte e dal dolore, per un attimo mi sentii al sicuro, circondata dalle persone che amavo davvero. Mi erano mancati i miei amici.
Le avversità ci avevano sempre uniti, rendendoci sempre più forti. E anche se nessuno di noi era rimasto lo stesso, non potevo essere più felice di averli ancora tutti al mio fianco.
Sentendomi invadere da una strana sensazione di positività, mi lasciai andare. Per un attimo pensai che ce l'avremmo fatta, che il piano avrebbe funzionato e che saremmo usciti da lì sani e salvi con ciò che ci spettava.
Saremmo sopravvissuti a tutto quello ancora una volta, uniti e forti.
Sentendomi improvvisamente al sicuro, mi avvicinai al resto della mia famiglia.

{Spero che la lunghezza del capitolo basti a farmi perdonare per avervi fatte aspettare così tanto!}

 

 

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Capitolo 82
*** Capitolo 75. ***


Un rumore di passi e ordini gridati ci fece agitare tutti. Ci armammo silenziosamente e in fretta, pregando che avessimo ancora abbastanza tempo a disposizione per buttare giù un veloce piano d'attacco. Facemmo appena in tempo a scambiarci un paio di parole e ad uscire dallo sgabuzzino che le guardie ci avevano già quasi raggiunti. La tattica della nebbia artificiale aveva fatto il suo dovere, ma le guardie erano riuscite a riorganizzarsi in fretta e a rintracciarci in breve tempo. 
Mi strinsi al mio arco e inspirai a fondo per infondermi un po' di coraggio. Essere armata mi fece sentire più sicura, certo, ma ora che avevo così tante cose da perdere ero terrorizzata all'idea di fallire. Non potevo permettere che facessero del male a Newt o a Gally. Non ora che avevo iniziato un nuovo capitolo della mia vita con entrambi.

"Cercate di non morire, pive." borbottò Minho, mettendosi in posizione d'attacco e preparandosi all'imminente scontro.
"Siamo tutti ispirati, cacchio." ribatté Newt, causando in tutti noi un sorrisetto. Nonostante al ragazzo fossero stati rubati alcuni dei suoi ricordi, mi rendeva estremamente felice riaverlo tra di noi e sapere che in fin dei colti qualche vecchia memoria gli fosse rimasta impressa nella mente. Era come rivivere i bei vecchi ricordi della Radura.
Ma per quanto mi sarebbe piaciuto lasciarmi invadere dalla felicità e dalla malinconia dei vecchi momenti trascorsi insieme, non potevo permettermi di distrarmi. Non avevamo ancora vinto e, anche se questa volta avevamo più probabilità di uscire da quel luogo senza ricevere troppi danni collaterali, non potevamo prendere la situazione sotto gamba.

Cavai una freccia dalla faretra e la incoccai, portandola vicino al labbro e inspirando a fondo. Non attesi nemmeno che la prima guardia sbucasse dall'angolo del corridoio: non appena metà del suo corpo fece capolino scagliai il mio primo colpo, atterrandola seduta stante.
Non persi tempo e caricai la mia prossima freccia, indietreggiando di due o tre falcate nel tentativo di acquistare terreno d'attacco, mentre il gruppo di guardie armate si riversava nel corridoio, muovendosi come uno sciame nero coordinato di moscerini fastidiosi. Iniziarono a rispondere all'attacco senza pietà, chi con le solite pistole a sonnifero chi con quelle specie di guantoni da pugile. 
Indietreggiai di qualche altra falcata, atterrando nel frattempo qualche altra guardia e cercando di muovermi il più velocemente possibile.

Avere un'arma d'attacco a distanza mi permetteva di avere una prospettiva diversa della battaglia, dandomi così la possibilità e il dovere di coprire le spalle ai miei amici.
Atterrai velocemente una guardia che, dopo aver preso la mira su Violet – intenta a sua volta a lottare corpo a corpo contro una guardia esile – aveva avvicinato pericolosamente il dito al grilletto. La ragazza notò appena il mio intervento e, dopo aver atterrato il suo avversario, mi lanciò un debole sorriso stanco per poi scagliarsi contro uno dei due uomini che stava cercando di immobilizzare Minho al suolo. 
Dopo aver lanciato un'altra freccia, questa volta contro l'aggressore di Thomas, mi presi qualche secondo per osservare bene la situazione. 
Per quanto fossimo ormai abituati ai combattimenti corpo a corpo, questa volta le guardie erano davvero troppe per noi. Certo, avevamo il vantaggio di essere armati, ma questa volta la W.I.C.K.E.D. aveva deciso di addestrare al meglio i suoi soldatini.

Una volta, se avessimo derubato le guardie delle loro armi, saremmo stati sicuri di vincere sul combattimento corpo a corpo. Ma ora le cose erano diverse. E noi eravamo troppo indeboliti dal sonno e dalla fame per riuscire a tenere loro testa. 
Vidi una guardia corrermi incontro e le piantai una freccia nel petto senza battere ciglio. Poi altre due si staccarono dallo sciame di moscerini per venire a invadere i miei spazi, mentre le altre si accanivano sui miei amici come insetti affamati. 
Sentii il cuore battermi veloce nel petto, terrorizzata di tornare sotto le loro grinfie, incapace di lottare. Con mano tremante scagliai un'altra freccia che però la guardia più vicina a me si limitò ad evitare, gettandosi di lato e donandomi un breve vantaggio.

Ne incoccai un'altra, urlandomi che dovevo farcela e che gettare la spugna solo perché le probabilità di successo erano contro di noi non fosse un'opzione. 
Riuscii ad atterrare la seconda guardia mentre la prima si rialzava da terra e riprendeva la sua avanzata verso di me. Come se fossero state richiamate dalla morte del loro compagno, altre due guardie si staccarono dalla massa nera che circondava i miei amici, per corrermi incontro.
Feci appena in tempo ad incoccare la freccia e a puntarla contro la guardia a me più vicina che il mio sguardo venne catturato dalla figura china su Newt, intenta colpirlo senza ritegno. 
Animata da un senso di protezione riposizionai la mia mira, ma non feci in tempo a scagliare la freccia che la guardia mi fu addosso, ribaltandomi violentemente a terra e appiattendosi contro di me.

La vidi alzare il pugno fasciato dal guanto nero in aria e subito alzai le braccia per proteggermi il volto, ma il suo colpo riuscì ad aggirare la mia protezione, finendo sulla mia mascella e facendomi mugugnare per il dolore. Mi gridai nella mente di dovercela fare. Newt era in pericolo, i miei amici erano in pericolo, dovevo aiutarli in qualche modo. Animata dal mio stesso grido di battaglia, non diedi più alla guardia l'occasione, né il tempo di colpirmi. Con una mossa veloce feci volteggiare l'arco in aria e colpii la guardia in testa, gettandola poi di lato per togliermela momentaneamente di dosso. Muovendomi con rapidità mi tirai su in ginocchio e mi affrettai ad incoccare la freccia che mi era caduta a terra. Senza prendere troppo bene la mira, riuscii a colpire la guardia ancora sopra di Newt, liberandolo finalmente di quel peso. Ma non ebbi il tempo di festeggiare e nemmeno di riprendere fiato che la guardia che avevo precedentemente atterrato, mi fu nuovamente addosso, facendomi appiattire il volto al suolo e torcendomi le braccia per farmi mollare la presa sull'arco.

Mi dimenai, ma il dolore alle dita, ora spiaccicate contro il pavimento dal suo ginocchio, stava diventando fin troppo insopportabile. Le mie dita mollarono la presa senza che gliel'avessi ordinato e la guardia colse l'occasione per spostare il suo ginocchio sulla mia schiena, premendo con forza e facendomi gridare. Tra un insulto e l'altro, riuscii a sollevarmi leggermente da terra, notando giusto in tempo altre due guardie avanzare armate verso di me, impugnando una pistola e puntandomela addosso, alla ricerca del momento migliore per fare fuoco e mettermi fuori combattimento. Animata dal senso di sopravvivenza e gridandomi contro che non potevo ancora mollare, posi tutta la mia forza negli avambracci e nelle gambe, scattando all'insù e cogliendo la guardia impreparata.

La gettai a terra, per poi lanciarmi disperata sull'arco nella speranza di riuscire a riafferrarlo. Feci appena in tempo a sfiorarlo con i polpastrelli che mi sentii trascinare all'indietro per i capelli. Gridai infuriata, fissando spaventata le altre due figure scure ormai al mio pari: sentii il respiro bloccarsi in gola non appena entrambe mi puntarono contro le pistole, pronti a sparare.
Dove era finita la parte di me coraggiosa e brava a combattere? Dove era finita la grinta, la rabbia? Perché mi ritrovavo improvvisamente invasa da terrore e panico? Ora che avevo qualcosa in palio, qualcuno da proteggere a tutti i costi... come potevo essermi ridotta a quello?
Feci del mio meglio per liberarmi dalla presa della guardia dietro di me, tentando in tutti i modi di farle mollare la presa sui miei capelli, dimenandomi come un'assatanata, ma senza ottenere risultati.

Sentii il cuoio capelluto infiammarsi sotto i continui strappi della guardia e quando le assestai un pugno sul fianco, tutto quello che ricevetti in cambio fu un forte colpo sullo stomaco, che mi fece piegare su me stessa.
Tentai un ultimo sforzo, alzando la gamba in aria nella speranza di riuscire a colpirlo almeno alla testa, quando un altro pugno, questa volta in pieno volto, mi fece rimpiangere di essermi mossa.
Mi concentrai sulle due guardie ormai davanti a me, intente ad urlarmi di stare ferma e, quando fui sul punto di gridare aiuto, una delle due guardie si mosse in modo strano, girandosi di scatto verso il compagno al suo fianco e facendo fuoco, incastrando il sonnifero nel suo collo.

L'uomo si accasciò al suolo senza emettere nemmeno un suono e la guardia dietro di me mi mollò seduta stante, forse nel tentativo di afferrare la sua pistola, ma l'uomo davanti a me non gliene diede il tempo: con un altro colpo, la fece accasciare al suolo. 
Non feci nemmeno in tempo a stupirmi di quel suo secondo tradimento, che lo vidi avanzare a falcate verso di me, facendomi scalciare a terra per indietreggiare. Lo vidi portarsi le mani sul casco e tastare in modo convulso per riuscire a cavarselo dalla testa, e quando ci riuscì, mi sentii così sollevata e felice da poter scoppiare in lacrime.
"Tutto okay, pasticcino?" borbottò il ragazzo con un sorrisetto storto, allungandomi la mano per aiutarmi ad alzarmi.

Accettai volentieri il suo aiuto e mi tirai su con uno scatto, saltandogli poi al collo e obbligandolo ad abbracciarmi. 
Non potevo crederci che per tutto quel tempo fosse rimasto sotto copertura, in attesa forse del momento giusto per uscire allo scoperto. "C-Come hai..."
"Ti ho lanciato dei segnali nella Stanza Nera!" brontolò lui staccandomi di dosso lanciandomi uno sguardo scocciato. "Non li hai colti, diamine? Non ti facevo così stupida."
Ed ecco che il vecchio Stephen tornava a tormentarmi, cancellando in un nano secondo tutta la preoccupazione e la mancanza che avevo provato nei suoi confronti. Mi abbassai velocemente a terra per riprendere possesso del mio arco e riflettei attentamente sulle parole del ragazzo. Segnali nella Stanza Nera? Ora che la vedevo da una prospettiva diversa, in effetti una guardia mi aveva lanciato qualche gesto ambiguo con le mani mentre stavamo ancora parlando con i dottori, ma lì per lì, li avevo semplicemente interpretati come minacce.

"Sei uno stupido." lo rimproverai, dandogli un pugno sul braccio per poi grattarmi distrattamente i capelli e incoccare una freccia. 
"E questo per cos'era?" brontolò lui, ponendosi davanti a me e maledicendomi con lo sguardo. "Ti ho salvato le chiappe mi pare."
Gli diedi una spallata per farlo spostare e uccisi la prima guardia che mi capitò sotto tiro. "Perché mi hai fatto preoccupare! Avresti dovuto..." mi bloccai, cercando di trattenere a stento un sorriso. Ero così felice di averlo di nuovo tra di noi, sano e salvo. La mia mente in quelle interminabili ore di sua assenza, mi aveva proiettato davanti agli occhi almeno un miliardo di possibili scenari catastrofici in cui il ragazzo veniva torturato o sottoposto a esperimenti disumani. Ero così terrorizzata all'idea che l'avrebbero scoperto e ridotto nuovamente ad una Cavia, che ora che lo vedevo là davanti a me, integro e senza un graffio, mi sentivo quasi una stupida ad aver pensato tutte quelle fandonie. 

Stephen se la sapeva cavare benissimo anche senza il nostro aiuto e quello era ormai ovvio da tempo. Eppure ci ero ormai così legata da sentirmi quasi arrabbiata con lui per avermi fatta preoccupare così tanto. Insomma, se n'era andato in giro per i corridoi della W.I.C.K.E.D. per tutto quel tempo a fare chissà cosa senza mai spuntare fuori una volta e senza mai dare segni di vita. Ma l'importante, in quel momento più di ogni altro, era che ci fossimo finalmente riuniti. Forse il ragazzo era persino riuscito a rubare qualche informazione alla W.I.C.K.E.D.
Sperai solo che con il suo aiuto saremo riusciti ad uscire sani e salvi da quella pessima situazione. 

"Sono solo felice di vedere che stai bene, Capitan Puzzone." mormorai, sorridendo in modo timido e scoccando un'altra freccia.
"Anche io, pasticcino. Ora vediamo di cavare le gambe da questa cosa." mormorò, derubando le guardie ai nostri piedi e inserendo una delle pistole nella cintura dei miei pantaloni. "So dove tengono i bambini." annunciò poi, spiazzandomi e lasciandomi addosso mille interrogativi.
Prima che lo potessi ricoprire di domande, il ragazzo si ributtò nella mischia senza aggiungere altro, ridonandomi la grinta necessaria per riprendere a lottare con vigore. 
Mi resi conto, osservandolo combattere con tanta tenacia, di aver sbagliato tutto: avere un qualcosa da perdere non doveva rendermi debole o insicura, anzi, dovevo usare questo timore a mio favore, rendendolo il mio canto di battaglia.
Abbozzando un sorriso, incoccai un'altra freccia, pronta a farmi valere.

 

 

 

La battaglia fu devastante. Combattemmo con tutto l'ardore possibile e alla fine, in qualche modo, riuscimmo ad avere la meglio sullo sciame nero di guardie. Ne uscimmo tutti vivi e svegli: nessuno di noi era stato colpito da un sonnifero e, quelli che erano usciti peggio dal combattimento, erano quelli che avevano ricevuto più pugni. Confrontandoci brevemente tra di noi avevamo ben presto capito che quei guantoni da boxer strani indossati dalle guardie non fossero pieni di cotone o gomma piuma, bensì di un materiale molto più duro che, al momento dell'impatto, sembrava quasi metallo. Il che rendeva perfino un solo colpo difficile da sopportare per via del dolore acuto e dei segni lasciati sulla pelle. Io personalmente ero stata anche fin troppo fortunata, riuscendo ad uscire da tutto quel casino con un labbro rotto e uno zigomo arrossato. Newt invece aveva collezionato un naso rotto – almeno secondo la mia diagnosi da medicale – e qualche contusione di troppo sul resto del corpo.

Minho aveva un occhio nero e Violet aveva diverse chiazze rosse sul viso, un misto di sangue e lividi pulsanti, ma i due sembrarono non notare nemmeno le loro ferite di guerra, troppo intenti a cercare di porre rimedio ai dolori dell'altro. Thomas camminava quasi piegato all'avanti, tenendosi la mano premuta sulle costole e indossando perennemente un'espressione sofferente; Teresa dal suo lato invece, aveva una macchia rossa a forma di mano sul collo, segno che probabilmente una guardia avesse tentato di soffocarla, senza però riuscirci, ma lasciando comunque un marchio sulla sua pelle. Gally invece non sembrava nemmeno aver notato il profondo taglio sulla sua guancia, troppo intento ad osservarmi preoccupato e ad analizzare i colpi che avevo incassato.

Da quando aveva riacquistato i suoi ricordi sembrava quasi che al mondo non esistesse altra persona all'infuori di me, il che a volte lo portava perfino a dimenticarsi di sé stesso. Lo rassicurai, spiegandogli che qualche acciacco qua e là non avesse mai ucciso nessuno e, proprio come avevo appena spiegato a Newt qualche attimo prima, gli consigliai di tamponare la sua ferita per evitare di perdere troppo sangue e di far entrare germi indesiderati. 
Quando il biondino notò le attenzioni esagerate di Gally nei miei confronti, zoppicò veloce in nostra direzione, facendomi abbozzare un sorrisetto divertito prima ancora che iniziasse a parlare. "Datti una calmata, diamine." gli intimò, premendo sulla spalla dell'altro per allontanarlo da me e lanciandogli uno sguardo infastidito. "Se la sa cavare da sola, non gli serve una mamma." 

Gally corrugò la fronte e fece per rispondere, ma Newt parlò di nuovo, questa volta tagliando di netto ogni pensiero e speranza del Costruttore. "E ha anche già un fidanzato, per la cronaca." sottolineò acido, lanciandogli un'ultima occhiataccia per poi concentrarsi totalmente su di me.
"Tutto okay?" borbottò Newt, storcendo la bocca, ancora visibilmente infastidito dalle premure di Gally nei miei confronti. Annuii distratta, ma questo bastò al ragazzo, che riprese a parlarmi.
Sentii Gally sbuffare e andarsene via scocciato, per poi sputare addosso qualche insulto a Stephen che, a qualche metro di distanza, stava ridacchiando, godendosi a pieno quella scena. La figura del ragazzo dai capelli bianchi intrappolò il mio sguardo per qualche secondo e, quando lui incatenò i suoi occhi ai miei, la sua espressione mutò completamente, facendomi immediatamente capire cosa gli fosse appena passato per la testa. Aveva sempre odiato Gally, e questo era ovvio per me ormai da tempo, ma in quel momento le sue iridi si incupirono, facendomi captare una sorta di delusione o tristezza nei suoi confronti.

All'improvviso, le parole di avvertimento del ragazzo mi ritornarono in mente. 
Gally e Newt sono come due cani affamati. E si da il caso che tu sia l'unica ciotola di cibo presente nella stanza. La metafora era alquanto ambigua, certo, eppure piuttosto chiara per me in quel momento. Stephen aveva ragione: da quando Newt se n'era andato dalla mia vita, lasciando dietro di sé quel vuoto, l'amicizia tra me e Gally era cresciuta in modo sporadico e ora che il ragazzo aveva perfino riacquistato i suoi ricordi, entrambi potevamo sentire che la nostra relazione avesse raggiunto un livello ancora più intimo e particolare. 
Ora Gally mi conosceva sul serio, forse perfino più di quanto facesse Newt. Eravamo cresciuti insieme, mi aveva aiutato nei miei momenti difficili e negli anni avevamo sviluppato una sorta di comunicazione non verbale così efficace da permettergli di leggermi lo sguardo come si fa con le parole su carta.

Per lui ero diventata un libro aperto, di cui però conosceva a memoria ogni numero, immagine o lettera. Certo, eravamo poi stati separati una volta arrivati alla W.I.C.K.E.D. ed ognuno aveva preso la sua strada, ma sentivo che questo legame tra noi fosse così forte e indissolubile che qualche anno passato distanti e all'oscuro dell'esistenza dell'altro non fosse poi così rilevante per la nostra relazione. 
Ma se Gally aveva imparato a conoscere e vivere la mia infanzia prima del Labirinto, Newt aveva amato la nuova me, imparando a sapermi trattare nei momenti difficili, a conoscermi in tutte le mie sfaccettature e a combattere insieme a me contro i mostri nella mia testa. Non aveva mai dubitato di me, neanche quando era venuto a conoscenza che anche avessi aiutato la W.I.C.K.E.D. con alcuni schemi del Labirinto. 

Si era fidato ciecamente senza chiedere nulla in cambio e la cosa era alquanto ammirevole, se si teneva conto di quanto tempo fosse passato dal nostro primo incontro. Diversi mesi di amore e rispetto sembrava così poco in confronto agli anni passati a crescere al fianco di Gally.
Eppure non potevo perdere nessuno dei due. Non riuscivo a scegliere chi cacciare dalla mia vita e chi tenere al mio fianco. Ma non sapevo nemmeno per quanto ancora i due sarebbero stati capaci di convivere insieme, sopportandosi a vicenda e maledicendosi alle spalle. 
Dovevo trovare il modo di bilanciare entrambe le relazioni, creando un ambiente sano e sicuro, ma sapevo che sarebbe stato difficile.
Avevo come la sensazione che nonostante tutti i miei tentativi, qualcosa sarebbe comunque andato storto. Un giorno la situazione mi sarebbe semplicemente fuggita di mano e a quel punto sarebbe stato troppo tardi per me porre un rimedio a quel casino.

{Mancano circa dieci capitoli alla fine di questo libro... siete pronte, mie care lettrici?
Cosa pensate succederà?}

 

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Capitolo 83
*** Capitolo 76. ***


{ATTENZIONE: leggete l'angolo scrittrice in fondo, per piacere!}

Mentre procedevamo velocemente a disarmare le guardie che con tanta fatica avevamo atterrato, iniziammo a stilare una bozza approssimativa del piano che avremmo attuato per uscire da quel posto. Delineammo i gruppi in cui dividerci, stando ben attenti a separare Thomas e Teresa per usarli come walkie-talkie umani. Stephen informò tutti della sua scoperta riguardo i bambini, così decidemmo quasi automaticamente che io e Teresa saremmo andate con lui. Il ragazzo ancora vestito da guardia ci aveva spiegato che i bambini fossero tenuti in una Non-Stanza – o per lo meno così veniva chiamata dagli scienziati –, ovvero un ambiente totalmente nascosto ad occhi indiscreti, di cui conoscevano posizione esatta solamente i dottori e le guardie che gestivano l'esperimento. Riguardo quest'ultimo, tuttavia, Stephen si limitò a raccontare solo i dettagli principali, spiegando che non ne sapesse molto nemmeno lui, dato che si erano sempre limitati di impartirgli ordini senza spiegarne il motivo o a cosa servisse tutto quel progetto.

Il ragazzo dai capelli bianchi ci riferì di ciò che aveva visto l'unica volta che era entrato nella Non-Stanza per scortare dei bambini al suo interno: la W.I.C.K.E.D. in qualche modo era riuscita a creare un Labirinto virtuale, fornendo ai bambini tutti gli strumenti per agire in questo nuovo mondo e ricevendone gli impulsi. In questo modo non solo le prove del Labirinto si sarebbero svolte ad una velocità estrema, ma si sarebbero anche ottenuti risultati alle Variabili molto più chiari e concisi. 
Ai bambini veniva concesso di uscire dalla simulazione solo tre volte nel corso della giornata: per pranzare, cenare e dormire otto ore. Dopodiché il ciclo di prove riprendeva daccapo da dove era stato interrotto, sottoponendo ai bambini prove sempre più difficili e reali, con tanto di problemi da risolvere, rompicapi e le tipiche cacce all'umano che alla W.I.C.K.E.D. parevano piacere tanto.

Ma i bambini non si accorgevano nemmeno di queste brevi interruzioni, tanto la simulazione era reale. Inoltre, come spiegato da Stephen, la W.I.C.K.E.D. era riuscita in qualche modo ad alterare le percezioni dei bambini, impedendogli così a volte di distinguere la finzione dal mondo reale. Così facendo, per i bambini era come vivere sempre all'interno di un esperimento senza nemmeno accorgersene. Come l'associazione fosse stata capace di connettere in questo modo mente e corpo ad una realtà virtuale, mi era ancora decisamente ignoto, ma non mi sorprendeva affatto.
L'importante, in ogni caso, era riuscire ad hackerare il sistema e interrompere la simulazione senza creare traumi o reazioni indesiderate nei bambini. Ed era qui che entrava in azione Teresa, con le sue conoscenze tecnologiche e la sua domestichezza all'interno dei programmi della W.I.C.K.E.D. Mentre Teresa si sarebbe messa all'opera e io mi sarei mossa velocemente a liberare bambino dopo bambino, Stephen ci avrebbe coperto le spalle.

Nel frattempo Thomas e Newt sarebbero corsi in sala controlli nel tentativo di riprenderne il dominio e guidarci poi per i corridoi più sicuri una volta che avessimo liberato i bambini. Ci avrebbero condotti fino all'hangar per un percorso semplice, veloce e privo di minacce, precedentemente liberato dal restante dei nostri amici, ovvero Minho, Violet e Gally, che armati fino ai denti avrebbero eliminando ogni guardia trovata lungo la strada fino a raggiungere Brenda e Jorge e dare loro supporto.
Nessuno si lamentò dei compagni di squadra acquisiti e di questo fui davvero grata ad ognuno di loro. Eravamo talmente preoccupati e ansiosi da aver messo da parte ogni sorta di antipatia o scarsa intesa, e ciò era un bene per tutti. 

Solo Thomas arrossì esageratamente quando comprese che sarebbe rimasto da solo con Newt e dovetti ammettere, sotto sotto, di averlo fatto apposta a far sì che rimanessero loro due soli. Per qualche motivo mi sentivo in dovere di dare loro il tempo che gli era stato sottratto e quale modo migliore di parlare e confrontarsi se non rimanendo chiusi da soli dentro una stanza? Sperai solo che Newt non si sarebbe lasciato sfuggire l'occasione di chiedere a Thomas alcuni pezzi della sua vecchia vita o per lo meno di confessare a Thomas ciò che gli era successo in quei mesi. Ero certa che il ragazzo nutrisse ancora un forte senso di colpa nei confronti del biondino, come se il fatto che quel colpo di pistola fosse in realtà finzione non cambiasse davvero ciò che era accaduto. Sperai solo che i due sarebbero riusciti ad avvicinarsi tanto velocemente quanto avevano fatto la prima volta. 

Dopo aver raccolto tutte le armi e averle spartite tra di noi in modo intelligente, ci augurammo buona fortuna a vicenda e nel profondo del mio cuore sperai davvero che alla fine di tutto quell'incubo li avrei rivisti tutti. "Anche se il vostro obbiettivo sono i bambini, ricordatevi che siete voi ciò che la W.I.C.K.E.D. vuole veramente." si raccomandò Newt, passando lo sguardo su tutti noi e soffermandosi particolarmente sui miei occhi, per poi aggiungere. "Quindi non fate scelte stupide o troppo istintive, pive." 
Percepii dal tono dolce e preoccupato della sua voce e anche dal suo sguardo che, nonostante si fosse impegnato a mettere la frase al plurale evitando così di mettermi sotto i riflettori, in realtà quella premura fosse rivolta a me in particolare.

Gli sorrisi, tentando da una parte di rassicurarlo e dall'altra di rigirargli la promessa. Sapevo che con Thomas sarebbe stato completamente al sicuro, ma ancora non riuscivo a lavarmi di dosso la sensazione che avrei potuto perderlo da un momento all'altro. Non che la mia presenza costante accanto a lui gli avrebbe rassicurato la sopravvivenza eterna, certo, però avrei combattuto con denti e unghie fino alla fine pur di vederlo salvo. 
"Ancora non capisco perché vogliano così tanto che rimaniamo. Insomma, non gli è mai interessato davvero di salvaguardarci, quindi non vedo il motivo di tutta questa preoccupazione per la fuga di Newt." mormorò Minho in tutta risposta al biondino.

"Be' però Newt è la loro prima buona riuscita della cura, è normale che lo vogliano studiare a fondo. Se scappa con noi non sarà possibile." borbottò Gally, lasciandomi confusa per un attimo. Anche io ero convinta fino in fondo della spiegazione appena data dal Costruttore, eppure ora che la sentivo pronunciare a voce alta mi rendevo conto di quanto suonasse banale.
La W.I.C.K.E.D. non era di certo così stupida ed ero sicura che avesse per iscritto ogni singola condizione, mossa e reazione di Newt. Appunti e forse anche registrazioni circa l'operazione, il procedimento, la riabilitazione, le Variabili, i risultati e i fallimenti non sarebbero di certo spariti nel nulla con la scomparsa di Newt. 
No, c'era un tassello che non avevamo preso in considerazione.

Feci per intervenire, ma la faccia dubbiosa di Stephen e il suo intervento mi fecero tacere seduta stante. "Ma eravate o no con me nella Stanza-Nera?" chiese con un tono quasi offeso, tendente allo scocciato. "Non avete sentito cosa hanno detto i dottori e gli scienziati?" 
Mi guardai attorno, ma dopo aver colto solo espressioni dubbiose e altre vuote, perse nel buio dei pensieri, compresi di non essere l'unica a non aver preso sotto esame un importante, fondamentale dettaglio di tutta quella scenografia. 
"Davvero non ci siete arrivati?" intervenne Newt, facendo un passo in avanti, zoppicando vigorosamente per l'agitazione. "Hanno raccolto tutte le informazioni che gli servivano, conoscono la procedura a memoria, se vogliono possono riniziare il processo di cura da capo con un altro soggetto. Non sono io che gli interesso."

"E allora perché non lo fanno e bas..." Minho si interruppe nel momento stesso in cui una pesante realizzazione si impossessò di me. Come avevo fatto a non pensarci prima? Perfino Kurt aveva cercato di spiegarmelo qualche ora prima, ma lo avevo completamente frainteso.
Newt scosse la testa, l'espressione tra il disgustato, l'arrabbiato e il sorpreso. Tre sentimenti che pensai non sarebbero mai potuti andare d'accordo eppure eccoli là, stampati sulla faccia della persona più bipolare della terra. "Siete voi i prossimi donatori, brutte pive del caspio. Come avete fatto a non arrivarci prima?" parlò con tono alto, quasi come se ci stesse rimproverando tutti, poi arrossì all'improvviso, abbassando lo sguardo e toccandosi la fascia alla testa in modo distratto.

"Ecco il motivo di tutti quei test motori e mentali!" esclamò Gally, tenendosi una mano sul petto come forse a ricordare lo sforzo a cui era stato sottoposto.
"Test?" domandò Teresa, improvvisamente curiosa. Avrei voluto domandarglielo anche io, ma la voce mi era rimasta incastrata in gola e lo sguardo continuava a rimanere incollato a Newt, che sembrava si fosse accorto di non avere più sotto mano le sue emozioni e stesse cercando di riacquistarne il controllo. 
Il ragionamento dietro le azioni della W.I.C.K.E.D. mi sembrava quasi senza senso. Avevano passato anni e speso chissà quale patrimonio per trovare il Candidato Finale tra tutti noi e poi avevano buttato nel cestino quell'opzione decidendo che saremmo andati tutti bene per i suoi scopi? Insomma, che senso aveva? Se Thomas era stato scelto come Candidato finale, allora c'era un motivo: forse la sua spiccata intelligenza, o il modo in cui aveva risposto correttamente a certe Variabili, o magari il fatto che fosse riuscito a decifrare il Labirinto e poi a uscire vivo dalla Zona Bruciata e...

Non sapevo veramente dire con esattezza cosa avesse il cervello di Thomas in più del nostro, ma poco mi importava dato che ora perfino per la W.I.C.K.E.D. quel dettaglio non pareva così degno di nota. 
"Oltre agli esami del sangue, test sui riflessi o verifiche sulla nostra condizione fisica..." Gally fece una pausa, alzando gli occhi al cielo e poi guardando cauto Violet. "Be', a me hanno ridato la memoria. Penso che a questo punto lo step successivo fosse prendersi il mio cervello, forse."
Violet scosse la testa. "No. Mi avevano già restituito la memoria tanto tempo fa. Se gli step erano quelli che proponi tu, allora io dovrei già avere una zucca vuota al posto della testa. Deve esserci qualcos'altro che gli manca."

"Certo che manca un passaggio." biascicò Newt, come se fosse improvvisamente stanco di spiegarci per filo e per segno un qualcosa che avremmo già dovuto capire da soli. "Devono prima rendervi il candidato perfetto per un trapianto, altrimenti il cervello potrebbe non essere abbastanza... forte, preparato, insomma, per sopravvivere in un altro corpo." 
Scossi la testa e feci per avanzare una tra le tante domande che sentivo ronzarmi in testa, tuttavia i passi di Stephen dietro a me mi bloccarono, facendomi voltare verso il ragazzo che, dopo essersi rimesso a fatica il casco da guardia, mi aveva raggiunta. Dopo aver posato delicatamente una mano sulla mia spalla e averla stretta come a risvegliarmi dalla mia trance, il ragazzo parlò in modo chiaro, che non accettava repliche. "Poco importa ora. Pensiamo solo a mettere in salvo i bambini e poi a levarci dai piedi." 

Annuii, impugnando forte il mio arco e guardando un'ultima volta Newt.
Ti prego fa che non gli succeda nulla. Implorai nella mia mente. Quando vidi il biondino ricambiare il mio sguardo preoccupato e ancorare i suoi occhi ai miei, come a non volerli mai lasciare, compresi che stesse pensando esattamente la stessa cosa.
Poi una scintilla di speranza annerì la preoccupazione nelle sue iridi color nocciola e all'improvviso mi sentii riempire da una forza rigenerante, che mi diede il coraggio di abbozzare un sorriso e abbandonare alle spalle il peso che mi sentivo sul cuore.
"Bene così, allora ci vediamo tutti all'hangar e poi torniamo a prendere voi due, d'accordo?" domandai, volgendo lo sguardo a Thomas e a Newt, nascondendo in quelle mie parole una tacita promessa. Quando tutti annuirono mi sentii come se avessi appena stretto un patto di sangue: avrei fatto di tutto pur di far arrivare tutti alla fine di quel gioco malato. 
Era ora che la W.I.C.K.E.D. pagasse per ciò che ci aveva fatto.

 

 

Io, Stephen e Teresa avanzammo silenziosi e cauti per i corridoi, arrivando indisturbati fino all'ascensore, che Stephen si premurò di chiamare schiacciando il pulsante. Lo osservai rigirare tra le mani una piccola chiave con attaccato un pezzo di plastica color nero, poi si voltò appena verso di me, cogliendo il mio sguardo. Nonostante non riuscissi a vedere la sua espressione facciale, ma solamente i suoi occhi, avrei giurato che avesse un ghigno stampato in viso. "Questa, pasticcino..." mormorò, agitando la chiave in aria. "Questa è la diavoletta che ci porterà a destinazione." 
Il ragazzo si interruppe non appena l'ascensore annunciò la sua presenza con un bip elettronico, per poi aprire le sue porte e rivelarci il suo interno metallico e alquanto piccolo. Solo dopo aver mosso un passo all'interno della scatola penzolante, il ragazzo parlò di nuovo, ridacchiando divertito anche questa volta. "Spero che voi signorine non soffriate di mal di mare." 

Aggrottai le sopracciglia dubbiosa, domandandomi se forse per quell'occasione sarebbe stato più corretto se avesse usato l'espressione "claustrofobia", più che "mal di mare", dato gli spazi ridotti di quell'aggeggio elettronico. Tuttavia poi scoprii che in realtà, di lì a poco, avrei sperimentato un qualcosa di decisamente peggiore rispetto alla semplice paura degli spazi stretti. Quando Stephen inserì la chiave nella sua apposita fessura e le porte dell'ascensore si chiusero su loro stesse, mi maledissi mentalmente di aver anche solo pensato che sarebbe stata la claustrofobia a farmi sentire male.

L'ascensore, a quanto pareva, non era uno dei tipici della sua specie che si limitavano a scendere e a salire. No. Decisamente no. Quando dopo qualche secondo venimmo catapultati sulla parete a destra, per poi spiaccicare il naso sulle porte davanti al successivo cambio di direzione e poi nuovamente a destra, compresi di essere rimasta intrappolata dentro quattro pareti metalliche che sembrava si apprestassero a fare il giro del mondo.
Solo alla fine di quell'incubo l'ascensore parve farsi impietosire dal pallore sul mio volto e dalle mie suppliche, riprendendo la sua solita andatura verticale, ma scendendo pur sempre ad una velocità fuori dal normale.

Quando pensai che saremmo arrivati al centro della Terra o chissà, forse di un altro pianeta addirittura, l'ascensore si bloccò con una delicatezza che mi destabilizzò, annunciandoci poi la direzione raggiunta con una voce piuttosto simile ad una umana.
Le sue porte si aprirono e non mi feci ripete due volte di uscire, catapultandomi verso l'esterno e traballando per i primi tre o quattro passi. Sentii Stephen ridacchiare alle mie spalle e feci quasi per sorprendermi nel vederlo felice e sereno, per nulla toccato da quella giostra infernale, quando lo sguardo mi cadde su Teresa, tanto sconvolta quanto me.
Mi rassicurai dicendomi che se Stephen era già stato nella Non-Stanza allora significava che avesse già preso quella sottospecie di ascensore e che quindi vi si fosse abituato a forza.

Stephen ci concesse qualche istante per riprenderci, poi ci incitò a seguirlo per i corridoi, spiegandoci che non avremmo dovuto incontrare troppi pericoli o guardie pronte all'attacco, dato che la W.I.C.K.E.D. confidava pienamente nell'ottima riuscita della stanza nascosta. La cosa non mi sorprese, dato che in ogni caso, anche se ci avessero mandato guardie su guardie per difendere la stanza, sarebbe stato quasi controproducente: la posizione delle guardie davanti alla Non-Stanza ci avrebbe comunque rivelato la sua posizione, mandando all'aria tutta l'idea dietro la sua creazione.
Continuammo perciò ad avanzare in modo silenzioso, ma pur sempre stando attenti.

Dopo aver percorso quel labirinto di pareti per qualche minuto, Stephen si fermò a metà di un corridoio, richiamando me e Teresa e indicandoci col mento la parete vuota.
"Ci siamo." borbottò Stephen, tutta la sicurezza che sembrava mostrare fino a prima seppellita da un'improvvisa agitazione. Il ragazzo estrasse un foglietto stropicciato dalle tasche e lo guardo ansioso, poi, dopo aver preso un profondo respiro sollevò la mano verso il muro e bussò prima due volte, in modo veloce, per poi battere altre due volte il pugno sul muro, ma questa volta separando i colpi con un breve intervallo di pausa.
Il muro davanti al ragazzo si trasformò improvvisamente, rivelando uno schermo di media grandezza davanti ai nostri volti. 

Vidi una tastiera composta da numeri, simboli e lettere, con sotto tre quadratini colorati: una X rossa, una spunta verde e una freccia arancione che puntava verso sinistra.
Vidi Stephen analizzare il foglietto ancora una volta e sussurrare tra sé e sé il suo contenuto, digitandolo a sua volta sullo schermo. Io e Teresa rimanemmo lì a fissarlo, tanto incredule quanto agitate. Non avevamo la minima idea di cosa ci fosse al di là di quel muro, ma il modo in cui stava reagendo Stephen mi stava facendo preoccupare.
Ero sicura che la sua reazione fosse dovuta semplicemente al fatto che aveva il terrore di fallire e di doversi vedere Hailie venirgli strappata nuovamente dalle sue braccia.
Poi pensai ad Elizabeth e per un attimo ebbi il timore che una volta aperta la Non-Stanza, lei non sarebbe stata lì.

