Ride or Die.

di Kuro Nekomiya
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Intro ***
Capitolo 2: *** Prologue: Home. ***
Capitolo 3: *** First Act ~ I. Clear Thoughts. ***
Capitolo 4: *** First Act ~ II. Opposites Attract. ***
Capitolo 5: *** First Act ~ III. Fellows. ***
Capitolo 6: *** First Act ~ IV. Strange Things. ***
Capitolo 7: *** First Act ~ V. Acceptance. ***
Capitolo 8: *** First Act ~ VI. Is This Real? ***
Capitolo 9: *** First Act ~ VII. Alive. ***
Capitolo 10: *** First Act ~ VIII. Squirming. ***
Capitolo 11: *** First Act ~ IX. Where I Belong. ***
Capitolo 12: *** First Act ~ X. Prepare for Trouble! ***
Capitolo 13: *** First Act ~ XI. Blackout. ***
Capitolo 14: *** First Act ~ XII. On The Wrong Side. ***
Capitolo 15: *** First Act ~ XIII. Y-Hello-w! ***



Capitolo 1
*** Intro ***




Intro~



Buongiorno a tutti!
È un po’ che non metto piede in queste lande.
Il mio nome è Kuro Nekomiya, ma voi potete chiamarmi tranquillamente Kuro ♥
Finalmente un mio vecchio concept del 2013 diventa una fanfiction ♥
Ci lavoro da quasi due anni, e credo sia giunto il momento di pubblicare c:
Ma veniamo a noi c:
Sono qui per dare un paio di spiegazioni riguardo la mia fanfiction.
Siccome per alcuni il titolo potrebbe avere un non so che di Fast and Furious, mi sento in dovere di spiegare xD
'Ride or Die' deriva da una locuzione inglese, che nella sua forma integrale sarebbe: 'Ride it out or die trying'.
La traduzione più corretta potrebbe essere: 'Buttati, affronta la corrente, lanciati all’avventura...o muori provandoci'.
Si può dire che in tale espressione vi siano infusi sentimenti di dedizione e spericolatezza, ed è esattamente il risultato che volevo ottenere c:
Con il tempo sono certa che comprenderete a cosa si riferisce c:
Per quanto riguarda la trama, vorrei darvi qualche hints prima di leggere c:
La storia è una What If, e ripercorre il Mew Project in un contesto familiare, ma con un taglio molto più realistico e adulto nel trattare le tematiche fondamentali di questo manga, che fin da piccola m'hanno fatta innamorare: l'approccio dei personaggi alla guerra e al confronto forzato con una realtà complessa e un diverso ostile.
Se questo non è già abbastanza a rendere la storia What If, sappiate che a sconvolgere gli equilibri di forze vi sarà anche una protagonista originale, una nuova Mew Mew dalla personalità forte e caotica ^^'
Come influiranno la sua presenza e le sue azioni sugli eventi della storia?
Ai posteri l’ardua sentenza c:
Dunque, per ricapitolare:
La mia protagonista è Suguri, la mia Oc;
Il mio co-protagonista è Kisshu c:
In ultima battuta, vorrei chiedere a chi si appresta a leggere di non giudicare il libro dalla copertina: non sto inserendo un nuovo personaggio per esigenze di fanservice.
Non sono proprio il tipo c:
Per quanto riguarda il genere, se apprezzate l’azione fusa con la romance, l’introspezione e lo sviluppo psicologico dei personaggi, siete finiti nel posto giusto xD
Consiglio la lettura anche a tutti coloro che amano o hanno amato profondamente Tokyo Mew Mew e non vogliono leggere qualcosa di completamente lontano dall’opera madre, ma che comunque presenta novità potenzialmente interessanti che possono influenzare la trama anche in maniera pesante.
Mi sono dilungata fin troppo (e sono stata fin troppo seria xD), dunque mi congedo.
Buona lettura! c:

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Capitolo 2
*** Prologue: Home. ***




Prologue:
Home.

 





As a child you would wait
And watch from far away
But you always knew that you'd be the one that work while they all play

In youth you'd lay awake at night and scheme
Of all the things that you would change, but it was just a dream!

The time will come when you'll have to rise
Above the best, improve yourself
Your spirit never dies!

 

Imagine Dragons – Warriors




 

(Pianeta Evemeth,
302.07 ka* post insediamento.)






Il ragazzo dai capelli color muschio scostò, per l’ennesima volta in quei pochi minuti, una ciocca della sua frangia dai profondi occhi dorati.
Sbatté le palpebre, stringendosi nell’argentea mantella termica, lunga fino ai piedi.
Nonostante quella lo coprisse quasi interamente, il gelo della tempesta di vento e neve colpiva i pochi brandelli di pelle scoperti come uno schiaffo.
Un’infinita distesa candida si estendeva a vista d’occhio ovunque posasse lo sguardo.
Uno spettacolo talmente ripetitivo ed alienante da essere...deprimente.
Un sospiro silenzioso s’insinuò tra le labbra chiuse.
Lui e il suo piccolo gruppo di compagni erano stati talmente fortunati da essere assegnati ad un banalissimo incarico di pattuglia dell’area c-47, presso il perimetro di una delle poche strutture governative ancora collocate in superficie, e per tale motivo, visto le condizioni climatiche in cui versavano, sorvegliate solo da apparecchi tecnologici.
Tuttavia, negli ultimi tempi erano state riscontrate in più di una singola area numerose anomalie che, misteriosamente, resettavano e riavviavano il sistema ad intervalli irregolari.
L’opzione più plausibile era quella di pensare ad un sabotaggio...ma a chi avrebbe potuto importare del reset del sistema di sorveglianza esterno di un edificio governativo secondario?
Le sedi realmente importanti risiedevano nella capitale sotterranea, e in generale nei grandi agglomerati abitativi.
Quella situazione poteva far pensare ad un piano diabolicamente perfetto...o ad uno assurdamente ridicolo.
E in un certo qual modo, entrambe le opzioni avevano stuzzicato il suo interesse, tanto da farlo prontamente intervenire sul campo.
Eppure, se n’era quasi pentito...il suo entusiasmo s'era spento non appena aveva dovuto mettere piede fuori dall’astronave.
Provò a concentrarsi sul morbido fruscio dei passi sulla neve che arrivavano al suo udito fino, nella vana speranza di distrarsi dai pensieri che infestavano la sua testa come un parassita.
Quei pensieri pieni d’insoddisfazione e di sensazione di soffocamento, come di una mano stretta attorno al collo...
Ogni tanto sentiva di odiare la vita che aveva scelto.
Ogni tanto si chiedeva se non avesse sbagliato completamente strada, se di fronte a sé non avesse che un vicolo cieco, un muro...e la sua tentazione fosse proprio quella di abbatterlo a calci e pugni, con tutta la forza che aveva in corpo.
Ogni tanto mal sopportava persino l’Accademia, unico luogo che poteva tragicamente chiamare casa.
Perché quello era l’unico luogo dove sarebbe potuto tornare...ma era anche quello che aveva avvelenato buona parte della sua esistenza, quello che lo aveva reso...così com’era.
L’idea di concepire la sua vita senza di essa era fuori discussione.
Ogni tanto l’odio per la storia e il sistema corrotti del suo pianeta superava i suoi ideali di giustizia, e faceva tacere la vocina nella sua testa che diceva: Devo lottare. Devo farlo.
Per chi? Per cosa?

Ogni tanto sognava di poter contemplare un mondo diverso, tanto aveva il disgusto di quello in cui era costretto a sopravvivere.
Sognava che tutto quello che conosceva semplicemente bruciasse tra le fiamme e sparisse per sempre, senza che lui dovesse fare nulla.
Bramava di poter restare placidamente a guardare mentre una serie di infimi individui si facevano consumare dal fuoco fino alle ossa, come i cani bastardi che erano.
E quella fine non sarebbe comunque bastata...
Ogni tanto si domandava che senso avesse avuto aver lavorato così duramente, essersi adattato così perfettamente all’ambiente circostante, come una belva feroce e ferita, che insospettabilmente attendeva la sua personale vendetta…
Ogni tanto...era stanco di tutto quel peso.
Ma ogni volta riusciva a ricordarsi che quell’inferno non l’aveva soltanto subito...l’aveva scelto.
Quell’inferno era il senso di tutta la sua vita.
E riusciva perfino a ricordarsi che in fondo l’amava, quella vita...anche se non riusciva mai ad ammetterlo davvero.
Forse era terribilmente masochista.
Un brivido gli percorse la colonna vertebrale, facendolo fremere.
Ma non era un brivido di freddo. Gli prudevano le mani.
Scosse energicamente la testa e mise a fuoco davanti a sé.
Senza quasi che se ne fosse accorto erano giunti nel punto prestabilito, l’area c-47, a nord-est dell’edificio C.
Ad un rapido sguardo tutto gli sembrò completamente intoccato, come in un qualsiasi quadrato di terra delle lande desolate: forse i cacciatori sarebbero stati in grado distinguerli, ma per lui era un compito decisamente difficile.
Inoltre, anche se ci fossero state delle tracce, quella maledettissima neve che imperversava ormai da giorni le avrebbe di certo cancellate…
«Ispezionate il perimetro dell’area.» Ordinò, e i suoi sottoposti scattarono dalla posizione alle sue spalle e lo superarono, avvicinandosi con cautela al punto d’osservazione.
Kisshu si tirò il bavero della mantella contro il viso e s'alzò in aria, cercando di dare un’occhiata dall’alto.
Arricciò il naso. Lì sopra il vento era più forte che a terra.
Osservò con gli occhi uno dei soldati che, a passo sicuro, si dirigeva verso l’edificio C, un agglomerato dalle grandi finestre sbiadite e dalle pareti candide come la neve.
Se non ci si faceva attenzione, poteva quasi essere scambiato per un elemento del paesaggio.
Le sue labbra s’incurvarono in un sorrisetto appena percettibile.
Quello era il suo parigrado nonché uno dei suoi migliori amici, Jadis, che era stato assegnato a quell’incarico insieme a lui, e che per tutto il tragitto a piedi era stato silenziosamente alle sue spalle, a distanza ravvicinata.
Un evento del tutto raro per lui, che aveva sempre un motivo per non starsene zitto.
Jadis era casinista, disordinato e più che ogni tanto inaffidabile, ma una cosa doveva riconoscergliela: era un asso quando si parlava di competenze informatiche.
L’alieno ignorò completamente l’ordine d’ispezione dell’area, concentrandosi piuttosto sui sistemi di controllo, il motivo per cui si trovava lì.
Lo osservò lavorare per qualche minuto, prima di decidersi a raggiungerlo a terra.
«Ci sono novità?» Domandò Kisshu, atterrando morbidamente alle sue spalle, a pochi metri da lui.
L’amico, dai limpidi occhi citrino e dagli spettinati capelli azzurro cenerino**, che spuntavano dal cappuccio della mantella, fece una smorfia silenziosa senza rivolgergli lo sguardo.
Quando si concentrava sul suo lavoro diventava una persona dall’aria serissima, ed era anche per quel motivo che erano grandi amici.
Per Jadis il lavoro era di un’importanza quasi sacra.
«Questi sistemi di rilevamento sono stati sostituiti dieci giorni fa, perché si pensava che il reset continuo fosse dovuto ad un guasto delle macchine. Eppure questi continuano ad avvenire, anche se si tratta di attrezzatura nuova...gli eventi compaiono nella cronologia ad intervalli del tutto irregolari l’uno dall’altro» Rispose lui, toccando lo schermo con le dita alla ricerca di ulteriori dati e conferme. «Se avvenissero ad orari prestabiliti si potrebbe pensare ad un probabile scanner della zona, ma in questo modo...in questo modo non ha senso. Dev’essere un’interferenza...magari dovuta a fenomeni di elettromagnetismo, come quelli che stanno alla base delle forti tempeste di neve di questi ultimi periodi...» Mormorò ancora, chiudendo il pannello dei comandi e riattivando la password d’accesso.
«Come sai, ogni area ha un codice d’accesso segreto che viene cambiato ogni settimana da un algoritmo, ed è conosciuta solo dal dipartimento informatico. Dall’esterno non è possibile accedere a queste macchine senza sapere il codice...» Aggiunse ancora, questa volta guardando l’amico negli occhi.
«Un’interferenza, eh?» Borbottò Kisshu, aggrottando le sopracciglia.
Non era uscito dalla base per una semplice interferenza...c’era qualcosa di più.
Doveva esserci.
Non era possibile bollare l’ennesima missione di pattuglia come inconcludente, esattamente come tutte quelle dell’ultimo periodo.
Non voleva arrendersi adesso. Voleva andare a fondo delle cose.
Doveva lottare. Doveva farlo...
«Mi puzza l’ennesima interferenza, Jadis...ehi voi! Venite tutti qui!» Urlò l’alieno moro, in direzione dei suoi sottoposti, intimando loro di raggiungerlo con un gesto della mano.
Quelli alzarono subito il capo ed eseguirono il suo ordine, allineandosi di fronte a lui.
«Nessuna traccia degna di nota, vero?» Canzonò i suoi, che senza proferir parola annuirono con un gesto deciso del capo.
Lui sogghignò. Come volevasi dimostrare…
«Allora mettetevi a scavare. Via!» Dispose.
Poi appoggiò la schiena al muro della struttura, incrociando le braccia.
I ragazzi tornarono ai propri posti e si misero subito a lavorare di buona lena, mentre lui li osservava vigile ed in silenzio.
«Credi davvero di trovare qualcosa in questo modo?» Chiese incerto l’amico al suo fianco, stringendo le braccia intorno al corpo.
Il vento gelido riusciva comunque a penetrare sotto la mantella termica.
«Mi fido del mio intuito!» Sorrise lui sornione, di rimando. «Se non troviamo nulla nemmeno così, mi arrenderò all’evidenza dei fatti, d’accordo?» Replicò poi, afferrandogli la spalla sinistra amichevolmente.
L’altro lo fissò per qualche secondo, senza dire nulla.
«Scommettiamo? Chi vince offre da bere. Ci stai?» Propose Jadis, lo sguardo di chi già si pregustava la vittoria in anticipo.
Kisshu ridacchiò, e piccole nuvole di vapore s’incresparono sulle sue labbra.
I due si scambiarono un pugnetto d’intesa.
«Andata! Mi scolerò tanta di quell’acàula* che farò piangere i tuoi risparmi!»

 

 

***




Mandò giù deciso un altro bicchiere di acàula, sentendone immediatamente il sapore bruciante e dolciastro sulla gola.
Era già il terzo...e il tutto meravigliosamente gratis.
Ovviamente, aveva vinto la scommessa.
Sotto due metri e mezzo di neve infatti, conficcato nel terreno ghiacciato, avevano trovato un apparecchio dalla tecnologia sconosciuta di forma ovoidale, dotato di un paio di led luminosi sulla superficie liscia.
Non sapendo di cosa si trattasse realmente, lui e la sua squadra l’avevano estratto, maneggiato con cura e poi sigillato, come prevedeva il protocollo.
Conclusi i loro compiti, si erano infilati nuovamente nelle loro astronavi ed erano tornati velocemente alla base.
Era il primo incarico di pattuglia sulle anomalie dei sistemi dell’ultimo periodo che dava un qualche risultato.
In seguito, aveva mostrato il reperto al suo superiore, il colonnello Mavs.
Egli, dopo un’occhiata parecchio confusa al dispositivo, aveva deciso di inviarlo al reparto analisi per i dovuti controlli, ma non gli era sfuggita l’espressione vagamente cupa che l’uomo aveva tentato di nascondere prima di liberarlo da ogni impegno e complimentarsi con lui per l’ottimo lavoro.
Si guardò attorno, distogliendosi per un attimo dai suoi pensieri, e venne avvolto immediatamente dal brusio tutt’intorno a lui.
Lo spaccio**, il luogo di ritrovo con gli amici della sua infanzia, gli evocava ricordi fortemente nostalgici.
Architettura spoglia e minimale, pareti lucide color verde smeraldo, tavoli scuri lunghi e rettangolari, sedie sgangherate e luci rotonde posizionate agli angoli della stanza, incassate nel muro o che pendevano dal soffitto.
I suoi sottoposti, cinque ragazzi più o meno della sua stessa età, riempivano un angolo della stanza a ridosso del bancone del locale, ma le loro chiacchiere e risate facevano pensare che fossero molti di più.
Sembravano distesi, rilassati, felici.
Probabilmente pensavano di aver fatto ciò che andava fatto, e terminata la missione azzeravano il cervello, tornando a pensare alle loro piccole e quotidiane frivolezze.
Ma lui non era fatto così.
Anche se aveva vinto quella scommessa, per lui era un evento quasi insignificante.  
La sua attenzione era tutta concentrata sulla nuova scoperta che avevano...o meglio, che lui, aveva fatto.
Era ovvio pensare che le varie anomalie che si erano verificate negli ultimi tempi fossero state causate da quei dispositivi a forma di uovo, e che ce ne fossero altri in giro, probabilmente nascosti sotto la neve in altre aree strategiche della superficie.
Tuttavia, non era sicuro che le analisi avrebbero portato a risolvere tutti i misteri a loro legati.
Anche scoperto lo scopo per cui erano stati creati...chi l’aveva fatto?
Perché? Quando sarebbe riuscito ad eludere i radar della sorveglianza?
Da chi dovevano guardarsi le spalle?
Kisshu appoggiò il bicchiere al tavolo e si mordicchiò il pollice della mano sinistra, guardando fisso un punto del pavimento.
Qualunque fossero le notizie, non erano di certo buone.
Da tempo i Vargatt* aspettavano il momento propizio per far scoppiare una ribellione, e lui voleva essere in prima linea...perché non ce la faceva più a stare buono ad aspettare.
Mentre i Grandi** se ne stavano in panciolle, facendo programmi sulla loro pensione felice, gli Sventurati* subivano le pene dell’inferno solo perché avevano avuto il coraggio di non abbassare la testa di fronte ai soprusi.
E ogni anno, in Accademia, venivano introdotti ragazzini nuovi...quando li guardava provava pena per loro.
La pena che aveva avuto per sé stesso.
Sventurati...tks.  
Quanto odiava quella fottuta definizione.
«Allora amico? Sei già ubriaco nella fase depressa?»
Kisshu aggrottò le sopracciglia quando la voce squillante del suo amico Jadis ruppe il suo loop di pensieri, come una bolla di sapone fatta scoppiare dal vento.
Si morse l’interno del labbro inferiore.
Forse non era poi così male prendersi una pausa dalle sue interminabili congetture...
Jadis avvicinò una delle sedie sgangherate dello spaccio e si sedette alla sua desta, due bicchieroni di acàula pieni fino all’orlo stretti nelle mani.
Kisshu si voltò a guardarlo.
«Perché? Speri che smetta di far piangere i tuoi risparmi?» Replicò lui, provocatorio. «Sei fuori strada: ti manderò talmente sul lastrico che ti farò scappare in lacrime da tua madre!» e su quelle parole, l’alieno si scolò l’acàula fino in fondo.
«Questo è mio, vero?» Domandò retorico poi, sfilandogli di mano uno dei bicchieri.
Il compagno dai capelli azzurrini lo guardò piccato.
«Sei un infame.» Lo apostrofò lui.
«Lo so.» Rise Kisshu, prima che entrambi bevessero a grandi sorsate la bevanda rosso ambrato.
Quando questa toccò le loro papille gustative si sentirono subito meglio.
L’acàula era uno dei grandi piaceri della vita.
«Dovremmo ringraziare le ragazze che lavorano al reparto di produzione per rifornirci ogni giorno di questa meraviglia!» Affermò Jadis con grande convinzione, scuotendo il suo bicchiere ormai quasi vuoto. Poi circondò le spalle di Kisshu con un braccio, dandogli un paio di energiche pacche sulla spalla. «Parlando di ragazze, ho conosciuto un gruppo di infermiere l’altra mattina...ti assicuro che c’era del materiale interessante.» Mormorò ancora, facendo all’amico uno sguardo di intesa.
Il ragazzo dai capelli verdi ricambiò l’occhiata, abbozzando un sorriso sghembo ed allusivo.
«E che aspettavi a dirmelo? Pezzo di merda! Volevi lavorartele per conto tuo, eh?» Lo canzonò, tirandogli un pugno innocuo in mezzo alle costole.
Lui si portò una mano in quello stesso punto, mimando una smorfia di dolore.
«Ah! Ringraziami: visto l’infame che sei non ti meriteresti tutta ‘sta bontà!» Ridacchiò, usando un tono di voce che chiaramente non aveva la minima parvenza di serietà.
Kisshu lo spintonò, ridendogli in faccia.
«Come se avessi bisogno di te per rimediarmi le ragazze!»  
Jadis stava per replicare, quando vide con la coda dell’occhio una sagoma vestita di scuro avvicinarsi ad entrambi.
Dalla porta spalancata dello spaccio, infatti, era appena entrato un ragazzo dal passo deciso ma elegante che si fermò esattamente di fronte a loro.
Alto, corti capelli neri, iridi verdi e cristalline, espressione dannatamente seria.
Come sempre.
«Fate un mare di casino.» Commentò il nuovo arrivato, senza aggiungere una sillaba di più.
Quando lo vide, il volto di Jadis s’illuminò di un grande sorriso.
«Fen!» Esclamò lui con entusiasmo, «Allora, come te la passi? Come sta Linne? Eh?» Aggiunse ancora, tirandogli un paio di gomitate affettuose.
Ma Fen, come era ovvio, non abboccò al suo tentativo di instaurare un dialogo normale e lo guardò soltanto, indecifrabile.
Poi spostò i suoi occhi su Kisshu, mentre tirava un calcio allo stinco di Jadis con la punta di un piede e lui si lamentava, fingendo nuovamente di essersi fatto male.
«Ehi voi due, ci prendete gusto a picchiarmi?» Replicò stizzito, le sopracciglia piegate in un’espressione imbronciata.
«Il colonnello ha chiesto di raggiungerlo nel suo ufficio con urgenza, se fossi in te mi sbrigherei.» Affermò coinciso, indicando la porta alle sue spalle.   
Kisshu lo ascoltò con attenzione, tanto stupito quanto confuso da ciò che gli era stato detto.
Cosa poteva esserci di tanto urgente da dover correre all’ufficio di Mavs?
Aveva parlato con lui solo un paio d’ore prima.
Kisshu lasciò sul tavolo il bicchiere pieno a metà e si alzò dalla sedia con poca convinzione, quasi di malavoglia.
Non aveva idea di quale fosse il suo stato d’animo attuale, ma di certo si sentiva turbato.
Forse avrebbe avuto qualche risposta alle domande che si era posto da quando era tornato alla base.
Sputò dalle labbra un “d’accordo” stentato, prima di fare un cenno ai compagni e sparire oltre la porta.
Non appena fu uscito Fen si accomodò al suo posto, accavallando la gamba sinistra verso il tavolo e guardando quelli del gruppo di Kisshu chiacchierare animatamente a qualche metro da lui.
Jadis lo fissò in silenzio, pensieroso e perplesso.
Poi finì il suo bicchiere e inghiottì, prima di parlare.
«Ma lo hai visto? Sembrava avesse visto un fantasma.» Commentò il ragazzo dai capelli azzurrini, stranito dal comportamento del suo amico.
Lasciò il braccio lungo sul fianco, gingillando con il bicchiere vuoto tra le dita.
«Chissà cosa avrà da dirgli Mavs...» Borbottò incuriosito.
Fen sembrò non reagire subito alle sue parole e afferrò il bicchiere che Kisshu aveva lasciato a metà, bevendone il contenuto senza particolari complimenti.
Lo ripoggiò poco dopo sul tavolo scuro, delicatamente, e lanciò un’occhiata a Jadis.
«Chissà.» Si limitò a dire, anche se sembrava sapesse qualcosa di più.
«Non è che offriresti altro?» Rimbrottò invece, indicando il bicchiere vuoto.
Jadis saltò dalla sedia e lo guardò supplicante, le lacrime agli occhi.
«Non anche tu, no! Pagati le cose da solo!»
 


 


***




Kisshu uscì dallo spaccio ed attraversò il corridoio diretto alla buca, soprannome goliardico che designava la grande Hall Centrale.
Da lì era possibile raggiungere ogni punto della base militare, compresi gli uffici dei suoi superiori.
Rispetto a prima, a quando aveva percorso quella strada a ritroso, sentiva un peso sul petto.
Aveva un brutto presentimento.
L’aveva intuito dal tono di voce che aveva usato Fen, nonostante per le persone normali fosse impossibile distinguere le sue varie sfumature espressive.
Non era un semplice comunicato, di quelli che Mavs aveva già fatto altre mille volte.
Forse doveva aspettarsi qualcosa di molto più grosso.
Che li avessero scoperti…?
Kisshu deglutì, prestando morbosissima attenzione alle linee di demarcazione delle piastrelle a terra, come sempre perfettamente lucide ed immacolate.
La sola idea lo faceva sudare freddo.
I Vargatt non potevano essere stati scoperti, o sarebbe stata la fine di ogni cosa.
No, non poteva essere.
Ma il sospetto che quell’incubo sarebbe potuto essere reale lo torturava in un angolo della sua coscienza.
Aveva avuto quella sensazione di nausea altre volte.
In fondo, quando si sceglie di essere un ribelle ci si abitua al fatto che l’unico modo di vivere è alla giornata, spesso sul filo del rasoio...una vita in cui non era possibile commettere errori, mostrare tentennamenti e concedersi distrazioni.
Anche nelle situazioni più difficili bisognava mantenere il sangue freddo.  
Kisshu si strinse la canotta tra le dita, all’altezza dei polmoni.
Era evidentemente ansioso. Doveva trovare il modo di calmarsi.
Tentò di regolarizzare il suo battito cardiaco, espirando profondamente, e s’asciugò le goccioline di sudore sulle tempie.
Non doveva avere la migliore cera del mondo, ma doveva fingere di stare a meraviglia, come faceva sempre.
Senza nemmeno essersene accorto, per la seconda volta in quella giornata aveva inconsciamente già percorso tutta la strada che lo separava dal punto di arrivo, e la porta dell’ufficio del colonnello Mavs era proprio di fronte a lui.
Sospirò. Via il dente via il dolore, Kisshu...
Non perse tempo in altre esitazioni e diede due colpi decisi contro la porta di metallo, prima che il suo cervello potesse formulare altre ipotesi di catastrofe.
La voce grave del colonnello lo esortò ad entrare e così, Kisshu fece scorrere le nocche sul pulsante d’apertura automatica e l’anta si aprì.
Entrando nella stanza rimase stupito di trovare in compagnia del colonnello anche il generale Kleth, seduto di traverso su una sedia di fronte ad una seconda scrivania, il gomito destro appoggiato ad essa.
Kleth, uno dei Grandi che fino a quel momento aveva visto solo qualche volta, senza mai rivolgergli la parola.
La sua presenza lì era...banale dirlo, alquanto strana.
Chissà di che cosa stava parlando con Mavs...
Nonostante i dubbi che gli affollavano la mente, il ragazzo dai capelli verdi mantenne la sua freddezza, avanzò verso il centro della stanza, di fronte all’uomo che lo aveva richiamato, e si portò il pugno destro alla spalla sinistra, sinonimo di rispetto ed obbedienza ai superiori.
«Signore.»
Il colonnello lo guardò e sorrise sotto ai baffi scuri.
«Bene, ecco qua il nostro giovane ragazzo! Non t’allarmare, non ti ho mandato a chiamare per darti una punizione!» Mormorò l’uomo dietro alla scrivania, i gomiti sulla superficie di metallo e le mani giunte sotto al mento.
Forse si era accorto del suo nervosismo...
Kisshu gli lanciò un’occhiata, facendogli capire che aveva tutta la sua attenzione, reprimendosi dal fare qualsiasi commento sulle parole dell’uomo.
Il suo interlocutore interpretò il suo sguardo e di rimando fece un cenno con la testa.
«Quella che vorrei proporti è un’opportunità molto importante per te.» Continuò, serio ma con fierezza nella voce. «Da quando sei tenente hai dimostrato di avere molto entusiasmo e di saperci fare, ragazzo. Ogni tanto si parla di te anche ai piani alti!» Riprese, mettendosi a ridere.
Kisshu sorrise alla sua reazione.
Le risate del colonnello erano sempre contagiose, e i suoi complimenti riuscirono a calmarlo un po’.
«Dopo la scoperta che hai fatto oggi ho ricevuto la benedizione dell’uomo che vedi in questa stanza, quindi forse il mio sesto senso non mi ha mai ingannato su di te.
Ricordo ancora quando eri mio allievo...continuavi ad eccellere, e non hai mai smesso da allora.»
Kisshu inarcò un sopracciglio, senza lasciar trapelare nient’altro dal suo viso.
Tutti quei complimenti...non sapeva se esserne elettrizzato oppure se da tutte quelle aspettative dovesse aspettarsi chissà cosa.
La cosa positiva era che non centravano i Vargatt.
Che sollievo enorme...
«Mi scusi Signore, di cosa sta parlando?» Chiese lui, ormai incuriosito.
Mavs chiuse gli occhi e prese a fare ampi gesti con la testa, come faceva di solito quando cercava di trattenersi.
«Di una missione fatta apposta per te. Ragazzo, abbiamo deciso di mandarti sulla Terra!» Asserì entusiasta, aprendo le braccia.
Kisshu sgranò gli occhi, più che sorpreso.
Non poteva credere alle sue orecchie.
«La Terra?» Ripeté a pappagallo, senza parole.
All’improvviso sentì di avere la gola più arida di un deserto.
Stava davvero parlando di quel luogo meraviglioso di cui parlavano le filastrocche del suo pianeta? Quelle che da piccolo gli canticchiava sua madre?
«Si, la Terra. Proprio quella Terra. Esiste realmente, ragazzo. Non è una favola.
E’ stata individuata da qualche mese in realtà, ma non abbiamo mai trapelato la notizia per questioni di sicurezza.
Ora abbiamo calcolato una rotta sicura per raggiungerla. Ci serviremo dei wormhole**. Anzi, tu te ne servirai.» Concluse l’uomo, accarezzandosi i baffi scuri con le dita di una mano.
Kisshu boccheggiò.
Aveva bisogno di tempo per metabolizzare tutta quella roba.
Lui sulla Terra? Per conto suo? A che scopo? E i Vargatt? Sarebbe stato costretto a lasciarli?
No no no. Aspetta.
«Su..sulla Terra? Io?» Balbettò, stringendo i pugni ed infilando le dita nella carne per non tremare. «Ma perché? Perché solo io? E poi non c’è abbastanza da fare qui, sulla nostra casa?» Replicò ancora.
Doveva sembrare piuttosto scosso, tanto vide Mavs alzarsi dalla sua seduta ed avvicinarsi a lui. L’uomo lo abbracciò con affetto rifilandogli sonore pacche sulla schiena, come era solito fare.
«È proprio per questo che lo facciamo! La Terra sarà una casa decisamente migliore di questa. Per quanto riguarda quello che hai scoperto...» Sibilò l’uomo, lasciandolo andare per guardarlo con i suoi limpidi occhi azzurri, «Vedi, non sappiamo ancora cosa siano precisamente gli strani reperti che hai trovato, ma sono chiaramente una minaccia.
Si tratta di tecnologia aliena alla nostra, che è riuscita persino a bucare la sorveglianza dei nostri radar. Non solo sono responsabili dei continui crash del sistema, ma potrebbero in qualche modo essere persino legati alle anomale tempeste di neve degli ultimi tempi.
Penso che anche tu sappia che non si tratta di semplici fenomeni naturali.» Mormorò, ticchettando in modo nervoso con due dita.
«Si, Signore.» Proferì, le parole quasi morte in gola.
«Non sapendo cosa ci aspetta, la cosa migliore è lasciare qui gli alti membri dell’esercito. Per te invece, è una grande occasione di avanzamento di carriera. Avere una seconda casa in cui approdare sarebbe un grosso vantaggio per noi, per di più se parliamo del pianeta che il destino ci ha strappato tempo fa.» Mormorò, con un tono che sembrava quasi solenne. «Tu sei il migliore allievo che abbiamo mai avuto negli ultimi anni, escluso il colonnello Abraxas, naturalmente. Se porterai a termine questa missione, sarai promosso direttamente a suo pari. So che ti ho addestrato bene in guida aerospaziale e non avrai nessun problema.» Sorrise infine l’uomo dai capelli bruni.
Kisshu sembrò riscuotersi a quelle parole.
Promozione straordinaria a colonnello?
Si trattava di una chance che capitava una volta nella vita.  
Ad un’età giovane come la sua poi, le probabilità che accadesse erano vicine allo zero.
Dove stava la fregatura?
Forse qualcuno non lo voleva tra i piedi? Forse qualcuno sapeva qualcosa?
Non poteva abbassare la guardia...doveva subito comunicarlo ai suoi amici.
«Questo risponde alle tue domande...tranne una: non sarai solo, altri candidati sono in via di selezione. Tu, però, partirai subito, gli altri ti raggiungeranno in seguito.» Concluse infine, cercando di rassicurare il ragazzo.
A quel punto, il silenzio scese tra gli interlocutori.
La straordinarietà delle affermazioni fatte richiedeva più di qualche secondo di riflessione.
Kisshu curvò leggermente il capo, in direzione del generale Kleth.
Si soffermò sui capelli e le sopracciglia chiarissime e in seguito sugli occhi azzurri, altrettanto chiari da sembrare trasparenti.
Il suo volto era rilassato e la sua espressione amichevole, ma al tempo stesso comunicava un senso di grande autorità.
Kisshu strinse gli occhi.
Uno dei Grandi...e se fossero loro a sapere qualcosa?
Non si fidava della loro apparenza...non si fidava di nessuno.
Doveva ancora passare del tempo prima che facesse davvero carriera nei Vargatt...e anche lì aveva dei superiori a cui doveva rendere conto.
Di fatto, però, anche tra i Vargatt era appena salito di grado...giusto qualche giorno prima.
La coincidenza tra i due fatti era strana...e le coincidenze, come diceva un famoso detto, non esistono.
Tornò con gli occhi sul colonnello Mavs, il cui sguardo era davvero serissimo, probabilmente serio quanto il suo.
Né lui né Kleth sembravano voler ricevere un no ad una simile offerta da parte di un giovane tenente.
Per Mavs poi, che lo considerava una specie di figlioccio, doveva persino significare una specie di passaggio di testimone tra la vecchia e la nuova generazione, e se avesse rifiutato avrebbe deluso le aspettative di chiunque...comprese le sue.
Avrebbe vanificato tutti gli sforzi che aveva fatto per 8 lunghi anni passati a sputare lacrime, sudore e sangue, e di certo non era questo che voleva.
Lo stavano mettendo decisamente alla prova.
Non era più nervoso, preoccupato o impaurito.
Era solo teso, e scalpitava interiormente come una bestia in catene a cui avevano appena sventolato la libertà di fronte al naso.
Abbassò lievemente le palpebre e i suoi occhi diventarono vacui per un attimo.
Se avesse accettato, però, avrebbe forse perso l’opportunità di partecipare alla sommossa contro il governo, alla lotta per ciò che era giusto.
Non solo la sua, di libertà, ma quella di tutti quelli come lui.
L’idea di diventare colonnello, comunque, non andava a svantaggio di questa situazione...anzi.
Stare a contatto coi Grandi e guadagnare la fiducia dei piani alti, anche se era un’eventualità che nel profondo disprezzava, era un bocconcino decisamente prelibato visto il suo inestinguibile appetito.
«Tu sei il giovane Ikisatashi, vero? Ho sentito che vieni dalle terre a sud-est della capitale...» Proruppe il generale, distraendolo dalle vocine nella sua testa.
Kisshu gli rivolse uno sguardo fin troppo ostile.
«Si Signore, esattamente.»
Calmati, espira. Sii il più naturale possibile.
«Difficile storia, quella di quelle regioni...beh, immagino che per un giovane sventurato così talentuoso poter partecipare ad una simile missione sia un onore inesprimibile...» Replicò mellifluo, uno sguardo sicuro ad incorniciargli il volto.
«Generale Kleth…! Non sia così severo con le origini del ragazzo...» Borbottò Mavs in sua difesa.
Kisshu espirò pesantemente ed irrigidì le spalle.
Tappati la bocca, Kleth. Arriverà il giorno in cui ti taglierò la gola da rifiuto evemeriano che sei.
«È storia vecchia ormai. Quando si viene qui ciò che conta sono solo i fatti, giusto colonnello?” Domandò Kisshu al suo superiore, con tono provocatorio.
«Certamente...ed è per questo che ti ho scelto appositamente tra tutti, tenente Ikisatashi.
Anche il tuo temperamento è un’ulteriore prova di quanto vali...conto molto su giovani leve come te.» Rispose Kleth al suo posto, con la stessa sicurezza ostentata di prima.
Conta pure i secondi da qui a quando sarai morto, Kleth.
Kisshu non replicò nulla al generale e rivolse il suo sguardo al colonnello, unica persona in quella stanza che stimava e a cui, in qualche modo, voleva bene.
C’era il fuoco nei suoi occhi...così ardente che Mavs fu quasi costretto a distogliere lo sguardo.
«Accetto colonnello. Questa missione è mia!» Esclamò, con un’aggressività quasi minacciosa.
Mavs sorrise, togliendosi un peso dallo stomaco.
All’inizio del colloquio la situazione sembrava stesse precipitando e aveva colto una forte preoccupazione nello sguardo del suo ex allievo, ma sapeva che sarebbe arrivata una reazione esplosiva...quella che si aspettava da un tipo come lui.
Andare sulla Terra gli avrebbe fatto bene. Kisshu era fatto per l’azione.
«Sapevo che lo avresti fatto, ragazzo! Con quel silenzio mi avevi quasi fatto dubitare, mascalzone!» Disse a voce alta, ridendo sguaiatamente, e dando al giovane le ennesime pacche energiche sulla schiena. «Sono fiero di te!» Aggiunse poi, quasi commosso.
Sembrava sinceramente felice del fatto che un suo ex allievo gli avesse regalato quella soddisfazione.
Kisshu finse un sorriso mentre Mavs lo guardava, accarezzandosi di nuovo gli amati baffi.
«Bene bene, ora puoi andare! Ti daremo altre informazioni nelle prossime ore. Ti manderò di nuovo a chiamare.» Mormorò, facendogli un cenno con le dita in direzione della porta, intimandogli di andare.
Kisshu sospirò.
«Con permesso Signore.» Borbottò, abbassando lievemente il capo di fronte a Mavs, in segno di rispetto.
Poi si diresse verso la porta deciso, a grandi falcate, non senza prima aver lanciato uno sguardo di sfida a Kleth, sguardo che lui sostenne con la tranquillità e la naturalezza di cui era contraddistinto.
La tranquillità e la naturalezza di cui si mascheravano i falsi.
Non è finita qui.
Ripeté nella sua testa, uscendo dalla stanza.  
    





