Flower Bouquet

di Roquel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Gladioli Rossi ***
Capitolo 2: *** Incenso Nero ***
Capitolo 3: *** Il Quarto Tentativo ***
Capitolo 4: *** La Rabbia che Ribolle ***
Capitolo 5: *** Piani e Promesse ***
Capitolo 6: *** Nostalgia ***
Capitolo 7: *** Nonostante la Paura ***
Capitolo 8: *** Kamui ***
Capitolo 9: *** Menta e Spezie ***
Capitolo 10: *** Vele Bianche ***
Capitolo 11: *** Pioggia ***
Capitolo 12: *** Un Cielo Grigio ***
Capitolo 13: *** Scacco ***
Capitolo 14: *** Myosotis ***
Capitolo 15: *** Nelle terre di Hosu ***
Capitolo 16: *** Preparativi ***
Capitolo 17: *** Senza Traccia ***
Capitolo 18: *** Una Falsa Orchidea ***
Capitolo 19: *** Pira Funeraria ***
Capitolo 20: *** Una Notte di Luna Piena ***



Capitolo 1
*** Gladioli Rossi ***


Capitolo 1 – Gladioli Rossi

 
 
 

Sending you forget me not

To help me to remember

Baby please forget me not

I want you to remember
 

Forget me nots – Patrice Rushen










 

Ci sono ferite che ci segnano, che lasciano cicatrici terribili e visibili. Ce ne sono altre che semplicemente esistono dentro di noi, ferite che teniamo nel profondo dei nostri cuori, facili da nascondere ma che tornano sempre inconsciamente.

Alcuni le chiamano ricordi.

Per Izuku, il ricordo torna in primavera, quando i boccioli si aprono e i campi si tingono di giallo, rosso, blu, verde e lilla... Il panorama è meraviglioso, pieno di colori, di vita e infinita speranza. Tuttavia, gli basta rivolger loro un solo sguardo per sentire il peso della memoria tornare più forte che mai.

Ad ogni primavera, quando i fiori sbocciano di nuovo, Izuku si siede ad ammirarli: chiude gli occhi e inala il profumo, cercando di riconoscerne ogni singola parte. Le prime volte piangeva, la vista dei fiori era abbastanza per farlo scappare nella direzione opposta fino a collassare al suolo e scoppiare in un pianto disperato. Con il passare del tempo, imparò a sopprimere quella reazione immediata e riuscì a prendere abbastanza forza da sedersi in mezzo ai campi, circondato da fiori e ricordi.

Gli bastava respirare l’odore della foresta per ricordare i suoi genitori.










 

Le valeriane bianche erano nate sulla caviglia sinistra della madre e si arrampicavano fino a nascondersi sotto il suo abito. Da bambino Izuku soleva sedersi ai suoi piedi per contarne i fiori, far scorrere le piccole dita lungo l’intricato distendersi degli steli verdi e dei piccoli petali. Erano tinti di un bianco brillante, simbolo di purezza e affetto.

Ed era senz’altro splendido che anche suo padre avesse un fiore bianco sulla mano destra. Era una bellissima magnolia, con petali a forma di goccia e un piccolo cerchio giallo all’interno che faceva risaltare il delicato biancore del fiore. Da lì, si distendevano sul suo avambraccio e terminavano sul gomito fila di rami verdi pieni di piccole magnolie bianche, nessuna splendida e magnifica come quella che brillava sul dorso della sua mano.

Erano i guaritori del villaggio. Accanto alla loro casa vi era una stanza dove si occupavano di raffreddori, cadute, lesioni, morsi, parti e tutti i malanni che ogni abitante del paesino potesse contrarre.

Izuku poteva star seduto per ore in un angolo ad osservare il padre diagnosticare influenze e curare ferite. Passava con sua madre pomeriggi interi macinando piante e semi per rifornire gli scaffali. Imparò a riconoscere le piante dalle foglie, dal colore dei fiori. Si metteva ai piedi dei genitori, bendato, mentre cercava di identificare i miscugli solo dall’odore, per lui era come un gioco.

Non avrebbe mai dimenticato il giorno in cui desiderò essere come loro, il giorno in cui desiderò salvare il mondo: aveva quattro anni e il suo migliore amico Katsuki era caduto da un albero, rompendosi un braccio. Izuku ricorda di esser stato lui a piangere per tutta la strada di ritorno mentre il biondo, pallido come una magnolia, serrava i denti e brontolava sommesso.

I suoi genitori non emisero un urlo, e nemmeno andarono nel panico; sua madre si affrettò a portare bende, acqua e medicine mentre suo padre sollevò Katsuki da terra mormorando parole tranquille e di incoraggiamento. Izuku si accostò al tavolo da lavoro, e anche se non osava stringere la mano dell’amico, si avvicinò il più possibile sperando di dargli conforto.

Quel giorno, Izuku sognò di ricevere un fiore bianco. Quel giorno, Izuku sognò di essere in grado di curare chiunque, di salvare chiunque.










 

Izuku non ha bisogno di sforzarsi per rievocare l’aroma di giglio e caprifoglio. Gli basta inspirare profondamente, così che tutti i profumi della foresta gli pervadano le narici e riempiano il suo corpo di freschezza, riportando l’odore della sua vecchia casa.

Resta lì per parecchio, riflettendo e ripensando a quel tempo diluito tra le sue dita. Quando torna in sé, il sole sta già calando. Il vento soffia dolcemente, conservando il calore del giorno, ma ben presto diventa una fredda folata, così Izuku sospira e si alza.

Quando torna a casa, Tokoyami ha già finito di accendere il fuoco e si intrattiene pulendo i conigli che diventeranno la loro cena. Mentre Izuku si scusa per il ritardo li vede: un mazzo di raggi rossi spuntano da un mucchio di altri fiori.

Qualcosa dentro Izuku si spezza.

“Ne ho portati altri,” dice Tokoyami, indicando il cumulo di fiori. “Sei a corto di lozione.”

Izuku sorride, anche se da come lo sguardo di Tokoyami si acciglia deve sembrare uno sul punto di piangere più che altro.

“Qualcosa non v–?”

“No!” urla Izuku senza farlo finire. “No,” ripete più calmo, avvicinandosi con passo incerto. “Grazie.”










 

Mitsuki Bakugou indossava un sarashi rosso che le permetteva di esporre i fiori, di un rosso ciliegia, che si estendevano su tutta la schiena e sulla nuca.

Aveva vinto il titolo di miglior guerriera per cinque anni consecutivi. Sapeva combattere, navigare, e possedeva un’abilità incredibile coi coltelli. Era bionda, alta e impetuosa; Izuku adorava sedersi ad osservarla insegnare tecniche di difesa ai giovani Alpha.

“Smettila di sbavare su mia madre, Deku.” Gli diceva Katsuki ogni volta che lo vedeva con quello sguardo di adorazione.

“Kacchan, tua madre è fantastica.”

La risposta dell’amico era secca. “Io lo sarei ancora di più.” Borbottava tra i denti mentre si voltava per andarsene.

Izuku lo seguiva tentando di scusarsi. Sapeva che Katsuki non sopportava quei paragoni. Detestava essere inferiore a chiunque, persino alla sua stessa madre.










 

Izuku si allontana dai fiori e dà una mano per la cena. Si siedono per mangiare in un insolito silenzio perché dopotutto, il ragazzo non ha le forze per parlare della sua giornata, né per fare domande.

“Midoriya,” la voce di Tokoyami lo risveglia dalla sua trance e Izuku gli rivolge lo sguardo.

“Sì?”

Il ragazzo dalla testa di uccello lo guarda per un lunghissimo istante. Izuku percepisce le domande dietro quel silenzio, ma è attento a non dire nulla e si limita a studiare la soffice superficie delle sue piume nere ed il modo in cui la luce del fuoco danza sul suo becco. Alla fine, il ragazzo sospira e mormora:

“Si sta facendo tardi, è meglio che vada. Ti serve qualcos’altro?”

Izuku sorride senza muoversi per alzarsi.

“Sto bene, grazie.” Dice piano. “Domani verrai?”

“Ci proverò.”

“Grazie di tutto, Tokoyami.”

“Ci vediamo, Midoriya.”

Tokoyami si alza e Izuku riporta la sua attenzione al piatto che ha di fronte. Finge di mangiare mentre ode l’altro ragazzo prendere le sue cose; lo sente andare via, il suono del suo passo robusto si affievolisce finché non sente altro che il crepitio del fuoco. Solo allora, Izuku guarda di nuovo i fiori.

Una brezza leggera agita i petali rossi. Socchiudendo gli occhi, i contorni dei fiori si perdono fino a diventare una macchia scarlatta. Una macchia lunga e sottile... come una spada.










 

Non fu una sorpresa quando il rumoroso figlio della miglior guerriera del villaggio mostrò orgogliosamente il gladiolo rosso appena sbocciato sulla giuntura che unisce il braccio al busto.

Il piccolo fiore era grande quando il pollice di sua madre, ma possedeva una tonalità cremisi inevitabilmente associabile a forza, passione e determinazione. Inoltre il gladiolo era uno dei fiori più belli: rappresentava vanità, carattere forte, onore e lealtà. Erano un assoluto simbolo di vittoria, perché una volta cresciuti avrebbero presto acquisito la forma di una spada, lunga e rossa.

L’unione del tutto rendeva senza alcun dubbio Katsuki Bakugou un Alpha.

Izuku ricorda perfettamente il giorno in cui vide il fiore rosso sul petto dell’amico. Ricorda il colore acceso e le piccole linee scure che germogliavano dal centro. Erano rosse come gli occhi del suo proprietario, rosse come il cielo al tramonto. Era dotato di un colore scarlatto estremamente brillante.

Izuku ne ricorda il contatto, saldo e tenue, ricorda la pelle liscia e delicata in contrasto all’ossatura rigida sottostante. Ricorda di aver passato giorni a sognare di petali rossi sullo sfondo di una pelle di alabastro. 










 

Il suono di un gufo fa tornare in sé il ragazzo, che solo allora nota il suo piatto ancora mezzo pieno dei resti del coniglio.

Izuku sospira.

Raccoglie i resti di cibo e li sotterra, poi lava il piatto. Invece di andare a letto, si dirige verso la borsa dove tiene l’ultimo quaderno della sua collezione. Si siede vicino al fuoco e cerca di fare uno schizzo della forma dei fiori.

Non si stupisce del fatto che il suo primo disegno si riveli essere un gladiolo invece che un oleandro, ma lo infastidisce che manchi di vita. Passa delle ore a disegnare, cercando di catturare il tenue e quasi ipnotico movimento delle foglie. Insoddisfatto, tira fuori la pittura dalla sua borsa e cerca di far possedere al suo disegno l’intensità di quel rosso, la forza, lo splendore che ricorda.

È inutile.

Frustrato, Izuku strappa la pagina, la appallottola e la lancia via. Più lontano che può. Nel suo battito sente chiaramente rabbia e frustrazione. Per contrastarle, si siede vicino al mazzo di fiori e inizia a sfogliarli, separando i petali in diverse ciotole, ma la sua rabbia svanisce quando vede la manciata di fiori tra le mani. Gli basta guardarli per sentire di poterli vedere di nuovo tutti insieme: valeriane, magnolie, gardenie, rose, margherite, gladioli rosso sangue… Tutti questi e altri ancora danzano intorno a lui, mostrando la forza e la bellezza dei loro proprietari.

Izuku prende un respiro, le sue mani piene di fiori recisi; gli viene da ridere per l’ironia ma l’idea di farlo è troppo dolorosa.

“L’hai già fatto prima d’ora,” dice a se stesso, cercando di riprendere la mansione.

Ma è inutile. Non riesce a smettere di pensare alle valeriane, alle magnolie e ai gladioli. Non riesce a smettere di vederli recisi e distrutti. Non c’è più nessun fiore, e non ne ha nemmeno uno sul suo corpo con cui potersi consolare.










 

Tutti i bambini della sua età ricevevano i propri fiori quasi allo stesso momento. Tutti, eccetto Izuku.

Izuku passava settimane a studiare il suo corpo con attenzione, aspettando il fiore che avrebbe definito la sua vita, ma quando arrivò, non era ciò che si era aspettato. Avvenne mentre faceva il bagno. C’era un altro gruppo di bambini con lui e fu uno di loro ad urlare “Omega”.

Izuku si voltò cercando la fonte del rumore e quando notò un dito puntato nella sua direzione si girò aspettandosi di trovare qualcuno dietro di lui. Non c’era nessuno e fu allora che capì. Si coprì la pancia con le mani e corse verso casa.

Non gli importava nemmeno di aver dimenticato i vestiti.

Arrivò senza fiato. Con il corpo ancora bagnato, si catapultò dentro la stanza delle visite dove suo padre si occupava dei pazienti. Entrambi scioccati nel vederlo nudo, sua madre riconobbe immediatamente il suo odore e corse verso di lui con una coperta tra le braccia. Izuku le si aggrappò con il cuore che gli martellava in gola.

Quella sera, sua madre gli mise davanti uno specchio così che potesse apprezzare il proprio marchio. Sul suo fianco destro c’erano tre foglie sottili e allungate... non c’erano fiori, solo quelle foglie di un verde intenso. Le due alle estremità erano estremamente sottili, come piccoli aghi, e quella al centro era un po’ più spessa con un cerchio; non più grande di un’unghia, verde scuro sulla punta.

“E il fiore?” chiese debolmente Izuku, deluso dalla mancanza di colore sulla sua pelle.

“Comparirà presto.” Disse sua madre, spostando lo specchio e preparandogli le bende. “Qualche volta ci mettono un po’ a sbocciare.”

“Ma che fiore è?”

“Finocchio.”

Izuku guardò accigliato sua madre.

“Quello non è un fiore. È una pianta medicinale,” mormora il bambino di sei anni, cercando di contenere il panico. Non protesta nemmeno quando sua madre inizia a fasciargli i fianchi con le bende.

“Il finocchio è una pianta usata in medicina e anche in cucina come aroma. Cresce dappertutto ed è resistente a diversi tipi di clima. È un’ottima pianta per un Omega.”

“Il finocchio non è un fiore.” ripete Izuku ostinatamente, sentendosi piccolo e impotente.

“Il finocchio ha un fiore giallo. È piccolo e adorabile, ma ci vuole tempo perché cresca. Prima o poi arriverà, non devi preoccuparti. Ora fai attenzione, hai visto come ti ho messo le bende? Perché ora devi farlo da solo.”

Izuku protestò borbottando.

“Perché devo usare le bende se non ho un fiore?”

Era risaputo che mentre gli Alpha e i Beta potevano sfoggiare i propri fiori, gli Omega dovevano coprirsi la pancia e lo stomaco, per evitare che chiunque all’infuori del partner li vedesse.

“Il fiore arriverà, Izuku, smettila di preoccuparti. Ora ti tolgo le bende e toccherà a te provare, ok?”

Mentre sua madre era impegnata col mucchio di fasce, Izuku prese lo specchio e fissò di nuovo il suo marchio. Aveva sei anni e non sopportava la vista di quel verde brillante senza alcun fiore, così prese le bende che sua madre gli porgeva e si fasciò i fianchi e l’addome. La prima volta erano troppo allentate, la seconda le strinse troppo, al terzo tentativo il nodo si sciolse mentre camminava, ma Izuku continuò ancora e ancora finché le bende non furono a posto. Non avrebbe permesso a nessuno di vedere le sue foglie senza fiori.

Chi amerebbe un senza fiore?

“Andrà tutto bene, Izuku.” Mormorò sua madre, che aveva odorato la sua angoscia.

Izuku la abbracciò e si lasciò coccolare dalle sue parole calde e dolci. Cercò di non pensare che avrebbe preferito essere un Beta, come suo padre, o un Alpha, come il suo migliore amico. Qualcuno che avesse un fiore affascinante e splendido di cui vantarsi.










 

Izuku abbandona i fiori, incapace di continuare a toccarli, e si alza per prendere il pezzo di carta con un grugnito di rabbia. Accende la lampada ad olio e si assicura di aver spento il fuoco prima di entrare nella caverna. Si toglie le bende che gli coprono lo stomaco e cerca di non guardare l’intreccio di foglie verdi che si estendono sulla sua pancia mentre spegne la luce. Al buio, si avvolge con la coperta con gli occhi ancora aperti - non riesce a cacciare dalla sua mente l’immagine dei fiori fatti a pezzi tra le sue dita.

Izuku non piange, ha da tempo esaurito le lacrime, ma il lamento che cresce dentro di lui minaccia di distruggere tutti i muri che ha eretto con cura nel tempo. Si concentra sul proprio respiro, cercando a tentoni la pallina di carta lasciata vicino al cuscino, e una volta afferrata vi si aggrappa e chiude gli occhi cercando di dormire.

Infine sogna; o meglio, ricorda.










 

Izuku si asciugò via l’acqua dal viso e si allontanò dal fiume, verso la foresta. Non appena le voci degli altri bambini diventarono un mormorio lontano, Izuku mise giù la borsa e iniziò a sciogliere le bende bagnate.

“Perché non fai il bagno con gli altri Omega?”

Izuku fece un balzo e si voltò con il cuore in gola.

“Kacchan!” urlò quando vide il biondo di fronte a lui, mentre si dimenava per rifare il nodo al fianco. “Che stai facendo?”

“Perché non fai il bagno con gli altri Omega?”

Izuku serrò i denti. C’era un laghetto segreto che gli Omega usavano per lavarsi senza doversi preoccupare degli sguardi altrui. Adulti e bambini facevano il bagno nel fiume, nel lago, o sulla spiaggia, sempre indossando le bende; ma nel laghetto potevano spogliarsi completamente e godersi un bagno in pace. Izuku aveva ormai il suo marchio da un anno e mezzo, ma non era comunque mai andato al laghetto con gli altri Omega.

“Allora?”

“Non sono affari tuoi!” urlò Izuku, avvilito. “E adesso vattene!”

“Qual è il tuo problema?!” Katsuki si avvicinò e allungò la mano verso il nodo al suo fianco. “Per caso hai un fiore così brutto che non vuoi farlo vedere a nessuno?”

Izuku reagì con rabbia. Schiaffeggiò con forza la sua mano e indietreggiò, sentendo le lacrime pizzicargli gli occhi.

“Non puoi guardarlo!”

“Eeeh? Perché no?!”

“No- Non puoi!”

“Il tuo Alpha lo vedrà.”

“Ma tu non lo sei!”

Izuku si voltò e corse; dietro di lui sentì Katsuki urlare.

“Ehi, Deku! Torna qua!”

Ma Izuku continuò a correre, non osava pensare a cosa avrebbe detto il suo amico se avesse scoperto che sul suo corpo non c’era alcun fiore.





 

Tutte le feste di primavera si svolgevano alla capitale, a cinque giorni di distanza. Quella, insieme al banchetto d’autunno, erano i due eventi più importanti che riunivano tutti gli abitanti dell’isola. I villaggi mandavano i migliori guerrieri per partecipare ai tornei, gli artigiani vendevano le proprie opere fabbricate durante l’inverno, le diverse coppie di novelli sposi potevano richiedere la benedizione della sacerdotessa… Le attività erano tanto varie quanto stravaganti.

Izuku aveva otto anni quando sua madre acconsentì a farlo partecipare alla festa.

“Non allontanarti dal tuo gruppo,” ripeté la madre per l’ennesima volta, mentre Izuku finiva di riempire di panini la sua borsa da viaggio.

“Ricordati di cambiare la fasciatura,” lo avvisò il padre, porgendogli un otre pieno d’acqua insieme a un altro pacco di bende.

I genitori abbracciarono e baciarono il figlio, finché non fu lui ad allontanarsi per mettersi di fianco a Katsuki.

“Starà bene,” disse Mitsuki Bakugou, sorridendo sicura. “Masaru verrà con noi e si prenderà cura dei bambini.”

Izuku li salutò e si unì al corteo del viaggio. Quel giorno, si rifiutò di salire su uno dei carri e preferì camminare con Mitsuki, facendole tutta una serie di domande. La donna rispose ad ognuna di esse sorridendo, e non sembrò mai essere stufa di lui.

La sera, Izuku cercò di piazzare la propria coperta accanto a quella di Katsuki, ma il suo amico si alzò e iniziò a piegare la propria.

“Kacchan?”

“Mia madre è laggiù,” mormorò il biondo indicando la piccola tenda dei genitori. “Puoi dormire vicino al loro letto.”

Izuku lo fissò a bocca spalancata mentre spostava le sue cose dall’altro lato del falò, sistemandole dandogli le spalle. Sentendosi abbandonato, Izuku si morse il labbro e si guardò intorno. Molte coppie, come Mitsuki e Masaru, si erano ritirate nelle proprie tende. I più giovani e i bambini dormivano vicino al fuoco, tenuti al sicuro dalle guardie intorno al perimetro. Con nessun altro posto dove andare, Izuku si rannicchiò e cercò di dormire.

Durante la notte si svegliò a causa del verso di un animale. Restò immobile, aspettandosi di sentire un movimento o delle voci, ma non avvertiva alcun suono e quel silenzio non fece altro che aumentare la sua inquietudine. Sapeva che le guardie avevano la situazione sotto controllo e sapeva di essere al sicuro, ma non riusciva a reprimere quel senso di paura che aveva iniziato a crescere dentro di lui. Non volendo attirare l’attenzione di nessuno, Izuku circondò il falò e si avvicinò a Katsuki.

“Kacchan.” Lo scosse piano, mormorando il nome vicino al suo orecchio. “Kacchan, svegliati.”

Il biondo sobbalzò e si voltò verso di lui, all’erta e vigile; non appena i suoi sensi avvertirono l’odore di Izuku, il suo corpo si rilassò.

“Che vuoi, Deku?”

“Posso dormire con te?”

“Cosa? No, se hai paura vai da mia madre. Hai passato tutto il giorno a saltellare e ridere con lei, no?”

“Kacchan, per favore.”

Cercò di imprimere nella propria voce tutto il bisogno e la paura che sentiva in quel momento, e sembrò funzionare, perché Katsuki storse il naso e prese la sua coperta per metterla accanto a lui.

“Smettila di piangere... e controlla il tuo odore o sveglierai tutti.”

Izuku si sistemò accanto a lui, si avvolse nella coperta e poggiò la testa così che la sua fronte fosse il più vicina possibile alla spalla di Katsuki. Poi respirò il profumo di pace e sicurezza che lui emanava, e si cullò col suono del suo respiro; si era quasi addormentato quando sentì il lieve mormorio della sua voce.

“...Deku.”

“Hm?”

“Non sposerai mia madre.”

Izuku sorrise tenendo gli occhi chiusi. “Non voglio sposare tua madre.”

“Allora perché le sbavi sempre addosso?”

“Perché è fantastica.”

Il silenzio si diffuse attraverso il suo corpo e Izuku si lasciò trasportare dal calore e dalla tranquillità di quel momento. Il sogno era lì, così vicino che avrebbe potuto toccarlo solo allungando le mani, e appena prima di attraversare la soglia dell’incoscienza, sentì chiaramente Katsuki.

“Più di me?”

Con l’ultimo spiraglio di coscienza, Izuku mormorò. “Nessuno è meglio di Kacchan.”





 

“Che stai facendo?”

Izuku alzò lo sguardo dal proprio album e osservò Katsuki sedersi accanto a lui.

“Hai finito di allenarti, Kacchan?”

“Perché sarei qui altrimenti? ...Non sei venuto a vedere l’allenamento oggi; mia madre ha chiesto di te.”

“Davvero? Oh, domani dovrò scusarmi con lei.”

“Non farlo!” Katsuki si chinò verso di lui e guardò l’oggetto che Izuku teneva in grembo. “Cos’è?”

Izuku sorrise e glielo mostrò.

“Mio padre mi ha regalato un quaderno.”

“Perché?”

“Ha detto che posso iniziare a elencare le piante che conosco già. Posso disegnarle e scriverne le proprietà e le qualità, gli usi e i benefici.”

“Ma ha già dei libri a riguardo.”

“Quelli sono suoi, questo sarà mio. L’ho appena iniziato. Non è colorato perché vendono la pittura solo alla capitale, ma non importa. Lo riempirò di tutte le piante che conosco e allora, se possibile, le colorerò.”

“E cosa te ne fai?”

“Voglio diventare un guaritore.”

“Gli Omega non sono guaritori.”

Izuku alzò le spalle e continuò a disegnare la pianta che aveva di fronte.

“Anume è un Omega e va a pesca con la sua barca.”

“Anume ha perso il suo Alpha in una tempesta, usa la barca per dar da mangiare ai suoi poppanti.”

“Even non ha un Alpha e in primavera ha vinto il torneo di tiro con l’arco.”

“Even è un’eccezione… È questo che vuoi, non avere un Alpha?”

“Nessun Alpha mi amerà mai.” mormorò Izuku, pensando alle sue foglie verdi senza fiori. Preferiva restare solo ed evitare l’umiliazione di mostrare il suo marchio a qualcun altro.

“E se qualcuno te lo chiedesse?” domandò il biondo, dopo un attimo di esitazione.

“Beh, dovranno accettare il fatto che diventerò un guaritore.” Non lo disse con arroganza o spavalderia. Era un semplice dato di fatto, come quando qualcuno dice che il cielo è blu.





 

Non riuscì a sentire cosa disse Katsuki, lo vide muovere le labbra, ma le parole non raggiunsero le sue orecchie. Ricorda che erano accovacciati uno accanto all’altro, il peso della spalla contro la sua, l’odore del suo corpo, ricorda di aver fissato i gladioli rossi sulla sua spalla.

Ricorda lo stupore nel vedere l’uomo comparire davanti a loro. Uscì dai cespugli e si fermò alla loro vista.

Izuku non aveva mai visto un uomo con la pelle viola, non c’era nessuno come lui al villaggio. Era grosso e tarchiato, indossava abiti chiari e larghi, i suoi capelli color neve.

L’uomo sorrise e immediatamente la paura si diffuse nel corpo di Izuku. La sua paura fluttuò come un incenso denso e amaro, a cui Katsuki rispose bloccando la strada allo sconosciuto. Il ringhio che fece era un suono che Izuku non aveva mai sentito prima, ma risvegliò in lui un senso di allarme.

Izuku si alzò proprio mentre altri due sconosciuti comparvero accanto al primo. Uno aveva la testa di una lince e il corpo da umano, e l’altro occhi enormi e corna grandi quanto il suo braccio.

“Scappa!” Katsuki reagì per primo, voltandosi e spingendolo a muoversi. Izuku obbedì, riuscendo a compiere tre passi quando qualcosa si attorcigliò attorno alla sua gamba e lo fece cadere.

Crollò a terra con le mani in avanti e si girò giusto in tempo per vedere Katsuki saltare addosso all’uomo con la frusta. Il biondo era agile e brutale, ma non poteva fare nulla contro la forza congiunta di tre uomini adulti. Izuku urlò quando il ragazzo cadde al suolo.

Ricorda di essersi mosso d’impulso, di aver strisciato verso di lui per poi vedere il sangue fluire dalla sua testa.

“Kacchan, Kacchan!” Aveva chiamato disperato, allungando la mano verso di lui, ma non riuscì mai a toccarlo; l’oscurità calò sul suo corpo come un enorme martello.

Perfino incosciente, continuò a urlare il suo nome, ancora e ancora, nel mezzo di un’infinita oscurità.










 

Izuku si svegliò pieno di paura e angoscia. Si mosse nel letto, respirando velocemente e sconnesso. Restò immobile, annusando il mondo, aspettandosi di sentire il movimento mite delle onde e l’odore del sale, invece respirò la fragranza della terra, e sentì il profumo della fredda mattina. Avvertì le lacrime asciutte sulle guance, e le strofinò via senza pensarci.

Si raddrizzò sul letto e si abbracciò con la coperta. Cercò di controllare il proprio respiro contando fino a cento e poi fino a mille. Poco a poco, i suoi occhi si adattarono all’oscurità e riuscì a visualizzare il contorno della lampada e l’ombra dei suoi vestiti accanto al letto.

Si vestì in silenzio, indossando le bende con movimenti quasi automatici. Si infilò i pantaloni grigi e mise la coperta sopra la camicia da notte. Quando uscì dalla caverna il mondo era di un grigio sporco, e quando inspirò profondamente, il calore del suo corpo si sollevò in spirali bianche.

Izuku ci mise un momento per riprendersi. Il ricordo era ancora troppo vicino e se non avesse fatto attenzione vi sarebbe sprofondato. Niente autocommiserazione, si disse aspramente, scuotendo la testa in modo deciso e mettendosi a lavoro. Lo fece con determinazione, senza esitare.

Non poteva permettersi di riflettere.

Fuoco, si disse e spostò la legna impilata dentro la caverna verso i resti del falò notturno. Acqua, prese i due secchi più grandi e camminò lungo il distendersi della corrente più vicina per riempirli. Lozione, fece un gran respiro e finì di sfogliare i fiori, mettendone una manciata di ognuno nei contenitori coi coperchi, procedendo poi a lavorarli ognuno con un metodo diverso. Colazione, uso un po’ dell’acqua lasciata da parte per prepararsi del tè e si coprì vicino al fuoco mangiucchiando i suoi cracker di grano duro.

Izuku guardò il cielo, che stava iniziando a schiarirsi, pieno di splendidi colori. Il rosso dominava sul resto.

Chiuse gli occhi.










 

Ogni festa era uguale e allo stesso tempo diversa. Anche se non era la prima festa a cui partecipava, Izuku non poté fare a meno di fermarsi ad ogni bancarella per ammirare la bellezza delle collane, braccialetti, coltelli e un’infinità di altri oggetti. La varietà e la perfezione di ogni prodotto erano talmente tante che non riuscì a decidersi su una cosa sola da comprare.

“Che c’è che non va?” Gli chiese Katsuki quella sera, quando lo vide imbronciato accanto al fuoco. Izuku gli parlò del suo dilemma e il ragazzo rise. “Solo uno come te passerebbe la serata a preoccuparsi di non aver comprato nulla.”

Izuku fece una smorfia.

“Tieni,” Katsuki gli lanciò addosso senza tanti complimenti un pacchetto dalla forma allungata. Era grande più o meno quanto la sua mano.

“Cos’è?”

“Se non lo apri non lo saprai mai.”

Quando lo aprì, vi trovò dentro una scatola con sei piccoli barattolini di pittura blu, rossa, verde, gialla, bianca e nera.

“Oh!” Mormorò Izuku sorpreso e felice. Si voltò verso Katsuki. “Per cosa-?”

“A che serve la pittura, eh? Per dipingere! ...Vuoi che i tuoi libri sulle piante siano noiosi?”

Izuku sbattè le palpebre e ricordò la loro conversazione di mesi addietro. Sorrise e fece una risata di pura felicità.

“Kacchan, grazie!” Lo abbracciò con la scatola di pitture ancora tra le mani e respirò il familiare profumo di legno e fumo. Per la prima volta da quando aveva sei anni, non gli importava della propria assenza di fiori.










 

“Me ne andrò da qui” si disse Izuku per l’ennesima volta, aprendo gli occhi. Lo ripeteva ogni giorno, anche cinque o sei volte per accumulare forza. “Ti troverò, Kacchan.”

 






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Nota della traduttrice: ciao a tutti, sono Tanuka! È la prima volta che mi cimento nella traduzione di una fanfiction, l'idea mi balenava in testa da parecchio (ogni volta che leggo qualcosa su AO3 in pratica) ma mi sono decisa dopo aver letto Flower Bouquet di MaiaMizuhara http://archiveofourown.org/works/13427598/chapters/30771978, che è a sua volta una traduzione inglese dell'ORIGINALE spagnola scritta da Roquel http://archiveofourown.org/works/12237507/chapters/27803703. Ringrazio moltissimo entrambe per avermi permesso di tradurla e pubblicarla, spero di non deludere loro né voi lettori!

La traduzione inglese ha all'attivo cinque capitoli in corso ma sono belli lunghetti (come avrete notato già da questo primo capitolo), cercherò di aggiornare il più presto possibile (lavoro e impegni permettendo). Alla prossima!

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Capitolo 2
*** Incenso Nero ***


Capitolo 2 - Incenso Nero










 

Spesso uno dei genitori di Izuku mancava alcuni giorni, per visitare pazienti che abitavano fuori dal villaggio. Di solito era suo padre a sparire per diverse settimane, che fosse per andare alla capitale allo scopo di acquistare materiale o fare visite di routine nei villaggi vicini. Ci fu una volta però, in cui dovettero assentarsi entrambi.

Fu colpa di una tempesta che causò un crollo a Est. Il villaggio più vicino al disastro venne in parte ricoperto di detriti e alberi. Tutti gli adulti del villaggio partirono per aiutare i feriti e prendersi cura dei più piccoli, e restarono tutti i bambini al di sotto dei dodici anni con un piccolo gruppo di Omega e Beta ad occuparsene.

Quella sera, mentre pioveva, Katsuki si svegliò per andare al bagno. Si strofinò gli occhi e ci mise un po’ a realizzare che il fagottino di calore accanto a lui era Izuku, che aveva delle ciocche bagnate attaccate alla fronte. La sua solita espressione tranquilla era sparita, si accigliava e muoveva le labbra come se stesse parlando da solo. Quando fuori tuonò, Izuku si irrigidì involontariamente e si corrucciò ancora di più.

Katsuki reagì in automatico. Allungò il braccio e gentilmente gli accarezzò i capelli verde scuro. Mentre glieli spostava, strofinò delicatamente la sua fronte finché l’espressione tesa non sparì.

Una volta soddisfatto, Katsuki si alzò e andò in bagno. Si erano riuniti nella sala delle assemblee, le panche erano state spostate così che i bambini potessero sdraiarsi per terra mentre gli adulti dormivano vicino all’entrata. Il bagno era a non più di dieci passi dall’edificio, ma Katsuki ritornò comunque fradicio.

Il Beta che aveva continuato a tenerlo d’occhio gli diede una coperta. La usò coscienziosamente e si allontanò senza dire una parola. Quando tornò al suo materasso, trovò Izuku sveglio.

“Kacchan?” Chiese il ragazzo ad alta voce.

“Shh, Deku, sveglierai tutti.” Si sistemò accanto a lui e si avvolse con le coperte.

“Scusa,” mormorò il ragazzo, avvicinandosi fino a far toccare le loro fronti. “Mi sono svegliato e non c’eri.”

“Ero andato in bagno.”

“Ti sei bagnato.”

“Sta piovendo di nuovo.”

“Lo so, il tuono mi ha svegliato prima e per questo sono venuto qui, ho sbagliato?”

“Dormi adesso.”

Izuku obbedì. Chiuse gli occhi e gli ci vollero meno di cinque minuti per tornare nel mondo dei sogni. Katsuki restò fermo, assimilando il tepore e il profumo. Era come avere un piccolo falò tutto per sé, anche se era un altro tipo di calore, questo era radioso ma non bruciava. Katsuki si lasciò avvolgere da quella sensazione. Chiuse gli occhi e inspirò lentamente… se ne ubriacò e si assopì.










 

Una volta sveglio ci mise un po’ a separare il sogno dalla realtà. La sensazione era stata così reale da convincersi che se soltanto avesse allungato il braccio avrebbe trovato Izuku addormentato al suo fianco. Rise della sua ingenuità, il cui suono non fu affatto piacevole. Katsuki si girò e guardò il soffitto grigio, avvertendo la solita rabbia invaderlo ancora. Si era svegliato di cattivo umore, come sempre quando sognava lui. Ovvero tutti i giorni.     

Si strofinò il viso imponendosi di alzarsi. 

Il suo compagno, nella cella dall’altro lato del corridoio, stava già facendo il suo riscaldamento mattutino. Katsuki lo ignorò, iniziando il proprio. Qualche distensione, flessioni e addominali. Terminò completamente sudato, i muscoli tesi e la sensazione che il suo umore non sarebbe migliorato di lì a breve.

Suonò la campanella. 

Dai due canali che attraversavano le sbarre iniziò a scorrere l’acqua. Katsuki e il resto dei prigionieri vi si avvicinarono. Qualcuno beveva direttamente dal canale, altri — come Katsuki — riempivano i propri secchi finché non suonava di nuovo la campanella, segnando la fine del rifornimento.

Katsuki bevve e si lavò alla meno peggio con uno straccio bagnato di acqua fresca; ne tenne un po’ di scorta poiché di pomeriggio la calura all’interno delle celle diveniva insopportabile. Poi attese. 

La colazione arrivò mezz’ora dopo. Un paio di guardie scesero al piano di sotto scortando due Omega. Due Omega per due file di celle, anche se non tutte erano occupate.

Inconsciamente, lo sguardo di Katsuki vagò sui corpi di entrambe. Le due ragazze indossavano dei sarashi bianchi attorno al petto, polsini bianchi con degli anelli di metallo e un collare di pelliccia con un anello attorno al collo, il quale non lasciava dubbi riguardo il suo uso, anche se la parte peggiore era che non potessero coprire il proprio addome. Tutti gli Omega che aveva visto nel corso degli anni indossavano un fundoshi che copriva il davanti, ma lasciava scoperta la schiena e gran parte della pancia. Venivano trattenuti da dei cappi attorno alla vita, il cui scopo era far risaltare l’intricato motivo dei fiori, nati per essere un segreto condiviso tra un Omega e il suo Alpha. 

Da lontano, Katsuki vide di sfuggita il petalo bianco sulla pelle della ragazza, evitando il suo sguardo e serrando i denti.










 

Il cambiamento fu improvviso. Un giorno non c’erano bende, quello dopo eccole lì. 

Katsuki non era nelle vicinanze quando ad Izuku spuntò il fiore; nessuno dei testimoni lo vide ma riuscirono a scorgere i contorni degli steli e delle foglie prima che il ragazzo corresse a casa.

Quando Katsuki vide le bende non fece domande né ne parlò mai. Nel suo villaggio veniva insegnato agli Alpha che era irrispettoso chiedere del fiore di un Omega. Una volta abbastanza grande da capire, sua madre gli disse che il laghetto degli Omega era assolutamente proibito e che c’era una punizione severa per gli sciocchi che avessero cercato di disturbare la privacy dei propri compagni. 

Katsuki capì e rispettò la regola, ma era comunque curioso.

Non era l’unico, ad ogni modo. Gli Alpha più adulti erano soliti riunirsi per parlare dei possibili fiori degli Omega, ridevano fantasticandone, ma presto o tardi si sarebbero inevitabilmente messi insieme ad uno di essi per poi non partecipare più a tali conversazioni. Era considerato di cattivo gusto chiedere a un altro Alpha del fiore del suo Omega. Quindi la curiosità di Katsuki era naturale e non poteva farci niente. 

Il problema era… che Izuku faceva sempre il bagno con loro, nuotava con loro, faceva castelli di sabbia sulla spiaggia con loro. Era sempre insieme a loro, con le bende e tutto il resto. Izuku non voleva andare al laghetto degli Omega e Katsuki doveva scoprire perché, anche se non avrebbe dovuto chiedere. Sapeva che era incredibilmente scortese cercare di toccare le bende senza permesso, ma non poteva farne a meno.

E la sua imprudenza fece piangere Izuku. 

“Scusa,” disse quella sera, dopo essersi preparato ad offrire il ramoscello d’ulivo. “Ho sbagliato.”

L’espressione triste di Izuku si addolcì, accettando le sue scuse con un sorriso. 

“Grazie, Kacchan.” Il ragazzo si era avvicinato, dandogli un abbraccio che sentiva di non meritare. “Mi dispiace di averti colpito.”

“Me lo sono meritato,” disse Katsuki ricambiando l’abbraccio con affetto. Sentì il corpo tremare a causa della risata di Izuku, e capì che l’amico l’aveva perdonato. 

Katsuki si tenne le domande per sé, ma la sua curiosità rimase, com’era naturale che fosse.










 

“...coperta,” una voce lo fece tornare alla realtà e Katsuki si voltò verso la ragazza dai capelli castani, il viso tondeggiante con un’espressione amichevole. “Devo cambiare la tua coperta e i vestiti. È ora di lavare quelli che hai lì.”

Katsuki si alzò, piego la coperta e si avvicinò per dargliela. A quella distanza, l’aroma della ragazza lo avvolse — castagne e bacche — e per una frazione di secondo fu tentato di inspirare profondamente; invece indietreggiò fino al muro più distante e le lanciò la coperta, che finì contro le sbarre e cadde a terra. Poi si spogliò e calciò i pantaloni verso il fagotto. 

La ragazza non disse nulla, raccolse la coperta e i vestiti, passando un cambio pulito attraverso le sbarre. Sopra vi poggiò la colazione: rotolo alla cannella, un frutto, del pane e avvolta nella carta della carne secca. Anche se la mansione era relativamente semplice, la ragazza si prese il suo tempo per farlo prima di passare alla cella successiva.

Dopo così tanto tempo incarcerato, Katsuki si era abituato alla routine. Sapeva che il compito degli Omega era di calmarli, sommergerli di feromoni così che il trasferimento fosse il più tranquillo possibile, ma quel giorno il biondo non riuscì ad avvicinarla senza evitare di pensare alla menta e alle spezie. Nella sua mente il ricordo era ancora fresco e non voleva che nessun altro profumo lo oscurasse. 

Le Omega finirono il loro lavoro e se ne andarono insieme alle due guardie. Aveva notato che solo altri suoi due compagni si erano allontanati dalle Omega e mangiavano con la stessa espressione di diffidenza che doveva avere lui, il resto di loro calmi e rilassati, senza dubbio ubriachi del dolce aroma delle Omega. Katsuki mangiò in silenzio, lontano dalle coperte e dai vestiti che profumavano di castagne.










 

“Nejire profuma di fragole.” Katsuki sentì dire a uno degli Alpha più grandi. Avevano finito l’allenamento e si erano seduti per fare stretching e bere un po’ d’acqua.

“Lo so,” rispose un altro Alpha unitosi alla conversazione. “Mi sono seduto vicino a lei al...”

Katsuki si allontanò dal gruppo, aiutando sua madre a mettere a posto le spade di legno usate per allenarsi, ma uno dei suoi amici aveva ascoltato la conversazione, continuandola poi con i coetanei. A Katsuki l’argomento non interessava, finché qualcuno non fece il nome di Izuku.

“Midoriya odora di medicine,” disse uno, storcendo il naso.

“Sì,” rispose subito un altro. “Sa di menta, o zenzero.”

“Io penso che odori di fiori,” disse un terzo. “Mi piace.”

Katsuki abbandonò la sua mansione e si voltò verso di loro.

“Se non avete niente di meglio da fare, andatevene. Non mi va di ascoltare certe stupidaggini.”

“Secondo te odora di medicine?” gli chiese il primo e Katsuki ruggì.

“Vi ho detto di andarvene!” Li spinse finché non scapparono tutti. “Via!”

Katsuki finì di raccogliere il tutto e si fermò a riflettere. Sì, Izuku profumava sempre di piante medicinali, come di fiori infusi, odorava di quegli impasti che Inko preparava sempre e che Izuku cercava di replicare, ma non aveva sempre quell’odore. Dopo il bagno e prima di tornare a casa e venire impegnato dell’aroma delle piante, il profumo di Izuku era inconfondibile.

Sapeva di menta e spezie. Sapeva di casa.






 




 

Dopo la colazione e prima che l’effetto degli Omega si affievolisse, arrivò un altro gruppo di guardie per spostarli. Per prime aprirono le celle sul lato sinistro, facendone uscire gli occupanti in fila. Katsuki prese i pantaloni e, trattenendo il respiro, li strofinò per terra, poi contro il corpo finché non fu sicuro che il suo odore avesse coperto quello di chiunque altro; inoltre, accanto al muro teneva delle foglie secche, così le prese di nascosto e le mise in tasca.

Quando fu il turno della sua fila di uscire, Katsuki contò il numero di guardie e delle loro armi. Era inutile ovviamente, prima di lui in molti avevano tentato la fuga; che diavolo, lui stesso ci aveva provato e portava sulla schiena i segni del suo fallimento. Quelle dannate celle stavano sottoterra ed erano un labirinto. L’unica uscita conosciuta era quella del campo di allenamento ma quel posto era infestato da guardie che ne controllavano i parapetti. L’uscita era fatta di metallo e la porta poteva essere aperta solo dall’esterno. 

Ma invece di dirigersi verso la superficie, andarono di sotto. Prima per le scale, poi con un ascensore. Entrarono nelle montagne, in una zona poco illuminata da delle torce, e accanto ad ognuna di esse vi era un supporto alto con dell’incenso sulla sommità. Katsuki si maledì non appena riconobbe l’inconfondibile aroma di latte e miele. Udì molti respiri profondi e sentì, più che vedere, l’ambiente intorno a lui rilassarsi. Inevitabile. Era nella loro natura ed era difficile combattere un’abitudine radicata a fondo nell’organismo.

Era l’odore di un Omega incinto. Un Omega felice e in pace. Trasmetteva calore e tranquillità, e una volta respirato la reazione naturale era di rilassarsi, fare le fusa quasi. Il profumo li rendeva docili, gestibili. Nonostante la riluttanza, Katsuki sentì il corpo rilassarsi.

Per combatterlo, mise le mani in tasca e strofinò le foglie, portandosi poi il palmo al naso e coprendolo con l’aroma della menta. Era tenue, ma si concentrò su esso. Uno alla volta, gli Alpha si divisero in gruppi. Alcuni presero i picconi e iniziarono a scavare, altri raccoglievano le pietre portandole al montacarichi, l’ultimo gruppo si occupava di caricare il materiale. Katsuki fece oscillare il piccone e per un attimo pensò di conficcarlo nella guardia più vicina, ma rinunciò a quell’impulso una volta ricordatosi che anche se avesse sconfitto tutte le sentinelle, ne sarebbe bastata una sola per far suonare l’allarme; tutti gli ascensori si sarebbero bloccati, senza via d’uscita.

E Katsuki doveva andarsene. Doveva uscire. Aveva dei conti in sospeso da riscuotere. Così prese il piccone e iniziò a usarlo. L’alzò sopra la testa e lo conficcò nella roccia, immaginandovi un volto in particolare.










 

Si risvegliò legato, gli faceva male la testa e non riusciva a ricordare gli ultimi momenti prima di esser svenuto. Guardò al cielo, inspirò il sale del mare e voltandosi sentì la sabbia sul collo.

“Oh, guarda. Questo qui si è svegliato.”

Katsuki si girò verso la voce, scoprendo un terribile volto sconosciuto. Capelli azzurro chiaro, quasi bianchi, e occhi rossi circondati da rughe. Sorrideva, ma i suoi gesti non erano gentili, emanava un’aura di ostilità pura. Ricordò cos’era successo nella foresta, l’uomo, Izuku a terra. ‘Spero non ci sia.’ Pensò disperatamente mentre cercava di liberarsi dalle catene.

“Forse dovrei rimetterti a dormire,” biascicò l’uomo e a Katsuki salì la nausea vedendo una delle sue mani avvicinarsi.

“Non c’è tempo, Shigaraki.” Mormorò qualcun altro. Katsuki non riusciva a vederlo perché era fuori dalla sua vista, ma non ne avrebbe mai dimenticato la voce. “Gli Alpha adulti stanno arrivando.”

Katsuki pensò a sua madre e si mise immediatamente in ginocchio. Aveva mani e piedi legati ma doveva guadagnare tempo, fare in modo che sua madre—

Ogni possibile pensiero evaporò dalla sua mente nel momento in cui il suo peggior incubo divenne realtà. Izuku era sulla sabbia, svenuto; la vista del suo corpo legato gli paralizzò il cuore. Vedere uno degli uomini prenderlo e metterlo su una piccola barca fece esplodere qualcosa dentro di lui.

“Lascialo andare!” Ruggì Katsuki e incespicò cercando di alzarsi, dimenticando di avere mani e piedi impossibilitati.

Qualcun altro lo tirò su e lui si agitò come un bruco, ma era solo un ragazzino di dodici anni — legato — non c’era molto che potesse fare. Lo misero su una barca diversa, insieme ad altri Apha del suo villaggio, tutti incoscienti e sotto i quindici anni. Shigaraki lo teneva bloccato a terra con un piede, quindi Katsuki poteva solo urlare, dimenarsi e guardare il cielo.

Vide il profilo di una nave e quando riuscirono a farlo entrare Katsuki si guardò intorno. C’era un’altra nave nelle vicinanze, entrambe completamente diverse dalle piccole gondole che si usavano al villaggio per pescare. Erano navi gigantesche, con enormi vele bianche, e all’interno grandissime stanze piene di celle.

Quando Shigaraki lo gettò dentro una di quelle, a Katsuki mancò un respiro e gli ci volle un attimo per riprendersi. Quando riuscì a voltarsi, la porta era stata chiusa e l’uomo dai capelli azzurri sorrideva.

“Lui dov’è?!” Gridò Katsuki, ignorando il dolore alla testa.

“Il tuo amico?” Chiese l’altro con una risatina inquietante. “Viaggia sull’altra nave ma chissà, un giorno, se ti comporti bene, potresti convincermi a fartelo incontrare.”

Katsuki urlò e lo maledì. Il suo incubo era a malapena iniziato.










 

Il piccone si incastrò, portando via Katsuki dal suo sogno a occhi aperti. Si prese un momento per respirare e realizzò di aver lavorato in modo automatico. La fronte era imperlata di sudore e sentiva le spalle intorpidite; raddrizzandosi la sua schiena scricchiolò, ma non aveva importanza. Si sentiva bene, rilassato e in pace, ispirò il delicato aroma di miele e il suo fisico malandato fece un sospiro di sollievo.

Non pensò che il lavoro fosse monotono, noioso ed estenuante, non pensò al tempo, al cibo cattivo e insapore. Lavorò godendosi l’aroma del latte.





 

“Kacchan?”

La sua voce; era difficile sentire la sua voce. 

“Kacchan?”

Era come un eco distante. Un eco distorto. 

“Kacchan!”





 

Si svegliò dalla sua trance, ed esaminò subito l’ambiente circostante. Era tornato nella sua cella, la giornata di lavoro finita. Scosse la testa, che sentiva leggera e piena di fumo; nonostante il fastidio, poteva certamente dire che l’incenso aveva perso il suo effetto.

Katsuki si avvicinò al secchio dell’acqua, sciacquandosi il viso e il corpo, vagamente consapevole del fatto che la cella fosse stata pulita, il suo secchio delle feci svuotato e del vago odore di Omega nell’aria. Bevve fino a sentirsi pieno e riprese lentamente controllo del suo corpo. Distese con cautela la schiena e si massaggiò i tendini delle braccia, come aveva fatto ogni notte negli ultimi anni. Era così concentrato nel suo compito da non capire subito le parole giunte dalla cella accanto. Si voltò verso la voce e fu molto sorpreso di vedere un volto nuovo. 

“Cosa?” Ringhiò, studiando i tratti del viso dello sconosciuto.

“Brutta giornata?” Chiese l’altro con un sorriso. 

E Katsuki non avrebbe saputo dire cos’era più straordinario, quel sorriso spensierato o la sensazione che il ragazzo non avesse la minima idea di dove si trovasse.

“Come ti chiami?” Gli chiese lo sconosciuto, avvicinandosi alle sbarre che separavano le gabbie. “Io sono Kirishima, o Eijirou se preferisci.” 

Katsuki lo ignorò ringhiando, non era in vena di chiacchiere.

“Te l’ho chiesto prima,” continuò quello come se niente fosse. “Ma non hai risposto, nessuno l’ha fatto. Piuttosto strano. Avete tutti la stessa espressione, a metà tra il mondo dei sogni e la realtà. Che è successo?” 

“Ha importanza?” Grugnì Katsuki, sciogliendo il collo. “Domani lo saprai.”

“Oh...” Tacque per un secondo, solo uno. “Ti spiace darmi qualche dettaglio in più a riguardo?” 

“Sì.”

“...sì cosa. Ti spiace o me li dai?” 

Katsuki sentì il cattivo umore tornare a tutta forza.

“Sta’ zitto!” 

“Capisco che sei arrabbiato, pensi che—”

“Shh!” 

Sorprendentemente lo sconosciuto tenne la lingua a freno, forse perché anche lui aveva sentito dei passi. Il rituale venne ripetuto e le guardie scortarono due Omega che portarono loro la cena; non erano le stesse della colazione, e uno di loro era un ragazzo.

Katsuki sentì il suo compagno di cella trattenere il respiro. Percepì la sorpresa, l’agitazione, lo shock e la corrente di infinite emozioni crescere in lui. Tutti i nuovi arrivati Alpha avevano la stessa reazione nel vedere per la prima volta un Omega senza le proprie bende in pubblico. 

Katsuki lo guardò e non si sorprese di vederlo arrossire, né del modo in cui improvvisamente cercò di guardare ovunque tranne che agli Omega. Tutta la sua sicurezza era sparita nel momento in cui l’Omega biondo si era inginocchiato accanto alla sua cella per passargli la cena attraverso le sbarre, restò immobile guardandolo direttamente in faccia e quando il biondo si alzò per andarsene, lo sconosciuto volse lo sguardo al suolo.

Quando l’Omega appoggiò la sua cena dentro la cella, Katsuki gli si avvicinò. Stavolta non gli importava di respirare l’aroma di arance. 

“Ho bisogno di altra menta,” mormorò, prendendo il pasto mentre cercava di nascondere il volto dalle guardie. L’altro non rispose, ma Katsuki sapeva di essere stato sentito. Dopotutto, non era la prima volta che la chiedeva.

Gli Omega se ne andarono e Katsuki mangiò la sua cena in pace, almeno finché i passi delle sentinelle non scomparirono in lontananza e il suo vicino decise di riprendere la loro conversazione. 

“Perché loro—?”

Katsuki diede un taglio al discorso sentito centinaia di volte. “Pensi che abbiano scelta?” 

Sentì l’Alpha fare un respiro profondo e Katsuki suppose che la conversazione fosse finita, ma si sbagliò.

“Cosa gli hai detto?” Chiese a bassa voce, dandogli le spalle. 

“Non sono affari tuoi.” Borbottò Katsuki masticando pigramente.

“Wow, sei davvero affascinante.” 

Infine il cattivo umore di Katsuki scoppiò, aveva mal di testa, si sentiva impotente e la disperazione che strepitava dentro di lui era senza fine. Si alzò e con due falcate raggiunse la cella adiacente. Allungò il braccio e afferrò il nuovo arrivato per il bavero.

“Senti, imbecille. Qui nessuno è in vena per le tue battute o le tue domande. È chiaro che si tratta del tuo primo giorno. Vuoi sapere cosa succederà? Lo scoprirai domani. Un consiglio? Chiudi il becco! E lascia cenare gli altri in pace.” 

Lo sconosciuto lo studiò con assoluta attenzione. Katsuki lo fissò a sua volta e cercò di farsi un’idea dell’uomo esaminando il suo fisico. Aveva degli ampi tratti spigolosi e un aspetto saldo e robusto. Al centro del petto facevano capolino dei fiori di loto scarlatti. Nel momento in cui Katsuki fece per voltarsi e tornare alla sua cena, lo sconosciuto disse:

“Ti piace vivere qui?” 

Katsuki ringhiò, un suono minaccioso e di rabbia.

“Sei stupido?” 

“Vorresti tornare a casa?”










 

“Vorresti tornare a casa?”

Sentì la domanda ma il suo cervello non fu in grado di processarla. Il dolore alla schiena era sordo e si diffondeva nel corpo, abbattendo qualsiasi altra sensazione. Aprì gli occhi e sbatté le palpebre finché non riuscì a focalizzare il volto che aveva davanti. Quando lo riconobbe, venne pervaso da un denso odio liquido.

“Ti ho sentito dire che vuoi tornare a casa, anche se forse è colpa dell’incenso, non saprei.”

Katsuki grugnì e cercò di gettarsi addosso a lui, ma aveva le braccia incatenate al muro.

“Oh, abbiamo un gatto selvaggio.” L’uomo dai capelli azzurri rise e Katsuki sentì le interiora contrarsi dal disgusto. “Ne abbiamo diversi, in realtà.”

Solo allora Katsuki realizzò di non essere solo. C’erano altri ragazzi incatenati come lui nella stanza. Avevano tutti più meno la sua stessa età, qualcuno anche più giovane.

“Sai,” continuò Shigaraki senza guardarlo. “Mentre dormivi bisbigliavi un nome… Deku? Ti suona familiare?”

Katsuki ruggì e il suono allertò gli altri che iniziarono a tremare nelle loro catene.

“Shigaraki! Smettila di provocarli.”

“Chiudi il becco e porta altro incenso.”

Uno dei suoi lacchè corse ad accontentarlo e Katsuki lottò con più forza. Detestava quell’incenso. Lo odiava con tutto se stesso. Odorava di Omega, un Omega felice e incinto, ma aveva qualcosa di sbagliato perché non solo li rassicurava, ma li lasciava anche deboli e faceva perdere loro la cognizione del tempo.

Ma non c’era via di scampo, presto la stanza si riempì di un’aroma irresistibile. Ignorandoli, i loro carcerieri continuarono il loro discorso.

“Quanto ci vuole per il condizionamento?” Chiese Shigaraki.

“Tra un paio di settimane li manderemo dal Generale.”

“E gli Omega?”

Katsuki si irrigidì, era la prima volta che li sentiva parlare di loro.

“Non abbiamo tempo per andare a cercarne altri. Non possiamo rischiare di essere intercettati dalle navi della Yuei. Dobbiamo consegnare questo gruppo alla città.”

“Il Generale non sarà soddisfatto.”

“Il Generale capirà che non è colpa di nessuno se quella dannata nave è affondata. Siamo fortunati che i nostri non abbiano incontrato lo stesso destino.”










 

“Ehi? Mi hai sentito?” 

Katsuki sbattè le palpebre e lo guardò. Gli ci volle un secondo per recuperare la conversazione. Tornare a casa? No, non c’era più niente lì per lui. Sua madre, forse, se era ancora viva. Ma quello che desiderava davvero, quello che voleva sopra ogni altra cosa… era la testa dell’uomo chiamato Shigaraki.

“Voglio vendetta,” disse, e la sua voce risuonò bassa e grave, come il ringhio di un animale selvaggio.





 

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Capitolo 3
*** Il Quarto Tentativo ***


Capitolo 3 - Il Quarto Tentativo





 

Si svegliò col mal di testa e ci mise un po’ a capire che sì, decisamente, la lampada sopra la sua testa stava dondolando e non era frutto della sua immaginazione; né lo erano le sbarre vicino al suo viso.

“Dove,” mormorò e sentì la bocca secca. Cercò di alzarsi ma riuscì solo a voltarsi, sentendo la testa pulsare come un enorme cuore.

“Stai bene?” Chiese un altro ragazzo seduto vicino a lui, un Omega due anni più grande di lui del suo villaggio.

“Dove siamo?”

“Su una nave,” mormorò qualcun altro.

Izuku chiuse gli occhi e si concentrò sull’alleviare il dolore al capo. Si toccò il bernoccolo e lo massaggiò, nonostante i brividi che sentiva lungo il corpo quando lo sfiorava. Una volta calmato il capogiro, si alzò lentamente in piedi. Nella sua gabbia c’erano altri otto Omega, tutti del suo villaggio; c’erano altre quattro celle nella stanza, ognuna zeppa di Omega di qualsiasi età. Izuku contò almeno quindici facce sconosciute.

Nessuna di esse era Katsuki.

All’inizio si sentì sollevato, perché se il biondo non si trovava lì significava senza dubbio che l’avevano lasciato indietro. ‘Resta a casa’ pensò, ed era quasi assurdo che il suo sollievo riuscì a rassicurarlo; ma la calma non restò a lungo. La stanza sapeva di angoscia. La paura degli Omega si era diffusa nello scompartimento, riempiendolo di un odore amaro. Era impossibile restare calmi viste le circostanze. Izuku ci provò, provò a non pensare al corpo incosciente del suo amico.

‘C’era troppo sangue,’ si disse ma immediatamente scosse la testa. ‘No. Kacchan sta bene. È stato solo un colpo, qualcuno deve averlo già trovato. I miei genitori se ne saranno occupati. Starà bene, non è la prima volta che si ferisce alla testa. Quando si sveglierà dirà a tutti cos’è successo, Mitsuki e gli altri lo verranno a sapere.’

Izuku tornò alla realtà quando Toru si strinse accanto a lui, solo allora realizzò di aver borbottato ad alta voce.

“Verranno a cercarci?” Chiese la ragazza, appoggiando la testa sulla spalla di Izuku.

La risposta fu immediata. “Verranno.”

‘Kacchan verrà,’ si disse Izuku, colmo di una fiducia cieca. E una volta giunto il momento, Izuku sarebbe stato lì ad aspettarlo.  





 

Gli Omega si ammassarono in piccoli gruppi cercando di darsi conforto a vicenda. L’atmosfera si alleggerì, ma puzzava comunque di paura, insicurezza e tensione. Izuku inspirò e ad ogni respiro la sua certezza che Katsuki sarebbe arrivato vacillava. Si assopì in un sonno irrequieto; sognò Katsuki ricoperto di sangue, la sua pelle bianca che si sgretolava tra le sue dita. La sua paura si unì a quella degli altri e quando questi iniziarono a piangere, non ebbe la forza di combattere le lacrime.





 

Non era permesso loro allontanarsi per andare al bagno, così ben presto la stanza si riempì del fetore di urina, feci e vomito. Izuku e gli altri utilizzarono un angolo della cella e si ammassarono dall’altro lato. Ricevevano del cibo una volta al giorno e a causa delle razioni minime e limitate a semplice pane e acqua, il bagno venne usato sempre meno. Tutti iniziavano a mostrare segni di stanchezza, dormivano di più e si muovevano meno. Bastava che uno cominciasse a piangere perchè gli altri lo seguissero a ruota.

Malgrado tutto, era consolante essere circondati dall’odore dei propri compagni. Izuku si ridestò in un agglomerato di braccia e gambe, cercando di mettere in salvo il profumo di casa.





 

Izuku si svegliò con la nausea. La nave stava oscillando così forte che una delle lampade appese al muro si staccò rompendosi per terra. L’olio si rovesciò sul legno e il fuoco si estese in modo incontrollabile.

Tutti gli Omega iniziarono a urlare.

Non ci volle molto perché una delle sentinelle scendesse a indagare sul baccano. Quando vide il fuoco scappò via e tornò portando due secchi colmi d’acqua. Era quasi divertente vederlo barcollare a causa della nave, ma alla fine riuscì ad estinguere il fuoco. Una volta terminato, la guardia si voltò per andarsene, ma in quel momento l’intera nave oscillò violentemente e tutte le celle si spostarono.

Una di esse andò a sbattere contro la guardia che rimbalzò contro il muro, e la sua testa emise un forte ‘plop’.

“Le chiavi!” Urlò Izuku non appena lo vide per terra.

Subito una delle Omega adulte nella cella più vicina allungò le braccia fuori dalle sbarre e dopo una lieve incertezza iniziò a tastare le tasche dell’uomo incosciente. Non appena le trovò, l’Omega iniziò a provarle tutte finché non indovinò quella che apriva la sua prigione.

Gli Omega uscirono. Un altro scossone violento li mandò al suolo e li fece rotolare verso il muro. L’adulta, che si afferrò alla cella con dei rapidi riflessi, restò spiazzata ma riuscì a restare in piedi. Con molta attenzione si spostò di gabbia in gabbia, aprendo le porte. Tutti gli Omega iniziarono a muoversi lentamente, qualcuno strisciando, altri aggrappati alle celle, ma il dondolio non faceva che aumentare. Inoltre, ad ogni brutale scossa dalle scale entrava acqua che continuò ad accumularsi fino ad essere profonda due dita, poi coprì loro le caviglie, e continuava a crescere.

Gli Omega inciamparono e caddero, i loro corpi fatti scivolare da sinistra verso destra. Izuku, che si stava aggrappando a una delle celle, attese finché il movimento della nave oscillò verso destra e lasciò la presa. Andò a sbattere contro un altro Omega ma riuscì ad arrivare all’angolo più vicino all’entrata.

Un altro violento scossone, il peggiore di tutti, spostò le celle che finirono con l’urtare tutte la parete opposta. L’ondata d’acqua che entrò dalle scale fu ancora più cospicua.

E non si fermava.

Stringendosi all’anello fissato alla parete di legno, Izuku notò che l’acqua gli arrivava alla vita, poi al petto e quando gli arrivò alla testa lasciò la presa. Galleggiò fino a far toccare la fronte contro il soffitto. Con la coda dell’occhio vide i suoi compagni Omega seguire il suo esempio, poi inspirò a fondo e si inabissò.

Nuotò verso la porta, scalciando con tutta la forza che aveva e anche se si sentiva debole ed esausto, non si arrese. Nuotò giù per le scale sperando di emergere dall’acqua, ma quando uscì non trovò né aria né il cielo. Erano sott’acqua.

Izuku nuotò. Calciò fino a sentire i crampi alle gambe. Si sbracciò fino a sentire le spalle in fiamme. La sua testa attraversò la superficie e la sua reazione immediata fu di aprire la bocca e respirare, e quando un’onda lo colpì in viso andò di nuovo giù. Riemerse tossendo e con la sensazione lacerante di aver involontariamente bevuto acqua.

Si sforzò di restare a galla, ma ogni onda lo inabissava nella disperazione. All’improvviso qualcosa di duro lo colpì in faccia, l’urto lo scosse e allungò la mano per prenderlo. Gli sfuggì tra le dita, e Izuku usò il resto delle forze rimaste per inseguire quel pezzo di legno che si allontanava da lui. Non appena gli fu abbastanza vicino, lo afferrò per usarlo come galleggiante.

Più esausto che mai, Izuku si prese un momento per respirare. Il mare rabbioso non smetteva di innalzarsi per poi ricadere forte, freddo e implacabile. Il vento emetteva ruggiti simili a quelli di una bestia selvaggia, e il cielo veniva illuminato da lampi, uno dopo l’altro, seguiti da un rombo assordante. Quando Izuku si guardò intorno, aspettandosi di vedere altri Omega emergere dal mare, trovò solo acqua, onde bianche che si agitavano verso di lui. Nessun segno della nave, del suo equipaggio, o della sua merce trasportata.

Izuku era da solo.

Chiuse gli occhi e appoggiò la guancia sull’asse. Pensò a casa sua e lasciò che la nostalgia dolce lo invadesse. Pianse in silenzio, dicendo addio ai suoi genitori, ai suoi amici, a Katsuki.


“Non fare il fifone.”
 

Quella frase risuonò fresca e limpida nella sua mente. Ricordava perfettamente le sfumature di quella voce. Riusciva a vedere quel sorriso sicuro di sé, e l’espressione traboccante di arroganza.

Katsuki era sempre stato brillante, il primo ad avere il fiore, ad iniziare l’allenamento in anticipo rispetto agli altri, le mani abili nel maneggiare coltelli e creare nodi, era veloce e agile ed era diventato la stella che lo guidava. Izuku voleva essere come lui, voleva essere quello che Katsuki era per lui.

Senza indugiare le mani di Izuku si aggrapparono alla tavola, aprì gli occhi e lottò contro il sonno, la fame e la fatica. Mentre la pioggia si accaniva su di lui, Izuku si promise di non arrendersi.

“L’assenzio è amaro,” mormorò a se stesso, mentre il vento continuava a soffiare. “Ha lunghe foglie scure e serve per calmare i dolori e lo stomaco. Il basilico...”

Con la tempesta implacabile sopra la testa, Izuku continuò a elencare tutte le piante che conosceva. Le menzionò una ad una, le loro caratteristiche, i loro usi e le forme. Le immaginò e cercò di ricordare l’aroma di ognuna di esse.

Una volta finito di elencarle tutte, ricominciò. Sapeva che non avrebbe mai rivisto Katsuki se si fosse arreso.





 

Quando tornò in sé la tempesta era finita e non ricordava nemmeno di essere svenuto. Si svegliò davanti a un cielo blu, chiaro e luminoso. Si svegliò col corpo intorpidito e la testa piena di rumori. Si svegliò sotto lo sguardo indagatore di grandi occhi neri. Quando la vide accanto a un’altra persona dalla testa di uccello, Izuku iniziò a urlare.










 

Izuku aprì gli occhi e la prima cosa che vide furono quei familiari occhi neri, il viso snello e squadrato, e il naso piccolo. Questa volta, sorrise.

“Ciao, Tsuyu-chan.” Sorrise e cercò di capire che ora fosse in base alla posizione del sole. “Non sapevo che venissi oggi.”

“Sono venuta a raccogliere molluschi. Non pensavo di trovarti qui, è tardo pomeriggio.”

“Davvero?” Si raddrizzò lentamente, sciogliendo la schiena. “Stavo lavorando alle vele, ma mi sono addormentato.”

“Sai che non puoi stare sulla spiaggia, Zu-chan. È pericoloso se qualcuno ti trova.”

“Ho chiuso gli occhi solo per un attimo, ho perso la cognizione del tempo. Inizio a raccogliere le mie cose.”

“Ti aiuto, ma devo sbrigarmi. Mia sorella verrà a cercarmi se non torno presto.”

“Va bene, se vuoi ti do una mano così non farai tardi.” Izuku prese il secchio della ragazza e passarono la mezz’ora successiva con i piedi piantati nel bagnasciuga. “C’è ancora il coprifuoco?”

“Finché non arriveranno le truppe del re.”

“Quanto manca? Una settimana?”

“Due settimane fa è arrivata la lettera di reclutamento, quindi ci vorranno un altro paio di settimane perché arrivino le prime truppe. Fumikage mi ha detto che stai pensando di andartene per allora. Sei sicuro che sia una buona idea? Potresti fare la stessa cosa che fai ogni anno.”

“Quando avrò il mio heat, andrò nella foresta. Ho già tutto pronto: cibo, acqua, coperte; ma non voglio rischiare che qualcuno dei soldati trovi la barca. Altrimenti faranno domande o peggio, me la porteranno via.”

“Fumikage dice-”

“Lo so. Si è offerto di prendersi la responsabilità in caso la trovassero, ma è un rischio che non voglio correre. Non posso sprecare un altro anno a costruirne un’altra.”

“L’hai già fatto.”

“Sì, l’ho fatto, ma questa è la prima che non affonda durante i miei test di navigazione. È il meglio che sia riuscito a fare finora.”

“Sei sicuro che resisterà al viaggio?”

“Lo spero.”

“Hai fatto dei cambiamenti nella rotta?”

“Stando alle mappe che mi ha dato Tokoyami, siamo a sud-est del Mare Interno e dall’altra parte del mare c’è il Regno di Yuuei. Se riuscissi ad arrivare fin lì e approdare su quelle coste, potrei raggiungere la punta meridionale del continente. Da lì, dovrò continuare verso sud-ovest fino a raggiungere il gruppo delle Isole Kohei. Una di quelle è casa mia.”

“Attraversare il Mare Interno non è cosa facile. Imperversano le tempeste e ci sono anche i serpenti d’acqua. Coloro che tentano di attraversarlo lo fanno con navi enormi. Non penso che dovresti allontanarti troppo dalla costa. Se riuscissi a seguirla, girando attorno al mare arriveresti comunque dall’altra parte.”

“È un’opzione che non ho ancora scartato. Mi allontanerei abbastanza dalla costa da evitare di essere visto da terra e se mi imbattessi in una tempesta potrei approdare e attendere che passi. È una valida alternativa, senza dubbio; ma facendolo, dovrei passare vicino al Castello Overhaul e sappiamo bene che il tuo re non tollera la mia razza. Se mi prendessero, mi ucciderebbero. Anche supponendo di passare inosservato, subito dopo ci sono le terre del Generale e si sa che il suo porto è sempre aperto. Non riuscendo ad attraversarlo via mare, potrei lasciare la barca prima del porto e tentare la fortuna via terra ma anche se superassi quel territorio senza venir preso, dovrei poi attraversare la zona di guerra...” Izuku si fermò voltandosi a guardarla. “Scusa, ho di nuovo iniziato a borbottare.”

“Non preoccuparti, sono contenta che tu abbia considerato tutti i possibili scenari, ma nonostante tutto penso che attraversare il mare con quella barca sia rischioso.”

“Ti ringrazio per la tua premura, Tsuyu-chan, ma devo farlo.”

Una volta finito di raccogliere i molluschi, Tsuyu lo aiutò a sistemare le sue cose e a nascondere la piccola imbarcazione sotto foglie e rami. Iniziarono ad incamminarsi verso casa e prima di separarsi, Tsuyu sospirò.

“Fumikage te l’ha detto?”

“Che sulla lista di reclutamento c’è il suo nome? Sì, me l’ha detto. Mi ha anche detto che hai intenzione di prepararti al posto di tuo fratello per evitare che venga portato via.”

“Samidare è troppo giovane, mia madre morirebbe dal dolore di vederlo andar via.”

“La ferirebbe anche perdere te.”

“Sono la maggiore dei miei fratelli, è mio dovere. Forse la guerra finirà entro il prossimo anno.”

“È ciò che dicono le notizie?”

La ragazza sospirò.

“Dicono che il Generale e il nostro re stanno iniziando un processo di alleanza.”

“Per questo il reclutamento di quest’anno è più approfondito?”

“Pare che il nostro re invierà delle truppe di supporto per il Generale. Suppongo che unendo le forze intendano opporsi al re di Yuuei.”

Izuku si strofinò distrattamente il naso.

“Se i due regni della zona occidentale si uniranno, nessuno sarà al sicuro.”

“Devi fare attenzione, Zu-chan. Il Generale ha convinto il nostro re a consegnargli chiunque abbia un fiore sul corpo. Hanno anche deciso di aiutare nella costruzione delle navi, se una di quelle dovesse trovarti non avresti scampo.”

Izuku scosse la testa.

“È un rischio che correrò. Non posso passare il resto della mia vita qui, nascosto nella foresta, aspettando che nessuno mi trovi. Apprezzo che tu e Tokoyami vi preoccupiate per me, ma una volta che sarete andati via non ci sarà più nessuno a sapere che sono qui. Non posso pensare che non rivedrò più casa mia. Devo andare, devo provarci.”

La ragazza annuì e Izuku si allontanò da lei, regalandole un altro sorriso triste.





 

L’heat di Izuku andava e veniva. Lo lasciava esausto, insoddisfatto e con la testa piena di ricordi; l’aroma di legno e fumo, la pallida sensazione di una pelle di alabastro, il sorriso arrogante, il rosso luminoso dei gladioli.

Il ricordo di Katsuki era radioso ed eccitante. Izuku si toccava pensando a lui, mormorava il suo nome fino a perderne il significato e si stimolava finché il suo corpo non si scioglieva più e più volte. Ma anche allora, non era mai abbastanza.





 

Il cielo era di un grigio chiaro quando Fumikage e Tsuyu arrivarono alla spiaggia per salutarlo. Trasportarono il cibo, i vestiti, le coperte, le bottiglie piene di acqua e intrugli.

“Zu-chan,” disse la ragazza quando si fermò ad osservare l’amico. “Cos’è quello?”

Vedendola indicare la sua caviglia, Izuku sollevò i pantaloni per mostrare la sua opera.

“L’ho fatto io.”

Una magnifica orchidea bianca si mostrava proprio sull’osso della caviglia, da cui partivano linee verdi che si estendevano sulla gamba.

“Non è perfetto, ma penso che funzionerà.”

“La pittura non andrà via?” chiese Fumikage.

“Se la bagno e la strofino sì e se resta bagnato per troppo tempo l’inchiostro scomparirà, quindi intendo coprirla con delle bende, così eviterò che si bagni e farà da diversivo.”

“Hai abbastanza lozione?”

“Tutta quella che ho potuto, ma comunque non è possibile riconoscerci dall’odore.”

“Ma ti si può rintracciare.”

“Lo so. Beh, ho tutto ciò che mi serve, e ho anche delle piante in caso abbia le vertigini, mi senta male o mi ferisca. Penso di essere pronto.”

Si abbracciarono ancora una volta, offrendosi consigli, conforto e buona fortuna. Quando il sole si alzò completamente dall’orizzonte, Izuku li strinse per l’ultima volta.

“Grazie per avermi salvato,” disse abbracciandoli forte. “Grazie per avermi aiutato quando non avevo niente. Grazie per il cibo, e la compagnia. Grazie per non avermi consegnato.”

Tsuyu pianse mentre mormorava, “Fai attenzione, Zu-chan. Spero davvero che tu riesca a tornare a casa.”

“Grazie, Tsuyu-chan. Un giorno spero di poter tornare qui.”

Fumikage non piangeva, ma la sua espressione mostrava una profonda tristezza.

“Se tutto va bene, Zu-chan, non ci vedrai mai più.”

I due amici spinsero la piccola barca mentre Izuku preparò i remi. Agitò le braccia finché le sagome sulla spiaggia non diventarono piccole, poi si voltò verso l’oceano.

“Ci siamo.”





 

Il primo giorno il vento fu favorevole. Izuku spiegò le vele e guidò la sua barchetta, tenendo il sole come riferimento. Avanzava ad una buona velocità, e quando non c’era più vento cercava di pescare per mantenere le sue scorte di viveri, anche se sapeva che mangiare continuamente pesce crudo era pericoloso.

Il sole era insopportabile, così Izuku si coprì la testa con una delle sue magliette e si spogliò. Dormiva a intervalli, facendo sempre attenzione che l’imbarcazione non deviasse dalla linea immaginaria che aveva designato. Quando pioveva, raccoglieva l’acqua in una delle ciotole che si era portato e ogni giorno controllava il cibo, i giorni trascorsi e cercava di razionarlo il meglio possibile.

Secondo i suoi calcoli, non era nemmeno a metà del viaggio quando si imbattè nella prima tempesta. Non fu tremenda, ma fece infuriare il mare e le fredde onde si scontrarono con tale violenza contro la sua barca che Izuku non ebbe altra scelta se non legarsi all’albero per evitare di cadere. La nausea lo fece tremare e nel complesso l’esperienza fu orribile.

Quando finalmente la tempesta si placò, Izuku era esausto. Il suo primo pensiero fu assicurarsi che le sue cose fossero al sicuro e gli ci volle un’eternità per fare l’inventario di tutto. Quando finalmente terminò e iniziò a recuperare la rotta, notò un’ombra nera all’orizzonte. Non era una sola però, perché subito dietro essa iniziava a distinguerne un’altra.

Lo stomaco di Izuku si contrasse dal panico.




 

La prima cosa che fece fu vestirsi. Gli tremavano talmente tanto le mani che non riuscì a mettersi le bende al primo tentativo. La paura rimbombava forte dentro di lui, ma Izuku si morse l’interno della bocca, fece i suoi esercizi di respirazione per calmarsi e ricominciò. Indossò i pantaloni, la canotta, il gilet e cercò di piegare l’orlo dei pantaloni per mettere in mostra le bende sulla caviglia. Dopodiché issò le vele e, sfortunatamente per lui, non c’era un filo di vento.

Izuku imprecò.

L’ombra nera avanzava a una velocità impressionante e la sua sagoma non impiegò molto a farsi più nitida. Dietro essa spuntarono altre tre navi, una dietro l’altra.

Izuku usò i remi per intraprendere la ritirata, ma la vedetta della prima nave doveva avere una vista eccellente perché l’imbarcazione modificò leggermente la sua rotta e ora si dirigeva esattamente verso di lui. Volendo evitare una collisione a qualsiasi costo sarebbe senza dubbio finita con la sua barchetta ridotta in mille pezzi Izuku si mosse in parallelo alla nave. Attese che la velocità di questa non gli permettesse di fermarsi così da avere l’opportunità di andarsene prima che potessero reagire, ma invano perché realizzò che la nave aveva iniziato a rallentare nel momento in cui aveva corretto la propria rotta.

Non appena la barca di Izuku fu vicina alla nave, dal corrimano caddero lunghe corde. Izuku cercò di usare i remi per allontanarsi ma prima che la sua imbarcazione potesse muoversi, uno degli uomini a bordo saltò e usando le corde atterrò sulla sua barca.

Il colpo fece tremare la barchetta e Izuku si piegò sul bordo a causa del movimento. Senza volere allentò la presa sul remo e quando cercò di afferrare l’altro per difendersi, l’intruso lo prese per i capelli. Un altro si fece cadere dalla nave, e mentre il primo usava le corde per risalire tenendo Izuku come un sacco di patate, l’altro mise tutte le sue cose in vari sacchi.

L’attacco non durò nemmeno dieci minuti, e nonostante la situazione, Izuku fu piuttosto sorpreso dall’efficienza.

L’aggressore fece cadere con forza Izuku e il ragazzo ringhiò quando ricevette sul braccio tutto il peso del corpo. Prima che potesse dire qualsiasi cosa, strane mani lo voltarono e cercarono di strappargli il gilet. Izuku lottò e tirò calci, ma l’uomo dalla pelle color rame era molto più forte. Poi una voce accanto a lui disse:

“Lascialo andare. È un artigiano.” Una mano afferrò la gamba di Izuku e il ragazzo pregò che il suo diversivo funzionasse. Evidentemente fu così perché la mano lo lasciò e l’aggressore lo tirò su come se fosse un bambino.

Izuku si guardò intorno, studiando i volti. Molti di loro avevano caratteristiche animali, ma ce n’erano altri, come l’uomo che lo stava trasportando, la cui unica differenza stava nel colore della pelle.

“Mettilo in una cella,” la voce apparteneva a un piccolo uomo con gli occhi da essere umano ma il becco da uccello. “E gli altri a lavorare. Accendi di nuovo le caldaie. Massima velocità.”

Proprio in quel momento un rombo spaventoso echeggiò da lontano. Izuku si voltò per guardare l’orizzonte. In lontananza, la seconda e la terza nave pareva che si fossero scontrate, ma dopo aver guardato meglio Izuku capì che la seconda nave era in fiamme mentre la terza non aveva alcun danno. Inoltre, Izuku riuscì a distinguere che non erano lo stesso modello di imbarcazioni: quella che bruciava aveva un solo albero, mentre l’altra ne aveva tre, e le bandiere che sventolavano erano diverse.

Sentì qualcuno dell’equipaggio imprecare e il piccolo uomo iniziò a urlare.

“Forza, muovetevi! Voglio che questa cosa si muova! A meno che non vogliate godervi la dannata ospitalità dei selvaggi.”

L’ultima cosa che Izuku vide prima che lo mettessero nel seminterrato fu la quarta nave, quella che sbucò dietro tutte, superò le altre due e si diresse direttamente verso di loro. Come la terza nave, quest’ultima aveva tre alberi e in cima a uno di questi sventolava una bandiera rossa e grigia.





 

Izuku si aspettava la prigione, ma a differenza di quella in cui lo gettarono quando venne rapito da casa sua, queste erano individuali. Il seminterrato era pieno di piccole celle, la maggior parte occupate. A Izuku bastò un solo respiro per capire che tutti i presenti erano Alpha. Non c’era un solo Beta a bordo.

All’interno della cella, Izuku si sistemò gli abiti e cercò di non contorcersi dall’agitazione. Era difficile trattenersi quando l’intero scompartimento era pieno di rabbia. Gli Alpha, sebbene giovani, trasudavano allerta e furia, Izuku li annusò e capì perché, a differenza degli Omega, stessero in spazi separati. Odoravano di cattività, violenza. Izuku sentì l’urgenza di diventare una piccola palla, di implorare perdono. Fu tentato di rilasciare feromoni per calmarli, ma si morse la mano e affondò il naso nei vestiti.

I suoi abiti profumavano di fiori. Fiori e piante. Si concentrò sull’aroma e cercò di non guardare nessuno. L’Alpha nella cella accanto alla sua gli parlò:

“Da dove provieni?” Il suo tono era severo, dalla faccia non doveva avere più di quindici anni, ma i suoi denti erano spaventosi e gli occhi brillavano di pericolo.

“Stavo viaggiando con la mia barca,” spiegò, cercando di mantenere stabile la voce. “Sono partito dalla costa e mi hanno catturato.”

L’Alpha fece alcuni respiri di fila.

“Tu non sei un Alpha,” ringhiò.

“S-Sono un Beta.”

“Non hai nemmeno quell’odore.”

“Sono un guaritore, preparo medicine e unguenti con le piante. Di certo odoro di quelle.”

L’Alpha inspirò ancora una volta. “Sì… sento l’odore dei fiori.”

“Cos’era quel rumore che abbiamo sentito?” Chiese un altro Alpha, la cui cella stava di fronte a quella di Izuku.

“Una nave… c’era una nave in fiamme.”

“Quale?”

“Non so… non sono tutte le stesse?”

“No! Quei demoni hanno attaccato la nostra città, ma la flotta del re li sta inseguendo. Due giorni fa abbiamo sentito i loro corni di avvertimento! È solo questione di tempo prima che ci raggiungano.”

“Sono vicini,” disse loro Izuku prima di spiegargli molto dettagliatamente la scena svoltasi sul ponte.

“La nave degli Omega era in fiamme?” Chiese qualcuno e Izuku si voltò verso la voce ma non capì da dove provenisse.

“La nave degli Omega?”

“Da dove arrivi per non saperlo?”

Izuku si bloccò. “Dalle Isole Kohei,” disse con la voce secca. “Hanno attaccato il mio villaggio qualche anno fa, ma non sapevo che-”

Uno degli Alpha lo interruppe con un gesto. “Quei demoni usano sempre due navi: una per gli Alpha e una per gli Omega. Se la flotta del re è riuscita ad agganciare quella nave, allora gli Omega saranno salvi.”

Tra i ragazzi si diffusero innumerevoli mormorii di esaltazione. Izuku notò che la rabbia calò, senza dubbio molti di loro erano contenti di sapere che i propri amici, fratelli o futuri fidanzati erano salvi; ma ci fu qualcosa che fece tremare Izuku dalla testa ai piedi.

“Quante navi della flotta del re c’erano?” Chiese qualcuno e Izuku reagì lentamente.

“Ne ho viste due,” mormorò senza forze. “Una è rimasta accanto a quella in fiamme, l’altra arrivava subito dietro.”

Ci furono lacrime di gioia, lo scompartimento venne inondato di energia, estasi, ma Izuku non ci fece caso. Non riusciva a smettere di pensarci. Una nave per gli Omega. Una nave per gli Alpha. Il suo cuore si contorse. ‘No,’ pensò disperato. ‘Kacchan è a casa, lui è a casa.’ Ma anche mentre se lo ripeteva, non smise di vedere il corpo di un Katsuki svenuto. Non riuscì a smettere di ricordare l’acqua che invadeva il seminterrato, non smetteva di pensare al mare in tempesta.

‘Due navi,’ ripetè. Non aveva visto un’altra nave.

‘Due navi.’ Non c’era nessun’altra nave.

Le due navi… erano affondate?

Izuku si coprì la bocca, tornò nell’angolo della sua cella, irrigidì il corpo per controllarsi e lasciò che le lacrime scorressero. Silenziose, amare e salate.




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Note della traduttrice: bentornati, sono Tanuka! Siamo al terzo capitolo e spero vi stia piacendo come si evolve la storia perché io l'adoro <3 La traduttrice inglese Maia Mizuhara va molto più spedita, io sono una lumaca ma spero apprezziate comunque la mia traduzione per cui mi impegno tanto a renderla il più lineare e fluida possibile! Grazie mille a tutti quelli che la stanno leggendo e anche ai pochissimi che recensiscono xD 
E grazie anche alla Ange che sopporta i miei scleri durante la traduzione/parto dei capitoli <3 
Alla prossima!

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Capitolo 4
*** La Rabbia che Ribolle ***


Capitolo 4 - La Rabbia che Ribolle





 

Del suo viaggio in nave Katsuki ricordava l’odore: una stanza piena di giovani Alpha, arrabbiati e violenti, rinchiusi per giorni. Non era una cosa facilmente dimenticabile.

I ruggiti, le lacrime e le imprecazioni durarono a lungo, giorno e notte finché la fame non prevalse. Nonostante la fatica e la scomodità, Katsuki restava all’erta. La sua furia era rossa e intensa, era paralizzante. Poteva restar seduto per ore, teso come una sbarra di ferro. Guardava, ascoltava, prestava attenzione… aspettando un’opportunità per scappare; ma non arrivò mai.

Dopo la nave viaggiarono su dei vagoni per giorni fino a raggiungere la fortezza. Katsuki vide le torri alte e grigie, con una piccola bandiera che sventolava sulla cima di una di esse, prima che spingessero la sua cella su una piattaforma. Katsuki restò all’erta aspettando che la porta si aprisse. Nonostante la stanchezza, era pronto per attaccare e uccidere; non si aspettava che il pavimento si muovesse.

Cadde attraverso un tunnel inclinato. La cui superficie era perfettamente liscia. Katsuki uso le mani e le unghie per evitare di avanzare, ma senza fortuna; raggiunse il fondo del passaggio e il suo corpo colpì il suolo con un tonfo secco. Ciononostante si rialzò subito, pronto ad affrontare qualsiasi cosa, ma c’erano solo altri ragazzi come lui. Tutti tesi, sospettosi, sporchi e affamati.

Dietro di lui arrivarono altri prigionieri, tutti bambini. Quando la porta del tunnel si chiuse senza alcun avvertimento, tutti si guardarono tra loro. Aspettarono in silenzio, pronti a combattere, ma il loro era un nemico invisibile. Arrivò in silenzio, strisciando tra le loro gambe, etereo e senza forma.

Col tempo, Katsuki gli avrebbe dato il nome di incenso nero.





 

I ricordi del suo soggiorno nella cella sotterranea erano vaghi, frammenti e parti di avvenimenti che sembravano irreali, ma sforzandosi di ricordare riusciva a rievocare intere scene. Ricordava che il cibo arrivava tramite il tunnel, anche se nessuno sembrava interessato ad avvicinarsene, ricordava che molti si erano contratti e rannicchiati negli angoli con un’espressione persa, e ricordava altri tremare violentemente fino a diventare rigidi con uno sguardo spento.

Molti dei suoi conoscenti morirono così. Katsuki sopravvisse. Era sopravvissuto alla tempesta che aveva preso Izuku. Era sopravvissuto all’incenso e al condizionamento. Era sopravvissuto alle celle sotterranee che erano arrivate dopo. Era sopravvissuto alle catene, ai colpi e alla fame.

Aveva superato tutto.

E dentro di lui bruciava un solo desiderio.










 

“Voglio vendetta.”

Assaporò la parola, ogni sillaba, ogni intonazione. Si nutrì di essa e la parola diventò benzina per la sua rabbia che bolliva. Vendetta. Era l’unica cosa che gli era rimasta, l’unica per cui viveva.

La sua risposta fece sorridere il novellino. Un gesto pieno di soddisfazione, un gesto di amicizia, di comprensione… per Katsuki fu un gesto inutile. Non voleva la sua amicizia. Non voleva la sua approvazione né la sua attenzione.

“Allora dovremo tirarti fuori di qui.”

Katsuki si bloccò. ‘Sì!’ L’urlo risuonò dentro di lui con la forza di una tempesta. ‘SÌ. SÌ. Sìsìsì...’ Voleva essere libero. Aveva bisogno di essere libero. ‘Sarei libero...’ Ma prima che potesse dire qualsiasi cosa, la guardia fece ritorno. Katsuki indietreggiò, teso e in guardia.

“Pare che la tua festa di benvenuto sia pronta.” Il sussurro che emise non era inteso perché lui lo sentisse, ma il ragazzo nella cella accanto si voltò, accigliato. Katsuki lo guardò e cercò di usare lo stesso tono di voce. “Vedremo se sei uno di quelli che fa ritorno.”

“Cosa?”

“Non hanno altra scelta.”

Katsuki si allontanò. Non aveva bisogno di guardare per sapere come si sarebbe evoluta la faccenda, l’aveva visto fin troppe volte… Alpha pronti a combattere con coraggio e determinazione, spenti da dei maledetti dardi tranquillanti.

I bastardi hanno imparato che se osano mettere piede in una cella con noi, niente garantisce loro di uscirne tutti interi.

Katsuki sentì l’Alpha imprecare, il suo corpo colpire le sbarre, lo sentì urlare e combattere finché non tacque; udì la grata aprirsi, il corpo trascinato via, e il silenzio che seguì. Quando si guardò intorno, vide la stessa rabbia che era dentro di lui. Tutti sapevano cosa aspettava il nuovo arrivato.










 

Si svegliò in mezzo all’oscurità e incatenato a un muro. A differenza delle volte precedenti, le catene erano fissate a un collare di metallo attaccato al suo collo, il che gli lasciava libere le gambe e le braccia. Quando provò ad alzarsi in piedi realizzò di stare tremando. Non riusciva a ricordare l’ultima volta che aveva mangiato qualcosa.

Lentamente, esaminando la sua appena ritrovata determinazione, Katsuki si mosse dentro la cella, misurando la lunghezza della catena e cercando di liberare la mente da quella nebbia che la circondava. Allungò le braccia in avanti e si mosse lentamente, sperando di non sbattere contro qualcosa o cadere, ma prima che potesse toccare qualcosa la catena si tese. Iniziò a muoversi lateralmente fino a trovare uno dei muri a lato, poi vi si appoggiò e si fece cadere. Chiuse gli occhi e cercò di ricordare tutte le cose successe, ma c’erano solo pezzi incongruenti e flash. Pensò a Izuku, e fu un sollievo che il suo ricordo fosse ancora lì, in attesa di essere rievocato. Dovette sforzarsi, ma riuscì a rammentare il suo viso luminoso dalle guance tonde. L’Izuku dei suoi ricordi era felice e aveva un sorriso abbagliante; la sua voce aveva quel caratteristico tono acuto e la sua risata era spensierata. Katsuki inspirò profondamente ma invece del profumo di basilico e menta, sentì l’odore della reclusione e il marcio della sua cella.