Strinsi il mio arco e cavai una freccia dalla faretra con mano tremante, tentando di infondermi coraggio e di ripetermi che sarebbe andato tutto bene. Nonostante ora Newt si ricordasse di avere una sorella non sapevo quanto sarebbe stato corretto nei suoi confronti e nei confronti di Elizabeth rivelarlo ad entrambi. Era tutto ancora così incerto... Non sapevo nemmeno come sarei riuscita a far sopravvivere Newt una volta fuori da quella base e non intendevo di certo pensarci in quel momento. Non potevo lasciarmi trasportare dalle emozioni e farmi offuscare la vista dalla tristezza. Dovevo continuare ad agire in modo lucido o non saremmo nemmeno mai usciti da quel posto.

Dopo aver finito di digitare la lunga sequenza del codice, Stephen si voltò leggermente verso di noi, il dito pronto sulla spunta verde. Osservò Teresa, che si armò prontamente con una delle pistole contenenti sonniferi, poi si soffermò con lo sguardo su di me, annuendo. Ritornò con l'attenzione sulla tastiera e finalmente premette il tasto verde. 
Per qualche attimo non successe nulla, semplicemente sparì la tastiera e lo schermo illuminato rimase vuoto, poi, dopo attimi infiniti d'attesa si sentì uno sbuffo e un quadrante della parete del corridoio si incassò nel muro, ritagliando un alto e largo rettangolo. 
Con un bip meccanico, la grande porta che si era venuta a formare scomparve risucchiata dalla parete, come se fosse un muro scorrevole.

Caricai il mio arco prontamente, puntandolo a casaccio davanti a me e trattenendo il respiro. Mi sentii il cuore in gola, talmente preso dall'agitazione che sembrava si fosse dimenticato come battere a ritmi regolari; poi dopo un primo sguardo all'interno della stanza, un artiglio mi attanagliò lo stomaco, facendomi salire il panico.
Ciò che mi si parò davanti non fu uno spettacolo raccapricciante, ma destabilizzante.
La stanza era larga appena sette-otto metri, ma sembrava estendersi all'infinito come un lungo corridoio senza fine. Ad ogni lato della stanza, distanti appena un metro o due erano presenti dei tapis roulant alquanto strani: avevano una base rotonda con un diametro largo almeno tre metri e, seguendo i movimenti dei bambini che vi erano sopra, sembravano girare in ogni direzione richiesta dal suo utilizzatore.

Dai bordi di questi tapis roulant si innalzavano quattro colonne in plastica che sorreggevano un cerchio di gomma imbottita che racchiudeva il corpo del bambino – forse una barriera per non farlo cadere al di fuori della macchina.
A poca distanza da ogni tapis roulant era presente un mini schermo illuminato, con scritte, immagini e perfino schemi troppo piccoli perché i miei occhi riuscissero a decifrarli.
Ma la cosa che catturò di più il mio sguardo fu il modo in cui i bambini fossero vestiti: ognuno di loro indossava una tuta nera e lucida, che presentava di tanto in tanto dei pallini azzurri luminosi. Quando alcuni di questi diventavano rossi in una determinata zona, il bambino sembrava piegarsi in due o saltare sorpreso su sé stesso. Non mi ci volle molto per comprendere che quelle lucine non fossero altro che stimolatori, volti molto probabilmente a far provare sensazioni tattili al soggetto che indossava la tuta.

Sulla testa di ognuno dei bambini era presente un casco bello largo, che sembrava anche abbastanza pesante, quasi come fosse un casco d'astronauta esagerato, ma totalmente nero. 
"Q-Quello è..." mormorò Teresa, indicando con un braccio il fondo della stanza a parecchia distanza da noi. Seguii ciò che il suo indice stava puntando e, quando mi accorsi del filmato che stesse venendo proiettato sulla parete di fine della stanza, mi si raggelò il sangue. 
"Il Labirinto." spiegò Stephen, il tono di voce sembrava quasi ferito. 
Osservai per qualche attimo quella proiezione, venendo improvvisamente trasportata ancora una volta all'interno delle mura della Radura.
Tutto era uguale identico a come lo avevamo lasciato noi dopo essercene andati: gli Orti, la foresta, il Casolare, persino il Muro con i nomi... Nulla sembrava essere invecchiato di un giorno, eppure potevo percepire che ci fosse un qualcosa di diverso.

Dopo aver dato una seconda occhiata, realizzai che la Radura fosse popolata da tutti i bambini che la W.I.C.K.E.D. ci aveva sottratto in quel fatico giorno. Vagavano per la Radura, passando da una parte all'altra dello schermo, a volte sparendo dall'inquadratura, ma non sembravano per nulla spaesati, come se sapessero esattamente quale fosse il loro compito. 
Ognuno di loro era impegnato in un'attività diversa, ma non feci in tempo a notare se i bambini avessero mantenuto i nostri stessi lavori, che l'inquadratura nello schermo cambiò, trasportando la visione all'interno del Labirinto e inquadrando due maschietti e una femminuccia intenti ad esplorare coraggiosi gli antri più nascosti di quel Labirinto infernale.
Mi sentii riempire di sollievo quando notai che non ci fossero Dolenti in vista, ma quando riconobbi la figura femminile che stava indicando un qualcosa ai suoi due compagni, mi si gelò il sangue nelle vene. Era Elizabeth.

Distolsi in fretta lo sguardo dallo schermo, tanto incredula quanto terrorizzata e lo puntai nuovamente sulle figure con indosso la tuta, ancora in movimento sui loro tapis roulant. 
Una realizzazione mi colse impreparata, facendomi abbassare l'arco all'improvviso, come se fosse diventato un peso troppo grosso per le mie braccia da sostenere. 
I bambini erano stati inseriti in una vera e propria simulazione di Labirinto: ogni prova, ogni Variabile che una volta avevamo affrontato io e i miei compagni, i bambini la stavano vivendo di nuovo.  Sarebbero stati sottoposti ad ogni dolore, ad ogni battaglia, ad ogni sensazione attanagliante che avevamo vissuto noi tanto tempo fa.
Una domanda mi sorse spontanea nella mente, facendomi ribaltare lo stomaco sotto sopra.
Cosa succede una volta che un bambino muore nella simulazione?

*Angolo scrittrice*

Care lettrici, finalmente sono riuscita a pubblicare!
Innanzitutto, nella speranza che il capitolo vi sia piaciuto, ho in serbo per voi una piccola novità! 

Ho intenzione di creare un altro video (ci sto lavorando su ultimamente, raccogliendo voci, suoni e immagini qua e là) che ho deciso pubblicherò nell'ultimissimo capitolo di questo libro. Ancora non so bene come strutturarlo, perché sinceramente fare un altro video Newtlena mi sa ripetitivo, anche perché le gif dopo un po' sono sempre quelle. Ma non preoccupatevi, non vi deluderò!

Vi volevo inoltre chiedere altre due cose:

1) siccome questo sarà l'ultimo libro e ci stiamo avvicinando sempre più alla fine, stavo pensando di fare un capitolo dove rispondo ad ogni vostra domanda riguardante la storia o anche domande personali su di me! Ero inizialmente partita con l'idea di fare una live o magari un incontro su Zoom, ma non so quante di voi parteciperebbero :') 

2) per le amanti della lettura, ho una richiesta da sottoporvi: mia sorella ha aperto una pagina su Instagram dove parla di libri (la sua più grande passione da anni) e sta diventando un blog davvero interessante a mio parere. Quindi se pensate di essere interessate, seguite su Instagram il suo account: @libriconali 
(sì, mia sorella si chiama Alice) E' davvero brava, quindi se la doveste seguire vi giuro che non ve ne pentirete! 

Vi spammo qua sotto anche il mio account personale Instagram, per chi volesse stalkerarmi di tanto in tanto o scrivermi in direct: @elena_de_angeli  (ho il profilo privato, quindi se mi seguite pls inviatemi un messaggio in chat per dire che siete lettrici della mia storia, sennò potrei pensare che siete sconosciute e non accettarvi la richiesta)

Grazie per l'attenzione e buona giornata, pive!

Elena

 

 

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Capitolo 84
*** Capitolo 77. ***


Dei movimenti insoliti mi distolsero dai miei pensieri, catapultandomi nuovamente nella realtà. Dei camici bianchi apparvero qua e là, piccoli dettagli fondamentali che prima non avevo nemmeno notato ora erano entrati nel mio campo visivo, svegliandomi come una scossa elettrica.
Saldai la presa sul mio arco e con le dita dell'altra mano appoggiai la freccia alle labbra, muovendo diversi passi in avanti prima che Teresa e Stephen potessero realizzare ciò che stava per succedere. Nemmeno i dottori si erano accorti della nostra entrata in scena, tanto erano impegnati a monitorare i bambini e a pendere appunti sullo svolgimento della loro simulazione. Ma quando mi mossi in avanti, uno di loro mi puntò gli occhi addosso, improvvisamente abbandonando una cartella e alcuni fogli a terra, attirando così l'attenzione degli altri colleghi.

"Un passo falso e inizio a giocare a freccette." comunicai, guardandoli uno ad uno con fare minaccioso. Feci passare la mia mira da una testa all'altra, vedendoli alzare le braccia in aria uno dopo l'altro. Stephen entrò in azione subito dopo me, muovendosi anche lui all'avanti e puntando la pistola a sonniferi su uno o due scienziati raggruppati dietro a un bambino, ancora immerso nella simulazione, totalmente ignaro di ciò che gli stesse capitando attorno.
"Che ne dite di posizionarvi tutti sulla parete in fondo alla stanza?" propose il ragazzo con un tono sarcasticamente dolce. "Voltatevi verso il muro, con le mani in alto." aggiunse poi bruscamente. "Ora."
I camici si mossero velocemente e senza protestare, facendomi per un attimo pensare che probabilmente la W.I.C.K.E.D. li pagasse troppo poco perché sacrificassero la loro vita per fermare degli invasori.

"Se li tenete d'occhio io intanto posso cercare di terminare la simulazione." ci informò Teresa alle nostre spalle. Annuii leggermente e Stephen mugugnò un sì, facendo così partire la ragazza verso il primo schermo vicino. Nonostante non l'avessi nel mio campo visivo, fui quasi sicura che una volta toccata la tastiera Teresa si sarebbe totalmente immersa nel suo compito, ignorando e tagliando fuori dalla sua attenzione ogni cosa al di fuori di quel computer. Qualsiasi distrazione fosse entrata in atto da quel momento in poi, ero sicura che non avrebbe staccato gli occhi dal monitor finché non avesse completato la sua missione.

Nonostante io e Stephen fossimo gli unici veri pericoli per gli scienziati in quel momento, nessuno sembrava voler muovere un muscolo in nostra direzione per fronteggiarci. Mi avvicinai a Stephen e lo affiancai in modo silenzioso, sempre tenendo lo sguardo fisso sulle figure ora girate verso il muro, con le braccia in alto come burattini.
"Perché diamine sembra così semplice?" sussurrai al ragazzo. 
Lo sentii sospirare e avvicinarsi ancora a me, tenendo sempre la pistola dritta in avanti. Quando fu abbastanza vicino da far sfiorare le nostre spalle, il ragazzo parlò, la sua voce ancora soffocata dal casco. "Me lo chiedo anche io. Okay che sono uno minaccioso e quelli si stanno sploffando nei pantaloni per colpa mia, ma... diamine, sono uno contro almeno una decina."

"Hey!" replicai, sentendomi esclusa, ma evitando di distrarmi troppo. "Ci sono anche io qua con te! E si da il caso che anche io sia armata."
"Sì, per quanto possa far paura uno scoiattolo armato." replicò lui, dandomi un leggero colpetto alla spalla. Nonostante non potessi vedergli la faccia, sapevo che non stesse affatto sorridendo, nonostante la frase ironica appena pronunciata. La sua preoccupazione e la tensione costante si poteva percepiva a distanza, ma non riuscivo a dargli torto: Hailie era nel Labirinto e con lei anche Elizabeth. Non riuscivo a non pensare che un Dolente sarebbe arrivato in pieno giorno a pungerle entrambe.

E se invece i Creatori avessero anche modificato le bestie all'interno dell'esperimento? La sola idea mi faceva salire la nausea e il terrore. Dovevamo cavarle fuori di lì al più presto. "Non sarebbe dovuto suonare un allarme, arrivati a questo punto?" domandai ancora, non riuscendo a trattenermi. Sapevo che la mia paranoia non avrebbe di certo risollevato l'umore di Stephen e in ogni caso porre domande a cui nessuno aveva una risposta era un inutile spreco di fiato.
"Finché si entra con il codice dovrebbe andare tutto liscio." borbottò Stephen. "E il fatto che non sia stato dato l'allarme significa che Thomas e Newt sono già riusciti a prendere possesso della Sala Controlli. Se qualcuno ci avesse visto entrare attraverso le telecamere di certo non saremo ancora qua tutti tranquilli."

"Mh..." mugugnai, poco convinta da quella spiegazione. Mi sentivo come se ci fosse un qualcosa che non stessi prendendo in considerazione. Davvero la W.I.C.K.E.D. credeva così tanto nell'impenetrabilità della sua Non-Stanza?
"Ragazzi, credo di esserci quasi..." annunciò Teresa a bassa voce, quasi come se stesse parlando tra sé e sé. La simulazione proiettata sul muro si fece sempre più pixellata, fino a scomparire del tutto e diventare un muro totalmente nero all'infuori di un cerchio bianco proprio al centro dello schermo. Passarono giusto un paio di secondi prima che la ragazza parlasse di nuovo. "I bambini sono ufficialmente fuo..."
La voce della ragazza venne improvvisamente sovrastata da un allarme acuto e perforante. Incapace di contenermi saltai sul posto, abbassando l'arco e guardando Stephen terrorizzata. Il ragazzo ricambiò lo sguardo, ma non abbassò la pistola.

"Che caspio succede?" gridò lui, facendo due o tre passi indietro e voltandosi leggermente verso Teresa. Lottando contro l'istinto di voltarmi anche io, tirai nuovamente la corda e puntai la freccia sui dottori, ora quasi tutti girati verso di noi. La loro espressione non sembrava per nulla sorpresa, quasi come se si aspettassero tutti quel suono.
Sentii Teresa gridare un paio di parole, come "annullata", "fuori" e "orario", ma non riuscii a collegarle tra di loro, rimanendo così perplessa.
"Come si disattiva?" gridai agli scienziati, muovendomi diversi passi in avanti per far sì che mi capissero. Ebbi una risposta solo da una donna sulla quarantina, che fece un passo in avanti, tenendo le mani ancora in alto come per paura che l'avrei atterrata se avesse osato rispondermi.

"Non si può." mi gridò lei di rimando, abbassando leggermente le braccia. "Le guardie saranno qua a breve."
Con la coda dell'occhio vidi Teresa sfrecciare da un bambino all'altro, nel tentativo di aiutarli a togliere i caschi neri d'astronauta e facendoli scendere dai tapis roulant ormai fermi.
Mi guardai attorno, notando che anche Stephen stesse facendo lo stesso. Dovevo aiutarli o non ce l'avremmo mai fatta in tempo. Ripuntai lo sguardo sulla donna che era ancora un passo in avanti rispetto ai suoi compagni. Puntai alla sua testa e non appena mossi l'arco la vidi tremare per poi pietrificarsi sul posto. Dopo aver preso bene la mira lasciai andare la freccia, sentendola gridare terrorizzata, ma incapace di muoversi.

La mia freccia le volò sopra la testa, sfiorandole appena i capelli per poi inchiodarsi sul muro alle sue spalle. La donna ormai paonazza spalancò la bocca. "Se provate a muovervi giuro che la prossima volta vi appendo le teste al muro."
La vidi annuire leggermente e la presi come la tacita conferma di un patto. Mi gettai l'arco sulle spalle e mi fiondai sul primo bambino che trovai al mio fianco. Il ragazzino stava armeggiando terrorizzato con il casco, tirandolo la ogni parte con forza, ma senza riuscire a cavarselo. Lo raggiunsi e gli urlai di stare tranquillo, ma il bambino continuò a non sentirmi,  chiedendo aiuto e gridando a squarcia gola. 
Gli afferrai il casco e tirai con tutta la mia forza, riuscendo a liberarlo e tranquillizzarlo giusto in parte. 

"Siamo venuti a liberarvi." gli urlai nella speranza che mi sentisse. Il bambino continuò a fissarmi con occhi spalancati e labbra tremanti, ancora in preda al fiatone. "Vai ad aiutare gli altri e poi mettetevi in fila davanti all'uscita!"
Lo vidi annuire deciso, poi si voltò di spalle e, dopo aver aperto la sbarra ricoperta di gomma del tapis roulant, sfrecciò verso un compagno.
Corsi verso il prossimo bambino in difficoltà, aiutandolo a togliersi il casco e ad uscire da quella macchina infernale. Poi mi mossi verso un altro e un altro ancora, procedendo quasi meccanicamente e urlando ordini nella speranza che i bambini fossero abbastanza svelti da captarli all'istante.

Con l'aiuto dei piccoli riuscimmo velocemente a liberarne uno dopo l'altro. Mi precipitai verso l'ultimo piccolo bambino della mia fila, lanciando una veloce occhiata per vedere a che punto fossero Teresa e Stephen: mentre la ragazza sembrava avere sotto controllo le sue emozioni, passando da un bambino all'altro e muovendosi veloce, Stephen sembrava aver perso completamente il senno della ragione. Il ragazzo aveva ormai abbandonato l'idea di coprirsi il volto, togliendosi e abbandonando il casco in un angolo della stanza. I capelli bianchi sparati in aria, gli occhi fuori dalle orbite e le vene in risalto sul collo gli davano quasi un'aria da pazzo. Lanciai un veloce sguardo al gruppo di bambini in fila davanti all'uscita e subito compresi: di Hailie non c'era ancora traccia. Prima che la mia attenzione venisse richiamata dalle grida disperate del bambino ancora incastrato sotto il casco davanti a me, riuscii a scorgere la chioma biondastra e arruffata di Elizabeth.

Distolsi lo sguardo, in parte rassicurata, per poi puntare la mia totale attenzione sul bimbo davvero basso rispetto ai suoi compagni che ora aveva preso a dimenarsi di fronte a me nel tentativo di sbarazzarsi del casco. Rispetto agli altri che avevo aiutato, questo era due volte più mingherlino e esile. Nonostante la forza che stava impiegando sulle braccia per togliersi di dosso il caso, le sue braccia tremavano tutte. Sembrava quasi che avrebbe potuto spezzarsi da un momento all'altro. Senza indugiare afferrai la sbarra di gomma e la aprii in un colpo, per poi prendere saldamente il casco e alzarlo verso l'alto.
La testa del bambino venne liberata immediatamente, prendendolo talmente tanto alla sprovvista che cadde in ginocchio.

Solo dopo che il bimbo alzò lo sguardo verso di me e si aggiustò i capelli biondi scompicciati, mi accorsi di essermi sbagliata: quella davanti a me non solo era una bimba, ma era anche Hailie!
Mi gettai a terra, aprendo le braccia e chiedendole tacitamente di fiondarsi su di me. Non realizzai di essere così sollevata e felice finché la bimba, ora più tranquilla ma pur sempre terrorizzata a morte, mi rivolse un sorrisetto per poi gettarsi in braccio a me.
Mi alzai immediatamente in piedi e presi a correre in direzione di Stephen che ora era intento a scrutare tra le diverse testine dei bambini. Lo dovetti richiamare più volte prima di attirare la sua attenzione. "Hailie! Ho Hailie!" gridai ancora, vedendolo voltarsi immediatamente.

Il ragazzo diminuì la distanza tra di noi in due o tre falcate, per poi gettarsi letteralmente sopra di me e racchiudermi in un abbraccio stritolante. Il ragazzo non si prese nemmeno la briga di prendere la bimba dalle mie braccia, includendo anche me in quel gesto d'affetto così spontaneo. Lo sentii sussurrare il nome della bimba un paio di volte vicino al mio orecchio, nascondendo il volto tra l'incavo del mio collo e i capelli di Hailie. La bimba non si lamentò di quella stretta ferrea, muovendosi piccola tra le mie braccia e accarezzando dolcemente il volto del fratello. Qualcosa di bagnato mi macchiò il petto, cogliendomi per un attimo di sorpresa.
Quando il ragazzo si distaccò da me, porgendo le braccia in avanti e riprendendosi la sorellina, mi accorsi che stesse piangendo e ridendo allo stesso tempo.

Sorrisi imbarazzata, ma mi si strinse il cuore. Chissà quanto doveva aver sofferto Stephen per tutto quel tempo. Sarebbe probabilmente impazzito se non avesse ritrovato nemmeno Hailie. La W.I.C.K.E.D. gli aveva tolto fin troppo per farlo vivere serenamente.
"Siamo tutti!" sentii Teresa gridare. "...andarcene!" continuò poi, metà delle sue parole mangiate da quel frastuono.
Annuii svelta e mi fiondai sul pulsante rosso sul muro di fianco all'uscita, nella speranza che le mie intuizioni fossero corrette e che quel diavoletto servisse ad aprire la porta. Dopotutto, di certo non potevo peggiorare la situazione.
Un peso mi si tolse dal cuore quando vidi la parete incassarsi nel muro e poi scivolarvi dentro come una porta scorrevole.

Ci fiondammo fuori da quella stanza, tanto sorpresi quanto sollevati di non trovare già una cinquantina di guardie con i lanciagranate e le pistole puntate addosso a noi.
Vidi Teresa prendere a correre e massaggiarsi una tempia come a concentrarsi e subito compresi che stesse tentando di entrare in contatto con Thomas. Mentre continuavo a spingere i bambini per il corridoio esterno e a proteggerli con il mio arco, vidi la ragazza voltarsi verso di noi e farci segno di seguirla mentre si fiondava per le scale. "Thomas ci sta guidando usando un percorso alternativo! Le guardie stanno tentando di raggiungerci, prendere l'ascensore è troppo rischioso!" 

Seguimmo la ragazza giù per le scale, proseguendo tutti alla rinfusa e portandoci dietro i bambini che, sebbene fossero terrorizzati a morte, non avevano ancora emesso un fiato. Con Stephen che chiudeva la fila, ancora tenendo Hailie in braccio, mi sentii abbastanza sicura da aumentare l'intensità dei miei passi e avvicinarmi il più possibile a Teresa, stando attenta a non inciampare o a non mancare qualche scalino.
"Teresa!" la richiamai, vedendola sussultare appena, ma continuando pur sempre nella sua corsa. "Thomas e Newt..." iniziai, sentendo già il fiato mancarmi nei polmoni. Non mi era mancato per nulla correre a perdi fiato, soprattutto contando che da quando eravamo entrati nell'edificio, al minimo segno di corsa o camminata veloce, la mia caviglia iniziava a darmi noie. 

"Stanno bene, vero?" domandai, sentendo la preoccupazione smorzare lentamente l'adrenalina che avevo accumulato nella Non-Stanza. 
Alla sola idea che Newt e Thomas fossero minacciati dalle guardie, tenuta a distanza da una semplicissima porta, mi si gelava il sangue nelle vene. Mi ero ripetuta più volte di rimanere tranquilla, che tutto sarebbe andato liscio, ma ora iniziavo a pentirmi di aver lasciato i due da soli. E se gli fosse successo qualcosa? Eravamo troppo distanti per tornare indietro e aiutarli. 
"Sì." si limitò a rispondere la ragazza, anche lei a corto di ossigeno. "Thomas dice che le guardie si stanno riversando nella Non-Stanza. Possono occuparsi facilmente di quelle rimaste a dare loro fastidio." 

Mi morsi il labbro e sentii un peso sciogliersi lentamente e abbandonare il mio petto. Sapevo che Newt e Thomas fossero in fin dei conti un'ottima squadra, se messi insieme, ma al minimo accenno di pericolo non potevo fare a meno di immaginarmi i peggiori scenari per il biondino. Averlo già perso una volta senza aver potuto far nulla per cambiare la situazione aveva di certo influito sulla mia mente. Nonostante la sensazione di panico che di tanto in tanto prendeva a torcermi lo stomaco, ringraziai la ragazza e diminuii il passo per riposizionarmi al centro del gruppetto di bambini che, con il volto madido di sudore e il fiato corto, continuavano a scendere in fretta le scale senza lamentarsi.
Per un attimo mi sentii fiera di tutti loro e sperai solo che avrebbero tenuto duro fino alla fine. Sottoporre quei poveri bambini a tutte quelle cose orribili... Il fatto che fossero tutti terrorizzati ma che nessuno stesse piangendo, nemmeno i più piccoli, mi fece domandare quanti orrori avessero vissuto nelle ultime settimane per non reagire a una situazione di stress come quella.

Il volto di Elizabeth, con le guanciotte rosse e lo sguardo determinato, colse la mia attenzione. Sentii le mie labbra piegarsi all'insù mentre la bambina continuava a scendere le scale seguendo i compagni. Mi fermai per qualche secondo, dandole giusto il tempo di raggiungere il mio fianco, e poi ripresi la corsa vicino a lei. "Tutto okay, Liz?" domandai, allungando leggermente la mano sulla sua testolina bionda e scapicciata e lasciandole una dolce carezza. 
Sentii la bambina sussultare, ma non si distaccò dal mio tocco, voltandosi velocemente per guardarmi e rilassandosi non appena mi riconobbe. La sentii mugugnare un sì per poi sorridermi appena e concentrarsi nuovamente con lo sguardo a terra forse per non mancare qualche scalino.

Mi rassicurai, ripetendomi che ora erano tutti sotto le nostre ali protettive e che non avrei permesso a nessun altro di fare loro del male. La W.I.C.K.E.D. aveva tentato di far prendere il nostro posto ai bambini, di riprendere le prove con nuovi soggetti e nel frattempo utilizzarci per i nostri cervelli; ma ciò che non aveva preso in considerazione era che tutti gli orrori a cui ci aveva sottoposto, tutta la paura e il dolore e lo stress a cui eravamo stati esposti per tutto quel tempo non aveva fatto altro che alimentare in noi un senso di giustizia e vendetta che avremmo scatenato contro di lei alla prima occasione.

Dopo diversi minuti di corsa Teresa uscì da una porta di servizio, tornando nei corridoi della sede e tenendo la grande porta aperta per far uscire tutto l'afflusso di bambini. Quando fummo tutti nel corridoio, la ragazza ci incitò nuovamente a seguirla in silenzio e riprendemmo a percorrere quei corridoi che a mano a mano sembravano farsi sempre più bui, come se a quella profondità la luce dei neon non funzionasse bene. Corridoio dopo corridoio avanzammo per diverso tempo, trovando ogni tanto i corpi di alcune guardie ammassati qua e là, tutti caduti in un sonno profondo e qualcuno con diverse ferite sanguinanti in alcune zone del corpo. Ma per fortuna non incontrammo anima viva, continuando a percorrere quel labirinto sempre in sicurezza, facendomi intuire con sollievo e gratitudine che Minho, Gally e Violet avessero fatto davvero un ottimo lavoro a sgombrarci la strada.

Svoltammo nell'ennesimo corridoio e Teresa sembrò rianimarsi improvvisamente, tendendo il braccio davanti a sé e puntando l'indice contro due porte d'acciaio alla fine del corridoio. "Ci siamo! Quelle sono le porte dell'hangar!" ci comunicò, aumentando il passo, la sua corsa probabilmente animata dalla rinnovata speranza. 
Aumentai il passo e mi ritrovai al pari con Teresa. Quando fummo a meno di un metro dalle porte, ci scaraventammo entrambe all'avanti, aggrappandoci alle pareti fredde della porta e spingendo con tutta la nostra forza senza però ottenere nessun risultato. Continuammo a spingere, prese entrambe dal panico, con i bambini in attesa dietro di noi, quando Stephen ci raggiunse e con il fiatone biascicò qualche commento cattivo nei nostri confronti. 

"Vi serve... questa." borbottò, cavando dalla tasca una tesserà magnetica e facendola strisciare su un pannello elettronico situato sulla parete adiacente alla porta che prima non avevo notato. Come per magia le porte scorrevoli si aprirono, stupendoci tutti. Mi armai di arco e frecce il più velocemente possibile e per quanto le mie braccia stessero tremando per colpa delle poche energie rimaste dalla strenua corsa, riuscii a tenere saldo l'arco e a puntarlo all'interno dell'immensa stanza. 
Per un attimo temetti che un'orda furiosa di guardie ci avrebbe investiti, sottraendoci nuovamente i bambini e mettendoci fuori combattimento, ma dopo aver dato una seconda veloce occhiata allo spazio dell'hangar, mi resi conto che non ci fosse davvero motivo di preoccuparsi: Minho, Violet e Gally erano situati vicino all'unica Berga con il portellone aperto tra le quattro presenti. 

I ragazzi ci avevano puntato le armi addosso non appena eravamo entrati, ma dopo averci riconosciuti si rilassarono anche loro, salutandoci e tornando a puntare lo sguardo sugli altri accessi all'hangar ancora chiusi. 
Osservai velocemente lo spazio e notai i segni evidenti di una battaglia recente: oltre ai corpi di guardie ammassate in due montagnette davanti alle due porte principali a est e a ovest, erano anche presenti diverse munizioni usate e pistole finite qua e là, alcune scatole in legno sfasciate e altre macchiate dai segni di proiettili. Ma nonostante la confusione nella stanza, la situazione sembrava essere tranquilla e totalmente sotto controllo, il che mi diede la certezza di potermi rilassare. 

Minho, nonostante la maglia macchiata di sudore e un rivolo di sangue al lato della bocca pareva stare bene. Violet, intenta a borbottare qualcosa a Gally, sembrava non aver collezionato altre ferite di guerra; mentre il ragazzo restante era più affaticato e stanco che ferito – ad eccezione di un occhio nero e gonfio.
Di Brenda e Jorge non c'era ancora traccia, segno che molto probabilmente si fossero entrambi intrufolati all'interno della Berga per cercare di capire come metterla in moto.
Sorridendo sollevata, abbassai l'arco e mi diressi verso i miei amici, seguita da Stephen e Teresa e, soprattutto, dai bambini finalmente salvi.

*Angolo scrittrice*

E con questo capitolo vi auguro un Capodanno felice e un buon inizio per questo 2021 che spero ci porterà solo belle cose. 
Come passerete questa giornata?
Spero che il capitolo vi sia piaciuto!

Bacioni,

Elena

PS: durante queste vacanze sono riuscita a convincere il mio ragazzo a guardare The Maze Runner e indovinate un po'? Gli è piaciuto così tanto che dopo qualche giorno ha convinto sua madre a rivederlo con lui. Ho creato un fanboy, care pive.

 

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Capitolo 85
*** Capitolo 78. ***


Decidemmo di non impiegare troppo tempo nell'hangar: sistemammo i bambini al sicuro dentro la Berga e aiutammo a creare più spazio al suo interno spostando mobili e divani al di fuori dell'aeromobile per permettere a tutti i passeggeri di stare comodi e belli larghi durante il volo. Jorge ci rassicurò più volte spiegandoci di aver già impostato la rotta verso il Posto Sicuro e di avere abbastanza carburante per fare il tragitto almeno quattro volte.
Mentre Brenda aiutava gli ultimi bambini a sistemarsi a terra dentro la Berga, io e gli altri ci ritrovammo a confrontare quante armi ci fossero rimaste a disposizione. 
Purtroppo, dopo un paio di passaggi di armi e proiettili a sonniferi, constatammo quanto fossimo messi male per riuscire ad affrontare un'altra orda di guardie.
Cercammo in tutti i modi di trovare un piano B che ci permettesse di aggirare il pericolo e ricongiungerci a Thomas e Newt con le poche munizioni rimaste nella speranza che avessero notizie positive da darci, ma non trovammo soluzioni degne di nota.

Comprendemmo ben presto che rimanere troppo nell'hangar sarebbe stata una pessima idea: ero sicura che le guardie avessero già raggiunto la Non-Stanza, dato che l'allarme aveva improvvisamente smesso di suonare – o per lo meno i suoi suoni non arrivavano fino all'hangar –, perciò era ovvio che la loro prossima mossa sarebbe stata quella di precipitarsi verso le Berghe. Dopo aver messo fretta a Jorge e avergli ripetuto per l'ennesima volta le istruzioni, la voce di Thomas al walkie-talkie ci fece sobbalzare tutti sul posto.
"Hanno cambiato rotta!" ci gridò il ragazzo in preda al panico. "Tornando... sala..." borbottò Thomas attraverso il piccolo aggeggio, la voce tagliata a pezzi dalla pessima frequenza di suono.
"Thomas, ripeti." avvisò Brenda, il volto contratto in una smorfia di preoccupazione.

"Sala controlli... guardie..." ripetè Thomas, venendo comunque tagliato a metà ogni due per tre. Brenda schiacciò un altro pulsantino sul walkie-talkie. "Thomas non ti..." 
Un'altra voce maschile sovrastò quella di Thomas: "Stanno venendo qua! Forse sperano di bloccarvi..." altri secondi di pessime frequenze distorsero la voce di Newt, ma fui più che felice di sentirlo, anche se solamente attraverso un aggeggio elettronico. "Dovete andarvene dall'hangar prima... blocchino le uscite!" 
Vidi Brenda guardarci uno a uno preoccupati, poi lanciò uno sguardo ansioso verso Jorge che si limitò ad annuire e a sparire all'interno della Berga per raggiungere la sala comandi.
"Le... sono... troppe!" comunicò nuovamente Newt. "Da dove... cacchio... spuntati fuori?" 

Poi all'improvviso, una rivelazione mi fece saltare il cuore di qualche battito. Mi gettai all'interno della Berga, urlando il nome di Jorge e osservandolo spalancare improvvisamente la porta della cabina di pilotaggio. Alle mie spalle, un rumore di ingranaggi che si muovono prese a far agitare persino i bambini. "Una volta arrivato al Posto Sicuro, devi tornare portando con te tutti quelli in grado di combattere. Non saremo in grado di cavarcela da soli." lo avvisai, rendendomi conto solo in quel momento di tutti quei consigli in codice che Kurt aveva cercato in ogni modo di darmi, ma senza risultare esplicito. 
Non sapevo con esattezza cosa l'avesse spinto a essere così cauto con le parole da usare e i messaggi da riferire, ma fui sicura che se non me li avesse esplicitati ci fosse un motivo. Magari era controllato dalla W.I.C.K.E.D., magari aveva un chip inserito in testa proprio come il nostro, ma con una funzione diversa.
"D'accordo, hermana, farò del mio meglio." mi rassicurò l'uomo, accennandomi un breve sorriso tipico di quando cercava di tranquillizzare gli altri, ma senza riuscire a rimanere calmo lui stesso.

"Ora ti conviene uscire: il portellone si sta chiudendo." borbottò lui con fare agitato. Fece per voltarsi di spalle, ma ci ripensò e mi ripuntò gli occhi addosso. "Cercherò di essere veloce e di tornare il prima possibile, ma voi... voi state attenti, ecco."
Gli sorrisi di rimando e annuii convinta, sperando in fondo al mio cuore che saremmo riusciti a tenere testa allo sciame di guardie finché Jorge non fosse tornato con i rinforzi.
Mi precipitai al di fuori della Berga e senza attendere altro raggiunsi i miei amici, aggiornandoli sul piano e vedendoli sorridere, in parte rassicurati del fatto che non saremo stati soli in tutto quel casino.
Avremmo solo dovuto tenere duro e agire in modo astuto finché non fossero arrivati i rinforzi.

Per il viaggio di ritorno decidemmo di procedere in coppia per evitare di rimanere troppo scoperti. Ognuno si era scelto il proprio compagno da proteggere e, finché la cosa sarebbe stata reciproca, ognuno avrebbe avuto le spalle coperte. Ma Teresa fu l'eccezione: in testa alla fila, la ragazza procedeva da sola, continuando a rimanere in contatto telepatico con Thomas, che le stava indicando la via più veloce e sicura per raggiungere la Sala Controlli di quella sede e riuscire a dare supporto ai due ragazzi ancora barricati dentro. 
Poco dietro di lei c'era Stephen, con la sua pistola bella stretta in mano, pronto a coprire le spalle alla ragazza – e ovviamente anche a proteggersi da solo – nel caso in cui avessimo incontrato ostacoli.

Anche Brenda decise di non scegliere un compagno, forse perché lavorava meglio da sola, forse perché aveva capito tristemente che ora che era senza Jorge, non aveva poi così tanti amici o relazioni sane all'interno di quel gruppo. Per un attimo provai tristezza quando la vidi indietreggiare e prendere posto nel retrovia del gruppo, usando la scusa che avrebbe concluso la fila, guardandoci le spalle. 
Mi sentii improvvisamente una stronza per non aver mai tentato di chiarire con lei o per lo meno di non aver mai cercato di comprendere il suo punto di vista. Certo, non che fosse poi tutta questa simpatia, ma ero sicura che anche la ragazza avesse le sue ragioni per odiarmi e darmi contro, come d'altronde io avevo le mie.

In ogni caso, mi ripetei che se anche quell'avventura con Jorge e Brenda fosse andata a buon fine, senza tradimenti spuntati dal nulla e senza secondi fini, allora avrei cessato ogni mio sospetto nei loro confronti, iniziando a considerarli veri e propri membri della grande famiglia che ci eravamo venuti a creare.
E così ci ritrovammo io e Gally appena dietro Stephen, con Minho e Violet alle spalle. Tutti pronti a seguire i passi di Teresa e a ricongiungerci coi nostri amici per tentare di dare loro supporto.

Camminammo tutti in fila per diversi minuti, in silenzio e ordinati come soldatini, almeno finché Brenda non puntò i piedi, rallentando e richiamandoci tutti per farci fermare un attimo.
La prima cosa a cui pensai fu un tradimento o per lo meno che avrebbe trovato un modo per farci scoprire e renderci un bersaglio facile per le guardie, ma quando la ragazza ci fece segno di rimanere in silenzio e ci indicò una lastra di vetro sul muro, cambiai idea.
Non mi ero accorta subito dell'insolita finestra apparsa in mezzo a tutte quelle pareti fredde di cemento e, quando la ragazza me la fece notare, per un attimo credetti addirittura che fosse un altro giochetto sporco della W.I.C.K.E.D. per non farci notare dei particolari di quella sede. Ripensai alla Non-Stanza, ma subito scartai l'idea: quella finestra era sempre stata lì e ciò che si proiettava al suo interno bastava per tenere lontano sguardi indiscreti.

Nonostante ci si dovesse impegnare per riuscire a vedere chiaramente all'interno di quello spazio ampio e buio, illuminato solo da una luce verdastra e raccapricciante qua e là, notai diverse sagome strane e irregolari piazzate sui tavoli di lavoro e lettini in metallo e nascoste da lenzuola.
Esclusi subito l'opzione che si potesse trattare di cadaveri, perfino di umani modificati geneticamente. No, quei veli sembravano celare bestioni lunghi e...
"Sono..." bisbigliò Stephen, avvicinandosi al mio fianco e dando una spallata a Gally per togliermelo da di fianco. "Cosa? Cadaveri?"
Gally rientrò in scena, dando una spallata di rimando al ragazzo dai capelli bianchi e rispondendogli con acidità. "A me sembra abbiano gli aculei, quindi direi che non sono umani."
"M-Ma sono morti, vero?" borbottò Violet, premendo il naso contro il vetro e lanciando un'occhiata di sbieco a Minho, forse per capire le sue espressioni facciali.

