Cuore di farfalla

di fearlesslouis
(/viewuser.php?uid=552217)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima parte ***
Capitolo 2: *** Seconda parte ***
Capitolo 3: *** Terza parte ***
Capitolo 4: *** Quarta parte ***



Capitolo 1
*** Prima parte ***


 

Salve a tutti!
Inizio col dirvi che se inizialmente vi sembrerà di aver già letto questa fanfiction, è perché l'avevo pubblicata qualche tempo fa.
Ho poi deciso di cancellarla, dato che quelle tre o quattromila parole non mi soddisfacevano per niente.
Vorrei renderla perfetta, questa storia, perché è completamente ispirata a quella di mia madre e mio padre,
e mi piacerebbe tanto essere in grado di rendere giustizia a tutto il dolore che hanno provato e alle difficoltà che si sono ritrovati davanti. Ma ho imparato col tempo che ciò che scrivo non riesce mai a piacermi fino in fondo.
Quindi spero che per adesso possa piacere a voi.
Me lo farò andar bene comunque.
Buona lettura, e scusatemi in anticipo per eventuali ritardi nella pubblicazione!
Lila.

 

Image and video hosting by TinyPic

 


 

Alla mia mamma,
perché è rimasta
e perché mi ha insegnato come si fa ad essere forti.


 


Harry cambia scuola almeno una volta ogni nove mesi. Negli ultimi quattro anni, lui e sua sorella hanno conosciuto sei diversi istituti, decine di professori e migliaia di volti differenti. Harry può giurare di non ricordarne neanche uno, ed è abbastanza convinto che per Gemma sia lo stesso.

Il rapporto con sua madre non è dei migliori, e pensa che avrebbe decisamente potuto impegnarsi maggiormente per dare loro una vita un po' più stabile, ma sa che c'è di peggio. Suo padre, per esempio. Suo padre è quel tipo di persona di cui il mondo potrebbe fare a meno senza alcun problema. Non pensa abbia mai avuto una qualche capacità o abilità speciale, a parte rubare e farsi beccare la maggior parte delle volte. Per quel che ne sa, infatti, Des è in galera da ormai due o tre anni. Invia qualche lettera a casa, ogni tanto, nel vago tentativo di tenere vivi i rapporti di una famiglia che lui stesso ha mandato in mille pezzi. Gemma è più incline a comportarsi in modo educato ed accondiscendente, Harry si limita ad ignorarlo.

E' arrivato a Doncaster da appena tre giorni, e la cittadina sembra davvero carina; non troppo diversa da Holmes Chapel, l'ultimo posto in cui hanno soggiornato. In ogni caso, è abbastanza certo che nel giro di qualche mese si ritroverà in un'altra parte sperduta dell'Inghilterra, quindi cerca di non farsi impressionare troppo dall'edificio davanti a lui. Non che sia bellissimo, in realtà. Poco sopra il portone principale c'è scritto “The Hayfield School: working together, learning together”, e un numero non ben definito di studenti è appostato nel giardino principale.

Harry osserva Gemma guardarsi intorno e sospira internamente; sua sorella riesce sempre ad essere entusiasta, felice, ed Harry si chiede come faccia. Lui ha perso la voglia di sperare che le cose possano cambiare. Non sa chi sia ridotto peggio, in effetti: se Gemma che sembra non affezionarsi mai veramente a niente e nessuno, o lui che invece tende costantemente ad isolarsi per proteggersi dall'inevitabile separazione finale.

Mette da parte i suoi pensieri cupi quando la campanella delle otto suona. Una massa informe di ragazzi e ragazze comincia a muoversi verso l'ingresso, accalcandosi nel tentativo di entrare. Harry prende un respiro profondo, prima di guardare di nuovo sua sorella.

-Sei pronto, fratellino?- domanda lei, porgendogli la mano.

La afferra con decisione e sorride. -Sono pronto.-

 

 

Harry non impiega più di qualche ora per individuare i gruppetti della scuola. Il pranzo sembra quello di in tipico film americano: gli sportivi vicino alla finestra, tre o quattro ragazze completamente vestite di rosa che li guardano con aria sognante proprio lì accanto, i secchioni chinati sui libri in fondo alla sala, e affianco alla porta qualche musicista impegnato ad accordare la propria chitarra. Se Harry non fosse dolorosamente consapevole di star vivendo la cruda realtà, penserebbe di essere finito in Mean Girls. C'è addirittura una biondina alta e magra che somiglia a Regina George, a qualche metro di distanza da quello che sembra essere il capitano della squadra di football, intento a rappresentare con verve qualche meravigliosa azione di gioco.

Non si accorge di starli fissando con espressione leggermente schifata finché qualcuno non glielo fa notare.

-Sono un cliché vivente, non è vero? Pensa che li conosco dalle medie e ancora non mi sono abituato a vederli girare tranquillamente per la scuola- dice il biondino alla sua sinistra.

Harry ridacchia e gli lancia un'occhiata. -Beh, immagino che non sia facile vivere in una scuola in cui minigonne rosa e giacche sportive attirano tutta l'attenzione.-

-Infatti è estenuante- ribatte l'altro, per poi allungare una mano nella sua direzione e presentarsi. -Niall Horan.-

-Harry Styles- pronuncia ricambiando la stretta.

Niall si siede cautamente al suo fianco, per poi poggiare il vassoio sul tavolo. -Sei nuovo? Non ti ho mai visto in giro.-

Harry annuisce, dando un morso al suo panino. -Appena arrivato da Holmes Chapel.-

-E la prima cosa che hai fatto è stata guardare Taylor Swift? Devi esserti fatto una brutta impressione di Doncaster- esclama con aria divertita, dandogli una pacca sulla spalla.

-Non così brutta, in realtà- borbotta scherzosamente il riccio -Prima di entrare ho visto un paio di bei ragazzi.-

Niall sbarra gli occhi e tossisce un paio di volte, e inizialmente Harry pensa che si allontanerà e comincerà a far finta di non averlo mai conosciuto. È abbastanza sorpreso quando invece scoppia in una rumorosa risata, talmente contagiosa che Harry quasi non si accorge di star sorridendo ampiamente.
-Mi sei simpatico, Harry Styles di Holmes Chapel.-
-In realtà- spiega, mentre una leggera risata continua a scuotergli lo stomaco -Non sono nato a Holmes Chapel.-

Niall annuisce. -Quindi viaggi molto?-
Harry si schiarisce la voce, poi sospira e poggia sul tavolo l'ultimo pezzo del suo panino. -È un po' complicato.-
-Beh- pronuncia il biondo, abbassando gli angoli della bocca con noncuranza -A me piacciono le persone complicate.-

Harry è consapevole del fatto che ora dovrebbe alzarsi, salutarlo ed evitarlo per il resto della sua permanenza a Doncaster. Poi però alza lo sguardo per un attimo, e vede sua sorella seduta a qualche tavolo di distanza, mentre ride e chiacchiera con tre o quattro ragazze che sembrano rientrare nel gruppo dei popolari-ma-non-troppo.

Per una volta, pensa, anche lui potrebbe concedersi il lusso di stringere amicizia con qualcuno.

Sa che se ne pentirà, prima o poi, quando arriverà il momento in cui dovrà inevitabilmente lasciarsi tutto indietro, ma scrolla le spalle e sorride, mentre Niall elenca e descrive tutti i professori della scuola.

-Così sarai pronto quando incontrerai quella befana della Stevens- borbotta, le labbra sporche di budino al cioccolato e gli occhi pieni di terrore.

Harry ride, e si sforza di ignorare tutto il resto.

 

 

 

Quando torna a casa, la prima cosa che avverte è la puzza di broccolo che gli solletica le narici. La seconda, invece, è la voce di Gemma che lo richiama dalla cucina. Sistema lo zaino accanto alla porta e si tappa il naso con due dita, prima di raggiungere la sorella.

-Hey, fratellino- lo saluta lei, lanciandogli uno sguardo e continuando a mescolare qualsiasi cosa si stia attingendo a cucinare. Harry era convinto fossero broccoli, ma da quella distanza non si direbbe.

-Dovresti lasciar cucinare me, Gems- le intima quindi, scherzoso ma non troppo.

Lei alza gli occhi al cielo con uno sbuffo, poi adagia il coperchio sulla pentola e si gira verso di lui.

-E tu dovresti smetterla di prendere in giro le mie doti culinarie e dirmi come è andata oggi a scuola- protesta incrociando le braccia al petto.

Harry ridacchia, le lascia un bacio sulla guancia e scrolla le spalle con noncuranza. -Penso di aver fatto amicizia con un ragazzo.-

-Ma è fantastico!- urla quasi, battendo le mani con entusiasmo. Il riccio non ricorda di averla mai vista così felice negli ultimi tre o quattro anni. -Dovrai farmelo conoscere, prima o poi.-

Annuisce, quindi, per poi cominciare a sistemare piatti, posate e tovaglioli sul tavolo. Si accorge del silenzio che avvolge la cucina solo dopo aver finito di apparecchiare, e capisce dall'espressione dipinta sul volto di Gemma che qualcosa non va.

Lei poggia il bacino contro il ripiano, incrocia le braccia al petto e sospira.

-E' arrivata una lettera- spiega infine.

Harry annuisce, e cerca con tutto se stesso di ignorare la brutta sensazione che gli attanaglia lo stomaco. Si rifiuta di chiamarla mancanza. Rabbia, forse, perché non si può sentire la mancanza di una persona che non c'è mai stata.

Harry è solo arrabbiato.

-Bene- sputa quindi, il tono della voce più sprezzante di quanto non volesse. -L'hai letta?-

-C'è scritto che è solo per te. L'ho messa sulla tua scrivania, in caso volessi leggerla.-

Gemma sa che non la leggerà, ma Harry apprezza il tentativo. Harry apprezza il fatto che sua sorella faccia sempre un tentativo, e vorrebbe davvero essere come lei. Guardare la calligrafia di suo padre senza aver voglia di piangere o vomitare.

Quando arriva nella sua stanza, subito dopo aver pranzato, sulla scrivania c'è una busta giallognola sistemata vicino al computer.

Harry neanche la guarda.

 

 

 

* * *

 

 

 

Un mese dopo, quella lettera è estremamente impolverata e sistemata in un angolo nascosto della scrivania, cosicché Harry non debba ritrovarsela sotto gli occhi ogni volta che entra nella stanza. Niall si è auto-proclamato suo migliore amico, perché a quanto pare -Tu mi lasci copiare durante i compiti in classe e io ti offro il pranzo: questo, Haz, significa essere migliori amici-. Infine, poi, Harry ha scoperto che il biondo aveva ragione: la professoressa Stevens si è rivelata una vera e propria stronza. E' una donna di circa sessant'anni che una volta deve essere stata abbastanza affascinante, con i capelli sempre raccolti in uno chignon e gli occhiali perennemente poggiati sul naso. Harry sta giusto uscendo dalla sua aula dopo un'estenuante ora di lezione, quando vede Niall corrergli incontro.

-Hey Haz- lo saluta, per poi prendere a camminare al suo fianco. -Oggi non ti ho visto in mensa.-

-Ho dovuto ripassare biologia per tutto il tempo- spiega, fermandosi in prossimità del suo armadietto. -La Stevens mi ha interrogato.-

Niall trattiene a stento una risata, la spalla poggiata contro il muro e le braccia incrociate al petto. -Sapevi che sarebbe successo, prima o poi.-

Harry gli lancia un'occhiataccia e sbuffa. -Sì, ma non immaginavo che sarebbe stato così terrificante.-

Il biondo gli riserva un'espressione tra la pietà e il divertimento, per poi chiudere l'armadietto con un tonfo, prenderlo sottobraccio e cominciare a trascinarlo verso l'uscita.

-Dov'è tua sorella?-

-Penso sia già andata a casa- risponde con una scrollata di spalle. -Esce prima di me, solitamente.-

-Bene!- esclama Niall, saltellando fino ad arrivargli di fronte. -Allora avvertila che ceni da me.-

Harry aggrotta le sopracciglia e sente le labbra piegarsi in un sorriso spontaneo, ormai abituato all'esuberanza dell'amico. -E' per caso un ordine?- scherza quindi, mentre riprendono a camminare verso la strada.

-No, è solo una richiesta di aiuto per il compito di matematica- risponde il biondo ridacchiando. -E in cambio ti offro un passaggio in macchina.-

Harry finge di pensarci per qualche secondo, le labbra arricciate e gli occhi socchiusi, poi gli lascia una pacca sulla spalla magra e annuisce un paio di volte. -Andata.-

-C'è mio cugino, laggiù- riprende quindi Niall, puntando il dito sulla figura di un ragazzo non troppo alto, a qualche metro di distanza, con la schiena poggiata sullo sportello di una macchina, l'aria annoiata e le braccia incrociate al petto.

Harry avverte un moto di imbarazzo avvolgergli lo stomaco, ma tenta di ignorarlo e continua a seguire Niall. Quando arrivano di fronte a suo cugino, la prima cosa che Harry pensa è che sia più basso di quanto non appaia da lontano. Poi si chiede perché i suoi occhi sembrino così divertiti, e infine si sofferma sul loro colore, simile a quello di Niall ma leggermente più scuro, con una leggera spruzzata di verde a circondare il nero delle pupille.

-Harry, questa testa di cazzo è Louis, mio cugino- esordisce il biondo, avvolgendo con un braccio le spalle ossute di Louis. -E loro- continua poi, indicando due ragazzi sbucati dai sedili posteriori che hanno tutta l'aria di essere appena usciti dalla pubblicità di un profumo. -Sono Liam e Zayn, degli amici.-

E mentre Niall si intrufola nei sedili posteriori, in modo non troppo delicato considerando i lamenti che emettono i due modelli lì dietro, Louis allunga una mano verso di lui. -Harry, giusto?- comincia quindi. -Niall mi aveva parlato del fatto che fossi riccio- prosegue poi, sfiorando con un dito il boccolo che gli ricade sulla fronte.

Harry cerca di ignorare il calore che affluisce sulle sue guance e sorride timidamente, stringendo a sua volta la mano minuta dell'altro.

-Piacere di conoscerti- sussurra poi, maledicendo mentalmente Niall per averlo lasciato lì fuori da solo mentre Louis non la smette di fissarlo.

Ha uno sguardo strano, pensa Harry. Malizioso ma velato di timidezza, sfacciato ma a tratti quasi dolce. Il riccio spera che l'espressione dipinta sul suo volto non sembri troppo stupida o imbarazzata, ma quando un quarto d'ora dopo lui e Niall si ritrovano da soli in camera, l'amico gli fa sapere con aria divertita che -Sembravi uno appena colpito da un fulmine, Haz.-

Ride, poi, e si premura di continuare a prenderlo in giro senza nascondere un ghigno compiaciuto. -Hai presente i protagonisti di quei romanzi di bassa categoria, che appena conosciuti già pensano a quando si sposeranno e avranno tre figli e due cani?-

Harry gli lancia un'occhiataccia e tira fuori un verso che somiglia vagamente ad un ringhio. -Pronuncia un'altra parola e al compito di matematica ci pensi da solo.-

Niall resiste per soli dieci secondi –Harry li conta– prima di lasciarsi scappare un'altra risatina. Porta una mano a coprirsi il viso mentre l'altra sbatte due o tre volte contro la scrivania di legno. -E' che sei sempre così controllato, Haz- spiega tornando a guardarlo. Sta cercando di trattenersi, Harry può constatarlo dal rossore esagerato che gli tinge le guance, come se si stesse sforzando di rimanere serio. -Vederti imbarazzato e nervoso per tutto il viaggio in macchina è stato davvero uno spasso.-

-Non ero imbarazzato, Niall- precisa quindi, perché la colpa non è sua, e non è lui quello che tocca i capelli degli sconosciuti. -E' solo che tuo cugino a quanto pare non sa tenere a freno la lingua. E neanche le mani. O non gli importa di tenerle a freno, non lo so.-

Il biondo annuisce lentamente, poi si siede accanto a lui sul letto e prende a fissarlo in modo leggermente inquietante. Harry inarca un sopracciglio. Lo preferiva quando non riusciva a smettere di ridere.

-Ci conosciamo da più di un mese ormai- afferma infine.

-Sì- scandisce Harry, le labbra arricciate e la fronte corrugata. -Che ti prende, Niall?-

-E' solo- si blocca per qualche secondo, forse in cerca delle parole giuste, sospira profondamente e trascina i palmi delle mani sul tessuto scuro dei jeans. -Non sono molto bravo con le parole, ma tipo –sai che puoi parlare con me, vero?-

Harry si sente abbastanza spaesato dal cambiamento del suo tono, e seppur l'atmosfera si sia fatta un po' troppo pesante per i suoi gusti, si limita a scuotere il capo in segno di assenso.