Tornò alla realtà quando si aprì la porta.

Katsuki aprì gli occhi e si mise subito in piedi, ma il movimento improvviso e l’adrenalina gli fecero girare la testa. Gli ci volle un momento per riprendersi prima di focalizzare l’attenzione sul visitatore, e quando lo fece sentì gli occhi patire la fioca luce della lampada. Li strofinò forte, sperando di spazzare via la debolezza. Quando si concentrò sul nuovo arrivato, vide una ragazza, quindici anni al massimo, magra e alta. I suoi capelli arancioni erano stati tagliati corti ed era mezza nuda.

Gli occhi di Katsuki scivolarono dal sarashi bianco al suo addome. Quando notò l’intricato disegno della margherite che spuntavano sul suo fianco, il ragazzo si bloccò. Sorpreso, arrabbiato e confuso, Katsuki spostò lo sguardo e si voltò, dandole spazio per coprirsi.

La sentì avvicinarsi ma anche allora non si girò.

“Ti ho portato del cibo,” disse.

Katsuki la guardò, cercando di tenere lo sguardo al di sopra della testa. In aggiunta all’odore di frutta distingueva l’inconfutabile odore di paura e ansia.

“Chi sei?”

“Itsuka.”

Si mise a sedere in modo che le gambe le coprissero l’addome. Katsuki sospirò e la imitò. Guardò il suo collare e i polsini con gli anelli. Erano simili ai suoi e non aveva bisogno di chiedere per capire che non indossava quegli abiti per sua scelta.

“Mangia.”

Gli passò un sacchetto e Katsuki la guardò con sospetto. Si mise in guardia e la stanza si riempì del suo odore.

“Non te l’hanno detto?”

“Dirmi cosa?”

Ci fu un respiro rapido e l’ansia della ragazza si fece più densa attorno a lei.

“Prima mangia.” Disse.

“Perché...?”

“Shh,” mormorò appoggiando la testa sulle ginocchia. La sua voce si affievolì fino a diventare un sussurro impellente. “Non gridare e non muoverti. Ci osservano.”

Katsuki si irrigidì e trattenne l’impulso di guardarsi intorno. Con il cuore a mille, Katsuki prese la frutta, il pane e l’acqua. Esitò un momento prima di toccarli, anche se la bocca aveva iniziato a salivare in anticipo.

“È innocuo,” mormorò quando vide la sua incertezza. “Vogliono che ti fidi di me.”

Katsuki mangiò lentamente, assicurandosi che lo stomaco non si ribellasse.

“Cosa vogliono?” Chiese Katsuki, facendo in modo che il suo sussurro restasse tra loro.

Lei esitò, la sua paura crebbe e inondò la stanza. Katsuki storse il naso.

“Mi dispiace,” disse Itsuka, cercando di controllarsi.

“Sputa il rospo. Perché sei qui?”

“Dobbiamo… Loro vogliono… dovremmo accoppiarci.”

Katsuki si strozzò. Anche se la sua intenzione era di restare calmo, non riuscì ad evitare di alzarsi e indietreggiare.

“Cosa?!”

“Non gridare, calmati.” Quando lei si alzò, l’altro si appiccicò al muro. “Se urli, loro arriveranno.”

“Sta’ lontana!”

Lei si bloccò all’inconfutabile tono di un Alpha. Restarono in quel modo per un po’ prima che la porta si aprisse facendo entrare una delle guardie.

“Vieni qui.”

L’Omega esitò prima di obbedire, e non appena fu vicina alla guardia, questa la prese per i capelli e la trascinò attraverso la porta. Fu allora che Katsuki realizzò che il peggio doveva ancora arrivare.





 

Ci provarono ancora e ancora.

Cercarono di accrescere la sua fiducia e Katsuki si assicurò di mantenere le distanze. Giorno dopo giorno costruiva un muro tra di loro. Non veniva abbindolato né dal suo aroma né dalla dolcezza. Mangiavano in silenzio, separati, senza scambiarsi una parola.

Cercarono di minacciarlo e Katsuki rise loro in faccia. Lottò e gli scorticarono la schiena, subì i colpi e le frustate senza piegarsi. C’erano lunghi periodi vuoti in cui restava sdraiato, incosciente e fiacco. In uno di quei momenti commise quasi l’errore di arrendersi. Si era svegliato confuso e disorientato, e una volta ripresa la vista la prima cosa che vide furono due occhi verdi. Due occhi verde chiaro, come l’erba in primavera. Se fosse stato totalmente cosciente, avrebbe notato la differenza, ma la testa gli pesava e il ricordo di Izuku era ancora fresco. Per un attimo pensò di stare ancora sognando e si lasciò trascinare. Aveva baciato quel “Izuku” con una disperazione silente e angosciante. Si sarebbe spinto molto più in là se non avesse respirato profondamente, bramoso dell’aroma speziato, ma poi riconobbe il profumo fruttato, dolce e soffice, completamente l’opposto di ciò che si aspettava. L’aveva lasciata, spinta via e usato la forza che gli restava per tenerla alla larga.

Avevano cercato di usare la natura di lei, e Katsuki aveva preferito sanguinare. Quel giorno, quando lei entrò, Katsuki seppe immediatamente che qualcosa non andava. L’odore della ragazza si era intensificato esponenzialmente e i suoi occhi, di solito calmi, sembravano tremare dall’agitazione. Non appena capì, Katsuki ruggì, si morse le braccia fino a farle sanguinare, urlò dalla furia finché la ragazza non si ritirò in un angolo a piangere, avvolta dal bisogno e dal desiderio. Il suo odore era così intenso, così squisito, che Katsuki vide nero. Quel giorno, si spaccò la testa mentre la sbatteva contro il muro, l’intossicante aroma fruttato che gli inondava i sensi, e fortunatamente per lui, riuscì a svenire.

Cercarono di ricattarlo e Katsuki dovette indurire il suo cuore. Allontanava tutta la compassione e l’empatia quando vedeva i lividi sulla pelle delicata che diventavano sempre più visibili. A volte riusciva a sentire le percosse dell’Omega dall’altro lato della porta e Katsuki cercava di ritirarsi in un angolo, sapendo che se avesse mostrato il minimo segno di costernazione, sarebbe ricominciato tutto da capo. Infine, la ragazza in forma appassì davanti ai suoi occhi ed era straziante vederla affondare nel mutismo mentre si sedeva lontano da lui. C’erano giorni in cui piangeva in silenzio, avvilita e a pezzi.

Vedendola in quel modo, Katsuki fece qualcosa che si era giurato di non fare: le parlò.

“Mangia,” le offrì le due guava che erano nel sacchetto e attese pazientemente, finché lei non si riprese dalla sorpresa per avvicinarsi.

Itsuka morse il frutto e masticò in silenzio.

“Non ho intenzione di accoppiarmi con te,” disse Katsuki mangiando lentamente. La sua voce era un mormorio debole e lei gli rispose alla stessa maniera.

“Preferiresti qualcun altro?”

Pensò a Izuku. ‘Se fosse lui…’ Il pensiero si cristallizzò e fu terribile, perché non sarebbe mai stato lui, non sarebbe mai stato lì. Per la prima volta, Katsuki apprezzò che Izuku fosse libero e non costretto a fare ciò che Itsuka aveva fatto.

“Non mi accoppierò con nessuno,” rispose con una voce tesa e si allontanò.

E ci riuscì. Resistette a Itsuka e a quelli che seguirono. Lottò contro tutti in ogni momento, finché alla fine si stufarono di lui e lo lasciarono da solo. Ce n’erano altri come lui e sapeva che gli Omega resistevano a modo loro. Tutti guardavano. Tutti imparavano. Tutti aspettavano un’opportunità.










 

Se la zucca vuota fosse tornata, ci sarebbe stato uno in più nel gruppo, in caso contrario sarebbe stato un ricordo che Katsuki si sarebbe affrettato a dimenticare come tutti i precedenti. Non aveva tempo per creare legami, né di fare amicizie, Katsuki aveva giurato di vivere per uccidere Shigaraki, e attendeva quel momento. Avrebbe lasciato quella cella e una volta fuori, senza più sbarre, il fottutissimo mondo sarebbe bruciato con lui.










 

Eijirou si svegliò affamato, il che non era certo una novità per qualcuno rinchiuso in una cella da quanto, tre giorni? Cinque? C’era dell’acqua e quella almeno gli garantiva che non sarebbe morto subito. Forse l’intento dei suoi carcerieri era lasciarlo marcire in quel maledetto sotterraneo, il che metteva a rischio tutti i suoi piani.

‘Ero consapevole dei rischi’, si disse mentre cercava di distrarsi dai brontolii del suo stomaco, ‘ma un conto è sapere che c’è l’eventualità di morire combattendo e un’altro è affrontare la possibilità di morire di fame.’

Si immaginò i panini ripieni di carne che cucinava suo padre. Il ricordo gli fece venire l’acquolina e ripensare a casa. Poteva vederlo vicino al tavolo, mentre preparava con le mani il pranzo dell’altro padre. Il ricordo era così reale che pensò di riuscire ad annusarlo. Carne, pomodori e…

Arance?

Aprì gli occhi e notò che invece del solito buio c’era una piccola luce che arrivava dall’entrata. C’era un Omega lì, lo stesso Omega della volta scorsa. Proprio come allora i suoi abiti erano…

Eijirou arrossì e spostò lo sguardo, sentendosi messo all’angolo. Tossì per nascondere l’imbarazzo e quando si riprese chiese:

“Che ci fai qui?”

“Ti ho portato della zuppa.”

Si voltò lentamente, cercando di tenere gli occhi incollati al soffitto. Con molta attenzione fece scivolare lo sguardo fino a incontrare il biondo seduto di fronte a lui. Teneva le ginocchia contro il petto e c’era una lampada e un vassoio con del cibo per terra davanti a lui. Lo stomaco di Eijirou brontolò rumorosamente non appena l’odore della zuppa gli arrivò alle narici. Non uno, non due, ci furono diversi borbottii a seguire, suoni imbarazzanti e in parte… divertenti.

“Beh, pare che il mio stomaco ti dia il benvenuto.” Il commento gli venne spontaneo così com’era Eijirou e fu sorpreso di sentire l’Omega ridere.

Era senza parole dallo shock di quel suono. Il ragazzo aveva una risata acuta e contagiosa. Stava per fare un commento a riguardo quando l’Omega cambiò. Quel piccolo bagliore di buon umore sparì in un istante, strinse le spalle, le mani si aggrapparono ai gomiti e tutto il suo corpo emise confusione e rimorso. C’era un avvertimento nei suoi occhi, qualcosa che Eijirou non riuscì a leggere.

“Mangia,” disse l’Omega e quando l’altro non fece segno di obbedire, fu lui a prendere il cucchiaio e assaggiare la zuppa. “È piuttosto buona, non farla raffreddare.”

Lo guardò di nuovo e stavolta il segnale fu più chiaro. Dammi retta. Eijirou respirò con calma e si allungò per prendere la ciotola di zuppa.

“Vacci piano o ti scotterai.” Prendi tempo.

“Ho così fame che non sarà un problema.” Perché?

“Lo sarà se ti ammalerai.” Fallo.

“Sei venuto solo per assicurarti che non mi ammali?” Perché?

“Sono venuto per mangiare con te, una volta finito me ne andrò.”

“Preferirei,” disse Eijirou allungando le braccia verso l’Omega ma l’avvertimento nei suoi occhi d’ambra era forte e chiaro. Non toccarmi. Così l’Alpha recalibrò il suo movimento in modo che sembrasse che stesse prendendo il pezzo di pane sul vassoio.

“Non ho sentito, cos’hai detto?” Continua a parlare.

“Eh?” Voltò la testa e la catena attorno al suo collo tintinnò. Eijirou guardò il biondo e sorrise. “Volevo solo dire che preferirei assaggiare dei panini ripieni.” Perché?

“Mi spiace, non li abbiamo qui.” Pazienza.

“Peccato.” Perché?

“Beh, se lo dici a voce alta forse qualcuno esaudirà il tuo desiderio.” Ci stanno ascoltando.

“Davvero?”

Il biondo alzò le spalle ma gli occhi non persero la loro severità. “Tentar non nuoce.” Sì.

“Suppongo che potrei farlo.” E adesso?

“Suppongo di sì.” Parliamo.

Parlarono di cibo e non ci furono più avvertimenti ma Eijirou restò all’erta. Alla fine terminarono la zuppa e non appena il ragazzo ripose la ciotola sul vassoio la porta si aprì. Quando l’Omega si preparò per alzarsi col vassoio, Eijirou guardò altrove e non osò muoversi finché non sentì la porta richiudersi. Solo allora realizzò di non avergli chiesto il nome.

Diventò una routine, una molto piacevole. Il cibo non era mai di prima classe, ma a Eijirou non importava. Vedeva l’Omega solo una volta al giorno, parlavano dei frutti di quella stagione, dei tipi di carne e del pane. L’Omega sorrideva ed era gentile, ma Eijirou notava la postura tesa e il modo in cui i suoi occhi sembravano lanciare avvertimenti ogni volta che rideva troppo e parlava di aneddoti personali. Il biondo cercava di tenere la conversazione su un piano neutrale ma Eijirou non riusciva a restare serio per troppo tempo. Era nella sua natura ridere e scherzare. Il suo obiettivo più grande era far ridere l’altro. La sua risata era affascinante, anche se rara, a malapena luminosa nella semioscurità. Duravano solo un momento, barlumi di una natura giocosa e disinibita, prima che realizzasse cosa stesse succedendo, poi i suoi occhi acquisivano quell’insolita severità e riportava la conversazione sul cibo. Non disse mai il suo nome e Eijirou dimenticava di chiederglielo ogni volta che entrava.

Rimase tutto uguale finché un giorno l’Omega si sedette accanto a lui, vicino più che mai, e allungò la mano per toccargli la fronte.

“Cos’è questa cicatrice?”

Eijirou fu colto di sorpresa dal dito che scivolò sulla cicatrice del suo sopracciglio. All’improvviso fu distratto dal profumo di arance e gli ci volle un momento per processare la domanda.

“Una caduta,” disse con la gola secca. Lo sguardo scivolò sulle spalle pallide, su cui si riversava la luce della lampada, e i suoi occhi vagarono sul collo sottile per poi risalire agli occhi dell’Omega. Fu sorpreso dalla durezza trattenuta in essi.

“Una caduta?” Ripetè l’Omega e Eijirou capì forte e chiaro. Continua a parlare.

“Sì, successe quando avevo cinque anni.” Si interruppe quando sentì un bisbiglio. Non muoverti.

E lui obbedì. Si fece teso sul posto e cercò di focalizzare la sua attenzione sulla bocca del biondo. L’altro gesticolò, senza emettere un solo suono, continua. Eijirou tornò quasi immediatamente alla sua storia, era un aneddoto noioso, ma lui lo riempì di dettagli mentre faceva attenzione a cosa gli mormorava l’Omega accanto. La sua voce era esile, a malapena più acuta della sua, quindi era perfettamente cammuffata. Era difficile parlare e ascoltare, ma Eijirou ce la mise tutta.

“Vogliono che ci accoppiamo, ma quando lo facciamo ci trasferiscono e le cose peggiorano. Qui lo sanno tutti, quindi dobbiamo evitarlo a tutti i costi; ma se non lo facciamo, cercheranno di obbligarci. Prima attaccheranno te e poi verranno da me. Diventa parecchio brutto se non obbediamo, ma possiamo ingannarli. Domani verrò e dormirò qui con te, e per nessuna ragione dovrai marchiarmi.”

Eijirou si confuse a metà della storia e si accorse di non ricordare le sciocchezze che stava dicendo, si limitò a guardare l’Omega con un’espressione di totale stupore ma il biondo sorrise come se la storia fosse stata assolutamente adorabile e si voltò. In quel momento la porta si aprì e l’Omega uscì col vassoio vuoto.

Solo allora Eijirou ricordò le parole dell’altro Alpha, non hanno altra scelta.





 

Non riuscì a dormire quella notte, così si mise seduto, nel buio totale, mentre ricordava ancora e ancora ciò che aveva sentito. Continuava a non avere senso. Accoppiarsi? Impossibile. Anche se a pensarci bene riusciva a vedere la trappola nascosta tra le righe. Rinchiusi da tutto, abbandonati al buio, per poi portar loro un Omega, un Omega che diventa una costante. La sua presenza significa che ci sarà cibo, luce, conversazioni, aria fresca…

Sì, Eijirou riusciva a vedere chiaramente il sotterfugio, ma continuava a non capirne la ragione.





 

Quando la porta si aprì, Eijirou si fece teso invece di rilassarsi. Tenne gli occhi incollati al muro sulla sinistra per dare tempo all’Omega di sedersi accanto a lui. Continuarono la conversazione del giorno prima e aveva una miriade di domande ma non sapeva come formularle o codificarle visto che tecnicamente non si sarebbero dovuti parlare.

Quando sentì la presenza dell’Omega davanti a lui, Eijirou riportò la sua attenzione sul biondo. Cercò di metter su la sua miglior espressione da “Ho delle domande” ma un respiro fu abbastanza per mettere in pausa la sua mente. Il ragazzo profumava di pulito, senza dubbio si era appena lavato, e il suo odore era più limpido che mai. Profumava di succo fresco, di vivacità e agrumi, e l’aroma gli fece venire fame. Gli venne l’acquolina e le mani gli formicolarono. Per una frazione di secondo pensò di avvicinarsi e dissetarsi. Voleva leccarlo dalla testa ai piedi.

‘Merda,’ pensò quando un breve sprazzo di lucidità gli attraversò la mente. Si coprì il naso con la mano e contò fino a dieci. Quando aprì gli occhi vide il biondo porgergli un’arancia. Eijirou la prese e la premette sul naso, concentrandosi sull’aroma. Non era lo stesso, non poteva essere lo stesso, ma doveva bastargli. Eijirou morse l’arancia nonostante la buccia. Notò il sapore amaro per un attimo, poi arrivò il succo. Gli riempì la bocca e l’acidità gli solleticò l’interno delle guance.

Era vergognoso che già solo quella sensazione gli desse un’immediata erezione.

Finì l’arancia sputando la buccia tra un morso e l’altro. Poi ne iniziò un’altra e un’altra ancora finché non si leccò le dita e sentì di potersi controllare. Il bisogno era diminuito, o così pensava finché il biondo non si avvicinò e si inginocchio tra le sue gambe. L’unica cosa che faceva restare Eijirou al suo posto era la paura negli occhi dell’Omega, una paura che poteva anche annusare adesso. E una volta fatto doveva concentrarsi su essa.

“Va tutto bene,” disse. Voleva emettere feromoni per calmare l’altro ma si trattenne perché se la paura fosse andata via, sarebbe rimasto solo l’aroma di arance e Eijirou non era sicuro di cosa sarebbe successo allora.

Il biondo gli prese la mano e allo stesso tempo si chinò per baciarlo sulla guancia. Da lì gli sussurrò:

“Questo è un bavaglio,” gli mise in mano l’oggetto senza allontanarsi. “È per… beh, sai.”

“Questo… ha funzionato prima d’ora?” L’Alpha sussurrò a sua volta mentre il biondo continuava a dargli baci casti sulla guancia, a malapena uno sfioramento che senza dubbio aveva l’intenzione di distrarre coloro che stavano guardando.

“...la maggior parte delle volte.”

“E le altre?”

“Li portano via.”

“Perché non funziona?”

Il biondo si allontanò lentamente, ma prima che Eijirou potesse dire qualcos’altro, il ragazzo gli salì in grembo, lasciando che le gambe lo circondassero. Appoggiò la testa accanto alla sua mentre gli circondava le spalle con le braccia.

Le mani di Eijirou afferrarono saldamente le sue ginocchia e contò fino a cento per combattere il bisogno dentro di lui di prenderlo tra le braccia, affondare il naso nel collo del biondo e succhiare. Si concentrò sulla paura, su quell’odore amaro che sovrastava la dolcezza dell’arancia.

“A volte può essere evitato,” mormorò il biondo accanto al suo volto. “A volte si lasciano andare. L’unica cosa che sappiamo è che se noi ci rifiutiamo, ci faranno soffrire.”

“Cosa fanno a coloro che si rifiutano?”

“Vuoi fare quello che ha fatto il tuo amico?”

“Il mio amico?”

“Quello nella cella accanto alla tua, il biondo con la faccia arrabbiata.”

“Cos’ha fatto?”

“Ha urlato, morso e sanguinato. Ci sono storie della volta in cui si è spaccato la testa mentre la sbatteva contro il muro per resistere all’heat di un’Omega. È stato lasciato in pace, ma non c’è dubbio che prima o poi ci riproveranno.”

“Forse potrei...”

Il biondo si allontanò dal suo viso e lo guardò.

“Potresti.”

La sua espressione era un mix di paura e angoscia. Eijirou trattenne il desiderio di avvicinarsi e toccargli la guancia.

“A te cosa succederebbe?”

“Sopravviverei.”

Sorrise ed era un gesto di pura rassegnazione. Ricordò cosa gli aveva detto prima l’altro, “Prima attaccheranno te e poi verranno da me” e l’idea era insopportabile.

“Non voglio che ti facciano del male.”

Ci fu una pausa e sentì il biondo rilassarsi. “Allora facciamolo.”

Eijirou deglutì il sei sicuro? che stava per mormorare quasi di riflesso. Invece, disse:

“Almeno mi dirai il tuo nome?”

Invece di rispondere, il biondo gli fece mettere il bavaglio in bocca.





 

La verità era che quella non era la sua prima volta.

Ricordava ancora con emozione come aveva coperto di baci il complicato tracciato dei fiori che salivano dal collo alla guancia destra della sua migliore amica. Era stato divertente e stimolante, ma solo come qualsiasi altro Alpha fantasticava di andare a letto con un Omega. Aveva sognato di rimuovere le bende, aveva immaginato la sensazione di toccare, ammirare e inspirare l’intricato percorso dei fiori. Aveva immaginato di far scivolare le mani sul ventre caldo, baciare i fianchi pieni di fiori, o addirittura mordere gli steli che coprivano la pelle soffice del sedere. Era stimolante immaginare che tipo di petali crescevano in ognuno o in che parte di pelle c’erano più boccioli.

Nulla di tutto ciò. Non fu l’atto di fiducia reciproca, fedeltà e devozione che si era aspettato. Fu scomodo e travolgente. Lo tenne vicino ma non accarezzò né baciò la sua pelle. Inspirò l’aroma di arance, intossicante e delizioso, ma non gli leccò né morse la pelle a portata di mano. Non adorò il suo corpo né lo toccò fino a sentirsi soddisfatto, semplicemente lo tenne stretto mentre scivolava dentro di lui. E quando sentì il bisogno di mordere, serrò la mascella nonostante il bavaglio di cuoio in bocca.

A un certo punto l’olio nella lampada terminò e tornò il buio nella stanza. In quel momento l’Omega si staccò subito da lui e Eijirou emise un grugnito spaventoso. Il silenzio divenne assoluto, non riusciva nemmeno a sentire l’Omega respirare, come se avesse paura di muoversi.

“Mi dispiace,” mormorò Eijirou non appena riuscì a controllarsi abbastanza da rimuovere il bavaglio.

L’Omega avanzò e gli sussurrò vicino all’orecchio, “Possono ancora sentirci.”

Eijirou ne capì gli effetti e si maledì. Si sdraiò per terra non appena sentì le mani dell’Omega muoversi sulle gambe. Gemette quando le sentì sulla sua erezione e dovette mordersi le nocche per non commettere una sciocchezza.

Almeno in quell’occasione riuscì a finire.





 

L’Omega restò con lui per quelli che sembrarono giorni. Ogni tanto portavano del cibo e olio per la lampada, ma l’Omega ne controllava l’esatta quantità da mettere così da ottenere un po’ di privacy. Quando tornava il buio, l’Omega lo aiutava a finire con le mani o con la bocca.

Se la lampada era accesa, chiacchieravano. Altrimenti cercavano di dormire separati. Era una situazione estenuante e la frustrazione di Eijirou cresceva di giorno in giorno; e non era il solo perché sentiva che l’Omega iniziava a mostrare segni di insoddisfazione. Finché un giorno, in cui il corpo di Eijirou si rifiutava di collaborare, l’Omega si fermò all’improvviso, completamente esausto, ed emise un suono basso, come un singhiozzo tormentato. Era quasi inudibile, ma Eijirou lo sentì come un colpo fisico. Si mise subito in piedi e avvicinò le mani verso l’Omega. Lo tirò verso di sé e cercò di consolarlo come meglio poteva. Lo sentì tremare, ma stavolta non c’era odore di paura in lui, solo desiderio. Da vicino profumava ancora più deliziosamente. Sarebbe stato così facile dissetarsene completamente e farsi trascinare.

Gli istinti di Eijirou combattevano contro il suo autocontrollo. Fu anche peggio quando l’Omega affondò il viso nella curva del suo collo e dopo aver inspirato emise un sospiro pieno di desiderio. Eijirou voleva baciarlo e toccarlo. Voleva affondare dentro di lui e offrirgli tutto se stesso. Invece lo abbracciò, strofinò il viso contro il suo e lo toccò. Quando cercò di alleviare la sua erezione fu stupendo sentirlo affannarsi ma l’Omega piagnucolò e sapeva che il contatto non era abbastanza, così inserì le dita.

L’umidità, l’aroma, il peso dell’altro corpo contro il suo… l’insieme di tutto fu abbastanza per far riprendere il suo corpo dalla frustrazione. Quando l’Omega ricambiò il gesto e mise una mano sul suo membro, la sensazione fu completamente diversa. Eijirou lo strinse contro di sé mentre le sue dita affondavano in quel passaggio scivoloso.

Per la prima volta, i loro odori si intrecciarono e si diffusero nella cella coprendo ogni angolo. Arancia e zafferano. L’Omega gemette contro di lui e quando si mosse, il suo collo era scoperto. Più che vederlo, Eijirou lo sentì; vi poggiò la bocca e l’aroma in quel punto particolare era assolutamente squisito. All’Alpha venne l’acquolina e quando deglutì realizzò che i suoi denti erano pronti ad affondare e marchiare l’Omega.

‘Non il collo,’ pensò con l’ultima traccia di autocontrollo rimasto. Affondò i denti nella curva della sua spalla, lontano dalle ghiandole sul suo collo. Morse fino a farlo sanguinare, e subito dopo venne non appena sentì l’altro farlo.

Subito dopo fu tutto calmo.

“Grazie,” gemette l’Omega mentre Eijirou gli leccava via il sangue dalla spalla.

L’Alpha si limitò a stringerlo e a offrirgli conforto. Gli accarezzò la schiena e strofinò il viso contro il suo fino a sentirlo fare le fusa. Non ci furono parole né baci, solo compassione silenziosa. Restarono in quel modo, offrendosi conforto.

“Come ti chiami?” chiese a un certo punto Eijirou.

Ci fu una lunga pausa, finché non sentì un sussurro quasi inudibile.

“Denki...”

Eijirou assaporò il nome, coccolò il biondo e si addormentò accanto a lui.





 

Portarono via l’Omega poco tempo dopo quel giorno e lo lasciarono solo. Gli portarono cibo, acqua e una lampada che si assicurarono bruciasse sempre. Infine, lo drogarono di nuovo e lo fecero tornare con gli altri. Quando si svegliò, la prima cosa che vide fu il biondo nella cella accanto.

“Così sei tornato.”

Eijirou si alzò e andò a sedersi al muro più lontano, vicino alle sbarre che separavano entrambe le gabbie. Aveva mal di testa e si sentiva spregevole.

“Quanto sono rimasto lì?” Fu la sua domanda mentre si massaggiava la fronte.

“Un mese,” rispose l’altro, alzando le spalle distrattamente. Si mise seduto come lui, con le ginocchia alzate. Si teneva occupato strofinando tra le dita delle foglie secche per poi annusare la fragranza, ma a quella distanza Eijirou non era sicuro di che pianta fosse. “Ma potrebbe essere molto di più. In questo posto la cognizione del tempo è una merda.”

Eijirou fece un respiro lento e cercò di scrollare via la sonnolenza.

“Allora?” Chiese il biondo senza guardarlo.

“Allora cosa?”

“Ti hanno spezzato?”

Per Eijirou era difficile arrabbiarsi, così la frustata di pessimo umorismo che gli percorse il corpo fu totalmente inaspettata. Era incredibile che non riuscisse a proferire parola. Si prese un momento per studiare il suo animo; oltre al fatto che la luce gli feriva gli occhi e che il suo corpo risentiva della reclusione, il malessere che sentiva non era fisico. Si sentiva frustrato, arrabbiato e insoddisfatto. Gli ci volle un momento per capire che la ragione del suo fastidio era che non potesse distinguere l’aroma delle arance. Dopo essercisi abituato, era difficile viverne senza.

“In un paio di giorni il ricordo svanirà,” sentì qualcuno dire, anche se non riuscì a riconoscere chi.

“Perché?” Fu la domanda annegata che riuscì a formulare a denti stretti. “Perché… farci fare questo?”

“Non è ovvio?” Mormorò il biondo senza guardarlo, ma il suo sorriso indicava che lo considerava un idiota. “Controllo.”

“Ma ci drogano.”

“Con i dardi e quel dannato incenso.” Eijirou si trattenne dal fare domande sul secondo perché non voleva attirare l’attenzione. “Ma entrambi i metodi sono imperfetti.”

“Che vuoi dire?”

“Non capisci? Ciò che cercano è il vincolo empatico, il legame che si crea tra un Alpha e un Omega. Il rapporto che li lega nell’intimo. Incoraggiano la creazione del legame, in quel modo non hanno bisogno di celle per trattenerci perché hanno gli Omega in loro potere. Qualsiasi Alpha darebbe volentieri un arto per assicurarsi che il compagno sia al sicuro.”

Eijirou imprecò ad alta voce. “E poi? Cosa vogliono da quelli che si accoppiano?”

“Li portano via. Nessuno sa dove o perché, ma posso assicurarti che non è per farli vivere in libertà.”

“Pensavo che l’obiettivo principale dei rapimenti fosse il lavoro forzato.”

“Lavoriamo nelle miniere e sui pontili. Gli Omega ci lavano i vestiti e preparano il nostro cibo… ma quello è un modo per tenerci occupati. Lo scopo principale è un altro.”

“I nostri cuccioli?”

“No, se fosse così non si prenderebbero tutta questa briga. Pensaci. Incentivano il contatto, la familiarità, evitare lo stress. Non cercano di ingravidare gli Omega, vogliono che ci accoppiamo. Vogliono il legame. Non so perché, ma non ho intenzione di dargli quella soddisfazione.”

Eijirou lo studiò con attenzione. “Ho sentito che ti sei rifiutato di partecipare.”

“E ora mi lasciano in pace.”

“Mi hanno detto che non sarà per molto.”

Vide il biondo irrigidirsi, il corpo irradiare un muto avvertimento. Senza dire niente, strofinò con forza le foglie secche tra le dita fino a polverizzarle. Inspirò lentamente l’aroma e poi lo guardò. I suoi occhi lampeggiavano di una rabbia schiacciante.

“Possono provarci quante volte vogliono, non intendo partecipare ai loro giochi.”

“Non so come fai a dirlo. Stai condannando gli Omega a una sofferenza che potresti facilmente evitare.”

“Soffriranno comunque.”

“Forse se ti degnassi di parlarci, di chiamarli col loro nome, capiresti che c’è un modo per gestire la situazione.”

Il biondo gli rise in faccia. La sua risata era crudele e piena di disprezzo.

“Qui abbiamo due regole, rossiccio. Una è che non gli chiediamo mai il loro nome. Mai chiedere il nome a un Omega, è l’ultimo frammento di privacy che hanno. Non hanno nient’altro, non possono coprire i propri fiori, non possono scegliere, quindi tengono il proprio nome come l’ultimo tesoro rimasto. E rispettiamo quel desiderio.”

Il cuore di Eijirou si strinse in una morsa ferrea e sentì il sangue rombare nelle orecchie.

“E la seconda è che non ti azzardi a compatirli. Non osare dispiacerti per loro, perchè devono già sorbirsi abbastanza merda per farli anche vergognare di ciò che fanno. Non illuderti credendo di far loro un favore, sono loro che lo fanno a te. Se non vengono a letto con te, verrete entrambi malmenati, ma loro rischiano molto di più quando vanno a letto con un completo estraneo. Se manchi di autocontrollo o perdi la testa, condanni entrambi, te stesso e loro, a un destino ancor peggiore. Ma loro corrono il rischio, ti permettono di scegliere e non ti incolpano della tua scelta. Alla fine, se ci sei andato a letto e sei riuscito a trattenerti, per te la storia è conclusa. Congratulazioni. Ti rispediscono in cella, ti rimettono a lavoro, ma per loro non è così.”

“Di che stai parlando?”

“Oh, ti prego, non ho voglia di spiegare l’ovvio a un idiota.”

“No, aspetta, per favore… di che stai parlando?”

“Dell’ovvio. Non possono vedere i marchi sui colli degli Omega, non possono annusarli come noi, quindi hanno un solo modo per scoprire se c’è un legame o no.”

“Dolore,” mormorò Eijirou, notando la bocca secca.

“Quindi non sei stupido, beh, complimenti. Sì, prenderanno il tuo Omega e lo sottoporranno a uno stress test. Non lascia cicatrici, lo so, ma non credo sia nulla di piacevole.”

“Quindi loro...”

“Osservano te. Ti studiano, e se non reagisci allo stress dell’Omega, digrignano i denti e ci riprovano. Quindi goditi il tempo libero, rossiccio, perché ti assicuro che torneranno. Fortunatamente per te proveranno con un altro, e allora dovrai chiederti se riuscirai ad adempiere all’accordo...”

Il biondo si voltò per dormire. Eijirou si coprì gli occhi e cercò di calmarsi. Ricordava l’esperienza spaventosa di quando presero l’Omega, ma quello era tutto. Non poteva esserci il legame, l’aveva evitato a tutti i costi. Cercò di ripercorrere il tutto, cercò di concentrarsi, ma senza successo. Non riuscì a evitare di rievocare l’aroma dolce del succo, la sensazione dei denti che affondavano nella sua pelle e il ricordo vivido delle sue dita carezzarlo dentro.

Cadde in un sonno irrequieto, sognò di essere di nuovo in quella cella, al buio, ma stavolta non erano le sue dita ad affondare in quel passaggio umido con l’aroma di arance. Si svegliò e maledì l’eccitazione tra le gambe. Inspirò più volte, pensando a cose terribili per far abbassare la febbre. Quando ci riuscì, studiò la cella. C’erano un paio di lanterne vicino alle scale, che fornivano una piccola luce ed era senza dubbio notte perché il resto degli Alpha dormiva nei propri angoli.

Eijirou respirò e si riempì i polmoni dell’odore di reclusione. Quella notte non dormì, determinato a combattere l’aroma di arance. Curiosamente, il suo desiderio fu esaudito quando il giorno dopo lo spedirono nelle miniere e inspirò per la prima volta l’incenso che odorava di miele.





 

Eijirou tornò in sé ore dopo. Notò la fatica, i muscoli doloranti e la fame. Si avvicinò al vassoio col cibo e lo divorò, poi si sforzò di schiarire l’ultimo angolo della sua mente.

“Cos’è stato?” Fu la domanda che fece a voce bassa, anche se il silenzio del sotterraneo fece rimbombare fortemente il suono. Era notte, la prima dopo il suo incontro con l’odore di latte e miele. “Come possono? ...Come…?”

Il biondo nella cella adiacente si voltò, fu l’unico a dare segni di svegliarsi, gli altri restarono silenziosi. Per un secondo il biondo resto fermo, guardandolo, poi si avvicinò alle sbarre che dividevano le celle. Nonostante la semioscurità, Eijirou riusciva a vedere la tensione nelle sue spalle, la rigidità del suo collo, e rilevò l’inconfondibile odore di diffidenza e minaccia.

“Chi sei?” Chiese il biondo a voce bassa, piena di ferocia.

“Di che stai parlando?”

“La prima cosa che fanno dopo averti fatto scendere dalla nave è metterti in un sotterraneo con l’incenso. Non tutti sopravvivono.”

“Cosa?... Perché no?”

“Non è ovvio? Quella roba non è naturale. E come tale, non tutti reagiscono allo stesso modo. Alcuni vanno fuori di testa, e vengono portati via e altri semplicemente non sopravvivono. Il resto cade in una sorta di pilota automatico che ti lascia esausto, col mal di testa e la nausea

“Ma

“No. Ho risposto alla tua domanda e ora tu risponderai alla mia. Chi cazzo sei? Non ti hanno catturato, se così fosse saresti a conoscenza dell’incenso da quando sei arrivato. E non puoi essere un nuovo acquisto perché sei troppo vecchio. Scelgono sempre gente giovane, non più grande di quindici anni. L’unica opzione rimasta è che tu sia una spia, una loro spia.”

“Cosa?! No! Certo che no!”

“Se sei una dannata spia

“No! Ti ho già detto che non lo sono! Non è come pensi!”

“Davvero? ...beh, allora dimmi, chi sei?”

Eijirou brontolò ma si rassegnò, dopotutto era ora che le cose si smuovessero.

“Hai ragione,” mormorò, sedendosi accanto all’inferriata. “Non mi hanno catturato, ho chiesto di essere mandato qui.”

“Lo sapevo! Allora sei

“Non per loro. Mi ha mandato Todoroki-ouji.”

Il biondo borbottò. “Chi?”

“Todoroki-ouji, non lo conosci? ...Da quanto tempo sei qui?”

“Non sono affari tuoi. E no, non conosco il tuo principe.”

“È il figlio più giovane del re di Yuuei.”

“Per quel che me ne frega può essere anche il figlio del sole. Provengo dalle Isole Kohei, non abbiamo principi.”

Eijirou battè le palpebre, solo allora prestò attenzione allo splendido gladiolo rosso che cresceva da metà del suo petto al braccio dell’Alpha. Aveva sentito che nelle isole del sud i fiori esotici erano comuni tra la loro gente.

“Vabbè, come ti pare. Todoroki-ouji ha mandato me e altri tre per studiare le condizioni e la situazione delle due prigioni più vicine al confine. Era già stato tentato prima, senza un gran successo, ma stavolta avevamo un aiuto dall’interno; così abbiamo viaggiato lungo le coste del deserto Nomu e abbiamo abbandonato la nave vicino al confine per cercare il nostro contatto. Ci ha detto che per entrare avremmo dovuto fingerci prigionieri di un altro campo che erano stati trasferiti; a quanto pare era l’unica opzione.”

“Mi stai dicendo che sei entrato in questa gabbia di tua spontanea volontà?” La voce del biondo trasudava sarcasmo e scherno. “Davvero ti aspetti che ci creda?”

“Era l’unico modo.”

“Perché?”

“Perché sei mesi fa Todoroki-oo ha dato l’ordine di reclutare tutti gli Alpha e i Beta in età militare. È pronto a far partire una guerra.”

“Beh, è in ritardo. Questi bastardi hanno rapito la nostra gente per anni.”

“E ogni anno combattiamo per recuperarli. Assembliamo delle pattuglie per intercettarli, ma hanno imparato a piazzare delle esche. Cerchiamo di recintare le loro coste ma è inutile dato che non possiamo stabilire un blocco permanente. Abbiamo bisogno di un avamposto, ma è impossibile attraversare il deserto, non con le bestie che lo abitano, dev’essere fatto via mare e ci abbiamo provato. Abbiamo perso navi e uomini, più volte. Ora il re è determinato a inviare una flotta intera con l’intenzione di sopprimere i porti, ma Todoroki-ouji vuole impedirglielo.”

“Perché? A me suona più che sensato.”

“E lo è, se non ti importa delle perdite. Alcuni anni fa, ci fu un tentativo di mettere in salvo una delle fortezze vicino alla costa. L’obiettivo era stabilire un avamposto e difenderlo fino all’arrivo dei rinforzi, ma le truppe persero troppi uomini e alla fine dovettero ritirarsi; la cosa peggiore fu che i prigionieri vennero massacrati prima che la fortezza cadesse. In quel momento nessuno capì perché la nostra gente non lottò, ma ora capisco. Era l’incenso. Il re crede che sia stato un caso isolato, che non accadrà di nuovo, ma Todoroki-ouji non la pensa così. Per questo ci ha mandati con lo scopo di scoprire la verità.”

“E cosa pensi di fare ora che lo sai?”

“Mandare un messaggio. Le truppe del re attaccheranno i porti e i cantieri navali per primi, ma quando cercheranno di assediare le fortezze, ci farà uccidere tutti. Dobbiamo evitarlo.”

“Il tuo ragionamento è assurdo.”

“Ma

“Ma niente. Questa è la nostra opportunità. Quando il tuo re arriverà, noi saremo pronti.”

“È pericoloso, non possiamo rischiare le vite di tutti coloro che sono qui.”

“Le nostre vite sono già in pericolo. Questo è ciò che aspettavamo. Lascia che attacchino dall’esterno, noi li colpiremo dall’interno.”

“Chi—?

La domanda gli morì tra le labbra perché realizzò di avere l’attenzione di tutti gli Alpha nel sotterraneo. In ognuno di loro poteva sentire la sete di sangue, anche se nessuna di essa era intensa come quella che emanava il biondo. Eijirou non potè evitare di annusarla e infiammarsi.










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Bentornati, sono Tanuka! Ed ecco che abbiamo visto anche il punto di vista di Kirishima, ma quanto sono cuties i Kirikami <3 
Come sempre, grazie a tutti coloro che stanno leggendo questa fic, se potete lasciate un commentino o una critica, fa sempre piacere <3 

Alla prossima!

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Capitolo 5
*** Piani e Promesse ***


Capitolo 5 - Piani e Promesse










 

Mandò giù i singhiozzi nonostante li sentisse accumularsi nel petto come granelli di sabbia e affondò il viso tra le ginocchia per nascondere le lacrime. Non poteva concepire l’idea di Katsuki perso nella tempesta. Era un’idea assurda. Un’idea impossibile. Izuku si abbracciò le ginocchia e strinse le caviglie fino a far diventare le nocche bianche. Il suo intero corpo era un nodo teso che tratteneva i singhiozzi che gli gorgogliavano in gola.

“Non fare il fifone.”

Aveva sentito Katsuki dirlo per la prima volta quando avevano quattro anni, mentre il biondo lo guardava dall’alto del ramo più basso di un albero. Izuku aveva protestato, cercando allo stesso tempo un percorso per poter salire. Aveva appena fatto due passi verso l’albero quando sentì un scricchiolio e Katsuki finì al suolo con un braccio rotto. Nonostante l’incidente, quella frase era diventata il personale motto di Katsuki. Accompagnato da un sorriso e un tono provocatorio. Presentava una sfida e alimentava la natura testarda di Izuku.

“Non fare il fifone.”

L’aveva sentito quando aveva avuto paura di imparare a nuotare. Non era bravo a galleggiare, ma Katsuki voleva mostrargli il nido di anatre su una delle piccole isole al centro. Katsuki che nuotava come se fosse per metà pesce, Katsuki che non smise di nuotare avanti e indietro per aspettarlo. Così Izuku aveva ingoiato la paura e l’aveva seguito. Il suo cuore aveva pulsato selvaggiamente per tutto il percorso, ma se ne dimenticò quando raggiunsero l’isolotto e trovarono diversi nidi di anatre, pieni di uova e piccoli anatroccoli. Izuku riuscì ad accarezzarne alcuni prima che una furiosa mamma anatra piombasse su di loro. Quando Izuku affondò e andò nel panico, fu Katsuki a prenderlo il braccio e tenerlo a galla. Gli aveva detto: “Sei proprio un fifone,” ma non lo lasciò mai andare e lo accompagnò per tutto il ritorno.

“Non fare il fifone.”

L’aveva sentito quando aveva avuto paura di tuffarsi in mare. Sua madre l’aveva avvertito delle possibilità di essere trascinato via senza riuscire a tornare a riva, ma Katsuki voleva mostrargli le fila di coralli e i pesci rossi. Katsuki che riusciva a immergersi e restare sott’acqua per minuti interi. Katsuki che non permetteva alla paura di fermarlo. Così Izuku fece orecchie da mercante agli avvertimenti della madre e cercò di immergersi con gli occhi aperti. Gli ci volle un po’ per abituarsi ma alla fine riuscì a star sotto a una discreta profondità e col tempo arrivò a trattenere il fiato per diversi minuti.

“Non fare il fifone.”

Aveva sentito quella frase più e più volte durante la sua infanzia. Quando rimasero intrappolati nella foresta nel bel mezzo di una tempesta, quando Katsuki decise di imitare gli adulti e saltò dal burrone sul mare, quando Katsuki lo difese da un cinghiale selvaggio. Quella frase faceva affrontare a Izuku la paura e gli aveva permesso di creare quei ricordi che lo avrebbero tenuto in vita.

“Non fare il fifone.”

Ricordò quella frase quando la nave affondò lasciandolo alla deriva. La ricordò quando dovette prendere tutto il suo coraggio per parlare al ragazzo dalla testa di uccello e la ragazza rana. La ricordò quando dovette cacciare per la prima volta senza l’aiuto di Katsuki. La ricordò per un anno intero, giorno dopo giorno e notte dopo notte, accumulando la forza per sopravvivere. La ricordò quando arrivò l’inverno e quasi morì di fame. La ricordò quando un serpente lo morse e dovette curarsi da solo. La ricordò quando cadde da una scarpata e stringendo i denti dovette raddrizzarsi la mano rotta. La ricordò quando arrivò la primavera e per la prima volta pianse di fronte al campo di fiori. La ricordò quando decise che sarebbe tornato a casa. La ricordò quando le sue mani sanguinarono dopo aver passato un giorno intero a tagliare e inchiodare il legno per la sua prima barca. La ricordò quando la sua prima barca affondò. La ricordò quando le due successive finirono allo stesso modo. La ricordò quando arrivò il suo primo heat e dovette sopportarlo da solo e senza aiuto. La ricordò quando il lavoro divenne schiacciante.

La ricordava ogni volta che guardava il mare. Ogni volta che fissava il cielo all’alba. Katsuki era con lui: rassicurante, lo spronava, non permettendogli di arrendersi. Viveva del suo ricordo giorno dopo giorno, desiderando di tornare a casa. Il suo unico desiderio era sentirlo ancora, poggiare la testa sulla sua spalla e respirare il suo profumo.










 

Izuku si svegliò quando sentì la nave oscillare. Il suo cuore si fece gelido quando notò le sbarre ed ebbe la visione del mare infuriato, venne assalito dal terrore di annegare, ma poi notò l’odore degli Alpha e ricordò tutti gli eventi del giorno prima. Si strofinò il viso, pieno di lacrime secche, e stiracchiò le gambe. Sentì delle urla sul ponte ma non vi prestò attenzione, invece chiuse gli occhi e rievocò il viso di Katsuki. Ricordava il sorriso. Gli occhi del colore del fuoco. Il profumo.

Legno e fumo nero.

‘No, non così.’ Izuku aprì gli occhi proprio nel momento in cui un suono spaventoso riecheggiò nel seminterrato. Tutto intorno a lui scricchiolava come un seme che viene schiacciato. Stavolta le urla che si sentivano da fuori erano molto più nitide. Gli Alpha che stavano dormendo si svegliarono e iniziarono a fare domande mentre gli altri cercavano di capire cosa dicessero le voci sul ponte.

“Fuoco,” disse una voce nella stanza e Izuku riuscì a sentire l’odore di legno bruciato.

Gli inconfondibili suoni di una lotta riempirono l’aria e accesero l’impazienza degli Alpha. Il seminterrato si riempì di voci agitate, domande secche, supposizioni e Izuku tentò di seguire la conversazione, ma l’odore lo distraeva. Sentiva il fuoco e non potè non ricordare cosa accadde anni prima in una situazione simile. Non riusciva a smettere di immaginare l’acqua invadere la stanza, ricoprendo il resto dei suoi compagni.

Tornò alla realtà quando un uomo scese giù nel deposito, o meglio quando un uomo cadde dalle scale, la sua testa colpì per terra producendo un eco atroce e rimase a faccia in giù, incosciente. Ci furono colpi, grugniti e all’improvviso cadde un altro uomo, solo che lui riuscì a rialzarsi in tempo, giusto per intercettare l’attacco del Beta che lo inseguiva. I ragazzi ruggirono dalla frenesia quando l’uomo dai capelli neri attaccò. Aveva due spade corte che roteava a una velocità impressionante, si muoveva con grazia ed era assolutamente letale. Riuscì a ferire il nemico tre volte prima di squarciargli il collo.

Subito rivolse la sua attenzione all’uomo per terra e quando lo voltò l’uomo lasciò una scia di sangue sul legno scuro. Il Beta imprecò sottovoce.

“Prema la ferita,” disse quasi di riflesso Izuku e sussultò quando l’uomo lo guardò. Aveva profondi occhi neri incorniciati da delle azalee viola che fiorivano sulla sua guancia sinistra e crescevano sulla tempia e la fronte. Senza dubbio rafforzavano la naturale autorità del suo sguardo.

Izuku restò fermo sotto la sua analisi, anche se per un momento si sentì nudo. Prima che potesse contorcersi dall’agitazione, il Beta si alzò in piedi, prese le sue spade e colpì quattro volte la serratura della cella prima che il lucchetto cadesse.

“Puoi aiutarlo?” La sua voce era calda e profonda, senza la minima nota di agitazione.

Izuku deglutì la paura e si mosse, le gambe molli a causa dell’odore degli Alpha mischiato alla presenza autoritaria del Beta. Restò in silenzio mentre controllava la ferita, un taglio profondo a livello delle costole, e un grosso ematoma sulla fronte. Non appena posò gli occhi su di lui, Izuku si dimenticò della paura, dell’ansia di sapere di essere osservato e del dolore, la mente che semplicemente faceva una rapida analisi. Gli prese il polso, valutò la profondità della ferita e si assicurò di esercitare abbastanza pressione da non aggravare la situazione.

“È una ferita profonda ma la lama è stata deviata verso l’esterno,” disse a voce alta e si voltò verso il Beta che lo fissava. “Dovrò mettergli dei punti, ho i materiali tra le mie cose, ho anche un composto che eviterà le infezioni e un altro che diminuirà il gonfiore del colpo.”

“Le tue cose?”

“Sono in qualche sacco di iuta. Le hanno messe in due grandi borse quando hanno assalito la mia barca. Penso le abbiano lasciate sul ponte.”

Il Beta annuì, prese due degli Alpha più adulti, diede a ognuno di loro una spada ordinandogli di liberare gli altri e restare in guardia in caso ci fossero problemi e poi salì le scale con la grazia di un felino.

Con le mani bagnate di sangue caldo, Izuku lottò contro il panico.

Non fare il fifone.

Mandò giù le lacrime. Katsuki aveva ragione. Non era il momento di scoppiare a piangere… Prese un gran respiro e si voltò verso l’Alpha più vicino a lui.

“Ho bisogno di acqua e bende, o qualcosa di simile.”










 

C’era voluto tempo, giorni di incessante persecuzione, e tantissimo lavoro di squadra perché la Flotta acchiappasse la sua preda. Nonostante gli avvertimenti del capitano, Shouto aveva reclutato se stesso con l’equipaggio per combattere, l’unico consiglio del suo maestro fu: Evita di perdere la testa o io perderò la mia. Lungi dal darla per scontata, Shouto notò la sua preoccupazione; e almeno era riuscito a contenerla.

“Todoroki-ouj

“Per l’ultima volta, Tenya, stiamo viaggiando in incognito, chiamami Shouto.”

Il Beta accanto a lui si sbracciò agitato.

“Sire! Non potrei mai

“Smettila di urlare o attirerai l’attenzione. E se proprio non riesci a chiamarmi per nome, almeno evita i titoli.”

“Molto bene, sire.” Shouto si contorse al tono formale. “Volevo solo dirle che considero estremamente pericoloso che voi partecipiate a questo assalto. Il capitano si è raccomandato che voi foste al sicuro in cabina, accanto al timoniere.”

“Il capitano ha senza dubbio le migliori intenzioni, ma da quel che vedo avranno bisogno di tutto l’aiuto possibile per assicurarsi la vittoria.”

“Rischiare la vostra vita...”

“Non vorrai ricominciare da capo, vero Tenya?”

“No, sire. Perdonatemi, sire.”

Shouto attese in silenzio gli ordini del capitano.

Non appena la nave nemica fu a portata, gli arcieri scoccarono frecce verso la vela maestra e quasi contemporaneamente gli altri accesero i loro cannoni. Il capitano attese il contrattacco e rispose alla stessa maniera. Fortunatamente uno dei colpi raggiunse l’albero maestro che crollò sul ponte causando un rumore spaventoso.

Quando le due navi furono alla stessa altezza, vennero gettate le corde e iniziò l’abbordaggio.

Shouto saltò dietro il suo maestro e prese subito posizione accanto a Tenya. Il suo compito era evitare che il nemico avesse accesso alla loro nave, così stettero fianco a fianco e difesero il territorio tagliando, accoltellando e scansando. Lo scontro in prima linea fu sanguinoso, ma non ci furono problemi. Shouto non sentiva alcun rimorso per i corpi caduti. Lottò con agilità e destrezza, non faceva due passi se ne bastava uno e si assicurò che i suoi attacchi fossero letali.

Quando il combattimento terminò, aveva il corpo ricoperto da un sottile velo di sudore, il viso macchiato di sangue e sentiva le braccia pesanti. Solo allora notò i tagli sui vestiti e sul collo, tutti insignificanti.

“Sire!” Esclamò Tenya non appena vide le sue condizioni.

“Aiuta il capitano con l’incendio, Tenya, io cercherò Aizawa.”

Si spostò senza dargli il tempo di rispondere. Si allontanò dai cadaveri e trovò il suo maestro in ginocchio vicino a un ammasso di sacchi legati al corrimano.

“Sei sopravvissuto.”

“Non sembri sorpreso.”

“Se lo fossi, non ti avrei permesso di venire.”

In quel momento il capitano si materializzò accanto a loro.

“E gli Alpha?”

“Sani e salvi,” fu la risposta secca.

“Bene, abbiamo poco tempo prima che l’incendio divampi. Sono pieno di cose da fare, le provviste, l’incendio, le armi… dov’è Hizashi? Ho bisogno che ispezioni le cabine.”

“È ferito. L’hanno pugnalato ed è svenuto.”

“Dannazione! ...beh, puoi occuparti di far uscire tutti i prigionieri?”

“Lo farò.”

Si alzò portando due sacchi e Shouto lo seguì. Si affrettarono a scendere, svoltarono a sinistra e subito incontrarono un’altra scala.

La prima cosa che Shouto notò appena fu di sotto fu l’odore: sangue, impazienza, minaccia, feci e angoscia. Storse il naso di riflesso e cercò di ignorarlo. Successivamente notò che tutti i ragazzi prigionieri erano in cerchio dandogli le spalle. Shouto li attraversò e restò in piedi mentre il suo maestro si inginocchiava.

Al centro c’era un ragazzo, più grande degli altri. Aveva le mani zuppe di sangue mentre metteva un laccio emostatico attorno al busto di Hizashi. Due ragazzi Alpha lo aiutarono a sollevare il corpo mentre lui lo fasciava con ciò che sembravano dei pezzi di lenzuola.

“La nave affonderà,” disse il suo maestro mentre porgeva i sacchi al ragazzo. “Sono queste le tue cose?”

“Eh? ...ah,” il ragazzo finì di sistemare le bende, si chinò per controllare il contenuto del sacco e annuì di nuovo. “Sì, sono queste.”

“Bene, ora dobbiamo andarcene da qui.”

“Oh...” Il ragazzo si arricciò un po’ sotto lo sguardo del suo maestro e nella cabina si diffuse una delicata fragranza di lavanda. Shouto non fu l’unico ad essere deliziato da quell’aroma.

“Posso spostarlo?” Chiese il suo maestro, spezzando l’improvviso silenzio.

“Devo… Devo ancora mettergli i punti.”

“Lo porterò sulla nostra nave e potrai farlo lì, d’accordo?”

“S-Sì… Faccia solo… Faccia attenzione alla ferita.”

Il ragazzo sembrò vergognarsi del suo consiglio perché evitò il suo sguardo e si strofinò il naso. Un naso delicato coperto di lentiggini.

“Shouto, aiutalo con le sue cose. Gli altri con me.”

Il maestro uscì e i piccoli Alpha lo seguirono. Quando il ragazzo fece per prendere uno dei sacchi, Shouto lo intercettò. Il movimento spaventò il ragazzo che ritirò la mano con un gesto nervoso. Il profumo di lavanda fuoriuscì con un’insolita forza.

“Odori di fiori,” disse Shouto senza pensare. Non era l’odore di un Alpha, quell’aroma poteva riempire l’intera cabina… ma non aveva le caratteristiche di nessuno degli altri.

“I-Io… lavoro con le piante. Preparo infusi e composti.”

Il ragazzo si chinò, prese l’altro sacco e se ne andò prima che Shouto potesse dire qualcos’altro.





 

Tutti gli adulti si concentrarono sul trasportare e pulire. Shouto lasciò le cose del ragazzo e tornò a spostare le provviste e le armi. Un paio di ore dopo urlarono tutti dalla gioia quando la nave nemica affondò con i cadaveri dei loro schiavisti.

Shouto guardò il mare finché non ci furono più bollicine sulla superficie, non provò pietà per nessuno di loro, né rimorso. Si chiese vagamente se sua madre avrebbe approvato il suo atteggiamento e il pensiero lo ferì. Per lottare contro la sensazione di fallimento andò in cerca del suo maestro.

Lo trovò nell’infermeria improvvisata. C’erano diversi feriti, molti con lesioni relativamente innocue. Shouto si mise a sedere accanto a Hizashi, e da lì osservò il ragazzo che profumava di fiori pulire e curare le ferite con un’efficacia sorprendente. Era rapido e metodico, ma si imbarazzava ogni volta che uno dell’equipaggio gli faceva un complimento. Il cambiamento avveniva talmente velocemente da essere divertente da guardare: applicava l’intruglio che odorava di aloe con un’espressione concentrata e tenace, bendava con le mani agili e quando l’uomo in questione gli diceva qualcosa il ragazzo torceva le mani e arrossiva timidamente.

Shouto non si stancò di assistere alla stessa sequenza più e più volte. C’era qualcosa di estremamente divertente nel mondo in cui il suo viso abbronzato si tingeva di un rosa delicato mentre sorrideva nervosamente.

Infine tutti i feriti vennero curati e gli unici rimasti nella cabina furono i tre pazienti più gravi. Hizashi era l’unico ancora incosciente.

“Si riprenderà,” disse sommessamente Shouto quando vide Tenya avvicinarsi con del cibo per loro.

Il suo maestro non rispose, invece fece segno al ragazzo.

“Cibo,” disse, e Shouto vide l’altro esitare prima di avvicinarsi.

“Grazie, ma loro,” fece segno ai due feriti. “hanno bisogno di mangiare per primi.”

Prima che qualcun altro potesse dire altro, arrivò un altro marinaio con del cibo per i suoi due compagni. Senza ulteriori scuse, il ragazzo si strofinò le dita e farfugliò qualcosa prima di prendere posto.

“Grazie.” Accettò la carne secca, il pane e l’acqua. Mangiò senza guardare nessuno e Shouto stava per fare una domanda quando il suo maestro parlò per primo.

“Come ti chiami?”

“Midoriya. Izuku Midoriya.”

“Io sono Aizawa. Questi due sono i miei allievi, Tenya e Shouto.”

“Piacere.”

“Che ci facevi sulla nave?”

“Eh?”

“Che ci facevi sulla nave? Di solito non rapiscono Alpha sopra i quindici anni.”

“Non sono un Alpha.”

Gli occhi di Shouto restarono fissi sulla benda sporca che gli copriva la caviglia. Quando il ragazzo la premette contro di lui, Shouto alzò lo sguardo per incontrare due occhi di un verde straordinario. In un attimo di attenzione, Shouto prese nota del profilo delicato, delle lentiggini che gli coprivano il naso e sfumavano intorno agli occhi, notò che le ciglia erano di un verde scuro, quasi nere, e la bocca delicata come il bocciolo di un fiore.

“Un Beta?” Chiese Tenya, riportando Shouto alla realtà.

“S-Sono un guaritore,” disse il ragazzo mentre pettinava indietro le ciocche di capelli verdi, verdi come le foglie che crescono all’ombra.

“Sei troppo giovane,” disse Aizawa, imprimendo nella voce il tono di autorità che Shouto conosceva bene. Era un tono che non funzionava con lui, ma era eccellente per addestrare un Beta sotto la sua tutela. Tuttavia, il ragazzo si irrigidì come se fosse stato sgridato e tornò l’aroma di lavanda. Denso e forte, mischiato con l’odore di aloe e camomilla.

“Non ho finito il mio addestramento.”

“Perché?”

Shouto guardò il suo insegnante con la coda dell’occhio, domandandosi il perché dell’improvvisa severità nel suo tono, ma mise da parte quel quesito quando guardò di nuovo il ragazzo e notò il suo disagio: le spalle irrigidite e le mani che contorceva nervosamente, mordeva il labbro inferiore mentre posava gli occhi sul suo maestro e subito distoglieva lo sguardo, come se non potesse affrontarne la fermezza.

‘Di certo non è un Alpha,’ pensò Shouto distrattamente, ma era raro che un Beta adolescente perdesse il proprio contegno davanti a quel tono. Era come se…

No.

Il ragazzo si arrese all’autorità del suo insegnante, Aizawa magari non era un Alpha ma di certo ne aveva addestrati parecchi e sapeva come predominare. Il ragazzo allontanò lo sguardo da lui e sollevò la maglietta all’altezza dello stomaco.

Non appena vide le bende, il cuore di Shouto vibrò nel petto come un uccellino impaurito dentro una gabbia.










 

Il silenzio si prolungò per quella che sembrava un’eternità. Izuku sentì la paura danzare dentro di lui e cercò di controllarla, ma era dannatamente difficile sostenere lo sguardo del Beta adulto. La sua espressione era severa e il suo odore così imponente che era fisicamente impossibile mentirgli.

Sentì uno dei ragazzi dire qualcosa. Il più alto dei due disse “Tu sei...” ma il resto della frase venne interrotta dal Beta adulto che rivolse la sua attenzione al ragazzo e Izuku ne approfittò per ricomporsi. Respirò lentamente e tenne le mani ferme.

“Come sei arrivato lì?” Fu la domanda successiva, meno severa della precedente, ma ugualmente risoluta. Izuku non perse tempo a mentire, abbassò la voce e guardò per terra.

“Qualche anno fa attaccarono il mio villaggio,” distratto, Izuku si strofinò il naso e spostò i capelli dal viso mentre gli raccontava del rapimento e del naufragio. Fece un breve riassunto della sua vita nelle terre nemiche e terminò dicendo, “Avevo programmato di attraversare il mare fino a raggiungere le coste di Yuuei. Da lì sarei salpato verso sud, verso le Isole Kohei.”

“Un viaggio impossibile,” disse il Beta più giovane.

Izuku alzò le spalle senza guardare nessuno, “Dovevo provarci”.

“Perché le bende?”

Izuku si massaggiò distrattamente il ginocchio della gamba bendata e guardò Aizawa.

“Perché volevo evitare di essere spedito con il resto degli Omega nel caso fossi stato catturato. Pensavo che il fiore li avrebbe ingannati, e che mi avrebbe dato il tempo di fuggire.”

“Un piano assurdo. Non rapiscono i Beta, solo Alpha e Omega.”

Izuku si accigliò. “No, non è vero. Rapiscono anche i Beta.”

“Chi te l’ha detto?”

“Sono le voci che arrivano.”

“Beh, sono sbagliate. Da quando sono iniziati i rapimenti ogni anno hanno mandato solo due navi. Sempre. Hanno iniziato con una manciata qui, una lì e all’improvviso sono passati a gruppi più grandi. Due volte l’anno attaccavano le coste e rapivano Alpha e Omega allo stesso modo. Non hanno mai preso un Beta.”

“Perché li attaccano in mare. Molti uomini Beta sono mercanti e marinai. Da quello che so cercano barche facili da abbordare e poi li portano via. È quasi certo che molti credono che le loro sparizioni siano dovute a tempeste e serpenti d’acqua.”

Ci fu un lungo silenzio mentre le parole di Izuku si abbattevano sugli altri tre, il ragazzo fu sorpreso di vedere lo shock e lo stupore sul viso di Aizawa.

“Non lo sapevate?”

“Beta adulti?” Mormorò l’uomo, guardando l’Omega con un’espressione sorpresa. “Non ha senso.”

“Perché?” Chiese di rimando Izuku.

I tre si guardarono come se lui non ci fosse.

“Che succede?” Ripeté il ragazzo, cercando di ottenere la loro attenzione.

“Devo parlare con il capitano.”

Aizawa si alzò in piedi e Izuku indietreggiò per farlo passare. Non appena l’adulto sparì dietro la porta, il ragazzo si voltò verso gli altri due.

“Qual è il problema nel fatto che vengano rapiti anche i Beta?”

“Molta gente,” disse Tenya, “crede che usino gli Alpha come manodopera. Vengono rapiti da giovani per essere addestrati. Gli Omega sono destinati invece a servire come compagni.”

“E non è così?” chiese Izuku, guardando il ragazzo dai capelli blu.

“Il re crede di sì,” mormorò l’unico Alpha del gruppo. Izuku lo guardò e cercò di non agitarsi sotto il suo sguardo. Non solo era incredibile che i suoi occhi fossero di due colori diversi, ma il suo portamento e l’espressione urlavano autorità nonostante l’età. “Per lui, è l’unica spiegazione.”

“Cos’altro potrebbe esserci?”

Invece di rispondergli, l’Alpha disse, “Perché rapire i Beta adulti?”

“Per farli lavorare.”

“No, sappiamo che non ci sono Beta con il resto dei prigionieri.”

Izuku inclinò la testa, incapace di seguire il ragionamento dell’Alpha, ma quando l’altro si chinò verso di lui, Izuku si raddrizzò, improvvisamente cosciente dell’aroma di pino e muschio. Sapeva di primavera. Profumava come una foresta umida, familiare, fresca e tranquilla.

“Come fate a saperlo?” Chiese Izuku tirandosi istintivamente indietro, cercando di mettere un po’ di spazio tra lui e l’Alpha.

“Da quando sono iniziati i rapimenti abbiamo mandato delle spie nelle terre degli schiavisti. Sono tutte scomparse morte o catturate non ha importanza nessuno dei rapporti inviati menzionava la presenza di schiavi Beta.”

“Che vengano uccisi?” Chiese Tenya con un evidente sconforto.

“Dopo essersi presi la briga di rapirli?” Rispose l’Alpha prima di voltarsi verso Izuku, che cercò di non piegarsi davanti a lui. “Non riesco ancora a capire, perché un Beta e non un Alpha o un Omega?”

Izuku lo guardò in modo strano. “Di cosa sta parlando?”

“Perché mascherarti da Beta? Se avevi paura di cosa ti avrebbero fatto se avessero scoperto che eri un Omega, perché non fingerti un Alpha?”

“Perché gli Alpha vengono drogati.”










 

Shouto prese un profondo respiro per cercare di mettere ordine tra i pensieri. Si prese le tempie e appoggiò i gomiti sulle ginocchia. Tenya cerco di parlargli, ma gli fece gesto di tacere perché non voleva iniziare un interrogatorio senza il suo maestro, anche se era esattamente ciò che voleva.

Nell’attesa il Beta — no, l’Omega — si chinò per controllare il polso di Hizashi e andò a esaminare lo stato degli altri due pazienti. Tornò, finì di mangiare e restò fermo mentre si grattava distrattamente la cicatrice sulla mano destra.

“Che ti è successo?” Chiese d’impulso Shouto.

L’Omega lo guardò, era sorprendente che la stessa persona che momenti prima si dimenava dall’agitazione potesse guardarlo con un’espressione calmissima. I suoi occhi erano incredibilmente verdi, alla luce delle lampade il colore somigliava a quello del muschio inumidito dalla rugiada mattutina ed erano delimitati da quelle lunghe ciglia verdi ma che sembravano nere. Shouto lo fissò con una tale intensità che il ragazzo ebbe un sussulto nervoso e distolse lo sguardo.

“Una caduta,” disse sommessamente, accarezzando distrattamente la cicatrice. “Sono scivolato da una rupe e sono atterrato sulla mano. Sono finito con tre dita rotte, ma sono riuscito a raddrizzarle senza complicazioni.”

Shouto cercò di immaginarsi la scena, ma non ci riuscì. A sei anni si lussò la spalla cadendo dal suo primo cavallo e ricordava le urla mentre il guaritore cercava di rimettere a posto l’osso, rammentava che il dolore riempì ogni spazio nel suo cervello, evitandogli di processare qualsiasi pensiero coerente. Non poteva immaginare di curarsi da solo.

“E a voi?” La domanda lo sorprese e gli ci volle un momento per capire che l’Omega si riferiva all’ustione sul lato sinistro del suo viso.

Sentì la gola contrarsi al ricordo, ma prima che potesse dire qualcosa, Tenya intervenì.

“Che impertinenza.”

Indurì così tanto la sua voce che l’Omega si spaventò e dal suo viso scomparve tutta la simpatia, e premette le mani contro il corpo. Shouto si sentì in colpa e stava per ringhiare a Tenya quando finalmente tornò il suo insegnante.

“Cos’è successo?” Chiese subito l’Alpha.

“Ne parliamo dopo.”

“No, parliamone ora.” Si voltò verso l’Omega. “Digli cosa ci hai appena riferito.”

“Eh?”

“Digli della droga.”

Sentì il maestro irrigidirsi e tutta la sua attenzione si rivolse all’Omega.

“Quale droga?”

Shouto intervenì. “Dice che gli schiavisti drogano gli Alpha.”

“È la verità?” L’Omega annuì, guardandoli riluttante. “Come fai a saperlo?”

“La famiglia di Tokoyami — la persona che mi ha aiutato a tracciare la rotta per il mare —  viveva vicino alla fortezza del Generale. Suo padre lavorava come sentinella in una delle prigioni, e se ne andarono dopo la sua morte, ma comunque ricordava tutto ciò che gli aveva detto il padre. Fu lui a convincermi a fingermi un Beta. Mi disse che gli Omega sono i più controllati e che gli Alpha vengono drogati quotidianamente.”

Shouto si scambiò uno sguardo col suo maestro.

“Cos’hai detto al capitano?” Chiese.

“Niente,” il Beta si strofinò la faccia, cercando di alleviare gli occhi stanchi. “Gli ho chiesto di barche o navi scomparse.”

“E?”

“A quanto pare ce ne sono alcune, ma non così tante da attirare l’attenzione.”

Tenya scosse la testa, “Che significa?”

“Significa,” disse Aizawa, “che abbiamo un’altra questione da gestire. Perché i Beta adulti? In tutti questi anni sono stati presi giovani Alpha, gli Omega venivano rapiti indiscriminatamente, ma non hanno mai mostrato interesse verso i Beta. Quando hanno modificato il loro comportamento? E perché?”

“Ha importanza?” Chiese Tenya, socchiudendo gli occhi. “Voglio dire, ora abbiamo la risposta che stavamo cercando. Sappiamo che Todoroki-ouji aveva ragione ad ipotizzare che qualcosa avesse impedito agli Alpha di combattere in quell’occasione. Se la droga riesce a neutralizzarli, non importa se riusciamo ad assediare una prigione. Preferiranno massacrare i prigionieri piuttosto che lasciarli andare. Dobbiamo tornare indietro e riferirlo al re. Dobbiamo escogitare un piano che ci permetta di conquistare le prigioni senza far uccidere gli Alpha.”

“Non torneremo indietro,” ringhiò Shouto, scuotendo la testa. “Eijirou e il suo gruppo stanno aspettando che andiamo a prenderli.”

“Sempre se riescono a uscire,” mormorò Aizawa, incrociando le braccia. “Sapevi bene che non c’era alcuna garanzia.”

“Il tuo contatto—”

“Il mio contatto è stato chiaro. Poteva aiutarli a farli entrare, ma uscire è un altro discorso. L’obiettivo principale era evitare lo stesso disastro accaduto anni fa.”

“Eijirou è un tuo allievo.”

“Ed è consapevole delle sue responsabilità.”

“E si fida di noi. Avevamo deciso di andare a prenderlo.”

“Avevamo deciso che ti avrei lasciato venire a condizione che saresti rimasto sulla nave mentre io cercavo il contatto, in nessuna occasione ti ho permesso di venire con me.”

“Non mi interessa il tuo permesso. Eijirou e gli altri fanno parte della mia guardia, non intendo abbandonarli.”

“Eijirou sapeva che se non fosse riuscito a scappare avrebbe dovuto attendere l’arrivo della flotta del re e anche allora non c’era alcuna garanzia che l’esercito del re avrebbe riconquistato la prigione. Sapeva che la sua missione principale era ottenere informazioni e inviarcele. Ha preso la sua decisione consapevole dei rischi che correva.”

“Non posso credere che lo abbandonerai lì.”

“Ci sono delle priorità. Dobbiamo avvertire il re di questa situazione. Dovrà cambiare i suoi piani e noi dovremo ottenere più dettagli riguardo la droga se vogliamo combatterla.”

“Allora torna da mio padre. Io manterrò la mia parola.”

“Non farlo.”

“Che importanza ha che io torni? Al vecchio non importerà, lo sai bene quanto me. Tu hai più possibilità di convincerlo a cambiare idea. Se io arrivo e gli dico di fermare l’attacco, la prima cosa che farà sarà dirmi di smettere di fare il codardo ed essere di esempio a tutti. Non servirei a niente.”

“Non servirai a niente nemmeno da morto.”

“Non morirò. Troverò il tuo contatto e forse potremo escogitare una via d’uscita per far uscire Eijirou e il resto dei prigionieri.”

“Ma ti senti?” Aizawa scosse la testa incredulo. “Finirai solo col farti uccidere, o peggio catturare.”

“In quel caso, forse mio padre vorrà fare un vero sforzo per recuperare i prigionieri.”

“Shouto—”

“Sai che ho ragione. Sai che mio padre intende concentrarsi sul distruggere i porti e attaccare le forze del Generale. La sua priorità non sono i prigionieri. Non c’è bisogno che tu lo dica, è più che ovvio. Se riesce a liberarne alcuni, tanto meglio, altrimenti potrà sempre dire di averci provato.”

Aizawa allargò le braccia, confuso.

“No, no e no… È una follia, come farai ad affrontare una droga che non conosci o hai mai visto?”

“Eijirou lo saprà.”

“E sarà nella stessa situazione con te.”

Shouto scosse la testa, prese un gran respiro e fissò il suo insegnante.

“Non chiedermi di abbandonarli.”

“Non è colpa tua.”

“L’hanno fatto per me.”

“Non hai obbligato nessuno.”

“Hai mai contraddetto mio padre?”

“...tu non sei lui.”

“Ed è la ragione per cui siamo qui.”

Aizawa chiuse gli occhi, si grattò la guancia e iniziò a maledire il giorno in cui si era affezionato a quel gruppo di bambini rumorosi.

“Sii ragionevole, Shouto, cos’hai intenzione di fare? Vuoi entrare in un’area sconosciuta, che nessuno di noi conosce, cercare la prigione che trattiene Eijirou, e poi? Come farai a entrare? Come farai a uscire?”

“Hai sempre detto che dovremmo reinventarci.”

“Non usare le mie parole contro di me.”

“Forse non conosco il posto, ma troverò la strada.”

“Scusate,” entrambi furono sorpresi dalla voce intervenuta, si erano dimenticati dell’Omega ancora presente. “So dove si trovano tutte le fortezze del posto.”

Silenzio. Shouto riascoltò la frase fino a capirne il senso.

“Come?” Chiese Aizawa severamente.

“Tokoyami mi ha fornito una mappa dettagliata dell’esercito. Se mi fossi dovuto avvicinare alla costa, almeno avrei saputo quali zone evitare.”

“Hai con te quelle mappe?”

“No, sono rimaste sulla mia barca, ma le ho imparate a memoria. Ho memorizzato le ubicazioni di tutti i villaggi e dei posti di guardia.”

Shouto sorrise e guardò il suo maestro, che brontolò.

“C’è ancora il problema della droga.”

“Beh...” Intervenì l’Omega prima che potesse farlo Shouto e quando entrambi si voltarono verso di lui, il ragazzo arrossì. Shouto fu sorpreso quando l’Omega si spostò i capelli dietro l’orecchio, era un’ossessione che aveva ripetuto almeno cinque volte per tutto il tempo in cui avevano chiacchierato.

“Sai anche come neutralizzarlo?” Mormorò Aizawa, impaziente.

“Uh… no… Non so di cosa si tratta, ma Tokoyami mi ha detto che viene sparsa nell’aria, quindi prima di partire ho preparato una partita di lozioni. Abbiamo ipotizzato che nel caso l’avessero usata contro di me, forse avrei potuto combatterla usando un pezzo di stoffa impregnato di profumo. Come quando si usa un fazzoletto bagnato per evitare l’intossicazione da fumo.”

Shouto e Aizawa parlarono contemporaneamente. “Geniale.” — “Assurdo.”

“In ogni caso,” borbottò l’Omega, cercando di ignorare la tensione tra i due, “non è una soluzione permanente, ma se funziona ci darà un margine di vantaggio.”

“Sì, lo farà.” Sorrise orgoglioso Shouto e quel gesto fece arrossire l’Omega.  Sempre sorridendo, il ragazzo si voltò verso l’insegnante. “Suppongo che non ci siano più scuse.”

Aizawa si passò una mano tra i capelli, chiaramente frustrato.

“Hai intenzione di trascinarlo in questa assurdità?” Indicò l’Omega e per la prima volta, Shouto tentennò.

Guardò l’Omega, indeciso, ma il ragazzo fece qualcosa di straordinario. Sorrise per la prima volta da quando si erano incontrati. Era splendido, timido e affascinante.

“In realtà, sono io a voler offrire il mio aiuto,” disse il ragazzo senza esitare.

Il silenzio si diffuse mentre i tre lo guardarono sorpresi, alla fine fu Aizawa a chiedergli ciò che tutti stavano pensando, “Perché?”

Quel meraviglioso sorriso si cancellò improvvisamente, spento come la fiamma di una candela. Tra le sopracciglia si formò una piccola ruga e gli zigomi impallidirono. Gli occhi vagarono per la stanza, come alla ricerca di qualcosa, ma era ovvio che il ragazzo non fosse più lì, vedeva qualcosa al di là di tutti loro. Un ricordo. Un desiderio. Qualunque cosa fosse, ebbe la forza di trasformare un meraviglioso fiore in una foglia appassita.

Alla fine, il ragazzo si porto le mani al viso e tirò indietro i capelli, tornando lentamente alla realtà. Quando li guardò di nuovo il suo viso era la fotocopia della tristezza.

“Se sapessi che un mio amico è prigioniero, anch’io farei tutto il possibile per salvarlo.”








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Bentornati, sono Tanuka! Perdonate il ritardo nell'aggiornare ma ho avuto un periodo pienissimo tra lavoro, febbre, impegni vari(?) ma rieccomi! Allora, che ne pensate di questo capitolo? Pian piano si sta preparando tutto per il grande (ri)incontro e io non vedo l'ora <3 Come sempre grazie mille a chi legge, a tutti quelli che hanno messo questa storia tra le seguite, preferite, ricordate e ovviamente a chi lascia una recensione, siete dei budini adorabili <3 Se avete piacere seguitemi sul profilo Instagram https://www.instagram.com/tanukaship/ che ho aperto per parlare di questa storia e della mia passione per i manga e gli anime <3 Oppure mi trovate su Twitter come @tanukao
Alla prossima!

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Capitolo 6
*** Nostalgia ***


Capitolo 6 - Nostalgia





 

Izuku appoggiò la fronte sul corrimano e trattenne il lamento che minacciava di trasformarsi in lacrime dentro di lui. Recentemente aveva preso l’abitudine di camminare sul ponte e ammirare il mare. Preferiva farlo prima di andare a dormire, perché quando lo faceva sognava di una cella sott’acqua e del corpo di Katsuki che si sgretolava tra le dita. Non riusciva a smettere di ricordare quel giorno, non riusciva a smettere di immaginarsi il piano inferiore pieno d’acqua.

‘E se non l’avessero preso? Se l’avessero lasciato indietro?’ Ma era un pensiero sciocco e ne era consapevole. Era un sogno immaturo, così chiuse gli occhi e cercò di aggrapparsi all’unica cosa che gli era rimasta.





 

Izuku aveva deciso di organizzare la sua prima gita per raccogliere ingredienti senza dirlo ai suoi genitori perché la madre era solita soffrire d’ansia ogni volta che lui si allontanava troppo. Aveva pianificato tutto e preparato per tempo la sua borsa da viaggio, aveva il percorso da seguire e si era assicurato di fare una lista di tutte le piante da raccogliere.

Quel giorno si alzò presto, lasciò un biglietto per dire ai genitori che sarebbe tornato per cena e si allontanò a passo spedito verso la foresta. Non si aspettava di trovare Katsuki, sbadigliante mentre gironzolava ai limiti del villaggio.

“Kacchan!” Corse verso il biondo e sorrise non appena gli fu di fronte, “Che stai facendo?”

“Mi congelo, ovviamente. Perché ci hai messo tanto?”

“Scusa! ...non sapevo che mi stessi aspettando.”

“Hm.”

“Che ci fai qui, Kacchan?”

“Hai parlato per giorni di questa gita, Deku.” Sbadigliò di nuovo, prese la sua borsa e gli diede le spalle. “Sarà meglio che ne valga la pena.”

Izuku sorrise e lo seguì.

La verità era che era finita per essere ben lontana dalla gita perfetta. Era l’alba, ma il sole non si vedeva, solo nuvole grigie che coprivano il cielo. Non riuscirono a trovare nemmeno metà delle piante della lista, per poco non caddero in una palude e dovettero scappare da un nido di vespe; ma in cambio giunsero in un campo pieno di denti di leone, sguazzarono in uno stagno cercando di acchiappare delle ninfee, videro da lontano un’orda di cinghiali selvaggi coi loro cuccioli e mangiarono sotto un cielo grigio mentre facevano a gara a chi riconosceva più uccelli solo sentendone il verso canterino.

Per Izuku, quel ricordo era luminoso e senza tempo. Ricordava che quando iniziò a piovere dovettero ripararsi sotto dei tronchi secchi. Ricordava che Katsuki mise delle foglie per terra, si sedette e fece spazio tra le sue gambe. Izuku si era appoggiato a lui, avvolto dal calore del suo corpo e dall’odore di legno. Restarono lì, chiacchierando a voce bassa, mentre la pioggia si riversava su di loro.

Ci fu un momento in cui Izuku notò la cicatrice sul pollice di Katsuki. Era nuova perché non ricordava di averla mai vista prima, così si allungò per toccarla. Fece scorrere la punta dell’indice dal piccolo segno fino al centro del pollice.

“Quando te la sei fatta?” Chiese, ammirando la consistenza delicata della pelle, scorrendo il dito lungo il pollice, avanti e indietro fino a raggiungere il polso.

“Circa una settimana fa, quando ci stavamo allenando coi coltelli corti.”

Izuku annuì e fece per ritirare la mano, ma Katsuki la prese e con la punta delle sue dita gli accarezzò le nocche. Il gesto lo fece sorridere e inconsciamente si accoccolò, sistemando la fronte sulla spalla dell’amico. Katsuki rispose stringendo di più il suo abbraccio e appoggiando la guancia sulla sua testa.

In quel momento Izuku sapeva, e non c’era bisogno di domande o parole per capire che anche Katsuki lo sapeva.





 

Quello era il ricordo che lo feriva di più. La promessa di cosa sarebbe potuto essere, di cosa non poteva più essere.

Non fare il fifone.

Il ricordo della sua voce e del suo eterno sorriso inclinato. Era tutto ciò che aveva adesso.










 

“Chi è il ragazzo?”

Shouto alzò lo sguardo dalla mappa aperta per terra e guardò il capitano, che — con le mani sui fianchi — teneva gli occhi fissi sul suo maestro.

“Quale ragazzo?”

“Non fare il furbo con me, Aizawa. Che ci faceva un Omega su quella nave?”

“Se ti fossi preso la briga di chiederglielo, sapresti che l’hanno catturato in mare. Non credo sapessero che è un Omega.”

“Non mi sono preoccupato di interrogarlo perché non credevo fosse necessario. Ho supposto che se ci fosse stato qualche problema, tu me l’avresti detto immediatamente.”

“Ha creato qualche problema?”

“Non credo di doverlo dire esplicitamente, no? L’odore di lutto del ragazzo si sente su tutta la nave. Magari pensi che abbiamo il naso tappato, o forse che siamo degli idioti, ma è impossibile che tu non l’abbia notato. I cuccioli Alpha continuano a inseguirlo come api sul miele, e per tutte le bestie del mare! Persino il mio equipaggio ha iniziato a notarlo.”

“Agli occhi di tutti lui è un Beta.”

“Ammetto che il suo odore non è riconoscibile da subito, ma non puoi coprire il sole con un dito. Se andassi un momento fuori vedresti un gruppo di quei ragazzi guardarlo come se fosse un cucciolo ferito. Li vedresti portargli del cibo, ti faresti due risate ai loro tentativi di approccio, è nella loro natura desiderare di far sparire quell’aroma. E il peggio è che i miei uomini iniziano a fare domande, e sanno meglio di chiunque altro che un Beta non può avere quell’odore.”

“Molto bene, risolverò la questione.”

“E devi farlo adesso, non ho bisogno di una manciata di cuccioli Alpha che fanno a botte per lui.”

Il capitano se ne andò e Shouto guardò il suo insegnante prendere un respiro calmo. Lo vide massaggiarsi la testa, così restò in silenzio e aspettò che parlasse.

“Il ragazzo ti ha detto qualcosa?”

“Non c’è bisogno che mi dica nulla.”

Aizawa si accigliò e Shouto cercò di spiegare.

Aveva visto per caso il quaderno, quando una notte si era alzato per andare in bagno. L’aveva trovato per terra accanto alla testa dell’Omega addormentato e la sua prima reazione fu di raccoglierlo per non pestarlo. Aveva intenzione di rimetterlo tra le cose del ragazzo, ma pensò alle mappe perdute e voleva assicurarsi che non ci fossero delle copie nascoste.

Non era un album vero e proprio, piuttosto un insieme di fogli liberi tenuti insieme da un nastro. Quando lo sciolse, i fogli si gonfiarono, come se avessero vita propria. In alcuni trovò schizzi maldestri e brevi descrizioni di piante di cui Shouto non conosceva l’esistenza, ma il resto del quaderno era pieno di immagini dello stesso fiore. Dozzine di scarabocchi stipati in un unico foglio, e in altri un solo fiore al centro, rosso e brillante. C’erano fiori di tutte le dimensioni. Alcuni erano stati dipinti con talmente tanto colore che la carta si era raggrinzita, e altri non erano colorati affatto, ma le pennellate degli schizzi erano spesse, decise e quasi ossessive. Ce n’erano alcuni con la pittura che colava e altri apparentemente non terminati.

Ed erano tutti simili. Avevano tutti la stessa forma, piccoli fiori accumulati su uno stelo. Uno stelo allungato, robusto alla base e sottile sulla punta, come se fosse una spada. E a prescindere dalla dimensione o dal colore, traboccavano tutti della stessa forza impulsiva. Shouto non aveva bisogno di chiedere chi fosse il proprietario del fiore, non aveva bisogno di conoscerne il nome o la storia per capire chi fosse. Bastava osservare l’espressione dell’Omega quando li guardava.

“Non puoi negargli il suo lutto,” mormorò Shouto con un sospiro stanco.

“Non sarò così crudele, ma dovremo allontanarlo dagli altri.”

“Lascia che venga con me.”

Il suo maestro ringhiò. “Dimmi la verità, hai intenzione di portare un Omega sul campo di battaglia?”

Shouto si agitò sul posto. La sua prima reazione, quella naturale, fu di dire di no. Certo che no, agli Omega non era permesso partecipare a degli scontri. Se il ragazzo avesse avuto quell’odore allora sarebbe stato tutto più facile, non ci sarebbero state discussioni e le cose sarebbero state chiare; ma la verità era che ogni giorno aveva un odore diverso. Profumava di lavanda e gelsomino, aloe e verbena. Ogni volta che gli era vicino, gli veniva difficile ricordare perché non potesse portarlo a terra con lui.

“Non lo porterò in combattimento,” disse Shouto, ripetendo l’argomento detto dozzine di volte da quando il ragazzo aveva offerto il suo aiuto. “Ma non puoi minimizzare il fatto che lui conosca i nostri nemici. Ha pensato a un modo per contrastare la droga, e se funzioni o meno è tutto un altro discorso, ma è il meglio che abbiamo ora. Non miro ad attaccare la prigione, mi concentrerò su Eijirou e gli altri, ma dobbiamo verificare che questa idea possa essere messa in pratica.”

“Non credo che tu capisca cosa mi stai chiedendo. Vorresti che lasciassi il figlio del mio re nelle terre nemiche, accompagnato da un Omega incapace di combattere.”

“Se ti viene più comodo, posso ordinartelo.”

“Moccioso viziato,” borbottò Aizawa.

“Quali altre opzioni abbiamo? ...Hm? Tra tutta la corte di mio padre, tu sei l’unico che ha mostrato interesse nel salvare i prigionieri. Lo fai per tuo nipote, ma ci sono anche altre famiglie che aspettano il ritorno a casa dei loro ragazzi. È per questo che siamo qui. Mio padre non ha abbastanza informazioni per effettuare un salvataggio efficace, e nemmeno gli interessa. Se l’Omega può aiutarci, forse dovremmo tentare.”

Aizawa scosse la testa, “Me ne pentirò.”

“Se ti preoccupa tanto, ti prometto che manderò indietro l’Omega non appena avremo verificato la sua teoria. Senza coinvolgerlo nel combattimento.”

“...Uh ...mi stai facendo venire il mal di testa. Beh, d’accordo, vai e portalo da Hizashi. Io cercherò Iida.”

Shouto non obiettò, si alzò e si allontanò.

Trovò l’Omega sul ponte, seduto coi piedi che dondolavano fuori bordo. C’era una manciata di cuccioli Alpha che gironzolavano nelle vicinanze, senza dubbio cercando una scusa per avvicinarsi. Vide anche una coppia di membri dell’equipaggio curiosare non troppo lontano, e tutti si fecero tesi quando Shouto si avvicinò al ragazzo.

“Aizawa vuole vederti,” mormorò dolcemente, tenendo una rispettosa distanza di tre passi.

Il ragazzo alzò la testa e lo guardò. Shouto si irrigidì.

Aveva sentito che il lutto di un Omega fosse uno spettacolo devastante, simile o peggio del vedere un Alpha in stato selvaggio, ma sentirne parlare era completamente diverso dal vederlo accadere. La sua postura urlava abbandono e l’aroma di aloe — nonostante fosse artificiale — trasportava l’odore di lutto e tristezza, e non c’era dubbio che dopo averlo inalato la reazione di un Alpha fosse inconscia: conforto e protezione. Solo allora capì l’urgenza del capitano. Di quel passo un sacco di cuccioli avrebbero desiderato eliminare quell’odore, anche non conoscendone la causa, il che sarebbe senza dubbio sfociato in una disputa territoriale.

“Gli ho detto tutto ciò che so,” disse il ragazzo, strofinando il viso contro il metallo freddo del corrimano. “Ho disegnato le mappe che mi ha chiesto, gli ho riferito migliaia di volte tutto ciò che mi ha detto Tokoyami e tutto ciò che ho visto nel periodo in cui ho vissuto lì. Cos’altro vuole?”

La frustrazione si irradiava da lui come onde grigie. Shouto riusciva a resistergli, ma i cuccioli che li fissavano si agitarono sul posto, sospettosi e impazienti. Non c’era dubbio che se non l’avesse portato dentro, avrebbe dovuto affrontare l’istinto territoriale dei ragazzi.

“Si tratta di Hizashi. Ha avuto una ricaduta.”

La bugia funzionò, il ragazzo si raddrizzò, all’erta e in guardia. Lo osservò alzarsi senza dire niente e facendogli strada. Quando arrivarono alla cabina l’Omega si fermò vedendo Hizashi sveglio e sorridente. Si voltò subito verso di lui con un’espressione incerta.

“Dovevo farti venire quaggiù,” disse con un cenno di rimorso, “ma non potevo obbligarti o ci sarebbero stati problemi.”

Lo sguardo che ricevette gli confermò che l’Omega non era consapevole degli occhi che seguivano ogni sua mossa. Shouto si trattenne dal fare commenti e indicò semplicemente il retro della cabina. Erano solo in cinque, dato che gli altri due si erano ripresi abbastanza da poter tornare a lavorare.

