Il vampiro di sangue ed acqua

di SagaFrirry
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Puoi davvero sentire il mio cuore? ***
Capitolo 2: *** Le strane luci del nuovo millennio ***
Capitolo 3: *** Emelrik, l'umano ***



Capitolo 1
*** Puoi davvero sentire il mio cuore? ***


I

Puoi davvero sentire il mio cuore?

 

Aveva piovuto molto in quei giorni ed il fiume era esondato. Con la sua violenza, aveva eroso e trascinato via una parte considerevole della campagna in cui solitamente scorreva placido e tranquillo. Quell'evento straordinario aveva portato alla luce radici d'albero ed alcuni reperti per cui era stato convocato d'urgenza l'esperto della zona. L'esperto, in quel caso, era un giovane archeologo ed ispettore delle belle arti, che iniziò a scattare molte foto di quell'oggetto. A prima vista poteva sembrare una semplice lastra di pietra ma, osservando meglio, vi si potevano scorgere delle iscrizioni. Agli operai, che lavoravano al riassesto del greto del fiume, era stato ordinato di non toccare il misterioso oggetto fino a quando l'esperto non lo avesse riconosciuto e catalogato. Poteva avere un qualche valore storico che non doveva essere danneggiato in alcun modo.

“Allora?” borbottò un addetto alle ruspe “È un semplice sasso, vero? Possiamo riprendere i lavori e buttarlo via?”.

“Ancora non lo so" ammise l'archeologo “Sto cercando di capire quel che c'è scritto sopra”.

“A me sembra un sasso. Comunque basta che la cosa non prenda troppo tempo. Se devo portarlo in un qualche tipo di museo, o roba simile, lo voglio fare subito. L'importante è non stare qui a cincischiare per puttanate artistiche. Ho un lavoro da terminare, io!".

Con un sospiro, l'esperto usò una piccola spazzola per tentare di ripulire il fango e le incrostazioni. Il tempo e l'alluvione avevano profondamente danneggiato quelle scritte e l'unica cosa che riusciva chiaramente a leggere era “Emelrik". Poi scorgeva qualche numero ed altre lettere. Scattò altre fotografie.

“Hai finito?” lo incalzò di nuovo uno degli operai “Posso togliermelo dai piedi?”.

“Non ancora!” lo fermò l'archeologo “Devo interpretare alcune cose".

Ma dal cielo iniziarono a scendere le prime goccioline di pioggia ed arrivò la comunicazione in cantiere che era meglio allontanarsi, perché il fiume poteva di nuovo esondare. Sotto l’acquazzone improvviso, furono scattate le ultime foto.

“Muoviti, coso!” lo incitò il capocantiere.

“Mi chiamo Stephane…” borbottò l'ispettore delle belle arti, infastidito ma per nulla in vena di litigare.

Quando ormai diluviava, tutti lasciarono la zona.

“Che lavoro ingrato…” si ritrovò a pensare l'esperto, rientrando a casa.

Ancora fradicio ed infreddolito, mandò in stampa tutte le foto fatte. Con un programma apposito, osservò per bene tutte le inquadrature al PC. Ingrandì alcuni dettagli ed ingrandì ancora. Grazie allo stesso programma, riuscì a mettere in evidenza le scritte che più lo incuriosivano. Ora la parola “Emelrik" si vedeva benissimo ed erano spuntate molte altre parole. Leggeva chiaramente “Von Rigel Kraint". Sotto quel che dovevano essere delle generalità, nome e cognome incisi su pietra, vi erano delle date. Aveva tutta l'aria di essere una lapide, con giorno di nascita e di morte. Ma perché quel sarcofago inciso era sepolto sotto un tale strato di terra e così lontano da qualsiasi terreno consacrato? Le incisioni sotto le date erano ormai illeggibili ed incomprensibili.

Vi era dunque un corpo sotto quella lastra di pietra? Dalle date riportate, risaliva all'inizio del 1700. Non doveva esserne rimasto molto, specie se l'acqua dell'alluvione era riuscita ad entrare all'interno di quella bara di roccia, ma poteva celare altre informazioni utili.