Come se fosse stato richiamato alla realtà, vidi Minho fare un brivido e la sua pelle si accapponò. "Non so. Ne ho viste tante di bestie biomeccaniche e non mi sorprenderebbe se sotto quelle sploff di lenzuola ci fosse una versione aggiornata dei Dolenti." ci rasserenò il Velocista, poi rispondendo a tutte le nostre occhiatacce con uno scrollata di spalle. "Che volete? Vi sto dando la mia sincera opinione. Questo corridoio mi fa venire i brividi."
"Forse qualcuno dovrebbe andare a controllare." propose Stephen, allontanandosi però di un passo, come a lavarsi le mani e a tirarsi immediatamente indietro. 
"Prego allora, a te l'onore." rispose sarcastico Gally, ponendosi nuovamente di fianco a me e lanciando uno sguardo di sfida al ragazzo dai capelli bianchi.

"Perché io? Vacci tu." replicò lui, guardandolo male e cercando per qualche motivo un'approvazione nei miei occhi.
"Tu sei quello più sacrificabile tra tutti noi." scherzò Gally in tono così serio che per un attimo temetti non fosse sarcastico questa volta. 
Stephen si atteggiò da offeso, scimmiottando il Costruttore e indietreggiando ancora di un passo. Tutto il coraggio e l'adrenalina immagazzinati in corpo fino a qualche attimo prima, spariti in un po' tutti noi.
"Andrò io." sbottò Brenda, palesemente stanca dei battibecchi tra i due ragazzi. "Qualsiasi cosa siano, voglio capirci di più." spiegò, riponendo la pistola nel suo fodero e aprendo la porta della stanza.

Un odore di chiuso si diramò per il corridoio, dandoci due piccoli indizi fondamentali: innanzitutto, qualsiasi cosa celassero quei veli, di certo non era vivo, né me che meno morto, o altrimenti la puzza di carne in decomposizione avrebbe di gran lunga sovrastato quella di chiuso; secondo, nessuno visitava quella stanza da almeno un secolo o per lo meno nessuno sembrava voler rimettere in funzione quell'ala dell'edificio che sembrava quasi abbandonata.
"Ora che ci penso, Minho potrebbe aver ragione." si intromise Teresa, facendo un passo avanti e facendo per seguire Brenda all'interno della stanza. "Potrebbero essere un progetto vecchio o addirittura archiviato della W.I.C.K.E.D." 

Ci scambiammo una serie di sguardi, ma alla fine fu proprio Minho a rispondere. "E quindi... che caspio ci facciamo ancora qua?"
Dovetti trattenere una risata nel pensare che dopo una vita passata a scappare dai Dolenti e a uccidere altre creature biomeccaniche, Minho si sploffasse ancora nei pantaloni quando qualcosa di macabro e potenzialmente pericoloso si agitava nell'aria.
Brenda, ora vicina a uno dei tavoli da lavoro in metallo, si mosse così velocemente e senza preavviso da farci saltare tutti sul posto. La ragazza, dopo aver tolto un lenzuolo probabilmente polveroso da una delle sagome, si era allontanata di due o tre falcate, cavando nuovamente dal fodero la sua pistola e puntandola contro la creatura che tuttavia non accennava a volersi muovere.

Mi avvicinai al vetro, premendoci contro il mio naso e facendomi ombra con le mani ai lati degli occhi. Dopo diversi secondi riuscii a mettere a fuoco la sagoma che giaceva sul tavolo: sembrava un lupo, ma la stanza era troppo buia per dirlo con estrema certezza; il corpo era ricoperto di schegge metalliche e decisamente troppo appuntite per assomigliare anche lontanamente al manto di una bestia. 
"Se hanno abbandonato il progetto ci sarà un motivo, non credete?" intervenne Violet, allontanandosi dal vetro come per paura che quelle creature potessero saltarle addosso da un momento all'altro.
Sentii Minho borbottare un qualcosa per concordare con la ragazza, mentre Gally mi si avvicinò con cautela e iniziò anche lui a curiosare all'interno dello stanzone.

"Hanno... sei occhi?" ci informò Brenda, tuttavia con un tono confuso o per lo meno non del tutto certo della sua affermazione. 
"Pensi che potremmo riattivarli?" domandò Teresa alla ragazza. Mi aspettai che Brenda avrebbe risposto con uno sguardo truce, come a dire 'ma che sei scema?', ma al contrario il suo sguardo si illuminò e le sue labbra si inarcarono in un sorriso appena accennato.
"Oh, sarebbe divertente." rispose lei, mostrando un'improvvisa complicità nei confronti di quella che aveva sempre visto come una sua rivale, che per un attimo mi sentii fuori dal mondo, come se stessi vivendo in un universo parallelo.
"Pensi che abbiano sbattuto la testa da qualche parte?" mi domandò Gally, facendomi ridacchiare per un attimo e levandomi di dosso un po' di tensione.

Non sapevo bene come etichettare quella scoperta, se come utile o come perdita di tempo. Certo, se Teresa e Brenda fossero riuscite a riattivare quei Lupi-Scheggia e magari a riprogrammarli per utilizzarli come nostri temporanei alleati, di certo avremmo avuto qualche altra possibilità di farla franca, ma... Come facevamo a sapere che non stavamo per risvegliare l'inferno? Insomma, avevamo visto di cosa fossero capaci i Dolenti e persino le creature gibbose che avevamo affrontato nella Zona Bruciata non erano poi così rassicuranti, quindi, fino a che punto ci avrebbe aiutati riattivare un programma scartato dalla W.I.C.K.E.D. stessa?

"Credo di aver letto un qualcosa riguardo questo progetto..." ci informò Teresa, sfiorando con l'indice il muso dell'animale.
La ragazza ha fegato. Pensai tra me e me, sentendomi improvvisamente in pericolo per lei.
"Tra i vecchi fascicoli della W.I.C.K.E.D." mormorò. "Mi sembra che prima dei Dolenti avessero iniziato un progetto alternativo. Nel documento si parlava di bestie che non avrebbero smesso di uccidere finché non avessero percepito l'odore di sangue su ognuna delle loro vittime."
"Mmh... Accattivante." rispose Stephen sarcastico, appoggiando una mano sulla mia spalla e sorridendomi come per tranquillizzarmi. "Decisamente di pessimo gusto, sì. Ce ne andiamo ora?"
Gli diedi una gomitata leggera sulle costole, borbottandogli un 'cacasotto' appena accennato, poi mi rivolsi a Teresa. "Stiamo perdendo tempo prezioso, ragazze. E non possiamo lasciarvi entrambe qua, altrimenti non avremmo più connessione con Newt e Thomas."

Vidi Brenda mordersi il labbro e crucciarsi. Pensai che stesse pensando a quale insulto rifilarmi prima o a quale parola facesse meglio rima con 'guastafeste', ma poi con mia sorpresa la ragazza mi raggiunse in un paio di falcate e mi depositò il walkie-talkie tra le mani. "Hai ragione." si limitò a dire, sorprendendomi più del dovuto.
Brenda che mi dava ragione? Dovevamo aver raggiunto la fine del mondo.
"E' inutile che restiate tutti qui. Alla W.I.C.K.E.D. ho imparato un po' di cosette sul restauro e la riparazione di bestie biomeccaniche, mente Teresa sembra conoscere il progetto ed è brava coi computer." spiegò, rivolgendo un cenno del capo all'altra ragazza presente nella stanza. "Ce la caveremo da sole e comunicheremo eventuali novità a Thomas con la telepatia di Teresa, ed eventualmente lui ve le rigirerà tramite walkie-talkie."

Annuii convinta, decidendo per una volta di fidarmi ciecamente della ragazza e di fare affidamento su di lei. Dopotutto ci sarebbe stata anche Teresa e sapevo che non fosse affatto una deboluccia: alla prima mossa sbagliata Teresa le avrebbe anche potuto gettare un estintore in faccia e stenderla.
Feci spallucce. "D'accordo. Noi proseguiamo, allora." 
Sentii gli altri lamentarsi e obbiettare, ripetendo che dividerci fosse una pessima idea ora che avevamo bisogno di quanto più aiuto possibile. Mi rigirai tra le mani il walkie-talkie, ignorando i commenti degli altri e, quando trovai il pulsantino per comunicare, iniziai a recapitare il mio messaggio a Newt e Thomas. "Dovrete passarci le indicazioni da qua, ora." li aggiornai. Ci furono diversi attimi di silenzio, ma poi una voce venne fuori chiara e comprensibile dalla radiolina. "Felice di sentirti ancora sana e salva, abbracciatrice di alberi."

Sorrisi e, nascondendo una risatina, augurai buona fortuna alle due ragazze per poi proseguire nella direzione da cui ci eravamo interrotti precedentemente, seguita di malavoglia dagli altri.
"Ti conviene essere chiaro nelle direzioni o quando arrivo là ti prendo a calci sulle tue chiappette da pony." lo minacciai scherzosamente, sentendo Minho ridacchiare dietro di me.
"Rimandate le vostre strane effusioni in codice a dopo." mi ammonì Stephen, affiancandomi e controllando per l'ennesima volta che la sua pistola fosse carica. "Non vorrei perdermi."
Gli feci la linguaccia, grata per quel momento di spensieratezza. Attesi che anche Gally si ponesse al mio fianco per poi dare anche a lui una spallata amichevole. "Non vi farò perdere, promesso."

 

 

 

Condotti dalle direzioni chiare di Newt e Thomas riuscimmo a tornare su di vari piani senza incontrare troppi intralci. Solo un paio di guardie ogni tanto aveva cercato di intralciarci la strada, venendo immediatamente atterrate dai ragazzi in prima linea insieme a me. 
Nonostante avessi appeso il walkie-talkie ai pantaloni con l'apposito gancetto per riuscire anche io a usare il mio arco, non ero riuscita ad annientare nemmeno una guardia. La mia arma era un oggetto di precisione per le battaglie a debita distanza, ma quando si trattava di incoccare e scagliare una freccia velocemente quando un nemico ti coglieva di sorpresa a poche spanne dal volto, la cosa si complicava per me.
Perciò avevo felicemente ceduto gran parte dell'azione ai miei amici, confidando nella loro mira e prontezza nello sparare.

Solo dopo essere avanzati per quasi i tre quarti del percorso, stando ai commenti di Newt, Thomas si fece vivo dall'altra parte del walkie-talkie, annunciandoci che Teresa e Brenda fossero riuscite a riprogrammare le bestie, escludendo dal loro chip di programmi tutte le falle nel sistema e tutte le abilità ancora in fase di lavorazione. Il ragazzo ci spiegò, probabilmente ancora interpretando il portavoce delle due ragazze, che quei lupi fossero dotati di grandi abilità e mosse particolari, ma che tuttavia fosse stato probabilmente un progetto troppo impegnativo e complicato per la W.I.C.K.E.D. che, forse rimanendo a corto di tempo o di soldi, aveva optato per delle bestie meno complicate da programmare e mettere insieme, come appunto lo erano state i Dolenti.

Attraverso Thomas, le ragazze ci spiegarono che il comando principale, o per lo meno la fonte da cui i Lupi attingevano per poi agire da soli senza dover programmare ogni volta i loro movimenti da un computer, fosse in realtà un sistema di riconoscimento facciale, attraverso il quale i Lupi-Scheggia distinguevano gli amici dai nemici, neutralizzando quest'ultimi.
Proprio per questo motivo le ragazze ci chiesero di avere pazienza, poiché avrebbero dovuto etichettare ogni volto memorizzato dai Lupi all'interno della W.I.C.K.E.D. come 'minaccia', anziché 'amico'.
Accorgendomi improvvisamente del pericolo, avvisai Thomas di riferire alle ragazze di escludere dalla lista Kurt e la psicologa di Newt: mentre il primo era chiaro fosse dalla nostra parte, la seconda sarebbe diventata un'ostaggio nel momento in cui avesse rifiutato di collaborare con noi per aiutare a supportare Newt anche al di fuori della sede. 

Quel breve scambio di informazioni venne ben presto interrotto da dei rumori e diversi tonfi provenienti dall'altra parte del walkie-talkie. In fretta e furia Newt mi comunicò i prossimi passaggi che avremmo dovuto eseguire, indicandomi svolte, punti di riferimento, numeri di piani ed eventuali minacce lungo il percorso. Gli feci ripetere la filastrocca una seconda volta, incaricando Minho di memorizzare il tutto al meglio e condurre lui i giochi da lì in poi. Per quanto potessi essere concentrata in una situazione critica del genere, sapevo che con il mio scarso senso dell'orientamento e la mia poca memoria, avrei ben presto confuso tutte le indicazioni, facendo perdere il gruppo in chissà quale ala di quell'immensa sede.

Minho si era occupato di memorizzare direzioni e svolte per tutta la sua vita, quindi ero sicura che per lui non sarebbe stato un compito poi così difficile.
Perciò infilai nuovamente il walkie-talkie nella cintura dei pantaloni, caricai l'arco e ripartimmo condotti da Minho. 
Poco prima di cadere in un silenzio tombale, Newt ci contattò per un'ultima volta. "Sbrigatevi." mormorò col fiato corto e la voce tremante, come se fosse in ansia per qualcosa. "Non so quanto reggerà la fortezza improvvisata che abbiamo eretto contro la porta."

 

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Capitolo 86
*** Capitolo 79. ***


Minho ci condusse velocemente lungo il resto del percorso, ricordandosi alla perfezione ogni svolta e ogni indicazione. Quando fummo abbastanza vicini alla Sala Controlli, Minho ci fece segno di rallentare e ci rintanammo tutti dietro all'ultima svolta, nel tentativo di riprendere fiato e prepararci al prossimo combattimento.
Mi morsi il labbro, ansiosa più che mai, domandandomi quante guardie ci stessero aspettando nel prossimo corridoio e quanto tempo ci avrebbe messo Jorge a tornare alla sede portando il resto degli altri. Mi chiesi anche quanto ci avrebbero messo Teresa e Brenda a raggiungerci, portando con loro i nostri nuovi alleati biomeccanici.

Sentii le dita tremarmi, improvvisamente ansiosa. Ora che avevamo salvato i bambini, non potevo fare a meno di temere per la vita dei miei amici: questa volta non importava quanto saremmo stati tenaci nel combattere, se davvero le guardie si stavano riorganizzando come ci aveva detto Newt, aumentando i loro numeri, allora forse per noi sarebbe stata una partita persa in partenza, almeno finché non fossero arrivati i rinforzi.
Presi l'arco titubante, domandandomi se anche i miei amici fossero tanto ansiosi e spaventati quanto me in quel momento e quando incontrai lo sguardo di Minho, il ragazzo parve accorgersi della mia inquietudine improvvisa, perché mi sorrise gentile, con quel suo solito ghigno deciso e mi fece un occhiolino.

Poi, quando lo vidi spostare lo sguardo sui miei compagni, guardandoli uno a uno come a sottintendere che a breve avremo dovuto entrare in azione, il terrore di perderli mi attanagliò lo stomaco. Presi il polso di Minho, pregandolo con lo sguardo di attendere ancora un momento e il ragazzo mi guardò confuso, assumendo un'espressione che mi chiedeva spiegazioni plausibili per quel mio improvviso tentennamento. Feci un respiro profondo, mentre poco distante da noi i rumori di forti colpi e ordini urlati si faceva sempre più alto. Sembrava che le guardie si stessero moltiplicando col passare dei secondi e non c'era tempo per stupidi ripensamenti o paure. E allora perché non riuscivo più a muovermi?

Era la prima volta che permettevo alle mie emozioni di paralizzarmi così tanto. 
"Ragazzi..." borbottai piano, sentendo la mia voce tremare sotto il peso dell'ansia e della paura. "I-Io..." 
Li guardai negli occhi, uno dopo l'altro, notando quanto tutti in realtà fossero sulle spine di entrare in azione, seppur comunque spaventati. Guardai Stephen che mi capì con un solo sguardo, i suoi occhi cupi di preoccupazione si fecero più chiari. Il ragazzo assottigliò lo sguardo, poi mi accennò un sorriso, annuendo in mia direzione come a dirmi che tutto sarebbe andato secondo i piani. Per un attimo desiderai rinchiudermi tra le sue braccia proprio come faceva Hailie ogni volta e farmi cullare per tranquillizzarmi.

Poi passai lo sguardo su Violet, tanto in ansia quanto me, e notai la sua mano stretta forte con quella di Minho. Le sorrisi debolmente e inspirai ancora. 
Per ultimo posai lo sguardo su Gally, vedendolo preoccupato e serio come non mai. Il ragazzo incatenò i suoi occhi ai miei e quando si accorse che lo stavo guardando i suoi occhi si illuminarono, preoccupandosi di nascondere ogni sentimento negativo e di farsi vedere sicuro per tranquillizzarmi. "Io... ecco..." sentii una mano stringersi sulla mia gola al solo pensiero che forse quel giorno avrei potuto perdere qualcuno, se non perdermi io stessa.
Avevo promesso a me stessa che sarei riuscita a salvare tutti e a liberare ogni buon anima dalle grinfie della W.I.C.K.E.D., e allora perché ora iniziavo a dubitare di me stessa?

"Vi voglio bene, tutto qui." mi limitai a dire, non sapendo nemmeno io quale fossero le parole migliori per quel momento. "Siete la mia famiglia, quindi... cercate di non farvi ammazzare, okay?" borbottai, accennando un sorriso per rendere quella mia frase meno drammatica e pesante.
"Diamine, bambolina." mi rispose Minho, scompigliandomi i capelli. "Stai sottovalutando il potere dei miei muscoli. Vedrai che ce la caveremo... grazie a me, ovviamente." mi bisbigliò sarcastico, gonfiandosi i bicipiti come per supportare la sua tesi.
Vidi Violet sorridere gentile, forse riconoscente per i tentativi inutili di Minho di farmi rilassare un po'.
"Vedrai che tra qualche anno quando ripenseremo a questo momento, ci rideremo sopra ripensando a tutta la sploff di paura che abbiamo avuto." intervenne Stephen, allungando un braccio e depositandomi una carezza sulla guancia. Gli sorrisi incoraggiante e repressi le lacrime.

Perché mi stava prendendo così male? Da dove veniva tutto quel terrore? Insomma, dietro l'angolo Newt e Thomas stavano aspettando disperati un nostro intervento, perché dovevo bloccarmi proprio ora?
Gally mi diede una spallata amichevole per attirare la mia attenzione, poi parlò. "Sì, facciamogli il culo, così poi rideremo anche di quello." propose, dando per una volta ragione a Stephen, stupendomi. "Vedi di non sbagliare mira, potresti per sbaglio colpire Stephen e involontariamente liberarci tutti di un enorme peso."
Oh, ecco... in effetti si era sbilanciato troppo dandogli ragione, doveva per forza ristabilire l'equilibrio. Pensai tra me e me, sentendo un peso alleggerirsi dal mio petto. Sorrisi spontaneamente e scossi la testa, sperando in fondo al mio cuore che nulla sarebbe mai cambiato da quel momento.

"Farò del mio meglio." replicai, tentando di soffocare una risata non appena incontrai lo sguardo truce, ma allo stesso tempo divertito di Stephen. 
"Che dite?" intervenne Minho, guardandoci uno dopo l'altro con uno sguardo convinto e determinato. "Andiamo a salvare le chiappette a quelle due teste puzzone?" 
Annuii, sentendomi improvvisamente riempire di adrenalina. Cavai una freccia dalla faretra e la incoccai, rimanendo però con l'arco ancora abbassato.
Dopo uno scambio profondo di sguardi, Minho si voltò e si preparò a darci il segnale d'inizio. Sentii il mio cuore pompare sangue nel petto, quasi impazzito e le mie dita formicolare, come se anche loro fossero impazienti di entrare in azione. 
Quando il Velocista alzò il braccio in aria, tutti insieme partimmo correndo nel corridoio, buttandoci finalmente nella mischia.




 

La lotta era iniziata ormai da tanto e la stanchezza iniziava a farsi sentire sul mio corpo, rendendolo sempre più lento e meno reattivo. Eravamo riusciti a eliminare la prima ondata di guardie che si era riversata davanti la porta della Sala Controlli nel tentativo di riprendere il possesso del cuore della sede e di sterminare i due infiltrati.
Eravamo riusciti a liberare Newt e Thomas, che uscirono dalla stanza paonazzi e grondanti di sudore, come se avessero corso una maratona. Abbracciai Newt, felice finalmente di vederlo sano e salvo, e sorrisi a Thomas, contenta di vedere anche lui e fiera di me stessa per essere nuovamente riuscita a fidarmi del ragazzo.
Ma per nostra sfortuna non ci fu tempo per noi di riunirci e curare le ferite, che un altro squadrone di guardie ci arrivò addosso più accanito che mai. 
Arrivati a quel punto, dopo che ci eravamo ripresi i bambini e dopo esserci rifiutati di rimanere nella sede per permettere loro di giocare nuovamente coi nostri cervelli, era ovvio che l'ordine 'catturateli, ma fatelo con cura' non valeva più.

Anzi, le guardie sembravano piuttosto decise a rompere ogni osso del nostro corpo e a gettarci poi nella spazzatura, magari tagliandoci la testa e altri parti del corpo che gli sarebbero servite per i loro stupidi studi ed esperimenti.
Iniziammo a combattere disperatamente anche contro la seconda orda, ma solo pochi di noi riuscirono a disarmare in tempo le guardie precedentemente atterrate, rifornendo così i nostri unici mezzi di difesa. Io, dal mio canto, essendo rimasta sempre in disparte ad attaccare con l'arco chiunque si avvicinasse troppo ai miei amici, non solo avevo esaurito tutte le mie frecce, ma non ero nemmeno riuscita ad armarmi con una pistola o almeno un coltellino, rimanendo completamente disarmata.
Sapevo che avrei dovuto agire e gettarmi su uno dei tanti corpi morti a terra per riuscire a prendere almeno un'arma, ma dopo aver realizzato di essere rimasta scoperta, non ero riuscita a resistere all'impulso di guardarmi attorno per rendermi conto della situazione generale.

Ognuno dei miei amici stava facendo del suo meglio per combattere le guardie sempre più accanite e spietate, ma la stanchezza e i continui colpi iniziavano a farsi sentire, riducendo a vista d'occhio le nostre possibilità di vittoria. 
Quando vidi Stephen venir bloccato da due guardie, mentre una terza lo colpiva forte allo stomaco, capii di dover agire e armarmi prima che qualcuna delle guardie si accorgesse dell'assenza di un'arma carica nelle mani. Così mi lanciai sul primo corpo stordito che trovai, rubando alla guardia la pistola ancora chiusa tra le sue mani. Gliela strappai di dosso e subito la puntai contro le guardie che ancora stavano tartassando il povero Stephen di colpi, senza che riuscisse a reagire.
Sparai il mio primo colpo alla guardia che lo teneva fermo, beccandola sul braccio, poi il secondo dritto alla testa della guardia che per una frazione di secondo, distratta dalle urla del compagno, aveva smesso di tartassare il mio amico. La terza pallottola andò a finire sulla gamba del terzo aggressore di Stephen, facendolo indietreggiare.

Mi avvicinai di poco nella speranza di riuscire a migliorare la mia mira, ma il rinculo dell'arma, nonostante fosse decisamente più leggero di quello di un lanciagranate, continuava a farmi sbagliare. Provai un quarto colpo contro la prima guardia che avevo mirato, riuscendo a colpirla da qualche parte nell'addome. Pensando di aver fatto soffrire fin troppo l'uomo con la mia pessima mira, passai alla guardia successiva che si era rimessa in piedi, guardandomi in modo truce. Non seppi esattamente come, ma riuscii a ficcargli una pallottola in testa, vedendolo subito dopo cadere.
Mi disgustai di me stessa e del sangue freddo che avevo ormai nell'uccidere. Mi venne in mente per una frazione di secondo la prima volta che avevo mai ucciso qualcuno. Certo, era solo uno spaccato della Zona Bruciata e la mia era stata autodifesa, ma mi ricordavo perfettamente la nausea e la sensazione di ribrezzo nei miei confronti e nei confronti del sangue che da allora mi aveva macchiato le mani.

Ci avevo sofferto per settimane, credendomi un'assassina e facendomi schifo da sola, ma poi avevo imparato ad accettare quel mio sbaglio. Da quel giorno era passato fin troppo tempo e troppe cose erano cambiate. La W.I.C.K.E.D. mi aveva tolto tutto, certo, ma ero stata io stessa a togliermi ciò che mi rendeva umana e, in un certo senso, diversa dai mostri che mi avevano fatto soffrire per tutto quel tempo. E ora eccomi là, pronta a prendere un grilletto per salvare la mia pelle e quella dei miei amici. Era diventata un'azione semplice, quasi naturale, per me, annullando così tutta la brutalità e la morte che seguiva quell'orribile click metallico.
Da quando avevo iniziato a giustificare le mie uccisioni? Da quando avevo smesso di avere incubi al riguardo?

Vidi Stephen rialzarsi e la sua figura mi fece uscire bruscamente dai miei pensieri. Il ragazzo si tirò su a fatica, tenendosi una mano premuta contro lo stomaco e ringraziandomi con quella libera. Raccolse le sue armi, si prese un secondo di respiro e poi stringendo i denti si ributtò nella mischia per aiutare Violet a liberarsi da due guardie. 
Mi voltai, osservandomi ancora in torno e poco distante da me vidi Newt, rannicchiato su sé stesso e con le braccia alzate verso la testa per proteggersi. Il ragazzo non stava emettendo un fiato, nonostante la guardia lo stesse riempendo di colpi forti e ben assestati. L'uomo sembrava essersi ben presto stancato di colpire il ragazzo a pugni usando quel guantone da box duro, decidendo così di iniziare a usare un pezzo di legno che una volta doveva appartenere forse ad una porta di legno o al suo cornicione.

Quasi automaticamente puntai la mia pistola contro la guardia, presi un profondo respiro e pregai questa volta di riuscire a prendere la giusta mira. Quando premetti il grilletto, tuttavia, nessun frastuono o rinculo partì dalla mia pistola dopo quel click. La abbassai scioccata, realizzando quasi immediatamente che per la seconda volta nel giro di pochi minuti mi ritrovavo nuovamente disarmata. Quando sentii il biondino urlare lanciai la pistola contro il suo aggressore, riuscendo quasi per fortuna a colpirlo dietro la schiena, ma senza distrarlo minimamente. Presa dalla rabbia mi abbassai e tastai nuovamente il corpo della guardia esanime ai miei piedi, ma quando non trovai nient'altro che potesse tornarmi utile, compresi di non avere più tempo: mollai tutto e presi a correre in direzione della guardia che stava attaccando Newt.

Quando fui a poca distanza dai due, mi gettai sull'uomo, aggrappandomi al suo collo e tirando in tutte le direzioni nel tentativo di sbilanciarlo. Iniziai a colpirlo alla rinfusa, assestando pugni, calci e gomitate dove capitava. Non feci nemmeno in tempo a farlo urlare un po', che vidi il suo braccio allungarsi dietro la schiena e afferrarmi per la maglietta. Tentai di aumentare i miei colpi, di renderli più mirati e forti, ma non riuscii a smuoverlo di un millimetro. Nel giro di qualche secondo, la guardia girò improvvisamente il busto e allo stesso tempo mi tirò verso l'alto quasi stracciandomi la maglia. Mi ritrovai a cadere su Newt, sentendolo mugugnare per colpa del mio peso improvviso sul suo corpo pieno di lividi, ma non feci nemmeno in tempo a sistemarmi che la guardia prese a colpirci entrambi.

Presa dal panico urlai e mi gettai d'istinto sopra Newt nel tentativo di coprirlo come meglio potevo. Ricevetti diversi colpi, incassandoli uno dietro l'altro senza fiatare, cercando nonostante il dolore di rimanere concentrata e di pensare lucidamente a un modo per contrattaccare e levarci entrambi da quella situazione sfavorevole.
Sentii Newt muoversi sotto di me nel tentativo di spostarmi da sopra di lui, mi urlò di smetterla di proteggerlo, di non fare la stupida, ma non lo ascoltai, bloccandolo nuovamente a terra e ricevendo un colpo sulla schiena che mi fece inarcare all'indietro.

Mugugnai e, presa alla sprovvista, lanciai un calcio verso la guardia senza nemmeno prendere bene la mira. Fortunatamente il mio colpo andò a segno su una delle caviglie dell'uomo, facendolo indietreggiare e zoppicare un attimo per il dolore. Gli diedi un secondo colpo il doppio più forte, mettendomi immediatamente a sedere per riuscire a bilanciare meglio la mia forza e, quando la guardia abbandonò a terra il pezzo di legno per tenersi la caviglia, rimanendo in piedi su una sola gamba, mossi velocemente il piede in sua direzione, affibbiandogli un ultimo colpo.

La guardia a quel punto non riuscì più a mantenere l'equilibrio, ribaltandosi all'indietro e colpendo la testa sul pavimento duro. Senza sprecare tempo prezioso mi alzai in fretta e furia, mettendo da parte i giramenti di testa che seguirono quella mia azione e piegandomi all'avanti per afferrare Newt ancora sotto di me. Lo aiutai ad alzarsi e, quando fummo entrambi stabili presi a trascinarlo con me il più lontano possibile dalla battaglia per riuscire a riprendere un po' di fiato. Riuscimmo appena a compiere un paio di passi che subito la guardia si sollevò da terra, puntandoci contro la pistola a sonniferi e mirando in direzione di Newt. Senza nemmeno pensarci su gettai il ragazzo di lato e mi accanii nuovamente sulla guardia, gettando la mia testa di lato e buttando sul resto del corpo la poca forza che mi era rimasta.

Sfruttando il mio peso e il forte impatto creato sull'addome dell'uomo, riuscii ad atterrarlo e a fargli volare via il casco protettivo affibbiandogli un paio di pugni. Ma la guardia non si diede per vinta, alzando la mano serrata a pugno in aria e mirando alla mia testa. I miei movimenti furono troppo lenti e le sue nocche incontrarono ben presto la mia tempia, scaraventando la mia testa di lato e imbambolandomi i secondi necessari alla guardia per buttarmi a terra e invertire i ruoli.
L'uomo non si fermò, riprendendo ad assestarmi un pugno dopo l'altro sul volto. Sentii il mio viso prendere fuoco, la pelle tirarmi e la mia bocca si riempì di un liquido caldo che subito sputai fuori per paura di soffocare. Il sangue macchiò le mattonelle bianche e, come se quella fosse stata la goccia che fece traboccare il vaso, mi sentii liberare dal peso della guardia. Vidi la sua sagoma venir scaraventata a pochi metri di distanza da me e per un attimo mi sorpresi quando vidi Gally atterrare subito il nuovo avversario e colpirlo col calcio di un lanciagranate probabilmente rubato a qualche guardia.

Mi sarei aspettata di vedere Newt al posto del Costruttore, ma lo vidi alle prese contro un altro uomo mingherlino. Mi tirai su a gattoni, pulendomi l'angolo della bocca e sentendo il mio zigomo vibrare di dolore non appena il dorso della mia mano entrò in contatto con la pelle ferita. Notai Newt avere la meglio contro il suo avversario e Gally continuare a bombardare il suo nemico senza alcuna pietà, facendogli sputare sangue finché l'uomo non smise di dibattersi. Mi aspettai che il Costruttore si sarebbe fermato, passando ad un'altra vittima, ma anche arrivato a quel punto il ragazzo continuò ad agitare l'arma in modo convulso, fuori controllo. Vidi una guardia distaccarsi dallo sciame di casacche nere per venire in aiuto del collega appena morto o privo di sensi e vendicarlo, ma quando riconobbi il suo volto, la paura mi attanagliò le membra, facendomi scattare in ginocchio.

Quando tentai di sollevarmi in piedi il mondo si ribaltò a faccia in giù e improvvisamente mi ritrovai a fissare il soffitto. Digrignando i denti e chiudendo gli occhi nella speranza che quei giramenti si sarebbero finalmente assestati, rotolai su me stessa e puntai le braccia al suolo, impiegando tutta la forza rimasta per tirarmi su. Quando ci riuscii mi accorsi di essermi persa secondi preziosi di combattimento e di ritrovarmi davanti uno scenario completamente diverso: Gally, steso a terra sotto David tentava disperatamente di parare i continui colpi della guardia, infastidita nel mentre da Newt, che aveva preso a colpirlo con calci e manate e allo stesso tempo a saltellargli intorno per evitare di essere un bersaglio facile.

Stanco probabilmente del moscerino che continuava a balzargli attorno, David riuscì ad assestare un forte colpo alla mandibola di Gally, mettendolo K.O. per il momento, per poi concentrarsi totalmente sul biondino che, totalmente indebolito dal suo precedente scontro, non poté fare altro che indietreggiare.
David abbandonò il suo lanciagranate a terra, muovendosi poi veloce verso Newt e afferrandolo per il colletto. Strinse la maglia del biondino tra le nocche e lo sbatté violentemente al muro, sollevandolo di peso e impedendogli di toccare terra con i piedi. Vidi David allungare una mano dietro la schiena e cavare fuori una pistola che subito riconobbi: era una delle tante armi che avevamo trovato nel magazzino, quelle di cui Gally si era perdutamente innamorato.

Stretta al petto dal terrore, mi urlai di dovercela fare e a quel punto tutto si fece più semplice: il tremore del mondo attorno a me sembrò acquietarsi quando bastava per riuscire a rimettermi in piedi. Le mie gambe cedettero e mi sentii ricadere a terra, sbattendo forte le ginocchia e facendo partire una scossa di dolore dalla mia spina dorsale fino ad arrivare alle tempie, che presero a martellarmi, confondendomi più del dovuto.
Spalancai gli occhi per riuscire meglio a mettere fuoco la scena davanti e me e mi sollevai nuovamente in piedi, cercando di scorgere qualcosa oltre al muro nero che ora mi si parava davanti.
Sbattei più volte gli occhi e mossi un altro passo in avanti, riuscendo questa volta a tagliare uno scorcio di luce da tutto quel velo. Sentii David pronunciare qualcosa, ma solo dopo diversi attimi riuscii a comprendere davvero le sue parole. "Sei una creazione della W.I.C.K.E.D., niente di più. Non ti permetterò mai di uscire da qui vivo."

 

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Capitolo 87
*** Capitolo 80. ***


Scattai all'avanti quando vidi la guardia puntare la pistola alla testa del biondino che ora aveva iniziato a scalciare in aria nel tentativo di colpirlo o forse di toccare terra. Urlai il nome del ragazzo, mettendo un piede davanti all'altro e riuscendo per miracolo a non cadere. 
Vidi David esitare un attimo e voltarsi a guardarmi, poi mi sorrise. Un ghigno di divertimento malsano di chi era certo che l'avrebbe avuta vinta. Sapevo di dovercela fare, di dover salvare Newt in qualche modo, ma la mia distanza dalla scena mi manteneva in svantaggio.
Nulla avrebbe fermato quel proiettile, se David avesse deciso di premere il grilletto.

Vidi la sagoma di Gally dietro a David. La guardia, troppo intenta a fissarmi divertita, non lo notò nemmeno. Il ragazzo aveva ripreso in mano il lanciagranate scarico e lo stava alzando sopra la sua testa per riuscire a colpire la guardia il più forte possibile. Gally abbassò velocemente il calcio del lanciagranate sulla testa della guardia che, presa alla sprovvista abbandonò il biondino per tenersi la testa con la mano libera dalla pistola. Vidi un rigolo di sangue colargli sull'occhio e la sua espressione si trasformò in rabbia pura.
La guardia fece per rialzarsi e rispondere a Gally che nel frattempo si era posto davanti a Newt per proteggerlo e fargli riprendere fiato, ma il Costruttore fu più veloce e con un calcio ben assestato sulle costole della guardia lo fece volare all'indietro.

Mi guardai attorno alla ricerca di un'arma, incapace di reagire senza avere qualcosa in mano. Contro David non avevo molte speranze, soprattutto contando che fosse armato e che mi odiasse particolarmente. Ogni mossa stupida o avventata non avrebbe fatto altro che complicare la vita ai due ragazzi che avevano iniziato quel combattimento solo per proteggermi. Gettarmi nella mischia e prendere altre botte non li avrebbe di certo aiutati.
Sentii la disperazione crescere in me quando non riuscii a trovare nemmeno mezza arma carica: le pistole che trovavo a terra o erano scariche o erano inceppate, lasciandomi perciò con un'unica possibilità. Tentai di muovermi velocemente, mettendo da parte i giramenti di testa e cercando di non cadere a terra un'altra volta. Individuai tutte le guardie da me precedentemente uccise e iniziai a vagare di corpo in corpo nel tentativo di recuperare tutte le frecce perdute. Ignorando il sangue e i pezzi di vestiti che rimanevano attaccati alla punta affilata non appena la estraevo, iniziai a rimpinzare la mia faretra di frecce usate, nella speranza di raccoglierne abbastanza prima che fosse troppo tardi per agire.

Mi voltai di scatto, individuando per ultimo l'arco che avevo abbandonato a terra qualche momento prima e mi ci fiondai, afferrandolo con dita tremanti e sentendo il fiato mancare nei miei polmoni. Con tutte le cose che erano successe non mi ero nemmeno accorta del terrore che mi stritolava il cuore in ogni momento. Mi sentivo disperata, inutile, incapace di fermare gli avvenimenti che ero sicura sarebbero successi di lì a poco: eravamo in netto svantaggio, sia numerico che bellico. Ormai eravamo rimasti in pochi a rispondere ai colpi e la metà di noi era così mal ridotta da non riuscire nemmeno più a tenersi in piedi. Non sapevo a che punto fosse Jorge con i rinforzi o quanto fossero riuscite a fare Brenda e Teresa per aizzare le bestie meccaniche della W.I.C.K.E.D. contro di lei, ma di certo ero sicura che di questo passo non ce l'avremmo mai fatta.

Eravamo troppo pochi, troppo deboli, per riuscire a tenere loro testa. E le guardie sembravano raddoppiare in numero ogni secondo di più, sopraffacendoci. 
Sollevai nuovamente lo sguardo verso David, vedendolo nuovamente alle prese coi due ragazzi che sembravano essersi organizzati per non dargli un attimo di tregua: mentre Newt lo colpiva ai lati, dandogli calci alle gambe e gomitate in testa a tutto spiano, Gally era intento a disarmarlo e, in un modo o nell'altro, aveva iniziato a provare ogni tecnica per sottrargli di mano la pistola. 
Vidi David piegare una gamba e, mettendoci tutta la sua cattiveria, colpire Newt sullo stomaco, facendolo volare a terra a un metro o poco più di distanza. Il biondino strinse i denti e cercò di rialzarsi immediatamente, ma le fitte lo fecero ripiegare su sé stesso, lasciando Gally solo nel suo compito.

Allungai una mano dietro la schiena, pronta a porre fine a quella scena assurda. David mi aveva causato fin troppi problemi, era ora di terminare la sua carriera da cattivo.
Incoccai la freccia e mi mossi in avanti di due passi per riuscire a prendere meglio la mira. Vidi David spostarsi di scatto, uscendo dalla mia mira per dare una gomitata a Gally e liberarsene una volta per tutte, in modo da finire di occuparsi di Newt. Puntai nuovamente alla sua testa, ma Gally rientrò in azione, continuando a dare filo da torcere all'uomo, non demordendo mai. 
Se quei due continuavano a muoversi e scambiarsi di posto in quel modo, non sarei mai riuscita a prendere la mira. Avrei potuto azzardare il colpo, certo, ma la vicinanza della guardia al mio amico era preoccupante: un centimetro di troppo e avrei colpito Gally.

