Vita o Morte?

di Fede_98
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Good time for a change
See, the luck I've had
Can make a good man turn bad
So please, please, please
Let me, let me, let me
Let me get what I want this time
(The Smiths - Please, Please, Please, Let Me Get What I Want)
 
 
Aprii gli occhi e vidi la macchia di muffa che si stendeva per il soffitto. In lontananza sentivo i passi delle guardie e il tintinnio prodotto dalle chiavi che portavano appese alla cintura. Ed ecco i primi lamenti del mattino: chi diceva di non sentirsi troppo bene e di voler essere portato in infermeria, chi pregava una guardia di aiutarlo a fuggire e chi si asciugava le lacrime versate la notte prima, mentre cercava di sopprimere gli ultimi singhiozzi. Rimasi stesa sul letto per qualche minuto, avrei dovuto fare colazione ma la prospettiva di restare a letto sembrava decisamente più allettante di mangiare quella poltiglia che spacciavano per cibo. Dopo cinque minuti mi decisi a scendere dal letto e andai a lavarmi la faccia, non che potessi far altro comunque, dopo le 8 non ci era concesso dormire.
Improvvisamente tutto il carcere si riempì di un rumore metallico prodotto dalle cancellate che venivano aperte. “Giorno di visite” pensai mentre il cattivo umore cominciava a farsi strada in me: odiavo quelle giornate, quasi tutti ricevevano visite ma non io, mia madre era impossibilitata a venire e sebbene i miei fratelli talvolta venivano a trovarmi, sono sicura che ne avrebbero fatto a meno, mi disprezzavano dopo quello che avevo fatto, per questo le loro visite erano comunque molto rare.
Presi un libro e iniziai a sfogliarlo per ingannare il tempo e affievolire quella sensazione spiacevole che provavo ogni volta che era giorno di visita
La mia cancellata si aprì e, con un movimento pigro, girai la testa verso Anna, la guardia carceraria, la persona più vicina ad un’amica lì dentro, sebbene non lo fosse davvero, le regole non lo permettevano
«Ci sono visite» disse con voce chiara. Assunsi di proposito un’espressione interrogativa, nel tentativo di estorcerle un’informazione sul mio visitatore ma l’unica risposta che ottenni fu la sua stretta di spalle per indicare che non sapesse chi fosse venuto a trovarmi.
Uscii accompagnata da Anna e camminai per il lungo corridoio, fermandomi quando un’altra cancellata si aprì.
Entrai nella stanza, non era la normale stanza delle visite: c’era solo un tavolo e dietro di esso un signore anziano, con i capelli bianchi e i baffi dello stesso colore. Quando entrai i suoi occhi azzurri si rivolsero verso di me.
Mi accomodai all’altro capo del tavolo e aspettai che parlasse. Non avevo idea di chi diavolo fosse e cosa ci facesse qui, per cui aspettai,
«Ciao Ingrid» il suo tono era calmo e pacato, mi trasmetteva un senso di tranquillità «ti chiederai che cosa ci faccio qui» continuò «beh, ho una proposta da farti, non posso dirti i dettagli finché non avrai accettato ma ti posso dire questo: abbiamo bisogno di te per un’indagine molto importante, i rischi che correrai non saranno pochi, potresti morire, ma se sopravvivrai la tua… » s’interruppe per guardare le mura del carcere «… situazione potrebbe migliorare»
Una persona normale avrebbe aspettato, avrebbe valutato i pro e i contro, avrebbe avuto paura di morire… ma non mi sarei trovata qui dentro se fossi stata una persona normale. Risposi immediatamente «Dove devo firmare?» dissi citando una tipica frase da film. Il vecchio fece un sorriso soddisfatto quando si alzò io feci altrettanto. Allungò la mano verso di me gliela strinsi senza esitazioni «Io sono Watari, collaborerò con te e con altri d’ora in poi. Adesso devi andare nella tua cella e prendere le tue cose» quest’ultima frase produsse in me uno stato di euforia che non provavo da tempo, stavo per uscire, forse definitivamente, forse solo per qualche ora, ma stavo per uscire.
 