 

Il giorno seguente, l'ispettore tornò ad osservare il reperto, in cerca di risposte. Che ci faceva lì? E come mai il portatore di un cognome nobiliare, forse austriaco, era finito in un luogo simile? L'alluvione aveva ulteriormente danneggiato le iscrizioni ed avevo scostato la lastra in pietra che copriva il sarcofago. Stephane tentò di aprire ulteriormente la tomba, con cautela, senza però riuscirci. Era chiaro però che l'acqua era penetrata all'interno. Tentando di nuovo, udì chiaramente un suono. Era simile ad un risuonar di tamburi, debole e ritmato. Il battito di un cuore?

“Me lo sono immaginato" disse a se stesso “Non può esserci un cuore che batte qui dentro!”.

Era meglio avvisare l'ufficio di competenza, per far rimuovere quel loculo e spostarlo altrove. Così avrebbe avuto più tempo per esaminare il tutto, senza rischiare un’ulteriore alluvione e permettere agli operai di sistemare il corso del fiume. Forse non aveva alcun valore ma voleva capirci qualcosa in più.

Ignorò gli operai che lo derivano mentre “fotografava un sasso", e rientrò a casa.

Decise di iniziare qualche ricerca, digitando il nome inciso sulla lapide su vari motori di ricerca. Il cognome, a quanto pare, apparteneva ad una famiglia nobiliare ormai estinta. Però nessuno dei suoi membri si era mai chiamato Emelrik. Che stranezza… E se fosse stato rinnegato o cancellato dalla famiglia? Strano però che non fosse narrato nulla a riguardo. Doveva assolutamente fare delle ricerche approfondite! Forse altri del suo stesso settore, altri ispettori delle belle arti e studiosi di storia, potevano aiutarlo! Inviò diverse mail, descrivendo la situazione ed allegando qualche foto. Amava quel tipo di situazione, in cui doveva scoprire aspetti misteriosi di un reperto. Voleva scoprirne la storia, le origini… finalmente un pochino di mistero, al di fuori della noia d'ufficio! Era il lavoro che sognava ma purtroppo era raro che avesse occasione di dedicarsi a ricerche e scoperte.

Chiamò qualche collega, rimanendo alquanto perplesso dalle risposte di alcuni di essi. A quanto pare, per molti, era inutile buttare via altro tempo per una cosa del genere. Ma Stephane era testardo, e continuava a guardare e riguardare quelle foto.

“Emelrik… chi eri in realtà? E perché sei finito in un posto simile per l'ultimo riposo?”.

Dalle iscrizioni, doveva essere morto a ventisette anni e la cosa rattristava l'archeologo. Fuori pioveva di nuovo e, probabilmente, la bara in pietra a quest'ora doveva essere piena d'acqua ed ancor più rovinata. All'ennesimo lampo, Stephane decise di spegnere ogni dispositivo elettronico ed andare a dormire. Sbadigliando, scansò un ciuffo di capelli biondi dagli occhi e si avviò verso la camera.

Un bussare insistente alla porta lo riportò sui suoi passi. Chi mai poteva essere? Forse qualche collega nottambulo che passava per lì? Aprendo i chiavistelli, riuscì finalmente a scoprire la verità. Sotto la pioggia, con l'espressione sul viso di chi non ha trascorso la più bella delle giornate, stava un giovane uomo. Fradicio, con abiti logori e grondanti di acqua e fango, rimase immobile su uno degli scalini che precedevano l’ingresso. Aveva la pelle estremamente pallida, che i capelli corvini rendevano ancor più bianca, e nella notte sfoggiava un bel paio di occhi che parevano fiammeggianti.

“Desidera?” chiese Stephane, alzando un sopracciglio.

“Perdonate l'intrusione. Sono Emelrik Von Rigel Krain".

 

Dopo il primo momento di incredulità, l'archeologo lasciò entrare quello strano individuo. Che fosse o meno un pazzo con uno contorto senso dell'umorismo, fuori stava diluviando e non era il caso di lasciarlo all'aperto. Evidentemente qualche collega si era divertito, dopo aver ricevuto la mail con le foto della lapide. Seduti entrambi al tavolo, il padrone di casa versò del tè caldo che però l'ospite rifiutò.

“Perdonate l'ora tarda" parlò l'intruso “Ma io mi posso muovere solo di notte".