“Ora che ci siamo tutti,” disse Aizawa mentre presero entrambi posto sul letto di Hizashi. “Domani arriveremo a Hosu. Il piano era sbarcare e cercare il nostro contatto. Se i nostri uomini fossero riusciti ad arrivare lì sarebbero stati con lui, altrimenti l’idea era di tornare alla nave e rientrare dal re. Questo era il piano, ma le cose sono cambiate. Se quello che ci ha detto Midoriya è vero, siamo in svantaggio. Non sappiamo se le droghe usate nella prigione possono essere usate in battaglia, e se così fosse le nostre truppe rischierebbero di cadere in una trappola.”

“Ed è per questo che è di vitale importanza che il nostro re venga a conoscenza della situazione il più presto possibile,” mormorò Tenya con un’espressione severa.

“Lo so, dobbiamo tornare indietro, ma se lo facciamo è molto improbabile che riusciremo a liberare i prigionieri. Sappiamo tutti che non sono la priorità del re.”

Tenya iniziò a protestare ma fu abbastanza per il suo maestro per alzare la mano e metterlo a tacere.

“Vuoi davvero farlo?” Chiese Aizawa, guardando l’Omega.

“Se posso aiutare, lo farò. Ho perso i miei amici quando la nave è affondata, ma non posso voltarmi e fingere che sia tutto come prima.”

“Hai intenzione di correre il rischio perché pensi di poterci aiutare o perché sei in lutto e non ti importa cosa ti accade?”

Il ragazzo si irrigidì, deglutì rumorosamente e si prese un momento per ricomporsi. Poi si raddrizzò completamente e strinse i pugni.

“Voglio aiutare, so di poterlo fare.” Onestà, fermezza e determinazione.

Aizawa si massaggiò il setto nasale, “Se fossi nelle mie mani ti riporterei indietro. In qualsiasi altra situazione mi rifiuterei categoricamente di permettere a un Omega di stare qui, ma in guerra ci sono eccezioni.” Prese un respiro profondo e guardò ognuno di loro, uno per uno. “Le cose sono cambiate e dobbiamo agire di conseguenza. Le truppe di Yuuei non sono abbastanza per affrontare l’alleanza tra i due regni, quindi questo è il piano: io tornerò dal re per esporre la situazione e cercherò di coordinare le nostre forze. Shouto e Midoriya sbarcheranno domani quando toccheremo terra, cercheranno il contatto e scopriranno tutto ciò che possono riguardo la droga e come neutralizzarla. Shouto,” il suo maestro spostò gli occhi su di lui. “So che vuoi liberare Eijirou e gli altri, ma al momento l’obiettivo principale è trovare un modo per contrastare la loro arma. Osserva, ascolta e sii paziente.”

“Solo loro?” Chiese Tenya senza riuscire a trattenersi, “Non posso permettere—!”

“Non puoi andare con loro, Tenya, perché ho un’altra missione per te. Viaggerai con noi fino alla vetta e sbarcherai per dirigerti a nord. Ho bisogno che tu visiti le tribù barbare delle montagne. Devi parlare con i loro leader e spiegargli la situazione meglio che puoi, e convincerli a combattere in questa guerra.”

“Il re non lo accetterà mai,” mormorò Tenya, scuotendo la testa. “Considera Toshinori Yagi come suo nemico.”

“Yagi non è più il capo, ora lo è il giovane Togata.”

“Anche così l’ostilità resta comunque.”

“Non chiederai il loro aiuto in nome del re, lo farai in nome di Shouto…. Saranno i suoi rinforzi.”

“Ma non possiedono le navi per giungere lì.”

“Non ne hanno bisogno. Conoscono il deserto come il palmo della propria mano, sanno come sopravvivere ed evitare le bestie che lo abitano. Quando la flotta del re si muoverà avremo bisogno di supporto a terra e gli unici che possono attraversare il deserto sono loro, capisci quanto è importante?” Tenya restò in silenzio, teso e all’erta, “La tua missione è ottenere l’aiuto per Shouto per salvare i prigionieri e far partire un’offensiva da terra.”

Tenya annuì.

“Posso andarci io,” disse Hizashi mostrando un ampio sorriso. “Lascia che il ragazzo accompagni il nostro—”

“No,” lo interruppe Aizawa, voltandosi verso di lui. “Ho del lavoro anche per te.”

“Davvero? ...quindi mi hai lasciato per ultimo di proposito.”

“Abbiamo bisogno dei guerrieri delle isole meridionali, sono i migliori combattenti tra la nostra gente. Dobbiamo riunirli se vogliamo impedire alle armate di Hosu e Overhaul di coglierci di sorpresa.”

“Se non sbaglio, il re ha cercato di reclutarli. Ha inviato degli emissari al consiglio e loro hanno rifiutato.”

“Il nostro re non ha coltivato i migliori rapporti con i nostri fratelli del sud.”

“Parli del disastro di un paio di anni fa, vero?”

“Quale disastro?” Chiese Tenya quando vide l’insegnante annuire.

“Il Massacro degli Alpha,” rispose Shouto e Aizawa annuì.

“Dovevamo ottenere navi e rinforzi, per assediare una delle fortezze. Il salvataggio fu una loro idea e intendevano offrire la loro vita in quella battaglia. Riuscirono a vincere ma il prezzo fu troppo alto e il re offrì la resa. Non volevano andarsene, volevano difenderla fino all’arrivo dei rinforzi, ma il re minacciò di abbandonarli lì. Così se ne andarono tutti. Dopo quel fatto i rapporti diplomatici si freddarono, ma penso che se spiegherai loro che la nostra missione è di liberare le fortezze, accetteranno di combattere. Dopotutto, il loro desiderio più grande è sempre stato quello di recuperare i loro ragazzi.”

“D’accordo, lo farò.”

“Molto bene allora.”

Aizawa fece segno ai suoi allievi di voler parlare in privato e mentre si allontanavano, Hizashi si voltò verso l’Omega.

“Vuoi che recapiti un messaggio a casa?”

Shouto non riuscì a sentire la risposta, ma lo vide alzarsi per sfogliare il suo quaderno.










 

Era la giornata di sole, o almeno così la chiamava Katsuki. Il giorno in cui veniva permesso loro di salire in superficie per distendere i muscoli e immergersi nella calda luce del mattino.

Erano sempre in piccoli gruppi, da cinque a otto, non più di dieci. Andavano verso i campi di allenamento, da cui le sentinelle li osservavano con gli archi pronti, tesi e in guardia nella zona dei parapetti. Per Katsuki era diventata un’abitudine guardarsi intorno quando arrivava. Aveva perfezionato la sua tecnica di osservazione senza attirare l’attenzione. In silenzio, contava il numero di soldati — per stabilirne lo schema —, memorizzava le loro facce — in caso fossero familiari — e le armi, che erano sempre tenute con un’apparente indifferenza.

Una volta aveva tentato di arrampicarsi ed era finito con una freccia piantata nella schiena. La ferita non fu fatale, ma venne punito per mesi ininterrotti. Da allora, Katsuki osservava e aspettava. Sapeva che l’unica via d’uscita era saltare oltre il muro, raggiungere i parapetti e scappare. Nella sua mente aveva fatto innumerevoli simulazioni, più e più volte. Il problema era che non sapeva cosa ci fosse là fuori, non sapeva se il muro avesse la stessa altezza dall’altra parte, non sapeva se dall’altro lato c’era un precipizio o un campo sterminato o una foresta che offrisse protezione. Aveva considerato tutte le opzioni, ciò che mancava era l’opportunità. Quindi Katsuki si godeva l’aria aperta.

Si tolse i pantaloni e si stiracchiò come un gatto al sole.

Ignorò le sentinelle che stavano come statue di marmo, ignorò gli Omega che prendevano il sole nell’altro angolo del campo. Ignorò i suoi compagni di cella che ne approfittavano per sentire la terra sotto i piedi nudi. Katsuki assunse la posizione del loto, schiena dritta, braccia ai lati. Lasciò che la luce gli riscaldasse la pelle, respirando aria fresca e pulita. Il calore di quel giorno lo fece assonnare. Sognò.





 

Katsuki seguì la vaga traccia di menta nella foresta. Si fermava ogni momento per assicurarsi che stesse andando nella giusta direzione e imprecava quando l’aroma lo portava in una zona paludosa, un’area che gli adulti avevano severamente proibito. Katsuki ringhiò tra i denti, “Che diavolo stai facendo, Deku?”

Continuò ad avanzare con tutti i sensi all’erta. Trovò l’Omega con il suo album di piante, inginocchiato davanti a un cespuglio di bacche. Il sollievo che sentì fu paralizzante, sorrise e si prese un momento per riprendere fiato e nel frattempo ne approfittò per apprezzare le spalle strette, la schiena incurvata e la linea della colonna disegnata sulla pelle liscia; ma i suoi occhi si fissarono inevitabilmente sulla fila di bende che spuntavano dai pantaloni marroni.

A quell’età aveva iniziato a sognarne.

La sua distrazione durò un momento, perché quello dopo con la coda dell’occhio noto l’ombra alla sua destra e prima di accorgersene si stava muovendo più veloce che poteva. Le gambe lo spinsero in avanti e allontanò Izuku dalla strada della manticora. Si rotolarono l’uno sull’altro finché Katsuki non riuscì a raddrizzarsi. Prese il braccio di Izuku e cercò di trascinarlo via, ma il ragazzo si voltò e lo tirò nella direzione opposta.

“Che stai facendo?!” Urlò Katsuki mentre l’animale riprendeva posizione e li guardava.

“I miei libri!” Rispose Izuku indicando la borsa lasciata accanto al cespuglio.

Katsuki imprecò ma si mosse lo stesso, evitò un enorme artiglio dalle unghie affilate e rotolò fino a raggiungere lo zaino abbandonato. Lo afferrò per il manico, lo fece girare e lo lanciò verso l’Omega.

“Scappa!” Urlò mentre evitava un altro artiglio e cercava di mettere spazio tra lui e l’animale.

Katsuki analizzò la situazione. La bestia era molto più grande di lui ed era impossibile affrontarla a mani nude, quindi l’opzione più sensata era battere in ritirata. Sapeva che l’animale avrebbe smesso di inseguirli se fossero usciti dal suo territorio.

L’animale attaccò e Katsuki lo evitò, fece una finta verso destra ed emise un ringhio minaccioso mentre rilasciava feromoni di avvertimento. L’animale ruggì di rimando, ma Katsuki non si lasciò intimidire, invece fece due passi a lato cercando di posizionarsi il più vicino possibile alla via di fuga. La bestia capì le sue intenzioni perché prima che potesse finire di avvicinarsi quella accorciò le distanze, interponendosi tra lui e la strada di ritorno. Non appena lo vide abbassare il capo, preparando le zampe posteriori, Katsuki seppe che non ne sarebbe uscito illeso del tutto.

“Bah, non importa,” si disse freddamente, sarebbe stata un’altra cicatrice che intendeva portare con orgoglio. Katsuki si preparò per l’attacco e contemporaneamente tenne conto dei possibili risultati.

Nello stesso momento accaddero diverse cose.

La bestia saltò e Katsuki si ritirò e scattò verso sinistra notando che uno degli artigli gli aveva graffiato il braccio. Sentì il bruciore della ferita e strinse i denti. Quando l’animale atterrò uso la forza del rimbalzo per girarsi verso di lui. Katsuki si preparò per il secondo attacco, che non arrivò mai perché all’improvviso una macchia offuscata si sfasciò sul muso della manticora, colpendo efficacemente uno degli occhi.

L’animale ruggì e Katsuki batté le palpebre vedendo Izuku in piedi a pochi passi da lui. Il viso pallido e gli occhi grandi tremavano di paura. La bestia scosse la testa e la borsa rimasta incastrata sul muso riversò tutto il suo contenuto al suolo.

Katsuki non perse tempo, a malapena ripresosi dalla sorpresa, si raddrizzò, prese Izuku per mano e corse nella direzione opposta. Non lo lasciò andare finché non raggiunsero la zona sicura, non lo lasciò andare nemmeno quando si piegò per prendere fiato.

Lo lasciò andare quando iniziò a urlare.

“Che diavolo stavi facendo!” Non c’erano parole per descrivere l’emozione che si muoveva dentro di lui. Rabbia, paura, angoscia. Si strinsero tutte insieme quando pensò a tutte le cose che sarebbero potute accadere. “Avevo tutto sotto controllo!”

“Ti ha ferito...” Disse Izuku con un sussurro che suonava più come un singhiozzo.

Solo allora Katsuki notò il sangue che gli colava lungo il braccio, facendo una smorfia alla ferita, bruciava troppo, significava che era solo superficiale.

“Non è niente!” Urlò, rifiutando di venire sopraffatto dall’odore di paura e tensione che proveniva da Izuku. “Ero pronto ad affrontarlo!”

Izuku si fece piccolo, ma non calmò Katsuki. Urlò fino a sentirsi stanco, gridò sperando di alleggerire il terrore che sentiva dentro. Non riusciva a smettere di pensare a quanto Izuku fosse stato vicino alla catastrofe.

“Ti sei quasi fatto uccidere!”

Le urla gli levarono l’ultimo ossigeno dentro di lui e per un momento si sforzò di riprendersi, ma prima che potesse continuare il suo discorso Izuku gli strinse le braccia attorno alla vita e appoggiò la testa sulla sua spalla. La sensazione del suo corpo freddo contro il suo gli diede la stabilità di cui aveva bisogno. Izuku lo strinse forte e quando lo sentì tremare Katsuki reagì inconsciamente. Inspirò il suo profumo — paura e menta — lo avvolse tra le sue braccia e appoggiò la testa sulla sua fronte.

Solo allora Katsuki trovò finalmente la calma. Il suo terrore diminuì perché Izuku era lì. Era lì e stava bene. Riusciva a sentire il cuore che batteva contro il suo a un ritmo sfrenato e angosciante. Sentì le lacrime sulla sua spalla.

“Non fare il fifone,” borbottò, affogando nell’aroma che l’Omega emanava e cercando di offrirgli conforto. “È solo un taglietto.”

“Pensavo… Pensavo...”

“No, non hai pensato. Che diavolo ci facevi lì?”

Gli ci volle un momento ma Izuku riuscì a mandare giù il resto della lacrime per rispondergli.

“Mi sono distratto cercando un cespuglio di more.”

Katsuki si spostò e lo colpì sul naso con la punta dell’indice.

“Per questo ti accompagno sempre, Deku.”

“Non puoi venire sempre con me.”

“Posso e lo farò… e la prossima volta non sognarti nemmeno di intrometterti nel mio combattimento.”

“Ma Kacchan! ...ti avrebbe ucciso.”

“Chi è che stai chiamando fifone, eh?”

Gli fece il solletico e Izuku rise. Il suono lo fece sentire meglio, quindi continuò finché Izuku non fu per terra, ridendo da morire. Katsuki si fermò e fissò il suo viso adorabile, arrotondato e affascinante. Le ciglia umide di lacrime, le guance tonde e la bocca morbida. Gli occhi di Izuku si colorarono di un verde molto intenso, come il muschio scuro, fresco e vellutato.

“...ti ho visto morto.” Mormorò Izuku, perdendo il sorriso.

“Ora mi arrabbio di nuovo,” rispose senza malizia, accarezzandogli i capelli verdi. Il taglio sul braccio aveva smesso di sanguinare e ora bruciava soltanto. “Oltretutto, mi hai fatto tornare indietro per i tuoi libri e poi li hai persi di nuovo, ma che ti è preso?”

Il broncio che mise su Izuku fu adorabile.

“Di libri posso farne altri,” mormorò a bassa voce, “...ma di te ce n’è uno solo.”

Katsuki rise. Non ebbe bisogno di sentire altro, fu abbastanza vedere l’espressione di quegli occhi verdi. Il pensiero lo fece sorridere, gli gonfiò il cuore di energia e sicurezza.

“Andiamo… Devo pulirmi questa. Poi chiederò a mia madre uno dei suoi coltelli e torneremo per le tue cose.”

“No! E se quella cosa è ancora lì?”

“Per questo ci vado, Deku. Non gli permetterò di farti del male.”

Lo fece alzare e lo riportò al villaggio.





 

Il ricordo fu amaro. Aveva giurato di prendersi cura di lui e aveva fallito. Era stato debole, inutile. Aveva permesso loro di portare via Izuku.










 

Eijirou non potè fare a meno di deprimersi.

Erano già passati due mesi dal suo arrivo e iniziava a sentire il peso della reclusione. La routine era monotona, castrante, spaventosa. E il peggio era l’incenso. Forse perché non era abituato come gli altri, ma non riusciva a smettere di avere mal di testa, non riusciva a dormire, e a volte si svegliava in preda ad attacchi di panico. Iniziava a sentire le pareti schiacciarlo. Non aiutava il fatto che non riuscisse a smettere di pensare a Denki. A volte lo vedeva quando portava la colazione, ma andavano sempre a rotazione e non c’era modo di parlargli.

Il giorno che uscì come gli altri per prendere il sole fu come aprire la finestra di una stanza stantia. L’odore del campo, il calore del mattino, tutto rilassò il suo corpo fino a trovare una posizione comoda per terra e restò lì, facendosi accarezzare dai raggi del sole.

Con la coda dell’occhio vide il biondo spogliarsi, lo vide fare esercizi. Lo vide sonnecchiare al sole e approfittò dell’attimo di calma per studiarlo con attenzione. Il fiore sul suo braccio e sul petto era straordinario, alla luce naturale splendeva di un colore scarlatto, sottili linee verdi si allungavano sul braccio evidenziando i tricipiti. Nonostante la reclusione il biondo era rimasto in forma. Tutto l’insieme — i muscoli delle spalle e delle braccia, la vita sottile, la pancia piatta e le gambe toniche — attiravano l’attenzione degli Omega sdraiati nelle vicinanze.

Aveva visto il ragazzo allenarsi nella sua piccola cella. Piegamenti, flessioni, addominali e tutta una serie di esercizi di riscaldamento. Quello che lo sorprese, a parte la disciplina, era l’energia che traboccava. L’ossessione. Aveva notato che la depressione era piuttosto comune, c’erano giorni in cui molti cercavano di dormire fino all’ora di andare a lavoro, giorni in cui nessuno voleva parlare. Il biondo non sembrava depresso, lui si allenava. Non faceva amicizia con nessuno, ripeteva solo sequenza dopo sequenza finché non aveva il corpo fradicio di sudore. Dopo il lavoro, passava un’ora a massaggiarsi i muscoli esausti, lavandosi e riposando.

Teneva un assoluto controllo del suo corpo, e Eijirou capiva il perché. Era l’unica cosa che potesse controllare. ‘Non sempre,’ disse una piccola voce dentro di lui rievocando l’aroma di arance. Il ricordo lo fece deprimere di nuovo, perché ad essere onesto era stato a un passo dalla catastrofe. Sarebbe stato così facile farsi trascinare… e a volte sognava di farlo. A volte sognava di tornare nella cella sotterranea e fare quello che l’istinto gli diceva di fare.

Eijirou ringhiò tra i denti e si raddrizzò. Nello stesso momento il biondo scrollò via la sonnolenza. Lo vide stiracchiare il collo e le braccia. C’erano momenti in cui lo vedeva rinunciare alla solita smorfia irascibile e acquisiva un’aria malinconica. Erano pochissimi e sporadici, quasi sempre dopo essersi appena svegliato, e sparivano a una velocità impressionante.

Mentre rifletteva sulla questione, il biondo si alzò e assunse una posa da combattimento. Ginocchia piegate, braccia distese, gambe aperte. La postura gli era familiare e la studiò con attenzione. Vedendolo muoversi, la sensazione di familiarità aumentò: Un piede avanti, lentamente, piegato in avanti, sostieni le dita come prima cosa, alza indietro la gamba, bilancia il peso, mantieni la posizione…

“Per caso conosci Aizawa?” Chiese sommessamente Eijirou, guardando la posizione dei piedi, il modo in cui li muoveva e inevitabilmente ricordò la voce del suo maestro.

I piedi si fermarono e Eijirou alzò lo sguardo verso quegli occhi rossi.

“Chi?”

“Shota Aizawa. È il mio maestro, lo conosci?”

“No.”

Riprendendo il movimento, con una voluta lentezza, spostò il peso da una gamba all’altra, cambiando il baricentro dal piede al ginocchio alla vita.

“Wow… che strano. Il mio maestro mi ha insegnato quello stile di combattimento… beh, anche se ci sono delle differenze. Lì, quello che hai appena fatto, è diverso. Dovresti stendere il braccio per dare un pugno mentre ti giri, e non dovresti—”

“Chiudi il becco!” Il biondo terminò la sua routine e gli lanciò un’occhiataccia. “Di che diavolo stai parlando?”

“Quella tecnica viene insegnata alla guardia del re. Il mio maestro, Aizawa-sensei, l’ha imparata dai guerrieri del sud, si è allenato con loro quando aveva… Oh! ...tu sei del sud! Sei stato addestrato alla capitale?”

“No.”

“Chi era il tuo maestro?”

“Mia madre.”

“Tua ma—? Wow! Chi è tua madre?”

“Che ti frega?”

“Sono curioso… È un Alpha?”

“Sì, lo era...” Borbottò il biondo, alzando le spalle mentre riprendeva la posizione.

Replicò la sequenza fino alla fine e poi ricominciò. Eijirou lo guardò attentamente e anche se c’erano delle differenze, la familiarità della situazione lo riportò al palazzo.

Lo riempiva di nostalgia.





 

Dopo dodici settimane di reclusione e nessuna risposta dall’esterno, Eijirou iniziò a rendersi conto dell’enormità della sua situazione. Il suo insegnante l’aveva avvertito del pericolo, gli aveva detto che c’era la possibilità che non potessero farlo uscire prima dell’arrivo delle truppe del re, ma comunque non riusciva a liberarsi dell’impazienza.

Contò i giorni, aspettando una risposta dall’esterno.

Al terzo mese esatto dal suo arrivo, la storia si replicò, solo che stavolta Eijirou era uno spettatore. Dalla sua cella vide le guardie spostare due Alpha privi di sensi e cercò di non contorcersi dall’agitazione. Era così distratto che gli ci volle un momento per notare il soldato che si fermò con discrezione accanto alla sua cella. Non appena lo notò si mise in guardia, ma l’altro si guardò semplicemente intorno prima di gettare quello che sembrava un piccolo tubo, non più grande di un dito.

Eijirou reagì immediatamente. Allungò le gambe e sotto vi nascose il cilindro. Il soldato se ne andò senza guardarlo. Coi cappucci che indossavano era impossibile distinguere gli uni dagli altri, ma Eijirou cercò di ricordarne l’altezza e la forma del corpo.

Con il cuore che batteva a mille, Eijirou dovette stare fermo finché i soldati non se ne andarono coi due prigionieri. Non appena il suono dei passi sparì, il biondo fu subito alle sbarre fissandolo con un’intensità schiacciante. Evidentemente aveva notato lo scambio.

Il tubo era in realtà un pezzo di carta arrotolato. Era spesso come il suo pollice e lungo come metà del suo mignolo. Quando lo aprì, Eijirou si imbatté nella delicata calligrafia del suo principe. Era scritto in codice così ignorò lo sguardo incendiario del biondo e si prese un momento per tradurre il testo.

Quando terminò, restò in silenzio e cercò di assimilare il tutto.

“Cosa dice?” Ringhiò il biondo impazientemente.

Eijirou non esitò nemmeno, le parole uscirono da sole.

“Todoroki-ouji è qui.”

Il biondo disse qualcosa ma Eijirou lo ignorò, non riusciva a smettere di pensare al messaggio.

“Oh, per l’amor di…! Cos’altro dice?!

Eijirou scosse la testa. “Dice che la priorità del re non è recuperare i prigionieri. Dice che non verranno. Dice che siamo da soli… dice che mi tireranno fuori di qui.”

“Solo te.” La voce non conteneva né rancore né disapprovazione, ma quando lo guardò vide chiaramente del disprezzo.

Il biondo rise, ma prima che potesse allontanarsi Eijirou reagì, trattenendolo per il braccio.

“No,” disse risoluto. “No,” ripeté.

Voleva andarsene. Odiava quel posto. Odiava quell’incenso e il lavoro… ma il solo pensiero di andarsene senza di loro… Guardò gli Alpha addormentati, pensò a Denki. No, non poteva andarsene.

“Hai detto che quando sarebbe arrivata la flotta,” mormorò senza distogliere lo sguardo, “avreste attaccato dall’interno. Allora va bene. La flotta non arriverà, ma con l’aiuto dei miei amici, forse possiamo uscire di qui.”

Il sorriso che si allargò sul viso del biondo fu freddo e carnivoro.

Eijirou annuì. “Beh, ora dimmi, come posso inviargli un messaggio?”






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Bentornati, sono Tanuka! Non vi aspettavate un nuovo capitolo così presto, eeeh? In realtà è proprio per tenervi buoni dato che il 7 non arriverà a breve 
(⋟﹏⋞) Abbiate pietà della mia anima, cercherò di aggiornare il più presto possibile (╯°▽°)╯ Come sempre grazie mille a chi legge, chi commenta, chi segue, preferisce o ricorda, siete dei muffin ✿♥‿♥✿
Alla prossima!

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Capitolo 7
*** Nonostante la Paura ***


Capitolo 7 - Nonostante la Paura





 

“Ehi, dormiglione, è ora di alzarsi.”

Denki brontolò, ma la voce era insistente e gentile; notò le dita che gli accarezzarono dolcemente i capelli con enorme affetto. Alla fine si arrese. Aprì gli occhi e trovò due laghi nocciola che lo guardavano. Batté le palpebre e si contrasse quando i muscoli del suo addome si strinsero.

“Ti fa ancora male?”

Si mise a sedere in silenzio. Erano passate due settimane da quando l’Alpha dai capelli rossi era tornato alle celle del resto del gruppo, ma solo sei giorni da quando lo avevano lasciato in pace.

“Andiamo, ti aiuto a lavarti.”

“Grazie, Ochako.”

La ragazza gli sorrise e lo aiutò ad alzarsi. Con la coda dell’occhio vide altri Omega nella stessa situazione; si muovevano lentamente mentre qualcun altro li aiutava ad andare in bagno. Vide anche alcuni materassi vuoti e storse il volto a ciò che rappresentavano.

“Quanti non sono tornati?” Chiese a bassa voce mentre si muovevano lentamente verso la porta.

“Sei,” mormorò Ochako, guardando per terra. “Magari torneranno oggi.”

Denki non si illuse, ma si tenne per sé il pessimismo. Il bagno era nella stanza a fianco, c’era un’area per i wc e dall’altro lato diversi enormi contenitori. Usavano le pompe a mano per avere l’acqua da una corrente sotterranea, il che d’inverno rendeva fare il bagno un incubo e in quei giorni si lavavano con delle spugne bagnate. D’altra parte, nel pieno dell’estate il bagno era l’unica cosa che riuscisse a mitigare il caldo incandescente, mentre nel resto dell’anno il freddo era vagamente sopportabile.

Con l’aiuto di Ochako si sedette su una delle panchine di pietra e lasciò che lei lo lavasse. Il silenzio era assoluto, non sentiva nulla al di fuori dell’acqua scrosciante e il sapone sulla sua pelle. Denki tremò a causa dell’acqua fredda, rabbrividì quando notò il sapone scivolare sui lividi dell’addome. Mentre Ochako si allontanò per prendere altra acqua, Denki si guardò. I segni coprivano la pancia e l’addome, il nero dei primi giorni aveva iniziato a svanire, per lasciar spazio a zone verdi e gialle. Provava ancora dolore quando faceva movimenti improvvisi, ma almeno riusciva a camminare.

Ochako tornò e Denki chiuse gli occhi, facendosi coccolare e cercando di liberare la mente da tutte le difficoltà attorno a lui. Ci riuscì, finché dei singhiozzi non spezzarono il silenzio del bagno. Quando aprì gli occhi vide Yui seduta sulla stessa panchina, la bocca tesa mentre cercava di affogare le lacrime. Denki vide le ferite sulle sue dita e i tagli sulle gambe.

Non aveva bisogno di chiedere per sapere che era stata appena fatta uscire, si chinò verso di lei e strofinò la fronte sulla sua spalla sottile. La persona dall’altro lato fece la stessa cosa e anche Ochako si unì a loro, l’atmosfera si riempì dell’aroma di sostegno, affetto e dolcezza che caratterizzano gli Omega quando sono insieme. L’aria trasudava di amore e compassione. Denki se ne immerse, consolandosi a vicenda in silenzio, offrendo il solo affetto che potevano.

Quando i pianti diminuirono, ripresero il bagno. Gli Omega feriti tornarono alle loro brande dato che di solito venivano dati loro quattro giorni per riprendersi. Mentre Ochako faceva il bagno, si vestì, anche se la parola non aveva alcun significato. Il suo abbigliamento consisteva semplicemente in un fundoshi che lasciava esposto il suo intero corpo per farlo vedere a tutti. Denki ricordava la vergogna e il terrore provati quando gli furono tolte le bende e venne obbligato a usare quella cosa.

Ora riusciva a usarlo senza tremare.

Bugiardo.

Sentiva ancora la vergogna ma era diventata una sensazione di routine. Allo stato attuale il suo istinto lo faceva contrarre quando aveva un Alpha vicino, e cercava di non guardarli mai negli occhi. Non voleva vederli osservarlo.

Una volta vestito, aspettò Ochako, che tornò nuda, asciugandosi con un coperta. La aiutò a indossare il sarashi e il fundoshi, poi tutti quelli che erano in condizioni abbastanza buone da muoversi si avvicinarono all’ascensore, portando tra le braccia i materassi in cui dormivano e le coperte.

Denki sbadigliò mentre il cigolio dell’ascensore risuonava sopra la sua testa. Gli Omega si allinearono in due file davanti all’unica uscita che c’era. Si sentì un tonfo e subito dopo il tintinnare delle chiavi e del lucchetto che si apriva. Le doppie porte si spalancarono, mostrando l’interno dell’ascensore con una guardia che fece segno al primo gruppo di salire.

Mentre il primo gruppo salì in superficie, Denki si grattò distrattamente la spalla. Toccò per sbaglio il morso ancora presente e spostò le dita come se il marchio scottasse, non riuscendo ad evitare di serrare i denti. A causa del suo malessere alcuni compagni si voltarono verso di lui, ponendo domande silenziose, ma Denki sorrise e scosse la testa semplicemente. Al suo fianco, Ochako gli premette il braccio per cercare di distrarlo, lui spinse di rimando e la cosa finì lì.

Non fecero domande. Non parlavano mai di cosa succedeva nelle celle scure, se non per avvertire i novellini di cosa evitare e come evitarlo. Nella sua vecchia vita qualsiasi contatto con un Alpha sarebbe stato motivo di pettegolezzi, sussurri nervosi e felicità. Ma non qui, qui cercavano di stabilire una chiara barriera tra loro e gli altri. Niente nomi, niente legami. Aveva infranto l’unica regola che avevano. Gli aveva detto il suo nome e non sapeva cosa fosse peggio, l’averlo rivelato o il desiderare sentirlo dalla sua bocca.

‘Passerà,’ si disse Denki con decisione. Non era la prima volta che il suo corpo pretendeva un contatto. Non era la prima volta che il desiderio lo scuoteva con una frequenza lenta e inopportuna. Non era l’unico. La stanza scura li lasciava sempre insoddisfatti, tesi e bramosi. Era una reazione normale. Una reazione assolutamente normale.

Ciò che non era normale era che nonostante fossero passate due settimane Denki sognasse ancora l’aroma di zafferano, ma era intenzionato a superare la cosa.

Quando fu il suo turno di salire sull’ascensore, Denki fu costretto a smettere di pensare all’Alpha dai capelli rossi. ‘È finita,’ disse risoluto mentre lasciava il materasso e le coperte ammassate con le altre — l’ultimo gruppo era responsabile di metterli al sole — per poi percorrere il corridoio insieme a Ochako e svoltare a destra per entrare nelle cucine.

La stanza era allungata con diversi tavoli di pietra, scaffali lungo una parete, e una fila di forni in fondo. Mangiarono pane freddo, formaggio e carne essiccata, accompagnati da tè alla menta mentre i forni si scaldavano. Quando tutti finirono, gli Omega si dispersero come un gruppo di formiche laboriose. Denki e alcuni suoi compagni iniziarono a riempire i carrelli con la colazione per le prigioni. Una volta terminato, diversi di loro vennero accompagnati dalle guardie e Denki andò al tavolo dove si preparava il pane.

Gli piaceva fare il pane. Era la cosa che più lo faceva sentire vicino a casa. Mentre riempiva l’impasto di noci, uvetta e fichi, ripensò al rosso. Ricordò le loro conversazioni. Ricordò la sua risata.

Era incredibile e luminosa. Rumorosa e spontanea.

Forse era quello il problema. Forse era per quello che non riusciva a toglierselo dalla testa. Non aveva sentito una risata per tanto tempo. Non aveva riso per tanto tempo.

Aveva riso con lui.

Era ciò che lo disturbava di più. Ridere. Sembrava impossibile in una situazione del genere, ma in qualche modo l’Alpha era riuscito a farlo rilassare abbastanza da farlo ridere. Il suono delle risate lo riportava a casa, con sua madre e la sua dolcezza.

Denki scosse la testa e si concentrò sull’impasto. Lo schiacciò con una forza eccessiva ma nessuno gli disse niente. Si sfogò, lo riempì di rabbia e lo mise sul vassoio insieme agli altri. Lavorò ripetendo lo stesso schema finché nella sua mente non ci fu il vuoto.

Il lavoro meccanico lo distrasse durante il giorno, ma quando alla sera stese il materasso per terra non ebbe modo di togliersi l’Alpha dalla testa. E restò in quel modo finché Ochako non mise il materasso accanto al suo e gli parlò sottovoce.

“Hanno preso i materassi.”

“Cosa?”

“Le guardie hanno preso i materassi di quelli che non sono tornati.”

Non appena ne capì il significato una morsa di ferro prese il cuore di Denki. ‘Se ne sono andati,’ si disse, e non aveva importanza che l’avesse già realizzato, la conferma era sempre amara.

Dove li portano? Cosa gli fanno?

Denki ascoltò i sussurri mentre la notizia si spargeva tra gli altri. La paura li portava a cercare conforto, si ammassarono abbracciandosi l’un l’altro, cercando di liberarsi della sensazione di fatalità che ribolliva nell’aria. La storia si ripeteva ogni volta che uno di loro non faceva ritorno. L’incertezza del loro destino restava sospesa su di loro come una falce affilata.

Ochako gli si strinse, tremando. Denki la consolò meglio che poté perché sapeva che era terrorizzata dalla prospettiva di dover partecipare con il prossimo gruppo. Il suo turno sarebbe stato la settimana dopo, e Denki sperava che lei avrebbe fatto ritorno.





 

Il suo heat arrivò lo stesso giorno in cui Ochako fu portata via. Notò il disagio nel momento in cui si svegliò, la sensazione elettrica che gli solleticava la punta delle dita. A casa avrebbe potuto avere della privacy, gli avrebbero dato spazio e tempo per rilassare il corpo e combattere il desiderio. Nella prigione non succedeva. L’heat di un Omega veniva usato contro di loro. Erano obbligati a tornare nella stanza scura aspettando gli effetti. E anche se i loro carcerieri non potevano distinguerne l’aroma, riconoscevano i sintomi comuni — pupille dilatate, ansia, vampate di calore, mancanza di attenzione — per questo avevano perfezionato l’arte di passare inosservati.

Come regola generale, si coprivano l’un l’altro. Cercavano di stare lontani da qualsiasi attività li avvicinasse agli Alpha — gli unici che potessero tradirli — e con loro c’era sempre qualcuno che facesse da palo per le guardie. Per restare concentrati, masticavano in segreto radici di panax, il che li aiutava a concentrarsi e forniva loro energia. Alcuni Omega l’avevano piantata insieme alle altre verdure che avevano in superficie, la loro identità perduta tra gli innumerevoli che erano passati di lì, ma la pianta era sopravvissuta e le guardie non ne avevano il minimo sospetto.

Ogni heat era lo stesso. Denki lottò contro il senso di abbandono, contro il desiderio. La paura rimbombava dentro di lui quando si alzava, e lo accompagnava per tutto il giorno. Aveva paura che qualche sentinella lo fermasse per esaminarlo attentamente. Aveva paura di essere trascinato nella stanza scura e di non tornare mai più.

A volte era inevitabile, a volte finiva che una guardia era abbastanza arguta da scoprirli. Quando accadeva, era garantito che l’Omega non facesse ritorno. Di tutte le storie raccontate, l’unica eccezione era stata Itsuka, ma gli altri sapevano che era stata una combinazione di eventi irripetibili per cui non speravano di ambire a un altro miracolo. Così Denki usava tutta la sua volontà per restare vigile durante il giorno e alla sera si dava sollievo da solo o con l’aiuto di qualcuno.

Sarebbe stato tutto più semplice se solo fosse riuscito a smettere di pensare a delle mani che profumavano di zafferano.





 

Mentre Ochako fu assente Denki spazzò e pulì le celle degli Alpha. Portò loro del cibo e lavò i loro vestiti. Non si occupava mai della stessa cella due giorni di fila ed era una cosa buona, perché non appena entrò nella cella del rosso, l’aroma di zafferano lo scosse dalla testa ai piedi. Era passato un mese dall’ultima volta che l’aveva visto, ma il ricordo della sua bocca e delle sue dita tornò intenso.

Si toccò distrattamente la spalla, ma il segno era già svanito.

Non appena realizzò che una delle sentinelle li stava fissando, Denki serrò i denti e iniziò a lavorare. Spazzò meticolosamente la cella, svuotò il secchio delle feci e lo sciacquò con acqua profumata, sbatté le coperte e le ripose per terra. Fece lo stesso con la cella successiva, ma si ricordò di lasciare delle foglie di menta per l’Alpha biondo.

Era in quelle occasioni che si ricordava di Itsuka. Da quello che sapeva era stata lei a iniziare a dargli la menta, e gli aveva chiesto di continuare quel compito. Fu settimane prima che la prendessero. A volte, Denki si domandava se avesse preso la decisione consapevole di accoppiarsi per non dover sopportare di ripetere più e più volte la stessa farsa.

Se era stato così, Denki non poteva biasimarla. A volte l’apatia incombeva su di lui come una nuvola densa. A volte la disperazione rimbombava senza sosta. Capiva la sua agonia, il suo tedio. Forse sarebbe arrivato il giorno in cui anche lui avrebbe deciso di arrendersi.





 

Quando la tua vita è ridotta a una sequenza riprodotta giorno dopo giorno, qualsiasi cambiamento diventa allarmante.

Iniziò con le provviste dalla dispensa. Le guardie presero il maggior numero di sacchi, barili e cesti, pieni di farina, verdure fresche e sottaceti. La carne in scatola sparì, lasciando solo carne secca per sfamare i prigionieri.

In seguito giunsero notizie che non sarebbero arrivati altri Omega, il che era splendido e terribile allo stesso tempo. Splendido, perché significava che l’ultima caccia era andata male e che almeno la loro gente era salva. Terribile, perché le guardie ora erano più propense alla rabbia.

E finì quando il gruppo di Ochako non fece ritorno dopo il mese nelle celle sotterranee, peggio ancora, le guardie presero tutto il terzo gruppo e lasciarono solo una manciata di Omega a prendersi cura di tutti i prigionieri.

Il lavoro diventò insostenibile. Cucinare, lavare, pulire… gli Omega passavano la giornata a cercare di stare al passo. Terminavano esausti, con poche ore a disposizione per dormire solo per alzarsi di nuovo e ricominciare la stessa sequenza. Dieci giorni dopo metà del gruppo di Ochako fece ritorno. Lei tornò silenziosa e con dei cerchi neri sotto gli occhi. Denki la strinse mentre pianse e fu il suo turno di aiutarla a lavarsi e indossare gli abiti. Stavolta le sentinelle presero le coperte senza aspettare.

Dopo due settimane di lavoro instancabile, Denki si muoveva in automatico. Era così distratto che gli ci volle un momento per registrare ciò che aveva detto il biondo. Si raddrizzò per guardarlo e realizzò di conoscere quell’espressione. ‘È troppo presto perché chieda della menta,’ pensò mentre gli porgeva del cibo.

Non si aspettava la richiesta che sentì: Ho bisogno di carta e inchiostro.

Più che quello, ciò che davvero lo fece tremare fu l’odore di minaccia, di urgenza, di decisione. Il biondo lo emanava come onde rosse. Realizzò che il resto della cella fremeva di quell’aroma. Era l’essenza di un Alpha pronto a combattere. Il corpo di Denki si gelò, il che fu una fortuna perché altrimenti sarebbe indietreggiato, attirando l’attenzione delle guardie.

Quando il biondo si ritirò, portando con sé l’odore, Denki si raddrizzò senza mostrare in viso lo stupore e l’incertezza. Si spostò alla cella successiva e non rischiò di voltarsi. Il suo cuore non smise di pulsare violentemente mentre saliva le scale e riportava in cucina i carrelli vuoti. Nel panico, non riusciva a smettere di pensare che le sentinelle lo stessero guardando. Era fortunato che dopo cena tornassero nelle loro stanze sotterranee perché solo lì Denki era sicuro che non ci fossero occhi a osservarlo.

La prima cosa che voleva fare era dirlo a Ochako, ma stava dormendo e la sola idea di svegliarla lo fece sentire a disagio. Inoltre non voleva ripetere quelle parole ad alta voce perché avrebbe reso reale la richiesta. E se era reale… se era reale, non aveva idea di cosa fare a riguardo.

‘Perché ha bisogno della carta?’ pensò Denki frustrato. ‘A chi scriverà? E una volta fatto, chi consegnerà il messaggio… E se lo scoprono? Non puniranno lui. Puniranno noi.’

Denki ricordava tutte le volte che un rapporto con un Alpha aveva provocato dolore: Ibara era stata punita chiudendola per un mese nelle celle scure insieme all’Alpha che l’aveva convinta a fornirgli un coltello; dopodiché portarono via entrambi. E quando scoprirono che Nubia aveva disegnato una mappa dettagliata dei tunnel e delle scale, l’avevano fatta sanguinare finché non riuscì a tenere in mano nemmeno una penna. E proprio come loro c’erano innumerevoli storie che Denki aveva sentito dagli Omega che erano lì da più tempo.

Storie il cui scopo era assicurarsi che nessuno di loro commettesse lo stesso errore.

‘Non gli darò un bel niente,’ disse Denki risoluto perché sapeva che sarebbe stato scoperto e lui non voleva essere coinvolto.

‘Gli porti la menta,’ sussurrò un’altra parte di lui, la parte a cui mancava ridere.

‘Perché me l’ha chiesto Itsuka.’

‘Potresti fermarti ora.’

“Qualcosa non va?”

Ochako si voltò, senza dubbio allertata dall’insicurezza e dalla paura che emanava. Denki si controllò, scosse la testa e sospirò.

“Niente, va tutto bene.”

Si sdraiò accanto a lei, osservando il soffitto di pietra. Riusciva a sentire la sua stessa paura e quella dei suoi compagni, un aroma che era diventato una costante nelle loro vite. Udiva i sospiri di corpi incoscienti che cercavano conforto. Sentiva il freddo del pavimento che penetrava nelle ossa. Questa era la sua vita. Giorni offuscati uno dopo l’altro, immutati e senza speranza.

‘Immutati?’ Mormorò a se stesso mentre ricordava la dispensa mezza vuota. Voltò il viso e anche nell’oscurità riusciva a distinguere molti spazi vuoti, più del solito. Avevano unito le date di due gruppi. Non era mai successo, la tradizione era che un gruppo andasse nelle celle mentre gli altri due lavoravano, ora ne avevano presi due e lasciato uno di questi per più tempo.

Più tempo, tremò all’idea. Non voleva pensarci, ma sapeva che se l’avessero lasciato un’altra settimana con l’Alpha dai capelli rossi sarebbe finito per cedere. E avrebbe voluto cedere quando…

Denki fermò i suoi pensieri e imprecò all’imbarazzo che si mostrava sul suo viso, il ricordo lo fece tremare ma allo stesso modo tornò l’ansia e l’incertezza crescente. I cambiamenti erano stati troppo evidenti per ignorarli, aveva già abbastanza problemi con la prospettiva di dover tornare nelle celle per un tempo più lungo, e ora si aggiungeva l’Alpha più problematico ad addossargli una missione suicida.

‘Ma perché ora?’ Pensò maledicendolo, ma la sua mente si paralizzò all’idea. ‘Trama di fare qualcosa?’

Il pensiero era assurdo, ma non riusciva a toglierselo dalla testa, non riusciva a dimenticare la sua espressione, l’aroma. Tutto dentro di lui era in fiamme. Tutto di lui invocava libertà.

Quella notte non riuscì a dormire, non riusciva a smettere di pensare alle mani distrutte di Nubia.





 

Ottenere della carta non era facile, non dall’incidente con la mappa, ma Denki riuscì a prendere una delle liste abbandonate dell’inventario. Su un lato c’era un elenco completo di oggetti, incluso il numero di pezzi o di sacchi, sul retro continuava fino a metà e il resto del foglio era bianco. Denki lo piegò dieci volte e lo nascose sotto il polsino.

L’inchiostro era una sfida ancora più grande. Non ne aveva visto nemmeno una bottiglietta in tutto il tempo che era stato lì, ma aveva in mente di fare la stessa cosa che aveva fatto Nubia.

Mentre i suoi colleghi lavoravano, Denki prese tutti i mirtilli. Li sciacquò e li lavò molto attentamente. Agli occhi di tutti li usava per riempire i panini che preparava per la giornata, ma nessuno notò la piccola ciotola davanti a lui, dove c’era una manciata di fragole che schiacciava con le dita ogni volta che poteva. Quando terminò l’impasto, Denki aveva tre vassoi pieni di pane farcito con mirtilli rossi e una piccola ciotola con della polpa violacea.

Diversi suoi compagni avevano notato la ciotola ma nessuno di loro si avvicinò per paura di attirare l’attenzione della guardia. Denki si occupò di mettere a posto il resto della farina nella dispensa e nel frattempo si assicurò di portare con sé la piccola ciotola. Si trattenne davanti al mobile del cibo in scatola finché non notò che la guardia aveva rivolto l’attenzione ai carrelli della colazione che i suoi compagni stavano riempiendo.

Solo allora si precipitò a trovare l’aceto. Versò quello che pensava fosse un cucchiaio e un po’ di sale nella ciotola, poi si allontanò dalla dispensa portando con sé il barattolo dove tenevano il pepe. Mentre aiutava con le verdure, Denki tirò fuori il foglio, lo mise in un pezzo di stoffa e versò il contenuto della ciotola nel barattolo. Gli Omega accanto a lui non lo guardavano, ma la tensione che emanavano era rovente.

Denki prese i materiali e con tutta la semplicità del mondo sciacquò la ciotola insieme al resto delle sue cose e quando fu sicuro che la sentinella non lo stesse guardando, mise alcune gocce d’acqua nel barattolo, lo agitò con discrezione e lo nascose tra le cose che portò al carrello della colazione.

In circostanze normali Denki sarebbe rimasto in cucina ad aiutare col cibo, ma con la mancanza di personale non c’era altra scelta se non andare verso le celle con gli altri. Il ragazzo camminò per tutto il percorso con la schiena tesa, cercando di ignorare l’espressione di panico che il resto dei suoi compagni gli dedicavano ogni volta che osava guardarli. Era una fortuna che Ochako fosse rimasta a letto, altrimenti gli avrebbe fatto delle domande e la verità era che nemmeno lui era sicuro di cosa stesse facendo.

Le sue mani non smisero di tremare per tutto il tragitto, non riusciva a smettere di pensare che in qualsiasi momento una delle guardie l’avrebbe trascinato nelle celle per non farlo più uscire. La paura rimbombava dentro di lui ma non provava rimorso. Non esitò quando diede al biondo la coperta che avvolgeva il barattolo e il pezzo di carta. In quel momento, quando decise volontariamente di correre il rischio, sentì una vecchia parte di lui destarsi. Sentì che forse non era condannato a un destino oscuro.

Speranza.

Forse era ciò che aveva finito per condannare Itsuka, Ibara, Nubia e tutti gli altri.










 

Tomura non si prese il disturbo di bussare. Aprì con forza e determinazione, riempiendo la stanza dell’instancabile energia che il suo corpo possedeva.

L’uomo alto e magro dalla pelle color carbone fu l’unico a riconoscere la sua presenza. I suoi occhi allungati, di un giallo brillante, senza pupille, senza mai sapere quale emozione vi fosse ritratta all’interno, e nonostante tutto era una delle poche persone che Tomura tollerava avere vicino.

“Benvenuto, Shigaraki,” mormorò Kurogiri, chinando umilmente la testa avendolo di fronte.

Tomura lo ignorò, concentrando la sua attenzione sulla figura del suo maestro, che gli dava le spalle mentre era occupato al tavolo. Non si voltò nemmeno quando lo sentì avvicinarsi, impegnato con qualsiasi cosa stesse facendo. Era così immerso nel suo lavoro che Tomura perse la pazienza, girò intorno al tavolo e si mise di fronte a lui.

“Mi hai chiamato?” Chiese, fissando la sua attenzione sull’uomo — o almeno ciò che ne restava — sdraiato in mezzo a loro. Aveva un aspetto spesso e alto, ma il pallore cadaverico strappava via qualsiasi aria di minaccia. Aveva il petto aperto e il suo insegnante stava esaminando accuratamente gli organi all’interno. Dai moncherini che erano le sue mani, colava del sangue dentro due barattoli sul pavimento. La bouganville rosa che fioriva sul suo ginocchio era macchiata di sangue.

Tomura trattenne il bisogno di chinarsi, tirare fuori il suo coltello e strappare via il tatuaggio. Il desiderio era così intenso che inconsciamente si grattò la parte di pelle della clavicola destra. Era una mania che non riusciva a controllare.

“Kurogiri mi ha riferito delle notizie interessanti,” mormorò il suo maestro, donandogli un sorriso paterno.

“Riguarda le navi? Perché io non c’entro niente. Mi hai proibito di partecipare al raccolto primaverile.”

“E fortunatamente l’ho fatto, altrimenti ora saresti in fondo al mare.”

“Piuttosto adesso avresti un nuovo gruppo di selvaggi. Io non avrei fallito.”

“Ah, davvero?”

“Te lo dimostrerò. Nel raccolto di autunno porterò il doppio dei prigionieri.”

“Sarebbe impossibile.”

“Cosa?! ...Posso farcela!”

“E non ho dubbi a riguardo, ma non ci sarà alcun raccolto autunnale.”

“Perché no?”

“Perché Yuuei ha deciso di combattere. Le spie di Kurogiri ci informano che sono cominciate le mobilitazioni. Stanno accumulando provviste, armi, navi e guerrieri. Si dice che il loro obiettivo sia attaccare i nostri porti.”

Tomura rise ad alta voce mentre le unghie scavavano nel tessuto cicatrizzato, “Che ci provino.”

“La nostra è ancora una posizione delicata.”

“Possiamo sconfiggerli. Con i nostri soldati, quelli di Overhaul, e con il siero… I selvaggi di Yuuei cadranno ai nostri piedi.”

“Dobbiamo avere pazienza, non possiamo rischiare che sappiano della nostra alleanza, tanto meno che provino a farne una loro.”

“L’egocentrico e pieno di sé re Todoroki che chiede rinforzi? ...E a chi? Ai barbari del nord? Sono nemici dichiarati. I selvaggi del sud? Non possiedono le navi per muoversi. No, Yuuei non ha amici. Non hanno la forza per sconfiggerci.”

“Dobbiamo comunque essere cauti.”

Tomura schioccò la lingua, infastidito. “Ci penserò io a riunire la nostra gente.”

“No, Kurogiri ha già iniziato il trasferimento delle provviste e mobilitato i nostri uomini, e abbiamo inviato l’ordine di accelerare gli accoppiamenti. Se tutto va bene, ciò svuoterà le prigioni prima che ci attacchino.”

“Che farai con quelli rimasti?”

“Quando la flotta di Yuuei partirà, tutti i prigionieri non accoppiati verranno sacrificati. Non possiamo correre il rischio che una di quelle fortezze cada nelle mani dei selvaggi.”

“Vuoi che gestisca i trasferimenti?”

“No… Ho una missione per te. Abbiamo ricevuto un messaggio da Dabi, ha trovato il traditore, si nasconde vicino alla frontiera Nomu. In questo momento lo sta tenendo d’occhio.”

“Tenendo d’occhio? Bah! Una perdita di tempo. Dovrebbe eliminarlo e basta. Vuoi mandarmi lì per finire il suo lavoro?”

“Ti sto inviando lì per interrogare il traditore. Ci sono delle spie di Yuuei con lui e voglio sapere cosa ha riferito loro.”

“Altre? ...Ci siamo liberati delle altre spie. Delle ultime quattro, ne resta solo una. Due si sono già accoppiate e stanno per essere spostate — se non sono già partite — una è morta a causa del siero e l’ultima è ancora lì… ma è solo questione di tempo.”

“Sei sicuro?” Il suo insegnante si raddrizzò per la prima volta, spostandosi dal corpo mutilato. C’erano diverse bottiglie piene di sangue vicino alla testa e in un’altra galleggiava il cuore. “È molto probabile che quelle due facciano parte dello stesso gruppo. È la prima volta che ne mandano così tante tutte insieme, per non parlare del fatto che sono ancora giovani.”

“E allora? Finiranno tutte come le precedenti. Potrei anche tagliare le loro teste e inviarle al re, sicuramente lo farebbe agire più in fretta.”

“Non ce n’è bisogno. Va’ e fa’ il tuo lavoro.”

Tomura si arrabbiò e osservò seccato il tavolo dove il sangue aveva smesso di gocciolare. Indicò la fila di piccole fiale disposte sullo scaffale nell’angolo opposto all’ingresso.

“Come va il siero per i Beta?”

“Finora pare che funzioni… ma dovremo testarlo all’aperto.”

“Mmh, avrai bisogno di più soggetti di prova?”

“Ce ne sono ancora parecchi dell’ultimo gruppo, ma se una delle tue spie è un Beta, mandamela. Vorrei provare qualcos’altro.”

“Come desideri.”

Tomura se ne andò senza salutare. Gli voltò le spalle e camminò lungo i corridoi sporchi. Andò ai piani inferiori fino a raggiungere i sotterranei. La sua stanza era l’unica occupata nell’intero piano, nessun altro sopportava l’aroma di reclusione e merda che saliva dai piani inferiori. Lui non aveva problemi a riguardo.

Il vantaggio di avere un naso inutilizzabile.

Prese una vecchia borsa dal suo armadio e la riempì di vestiti, una coperta, i suoi coltelli, della corda e tutto il resto. Si cambiò i vestiti, scegliendone di più spessi e adatti per il viaggio. Nello specchio della stanza era delineato il suo corpo esile e marchiato, il tessuto cicatrizzato a livello del cuore gli prudeva. Si grattò mentre faceva una lista mentale di tutto ciò che gli serviva. Era una mania che non riusciva a evitare.

Quando fu tutto pronto, si diresse verso i piani più bassi. Le guardie di turno lo salutarono col rispetto che la sua posizione meritava.

“Ho bisogno di un corridore e di provviste per un viaggio di diversi giorni,” disse camminando verso le celle senza fermarsi. Una delle guardie andò nei sotterranei, mentre l’altra iniziava a indicare le loro risorse.

“Sono tutti ottimi corridori. Il più veloce è nella cella cinque. Il più resistente nella otto. Il più affidabile nella dodici. Quello nella tre è da combattimento. Se non la preoccupa la discrezione, ci sono diversi viaggiatori pronti ad essere sellati.”

Shigaraki si fermò davanti all’ultima cella. La guardia si fece da parte e lo guardò con un evidente nervosismo.

“E questo?”

“È valido, ma ha un pessimo carattere.”

Come se li stesse ascoltando, la bestia ringhiò. I suoi occhi gialli brillarono di odio, comune per gli animali messi all’angolo. Aveva la pelle grigia, sei gambe con enormi artigli che squarciavano il cemento della cella, e le zanne che sporgevano dalla sua bocca erano grandi quanto delle mani.

“Lo prendo.”

La guardia non protestò. Gli porse la siringa col siero rosso. Tomura la prese e ne versò subito qualche goccia sulla mano, poi la gettò sul pavimento della gabbia dove si ruppe in mille pezzi. Per un secondo non accadde nulla, finché l’animale non scosse la testa come se fosse stato colpito. Indietreggiò e barcollò, come se fosse ubriaco. Il suo corpo si rilassò, le zanne ritratte, gli artigli che smisero di affondare nel suolo.

Tomura aprì la grata, allungò le mani verso il muso della bestia, che inspirò fortemente l’aroma nelle sue mani. Nel frattempo la guardia lo sellò e aggiustò le staffe. Nello stesso momento arrivò l’altra guardia, portando due borse con le provviste, che legò alla sella.

Una volta che fu tutto pronto, Tomura prese le redini e guidò l’animale verso i tunnel. Vi salì in groppa con un salto e spronò la bestia in una corsa vertiginosa attraverso i tunnel bui. Il viaggio risvegliò la sua sete di sangue. Dentro di lui bruciava il desiderio di incontrare le spie di Yuuei e dare loro il benvenuto nelle loro terre.





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Bentornati, sono Tanuka! Ed ecco che abbiamo anche il punto di vista di Denki (Pikachu preziosissimo, lo amo troppo <3) e di Tomura & badguys! Lo so che Roquel vi sta facendo soffrire con tutto questo slow build ma ne vale la pena, ve lo assicuro <3
Come sempre, grazie grazie grazie a tutti quelli che passano di qui, siete dei muffin <3  

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Prossimo capitolo: "Kamui"

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Capitolo 8
*** Kamui ***


Capitolo 8 - Kamui





 

Sbarcarono vicino alla costa in piena notte e non vi restarono abbastanza a lungo da veder andar via la nave poiché era troppo pericoloso attendere l’alba, quindi avanzarono in fretta, assicurandosi di non lasciare tracce visibili. L’area era estremamente boschiva, il che dava loro almeno una parvenza di protezione in caso ci fossero delle sentinelle nei dintorni. L’aria della costa era calda e salmastra, ma una volta allontanatisi l’aroma divenne un misto di corteccia e fogliame. Di notte, il suono dei loro passi sembrava echeggiare in tutte le direzioni. Mentre correvano via dalla spiaggia il cuore di Izuku non smise mai di battere sfrenatamente.

La luna piena illuminava il cielo di una tonalità d’argento, il bubolare dei gufi rompeva il silenzio all’improvviso e di tanto in tanto riuscivano a distinguere i piccoli roditori notturni che correvano a nascondersi quando passavano loro. Avanzarono per tutta la notte, senza fermarsi e quando il sole si alzò, Izuku lo sfruttò per localizzare la loro posizione sulla mappa improvvisata. Si riposarono per un paio d’ore, solo per rilassare le gambe e fare un breve sonnellino. Subito dopo ripresero la loro marcia.

Camminarono per giorni, fermandosi solo per mangiare e dormire. Approfittarono della luna piena per continuare anche di notte e dormivano solo a turni, avvolti nelle coperte uno accanto all’altro. Izuku seguì il ritmo del compagno senza lamentarsi, abituato al duro lavoro e al rigido clima notturno. Accettò i suoi turni di guardia senza protestare e non permise all’altro di offrirgli un trattamento di favore. Mangiò le sue razioni di cibo freddo senza dire niente e ogni giorno si concentrava sulle attività che lo attendevano: camminare, mangiare, fare la guardia. Di notte, quando era il suo turno di stare di guardia, si concentrava sull’osservare le ombre, ascoltando ogni rumore, ogni sussurro. Quando dormiva, sognava Katsuki, ma non erano i sogni che aveva fatto negli ultimi anni, e nemmeno ricordi della loro infanzia, non erano scene brillanti e cristalline. I suoi incubi erano catene di immagini vaghe, piene d’acqua e morte, in cui vedeva sempre Katsuki chiuso in una cella affondare nel mare.

Quando si svegliava la sensazione di abbandono era intensa, quasi soffocante, ma la controllava meglio che poteva perché non gli piaceva vedere l’espressione dispiaciuta dell’Alpha che lo accompagnava. Ogni giorno giurava di non arrendersi e ogni giorno cercava di mantenere tale promessa.

Seguirono il sole per localizzare il fiume che avrebbero dovuto seguire. Lo trovarono al quinto giorno di viaggio e lo seguirono controcorrente, cercando di non allontanarsene troppo ma restando comunque sotto la protezione fornita dagli alberi. Avanzando, il territorio perdeva la sua verdezza, l’erba soffice lasciava spazio a un terreno più solido e aspro, e gli alberi rigogliosi iniziavano ad essere più lontani l’uno dall’altro. Non ebbero difficoltà a raggiungere la cascata: era alta circa dieci metri e la parete di roccia si estendeva a perdita d’occhio ai lati.

Il rombo dell’acqua scrosciante echeggiava nella pietra e la delicata spuma bianca che si formava alla base impediva di vedere il fondo del laghetto. Non videro segni della loro gente, o di qualcuno che avesse visitato il posto di recente. L’unica cosa rimasta da fare era lasciare un messaggio e aspettare.

Raccolsero molte pietre piatte che misero alla base del pino più alto. I sassi in sé non dicevano nulla, ma avrebbero attirato l’attenzione di coloro che sapevano cosa cercare. Una volta terminato si spostarono, seguendo la parete fino a trovare una cavità dove passare la notte. Accesero un fuoco al crepuscolo, confidando nel fatto che il fumo sarebbe passato inosservato nel cielo tinto di bianco e grigio. Fecero i turni di guardia durante la notte, mentre gustavano il loro primo pasto caldo dopo giorni.

In lontananza risuonava il rombo della cascata ma oltre all’inconfondibile suono di insetti non vi era una sola anima per miglia. Non appena calò il sole ripercorsero i propri passi, ma il segnale era rimasto lo stesso e non c’erano tracce recenti. Il processo si ripeté per due giorni interi, fecero diversi tragitti alla cascata e ogni volta non c’erano cambiamenti, fino al pomeriggio del terzo giorno quando videro che le rocce erano state spostate dalla loro posizione originale. Non appena le vide, Shouto brandì la sua lama e Izuku si voltò per guardarsi indietro.

“I fiori di lunaria non crescono in questa regione.”

La voce non urlò ma riuscì a sovrastare il rombo dell’acqua. Era un tono risoluto e sereno, aveva la durezza dell’acciaio e la sua affilatezza. Non appena Izuku la sentì iniziò a guardarsi intorno per trovarne l’origine, mentre Shouto si posizionò davanti a lui rispondendo:

“Li ho visti crescere nel villaggio dei primi uomini.”

“Di loro non è rimasto altro che la sabbia che ricopre il deserto.”

“E ciononostante i loro figli vivono ancora.”

Era una parola d’ordine, Izuku lo capì e si rilassò, ma tutta la sua tranquillità sparì quando vide l’uomo emergere dalla cascata. Lo chiamava uomo perché aveva gambe, braccia e una testa, ma non aveva mai visto una fisionomia simile. L’uomo aveva una carnagione mogano, ma invece che pelle, sembrava avesse la corteccia di giovani alberi. Le sue mani, che stringevano un arco puntato verso di loro, avevano dita stranamente lunghe, come rami sottili. La sua testa era senza capelli e una maschera gli copriva il resto del volto. In generale, somigliava a un tronco che parlava e si muoveva.

“Chi sei?” Chiese Shouto senza lasciare la posizione nonostante l’altro avesse abbassato l’arco.

“La tua gente mi chiama Kamui.”

Non appena lo sentì, Shouto abbassò l’arma. “Tu sei

“Le domande a più tardi. Non mi piace restare troppo a lungo allo scoperto. Le spie del Generale sono molte e nei posti più inaspettati.”

“Dove sono gli altri?”

Kamui si voltò, “Non ne parleremo qui.”

Dopo essersi scambiati uno sguardo, Shouto lo seguì con Izuku dietro. L’uomo tornò sui suoi passi e sparì dietro la cortina d’acqua. Izuku avanzò dietro l’Alpha, notando che il bordo vicino al muro era basso e l’acqua gli arrivava solo fino alle caviglie. Andando avanti, sentiva l’eco del rombo dell’acqua dentro di lui, mettendo a tacere qualsiasi altro pensiero. Le piccole gocce che schizzavano dal laghetto gli bagnarono i pantaloni e lo fecero tremare. Izuku si fermò prima di attraversare, allungò la mano e subito la ritirò quando sentì la forza dell’acqua colpirla.

Prese un respiro e si gettò in avanti, aveva intenzione di saltare attraverso la cortina ma subito realizzò che non era così facile. La forza dell’acqua fermava l’impulso del salto e all’improvviso fu circondato dall’acqua che sferzava il suo corpo con una forza immensa. In pochi secondi si ritrovò fradicio e Izuku cercò di avanzare alla cieca.

Una mano d’acciaio afferrò il suo braccio teso e il ragazzo notò lo strattone del suo corpo. Incespicò con gli occhi chiusi finché non andò a sbattere contro un corpo saldo. Aprì gli occhi e vide Kamui davanti a lui, che lo intimava a muoversi. L’area dietro la cascata era una piccola grotta, non più larga di un metro. Kamui si fermò vicino a una delle pareti dove fece loro segno di entrare nel piccolo tunnel nel terreno.

Izuku guardò Shouto, che annuì silenzioso alla sua domanda non detta. Il ragazzo prese un respiro, si inginocchiò davanti all’entrata e sistemò la sua borsa così che non gli desse fastidio mentre andava a carponi. Il tunnel era grande abbastanza da farlo muovere senza che la borsa toccasse il soffitto e che le sue spalle si incastrassero, ma senza dubbio chiunque con una corporatura più spessa avrebbe avuto difficoltà a passare.

Izuku andò avanti senza fermarsi, si sentì claustrofobico al pensiero che il tunnel fosse senza fine, ma soffocò la sensazione ripetendosi incessantemente Non fare il fifone. L’odore di terra umida gli riempì le narici, notò il freddo nelle ossa e l’oscurità assoluta. Con l’avanzare, il freddo diventava più pronunciato e il suono della cascata si perdeva in lontananza.

Al termine il tunnel si collegava con una caverna, in cui trovarono uno spazio relativamente ampio, un ammasso di coperte che formavano un letto e diversi scaffali pieni di libri, armi e utensili per la casa. C’erano altre due cavità sulla sinistra, senza dubbio l’uscita di altri tunnel, ma c’era anche un’ingresso di fronte, senza una porta, che portava a un tunnel scuro che sembrava infinito. La luce entrava da una piccola apertura nel soffitto e quando Izuku vi si mise sotto riconobbe la superficie rocciosa e un ammasso di foglie che permetteva di far entrare abbastanza luce così che non fosse necessaria una lampada.

Dietro Izuku, arrivò Shouto e poco dopo comparì Kamui con i piedi in avanti, evidentemente perché aveva dovuto coprire il tunnel dietro di loro. Da più vicino notò che la pelle era di un mogano chiaro, con piccole venature come la corteccia di un albero. Izuku ripensò alla lingua di Tsuyu e alla testa di Tokoyami.

“Tu sei Kamui, il contatto di Shinsou?” Chiese Shouto non appena i tre si trovarono faccia a faccia. Izuku non riuscì ad evitare di tremare così l’uomo prese una piccola coperta da uno degli scaffali e gliela porse senza dire una parola.

“Grazie,” mormorò Izuku, notando le dita irrigidite dal freddo.

“Allora,” cominciò spazientito Shouto, afferrando la coperta che Kamui gli stava offrendo.

“Mi ricordo di Seishirou,” rispose Kamui muovendosi con familiarità nella caverna. Appoggiò il suo arco contro il muro e la faretra piena di frecce appena sotto. “Mi ha trovato sanguinante nei boschi, ha avuto pietà di me, mi ha curato ed è rimasto con me finché non è dovuto andar via.”

“Dove andava?”

“Dove vanno tutti.”

“Chi sono tutti?”

“Quelli che sono come lui.”

Izuku indietreggiò quando l’aria attorno a Shouto si riempì di impazienza e frustrazione. Kamui non poteva sentirlo, ma di certo notò l’espressione tesa del ragazzo perché sospirò con disappunto e fece loro segno di sedersi. Izuku obbedì, finì di pulirsi e asciugarsi scrupolosamente prima di accomodarsi per terra di fianco a lui, ma Shouto restò in piedi, inflessibile e furioso.

“Per l’amor del cielo,” sospirò Kamui. “Siete entrambi troppo giovani per stare qui.”

“Vogliamo delle risposte,” ringhiò Shouto, sfruttando tutta la sua altezza.

“Come tutti coloro che sono venuti qui prima, ma anch’io ho delle domande: dov’è Aizawa? Nella lettera recapitatami dal gruppo precedente diceva che sarebbe passato a trovarmi tre lune dopo di loro.”

“Come sai che non sono io?”

Kamui si strofinò il viso, infastidito, “Seishirou me l’ha descritto: capelli neri e delle azalee sul viso. Nessuno di voi combacia con la descrizione.”

“Il mio maestro ha dovuto fare ritorno, alcune circostanze gli hanno impedito di essere qui. Sono qui per conto suo.”

“Beh, ti dirò la stessa cosa che avrei detto a lui: non aiuterò nessun’altra spia.”

“Perché?”

“Quando Seishirou mi ha salvato, gli ho promesso che avrei accettato i messaggi che arrivavano dall’uomo chiamato Aizawa, gli ho promesso che gli avrei offerto tutto l’aiuto possibile, ma ovviamente, quanti di coloro che sono arrivati sono poi tornati indietro?”

“Non è questo il punto.”

“È esattamente questo il punto. In tutti questi anni, la storia è sempre la stessa. Uno di voi arriva, gli mostro le mappe, le rotte commerciali, le strade che portano alle fortezze, e poi? Mandano i loro messaggi, inviano i propri rapporti e all’improvviso spariscono. Molto probabilmente catturati, infine morti. E adesso, alcuni mesi fa mi hanno mandato un altro gruppo. Più giovani di tutti gli altri, con l’intento di infiltrarsi nella prigione. È possibile che facendolo abbia rivelato la mia posizione e di conseguenza messo in pericolo le persone a cui tengo.”

“Come sei riuscito a farli entrare?”

“Un amico, un capitano che gestisce una delle prigioni… che gestiva una delle prigioni.” Ride, ma il gesto è tutto tranne che ilare. “Aizawa mi aveva mandato un messaggio, chiedendomi se fosse possibile un infiltrato. Ho indagato e il mio amico mi ha detto che avrei potuto falsificare le carte di trasferimento. Non è usuale, ma era già stato fatto prima, e così.” Kamui alzò le spalle, indifferente.

“Cos’è successo al capitano?”

“L’hanno trasferito alla cittadella.”

“Perché?”

“Non capisci? Molto probabilmente il Generale sa che mi ha aiutato. Se è così, i tuoi amici saranno sotto sorveglianza e impossibili da salvare.”

“Hai detto che

“Lo so cosa ho detto, ma non capisci ciò che sto dicendo ora. Il Generale sa che ci sono dei traditori. Ci dà la caccia come se fossimo dei parassiti.”

“Ma non ha ucciso il capitano.”

“Non vorrà attirare l’attenzione, attenderà il nostro ritorno.”

“Dev’esserci un modo per tirarli fuori di lì.”

Kamui scosse la testa con fare irritato. L’aria intorno all’Alpha si annebbiò, l’aroma denso, soffocante. Izuku si mosse sul posto, lottando contro il bisogno di fuggire e nascondersi, ma a differenza sua, Kamui rispose con un’espressione di determinazione ferrea. Incapace di sostenere l’atmosfera, Izuku intervenì:

“Perché stavate sanguinando?” La domanda fece voltare entrambi. Lo stupore di Shouto alleggerì la minaccia e Izuku approfittò di quel breve momento per continuare. “Avete detto che Shin— Seishirou vi ha trovato ferito nella foresta.

“È andata così.”

“Chi vi ha ferito?”

“Kurogiri, il braccio destro del Generale.”

“Perché?”

“Perché volevo andarmene.”

“Per quale motivo?”

“Perché la guerra mi ha portato via la mia famiglia.”

“Quale guerra?”

“La nostra.” Kamui scosse la testa, frustrato. “È impossibile spiegarlo, non capiresti.”

“Non capirò se non me lo spiegate.”

Per la prima volta, Kamui non lo guardò come se fosse un bambino.

“Beh… vuoi una lezione di storia? Eccotela:

Circa trent’anni fa, quando non ero ancora nato, girò voce che uno straniero fosse arrivato sulle montagne. La cosa sarebbe passata inosservata se non fosse stato che era a cavallo di un Nomu. Un’impresa che fu sulla bocca di tutti. I Nomu sono bestie terribili che abitano il deserto e a volte attaccano ai confini per delle prede facili. Le tribù delle montagne accolsero lui e suo figlio. Le storie raccontano che visse con loro, arrivò a governarli e infine li unì tutti sotto il suo potere. Questo straniero estese il suo controllo in lungo e in largo nel continente. Unì tutti i piccoli stati a Hosu. Coloro che non vollero unirsi a lui furono massacrati, le loro terre cedute a gruppi di supporto, e infine riuscì a erigere fortezze, città e porti. Avevo quindici anni quando mi arruolai, e a quel tempo tutti lo conoscevano come il Generale, aveva decretato che fosse un requisito servire nell’esercito per cinque anni, l’unico vantaggio era che alla fine del servizio avresti potuto aspirare a qualcos altro. Accadde un anno prima che terminassi il mio: Akaguro iniziò la sua ribellione. Quel giorno, rinunciò al suo nome e si fece chiamare Stain, fu quasi dieci anni fa.”

“Fu in quel periodo che iniziarono i rapimenti,” mormorò Shouto mentre prendeva posto con calma davanti a Kamui.

“I rapimenti furono esattamente la scintilla che separò le due fazioni. Le guerre costanti e gli sforzi per il potere lasciarono un numero immenso di feriti. Non c’erano abbastanza braccia per ricostruire. Il Generale usava i saccheggi per ottenere schiavi che lavorassero alla sua causa. Il loro intento era usarli per costruire ulteriori navi, espandere e fortificare la cittadella, estrarre metalli dalle miniere, coltivare i campi; ma Stain e il suo gruppo pensavano che la vostra gente portasse sfortuna. Venne cresciuto in un ambiente tradizionalista e considerava quei tatuaggi dei simboli maledetti. Era impossibile per loro accettare l’idea che una donna potesse ingravidarne un’altra o che gli uomini potessero procreare. Molti combatterono al suo fianco, ma il Generale li sconfisse tutti. Tolse loro i titoli e le proprietà, e continuò il suo lavoro.”

“È stato allora che avete deciso di ritirarvi?” Chiese Izuku, guardandolo con compassione.

“Non condividevo il punto di vista di Akaguro, ma il mio villaggio era suo, così quando hanno bruciato la città come punizione per la rivolta, la mia famiglia ne ha pagato il prezzo. Me ne sono andato allora perché trovavo impossibile continuare ad obbedirgli. Ovviamente, nessuno può andarsene solo perché lo desidera.”

“Hanno cercato di fermarvi?”

“Hanno tentato di uccidermi, pensavano di esserci riusciti, e sarebbe stato così se solo Seishirou non mi avesse trovato. Per quanto ne so, è stato il primo a investigare su cosa stesse accadendo.”

“Lo era,” rispose Shouto pensieroso. “Ero molto giovane e ho scoperto solo tempo dopo cosa fosse successo. La moglie di Seishirou era la sorella gemella del mio maestro, quindi si conoscevano da quando erano piccoli. Entrambi hanno servito a corte e il figlio era destinato a far parte della guardia del principe. Quando Seishirou non è riuscito a convincere il re che la minaccia fosse reale, ha deciso di indagare per conto proprio.”

“Non è mai tornato?” chiese Izuku.

“No… l’ultimo messaggio che ha inviato diceva che la cittadella del Generale era tra le montagne. Il suo intento era ottenere informazioni riguardo il destino degli schiavi.”

“Gli ho detto che era pericoloso entrare nel territorio del Generale. Ci sono occhi e trappole ovunque. Tutti coloro che ci vanno scompaiono.”

“Perché avrebbe dovuto andarci? Perché non concentrarsi solo sulla prigione?”

“Hanno iniziato a usare la prigione circa sei anni fa, prima tutti gli schiavi andavano alla cittadella, da cui venivano mandati a lavorare, ma tornavano sempre. Anche adesso di tanto in tanto fanno trasferimenti, a volte ne prendono due, altre di più. Il numero non è mai lo stesso ma tutti i prigionieri finiscono lì.”

“Perché?”

Kamui alzò le spalle. “Non ne sono sicuro… Dicono che il Generale li usa per scavare tunnel ed espandere edifici. Forse li fa lavorare nei campi o nelle miniere ancora aperte.”

“Perché nessuno della nostra gente ci ha riferito della droga che usano contro di noi?” Chiese Shouto.

“Ne ho sentito parlare solo un paio d’anni fa, e da quello che so è un tranquillante. Li rende docili o qualcosa del genere.”

“Come funziona?”

“Gli unici che possono rispondere sono i colonnelli. I leader delle otto casate nobili che servono il Generale.”

“Il tuo amico, il capitano, non sapeva cosa fosse?”

“No, loro la ricevono soltanto e la somministrano. Dato che non ha effetto su di noi, è impossibile sapere cosa fa.”

“Devo mandare un messaggio ai miei compagni. Devono sapere che siamo qui per salvarli.”

“Ti ho detto che non posso aiutarti. Ciò che posso fare per te è inviare un messaggio alla tua gente per farti venire a prendere e guidarti verso la costa per andartene.”

Shouto si irrigidì, sembrava pronto a continuare la discussione, ma prima che potesse dire qualcosa Izuku intervenì.

“Mi dispiace per ciò che è successo alla vostra famiglia, mi dispiace che aiutarci vi metta a rischio, ma abbiamo bisogno di voi. Possiamo farlo con o senza il vostro aiuto, ma nel primo caso molto probabilmente ci cattureranno.”

“È molto probabile che ci catturino tutti comunque.”

“Avete detto che ci sono altre persone come voi. Traditori. Disertori.”

“Ed è così, ma molti seguono la dottrina di Stain. Nessuno di loro vi aiuterà, non se significa liberare la vostra gente.”

“Ma ce ne sono altri che non seguono Stain e si oppongono al Generale, giusto?”

“Sì, ma sono giovani, hanno perso le loro famiglie nella guerra e sono cresciuti diventando guardie carcerarie. Molti non approvano ciò che accade lì, sono bravi ragazzi ed è proprio per questo che non voglio mettere in pericolo nessuno di loro.”

“Nemmeno noi vogliamo rischiare la vita di qualcuno, ma dobbiamo scoprire di più riguardo la droga che usano contro di noi. Forse voi non sapete dirci cos’è, ma i prigionieri sì.”

Kamui sospirò e scosse la testa, ma Izuku non si arrese.

“Se riuscissimo a neutralizzare il paralizzante, come lo chiamate voi, avremo un’opportunità di liberare i prigionieri. Molti di loro sono bambini, coetanei di quelli che voi cercate di proteggere.”

“Se il Generale lo viene a sapere...”

“Rinunciarvi è offrirgli la vittoria.”

“Molto bene,” disse infine con rassegnazione. “Non vi prometto nulla, ma posso inviare loro un messaggio. Solo uno. Quindi cerca di riassumere il più possibile la situazione.”

“Come faranno a risponderci?”

“Prima, devo parlare con qualcuno. Se riesco a convincerlo, lui si occuperà del resto.”

“D’accordo, hai della carta?”










 

Kamui se ne andò la notte stessa, non appena la luna salì in cielo. Shouto tentò di convincerlo ad accompagnarlo, ma l’altro rifiutò severamente, così non ebbe altra scelta se non aspettare.

La caverna sembrava insolitamente grande di notte. La luce argentea che filtrava dal soffitto forniva abbastanza luminosità da distinguere i contorni dei mobili. Izuku finì di asciugarsi i capelli e il viso, e si avvolse in un’altra coperta asciutta, sbocconcellando dei cracker di riso. Shouto non ce la faceva a mangiare, il suo stomaco non riusciva a digerire nulla. Non smetteva di pensare ai suoi amici e a tutti gli errori commessi fino a quel momento.

“Se non smettete di camminare in tondo, formerete un solco per terra.”

La voce di Izuku fu un sussurro tenue che lo immobilizzò sul posto. La sua mente smise di vagare e divenne perfettamente conscia delle circostanze. La prima cosa che notò fu l’aroma. Profumava di menta, fresca e deliziosa come una delicata brezza primaverile. L’aroma fu sorprendente e sconcertante allo stesso tempo, perché era sicuro che in quella caverna non ci fosse niente con quell’odore. Inspirò profondamente cercando l’origine di una tale essenza. Con sua sorpresa, l’origine di un profumo così delicato e squisito era l’Omega avvolto in una coperta asciutta che masticava un cracker nella semioscurità.

“Qualcosa non va?” Chiese la figura col volto coperto dalle tenebre.

Shouto non seppe resistere, “Prima odoravi di fiori.”

“Fiori?”

“Sì… gelsomini, aloe, lavanda.”

“Ah,” la figura si mosse.

L’Omega si chinò per prendere uno dei pacchetti dalla sua borsa bagnata messa ad asciugare in un angolo della caverna. Il ragazzo si raddrizzò con una piccola scatola di legno tra le mani. Non appena la aprì, la caverna venne inondata dal profumo di aloe, camomilla e gelsomino.

“Li uso per i miei miscugli,” spiegò l’Omega, affondando due dita nell’impasto verde chiaro. “Sono completamente naturali e possono durare per mesi.”

Izuku distese le dita per mostrare la consistenza e inconsciamente Shouto storse il naso.

“A molti non piace l’odore dell’impacco,” spiegò Izuku, fraintendendo senza dubbio il gesto dell’Alpha, e ripose l’eccesso di impasto nella scatola mentre eliminò il resto sfregandolo tra le mani. “Ma migliora il processo di guarigione e previene le infezioni.”

Shouto non era infastidito dall’aroma, profumava di piante e fino a un momento prima aveva creduto fosse l’odore naturale dell’Omega. Il vero motivo della sua espressione corrucciata era che l’odore di menta era stato completamente coperto e anche dopo essersi avvicinato l’unico profumo che riusciva a sentire era quello dell’aloe e della camomilla. Non importava quanto ci provasse, l’aroma di menta era scomparso senza lasciare traccia.

Inconsciamente, allungò una mano quando Izuku gli offrì un cracker. Il silenzio si distese tra loro come una barriera fisica mentre consumavano la loro misera cena.

“A casa mia non ci sono guaritori Omega,” l’affermazione fu inaspettata, anche per Shouto stesso.

Fortunatamente, l’Omega non sembrò offeso dall’argomento.

“Nemmeno nelle isole ci sono, ma qualcuno deve pur essere il primo.”

“A casa non viene permesso agli Omega di lavorare. Il loro compito è crescere i bambini.”

“Sulle isole gli Omega si prendono cura dei bambini, ma alcuni si occupano anche di tessere, ricamare, costruire ceramica. Conosco un’Omega che ha vinto il primo posto in un torneo di tiro con l’arco… Non pensi che anche gli Omega abbiano dei sogni?”

“Non ci avevo mai pensato prima, mio padre ha una filosofia molto chiara riguardo a cosa possa o non possa fare un Omega.”

“Allora forse puoi fargli cambiare idea.”

Shouto rise, l’idea era inconcepibile, primo perché suo padre non permetteva a nessuno di discutere delle sue idee e secondo perché non avrebbe saputo da dove iniziare. In un tentativo di cancellare il padre dalla sua mente, Shouto indicò l’album che asciugava vicino al resto delle sue cose.

“Sapeva del tuo desiderio di diventare guaritore?”

Shouto notò il modo in cui l’Omega si fece teso che, mischiato all’intenso odore di incertezza, gli fece capire che la domanda non era gradita, ma era troppo tardi per rimangiarsela. La figura dell’Omega si mosse maldestramente stringendo la coperta sulle spalle. Shouto non riusciva nemmeno a distinguere i suoi occhi al buio.

“Faremo dei turni per stanotte?” Chiese Izuku con una voce piatta, controllando ogni intonazione, ma era impossibile nascondere il denso aroma di nostalgia che emanava.

“Farò io il primo,” borbottò Shouto mentre finiva di mangiare il cracker. “Usa il letto, ti sveglierò quando sarà il tuo turno.”

L’Omega obbedì silenziosamente. Si sistemò sull’ammasso di coperte che puzzavano di sporco e restò immobile. Nonostante il silenzio, Shouto sapeva con certezza che il ragazzo era sveglio ma non disse nulla, rispettando il suo momento di lutto.










 

Izuku si svegliò piegato su se stesso, e con la pelle fradicia di sudore freddo. Cercò di respingere l’immagine di Katsuki che affogava in un mare nero. Non permise a se stesso di vedere Kacchan sott’acqua, perso nell’immensità degli abissi. Non riusciva nemmeno a ricordare com’era prima che lo perdesse.

“Stai bene?” La voce di Shouto suonava assonnata, ma non c'era dubbio che il suo malessere l’avesse svegliato.

“Sto bene, è tornato Kamui?”

“No.”

Izuku si raddrizzò. Nell’apertura del soffitto si distingueva un cielo grigio chiaro.

“È l’alba… Pensavo mi avresti svegliato.”

“Alla fine ho pensato che non fosse necessario,” rispose l’Alpha raddrizzandosi nel suo posto vicino al muro, “e avevamo bisogno di riposare.”

“Avremmo potuto fare dei turni per il letto.”

“Non sarei riuscito ad addormentarmici… lascia stare.”

Izuku non aveva le forze di discutere, non riusciva a togliersi dalla testa il sogno. Mangiarono le loro scorte e bevvero l’acqua raccolta in una brocca vicino a uno dei tavoli. Mentre ancora Kamui non tornava, Shouto si dedicò alla pulizia e alla manutenzione dei suoi coltelli. L’odore di pino che emanava era fresco e naturale, gli regalava tranquillità. Non riusciva a non ricordare l’aroma di legno, Kacchan, il suo nome era ovunque nella sua mente e inevitabilmente sentiva la nostalgia invaderlo. Per combatterla, cercò di concentrarsi su qualcos’altro.

“Cos’è successo alla famiglia di Seishirou?” Chiese a bassa voce mentre ancora pensava a Katsuki.

“Sua moglie si è ammalata ed è morta, suo figlio Hitoshi è stato lasciato al mio maestro. L’ha cresciuto finché non è stato rapito un paio di anni fa mentre faceva visita a dei parenti vicino alla costa. Non abbiamo più avuto sue notizie da allora.”

Izuku non fece altre domande, temendo che l’argomento fosse troppo delicato per l’Alpha.

“Hitoshi…” Ci fu una pausa in cui Shouto prese un respiro. “Hitoshi era mio amico. Avrebbe fatto parte della mia guardia. Dopo di lui ne restarono solo cinque, e ora quattro di loro sono qui e l’unico rimasto è Tenya, che al momento deve star scalando le montagne alla ricerca di una tribù a cui non importa nulla di mio padre.”

“Starà bene.”

“Tu credi?”

Izuku non aveva una risposta onesta, così si occupò dei barattoli sopravvissuti al viaggio. Ogni volta che ne apriva uno, un aroma diverso inondava la caverna: camomilla, lavanda, gelsomino e altri che si accumularono a creare una combinazione che coprì completamente l’odore di pino.





 

Kamui tornò il pomeriggio stesso, portando notizie e cibo fresco:

“La buona notizia,” disse mentre i tre si sedevano per mangiare, “è che sono riuscito a convincere Cementos ad aiutarmi.”

“Cementos?”

“È un soprannome, penso sia troppo pericoloso che voi conosciate il suo nome.”

“D’accordo… Consegnerà le lettere?”

“Conosce molti dei tizi che lavorano nella prigione. Gli ho dato la descrizione di tutti i tuoi amici così che proveranno a localizzarli. Farà anche in modo di prendere la risposta quando sarà il momento.”

“Quindi l’unica cosa rimasta da fare è aspettare?”

“Domattina presto viaggeremo nell’entroterra. Ho un nascondiglio vicino a una delle prigioni. Ho chiesto che la risposta venga consegnata lì.”

Shouto guardò Izuku, che annuì per confermare che era pronto.

Si avviarono molto prima che sorgesse il sole. Stavolta, usarono il tunnel più grande e anche se era completamente buio Kamui avanzava senza fermarsi. Shouto lo seguiva con i sensi all’erta e in guardia. Izuku chiudeva la fila, guidandosi con l’odore di pino e muschio. Non avevano nessuna forma di luce, quindi era impossibile determinare il percorso seguito.

Mentre procedevano il suolo del tunnel diventava inclinato e lentamente la pendenza si faceva più pronunciata. Nell’ultimo centinaio di metri salirono su una piccola collina e quando uscirono furono accolti dal sole, alto e luminoso, nel cielo azzurro. L’uscita era un buco nel terreno tra una stretta fila di alberi, lontano da un percorso visibile e coperto da rami fitti. Non appena tutti e tre furono fuori, Kamui si spostò, scorrendo attraverso la foresta con l’agilità acquisita dopo anni di pratica.

Camminarono a passi veloci seguendo il ritmo instancabile dell’uomo, che ogni tanto si fermava per controllare il cielo e i dintorni. Non ci volle molto perché Izuku la vedesse alla fine. La fortezza sorgeva proprio accanto alla scogliera. Izuku si prese un momento per inspirare, respirò la brezza fresca piena di aromi familiari, e ne approfittò per studiare l’immensa massa grigia che si vedeva da lontano.

Dalla sua posizione, nella parte più alta della valle, vedeva l’intero orizzonte come un infinito mare verde. Al livello più basso il retro della prigione era coperto da un burrone profondo almeno venti metri. Sul lato sinistro un percorso appiattito si perdeva in lontananza, entrando nei boschi. Sugli altri due fronti c'erano campi e pascoli. Izuku non era esperto di tecniche militari, ma persino lui capì quanto sarebbe stato difficile avvicinarsi senza essere visti.

Seguirono ancora Kamui per un po’ finché non si fermò davanti a un albero enorme e fece loro segno di aspettarlo mentre si arrampicava con l’arco sulla schiena. La sua scalata fu rapida e agile, segno che non era la prima volta che lo faceva. Pochi minuti dopo gettò una corda con vari nodi. Izuku fu il primo ad arrampicarsi, poggiando i piedi sui nodi e spingendosi in alto usando la forza delle braccia. Quando raggiunse la cima i muscoli degli avambracci non smettevano di tremare e aveva le spalle tese, ma quantomeno era riuscito ad arrivare lassù.

Kamui lo invitò a muoversi su uno dei rami più spessi verso una superficie improvvisata. Izuku fu sorpreso da quello che vide: da terra le foglie si accumulavano in modo da non far passare la luce del sole, ma essendo in alto lo spazio era libero da rami e formava una specie di nido invisibile.

Diversi tronchi legati insieme con della corda davano la forma di un pavimento stabile e tra i rami degli alberi c’erano cavità scavate per formare dello spazio dove riporre degli oggetti. Izuku vi trovò corde, coltelli e frecce. Vide anche le inconfondibili nicchie di coperte che servivano da letti. Stava esaminando il lavoro nelle cavità dei rami quando arrivò Shouto seguito da Kamui.

“Lo spazio è troppo stretto per dormirci tutti e tre. Io dormirò in uno degli alberi vicini, e vi lascio la corda in caso dobbiate scendere per andare in bagno, ma preferirei che restaste qui finché non torno io.”

“Dove vai?”

“A caccia, avremo bisogno di provviste mentre siamo qui. Sarò di ritorno prima che faccia buio, avete bisogno di altro?”

“Acqua.” Replicò Izuku.

“Ne ho una riserva in quel barile appeso lì,” indicò il punto e fece vedere loro dove teneva il resto della roba. “Non accenderemo un fuoco mentre siamo qui, cucineremo la cena a terra, lontano, e aspetteremo finché non arriveranno notizie.”

“Quanto dovremo aspettare?” Chiese l’Alpha non riuscendo a trattenersi.

“Se Cementos ha fortuna, consegnerà la tua lettera domani o prima che cambi la luna. Poi dovremo attendere che rispondano loro, se possono. Almeno una settimana, dipende tutto dai tuoi amici.”

Kamui se ne andò senza aggiungere altro.





 

Vivere in cima a degli alberi era eccitante ed estenuante. Izuku non riusciva ad abituarsi alla routine di salire e scendere almeno tre volte al giorno per andare al bagno, e dopo qualche giorno le sue spalle erano così indolenzite da non riuscire nemmeno ad alzare le braccia sopra il busto. Per alleviarne la tensione le massaggiò con dell’impasto di camomilla e arnica, creato per quell’unico scopo. Non ci volle molto perché l’intero nido sull’albero odorasse di unguento.