Nelle 3 ore successive accaddero più cose di quante me ne fossero accadute nell’ultimo mese: misi le mie cose in valigia e venni scortata fuori dal carcere, dove ad attendermi c’era una Rolls Royce nera. Accanto alla portiera aperta c’era Watari che con un gesto mi invitava ad entrare. All’interno dell’auto c’erano due uomini in giacca e cravatta, sembravano due bodyguards, probabilmente erano qui per proteggere Watari da me, non che ce ne fosse bisogno comunque, avevo commesso già un omicidio ed era stato per necessità, non ero una bestia. Immaginando comunque la loro prossima mossa, sbuffai e allungai le braccia mostrando i polsi. Ancora una volta, Watari sembrò divertito dal mio comportamento. «Non ce n’è bisogno signorina Ingrid, sebbene non credo che farà qualcosa di avventato, i due signori qui presenti saranno più che abbastanza per proteggermi». Beh, come dargli torto, uno di loro era comunque il doppio di me e, nonostante il fatto che fossi un’assassina, la mia unica vittima stava dormendo quando ho commesso l’omicidio.
Dopo mezz’ora la macchina si fermò e quando la portiera si aprì vidi un aereo che ci stava attendendo.
Appena salimmo sull’aereo constatai che non fosse uno di linea, era un aereo privato, voleva dire che l’indagine in cui ero coinvolta era bella grossa. Watari si accomodò di fronte a me e i due energumeni presero posto alla mia destra e alla mia sinistra. Feci uno sbadiglio, non avevo dormito abbastanza evidentemente. «Può dormire se vuole» mi disse con il suo tono pacato Watari ma io scossi la testa: ero venuta con loro senza esitazioni, e sebbene fossero stati abbastanza schietti sui rischi che avrei corso, ancora non sapevo i dettagli del piano che mi avrebbe riguardata, non sapevo neanche dove ci stava portando quell’aereo, l’unica cosa che potevo fare era restare vigile fino al chiarimento di tutta la faccenda.
«Che bei capelli rossi che ha signorina Ingrid» provò a fare conversazione Watari «ha origini Irlandesi?» . Posai il mio sguardo sui miei ricci prima di rispondere «No, sono italiana ed anche i miei genitori. Ma grazie per il complimento» dissi in modo apatico. Watari non disse un’altra parola, probabilmente il modo in cui gli avevo risposto gli aveva fatto intendere che non ero dell’umore per fare conversazione, per cui il viaggio proseguì nell’assoluto silenzio.
Quando l’aereo stava per atterrare, provai a scorgere dal finestrino la località in cui eravamo diretti ma nessuno degli edifici visti dall’alto mi sembrava familiare. «Siamo in Giappone» disse Watari intuendo cosa stessi cercando di fare «presumo che lo avrebbe capito dai tratti degli abitanti» aggiunse. «Capisco» mi limitai a dire.
Quando scendemmo dall’aereo, vidi che un’altra Rolls Royce, identica a quella che mi aveva prelevata dal carcere, ci stava aspettando per condurci chissà dove.
Ci fermammo proprio di fronte ad un hotel di lusso. “Prima le due Rolls Royce, poi l’aereo privato e adesso anche l’albergo di lusso… certo che non badano proprio a spese” pensai mentre mi apprestavo ad uscire dall’auto e ad entrare nell’albergo. Ovviamente, non entrai dall’ingresso principale ma da un’entrata secondaria, dove ad attendermi c’erano due uomini che avevano una pistola alla vita, supposi fossero agenti della polizia giapponese.
«Salve signorina, sono il sovrintendente Yagami» disse il più anziano dei due in un italiano stentato che mi diede non poco fastidio «Mi dispiace ma prima di poterle permettere di continuare, devo perquisirla». Sbuffai, «Faccia pure, è ormai risaputo che all’interno delle carceri siamo provvisti di tutti i tipi di armi, ce ne regalano anche una quando andiamo via» risposi ironica in giapponese, non volevo sentirli parlare ancora quell’italiano storpiato. Comunque, li lasciai perquisirmi e quando, ovviamente, non trovarono nulla, mi lasciarono passare. Entrammo nell’ascensore io, Watari e Yagami, mentre l’altro agente rimase all’entrata. Al 16º piano l’ascensore si fermò e le porte si aprirono. Watari e Yagami mi condussero in una stanza e di colpo una dozzina di occhi furono puntati su di me, provocandomi una sensazione sgradevole. Solo un ragazzo dai capelli neri che se ne stava seduto e che mi rivolgeva le spalle non si volto nemmeno per lanciarmi una curiosa occhiata fugace. Fu proprio lui a parlare «Benventa Ingrid. Vieni avanti e lascia che mi presenti, io sono L»