Appoggiai la coda della freccia sulla guancia, sfiorando con le labbra la corda dell'arco e inspirai a fondo, ripetendomi che non avrei sbagliato e che avrei ridotto in briciole quel cervello marcio che David si ritrovava. Vidi Gally caricare indietro il pugno, tenendo David per il giubbotto antiproiettile nero, pronto a colpire. Per un attimo il tempo sembrò quasi dilatarsi, gli attimi si allungarono e il mio cuore smise di battere. Sentii Gally gridare come a caricarsi per quel colpo, vidi David agitarsi sotto la sua presa nel tentativo di liberarsi, ma senza riuscirci. Gally avanzò improvvisamente, trascinando la guardia con sé e costringendola contro il muro, facendogli battere forte la schiena. Il Costruttore mandò a segno il suo primo pugno, poi il secondo e, nel momento esatto in cui urlò, caricando il terzo pugno, il tempo riprese a scorrere velocemente, come se fosse scoppiata una bomba a mano. 

Un tuono si ripercosse nell'aria, accompagnando la partenza della mia freccia. Il suono molliccio del mio colpo contro il cranio scoperto di David si sentì a mala pena, ancora sovrastato dalle vibrazioni nella stanza. La battaglia continuò a infuriare tutto intorno a noi, tutti troppo impegnati a massacrarsi a vicenda per notare la scena che mi si palesava davanti.
Vidi David cadere in ginocchio, poi di lato, con tutto il corpo tremante come colto da spasmi. La sua pistola cadde a terra.
Alzai gli occhi su Gally, incredula, e con sorpresa li ritrovai già lì a fissarmi, una realizzazione terribile celata dietro alle mappe delle sue iridi. Ebbi il coraggio di leggerle per la prima volta e ciò che compresi fu devastante. Lo vidi aprire appena le labbra, chiamare il mio nome ma senza emettere suono, e per me fu come spegnere le luci.

Vidi il ragazzo abbassare lo sguardo sul suo addome e aprire appena la bocca. Quando le sue iridi si focalizzarono sul buco creato dalla pistola, ora totalmente contornato di sangue nero, una lacrima uscì dagli occhi del Costruttore, facendolo lamentare.
Gally cadde in ginocchio, mugugnando un qualcosa.
Non seppi nemmeno quando avessi ordinato alle mie gambe di muoversi, ma come per magia mi ritrovai subito al suo fianco, pronta a sorreggerlo.
Mi sentii gridare il suo nome, ma non riuscii a percepire altro, come se nemmeno la mia voce mi appartenesse più. 
Continuai a fissarlo, incredula, mentre il ragazzo continuava a piangere silenziosamente, ancorandosi ai miei occhi e implorandomi di non abbandonarlo, come aveva fatto tanto tempo prima quando era stato ustionato dal fuoco.

Sentii il mio cuore rallentare e poi riprendere a battere irregolare. Lo sentii accartocciarsi su sé stesso e vomitare sangue nelle vene, forse nella speranza di liberarsi un po' dal dolore. Percepii una fitta diramarsi lungo tutto il mio corpo, partendo dal petto e raggiungendomi braccia e gambe che presero a tremare terrorizzate.
Dalle mie labbra uscì un sussurro, un accenno di respiro, un accenno di vita.
Lo chiamai nuovamente. 
Poi, come se le luci si fossero improvvisamente riaccese dentro di me, la mia mente si ripulì di tutto, rimanendo lucida e ferma in un momento così caotico. Mi sentii chiamare Newt, ordinargli di andare a cercare Kurt, di portare con sé le siringhe piene di liquido azzurro e gli dissi di sbrigarsi.

Vidi il biondino guardarmi terrorizzato, forse quasi spiazzato dal modo calmo che avevo usato per impartirgli quegli ordini, ma non si lamentò, semplicemente annuì convinto, prima di fiondarsi nella mischia di guardie e Radurai e sparire tra le masse in movimento.
Presa nuovamente dal panico e da un senso di protezione, mi alzai in piedi e presi a tirare Gally in disparte, riuscendo a rintanarmi con lui in un angolo lontano dalla battaglia, lontano eppure ancora così vicino a quella morte.
Lo sentii lamentarsi e rianimata da quel richiamo mi allungai su di lui, appoggiandogli la testa sul mio grembo e continuando a premere sulla ferita da sparo sul suo addome che non aveva smesso di sputare sangue nemmeno per un secondo.

Lo vidi fissarmi, le iridi color nocciola quasi totalmente inghiottite dalle pupille. Lessi disperazione, paura, frustrazione nel suo sguardo, poi sembrò calmarsi improvvisamente, una scintilla di realizzazione gli illuminò il volto in un sorriso. Un suo palmo si appoggiò delicato sul mio e le sue dita presero ad accarezzarmi.
"E'... E' tutto... okay." lo sentii mormorare debolmente. 
Scossi la testa, ricacciando indietro le lacrime. "Certo che lo è." ribattei dura, urlando a me stessa di non piangere, più severa che mai nei confronti dei miei sentimenti ora intenti a spingere dietro le crepe ormai aperte del mio cuore. "Ora arriva Kurt, okay? Resisti ancora un po', adesso arrivano."

Il sorriso di Gally venne celato da una smorfia di dolore, il ragazzo si lamentò, ma poi ricacciate indietro le fitte, riprese a fissarmi, sorridendomi ancora come se nulla fosse successo. "Avrei davvero voluto insegnarti a sparare." borbottò Gally, continuando a stringermi la mano. Lo vidi alzare il suo palmo destro in direzione del mio volto e, presa dal panico, lo aiutai avvicinando la mia guancia al suo palmo e rifugiandomi dietro quel contatto. "Dio, hai una mira pessima... ti ho visto, poco fa..."
Repressi un singhiozzo, accennando un sorriso nel tentativo di rassicurarlo. "Ma lo farai." mi sentii ribattere, la voce incrinata dal dolore. Le lacrime iniziarono a bagnarmi amare le guance non appena realizzai che il tempo non si potesse riavvolgere.
"Gally, lo farai." pronunciai nuovamente, quasi come a convincere me stessa, piuttosto che lui.

"Avrei voluto..." un colpo di tosse lo fece agitare. Il ragazzo riuscì a mala pena a tirarsi a sedere, per poi tossire sangue e chissà cos'altro a lato. "Mi dispiace..." borbottò triste, la mano tremante abbandonò il mio volto e mi sentii sprofondare, iniziando lentamente a realizzare che non avrei mai più potuto andare a caccia con lui o ricevere uno dei suoi abbracci calorosi o ridere assieme.
Lo strinsi a me in preda al panico, convinta forse che se l'avessi stretto forte a me la morte non se lo sarebbe potuto prendere. 
"Avrei voluto ricordare... i momenti d'infanzia con te, Reb." mi sussurrò il ragazzo, abbandonandosi stanco contro di me e nascondendo il volto contro il mio collo. Lo sentii respirare debolmente, ma ancora in modo affannato e gli accarezzai i capelli. "Parlarti dei bei momenti che mi ricordo... riderci su insieme."

"Gally, ti prego..." lo implorai. "Devi tornare insieme a noi al Posto Sicuro... Tu dovevi..." la mia voce si spezzò. "Dovevi insegnarmi a sparare e... e..." un singhiozzo mi perforò la schiena, facendomi tremare. "Tu non puoi... Avevi detto che non mi avresti mai lasciata, avevi detto che..."
Mi interruppi non appena lo sentii pronunciare qualche parola in modo tremolante. "Non ti sto lasciando, infatti." mi sgridò, improvvisamente serio. "Non pensare che lo sto facendo, io... Continuerò a vivere qui, spero." borbottò poi accennando un ghigno soddisfatto e puntando il suo indice sul mio petto, appena sopra il cuore ormai lacerato in due.
"I-Io non ti dimenticherò, lo giuro." gli promisi, accarezzandogli una guancia e facendo sì che alzasse lo sguardo su di me. "Per quanto possa fare male, ricorderò tutto."

Il sorriso appena accennato sulle sue labbra venne spezzato da un altro colpo di tosse. "Mi dispiace." lo sentii borbottare nuovamente, gli occhi totalmente bagnati dalle lacrime, le gote rosse e le labbra tremanti. "Per quello che ti ho detto," mormorò, incontrando i miei occhi per poi abbassare leggermente lo sguardo, come se si vergognasse. "quando ti ho accusato di non avermi detto le cose che ti ricordavi della tua vecchia vita... di non essere stata sincera con me. Sono stato un egoista. I-Io... Mi dispiace, davvero."
Sentii le mie labbra tremare e incrinarsi in un sorriso distorto dal pianto che ormai incontenibile era riuscito a solcarmi gli occhi. "E' tutto okay, Gally. Non devi pensarci, è acqua passata." lo rassicurai, accarezzandogli il volto con la mano libera e continuando a premere inutilmente con l'altra sulla sua ferita.

La consapevolezza che Newt e Kurt non sarebbero mai arrivati in tempo per riuscire a salvare Gally mi colse alla sprovvista, facendomi sprofondare in un vortice nero senza fine. Sentii il dolore propagarsi dal mio petto all'addome, come se un'ombra invisibile mi stesse accoltellando sadica, nutrendosi della mia disperazione. "I-Io... M-Mi dispiace se... Se ti ho fatto soffrire, perché so che l'ho fatto. So che mi sei sempre stato accanto mettendo da parte i tuoi sentimenti per me pur di rimanermi amico e io... Io non ho mai avuto il coraggio di interrompere questa relazione tra noi e... E sono stata egoista perché non volevo perderti e non ero disposta a perdere neanche Newt." 
Le parole mi uscirono di bocca senza che riuscissi a fermarmi, vomitando addosso al ragazzo ogni peso sul mio petto. "E' che senza di te... Io... Io non sarei più io, mi sentirei vuota per metà."

Gally mi sorrise gentile, ma non mi rispose subito, rimanendo a fissarmi con occhi dolci, perso nei miei. "Va tutto bene. Ho scelto io di rimanerti amico, sarei potuto andarmene, ma non l'ho fatto. Ed è stato duro, a volte... Vederti felice con qualcun altro che non sono io, ma almeno..." un altro colpo di tosse lo fece bloccare. "L'importante per me era che tu fossi felice, era l'unica cosa che mi interessava davvero. E spero che continuerai a esserlo nonostante tutto."
Mi morsi il labbro per evitare di scoppiare in una nuova ondata di pianto e rimasi all'ascolto. "Sai, da piccola eri sempre in cerca di animali feriti nel bosco. Speravi di curali e cambiare i loro destini. E' una caratteristica che hai tutt'ora, l'indole da Medicale è nel tuo sangue da sempre."
Gli sorrisi sincera, pendendo letteralmente dalle sue labbra. Avrei voluto fermare il tempo, sedermi lì con lui e ascoltare tutti i racconti legati alla mia infanzia, ma non mi rimanevano che attimi annegati nel sangue, vissuti a fiato sospeso fino all'inevitabile morte.

"In un certo senso hai cambiato anche me. Siamo cresciuti insieme, sono quello che sono grazie a te, in parte. E sei anche la ragione per cui ho riacquistato i miei ricordi, quindi hai cambiato anche la mia visione del futuro, o quello che ne rimane." un altro colpo di tosse lo fece tremare. Il ragazzo sembrò soffocare e così lo sollevai leggermente, girandolo in modo dolce di lato. Dalle sue labbra uscì una chiazza di sangue scura, il ragazzo continuò a lamentarsi e a tossire via liquidi color cremisi. Quando quella scarica sembrò esaurirsi, Gally tornò strisciando nella sua posizione, più pallido che mai. Lo sentii sistemarsi contro di me, la sua testa appoggiata stanca alla mia spalla. "Vivi tutto anche per me, okay?" mormorò con un sorriso. 
Scossi la testa, consapevole che il tempo mi stesse scivolando via dalle mani, portato via dalla morte. "Devi resistere ancora un po', ti prego." gli bisbigliai, avvicinando il mio volto al suo e accarezzandogli la guancia con la mia.

"Portali fuori da qui e..." il ragazzo esitò, i suoi occhi si rattristirono all'improvviso. "E cercate di rimanere fuori dai guai in mia assenza."
Annuii presa dal panico e mi sentii inutile per non riuscire a trovare le parole giuste per quel momento. Gally stava morendo. Il mio migliore amico, la mia spalla, il mio Capitan Gally se ne stava andando. "Gally..." mi bloccai. Non era quello il suo vero nome, anche se oramai lo conoscevo sotto quel nomignolo, eppure in quel momento mi sembrava così fuori luogo e sbagliato continuare a riferirmi a lui in quel modo. Volevo ricordarlo per quello che era, volevo potermi guardare indietro e sorridere all'idea di un piccolo Ace felice e spensierato. "Ace." mi corressi, sorridendogli malinconica e vedendolo spalancare gli occhi per la sorpresa. "Non mi ricordo dell'infanzia passata assieme, ma sei stato capace di darmi l'assaggio di quella che sarebbe potuta essere una vita intera vissuta insieme. Le memorie insieme a te sono poche, ma sono anche tra le più felici del mio repertorio."

Lo vidi sorridere, improvvisamente rilassato. I suoi occhi, ancorati ai miei come in cerca di sollievo dal dolore, si incupirono. Abbandonai la presa sulla ferita, consapevole che questa volta le mie doti da Medicale non mi avrebbero aiutata nel vincere la lotta contro la morte. Pulii il palmo sporco di sangue sui miei pantaloni e presi ad accarezzargli la guancia, stringendolo forte a me con il braccio libero e cingendolo al petto come fosse un bambino piccolo. Lo cullai avanti e indietro, trattenendo le lacrime e continuando ad accarezzargli il volto e i capelli. 
Sentii le lacrime spingere sempre di più dietro agli occhi e la mia visione divenne mano a mano più offuscata. Tirai sul col naso e strizzai le palpebre. Quando le riaprii, gli occhi di Gally erano ancora lì a fissarmi, vuoti come non lo erano mai stati. Delle mappe che avevo sempre tentato di leggere senza riuscirci non c'era più traccia e ciò che mi rimaneva del ragazzo non erano che un corpo vuoto e dei ricordi frammentati. 
Lo strinsi ancora di più a me, sentendo i singhiozzi perforarmi la schiena e il petto venir schiacciato da un macigno.

Il cuore non mi aveva mai fatto così male, continuando a pompare sangue faticosamente nelle vene, come se anche lui fosse stanco di lottare contro il dolore. Sentii le dita delle mie mani tremare e allungarsi offuscate verso il volto del ragazzo. Delicatamente gli chiusi le palpebre e mi asciugai le guance prima che le mie lacrime lo potessero bagnare. Gli accarezzai nuovamente il volto e rimpiansi di non aver fatto tesoro di tutti quegli attimi passati insieme. 
La consapevolezza che Gally non se ne fosse andato da solo mi fece piegare a metà sul suo corpo.
Singhiozzai, lasciandomi andare solo per poco. Nel frattempo il vuoto nel cuore prese a risucchiare ogni cosa che non fosse dolore e lutto. 
Mormorai un ultimo addio al ragazzo e alla parte di me che se n'era andata con lui per non lasciarlo solo nella sua ultima avventura.

 

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Capitolo 88
*** Capitolo 81. ***


{IMPORTANTE: leggete l'angolo scrittrice, pls}

Per un attimo mi sentii come se avessi appena tagliato fuori il resto del mondo. Nonostante la battaglia attorno a noi stesse continuando a infuriare, le mie orecchie non percepivano più nulla se non il battere persistente del mio cuore che non faceva altro che ricordarmi che ancora una volta ero viva grazie al sacrificio dei miei amici. Non avevo nemmeno notato che la confusione attorno a me fosse aumentata a dismisura quando Jorge era finalmente arrivato con i rinforzi. Il Gruppo B, aiutato da tanti altri abitanti armati del Posto Sicuro, stava cercando di difendersi e attaccare le guardie come se fosse il suo unico scopo di vita. 

Non mi ero nemmeno accorta che Stephen mi si fosse piazzato davanti, dandomi le spalle e mettendo al tappeto chiunque si avvicinasse eccessivamente. Chissà da quanto tempo era lì. Il ragazzo si era probabilmente accorto di quello che era successo e mi aveva protetto per tutto quel tempo, pur di concedermi un ultimo momento di pace insieme a Gally. Ero sicura avesse esaurito i colpi della sua pistola ormai da un pezzo, dato che dopo poco lo avevo visto derubare il corpo di una guardia ai suoi piedi per riuscire a rifornirsi di munizioni. Senza di lui probabilmente sarei rimasta scoperta per tutto quel tempo. Non sapevo quante guardie avessero cercato di avvicinarsi a me, ma di certo sapevo che nessuna fosse riuscita a sorpassare la barriera creata e difesa ardentemente da Stephen. Il suo istinto da fratello maggiore aveva probabilmente preso piede in lui, spingendolo addirittura oltre il suo limite.

Mi sentii in colpa per aver permesso a me stessa di lasciare i miei amici da soli in quella battaglia, rimanendo fin troppo a lungo in disparte quando ognuno di loro era in pericolo. Era stato egoista da parte mia, ma allo stesso momento non riuscivo a mettermi in piedi, troppo schiacciata dal dolore. Gally se n'era andato per sempre.
Notai la figura sfocata di Newt corrermi incontro tenendo chissà quante siringhe piene di liquido azzurro nella maglia, usandola come se fosse una sacca. Lo osservai superare la barriera di Stephen e raggiungermi in poche falcate per poi fermarsi di botto davanti alla figura rannicchiata ancora tra le mie braccia. 
La mia espressione e le lacrime sulle mie guance dovevano dirla lunga perché il biondino non fece domande e nemmeno Kurt, che seguì poco dopo, raggiungendoci.

Newt sbatté più volte le palpebre, guardandomi incredulo e avvicinandosi cautamente a me. "Possiamo... Possiamo ancora provare, se vuoi." mi mormorò, inginocchiandosi al mio fianco e pescando dal malloppo una delle tante siringhe già riempite. 
Gli sorrisi, o meglio, cercai di sorridergli, anche se non fui tanto sicura di esserci riuscita dato che il ragazzo assunse un'espressione ancora più preoccupata, abbandonando delicatamente le sue provviste al suolo e depositandomi una carezza sulla testa, togliendomi una ciocca dal volto e nascondendola con cura dietro al mio orecchio.
Lo guardai negli occhi e non appena incontrai le sue iridi color mandorla mi sentii morire dentro. "Non sono riuscita a salvarlo." gli sussurrai, pregando che mi tirasse a sé, stringendomi così forte da farmi passare il groppo alla gola, ripetendomi che sarebbe andato tutto bene e che avrebbe risolto tutto.

Perché era questo che Newt faceva. In un modo o nell'altro lui aggiustava le cose. Era il Collante per un motivo. 
Quando lo vidi scuotere la testa e accarezzarmi una guancia, però, compresi che la questione fosse fuori dalla sua competenza. Non ci sarebbe stata una seconda occasione per Gally, non avrei mai potuto riavvolgere il tempo, Newt non avrebbe trovato una soluzione, non questa volta. "I-Io... Avrei dovuto correre più velocemente, mi dispiace." si scusò lui, facendomi sentire ancora più in colpa. Mi ero completamente dimenticata della difficoltà fisica di Newt nei momenti di ansia e stress. Avrei dovuto sapere che affidargli un compito del genere non solo era egoistico da parte mia, ma lo caricava anche del peso di una vita che non sapevo se il ragazzo sarebbe stato capace di sostenere. "No, Newt, non c'era nulla da fare." gli risposi, cercando di mantenere la mia voce calma. 

Non incolpavo il ragazzo, ma me stessa per non aver preso il suo posto. Sarei dovuta correre io a cercare Kurt, ma non avevo il coraggio di lasciare solo Gally. Avrei dovuto lanciare prima quella freccia e uccidere David, rischiando di ferire Gally, ma comunque salvandogli la vita.
"A-Ace..." sentii Kurt mormorare, avvicinandosi al corpo del ragazzo, appoggiando a terra il resto delle siringhe e prendendogli il volto tra i palmi. Lo osservò per diversi secondi, gli occhi lucidi ben presto diventarono furiosi, poi improvvisamente tornarono tristi ed eccessivamente calmi. Era come se si fosse rassegnato e la cosa mi distruggeva ancora di più, lasciandomi senza speranza. 
Gally se n'era andato e non ci sarebbe stato modo di riportarlo indietro.

"Dobbiamo..." sentii la mia voce spezzarsi, incapace di continuare quella frase. Mi schiarii la gola nel tentativo di ricacciare giù il groppo e con esso tutte le mie lacrime. Eravamo nel bel mezzo di una battaglia e nonostante l'aiuto di tutti gli altri eravamo ancora in netto svantaggio: molti di noi erano feriti, altri stremati dalla lotta continua, altri ancora disarmati o non ben addestrati all'uso delle armi. Non potevo permettermi di rimanere lì stretta al corpo ormai esanime di Gally a piangermi addosso. Avevo perso il mio migliore amico e non avevo potuto fare nulla per nasconderlo dalla morte, ma c'erano tante altre persone che avevano bisogno di me, compresi i miei amici. Vedere Gally morire non solo mi aveva lacerata, intorpidendo i miei sensi e facendomi distaccare dalla realtà, ma aveva anche risvegliato in me un senso di protezione e di vendetta che non riuscivo più a contenere. 

Avevo già ucciso David, certo, ma il resto della W.I.C.K.E.D. avrebbe pagato con il sangue. Sapevo che non avrei risolto niente sterminando l'intera squadra di guardie e uccidendo ogni singolo membro dell'associazione, ma almeno sarei riuscita a salvare i miei amici. 
"Dobbiamo muoverci e aiutare gli altri." dissi con voce ferma, tuttavia ancora rauca per colpa delle lacrime incastrate in gola. "Kurt, ho bisogno del tuo aiuto." richiamai l'infermiere, facendogli alzare gli occhi lucidi verso di me. Lo vidi distaccarsi per un attimo dal corpo di Gally e guardarmi smarrito, come se nella sua testa stessero aleggiando così tanti pensieri da mandarlo in confusione. "Ci sono persone che hanno bisogno di un aiuto medico e queste siringhe possono fare la differenza. Prendine quante puoi e inizia a fare il giro per curare quanti più feriti possibile."

Vidi l'infermiere annuire e iniziare a raccogliere le siringhe con mano tremante. Lanciai un ultimo sguardo al volto rilassato di Gally e delicatamente lo scostai dal mio petto, appoggiandolo con cura sul pavimento e depositandogli un'ultima carezza sulla guancia. Sarei tornata a prenderlo, ma era il momento di fare anche io la mia parte. "Steph." mormorai, alzandomi in piedi e facendo voltare di scatto il ragazzo dai capelli bianchi. Lui guardò me, analizzandomi preoccupato, per poi abbassare lo sguardo al corpo di Gally e strizzare gli occhi come incredulo. "Ho bisogno che tu vada con Kurt. Proteggigli le spalle mentre lui cura i feriti, okay?" 
Le labbra del ragazzo tremarono e i suoi occhi vacillarono per un attimo. Il ragazzo mi scrutò attento come se fosse alla ricerca di chissà cosa, poi le sue labbra diventarono una linea sottile e lo vidi annuire. Che avesse trovato o meno ciò che stava cercando nei miei occhi non mi era chiaro, ma per il momento non mi interessava nemmeno sapere cosa si fosse chiesto.

Mi avvicinai a Newt sotto il suo sguardo attento e allungai una mano verso la sua, ancora stretta attorno alla siringa. Gliela sfilai delicatamente e il ragazzo mi lasciò fare. "Noi faremo lo stesso, okay?" domandai al biondino, osservandolo attentamente come in attesa di un conforto o una certezza. Lo vidi annuire e continuare a fissarmi come se fossi un alieno appena sbarcato sulla terra.
Probabilmente il ragazzo non si capacitava di come fossi riuscita a tagliare fuori tutte le emozioni in pochi attimi e, se dovevo essere sincera, la cosa preoccupava anche me. L'ultima volta che avevo spento le mie emozioni avevo perso una parte di me e avevo faticato molto per ritrovare i miei passi e tornare in pista. Ma ero anche consapevole che questa volta il dolore per la perdita e la frustrazione derivante dall'incapacità di cambiare il corso degli eventi erano troppo forti per rimanere nascosti nell'ombra, in attesa di un mio comando.

Sapevo che quella dentro di me era solo la quiete prima del terremoto che mi avrebbe devastata e fatta a pezzi come un foglio di carta. Stavo solo tenendo duro per non perdere altre persone a me care e rimanere calma in quel modo, ragionando con la mente lucida e agendo senza far tremare le mani, richiedeva una concentrazione e una fatica immane. 
Non sapevo per quanto sarei resistita e non potevo perdere tempo.
"Hai abbastanza munizioni?" domandai al biondino, alzandogli delicatamente l'orlo della maglietta e osservando la pistola infilata nei suoi pantaloni. Newt mugugnò un sì distratto, poi mi afferrò delicatamente la mano libera e la strinse alla sua.
"So che ti senti responsabile per quello che è successo," iniziò il ragazzo, sfiorandomi le dita e poi accarezzandomi il braccio. Il suo palmo si fermò dietro la mia spalla e, facendo una leggera pressione, mi tirò a sé in un abbraccio, stringendomi forte come se dovessi crollare. "ma non c'era nulla che tu potessi fare."

Mi lasciai andare a quel tocco così rassicurante per qualche secondo e per un attimo desiderai di poter fermare il tempo solo per avere dei momenti di sfogo con Newt. Avrei voluto piangere, lacerarmi la pelle per fare uscire tutto il dolore come fosse sudore, battere i pugni contro il muro, gridare e stringermi la testa fino a far uscire dalle orecchie tutti i pensieri neri, ma non c'era tempo per nulla di tutto ciò. "Dobbiamo muoverci." fu tutto quello che dissi, sentendo la mia voce tremare. Posi una mano sul petto di Newt e all'improvviso il ragazzo si irrigidì, confuso probabilmente dal mio comportamento freddo.
Non lo incolpavo di essere arrivato in ritardo, non avrei mai potuto, ma avevo il terrore che se avessi lasciato trapelare anche il minimo sentimento, il resto sarebbe sfociato fuori dal mio controllo, tergiversandosi caotico su tutti quelli che mi circondavano. "Solo... Stai attento, okay?" mi raccomandai, indugiando con la mia mano sul suo petto. "Non voglio perdere anche te."

Lo vidi annuire e risucchiare una piccola goccia di sangue che era riuscita a scappare dal taglio sul labbro che prima non avevo notato. Dopo le botte che aveva preso Newt era ridotto a uno straccio, ma ero sicura che avrebbe fatto di tutto pur di coprirmi le spalle. Avrei voluto usare una delle siringhe su di lui per rimetterlo in sesto, ma non sapevo quanti feriti gravi ci fossero tra quei corridoi e non potevo di certo permettermi di usarle su chi ancora si poteva reggere in piedi. Newt era forte e determinato, sapevo che ce l'avrebbe fatta e io, dal mio canto, avrei fatto di tutto per essere il più veloce ed efficace possibile.
Una volta finito il mio compito da Medicale, avrei ripreso il mio posto da guerriera al fianco dei miei amici, pronta a demolire fino all'ultimo briciolo di quell'associazione.

 

 

 

Io e Newt iniziammo a muoverci veloci tra il caos alla ricerca di feriti gravi. Cercammo di passare inosservati agli occhi delle guardie per evitare di diventare anche noi dei bersagli e, a eccezione di un paio di bestioni che Newt si premurò di atterrare con dei colpi di pistola, nessuno sembrò volerci dare fastidio. La battaglia aveva iniziato a prendere tutta un'altra piega con l'arrivo del Gruppo B e degli altri abitanti del Posto Sicuro e, nonostante ora la situazione numerica sembrasse abbastanza equa, avevamo avuto molte perdite.
Non solo le armi che avevamo costruito al Posto Sicuro non erano così efficienti come quelle della W.I.C.K.E.D., ma anche la preparazione fisica e militare scarseggiava tra di noi, ponendoci quindi comunque in una situazione di svantaggio.

Tuttavia la situazione si ribaltò completamente nel momento in cui i Lupi-Scheggia entrarono finalmente in azione, annunciando il loro arrivo con il suono del metallo strisciante sui pavimenti in marmo. Le bestie si riversarono nei corridoi come impazzite. I sei occhi che Brenda ci aveva fatto notare dentro la stanza buia erano ora spalancati e attivi: le loro iridi gialle scrutavano attentamente ogni volto finché non ne individuavano uno target, attivandosi immediatamente per eliminarlo. Viste da così vicino quelle bestie sembravano il triplo più grosse di quanto non apparissero da stese e la loro ferocia mi aveva spiazzata, facendomi pensare di essere fortunata a non avere un'obbiettivo di eliminazione puntato sulla mia testa.

Mentre io e Newt continuavamo a passare di ferito in ferito, iniettando nelle loro vene il miracoloso liquido, i Lupi si premuravano di eliminare chiunque avesse una casacca addosso. C'era chi tagliava la testa del proprio obbiettivo lacerandola con i denti aguzzi, chi usava il proprio manto per lanciare le schegge sul corpo del malcapitato, chi invece si catapultava sull'avversario di peso, atterrandolo per poi graffiargli via la pelle.
Ognuna delle bestie agiva in modo meccanico, ma anche indipendente, rendendo tutta quella scena ancora più inquietante. Al contrario dei Dolenti, i Lupi-Scheggia sembravano avere una sorta di cervello meccanico, un nucleo quasi indipendente che permetteva loro di agire in modo efficiente nella maniera più autonoma.
Vidi Teresa e Brenda sbucare correndo da uno dei corridoi, il volto madido di sudore e il fiatone alle stelle. Le ragazze dovevano aver corso tanto per riuscire a raggiungerci e aiutarci nella battaglia. 

Osservai Thomas agitare un tubo in aria e scaricarlo di forza sul suo avversario, facendolo cadere a terra privo di sensi, per poi gettarsi su Teresa e racchiuderla in un abbraccio. Brenda arrossì, rimanendo in disparte a guardare le scena, poi salutò il ragazzo con una mano, mantenendo pur sempre le sue distanze. Thomas la scrutò curioso, poi, gettando di lato ogni imbarazzo, si allungò all'avanti annullando lo spazio vuoto tra i due e racchiudendo anche l'altra ragazza in un abbraccio sudato, ma pur sempre sincero.
Mi assicurai che anche il resto dei miei amici fosse al sicuro o comunque non ferito gravemente e quando scrutando qua e là tra i diversi volti familiari non riuscii a vedere né Minho, né Violet, una stretta allo stomaco mi fece sudare freddo. 
Sentii Newt domandarmi un qualcosa, chiamare il mio nome un paio di volte per richiamare la mia attenzione, ma il panico si era infiltrato così tanto dentro di me da rendermi rigida come un tronco.

Sentii il fiato venirmi a mancare e la testa esplodere in un cumulo di domande, ipotesi e scenari terribili che a mala pena riuscii a soffocarli, nel tentativo di riprendere il controllo sulle mie emozioni. Sentii una mano scuotermi delicatamente per il braccio e non ebbi bisogno di voltarmi per capire che fosse solamente Newt, anche lui preoccupato per la mia mancanza di reazioni.
Girai lentamente su me stessa, continuando a scrutare il caos che ci circondava nel tentativo di riuscire a scorgere la testa nera di Violet o i capelli sparati all'insù di Minho. Newt seguì il mio sguardo, smettendo di fare domande e iniziato a cercare di capire la fonte del mio improvviso terrore. Anche lui sembrò accorgersi della mancanza dei due piccioncini, dato che iniziò a chiamarli gridando nella speranza di una risposta. 
Poi, all'improvviso, la voce rauca di Violet arrivò alle mie orecchie e d'istinto mi voltai verso il suono. Non la notai subito in quanto la ragazza era rannicchiata in un angolino verso la fine del corridoio, ma quando mi fermai a osservarla per capire se stesse bene, i miei occhi misero a fuoco la figura stesa ai suoi piedi che lei continuava a coprire col suo corpo.

Feci per muovermi in avanti, ma Newt fu più veloce di me, afferrandomi per la mano e strascinandomi dietro di lui. Corremmo schivando guardie, bestie e altri corpi in movimento e più ci avvicinavamo più dettagli riuscivo a cogliere: Violet stava piangendo e urlando allo stesso momento, continuando a proteggere il corpo sotto di lei e nel frattempo cercando di liberarsi di una guardia che da poco l'aveva puntata, afferrandola per le spalle e cercando invano di allontanarla dal corpo steso a terra. Quando la casacca riuscì nel suo intento scaraventando Violet a terra, riuscii finalmente a guardare in faccia il volto del corpo steso ancora a terra. Minho aveva gli occhi appena aperti, il volto pieno di sangue, le labbra tremanti semiaperte. Nonostante sembrasse ancora cosciente, il suo corpo era totalmente immobile se non fosse stato per il petto che a movimenti disconnessi faceva su e giù in modo disperato. 

Anche se il volto del ragazzo sembrava abbastanza pacifico, la sua mano tremante premuta sull'addome diceva tutt'altro: il ragazzo era stato ferito e stava morendo dissanguato a giudicare dalla pozza nera che lo circondava, ma il pugnale con cui l'avevano ferito era ancora incastrato nella sua pelle, il che mi fece pensare che Minho dovesse avere più tagli per aver perso tutto quel sangue.
Aumentai il passo, stringendo in mano la siringa e puntando inferocita contro la guardia per riuscire ad atterrarla. L'uomo non aveva perso tempo e, prima di occuparsi di Violet, sembrava voler finire la questione iniziata con Minho, puntandogli addosso una pistola e ignorando i continui tentativi della ragazza – ridotta altrettanto male – di proteggere il suo ragazzo.
Sentii Newt urlare per attirare l'attenzione dell'uomo e, non appena questo voltò la canna della pistola verso di noi, il biondino fece fuoco, prendendolo in pieno volto e ponendo fine a quella tragedia.
Quando finalmente raggiunsi il Velocista mi gettai a terra e mi avvicinai a lui, chiamandolo per nome ma senza ricevere risposta.

I suoi occhi si posarono lenti sui miei e quando si incatenarono ad essi parve riconoscermi, rilassandosi un poco. "Minho, mi senti?" domandai nel tentativo di mantenerlo cosciente. Scostai delicatamente la sua mano dall'addome, rivelando la ferita d'arma da taglio e poi cercai di strappargli la maglietta ormai inzuppata di rosso con quanta più delicatezza possibile per riuscire a capirne la posizione della lama e notare eventuali altri tagli. Non potevo usare il liquido su di lui finché non gli toglievo il pugnale e se lo avessi fatto nel modo sbagliato avrei potuto danneggiarlo ancora di più.
Sentii Violet gattonarmi accanto, continuando a singhiozzare. "L'ha colpito due volte." mi informò la ragazza puntando il dito tremante sulla seconda ferita aperta sul costolato. "Ti prego, devi fare qualcosa." mi supplicò, la voce incrinata.
Sentii Newt cercare di calmarla per permettermi di pensare in modo lucido e ripeterle che sapevo cosa stavo facendo, ma che doveva lasciarmi un po' di spazio per agire.
Mi morsi il labbro. Sapevo davvero cosa fare?

*Angolo scrittrice*

Hey pive! 
Che ve ne pare della storia, so far? Il libro sta prendendo la piega che vi aspettavate?
Qualche settimana fa avevo parlato di voler fare una live (tipo su YouTube) o un'eventuale riunione su Google Meet (ancora non ho deciso) in cui risponderò a tutte le domande che avete su di me o su questa storia. Alcune ragazze mi hanno detto che vorrebbero esserci, quindi volevo sapere se è una cosa che potrebbe interessarvi. 

Mi piacerebbe ricevere un po' di domande, quindi chiedete quello che vi interessa! Risponderò a tutti i dubbi e le curiosità anche se non parteciperete alla live. 

Però per poter fare questo vorrei sapere:
-Quanti parteciperebbero? Scrivetemi se siete interessate, perché pensavo di non rendere il link pubblico, ma di mandarlo solo alle dirette interessate onde evitare intrusi.

e

-Quale piattaforma preferireste per fare questo piccolo Q&A? ps: sappiate che se andremo ad usare piattaforme come Google Meet potrete entrare con un nickname e con la telecamera spenta, se lo preferite. Sarà una bella prova di coraggio anche per me parlare a tutte voi così dal vivo, quindi posso capire la timidezza.

Ho intenzione di organizzare questa live una volta finito il libro, quindi tra un mesetto circa, credo. Avete tantissimo tempo per raccogliere idee e bombardarmi nei commenti, nei messaggi, dove preferite.

Giorno e ora precisi verranno forniti nell'ultimo o penultimo capitolo di questo libro, ma pur sempre con largo anticipo in modo che ognuna di voi sia libera di organizzarsi e partecipare se vuole.

Grazie per l'attenzione e un bacione,

Elena ღ

 

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Capitolo 89
*** Capitolo 82. ***


Minho aprì leggermente le labbra e tentò di parlarmi, accennando a mala pena un sorriso sforzato, ma non riuscii a comprendere ciò che mi disse, tanto era il trambusto nella stanza. "Va tutto bene, Minho. Ora ti rimetto in sesto, okay?" lo rassicurai, cercando di prendere tempo e chiarire i miei pensieri.
Analizzando la quantità di sangue che stava continuando a scorrere dalla prima ferita aperta potevo ipotizzare che fosse stata colpita un'arteria, ma non sapevo per certo quanto la lama fosse andata in profondità. Per quanto riguardava invece la ferita ancora otturata dal pugnale, non riuscivo a giudicare se togliendola avrei causato il peggioramento dello stato del ragazzo o ancora peggio la sua morte. Dovevo agire in fretta.

Richiamai a me sia Violet che Newt, ordinando alla ragazza di premere forte sulla prima ferita, poi consegnai al biondino la siringa, avvertendolo di stare pronto a inserire il liquido e indicandogli la vena visibile sul collo di Minho.
Poi mi concentrai totalmente sull'elsa del pugnale ancora incastrata dentro il corpo dell'asiatico.
"Ora ti tolgo la lama, Minho." lo avvertii, vedendolo muovere appena la testa e sforzandosi di guardare in giù verso la ferita. Lo bloccai tenendo una mano appoggiata sulla sua fronte e lo pregai di guardare Violet piuttosto. Se il suo battito cardiaco avesse accelerato ancora di più l'emorragia sarebbe peggiorata.

"Farà male, ma cerca di non muoverti, okay?" lo pregai, stringendo forte i pugni nel tentativo di calmare il tremolio delle mie mani. Se avessi fatto anche solo una mossa sbagliata avrei potuto danneggiare i suoi organi interni e peggiorare la sua situazione, dovevo essere cauta.
Mi avvicinai all'elsa del pugnale e delicatamente la circondai con una mano, appoggiando poi quella libera attorno alla lama ancora inserita per fare pressione sulla ferita.