Un giorno in particolare decise di scaldare dell’acqua per fare degli impacchi caldi per i muscoli doloranti della schiena, e dato che aveva bisogno del fuoco convinse Kamui a portarlo in una radura dove potesse accendere un piccolo falò. Approfittò di quel breve momento di privacy per ritoccare il suo tatuaggio e, una volta asciutto, lo coprì con delle bende pulite. Era così immerso nel suo lavoro che non notò un paio di corvi che lo fissavano da uno dei rami più alti della foresta, ma non appena se ne accorse restò immobile, sorpreso di vederli lì. Quello che catturò la sua attenzione fu il piumaggio — di un nero brillante —, le dimensioni — perché erano più grandi di qualsiasi altro corvo avesse mai visto —, ma principalmente fu il fatto che lo stavano entrambi guardando, con un’attenzione quasi umana.

Non appena Izuku si raddrizzò per osservarli più approfonditamente, uno di essi prese il volo, perdendosi tra gli alberi, e subito dopo l’altro cadde al suolo, perforato da una freccia con una piuma rossa. Izuku si voltò trovando Kamui con l’arco teso mentre studiava con un trasporto frenetico ogni ramo e ogni albero.

“Ce n’erano altri?” La sua domanda fu violenta e piena di agitazione.

“Cosa?”

“Ce n’erano altri?” Abbassò l’arco e afferrò saldamente il braccio del ragazzo. “C’era un altro corvo?!”

“Ah! Mi fate male!”

“Rispondi!”

“Sì! Ce n’era un altro, è volato via prima che arrivaste.”

Kamui imprecò e si premette un pugno sulla fronte.

“Qual è il problema?” Chiese Izuku senza capire.

“Raccogli le tue cose, dobbiamo andare.”

Anche se non riusciva a capire la sua agitazione, Izuku obbedì. Si vestì frettolosamente e corse dietro all’altro finché non raggiunsero il nido dell’albero.

“Che succede?” Chiese Shouto non appena li vide arrivare.

“Dobbiamo andarcene,” mormorò Kamui, riempiendo una borsa di cibo e armi.

“Cosa?! Perché?” Shouto guardò Izuku ma lui scosse la testa incapace di offrire una risposta a qualsiasi delle sue domande.

“Una delle spie di Kurogiri ci ha visti.” Replicò Kamui senza fermarsi, “Non appena informerà il suo padrone, invieranno dei soldati per cercarci.”

“Non possiamo andarcene ora, dobbiamo aspettare la risposta!”

“Se restiamo qui verranno a prenderci!”

“Abbiamo ancora tempo.”

Prima che Kamui dicesse qualcosa, una voce tonante fece la sua apparizione.

“Ehi, vecchio albero, ho la tua risposta.”

I tre si guardarono a vicenda senza dire una parola e Shouto fece la prima mossa, preparò subito la corda e scese senza aspettare Kamui, che lo seguì subito dopo. Izuku scese alla fine e quando raggiunse il suolo vide che entrambi stavano ancora discutendo davanti a quello che supponeva fosse Cementos.

L’uomo era immenso, con enormi braccia grigie, gambe corte e spesse, e una faccia squadrata. A differenza di Kamui, che aveva una pelle simile alla corteccia di un albero, lui sembrava una roccia vivente. La sua carnagione sembrava dura e massiccia e da come si muoveva, senza dubbio tutto il suo corpo era assolutamente robusto. Izuku non riusciva a immaginare come sarebbe stato essere colpiti da un pugno di quelle proporzioni.

“Salve,” mormorò Izuku, completamente affascinato.

L’uomo soprannominato Cementos si voltò verso di lui con un’espressione gentile. Un gesto che faceva a pugni col suo aspetto forte e duro.

“Il vostro re ora manda dei ragazzini a fare il suo lavoro?” Chiese l’uomo enorme con la sua voce baritonale.

Izuku gli sorrise, “Qualcuno deve pur farlo.”

Gli tese la mano e l’uomo gli porse un pezzo di carta ripiegato. Non appena Izuku lo aprì fu sorpreso di vedere una lista. Barili di olio, sacchi di farina, cestini con verdure. Il foglio era pieno di macchie d’inchiostro e righe infinite di pezzi sconosciuti. Per curiosità lo girò e vide un’altra lista sul retro, anche se alla fine, nell’unico spazio disponibile, c’erano un sacco di piccoli simboli in blu. Il testo era chiaro, anche se i tratti non erano fermi, come se l’autore non avesse avuto una penna adatta per scrivere.

Izuku non capì una sola parola, così lo porse a Shouto che si voltò, confuso.

“Perché una sola risposta?” Chiese con la voce tesa, “Ho inviato quattro messaggi, mi aspettavo quattro lettere di risposta.”

Cementos alzò le spalle.

“Per quanto ne so uno di loro è morto, due sono stati messi nella lista dei trasferimenti. Verranno portati alla cittadella a fine mese, forse prima, sarà impossibile avvicinarli dato che sono sotto stretta sorveglianza. L’unico che continua a stare tra la gente comune è il solo a cui è stato consegnato il tuo messaggio.”

“Morto?” Ripeté l’Alpha con un viso pallido. “Chi?”

“Non conosco i nomi, la lettera è l’unica cosa che ho per te.”

L’Alpha strinse i denti e si concentrò sulle righe di piccoli simboli. Izuku suppose che conosceva il codice per decifrare il messaggio. Man mano che leggeva, il suo viso impallidì e i suoi occhi si spalancarono dall’orrore.

“Non può essere.”

Izuku sentì l’odore di confusione, ansia e terrore che l’Alpha emanava con onde nere.

“Che succede?” chiese, cercando di controllare la propria angoscia. “Cosa dice?”

Shouto si voltò verso di lui, un’espressione di pura disperazione.

“Li stanno abbinando.” Disse con una voce debole, e non appena lo sentì, la paura di Izuku si rannicchiò dentro di lui come uno stormo di pipistrelli pronti a fuggire in tutte le direzioni. “Li stanno obbligando ad accoppiarsi.”

La paura di Izuku si liberò dalla propria gabbia e fluì da lui come un fiume in piena. Tutti i muscoli del suo addome si contrassero, le ginocchia tremavano, le dita delle sue mani fredde come blocchi di ghiaccio. Il suo intero corpo emise un urlo silenzioso di terrore e repulsione. Il suo orrore fu tale che per una piccola frazione di secondo fu felice del fatto che Katsuki non fosse lì a soffrire quel destino.

Subito dopo se ne pentì, ma immaginandosi Kacchan in una di quelle prigioni il suo cuore si restrinse dalla paura.

Non c’era modo di tornare indietro ormai, e Izuku non aveva intenzione di abbandonare lì la sua gente.




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Se mi state insultando me lo merito, lo so T_T Ho fatto passare quasi un mese intero per aggiornare, ma purtroppo è stato un periodo super pieno tra lavoro e altri impegni, perdonatemi ç_ç È stato un parto finire questo capitolo perché è particolarmente descrittivo quindi più complesso da tradurre rispetto a dei semplici dialoghi, spero vi sia piaciuto lo stesso <3
Prometto che non vi faccio aspettare troppo per il capitolo 9, anche perché SUCCEDONO COSE FINALMENTE. Non per nulla è uno dei capitoli preferiti della traduttrice inglese, e anche mio <3 


Prossimo capitolo: “Menta e Spezie”


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Capitolo 9
*** Menta e Spezie ***


Ogni persona ha il proprio aroma, un aroma che li differenzia da tutti gli altri. È come un’impronta digitale, e non ne esistono di uguali.



 

Capitolo 9 - Menta e Spezie





 

Non c’era modo di convincere Kamui a restare un altro giorno nel suo rifugio a forma di nido.

“Kurogiri saprà di voi due oggi,” spiegò con la voce piena d’ansia mentre raccoglieva in fretta le sue cose. “Manderà dei cacciatori sulle nostre tracce. Più restiamo, più rischiamo di essere trovati. Devo riportarvi alla costa.”

“No!” L’urlo giunse da due gole diverse, ma il sentimento era lo stesso e insieme diedero un tono autoritario a una semplice parola.

Izuku e Shouto parlarono nello stesso momento: “Non possiamo andarcene/Non ci rassegneremo. Dobbiamo aiutarli/È mia responsabilità.” Vomitarono parole senza sosta, entrambi con espressioni ugualmente angosciate, pallide e terrorizzate. Il panico di Kamui si placò vedendoli così pieni di timore.

“Ok, ok! BASTA!!” Entrambi si fermarono e lo guardarono, ansimanti. “Non possiamo stare qui, è troppo pericoloso… Ma non andremo alla costa!” Aggiunse quando aprirono le bocche allo stesso momento per continuare a protestare. “Non andremo alla costa, ma dobbiamo andarcene da qui.”

“Non possiamo arrenderci ora.” Ripeté Shouto e Kamui sbuffò.

“Ti ho sentito… ma ho bisogno che tu capisca. Dobbiamo andare. Ora.”

“Ma

“Discuteremo del da farsi quando saremo il più lontani possibile da questo posto.”

Kamui finì di preparare la sua borsa, prese il suo arco e scivolò giù per la corda finché non si vide più; non avevano altra scelta se non obbedirgli e quando arrivarono di sotto ebbero solo il tempo di salutare Cementos prima che Kamui li spingesse in un’altra direzione.

Si spostarono più velocemente possibile, evitando strade e campi aperti, seguendo semicerchi e svolte senza senso. Camminarono fino a tornare alla cascata, solo che stavolta erano in cima. La luna aveva perso la sua forma rotonda ma forniva comunque abbastanza luce da illuminare il percorso. Il vento freddo spostava le cime degli alberi e l’acqua scorreva con una tale rapidità che il suono echeggiava nella notte anche se il fiume era indistinguibile nell’oscurità. Con l’aiuto di Kamui riuscirono a discendere la parete di roccia, avanzarono di cinquanta metri prima di essere obbligati a immergersi nel fiume per lavarsi. Giunsero all’altra riva e si strofinarono il corpo con foglie di pino per nascondere il proprio odore. Poi tornarono sui propri passi, con i piedi immersi nell’acqua per non lasciare tracce, ed entrarono di nuovo nel tunnel.

Izuku non smise di tremare mentre si toglieva la maglia per avvolgersi nella prima coperta asciutta che trovò. Shouto arrivò dietro di lui e lo imitò, con le dita intorpidite dal freddo. Stupendo entrambi, Kamui non mostrava segni di disagio alle piccole gocce d’acqua che danzavano sulla sua pelle.

“Cancellerò tutte le tracce agli altri ingressi,” spiegò Kamui, lasciando le sue cose in un angolo. “Ci sono dei vestiti asciutti su quello scaffale, e altre coperte in caso vogliate asciugarvi. Tornerò prima dell’alba, poi parleremo con calma.”

Se ne andò senza prestare attenzione al grido di protesta di Shouto. L’Alpha lo seguì con la coperta sulle spalle e Izuku ne approfittò per spogliarsi e cambiare i vestiti. Mise le bende ad asciugare e si avvolse i fianchi con quelle di riserva nella sua borsa. Dato che non aveva un cambio d’abiti prese una canotta e un paio di pantaloni di Kamui, che gli calzavano enormi essendo l’uomo molto più alto di lui. Una volta asciutto, si occupò di creare un nido di coperte dove mettersi a riposare. Sentiva ancora i crampi alle spalle e le gambe esauste, era così stanco che non riusciva a smettere di sbattere le palpebre, ma sapeva che non sarebbe riuscito a dormire, perché le parole di Shouto continuavano a ripetersi incessantemente nella sua testa: Li stanno obbligando ad accoppiarsi.

Si sentì disgustato all’idea… disgustato e impaurito, perché quello sarebbe potuto essere il suo destino.

Lo sarebbe ancora potuto essere se li avessero catturati e scoperto che era un Omega. Izuku sospirò e si strofinò lo stomaco che non smetteva di contrarsi al pensiero. Per la prima volta, fu grato del fatto che la sua nave fosse affondata.










 

Shouto perse Kamui nei tunnel. Imprecò ad alta voce e dopo un attimo di indecisione tornò sui suoi passi. Trovò Izuku in mezzo a una pila di coperte pulite. Vedendo il suo viso stanco si sentì in colpa per la sua espressione angosciata. Pensò alla lettera e per la prima volta si pentì di averlo portato con lui.

“Cosa dice la lettera?” La voce del ragazzo era esile, solo un minuscolo suono che rivelava il suo sfinimento fisico ed emotivo. Shouto lo vide grattarsi la gamba dove la pittura del suo fiore finto aveva iniziato a venir via e notò il nodo alla base del suo stomaco.

Per calmarsi si voltò e si cambiò i vestiti senza guardare Izuku. Quando finì prese la lettera che aveva messo nel fodero del suo coltello con l’intento di tenerla al sicuro dall’umidità. Prese un respiro e lesse ad alta voce, e facendolo, non poté non ricordare la voce del ragazzo dai capelli rossi, col suo tono possente e appassionato.

La risposta di Eijirou era proprio come lui, esuberante e piena di idee. I piccoli simboli erano schiacciati insieme in un tentativo di usare il meno spazio possibile. La sua naturale energia vibrava in ogni parola scritta ed era ovvio che si era sforzato di essere il più conciso possibile.

Sono Eijirou, e non so niente riguardo gli altri. Ci hanno rinchiusi in celle individuali sottoterra. L’Alpha nella cella accanto alla mia è qui da più tempo degli altri, ed è lui che mi ha fornito le informazioni. Non ha voluto dirmi il suo nome, è una specie di usanza qui. Lo chiamo Rosso per via del colore del fiore sul suo petto. Col suo aiuto, e di uno degli Omega che ci sono qui, sono riuscito a scrivervi questa lettera. Non so se gli altri saranno altrettanto fortunati, quindi cercherò di rispondere a tutte le domande del vostro messaggio. Il cibo è passabile, anche se scarno. Lavoriamo nelle miniere quasi tutto il giorno. Ci controllano usando un incenso che rilascia feromoni artificiali e imita l’odore di un Omega incinto. L’incenso ci tranquillizza, ci induce in uno stato di assoluta obbedienza; non ho ricordi di cosa faccio in quello stato e non ho controllo sul mio corpo. Lavoriamo senza protestare ed è impossibile combatterlo. Rosso dice che molti non sopravvivono alla prima somministrazione, che provoca attacchi che portano alla morte. Sa che non c’è modo di contrastare l’incenso, anche se usa foglie di menta per attenuare l’aroma. Funzionano nel breve periodo ma alla fine la coscienza svanisce. Gli altri hanno tentato di imitarlo, anch’io ci ho provato, ma non ha funzionato. Non so perché. Gli Omega dormono in un’altra stanza dei sotterranei. Non è permesso loro parlarci, a meno che non vengano portati con noi nella stanze oscure. È lì che ci obbligano ad accoppiarci. Ci hanno provato con me. Obbligano l’Omega a prendersi cura di noi e poi ci costringono ad essere intimi. Se l’abbinamento ha successo, le coppie vengono portate via. Nessuno sembra sapere dove. Anche la fuga è impossibile. Rosso ci ha provato, senza successo. Conosce ogni guardia, ogni routine, i passaggi che attraversiamo ogni giorno e conosce il percorso che ci porta in superficie, ma l’uscita è un campo recintato sorvegliato continuamente.

So che nella vostra lettera confermate che farete in modo di tirarmi fuori di qui, anche se sarò solo io, ma vi chiedo di non farlo. Non chiedetemi di abbandonarli. Non posso voltare loro le spalle. Se il re non ha intenzione di liberare le prigioni, allora abbiamo bisogno di aiuto così che tutti possano fuggire in modo sicuro.”

Shouto finì di leggere la lettera; restò in silenzio pensando alla parola morto. Hanta? Rikidou? Tetsutetsu? Chi era caduto a causa dell’incenso?

“Per questo rapiscono i più giovani.”

L’affermazione lo strappò ai suoi pensieri tormentati. Si voltò verso l’Omega che mostrava un’espressione accigliata e si torturava il labbro, borbottando tra sé e sé.

“Gli adulti è più probabile che siano già accoppiati, ed è più facile costringerli a unirsi rispetto al dare la caccia a un adulto col suo partner, ma qual è lo scopo… Beh, un Alpha non andrebbe da nessuna parte senza il proprio Omega. Non possono fuggire senza di loro. Neanche gli Omega potrebbero abbandonarli, quindi forse è una forma di controllo su di loro, una soluzione più permanente e meno problematica dell’incenso… L’incenso… Ha l’odore di un Omega, ma anche se fosse un vero Omega non dovrebbe essere in grado di sottometterli in quel modo. È artificiale, ma come hanno fatto a crearlo? Qual è la base? Che scopo ha, quanto dura, quali sono le conseguenze a lungo termine...”

“Conseguenze?”

Izuku fu colto di sorpresa dalla domanda e alzò gli occhi per guardarlo. La sua espressione era vuota e Shouto capì che non stava davvero parlando con lui, il ragazzo stava semplicemente borbottando tra sé e sé, troppo assorto nei suoi stessi pensieri per realizzare che stava parlando ad alta voce. Ripeté la domanda, sperando di ottenere da lui una risposta.

L’Omega batté le palpebre e gli rispose.

“È possibile che ci siano conseguenze a lungo termine. Esistono piante che creano dipendenza e quando si smette di prenderle possono provocare depressione, stanchezza, ansia, irritabilità e a volte morte. Non so quali ingredienti siano stati usati, ma se è artigianale è molto probabile che eventualmente crei un’astinenza se la somministrazione viene interrotta bruscamente.”

“E perché alcuni non riescono a tollerarlo?”

“Per la stessa ragione per cui alcuni percepiscono l’heat di un Omega prima che questo avvenga. Hanno un istinto capace di registrare variazioni sottili negli odori, proprio come alcuni guaritori Beta che si allenano per riconoscere malattie basandosi sull’odore che il paziente emette.” Restò in silenzio per un attimo prima di pizzicarsi il labbro con forza. “Gli odori,” ripeté la parola. “Questo spiegherebbe anche perché sia un’arma così efficace.” Si ammutolì di nuovo, continuando a tormentarsi il labbro. Shouto non parlò e gli diede spazio per fare ordine al suo treno di pensieri. “Sì, ha senso. L’incenso imita un aroma che qualsiasi Alpha associa alla sicurezza e al benessere, qualsiasi giovane lo troverebbe irresistibile, per non parlare del fatto che gli adolescenti sono più inclini ad essere sopraffatti dai feromoni di un Omega.”

“Significa che non funzionerebbe su un adulto?”

“Qualsiasi adulto ha più controllo sui propri impulsi, ma è difficilissimo restare impassibili in una situazione del genere. In battaglia, potrebbe rivelarsi fatale.”

“E qual è il vantaggio che Rosso ha rispetto agli altri, perché con lui funziona la menta? È per via della menta o è più tollerante all’incenso?”

“Potrebbe essere la tolleranza, o forse la menta è l’odore di uno dei suoi genitori, un aroma familiare; lo tiene sveglio, anche se non sembra che l’effetto duri molto… Se riuscissimo a migliorare quell’aroma, forse aumenterebbe la durata in cui resiste agli effetti. Questo gli darebbe l’opportunità di combattere… L’ideale sarebbe trovare una fragranza che funzioni con tutti, ma non abbiamo il tempo e tantomeno le risorse.” Emise un mmm pensieroso e lasciando in pace il suo labbro, iniziò a mordersi con ansia il pollice. “Possiamo suggerire loro di trovare un qualsiasi tipo di sostituto per se stessi. Sì… potremmo inviare loro delle fialette con delle essenze specifiche. Fiori, piante, frutti… potremmo suggerire loro di cercare tra quegli aromi quelli familiari.”

“Sarà sufficiente?”

“Se funziona con la menta deve funzionare anche con altre piante, bisogna solo trovare quella giusta. Devono anche pensare a un sistema per contrattaccarlo per tutti, in quel modo potrebbe essere usato in battaglia.”

Shouto annuì, “Hai delle lozioni che possiamo mandargli?”

“Alcune, ma dureranno al massimo un mese prima che inizino a marcire e deteriorarsi. L’ideale sarebbe usare essenze fresche, e vorrei preparare una versione di menta pura. Conosco diverse tecniche di macerazione, possono essere pronte in due giorni, tre al massimo.”

“Beh… quando Kamui tornerà ne discuteremo con lui. Per ora, vai a dormire. Hai bisogno di riposarti.”

Izuku smise di mordersi il dito e lo guardò come se fosse pazzo. “Non penso—”

“È un ordine. Dobbiamo riposare. Domani sarà una giornata difficile.”

Shouto si armò di pazienza in caso dovette affrontare una protesta, ma restò fermo e alla fine riuscì a convincerlo. Lo sentì muoversi tra le coperte, borbottare a bassa voce, e realizzò di starvi prestando troppa attenzione quando notò l’esatto momento in cui il ritmo del suo respiro cambiò e l’odore di incertezza e paura svanì, lasciando solo la menta fresca nell’aria. Invece di godersela, Shouto non smise di tormentarsi, cercando di ipotizzare chi tra i suoi amici avesse lasciato questo mondo.










 

Gli incubi inseguirono Izuku durante la notte. Sognò di Katsuki che affogava negli abissi e subito dopo lo immaginò in una cella scura, morto di fame. Si svegliò col cuore che batteva a mille, la nausea che gli saliva in gola, minacciando di espellere tutto il cibo degli ultimi giorni.

Non fare il fifone.

Prese un respiro e con gli occhi chiusi recitò la stessa litania che si ripeteva ogni volta che aveva bisogno di calmarsi.

“Per aiutare la cicatrizzazione, il dolore e ridurre l’infiammazione, possiamo usare la lavanda, semi di lino, camomilla, arnica, calendula, echinacea e té verde. Bolliti e sotto forma di olio si applicano sulle ferite...”

Cercò di ricordarsi l’aroma di ognuna di quelle piante. Descrisse la forma delle foglie e i luoghi dove tendevano a crescere. Alla fine il ritmo del suo cuore tornò normale e la sua angoscia fu sotto controllo. Quando si alzò trovò Shouto addormentato con le braccia incrociate e la testa reclinata sul petto, quindi per non svegliarlo si mosse con attenzione, raccolse i suoi abiti asciutti e si spostò verso il tunnel scuro per cambiarsi.

Quanto tornò si sedette per ritoccare il finto fiore sulla sua gamba. Cercò con molta attenzione di cancellare i rivoli di inchiostro che distorcevano il suo disegno e poi avvolse l’immagine con un bendaggio stretto, lasciando visibili alcuni steli in alto. Stava finendo il suo lavoro quando Kamui tornò dal tunnel più grande.

“Buongiorno,” lo accolse Izuku mentre Shouto si svegliò non appena lo sentì. “Ci sono stati problemi?”

“No,” replicò l’uomo facendosi cadere a terra con un’espressione esausta. “Ho cancellato tutte le tracce in tutti i tunnel, bloccato gli ingressi visibili e mandato un messaggio a Snipe per informarlo della situazione.”

“Chi è Snipe?”

“Un eremita che alleva e allena uccelli messaggeri. Vive tra le montagne, è lui ad aver ricevuto le missive di Aizawa. In quale altro modo mi avrebbero potuto trovare se passo la vita a nascondermi dai cacciatori? Ho chiesto a Snipe di mandare un messaggio di soccorso per voi. Ci metterà del tempo ad arrivare, ma sono convinto che riuscirò a portarvi al confine prima che sia troppo tardi. Dovrete attendere la loro nave sulle coste desertiche.”

“Non ce ne andremo,” replicò fermamente Shouto mentre Izuku restò in silenzio.

“Non so come vuoi che te lo spieghi, restare qui è una pessima idea. Potrete non essere a rischio adesso, ma in un paio di giorni quest’area sarà piena di spie e cacciatori. Persino io dovrò andarmene. Intendo scalare e nascondermi tra le montagne. L’ho già fatto prima e non ho mai avuto problemi. Per qualche mese. Quando le acque si saranno calmate, tornerò.”

“No, sei tu che non capisci. Il piano originale era liberare i prigionieri e aspettare la nostra gente. Se non ci sono stati ritardi, arriveranno da un momento all’altro.”

“Chi arriverà?”

“L’esercito di Yuuei. Todoroki-ou ha deciso di inviare la sua flotta contro Hosu. Due navi della flotta sono partite prima perché c’è stato un avvistamento degli schiavisti vicino alla costa, una di esse è quella che ci ha portato qui. Le altre sono state fatte partire più tardi. È probabile che in un paio di giorni le loro vele vengano viste all’orizzonte.”

Kamui lo guardò stupefatto. Gli ci volle un momento per riprendersi e quando lo fece si alzò, con la rabbia che gli illuminava gli occhi.

“Mi stai dicendo che il re di Yuuei ha intenzione di invaderci?!”

“Non è un’invasione. Ha intenzione di distruggere i porti e le flotte di navi. Se possibile, distruggerà le fortezze vicino alla costa.”

“E pensi che il tuo re si accontenterà di quello?! Dannazione! Questo scatenerà la guerra!”

“La guerra è in corso da anni.”

“No! Il nostro nemico comune doveva essere il Generale! Era lui che dovevamo sconfiggere! Ma ora… ora sono tutti nemici! Persino quelli che hanno aiutato! La gente che ha rischiato la propria vita per voi!”

“No, e posso darti la mia parola. Non permetterò che ciò che hai fatto venga dimenticato. Non lascerò che i tuoi sforzi o quelli dei tuoi amici vengano sottovalutati.”

“Non lo permetterai?! Cosa puoi fare tu?!”

“Posso convincere mio padre a offrire immunità a chiunque combatta per la nostra causa.”

“...tuo padre?”

“Mi chiamo Shouto Todoroki, e sono il terzo figlio del re. Se ci aiuterai mi assicurerò di fare tutto il possibile per restituirti il favore.”

Kamui fece un passo indietro, troppo sorpreso dalla scoperta. “Sei il figlio del re?"

“Capisco che restare qui sia troppo pericoloso, ma abbiamo solo bisogno di un paio di giorni. Tre al massimo. Abbiamo un’idea che vogliamo testare.” Guardò di lato Izuku, che annuì silenziosamente. “Vorremmo parlare con la persona che ha consegnato il primo messaggio, vogliamo che consegni un’altra cosa. Poi ce ne andremo. Per allora le navi di Yuuei saranno qui, incontreremo la prima unità che sbarcherà e potrai avvisare la tua gente.”

Il silenzio si distese lungo la caverna come un velo fragile. Alla fine, Kamui sospirò sconfitto.

“Molto bene...”










 

La stessa guardia — Eijirou ipotizzò che fosse la stessa, anche se non ne era del tutto certo — che aveva consegnato il primo messaggio fu la stessa che si presentò alcuni giorni dopo per prendere la risposta. Da allora ogni volta che una sentinella entrava, Eijirou si raddrizzava, aspettando un segnale.

Ogni giorno la sua impazienza cresceva, ma ciò che arrivò non fu una lettera, ma un cambiamento che nessuno di loro si era aspettato.

Iniziò come un altro giorno, l’unica differenza era che non arrivarono gli Omega con la colazione. Il tempo passò lentamente finché non fu ora di andare a lavorare, ma le guardie non si presentarono per attenersi alla routine. Eijirou si scambiò un’occhiata col biondo, ma entrambi si trattennero dal commentare.

Le guardie apparvero alcune ore più tardi, ma invece di portare cibo o attenersi alle routine di trasferimento accesero l’incenso e fomentarono il fumo finché non coprì completamente il sotterraneo. Eijirou imprecò a bassa voce e cercò di combatterlo, ma fu inutile e quando si svegliò non era più nella sua cella.










 

Le dispense vuote fecero mormorare i suoi compagni Omega, ma Denki era troppo preso a preoccuparsi della carta e dell’inchiostro per partecipare attivamente alle chiacchiere degli altri. Ogni volta che si imbatteva in una guardia aveva paura di essere arrestato e portato nelle celle scure. Non riusciva a smettere di ricordare le mani di Nubia.

Denki venne obbligato a concentrarsi sul presente quando i cambiamenti iniziarono ad avvenire uno dopo l’altro senza alcun preavviso. Dopo le dispense vuote e il prolungarsi del gruppo di Ochako nelle celle, la novità successiva fu quando le guardie saltarono il giorno libero del gruppo di Yui, nessuno di loro si godette il pomeriggio al sole come dettato dall’abitudine. Poi saltarono il gruppo di Ochako. Due giorni dopo raccolsero tutti nelle cucine per preparare delle borse con del cibo, riempiendole di frutta, pane, carne, verdure e tutto ciò che era rimasto nelle dispense. Quel giorno, nessuno andò ai frutteti e gli abiti non vennero lavati. I materassi non vennero messi al sole e nessuno andò a dar da mangiare agli Alpha.

Tutti si scambiarono sguardi di panico quando le guardie vietarono loro di mangiare e li separarono in piccoli gruppi. Denki vide Ochako nello stesso gruppo di Yui mentre venivano portate via dalle sentinelle, ognuno di loro portando dei sacchi di viveri.










 

Le gambe di Ochako tremavano mentre camminava dietro la guardia. Strinse forte i sacchi tra le braccia, fino a far diventare bianche le nocche. Cercò di controllare il proprio respiro, ma ogni volta che inspirava, sentiva il corpo tremare. Lo stomaco si contraeva e il cuore palpitava nel petto come un tamburo senza ritmo. La sua angoscia si scatenò quando il suo gruppo iniziò a scendere le scale verso le celle oscure.

Non di nuovo, non di nuovo. Non si sentì in grado di ricreare la stessa menzogna, non al momento quantomeno. Aveva bisogno di tempo. Voleva del tempo per calmarsi, per fare pace con se stessa.

La guardia la prese per il braccio e la spinse verso la cella con la porta aperta. Lei incespicò e i sacchi le caddero dalle mani mentre l’eco delle porte che si chiudevano risuonava attraverso la cella.

“Chi c’è?”

Ochako fu sorpresa nel sentire la voce. Era piena di una sfumatura intensa ed energica, con un tono fermo e vellutato. Era la voce di un Alpha diffidente.

“Io,” replicò, incapace di mantenere la propria integrità.

“E la luce?”

“Non mi hanno dato nessuna luce.”

“Cosa? Perché?”

“Non lo so,” la sua voce tremò mentre parlava. “Il mio turno è finito qualche giorno fa, non dovrei essere...”

Le parole si spezzarono prima che potesse finire. Ochako deglutì il resto insieme al pianto che minacciava di esplodere. Poi, sentirono la guardia dall’altro lato della porta. La sua voce era possente e scontrosa, rivolgendosi senza dubbio a quelli che stavano su quel piano.

“Questa è la vostra ultima possibilità di unirvi al Generale. Il cibo che avete lì sarà il solo che riceverete e avrete anche un solo secchio d’acqua, quindi non sprecatelo. Se vi accoppiate, verrete trasferiti alla cittadella principale, dove avrete una nuova vita e una nuova casa. Se vi rifiutate, verrete abbandonati e lasciati a morire di fame in questa prigione. Fate la vostra scelta e conviveteci.”










 

Quando Katsuki tornò in sé, tutte le celle del sotterraneo erano vuote, tranne la sua e quella di fronte. Il fumo dell’incenso si era disperso ma i suoi effetti scorrevano ancora nel suo corpo. Notò la testa pesante e la gola secca, così si chinò sul suo secchio d’acqua e bevve fino a sentirsi sazio, poi si lavò il viso e il corpo per eliminare l’odore del fumo che ancora gli restava addosso. Finì di bagnarsi i capelli quando tornarono le guardie.

Erano in tre e indossavano le loro uniformi nere con i cappucci che gli coprivano i volti. Uno di loro si fermò davanti alle due celle, guardò per un momento l’Alpha ancora incosciente e poi si voltò verso di lui. Katsuki si alzò in piedi e la sua postura indicava che era pronto a combattere se la porta della sua cella si fosse aperta. La sentinella sembrò leggere le sue intenzioni perché sospirò e indicò l’Alpha addormentato.

“Sarà meglio spostare quello lì.”

“L’altro non lo trasferiamo?” Chiese un’altra guardia.

“Su di lui l’incenso ha perso effetto e non voglio usarlo di nuovo. Voglio terminare subito perché sto morendo di fame, è stata una giornata infinita. Oltretutto, le celle di sotto sono piene e il capitano ci ha detto che se ci fossero stati degli avanzi avremmo potuto metterli in sotterranei separati. Può restare qui, gli porteranno compagnia, lascia che siano loro ad occuparsi di lui. Abbiamo ancora tre sotterranei da pulire.”

Katsuki restò all’erta mentre le due guardie caricavano l’altro Alpha mentre la terza si attardò, posizionando una torcia nuova. Non appena scomparvero cercò di forzare il lucchetto della sua cella, ma non c’era molto che potesse fare senza alcun strumento a disposizione.

Per calmare la fame bevve altra acqua e quando la campanella suonò all’orario in cui di solito lavorava alle miniere, Katsuki non sprecò tempo e iniziò a riempire il suo secchio, poi si chinò per lavarsi la faccia, bagnò i capelli e si saziò, lo stomaco che doleva ancor prima che l’acqua smettesse di scorrere. Ora, non aveva altra scelta se non sedersi e aspettare.










 

Denki faceva parte dell’ultimo gruppo. Era l’unico maschio in mezzo a sette ragazze, ed era compito loro riempire d’acqua i secchi, uno dopo l’altro. Si offrì di lavorare con la pompa manuale perché era dura e grattava ogni volta che andava su e giù. Quando un secchio si riempiva un altro lo sostituiva, e Denki vide le sue compagne uscire portando secchi con entrambe le mani, cercando di non rovesciare niente.

Con le sentinelle accanto a loro, nessuno osava dire nulla, ma tutti si guardavano con la stessa espressione terrorizzata e scossa che andava e veniva mentre portavano l’acqua. Anche se Denki iniziò a sentire i crampi alla schiena, continuò a farsi guidare dalla paura, finché la guardia non gli disse di fermarsi.

Una volta che furono tutti insieme l’uomo gli intimò di sollevare il resto dei sacchi. Denki ne prese tre, ma ne diede uno all’Omega che piangeva davanti a lui. Poi si misero in fila per seguire le guardie. Ad ogni scalinata una delle sentinelle scendeva trascinando un Omega, il resto continuava giù per il corridoio senza fermarsi, accompagnati dal debole pianto dei compagni. L’unica volta che Denki osò voltarsi indietro ricevette un pugno che lo fece barcollare. L’Omega accanto a lui si avvicinò e lo tenne così che non cadesse. Denki annuì nella sua direzione, abbracciò i due sacchi di viveri e camminò con la testa che pulsava.

Uno ad uno i suoi compagni scomparvero finché non rimase solo lui. La sentinella di fronte lo prese per un braccio e lo trascinò giù per le scale di uno dei sotterranei, che riconobbe subito come quello dell’Alpha dai capelli rossi. Con sua sorpresa, tutte le guardie che stavano scendendo con lui si fermarono davanti all’unica cella occupata.

Lì ad aspettare, con l’espressione feroce di una bestia pericolosa, c’era l’unico Alpha con cui Denki non avrebbe voluto aver a che fare.

“Voltati,” disse la guardia brandendo un pugnale nella sua mano libera.

L’Alpha non fece segno di voler obbedire. Restò in piedi con le gambe leggermente divaricate, le braccia piegate e la schiena tesa. Emanava uno spaventoso odore rosso, la sua rabbia che fluiva in pesanti onde di pericolo. Denki si agitò sul braccio della guardia cercando di scappare, quello era l’odore di un Alpha e lui voleva nascondersi sotto un letto. Le sentinelle non potevano sentirlo, ma capivano la minaccia. Così si posizionarono a semicerchio intorno all’ingresso mentre Denki e la guardia che lo teneva restarono davanti alla porta.

“Possiamo farlo con le buone o con le cattive,” disse la sentinella sollevando la lama per indicare l’Alpha. “Puoi voltarti, mettere le mani contro il muro e restare lì mentre apriamo la porta, o puoi azzardare una mossa folle per scappare e io taglierò la gola di questo tizio inutile che ho qui, e noi sei ci occuperemo di te. Magari sei forte, forse pensi che puoi sconfiggerci, ma la verità è che bastano cinque di noi a trattenerti mentre l’altro accende l’incenso. E posso prometterti che quando gli effetti saranno passati io e i miei amici ti faremo pagare questo ritardo assurdo, quindi…?”

La guardia lasciò la domanda in sospeso, ma avvicinò la punta del coltello al collo di Denki e il ragazzo sentì la punta bucare la sua pelle. Non riuscì ad evitare di spostare gli occhi sul viso dell’Alpha e forse fu perché si conoscevano, forse perché la sua espressione gridava aiuto, forse a causa del suo odore nero di paura e insicurezza, forse gli era grato per avergli portato la menta durante tutti quei mesi, ma qualsiasi fosse la ragione l’Alpha ringhiò, si voltò e appoggiò le mani sul muro con la testa abbassata.

Le guardie non persero tempo, aprirono il cancello e spinsero dentro Denki. La porta si chiuse dietro di lui con un rumore sordo e in quel momento l’Alpha si voltò. La sua rabbia era così tagliente che Denki si allontanò dall’ingresso e si appiccicò alle sbarre su uno dei lati, desiderando di fondersi con esse.

“Sprecano il loro tempo,” ringhiò l’Alpha, sfruttando tutta la sua altezza. “Non farò parte del loro gioco.”

“Come desideri, ma questa è l’ultima opportunità di servire il Generale. Il cibo che porta,” la guardia fece segno e Denki strinse a sé i sacchi. “è l’ultimo che avrai. Se vi accoppiate verrete trasferiti alla cittadella principale, avrete una nuova casa e sarete liberi. Se insisti con la tua idiozia morirai di fame in questa cella. Torneremo tra qualche giorno per ascoltare la tua decisione.”

Le sentinelle se ne andarono e finalmente le gambe di Denki cedettero. Scivolò fino a sedersi per terra, le parole della guardia che si ripetevano nella sua testa e iniziò a realizzarne le implicazioni. Morirò qui, se gli fossero rimaste delle lacrime, avrebbe pianto, ma dentro di lui c’era solo un vuoto pieno di disperazione.










 

Dato che Izuku necessitava del fuoco per la macerazione, Kamui gli permise di andare nella zona della cascata dove avrebbe potuto accendere un fuoco senza la paura che il fumo si disperdesse attraverso la caverna. Shouto andò con lui per offrirgli protezione e Kamui si allontanò per cercare il messaggero di Cementos.

“Di cosa hai bisogno?” Chiese Shouto mentre portava le pentole e le ciotole che Kamui aveva preparato prima di andarsene.

“Avevo intenzione di preparare venti fialette di profumo, ma col tempo che abbiamo preferirei farne cinque. Sette al massimo. Rose, gelsomini, camomilla, fragole, bacche e altri. Sono aromi molto comuni ed è probabile che alcuni funzionino. Preparerò anche il composto alla menta.”

“Cosa devo fare?”

“Abbiamo bisogno degli ingredienti. Kamui mi ha dato le fragole e dell’olio che aveva in dispensa, ma dovremo cercare quello che ci serve.”

Si separarono, ognuno con una lista di sei pezzi e quando si riunirono era quasi sera. Mangiarono in silenzio e in fretta, circondati dagli ingredienti che erano riusciti a raccogliere; camomilla, lavanda al posto del gelsomino, menta e fragole, ma nonostante l’intensa ricerca non riuscirono a trovare né le rose né le bacche. Izuku avrebbe voluto prendersi un altro giorno per cercare altri ingredienti, ma non c’era tempo da perdere. Quella notte, prima di andare a dormire, mise i fiori e le piante a mollo in diverse ciotole. I fiori nell’olio e le piante nell’acqua, sistemò il tutto e tornò a dormire nella caverna.

Izuku si distese nel suo nido di coperte improvvisato e cercò di rilassarsi abbastanza da addormentarsi, ma il suo cervello continuava a ruotare intorno all’incenso.

Serve per controllare un Alpha, e gli Omega? Funziona su di loro? ...Tokoyami mi avrebbe detto dell’incenso se l’avesse saputo, ma pensava fosse un tranquillante. In un certo senso lo è, ma come descritto dalla lettera, non solo li controlla senza lasciare ricordi di ciò che accade in quel momento, ma li obbliga anche ad obbedire senza la capacità di protestare… Se l’obiettivo è farli accoppiare, perché non metterli insieme, usare l’incenso e dare l’ordine? ...Se l’incenso funzionasse sugli Omega, non ci sarebbe possibilità di evitarlo; la lettera suggerisce che hanno controllo sulle loro azioni, ma possono ribellarsi come quello che ha aiutato con la lettera… Beh, l’incenso non funziona sugli Omega, ma anche in quel modo potrebbero obbligare un Alpha a forzare il processo di accoppiamento, potrebbero ordinarglielo e nessun Omega avrebbe la forza di combattere un Alpha, anche in quelle condizioni, quindi perché non lo fanno? L’incenso non funziona se c’è un Omega nelle vicinanze?...

Il pensiero fu così scioccante che Izuku dovette alzarsi. Notò i battiti del proprio cuore nel petto e le mani che non smettevano di tremare mentre afferravano la coperta.

...supponiamo che non funzioni con un Omega nelle vicinanze, questo spiegherebbe perché mantengono un controllo così rigido su di loro… Vediamo, l’incenso è artigianale, è un aroma prefabbricato che può causare morte e che annebbia le capacità combattive e di sopravvivenza di un Alpha, ma è artificiale… È come assaggiare lo sciroppo di fragola, non è una fragola, avrà lo stesso profumo e forse lo stesso sapore, ma non è la stessa cosa… Se riuscissimo a fare il test, un Omega contro l’incenso, quella potrebbe essere la strada per trovare un modo per contrastarne gli effetti… mmm… Ma gli Omega stanno in zone separate, e nulla sembra indicare che siano presenti durante la somministrazione dell’incenso… In quale altro modo un Alpha potrebbe avere a portata di mano dei feromoni di Omega?

Cercando di rispondere a quella domanda Izuku non dormì, e quando notò che il cielo si stava schiarendo si alzò con una mente piena di idee e piani. Mentre Shouto accendeva il fuoco, Izuku prese una delle ciotole e iniziò a schiacciare la fragole, quando il frutto fu del tutto finito aggiunse acqua, un po’ di zucchero e lo mise in una delle pentole più piccole a bollire. Poi, si concentrò sulle piante. Mise una manciata di foglie di menta in un’altra ciotola dove le tritò fino a polverizzarle, le immerse nell’acqua dove erano state a mollo tutta la notte mescolando il tutto con un cucchiaio. Usò un pezzo di stoffa per filtrare la miscela, la schiacciò ancora e replicò l’operazione finché il liquido non acquisì un tono verde. Lo lasciò a riposare con alcune foglie di menta rimaste intere e avvolse la ciotola con un tessuto di cuoio così che stesse vicino al fuoco ma senza toccarlo.

Trattò le foglie di lavanda e camomilla allo stesso modo della menta, solo che in quel caso le macerò con l’olio e Izuku fece molta attenzione a non sprecarne nemmeno una goccia.

“Sarà necessario ripetere la procedura tra poco,” disse a Shouto che stava controllando la pentola dove il miscuglio di fragole e zucchero bolliva lentamente. “Fai attenzione a non bruciarlo, quando vedi che l’acqua è quasi evaporata, mettilo da parte e fallo riposare.”

“Dove vai?”

“Ho un’idea per l’ultima lozione, ma mi serve del burro o della cera. Vado a cercare tra le cose di Kamui per vedere se riesco a trovarli.”

Dovette controllare tutti gli scaffali, i barattoli e le scatole che c’erano nella caverna. Trovò quello che cercava in un pentolino vicino a un sacchetto di riso. Prendendo coraggio, Izuku si spogliò, si tolse le bende, le sostituì con quelle di scorta che aveva e dopo essersi rivestito procedette a coprire di burro ogni pezzo delle sue bende usate. Le arrotolò cercando di non muoverle troppo e le mise in una ciotola, coprendole. Tornò da Shouto e quando lui gli chiese della lozione, lui gli spiegò la sua teoria.

“...quindi voglio creare un’essenza che abbia feromoni Omega. Non sarà del tutto efficace, ma se uno di loro la trova familiare, possono usarla per combattere gli effetti dell’incenso. Anche se vorrei che nel messaggio che invierai potessi chiedere loro di provare a usarlo su un Omega per vederne i risultati.”

“Come hai intenzione di farlo?”

“Col burro. È una tecnica che mio padre usava per i fiori delicati. Non so se ricordo l’esatta procedura, ma devo almeno provarci.”

Shouto annuì e dopo aver mangiato, Izuku tornò a macerare altre fragole e il resto delle piante. Quella notte, si addormentò non appena mise la testa sul letto, ma si svegliò prima che il sole sorgesse ed era pronto a testare la tua teoria. Alla fine, raccolsero tutte le fragranze in delle piccole fiale che sigillarono con dei tappi di sughero bagnati nella cera per evitare delle fuoriuscite.

Izuku gli passò l’ultima bottiglietta col liquido trasparente del suo esperimento. Shouto se la portò al naso e inspirò. L’aroma era smorzato, discreto, anche se possedeva senza dubbio una delicatezza inaspettata. La menta era inconfondibile, e dietro c’erano altre varianti, che Shouto non riuscì a riconoscere, ma nel complesso era senza dubbio affascinante.

“Ha il tuo profumo,” disse chiudendo di nuovo la bottiglietta col tappo di sughero.

“Davvero? ...hm, mi aspettavo fosse un odore più neutrale. Riconosci i feromoni Omega?”

“Non proprio, ma… non so, è diverso.”

“Diverso da quello di una pianta? Riusciresti a capire che proviene da una persona?”

“Una persona forse… ma perché ho già familiarizzato il tuo odore.”

“Davvero?”

“Da quando ti sei cambiato, non hai usato la tua lozione di piante, quindi hai profumato di menta per due giorni. Mi è diventato familiare. Non so se sarei in grado di riconoscere da chi proviene se non ti conoscessi.”

“Beh… dovremo verificarlo. Anche se non funziona, gli altri quattro funzioneranno, e almeno adesso abbiamo un piano da cui partire.”

Shouto annuì e fece inclinare la candela per coprire il tappo con la cera. Dopodiché pulirono tutti i materiali e pranzarono in silenzio. Stavano finendo di raccogliere il tutto quando videro Kamui comparire tra gli alberi dall’altro lato del fiume. Il sorriso di Izuku si allargò quando vide che non era solo.

La persona che lo accompagnava era più piccola di Kamui — la pelle di un rosa chiaro, i capelli dello stesso colore, due corna gialle, occhi neri con pupille dorate — ma la cosa più insolita tra tutte fu l’immenso sorriso che dedicò loro quando arrivarono lì e Kamui li presentò.

“Loro sono Shouto e Izuku, le persone di cui ti ho parlato, lei è—”

“Mina Ashido!”

“No! Ti ho detto che avremmo usato nomi in codice!”

“Sì, e mi ricordo anche del nome in codice di Cementos, e diavolo! Non voglio essere vittima della tua terribile immaginazione.”

“Mina!”

“Non urlare, è la verità. Mashirao è d’accordo con me.”

“Hai detto a Ojiro che saresti venuta con me?”

“Non potevo nasconderglielo.”

“Mina! Doveva essere un segreto.”

“Sa mantenere i segreti, ma ehi, vediamo, siete amici del ragazzo coi capelli rossi e col fiore di loto sul petto?”

“Lo conosci?” Shouto saltò in piedi non appena la sentì.

“Non ci siamo presentati, ma l’ho visto. Ha ricevuto il messaggio e sono andata a prendere la sua risposta, cosa volete che consegni ora?”

Shouto le porse la piccola borsa di pelle, e quando la aprì la ragazza vi trovò cinque bottigliette, un foglio piegato e un coltello.

“Niente coltelli,” disse porgendoglielo. “Non posso prenderlo. Le fiale sono innocue, ma il capitano ha un controllo rigido sulle nostre armi. Se lo scoprisse farebbe domande e non voglio finire nei guai.”

“Hanno bisogno di difendersi.”

“Beh, dovrà cavarsela da solo. Niente armi.”

“D’accordo, quando lo consegnerai?”

“Domani. La prigione è stata chiusa, gli unici rimasti dentro sono i soldati di alto rango. Noi altri siamo stati mandati a casa e dobbiamo presentarci domani.”

“Perché?”

“Se solo lo sapessi, non ci dicono mai niente.”

“Avrai problemi a consegnare le fiale?”

“No, ma dovete sapere che è probabile che dovranno andare di nuovo nei sotterranei. Se succede, dovrete aspettare tre settimane prima che possa consegnargliele.”

“Tre settimane?”

“È il periodo che ci vuole di solito perché tornino dalle celle.”

La confusione lasciò Shouto senza parole e Izuku ne approfittò per intervenire.

“Forse potresti darlo a Rosso.”

Shouto lo guardò, “Pensi che sia abbastanza affidabile?”

“Sicuramente è conscio della situazione, tentar non nuoce.”

“Ok,” si voltò verso la ragazza che stava sistemando il pacco nella sua borsa. “Se non riesci a darlo al mio amico, c’è un altro dei nostri nella cella accanto alla sua, da quanto ne so ha cercato di fuggire una volta. Ha un fiore rosso sul petto, sai di chi sto parlando?”

La ragazza restò in silenzio mentre i suoi occhi si alzavano al cielo.

“Sì, penso di sì.” Sorrise. “Ma dovete sapere che ci odia e potrebbe non accettare qualsiasi cosa arrivi da me.”

“Correremo il rischio, digli solo chi ti manda.”

“Come desideri.”

Se ne andò dopo averli salutati entrambi, e non appena scomparve, Izuku sospirò.

“Beh,” disse Kamui fissandoli, “è ora di tornare alla costa.”










 

Nonostante l’avessero razionato, il cibo finì. Katsuki divise l’ultimo pezzo di pane duro in due parti uguali. Ne porse uno al biondo che, seduto nell’angolo, si abbracciava le ginocchia ed era avvolto nell’unica coperta che avevano. L’oscurità era quasi assoluta e dato che nessuno cambiò le torce finirono per spegnersi. Il debole bagliore delle lampade del corridoio scivolava giù per le scale, ma la luminosità non era abbastanza per raggiungere la cella dove si trovavano.

Era difficile misurare il tempo stando rinchiusi senza la luce del sole. L’unico modo di distinguere un giorno dall’altro era tramite la routine dell’andare nelle miniere a lavorare, ma senza quella era impossibile determinare da quanto tempo fossero lì. Fino a quel momento nessuna guardia era scesa, nessun Alpha era tornato, e nessuno si era preoccupato di svuotare il secchio dei bisogni. L’intero sotterraneo odorava di loro, piscio, merda, impazienza e frustrazione.

Mentre le ore passavano, Katsuki trovò sempre più difficile concentrarsi. Era la prima volta che passava così tanto tempo senza inalare l’incenso, perché anche nelle celle oscure lo usavano di tanto in tanto per calmarli, e la cosa curiosa era il fatto che invece di sentirsi pulito e libero, si sentiva confuso e rallentato. Se sforzava la sua mente a concentrarsi, lo tormentavano le emicranie. E la cosa peggiore era che stava iniziando a notare l’aroma di arance che arrivava dall’Omega seduto in un angolo.

Aveva un profumo delizioso, come un succo fresco pieno di polpa acida.

Il suo stomaco brontolò al pensiero, ma Katsuki scosse la testa e ringhiò. Voleva addormentarsi, ma soffriva di insonnia da due giorni, forse. Strizzò gli occhi quando i contorni della vista iniziarono ad annebbiarsi. Si agitò, a disagio e con i muscoli tesi e impazienti. Era abituato alla fame e alla reclusione, non capiva da dove provenisse quell’improvvisa ansia che strisciava nel suo corpo e gli impediva di pensare. Aveva la bocca secca anche se beveva regolarmente, il suo corpo soffriva di un’inspiegabile stanchezza, e la sua attenzione saltava da un ricordo all’altro senza ordine o logica.

I suoi sospetti che il cibo fosse avvelenato crollarono quando vide che l’Omega non mostrava segni di malessere. Il ragazzo stava semplicemente seduto lì, la testa appoggiata sulle ginocchia, mentre tracciava motivi incomprensibili sul pavimento. Gli occhi di Katsuki, già abituati all’oscurità, riuscivano a distinguere le forme e le figure, vedeva le dita dell’Omega muoversi per terra, anche se non capiva cosa stesse scrivendo. Impaziente, si strofinò il naso, volendo rievocare l’aroma della menta, ma in quello stato era inutile. Notò la rabbia che cresceva dentro di lui, pronta a esplodere alla prima opportunità.

Fu allora che arrivò la guardia.

Scese le scale come un’ombra furtiva e si fermò accanto alla sua cella. Si inginocchiò davanti alla porta e con entrambe le mani fece passare tra le sbarre una piccola borsa.

“Dentro c’è del cibo e un dono dai tuoi amici all’esterno,” l’ombra indossava la divisa da sentinella insieme alla maschera che gli copriva tutto il volto, ma non c’era dubbio che la voce fosse femminile.

“Perché lo stai portando a me?”

“In origine avrei dovuto darlo al tuo vicino, ma non ho idea di dove sia. Mi ci potrebbero volere delle ore per trovarlo e non è un’opzione. I suoi amici mi hanno detto che posso consegnarlo a quello nella cella accanto alla sua. È stato bello sentirli decidere di lasciarti nella tua cella, mi ha risparmiato un sacco di problemi, quindi tieni,” indicò la borsa alzandosi in piedi. “Ora, lascio il resto a voi. L’ultimo trasferimento avverrà domattina presto, quindi ti suggerisco di aspettare che vadano via. Dipende da te, buona fortuna.”

L’ombra se ne andò in fretta e Katsuki la fissò finché non sparì, poi rivolse la sua attenzione al pacco e si inginocchiò per ispezionarlo. Era una piccola borsa di pelle che conteneva cinque fiale di vetro sigillate. Fece scorrere le dita sulla superficie liscia ma non notò segni o simboli in nessuna di esse. In mezzo c’era un biglietto, un pezzo di carta piegato otto volte, impossibile da decifrare al buio.

“Cos’è?” Chiese l’Omega dal suo angolo, ma Katsui lo ignorò, imprecando. Un coltello, quello sarebbe stato molto utile.

Prese la prima fiala e la sollevò cercando di distinguerne il colore, ma vide solo che era grande quando il suo indice e non più spessa del suo pollice. Con molta attenzione, ruppe il sigillo della prima fiala e tolse il tappo di sughero, facendo attenzione a non usare troppa forza e rovesciare il contenuto.

La avvicinò al naso e subito tirò indietro la testa.

Odorava di fragole. Fragole selvatiche. Lo stomaco di Katsuki brontolò, e l’aroma aveva aumentato talmente tanto la sua fame che gli fece venire mal di testa. Era troppo ricco, troppo dolce, troppo pungente. Katsuki coprì la fiala e scosse la testa, cercando di disperdere l’aroma. Riusciva quasi a sentire il naso storcersi dal disgusto, ma alla fine non ebbe altra scelta se non immergere le mani nel secchio d’acqua e lavarsi il viso.

“Che stai facendo?”

Katsuki lo ignorò mentre pesava le fiale tra le mani. ‘Perché le fragole?’ Si chiese in silenzio, sforzandosi di trovare un significato. Suppose che la risposta fosse nel foglietto che non poteva leggere. ‘L’hanno mandato a me, perché? ...Gli ho detto della menta, e la loro risposta è mandare delle fragranze? Per provare cosa… provare un altro odore?’

Alla fine si rassegnò ad aprire un’altra bottiglietta, e stavolta invece di portarsela al naso strofinò le dita sul tappo di sughero, in quel modo avrebbe evitato di opprimere il suo senso dell’olfatto. Non appena inspirò, riconobbe la menta. Anche quell’essenza era troppo intensa, troppo fresca per il suo gusto, ma di certo l’avrebbe aiutato ora che non aveva più foglie di menta sotto le coperte. La terza fiala profumava di camomilla, troppo leggera per lui.

Un frutto, una pianta e un fiore. Katsuki non ne capiva ancora il significato nascosto. Prese la quarta fiala e la stappò. Il dito che avvicinò al naso profumava di menta… di nuovo. Persino al buio, gli occhi di Katsuki distinguevano l’ombra delle fiale che aveva separato dal resto, quelle che aveva già aperto, ed era sicuro che quella alla menta era nel mezzo, perché mandarne un’altra?

Strofinò il dito sul tappo di sughero e inspirò a lungo. Stavolta, riuscì a distinguere un altro odore. Non era solo menta, ‘Menta piperita? No, astragalo? No, eucalipto? No.’ Katsuki allontanò il dito dal viso e lo strofinò contro il pollice. L’odore di menta era inequivocabile, quello era chiaro, ma a differenza dell’altro, questo aroma era più sottile. Più ricco di contrasti che non riusciva a capire. Non aveva il sorprendente peso degli altri, né era denso o schiacciante. La menta era accompagnata da un altro odore, uno che non riusciva a riconoscere.

“È basilico?” Sentì dire all’Omega, che aveva deciso di avvicinarsi e raccogliere il tappo di sughero dal pavimento.

Katsuki voleva ridergli in faccia e al suo pessimo senso dell’olfatto, ma prima che potesse dire qualcosa realizzò che aveva ragione. Profumava di basilico, ma la presenza era quasi inesistente, troppo leggera e morbida. C’era anche rosmarino. E qualcosa in più. Qualsiasi fosse la fragranza, non era come le altre, non aveva quella crudezza che accompagnava qualsiasi miscuglio, era qualcosa che mischiava menta con altre spezie, a formare un aroma delicato e squisito.

“Cos’è?” Ripeté l’Omega, ma Katsuki non lo sentì perché non riusciva a sbrogliare quell’aroma, il che lo stava mettendo di cattivo umore.

Alla fine si esortò a prendere la fiala e avvicinarla al naso. Inspirò una sola volta, e fu abbastanza. La fragranza entrò dentro di lui come un vortice incontrollabile. Lo sentì dentro di lui, crescere ed espandersi. L’aroma viaggiò attraverso le sue narici fino al cervello che attivò una scarica elettrica lungo la colonna vertebrale. All’improvviso e per nessuna ragione in particolare si alzò in piedi, teso e col cuore a mille. Il sangue gli scorreva nelle orecchie mentre il profumo si ampliò dentro di lui come un fiume in piena, si disperse e riempì ogni parte del suo corpo come se fosse fumo accumulato in uno spazio chiuso.

Ma non era fumo, perché invece di soffocarlo attivò ogni terminazione nervosa del suo corpo. Sentì l’interno espandersi, si sentì sveglio. Il suo viso si scaldò, le papille gustative iniziarono a salivare, l’aroma gli fece contrarre i muscoli dell’addome, delle gambe e delle braccia. Sentì la familiare sensazione di calore nella parte bassa del ventre. Se avesse potuto, avrebbe notato che le sue pupille erano dilatate e che il nero copriva quasi del tutto il rosso delle sue iridi. Era come respirare aria fresca dopo aver vissuto sottoterra, come circondarsi dall’energia della primavera. Il suo corpo vi si aggrappò, e lo assorbì come la terra secca assorbe l’acqua. Si sentì vivo.

E all’improvviso non trovò posto dentro di lui. Doveva andare. Era assolutamente necessario andarsene.

Che stai facendo lì?

Che stava facendo lì?

‘Sì, lui… lui… Era lui?’

Col respiro incontrollato Katsuki aprì gli occhi e si trovò circondato dall’oscurità. Tutto attorno a lui era nero e l’adrenalina che ruggiva dentro di lui rischiò di farlo diventare pazzo. Il profumo era familiare, così familiare che era impossibile. Non può essere. Non poteva essere, tuttavia… tuttavia… Katsuki si sentì soffocare. Era lì. Menta e spezie, fresco ed erbaceo.

Era inconfondibile.

Nemmeno in un milione di anni avrebbe dimenticato quel profumo. Lo credeva perduto per sempre, invece eccolo lì.

Izuku.





 

___________________________________________________________________________________________________________

Nota dell’autrice Roquel:
“Voglio solo commentare che ho basato l’odore di Izuku su un libro chiamato “Il Profumo” di Patrick Süskind :D
Quindi, come va ragazzi? Pensavate che Katsuki l’avrebbe scoperto così? Ora le uniche cose rimaste in sospeso sono che anche Izuku lo scopra e il loro incontro, due cose che non avverranno nello stesso momento, mi spiace.
Ci vediamo presto.”


 

Nota della traduttrice:
bentornati, sono Tanuka! Adoro questo capitolo, la prima volta che l'ho letto e ho capito dove si sarebbe arrivati con le fialette di profumo mi sono emozionata tantissimo, e ho pianto per la reazione di Katsuki, sì <3 
Spero di aver fatto provare anche a voi le stesse emozioni, come sempre se avete voglia di farmi sapere le vostre opinioni ne sarei felicissima <3
Grazie mille per aver letto fin qui, alla prossima!

 

Prossimo capitolo: “Vele Bianche”


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Capitolo 10
*** Vele Bianche ***


In questo capitolo compaiono finalmente gli adulti, ma dato che Roquel usa i loro nomi di battesimo ecco una lista dei personaggi presenti con i loro nomi, i nomi da hero e qualche extra.

Tsunagu Hakamata - Best Jeanist - 190cm, biondo, occhi verdi.

Ken Takagi - Rock Lock - 176 cm, capelli neri, lavora con Sir Nighteye nell’arc contro Overhaul.

Ryouko Tsuhikawa - Pixie-bob dei Pussycats - 167cm, capelli biondi, occhi verdi.

Tomoko Shiretoko - Ragdoll dei Pussycats - 166cm, capelli blu, occhi gialli.

Yawara Chatora - Tiger dei Pussycats - 189cm, capelli neri, occhi neri.

Shino Sosaki - Mandalay dei Pussycats - 168cm, capelli rossi, occhi castani.

Ken Ishiyama - Cementoss

Shinji Nishiya - Kamui

Dato che ancora non si conosce il vero nome di Nighteye, lui è l’unico personaggio che verrà chiamato col nome da hero.





 

Capitolo 10 - Vele Bianche




 

Il sole era alto in cielo quando la vedetta la scorse.

“Terra!”

Gli uomini sul ponte alzarono lo sguardo all’albero e subito dopo focalizzarono la loro attenzione nella direzione in cui il suo braccio puntava.

“Dannazione!” Ringhiò Ken, esaminando l’orizzonte con gli occhi mezzi chiusi. “Non riesco a vedere niente!”

Quando il resto dell’equipaggio si arrese, Ken sforzò la vista fino a far lacrimare gli occhi ma anche in quel modo non riusciva a vedere il barlume della costa, c’era solo acqua limpida e luminosa, e un orizzonte splendido.

Si spostò dal corrimano e si avvicinò al gruppo che giocava a carte nell’unica zona ombrosa di tutto il ponte. Gli unici che non si erano preoccupati di alzarsi per controllare l’affermazione della vedetta.

Il gruppo di combattenti preferito di Aizawa: i Wild Pussycats.

Quando li vide la prima volta, Ken capì subito il perché del soprannome. I quattro avevano lo stesso fiore, le stesse foglie grandi di un verde intenso, con steli spessi e dei fiori rosa-giallo con puntini viola raggruppati attorno alla punta. Erba gatta.

Shino portava il fiore dalla guancia sinistra fino al mento e al collo. Quello di Ryouko era sulla spalla destra e si estendeva sul braccio. Yawara era l’unico ad avere due fiori, su entrambi i polsi, con le foglie che crescevano sugli avambracci, e Tomoko la vedetta esibiva i fiori tra le scapole, da cui si estendevano ai lati sopra il suo sarashi bianco.

“Davvero ha avvistato terra?” Chiese Ken sedendosi accanto alla donna dai capelli rossi.

“Tomoko ha una vista eccellente,” rise Ryouko, sedendosi per terra con le gambe incrociate mentre terminava di intrecciare i suoi lunghi capelli biondi.

“Troverebbe un ago in un pagliaio,” confermo Shino, mischiando le carte tra le mani.

“Tomoko!” Urlò, guardando al cielo. “Vuoi giocare?”

“Arrivo!”

Mentre la vedetta iniziava la sua discesa usando le corde, Yawara la osservò attentamente in caso ci fossero ostacoli. Ken lo imitò, stupito dalla flessibilità della ragazza che scivolò con una grazia felina fino a tornare sul ponte.

“Vuoi giocare, Ken?” Chiese Shino, mentre smistava la quinta carta.

“Certo, perché no.”

“Ehi, dove stai andando?” Urlò Ryouko quando Tomoko gli passò accanto andando verso la cuccetta.

“Iniziate senza di me,” replicò Tomoko spostando dal viso i capelli blu. “Ho promesso a Sir Nighteye che l’avrei avvertito non appena avessi avvistato terra.”

“Vai,” disse Shino senza guardarla mentre prendeva una sua carta, voltandosi poi verso i compagni. “Ken, inizia tu. Cinque monete di rame per iniziare. Ryouko, ci stai?”

Ken concentrò la sua attenzione sulle sue carte e imprecò, dimenticava sempre che i Cats erano ludopatici e che era sempre sfortunato quando giocava con loro.










 

Tomoko bussò tre volte sulla porta prima che questa si aprisse. Si raddrizzò per incontrare Tsunagu Hakamata, il capitano della guardia personale del re. Lo vide nella sua uniforme di alto ufficiale e realizzò che i suoi pantaloni larghi e il sarashi bianco non erano proprio l’abbigliamento più adatto per presentarsi al suo sovrano.

‘Bah! Non è nemmeno un incontro ufficiale.’

La verità era che, anche possedeva la stessa giacca, trovava quell’indumento così scomodo, con quel centinaio di bottoni e quelle spalline rigide. Se possibile avrebbe preferito indossare le giacche larghe senza maniche che i soldati usavano per combattere; erano comode e dal tessuto molto leggero. Persino i giubbotti neri che usava Aizawa erano molto più comodi per combattere.

“Che succede?”

Tomoko tornò alla realtà subito dopo aver sentito la domanda secca. Sorrise, cercando di dare un aspetto ufficiale, nonostante l’abbigliamento.

“Ho un rapporto per Sir Nighteye.”

Tsunagu annuì e si spostò dalla porta, invitandola a entrare. La cabina di Sir Nighteye era sobria, piena di libri e odorava di frutta secca. Al tavolo al centro dove stavano pile di mappe e piani che minacciavano di cadere per terra c’era il re accanto al suo braccio destro, con entrambi indosso la loro rigida uniforme argentata.

La barba e i baffi del re l’avevano sempre fatta ridere. La barba era troppo folta per essere formale e i baffi erano così strani che sembravano avere vita propria, e non aiutava il fatto che fossero entrambi di un rosso acceso con delle striature arancione tenue, tuttavia l’unica volta che aveva fatto un commento a riguardo la sua squadra era stata mandata a morire di noia ai confini per tre mesi, come punizione per la sua sfrontatezza, quindi ora lasciava che gli altri commentassero il cattivo gusto del loro sovrano.

Non aveva lamentele verso Sir Nighteye, possedeva uno stoicismo leggendario e un’intelligenza incredibile. Non era bello nel vero senso della parola, ma lo trovava affascinante. In realtà, le piaceva il giacinto blu che cresceva sulla sua tempia sinistra e le cui foglie si prolungavano sulla sua fronte. ‘Se solo avesse il senso dell’umorismo,’ Tomoko sospirò e cercò di non fantasticare.

“Perdonate l’intrusione, Vostra Maestà, volevo confermare che ho avvistato terra. Calcolo che con la nostra velocità saremo lì in un paio di giorni.”

“Bene, c’è altro?”

“Sono riuscita a vedere un’ombra alla nostra sinistra, la sua forma e direzione mi portano a pensare che sia una nave nemica. Sono un po’ troppo lontani perché la loro vedetta ci avvisti, ma se continuano per quella strada molto probabilmente scopriranno la nostra posizione prima del previsto.”

“È impossibile nascondere una flotta come la nostra,” replicò Sir Nighteye, sistemando i fogli tra le sue mani. “Tuttavia vorrei che prestassi particolare attenzione all’ombra. Osservala attentamente. Se si avvicina abbastanza prenderemo i giusti provvedimenti. Se trovi altre navi informaci immediatamente. Puoi andare.”

Tomoko annuì e se ne andò, chiudendo dietro di sé la porta. L’ultima cosa che sentì prima di andarsene fu:

“Potrebbe essere la nave di Aizawa.”

Con la mano sulla maniglia, Tomoko lottò con la sua brutta abitudine di origliare le conversazioni altrui. Né lei né i suoi amici capivano perché uno dei migliori combattenti del re non fosse lì, pronto ad iniziare l’attacco agli schiavisti. La sola idea di scoprire dove fosse finito il tutore del terzo principe la tentò parecchio.

Alla fine rinunciò, perché il soldato di guardia nel corridoio iniziava a guardarla severamente. Non aveva altra scelta se non salire e chiacchierare con Ryouko riguardo la possibile missione segreta che Aizawa poteva star portando avanti. Dovevano guadagnare il maggior vantaggio possibile dal loro riposo, in pochi giorni ci sarebbe stato da combattere.










 

Pulire, raccogliere, accumulare cibo, il lavoro era frenetico e Izuku fece una lista mentale per non dimenticarsi nulla: acqua, bende, bacche, semi. Dopo che la ragazza dalla pelle rosa se n’era andata, Izuku aveva offerto un piatto di cibo a Kamui.

“Vi accompagnerò fino a metà strada,” disse l’uomo mentre terminava il pranzo. “Da lì cercherò Cementos, e parleremo delle varie opzioni.”

I tre partirono non appena Kamui coprì le loro tracce lasciate vicino alla cascata. Invece di seguire il fiume, si addentrarono di più nella foresta, cercando di muoversi il più velocemente possibile. Stavolta non fecero deviazioni né coprirono il loro percorso, il loro intento era raggiungere velocemente la costa, anche se il tragitto si rivelò essere più pesante del previsto perché dovettero salire e scendere dei pendii per tutto il giorno.

Kamui disse loro addio quando salirono per la terza volta.

“Il villaggio di Cementos è in quella direzione,” indicò alla sua destra e poi si voltò per guardarli ancora una volta. “Gli parlerò, magari ci sono altri villaggi disposti a una tregua con la vostra gente.”

“Molto bene, quando mio padre arriverà invierò dei messaggeri a cercarti.”

Kamui annuì e allungò una mano verso Shouto, che la strinse con solennità. Quando fu il turno di Izuku, il ragazzo gliela strinse con entrambe le mani sorridendogli gentilmente. Lo guardarono andar via tra gli alberi finché non lo persero di vista. Izuku approfittò di quel momento per stiracchiarsi la schiena portando indietro la testa.

“Vuoi che ti porti il bagaglio?”

Quando si voltò vide Shouto con una mano tesa verso di lui.

“No, ce la faccio.”

Si raddrizzò e riprese la marcia. Arrivarono all’ultima cima, la più alta di tutte, mentre il sole si nascondeva. Da lì riuscivano a vedere la prigione sulla scogliera, un’ombra nera contro il cielo grigio scuro, e proprio dall’altro lato, quasi alla stessa distanza, la costa. Una striscia gialla che si scontrava col blu scuro del mare.

La cosa più sorprendente di tutte fu ciò che videro all’orizzonte.

“Shouto, guarda!”

Izuku indicò le vele bianche, raggruppate a dozzine su navi di ugual misura. I velieri erano troppo distanti dalla costa ma Shouto ne riconobbe la forma degli alberi maestri e degli scafi.

“È tuo padre?” Chiese Izuku e quando Shouto annuì, il ragazzo gli prese il braccio e sorrise ripetendo Sono qui, sono qui.

“Se manteniamo questo ritmo durante la notte, e riposiamo per poche ore, raggiungeremo la spiaggia domani.”

Izuku annuì e lo seguì, dimenticandosi della fame e della stanchezza. Gli ultimi raggi di sole sparirono, lasciando il cielo incolore e presto divenne impossibile avanzare sotto un cielo scuro. La luna, che era piena quando erano sbarcati settimane prima, era sparita dal cielo e l’oscurità era assoluta nella foresta.

Quando Izuku inciampò per la quinta volta consecutiva, Shouto decise che non valeva la pena rischiare.

“Riposeremo qui.”

“Posso ancora continuare.”

“Non ha senso andare avanti se non riusciamo a vedere niente. Rischiamo di perderci o di rotolare giù per un pendio scosceso. Riposiamoci e domani partiremo all’alba.”

Si avvolsero nelle coperte e mangiarono un po’ dei viveri che Kamui aveva preparato per loro. Il silenzio della foresta veniva interrotto dal bubolare degli uccelli, dal movimento improvviso delle foglie e dai grilli che bisbigliavano nell’erba; tutti i suoni si intrecciavano a formare un’unica sinfonia terrificante.

“Dormi,” disse a bassa voce Shouto. “Faccio il primo turno e ti sveglio tra un po’.”

Izuku acconsentì e si sedette per terra, avvolto nella coperta con la borsa stretta saldamente tra le braccia. Chiuse gli occhi e subito la stanchezza crollò su di lui come un velo pesante. Per la prima volta da quando aveva saputo della nave affondata, Izuku sognò. Non di Katsuki che annegava in un mare nero, né della sua cella piena d’acqua.

Sognò del giorno in cui l’aveva perduto.





 

Non riuscì mai a sentire cosa disse Katsuki. Erano accovacciati fianco a fianco mentre guardavano un fiore. Un piccolo fiore blu con cinque petali e un centro giallo. Per terra c’erano tre boccioli, ognuno di tre fiori simili. Si voltò per guardare il suo amico e vide le sue labbra muoversi.
 

Cosa stava dicendo? Perché non riusciva a sentirlo?


Lo sentì dondolare sui suoi piedi. Ricordava la pressione della spalla dell’altro contro la sua, il gladiolo rosso premere sulla sua pelle calda. Katsuki indicò i fiori.


Cos’erano? Perché non riusciva a ricordarlo?


Ma la risposta non arrivò mai, perché in quel momento un uomo si materializzò davanti a loro. Arrivò dal nulla, con la sua pelle viola e i capelli bianchi. Lo ricordava chiaramente. Ricordava ogni dettaglio del suo corpo, gli abiti che indossava, e il suo sorriso. Il sorriso che era diventato una bocca immensa piena di denti affilati pronta a divorarlo.





 

Izuku aprì gli occhi col cuore che batteva incontrollato. Non vedeva niente perché il mondo era ancora scuro e silenzioso. Non riusciva a smettere di rabbrividire mentre si tirava su, espirando lentamente, notò che il suo respiro tremava in modo intermittente. Aprì e chiuse le mani in un tentativo di scaldarsi le dita ghiacciate e alla fine espirò profondamente, lottando per calmare il panico. Quando finalmente riuscì a scrollarsi di dosso l’incubo, lo notò. Silenzio assoluto.

“Shouto?” I suoi occhi ci misero un po’ ad abituarsi all’oscurità, ma percepirono subito la forma scura che sedeva a pochi passi da lui. “Ti sei addormentato?”

Si girò per supportare il peso sulle ginocchia e allungò una mano verso l’Alpha ma quando lo toccò l’altro non reagì. Poi lo sentì. Lo percepì perché aveva passato gli ultimi anni vivendo all’aperto e conosceva a memoria il profumo di erba bagnata, terra umida, alberi, piante, fiori e animali. La foresta ne faceva parte, i suoi aromi erano familiari come le piante che aveva imparato a memoria da tutta la vita. Ciò che sentiva era diverso, più tenue, era dolce, troppo dolce per lui.

‘È miele? ...Odora di latte.’

Izuku si raddrizzò come un cervo allarmato. La sua testa andò da destra a sinistra con movimenti frenetici. Non sentiva niente, non vedeva niente, ma l’aroma era l’unico allarme di cui aveva bisogno. Si alzò lasciando la sua coperta e la sua borsa sbatacchiare a lato quando si appoggiò all’individuo seduto e lo scosse.

“Shouto,” ma la figura avvolta nell’altra coperta restò ferma, come se fosse una statua.

L’improvviso scricchiolare dei rami nella foresta lo allarmò. La sua paura si scatenò e il suo istinto di sopravvivenza si attivò come una scintilla libera nel carbone. Scosse forte Shouto e continuò a guardarsi freneticamente intorno.

Finché non li vide.

Dalla sorpresa le sue mani si paralizzarono. Davanti a lui c’erano due soli in mezzo all’oscurità, o almeno fu ciò che pensò finché non capì che erano due occhi giallo acceso, che aspettavano pazientemente lì, tra gli alberi, fissi su di lui. A un certo punto accanto ad essi Izuku riuscì a vedere una scia grigia, come fumo che andava nella loro direzione.

L’incenso.

Nonostante la paura che faceva tremare il suo corpo, la mente di Izuku era vigile.

...induce uno stato di obbedienza assoluta.

Afferrò il braccio dell’Alpha immobile e urlò mentre lo tirava con tutta la forza che aveva.

“Alzati!” Diede alla sua voce tutta l’autorità che poté e esortò l’Alpha ad obbedire, anche se invece di muoversi restò fermo. “Corri, corri, corri!” Lo spinse senza smettere di urlare. “MUOVITI! CORRI!”

E con suo sollievo Shouto obbedì.










 

La prigione era una struttura immensa che sorgeva subito sopra la valle, dalla torre più alta si vedeva il mare e alcuni dicevano di riuscire a sentire la brezza marina che arrivava da lì. Le porte si aprirono sotto il grido di ‘visitatore’ che rimbombò nelle pareti di pietra. La cavalcatura di Tomura scivolò sulla terra disfatta. L’animale smise di ansimare, troppo stanco per ringhiare all’uomo che li avvicinò.

“Ehi, Shigaraki! Pensavo ti fossi perso!”

Alto, slanciato, e con degli stupefacenti occhi blu, Dabi il leader degli esploratori offrì una bottiglia d’acqua al nuovo arrivato. Tomura la afferrò dalle sua mani e bevve senza fermarsi fino a sentirsi sazio. Emise un sospiro stanco e si stiracchiò finché tutte le ossa del suo corpo non scricchiolarono dal sollievo.

“Viaggio lungo?” Chiese Dabi con il suo famoso sorriso condiscendente. Quando incrociò le braccia le maniche della sua camicia si alzarono rivelando le porzioni di pelle scura che contrastavano con le altre parti più chiare. In generale il suo corpo sembrava essere formato da toppe unite in un motivo insensato.

“Sta’ zitto, che ci fai tu qui?”

“Eseguo gli ordini di Kurogiri. La prigione doveva chiudere, abbiamo raccolto tutte le scorte rimaste e trasferito l’ultima coppia di selvaggi alla Cittadella.”

“La tua missione era rintracciare il traditore.”

“Ho una pista. Ho passato l’ultimo mese a fare avanti e indietro da tutto il dannato confine e sono finalmente riuscito a trovare una traccia. Crediamo che il nostro viscido ratto riceva aiuto da almeno uno dei villaggi qui intorno. Per questo è stato difficile da trovare.”

“E gli intrusi?”

“Ah! Toga è andata a cercarli non appena abbiamo ricevuto la notizia, si è offerta personalmente. È la migliore inseguitrice qui, perciò non ho dubbi che li troverà.”

“L’hai lasciata andare da sola?”

“Ha una truppa di tre soldati, non ci aspettiamo problemi dagli intrusi, hanno l’incenso per disarmarli.”

“E gli altri?”

“Ho mandato Mustard alla prigione dall’altro lato della valle, ha l’ordine di supervisionare e chiudere le porte una volta che l’ultimo trasferimento è in viaggio. Shuichi è andato a parlare con Ken Ishiyama, è il leader che sospettiamo aiuti Shinji Nishiya, il nostro traditore.”

“E mentre loro lavorano, tu sei qui.”

“Ti stavo aspettando, volevo mostrarti i nuovi arrivati. Sono certo che non sapessi che sono qui.”

Il Noumu li avvicinò, cercando con impazienza un odore che solo lui percepiva. Tomura vi strofinò sopra le mani e con l’aiuto delle redini lo guidò a una delle stalle vuote. Fece segno a una delle guardie che si prendevano cura delle bestie da soma.

“Dategli cibo e acqua, e non fatelo uscire.” Poi si voltò verso Dabi, “Di chi stai parlando?”

“Vieni con me e vedrai.”

Attraversarono i corridoi vuoti fino a raggiungere l’entrata della torre di vedetta, e da lì salirono innumerevoli gradini a spirale. In cima, il vento soffiava con un’incredibile forza e il suono della bandiera che sventolava sull’asta era così violento che sembrava dovesse strapparsi. L’aria era fredda e pulita, e non si riusciva a sentire una sola conversazione nel cortile interno. Dabi lo invitò ad avvicinarsi alla finestra.

La valle si intravedeva ai loro piedi come un infinito campo verde pieno di pendii e scogliere. Il fiume che scendeva dalle montagne serpeggiava attraverso la regione fino a scomparire. Gli alberi erano disegnati come piccoli cespugli affollati in sezioni di un verde intenso. Le strade che portavano da un villaggio all’altro erano sottili, in colori chiari che attraversavano la regione fino a perderle di vista. L’altra prigione era una macchia grigia dall’altro lato delle colline, di cui si potevano vedere solo le torri con le sue vele che sventolavano davanti al vento che soffiava dal mare.

“Sono arrivati,” Dabi indicò a sud verso la costa.

Invece dell’orizzonte blu vide molte piccole navi con le vele bianche, come piccole nuvole che toccavano il mare.

“Quanto?”

“Vediamo, ieri abbiamo ricevuto un altro corvo che ordinava di mobilitare il resto dei soldati alla capitale dove si concentrano le truppe di rinforzo. Ero sorpreso, ma quando sono arrivato qui e li ho visti ho capito. Ho sempre pensato che saresti stato in prima linea nella guerra contro i selvaggi.”

“E lo sarò.”

“Beh, sei in ritardo. Sicuramente le nostre truppe sono pronte ad accogliere gli invasori e non c’è dubbio che i nostri nemici attaccheranno non appena raggiunto il porto. O forse il loro intento è sbarcare sulla costa, vicino al confine, e stabilire lì un avamposto. Entrambe le opzioni ti lasciano senza tempo, dovresti partire oggi per avere l’opportunità di partecipare alla battaglia.”

La risposta di Tomura fu di voltarsi e scendere le scale a una velocità impressionante. La reazione prese Dabi di sorpresa, anche se si riprese subito e cercò di chiamarlo.

“Ehi! Shigaraki! Che stai facendo?”

“Me ne vado.”

“Sei appena arrivato. Inoltre, devi interrogare gli intrusi. Toga manderà un corvo non appena catturati. Cosa dovrei fare con la spia? Kurogiri aveva detto che l’avresti riportata alla Cittadella.” Tomura lo ignorò mentre scendeva le scale. “Shigaraki! Non puoi semplicemente andartene così”

Tomura corse sapendo quanto Dabi odiasse farlo, andò giù per i gradini di fretta, facendoli a due a due, determinato a non perdere nemmeno un secondo. Quando fu di nuovo alle stalle, dove la sua cavalcatura stava finendo la sua cena, Tomura si fermò davanti al soldato che stava di guardia.

“Preparatelo.”

“Sissignore.”

“Che stai facendo?! Abbiamo del lavoro da svolgere!”

Tomura imprecò ad alta voce e si voltò verso un Dabi esausto e senza fiato. L’immagine lo fece ridere e scacciò il suo cattivo umore.

“Non intendo sprecare il mio tempo con delle pedine sacrificabili. Non resterò qui mentre i selvaggi osano invadere le mie terre.”

“Non puoi andartene! Domani arriveranno i soldati più giovani, quelli che non sono ancora andati alla capitale per giurare lealtà al Generale. Inoltre dopodomani dovremo anche fare l’ultimo trasferimento.”

“Tu puoi restare qui ad annoiarti quanto vuoi, ma io no. Voglio combattere.”

“Cosa dovrei fare con gli intrusi e la spia? Sono una tua responsabilità.”

“Sai dov’è la spia?”

“Non esattamente, ma abbiamo una pista.”

“Sì, il villaggio, me l’hai già detto.” Tomura emise un sospiro e si prese un momento per valutare le sue opzioni. Pensare, meditare e agire. “Se c’è qualche sospetto che il leader stia aiutando il nostro traditore, allora merita una punizione esemplare. Tutti devono capire che non c’è perdono per i traditori e per chi li aiuta. Manda un corvo a Shuichi e invia dei rinforzi. Digli di aspettare finché le nuove reclute non saranno in viaggio per la capitale, poi avrà via libera per dare fuoco fino all’ultima casa di quel villaggio.”

“Pensi basterà per farci consegnare Nishiya?”

“Non ha importanza! Vogliamo dare un esempio. Fa’ che siano tutti accusati di alto tradimento. Dì a Shuichi di mettere le loro teste su una picca e di lasciare un’iscrizione come avvertimento per gli altri villaggi. Assicurati che le reclute che arrivano da lì vengano mandate a combattere i selvaggi. Se sopravvivono, diremo loro che la perdita del loro villaggio era la conseguenza delle pessime decisioni del loro leader, che ha scelto di voltare le spalle alla sua gente.”

“Ok.”

“Visto? Abbiamo pianificato tutto. E se ti sbrighi domani potrai andartene da qui. Vai a incontrare Mustard, poi dirigiti al porto più vicino. Scommetto che ti divertirai molto di più a combattere i selvaggi che ad amministrare.”

“E la prigione?”

“Dannazione, lascia che il capitano si occupi degli ultimi trasferimenti. È il suo lavoro. Ha degli ordini e non ha bisogno tu lo tenga d’occhio.”

“E per quanto riguarda Toga?”

“Mandale un corvo. Dille di uccidere gli intrusi. Non perdiamo tempo con loro.”

“Kurogiri vuole che li interroghiamo.”

“Preferisco catturare un ufficiale in un combattimento corpo a corpo, scommetto che hanno più informazioni rispetto a un paio di inutili spie.”

La bestia Noumu si agitò impazientemente quando Tomura vi salì sopra. Era senza dubbio pronto a riprendere la marcia nonostante la stanchezza dovuta al precedente viaggio. Si agitava così tanto che Tomura dovette prendere saldamente le redini per tenerlo fermo mentre si voltava per l’ultima volta verso Dabi.

“A proposito, me ne stavo quasi dimenticando. Il Generale esige un altro selvaggio di tipo Beta. Sono quelli che portano i fiori su gambe, mani e faccia. Se Toga ne trova uno, dille di mandarlo direttamente alla Cittadella e di non toccarlo. Il Generale lo vuole illeso, se osa tagliargli un dito dovrà risponderne a lui.”

Dabi rise, “Spero che il corvo la raggiunga in tempo.”

Tomura se ne andò senza salutare.










 

Mina si svegliò presto per sistemare la sua borsa da viaggio. Ci mise il doppio del tempo perché sua sorella continuava a girarle intorno facendo domande su domande.

“Per quanto tempo vai via?”

“Il servizio minimo è cinque anni. Io sto per finire il secondo.”

“Perché devi andare?”

“Perché sì. Dobbiamo andare alla Cittadella per giurare fedeltà al Generale in persona.”

“E poi?”

“Non lo so, potrei diventare una guardia in una fortezza o una vedetta sulle navi. Magari lavorerò in un’altra prigione. Potrebbero addirittura mandarmi alla capitale.”

“Se ti mandano lì, poi vorrai tornare?”

“Ma certo che tornerò!”

“E perché Kouji non viene con te? Avete la stessa età.”

“Il reclutatore l’ha esonerato dal servizio perchè Kouji non può parlare, ma Ishiyama vuole mandarlo alla capitale per lavorare al palazzo informativo.”

“E cosa c’è lì?”

“Libri, pergamene, un sacco di cose noiose… È tutto pronto!”

Si raddrizzò per contemplare il suo bagaglio immenso in cui aveva messo quasi tutti i suoi vestiti e le uniformi, un paio di stivali di ricambio e la coperta migliore che aveva. Accanto c’era lo zaino dove portava i viveri, l’acqua, carta, inchiostro e altre cose che preferiva avere a portata di mano.

“Cosa c’è lì dentro?”

Mina si bloccò quando scoprì che la sua sorellina stava indicando il pacchetto incartato che spuntava da un lato dello zaino.

“È il mio nécessaire,” disse mentre si chinava per cambiare posto al pacco.

Subito dopo sua sorella emise un urlo di sorpresa e si voltò immediatamente per andarsene. Mina rise mentre portava all’esterno le sue cose. I suoi genitori non erano lì per salutarla. Suo padre era un soldato che lavorava alla capitale e sua madre passava tutto il giorno a coltivare ortaggi.

Ora che Mina aveva visto di persona il trattamento riservato ai selvaggi che abitavano le prigioni, capiva perché sua madre avesse lasciato l’esercito subito dopo aver completato il servizio. Lei stessa contava i giorni che mancavano, anche se era un pensiero che non formulava a voce alta, nemmeno davanti alla sua sorellina perché temeva che la ragazzina avrebbe potuto ripeterlo davanti alle persone sbagliate.

Stava aspettando che la sorella tornasse quando Mashirao arrivò portando due bagagli esattamente come i suoi.

“Hai troppe cose,” disse Mina, picchiettando lo zaino che il ragazzo mise accanto al suo. “Come farai a portare le mie?”

Strappare una risata al biondo era difficile tanto quanto frenare le domande di sua sorella, ma il sorriso che le rivolse era lo stesso gesto tenero e affascinante che regalava a tutti.

“Non penso che tu abbia bisogno del mio aiuto per portare le tue cose, Mina.”

“Forse no, ma non mi va di portarle.”

La risata era lì, così vicina che Mina avrebbe potuto toccarla, ma il desiderio di sentirla morì quando vide il grande Ishiyama camminare vicino a Shuichi Iguchi.

“Sai perché è qui?” Chiese a Mashirao, indicando con discrezione l’uomo dalla pelle verde. Le sue caratteristiche rettiliane facevano ribrezzo, o forse era a causa del fatto che fosse uno degli uomini di Tomura Shigaraki, l’unica persona che Mina sperava di non dover mai incontrare.

“Dice che ha l’ordine di radunare tutte le reclute dirette alla capitale.”

“E perché adesso? Non l’hanno mai fatto prima.”

“È vero, ma ora ci sono delle navi che invadono le nostre coste. Probabilmente vogliono assicurarsi che non incrociamo truppe nemiche.”

“Dovrete combatterli?”

Mina si voltò per trovare sua sorella proprio accanto a loro con un’espressione impaurita. Prima che potesse dire qualcosa, Mashirao si inginocchiò di fronte alla ragazzina e le sorrise.

“Staremo bene,” le spiegò con quel tono di voce che tutti i bambini del villaggio adoravano. “C’è tua sorella a proteggermi.”

Il viso dalla pelle rosa si rilassò subito e offrì un enorme sorriso.

“Dov’eri andata?” Chiese Mina, vedendo i due pacchetti di bambù che teneva tra le mani.

“Ah! Quando mi hai detto del tuo nécessaire mi sono ricordata, ho un regalo per voi così non vi dimenticherete di me!”

Mina prese il piccolo involucro e lo annusò.

“Vi ho fatto del sapone,” affermò con orgoglio la bambina saltando e battendo le mani sul posto. “Il tuo è alle fragole perché so che è il tuo preferito e quello di Ojiro è alle more. Ho anche fatto un impasto alla menta, Hiryu mi ha insegnato a prepararlo. Masticandolo dopo essersi svegliati, si evita l’alito mattutino. Ha detto che lo vendono alla capitale ma questo l’ho fatto io quindi è molto meglio.”

Mina sorrise, si chinò per abbracciare la sorella e la fece volteggiare, mentre urlava eccitata. Quando iniziò a girarle la testa la mise giù e le disse addio.

“Prenditi cura della mamma e sii obbediente. Ti scriverò, ok? E se vuoi scrivermi, Kouji sa cosa fare.”

“Andiamo,” disse Mashirao aiutandola con una delle borse. “Gli altri stanno salendo sul carro.”

Mina indugiò alla fine della fila perché da lì poteva salutare la sorella mentre il carro si muoveva.

“Beh, ci siamo.” Disse Mina quando il villaggio non si vide più. “Se siamo fortunati torneremo tra tre anni.”

Mashirao annuì, non sembrava in vena di parlare quindi Mina si morse la lingua e cercò di distrarsi osservando il paesaggio che cambiava mentre proseguivano. Stranamente, quel viaggio fu molto più lungo di qualsiasi altro. Forse era la prospettiva di non tornare a casa per tre anni, o forse per via della paura.

‘Devo solo consegnare il pacchetto, tutto qui. Sono innocue bottigliette.’

Ripeté la stessa cosa più volte nella sua testa, ma non calmò la sua ansia. Sapeva di star mettendo a rischio la sua famiglia. Se il capitano avesse scoperto che stava trasportando messaggi criptati… beh, non riusciva a immaginarsi le conseguenze.

La sua angoscia non migliorò quando arrivarono alla prigione e trovarono tutte le guardie nel cortile che portavano e spostavano sacchi di cibo e casse piene di armi. Gli ufficiali cercavano di mettere ordine, ma tra il rumore causato dalle bestie da soma e le urla dei soldati che lavoravano frettolosamente, era impossibile riuscirci. Mina e Mashirao si allontanarono dal caos, finirono attaccati a un muro dove un gruppo di soldati continuava a lamentarsi su quanto fossero stanchi. Mina cercò di ignorarli, ma poi li sentì imprecare.

“Ho passato tutta la mattina a pulire, mi merito una pausa, cazzo. Non capisco perché abbiamo dovuto rinchiudere i selvaggi prima di fargli finire il loro lavoro.”