“Capisco…” storse il naso Stephane “E tu saresti…?”.

“Mi sembrava di averlo già detto. Sono Emelrik Von Rigel Krain”.

“Divertente. Sarebbe morto da tipo 300 anni o giù di lì…”.

“Ne sono perfettamente consapevole" sospirò l'ospite, fissando il tè quasi con malinconia.

“E allora?”.

“Lasciatemi spiegare tutto".

L'ennesimo sospiro interruppe l'accento lievemente tedesco del narratore. Poi qualcosa si mosse sulla sua spalla e Stephane sobbalzò. Una piccola creaturina trasparente, simile ad una goccia d'acqua e non più grande di un pollice, scivolò lungo la manica e raggiunse la tazza di tè. Bevve qualche sorso, cambiando leggermente colore, e poi sedette sul tavolo salutando con la mano.

“Cos'è quella roba?!” esclamò l'archeologo.

“È il mio elementale”.

“Il tuo… che?”.

“Io sono Emelrik Vor Rigel Krain, nato nel 1704 e morto nel 1731. Prima di morire mi ero dedicato allo studio alchemico. Sono in grado di controllare gli elementi, in particolare l'acqua, e questo piccolino è un elementale. È stato lui a condurmi qui da te".

“E… perché? Cioè… che fate qui?!”.

“Tu hai udito il mio cuore! Puoi davvero sentire il mio cuore?”.

“Ma di che parli?!”.

“Tu… non sei tu che hai fatto tante foto alla mia bara? Non sei tu colui che ha tentato di aprirla e scoprire chi fossi? E non sei stato tu a parlare, dicendo che era impossibile che un cuore battesse lì dentro?”.

“Io… può essere. Non ricordo quel che ho detto. Ma quindi… tu cosa sei? Uno zombie? Un fantasma?”.

“Un vampiro”.

“Sì… certo…”.

“Come ti dicevo, mi sono dedicato agli studi alchemici. Essendo il fratello minore, e non avendo un casato da dover mandare avanti, sono stato libero di dedicarmi a quel che mi piaceva. Volevo essere più forte, più potente. Poi mia madre si ammalò gravemente ed io tentai in ogni modo di salvarla. Purtroppo mi sono imbattuto nel libro e nell'insegnante sbagliato. Ma potrò raccontarti tutto un po' alla volta".

“Come riesci a parlare così bene nella lingua corrente?”.

“Sono rimasto sveglio, cosciente, imprigionato in quella bara. Udivo ogni cosa, ma non riuscivo ad uscire. L'alluvione mi ha permesso di sfruttare le mie conoscenze per riavere la libertà. Poi ti ho udito parlare…”.

“Cosa ho detto di così speciale?”.

“Io sono morto. Il mio cuore non batte. Ma tu sei riuscito ad udirlo e questo mi fa sentire… vivo! Inoltre non credo alle coincidenze. C'è una ragione se ti sei interessato alla mia prigione di roccia”.

“E che cosa dovrei fare, secondo te?”.

“Per ora ho bisogno di un posto dove stare. Non voglio tornare in quella prigione di pietra. Saprò ripagarti, te lo prometto! Mi serve solo il modo di terminare dei miei studi e stare al sicuro”.

“Al sicuro da cosa?”.

“Da colui che mi ha reso un vampiro. Ti prego…”.

Il padrone di casa non era convinto ma lo sguardo dell'ospite era spaventato e supplicante. Non era di certo la faccia che ci si aspettava di vedere su un vampiro!

“Intanto direi che devi darti una ripulita. I vampiri si lavano? Sei tutto pieno di fango. Ti porto degli abiti puliti, puoi farti un bagno e poi vediamo. Io sono stanco morto".

“Ti ringrazio".

“Sappi che non credo molto alla tua storia. Ma ho bisogno di dormire. Ne parliamo domani".

“Però… il sole…”.

“Ah, giusto. Puoi sistemarti nella mia camera oscura".

“La tua…?”.

“Camera oscura. Dove sviluppo le foto”.

“Foto?”.

“Ah… Fa niente. La stanza è quella. Io ora vado a letto, domani devo essere in ufficio alle otto. Fai quel che credi. Ne riparleremo”.