-Bene- sorride il biondo. -Perché l'ho notato, sai – il fatto che hai quasi paura del contatto fisico, e che hai l'espressione di una persona che non si fida di nessuno. L'ho notato. Ecco perché ridevo – non era per prenderti in giro, è solo che sei sempre così controllato, e sono contento di averti visto un po' più sciolto.-
Harry sospira e stringe le labbra, e non lo sa da dove provenga quel moto di irritazione che gli stringe lo stomaco. Si allontana da Niall, però, e si trascina sul materasso finché la gamba destra non sporge completamente.
-Pensi che sia una specie di robot rotto o qualcosa del genere, Niall?- domanda quindi, con una calma che al momento non gli appartiene, la mano sinistra stretta in un pugno e la destra che si infila tra i capelli in un gesto nervoso. -Quindi cosa, ti sei avvicinato a me perché ho l'aria del ragazzo triste e solo? Credi che non abbia imparato come va la vita, che non sappia ciò che faccio o perché lo faccio? La maggior parte delle cose che mi hanno portato fino a questo punto non ho potuto sceglierle né controllarle. Ma questo, Niall, il mio modo di essere –questo è una mia scelta. E non ho bisogno di essere compatito.-

Harry si pente di tutto ciò che ha detto esattamente un secondo dopo aver finito di parlare, ma non chiede scusa né se lo rimangia. Un po' perché non ne è capace, un po' perché in fondo sa che chi lo guarda vede un involucro vuoto che si muove quasi per inerzia, e sa anche che sono tanti i punti di se stesso che dovrebbero essere aggiustati. Per questo Niall farebbe meglio a lasciarlo stare, prima che sia troppo tardi. Al contrario, invece, il biondo non sembra troppo stupito della sua reazione. Sorride cautamente e ancor più cautamente gli si avvicina, in punta di piedi, come se avesse già capito tutto senza che Harry abbia dovuto dirgli niente.

-Senti Harry, l'ho capito che sei una persona diffidente. Basta notare il modo in cui a scuola eviti ogni tipo di contatto con qualsiasi persona che non sia io- esordisce dopo un po'. Ridacchia, poi, e gli passa un braccio intorno alle spalle, quasi compiaciuto di fronte alla consapevolezza di essere l'unico che Harry non cerca di allontanare. -A volte riesco a leggere la tristezza nei tuoi occhi con tanta chiarezza che mi spaventa, ma ho imparato a volerti bene. E in realtà mi è venuto anche abbastanza naturale. Quindi non ti sto dicendo che devi raccontarmi la storia della tua vita e piangere sulla mia spalla, né che pretendo di poter aggiustare ciò che non va. Perché non ne sarei capace, e anche perché tutti quanti, chi più chi meno, ci portiamo dentro qualcosa che pesa un po' troppo. Ti sto dicendo che sono qui in caso tu ne abbia bisogno, tutto qui.-

Harry sospira, chiude gli occhi e porta le mani sul viso. Strofina un po', poi, come per cercare di scacciare via i pensieri e le negatività che gli annebbiano sensi e sentimenti.

Anche io ti voglio bene, pensa, e vorrei poterti dire che impareremo a conoscerci ancora meglio, e che un giorno troverò il coraggio di confessarti che la paura mi tormenta, e che riuscirò a raccontarti dei momenti in cui la convinzione di non poter sentire altro che dolore mi distrugge da dentro, e anche delle volte in cui ho pensato che tutta la violenza che ho conosciuto avrebbe pervaso per sempre ogni attimo di ogni giornata.

-Me ne andrò, Niall- dice invece, perché se non può proteggere se stesso, deve almeno cercare di proteggere la sola persona che sia riuscita a ritagliarsi uno spazio in quella parte di cuore ancora intera che gli è rimasta. E l'unica cosa che può fare per proteggere il suo sorriso genuino e il suo modo di fare gentile e spontaneo, anche se con infinita amarezza e tanta tristezza, è proprio mandarlo via. Salvarlo dal buco nero che è diventata la sua vita. -Non rimango nello stesso posto per più di nove mesi da anni. Non ricordo neanche di aver mai avuto un luogo da chiamare casa. Mia madre scappa da qualcosa che è più grande di lei usando la scusa del lavoro e mia sorella ed io siamo i pesi che deve portarsi dietro, e in tutti questi anni ho cercato di non costruire nessun legame perché si spezzano, Niall, i legami si spezzano in una vita come la mia.-

Il biondo lo guarda con negli occhi quella che sembra compassione, e se fosse qualcun altro Harry ne sarebbe perfino infastidito. Ma è Niall quello lì di fronte, e le dita della sua mano destra gli stanno stringendo la nuca, ed Harry capisce avvertendo contro la pelle la consistenza morbida dei suoi polpastrelli che non si sente compatito. Si sente confortato, piuttosto, chiuso in una bolla di calore ed affetto.

Per questo non dice niente quando Niall trascina il suo volto ad affondare nel tessuto morbido della felpa che indossa, e non protesta mentre sente un bacio delicato e silenzioso posarsi tra i suoi capelli.

-Sono qui, Harry- sussurra, e il riccio quasi piange. Non ti merito, pensa, per poi chiudere gli occhi e sospirare stancamente. Non ti merito ma non posso lasciarti andare. -Sarò qui quando vorrai.-

Se Harry si lascia scappare o meno qualche lacrima, è così silenzioso che Niall non se ne accorge.

 

 

 

Dopo più di due ore trascorse a risolvere equazioni esponenziali, Niall quasi delira. Quando comincia a mordicchiare il tappo della penna con l'espressione di chi potrebbe commettere un omicidio da un momento all'altro, Harry decide che andare di sotto a prendere qualcosa da bere e preparare un paio di sandwich sia la scelta migliore.

La cucina di Niall è almeno due volte più grande della sua, con un piano cottura spazioso e brillante, un bancone posto esattamente al centro e degli scompartimenti forniti di ogni tipo di strumento. Il riccio pensa che se avesse a disposizione tutti quegli utensili passerebbe delle ore a cucinare –Niall ne sarebbe estremamente contento, comunque.

Proprio mentre è piegato davanti agli scaffali del frigorifero per prendere il prosciutto cotto, una voce lo richiama.

-Cerchi qualcosa?-

Louis è poggiato con i gomiti sul ripiano in marmo, e Harry è sicuro di sembrare un emerito idiota in questo momento, con l'espressione impaurita e una mano al centro del petto.

-Mi hai spaventato- soffia quindi, e il fatto che Louis rida dovrebbe offenderlo o infastidirlo, ma non pensa che quegli occhi siano capaci di suscitare emozioni negative.

Ridacchia a sua volta e chiude l'anta del frigorifero, non prima di essersi procurato una scatola di burro spalmabile ed una confezione di prosciutto.

-Volevo portare del cibo a tuo cugino- spiega a quel punto. -Stiamo studiando matematica da più di due ore e ho paura che i suoi nervi possano crollare definitivamente, se non mangia qualcosa.-

-Oh, giusto- borbotta Louis -Salviamo quegli ultimi due o tre neuroni rimasti.-

-Ti ho sentito, idiota.- Niall passa in cucina proprio in quell'esatto istante –per bere dell'acqua, spiega. -E non sono io quello col cervello bruciato, grazie tante- continua poi, sistemando il bicchiere nel lavandino. Lascia un bacio sulla guancia di Harry e -Sei la mia salvezza, Haz- sussurra, prima di annunciare che lo aspetterà di sopra.

Quando se ne va, veloce come è arrivato, Louis non ha l'aria di un ragazzo a cui è stata appena fatta una battuta. Piuttosto, sembra che la frecciatina l'abbia infastidito parecchio.

-Quindi- lo richiama però, facendo finta di niente. -Sei bravo con la matematica?-

Harry piega le labbra in un'espressione noncurante e scrolla le spalle, spalmando il burro sulla fetta di pane. -Me la cavo, ma Niall potrebbe sicuramente trovare qualcuno che gli dia ripetizioni meglio di me.-

Louis aggrotta le spracciglia e piega la testa di lato. -Ma l'ha chiesto a te.-

-Sì, perché sono suo amico- spiega, per poi sistemare i due sandwich in un piatto e riporre gli ingredienti nel frigorifero. -E anche perché gli preparo dei panini quando comincia ad essere stanco.-

Il liscio ridacchia e -Mi sembra giusto- borbotta, una mano sotto il mento e l'altra a tamburellare nervosamente contro il marmo bianco del bancone.

E' davvero bello, pensa Harry. Non di quella bellezza talmente perfetta da non poter essere contestata. Louis non è perfetto: le sue labbra sono sottili e screpolate, la fronte è troppo ampia e il naso ha una forma un po' strana, anche se Harry lo trova adorabile. Non è una bellezza perfetta, la sua, ma è una di quelle che si fanno guardare e non si lasciano dimenticare.

Harry si schiarisce la voce e afferra il vassoio. -Torno di sopra- annuncia quindi -La matematica mi aspetta. E tuo cugino aspetta i sandwich.-

Louis gli riserva un sorriso e annuisce, e quando Harry è in prossimità delle scale e si volta verso di lui un'ultima volta, nota che non ha mosso neanche un muscolo. E' ancora nella stessa posizione di prima, con lo sguardo basso e l'espressione corrucciata.

E' una bellezza triste, quella di Louis.

 

 

 

* * *

 

 

Niall non è assolutamente tra le persone più serie che conosca. Non che Harry conosca tante persone, in realtà, ma è abbastanza sicuro che se anche conoscesse tutti gli abitanti di Doncaster e dintorni, Niall sarebbe comunque tra le persone meno serie nella lista delle persone serie.

Ma è suo amico, in ogni caso. E nonostante rida sguaiatamente per la maggior parte del tempo e lanci palline di carta impregnate di saliva ai professori, Harry ha cominciato a sentirsi al sicuro in sua presenza.

E si sentirebbe senza dubbio più a suo agio, per esempio, se in questo momento fosse presente anche lui nella macchina di Louis. Gli andrebbero bene anche Liam e Zayn e il suono umido dei loro baci che proviene dai sedili posteriori, se deve essere sincero.

Il fatto è che da quell'ormai lontano giorno di ottobre, Louis ha continuato a farsi trovare fuori scuola dopo la fine delle lezioni. E sempre da quel lontano giorno di ottobre, questo è il primo in cui Niall si assenta. -Non sapevo che mio cugino non ci fosse- gli ha detto Louis appena lo ha visto andargli incontro da solo. -Beh, ormai ti accompagno a casa, dato che ci siamo.- Harry non può proprio dirglielo né riesce a trovare una giustificazione a ciò che pensa, ma avrebbe preferito passare quarantacinque minuti in un autobus puzzolente piuttosto che venti nella sua auto pulita e profumata.

 

17:34

Dove sei?

-Gems

 

17:34

Sano e salvo, solo bloccato in macchina. Torno per cena. x

 

Sospira sistemando il cellulare nello zaino e lancia un'occhiata veloce verso Louis, le mani sul volante e l'espressione preoccupata.

-Mi dispiace davvero tanto, Harry- mormora il liscio. -L'ho fatta controllare un paio di settimane fa e Stan mi aveva assicurato che fosse tutto a posto.-

Harry scrolla le spalle e scuote velocemente la testa. -Non è mica colpa tua se la macchina si è fermata, Louis- afferma sicuro. -Tranquillo, okay?-

-Avevi qualcosa di importante da fare?- chiede quindi, tamburellando con le dita sulla coscia.

-Avrei dovuto studiare fisica per la prossima settimana, ma essere bloccato sul ciglio di una strada è sicuramente più divertente del moto rettilineo uniformemente accelerato.-

Louis ride, porta una mano davanti alle labbra, socchiude gli occhi e poggia la testa sul sedile. Ad Harry piace davvero tanto il suono pulito e dolce della sua risata, e anche il modo in cui il blu dei suoi occhi si intravede a malapena tra le rughette di espressione che lo sommergono.

-Il carro attrezzi dovrebbe arrivare tra poco, comunque- annuncia scorrendo il dito sullo schermo del cellulare. -E Zayn verrà a prenderci tra qualche minuto.-

-Hai rovinato la loro luna di miele- scherza.

-Nah- sbuffa Louis. -Quei due stanno sempre appiccicati, passare un paio d'ore separati sarà positivo per entrambi.-

Harry ridacchia ed annuisce, giocherellando nervosamente con il portachiavi a forma di pinguino attaccato alla lampo del suo zaino. Gliel'ha regalato Niall qualche giorno prima, e la spiegazione è stata che -Il modo in cui cammini mi ricorda quello di un pinguino, Haz-. Harry non ha protestato, perché in fondo lo sa di non essere tra le persone più coordinate del mondo. E quel pinguino è davvero carino, in ogni caso.

-Da quanto vi conoscete, tu e la coppietta?- chiede dopo qualche secondo, giusto per evitare di cadere in un silenzio imbarazzante fino a quando non arriverà il carro attrezzi.

Louis scrolla le spalle e abbassa gli angoli della bocca. -Praticamente da sempre- afferma. -I nostri padri erano molto amici e noi come loro siamo cresciuti insieme. Sono come fratelli per me.-

Harry pensa a Tom, il suo vecchio vicino di casa a Liverpool in quella che sembra un'altra vita, e a Sam e Adam, che ad otto anni si sono messi a piangere quando ha lasciato Brighton, e anche a James, il ragazzino dai capelli rossi che durante il primo anno di scuola media ha fatto di tutto per diventare suo amico e l'ha abbracciato stretto quando ha saputo che non si sarebbero visti mai più.

Per questo -Deve essere bello- sussurra senza neanche accorgersene.

Se Louis ha notato l'improvvisa tristezza scritta sul suo volto, non dà segno di averlo fatto. -Cosa?-

-Tutto questo- vagheggia, le mani che si muovono in gesti confusi. -Il crescere insieme, conoscersi a fondo. Arrivare a fidarsi dell'altra persona più di quanto non ci si fidi di se stessi.-

Louis rimane in silenzio, ma il suo sguardo è concentrato. Si gratta distrattamente il naso e annuisce come se avesse capito tutto. Sospira e stringe le labbra, prima di ricominciare a parlare. -Non sembri un ragazzino di sedici anni, sai?- domanda retorico, trascinandosi sul sedile finché la sua schiena non va a poggiarsi sul finestrino. -Hai la faccia di uno che ha visto più del necessario.-

Harry arriccia le labbra e lancia un'occhiata al mondo fuori dal vetro, le macchine che gli sfrecciano accanto e la pioggia che comincia a cadere. -Ho visto abbastanza- bisbiglia infine, seguendo con lo sguardo il percorso delle gocce d'acqua sul parabrezza.

Un clacson spezza l'atmosfera prima che Louis possa aggiungere qualcos'altro, e quando due ore dopo Harry arriva a casa zuppo d'acqua e con gli occhi lucidi, Gemma non fa domande; gli porge una tazza di cioccolata calda e affera il DVD della Bella e la Bestia.

 

 

* * *

 

La prima volta che Harry vede Louis ubriacarsi fino a star male, è durante una delle tante giornate trascorse in casa Horan. E' ormai dicembre inoltrato, la scuola è finita da un paio di giorni e Niall freme per l'arrivo del Natale, che a quanto pare è la sua festività preferita. E questo spiega il maglione imbarazzantemente brutto che indossa, con ricami rossi e verdi ed al centro il naso sporgente di una renna. Harry non ha assolutamente intenzione di soffermarsi sulle sue calze con stampe di Babbo Natale, mentre Niall poggia i piedi sul tavolino di fronte al divano.

Gioca a Fifa da quelle che sembrano ore, ed ha scelto la Roma, una squadra italiana che sta miseramente perdendo contro il Real Madrid virtuale scelto dall'altro utente.

-E' la versione 2015/2016- gli ha spiegato poco fa. -Quindi c'era ancora Francesco Totti, hai presente? Il capitano che si è ritirato a fine campionato.-

Harry sa ovviamente di chi stesse parlando il suo amico, ma non è propriamente ferrato in certi argomenti, quindi per tutto il tempo si limita a guardarlo imprecare a denti stretti, senza preoccuparsi di nascondere quel pizzico di sadico divertimento che gli piega le labbra in un sorriso. Deve ammettere che quell'espressione arrabbiata sul volto del biondo è decisamente in tinta con l'abbigliamento da bambino di dieci anni che aspetta Babbo Natale.

Il riccio sobbalza leggermente quando Niall prende a tossire, evidentemente provato da tutte le urla che ha lanciato contro il televisore.

-Vado a prenderti qualcosa da bere- annuncia quindi, e si accontenta del pollice che l'amico gli rivolge in segno di assenso, prima di alzarsi e dirigersi verso la cucina.

Si blocca sull'uscio, però, indeciso se tornare indietro o andare avanti e svegliare la figura accasciata sul marmo del ripiano. Ci pensa Louis stesso, alla fine, a risolvere il suo dilemma interiore. Solleva la testa dal rifugio delle sue braccia e lo guarda attentamente, assottigliando gli occhi per metterlo a fuoco. Non ha l'aria assonnata, pensa Harry. Gli ricorda di una vita lontana, di momenti vissuti qualche anno fa, quando si sforzava di ricordare come fosse la voce di suo padre senza litri di alcohol ad impregnarla, quando guardava un paio di occhi verdi cercando di trovarci dentro un po' dei suoi ma tutto ciò che riusciva a vedere era vuoto.