Mina non riuscì a trattenersi, quindi chiese:

“Sono stati tutti spostati nelle celle di isolamento?”

L’uomo le rivolse un’espressione acida, ma lei non si fece intimidire perché se erano tutti in isolamento, non sarebbe mai riuscita a consegnare il pacchetto che stava nascondendo.

“Non c’era abbastanza spazio,” rispose riluttante la guardia. “Abbiamo lasciato gli attaccabrighe nelle loro celle.”

“Gli attaccabrighe?” Ripeté Mina senza perdere la calma. “Ne conosco uno, è nel mio blocco. Il biondo imbronciato che ha rotto la mascella a una delle guardie che stava per trasferirlo.”

Il soldato grugnì.

“So di chi parli, il selvaggio dagli occhi rossi. Quella bestia dovrebbe essere sacrificata.”

“Giusto… è stato lasciato nella sua cella?”

“Dipendesse da me lo lascerei lì a marcire.”

Il brusio delle guardie venne distratto quando un giovane magrolino fece cadere una pila di coltelli generando una serie di fischi e buuu. Mina ne approfittò per prendere Mashirao per il braccio e avvicinarsi al suo ufficiale superiore.

“Ashido a rapporto, signore.”

“Riposo, soldato.”

“Grazie, signore. Chiedo il permesso di ritirarmi nella mia stanza, vorrei spostare le mie cose ed evitare che stiano in mezzo, signore.”

“Permesso non accordato, soldato. Il nostro gruppo partirà stanotte.”

“Pensavo partissimo domani,” esclamò Mashirao senza riuscire a trattenersi, ma l’ufficiale scacciò i suoi dubbi senza guardarlo.

“C’è ancora tempo per viaggiare prima che siamo costretti a fermarci. È importante che i rinforzi arrivino il più presto possibile.”

“Credevo fossimo diretti alla capitale.”

“Cambio di programma. Le linee difensive hanno bisogno di supporto.”

Mina e Mashirao si guardarono a vicenda, allarmati, indietreggiarono cercando di non scontrarsi col resto delle guardie che brulicavano nel cortile. Una volta lontani dal trambusto, Mina si chinò per cercare il pacchetto, l’aveva messo nella borsa dei viveri così avrebbe avuto una scusa nel caso qualcuno la interrogasse.

“Puoi coprirmi?”

“Stai andando?” Mormorò Mashirao, cercando di non attirare l’attenzione.

“Devo, l’ho promesso.”

“D’accordo, ma sbrigati. Se qualcuno chiede, dirò che sei andata in bagno.”

In mezzo al caos degli ufficiali che caricavano le carrozze e il gruppo di nuove reclute che cercava di non disturbare, Mina si allontanò lentamente finché non riuscì a infilarsi in uno degli ingressi non custoditi; si mosse con cautela, cercando di mescolarsi alle ombre. La sua vista migliorata le permise di scivolare attraverso i tunnel bui.

Una volta consegnato il pacchetto, Mina tirò un sospiro di sollievo e se ne andò senza guardarsi indietro. Arrivò giusto in tempo per prendere il suo bagaglio e salire sul carro col resto dei compagni.

“Tutto bene?” Chiese prudentemente Mashirao.

Mina sorrise.

“Ti prometto che questa è l’ultima volta che cerco di imitare Kamui.”

Mashirao rise al soprannome, “Gli hai finalmente permesso di darti un soprannome?”

“No! E tu?”

“Tailman.”

Mina rise appena lo sentì. Sospirò, grata che la sua angoscia fosse sparita.

‘Ho fatto ciò che dovevo. È finita.’

Ora doveva concentrarsi sul suo lavoro e assicurarsi di tornare a casa da sua madre e sua sorella.




______________________________________________________________________________________________
 

Bentornati, sono Tanuka! Ed ecco che abbiamo visto diversi altri punti di vista mentre Izuku e Shouto sembrano essere nei guai >.<

Lo scorso capitolo ha ricevuto delle recensioni meravigliose e vi ringrazio moltissimo, ma come sempre grazie anche a chi legge soltanto e/o mette nei preferiti, seguiti, ricordati, siete dei cuori <3

Non appena avrò un po’ di tempo (aspetto ancora che qualcuno mi regali un Tardis) tradurrò tutti i vostri commenti per consegnarli direttamente a Roquel!

Grazie per aver letto fin qui, alla prossima! 


Prossimo capitolo: “Pioggia”



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Capitolo 11
*** Pioggia ***


Capitolo 11 - Pioggia



 

Even though it’s been so long, my love for you keeps going strong

I remember the things that we used to do

A kiss in the rain till the sun shined through

I tried to deny it, but I’m still in love with you

 

Miss You Like Crazy - Natalie Cole





 

Il profumo era così intenso che la reazione del suo corpo fu quasi immediata. La schiena si raddrizzò, i muscoli si fecero tesi, le braccia rigide lungo i fianchi in un’automatica risposta di autodifesa. Il suo naso venne sopraffatto dai feromoni che arrivavano dall’Alpha. Non capiva come, ma riusciva a sentire la sua energia, percepiva il calore che emanava, potente e terrificante; ricordava i falò che si accendevano durante le feste nella sua terra. Fuochi che duravano notti intere e fornivano un calore radioso, lasciandosi dietro braci che restavano incandescenti per molto tempo.

Ecco come si sentiva ora, come se si trovasse di fronte a un colossale falò, sul punto di incenerirlo. L’ambiente si caricò di elettricità e lui era un semplice spettatore. Non aveva importanza che vedesse solo una figura scura nella cella, riusciva a percepirlo a sentirlo. Il suo odore… Dio… il suo odore era come fuoco e ambrosia. Profumava come una foresta, come una quercia pulita appena tagliata. Odorava di fumo, non quello denso che soffocava ma l’aroma che rilasciava il legno quando veniva toccato dalle fiamme e si sentiva lo schiocco delle braci.

Era l’odore di un Alpha vivo, sano, forte e spaventoso.

Denki cercò di deglutire solo per scoprire di avere la gola secca. La parte più primitiva che esisteva dentro di lui voleva avvicinarsi, immergersi in quell’aroma e rannicchiarsi in quel calore che emanava. Aveva solo bisogno di allungare le braccia e toccarlo, e poi… poi…

Le sue interiora si avvolsero in nodi complessi.

L’altra parte del suo cervello, quella che aveva vissuto per anni con degli Alpha, quella che viveva in costante allarme, piena di paura e incertezza, voleva fuggire. Voleva diventare piccolo, correre e nascondersi, ma il suo corpo non collaborava e non si muoveva, così Denki affondò la testa tra le ginocchia cercando una posizione che gli permettesse di sopravvivere a quel calore. Stava affogando.

Il suo istinto continuava a chiedergli di respirare finché quell’odore non avesse permeato ogni cellula del suo corpo.

Denki strinse i denti, si afferrò le ginocchia fino ad affondare le unghie nella pelle e cercò di trovare la forza per non soccombere a quell’odore. Era grato che l’Alpha si fosse scordato di lui perché sapeva — con la certezza che gli dava l’istinto — che in quel momento non sarebbe riuscito a rifiutare niente. Non sarebbe riuscito a dire di no. Non sarebbe riuscito a dire niente. Non sarebbe riuscito a dire di no. Non avrebbe potuto.





 

Per minuti, o forse ore, Denki restò immobile, curvo su se stesso, raccogliendo ogni briciola di autocontrollo per affogare quella vocina che desiderava cullarsi nel calore dell’Alpha. Finché finalmente, finalmente, l’odore diminuì abbastanza affinché il suo corpo potesse respirare senza che le sue interiora si contraessero in attesa di qualcos’altro.

Non appena riuscì a muoversi, Denki strisciò verso la coperta, troppo stanco per affidarsi alle gambe. Accolse il suo stesso odore, tenue e quasi indistinguibile. Sfregò il viso contro la coperta, si sforzò di addensare la sua essenza finché il tessuto non profumò inequivocabilmente di arance, fresche e dolci, come frutta appena tagliata. Vi si avvolse, desiderando di recuperare il suo equilibrio.

Circondato dall’aroma di arance, seduto nell’angolo più lontano della cella, e in pieno controllo dei suoi arti, Denki chiese:

Cos’è stato?

Non riusciva a vedere l’espressione dell’Alpha, distingueva solo l’ombra del suo corpo che si muoveva nell’oscurità, ma la sua voce traboccò di impazienza ed energia frenetica.

“Devo uscire.”

Lo sentì prendere fiato, respiri corti e irregolari che riflettevano il suo umore.

Voglio andarmene.

Lo sentì lottare con la porta, vide la sua sagoma spostarsi da un angolo all’altro, irrequieto, nervoso, pieno di un’energia esplosiva. Denki alzò le spalle, raccolse la gambe e affondò il viso nella coperta, troppo stanco per affrontare la situazione. Sentiva la testa pesante, colma dell’odore di legno e fumo; era anche affamato, un appetito vorace che andava oltre il desiderio di mangiare.

Denki chiuse gli occhi e inspirò, con l’unico intento di isolarsi, di evadere dalla realtà che minacciava di spezzarlo.





 

La paura lo svegliò, aprì gli occhi automaticamente, raddrizzò il collo e si gelò. Il mondo era ancora nero, una coperta di totale oscurità, ma il suo istinto continuava a urlare avvertimenti di pericolo imminente. Fu allora che lo vide, il movimento di un’ombra accanto a lui. La sua naturale reazione fu di urlare, aprì la bocca, gonfiò i polmoni e il suo grido si scontrò sulla mano che gli coprì il volto. Il suo panico si scatenò e quando tentò di fuggire un’altra mano lo spinse sulle clavicole per immobilizzarlo.

“Stai fermo!”

Fu il sussurro allarmato, unito all’odore, che paralizzò subito Denki. L’autorità nella voce del biondo era incontestabile nonostante fosse un mormorio.

“Sento delle voci.”

Doveva avere un udito eccellente perché Denki non sentiva niente. La domanda che formulò diventò un suono incomprensibile, smorzato dalla mano che continuava a coprirgli la bocca, ma l’Alpha non diede segno di volere una spiegazione perché semplicemente continuò.

“Io mi occuperò delle guardie, tu devi uscire ed evitare che chiudano la porta.”

Quando la mano non fece segno di volersi spostare, Denki infilò le dita nella parte superiore e la spostò dal viso. Appena fu libero, prese un respiro e si appiccicò al muro, cercando di mettere più distanza possibile tra il suo corpo e l’Alpha. Poi, mormorò:

“Non credo che apriranno il cancello.”

“Cosa?”

“Non credo che apriranno il cancello.”

“Lo faranno, me ne assicurerò.”

“È inutile cercare di provocarli. Apriranno la porta solo se penseranno che ci siamo accoppiati. Se non ci crederanno, ci lasceranno qui. Moriremo qui.”

“Ci crederanno.”

Il cuore di Denki collassò, cadde dalla cima e si ruppe in mille pezzi. Cosa. No.

“Pensavo...” si strozzò, premendo una mano sul petto, afferrando la coperta. “Avevi detto che non ti saresti mai accoppiato con nessuno.”

 

“E non intendo farlo,” la rabbia dell’Alpha era violenta, il suo odore denso e ribelle. “Ora ascolta, il piano è questo.”





 

Non funzionerà.

Denki lo ripeté per l’ennesima volta mentre era intrappolato tra il muro e il corpo dell’Alpha. La situazione lo metteva così a disagio da dargli la nausea. Fu fortunato che lo squisito aroma di legno e fumo venne sostituito da una versione satura di impazienza ed energia, perché in quel modo il suo corpo riusciva ad evitare una reazione imbarazzante.

Non pensarci nemmeno.

Ogni volta che l’Alpha respirava, notava il respiro caldo sul collo e il movimento sulla sua schiena. Era sconvolgente.

Presto.

Le voci delle guardie ora si sentivano chiaramente, il suono cresceva da un semplice mormorio a una conversazione smorzata. All’improvviso l’oscurità sparì, il muro si tinse di una debole tinta arancione che oscillava in cerchi sulla pietra fredda. Anche se sentiva le guardie, non riusciva a capire di cosa stessero parlando a causa del sangue che gli ruggiva nelle orecchie.

Andiamo.

I soldati si fecero silenziosi e Denki capì perché. La coperta li copriva dalla vita in giù, e la posa dell’Alpha — con la schiena rivolta verso la porta e le braccia premute contro il muro — era un chiaro gesto di protezione e possesso. Si sperava che i loro carcerieri si convincessero che fossero deboli, a causa della fame e dell’esercizio fisico.

“Ehi! Alzatevi!”

Denki sussultò, la sua reazione naturale era di eseguire qualsiasi ordine dato dalle guardie, ma non poteva muoversi essendo messo all’angolo contro il muro. La cosa sorprendente fu che l’Alpha non reagì né si mosse quando la guardia iniziò a sbraitare, quindi Denki fu costretto a imitare la sua calma nonostante il nodo allo stomaco.

“Che facciamo adesso?” Chiese una voce, diversa da quella precedente.

“Metti una torcia alla base,” replicò un’altra voce, “e vai a prendere l’incenso.”

“Devo proprio?” Rispose la seconda voce. “È nel magazzino dall’altro lato dell’edificio.”

“È compito tuo portarlo.”

“Il mio compito è portare le torce e le catene, ed è esattamente quello che ho fatto. Tu cos’hai portato?”

“Come ti permetti—”

“Fate silenzio!” La voce era carica di autorità e riuscì a imporsi sugli altri. “Datemi la lancia.”

Denki non sentì cosa dissero subito dopo, i rumori non fornivano indizi, l’unica cosa certa fu che a un certo punto l’Alpha si irrigidì, non si mosse né si agitò, ma i muscoli delle sue braccia si contrassero e Denki sentì come trattenne il respiro per molto tempo prima di espirare di nuovo lentamente senza alterare in alcun modo la sua postura. Qualsiasi cosa avessero fatto l’avevano messo di cattivo umore perché l’aroma che emanò fu terribile. Fitto e rosso, pieno di avvertimenti letali. Era una fortuna che non potessero sentirlo.

“E adesso?” Chiese un’altra voce, diversa da tutte le precedenti.

Quanti sono? Credevo fossero in tre, ce ne sono di più?

“Bisognerà controllarli manualmente.”

È un’altra voce?

“Non abbiamo bisogno di rinforzi?”

“Non sembra che ci daranno problemi, oltretutto non abbiamo molto tempo. Iniziamo; voi due con me, ci occuperemo dell’attaccabrighe, voi aspettate qui. Se qualcuno fa resistenza, avete il permesso di tagliar loro la gola.”

Ci uccideranno.

Denki deglutì la sua paura, si irrigidì per evitare di tremare, ma quando non funzionò si rilassò e finse di essere incosciente.

Ricorda il piano. Attieniti al piano. Appena sono su di lui, alzati e scappa.

Nonostante gli anni passati, Denki non dimenticò mai quel preciso momento.

Sapeva che la porta si era aperta, lo ricordava chiaramente. Il suono del chiavistello che saltava era un ricordo indelebile, lo ricordava perché in quel momento il suo cuore crebbe dentro di lui, minacciando di farsi sentire in tutto il sotterraneo. Sapeva di aver sentito dei passi, anche se non sarebbe mai stato sicuro se li avesse davvero sentiti o se il suo cervello agitato avesse fornito i dettagli. Sapeva che avevano allontanato l’Alpha da lui, ricordava di essersi liberato dal peso e sentito la pietra fredda del sotterraneo sulla schiena. Sapeva che qualcuno gli aveva schiacciato le costole, sarebbe potuto essere il colpo di una mano o la punta di uno stivale.

Ricordava che invece di voltargli le spalle, la guardia aveva allungato un braccio per girarlo. Ricordava la paura sentita in quel momento, temeva che avrebbero scoperto che era sveglio. Ricordava qualcuno cercare di prendergli la borsa di pelle che aveva tra le mani, il riflesso di spingere e aprire gli occhi fu istintivo. Ricordava il viso affilato, gli occhi grigi con le pupille allungate. Ricordava che quando tentò di alzarsi, il suo piede scivolò per terra e all’improvviso una mazza, o qualcosa che somigliava a una mazza, lo colpì sulla guancia.

Dopodiché i ricordi si fecero meno chiari per diventare un turbinio di adrenalina, satura di terrore, ma anche allora non poté dimenticare ciò che si disse, un semplice pensiero permeato da una certezza assoluta.

Sto per morire qui.










 

Lo punsero con la lancia, come se fosse un pezzo di carne inutile. Katsuki si arrabbiò ma invece di esplodere deglutì la sua rabbia nutrendo il fuoco che viveva dentro di lui. Lo sentì bollire nelle vene, lo sentì in ogni muscolo teso che attendeva solo il momento giusto per rilasciare la sua energia. La sua testa era piena dell’aroma alla menta, l’odore di Izuku, e non aveva nessuna intenzione di permettere a se stesso di farsi assoggettare dall’aberrante incenso al miele.

Sentì dei passi che entravano nella cella. Uno, due, tre. Ne mancavano altri. Katsuki aveva bisogno che entrassero tutti. Rilassò il corpo quando due paia di mani lo afferrarono dal braccio e lo girarono fino a farlo stendere sulla schiena. Restò immobile anche quando uno di loro gli diede un calcio sul fianco. Fu allora che lo sentì, lo sforzo e il grido di sorpresa della guardia alla sua destra. Aprì gli occhi e si imbatté nell’Omega che combatteva con il soldato.

Subito dopo si mosse. Si girò su un lato e diede un calcio alle gambe di uno alla sua sinistra, giusto all’altezza del ginocchio, che sentì scricchiolare. Approfittò delle braccia appoggiate per terra e le usò per spingersi. Appena fu in piedi, evitò le due guardie che lo caricarono e si lanciò verso la porta giusto in tempo per evitare che l’ultima guardia corresse in cerca di rinforzi.

Saltò sulla schiena dell’uomo e lo atterrò. Non appena fu al suolo lo prese per la testa e riuscì a spaccargliela per terra una volta prima che un’altra guardia lo tenesse giù. Quando il terzo si avvicinò con un coltello, Katsuki riuscì a dargli un calcio ai genitali senza molta forza, poi affondò il gomito nello sterno del suo carceriere e non appena il braccio che lo teneva si allentò, lo usò come leva per mandare il tizio a terra, dove la sua schiena si schiantò con tonfo.

Poi si voltò, pronto ad affrontare la guardia col pugnale. Quando alzò i pugni in una posizione di difesa, Katsuki evitò più volte i suoi affondi finché non riuscì a leggere i suoi movimenti. Quando la guardia tentò di trafiggerlo, Katsuki lo afferrò con un braccio e i suoi pugni gli ruppero il naso. Gli girò il braccio finché non sentì il coltello cadere per terra poi lo trattenne e affondò il ginocchio nel diaframma della guardia che si piegò, cercando di respirare.

Katsuki prese il pugnale, si chinò sulla guardia che camminava a quattro zampe e gli tagliò la gola senza esitazione. Replicò la procedura con gli altri due e alla fine si avvicinò all’uomo che si teneva il ginocchio, continuando a urlare chiedendo ‘Aiuto’. Katsuki si fermò davanti a lui, lo guardò dall’alto mentre lo ascoltava piagnucolare.

“Non—”

Ma qualsiasi cosa avesse cercato di dire gli morì in bocca quando Katsuki affondò il coltello nella parte superiore della sua testa. Il corpo cadde al suolo mentre lui si raddrizzava. Sentiva i crampi alle braccia e la schiena tesa. Era ricoperto di sudore e lo stomaco si contorceva dalla fame. L’unica cosa che lo teneva in piedi era la sua forza di volontà. Quella e l’aroma di Izuku che gli impregnava la punta delle dita.

Katsuki prese un respiro e si voltò verso l’ultima guardia, l’unica che non si era preoccupata di avvicinarsi perché troppo distratta a ridere con entrambe le mani sul collo dell’Omega. Il ringhio che emise in quel momento era un suono basso che somigliava a quello di un animale selvaggio, la sua rabbia era palpitante e spaventosa. Con due passi coprì la distanza che lo separava dalla guardia e con un unico movimento fulminante il collo dell’uomo si incrinò prima di collassare senza vita.

Katsuki ansimò, durante la sua esplosione non aveva notato l’urlo pronunciato finché non sentì la gola bruciare.

L’Omega lo guardò dal pavimento, gli occhi sbarrati dalla paura e le mani premute contro la borsa di pelle. Aveva un brutto livido sulla guancia sinistra, segni rossi di dita attorno al collo e graffi su entrambe le braccia, ma per il resto sembrava illeso.

“Che stai aspettando per uscire da qui?”

L’Omega sussultò per il tono severo, gli occhi vagarono per la cella, fermandosi ad ogni corpo immobile.

“Tu…? Sono…?”

“Morti, hai intenzione di piangerli?”

L’Omega scosse la testa, deglutì con sforzo e parlò. La sua voce rauca era un sussurro smorzato.

“Ora so perché nessuno voleva entrare in una cella con te.”

“Smettila di dire cazzate e alzati.”

Quando l’Omega non fece segno di voler obbedire, Katsuki lo afferrò dal braccio e lo tirò su verso l’uscita, poi lo lasciò per tornare a cercare le chiavi della guardia. Le trovò nei pantaloni del tizio col coltello in testa e appena le prese smise di cercare.

“Che stai facendo?”

La voce dell’Omega lo tirò fuori dai suoi pensieri. Guardò il biondo che stava fermo vicino alla porta, in attesa. Katsuki prese un respiro, si voltò di nuovo verso il soldato e gli sputò in faccia. Si alzò per andarsene, ma poi si fermò, un’idea che gli germogliava in mente.

“Vieni.”

“Perché?” Chiese l’Omega con una voce imbronciata.

“Vieni e aiutami con questo qui.”

“Non voglio toccarli.”

“Muoviti!”

Il tono di assoluta autorità fece obbedire l’Omega nonostante fosse riluttante. Non appena gli fu di fianco, Katsuki indicò il tizio davanti a lui.

“Credo che questo qui abbia la tua taglia.”










 

Era facile ignorare un Alpha quando stava rinchiuso in una cella e tu potevi andartene quando volevi. Più difficile era rifiutare quando ne avevi uno che ti guardava con uno sguardo inceneritore. Denki non trovò nemmeno la forza di provare disgusto mentre indossava i vestiti di una persona morta.

“Quest’uniforme è coperta di sangue,” borbottò dal disgusto mentre sistemava le maniche della sua divisa.

“Non si vede,” rispose l’Alpha di cattivo umore.

Denki serrò le labbra e finì di allacciare il pettorale. L’uniforme gli andava un po’ grande sulle spalle e in vita, le maniche gli scivolavano fino al pollice quindi dovette fare dei risvolti per avere le mani libere.

“E se ci scoprono?”

“Io mi occuperò delle guardie, tu assicurati che nessuno prenda quelle fialette.”

“Come faremo ad andarcene?”

“Non ce ne andremo.”

“Cosa?”

“Scenderemo nelle celle scure, sai la strada per arrivarci?”

Denki annuì mentre nascondeva il pacchetto in una delle sue tasche. Dovette stare davanti, portando la propria torcia. Il corridoio era vuoto e silenzioso, la luce formava dei semicerchi sulle pareti, sul soffitto e sul pavimento; la prigione al buio era un posto completamente diverso da come lo ricordava Denki, in diverse occasioni si era dovuto fermare, indeciso sulla strada da prendere.

Mentre scendevano, trovarono altri corridoi con i candelabri spenti, le scale e i tunnel erano infinite bocche nere. Ogni passo rimbombava nelle pareti e ad ogni ombra Denki credeva che ci fosse qualcuno con loro, ma il posto era deserto.

Finalmente riuscirono ad arrivare, il corridoio finiva in un’apertura senza una porta.

“È un ascensore manuale,” spiegò Denki mentre saliva nella scatola di metallo. “Devi prima sbloccarlo e poi girare la manovella.”

La piattaforma cigolò e tremò mentre Katsuki li faceva scendere. Al fondo trovarono una porta con due corsie ai lati.

“Da che parte?” Chiese l’Alpha muovendo la torcia tra i due corridoi.

“Non ha importanza. La porta conduce alla stanza di osservazione, e i corridoi vi formano un cerchio attorno.” Mentre spiegava, Denki entrò nella stanza e prese le chiavi che sapeva le guardie nascondessero nella scatola incastrata nel muro. “Le guardie gestiscono tutte le chiavi separatamente,” porse il mazzo di chiavi con un pallino bianco in alto. “Ogni gruppo ha un colore diverso a seconda dell’area per cui vengono usate. Per quanto ne so, non dovrebbero lasciarle qui, ma lo fanno comunque perché in questo modo evitano di dover tornare indietro in caso se le dimentichino.”

“Riesci a vedere l’interno di ogni cella nella stanza?”

“Solo se c’è luce nelle celle.”

“Quante celle ci sono lì?”

“Dieci, ognuna con una porta di ferro. Hanno tutte la stessa serratura e il doppio chiavistello.”

“Solo dieci?”

“Non è l’unica stanza, ce ne sono cinque in quest’ala e cinque nell’altra, tutte con un ascensore come punto di accesso. Da quello che so questa è la prima volta che sono tutte occupate.”

Presero il corridoio sulla sinistra e Denki tenne entrambe le torce mentre l’Alpha provava ogni chiave, una volta trovata quella giusta rimosse la serratura che assicurava la porta e aprì i chiavistelli in basso e in alto. I cardini cigolarono quando li spinsero e vennero subito accolti dall’odore di reclusione, bagno sporco e putrefazione. L’Alpha prese la torcia ed entrò, alzandola sopra la testa per ispezionare il luogo.

La luce si riversò all’interno e gli occhi di Denki si fissarono immediatamente sulla figura raggrinzita vicino alla porta. Dimenticandosi della paura, si inginocchiò vicino alla ragazza dai capelli scuri, lasciando la torcia per terra. Non appena lei aprì gli occhi, emise un grido di orrore e indietreggiò quando lo vide. Ciò destò l’Alpha, che si svegliò dal sogno e si alzò emanando un grugnito minaccioso.

“Chieko, sono io,” disse Denki, alzando entrambe le mani e tirando su le maniche dell’uniforme nera per rivelare i polsini con gli anelli.

Lo stupore la lasciò senza parole e non appena riuscì a superare il panico batté le palpebre con forza, esaminò velocemente il suo viso e mormorò.

“Denki?”

Lui le sorrise di risposta e le porse le mani in un gesto di conforto. La ragazza scoppiò in lacrime abbracciandolo con disperazione.

“Chi sono?” Mormorò l’Alpha con un’espressione che rivelava la sua diffidenza.

Il biondo emise un grugnito e gli lanciò il mazzo di chiavi.

“Una di quelle dovrebbe esservi utile.”

Poi se ne andò senza aspettare una risposta, prendendo solo la chiave della porta.

“Dove vai?” Urlò Denki.

“Lui non è qui,” rispose l’altro senza fermarsi.

Denki imprecò, diede qualche pacca all’Omega cercando di liberarsi, ma quando non funzionò dovette destreggiarsi per prendere la torcia e alzarsi.

“Chieko, Chieko… ascoltami, devi guardarmi. Forza, guardami… Guardami, Chieko. Bene, ecco. Ora respira, con calma. Dobbiamo muoverci, ok? Le guardie potrebbero arrivare da un momento all’altro e dobbiamo aprire tutte le celle prima che accada. Devi aiutarmi a far uscire gli altri, hai capito?”

Ci volle un momento perché Chieko si riprendesse, ma alla fine riuscì ad annuire, emettendo ancora dei singhiozzi strozzati.

“Come avete fatto a prendere le chiavi?”

La voce fece sussultare Denki e Chieko si aggrappò con forza alla sua giacca, la sua paura si intensificò e contaminò l’aria attorno a lui. Quando si voltò verso la voce l’Alpha stava a meno di due passi. Denki lo riconobbe, era uno di quelli violenti, a cui piaceva vendicarsi del pessimo trattamento delle guardie con gli Omega che erano obbligati a vivere con lui. Non era l’unico, molti di coloro che avevano vissuto per anni nella prigione tendevano a esplodere con chiunque gli capitasse sottomano.

Il tizio era alto e spaventoso, il suo odore era come polvere da sparo pronta a esplodere. In qualsiasi altra situazione Denki si sarebbe allontanato aspettando di passare inosservato, ma in quel momento… in quel momento riusciva ancora a sentire le dita del soldato sul suo collo. Il colpo sulla guancia gli faceva male e ogni volta che ricordava l’odore di legno diventava di cattivo umore quindi, invece di inclinare la testa e sottomettersi, alzò il mento e ringhiò.

“Le abbiamo prese da una guardia dopo avergli affondato un coltello nella testa.”

Si voltò prima che l’Alpha potesse reagire e trascinò la ragazza con lui mentre correvano verso la prossima cella. La porta si aprì e quando si affacciarono trovarono un’altra ragazza Omega seduta in un angolo che fissava l’ingresso con occhi terrorizzati.

Chieko si avvicinò per consolarla. Denki le guardò apprensivo, finché non arrivò l’Alpha della prima cella.

“Togli le catene,” disse Denki, indicando l’Alpha imprigionato che si era alzato e li guardava sospettoso.

“Non prendo ordini da te.”

“Beh, allora dammi le chiavi e vai a sederti all’ascensore.”

Il ragazzo ringhiò, sembrava ancora più minaccioso del solito, e Denki maledì la sua boccaccia, quando il biondo tornò indietro.

“Non è qui, dobbiamo continuare a cercare.”

Denki prese un respiro e indicò l’Alpha incatenato.

“Digli di levargli le catene.”

L’Alpha alto si irrigidì, storse il viso e sputò. “Ti ho già detto che non prendo ordini da te.”

“Allora dammi le chiavi.”

“Prendile se ne hai il coraggio.”

“Non ho tempo per questo, dannazione!” Il ruggito dell’Alpha spaventò tutti nella cella. Il biondo coprì la distanza con l’altro Alpha e lo spinse, forte. “Apri quel fottuto lucchetto! E quando hai fatto passa al prossimo! Ti crea dei cazzo di problemi?!”

La sua rabbia lo faceva sembrare dieci volte più grande. La sua ira e il suo odore, che inondava la cella con violenza e fiamme. Era l’odore di un Alpha che si imponeva su un altro. Un Alpha pronto a combattere e a uccidere.

Lo stomaco di Denki si strinse dalla paura temendo uno scontro, che sembrava ci sarebbe stato, perché la posizione dell’altro crebbe, il suo odore si addensò volendo contrastare la presenza rossa che emanava il biondo, ma alla fine si arrese. L’odore lo surclassò e le sue spalle si abbassarono una volta sottomesso.

“Fate uscire gli altri!” Ruggì il biondo con rabbia. “Non voglio cazzate! Salite sugli ascensori e poi ai piani superiori! Non permettete a nessuna sentinella di chiamare dei rinforzi, aspettate di riunirvi con gli altri, è chiaro?!”

Entrambi i ragazzi annuirono, uno con un’espressione amara e l’altro con il viso dipinto di speranza. Il biondo si voltò e invitò Denki a seguirlo, ma lui si avvicinò alle ragazze che si abbracciavano a vicenda, tremando.

“Non andare!” Mormorò con urgenza Chieko, afferrandolo per le maniche dell’uniforme.

“Andrà tutto bene. Raduna il resto della nostra gente e non separatevi. Noi conosciamo la via d’uscita. Lascia che si occupino delle guardie e tenete gli occhi aperti. Ci vediamo di sopra.”

Entrambe annuirono e Denki si affrettò a seguire il biondo che stava attraversando la porta senza fermarsi.










 

Katsuki imprecò quando la seconda stanza risultò essere una ricerca infruttuosa. C’erano solo celle che puzzavano di merda, due contaminate dall’odore di copulazione e il resto pieno di corpi sporchi e affamati. Ogni volta che apriva la porta e non trovava il rosso la sua sanità mentale vacillava.

Per risparmiare tempo radunò un gruppo di otto persone con l’ordine di aprire le celle dall’altro lato della prigione e riunire tutti ai piani superiori, vicino all’uscita per il cortile ricreativo. Era a nemmeno dieci passi da loro quando Katsuki spinse l’Omega ad andare nella prossima stanza.

Non riusciva a stare fermo.

Si sentiva pulito e nuovo, pieno di energia, traboccante di impazienza. Voleva solo uscire, correre finché il suo cuore non avesse smesso di pulsare incontrollato. Sentiva l’aroma dentro di lui riempire ogni crepa del suo corpo. Se chiudeva gli occhi riusciva ad evocarne con precisione le sfumature e la squisitezza. Poteva quasi annusarlo e sentire la pelle calda da cui si emanava.

Notò le dita tremanti, avide di spiegarsi e trovare la fonte di quel profumo. Devo uscire. Il suo stomaco brontolò, non dalla fame, ma dal desiderio. Si sentiva intossicato da Izuku.

Izuku.

Vivo e in salvo. Il pensiero era sconvolgente. Lui è fuori. E lui stava perdendo tempo lì.

Nella terza stanza il suo umore peggiorò ancora di più. Non c’erano tracce del rosso, ma trovarono tre celle cariche di odori mischiati, una coppia sul punto di morire di fame, e un massacro. Katsuki si fermò all’ultima, senza sapere perché. Dentro, l’odore di sangue e putrefazione era soffocante, capì che l’Alpha era uscito di senno e aveva fatto a pezzi il suo compagno prima di spaccarsi la testa contro il muro.

Il sangue che imbrattava le pareti lo fece pensare a Itsuka.

Restò lì così a lungo che l’Omega riuscì a raggiungerlo. Non appena lo sentì fermarsi all’entrata Katsuki si voltò, lo afferrò per un braccio e lo trascinò alla porta successiva.

“Cosa…! Chi…!”

Le sue domande erano agitate, piene di agonia e disperazione, ma quando cercò di liberarsi Katsuki lo strinse con più forza.

“Non c’è nulla che tu possa fare.”

“...sono…?”

“Non puoi farci niente!”

Lo tenne vicino mentre ispezionava le ultime celle e non lo mollò, ripetendo le stesse istruzioni di prima, ma nel mezzo del suo discorso venne interrotto da un suono indistinto, come un ronzio distante, che iniziò a rimbombare nelle pareti.

“Cos’è?” Chiese uno degli Alpha.

“Scopriamolo.”

Katsuki e l’Omega salirono sull’ascensore insieme a un gruppo di quattro persone, la capacità massima del mezzo. Di sopra il rumore era ancora più pronunciato, sempre indistinguibile ma persistente e fastidioso.

“Da dove arriva?” Chiese qualcuno e con sorpresa di Katsuki fu l’Omega a rispondere.

“Sono loro,” mormorò senza voce, fissando il soffitto. Aveva il volto bianco, gli occhi spalancati e le labbra avevano iniziato a tremare. La sua espressione piena di orrore si fissò su di lui. “È l’allarme, sta suonando l’allarme d’emergenza.”

Katsuki lo guardò, riconobbe la paura nei suoi occhi e non perse tempo a chiedergli se fosse sicuro. Invece, si voltò verso il gruppo e iniziò ad abbaiare ordini.

“Tu, vai e chiama gli altri. Prendi un Omega che ti mostri la strada per i piani superiori. Voi, ragazzi! Venite con me.” Infine, si girò verso l’Omega biondo senza perdere tempo. “Raduna gli Omega, libera il resto dei prigionieri di quest’ala. Assicurati di mandare tutti quelli che possono combattere al cortile dell’ingresso. Poi sali e aspetta vicino al corridoio principale.”

Subito dopo si voltò e corse, seguito dal resto del suo gruppo.

Di sopra il ronzio dell’allarme era anche peggio. Katsuki increspò la fronte, irritato dallo strillo acuto. Nel corridoio principale trovò un mucchio di corpi immobili, tutte guardie coperte di sangue, circondate da dei ragazzi con un’espressione arrabbiata.

“Che diavolo è successo?!” Ruggì Katsuki mentre raggiungeva la fila anteriore.

“Quando è sceso giù dalle scale il gruppo di sentinelle gli siamo saltati addosso e siamo riusciti a eliminarli, ma uno di loro è scappato.”

Katsuki digrignò i denti, pronto a esplodergli contro, finché non percepì l’aroma che giungeva dall’esterno. Odorava di aria fresca, vento gelido, terra umida e pietre bagnate.

Pioggia.

Prestando molta attenzione riusciva a sentire l’inconfondibile picchiettio delle gocce d’acqua sulla terra secca. Il suono lo riportò a casa. Sentiva la pioggia per la prima volta dopo anni, per la prima volta annusò l’inconfondibile aroma di foglie bagnate. Era così vicina da poterla quasi sentire sulla pelle.

Chiuse gli occhi e inspirò finché i polmoni non protestarono. Ricordò.

Le dita di Izuku sul suo pollice, che tracciavano il contorno della sua cicatrice. Il peso del suo corpo contro il suo. Il suo profumo.

Il ricordo era radioso nonostante il tempo trascorso. Erano anni che non pensava a quel giorno. Faceva troppo male pensare a lui.

Quando aprì gli occhi trovò molte facce in attesa, in ognuno di loro vedeva la stessa fame che sentiva dentro di lui. Libertà.

Non tornerò in quella cella.

La sua rabbia si trasformò in gelida determinazione. Il suo odore si addensò attorno a lui e non appena gli altri lo sentirono si raddrizzarono, le spalle dritte e la postura perfezionata. Pronti e in guardia.

Distruggerò questo posto finché non resterà più nessuno.



 

______________________________________________________________________________________________________________
 

Bentornati! Anche stavolta sono un pochino in ritardo, ma sto migliorando, vero?

Finalmente Denki e gli altri stanno per uscire dal quel maledettissimo posto e Kacchan così impaziente di tornare da Deku mi scioglie letteralmente il cuore <3

Come sempre grazie mille a chi lascia un commento e a chi mette nelle preferite, seguite, ricordate, siete degli ovetti di cioccolato <3

La prima parte della "fuga dalla prigione" è andata, ci vediamo alla parte due ;)

 

Tanuka

 

Prossimo capitolo: "Un Cielo Grigio"


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Capitolo 12
*** Un Cielo Grigio ***


Capitolo 12 - Un Cielo Grigio





 

La pioggia iniziò a mezzanotte, senza tuoni o avvertimenti di alcun tipo. La maggior parte delle guardie stava dormendo e solo quelli di turno si accorsero del brusco calo di temperatura. Hachiro aprì gli occhi sentendo le gocce fredde sul viso, abbandonò il suo posto sul muro del cortile e corse a cercare riparo. Invece di andare di sotto camminò sul muro verso il punto di osservazione, una stanza circolare con quattro pali che supportavano un piccolo tetto di paglia. Da lì si vedevano i cortili interni, i frutteti, il tetto delle stalle e la luce che arrivava dalle caserme dei soldati.

Hachiro tolse l’arco e si riposò contro l’allarme sul pavimento, un dispositivo che occupava l’intera stanza e la cui leva era grande come un suo braccio. Anche se aveva intenzione di tornare a dormire, diventò impossibile a causa del vento che soffiava forte contro la torre; al muro poteva almeno sedersi e ripararsi dalla tormenta, lì doveva stare in piedi.

Non riuscendo a dormire ed avendo troppo freddo per provarci, Hachiro si appoggiò contro uno dei pali aspettando l’alba. In quel momento non c’era nessuno che potesse sgridarlo per essersi distratto, quindi si prese il suo tempo per osservare il cielo completamente scuro, non si vedeva nemmeno una stella. A un certo punto il gruppo di Elok arrivò correndo attraverso il cortile esterno verso il portone di ferro, ascoltò l’inconfondibile cigolio del metallo che veniva aperto e poi vide quattro di loro correre verso le scale che scendevano giù nelle celle.

Dopo un po’ sentì il gruppo di Malakay, e a differenza della truppa precedente, non sembravano aver fretta di iniziare le loro attività. Li vide camminare nei cortili, fermarsi ad ogni zona coperta prima di raggiungere il tetto del cancello, dove rimasero a maledire la pioggia.

Hachiro non riusciva a vederli grazie al tetto che li copriva, ma il posto di guardia era proprio sopra una delle colonne che sosteneva la porta quindi poteva comunque sentirli.

“Dannazione,” disse uno di loro. “Odio la stagione delle piogge.”

“Oh, non me ne parlare,” rispose qualcun altro. “Fa schifo viaggiare con questo tempo. Le strade saranno delle pozzanghere di fango che si attaccherà ai vestiti, saremo bagnati fradici e qualsiasi pendio potrebbe trasformarsi in una zona di frana.”

“Porca puttana!” Brontolò un terzo, “Vi immaginate il casino di portare i carri coi selvaggi? Quelle robe si incastrano continuamente. Passeremo metà del tragitto a spingere e piazzare tronchi in modo che passino. Finiremo con gli stivali pieni d’acqua e le ossa gelide.”

“Se tutto va bene, tutti loro resteranno qui a marcire.”

“Odio tutto questo, non è ancora nemmeno sorto il sole.”

“Dannazione, perché dobbiamo controllare noi i sotterranei?”

“Non lo sapevi? Malakay ha perso una scommessa.”

“Cosa?! Mi sto congelando il culo per colpa di quel bastardo?!”

“Zitto! Sta arrivando.”

Hachiro guardò verso i cortili esterni e localizzò immediatamente l’uomo che correva verso la porta, affondando gli stivali nelle pozzanghere per terra.

“È tutto pronto?” Chiese Malakay non appena arrivò. La sua voce, come ricordava Hachiro, era un eco profondo. “Bene, finiamo questa merda. Dobbiamo fare un’ispezione generale dell’ala sud. Separiamoci, ognuno controllerà una stanza diversa, voglio un inventario di quelli ancora vivi, quelli morti, e quelli che possono essere trasferiti. Finiamo il prima possibile, il capitano vuole andarsene prima del pomeriggio quindi per noi la cosa migliore è darci una mossa.”

Hachiro li vide spostarsi dal tetto e correre attraverso i cortili interni verso l’entrata. Sbadigliò, voleva solo che il sole sorgesse così che il suo turno potesse finalmente terminare.

Con la coda dell’occhio catturò un movimento, così si voltò verso l’ombra e vide una guardia tornare indietro. ‘Cosa potrà aver dimenticato’, pensò annoiato finché non realizzò che l’uomo correva senza ritmo, come un animale in trappola.

Cosa.

Poi li vide. Dietro la guardia emersero diverse altre ombre, ombre che si fermavano prima della pioggia. Nessuno di loro indossava l’uniforme.

“EH!” Urlò istintivamente, prima che il suo cervello potesse processare cosa stesse accadendo.

Sentì l’eco della porta che si chiudeva di nuovo. Nonostante i battiti frenetici del suo cuore distinse il rumore del perno che tornava al suo posto. Hachiro si voltò verso l’allarme, prese la manovella e la girò. Il suono prodotto fu così acuto e tagliente che temette che le sue orecchie avrebbero iniziato a sanguinare, ma non accadde, ciò che successe in realtà fu che l’intera prigione si svegliò.










 

“Cos’è successo?!”

“Non lo so.”

“Perché è suonato l’allarme? È una simulazione?”

“No, dicono che sono scappati.”

“Chi? I selvaggi?”

“Chi altri?”

“Scappati? È assurdo…”

Atsuhiro ignorò le chiacchiere e cercò di avvicinarsi per sentire la storia che stava raccontando un soldato tremante davanti al capitano, la voce aveva un tono agitato — tipico delle persone sotto shock — e la storia era punteggiata di parole riempitive: E poi, in seguito…

“Quanti erano?” Chiese uno dei tenenti interrompendo la storia e facendo confondere il ragazzo che dovette ricominciare da capo quando un’altra persona chiese cosa fosse successo.

“Basta!” Urlò il capitano. “Basta! Non abbiamo tempo per continuare questo interrogatorio. Abbiamo una fuoriuscita e dobbiamo contenerla. Atsuhiro, raduna i tuoi uomini, li voglio sulla barriera, se qualcuno dei selvaggi arriva dalle scale lo voglio morto. Niente frecce paralizzanti, stavolta mirate alla testa o al cuore. L’unica uscita esistente è questa, teniamo la porta chiusa in modo che non possano disperdersi. L’unica cosa che possono fare è uscire nel cortile interno, voglio tutti pronti ad abbattere chiunque metta il naso fuori. Ryu, raduna un gruppo e fa’ trasferire loro l’incenso in eccesso dal magazzino.”

“Ma sta piovendo.”

“Non lo useremo nel cortile. Voglio che prepariate le fionde, rilasceremo le cariche all’ingresso. Una volta diffuso all’interno manderemo un gruppo per pulire. Useremo le cariche per riempire i sotterranei prima di scendere. Risolveremo questo casino.”

Atsuhiro si allontanò dal gruppo mentre il resto urlava “Sissignore” come un’unica persona. In pochi minuti aveva metà del gruppo che correva per portare le frecce e gli altri che radunavano più archi possibili.

In quel momento la vedetta sul muro urlò:

“Sono fuori!”










 

Hachiro lasciò la manovella e il bip dell’allarme smise immediatamente. Dalla sua posizione riusciva a vedere che il cortile esterno era affollato di soldati e la sola vista dei suoi compagni riuscì a calmare la sua ansia. Prese il suo arco e andò al suo posto, nell’esatto momento in cui un’ombra lasciò la sicurezza delle scale e corse verso la pioggia.

Non può scappare, pensò Hachiro tenendo il suo arco, la porta è chiusa, e dietro la prima ombra ne emersero altre, come se fosse stata distrutta una diga.

“Sono fuori!” Urlò al cielo, armeggiando il suo arco.

Non possono uscire, si ripeté Hachiro, tendendo l’arco e scoccando. Subito dopo, prese un’altra freccia e replicò l’azione. In quella frazione di minuto, mentre abbatteva due figure, l’ombra che era uscita per prima si arrampicò sul muro. Sbalordito dalla sorpresa, Hachiro commise l’errore di esitare e quando cercò di raggiungere un’altra freccia si paralizzò perché in pochi secondi aveva l’ombra a portata di mano.

Anche se era vestito come lui — abbigliamento nero e stivali al ginocchio — Hachiro capì subito che non era uno dei suoi perché non conosceva nessuno con dei luminosi occhi scarlatti traboccanti di rabbia.










 

Ochako si svegliò quando sentì il tintinnio delle catene. Invece di alzarsi, girò il suo corpo verso la fonte del rumore e cercò di intravedere qualcosa oltre il velo scuro che copriva l’intera cella.

“Finirai per svenire di nuovo,” mormorò stancamente, sentendo il cigolio del metallo e il respiro pesante dell’Alpha.

“Ho… Ho quasi finito.”

La voce era piena di energia incomprensibile e aveva un timbro ricco e tonante. Era vivace, onesta e forte. Ochako l’avrebbe trovata affascinante, se non avesse saputo che sarebbe morta in quella cella.

Il suo stomaco brontolò, il suono rimbombò nella stanza facendo smettere il rumore delle catene.

“Stai bene?” Chiese la voce gentile.

Ochako non aveva nemmeno visto il suo volto, ma sapeva, solo sentendo la sua voce, che il ragazzo era gentile, vivace e ingenuo. L’ultima cosa era quella che la faceva arrabbiare di più.

“Potremmo uscire,” disse per la centesima volta. “Potremmo accoppiarci e unire le forze per affrontare qualsiasi cosa ci aspetti.”

“Ne abbiamo già parlato.”

“Ne abbiamo parlato? Perché da quello che so tu hai parlato, ti sei rifiutato assolutamente e hai cercato di staccare quelle catene dal muro per tutto il tempo che siamo stati qui. E senza successo, per tua informazione. L’unica cosa che sei riuscito a fare finora è stato svenire a causa dello sforzo. Mi spiace, ma non siamo più vicini all’uscire di qui rispetto al primo giorno.”

“Non siamo—”

“Metà della decisione spetta a me. Forse è l’unica scelta che abbiamo. Che importanza ha se ci obbligano, potremo continuare a combattere domani, quando saremo ancora vivi, fuori di qui, ma se ci rifiutiamo moriremo qui, è questo che vuoi?”

La risposta dell’Alpha fu un sospiro profondo.

“Sai,” rispose la voce di caramello. “Quando ho fame, di solito sono anche di cattivo umore, perché non bevi un po’ d’acqua per calmarti?”

Ochako sbuffò. Sì, la fame la rendeva irrazionale. La fame e l’aroma, poiché l’Alpha profumava di zafferano. Delizioso e denso. Ogni volta che inspirava, inalava l’essenza possente e non riusciva a non pensare ai dolcissimi dessert allo zafferano che sua madre preparava una volta l’anno. Ricordava che a casa non c’erano mai soldi per certi lussi, ma suo padre riusciva sempre a procurarsi dello zafferano. Lo chiamavano oro rosso per via del suo valore, e veniva associato alla bellezza e all’eleganza.

Sopraffatta dalla fame, inondata dai ricordi, Ochako si agitò sul posto, schiacciò le ginocchia contro il petto e addensò il proprio odore. Il ricordo dei suoi genitori le dava forza, non voleva morire, non lì, chiusa in uno sporco sotterraneo. E se fosse dipeso da lei, quella non sarebbe stata la sua fine; quindi anche se avrebbe dovuto forzare le cose, sarebbe sopravvissuta.

“Non farlo.” Disse l’Alpha quando notò l’aroma.

Ochako lo ignorò. Il cibo era finito quindi era solo questione di tempo prima che la guardia tornasse.

“Basta!”

Restò paralizzata dal tono severo, ma non si arrese. L’Alpha poteva rifiutarsi, ma era impossibile resistere all’aroma. Se Ochako l’avesse forzato, sapeva che avrebbe ceduto. Era così concentrata sulla sua missione che non sentì la serratura della porta. Quando reagì, andò nel panico.

Si mise a sedere in fretta, così velocemente che scosse il terreno. All’ingresso la luce era così luminosa che dovette strizzare gli occhi per vedere. Un Alpha entrò facendo tintinnare le chiavi, e dietro di lui apparve una figura più piccola dai capelli scuri.

Non riuscendo a resistere, Ochako strillò.

“Yui!”

La ragazza le saltò addosso e Ochako la abbracciò non capendo cosa stesse succedendo, ma quello non fermò le lacrime che le annebbiavano la vista.

“Riesci ad alzarti?” Chiese Yui, staccandosi dall’abbraccio.

“Sì, che sta succedendo?”

“Usciamo e ce ne andiamo.” Risponse Yui con una voce che mischiava paura, gioia, panico e speranza. “Ce ne andiamo!”

Non appena si allontanarono dalla cella, Ochako vide gli Omega abbracciati raggruppati vicino all’ascensore. Quando la videro, i suoi compagni la abbracciarono e lei li strinse forte cercando di non scoppiare a piangere; non appena sentì l’aroma di zafferano si voltò.

Il suo compagno di cella era alto, muscoloso e bellissimo. I suoi capelli rossi spiccavano con punte irregolari, aveva grandi ed espressivi occhi rosso cremisi, e aveva un bellissimo fiore di loto proprio al centro del petto. Quando sentì il suo sguardo, l’Alpha la guardò e sorrise. Un gesto ampio e devastante.

“Te l’avevo detto che saremmo usciti.” Ochako restò sorpresa che una voce così zuccherosa potesse trasmettere tanta speranza in una sola frase. “Combattiamo.”










 

Sebbene Katsuki capisse che il tempo era contro di lui, non si lanciò a capofitto come uno stupido; nemmeno quando l’allarme lo riempì di impazienza, permise a se stesso e agli altri di commettere errori. Si prese un momento per interrogare gli altri, lanciare ordini e istruzioni senza sosta. Non si fermò a dubitare, non esitò, non si lasciò spaventare. Si allenava da quando aveva sei anni e aveva passato secoli chiuso in una gabbia a ricreare scenari immaginari aspettando il momento giusto per andarsene. Ora era il momento.

Dopo aver esposto il suo piano e distribuito i compiti, Katsuki si voltò verso il gruppo di Omega che chiacchierava a bassa voce.

“Voglio delle armi.”

L’Omega biondo lo guardò, annuì, poi spinse i compagni e urlò senza fermarsi.

“Porteremo tutto ciò che è rimasto!”

Katsuki sorrise, un sorriso feroce e affamato, subito dopo diede ordine che un Alpha restasse indietro per ricevere il resto. Proprio in quel momento l’allarme cessò e solo allora si mosse.

Corse per le scale e fuori, sotto la pioggia. La pioggia. Gelida e fresca. La sensazione ravvivò la sua energia, lo riempì di forza, con cui riuscì a far tacere la fame. Corse attraverso il cortile notando subito che non c’erano guardie sul muro; mentre vi si avvicinava, ricordò che la prima volta che aveva tentato di arrampicarsi si era sbucciato un ginocchio perché si era spinto in avanti invece che in alto. Alla fine era riuscito a padroneggiarlo ed era in grado di salire per un’altezza il doppio della sua.

Era un po’ che non si arrampicava, molte persone avrebbero dovuto esercitarsi di nuovo per ripetere il proprio successo, ma non lui; perché persino da bambino Katsuki riusciva a ricreare un movimento, un colpo, un attacco, solo osservandolo. E stavolta non era diverso.

In alto.

Invece di aspettare che uno degli altri lo sostenesse, Katsuki saltò sul muro quando fu a un passo da esso, alzò la gamba e appoggiò la punta del piede contro il muro. Tenne la testa in alto e le braccia sollevate, e usò il fulcro per spingere il muro in basso. Col suo impulso si fece avanti e replicò la stessa operazione. Non era facile, dipendeva dai suoi riflessi, dalla sua forza e dalla sua abilità, ma ora più che mai, Katsuki non aveva nessuna intenzione di arrendersi.

Allungò le mani prima di perdere lo slancio e afferrò il bordo del muro, da lì si issò usando i muscoli delle braccia. Non appena ebbe la guardia davanti a lui, Katsuki attaccò.










 

Un gruppo di arcieri, capitanati da Atsuhiro, corse su per le scale in un tentativo di neutralizzare i selvaggi nel cortile, ma non appena raggiunsero la cima trovarono una manciata di loro che reagirono subito.

Senza possibilità di avanzare, e con il suo gruppo che ostruiva il retro, Atsuhiro scostò il suo arco, alzò la lama e cercò di liberare l’area. La sua missione era ripulire la cima del muro, insediare i suoi arcieri, e uccidere chiunque fosse all’interno del cortile. Non si aspettava che gli sporchi, affamati giovani selvaggi potessero rispondere con una ferocia al limite dell’abbandono.

Il selvaggio di fronte a lui indossava l’uniforme di una guardia, Atsuhiro progettò di catturarlo e interrogarlo, ma il ragazzo si difese con una brutalità schiacciante.










 

Denki ricordava il magazzino degli attrezzi mentre correva verso la cucina; invece di accompagnare gli altri, deviò a destra nel primo corridoio che trovò. Fortunatamente, la porta non aveva una serratura, e Denki capì il motivo alzando una delle torce per illuminare la stanza.

L’unica cosa rimasta erano i sacchi col sapone per i vestiti, diversi pacchi con della stoffa destinata a creare delle coperte, terra fertilizzante, vecchi semi, pentole di argilla scheggiate, un barile di olio vecchio, e altre cose apparentemente inutili. Come un mucchio di piatti di legno storti.

Non appena li vide, Denki si fermò. Due secondi dopo tornò di corsa nel corridoio verso la cucina.

“Ho i coltelli!” Urlò Chieko quando lo vide arrivare. Dietro di lei il mobile dell’argenteria era spalancato con cucchiai e mestoli sparpagliati per terra.

“Porta anche le corde!” Replicò, facendo segno ai suoi compagni di seguirlo. “E poi incontriamoci al magazzino degli attrezzi!”

Senza perdere tempo, Denki spinse gli altri giù per il corridoio.










 

Quando tornò, Ryu scoprì che il muro del cortile era pieno di selvaggi. La prima linea di difesa li teneva a bada in cima, ma non c’era dubbio che da un momento all’altro sarebbero scesi giù per le scale distruggendo tutto.

Senza perdere tempo, Ryu e la sua squadra distribuirono le bottigliette di sedativi agli arcieri vicino al capitano. Normalmente veniva usato nei dardi per trasferirli individualmente, ma ora la sua squadra iniziava a bagnare le punte delle frecce con l’intenzione di neutralizzare tutti quelli sul muro.

“La precisione non ha importanza!” Urlò il capitano, allineando gli arcieri. “Basta un solo graffio! Attaccate!”

Gli arcieri scoccarono e Ryu iniziò a preparare le fionde con l’incenso.










 

Eijirou era pronto a correre su per le scale verso i piani superiori quando una piccola mano lo fermò. Quando si voltò trovò la sua compagna di cella, piccola e con grandi occhi castani.

“Hai davvero intenzione di combattere?” Chiese.

“Sì.”

“Ma non hai nessuna arma.”

“Dovremo improvvisare.”

“No… Le guardie sistemano i picconi in un ripostiglio vicino all’entrata delle miniere. Se sono ancora lì—”

“Fammi vedere.”

L’Omega si staccò dai suoi amici e corse giù per uno dei corridoi con Eijirou e il suo gruppo dietro.

Fortunatamente per loro, l’entrata delle miniere era vicina alla loro sezione, così trovarono quasi subito il ripostiglio. Con l’aiuto di una sbarra di ferro e la forza combinata di due Alpha, il lucchetto si ruppe. Dentro trovarono una piccola stanza piena di picconi vecchi e logori.

Eijirou ne prese tre e corse, insieme agli altri, seguendo la ragazza Omega. Non appena uscì nel cortile, la pioggia cadde su di lui, paralizzandolo. Ci volle un minuto di ispezione per vedere un loro gruppo in cima al muro, che combatteva le guardie.

Come hanno fatto a…

La risposta alla sua domanda era a tre metri da lui, dove un gruppo della sua gente sollevava altri verso il bordo del muro. Notò subito che quelli che sostenevano erano i più robusti e quelli che si arrampicavano in cima avevano una forma più snella.

Anche se il muro era pieno di persone, non potevano in alcun modo combattere la squadra di arcieri che attaccavano dall’esterno, alcuni caddero dalla recinzione con delle frecce che gli attraversavano il collo o il petto. Il resto si piegava per ripararsi dietro le pareti di mezzo metro.

Dopo aver consegnato le armi che stava portando, Eijirou si preparò per cercarne altre quando vide uno dei suoi incespicare di alcuni passi poco lontano da lui. Prima che cadesse un’altra ondata di frecce, Eijirou lo spostò dal centro mentre i suoi compagni andavano a cercare altre armi.

“Sei ferito?” Chiese con voce ansiosa. “Dove?”

Trovò un taglio semi-profondo lungo la spalla, senza dubbio il risultato di una freccia che era stata rimossa senza problemi. La ferita non sanguinava, non sembrava mortale ma l’Alpha aveva chiuso gli occhi e non rispondeva alla sua voce. Eijirou trovò la freccia tre passi più in là ed esaminandola notò il vago odore che arrivava dalla punta metallica. Subito dopo si mosse:

“Fate attenzione alle frecce!”

Non aveva nemmeno finito di parlare quando un’ondata di quelle si sollevò in cielo verso il cortile.










 

Gli arcieri ottennero una vittoria schiacciante scoccando il primo carico. Il secondo fu meno efficace perché i selvaggi sul muro si erano subito coperti. Il terzo e il quarto vennero mirati per cadere nel cortile, ma era impossibile confermarne l’efficacia perché non avevano modo di vederne i risultati.

I soldati sulle scale si erano ritirati dopo un comando del capitano, che li organizzò davanti al portone, lasciando gli arcieri con l’ordine di tenere i selvaggi in cima al muro.

“Non appena scappano nei tunnel, lanciate i carichi di incenso all’entrata!”

Il gruppo di Ryu avanzò nel retro con le fionde pronte all’uso. Tutte le forze della prigione si allinearono vicino all’entrata, aspettando di irrompere nel cortile e forzando i selvaggi alla ritirata.










 

Accovacciato vicino alle scale, Katsuki prese un respiro. Grazie a tutti erano riusciti ad evitare che le guardie prendessero il muro, e finalmente il capitano aveva deciso di aprire il portone.

Era esattamente ciò che voleva Katsuki.

Si scostò i capelli bagnati dal viso, prese un respiro, afferrò la lama dalla guardia morta e si fermò ad ascoltare. Non aveva bisogno di guardare il cortile per sapere che il resto della sua gente si era armata ed erano pronti a difendersi, aspettavano solo un segnale.

“Il cancello!”

Katsuki gridò nell’esatto momento in cui sentì le lastre di metallo aprirsi. Non ci pensò due volte prima di farsi cadere dal muro sull’orda di nemici che stavano entrando.










 

Il capitano si aspettava di trovare un gruppo di selvaggi violenti e suicidi, si aspettava urla di rabbia, ciò che non si aspettava era incontrare un gruppo di selvaggi armati di picconi, che usavano vecchi piatti di legno avvolti nella corda come se fossero scudi a mano. E non si aspettava i barbari che caddero dal cielo.

Le due forze si scontrarono all’ingresso con una potenza inaspettata. Molti della prima linea caddero, alcuni trafitti dalle lame, altri colpiti dai picconi. Anche se l’attacco fu tremendo, gli uomini del capitano mantennero la formazione e ripresero presto terreno.

La rabbia dei selvaggi era travolgente, combattevano con una frenesia ossessiva e una disperazione cieca, ma lentamente si presentarono i segni della stanchezza fisica. Fame, pioggia, pesante attività, era tutto combinato e fece ricordare ai soldati che stavano combattendo persone giovani, ragazzini in alcuni casi, nessuno più grande di diciotto anni.

Il capitano riacquisì la sua sicurezza e iniziò a urlare ordini senza fermarsi.

“L’incenso! Portate l’incenso!”

Mentre la fila di soldati entrava attraverso il portone forzando i nemici a ritirarsi, l’ultimo gruppo con le fionde cariche passò attraverso l’arco di entrata. Erano tutti all’interno quando arrivò il contrattacco.

Uno di loro collassò, colpito da quello che sembrava essere una palla di stoffa. Quando il soldato dietro di lui si chinò per esaminare la palla, scoprì che era in realtà una pentola di argilla rotta, piena di terra e avvolta in un pezzo di stoffa. Si stava rialzando quando una di quelle cose lo colpì all’improvviso.

I lanciatori di pentole erano raggruppati contro il muro, vicino all’ingresso delle celle. Una manciata di loro ruotavano le munizioni prima di rilasciarle e subito uno dei suoi compagni gliene dava un’altra prima di chinarsi a crearne ancora.

I portatori di incenso collassarono o vennero costretti alla ritirata a causa degli oggetti che cadevano su di loro. Questo contrattacco riuscì a rompere la formazione dei soldati e il gruppo di selvaggi armati rinnovò il loro attacco senza esitare.

Il capitano fu costretto a ritirarsi, lui e i suoi uomini indietreggiarono verso l’entrata colpendo con le loro lame corte gli scudi di legno improvvisati. Non appena riuscirono a coprirsi sotto il tetto, il capitano urlò:

“Arcieri!”

Ma prima che potesse ottenere una risposta, i selvaggi si attaccarono al muro mentre la pioggia di frecce cadeva al suolo.

“AAH!” L’urlo arrivò da uno dei selvaggi che indossava l’uniforme delle guardie, era un suono feroce, oscuro e terribile, non aveva nemmeno finito di parlare quando si mosse. Corse verso di loro e venne subito seguito da tutti, ruggendo in un’unica voce.

Il capitano e il resto delle sue forze si ritirarono con l’intenzione di richiedere l’aiuto degli arcieri.

“Scoccate!”

Dietro il loro gruppo apparvero i selvaggi coi loro scudi scheggiati, allo stesso tempo il gruppo in cima al muro corse giù per le scale verso il cortile esterno. Messi all’angolo da due lati, gli arcieri furono costretti ad alzare le spade per difendersi.










 

Le pozzanghere nel cortile erano tinte di rosso mentre il cielo iniziava a schiarirsi.





 

Alcuni cercarono di fuggire, altri si arresero. A nessuno di loro venne concessa pietà.





 

La pioggia non si fermò, l’alba non portò un cielo azzurro né un sole luminoso. Il mondo era un grigio spento, freddo e umido.










 

Denki chiuse gli occhi mentre alzava il viso al cielo. Accanto a lui, Ochako piangeva con le ginocchia affondate nel terreno freddo e le mani aggrappate al corpo. Il suo pianto, come quello di altri, era un miscuglio di felicità, incredulità e dolore. Denki lo sapeva perché anche lui si sentiva così. Poteva piangere e ridere, poteva cantare e ballare ma la verità era che l’emozione era così forte che lo paralizzava.

Aveva paura di muoversi, paura di svegliarsi e realizzare di star sognando.

“Non ti avevo riconosciuto con l’uniforme.”

Aprì gli occhi e voltò la testa verso la voce. L’Alpha dai capelli rossi era lì, illeso, immutato, lo osservava come se fossero amici e lui fosse contento di sapere che era ancora vivo. La cosa più incredibile era il suo sorriso, ampio, caldo e meraviglioso. Era lo stesso sorriso che aveva nelle celle scure, ma stavolta, invece di sentirsi a disagio, Denki voleva sorridere di rimando. Forse lo fece perché la risposta dell’Alpha fu di avvicinarsi lentamente, come se avesse paura di spaventarlo.

“Ti stanno crescendo i capelli.”

Automaticamente Denki si portò una mano alla testa dove notò che le sue ciocche bionde sporgevano tra le dita. Insieme, i suoi capelli sembravano quelli di un porcospino.

Niente più tagli obbligatori.

Rise, non poteva farne a meno. Il pensiero era fantastico. Non tenendo conto della manciata di risate che l’Alpha era riuscito a strappargli durante il suo soggiorno nelle celle scure, erano anni che non rideva in quel modo. Anni prima, qualcosa di così semplice come la lunghezza dei suoi capelli non l’avrebbe reso felice.

Rise e all’improvviso pianse. La porta si era aperta e non riusciva a fermarsi. Non sapeva come fare.

Poi si trovò l’Alpha davanti, che lo circondava con le sue braccia, emettendo il tenue aroma di conforto pieno di zafferano.










 

Katsuki non si fermò finché non ebbe la certezza che la vittoria era assoluta. Organizzò i gruppi di pulizia con l’intenzione di attraversare ogni caserma per assicurarsi di non lasciare nessuno nella prigione, mandò una squadra a raccogliere armi, un’altra a contare i morti, un altro gruppo a radunare i feriti e l’ultimo a ispezionare il muro esterno per sapere se qualcuno dei soldati era riuscito a scappare.

Solo allora si voltò per andare a cercare il rosso. Lo trovò che consolava l’Omega biondo, che si raddrizzò appena lo sentì arrivare. Il ragazzo aveva gli occhi rossi e la voce aveva la caratteristica tipica di chi aveva pianto, ma invece di crollare, annuì nella sua direzione pronto a eseguire gli ordini.

Katsuki non perse tempo.

“Abbiamo bisogno di scorte.”

“La nostra dispensa è vuota,” rispose subito l’Omega, senza fermarsi a fare domande non necessarie. “Là sotto è rimasto solo dell’olio vecchio.”

“Organizza la tua squadra, cerca tra le scorte delle guardie. Dev’esserci qualcosa, abbastanza per il tragitto che avevano in programma. Abbiamo bisogno di cibo.”

“D’accordo.”

“Dammi il pacchetto.”

L’Omega lo tirò fuori dalla tasca e glielo porse, poi si voltò verso la ragazza inginocchiata per terra che lo guardava con gli occhi spalancati. Il ragazzo riuscì a tirarla su e stava per invitarla ad andare quando lei piantò i piedi e lo affrontò.

“Vogliamo dei vestiti.”

“Io non ne produco, se li vuoi, vai a cercarli.”

Prima che lei potesse dire altro, il ragazzo la trascinò via. Katsuki si voltò verso l’Alpha rosso, che non aveva smesso di spostare gli occhi dall’uno all’altro come se stesse cercando di capire qualcosa.

“Anche tu indossi l’uniforme.” Fu la prima cosa che disse quando gli altri due si allontanarono.

“Non perdere tempo con certe stupidaggini e dimmi che c’è scritto qui.”

Premette il pacco di fialette contro il petto dell’altro e gli fece cenno di ripararsi sotto il tetto dell’entrata del cortile. Da lì poteva vedere i corpi dei caduti, incluso un altro gruppo che spostava i feriti a una zona asciutta.

Il rosso prese il pacco e lo aprì. Trovò cinque fialette di vetro grandi un dito con i tappi di cera e un piccolo foglietto piegato infilato tra le bottigliette. Quando lo aprì cominciò a leggere in silenzio.

“Ad alta voce!”

Il rosso obbedì.



 

Ciao, Eijirou.

Finora sei l’unico che ha risposto. Non ho notizie da Hanta, Rikidou o Tetsutetsu. È impossibile dire cosa sia successo loro.

La tua lettera conferma la nostra teoria, l’incenso neutralizza le nostre truppe, per me è incomprensibile immaginare perché nessuna delle nostre spie sapesse della sua esistenza, ma è senza dubbio un importante dettaglio che mio padre deve sapere. Non appena ne siamo venuti a conoscenza, un nostro alleato ha suggerito la possibilità di usare fazzoletti imbevuti di profumo con l’intento di minimizzarne gli effetti, il tuo amico Rosso ne ha testato la teoria, ma è importante sapere se il suo successo può essere replicato per gli altri e se è possibile neutralizzare completamente gli effetti. Con questo obiettivo in mente, inviamo cinque fiale con lozioni naturali.

La nostra ipotesi è che forse l’aroma di menta ha effetto perché Rosso lo associa a casa sua. Forse è per questo che non funziona con te, né con nessun altro. Il nostro suggerimento è trovare alleati che riconoscano in alcuni di questi odori membri della loro famiglia e cerchino di resistere temporaneamente all’incenso.

Le fialette contengono camomilla, fragola, menta, gelsomino, e l’ultima è un’elaborazione speciale.

L’ultima contiene feromoni Omega. La nostra ipotesi è che gli Omega non vengano colpiti dall’incenso. Sono presenti in qualche momento durante la somministrazione dell’incenso? Se è così, ci sono dei cambiamenti nei risultati? Se possibile vorremmo che usassero le essenze per provare la teoria che in presenza del naturale aroma di un Omega, l’incenso è meno efficace. Qualsiasi conclusione tu ricavi per noi sarebbe di immenso valore.

Non prendere decisioni affrettate, Eijirou, le truppe di mio padre stanno arrivando. Se non ci sono stati cambiamenti nel suo itinerario, le sue navi dovrebbero apparire all’orizzonte da un momento all’altro. Temo che non potremo restare ad offrirti aiuto, siamo stati scoperti e il nostro contatto suggerisce un ritiro immediato. Ce ne andremo oggi, mi hanno detto che ti consegneranno questa lettera tra due giorni, per allora saremo vicini alla costa. Non appena incontrerò mio padre, manderemo un gruppo da te.

Non arrenderti.



 

Eijirou prese un respiro, la lettera del principe aveva il tono secco che lo caratterizzava, ma riusciva comunque a leggere la sua preoccupazione per il resto dei suoi compagni. La stessa che sentiva ora al pensiero che uno di loro fosse morto.

“E cos’altro?”

La domanda lo riportò alla realtà.

“Tutto qui… Ehi! Che stai facendo?”

“Questa la tengo io,” replicò il biondo prendendo la bottiglietta col liquido traslucido.

“Che odore ha?”

“Non ti riguarda… Dice qualcosa su come hanno ottenuto i feromoni Omega?”

“No, perché?”

“Rispondi.”

“Qui dice quello che hai sentito, niente di più… inoltre, quelli che estraggono questo tipo di profumo sono erboristi Beta. Hanno un senso dell’olfatto eccellente.”

“Forse è così da dove vieni tu, ma al sud i guaritori preparano da soli le proprie lozioni e impasti.”

“Davvero? Uhm...”

“Che sia un erborista o un guaritore, dove l’ha trovato il tuo principe?”

“C’è un erborista che serve a corte, forse l’ha chiesto a lui.”

“Com’è?”

“Nel senso, di carattere? Impossibile. Non permette a nessuno di entrare nel suo giardino.”

“È anziano?”

“Come una patata acida.”

“Lavora da solo?”

“Ha due assistenti, e un anno fa ha assunto un altro apprendista.”

“Lo conosci?”

“L’apprendista? ...Sì, è un vecchio amico, perché fai tante domande?”

Il biondo non gli rispose, guardò semplicemente la bottiglia che aveva in mano finché non sembrò prendere finalmente una decisione. Stappò la fialetta e portò il tappo di sughero al naso dell’altro.

Eijirou inalò e rilevò subito l’aroma di menta con un dettaglio di qualcos’altro che non riusciva a identificare. Era leggero, fresco e adorabile nella sua semplicità. Non appena lo annusò, immaginò un campo in primavera, pieno di aromi naturali ed erbacei.

“A casa tua c’è qualche Omega che ha questo odore?”

Eijirou espirò lentamente, chiedendosi vagamente quale zona del corpo avesse un aroma così ricco di contrasti e profondità.

“No,” rispose alla fine.

Il biondo serrò i denti e ringhiò quando gli chiese:

“Il tuo principe parla al plurale: Abbiamo, il nostro… Sai con chi è in viaggio?”

“No. Scommetterei che è Tenya, l’unico Beta del nostro gruppo, potrebbe essere Hizashi. È possibile che anche Aizawa-sensei sia con lui.”

A quella risposta il biondo espirò con forza.

“Se ti interessa tanto,” disse Eijirou cercando di calmare l’atmosfera. “Posso chiedere a Todoroki-ouji.”

Lo sguardo scarlatto fu tagliente e risoluto.

“Una volta che arriviamo alla costa.” Aggiunse Eijirou con un sorriso.

Il biondo sorrise. Eijirou iniziò ad abituarsi a quel folle gesto che rifletteva un desiderio carnivoro.

“Andiamo a cercare l’esercito del tuo principe.”

 

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Bentornati, sono sempre io, la vostra ritardataria Tanuka di quartiere! Mi dovete perdonare, oltre al lavoro che mi risucchia il tempo e l'anima, ci si è messa pure l'estate che è il mio nemico naturale, mi prosciuga di tutte le forze e non sono proprio riuscita ad aggiornare prima ;w; Ma eccoci qua, Katsuki è libero (SEEEEEHHH) i Kirikami sono più cute che mai <3 e pare che i nostri vogliano dirigersi proprio verso Shouto e Izuku! Cosa mai potrebbe andare storto?


Prossimo capitolo: "Scacco"


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Capitolo 13
*** Scacco ***


Capitolo 13 - Scacco





 

Aizawa restò sul ponte finché la costa di Hosu non sparì. Non riuscendo a dormire né a calmarsi, passò la settimana successiva ad allenare Tenya secondo i costumi delle tribù barbare, lo obbligò a memorizzare intere mappe e cercò di placare i suoi pregiudizi intrinsechi.

“Devi mostrare sempre rispetto al loro leader,” ripeté Aizawa per l’ennesima volta mentre il suo studente si agitava sul posto.

“Non conosco la natura del giovane Togata ma è importante che tu non lo contraddica. Non avrà il titolo di un re, ma lo è agli occhi della sua gente. Merita lo stesso rispetto di Todoroki-ou. Non commettere l’errore di sminuire le loro tradizioni, è un popolo orgoglioso e non hanno paura di accettare un duello per difendere il loro onore.”

“Ma il loro stile di vita è

“Tenya, no.”

Il ragazzo annuì, calmo.

“Non la deluderò, maestro.”

Aizawa gli disse addio alle vette. Lo guardò andare nell’entroterra mentre la sua nave settava la rotta per tornare a Yuuei. Il viaggio fu insopportabile, non riusciva a smettere di pensare, di mescolare teorie e ogni giorno si pentiva di aver lasciato indietro Shouto.

Quando arrivò al porto capì di essere arrivato troppo tardi; la flotta reale era partita ed erano rimaste solo una manciata di navi con la missione di perlustrare la costa. Aizawa ordinò subito alla nave di partire, ma il capitano lo avvertì che necessitavano di almeno tre giorni per eseguire i controlli di routine, rifornire le scorte, pulire e altri dettagli.

“Partiremo domani all’alba,” ordinò Aizawa con un tono che non ammetteva repliche.

Mentre il capitano era incaricato dei preparativi, Aizawa lasciò uno degli ufficiali a prendersi cura dei cuccioli Alpha, salutò anche Hizashi, che si stava preparando a partire per il sud.

“Forse dovrei venire con te,” rifletté Hizashi accanto alla nave su cui avrebbe viaggiato. “Avrai bisogno di aiuto per convincere Todoroki-ou.”

“La nostra priorità dovrebbe essere ottenere rinforzi.”

“Ma tutti i rapporti indicano che la nostra potenza combattiva è superiore all’esercito di Hosu, non credo siano necessari rinforzi. Con il nostro Ou che viaggia con le sue guardie personali, i Cats sono stati reclutati e non ci sarà piano non approvato da Sir Nighteye. Temo che i rinforzi causeranno solo problemi. A Todoroki-ou non piacerà che tu abbia gestito faccende diplomatiche.”

“Se saranno inutili mi scuserò e accetterò qualsiasi punizione imposta dal re.”

“Ancora non capisco, perché insisti nel portare aiuto? ...sei preoccupato per quello che ha detto il giovane Midoriya? Potrebbe non essere vero.”

“Se fosse così sarebbe molto più facile, ma conosceva le posizioni precise di ogni villaggio residente a Hosu, gli itinerari delle loro ronde, la rotta delle navi di commercio. L’ho interrogato più volte e non sono mai riuscito a rilevare alcuna bugia o segni di contraddizione. Le sue informazioni sono valide.”

“Bè… allora c’è un’alleanza: Hosu e Overhaul.”

“Non si tratta solo dell’alleanza. Il ragazzo sapeva della sparizione delle navi molto prima di noi.”

“I naufragi sono molto comuni in mare.”

“Ho parlato con il capitano. Sono passati due anni da quando c’è stato un incremento, quando le navi spariscono non è sempre a causa di una tempesta, e lo fanno senza lasciare traccia.”

“Se è così insolito, perché nessuno ha avvisato il re?”

“L’hanno fatto. Il capitano mi ha detto che hanno mandato un messaggio a corte un anno fa. Hanno ricevuto risposta: la questione è stata archiviata. Due mesi fa hanno mandato un’altra missiva informativa, e stavolta nessuno si è preso la briga di rispondere.”

“Forse la questione non era tra le sue priorità.”

“O forse non l’ha mai saputo.”

“Intendi dire che ci sono messaggi che non arrivano al re?”

Invece di rispondere, Aizawa prese un respiro ed espirò lentamente. Dentro di lui continuavano ad agitarsi i dubbi. Il suo dubbio era diventato una fragile certezza e ogni giorno si faceva più solida e concreta. Alla fine non riuscì a non dire ad alta voce quell’idea che non lo abbandonava.

“Temo ci sia un traditore a corte, uno che filtra tutte le informazioni che riceviamo.”

Hizashi lo guardò attonito, la fronte corrugata al pensiero. Quando parlò la sua voce mancava di quei toni acuti e striduli che lo caratterizzavano, fu un sussurro silenzioso, pieno di sfumature confuse.

“...è un’accusa molto seria.”

“Lo so, e non riesco a smettere di pensarci. Nessuna delle nostre spie sapeva della droga, nemmeno una. E ogni volta che penso ai loro rapporti, mi accorgo che sono quasi tutti identici, con cambiamenti sufficienti a non farlo notare. La maggior parte è durata meno di tre mesi prima di sparire. E non si tratta solo della droga, continuano i rapimenti. La nostra flotta pattuglia le coste giorno e notte, i programmi vengono cambiati, le rotte alterate, e gli schiavisti trovano comunque il modo di arrivare. Inoltre il capitano mi ha confermato che le navi scomparse avevano un equipaggio composto interamente da uomini Beta. Ci sono troppe coincidenze.”

“Ma abbiamo vinto più volte. Siamo riusciti ad evitare il rapimento quest’anno.”

“Perché il principe ha ordinato l’immediata mobilitazione delle navi. Il capitano aveva ordini di mantenere la vigilanza in quest’area. Non si sarebbe spostato da lì senza un diretto ordine.”

“...nessuno si aspettava che il principe fosse lì.”

“Credono tutti che sia a riposarsi con la sorella nella Foresta della Notte. Era il nostro alibi.”

“Aspetta, aspetta, abbiamo ottenuto altre vittorie. L’attacco alla fortezza è stato possibile grazie alle informazioni delle spie.”

“Spie mandate da Kamui, un contatto a cui ho accesso solo io e quelli la cui identità è stata tenuta segreta. Grazie a lui siamo riusciti a coordinare quell’attacco. Mitsuki e la sua gente sono riusciti a riprenderlo ma tutti i prigionieri erano morti prima che le porte cedessero. Quello è stato il primo contatto che abbiamo avuto con la droga, ma non l’abbiamo mai saputo. Qualcuno si è assicurato di tenere nascosta quell’informazione.”

“Quindi ci sarebbe una qualche cospirazione in corso all’interno della corte?”

“Non lo so… O c’è una spia o un gruppo di traditori, ma la verità è che qualcuno è in grado di manipolare le informazioni.”

“Se ci fosse un traditore, avrebbe provato ad attentare alla vita del re.”

“Dubito che il loro tentativo sarebbe qualcosa di rozzo come una lama nella schiena o del veleno nel suo vino. Temo che stiano portando il nostro re in una trappola.”

“L’attacco a Hosu?”

“Pensaci. Il re viaggia alla cieca, ignaro dell’alleanza o dell’arma che usano contro di noi. Se il suo attacco fallisse...”

“In sua assenza Shouto assumerebbe il comando, tutte le famiglie a corte sono fedeli a lui.”

“Cosa potrà mai fare un re diciassettenne con il suo esercito dall’altro lato del mare quando le truppe nemiche arriveranno prima?”

Hizashi si passò una mano tra i capelli, ancora in uno stato di incredulità.

“Pensi che Hosu intenda invadere Yuuei?”

“Todoroki-ou si è portato via tutto il suo esercito; ho lasciato un minimo di uomini, abbastanza per mantenere l’ordine, ma il suo braccio destro, il capitano della sua guardia, i patriarchi del consiglio, tutti loro viaggiano con lui. Se Hosu attaccasse mentre loro sono via, non avremmo la forza di combatterla.”

“Sir Nighteye aveva suggerito di lasciare qui il re e inviare Tsunagu con l’esatta metà della milizia, non uno di più.”

“Ricordi chi ha convinto il re a partecipare alla battaglia e a radunare tutti i suoi uomini?”

Hizashi lo guardò, le rughe sulla sua fronte ancora più corrugate. Deglutì, incapace di pronunciare ad alta voce il nome che aveva in mente, invece lo mormorò.

“Riuscirai a raggiungere la flotta del re?”

“È cinque giorni avanti a noi, ma speriamo che Sir Nighteye studi la situazione prima di organizzare un attacco.”

“Che succederà se non dovessi riuscire a convincere il Consiglio?”

“Yuuei sarà lasciata senza protezione e se cadrà non ci sarà nessuno a contrastare Hosu.”

Hizashi prese un respiro con le labbra tremanti.

“Dannazione, Shouta, spero davvero che tu ti stia sbagliando.”










 

Tomoko si appoggiò sul parapetto della coffa con gli occhi fissi sull’orizzonte. Era notte, ma la luce delle stelle riflessa sull’acqua le permetteva di individuare l’ombra che si stava avvicinando. Capì al volo, quando dietro l’ombra iniziarono a comparire altre sagome. Tutte della stessa dimensione, scivolavano sull’acqua alla stessa velocità.

Quando vide le luci brillare in cima agli alberi, in uno schema che non riconosceva, Tomoko urlò.

“Nemico in vista!”

Il suo urlò risuonò nella notte, avvertendo l’equipaggio e i suoi compagni di suonare l’allarme. Senza perdere altro tempo, Tomoko prese la sua lanterna ad olio che stava bruciando sulla coffa, e si voltò a sinistra, dove coprì e scoprì la fiamma in uno schema regolare per avvertire il resto della flotta. Ricevette subito una risposta dalla nave più vicina: una luce che brillava, si spegneva e brillava ancora. Il segnale venne ripetuto su un’altra nave e seguì successivamente finché tutte le navi della flotta non risposero al suo allarme.

Tomoko scivolò con le corde senza perdere tempo e atterrò con grazia sulle gambe prima di correre verso la scalinata che portava all’interno. Scese a incontrare il sovrano che stava uscendo dalla sua stanza senza l’uniforme da battaglia.

“Quanti sono?” Chiese Todoroki non appena la vide scendere.

“Ho contato due dozzine di navi, Vostra Maestà, e probabilmente altre nelle retrovie.”

“I nostri uomini sono avvisati?”

“La flotta è pronta, Vostra Maestà.”

“Allora è il momento di combattere.”

Tomoko annuì, e stava per voltarsi quando la voce di Sir Nighteye si alzò con quella del re.

“Sarebbe saggio mandare avanti un’offensiva.”

“Ottima idea,” annuì Tsunagu, materializzandosi vicino al braccio destro del re. “Se il nostro comitato di benvenuto è così piccolo, allora non vale la pena perdere tempo con loro.”

In silenzio e perfettamente immobile, Tomoko studiò l’atmosfera. I suoi occhi vagarono dall’espressione impaziente del sovrano al viso calmo e risoluto di Sir Nighteye. Vicino a loro Tsunagu esibiva una postura rilassata, ma il suo sguardo tradiva il suo nervosismo. Era ovvio che stavano cercando di convincere il monarca a non partecipare alla battaglia, senza pronunciare esplicitamente la richiesta.

“Hanno ragione,” rispose una quarta voce con il timbro allegro e spensierato di chi non aveva dubbi nel proprio cuore. Jin Bubaigawara, la guardia personale del re, picchiettò la schiena di Tsunagu e offrì un sorriso fiducioso al sovrano. “Lasciamo i pedoni in mano ai pedoni. Sono certo che Sua Maestà preferisca conservare le energie per la battaglia a terra.”

“È il tuo consiglio?” Borbottò il re con un’espressione irritata.

“Una raccomandazione. Quando sbarcheremo al porto, i nostri uomini vedranno il loro re guidare l’offensiva, a meno che egli non preferisca attendere sulla nave mentre noi facciamo pulizia.”

“Non abbiamo deciso—”

“Siamo venuti per combattere!” Replicò Todoroki-ou, interrompendo la protesta del suo braccio destro.

Il re si mosse prima di loro. Sir Nighteye lo seguì immediatamente, e Tsunagu si voltò verso Jin.

“Dovevi proprio aprire bocca?”

“Ehi! Stavo cercando di dare una mano. Pensavo che l’idea di combattere al porto gli avrebbe fatto cambiare idea per oggi.”

“E come hai intenzione di convincerlo a non combattere al porto?”

“Sir Nighteye avrà elaborato un piano per allora. Volevo solo guadagnare tempo!”

Tsunagu se ne andò digrignando i denti. Jin li vide sparire prima di voltarsi verso Tomoko.

“Il nostro re è un ragazzino, eh?”

Tomoko cercò di tenere un’espressione neutrale, ricordava ancora la sua punizione l’ultima volta che si era lamentata del re, ma c’era qualcosa di Jin… il suo sorriso, l’espressione dei suoi occhi, la familiarità con cui si muoveva, esortava Tomoko a rilassarsi.

Infine si arrese e sospirò.

“A nessuno piace venire esclusi.”

Jin le rivolse un sorriso enorme, spontaneo e frizzante.

“Tu sei Tomoko Shiretoko, vero? Un membro dei Wild Cats. Ho sentito molto parlare di voi. Mi hanno raccontato tutto del vostro gruppo e del vostro stile di combattimento… Mi hanno anche detto che tu sei una dei pochi amici di Aizawa.”

“Non è solito socializzare con nessuno.”

“Lo so, è un gatto poco amichevole, forse per questo andate così d’accordo… A proposito, dov’è che si trova, eh? Non l’ho visto combattere.”

“Mi piacerebbe saperlo.”

“Strano. Ho sempre pensato che avesse intenzione di recuperare suo nipote.”

“Ed è così, ma ha degli obblighi.”

“Prendersi cura del nostro principe?”

“È la sua vita.”

“Ho sentito che il principe si è ritirato nella Foresta della Notte con sua sorella, è vero? Non sono stati lì per anni.”

Tomoko sorrise, eccitata all’idea di poter scambiare notizie e pettegolezzi, si guardò intorno in cerca di orecchie indiscrete e non trovandone nessuna, si voltò verso Jin. Aprì bocca e sentì Ryouko chiamarla dalla cima delle scale.

“Tomoko, vieni qui!”

Il suo corpo reagì d’istinto, si mosse verso le scale senze pensarci e quando fu col piede sul primo scalino si accorse di non averlo nemmeno salutato. Si voltò con il saluto sulla punta della lingua quando intravide l’espressione di Jin mentre rientrava nella cabina.

Ciò che vide fu incomprensibile. Jin non stava sorridendo, la sua bocca era contorta in un gesto di scherno e smania così allarmante che paralizzò Tomoko.

“Tomoko!”

I suoi piedi si mossero da soli. La smorfia di Jin la seguì e rimase un ricordo fisso finché non vide le sagome nere all’orizzonte. La sua mente assunse subito la modalità da battaglia e spinse quella brutta sensazione in fondo alla sua coscienza.

Non avrebbe mai più pensato a lui.









 

Non appena iniziò a piovere, Ryouko imprecò.

Detestava combattere bagnata, detestava che i capelli le si appiccicassero al viso e che la frangia le coprisse gli occhi. Detestava combattere in mare con il suolo ondeggiante che rischiava di farla cadere fuori bordo.

“Non vedo niente!” Esclamò con rabbia.

“Apri gli occhi allora!” Tomoko le urlò a un certo punto.

Ryouko digrignò i denti. Tomoko adorava il mare, aveva una vista eccezionale che le permetteva di osservare il mondo per chilometri di distanza, che fosse giorno o notte; sapeva navigare, adorava arrampicarsi sugli alberi e sedersi sui pali per ammirare l’orizzonte blu. Sapeva combattere su una nave con la stessa agilità e destrezza di quando era sulla terraferma.

Ryouko detestava la sua perfezione, e detestava il suo misero istinto di sopravvivenza.

Quando la prima nave si avvicinò, Tomoko vi saltò con le corde pronte a costruire un ponte. Non esitava, non aveva dubbi. Ryouko si maledì, perché era anche lei un’Alpha ma in confronto a Tomoko si sentiva relegata.

Attirata dalla sua audacia, Ryouko saltò dietro la sua compagna e sfoderò la spada senza esitazione. Col nemico di fronte a lei si dimenticò del suo odio per il mare e si concentrò sul combattimento. Scansò attacchi da destra e sinistra, poi colpì, usò la spada per tagliare le parti tenere del corpo. I suoi vestiti si macchiarono di sangue, ma la pioggia teneva il suo viso pulito.

All’improvviso sentì un odore allarmante, denso e affascinante, che la fece reagire automaticamente. Si allontanò quando un uomo enorme, con il torso coperto di peluria nera e due corna in una forma a spirale, la speronò. Ryouko scivolò sul suolo bagnato non riuscendo a supportare la gamba per alzarsi, ma quando l’uomo attaccò di nuovo Yawara lo spinse di lato, approfittando dell’ondeggiare della nave per sbilanciarlo.

L’uomo bestia scosse la testa, scrollandosi l’acqua dagli occhi e subito dopo focalizzò la sua attenzione su Yawara. Quando lo caricò, Yawara si piegò in avanti come per affrontare la sua forza bruta, ma proprio prima della collisione, quando l’uomo piegò le corna per trafiggerlo, Yawara si spostò. Usò la gamba sinistra come perno, gli prese le corna e invece di spingere in avanti, si voltò usando l’impulso del suo nemico per gettarlo fuori bordo.

Poi le porse una mano insanguinata.

“Combattiamo in coppia,” disse con una voce gentile e potente.

“Dillo a Tomoko, che è saltata senza permesso!”

Yawara rise.

“Non preoccuparti, Shino le parlerà!”

Ryouko sorrise, scostò i capelli dal viso e si raddrizzò. Era pronta per un altro round.










 

La vittoria fu schiacciante. Le truppe di Hosu caddero sotto l’attacco massiccio e indiscriminato della flotta di Yuuei. Il re lottò tra Sir Nighteye e Tsunaga, ruggendo ogni volta che un nemico cadeva sotto la sua spada.

Il mattino li raggiunse e fece l’ultima ripulita.

Yuuei perse due navi durante il conflitto a causa del fuoco, ma ottennero diciotto vascelli catturati in buone condizioni, anche se estremamente vecchi, e un’altra decina con misere disposizioni finite per affondare. Tutte le forze nemiche vennero gettate in mare, i pochi interrogatori non fornirono molte informazioni eccetto per le notizie che i rinforzi stavano arrivando. La giornata finì con la flotta divisa in due gruppi, uno dei quali diretto al porto con l’intento di attaccare il secondo molo.