“Grazie infinite. Buonanotte”.

“E non mordermi, intesi?”.

“Intesi…”.

 

 

Ciao a tutti! Benvenuti in questa nuova avventura. Ringrazio le ispirazioni ricevute da Yuki EFP, Aris Parker EFP e Selene Piana con la Promp Challenge del Giardino di EFP.

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Capitolo 2
*** Le strane luci del nuovo millennio ***


II

Le strane luci del nuovo millennio

 

Stephane si svegliò di buon’ora per andare al lavoro. Il suo primo pensiero, appena aperti gli occhi, fu chiedersi se in realtà si fosse trattato solo di un sogno. Realizzò la verità quando raggiunse la cucina, che formava un’unica stanza con il salotto, e trovò Emelrik appollaiato sul divano. Era intento a fissare il vuoto, con aria smarrita. Aveva chiuso tutte le tende e rimaneva immobile.

“Buongiorno” salutò il padrone di casa.

Il vampiro girò gli occhi verso chi parlava, rimanendo in quella strana posa che lo faceva rassomigliare ad un avvoltoio.

“Buongiorno” rispose, quasi sussurrando.

L’archeologo si preparò il caffè, offrendone qualche sorso alla piccola goccia d’acqua elementale.

“Non hai una bellissima cera” parlò ancora Stephane, inzuppando un biscotto “Brutta nottata?”.

“Ho fame” ammise Emelrik.

“Come mai questa notte non sei uscito a nutrirti? Solitamente per questo quartiere gira sempre gente mangiabile…”.

“Che frase strana da dire…”.

“Io non ho sangue in frigo, mi ‘spiace. E non posso andare a comprartelo al supermercato. Il cibo è un affare che devi risolvere da solo…”.

“Lo so. Anche se non so cosa sia un frigo ed un supermercato. Ci ho provato, davvero! Ma ci sono tante luci. Tante luci fisse e tante luci che si muovono. E tanto rumore. E tante cose che non capisco. E…”.

“E… ho capito! Probabilmente ti riferisci ai lampioni ad ai fari delle macchine. Non sono pericolosi, se non ti ci butti addosso. Magari stasera ti spiego un po’ di cose in più. Ma ora devo andare al lavoro, faresti meglio a dormire, ora che c’è il sole”.

“Ok… ma…”.

“Vieni con me” sospirò il mortale, accompagnando il vampiro fino alla camera oscura. “Puoi dormire qui. Ti porto un sacco a pelo…”.

“Un sacco a pelo?”.

“Di certo non posso mettermi una bara in casa…”.

 

Rimasto solo, infilato nel sacco a pelo, Emelrik fissava il soffitto. Completamente al buio, capì che non sarebbe mai riuscito a dormire: la fame lo tormentava. Inoltre, l’odore di reagenti e fissanti lo nauseava. Iniziò a ficcanasare per la camera oscura. Vide appese alcune foto della propria tomba e di altri reperti. Curioso, tirò un filo ed accese la luce, tipicamente rossa. Sobbalzò. Che cosa strana, si disse, e che luce magnifica: ricordava così tanto il sangue fresco! Però che fame…

Lasciò la stanza. Gentilmente, Stephane aveva chiuso tutte le serrande e la luce del sole non filtrava all’interno della casa. Giunse in cucina, non sapendo che altro fare. Cosa mai erano tutti quegli strani oggetti? Aveva capito come si accendeva la luce, ed evitava di farlo. Aprì e fissò, perplesso, il forno. A che serviva? Ed a cosa servivano tanti piatti e bicchieri, vivendo da soli? Spalancò la porta del frigo e ci ringhiò contro, quando l’abbagliante luce dell’interno lo avvolse. Ma che razza di posto pieno di trappole era mai?! Tutto si illuminava, tutto ronzava, tutto era così strano…

“Forse dovreste attendere il ritorno del signor Stephane” suggerì l’elementale.

“E nel frattempo che faccio? Mi annoio. E poi ho tanta fame…”.

“Dubito che l’umano abbia qualcosa di commestibile per Voi”.