-Sei ubriaco- mormora quindi, occhieggiando verso la bottiglia di vodka che Louis stringe tra le dita della mano sinistra. -E' l'una del pomeriggio e tu sei ubriaco.-

Il liscio annuisce lentamente. -Sembri sconvolto, riccio. Non hai mai visto nessuno ubriacarsi all'una del pomeriggio?- biascica poi, arricciando le labbra e prendendo un sorso del liquido trasparente. Ad Harry sembra di poter sentire la puzza fin da lì. -Vuoi unirti a me?-

Harry non risponde. Non lo guarda nemmeno, in realtà. Torna in salone, recupera la sua giacca e si dilegua con qualche scusa estremamente stupida, sotto lo sguardo attonito e preoccupato di Niall.

Sa che non ha alcun diritto di essere sconvolto o arrabbiato, e sa che Louis può fare della sua vita ciò che ritiene più opportuno.

Ma mentre la neve comincia a cadere, Harry capisce che quella vita lontana fatta di notti insonni e urla e pezzi di vetro, quei momenti dimenticati in cui la sua infanzia è stata brutalmente annientata dalle mani di chi avrebbe dovuto proteggerla, in realtà non sono né lontani né dimenticati.

Non è pronto a rivivere ciò che è stato. C'è una lettera chiusa ed impolverata sulla sua scrivania, e ritrovare negli occhi di Louis lo stesso vuoto che c'era in quelli di suo padre significherebbe aprirla, scoperchiare il vaso di Pandora e lasciare che tutto torni a galla.

Harry non è pronto.

 

 

 

* * *

 

 

Niall non gliela fa passare liscia, ovviamente. Si presenta alla sua porta il giorno dopo, ed entra in casa con le braccia incrociate al petto e sul volto l'espressione arrabbiata di chi è dovuto uscire di casa dopo il pranzo del ventiquattro dicembre per andare a chiedere spiegazioni al suo amico. Espressione che non l'ha ancora abbandonato, mentre è seduto sul letto sfatto e gli indirizza l'occhiata più intimidatoria del suo repertorio.

-Non me ne andrò finché non mi avrai spiegato cosa ti è successo- annuncia per l'ennesima volta. -E tu ti sentirai in colpa perché mi avrai fatto restare qui la viglia di Natale mentre la mia famiglia mi sta aspettando a casa.-

Harry si lascia scappare una risatina, mentre sua sorella al piano di sotto alza ancora un po' la musica che sta ascoltando.

-Non è successo niente, Niall, sul serio- lo rassicura quindi, perché non gli sembra affatto giusto che l'amico perda la vigilia di Natale a preoccuparsi della sua suscettibilità.

-Strano- borbotta lui, le sopracciglia alzate e la fronte corrucciata -Perché Louis mi ha detto che potrebbe essere stato lui a mandarti via in quel modo.-
Il riccio si schiarisce la voce e sospira, buttandosi con fare teatrale sullo schienale della sedia girevole. -Non ha fatto niente di cui tu debba preoccuparti, Niall.-
-Ah no?- domanda ironico, per poi sciogliere l'intreccio di braccia e poggiare le mani sulla porzione di materasso dietro di lui. -Quindi non era talmente ubriaco da non ricordare neanche il suo stesso nome? E non aveva una bottiglia di alcohol a portata di mano come succede praticamente sempre? Devo essermi sbagliato, allora.-
Harry incassa il colpo, abbassa lo sguardo e arriccia le labbra. Niall lo lascia elaborare per qualche secondo, prima di alzarsi dal letto, avvicinarsi e piegarsi sulle ginocchia, in modo da poter essere alla sua altezza. -Non so perché ti abbia sconvolto così tanto, e se non vuoi dirmelo va bene, lo sai- soffia, ed il suo tocco sul ginocchio è talmente delicato che Harry quasi non lo sente. -Ma a Louis dispiace, e vorrebbe chiederti scusa di persona.-
-Te l'ha detto lui?- domanda Harry a quel punto. -Di ciò che è successo, intendo.-
Niall scuote la testa un paio di volte. -L'ho capito da solo quando dopo che te ne sei andato l'ho raggiunto in cucina. Ma che vuole chiederti scusa me l'ha detto lui appena si è ripreso un po'.-
Il riccio sbuffa una risata e alza gli occhi al cielo. -Non deve farlo, Niall- afferma quindi. -Non mi ha fatto niente, non è successo niente. Ho reagito in modo esagerato, ma questo è solo colpa mia.-
Niall annuisce, le labbra strette e l'espressione dubbiosa. -Beh, oggi è il suo compleanno, comunque. E tu gli sei simpatico. Quindi se vuoi venire...- lascia la frase in sospeso, sollevandosi con un sospiro.
Harry non pensa di avere molta scelta, in realtà. Sua sorella partirà per andare a trovare Des e lui rimarrà da solo, seduto a guardare un punto preciso della scrivania finché non cederà, prenderà quella lettera e per l'ennesima volta leggerà il "Per Harry" scritto sulla busta. Poi la rimetterà a posto, e con un peso sul cuore e il senso di colpa a lacerargli l'anima se ne andrà in cucina a preparare qualcosa di commestibile.
Si alza con un sospiro. -Mi vesto e andiamo.-
Niall annuisce e gli rifila una pacca sulla spalla, prima di lasciare la stanza con un sorriso sollevato a piegargli le labbra.

 

 

 

Casa Horan è più piena del solito, oggi. Ci sono Liam e Zayn che giocano con una bimba dall'aspetto adorabile che non deve avere più di sei o sette anni, e due ragazze che non ha mai visto sedute sul divano al centro del salone. La bionda si butta immediatamente su Niall, per poi allacciargli le braccia al collo con affetto. L'altra, invece, quella col viso più bambino ma le gambe leggermente più lunghe, gli si avvicina sorridendo timidamente.

-Tu sei Harry, vero?- chiede cauta, allungando la mano verso di lui. -Io sono Fizzy.-

Harry le sorride caldamente e ricambia la stretta, prima che Niall si discosti leggermente dalla ragazza bionda e si rivolga a lui. -Lottie, Fizzy e l'altra peste seduta sulle gambe di Liam sono le sorelle di Louis, quindi le mie cuginette.-

-Ho la tua stessa età, Niall- sbuffa Lottie. -Dovresti smetterla di chiamarmi cuginetta.-

Il biondo scrolla le spalle e sorride. -Sai che continuerò a farlo.-

La ragazza sospira con fare esasperato ma sorride, per poi tendergli la mano e -Piacere di conoscerti, Harry- dire affabilmente.

-Piacere mio- risponde quindi, e crede di aver capito come si riconosca un Tomlinson dal resto della popolazione mondiale: occhi azzurri e sguardo pungente, qualcosa che Harry ha già avuto l'onore di riscontrare nel maggiore della famiglia.

-Hey ragazzi- li saluta Liam, un braccio ancorato ai fianchi della bimba e l'altro teso a circondare le spalle di Zayn.

Sembrano una famigliola felice, pensa Harry, avvicinandosi a loro insieme a Niall e alle due sorelle. Louis fa il suo ingresso nella stanza qualche secondo più tardi, dopo che la bambina aggrappata al collo di Liam si è presentata come Phoebe. Gli è sembrata molto timida, con il tono di voce quasi impercettibile e lo sguardo che non ha incontrato il suo neanche una volta.

Louis sembra abbastanza sorpreso di vederlo lì, mentre alza la mano in segno di saluto.

-Ciao, Harry- pronuncia a quel punto, e il riccio non sa perché si senta così agitato, ma sorride in un modo che deve sembrare davvero isterico.

-Tanti auguri- borbotta in risposta, mordendosi nervosamente le unghie.

Per qualche secondo il salone cade in un silenzio profondo, ed Harry ha come l'impressione che tutti siano stati informati di ciò che è accaduto solo un paio di giorni fa, del modo esagerato in cui ha reagito e tutto il resto. Abbassa lo sguardo, quindi, ed è profondamente grato a Niall, quando sbatte le mani un paio di volte e si lancia non troppo delicatamente sul divano.

-Facciamo una partita alla Play?-

Phoebe lancia un urlo entusiasta ed annuisce freneticamente, per poi dirigersi correndo verso il fratello maggiore. Allunga le mani, quindi, aspettando di essere presa in braccio. -Giochi con me, Lou?-

Louis la accontenta e sorride in un modo tutto nuovo, con una luce negli occhi che Harry non crede di aver mai visto in nessun altro. -Certo che gioco con te- acconsente poi, colpendo il piccolo pugno della sorellina con il suo. -Insieme siamo imbattibili.-

La sua non è più una bellezza triste, pensa Harry, mentre lo guarda sistemarsi sul divano con quello scricciolo accoccolato sul petto; è la bellezza di un fratello maggiore, quella che ha visto addosso a sua sorella ogni volta che ha cercato di proteggerlo e si è messa al secondo posto.

Inizialmente Harry non prende parte al torneo, perché perderebbe miseramente in meno di cinque minuti e Niall gli urlerebbe cose orribili. Quando la prima partita finisce, però, Lottie e Fizzy sono già sparite da un bel po', evidentemente stufe di tutto il caos che quei quattro riescono a causare, mentre Zayn si dilegua silenziosamente verso il piano di sopra. Liam lo segue poco dopo, e Phoebe sta dormendo placidamente sul petto del fratello.

-Senza vergogna, quei due- ridacchia Niall, stiracchiandosi con un rumoroso sbadiglio. -Vado a prendere qualcosa da mangiare.-

Non appena il cugino scompare oltre la porta del salone, la stanza sprofonda in un silenzio estremamente imbarazzante. Ci pensa Phoebe, per fortuna, a spezzarlo.

-Lou?- sussurra, la voce assonnata e la mano che va a strofinare dolcemente l'occhio destro.

Louis porta immediatamente lo sguardo su di lei, le carezza delicatamente una guancia e sorride luminoso. Quella scena è talmente intima, sa così tanto di casa, che Harry si ritrova costretto a spostare la propria attenzione sul tappeto sotto i suoi piedi.

-Vuoi fare merenda? Niall sta preparando qualcosa in cucina.-

La piccola annuisce debolmente, per poi alzarsi dal divano e cominciare a dirigersi verso il cugino. Gli rivolge un sorriso quando passa accanto alla poltrona, gli occhi ancora mezzi chiusi e il naso arricciato. Harry può quasi sentire il cuore sciogliersi, mentre ricambia il gesto e la guarda allontanarsi.

-Non sai giocare alla Play Station?- è la prima cosa che chiede Louis non appena rimangono di nuovo soli, evidentemente non intenzionato a farsi avvolgere dall'imbarazzo per l'ennesima volta.

-No- risponde Harry scuotendo la testa. -Quel coso ha troppi tasti, non ho mai capito a cosa servano.-

Louis ridacchia, poi indica col palmo della mano il posto vuoto al suo fianco. -Vieni qui, ti faccio vedere.-

Harry lo raggiunge in un paio di falcate e prende il joystick che l'altro gli porge. Louis gli afferra entrambi il pollici in un tocco delicato e li poggia sulle levette in basso, quelle che Harry si divertiva a muovere senza alcuno scopo quando era piccolo.

-Queste servono per muovere i giocatori- comincia, per poi portare il suo dito a sfiorare i quattro tasti colorati sulla destra. -La X serve quando va fatto un passaggio alto, un cross o un colpo di testa, la A invece è per i passaggi corti, la B per i tiri e la Y va premuta quando c'è bisogno di effettuare un passaggio filtrante che mandi l'attaccante in porta.-

Harry c'ha capito poco e niente, in realtà. Non sa che significato abbia la maggior parte dei termini, e non si vergogna ad ammettere che la vicinanza di Louis l'abbia distratto in maniera esponenziale.

-Cos'è un cross?- chiede infatti, le mani leggermente sudate e ancora intrappolate tra quelle di Louis.

-Ehm- balbetta l'altro. -E' quando un giocatore lancia la palla in mezzo all'area di rigore, in modo che un compagno possa prenderla e cercare di segnare.-

-Oh, okay- annuisce Harry, abbastanza confuso.

Louis stringe le labbra per evitare di ridere, ma il riccio riesce a vedere benissimo il sorriso che si nasconde nel blu vivace dei suoi occhi. -Non sai cosa sia l'area di rigore, vero?-

-No- ammette allora. -E neanche un passaggio filtrante.-

Harry si gode per qualche secondo la risata genuina di Louis, prima di poggiare il joystick sul tavolino di vetro e sciogliere il loro intreccio di mani. A quel punto un'aurea consapevole sembra avvolgere il maggiore, che sospira e arriccia il naso come si stesse preparando a dire qualcosa di importante.

Harry capisce anche prima di sentirlo parlare.

-Senti- comincia infatti Louis dopo qualche secondo, lasciandosi andare con un tonfo sordo sullo schienale. -Volevo chiederti scusa per, sai –ciò che è successo l'altra volta. Non era mia intenzione farmi vedere da te ridotto in quel modo-

-E' una cosa abituale?- lo interrompe subito, poggiando a sua volta le spalle sulla superficie soffice del divano e incrociando le braccia al petto.

Louis si morde il labbro inferiore e abbassa lo sguardo, e da quell'angolazione Harry riesce a vedere il suo pomo d'Adamo muoversi su e giù. E' nervoso, e lo si può capire anche dai movimenti frenetici delle sue mani, o dal modo in cui il piede destro sbatte ripetutamente contro il pavimento.

-Abbastanza, sì. Penso che Niall ti abbia accennato qualcosa- ammette. -Ma in ogni caso i miei problemi sono solo miei, e non avrei dovuto bere mentre eravate tutti in casa. Mi dispiace.-
Harry ci aveva sperato, che si fosse trattato di qualcosa di esclusivamente casuale. Aveva sperato, appena tornato a casa, che Louis avesse alzato il gomito perché quella era stata una brutta giornata, o magari una brutta settimana. Ci ha sperato anche pochi minuti fa, in realtà, mentre lo ha visto tenere sua sorella tra le braccia e guardarla come se fosse il tesoro più prezioso del mondo. Ha sperato che la sua non fosse stata altro che una brutta sensazione.

E' difficile pensare che il fratello dolce e premuroso, il ragazzo dagli occhi caldi e il tocco delicato che fino a poco fa cercava di insegnargli come giocare a Fifa, sia lo stesso che ha visto accasciato sul ripiano della cucina, con lo sguardo vacuo, la voce impastata e una bottiglia di vodka a portata di mano.

-Non devi darmi spiegazioni né chiedermi scusa, Louis- risponde però il riccio, ed è consapevole dell'inclinazione dura e tagliente che il suo tono di voce ha assunto, ma non riesce ad evitarlo. -Non stai facendo del male al mio corpo, sai –dovresti chiedere scusa a te stesso.-
Improvvisamente l'espressione di Louis perde ogni traccia di dispiacere, e il sopracciglio destro si alza come se avesse vita propria. -Senti, non hai il diritto di- comincia, ma Harry non gli dà neanche il tempo di continuare. -No, è vero, non ho il diritto di dirti certe cose- annuisce, senza mai distogliere lo sguardo da quello dell'altro. -Non ti conosco e non ne ho alcun diritto. Ma conosco Niall e so com'è stare dall'altra parte. Lasciatelo dire Louis, non ne vale la pena.-
Louis sbuffa una risata amara, scuote la testa in un gesto di disapprovazione e si sposta sul ciglio del divano, voltandosi leggermente in modo da poter continuare a guardarlo. -Ma cosa vuoi saperne tu di com'è stare da questa, di parte. Di quello che provo, del perché preferisco dimenticare che sentirmi costantemente perso.-
Harry poggia i gomiti sulle cosce, a quel punto, poi sospira e stringe le labbra. -Ho visto abbastanza, Louis, ricordi? Ho visto delle cose, e ne ho provate tante altre, e tutto ciò che posso dirti è che continuerai a perderti, e un giorno desidererai di ritrovarti ma non ci riuscirai più.-
-Tu pensi che non lo sappia?- domanda retorico. -Ho preso in mano il primo bicchiere di vodka a quattordici anni e a quindici ho tirato su la prima striscia di cocaina e mi sono sentito invincibile. Ma ho pensato che avrei potuto controllarlo, che non mi sarei fatto sopraffare da quella sensazione di onnipotenza.-
-Lo pensano sempre tutti- soffia Harry scrollando le spalle.
Louis lo ignora, però, e continua a sproloquiare e gesticolare. Il riccio spera che Phoebe e gli altri non possano sentirli, ma ne dubita altamente. -Quando avevo sedici anni la sensazione di onnipotenza ha cominciato a sfumare ma ormai era troppo tardi Harry, ormai ero caduto e sai perché non ho cercato di risalire? Perché il buio non mi dispiaceva per niente.-
Per un attimo, Harry torna a chiedersi come sia possibile arrivare a pensare che non esista via d'uscita. Quanto una persona debba essere costretta a sopportare prima di decidere di averne abbastanza. Quanto di se stessi si perda nel percorso, e se alla fine ci si riconosca ancora.