La nave del re era ancorata fuori dalla costa. Sir Nighteye decise di posticipare l’attacco con l’intenzione di preparare l’assalto, il tutto aspettando l’apparizione dei rinforzi nemici, ma la pazienza del re era breve e alla fine, due giorni dopo il conflitto in mare, radunò il suo gruppo per definire i dettagli.

“Domattina presto invaderemo il porto,” esclamò Todoroki-ou studiando le facce di tutti i presenti. “Voglio il mio gruppo in prima linea.”

Nessuno osò contraddirlo. Nemmeno il suo braccio destro — Sir Nighteye serrò le labbra — né il capitano della sua guardia — Tsunagu prese un lento respiro — e nessuno degli uomini della sua scorta personale. Jin fu l’unico ad annuire energicamente, come se fosse pronto alla battaglia.

“Ho una sola domanda, Vostra Maestà,” lo interruppe Jin, sorridendo con diplomazia. “Chi resterà a coordinare le forze che lasceremo a proteggere la retroguardia?”

“Vuoi restare tu?” Chiese Tsunagu accigliato.

“No! Voglio combattere… Propongo che sia Sir Nighteye a restare sulla nave.”

“Buona idea,” replicò il sovrano incrociando le braccia.

“Preferirei accompagnare il gruppo di Sua Maestà. Mi interessa ispezionare le mappe e i libri che tengono qui. Sarebbe appropriato che il nostro re—”

“Non resterò qui.”

“Che ne dite di Tsunagu?” Propose Jin indicando il capitano.

“No.”

“Bè, qualcuno dovrà restare,” insistette Jin. “Non possiamo lasciare le navi senza un leader.”

“Sarà compito tuo,” esclamò il re saldamente. “Resterai tu qui, Jin.”

“Io voglio combattere,” replicò l’Alpha con stupore.

“È un ordine. Sarai il responsabile mentre noi siamo a terra. Se i rinforzi nemici compaiono hai l’autorizzazione di organizzare le nostre truppe.”

Il viso di Jin si contrasse afflitto, ma annuì agli ordini del re senza dire niente.

“Lascerò Taishiro con te,” esclamò Sir Nighteye, guardandolo improvvisamente con un’attenzione intensa.

Jin lo guardo, il sorriso che vacillò per un momento, ma poi emerse ampio e immenso come faceva sempre.

“Sarà il più ragionevole,” rispose con un tono neutrale. “E dal momento che il vostro gruppo ha un combattente in meno, ne offro uno dei miei. Prendete Masukyura, è un guerriero eccellente e coprirà lo spazio che Taishiro lascerà libero.”

Con quello la riunione si sciolse, restava solo da dormire e riposarsi per la battaglia in arrivo.









 

Sbarcarono presto in piccoli gruppi di dieci o quindici, usando le barche d’assalto per raggiungere la costa. Una volta lì Tsunagu separò i gruppi, determinò gli obiettivi e si assicurò che l’esercito si estendesse lungo il porto con l’intenzione di distruggere tutto intorno a loro.

I Cats furono assegnati come gruppo di ricognizione che puntava ad avanzare davanti al re per prevenire qualsiasi agguato.

“Ho un brutto presentimento,” mormorò Sir Nighteye mentre il suo gruppo metteva piede nel porto che, curiosamente, era vuoto.

“È normale che non ci sia nessuno,” rispose Tsunagu senza distrarsi. “È presumibile che la maggior parte sia fuggita.”

“Diamoci un taglio. Trova gli uffici amministrativi dopo che avremo dato fuoco a tutto.”

Tsunagu annuì mentre la pioggia continuava a cadere immutabile.










 

Ryouko e il suo gruppo arrivarono all'intersezione senza incontrare nessuno, l'unica cosa che riusciva a sentire era l'incessante picchiettio dell'acqua sui tetti di legno. Senza parlare si divisero in due gruppi, gli Alpha e i Beta che combattevano insieme, mescolando la forza degli uni con l'intuizione degli altri.

La naturale impazienza di Ryouko si ammorbidì grazie alla stoicità e calma di Yawara. Lei prendeva le decisioni e organizzava, lui dava supporto e offriva consiglio. Comunicavano tramite gesti e lievi cambiamenti negli odori.

Avevano lavorato insieme per anni, imparando a conoscersi in un modo per cui Ryouko si fermò quando notò Yawara emanare un segnale allarmante. Non individuò nulla, sentiva solo il suono delicato dell'acqua che cadeva, ispirò l'aroma dolce del miele e anche se i suoi occhi vagavano incessantemente non riusciva a distinguere una singola ombra minacciosa.

Fece segno a Yawara e lui rispose indicandosi il naso. Ryouko si accigliò e ispirò profondamente. Sentiva solo l'odore del miele, delizioso e appiccicoso miele. Squisito nella sua densità dorata.

Ryouko rilasciò lentamente l'aria e il suo corpo emise un sospiro di calma. Non rilevò nemmeno l'odore allarmante di Yawara. Sentiva solo il miele, era così intenso che riusciva a immaginare la sensazione appiccicosa sulla punta delle dita.

‘Lo senti anche tu?’ Voleva chiedere ad alta voce, ma per qualche ragione non riusciva ad accumulare la forza per muovere la lingua. Chiuse gli occhi e inspirò l'essenza dolce fino a sentirla nello stomaco.

Il miele prese posto dentro di lei, la coprì completamente. Non aveva le forze per muoversi, non si sentiva le mani, i piedi, le dita. Non vedeva niente. Non sentiva niente. Il mondo intorno a lei era uno spazio bianco.










 

Tomoko era una forza della natura, la rappresentazione vivente di un'Alpha allegra, entusiasta, piena di energia e determinazione. Yawara era troppo buono con lei, la natura di Beta si sottometteva troppo facilmente. La natura Alpha di Ryouko si scontrava sempre con quella di Tomoko, erano sempre in competizione, spronandosi ad oltrepassare i limiti. L'unica in grado di tenerla a bada, di farla reagire era Shino, che non possedeva gli straordinari occhi di Tomoko o il naso di Yawara capace di distinguere odori che altri non sentivano nemmeno. Lei non avrva né la forza di Ryouko né le sue abilità coi coltelli.

Shino era contraddistinta dalla sua mente, la sua capacità di creare piani, di osservare, di trarre conclusioni solo guardando.

Erano all'ultimo piano di uno dei magazzini dove conservavano il latte quando lo producevano. Guardando attraverso una delle finestre dell'edificio, cercando di restare nascosta, li vide: innumerevoli sagome, nascoste nella fila di alberi, raggruppati e pronti a muoversi in avanti. La sua prima reazione fu di inspessire il suo aroma, di avvisare Tomoko del distaccamento nemico; la seconda fu quella di cercare una via di fuga per tornare dal re.

Stava facendo un veloce conteggio dei nemici quando vide un gruppo staccarsi dal ramo principale e iniziare a spostarsi verso di loro. Shino si allontanò dalla finestra con l’intenzione di cercare Tomoko e iniziare la ritirata, ma si bloccò quando vide la compagna ferma in mezzo al magazzino con le braccia lungo i fianchi.

Senza perdere tempo Shino si sporse oltre la ringhiera per individuare la minaccia che aveva fatto paralizzare Tomoko, ma non vide niente. In un tentativo di attirare la sua attenzione, Shino intensificò di nuovo il suo odore e si concentrò sul rilasciare un avvertimento senza pronunciare parola, ma non funzionò. Tomoko era immobile al centro del magazzino, senza emettere risposta.

Shino inspirò lentamente, sperando di chiarire il comportamento della compagna, ma da lei non arrivò nulla. L'atmosfera sapeva di latte. Di miele e latte. Era familiare. Si distrasse per un momento cercando di ricordare come lo conoscesse e poi la sua mente capì. Contemporaneamente le porte laterali si aprirono e il gruppo di demoni si scontrarono contro Tomoko senza che lei alzasse un dito per difendersi. Shino si mosse.

“Tomoko!”

Corse giù dalla piattaforma e per le scale, urlando ancora, ma era inutile perché lei non reagiva. Non lottò nemmeno quando una lama nemica venne premuta sul suo collo. L’immagine la paralizzò. Reagì quando i demoni urlarono e la indicarono.

“Uccidetela!”

L'istinto di sopravvivenza di Shino la fece reagire, anche se non riusciva a spostare lo sguardo dal corpo caduto di Tomoko. Quando i demoni raggiunsero la scala Shino reagì, con gli occhi pieni di lacrime si voltò e corse verso il piano superiore. Guardò la finestra che aveva di fronte, coprì il viso col braccio e si lanciò contro il vetro che si frantumò sotto il suo peso.

Shino cadde sul tetto e rotolò verso il bordo da cui si lasciò andare, da lì inciampò e corse senza smettere di piangere. Nella sua mente il sangue rosso e brillante sgorgava dal collo di Tomoko.










 

Sir Nighteye non era superstizioso. Non credeva nella fortuna e nemmeno nelle maledizioni. La sua vita era guidata da fatti logici, dimostrabili e concisi; e quello era il preciso motivo per cui fu difficile ammetterlo ad alta voce.

“Ho un brutto presentimento.”

Non era un'affermazione che era disposto a pronunciare senza motivo, lo faceva perché non riusciva a smettere di sentire come se qualcuno lo stesse spingendo in quella direzione a occhi chiusi. Non importava che avesse programmato tutto nei minimi dettagli, e che avesse considerato ogni possibile minaccia, c'era una vocina nella sua testa che continuava a sussurrargli pericolo.

Il porto vuoto era un altro allarme silenzioso che si aggiungeva agli altri che già risuonavano nella sua testa. Fu un sollievo trovare l’edificio amministrativo e mentre andava su a indagare con due compagni, gli altri restarono a controllare i dintorni.

Sentendosi osservato, Sir Nighteye guardò fuori dalla finestra. All'esterno tutti gli uomini del gruppo avevano assunto una posizione di difesa. Tsunagu e gli altri formavano un cerchio intorno al re ispezionando la zona limitrofa. Sembrava tutto in ordine, quindi Sir Nighteye riprese la sua ricerca. Ripeté la stessa azione un paio di volte finché non vide Masukyura separarsi dalla sua fila con un atteggiamento furtivo.

Cercando di capire cosa stesse facendo, Sir Nighteye rivolse l’attenzione agli edifici più vicini cercando un qualche segno. Ciò che vide fu una debole traccia di fumo, quasi indistinguibile nella pioggia, che scivolava verso il re. Curiosamente nessuna delle guardie sembrò accorgersene.

Senza perdere tempo, Sir Nighteye aprì la finestra e urlò:

“Fuoco!”

Si voltò e corse verso l'esterno con i due compagni alle spalle. Non appena raggiunse il sovrano, ispezionò l'ambiente per trovare la fonte del fuoco, ma l'aria non sapeva di fumo.

“Sentite odore di fumo?”

“ ‘umo?” Chiese Tsunagu e c'era qualcosa di strano nella sua voce, mancava quel pizzico ferreo e allarmante che aveva di solito. Sir Nighteye abbandonò la sua indagine frenetica e concentrò lo sguardo sul capitano.

“Il fumo.”

“ ‘umo?”

“Tsunagu.”

Quando vide l'espressione vuota sul suo volto, sentì che la sua premonizione funesta si era materializzata di fronte a lui.

“Portate il re lontano da qui!” Spronò i due Beta a muoversi. “Ora, muovetevi!”

La risata che sentì in quel momento lo fece rabbrividire da capo a piedi.

“Mi dispiace, ma voglio un pubblico col tuo sovrano.”

Sir Nighteye strinse i denti, brandì le armi e gridò.

“Tutti con me!” Corse a chiudere i ranghi in strada. “Proteggete il re!”

Metà del gruppo restò immobile e il resto erano uomini Beta che si affrettarono a obbedire mentre Sir Nighteye trascinava il corpo immobile e pesante del re verso le navi.










 

Shino correva nella pioggia senza smettere di pensare a Tomoko e al sangue che fluiva dal suo collo. Era così presa che si scontrò con Yawara e rimbalzò, cadendo per terra.

“Shino!”

Quando sentì la sua voce sentì la paura prendergli lo stomaco senza pietà, ma invece di crollare e piangere, Shino prese un respiro profondo e si concentrò.

“È una trappola! ...Dobbiamo avvertire il re!”

“Dov'è Tomoko?”

La domanda liberò la sua angoscia, che si diffuse attorno a loro portando un'aria di disperazione, agonia e tristezza. Fu abbastanza perché Yawara riconoscesse il suo dolore e la imitò di riflesso.

“Andiamo.”

Yawara l'aiutò ad alzarsi e tornarono insieme alla costa. Solo allora Shino notò il corpo che il suo compagno portava sulla spalla destra. Da lì, Ryouko oscillava come un sacco vuoto, gli occhi spalancati ma l'espressione vuota.

Shino ricordò Tomoko, strinse i denti e accelerò il passo.










 

Tomura rideva mentre combatteva e assaporava l’adrenalina che gli scorreva in corpo. Ciò che gli sollevava l'umore era che il suo nemico non aveva paura di lui, lo guardava con degli occhi critici, pieni di rabbia e aberrazione.

Tomura lo prendeva in giro, rideva quando lo colpiva e versava del sangue. Si stava divertendo così tanto da dimenticarsi che la sua missione era catturare il re. Quando lo ricordò, il nemico sanguinava dalla ferita sul petto mentre i suoi uomini finivano di pulire l’area tagliando la gola a tutti i selvaggi rimasti immobili.

“Oh, ma guardati,” mormorò con una delusione derisoria guardando il meraviglioso giacinto blu sulla tempia del nemico. “Mi hai fatto perdere il mio appuntamento.”

“Come fai a…?” L'uomo a terra rantolò, tenendosi la ferita in un vago tentativo di fermare l'emorragia.

“Lo faccio con piacere.”

“Chi sei?” La pozza ai suoi piedi stava diventando rossa.

“Colui che distruggerà Yuuei.”

“Non vincerai…”

“Oh, davvero?” Rise Tomura. ”Perché se avessi prestato attenzione, sapresti che ho già vinto.”

Il selvaggio si mosse, cercando di raggiungere la sua spada, ma Tomura la calciò lontano. Si abbassò vicino a lui, tirò fuori il suo coltello e lo affondò sotto la pelle della guancia, ignorando il grido di dolore del selvaggio. Tomura tracciò i contorni del fiore nato sulla tempia destra ed esteso sopra l'occhio.

Quando finì, aveva le mani coperte di sangue ma in esse teneva un lembo di pelle dove il giacinto blu era chiaramente visibile.










 

L'attacco di Hosu fu devastante. Le truppe sparpagliate lungo la costa affrontarono un nemico invisibile. Nessun Alpha era consapevole dell'attacco, restarono tutti paralizzati, avvolti nell'aroma di miele e latte, incapaci di resistere. Le truppe persero i loro capitani e più della metà della loro forza. I Beta, immuni all'incenso, subirono un'imboscata, in svantaggio numerico di uomini e informazioni; molti fuggirono verso la costa, incapaci di capire cosa stesse accadendo.










 

Shino e Yawara trovarono il gruppo del re, o ciò che ne era rimasto, percorrendo la strada principale. Yawara chiese subito di Ken, uno dei Beta che accompagnava Sua Maestà, gli diede Ryouko e lui si occupò di portare il re sulla schiena prima di intraprendere la strada verso la costa.

“Dov'è Sir Nighteye?” Chiese Shino. Ken scosse la testa incapace di proferire parola.

Erano a circa trenta passi dalla barca più vicina quando sentirono una voce dietro di loro.

“Ehi, aspettate.”

Shino si voltò per accogliere Masukyura che stava avanzando verso di loro.

“Che ci fai qui?” Chiese Shino, guardandosi attorno in cerca della sua truppa. “Dove sono gli altri?”

“Siamo stati separati.” Rispose Masukyura, fermandosi di fronte a Yawara. “Sembra pesante, lascia che ti aiuti.”

Yawara esitò una frazione di secondo, e subito addensò l'odore attorno a loro con un avvertimento che Shino afferrò subito. Anche Masukyura lo percepì perché si mosse in fretta, e senza esitazione estrasse la lama e si avventò contro Yawara.

Subito dopo Shino fu su di lui, ma la forza e i riflessi dell’Alpha erano incredibili. Shino non riuscì a evitare il gomito che le ruppe il naso, ma sentì il ruggito furioso di Yawara e quando riuscì a scordarsi del dolore vide i due lottare in modo feroce mentre un Beta trascinava il re incosciente verso le navi e Ken tornò dopo aver lasciato Ryouko alla nave.

Quando Shino si avvicinò, scoprì con orrore che la lama di Masukyura sporgeva dalla schiena del re, affondata fino all’impugnatura. Stava per chinarsi e dare una mano quando l’odore allarmante di Yawara attirò la sua attenzione.

Shino corse dove Masukyura stava premendo il ginocchio sul collo di Yawara. Con il naso che pulsava dolorante, si avventò sulla schiena dell’Alpha e lo trattenne dal collo con il braccio che esercitava forza per tenerlo all’indietro.

La forza dell’Alpha era immensa, con una mano le teneva i capelli e con l’altra il braccio; strinse il suo polso finché Shino non urlò per via della pressione sull’osso. Tuttavia, la distrazione servì perché Yawara riuscisse a spingere il suo corpo, spostò il ginocchio che premeva sul suo collo e spinse via Masukyura, poi sferrò un pugno che l’Alpha evitò lanciando Shino contro il suo compagno.

Senza perdere tempo, entrambi ripresero le loro posizioni di difesa mettendosi sul percorso di Masukyura verso il re.

“Dovrete morire, Beta.” Mormorò l’Alpha preparandosi a combattere.

“E lo faranno,” mormorò un’altra voce.

Un uomo magro dalla pelle pallida e i capelli azzurrini si avvicinò a loro dalla strada principale. Shino lo studiò attentamente, cercando di identificarlo, ma i suoi occhi si fermarono al lembo di pelle che aveva in mano.

“Quello è…?” Non riuscì ad evitare di dire e lo sconosciuto rise.

“Oh sì, è un altro pezzo della mia collezione. Penso che vi aggiungerò il tuo. Mi piace il fiore di erba gatta che hai sulla guancia.”

Prima che Shino potesse replicare, Yawara emise un sottile segnale di ritirata. Masukyura lo intercettò, ma reagì lentamente perché non era abituato ai loro segnali. Corsero verso la barca che si allontanava dalla costa. Sguazzarono nell’acqua che gli arrivava alle ginocchia finché non riuscirono a salire a bordo, mentre l’uomo dai capelli azzurri rideva a crepapelle.










 

“C’è bisogno di un medico!” Urlò Taishiro mentre aiutava a trasportare il sovrano ai suoi alloggi.

Jin lo guardò andare via con il gruppo di guaritori personali del re, osservò con indifferenza la traccia di sangue lasciata dal suo passaggio e rivolse la sua attenzione a Ryouko, immobile e con gli occhi aperti, trasportata anch’essa all’interno. Infine focalizzò la sua attenzione sul resto del gruppo: Yawara stava cercando di ricomporre il naso di Shino e Ken cercava di superare lo shock. Jin tentò di non mostrare in volto la sua delusione.

“Dove sono gli altri?” Chiese Taishiro quando tornò sul ponte.

“Come sta il re?” Chiese Jin modulando il suo tono di costernazione.

“Il dottore è con lui. Non sono rimasto abbastanza per sentire la diagnosi. Dov’è Sir Nighteye?”

Ken Takagi rispose. “È rimasto a difendere le retrovie.”

“E Tsunagu?”

“Era con lui.”

“Come hanno fatto a tendergli un’imboscata?”

La domanda era per Shino che teneva la testa tra le ginocchia, faticando a controllare il dolore.

“Ci hanno traditi,” sollevò il viso insanguinato e lo guardò con rabbia. “Masukyura… quel bastardo era con loro!”

“Di che stai parlando?” Chiese Jin, contenendo il bisogno di ringhiare.

“È stato lui a pugnalare il re! È stato lui ad attaccarci alla costa! Era tutto una trappola! ...volevano che fossimo al porto.”

“Cos’è successo?” Intervenì Taishiro.

“Non lo so. C’era qualcosa nell’aria. Aveva un odore… un odore dolce. Come il miele, ma non era lo stesso. Aveva lo stesso odore di mia sorella… quando lei era… quando stava per avere mio nipote… Odorava di Omega.”

“C’erano prigionieri Omega che aiutavano il nemico?” Chiese calmo Jin.

“Non era naturale,” intervenì Yawara. “Odorava di miele e latte, ma sono riuscito a individuare anche l’aroma di papavero e valeriana. Erano entrambi lievi, impercettibili all’inizio… ma il loro effetto è stato immediato. Non appena Ryouko l’ha inalato, il suo corpo ha perso la postura difensiva, l’ho vista rilassarsi e più respirava meno si muoveva, finché non è rimasta immobile e non ha risposto quando ho cercato di chiamarla.”

“Tomoko,” il nome si ruppe sulle labbra di Shino. Prese un respiro profondo e riprovò: “Anche Tomoko ha reagito così. È rimasta immobile. Non si è ribellata, nemmeno quando i demoni si sono diretti verso di lei.”

Yawara si inginocchiò accanto a lei e le accarezzò la schiena con affetto.

“È successa la stessa cosa al gruppo del re,” mormorò Ken, accucciato sul posto, guardandosi le mani sporche di sangue. “È stato Sir Nighteye ad ordinarci di riportare Todoroki-ou alle navi. Il re… Il re non si muoveva affatto. Abbiamo dovuto spingerlo mentre Sir Nighteye organizzava la difesa alle nostre spalle.” Alzò lo sguardo e lasciò vagare gli occhi dai Cats a Jin e indietro. “Come… Come hanno fatto?”

“Hanno neutralizzato tutti gli Alpha con quell’aroma,” commentò Shino, guardando Jin e Taishiro.

“Non c’è bisogno di giungere a conclusioni assurde.” Rispose Jin alzando le mani.

“Non è assurdo! Ryouko, Tomoko… e il re!”

“Resta un’ipotesi,” disse Jin prima di voltarsi verso Ken. “C’era qualche Alpha che obbediva agli ordini di Sir Nighteye?”

“Non lo so… è successo tutto così in fretta.”

“Ecco qua,” disse Jin, guardando Shino. “Forse è una coincidenza.”

“Coincidenza?” Ringhiò Shino alzandosi.

“È qualcosa su cui dobbiamo indagare.”

“Hai intenzione di inviare altre truppe?”

“La nostra missione era di disabilitare questo porto.”

“Ordinare un attacco senza sapere cos’è quella roba è da stupidi!”

“Da stupidi è aspettare un contrattacco!”

“Perché non ci bendi e ci getti fuori bordo?! Sarà più rapido!”

“Non essere assurda! Farai come dico!”

“Tu non sei il mio re! Non ti devo alcuna obbedienza!”

“Sono stato incaricato io e ho degli ordini a cui adempiere!”

“Sei un folle se non ascolterai quello che abbiamo da dire!”

“Basta!” Intervenì Taishiro e li guardò severamente, imponendosi. “Entrambi. La nostra priorità al momento è il re. Dobbiamo tornare indietro.”

“Non possiamo tornare,” interruppe il guaritore che si unì a loro.

“Qual è la diagnosi?” Chiese Jin.

“Temo che il coltello abbia perforato un polmone, ma dato che Todoroki-ou è sotto pesanti sedativi, non ho modo di confermarlo.”

“Che tipo di sedativi?” Intervenì Taishiro.

“Non ne ho idea, il suo corpo non mostra segni visibili di dolore o stress. Non reagisce alle nostre domande, il suo battito cardiaco è molto lento, e ciò ha tenuto al minimo la perdita di sangue e ha anche fermato la diffusione del veleno, ma...”

“Veleno?”

“Abbiamo estratto la lama e dall’odore possiamo affermare che fosse contaminata, ma non riusciamo ancora a identificarne la composizione. Dovremo monitorare le sue condizioni per un paio di giorni.”

“Non possiamo restare qui.”

“Il re non sopravviverà al viaggio di ritorno. Abbiamo bisogno che riprenda conoscenza, che sia fuori pericolo prima di considerare di sottoporlo allo stress del viaggio.”

“Ok,” esclamò Jin assumendo il controllo. “Aspetteremo.”

“Dobbiamo mandare una pattuglia a cercare gli altri,” esclamò Shino. “Dobbiamo avvertirli del pericolo!”

“Andrò io,” annunciò Taishiro. “Li riporterò indietro.”

“Molto bene, Shino e Yawara verranno con te.”

“No,” disse Shino. “Resteremo col re. È nostro dovere.”

Jin era pronto a protestare quando Taishiro intervenì.

“È la cosa migliore. Prenderò cinque navi di scorta e li cercheremo. Shino, tu resterai col re, ma ricorda che Jin è al comando, è tuo dovere obbedirgli.”

Shino annuì duramente. Jin disse loro addio e se ne andò per distribuire i compiti.










 

La nave di Aizawa solcava il mare a una velocità impressionante. I venti erano dalla sua parte e riuscirono ad attraversare il mare in soli dieci giorni senza dover affrontare nessuna tempesta seria. Sfortunatamente, arrivarono troppo tardi. La nave schivò le imbarcazioni di scorta finché non si fermò vicino alla vera nave, e non appena Aizawa saltò sul ponte Shino lo intercettò.

“Dov’eri?!” Replicò la donna col naso gonfio e gli occhi neri.

Aizawa fu sorpreso di vederla, ma la sua urgenza era ben più grande.

“Devo parlare col re.”

“Todoroki-ou è incosciente,” replicò Jin comparendo al suo fianco. “Da dove arrivi?”

“E Sir Nighteye?”

Shino prese un respiro e gli spiegò tutto. Erano passati due giorni, ma la sua voce si spezzava ancora quando parlava di Tomoko, e in quel momento prese un respiro e riassunse subito la sua storia. Parlò della battaglia, del fumo con l’odore di Omega, della perdita del braccio destro del re e del capitano della sua guardia. Spiegò che solo i patriarchi di ogni famiglia di corte, che Taishiro aveva cercato di raggiungere, erano rimasti al consiglio reale.

“Ieri ci ha attaccato una piccola flotta,” concluse Shino con la voce controllata, “ma siamo riusciti a respingerla. Dovevamo allontanarci dal porto per evitare di venire accerchiati.”

“Sono arrivato troppo tardi.”

“Dov’è il principe?” Chiese Jin duramente. “Il tuo compito è di tenerlo al sicuro.”

Pensando a Shouto, Aizawa reagì.

“Ho bisogno di una nave, e che Shino e Yawara vengano con me.”

“Perché?” Quando Aizawa cercò di deviare la conversazione, Jin si raddrizzò. “Il re ha lasciato me al comando, ciò significa che sono responsabile per suo figlio. Hai il dovere di dirmi cos’hai fatto e perché il principe non è con te.”

Aizawa guardò Shino che annuì duramente. Nonostante la riluttanza, disse loro del salvataggio dei cuccioli Alpha, del dirottamento delle barche Beta, dell’esistenza della droga e dell’alleanza tra Hosu e Overhaul.

“Chi te ne ha parlato?” Chiese Jin con la voce tesa.

“Non ha importanza ora. Tutto ciò che è stato detto si è rivelato vero. Incluso il tradimento di Masukyura, anche se non mi aspettavo che fosse lui,” disse fissando Jin.

“Dov’è il principe?”

Aizawa restò in silenzio.

“Me lo dirai ora o prenderò il tuo mutismo come un affronto al sovrano stesso.” Quando il silenzio si prolungò, Jin oscillò la testa in un tentativo di rilassare i muscoli. “Chiamate il capitano.”

L’autorità di Jin sull’equipaggio Beta era assoluta perché al suo comando due uomini lasciarono il ponte per adempiere al loro compito.

“Trattenetelo.” Ordinò subito dopo e un altro gruppo di guardie si attaccarono ad Aizawa che cercò di allontanarsi. “Non lasciate che intervenga.”

Non appena arrivò il capitano, Jin si impose.

“Sono Jin Bubaigawara e in questo momento sono la più alta autorità che esiste al di sotto del re. Mi dirai esattamente cos’hai fatto dal momento in cui la tua nave ha lasciato il porto per la prima volta.”

Il capitano prese un respiro e glielo disse. Non appena finì di parlare, Jin iniziò a ridere. Poi si calmò abbastanza per prendere fiato.

“Scusate, ma l’idea è ridicola,” disse Jin, fissando Aizawa. “Stai dicendo che il nostro principe, l’erede alla corona, è in territorio nemico, nelle mani di una persona sospetta che potrebbe benissimo venderlo ai nostri nemici per riprendersi la sua posizione? E hai permesso che accadesse?”

“Kamui è degno di fiducia, finché Shouto ascolterà i suoi consigli sarà al sicuro.”

“Non riporrei la mia fiducia in nessuno di loro. Guardie! Imprigionatelo.”

“Che stai facendo?” Protestò furiosamente Shino.

“Ha messo in pericolo la vita del nostro principe! Shota Aizawa, ti sollevo dai tuoi doveri finché non potrai confermare che le tue azioni imprudenti non hanno provocato la morte del nostro principe.”

“Non puoi farlo!” Urlò Shino.

Jin la ignorò. “Se il principe morirà a causa tua, mi accerterò che la tua punizione sia esemplare.”

“Non puoi farlo,” disse Aizawa con tutta l’autorità che possedeva mentre le guardie lo portavano alla sua cella.

“Il re non ti perdonerà,” disse Shino.

“Quando il re si sveglierà, potrà dare la sua opinione su questa faccenda.”

Tuttavia quella stessa notte Enji Todoroki, sovrano di Yuuei, morì; e quasi contemporaneamente un corvo nero volò dal suolo alla poppa della nave. Jin ne accarezzò le piume e posizionò il messaggio nel sacchetto sulla sua zampa. Il bigliettino era un pezzo di carta arrotolato che diceva:

Il re è morto e il suo erede vaga per Hosu.

Jin restò lì finché non perse di vista il volatile, senza mai smettere di sorridere.





 

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Nota di Roquel:

 

Abbiamo delle risposte circa le conseguenze dell’attacco di Yuuei. Questo è il primo capitolo (e molto probabilmente l’unico) in cui i nostri protagonisti non appaiono, ma sicuramente ciò che è successo li condizionerà.

Yuuei è una monarchia per cui il primo Alpha della famiglia diventa l’erede al trono. Shouto è il terzo discendente del re, ma è il primo Alpha quindi adesso, dopo la morte di suo padre, la corona gli appartiene. Non sappiamo dove sia o dove stia andando ma temo che i nemici inizieranno presto a dargli la caccia.

E adesso, Katsuki e il suo gruppo non possono contare su nessuno che li cerchi, dato che Jin ha ordine di tenere ferme le truppe di Yuuei. Va detto che Katsuki non sa che Izuku è lì, sa che è ancora vivo ma neanche per un momento potrebbe pensare che qualcuno sia così folle da portare un Omega in terra nemica, quindi per lui Izuku è lontanissimo, la sua preoccupazione al momento è riuscire a fuggire da lì e cercarlo.

E una cosa che va commentata: l’incenso usato nelle prigioni è più leggero perché viene usato in spazi chiusi e controllati. L’incenso usato per gli adulti ha una densità e consistenza molto più alte; i suoi effetti sono stati testati in spazi chiusi, all’esterno e sotto la pioggia, in ogni caso è inevitabile.

La guerra procede molto velocemente e Yuuei non è partita col piede giusto.

 

Nota di Tanuka:

 

Non sto a spiegarvi tutto l’insieme di motivi che hanno causato questo ritardo (non ha aiutato che questo capitolo sia stato il più lungo da tradurre e poco stimolante), spero vi piaccia e mi impegnerò ancora di più per non far passare più così tanto tempo tra un capitolo e l’altro.

See ya!



 

Prossimo capitolo:

Myosotis


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Capitolo 14
*** Myosotis ***


Capitolo 14 - Myosotis




 

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Il miosotide è un fiore comunemente noto con il nome “nontiscordardimé”, il fiore di amore eterno e disperato. Ha la forma di un pentamero con cinque petali blu che crescono attorno a una corolla gialla.

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Vi erano usanze, tradizioni perse nel tempo; alcune dimenticate, altre trasformate in qualcosa di completamente diverso. Poche sopravvivevano allo scorrere del tempo.

Nelle isole c'erano molte tradizioni. Una di queste era che attorno ai dodici anni, i giovani Alpha venivano mandati ad allenarsi in materie nautiche per quattro anni. L'intento era di insegnar loro a navigare, riconoscere le correnti, affrontare un serpente di mare e sopravvivere durante una tempesta. Dato che la pesca era una delle principali attività commerciali di Kohei, ogni Alpha — anche quelli che non sarebbero voluti diventare marinai — doveva intraprendere un allenamento di base marittima.

Una delle tradizioni cadute in disuso era la consegna del fiore miosotide. Molti anni prima, quando i giovani Alpha si preparavano per partire per l'allenamento nautico, alcuni usavano donare un fiore miosotide con l'intento di stabilire un impegno al corteggiamento. Il fiore in sé era una richiesta.

“Mi aspetterai?”

La tradizione imponeva che gli Alpha scalassero le montagne in cerca del fiore che cresceva sulle alture, nelle dimore di serpenti piumati. La missione in sé comprendeva un viaggio di diversi giorni, che era a sua volta una dimostrazione del tipo di impegno che i pretendenti erano disposti a offrire e dei pericoli che erano pronti ad affrontare. Il rischio era elevato e molti tornavano con ferite profonde, così gli adulti del villaggio cercarono di cambiare la tradizione. Ci volle tempo e fatica, ma alla fine diventò consueto donare una conchiglia, molto più facile da trovare e con una maggiore longevità.










 

Nella primavera in cui Katsuki compì dodici anni, la tradizione del fiore miosotide era un ricordo lontano, sconosciuto ai più, rammentato da pochi.

Katsuki si alzava presto ogni giorno e camminava per la spiaggia cercando la conchiglia perfetta. Nessuna di quelle trovate soddisfava i suoi requisiti, quindi il ragazzo tornò per colazione di pessimo umore.

Izuku stava aspettando dentro, seduto al tavolo da pranzo, chiacchierando vivacemente con sua madre.

“Sei tornato?” Chiese Mitsuki con un sorriso beffardo che lo fece arrabbiare.

“Se mi stai parlando è perché sono qui,” borbottò tra i denti sedendosi vicino a Izuku.

“L'hai trovata?” Chiese Mitsuki con quel tono di voce che indicava che lei sapeva cosa lui avesse fatto fino a quel momento.

Katsuki la guardò e ringhiò.

“Sta’ zitta.”

“Hai iniziato l’allenamento molto presto, Kacchan.”

“Non sono affari tuoi, Deku,” replicò mentre suo padre lo serviva.

Mangiò con la faccia incollata al piatto mentre sua madre faceva ridere Izuku; lo ascoltò parlare dei nuovi rimedi che aveva ottenuto e di quanto fosse emozionato di accompagnare il padre alla capitale in cerca di ingredienti. Katsuki tenne la bocca chiusa e si intrattenne col suo pasto finché non ebbero finito tutti e Izuku li salutò.

“Tornerò quando avrai finito il tuo allenamento, Kacchan.”

“Mh.”

Izuku sorrise nervosamente e se ne andò. Non appena il suono dei suoi passi scomparve, sua madre si voltò e lo guardò con le sopracciglia alzate.

“Se lo tratti in quel modo, non accetterà la tua conchiglia.”

“Haaah?!” Fece cadere brutalmente il cucchiaio e si raddrizzò per affrontare sua madre. “Chiudi il becco!”

“È solo un consiglio, non fare lo stronzo con la persona a cui offrirai la conchiglia!”

“Un consiglio?!” Saltò giù dalla sedia e la indicò. “Perché dovrei volere un consiglio da una che non ha nemmeno dato una conchiglia a mio padre?!”

“Chi ha detto che—”

“Non ce l’ha! Lo so!”

“Perché gli ho dato—”

In quel momento intervení suo padre. Il suo profumo invase la casa, denso, calmo e pieno di tranquillità. Katsuki vide sua madre inspirare profondamente, vide come l'aroma la calmava, la vide perdere la rigidità nel collo e le pupille rilassarsi.

Contro la sua volontà, Katsuki smise di sentirsi furioso.

“È tardi,” disse Masaru, guardandoli severamente. “E un insegnante non dovrebbe mai tardare.”

Katsuki uscì di casa senza salutare, non aspettò nemmeno sua madre perché la conosceva, e non appena arrivò alla zona di allenamento iniziò i suoi esercizi di stretching. Gli altri compagni lo imitarono e quando arrivò la madre, venti minuti dopo, erano pronti ad allenarsi con le spade corte.

L’allenamento riuscì a calmare la sua tensione, ma alla fine la sentí di nuovo, persino più intensa e soffocante di prima; mentre aiutava sua madre a raccogliere e sistemare tutti i materiali non riuscì ad evitare di chiederglielo.

“Che cosa gli hai dato?”

Sua madre non fece nemmeno finta di non sapere di cosa stesse parlando. Si morse il labbro, restò in silenzio e sembrò combattere una lotta interna.

“Un fiore di miosotide,” confessò a bassa voce mentre camminavano verso casa per lo spuntino pomeridiano.

“Un cosa?”

“Lo chiamano nontiscordardimé,” replicò sua madre prima di raccontargli delle antiche tradizioni perdute e del loro significato.

Quel pomeriggio Katsuki mangiò in silenzio, poi accompagnò Izuku a nuotare e si sedette con gli Alpha della sua età che passavano ore a parlare di conchiglie e speranze. Quella sera, dopo cena, quando l'intera casa era sotto una coperta di oscurità e silenzio, Katsuki si alzò per rovistare in cucina.

Si immobilizzò quando attraverso la porta arrivò l'odore di sua madre.

“Ti servirà molto più cibo di quello.”

Katsuki non si mosse, aveva in mano uno zaino mezzo pieno di pane e frutta secca.

“Posso farti una mappa,” aggiunse mentre spostava una sedia per accomodarsi, posizionando la sua lampada sul tavolo.

“No,” la sua voce, anche se un lieve sussurro, riuscì ad esprimere la sua riluttanza.

“È quello che ho detto anch’io.” Appoggiò il mento su una mano come se la situazione fosse divertente. “La nostra famiglia ha rispettato la tradizione per anni. Mia madre andò a cercarlo e prima di lei, suo padre. Pare che ci piacciano le sfide. Tuo padre mi ha fatto promettere che non ti avrei lasciato andare, ma non posso proibirtelo se non ti vedo, giusto? Distrarrò Izuku mentre sei via.”

Si alzò in silenzio e se ne andò, lasciando la lampada per lui.










 

“Kacchan!”

L'urlo era pieno di emozione e felicità, e quando alzò lo sguardo vide Izuku correre verso di lui ma si fermò di colpo quando fu a un braccio di distanza e si torturò le mani con ansia.

Katsuki ricordava quanto fosse appiccicoso Izuku quando erano piccoli, ma non quando avesse abbandonato quell'abitudine. Forse da quella volta nella foresta, quando erano rimasti bloccati dalla pioggia.

A volte Katsuki sognava di tornare a quel giorno.

“Kacchan, sei tornato! Dove sei stato?!”

“Smettila di urlare, Deku.”

“Scusa, ma te ne sei andato senza dire niente… e tua mamma non ha voluto—”

“Hai parlato con mia madre?”

“Sono andato a casa tua per fare colazione come sempre e tua madre mi ha raccontato molte storie: la prima volta che ha vinto un torneo, come fosse emozionata quando partí per allenarsi, la prima volta che affrontò un serpente di mare, sapevi della volta in cui regalò a tuo padre un fiore blu per corteggiarlo?”

“Te l'ha detto lei?!”

“Sì! Non sapevo nemmeno che fosse una tradizione!”

Izuku continuò a parlare del fiore blu e dei suoi genitori, finché Katsuki non si stufò.

“Vieni,” ordinò e Izuku si zittí subito. Si allontanarono dal villaggio fino a raggiungere la zona fitta vicino alla spiaggia. “Cosa ti ha detto mia madre riguardo quel fiore blu?”

Izuku sorrise e ripeté la stessa storia che conosceva Katsuki; mentre lo ascoltava, Katsuki cercò di contenere la sua ansia. Aveva una stretta allo stomaco e le mani non smettevano di sudare, voleva correre e urlare.

Si fermò di colpo e Izuku lo imitò. Per un po’ nessuno dei due disse nulla, Katsuki era sicuro che Izuku potesse percepire la sua impazienza e ansia, ma si tratteneva dal dire qualcosa.

Alla fine riuscì a raccogliere abbastanza coraggio.

“Non ti darò una conchiglia, Deku,” disse, mandando giù il groviglio di nervi che aveva bloccato in gola. Quando vide la faccia dispiaciuta di Izuku sentí degli acidi gorgoglianti sciogliergli lo stomaco. “Non ho nemmeno intenzione di recidere un fiore per te. Quella roba muore.”

Izuku impallidí, annuí e fece per aprire bocca e rovinare tutto quando Katsuki lo prese dal gomito e lo fece attraversare la fila di cespugli che nascondeva la radura. Lo trascinò fino a un albero nell'area, e lo obbligò ad abbassarsi accanto a lui. Spalla contro spalla, gamba contro gamba.

“Qui pianteremo un campo.”

Il ‘se vorrai’ era implicito e Katsuki non sprecò tempo a dirlo. Invece contemplò l'espressione di Izuku, che osservava i tre germogli appena piantati di fiori blu, ognuno con tre fiori uguali e piccoli boccioli che promettevano di schiudersi presto.

Quegli occhi verdi studiarono i petali con un'attenzione ossessiva, attraversarono la forma delle foglie, gli steli sottili, poi si voltò verso di lui e Katsuki sperimentò, non per la prima volta, le onde elettriche che lo scossero da capo a piedi.

Izuku aveva degli immensi occhi verde scuro, come il muschio bagnato. Erano luminosi e profondi, con un'infinità di pensieri all'interno.

“Andrò via, quindi non ti regalerò un fiore che morirà in una settimana,” ripeté Katsuki, desiderando di annegare nel pozzo verde che era Izuku; si spostò vicino a lui, premendo sulla sua spalla. Indicò i fiori, continuando a guardarlo. “Quindi pianteremo un campo. Tu potrai venire ogni giorno. Cresceranno in quest’area e ogni volta che li vedrai ti ricorderai… quando li vedrai penserai…”

Non riusciva a pronunciare la fine del suo discorso.

Ma non ce ne fu bisogno perché Izuku sorrise, un sorriso bellissimo, esuberante e delicato, tutto guance e felicità.

“Mi ricorderei di te anche se non avessi nemmeno un fiore blu, Katsuki.”

E quando sentí il suo nome qualcosa sbocciò dentro di lui, era caldo e smisurato. Straordinario.

Finché Izuku non perse il sorriso e Katsuki scoprí perché. Lí, davanti a loro, si materializzò un uomo dalla pelle violacea, i capelli bianchi e un sorriso malizioso. Un uomo che si lanciò verso di loro, distruggendo tutto nel suo cammino.










 

Katsuki si svegliò di soprassalto, il suo corpo fradicio di sudore freddo e non riusciva a controllare il respiro. Gli ci volle un momento per scrollarsi di dosso la sensazione di vuoto e amarezza.

Se solo…

Se non avesse…

Scosse la testa e si sforzò di non affondare in quel mare di colpa che lo aveva divorato i primi anni. Invece si alzò dal letto e andò fuori in cortile. La prigione restava silenziosa, la maggior parte dormiva, raccogliendo le forze per iniziare il viaggio all’alba; un piccolo gruppo restava di guardia, ma cercò di ignorarli.

La pioggia si era trasformata in una leggera pioviggine così Katsuki scalò il bastione per osservare la luna. Si appoggiò al parapetto, avvolse la bottiglietta di profumo tra le mani e la poggiò sulle labbra.

Dentro di lui si agitava l’impazienza, il suo desiderio di uscire, cercare il principe di Yuuei, interrogarlo riguardo il profumo, ma sapeva di non dover commettere errori, non poteva sbagliarsi. Izuku era dall’altra parte dell’oceano e lui doveva trovarlo.

Erano passati più di quattro anni, ma aveva ancora una promessa da mantenere.

Tornerò. Devo tornare.

E da qualche parte, tra le montagne, un piccolo fiore blu di cinque petali ondeggiò nel vento. Mi aspetterai?


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Nota di Roquel:

E ora ragazzi, dichiaro ufficialmente che siamo a metà della storia!

Questo capitolo, anche se breve, ha due principali obiettivi: uno, stabilire l’inizio della seconda parte della storia e due, rimediare al mostro che si è rivelato essere lo scorso capitolo. A tutti coloro che hanno avuto la forza di commentare, grazie!

Questo è il ricordo che Izuku non riesce a ricordare; è apparso nel primo capitolo e si è ripetuto un paio di volte, ma sfortunatamente l’orrore del rapimento ha provocato a Izuku uno shock tale da bloccargli la memoria. Eventualmente lo ricorderà, ma per adesso lo ricorda Katsuki.

Nonostante la spavalderia di Katsuki, nemmeno lui sarebbe immune al nervosismo, l’ansia e il disagio di quando ci si dichiara per la prima volta. Vi ricordate com’è stato?

 

Nota di Tanuka:

Anche se non sono riuscita a far uscire questo capitolo entro il 25, consideratelo un regalino di Natale <3 (anche per farmi perdonare dell’enorme hiatus)

Personalmente questo capitolo mi ha commosso moltissimo, il gesto di Katsuki è stato meraviglioso e ora sappiamo perché Izuku scoppi a piangere quando si trova davanti a un campo di fiori; pur avendo rimosso quel ricordo, inconsciamente il suo cuore sa.

Amo sempre di più questa storia.



 

Prossimo capitolo:

Nelle Terre di Hosu


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Capitolo 15
*** Nelle terre di Hosu ***


Capitolo 15 - Nelle terre di Hosu





 

Da lontano il convoglio sembrava un gruppo di semplici soldati: sei vagoni guidati da conducenti vestiti di nero, una truppa di soldati in prima fila, sui fianchi e nelle retrovie, tutti con l'inconfondibile uniforme dell'esercito e coperti da strati spessi, fatti apposta per viaggiare sotto la pioggia.

Ma da più vicino e sotto un controllo più accurato le differenze si sarebbero notate facilmente. Prima di tutto i soldati avanzavano senza la coordinazione che caratterizzava la milizia, senza formazioni o posizioni, non c’erano superiori a guidare e supervisionare la carovana. In secondo luogo, i soldati avevano problemi nel maneggiare le bestie da carico che sembravano scegliere sempre il percorso più liscio, dove le ruote dei vagoni finivano per affondare, il che faceva capire che la truppa non conosceva la zona.

Nonostante le difficoltà, il gruppo non si muoveva alla cieca. Sui lati alcuni soldati studiavano l’ambiente circostante in cerca di minacce, di tanto in tanto mandavano piccoli avamposti in tre direzioni con l’intento di scegliere il percorso più accessibile, di notte facevano i turni di guardia per evitare sorprese o imboscate e soprattutto c’erano esploratori che pulivano l’area che attraversavano.

Quindi no, non erano un gruppo comandati da un capitano dell’esercito, ma di certo avevano un leader che li guidava.

Togaru li aveva seguiti per due giorni da quando aveva incrociato il gruppo durante il suo giorno di caccia. Inizialmente aveva avuto intenzione di nascondersi fino a perderli di vista, sapeva che se l’avessero trovato ci sarebbero state troppe domande, che lui voleva evitare. Tutto ciò prima di capire che il convoglio era composto da persone non originarie della zona.

Ora Togaru stava cercando di indovinare se la truppa fosse stata inviata dal Generale stesso.

Avendo il vantaggio di conoscere la regione, le migliori zone dove accamparsi e cacciare, e tutte le possibili scorciatoie, Togaru non aveva problemi nel trovare nascondigli da dove poter osservare il gruppo mentre avanzava. Si muoveva sempre nella zona alta, dove gli alberi erano più fitti, lontano dai loro ricognitori e dai loro terreni di caccia.

Per quasi tre giorni Togaru assistette alla stessa routine: i vagoni si muovevano lentamente lungo le strade fangose, a volte le ruote si incastravano e il gruppo si radunava per dare una mano; riposavano tre volte al giorno, le prime due erano soste brevi per mangiare e rilassare le gambe, l’ultima era al tramonto dove veniva allestito l’intero campo. Accendevano un fuoco sotto la pioggia e quelli di guardia si sparpagliavano intorno mentre il resto andava a dormire. Il giorno dopo ricominciava la routine.

Togaru si annoiava, stava seriamente pensando di voltarsi e andarsene, finché non vide il volto del leader.

Era difficile seguire la traccia del capo in mezzo a tutte quelle persone incappucciate, il tipo era in costante movimento e si distingueva dagli altri solo quando iniziava a indicare e tutti si muovevano per obbedire. Togaru aveva perso la speranza di identificarlo, ma fortunatamente per lui la pioggia smise al terzo giorno e l’intera carovana si godette il sole.

Appollaiato sull’albero, Togaru si sporse sul ramo con lo sguardo sul leader, che iniziò a mobilitare gli altri. Attorno a lui molti avevano iniziato a scoprirsi, ma lui continuava a dare ordini senza dar segno di volerli imitare.

‘Dai,’ Pensò con ansia Togaru. ‘Togliti il cappuccio, chi sei? Dabi? Shigaraki?

Quando il leader si scoprì finalmente la testa, Togaru batté le palpebre, confuso. Il tipo era troppo giovane e non aveva la costituzione forte e robusta che caratterizzava tutti i capitani dell’esercito; aveva il volto pallido come il latte, niente corna tra i capelli biondi o altri segni particolari.

Poi questo imitò gli altri e si spogliò per lavarsi. Non appena tolse la parte superiore dell’uniforme, Togaru lo vide.

Il fiore rosso proprio sopra il cuore.

Merda.

Il suo corpo tremò di paura e le mani volarono verso le sue armi, in un paio di secondi armò la sua postura con l’arco teso e pronto a scoccare. Si fermò quando capì che il leader non era l’unico. Tutti gli uomini attorno a lui esibivano un fiore sul petto, sulle spalle o sulla schiena.

Una truppa d’assalto.

L’enormità della situazione fece tremare Togaru. Aveva visto le navi all’orizzonte e sapeva che i selvaggi erano giunti per la guerra, ma era sorpreso di vedere un loro gruppo così lontano dalla costa.

‘Come sono arrivati fin qui? Dove hanno preso quelle uniformi? Dove si dirigono?’

L’ultima domanda lo fece reagire. Senza dubbio la truppa d’assalto intendeva liberare l’area, forse volevano attaccare i villaggi fingendosi guardie armate.

‘Devo avvertire il Colonnello. Dobbiamo preparare una linea offensiva. Cacciarli dalle nostre terre.’

Togaru studiò ancora una volta il leader dei selvaggi, abbandonò l'albero e corse dritto verso casa.










 

Da quando aveva perso la sua casa Denki era stato accompagnato dagli incubi. A volte sognava di sua madre in una pozza di sangue, altre ricordava suo padre avvizzito nel suo letto, ma la maggior parte delle volte sognava delle celle scure, della prima volta in cui lo portarono lì, la paura e il terrore di perdere le sue bende. Sognava delle mani di Nubia e del suo materasso vuoto. Sognava di cadere in un pozzo e si svegliava con la sensazione della vertigine della caduta.

Era solito svegliarsi tre o quattro volte durante la notte, scuoteva la testa, inspirava l’aroma familiare di reclusione e vuoto per tornare a dormire e ripetere la sequenza.

Aveva ancora degli incubi, sognava delle celle scure, di tanto in tanto sognava del se stesso più giovane in una gabbia dentro una nave oscillante, ma ora sognava anche di dita d’acciaio che si stringevano attorno alla sua gola. Sognava di occhi spietati che lo guardavano mentre cercavano di ucciderlo.

Si svegliò col respiro irregolare e la sensazione spettrale dei pollici premuti contro la sua trachea, ma invece di inspirare l’odore della cella, sentì la pioggia. Girandosi, avrebbe sentito la terra contro la guancia e la sensazione era abbastanza per scacciare i suoi incubi.

Era ancora presto quando Denki si tirò su con cura, cercando di non svegliare nessuno. Si alzò e avanzò in punta di piedi tra i suoi compagni addormentati. Avvolto nella coperta si avvicinò all’estremità della tenda improvvisata; un lato della tenda era attaccato a uno dei vagoni e dall’altro lato era fissata al terreno con dei paletti, lasciando il fronte e il retro scoperti.

Denki si sedette sul bordo e allungò una mano fuori. La pioggerellina leggera era fredda, ma non c’era confronto con il gelo della prigione.

Erano liberi da cinque giorni e Denki ancora non riusciva a crederci. A volte aveva paura di svegliarsi di nuovo nella prigione, sul suo materasso, senza le forze per affrontare un altro giorno; ma ogni volta che la paura cercava di instillarsi, gli bastava togliersi il cappuccio dell’uniforme e inspirare profondamente. Sentiva la pioggia, la terra umida, le piante… Profumo di libertà.

Ogni volta che respirava a Denki veniva da ridere, ma sapeva che se l'avesse fatto, sarebbero tornati i singhiozzi e i lamenti e non c'era tempo per quello. Per quanto desiderasse levarsi gli stivali e saltare nelle pozzanghere urlando di gioia, non poteva permetterselo.

Denki allungò entrambe le mani verso la pioggia, le formò a coppa e quando raccolse abbastanza acqua si lavò la faccia. Ripeté il processo fino a sentire la pelle fresca e pulita, poi si sciacquò la bocca e si passò le mani bagnate tra i capelli. In realtà avrebbe voluto fare un bagno, ma non si sentiva ancora pronto a togliersi l'uniforme.

Aveva paura che una volta tolta non avrebbe più potuto indossarla e la sola idea di tornare al fundoshi lo riempiva di terrore. Ipotizzò che condividevano tutti la stessa paura irrazionale perché, anche se gli altri si lavavano ogni giorno, nessuno si era preso la briga di farne richiesta.

Quindi Denki si sistemò alla bell'e meglio senza spogliarsi, poi piegò la sua coperta e si allontanò dal gruppo verso il vagone accanto al loro. Lì dentro dormivano gli Omega in heat. Denki aprì la porta e subito l'Omega che stava di guardia all'entrata si svegliò. Non appena lo riconobbe, Chieko sorrise.

“Buongiorno, è sorto il sole?”

“Non ancora, puoi dormire ancora un po’, sono solo passato a lasciare la mia coperta. Come stai?”

“Beh, Andu si è svegliata verso mezzanotte piangendo, ma siamo riusciti a calmarla. Sono tutti esausti e affamati, pensi che potremmo aumentare le razioni mattutine?”

“Vedrò cosa posso fare, avete bisogno di altro panax?”

“Per ora no, lo conserviamo per quando sarà necessario. Gli altri gruppi come stanno?”

“Stavo giusto per andare lì da loro. Riposati, non appena sorgerà il sole manderò qualcuno a darti una mano per la colazione.”

Denki chiuse la porta, tirò su il cappuccio e corse i quattro metri che lo separavano dall'altro vagone. Trovò Ochako sveglia, gli occhi fissi sulla porta e un coltello stretto fortemente in una mano. Il suo sguardo si rilassò quando lo vide ma non diede segno di voler lasciare la sua arma.

“Sei sveglia,” mormorò calmo Denki, avvicinandosi per accarezzarle i capelli.

“Non riuscivo a dormire,” rispose Ochako senza sorridere. “Ho sentito dei rumori fuori stanotte e ho pensato…”

Non finì la frase ma non fu necessario perché Denki ricordava il primo giorno, quando uno degli Alpha sentí il profumo di un Omega e perse la testa. Da quel giorno stabilirono le pattuglie e presero l'abitudine di lasciare di guardia un Omega vicino alla porta.

“È tutto okay,” disse Denki, cercando di calmarla. “Ora dormi, ci sono io sveglio.”

Le accarezzò i capelli finché non rilassò la presa e riuscì ad addormentarsi. Denki chiuse la porta e fece un cenno all'Alpha che controllava entrambi i vagoni. Era ancora presto ma invece di tornare a dormire, Denki si allontanò.

L'ultimo gruppo di Omega dormiva vicino al terzo vagone, i feriti e gli ammalati riposavano nel veicolo. Senza contare tutte le perdite dovute alla battaglia nella prigione - per le ferite e i morti nelle celle - il loro numero era diminuito e la maggior parte erano Omega.

Dentro il quarto e il quinto vagone veniva conservato tutto il cibo, vicino al quale dormiva metà del gruppo degli Alpha, e il resto era intorno all’area, facendo la guardia o esplorando. Dietro quel gruppo c'era il primo carro, vicino al quale non voleva dormire nessuno.

Nessuno eccetto il leader, che piazzava il suo falò sempre vicino al vagone che trasportava i pacchi di incenso.

Il convoglio era stato preparato dai soldati della prigione; avevano disposto tutto il cibo e organizzato i trasporti, quindi dovevano solo procurare le uniformi e gli stivali per il viaggio. Una volta pronti per lasciare la fortezza molti insistettero nel lasciare indietro il veicolo, ma l'Alpha non cedette e la sua volontà prevalse, Denki non gli chiese mai perché.

Sapeva che non c'era garanzia che avrebbe ricevuto una risposta.

Durante il viaggio, Denki aveva imparato alcune cose riguardo l'Alpha: aveva poca pazienza, non gli piaceva legarsi agli altri, prendeva sempre i turni di guardia più pesanti, non rispondeva mai a domande personali — era riuscito a tirargli fuori il suo cognome insistendo e infastidendolo — e a quanto pareva non dormiva perché Denki lo trovava sempre a fare la guardia.

Come in quel momento.

“Che c'è?” Chiese Bakugou non appena Denki si fermò vicino al posto di guida. Gli fece la domanda senza voltarsi, guardando il branco di animali che dormivano pacificamente sotto un telone improvvisato.

Dal punto in cui si trovava — la testa di Denki era all'altezza del sedile — vedeva facilmente la fialetta di vetro che l'Alpha si rigirava tra le dita.

“Tieni,” gli porse il pezzo di stoffa che aveva cucito il pomeriggio prima. Quando l'Alpha non diede segno di voler accettare il dono, Denki aggiunse: “Ho cucito una fodera interna con del riso per evitare che si muova troppo; farà da cuscinetto in caso cada per terra. Il laccio è abbastanza spesso, se vuoi appenderlo al collo. Sempre meglio che nella tua tasca, dove finirà per rompersi.”

Quando l'Alpha voltò la sua faccia incappucciata verso di lui, Denki affrontò il suo sguardo truce con tutta la forza che aveva. Tenne la mano tesa finché l'Alpha non prese il sacchetto. Senza aspettare un ringraziamento, Denki camminò davanti al vagone poggiato sul terreno umido e salì sul posto da passeggero.

Si strofinò le mani, sbadigliò e fece finta di non notare con quanta cura l'Alpha ripose la boccetta nel sacchetto. Ne ricordava ancora il profumo, l'essenza leggera di basilico e menta, ma ciò che non avrebbe mai dimenticato era la fortissima reazione che aveva causato. Ogni volta che ricordava l'odore di legno bruciato il suo stomaco si contraeva.

Si schiaffeggiò mentalmente per scacciare il ricordo mentre l'Alpha finiva di appendere il sacchetto attorno al collo, nascondendolo sotto l'uniforme.

“Pensi che smetterà mai di piovere?”

“Le nuvole sembrano meno dense. Probabilmente oggi schiarirà.”

L'idea lo emozionò. Denki alzò gli occhi, ma vedeva solo nuvoloni scuri.

“Se sorge il sole possiamo prenderci il giorno libero?”

“No. Abbiamo già un passo abbastanza lento, non ritarderemo ancora di più.”

Prima Denki sarebbe rimasto in silenzio — in prigione non avrebbe nemmeno posto quella domanda — ma ora che poteva respirare aria fresca e pulita e che poteva stiracchiarsi sotto la pioggia, non aveva motivo di restare zitto. Il suo vecchio se stesso, sepolto sotto strati di angoscia e paura, fece capolino con la testa e si allungò, il profumo di arance che emanava leggermente parlava di dolcezza e sottomissione.

“Ma viaggiare nei carri è difficile,” la sua voce era piena di sfumature morbide, quelle che appellavano alla natura protettiva di qualsiasi Alpha. “Siamo continuamente rinchiusi e gli animali sono troppo testardi per obbedire. I malati risentono del viaggio e gli Omega—”

“Basta. Non ci fermeremo nemmeno un giorno.”

Denki storse il naso, insensibile all'improvviso cambiamento nell’odore dell'Alpha. L'aroma di arance si inspessì per cercare di ammorbidire l'Alpha. Solo con lui si azzardava ad usare quella tecnica, che usava a casa quando voleva che Allana gli prestasse attenzione.

La risposta di Bakugou fu di voltarsi e guardarlo accigliato.

“Ho detto no.”

“Solo un giorno.”

Più che una richiesta, le sue parole avevano il timbro giocoso di chi stava flirtando. Denki non poté farne a meno, l'aroma attorno a lui si addolcì, la sua postura si rilassò e osò addirittura avvicinarsi e spingerlo leggermente.

“Solo per oggi,” ripeté senza smettere di sorridere.

Bakugou storse il naso, e il suo cipiglio si corrucciò ancora di più. Con un movimento rapido lo spinse con un gomito e ringhiò:

“Se non la finisci con queste stupidaggini, finirai con la faccia per terra.”

Invece di essere imbarazzato, Denki rise, sia al gesto che all'improvviso senso di sicurezza che lo invase. Sapere che l'Alpha non lo vedeva come una possibilità lo riempiva di una libertà e fiducia impossibili da spiegare.

“Che succede?”

La sua risata morì quando si voltò verso la voce. L'Alpha dai capelli rossi — Eijirou Kirishima — era lì in piedi, che li fissava. Lo riconobbe dalla voce, dalla forma del suo corpo che si stagliava nella pioggia con tutta la sua altezza. Lo riconobbe dai suoi occhi, da come lo guardava.

“Buongiorno,” rispose Denki trattenendosi dall'usare il nome che l'Alpha non aveva mai smesso di ripetere ogni volta che parlavano. Si raddrizzò sul posto, cercando di non sembrare a disagio.

“Ciao, Denki.”

Ogni volta che sentiva il suo nome pronunciato col tono vellutato dell'Alpha il suo stomaco collassava, si scioglieva dentro di lui in caldi pezzi. Denki boccheggiò ripensando a quegli abbracci che sapevano di zafferano. A volte sognava di quel momento nella pioggia e non riusciva a scrollarsi di quella sensazione elettrizzante.

“Di cosa stavate parlando?”

Denki alzò le spalle.

“Di prenderci un giorno libero.”

“Non ci fermeremo,” replicò Bakugou senza esitazione.

Di tutta risposta Denki storse il naso e spinse l'Alpha col palmo aperto. Ci mise un po’ di forza, come se fossero uguali, aveva preso confidenza ed era completamente diverso dal gesto delicato e attraente che aveva fatto prima.

“Potremmo fermarci,” intervení Kirishima, attirando la loro attenzione. “Sono stati dei giorni estenuanti e servirebbe a tutti una pausa.”

Denki si emozionò, illuminandosi e raddrizzando la schiena, la sua felicità si sparse nell'aria riempiendo la foresta di un profumo di succo fresco mattutino.

“Sì!” Disse a voce alta, alzando i pugni in aria. “Sarebbe fantastico.”

“Non abbiamo tempo—” Iniziò Bakugou ma Kirishima lo interruppe.

“Potremmo approfittare della giornata per fare altri test con l’incenso; in più, dalla mappa che abbiamo pare ci sia un'altra prigione nelle vicinanze. Potremmo mandare un gruppo a ispezionarla.”

Bakugou borbottò. “Credevo avessi fretta di trovare il tuo principe.”

“Todoroki-ouji ha almeno una settimana di vantaggio; in questo momento dovrebbe essere al sicuro a bordo delle navi della Flotta. Nella sua lettera diceva che avrebbe mandato delle truppe per riprendere la prigione. È probabile che stiano arrivando. Riposare un giorno non cambierà nulla.”

“Potrebbe non cambiare nulla, ma ogni giorno che passiamo in questo maledetto posto aumentano le possibilità di un'imboscata.”

“Quella possibilità esisterà anche se continuiamo ad avanzare senza riposarci, ma almeno in questo modo potremmo minimizzare il pericolo che i vagoni cadano da un terreno scivoloso. Gli animali sono stanchi e sono diventati difficili da gestire.”

Bakugou ringhiò mentre Denki trattenne il fiato.

“Molto bene,” disse dopo aver digrignato i denti. “Per oggi ci fermeremo.”

“SÌ!”

“Ma—!” Aggiunse il biondo guardando Denki irritato. “Non sarà un giorno per bighellonare. Abbiamo del lavoro da fare.”

“Certo!” Annuí Denki, saltando giù dal vagone.

“E tu parteciperai ai test dell’incenso.”

“Non credo sia necessario—”

“Lo farò,” replicò Denki, interrompendo la protesta di Kirishima. “Ma dato che oggi raccoglieremo le forze, possiamo raddoppiare le razioni?”

La faccia dell'Alpha si scurì. “D'accordo,” sputò con fastidio. “L'area è piena di selvaggina. Una doppia razione non influirà sulle provviste.”

Denki sorrise e si allontanò prima che qualcuno potesse cambiare idea. Non si voltò mai indietro.










 

“Dovrei lasciarli tutti qui,” ringhiò Katsuki scendendo dal vagone. “Specialmente tu e la tua stupida faccia compiaciuta.”

L'altro si risvegliò dalla sua contemplazione e iniziò a farfugliare. Era sorprendente che anche sotto il cappuccio riuscisse a riconoscere il suono della sua risatina nervosa.

“Non so a quale faccia compiaciuta tu ti riferisca, ma solo io posso chiedere a Todoroki-ouji dei feromoni. E non possiamo abbandonare il resto del gruppo.”

“Sta’ zitto! Non ho bisogno che me lo ricordi. Questa sosta ritarderà il nostro programma.”

“Quindi capisci che è necessaria.”

“Dannazione! Non devi ripetermi quello che già so. L'unica cosa che mi fa vomitare è vederti chiedere la sua approvazione.”

“Cosa…?! Di che stai—”

“Basta! Piantala con certe stupidaggini!”

Katsuki aprì le portiere del veicolo e si prese un momento per osservare la mappa che avevano preso dall'ufficio del capitano della prigione. Mostrava le strade, i villaggi, la posizione dei fiumi e le fortezze. Katsuki misurò la distanza dalla prigione più vicina e il tempo necessario.

“Almeno è vicina.”

“Quanto vicina?”

“Una piccola pattuglia potrebbe effettuare il tragitto in mezza giornata senza fare soste.”

“Possiamo aspettarli.”

“Sì,” disse Katsuki facendo una pausa per decidere. “Invieremo un piccolo gruppo. Due, no, tre persone. Viaggeranno con le provviste di base. Raccoglieranno informazioni.”

“E cercheranno sopravvissuti.”

“Dopo una settimana? Non credo. I prigionieri possono durare solo pochi giorni senza cibo. È impossibile restare vivi così a lungo.”

“Vedremo.”

Katsuki sospirò.

“Beh, dato che insisti, andrai tu.”

“Io?”

“Sì, tu, la stupida coda di cavallo e io.”

“Intendi Hiryu?”

“Cosa ti fa credere che io sappia il suo nome?” Si allontanò con la mappa arrotolata in mano, indicando le sentinelle più lontane. “Viaggeremo leggeri, provviste minime e piccole armi. Prepara le nostre cose.”

Kirishima obbedì e Katsuki si diresse verso il falò degli Alpha mentre il cielo sopra di lui iniziava a schiarirsi. Molti avevano il capo scoperto, altri tenevano su il cappuccio anche se aveva smesso di piovere.

“Oggi non avanzeremo,” annunciò ad alta voce e subito le voci di tutti si alzarono intorno a lui. “Tu,” indicò il ragazzo con la bandana blu in testa. Pur non conoscendo il suo nome sapeva che veniva dalle isole, Katsuki l’aveva visto lavorare e non gli aveva mai dato problemi. “Sarai il responsabile. Se non torniamo entro domattina, potrete muovervi, noi vi raggiungeremo. Qui c'è la mappa col percorso segnato,” gli porse la mappa arrotolata. “Le razioni di oggi saranno doppie, e durante il giorno farete tutti dei test con l'incenso.”

Si alzarono dei mormorii di protesta nel gruppo, ma Katsuki li zittì con un grugnito sinistro.

“Niente lamentele! Se veniamo attaccati, il nostro punto debole è l'incenso! Dobbiamo trovare un modo per contrattaccarlo. Fa la differenza tra la vita e la morte!”

Ci fu silenzio, qualcuno con un'espressione di ferrea determinazione. Katsuki prese un momento per guardarli uno per uno prima di riprendere il suo discorso.

“Le pattuglie manterranno la loro rotazione. Quelli liberi si uniranno al gruppo di caccia. Non allontanatevi troppo e non attirate l'attenzione. Le prede catturate verranno pulite dagli Omega—”

“Gli Omega?!” Urlò qualcuno, la voce che distillava indignazione e incredulità.

“Voi lo sapete fare?!” Domandò loro Katsuki e quando nessuno rispose, continuò. “Non voglio tornare e sentire lamentele. La nostra priorità è andarcene da qui. Non fate cazzate!”

Un coro di consensi seguì le sue parole e subito tutti si dispersero. Molti di loro approfittarono del resto della giornata per scoprirsi il volto, qualcuno per spogliarsi e lavarsi. Il ragazzo con la bandana si avvicinò subito.

“Cosa…?” Chiese Katsuki togliendosi il cappuccio.

“Mi chiamo Yosetsu,” si presentò l'Alpha senza battere ciglio. “Chi verrà con te?”

“Solo altri due. Il resto rimarrà qui.”

“Quando avete intenzione di tornare?”

“Domani, ma non aspettateci. Seguite i miei ordini.”

“E se aveste bisogno di rinforzi?”

“Il tuo lavoro è qui, niente di più.”

“Come vuoi.”

“Un'ultima cosa, hai presente l'Omega biondo?”

“Il tuo Omega—”

“Non è mio! Ma sai di chi parlo.”

“Sì.”

“Beh, lui è responsabile del suo gruppo. Se avete bisogno di qualcosa, chiedi a lui. E se chiede qualcosa, procuraglielo.”

Yosetsu annuì e si dileguò. Una volta che fu tutto pronto Katsuki si scoprì il capo e usò uno dei secchi di acqua piovana per lavarsi. Per un momento esitò dal lavarsi le mani nel secchio, sapeva che non appena l'avrebbe fatto, il profumo di menta sarebbe scomparso e l'idea lo infastidiva. Alla fine strinse le labbra, si spogliò e si lavò in fretta, pulendo il suo corpo dal sudore e dal fango.

Scosse via l'acqua fredda e si vestì velocemente, senza perdere tempo. Mentre si dirigeva verso la zona della colazione continuò a toccarsi lo sterno, dove sentiva il sacchetto di stoffa che conteneva la fialetta di Izuku.










 

Ochako si alzò pulendosi la bocca con il braccio, usò il pezzo di stoffa vicino a lei per lavarsi le mani e poi coprì la nudità del suo compagno con la coperta vicino. L'Omega fece le fusa sotto la coperta e scrollò le spalle tornando a dormire.

Attorno a lei c'erano sospiri leggeri, movimenti di chi tremava nel sonno e lievi sfregamenti di pelle contro pelle di chi si era appena svegliato.  Ochako si chinò su ogni coppia dormiente, in alcuni casi usava un panno bagnato per rinfrescarli e se necessario li aiutava con le mani o la bocca per alleviare i loro bisogni.

Era un’abitudine che avevano sviluppato in prigione, durante il periodo degli heat tenevano tutti dei turni per calmare i loro compagni prima di andare a dormire e subito dopo essersi svegliati. Durante il giorno masticavano del panax ma ora che viaggiavano nei carri potevano farne a meno e tenerlo per occasioni particolari.

Il vagone aveva il loro odore; aromi mischiati che si intensificavano o affievolivano durante il giorno. Ochako se ne immerse e quando finalmente tutti i suoi compagni si addormentarono lasciò la camera da letto improvvisata per stirarsi i muscoli sotto il cielo chiaro.

Aveva smesso di piovere e il cielo era di un grigio chiaro. Il sole era nascosto dietro le nuvole e ogni tanto vedeva i raggi che le attraversavano. Ochako inspirò il profumo della foresta e il suo stomaco svolazzò alla sensazione. Annusò il campo aperto e il letto di foglie bagnate.

Yui le si avvicinò emozionata, masticando una manciata di cracker.

“Sono venuta a darti il cambio,” disse con impeto, la schiena dritta e la testa in alto.

Era una persona completamente diversa dalla ragazza timida che inciampava nei corridoi della prigione. Anche Ochako si sentiva in quel modo: libera e frizzante. Ma aveva ancora problemi ad abituarsi a quella sensazione.

“Darmi il cambio?” Chiese, accettando il biscotto che le diede Yui. “Ma non manca molto alla partenza.”

“Oggi non viaggeremo. Mangeremo e riposeremo.”

Lo stomaco di Ochako lottò contro la paura in una reazione involontaria. Nonostante la gioia che sentiva dopo essere stata liberata, il sospetto era ancora lì, in agguato dentro di lei, stimolando la sua immaginazione e rafforzando i suoi incubi.

“Dov'è Denki?”

“Con il gruppo che prepara il cibo per gli Alpha. Il nostro falò è laggiù,” indicò il fuoco lontano dall'ultimo vagone. “Chieko sta organizzando i viveri per i malati e mi ha chiesto se puoi occuparti di quelli per chi sta dormendo nei vagoni.”

Ochako si inumidì le labbra e annuì.

“Posso farlo, ma prima devo parlare con una persona.”

Salutò Yui e si allontanò dal suo vagone andando verso il falò dove gli Alpha stavano pranzando. Si fece coraggio mentre si avvicinava perché l’odore che circondava il luogo era pieno di forza ed energia. Molti di loro la fissarono, ma Ochako non osò ricambiare lo sguardo perché non voleva rivedere volti familiari dalle sue visite nelle celle scure. Erano ricordi che non era pronta ad affrontare. Perciò camminò a testa alta, nonostante la sensazione di un pugno di ferro che le stringeva lo stomaco, lo sguardo fisso sul percorso davanti a lei.

Vide Denki in piedi davanti al fuoco, mescolava la zuppa in un’enorme pentola di metallo. C’erano una manciata di ragazzi con lui che servivano il cibo, senza reagire ai commenti che sentivano. La persona che Ochako stava cercando era seduta in prima fila, dietro il fuoco, con gli occhi fissi sul suo amico.

Ochako si diresse verso di lui.

“Ciao,” disse, sedendosi vicino a Kirishima.

L’Alpha annuì, anche se la sua attenzione non lasciò mai il falò dove l’Omega serviva il cibo.

“Ho sentito che oggi non viaggeremo, come mai?”

“È il primo giorno che non piove quindi faremo dei test con l’incenso. Cacceremo del cibo fresco e manderemo una pattuglia a controllare la prigione vicina.”

“Un’altra prigione? E se ci scoprono? O ci attaccano? Se ci inseguono?”

“La fortezza sarà sicuramente vuota. Gli ordini che abbiamo trovato nell’ufficio del capitano parlavano di svuotare le prigioni e concentrare tutte le forze nella capitale per affrontare le truppe d’invasione. È molto probabile che non ci siano nemmeno soldati nelle vicinanze. Sono stati mobilitati tutti.”

“Non puoi saperlo con certezza.”

Il suo cattivo umore si mostrò oscurando l’aria intorno a lei. L’aroma di nocciole si intensificò, diventando più amaro, concentrandosi in un tentativo di farsi consolare dall’Alpha.

Kirishima si voltò verso di lei. “Qual è il problema?”

“Non voglio stare qui. Voglio andare a casa.”

“Hai paura?”

“Chi non ne ha? Ho paura che ci prendano. Ho paura di tornare nelle celle. Ho paura di svegliarmi e scoprire che sono tornata lì, sottoterra.”

“Non tornerà nessuno lì, te l’assicuro.”

Ochako scosse la testa, incapace di esprimere a parole l’ansia che si agitava dentro di lei. Si coprì il volto con le mani e prese un respiro profondo, concentrandosi sul profumo di zafferano che la persona accanto a lei emanava. Dolce e intenso, pieno di sfumature ricche che riuscivano a calmare il suo cattivo umore.

“Chi andrà?” Chiese con un sospiro stanco.

“Sarà un piccolo gruppo, l’idea è di andare e tornare il prima possibile. Bakugo, Hiryu e io. Partiremo appena fatta colazione.”

“Chi resterà al comando?”

“Yosetsu.”

Quando sentì il nome, la tensione nelle sue spalle si alleviò. Il suo sollievo era così palpabile che Kirishima si voltò verso di lei.

“Ti piace?”

“Si può ragionare con lui,” spiegò bruscamente Ochako. “E non ci ha mai considerati come oggetti inutili.”

“Chi vi tratta in quel modo?”

Ochako aggrottò le sopracciglia quando lui la guardò, indecisa se aprirsi o lasciar morire la discussione. Alla fine alzò le spalle, in un gesto ambiguo. Restarono in silenzio per un po’ mentre il rosso finiva di mangiare, anche se in realtà stava solo giocando col cibo senza che la sua attenzione deviasse mai da Denki.

Ochako sospirò, “Perché non vai a parlarci?”

“Mi detesta,” spiegò Kirishima senza farfugliare. “Non so perché, ma mi odia. Ogni volta che cerco di parlare con lui mi evita e non mi guarda nemmeno negli occhi. Non mi sopporta, mi disprezza.”

“Lo dici tu.”

“Perché mi odia?”

“Non ti odia.”

“Certo che sì. Non mi parla. Non ride con me.”

“Non ha molte ragioni per farlo.”

“Ride con… Stava ridendo con lui.”

“Con chi?”

“Sai con chi. Li hai visti.”

Ochako annuì. Sì, li aveva visti. Tutti nel convoglio avevano assistito alla familiarità con cui Denki trattava il leader. Non esitava nemmeno quando l’altro gli rispondeva in malo modo; nonostante il cattivo umore dell’Alpha, Denki non sembrava mai sulla difensiva e non si comportava mai come se avesse paura di lui. Lei lo capiva, anche gli altri Omega, ma suppose che per un Alpha la situazione fosse incomprensibile.

“Non ti odia,” disse dolcemente, cercando di tenere quelle parole per loro e nessun altro. “È solo che non sa come trattarti.”

Kirishima la guardò di nuovo, e stavolta la sua espressione era di puro sbalordimento. Era un’espressione così adorabile che Ochako sorrise e si addolcì. Glielo spiegò.

“Denki è venuto a letto con te,” disse con il tono di una madre dalla pazienza infinita. “Non sei stato il primo… ma eri uno di molti… Non posso dirti per quanto tempo siamo stati sottoterra, non saprei, ma posso dirti quanti di voi ci hanno costretti ad avere rapporti e non mi basterebbero le dita delle mie mani. Non tutti erano amichevoli, non tutti sapevano controllarsi, né erano in grado di distinguere un ‘continua’ da un ‘aspetta’. Alcuni non capivano che lo facevamo per sopravvivere, per evitare punizioni peggiori o un destino orribile, credevano di avere dei diritti su di noi… L’unico modo per evitare che ci distruggesse era definire una barriera chiara tra noi e loro. Abbiamo tutti costruito dei muri. Denki ne ha uno… ma non ti odia, solo non sa come comportarsi con te. Non sa cosa vuoi da lui.”

“Ma non è così con...”

“Perché con lui si sente al sicuro. Denki sa che con lui non è in pericolo, sa che nonostante la situazione non sarà mai costretto a ripetere quello che ha fatto nelle celle scure.”

Kirishima la guardò a bocca aperta, Ochako riusciva quasi a vedere le idee e le conclusioni che si agitavano nella sua testa.

“Io… Con me non parla… ma tu sì...”

Ochako sorrise e alzò le sopracciglia.

“Oh!” Esclamò Kirishima non appena capì. “Proprio come loro… tu ti senti al sicuro con me?”

“E?”

“E se voglio che smetta di scappare, devo dimostrargli che non gli farò del male.”

“Molto bene, che altro?”

“Devo dargli spazio.”

“A-ha.”

Kirishima annuì distrattamente, guardò il suo piatto e per un momento non disse nulla. Alla fine si voltò verso di lei.

“Significa che non dovrebbe piacermi? ...Perché se è così… non so proprio come evitarlo.”

Ochako sospirò e gli sorrise.










 

Invece di sentirsi libera, Mina notava il nodo di ansia che cresceva dentro di lei. C’era qualcosa di profondo dentro di lei che non la faceva dormire, un avvertimento che risuonava nelle sue orecchie ogni volta che si alzava e iniziava la marcia con il gruppo allontanandosi dal suo villaggio.

“Forse è la certezza che non torneremo presto,” le disse Mashirao quando si azzardò ad esprimere il suo sconforto.

Mina annuì, distratta.

“Hai ragione. Ci sto pensando troppo.”

Cercò di ignorare le sue preoccupazioni, concentrandosi sul suo compito di andare avanti; non aiutava che i suoi comandanti continuassero a tenere il suo gruppo lontano dalle attività di routine. Era come se stessero limitando il loro contatto con il resto della truppa. Tutti i ragazzi del suo villaggio si radunavano lontano dal gruppo principale, mangiando e riposando in una zona separata, ridendo e scherzando riguardo il futuro che li attendeva. Mina cercava di partecipare, ma non smetteva di guardarsi indietro. Continuava a sentirsi angosciata.

‘Ho consegnato le fialette, ho fatto tutto,’ si disse ancora una volta, tre notti di fila. ‘Anche se li dovessero trovare, sarebbe impossibile risalire a me.’

Non riusciva a cancellare dalla memoria l’immagine di Shuichi Iguchi che camminava nel suo villaggio, la pelle verde e gli occhi rettiliani. Normalmente la visita di uno degli uomini di Shigaraki non avrebbe causato una tale angoscia, ma il senso di colpa non le permetteva di levarselo dalla testa.

“Smettila di pensarci,” le disse quella notte Mashirao mentre montavano le tende per dormire.

Il suo amico stava cercando di distrarla e lei lo ascoltava incerta. Quel giorno, i loro comandanti li avevano mandati a dormire presto e sollevati dal turno di notte; mentre i suoi compagni se ne rallegravano, l’ansia di Mina si agitò.

“Non è strano?” Chiese, seduta sulla sua coperta ascoltando la pioggia cadere sul tetto della tenda.

“Cosa?”

“Questo viaggio. Siamo partiti prima del solito, non partecipiamo ai gruppi esplorativi. Ci manderanno alle linee difensive e non alla capitale, non credi che ci stiano trattando come criminali e non come nuove reclute?”

“Ti stai lamentando perché dormirai tutta la notte e non dovrai infradiciarti sotto la pioggia per ore?” Intervenì Shihai, appoggiato all’altro lato della coperta di Mina. “Dovresti esserne grata! Di certo io preferisco così.”

“Per quale motivo ci tengono separati dagli altri?” Rispose Mina, affrontando il compagno. “Perché ci mandano al fronte a combattere?”

“Perché i selvaggi sono qui e dobbiamo difendere la nostra casa.”

Mina si morse il labbro e spostò lo sguardo da lui.

“Se ti dà così fastidio,” disse Mashirao con un sorriso benevolo, “possiamo andare con il capitano e chiedere che ci facciano partecipare al turno di notte. Non possono rifiutare una richiesta formale.”

Annuì e uscirono entrambi sotto la pioggia. Circondarono il perimetro del campo e si spostarono velocemente, cercando di bagnarsi il meno possibile. Non erano neanche a metà strada quando sentirono la conversazione tra due sentinelle.

“Tradimento?” Chiese uno con la voce incredula. “Da parte di chi?”

L’interlocutore non era un sentinella. Mina riconobbe immediatamente la voce del Capitano, una voce ferma e serena che, pur sussurrando, riusciva a trasmettere autorità.

“Ken Ishiyama,” non appena sentirono quel nome, Mina e Mashirao si guardarono con la stessa espressione spaventata, “Che resti tra noi. Nessuna delle reclute dovrebbe saperlo. Gli ordini di Shigaraki sono di mandarli alle linee difensive e tenerli sotto sorveglianza.”

“Come ordina lei, Capitano. Cosa succederà a Ishiyama?”

“Hanno inviato un Ufficiale a stabilire i capi d’accusa.”

“Chi?”

“Shuichi Iguchi.”

Il resto della conversazione si perse quando si allontanarono, Mina e Mashirao aspettarono un momento finché non furono sicuri che non ricomparisse nessuno. Subito dopo, tornarono indietro.

“Devi dirglielo,” mormorò Mashirao; prima che potesse allontanarsi Mina lo trattenne per un braccio. Vide la sua espressione di panico e si dimenticò completamente dei suoi compagni.

“È colpa mia?” Mormorò lei, gli occhi spalancati e le labbra tremanti.

“Certo che no,” disse Mashirao, accarezzandole la schiena in un gesto di conforto e supporto.

“Ho lasciato le fialette, portato le lettere

“Se sapessero cos’hai fatto ti avrebbero interrogato, ma così non è stato. Non sanno niente di te.”

“Sanno di Ishi

“Non pronunciare il suo nome ad alta voce. Non si sa mai. Sì, sanno di Cementos. È molto probabile che sappiano anche di Kamui.”

“Abbiamo visto Shuichi al villaggio, prima che partissimo.”

“Lo so. Doveva essere lì solo per aiutare le reclute.”

“È rimasto indietro. È rimasto al nostro villaggio.”

“Tranquilla, Mina, probabilmente non significa nulla.”

“Voglio andare a casa.”

“Non possiamo andarcene ora. Se ci segnaleranno come disertori sarà anche peggio per Cementos. Dobbiamo restare qui.”

“Ho una brutta sensazione, Mashirao. Ti prego, ti prego, torniamo a casa.”

“E quando verranno a cercarci?”

“Decideremo allora… ti prego, voglio vedere mia sorella. Non sopporto il pensiero che Iguchi sia nel suo stesso villaggio.”

Sul suo volto era così chiaro il panico che Mashirao non trovò la forza di rifiutare la sua richiesta.

“D’accordo, torneremo indietro, ma dobbiamo pensare ad una scusa da usare sul perché ce ne siamo andati. Dovrà essere molto convincente...”

“Ci penseremo, sei pronto?”

“Non lo diciamo agli altri?”

“No, sarebbero costretti a mentire. È meglio che non sappiano nulla. Se partiamo adesso gli ci vorrà un po’ di tempo per realizzare che ce ne siamo andati, ci farà guadagnare tempo per cancellare le nostre tracce.”

“Lasciamo qui le nostre cose?”

La risposta di Mina fu di voltarsi e sparire tra la boscaglia.

Viaggiarono di fretta, in una zona a loro familiare. La pioggia cadeva incessante su di loro, ma non protestarono mentre avanzavano lungo pozzanghere fangose e pendii scivolosi. Invece di continuare sulla strada principale, deviarono verso zone più basse. Evitarono di prendere il percorso principale verso il loro villaggio e scesero a valle con l’intenzione di risalire dall’altro lato.

Mangiarono delle bacche e dei frutti che riuscirono a raccogliere per strada, e masticarono foglie dal cattivo sapore che scoraggiavano la fame. Il secondo giorno, quando la pioggia divenne insopportabile, costruirono un piccolo riparo fatto di rami per riposare.

Il terzo giorno fu il peggiore di tutti perché fu il momento di risalire. Marciarono a un ritmo lento, scivolando sul terreno bagnato. Non arrivarono nemmeno a metà strada quando decisero di prendersi una pausa. Dormirono al riparo di un albero, schiena contro schiena, aspettando l’alba.

Il quarto giorno arrivò senza pioggia, fresco e chiaro come un pomeriggio estivo. Mangiarono le loro misere provvigioni e salirono in fretta, approfittando del giorno. Sopra di loro si stagliava la seconda prigione dall’altro lato della valle. Sapevano entrambi che era deserta, erano determinati a passare la notte tranquilli, magari prendere un cambio d’abiti e speranzosi di riuscire a entrare in possesso di qualche arma abbandonata.

“Qui vicino c’è uno dei rifugi di Kamui,” disse Mashirao quando il sole iniziò a nascondersi.

“Quale?”

“Quello a forma di nido, credo. Ricordo di aver sentito Cementos dire che vedeva spesso Kamui in questa regione… Forse riusciremo a trovarlo.”

“Ne dubito, quando sono andata da lui a prendere le fiale, mi ha detto che uno dei corvi di Kurogiri aveva rintracciato il suo covo. Voleva partire immediatamente, ma le sue spie hanno insistito per restare. Si preoccupava dei tre giorni che avrebbe dovuto aspettare, mi disse che non appena sarebbe tornato per loro li avrebbe portati alla costa. Non voleva perdere altro tempo.”

Mashirao si fermò. “E se andassimo a cercarlo?”

“Non vedremo niente una volta diventato buio.”

“Se non lo troviamo continuiamo il percorso per la prigione, ma dobbiamo almeno provarci. Magari ci sono delle coperte e del cibo.”

Mina annuì e si diressero verso l’area boschiva dal lato della fortezza. Rintracciare il nido nella semi-oscurità sarebbe stato impossibile per qualcuno che non sapeva cosa cercare. Mashirao ne riconosceva la differenza e quando lo trovò aiutò Mina a salire.

Mashirao salì aiutandosi con la sua coda e tra tutti e due passarono un po’ di tempo a rovistare tra gli scaffali e le borse abbandonate. Trovarono dell’acqua vecchia, un barattolo pieno di acqua pulita, biscotti e della frutta secca. C’erano anche coperte e dei coltelli nascosti tra i rami più alti. Divorarono il cibo che trovarono e riposarono le gambe.

“Vuoi restare qui?” Chiese Mashirao masticando lentamente.

“No… siamo già molto vicini, preferirei continuare e arrivare il prima possibile. La luna ci dà abbastanza luce per continuare.”

Si alzò e accettò l’aiuto di Mashirao per scendere. Si mossero lentamente, senza fermarsi. Mina camminava dietro, seguendo il percorso che il suo compagno le apriva. All’improvviso e senza motivo, Mashirao si fermò di colpo.

“Cosa—?

Mashirao alzò la mano chiedendole di fare silenzio. Le fece velocemente segno e Mina assunse la posizione difensiva. Appena in tempo, perché all’improvviso una figura scura le saltò addosso come una bestia selvaggia.

Mina cadde a terra con l’ombra sopra di lei. Senza perdere la calma e piena di adrenalina, Mina tirò un pugno che si collegò direttamente con la testa del suo aggressore. Non appena notò che le mani che la tenevano esitarono, Mina si spinse per ribaltare la posizione in cui si trovava. Una volta sopra, alzò un braccio per evitare il pugno che si lanciò verso il suo volto e poi ne mandò uno verso il naso del nemico, solo che stavolta l’ombra si difese.

La spinse e Mina riuscì a raddrizzarsi giusto in tempo per evitare l’attacco dell’ombra. Danzarono in sincronia, tirando pugni e calci. Mina era veloce e riuscì a colpire in successione, ma alla figura bastò attaccarla solo una volta per infliggerle lo stesso danno.

L’ombra riuscì a prenderla per il collo e Mina si portò in avanti, forzando il torso a girare in aria. Il nemico cadde per terra con un tonfo sordo, Mina alzò la gamba e la fece cadere nello spazio dove pochi momenti prima c’era la testa dell’avversario.

La sagoma si voltò e saltò. Mina gli diede un calcio, ma calcolò male l’angolo e l’altro approfittò della sua distrazione per tenerla e buttarla giù. Cadde al suolo e subito l’ombra fu sopra di lei. Il suo braccio destro tenuto giù dal ginocchio dell’avversario e il sinistro finì immobilizzato sopra la sua testa.

Con il peso del nemico sul petto, Mina restò immobile.

Solo allora trovò il tempo di contemplare il volto dell’ombra.

“Tu?” Mormorò sorpresa, osservando i capelli biondi e i ferrei occhi scarlatti.



 



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Questo capitolo è stato un vero e proprio parto.
Mi dispiace farvi aspettare così tanto, sul serio, ma avendo mille impegni - tra cui un lavoro fulltime - non mi ci posso dedicare tutti i giorni. In ogni caso ci tenevo a farlo uscire entro il compleanno di Katsuki <3
Una cosa posso assicurarvela: non ho intenzione di abbandonare la traduzione di questa fic. Dovessi metterci anni, la finisco. Vi chiedo solo un po' di pazienza Grazie <3
Inoltre vi lascio qui il link alla meravigliosa art che io e la mia amica artist abbiamo ideato per il compleanno di Katsuki, riconoscete i fiori della corona? <3 https://twitter.com/NekoriTanuka/status/1119543760004767744
Prossimo capitolo:

“Preparativi”




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Capitolo 16
*** Preparativi ***


Capitolo 16 - Preparativi





 

La linea di separazione tra Hosu e il deserto dei Noumu era un immenso muro di pietra che cresceva dalla riva e si estendeva lungo il continente fino a raggiungere la formazione rocciosa che segnava l'inizio della catena montuosa che correva lungo Hosu.