Emelrik fissò la goccia con fastidio. Provò ad assaggiare un biscotto rimasto sul tavolo e ne fu nauseato. Doveva trovare una soluzione! Possibile che non ci fosse nemmeno un topo in quella casa? Guardandosi attorno, fissò con interesse una bottiglia. Conteneva un succo di un colore interessante e fu tentato di assaggiare. Che strani contenitori… Abituato com’era alla sua epoca, priva di plastica, fissava ogni cosa con interesse. Quasi si bruciò con i fornelli e scaraventò a terra il tostapane, quando questi scattò.

Decise di cambiare zona, e gironzolò per l’angolo adibito a salotto. Poi trovò la camera di Stephane e curiosò fra gli armadi.

“Siete un impiccione” lo rimproverò l’elementale.

“Cerco solo di adattarmi” mentì il vampiro, fissando con un certo disgusto gli abiti che abitualmente si indossavano in quel nuovo millennio.

Si avvicinò al comodino a giocherellò con la sveglia, fino a farla suonare. Questo lo spaventò e per spegnerla la fiondò contro il muro.

Abbattuto ed avvilito, comprendendo che in quell’epoca era tutto molto più complicato e “brutto”, tornò ad infilarsi nel sacco a pelo. Era il letto più scomodo che avesse mai provato, ma non poteva lamentarsi: Stephane era stato fin troppo gentile!

 

Riuscì ad addormentarsi e fu risvegliato dall’odore del sangue, dal profumo della vita. Il padrone di casa era rientrato e, stanco dopo la giornata di lavoro, si era buttato sotto la doccia. Emelrik, non conoscendo molto il concetto di “riservatezza”, entrò in bagno e salutò.

“Ma che diavolo fai?!” urlò Stephane “Non vedi che sono sotto la doccia?! Esci subito e chiudi la porta!”.

“Stupefacente!” mormorò il vampiro, rimanendo immobile con grandi occhi sognanti.

“Cosa?!”.

“L’acqua! Esce da lì! Da sola!”.

“Ovvio! Da dove dovrebbe uscire?!”.

“Come fa?”.

“Ci sono i tubi! Esce anche dai lavandini della cucina e della vasca. Esci!”.

“Straordinario! Ora capisco perché vivi da solo, senza nemmeno un servitore!”.

“ESCI!”.

Stupito da quella reazione, Emelrik lasciò il bagno e chiuse la porta. Quando era in vita, e si lavava, era abituato ad avere l’assistenza del proprio servo personale, che lo aiutava e gli raccontava aneddoti. E non era consuetudine lavarsi molto spesso, come invece quell’umano a quanto pare amava fare.

“Scusa se ti ho arrecato disturbo e fastidio” mormorò, non appena Stephane uscì.

“Fa niente” sbottò l’archeologo “Basta che non si ripeta. In bagno ho bisogno di privacy, non entrarci mai se ci sono io! Chiaro?”.

“Chiaro…”.

“Bene…”.

“Oggi ho esplorato un po’ per casa”.

“Ho visto. Ho notato il tostapane rotto, la sveglia a pezzi ed il biscotto smangiucchiato…”.

“Altro disturbo ed altro fastidio. Perdono!”.

L’umano non rispose. Si stava sfregando i capelli con l’asciugamano, rivestendosi davanti al grande specchio che aveva in camera.

“Posso farti una domanda?” chiese Emelrik “Come mai vivi qui da solo?”.

“E con chi dovrei vivere?”.

“Con una donna. Alla tua età, dovresti avere moglie e figli!”.

“E tu? Dove hai moglie e figli? La tua dinastia è estinta, da quel che mi risulta. Perciò…”.

“Avevo una moglie. Purtroppo ella è perita prima di donarmi un erede. La febbre me l’ha sottratta”.

“Oh… perdonami. Non volevo essere indelicato!

“Non potevi saperlo. Così come io non potevo sapere che in bagno vuoi stare da solo”.

“Giusto…”.

Stephane tornò in cucina, pensando a cosa fare per cena. Emelrik lo seguì, non sapendo bene che altro fare.

“Perché non accendi un attimo la tv?” gli suggerì il mortale.

“Tv…?”.

“Sì. Poi, appena fa buio, ti accompagno fuori e ti spiego alcune cose. Così non avrai più paura e potrai arrangiarti da solo a cercarti da mangiare”.