 

***


* Ka sta per “kiloannum” ed è una misura usata per indicare un arco di tempo di mille anni. 302.07 ka sono quindi 302 071 anni.
** Come il nome suggerisce, è un colore a metà tra il grigio e l’azzurro chiari. Io lo assimilo alla carta da zucchero o a quello che in inglese si chiama placid blue.  
* L’acàula è l’equivalente della birra su Evemeth. È prodotta in serre\laboratori sotterranei.
** Nelle caserme, lo spaccio è una specie di pub\locanda.
* I Vargatt sono canidi dal pelo grigio simili alle volpi terrestri facenti parte della fauna di Evemeth, ma è anche il nome in codice di un folto gruppo di militari ribelli. :)
** I Grandi sono le alte gerarchie dell’esercito.
* Gli Sventurati...beh, questo non posso dirvelo. xD
** I Wormhole sono cunicoli spazio-temporali che permettono di collegare tra loro due punti lontani nel cosmo e percorrere così velocemente enormi distanze.
La loro plausibilità fisica è incerta nella nostra realtà, al contrario è un concetto ampiamente utilizzato in quelle fittizie :)

 

 

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Capitolo 3
*** First Act ~ I. Clear Thoughts. ***


I.
Clear Thoughts.


 





(Pianeta Terra, Giappone, Tokyo.
 Marzo 2004.)




La ragazza avanzò a piedi nudi sul tatami color paglierino.
Alzò gli occhi, posando lo sguardo sull’ambiente circostante, e incrociò le amate e rassicuranti pareti della sala dall’allenamento del dojo.
Abbozzò un sorriso impercettibile.
Quel luogo sapeva dell’odore della sua infanzia.
I lunghi pomeriggi impregnati di sudore, fatica e divertimento erano tra i ricordi più belli e preziosi che avesse.
Espirò rapidamente aria dalle labbra e se le umettò di saliva, cercando la concentrazione.
Tuttavia una serie di ragazzini, seduti attorno al tatami e con gli occhi puntati su di lei, le rendevano il tutto più difficile.
Suguri* sbuffò.
Quanto odiava quelle trovate che suo nonno la costringeva a fare ogni tanto.
Allineò le gambe e abbassò lievemente la schiena, per compiere l’inchino di rito prima di ogni incontro.
Sbatté gli occhi, visualizzando di fronte a sé la persona contro cui avrebbe dovuto combattere. Sembrava che il suo avversario avesse un paio di anni meno di lei.
Aveva un fisico abbastanza gracile e, visto la posizione di guardia lievemente imprecisa che aveva appena assunto, era decisamente un lottatore mediocre.
Come dimostrava quella cintura arancio**...
Lei si piegò lievemente sulle ginocchia, a gambe divaricate, e mise le braccia in posizione di difesa: i gomiti piegati, il pugno sinistro posizionato davanti al destro, i muscoli pronti a scattare.
Allargò le dita dei piedi sul pavimento, appoggiando le piante ancora più saldamente a terra e regolarizzò il respiro, restando immobile.
Mantenne lo sguardo fisso su di lui, come se fosse una sua preda.
Una preda puntata da dentro una gabbia, poco prima del pasto...
Quel silenzio perfetto venne interrotto dalla voce del nonno, il quale decretò l’inizio del match.
S’avvicinò al centro del tatami, e il suo avversario fece lo stesso.
La ragazza, dai lunghi capelli neri legati in una coda alta, si prese del tempo per studiare il suo contendente. Il suo sguardo era particolarmente intenso, come se si fosse estraniata completamente dall’ambiente circostante.
All’improvviso, con uno scatto, avanzò verso di lui e lo attaccò con una serie di pugni veloci in corrispondenza del petto.
Il ragazzo riuscì a pararne alcuni, ma lei continuò imperterrita ad affondare, rompendo progressivamente la sua guardia e facendolo indietreggiare ad ogni passo.
Apparentemente, quel gesto non sembrava costarle grande fatica, come se per lei fosse una meccanica collaudata.
Lui aggrottò la fronte, colto in fallo dalla sua determinazione, ma non s’arrese e tentò di rispondere cercando di colpirla sul polpaccio con un calcio.
Mosse il piede in modo inequivocabile.
La ragazza si spostò alla sua sinistra, con grande fluidità e leggerezza, evitando il suo tentativo di spazzata*.
Poi sorrise, quasi di scherno.
Con quale presunzione credeva di poter usare un colpo così difficile, e pensare pure di andare a segno?
«Allora? Tutto qui quello che sai fare?» Gli sussurrò, ma a voce abbastanza alta perché lui potesse sentirla chiaramente.
Il ragazzo colse la provocazione e cercò maldestramente di colpirla nello stesso punto.
Tuttavia, Suguri fu molto più rapida di lui e anticipò la sua mossa, colpendo la sua gamba sinistra con un calcio. Pochi secondi e il ragazzo ne avvertì la potenza sul muscolo teso, che in risposta al dolore indebolì la stabilità della sua gamba.
La giovane gli lanciò uno sguardo fugace.
Sei immensamente prevedibile. Senza fantasia, caro mio.
Il ragazzino strinse i denti. Non voleva arrendersi, ma era in difficoltà.
Non s’aspettava un calcio così forte da una ragazza così magrolina…lo aveva preso decisamente di sorpresa.  
In fondo, non poteva aspettarsi di meno da una cintura nera.
Il Maestro aveva sempre parlato di lei come ad un esempio da seguire, ma ora che l’aveva lì, di fronte a lui…
Gli sembrava solo una ragazza particolarmente aggressiva...
La distrazione fece crollare la sua concentrazione e la sua avversaria ne approfittò, questa volta per colpirlo sul costato con un pugno.
La rapidità e la forza furono gli stessi del calcio, ma in un punto delicato come le costole riuscì a fare anche più male. Il respiro gli si spezzò in gola e lui vacillò per un paio di secondi, prima di recuperare lucidità ed indietreggiare un poco per uscire dalla sua portata ed evitare un altro colpo.
Tuttavia, la ragazza gli fu subito addosso e lo fece cadere immediatamente a terra con un calcio volante dritto sull’addome, senza dargli nessuna possibilità di reazione.
«Ouch!» Un gemito di dolore gli uscì dalle labbra mentre constatava la botta allo zigomo, alla spalla e al fianco che avevano impattato sul pavimento.
Si rotolò a pancia in su, cercando di riprendere fiato, e in un secondo si ritrovò la mora ad un palmo dal naso, che con un gomito gli bloccava il collo e gli impediva di respirare.
Le sopracciglia scure tagliavano i suoi occhi rosso ciliegia in un’espressione minacciosa.
Non seppe spiegare il perché, ma quello sguardo lo fece raggelare.
«Hai perso in tempi record, razza di incapace.» Sibilò, con tono estremamente crudo.
«Suguri, alzati! Non infastidirlo. Non infierire.» L’ammonì l’uomo a cui apparteneva quel dojo, colui che le aveva insegnato quello che sapeva sul karate.
Suo nonno materno.
Suguri si spostò dal corpo del ragazzino ma restò a poca distanza da lui, ancora accovacciata a terra; tutto il peso del corpo poggiato sulle gambe e le palme anteriori dei piedi.
«Già, hai ragione nonno, non ne vale la pena.» Sbuffò, lanciando al ragazzino un ultimo sguardo di sufficienza.
Stette ad osservarlo mentre si rialzava a sedere, tentando di nascondere l’umiliazione della sconfitta. Non le celò, invece, una vaga espressione ostile.
Lei distolse lo sguardo e s’alzò in piedi, senza dire una parola.
Non c’era gusto a lottare con certi avversari…
Non era per niente soddisfatta.
Voleva molto di più di così.
Percorse tutto il tatami senza curarsi degli sguardi indiscreti su di lei.
Si fece strada tra gli altri allievi del corso e si diresse dritta verso la sua borsa di allenamento, poggiata a terra vicino alla porta d’uscita della stanza.
«Dove stai andando?» La richiamò il Maestro con una punta di rassegnazione nella voce, come se fosse ormai abituato a quel comportamento da parte della nipote.
Lei stirò il collo, piegandolo prima a destra e poi a sinistra.
Poi s’abbassò e prese tra le mani la cinghia della sua borsa, portandosela in spalla.
«Vado ad allenarmi al sacco, nonno. Buona continuazione.» Proferì lei, senza nemmeno voltarsi verso il suo interlocutore.
L’uomo aggrottò la fronte in un’espressione amara, mentre con gli occhi la osservava uscire dalla stanza a piedi ancora nudi.
Da qualche tempo oramai quella ragazza non prendeva più allo stesso modo la disciplina che fin da piccola amava tanto, e il suo comportamento in generale era cambiato in peggio.
Era entrata in pieno nell’età della ribellione, questo poteva anche concederglielo.
Ma lei stava decisamente esagerando.
Sembrò esitare, prima di dischiudere le labbra per parlare.
«Và a trovare tua madre, Suguri. Ormai sono quasi due settimane.» Mormorò ancora il vecchio, questa volta con un tono più comprensivo del precedente.
Non gli andava di sgridarla proprio lì, nel bel mezzo della lezione…
Non gli andava di sgridarla e basta.
Era cosciente del fatto che Suguri fosse una ragazza intelligente...
Lei mugugnò un verso di stizza e non aggiunse nient’altro, come se stesse per sputare un boccone amarissimo.
Tuttavia si trattenne, ed uscì definitivamente dalla sala di allenamento.
I suoi passi si fecero più pesanti mentre percorreva i corridoi di legno dell’edificio, con un’andatura più simile ad una marcia militare che ad una semplice camminata.
Strinse il pugno così come i denti, furiosa come se l’avessero appena insultata.
«Non mi seccare» Biascicò, a metà tra il tono sofferto ed arrabbiato.
Dopo aver percorso un paio di brevi corridoi entrò in una porta alla sua sinistra e la fece sbattere, chiudendovisi dentro.


 

 
***




«Ichigo-chan! Vieni qui!» Gridò sua madre, richiamandola dal piano di sotto.
«Arrivo!» L’avvisò lei, percorrendo lo stretto corridoio che dava verso le scale che conducevano al piano terra.
Scese di corsa, andando a soccorrere sua madre.
La donna sostava proprio di fronte alla rampa di scale e sorreggeva con le mani una valigia che sembrava parecchio pesante.
Ichigo fece una smorfia di disappunto, prima di afferrare di malavoglia la maniglia che stava sull’estremità anteriore.
Non appena lo fece, sentì immediatamente il peso di tutto il suo corpo spingere verso il pavimento. Diede fondo a tutta la sua forza per cercare di tenere il bagaglio alzato da terra ed evitare di finire a faccia in giù.
«Tutto apposto Tesoro?» Chiese sua madre, vedendola in difficoltà.
Lei scosse la testa energicamente, facendo ondeggiare i suoi codini e mostrandole un rassicurante sorriso a 32 denti.
«Si mamma, nessun problema, figurati!» Mugugnò lei tra i denti, trattenendo il respiro.
«Benissimo, perché quella è la valigia con tutte le tue cose. Portala in camera tua e mettiti a fare ordine!» Esclamò la donna, con aria gioviale, «Noi continuiamo a sistemare qui. C’è molto lavoro da fare!» Concluse infine, uscendo di corsa dalla porta di casa e andando ad aiutare il marito a scaricare le scatole piene zeppe di oggetti e ricordi che si erano portati dalla vecchia casa.
Non appena sua madre fu fuori dalla sua portata, Ichigo girò di lentamente 180 gradi e poggiò con ben poca grazia la valigia sul gradino più basso della rampa.
Si prese qualche secondo di riposo prima di riabbassarsi, afferrandola di nuovo.
La sua faccia si deformò in una mostruosa espressione di fatica mentre alzava quella valigia decisamente troppo pesante per lei e la rimetteva sul pavimento al gradino successivo.
Sbuffò, sentendo tutte le braccia indolenzite.
Perché s’era portata via tutta quella roba?!
Eppure, al momento di fare i bagagli non aveva avuto nessun dubbio.
S’era portata tutte le sue cose più care.
Però pesavano più di un quintale, dannazione!
Ichigo sospirò, per l’ennesima volta in quella giornata.
Il viaggio era stato terribile!
Si erano alzati prestissimo, e già solo per quello sentiva le palpebre pesanti, poco abituata com’era a fare presto al mattino.
Anche se doveva alzarsi per la scuola ogni giorno, farlo per lei era faticoso.
Spesso, infatti, non sentiva la sveglia, anche se suonava più di una volta, e sua madre dove venire a richiamarla in camera sua a tirarla fuori dal letto.
Ma non era finita qui, ovviamente!
Dopo quella levataccia era stata costretta a passare ben quattro ore di macchina pressata tra una montagna di bagagli ed oggetti per la casa, la nausea per il mal d’auto, l’odore delle sigarette di suo padre e dello smog fuori dal finestrino.
Non era nemmeno servito cercare di riposare, perché provare a dormire in quelle condizioni era qualcosa di impossibile.
A metà mattina, accolse con grande gioia la sosta che suo padre fece in una stazione di servizio, momento in cui lei approfittò per sgranchirsi le gambe, prendere una boccata d’aria e rifocillarsi in un bar.
Però, nonostante quella breve pausa, il viaggio era proseguito per un altro paio d’ore d’inferno e sentiva ancora le gambe formicolare e le spalle e il collo doloranti.
Era già abbastanza esausta così, e l’unica cosa che voleva era farsi un lungo pisolino.
Tuttavia, visto che erano arrivati in anticipo, sua madre s’era messa subito di buona lena per scaricare l’auto e portare gli scatoloni dentro casa.
In tutto quel trambusto, ormai rassegnata, aveva deciso di entrare nella nuova casa a curiosare mentre suoi genitori discutevano sul vialetto.
Varcato l’uscio diede solo uno sguardo veloce al piano di sotto, per salire impaziente i gradini, diretta verso la sua cameretta al piano di sopra.
In realtà l’aveva già vista in foto, ma vederla di persona era un’altra storia: poteva osservarla da vicino, respirarne l’atmosfera e cominciare a percepirla come un posto solo suo. Perché quello sarebbe diventato il suo nuovo angolino privato.
Vi si era soffermata solo un paio di minuti, prima che la voce di sua madre, più squillante che mai, le bucasse le orecchie fin da lassù, costringendola a trascinare quel macigno per tutte le scale.
«Oh issa!» Le uscì di bocca all’ennesimo sforzo, raggiungendo il tanto agognato ultimo gradino e appoggiando quell’oggetto maledetto sul pavimento in legno.
Poi lo superò, a passi lenti e pesanti e si sorresse al muro, prendendosi un po’ di tempo per recuperare ossigeno e fare riposare le braccia, che lasciò molli oltre le spalle.
Riprese le energie, dopo qualche minuto di pausa, trascinò finalmente la valigia con tutte le sue cose fino alla sua stanza.
Appena entrata, le pareti rosa fragola invasero il suo campo visivo.
Sorrise raggiante.
Le erano piaciute fin da subito...
Ruotò la testa di qua e di là, lanciando occhiate ovunque.
A destra della porta, a ridosso del muro, vi erano un paio di armadi di legno chiaro ed una scrivania. A sinistra, invece, vi era un’ampia finestra a due ante ed uno specchio.
Dall’altro lato della stanza, proprio a ridosso del muro, vi era quello che sarebbe presto diventato il suo nuovo letto.
Vi si avvicinò con gioia, osservandolo con più cura.
La spalliera era color bianco panna e disegnava nell’aria girandole e forme ondulate e sinuose.
Il materasso, invece, sembrava davvero invitante!  
Vi si sedette sopra facendo ciondolare i piedi come una bambina.
Si guardò attorno di nuovo, soffermandosi con un po’ di disappunto sull’angolo della stanza che meno la convinceva, quello con la finestra: quest’ultima, infatti, era priva delle tende. Incrociò le braccia, portandosi la mano al mento.
Urgeva comprare assolutamente comprare qualcosa che fosse in tinta con il resto dell’arredamento.
«Magari qualcosa di floreale!» Propose lei, pensando a voce alta, prima di mettersi a ridacchiare da sola.
Si rialzò dal letto come una molla, andando a recuperare la valigia vicino all’uscio.
La spostò al centro della stanza, la mise a terra e vi si inginocchiò di fronte; poi fece scattare la combinazione e l’aprì con cautela, stando attenta a non far ribaltare il contenuto al suo interno.
Ichigo si auto motivò con entusiasmo, prima di cominciare a svuotarla senza un metodo preciso. Prese a sistemare ogni oggetto nel posto che riteneva più congeniale, canticchiando e ballando per tutta la stanza.
La stanchezza se ne andava se pensava al motivo per cui aveva cercato in tutti i modi di convincere suo padre a trasferirsi a Tokyo.
L’uomo, infatti, aveva ricevuto un’offerta di lavoro che gli avrebbe permesso di spostarsi dalla filiale della sua azienda, nella città di Takamori**, alla filiale di Tokyo, la metropoli più grande che lei avesse mai visto.
All’inizio, suo padre s’era dimostrato parecchio incerto a quell’eventualità: fare il pendolare ogni giorno non era allettante, e cambiare città sarebbe stata una scelta importante. Anche se la loro era una famiglia giovane, non era facile abbandonare i vecchi affetti e cambiare le proprie abitudini...
Nell’indecisione generale, era stata proprio lei l’ago della bilancia.
Aveva bombardato suo padre fino a farlo cedere.
Sapeva bene, infatti, che lui aveva un debole per lei, la sua unica figlia, e fin da piccola aveva sempre cercato di viziarla.
«Scusa papà, mi sono approfittata un po’ di te!» Commentò a voce alta, facendo una linguaccia. In fondo non se n’era pentita, ed era sicura che anche la sua famiglia era favorevole a quella scelta. Un trasloco non lo si faceva certo a cuor leggero.
Tokyo era una città piena d’opportunità. E lì c’era anche una persona che voleva incontrare da tempo, desiderio che fino ad ora aveva nascosto gelosamente in un cassetto del suo cuore.
«Aoyama-Kun!» Mormorò lei, tra sé e sé, mentre stringeva al petto un abito a scacchi dai toni rossastri che aveva appena estratto dalla valigia. Era uno dei suoi preferiti.
Masaya Aoyama.
Solo il nome le evocava tanti bei ricordi felici!
Era un ragazzo cresciuto nel suo paese.
Avevano frequentato le scuole assieme fino alla quinta elementare, ma poi lui dovette trasferirsi a causa del lavoro dei suoi genitori, proprio a Tokyo.
Un copione già visto, pensò.
Per lei quella notizia fu una tragedia, un fulmine a ciel sereno.
Dopo che lui le comunicò quella decisione terribile, lei cominciò ad evitarlo fino alla sua partenza.
Ogni volta che lo vedeva non riusciva a spiccicare parola e scoppiava a piangere: sapeva che i momenti felici che aveva passato con lui non sarebbero tornati mai più, e quell’eventualità la rendeva molto triste.
Da quel momento i due si separarono, e lei non riuscì mai a confessargli i suoi sentimenti.
Forse per Aoyama era solo un’amica d’infanzia, ma Ichigo provava qualcosa di più per lui. La timidezza e la paura di rovinare il loro rapporto le avevano sempre impedito di dirgli la verità.
Ma ora era tornata per farlo.
Ora si sentiva sicura, ora aveva trovato il coraggio.
Non doveva far altro che iscriversi alla sua stessa scuola media, che peraltro non distava nemmeno molta strada dalla loro nuova casa, e avrebbe avuto l’occasione d’incontrarlo ancora.
Gli avrebbe chiesto di uscire, e poi…
«WAAHAA~!» Un gridolino d’emozione le uscì dalla gola e l’unica cosa che le riuscì fu quella di lanciarsi a tutta velocità sul letto.
Strinse a sé il cuscino, nascondendovi il viso e poi si mise a pancia in su, poggiò la mano sinistra sul ventre e fece dei lunghi, profondi sospiri.
Il cuore le batteva forte al solo pensiero, e le sue guance erano decisamente in fiamme.
Socchiuse gli occhi, guardando un punto indefinito del soffitto.
«Non vedo l’ora di rivederti...» Bisbigliò a bassa voce, rilassando tutti i muscoli del corpo.
Poi abbassò le palpebre, cercando di immaginare il suo viso.
La pelle dalla carnagione olivastra, gli occhi castani caldi, color nocciola matura, i capelli mori che ricadevano morbidi sulla fronte e le tempie, le labbra disegnate, incurvate in un sorriso gentile, la voce dolce e melodiosa.
Ormai sarà cresciuto…
Lo immaginava più alto di lei, le spalle più larghe, modellate al punto giusto, e poi l’andatura placida che lo contraddistingueva, l’immancabile tendenza ad essere la persona più affidabile di un gruppo...
Perché Masaya era sempre il primo a proporsi per fare il capoclasse, il capo progetto, il responsabile delle varie manifestazioni scolastiche, ed era persino il vice capitano del club di Kendo.
Probabilmente si stava impegnando nello studio, allo stesso modo in cui l’aveva lasciato, per poter andare all’università e un giorno diventare un ricercatore ambientale, quello che aveva sempre sognato.
Solo per questo aveva insistito con suo padre per fare il grande passo, nonostante le sue paure.
Voleva poterlo incontrare ancora, poter stare ancora una volta insieme a lui, potergli stare accanto mentre lui realizzava il suo sogno.
Lei si girò su di un fianco, ancora pensierosa, mentre i capelli le cadevano spettinati sul volto. Si rannicchiò in posizione fetale, con movimenti piccoli e lenti, e cominciò a fare cerchi con l’indice sopra al lenzuolo bianco, in modo apparentemente insensato e sconnesso.
Sembrava molto concentrata mentre lo faceva.
«Già...non vedo l’ora di vederti.» Sospirò ancora, prima di stringere a sé il vestito, che aveva ancora tra le mani e addormentarsi con il sorriso sulle labbra.

 



 
***




(Pianeta Evemeth.)




Nelle sale di allenamento a quell’ora non c’era nessuno.
Quando voleva prendersi del tempo per riflettere, quello era il suo posto preferito: essendo dotate di pareti insonorizzate, era il luogo perfetto per isolarsi dal mondo esterno...
Espirò piano aria dal petto, cercando di concentrarsi sulla leggera tensione dei suoi muscoli, in modo da mantenersi a mezz’aria in condizioni di perfetta immobilità.
Sollevò lentamente le palpebre, venendo invaso dal bianco asettico delle piastrelle, dal grigio metallico delle bande orizzontali sulle pareti e dal cielo nebbioso oltre l’oblò, una delle poche finestre che davano sulla superficie da laggiù.
Si era chiesto molte volte, da bambino, come potesse essere il cielo azzurro e limpido di cui gli raccontava sempre sua madre.
Storielle e filastrocche di fantasia, che ogni giorno l’aiutavano a calmarlo dalla paura...
Però, crescendo aveva smesso di credere alle favole...e soprattutto, alle leggende legate alle origini del suo popolo.
Il culto di Deep Blue era sacro per sua madre, una giovane donna lasciata sola in un mondo ostile ed a cui non era rimasto più nulla se non la fede per un essere superiore e una vita trascorsa a sperare, ogni notte, nella sua benevolenza.
Ogni fottuta notte passata tra quelle pareti rocciose, ruvide ed inospitali, stretti gli uni contro gli altri per proteggersi dal freddo, come facevano gli insetti d’inverno.
Già...perché loro era un po’ come degli insetti.
Dei piccoli, insignificanti insetti.
E per certi versi provava una grande amarezza nel cuore quando sua madre, nonostante i tremori e la malattia, continuasse a sorridere e a fingere per non creargli preoccupazioni, per farlo stare sereno, giorno dopo giorno…
E lo accarezzava dolcemente, finché non s’addormentava.
Allungò una mano verso il vetro, come a voler raggiungere in qualche modo quei tempi perduti.
Era una donna fragile nel corpo, sua madre, ma forte nello spirito.
Da qualcuno doveva pur aver preso…
E la sentiva raccontare, a voce bassa, a malapena percepibile:
Deep Blue arriverà e fermerà questo freddo,
Deep Blue arriverà e fermerà questa fame,
Deep Blue arriverà e fermerà questo inverno,
Deep Blue arriverà e ci porterà in salvo...
Sospirò.
La realtà era che non esisteva nessun Deep Blue.
Perché se fosse davvero esistito, avrebbe di certo salvato la vita di sua madre.
Avrebbe impedito la sua fine così ingiusta, e avrebbe fermato gli atti orribili di cui gli Sventurati erano stati vittime.
Ogni tanto lo diceva, a sua madre, picchiando i pugni contro il suo petto.
Già al tempo aveva la tendenza di dubitare di ciò che non vedeva con i suoi occhi.
Ma lei sorrideva e sorrideva ancora, infilava le sue dita sottili tra i suoi capelli e sussurrava che prima o poi Deep Blue sarebbe venuto a prenderlo, e l’avrebbe portato via.
E invece niente.
Niente di tutto questo, mamma…
Imparò ben presto che non aveva senso farsi delle aspettative.
Nessuno ti veniva a salvare.
L’unico modo era farlo con le tue sole forze...e se eri abbastanza fortunato potevi persino vivere tanto da poterlo raccontare.
Convincersi di quella crudele realtà per lui, che all’epoca era solo un bambino, fu un trauma insanabile.
Trauma che, all’alba dei suoi diciassette anni, si trascinava ancora appresso.
In un recondito angolo della sua anima vedeva ancora sua madre, e ogni volta provava a credere alle dolci parole che lei pronunciava su Deep Blue.
Voleva ancora credere che quel cielo azzurro di cui parlava esistesse veramente.
Che sotto quelle nuvole ci fosse veramente un posto dove tutti potevano essere felici...nel senso, realmente felici.
E anche lui...
Ora che stava per partire per la Terra, forse avrebbe avuto l’occasione di vederlo davvero e quell’idea lo faceva sorridere, lo faceva sorridere almeno un po’...
Kisshu sciolse la posizione e si rilassò, piegando le gambe.
Con un lieve sciocco di dita fece comparire uno dei suoi sai e cominciò a farselo rigirare nella mano sinistra, ruotando delicatamente il polso.
Per tutto il resto, invece, provava rabbia.
Approdare su un altro mondo lo elettrizzava forse più di ogni altra cosa.
Viaggiare per lo spazio era uno dei suoi tanti sogni…
Il problema era doverlo fare per motivi che lui non condivideva affatto.
Non sentiva la Terra come una sua seconda casa, come Mavs gli aveva detto.
La sua casa era Evemeth, ed Evemeth sembrava destinato alla rovina, come un edificio malmesso a cui avevano falciato le fondamenta...
Ma non era una cosa a cui voleva credere. Lui avrebbe combattuto fino all’ultima speranza, e anche quando la speranza sarebbe morta.
Non sarebbe stato un addio, il suo...
Sarebbe tornato più forte e consapevole di prima, più esperto, più coraggioso, più intelligente.
Sarebbe tornato migliore.
Era solo per questo che aveva accettato con tanta veemenza: la Terra sarebbe stata la perfetta prova sul campo per superare i suoi limiti, e gli importava relativamente che quell’incarico gli fosse stato assegnato dai piani alti.
Si sarebbe inventato qualcosa anche per quello...ora non aveva voglia di pensarci.
All’improvviso, come se avesse percepito qualcosa, ebbe un guizzo.
Afferrò saldamente il sai nella mano e con un colpo di reni si rimise in posizione perpendicolare a terreno.
Poi si voltò verso la porta a scorrimento, alla sua sinistra, e lanciò con precisione il sai in corrispondenza dello stipite.
Poco prima che questo impattasse contro la parete la porta si aprì dall’esterno, e vide sbucare una testa di scompigliati capelli azzurrini.
«Wooou! Cazzo fai stronzo, mi vuoi ammazzare?!» Si lamentò Jadis, facendosi venire un colpo per lo spavento. «Sono troppo giovane per morire!»
Kisshu scoppiò a ridere di gusto: la sua reazione era stata epica come sperava.
«T’ho sentito arrivare.» Disse semplicemente.
L’amico s’appoggiò con una spalla allo stipite, incrociando le braccia.
«Ma se ‘ste stanze sono insonorizzate?!» Domandò perplesso, mentre Kisshu rimetteva i piedi a terra e lo raggiungeva alla porta.
Lo vide chinarsi di fronte a lui e raccogliere la sua fidata arma da terra.
«Sarò un guerriero di livello superiore.» Rispose sornione l’alieno dagli occhi dorati, facendo roteare per l’ultima volta il suo sai tra le mani prima di farlo scomparire.
«È per quello che ti hanno scelto?» Chiese l’altro, inarcando un sopracciglio.
«No, mi hanno scelto per la mia bellezza.» Replicò Kisshu, trattenendosi dal ridere.
Jadis non si trattenne invece, e gli tirò un pugno sul petto.
«Cazzo se ti pesterei di botte!» Reagì l’alieno dagli occhi citrino, afferrandolo per gioco per la maglietta.
«Provaci!» Ribatté altrettanto giocosamente l’alieno dai capelli scuri, facendo spallucce.
Jadis lo lasciò andare.
«T’ero venuto a chiamare! Dai sbrigati, smetti di star qui a fare l’asociale.» Lo ammonì, prendendolo per una spalla per trascinarlo fuori dalla porta.
Kisshu lo lasciò fare, oltrepassando la soglia, ma appena lo fece andò a sbattere contro di lui e ad una delle ragazze addette a rifornire l’infermeria, che stava passando alle loro spalle proprio in quel momento, carica di garze e contenitori di siringhe e disinfettanti.
L’urto tra i due provocò lo sbilanciamento della giovane, che fece cadere maldestramente tutto a terra.
Lei, una ragazza minuta dai sottili capelli castani, mugugnò disperata all’accaduto e si precipitò immediatamente a recuperare gli oggetti sparsi sul pavimento.
«Che disastro! Sono desolata...» Balbettò, abbassando imbarazzata lo sguardo.
Jadis sorrise e s’inginocchiò ad aiutarla, approfittando immediatamente della situazione.
Una ragazza carina che gli piombava addosso di primo mattino...non poteva desiderare niente di meglio.
«Non preoccuparti, è colpa mia che sono uscito all’improvviso insieme a questo qui!» Sussurrò, con voce calda, afferrando un barattolo trasparente contenente del disinfettante proprio vicino alle mani di lei.
«Chi sarebbe questo qui?» Domandò Kisshu piccato, rifilandogli un calcio all’altezza del bacino. Jadis si morse la lingua, pur di non esalare il minimo gemito di dolore di fronte alla ragazza.
«Come ti chiami? Sei un’apprendista?» Riprese il ragazzo dai capelli azzurrini dopo qualche secondo, come se nulla fosse, instaurando con lei un contatto visivo.
La ragazza si bloccò per un attimo e tentennò nella risposta, quando un rumore di passi in rapido avvicinamento la fecero voltare in quella direzione.
«Tutto apposto?» Disse il nuovo arrivato, senza dare una particolare intonazione alla domanda.
Jadis alzò gli occhi verso la figura alle sue spalle e rimase stupito non appena la riconobbe. La ragazza senza nome guizzò in piedi alla velocità della luce, seguita dal tenente dai capelli azzurrini.
«C-colonnello Abraxas! N-non è successo nulla, mi sono solo cadute delle cose! Ma è tutto apposto!» Balbettò lei, ridendo nervosamente e guardando il colonnello in un misto di timore e rispetto, mentre gli altri due se ne stavano in silenzio.
Il colonnello, un giovane uomo dagli occhi ametista e i capelli scuri raccolti in un codino su un lato del volto, la guardò con un’espressione distesa.
«Non c’è bisogno di tutta questa formalità, non amo particolarmente ostentare il mio rango. Inoltre siamo quasi coetanei, quindi teoricamente potresti chiamarmi semplicemente Pai.» Mormorò lui, cortese, anche se più che un’affermazione sembrava il risultato di una congettura fatta sul momento, la sua.
Kisshu lo squadrò severo, senza muovere un muscolo.
Tks. Abraxas il raccomandato.
Non gli piaceva ostentare il suo rango e girava per la base con la claviera*?
Poteva anche farne a meno ed usare la divisa ordinaria.  
Non gli era mai andato a genio, e ogni volta che lo incrociava riusciva a trovare nuovi modi per rinnovare quell’opinione.
Di certo in quello era pieno di talento.
«Non potrei mai, Signore! Con permesso, torno al lavoro!» Esclamò la giovane  occhialuta, prima di compiere un energico inchino in sua presenza e superare Pai e gli altri, sparendo nei meandri del corridoio.
A quel punto, lo sguardo di Pai si concentrò sui due ragazzi, rimasti immobili di fronte alla porta della stanza dall’allenamento.
«Tu devi essere il tenente Ikisatashi, vero?» Chiese, rivolgendosi all’alieno dagli occhi d’ambra.
«Esatto. Sono io, colonnello...» Rispose l’interpellato, enfatizzando in particolare l’ultima parola.
Jadis deglutì col cuore in gola, partecipando a quella scena da spettatore silenzioso.
Una tensione palpabile s’era creata tra i due da quando Pai s’era avvicinato a loro.
«Ho saputo che sei stato scelto per un’importante missione. Cerca di fare un buon lavoro.» Lo esortò serio.
Kisshu incurvò le labbra in un sorrisino.
«Non deve dubitare di me, Signore. Lo farò...» Ribatté, senza staccare lo sguardo dal suo nemmeno per una frazione di secondo.
Dopo quel brevissimo dialogo, e con la scusa di essere particolarmente impegnato, Pai lo  congedò gentilmente e prese il corridoio in direzione della buca.
Quando fu lontano, Jadis riuscì a mandare un sospiro di sollievo.
«Tu sei pazzo.» Affermò, lanciandogli un’occhiata.
Kisshu si tirò le braccia piegate dietro la nuca e superò l’amico, facendo strada ad entrambi per la sala mensa.
Avrebbe fatto l’ultimo pasto normale insieme ai suoi amici, prima di partire e abituarsi forzatamente a mangiare del cibo liofilizzato per mesi.
A meno che sulla Terra non vi fossero spettacolari specialità culinarie, ma non voleva fare molto affidamento su quell’ipotesi.
«Perché?» Domandò rilassato, senza nemmeno voltarsi a guardarlo.
Lo sentì seguirlo dietro di lui.
«Ti metti a sfidare Abraxas? Ok che è un maledetto che ha interrotto il mio momento con la bella apprendista...» Cominciò a borbottare, con un filo di preoccupazione. Si fermò a riflettere per qualche secondo. «...No ok, hai ragione. È un maledetto. Hai fatto bene.» Disse infine, con un tono di protesta.
L’alieno dai capelli verdi si limitò a ridacchiare, prima di accelerare il passo.
«Sbrigati, sennò ti lascio qui.»