Spinsi delicatamente per bloccare la fuoriuscita di sangue e iniziai a muovere l'elsa verso l'alto, causando un improvviso risveglio in Minho, che prese prima a mugugnare e poi a urlare di dolore. Continuai a estrarre la lama lentamente, cercando di fare il minimo movimento possibile e nel frattempo continuando a premere sulla ferita.
Notai come anche Minho stesse cercando di controllare i suoi movimenti e rimanere immobile per quanto possibile, ma dopo qualche secondo il ragazzo si voltò di scatto verso di me, ancorando poi lo sguardo sul pugnale ancora stretto attorno al mio palmo.

Il ragazzo parve accorgersi di tutto il sangue che ricopriva la parte di lama fuoriuscita solo in parte e sembrò perdere la ragione. Lo vidi strabuzzare gli occhi, gridare forse più di terrore che di dolore, e poi battere la testa all'indietro.
Ordinai a Newt di tenerlo fermo mentre Minho prendeva ad agitarsi sempre di più, ma cercai di non distrarmi e continuai a estrarre la lama ormai quasi completamente fuori uscita.

"Toglila tutta d'un botto!" mi gridò Violet con tono arrabbiato. "Così gli fai male!" inveì lei, guardandomi in cagnesco e continuando nel frattempo a premere sull'altra ferita.
"Non posso. Se non sto attenta potrei danneggiarlo ancora di più." le spiegai, riuscendo finalmente a estrarre con cura gli ultimi centimetri di lama. Lasciai cadere il pugnale a terra e premetti con entrambe le mani sulla ferita che, appena liberata aveva preso a sgorgare grumi di sangue.
"Newt, ora!" ordinai al ragazzo, vedendolo saltare sul posto e spingere l'ago dentro il collo del Velocista che tirò un altro urlo, probabilmente dovuto alla poca delicatezza di Newt.

Quando il biondino spinse il liquido azzurro nel corpo dell'asiatico, un pugno del Velocista volò in aria, colpendo Newt in pieno volto e facendolo gridare per la sorpresa. L'asiatico prese a tremare, come se stesse avendo le convulsioni, poi a gridare e a toccarsi il collo con fare disperato. "Brucia!" urlò in preda al panico, graffiandosi il collo e poi il petto come se stesse cercando di farlo smettere. "Sto... andando... a fuoco!" gridò ancora, facendo scattare sull'attenti Violet che mi lanciò nuovamente uno sguardo allarmato e confuso allo stesso tempo.

"Cosa gli avete iniettato?" domandò, senza mai lasciare la presa sul ragazzo che ora aveva preso a dibattere mani e piedi a terra come un bambino che fa i capricci.
"Serve a far rimarginare le ferite." le spiegai, dando una sbirciatina sotto le mie dita totalmente ricoperte di sangue per riuscire a vedere la ferita. Nonostante sembrasse ancora interamente ricoperta di rosso e grumi, potevo notare come si stesse piano piano richiudendo da sola.
Tirai un sospiro, ma il mio sollievo fu momentaneo dato che tutta la calma svanì non appena il secondo pugno di Minho colpì anche il mio volto, facendomi ribaltare all'indietro per la sorpresa.

Mugugnai, ma non demorsi e mi rigettai sul ragazzo, continuando a premere ancora sulla ferita aperta. Non l'avrei lasciato finché le sue ferite non si fossero rimarginate del tutto. Non potevo rischiare che perdesse ancora sangue.
Attesi qualche altro secondo prima di dare un'ulteriore sbirciatina sotto le mie dita ancora intrise di sangue e non appena notai le pareti della ferita riavvicinarsi lentamente e rimarginarsi senza nemmeno lasciare il segno di una cicatrice, mi sentii sollevare di un peso.
Minho iniziò ad agitarsi sempre di meno, respirando pur sempre con fatica come se ogni centimetro del suo corpo gli facesse male, ma piano piano riprese a rilassarsi, rimanendo accasciato a terra, ricoperto di sudore e sangue, sfinito da quella tortura.

Lo sentii parlare, ma quando la sua voce uscì roca e indecifrabile, il ragazzo si prese un momento per schiarirsi la gola e inumidirsi le labbra. "Diamine, bambolina..." borbottò aprendo un occhio e portandosi un braccio sulla fronte per asciugarsi le gocce di sudore. "Ci sei andata giù pesante. E tu." aggiunse poi alzando lo sguardo e incrociando gli occhi color mandorla,  inevitabilmente preoccupati di Newt. "Cercavi di aprirmi il collo con quella siringa? Porco caspio mi sembrava quasi di venir punto da un caspio di Dolente, brutta testa puzzona."

Sentii Newt ridacchiare e a quel suono gli angoli della mia bocca si inarcarono all'insù, come attivate da quel suono cristallino e quasi paradisiaco. Per quanto la risata del ragazzo fosse una novità per me da quando ci eravamo ritrovati, non riuscivo a non sentirmi male per aver sorriso anche io. Avevo perso Gally, quasi rischiato di non poter salvare nemmeno Minho, non c'era nulla per cui essere felice. La battaglia ancora infuriava alle nostre spalle, anche se sembrava che grazie agli abitanti del Posto Sicuro e ai Lupi Scheggia avessimo oramai la situazione abbastanza sotto controllo. Avevamo versato tanto sangue quanto ce n'era stato tolto, certo, ma non riuscivo a trovare la soddisfazione in tutta quella morte. 

Togliere la vita a coloro che avevano ucciso i miei amici non li avrebbe riportati indietro. Avremmo sconfitto la W.I.C.K.E.D., saremo finalmente riusciti a vivere liberi dalle sue grinfie, ma nulla ci avrebbe mai liberati dagli incubi e dai ricordi macchiati di sangue. Le nostre azioni, quello che ci era stato fatto, gli amici che avevamo perso lungo la strada, le vite che eravamo stati disposti a sacrificare... tutto ciò ci avrebbe perseguitato fino alla fine dei tempi, fino a che generazione dopo generazione il dolore sarebbe sbiadito sempre di più fino a sparire sotto il peso di memorie che nessuno vuole davvero tramandare.

"Tutto okay?" domandò Violet. Alzai la testa di scatto, preoccupata che la ragazza fosse appena stata capace di leggermi nella mente e vedere tutti i pensieri che mi accecavano. Quando però misi a fuoco il suo volto oltre il velo di lacrime che si era venuto a formare, notai che la sua domanda e tutta la sua preoccupazione fossero rivolti invece a Minho che, ora sempre più colorito in volto, stava cercando di mettersi almeno a sedere.

Pensai di controllargli il battito cardiaco, la dilatazione delle pupille e le altre cose da Medicale che Jeff mi aveva ripetuto all'infinito per non farmeli dimenticare, ma poi dissi a me stessa che se me ne fossi andata Minho sarebbe comunque stato in ottime mani. Violet era una ragazza sveglia e negli ultimi mesi aveva imparato tanto stando vicino a Matthew. 
Matt... Pensai tra me e me. Chissà se è venuto anche lui a darci una mano. Sono sicura che andrà d'amore e d'accordo con Kurt.

Mi sollevai e strinsi i pugni non appena il nome dell'infermiere che si era rivelato essere parte del mio passato mi sfrecciò per la mente. Ricollegai immediatamente il suo nome all'espressione triste e disperata che aveva assunto non appena aveva notato il corpo di Gally rannicchiato come un bambino tra le mie braccia. Poi mi venne da pensare alle parole del Costruttore, al suo ultimo addio, alla sua espressione pacifica nonostante il dolore e ai suoi occhi ancora maledettamente innamorati di me.
Mi sentii vacillare mentre la mia anima si sgretolava ancora un po' sotto quel peso che non sapevo se sarei mai riuscita a sopportare.
I miei polpastrelli formicolarono quando qualcosa si insinuò nel mio palmo. Abbassai lo sguardo e sorpassato il velo di lacrime che per una seconda volta mi premurai di ricacciare indietro, notai le dita affusolate di Newt, strette forti e salde tra le mie ancora tremanti e insanguinate.

Ricambiai la stretta e il mio cuore ebbe un sussulto, come se tentasse di ricordarmi che non era ancora tutto perduto. Mi morsi il labbro e mi voltai completamente verso il biondino che ora mi fissava con due occhi preoccupati, ma allo stesso tempo comprensivi nei miei confronti.
Gli sorrisi, sentendo la mia calma apparente vacillare sotto la debole stretta del mio autocontrollo ormai in fiamme. Sentii le mie guance tremare, la gola farsi sempre più stretta.

Le mie braccia si aggrovigliarono attorno al ragazzo prima che me ne rendessi conto, evitandomi forse un crollo emotivo. Lo strinsi a me, terrorizzata all'idea di perdere anche lui e gli depositai un bacio sul collo, morendo dentro per la necessità di avere quanto più contatto possibile con lui. Pelle contro pelle, tepore contro tepore. Avevo bisogno di sentire che fosse davvero lì, che fosse reale e che non se ne sarebbe andato da nessuna parte.

"Vedrai che andrà tutto okay." mi sussurrò lui, strofinando la testa contro la mia come a depositarmi una carezza. "Non sarà una passeggiata, ma vedrai che prima o poi tornerà ad essere tutto okay."
Annuii, incapace di parlare o anche solo di provarci per paura di spezzarmi in modo definitivo.
Mi morsi forte l'interno della guancia e dopo aver inspirato a fondo quel suo nuovo strano odore, che oramai aveva iniziato a diventarmi un po' più familiare, mi distaccai da lui, rivolgendogli un'occhiata riconoscente.
"Già." mormorai, tirando su col naso e abbozzando un sorriso.

Sentii dei passi alle nostre spalle e mi voltai insieme a Newt giusto in tempo per vedere tutti i nostri amici correrci incontro. Parevano stare tutti bene e, ad eccezione di qualche ferita e ammaccatura qua e là, nessun altro sembrava in pericolo di vita. Il resto dei Radurai ci raggiunse in fretta, salutandosi con pacche sulle spalle e sorrisi sollevati per il pericolo passato. Il resto del Gruppo B tuttavia era rimasto in disparte, chiacchierando in modo sommesso tra loro e lanciandosi occhiate in giro, probabilmente nel tentativo di elaborare un piano d'uscita da quel luogo.
Il combattimento oramai si era ridotto a poche figure ancora in piedi intente a fuggire dalle grinfie dei Lupi Scheggia, ma per il resto non sembrava rimanere guardia che fosse sana e ancora in vita.

Sembrava che la situazione fosse tornata a essere sotto controllo e la cosa non mi dispiaceva affatto, anche se non potevo fare a meno di chiedermi se non avessimo potuto fare tutto quello in un altro modo. Troppo sangue era stato versato e non riuscivo a non sentirmi male per aver preso parte a quel massacro di massa. Avevo ucciso più persone di quante ne ero riuscita a salvare e non riuscivo a non percepire il viscidume del sangue nelle mie mani.
Avevamo ottenuto la libertà, ma a quale costo?
E Newt? Ora che potevamo veramente tornare con lui al Posto Sicuro, come avrei fatto a farlo sopravvivere? Sapevo di non poter perdere anche lui. Di non voler perdere anche lui.

Vidi una figura scura raggiungerci in fretta e per un attimo temetti che fosse una delle poche guardie rimaste ancora in vita, intenta a coglierci di sorpresa per arrecarci quanti più danni possibili. Quando però mi voltai pronta per attaccare, mi ritrovai circondata in un caldo abbraccio.
Non vidi il volto della persona davanti a me, né ne riconobbi l'odore o il vestiario, ma quando la sua schiena vibrò sotto le parole calde e piene d'affetto, non esitai a ricambiare la stretta.
"Oh, Fagiolina!" borbottò Frypan ridacchiando sollevato. "Come sono felice di vederti!"
Il ragazzo mi distaccò velocemente e si fermò a guardarmi, per poi far passare lo sguardo su tutti gli altri Radurai. "Brutti pive che non siete altro, mi fa piacere vedervi tutti sani e salvi. Mi sono pentito di non essere venuto con voi nel momento stesso in cui siete spariti dietro le montagne. Pensavo che senza di me sareste stati spacciati."

"Be', brutto pentolone di sploff, a quanto pare ti sbagliavi di grosso." ridacchiò Minho sollevandosi in piedi aiutato da Newt.
Il Velocista, dopo aver lasciato un bacio sulla guancia di Violet e averla osservata correre in direzione del Gruppo B, si avvicinò a noi due camminando leggermente piegato e diede un paio di pacche sulle spalle del Cuoco, che tuttavia stava ancora fissando Newt a bocca aperta. "Che mi andasse di traverso una patata... T-Tu sei..." mormorò Frypan, puntando un dito il biondino.
"Sì. Porco cacchio, sì, sono io." buttò fuori Newt, fingendosi scocciato, ma nascondendo un sorrisetto compiaciuto. "E mi manca il tuo stufato, qui mi davano da mangiare solo delle sbobbe che assomigliavano alle interiora di un Dolente, quindi vedi di rimpinzarmi una volta che ce ne saremo andati da questo cacchio di posto."

Frypan scoppiò in una risata e in due sole falcate raggiunse Newt, stringendolo poi in un caldo abbraccio e sollevandolo addirittura da terra. "Amico, non sai quanto sono felice di vederti."
Poi, notando le bende sulla sua testa, il cuoco si girò e fissò Thomas. "Caspio pivello, hai proprio una mira di sploff! E grazie al cielo!" ridacchiò gioioso, facendo arrossire a dismisura il ragazzo in questione, che in tutta risposta si limitò a grattarsi la nuca imbarazzato e a distogliere lo sguardo.
Ero felice che anche Frypan stesse bene, ma per un attimo avrei desiderato prenderlo a schiaffi per il suo poco tatto. Nel tentativo di rimediare all'imbarazzo palpabile che si stava diffondendo nell'aria, feci qualche passo in direzione di Thomas e per cogliere la sua attenzione lo punzecchiai col dito sulla spalla.

Il moro si voltò verso di me e all'improvviso tutto il rossore sulle sue guance sparì di botto, l'imbarazzo venne rimpiazzato dal dispiacere. Stava succedendo di nuovo. Lui sapeva, sapeva di Gally e di quello che provavo.
"I-Io... Ecco, mi dispiace davvero tanto per..." iniziò indeciso, rivolgendomi un'occhiata triste e sinceramente dispiaciuta. 
Scossi la testa, sorridendogli educatamente per non risultare cattiva nell'averlo interrotto. "Vado a controllare se qualcun altro ha bisogno di cure mediche, okay?" sputai fuori senza nemmeno pensarci troppo su. Non volevo che le persone iniziassero a guardarmi con occhi diversi, che mi vedessero come l'ennesima persona che aveva perso qualcuno. Avevo già vissuto quella sensazione di essere trattata diversamente, con cautela, come se potessi ridurmi in cenere ad ogni parola sbagliata. Il comportamento di tutti era cambiato nel momento esatto in cui Thomas mi aveva rivelato la morte di Newt, me lo ricordavo benissimo. Non avevo la minima intenzione di rivivere quell'esperienza.

"Tu..." continuai, indecisa sulle parole da pronunciare. "Raccogli tutti gli altri e cercate di uscirvene con un buon piano." proposi, nel tentativo di continuare a dare un ordine e una logica ai miei pensieri sempre più confusi. "Penso che dovremmo rovistare in questa sede. Scoprire se ci sono macchinari, tecnologie, cure, cibo e altro che potrebbero tornarci utili. Cercate anche per le documentazioni, qualsiasi cosa possa aiutarci a capire se ci sono altre sedi della W.I.C.K.E.D. di cui dovremmo essere a conoscenza."
Vidi Thomas annuire deciso, ogni traccia di tristezza o compassione cancellata totalmente dal suo volto, così proseguii. "E cerca di scoprire insieme a Kurt se c'è qualche medicinale o macchinario che potrebbe servire a Newt per la sua riabilitazione. Ci serviranno sicuramente delle terapie di antirigetto. Kurt ti saprà indirizzare meglio."

Sorridendo il ragazzo mi promise che avrebbero fatto del loro meglio per analizzare ogni singolo angolo di quella sede alla ricerca di aiuti e risposte. Mi ripetè più volte che non dovevo preoccuparmi di nulla e che se la sarebbero cavati da soli, come se stesse cercando di farmi capire che se volevo sparire dal mondo per qualche momento, mi era concesso. Poi, quando il ragazzo fece per andarsene, lo richiamai nuovamente, afferrandolo delicatamente per il polso.  "Oh, e Tom. Cercate anche la psicologa di Newt, dovrebbe essersi nascosta da qualche parte e ci servirà. La porteremo con noi al Posto Sicuro."
"Ottima idea." mi rispose Thomas, strofinandomi una mano sulla spalla come a rassicurarmi.
Gli sorrisi incoraggiante e poi mi voltai, dirigendomi nel primo corridoio più vicino nella speranza di trovare più feriti curabili che morti. 

Vagai senza meta, rigirandomi tra le mani le poche siringhe che mi ero portata dietro per paura che se ne avessi prese troppe ne avrei fatte cadere la metà. Passai cautamente da un corpo all'altro, fermandomi di tanto in tanto per riuscire a captare un respiro o anche solo un battito che avesse potuto riaccendere in me la speranza, ma per molti non c'era stato modo di avere una seconda occasione. Alcuni di loro sembravano essere morti sul colpo, con una pallottola piantata in testa o un pugnale conficcato in petto; altri invece sembravano aver avuto un fato peggiore, portati via dalla morte con lentezza attraverso il dissanguamento o il collasso di organi vitali.
Riuscii a rimettere in sesto un paio di uomini e una donna che sembravano in pericolo di vita, ma per il resto non ci fu molto da fare. Non avevo intenzione di prestare soccorso alle guardie che erano rimaste ferite: avevo imparato già da tempo che dare seconde occasioni e credere nella bontà delle persone fosse una mossa da stupidi. In più ci erano rimaste davvero poche siringhe miracolose e non potevamo usarle a favore dei nostri nemici.

Quelle persone stavano solo seguendo ordini, certo, ma se avessi dato loro la possibilità di cambiare vita, in quanti l'avrebbero davvero fatto? L'unica cosa che riuscii davvero a fare, forse per alleviare un po' il mio senso di colpa ma senza riuscirci davvero, fu di porre fine alla sofferenza di alcuni di loro, che mi pregarono di ucciderli pur di far terminare la loro sofferenza. Molti erano stati lasciati in vita dai Lupi Scheggia che, dopo averli attaccati e feriti, li avevano abbandonati a morte certa per dissanguamento per dedicarsi ad altre vittime. Se non altro, i bestioni meccanici sembravano aver finalmente soddisfatto la loro sete di vendetta perché con la conclusione della battaglia si erano tutti disattivati, cadendo come morti a terra, forse in attesa di nuovi ordini.

Mi mossi con delicatezza e calma tra i corpi esanimi stesi ovunque. Mi sentii macchiare di colpe a ogni passo, troppo impegnata a lasciarmi uccidere lentamente dai miei pensieri bui per cercare di salvare me stessa. La mia mente, da quando mi ero allontanata dagli altri, aveva preso a tartassarmi di paranoie, cattiverie e immagini che avrei preferito dimenticare.
Continuai a vagare senza meta, circondata dalla distruzione, finché una figura alle mie spalle non colse totalmente la mia attenzione. Mi voltai di scatto, terrorizzata per l'ennesima volta al pensiero che si potesse trattare nuovamente di una guardia, perciò mi rilassai quando notai subito la chioma bianca di Stephen, intendo a seguirmi cercando di non dare nell'occhio.
"Beccato." mormorò lui, alzando le braccia in aria come in segno di riappacificazione. "Cerchi qualcuno da torturare?" domandò avvicinandosi a me e poi indicando con lo sguardo tutti i corpi neri stesi a terra.

"No, qualcuno da salvare." replicai, seguendo il suo sguardo e chiedendomi se il pensiero della morte avrebbe mai smesso di tormentarmi un giorno. "Sono stanca di avere la morte come unico mezzo per la sopravvivenza."
"Già." sussurrò lui sovrappensiero, avvicinandosi ancora di più e affiancandomi. "Siamo tutti stanchi di questo, pasticcino. E' ora di voltare pagina e cercare di iniziare un nuovo capitolo."
Gli sorrisi grata. Sapevo che avesse scelto quella frase specificatamente per me, che stesse tentando di far trapelare uno dei suoi soliti insegnamenti senza risultare intrusivo o eccessivo. Ero felice che Stephen non mi guardasse con pietà e compassione. Lui più di chiunque altro conosceva il sapore amaro della perdita, dell'impotenza di fronte la morte delle persone più care, eppure nemmeno una volta mi aveva lanciato uno sguardo che lasciava trapelare pena nei miei confronti.
 

Dopo un attimo di silenzio il ragazzo parlò, puntando lo sguardo dritto davanti a sé e fissandolo su un corpo che non avevo notato prima – o che forse avevo finto di non notare.
"Sai, non mi è mai piaciuto e credo che non fosse un segreto," iniziò Stephen, facendo passare lo sguardo dal corpo esanime di Gally ai miei occhi. "ma ti rendeva felice, e questo mi bastava."
Sorrisi, evitando immediatamente i suoi occhi e puntandoli distrattamente sul corpo del Costruttore. Fino a quel momento avevo pensato di star vagando liberamente, senza meta, eppure le mie gambe mi avevano spinto di nuovo lì, di nuovo accanto a lui. A guardarlo così da lontano sembrava quasi che Gally stesse dormendo, se non fosse stato per la brutta ferita all'addome e il volto paonazzo, privo di vita.
Un colpo al cuore mi spezzò ancora una volta. Forse era per questo che il mio inconscio mi aveva condotto nuovamente lì: voleva che non dimenticassi.
Deglutii a fatica.
"Cercherò di fare del mio meglio per non farti perdere quella felicità, ora che non lui c'è più." mi rassicurò il ragazzo, mettendomi un braccio sulla spalla e tirandomi delicatamente a sé. "Ma anche tu dovrai provarci. Ricordati che non sei rimasta sola e che ci sono tanti modi per continuare a tenere accesa l'anima delle persone che si ha perso."

 

 

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Capitolo 90
*** Capitolo 83. ***


{ATTENZIONE: leggete assolutamente l'angolo scrittrice!}

Stephen rimase accanto a me per chissà quanto tempo, col suo braccio allungato sulle mie spalle e la mano perennemente ad accarezzarmi il braccio. Non mi aveva mai allontanato dal suo fianco nemmeno per sgranchirsi un po'. Era rimasto lì in piedi ad ascoltare con me quel silenzio di tomba, in attesa che mi stancassi finalmente di fissare il corpo di Gally, incapace anche solo di muovermi o pronunciare qualcosa.

Nonostante avessi il corpo del Costruttore proprio davanti agli occhi, non ero ancora riuscita a elaborare la sua morte o a capacitarmi di come dopo quel giorno non avrei mai più avuto dei momenti con lui. Non avrei più avuto un compagno di caccia e senza di lui la nostra piccola casa sarebbe diventata troppo grande e vuota per me. Sarebbe stato tutto più silenzioso e tutto più diverso, senza di lui. C'erano così tante cose che avrei voluto imparare da lui e dai suoi ricordi, e altrettante cose che avrei voluto chiedergli. 

Avrei voluto fosse possibile portarlo a nuotare nell'oceano un'ultima volta e poi vederlo andarsene via trasportato dalle onde dopo un ultimo addio, ma era ovvio che la cosa non sarebbe mai accaduta, non ora, non più. 
Sapere che fino a qualche ora prima eravamo ancora insieme a percorrere quei corridoi era quasi inimmaginabile. Non riuscivo a capacitarmi di come tutto quello fosse potuto succedere così velocemente. Sembrava passata un'eternità da quando avevamo risolto l'indovinello ed eravamo riusciti a entrare effettivamente nella sede della W.I.C.K.E.D.
E ora, cosa ci era rimasto? Morte, distruzione, libertà per noi e i bambini che eravamo riusciti a salvare.

Avevamo ottenuto più di quanto avessi sperato e perso più di quanto avremo dovuto.
Solo dopo qualche attimo mi decisi ad abbassare lo sguardo, ripetendomi che mi ero lasciata flagellare abbastanza dai miei sensi di colpa. La mia testa continuava a ripetermi come avrei dovuto scoccare prima quella freccia, come avrei potuto alzarmi e correre nonostante i giramenti alla testa per placcare David. Se solo avessi fatto tutto quello, se solo fossi stata più veloce, più efficiente. Sarei dovuta essere io, non lui, quella accasciata a terra esanime.

"Non riesco a lasciarlo qua." annunciai, sentendo la mia voce uscire flebile come un sussurro, ma pur sempre calma.
"Non dobbiamo." mi rassicurò Stephen, muovendomi agitando il suo palmo sul mio braccio. "Dovremmo trovare un qualcosa per riuscire a portarlo all'hangar e caricarlo su una delle Berghe." 
Annuii, evitando di far ricadere lo sguardo sul corpo del Costruttore. "Sì." esitai, sentendo il groppo alla gola tentare di soffocarmi. "Troviamo un modo per riportarlo a casa. Così come per gli altri."

Il ragazzo si distaccò da me, guardandosi un attimo attorno e poi grattandosi la fronte con fare pensieroso, come se stesse cercando di ricordare un qualcosa.
"I tavolini di metallo su cui erano stesi i lupi meccanici." mi informò poi, alzando l'indice in aria e con la mano libera colpendosi la fronte. "Se non mi sbaglio avevano delle rotelle. Potremmo provare con quelli." 
Annuii. "Si potrebbe fare." dissi alla fine. Poi, indicando a terra la radiolina attaccata ancora ai pantaloni di una guardia morta, aggiunsi: "Comunica agli altri dove siamo diretti e senti se hanno trovato qualcosa di interessante nel frattempo."

 

 

 

Io e Stephen ci eravamo incamminati lungo la via per tornare nel laboratorio che aveva tenuto nascosti i Lupi Scheggia e, quando ci arrivammo, scoprimmo i tavoli metallici e i rispettivi lenzuoli con cui erano state coperte le bestie. Prendemmo anche quelli, pensando che non sarebbe stata poi una pessima idea coprire i cadaveri con quei veli per evitare ai pochi sopravvissuti un'ulteriore agonia nel vedere il volto pallido di coloro che avevano dato la vita per vederci liberi.
Cercammo di fare del nostro meglio per illuminare la stanza con la torcia che Stephen si era portato con sé, ma quei veli bianchi come la morte e la luce verde soffusa di quella stanza continuavano a mettermi i brividi. Scoprimmo ben presto che i tavolini fossero agganciabili tra di loro e così creammo due catene di quattro o cinque lettini a testa che ci premurammo di far uscire dal laboratorio in totale silenzio, senza rompere nulla nel processo.

Ripercorremmo la via a ritroso in totale mutismo finché la voce di Teresa ci fece saltare sul posto. La radiolina prese a vibrare, mentre la ragazza iniziò ad aggiornarci sulla situazione: "Abbiamo trovato la psicologa di Newt. Kurt sembra averle spiegato che siamo noi i buoni e pare che collaborerà."
Mi bloccai un secondo, fermando lo scorrere dei tavoli in metallo e allungandomi verso Stephen per afferrare la radiolina che mi stava porgendo. Premetti un tasto al lato del piccolo aggeggio e poi comunicai con voce chiara: "Bene così. Avete scoperto qualche documento o qualche tecnologia che potrebbe servirci?"

Le frequenze della radiolina tacquero per qualche secondo, poi la voce di Teresa si fece chiara sopra il silenzio. "Alcune cartelle curiose sì, ne discuteremo insieme una volta tornati al Posto Sicuro. Ci serviranno delle mappe e un po' di pazienza, quando li farò analizzare a tutti." la ragazza prese una pausa e sentii il suo respiro spezzarsi un attimo, come se si fosse appena ricordata di dover dire un'altra cosa importante. "Oh, inoltre stiamo cercando di trovare il modo di trasportare alcune macchine importanti. Serviranno molto in campo medico e altri permetteranno alla ricerca di fare passi da gigante. Hey, voi due! Fate piano! Sono delicati quei macchinari!"

Vidi Stephen farmi cenno di continuare a seguirlo e lasciar perdere la radiolina, ma guardando la fila dei suoi tavoli in metallo mi venne in mente un'idea. Premetti il bottone ed entrai nuovamente in contatto con la ragazza dall'altra parte. "Hey, Teresa." la chiamai, cercando di chiarire le idee nella mia testa prima di esporle la mia proposta. "Pensi di riuscire a riaccendere i Lupi Scheggia ancora una volta? Non credo che sarebbe una pessima idea riportarli a casa con noi. Sai, nel caso in cui non fossimo da soli una volta tornati al Posto Sicuro."

"Certo." mi rispose pronta lei. "Lupi Scheggia? Sì, in effetti in nome si addice. Potrebbero essere ottimi cani da guardia o cacciatori."
Rimisi a posto la radiolina, poi mi sbilanciai leggermente all'indietro, facendo ripartire la fila di tavolini e tirandola all'indietro verso di me, mentre continuavo a seguire Stephen.
Io e il ragazzo continuammo con il nostro viaggio di ritorno e quando arrivammo al punto di partenza ci premurammo di staccare i singoli tavoli e di iniziare a raccogliere i cadaveri dei nostri alleati. Non facemmo eccezioni, sollevando di peso ogni faccia amica e trasportandola quanto più delicatamente sulle fredde superfici, per poi ricoprirli con le lenzuola pallide che avevamo trovato. Era banale come tentativo di nascondere l'orrore a cui avevamo assistito in quella giornata, ma era pur sempre un modo di smussare le punte affilate che ancora avrebbero potuto farci male.

Riempimmo in fretta i tavoli, così Stephen si propose di portarli all'hangar, caricandoli su una delle Berghe, mentre io tornavo sui miei passi e cercavo di trascinare con me quanti più tavoli a rotelle possibili. Accettai il compromesso e, mentre il ragazzo trascinava con sé i primi cinque cadaveri verso l'ascensore del piano, io mi voltai e ripercorsi la strada fino al laboratorio, per poi derubarlo di nuovo.
Quel viavai aveva continuato tristemente finché gli unici cadaveri rimasti a terra non erano altro che guardie in divisa. A quel punto mi unii a Stephen, aiutandolo a trascinare i tavoli occupati verso l'ascensore e passandoglieli uno a uno finché lo spazio dentro le pareti diaboliche in metallo non terminò. Lasciammo fuori dall'ascensore diversi tavoli, ma a giudicare dallo spazio dentro quella scatola metallica, ci sarebbero voluti almeno altri tre o quattro viaggi per portare tutti i corpi all'hangar.

Stephen si appiattì contro una delle pareti e mi fece segno di seguirlo, facendomi piccola piccola per cercare di entrare nello spazio insufficiente. Dopo diversi secondi interminabili di su, giù, destra, sinistra e sballottamenti vari, arrivammo a destinazione. Con calma e precisione iniziammo a svuotare l'ascensore e una volta passata la nausea e i giramenti dovuti al percorso fuori di testa fatto dall'ascensore, prendemmo a sistemare le barelle improvvisate all'interno di uno degli aeromobili. Fissammo i tavoli al pavimento della Berga con i ganci di sicurezza appositi, così da non farli muovere durante il volo, e poi tornammo al piano da cui eravamo partiti.
Dopo quattro o cinque volte di su e giù iniziai quasi ad abituarmi a quella sensazione di nausea e claustrofobia che mi pervadeva ogni volta che dovevo mettere piede in quella scatola metallica.

Durante l'ultimo viaggio però, queste sensazioni fastidiose si ridussero a nulla in confronto alla stretta al cuore che mi pervase non appena riconobbi il colore spento dei capelli che spuntavano appena da sotto il velo del corpo che stavo trasportando. Dovetti reprimere l'istinto di vomitarmi addosso per l'agitazione non appena realizzai che da quel momento in poi non avrei avuto più niente di Gally se non il suo cadavere e i miei ricordi con lui. 
Sentii le lacrime spingere dietro i miei occhi, ma le repressi in modo violento, odiando me stessa per essere così debole e suscettibile.

Stephen parve notare la mia reazione, perché prima di uscire dall'ascensore e aiutarmi a tirare fuori il tavolo, mi lanciò un'occhiata comprensiva e allo stesso tempo preoccupata. "So che è difficile, pasticcino." iniziò lui, mettendomi una mano sulla spalla e aiutandomi a spingere il carrello verso la prima Berga quasi completamente piena. "E se devo essere davvero sincero con te, non riesco a dirti che quello che provi ora sparirà. Continuerai sempre a sentire quel buco nello stomaco, quella pugnalata al cuore. Ti sembrerà di sgretolarti ogni volta che ci penserai." il ragazzo fece una pausa, spiazzandomi con le sue parole, ma senza darmi il tempo di replicare continuò: "Ma ti posso assicurare con abbastanza certezza che un giorno ti sveglierai e capirai di poter andare oltre quell'ostacolo che la perdita ti ha posto davanti. Non so dirti come o quando succederà, ma prima o poi riuscirai ad abbracciare il dolore e a non vederlo più come un muro insormontabile."

"Per te quel giorno è mai arrivato?" domandai, sentendomi improvvisamente pesante. 
Stephen mi sorrise gentile, ma pensò profondamente prima di guardarmi negli occhi e rispondere. "Non te lo so dire." ammise, agganciando l'ultima cinghia e incontrando il mio sguardo. "A volte mi pare di essere stato capace di ricostruire la mia vita attorno alla loro morte. Altre volte mi sveglio e mi sembra di non riuscire a vivere con la consapevolezza che non rivedrò mai più le mie sorelle. Va a scatti, come se qualcuno nella mia testa si divertisse ad accendere e spegnere la luce a intermittenza." il ragazzo fece una pausa, depositandomi una carezza sulla testa per poi giocherellare distratto con le sue dita. "Ma poi vedo Hailie aprire gli occhi e sorridermi per darmi il buongiorno ogni singola mattina e improvvisamente mi ricordo che ho ancora così tanto per cui vivere. In più per ora cerco di convincermi del fatto che vivere sia il regalo più grande che i sopravvissuti possano fare ai morti."

"Già..." mormorai, ritrovandomi per l'ennesima volta a tentennare davanti al corpo di Gally. Vidi la mia mano avanzare tremante e afferrare incerta l'orlo del lenzuolo. "Vederla più come un vivere per loro, piuttosto che un vivere senza loro." ripetei a me stessa, pensando che potesse essere una via di fuga dai sensi di colpa. Quando ero convinta di aver perso Newt mi sembrava così sbagliato cercare di andare avanti e vivere la mia vita, come se non mi fossi meritata quel tempo in più che mi era stato concesso. 
Le mie dita tirarono via il lembo del lenzuolo, scoprendo lentamente il volto pallido e rilassato di Gally. Gli sistemai i capelli, accarezzandoglieli e pettinandoglieli con le dita. Poi gli sfiorai la guancia, evitando di soffermarmi troppo sul sangue ormai secco che gli sporcava l'altro zigomo. 
"Cercherò di fare del mio meglio per non sprecare il tempo che hai rubato alla morte per darlo a me, Gally."

 

 

Aiutati anche dagli altri e armati di pazienza e fiato riuscimmo a trasportare alcuni macchinari utili e altre tecnologie dentro le Berghe. Le caricammo di armi, computer, Lupi Scheggia, monitor, circuiti elettrici, schede madri, medicinali, microscopi e tanti altri strumenti tecnologici e scientifici. Facemmo il pieno di tutti e quattro gli aeromobili, dando poi l'incarico a quei pochi che erano capaci di guidarle di portare con sé una decina di uomini forti per riuscire a scaricare tutta quella roba al Posto Sicuro e poi tornare a prendere il resto.
Attendemmo pazientemente il ritorno delle Berghe e nel frattempo ci sbrigammo a raccogliere altri rifornimenti importanti, come documenti, provviste alimentari, materassi e altre necessità di primo genere o quasi. 

Insieme a quel secondo carico, iniziammo a rispedire a casa alcuni abitanti ormai impazienti di riunirsi coi propri figli e compagni. Nel frattempo io, Violet, Kurt, Matthew e altri volontari ci impegnammo a curare i feriti usando il vecchio metodo del disinfettante, dell'ago e delle bende. C'erano rimaste alcune siringhe ripiene di liquido azzurro, ma non volevamo sprecarle per qualche taglio o ammaccatura. Tutto quello che poteva essere curato con qualche punto e una bella fasciatura, meritava di guarire seguendo il corso naturale degli eventi.

Due squadre di volontari decisero di armarsi e dividersi in diverse zone della sede ancora inesplorate alla ricerca di altre cose utili o magari di soggetti da salvare, ma quando la prima tornò non portò con sé nulla all'infuori di qualche macchinario strano, documenti datati e altre cianfrusaglie sugli esperimenti. Come anticipato da Newt, tutti gli esperimenti inerenti alla cura per l'Eruzione erano falliti sugli altri Soggetti, lasciando nelle mani vuote della W.I.C.K.E.D. la necessità di trovare al più presto altri donatori per iniziare a testare la cura che su Newt pareva aver funzionato. 
Il secondo squadrone di ricerca invece tornò con diversi prigionieri, principalmente tutti dottori, infermieri o scienziati. 

Non servì fare un'Adunanza come ai vecchi tempi per decidere la loro sorte: per quanto molti feriti e sopravvissuti desiderassero vendetta, eravamo tutti troppo disgustati dagli orrori di quella giornata per osare versare anche solo un'altra goccia di sangue.
Demmo ai prigionieri un dono che loro non ci avevano mai offerto: la libertà di scegliere il loro futuro. Gli regalammo la possibilità di tornare con noi al Posto Sicuro e di rendersi utili per riuscire a estinguere il loro debito nei nostri confronti e tutti loro accettarono, troppo terrorizzati dall'idea di restare soli nella sede per rifiutare. 

Alcuni dottori ci spiegarono come la maggior parte del personale che avevamo catturato fosse in realtà immune all'Eruzione. In risposta alla domanda provocante di Minho, uno di loro ci spiegò che nonostante la loro immunità non venivano comunque utilizzati come soggetti per il trapianto sia perché il loro cervello non sembrava essere idoneo alla procedura, sia perché le loro conoscenze unite alla loro immunità li rendeva utili per controllare da vicino gli infetti.

A quella spiegazione, anche coloro che erano contrari al portare dei nemici con noi per paura dell'Eruzione si rilassarono, acconsentendo alla loro entrata nel Posto Sicuro.
Solo una donna di tutto il personale non risultava avere il dono dell'immunità e, a quella notizia, si diffusero le proteste. C'era chi proponeva di ucciderla per evitarle la pena del contrarre l'Eruzione, chi chiedeva di abbandonarla nella sede, chi invece si limitava a ripeterle quanto fosse rischioso portarcela appresso. 

La donna in questione tentò di difendersi e salvarsi la vita, urlando che in realtà non fosse infetta e che quindi, anche da non immune, non risultava essere una diretta minaccia per noi. In questo caso fu Teresa a intervenire, calmando tutti e facendo del suo meglio per parlare sopra il frastuono delle lamentele. "Cerchiamo di ragionare." ordinò la ragazza con tono severo. "Questa donna non è Immune, ma non è nemmeno infetta. Sappiamo che per avere l'Eruzione bisogna prima contrarla da un altro infetto e sappiamo benissimo che la cosa non accadrà finché ognuno delle persone che la circonda è Immune al virus."