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


The one and only day has come,
I'll pay for all the bad things I've done.
It's gonna take me, you don't know tragedy
I've been to hell and back, and can't ya tell it?
(Sum41 – Pull The Curtain)

 
Senza dir nulla mi avvicinai a passo lento a quel gruppetto di persone. Notai che quasi tutti si irrigidirono e, con la coda dell’occhio, vidi che uno di loro aveva la mano sulla sua pistola. Una mossa sbagliata e avrebbe sparato.
Non ero spaventata, e comunque, anche se lo fossi stata, non avrei potuto mostrarlo, non in un momento del genere: c’era da contrattare
Il ragazzo che non si era voltato era l’unico a sembrare molto calmo, come se nella stanza non ci fosse un’assassina. Ancora una volta, fu lui a parlare. «Siediti.»  mi disse in inglese e non potei fare a meno di notare il suo accento inglese molto marcato. Non me lo feci ripetere una seconda volta e mi lasciai cadere sulla poltrona proprio di fronte a lui.
La prima cosa che notai di L fu il modo in cui era seduto:  rannicchiato in posizione fetale. Teneva in mano un piattino su cui era poggiata una fetta di torta e, quando ne tagliò un pezzo, portandoselo alle labbra, riuscii a scorgere il suo viso oltre i capelli neri: il volto era terribilmente pallido e gli occhi neri come la pece erano accerchiati da vistose occhiaie.
“Bene, sarò anche un’assassina, ma di certo non sono la persona più strana qui dentro” pensai quasi divertita dalla situazione.
«Credo che Watari già ti abbia spiegato alcune cose, giusto?» Disse L
«Si, mi ha detto che vi serve il mio aiuto e che potrei morire nel darvelo. Il solito insomma!» esclamai non nascondendo il mio solito sarcasmo
Gli agenti presenti nella stanza si irrigidirono ancora una volta, non si aspettavano battute in un momento del genere: il piano a cui avrei dovuto prendere parte doveva essere grosso!
Watari, fu l’unico insieme ad L a non mostrarsi interdetto, mentre, quest’ultimo mi lanciò un’occhiata divertita, che sparì subito dopo, lasciando spazio ad un’espressione più dura. Probabilmente si era rimproverato mentalmente per essersi divertito su un qualcosa di così grave. Scherzare sull’argomento, almeno per il momento, era fuori questione.
L si portò un altro boccone di torta alla bocca e, una volta finito, parlò : «Ti spiego meglio, Ingrid, credo che tu abbia sentito parlare di Kira…»
Si, ne avevo sentito parlare eccome!
«Vengo da un carcere, se non si sente parlare lì di un pazzo che uccide i criminali, non so dove altro si possa sentire»
Nelle scorse settimane, Kira aveva scatenato il panico generale: chi commetteva un crimine così cruento da diventare una notizia internazionale, non viveva a lungo. E anche chi anche chi aveva commesso crimini minori viveva nella paura. Kira era diventato l’incubo di tutti lì dentro, più della legge, più di una vita passata tra le stesse quattro mura.
«Ma non capisco cosa c’entri con me» continuai. Insomma, ero una criminale, un’assassina, ma il mio crimine non era stato così efferato da diventare una notizia mondiale, e inoltre, era stato commesso due anni fa, se Kira avesse voluto uccidermi, lo avrebbe già fatto.
«E qui arriviamo al punto» disse L con un tono piatto, che, a quanto capii, era il suo solito tono  «Come ben sai, Kira uccide i criminali i cui reati vengono trasmessi al telegiornale. La loro storia non viene nemmeno menzionata, e lui li giustizia senza nemmeno conoscerli. Ma tu, Ingrid, hai una storia ed io voglio scoprire come si comporterà Kira dopo averla sentita, mi aiuterai a delineare il suo profilo psicologico» concluse L
«Sono una cavia.» Il tono con cui lo dissi non fece trasparire alcun tipo d’indignazione, non ne provavo. Dal momento in cui avevo accettato la proposta di Watari, avevo immaginato che avrei avuto un ruolo simile.