 

 
***



    
Kisshu prese il corridoio che dalla buca conduceva all’hangar delle astronavi.
Infilò le mani nelle tasche dei pantaloni e lasciò morbide le spalle, espirando piano aria dai polmoni.
Era venuto il momento.
Avrebbe salutato per un po’ il suo pianeta di nascita…
Deglutì.
L’ansia e l’inquietudine gli serravano lo stomaco come se gli avessero annodato le viscere.
Estrasse dalla tasca la chiave magnetica del velivolo che gli era stato assegnato, smettendo di rigirarsela tra le dita in preda all’agitazione.
Cercò di concentrarsi sul numero identificativo che compariva sulla targhetta metallica, provando ad ignorare il battito cardiaco del suo cuore.
Ms-0415.
Quando l’ebbe memorizzato chiuse la chiave nel pugno e proseguì, penetrando sempre più in profondità nella struttura. In quella sezione dell’edificio i corridoi diventavano più stretti e si ricoprivano di un particolare metallo scuro, più isolante e resistente.
Il ragazzo dai capelli color muschio alzò gli occhi verso le piccole lampade tonde incassate nelle pareti del cunicolo.
C’era ancora una cosa che doveva fare: s’era dato appuntamento con Yato, il più giovane dei generali Vargatt, proprio a metà strada tra l’hangar e la buca.
Quello era uno dei pochissimi posti della base privi di microcamere, e si prestava particolarmente per un incontro di quel genere.
Il sistema d’accesso all’hangar era stato giudicato sufficientemente all’avanguardia da non avere bisogno di tutte quelle precauzioni...
Tirò un sospiro, quando un rumore alle sue spalle lo fece sobbalzare.
Non doveva esserci nessuno là sotto...a parte Yato e lui.
Si voltò di scatto con tutto il corpo, aspettandosi di trovare un soldato o una spia.
Invece, quella che scorse in un angolo del corridoio, tutta addossata alla parete, fu una giovane ragazza dalla pelle diafana, i grandi occhi rotondi dalle iridi verde prato e un caschetto di capelli biondi ad incorniciarle il viso.
Aveva ancora addosso la divisa regolare delle infermiere.
«Nia?» Esclamò, non appena il suo nome gli venne alla mente.
«Cosa diavolo ci fai qui? Non dovresti trovarti-»
«Volevo salutarti prima che partissi! Sono corsa qui appena ho finito il turno...» Si giustificò lei, con voce squillante.
Poi scattò e gli corse incontro, percorrendo i pochi metri che la separavano da lui.
In effetti, ora che Kisshu lo notava aveva un leggero fiatone che muoveva il suo diaframma su e giù.
Lei abbassò lievemente la testa, facendo ricadere un ciuffo di capelli chiari lungo viso.
«Dovevo consegnarti assolutamente una cosa...» Disse ancora, allungando il braccio e prendendogli la mano sinistra.
Lui la lasciò fare ed alzò un sopracciglio, curioso, mentre lei gli apriva delicatamente le dita e appoggiava sul suo palmo un piccolo oggetto, modellato in un minerale chiaro dalle striature verde scuro.
«È un’Atra di Ux**...la costellazione, hai presente?» Domandò lei, raggiante, senza attendere una sua risposta. «Nella simbologia degli amuleti rappresenta la forza e la concentrazione. Mi ricordava un po’ te...» Sussurrò, incrociando le mani dietro la schiena e imporporando impercettibilmente le guance. «Consideralo come un mio portafortuna per la tua missione.» Aggiunse, questa volta guardandolo negli occhi.
Quelli della ragazza si riempirono di una punta di malinconia, a quelle ultime parole.
Intuì che la sua partenza non le faceva particolare piacere.
Kisshu rimase a guardarla per pochi istanti, prima di riabbassare lo sguardo sulla piccola atra. Infine, la strinse nella mano e se la infilò in tasca.
«Beh, allora ti ringrazio. Però ora...» Replicò, con uno sguardo piuttosto serio, «Devi tornare alla buca. Non ti è consentito l’accesso qui. Potrebbero richiamarti.»
A quelle parole Nia si rabbuiò e non disse nulla, limitandosi ad un semplice cenno con il capo.
«Mi dispiace, non potevo raggiungerti in altro modo. Ti auguro buona fortuna, Kisshu...» Esclamò di nuovo, avvicinandosi repentinamente per rubargli un bacio sulla guancia.
Il ragazzo dai capelli scuri scrollò le spalle sorpreso di fronte al gesto della ragazza.
Lei, al contrario, lo fissò sorniona ed indietreggiò, sorridendo divertita.
Sentiva di averlo piacevolmente fregato.
La vide voltarsi subito dopo, intenzionata a tornare sui suoi passi, come il ragazzo gli aveva detto. Strano per lui essere così scrupoloso riguardo alle regole.
Il ragazzo spostò lo sguardo da lei e si guardò attorno sospettoso, tendendo le orecchie.
Doveva fugare i suoi sospetti...
«Nia?» La richiamò Kisshu, improvvisamente.
Lei si bloccò e gli prestò attenzione. «Si?»
Kisshu strinse gli occhi.
«Per caso, venendo qui ti è parso che qualcuno ti seguisse?» Domandò.
Le dita della sua mano tornarono a vorticare nervosamente in tasca, gingillando con le chiavi dell’astronave.
Lei fece una smorfia e si fermò a riflettere per qualche secondo.
«No, non credo.» Rispose, abbastanza sicura. D’altronde era arrivata lì tutta di fretta, e dubitava fortemente che qualcuno si fosse messo in testa di seguirla non appena l’avesse vista correre. «Perché?» Chiese lei, curiosa.
Kisshu scosse la testa. «Niente, vai pure. Grazie per gli auguri.» Replicò, abbozzando un sorriso sghembo. Lei lo ricambiò.
Ora che la guardava meglio, aveva uno sguardo davvero affascinante.
«Ok. Vedi di tornare presto!» Disse, facendogli l’occhiolino.
Poi s’allontanò nella direzione opposta, questa volta per davvero.
Kisshu la tenne d’occhio fino a che non svoltò la curva naturale del tunnel.
Infine rimase immobile, quasi sospendendo il respiro, cercando di percepire qualsiasi movimento o rumore che non fossero i passi in lontananza di Nia.
Ruotò le pupille in ogni direzione, constatando che non ci fosse davvero nessuno...in fondo, nascondersi in quel cunicolo era qualcosa di impossibile.
Tirò l’ennesimo sospiro e riprese la strada che aveva interrotto, alleggerendo la tensione sulle spalle. Non aveva senso essere così tesi...ormai era quasi arrivato.
Percorse un’ampia curva sulla sua destra a passi rapidi.
Oltre di essa scorse la sagoma di un ragazzo alto e snello, con un cespuglio di capelli rossastri sulla testa. I suoi occhi ambrati s’incrociarono con quelli azzurri di lui, e i due si fecero un semplice cenno del capo in segno di saluto, senza emettere un singolo fiato.
Kisshu lo raggiunse dopo pochi secondi e scambiò con lui un secondo segno d’intesa, stringendogli la mano e scuotendola per aria.
«Allora? Nervoso?» Gli domandò il più grande, afferrandolo saldamente per una spalla.
Yato cercò con lui un contatto visivo diretto, che trovò immediatamente nel giovane tenente.
Kisshu si perse nelle sue iridi blu per un breve istante, e la mente gli si riempì di ricordi.
Il sorriso bonario, gli occhi grandi e rassicuranti...e l’aria da eroe.
Fin da quando era piccolo, fin da quando non era nemmeno entrato in Accademia...Yato era sempre stato uno stimolo, un modello da seguire.
Quando si faceva vedere giù, nelle cave, aveva più o meno la sua età attuale.
Era già membro attivo dei Vargatt, che al tempo era ancora agli inizi, e saltuariamente veniva a portare loro cibo e coperte.
Ricordava ancora quando, in una mattina fredda e nebbiosa, giunse portando con se la carcassa di un Ippomet delle montagne*.
Sia lui che Ley** rimasero a bocca aperta, e lo coprirono di complimenti ed abbracci affettuosi.
L’adorazione per lui era praticamente l’unica cosa su cui andavano d’accordo...
«Beh, non c’è male...» Rispose l’alieno dagli occhi dorati, cercando di esorcizzare la tensione.
Yato si raddrizzò e s’appoggiò nuovamente al muro freddo del tunnel, incrociando le braccia.
«Sarò breve, Ikisatashi. Secondo i rapporti dei nostri, la tua non è stata l’unica selezione effettuata.» Mormorò, stringendo le labbra. «Probabilmente i Grandi stanno progettando di mandare altri tenenti o capitani in missione in un certo numero di pianeti, accuratamente scelti in seguito al soddisfacimento di un serie di requisiti allo scopo di raccogliere dati e valutare quale tra di essi si presti meglio al trasferimento...»
Yato si fermò per un attimo.
Questa volta la sua espressione era profondamente accigliata, ma si stava sforzando di non darlo affatto a vedere. Kisshu vi vide riflesso il suo stesso stato d’animo.
«Cosa? Non dirai sul serio?» Balbettò, sorpreso e preoccupato.
Sapeva di aver ricevuto una serie di ordini precisi, e non si limitavano ad una semplice raccolta di dati.
Ricordava ben altro...  
Si portò una mano al mento e fissò interessato il ginocchio destro di Yato, in un punto in cui i pantaloni scuri s’increspavano in una manciata di piccole pieghe.
In qualunque modo la guardasse, c’era di certo qualcosa che non quadrava...ma cosa?
«Sai bene che non scherzo» Replicò il ragazzo dai capelli ramati, scuotendo piano il capo. «Certamente c’è qualcosa dietro che dobbiamo ancora scoprire.»
A quel punto il giovane generale Vargatt si staccò dalla parete alle sue spalle e s’avvicinò al suo interlocutore, guardandolo fisso negli occhi.
Le sue iridi, per quanto azzurre, in quell’istante gli parvero fremere come due fuochi ardenti.
«Il tuo compito è quello di fare grande attenzione. Studia tutto quello che ti circonda, Ikisatashi...se annusi qualcosa che non va, agisci secondo il tuo istinto.» Bisbigliò a bassa voce. «Hai una bella testa, mi fido di te.»  Aggiunse. Poi deglutì, vagamente nervoso.
Kisshu non disse nulla e non staccò lo sguardo da lui, limitandosi ad espirare aria dalle labbra.
Il cuore nel suo petto batteva forte, sovraccaricato da un’accozzaglia confusa di sentimenti ed emozioni.
Ma tra tutti, a spiccare in modo deciso era la grande eccitazione di partire: la sentiva  pizzicare sotto la pelle, vibrare nel suo sangue come una scossa elettrica.
«So che non è un compito per niente facile. Ma se le cose ti sembrano andare per il peggio, fai di tutto per prenderti la Terra. Non possiamo lasciarla nelle mani del Governo.» Mormorò ancora, questa volta facendo spazio ad un grande sorriso fiducioso.
Kisshu lo ricambiò, incurvando le spalle all’indietro e tirando il petto all’infuori.
Era fiero di poter seguire quegli ordini.
Responsabilità di quel peso non gli facevano paura...al contrario, lo accendevano come un fuoco.
«Non ti deluderò, Yato. Per i Varg!» Esclamò lui, alzando a mezz’aria il braccio destro.
Yato afferrò al volo la sua mano, mimando il saluto che si erano scambiati all’inizio.
«Per i Varg!» Ripeté il generale, prima di tirarlo vicino a sé e scompigliare affettuosamente i suoi capelli color muschio.
«Vedi di tornare vivo, che ci servi!» Ridacchiò poi, lasciandolo andare.
«Ho la pellaccia dura!» Replicò Kisshu, sorridendo sornione.
Yato rilassò le spalle e s’infilò morbidamente le mani in tasca.
Ora sembrava avere un’aria più tranquilla.
«Sarà meglio che vada.» Concluse poi, prima di allontanarsi e percorrere il corridoio sotterraneo a ritroso.
Kisshu arricciò il naso e avanzò senza paura, a passi lunghi ed irrequieti.
Scorse presto la porta automatica dell’hangar: una delle più imponenti che avesse mai visto, con i suoi tre metri di altezza e cinque di lunghezza.
Afferrò nuovamente le chiavi della sua astronave, estraendole dalla tasca.
Finalmente era felice di poterle usare per uno scopo diverso da quello di gingillo antistress***.  
S'avvicinò al sistema di riconoscimento e inserì la targhetta della chiave, facendola passare sotto uno scanner luminoso.
Si sentì un lieve bip e la porta prese ad aprirsi, seguito da uno stridio metallico.
Kisshu sorrise quando, oltre le ante, scorse molti tra i velivoli più tecnologici che il dipartimento tecnologico potesse offrire, illuminati dal riflesso delle luci al neon sulla superficie liscia e lucida dei cofani.
«Si parte.» Sussurrò tra sé e sé, superando la soglia.  
    




 



***

* Suguri, in kanji [酸塊] e in hiragana [すぐり] indica il ribes, frutto della pianta omonima.
** Nel karate ci sono sei livelli di cinture più la nera, i quali si ottengono in questo ordine: bianca-gialla-arancio-verde-blu-marrone-nera.
La cintura nera ha poi dieci livelli d’eccellenza chiamati dan, che vanno dal più basso (uno) al più alto (dieci).
Per quanto possa sembrare strano non è affatto impossibile essere cinture nere a sedici anni, l’età attuale di Suguri.
* La spazzata è una mossa di arti marziali che punta alla caviglia dell’avversario con l’obiettivo di farlo cadere a terra.
** Takamori è una città nella prefettura di Nagano che dista 3-4 ore di macchina da Tokyo. Nella puntata 13 dell’anime, Ichigo dice una battuta come: «Quando sono arrivata qui credevo di non fare amici, invece è andato tutto per il meglio!» alludendo al fatto che abbia cambiato città prima della storia. Un’altra battuta riferita ad un trasloco viene fatta dalla madre Sakura nell’episodio 31, quando trovando un album di foto nella credenza della cucina commenta: «Deve essere finito lì per sbaglio quando ci siamo trasferiti!».
* La claviera è una mantella decorata che circonda collo e spalle e su cui viene mostrato il grado militare. In occasioni ordinarie è applicabile sulla divisa a piacere, mentre è obbligatorio indossarla in occasioni officiali e particolari.
Visto che è un capo inesistente nelle divise terrestri, ho voluto dargli un nome di fantasia. xD
** L’Atra di Ux è una costellazione puramente inventata da me (d’altronde esisteranno pure costellazioni che noi non vediamo...no?).
Le stelle disegnano un animale simile alla salamandra terrestre.
* L’Ippomet delle montagne è un animale evemeriano simile allo yak terrestre…
* parte musica di Super Quark in sottofondo *
** Ley è un amico d’infanzia di Kisshu, nonché fratello minore di Yato.
*** «Beh, se preferisci come gingillo contro lo stress uso qualcos’altro...» nd Kisshu con sguardo particolarmente allusivo
«Tu non puoi chiudere i capitoli senza sparare cretinate, eh?» nd Kuro rassegnata  

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Capitolo 4
*** First Act ~ II. Opposites Attract. ***


II.

Opposites Attract.

 

 

 

 

(Da qualche parte nello spazio.)

 

 

 

 

Il ragazzo afferrò la cloche con la mano destra, ticchettando le dita sulla sua superficie.
Appoggiato mollemente sulla poltrona scura, allungò il collo all'indietro, facendo ricadere l'avambraccio sinistro sul bracciolo.
Distese le gambe in avanti, risvegliando i muscoli indolenziti, e tirò un lungo sospiro.
Diede un’occhiata distratta allo schermo sopra la cabina comandi e subito dopo all’ormai monotono cielo stellato che lo osservava oltre il parabrezza.
Rimase fermo così per qualche secondo, lasciando che le sue orecchie venissero cullate solo dal bip alienante del navigatore.
La rotta era tranquilla e procedeva senza intoppi...decisamente troppo per i suoi standard.
Da un paio di giorni aveva attraversato un wormhole per la prima volta.
Quella era la cosa più interessante che era accaduta nelle ultime ore...
Grazie a quell’accorgimento s’era avvicinato molto di più a questo...pianeta Terra, altrimenti distante parecchi anni luce.
Abbozzò un lieve sorriso a quell’idea, ma fu un’emozione breve.
Nonostante fosse parecchio lontano da casa, con la mente non faceva altro che ritornare ad Evemeth.
In particolare, le parole di Yato seguitavano a ronzargli in testa.
«I Grandi stanno progettando di mandare altri tenenti o capitani in missione…
lo scopo è quello di raccogliere dati...valutare quale pianeta si presti meglio al trasferimento...»

Arricciò il naso contrariato, facendole ritornare alla mente per la millesima volta, come una specie di enigma di cui non comprendeva il significato.
Passò il dorso di un dito su di un piccolo schermo in stand by sul lato sinistro dei comandi, facendolo riattivare all’improvviso.
Non riusciva a ricordare per quante volte avesse ripetuto quel gesto, in quei sei giorni di viaggio. Stare chiuso lì dentro senza avere la possibilità di fare nulla lo rendeva terribilmente irrequieto.
Gli occhi dorati si soffermarono sulle parole che comparvero scritte sul display in nero su bianco.
Lesse il titolo: Resoconto Missione T.
Un senso di nausea gli afferrò la bocca dello stomaco, costringendolo a distogliere lo sguardo per non proseguire oltre nella lettura.
Sapeva già a memoria cosa gli era stato richiesto di fare, ma ogni volta un istinto rabbioso gli saliva dalle viscere fino alla gola, e un suono basso e gutturale riempiva le sue corde vocali.  
I suoi compiti potevano riassumersi nella raccolta di informazioni sensibili sulle condizioni ambientali del pianeta Terra e nell’avvio di tutte le procedure di invasione e controllo, le quali consistevano nell’utilizzo di creature aliene unite a primordiale materiale genetico instabile*.
Il prospetto, inoltre, classificava ipoteticamente il pianeta Terra su di un livello di abitabilità elevato, e avvertiva della presenza di civiltà e forme di vita decisamente evolute.
Kisshu strinse le labbra, nervoso.
Perché per una simile missione avevano scelto proprio lui, un giovane tenente mai uscito da Evemeth? E perché ce lo avevano mandato da solo, in tutta fretta?
Non credeva che fosse dovuto alla fiducia che i Grandi riponevano in lui.
Non era stupido...c’era dell’altro sotto.
Cose che non conosceva...cose che i Vargatt non erano ancora riusciti a scoprire.
E ora che era in missione, impossibilitato ad avere contatti con i compagni, chissà quando le avrebbe sapute...
Ringhiò, digrignando i denti e battendo un pugno sulla postazione comandi.
Se c’era una cosa che lo faceva davvero irritare...era l’essere impotenti.
Perché erano state disposte altre missioni del tutto simili?
Avevano scelto altri Vargatt come lui?
Li avevano scoperti? Stavano cercando di separarli?
O magari era completamente fuori strada...forse qualcuno desiderava ampliare il potere e l’influenza di Evemeth altrove, visto i pochi stimoli che ormai offriva il suo pianeta madre.
E lui era solo uno dei tanti mezzi per farlo, una delle tante pedine...
Sospirò, grattandosi la testa.
Quella spirale di pensieri lo stava rendendo pazzo...non riusciva a capire quali fossero i veri obiettivi del Governo.
Strinse gli occhi, puntandoli in un punto indefinito davanti a sé, senza fare davvero caso a cosa stesse guardando.
Quella non era che una copertura...semplicemente una delle tante.
Yato gli aveva dato delle indicazioni precise.
Le avrebbe senza dubbio seguite, perché le sentiva sue e gli permettevano di essere sé stesso.
Trovò la forza di sorridere ironicamente a quelle constatazioni.
I suoi sentimenti erano contrastanti...
Prima di tutto, era felice.
Già...poter andare sulla Terra lo affascinava tantissimo.
Tuttavia, vi erano delle incombenze.
La sua libertà era illusoria.
Aveva ordini da rispettare, responsabilità a cui rispondere…missioni personali che non voleva in nessun modo tradire.
Ognuna di queste cose contribuivano ad affollare la sua mente di dubbi su cosa davvero volesse, sulla reale meta da raggiungere...e sui mezzi migliori per farlo.
Ma non di rado, il destino lo costringeva a cambiare i suoi piani...ancora ed ancora, esattamente come in quel momento.
Per questo quel viaggio era così elettrizzante
Lo distoglieva dai suoi pesi, lo spingeva a combattere, a trovare nuovi modi per spuntarla…
A vivere la sua esistenza al massimo...
Forse per quello non aveva senso crucciarsi così tanto, costruire castelli per aria...
Non gli importava più di tanto del Resoconto
Porre la Terra sotto il controllo della sua specie non era tra le sue priorità primarie, per lo meno in quanto ordine impartito dall’alto…
In quanto ordine impartito da gentaglia come Kleth...
Se avesse trovato gusto nel creare scompiglio su quella nuova terra, sarebbero stati solo sentimenti suoi...ed a quelli sarebbe stato fedele.
A tutto il resto sarebbe sopravvissuto...avrebbe trovato altri mille modi per mettere i bastoni tra le ruote alle mele marce del Governo.
Gli sarebbe bastato soltanto osservare attentamente e fare le sue scelte.
Senza dimenticare il divertimento, s’intende...
Distese le dita strette nel pugno della mano, ancora vicina ai comandi, e prese a muoverle piano come piccoli tentacoli.
Ogni cosa l’avrebbe fatta a modo suo...ed era quella la sua libertà.
Una libertà reale
Il presunto controllo che gli altri credevano di avere su di lui...quella si che era un’illusione.
E giocare al soldatino fedele, che non esce dai ranghi…
Fingere di farglielo credere era il vero godimento...  
L’alieno dai capelli scuri s’incurvò su sé stesso e si lasciò andare ad una sonora, lunga risata. Svuotò completamente i polmoni, restando a corto di ossigeno.
Si concentrò sul battito impetuoso del suo cuore mentre un'espressione soddisfatta gli si stampava in viso, seguito dal solito ghigno ricolmo di scherno.
Già...come aveva fatto a non pensarci prima?
L’ansia, le paranoie, erano inutili...
Mancavano soltanto poche ore all’approdo sulla Terra, e a seguito del suo arrivo si sarebbe divertito con i terrestri…oh si, eccome se l’avrebbe fatto.
Si sarebbe divertito da morire.
Un secondo risolino uscì dalle sue labbra
Quell’idea lo fece stare meglio.
«Le scelgo io le regole del gioco, razza di bastardi...» Sibilò tra sé e sé con una luce sinistra negli occhi, portandosi una mano al mento.
Dopo averlo pensato, reclinò lo schienale della sedia con un semplice gesto e vi affondò più comodamente. Incrociò le braccia dietro la schiena e abbassò le palpebre, premurandosi di rilassare ogni suo muscolo.
Si sarebbe concesso un pisolino sgombro da preoccupazioni…
L’ultimo che avrebbe passato lontano dalla Terra.





 

***






 

(Pianeta Terra, Giappone, Tokyo.
6 Aprile 2004.)




 

Suguri infilò entrambi i piedi nei collant e prese ad allungarli sulle gambe con delicatezza.
Il suo sguardo si concentrò sulla trama sottile e scura del tessuto, senza particolare interesse.  
Nero, esattamente come i suoi capelli, una criniera lunga e liscia che scendeva oltre le spalle e la vita.
Tra i ciuffi asimmetrici della frangetta scintillavano due occhi color rubino, che fissavano la figura riflessa nello specchio con un’espressione seria, inflessibile.
Sembrava dimostrare più dei suoi sedici anni.
Somigli moltissimo a tuo padre, le ripeteva spesso sua madre, e mai con gioia nella voce.
L’avessi mai visto in faccia…, pensò invece lei, provando un miscuglio di sentimenti contrastanti che sfumavano pian piano dal fastidio alla rabbia, fino alla tristezza.
Aveva perso il conto di quante volte avesse provato ad immaginarlo, specie da bambina.
Ora non aveva più importanza...non più.
Il suo sguardo si spostò verso la finestra, mentre con un semplice gesto delle mani chiudeva la zip della gonna della sua divisa scolastica, di un bel color rosso cremisi.
Era primavera da un po’ ormai, eppure del sole non v’era nemmeno l’ombra a Tokyo, che quella mattina era coperta da una cappa di nuvole piuttosto fitta.
Forse anche il cielo s’era alzato di malumore.
Esattamente come lei.
Si diede un’ultima, decisa pettinata alla chioma corvina, allacciò ai piedi i suoi inseparabili anfibi neri e prese con sé giacca e borsa prima di uscire di casa.
Si strinse nelle braccia, per ripararsi dall’aria pungente, ed avanzò a lunghe e decise falcate verso la stazione della metro.
Sembrava quasi fendere l’aria ad ogni passo, come un uccello rapace che volava controvento.
Il suo sguardo oscillava tra le persone che incontrava per strada e l’asfalto sotto le sue scarpe, senza che nulla di ciò che entrava nel suo campo visivo risvegliasse realmente il suo interesse.
La sua era una camminata nervosa, veloce, come se fosse di fretta.
Era in perfetto orario, eppure sentiva la necessità di sgranchire i muscoli, sfogare le energie. Lo faceva ogni volta che ne aveva la possibilità.
L’aiutava a non pensare...
Proprio in quel momento, Suguri alzò lo sguardo e sbuffò.
Purtroppo per lei, in quattro e quattr’otto aveva raggiunto la stazione della metro.
Oltrepassò la porta e venne subito investita dal rumoroso chiacchiericcio di quelli che, come lei, erano lì per andare a scuola o al lavoro.
Una piacevole vampata di calore l’avvolse, sciogliendo il suo corpo rigido.
La ragazza si prese solo qualche secondo per godersi quel bel tepore, poi percorse un paio di corridoi gremiti di persone e si fermò alla solita banchina, quella che usava per andare a scuola ogni mattina.
Si dondolò distrattamente su di un piede, le mani inguainate nelle tasche della giacca.
Poi arricciò le labbra, sovrappensiero, affiancandosi ad un gruppetto di studenti un po’ più grandi di lei, senza però fare molto caso ai loro discorsi.
La verità era che stava cercando di estraniarsi da quello che le stava attorno.

La sua testa era completamente vuota in quel momento.
I suoi occhi si focalizzarono con interesse sui dettagli dei binari scuri oltre la linea gialla di attesa: sembravano perfetti per quello scopo.
Li percorse da sinistra a destra per trenta lunghissimi secondi, fin quando il treno entrò nella stazione seguito dal tipico ed assordante fragore.
Aspettò che la marea umana uscisse dal mezzo prima di prendere posto vicino alla porta.
Come di consueto, il treno sostava almeno mezzo minuto prima di ripartire, nonostante tutti fossero saliti o scesi.
La ragazza si guardò alle spalle…ma la banchina era vuota.
Voltò la testa verso l’interno del vagone, ritrovandosi di fronte la schiena di un ragazzo che doveva avere circa la sua età.
Quella linea era affollata come sempre, e la cosa le dava non poco fastidio…
«Fermi! Aspettate!» Gridò una voce trafelata dietro di lei, mentre la sirena d'allarme ticchettò, avvisando i passeggeri dell’imminente chiusura delle porte.
Era la voce di una ragazza forse tanto ottimista da credere che il treno si sarebbe fermato alla sua richiesta.
Aveva i capelli rossi raccolti in due codini ai lati della testa.
Al contrario della sua divisa scolastica, i cui colori predominanti erano il rosso cremisi e il grigio chiaro freddo, la sua alternava il celeste e il rosa pastello.
E le calze ovviamente, erano bianche**.
Sembrava il suo esatto opposto…
Le pareva di aver già visto quella divisa così variopinta e sgargiante in giro per la città, addosso a studentesse più piccole di lei.
Tuttavia, quella ragazza le era del tutto sconosciuta.
Non ricordava di averla mai vista prima, ma d’altronde Tokyo era enorme...
Tutti sembrarono ignorarla, a parte lei: per qualche strano motivo s'era voltata ad osservarla
Suguri infilò secca un piede in mezzo alle ante, tenendole ferme qualche secondo in più e facendo tacere il cicalino meccanico.
Solo in seguito s'accorse di averlo fatto senza pensarci.
La ragazza raggiunse velocemente il treno e quasi incespicò all’entrata del vagone, ma riuscì a salire appena in tempo.
La guardò aggrapparsi ad una maniglia, boccheggiando come se avesse appena corso tutto d’un fiato i cento metri.
Suguri restò immobile, soffermandosi sui nastri decorati con le fragole che le adornavano i capelli.
La vide raddrizzarsi, tenendosi quasi a fatica con una mano, mentre con l’altra si dava una sistemata alla gonna della sua divisa, scampanata e con un fiocco vistoso sulla schiena.
Poi alzò lo sguardo, e gli occhi cioccolato di lei incrociarono i suoi, purpurei.
In quel preciso istante, Suguri provò un brivido, una specie d’impercettibile scossa elettrica lungo tutto il corpo.
Sbatté gli occhi un paio di volte, stranita.
Me lo sarò immaginato..., pensò, aggrottando la fronte.
«Uuff! Ti ringrazio! Mi hai salvato la vita!» Esclamò Ichigo, rivolgendosi a lei.
Allora l’aveva vista.
La ragazza dai lunghi capelli mori ricambiò lo sguardo, sorpresa.
«Emh, figurati...» Borbottò, senza aggiungere altro.
Continuò a fissarla, incuriosita.
Sentiva la stessa sensazione d’intorpidimento di poco prima, ma non riusciva in alcun modo a spiegarne le cause.
Dopo qualche attimo di silenzio, la rossa riprese quella bizzarra chiacchierata lasciata in sospeso.
«Vedi, io sono nuova di qui, mi sono appena trasferita e...uff...» Si lamentò lei, respirando pesante. Non aveva ancora recuperato dalla corsa di poco prima.
«Mi sono iscritta al Daikan, ma oggi è il primo giorno di scuola per me e mi sono alzata tardi, poi mi sono persa dentro la metro, …e Tokyo è gigantesca!» Cominciò lei, tutta d’un fiato, senza lasciarle un momento di replica.
Stava usando un tono di voce decisamente troppo alto.
Resasi conto di essere stata fin troppo inopportuna si zittì, portandosi una mano alla bocca.
Il rossore dovuto all’imbarazzo s'aggiunse a quello della corsa, trasformando la sua faccia in una specie di pomodoro maturo.
Poi si lasciò sfuggire un risolino nervoso, mentre sbuffava e cercava di tornare ad un colorito normale.
«Scusa non mi sono presentata, che imbranata!» Balbettò, «Il mio nome è Momomiya Ichigo!» Esordì poi, nel modo più discreto che le fosse possibile.
Lei le porse la mano e Suguri allungò la sua, stringendogliela.
«Sono Suguri Moriyami*» Replicò soltanto, infilando nuovamente la mano nella tasca della giacca.
Nonostante le presentazioni si fossero concluse, nessuna delle due smise di guardare l’altra, in un misto di attrazione e curiosità.
Il silenzio tra loro cominciò a farsi imbarazzante, quando Ichigo scelse fortunatamente di prendere parola al suo posto.
«Allora, Moriyami-san, tu...frequenti le scuole superiori, giusto? Sembri più grande...» Domandò Ichigo, osservandola da capo a piedi.
Stava dritta come uno spago, ma dava l’idea di essere completamente rilassata, quasi non curante di quello che le stava attorno.
L’impressione che le dava era quella di una ragazza molto sicura di sé, che non temeva niente e nessuno. Un’aura affascinante, fatta di eleganza e forza, emanava dal suo corpo. Ichigo se ne sentì attirata come ad una calamita.
Era la primissima volta che le accadeva.
Mosse un piede in avanti, inconsciamente.
Voleva avvicinarsi di più, osservare meglio.
Le pareva talmente fuori luogo lì dentro, in quel vagone della metropolitana cosi...dozzinale ed ordinario.
Era come se fosse stata incollata su uno sfondo di terza categoria.
Le luci chiare e calde del treno si proiettarono sul suo viso, evidenziando ancora di più il contrasto tra la carnagione chiara e i riflessi dei suoi capelli scurissimi.
Suguri mosse lievemente la testa e questi la seguirono, ondeggiando come l’acqua.
Puntò gli occhi nei suoi.
Due iridi profondissime...
Si sentì quasi in soggezione, in quel momento.  
Quanto era bella?
Lei...aveva un centesimo del suo fascino.
Non appena Ichigo formulò quel pensiero, Suguri abbozzò un’espressione innervosita. Nel breve spazio che le separava percepiva quelle che sembravano delle sottili vibrazioni che l’attiravano a lei come le api sul miele.
Era una sensazione...quasi spaventosa.
Si sentiva a disagio, ma non voleva che lei lo notasse.
Non voleva che nessuno lo notasse…
Si sentì formicolare in tutto il corpo.
Alzò gli occhi al cielo – o meglio, verso il soffitto del vagone - e sospirò.
Che fai...rispondi alla sua domanda prima che pensi di essere di fronte ad una completa psicopatica!
«...Sono al secondo anno.» Mormorò, più calma e pacata possibile, aprendo appena le labbra e lasciandovi uscire un filo di fiato. «Tu invece, sembri più piccola...» Suppose, guardandola distrattamente. Era un po’ più bassa di lei e aveva lineamenti del viso più infantili dei suoi, ma forse quello era perché lei aveva smesso di essere ‘bambina’ a undici o dodici anni. Quella ragazza invece, sembrava immune alla durezza che generalmente comunicava agli altri, e se e ne stupì.
Forse era per quello che si stava interessando così tanto a quella banale chiacchierata di circostanza...
Ichigo fece un sorriso tirato e si grattò la testa.
«In effetti si, ho compiuto da poco quindici anni...» Rispose lei mentre la osservava in ogni sua reazione, cercando in qualche modo di imparare qualcosa.
Aggrottò la fronte e provò a concentrarsi.
Poteva aspirare a diventare una ragazza come lei?
Avrebbe fatto strage di cuori, e Aoyama-Kun... sarebbe stato fiero di lei.
Chissà com’è popolare nella sua scuola. Di sicuro ha già il ragazzo, pensò in maniera quasi automatica.
Mentre era immersa in quel frullato di pensieri, vide Suguri voltare lievemente il viso e scostare lo sguardo verso un punto preciso di fronte a sé, fuori dai finestrini.
Forse considerava la conversazione conclusa.
Guardò le sue lunghe ciglia abbassarsi ed alzarsi di nuovo, al battito delle sue palpebre.
Mascara…
«Comunque, Moriyami-san...» Proferì ancora la rossa, «...sei davvero bellissima.» Mormorò, un po’ impulsivamente. Poi abbassò gli occhi e fece un lieve inchino.
A quell’affermazione Suguri si voltò stupita verso di lei, senza dire nulla.
Ichigo, invece, smise di guardarla e si concentrò sulla cartina della metro sopra la porta d’uscita, muovendo nervosamente le pupille alla ricerca della sua fermata.
«Grazie ancora per prima. Io scendo alla prossima.» Concluse, quasi timidamente, poi abbozzò un sorriso e si voltò verso le porte.
Dopo poco più di un minuto il mezzo entrò in stazione e si fermò accanto alle banchine.  
Ichigo s‘apprestò ad andare, ma prima si volse ancora verso di lei.
«Buona giornata Moriyami-san!» Augurò alla ragazza mora, sorridendole.
Lei si ritrovò a piegare le labbra in un mezzo sorriso, e a rilassare i muscoli tesi del viso in un’espressione di dolce sorpresa.
«Buona giornata...» Sussurrò tra sé e sé, mentre le faceva un cenno con la mano in segno di saluto. In qualche modo era stato piacevole parlare con lei.
La guardò scendere insieme ad altre persone e la vide allontanarsi verso una delle uscite, prima che le porte si richiudessero davanti al suo naso e il treno riprendesse la sua corsa.
Il suo sguardo rimase fisso oltre i finestrini, anche se non c’era più nulla di interessante su cui soffermarsi.
Immaginò la sua testolina tonda e rossa muoversi caoticamente tra le linee veloci e confuse del paesaggio esterno.
Era esterrefatta.
Nessuno di solito le rivolgeva la parola in quel modo così amichevole, andando oltre la sua...apparenza da dura.
Li sentiva i bisbigli per i corridoi della scuola.
Erano molte le ragazze a definirla una tipa piuttosto...intimidatoria, ovviamente senza nemmeno conoscerla.
La cosa, comunque, girava a suo vantaggio.
A volte le bastava uno sguardo per ottenere quello che voleva, e non era merito suo: gliel’avevano dato loro, quel potere.
Rise, pensando a come quella ragazza non sembrò essersene accorta.
Non riusciva a capire se fosse ingenua o semplicemente strana.
Ichigo Momomiya.
Probabilmente l’avrebbe incontrata ancora.
E forse, quella non era poi una giornata come tutte le altre.






***


 




