Memorie di uno studente scapestrato

di rocchi68
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap 1 ***
Capitolo 2: *** Cap 2 ***



Capitolo 1
*** Cap 1 ***


A scuola era sempre stato un asino.
Non che si fosse mai impegnato per studiare o avesse mai pregato i professori di una grazia, ma quello era un dato di fatto.
Qualsiasi animale con un pizzico di cervello avrebbe superato, almeno sul piano dell’intelletto puro, quel ragazzino che prendeva a calci il suo zaino per farlo entrare in classe. E, dopotutto, era sempre la sua borsa, la prima a superare il cancello e poi la porta della sua sezione, lamentandosi al contempo di arrivare alla ricreazione con una merenda spiaccicata e che nemmeno le formiche avrebbero degnato di attenzione.
Era il tipico cane che si mordeva la coda, anche se di luoghi comuni quel giovanotto era assai pieno.
Sospingere un mulo su per quell’irta salita sarebbe stato molto meno faticoso, sempre preoccupati, tuttavia, che un calcio all’indietro andasse a posarsi laddove non batteva il Sole.
Francamente non aveva grossi motivi per odiare la scuola. Doveva alzarsi all’alba, prepararsi la colazione, prendere l’autobus scassato, covo di ogni forma di batteri, scendere nervoso e privo del classico ombrello che lo esponeva al giudizio Universale e lamentarsi di quell’unico isolato che talvolta gli ricordava di non aver cancellato nessun compito dal suo diario.
Era tutto il contorno a creargli qualche fastidio.
Non capiva perché dovesse impegnarsi, perché dovesse studiare o perché dovesse cercare la promozione senza incappare in scappatoie al limite della legalità.
E qui si apriva il baratro più profondo.
Amici miei, da quando erano iniziate le medie, lui era sempre stato sulla graticola.
Dando un nome a questo sfortunato essere vivente, vi informo che prima di questa giornata, Scott Black si era fatto una promessa che menzioneremo poi.
Quando si veniva promossi ecco che i vari prof ti salutavano con i migliori onori, con qualche pacca sulla spalla o con dei consigli da far impallidire i psicologi di percorso.
Era quando s’imbattevano in Scott o nel suo miglior amico, un punk dall’aria ben poco rassicurante, che ringoiavano tutte le loro belle parole. Questi due erano sempre passati con il canonico calcio nel sedere e solo attraverso una fessura che era grande come la tipica cruna dell’ago.
Arrivavano a marzo con una media orrenda, si sforzavano per due mesi scarsi, convincendo, di volta in volta, i prof che quello era un miracolo irripetibile e che dall’anno seguente quelle zucche vuote sarebbero rimaste a casa. A settembre, invece, li trovavano presenti nell’odiato registro ed erano in ultima fila a fissare l’incantevole panorama che si stendeva maestoso dalla finestra alla loro sinistra.
Erano degli abili arrampicatori: passavano dalla media più bassa in assoluto e arrivavano a un sei talmente tirato che poteva spezzarsi in ogni istante.
E fin da bambini ne avevano passate tante insieme, ma tutte le volte arrivavano alla promozione con immenso sollievo dei propri parenti.
Scott non aveva una materia precisa in cui andava bene o che potesse essere degna della sua attenzione.
A marzo, quando veniva esibita l’ultima pagellina, era più facile chiedergli se ci fosse qualche materia sufficiente, piuttosto che contare le sue sfilze di quattro o cinque (quando si era fortunati ovviamente).
Erano solo i tre secchi e senza appello a farla da padrone in quel foglio che era fissato nella bacheca e tra Scott Black e Duncan Nelson vi erano almeno altri sette o otto ragazzi che si sforzavano come dannati.
Miti incrollabili spingevano gli altri a chiedersi come fosse possibile un recupero simile, senza corsi di recupero estivi e alcuni, i più sciocchi ovviamente, avevano preso a imitarli, ritrovandosi poi con una bocciatura che sapeva di presa per i fondelli.
Com’era possibile che loro riuscissero a migliorare così e a passare in soli due mesi, quando gli altri trainavano la carretta per tutto l’anno scolastico?
A questa domanda e a molte altre, né Scott, né Duncan riuscivano a dare una risposta precisa, riconfermandosi impreparati in quella lezione come in tante altre che avevano patito sulla loro pellaccia.
Il vero miracolo, però, era ben nascosto e si presentava sotto forma di lividi che erano costretti a coprire con la dovuta attenzione. Nessuno doveva sapere che la madre di Scott e il vecchio Greg Nelson, bastonavano i loro adorati figlioli per spingerli a portare a casa una promozione che fosse motivo di orgoglio.
 