"Ma noi abbiamo l'Eruzione radicata dentro di noi," protestò un uomo, facendosi avanti. "solo che il nostro corpo si è adattato e ha trovato il modo di conviverci. Lei può comunque ammalarsi e non ho intenzione di portare a casa una Spaccata nell'attesa che un giorno mi decapiti perché impazzita."
Un altro coro di brusii e proteste si diffuse per la stanza, tutti in accordo con le parole pronunciate dall'uomo. Ancora una volta Teresa intervenne, cercando di rimanere calma e rispondendo all'uomo con cortesia. "Certo, l'Eruzione è radicata nel nostro cervello eppure siamo Immuni. Il nostro organismo ha modificato il virus, rendendolo come innocuo, ecco perché non presentiamo sintomi e perché non siamo malati. Non siamo portatori sani del virus, quindi non possiamo infettare."

"Va bene, diamo per scontato che non sono una minaccia per noi da quel punto di vista..." intervenne una donna sulla quarantina, avvicinandosi verso il centro dalle ultime file della folla per farsi sentire meglio. "Come facciamo a sapere che un giorno non ci pugnaleranno alle spalle e ci venderanno nuovamente ad altre sedi della W.I.C.K.E.D.?"
Teresa esitò prima di rispondere e si prese il tempo di far passare lo sguardo su tutti i prigionieri, analizzandoli uno ad uno. "Non posso assicurarvi che saranno fedeli alla promessa fatta e questo è vero. Ma la tecnologia può." borbottò la ragazza, grattandosi la testa come se stesse cercando di far venire a galla un'idea sedimentata nel profondo della sua mente. "Potrei creare un chip, come quelli che ci hanno messo loro, che sia in grado di rilevare automaticamente ogni infrazione, ogni spostamento sospetto, qualsiasi comportamento anomalo."

La ragazza poi, come colta da un improvviso lampo di genio, si voltò di scatto verso di me e mi puntò contro il dito, avanzando di un paio di passi. "Hai ancora inserito il chip che ti dava la scossa nella Zona Bruciata?"
Mi toccai il collo distrattamente, sentendomi improvvisamente sotto i riflettori. Riuscii a percepire un formicolio lungo la mia spina dorsale, un brutto ricordo che mi portavo dietro dai tempi della Fase 2. Per quanto avessi cercato di dimenticarmi della sua presenza, il chip che mi aveva torturato nella Zona Bruciata era ancora attaccato ai nervi del mio collo. Fortunatamente nessuno sembrava più avere il pulsantino che lo controllava. "Sì, è ancora qua dentro." risposi timida, cercando di fuggire da quegli sguardi indiscreti.

"Bene così, allora è fatta." annunciò la ragazza battendo le mani. "Una volta tornati al Posto Sicuro creerò questi diavoletti. Immagino non vi dispiacerà se vi restituiamo il favore e vi inseriamo anche noi un chip nel cervello, no?" 
Alcuni prigionieri si scambiarono uno sguardo preoccupato, ma nessuno osò controbattere. "Non vi accorgerete nemmeno che sarà dentro la vostra testolina, sempre che non decidiate di fare le teste di caspio e attivarlo." intervenne Minho con un sorriso malefico sulle labbra. "Spero davvero che ci proverete, sarà divertente."

*Angolo scrittrice*

Hey pive! 
Sarò breve: volevo aggiornarvi su quel Q&A di cui parlavo qualche capitolo fa. Mi sono arrivate diverse domande e alcune richieste di partecipare da parte di alcune lettrici su Wattpad, quindi l'"intervista" si terrà su Google Classroom di Venerdì 5 MARZO alle 17.30

Se qualcuno volesse aggiungersi, siete i benvenuti, ma ricordatevi di comunicarmelo, in quanto manderò a ognuna di voi il link per accedere alla riunione. 

Sono disposta a cambiare orario e giornata senza problemi, quindi nel caso proponete qua sotto e vedremo di organizzarci! In ogni caso, l'ultimo capitolo di questo libro verrà pubblicato esattamente il 3 marzo, quindi non farò il Q&A prima di quella data.

Se avete altro da chiedere, scrivetemi in privato o commentate e provvederò ad aggiungere le vostre domande alla lista!

Bacioni, 

Elena 

 

 

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Capitolo 91
*** Capitolo 84. ***


Dopo aver svaligiato completamente la W.I.C.K.E.D. di tutti i materiali rifornimmo le Berge a secco e caricammo tutte le persone che erano ancora rimaste a piedi. Caricammo in uno degli aeromobili tutti i Lupi Scheggia, legandoli con le cinghie al pavimento e assicurandoci che non si sarebbero mossi durante il tragitto, poi ci dividemmo sulle tre Berghe restanti. Noi Radurai decidemmo di rimanere uniti e, insieme a qualcuno del Gruppo B, attendemmo che tutti fossero saliti a bordo per poi prendere anche noi posto. 
Nonostante il viaggio non fosse molto lungo, alcuni crollarono abbracciati dal sonno non appena toccarono sedere a terra. Minho fu il primo a dare il via ai pisolini di gruppo, facendo ridacchiare Violet che non lasciò mai il suo fianco, accarezzandolo in volto e coccolandolo di tanto in tanto. Non potevo biasimare il ragazzo per essere crollato così velocemente: non solo la battaglia era stata estenuante per tutti, ma il suo corpo aveva anche fatto il doppio del lavoro per via delle brutte ferite che aveva accumulato.

Io e Newt eravamo rimasti in disparte nel tentativo di prenderci un po' di tempo per noi, magari per parlare un po' o anche solo per stare vicini, ma nonostante il suo tepore vicino a me non riuscivo a rilassarmi. Il mio corpo continuava a essere così in tensione che mi sentivo di poter scattare come una molla al primo suono inaspettato. La battaglia era finita, avevamo ucciso tutti i nostri nemici, fatto prigioniero il resto dello staff, avevamo messo sotto sopra ogni angolo di quella sede alla ricerca di nuove sorprese, ma tutto era filato liscio. Nessuno aveva tentato di metterci i bastoni tra le ruote, non c'era più stato motivo di usare le armi.
Era tutto finito.
E allora perché mi sentivo così sull'attenti? Non riuscivo a capacitarmi di come tutto potesse essersi concluso in quel modo.

Eravamo riusciti a fuggire dalla W.I.C.K.E.D., avevamo trovato Newt, salvato i bambini, ottenuto la libertà e tutto questo a un caro prezzo, quindi perché mi sentivo come se avessi lasciato qualcosa per strada? Come se avessi potuto fare di più, fare di meglio. 
"Smettila di rincaspiarti." mi sussurrò dolcemente Newt, dandomi una spallata delicata per farmi uscire dal mio stato di trance.
Sbattei gli occhi, confusa così tanto dalla mia mente da non sapere nemmeno io perché fossi così ancorata al pensiero che un qualcosa di brutto stesse per accadere. Eravamo al sicuro.
Scossi la testa e mi strisciai i palmi sul volto per riuscire a riprendermi. "Hey, è tutto finito. Sei al sicuro, sei con me."
E' quello il problema. Mi sussurrò la mia testa, facendomi venire voglia di schiaffeggiarmi da sola. Tu sei qui, sana e salva. Quante persone sono morte per farti arrivare a questo punto?

"Non riesco..." iniziai, portandomi le mani sugli occhi e rifugiandomi nel buio. Tutti quei corpi che io e Stephen avevamo trasportato sulle Berghe, tutti gli amici che avevamo perso nel Labirinto, nella Zona Bruciata, tutte le persone che la W.I.C.K.E.D. ci aveva tolto sottraendoci i ricordi. "Ho paura di..."
Sentii la mano di Newt appoggiarsi delicata sulla mia testa e accarezzarmi i capelli dolcemente. Il ragazzo non parlò e non si mosse, dandomi spazio e tempo per chiarire i miei pensieri che sembravano correre veloci come treni in fuga. "Quando torneremo a casa, sarà tutto diverso." iniziai, inspirando a fondo ma senza riuscire a trovare il coraggio di togliermi i palmi dal volto e aprire gli occhi. Non riuscivo a guardare in faccia la realtà. "Niente più fughe, lotte per la salvezza, solo... pace, un ambiente sicuro. Io non so come si faccia a vivere quando ho passato tutta la mia vita a combattere per la sopravvivenza. Non ho mai..." 

La mia voce si ruppe, facendomi sussultare. "Non ho mai pensato di avere un futuro, di pianificarlo. E-E ora... C-Cosa mi rimane? Da tutto questo, cosa mi rimane davvero?" borbottai, sollevando finalmente lo sguardo e ancorandolo agli occhi scuri di Newt.
Il ragazzo mi guardò a lungo, poi fece scorrere la sua mano dai miei capelli alla mia guancia, asciugandomi le lacrime che non mi ero nemmeno accorta di aver lasciato fuggire. "Nessuno di noi sa cosa succederà, adesso. Ma la cosa che conta è che ora sta a noi deciderlo."
"Ho visto e fatto troppe cose, cose orribili. Il mio passato, anche le piccole parti più belle, non mi lasceranno mai andare. Non posso dimenticare tutto e iniziare a vivere come se nulla fosse." ammisi, tirando su col naso e sentendomi arrossire quando notai alcuni sguardi indiscreti su di me.
Avrei voluto sparire e basta.

"Troveremo un modo, Eli. Il tempo smussa anche gli angoli che fanno più male, vedrai che insieme ce la faremo." borbottò il biondino, tirandomi di più a sé e prendendomi una mano. "Ti conosco, so che ti senti in colpa per tutto quello che è successo, so che ti assilli giorno e notte perché sei convinta che avresti potuto salvare tutti. Ma sei solo umana, cacchio. E sei l'umana più tosta che io abbia mai conosciuto, quindi sono sicuro che troverai un modo per uscire anche da questa fossa che ti stai scavando da sola."
Annuii, mordendomi forte il labbro per cercare di contenere il groppo alla gola.
Non sapevo da quanto tempo fossimo entrati nella W.I.C.K.E.D., né quando avevo mangiato l'ultima volta, o quando era stata la mia ultima dormita. Ma ero certa che i pensieri in eruzione nella mia mente fossero il frutto di tutto lo stress accumulato. Ora che non avevo più nulla a cui aggrapparmi per tenere duro e non mollare, mi stava scivolando tutto fuori di mano.
E il non riuscire a controllarmi, a tenere a bada i pensieri e archiviare i sentimenti, mi spaventava a morte.

"Sai," iniziò il ragazzo titubante, sistemandosi meglio con il corpo come se all'improvviso non si sentisse più a suo agio. Allungò la testa all'indietro fino a toccare la parete fredda della Berga e il suo Pomo d'Adamo fece su e giù nel momento in cui il ragazzo deglutì. "quando mi sono svegliato, dopo l'operazione, ero spaventato. Non ero a conoscenza di cosa mi avessero fatto, pensavo fosse uno dei loro soliti test basilari e quindi ho acconsentito, ma quando ho aperto gli occhi ho capito subito che c'era qualcosa che non andava."
Sbarrai gli occhi, arrossendo all'improvviso nel realizzare che da quando ci eravamo riuniti Newt si stesse aprendo con me per la prima volta su quell'argomento. Ogni volta che avevo provato a capirne un qualcosa di più, a fargli domande o anche solo accennando a quel discorso il ragazzo si era tirato indietro ogni volta, reagendo con vergogna e quasi ribrezzo. 
 

I dottori avevano spiegato cosa era stato fatto al ragazzo, ma sentire il tutto raccontato dalla sua prospettiva era tutta un'altra storia.
Seguii le sue mosse e anche io mi lasciai andare contro la parete dell'aeromobile, ancorando il mio sguardo al suo viso e fissandolo mentre si grattava il naso a patata con fare nervoso. "C'era un qualcosa qui dentro," continuò toccandosi delicatamente le bende. "che non mi apparteneva. Mi sentivo diverso, terrorizzato e dannatamente furioso per chissà quale motivo. Mi sembrava di aver lasciato una questione in sospeso e di non riuscire a trovare pace, ma prima che mi addormentassero andava tutto bene."
Annuii non volendo interromperlo e attesi pazientemente che continuasse il racconto. "Ma più di ogni altra cosa, il ronzio che mi sentivo in testa era sparito. Quei momenti di poca lucidità, l'irrazionalità dei miei pensieri... sembrava si fosse calmato tutto, che l'Eruzione si fosse calmata. E poi i dottori mi hanno spiegato tutto e mi sono sentito un assassino."

Gli presi la mano e la racchiusi tra le mie, accarezzandogli i palmi e stando attenta a non premere sulle brutte chiazze rossastre che si ritrovava sulle nocche. "Aveva solo 17 anni, per tutti i Dolenti. L'unica colpa che aveva era quella di essere nato Mune. Ma soffriva di una cacchio di malattia ai muscoli... difrosia, o qualcosa del genere."
"Distrofia muscolare, sì, mi ricordo che un dottore l'ha accennato." confermai, cercando di aiutare il ragazzo ad andare avanti.

"Sì, quella. Be' a quanto pare questa... cosa l'ha reso idoneo per il trapianto." buttò fuori, facendo poi un sospiro come se si fosse appena tolto un peso dal cuore. "Non era il primo, chissà quanti altri ce ne sono stati prima di lui. Ma io sono stato il primo caso riuscito e non posso fare a meno di pensare che se anche con me avessero fallito, forse si sarebbero fermati, a un certo punto."
"Non dire così, Newt." lo rimproverai, aggrottando le sopracciglia e scuotendogli la mano. "Ci sono cose che non puoi controllare e..." mi bloccai. Era a questo che voleva arrivare raccontandomi quella storia?

"Be' ora lo sappiamo entrambi." mi rassicurò, ricambiando la stretta e guardandomi con un accenno di sorriso. "Quando ho scoperto del donatore mi sono rincaspiato a cercarlo tra i fascicoli, ma non ho mai trovato granché, non un nome o una faccia. Ma da un lato preferisco così, forse non ho trovato mai nulla perché non lo volevo veramente. Meno sai della persona che è morta per darti una seconda occasione, più riesci a buttare giù la cosa."
"Già, suppongo che sia più semplice..."
"Sì, ma non riesci comunque a dimenticare. Ti sveglierai ogni cacchio di giorno e realizzerai che apri ancora gli occhi grazie a un'altra persona. Ed è pesante, perché non sai fino a quanto ti sei meritato tutto quello." Newt si interruppe un attimo, incorniciando il mio volto coi suoi palmi e attirandomi più vicino a lui. "Ma la vita va così, che ci piaccia o meno siamo arrivati a questo punto. Quindi ora dobbiamo andare avanti e fare del nostro meglio. Sentirsi in colpa non servirà a cambiare il passato, credimi."

Abbassai lo sguardo, incapace di dire anche solo una parola. Come sarei riuscita a rientrare nella mia vecchia casa ora che Gally non c'era più? Vedere il suo letto disfatto dall'ultima volta che eravamo partiti chiudendoci la porta alle spalle. Notare i suoi attrezzi da Costruttore sparsi in giro per la stanza, sporchi e rovinati, consapevole che non avrei più potuto fargli la ramanzina per il suo essere inevitabilmente disordinato. Vedere i suoi vestiti nell'armadio, forse ancora con il suo odore e sapere di non poterglieli più vedere addosso.
Ora che non dovevo più correre per salvarmi, ora che la vita di nessuno era in pericolo, avevo finalmente tempo per me stessa e la cosa mi terrorizzava, perché sapevo che una volta messa da parte l'armatura per cercare di vivere la mia vita, i miei pensieri mi avrebbero inghiottita come un oceano in tempesta.

"Parlami ancora di qualcos'altro." asserii all'improvviso, scuotendo la testa come a cacciare via le nubi e tentando di distrarmi. "Qualsiasi cosa, davvero. Parlami di..." mi soffermai un attimo a pensare e la prima cosa che mi venne in mente furono i due nomi che Newt aveva tirato fuori mentre inveiva contro i dottori. Aveva parlato di una ragazza, un nome che iniziava per vocale. "La ragazza con cui sei diventato amico. Alice? C'era anche un ragazzo, vero? Gene?"
"Alicia e Cale?" domandò lui, facendosi improvvisamente cupo. Forse avevo portato allo scoperto una parte della sua vita che non avrebbe voluto mostrare, ma oramai era troppo tardi per rimangiarmi ciò che avevo detto. Annuii, così il ragazzo continuò a parlare. "O almeno così avevano detto di chiamarsi. Erano come me, topi rinchiusi su cui si facevano esperimenti. Facevamo terapia insieme, dopo l'operazione, e come me sembrava che avessero subito meno danni dal trapianto. Cale era strano, non parlava quasi mai e quando lo faceva non se ne usciva mai con frasi compiute. Ma Alicia lo capiva sempre. Erano tipi a posto, si prendevano cura l'uno dell'altra."

"Quando hai capito che c'era un qualcosa che non andava?" domandai. Se Newt era stato l'unico caso a sopravvivere, come avevano fatto Cale e Alicia a peggiorare da un giorno all'altro? Newt aveva detto che sembrava stessero bene, quindi cos'era andato storto?
"Un giorno sono spariti entrambi. Non li ho più visti in piscina, né in palestra o in mensa. Nessuno ne parlava più, sembrava che fossi io il pazzo che si ricordava di persone mai esistite." una risata amara gli uscì dalle labbra. Newt scosse la testa. "Mi ero quasi convinto di essere uscito di testa. Dopotutto, hey, avevo ricordi che non mi appartenevano quindi per quanto mi riguardava il donatore avrebbe anche potuto essere uno che parlava coi fantasmi, no?"
Mi morsi il labbro nel vederlo così affranto e amareggiato per un qualcosa che non era sotto il suo controllo. Feci per aprire la bocca, ma Newt mi anticipò, continuando a raccontarmi quella storia, troppo preso dai ricordi. "Forse ho insistito troppo, perché alla fine un dottore mi ha detto che erano stati isolati nelle loro rispettive camere. Erano peggiorati all'improvviso e avevano iniziato ad avere comportamenti anomali. Erano pericolosi, quindi sarebbero rimasti in esclusione finché non avessero capito come rimetterli in sesto."

"Ed era vero?" chiesi titubante. Non volevo rischiare di essere invadente, ma sapere di più sul periodo della sua vita che mi era rimasto nascosto mi faceva sentire più partecipe. 
Newt fece spallucce. "Non lo so. Me lo sono fatto bastare. Suppongo che non volevo sapere troppo sulla situazione. Neanche io ero totalmente fuori pericolo, quindi qualsiasi cosa fosse capitata a loro sarebbe potuta toccare anche a me. Non volevo conoscere la mia sorte prima del previsto, quindi ho lasciato perdere nella speranza che sarebbero tornati, prima o poi."
"Ma non l'hanno fatto..." asserii sentendomi crollare un peso sul petto. Ecco un altro motivo per cui Newt si sentiva così colpevole: si era convinto che anche lui avrebbe percorso la stessa strada di Alicia e Cale, invece aveva scampato il pericolo ed era rimasto solo.

"Non volevo che lo scoprissi. Del donatore, degli altri... Pensavo mi avresti guardato come si guarda uno che ha appena fatto un massacro." ammise, inclinando la testa di lato e mordendosi il labbro. Si grattò nuovamente il naso con fare agitato, poi si strisciò un palmo sul viso, come a riprendersi. "Avevo il terrore di perderti di nuovo, cacchio."
Appoggiai la testa sulla sua spala, stringendomi forte al suo braccio e avvicinandomi a lui. "Non ho intenzione di andare da nessuna parte." lo rassicurai, accoccolandomi a lui e chiudendo gli occhi.
"Bene così." borbottò lui, lasciandomi un bacio sulla testa e poi appoggiandosi anche lui a me. "Anche perché hai molto da raccontarmi. Voglio sapere cos'è successo in mia assenza."
"Sarà fatto." acconsentii, sospirando e sperando dentro di me che la quiete nella mia testa sarebbe durata a lungo. I pensieri cattivi sembrava quasi che si fossero presi una pausa.
"E vorrei anche che mi raccontassi di tutto quello che ti ricordi da quando hai messo piede nella Radura. Voglio ricordare il più possibile della mia vita e voglio ricordare te."

 

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Capitolo 92
*** Capitolo 85. ***


Erano passate un paio di notti da quando eravamo tornati dalla sede della W.I.C.K.E.D. e io non avevo ancora avuto il coraggio di mettere piede in casa. Stephen mi aveva concesso di usare la sua, mettendomi a disposizione entrambi i letti in modo che se io e Newt avessimo voluto stare insieme, avremmo potuto farlo. Spiegammo più volte al ragazzo che ci sarebbe bastato un solo letto e che lui avrebbe potuto usare l'altro, ma aveva preferito dormire nella Grande Casa con Hailie per non lasciarla sola.
Tornare a dormire insieme a Newt dopo tutto quel tempo fu una sensazione così strana, come se fossi tornata ai tempi della Radura. Quel ricordo intimo di me e Newt che dormivamo abbracciati, prendendo sonno tra il russare dei Radurai e il respiro l'uno dell'altra mi sgretolò un piccolo pezzo di cuore. Erano cambiate così tante cose da quella volta, eravamo cambiati noi.

La prima notte che eravamo tornati al Posto Sicuro ci eravamo limitati ad andarcene tutti a dormire, posticipando al giorno seguente tutte le cose da mettere a posto. 
I bambini vennero restituiti alle rispettive famiglie, felici di poter riabbracciare i loro genitori, chi invece era rimasto orfano venne spostato alla Grande Casa sotto il controllo e la tenerezza infinita di Stephen, che per tutta la notte girovagò con Hailie in braccio, controllando che ogni bambino fosse sereno, finché non si era addormentato in un angolino della stanza, dove era stato ritrovato il mattino seguente.

Per quanto riguardava i prigionieri della W.I.C.K.E.D., per il momento avevamo deciso di rinchiuderli in un edificio, ma senza togliere loro le manette per paura che se ne sarebbero potuti andare. Teresa decise addirittura di riattivare i Lupi Scheggia e disporli lungo il perimetro, giusto per essere sicuri che nessuno sarebbe né entrato, né uscito. Nessuno si mostrò contrario, in quanto sembrava che fossimo un po' tutti suscettibili e paranoici dopo la nostra ultima esperienza di "pace".
I cadaveri dei caduti, invece, vennero reclamati da amici, parenti o compagni, che provvidero a dare loro una degna sepoltura. Non avevamo avuto il coraggio di ricreare le Facce Morte, troppo angosciati dai ricordi che erano legati a quel posto, così lasciammo ognuno libero di decidere il luogo di sepoltura più opportuno.

Quando toccò a Gally, seppi immediatamente dove volevo che stesse. Lo seppellii vicino all'oceano, in modo che il rumore delle onde e il profumo della sabbia non lo avrebbero mai lasciato da solo. Minho e Stephen si offrirono di aiutarmi a scavare la fossa e per la prima volta i due riuscirono a cooperare senza darsi contro a vicenda. Dopo aver ricoperto il corpo di Gally però mi avevano lasciato del tempo da sola e dire che ne avevo approfittato era quasi limitativo. Ero rimasta seduta vicino alla sua tomba per chissà quanto tempo, ascoltando la melodia delle onde e inspirando a fondo l'odore di salsedine ogni volta che il groppo alla gola si faceva troppo grosso. 
Nella mia testa regnava il bianco più totale, come se avessi esaurito i pensieri e fossi rimasta col nulla nelle mani. Rimasi lì a terra, seduta di fianco a lui senza riuscire a dirgli una parola e senza riuscire a muovermi.

Quando il vento si alzò, facendomi svolazzare la maglia larga e solleticandomi la pelle, capii che fosse arrivato il momento di alzarmi e provare a rimettere insieme i pezzi della mia vita. C'era tanto lavoro da fare, case da creare, lavori da affidare, ferite da controllare e curare. Avevo tanto con cui riempirmi il tempo, tanto con cui distrarmi, eppure non avevo voglia di tornare alla vita normale, come se facendolo stessi calpestando una parte di me. Stavo per iniziare un nuovo capitolo, ma non volevo girare pagina e scoprire cosa mi stesse aspettando.
Eppure mi obbligai a farlo, pensando che crogiolare nel letto tutto il giorno come la prima volta che avevo perso qualcuno non fosse un'opzione.

Brenda si propose di aiutarmi a suddividere il lavoro, mentre Teresa era già sparita dentro il suo laboratorio per lavorare sui chip da inserire allo staff della W.I.C.K.E.D.
Il fatto che la ragazza si fosse fatta avanti di sua spontanea volontà per darmi una mano in un compito che nessuno voleva davvero mi aveva sorpreso di gran lunga. Non mi ero lasciata sopraffare dalle domande e avevo accettato, ripetendo a me stessa che era ora che deponessi le armi nei suoi confronti e iniziassi a fidarmi di lei.

Mentre la ragazza procedeva a fare una lista generale dei materiali di cui ora eravamo a disposizione, per sistemarli ed eventualmente distribuirli equamente, io avevo iniziato a schedare ogni minimo particolare. Avevo chiesto a chiunque avesse necessità o a chiunque avesse perso qualcuno di mettersi in fila e, uno ad uno, avanzarmi le loro richieste o eventualmente annunciare la morte di un caro.
Dopo aver completato ciò, passai a trovare i prigionieri della W.I.C.K.E.D. provvedendo a schedare anche loro, annotandomi principalmente i loro nomi e le loro professioni.

Scoprii con stupore che non tutti fossero dottori o infermieri, il che tornava a nostro favore dato che qualcuno nel gruppo sembrava avere competenze più rare, come quelle di meccanico, elettricista o addirittura chimico. Provvidi ad accogliere anche le loro richieste, annotandomi chi fosse disposto a vivere in coppia e se avessero necessità particolari che andavano oltre la scorta giornaliera che fornivamo al resto della comunità.  
Ero passata in cucina per fare giusto un pranzo veloce prima di rimettermi al lavoro e passare a vedere come se la stesse cavando Brenda.
Quando entrai in cucina trovai il caos più totale.

Frypan, che non aveva smesso di cucinare e distribuire cibo finché chiunque non fosse stato sazio, stava cercando di sistemare tutte le nuove provviste alimentari in cucina, aiutato da un Newt confuso che si limitava a buttare nei cassetti e nella dispensa ogni cosa che gli capitava sotto mano. Inutile dire che la sua mancanza d'ordine e organizzazione fece ben presto spazientire il cuoco che per poco non lo cacciò via.
Una volta finito lo smistamento del cibo nelle diverse dispense, Frypan si avvicinò al lavello, iniziando a ripulire le stoviglie. Mentre era intento a lasciare tra le mani del biondo le padelle da asciugare, il cuoco mi raccontò che Minho e altri fossero andati nel bosco per riuscire ad abbattere qualche albero e ricavare quanta più legna possibile. Lo ringraziai del cibo e sotto lo sguardo attento di Newt feci cadere il piatto sporco dentro il lavandino. Gli sorrisi sincera e lui sembrò perdersi, come se fosse improvvisamente confuso sul perché si trovasse là. Scossi la testa, immaginando che stesse ancora pagando le conseguenze della cura e gli ripetei più volte di stare attento a non tagliarsi col coltello che stava asciugando da ormai dieci minuti.

Una volta uscita dalla cucina feci una capatina da Brenda, trovandola intenta a parlare con Jorge circa un macchinario che l'uomo stava cercando invano di spostare. 
Diedi una sbirciatina alla lista che la ragazza teneva tra le mani prima di annunciarmi e notai quanto fosse piena di numeri e sigle. "Perché non ti prendi una pausa e vai a mangiare qualcosa, hermano?" lo richiamai, sorridendogli gentile e vedendolo ricambiare il saluto. "Vedrò di mandarti qualcuno per aiutarti a spostare tutto in magazzino, quindi vedrai che riuscirai a finire presto."

"Non mi sembra una pessima idea." borbottò schiaffeggiandosi i pantaloni per togliersi lo sporco di dosso. Poi salutò Brenda e se ne andò, lasciandoci sole.
"E' tutta la mattina che smonta e rimonta tutti questi pezzi che ci siamo portati dietro." mi informò la ragazza, porgendomi tra le mani la sua lista. "Credo di aver scritto tutto. E' venuto fuori un bell'inventario." 
"Già, lo vedo." ammisi, facendo scorrere gli occhi sul foglio, leggendo qualche nome di macchinario e altri di provviste mediche.
"Ho già consegnato a Matthew tutte le medicine e altre cose per il pronto soccorso, credo che la tua amica lo stia aiutando a mettere tutto a posto." mi comunicò poi la ragazza, quasi come se stesse cercando di assicurarmi che non dovevo preoccuparmi eccessivamente. Mi sorprese il suo comportamento. Insomma, prima si proponeva di aiutarmi in un incarico, poi improvvisamente faceva il doppio di quelle che erano le sue mansioni. Sembrava quasi che stesse cercando di dimostrarmi qualcosa.

"Senti," iniziai, mettendo per un attimo da parte la lista e fissandola negli occhi. "Abbiamo iniziato con il piede..."
La ragazza mi interruppe seduta stante, stringendo i pugni e battendoli l'uno contro l'altro con fare nervoso. "Mi dispiace." disse semplicemente, lasciandomi per un attimo confusa. A cosa si stava riferendo di preciso? Al fatto di averci tradito la prima volta? Oppure a quella volta che mi aveva dato un pugno in faccia nel tentativo di difendere Thomas? O magari parlava semplicemente di Gally.
"Sono stata una stupida e mi sono comportata da stronza nei tuoi confronti." ammise poi, chiarendo ogni mio dubbio. 
"Sì, be' neanche io ti ho reso la vita molto facile, devo ammettere." bofonchiai, guardandomi intorno.

"Già, però ecco..." la ragazza si interruppe e parve esitare. La vidi arrossire ed evitare il mio sguardo, per poi scuotere la testa e gettare via tutto l'imbarazzo. "Mi dispiace anche per il tuo amico. So che le mie parole non lo faranno tornare indietro e che quindi non te ne fai proprio un bel niente, ma ci tenevo a dirtelo. Mi dispiace davvero. C'è un sacco di lavoro da fare e sto cercando di fare il possibile per toglierti dalle spalle un po' di pensieri, ma sappi che se devi..."

"Va bene così, davvero, Brenda." la interruppi, toccandole leggermente la spalla per non sembrare troppo rigida, poi feci un passo indietro. "Apprezzo tutto quanto, davvero. E accetto le tue scuse se anche tu accetterai le mie, solo... Non devi fare nulla per me, ecco. Sto bene, dico davvero."
La vidi mordersi il labbro e annuire convinta. "Sì, sì, certo, non stavo insinuando nulla è solo che..."
"Lo so." ridacchiai, scuotendo la testa. "Mettiamo da parte i vecchi litigi, okay? Ripartiamo da zero. Non credo arriveremo a essere amiche per la pelle, però potremmo iniziare con il sopportarci a vicenda."

La ragazza ricambiò la risata, facendosi all'improvviso più rilassata e si grattò la testa, cambiando argomento e sentendosi più a suo agio intorno a me. "Questi macchinari..." iniziò, avvicinandosi di poco e facendo scorrere il dito sulla lista. "Jorge li metterà tutti nel magazzino, ma avremmo bisogno di meccanici e magari elettricisti per metterli a posto e renderli funzionanti."
Annuii sicura e cavai dalla tasca dei miei pantaloni il foglietto di carta che vi avevo inserito poco prima. Lo dispiegai e mostrai alla ragazza la mia lista, portando alla sua attenzione i nomi di chi aveva ammesso di saper svolgere quel tipo di attività di cui avevamo disperatamente bisogno. Lei si premurò di riscrivere velocemente su un foglietto i nomi dei diretti interessati, poi mi salutò e andò a cercarli.

Feci per andarmene anche io e magari dirigermi verso l'infermeria in modo da controllare le ferite dei sopravvissuti che non erano stati curati col liquido azzurro, ma Violet mi precedette, correndomi in contro e bloccandomi sul posto. Mi spiegò che aveva appena finito di aiutare Matthew a sistemare le medicine nei suoi armadi pieni di erbe mediche e di quanto la cosa fosse stata caotica. Matt continuava a ripetere di avere bisogno di più armadi per contenere quella roba e probabilmente anche di un frigorifero per preservare le medicine e le soluzioni deperibili. Le assicurai che avrei trovato il modo di accontentarlo, ma quando feci per andarmene la ragazza mi bloccò di nuovo, ammettendo che non fosse quello il vero motivo per cui mi era venuta a cercare.

Mi spiegò con calma che le sarebbe piaciuto organizzare una festa commemorativa per tutti coloro che avevamo perduto. Si sarebbe tenuta in spiaggia al calar del sole e le sarebbe piaciuto avere il mio consenso al riguardo. "Pensavo che potrebbe essere un'occasione per ricordare chi abbiamo perso. Sarebbe carino se ognuno scrivesse un pensiero sulla persona cara, un modo per ricordarli col sorriso, ecco." ammise timida.
Piegai all'insù gli angoli della mia bocca. Una festa commemorativa, un funerale di gruppo... Per quanto fosse un pensiero carino e premuroso nei confronti di chi aveva perso qualcuno, alle mie orecchie sembrava un'idea così triste. Non avremmo dovuto sentire la necessità di commemorare i defunti. Saremo dovuti tornare tutti sani e salvi e non seppellire gli amici.
Scossi la testa scacciando quei pensieri dalla mente e acconsentii alla cosa con un sorriso. Il passato non si poteva cambiare, ma potevamo almeno fare un qualcosa per dare conforto alle persone che ancora erano vive, riunirci come comunità anche sotto quell'aspetto così triste.

"Vorrei ricreare il Muro." le spiegai, vedendola corrucciare la fronte. "Nella Radura avevamo questa parete del Labirinto dove scrivevamo tutti i nostri nomi e poi..." mi interruppi, schiarendomi la gola e togliendomi dalla testa l'immagine di tutti quei nomi sbarrati. Non volevo vedere i nomi di quelle persone con sopra una linea, come se avessero smesso di esistere, come se fossero soggetti depennati via dalla lista degli esperimenti. "Vorrei scrivere i nomi di tutti quelli che abbiamo perso, imprimerli sulla pietra in modo che anche loro possano essere qui con noi, vedere anche loro il Posto Sicuro."

Violet si addolcì in un sorriso malinconico e mi accarezzò il braccio, prendendomi per un attimo la mano e stringendola come se non mi volesse lasciar andare. "Sarà fatto." borbottò, le labbra tremanti. Fece per andarsene, ma poi si voltò di scatto, tornando sui suoi passi e depositandomi un bacio sulla guancia. "Grazie per aver salvato la vita di Minho, a proposito. Ero andata nel panico, scusami se ti ho gridato contro." 
Ridacchiai e scossi la testa. "So che quando si tratta della vita di Minho perdi la ragione." la rassicurai. "La sua puzza di piedi deve averti fatto il lavaggio del cervello." cercai di sdrammatizzare, causando in lei una risata che non seppi se interpretare come genuina o di gentilezza.
"Già," ammise. "deve essere così, sennò non me lo spiego."

 

 

 

La giornata passò abbastanza in fretta. Dopo essere passata a dare un'occhiata ai feriti e aver cambiato un paio di bende, ero andata a trovare Minho per capire a che punto fossero con la legna. Il Gruppo dell'Edilizia aveva fatto del suo meglio per raccogliere quanto più materiale da costruzione possibile, ma ci sarebbero voluti alcuni giorni per dare ai nuovi abitanti i loro spazi. Quindi per il momento ci dovevamo arrangiare come meglio potevamo, distribuendone pochi nelle case liberate in seguito alla battaglia e spostando i restanti nella Grande Casa.
Nessuno era davvero felice di quella decisione, in quanto ancora non potevamo dire di fidarci dell'ex staff della W.I.C.K.E.D., ma dato che non sembravano volerci pugnalare alle spalle, alla fine avevamo chiuso un occhio.

Era da giorni che Teresa lavorava sui prototipi dei chip e in così poco tempo era riuscita a fare anche progressi enormi. La ragazza era stata capace di creare il prototipo di scheda madre del dispositivo, ma ora le mancava solo una cosa per renderlo efficiente e pronto sotto tutti gli aspetti: il rilascio di scossa elettrica. Una volta inserita anche questa caratteristica, il chip sarebbe diventato quasi una macchina della verità: alla prima anomalia, al primo piccolo dato fuori dagli schemi, la scossa sarebbe partita paralizzando il soggetto in questione. Teresa aveva tenuto in considerazione le variazioni naturali del battito cardiaco, la sudorazione dopo grandi sforzi e altre variabili del genere, ma le serviva un modello di base da cui partire per creare la risposta elettrica nel chip. La ragazza temeva che con la diffusione della scossa nell'organismo del soggetto, anche la scheda madre si sarebbe fritta nel processo, rendendo perciò il chip un oggetto usa e getta.

Per perfezionare quest'ultimo la ragazza mi aveva chiesto se fossi stata disponibile a sottopormi a una piccola operazione per rimuovere finalmente il mio chip e utilizzarlo come bozza di partenza per impostare la scossa anche nei suoi prototipi. Accettai tranquillamente. Certo, avevo giurato che non avrei permesso a nessun altro di giocare con il mio cervello, ma sapevo di starmi per buttare tra braccia sicure, quindi la cosa non mi preoccupava più di tanto. Togliere quel chip mi avrebbe liberata finalmente dalla W.I.C.K.E.D., anche se nessuno aveva più il telecomandino per controllarmi. 
Così, dopo aver ascoltato il progetto del Gruppo dell'Edilizia e averlo approvato, mi diressi nel suo piccolo laboratorio dove mi attendevano già pronti un lettino e una grande luce da operazioni chirurgiche accesa, come se l'opera teatrale stesse aspettando solo la mia entrata sotto i riflettori per iniziare la procedura.

La ragazza mi rassicurò che non sarebbe stato affatto doloroso e che mi avrebbe dato una piccola dose di anestetico locale per riuscire a incidermi la pelle e a togliermi il chip senza problemi. Poi mi spiegò che il diavoletto che avevo nel collo si trovasse abbastanza in superficie e che quindi sarebbe bastato un piccolo taglietto da cui farlo uscire che, coperto dai miei capelli, non si sarebbe mai e poi mai notato veramente.
Mi stesi sul lettino a pancia in giù e inspirai profondamente, chiudendo gli occhi e attendendo le sue dita gentili e delicate armeggiare coi miei capelli e poi iniettarmi la dose promessa di anestetico locale.

Come anticipato dalla ragazza, non solo l'operazione di rimozione del chip fu veloce, ma anche totalmente in dolore. Teresa aveva rimosso quel piccolo aggeggio e l'aveva inserito in una scatolina trasparente per poi ripulirlo da eventuali tracce di sangue e iniziare finalmente a studiarlo.
Mi diede un paio di punti dietro il collo per far cicatrizzare la ferita più velocemente e poi mi ci sistemò sopra un cerotto bianco per evitare che si infettasse. La ragazza mi ringraziò per la disponibilità e mi chiese di tornare tra poco più di una settimana per farmi controllare i punti ed eventualmente toglierli. 
All'uscita del laboratorio trovai Newt appoggiato contro la parete e non appena mi notò si tirò su per bene, per poi venirmi in contro e salutarmi con un sorriso impacciato.