Corri Ichigo corri Ichigo corri Ichigo corri Ichigo corri Ichigo corri corri corri!
Ripeté nella sua mente come una specie di mantra, sfrecciando a tutta velocità per il quartiere residenziale che costeggiava l’istituto scolastico.
Ormai riusciva a scorgerlo davanti a sé: anche se era in ritardo, i cancelli erano ancora aperti.
«Sto arrivando!» Gridò per darsi la carica, prima di evitare all’ultimo una signora che camminava sul suo stesso marciapiede, in direzione opposta alla sua.
«Hooup! Mi scusi!!» Esclamò a squarciagola mentre si allontanava, senza fermare le sue gambe che, ormai abituate a quel ritmo, sembravano procedere da sole.
Giunta al lungo incrocio con strisce pedonali proprio davanti a scuola si fermò per un attimo, guardando con attenzione a destra e a sinistra.
Constatato che non vi fosse nessun pericolo, si lanciò sulla strada.
Oltrepassato il cancello d’entrata percorse l’ampio vialetto circondato da aiuole e meravigliosi ciliegi in fiore, e raggiunse la porta principale boccheggiando per il fiatone.
Si bloccò bruscamente, prendendosi qualche secondo di riposo da quella folle corsa e, infine, spinse l’anta e s’infilò nell’edificio.
L’atmosfera all’interno era tranquilla.
Tanti ragazzi erano ancora sparsi per i corridoi a chiacchierare, oppure intenti a frugare negli armadietti personali della scuola, collocati vicini all’entrata.
Ichigo imboccò il corridoio alla sua destra e cominciò ad esaminare le targhette su ogni anta di metallo le passasse sotto il naso.
Non aveva molto tempo per trovare la sua, e non poteva certo andare in classe prima di essersi tolta le scarpe...
Che figura farei!, pensò Ichigo a quell’idea.
Dopo aver percorso un corridoio dritto, svoltò nuovamente a destra.
Lì, finalmente, trovò gli armadietti riservati alla terza media.
«Che fortuna!» Esultò ad alta voce.
S’avvicinò di più, con l’intenzione di leggere meglio: il suo avrebbe dovuto essere a metà strada, essendo disposti in ordine alfabetico.  
«Eccolo!» Esclamò la rossa, non appena lesse il suo nome sopra la targhetta.
Girò la chiave che era già inserita nella serratura e al suo interno vi trovò le uwabaki** che doveva indossare, proprio come si aspettava.
Appoggiò a terra la cartella e, in tutta fretta, s’accucciò per slacciarsi i mocassini.
Li ripose rapidamente dentro l’armadio e si infilò le calzature regolamentari.
Richiuse l’anta, estrasse la chiave e se la mise nella tasca della gonna.
Doveva fare attenzione a non perderla.
Sospirò.
Il primo passo era fatto: ora non doveva far altro che cercare la sua aula.
Terza classe, sezione C.
Uscì dal corridoio e seguì le indicazioni.
Secondo la bacheca scolastica doveva trovarsi al primo piano.
La ragazza si voltò in un guizzo, gettando uno sguardo al grande orologio che aveva visto appena entrata dalla porta principale: mancavano pochi minuti.
Doveva sbrigarsi se non voleva arrivare in ritardo il primo giorno di scuola.
Accelerò il passo ed imboccò il corridoio centrale alla sua sinistra.
Individuò la rampa di scale che portava al primo piano e vi si lanciò, mentre nella sua mente s’accavallavano i pensieri.
Era molto nervosa. Era la prima volta che cambiava scuola e città…
Speriamo vada tutto bene!
Commentò tra sé e sé, cercando di incoraggiarsi da sola, mentre s’appigliava al corrimano.
Scalò i gradini con la facilità di un felino, ma al momento di svoltare l’angolo a sinistra impattò improvvisamente contro un’altra persona e rimbalzò all’indietro, cadendo sul pavimento.
Una fitta dritta sul sedere s’estese a buona parte della colonna vertebrale e la fece gemere dal dolore.
«Ouch!» Si lamentò lei, portandosi una mano sulla zona dolorante nel tentativo di alleviare la botta.
Che vergogna!
«Ahh...scusa, mi dispiace tanto, è colpa mia...» Mormorò, senza nemmeno alzare lo sguardo verso il suo interlocutore.
Poi, però, raddrizzò la schiena e lo fece.
Si paralizzò all’istante quando si rese conto della persona che aveva di fronte.
Si coprì la bocca con una mano e sgranò gli occhi, prima di arrossire di una tonalità molto simile a quella dei suoi capelli.
«A...Aoyama-kun!» Balbettò mortificata, rimanendo a fissarlo senza muoversi di un millimetro.
Mannaggia a te Ichigo, che razza di figuracce fai!
Negli ultimi giorni si era studiata con precisione quasi certosina le modalità in cui doveva avvenire il loro incontro: sarebbe rimasta ad aspettarlo fuori da scuola, al termine dei laboratori pomeridiani, si sarebbe presentata e avrebbero parlato in maniera molto tranquilla del più e del meno. Poi lei gli avrebbe proposto di vedersi, magari nel weekend, e sarebbe tornata a casa dopo aver rifiutato molto gentilmente il suo invito ad accompagnarla.
Si coprì gli occhi con il dorso della mano.
Dannazione...non di rado succedevano cose assurde ogni volta che le capitava di parlare con lui.
Non s’aspettava d’incontrarlo così presto. Ora non sapeva cosa fare!
Ichigo sbatté gli occhi, senza avere la forza di scollarsi dal pavimento.
Provò a cogliere l’unico lato positivo di quella situazione impietosa: avere l’opportunità, finalmente, di poterlo guardare da vicino dopo anni che non si vedevano.
Era come se l’era immaginato.
Era diventato più alto, aveva un fisico più mascolino e i lineamenti più maturi, ma la stessa espressione pacata e gentile.
La camicia candida e il completo blu scuro della divisa maschile gli stavano alla perfezione, come se fossero stati cuciti addosso a lui.
Come se quelli che l’avevano disegnata avessero pensato a lui come modello.
In fondo, lui era un modello perfetto per quel genere di cose.
Dopo qualche secondo di sbigottimento, Masaya la guardò a sua volta con più attenzione.
Fece un sorriso quando riconobbe gli inconfondibili codini ai lati della testa e i capelli rossi della sua vecchia amica d’infanzia.
«Momomiya-san?» Domandò, porgendole la mano per aiutarla ad alzarsi.
Ichigo non esitò un istante e l’afferrò stretta.
Le sue gambe guizzarono come molle e s’alzò da terra in un attimo, ritrovandosi però a breve distanza da lui.
Decisamente troppo breve per lei, in quel momento.
Il cuore cominciò a batterle davvero forte, e le labbra le si arricciarono all’indietro, rendendole difficile dire una sola parola.
«S-si sono io! Che coincidenza incontrarsi qui, non trovi?» Biascicò, ridacchiando nervosa mentre torturava le pieghe della gonna della divisa con le dita, nell’impacciato tentativo di lisciarle senza che ve ne fosse motivo.
Masaya, però, sembrò non accorgersene, e le sorrise amichevole come se nulla fosse successo.
«Già, ti sei trasferita qui a Tokyo?» Le chiese ancora, guardandola con due occhi profondissimi.
Ichigo ne rimase ipnotizzata e vi ci affondò, come dentro a delle sabbie mobili.
Dopo qualche secondo passato a fissarlo, realizzò che il ragazzo le aveva appena fatto una domanda.
«Ha..hai indovinato, mi sono trasferita in un quartiere vicino e mi sono iscritta qui, non pensavo ci venissi anche tu!» Esclamò tutto d’un fiato, parlando a macchinetta.
Anche solo guardarlo le surriscaldava le guance.
Sapeva già di essere rossa come un pomodoro maturo, ma non sapeva assolutamente cosa fare per evitarlo...
L'osservò silenziosa, controllando il suo respiro, mentre lui piegava il braccio, avvicinandolo di più al corpo e si scopriva la manica per dare un’occhiata all’orologio.
Tempismo perfetto: la campanella, infatti, suonò in quel momento, facendola saltare in aria dalla paura.
Ichigo si portò entrambe le mani al petto.
«Mi sono spaventata a morte!» Mormorò senza voce, prendendo grandi respiri nel tentativo di calmare il suo cuore.
Alla sua reazione genuina Masaya rise di gusto, regalandole un grosso sorriso.
Ichigo lo fissò in estasi.
Sono al settimo cielo. Adesso posso morire!
Pensò nella sua testolina, guardandolo con gli occhi lucidi.
«Senti Momomiya-san, ora devo proprio andare! Ci si vede!» La salutò lui, facendole un cenno con la mano mentre s'avviava per il corridoio.
Ichigo strinse le labbra.
No, Aoyama-kun. Non puoi già andartene.
Quella era l’occasione giusta.
«Perché non questo weekend? Magari domenica!» Propose lei, a voce decisamente troppo alta. Perché quando era imbarazzata o nervosa diventata così rumorosa?!
Si portò di nuovo una mano alla bocca mentre, con terrore, aspettava la risposta del ragazzo.
Dimmi di si, ti prego!  
«Questa domenica volevo andare ad una mostra...» Proferì lui.
Oh no!
«Ma se vuoi ci andiamo assieme!» Concluse, facendole un altro bel sorriso.
Oh si!
«C..certo! È perfetto! Allora andremo insieme alla mostra!» Balbettò Ichigo, stupita ed entusiasta.
«D’accordo! Così facciamo anche un giro in città. Buona giornata!» Mormorò ancora Masaya, prima di allontanarsi definitivamente ed avviarsi in classe.
La rossa rimase a fissarlo imbambolata mentre lui andava via e scompariva oltre la porta. Anche dopo che era già sparito da un pezzo, continuò a fissare quello stesso punto, come se lui fosse ancora lì.
Non poteva a crederci.
Ce l’aveva fatta!
«Yuuuhuuu! Evviva!! Ci sono riuscita!~» Urlò lei, saltellando per la gioia.
Non stava più nella pelle: aveva tante di quelle energie che era pronta a scalare il Monte Fuji di corsa!
Aoyama-kun era capace di cambiare completamente il suo umore.
Le era mancata tanto quella sensazione.
Non riusciva nemmeno a capire come era riuscita a starsene senza per quasi quattro anni.
Strinse i pugni e li portò davanti al petto. Era pronta a lottare per il suo sogno.
«Fight, Ichigo! Ce la farai!» Borbottò, incitandosi da sola.
Ma qualcuno di non molto gradito interruppe i suoi pensieri d’amore.
«Ehi, imbranata! Non si lasciano le cartelle davanti alle scale!» Esclamò una voce femminile alle sue spalle.
Ichigo aggrottò la fronte arrabbiata.
Si voltò, già pronta per litigare, e vide due studentesse superarla di corsa senza nemmeno rivolgerle lo sguardo.
Ichigo afferrò velocemente la sua cartella, che era caduta a terra dopo lo scontro con Aoyama-kun solo qualche minuto prima*, e cominciò ad inseguirle entrambe per non perderle di vista.
«Ehi! Non si attacca briga con la gente per poi andarsene! È scorretto!» Protestò la rossa in direzione delle due. Loro continuarono a correre.
«Non abbiamo tempo da perdere con i primini!» Replicò la ragazza con morbidi capelli biondi, lunghi fino alle spalle.
Ichigo riconobbe la sua voce: era la stessa che l’aveva presa in giro poco prima.
«Vado in terza media, carina, quindi vedi di abbassare la cresta!» Continuò lei, furiosa.
Non era proprio il caso di rovinarle la giornata dopo quello che era successo con Aoyama-kun, ma quella ragazza si stava davvero impegnando a darle fastidio!
«Ah, davvero? Non ti ho mai vista! Sei nuova?» Domandò sempre la bionda, prima di fermarsi davanti all’uscio aperto di una delle aule del corridoio.
Solo a quel punto si decise a voltarsi a guardarla in faccia.
Ichigo fece lo stesso e la fissò.
«Già, stavo cercando la 3C...» Borbottò, stringendo con più forza la cartella tra le dita.
«È questa la 3C.» Rispose la ragazza davanti a lei, indicando un punto sopra la sua testa.
La targhetta sulla porta, in effetti, confermava le sue parole. «Dunque immagino che saremo in classe assieme! Mi dispiace per prima, ma eravamo davvero in ritardo...» Si giustificò lei, prima di allungare una mano in sua direzione. «Il mio nome è Moe Yanagida, e lei è Miwa Honjo**. Molto piacere!» Esclamò, questa volta facendole un bel sorriso.
Ichigo lo ricambiò, mettendo da parte ogni malumore.
Aveva già scordato quel piccolo battibecco senza senso.
«Io mi chiamo Ichigo Momomiya. Piacere mio!» Si presentò la rossa, agguantando la mano di Moe nella sua e agitandola energicamente nell’aria.
Prima Aoyama-kun, e ora la conoscenza di due ragazze che sembravano simpatiche.
Le cose stavano andando bene.
Decisamente bene!





***





Le sue pupille corsero velocemente da una parte all'altra dello schermo, nel tentativo di trovare delle analogie tra la lunga lista di dati e codici che affollavano il file dei risultati più recenti e il file di quelli meno recenti.
Le ultime analisi avevano confermato, come da qualche mese a questa parte, la presenza di deboli segnali alieni sparsi per la città di Tokyo, dislocati in aree che parevano del tutto casuali.
Dal confronto con analisi già fatte in precedenza era chiaro come alcuni dati si ripetessero, come se vi fossero microrganismi in latenza che piano piano erodevano la fertilità del suolo attraverso una lenta e quasi impercettibile azione di agenti inquinanti. Dai loro studi avevano già scoperto che si trattava di creature sconosciute dalla struttura genetica estremamente instabile, probabilmente assimilabili al mostro rinchiuso nel reperto che suo padre stava studiando prima della morte.
Lui aveva proseguito tutte le sue ricerche insieme a Keiichiro, e dopo parecchi anni erano riusciti a creare un sistema che potesse captare la loro presenza.
Se i dati su quelle creature continuavano a proliferare, della Mew Aqua invece non sembrava più esservi traccia.
Per sintetizzarne il segnale, erano ricorsi allo studio molto particolareggiato di un reperto che anni prima era stato ritrovato da suo padre.
Anche dopo 300 000 anni, sulla sua superficie vi erano ancora minuscole particelle del Cristallo.
Erano riusciti a trovarne solo qualche goccia negli ultimi mesi, anche se nel corso di quegli anni avevano accumulato un cristallo di medie dimensioni, attualmente custodito nella cassaforte del laboratorio.
Uno sbuffo uscì dalla bocca del ragazzo, che in un impeto di ribellione scrollò fino in fondo la lista di dati.
Prese a massaggiarsi le tempie con due dita e abbassò lo sguardo, strizzando energicamente gli occhi.
La stanza era totalmente buia, e anche se la sua vista era estremamente sviluppata e adatta ad ambienti privi di luce, i suoi occhi erano diventati più sensibili da allora.
Allungò braccia e gambe oltre la seduta e sgranchì le ginocchia piegate, seguiti dalle spalle e dal collo indolenziti.
In quel preciso momento, il suo udito finissimo avvertì distintamente un ticchettio di passi fuori dalla porta.
Un leggero sorriso gli curvò le labbra quando sentì la maniglia della stanza abbassarsi con il tipico cigolio metallico.
Si voltò verso la fonte del rumore, e vide entrare la persona che s'aspettava di trovare.
Non era altri che Keiichiro, il suo migliore amico.
Lo aveva seguito fin dall’inizio in quel progetto, e ora avevano deciso di comune accordo di entrare nella fase calda.
In realtà non era stata una decisione, ma piuttosto una scelta obbligata.
Così, avevano acquistato un immobile al centro del Parco Inohara, uno dei più celebri di Tokyo, con l’idea di trasformarlo in un caffè.
Cosa centrava tutto questo con delle forme di vita aliene?
Beh, era presto detto…
«Che ci fai qui al buio? Ahh, bisogna starti sempre dietro, eh?» Mormorò Keiichiro, con tono piuttosto materno.
Allungò un braccio e tastò la parete alla sua sinistra, aspettandosi di trovare l’interruttore della luce. Lo premette non appena lo sentì sotto le dita.
Nella mano destra sorreggeva un piccolo vassoio rotondo, con sopra un paio di tazze da caffè americano color bianco latte e un piatto ricolmo di spuntini.
Ryou lo guardò soltanto, con aria affabile, mentre lui adagiava tutto sul tavolo.  
Poi afferrò una delle tazze piena di caffè fumante e un paio di tramezzini appena fatti.
«Allora, com’è andata col fornitore?» Domandò poi all’amico, dando un morso ad uno dei sandwich che aveva preso. Era ottimo, come sempre.
Vide Keiichiro chinarsi a sua volta verso il vassoio e agguantare con calma la sua tazza.
«Benissimo, è tutto apposto, ormai siamo pronti ad aprire. Ci manca solo il personale» Commentò il ragazzo dai lunghi capelli castani, prima di mandar giù a sua volta un lungo sorso di caffè.
Infilò una mano nella tasca dei pantaloni e si soffermò sullo sguardo dell’amico, che fissava un punto delle piastrelle con gli occhi persi nel vuoto, masticando pigramente il cibo che aveva in bocca.
Era immerso nei suoi pensieri, come sempre.
«Piuttosto...ci sono novità?» Chiese lui, attirando nuovamente la sua attenzione.
Lo aveva percepito appena entrato che c’era qualcosa che lo preoccupava.
Ryou si voltò e lo guardò con i suoi occhi di ghiaccio, senza dire nulla.
Appoggiò la tazza sulla scrivania, come se avesse da dire qualcosa di importante.
Keiichiro trattenne il fiato per un istante.
«Vedi qui? I dati di ieri e quelli di un paio di settimane fa quasi si sovrappongono.» Affermò, indicando le stringhe di codice che riempivano lo schermo.
Keiichiro s’abbassò verso il portatile per leggere meglio.
Si prese qualche minuto di silenzio per constatare ciò di cui il compagno stava parlando, in un misto di preoccupazione e shock.
Ormai la costanza con cui quel fenomeno si ripeteva era qualcosa di sconcertante e molto pericoloso.
«Quindi...è arrivato il momento?» Mormorò a bassa voce, quasi avesse timore di dire quella cosa. Ryou lo guardò serio.
«È arrivato il momento.» Gli confermò lui, con un cenno della testa.
Subito dopo, allungò un braccio ed abbassò lo schermo del portatile, mandandolo in modalità stand-by.
Prese nuovamente la tazza e s’alzò dalla sedia per raggiungere la parete più vicina ed appoggiarvisi con la schiena.
Era stanco di stare seduto.
«Ci sono tutte?» Chiese ancora Keiichiro, senza staccare gli occhi da lui.
Ryou guardò con interesse il fondo della tazza e sorrise mentre la faceva ondeggiare, facendo mulinare il caffè al suo interno.
Forse stava immaginando di trovarsi dentro a quel gorgo, come in una specie di assurda metafora della sua vita.
Si portò poi la tazza alla bocca e ne ingoiò il contenuto con una lunga sorsata.
«Ci sono tutte Kei, di questo non devi preoccuparti.» Rispose, più dolce rispetto al solito tono distaccato.
Si guardò intorno, facendo passare le pupille lungo tutto il muro.
Lì sotto non c’erano finestre e cominciava a sentirsi soffocare.
Doveva uscire.
Con pochi movimenti fluidi raggiunse la scrivania vicino alla porta della stanza e poggiò la tazza sul vassoio di Keichiro.
Erano anni che lavoravano a quel progetto, e non aveva mai pensato di preciso a come sarebbe stato.
Non s'aspettava nemmeno che sarebbe mai diventato realtà.
O almeno, lo aveva preventivato, ma sperava di non avere mai davvero bisogno di farlo.
Oramai le necessità lo imponevano e la cosa, in fondo in fondo, gli faceva male.
Però, gli procurava anche una rassicurante sensazione d'orgoglio.
Stava provando delle emozioni nuove in quelle ultime settimane.
Entusiasmo, fibrillazione, preoccupazione, paura, angoscia...e anche senso di colpa.
Tutti mischiati assieme.
Sensazioni dolci-amare, come il sapore di caffè che gli invadeva il palato.
Sensazioni che teneva gelosamente nascoste.
S’infilò le mani in tasca e virò alla sua sinistra, attraversando la porta che dava sulla sala del proiettore.
Fece un lungo sospiro.
Non era il momento di essere tesi, ma concentrati.
Li aspettavano tempi duri.
«Che il μ Project abbia inizio.» Mormorò impercettibilmente tra sé e sé, uscendo di lì.






 

***


*  Nell’episodio 6, Kisshu afferma che i para-para contengono materiale genetico malleabile. Questo permette loro di potersi legare facilmente ad esseri umani ed animali per creare Chimeri.
** La divisa descritta è quella che Ichigo indossa nel manga, come si vede da questa illustrazione qui.
* Moriyami Suguri [森闇 すぐり] scritto coi caratteri di Foresta [森] Oscurità [闇] e Ribes [スグリ].
** Le uwabaki sono le scarpette date in dotazione nelle scuole, da utilizzare all’interno dell’istituto. In numerosi anime o manga si vedono gli studenti riporle o prenderle dagli armadietti quando arrivano a scuola o quando devono tornare a casa.
Se ci pensate bene, accade anche in TMM.
*  «Un giorno di pioggia l’ingenuo Masaya incontra Ichigo per caso,
       Masaya finita la pioggia s’incontra e si scontra con Ichigo e così,
       Il dolce sorriso di Ichigo, nei suoi pensieri ora c’èèèè» nd Kuro canticchiando
«Questo è l’esempio tipico che dimostra che le fanfiction fanno male...» nd Kisshu
** In italiano Mimi e Megan, sono le amiche di Ichigo a scuola.

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Capitolo 5
*** First Act ~ III. Fellows. ***


III.
Fellows.





 

(Pianeta Terra, Giappone, Tokyo.
11 Aprile 2004.)






Ichigo seguì l’amico d’infanzia oltre l’accesso all’ennesima sala della mostra, dove un gran numero di foto, curiosità e riproduzioni in scala di numerose specie di animali erano esposte per l’interesse del pubblico.
Prima le piante, poi i pesci, gli uccelli, i mammiferi, e ora a cosa sarebbe toccato...agli insetti?!
Sbuffò, fissando le spalle del ragazzo davanti a sé, oggetto dei suoi desideri.
È vero che aveva colto l’occasione, solo qualche giorno prima, di auto invitarsi alla mostra a cui voleva andare quella domenica mattina solo per stare con lui...ma non si aspettava una cosa del genere!
Masaya era estremamente interessato a quell’evento.
Così interessato che la stava decisamente ignorando.
E pensare che s’era fatta bella apposta per lui!
S’era messa il suo abito preferito e un paio di scarpette nere décolleté con la zeppa, un leggero make-up e dei nastri rigorosamente rosso scintillante tra i capelli.
Credeva di poter parlare con lui a lungo degli anni in cui erano rimasti separati, fare una passeggiata nel parco, oppure bere qualcosa in un caffè…
Stropicciò tra le dita la stoffa della minigonna.
Masaya aveva sempre avuto la passione per l’ecologia e la natura.
Da bambino diceva di voler lavorare in quell’ambito, un giorno.
A lei, però, l’ecologia non interessava particolarmente.
In fondo era felice di vedere il ragazzo che le piaceva così appassionato a qualcosa, però preferiva di gran lunga che quella cosa fosse lei.
Forse doveva impegnarsi molto più di così.
«Momomiya-san, guarda qui. Questo è il Gatto di Iriomote!» Esclamò Aoyama, indicando una fotografia.
Lei guizzò accanto a lui e prese a contemplare l’immagine che aveva attirato l’attenzione del ragazzo. Nella foto era rappresentato un gatto selvatico con un manto maculato a chiazze marroni e pelo nero insieme ad alcuni cuccioli.
«Devi sapere che questa specie di gatto vive solo in alcune piccole isole nella prefettura di Okinawa...» Cominciò a spiegare lui, orgoglioso, «...però, purtroppo è in via di estinzione. Ne sopravvivono pochissimi esemplari in natura.» Terminò, con un velo di amarezza nella voce.
Ichigo lo guardò di sottecchi, notando la medesima amarezza nelle sue iridi scure.
Lui teneva veramente a quelle cose, pensò di getto.
Masaya era genuino...e riusciva ad ispirare gli altri.
Anche lei voleva fare qualcosa di più, eppure non ne sapeva nulla di animali in pericolo…
Diede uno sguardo alla brochure che aveva tenuto tra le mani per tutto quel tempo, spiegazzandola e facendola rigirare tra le dita con noncuranza.
Su una delle pagine vi era una descrizione dettagliata del tema della mostra, ossia gli Animali Codice Rosso.
Cominciò a leggere.
«Gli Animali Codice Rosso (Red Data Animal) sono animali classificati come vulnerabili, minacciati o a rischio critico d’estinzione. In tutto il pianeta, circa 2580 specie animali fanno parte di questa particolare categoria. La distruzione dell’habitat naturale e la caccia di frodo sono tra le cause più comuni d’estinzione. Per contrastare il fenomeno, i Governi scelgono di monitorare queste specie immettendone gli esemplari in riserve naturali o aree protette.»
«Ti interessa, eh?» Commentò Masaya, arrivandole alle spalle.
Ichigo percepì il contatto con il suo corpo lungo tutta la schiena e s’irrigidì all’istante per l’imbarazzo.
«S-si! È davvero molto interessante!» Balbettò lei, senza avere il coraggio di guardarlo in faccia. Sentiva di essere arrossita all’inverosimile.
Proprio mentre stava pensando a come reagire, Masaya s’allontanò da lei, facendola sospirare per il sollievo.
«Vieni qui, c’è un animale che voglio mostrarti.» Mormorò il ragazzo, convincendola a seguirlo. Poco più avanti sulla medesima parete, la rossa scorse delle grandi foto a colori di uno splendido felino dal manto a strisce nere e arancio-dorate, l’aria al tempo stesso regale e possente.
Rimase a bocca aperta.
«Questa è la parte di mostra che tratta i felini, a quanto pare.»
Masaya ridacchiò solo per un attimo, avendo notato come l’argomento interessasse particolarmente alla sua amica. Poi tornò serio s’accinse ad illustrare ad Ichigo quello che sapeva sulla Tigre Siberiana*, ossia l’animale ritratto in quelle immagini.
«Questo animale vive in ristrette regioni dell’Asia, e purtroppo ne esistono solo 500 esemplari. È splendido, vero?» Le soffiò, camminandole vicino.
Per la prima volta da quando erano lì, Ichigo non era finalmente immersa in altri pensieri: le fotografie della tigre avevano rapito la sua attenzione.
Le sembrava davvero strano, ma quella creatura somigliava a qualcuno che aveva già visto.
Peccato che non riuscisse a ricordare di chi si trattasse...
«Guarda che bella quella foto con i cuccioli!» Esclamò lei, indicandone una in cui un esemplare femmina era immortalato insieme a due dei suoi cuccioli in mezzo alla neve.
Con quello sfondo candido tutt’intorno a loro, i colori sgargianti del pelo erano ancora più evidenti.
I due rimasero ancora qualche minuto a contemplare gli oggetti in esposizione, fin quando s’accorsero di aver terminato l’itinerario.
«Che ne dici, andiamo a fare un giro all’aperto?» Propose Masaya, indicandole la porta di uscita.
La rossa fece un enorme sorriso di gioia.
Finalmente potevano fare una bella passeggiata nel parco, loro due da soli!
«Certo!» Rispose lei, raggiante, prima di trotterellare allegra al suo fianco e uscire dall’edificio assieme a lui.
Il sole colpì i suoi occhi non appena mise un piede fuori.
Di fronte a lei, un lungo vialetto acciottolato serpeggiava morbidamente lungo tutta l’area verde del parco, e costeggiava di tanto in tanto ampi rettangoli di prato curati fin nei mini dettagli, dai pini bassi e cespugliosi alle aiuole colorate, fin ai grandi alberi in fiore che lasciavano cadere sull’erba tappeti di petali chiari.
Ichigo inspirò quella piacevole aria di primavera, sentendosi subito piena di energie.
Lasciò poi che il suo udito s’abbandonò all’ascolto e i suoi occhi alla vista del panorama.
Quella splendida domenica di sole il parco era affollatissimo di persone.
Famiglie con bambini piccoli, signori che portavano a passeggiare il cane, ragazzini seduti in cerchio sull’erba intenti a chiacchierare e a mangiare del cibo al sacco, anziani con i nipoti, coppiette di età variabile…una moltitudine di schiamazzi e rumori le riempivano la testa, ma non le dava particolarmente fastidio.  
Era troppo di buon umore in quel momento per poter pensare ad una cosa del genere.
Ichigo allungò le braccia in aria e si stiracchiò tutta, lasciandosi baciare dai raggi del sole.
Si sentiva infinitamente meglio rispetto a qualche minuto fa, chiusa dentro al padiglione della mostra.
«Tieni, Momomiya-san.» La richiamo Aoyama, porgendole una lattina colorata.
Ichigo la prese tra le mani e lo ringraziò, poi lesse la scritta tonda e bianca che campeggiava sull’alluminio colorato. Era una bibita dolce al gusto matcha**.
Un sorriso luminoso si stampo’ sul suo volto.
«Ah! Te ne sei ricordato, Aoyama-kun!» Cinguettò tutta felice, saltellando come una bambina.
Era la sua bibita preferita, e spesso d’estate la bevevano assieme quando erano piccoli.
«Si, è la tua preferita giusto? L’ho portata apposta da casa, spero sia di tuo gradimento!» Replicò il ragazzo, estraendo dallo zaino una bottiglietta d’acqua per sé, del tutto incurante del grandissimo entusiasmo della ragazza.
Ichigo avrebbe voluto saltargli al collo per la gioia, ma farlo lì davanti a tutti era troppo imbarazzante.
Però, era davvero tanto tanto felice.
Forse, se Aoyama-kun si ricordava quei piccoli dettagli su di lei voleva dire qualcosa.
Magari che i miei sentimenti sono ricambiati!
«Allora, Itadakimasu!» Enunciò, facendo leva sul gancio di apertura della lattina.
Tuttavia, forse per il fatto di averla agitata poco prima, non appena lo fece scattare parte della bibita le arrivò dritta in faccia in un fragoroso schizzo.
Lei abbassò le palpebre di riflesso, evitando che liquido dolce le finisse negli occhi, ma spostò la lattina troppo tardi.
Ormai era già fradicia.
In effetti, stava andando tutto decisamente troppo bene per essere vero.
«Momomiya-san! Oddio, mi dispiace, stai bene?» Si preoccupò Masaya, prendendola per una spalla e voltandola nella sua direzione.
Il ragazzo dai capelli mori sembrava davvero mortificato, ma Ichigo, troppo impegnata ad evitare il suo sguardo, non se ne accorse.   
Piegò la testa da un lato e cercò di togliersi la bibita appiccicosa dalla faccia con una mano, senza grande successo. Inoltre, stava tentando molto goffamente di usarla per coprirsi, perché si vergognava troppo a farsi vedere in quelle condizioni da Aoyama-kun.
Che figuraccia. Quasi le veniva da piangere...
«Momomiya-san...» La chiamò ancora, dolcemente, «Va tutto bene, non è successo niente. Ora ti dò una mano ad asciugarti...» Mormorò, sorridendo rassicurante.
La rossa trovò il coraggio di guardarlo, le lacrime che premevano sugli occhi lucidi.
Poteva scommettere che anche il trucco le si era rovinato, ma in quel momento il sorriso di Aoyama-kun era più prezioso di ogni altra cosa.
Il tocco sulle sue spalle era così caldo che pensava se lo sarebbe ricordato per un bel po’ di tempo.
«Resta qui, vado a prendere della carta nei bagni.» L’avvertì poi, tornando sui suoi passi e oltrepassando la porta della mostra.
Lei rimase lì, afflitta ed a testa bassa, guardando con grande interesse i sassetti allineati del vialetto e mordendosi il labbro con grande nervosismo.
Si, non tutto il male veniva per nuocere, però...
Era incredibile come la sfortuna continuasse a perseguitarla.
Le lacrime di quel pianto amaro che aveva trattenuto in presenza del ragazzo stavano per affiorarle agli occhi, quando percepì una persona avvicinarsi molto a lei.
Quando alzò il viso s’aspettò di vedere Aoyama-kun, ma il suo sguardo incrociò quello di una ragazza molto elegante, dagli splendidi capelli blu notte acconciati in due chignon ai lati della testa.
«Usa pure questo.» Mormorò la nuova arrivata, senza un’espressione particolare in volto.  
Ichigo la fissò per qualche secondo, visibilmente imbambolata e scossa.
Infine, si decise ad afferrare il fazzoletto che le aveva allungato molto gentilmente.
Tentò di pulirsi la faccia con quello, evitando di sembrare troppo patetica.
Se le stava riservando quella premura significa che aveva assistito a tutta la scena, e la cosa non la riempiva certo di gioia.
«Grazie mille...» Mugugnò, con la faccia coperta dal fazzoletto.
Era estremamente morbido, forse era fatto di seta...
«Terribile l’amore non corrisposto, vero?*» Si limitò a dire la ragazza dai capelli scuri, con tono allusivo e canzonatorio.
A quelle parole, Ichigo sussultò, diventando rigida come un pezzo di legno.
Una smorfia di stizza le piegò le labbra.
Che razza di antipatica!, le venne dritto dal cuore.
Che senso aveva venire a prestarle aiuto se poi si divertiva a prenderla in giro?
«Cosa?!» Sbottò,  «Ma come ti permetti?!» Ribatté arrabbiata.
Tuttavia, malauguratamente, non le giunse alcuna risposta dalla ragazza che aveva appena insultato.
Al contrario, fu qualcun altro a parlare a voce alta, distraendo entrambe da quello scambio di battute.
«Sei davvero irritante!» Gridò una ragazza dai lunghi capelli biondi a pochi passi da loro. Sembrava prendersela con una sua coetanea dai i capelli color verde lattuga, acconciati in una coppia di trecce che le ricadevano sulla schiena.
Con quel chiasso stavano decisamente attirando l’attenzione...
«Ho portato un caffè caldo, come mi avevate chiesto!» Cercò di giustificarsi la ragazza con le trecce, aggiustandosi gli occhiali tondi che portava sul naso.
Ichigo le osservò in silenzio, incuriosita. Tutte le ragazze indossavano la stessa divisa scolastica, un modello alla marinara molto semplice con una camicia bianca e una gonna a pieghe color grigio tortora.
Visto la confidenza con cui si parlavano, probabilmente erano studentesse della stessa classe, e forse erano lì proprio per visitare la stessa mostra che aveva visto insieme ad Aoyama-kun.
«Ti pare che con questo caldo ti chiediamo una cosa così assurda? Imbranata!» Rincarò un’altra ragazza del gruppetto, dai capelli corti e scuri.
Il suo atteggiamento era davvero maleducato ed arrogante.
La rossa assistette a quell’ennesima battuta scherno rimanendo in disparte, ma grugnendo contrariata.
Lanciò un’occhiata alla ragazza antipatica che le aveva appena prestato il fazzoletto, e vide sul suo volto la stessa espressione di sdegno che immaginava sulla sua.
Perché maltrattare quella ragazza davanti a tutti? Per di più, per una sciocchezza come quella…
«Sta accadendo qualcosa che non va.» Proferì la mora, esaminando la scena a braccia conserte.
La sua osservazione sembrò analitica, distaccata, quasi come se fosse abituata ad assistere a scene simili.
Ichigo, invece, non riuscì affatto a prenderla a quel modo.
Quel genere di cose la facevano imbestialire.
Doveva fermare quelle ragazze, in un modo o nell’altro...si sarebbe fatta venire in mente qualcosa sul momento.
«Dobbiamo intervenire. Aiutiamola!» Esclamò Ichigo, muovendo un passo verso il gruppo di bullette, la giovane con gli chignon dietro di lei.





***






Battito cardiaco accelerato, respiro deciso e regolare, adrenalina e fibrillazione nelle vene...
La sensazione dei muscoli in movimento era come musica per il suo corpo.
inspirò a pieni polmoni l’aria piacevole e fresca che sbatteva contro il viso per via della corsa e deglutì, cercando di reidratare la gola.
Il suo sguardo vagò distratto verso il Parco Inohara di fronte a lei.
Era una zona famosa per essere particolarmente frequentata da studenti, visto che sorgeva vicino ad una scuola media e ad una sala mostre che saltuariamente era adibita alla presentazione di eventi culturali.
Era un bel po' che non faceva una corsetta passando di là.
Rispetto a casa sua era un pochino lontano, ma in fondo era una bella zona residenziale.
Approfittò dell’occasione per raggiungere il cancello di entrata e fare un giro in mezzo al verde.
Era proprio quello che le ci voleva...
Il profumo degli alberi in nuova fioritura avvolse le sue narici non appena mise piede nel parco. S’avvicinò alla piazza al centro per prendere uno dei sentieri laterali immersi tra gli alberi, e qualcosa di davvero inaspettato catturò il suo sguardo.
Proprio li, di fronte all’acciottolato circolare fatto di pietruzze chiare, guizzava un bizzarro edificio che non aveva mai visto prima.
Era una specie di castello delle fiabe color rosa chewingum, adornato da finestre a forma di cuore e da torrette sulle quali svettavano guglie e cupole rosse.
Fece istantaneamente una smorfia.
Era qualcosa di...terribilmente pacchiano...
Però, nonostante fosse di cattivo gusto, Suguri non riuscì a smettere di guardarlo.
Di certo colpiva l'interesse di chi passava di lì, e probabilmente era quello il suo obiettivo.
D'altronde, era talmente fuori dal comune che andava oltre qualsiasi principio di sobrietà.
La ragazza sbuffò, voltando lo sguardo di fronte a sé e riprendendo la sua corsa.
I riflessi verde sgargiante sulle foglie nuove e i sassi allineati del sentiero a raggiera che circondava il parco erano molto più di suo gradimento.
La sua attenzione venne rapita presto da dei rumori fastidiosi, che nulla avevano a che fare con il vento tra le fronde.
In un vialetto poco più avanti, che incrociava il suo sulla sinistra, un gruppetto di ragazze faceva fin troppo baccano.
Alcune di loro, la divisa scolastica indosso, stavano avendo problemi con una ragazzina di bassa statura e dai capelli biondi, la quale saltellava qua e là come una scimmia impazzita.
Questa urtò di proposito una delle giovani studentesse, facendo cadere a terra il bicchiere di cartoncino che aveva in mano. Il liquido scuro in esso contenuto si rovesciò a terra, ma nessuno sembrò farci troppo caso.
Ad assistere alla scena, qualche passo indietro, vi erano una ragazza bassina, dai capelli blu cobalto raccolti in due chignon ai lati della testa, e un'altra ragazza alta più o meno come lei e dagli sgargianti capelli rossi.
Ichigo Momomiya.
Alle loro spalle, decisamente lontana dal gruppo principale, una ragazza slanciata e dai lunghi capelli color lavanda s’incamminava in quella stessa direzione, a passo spedito ma elegante.
Suguri aggrottò la fronte e si fermò più indietro.
Non s'aspettava di incontrare quella ragazzina proprio lì.
S’era appena trasferita, o almeno così aveva detto...eppure se la ritrovava di fronte per la seconda volta nel giro di pochi giorni.
Coincidenze?
S’avvicinò ancora, restando il più defilata possibile.  
Non voleva ammetterlo, ma in realtà era curiosa...
Nonostante tutto, però, non riuscì però a percepire nient’altro che schiamazzi.
Pensando che quello fosse il segno che le suggeriva di non ficcare il naso optò per cambiare strada, ma...
All'improvviso, un boato assordante scosse tutta l'area del parco, sconquassando la terra. Il rumore fu così forte che le sue orecchie fischiarono e finirono per stordirla per qualche secondo. Si guardò attorno, e tra i tronchi degli alberi vide numerose persone che qua e là correvano confuse e in preda al panico. Il loro vociare spaventato si mischiò al rombo basso che accompagnava quella scena surreale.
Un terremoto.
Devo stare calma, pensò lei, con il cuore in gola.
La sua prima reazione fu quella di correre in punto che fosse sgombro da alberi o pali di metallo. Passò attraverso le piante allineate lungo il vialetto per rifugiarsi in un ampio spazio aperto ai limiti del parco.
Deglutì, senza smettere di correre.
Voleva mettersi del tutto al sicuro, ma fu costretta a fermarsi non appena le mancò il fiato.
Si piegò sulle ginocchia con tutto il corpo per distendere il busto e recuperare ossigeno più velocemente.
Sbatté le palpebre un paio di volte.
Tutto sembrava vorticare molto di più in quella posizione.
Proprio mentre stava prendendo in considerazione l'idea di sedersi, il tremore della terra rallentò sensibilmente fino a scomparire.
Stupita, Suguri balzò in posizione eretta e si guardò nuovamente attorno.
I suoi occhi ciliegia tornarono istintivamente a quello strano edificio rosa, le cui guglie più alte sbucavano da dietro gli alberi.
Era confusa. La scossa s’era placata troppo in fretta.
«C’è qualcosa che non mi quadra...» Mormorò tra sé e sé.
Prima che potesse rifletterci sopra, una luce intensa l’accecò, avvolgendo completamente il suo campo visivo.
Le era sembrato chiaramente che si fosse irradiata dal tetto del castello rosa.
Provò a concentrarsi un po’ meglio, nel tentativo di formulare ipotesi plausibili, ma immagini e pensieri s’accavallarono nella sua mente.
Era così difficile pensare...
Percepì distintamente le palpebre come intorpidite, pesanti come pietre.
Le abbassò senza pensarci due volte, abbandonandosi a quella sensazione mai provata prima, cadendo di peso riversa al suolo.
Avvertì sottili fili d'erba solleticarle la guancia a terra, prima di perdere definitivamente conoscenza.

 




***





Quando riaprì gli occhi, le sembrò di non percepire più il suo corpo.
Si sentiva leggera come una piuma, come chiusa dentro ad una bolla di sapone.
L'aria calda e umida rendeva la sua pelle madida di sudore.
Non c'era nulla, lì attorno. I suoi occhi scorgevano solo il colore rosso-aranciato in varie sfumature, come quello del sole al tramonto.
Fu in quel momento che proprio di fronte a lei si materializzò una grossa sagoma luminosa.
Suguri l’osservò con curiosità, cercando di percepirne i contorni.
Lo stupore si dipinse sul suo volto quando quella figura indistinta si rivelò essere quella di un grosso felino dal manto arancio-dorato a strisce nere e dai profondi occhi nocciola.
Una tigre.
Non appena la vide, una scossa elettrica corse intensa lungo il suo corpo.
Il suo sguardo si soffermò sulle zanne dell'animale, serrate in un ringhio minaccioso.
Si strinse nelle spalle e deglutì, impaurita.
Eppure, nonostante ciò avvertiva di avere con quella creatura una legame speciale, un legame che le impediva di distogliere lo sguardo.
Era come se lei e quella tigre non stessero aspettando altro che d’incontrarsi...
Suguri spostò cautamente lo sguardo sul muso dell'animale, guardandolo finalmente nel fondo delle sue pupille.
Sapeva che farlo poteva essere pericoloso, ma non riuscì a farne a meno...
Dopo attimi che sembrarono interminabili la ragazza provò a muoversi, facendo un passo alla sua destra. Scoprì di poter camminare liberamente in quella dimensione impalpabile, come se sotto i suoi piedi vi fosse il pavimento.
La tigre fece un movimento simmetricamente identico, spostandosi però nel senso opposto al suo.
Continuarono entrambe a girare in tondo, mantenendo la stessa distanza dell’inizio.  
Dischiuse le labbra, senza perderla di vista.
Non poteva permetterselo...
Probabilmente percependo la sua paura, la tigre fece un balzo verso di lei.
Suguri la evitò per un pelo, abbassandosi di scatto e rotolando alla sua destra.
Ora che era più vicina, poteva guardarla meglio.
Era maestosa e indescrivibilmente bella.
La sua stazza era enorme: forse pesava il doppio di lei, se non addirittura il triplo.
Il felino ruggì, mostrando i canini lunghi ed affilati.
Non le era chiaro perché quella tigre la stesse aggredendo, ma doveva mantenere la concentrazione o l’avrebbe fatta a pezzi.
Mandò giù un blocco di saliva come se fosse del succo di limone andato a male.
Al solo pensiero di quella scena terribile, aveva la pelle d'oca…
No, no...non farti paralizzare dalla paura…, pensò, cercando di mantenere il controllo sulle sue emozioni.
Si rimise in piedi, cercando maldestramente di nascondere il più possibile la sua insicurezza.
Non era lucida, le tremavano le gambe…
Non era la cosa migliore che potesse mostrare ad un animale feroce...ma cosa poteva fare?
Uscire di lì, eludere il suo prossimo attacco…, cominciò a elencare nella sua testa.
Ma nessuna di quelle idee sembrò convincente.
Fece un risolino.
Eludere l’offensiva di una tigre...che idea sciocca.
Il panico martellante continuava ad invaderle lo stomaco, ma tentò di non pensarci.  Allungò la schiena e simulò una posizione di difesa, le braccia avanti e i pugni serrati.
Era una situazione talmente assurda...ma così dannatamente reale.
I respiri mozzati che uscivano dalla sua bocca, i battiti impazziti del suo cuore, il formicolio nelle dita, gli occhi scintillanti di quel grosso predatore…erano veri.
La tigre avanzò di nuovo verso di lei, lentamente, mentre la giovane mora indietreggiava, mordendosi il labbro nervosa.
Quella mossa non le era di nessun aiuto.
Pensa Suguri, pensa! Sai combattere. Non lo hai mai fatto con una tigre, ma forse può funzionare. Forse puoi provare ad afferrarla al collo...
Non le sembrava l'idea più geniale del mondo, ma non ne aveva altre.
Osservò l'animale con circospezione, riprendendo a muoversi in senso orizzontale.
La tigre, che ormai non ringhiava più dà un po', la guardava a pochi metri, più incuriosita che bramosa di farle del male.
Anche il suo dorso non era più appiattito e teso, come quando stava in agguato.
La morbida coda a strisce oscillava a destra a sinistra.
«Ma cosa...» Borbottò lei incerta, quando la vide fare leva sulle zampe.
Ci siamo, pensò tra sé e sé, un attimo prima che la tigre scattasse verso di lei.
La ragazza si spostò rapidamente alla sua destra, come a voler prendere di sorpresa l'animale e agguantarlo all'ultimo momento.
Ormai era in salto e non avrebbe potuto cambiare la sua traiettoria.
Ma non appena raggiunse il suo corpo l'animale sparì, entrando letteralmente in lei.
Suguri rimase a bocca aperta quando la vide svanire in tante gocce di luce sotto i suoi occhi.
Dopo un primo momento di smarrimento, le labbra le si incresparono in un sorriso talmente dolce che le sembrava di non farlo da molto tempo.
La tigre...era incorporea fin dall'inizio.
«M’hai fregata, maledetta...adorabile amica mia...» Sussurrò con un filo di voce,
abbassando le palpebre e reclinando la testa di lato.
Un brivido caldo lungo tutto il corpo riempì ogni suo muscolo di energia nuova, mai provata prima.
Poi una sensazione di piacevole intorpidimento l’avvolse, e non ricordò nient'altro.