Per le medie e le superiori aveva seguito la sua tipica tradizione da asino.
Crollava, ragliava, si rifiutava di seguire la strada degli altri e restava impalato, mentre i professori cercavano di inculcare in quella testolina qualche formula o nozione scientifica.
Erano la primavera e le botte ricevute da sua madre a risvegliarlo dal torpore.
Infilava una serie di verifiche e interrogazioni discrete, si mostrava partecipe e strappava la promozione.
Ormai quello era il suo percorso e spesso con Duncan stabiliva in anticipo quale dovesse essere il giorno X da cui ricominciare.
Fino al 15 di marzo erano degli stupidi, ma scattata l’ora decisiva, ecco che tutte le nozioni uscivano come per magia. Accumulavano, immagazzinavano per volontà divina e poi la loro bocca faceva uscire informazioni che nemmeno i secchioni riuscivano a memorizzare.
E loro non erano mai stati attenti in vita loro.
Se non prendevano in mano un libro da settembre, non cambiavano le materie della cartella dallo stesso mese e non seguivano i professori, ecco che il tutto era avvolto da uno strano alone di mistero.
Era una cosa impossibile: roba da farli entrare con la forza a qualche seduta per analizzare il loro cervello letargico.
E arrivati alle superiori e strappata la maturità, Scott si era fatto una promessa.
Sarebbe andato comunque all’Università, tanto per provare, e di certo non avrebbe più messo piede in quel liceo che per oltre otto anni, cinque delle superiori e tre delle medie, aveva visto il suo zaino preso a calci all’inverosimile.
Una promessa fatta durante un falò, giusto per tributare ai libri delle superiori il giusto onore, e condivisa con l’amico fraterno. Tuttavia, qualche anno più tardi, lo stupido punk aveva varcato nuovamente il cancello e Scott, scrollando le spalle, aveva ammesso che non era una così grave perdita e che sarebbe stato l’unico a rispettare quella famosa parola.
Aveva resistito alla tentazione delle rimpatriate organizzate dalla scuola, aveva evitato tutte le strade che potessero riportarlo verso quell’irta salita e non era più montato sull’autobus linea 4 che era il migliore per raggiungere il centro.
Poi, però, la sfortuna o quell’asino che aveva abbandonato lungo la strada tortuosa dell’Università, gli avevano rifilato un calcio nel didietro e l’avevano costretto a varcare la porta del vecchio liceo.
 
Era pieno marzo.
Un periodo come un altro per rientrare in quella vecchia scuola di cui aveva ricordi, nonostante tutto, abbastanza piacevoli.
Ricordava quando con Duncan aveva completato una ricerca sugli anfibi, vivisezionando una rana e ottenendo un bel voto da parte della vipera Blaineley.
L’immagine di Owen che dava di stomaco poco lontano e che rovinava il libro di Noah era ancora vivida nella sua memoria. E come dimenticare le sfide infinite tra Brick e Jo che culminavano sempre in un nulla di fatto e che doveva, almeno in classifica, vederli appaiati?
Difficilmente avrebbe scordato Chef che imprecava contro le nuove leve che non si sforzavano a sufficienza nei suoi cento piegamenti o che s’incastravano nel quadro svedese.
Di Chris McLean avrebbe ricordato il noto aspetto teatrale con la crudeltà a sprizzare da tutti i pori e che poteva essere paragonabile a qualche re malvagio di shakespeariana memoria.
Ve ne erano altri di cui non ricordava più nulla, anche se in contemporanea riceveva l’assist di televisioni e giornali.
Per esempio sapeva che Dakota era diventata una modella dal discreto successo, che Anne Marie era riuscita a diventare una cantante e che Sam era campione nazionale di videogame.
Altri ancora facevano parte della sua vecchia compagnia: quella che si sopportava dal primissimo anno delle superiori e che anche ora incontrava per qualche birretta in qualche pub.
Di Mike e Zoey sapeva che si erano sposati, ma che non avevano ancora intenzione di allargare la famiglia, sempre che non si trattasse di un qualche cane pulcioso. Anche perché a quasi trenta anni non c’era motivo di preoccuparsi di culle, pannolini, pappe e influenze.
Duncan era appiccicato e marcava stretto quella strega pestifera di Courtney che, talvolta, avrebbe preferito un comportamento meno rozzo e più romantico.
Per questo e per altri assurde coincidenze, nelle varie uscite, lui era l’ago della bilancia.
Doveva schierarsi con l’ala maschile, passando per un opportunista e litigando con le donzelle o era meglio stare dalla parte di Zoey e rischiare una ripercussione minima?
Se avesse avuto qualcuno da disturbare oltremisura, allora non si sarebbe nemmeno posto il quesito.
Sentiva ormai di essere troppo vecchio e che perfino l’asino che era dentro di sé, aveva trovato una compagna degna di questo nome.
Era un po’ tardi e, grattandosi la nuca, aveva varcato il grande portone d’ingresso.
 