“Oh… OK. Grazie… ma…”.

“Ma non sai cos’è la Tv…? Aspetta. Te la accendo io…”.

Mentre il padrone di casa si preparava qualcosa di veloce, per assopire la fame, il vampiro scopriva la televisione. Era perplesso, non capiva all’inizio a cosa servisse, ma quasi subito ne fu visibilmente interessato. Cambiando canale, si era imbattuto su un documentario sui leoni dell’Africa ed era rimasto affascinato dalla possibilità di vedere il sole splendere, senza subire conseguenze. Poi scoprì un canale con molte più parti femminili in mostra di quante ne potesse immaginare e rimase alquanto scioccato.

“Guarda qualcosa di più adatto a te!” gli sottrasse il telecomando Stephane, tornando sul documentario.

“Ma io…”.

“Magari poi…” suggerì Stephane “…potresti raccontarmi la tua storia. Che dici?”.

“Dopo mangiato, sì”.

 

Ciao a tutti! Noto con piacere che qualcuno già segue questa storia. Grazie :3 Purtroppo ho qualche problema con le risposte alle recensioni (a volte me le fa mettere ed a volte no) ma sappiate che le leggo tutte con gioia! A presto!

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Capitolo 3
*** Emelrik, l'umano ***


II

Emelrik l’umano

 

Emelrik ricordava bene la propria famiglia e la sua infanzia, nonostante i secoli trascorsi. Era il terzo figlio, prima di lui erano nati suo fratello e sua sorella maggiore. Dopo di lui, erano stati concepiti un altro maschio e due femmine, una delle quali morta in tenera età. Lui era il figlio di mezzo, quello un po' indeciso sul da farsi. Il maggiore, già pronto ad ereditare ogni cosa, aveva scelto per moglie una nobildonna del sud della Francia ed aveva contribuito notevolmente nell'elevare il prestigio della famiglia. La prima figlia femmina era stata data in moglie ad un proprietario terriero ed aveva da tempo lasciato la casa patronale. La sorellina più giovane avrebbe presto seguito lo stesso destino, volente o nolente. Il fratello più piccolo invece aveva mostrato un certo interesse per l'esercito, e si stava alleando per poter entrare fra le guardie imperiali. Emelrik stava nel mezzo, ed era la disperazione di suo padre.

Lord Gerard, il padre di Emelrik, aveva tentato invano di spingere il figlio verso un qualche tipo di futuro degno di un nobile fin dalla sua tenerissima età. Dapprima si era chiesto se la carriera militare potesse essergli congeniale, ipotesi che scartò presto vista la propensione del figlio a ribattere ad ogni ordine impartito. Poi lo aveva spinto verso la castità della vita ecclesiastica, altra opzione immediatamente scartata non appena trovò il figlio appartato nel fienile con una serva ed il panettiere.

Per mettere a tacere un eventuale scandalo, ai due popolani fu fornita una quantità d'oro tale da rifarsi una vita e furono allontanati dal paese. Ad Emelrik fu trovata in fretta una consorte e fu costretto a sposarsi in giovane età, decantando un amore sbocciato all'improvviso e che aveva unito due famiglie. La fanciulla, anch'ella costretta in quell'unione frettolosa, accettò l'ingresso nel mondo dei Von Rigel Krain e fra gli sposi nacque una sorta di tacito accordo. Non vi era amore, non perlomeno quello tradizionale che si può trovare nei romanzi, ma crescente affetto. Purtroppo non trascorse molto tempo prima del manifestarsi della forte febbre che tolse la vita alla giovane sposa. Il vederla soffrire ed il non poter far nulla aveva risvegliato in Emelrik un nuovo desiderio: studiare medicina. Il padre, per assecondare i desideri di un fresco vedovo, lo aiutò a realizzare tale desiderio convocando i migliori studiosi della zona.