"E' andato tutto bene?" domandò lui, negli occhi una piccola traccia di preoccupazione che non mi stupii affatto di notare. 
"Oh, Teresa per sbaglio mi ha tagliato un nervo importante quindi forse non sarò più in grado di sentire i sapori." lo presi in giro, causando però in lui una reazione esagerata.
"C-Cosa? M-Ma come..."
Mi gustai a pieno quella sua espressione tra il confuso e l'arrabbiato, poi quando il ragazzo notò il mio sorrisetto dispettoso sbuffò e mi diede una spallata amichevole. "Ti odio." brontolò, incrociando le braccia al petto e prendendo a camminare al mio fianco.
Passeggiammo spalla contro spalla finché non arrivammo davanti alla mia vecchia casa e quasi automaticamente mi bloccai. Non avevo scelto una meta ben precisa per quella camminata, ma a quanto pareva il mio inconscio aveva le idee ben chiare: era arrivato il momento di affrontare le mie paure e varcare la soglia di quella porta.

"Era questa?" si limitò a chiedere Newt, cercando la mia mano e aggrovigliando le sue dita attorno alle mie. 
Mi limitai ad annuire, ma questo bastò al ragazzo che, dopo aver osservato a lungo la porta di legno, mi accarezzò il dorso della mano e mi tirò leggermente all'avanti con lui. "Forza," mi incitò. "lo facciamo insieme."
Mi lasciai trasportare, il cuore nel petto già pronto a sgretolarsi. Sentii il groppo alla gola aumentare come se fosse stato richiamato dalla presenza della casa e mi obbligai a buttare giù il magone e a ripetermi che sarebbe andato tutto bene. Arrivammo davanti alla porta e Newt attese pazientemente che mi armassi del mio coraggio per allungare la mano verso la maniglia e girarla. 

Quando lo feci, aprendo finalmente la porta, l'odore dell'interno della casa mi colse impreparata. Oltre alla leggera puzza di chiuso che non mi disturbò nemmeno, colsi quegli odori che prima mi erano così familiari e quotidiani, ma che ora si erano ridotti a un effimero ricordo lontano e tagliente.
Presi un profondo respiro e mossi il mio primo passo dentro, trascinandomi dietro Newt come per paura che sparisse all'improvviso. Gli strinsi forte la mano quando come prima cosa notai gli scarponi da lavoro di Gally gettati a terra e i suoi attrezzi sistemati alla rinfusa in una borsa.
Sentii il cuore perdere un battito e una mano nera allungarsi verso di esso per stritolarlo e farlo ripartire veloce. 

Mi bloccai sulla soglia, incapace di fare anche solo un altro passo e rimasi lì davanti a fissare ogni particolare. Cosa avrei dovuto farmene ora di tutte le cose che prima gli appartenevano? Buttarle? Donarle a qualcun altro? Nasconderle nel fondo dell'armadio nella speranza di dimenticarmene?
La nube di pensieri che aveva iniziato a vorticarmi vertiginosamente in testa venne bruscamente messa a tacere dalla voce di Newt che mi si avvicinò ancora di più, mettendomi una mano sul fianco e chiedendomi di rimanere là per qualche secondo finché lui non sarebbe tornato. Per quanto odiassi dover rimanere dentro quella stanza da sola, annuii e lo lasciai andare, prendendomi il mio tempo per avanzare ancora nella stanza e immergermi ancora di più nei miei ricordi.

Avrei dovuto mettere a posto tutta quella roba, ma non riuscivo a spostare anche un solo oggetto senza sentirmi in colpa. Mi sembrava di cancellare Gally e quello che era stato per me. Sapevo che fosse un pensiero sciocco, se non addirittura ridicolo, ma non appena mi avvicinai al suo letto e raccolsi la maglietta appallottolata che solitamente il ragazzo usava per dormire, una stretta al petto mi fece rimpiangere di essere entrata in casa.
La strinsi con cautela tra le braccia e mi ci aggrappai con tutta la forza per non scoppiare a piangere quando l'odore del ragazzo mi arrivò alle narici. Chiusi gli occhi nel tentativo di combattere contro le lacrime e per un attimo mi sembrò che lui fosse lì accanto a me.

Mi abbandonai a sedere sul suo letto, riaprendo gli occhi e guardandomi intorno, persa come mai prima. Mi sarebbe piaciuto scrivere una lettera al ragazzo, magari ricordare anche tutti gli altri amici che avevamo perduto, ma il solo pensiero di buttare su carta i miei sentimenti mi sembrava una caspiata. Non sapevo nemmeno da dove cominciare, né come prendere in mano quella nuova vita che mi era stata donata. Tante cose erano cambiate dalla Radura, forse avrei dovuto parlare di quello. Mi sarebbe piaciuto ricordarlo in qualche modo, ricordare i miei amici, quello che avevamo, ciò che eravamo. Avrei voluto imprimere su un foglio tutti i miei ricordi, ma nel farlo forse avrei semplicemente banalizzato tutto quello che era successo. 

Ancora una volta, l'entrata di Newt nella casa mi fece uscire bruscamente dal mio stato di trance e sussultai, lasciandomi cadere la maglia di Gally in grembo e scuotendo la testa per riprendermi. 
"Ti ho portato una cosa." annunciò il ragazzo, tingendosi timidamente di rosso e avanzando nella stanza con le mani dietro la schiena, come a nascondere qualcosa. 
Inghiottii la saliva nel tentativo di aggirare il groppo alla gola, poi depositai con cura la maglia sul letto e mi alzai, avanzando verso il biondino nel tentativo di uscire dal cemento grigio che continuava a inghiottirmi ogni secondo di più.
Per quanto l'espressione di Newt fosse emozionata e felice, non riuscivo a provare curiosità per quella sua sorpresa improvvisa. Per quanto fossero pure e buone le sue intenzioni, non pensavo che un regalo mi avrebbe risollevato il morale.

Ma quando il ragazzo fece uscire la sua sorpresa allo scoperto, scoprii di essermi sbagliata. Stretto delicatamente tra le sue mani c'era l'arco in legno che Gally mi aveva intagliato tempo addietro, prima che partissimo alla ricerca della nuova sede della W.I.C.K.E.D.
La sua forma e i suoi dettagli erano ancora così chiari e ben delineati nel legno, che sembrava quasi che il ragazzo me lo avesse consegnato di persona giusto il giorno prima.
"Come... Pensavo di averlo perso alla W.I.C.K.E.D." ammisi, sentendomi in colpa per essermi completamente dimenticata del regalo del Costruttore. Quando ne avevo avuto la possibilità avevo sostituito quell'arco con uno in metallo, per combattere meglio nelle battaglie e infliggere colpi più precisi e mortali, ma quando la guerra era finita mi ero completamente dimenticata di tornare a cercarlo.

"Stephen l'ha conservato per te, l'ha nascosto in un magazzino della W.I.C.K.E.D. quando si fingeva guardia, almeno così mi ha detto." spiegò il biondino, nascondendo un sorriso emozionato dietro a un'espressione confusa. "Non lo rivuoi indietro?"
Scossi la testa, tornando alla realtà e ricambiando il sorriso del biondino. "No, no, certo che mi fa piacere riaverlo. E' solo che pensavo di averlo perso per sempre."
Newt me lo consegnò tra le mani, lasciandomi il tempo di ammirarlo e rigirarlo tra le dita. Avere un pezzo di Gally ancora con me mi fece sentire meglio. Sapere tutto l'impegno e l'affetto che il ragazzo aveva impiegato nel costruirmi quell'arco mi faceva sentire come se fosse ancora là, vicino a me, pronto a guardarmi le spalle nelle battaglie o nelle battute di caccia.

Lo strinsi forte al petto, chiudendo gli occhi e combattendo contro le lacrime. Quando mi sentii abbracciare e riconobbi che non fosse una delle solite strette del biondino, mi sentii spaesata. Solo una persona mi stringeva così forte da togliermi il fiato dai polmoni e sapere che quella persona non ci fosse più mi spaventò. Pensai fosse uno scherzo della mia mente e mi sentii in dovere di combatterlo, ma dopo averci pensato una seconda volta, mi lasciai andare, godendomi quella sensazione senza farmi troppe domande. Non mi interessava sapere se fosse stato il mio inconscio, o un vecchio ricordo, o se stessi semplicemente diventando pazza. Mi sarebbe bastato vivere quel momento e abbandonare i dubbi da parte, almeno per quella volta. Rimasi ferma, troppo spaventata di muovermi per paura che la sensazione si sarebbe volatilizzata non appena avessi anche solo inspirato, e mi lasciai andare a quella stretta finché non ebbi il coraggio di riaprire gli occhi, notando così la figura di Newt troppo distante da me per poter essere lui l'artefice di quell'abbraccio.

Mi guardai intorno, realizzando di essere ancora sola con il ragazzo. Non mi importava se fosse stata solo la mia immaginazione o il disperato bisogno di ricevere un ultimo abbraccio da Gally, per il momento avrei accettato quel regalo e basta. Pensare che il ragazzo continuasse a essere là con me nonostante tutto era una bella sensazione e anche se utopica, mi faceva sentire meglio. Promisi a me stessa che mi sarei convinta di quella cosa solo finché non fossi stata in grado di lasciar andare il suo ricordo e continuare a camminare da sola. Sarebbe stata questa convinzione a spingermi ad andare avanti, senza lasciarmi cadere sommersa dalla tristezza e ora lo sapevo.
Prometto che ricorderò tutto anche dovesse fare male. Mi ripetei nella mente, ripercorrendo le ultime parole che avevo detto al ragazzo. Ricorderò te, Gally. Lo prometto.

 

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Capitolo 93
*** Epilogo. ***


La sera arrivò in fretta e ci ritrovammo tutti in spiaggia, come era solito fare quando c'era un qualcosa da festeggiare, ma questa volta non c'era musica e nessuno stava danzando attorno al falò. Le persone si limitavano a sedersi lontane, escludendosi le une dalle altre per trovare riparo nei propri sentimenti. Di quei pochi gruppetti che si erano formati, nessuno parlava allegramente. Molti erano in piedi e passeggiavano persi per la riva dell'oceano senza meta. Potevo vedere Frypan armeggiare con la carne in un angolino, tentare forse di condirla o di tagliarla a dovere, ma anche il cuoco sembrava perso nei suoi pensieri, gli occhi cupi abbassati sulla lama del coltello nella sua mano.

Nel corso di quel pomeriggio avevo espresso a Newt la mia intenzione di seguire l'esempio di altri e scrivere una lettera per commemorare Gally, ma quando avevo cercato di buttare giù una bozza la mia mano si era improvvisamente paralizzata, incapace anche solo di scrivere il nome del ragazzo su carta. La mia mente, d'altro canto, aveva preso a girovagare di pensiero in pensiero, confusa lei stessa su quale fosse la sua meta d'arrivo
Non sapevo da dove cominciare, né dove andare a parare.
Newt mi consigliò di non vederla come una lettera, ma piuttosto come un semplice dialogo col ragazzo. Mi disse "Pensa che lui sia qua con te ora, ma che possa restare per poco. Cosa gli diresti?" e la cosa mi aiutò un po' a sbloccarmi.

Buttai giù un paio di righe, poi mi bloccai. Ripresi, scrissi un'altra decina di parole e ne cancellai altrettante.
Ma quando arrivai alla fine e alzai gli occhi dal foglio, mi sentii quasi più leggera. Dopo aver preso il via e aver cominciato a buttare su carta tutto quello che mi passava per la mente la scrittura era diventata mano a mano più semplice, quasi trascinandomi con lei. La mia mano non riusciva quasi a stare dietro alla miriade di pensieri che mi dettava la testa.
Una volta posta la mia firma sull'angolino in basso a destra, piegai i due foglietti a metà e poi di nuovo su loro stessi. Me li infilai cautamente nella tasca posteriore dei pantaloni e misi in pausa i miei pensieri.

Mi era sembrata una bell'idea buttare giù tutto su carta, ma ora che mi ritrovavo circondata di persone, ognuna delle quali aveva perso qualcuno, mi sembrava quasi di essere stata egoista nell'aver scritto così tanto. Violet aveva suggerito a ciascuno di buttare giù qualche pensierino, un paio di frasi da leggere ad alta voce per colmare il vuoto e commemorare i caduti, quindi forse mi ero spinta troppo in là con la mia lettera da due pagine.
Scossi la testa, rimandando a più tardi il dilemma di leggerla o meno davanti a tutti, e mi incamminai verso Minho che, distante da tutti gli altri, era intento a fissare il muro della scogliera e accarezzarla con il palmo.

Quando fui a poca distanza mi annunciai con un colpetto di tosse e il ragazzo si voltò di colpo, come se fosse stato colto con le mani nel sacco. "Oh, hey, bambolina."
"Ciao, Minho." borbottai di rimando, avvicinandomi a lui e incrociando le braccia al petto quando una folata di vento mi fece rabbrividire.
Il ragazzo si grattò la nuca, poi riappoggiò la mano contro la scogliera e il suo sguardo si soffermò sulla roccia. "Pensavo che potrebbe essere questo il nuovo Muro." mi rivelò, guardandomi per un attimo e sorridendomi debolmente. "Violet mi ha detto del tuo suggerimento e credo che anche tutti gli altri Radurai ne sarebbero felici."

Annuii stanca e mi appoggiai contro la parete, guardando distratta il falò. Osservai le persone attorno al fuoco a lungo, poi i miei occhi ricaddero sulle onde dell'oceano e all'improvviso mi accorsi del silenzio e della pace che ci circondavano. "Vorrei ci fosse un modo per far sapere a tutti loro che abbiamo vinto, alla fine." ammisi, gettando allo scoperto il pensiero che ormai mi tormentava da giorni. Tutte quelle vite, tutti quelli che si erano sacrificati per noi, avrei voluto sapessero di non essere morti invano.

"Sono convinto che lo sappiano." mi tranquillizzò Minho, avvicinandosi a me e attirandomi a lui con un braccio sulle spalle. "Secondo me sono talmente tanto curiosi che continuano a guardarci, in qualche modo. Mi piace pensarla così, almeno finché non devo andare al cesso: in quel caso spero che proprio nessuna testa di puzzone mi stia guardando."
Mi lasciai andare a una risata sincera, felice di avere ancora Minho con me. Per quanto il ragazzo fosse cambiato e fosse diventato sempre più serio da quando avevamo lasciato la Radura, gli ero grata per quei suoi momenti sarcastici. Nonostante tutto quello che era successo, sapevo di non aver perso anche lui. "Già, spero davvero che ci stiano guardando, ma anche se così fosse non sono pronta per dire addio." ammisi.

Il ragazzo mi stritolò ancora di più a lui e dopo avermi lanciato uno sguardo di sbieco e aver arricciato il naso, mi rispose con un sorriso sulle labbra. "Già, anche a un pive come me fa brutto." ogni traccia di allegria sembrava essere sparita dalla sua voce, ma il ragazzo fece di tutto per rimanere sereno, cosa di cui gli fui davvero grata. "Soprattutto con tutte quelle persone nuove... Avrei voluto farlo solo con i vecchi Radurai, o chi ne rimane."
"Potremmo farlo." ammisi, guardando velocemente il muro della scogliera e poi tornando con lo sguardo al falò. "Una volta che tutti avranno scritto i nomi e avranno letto i loro addii, potremmo ritrovarci tutti qui per dare insieme l'ultimo saluto."
Il ragazzo assottigliò le labbra e mi guardò a lungo prima di rispondere. "D'accordo, chiamiamo quest'ultima Adunanza."









 

Dopo il funerale commemorativo, nessuno ebbe il coraggio di restare in spiaggia per parlare. C'era chi aveva buttato giù un paio di pensieri, chi si era fatto avanti e aveva condiviso con tutti una memoria legata alla persona persa, chi si era limitato a descriverli nei loro pregi e difetti, chi si era fatto cogliere dalle lacrime a metà via e non aveva voluto continuare a leggere.
Tutti eravamo rimasti seduti attorno al falò, intenti ad ascoltare ogni testimonianza e, voce dopo voce, l'umore generale era calato sempre di più.
Non avevo avuto il coraggio di leggere la mia lettera, non davanti a tutte quelle persone, quindi avevo deciso di tenerla per quell'ultima Adunanza. Mi commossi un paio di volte nell'ascoltare il dolore degli altri che, anche se proveniva da fonti diverse, stranamente era uguale al mio.

Parlammo a lungo e qualcuno riuscì addirittura a buttare giù qualche pezzo di carne cotta da Frypan, ma in pochi sembravano avere il morale giusto anche solo per bere. Fu strano notare come tutti quanti, una volta finita la commemorazione, si dileguarono senza indugi, tornando ognuno alle proprie dimore e chiudendosi dentro senza più uscire. Era chiaro che dopo una serata del genere, dopo aver pianto ed essersi aperti sui propri sentimenti, l'unica cosa che rimaneva da fare era rintanarsi nei propri letti e cercare di addormentarsi il più velocemente possibile per vedere l'alba del giorno successivo sorgere prima.

Io e gli altri Radurai, invece, una volta spento il fuoco del falò ci dirigemmo tutti verso la scogliera. Il muro era già stato marcato con diversi nomi, più di quanti me ne fossi immaginata, ma rimaneva ancora spazio per noi e per gli amici che volevamo ricordare.
E così ci ritrovammo tutti lì in semicerchio, tutti insieme come ai vecchi tempi, illuminati dal chiarore latteo della luna. Minho prese parola e credo che tutti gliene fossero grati. Frypan sembrava aver ingoiato un qualcosa di marcio, data l'espressione pallida e malaticcia che aveva addosso; Newt sembrava spaesato e triste nel vedere in quanti pochi fossimo davvero rimasti; Thomas non sembrava nemmeno lì con lo spirito, la testa abbassata, ma visibilmente persa tra le nubi terse dei suoi pensieri; solo Stephen, tra tutti, sembrava preservare un minimo di autocontrollo: con la testa alta e gli occhi al cielo, il ragazzo sembrava quasi pronto per ricevere quell'ultimo pugno allo stomaco.

Minho si fece avanti, il volto ricoperto da uno strato di malinconia che cercava invano di non far notare. "Sapete tutti perché siamo qui, quindi eviterò di sprecare fiato inutilmente. Vorrei riferirmi a questa come l'ultima Adunanza tra di noi, per sempre. Mi piacerebbe potervi dire che dopo oggi siamo ancora i Radurai del Labirinto, ma vi mentirei." il ragazzo prese una piccola pausa e poi cavò dalla tasca dei pantaloni da lavoro un coltello e un piccolo martello. "Ma questo non significa che con i nostri amici abbiamo perso anche noi stessi. Noi brutti pive, noi che siamo ancora qua, abbiamo il dovere di non dimenticare tutto quello che è successo. Dobbiamo tenere a mente ciò che ci è stato tolto e ciò che abbiamo guadagnato. Noi che abbiamo avuto a che fare con i mostri fuori dalle Mura per tutta la nostra vita, ora ci dobbiamo difendere da quelli che invece sono già dentro di noi."

L'asiatico si rigirò tra le mani il coltello. "Quindi vedetela come un'ultima avventura, un'ultima corsa verso la salvezza per noi Velocisti, o come l'ultima portata di una cena per Fry, o come l'ultima freccia per te, bambolina, o come..."
"Abbiamo afferrato il concetto, te lo assicuro." intervenne Stephen, forse nella speranza di riaccendere un po' gli umori generali, ma senza riuscirci davvero.
Minho stette al gioco, troppo malinconico per lasciarsi trasportare ancora più in là dalla tristezza. "Già, lo immaginavo, ma stavo prendendo tempo." ammise il Velocista. "Sono a corto di parole e caspio, non sono mai stato un sentimentale, quindi ora iniziamo a scrivere i nomi. Okay?"
Annuii, accennando un sorriso, ma Newt parlò, avvicinandosi a me e mettendomi una mano sulla spalla.
"Prima mi piacerebbe sentire quello che hai scritto, se te la senti." svelò, guardandomi colpevole come se fosse preoccupato per una mia eventuale reazione rabbiosa.

Acconsentii, rassicurandolo che lo avrei fatto volentieri se solo gli altri fossero stati disposti ad ascoltare. In tutta risposta Minho mi diede un pugno sul braccio, accennando un sorriso forzato e provando una delle sue solite battute per richiamare forse i vecchi tempi. "Diamine, bambolina, se avessi saputo che avevi un qualcosa da leggere già pronto non mi sarei rincaspiato per riuscire a dire un cacchio di qualcosa."
Ridacchiai e lo invitai a sedersi insieme agli altri. Presi il mio tempo per prepararmi. Cavai la lettera dalla tasca, la dispiegai e prima di iniziare a leggere presi un bel respiro. "L'ho indirizzata a Gally," spiegai, lanciando a Newt uno sguardo di ringraziamento. Era solo merito suo se ero riuscita a sbloccarmi. "ma credo che renda giustizia a tutti quelli che abbiamo perso."

Stephen annuì sicuro, come per cercare di calmarmi e farmi sentire a mio agio e quando addirittura Frypan mi mostrò entrambi i pollici, facendo il tifo per me, compresi che fosse arrivato il momento di iniziare a leggere.
Lanciai un ultimo sguardo a Newt per avere quella spinta di sicurezza e quando il ragazzo mi sorrise in modo gentile e mi mandò un bacio appena accennato con le labbra, mi sentii abbastanza salda sulle gambe per riuscire a partire. "Caro Gally, caro Capitan Gally..."







 

QUATTRO ANNI DOPO:

Erano passati ormai quattro anni da quando avevamo scritto quell'ultimo nome sul Muro, lasciandoci alle spalle la nostra vecchia vita nel tentativo di iniziarne un'altra. Ognuno di noi, a modo suo, aveva trovato riparo in una vita fatta d'impegni, tra un lavoro e un altro eravamo riusciti a tenerci impegnati, trascorrendo giornata dopo giornata a costruire una vita migliore per noi stessi e per i futuri. Avevamo ormai raggiunto un livello di sviluppo molto gradevole, non ci mancava mai cibo, elettricità, gas... Avevamo lavorato così sodo che tutte i nostri bisogni primari erano ormai soddisfatti giornalmente e così avevamo anche iniziato a creare più valvole di sfogo e hobby. Avevamo ripristinato un sistema educativo per permettere ai piccoli di crescere in un ambiente sano, proiettato verso il futuro, ma che non disdegnava il passato e ciò che ci aveva insegnato.

La medicina aveva fatto salti da gigante grazie ai macchinari che avevamo rubato alla W.I.C.K.E.D. e grazie a essi Newt era riuscito a rimettersi completamente in sesto. La fisioterapia sembrava aver dato tutti i suoi frutti dato che il ragazzo aveva riacquistato il controllo totale del suo corpo, ma per quanto riguardava la sua psiche eravamo ancora all'inizio di un percorso bello lungo. Le sedute dalla psicologa erano continuate regolarmente e il ragazzo sembrava aver riacquistato sempre più pezzi della sua personalità, sopprimendo e imparando a controllare le tracce lasciate dal Donatore, ma sapevo se la sarebbe cavata.
Riprendere la nostra vita insieme sembrava quasi un sogno, ma c'erano ancora le volte in cui mi svegliavo sudata, urlando per i fantasmi del passato e altre volte sognando un futuro distopico in cui tutto andava male.

Avere dubbi e incertezze era all'ordine del giorno, ma con il passare del tempo avevo trovato il modo di ricostruire me stessa. Nonostante Newt fosse ancora il mio Collante, avevo imparato a dipendere solo da me stessa e a non lasciarmi mai cadere troppo a fondo. Mi sapevo finalmente prendere cura di me, rassicurarmi, calmarmi, controllarmi. Sapevo di avere ancora tanta strada davanti, ma ero consapevole che ce l'avrei fatta e che un giorno sarei finalmente riuscita a essere felice con me stessa e a bastarmi.
Prima di andare a dormire la sera, Newt insisteva che gli raccontassi un pezzo delle mie memorie e, nonostante nel giro di qualche mese avessi finito le storie del mio repertorio, la cosa era comunque continuata. Ormai era diventata parte della nostra routine, ma la cosa piaceva a entrambi.

Gli avevo anche svelato della sua parentela con Elizabeth e vederlo impazzire di gioia fu il regalo più bello che avessi ricevuto. Newt si ricordava vagamente di avere una sorellina minore, ma era sempre stato convinto di averla persa, in qualche modo. Anche la ragazzina fu felice di conoscere finalmente il mio compagno di vita, rallegrandosi ancora di più quando lo scoprì essere niente di meno che suo fratello maggiore.
La bimba che avevo conosciuto anni prima era cresciuta a vista d'occhio e la cosa mi allarmava e mi rendeva felice allo stesso tempo. Sapere che anche lei fosse al sicuro, con un tetto sulla testa e cibo nello stomaco mi faceva sentire una brava mamma, anche se sapevo che se la potesse cavare benissimo da sola, tanto era intelligente e saggia per la sua età.
Anche Hailie dal suo canto non era rimasta la piccola indifesa che avevamo raccolto dalla W.I.C.K.E.D. anni prima e di prenderla in braccio ormai non c'era più modo.

Non solo la bimba era cresciuta in altezza, rendendo fiero il fratello che continuava a ripetere come la ragazzina gli ricordasse se stesso, ma era anche diventata impettita, arrivando addirittura a stuzzicare Stephen e a prenderlo in giro.
Non potei che pensare che fossero proprio fratello e sorella, dato che la personalità di Stephen non faceva altro che mostrarsi giorno dopo giorno nella ragazzina, ma la cosa non mi dispiacque. Per quanto fosse difficile avere attorno già Stephen, non mi dispiaceva un'altra sorellina col suo carattere, soprattutto contando che Hailie fosse ancora innamorata di me e – anche senza ammetterlo apertamente – era palese che preferisse la mia compagnia, piuttosto che quella maschile del fratello.

Per quanto riguardava Minho e Violet anche loro sembravano aver trovato un equilibrio di coppia e personale, crescendo insieme, ma lavorando molto anche su loro stessi. Ero bello vedere come Minho e Thomas fossero tornati velocemente amici, mettendo da parte tutti i litigi passati e, per quanto volessi dare il merito ai due, in realtà sapevo che dietro quella riappacificazione ci fosse lo zampino di Teresa, che da tempo cercava di spingere Thomas fuori dalla sua zona di comfort. Da quando Newt era tornato, Thomas sembrava vivere costantemente nei sensi di colpa, ma grazie alla continua presenza del biondino accanto al ragazzo, Thomas si era piano piano lasciato andare.

A dire la verità, a nessuno importava davvero di cosa fosse successo in passato. Eravamo tutti d'accordo col mettere da parte vecchie discordie per iniziare insieme una nuova vita. Ripartire da zero sembrava un ottimo compromesso per tutti e così avevamo cercato di fare.
L'ex staff della W.I.C.K.E.D. si era rivelato essere leale. Come pensavo, erano tutti burattini costretti a operare sotto una stessa mente malvagia. Ma anche se si erano solamente limitati a seguire gli ordini, avevano comunque la coscienza macchiata per non essersi opposti all'associazione, ma anche in quel caso per me era acqua passata: se avevano davvero un cuore, avrebbero scontato la pena nella loro stessa testa. Non mi interessava fare l'avvocato del diavolo, il loro senso di colpa li avrebbe eventualmente puniti.

Per quanto avessimo tutti cercato di archiviare il passato, in realtà nessuno di noi era davvero tranquillo. Nonostante fossero stati quattro anni di pace e silenzio assoluto da parte della W.I.C.K.E.D., non c'era persona al Posto Sicuro, che si sentisse effettivamente al riparo.
Ed era per questo che avevamo deciso di creare un Gruppo di Indagini per scoprire le sedi ancora presenti nel mondo. La nostra speranza era quella di arrivare a loro prima che loro arrivassero a noi e ci era voluto davvero tanto tempo prima di scoprire le coordinate specifiche di ogni singola sede rimasta.
Grazie ai documenti che Teresa aveva trafugato dalla vecchia sede e grazie alla conoscenza di alcuni vecchi membri, eravamo riusciti a marchiare con ben sette puntini rossi una mappa mondiale.

Forse quelle sedi avevano già i loro soggetti e forse nessuno sapeva davvero della nostra esistenza, ma dopo tutto quello che avevamo passato nessuno era disposto ad aspettare che i guai ci trovassero. Non volevamo vivere all'ombra degli orrori che avevamo subito e pensare che in quel momento altri ragazzi nel mondo stessero vivendo la nostra stessa esperienza ci faceva accapponare la pelle. Era nostro dovere fare qualcosa, rivendicare i caduti e porre una fine a tutto quello scempio.
Avremmo liberato ogni Immune che avremmo potuto. Utilizzato le nostre risorse per portare quante più persone al Posto Sicuro e ripristinare una comunità sana. Sede dopo sede ci saremmo ripresi la nostra rivincita, la nostra libertà.
Per tutta la mia vita non avevo fatto altro che correre e sopravvivere, ma ora era arrivato il momento di ricordare e vivere.

 

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Capitolo 94
*** Ringraziamenti. ***


Ora come ora mi sento un po' come Minho, devo ammetterlo: ho tante cose che vorrei dirvi, ma non riesco a trovare le parole. Abbastanza buffo per una scrittrice, eh?

Quindi parto col ringraziarvi tutte, ogni singola lettrice di questa storia. Sono grata di avere così tante persone interessate a ciò che ho da dire, che si sono prese a cuore questa storia, che hanno amato i miei personaggi e chissà, forse sono anche cresciute insieme a loro.

Io senza dubbio l'ho fatto. Sono stati sei anni davvero lunghi, ma nonostante questo ancora mi ricordo la sera in cui mi sono messa a scrivere il primo capitolo di questo libro e per la prima volta Elena è entrata nel mondo di Maze Runner, con i suoi fantastici personaggi.

Ho vissuto ogni avventura, i dolori, le gioie, le disperazioni, le rabbie e le paure. Sono cresciuta coi miei personaggi, ho pianto con loro e pianto per loro, mi sono emozionata per le piccole vittorie che ottenevano, mi sono gasata quando li descrivevo lottare, ma soprattutto, ora mi sento malinconica nel doverli lasciar andare.

Anche se questa è solo una fanfiction, mi sento di aver messo così tanto in questo libro da sentirlo completamente mio. Anche se i personaggi e le loro personalità sono ispirati al libro di James Dashner, mi sento di aver lasciato la mia impronta in ogni singolo capitolo. E che dire dei miei due bambini? Elena e Stephen sono stati i primi personaggi inventati da zero e mi sento un po' la loro mamma, ma sono felice di averli creati e di averli fatti crescere così tanto in questa storia.

Non sono pronta a lasciarmi dietro le spalle quest'avventura durata sei anni, non sono pronta ad abbandonare nessuno dei Radurai. Ma sappiate che anche se non ci sarà un quinto libro, nei prossimi mesi provvederò a revisionare finalmente l'intera saga, apportando modifiche e aggiungendo diverse scene nella storia. Quindi se mai un giorno sarete anche voi malinconiche e vi verrà voglia di immergervi nuovamente nel Labirinto insieme a Elena, troverete senz'altro delle sorprese.

Vi chiederei di non togliere questa storia dalla vostra libreria, in quanto ho intenzione di pubblicare tra un po' di tempo un libro totalmente di mia invenzione. Questa volta non sarà una fanfiction, ma un'opera completamente mia, quindi se vorrete vivere altre avventure con me, tenetevi aggiornate e non perdetevi l'eventuale pubblicazione! Userò questo libro per avvisarvi, quindi spero vi arriverà la notifica.

Per quanto riguarda il mini Q&A che farò questo venerdì con alcune lettrici, ho intenzione di trascrivere tutte le mie domande e risposte nel prossimo capitolo (che pubblicherò venerdì stesso o sabato), che vorrei lasciare totalmente a voi. Prendetelo come un capitolo di sfogo o se preferite usate la sezione commenti per bombardarmi di domande. Se avete ancora dubbi in sospeso, lasciate un commento e vedrò di rispondervi al più presto!

Sappiate che mi mancherete tutte voi, mi mancheranno i vostri commenti e le vostre notifiche, i vostri scleri per le ship, il vostro odio-amore verso Gally e Stephen, le vostre battute, le frecciatine per Elena, le dichiarazioni a Newt e i messaggi d'amore per la Newtmas.
Sono felice di avervi come lettrici e vi ringrazio dal profondo del cuore per avermi portata fino a qua. Tutte le stelline, i commenti e le visualizzazioni sono merito vostro, è certo, ma sappiate che senza di voi e senza il vostro supporto, non avrei mai concluso questa saga e forse un giorno me ne sarei pentita.

Ho continuato questa storia solo perché vi vedevo così prese e non volevo darmi per vinta, nonostante i blocchi dello scrittore e i periodi più bui. Da quella sera del lontano 2014 sono cambiate tante cose. Sono cambiata io, così come sarete cambiate voi.

Spero che questa storia rimarrà nei vostri cuori e spero di aver ispirato qualcuno a buttarsi in questo mondo di creatività, perché credetemi: sei anni fa ero esattamente come voi, alle prime armi e con zero followers.
Con impegno, passione e pazienza si ottiene tutto quello che si vuole, o almeno ci si prova!

Grazie ancora di tutto e per un'ultima volta vi saluto. Spero di risentirvi nei commenti qua sotto o in privato, se vorrete: sappiate che vi risponderò. Sono curiosa di sapere se ho rispettato le vostre aspettative o se speravate che la storia finisse in un altro modo. Voglio leggere la vostra opinione riguardo a tutta questa saga, come vi è sembrata? Sappiate che se avete suggerimenti o cose che vorreste cambiare, sono aperta ad ogni commento!

Da sempre e per sempre vostra,

Elena

PS: per chi volesse continuare a stalkerarmi, il mio profilo insta è elena_de_angeli ;

 

 

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Capitolo 95
*** Q&A: curiosità e domande ***


Come promesso, ecco per iscritto tutte le domande e le risposte che ho dato durante il Q&A di questo venerdì!

Prima di partire, avrei una piccola curiosità per voi... Sapevate che i personaggi di Alicia e Cale (i nuovi amichetti di Newt) erano in realtà già stati citati nel terzo libro?

Nel terzo libro, quando Elena e gli altri Radurai vanno a cercare Newt nel Palazzo degli Spaccati, una coppia va loro incontro e inizia a conversare, chiedendo in particolare da quanto fossero là al Palazzo. La coppia tuttavia non fa in tempo a presentarsi perché non appena inizia il trambusto nel Palazzo, la coppia si rifugia in casa, barricandosi dentro.

Ecco, in realtà i due erano Cale e Alicia! Newt a un certo punto accenna come, insieme a lui, la W.I.C.K.E.D. avesse prelevato altri Spaccati ai primi stadi dell'Eruzione, e quei due sono stati tra i prescelti.

Detto ciò, passiamo alle vostre domande! Riporterò solo la domanda fatta, non anche chi me l'ha posta, spero che non ve la prendiate male :3

Nel capitolo 23, Elena scrive una lettera a Newt. Nei commenti avevi detto che l'avresti pubblicata, ma poi non l'hai più fatto.

Colpa mia, mi sono completamente scordata di questo dettaglio quando mi sono presa quella pausa di un anno... Sono pessima, lo so. Però se siete interessate potrei buttarla giù e pubblicarla tra qualche giorno! Che ne pensate?

E la lettera che Elena scrive a Gally?

Quella non l'ho inserita volutamente, perché attualmente sto lavorando su un video finale, dove sotto ci sarà la voce narrante di Elena che legge la lettera come se la stesse leggendo ai Radurai.

Dalla tua bio ho visto che ti piace Teen Wolf, qual è la tua ship preferita? Il tuo personaggio preferito? Il tuo licantropo preferito? Personaggio più odiato? 

Ship preferita, assolutamente la Stydia! Personaggio preferito, ovviamente Stiles: ha una personalità fantastica, adoro il suo sarcasmo, la sua ironia, la sua intelligenza, è un personaggio assurdo, lo adoro!
Personaggio più odiato: tutta la famiglia Argent, a esclusione di Allison e di suo padre. Ma a partire da Gerard e da Kate, ho odiato ogni persona di quella famiglia.
Licantropo preferito è Jackson (anche se non è propriamente un licantropo, ma comunque l'ho adorato), e Scott, perché adoro Stiles e non si può assolutamente separare il duo Stiles-Scott.
Solitamente ho un odio per i protagonisti delle serie tv o dei film, ma con Teen Wolf è stato diverso e mi sono innamorata di Scott al primo colpo.

Cosa ti ha fatto venire voglia di riscrivere l'intera saga di Maze Runner? 

Innanzitutto, quando ho iniziato a scrivere la fanfiction ancora non avevo letto i libri e, avendo visto solo il primo film, ero rimasta molto perplessa e avevo tanti dubbi e domande, che ho deciso di risolvere aggiungendo le mie ipotesi. I buchi di trama che poi vengono spiegati nei film successivi, ancora non li sapevo, dato che all'epoca era uscito solo il primo film della saga. Dopo aver iniziato a scrivere la fanfiction ho comprato i libri. Lì non mi è andata giù la morte di Newt e nemmeno l'odio del fandom nei confronti di Teresa. Volevo dare una seconda possibilità a entrambi, in quanto Newt non meritava di morire e Teresa aveva in realtà una motivazione solida dietro alle sue scelte.

Ho cercato di far capire il suo punto di vista attraverso Elena e sottolineare il fatto che fosse stata costretta a tradire i suoi amici. Trovo che la Teresa dei libri (e sottolineo dei libri, non dei film) avesse una giustificazione, una motivazione solida per fare quello che ha fatto e odiavo il fatto che Thomas non l'avesse mai perdonata o non avesse mai cercato di capire il suo punto di vista.

Volevo farle giustizia. Volevo fare giustizia a entrambi, sia a Teresa che a Newt, quindi questa è la motivazione che mi ha spinto a continuare a scrivere.

Dove trovi l'ispirazione per continuare a scrivere capitolo dopo capitolo? Ti è mai capitato di bloccarti a causa della mancanza di idee? Se sì, come hai fatto a sbloccarti?

Mi sono bloccata spesso, soprattutto nel quarto libro, perché negli altri libri, anche se ci mettevo sempre e comunque del mio, mi limitavo a seguire la linea generale di ciò che era già stato scritto. Invece con il quarto, che è stato partorito direttamente dalla mia immaginazione, è stato più difficile. C'è stato un periodo, durante la scrittura del quarto libro, in cui ho passato un momento un po' difficile e la scrittura, dall'essere una valvola di sfogo, era diventata quasi un peso.

Poi un giorno il mio ragazzo mi ha chiesto che fine aveva fatto quella mia passione per la scrittura e da lì ho realizzato di aver lasciato la storia in sospeso senza dire nulla (motivo per cui ho perso tantissime lettrici e motivo per cui molte sicuramente mi avranno riempito di macumbe). La ritenevo una cosa gravissima per una scrittrice, e mi sono detta di dover finire la storia a tutti i costi, perché sapevo già come volevo che finisse, quindi si trattava semplicemente di riprendere l'abitudine di scrivere tutti i giorni. 

Una cosa che ho imparato è che l'illuminazione divina non esiste. Le idee per un libro, la fantasia, non vengono dal cielo: per ottenerle ci si deve sforzare, ci si deve impegnare a scrivere, costantemente, quasi forzare la creatività. 