Ora conoscete la sua promessa, ma non sapete il motivo per cui era costretto a rimangiarsi ogni cosa.
Per sua sfortuna non era figlio unico: si passava una quindicina di anni da sua sorella Alberta ed essendo impegnata al lavoro con il marito, aveva preteso che il fratello andasse ad ascoltare i vari colloqui per sapere dell’andamento del giovane Paul.
Perché dovete sapere, amici miei, che Scott e Paul avevano in comune l’asino.
Faticavano come dannati, facevano disperare i prof, anche se il nipote era molto più furbo e forse intelligente dell’adorato zio.
Non partiva da marzo come un pazzo isterico, ma pensava sempre alla prima settimana di gennaio come giro di svolta. Come direbbero certi anziani da cantiere sotto casa: anno nuovo, vita nuova. Anche se nello studio un simile concetto era cancellato con un semplice colpo di spugna.
Guardate le macchinette che elargivano la merenda agli sfortunati scolari, Scott si sedette su una sedia e rimase lì per qualche secondo a contemplare il nulla cosmico e a meditare su quali professori dovesse incontrare.
Ricordava una veloce chiacchierata con la prof di musica, quindi con quello di ginnastica e infine quella di scienze.
Gli altri erano già stati visitati dalla sorella in precedenza e per quel pomeriggio non aveva altre seccature da disturbare.
Nel suo cercare le varie sezioni, passò davanti alla vecchia classe in cui aveva fatto parecchi danni.
Ricordava la lavagna crepata in un punto, un banco segnato dal suo coltellino svizzero e altre cazzate che erano andate incontro a una specie di multa e a un’altra serie di mazzate dalla madre.
Nell’entrare nell’aula deserta, davanti a lui comparve la sua vecchia classe come riunita.
Erano quattro file in tutto da cinque ciascuna (venti banchi più cattedra per quelli scarsetti in matematica) con Cody e Sierra più verso la finestra e Lindsay e Beth, quindi, a sinistra della prima linea. Nel centro prefetto ecco sorgere l’immagine del giovane Harold, di cui, purtroppo, aveva il ricordo spiacevole della morte.
Se ne era andato durante il quarto anno, quando era stato investito sulle strisce da qualcuno troppo ubriaco per rallentare e per accorgersi di quell’esile studente.
La ragazza che era con lui in quell’istante, tranne per una ferita sul ginocchio, ne era uscita praticamente incolume e Leshawna era pronta a giurare che il compagno l’avesse spinta, prendendone il posto.
Da quel giorno la giovane che apriva la seconda fila non fu più la stessa e per diverso tempo rimase nella più totale apatia.
Vicino a lei si era messo il super belloccio Justin con la speranza che la sua sola visione fosse sufficiente per porre rimedio a quel tragico lutto. Tuttavia anche quest’ultimo ne aveva sofferto irrimediabilmente: Harold era membro e vice leader della loro band musicale.
Senza i suoi testi, la sua fantasia e con il ricordo dei suoi tentativi d’imbracciare la chitarra di Trent, quella soluzione era stata un enorme buco nell’acqua.
Nel centro vi era l’immagine prima di Ezekiel, bocciato durante il secondo anno, di Tyler che ripercorreva quasi le stesse intenzioni di Duncan e Scott riguardo all’asino ragliante, e poi da una ragazzina di cui il rosso aveva dimenticato nome, cognome e aspetto fisico.
Nell’estrema sinistra rispetto alla cattedra, il rosso scorse i magheggi e i piani di Alejandro e Heather e sorrise nuovamente per quell’insolita immagine.
Dietro questi abili manipolatori salutò con lo sguardo Sam, impegnato con il suo videogioco che nascondeva dietro alla barriera insuperabile di diario e astuccio e, quindi, Dakota che, come sempre avrebbe snobbato i suoi tentativi d’integrazione.
La terza fila era quella più distratta dell’intera aula, ma non era quella che più rischiava una stroncatura atroce. Anne Marie era impegnata a messaggiare con il cellulare, Trent scribacchiava sul suo quaderno alcuni pentagrammi e alcuni testi e Gwen leggeva gli elaborati del fidanzato con attenzione, fungendo da critica.
In ultima vi era la fila dell’asino.
O forse è meglio dire che era la fila dove era più evidente la presenza dell’asino, dato che solo due ragazzi su cinque faticavano a mantenersi sulla linea di galleggiamento.