-Il problema non sei tu, Louis. Io non lo so cosa ti sia successo, ma evidentemente è stato abbastanza perché decidessi che lasciarti cadere fosse la cosa più giusta- decide di dire quindi, perché non ha nessuna intenzione di giudicarlo, e perché vorrebbe che almeno Louis capisse che c'è altro, oltre il tossicodipendente alcolizzato. Perché lo sa che quello è tutto ciò che crede di essere. -Il problema è chi ti sta intorno. Le persone che ti vogliono bene. Tutti quelli che ti guardano cadere sempre più in basso senza poter fare niente per tirarti su, perché a te non importa.-
Il maggiore annuisce con amara consapevolezza, gli occhi tristi e le mani strette in due pugni. -Stai dicendo che sono egoista.-
-Sto dicendo- lo corregge, e deve chiamare a raccolta tutto il suo coraggio per continuare. -Che io ho perso un po' di me stesso ogni sera in cui mio padre tornava a casa e non mi riconosceva. Che il buio l'ho visto tutte le volte in cui si metteva seduto sul divano e sniffava cocaina dal tavolo del salone, proprio vicino alla pista di macchinine con cui non sono più riuscito a giocare- soffia infine, con un tono di voce talmente basso e spezzato che quasi fatica a comprendersi lui stesso. -Io non ho alcun diritto di giudicarti, Louis. Non so cosa la vita ti abbia fatto, non so quanto difficile sia stato per te andare avanti, ma arriverà un giorno in cui ti guarderai intorno e tutte le persone che ami avranno perso un pezzo di loro stesse a causa tua. E tu vorrai ritrovarti perché lo facciano anche loro, ma non ci riuscirai.-

Louis lo scruta attentamente, ma non sembra troppo stupito. Gli poggia una mano sul ginocchio ed accenna un sorriso timido, alzando solo un lato delle labbra sottili. -Tu quanti pezzi hai perso?- domanda poi in un bisbiglio quasi impercettibile.

Harry ridacchia senza divertimento e scrolla le spalle, cercando di non lasciarsi andare al dolore e alla tristezza che sente esplodergli dentro con prepotenza. Per qualche secondo si aggrappa alla mano di Louis, al tocco morbido e delicato delle dita che stringono la stoffa dei suoi pantaloni. Poi si alza, però, perché non può permettersi di aggrapparsi a qualcuno che ha bisogno di un appiglio. -Non penso ne siano rimasti molti.-
-Te ne vai?- si sente domandare nel momento in cui afferra la propria giacca.
Tira su la chiusura lampo ed annuisce. -Ho paura che mia sorella possa cominciare a cucinare, e devo controllare che non mandi a fuoco la casa.-

Proprio quando ha salutato Niall e Phoebe e sta per aprire la porta, una voce lo richiama.
-Harry.- Louis ha le braccia incrociate al petto, l'espressione imperscrutabile e la sua solita bellezza triste cucita addosso. -Mi dispiace.-

Non sa se quello che intende dire sia Mi dispiace che tu mi abbia visto ubriaco marcio o Mi dispiace che la vita con te abbia fatto tanto schifo, ma non gli risponde. Si limita ad annuire, le labbra strette e il cuore pesante.

-Tanti auguri, Louis- soffia infine, prima di voltarsi e andarsene.

 

 

 

Quando torna a casa, un post-it sul frigorifero gli ricorda che sua madre non tornerà prima delle due del mattino. Per fortuna, però, Gemma non ha ancora acceso i fornelli.

Harry si ferma in camera sua a cambiarsi, prima di scendere in cucina a preparare qualcosa di commestibile che richiami almeno vagamente il periodo di Natale. Guarda per un attimo la lettera poggiata sulla scrivania, e con mani tremanti ma frenetiche la afferra e la apre. Riesce a leggere solo le prime due righe, prima di richiuderla ed infilarla nel libro di biologia posto al centro del tavolo.

 

Caro Harry,
ti scrivo in uno dei tanti momenti liberi della giornata, sperando che quando su questa lettera troverai solo il tuo nome, allora deciderai di aprirla.






 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Seconda parte ***


Cuore di farfalla



Image and video hosting by TinyPic




Se c'è una cosa che Harry sa per certo, in mezzo a tutte le incertezze della sua vita, è che quando Anne entra nella sua stanza non porta mai buone notizie.

-Tuo padre ha chiesto di te- è, infatti, la prima cosa che gli dice.

Harry annuisce, la testa china su Cime Tempestose e lo sguardo puntato sulle righe che descrivono il grande ritorno di Heathcliff dalla sua Catherine.

-Gemma ha detto che ieri lo ha visto migliorato- continua però sua madre, sedendosi accanto a lui sul letto.

Harry chiude il libro con un sospiro, e solo quando la guarda si rende conto di quanto tempo sia passato dall'ultima volta che si sono ritrovati così, l'uno di fronte all'altro, a comportarsi come madre e figlio. Harry non ha mai smesso di volerle bene, ma qualche volta pensa che siano rimasti solo ricordi, che il loro legame sia fatto di passato.

-Lo dice sempre- risponde atono.

Anne sospira leggera, le spalle curve e lo sguardo basso. E' stanca, nota Harry, di una stanchezza fisica e mentale che le si è dipinta addosso sottoforma di rughe e pallore.

-Devi provarci, Harry. Devi provare a perdonarlo- soffia infine. -Lo so che non se lo merita, e forse non me lo merito neanche io. Ma non fare come me, tesoro. Non scappare da ciò che ti fa paura, perché finirai per perderti.-

Si alza, poi, gli lascia una carezza tra i capelli e passa l'indice sulla sua guancia in un tocco lento e leggero, come se stesse cercando di riconoscerlo.

Quando la porta si chiude con un tonfo sordo, il profumo di Anne aleggia ancora nell'aria. Harry pensa di essersi perso prima ancora di cominciare a scappare.

 

 

 

*  *  *

 

 

 

-Potrei essermi innamorato di tua sorella, sai?-

E' così che Niall fa il suo ingresso nella stanza di Harry, un pacco enorme di patatine tra le mani e un sorriso ancora più grande a piegargli le labbra.

Il riccio ridacchia e sbarra gli occhi in un'espressione fintamente impaurita. -Beh, mi dispiace davvero tanto per te.-

-In realtà è molto più simpatica di te, stronzetto- borbotta con la bocca piena, prendendo posto sul letto. -Sei scappato di nuovo, l'altro giorno.-

-Sì, però questa volta sono passato a salutare.-

Niall poggia le spalle contro il muro e aggrotta le sopracciglia con curiosità. -Ma tu e Louis vi state sulle palle a vicenda o siete attratti l'uno dall'altro?- domanda infine con espressione solenne. -Perché ogni volta che parlate ne uscite entrambi sconvolti, ma comunque continuate a parlare.-

-Non mi sta antipatico né sono attratto da lui- chiarisce Harry. -E' solo – è complicato.-

L'amico annuisce lentamente, infilando la mano nel pacchetto per afferrare una manciata di patatine. -Lo dici spesso, che è complicato- mormora. -Secondo me potrebbe essere molto più facile, se solo lo volessi.-

Il riccio chiude gli occhi con un sospiro e butta la testa indietro, mentre la sedia girevole si sposta di qualche centimetro. Quel ragazzo gli è accanto da mesi, pensa, e non ha mai chiesto più di quanto lui fosse disposto a dargli. Harry ha come l'impressione di essere rimasto fermo, mentre Niall gli andava incontro.

-Mio padre è in carcere- sbotta quindi a quel punto, perché non ha intenzione di fargli fare un altro passo da solo. -Non so per cosa, in realtà. Forse spaccio di droga o furto, o comunque qualcosa del genere. E' tossicodipendente e alcolizzato. Non lo vedo da anni, ormai.-

Niall rimane in silenzio, immobile sul suo letto, l'espressione imperscutabile e le braccia incrociate al petto. Le patatine sono poggiate al suo fianco, e rischiano di cadere quando Harry le afferra e se ne porta un po' alla bocca.

Il biondo sembra riprendersi solo qualche secondo dopo. Scrolla le spalle e stringe le labbra, per poi trascinarsi fino al bordo del letto e poggiare i piedi a terra. -Quindi è per questo che ti ha sconvolto vedere Louis ridotto in quel modo.-

-Non lo so- soffia in risposta. -Credo – credo di sì.-

Niall annuisce, le labbra arricciate e lo sguardo fisso sul pavimento. -Devi stare alla larga da mio cugino, Harry- annuncia. -Ma questo già lo sai.-

-Sì, lo so.-

Gli porge il pacchetto di patatine, poi. Niall ne afferra una e sorride, ma i suoi occhi sono preoccupati.

 

 

*  *  *

 

 

Harry è abbastanza sicuro del fatto che con “Devi stare alla larga da mio cugino”, Niall non

intendesse assolutamente “Sei invitato alla festa di Louis e Zayn”. E quindi non saprebbe proprio dire in che modo sia arrivato qui, con la spalla poggiata contro l'arco che divide la cucina dal salotto pieno di gente sudata ed ubriaca. L'appartamento che Liam e Zayn condividono non è troppo grande, e sinceramente Harry non ha la minima idea di come abbiano fatto tutte quelle persone ad incastrarsi in uno spazio così ristretto. Cosa non si farebbe per un po' di alcol gratuito, pensa distrattamente.

Niall ricompare qualche secondo dopo, le guance chiazzate di rosso e lo sguardo sconvolto di chi ha visto più di quanto non volesse.

-Non andare in camera da letto, Harry- lo avverte infatti. -Non aprire quella porta.-

Il riccio è leggermente preoccupato per il fatto che la sua giacca si trovi proprio in quella stanza, proprio sul letto, ma cerca di non pensarci. Ridacchia, invece, e lascia una pacca sulle spalle dell'amico.

-Sembra tu abbia bisogno di un lavaggio del cervello.-

Niall annuisce freneticamente. -Oh, lo vorrei tanto- borbotta, per poi dirigersi a passo spedito verso la cucina.

Zayn fuma indisturbato, la schiena leggermente inarcata e la testa poggiata contro il frigorifero, mentre Liam si destreggia tra bottiglie di birra e bicchieri di plastica, affiancato da una ragazza che Harry non pensa di aver mai incontrato prima.

-Hey, ragazzi- esclama appena li vede.

-Ti improvvisi barista?- scherza Niall, per poi prendere posto su uno degli sgabelli che circondano il ripiano e sventolare la mano verso la ragazza dai capelli stravaganti. -Ciao Perrie.-

Lei sorride e gli arruffa i capelli con fare affettuoso. -Ciao biondino.-

Se il rosso intenso che gli colora le guance è di qualche indicazione, il riccio può facilmente appurare che Niall abbia una cotta per Perrie.

-Tu sei Harry, giusto?- domanda spostando lo sguardo su di lui. -Ormai sei famoso da queste parti. Per via delle fossette e tutto il resto.-

Harry ridacchia leggero ed annuisce, borbottando un timido -Piacere di conoscerti.- La voce gli esce talmente stridula da fargli pensare che sì, deve assolutamente cercare di migliorare il suo modo di approcciarsi agli altri. Perrie non sembra farci caso, però, perché torna alla sua postazione iniziale e continua a versare birra nei bicchieri di plastica rossa, in modo che chiunque voglia bere possa entrare in cucina quel tanto che basta ad afferrare un drink, senza toccare più del necessario.

-Dovreste chiudere a chiave la camera da letto quando date una festa, ragazzi. Oppure chiamare un disinfestatore dopo che tutti se ne sono andati- riprende Niall con espressione divertita. -A pensarci bene, forse è meglio se chiamate un prete.-

Zayn spegne la sigaretta nel posacenere e mormora qualche imprecazione sottovoce, prima di immergersi nella mischia e marciare verso la sua stanza.

-Non voglio sapere cosa hai visto- biascica Liam -Altrimenti non riuscirò più a dormire nel mio stesso letto.-

Niall nasconde una risata dietro il bicchiere, le gambe accavallate e lo sguardo compiaciuto. -Allora non ti dirò quante persone ci ho contato, sul tuo letto.-

-Quindi ti sei anche fermato a contare?- domanda Harry con ironia, portando la spalla sinistra a sbattere scherzosamente contro quella dell'amico.

-Sei.- Zayn torna nella cucina con un'espressione che oscilla tra rabbia e noia, un'altra sigaretta tra le labbra e la fronte leggermente imperlata di sudore. -Erano sei persone.-

Liam si sbatte il palmo della mano sul volto con disperazione, e solo in quel momento Harry nota Louis, a qualche passo di distanza da Zayn, la camicia slacciata sul petto tatuato e gli occhi lucidi. E' ubriaco, Harry può affermarlo con assoluta certezza.

-Non guardarmi così, riccio- lo sente borbottare. -Se te lo stessi chiedendo, non ero tra quelle sei persone. Ho solo caldo- spiega poi, alludendo evidentemente allo stato sconvolto e semi-nudo in cui riversa al momento.

-Non mi stavo chiedendo nulla- ribatte sicuro -E la camera da letto non è mia, in ogni caso.-

La cucina cade in un improvviso stato di quiete. Nessuno si muove, nessuno parla, come se tutti stessero aspettando qualcosa. Harry è abbastanza sicuro che Liam avrebbe la stessa espressione interessata che ha ora se, per esempio, si trovasse in un cinema con una scatola di pop corn sulle gambe. Può quasi sentirsi addosso lo sguardo bruciante e preoccupato di Niall, mentre quello di Zayn non sembra troppo diverso dal solito, intenso ed attento. Persino Perrie ha smesso di fare ciò che stava facendo, ed ora è poggiata contro il piano cottura con le gambe accavallate e le braccia incrociate al petto.

Louis gli si avvicina, nel frattempo, ed Harry sente l'improvviso ed immediato bisogno di allontanarsi da lui il più possibile; perché riesce a vederlo anche da lì, anche se si conoscono da soli tre mesi e non hanno parlato più di qualche volta, che Louis non può fargli bene. Che quella dentro i suoi occhi annebbiati dall'alcol è una storia già vissuta, destinata a finire terribilmente male.

Per questo scatta all'indietro quando il più grande gli sfiora i capelli con la punta dell'indice.

Louis arriccia le labbra con fare perplesso, ma non indietreggia. -Non pensavo di farti così schifo.-

Nessuno ha ancora proferito parola, neanche i tre o quattro ragazzi che sono entrati per fare rifornimento di birra, e ad Harry sembra che tutti si stiano muovendo in punta di piedi attorno a loro due, con attenzione e cautela. Forse quasi con paura.

-Stammi lontano, Louis- afferma, e vorrebbe sembrare determinato e sicuro, ma il suo tono di voce vacilla notevolmente. -Per favore.-

La mano di Niall gli sfiora il braccio, Liam sospira e Zayn si accende un'altra sigaretta.

Louis ridacchia con scherno e poggia il gomito sul ripiano, il volto a pochi centimetri dal suo. -Il ragazzino ha gli artigli- soffia infine, il respiro caldo si abbatte contro la sua guancia ed Harry avverte una puzza che è un misto di tabacco e alcol.

Fastidio è ciò che gli brucia lo stomaco non appena il più grande allunga di nuovo la mano verso di lui, con la chiara intenzione di toccare quel riccio che gli ricade sulla fronte. Quando sarà sobrio, pensa Harry in un attimo di lucidità, quando sarà sobrio dovrò chiedergli di questa sua fissa per i miei capelli.

Per ora, però, tutto ciò che riesce a fare è sforzarsi di trattenere le lacrime e alzarsi velocemente dallo sgabello. Poggia una mano sul petto scoperto di Louis per tenerlo lontano, ascolta per qualche attimo il battito accelerato del suo cuore e poi lo spinge leggermente all'indietro. Lui barcolla, troppo provato dai litri di alcol che deve aver ingerito per poter riuscire a reggersi in piedi.

-Stammi lontano, Louis- ripete Harry a quel punto, senza mai distogliere lo sguardo da quello blu e lucido dell'altro. Puro disprezzo è quello che gli impregna la voce. -Non voglio avere niente a che fare con quelli come te. Ne ho avuto abbastanza.-

Louis aggrotta le sopracciglia in un gesto di confusione, arriccia le labbra e piega leggermente la testa. -Quelli come m–

-Quelli che a colazione bevono tequila invece che latte e che non sono medici ma sanno perfettamente come si usa un fottuto ago- lo interrompe Harry, e si chiede da dove provenga tutta quella cattiveria, come sia possibile che Louis riesca ogni volta a tirare fuori il peggio di lui. Non si ferma, però. Non ci riesce. -Quelli come te, Louis: tossici. In tutti i sensi.-

Riesce quasi a vederlo, il dolore nei suoi occhi. Quella patina di sofferenza che gli annebbia la vista, la tristezza che offusca completamente il blu brillante che ad Harry piace tanto.