***





Un lunghissimo, spontaneo urlo di gioia uscì dalla sua gola, mentre bucava come un missile il cielo di Tokyo, attraversandolo in volo.
Sfrecciò verso l’alto a braccia aperte, penetrando con tutto il corpo un blocco di nuvole bianco panna. Sbucò appena un attimo dopo in un punto dove l’orizzonte disegnava splendide sfumature di colori, dalle striature gialle tenui al celeste vivo e luminoso del cielo. Tirò un sospiro, soffermandosi a lungo ad osservarne la bellezza e poi si fermò a pancia in su, distendendo il corpo e fluttuando mollemente nell’aria.
Alla vista di quella natura meravigliosa si sentiva scoppiare d’energia.
Una risata gioviale gli invase il petto.
In qualche modo si sentiva più leggero, felice.  
«Questo posto è splendido!» Esclamò con esaltazione.
Per la prima volta doveva ricredersi: il mito cui aveva sempre guardato con scetticismo si era rivelato fondato.
Il cielo era limpido ed azzurro come mai lo aveva visto in vita sua, e il sole irradiava un piacevolissimo calore che solleticava la sua pelle marmorea.
La sua luce era così accecante da rendergli impossibile soffermarvisi per più di pochi istanti. I suoi occhi non erano affatto abituati ad una luce così intensa.
Incrociò le braccia dietro la testa, restando in pensoso silenzio.
Provò a decifrare ancora una volta le emozioni che affollavano il suo cuore, prendendo respiri ampi e rilassati…
In quel momento, le prospettive ottimistiche prevalevano sulle altre.
Alla sola idea di essersi potuto perdere un’esperienza così sconvolgente si sentiva mancare l’aria nei polmoni.
Il futuro che vedeva di fronte a sé era complicato, di difficile gestione...ma il sesto senso gli diceva che sarebbe stato davvero elettrizzante.
Se non fosse partito, se non avesse messo piede su quel pianeta straniero...si sarebbe perso il paesaggio meraviglioso che riempiva i suoi occhi.
Proprio come nei suoi sogni infantili...
Ultimo, ma non per importanza...si sarebbe perso quella sconfinata indipendenza che sentiva pulsare tra le sue mani, come un ordigno pronto ad esplodere.
Quell’indipendenza che gli avrebbe regalato infinite possibilità.
Sorrise eccitato a quel pensiero.
Un brivido di turbamento scuoteva le sue membra al solo ricordo della sua quotidianità su Evemeth.
Ordini, orari, programmi, regolamenti...e quelle terribili condizioni climatiche che ti facevano immediatamente rimpiangere di aver messo il naso fuori dalle città sotterranee.
Kisshu fece l’ennesimo sospiro, cercando di levarsi quelle immagini dalla testa.
Svuotò i polmoni e, dopo interminabili minuti, decise di scendere verso terra, là dove abitavano i terrestri.
I suoi occhi scorsero immediatamente un enorme agglomerato di edifici che s’estendeva per parecchi chilometri.
Quella deve essere una città, suppose, mentre s’abbassava in picchiata, in preda alla curiosità.
Ora che era atterrato voleva prendersi un po' di tempo per osservare gli umani e comprendere il modo in cui vivevano.
Il ragazzo dai capelli color muschio scese abbastanza da giungere nei pressi di alcuni grattacieli, le cui facciate erano completamente ricoperte da finestre.
Le sue narici vennero istantaneamente avvolte dal terribile odore che riempiva e appesantiva l'aria, rendendola quasi irrespirabile.
«Che diavolo è questa puzza?!» Esclamò seccato, portandosi il dorso della mano contro il naso. Tuttavia, sapeva bene che quella domanda era destinata a restare senza risposta.
Decise di non pensarci, preferendo guardarsi attorno.
Una moltitudine di rumori di cui non riusciva a percepire l’origine aggredì le sue orecchie. All’altezza del suolo, sulle strade lastricate di grigio, un rombo sordo s’espandeva, rimbalzando contro quegli alti edifici trasparenti.
Kisshu serrò le labbra, rimanendo in osservazione.
Una scossa tellurica…
Ipotizzò, incrociando le braccia.
Strinse gli occhi, concentrandosi sulla marea di persone sotto i suoi piedi.
Nonostante quello che stava accadendo gli umani parevano tranquilli, come se fossero abituati a quell'eventualità.
Sbuffò. Niente che potesse rapire il suo interesse...
Lanciò lo sguardo verso un’area verde a due passi a sud da lì, abbracciata da alberi meravigliosi, come non ne aveva mai visti sul suo pianeta.
Sbatté gli occhi incuriosito, quando, tra quelle grosse fronde verdi e rigogliose vide brillare una luce improvvisa che non sembrava avere nulla di naturale.
Senza pensarci due volte lasciò perdere il desolante paesaggio urbano per tuffarsi dritto in direzione del parco.
Lo raggiunse dall'alto e restò sopraelevato, poco sopra le piante.
Lì numerosi umani se ne stavano seduti, inginocchiati a terra, riuniti in ampie distese verdi e vociavano confusamente, tentando di confortarsi.
Un balenio luminoso, che irradiava dal tetto di un bizzarro edificio rosa, s’affievolì fino a spegnersi.
Fece balzare gli occhi da una parte all’altra del parco, senza capirci gran ché.
Non aveva idea di quello che stava succedendo...ma voleva vederci chiaro.
Scese piano, fluttuando mollemente nell’aria, quando circa a ore dieci scorse il corpo inerte di una ragazza in mezzo all’erba, che non reagiva per niente al trambusto che la circondava.
Che fosse priva di sensi?
Kisshu fece spallucce.
Che m’importa…è solo un’umana, pensò.
Poi, però...la osservò meglio, concentrandosi più a fondo su di lei.
Quello che vide lo lasciò a bocca aperta.
Riusciva a percepire la sua forza vitale, e doveva ammettere...che era tra le più forti che avesse mai captato in vita sua**.  
Un sorriso sghembo gli si dipinse sul volto, mentre ticchettava con le dita sul suo mento.
Finalmente qualcosa di interessante.
Era ancora troppo in alto per compiere le sue indagini, così decise una volta per tutte di raggiungerla, scendendo fino al suolo.
Non curante di farsi notare da chicchessia, s’accucciò al suo livello e cominciò ad esaminarla attentamente.
Era una ragazza dalla corporatura esile e dai lunghi capelli neri, legati dietro la testa con un nastro, che ricadevano disordinatamente sul suo viso.
Lui li scostò di lato e la fece rotolare piano a pancia in su, stando attento a non svegliarla.
Dormiva beatamente.
Chi poteva starsene lì a ronfare nel bel mezzo di una scossa tellurica?!
«Che razza di tipa...» Commentò.
Poi la osservò con più interesse.
Le sfiorò la guancia con la mano e le afferrò il viso, volgendolo nella sua direzione.
Aveva il naso sottile, le ciglia lunghe e dei lineamenti molto femminili.
Le labbra socchiuse disegnavano la forma di un cuore leggermente allungato, e aveva quelle piccole orecchie tonde ai lati della testa...
Quanto sei carina…
Si ritrovò a considerare, compiaciuto.
Indossava una maglia bianca a maniche corte, che le lasciava scoperta una piccola striscia di pelle vicino all'ombelico, e un paio di pantaloni neri parecchio aderenti.
Ai piedi portava delle scarpe color rosso accesso.
Kisshu rimase immobile a fissarla per qualche secondo, in silenzio.
Riuscì distintamente a sentire l'energia prorompente che aveva percepito prima: vibrava sotto la pelle di quella ragazza, come il sangue nelle sue vene...
«Chissà perché la tua forza vitale è tanto luminosa...» Sì domandò, indugiando a lungo su di lei, le pupille palesemente dilatate. Un pensiero bello chiaro invase la sua mente, e un sorriso lascivo incurvò le sue labbra subito dopo.
Ma si, in fondo...era la prima umana che poteva controllare da così vicino….
Senza emanare un fiato, allungò le mani sul corpo della ragazza e le infilò piano sotto la maglia.
In un battibaleno raggiunse i suoi seni e li prese tra le mani.
Li accarezzò con i polpastrelli, lentamente...
Sorrise sornione, rilassando i muscoli.
«Niente male...» Sibilò soddisfatto, guardandola.
Sulla Terra sembrava tutto meglio che sul suo pianeta...
Si mise a ridere a quel pensiero.
Subito dopo lanciò uno sguardo più in basso, verso l’inguine della ragazza.
Inarcò un sopracciglio.
Dovrei controllare anche lì...*, considerò lui, galvanizzato a quell’idea.
Spostò la mano destra dal suo seno, sfiorando con i polpastrelli delle dita il ventre nudo, e raggiunse il bordo dei pantaloni.
Si fermò solo per un breve istante, prima che...
Prima che la mano della ragazza afferrasse saldamente il suo polso, serrandolo in una presa di ferro.
Kisshu sentì le ossa criccare e gemette per il dolore, colto completamente in fallo.
Strattonò il braccio per liberarsi, quando si rese conto con stupore che la sua malcapitata vittima l’aveva bloccato ad occhi chiusi.
Cos'è, uno scherzo?
A quella constatazione, il corpo dell’umana fremette e si mosse.
Temendo che stesse per svegliarsi, il ragazzo dagli occhi dorati scelse di teletrasportarsi ad una certa distanza da lei.
Ricomparve sopra la sua testa a circa dieci metri dal suolo.
Aguzzò la vista, osservandola in silenzio ancora una volta.
La vide alzarsi a sedere e guardarsi attorno confusa, come se stesse cercando qualcuno.
Rimase seduta sull'erba per un paio di minuti, con aria piuttosto scombussolata.
Forse era troppo occupata a perdersi nei suoi pensieri per fare caso ad altro.
Probabilmente, non si era per niente accorta di lui.
La sua forza vitale, comunque, continuava a risplendere al centro del suo petto, con un’intensità che non accennava a spegnersi.
Kisshu non la perse di vista, e seguì ogni suoi piccolo movimento mentre lei s’alzava in piedi e si dava una sistemata, strofinandosi i vestiti che aveva addosso per levare le tracce di terra ed erba.
Un sorriso obliquo e beffardo si stampò sul suo volto.
«Non finisce qui Bambolina, ci incontreremo di nuovo, stai sicura...» Mormorò tra sé, «...la tua forza è talmente luminosa che la riconoscerei tra migliaia…» Soffiò compiaciuto.
Sciolse le spalle, rilassato, e aprì il palmo della mano destra, facendo comparire dal nulla una piccola medusa trasparente in grado di fluttuare nell’aria.
La fece cadere al suolo con un gesto del polso.
Quel posto sembrava parecchio frequentato: ciò lo rendeva perfetto per il suo scopo.
Incrociò le braccia dietro la testa e rise di gusto.
Per ora andava tutto secondo i suoi piani.
«Sarà divertente...»  Esclamò in fibrillazione l’alieno, prima di allontanarsi dal parco alla ricerca di nuovi luoghi in cui piazzare i suoi parassiti.









 
***


* La Tigre Siberiana o Tigre dell’Amur (Pantera Tigris Altaica) vive in ristrette zone della Siberia Sudorientale, al confine con alcune regioni cinesi e nord coreane. La popolazione è cominciata a calare considerevolmente a partire dal XIX secolo, in particolare a causa della caccia illegale e della riduzione del loro habitat naturale, che un tempo si estendeva anche alla Corea del Sud, alla Manciuria e alla Mongolia. Nel 2004, anno in cui è ambientata la storia, la Tigre Siberiana è classificata come specie a rischio critico d’estinzione e ne sopravvivono tra i 500 e i 600 esemplari, per lo più in riserve o aree protette monitorate dalle autorità competenti.  
* L'autrice si fa piccola piccola *
«Non ho scelto la tigre perché è un animale mainstream o figo. C'è tutta una storia personale dietro questo animale, legato ad alcune parole che care amiche mi hanno detto in alcuni momenti difficili della mia vita.
Questo mi ha in un certo qual modo spinto a legarmi molto a questo animale.
Comunque, credo che sia particolarmente indicato per descrivere la personalità di Suguri, la quale non ha ancora mostrato realmente chi è.
Ma per questo c'è bisogno di tempo xD
Un giorno racconterò la genesi legata a questa scelta sulla mia pagina personale.
Continuate a seguirmi! ^^» nd Kuro
** Il matcha è il gusto tè verde. I giapponesi fanno qualsiasi cosa al tè verde.
La bibita l’ho inventata, ma non è escluso che esista veramente xD
* La scena è presa dal primo capitolo del manga, saltando un po’ qua ed un po’ la.
Se avete bisogno di rispolverarvi le idee, andate a leggere xD
** Nell’episodio 7, Kisshu tenta di prelevare l’energia a Purin dicendo che ha una forza vitale molto luminosa. Credo proprio che dipenda dal fatto che i suoi geni siano latenti e che tutte le Mew Mew possiedono questa specifica caratteristica.
* * L’autrice incrocia le braccia e lo fissa con sguardo ammonitore *
«Che c’è? Lo faccio per amore della scienza!» nd Kisshu col naso da Pinocchio
«Ceeerto...la prossima volta provaci mentre lei è sveglia!» nd Kuro ridendogli in faccia

 

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Capitolo 6
*** First Act ~ IV. Strange Things. ***


IV.
Strange Things.

 









Cos'è questo suono?
Si chiese, quando le sue orecchie sentirono parole farfugliate tutte di seguito l'una all'altra, senza che fossero intervallate da pause.
Chiunque stesse parlando aveva una voce terribilmente acuta, ma la cosa ancora più strana era che lei riuscisse a seguirla, nonostante fosse così veloce.
Sto sognando?
S’interrogò ancora.
Non vedeva nulla di fronte a sé, a parte un riverbero di luce alla sua destra.
Questo si muoveva impercettibile ad ogni suo respiro.
Già, è vero...quel suono era familiare.
Lo aveva già sentito prima, ma non riusciva a ricordare dove...ed era estremamente frustrante.
Un brivido scosse i muscoli della sua spalla sinistra e così tutto il braccio, facendo scattare le sue dita.
Socchiuse le labbra quando percepì una sottile patina di sudore sulla nuca, sotto l'attaccatura dei capelli.
Le sue palpebre ebbero un guizzo e cominciarono a muoversi.
Piano piano si aprì attorno a lei l'immagine in penombra di un ambiente completamente ovattato.
Lo riconobbe: era la sua stanza.
La scrivania in legno di fronte al letto a due piazze, i libri impilati in perfetto ordine e il bauletto portagioie con chiusura a gioiello appoggiati sopra, lo specchio ovale con la preziosa cornice fatta di rami intrecciati in lapislazzuli appeso al muro, sulla sinistra; il tutù bianco in tulle, con inserti di tessuto cangiante e il ricamo delle ali ripiegate sulla gonna, sulla destra.
L'aveva indossato per la rappresentazione del Lago dei Cigni solo l’anno prima, e aveva deciso di lasciarlo in bella vista nella sua stanza per ricordare a sé stessa e agli altri il traguardo che aveva raggiunto.
Era il simbolo della sua costanza e della sua determinazione.
Minto sbatté gli occhi e appoggiò i palmi delle mani sul materasso, facendovi affondare le dita. Le usò come perno per alzare il busto e mettersi a sedere.
Si guardò attorno, ancora confusa, e ruotò il collo alla sua destra.
Eccolo là, il fascio di luce che la tormentava in quello strano sogno: filtrava dalla finestra della sua stanza insinuandosi tra le persiane lievemente aperte.
Eppure...quella voce.  
Aveva aperto gli occhi...si era svegliata, ma la sentiva ancora in fondo alle sue orecchie, non era un’allucinazione.
Arricciò il naso, scocciata.
Ora che non era più tra le braccia di Morfeo sentiva più chiaramente, e non percepiva più una voce singola.
Ora ne sentiva addirittura due.
La sua casa era grande, e difficilmente le giungevano rumori dalle domestiche o da Obaa-san, per di più a quell’ora del mattino.
Chiuse gli occhi e provò a concentrarsi.
Un minuto dopo si era già mossa, lasciando a penzoloni le gambe su una delle sponde del letto.
Si diresse a piedi nudi verso la portafinestra che dava sul balcone della sua stanza e spinse verso l’esterno una delle persiane.
Lasciò che i suoi occhi si proiettassero oltre la fessura e con grande sconcerto vide una coppia di uccellini appoggiati al davanzale, ma invece di cinguettare...parlavano, ed usavano quel paio di vocine stridenti.
Il suo cuore cominciò a battere forte, mano a mano che lo sgomento s’apriva nel suo petto.
Restò lì, a fissare quei piccoli animaletti parlanti, cercando di metabolizzare quella scomoda e assurda realtà.
Le parve un’impresa impossibile, ma non poteva nemmeno negare l’evidenza.
Si diede un pizzicotto sulla guancia, uno sul dorso di una mano e uno sulla coscia destra, dove la pelle nuda veniva lasciata scoperta dalla sua camicia da notte, ma quelle minuscole e rapide paroline non cessarono.
Oltre a quelle più vicine, ora riusciva a sentirne altre più flebili, come se fossero in lontananza. Quelle di altri uccelli nelle vicinanze, supponeva.
Ad un certo punto non resse più.
Le sue labbra tremarono, e così tutto il corpo.
Aprì la bocca e lanciò un urlo che veniva dritto dal suo ventre.
Gli uccellini, come lei aveva previsto, volarono via, spaventati a morte.
Finalmente quelle vocine assordanti e fastidiose si fermarono, sostituite dallo sbattere morbido delle loro piccole ali.  
Poi sospirò, indietreggiando fino al letto, inciampando contro il materasso.
Si fece passare una mano sulla fronte, inchiodando lo sguardo alle interessanti piastrelle della sua stanza.
Ora se l’era ricordato, dove aveva già sentito quelle vocine.
Proprio il giorno prima, infatti, era andata al Parco Inohara per visitare una mostra.
Aveva incontrato una ragazza un po’ imbranata, con i capelli rossi legati in due codini, poi vi era stato un terremoto improvviso e un fascio di luce molto forte l’aveva accecata completamente.
Cadde addormentata, o almeno così le era parso, e fece un sogno decisamente particolare dove incontrò un piccolo volatile dal meraviglioso piumaggio blu, il petto bianco e un sottile becco giallo-arancione.
La sua memoria era confusa, ma in qualche modo la sua testa associava quel genere di suoni a quel momento.
Ricordava poi di essersi risvegliata in stato confusionale e dopo quelli che erano stati, probabilmente, pochi secondi, ma che a lei erano sembrati molto più lunghi.
A quel punto, la ragazza con i capelli rossi se n’era già andata.
Pensava di aver avuto un calo di pressione, o uno svenimento dovuto allo spavento, anche se l’aveva considerata solo un’ipotesi, una spiegazione plausibile a quello che era accaduto.
Ma ora...dubitava della sua teoria.
Minto mandò un sospiro, inghiottendo saliva.
Era tutto troppo strano, e non riusciva a trovare logica a quegli avvenimenti, ma di di due cose era imprescindibilmente sicura.
Non era pazza.
E ora, sapeva misteriosamente comprendere il linguaggio degli uccelli.




 

***





Ichigo strinse tra le dita la sua cartella e mandò un lungo sospiro.
Uno strano nervosismo muoveva le sue gambe in un modo rigido e meccanico.
Sbatté gli occhi e guardò di fronte a sé, senza fare attenzione a nulla in particolare.  
Era rilassante stare a fissare la distesa azzurra del cielo mattutino, così come le nuvole candide e spumose e i loro pigri movimenti.
E di relax, in quel momento, ne aveva proprio bisogno.
Quella era la tipica giornata in cui si era alzata con il piede sbagliato, e il suo sesto senso le diceva che sarebbe successo qualcosa di sgradito ed inaspettato prima di sera.  
E comunque, non faceva altro che pensare a quello che era successo il giorno prima, e la cosa la seccava non poco.
Non poteva crederci quando prese coscienza del fatto che all'appuntamento con Aoyama, di punto in bianco aveva perso conoscenza, e poi s’era...addormentata.
Ad un appuntamento. Con Aoyama-kun.
Non riusciva a capacitarsi di come fosse successo.
Ricordava una scossa di terremoto e una specie di bagliore provenire dall'alto, poi più nulla. Quando riaprì gli occhi, Aoyama-kun era lì con lei, sul prato di una delle aree verdi del parco Inohara.
In mano aveva una bibita e guardava l'orizzonte: era ormai il tramonto e il sole stava lasciando posto alla notte, colorando il cielo di  splendide sfumature aranciate.
Nonostante l'enorme disagio che gli aveva procurato, il suo amico l'aveva vegliata per tutto quel tempo, senza lamentarsi e senza battere ciglio.
L'ennesima dimostrazione che Aoyama-kun era una persona speciale, e lei un'imbranata di prima categoria!
Era sempre andata così con lui.
Ogni volta faceva certe figuracce...
Le faceva anche alle scuole elementari, quando era in classe con lui e usava praticamente ogni scusa per provare ad approcciarlo o parlargli.
A volte era troppo goffa e timida e finiva per fargli cascare addosso degli oggetti: accadde a ricreazione, quando si mise a correre verso di lui con il bento in mano, e puntualmente inciampò di fronte al suo naso, facendo rovesciare il suo pranzo a terra.
Oppure quella volta in cui, sbattendo distrattamente il cancellino fuori dalla finestra dell'aula, le sfuggì dalle mani e finì proprio in testa a lui, che in quel momento stava attraversando il vialetto esterno.
Quella mattina era arrivata prestissimo a scuola e si era fatta assegnare a tutti i costi il turno di pulizie della classe perché lui si era offerto per primo di farlo proprio quel giorno, in cui non aveva gli allenamenti di kendo.
Ricordava di averlo ammirato davvero molto in quell'occasione.
Nonostante fosse sempre impegnato con il club – partecipava perfino a delle gare regionali - non si sottraeva mai ai doveri scolastici di sua competenza.
Lei voleva poterlo emulare, almeno un po'...e così, finiva quasi sempre per ronzargli attorno. Tuttavia, nonostante i suoi sforzi lui pareva davvero ottuso, e non si accorgeva della cotta spaventosa che aveva per lui.
La trattava come semplice amica.
Bene o male, quella cosa le bastava...Aoyama-kun era un ottimo amico, e dispensava sempre una parola gentile o un consiglio.
Li aveva sempre per tutti, in fondo...per questo non riusciva mai a capire cosa pensasse davvero di lei.
La ragazza piegò le labbra in un broncio.
Doveva scusarsi a modo con lui, anche se le aveva fatto capire che non era necessario.
Mentre si scervellava sulle parole che avrebbe potuto dirgli, si portò una mano alla bocca e fece un grosso sbadiglio.
Quella mattina era particolarmente assonnata...e non aveva sentito la sveglia, come sempre.
La sveglia...
Un tintinnio simile a quello della sua sveglia risuonò nelle sue orecchie in quell’esatto momento.
La riconosceva: era la campanella della sua scuola in fondo all'isolato.
Però...non le arrivava come un suono lontano, ma piuttosto come un suono molto vicino. Sentì quelle vibrazioni rimbombare nelle sue orecchie ed ebbe un lieve calo di pressione, seguito immediatamente da una sensazione di fastidio.
Era come se si trovasse nel vialetto di fronte alla porta d’entrata, eppure era diversi metri più indietro.
Che cosa strana...
La rossa grugnì ed accelerò il passo.
Non c’era tempo per farsi delle domande: se la campanella stava già suonando significava una cosa sola.
«Sono in ritardo!» Esclamò allarmata, cominciando a correre.
Il suo corpo, prima intorpidito, le sembrò stranamente agile tutto di un colpo, ma non vi fece molto caso.
Mosse passi lunghi e pesanti lungo il marciapiede e percorse rapidamente la strada che la separava dalle strisce pedonali davanti al cancello della scuola.
Si lanciò in mezzo alla carreggiata senza curarsi di fare attenzione, ma un guizzo dritto nelle sue orecchie quasi la stordì, avvertendola di un'auto in rapido avvicinamento.
Si bloccò all'improvviso e fissò il veicolo con angoscia.
I piedi sembravano incollati all'asfalto, i suoi occhi pieni di paura.
Era paralizzata…
Deglutì, pensando di essere spacciata, quando...
All’improvviso piegò le ginocchia e le sue gambe scattarono come molle, mentre tutto il corpo si piegava verso il basso.
Spiccò un balzo che non aveva nemmeno deciso di compiere, elevandosi ben al di sopra dell’auto che stava rischiando di investirla.
Aprì la bocca stupefatta.
Cosa diavolo…?!
Riuscì a malapena a pensare, prima di atterrare sull’asfalto con incredibile rapidità, ammortizzando l’impatto con le gambe e con le braccia come se sapesse farlo da una vita.
Rimase a fissarsi i piedi, particolarmente scossa.
Il suo cuore non aveva ancora smesso di battere forte per lo spavento...e lei non aveva ancora afferrato bene cosa cavolo fosse accaduto.
Raddrizzò la schiena non appena sentì la campanella suonare per la seconda volta.
Si guardò attorno con goffo nervosismo, sperando che nessuno l’avesse vista fare quella cosa per cui non sarebbe nemmeno stata in grado di fornire spiegazioni plausibili, e riprese a correre.
Attraversò il cancello d’entrata appena in tempo.





 
***





Quella giornata era stata davvero stressante.
Fortunatamente nessuno l’aveva vista fare acrobazie fuori da scuola, ma questo non le aveva impedito di pensarci durante le lezioni, finché non aveva finito per addormentarsi come un sasso con la testa sul banco e la bava alla bocca.
Era stato davvero imbarazzante.
Non le era mai successo prima, nemmeno durante la lezione più noiosa del pianeta, e comunque...
Non era riuscita a venire a capo di quel mistero.
Non v’erano spiegazioni logiche al salto che aveva fatto quella mattina, grazie al quale era riuscita perfino a saltare in altezza un’automobile…
Avrebbe volentieri deciso di archiviare quella faccenda se, a pranzo, non avesse provato l’impulso irresistibile di mangiare tutti i gamberi e bocconcini di pesce dal pranzo della sua neo amica Moe, seguito dal prevedibile e spietatissimo cazziatone da parte di lei.
A quell’odorino così stuzzicante il suo corpo s’era mosso praticamente da solo, e la gola aveva fatto il resto*.
S’accorse di quello che aveva fatto solamente quando era troppo tardi, e a quel punto si era pietosamente dilungata in scuse alquanto mirabolanti, inventandosi perfino che non mangiava pesce da secoli perché sua madre era diventata vegana da qualche mese e in famiglia metteva tutti a stecchetto.
Di fronte a quella scenetta la sua amica l’aveva perdonata, ma solo a patto di restituirle il favore e offrirle il pranzo un giorno o l’altro.
La rossa sbuffò, mentre imboccava uno dei sentieri ciottolati del parco Inohara, strascicando i piedi a terra alla disperata ricerca di una panchina dove potersi stendere qualche minuto per conto suo, senza pensare a nulla.
Era esausta. Ne aveva davvero bisogno...
Prima che potesse scorgerne una, un brivido attraversò la sua colonna vertebrale all’improvviso, facendola scattare sull’attenti.
I suoi sensi erano davvero molto più sensibili del normale, quel giorno…
Si guardò attorno, allarmata.
Percepiva qualcosa...ma capire cosa fosse sembrava davvero un’impresa.
Il suo istinto le fece imboccare una stradina sulla destra, che percorse con grande frenesia e un grado di attenzione ai massimi livelli.
Non poteva perdersi nemmeno la più piccola vibrazione.
Non riusciva bene a capire perché fosse così irrequieta, ma non riusciva proprio farne a meno…
Sorpassato il fitto viale alberato, tra i tronchi scorse piacevolmente la figura di Aoyama-kun.
Il cuore le schizzò dritto in gola.
S’era appena ricordata di dovergli delle scuse, ma…
Ora non era psicologicamente pronta per affrontarlo.
Non deve vedermi qui!, pensò tutta agitata.
Strinse le labbra e fece per fare dietro front in maniera estremamente silenziosa.
Dovette però bloccarsi a metà quando scorse una sagoma ben più spaventosa dietro quella di Aoyama-kun.
Un’ombra gigantesca e mostruosa...che non aveva nulla di umano.
Il suo corpo si mosse da solo, proprio come quella mattina.
«Aoyama-kun!» Gridò la rossa, sbucando dagli alberi, «Sta attento!» Aggiunse, visibilmente spaventata, correndo verso di lui.
La sagoma si fece in un attimo più chiara, rivelando la sua vera forma: era quella di un enorme topo, con delle zampe anteriori particolarmente lunghe e il pelo grigiastro. Due incisivi affilati uscivano dalla sua orribile bocca e gli occhi erano agghiaccianti, color giallo vivo.
Ichigo deglutì, fermando la sua corsa.
Successe tutto in un secondo. Il topo gigante caricò il colpo e diede una sonora zampata ad Aoyama-kun, sbalzandolo qualche metro più a destra.
Il ragazzo andò a sbattere contro un albero, perdendo immediatamente conoscenza. Un rivolo di sangue scivolò dalla sua fronte lungo tutto il viso e oltrepassò il mento, sgocciolando a terra.
Un urlo di terrore le salì dritto dallo stomaco ed uscì dalle sue labbra come un lamento distorto e doloroso.
Cominciò a respirare pesantemente, ad intervalli irregolari.
Grosse lacrime sgorgarono dai suoi occhi, con i quali tentava come poteva di osservare i movimenti di quell’orribile creatura.
La vide puntare gli occhi gialli su di lei, e il suo primo impulso fu quello di distogliere lo sguardo.
Tremò.
Aveva una paura terribile.
Voleva salvare Aoyama-kun...ma era terrorizzata!
Cosa avrebbe potuto fare lei, così minuta e debole, contro quel mostro gigantesco?
Non aveva nessuna possibilità...
Quando rialzò gli occhi vide il topo avvicinarsi a lei, battendo a terra le zampe senza nessuna grazia.
Un altro grido le si strozzò in gola.
Scappa, Ichigo…! Vai a chiamare aiuto!
Le sembrò la soluzione più plausibile.
Fece appello alla paura e all’adrenalina infuse nel suo corpo per mettersi a correre più veloce che poteva.
Solo pochi attimi e si ritrovò sospesa per aria, due braccia attorno alla vita e la testa contro il petto caldo di un...ragazzo.
Prima di rendersene davvero conto era già su un albero, il sedere ben piantato su un ramo robusto e dall’aria resistente.
«Piacere di conoscerti, Ichigo Momomiya!»
Lei alzò gli occhi nella direzione di quella voce e fu decisamente stupita di trovarsi di fronte un biondino dagli occhi azzurrissimi e la carnagione olivastra ,che le sorrideva in maniera alquanto beffarda.
Da dove era spuntato? Come diavolo aveva fatto a salvarla con quella velocità? Come era riuscito a spiccare un balzo tanto alto da portarla fin sopra un albero senza il minimo sforzo?
Ma soprattutto…
«Chi...chi diavolo sei tu?!» Balbettò con voce stridula, sputando fuori tutto il nervosismo che aveva in corpo.
S’immobilizzò, cercando di regolare il respiro e il battito del cuore, entrambi troppo veloci.
Strinse gli occhi, concentrandosi sul punto in cui la mandibola di quel ragazzo diventava la linea del mento, il suo collo coperto da una fascetta girocollo, le clavicole scoperte…
Ma l’attenzione di lui era tutta per il mostro a pochi metri da loro, motivo per il quale non stava facendo caso al suo sguardo indagatore.
Non ci capiva più nulla.
Tutt’attorno le sembrava ovattato…
«Dannazione!» Esclamò il biondo fuori dai denti, mentre l’afferrava di nuovo sotto le braccia e le agguantava le ginocchia.
Lei accettò senza opporsi di farsi trascinare come un peso morto su un altro albero, poco distante dal precedente.
Alle spalle del ragazzo, il topo gigante spezzò il ramo da cui si erano appena spostati con una zampata ben assestata.
A quanto pare si divertiva ad attaccare qualunque cosa si muovesse, e messo fuori gioco Aoyama-kun, loro due era erano le sue prossime prede.
Sospirò sommessamente.
Aoyama-kun...
«Sei più pesante di quanto pensassi!» Commentò il ragazzo, mollandola di nuovo senza alcuna gentilezza.  
Ichigo s’aggrappò al nuovo ramo, cercando di non perdere l’equilibrio.
«Ma come ti permetti!?» Replicò arrabbiata, questa volta guardandolo dritto in faccia.
Lui non sembrò impressionato.
«Avanti, devi sconfiggerlo!» Le ordinò, indicando il topo mostruoso davanti a loro.
Non v’era traccia di incertezza nella sua voce o nei suoi occhi.
Non stava scherzando.
Ichigo si pietrificò, diventando di colpo tutta rigida.
«Cosa? I-io...sconfiggere quel mostro?!» Borbottò, piccata e spaventata.
Perché mai proprio lei avrebbe dovuto farlo? Non potevano lasciare la responsabilità alle forze dell’ordine?
«Si! Solo tu puoi farlo!» Ripeté ancora il ragazzo, con estrema sicurezza e fiducia.
Non riusciva a capire dove prendesse la forza per dire cose del genere...per non avere la fifa blu che invece aveva lei.
E comunque, no che non poteva farlo. Era fuori discussione.
«Non posso farlo!» Si lamentò la rossa, lo sgomento che premeva come un sasso in gola. Il ragazzo le rivolse uno sguardo severo, prima di piegare di nuovo le labbra in un sorriso divertito.
Non la stava prendendo sul serio...
Non fece in tempo a rispondere alla sua arroganza poiché lui la spinse giù dall’albero prima che lei potesse reagire.
Perse nuovamente il controllo del suo corpo e fece una capriola in aria che la riportò con i piedi a terra senza farsi il minimo danno.
Esattamente come era successo quella mattina.
Nonostante l’assurda e pericolosa situazione, si sentì minimamente sollevata.
«Non mi sono fatta niente…!» Mormorò tra sé e sé, prima di accorgersi del topo gigante alle sue spalle.
Lei si voltò verso di lui in modo da poterlo tenere d’occhio.
Lanciò uno sguardo ad Aoyama-kun, ancora svenuto a terra pochi passi più avanti.
Posso davvero sconfiggere questo mostro?, si chiese, mentre dubbio ed angoscia affollavano la sua mente.
Il topo provò a colpirla con una zampata, ma le sue gambe si mossero in automatico, facendole compiere un balzo alto cinque o sei metri che riuscì ad evitare con prontezza il suo tentativo di attaccarla.
Atterrò a terra senza fatica.
All’improvviso sentì il suo corpo traboccare di nuova forza.
«Te la farò pagare!» Esclamò determinata, indicandolo minacciosa.
Solo allora s’accorse d’indossare dei guanti rossi e un vestitino color frappè alla fragola. Una gonna a palloncino sbucava da sotto le code del corpetto, che le lasciava scoperte le spalle, le braccia e la schiena.
I piedi e i polpacci erano invece fasciati da un paio di stivali alti color rosso lampone, dalla suola comodissima e ammortizzante.
Una...coda pelosa le sbucava da sotto la gonna.
Cacciò un urlo.
«Cos’è il vestito che indosso?!**» Gridò, portandosi le mani nei capelli.
Ma non ebbe tempo per fare congetture, poiché il topo le fu addosso immediatamente.
Tentò di evitare le zampate dirette verso di lei prendendo uno dei sentieri ciottolati del parco.
Dopo pochi secondi il suo campo visivo venne completamente riempito dallo strano edificio a forma di castello rosa che aveva visto il giorno prima, il quale troneggiava al centro della piazza.
La distrazione la colse in quel momento e il topo arraffò le sue gambe, facendole perdere la stabilità necessaria per continuare la corsa.
All’ultimo fece un balzo piuttosto goffo, col quale finì per rotolare a terra per parecchi metri.
Smesso di girare come una trottola si rimise a sedere, il fiato corto e numerose contusioni sul corpo.
Il topo gigante fu di nuovo vicino a lei, gli occhi spiritati e la pazienza ai ferri corti: probabilmente non era di suo gradimento giocare a guardie e ladri.
MewIchigo tremò.
Era in trappola e non aveva la minima idea di che pesci pigliare.
Stava per rimettersi a piangere dalla paura, quando sentì qualcosa strozzarle il respiro in fondo alla gola.
A quella sgradevole sensazione, andò in panico.
Prese grandi boccate d’ossigeno, ma sembrò mancarle l’aria ancora di più.
«S...Strawberry Bell!» Sputò fuori, e tra le sue mani comparve una campanella dorata chiusa in un cuore di morbida pelliccia color magenta.
Lo osservò incredula, per qualche secondo, prima di rimettersi in piedi ed evitare repentinamente l’ennesima zampata, che spaccò parte della recinzione delle aiuole lì vicino e scardinò i ciottoli dal pavimento.
Un altro salto acrobatico l’aiutò a salire fin sopra la ringhiera che circondava il parco. Lì probabilmente poteva definirsi al sicuro.
Sbatté gli occhi, facendo scivolare un paio di lacrime sulle guance.
«Non ti permetterò di distruggere questo posto! Mi vendicherò per il male che hai fatto ad Aoyama-kun!» Affermò a denti stretti, asciugandosele con l’avambraccio.
La sua campanella e il suo guanto s’illuminarono di una bagliore chiaro ed abbacinante, ed altre parole le salirono alla gola.
Questa volta però, le accolse.
«Ribbon...Strawberry Check!»
Al palesare di quella formula, un raggio di luce si sprigionò dalla sua campanella, insieme ad un potere misterioso.
Il mostro ne venne istantaneamente accecato, prima di ridursi in cenere.
Lei lo stette a guardare, attonita, mentre diventava via via più piccolo fino a scomparire.
Lasciò dietro di sé solo una piccola medusa luminosa, che venne letteralmente ingoiata da un esserino volante a forma di palletta rosa altrettanto stravagante ed assurdo.   
Poco distante dalla palletta ricomparve dal nulla il ragazzo biondo ed arrogante di prima. MewIchigo approfittò della situazione di calma per osservarlo meglio. indossava una canotta attillata nera e un paio di pantaloni bianchi.
Il ciuffo ordinato di capelli biondi che gli ricadeva sulla fronte gli dava una specie di aria aristocratica...ma era tutta apparenza.
Sembrava un ragazzo ordinario, ma col pregio di essere decisamente più carino della media...
Dopo averlo fissato a sufficienza la Mew gatto fece un balzo, scendendo con cautela dalla ringhiera.
«Ce l’hai fatta! Te l’avevo detto!» Si complimentò il ragazzo, in preda all’euforia.
Tuttavia, MewIchigo non si preoccupò di ascoltarlo e corse immediatamente da Masaya per accertarsi delle sue condizioni.
Lo raggiunse in un attimo e s’accucciò accanto a lui.
Allungò una mano sul suo viso.
Dalle labbra socchiuse sentì fluire il suo respiro…
Sospirò.
È solo svenuto...
Il graffio che si era fatto, forse al cuoio capelluto, aveva fortunatamente smesso di sanguinare. Probabilmente non era nulla di grave.
...
Restò a guardarlo dispiaciuta, in silenzio, fin quando le sue orecchie avvertirono un ticchettio di passi alle sue spalle.
Tuttavia, nessuno parlò.
Decise di farlo lei.
«Mi vuoi spiegare cosa diavolo succede? Cos’è questa storia?!» Sbottò, volgendo lo sguardo al biondino alle sue spalle.
Era davvero infuriata!
Era stato estremamente sgarbato ed arrogante.
Per di più, l’aveva gettata giù da un albero per mandarla in pasto ad un mostro inferocito e l’aveva lasciata a cavarsela da sola senza il minimo aiuto.
Eppure, sospettava che lui sapesse qualcosa.
E voleva delle risposte...
Lui s’avvicinò di più a lei e s’inginocchiò alla sua altezza, afferrandole il mento tra le dita. La sua presa era incredibilmente salda.
«Smetti di frignare...è tutto apposto, sta tranquilla.» Replicò placido, ma con uno sguardo sorprendentemente tagliente.
Viste così da vicino, le sue iridi sembravano un mare profondo…
Ma non vi si fece incantare.
Tutto apposto?! ...Stai tranquilla?!
Ichigo scattò in piedi.
Quel ragazzo...aveva passato il limite!
«Senti tu, brutto antipatico…!» Cominciò a dire, in preda all’ira.
Tuttavia, un rumore sconosciuto alle sue spalle la distrasse.
Tese le orecchie feline e si spaventò quando qualcuno la prese dolcemente da dietro, facendola volteggiare delicatamente.
Fremette, senza sapere come reagire.
«Ryou, dovresti essere più cortese con lei, o ti prenderà in antipatia!»
Esclamò gioviale una voce maschile.
Si voltò, lo stupore dipinto sul suo volto.  
Le sue iridi incontrarono il viso di uomo dai capelli lunghi e castani e l’espressione cordiale. Vestiva in maniera parecchio elegante.
Non l’aveva mai visto prima...ma perché loro sapevano tutte quelle cose su di lei? Non ci stava capendo più niente.
«Carissima Ichigo Momomiya...» Esordì, «...io sono Keiichiro Akasaka, e lui è Ryou Shirogane. Gestiamo il locale che vedi qui alle mie spalle.» Aggiunse poi, rassicurante, indicando la struttura a forma di castello di poco prima.
MewIchigo lo guardò imbambolata, ed ebbe l’impulso di ritrarsi immediatamente.
Non poteva farsi vedere in quelle condizioni da persone normali…ma così intorpidita dallo shock e dalla paura, riuscì a farlo soltanto a metà.
Vedendola così spaventata, Keiichiro le prese la mano delicatamente e s’inchinò di fronte a lei, prima di darvi un tiepido bacio sulle dita.
A quell’inaspettata galanteria, la ragazza arrossì di colpo.
Keiichiro puntò gli occhi nei suoi.
«Non avere paura di noi, ti spiegheremo tutto. Ti prego, seguici dentro al Caffè.» Mormorò lui sorridendo gentile, prima di rialzarsi e lasciarla andare.
A quel punto, MewIchigo decise di fidarsi ed annuì con la testa.
Quella pacatezza gli ricordava Aoyama-kun...e le dolci e piacevoli giornate primaverili. Una persona così a modo non poteva certo essere cattiva.
«Ma Aoyama-kun...» Borbottò lei, lanciando un’occhiata all’amico ancora steso a terra.
Sarebbe stato un casino spiegare la situazione se qualcuno si fosse accorto di loro...e non poteva nemmeno rischiare che lui la vedesse conciata a quel modo.
Vedendola indecisa, Ryou s’abbassò a terra e raccolse il corpo di Masaya, anticipando qualunque mossa volesse fare.
Lo tenne in braccio come aveva fatto con lei qualche minuto prima, mentre cercava di salvarla dagli attacchi del topo gigante.
L’osservò con sorpresa, senza dire nulla.
Forse non era così antipatico come si ostinava a far credere...
«Ci penseremo noi. Ora andiamo!» Proferì imperativo, avviandosi verso l’entrata del cortile del caffè senza degnarla di uno sguardo.
Keiichiro lo seguì, ed Ichigo non trovò altre opzioni plausibili che fare altrettanto.
Restò dietro di loro a fissare le loro schiene, le labbra strette come se all’improvviso avesse il timore di parlare.
Non sapeva nemmeno da dove cominciare…mille domande e pensieri affollavano la sua mente.
Quella mattina aveva avuto il presentimento che sarebbe successo qualcosa di inaspettato quel giorno, qualcosa che avrebbe di gran lunga cambiato in peggio il suo umore.
Beh, non s’era sbagliata affatto.