Sarebbe ottuso fare di tutta un’erba un fascio e sarebbe alquanto ingiusto nei confronti di chi, come Mike, Zoey e Cameron s’impegnava per bilanciare la cieca considerazione di quella fila sfortunata.
Beh si può anche dire che alla luce dei cinque anni successivi alla Maturità, la loro classe non fosse poi così legata alla fortuna.
Harold, come vi ho detto pocanzi, era stato investito e ed era finito in coma prima di andarsene per sempre, Cameron era morto a causa di un male incurabile, Ezekiel aveva tentato il suicidio e altri delle classi vicine non erano usciti con le ossa tutte al loro posto.
Ma per non esagerare nel calcolare la sola sventura di quel liceo, Scott cercò di cancellare quei pensieri contorti e uscì dall’aula.
Aveva, quindi, raggiunto la classe della prof di musica e dopo essere stato rassicurato sulle abilità canore e non del nipote, aveva riassaggiato i vecchi ricordi.
“Come dimenticare quel pomeriggio dove avete manomesso il pianoforte.” Commentò la donna, facendolo sorridere e sfiorando uno dei grandi tasti bianchi.
“Io e Duncan abbiamo rischiato seriamente l’espulsione per quel pezzo d’antiquariato.”
“Se non sbaglio, dicevi che non avresti più rimesso piede qui dentro.”
“Parla con mia sorella e vedi che ti combina.” Ringhiò, leggendo le votazioni del nipote in quella materia che per lui, in passato, era stato sinonimo di fallimento.
Ai suoi tempi c’era un prof strabico che lo sbatteva fuori a ogni santa lezione e solo perché non riusciva a suonare a tempo con gli altri. Ottima occasione per passeggiare liberamente per la scuola con la compagnia di Duncan e magari di quell’Ennui che chissà dove si era cacciato.
“Lo sai che in questa scuola ci sono tanti della nostra vecchia compagnia?”
“Tipo?”
“Ti ricordi quello che gareggiava con Brick e Jo?”
“Sono pessimo con i nomi.”
“Beh ora insegna ginnastica a quelli delle medie.”
“Chi?”
“Il nome Lightning ti dice niente?”
“Dovrebbe?” Chiese, prendendo il cellulare in mano e leggendo l’ultima notifica che gli era arrivata.
“Non sei venuto per parlare con un certo prof Grunge?”
“Precisamente.”
“Lightning Grunge…peccato che sia malato e nessuno conosca le sue votazioni.”
“Questo sì che è un peccato.” Commentò ironico, calcolando di aver guadagnato almeno quindici minuti con quell’assenza.
“E se non ti muovi, anche la prof di scienze andrà via prima che tu possa parlarle.”
“A che ora?”
“Hai ancora una mezzoretta.”
“Ho ancora un po’ di tempo.” Nicchiò, scrollando le spalle.
“E non ti ho detto che è una tua ex compagna di classe.”
“Chi? Stacy la contaballe?”
“Stacy era in un’altra sezione e le sue inventate relazioni con personaggi famosi sono molto più assurde delle manie di Izzy.”
“Ne sai qualcosa?” Domandò, insinuando la possibilità che fosse anche lei su quella direzione.
“Sono entrambe in un centro di recupero mentale e comportamentale.”
“Questa era la strada che sarebbe toccata anche a me e Duncan se non fossimo cresciuti.” Annuì Scott, scribacchiando qualcosa su un foglietto che poi avrebbe confrontato e inserito nella sua agenda.
“Il tuo amichetto è una vera rottura.”
“Mai pensato di bastonarlo un po’?” La interrogò, cercando le parole migliori per quell’appuntamento che avrebbe dovuto aggiungere alla sua agenda.
“Perché dovrei?”
“Perché era così che il vecchio Greg Nelson otteneva la promozione del figlio.”
“Grazie per avermelo detto.”
“È da quando, però, ha avuto quell’infarto che Duncan desidera renderlo orgoglioso. Forse sentiva già a pelle che stava sbagliando e che non era un buon motivo per continuare così.”
“Lo so.”
“Ma non parliamo di questo: non sono così vecchio da parlare degli anni passati.”
“Parliamo del fatto che sei ancora single?” Chiese Courtney, facendolo sussultare.
“A che ora hai detto che finiscono i colloqui?”
“Venti minuti.”
“Allora sono in ritardo: alla prossima Courtney.”
“Se vengo a sapere che hai rotto qualcosa in questa scuola, ti massacro.” Lo minacciò, prendendo un righello e agitandolo per aria manco fosse una spada.
“Consideralo fatto.” Replicò divertito, avviandosi verso il laboratorio di scienze, luogo dove si aspettava di trovare la prof del colloquio.