Louis non fa una piega, però. Annuisce lento e stringe le labbra, e sembra più lucido di quanto non sia in realtà. -Perfetto- annuncia quindi, prima di voltarsi ed uscire dalla cucina.

Liam cerca di fermarlo, ma lui continua a camminare senza guardare in faccia nessuno. Scansa con un gesto di stizza il braccio dell'amico e sparisce in mezzo alla folla che riempie il perimetro del salone. Harry guarda il punto in cui la sua schiena è scomparsa per quelle che sembrano ore, ed è la carezza che Niall gli lascia sulle scapole a risvegliarlo da quella specie di trance in cui è caduto.

Niall che in questo momento dovrebbe odiarlo, perché è suo cugino quello che lui ha appena calpestato senza ritegno, e invece lo guarda con espressione preoccupata.

-Merda. Merdamerdamerda- soffia Harry.

Liam e Zayn sembrano affranti, come se volessero risolvere la situazione ma sapessero di non poter fare nulla.

Liam lo osserva per pochi secondi senza nessuna traccia di rimprovero o rabbia, piega le labbra in un sorriso che sa di comprensione, poi poggia una mano sulla spalla del suo ragazzo. -Zayn, forse dovres-

-No- lo interrompe Harry. -Vado io- annuncia poi con un sospiro.

Niall gli afferra il braccio con l'intenzione di fermarlo. -Haz- pronuncia, ma già lo sa che Harry non gli darà ascolto.

-Vado io, Niall- ripete infatti il riccio, più deciso e sicuro di quanto non sia stato appena due secondi fa.

Chiude gli occhi, poi, e prendendo un respiro profondo si rende conto che la prospettiva di non uscire vivo da quell'ammasso di corpi sudati lo spaventa meno di Louis.

 

"Sono l'elefante 
e non ci passo 
mi trascino lento 
il peso addosso
vivo la vergogna 
e mangio da solo e non sai 
che dolore sognare per chi non può mai."

 

 

Harry impiega venti minuti per trovarlo. Innanzi tutto passa in camera da letto a prendere la sua giacca, estremamente attento a non toccare le lenzuola sporche e disordinate. Poi fa una scappatina in bagno, ma tutto ciò che trova sono due ragazze che ci danno dentro contro il lavandino. E' quando apre la porta dello sgabuzzino e sorprende un tizio a fare pipì in un contenitore, evidentemente troppo ubriaco per saperlo distinguere dal water, che si rende conto di star rimandando l'inevitabile. Louis non si sarebbe mai rintanato nella camera da letto in cui poco fa è stata consumata un'orgia, né nel bagno in cui tutti si rifugiano per pomiciare, e neanche in uno sgabuzzino angusto e maleodorante come quello.

Non è troppo stupito, quindi, quando lo trova poggiato contro la ringhiera del piccolo balconcino di casa Payne-Malik. C'è solo lui, lì fuori, perché è il dodici gennaio e Doncaster è estremamente fredda, e quindi la birra gratis è molto più invitante dell'aria gelida che si respira all'esterno. Harry non se ne cura più di tanto, però – non gli è mai piaciuta la birra, in ogni caso. Si stringe nella giacca ed esce, ignorando il piccolo brivido che gli percuote la schiena non appena chiude la portafinestra alle sue spalle. Louis deve aver capito che qualcuno l'ha raggiunto, ma non accenna a muoversi. Rimane completamente immobile, i gomiti poggiati sul davanzale e gli occhi fissi sul palazzo di fronte.

Harry gli si avvicina cauto e si sistema con la schiena contro la ringhiera, in modo da poterlo guardare meglio. Louis si limita a lanciargli un'occhiata impassibile e sospira, prima di distogliere nuovamente lo sguardo.

-Mi dispiace tanto- sussurra a quel punto Harry, le braccia ancora strette al petto e le gambe che tremano leggermente – se per il freddo o per l'espressione ferita di Louis, questo non lo sa.

Il più grande scrolla le spalle con un sorriso amaro a piegargli le labbra. -Tranquillo- soffia. -In fondo avevi ragione, no?-

Il riccio scuote la testa e gli si avvicina ancora un po', fino a far entrare in contatto le loro braccia. -Non avrei mai dovuto dire una cosa del genere, Louis.-

-È per tuo padre?- chiede lui, ma più che una domanda ad Harry sembra semplicemente un modo per sviare il discorso.

E' ben visibile il dolore negli occhi di Louis, il senso di colpa che si porta addosso. Sembra quasi che pensi di non valerne la pena, come se si stesse semplicemente e consapevolmente buttando via.

Harry si limita ad annuire. -Io credo – credo di sì- ammette.
-Ti manca?- continua l'altro, e quella nel suo tono di voce è sincera curiosità.

Se il più piccolo ha capito qualcosa di lui in questi pochi mesi di conoscenza, è proprio il suo essere estremamente schietto, senza alcun pelo sulla lingua. Se vuole sapere qualcosa, domanda. Se pensa che una persona sia un'idiota, oltre a dirglielo esplicitamente e senza troppi giri di parole, si assicura anche di farglielo capire in ogni modo possibile.
Forse è proprio per questo che Harry non si sente in difficoltà quando è con lui. Per la sincerità che traspare dai suoi occhi, o per la genuinità che legge sul suo volto.

Scrolla le spalle, quindi, e prende a fissare le sagome che si muovono oltre il vetro della portafinestra. -Ha passato più tempo in carcere che con me e Gemma- sibila. -Non sono neanche sicuro di quale sia stata l'ultima cazzata che gli è costata altri tre anni di galera. Forse spaccio, o qualcosa del genere.-

Louis annuisce ma per un po' rimane in silenzio. Gratta con l'unghia consunta dell'indice la superficie rovinata del davanzale, le labbra strette e le sopracciglia corrucciate a formare delle piccole rughe sulla fronte ampia. Pare quasi che stia cercando di combattere contro qualcosa di più grande di lui, e sembra infinitamente piccolo. -Mio padre è morto- confessa infine, ed Harry può quasi sentire il suo cuore perdere un battito, mentre una lacrima solca la guancia ruvida di barba di Louis. -Era una delle persone che amavo di più al mondo, ed è morto. E io non ho potuto fare niente per evitarlo. Tu puoi, Harry.- Il più piccolo si stringe un altro po' nella giacca, ma è quasi sicuro che a farlo rabbrividire non sia stato il freddo, bensì il dolore che impregna la voce spezzata del ragazzo al suo fianco. Però Louis sposta per un attimo lo sguardo su di lui, e tutto ciò che fa è sorridere. Sorride in modo così sincero, che Harry pensa di non aver mai visto niente di più bello. -Non ti sto dicendo che essere arrabbiato non sia giusto, perché lo è – ma credo che te ne pentirai se non cercherai di aiutarlo- continua infine, pressando leggermente la spalla contro la sua in un gesto di conforto.
Harry lo guarda dall'alto, quasi compiaciuto dalla piccola differenza d'altezza nonostante i quattro anni d'età che li separano, poi stringe le labbra in quello che dovrebbe sembrare un sorriso ma somiglia di più ad una smorfia. Si volta, a quel punto, e imita la posizione di Louis, i gomiti a gravare sul davanzale bianco e il volto poggiato sul palmo della mano destra.

-Una sera, quando avevo dieci anni, ho messo qualche maglietta e due paia di pantaloni in uno zaino, e sono scappato di casa. Avevo sentito mia madre parlare di quanto Des– mio padre, di quanto mio padre stesse male, di quanto poco gli sarebbe rimasto da vivere se avesse continuato in quel modo- prende a raccontare, muovendo nervosamente le dita contro la guancia. Louis lo scruta rapito, ma Harry non ricambia lo sguardo. -Volevo salvarlo. Non volevo che morisse. L'ho cercato ovunque, e quando l'ho trovato l'ho implorato di tornare a casa con me, gli ho detto che l'avrei aiutato a guarire. Tutto ciò che ha fatto è stato – continuare a sistemarsi il laccio emostatico attorno al braccio. Ed è successo di nuovo quando avevo undici, dodici e tredici anni, finché non è finito in carcere- continua, e c'è un nodo enorme all'altezza della gola che per qualche secondo gli impedisce di parlare. I capelli disordinati di Louis gli solleticano dolcemente la tempia, ed Harry cerca di concentrarsi sulla leggera e piacevole pelle d'oca che gli provocano, prima di continuare. -Ci ho provato per tanto tempo, Louis, quando ero troppo piccolo anche solo per capire. Ma ora ho smesso di rincorrerlo.-

Dita piccole ed ossute vanno ad intrecciarsi alle sue e le lascia fare, perché le mani di Louis sono calde e forti ed Harry ha bisogno di qualcosa a cui aggrapparsi, in questo momento.

Il più grande annuisce piano e muove il pollice sulla sua pelle in movimenti circolari. -Hai detto una cosa, prima- sussurra poi dopo qualche secondo, la voce che quasi sparisce sotto la musica che proviene dall'interno.

-In mezzo alla marea di cattiverie che ti ho sputato addosso?- domanda ironico Harry, sbuffando una risata priva di divertimento.

Louis scrolla le spalle con un sorriso spento. -Era solo la verità e lo sai anche tu. Però c'è questa cosa che non credo di aver capito- ammette arricciando le labbra. -Tossico in tutti i sensi, hai detto. Cosa intendevi?-

Harry sospira profondamente, lancia uno sguardo al cielo pieno di nuvole sopra di loro e stringe un altro po' la presa sulla mano di Louis, prima di scioglierla. -Che sembri un ragazzo intelligente, Lou. Intelligente, simpatico, spontaneo, a volte anche molto dolce, e per quello che ho visto, sei un bravissimo fratello maggiore- confessa infine, le braccia intorpidite e le gambe che tremano per il freddo, mentre dissimulando cerca con tutto se stesso di non dare peso a ciò che ha appena detto. -E' meglio che rientri, sto gelando.-

Louis ha ancora gli occhi lucidi e la voce leggermente sporcata dall'alcol, quando -Io penso che rimarrò un altro po' qui fuori-, ribatte, l'aria provata come se avesse appena corso una maratona.

Anche Harry si sente così, con lo stomaco in subbuglio ed il cuore terribilmente pesante. Si limita ad annuire, però, si sfila la giacca e gliela poggia sulle spalle. -Okay, allora prendi questa.-

-Non c'è bis- protesta, ma il riccio lo interrompe immediatamente. -Fa freddo e tu hai solo una camicia, Louis. Tienila finché non rientrerai- lo rassicura, e lo guarda annuire con espressione riconoscente, prima di affrettarsi a rientrare.

Quando torna in cucina, tutto è come l'ha lasciato quasi un'ora fa. Zayn sta ancora fumando, Liam e Perrie riempiono i bicchieri di plastica e Niall sgranocchia quelle che sembrano pop-corn. Harry ignora i loro sguardi curiosi, mentre prende posto sul suo sgabello e infila la mano nell'enorme pacchetto di patatine fritte posto al centro del ripiano.

L'amico gli lascia una pacca affettuosa sulla spalla, Zayn spegne la sigaretta e Liam fa cadere un po' di birra sul tavolo, ma nessuno fa domande.

 

 

*  *  *

 

 

Harry non è mai stato un tipo troppo dormiglione. Quando era piccolo e viveva a Liverpool, durante il weekend era sempre il primo ad alzarsi dal letto. La prima cosa che faceva era andare a svegliare sua madre per chiederle di preparare la colazione insieme a lui, ed Anne sbuffava un po' ma impiegava meno di due minuti ad accontentarlo e seguirlo in cucina. Quando c'era anche suo padre, poi, saltava poco delicatamente sulla sua schiena muscolosa, gli allacciava le braccia al collo e urlava "Buongiorno!". Lui sorrideva, gli infilava affettuosamente una mano tra i capelli, e con gli occhi ancora chiusi dal sonno gli lasciava un bacio delicato sulla fronte. Harry ricorda il profumo di vaniglia e tabacco che emanava, e ricorda anche quanto disperatamente lo cercasse, quel profumo, attaccato alle poche magliette che suo padre lasciava ogniqualvolta spariva dalla circolazione per qualche tempo.
L'ultima a svegliarsi era sempre Gemma, comunque. Non appena i pancakes erano pronti la sorella spuntava dalla porta della cucina, i capelli scompigliati e sul volto ancora presenti i segni del cuscino. Ad Harry piacevano i weekend in famiglia – anche quelli in cui suo padre non c'era.

Quando si sveglia quel sabato mattina, però, non c'è nessun odore di pancakes ad accoglierlo, sua madre è ormai uscita da un pezzo e sua sorella è stranamente già sveglia, appollaiata sul divano del salone con il telecomando in mano.

-Buongiorno, dormiglione- esclama non appena lo vede scendere le scale.

Harry passa una mano a strofinare energicamente sull'occhio e borbotta un -Ciao- in risposta. -Che ore sono?- domanda poi, dirigendosi verso la cucina per prepararsi una tazza di caffè.

-Le undici e mezzo- annuncia lei, per poi seguirlo saltellando fino al minuscolo bancone della loro cucina.

Harry conosce Gemma più di quanto non conosca se stesso, quindi lo capisce quando sta per dire qualcosa di scomodo. Lo capisce dalle due piccole rughe orizzontali che le solcano la fronte, e dal rumore delle unghie contro il tavolo, e anche da quella sua manìa di mordersi nervosamente il labbro, talmente forte che a volte arriva a sanguinare.

-Che devi dirmi, Gems?- sospira quindi, versando il caffè già pronto nella tazza di Minnie che si porta dietro da quando era piccolo. L'ha comprata a Disneyland, ricorda, insieme a sua madre e ad un paio di zii di cui non ricorda più nomi e lineamenti.
La sorella sorride mestamente e porta le braccia a circordarsi le gambe, raggomitolandosi sulla sedia come un gattino. -Vorrei che venissi con me la prossima volta, Haz.-

Harry non ha bisogno di chiederle a cosa si riferisca. I loro dialoghi sembrano sempre gli stessi da mesi, ormai. Gemma che cerca di convincerlo e lui che la liquida con qualche scusa di poco conto, e poi Gemma che riprova e lui che, invece, di provare non ne ha la minima intenzione.
-Sai già che il mio è un no.-

La bionda sbuffa e butta la testa all'indietro in un gesto di esasperazione. - Sì Harry, ovviamente so che il tuo è un no- lo scimmiotta.

-E allora perché continui a chiedermelo?-

-Perché è di tuo padre che stiamo parlando!- esclama furiosa, e il riccio non crede di averla mai vista così alterata in passato, neanche quando da piccolo tagliuzzava i vestitini delle sue bambole. -Perché prima di essere un alcolizzato o un tossicodipendente è tuo padre, Harry- ripete infine, alzandosi dalla sedia e parandoglisi di fronte.

Harry ha le braccia incrociate, lo sguardo basso e il cuore che quasi non batte più. Non riesce a sentirne il rumore neanche se si concentra.
-Lo so che è mio padre. È lui che se ne è dimenticato, Gemma, non io- sibila allora, con più disprezzo di quanto non volesse. -Credimi, io non l'ho mai dimenticato.-

La sorella sorride con amarezza e si allontana leggermente, fino a scontrarsi con il tavolo alle sue spalle. Ci poggia le mani, quindi, e con un sospiro torna a posare gli occhi in quelli del fratello.

-Pensi di essere l'unico a star male, non è così?- soffia arrabbiata.

-Non ho mai detto questo.-

-Pensi che la mamma stia scappando, pensi che io mi stia comportando da buonista, e pensi che tutto ricada sulle tue spalle- continua però lei, senza degnarlo di attenzione. -Beh, indovina un po'? Non sei tu la vittima Harry, non sei tu quello che è rimasto da solo con due figli da crescere e neanche un centesimo in tasca. Non sei tu il primo a cui papà dovrebbe chiedere scusa, e non sei neanche l'unico a cui perdonarlo risulta difficile, hai capito?-

Harry afferra la tazza e può sentire il palmo della sua mano bruciare contro il vetro, ma non la posa. Prende un sorso di caffè e pensa di meritarselo, in fondo, quel dolore. Perché sua sorella ha gli occhi lucidi di lacrime e lui ha passato gli ultimi anni della sua vita a cercare di costruirsi un muro tutt'attorno, senza pensare a chi lasciava fuori.