Gli studi classici ben presto stancarono Emelrik, che si ritrovò irrimediabilmente attratto dall'alchimia. Al tempo, scienza e magia facilmente si mescolavano e trattati anatomici accennavano spesso ad antiche pratiche medievali e misteriche. Le conoscenze non erano sufficienti, non per curare molti dei mali del mondo, e questo era frustrante per il futuro vampiro. Come aiutare le persone, se non esisteva un metodo per farle guarire? Voleva maggior conoscenza. Voleva maggior potere! Iniziò a studiare e ricercare volumi antichi, sempre più complessi. Si sparse la voce molto in fretta e molti si proposero come aspirante maestro del curioso, e ricco, Emelrik. Il padre, pretendendo il meglio per la sua genealogia, ricercò i più qualificati ed in molti furono scartati. Fra ciarlatani, finti esperti e dottori con conoscenze non sufficienti per l’aspirante medico, alla porta della magione comparve un uomo. Alto, pallido e vestito di scuro, bussò al tramonto e giustificò l’orario parlando di un lungo viaggio. Subito suscitò un certo interesse in Emelrik. Era affascinante, leggermente magnetico quando parlava o sorrideva. Possedeva libri antichi rarissimi, riguardanti gli argomenti più disparati, che mise subito a disposizione dell’aspirante dottore. Si presentò con il nome di Alarad, spiegando di provenire da una famiglia che studiava medicina ed alchimia da secoli. In pochi mesi, entrarono in perfetta sintonia e trascorsero molto tempo a discorrere di magia, alchimia e scienza. Il giovane nobile non si era mai sentito così affascinato da qualcuno, affamato com’era di conoscenza. Quell’uomo pareva sapere ogni cosa, su qualsiasi argomento esistente! Lo invidiava, lo ammirava, forse un pochino lo amava. E più il tempo passava e più la mente desiderosa di conoscenza richiedeva nuove informazioni e nuova sapienza.

 

“Quanto tempo ci impiegherò per imparare ogni cosa?” chiese Emelrik, una sera.

“In una sola vita, è impossibile” fu la risposta del maestro “Ma, forse, basterebbe avere a disposizione più di una vita”.

“Di che parlate…?”.

Alarad ghignò, quasi divertito. Dopo settimane passate a fingersi qualcosa che non era, finalmente rivelò la sua vera natura. Quel ghigno, mostrava denti non propriamente umani ed Emelrik sobbalzò.

“Che cosa sei?!” esclamò, conoscendo già la riposta.

“Non è la mia famiglia a studiare da secoli. Sono io che studio, da secoli e secoli e se tu, giovane nobile uomo, aspiri a tale conoscenza… esiste solo un modo”.

“Non voglio diventare come te. Solo l’idea mi disgusta e mi terrorizza!”.

“Tu mi hai accolto nella tua casa. Sono disposto ad insegnarti ogni cosa. Ma una simile conoscenza in un semplice umano sarebbe sprecata. Perciò scegli”.

“Vattene subito!”.

Alarad, i cui capelli scuri accentuavano il pallore e le occhiaie, non si aspettava quella risposta. Deciso ad ottenere quel che desiderava, ed accecato dall’ira, aggredì il giovane Emelrik. Questi tentò invano di difendersi ma la forza del vampiro era decisamente superiore e non poté fare molto. Urlò, con i denti del maestro che affondavano nel collo dell’allievo e ne sottraeva in fretta ogni goccia di sangue. Si agitò, invano, fino a percepire le forze che lo abbandonavano. Che stava succedendo? Stava morendo? No, lui non voleva morire! In uno scatto improvviso, riuscì a sferrare un calcio all’aggressore. Non aspettandosi una simile reazione, Alarad lasciò perdere momentaneamente il proprio pasto e fissò il giovane.

“Sei un guerriero?” lo derise “Che pensi di fare?”.

“Io non voglio morire!”.

“Ma tu non morirai”.

“Che…?”.

“Tu diverrai come me! Una tale sete di conoscenza ed una tale determinazione non sono caratteristiche da lasciar crepare con una semplice vita mortale. Non può sfiorire tutto in un soffio!”.

“È peggio ancora di morire! Vattene, demonio! Stai lontano da me!”.

“Demonio? Non esagerare!”.

Il vampiro attaccò di nuovo. Questa volta Emelrik non ebbe la forza di reagire, stremato per la forte emorragia. Stava diventando tutto nero, la vista si appannava ed i sensi si smarrivano lentamente. E svenne, senza riuscire ad aprir bocca se non in un gemito di dolore.

 

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