Angolo autore

Ryuk: Quando mai abbiamo detto che saremmo stati puntuali?

Nella tua ultima storia.

Ryuk: Perchè questo studente mi ricorda qualcuno?

Non saprei. Forse perchè in ogni classe c'è almeno uno studente che non si applica.
Come se fosse colpa sua e non dei professori che annoiano.

Ryuk: Manca un solo capitolo, vero?

Potrebbe...
 

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Capitolo 2
*** Cap 2 ***


Malediceva l’idea di essersi preso le ferie in quelle settimane.
Sua sorella aveva preteso quel favore da nulla e lui stesso, annoiato e senza impegni, aveva finito con l’accettare.
Perché non erano andati i suoi genitori?
Da quando doveva essere uno zio asino a presentarsi ai colloqui?
Perché doveva essere il ritardatario cronico a occuparsi di un colloquio quando sarebbe stato chiaro a chiunque che era già un miracolo se fosse stato presente?
Era davvero necessario ricordare quanto era accaduto durante il quarto anno, quando stava per farsi investire dall’autobus della settimana bianca perché arrivato con i secondi contati?
E pensare che Chris, il vecchio stramaledetto McLean, era stato chiaro: se alle 7 e 31 qualcuno non era a bordo, semplicemente non sarebbe partito e avrebbe visto la parcella di 300 dollari alzarsi in volo con tanto d’imprecazione materna per tutti quei soldi che non crescevano sugli alberi.
E si chiese ancora il perché.
Poteva andare bene chiunque.
Perfino un qualche sbandato raccolto in uno degli angoli della strada poteva fare una figura migliore di uno zio scapestrato che aveva iniziato a mettere la testa apposto solo quando le superiori erano evaporate.
Era tutta una questione di somiglianza?
Era solo per solidarietà tra membri della stessa famiglia, cui era applicata anche la tipica e ingiusta vicinanza animale?
O era solo per la perfetta sintonia e per l’evidente capacità di comprendere il nipote?
Quando era entrato per la prima volta all’Università, era dell’idea che sarebbe stata una breve parentesi.
Avrebbe tentato, i prof l’avrebbero cacciato a calci nel sedere, avrebbero affisso la sua immagine all’ingresso per far vedere agli altri che lui era un soggetto indesiderato e sarebbe corso in qualche agenzia a trovarsi un dannato lavoro.
Il curriculum, se per questo, era già dentro il suo zaino e bastava una lieve deviazione per passare al piano B.
Nonostante fosse un asino, aveva sempre un piano B che finì, per quell’unica volta, nell’immondizia.
Contro ogni previsione, era rimasto catturato dai vari corsi e aveva conseguito un esame dietro l’altro, curando quella stupidità latente che gli era rimasta sottopelle.
Con il solo diploma sarebbe già stato tanto se avesse trovato lavoro in qualche supermercato o come cameriere, ma con la laurea aveva trovato qualcosa di assai migliore.
L’ambizione non gli era mai mancata, anche se non aveva mai giocato seriamente su quella possibilità.
Passeggiando lentamente, rievocò altri episodi.
Vedeva l’immagine del prof Don che correva avanti e indietro per non fare tardi con caffè bollente in una mano, registro nell’altra e borsone tra i denti, di Sadie e Katie che si muovevano in perfetta sincronia e di altri ragazzi delle classi vicine.
Alcuni li aveva conosciuti bene, altri solo di striscio.
Per esempio sapeva della faticaccia fatta da Carrie per conquistare Devin e per fargli dimenticare la figura della misteriosa Shelley.
Poteva solo immaginare il sudore e le lacrime versate da Geoff per recuperare la sua relazione con Bridgette, andata a scatafascio per via dell’intromissione di un certo Bruno e di alcuni consigli sballati di Brody.
Affacciandosi poi a una finestra che dava sul giardino, poteva scorgere DJ che era in giardino intento a curare l’ambiente, raccogliendo cartacce, lattine e ogni genere d’immondizia, mentre Eva, una ragazza che sembrava più un maschio che una femmina, sollevava pesi a livello impressionante.
Se Chef avesse visto quell’impegno, di sicuro l’avrebbe presa sotto la sua ala e l’avrebbe allenata per farla diventare una campionessa di lotta.
Ne ricordava di episodi in quella scuola.
Per esempio il torneo sportivo che li vedeva sempre tra gli ultimi, l’unica vittoria della squadra di hockey contro i pari età e solo per contemporaneo infortunio di almeno tre giocatori titolari, il progetto esplosivo di Duncan con quel suo vulcano che era stato premiato con tanto di coccarda.
A sommarsi su tutto questo, però, vi erano dei lati negativi che Scott avrebbe voluto scordare.
Quando era ancora in classe, gli era apparsa la figura di Harold e poco dopo le parole del quotidiano per ricordare quello sfortunato ragazzo che non meritava di morire a quell’età e in quel modo.
Ricordava i rischi di espulsione, la frattura del polso patita durante il secondo anno e alcune ripicche dei professori verso la sua zucca vuota.
In tutto questo aveva incrociato, purtroppo, il vecchio McLean.
Lui stava percorrendo il lungo corridoio e il prof aveva appena risalito le scale.
Nell’incrociare il loro sguardo era come se due vecchi cowboy si fossero rivisti sul campo di battaglia. Bastava la musica giusta, un regista all’altezza e quello sembrava proprio lo scontro finale tra un qualche sceriffo ligio al dovere e un brigante della peggior specie.
In tal caso il difficile era stabilire a chi toccasse l’una o l’altra parte.
Entrambi erano due personaggi difficili da classificare e il ruolo da buono non era tipico del loro carattere.
Sanguigno, testardo e orgoglioso uno; narcisista, perfettino e insopportabilmente manipolatore l’altro.
Il primo a muoversi era stato Scott che, cresciuto e con molto più cervello rispetto al passato, si sentiva quantomeno in dovere di salutare il suo ex prof che, al contrario, avrebbe potuto vantarsi di essere riuscito ad addomesticare anche un ribelle come il rosso.
Incontratisi a metà strada, si erano fissati glacialmente per 20 secondi buoni e poi erano finiti con il parlare di Chef, ormai ritiratosi in pensione e senza l’interesse di partecipare più a vecchi ritrovi tra prof.
Sorridendo al ricordo di quell’armadio che descriveva la guerra come se lui stesso vi avesse partecipato attivamente, esibendo una cicatrice talmente sbiadita che poteva essere opera di tutt’altro, bussò all’ultima porta del corridoio e pazientò che dall’altra parte gli ordinassero di entrare.
 