-Sono arrabbiata anche io, Harry. Non ho dimenticato niente di tutto ciò che abbiamo passato. Ma quello è nostro padre, e c'è stato un tempo in cui era anche papà, ricordi?-

Il riccio annuisce, a quel punto, perché che ricorda. Ricorda il sapore di ogni singolo bacio della buonanotte, il tono caldo della sua voce mentre leggeva quei vecchi libri di fiabe che avevano comprato insieme nell'edicola vicino casa, il calore delle sue mani grandi e callose che gli rimboccavano le coperte. Harry ricorda ogni cosa, anche se non vorrebbe. Ricorda com'è avere un papà, ma ricorda anche cosa significa capire di averlo perso.

-Perdonalo- soffia infine sua sorella. -Perché ogni volta che entro in quella sala è devastante vedere con quanta speranza i suoi occhi continuino a cercarti.-

Harry ripone il caffè sul piano cottura e fa per avvicinarsi a sua sorella, ma si blocca quando il campanello suona. Gemma si precipita verso la porta nelle sue pantofole a forma di coniglietto, evidentemente desiderosa di allontanarsi da lui per qualche minuto.

Quando torna in cucina, però, non è da sola. La sua espressione è sicuramente più cordiale e meno omicida, ma se Louis si concentrasse, potrebbe notare le lacrime che ancora le inumidiscono gli occhi. Louis. Louis che è in piedi nella sua cucina, a pochi passi da lui, con un sorriso imbarazzato ad illuminargli il volto e l'aria di chi vorrebbe farsi piccolo piccolo fino a scomparire del tutto.

-Louis, cosa– borbotta Harry incespicando un po', ancora leggermente frastornato. -Cosa ci fai qui?-

-Ho chiesto il tuo indirizzo a Niall per, sai – riportarti questa- risponde lui prontamente, alzando il braccio destro per indicare la giacca che ci è poggiata sopra.

Se ne era completamente dimenticato, in realtà. Tornare a casa con solo una maglia dei Rolling Stones indosso non è stato propriamente piacevole, ma è ormai passata una settimana da quando si è tenuta la festa, ed Harry non è famoso per la sua memoria a lungo termine.

In un'altra occasione Gemma avrebbe cominciato a fare domande imbarazzanti e lo avrebbe provocato fino allo sfinimento, ma tutto ciò che fa ora è borbottare a fatica un saluto, per poi andarsene con aria affranta. Harry sente un macigno depositarsi sul suo stomaco e Louis sembra quasi accorgersene, perché gli sorride incoraggiante mentre ripone la giacca sul tavolo.

-Mattinata difficile?- chiede.

Il riccio scrolla le spalle e forza un'espressione noncurante. -Diciamo che nessuno dei due ha dormito molto bene.-

-Forse avrei fatto meglio a passare in un altro momento.-

-E' tutto okay- lo rassicura, muovendo un paio di passi nella sua direzione. -Grazie per avermi riportato la giacca.-

Il maggiore scuote la testa e stringe le labbra. -Grazie a te per avermela prestata.-

Fa per voltarsi, poi, ma Harry lo blocca prima che possa uscire. Poggia una mano sul suo braccio, e non sa da dove provenga tutto quel coraggio, ma sente che al momento nessuno potrebbe capirlo come fa Louis.

Sono due fazioni completamente opposte ed in contrapposizione, ed Harry ha trascorso gli ultimi anni della sua vita a scappare da tutto ciò che Louis rappresenta, ma mai gli è capitato di sentirsi così a suo agio in presenza di un'altra persona.

-Portami via- soffia quindi, gli occhi fissi in quelli estremamente blu dell'altro. -Portami via di qui, ti prego.-

Louis non esita neanche per un attimo. Si limita ad annuire, poi lo prende per mano e lo trascina fino alla sua macchina. Harry non presta la minima attenzione al freddo che gli colpisce le gambe coperte solo dal pigiama, né si preoccupa di star indossando delle pantofole pelose e terribilmente imbarazzanti. Si sistema sul sedile del passeggero e mentre Louis lo guarda di sottecchi come se fosse un pezzo di cristallo pronto a rompersi da un momento all'altro, pensa a sua sorella. Alle guance rosse di rabbia e frustrazione, agli occhi inondati di lacrime e tristezza, alle braccia strette attorno al corpo, a tutte le volte che ha tentato.

Mentre scappa, Harry pensa a sua sorella che non l'ha mai fatto.

 

 

 

Non vuole sapere in che modo sia possibile che Louis conosca un parco come quello in cui l'ha portato, completamente distrutto ed isolato dal resto della città. Dall'esterno, prima di entrare, Harry non l'aveva neanche notato, la visuale completamente occupata dalla fitta vegetazione che lo circonda.

No, Harry non vuole davvero sapere perché Louis lo conosca.

-So che non è il massimo- si affretta a spiegare il maggiore, accorgendosi forse del suo sguardo perplesso. -Ma è l'unico posto tranquillo che conosco.-

Harry annuisce e si stringe nella sua giacca, camminando cauto tra l'erba alta che arriva a toccargli i polpacci. Si fermano in prossimità di un'altalena in legno piena di scritte, e a Louis sembra non importare dell'aspetto estremamente pericolante in cui riversa, perché prende posto su uno dei due seggiolini senza la minima esitazione.

-Non crollerà, se è quello che ti stai chiedendo- lo rassicura. -Resiste da quando avevo la veneranda età di cinque anni, quindi puoi fidarti.-

-Vivevi qui vicino?- domanda Harry, sistemandosi accanto a lui.

-Sì, insieme a Lottie, Fizzy e i miei genitori, ma eravamo tanti e lo spazio era poco- spiega dondolando lentamente, i piedi puntati a terra e le mani strette attorno alle catene cigolanti. -Quindi quando sono nate Phoebe e Daisy abbiamo deciso di trasferirci ad Hyde Park.-

Quando Harry chiede: -Chi è Daisy?- sa già di star ponendo una domanda scomoda, perché lo sguardo di Louis vacilla visibilmente, fisso su qualcosa che Harry non riesce ad afferrare.

-Mia sorella- sussurra quasi a fatica, per poi voltarsi e forzare un sorriso nella sua direzione.

Harry non domanda altro. Lascia che il silenzio li avvolga completamente, e per la prima volta non si sente a disagio. E' accogliente, pieno delle cose che nessuno dei due ha il coraggio di dire o fare, ma comunque sicuro di non essere giudicato.

-Hai fatto arrabbiare tua sorella questa mattina?- scherza Louis dopo qualche minuto, mentre continua a dondolare pigramente.

-Arrabbiare è un eufemismo- ribatte il riccio con una risata amara.

-Vuoi parlarne?-

Harry scrolla le spalle e sospira, alza gli occhi verso il cielo e poi li chiude. Rimane così per un po', il collo piegato all'indietro comincia a protestare per la posizione scomoda, ma non se ne cura.

-Vuole che la accompagni, la prossima volta che andrà a trovare Des.-

-Tuo padre?- chiede in conferma.

Harry annuisce, poi torna a guardarlo. Louis è ancora triste, mentre cerca di concentrarsi su di lui.

-E tu non vuoi andarci- afferma, ed Harry non può fare altro che annuire di nuovo, puntando gli occhi sull'asfalto.

I suoi piedi sono gelidi, coperti da un misero paio di pantofole, e le gambe tremano impercettibilmente sotto la stoffa troppo sottile del pigiama.

-No- conferma infine.

Louis arriccia le labbra e muove il capo in segno d'assenso, a dispetto dell'espressione leggermente contrariata che gli dipinge il volto. Harry sa che non è d'accordo. -Avanti- lo sprona infatti, senza alcuna traccia di risentimento nella voce -Dillo.-

Il liscio aggrotta le sopracciglia in un'espressione pensierosa e sbuffa una risata, portando le dita a strofinare sugli occhi. -Non lo so, Harry – ho paura che te ne pentirai amaramente, in futuro- sospira. -E' tuo padre, capisci? E arriverà un momento nella tua vita in cui tutto ciò che vorrai sarà poter tornare indietro e scegliere diversamente, ma non sarà possibile.-

-Ma perché vi ostinate tutti a sottolineare che Des è mio padre?- sbuffa Harry a quel punto, leggermente alterato. Dà una spinta un po' più forte con i piedi e quasi cade dall'altalena, ma fa in tempo a stringere le mani attorno alle catene con più vigore. -Fino a prova contraria, è stato lui a dimenticarsi di avere dei figli che lo aspettavano a casa ogni sera.-

Louis stringe le labbra, le sue palpebre si abbassano e per un attimo Harry si perde a fissare le lunghe ciglia che ricadono morbide sugli zigomi pronunciati. Sopprime l'istinto di avvicinarsi per poterle guardare più da vicino e sospira, poggiando la tempia sinistra sulla catena arrugginita e ruvida.

-E tutte le volte che sei rimasto vicino a quella porta ad aspettarlo- ricomincia Louis dopo un po', piegando la gamba destra e voltandosi per metà sul seggiolino. L'altalena cigola al minimo movimento, ma entrambi la ignorano. -Tutte le volte che gli hai dato un'altra possibilità e lui se ne è fregato, come ti sei sentito?-

-Come se non fossi abbastanza- risponde prontamente, il tono di voce talmente basso che per un attimo lui stesso crede di averlo solo pensato.

Louis annuisce, inclina leggermente il volto e sorride comprensivo. -Adesso è lui che sta aspettando te- soffia. -È lui che si sta dando un'altra possibilità.-
Harry non ragiona, mentre poggia la mano su quella dell'altro, facendo in modo che le loro dita si intreccino contro la superficie fredda della catena. Cede al bisogno di sentire il calore della sua pelle, si aggrappa a quel contatto come fosse l'unica cosa capace di ancorarlo alla realtà.

E non sa se sia per il fatto che molto probabilmente rivedrà suo padre molto presto, o per il pollice di Louis che gli carezza dolcemente il dorso della mano, o per i suoi occhi blu che lo comprendono meglio di quanto abbia mai fatto chiunque altro – Harry non sa quale sia il fattore scatenante, ma capisce in questo momento di essersi definitivamente perso.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Terza parte ***


E' da dieci mesi che non aggiorno questa storia.
Non so quale sia il motivo, ma mi sono ritrovata completamente bloccata. Forse perché è una storia che in qualche modo riguarda anche me, e perché non mi è mai capitato di mettere così tanto di me e di ciò che sento in qualcosa che ho scritto.
In ogni caso, questo è un capitolo corto.
Avrebbe dovuto essere corto sin dall'inizio, già da quando ho plottato la storia, perché sotto tanti punti di vista è il capitolo di svolta, e succedono cose molto importanti. Volevo dedicare agli eventi che ho descritto la giusta importanza e considerazione, e per questo non mi sembrava giusto allungarlo ulteriormente.
Spero che chiunque seguisse lo scorso anno questa storia possa perdonarmi per il clamoroso ritardo.
E spero apprezziate il capitolo.
Lila.




Image and video hosting by TinyPic


 

Sono l'elefante
che posso fare
inchiodato al suolo
e a questo amore.




-Se questo è un modo per chiedermi scusa, sappi che sei ben lontano dal mio perdono- ridacchia Gemma, voltandosi di poco verso di lui.
Harry sa che sta scherzando, lo sente dal tono leggero della sua voce e lo vede dal calore che i suoi occhi emanano. Per questo le prende la mano e le lascia un bacio sulla guancia, e si gode il sorriso che nasce sulle labbra di sua sorella con un peso in meno sul cuore.
-Sono tutti molto simpatici, vedrai che ti divertirai.-
Gemma sospira teatralmente e annuisce. -Prima o poi dovrai spiegarmelo, però.-
-Cosa?- domanda Harry con confusione.
-Per quale motivo passi più tempo dagli Horan che a casa, per esempio- spiega, sporgendo leggermente il labbro inferiore, sul volto la solita espressione che sfodera quando è già arrivata alle sue –affrettatissime– conclusioni. -O anche chi era quel ragazzo che ti ha riportato la giacca, l'altra volta.-
Il fatto è che Harry aveva davvero sperato che se ne fosse dimenticata, perché lo sa come diventa sua sorella quando crede di aver intuito qualcosa – insistente ed insopportabile.

Il riccio scrolla le spalle e piega le labbra con aria noncurante. -Nessuno- accenna quindi. -Solo il cugino di Niall.-

-Non ti credo per niente, ma farò finta di non avervi visti uscire di casa mano per mano l'altra mattina, se questo ti fa stare meglio.-

Harry decide di ignorarla, e non tanto per il fatto che non saprebbe spiegare ciò che lo lega a Louis —dato che, fondamentalmente, è lui stesso il primo a non aver capito cosa sia, questa attrazione che lo spinge verso il ragazzo. Decide di ignorarla solo ed esclusivamente perché sono arrivati alla porta di casa Horan, e preferisce salutare il suo amico piuttosto che parlare di suo cugino con Gemma. Non c’è niente da dire, in ogni caso.

-Gem, ci sei anche tu!- saluta Niall, un sorriso gioviale sul volto e le mani che vanno a circondare la vita di sua sorella.

-Ciao biondino.-

Harry è quasi sicuro di averla vista arrossire e promette a se stesso che dopo, quando torneranno a casa, approfondirà l’argomento.

Si lascia alle spalle i due ragazzi, ancora abbracciati, e si dirige in salone. Sorride alla scena che gli si para davanti agli occhi: Phoebe è seduta a cavalcioni sulle gambe del fratello, e lui le stringe le mani cantando una canzoncina che Harry conosce bene.

-I’m a little teapot short and stout- pronuncia Louis, portando le mani a solleticare la pancia scoperta di Phoebe.

La bimba ride, mentre Harry entra nella stanza e canta il verso successivo. -Here’s my handle, here’s my spout!-

Phoebe gli rivolge un saluto allegro, ancora scossa dalle risate che il solletico le provoca, e Louis sembra sorpreso ma anche felice. Gli lancia un sorriso quasi abbagliante e gli fa segno di sedersi al loro fianco, per poi riprendere la canzoncina.

-When I see the tea cups, hear me shout- canta, portando il naso a scontrarsi con quello della sorella. Si volta verso di lui, poi, e gli fa segno di continuare.

-Lift me up, and pour me out!- lo accontenta Harry.

Phoebe ha un sorriso che non le ha mai visto addosso, una felicità contagiosa da cui Harry si lascia invadere a sua volta. La guarda quindi scuotere la testa verso il fratello con aria quasi sconsolata, per poi scendere dalle sue gambe e correre verso Niall.

Solo nel momento in cui rimangono soli, Harry ricorda perché ha accettato di cenare a casa Horan nonostante i tre capitoli di storia da studiare — con l’obbligo di cucinare, oltretutto.

Ha bisogno di chiudere il circolo vizioso in cui si è trovato incastrato, ed ha l’impressione di poterlo fare solo con l’aiuto di Louis. Ha bisogno di farlo con l’aiuto di Louis. Non sa quale sia il motivo, e se deve essere sincero ha paura della risposta che potrebbe darsi se solo si soffermasse a pensarci per un po’.

Quindi scrolla le spalle, sospira e sposta l’attenzione su quel pezzo di carta infilato malamente nella tasca posteriore dei suoi jeans. Lo tira fuori esitante ma non lo spiega. Se lo poggia sulle ginocchia, invece, e lo guarda come se ne fosse terrorizzato.

-Che cos’è?- domanda piano Louis, il tono di voce dolce e attento.

Harry sente il rumore della porta che si chiude, segno che Niall e Gemma devono essere usciti a giocare con la neve insieme a Phoebe. Qualcun altro passa velocemente accanto al divano senza prestar loro troppa attenzione, e dal colore dei capelli si direbbe sia Lottie. Harry si chiede, in un attimo di distrazione, dove si trovi Fizzy.

-È una lettera- spiega infine, deglutendo rumorosamente. Lascia uscire un sospiro tremante e punta gli occhi in quelli di Louis, che lo stanno già guardando.

-Okay- annuisce quindi il liscio. -L’hai letta?-

Harry scuote la testa e la abbassa quasi in segno di sconfitta. Ci vuole meno di un secondo, però, perché Louis gli poggi un dito sotto il mento e lo costringa a rialzarla. I suoi occhi oggi sono un po’ più scuri del solito, nota Harry.

È in un bisbiglio appena udibile che confessa, qualche secondo dopo: -È da parte di mio padre.-

Louis annuisce e inspira profondamente, per poi intrecciare una mano tra i suoi capelli e sorridergli con fare incoraggiante. -Hai intenzione di leggerla?-

-Io, beh, vorrei che...- esita il riccio, gli occhi chiusi e le sopracciglia aggrottate. Quando li riapre, Louis sembra già sapere ciò che sta per chiedergli. -Vorrei che restassi con me mentre la leggo, se ne hai voglia.-

Il liscio sorride rassicurante mentre le sue dita continuano a massaggiargli lo scalpo. -Resto per tutto il tempo che vuoi.-

Harry esala un respiro tremante, a quel punto, e deglutisce rumorosamente nel tentativo di ingoiare il nodo che gli si è formato all’altezza della gola.