Il muro era visibile da chilometri di distanza ed era la ragione principale per cui i Noumu non valicavano il deserto rosso. Alcuni, specialmente quelli con abilità nel salto, a volte oltrepassavano solo per essere uccisi poco dopo dalle sentinelle del Colonnello che gestiva la regione.

Mentre Kyoka puntava al muro, Tenya tirò le redini del suo cavallo e si fermò, estasiato dalla vista.

“Stai entrando in territorio nemico, sei emozionato?” Chiese la ragazza con un sorriso ampio mentre schioccava la lingua per obbligare la cavalcatura ad andare avanti.

Tenya imitò il suono e presto entrambe le bestie avanzarono fianco a fianco.

“Non capisci,” disse Tenya, asciugandosi il sudore dalla fronte. “Sono passate più di tre settimane da quando ho lasciato il principe senza protezione. Quasi un mese! Se è andato tutto secondo i piani, Todoroki-ouji resterà con il contatto aspettando il nostro arrivo e Aizawa-sensei avrà avvertito il re dell’alleanza.”

“Allora qual è il problema?”

“Il principe è da solo!”

“Avevi detto che è con un compagno.”

“E ti avevo anche detto che non è addestrato al combattimento.”

Kyoka alzò le spalle — a quanto pare era il suo gesto preferito — e intimò il suo cavallo finché non riprese il leggero trotto che il resto del gruppo seguiva.

Tenya le corse dietro, spostando gli occhi da un cavaliere all’altro, ancora sorpreso che fossero lì. Non era l’esercito che si aspettava di assemblare, tantomeno numeroso: sedici guerrieri incluso il leader Togata. La loro missione, più che combattere, era negoziare con il principe e determinare le condizioni dell’alleanza.

Nient’altro.

Malgrado tutto, a Tenya piaceva la loro compagnia. Senza di loro, non sarebbe mai riuscito ad attraversare il deserto. Le loro abilità di trovare acqua, cacciare, e difendersi dai Noumu che emergevano dalla terra, erano la ragione per cui intendeva completare la sua missione.

Tenya schioccò la lingua e il suono fece rallentare la bestia. Erano andati avanti velocemente sotto l’instancabile sole pomeridiano finché lentamente il cielo azzurro non era diventato una finestra di colori intrecciati mentre la giornata finiva. Prima che la luce svanisse il gruppo si fermò per iniziare l’accampamento.

“Ma siamo così vicini!” Mormorò Tenya, ancora sulla sua sella mentre osservava desideroso il muro di pietra visibile a distanza.

“Sembra vicino,” disse Kyoka accondiscente. “Ma anche se partissimo domattina presto, raggiungeremmo la base in nottata. Poi dovremmo risalire e trovare la cascata dove si trova il tuo principe.”

“Aizawa-sensei ha detto che è il punto d’incontro.”

“Beh, ci aspettano ancora diversi giorni di viaggio.”

Senza una risposta appropriata, Tenya aiutò a togliere le redini e le staffe delle selle. Gli animali, una volta liberi, si raggrupparono attorno al cibo che la ragazza aveva portato loro. Tenya restò a guardarli mangiare finché il suo stomaco non brontolò rumorosamente. C’erano quattro falò accesi, ognuno con un piccolo gruppo di guerrieri che si scambiava cibo e bottiglie d’acqua.

Tenya si sedette vicino al gruppo del leader Togata. Rifiutò educatamente la carne di lucertola che uno di loro gli offrì mentre la abbrustoliva sul fuoco, invece accettò i biscotti che Yaoyorozu gli porse. Accettò il pane e la carne secca, ma non apprezzava la loro abitudine di mangiare pelli, insetti, formaggio ammuffito e carne mezza cruda.

“Non fare quella faccia!” Rise Kousei quando lo vide storcere il naso davanti alla sua lucertola. “È cibo.”

“Metà della tua lucertola,” si intromise Kyouka frugando nella sua borsa, “per un terzo del mio formaggio.”

Tenya fece orecchie da mercante alla loro discussione, e si distrasse studiando i compagni. Da quando erano entrati nel deserto, il gruppo aveva abbandonato i pesanti strati di pelliccia per mettersi pantaloni bianchi e maglie a maniche lunghe che li proteggevano dal sole. Indossavano cappelli di stoffa con veli che coprivano il viso e il collo. Il suo completo era fatto di un materiale leggero che permetteva alla pelle di respirare.

Toglievano i cappelli solo di notte, lasciando scoperti i visi. Vicino a Tenya sedeva Yaoyorozu, un chiaro simbolo della bellezza barbarica, con gli zigomi definiti, l’altezza sopra la media, il profilo forte e i capelli neri come inchiostro versato, ma di per sé era di una delicatezza piena di sorrisi timidi e nervosismo. E come se non fosse abbastanza, aveva una splendida orchidea dietro l’orecchio destro, le cui foglie crescevano verso la gola. Quando si voltò per parlare con Kyouka, Tenya riuscì a vedere il motivo delicato dai colori lilla che delineavano i petali. Il fiore di seduzione e bellezza assolute.

Invece Kyouka, leggermente più piccola della sua gente, aveva deciso di compensare quella sfortuna diventando una rapida e feroce guerriera con lance e corde; Tenya l’aveva vista saltare su una bestia Noumu usando solo la sua lancia. Non aveva scrupoli nel mangiare qualsiasi cosa ed era riuscita a farsi posto tra gli uomini nella guardia personale di Togata. L’Anthurium sulla sua guancia era nitido e di un rosso acceso, come il sangue che scorreva lungo le sue vene.

Al suo fianco c’era Kousei Tsuburaba, alto e valoroso, pieno di sorrisi sarcastici e risposte incisive. Il suo interesse per Kyoka era ovvio, ma non ovvio quanto il disinteresse che lei mostrava per lui quando decideva di fare il simpatico. Tenya non vedeva fiori su di lui e suppose che fosse perché era sempre coperto dalla testa ai piedi.

Accanto a lui Mirio Togata, il leader delle tribù barbare, alto, forte… e fiero. Da quello che aveva sentito molti uomini si riferivano a lui come al sole, per via del suo carattere possente e la sua abilità di illuminare il posto in cui si trovava. Durante la sua udienza, Tenya aveva visto il girasole che portava sopra il cuore, ne ricordava ancora i toni gialli, la delicatezza dei petali, i dettagli complessi dei semi al centro. Era il fiore della resistenza, quello che guardava sempre al sole e se ne nutriva.

Al suo fianco c’era Amajiki, il suo consorte nonostante fosse un Beta. Anche lui possedeva la classica bellezza delle tribù barbare, i capelli di un nero lucente, corti ed eleganti. Aveva la stessa delicata natura di Yaoyorozu, gli stessi gesti. Sul suo polso sinistro cresceva il fiore di luna, l’unico che Tenya avesse mai visto in vita sua. Risplendeva di quel biancore brillante e raffinato, con un piccolo centro giallo chiaro. Aveva un’infinità di petali lunghi e larghi che crescevano in forme irregolari. Secondo la leggenda era il fiore che cresceva solo sulle montagne e sbocciava solo durante la luna piena. Bellissimo, irraggiungibile e unico.

Tenya sapeva che se le tribù erano regolamentate da un governo monarchico ereditario, il leader sarebbe stato obbligato a sposare una donna Omega o Beta con l’intento di preservare la linea di sangue, ma in questo caso erano liberi di scegliere il proprio sposo.

Infine, a chiudere il cerchio e alla sinistra di Togata c’era il suo braccio destro, la sua guardia del corpo e il suo guerriero più leale. Inasa Yoarashi. Enorme tra i suoi, rumoroso e chiassoso. Nemmeno su di lui era visibile un fiore, e lui era un altro Alpha capace di staccare la testa alle bestie Noumu.

Il resto del seguito aveva la stessa ferocia che caratterizzava i barbari, ma Tenya era grato che quei sei stessero viaggiando con lui. Con loro, Todoroki-ouji sarebbe stato al sicuro.










 

“L’erede di Yuuei è qui?”

“Così ci comunica il nostro contatto, Generale.”

“Dove?”

“Il messaggio non lo specificava, la sua priorità era informarci della morte del re. Abbiamo richiesto maggiori dettagli.”

“Beh, sto aspettando una risposta. Come sta andando il piano?”

“Alla perfezione, signore. Metà della flotta Yuuei composta da guerrieri Beta è sotto il controllo del nostro contatto. C’è ancora la seconda metà, che al momento sta prendendo posizione davanti al secondo porto. Abbiamo già organizzato un contrattacco per neutralizzare la loro forza Alpha.”

Il Generale annuì.

“E Chisaki?”

“L’armata di Overhaul ha lasciato il porto nel giorno indicato. Il loro arrivo a Yuuei è previsto a giorni. Per allora, non sarà rimasto nemmeno un guerriero sulla flotta reale.”

“È tempo di testare l’incenso Beta in campo aperto.”

“Molto bene, signore.”

“Quanti prigionieri abbiamo?”

“Dieci. Nove adulti e un giovane.”

“Andranno bene.”

“Un’altra cosa, signore.”

“Cosa?”

“Il capitano della prigione B al confine non si è presentato in servizio. Gli ufficiali partiti da lì con le nuove reclute hanno confermato la loro posizione qualche giorno fa, ma non abbiamo notizie dal resto della squadra né sappiamo nulla circa gli ultimi trasferimenti da quella prigione. Il suo ultimo contatto è stato quasi una settimana fa.”

“Ordina agli ufficiali di tornare indietro.”

“Sono troppo lontani, signore.”

“Chi è rimasto nella regione?”

“Gli uomini di Shuichi.”

“Mandali a investigare.”

“Ai suoi ordini, signore.”










 

Con gli occhi chiusi, Denki si concentrò, la cabina sapeva di sandalo, pesante, denso e invasivo. Per contrattaccarlo, Denki inspessì l’aroma attorno a lui finché la fragranza dolce delle arance non coprì ogni angolo del vagone. La voce dell’Alpha aveva una cadenza morbida e ritmica:

“Hai un profumo delizioso.”

Lo sentì inspirare profondamente. Sentì che l’atmosfera si stava rilassando.

“Inizia a contare,” disse Denki a bassa voce.

Il ragazzo obbedì, facendolo lentamente, pronunciando ogni sillaba con fermezza, enfatizzando gli accenti.

Denki storse il naso quando sentì il profumo che iniziava a diffondersi nel vagone. Non aveva un cattivo odore. Sapeva di latte addolcito col miele, delizioso e appiccicoso, ma aveva qualcosa, nella sua densità e veemenza, che dava il mal di testa.

Aveva la nausea.

Invece di rilassarsi, raddrizzò la schiena, scosse la testa e cercò una posizione più comoda. Ascoltò l’Alpha contare fino a duecentottanta quando la sua voce perse di fermezza. A trecentoquindici iniziò a biascicare le parole. A trecentotrentacinque si fermò, ripetè la quantità lentamente, si fermò di nuovo e non continuò oltre. Seduto per terra, con la schiena contro la porta, Denki aprì gli occhi e guardò l’Alpha di fronte a lui, un’espressione di dolce abbandono.

“Ehi.”

Silenzio. Denki fece un respiro profondo — notò il gusto latteo sul palato, la sensazione di miele appiccicoso sulle gengive — e si concentrò su un’emozione. Felicità. Il suo aroma si intensificò, crescendo fino a ricoprirli entrambi.

“Ehi.”

Silenzio. Denki allungò una mano e lo toccò. Un breve massaggio del palmo sul ginocchio piegato. Quando non ottenne risposta, Denki cambiò l’emozione. Tristezza. Il suo aroma perse di intensità e diventò dolce.

“Ehi.”

Niente.

Rabbia. Paura. Angoscia. Dolcezza. Sensualità.

Denki non alterò la sua espressione, inalò l’aroma di latte che sentiva assestarsi alla base del suo stomaco e ci riprovò. L’Alpha non reagiva né si muoveva al contatto. Denki respirò di nuovo, anelando una boccata d’aria fresca, invece inspirò soltanto il miele dolce che sentiva scendere giù per la gola.

Il suo mal di testa cresceva nell’unica cosa a cui riusciva a pensare.

Si alzò e bussò alla porta del vagone tre volte, una pausa, poi bussò di nuovo, come stabilito dal protocollo. Subito la porta si aprì e Denki saltò giù, il più lontano possibile. Uno dei suoi compagni si avvicinò con un otre d’acqua da cui bevve fino a svuotarlo. Con la coda dell’occhio vide due Alpha con dei fazzoletti sopra il volto, tirare fuori dal vagone il compagno immobile.

Yosetsu si avvicinò. Nelle mani portava una tabella con nomi e registrazioni.

“Duecentottanta,” disse Denki non appena gli fu davanti, “si è ammutolito a trecentotrentacinque.”

Yosetsu annotò il tutto sul foglio e sospirò.

“Resta nei normali parametri.”

Denki annuì. I test con le fialette aveva avuto parzialmente successo, gli Alpha che ne avevano usufruito erano arrivati a cinquecento e qualcosa, l’unico che era arrivato quasi a mille era Bakugo, che aveva ordinato di iniziare a fare pratica in coppia.

Fino a quel momento non erano stati molto efficaci.

“Continuiamo?” Chiese Denki, massaggiandosi la testa.

“No… per oggi abbiamo fatto abbastanza. Anche ventilando quella cosa, l’odore non svanisce immediatamente ed è pericoloso lasciare che si concentri. Magari faremo un altro turno prima del tramonto, ma per ora è tutto.”

Denki annuì, la sua attenzione virò verso il gruppo Omega che sedeva a pochi passi da lui, avevano tutti la stessa espressione esausta e puzzavano tutti di latte e miele. Gli bastò guardarli per prendere una decisione.

“Hai bisogno di altro?”

“No, perché?”

“Voglio portare la mia gente a fare un bagno.”

“Bè, di cosa avete bisogno?”

“Acqua e privacy. Vorrei spostare i nostri vagoni così che anche i miei compagni possano lavarsi.”

“Non potete allontanarvi.”

“Non andremo lontano, c’è uno stagno che possiamo usare? Qualcosa qui vicino.”

“Una delle pattuglie esplorative ci ha fatto rapporto circa un fiume a cinquecento metri da qui. La strada è libera.”

“Farà al caso nostro.”

“È troppo lontano, forse è meglio aspettare...”

“Se torna Bakugo e gli diciamo che ci fermeremo per lavarci, ci urlerà addosso fino a perdere la voce.”

Yosetsu storse il naso e Denki rise.

“Te lo sei immaginato, vero? Bene, andremo e faremo ritorno senza problemi.”

“Invierò una scorta.”

“Vogliamo lavarci in pace, niente scorte.”

Lo salutò prima che potesse replicare. I suoi compagni lo seguirono animatamente alla prospettiva di un bagno. Non appena arrivarono tutti, la notizia si diffuse come un incendio. L’intero gruppo Omega si mise all’opera. Da chi puliva le prede catturate a chi si occupava dei malati, ognuno di loro si affrettò a finire il lavoro per aiutare a spostare i carri.

Sentirono il rombo dell’acqua prima di vederla. Il suono era impressionante, assordante. Senza dubbio le piogge avevano fatto crescere il letto del fiume in una bestia indomabile.

Guidarono le bestie da carico, posizionarono i due vagoni bloccando la via e liberarono gli animali lasciandoli pascolare con le briglie legate con cura a un albero. Si divisero in tre gruppi, uno aiutava gli Omega in calore ad uscire, un altro portava l’acqua, e l’ultimo puliva l’interno dei carri. Presto tutti si spogliarono, schizzandosi e ridendo.

Faceva freddo, il sole era un punto luminoso che appariva e scompariva nel cielo nuvoloso, ma quel freddo era completamente diverso da quello della prigione. L’acqua aveva la freschezza delle montagne, non lo straziante confine della corrente gelida che arrivava dal sottosuolo.

Denki urlò quando sentì l’acqua fredda sulla schiena, ma era un suono eccitato, come quello di un bambino che riceve una bella sorpresa. Per vendetta, si voltò verso Ochako e le lanciò addosso un secchio d’acqua. Lei lo evitò facilmente e rise, indicandolo, finché Yui non riuscì a bagnarla dalla testa ai piedi. Si rincorsero come bambini incontrollati. Il resto del gruppo si disperse, godendosi il pomeriggio libero lontano da sguardi e giudizi. Si lavarono accuratamente, rimuovendo ogni traccia di fango e sudore.

Denki non smise di ridere, libero e a voce alta.

“Mi piace vederti ridere,” disse Ochako con un sorriso. “Mi piace ridere.”

C’era qualcosa nel modo in cui parlava, una tristezza profondamente radicata in lei, forse la stessa che Denki sentiva quando veniva colpito dai ricordi delle celle buie.

“Allora ridi,” disse Denki con semplicità.










 

“Se laviamo le uniformi, saranno asciutte prima di andare via?” Chiese Yui, annusando la sua.

“Ne abbiamo qualcuna di ricambio,” disse Denki facendo un rapido conto. “Possiamo cambiarci e lavare queste.”

Ochako e Denki si intrattennero a lavare, scuotere e battere i vestiti contro le rocce piatte raccolte.

“L’ha notato,” disse lei all’improvviso, senza fermarsi.

“Chi?”

“Sai di chi parlo.”

Denki si fermò a guardarla. La sua espressione era di assoluto sgomento.

“Cosa?”

Ochako si voltò verso di lui e quando parlò enfatizzò ogni sillaba guardandolo negli occhi.

Lui ha capito che lo stai ignorando.”

Invece di fingere di non capire l’argomento della loro conversazione, Denki arrossì. La sua pelle si tinse di rosso, dalla fronte fino alle spalle. La vergogna straripò in ogni poro.

“Perché parli di me con lui?”

“Perché sei il suo argomento preferito.”

Denki arrossì ancora di più.

“Ochako!”

“Cosa? È vero. Oggi era depresso perché pensa che tu lo odi.”

“Io non—…! AAGG! Ochako!”

“Sto solo riportando la verità.”

“Che altro…? Che cosa…?” Denki deglutì, guardò malamente i vestiti bagnati tra le mani, ringhiò e alla fine sputò il rospo. “Che cosa gli hai detto?”

“Che non lo odi. Che non sai come trattarlo. Che vuoi spazio.”

“Gli hai detto...” Per combattere il calore sul viso, Denki affondò il viso nell’uniforme bagnata. “Perché ci hai parlato?”

“Perché è mio amico.”

“Non è—”

“Va bene se ti piace. È un bravo Alpha.”

Denki si alzò, incapace di continuare la conversazione. Respirò a fondo, obbligando il suo rossore a sparire. Si inginocchiò vicino alla riva per lavarsi la faccia e quando si rialzò lo vide: un uomo enorme sull’altra riva del fiume cavalcava una bestia alta più di un metro.

Dallo spavento Denki si alzò in piedi col cuore che batteva all’impazzata. Prima che potesse urlare, prima che potesse dare il segnale d’allarme, l’uomo lo sorprese con la sua reazione. Si bloccò sui suoi passi e da dove si trovava Denki, vide il suo volto pieno di stupore e panico.










 

‘Viaggiare senza i vagoni è mille volte meglio’, pensò Eijirou mentre si muovevano a ritmo veloce seguendo Bakugou. Non dovevano preoccuparsi di scegliere strade stabili, guidare sciocchi animali o combattere con le ruote incastrate. Il loro piccolo gruppo di tre si muoveva velocemente, attraversando cespugli e arbusti in una linea dritta.

Arrivarono alla prigione a metà pomeriggio. L’immenso edificio sorgeva sul picco di una scogliera, con le sue alte torri e le bandiere scosse dal vento gelido. Invece di avanzare dritti verso essa, il gruppo restò al limitare della foresta, cercando guardie sulle mura o segni di vita.

Dopo che non ne trovarono alcuno, Hiryu si offrì di esplorare. Era un grosso rischio perché se avessero trovato delle guardie sarebbero dovuti fuggire e seminarli prima di tornare al gruppo.

Seduto vicino a Bakugou, Eijirou strinse i pugni mentre Hiryu si intrufolava nella prigione. Rimasero entrambi all’erta in caso di un’imboscata, e sapendo di dover scappare nel caso fosse scattato l’allarme.

Hiryu si avvicinò con cautela, senza perdere di vista la cima delle mura. Lo videro circondare l’entrata finché non sparì dietro essa. Quelli furono i venti minuti più lunghi della vita di Eijirou mentre aspettavano col cuore in gola. All’improvviso, Hiryu comparve alla porta e agitò le braccia.

La prigione era vuota, non c’erano bestie da soma nelle stalle, né guardie nelle baracche. Eijirou e Hiryu scesero nelle celle mentre Bakugou annusava da lontano. Sottoterra i corridoi puzzavano di reclusione e morte. Gli ci volle un po’ per trovare la strada per le celle buie, l’unica luce che li accompagnava veniva dalle torce che portavano. Sottoterra il buio era totale e il silenzio assoluto. Dentro le celle trovarono dei corpi, nessuno con un soffio di vita.

L’odore di putrefazione uscì attraverso la porta non appena l’aprirono. La nausea di Eijirou diventò incontrollabile dopo la quinta cella. Hiryu vomitò nel primo ascensore, mentre tornavano su.

Non tutte le celle erano piene, a quanto pareva il trasferimento era stato completato con successo. Quelli lasciati indietro erano stati lasciati a morire di fame. Eijirou sentì la rabbia e l’amarezza, ma non cedette al disgusto che ribolliva dentro di lui. Si prese il suo tempo per controllare ogni volto, come aveva già fatto prima, per assicurarsi che né Hanta, né Tetsutesu o Rikidou fossero lì.

Controllarono tutte le celle, ognuna di esse nutriva il rancore che sentiva per la sua gente. Se avesse potuto avrebbe voluto dar tutti loro una degna sepoltura, ma sapeva che non avevano le risorse necessarie.

Espieremo tutto questo.

Tornarono all’esterno, impregnati dell’aroma di marciume. Hiryu si lavò le mani e il viso non appena ne ebbe l’occasione. Eijirou no, non si osava.

“Non è rimasto nulla,” disse Bakugo non appena li vide. “Faremo meglio a tornare.”

“C’è qualche novità che dovremmo sapere?”

“Una lettera da un certo Dabi a Mustard, chiedendo di cercare Toga. Nessun’altro dettaglio. Il resto è corrispondenza simile a quella dell’ufficio del capitano.”

Eijirou annuì e lo seguì mentre si dirigeva all’esterno. Avanzarono velocemente, lo stomaco di Eijirou brontolava in toni leggeri, per calmarlo masticò foglie di borragine. Non riusciva a scrollarsi di dosso la vista di quei cadaveri abbandonati nelle celle.

Fermi.

L’avvertimento arrivò sotto forma di un aroma nero, amaro nella sua densità e completamente paralizzante. Eijirou guardò Bakugou che si era piegato in una posizione difensiva scrutando con attenzione l’ambiente circostante.

Accadde tutto troppo in fretta. L’aroma esplose in toni rossi, tagliente e feroce, urlando a gran voce, pericolo. Eijirou si mosse senza fermarsi a pensare come Hiryu. Attraversarono entrambi i cespugli cadendo sui loro nemici. Non riconobbero odori familiari né segni di pericolo.

Uno di loro aveva una coda robusta, coperta di peluria bionda con un ciuffo dello stesso colore all’estremità. La cosa sembrava avere vita propria perché quando Hiryu cercò di attaccarlo da dietro, quella si difese da sola come un’entità individuale.

Furono obbligati a coordinare i loro attacchi per batterlo, colpendo e difendendosi, guidati solo dall’aroma che emettevano. Riuscirono ad atterrare il loro avversario, Eijirou tenne il demone fermo per terra, il ginocchio che esercitava pressione sulla colonna mentre Hiryu applicava tutta la sua forza contro la coda che non smetteva di agitarsi con una forza sovrumana.

“Tu?”

La voce gli fece voltare il capo, ma quando si distrasse il demone sotto di lui si agitò. Eijirou usò tutta la sua forza per tenerlo a terra.

“I fiori di lunaria non crescono in questa regione!”

Non appena lo sentì Eijirou alzò la testa con un movimento veloce. Vide Bakugou esercitare pressione sul demone che tirava calci senza successo.

“Li ho visti crescere nel villaggio dei primi uomini! Di loro non—”

La sua voce si ruppe. Eijirou si mosse prima che potesse processare quello che stava facendo. Prese l’Alpha da sotto le braccia e lo alzò, poi si piegò in due quando l’altro riuscì a colpirlo con una testata e un colpo allo sterno.

“No!” Il suo lamento perse di forza, ma almeno era riuscito a calmare tutti.

“Che diavolo ti prende?” Chiese Bakugou mentre il demone a terra respirava senza sosta a pieni polmoni.

Eijirou si alzò lentamente e guardò il demone.

“Kamui?”










 

Non era Kamui.

Quando Eijirou rimosse la maschera trovarono un volto femminile dalla pelle rosa, occhi ambrati e pupille dorate. Aveva capelli biondo chiaro rosato e piccole corna dello stesso colore che protendevano dal capo.

“Non sei lui,” disse Eijirou con voce sorpresa. “Come conosci la parola d’ordine?”

“Me l’ha detta Kamui,” rispose la ragazza una volta riuscita a recuperare la voce. “Molti anni fa. Voleva assicurarsi che ci fosse un sostituto in caso fosse stato scoperto.”

Il suo tono non era tinto di paura né possedeva i toni acuti caratteristici del panico; la sua voce aveva un suono vellutato. Quando Bakugou la sentì, la fissò.

“Sei tu.”

“Allora adesso mi riconosci,” disse mettendosi le mani in viso. “Dannazione!”

“Non ti ho mai visto in faccia.”

“Per questo ho urlato il codice di Kamui!”

“Io non lo conoscevo.”

“Aspetta un attimo,” intervenì Eijirou, massaggiandosi il diaframma. La indicò e si focalizzò sull’Alpha. “Lei chi è?”

L’altro rispose con un cipiglio. “Ha portato lei le fialette.”

“Cosa?!” Si voltò verso la ragazza. “Sei stata tu?”

“Ho portato anche i messaggi,” la ragazza si tirò su lentamente con un breve sguardo al suo amico. “Allora?” Chiese con la schiena tesa, “Ci lascerete andare?”

Eijirou rivolse la sua attenzione a Bakugou, che ringhiò.

“Solo se tenete chiuso il becco e dimenticate di averci visti,” rispose incrociando le braccia.

“Quello che vuole dire,” disse Eijirou dirigendo il suo sguardo di disapprovazione verso Bakugou e tornando poi alla ragazza, “è che ti dobbiamo un favore per l’aiuto che ci hai dato quando eravamo prigionieri. E ci aiuteresti ancora di più se non dicessi a nessuno che ci hai visti qui.”

“D’accordo… Sì, sì, lo farò, ora levati quella faccia da funerale, okay? Santo cielo!”

Bakugou roteò gli occhi anche se obbedì, accontentandosi di guardare furioso il tipo con la coda.

“Quant’è acido,” mormorò la ragazza guardando l’Alpha.

“Sai dove si trova Kamui?” Chiese Eijirou, attirando la sua attenzione.

“Non lo sai?”

“Ci era stato detto di incontrarlo alla cascata, ma—”

“Meno dettagli!” Urlò Bakugou senza guardarli.

“...non so se sarà ancora lì.”

“L’ho visto l’ultima volta quando ho preso le fialette. Kamui aveva intenzione di lasciare i suoi amici vicino alla costa e poi nascondersi tra le montagne.”

“Nascondersi?”

“Mi ha detto che le spie di Kurogiri avevano rintracciato lui e i suoi amici.”

“Sì, il pacco con le fialette conteneva una lettera che diceva la stessa cosa.”

“Kamui era preoccupato che ci volessero ancora tre giorni per portarli via. Se fosse stato per lui sarebbe partito nell’immediato, ma i tuoi amici hanno insistito per restare.”

“Che direzione hanno preso?”

La ragazza scosse la testa. “Non lo so.”

Eijirou annuì, era pronto ad andarsene quando si ricordò di chiedere una cosa.

“Quante persone c’erano con Kamui?”

“Solo due.”

“Uno di loro era un uomo con capelli e occhi neri, e un’azalea sul viso? Forse il più alto del gruppo.”

“No, quello non l’ho visto. Il più alto non aveva fiori sul viso, ma una grossa bruciatura.”

“Aveva i capelli di due colori diversi?”

“Sì, e anche gli occhi di colori diversi, uno azzurro e uno castano.”

“Ma non poteva essere il più alto, non c’era un uomo biondo con lui? O qualcuno della mia età, con occhi e capelli blu?”

“No… Quello col volto sfregiato era il più alto. Con lui c’era un ragazzo magro. Aveva gli occhi e i capelli verdi… e tutto il volto pieno di piccoli puntini scuri. Erano definiti lungo il naso e più sbiaditi vicino agli occhi.”

Non finì nemmeno di parlare che Bakugou la prese dal bavero della maglietta.

“Che cosa hai detto?!”





 

____________________________________________________________________________________________________________________________________

E QUINDI.

"Ehi, Roquel, che succederà quando Katsuki scoprirà che Izuku è attualmente perso per Hosu?"
Bé, ci sono due possibilità.
Uno. Il nostro ragazzo corre come un pollo senza testa seguendo qualsiasi traccia o
Due. Forma un esercito Alpha/Omega annientando tutto per trovarlo.
Hmmm... Io so quale mi piace, voi che ne pensate?

Comunque abbiamo tre culture diverse, ognuna di esse con le proprie caratteristiche che Roquel ha cercato di mostrare man mano. Riguardo a come vengono trattati gli Omega, è più o meno così:

A Yuuei
Omega: Voglio un'attività o un lavoro.
Alpha: Certo che no. Il tuo dovere sono i bambini. Trova un marito e occupati della casa.

Nelle isole Kohei
Omega: Voglio imparare a tirare con l'arco.
Alpha: Davvero? Non è molto comune... ma okay, tieni il tuo arco così puoi allenarti.

Nelle tribù barbare
Omega: *esiste*
Alpha: *arrossisce*

__________________________________________________________________________________________________________________________________

So che sono passati due mesi but still sono contenta di essere riuscita a portarvi prima di quanto pensassi <3
Cercherò di mantenere questo ritmo e magari accorciarlo ancora di più (combattendo anche l'atroce estate che non vedo l'ora finisca), spero continuiate a seguirmi!
Fatemi sapere cosa ne pensate nelle recensioni, mi aiuta molto!


 

Prossimo capitolo:
“Senza traccia”



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Capitolo 17
*** Senza Traccia ***


Capitolo 17 - Senza Traccia





 

Le guardie in fondo al corridoio avevano volti anonimi, Shino non ricordava di averle mai viste ma, dato che il suo gruppo non abitava nel palazzo e che quando lo visitavano di solito era per poco tempo, era impossibile determinare se qualcuno di loro appartenesse al gruppo dei guerrieri leali a Jin o se potesse costringerli a togliersi di mezzo.

Indecisa, Shino li guardò per un’ultima volta e continuò per la sua strada verso la cabina del gruppo. Dentro trovò Yawara seduto vicino a una febbricitante Ryouko che si rigirava nel letto senza emettere un suono. Dopo un giorno di paralisi totale, erano seguite la febbre e le convulsioni, il medico aveva detto loro che l’amica soffriva dei sintomi di qualcuno che attraversa una lunga e terribile disintossicazione. 

“Come sta?”

“Si è svegliata con la febbre, il medico le ha prescritto degli impacchi freddi. Ha anche insistito affinché beva liquidi e ha ordinato di chiamarla non appena riprende conoscenza… Il piano è ancora in atto?”

“Ho le provviste, le ho nascoste di sopra in caso dovessimo fuggire rapidamente.” 

“E Aizawa?”

“Ci sono due scimmie a guardia della cabina dov’è tenuto.”

“E cosa dovremmo fare con loro?”

“Abbatterle.”

“Mh… dove andremo?”

“Jin sta organizzando un gruppo per scendere a Hosu a cercare il principe. Ho insistito per andare, ma mi ha escluso. Partiranno prima che faccia buio, poi aspetteremo finché le sentinelle non si abbasseranno la guardia. Dopodiché, ci muoveremo.”

Yawara annuì.

La nave ondeggiava lentamente con il gentile movimento delle onde. Ogni tanto si sentivano voci attutite e passi affrettati lungo il corridoio di legno. Shino e Yawara restarono incollati di fianco al letto cercando di dare un po' di conforto alla loro amica. Il loro aroma di supporto e affetto invase la cabina, ma Ryouko non reagì. 

Quando il silenzio fu quasi assoluto, Shino si spostò con cautela verso la porta. La aprì lentamente, evitando lo scricchiolio del legno. Non la sorprese vedere una guardia in fondo, attaccata al muro, e la riconobbe come Kenji Hikiishi. Una guerriera Alpha fedele a Jin. 

Shino fece un cenno a Yawara. Il suo compagno annuí e si mossero entrambi. 

Yawara avvolse una Ryouko dormiente con le coperte del letto e con l'aiuto di Shino se la mise sulla schiena, come una bambina molto grande. Una volta messi i nastri di sicurezza, Shino prese il suo secchio d'acqua e lo svuotò in un angolo del letto, poi uscì lasciando la porta nelle mani di Yawara che restò indietro aspettando il segnale. 

Shino percorse il corridoio, il suo viso una maschera inespressiva con il naso ancora gonfio e gli occhi circondati da larghi cerchi neri che lentamente iniziavano a sparire. Il suo sguardo non deviò mai dal viso di Kenji, che restò al suo posto, guardando, osservando. 

Shino gli passò accanto e deviò verso il seminterrato dove tenevano l'acqua potabile, scese e riempì in fretta il secchio. Quando tornò mantenne il suo viso impassibile, ma stavolta avanzò lentamente per non rovesciare l'acqua. La nave oscillava e Shino ne approfittò per inciampare di proposito e si fermò con la scusa di non rovesciare l'acqua. 

Si raddrizzò, avanzò di due passi e poi si mosse. Aveva Kenji davanti a sé quando, senza perdere la calma né alterare il suo odore, si voltò a una velocità brutale schiacciando il secchio contro il fianco della donna Alpha per poi tirarle un pugno sulla guancia prima che potesse reagire. 

Kenji si difese, reagì con quei dannati riflessi Alpha. Era forte, non quanto l'eccezionale Alpha che era Masukyura, ma forte abbastanza da mettere in difficoltà Shino. Fortunatamente, Yawara si mosse non appena lei iniziò a combattere e si unì immediatamente. 

Insieme riuscirono a metterla ko. 

"Leghiamola," ordinò Shino, spostandosi i capelli dal viso, poi si chinò e trascinò la donna per le gambe. "Meno una…"

"Ne mancano due." Finì Yawara, chiudendo la porta della cabina con la donna Alpha dentro. 

Salendo al corridoio di sopra dove c'erano tutte le cabine principali, Jin si era assicurato di tenere i prigionieri il più vicini possibile alla sua camera da letto. 

Mentre salivano furono piacevolmente sorpresi perché invece di due guardie ne trovarono solo una, di cui si disfarono senza problemi. Poi lo legarono e lo trascinarono nella cabina usata come cella. 

Aizawa era per terra, legato con spesse corde, mani e gambe immobilizzate, e un bavaglio in bocca. Senza perdere tempo Shino e Yawara lo liberarono insieme. 

"Se n'è andato?" Fu la prima cosa che disse Aizawa dopo aver rilassato la mandibola. 

"Ho delle domande da farti," replicò Shino bruscamente. 

"E ti risponderò, ma prima dimmi se se n'è andato."

"Non mi fido di te."

"Se fosse vero ora non saresti qui, Shino. Sei la persona più intelligente e perspicace che conosca. Sono sicuro che hai già capito la verità mettendo insieme i frammenti di informazioni che possiedi."

Shino digrignò i denti, prese un respiro e lo affrontò. 

"L'attacco a Hosu era una trappola."

"È così."

"La morte del re era studiata."

"Così come la morte di Sir Nighteye."

"La droga neutralizza gli Alpha."

"Sì."

"Siamo stati traditi."

Aizawa rispose annuendo lentamente; il gesto fece chiudere gli occhi a Shino e vacillare sul posto. 

"Jin?" Chiese piano, incapace di crederci. 

"Dipende… Se n'è andato?" 

Lo guardò, "Dove vuoi che vada?" 

"Non ha importanza, l'importante è che se ne ne vada."

"Perché lo rende un traditore?" 

"Oh, per favore dimmi, si è incontrato con gli altri capitani per mobilitare un gruppo di salvataggio? Ha inviato un messaggio al consiglio per avvertirli della morte del re? Ha radunato i compagni di Masukyura per interrogarli e determinare che non abbia alleati? Ha iniziato ad avvertire le truppe circa la droga?" Shino restò in silenzio e Aizawa continuò. "Invece di assumere il comando tiene la flotta all'oscuro. Ho notato che la nave non si è mossa negli ultimi due giorni, ha ordinato un arresto completo?"

"Gli ordini sono di aspettare il resto della flotta.”

“E tu gli credi?”

Shino inspirò profondamente e velocemente.

“Se gli credessi, non sarei qui. Jin non si è preoccupato di interrogarti, Sir Nighteye l’avrebbe fatto se avesse creduto che tu fossi il traditore. Ha solo interrogato il capitano e l’equipaggio che ha viaggiato con te. Ci ha lasciati qui, con l’ordine di aspettare, mentre scendeva a terra ‘per cercare il principe’ ma non ha senso… Jin è uno dei soldati del re e tuttavia ha abbandonato il suo posto. Il Re l’ha lasciato al comando della flotta e ai nostri uomini lui ha dato ordini vaghi e la ferma convinzione di dover aspettare. Il Re si fidava di lui.”

“E ha pagato con la sua vita. Jin ci ha traditi, e senza dubbio se n’è andato per finire il lavoro. Dobbiamo muoverci prima che sia troppo tardi.”

“Dannazione, Aizawa, è già troppo tardi! Abbiamo perso il nostro sovrano. Abbiamo perso Sir Nighteye. Non sappiamo se il resto della flotta è ancora in salvo. Il principe, il nostro principe, è in terra nemica. È stato mandato da te a ricavare informazioni dalla capitale, e probabilmente viene braccato in questo momento. Jin andrà a cercarlo e noi non abbiamo modo di avvertirlo del pericolo in cui si trova!”

“Shouto starà bene.”

“Come fai a dirlo?! Come hai potuto mandarlo in una missione di ricognizione? Anche se Hizashi e Iida sono con lui, non capisco come tu abbia potuto commettere una tale mancanza di giudizio!”

“Ho commesso un errore, sì, ma non è stato inviare il principe alla capitale di Hosu.”

“Cosa?!”

“Il capitano ha mentito. Lui, e tutto l’equipaggio.”

“Il principe non è a Hosu?”

“Lo è, ma non nella capitale. Tutto ciò che hanno detto a Jin è una menzogna.”

Shino era senza parole dallo stupore, quando finalmente si riprese la sua domanda mancava della rabbia di prima.

“Da quanto sospetti di lui?”

“Da quando ho sentito della droga e dei rapimenti delle navi Beta. Jin ha scelto e autorizzato ogni spia che è sparita. Ha convinto il Re a mobilitare tutte le truppe. Ha cercato di far partecipare il principe a questo assalto, ma invece di unirsi a suo padre, Shouto ne ha approfittato per iniziare la sua indagine… Tuttavia continuavo a sperare di sbagliarmi, ho sperato che fosse tutto un equivoco. E poi ci ho parlato. La sua faccia quando ha sentito dell’alleanza Hosu-Overhaul era tutto ciò di cui avevo bisogno per convincermi. Ora non ho dubbi.”

“Cosa succederà quando non troverà il principe?”

“Dubito che andrà a cercarlo. Credo che abbia lasciato la flotta alla mercé di un attacco. Penso che la sua intenzione sia quella di farsi da parte mentre il Generale e i suoi uomini ci distruggono, così che nessuno possa rimproverarlo quando incontrerà il consiglio, o quando tornerà a casa.”

“Dannazione, che facciamo? Qual è il piano?”

“Voglio che tu prenda il controllo della flotta, gli uomini ti conoscono, ti rispettano, ho bisogno che tu li convinca a mobilitare le navi. Raggiungi il resto del nostro esercito, parla agli uomini del consiglio e poi portali il più vicino possibile al confine con Noumu.”

“E tu?”

“Io cercherò Shouto.”

“Dov’è?”

“A Hosu, vicino al confine col deserto. È con Kamui, l’unica spia che non ha mai avuto alcun contatto con Jin.”

“E gli altri?”

“Ho mandato Iida dalle tribù barbare, la sua missione è chiedere aiuto a Togata per attraversare il deserto e incontrare Shouto.”

“E Hizashi?”

“L’ho inviato alle isole. Incontrerà il consiglio dei tredici e chiederà il loro aiuto per combattere.”

“Si trovano dall’altra parte del mare, cosa possono fare?”

“Tutta la nostra forza è qui, Jin se n’è assicurato. Temo che mentre ci forzeranno a lottare con gli uomini del Generale, l’esercito di Overhaul attaccherà Yuuei.”

“Credi davvero che Hizashi riuscirà a convincere tutte le matriarche a portare i guerrieri a difendere Yuuei?”

“Confido che ci riuscirà.”










 

Aveva sentito male. Doveva aver sentito male.

“Che cosa hai detto?!”

Aveva bisogno di sentirlo di nuovo. Di farselo ripetere, anche se non era sicuro di poter capire una parola in quel momento, col suono del sangue che gli rombava nelle orecchie.

“Ehi!” Disse lei, stringendo le mani. “Lasciami andare!”

Il rosso fece un passo avanti, ma Katsuki lo spinse senza nemmeno pensarci.

“Che cosa hai detto?! Ripetilo! Dimmi il suo nome!”

“Non conosco il suo nome,” urlò lei, dibattendosi per liberarsi, senza successo. “Non me l’hanno mai detto!”

“Che odore aveva?”

“L’odore? Dannazione, non lo so! Di cosa sanno le persone? Sudore, terra.”

“Descrivilo!”

“Te l’ho detto! Aveva i capelli verdi!... Verde scuro, soffici e pieni di riccioli. Occhi verdi, del colore del muschio. E i puntini… aveva piccoli puntini scuri sotto gli occhi. Non avevano un motivo preciso, erano ammucchiati in toni scuri sul dorso del naso e più indistinti sulle guance. Aveva delle cicatrici sulla mano destra, sul dorso e sulle dita… Aveva anche l’abitudine di grattarsi il naso mentre parlava.”

Sentiva di stare affogando. Gli tornò subito un ricordo, l’immagine nella sua interezza, piena di colori e luce.





 

Izuku era seduto per terra, le gambe incrociate, a fare l’inventario delle sue piante, chinato sul mucchio di foglie sparse mentre scriveva con la sua piccola calligrafia tutti i dettagli delle piante che stava studiando.

C’era qualcosa di estremamente affascinante nel modo in cui scriveva, con un cipiglio tra le sopracciglia, le mani macchiate di inchiostro blu, e le dita dei piedi che si muovevano mentre lavorava scrupolosamente. Era a torso nudo, migliaia di lentiggini gli ricoprivano le spalle, la schiena e il petto. Lo vide raddrizzarsi, lo vide leggere attentamente quello che aveva appena scritto… e mentre lo fece si grattò il naso, una delicatezza coperta di lentiggini che si scurivano quando passava troppo tempo al sole.

Dopo aver incrociato il suo sguardo, Izuku alzò gli occhi e lo vide. Il suo sorriso era vivace e delizioso.

“Kacchan!”





 

Un ineffabile calore gli salì per la gola, si espanse lungo i suoi polmoni, crebbe e lo lasciò senza fiato.

No

“Lasciala andare.”

La voce del rosso lo strappò dal suo torpore. Obbedì, ma la sua reazione immediata fu di voltarsi e colpirlo.

“Ma cosa” Il rosso indietreggiò con una mano sullo zigomo e un’espressione ferita.

“Avevi detto di non conoscerlo!”

“Woh!... Di che stai parlando?”

Si irrigidì sul posto, strinse i pugni e ruggì:

“Dove si trova?!”

“Ehi!... Non so di cosa tu stia parlando!”

“Lui è qui!” L’odore che emanava era amaro e terribile. “Cosa ci fa lui qui?!”

“Aspetta un attimo!” Alzò le mani, inclinò il collo e alleggerì il suo odore. Un chiaro gesto di sottomissione. “Non ho davvero idea di cosa tu stia parlando!”

“Chi sta viaggiando col tuo principe?!”

“Non lo so! Non conosco nessuno con quella descrizione! Davvero!... Il principe non ha amici al di fuori della sua guardia. Di noi ce ne sono sei: Hitoshi è stato rapito anni fa. Hanta, Tetsutetsu, Rikidou e io siamo qui. Resta solo Iida, ma lui è il più alto di noi e ha i capelli blu scuro, non verdi. Non ho la minima idea di chi stia viaggiando con Todoroki-ouji.”

Lo guardò dritto in faccia, sguardo chiaro e senza traccia di inganno. Continuò a tenere le mani in alto, i palmi rivolti verso di lui mantenendo un comportamento calmo. A Katsuki bastò vederlo in quel modo per fargli sbollire la rabbia e sentire invece l’ansia coprire ogni centimetro del suo corpo.

Dentro di lui cresceva una voragine, immensa e imperscrutabile. Si sentiva soffocare, sentiva il calore espandersi attraverso le braccia e verso il collo. Non riusciva a respirare.

Si voltò verso la ragazza che lo guardava accigliata e in guardia.

“Dove l’hai visto? Quando? Dove si sono diretti?”

“Te l’ho detto—”

“Niente scuse! Voglio che tu mi dica esattamente cos’è successo il giorno che li hai incontrati. Parola per parola.”

La ragazza guardò il rosso, poi il suo amico che stava in piedi vicino all’altro Alpha, fece un lento respiro e rispose, guardandolo dritto negli occhi.

“A quanto so, le spie hanno incontrato Kamui quasi tre settimane fa. Erano in due, non so i loro nomi.”

“Si sono dovuti presentare in qualche modo!”

“Beh, non mi ricordo!”

“Provaci!”

La ragazza lo guardò con rabbia, ma Katsuki non si arrese, la sua espressione furente restò fissa su di lei finché non riuscì a batterla. Lei chiuse gli occhi e si concentrò.

“Kamui è venuto a prendermi al mio villaggio, voleva mandare un altro messaggio, ma stavolta dovevo portare un pacco. Parlammo per tutta la strada. Kamui era preoccupato nel restare lì troppo a lungo.”

“Perché?”

Gli occhi dorati lo guardarono di nuovo e Katsuki ebbe l’impulso di urlarle di sbrigarsi.

“A quanto pare erano stati scoperti da una delle spie di Kurogiri, l’uomo più fedele al Generale. Kamui voleva andarsene, ma le spie volevano inviare ancora un messaggio prima di partire. Posticiparono la loro ritirata e Kamui non smetteva di blaterare a riguardo.”

“Dove li hai visti?”

“Alla cascata, vicino al confine.”

“Conosco quel posto,” intervenì il rosso, “è dove abbiamo incontrato Kamui la prima volta. Era il nostro punto d’incontro.”

“Erano entrambi lì?”

“Sì, entrambi. Il ragazzo alto con gli occhi eterocromi e quello piccolo, con gli occhi verdi.”

“Ti hanno detto i loro nomi?”

“Non ricordo.”

“Pensa! Devono essersi presentati in qualche modo.”

La ragazza strinse gli occhi.

“Non mi hanno detto i loro nomi,” disse, sforzandosi di rievocare il ricordo, “ma Kamui sì. Era... Shu… Sho...”

“Shouto?” Suggerì il rosso e subito la ragazza lo guardò e annuì.

“Sì! Shouto! Solo Shouto.”

“E l’altro?”

“Zzz… zzzk… izz… Non lo so.”

Izuku.

Katsuki non si accorse di aver pronunciato il nome a voce alta finché lei non reagì e vide l’espressione di curiosità sui volti di tutti.

“Di cos’hanno parlato?”

“Di te,” indicò il rosso. “Il ragazzo alto, Shouto, voleva mandarti un pacco. Conteneva delle boccette e un coltello, ma ho rimosso quest’ultimo perché non intendevo correre il rischio che il mio capitano lo trovasse. Mi hanno chiesto quando sarei riuscita a consegnartelo, gli ho detto un paio di giorni se non ti avessero spedito nelle celle sotterranee. Allora hanno proposto di darlo a Rosso. Non sapevo chi fosse questo Rosso finché non hanno spiegato che era la persona nella cella accanto.”

“Perché Rosso?” chiese Katsuki.

“Per via del fiore sul tuo petto,” disse il rosso con un’espressione pensierosa. “Ti ho nominato in quel modo nella risposta inviata al principe, a quel tempo non conoscevo il tuo nome.”

“Gli hai detto che tipo di fiore fosse?”

“No, solo Rosso.”

‘Non sa che sono qui,’ concluse. A Katsuki si torsero le interiora, compresse in estremi dolorosi. Non dovrebbe essere qui.

“Avevano intenzione di restare a lungo?”

“No, ho sentito che sarebbero partiti per la costa il giorno stesso. Kamui mi ha accompagnato per un pezzo di strada e poi è tornato da loro.”

“Da che parte sono andati?”

“Non lo so. Kamui non me l’ha detto.”

“Se è con il principe,” intervenì il rosso “è molto probabile che si siano diretti alla costa per incontrare le truppe del re. Probabilmente sono lì al momento. Se vuoi vedere il tuo amico dobbiamo tornare dagli altri.”

Katsuki annuì rigidamente.

“Andiamo,” si voltò, si fermò, e poi la guardò di nuovo. “Detesto la tua razza, ma tu e io siamo in pace. Con un po’ di fortuna non ci vedremo mai più.”

Si allontanò mentre il rosso diceva loro addio a bassa voce. Senza aspettare, Katsuki corse indietro, imponendo un ritmo esasperante che gli altri due eguagliarono senza lamentarsi.

Dentro di lui, l’impazienza riaffiorava più rumorosa che mai. Si mosse deciso, con un obiettivo in mente, incapace di accantonare quell’idea: Izuku è qui. Qui.










 

Non appena sparirono, Mina tirò un sospiro stanco.

“È stato estenuante.”

“Nonostante l’età, è davvero terrificante,” disse Ojiro, avvicinandosi a lei.

“Già… fortuna che si sente in debito con noi.”

“Lo pensi davvero?” Mina rispose scrollando le spalle. “Hanno detto altri, in quanti pensi che siano riusciti a scappare?”

“Non so. Forse quelli lasciati indietro.”

“Pensi che avrei dovuto chiedere?”

“A che pro? Meno sappiamo meglio è, e poi l’hai sentito. Con un po’ di fortuna questa sarà l’ultima volta che lo incontreremo.”

“Andiamo?”

“Sì, abbiamo già perso troppo tempo.”










 

Eijirou raggiunse il ritmo di Bakugou senza lamentarsi; avanzava col pilota automatico con la mente che evocava l’aroma della menta. Il profumo sottile che arrivava dalla bottiglietta che il biondo portava al collo. Ricordava la sua espressione quando la mise nel sacchetto che Denki gli aveva dato.

Menta. Il ricordo era diffuso, non riusciva ad evocare con precisione le sfumature di quell’aroma, ma ricordava la traccia di freschezza che lo invase quando lo annusò la prima volta. Era un profumo squisito, più leggero e ricco delle foglie che il biondo usava strofinare tra le dita.

Menta. La rabbia dell’Alpha. La sua riluttanza nell’accoppiarsi. Il suo interrogatorio. La sua impazienza. La mente di Eijirou iniziò a comporre i pezzi, c’erano troppi spazi, ma l’immagine generale era leggermente più chiara.

Izuku. Il nome non gli ricordava nulla. Sapeva di non conoscere quella persona ed era certo che non lo conoscesse nemmeno il principe, allora come erano finiti entrambi ad Hosu?










 

Il ritmo di Bakugou non rallentò mai, l’energia che emanava era impressionante e Eijirou non commise l’errore di cercare di iniziare una conversazione. Invece, si concentrò su tutto quello che avrebbero fatto una volta tornati al campo e partiti.

Ma il loro piano crollò perché non appena raggiunsero i limiti del campo una delle sentinelle si materializzò davanti a loro con un’espressione di panico impellente. Dal suo riassunto incongruo, Eijirou capì che avevano incontrato un altro gruppo Alpha, un gruppo al di là del deserto.

“Quanti sono?” Fu la domanda di Bakugou, che sembrava aver capito il discorso frammentato.

“Sedici. Metà Alpha, metà Beta. Tutti guerrieri più grandi dei nostri.”

“E il leader?”

“Alto, biondo, enorme.”

“Dove sono?”

“Si sono sistemati vicino agli Omega.”

“Perché?”

“Si sono offerti di sorvegliare i loro carri.”

Eijirou non fu sorpreso di sentire Bakugou ringhiare ordini, senza perdere tempo fece un cenno a Hiryu di cercare Yosetsu mentre si dirigevano verso il falò Omega. Nonostante fosse mattina presto trovarono Denki sveglio, seduto vicino al fuoco, che chiacchierava con un energumeno che sorrideva in modo infantile.

Lo straniero perse il sorriso non appena si accorse di loro, si mise in piedi e li guardò, esortandoli ad avvicinarsi oltre. A differenza sua, Bakugo non esitò e avanzò verso di loro.

“Hai bisogno di qualcosa?” Chiese lo straniero con una voce potente e un intenso aroma di vaniglia che fece sparire il suo disappunto. La domanda era stata gentile ma ferma, piena di avvertimenti invisibili.

“Chi diavolo sei?”

Bakugou non era gentile, l’odore di legno bruciato si inspessiva attorno a lui. Sapeva di fumo e legno, sapeva di rabbia.

Lo sconosciuto non sembrò intimidirsi, “Potrei chiederti la stessa cosa.”

“Sprecheresti il tuo tempo, non ti devo una risposta, ma tu sì. Chi diavolo sei?”

“Come os

“Si chiama Inasa,” disse Denki avanzando verso Bakugou; la sua presenza era leggera e luminosa, una boccata d’aria fresca che paralizzò lo scontro invisibile. “È il braccio destro di Togata, il leader delle tribù barbare.” Non appena fu vicino al biondo si voltò verso Inasa per presentarlo, “Inasa, questo è Bakugou, ti ho parlato di lui. È colui che ci ha tirati fuori dalla prigione e portati qui. È il nostro Alpha.”

La sua affermazione fu semplice, priva di toni emotivi, ma non c'era complimento più grande da parte di un Omega. Eijirou lo sapeva. Denki aveva appena riconosciuto il biondo come autorità massima, il leader, rendendo chiari il suo rispetto e lealtà. 

Eijirou non avrebbe saputo descrivere l'emozione che ruggiva dentro di lui. 

"Dov'è il vostro leader?" Chiese Bakugou, ignaro del dilemma che Eijirou stava affrontando. 

L'uomo chiamato Inasa, alto ed enorme, con i suoi occhi feroci e i capelli corti, storse il viso, chiaramente offeso dal tono e dalla sfrontatezza, ma gli bastò guardare Denki perché la sua espressione tornasse serena, quasi compiacente. 

Eijirou si paralizzò sul posto, raddrizzandosi inconsciamente. 

"Ti ci porterò con lui," disse Inasa prima di voltarsi e iniziare a camminare. 

Bakugou lo seguì con Denki al seguito, Eijirou si affrettò a raggiungerli, cercando di pareggiare il passo di Denki. Il ragazzo gli diede un breve sguardo obliquo, annuí per salutarlo e tornò a guardare avanti. 

"Buongiorno," lo salutò piano Eijirou, fissandolo e ammirando i contorni del suo viso e il colore dei suoi capelli. Non riusciva a guardarlo senza ripensare al suono della sua voce che rideva. "Ti sei svegliato presto, Denki."

Per una frazione di secondo il profumo di arance si intensificò, era un soffio fruttato pieno di acidità e deliziosa freschezza. Eijirou lo assorbì avidamente prima che il biondo riprendesse il controllo e lo salutò a sua volta. 

"Buongiorno," suonava formale, distante, ma Eijirou ignorò quella rigidità concentrandosi sulla reazione. 

Il suo primo impulso fu di aprire bocca e riversare tutti i saluti conosciuti purché si ripetesse quell'aroma, ma poi si ricordò di Ochako e si morse la lingua per non commettere l'errore di risultare troppo pressante. 

Stava per parlargli quando si accorse della tensione che arrivava da Bakugou. Guardò di fronte a sé e notò subito le spalle tese, la schiena dritta e il modo in cui il suo odore cresceva attorno a lui fino a diventare un avvertimento affilato. 

La ragione del suo comportamento era lì, che li aspettava con un sorriso rilassato e una lancia in mano. 

Togata — suppose che fosse lui dal gesto di sottomissione che gli dedicò Inasa — era più basso del suo subordinato ma compensava l'altezza con la maestosità della sua presenza. La prima cosa che Eijirou pensò quando lo vide fu: Mi trovo davanti al sole. C'era qualcosa in lui, nella sua postura, nel suo sorriso, nel suo odore indecifrabile, che lo faceva brillare con un'energia calda, rivitalizzante e immensa. 

Era una minaccia silenziosa nonostante la posa rilassata e il largo sorriso. 

Bakugou rispose crescendo in tutta la sua altezza, ispessendo l'aroma attorno a sé, affilando lo sguardo e storcendo la bocca per diventare l'esatto opposto di Togata. Se Togata era il sole, Bakugou era fuoco, fumo e scintille. 

"Il tuo nome?" Non c'era gentilezza nella sua voce né calore nei suoi occhi. 

"Mirio Togata," rispose l'altro senza perdere il sorriso, completamente immune alla rudezza ricevuta. "Suppongo sia tu il leader del gruppo, Bakugou?" 

"Che ci fate qui e come ci siete arrivati?" 

"Abbiamo attraversato il deserto, scavalcato il muro di pietra e superato il confine con l'intento di negoziare col principe di Yuuei, Todoroki Shouto."

"Che affari avete con lui?" Intervení Eijirou senza riuscire a trattenersi. 

Togata deviò lo sguardo verso di lui, i suoi occhi neri possedevano una sicurezza assoluta. 

"Come ti chiami?" 

"Eijirou Kirishima, sono uno dei guerrieri della guardia reale del principe."

"Beh, si da il caso che conosca uno dei tuoi."

"Eijirou!" 

L'urlo arrivò dal gruppo che si stava avvicinando. Erano tre in tutto, due di loro con lucenti capelli neri e una bellezza indiscutibile, il terzo era più alto degli altri e con una costituzione più robusta, era quello che stava camminando più velocemente verso di loro. 

"Tenya!" Rispose Eijirou quando lo riconobbe. 

Si salutarono vicendevolmente con affetto e si scambiarono le inevitabili domande: “Stai bene? Che ci fai qui? Cos’è successo? Come sei arrivato qui? Dov’è il principe?

L’ultima domanda che si fecero nello stesso momento li fece zittire entrambi immediatamente.

“Forse dovremmo sederci e parlare con calma,” intervenne Togata, attirando l’attenzione dei presenti.

Si radunarono attorno a uno dei falò degli sconosciuti. Una volta lì, Tenya iniziò a presentare tutti e quando finì si voltò verso Eijirou.

“Dove sono gli altri? Cos’è successo?”

Eijirou prese un respiro e iniziò la sua storia dal momento in cui il suo gruppo era arrivato a Hosu. Gli parlò di Kamui, della sua permanenza alla prigione, degli accoppiamenti, delle droghe, e infine della loro fuga. Il silenzio attorno al fuoco era assoluto, le espressioni di orrore condivise dai barbari davano il perfetto esempio delle loro emozioni.

“L’uomo lasciato al comando in tua assenza ci ha detto che siete partiti per ispezionare un’altra prigione nelle vicinanze, avete trovato altri prigionieri?” Chiese Togata.

Quando Bakugou non rispose, intervenì Eijirou.

“Tutti quelli lasciati indietro sono morti di fame, l’edificio era vuoto.”

“Quante prigioni come quelle ci sono in totale?”

Con sorpresa di Eijirou, Bakugou si voltò verso Denki, che sussultò alla vista.

“Quante,” ripeté Bakugou.

“Solo otto.”

“Come fai ad esserne sicuro,” chiese la donna dai capelli scuri, Tenya l’aveva presentata come Momo.

“Ogni tanto, i trasferimenti venivano svolti con l’intento di promuovere gli accoppiamenti. Venivamo spediti in altre zone per qualche mese. Gli Omega dormono sempre insieme quindi avevamo la possibilità di scambiarci notizie e storie. Così siamo riusciti a contare il numero delle fortezze, anche se non saprei dirvi dove ognuna si trovi.”

“Cosa fanno con quelli che si accoppiano?”

“Li portano via, non sappiamo dove. Non li abbiamo mai più rivisti.”

“Dove sono Hanta e gli altri?” Ripeté Tenya, guardando Eijirou.

“Non lo so… Tetsutetsu era nella mia stessa prigione, ma non l’ho visto tra i feriti, i morti o quelli fuggiti. Forse è stato trasferito da qualche altra parte… oppure...” Eijirou scrollò le spalle, incapace di pronunciare ad alta voce quell’idea. “Non so nemmeno cosa sia successo ad Hanta e Rikidou.”

“E il principe? Dovevi incontrarti con lui una volta fuori.”

Eijirou scosse la testa, poi procedette a riassumere il contenuto dell’ultima lettera, le fialette inviate, i test che avevano fatto e le loro teorie. Alla fine, quando si accorse dell’impazienza che Bakugou emanava, Eijirou chiese:

“Chi sta viaggiando col principe? Pensavo fosse Aizawa-sensei, Hizashi o tu.”

“Aizawa-sensei è tornato a Yuuei per parlare con il re. Hizashi è andato alle isole Kohei per parlare con il consiglio dei tredici e chiedere aiuto.”

“Come spera di convincerli?”

“Non lo so.”

Prima che Eijirou potesse fare un’altra domanda, Tenya procedette a raccontare il suo viaggio. Lo fece in breve, senza troppi dettagli, focalizzandosi in particolar modo sul ripetere quanto difficile fu per lui abbandonare Todoroki-ouji.

“Perché un Omega viaggia con il tuo principe?!”

Le viscere di Eijirou trasalirono al suono di quell’esplosione, guardando verso Bakugo che osservava Tenya con un’espressione severa.

“C-Cosa—?!” Balbettò Tenya sentendolo. “Come—?!

“Rispondi!”

Tenya si voltò verso Eijirou, ma lui scosse la testa e lo incoraggiò a rispondere.

“Non so cosa ti abbiano detto, ma ti sbagli.” disse Tenya. “Non c’è nessun Omega—”

“Stai mentendo!”

Si alzò e lo indicò, la forza della sua presenza era sufficiente a gelare il resto delle scuse di Tenya. Eijirou, che si era alzato quasi nello stesso momento, allungò la mano in un tentativo di evitare il confronto.

“Tenya, per favore dimmi chi sta viaggiando con il principe e come lo conosci.”

La sua espressione ansiosa fu abbastanza per mitigare la rigidità del suo compagno. “Molto bene.”

La sua risposta fece sedere di nuovo Bakugou.

“Il suo nome è Izuku Midoriya. Abitava nelle isole Kohei quando è stato catturato dai commercianti di schiavi, la sua nave è affondata e lui è sopravvissuto sulle coste di Overhaul, nascondendosi dai soldati finché non è riuscito a costruire una barca. Per usare le sue parole, aveva intenzione di attraversare il Mare Interno verso Yuuei per poi costeggiarla verso la sua casa, ma durante il viaggio è stato catturato. Abbiamo inseguito la stessa nave per molti giorni finché non siamo riusciti ad abbordarla. Midoriya ha salvato la vita di Hizashi, ha anche curato tutti i nostri feriti, fingendo di essere un Beta, ma quando il nostro maestro l’ha scoperto è stato costretto a dire la verità. Il ragazzo non era un semplice medico, conosceva le rotte delle navi di Hosu, la posizione delle loro fortezze e molte altre cose… Lui stesso si è offerto di aiutare con la droga, e anche se Aizawa-sensei non era convinto, la situazione presentatasi l’ha obbligato a prendere la decisione di permetterlo. Il piano era chiedere aiuto a Kamui per liberarti, poi andare al confine dove ci saremmo incontrati, ma se quello che hai detto è vero, Eijirou, se il gruppo del principe è stato scoperto, allora è molto probabile che siano andati alle navi in cerca di rinforzi immediati. Tutto quello che possiamo fare è avvicinarci alla costa e aspettare che ci raggiunga Aizawa-sensei. Sono certo che il principe arriverà con lui.”

Improvvisamente e senza dire una parola, Bakugou si alzò e si allontanò. La sua postura, il suo odore, il suo volto, tutto in lui urlava dolore. Nessuno dei presenti si mosse, Eijirou non si azzardò a seguirlo, ma Denki sì. Si alzò e gli andò dietro, senza voltarsi.

Prima che potesse alzarsi e seguirlo, la donna chiamata Momo gli parlò:

“Descrivimi l’incenso, per favore dimmi esattamente cosa fa.”

Con una voragine nel cuore, Eijirou restò lì e rispose alle domande dei barbari.










 

Denki si mosse senza esitazione, seguendo l’aroma di legno fino a trovare Bakugou in piedi, nel mezzo di un mucchio di cespugli, guardando il cielo grigio che iniziava a schiarirsi. Gli restò a fianco senza guardarlo, le mani dietro.

“Quindi si chiama Izuku?” Chiese guardando il cielo.

“Perché non stai zitto?!”

“Mi piace il suo nome… È lui che profuma di menta?”

“Se non chiudi quella bocca

“Lo troveremo.”

Denki scandì quell’affermazione con la voce più serena che aveva, più che un’idea era una certezza. Aveva così tanta sicurezza che portò il biondo a guardarlo.

“Ah sì?” La domanda era piena di sarcasmo, di rabbia mal travestita. “E ora mi dirai che sai dov’è.”

“No, ma so che lo troverai.”

“Tu non sai niente.”

“So che non ti sei arreso. So che li hai combattuti. So che ci hai liberato… e so che lo troverai.”

Dopo una lunga pausa, Bakugou sbuffò.

“Sei un idiota,” mormorò tornando al suo atteggiamento.

La sua presenza si infiammò, crebbe e si concentrò. Denki la inalò e si emozionò.










 

Katsuki radunò il suo gruppo e abbaiò ordini senza sosta, fecero colazione senza fermarsi e partirono non appena finirono di raccogliere il campo. Era una giornata luminosa, il sole alto nel cielo limpido, le strade si erano asciugate così che i carri potessero muoversi agevolmente.

Viaggiarono tutti con i capi scoperti, molti senza la parte sopra del pettorale e concedendosi le carezze dei raggi caldi del sole. I barbari presero posizione nelle retrovie, controllando i vagoni degli Omega, chiacchierando e immergendosi nel mix di aromi leggeri e intensi che emanavano.

Togata viaggiava con tre dei suoi uomini in testa, insistette che Katsuki dormisse, la sua risposta fu un grugnito e un’espressione feroce; non fece mai un gesto per prendere il controllo, diede suggerimenti pertinenti che Katsuki ascoltò perché erano ragionevoli e dimostravano il senso pratico di qualcuno abituato a muoversi in condizioni difficoltose.

I barbari si conformarono alle loro routine senza lamentele, accettarono il loro cibo e in cambio si offrirono di pulire la carne. A differenza degli Omega — che avevano imparato per tentativi ed errori in prigione — loro erano esperti nel separare la carne e trarre il massimo da ogni pezzo, cucinavano le interiora in piatti accattivanti e fragranti che finivano per diventare commestibili. Erano gentili e rumorosi. Si allenavano con gli Alpha liberi da incarichi perché molti di loro non sapevano combattere correttamente e chiacchieravano anche con gli Omega, che li impressionavano con storie piene di dettagli.

Quando Togata insistette per sapere dell’incenso, Katsuki alzò le spalle e gli mostrò il carro pieno di polvere che quando bruciata sapeva di miele e latte. Uno dei suoi uomini si offrì di assaggiarla e morì, tra le convulsioni e le espressioni terrorizzate degli altri. Katsuki e i suoi uomini pulirono l’area, per loro i test erano diventati una routine, la loro tolleranza era più alta, ma Togata e i suoi uomini si allontanarono da lì, incapaci di resistere alla fragranza.

Viaggiarono senza sosta, approfittando del cielo chiaro e della temperatura calda. Seguirono il letto del fiume, con la guardia alta in caso di imboscate, ma la regione sembrava inabitata.

Di giorno Katsuki pattugliava, organizzava e dava ordini. Si allenava anche. Uno dei barbari, il gigante chiamato Inasa, lo sfidò a combattimento. Le prime volte perse, l’altro era più alto, ben nutrito e aveva vissuto in libertà, ma Katsuki non si arrese né si vergognò. Aveva molte cose da imparare e altre da ricordare.

Ci vollero quattro incontri, ma alla fine riuscì a batterlo. E una volta ottenuta, si aggrappò ogni volta a quella vittoria, pur non vincendo sempre. La sconfitta non lo inibiva, lo infiammava di fame. Si allenava e sudava fino a far protestare il suo corpo. Ruggiva e saltava finché il suo corpo non ricordò la flessibilità di anni prima. Con la pratica sarebbe tornato ai suoi tempi di combattimento intuitivo, ma non pretendeva di fidarsi della sua destrezza innata, stavolta intendeva perfezionare ogni attacco e movimento finché non ci sarebbe stato più nessuno in grado di sconfiggerlo.

Di notte Katsuki pattugliava, osservava e dormiva. Sognava di Izuku e del suo immenso sorriso dalle guance tonde e gli occhi luminosi.










 

Lo guardò con un’adorazione palpabile; era così intensa che le interiora di Katsuki volevano rannicchiarsi e nascondersi.

“Kacchan!”

La sua voce infantile, piena di toni acuti, era una melodia che lo faceva tremare da capo a piedi.





 

“Kacchan!” L’orgoglio nella sua voce, la felicità nei suoi occhi. “Ho finito!”





 

“Non farlo, Kacchan,” la paura gli fece tremare le spalle quando vide la caduta di diversi metri che si apriva a pochi passi da lui. “Non saltare da qui.”










 

I ricordi tornavano da lui più facilmente. Il suo desiderio cresceva con essi, lo faceva andare fuori controllo e lo obbligava ad allenarsi con maggior incentivo, a muoversi con più urgenza. In prigione, i ricordi erano una fonte di amarezza, un costante monito del suo errore e il grilletto della sua colpa. Nel mondo esterno i ricordi erano la scintilla che esaltava il suo mondo, germogliavano senza ordine, come un argine che era stato distrutto e da cui le idee fluivano senza ritmo. Prima vi si aggrappava con rabbia e violenza, ora si immergeva in ogni ricordo senza saziarsi.

Lui è qui. Qui.

La sua bramosia esplose quando una delle sentinelle tornò con la notizia che la cascata era vicina.

“C’è qualcuno lì,” disse il ragazzo e Katsuki fermò subito la carovana.

Il gruppo mandato avanti era composto da quattro persone. Eijirou, Tenya, Inasa e Katsuki. Il resto rimase indietro assumendo una posizione difensiva.

I quattro circondarono il campo dello sconosciuto, avvicinandosi con cautela comunicando i cambiamenti attraverso il loro aroma. Scoprirono che l’uomo era uno di loro perché si raddrizzò non appena percepì la loro presenza e si voltò subito nella direzione da cui arrivavano.

“Kirishima?”

La risposta che ricevette fu fragorosa e vivace.

“Sensei!”

Due figure corsero a salutarlo, l’uomo abbracciò i suoi allievi con evidente sollievo e i tre si presero un momento per godersi l’incontro. Inasa rimase ai margini, studiando il nuovo arrivato. Katsuki non lo guardò nemmeno, la sua impazienza ribolliva dentro di lui mentre continuava a guardarsi intorno, cercando.

Questo, finché tre voci non fecero la stessa domanda.

“Dov’è il principe?”



 

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Oggi è il compleanno di Izuku e oltre a questo nuovo capitolo, ho un altro regalo per voi! 

La mia bravissima amica Nekori Sama (andate a cercarla su Facebook e Instagram!) ha realizzato questa meravigliosa art dedicata a Flower Bouquet <3  twitter.com/NekoriTanuka/status/1150530291393581066

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Prossimo capitolo: "Una Falsa Orchidea"


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Capitolo 18
*** Una Falsa Orchidea ***


Capitolo 18 - Una Falsa Orchidea





 

Could you be dead? 

You always were two steps ahead, of everyone

We'd walk behind while you would run

I look up at your house

And I can almost hear you shout down to me

Where I always used to be

And I miss you

Like the deserts miss the rain

 

Missing - Everything but the Girl





 

Mentre correva nella foresta, nell’oscurità, inseguito da ombre minacciose, la mente di Izuku non entrò in uno stato di paralisi o di dubbio. La sua mente non si annebbiò come quella di una preda quando confrontata dal suo predatore. Izuku aveva paura, la paura viveva dentro di lui, batteva insieme al suo cuore ed era parte della sua natura, ma invece di restringersi, paralizzarsi, la mente di Izuku si affinò.

Se avesse avuto tempo, si sarebbe ricordato di suo padre, di quello che gli diceva da piccolo.










 

“Hai la mente di un guaritore, Izuku, quando affronti un’emergenza non permetti alla paura di dominarti.”

“Ma io non voglio provare paura. Kacchan non ha mai paura.”

“Perché Katsuki ha una natura diversa dalla tua. Gli Alpha non hanno mai paura, non è nei loro cuori contrarsi nel terrore.”

“Voglio essere coraggioso, papà, voglio essere come Kacchan.”

“Essere coraggiosi non significa non avere paura, significa avere la forza per affrontarla.”










 

A quel tempo Izuku non capiva. All’età di sei anni il suo più grande desiderio era essere come Katsuki che, brillante e intelligente, poteva fare quello che voleva. Katsuki, che rideva quando nuotava nel mare o si arrampicava su alberi immensi.

Ma quei ricordi erano lontani, seppelliti da strati di paura e decisioni affrettate che Izuku era stato costretto a prendere mentre correva per la foresta, cercando di non scontrarsi contro un albero.

Aveva perso di vista Shouto che, cieco alla situazione, aveva obbedito all’ordine di fuggire. L’Alpha, con le sue gambe lunghe, la sua agilità impressionante, e la sua magnifica condizione, l’aveva lasciato indietro senza fermarsi. Izuku lo seguiva, guidato dal lieve profumo di pino, evitando rami caduti e dislivelli, guidato più dall’istinto che dalla vista.

Anche se era inseguito, anche se non poteva aspettarsi l’aiuto di nessuno, anche se Shouto non rispondeva a nessun contatto, Izuku non permise al panico di dominarlo. Corse, scansò e pensò. Pensò a cosa fare dopo, la situazione e le alternative.

La mente astuta di Izuku arrivò a due logiche conclusioni.

La prima era che i loro inseguitori non avevano fretta di raggiungerli. Li sentiva dietro di lui, a volte lontani, a volte vicini, come se si fermassero per dar loro vantaggio prima ricominciare a corrergli dietro.

‘Per loro questo è un gioco,’ pensò Izuku mentre adattava la sua velocità, correva ancora ma senza il ritmo frenetico che aveva all’inizio.

La seconda conclusione a cui Izuku arrivò fu che li avrebbero catturati. Era inevitabile. Loro conoscevano il territorio e Izuku no. Avevano delle armi e Izuku no. Erano in gruppo e Izuku no; non poteva contare su Shouto, che correva davanti a lui, cieco e sordo ad ogni parola, incapace di opporre resistenza o proporre un’alternativa.

Se Izuku fosse stato un sognatore, avrebbe pensato di poter sconfiggere i suoi inseguitori. Se fosse stato un cieco ottimista, avrebbe creduto di poterli seminare nella foresta. Se fosse stato un idealista avrebbe aspettato che l’effetto dell’incenso svanisse; ma Izuku era pratico, intelligente e scaltro… e capì che stava a lui trovare una via di fuga. Quella certezza attivò subito dei piani di emergenza, iniziò a mescolare scenari in cui uno dei due potesse fuggire.

L’errore di Izuku stava nel bilanciare le vite. Per lui ogni vita era preziosa, inestimabile, tranne la propria. Shouto era il principe, e a confronto, la sua vita era sacrificabile. Con quell’idea in mente, Izuku si mosse. La prima cosa che fece fu tirare fuori le bottiglie di lozione che portava ancora nella borsa. Senza rallentare, Izuku ruppe due fialette insieme e le tenne in mano mentre il liquido di entrambe si riversava sui suoi vestiti e sulle gambe fino ad arrivare a terra. Lanciò i pezzi di vetro il più lontano possibile mentre si affrettava deviando leggermente dal percorso di Shouto.

Dopo un po’ ripeté l’operazione, assicurandosi di deviare ancora. Di tanto in tanto ripercorreva i propri passi e creava un’altra traccia. Vagò senza sosta, evitando radici e rocce.

Era coperto di sudore dalla testa ai piedi, i polmoni gli bruciavano, e ogni respiro era diventato una battaglia contro sé stesso. Le voci dei suoi inseguitori crescevano avvicinandosi, Izuku suppose che il gioco fosse terminato.

Non fare il fifone.

La voce di Katsuki gli fece stringere i denti, affrettando il passo mentre si arrampicava sulla collina. Non appena raggiunse la cima si fermò perché non c’era nessun pendio che scendesse verso l’altro lato della collina. Il mondo finiva in quello che sembrava essere un chiaro precipizio. Non c’era via di fuga.

Non fare il fifone.

Izuku si raddrizzò e si voltò per incontrare i suoi nemici. Erano in quattro, tre coperti da capo a piedi da un’uniforme nera, invisibile nell’oscurità della notte, il quarto indossava la stessa cosa tranne il cappuccio. Izuku analizzò attentamente il delicato oro dei suoi capelli e l’oro acceso dei suoi occhi felini. Il suo sorriso maniaco fece intravedere due zanne carnivore, piccole ma letali.

La ragazza si chinò in un inconfutabile posa d’attacco, le sue mani tremavano allontanandosi dal corpo, rivelando nella fioca luce notturna due lame corte a mezzaluna. Izuku respirò lentamente — dentro di lui si agitava la paura, cresceva e si diffondeva, ricoprendolo totalmente — ma non indietreggiò.

In quel momento pensò a Katsuki, i ricordi sfarfallanti, solo per un secondo.





 

Quando Katsuki si allenava aveva sempre un’espressione di assoluta concentrazione: sopracciglia corrugate, la bocca incurvata, lo sguardo fisso su qualunque cosa avesse davanti. Izuku lo guardava e se ne deliziava. Era affascinato dalla fluidità, la semplicità con cui eseguiva ogni esercizio indifferentemente dalla difficoltà.





 

Katsuki era di cattivo umore mentre aspettava che sua madre arrivasse per iniziare le lezioni. Si muoveva e borbottava, traboccante di energia anche mentre stava fermo. Izuku se ne nutriva in silenzio.





 

Il sorriso sbilenco di Katsuki dopo averlo battuto in una gara. Non sudava nemmeno, al contrario di Izuku che non smetteva di affannare. In quel momento sembrava più alto, più irraggiungibile che mai.





 

Kacchan stava nuotando vicino alla barriera corallina mentre Izuku stava seduto sulla spiaggia godendosi il sole. Mentre si allontanava, l’unica cosa che spuntava dalla schiuma bianca erano i suoi capelli biondi. Poi, all’improvviso sparì e non lo vide più.

Le viscere di Izuku si contrassero, senza accorgersene si ritrovò in piedi vicino alla riva. La sua paura, di nuotare nel mare agitato, batteva dentro di lui e gli afferrava il cuore, ma nemmeno quella lo fermò dal tuffarsi.

Kacchan emerse dal mare, tenendo tra le mani qualcosa — una conchiglia? — ma quando lo vide la sua espressione si indurì.

“Deku, che ci fai qui?!”





 

La risposta che Izuku non riuscì a formulare quel giorno, per via di un’onda imprevedibile che lo affondò di colpo, era una semplice frase, piena della convinzione che solo un bambino possedeva: “Sono venuto a cercarti.”

Quel giorno, Izuku era perfettamente conscio della certezza che vibrava nel suo cuore e che si era saldata lì per sempre.

‘Attraverserei il mare per trovarti, Kacchan.’

Quell’ultimo ricordo lo riempì di malinconia. La nostalgia che lo colpì non era nuova, ma aveva ancora la forza devastante che lo lasciava senza fiato. Non aveva importanza dove sarebbe andato, Katsuki non sarebbe stato lì.

Non fare il fifone.

Il suo corpo reagì, si allontanò dalla lama che scendeva verso di lui e tirò subito un pugno al suo avversario, un attacco che aveva visto fare a Katsuki giorno dopo giorno quando si allenava… ma il suo colpo mancava di precisione, forza e la tecnica che un combattente si sforzava di perfezionare ogni giorno. In altre circostanze, affrontando avversari meno ostici, Izuku avrebbe potuto offrire uno scontro dignitoso, ma lì, davanti a una donna soldato, addestrata ad uccidere, Izuku fu sconfitto senza gloria.

Finì a terra, con il peso della donna sopra di lui, e la lama ricurva premuta sul collo.

“E il tuo amico?” Chiese la donna mentre Izuku premeva le labbra e si agitava, senza successo. Lei rise e alzò il viso per guardare i suoi compagni. “Trovatelo.”

Izuku si sforzò, ma lei teneva le ginocchia piantate per terra senza perdere il sorriso.

“Allora, il trucchetto con le bottigliette era nascondere il fatto che aveste presto due percorsi diversi, eh? Una perdita di tempo. Lo troverò. Proprio come vi abbiamo trovati prima. Siete stati molto sfuggenti… ma sono contenta che l’incenso non abbia funzionato per entrambi, hai reso la mia caccia molto più interessante.”

“Quale incenso?” Chiese Izuku con la voce tesa aspettando che lei gli desse dettagli specifici, ma invece di rispondere quella rise ad alta voce.

“Sei venuto qui senza esserne a conoscenza? Beh, non ha importanza ora.”

La donna gli prese il viso e lo obbligò a guardare prima a sinistra e poi a destra, poi si prese del tempo per guardare le sue mani e le braccia. Non appena capì cosa stesse cercando, Izuku si agitò ancora di più, assicurandosi di agitare vigorosamente le gambe. Il suo trucco funzionò perché l’attenzione della donna andò subito alla benda.

“Proprio come pensavo,” disse la donna, offrendo un sorriso appuntito. “Sei fortunato, potrai incontrare il Generale.”

Prima che Izuku potesse chiederle cosa significasse, la donna lo colpì alla testa con il manico della lama. Il mondo di Izuku diventò un mantello nero.









 

Si svegliò con la nausea e il mal di testa. Tutto il suo corpo oscillava da una parte all'altra con un ritmo costante. Mentre si alzava, notò la corda che gli legava mani e piedi, la tensione nelle spalle e nei fianchi, e l'odore di sudore che emanava il corpo sotto di lui. 

Izuku scoprí che stava viaggiando come un sacco di patate sulla schiena di una bestia mai vista prima. Era enorme, con sei zampe che finivano in artigli affilati e una massiccia costituzione di ossa grandi. Quando cercò di alzarsi capì di essere legato alla sella mentre il conducente aizzava la bestia senza sosta, avanzavano così velocemente che il paesaggio era una macchia di colori indistinguibili. 

La visione acuiva il suo capogiro, così Izuku abbandonò il corpo contro la schiena della bestia e girò leggermente il collo così che il suo naso non fosse direttamente sopra il corto pelo scuro. La posizione, l’odore e il dolore non aiutavano a calmare il suo stomaco.

Quando notò il gusto di bile in gola Izuku strinse i denti e si sforzò di ricordare il profumo del mare. Con difficoltà riuscì ad evocare la sensazione della brezza pomeridiana quando il sole era alto nelle serate estive afose e asfissianti. Ricordava il caldo pesante e umido di quelle giornate lunghe, il vento rarefatto del mare che li costringeva ad andare in delle pozze lontane dal sole, nascoste nelle caverne lungo la zona montuosa.

Ricordava la pelle appiccicosa, il sudore che colava lungo la schiena come se si fosse appena lavato. Ricordava Katsuki, seduto per terra a mangiare del melone mentre il sudore si accumulava sulle sue clavicole e sulla nuca. 

Il ricordo tornò da lui facilmente e Izuku si aggrappò a quell’immagine. Strinse forte gli occhi e cercò di rendere il ricordo più nitido.





 

Aveva appena compiuto undici anni, il cielo era privo di nuvole che potessero respingere il sole rovente e l’aria calda rendeva impossibile rinfrescarsi, così loro due si erano rifugiati nelle caverne dall’altro lato della spiaggia. Lì il vento era fresco e l’acqua fredda.

Kacchan mangiava seduto con i piedi in acqua, indifferente, silenzioso. Seduto al suo fianco, Izuku lo guardava col desiderio di allungare la mano e metterla sulla nuca dell’amico. L’aveva già fatto prima, non si era mai trattenuto quando si trattava di toccarlo… ma ora era diverso. Ora era assolutamente conscio della scossa che il suo corpo riceveva quando toccava Kacchan. E ogni volta che la sentiva, ricordava le sue foglie senza fiori.

Izuku strinse i pugni concentrandosi sul cibo. Da quel giorno in poi, avrebbe fatto attenzione a tenere le mani ferme.





 

Con gli occhi chiusi Izuku strinse i pugni e cercò una posizione più comoda, ma lo sforzo era vano; alla fine si accontentò di rilassare il corpo mentre pensava.

‘È successo l’ultima estate prima che Kacchan iniziasse il suo addestramento in mare… L’ultima estate che abbiamo passato sulle isole prima di venire catturati.’

I suoi ricordi dell’attacco erano frammenti pieni di paura e incertezza, in effetti non aveva quasi memoria dei giorni prima del rapimento. Non ricordava cosa avessero fatto lui e Kacchan in quei giorni.

‘Ricordo di aver mangiato con Mitsuki… ma non che Kacchan fosse lì.’

Izuku fece uno sforzo, ma non ricordò nulla. Alla fine la stanchezza lo invase e finì in uno stato tra il sonno e la veglia, da cui si riprese quando la bestia si fermò. Il soldato che viaggiava con lui lo fece cadere al suolo con noncuranza. Izuku si piegò dal dolore, le mani e le gambe intorpidite dalla mancanza di circolazione.

Il motivo della sosta era far riposare il conducente e la bestia, mangiare e dormire un po’. In tutto quel tempo Izuku restò legato a un albero, senza acqua né cibo.

La stanchezza e la fame causarono a Izuku un sonno senza sogni, la sua mente troppo esausta per evocare immagini tortuose. Dormiva a intervalli regolari e ogni volta si svegliava di soprassalto, disorientato e dolorante. A un certo punto iniziò a piovere, gocce di acqua fredda che lo bagnarono da capo a piedi. Izuku si svegliò con una sete insaziabile, così sollevò il viso e bevve fino a sentire la gola dolorante.

Quando si fermarono per la seconda notte lo stomaco di Izuku brontolava senza sosta, aveva un mal di testa incessante e ogni volta che chiudeva gli occhi vedeva punti di luce che sfarfallavano dietro le sue palpebre in forme indefinite, ognuna di esse si adattava al ritmo del suo cuore. I suoi vestiti erano così fradici che gli si erano attaccati al corpo come una seconda pelle. I suoi polsi scorticati pulsavano senza smettere di sanguinare. Ma la cosa peggiore era il freddo, acuto e tagliente ricopriva il suo corpo, facendogli credere che non avrebbe mai più sentito il calore del mondo. Quando quella notte fu legato a quell’albero, alla mercé della pioggia, Izuku fu certo che non si sarebbe risvegliato.





 

Invece lo fece.

“...hi… ehi… ragazzo, mi senti? Ehi...”

Si svegliò sul pavimento di una cella scura scarsamente illuminata. Dovette battere le palpebre diverse volte per vedere bene le pareti. La voce che non smetteva di parlargli sembrava distante, attutita dal cotone. Il calore che il suo corpo emanava rendeva difficile sentire, il mondo era silenzioso e soffocante. Izuku chiuse gli occhi, leccandosi le labbra, che trovò secche e leggermente gonfie. I puntini luminosi erano spariti, sostituiti dall’oscurità assoluta.

La coscienza di Izuku fallì nell’aggrapparsi al mondo.





 

La volta dopo che si svegliò, stava tremando. Faceva così freddo che batteva i denti, sentì le dita ghiacciate e le gambe rigide. Quando si voltò, un movimento istintivo per conservare calore, realizzò che aveva gambe e mani libere.

Perse quel pensiero quando una sensazione fredda gli scosse il corpo.

“Ragazzo.”

Sistemò il collo per guardare la persona che stava parlando, mentre strinse le braccia contro il corpo.

“Stai bene?”

Izuku rispose con un sì.

“Ragazzo, se mi senti, hai freddo?”

Izuku rispose di nuovo con un sì.

“Riesci a parlare?”

Izuku pensò che la conversazione fosse assurda, così lo disse ad alta voce. Solo allora realizzò di non poter dire nulla. Ci provò ma non ci riuscì. Il freddo non glielo permetteva.

“Hai sete?” Chiese l’uomo, allungando qualcosa nella sua direzione.

Izuku lo guardò senza smettere di tremare; non poteva rispondergli, tantomeno allungare un braccio per prendere quello che stava offrendo. In un tentativo di riprendersi Izuku chiuse gli occhi e si concentrò sul combattere il freddo.

Freddo, freddo, freddo.





 

Si svegliò quando sentì qualcuno tirargli i vestiti. La sensazione della pietra che gli raschiava la schiena e i movimenti del soffitto spazzavano via tutti i pensieri razionali. Il panico esplose in lui come bolle di acqua bollente, vorticando dentro di lui e soffocandolo. Quello finché una freschezza improvvisa non gli toccò la fronte e le guance. Quando Izuku riuscì a focalizzare lo sguardo si trovò di fronte a un sorriso gentile e mani sottili incredibilmente premurose.

“Per tutti gli dei, ragazzo, hai la febbre alta.”

La voce era dotata di una tale calma e gentilezza che Izuku si rilassò. Restò sdraiato sulla schiena con la testa che toccava le sbarre che separavano le due celle. Con il panico sotto controllo, Izuku si prese un momento per studiare il viso scheletrico dagli occhi azzurri, gli occhi azzurri più compassionevoli che avesse mai visto.

“Per fortuna ti sei mosso mentre sognavi, altrimenti non sarei riuscito a raggiungerti.”

La risposta di Izuku fu di guardarlo, offuscato dalla pesantezza del suo corpo.

“Capisci quello che dico, ragazzo?”

Izuku rispose di sì.

“Mmm, vediamo. Apri la bocca.”

Izuku obbedì, era vagamente conscio della ciotola scheggiata premuta contro il suo labbro inferiore, e ciò che lo svegliò fu il liquido freddo che gli si riversò in bocca. Izuku bevve così avidamente che se fosse stato per lui l’avrebbe svuotata con un solo sorso, ma l’uomo si prese il suo tempo e lo fece con una tale cura che alcune gocce gli scivolarono sulla guancia.

“Ecco fatto, va meglio?” Asciugò le gocce d’acqua col pollice e premette la fronte contro le sbarre. “Riesci a parlare ora? Come ti chiami?”

Izuku provò di nuovo.

“...zzzku...”

“Suku, ti chiami Suku? ...Beh, Suku, sei stato incosciente da quando ti hanno portato qui. Cioè stamattina. Vedo che sei fradicio, sta piovendo?” Izuku si lamentò. “Bene. No, non muoverti. Sei troppo debole, ricordi quand’è stata l’ultima volta che hai mangiato? Va tutto bene. Non preoccuparti. Beh, guardandoti da vicino, noto che sei molto giovane, chi è stato il folle a mandarti qui? …D’accordo, ne parleremo quando ti sarai ripreso. Per adesso hai bisogno di bere molta acqua. Devi anche mangiare.”

Gli offrì un pasto soffice e insapore, che Izuku mandò giù con molto sforzo.

“Dobbiamo toglierti quei vestiti bagnati. Ti avvolgerò con la mia coperta per scaldarti.”

Sentendo le mani sulla sua camicia, Izuku raccolse tutta la sua forza per allungare la mano e stringere quella dell’altro, ma il suo sforzo fu inutile perché l’uomo si liberò senza fatica e alzò la maglia.

“...oh.”

La paura di Izuku crebbe, strinse la bocca e si preparò al peggio, ma invece di attirare l’attenzione, l’uomo appoggiò il viso contro le barre e sussurrò a bassa voce.

“Va tutto bene… va bene. Ti porterò la mia coperta, ti ci coprirai mentre ti togliamo quei vestiti. Non appena saranno asciutti potrai usarli di nuovo. Non avere paura. Mi prenderò cura di te.”

In un tentativo di calmarlo, il prigioniero gli accarezzò i capelli con molta delicatezza finché Izuku non annuì; prima che l’uomo si allontanasse, Izuku raccolse le forze per fare una domanda.

“...chi…?”

L’uomo dagli occhi azzurri sussurrò: “Mi chiamo Yagi.”





 

Senza vestiti, avvolto in una coperta di cotone ruvido, Izuku fu consapevole del suo corpo ghiacciato; la sensazione era inesprimibile mentre le sue interiora si scioglievano col calore che gli imperlava la fronte fradicia di sudore. Per ore, giorni, anni — la sua percezione del tempo era danneggiata — entrò ed uscì da uno stato cosciente.