Pure con Chris aveva tentato una qualche domanda, ma lui era stato piuttosto vago e aveva confermato quanto aveva biascicato quella iena di Courtney: l’ultima prof con cui avrebbe dovuto dialogare era una sua  vecchia compagna.
Una di quelle che Scott aveva dimenticato e che difficilmente avrebbe ricordato, così di punto in bianco, dopo un decennio scarso.
Aperta la porta, di spalle e intenta a scrivere sulla lavagna, c’era una figura abbastanza piccola che alimentò ulteriormente i suoi dubbi.
Chi poteva essere?
Non aveva la stazza di Leshawna, nemmeno i capelli di Lindsay e non gli sembrava concepibile che una con la puzza sotto il naso come Heather fosse finita in quel postaccio.
Compiuti alcuni passi, la sconosciuta si girò e Scott sussultò sorpreso.
La prof si sedette, quindi, alla sua scrivania e indicò al suo ospite una sedia, dove accomodarsi e dove poter discutere delle ultime verifiche di scienze.
Scott, invece, continuava a rimanere imbambolato e sembrava spogliare con gli occhi quei dieci anni che erano scesi sul suo fisico e sul suo viso.
“Immagino sia venuto per i colloqui.” Esordì lei, facendolo annuire.
“Credo di sì.”
“Crede o ne è certo?”
“Non fraintenda, ma sono solo un intermediario.” Si scusò, grattandosi imbarazzato la nuca.
“Non è il padre di uno dei miei studenti?” Chiese la giovane, facendo ondeggiare i suoi lunghi capelli e alzandosi in piedi per andare incontro a quella statua.
“Sono solo un ex alunno di questa scuola.”
“Ma l’ultima rimpatriata è stata parecchio tempo fa.” Gli fece presente, spingendolo ad annuire nuovamente.
“Non sono mai stato veramente interessato a ritornare, ma varcando quella porta ho cambiato idea.”
“Posso capire cosa prova.”
“E non mi aspettavo di riscoprire vecchi ricordi mai sopiti.” Sbuffò, riprendendo a muoversi e girando intorno alla giovane professoressa.
“È sempre così, anche se dovrebbe smetterla di girarmi attorno: potrei pensare che sia la reincarnazione di un avvoltoio.”
“Un avvoltoio? Di solito in questa scuola mi chiamavano asino.” Replicò, scaturendone una risata soave che lo fece arrossire per l’imbarazzo.
“I ragazzi non sono mai degli asini.”
“Eh?”
“Bisogna saper catturare il loro interesse, altrimenti si finisce con il cadere miseramente. Ognuno, dopotutto, è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi, lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido.”
“Einstein giusto?” Chiese Scott che conosceva quell’aforisma ormai a memoria.
“Il mio obiettivo come insegnante è di spingere i miei alunni verso la conoscenza, giocando con la loro curiosità e non di costringerli.” Confermò divertita.
“Avessi sempre avuto una prof con una buona parola per tutti, dubito che avrei faticato tanto.” Ghignò il rosso, complimentandosi, senza volerlo, per quella giovane che riusciva a essere sulla sua stessa lunghezza d’onda.
“Dubito, però, che lei abbia fatto tanta strada solo per conoscere i miei obiettivi e, dopotutto ,non mi ha ancora detto chi è lei.”
“Credevo di averla come compagna di classe.” Si sforzò, non riuscendo a collegare i suoi lineamenti delicati a qualcuno di sua conoscenza.
Non era nemmeno Gwen: i suoi capelli erano troppo scuri rispetto a quelli della prof di scienze.
L’unico punto di contatto era nella carnagione: al limite del bianco cadaverico.
E non avendo gli occhiali, Beth era esclusa per ovvi motivi.
Poi di certo Sierra non si sarebbe mai messa a parlare in quel modo, specie se doveva correre e stalkerare quel poveretto di Cody.
Davvero non ci riusciva.
Ma se erano compagni di classe, forse lei poteva riconoscerlo. Suvvia, si chiedeva, quanti ragazzi in quei cinque anni di superiori, avevano sfoggiato una zazzera rossastra simile, un atteggiamento così indolente e uno sguardo misto tra l’aggressivo e l’annoiato?
In tutta la scuola potevano essere una decina scarsa, ma in quella sezione lui era l’unico della sua specie.
“Davvero?”
“Ricordo ancora uno degli ultimi esperimenti in questa classe: quando ho scassato la bilancia digitale.”
“Forse ero assente.” Replicò la prof, facendolo inspirare profondamente.
“Se sono qui, oggi, è anche per sapere la media di Paul Foster.” Sviò, cambiando discorso e accantonando la possibilità che lei ricordasse qualcosa.
“Paul Foster…vediamo un po’.” Mormorò, sfogliando i vari fogli che aveva disposto sulla cattedra.
“Mia sorella è una rompiscatole ed essendo lo zio di Paul, pretende che gli faccia una ramanzina, qualora abbia una media disastrosa.”
“Mi spiace deludere sua sorella, ma il ragazzo va benissimo.” Replicò, passando all’uomo una serie di compiti che riportavano tutti delle larghe sufficienze.
“Con una prof così, chi non andrebbe bene?” Chiese con voce troppo alta, facendola arrossire lievemente.
“La ringrazio.”
“Si vede che ci tiene molto a questa scuola.”
“In effetti.”
“Scusi la domanda che potrà sembrarle un po’ privata, ma per quale motivo?” Domandò, rivolgendole uno sguardo carico di curiosità.
“Perché in questa scuola mi sono divertita molto.”
“Come?”
“Ho conosciuto degli ottimi amici, ho imparato tante cose e desidero passare la mia fortuna ai miei alunni.”
“Direi che è una cosa insolita.”
“Durante il quarto anno, un ragazzo, vedendomi sempre in disparte, mi ha consigliato di sorridere e che con esso potevo ottenere ogni cosa.”
“E funziona?” S’informò Scott che mai aveva sfruttato quella lezione a proprio vantaggio.
“Se non avesse funzionato, non sarei di certo qui.”
“L’unica volta che mi sono comportato così, mi hanno trascinato in infermeria e mi hanno chiesto se avevo la febbre.”
“Se non si è abituati a un certo comportamento, è normale che gli altri possano pensare male.” Ammise, riprendendo i fogli passati all’uomo e rimettendoli nella cartellina.
“Si figuri che quando incrocio i miei ex compagni e li informo che lavoro al porto, mi guardano come se avessi detto una bestialità.”
“Ovviamente la sottovalutano e allo stesso tempo anche lei snaturava le sue ambizioni.”
“È probabile.”
“E non ricorda niente di veramente piacevole in questa scuola?”
“Tranne che per il nostro incontro di oggi, faccio fatica.” Rispose, sforzandosi ed entrando nella tipica posa che assumeva durante le verifiche di fine anno.
 