-Solo se e quando sei pronto, Haz- soffia Louis a pochi centimetri dal suo orecchio. -Lo so che ti ho detto di dargli una possibilità e tutto il resto, ma non devi sforzarti di fare niente che tu non voglia, okay?-

Il riccio annuisce, le dita a sfiorare i bordi del foglio rovinato ancora poggiato sulle sue cosce, la spalla a contatto col petto di Louis. È estremamente consapevole della vicinanza tra i loro corpi, nonostante la sua attenzione sia focalizzata su quella maledetta lettera. Vorrebbe solo lasciarsi andare contro la pelle calda dell’altro, nascondersi nell’incavo del suo collo e aspettare di racimolare quel po’ di coraggio che gli è rimasto. Sa che Louis glielo lascerebbe fare. Sa che lo abbraccerebbe e gli accarezzerebbe i capelli, e forse gli poggerebbe addirittura le labbra sulla tempia in un bacio leggero.

Si limita a guardarlo, però, perché al momento ha come l’impressione che non ci sia altro modo di prendere coraggio, se non rubarne un po’ dagli occhi di Louis. Lui gli sorride un’ultima volta e ad Harry basta, perché poi schiude il foglio piegato in due e comincia a leggere.

 

Caro Harry,

ti scrivo in uno dei tanti momenti liberi della giornata, sperando che quando su questa lettera troverai solo il tuo nome, deciderai di aprirla.

Non mi dilungherò troppo, perché so che non servirebbe. Volevo solo dirti che mi dispiace. Mi dispiace di non essere stato il padre che avresti voluto e meritato, mi dispiace di aver lasciato che i tuoi occhi bambini vedessero cose tanto brutte, e mi dispiace anche per tutto il resto. Sinceramente, ho perso il conto di tutte le cose per cui dovrei chiederti scusa. La lista è troppo lunga.

Non voglio mentirti, e non posso farti promesse che non riuscirò a mantenere. Lo so io e purtroppo lo sai anche tu, che per uscire da una dipendenza deve esserci la volontà. Che l'aiuto esterno serve a poco, se non ci si aiuta da soli.

Volevo solo dirti, figliolo, che non devi mai pensare di non essere stato abbastanza. Amo te e tua sorella, così come ho amato tua madre, sinceramente e profondamente.

Ciò che mi manca, Harry, è l'amore che nessuno mi ha insegnato a coltivare, quello che mi è stato portato via ancor prima che potessi assaporarlo: l'amore per la vita.

L'attaccamento viscerale a questo tempo bastardo e limitato che dà e toglie senza preavviso.

Non ho saputo sfruttarlo, non gli ho dato il giusto valore, ho stupidamente pensato che perdere una figura guida equivalesse a perdere la vita stessa.

Ma si perde solo la strada, piccolo mio. Si perde di vista l'obbiettivo, si cade e ci si rialza, si costruiscono nuovi sogni.

Io mi sono lasciato andare. Non ho avuto la forza di rialzarmi, e neanche il coraggio di imboccare un nuovo sentiero.

L'ignoto mi spaventava, e ho preferito lasciarmi avvolgere da quel senso di malessere, mi sono crogiolato nel mio dolore e l'ho utilizzato come giustificazione.

So che non lo è. So che per colpa mia sei cresciuto covando il mio stesso rancore, so che ti porti dentro la stessa rabbia, lo stesso disamore verso questa vita un po' stronza e disonesta.

Per questo, Harry, ti chiedo di seguire il consiglio di un moribondo pentito, e di fingere per qualche minuto che a scriverti sia il padre che ti ha portato allo stadio per la prima volta, e non quello che è stato in carcere per la maggior parte delle tua adolescenza.

Amati, Harry. Ama te stesso prima di ogni altra cosa, perché solo così riuscirai a perdonarti.

Ama il tempo che ti è stato dato, attaccati a questa vita bastarda e urlale in faccia che tu non sei come l'uomo debole e inutile che è stato tuo padre.

Dille che sei capace di rialzarti, dimostrale che l'ignoto non ti spaventa, prendi quanti più sentieri possibili e se ti fai male, figliolo, rimboccati le maniche a va' avanti.

Sii forte ma permettiti di essere fragile.

Perdona gli sbagli che commetterai e, se puoi, perdona anche i miei.

Ti voglio bene sempre,

Papà.

 

 

È a causa di una lacrima che bagna il foglio proprio all’altezza della parola ‘papà’, se Harry si accorge di aver finito di leggere. Non si era reso conto di star piangendo, ma le sue guance sono già completamente bagnate, e le mani tremano attorno al pezzo di carta.

-Hey- sente Louis sussurrare, ma non si volta verso di lui.

-Harry, guardami- insiste.

Harry alza gli occhi pieni di lacrime e vergogna, e non è compassione ciò che trova in quelli del liscio, bensì comprensione ed empatia. Louis è l’emblema di tutto quello che gli fa male eppure Harry si sente al posto giusto, quando lo guarda. Non gli è mai successo prima.

Piega le labbra in un sorriso debole che non riesce a scacciare le lacrime, e i suoi occhi sono ancora troppo appannati perché possa vedere la mano di Louis raggiungere la sua guancia. Si lascia cullare da quel contatto, però, e si accascia contro la consistenza morbida ma leggermente ruvida della sua pelle. Le dita vanno ad intrecciarsi di nuovo ai suoi capelli, ed Harry le asseconda quando lo spingono a nascondersi nell’antro caldo e accogliente che è il collo di Louis.

-Sei stato tanto coraggioso, Haz- soffia contro il suo orecchio, per poi lasciargli un bacio appena accennato sulla tempia.

-Non sono pronto- confessa a quel punto Harry, la voce rotta e quasi impercettibile. -Ho bisogno di altro tempo, Lou.-

Lo avverte annuire lentamente, il collo che si muove dolcemente contro la punta del suo naso.

-Un po’ alla volta- lo rassicura. -Un po’ alla volta e andrà tutto bene, vedrai.-

Il riccio permette a quelle parole di rassicurarlo, si crogiola nell’illusione che non sia ormai troppo tardi. C’è una cosa che deve fare adesso, però. Perché non c’è più tempo per suo padre, ma ce n’è ancora tanto per Louis. Ci sono cose da vedere, posti da visitare, emozioni da provare.

C’è un universo intero ad aspettarlo, e Harry deve dirglielo.

-Louis- bisbiglia quindi sollevando il capo. -La tua vita è importante. Ti prego, non scordarlo mai.-

Non riesce a capire cosa sia esattamente quella scintilla che attraversa lo sguardo del più grande. Stupore, forse, e se lo è davvero, Harry si chiede perché nessuno gli abbia mai detto una cosa del genere. Perché nessuno gli abbia mai fatto presente che il mondo sarebbe un posto molto più triste, senza il suo sorriso.

Louis sospira e annuisce, gli lascia un bacio sulla fronte e -Non lo farò-, sussurra.


ƸӜƷ


Quando tornano a casa sono ormai le undici di sera, Harry ha la maglia sporca di sugo e Gemma deve essersi accorta, durante la cena, del suo atteggiamento pensieroso e distaccato, perché non fa domande e non intavola il discorso Louis. Il riccio lo apprezza, e la tiene stretta a sé per qualche lungo secondo, prima di dirigersi verso la sua stanza, cambiarsi e mettersi a letto. Poggia la lettera di suo padre sul comodino e la guarda. Lo immagina scrivere con mani tremanti, mentre qualche lacrima bagna il foglio e il senso di colpa gli appanna la vista, e sente una fitta stringergli il cuore.

Harry li conserva come fossero un segreto, quei piccoli e pochi ricordi che ha di suo padre. E se per tanti anni ha sperato che potessero tornare ad essere quotidianità, adesso non sa se riuscirebbe ad accettarlo. Non è convinto di poterlo guardare negli occhi senza pensare alle urla, i pezzi di vetro sul pavimento e la droga sparsa per casa.

Ha imparato con il tempo, Harry, a scindere le due personalità di Desmond Styles, i due tipi di persona che ha conosciuto nel corso degli anni: il suo papà, quello che lo abbracciava come se volesse proteggerlo dal mondo intero, e lo sconosciuto che è diventato dopo, la fonte principale di tutte le sue insicurezze e paure.

Non sa in quale momento abbia smesso di fare male. Si è svegliato, una mattina, e il pensiero di suo padre non lo rendeva triste, né tantomeno arrabbiato; indifferenza era tutto ciò che riusciva a sentire. Un vuoto totale all'altezza dello stomaco, il labile ricordo di un sentimento di nostalgia.

Si è svegliato, una mattina, e di suo padre non era rimasto più niente.

Ha bisogno di tempo, adesso, solo un altro po' di tempo, per ricordarsi di quando tutto era diverso.
 

ƸӜƷ
 

Caro papà,
è da tanto che non pronuncio questa parola.
Sono passati anni dall'ultima volta che ho chiamato il tuo nome certo che avrei ricevuto risposta. Non la ricordo neanche più, quell'ultima volta.
Forse è stato quando avevo sei anni e mi hai portato allo stadio. O magari è successo durante il nostro ultimo Natale, quello in cui mi hai regalato la pista di macchinine che desideravo da tanto. O ancora, forse è stato quando mi hai accompagnato a scuola per l'ultima volta.
Sono stato tutta la mattina sulle tue spalle quel giorno, questo me lo ricordo. Mi sembravi indistruttibile. Pensavo che se fossi rimasto per sempre insieme me, con quelle spalle avresti potuto proteggermi da qualsiasi cosa.
Non mi aspettavo che avresti fatto tutto il contrario. Che sarei cresciuto senza capire niente di calcio, per esempio. O che avrei tenuto quella pista di macchinine per ricordarmi di quando sniffavi cocaina proprio accanto a dove l'avevi sistemata: un promemoria per l'uomo che sarei voluto diventare, e che era il completo opposto di quello che eri diventato tu. Forse è stato proprio accanto a quella pista di macchinine, mentre ti pregavo di smetterla, che ho pronunciato per l'ultima volta il tuo nome.
E hai ragione, papà, a questa vita voglio dimostrare che non sono come te. 
Gemma mi aveva raccomandato di essere cauto, e mi dispiace se non lo sono stato. Ma voglio cercare di ricominciare, e non ho alcuna intenzione di farlo con una bugia.
Quindi questa è la verità: hai ragione. Sono pieno di rancore, e non so quanto tempo ci vorrà prima che la parola 'papà' smetta di suonarmi così estranea. Non lo so, perché non ricordo l'ultima volta che l'ho pronunciata.
Ma ricordo com'era averti al mio fianco, e nonostante tutto non ho mai smesso di volerti bene.
Credo che questo sia un buon punto da cui ricominciare.
Ci vediamo presto, forse.
Harry.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Quarta parte ***


Image and video hosting by TinyPic




Tu portami via
quando torna la paura e non so più reagire

ai rimorsi degli errori che continuo a fare
mentre lotto a denti stretti
nascondendo l'amarezza dentro a una bugia
tu portami via


 

 

Gemma è entrata da almeno quarantacinque minuti, ed Harry ha ormai rinunciato all'idea di raggiungerla. L'orario delle visite, in ogni caso, è quasi terminato.

Non ce l'ha fatta.

Ha promesso a sua sorella e a sua madre – e a Louis – che ci avrebbe provato, ma sono passate tre settimane, la primavera si avvicina, suo padre continua ad aspettarlo e lui, per la terza volta, non ce l'ha fatta.

Trattiene le lacrime a fatica, le braccia incrociate al petto per proteggersi dal freddo di Londra e tenere insieme i pezzi che, uno ad uno, stanno crollando. Non si accorge della pioggia che ha cominciato a bagnargli le guance finché non la sente mischiarsi alle lacrime, e sobbalza spaventato quando il suono improvviso di un clacson gli arriva alle orecchie. La piccola macchina grigia accosta ad un paio di metri da lui, ed Harry sbuffa nel riconoscerla.

-Come sapevi che fossi qui?- domanda quasi scocciato. -Dimmi che non sei davvero venuto fino a Londra solo per compatirmi, ti prego.-

Louis alza gli occhi al cielo mentre chiude lo sportello dell'auto, apparentemente incurante della pioggia che gli bagna i capelli. -Me l'ha detto tua sorella- spiega. -Sapeva che non saresti riuscito ad entrare.-

Harry si morde il labbro per trattenere un singhiozzo e abbassa lo sguardo sulle sue braccia incrociate. I piedi di Louis entrano nella sua visuale appannata, e il tono morbido della sua voce sembra quasi volergli alleviare il dolore. -Non te ne fare una colpa Harry, ti prego- soffia, portando una mano a carezzargli lo zigomo. Il tocco è talmente cauto e delicato, che il riccio si ritrova ad accasciarsi contro la pelle liscia senza neanche rendersene conto. -Non è colpa tua.-

-E allora perché sembra che lo sia?-

Louis sospira, le dita a muoversi quasi impercettibilmente sulla pelle bagnata della sua guancia, poi si dirige verso la macchina e gli fa segno di seguirlo. -Vieni con me.-

Harry guarda indietro, verso l'enorme edificio alle sue spalle, e muove qualche passo dubbioso in avanti. -Ma mia sorella è ancora dentro...-

Louis apre lo sportello del passeggero, e il riccio si concede di restare fermo a guardarlo per qualche secondo: i capelli bagnati, le gocce che scendono lungo gli zigomi affilati, gli occhi quasi grigi e l'acqua impigliata fra le ciglia chiare e lunghe. Per un piccolo, minuscolo attimo, Harry pensa di non aver mai visto niente di più bello.

-E' stata lei a chiamarmi. Che ti piaccia o meno, ha pensato che avessi bisogno di me. Non di Niall né di nessun altro- afferma, facendogli segno di entrare in macchina con un movimento del braccio. -Quindi ora lasciati portare via di qui, okay?-

 

 

 

ƸӜƷ

 

 

 

 

-Ho paura che prima o poi qualcuno troverà il mio cadavere in questo parco- bisbiglia Harry, la mano intrecciata a quella di Louis mentre percorrono il piccolo campo di calcio a passo veloce.

Il liscio sbuffa una risata e rotea gli occhi con aria esasperata. -Spara meno stronzate e sta' attento a dove metti i piedi, Harold.-

La pioggia bagna anche Doncaster, seppur lievemente, quando si fermano di fronte ad una piccola costruzione in legno. Sembra una tipica casetta per bambini, con un tavolino posto al centro e delle minuscole panche a circondarlo. Louis entra senza troppe difficoltà, come se lo avesse fatto un altro milione di volte, mentre lui sbatte la testa ripetutamente, prima di riuscire finalmente a sedersi.

-Zayn, Liam ed io venivamo qui tutti i pomeriggi, quando eravamo piccoli. Ci immaginavamo come sarebbe stato quando saremmo andati a vivere insieme a Londra- racconta, lo sguardo che scruta le pareti con aria nostalgica.

Harry porta le gambe contro il petto e le circonda con le braccia. -E cosa sognavi di fare a Londra?-

Louis scrolla le spalle con finta noncuranza e sospira. -Eravamo davvero troppo piccoli per poter sapere con certezza cosa avremmo voluto fare, però penso che mi sarebbe piaciuto studiare teatro- risponde infine, la voce quasi impercettibile. -Ma la vita aveva altri programmi, per me.-

Gli occhi puntati a terra e le labbra tirate in un sorriso pieno d'amarezza, Louis non gli è mai sembrato così piccolo. Neanche sul quel minuscolo balconcino di casa Malik-Payne, mentre infreddolito ed ubriaco gli sussurrava di aver perso per sempre suo padre.

-Tu, invece?- lo sente domandare dopo un po'.

Harry poggia il mento sulle ginocchia, quindi, e piega gli angoli delle labbra in un'espressione indifferente. -Non ho idea di cosa farò dopo il liceo- ammette. -Tutto ciò che so è che vorrei fermarmi, ad un certo punto.-

-Fermarti?- domanda Louis dubbiosamente, la testa leggermente piegata di lato e il sopracciglio inarcato.

-Sì- annuisce. -Arriverà un giorno in cui le cose andranno meglio, credo. Quel giorno vorrei smettere di scappare, trovare un posto da poter chiamare casa e fermarmi lì.-

Il liscio punta i piedi per terra, a quel punto, e si trascina lentamente lungo la panca fino ad arrivargli di fronte. Harry può sentire l'interno delle sue cosce premergli contro le punte dei piedi.

-Potresti tornare qui, quel giorno- suggerisce, gli occhi fissi nei suoi e un sorriso dolce sulle labbra. -Questa è un po' casa tua, no?-

Il riccio esita, perché come può dirgli che non è Doncaster quella che lui considera casa, ma sono le ore di matematica con Niall, i baci affettuosi di Phoebe, l'atteggiamento troppo forte di Lottie e Fizzy e poi i suoi occhi blu, il calore delle sue braccia e la sicurezza che è in grado di infondergli? Come può dirglielo, Harry, che seduto su quel muretto di fronte al carcere di Londra in cui si trova suo padre, con la pioggia ad impregnargli i capelli e il freddo fin dentro le ossa, tutto ciò che desiderava era vederlo arrivare? E che quando l'ha riconosciuto attraverso le lacrime, per la prima volta in vita sua ha pensato di aver capito cosa significasse sentirsi a casa?