Cosa ne pensi della Newtmas? 

Che dire? La Newtmas regna. Nei libri si percepisce un po' di meno, credo, perché il rapporto tra i due viene sempre descritto come una forte amicizia. Mentre nei film, ci sono certe scene che mi fanno pensare che la Newtmas esista, che sia reale e la cosa mi fa impazzire!

*una lettrice mi ha sottolineato che ci sia un video su youtube dove Dylan accetta la Dylmas e dice che per lui sia okay e che non ci sia nessun problema* Credo di aver trovato il video, spero sia questo che intendevi! :3

 

Cosa ne pensi della ship tra Stiles e Malia?

All'inizio non mi piaceva molto Malia, poi episodio dopo episodio mi è piaciuta sempre di più come personaggio. Ma a vederli insieme proprio non ce la faccio. Penso che il loro sia più un affetto amichevole, quasi tra fratello e sorella. Una cosa protettiva, ecco, ma non una storia sentimentale.
In più, essendo una sostenitrice della Stydia, ripudio qualsiasi ship che vede Stiles con altre ragazze.

Cosa ne pensi della ship tra Scott e Kira?

*piccolo messaggio per quelle che hanno partecipato alla riunione: ero talmente in ansia per questo Q&A, che per tutto il tempo nel rispondere a questa domanda invece di dire il nome di Scott ed Allison, mi sono riferita per qualche strano motivo a Stiles e Lydia, quindi scusatemi per l'incorrettezza*

Partendo dal presupposto che rimango fedele alla Scallison e che quindi vedrei ogni ragazza che si mette con Scott come una sostituzione di Allison, mi piace Kira come personaggio, la trovo molto utile. Ma all'inizio la vedevo come una sostituzione forzata ad Allison e per questo motivo non mi piaceva.

Quali sono i tuoi generi preferiti? Il tuo libro preferito che consiglieresti a spada tratta?

Mi piacciono molto i libri d'avventura, così come quelli che trattano di fantascienza, i fantasy e così via. Ad eccezione di Maze Runner, due dei miei libri preferiti sono The Hunt di Andrew Fukuda (una trilogia pazzesca, a mio parere) e un libro singolo scritto da Isabel Abedi, che si chiama Sono nel Tuo Sogno. 

Oltre a questi due, leggo qualsiasi cosa che sia stata prodotta dal maestro Stephen King.

Quando è nata la tua passione per la scrittura?

Ho sempre scritto racconti, favole e poesie sin da quando ero piccola perché mi piaceva molto leggere. Ma era una cosa superficiale, fatta a tempo perso. E' diventata invece una passione proprio quando ho iniziato questa fanfiction, quindi nel 2014, quando avevo 14 anni. 

Ora come ora non ne potrei fare a meno, perché è diventata la mia valvola di sfogo. Mi permette di buttare su carta i miei pensieri e i miei sentimenti, facendomi sembrare di avere quasi il controllo su di essi.

Secondo te, come fa una ragazza che è nel Labirinto e arriva quel periodo del mese? 

Me lo sono sempre chiesta anche io! Soprattutto anche quando leggevo Hunger Games. Forse, per quanto riguarda Maze Runner gli assorbenti e tutto il resto arrivava su con le altre provviste nella Scatola. Però ho letto una fanfiction dove la scrittrice ad esempio risolveva la cosa sottoponendo la sua protagonista ad un intervento chirurgico dove le venivano asportate le ovaie.

Io ho scelto una via un po' meno brutale e crudele, descrivendolo quasi come un effetto indesiderato, però ecco, è comunque un cosa triste, ma necessaria nel caso della mia fanfiction.

Dove hai trovato ispirazione per i personaggi di Elena e Stephen? E come si legge Stephen? Stiven? Stefen?

Potete leggerlo come preferite, davvero, ma nella mia testa l'ho sempre letto come Stefen, anche se è ispirato a Stephen Hawking e il suo nome si legge Stiven, ma dettagli.

Per quanto riguarda i loro personaggi: il personaggio di Stephen non esisteva fino a quando non ho avuto un illuminazione nel secondo libro. Nel primo libro avevo accennato ad un Soggetto C1, ma lo avevo fatto credere morto. Poi nel secondo libro avevo necessità di creare un nuovo personaggio per riempire un po' di vuoti di trama e ho pensato di riportare in vita questo famoso C1. 

Per quanto riguarda Elena, il suo personaggio è partito dalla mia necessità di fare giustizia a Teresa, usando però un altro personaggio. Per quanto riguarda la sua personalità, in realtà Elena sono io. Tutti i comportamenti timidi, ingenui, impacciati, dolci, sarcastici e la sua capacità di tenere testa e di sapere rispondere, il suo essere abbracciatrice di alberi, il suo fare figure del cavolo, sono tutti tratti della mia personalità. Volevo rendere la protagonista umana, non mi piaceva dipingerla come perennemente forte e determinata, non volevo idealizzarla, volevo che avesse anche particolarità più umane, in modo che le lettrici si potessero immedesimare in lei e in tutte le sue sfaccettature.

Però Elena è una me migliorata. Non sono così combattiva e forte come lei, ma mi piacerebbe esserlo. Ecco come è nato il suo personaggio.

Quanti anni hanno i personaggi all'incirca?

Quando arriva Elena nel Labirinto, mi sono sempre immaginata lei come un diciasettenne. Per quanto riguarda i personaggi vari, me li sono sempre immaginati avere circa quest'età, in fase adolescenziale insomma. Ad eccezione di Alby che me lo sono sempre immaginata ventenne o Newt, che ho sempre pensato avesse intorno ai 18-19 anni, o addirittura Chuckie, che penso ne abbia 13 o 14 massimo.

Violet ad esempio me la immagino 16enne. Stephen con la stessa identica età di Elena, quindi 17 anni. 

Da dove arriva il tuo nickname?

Dea è l'abbreviazione del mio cognome. Faccio di cognome De Angeli, quindi ho preso le iniziali e le ho messe insieme. Inevitabilmente, invece è il primo aggettivo che mi è venuto in mente quando stavo cercando una parola per riassumere me stessa. Ho subito pensato a questa parola, perché attraverso la scrittura non posso fare a meno di essere me stessa, ecco perché "inevitabilmente dea".

Nel quarto libro hai fatto un salto temporale di quattro anni. Secondo te, come andrà a finire la storia tra Newt ed Elena?

Essendo Elena sterile, non potranno avere figli, ma nell'ultimo capitolo ho cercato di sottolineare come Elizabeth stia entrando sempre di più nella vita della coppia e di come quindi possano sembrare a tutti gli effetti una famiglia. Crescendo, la bambina li vedrà sempre più come genitori e Newt ed Elena la vedranno sempre di più come una figlia, anche se non è veramente così.

Continueranno decisamente a stare insieme, perché vorrei che fosse un finale buono per tutti i personaggi. Hanno sofferto così tanto e ne hanno passate di tutti i colori, quindi meritano un finale felice.

Ognuno ha trovato la propria anima gemella, Minho con Violet, Teresa con Thomas... Solo Stephen è rimasto da solo, ma dopotutto ha già la sua soulmate: Hailie.

Cosa ti ha lasciato la Brenda dei libri e quella dei film?

Se da un lato ho odiato la Teresa dei film, la cui giustificazione al tradimento è stata banalizzata e storpiata, ho adorato la Brenda dei film. Trovo che venga dipinta come un personaggio diverso, molto utile e forte. Invece nei libri la odio. Sembra quasi che James Dashner l'abbia descritta come una sostituzione a Teresa e la cosa non mi piace.

Nel libro Brenda mi ha sempre dato l'impressione di una doppiogiochista e di una sanguisuga nei confronti di Thomas. Leggendo il libro e vedendo l'opinione di Thomas nei riguardi della ragazza, mi sembravano quasi sentimenti buttati su a casaccio, dove con la sua comparsa improvvisa Thomas aveva finalmente trovato la soluzione ai suoi dolori, mettendo da parte Teresa ed escludendola completamente dalla sua vita per una ragazzina che conosceva appena da qualche giorno.

Penso che si sia capito questo mio odio per il personaggio di Brenda attraverso la mia scrittura. Però ho deciso comunque di riappacificare Elena e Brenda perché dopo tutto quel tempo, mi sembrava inutile continuare a mantenere l'odio tra le due, quando Brenda ha dimostrato più volte di essere dalla loro parte. Hanno deciso di ripartire da capo, ma non per questo diventeranno migliori amiche. Inizieranno semplicemente a sopportarsi e a comportarsi civilmente tra di loro, tutto qua.

In campo scolastico, quali sono i tuoi interessi?

Attualmente faccio l'università e studio mediazione linguistica, quindi lingue. Mi ha sempre affascinato riuscire a relazionarmi con persone straniere senza avere l'ostacolo della barriera linguistica. Ora studio inglese, russo e giapponese. Qualche anno fa ho studiato anche spagnolo ma non mi piaceva molto come lingua.

Oltre a questa mia passione, quando ero alle superiori mi piacevano molto materie come la matematica e la fisica, anche se molte persone provano dell'odio nei confronti di queste materie. Ma penso che se si comprendono, sono materie davvero affascinanti.

Come ti è venuta l'idea di dare ad Elena l'abilità di tirare con l'arco?

In quel periodo stavo leggendo Hunger Games e mi sono appassionata così tanto al tiro con l'arco che me ne sono comprata uno e mi sono innamorata di questa pratica. 

Poi volevo anche dare ad Elena la possibilità di partecipare alla battaglia senza necessariamente farla entrare nel cuore della lotta, perché comunque è una ragazzina esile, non è poi così forte fisicamente come potrebbe essere un Gally o un Minho. L'arco mi sembrava un buon compromesso, soprattutto per una persona precisa come Elena. 

Pratichi qualche sport? Se no, quale sport ti piacerebbe praticare?

Nel corso della mia vita ne ho fatti davvero tanti: danza, pallavolo, nuoto, equitazione, ecc... Ma nessuno mi ha davvero appassionato al punto da continuarlo. Quindi attualmente mi tengo in forma facendo palestra a casa.

Però mi piacerebbe praticare Kick Boxing, perché mi affascina molto come sport. Mi piacerebbe provarlo, un giorno.

Nel capitolo dei ringraziamenti hai scritto che farai un altro libro, si può sapere la trama?

Ho un'idea generale, ma ancora non sono ancora convinta di alcune parti. Comunque sarà un libro d'avventura, forse ci sarà una storia d'amore, ma sarà una caratteristica secondaria.

La protagonista sarà una presenza femminile. Ho avuto l'idea per il libro prendendo spunto da una vecchia leggenda cinese, che narra di un uomo che fu maledetto a trascorrere la vita sotto forma di arma e addestrare 100 uomini valorosi e aiutarli nella loro impresa, per poter tornare ad essere uomo.

Leggendo nei commenti, ho notato che una ragazza ti aveva chiesto se sarebbe stato possibile scrivere un mini libro dove raccontavi le cose dal punto di vista di Newt da quando era entrato nel Palazzo degli Spaccati. Lo farai mai?

All'inizio mi era sembrata una buona idea, ma poi la trama ha preso una piega diversa. In realtà nella mia fanfiction c'è poco da raccontare. Newt è stato solo qualche giorno al Palazzo prima che la W.I.C.K.E.D. lo requisisse di nuovo e tutto quello che gli è successo alla sede, in realtà l'ho già raccontato attraverso Newt. Ho preferito spiegare le cose più interessanti e più importanti riguardo il periodo che il ragazzo ha affrontato da solo in questo libro, piuttosto che creare un altro libro e fare solamente quattro o cinque capitoli.

I dottori hanno già spiegato cosa gli è stato fatto, Newt ha raccontato dei suoi nuovi amici Cale e Alicia, delle terapie, degli esperimenti, ecc... Quindi in realtà non c'è davvero così tanto da raccontare.

Hai letto il Palazzo degli Spaccati?

Sì, e mi ha anche distrutto parecchio. Avevo già assimilato la morte di Newt e con quel nuovo libro mi si è riaperta una vecchia ferita. Il libro mi ha colpito particolarmente, perché leggendolo quando si sta vivendo a tutti gli effetti una pandemia in corso, mi sono sentita ancora di più dentro la storia. Non mi aspettavo tutta la drammaticità, tutti i pensieri negativi di Newt e che avesse sofferto così tanto. E riuscire quasi a immedesimarmi data la situazione del mondo attuale mi ha impressionato.

Anche senza aver letto i libri sarebbe possibile scrivere una storia su Maze Runner?

A mio parere sì, avresti già parecchie informazioni da cui partire e potresti colmare i vuoti di trama con la tua immaginazione, come ho fatto io. Però specificherei che la fanfiction si basa solo sui libri, perché alcune lettrici potrebbero rimanere confuse.

Perché la scelta di far morire Gally? Anche se non mi stava proprio simpatico, mi è dispiaciuto molto...

Ho notato come molte persone odiassero Gally e poi, dopo aver letto la sua morte, si sono rattristite. 
E' stata una scelta ardua farlo morire, ma nella mia testa Gally aveva due destini: una morte da eroe o un futuro triste in cui Newt era tornato e quindi avrebbe vissuto ogni giorno della sua vita a vedere la persona che amava con un altro. Per quanto Gally sia sempre stato paziente e abbia sempre accettato questo amore di Elena nei confronti di Newt, con il ritorno del biondino non avrebbe più avuto nessuna chance. 

Mi sono anche immaginata che col trascorrere del tempo, l'amore tra Newt ed Elena avrebbe corroso l'amicizia tra Elena e Gally, portandoli probabilmente ad un punto di non ritorno dove Elena non era disposta a lasciare Newt per Gally e dove il ragazzo non ne poteva più di amare una persona che non lo ricambiava e allo stesso tempo non sarebbe mai riuscito a "direzionare" il suo amore per Elena verso un'altra ragazza. Se fate il parallelismo con la realtà, è difficile che un'amicizia del genere continui e volevo che il libro fosse quanto più reale possibile.

Ho preferito interrompere il destino di Gally e farlo morire da eroe, salvando addirittura la vita di Newt, come a dire "capisco che lo ami e che non riusciresti a perderlo un'altra volta".

Elena è mai stata davvero innamorata di Gally? Lungo la storia Elena sembra quasi "incoraggiare" l'amore che lui prova nei suoi confronti. Perché?

Elena non ama Gally. Ammetto che nel quarto libro, quando Newt non c'era più, la loro amicizia si è intensificata e io mi sono innamorata perdutamente del personaggio di Gally, quindi forse questi miei sentimenti sono traspariti dalla mia scrittura. Ma Elena, in sé e per sé, non l'ha mai amato. C'è una parte dove Elena è molto confusa riguardo ai suoi sentimenti e non sa come interpretarli, tanto che fa anche un incubo al riguardo.

Poi però riesce a comprendere come ancora sia ancorata all'idea della relazione passata tra lei e Newt e di come le manchino tutte quelle attenzioni, i momenti intimi e il sentirsi amata. Cosa che ogni tanto le capita di ritrovare in Gally. E' come se il suo inconscio stesse cercando di ritrovare in Gally tutto quello che ha perso con Newt, ma senza riuscirci, perché è ancora troppo innamorata del biondino e non lo vuole sostituire, perché non sarebbe lo stesso. E' quasi come se fosse innamorata del ricordo di Newt e di quello che aveva con lui e lo proiettasse su Gally perché è l'unico che le dimostra quel tipo di amore.

Capisce che per Gally prova solo tanto affetto e si sente quasi in dovere di proteggerlo perché con la morte di Newt ha capito che le sono rimaste davvero poche persone al suo fianco e che la loro presenza non debba essere data per scontata. Non riuscirebbe a sopravvivere emotivamente se anche Gally diventasse un fantasma come Newt.

Nel quarto libro... Perché Elena parla sempre del fatto che Newt ha un odore diverso? E soprattutto perché all’inizio sembra bipolare? In un capitolo è tutto timido e in quello successivo è paranoico, geloso e schizzato.

Dipende tutto dal trapianto di cervello che Newt ha subito. Il ragazzo parla spesso di come abbia in testa pensieri, ricordi, emozioni che non gli sono propri e anche nei comportamenti è cambiato perché il donatore ha lasciato parecchie tracce che Newt sta imparando a controllare. Anche l'odore è stato molto influenzato, perché Newt non è più completamente se stesso e anche il suo corpo ne ha subito le conseguenze.

Shippo Elena con Stephen... So che si amano in segreto. Vero? VERO?

No, so che è nata la Stephena, ma tra Stephen ed Elena c'è solo un affetto spropositato, un amore fraterno. Hanno un passato comune e sotto molti aspetti hanno sofferto allo stesso modo e quindi si sono avvicinati l'uno all'altra in davvero poco tempo. Rivedono nell'altro se stessi e la cosa li fa sentire meno soli e come se avessero sempre vissuto insieme, un po' come fratello e sorella. 

E poi in un capitolo Stephen lo rende addirittura chiaro, dicendo ad Elena che le vuole così bene che si sente in dovere di proteggerla, come se fosse in tutto e per tutto una delle sue sorelle.

Da dove è venuto fuori il nome vero di Gally, ovvero Ace? E come si pronuncia? Come il succo?

No, si pronuncia "Eis", all'inglese, diciamo. E il nome è stato scelto un po' a caso. L'ho ripreso dal personaggio di One Piece preferito dal mio ragazzo e non appena gliel'ho sentito dire, in qualche modo ho subito pensato alla faccia di Gally e a come quel nome gli donasse. Era un nome particolare, mi piaceva molto e così l'ho scelto.

Ci sarà un quinto libro?

No, non ci sarà un quinto libro per questa saga, ma di certo pubblicherò altre storie!

Ci sono personaggi ispirati a persone reali nella tua vita?

Sì, ho già parlato di Elena e di come sia la mia versione, ma migliorata in tutto e per tutto. Invece ci sono momenti tra Elena e Newt che ho descritto che sono ripresi dalla mia vita sentimentale, come i momenti dove fanno i piccioncini, quando si tengono per mano, le premure del ragazzo nei suoi confronti, i sentimenti che prova Elena... Ho preso molta ispirazione dai miei momenti con il mio ragazzo per rendere la cosa più reale e concreta.

Perché hai dato alla protagonista proprio il tuo nome?

 

Sono pessima con i nomi, ad essere sincera. Odio dover scegliere i nomi per i personaggi, perché finché non ne trovo uno che mi faccia pensare immediatamente alla loro personalità non mi metto l'anima in pace. Quando ho creato il personaggio di Elena ho pensato che l'unico nome che non mi avrebbe mai annoiata sarebbe stato solo il mio. In più anche il fatto che stessi prendendo ispirazione dalla mia persona per costruire il personaggio ha incentivato questa mia scelta.

E perché hai scelto proprio Rebeca?

E' un nome che mi è sempre piaciuto, particolare. Solitamente si trova scritto come Rebecca, con due c, ma ho deciso di cambiarlo. E' un nome che mi ispira dolcezza, ingenuità e premura, quindi l'ho subito ricollegato a Elena e alla sua personalità.

Aggiornami sulla tua vita privata! Età, che scuola fai, se hai trovato il tuo Newtie, se partirai nuovamente per altri paesi o se tornerai in America... Cose così.

20 anni, faccio l'università (mediazione linguistica), ho trovato il mio Newtie (stiamo insieme da ormai tre anni), spero di ripartire una volta finito questo Covid (vorrei andare in Africa) e in America ci vorrei tornare più avanti, quando sarò più grande mi piacerebbe tornarci con un mio eventuale futuro marito. :3

Dove vivi?

Centro Italia, nelle Marche, provincia di Pesaro e Urbino. Qualche lettrice che come me è del centro?

Hai qualche amicizia a distanza?

In Italia ne ho poche, ma sono amicizie superficiali, tipo scambio di meme costante. Fuori dall'Italia invece ho molti amici in America, un'amica in Francia a cui sono molto attaccata, una in Spagna e una in Tailandia.

Colore preferito?

Blu, da sempre, ma mi piace molto anche il giallo. Invece per il vestiario, sempre e perennemente nero, anche se ho vestiti di ogni colore, ma li discrimino ogni volta.

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Il Q&A è finito! Se avete altre domande scrivetemi in privato o commentate qua sotto! Come ho già detto, questo capitolo è per tutte voi, quindi potete anche prenderlo come un capitolo di sfogo o magari per conoscere altre persone, fissate tante quanto voi con la saga di Maze Runner.

Grazie ancora per aver partecipato e per aver letto i miei libri! Mi mancherete  ღ

Sempre vostra,

Elena  ღ

PS: ho cercato di riassumere le mie risposte il più possibile perché è stata una riunione di due ore e ho evitato di riportare i pettegolezzi e i discorsi da fangirl che abbiamo fatto tra noi per non rendere il capitolo troppo lungo.

 

 

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Capitolo 96
*** Ultimo addio. ***


Dopo l'ennesima giornata di lavoro mi avvicinai a casa, ma quando feci per allungare la mano sulla maniglia, degli schiamazzi dall'interno colsero la mia curiosità. Appoggiai l'orecchio alla porta in legno, sorridendo non appena riconobbi le risatine dispettose e le voci. Elizabeth era di nuovo entrata in casa per giocare con le amiche e, nonostante le avessi ripetuto più volte di non mettere troppo la stanza sottosopra, già potevo immaginarmi il casino che le ragazze avessero lasciato.
Scossi la testa, sospirando e girando finalmente la maniglia, entrando in casa con un sorriso esausto, ma pur sempre comprensivo. Tuttavia, quando le ragazze si accorsero della mia presenza, si bloccarono, irrigidendosi immobili e avvicinandosi tutte come a coprire un qualcosa dietro di loro. 

Sollevai un sopracciglio, notevolmente insospettita dal loro comportamento, ma quando feci per parlare Elizabeth mosse un passo avanti, evitando colpevole i miei occhi e arrossendo un poco. "Scusaci..." borbottò insicura, per poi alzare lo sguardo su di me, l'espressione in volto triste e pentita. "So che non vuoi che frughiamo tra le tue cose, ma volevo scoprire cosa avevi nel baule e..."
Mi bloccai sul posto, sentendo una fitta al petto. La terra sotto i miei piedi sembrò tremare, pronta ad abbandonarmi nel vuoto quando mi sentii deprivare di ogni certezza. Erano anni che non aprivo il baule, che lo evitavo addirittura con lo sguardo.

Mi scossi di dosso le pessime sensazioni e cercai di sorridere alla ragazzina, fingendomi tranquilla. "Oh, fa nulla." accennai, chiudendo la porta dietro di me. Abbandonai la borsa da lavoro sul letto di Newt e mi avvicinai a Elizabeth, osservando sorridente Adelle e Julia. "Beth, perché non andate a vedere quanto manca per la cena?" proposi, accarezzandole i capelli e vedendola mordicchiarsi il labbro, ancora visibilmente preoccupata per me. In quei momenti mi sembrava di avere la versione femminile e più piccola di Newt in casa. Averli entrambi vicino era come avere a che fare con due sosia. A volte mi facevano uscire di testa.

La ragazzina però lasciò perdere la questione, mostrandosi per l'ennesima volta tanto saggia quanto suo fratello, e richiamò le due amichette, che mi salutarono timide per poi uscire insieme dalla porta e richiuderla dietro di sé.
Rimasi per un po' a fissare le assi di legno e la maniglia, prendendo un bel respiro e cercando di trovare la forza in me per girarmi verso quell'angolo della stanza.
Erano passati anni eppure ancora non riuscivo ad accettarlo. 
Mi morsi il labbro, portando una mano sul volto e chiudendo gli occhi. Mi voltai, il cuore in gola e il respiro mozzato. Feci un passo in avanti, due, poi sollevai le palpebre pesanti e lo vidi.
Il baule, completamente spalancato, mostrava gli oggetti che una volta erano posizionati in modo ordinato al suo interno, ora per metà messi alla rinfusa. 

Mi inginocchiai davanti a esso, raccogliendo con calma la sua borsa con gli attrezzi, ripiegando con cura le sue magliette sparse sul pavimento, e soffermandomi sulla piccola bussola che di tanto in tanto lo vedevo cavare durante le nostre battute di caccia. Mi ero sempre chiesta da dove l'avesse trafugata e avevo sempre desiderato averne una anche io, ma ora che lui era morto non riuscivo a dare a quegli oggetti una seconda vita. Non che avessi nemmeno più avuto il coraggio di andare a caccia senza di lui, certo. Mi ero limitata a fare la Medicale a tempo pieno, abbandonando il mio arco sui chiodi al muro come fosse un trofeo. 

Dopo aver eliminato anche l'ultima sede della W.I.C.K.E.D. e aver lanciato la mia ultima freccia contro una delle tante guardie che aveva opposto resistenza, mi ero giurata di non prendere mai più in mano un'arma, se non per difendere le persone che amavo e che mi erano rimaste.
E fino a quel momento la cosa mi era servita per tenere a bada i ricordi, sia quelli brutti che quelli belli.
Ma ora, con quel baule aperto, mi sembrava quasi di aver riaperto anche una vecchia ferita. 
Afferrai una delle sue felpe e forse per automatismo, forse per farmi del male, me la portai sotto il naso, inspirando a fondo tanto curiosa quanto speranzosa. Sotto il primo strato d'odore di chiuso, le mie narici riuscirono anche a captare qualche briciola ancora rimasta del suo odore. Non sapevo se la cosa fosse possibile dopo quasi sei anni dalla sua morte, ma me lo feci bastare.

Immaginazione o realtà, ai miei sentimenti importava poco. Sentii una lacrima bagnarmi la guancia mentre, con una calma rivestita d'ansia, ripiegai anche quel capo e lo riposi insieme agli altri, rimettendo a dormire i miei ricordi con essi. Il groppo alla gola aumentò quando notai le sue scarpe ancora sporche di terra, abbandonate sopra i suoi attrezzi da lavoro.
Lottai contro il groppo alla gola, ma non riuscii a richiudere il baule, aggrappandomi al suo bordo e sentendo scendere un'altra lacrima silenziosa.
A volte mi sembrava ancora di vederlo girare per il Posto Sicuro, altre volte lo riconoscevo nel volto di altri, almeno finché non strizzavo gli occhi sbigottita e tutto tornava normale. Lo sognavo, di tanto in tanto, e quando Elizabeth mi chiedeva di lui, troppo affezionata per riuscire a dimenticarsene, mi sentivo derubare di un pezzo di cuore.

Inspirai a fondo, sentendo il nero pesante e viscido farsi strada nel mio cuore, trascinandolo a terra come un palloncino sgonfio. 
Sentii la porta aprirsi dietro di me, ma non mi servì girarmi per capire che fosse Newt. I suoi passi erano talmente familiari per me, da annunciare ogni volta la sua presenza. Sentii il ragazzo bloccarsi sulla porta, poi muoversi all'interno e richiudere la stanza. "Hey, abbracciatrice..." mormorò preoccupato, muovendosi vicino a me. Quando mi vide bloccata contro il baule ancora aperto, incapace anche solo di respirare, si inginocchiò accanto a me, circondandomi con un braccio e attirandomi a sé.
"Malinconia?" domandò cauto, lasciandomi un bacio sulla fronte.

Annuii, lasciando cadere un'altra lacrima. Non riuscivo a permettere alle emozioni di tornare a galla, non potevo permettermelo. "Vieni, vieni qua, su." borbottò, sollevandomi delicatamente e portandomi a sedere tra le sue gambe, stringendomi a lui come si fa con un neonato. Mi baciò nuovamente la fronte, asciugando con le mani le mie lacrime e accarezzandomi la guancia.
Il ragazzo rimase per un po' fermo con la schiena contro il baule, cullandomi a destra e a sinistra per calmarmi e dandomi il mio tempo per trovare l'uscita da tutto quel nero che mi stava inghiottendo di nuovo.
"Quando pensavi che Tommy mi avesse ucciso," iniziò il biondino, improvvisamente sicuro delle sue parole. "come hai fatto ad andare avanti?" domandò.

Mi inumidii le labbra e tirai su col naso, realizzando che la malinconia se ne fosse un po' andata. Il nero sembrava stesse iniziando a ridimensionarsi, lasciandomi con addosso una sensazione di stanchezza indescrivibile, come se avessi pianto per ore. "Ho pianto. Poi ho scritto una lettera." ammisi, ripercorrendo quei giorni così distanti.
Gli accarezzai i capelli lunghi che il ragazzo stava cercando ormai di far crescere da un anno. Infilai le mie dita attraverso le sue ciocche, pettinandoglieli anche se non ce n'era davvero bisogno, ma mi aiutava a focalizzarmi sui miei pensieri.
"Davvero? Una lettera?" chiese improvvisamente curioso. "Non me ne hai mai parlato. La posso leggere?"

Scossi la testa, sorridendo appena. "No, Newt. L'ho bruciata. Era il mio modo di porre la parola fine e cercare di andare avanti." spiegai. "E dopo aver fatto quello ho escluso tutti per un po'. Mi sono rintanata in me stessa, poi mi sono tagliata i capelli e ho cercato di iniziare da capo. Di nuovo. E poi..."
"Frena." borbottò confuso il ragazzo. "Non cercare di sviare la domanda. Cosa c'era scritto nella lettera? Ora sono curioso." 
Mi morsi il labbro, indecisa se ripercorrere ad alta voce le parole che anni prima avevo buttato su foglio, ma che rimanevano impresse nella mia mente come fossero tatuaggi. 
"Suvvia, dopotutto era intestata a me, no?" brontolò il ragazzo, facendomi ridacchiare e alzare gli occhi al cielo.

"Okay, okay. Basta che non ti metti a piagnucolare." lo sbeffeggiai, sentendo la felicità farsi piano piano strada nel mio cuore. "Non mi ricordo le parole esatte, ma" mentii, abbozzando un sorriso. "avevo parlato di come fosse difficile svegliarsi la mattina."
"E poi?" incalzò lui.
"Poi ti avevo confidato di vederti spesso in sogno, di pensare a te quando il mio sguardo si posava su qualsiasi cosa. Ti avevo parlato di come fosse difficile andare avanti, di come sentivo distanti anche quelli che prima erano miei amici. Ti avevo scritto di essermi persa e di non riuscire più a ritrovare me stessa, ora che la parte più importante di me era morta insieme a te. Ti avevo pregato di aspettarmi, perché un giorno ti avrei potuto finalmente rincontrare e ti avevo chiesto di continuare a guardarmi dall'alto e proteggermi."

Il ragazzo mi strinse ancora di più a sé, gli occhi innamorati completamente persi nei miei. Gli sorrisi, accarezzandogli una guancia per poi tornare a giocare con le sue ciocche biondo cenere. "E mi ero arrabbiata. Tanto. Credo di non averti mai odiato così tanto come ho fatto quella volta." spiegai, destabilizzandolo. "Credo proprio che fosse perché ti amavo così tanto che non riuscivo a comprendere come te ne fossi potuto andare in quel modo, senza lasciarmi una caspio di lettera o un messaggio. E il mio unico modo per accettare la cosa, incoerentemente era proprio attraverso l'odio. Se ti odiavo potevo allontanarti e sentirmi meno peggio, ma poi così non è stato. Nella lettera mi incolpavo, ti chiedevo cosa ti avesse spinto così lontano da me, tanto da rifiutare il mio aiuto, la mia presenza accanto a te. Non capivo perché avessi avanzato quella richiesta a Thomas, perché non me ne avessi parlato prima ed ero convinta che fosse perché sapevi che ero debole e che sarei crollata."

Mi grattai il naso, reprimendo l'ansia. "Poi dopo qualche giorno da quella lettera ho scoperto che non era così e che in realtà non me lo avevi detto perché mi credevi talmente forte e testarda, che sapevi che in qualche modo ti avrei convinto a non farlo. Ma lì per lì, mentre scrivevo e piangevo su quella benedetta carta, ti puntavo il dito contro, lo puntavo contro me stessa per averti lasciato andare, per non averlo predetto." ridacchiai nervosa, scuotendo la testa. "Ripensandoci, era una cacchio di lettera del caspio da scrivere, ma mi ha aiutata ad avere maggiore controllo sulle mie emozioni. Averle lì, scritte su carta, sembrava quasi darmi la sensazione di averle in pugno, di essere io a manovrarle e a vederci chiaro."

Scossi la testa, ripercorrendo l'ultimo paragrafo della lettera, ancora impresso nella mia memoria. "Poi come una scema mi ero sentita in colpa e mi ero scusata delle cattiverie che ti avevo detto e avevo pianto. Ho cancellato un paio di righe, ci ho riscritto sopra e ho pianto di nuovo. Ti ho ricordato di una vecchia promessa che mi avevi fatto, te la ricordi? Quando al Palazzo degli Spaccati mi avevi chiesto di continuare a vivere e a lottare per entrambi come se fossimo ancora insieme."
Quando Newt con mia sorpresa annuì convinto, un sorriso solcò spontaneo le mie labbra. C'erano poche cose così dettagliate che Newt riusciva a ricordare sul nostro passato, ma scoprirle di tanto in tanto insieme a lui mi donava una felicità fuori dal comune.

"Ti ho promesso, anzi, ti ho scritto che l'avrei fatto o che ci avrei provato, per lo meno. Poi mi ero chiesta se alla fine lassù avessi ritrovato gli altri, sai? Chuck, Alby, Jeff, Winston, Ben... Ti ho chiesto se fossi felice per aver ritrovato insieme a loro quei giorni ormai persi e ti ho chiesto di salutarli da parte mia, di dire loro che mancavano a tutti." continuai, inghiottendo un groppo di saliva. "Ho concluso dicendo che ti avrei sempre portato con me, ovunque. Saresti per sempre rimasto nel mio cuore, anche se il tempo ne avesse cancellato le emozioni, e nella mia mente, anche se col passare degli anni mi sarei scordata del tuo volto e del tuo naso a patata. Ti ho assicurato che ti avrei portato con me anche fisicamente, dato che da poco avevo avuto la notizia di essere diventata zoppa, proprio come te. A ripensarci è una buffa coincidenza. Non credi? Allora avevo creduto che fosse il tuo modo strano per rimanere con me, per assicurarmi della tua presenza nella mia vita. Ma ora, forse, è stata davvero solo una stranezza."

"Ma ti ha aiutata, no?" chiese lui, scuotendo la testa. "Questa convinzione ti ha spinta a continuare a vivere ogni giorno anche per me."
Annuii convinta, sorridendogli innamorata. "E ora sei di nuovo qua tra le mie braccia."
Lo vidi sorridere imbarazzato e arrossire leggermente, come se fossero ancora i primi mesi da innamorati. 
Il ragazzo parve pensarci su a lungo, poi mi guardò e disse: "Forse dovresti smetterla di reprimere il passato, i ricordi e tutto il resto, sai?"
Lo guardai confusa e quello bastò per farlo continuare nella sua spiegazione. "Accettare il passato non significa archiviarlo per poi non portarlo più in superficie. Significa riuscire a portarlo sempre con sé e imparare ogni giorno da esso." borbottò lui, grattandosi la fronte come a stimolare le idee in testa. "Credo che... Lui vorrebbe che lo portassi tutti i giorni insieme a te e non che lo nascondessi in un baule come uno scheletro nell'armadio."

Inspirai a fondo. "Forse dovrei anche smetterla di guardarvi in modo truce quando lo nominate." ridacchiai, cercando di ricacciare indietro le lacrime prima che minacciassero nuovamente di sfuggire al mio controllo. "Gally. Capitan Gally." sussurrai, accarezzando il bordo del baule.
"Dopo sei anni fa ancora male." decretai.
Sentii Newt sospirare e depositarmi un bacio sulla fronte. "Da quel giorno sono cambiate molte cose. Tu più di ogni altra." asserì il biondino. "E credimi, non necessariamente è una brutta cosa, ma a volte mi chiedo se ti obblighi a non far tornare la vecchia Eli o se semplicemente l'hai seppellita anni fa e hai voltato pagina."
Mi morsi il labbro, incapace di rispondere. Mi mancavano certe cose del mio passato, dovevo ammetterlo. Andare a caccia era una di quelle, ma la sola idea di riprendere in mano quell'arco e vedere i volti delle persone che avevo ucciso fissarmi pallidi mi tormentava.

"La caccia." borbottai. "Mi manca andare a caccia con Gally." 
Newt annuì, lanciando un'occhiata alla mia arma appesa al muro. "Ed è strano, ma mi manca anche un qualcosa che non posso ricordare." ammisi, vedendo Newt aggrottare le sopracciglia. "Kurt mi ha raccontato qualcosa del mio passato con Ace." scossi la testa, come a riprendermi. "Gally, intendevo dire Gally."
"E?" insistette il biondino, togliendomi una ciocca dal volto.
"Mi ha detto che spesso quando eravamo piccoli avevamo inventato questa specie di nascondino dove uno dei due si nascondeva nel bosco e l'altro doveva cercarlo. La cosa bella e particolare era che come indizi usavamo i diversi cinguettii degli uccelli. Da piccoli eravamo soliti ascoltare le voci degli animali e col tempo ne avevamo memorizzati diversi." spiegai con calma. "Kurt diceva che usavamo questo gioco anche quando non volevamo essere trovati da nessuno, se non dall'altro. Ci rintanavamo nel bosco e usavamo il richiamo solo quando volevamo che l'altro ci trovasse."

Newt esitò qualche istante. "Be', è un bel gioco, ma purtroppo non conosco i canti degli uccelli, quindi non credo lo potremmo riprodurre." mormorò imbarazzato, grattandosi la nuca. "Però, potresti riprendere a cacciare, quando te la senti."
Lo sentii inarcarsi all'indietro e sporgersi verso l'interno del baule per poi afferrare un qualcosa e lasciarmelo cadere in grembo.
Osservai l'oggetto curiosa e quando notai che fosse la bussola, un sorriso solcò le mie labbra. "Ecco qui." mugugnò il ragazzo. "Così porterai anche lui a caccia con te."
"Sono cose che mi mancano, ma non so se..." mi bloccai. "Ho paura di quello che potrebbe portarmi il ripercorrere i vecchi passi. Non so se mi piacerà più, se lo sentirò più mio o se..."
Newt scosse la testa, sorridendomi gentile e stringendomi ancora di più a sé. "Lo scoprirai provandoci, Eli." mi rassicurò. "E se qualcosa dovesse andare storto, puoi pur sempre abbandonare la caccia e trovare altro da fare. Ma ne sarà valsa la pena."

Annuii indecisa, pensandoci su a fondo. Ben sei anni prima avevo dato l'ultimo addio a Gally, ma non ero mai riuscita ad accettare completamente la sua morte. Ora invece stavo addirittura prendendo in considerazione l'idea di rivivere il mio passato, cosa che per anni avevo cercato di cancellare dalla mia mente. 
Ma forse Newt non aveva tutti i torti. Gally meritava di più di un vecchio e maleodorante baule. Avrei davvero voluto portarlo con me nella mia vita di tutti i giorni. Vivere i miei momenti con lui, anche per lui.
Forse ne valeva davvero la pena.
Forse quello di sei anni prima non era stato davvero l'ultimo addio.

*Angolo scrittrice*
Ragazze questo è definitivamente l'ultimo capitolo di questa storia! Qua sotto trovate anche il video finale che ho postato su YouTube. Fatemi sapere cosa ne pensate! :3

https://www.youtube.com/watch?v=-5BqzpJXKHE

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