 
***

* La classica scusa che adopero davanti ai buffet.  
** Nel manga, le Mew Mew si trasformano senza l’ausilio del ciondolo, il quale compare solo in seguito alla trasformazione. Mi è sempre piaciuta questa idea, perché sembrerebbe che le Mew Mew risveglino i loro geni nel momento in cui si trovano in pericolo per aumentare le loro chance di sopravvivenza. Dopo la prima metamorfosi, però, le Mew Mew hanno comunque bisogno del ciondolo e della formula, i quali fanno da catalizzatori dei loro poteri, visto che, come sappiamo, i ciondoli contengono la Mew Aqua.
Questa è la scelta narrativa che ho fatto io :)


  

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Capitolo 7
*** First Act ~ V. Acceptance. ***


V.
Acceptance.










Quella giornata aveva tutti i presupposti per essere davvero strana.
Infatti, quella mattina le era quasi sembrato che il suono della sua sveglia le avesse letteralmente bucato i timpani.
Scesa dal letto e corsa in cucina per fare colazione, era riuscita a rompere una tazza di ceramica semplicemente prendendola tra le mani.
Beh, forse l’aveva solo afferrata un po’ troppo bruscamente...così aveva pensato, liquidando in quattro e quattr’otto la faccenda.
A lezione di educazione fisica, poi, le era sembrato di fare la metà della fatica che facesse di solito, e si sentiva scoppiare di energie anche dopo venti minuti di corsa.
Era una persona allenata, faceva karate fin da bambina...ma quello era fin troppo anche per lei.
Sospirò, infilandosi con calma i pantaloni del kimono e la camicia da karate.
Si legò la cintura in vita, guardandosi fissa allo specchio dello spogliatoio senza una particolare espressione sul volto.
Infine, prese un elastico e si legò i capelli corvini in una coda alta.
A quel gesto, parte degli avambracci rimasero scoperti dalle maniche.
Il suo sguardo corse velocemente sul polso sinistro.
Quella voglia...
S’era accorta quasi subito, quella mattina, della singolare voglia che era improvvisamente apparsa sul polso interno sinistro.
Color rosso scuro, disegnava due coppie di onde sinuose che scendevano via via più strette fino quasi a toccarsi*.
Non riusciva a capire da dove venisse.
Aveva provato a sfregarla sotto l’acqua, ma non era servito a nulla.
Sembrava una specie di tatuaggio...
Sospirò. Ci avrebbe pensato più tardi...ora doveva andare.
Uscì a piedi nudi dallo spogliatoio e attraversò il corridoio di legno del dojo.
Raggiunse la seconda porta sulla sinistra e l’aprì.
«Hai fatto il riscaldamento?» Domandò il nonno appena entrata, come se avesse avvertito in anticipo il suo arrivo.  
Era seduto a gambe incrociate vicino al tatami, sul lato destro della stanza.
Lei si posizionò sul lato sinistro.
«Sì, nonno. Prima di cambiarmi.» Rispose, senza aggiungere nient’altro.
Entrambi si guardarono in silenzio per un po’, alla ricerca della concentrazione giusta; poi nonno Seijuuro s’alzò da terra ed entrambi si misero in posizione quasi all’unisono.
Avanzarono sul tatami, rigorosamente con il piede destro e la spalla destra in avanti.
Dopo un lieve accenno del capo, interpretabile come segno d’inizio del duello, procedettero verso il centro, avvicinandosi l’un l’altro ad ogni passo.
Suguri si lanciò sulla destra mentre lui scelse la sinistra, disegnando un cerchio invisibile nello spazio che li divideva.
Seijuuro s’inclinò in avanti e provò una presa delle braccia, ma lei indietreggiò per tempo e sorrise di rimando.
Lo guardò, il corpo rilassato ma pronto a scattare al minimo movimento.
Era suo nonno e non voleva infierire, ma non voleva nemmeno perdere...
Non aveva certo voglia di sentire l’ennesima ramanzina riguardo il suo atteggiamento nei confronti del karate o altri discorsi noiosi.
Conoscendolo, era certa che sarebbero puntualmente emersi in seguito...
Ciò su cui non v’era nessun dubbio, però, era che il nonno non era per niente da sottovalutare.
Era un cinquantaseienne decisamente atletico, fisicamente più forte di lei e padrone di una tecnica praticamente impeccabile.
«Preparati!» Esclamò la ragazza, inclinandosi di più sul fianco sinistro del suo avversario, ad una velocità quasi sorprendente.
Nonostante il divario d’età, l’uomo riuscì a starle dietro.
«Non ti conviene annunciare un attacco!» La redarguì, guardandola deciso.
Non sembrava aver voglia di arretrare...voleva lo scontro diretto, forse a costo di farsi male. Lei deglutì, cercando elaborare un piano efficace.
L’attacco era un’ottima strategia ed era generalmente quella che sceglieva per prima, ma poteva essere anche rischiosa: dopo un attacco, specie se non andato a segno, se non si aveva la giusta prontezza di riflessi subentrava un margine d’indecisione.
Era proprio quell’attimo, quella frazione di secondo che l’avversario aspettava con impazienza per poter sopraffare l’altro.
In questo consisteva giocare in difesa.
Suguri si morse il labbro, dubbiosa.
Sapeva che il nonno non si sarebbe mai tirato indietro.
Era da quando non era più una bambina che con lei non andava affatto per il sottile.
Gli piaceva poter applicare il suo carattere inflessibile alla lotta...
Ma chi non risica, non rosica...
«A te servirà, invece!» Esclamò lei, senza farsi intimorire.
Cominciò ad affondare la sua difesa, sferrando dapprima una una serie di pugni veloci, poi una gomitata.
Il suo avversario li bloccò con grande abilità, facendola al contempo arretrare nel tentativo di farle perdere l’equilibrio.
Lei non cedette e restò in piedi, evitando i suoi colpi con un balzo all’indietro, poi parò una serie di colpi diretti con gli avambracci.
Suguri s’abbassò con le spalle e si inclinò tutta a sinistra, facendosi scudo con tutto quel lato del corpo. Un paio di pugni sul costato e sul fianco le fecero perdere il respiro, ma non voleva assolutamente indietreggiare: se non avesse sfondato la difesa ora non l’avrebbe fatto più.
«Vincerò io, nonno!» Gridò, sferrando un pugno sulle sue costole.
L’uomo si bloccò per il colpo ricevuto e indietreggiò di diversi metri con una forza che aveva del sovrumano, incapace di controbilanciarla con l’equilibrio del corpo.
Andò a sbattere contro le pareti di legno con violenza non indifferente, sfiorando appena una delle finestre.
Era certa che se l’avesse centrata il vetro si sarebbe rotto.
La ragazza sussultò e si portò le mani alla bocca, assistendo alla scena del tutto inerme.
Sono stata io?, pensò incredula, tremando.
Abbassò lo sguardo a terra, cercando di misurare ad occhio la distanza tra i suoi piedi e il muro. Saranno stati poco più di due metri e mezzo.
«Nonno!» Esclamò allarmata, andandogli incontro.
L’uomo si era accasciato a terra dopo aver sbattuto la schiena e la testa contro la parete.
Suguri s’accucciò accanto a lui e lo prese prontamente sotto braccio per aiutarlo ad alzarsi. Lo guidò piano fino ai cuscini all’angolo della stanza.
Come cavolo era possibile far fare un volo del genere con un pugno**?
Non era normale. Non le era mai capitato nulla di simile.
«Brava...hai vinto, sei diventata forte.» Borbottò l’uomo, tossicchiando e accarezzandosi la parte lesa con il palmo di una mano.
Suguri lo guardò storto.
Come poteva pensare a complimentarsi con lei in un momento simile?
Scelse di ignorare le sue parole mentre gli allungava dell’acqua, che lui bevve subito.
Infine, si sedette accanto a lui a sguardo basso, le ginocchia piegate in segno di reverenza.
Trovò il coraggio di guardare solo dopo qualche secondo di silenzio.
«Non ho idea di cosa sia successo!» Esclamò, «Non so come ho fatto. Scusa.» Mormorò in seguito, mortificata, lanciandogli un’occhiata apprensiva.
Seijuuro voltò il collo verso di lei e sorrise cordiale.
Allungò il braccio sinistro e le scompigliò teneramente i capelli.
Suguri fremette a quel gesto così dolce.
«Non devi preoccuparti, sto benissimo!» La rassicurò lui, regalandole un bel sorriso.
Lei non ne fu convinta del tutto convinta.
«Sono felice che i tuoi allenamenti procedano così bene.» Affermò il maestro, guardandola con gli occhi plumbei e gentili.
La ragazza dai capelli neri non proferì parola, ma il suo viso si rabbuiò per un istante mentre ripercorreva mentalmente le immagini di ciò che era successo.
Non poteva essere merito degli allenamenti.
Era come se all’improvviso avesse a disposizione una forza sovrumana ma non avesse la minima idea di come controllarla.
Si studiò nervosamente i palmi delle mani, chiudendo e riaprendo le dita nel pugno più e più volte.
«Ah!» Sussultò lievemente, quando avvertì la sensazione di essere stata punta sulla pelle con qualcosa di affilato, proprio in corrispondenza dei solchi delle unghie sulla sua carne. Sembravano quasi bruciare.
Sudò freddo. Cosa diavolo era quella sensazione?
L’occhio le cadde nuovamente sulla voglia rossa sul polso, che sbucava dalla manica del kimono.
Socchiuse gli occhi.
«Comunque, sarà meglio chiamare il dottore e farsi vedere. Annulla la lezione per oggi.» Le propose la nipote, con tono di voce preoccupato, «Vado io a fare le telefonate che servono!» S’offri lei, prima di alzarsi in piedi e correre fuori dalla stanza.
Il nonno non fece in tempo a replicarle alcunché, poiché in un batter d’occhio era già sfrecciata via. Suguri ripercorse nuovamente il corridoio a ritroso, il passo decisamente irrequieto.
Fece sfiorare ossessivamente l’unghia dell’indice con il polpastrello del pollice, senza riuscire a calmarsi.
Bruciava ogni volta che sfiorava la sua pelle...
Era strano. Tutto molto strano.





 
***





MewIchigo si strinse nelle gambe, facendo dondolare nervosamente i piedi.
Il suo sguardo, incollato al suolo, si spostava di tanto in tanto sulla punta arrotondata degli stivali rosso fragola che indossava, soffermandovisi come se fossero la cosa più interessante del pianeta.
Tirò un sospiro e alzò gli occhi, guardandosi attorno per la decima volta nel tentativo di calmarsi.
Se da fuori il locale aveva un'architettura variopinta ed originale, l'interno non era da meno: le pareti colorate di rosso e verde prato si alternavano a colori più tenui e chiari, come il color crema e rosa antico dei pilastri colonnati.
Le finestre e la porta d’entrata facevano penetrare la luce nelle ore più assolate del giorno, contribuendo a creare un'atmosfera di gioiosa familiarità.
La struttura s’apriva a cerchio e numerosi tavolini, accuratamente distanziati tra loro, riempivano lo spazio vuoto. Alla sua destra un paio di banconi di media lunghezza, l'uno più in basso dell'altro, ospitavano dei porta torta che parevano nuovi di zecca, dal coperchio di vetro trasparente e completamente vuoti.
Le sarebbe andata volentieri una fetta di torta, se non avesse avuto lo stomaco chiuso a quel modo...
Subito dopo la battaglia, Ryou e Keiichiro l'avevano fatta entrare nel Caffè, fatta accomodare su uno dei tavolini e le avevano raccomandato di non uscire di lì.
In seguito, entrambi si erano allontanati per occuparsi di Aoyama-kun, esattamente come avevano promesso.
Sapere che il suo amico non si fosse fatto nulla e che lei lo avesse salvato con successo la rassicurava, ma meno di quello che avrebbe voluto.
La preoccupavano molte altre cose, a cominciare dallo sgargiante vestitino rosa caramella che aveva addosso.
Era comparso all'improvviso, insieme alle orecchie e alla coda feline che sbucavano da sotto la gonna e dai suoi capelli.
Più ci pensava, più tutta la faccenda le sembrava assurda.
Da dove era uscito il mostro che l'aveva aggredita, e da dove i suoi poteri?
Cosa c'entravano quei due, ragazzi apparentemente normali e gestori di un caffè come quello?
MewIchigo storse la bocca e inghiottì l'ennesimo blocco di saliva.
Quelle cose succedevano nei manga, non alla sua vita.
Non aveva il tempo di fare l'eroina!
Non aveva...il fegato di prendersi certe responsabilità.
La vita era già abbastanza complicata così com’era, senza ulteriori disgrazie.
Mandò un lungo sospiro, e incurvò le spalle verso il basso, come se reggerne il peso fosse troppo per lei.
S’intristì all’improvviso.
Non riusciva nemmeno a parlare ad Aoyama-kun liberamente...
In quel preciso istante un rumore la scosse dai suoi pensieri, facendola sussultare.
Le sue orecchie feline udirono distintamente il rombo del motore di un'automobile e l'attrito dei pneumatici sul vialetto sul retro, a pochi metri da lì.
MewIchigo si fiondò verso una delle finestre a forma di cuore e scorse i due ragazzi camminare in direzione l’accesso di servizio. Poi, il cigolio di una chiave nella toppa.
«Perdonaci l’attesa!» Esordì il giovane dai capelli mori, aprendo la porta davanti a sé.
Ryou guizzò rapido alle sue spalle e lo superò, dirigendosi oltre il bancone, verso il corridoio che dava sui locali privati del caffè.
MewIchigo lo seguì con lo sguardo senza dire nulla.
Si era intrufolata lì, in precedenza, mentre aspettava che tornassero.
Aveva notato la cucina ed altre stanze chiuse a chiave.
Chissà dov’è che aveva così fretta di andare...
«Avete riportato a casa Aoyama-kun?» Cinguettò lei, rivolgendosi a Keiichiro.
Lui le sorrise rassicurante.
«Si, è andato tutto bene. Non devi preoccuparti, è in ottima salute.»
MewIchigo strinse le labbra.
Quella risposta le bastava, per ora.
Prima che potesse parlare ed aggiungere altri quesiti, Ryou la interruppe.
«Avanti, vieni con noi. Dobbiamo spiegarti tutto.» Disse, senza un tono particolare della voce.
La guardò di soppiatto prima di avviarsi senza aspettarla oltre il corridoio di poco prima.
La Mew gatto non se lo fece ripetere due volte e lo seguì, zampettando nervosamente dietro di lui. Ryou attraversò il corridoio fino in fondo e virò a sinistra.
Aprì una porta antipanico, oltre la quale vi erano un paio di rampe di scale che conducevano al piano di sotto.
Scale e pareti erano di un colore neutro in quella zona dell’edificio…
Lei rimase estremamente all’erta, il solo ticchettare delle loro scarpe a rompere il silenzio.
Che cosa nascondevano in realtà quei due ragazzi?
Scesero le scale e, sulla parete più a destra spuntò un’altra porta.
Ryou estrasse una chiave dalle tasche dei suoi pantaloni, e la infilò con sicurezza nella serratura.
«Quanta prudenza!» Sfuggì alla ragazza dai capelli rosa, in un misto di ironia e tensione.
Si strinse il polso destro, accarezzando la pelle da sopra il guanto in quello che sembrava una specie di tic nervoso.
A quell’affermazione, vide Ryou ruotare le spalle e lanciarle un’occhiata veloce.
Le sue labbra erano curvate in un lieve sorriso.
«Siamo quasi arrivati» Mormorò, aprendo la porta di quella stanza misteriosa.
Al suo interno, proprio di fronte all’uscio, vi era una lunga scrivania con un paio di computer che sembravano avere l’aria di essere altamente tecnologici, alcune pile di fogli, cartelle di documenti e altri fascicoli sparsi qua e là, sia sulla scrivania, sia su di un’altra mobilia a sinistra della porta.
A destra, a ridosso della parete, vi era una libreria colma di libri e di quelli che sembravano essere altri fascicoli di documenti.
Fino a lì non notava nulla di particolarmente strano, se non fosse stato per la seconda porta sulla parete destra.
Una piccola stanza nei sotterranei di un locale, chiusa a chiave e che dava su un’altra stanza segreta?
Ryou vi si avviò senza esitazioni, e questa volta dovette solo spingere la maniglia sotto le dita.
MewIchigo vi entrò, ma si fermò qualche passo oltre l’uscio.
L’interno era buio, ma la sua nuova vista felina le permise di delineare i dettagli di un arredamento particolarmente spoglio.
La parete a nord era completamente occupata da un grosso proiettore.
Il ragazzo biondo si mosse con agilità, come se già sapesse dove andare, o come se riuscisse a vedere bene quanto lei.
Prese tra le mani un telecomando e pigiò uno dei pulsanti.
Il proiettore s’accese all’istante, visualizzando l’immagine di una medusa fluttuante e quella di un gatto dal pelo maculato.
Lo riconosceva, sembrava il Gatto di Iriomote che aveva visto alla mostra.
«Devi sapere che io e Keiichiro siamo gli ideatori del Mew Project...e che tu sei una Mew Mew.» La informò, senza troppi convenevoli.
Lei rimase imbambolata per mezzo secondo.
«Una...Mew Mew?» Ripeté a pappagallo. «E cosa sarebbe una Mew Mew?»
«Un’alleata della giustizia.» Replicò lui, quasi seccamente. «Il tuo compito è quello di sventare il pericolo di una minaccia aliena. La Terra è in pericolo imminente.» Aggiunse.
L’espressione sul suo volto, illuminato dalla luce del proiettore, era serissima.
Non...stava scherzando. Aveva davvero parlato di minaccia aliena.
MewIchigo si scosse nelle spalle e sussultò.
«C-che cosa? Minaccia aliena? Parli del mostro di poco fa?» Domandò lei, preoccupata.
Shirogane annuì con un cenno della testa.
«Esatto. Quello era un Chimero, l’unione tra un organismo terrestre ed uno alieno. La medusa che vedi nella fotografia è un alieno para-para.» Spiegò, questa volta parlando lentamente, come ad accertarsi che non potesse sfuggirle nulla.
«Quello accanto invece, è...»
«Il gatto selvatico di Iriomote» Affermò MewIchigo, levandogli le parole di bocca.
Ryou fece un sorriso vagamente sarcastico.
«Brava! Non mi aspettavo che lo sapessi, mi hai sopreso...» Borbottò, tossicchiando distrattamente nel tentativo di soffocare una risata.
La ragazza gli si avvicinò con aria arrabbiata, pestando i piedi a terra.
«Ehi! Ma per chi mi hai presa?!» Protestò la Mew Mew a denti stretti.
Ryou si tirò il dorso della mano davanti alle labbra.
«Per un elefante! Hai due piedini da fata come se ne vedono pochi in giro!» Le rinfacciò, scoppiando questa volta in una risata divertita e fragorosa.
MewIchigo si ammutolì, ma il suo corpo cominciò a tremare di rabbia fin nelle ossa.
Nessuno le aveva mai parlato in modo tanto maleducato.
Ebbe quasi la sensazione che la bile stesse salendo a ritroso, dallo stomaco fino alla gola.
In quel momento avvertì i passi di Keiichiro avvicinarsi alle sue spalle, ma li ignorò.
«Ryou, ora stai esagerando…» Lo ammonì, ma con un tono troppo pacato perché potesse soddisfarla.
Il suo corpo si gettò all’improvviso in avanti e le sue mani si strinsero alla base del collo di quello sbruffone, proprio lungo la linea delle clavicole scoperte.
Incurvò le dita e infilò le unghie, ormai simili ad artigli, nella sua pelle.
Ryou cambiò immediatamente espressione, specchiando gli occhi cerulei nei suoi.
Sostenne il suo sguardo senza la minima paura.
«Non scherzare, cretino che non sei altro! Mi avete trasformata in un gatto, perché questo avete fatto, e senza nemmeno interpellarmi!» Sputò lei, furiosa, «Ho dovuto combattere contro un mostro alieno che ha rischiato di uccidermi, e l’unica cosa che sai dire è questa?!» Concluse poi con voce rotta, psicologicamente sfinita.
MewIchigo sentì le mani di Keiichiro appoggiarsi sulle spalle nude e scendere poi verso i gomiti, lente e gentili come il getto d’acqua di una doccia calda e rinfrancante.
Provò all’improvviso una sensazione di svuotamento.
Di colpo le sembrava di non avere più energie...
Lasciò dunque la presa sul ragazzo dai capelli biondo grano, ma non quella sul suo sguardo.
«Dannazione volete decidervi a spiegarmi che succede…?» Mormorò ancora, arresa.
Le bruciavano gli occhi...ora le veniva persino da piangere.
«Scusaci, Momomiya-san. Non era nostra intenzione turbarti...e ora ti spiegheremo tutto.» A quelle parole, Keiichiro le abbozzò un lieve sorriso, le offrì un fazzoletto per asciugarsi il viso e le porse una sedia di plastica.
Lei si sedette senza fare complimenti, accucciandovisi come un animaletto impaurito.
Non ci capiva più niente...le sue emozioni erano confuse, provava ansia e paura.
Alzò smarrita lo sguardo verso i suoi interlocutori, in silenzio.
«Io e Ryou abbiamo compiuto a lungo studi profondamente accurati. Abbiamo raccolto prove concrete dell’azione inquinante di creature non terresti sull’ambiente, e la situazione non fa altro che peggiorare. L’unico modo per difenderci è quello di sfruttare i poteri degli animali in via di estinzione, i cui geni sono in grado di estinguere tali creature.»
La sua voce rilassante riuscì a calmarla almeno un po’, ma non le sue parole.
Sentiva che c’erano altre cose spaventose che doveva sapere.
«Mentre iniettavamo alcuni geni in creature aliene precedentemente catturate, la scossa di terremoto ci ha colti alla sprovvista, e questi geni si sono irradiati fuori dal nostro laboratorio. Uno di essi è finito in te.» Continuò il ragazzo biondo, riprendendo la parola.
Aveva le braccia incrociate e le gambe accavallate sulla sedia.
Sembrava particolarmente autorevole in quella posa.
«Uno dei geni è finito in me...per sbaglio?!» Esclamò MewIchigo, sbigottita ed incredula.
Non aveva nemmeno idea che una cosa del genere fosse possibile.
«Si. Praticamente, questo fa di te un’arma vivente! Solo con i tuoi poteri è possibile sconfiggere i Chimeri.» Rispose lui, con un filo di entusiasmo in più della solita freddezza con cui generalmente si esprimeva.
Lei deglutì, percependo una specie di brivido di freddo.
Quel racconto sembrava una specie di storia dell’orrore, e invece volevano farle credere che fosse la sua vita.
Non era sicura di riuscire ad accettarlo.
«P-perché solo io? Perché solo io devo farlo?!» Balbettò, senza riuscire a capire se a prevalere fosse la rabbia o la paura.
Non riusciva affatto ad accettarlo.
Combattere mostri? No, era fuori discussione.
«Non sei sola.» Replicò il moro, subito dopo aver premuto il pulsante per illuminare di luce la stanza. «Abbiamo accertato che i nostri geni, in totale sei, siano finiti nel corpo di qualcun altro, oltre a te. Quindi, tecnicamente hai altri cinque compagni di avventura.»
MewIchigo guardò Ryou, che aveva appena parlato, forse in cerca di qualche rassicurazione in più.
Si sentiva scombussolata e senza punti di riferimento, come se fosse appena uscita da un frullatore.
«Come posso trovare questi compagni?» Mormorò, le spalle basse e piegate su sé stesse.
Vide il ragazzo dai capelli chiari alzarsi dalla sua sedia e piantarglisi davanti, lo sguardo indagatore su di lei.
La osservò da capo a piedi, dapprima senza battere ciglio, poi le afferrò entrambi gli avambracci e li girò verso l’interno, alla ricerca di qualcosa che, a detta delle sue espressioni poco soddisfatte, non riusciva a vedere.
Poi s’accucciò a terra, e squadrò le sue gambe per qualche brevissimo secondo.
«Tks!» Mugugnò.
«Ehi! Potresti dirmi cosa staresti cercando?!» Borbottò lei, visibilmente innervosita, tentando di spingerlo via con un piede.
Era fin troppo appiccicato per i suoi gusti.
Non gli aveva ancora perdonato le prese in giro di poco prima.
Ryou si rialzò in piedi e spostò lo sguardo, voltandolo seccamente verso un punto indefinito della stanza.
«Dovrebbe essere sulle cosce o sotto i tuoi vestiti...» Replicò, quasi spazientito, con quel suo solito modo di parlare fin troppo vago.
«...Cosa?» Balbettò incerta MewIchigo.
Lui puntò il dito indice in sua direzione.
«Dovrebbe esserci una voglia, un simbolo Mew sul corpo di ognuno di voi. Sarai in grado di riconoscere i tuoi compagni grazie a quello!»





   
***




Ichigo avanzò distrattamente su uno dei marciapiedi del centro, soffermandosi altrettanto distrattamente sulle persone che sfilavano accanto a lei come pesci in balia della corrente.
Dal giorno prima non faceva altro che pensare a quello che le era accaduto e a ciò che quel biondino, Ryou Shirogane, le aveva raccontato.
Più ci pensava e più andava in confusione!
A causa di un errore a suo parere madornale, era diventata improvvisamente una paladina della giustizia, e altre cinque compagne condividevano con lei lo stesso destino. Per riconoscerle avrebbe dovuto trovare una voglia sul loro corpo, una voglia simile alla sua: il Mew Mark.
La discussione si era in seguito dilungata sullo stesso argomento, e sia Ryou che Keiichiro avevano asserito che c’erano alte probabilità che ad essere colpite dai fasci di codice genetico fossero altre persone che si trovavano al parco con lei quella domenica pomeriggio.
La rossa sbuffò, facendo ondeggiare i codini ai lati della testa.
Non le andava per niente di fare tutte quelle cose da sola, senza indizi concreti.
Non poteva certo andare in giro a chiedere a tutte le ragazze che incontrava se recentemente era comparsa loro una voglia sulla pelle!
E poi, era angosciata all’idea che un mostro potesse sbucare di fronte a lei da un momento all’altro.
L’ultima volta s’era spaventata a morte...non era sicura di riuscire a gestire meglio la paura se fosse accaduto nuovamente.
Inoltre, in tal caso avrebbe avuto la responsabilità di proteggere tutti…
S’arricciò alcune ciocche di capelli rossi intorno alle dita, ripensando alla sua prima trasformazione in Mew Mew.
In quell’occasione, era riuscita a malapena a proteggere Aoyama-kun...
Sospirò, sconsolata.
Aveva saputo che Aoyama-kun stava bene.
Quella mattina era venuto a scuola regolarmente, anche se aveva qualche piccola contusione sul collo e sul braccio.
Non aveva avuto il coraggio di parlargli...
In fondo si sentiva ancora in colpa per quello che era accaduto...anche se gli attacchi alieni non erano certo opera sua.
Alzò lo sguardo istintivamente e voltò il collo alla sua sinistra, scossa dal confuso e veloce rombo delle automobili sulla strada.
I suoi occhi si concentrarono su una figura in movimento sul marciapiede opposto.
Lunghi capelli neri oscillavano come un pendolo sulla sua schiena…forse era per quello che ne era rimasta tanto attratta.
La sua minigonna cremisi ondeggiava morbidamente ad ogni passo, e quelle calze scure…
Ichigo sbatté gli occhi.
Era la ragazza della metro, quella che aveva gentilmente bloccato le porte per farla salire solo qualche giorno prima.
La seguì con lo sguardo.
Aveva lo stesso portamento fiero di quel giorno...non poteva che essere lei.
Ichigo strinse le labbra.
Quanto avrebbe voluto essere quella ragazza, almeno per un po’…*
Di certo non avrebbe avuto tutti quei problemi per la testa...
Sospirò mestamente ed abbassò lo sguardo, fissando con scarso interesse i mocassini della sua divisa nel tentativo di svuotare la sua mente.
Tuttavia, un urto tanto improvviso quanto doloroso contro la sua spalla destra la fece tornare alla realtà, facendola prima rimbalzare goffamente all’indietro, poi direttamente a terra. Gemette a contatto con l’asfalto, mentre una fitta di dolore guizzava dal suo bacino fino alla schiena.
Alzò lo sguardo verso la persona contro cui si era scontrata, già pronta a chiedere perdono, ma le sue iridi cioccolato incontrarono quelle nocciola di un ragazzo che le era fin troppo familiare.
«A-Aoyama-kun!» Balbettò in preda al panico, arrossendo d’imbarazzo.
Trattenne il respiro per alcuni istanti.
Ma perché doveva sempre cadere come un salame davanti a lui?!
Masaya fece un risolino in risposta: la tendenza di Ichigo ad inciampare era rimasta immutata, nonostante tutti quegli anni. La giovane dai capelli rossi, invece, rimase imbambolata a guardarlo, dimenticandosi per un attimo dell’uso della parola.
«È tutto apposto? Ti sei fatta male?» Le chiese il ragazzo dai capelli mori, gentile come sempre, porgendole una mano per aiutarla ad alzarsi.
Lei deglutì, afferrandola senza pensarci due volte.
Beh, forse la sua goffaggine non veniva sempre a nuocere.
«Tu..tutto appostissimo, non mi sono fatta niente! Eheheh!» S’affrettò a precisare, balzando in piedi come una molla e grattandosi la testa nervosamente.
«Quello è tuo?» Domandò nuovamente il ragazzo, indicando qualcosa a terra, alle sue spalle. Lei si voltò subito, scorgendo un fazzoletto di tessuto perfettamente piegato in quattro parti. Probabilmente le era scivolato dalla tasca della gonna durante la caduta.
«Ah! È quel fazzoletto...» Borbottò Ichigo, chinandosi a raccoglierlo.
Aggrottò la fronte al ricordo di quella ragazza.  
«Non gliel’ho più restituito.» Esclamò lei, pensando ad alta voce.
In quel momento, un’ipotesi azzardata le balzò alla testa.
C’era una piccola probabilità che lei fosse una Mew Mew.
Al momento del terremoto, quando lei era stata colpita dai geni, si trovavano molto vicine...e in seguito alla sua perdita di conoscenza era sparita nel nulla...
Beh, forse valeva la pena tentare di indagare con la scusa di riconsegnarle il fazzoletto.
D’altronde non sapeva nemmeno che pesci pigliare...
Peccato però che non sapesse nemmeno il suo nome.
Sbuffò, maledicendosi mentalmente da sola.
«Di che stai parlando?» S’incuriosì Masaya.
Ichigo si rialzò in piedi, diede una spolverata leggera al fazzoletto e si sistemò l’ampia gonna della divisa.
«Vedi, Aoyama-kun, l’ultima volta al Parco Inoha-»
Le parole le si bloccarono in gola all’istante.
Solo ora le era tornata in mente quella cosa terribile.
Non gli aveva più domandato perdono per essersi addormentata nel bel mezzo dell’appuntamento!
«Pe...pe-perdonami per essermi addormentata come un sasso!» Esclamò, piegandosi energicamente in segno di scuse.
Non ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi mentre lo diceva.
Lui scrollò le spalle.
«Momomiya-san, non ci pensare neanche! Che cosa stavi dicendo?» Mormorò in risposta, sorridendo. I suoi denti candidi spuntavano tra le labbra socchiuse.
Lei li fissò, ammirata e commossa.
Divenne più rossa dei suoi capelli e voltò lo sguardo.
Era così felice di poter passare del tempo con lui, che non riusciva proprio a controllarsi!
Irrigidì la schiena e deglutì, cercando di darsi un contegno.
Lanciò dalle labbra un sospiro silenzioso e si schiarì la voce.
Non doveva apparire stupida ai suoi occhi!
«Beh, lì ho incontrato una ragazza che mi ha prestato questo fazzoletto...ma non so dirti chi sia.» Concluse poi, mostrandoglielo.
A quelle parole, Masaya le afferrò la mano per avvicinare meglio l’oggetto a sé e studiarlo con più attenzione.
Ichigo ebbe un sussulto a quel contatto.
«Qui c’è ricamato un nome. Aizawa...e dalla consistenza, si direbbe di seta. Forse...» Formulò lui, portandosi una mano al mento e lasciando la frase in sospeso.
«C-cosa?» Balbettò la ragazza, in attesa.
«Forse so dove trovare la ragazza che hai visto. Deve far parte della famiglia Aizawa.» Affermò, con tono estremamente pacato. «Ha radici aristocratiche.» Aggiunse infine.
Ichigo sbatté gli occhi per una seconda volta, guardandolo silenziosa.
Aveva dedotto quelle cose semplicemente osservando un fazzoletto...era proprio vero, era il migliore sulla piazza.
Il ragazzo più intelligente e dolce che avesse mai avuto la fortuna di incontrare.
«Allora, vogliamo andare?» Propose il ragazzo dai capelli mori, lanciandole uno sguardo.
Ichigo scosse la testa, cascando dalle nuvole.
«Eh? Dove?» Borbottò.
Aoyama-kun le sorrise gentile.
«A riportare il fazzoletto a questa ragazza! Tanto ora sono libero. Ti va?» Le propose, senza staccare lo sguardo da lei.
La ragazza sentì un brivido d’eccitazione lungo la colonna vertebrale.
Non poteva credere alle parole che aveva sentito...sembrava quasi un sogno.
«Eccome...!» Balbettò lei, dopo un attimo d’esitazione, «Non posso certo tenermi questo fazzoletto, non sarebbe carino!» Esclamò, tentando di farsi bella ai suoi occhi.
Però, la felicità che provava in quel momento era autentica.
Aoyama-kun s’era proposto di aiutarla, e lei non poteva chiedere di più.
«Si parte!» Proruppe ancora la rossa, piena di entusiasmo.
Volteggiò emozionata su sé stessa, indicando con determinazione un punto indefinito in alto nel cielo.
Mentre lo faceva, si scordò completamente di essere nel mezzo di un marciapiede affollatissimo. I suoi movimenti repentini le fecero urtare un uomo di mezza età vestito di tutto punto: era carico di borse e sembrava avere parecchia fretta.
«Sta attenta, ragazzina!» Protestò, guardandola storto.
«Oops! Mi scusi...» Biascicò di rimando la ragazza, scusandosi mestamente.
L’uomo non replicò e s’allontanò senza ascoltarla, facendola andare su tutte le furie.
Tuttavia, scelse di trattenersi: aveva già sfigurato abbastanza di fronte ad Aoyama-kun.  
Lui non spiccicò parola, restando in religioso silenzio finché non si fosse calmata del tutto.
In seguito, con una certa sicurezza indicò una via alle sue spalle, che incrociava perpendicolarmente quella in cui si trovavano.
«Il quartiere dove dobbiamo andare è per di qua» Mormorò, avviandosi.
Ichigo annuì con la testa e lo seguì, scegliendo di fidarsi ciecamente di lui.