Nel vedere quegli occhi fissi verso un angolo dell’aula, con la mano sinistra portata alla sua bocca che faceva uscire qualcosa d’inudibile, capì chi fosse quell’uomo e subito si diede della stupida: dopotutto era praticamente impossibile che fosse già padre.
Era davvero troppo giovane perché avesse già un figlio da scuole medie.
E poi perché non ci aveva pensato prima: anche se erano passati dieci anni, lui non era cambiato nemmeno di una virgola. Aveva solo una cicatrice sullo zigomo sinistro, ma poca cosa rispetto agli stravolgimenti fisici di molti altri ex compagni.
“Scott Black…” Soffiò sorpresa, facendolo sussultare.
“Hmm?”
“Tu sei Scott, vero?”
“Sì…sono io. Ma come? Credevo non ti ricordassi di me.”
“Nel vederti così assorto, ho capito chi sei.”
“E pensare che Courtney e Zoey mi ripetono che sembro uno stoccafisso.” Borbottò imbarazzato, facendola ridacchiare.
“Strano che Zoey non mi abbia mai detto che esce in tua compagnia: mi parla sempre e solo di Mike e Duncan.”
“Forse si vergogna.”
“E tu Scott? Ti vergogni di parlare con me?”
“Scusami tanto, ma non ricordo chi sei.”
“Guarda che se mi offendi, finirò con l’abbassare la media di Paul.”
“Ma questo è un ricatto.” Ribatté il rosso, fissandola intensamente.
“E hai i minuti contati: tra un po’ finirò il turno e tornerò a casa.”
“Tornare a casa in una così piacevole serata?”
“Non ho nessun altro impegno e vorrei rilassarmi un po’.”
“Non ti piacerebbe uscire a prendere un aperitivo e ricordare tutti gli anni passati insieme?” Chiese, invitandola in quella sorta di appuntamento.
“Solo se indovini chi sono.”
“Courtney non mi ha aiutato per niente.” Sbuffò Scott, grattandosi la testa.
“Anni fa, prima che mi consigliassi di sorridere e di aprirmi al mondo, non saresti mai voluto uscire con una hippie.” Ammise, regalandogli qualche indizio.
“Una hippie?”
“Era così che mi avevi calcolato.” Mormorò, prendendo la sua borsa e invitandolo a uscire da quell’aula che ormai aveva svolto egregiamente il suo compito.
“I ricordi spiacevoli e insignificanti li ho cancellati.”
“Questo significa che non valgo nulla ai tuoi occhi?” Domandò con rabbia, facendolo tentennare.
“Non era mia intenzione offenderti.”
“Ah no?”
“È solo che più qualcuno mi si avvicina, più è propenso a prendermi per i fondelli.”
“Io non lo farei mai Scott.”
“Perché tu sei tanto buona e non abbasseresti mai la media a mio nipote, giusto?”
“Era solo una minaccia senza valore.” Confermò, portandolo a spegnere il cellulare che, per la terza volta consecutiva, gli faceva vibrare la gamba sinistra.
“Ma sei comunque tanto buona, vero?”
“Così buona che ti ho aiutato a recuperare scienze durante l’ultimo anno.”
“L’ultimo anno.” Mugugnò pensieroso.
“Non riuscivi a imparare nemmeno la formula più semplice e poi una mattina mi stupisci e mi spieghi lezioni molto più avanzate.”
“Possibile che sia tu?” Chiese Scott, fermandosi e fissandola intensamente.
“Dipende.”
“Sei quella che ho invitato alla festa di fine anno e che mi ha rovesciato sulla testa una bottiglia di aranciata per quel ballo.”
“Mi tenevi troppo stretta e ti stavi facendo delle idee sbagliate sul mio conto.”
“E avresti cambiato idea dopo tanti anni?”
“Sembri molto più maturo.” Confermò divertita.
“Tu sei sempre stata al mio fianco e non me ne sono mai accorto.”
“Sempre convinto che sia una hippie?” Infierì, credendo di spiazzarlo.
“Dawn…ci ho messo un casino di tempo per capirlo, ma alla fine sono arrivato.”
“Diciamo che potrei perdonarti, se mi offri la cena.”
“Ma non doveva essere un semplice aperitivo?” Replicò, facendola sorridere.
“Più il tempo passa più il valore aumenta.”
“Oh cavolo: se passa troppo tempo, potresti pretendere di mangiare tutte le sere fuori e poi finiresti con l’entrare di prepotenza nel mio piccolo appartamento.”
“Consideralo già fatto.”
“Questo, però, non è un appuntamento.” Obiettò serio, facendola sospirare.
“Neanche quella sera era un appuntamento.” Gli ricordò, prendendolo alla sprovvista.
“Io…”
“E poi dubito che possa funzionare tra noi.” Seguitò lei con voce insolitamente bassa.
“Perché?” Chiese con un pizzico di nervosismo, avvertendo con anticipo la classica sensazione di friendzone degli ultimi approcci liceali.
“Perché è lampante.”
“Non funziona perché non vuoi che funzioni. Come quando ti sei messa con Beverly solo per farmi dispetto o per ribadirmi la tua scelta di tranquillità.”
“Io…”
“I tuoi genitori non vedevano bene alla nostra storia e ora? Di cosa hai paura? Io non sono più quel ragazzino, tu non sei più quella di una volta e ora abbiamo la giusta maturità per scegliere da soli cosa fare.”
“Non capiresti.”
“Cos’è che non capirei?” Domandò sempre più seccato, facendola inspirare profondamente. Perché a essere onesti e, chiunque ne avrebbe condiviso la giusta incazzatura, non poteva sopportare l’idea di essere così declassato.
Passi che il suo animale guida era l’asino, ma ciò non significava che dinanzi a una lezione, lui dovesse prendere un’insufficienza. Ne erano passati di anni e per quanto fosse stupefacente, il suo livello di attenzione era cresciuto molto.
“Sei imparentato con uno dei miei studenti.”
“E allora?”
“Molti genitori potrebbero pensare che tuo nipote ha ottime valutazioni, solo perché ci conosciamo e usciamo insieme.”
“Ma che sciocchezze vai dicendo?”
“Io non sono capace di vincere sui pettegolezzi.”
“E questo renderebbe la tua vita completa? Cacciare o allontanare una persona solo perché temi i pregiudizi altrui, non è più infantile di rimanere fedeli al proprio lavoro, senza conoscere mai la felicità o condividere qualche gioia con qualcuno?”
“Ma io…”
“Si tratta solo di riprovarci: se non è destino, non funzionerà. Se invece riesci a divertirti, perché dovresti spegnerti prima del traguardo? Tu stessa mi ripetevi allo sfinimento che non c’è tristezza più grande di non prendere con mano la felicità che è lì ad un passo.”
“Scott…”
“Io non posso garantirti con anticipo che sarò quella felicità cui tanto ambivi, ma posso prometterti che se non dovesse essere così, poi ti lascerò in pace.”
“Io...”
“E se non ci fosse sintonia, almeno resteremmo buoni amici.”
“Già.”
“Per questo non dovresti mai sottovalutarti o dare troppo peso alle altre persone: alcuni sono perfidi di natura e vogliono veder crollare tutti quanti. Il segreto? Illuderle che tu voglia seguire le loro indicazioni e poi fare di testa tua. Solo così puoi dimostrare che sei grande e non hai più bisogno di una balia per andare in giro o per prendere una decisione.”
“Io…”
“Questa sera ti offrirò la cena perché è già programmata e sono un uomo di parola.” Ammise, riprendendo a camminare.
“Cos’hai in mente?”
“E domani hai intenzione di fare una passeggiata e magari il cinema?”
“Penso di sì.”
“E questo è un appuntamento e, che tu lo voglia o no, hai appena mandato al diavolo i pregiudizi che potrebbero sorgere. Come ci si sente quando si è liberi e si annega ogni forma di dubbio?” Chiese subdolamente, facendola tentennare.
“Molto meglio.”
“E starai sempre meglio se ogni tanto segui il tuo cuore e cerchi di evitare la ragione o le cavolate degli altri saputelli.”
“Grazie Scott.”
“Ricorda, però, che questa lezione ti costerà caro e domani mi offrirai il biglietto del cinema.” Soffiò ironico, facendola annuire.
“Ricattatore.”
“Io sto solo imitando qualcuno di mia conoscenza che ha trasformato, non che mi dispiaccia, un semplice aperitivo in una cena a lume di candela.” La sbeffeggiò.
“Ma…”
“Beh…per un appuntamento con una bella ragazza, l’aperitivo fa davvero tristezza e una cena è molto più adatta.” Commentò, notandone l’evidente rossore e sorridendo sotto i baffi.
 