Se io non mi agitai quando mi dissero di essere solo un esperimento, neanche L si scompose quando lo chiarii in modo esplicito.
Con una calma che avrebbe messo i brividi a chiunque, posò il piattino che aveva tra le mani, ormai vuoto, sul tavolino che divideva noi due e con tono apatico disse «Si, sarai una cavia. Verrai spostata in un penitenziario qui in Giappone. Verrai prelevata per fare l’intervista che verrà messa in onda e che mostrerà il tuo nome e il tuo volto solo alla fine, in modo tale che Kira ascolti prima la tua storia. Se sopravvivrai, ti verrà scontata metà della pena, ovvero 15 anni»
Queste ultime parole mi tolsero l’aria dai polmoni in un sol colpo. In carcere anche qui. Non era molto meglio della mia situazione precedente. Fu l’unico momento di tutto il discorso in cui riuscirono a strapparmi un’espressione preoccupata, quasi terrorizzata.
Con repentinità, feci un profondo sospiro e decisi di rischiare tutto.
Ripresi la mia espressione sicura e dissi «Hai detto bene: se sopravvivo. Anche i condannati a morte hanno un ultimo desiderio. Le mie condizioni sono queste: non andrò in nessun carcere, voglio restare qui» accompagnai le mie parole ad un gesto della mano che invitava tutti i presenti ad osservare la stanza in cui ci trovavamo. «Potete sorvegliami, anche privarmi di telefoni e computer se proprio avete paura che possa mettere su una piccola gang mafiosa, ma voglio uscire, anche in quel caso sorvegliata, ma non ho intenzione di scambiare una gabbia per un’altra, per quanto dorata. Inoltre, sto rischiando la mia vita per cosa? Passare altri 15 anni in cella? No grazie, preferisco tornare a casa.»
Pregai con tutte le mie forze che credessero a quella colossale bugia: non m’importava della mia vita, volevo solo non rimettere mai più piede in una cella, se avessero rifiutato, probabilmente li avrei pregati di ritornare a quegli accordi, ma loro non ne avevano idea, quindi…
«Se sopravvivo, voglio essere libera» continuai mentre L riempiva una tazza da tè fino all’orlo
«Impossibile» disse uno degli agenti nella stanza
«L… mi sembra troppo…» disse Yagami al ragazzo
Sapevo che potevano fare questo e ben altro: erano riusciti a farmi uscire e farmi arrivare dall’altra parte del mondo in mezza giornata, avevano la possibilità di fare ciò che volevano.
Rimasi a fissare L, avevo capito che la decisione spettava a lui.
Quel ragazzo dallo strano atteggiamento nascose un sorriso dietro la tazza da tè
«Allora? Accetti?» non riuscii a nascondere la mia impazienza
Prima che L potesse proferire parola, un agente dai capelli neri si intromise «L, sai che è troppo…»
L spostò pigramente lo sguardo sul ragazzo che sembrò volersi rimangiare tutto, poi tornò a guardare il suo tè e iniziò a parlare «Ci serve un crimine grave, con motivazioni altrettanto gravi. La persona che l’ha commesso dev’essere giovane e deve venire da un paese in cui non è prevista la pena di morte, in caso contrario Kira potrebbe decidere di non agire e lasciar fare alla legge» poi alzò lo sguardo verso di me e disse «e l’unico motivo per cui sto dicendo questo in tua presenza è che accetto le tue condizioni, Ingrid, purché tu accetti la mia»
Assunsi un’espressione interrogativa e chiesi «E quale sarebbe?»
L tornò a concentrarsi sulla sua tazza mentre mi parlava. «Vedi, la stanza nella quale ci troviamo è quella in cui alloggio io. Quindi, adesso o decidi di alloggiare in una camera normale o dovremo convivere»
Tutti i presenti, fatta eccezione per Watari, mostrarono per l’ennesima volta un’espressione stupita e non mi lasciai sfuggire l’occasione di infliggergli il colpo di grazia.
«Ho sempre desiderato un coinquilino.» Sorrisi. Avevo vinto.

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