Non può. Non è il momento giusto, e neanche loro due sono giusti. Louis non è la persona giusta a cui dire certe cose, ed Harry non dovrebbe sentirsi a casa quando lo guarda.

-Non lo so- risponde quindi scrollando le spalle.

Il grande, grandissimo problema, è che Louis – non sa come né perché – riesce a capirlo, e quindi non gli crede. Porta le mani a circondargli i polpacci e lo scruta con espressione dura.

-Hai solo paura, Harry- sussurra, come fosse un segreto tra loro due. -Fingi tutto il tempo di non averne, ma in realtà hai tanta paura.-

Il riccio sbuffa una risata ironica e quasi cattiva, prima di domandare con sarcasmo: -E di cosa dovrei avere paura, secondo te?-

-Di affezionarti, di lasciarti andare, di entrare in quel carcere e guardare tuo padre e renderti conto che nonostante tu ci abbia provato per tanti anni, non sei mai riuscito a smettere di volergli bene- continua quindi, la voce un po' più alta, ed Harry vorrebbe pregarlo di smettere ma non riesce a proferire parola. -Hai paura anche di me, Harry.-

Allora scuote la testa e soffia un piccolo e semplice 'no', ma Louis – di nuovo – non gli crede.

-Sì che ne hai- afferma sicuro, poi porta una mano a circondargli la guancia, mentre l'altra rimane ferma sul suo polpaccio. -Hai paura di quello che c'è tra di noi.-

-Non c'è nessun noi, Louis- si ostina a negare, mentre la pelle brucia a contatto con quella dell'altro e la voce trema.

Louis sospira e scuote la testa. -Sarebbe più semplice se non ci fosse- bisbiglia infine, quasi tra sé e sé.

Harry sente l'improvviso e impellente bisogno di stringerlo a sé. Abbandonarsi tra le sue braccia, lasciarsi avvolgere completamente e dimenticare tutto il resto. Cancellargli la paura dagli occhi, perché riesce a vederlo che anche lui ne ha tanta.

Per questo stende le gambe, e con non poca difficoltà porta le cosce sopra quelle di Louis, avvicinandosi un altro po'. I loro petti si sfiorano e Louis sembra confuso, ma non dice nulla quando la fronte di Harry va ad adagiarsi sulla pelle calda del suo collo. Sospira, invece, poggia la guancia sulla sua tempia e intreccia le dita tra i suoi capelli, mentre una mano calda va a carezzargli la schiena.

-Tu hai paura?- domanda a quel punto, il tono di voce ridotto ad un sussurro.

Louis respira profondamente e annuisce, la barba a sfregare leggermente contro la sua pelle. -Sempre- risponde piano.

Il riccio chiude gli occhi e si aggrappa con forza alle sue spalle, e non gli chiede cos'è che lo terrorizza così tanto. -Vorrei che non dovessi mai averne- bisbiglia invece, le lacrime che gli appannano la vista e vanno a posarsi sulla giaccia in jeans del più grande.

Rimangono in silenzio per qualche secondo, poi, e tutto ciò che Harry riesce a sentire è la pioggia che cade sul tetto malandato della casetta, insieme al cuore di Louis che gli batte contro l'orecchio. Solo quando un piccolo spiraglio di luce li raggiunge attraverso la porta di plastica lasciata aperta, Louis osa sussurrare un quasi inavvertibile: -Non ne ho, adesso.-

Il riccio sorride contro il suo petto, stringe la presa sulle sue spalle e chiude gli occhi.

Neanche lui ha paura, in questo momento.

 

 

ƸӜƷ

 

 

Se in matematica Niall è una causa persa, in letteratura, a differenza di Harry, è un vero e proprio genio. Riesce ad analizzare qualsiasi cosa legga, che si tratti di prosa o poesia, e a fare collegamenti con movimenti letterari francesi, spagnoli o italiani di qualsiasi epoca.

Ad Harry la letteratura piace; legge con interesse ed è anche capitato che si cimentasse nella scrittura, ogni tanto. Ma non è il tipo di persona che si pone troppe domande. La matematica è quel che è, non ci sono differenti modi di interpretarla o vari possibili significati da poterle attribuire. Per questo la adora: ci sono ragionamenti logici, dimostrazioni e calcoli che esistevano ancor prima che l'uomo li scoprisse, semplicemente perché è necessario che esistano.

Analizzare la letteratura è il completo opposto. Rispondere ai perché e cercare di dare un'interpretazione a dei sentimenti messi su carta è un qualcosa che l'ha sempre messo in difficoltà.

Per questo Niall è sdraiato sul letto della stanza di Harry, ora, la schiena leggermente sollevata dai tre cuscini che ha sistemato precedentemente e il libro di letteratura poggiato sulle ginocchia. Da almeno dieci minuti ha portato il braccio a coprirsi gli occhi in un gesto esasperato, mentre Harry tenta di analizzare ed interpretare un sonetto di William Shakespeare.

-No, Harry!- quasi urla il biondo, alzandosi di scatto e facendo cadere il libro a terra. -L'assenza della donna che ama è paragonata alla desolazione dell'inverno, ma non era inverno quando Shakespeare ha scritto il fottuto sonetto! Che vuoi che ne sappia io di quando ha scritto il sonetto?-

Non si preoccupa di raccogliere il libro, poi, mentre si dirige verso la porta della stanza continuando a borbottare. -Ho bisogno di qualcosa da mangiare.-

Harry cerca di trattenere una risata e sospira, gettandosi poco elegantemente sul suo letto. E' talmente stanco che potrebbe addormentarsi immediatamente, se solo chiudesse gli occhi. Li punta sul soffitto, invece, ed è in uno stato di dormiveglia quando Niall torna in camera con una ciotola piena di patatine tra le mani.

-Direi che per oggi finiamo qui, Haz- sospira sedendosi al suo fianco. -Mi hai portato sull'orlo dell'esaurimento nervoso.-

Harry ridacchia svogliatamente e gli lascia uno schiaffo leggero sulla coscia. -Credimi, quando facciamo matematica sei molto peggio.-

Il biondo sorride in modo irriverente e annuisce consapevole, per poi offrirgli un po' di patatine. Harry si alza, quindi, si sistema a gambe incrociate di fronte a lui e ne sgranocchia una manciata. Sono troppo salate, per cui sa che in un paio d'ore comincerà a bere come un cammello e poi passerà la notte in bagno, ma non gli importa.

Continuano a mangiare in silenzio per almeno dieci minuti, ma poi Niall prende parola. Harry non pensa di averlo mai visto così serio – il che è preoccupante, se si sofferma a pensarci.

-Lottie mi ha detto che mio cugino è venuto a prenderti fino a Londra- dice, la voce ferma e gli occhi bassi, forse per evitare di metterlo in ulteriore difficoltà.

Il riccio si limita ad annuire e a bisbigliare un appena accennato 'sì', deglutendo rumorosamente l'ultimo boccone di patatine. Sa che Niall non è pienamente favorevole al rapporto che si è venuto a creare tra loro due, e da un lato riesce a capirlo perfettamente: lui stesso non riesce a darsi una spiegazione ragionevole, la maggior parte delle volte.

Dall'altro lato, però, avverte la necessità che nessuno si intrometta. Ciò che lui e Louis hanno è qualcosa di così puro e pulito, nonostante il contesto in cui è nato, che Harry non vuole in alcun modo che qualcuno lo intacchi. Vuole tenerselo così, delicato e prezioso, con gli abbracci bagnati di pioggia e le carezze sulle guance, e proteggerlo finché può.

Per questo comincia a parlare prima che Niall lo preceda. -Lo so che ti preoccupa, Ni- afferma, mentre il biondo continua a mangiare le sue patatine evitando di guardarlo negli occhi. -Neanche io sono completamente tranquillo all'idea di essermi legato così tanto ad una persona come lui.-

-E quindi perché hai permesso che arrivaste a questo punto?- lo blocca allora, perplesso.

Harry sospira, gli occhi puntati sulle mani che giocano col tessuto sfilacciato delle lenzuola. -Perché lui mi fa stare bene- ammette in un soffio di fiato. -Forse non dovrebbe essere così, ma quando siamo insieme io mi sento bene, completamente. Come se non avessi paura di niente. E non mi è mai succeso con nessun altro prima d'ora.-

L'amico annuisce lentamente ma continua a non guardarlo, le sopracciglia aggrottate in un'espressione pensosa. -Si vede- bisbiglia infine.

-Cosa?-

-Che ti dà serenità- confessa con qualche secondo di ritardo, puntando finalmente gli occhi nei suoi. L'azzurro attorno alle pupille è più calmo, adesso, mentre accenna un sorriso a labbra strette. -Penso che solo lui possa mandar via questa paura che sembri portarti dietro sempre, e che al tempo stesso solo tu possa aiutarlo a lasciarsi alle spalle ciò che gli fa male.-

Harry rilascia un sospiro tremante e afferra un paio di patatine, giusto per evitare di dover parlare.

-Solo, Haz- continua a quel punto Niall. -Io voglio semplicemente che stiate attenti, okay? E' possibile che vi facciate bene ma è altrettanto possibile che vi distruggiate a vicenda, e questo lo sai perfettamente.-

Il riccio deglutisce e muove la testa in segno d'assenso. -Sì, lo so- ammette poi in un bisbiglio.

E ho paura che la probabilità di distruggerci a vicenda sia molto più grande, pensa, ma non lo dice.

Si limita a ricambiare l'abbraccio caldo in cui Niall lo avvolge.

 

 

ƸӜƷ

 

 

Non passa molto tempo prima che Harry si trovi costretto a riassistere allo spettacolo pietoso che è Louis quando si ubriaca. Vorrebbe andare via, alzarsi dal divano e scappare a gambe levate. Ma sulle sue ginocchia c'è Phoebe che guarda il fratello con espressione confusa e – forse – anche un po' impaurita. Quindi non si alza né scappa. Le poggia una mano sulla schiena, invece, e le domanda se ha sonno. Lei risponde affermativamente, gli occhi lucidi e le guance leggermente rosse, ed Harry non esita a prenderla in braccio e portarla nella sua stanza. Impiega davvero poco a farla addormentare, con qualche carezza confortante tra i capelli e un paio di bacini della buonanotte.

Quando torna al piano di sotto e si guarda intorno per qualche secondo, di Louis non c'è traccia.

-E' fuori a fumare- spiega Niall, senza che Harry abbia chiesto nulla. Poi sospira e poggia il collo sullo schienale del divano, gli occhi chiusi e l'aria stanca. -Mi dispiace, Haz.-

Vorrebbe dirgli che non è lui quello che deve chiedere scusa, e che – soprattutto – non è Harry che ha bisogno di sentirselo dire. E' Phoebe quella che fissava suo fratello con lo sguardo spalancato e dubbioso. Sono Lottie e Fizzy quelle che si mordono le labbra con espressione preoccupata, appollaiate su una poltrona troppo piccola perché possano starci comode entrambe. Harry non è nessuno.

Per questo afferra la sua giacca alla svelta, pronuncia un paio di saluti e si dirige all'esterno, con l'intenzione di tornare a casa.

-Dove vai, riccio?- si sente chiedere, e Louis ovviamente è proprio lì, a qualche metro di distanza, mentre cerca di accendere la sua sigaretta con poco successo.

-A casa- risponde atono senza neanche guardarlo, scendendo il primo scalino del portico.

-Aspetta!- urla quasi il liscio, raggiungendolo con passo incerto. Harry è costretto a reggerlo per le spalle non appena gli arriva davanti, timoroso che possa cadere da un momento all'altro. Storce il naso alla puzza di alcol che gli invade le narici, ma risale lo scalino e si avvicina di qualche centimetro. -Mi aiuti con la sigaretta, prima di andare? Non riesco a vederla bene- spiega Louis con tono strascicato, accascandosi contro il suo tocco.

Il più piccolo sospira con esasperazione, ma lo accontenta. Gli toglie l'accendino dalle mani e lo posiziona davanti alla sigaretta, attendendo che Louis faccia il primo tiro. Quando il fumo comincia a fuoriscire dalle sue labbra sottili, Harry gli infila l'accendino nella tasca della giacca e, di nuovo, fa per andarsene.

-Resti un po' qui con me?- soffia però Louis, la spalla sinistra poggiata alla colonna del portico e gli occhi semichiusi, la sigaretta stretta tra l'indice e il pollice della mano destra.

-Non ne ho voglia- risponde allora, ma il suo corpo non si muove.

Louis accenna una risata ubriaca e si avvicina un altro po'. Inciampa un paio di volte, ma Harry non si sporge ad aiutarlo.

-Io ho sempre voglia di stare con te, invece- sussurra, come se fosse un segreto tra loro due, non appena gli arriva di fronte e i loro petti si sfiorano. -E ho anche voglia di baciarti. Perché ho così tanta voglia di baciarti, secondo te?-

Harry può giurare di aver sentito il respiro bloccarglisi da qualche parte tra la gola e i polmoni, ma no – si dice –, no. E' solo ubriaco.

-Sei solo ubriaco, Louis- afferma quindi, ed è troppo tardi quando si rende conto della rabbia di cui sono pregne le sue parole. Ma non si ferma, perché suo padre ha ragione: Harry è pieno di rancore. E forse non è Louis ad avergli fatto del male, ma è tremendamente simile a quella persona, e questo può bastare. -Come sempre.-

Infila le mani gelide nelle tasche della giacca e si volta, deciso ad andarsene una volta per tutte, quando Louis gli circonda il gomito con la mano libera e con l'altra butta la sigaretta ai suoi piedi. -Provi qualcosa per me- sputa quasi fosse un'accusa, per poi avvicinarsi lentamente alle sue spalle. Il respiro caldo gli colpisce il collo ed Harry deve lottare contro se stesso per non lasciarsi andare contro il petto accogliente dell'altro, quando lo sente riprendere parola. -Ammettilo- soffia, con talmente tanta disperazione che il riccio non può fare altro che scrollarselo di dosso e voltarsi verso di lui. Con che diritto?, si chiede. Con quale coraggio pretende che gli venga ammessa una cosa del genere, mentre barcolla e non riesce neanche a reggersi in piedi?

-E anche se fosse, a te cosa importerebbe?- domanda quindi, le guance che bruciano di rabbia nonostante il vento freddo che le colpisce.

Louis sospira, piega leggermente la testa di lato e arriccia le labbra in quello che appare quasi come un broncio. -Non voglio ferirti- confessa con qualche secondo di ritardo, il tono di voce molto più calmo e dolce. -Non voglio che arrivi al punto in cui penserai che salvarmi sia possibile. Perché non lo è, Harry. E tu meriti di meglio che sprecare il tuo tempo dietro ad un alcolizzato che non è riuscito a sconfiggere i suoi demoni. Meriti qualcuno che ti aiuti a sconfiggere i tuoi- continua infine, mangiandosi qualche parola nel frattempo.

Quelle che sembrano lacrime si accumulano agli angoli dei suoi occhi, ed Harry vorrebbe solo allungare le dita e asciugargliele una per una, ma non lo fa. Incrocia le braccia al petto, invece, perché se fino ad un paio di giorni fa tra quelle di Louis non aveva più paura, adesso sente che deve proteggersi da lui.

-Beh, a quanto pare sono una calamita per questo tipo di situazioni- borbotta.

Il liscio sbuffa e gli si avvicina ulteriormente, portando una mano a sfiorargli la guancia. -Smettila di colpevolizzarti.-

-Non lo faccio. Lo so che se una persona non vuole salvarsi allora non lascerà che nessuno la aiuti. L'ho imparato quando a dieci anni sono scappato di casa per la prima volta con l'intento di aiutare mio padre, e tutto ciò che ho ottenuto è stato vederlo iniettarsi dell'eroina nelle vene- sbotta Harry, afferrando il polso dell'altro e allontanandolo dal suo volto in un gesto di stizza, senza però spezzare il contatto. -Il fatto è che ogni tanto mi piacerebbe sentirmi abbastanza. Ma in fondo se non lo sono stato per mio padre, come potrei mai esserlo per te?-

Ed è così che se ne va. Aspetta che Louis gli dica qualcosa, ma quel qualcosa non arriva mai. Si guardano in silenzio per qualche secondo, le pelli ancora l'una contro l'altra, e poi si lasciano andare.

Harry esce dal giardino di casa Horan senza guardarsi indietro, e Louis non prova a fermarlo.

Lo sa anche lui che è meglio così.

 

 

 

 

 

 

 

Sono l'elefante
e mi nascondo
ma non c'è rifugio
così profondo
io non so scappare
che pena mostrarmi così
a
l tuo sguardo che amo
e che ride di me

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3753507