Seppur con ritardo aveva capito che la scuola era sì una rottura, colma di pregiudizi e di sconfitte personali.
Per alcuni, però, rappresentava un trampolino, una scappatoia o un bel ritorno al passato.
E per Scott, ora che fissava di sottecchi la prof di scienze, c’era un ampio margine di miglioramento.
Era semplice da dire con il senno di poi.
Si conoscevano bene, ognuno aveva imparato i passi falsi dell’altro e si sentivano sulla stessa lunghezza d’onda.
Potevano benissimo litigare, sbattersi la storia dell’asino e dell’hippie sul grugno, ma il rosso non sembrava più propenso a fallire.
Era la sua ultima occasione per sapere cosa si era perso. Lei non parlava più del suo ex di allora e sembrava propensa a concedergli una sola occasione, restituendogli il buonumore che era scomparso da diverso tempo.
Coetanei, con tanti sogni da costruire e progetti da realizzare, erano sì diversi, ma non così instabili.
Era alla regola di ogni attrazione elettrica e magari tra loro poteva anche funzionare.
E poi c’era sempre qualcuno esterno all’intera vicenda che li avrebbe spinti verso quella relazione incerta e appena abbozzata.
Scott avrebbe informato sua sorella della bella novità e ciò avrebbe spinto Paul a fare i salti di gioia e a pregare lo zio di accasarsi con Dawn, così che potesse stare tranquillo e non dovesse studiare più come un dannato.
Asino sì, ma con la furbizia di una volpe.
Ereditata anche questa da Scott che poteva stringere a sé l’amata ex compagna di classe.






Angolo autore:

Ryuk: E finalmente finiamo questa mini serie.

Anche perchè per sabato/domenica prossima vorremmo pubblicare qualcosa di nuovo. E dato che non ci piace lasciare le cose a metà, abbiamo messo la parola fine ai pensieri del povero asi...Scott. Del povero Scott.

Ryuk: A presto!
 

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