***





«Siamo arrivati!»
Dopo una lunga camminata per le vie della città ed essere penetrato in quello che sembrava uno dei quartieri più ricchi e prestigiosi di Tokyo, Masaya si fermò non appena giunto di fronte ad una sontuosa villa.
Ichigo, che fino a quel momento l’aveva seguito senza mettere becco sul percorso da effettuare, lanciò uno sguardo a quella specie di reggia, restando a bocca aperta.
«Co-cosa?! Aoyama-kun, sei sicuro che si tratti di questo posto?!» Esclamò lei, sbalordita.
S’avvicinò di più all’imponente cancellata e si sporse per osservare meglio l’interno. L’edificio sembrava essere stato costruito sullo stile di un maniero europeo del settecento.
La struttura s’innalzava per parecchi metri e, verosimilmente, doveva ospitare almeno tre piani. La pianta, a forma di L, presentava ad ogni estremità una torretta esagonale.
L’intera proprietà comprendeva un giardino curatissimo ed alberato, simile a quello di un parco. Un ampio vialetto di lucide pietruzze conduceva fino alla porta d’entrata.
Se si concentrava un pochino, riusciva persino a percepire l’abbaiare giocoso di un cane e le risate di una ragazza provenire dall’interno, in un punto impossibile da raggiungere con lo sguardo.
«Dev’essere laggiù! Sento dei rumori!» Indicò la rossa, proprio in direzione del vasto giardino, che il muretto rialzato a lato del cancello principale le impediva di scorgere a pieno.
A quell’affermazione, il ragazzo dai capelli mori asserì con il capo.
«Forse dovremmo suonare.» Mormorò poi, sfilandole a fianco per avvicinarsi al campanello.
Prima che potessero farlo, però, Ichigo sentì distintamente un fruscio di passi sull’erba in veloce avvicinamento. Una ragazza di bassa statura sbucò da oltre la facciata laterale destra, prendendoli in contropiede.
«Chi è là?» Domandò con risolutezza la nuova arrivata.
Portava i capelli raccolti in due chignon e tra le mani aveva un piccolo giocattolo rotondo. Un cagnolino dal pelo lungo e marroncino zampettò fedelmente ai suoi piedi appena qualche secondo dopo.
La rossa la guardò, e nel riconoscerla si fece sfuggire un sorriso.
«Oh, è lei!» Esclamò, indicandola.
«Buonasera! Scusaci il disturbo, Aizawa-san!» La salutò cordialmente Aoyama.
Ichigo lanciò uno sguardo al ragazzo e subito dopo ad Aizawa, mordendosi il labbro.
Masaya era sempre gentile con tutti, ma forse s’era interessato davvero troppo a quella storia.
Iniziava ad essere un po’ gelosa...
«Ah, siete la coppietta della mostra!» Commentò la mora, abbozzando un sorriso che ad Ichigo parve a metà tra lo scherno e la finta simpatia.
«Come conoscete il mio nome? E cosa ci fate qui?» Domandò nuovamente, questa volta con aria sinceramente curiosa.
La Mew gatto fece per proferir parola, ma Masaya l’anticipò.
«Abbiamo letto il tuo nome su questo fazzoletto.» Disse semplicemente, mentre Ichigo glielo mostrava da oltre le grate del cancello.
«Siamo venuti a restituirtelo. Non posso tenerlo.» Concluse infine lei.
Minto arricciò il naso dopo qualche secondo di silenzio.
«Beh, d’accordo. Visto che vi siete dati la pena di venire fino a qui, vi faccio entrare. Vi offro un tè.» Replicò, prima di estrarre un mazzo di chiavi dalla tasca del suo abito.
Scelse una delle più lunghe e la infilò nella serratura.
«Mi dispiace Momomiya-san, ma io devo tornare a casa ora. Accetta tu l’invito della tua amica. Ci vediamo domani a scuola, d’accordo?» Mormorò lui, a voce un poco più bassa, appoggiando una mano sulla sua spalla.
Ichigo venne colta di sorpresa, ma annuì sorridendo.
Ora ne aveva tutte le certezze e poteva stare tranquilla: non voleva affatto conoscere Aizawa, ma solo accompagnarla fino a casa sua per non lasciarla sola.
Sembrava una cosa talmente romantica!
Come sono feliceee!
«C..certo! A domani, Aoyama-kun!» Lo salutò lei tutta contenta, con il luccichio negli occhi e il rossore sulle guance.
Lui rinnovò il saluto e fece un cortese inchino in direzione di Minto, infine s’allontanò.
Ichigo rimase a guardarlo fino quando non scomparì oltre l’angolo dell’isolato.
«Allora? Non restare lì imbambolata, entra pure.» La richiamò la ragazza al di là del cancello.
«Con permesso!» Esclamò Ichigo di rimando, varcando la soglia in maniera fin troppo teatrale.
Minto decise di ignorarlo.
«Il tuo fidanzato è davvero un tipo gentile, eh?» La provocò la ragazza con gli chignon, richiudendo a chiave il cancello.
«Già! È...è il miglior ragazzo al mondo!» Replicò lei, guardandola storto.
Che intenzioni aveva? Perché da quando Aoyama-kun se n’era andato l’atmosfera s’era fatta così elettrica?
Riconfermò la sua opinione su di lei.
Antipatica.
«Così sembra. Beh, vogliamo entrare?» Propose melliflua con un gesto della mano, avviandosi per il vialetto.
Ichigo la seguì senza fiatare, ma non poté fare a meno di notare il suo portamento impeccabile e delicato.
Dava l’aria di essere aristocratica in qualsiasi cosa facesse.
Già, non devo dimenticare il motivo per cui sono venuta qui, si sovvenne lei.
Devo scoprire se è una mia compagna!
Fece immediatamente passare lo sguardo sulle gambe e le braccia nude della ragazza, ma non trovò nessuna prova concreta.
Se aveva la voglia nel suo stesso punto, l’interno coscia, sarebbe stato un grosso problema scoprirla...
«Perdonami, non mi sono presentata. Io sono Aizawa Minto, e tu?» Domandò lei, voltandosi nella sua direzione.
Con la mano destra fece girare un’altra chiave nella toppa del portone d’entrata, di legno lucido e massiccio.
Al delicato tintinnare metallico del mazzo di chiavi che la mora teneva con sé, la Mew gatto si scosse dai suoi pensieri.
«Io mi chiamo Momomiya Ichigo. Piacere di conoscerti!» Rispose, porgendole la mano.
Minto seguì i movimenti del suo braccio con sguardo indagatore, senza cambiare espressione, ma rimase immobile.
«Prego, accomodati.» Le disse infine, spingendo l’anta verso l’interno e lasciandola passare per prima.
Ichigo fece come chiesto, ma non senza un lieve risentimento.
Non se l’era immaginato, Minto non le aveva stretto la mano deliberatamente.
Chissà poi perché faceva così la snob, quella lì!
Lanciò un'occhiata all'interno e il suo sguardo venne rapito dall'enorme androne di casa Aizawa. A qualche metro dalla porta, un’imponente rampa di scale in marmo chiaro, larga tre metri, portava ai piani superiori della villa.
Quest’ultima si sviluppava in altezza, dando al palazzo l'impressione ottica di essere molto più alto di quanto fosse in realtà.
Su entrambi i lati della rampa prendevano posto dei passamano color dell'oro e d’onde sinuose e barocche.
«La tua casa è incredibile!» Commentò Ichigo, sorpresa.
Minto abbozzò un sorriso compiaciuto a quel complimento.
«Vero? Questo palazzo ha origini antiche. Fu costruito per volere del mio trisnonno.» Replicò solennemente la giovane.
In seguito, Minto le fece cenno di seguirla e s’apprestò a salire le scale.
Ichigo le trotterellò vicino, tentando di girarle attorno in scioltezza.
Aveva bisogno di trovare quella voglia a tutti i costi.
La scrutò da capo a piedi, dal collo nudo alla scollatura dell'abito, ma...
«Vorresti dirmi cosa stai facendo?!» Sbottò la mora irrigidendosi all’improvviso, come un gatto che rizzava il pelo.
Ichigo sussultò a sua volta e sudò freddo, ma cercò di nasconderlo.
«I-io? Niente, guardavo il tuo vestito! Mi piace moltissimo!» Balbettò, ridacchiando nervosamente.
Era una mezza verità: il suo abitino blu scuro, forellato alle estremità della gonna e delle maniche e con merletti color perla sul corpetto del vestito era davvero bellissimo.
Ma non era certo quello il punto!
«Beh, non è necessario fissarmi in maniera così insistente! Ti prego di stare al tuo posto!» L’ammonì lei, visibilmente irritata.
Ichigo grugnì in silenzio, facendo dietro front.  
Sta calma Ichigo, sta calma…, ripeté mentalmente come una specie di mantra.
No, non poteva arrendersi!
Se fingere non serviva, forse sarebbe bastato essere sinceri…
Ma si, avrebbe potuto funzionare.
Tanto valeva provare...
«Scusami...» Cominciò, bloccandosi sulle scale, «...avrei una domanda da farti…» Mormorò poi, circospetta.
«Parla!» Rispose la ballerina, con tono imperativo.
Ichigo deglutì a quella reazione.
«Beh, non è che per caso...ti è comparsa qualche strana voglia sul corpo, ultimamente?» Borbottò, grattandosi la testa. «Credo che...si, insomma! Sai, sembra sia causa di un'allergia stagionale...» Concluse, tentando di essere il più convincente possibile.
Minto la fissò duramente...non sembrava essersela bevuta.
«Mi prendi in giro?» Sibilò.
In un attimo allungò la mano verso la sua, sfilandole di mano il fazzoletto che le aveva dato in prestito.
Infine la guardò di nuovo, la stizza negli occhi.
«Ti ringrazio per essere venuta fin qui, ma ora ti prego di andartene!»






***





Ichigo ridiscese lungo la strada che lei ed Aoyama-kun avevano percorso per arrivare fino a casa di Minto, mesta ed arrabbiata al tempo stesso.
«Che nervi!!» Si mise a gridare.
Non riusciva proprio a sopportarla, quella Minto.
Era talmente altezzosa!
In fondo, non le sarebbe affatto seccato se lei non fosse stata una sua alleata.
Probabilmente non riuscirebbero nemmeno ad andare d'accordo.
Sospirò pesantemente, sciogliendo le spalle tese.
Non poteva funzionare...non sarebbe mai riuscita a trovare le sue compagne in quel modo, cercandole alla cieca...
Perché quel lavoro così faticoso toccava proprio a lei?
Lei era una vittima.
I veri responsabili di tutto erano Akasaka e Shirogane...spettava a loro cercare le altre Mew Mew, non a lei!
Non poteva proprio sacrificare tutto il suo tempo libero per questo!
«Dovrò dirgliene quattro a quello Shirogane!» Esclamò infuriata, stringendo le dita nel pugno con determinazione.  
Mentre rifletteva sul modo migliore per mettere su quel discorso, il suo corpo ebbe un brivido davvero spiacevole.
Bloccò di colpo la sua camminata, rimanendo in ascolto.
L’ombra di quel cattivo presentimento le annebbiò la testa, facendole prendere paura.
Che sensazione orribile…, pensò, stringendosi nelle spalle, i muscoli rigidi.
Perché così all’improvviso?
«Cosa...» Sospirò, in preda all’ansia.
Non riusciva a fermare il suo cuore…
Quando trovò il coraggio di guardarsi attorno, alla ricerca di chissà quale minaccia, un grido interruppe bruscamente quegli attimi di cupo silenzio.
Veniva da un punto alle sue spalle.
Riconosceva quella voce...
Minto Aizawa!
Ichigo girò i tacchi istintivamente e si precipitò di corsa verso la villa.
Deglutì a fatica un blocco di saliva, immaginando i peggiori scenari possibili.
Forse...sarebbe dovuta intervenire.
Non era certa di essere pronta...
Scosse energicamente la testa, tentando di scacciare qualunque pensiero spaventoso stesse formulando il suo cervello, e raggiunse in brevi istanti l’alto cancello di metallo dell’abitazione.
Non poté fare a meno di sgranare gli occhi di fronte alla scena che scorse in lontananza.
Nel giardino della villa, un grosso cane dal pelo bianco e gli occhi spiritati ringhiava aggressivo in direzione della sua padrona, nel tentativo di intimidirla.
Minto, accucciata a terra, strillava impaurita a pochi passi dalla bestia.
Ichigo trattenne il fiato, tesa come una corda di violino.
Conosceva un solo ed unico modo per far tornare il cagnolino alla normalità...e richiedeva l’uso della sua Strawberry Bell e l’entrata in scena del suo alter ego.
La rossa tremò, fece un grosso sospiro e mise da parte qualsiasi altro sentimento stesse provando in quel momento.
Non poteva starsene lì ad aspettare...quella ragazza era in serio pericolo...
Si fece dunque coraggio, e s’arrampicò su per il cancello.
Con uno slancio lo superò con un balzo, entrando con facilità nella proprietà privata degli Aizawa.
Dopo un attimo d’esitazione infilò una mano nella tasca della gonna, afferrando la spilla dorata che portava sempre con sé.
L’estrasse e se la portò alle labbra, riprendendo a correre.
Doveva salvarla!











***



* Vi aiuto ad immaginarla, eccola QUI!
Le voglie delle Mew Mew richiamano un elemento degli animali di riferimento, come le ali o le code. Io ho scelto di richiamare il manto della tigre, in particolare i disegni sul petto, come vedete dalla foto :)
** Una tigre adulta ha una forza paragonabile a quella di tredici uomini e può spaccare un cranio umano con una zampata. Mi sembrava corretto avvisarvi xD
* «Fidati, in realtà non lo vuoi davvero.» nd Kuro ridacchiando
«???» nd Ichigo





 

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Capitolo 8
*** First Act ~ VI. Is This Real? ***



VI.
Is This Real?










La ragazza si strinse le gambe al petto e soffiò piano sulla superficie dell’acqua, creando lievi ed impercettibili increspature.
Appoggiò il mento alle ginocchia e dondolò piano i piedi, a contatto con il fondo liscio della vasca da bagno.
Spostò una ciocca di lunghi capelli lattuga dalla spalla, aggiungendola alla bell’e meglio alla crocchia disordinata sopra la testa per evitare che si bagnasse.
Inspirò dal naso l’aria umida di vapore che saliva dall’acqua, tentando di distinguere i rumori che le arrivavano lontani, da fuori dalla stanza. Riusciva persino a sentire sua madre che, davanti ai fornelli, stava preparando la cena per tutti.
Retasu sospirò, cercando di estraniarsi dal resto del mondo in quel piccolo angolo di pace, quello che il bagno caldo riusciva sempre a regalarle.
Non sapeva spiegare bene perché, ma quando se ne stava a mollo nell’acqua riusciva sempre a sentirsi più tranquilla e rassicurata.
Da un paio di giorni, poi, quella sensazione le pareva ancor più acutizzata del solito, come se si trovasse nel suo habitat naturale.
Abbozzò un sorriso pensando a quella definizione.
Eppure, non sapeva nemmeno nuotare...
Stare lì in solitudine l’aiutava a riflettere, a lavare via molte delle sue preoccupazioni quotidiane. Le sovvennero alla mente gli eventi di qualche ora prima, come impressi su di una pellicola cinematografica.
Scorrevano dapprima veloci, ovattati e poi di nuovo lenti, concentrandosi su dettagli quasi insignificanti.
Era così che di solito percepiva le sue giornate...come qualcosa da ricordare e da dimenticare al tempo stesso. Una sensazione che a volte la faceva quasi sentire ubriaca, anche se lei non si era mai ubriacata in vita sua.
Era andata a scuola quella mattina, come ogni giorno.
Forse qualcuno l’avrebbe presa per un’aliena, ma lei trovava piacevole andare a scuola: amava sia studiare che imparare cose nuove.
Arraffare più conoscenze possibili la faceva sentire in pace con sé stessa, le permetteva di crescere interiormente.
Aveva un po’ la mania quasi ossessiva di accumulare di continuo informazioni...era quella la ragione per cui era un’avida lettrice.
Leggere le permetteva di immaginare paesaggi che non aveva mai visto, mondi che non avrebbe mai creduto potessero esistere...ed evadere.
Estraniarsi da quella realtà che a volte le faceva male.
Lanciò un sospiro mesto, incurvando le sopracciglia in un’espressione pensosa.
Da quando era iniziato l’anno scolastico erano successe una serie di cose per le quali aveva cominciato a provare un senso di repulsione per la scuola.
Qualche volta, al sol pensiero si sentiva tremare, e tentava di farci caso il meno possibile. Tuttavia, farlo era diventato sempre più difficile.
Era sempre stata una persona decisamente timida, e non riusciva a fare amicizia facilmente.
Spesso restava sola, perché non aveva gli stessi interessi delle sue coetanee.
Da qualche tempo però, dopo aver cambiato classe ed essere finita in un gruppo completamente nuovo, si era fatta delle amiche.
Quasi non ci sperava!
Si trattava di tre sue vicine di banco: Eiko, Rika e Manami*.
Nei primi giorni del nuovo anno si erano approcciate a lei e avevano cominciato ad includerla nel loro gruppetto.
Inizialmente erano state cordiali, e la cosa l’aveva resa molto felice: le aveva fatto piacere aver trovato qualcuna con cui parlare del più e del meno, frequentare qualche club ed andare in caffetteria al termine dei laboratori pomeridiani.
In seguito, però, avevano cambiato notevolmente atteggiamento nei suoi confronti. La prendevano in giro, le chiedevano favori assurdi...le chiedevano persino di farsi prestare dei soldi.
La maggior parte delle volte, se non andava errato, non le venivano restituiti.
In pratica, approfittavano della sua disponibilità e del suo buon cuore.
A volte, quando tentava debolmente di protestare, arrivavano a minacciarla e le facevano davvero...paura.
Si vergognava di quella paura...e così, piuttosto che scatenare litigi e putiferi se ne stava in silenzio, a testa bassa, incapace di dimostrarsi in qualche modo aggressiva, di dire certe cose fuori dai denti.
Si portò le mani al viso, provando stupore e pena per sé stessa.
Non aveva il diritto di giudicarle, né di pensare male di loro...in fondo, non le conosceva abbastanza.
Aveva pensato che per loro fosse un momento difficile, e che lei avrebbe solo dovuto avere pazienza e stare loro vicino, aspettare che si aprissero e parlassero con lei delle loro preoccupazioni; attendere che le chiedessero consigli e supporto.
Sapeva che tenendo duro avrebbe raccolto i frutti del suo onesto lavoro.
Era così che aveva imparato dai suoi genitori, e dalle tante belle storie di amicizia che spesso leggeva nei romanzi che acquistava e che custodiva gelosamente nella sua libreria.
Voleva essere una buona amica, e non poteva arrendersi proprio ora: non poteva permettere alla sfiducia ed a subdole sensazioni di dubbio e sospetto d’infilarsi nella sua testa. Sapeva bene che quel genere di sentimenti potevano facilmente distorcere la realtà.
Eppure, nonostante tutta la positività che cercava di avere nei confronti della vita, provava sempre una sensazione di straniamento, come se stesse facendo tacere una parte di lei.
Una parte di lei che teneva come imbavagliata e chiusa in uno stanzino della sua anima, ben sapendo che voleva dirle qualcosa di importante.
Allora si ostinava a guardare dall’altra parte e a non voler né sentire né capire, perché ne aveva troppa paura.
Perché non aveva idea di come controllarla.
Era come se sapesse che, rotti gli argini, non avrebbe potuto fermare la piena.
Non avrebbe potuto far altro che abbandonarsi alla sua corrente distruttiva.
Si morse il labbro inferiore ed un brivido di freddo, accompagnato da un senso d’inquietudine, le percorse la schiena.
Tremò, anche se era immersa in una vasca piena d’acqua bollente.
Eppure non voleva...
Oh no…
Pensò in quel momento.
Aveva tanta voglia di sparire...di scappare via.
Ma dove?
Dove vuoi scappare, Retasu?
Dove?
La ragazza deglutì, sentendo il cuore rimbombarle nelle orecchie.
Un riverbero luminoso colpì la sua vista e la sua reazione istintiva fu quella di alzare le mani, come per difendersi da quella cosa.
Sospirò. Solo dopo qualche secondo ebbe il coraggio di aprire gli occhi e di guardarsi piano attorno.
Si calmò in pochi attimi, non appena s’accorse che non c’era nulla di strano in quella stanza. Riprese finalmente a respirare e rilassò i muscoli, abbassando le braccia, quando udì nuovamente qualcosa, questa volta un rumore: un gorgoglio umido e strisciante, come di acqua corrente.
Sbatté le palpebre e...la vide.
Era lì, davanti ai suoi occhi. Una piccola spirale d’acqua che, al centro della vasca, ruotava piano come se avesse vita propria.
Retasu deglutì, e senza riuscire a spiegarsi quel fenomeno vi s’avvicinò piano piano, incuriosita.
Osservò il mini gorgo per qualche secondo, prima che le venisse la tentazione di provare a toccarlo. Allungò una mano sopra la superficie dell’acqua e si rese conto di come la girandola cambiasse lievemente forma al leggero frusciare delle sue dita.
Non...sembrava una coincidenza.
Provò allora a fare su e giù con un dito per volta, ad intervalli ben scanditi.
Ciò che vide la lasciò di sasso.
Ad ogni comando delle dita la girandola si fermava e riprendeva il suo giro, una volta in un senso e una volta nell’altro.
«Sto sognando!» Esclamò, in un misto di stupore e preoccupazione...ma non si fermò.
Incurvò le labbra, ancora incredula e dubbiosa, e mosse la mano in avanti con più decisione sopra l’acqua. Una buona parte di questa s’alzò, andando ad impattare contro la parete opposta della vasca.
Lei sgranò gli occhi, e prima che la massa trasparente potesse tornarle indietro si scansò, saltando fuori in fretta e furia.
Rimase sconvolta a fissare l’acqua mentre ritornava alla sua posizione originale, perfettamente piatta.
Ad essere tutt’altro che piatto, invece, era il suo petto, che s’alzava ed abbassava impazzito al suo respiro.
Aveva il fiato corto per lo spavento.
«Oddio. Oh mio dio!» Gridò, solo dopo aver metabolizzato l’esperienza.
Si coprì la faccia con le mani e restò lì, inebetita ed immobile, incurvandosi col corpo sempre più lontano dalla vasca, come se in un qualche modo volesse negare con il buon senso quello che aveva appena visto.
Ma non poteva dimenticarlo.
L’acqua. L’acqua si era mossa.
Ed era stata lei!



 

***





Ichigo pronunciò la formula di trasformazione e un luccichio brillante avvolse tutto il suo corpo.
Ne uscì dopo pochi secondi, il comodo vestito rosa addosso e le orecchie e la coda feline.
Non s’era ancora abituata a quella stregoneria...
Alzò lo sguardo e sospirò, con l’intento di farsi coraggio, ma perse tutto il suo spirito di fronte a ciò che catturarono i suoi occhi.
Il grosso cane dal pelo bianco che aveva visto dall’esterno della proprietà ringhiava contro la sua padrona, con lo sguardo di una belva pronta a mangiarsela.
Minto era a pochi metri da lui, seduta a terra, tremante ed inerme.
Doveva essere completamente immobilizzata per la paura...come lo erano le sue gambe in quel momento.
MewIchigo deglutì.
Nonostante avesse compiuto la metamorfosi, la sensazione sgradevole che sentiva alla bocca dello stomaco non era scomparsa insieme al suo aspetto di tutti i giorni. Per quel genere di cose non bastava uno schiocco di dita...non esistevano formule magiche, né soluzioni immediate: anche con la divisa da combattimento indosso, rimaneva sempre la stessa.
Rimaneva sempre la solita Ichigo.
Tuttavia, doveva farsi coraggio.
Era praticamente certa che Minto in quel momento fosse molto più spaventata lei. Aveva provato quella stessa esperienza solo qualche giorno prima...l’orribile situazione di ritrovarsi di fronte ad un mostro.
Doveva intervenire...non c’era altra scelta.
Solo lei poteva farlo.
Anche se le stava stretto…
Digrignò i denti.
«Fermo lì, mostro! Lascia in pace quella ragazza!» Esordì con determinazione la Mew gatto, raggiungendo Miki a rapide falcate.
Mentre s’avvicinava incrociò lo sguardo di Minto, che in quell’istante trovò la forza per girare il collo verso di lei.
L’espressione sul suo volto era piegata dal terrore.
«T-tu...chi sei?» Balbettò, confusa.
Non trovò le parole per fare nessun altro commento sul suo aspetto.
MewIchigo la guardò, abbozzando un sorriso.
«Minto...» La chiamò lei per nome, «...sono io...» Sussurrò, un po’ tentennante, nella speranza che lei potesse riconoscerla.
La giovane dai capelli scuri ci mise qualche secondo prima di collegare le cose.
MewIchigo se ne accorse non appena lei sgranò gli occhi, sorpresa.
«Ma tu...come puoi...» Replicò, frastornata.
«Te lo spiegherò più tardi, ora...affidati a me senza fare domande!» Concluse la Mew gatto stringendo i pugni, nel tentativo di sembrare impavida.
Voleva sul serio aiutarla, ma affermare di riuscire davvero a proteggerla dal pericolo era...troppo per lei.
Non era sicura di quello che avrebbe potuto fare, eppure non doveva darlo a vedere.
Doveva dare del suo meglio.
Perciò, prestò di nuovo l’attenzione al grosso cane che s’ergeva di fronte a loro, in posizione di guardia. Ringhiava loro contro, ma non sembrava essere disposto ad attaccare se non provocato.
Purtroppo MewIchigo sapeva che prima o poi l’avrebbe fatto.
«Allontanati, mettiti al sicuro!» Raccomandò alla ragazza alle sue spalle, con una certa preoccupazione nella voce.
Non voleva restare lì immobile ad aspettare che si avverassero le sue più terribili supposizioni.
Minto seguì il suo consiglio senza fiatare e, con le lacrime agli occhi, trovò finalmente il coraggio di allontanarsi.
«Bene...vediamo se hai voglia di giocare!» Esclamò a quel punto MewIchigo, attirando visibilmente l’attenzione di Miki.
Il cagnolone si concentrò su di lei e la seguì non appena si mise a correre da una parte all’altra del giardino, nel tentativo di confonderlo.
All’ennesimo giro, però, Miki riuscì a prevedere alcuni dei suoi movimenti e provò a saltarle addosso, facendo un poderoso balzo verso di lei.
La Mew Mew, accortasi del pericolo, riuscì a spostarsi per tempo, ma il grosso cane fallì nel fermare la sua corsa ed andò a sbattere contro l’alta recinzione di metallo che delimitava la proprietà, incrinandola orribilmente e sgretolando il muretto di pietra sottostante.
Giunta alle spalle del Chimero, la ragazza richiamò la Strawberry Bell e l’agguantò tra le dita, pronta a sferrare il suo colpo speciale.
Ma un fruscio sull’erba, come di uno scalpiccio, le fece rizzare le orecchie e voltare all’improvviso nella direzione opposta.
I suoi occhi le restituirono l’immagine di una Minto terribilmente spaventata, che le veniva incontro con una certa urgenza. La ragazza allacciò le braccia attorno alla sua vita e la trattenne, nel tentativo di farla smettere.
«Ti prego, non fare del male a Miki! Ti supplico!» Gridò lei, piangendo alcune lacrime dagli occhi bruni.
Era la prima volta che la vedeva in quelle condizioni, spogliata di tutta l’alterigia di poco prima...incredibile come la paura riuscisse a trasformare le persone.
«Non gli farò del male, andrà tutto bene!» Cercò di rassicurarla MewIchigo, spingendola via con tutta la gentilezza che le era possibile in quel momento.
Aggrottò la fronte e sbuffò, visibilmente nervosa.
Non ci voleva proprio...Minto l’aveva interrotta proprio mentre stava per dare il colpo di grazia al Chimero, ed ora aveva perso l’occasione giusta.
Il canide, infatti, era già in agguato, pronto ad attaccarla.
Non fece in tempo a formulare un qualsiasi pensiero, nemmeno il più insignificante, che una forte zampata la colpì fulminea sul mento e sul torace, sbalzandola più in là di qualche metro.
MewIchigo andò a sbattere contro la facciata laterale di casa Aizawa, e il respiro le si mozzò nei polmoni.
Minto venne colpita insieme a lei, ma solo di striscio, finendo per rotolare malamente sull’erba.
La Mew gatto scivolò a terra e si portò una mano al petto, proprio sotto la gola.
La sentì bruciare, come se fosse lacerata...una sensazione orribile.
Il colpo subito alla testa, sbattendo contro la parete, l’aveva stordita e annebbiato la vista, ma non abbastanza per non scorgere l’ombra del grosso animale che nuovamente le veniva in contro, feroce.
Sciolse mollemente le spalle e abbassò le palpebre.
Tutto d’un colpo le sembravano così pesanti…
Si sentiva senza forze.
No...non era così che doveva andare…, riuscì a formulare.
Aveva detto a Minto che l’avrebbe protetta.
Lo sapeva...non ci era riuscita.
È la fine, pensò.
Ma proprio mentre stava per arrendersi, una voce limpida e chiara penetrò le sue orecchie feline.
«Miki, fermati!» Urlò la ragazza con gli chignon, con una durezza e una determinazione che non le era parso di percepire nelle sue accorate preghiere.
Minto strinse i denti e si prese coraggio.
Scattò in piedi e, senza esitazione, si lanciò su quello che solo qualche minuto prima era il suo fedele, piccolo amico.
Cosa pensava di fare?, commentò tra sé e sé la Mew gatto, con un certo scetticismo.
Nemmeno lei era riuscita a fermarlo...
A quel punto, però, un riverbero di luce colpì i suoi occhi, accecandola.
MewIchigo si portò una mano di fronte al viso e strizzò gli occhi per pochi istanti; persino il Chimero ne rimase intontito, placando per un momento la sua ira.
Non ne era sicura, ma le era parso che quella luce, dai leggeri toni azzurrini, avesse avuto origine proprio dall’esile ragazza.
Quando la luce si smorzò, MewIchigo poté riprendere la vista, e fu sorpresa da ciò che videro i suoi occhi.
Minto infatti le si ergeva di fronte, ed indossava un mini-abito color acquamarina che non ricordava affatto il bel vestito blu scuro di poco prima.
Ciuffi di piume blu scure fuoriuscivano dalle scapole lasciate scoperte, seguendo perfettamente la linea dei suoi muscoli.
Un paio di ali…
Quella era senza dubbio una metamorfosi!
«MewMinto!» La chiamò entusiasta, con voce squillante.
Minto era la seconda Mew Mew. Era una sua compagna!
Mandò un sospiro di sollievo, per la prima volta da quando aveva intrapreso la battaglia.
Ora che non era più sola a combattere contro il Chimero, aveva la sensazione di sentirsi nuovamente piena di energie.
La ragazza dai capelli blu cobalto si voltò verso di lei, stupita e confusa per le nuove sembianze che aveva assunto.
Quella sensazione, però, non bastò a cancellare i piacevoli brividi che sentiva sotto la pelle, brividi che mai aveva provato prima.
Era quasi come se dentro di lei vivesse qualcun altro…
«Co...cosa è successo?» Biascicò, guardando prima sé stessa e poi MewIchigo.
«Ti sei trasformata!» Rispose MewIchigo, andandole rapidamente in contro.
«Ma le spiegazioni possono aspettare. Ora la nostra priorità è far tornare normale il tuo cagnolino!» Esclamò, afferrandole la mano e facendole un occhiolino d’incoraggiamento.
A quelle sue parole, MewMinto sorrise sinceramente.
«È possibile?» Chiese con una certa titubanza.
«Certo! Devi solo ascoltare le parole che senti venire dal tuo cuore! Non rifiutarle!» Le riferì prontamente, lanciando immediatamente un’occhiata al Chimero.
Sembrava essersi quasi ripreso del tutto.
«Ora scappiamo!» Gridò allarmata, prendendola per un braccio.
La Mew gatto spiccò un balzo con tutta la sua potenza e raggiunse il cornicione di casa Aizawa.
MewMinto la seguì, incespicando.
Credette di precipitare quando il suo corpo le impedì di cadere, scoprendo per la prima volta di saper volare.
Il respirò le si mozzò in gola non appena percepì le sue ali sbattere quasi istantaneamente, e il calore dei muscoli sulla sua schiena seguire le leggere vibrazioni che scaturivano da ogni impercettibile movimento.
Rimase a bocca aperta.
Era una sensazione mistica, fuori dal mondo…
Ma sapeva bene che non c’era tempo per perdersi dietro a quel genere di cose.
MewMinto si concentrò, nel tentativo di raddrizzarsi, e riuscì dopo alcuni sforzi ad alzarsi in volo.
Tuttavia, l’entusiasmo per quell’impresa venne interrotto da voce mai sentita prima, la quale irruppe nei suoi pensieri a gamba tesa.
«E così siete voi!»
La Mew azzurra ruotò le pupille e, inaspettatamente, vide un ragazzo dall’abbigliamento scuro e terribilmente bizzarro, quasi di un altro pianeta, che se ne stava lì a mezz’aria, esattamente come lei.
Strinse gli occhi, osservandolo meglio: aveva lunghe orecchie a punta che spuntavano da sotto ciuffi di capelli scuri, e iridi dorate macchiate da pupille lunghe e strettissime, simili a quelle di felini o rettili.
Infine volava, volava senza aver bisogno di ali, e non capiva come ciò potesse essere possibile**.