A volte trovava Yagi a massaggiargli i muscoli, riscaldandogli la pelle con il movimento e la frizione, altre volte si svegliava sull’isola con sua madre, che gli metteva una mano sulla fronte e gli sorrideva con il suo inesauribile amore.

La febbre faceva sprofondare Izuku un mare di ricordi scuri. Incubi, ricordi, allucinazioni, si mescolavano tutti nella sua mente finché risultava impossibile distinguere la realtà dalle menzogne.





 

Katsuki in mezzo a un mare nero.

Izuku correva verso di lui, ma mentre l’acqua scura si avvicinava, si alzava a ricoprirlo completamente. 

“Kacchan!”

“Non venire, Deku.”

“Kacchan!”





 

I gladioli sul petto di Kacchan erano di un inconfondibile rosso scarlatto. Izuku sognava di toccarli, ma quando distendeva la mano le sue dita erano macchiate di sangue. Sollevando gli occhi, l’uomo dalla pelle viola gli sorrideva mentre la sua lama perforava il petto alabastrino.

“Kacchan!”





 

“Qual è il tuo problema?!” Katsuki si avvicinò e allungò la mano verso il nodo sul suo fianco. “Per caso hai un fiore così brutto che non vuoi farlo vedere a nessuno?”

Izuku reagì con rabbia. Schiaffeggiò la mano e indietreggiò; le lacrime gli bruciavano gli occhi.





 

Quando si avvicinò per toccare la schiena di Kacchan, lui si sciolse tra le sue dita come sabbia che aveva perso la sua consistenza. Izuku era perso, in mezzo all’oscurità.





 

“Scappa!”

Kacchan si voltò e lo spinse. Izuku riuscì a fare tre passi prima di inciampare. Cadde con le mani in avanti e si voltò in tempo per vedere Kacchan saltare sull’uomo con l’arco, ma cadde subito al suolo, incosciente. 

“Kacchan!”





 

Era accovacciato accanto a Kacchan, gamba contro gamba, spalla contro spalla, davanti a un campo di fiori blu con un centro giallo. Lo vide muovere le labbra, ma non capì cosa stesse dicendo.

“Cosa?” Chiese a voce alta.

La risposta che ricevette fu un braccio proteso verso i fiori. La bocca di Kacchan si muoveva, ma non ne usciva alcun suono.

“Non riesco a sentirti!”

Quando cercò di toccarlo, un feroce vortice lo accecò.





 

Aprì gli occhi e vide Kacchan seduto in una cella buia. I suoi occhi scarlatti brillavano come braci incandescenti.

“Kacchan?”

L’espressione di feroce aberrazione sul viso dell’amico si scurì.

“Mi hai abbandonato.”

“No!”

“Ti sei arreso!”

“No!”

Quando Izuku cercò di avanzare, cadde in un abisso impenetrabile.





 

Si svegliò col fiato corto, le mani fredde e il corpo dolorante. Fece respiri brevi finché non si calmò, tuttavia si sentiva ancora sul bordo dell’abisso, pieno di amarezza, delusione e compianto. Contrasse il suo corpo, notando ogni muscolo sofferente e ogni punto di dolore. Con calma ordinò i ricordi degli ultimi giorni, molti erano frammenti che mischiavano incubi con la realtà senza un ordine specifico, il resto erano immagini di Yagi che vegliava sui suoi sogni, offrendogli acqua fresca e cibo o semplicemente prendendosi cura di lui.

“Sei sopravvissuto.”

Izuku si mosse con cautela, doveva combattere lo sconforto che sentiva palpitare dentro. Voltò il capo finché i suoi occhi non si posarono sull’uomo, seduto con la spalla appoggiata contro le sbarre che separavano le due celle.

“Che giorno è?” La sua voce era un rantolo corto, quasi impercettibile.

“Non so la data esatta, ma sono passati quattro giorni da quando ti hanno portato qui. La tua febbre è peggiorata quella notte e ha continuato a salire. Ho avuto paura che non ce la facessi, ma eccoti qui.”

“Dove—,” fece una pausa, deglutì, schiarì la gola e ci riprovò. “sia… sia…?”

"Siamo nelle celle sotterranee della Capitale, Suku."

"Suku?" 

"Non è il tuo nome?" 

"No, mi chiamo Izuku."

Con molta cautela Izuku si tirò su, e i polsi quasi cedettero quando appoggiò le mani per terra. Qualcuno — presumibilmente Yagi — glieli aveva lavati e puliti, ma provava comunque dolore. Sedendosi, Izuku dovette chiudere gli occhi per sopportare l'improvviso capogiro che lo colpì. Gemette di dolore ed espirò lentamente finché non fu sicuro di non svenire. 

'Concentrati sul respirare,' disse con fermezza a se stesso, determinato a cancellare dalla mente gli incubi. 

Aprì gli occhi e vide che la prigione aveva una parete di pietra dietro, sbarre di metallo sui lati che dividevano una cella dall'altra — quella sulla sinistra era vuota — e la porta era una mostruosità grigia con una semplice fenditura a tre piedi dal suolo da cui entrava la luce delle torce. C'era anche un mucchio di paglia maleodorante in un angolo e un secchio sporco vicino alla porta. 

"Quattro giorni?" Chiese Izuku accettando la ciotola d'acqua che Yagi gli porgeva. 

"Sì, oggi conta come la notte del quarto giorno."

"Hanno portato qualcun altro?" 

"Solo tu... viaggiavi con qualcuno? Con Kacchan forse?" 

La testa di Izuku si voltò così in fretta che il suo collo scricchiolò. Dentro di lui cresceva un'emozione indescrivibile, soffocante. Era densa e opprimente, rilasciava un senso di malinconia associato a quel nome. Le sue barriere, ancora fragili per via della febbre, vacillarono. 

"Che cosa hai detto?" Mi hai abbandonato! 

"Kacchan," ripeté Yagi e in qualche modo il nome suonava in modo terribile sulle sue labbra, come un'indelicatezza detta a voce alta. Izuku avrebbe voluto correggerlo, ma non ci riusciva. "Hai continuato a ripetere quel nome mentre deliravi per la febbre."

La bolla dentro di lui esplose, lasciandolo vuoto, memore di occhi scarlatti come braci incandescenti. Mi hai abbandonato! 

"Incubi," disse Izuku, bevendo l'acqua tutta d'un fiato, gli andò di traverso e la tosse gli diede una scusa per riprendersi. 

"È stata sua l'idea di disegnare un'orchidea sulla tua gamba?" 

Izuku chiuse gli occhi, si sentì debole, emotivamente drenato e incapace di concentrarsi su qualcosa che non fosse l’immagine di Kacchan divorato da un mare scuro.

“È stata una sua idea?”

‘No,’ voleva dirgli, ‘non è stata una sua idea, lui non esiste più,’ ma non riusciva a proferire parola. Pronunciò invece un frase rotta, debole, che suonava più come un lamento che come un ordine.

“Per favore, smettila di parlare di lui.”

Restituì la ciotola vuota e si sdraiò lentamente. La stanchezza cadde su di lui come un martello di ferro; si sentiva di nuovo male, ma senza la febbre. Spinse le gambe contro il petto e chiuse gli occhi. Stavolta dormì libero dagli incubi e dalle allucinazioni, sognò invece di un campo blu acceso.





 

‘Mi ricorderei di te anche se non avessi nemmeno un fiore blu, Katsuki.’






 

Aprì gli occhi e batté le palpebre.

Katsuki?

Era certo di non aver mai detto il suo nome a voce alta, ma il suono della sua stessa voce che pronunciava quella parola era un’eco che gli fischiava nelle orecchie con un’incredibile chiarezza. Per qualche ragione, pensò a dei fiori blu con piccoli petali e nonostante si sforzasse non riusciva a ricordare il loro nome. Tentò ma era inutile, il sogno era diffuso e si scioglieva tra le sue dita quando cercava di ricrearlo. L’unica cosa che restò dentro di lui fu quella frase.

Tuttavia si sentiva meglio, meno vulnerabile dell’ultima volta, meno fragile. Era ancora convalescente, ma la sua mente era lucida, le idee più complesse, e la situazione prendeva forma davanti ai suoi occhi. La sensazione malinconica era ancora lì, un sapore amaro, un peso dentro di lui, ma non era paralizzante.

Il ricordo dell’espressione di Kacchan che diceva “Ti sei arreso” lo spronava, piuttosto che distruggerlo.

Quando il suo vassoio con la razione apparve attraverso la fessura nella porta, Izuku allungò le mani e prese il cibo prima che sparisse. Sul piatto trovò lo stesso porridge che gli aveva dato Yagi, una ciotola d’acqua, e due pezzi di pane ammuffito.

La sua fame non gli fece concessioni, grattò via le parti ammuffite del pane e si assicurò che l’interno restasse buono, poi lo tagliò a fette che spalmò con il porridge. Mangiò lentamente due fette, masticando con calma nonostante l’urgenza che sentiva. Bevve dell’acqua e aspettò. Per passare il tempo, lavò le ferite sui polsi con un po’ della sua preziosa acqua potabile, slegò la benda sulla gamba e studiò i danni causati dall’umidità e la bendò di nuovo, assicurandosi che la stoffa restasse ferma.

Una volta sicuro che lo stomaco non si ribellasse, Izuku mangiò altre due fette e aspettò di nuovo. Non aveva le scarpe quindi si intrattenne a scaldarsi le dita dei piedi con la sua coperta rosicchiata, in quel momento il suo sguardo virò verso destra, riusciva a vedere che c’erano altri tre prigionieri nelle celle adiacenti a quella di Yagi. Quella alla sua sinistra era vuota, in quella accanto c’era un prigioniero e poi un’altra cella vuota.

Dopo due pause dal pranzo, mentre masticava la sua ultima fetta di pane, Izuku si alzò per spiare dalla fessura nella porta. Davanti c’era un’altra fila di porte identiche, il soffitto era fatto di pietra ammuffita e per la prima volta individuò il tocco di umidità che permeava l’ambiente.

“Ci sono fiumi o laghi qui vicino?” Chiese ad alta voce e voltandosi verso Yagi.

“C’è un fiume.”

“È originario o sbocca nell’argine Hosu?”

“È originario.”

“Quindi sbocca nel mare.”

“Conosci la regione?”

“Solo sulle mappe. Ho memorizzato l’esatta posizione delle fortezze, dei villaggi e delle prigioni quando mi sono preparato per il mio viaggio. Se dici che qui vicino c’è un fiume che ha origine dall’argine, allora siamo nel canale che usano per trasportare le navi che costruiscono verso il mare.”

“Perché è importante?”

“Perché conosco qualcuno che lavora qui.”





 

“Stai lontano dalle coste, Midoriya… non avvicinarti a meno che tu non abbia altra scelta. Se ti catturano, ti manderanno alla Capitale. Ho un amico lì che può aiutarti, lavora nelle celle sotterranee. Gli chiederò di tenere gli occhi aperti sui prigionieri che arrivano, ma devi capire che non c’è garanzia che lui possa venire e vederti.”





 

Quando la guardia tornò per la cena, Izuku fu pronto. 

"Che folle banchetto di oscurità."

La guardia gli disse di stare zitto e andò via imprecando tra i denti. Izuku si allontanò dalla porta e si sedette di nuovo con la schiena contro le sbarre. 

"E adesso?" 

"Aspettiamo."

La fame tornò più forte che mai, lo stomaco si torceva impazientemente e Izuku non riusciva a calmarlo. Per distrarsi contò le duecentosedici linee sul soffitto della sua cella, si massaggiò i polsi feriti e cercò di stirarsi con cautela. Poi fece vagare gli occhi per la cella fino a posarsi su Yagi. 

"Grazie per avermi aiutato."

Lo disse con sincerità, quasi con affetto, e Yagi scosse la testa, facendolo sembrare poco importante. 

"Sei troppo giovane per essere qui."

"Non gliene importa nulla dell'età."

Yagi annuì in silenzio e la conversazione morì lì. Izuku continuò a guardarlo, studiando i suoi tratti sottili, gli zigomi marcati e i denti dritti. Aveva l'aspetto di qualcuno che aveva perso peso continuamente, senza sosta. Anche se l'aria sudicia della cella dava l'illusione che tutti avessero lo stesso odore — un misto di sudore, sporcizia, marciume e sofferenza —era impossibile nascondere l'odore che apparteneva ad ognuno, fluttuava tenuemente tra di loro e Izuku si permise di studiarli in silenzio. 

"Perché ti trovi qui?" Chiese improvvisamente Yagi. 

"Perché tu ti trovi qui?" 

"Io non sono un Omega che si spaccia per un Beta."

"No, sei un Alpha che si spaccia per un Beta. All'inizio credevo di sbagliarmi perché non porti un marchio, ma non è così. Sei un Alpha. Loro lo sanno?" 

"Sei molto perspicace, ragazzo. Sì, lo sanno, sono qui perché lui si è annoiato di me."

"Il Generale?" 

"Ogni tanto viene a farmi visita, ma per il resto mi lascia da solo." 

"E il tuo marchio?" 

"Era qui," un dito ossuto indicò il torso nudo dove una cicatrice terribile copriva quasi tutto il fianco sinistro. "Era un fiore d'ulivo e si estendeva dalla spalla al fianco. Aveva piccoli fiori bianchi con un tocco dorato al centro dei petali. C'erano dozzine di grappoli bianchi… la mia gente lo considerava il fiore della pace. Ora non c'è più."

"Cos'è successo?" 

"L'ho perduto." 

"Come?" 

"Me l'hanno tolto. Ora è esposto come trofeo sulla parete di Shigaraki Tomura."

"Chi?" 

"...per il tuo bene, spero che tu non lo debba mai conoscere. Ora dimmi, come sei finito qui?" 

Izuku sospirò, si massaggiò con calma le dita e gli parlò, senza fretta e con tutti i dettagli del caso. E non potendo fare altrimenti, cominciò con Kacchan. 





 

‘Mi ricorderei di te anche se non avessi nemmeno un fiore blu, Katsuki.’





 

Il racconto di Izuku fu interrotto quasi alla fine. Aggrottò la fronte e cercò di ricordare dove e quando avesse sentito quella frase. 

"...e hai deciso di sacrificarti al suo posto." 

Izuku lo guardò, battendo le palpebre. "Eh? ...sì …no, voglio dire. Non mi sono sacrificato. Non so se il mio piano ha avuto successo o meno." Izuku sospirò continuando ad esaminare le ferite sui polsi, respingendo il ricordo dei fiori blu. "Sono sicuro di aver coperto le sue tracce e di avergli dato abbastanza tempo per fuggire. Voglio credere che sia in salvo." 

Yagi annuì, riflettendo. 

Quella notte Izuku dormì poco, con lo stomaco vuoto, la mente piena di idee e la ferma decisione di uscire da lì. 

La routine in prigione era molto noiosa, l'atmosfera pesante lo intorpidiva per tutto il giorno, da sveglio parlava con Yagi, interessato al suo desiderio di diventare un guaritore e alla sua permanenza nelle terre di Overhaul. Due volte al giorno passava una guardia a dar loro da mangiare, ogni volta Izuku ripeteva la parola d'ordine, senza alcun cambiamento. 

Alla quinta visita Izuku incontrò finalmente l'amico di Tokoyami. 

"Che folle banchetto di oscurità," ripeté Izuku con inerzia senza alzare lo sguardo. 

"Il nostro amico è un essere notturno."

Inginocchiato davanti alla sua porta, Izuku si chinò per vedere il suo sorvegliante. Era un uomo alto e robusto con sei braccia muscolose su cui portava i vassoi di cibo, i capelli di un color platino lucido e una bandana gli copriva gran parte della viso. 

"Tentakoru?" 

L'uomo si abbassò per spiare Yagi attraverso la fessura, le sopracciglia aggrottate mentre guardava l’altro incollato alle sbarre. 

"È un amico," spiegò urgentemente Midoriya a bassa voce. "Mi fido di lui, Tentakoru." 

"Ho detto a Fumikage di non chiamarmi così. Il mio nome è Shoji." 

La sua voce aveva un ritmo alto, quasi giocoso e curiosamente non arrivava dalla sua bocca ma da una delle appendici che si avvicinava alla fessura per parlare; anche se la sciarpa blu gli copriva metà della faccia era facile capire quando rideva perché gli angoli degli occhi si stringevano. 

Senza riuscire a trattenersi, Izuku sorrise. 

"Ciao, Shoji. Grazie per essere venuto." 

"Iniziavo a pensare che non avrei mai avuto modo di incontrarti, Midoriya. Fumikage mi ha parlato molto di te nelle sue lettere. Ha insistito parecchio nel chiedermi di tenere d'occhio i prigionieri nuovi." 

"Come sta?" 

"La sua ultima lettera è arrivata diverse settimane fa. Mi diceva la data della tua partenza, mi ha anche avvisato del suo reclutamento. Ora è impossibile sapere dove sia." 

Midoriya scosse via l'improvvisa nostalgia e si concentrò. "Puoi aiutarmi, Shoji? Devo uscire da qui." 

"Fumikage deve averti detto che non posso farlo… ma gli ho promesso che avrei fatto tutto ciò che è in mio potere per aiutarti. Ora ascolta attentamente perché non ho molto tempo: tra due giorni faranno dei test a tutti i prigionieri qui. Saranno test all'esterno, a quel punto dovrai fuggire. Devi allontanarti dal confine di Overhaul, o se preferisci, dirigerti verso le montagne, non c'è modo di arrivare al mare, ci sono truppe ovunque e anche se la tua gente ha delle barche che delimitano l'area, girano voci che molti di loro siano morti. La tua miglior opzione è tornare ad Overhaul—"

"Ma—" 

"Basta così. Ora prendi il tuo cibo, ti ho messo una doppia razione. Tornerò tra due giorni." 

Izuku lo vide andare via e restò vicino alla porta finché non scese il silenzio. Per un po' restò fermo poi sistemò il cibo per terra, si inginocchiò e con un sasso iniziò a delineare una versione improvvisata delle mappe di Tokoyami. Quando finì di marcare il suolo, sistemò i pezzi ammuffiti che aveva tolto dal pane per delimitare le fortezze che ricordava. 

"Qui c'è il fiume," mormorò mentre il suo cervello correva frenetico, analizzando possibilità e scenari. "Non posso attraversarlo, anche nuotando rischio di venire trascinato dalla corrente. Potrei risalirlo, raggiungere la diga e cercare una zona dove il greto è meno grezzo, ma… Voglio davvero tornare a Overhaul? Ho passato anni a cercare di andarmene da lì. Tornare adesso significherebbe tornare indietro, con la differenza che Tsuyu non è lì. E nemmeno Fumikage. Non posso andare a sud, non senza una nave, e a piedi rischierei di essere scoperto. Ci sono troppi villaggi vicino al fiume. Non posso attraversare Hosu senza aiuto, specialmente se le truppe del Generale sono dispiegate, non c'è modo di raggiungere la costa sano e salvo. Posso solo andare sulle montagne, una volta lì attraversarle e cercare di raggiungere il deserto. Kamui ha detto che sarebbe andato a nascondersi sulle montagne. Ha detto anche che aveva un amico lì. Come si chiamava? Espie… Esnie… forza, cervello, cerca di ricordare… Snipe… Sì. Snipe. Se riesco a trovare Snipe può guidarmi lui da Kamui. Con lui posso mandare un messaggio ad Aizawa per informarlo della mia posizione. È l'opzione più logica."

Senza pensarci Izuku allungò la mano, prese un pezzo di pane, lo immerse nel porridge e iniziò a mordicchiarlo senza che lo sguardo si fermasse, spostandosi in diversi punti sulla mappa. 

"Sei eccezionale."

La voce di Yagi lo tirò fuori dalla sua piccola bolla e si voltò per guardarlo. 

"Sarai un guaritore eccellente."

"Grazie."

"No, grazie a te per avermi ricordato che ci sono ancora cose per cui combattere. Grazie per avermi ricordato chi sono e cosa ci faccio qui." 

"Cosa?" 

"Non ti ho detto tutta la verità, ragazzo… Pensavo di proteggerti. Da dove vengo io, gli Omega vengono accuditi, coccolati, perché nella mia terra la vita è difficile e la nostra gente si prende la responsabilità di tenerli al sicuro. In ogni generazione non nascono molti di loro, ancora meno sopravvivono, quelli che lo fanno si sposano giovani e si divertono perché è l'unica cosa che conoscono."

"Da dove vieni, Yagi?"

"Mi chiamo Toshinori Yagi."

Per un momento Izuku restò fermo, riesaminando il nome, cercando di dare un senso alle sillabe nella sua mente. Finché non ricordò Aizawa e la missione che aveva dato a Tenya. 

"Sei l'ex leader delle Tribù Barbare."

"Lo sono. Quando ho sentito la tua storia volevo dirti la verità, ma ti avrebbe messo in pericolo."

"Perché?" 

"Ti racconterò tutta la storia, ma prima devi promettermi che manderai un messaggio alla mia terra. Dirai al giovane Togata esattamente quello che ti dirò io. Solo a lui e a nessun altro." 

"Perché?" 

"Perché ti uccideranno se ripeterai quello che hai sentito qui."

"Ripetere cosa?" 

"Voglio che mi ascolti attentamente. Ti parlerò di chi è il Generale e qual è il suo obiettivo." 

"Lo conosci?" 

"Una volta gli ho purtroppo risparmiato la vita." 










 

Due giorni dopo Izuku disse addio a Yagi a bassa voce, ringraziandolo per avergli salvato la vita. 

"Fa' attenzione, ragazzo… e ricorda di dare valore alla tua vita tanto quanto a quella degli altri." 

Izuku fu trasportato dalle celle individuali al retro di un vagone. Con lui viaggiavano altri otto adulti, che lo guardavano tutti con orrore per via della sua età e inalando il delicato aroma di menta che emanava. 

Dopo un viaggio relativamente breve la porta si aprì e diversi adulti si posizionarono davanti a Izuku in un gesto istintivo. Quando non accade nulla si mossero tutti lentamente verso l'uscita. 

Non appena fu fuori Izuku realizzò tre cose in rapida successione. La prima era che c'era troppa luce. La seconda, quando gli occhi si abituarono alla luminosità, fu che Shoji non era nella linea delle guardie, e l'ultima era che il suo corpo tremava ancora per la febbre. Quello, o non aveva mangiato abbastanza. 

"Il Generale è magnanimo," gridò uno degli ufficiali che li guardava a debita distanza. Nel gruppo erano circa in quindici, tutti torreggianti e feroci. "Vi dà la possibilità di riprendervi la libertà. Se riuscirete a scappare sarete liberi… beh, che state aspettando? ANDATE!" 

Il suo urlo fece partire tutti i Beta. Izuku li seguì, nella stessa direzione, determinato a perdere di vista le guardie prima di separarsi. 

Il gruppo di guardie restò indietro, vicino al vagone, davanti c'era una strada sporca che iniziava a girare verso sinistra fino a una curva stretta, a destra una caduta di diversi metri e un pendio ripido coperto dagli alberi. 

Izuku e il suo gruppo voltarono a sinistra e iniziarono ad arrampicarsi. Dopo solo quindici metri Izuku iniziò a notare i chiari segni del deterioramento dovuto a un prolungato digiuno. 

Non andarono molto lontano. 

All'inizio Izuku fu sicuro che fosse nebbia, debole e grigia chiara distinguibile solo dalla sfumatura degli alberi, poi ne sentí l'odore e si fermò, aveva un odore acre. Selvatico. Cercò di identificarlo quando cadde il primo Beta. Accadde davanti a lui e Izuku si mosse prima di poter processare cosa stesse facendo. Si chinò verso l'uomo e si allontanò quando quello iniziò ad avere le convulsioni. Non ci volle molto perché dalla sua bocca iniziasse ad uscire una schiuma bianca per poi smettere di muoversi. 

Izuku gli prese il battito ma non c'era. 

Gli altri iniziarono ad urlare, tenendosi la testa con le mani e quando Izuku li guardò notò il sangue che usciva loro dal naso e dagli occhi. Con un rapido conto Izuku individuò altri tre con le convulsioni mentre gli altri urlavano. 

L'incenso. Shoji aveva detto che ci avrebbero fatto un test. È questo il test. È una droga per i Beta. Per uccidere i Beta. 

L'istinto di Izuku voleva farlo inginocchiare vicino ai suoi compagni per aiutarli, si guardò intorno terrorizzato. 

"Non fare il fifone." 

Izuku corse, continuando a salire con difficoltà senza fermarsi. Trovò Shoji in cima, con una borsa da viaggio.

"Ci ho messo delle provviste e altre cose di cui avrai bisogno. Hai un'ora, forse due, prima che le guardie si accorgano che ne manca uno. Anche allora cercheranno in giro quindi corri e non fermarti." 

"Grazie, Shoji." 

"Corri!" 

Velocemente, con in mente ancora le immagini fresche dei Beta a terra con le convulsioni, Izuku si dimenticò di dire a Shoji del suo piano di raggiungere l'area montuosa. 

Se l'avesse detto a Shoji, quello l'avrebbe messo in guardia su cosa avrebbe trovato lì. 

 
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Grazie mille a tutti coloro che continuano a seguire questa fic nonostante i miei ritardi secolari, grazie davvero <3 

 

Prossimo capitolo: "Pira Funeraria"

 

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Capitolo 19
*** Pira Funeraria ***


Capitolo 19 - Pira Funeraria





 

Kouji Koda non poteva parlare, ma non si considerava miserabile o sfortunato. Era stato abbastanza fortunato da sopravvivere, nonostante ci fossero innumerevoli casi di madri e famiglie che disprezzavano i bambini considerati 'anormali'. Era vero che non aveva mai conosciuto i suoi genitori, ma aveva un padre che gli voleva molto bene, lo stesso che l'aveva trovato nella foresta, gli aveva dato una casa e l'aveva cresciuto insieme agli altri suoi bambini. 

Se avesse potuto, Kouji avrebbe chiamato Ken "padre" ma non poteva, così si accontentava di obbedirgli. In cambio Ken gli affidava cose che non condivideva con gli altri. 

"Sei pronto, Kouji?" Chiese Ken mentre oltrepassava la tenda che separava la stanza da letto dal soggiorno. 

Kouji rispose annuendo. Non poteva parlare ma le sue corde vocali erano in grado di produrre suoni scordati, che era riuscito a perfezionare col tempo. I suoi amici al villaggio erano in grado di distinguere il soffio d’aria di gioia da quello di sorpresa.

Il suono che emise davanti a suo padre fu un inconfutabile .

“Bene,” rispose Ken, dandogli del cibo e uno zaino più grande. “Secondo il messaggio che Kamui ha inviato con Mina, lui e le spie sono partiti ieri. Kamui ti aspetterà al capannone che usi per i tuoi animali. Dovrebbero essere arrivati ieri, quindi dagli lo zaino e lascialo andare.”

Un suono gutturale stavolta una domanda e allo stesso tempo Kouji sollevò una mano imitando la forma di un serpente.

Ken scosse la testa.

“Non preoccuparti di Shuichi, lui è venuto ad incontrare me quindi dovrai andare tu al mio posto. Il gruppo di Shigaraki intende partire entro un paio di giorni e fino ad allora devo restare qui.”

Kouji storse il naso e spostò lo sguardo.

“So che ti rendono nervoso, ti hanno infastidito di nuovo?”

Negò, un suono tremolante.

“Se preferisci, puoi restare al capannone per qualche giorno. Non avrai modo di salutare i tuoi amici ma li vedrai comunque quando andrai a studiare alla Capitale.”

Incerto, incurvò le sopracciglia e aveva le mani nervose.

“Non preoccuparti, vai… Approfitta di questo tempo e prenditi cura dei tuoi conigli, okay?”

Assenso. Gioia.










 

Kamui si svegliò sentendo lo scricchiolio delle foglie vicino alla nicchia. In pochi secondi fu in piedi, il pugnale in mano, una postura difensiva che assumeva quando era totalmente all’erta; non appena identificò il ritmo dei passi si raddrizzò. Abbassò il pugnale e uscì per incontrare il suo ospite.

“Buongiorno, Kouji. Sei arrivato presto, tuo padre?” Il ragazzo alzò il pugno sinistro e lo poggiò sulla sua schiena. “Capisco. E Mina?” Il ragazzo allontanò la mano dal corpo. “Giusto, me n’ero scordato, partono oggi. Ti mancheranno?”

Una mano sul viso, silenzio.

“Il tempo passa in fretta… Presto i tuoi amici torneranno.”

Un broncio.

“Ora facciamo colazione, voglio partire prima che sorga il sole.”

Kouji alzò una mano, lo indicò, agitò le dita e infine fece un suono gutturale.

Kamui sospirò.

“Non so per quanto starò via. Tornerò appena si saranno calmate le acque, forse un paio di mesi, oppure se arriva il freddo e le cose non migliorano andrò giù al confine e passerò l’inverno vicino al deserto, ma sta’ sicuro che tornerò per la primavera.” La risposta di Kouji fu di annuire, porgendogli il grande zaino.

Mangiarono in silenzio, avvolti nella piccola luce della lampada del soggiorno. Fuori il vento soffiava contro i rami degli alberi.

“La senti?” Chiese Kamui, mettendo via il suo piatto mentre Kouji lo guardava; prima che potesse reagire, Kamui si alzò e aprì la porta attraverso cui entrò una fredda brezza notturna. “È la pioggia! Sono cominciate le piogge!”

Kamui si rilassò appoggiandosi allo stipite della porta, Kouji masticò lentamente, contando mentalmente i suoi compiti in sospeso. Quando finì di mangiare mise via il suo piatto e restò lì ad ascoltare il picchiettio delle gocce sulle foglie.

Proprio allora il tetto della casa crollò loro addosso.










 

“Dannazione!” Esclamò Toga non appena sentì l’odore della pioggia; il suo incubo si materializzò quindici minuti più tardi quando le prime gocce caddero dal cielo scuro. In lontananza una serie di lampi illuminavano le nuvole a intermittenza. “Figlio di puttana!”

Corse dritto davanti a sé, senza fermarsi.

‘Avevo appena trovato la traccia e adesso inizia a piovere, dannazione!’

Sperò di catturarlo, ma la leggera pioggerellina si trasformò in una tempesta in pochi secondi. Con i capelli fradici e piccoli rivoli d’acqua che le scorrevano lungo le tempie, Toga tenne lo sguardo fisso sul suolo dove le pesanti orme iniziavano a svanire.

Mentre perdeva la sua traccia, Toga rallentò, accovacciandosi in avanti, piegandosi regolarmente per analizzare il terreno e trovare un segno. Camminava in semicerchi aspettando di trovarla di nuovo.

Seppe di averla persa quando raggiunse il dirupo.

“Merda!”

Si scostò i capelli dalla faccia e si guardò intorno, come se aspettasse di vedere il selvaggio accovacciato, che la guardava. Poi si avvicinò al dirupo, e lo scartò immediatamente come possibile nascondiglio. C’era una discesa inclinata di diversi metri che finiva in un tuffo nel vuoto, nemmeno lei sarebbe potuta scendere con la pioggia.

Restò ferma per parecchio, ascoltando con cura, attenta a non perdersi nemmeno il più piccolo segno, ma fatta eccezione per i tuoni che ruggivano in cielo la foresta era silenziosa. Quando Toga si arrese tagliò un ramo che ripulì subito dalle foglie e dalle schegge. Mise un pezzo di stoffa rossa a un’estremità mentre affilava l’altra e procedette a piantarla nel terreno, nella zona più pulita che trovò e visibile da lontano.

Cercò nella sua piccola faretra che si portava sulla schiena e prese una freccia con una pallina rossa sulla punta. Appiccicata contro l’albero, evitando che la pioggia bagnasse la silice, Toga accese la pallina che sibilò subito ed emise fumo di un intenso colore rosso.

Con la pallina fumante, Toga armò il suo arco e scoccò la freccia alta nel cielo, lasciandosi dietro una scia rossa. Il colore del fallimento.

Con uno schiocco Toga volse le spalle al cielo, tornando sui suoi passi e ricominciando.










 

Kouj tossì, troppo esterrefatto per capire. La sua sedia aveva ceduto sotto il suo peso e intorno a lui vedeva solo foglie di palma e rami spezzati. Si mise a sedere lentamente e alzò lo sguardo al soffitto. C’era un enorme buco sulla destra, la trave principale era al suo posto ma le altre secondarie penzolavano in pezzi intorno a lui.

La pioggia che passava attraverso il buco iniziò a formare pozzanghere sul pavimento.

Kouji gattonò lentamente per vedere cosa ci fosse sotto la crepa. La prima cosa che vide quando allungò il collo fu… una gamba?

“Kouji!”

Guardò Kamui, che sembrava illeso, anche se l’espressione nei suoi occhi rispecchiava sgomento. Kouji indicò semplicemente la pila di foglie e legno che giaceva sotto il buco.

Mentre Kamui si avvicinava per esaminarla, la sua espressione diventò di assoluto panico. Si allungò per guardare attraverso il buco nel soffitto nonostante la pioggia, ma il cielo era dipinto di un’oscurità assoluta e non si vedeva niente a parte nuvole nere.

Kamui gli voltò le spalle e lentamente cominciò a spostare le foglie e i rami poggiati sopra una gamba avvolta in dei pantaloni neri e spessi con stivali di pelle morbida legati con nastri sottili.

“Va’ via, Kouji,” disse Kamui, terribilmente fermo, contemplando ciò che stava sotto il buco del tetto. “Vai a casa e ringrazia tuo padre.”

Anni dopo Kouji desiderò ancora di avergli obbedito, ma vedendo il volto insanguinato, la pessima posizione della gamba e l’espressione di panico di Kamui, sapeva di dover aiutare.

E lo fece.










 

Un’alba senza sole, il cielo di un grigio scuro era l’esatto riflesso del suo umore. Affamata ed esausta dopo aver passato tutta la notte a cercare, Toga tornò alla sua bandiera improvvisata in cima al dirupo. Lì l’aspettava il secondo dei suoi compagni.

“L’hai trovato?” Chiese l’uomo alto dalla pelle verde.

“Sì,” disse Toga, strappandogli di mano il pezzo di carne secca che stava mangiando seduto vicino a un albero. “L’ho nascosto nel mio stivale.”

“Quello è mio!”

“Oh, sta’ zitto!”

Masticò rumorosamente mentre contemplava la foresta, nella sua mente i percorsi erano delineati chiaramente, ognuno portava ai possibili nascondigli e ai villaggi da evitare se fosse stata un nemico in fuga; ma il selvaggio era svanito senza lasciare traccia e per la prima volta nella sua vita non aveva nulla da seguire.

Dannazione.

Quando finì di mangiare si voltò e si fermò, colta da un’idea improvvisa. Analizzò di nuovo il dirupo, si avvicinò fino ad iniziare la discesa e studiò la zona con occhio critico. Quando tentò di avanzare la terra sotto i suoi piedi scivolò e minacciò di farla cadere. Toga tornò indietro all’inizio della scarpata.

“In piedi, ce ne andiamo!”

“Dove siamo diretti?”

“Muoviti e basta!”

Toga saltò in sella e spronò il suo animale finché non corse al massimo della velocità, scivolando agilmente attraverso i pendii scivolosi. L’aria le fischiava nelle orecchie e il mondo era sfumato, ma Toga conosceva la strada di ritorno.










 

Tre ore più tardi incontrarono Shuichi Iguchi. Si sedette vicino al fuoco spogliandosi dei vestiti bagnati.

“Allora?” Chiese Shuichi, seduto dall’altra parte del tavolo mentre divorava la sua colazione.

“Una delle spie ha un fiore sulla gamba, l’abbiamo inviato alla Capitale come ordinato dal Generale. Maki viaggia con lui.”

“E l’altro?”

“È scomparso.”

“L’hai perso?”

“Non l’ho perso, è stato preso.”

“Da chi?”

“Il suo amico ha rovinato la sua traccia. E la pioggia ha peggiorato le cose. Ora dovrò ricominciare da capo.”

“Resterai finché non smette di piovere?”

“Potrebbero volerci settimane. No. Dormirò, mangerò, raccoglierò provviste e poi tornerò nella foresta. Ho intenzione di coprire un raggio di dieci chilometri attorno al punto in cui l’ho perso, devo muovermi in fretta prima che la traccia sparisca. Intendo lasciare qui la mia scorta, stavolta viaggerò da sola.”

“Dabi non sarà d’accordo.”

“Dabi non è qui.”

“Sarai in pericolo.”

“Sarà un problema mio, quindi chiudi il becco.”

“Ad ogni modo,” Iguchi mise da parte il proprio piatto e si alzò, “dal momento che sei qui, vuoi restare per lo spettacolo?”

Fece spallucce, si voltò mentre finiva di cambiarsi, lo sentì uscire, e solo allora si lasciò cadere sul letto dove avrebbe dormito per il resto della giornata.

Si svegliò ore dopo, rilassata e piena di energie. Stava piovendo, ma era solo una pioviggine leggera, senza vento e tuoni. Non appena uscì, sentì l’inconfondibile odore di legno bruciato. Indifferente alla confusione e alle urla, Toga si allontanò in direzione del falò dove veniva servito il cibo. Trovò gli avanzi di un cervo cotto e patate soffici, li prese e si sedette a mangiare mentre contemplava le fiamme che divoravano la casa davanti a lei. Le piaceva il fuoco, il suo colore, la sua forza, il suo calore; le piaceva quasi quanto le piaceva il sangue. Quella notte erano entrambi mischiati in una sinfonia così meravigliosa che le sue interiora facevano le fusa, il cibo aveva un sapore mille volte più buono mentre ascoltava le urla e inalava l’aroma del fuoco che si cibava della sua carne.

Le fiamme rosse e arancioni salirono verso il cielo illuminando la notte, il vento le faceva crescere e la pioggia non era abbastanza forte da estinguerle. Toga si fece cullare dal crepitio del legno.

Aprì gli occhi sentendo il calore delle fiamme e realizzò che il fuoco aveva raggiunto la casa alla sua destra, in lontananza si intravedevano le sagome dei soldati di Iguchi che si liberavano dell’infida spazzatura. Per un attimo Toga sentì l’urgenza di assistere il gruppo nella speranza di assaggiare il sangue dei traditori, ma alla fine la pigrizia ebbe la meglio e restò lì a guardare.

Per svagarsi, prese i bagagli confiscati alle spie e frugò negli zaini. Dal primo mise da parte due coltelli e buttò il resto nella pila di immondizia. Le provviste finirono nella sua sacca e i fogli nel fuoco senza esitazione. Dal secondo scartò tutti gli intrugli puzzolenti, i semi e le foglie secche, e alla fine sfogliò il quaderno.

Non era esattamente un quaderno, solo una pila di fogli tenuti insieme da un elastico. Quando lo tolse, i fogli si gonfiarono nelle sue mani. Nelle prime pagine c’erano un sacco di disegni di piante, Toga ne conosceva la maggior parte, anche se fu sorpresa di trovare una descrizione accurata di ognuna. Scoprì anche proprietà di cui non era a conoscenza.

Le piante finirono e ciò che seguì furono disegni dello stesso fiore. Alcuni erano in bianco e nero, altri dipinti di un rosso vibrante, la vernice era colata attraverso le pagine e in altre aveva fatto raggrinzire la carta per l’eccesso d’acqua. Il fiore era sempre lo stesso, grande o piccolo, avevano tutti la stessa forma e lo stesso colore.

Quando si annoiò di vedere lo stesso disegno, Toga prese una manciata di quelli e li gettò nel fuoco. La carta si accartocciò su se stessa e cambiò lentamente colore. Il fiore rosso assumeva toni marroni, poi neri fino a sparire completamente. Toga ripeté l’operazione, bruciando pagina dopo pagina, senza rimorsi.

Era quasi alla fine quando si fermò. Stavolta il fiore occupava l’intera pagina, i contorni erano spessi, i dettagli impressionanti, e il colore era ipnotico. Toga studiò il lungo stelo verde scuro, le piccole foglie raggruppate attorno, e alla fine realizzò che il fiore aveva la forma di una spada. Una lunga spada tinta del colore del sangue.

Toga sorrise.

Gettò il resto dei fogli nel fuoco contemplando l’unico fiore sopravvissuto. Lo piegò in quattro parti e lo mise nella sua sacca. Poi si stiracchiò, prese le sue cose e si allontanò dalla casa bruciante tornando nella foresta.

Lasciò che Iguchi e gli altri si occupassero dei traditori. Lei aveva una spia da trovare.










 

La pioggia cadeva in una cortina sottile e fredda che colpiva il suo tabarro nero; l’indumento la copriva da testa a piedi ed era fatto in modo che l’acqua non l’attraversasse. Grazie ad esso Toga cercò nella foresta senza sosta.

Ci vollero giorni, ma alla fine lo trovò. L’indizio che aveva cercato.

Ai piedi del dirupo c’era una capanna distrutta, Toga studiò i contorni della struttura e quando fu sicura che non crollasse entrò con cautela. Dentro trovò foglie di palma, libri a pezzi e foglie inzuppate dall’acqua che cadeva dal buco nel tetto. 

Toga si prese del tempo, rovistò tra i resti, nella nicchia di foglie e pezzi di legno, cercò attentamente e senza fretta. Alla fine, la sua ricerca ebbe successo quando trovò un lembo di stoffa insanguinata sotto una pila di foglie. Molto attentamente, Toga l’annusò.

L’odore di sangue la fece sorridere; molti sostenevano che l’olfatto dei selvaggi fosse impareggiabile, che potevano riconoscersi con semplici aromi che altri non riuscivano a distinguere, ma Toga non invidiava il loro talento, il suo era anche meglio.

Le bastava una goccia di sangue per rintracciare una preda, non aveva importanza dove si nascondesse. Con il fazzoletto in mano era solo questione di tempo prima che il vento le mostrasse la via per il suo bersaglio. Sarebbe stato un lungo viaggio, ma di certo divertente.










 

Izuku correva ad un ritmo costante, attento a qualunque urlo o suono, e aveva la mappa fresca nella mente quindi entrò nella foresta assicurandosi di avere le montagne davanti a sé; si arrampicò sulle colline piene di alberi fogliosi e muschio bagnato che rendevano il terreno scivoloso. Notò che le gambe erano ancora deboli per la febbre, quindi cercò di non affaticare troppo il suo corpo.

Senza fermarsi, Izuku cercò tra le provviste di Shouji. Trovò una bottiglia d’acqua da cui bevve per lavare via il sapore che gli era rimasto sulla lingua — l’aroma denso e pesante dell’incenso che avevano usato contro i Beta — e dentro la borsa trovò anche un enorme pezzo di carne avvolto in della carta e nastri, delle mele, pane fresco, e un sacchetto di semi e dolci.

Quando fu stanco di correre, cambiò lentamente velocità mentre mangiava i semi. Si fermò a riempire la sua bottiglia d’acqua nel primo ruscello che trovò e quando realizzò che non poteva andare avanti cercò un nascondiglio dove potesse riposare.

Si addormentò senza riuscire ad evitarlo, troppo esausto per restare all’erta. Si svegliò ore dopo, rannicchiato nel tronco che aveva scelto come rifugio, allarmato, senza riuscire a ricordare il suo sogno, ma zeppo di paura e con la sensazione che qualcuno lo stesse guardando.

Quando uscì dal suo nascondiglio lo accolse la pioggia. Una pioggia pesante che lo infradiciò subito da capo a piedi. Lo zaino sulla schiena, avanzò, timoroso e pieno di panico. Non smetteva di sentire urla in lontananza, anche se quando si fermò ad ascoltare attentamente, ciò che sentì fu semplicemente il suono del vento. 

La foresta finiva ai piedi dell’area montuosa e Izuku salì, seguendo i percorsi segnati dagli animali che abitavano la zona. Mangiò le mele mentre avanzava e quando fu al di sopra della linea degli alberi si fermò a contemplare la valle. Nel cielo grigio e scuro era impossibile trovare la Capitale, ma Izuku aveva solo bisogno di localizzare il fiume che scendeva in lontananza per farsi un’idea della sua posizione.

Trovò un piccolo spazio coperto da rocce e mangiò una porzione di pane e carne. Si strofinò le braccia congelate e scosse i capelli finché non smisero di gocciolare. Gli venne di nuovo sonno, ma invece di dormire mangiò un dolce per restare all’erta e continuò.

Finì un altro giorno e fortunatamente smise di piovere prima della notte.

Izuku non si fermò, andò avanti traboccante di determinazione e grazie a quella non aveva realizzato che fosse notte. Quando se ne accorse, si fermò e si guardò intorno, il mondo era di una chiarezza incredibile, era tutto di un leggero grigio. Le rocce brillavano di un sottile strato di umidità che scintillava di colori argentei.

Izuku alzò gli occhi al cielo e quando vide la luna proprio sopra di lui il suo cuore si strinse nel petto.

‘Una luna piena.’

Izuku fece immediatamente i conti. L’ultima luna piena era stata quando erano arrivati a Hosu, quella era la luna bianca, come la chiamava lui, mentre questa era la luna del suo heat.

‘Da quanti giorni è così? Due, tre? Quanti giorni prima che debba nascondermi?’

Chiuse gli occhi e iniziò a contare, ricordava di aver visto la luna crescente quando era stato catturato, se aveva passato una settimana rinchiuso, allora c’erano ancora un paio di giorni prima che la luna fosse completamente piena. Almeno uno, tre al massimo.

‘Devo muovermi, devo continuare ad andare avanti.’

La certezza che da un momento all’altro si sarebbe trovato nella situazione più vulnerabile possibile gli diede la forza di muoversi più in fretta. Si fermò all’alba per mangiare, ripeté il suo pasto dell’ultima volta — una porzione di pane e carne — e il suo stomaco brontolò, insoddisfatto. Diventò di nuovo consapevole della situazione in cui si trovava.

Aveva bisogno di un posto in cui nascondersi, aveva bisogno di acqua e cibo per supportare il suo heat, e aveva bisogno di una coperta.

Gli heat erano già difficili, ma ora non aveva nemmeno a portata di mano le foglie che lo aiutavano a dormire e che alleviavano il suo bisogno. Si ricordava del primo heat, il più difficile, quando la perdita di Katsuki era stata troppo recente e non aveva nessuno.

‘Non pensarci. Concentrati. Hai bisogno di cibo. Cosa puoi mangiare? Funghi, sicuramente sopravvivono a queste altezze. Ho visto degli uccelli. Se trovo il loro nido posso rubare delle uova. Bene. Acqua. Se piove posso raccoglierne. Altrimenti è meglio iniziare a cercare un corso. Magari uno stagno. Ci sono molti fiumi nella zona, alcuni devono essere nati qui vicino.’

Determinato, Izuku fermò il suo percorso e iniziò a cercare un nascondiglio. Trovò dei funghi e muschio che grattò delicatamente fino a riempire la sua borsa di semi. Stava inseguendo un uccello quando lo sentì.

Si paralizzò immediatamente.

Izuku respirò con estrema cautela. L’odore era leggero ma inconfondibile; non poté fare a meno di arrossire, il sangue che scendeva attraverso lo stomaco per diventare un brodo denso che ondeggiava all’altezza del ventre.

‘C’è un Omega qui?’

L’aroma aveva la ricchezza e i contrasti esuberanti che gli Omega emettevano durante gli heat — un Alpha avrebbe trovato quell’aroma irresistibile — ma era troppo impersonale, troppo ordinario.

In quel momento si ricordò dell’incenso usato contro Shouto. L’incenso era dolce, con un forte odore di latte e miele, era indiscutibilmente Omega, aveva indebolito Shouto e trasformato in una bambola senza volontà nonostante Izuku trovasse l’aroma incredibilmente mite.

‘È così che controllano gli Alpha.’

E l’incenso usato il giorno prima aveva un aroma potente e ripugnante. Quella cosa paralizzava e uccideva gli uomini Beta in pochi secondi. Non riusciva nemmeno a identificarlo.

‘Intendono combattere i Beta in quel modo.’

Ma l’essenza che aveva appena trovato era diversa dalle altre due. Izuku si prese un momento per apprezzare le note che risuonavano nella sottile fragranza: era un aroma di una tale intensità che riusciva a distinguerlo anche se non era vicino alla fonte ed era indiscutibilmente simile ai feromoni che gli Omega emanavano durante l’heat.

‘Ma qual è il suo obiettivo.’

Era un aroma che avrebbe esaltato un Alpha invece di fermarlo, un aroma dedicato alla stimolazione, anche se non esclusivamente, e gli Omega lo usavano anche per delimitare i territori.

‘Di chi è questo territorio?’

La domanda morì nella sua mente quando si raddrizzò e la sua periferica catturò il gentile movimento della terra. Solo che non era il terreno, ma un’immensa bestia dal pelo chiaro, occhi rossi vuoti e sei arti con artigli affilati.

L’animale grugnì — ruggì, strillò — e fu il segnale di cui Izuku aveva bisogno per voltarsi e correre.





 

Cercò di tornare dalla stessa direzione in cui era venuto, ma la bestia saltò davanti a lui e Izuku dovette voltare a sinistra per evitarla. Ogni volta che cercava di deviare l’animale si metteva in mezzo, finché Izuku non iniziò a sentirsi come una pecora che veniva riportata nel recinto.










 

Dopo il loro incontro con i selvaggi, Mina e Mashirao si affrettarono a tornare a casa. Se non si fossero fermati, avrebbero raggiunto il villaggio prima dell’alba. Fortunatamente, non pioveva più e la notte aveva portato una brezza fresca che asciugava il sudore dalle loro fronti.

Non appena vide la collina, Mina sorrise perché doveva solo attraversarla per vedere le case che componevano casa sua.

Ma quando arrivò in cima si fermò. Non c’erano luci, né falò, nessun movimento. A Mina ci volle un secondo per capire cosa ci fosse di sbagliato nell’immagine: diversi tetti erano spariti e l’intero paesaggio era di un nero profondo, come il carbone.

Mina e Mashirao si mossero allo stesso momento, senza dire niente scesero il pendio a passo rapido e si separarono appena raggiunto il fondo.

Mina corse dritta verso casa sua. “Mamma!”

Casa sua — quella che chiamava casa — era una struttura nera senza tetto che puzzava di fumo e cenere. I letti erano mucchi neri e dalla cucina erano sopravvissute solo un paio di ciotole che il fuoco non era riuscito a consumare.

“Ika!” Andò nella sua stanza ma il suo armadio, dove sua sorella si nascondeva solitamente, era ridotto in cenere. “Mamma!”

Uscì senza smettere di urlare. Sempre le stesse parole, sperando, desiderando di sentire la voce di sua madre che le rispondeva. Il silenzio nel villaggio era opprimente come il nodo che iniziava a formarsi nel suo petto.

Corse alla casa di Cementos, ma il posto era vuoto e nelle stesse condizioni della sua abitazione.

‘Non c’è più nessuno, sono andati tutti via. Sono scappati.’

Mentre correva attraverso ogni struttura vide in lontananza la figura di Mashirao che stava in piedi senza muoversi.

“Non c’è più nessuno,” disse Mina mentre si avvicinava.

Mashirao non rispose, il volto teso, gli occhi come stagni di lacrime immobili, e la sua coda, che solitamente si muoveva sulla sua schiena, stava per terra, afflosciata.

Mina voltò la testa e li vide. Una pila di corpi carbonizzati, abiti abbandonati, busti neri e volti irriconoscibili. Ce n’erano così tanti che era impossibile contarli. C’erano corpi immensi e piccole figure, tutti con lo stesso destino. Sopra tutti, impalata su una lancia di ferro, oscillava la testa del loro leader.

Le ginocchia di Mina colpirono il suolo con un suono secco. Si portò la mano sulla maglietta, all’altezza del cuore, dove sentiva un tale dolore da non riuscire a parlare. Cercò di dire qualcosa ma la sua bocca riuscì solo a formulare un suono rotto, che si trasformò subito un pianto. Le lacrime iniziarono a fluire incontrollabilmente e Mina si abbracciò mentre i suoi singhiozzi salivano al cielo.

‘Mi dispiace, mi dispiace.’










 

“Hai i risultati del test, Kurogiri?”

“È stato un successo, Generale. Quasi tutti i prigionieri hanno ceduto subito all’incenso.”

“Quasi tutti?”

“Alcuni di loro sono sopravvissuti dopo la prima somministrazione, si sono dispersi nella foresta finché gli effetti collaterali non sono finiti: vomito, febbre, epistassi. Il recupero dei loro corpi è ancora in corso, per ora ne mancano tre, ma è questione di tempo prima che li troviamo.”

“Molto bene. Con il successo dell’incenso Beta hai il permesso di iniziare la produzione e la distribuzione. Dobbiamo sterminare le forze Yuuei che continuano a pattugliare le nostre coste, e iniziare i preparativi per spostare l’incenso attraverso il mare.”

“Ai suoi ordini, Generale… ma signore, c’è anche un inconveniente.”

“Parla.”

“Abbiamo perso il contatto con una delle prigioni vicino al confine Noumu prima degli ultimi trasferimenti. Ho dato ordini di indagare. Ho appena ricevuto un messaggio dal leader che mi informa che la prigione è stata depredata. Le guardie sono morte, le scorte, i carri e i prigionieri sono spariti.”

“Yuuei?”

“No, tutto sembra indicare che ci sia stato uno scontro e che i prigionieri siano scappati. Le mie spie hanno rintracciato il gruppo, si dirigono verso il deserto, forse la loro intenzione è incontrarsi con l’esercito di Yuuei.”

“Quanti sono?”

“È un gruppo numeroso, non ho la cifra esatta, ma sono abbastanza da uccidere tutte le guardie senza aiuto.”

“Chi abbiamo in quella regione?”

“Il gruppo di Iguchi è nella zona. E posso inviare dei rinforzi da una delle caserme più vicine.”

“Fallo. Manda anche dell’incenso.”

“Molto bene, Generale.”

“E dì a Iguchi di identificare il loro leader. I selvaggi combattono sempre insieme a uno, se quello cade, il resto si disperderà come formiche senza testa.”










 

Il corvo arrivò una settimana più tardi, quando Iguchi e i suoi uomini avevano finito di ripulire e si erano accampati vicino alla costa, in attesa di ordini. Dabi si era unito a loro e tutti si stavano preparando a quello che sarebbe stato un assalto alle navi di Yuuei.

La lettera di Dabi risultò essere una sorpresa.

“Che succede?” Chiese Iguchi quando il suo compagno rise dopo aver letto il messaggio.

“I cuccioli sono andati a spasso.”

“Cosa?”

Dabi continuò a ridere e si prese un momento per riprendersi, dopodiché spiegò la situazione tra risate e mormorii increduli.

“Sono scappati?” Disse Iguchi mentre prendeva la lettera. “Come sono usciti?”

“Non ne ho idea,” disse Dabi recuperando un pezzo di carta, “è probabile che le guardie si fidassero troppo l’una delle l’altra.”

“Tu eri in quella prigione, com’era il capitano?”

“Vecchio, ma svolgeva il suo lavoro.”

“Non bene se ora abbiamo una fuga. La prima della storia.”

“Ad ogni modo, il tipo ha pagato con la vita per il suo errore, ora dobbiamo ripulire il suo casino. Raduna la tua gente, dobbiamo raggiungerli prima che arrivino al deserto. Manderò avanti una pattuglia per informarci del numero, della loro posizione e delle loro provviste.”

“Un’operazione di cattura?”

“No. Un’epurazione approfondita.”

Iguchi annuì e si alzò, fortunatamente per loro non pioveva quel giorno. 



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Prossimo capitolo: "Una Notte di Luna Piena"

 

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Capitolo 20
*** Una Notte di Luna Piena ***


Capitolo 20 - Una Notte di Luna Piena





 

Izuku correva e la bestia lo inseguiva da vicino, senza attaccarlo. Il panico sentito al primo incontro scemò e gli permise di realizzare la stranezza della situazione. Prestò capì che la bestia lo stava direzionando, non inseguendo. Per provare la sua teoria cambiò bruscamente direzione e subito la bestia saltò davanti a lui per ostruirgli il passaggio. Izuku scivolò quando fermò improvvisamente il suo percorso.

Da vicino l’animale era ancora più terrificante, non aveva capelli sulla testa, il che lasciava un teschio duro con occhi di un rosso opaco, quasi marroni. File di denti affilati sporgevano dal suo muso, che colava bava trasparente. E il suo pelo, di un giallo secco, era lungo e morbido, ed emanava un inconfondibile odore stantio.

Izuku era certo di non aver mai visto né sentito parlare di un animale simile.

La bestia grugnì — strappandolo alla sua riflessione — e abbassò la testa, facendogli segno di andare avanti. 

Izuku espirò lentamente e corse il rischio. Con una lentezza sorprendente allungò il piede verso destra, e subito l’animale emise un violento ringhio mostrando le due file di denti aguzzi. Izuku riportò indietro il piede. Ripeté il movimento a sinistra e l’animale restò fermo, in attesa. Izuku ritrasse il piede di nuovo e provò ripetutamente i passi con gli stessi risultati. 

‘Beh… mi sta guidando, ma verso dove?’

Muovendosi con estrema cautela, Izuku cercò di indietreggiare. Riuscì a fare tre passi prima che l’animale emettesse un grugnito minaccioso, così allarmante che paralizzò Izuku sul posto.

‘Okay, non posso scappare. Potrei seguirlo… e poi? Ho ancora abbastanza carne, forse posso usarla per distrarlo. Non qui, nella zona non ci sono posti per nascondersi… D’accordo, Izuku, seguilo, e non appena ne avrai l’occasione scappa.’

Izuku annuì a se stesso, mandò giù il resto dei suoi mormorii e si spostò verso sinistra. Camminò lentamente, facendo attenzione all’ambiente circostante, sperando di trovare una qualche zona che gli permettesse di sottrarsi al suo inseguitore; ma il suo piano sfumò dalla sua mente quando riconobbe l’indistinguibile profumo di un gruppo Omega.

‘Cosa…?’

Si mosse senza esitare. Non era l’aroma di un incenso, né un’essenza prefabbricata, era l’odore naturale di un Omega vivo.

Il profumo si fece più intenso man mano che avanzava. Alla fine giunse ad una cavità in mezzo alle montagne. L’unico modo per arrivarci era attraverso una strada ripida e la bestia che lo inseguiva arrivava da dietro. Izuku iniziò a scendere il pendio della gola e nel mentre scoprì parecchie nicchie nelle pareti laterali. Nella maggior parte c’erano delle bestie tranquillamente stese a riposare.

Izuku si fermò alla vista, ovunque guardasse c’erano denti grandi quanto delle dita e artigli che si affilavano contro le rocce. Alla base della gola c’era un lago in cui un gruppo di giovani Omega pescavano mentre un altro si occupava di un campo di ortaggi sotto un improvvisato tetto di legno.

Izuku non avrebbe saputo dire cosa fosse più sorprendente, se il fatto che nessuno di loro fosse intimidito dalle bestie che li circondavano o che sembrassero relativamente protetti.

La bestia dietro di lui ruggì e Izuku si spaventò; quando la sua attenzione tornò al lago tutti lo stavano guardando.

Era come se tutti avessero trattenuto il respiro all’improvviso, il silenzio era tale che Izuku ebbe paura di essere diventato sordo, e ad un tratto l’Omega più vicino gli fece cenno di scendere. Izuku obbedì, per mancanza di alternative. Scese, o meglio slittò giù dal pendio roccioso e quando raggiunse finalmente il fondo lo trascinarono nella parte più lontana del campo di ortaggi.

Prima che Izuku potesse dire qualcosa, tutti gli ronzarono attorno, riempiendolo senza sosta di domande.

“Dove hai preso quei vestiti?”

“Che ci facevi lì?”

“Come sei uscito?”

“Come hai superato le guardie?”

“Che ti è saltato in mente?!”

“Basta!” La persona che urlò era una ragazza alta e magra, dai corti capelli arancioni che si fece strada verso Izuku facendo spostare gli altri. “Arriveranno le guardie se sentiranno trambusto. Non abbiamo tempo, tornate tutti a lavoro. Presto!”

“Ma—”

“Adesso! Se le guardie lo trovano, ci puniranno tutti.”

La minaccia ebbe effetto perché tutto il gruppo si disperse lasciando Izuku con la ragazza dagli occhi verdi.

“Forza, togliti i vestiti.”

“Cosa?”

“Presto, sei fortunato che nessuna delle guardie ti abbia visto. Da che sezione arrivi?”

“Sezione?”

“A che piano stai?”

“Io non—”

“So che sei nuovo,” cercò di tirargli i vestiti mentre gli faceva quelle domande. “Quando sei arrivato?”

“No, aspetta.”

“...come sei arrivato lassù?”

“Smettila. No!”

“...da quanto ti hanno lasciato andare?”

“ASPETTA!” Izuku alzò le mani tra loro desiderando del tempo per pensare. “Non so di cosa tu stia parlando, che state facendo qui?”

Ma lei era senza parole; la sua espressione era una smorfia smarrita. Il suo volto, già pallido, assunse il colore della cenere e i suoi occhi verdi restarono sgranati.

“Indossi delle bende.”

Il sussurro era incredulo e terrorizzato. Izuku guardò il suo fianco dove gli strattoni avevano lasciato in bella mostra parte delle bende che gli coprivano il fianco. Stranito, Izuku alzò gli occhi e studiò le persone intorno a lui. Solo allora realizzò che, anche se indossavano tutti pantaloni lunghi, nessuno aveva delle bende, mostrando così i loro segni personali.

“Chi sei?”

Izuku ignorò la domanda, concentrandosi su come stesse assorbendo i dettagli attorno a lui. Realizzò subito tre cose importanti: indossavano tutti dei collari e polsini di pelle con degli anelli. I loro abiti consistevano soltanto in dei pantaloni, le donne indossavano anche un sarashi, il che lasciava visibili le cicatrici e la loro estrema magrezza. Infine, l’aroma che emettevano aveva un sottile accenno di Alpha.

Erano stati tutti accoppiati.

“Chi sei,” ripeté con fermezza lei, scrutando il suo volto con sospetto. “E da dove arrivi?”

“Mi chiamo Izuku, sono un guaritore e vengo—”

“Un guaritore?!”

“Cosa—? Sì...”

“Sei un medico? Un medico Omega?”

“Non ho mai operato su nessuno prima, però sì, sono… Dove siamo?”

Anche se sospettava la risposta, fu impossibile per lui combattere la sensazione di fatalità che cadde su di lui quando ebbe conferma del suo incubo peggiore.

“All’interno della Capitale.”










 

“Stai bene, Denki?”

Si svegliò quando sentì il suo nome e gli ci volle un momento per riconoscere il volto di Ochako, chinata ad esaminare il suo viso.

“Sto bene, è solo—”

Improvvisamente si tirò su, ansioso, roteò il collo per alleviare la tensione nelle spalle e si massaggiò il ventre con movimenti circolari. Riconobbe i sintomi, e sapeva che era solo questione di tempo prima di doversi isolare nei vagoni con i suoi compagni.

“Vuoi tornare indietro?” Chiese a bassa voce Ochako, senza batter ciglio.

“No, è tutto okay, è solo… lo sai.” Ochako annuì, ma continuò a guardarlo apprensiva. “Sto bene,” ripeté Denki, donandole un sorriso amichevole. “Dai, continuiamo, non voglio ancora andare via.”

Ochako sospirò e dopo un altro veloce esame si voltò verso Kyouka, la Beta seduta vicino a lei le stava raccontando del loro villaggio e delle difficoltà sopportate giorno dopo giorno.

Era la prima volta che Denki la vedeva sorridere, quindi non voleva interrompere il momento. Preferì sedersi vicino al tronco che lo sosteneva, stirando le gambe verso il falò che illuminava la notte e dando alla sua amica tempo per chiacchierare. E in realtà voleva anche aspettare il ritorno del gruppo di Bakugou.

Non smise di analizzare le ombre che si muovevano, i cespugli mossi dal vento. Forse era colpa dell’heat imminente, ma voleva vedere il sorriso di Eijirou. Sentirlo pronunciare il suo nome.

Con la coda dell’occhio vide un uccello, un corvo, nero come la notte, posato su uno degli alberi che circondavano il falò. Denki lo guardò e si lasciò cullare dalla notte.










 

“No, non possiamo essere nella Capitale,” la sua voce continuava ad alzarsi per via del panico. “La Capitale è dall’altra parte. L’ho vista. È vicina al fiume. Io arrivo da .”

“Quella è l’entrata, lì ci sono la prigione e il molo, ma la Capitale è sottoterra. Al centro della montagna.”

Izuku si passò una mano nei capelli, tirando forte le ciocche.

“Dobbiamo andarcene, dobbiamo andare prima che arrivino le guardie.”

“No!”

“Sì, dobbiamo muoverci. Se riusciamo a scappare—”

“Fermo, fermo! Non possiamo andarcene.”

“Di che stai parlando? Dobbiamo fuggire!”

“Nessuno è mai riuscito a scappare da qui.” Sollevò il braccio indicando le bestie. “Quelle cose sono addestrate a riportarci indietro. Non ti faranno mai andare via. Ci lasciano senza guardie perché sanno che non può scappare nessuno… come mai indossi delle bende? Dove le hai prese?”

“Non possiamo andarcene?”

“Non hai l’odore di un Alpha, ti sei accoppiato?”

Un crampo improvviso ricordò a Izuku cosa stesse arrivando.

“Ascolta, risponderò a tutte le tue domande, ti dirò tutto ciò che so, ma ora devi aiutarmi. Questa è la luna del mio heat, ho bisogno di un nascondiglio… e di acqua e una coperta. Dev’essere un posto dove le guardie non possano trovarmi.”

Gli occhi verdi dell’Omega lo esaminarono in modo insolito.

“Come sei arrivato qui, come hai evitato le guardie, perché non odori di Alpha?”

“Ho bisogno—”

“No, se davvero vuoi il mio aiuto, mi dirai la verità adesso. Non posso fidarmi di te. Potresti essere una spia.”

“Una spia?”

Vedendo la sua espressione ostinata, Izuku prese un respiro e le raccontò tutto. Non tutta la verità e nemmeno l’intera storia, gli ci sarebbero voluti più di qualche minuto per aggiornarla del tutto. Riassunse come venne catturato e come fuggì. Alla fine aggiunse:

“La mia intenzione era nascondermi sulle montagne e continuare fino al confine. Non sapevo ci fossero quelle cose qui.”

“La Capitale ha dei tunnel con entrate segrete lungo tutta la montagna. Li usano per muoversi facilmente… per passare inosservati. È impossibile attraversare le montagne senza che le bestie ti individuino.”

“Penserò a qualcosa, ora devo nascondermi, puoi aiutarmi?”

La ragazza continuò a guardarlo, come se stesse prendendo una decisione.

“Davvero sei un medico?”

“Nelle Isole li chiamano Guaritori.”

Annuì, mortalmente seria.

“Ti aiuterò, ma in cambio ti chiederò un favore. E non potrai rifiutarti.”

“Quale favore?”

“Te ne parlerò più tardi. Ora se vuoi il mio aiuto, devi toglierti i vestiti. E le bende. Puoi lasciare i pantaloni, strapperemo la maglia per fare dei polsini come i nostri, non saranno uguali ma almeno eviteranno di farti notare dalle guardie mentre entriamo.”

“Mentre entriamo dove?”

“Al tunnel che ci riporta alla Capitale. Usciamo all’alba per andare a lavorare, prima che il sole sorga, e tra poco dovremo andare. Per farlo dobbiamo passare per due posti di guardia. All’ultimo ci contano, ma il cambio turno è all’alba e non vorranno prolungarlo per controllare perché siamo più del solito. Se ne mancasse uno di noi sarebbe diverso, ma in questo caso ci faranno passare, ne sono sicura, come sono sicura che ti noteranno se non indossi i polsini.”

“Non voglio andare lì. Sto cercando di allontanarmene.”

“Se vuoi il mio aiuto dovrai farlo, è l’unica alternativa.”

Izuku strinse i pugni, il suo stomaco si contorse su se stesso e notò i crampi al ventre. Non ebbe altra scelta se non annuire.

‘Un passo alla volta, prima questo, poi si vedrà.’










 

Denki si svegliò ed era ancora notte, non si era nemmeno accorto di essersi addormentato; ma a un certo punto doveva essersi fatto trascinare nel sonno perché il cielo non era più grigio chiaro ma di un vivido nero. Il falò crepitava ancora ed era circondato da un largo gruppo composto interamente da giovani Omega, che ascoltavano con riverente attenzione la storia di Kyouka.

“... era la mia lancia preferita, ce l’avevo dalla prima volta che ero andata nel deserto, e quella bestia aveva osato spezzarla. Mi arrabbiai, davvero davvero tanto. Mi ero stufata. Quella cosa mi aveva assediata per giorni. Non m’importava di star morendo di fame, in quel momento ero furiosa. Volevo vendetta. Avevo a mia disposizione una pila di rocce, non servivano come arma, ma le usai per affilare i due pezzi della mia lancia, le legai alle mie braccia, così che le punte spuntassero. Dovetti aspettare fino all’alba, sapevo di non avere speranze di notte, così aspettai, a stomaco vuoto, con una gamba malridotta e la gola secca. Avrei provato ad uscire da lì e ad assicurarmi che quella cosa non lo facesse.”

“Quando giunse il mattino misi in atto il mio piano. Raccolsi tutti i sassi lì intorno e li bagnai col mio sangue, misi a posto la benda, uscii di poco dal mio nascondiglio e la vidi. Era laggiù, che aspettava. Il pilastro su cui stavo era lontano da tutto, e anche se non poteva scalarlo non sembrava volersene andare, così presi coraggio e lanciai la prima pietra, la più grossa, nella direzione opposta. Non appena sentì il rumore si raddrizzò, vidi le sue narici tremare mentre individuava l’odore. Poi lanciai la seconda pietra, nella stessa direzione, ma più lontano, poi una terza e una quarta; si spostò, corse verso le rocce, e in quel momento saltai e caddi a quattro zampe sulla sabbia. Per allora si stava già voltando.”

“La bastarda si muoveva velocemente, coprì la distanza che ci separava in pochi secondi, ma invece di allontanarmi mi abbassai per terra. Saltai non appena fu vicina, se fosse stata più in basso l’avrei colpita più in alto, ma la sabbia si mangiò parte del mio slancio quindi finii aggrappata al suo petto invece che alla sua testa. Non si aspettò la mia mossa, e prima che avesse l’occasione di affondare i denti io piantai la lancia nel suo cuore. Si spezzò prima che potessi arrivare fino in fondo, ma la usai come supporto e con l’altra la pugnalai sotto al mento. Stavolta affondò in tutta la carne morbida. Mento, lingua e cervello. Cadde a terra morta con me sopra.”

“Tutto questo solo per i suoi denti?” Chiese Ochako, con una strana espressione mentre il resto del gruppo si risvegliava dallo stupore.

Kyouka si tirò indietro, leggermente confusa dalla domanda.

“Sì, beh, la loro carne non è esattamente una delizia quindi non le cacciamo per il cibo. Avevo pensato di lasciarla andare dopo averle preso i denti, ma non potevo più permettermelo. Era rimasta sotto quel dannato pilastro e non mi aveva lasciata andare per tre giorni!”

“Possiamo vedere la zanna?” Chiese Yui, seduta dall’altra parte del falò.

La sua richiesta echeggiò nel resto dei suoi compagni che raddoppiarono i loro mormorii lasciando Denki con la sensazione di aver perso una parte della storia.

“È il quarto dente attaccato al bracciale che il leader Togata porta al polso.”

Il suo pubblico si scambiò degli sguardi, senza capire.

“Ho visto quel bracciale,” disse Denki senza pensarci, “è intrecciato a mano e vi sono appesi cinque denti. Sono lunghi e spessi.”

“Lo sono, vero? Immagina dozzine di quelli chiusi sulla tua gamba. La strapperebbero in un attimo.”

“Perché ce l’ha lui?” Chiese Ochako.

“Chiunque voglia far parte della guardia personale del nostro leader deve offrirgli una zanna di una Balenka. Molti, molti anni fa tutti gli abitanti del villaggio offrivano un dente di Sukabenja come simbolo di lealtà, ma alla fine il leader smise di accettarli. Ora porta solo quelli ricevuti dalle sue guardie personali. Uno da Tamaki. Uno da Inasa. Uno da Kousei. Uno mio.”

“E l’ultimo?”

“Gli fu donato dal precedente leader, Yagi, poco prima che sparisse.”

“È morto?”

“È quello che pensano in molti, è andato nel deserto e non è mai più tornato. Ci addolora pensare che un grande leader come lui abbia potuto trovare la sua fine nel mare di sabbia, ma ci ricorda di quanto sia pericoloso quando vi si entra.”

“Ma è assurdo essere obbligati a correre quel rischio,” disse Ochako con un’espressione accigliata.

“Non ci ha obbligati nessuno, è una sfida che scegliamo con piacere. È un’offerta che decidiamo di accettare. Solo i migliori hanno il privilegio di unirsi alla guardia personale del leader. Se non riesci a sopravvivere a una Balenka, allora non hai ciò che è necessario per prendersi cura del leader.”

“Beh, è comunque assurdo. Non c’erano rituali al mio villaggio. Se un Alpha voleva unirsi all’esercito doveva solo mettersi in lista con i capitani, vero, Denki?”

“Giusto… gli unici rituali che conosciamo sono quelli di accoppiamento.”

“Come sono i matrimoni al tuo villaggio, Kyouka?”

“Quando una coppia decide di vivere insieme, fanno domanda per un posto dove sistemarsi. Il giorno in cui entrambi si trasferiscono, portiamo tutti qualcosa da condividere al banchetto. La coppia dà inizio alla festa accendendo il camino e arrostendo un pezzo di carne che uno dei due è riuscito a cacciare. Più grande è, più sarà la fortuna che li aspetta.”

“Non c’è un corteggiamento?” Chiese qualcuno intorno al falò. “Nessuna cerimonia di accoppiamento?”

“Corteggiamento?”

“Sì,” disse la voce. “Nelle isole meridionali quando l’Alpha sta per iniziare l’addestramento in mare, solitamente dona una conchiglia al proprio spasimante per mettere in chiaro l’intenzione di accoppiarsi.”

Ci furono mormorii che chiedevano delle altre tradizioni e le storie iniziarono a circolare. Evocavano tutti memorie di un lontano passato, dolci ricordi che nonostante il tempo riuscivano ancora a farli sorridere.

Denki si raccolse le gambe e si distrasse. La luna era un perfetto cerchio d’argento brillante, dava alla foresta una chiarezza argentea. Quello sarebbe stato il primo heat in libertà, e tutto ciò a cui riusciva a pensare era come si sarebbe sentito se Eijirou gli avesse donato una conchiglia.

‘Direi di sì?’

Certo che direbbe di sì, ma prima di tutto qualcuno come Eijirou non si accontenterebbe mai di un Omega come lui. 

‘Gli piaci.’

Sì, beh, a lui e a quasi tutti gli Alpha con cui era andato a letto.

Il vento cullò i rami degli alberi creando un fischio inconfondibile, un suono che riuscì a distrarlo dai suoi pensieri. Quando alzò lo sguardo, notò che il corvo era ancora lì, immobile. Con i suoi occhi rossi. Osservando, ascoltando. 

C’era qualcosa di strano nel modo in cui stava sul ramo, fermo, immobile, come se fosse una statua e non una creatura vivente.

‘Credevo che i corvi non fossero creature notturne.’

Ricordava le volte in cui era andato fuori in cortile per prendere il sole, vedeva i corvi attraversare il cielo incontaminato. Entrando e uscendo dalla prigione portando…

Denki si raddrizzò, dimenticando il suo malessere e la sensazione di pesantezza del suo corpo. Conosceva quel corvo, non quello in particolare, ma era sicuro di averne visti altri simili.

“Denki?”

La voce di Ochako lo strappò alla sua riflessione, e quando si voltò verso di lei notò che tutti gli Omega lo stavano guardando sbigottiti. Solo allora realizzò che il suo aroma si era diffuso in tutta la radura propagando il suo malessere, il panico e i brevi attimi del suo heat imminente al resto del gruppo.

“Cos’è successo?” Chiese un Alpha comparendo all’improvviso nella radura e allertando gli altri.

Denki si strinse perché in quel momento l’aroma dell’Alpha era squisito per lui. Non riusciva nemmeno a identificarlo, ma il contrasto e l’intensità gli fecero salivare la bocca. Fortunatamente, Ochako si inginocchiò vicino a lui e il resto del gruppo gli restò accanto, senza dubbio allertati dal suo odore. Combinate, le loro essenze riuscirono a soffocare la sottile fragranza Alpha che arrivava dal ragazzo, che continuava ad allungarsi per guardare oltre il mare di teste.

“Qual è il problema?” Chiese Kyouka che, nonostante avesse un’espressione di improvviso interesse, mantenne le distanze, osservando.

Denki allungò il braccio e indicò il corvo, sentendosi sciocco nel farlo, spaventato che il suo panico fosse infondato, ma la verità era che proprio quando tutte le teste si voltarono verso l’animale, quello prese il volo senza perdere un attimo. E non fu l’unico, tutto intorno alla foresta si sentì l’improvviso battito di uno stormo di uccelli che spariva sulle cime degli alberi.

Quando Denki guardò Ochako scoprì nei suoi occhi l’esatta copia della sua paura.










 

Scortato dal gruppo Omega, Izuku passò attraverso il posto di guardia senza attirare l’attenzione. Teneva le sue provviste sul davanti, e passarono inosservate insieme ai sacchi di attrezzi che alcuni portavano.

Senza le sue bende si sentiva nudo. Teneva i gomiti premuti contro il suo corpo, toccando l’elastico dei pantaloni, e questi tremavano insieme al resto del suo corpo. Il nodo nel suo stomaco era duro e lo metteva a disagio.

Passarono lungo un lungo tunnel, con lampade sui lati che indicavano la via. La parte peggiore del camminare sulla superficie rocciosa a piedi nudi era il freddo: gelido e affilato tagliava la pelle quando le correnti d’aria si sollevavano e rimbalzavano sulle pareti, creando il suono di bestie affamate.

Il terreno si inclinava e finiva davanti a una piattaforma che scendeva, portando un gruppo Omega dietro l’altro. Mentre ascoltava il cigolio stridente della piattaforma che scendeva a una lentezza spaventosa, Izuku andò nel panico. Non voleva andare di sotto, non voleva entrare lì dentro, ma non c’era via d’uscita. Dietro di loro una delle guardie aspettava che scendessero tutti.

La piattaforma sbatacchiava mentre saliva e scendeva di nuovo. Izuku iniziò a provare angoscia, il respiro gli si accelerò, il suo battito iniziò a risuonargli nelle orecchie. Le sue mani sudavano così tanto che il tessuto del suo zaino iniziò a inumidirsi. La sua gola si chiuse come se qualcuno la stesse stringendo.

Con lo stomaco scombussolato e le mani ghiacciate, Izuku prese posto nell’ultimo gruppo e fissò lo sguardo sulla scatola di luce che si vedeva da lontano e che lentamente sparì mentre la piattaforma scendeva. Nessuno dei suoi compagni sembrava a disagio durante il tragitto, anche se era difficile dirlo con sicurezza non essendoci abbastanza luce per esaminare i loro volti.

Mentre scendevano la paura di Izuku si intensificò fino a fuggire completamente. L’aroma denso e amaro invase la piccola piattaforma e fece agitare i compagni sui propri piedi. Finché la ragazza dai capelli arancioni non gli si avvicinò, e attenta a non attirare l’attenzione della guardia gli mise una mano sul braccio e gli restò ferma accanto. Il suo profumo fruttato era senza dubbio rassicurante.

Non appena raggiunsero il fondo, la guardia tornò in superficie, portando via la piattaforma vuota. Il resto dei suoi compagni avanzarono lungo un altro corridoio esattamente uguale all’altro. Stavolta il tunnel finiva davanti a un cancello sorvegliato da un altro paio di guardie.

Questa volta li contarono.

Lo stomaco di Izuku tremò violentemente quando sentì la conversazione.

“Ventuno? Perché ce ne sono ventuno? Non può essere. Devi aver contato male.”

“Devo contarli di nuovo?”

“No! I primi tre gruppi sono già entrati, dovrei andare con Sei a chiedere la sua lista e prenderli direttamente dalle loro celle.”

“Ma ce n’è uno in più.”

“Meglio uno in più che uno in meno.”

“Ma—”

“Ascolta, tra poco c’è il cambio turno, probabilmente hai contato male e io non ho voglia di fare ore di straordinario per verificarlo. Sono in ventuno, e allora?”

“Dovremmo quantomeno informare il Generale.”

“E cosa vuoi dirgli? Che non sai contare? Sono certo che lo troverà divertente.”

“Come facciamo a sapere che qualcuno non si è intrufolato?”

“Stai scherzando, vero? Le bestie là fuori sono addestrate a uccidere chiunque tranne loro. E queste non sono né spie né guerrieri, okay? Guardali. Sono inutili cani. Sono solo capaci di sfornare figli. Non servono a nient’altro.”

La conversazione finì, la porta si aprì e il gruppo di Izuku passò attraverso la recinzione. Da lì si dispersero tutti, quelli che portavano il pesce o degli attrezzi si allontanarono nella stessa direzione.

Izuku si fermò a contemplare la stanza per un momento. Era immensa, di forma circolare con alte colonne che sostenevano il soffitto. Lentamente e con grande timore, Izuku si avvicinò al centro, dove un enorme buco dava l’impressione di trovarsi sopra a un filo.

Per via dell’oscurità non si vedeva il fondo, ma Izuku contò perfettamente due piani al di sotto, esattamente uguali a quello. Sopra si vedeva solo un soffitto scuro.

“Andiamo, non dobbiamo attirare l’attenzione.”

Izuku si voltò a guardarla con occhi pieni di puro orrore.

“Come farò a uscire da qui?”

Lei scosse la testa e lo spinse senza rimorso.

“Dai, sbrigati, il tuo odore sta cominciando a spiccare e anche se ogni Alpha qui è accoppiato ce ne sono alcuni la cui unione è ancora recente e potresti attirare la loro attenzione.”

Izuku seguì la ragazza per le scale, giù al secondo piano, poi al terzo, e finalmente al quarto piano. Da lì uscirono e attraversarono la stanza, Izuku si guardò intorno notando le celle, tutte piene. La cosa peggiore era l’odore, perché sapeva di reclusione, di tristezza, di dolore. L’atmosfera era piena del pesante aroma Omega che emettevano quando erano feriti, malati o semplicemente impauriti. Di contro, l’aroma Alpha parlava di rabbia, violenza, amarezza. Il mix sovraccaricò il naso di Izuku, già sensibile per via della luna, quindi la nausea si fece più forte che mai e diventò impossibile controllare la sua ansia.

Seguì la ragazza lungo un altro tunnel, ad una stanza che sembrava la cucina. Da lì si diressero in fondo, nella dispensa. Lì accese una delle lampade e la usò per mostrargli una vecchia nicchia, nascosta dietro un falso muro. Il pavimento era coperto di panni sporchi, in parte macchiati di sangue, e c’era una piccola mensola attaccata al muro contenente vassoi, stracci e barattoli. La cosa peggiore era l’odore, puzzava di morte e reclusione.

“Cos’è successo qui?” 

La ragazza lo ignorò, portando via le coperte sporche e scuotendo le altre.

“Posso lasciarti la lampada, ma solo una piccola bottiglietta di olio perché è una delle cose che controllano. Comunque, non hai bisogno di luce. Hai del cibo?”

“Un po’.”

“Beh, ti porterò della frutta, non molta, ma non morirai di fame. Ti porterò anche un secchio d’acqua. Cerca di non sprecarla. Se hai bisogno di andare in bagno, c’è un vaso nell’angolo. Dubito che lo userai regolarmente, ma verrò a pulirlo una volta al giorno.”

“Okay, sì, grazie.”

“Quanto dura il tuo heat?”

“Due giorni. Tre al massimo.”

“D’accordo. Due volte al giorno viene un gruppo a preparare i pasti. Non ti daranno fastidio, ma cerca di non uscire a cercarli, non vorrei che qualche guardia decida di vagare per la cucina. Se riesco a prendere una coperta extra te la porterò, ma non posso garantirti niente.”

“Va bene. Grazie per l’aiuto.”

La ragazza si irrigidì, strinse la bocca e sembrò in conflitto con se stessa. Alla fine prese un respiro e disse:

“Ricordati che mi devi un favore.”

“Ora mi dirai di cosa si tratta?”

Inspirò. “Più tardi. Ora devo andare.”

Izuku la guardò andare via dopo aver rimesso a posto il finto muro. Con cautela si sdraiò tra le coperte vecchie, si assicurò di spegnere la lampada per risparmiare l’olio e lasciò le provviste a portata di mano. Solo quando stiracchiò le gambe si rese conto di quanto fosse stanco. Aveva passato gli ultimi giorni a camminare con brevi soste, senza una buona dormita o un’alimentazione corretta.

La stanchezza, la convalescenza dal suo malessere e la fame fecero sospettare a Izuku che il suo heat sarebbe stato particolarmente difficile. Specialmente considerato il fatto che quello sarebbe stato il primo da affrontare con la consapevolezza che Katsuki era morto.

Izuku chiuse gli occhi, affondò il viso nella coperta sporca e si sforzò enormemente per controllare le emozioni che il suo heat faceva sbocciare.










 

Shuichi venne svegliato nel bel mezzo della notte quando uno dei suoi uomini irruppe nella sua tenda senza preavviso.

“Ma che cazzo?! Qual è il problema?”

“Mi dispiace, signore. I corvi sono tornati.”

“Cosa? Perché?”

“Temo siano stati scoperti, signore.”

“Scoperti?”

“È la spiegazione dell’addestratore, pare che i corvi abbiano ordine di fuggire se scoperti.”

“Significa che hanno trovato i selvaggi?”

“Sì, signore, abbiamo la loro posizione esatta, e il loro numero. Possiamo iniziare a pianificare un offensiva.”

“Eccellente, invia un rapporto a Kurogiri e raduna le truppe. Non appena avremo un piano ci muoveremo, voglio sapere quanto ci metteremo ad arrivare lì e quale situazione troveremo. Voglio sistemare la questione il prima possibile.”










 

“Dov’è il principe?”

A quella domanda sentì il sangue addensarsi. La rabbia mischiata all’incredulità formarono uno stretto nodo sopra il suo sterno. Restò muto e paralizzato sul posto.

‘Mi state prendendo in giro.’

Accanto a loro ‘La Montagna’ restava sui margini, osservando attentamente e analizzando il terreno in attesa di qualunque pericolo. L’Alpha era molto alto, muscoloso e agile. Katsuki aveva combattuto contro di lui in diversi scontri di allenamento e non smetteva mai di sorprenderlo che un uomo di quella stazza potesse muoversi così velocemente; per fortuna era attento all’ambiente circostante perché l'interesse di Katsuki era completamente focalizzato sulla conversazione.

Notò che ogni muscolo del suo corpo era teso; la sua emozione era tale che persino le voci erano attutite, per colpa del sangue che gli ruggiva nelle orecchie.

“Non è qui?” Chiese il ragazzo alto dai capelli blu.

“Pensavamo fosse con te,” aggiunse Kirishima accigliato.

“Il piano per il principe era incontrarti e poi fuggire al confine.”

Kirishima gli mostrò la lettera che Katsuki aveva ricevuto insieme alle fialette, e procedette a spiegargli la situazione. L’espressione dell’uomo si oscurò mentre ascoltava la storia.

“Crediamo che quando il principe è stato scoperto abbia deciso di incontrarsi con l’esercito. Pensavamo che stesse cercando di dire al re dell’incenso.”

“Dobbiamo informare il sovrano,” propose il ragazzo dai capelli blu. “Lo suggerisce anche il principe in questa lettera.”

“Il re è morto.”

Silenzio.

“Cosa?!”

“No!”

“Non ero presente allo scontro, me l’hanno detto i sopravvissuti. Pochi giorni fa, quando la flotta reale ha raggiunto la costa, il re ha ordinato un attacco su uno dei porti. Si è rivelato essere una trappola. Hanno usato l’incenso per neutralizzare e massacrare tutte le forze Alpha. Pochi di loro sono sopravvissuti. I rinforzi Beta hanno dovuto ritirarsi e tornare alle barche. Il re è rimasto gravemente ferito ed è deceduto poco dopo.”

“Loro—?”

“Come—?”

“Siamo stati traditi. Jin Bubaigawara, una guardia reale, ha orchestrato l’attacco al sovrano. Ora è al comando dell’esercito; quantomeno metà delle truppe. Il resto si è diretto a ovest per lanciare un’altra offensiva. Non sanno dell’incenso quindi abbiamo inviato un messaggero con loro. Con un po’ di fortuna arriverà da loro prima che sia troppo tardi.”

Dopo un attimo di sbigottimento entrambi i ragazzi iniziarono a fare domande su domande, desiderando sapere tutti i dettagli della situazione. Sconcertato, Katsuki esplose.

“Silenzio!”

I tre lo guardarono, due espressioni di orrore e una di sorpresa.

“Basta chiacchiere!”

“Chi sei?” Chiese l’uomo dai capelli scuri.

“Hai detto che il tuo principe aveva ordini di dirigersi al confine.”

“Tu—”

“Ascolta! Non ho tempo! Il tuo principe aveva ordini di dirigersi al confine, ma non ci è arrivato. Se l’hanno scoperto, cosa pensi abbia fatto?”

“Non lo so.”

“Non sei il suo maestro? Il suo insegnante o quello che è. Devi conoscerlo.”

“Tu chi sei?”

In quel momento intervenì Kirishima.

“Si chiama Bakugou, Aizawa-sensei, è l’Alpha che ha guidato l’assalto alla prigione. Ci ha liberati.”

Aizawa lo studiò e Katsuki cercò di assicurarsi che la rabbia che gli vibrava dentro fosse totalmente riflessa nei suoi occhi.

“Bakugou?” Chiese piano Aizawa, fissandolo. “Sei un parente di Mitsuki?”

La domanda lo sorprese. “Conosci mia madre?”

“Tua madre? ...Sì, vedo la somiglianza. Conosco Mitsuki. Da giovani ci allenavamo insieme. Lei e i suoi guerrieri hanno guidato l’unico assalto che ebbe successo contro una delle prigioni. La sua storia è diventata leggenda.”

In quel momento Kirishima si voltò verso di lui a bocca aperta.

“Tua madre è la Furia Rossa?!”

“Cosa?”

“Mitsuki! La Furia Rossa! La chiamano in quel modo per via dei fiori rosso ciliegia che ha sulla schiena! Quando combatte, è come una macchia rossa. Abbiamo tutti sentito parlare di lei! Ora capisco! Sei suo figlio!”

“Credevo che il figlio di Mitsuki fosse morto in mare. La nave di schiavi che lo trasportava cadde sotto una tempesta, almeno così dice la storia.”

“Solo una nave è affondata quella notte. E a quanto dice quella pertica,” indicò il ragazzo dai capelli blu, “tu hai trovato l’unico Omega sopravvissuto. L’Omega che sta viaggiando con il tuo principe in questo momento, è esatto?”

Silenzio e poi, “Sì, è così.”

“Bene.” Katsuki si raddrizzò, crebbe e lasciò che il suo odore si facesse più spesso intorno a lui. “Mettiamo in chiaro che non ho interesse nel trovare il vostro principe; ma lui ha qualcosa che è mio. E andrò a cercarlo. Hai detto che non possiamo contare su aiuti esterni, siamo solo noi, quindi riproviamo; il tuo principe aveva ordini di dirigersi al confine, ma non ci è arrivato. Cosa farebbe una volta scoperto?”

“Si avvicinerebbe alla costa e si riunirebbe con l’esercito per fare rapporto riguardo l’incenso il prima possibile.”

“Quante chance ha di successo?”

“Se Shouto fosse entrato in contatto con le truppe di Yuuei, Jin l’avrebbe scoperto subito, ma anche lui lo stava cercando. È chiaro che non è riuscito ad arrivare alla costa. Se stava viaggiando con Kamui, lui potrebbe averli portati verso le montagne per nascondersi.”

“Dove possiamo trovarlo?”

“L’unico modo per contattarlo è attraverso un uccello messaggero. Un volatile addestrato appositamente per quel compito.”

“Dov’è questo uccello?”

“A Yuuei.”

Katsuki imprecò. “In che altro modo puoi comunicare con lui?”

Silenzio. “Non c’è altro modo. Dobbiamo aspettare che il principe si faccia vivo.”

Prima che Katsuki potesse iniziare a imprecare, intervenì Kirishima.

“Lei lo conosce.”

“Lei chi?” Chiese Aizawa.

“La ragazza che ci ha portato le fialette e le lettere. La guardia dalla pelle rosa.” Guardò Katsuki e lui annuì lentamente. “Forse lei sa come localizzare Kamui.”

“Torniamo indietro,” replicò Katsuki con fermezza, l’ansia gli vibrava dentro a un ritmo sfrenato e instabile. Doveva tornare subito indietro, cercare la guardia e seguire la traccia di Kamui.

‘Dannazione, Deku, non cacciarti nei guai.’

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Prossimo capitolo: "Desiderio"

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