***





Kisshu si fermò esattamente di fronte a loro e le guardò fisso, incuriosito; la mano destra appoggiata al mento, come a tenergli la testa sul collo, l’altra poco sotto, allacciata contro la sua vita.
Si trattava di un paio di ragazze vestite in maniera parecchio appariscente.
Che fossero loro due le colpevoli di tanto trambusto?
Negli ultimi giorni, da quando era approdato sulla Terra, aveva gettato qualche alieno para-para giù dal cielo, diretto verso la città, ed era rimasto in attesa che qualcuno o qualcosa abboccasse all’amo.
E cosa si ritrovava? Un ostacolo sul cammino del suo Chimero...un ostacolo del tutto imprevisto, ma decisamente interessante.
Concentrò lo sguardo su entrambe.
Riusciva a scorgere nelle loro espressioni la paura, il dubbio e la sorpresa.
Sorrise impercettibilmente.
«Non avrei mai immaginato che a rovinare i miei piani fossero delle belle fanciulle...» Mormorò divertito, facendo ondeggiare le dita di una mano.
S’abbassò lentamente sul Chimero cane, continuando a tenere d’occhio le ragazze: voleva godersi ogni più piccolo cambiamento sul loro volto.
Vide la ragazza con le ali provare un brivido, forse dovuto alla troppa tensione.
Da quello che aveva capito non era un momento troppo felice per lei, visto che l’aveva vista piagnucolare fino a poco prima.   
Spostò poi lo sguardo sull’altra ragazza, quella vestita di rosa.
Se ne stava ancora acquattata contro le tegole spioventi del tetto, immobile ed a bocca aperta.
Beh, d’altronde sapeva di fare un certo effetto alle ragazze...le cose non sembravano molto diverse su quel pianeta alieno.
«Vorresti dire che tu..!» Esclamò proprio lei, indignata, spalancando gli occhi rosa per lo sgomento.  
Kisshu rise sotto i baffi.
«Che sono il responsabile?» Terminò lui la frase, con tono particolarmente allusivo.
«Esatto...» Soffiò poi, appoggiandosi morbidamente alla testa del Chimero cane.  Allungò una mano verso l’animale, infilando le dita nel pelo bianco e soffice.
Miki non reagì, come se per lui fosse qualcosa di totalmente normale obbedire ai suoi ordini.  
«Non è stupendo? Voglio dire...non è meraviglioso questo cucciolone?» Aggiunse beffardo il ragazzo, con sguardo di sfida.
MewIchigo piegò le sopracciglia in un’espressione arrabbiata.
«Chiunque tu sia, me la pagherai!» Affermò minacciosamente, alzandosi in piedi e tendendo il braccio in avanti, l’indice puntato verso di lui.
Con una formula, la Mew Mew fece comparire una campanella avvolta in un cuore rosa, e la vide lanciarsi verso di lui senza esitazioni.
Kisshu indietreggiò, alzando un sopracciglio.
«Ribbon Strawberry Check!» La sentì pronunciare a chiare lettere, puntandogli la campanella addosso. Un potente fascio di luce si generò da essa, e il ragazzo ipotizzò che la stesse usando come arma.
Decise di spostarsi di lì con ben pochi sforzi, scomparendo letteralmente nel nulla. Riapparve poco più in alto, dove poteva sentirsi più al sicuro.
Sorrise di nuovo: quello era un ottimo punto d’osservazione.
Riuscì infatti a godersi l’espressione incredula della ragazza, che credeva di averlo colpito in pieno.
«M...MewIchigo, attenta!» Strillò MewMinto a squarciagola, alle spalle di lei.
Il Chimero, infatti, aveva approfittato della situazione per spalancare le fauci e attendere passivamente che la Mew gatto finisse nella sua bocca aperta.
MewIchigo, ancora a mezz’aria, se ne accorse in ritardo ed un senso di paura le avvolse lo stomaco.
Si morse il labbro e, con un colpo di reni quasi disperato, riuscì a saltare sul muso del canide e spiccare un altro balzo, atterrando malamente sulla ringhiera di ferro che circondava il perimetro di villa Aizawa.
La ragazza si sbilanciò con i piedi e scivolò, ma fortunatamente riuscì ad aggrapparsi ad una delle sbarre incrinate precedentemente da Miki, evitando di cadere a terra.
MewIchigo strinse nuovamente i denti, e fece appello a tutti i suoi muscoli per riuscire a tirare tutto il corpo oltre la sbarra, sulla quale avrebbe potuto poggiare i piedi e sfuggire dal Chimero.
Kisshu la guardò annaspare penosamente nel tentativo, e non resistette alla tentazione di godersi lo spettacolo più da vicino, ricomparendo proprio sotto di lei.
La ragazza s’accorse della sua vicinanza e sudò freddo per un istante, prima di svuotare la mente dai pensieri e ripetere nuovamente lo sforzo.
Peccato però che l’alieno si fosse accorto immediatamente che per lei si trattava di un’impresa atavica, praticamente impossibile.
Rise di gusto non appena notò il viso di lei completamente paonazzo per la fatica, l’imbarazzo...e la paura.
Sapeva bene di trovarsi in una situazione iper vulnerabile, oltre che tragicamente ridicola.
Kisshu rimase sospeso comodamente per aria, incrociò le braccia e si portò una mano sul mento, mentre MewIchigo se ne stava lì, appesa come un salame a non perderlo di vista nemmeno per un attimo.
Probabilmente lo riteneva pericoloso, s’aspettava un’offensiva...
Ma lui era lì solo per divertirsi.
Quell’angolatura era perfetta per il suo scopo, in quel momento.
Un guizzo particolare riempì le sue iridi ambrate, mentre s’accertava di una serie di particolari: non solo s’era accorto della coda pelosa che sbucava da lì sotto, ma...
«Tsk...mutandine rosa. Me l’aspettavo.» Commentò ad alta voce, senza il minimo pudore.
La Mew rosa arrossì per l’imbarazzo e l’umiliazione.
Lui, invece, sorrise con strafottenza.
A quell’esclamazione la ragazza prese a sgambettare come impazzita, nel tentativo di fargli paura ed allontanarlo il più possibile da lei.
«Fai silenzio, maniaco pervertito!» Protestò, furiosa.
La rabbia le diede la spinta necessaria per compiere un’acrobazia incredibile, quella di cui aveva bisogno per fare un mezzo giro della morte e un atterramento perfetto proprio sopra la ringhiera di ferro.
Il contraccolpo la fece boccheggiare...pareva particolarmente stanca.
«Dicci chi diavolo sei! Cosa vuoi da noi?! Perché hai trasformato Miki?!» Sbottò, accusatoria, tentando di nascondere il fiatone.
Il ragazzo dalle orecchie elfiche le si avvicinò, ignorando totalmente il tono aspro con cui gli aveva parlato.
Doveva ammettere che non gli faceva particolarmente paura.
Si fermò a breve distanza da lei e la squadrò per l’ennesima volta, con occhio clinico. In reazione a ciò MewIchigo fece una smorfia, allontanandosi.
Era visibilmente a disagio in quel momento, e la cosa lo divertiva anche di più.
Decise di rispondere oculatamente ad una delle sue domande.
«Io sono Kisshu...» Replicò semplicemente, «...invece tu...» Cominciò, allungando un braccio verso di lei con un movimento repentino, afferrandole il mento e voltandole il viso nella sua direzione, «...cosa saresti, una gattina?» Domandò infine, leccandosi le labbra.
La ragazza dai corti capelli rosa sentì un brivido freddo lungo la schiena e lo respinse immediatamente, con disgusto.
«Vai al diavolo!» Reagì lei, tremando. «Strawberry Bell!» Gridò prontamente poi, facendo comparire di nuovo la sua campanella.
Kisshu non si fece cogliere di sorpresa e s’allontanò all’istante, senza perdere però la calma. MewIchigo invece si morse l’interno delle labbra, nervosa.
Il ragazzo dagli occhi dorati fece spallucce.
«Ehi, sta’ buona...volevo solo avviare una conversazione pacifica...» Mormorò suadente, prima di aprire la mano sinistra. «…ma non mi lasci altra scelta, tesoro.» Dopo aver pronunciato quelle parole materializzò tra le dita quello che sembrava una specie di spada piccola e sottile, con l’elsa visibilmente ricurva da entrambi i lati. A quel gesto, la ragazza con le orecchie da gatto s’allarmò.
Probabilmente non s’aspettava che sapesse evocare delle armi come lei.
MewIchigo alzò la campanella davanti a lui, tentando di prenderlo in fallo ed attaccarlo per prima.
Kisshu era già pronto ad evitarla, ma non fu la formula della sua diretta avversaria a riecheggiare nell’aria.
«Ribbon Minto Echo!»
L’altra ragazza, la morettina con gli chignon che aveva trascurato sino a quel momento, lanciò il suo attacco e una freccia rilucente d’azzurro si precipitò a grande velocità verso di lui.
Kisshu alzò prontamente il suo sai e con un colpo deciso respinse il dardo della Mew uccello, il quale si conficcò a terra per poi scomparire.
In una brevissima frazione di secondo il ragazzo dalle orecchie elfiche scomparve dalla vista della Mew rosa e riapparve alle spalle della giovane ballerina, ancora appostata sul tetto.
La prima l’aveva minacciato, la seconda aveva osato attaccarlo...beh, era quello che voleva, in fondo...metterle alla prova.
Avevano fegato.
Ma adesso toccava a lui.
Infilò un braccio attorno alla vita di MewMinto e la tirò a sé, senza però immobilizzarla volutamente in maniera efficace.
La sentì tremare per lo spavento sotto le sue dita, al contatto con il suo corpo.
«Anche tu sei carina.» Si limitò a soffiarle nell’orecchio destro.
La Mew azzurra reagì d’istinto e tentò di tirargli una gomitata, ma lui la parò facilmente con una mano.
Un risolino gli sfuggì dalla labbra.
«Sei troppo fragile dolcezza, è meglio che non punti sulla forza fisica...» Commentò, con una certa dose di arroganza.
Lei lo spintonò via e gli puntò nuovamente l’arco contro, ma Kisshu la prese per un polso e la strattonò, spingendola giù dal tetto.
MewMinto precipitò, e subito il terrore s’impossessò di lei, facendole irrigidire i muscoli.
Fece appello a tutte le sue forze per non farsi prendere dal panico proprio in quel momento. Si raggomitolò in aria, allungò la schiena e tese le spalle, facendo muovere le sue ali piumate. Queste risposero ai suoi comandi e le permisero di riprendere il volo, evitandole una brutta caduta.
La sua attenzione, però, si spostò dal ragazzo dagli occhi dorati al Chimero cane, che s’agitava visibilmente a pochi metri da lei: MewIchigo, infatti, approfittando della distrazione di Kisshu, era saltata addosso all’animale e gli era salita sul dorso.
«Ribbon Strawberry Check!» La sentì pronunciare infine, stretta contro il pelo del canide. Questa volta il suo attacco lo colpì, facendolo mugolare rumorosamente.
Miki s’immobilizzò e, infine, cominciò a restringersi sotto i suoi occhi, tornando delle sue dimensioni originali.
La Mew gatto atterrò in ginocchio sull’erba e mandò un sospiro di sollievo, felice di rivedere il cagnolino della sua compagna tornare alla normalità.
Rimase imbambolata a guardarlo mentre Miki prendeva a scodinzolare, come se nulla fosse accaduto. Zampettò dritto verso di lei e le salì in grembo, facendole le feste e leccandole le mani guantate.
«Miki!» Gemette MewMinto, planando a terra e tornando subito da lui.
Alcune lacrime sgorgarono dai suoi occhi lucidi.
Finalmente riusciva a sfogare l’insopportabile agitazione che sentiva scoppiare in tutto il suo corpo.
Kisshu rimase ad osservarle per un po’ da sopra le loro teste, senza fare nulla.
Le due parevano essersi scordate di lui, e lo stavano palesemente ignorando.
Non una mossa furba, pensò.
In fondo avrebbe potuto attaccarle in qualsiasi momento, mentre erano distratte…
Espirò aria dai polmoni, levandosi quell’idea dalla testa.
Fece roteare il polso e, come in un gioco di prestigio, fece sparire il suo sai nel nulla, esattamente come era comparso.
Infine, incrociò le braccia dietro la testa e distese tutti i muscoli del corpo.  
Non ne aveva nessun bisogno...i dati che aveva raccolto erano abbastanza soddisfacenti, nonostante lo scontro fosse terminato a suo sfavore.
«Devo dire che non siete niente male!» Esclamò entusiasta, rivolto verso di loro.
Le ragazze si ricordarono improvvisamente della sua presenza e si voltarono verso di lui, guardandolo in cagnesco.
Una di loro s’alzo lentamente da terra.
«Perché hai fatto tutto questo, razza di delinquente?!» Protestò la Mew azzurra, sul piede di guerra.
Kisshu aspettò a rispondere.
«Mpf! Era solo una prova per testare i miei para-para...» Rispose semplicemente.
Poi fece passare lo sguardo più volte, dall’una all’altra.
Sembravano piuttosto contrariate, ma non se la sentivano di attaccare direttamente...per loro era un sollievo aver concluso la battaglia.
«Piuttosto...non vi andrebbe di schierarvi dalla mia parte?» Propose l’alieno, spavaldo. «Se lo farete, non sarete più costrette a combattere i miei Chimeri e a fare...tutta questa fatica!» Aggiunse poi, stringendo gli occhi.
A quelle parole fu la ragazza gatto ad alzare la voce per conto di entrambe.
La vide digrignare i denti e portarsi una mano sul fianco, come a darsi un tono. «Neanche per sogno! Il tuo scopo è quello di fare del male agli umani!» Rispose sdegnata, puntandolo con il dito indice. «Noi siamo la squadra Mew Mew, e combatteremo per impedire le tue malefatte, alieno!» Aggiunse ancora, adirata.
Kisshu la guardò e la vide arricciare distintamente il naso, come se la sola idea la disgustasse per principio. E il ragazzo sapeva bene che era così: tra le due, la gattina sembrava quella ad averlo preso più in antipatia...
«MewIchigo ha ragione! Te la faremo pagare per ciò che hai fatto a Miki!» Gracchiò l’altra, asciugandosi le lacrime dagli occhi ed impugnando di nuovo l’arco.
Lui alzò le sopracciglia, fingendosi impressionato.
Infine sbuffò, scalciando l’aria con un piede.
«Aahh...troppo prevedibili.» Mormorò, imbronciato. «D’accordo, se non riesco con le buone, proverò con le cattive. Ma non oggi, bamboline!» Esclamò, in modo da farsi sentire chiaramente. «Giocheremo ancora alla guerra...» Sussurrò poi, tra sé e sé, prima di schioccare le dita e scomparire, lo sguardo attonito di entrambe ancora vivido nella sua mente.






***





Minto accavallò le gambe con un gesto delicato e lanciò un sospiro impercettibile, immersa nei propri pensieri.
Unì le labbra socchiuse e poggiò la tazza di tè che teneva nella mano sul piattino in ceramica posto sul tavolo, il tutto continuando a fissare un punto indefinito davanti a sé, tra il pavimento e la gamba di una delle sedie del caffè.
Non riusciva ancora a crederci del tutto.
Anche se erano passati quasi tre giorni, per lei era ancora una cosa troppo nuova.
Poco dopo aver concluso quell’esperienza decisamente traumatica, quella nella quale, nel giardino di casa sua, aveva lottato contro il suo cane infettato da un virus alieno ed aveva compiuto un’inaspettata metamorfosi, Ichigo l’aveva condotta al Caffé Mew Mew, le aveva fatto conoscere i capi del Mew Project ed era finalmente venuta a sapere la verità.
Una verità fin troppo sconcertante, estranea a qualunque tipo di ragionamento logico. Aveva scoperto, infatti, di essere divenuta per errore una specie di paladina della giustizia, il cui DNA era stato fuso con quello di un uccello in via d’estinzione.
Non faceva altro che pensarci in maniera ossessiva.
Proprio a lei, una giovane ragazza ancora nel boccio dei suoi anni, era toccata quella sorte. Era toccato il peso di quella responsabilità così schiacciante…come quello di difendere un intero pianeta dalla distruzione.
Minto sussultò all’improvviso e si portò una mano alla gola, inspirando ossigeno dalle labbra a grandi boccate.
Si sentiva letteralmente soffocare.
Perché? Perché proprio io?, continuava a domandarsi.
Nel corso della battaglia non aveva fatto molto caso a tutti quei dettagli.
In quel trambusto l’adrenalina, la paura e l’istinto di sopravvivenza avevano prevalso sul suo approccio di sempre, generalmente più pragmatico e razionale.
Ma nelle ore successive, non appena s’era resa conto della situazione in cui s’era cacciata, l’ansia l’aveva letteralmente assalita, al punto che s’era messa ad urlare come una pazza.
Era accaduto quella notte stessa, dopo essere tornata dal caffè.
La casa in cui era cresciuta, la camera da letto dove aveva passato la sua infanzia, quei corridoi che conosceva a menadito...tutto le dava i brividi.
Improvvisamente il senso di sicurezza che provava tra quelle mura era scomparso, volato via con il vento.
Infilata nel suo letto, le coperte sulle sue spalle erano diventate impalpabili, inconsistenti.
I tremiti le percorsero il corpo immobile, risalendo dai piedi fino alla mandibola, al collo rigido. Si sentì spogliata d’ogni protezione, inerme, come se l’avessero chiusa dentro una fredda bara di ghiaccio.
Bara.
Deglutì, spaventata.
Tutto quel chiasso aveva svegliato le domestiche e la sua amata Obaa-san.
S’era fatta portare due bicchieri d’acqua e aveva preteso che la donna la rassicurasse a lungo, senza fare nessuna domanda.
Per il resto aveva cacciato tutti gli altri fuori dalla stanza, afferrando minacciosamente uno dei cuscini finemente ricamati del suo letto ed usandolo come arma.
Di certo in quel momento non doveva avere una bella cera.
Non ricordava una notte peggiore di quella, nella sua vita...anche se qualcuna vi si avvicinava di molto.
La mora scosse il capo e sospirò con una certa impazienza.
Più ci pensava, più si sentiva in gabbia.
Tentò a fatica di ricacciare indietro le lacrime che sentiva premere sugli occhi, insistenti.
Non ora. Non qui.
Non era il luogo né il momento adatto per piangere.
Afferrò il colletto della sua divisa da cameriera, un abito blu scuro tutto merletti, e lo tese verso il basso, in modo da liberare il collo.
Si tirò su con la schiena, ritta come una corda di violino, e si paralizzò in quella posizione, rassegnandosi ogni secondo di più all’idea di non riuscire a fermare il battito del suo cuore, che pareva danzare impazzito nel suo petto.
Batté le palpebre, respirando appena, e i suoi occhi ricominciarono a mettere a fuoco lo spazio circostante.
La figura di una ragazza dai capelli rossi si stagliò al centro del suo campo visivo. Questa zampettava energicamente da un angolo all’altro del locale, intenta a servire cappuccini e fette di torta.
Già. Il locale, i clienti…
Shirogane, il biondo tanto affascinante quanto distaccato che gestiva il caffè, le aveva detto che avrebbe dovuto lavorare lì da quel momento in poi.
«È la nostra copertura per il Progetto», aveva affermato.
Lavorare?
Ma quale...scriteriato poteva pensare di usare un caffè che pullulava di giovani per nascondere un progetto avente lo stesso nome, progetto che si serviva, per di più, di un pugno di ragazzine guerriere?!***
Sbuffò a quella considerazione.
Di certo trovare un senso alla storia non era la sua preoccupazione principale, in quel momento...
Sbatté di nuovo le palpebre, concentrandosi per la seconda volta in quei pochi secondi su Ichigo, la sua compagna di squadra.
Visti da lì i suoi occhi color cioccolato sembravano risplendere luminosi e vivaci. Quella ragazza aveva la dote naturale di riuscire a regalare ad ogni cliente un sorriso sincero e spontaneo.
Tutto il contrario di me, pensò.
Ichigo era la persona perfetta per quel genere di cose.
Adattarsi a qualcosa di nuovo, prendendone pian piano la forma...senza fare particolari sforzi.
Lei, invece, era la tipica persona che non apprezzava affatto i cambiamenti improvvisi.
Si ritrovava ad opporre resistenza, a pensare due tre quattro, dieci volte prima di prendere una decisione...
Per poi rimuginare ancora, dopo averlo fatto, fantasticando su cosa sarebbe successo se avesse scelto diversamente...
Non era tipico di lei essere spensierata ed allegra.
Non era così che le avevano insegnato a vivere...
I suoi principi personali le impedivano di voltare lo sguardo e la spingevano a dover affrontare di petto le situazioni...anche quando non era realmente pronta per farlo.
Quello era il modo migliore per dominarle e per fare esperienza…
O almeno così pensava.
Solo che, quello che aveva appena ingoiato...sembrava un boccone troppo duro da digerire.
Abbassò lo sguardo sulla tazza ancora mezza piena, prestando fin troppa attenzione ai riflessi di luce sulla superficie rossastra del tè.  
Beh, forse questa volta ti sei un po’ sopravvalutata.
«Minto?»
Una voce femminile la richiamò, e ci mise qualche secondo per capire che era quella di Ichigo, la quale si era avvicinata al tavolino più defilato del locale, quello che aveva scelto per starsene seduta tranquilla lontana dal baccano.
«Mh?» Mugugnò la giovane dai capelli scuri, massaggiandosi le nocche di una mano con le dita. «Ah, sei tu.» Mormorò, guardandola con un paio di occhi serissimi e facendo finta di nulla.
«Sono io?! Non hai nient’altro da dire?! Te ne stai qui tutto il tempo a fare niente invece di aiutarmi!» Protestò la rossa, battendo una mano sul tavolo.
Minto la osservò sbottare in quella maniera così sgraziata e non poté fare a meno di paragonarla ad una specie di scimmia infuriata.
Trattenne un risolino.
«Stai dando spettacolo...» Replicò, riducendo al minimo le parole.
«Non cambiare discorso!» Reagì Ichigo immediatamente, scaldandosi.
Minto non smise di guardarla allo stesso modo, immaginando cosa sarebbe venuto subito dopo la sua affermazione: sapeva bene, infatti, che Ichigo non aspettava altro che una sua provocazione per vomitare altre lamentele di poco conto.
Come aveva previsto, la rossa stava per aprire di nuovo bocca e darle il benservito, ma per sua sfortuna venne interrotta dall’arrivo di Ryou, giunto dal corridoio alle sue spalle.
«Non c’è tempo per litigare» Proruppe il ragazzo dagli occhi azzurri, bloccando le ostilità sul nascere. Il suo tono era serio, e...anche Ichigo se n’era resa conto subito.
Diamine...
«È successo qualcosa, Shirogane?» Chiese la Mew gatto, preoccupata.
Lui annuì con un cenno del capo.
«C’è bisogno di voi. Non preoccupatevi, qui ci penso io.» Esclamò lui, riferendosi ai clienti nel caffè.
Scambiò uno sguardo d’intesa con la rossa, la quale recepì immediatamente il messaggio. Lanciò poi un’occhiata rassicurante anche in sua direzione, ma…
Minto non reagì con lo stesso entusiasmo.
Al contrario, deglutì senza emettere un fiato, ma nessuno sembrò accorgersene.
«Andiamo, Minto. Dobbiamo intervenire!» La incitò Ichigo, correndo verso il retro della caffetteria.
La ballerina la vide allontanarsi e sparire oltre corridoio.
Allungò malamente le gambe sotto il tavolo, mettendosi a fissare con interesse la punta delle sue scarpe.
Intervenire.
Trasformarsi, lottare...sudava freddo alla sola idea.
Ma non aveva scelta.
Affronta di petto le situazioni.
Si prese un grosso respiro e qualche secondo di tempo prima di decidersi ad alzarsi, ancora incerta.
Infine, seguì Ichigo, diretta verso la porta sul retro.
    










***

* I nomi sono puramente inventati da me.
** «È possibilissimo invece, Ironman usa dei propulsori su mani e piedi! Questo significa che anche io...» nd Kisshu con aria da saputello mancato
«Ah, ti prego, taci.» nd Kuro guardandolo storto
*** Dear Mint...è per questo che ti adoro xD Sei la voce dei miei pensieri più acidi xD

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Capitolo 9
*** First Act ~ VII. Alive. ***


VII.
Alive.





I can't escape myself
So many times I've lied
But there's still rage inside
Somebody get me through this nightmare
I can't control myself

So what if you can see the darkest side of me?
No one would ever change this animal I have become
And we believe it's not the real me
Somebody help me tame this animal I have become
And we believe it's not the real me
Somebody help me tame this animal

Three Days Grace – Animal I have become








Quando uscì dal dojo del nonno era ormai buio.
Chiuse la porta dietro di sé, si sistemò per bene la borsa sulla spalla e percorse il vialetto che conduceva verso il cancello d’uscita.
Allungò un braccio, fece girare la chiave nella serratura e non appena questa scattò mise un piede fuori, sgranchendo il collo e le spalle con movimenti lenti.
Sospirò.
Era un po’ stanca, ma si sentiva sempre rinvigorita dopo un po’ di buona attività fisica…
La aiutava a riequilibrare le energie.
Infilò le mani nella tasca della giacca e s’avviò, con la testa tra le nuvole.
Le sarebbero bastati poco più di cinque minuti di camminata per tornare a casa.  Ripercorse mentalmente il tragitto che avrebbe fatto di lì a pochi secondi, concentrandosi sullo scorcio di strada che aveva di fronte.
Riusciva a vedere così bene...
Serrò le labbra, apprestandosi a sorpassare velocemente un incrocio, quando le sue orecchie si riempirono di un boato che sembrava essere poco distante.
Si voltò immediatamente verso il rumore, allarmata, mentre uno strano senso d’inquietudine s’apriva nel suo stomaco.
Attraversò rapidamente la strada e s’appiattì contro il muro di un edificio, fermandosi ad ascoltare. Il trambusto sembrava provenire dal parchetto del quartiere, proprio a due passi da lì…
Suguri prese un lungo respiro, poi si sporse e lanciò un’occhiata alla sua destra, in una piccola via che incrociava perpendicolarmente la sua.
Strinse gli occhi, come se con quel semplice gesto potesse acuire i suoi sensi.
In effetti, le parve davvero possibile : i dettagli sembravano più chiari…
Ma avrebbe preferito non vedere.
Nei pressi di una piccola area verde, a lato della carreggiata, sbucava la sagoma minacciosa di un mostro alto più o meno tre metri.
Assomigliava ad una specie di lucertola, aveva una bocca larga piena di denti aguzzi e occhi tondi che scintillavano al buio.
La bestia prese un albero tra le zampe, conficcando gli artigli nel tronco, e con grande facilità lo sradicò dal terreno, lanciandolo in strada.
La pianta impattò sull’asfalto proprio di fronte ad un’auto, che riuscì ad evitarla per pura fortuna grazie ad una tremenda frenata.
Il frastuono dell’attrito delle ruote a terra si mischiò al sibilo acuto del mostro e alle urla di una coppietta dall’altro lato della strada che correva via terrorizzata, più veloce della luce.
La lucertola avanzò con le zampe posteriori, a passi pesanti e rumorosi, e sferrò un altro colpo, questa volta verso le auto in strada.
Lo spostamento d’aria ne fece alzare una da terra, facendola finire contro gli altri veicoli in coda.
I passeggeri si riversarono fuori appena in tempo e corsero verso la zona residenziale, luogo dove pensavano di essere più al sicuro.
Suguri assistette senza credere ai suoi occhi.
Quello scenario era spaventoso...
Strinse le dita nel pugno, nervosa, mordicchiandosi il labbro inferiore.
La paura, l’adrenalina e la curiosità morbosa di capire cosa stesse succedendo fluivano fragorose nelle sue vene, in un cocktail letale di eccitazione.
Era del tutto illogico...eppure percepiva chiaramente una forza sconosciuta che come una calamita l’attirava verso quel luogo.
Verso quel mostro...
Dopo qualche attimo d’esitazione decise di avvicinarvisi, continuando a stare rasente gli edifici per non farsi notare.
Si portò una mano sul petto, agitata.
Il cuore le batteva forte, ma non poteva proprio fermarsi: sapeva bene che se fosse fuggita se ne sarebbe pentita...e tutta quell’ostinazione le metteva un po’ paura.
Riuscì a giungere a pochi passi dal rettile, che fino a quel momento aveva tenuto attentamente d’occhio.
S’accucciò contro il tronco di un albero e inclinò il collo verso il lucertolone, ma ciò che scorse nel cielo notturno la stupì non poco.
Ben al di sopra delle fronde alberate, infatti, distinse chiaramente una figura umanoide che fluttuava a mezz’aria.
A quanto pare, le assurdità della giornata non si fermavano a quell’animale gigante uscito da un videogioco...*
Proprio in quel momento, mentre era distratta, il rettile s’accorse della sua presenza. Spalancò i suoi terribili occhi gialli e si piegò repentinamente in avanti, cercando di assestarle una zampata.
Suguri la evitò con una velocità che aveva dell’incredibile.
Non contento, il grosso animale avanzò e le si avventò addosso più volte, nel tentativo di colpirla.
Lei riuscì a schivare ogni suo colpo, al costo però di un rovinoso dietrofront.
Si ritrovò ben presto al punto di partenza, un muro alle spalle e priva di vie d’uscita.  Il rettile avanzò nella sua direzione, sicuro di avere ormai intrappolato la sua preda.
Suguri digrignò i denti.
Iniziava a pentirsi della sua stupida incoscienza.
Ora doveva pensare a come uscire da quella situazione.
Dannazione, sarebbe dovuta fuggire…
«Merda...» Mugugnò tra i denti.
Cercò di formulare una serie d’idee, ma non appena guardò in quegli occhi gialli e spaventosi il suo corpo s’incurvò, diventando come piombo.
Inghiottì saliva, ma le sembrò ghiaia.
Quello era...terrore?
Ansimò, sentendosi mancare l’aria.
Non riusciva a pensare...era in panico.
Vide quell’arto fuori misura alzarsi in alto.
Perché non riusciva a muoversi?!
Era la fine...
No. Non voglio!
Suguri lanciò un urlo disperato, ma una fitta al polso sinistro la distrasse, facendola ritornare alla realtà. Una smorfia di dolore distorse la sua bocca.  
Con un gesto rapido e nervoso spostò la manica della divisa, scoprendo il lembo di pelle colpito da quella fastidiosa sensazione di bruciore.
La strana voglia che le era apparsa qualche giorno prima luccicava nel buio di una tonalità rossa vivace.
La sentiva pulsare al ritmo del cuore, come se tutto il suo sangue stesse confluendo lì. Come se una bestia stesse per liberarsi dalla sua gabbia...
In risposta al suo grido, la lucertola si fermò e lanciò un orribile verso.
Si preparò nuovamente ad attaccare.
La mora lo fissò, ma la sua mente era altrove, impegnata a scorrere tutti gli eventi strani ed apparentemente casuali del suo passato recente.
Il sogno con la tigre, la voglia sul polso, la sua forza assurda, la vista perfetta anche in quelle condizioni di buio...
E ora, quel mostro e l'istinto che la spingeva a sfidarlo.
Non potevano essere tutte coincidenze.
Il rettile si lanciò su di lei.
La ragazza sentì le membra bruciare, poco prima che le sue gambe spiccassero un salto che non aveva nulla di normale, scavalcando la creatura in altezza.
Si trovò per un momento a mezz'aria, come se stesse volando…
Trattenne il respiro, mentre il suo corpo si muoveva in avanti eseguendo una capriola da fare invidia ai migliori ginnasti.
Non aveva la minima idea di come ci fosse riuscita...ma le era venuta parecchio utile: grazie a quell’acrobazia inaspettata era riuscita non perdere di vista il suo l'avversario, che ora poteva essere colto di sorpresa.
Piegò le ginocchia ed atterrò sul cemento senza particolari problemi, come se il suo corpo fosse nato per farlo.
Si concentrò sulla lucertola.
Devo agire!
Pensò con determinazione, prima di assumere una posizione che bilanciasse il suo baricentro: petto in fuori, braccia piegate in avanti e pugni chiusi.
In quel momento, però, percepì al tatto morbidi guanti scuri sulle sue mani.
Non c’erano prima…
Diede un’occhiata al suo corpo, scoprendo con stupore di stare indossando un vestitino corto dalla gonna ampia e ariosa.
Questo le lasciava scoperte parte della schiena, le spalle e le braccia, ad eccezione di un paio di bracciali stretti poco sotto le ascelle.
Ai piedi, invece, portava un paio di stivaletti con zeppa del tutto simili a quelli che già indossava in precedenza; mentre una giarrettiera le fasciava la coscia sinistra.
«Da dove cavolo è uscito?!» Esclamò, sconvolta.
Il mostro dall’aspetto di rettile non si accorse nemmeno di quel piccolo dettaglio e si limitò ad attaccarla di nuovo, sperando di coglierla di sorpresa.
Suguri, tuttavia, scansò l'ennesimo colpo, ritrovandosi a pensare a quanto fosse facile muoversi a quella velocità strabiliante.
I suoi riflessi erano ad un livello superiore a prima, ma...
Non poteva continuare a sfuggire ai colpi all'infinito.
Come fermare quel mostro?
La ragazza deglutì, guardandosi attorno nervosamente.
Notò alcuni alberi sradicati, macchine ribaltate e visibili segni sull’asfalto, sgretolato dagli artigli del mostro.
Ci doveva pur essere un modo per sbarazzarsi di lui…
Mentre tentava di riflettere, una sensazione di nausea salì tutta d’un colpo dalle sue viscere.
«Cosa...» Balbettò lei, ansimando.
Le parole le si erano bloccate in gola.
Che sensazione sgradevole...quasi le veniva da vomitare.
Strinse gli addominali, ma le sembrò un gesto del tutto inutile.
«Suguri...Handgun!» Proferì stentatamente.
Aprì la mano destra, come se sapesse già cosa fare, e una pistola dal corpo massiccio comparve al suo comando in uno schiocco di luce.
La ragazza la fissò ancora più incredula, afferrandone l’impugnatura ed allungando il dito indice verso il grilletto.
V’indugiò sopra per pochi attimi, accarezzandolo cauta con il polpastrello.
Un sorriso obliquo si dipinse immediatamente sul suo volto.
Strinse tra le dita quella nuova, provvidenziale arma apparsa dal nulla, fantasticando sulle sue incredibili potenzialità nascoste.
Chissà cosa poteva farci, con quella pistola...
La cosa cominciava a piacerle parecchio.
Alzò lo sguardo verso il goffo lucertolone, esaminandolo con aria di sfida.
Il terrore di poco prima sembrava svanito nel nulla…ora sapeva bene che poteva sconfiggerlo.
Tese il braccio destro in sua direzione, prendendosi il solo tempo di un secondo per mirare.
«Ribbon Suguri Explosion!» Esclamò con voce limpida e sicura, sparando un colpo luminoso che impattò sul muso dell’alieno.
Quello indietreggiò, portandosi le zampe sulla parte lesa e ululando di dolore.
MewSuguri si regalò un’espressione di soddisfazione, prima di sfilare alla sua destra ed uscire dal suo campo visivo.
All’improvviso si sentiva scoppiare di energie in ogni cellula del suo corpo.
«Allora, non riesci a starmi dietro, stupido lucertolone?» Domandò lei, provocatoria, burlandosi dell’avversario.
Non voleva lasciargli il tempo di reagire.
La ragazza piegò allora le ginocchia, tese tutto il corpo e spiccò un balzo, saltando sopra la sua testa.
Puntò la pistola verso il basso.
«Ti saluto, amico!» Lo schernì, sparando un secondo proiettile dritto nella bocca della creatura, ancora aperta per via dei gemiti sofferenti.
Al contatto con esso il grosso rettile si dissolse all’improvviso, come aria sotto i suoi piedi. La Mew Mew assistette alla sua scomparsa senza troppo sbigottimento, poi atterrò al suolo con una capriola, attutendo perfettamente l’urto.
I suoi occhi, ormai abituati a quel buio, individuarono quasi subito una piccola, bizzarra medusa che fluttuava in aria, ignorando del tutto la gravità terrestre.
Piegò le labbra in una smorfia, soffermandovicisi per qualche secondo di incredulità.
In quel momento, però, il battito di mani di un applauso ruppe il silenzio, attirando la sua attenzione in un punto preciso sopra la sua testa.
Ruotò gli occhi in quella direzione trovandosi davanti un uomo che se ne stava sospeso in aria.
Strinse gli occhi.
Si trattava dello stesso tipo che aveva visto poco prima...ma nella foga del suo combattimento con il lucertolone se n’era del tutto dimenticata.
«Brava! Complimenti, te la sei cavata in un attimo!» Commentò lui, entusiasta.
A quell’esclamazione fece seguire una risata, cristallina e beffarda.
La ragazza rimase a guardarlo senza dire nulla, in attesa di una sua mossa.
Non passò molto prima che lo strano tipo s’avvicinasse a lei abbassandosi di un paio di metri, restando a fissarla con aria curiosa ed interessata.
«Non mi aspettavo che in giro ci fossero altre ragazze come te. Una vera seccatura...» Mugugnò con un tono a metà tra l’adirato e il divertito, portandosi una mano al mento.
Era un ragazzo alto, dai capelli scuri, legati in strani codini ai lati della testa.
Iridi color oro erano incastonate in occhi dal taglio stretto ed allungato, quasi da felino; mentre ai lati della testa spuntavano elfiche orecchie appuntite.
Indossava pantaloni lunghi e neri stretti alle caviglie, una specie di giacca sbracciata dello stesso colore tirata fino in cima con una cerniera color rosso vivido, e un paio di calzature scure ed indefinite.
Gli avambracci erano coperti da strati di bende color bordeaux…**
Fece una smorfia.
Sembrava uscito da un videogioco di Tekken...*
«Chi diavolo sei?» Sputò, usando il minimo garbo possibile.
Lui la squadrò a sua volta per qualche secondo, ignorando il suo tono.
Incrociò le gambe nel vuoto e le braccia dietro la testa.
«Io mi chiamo Kisshu...» Rispose lui, «E tu, Tigrotta?» Chiese poi, enfatizzando particolarmente quel nomignolo.
Lei grugnì. Notava un certo sarcasmo nel suo modo d’atteggiarsi…
La stava prendendo per i fondelli.  
«Non t’azzardare!» Ringhiò, puntando la sua pistola verso di lui. «Hai creato tu quel mostro, vero?» Domandò.
Doveva scucirgli il più possibile.
Il suo aspetto, le sue presunte abilità...erano molti gli elementi per cui quel tizio sembrava essere estremamente sospetto.
Lui aprì le braccia in segno d’innocenza.
«Calmati tesoro, ho solo chiesto come ti chiami...» Mormorò, storcendo il naso. «In ogni caso lo scoprirò, che tu me lo dica o meno.» Ribatté poi, facendole una linguaccia.
Non sembrò intimorito dal suo tono aggressivo, anzi.
Lui replicava, stava al gioco...
La Mew tigre espirò profondamente e si rilassò, lasciando la posizione di guardia.
Abbozzò un sorriso di sfida.
I giochi le piacevano. Le piacevano davvero un sacco...
«Bene allora, perché non lo scopri?» Rispose, incrociando le braccia.
A quelle parole il ragazzo le si avvicinò molto, gli occhi ambrati fissi nei suoi, intensi e sfrontati.
L’atmosfera si fece più tesa, ma MewSuguri non distolse lo sguardo.
«Consideralo già fatto dolcezza, ma ad una sola condizione...» Aggiunse, portandosi le mani ai fianchi.
«Ovvero?» Mormorò incuriosita, alzando un sopracciglio.
Lui schioccò la lingua sul palato.
«Se lo scopro dovrai venire dalla mia parte...Ti-grot-ta!» Sogghignò il ragazzo, parecchio sicuro di sé.
«Perché, tu da che parte staresti?» Replicò perplessa, ignorando il suo tono.
Lui indietreggiò con uno scatto.
«Di certo non dalla vostra, umani!» Rispose caustico, stringendo gli occhi in due fessure, lo sguardo spaventoso e famelico.
D’improvviso l’atmosfera crollò, passando da scherzosa a fredda ed inquietante.  
Un brivido su per la schiena la colse di sorpresa.
Che diavolo era quella sensazione?
Indietreggio in maniera impercettibile, cercando di non perdere la calma.
«Quindi...cosa vuoi esattamente?» Domandò d’istinto, senza pensarci troppo su.
No, non aveva paura...non aveva idea di quali segreti nascondesse, ma non le avrebbe impedito di parlare fuori dai denti.
Kisshu scelse di restare in silenzio a fissarla, prima di scendere a terra.
Che non la ritenesse abbastanza minacciosa da tenersi a distanza da lei?
La Mew Mew strinse meglio la pistola nella mano sinistra, accarezzando con insistenza il grilletto.
Al primo passo falso sarebbe stata pronta a colpirlo…
«Vedi, carina... ora vuoi sapere un po’ troppo, non ti pare?» Le mormorò lui, sprezzante. Con un movimento che la ragazza percepì a malapena, le circondò le spalle con un braccio e l’agguantò, tirandola a sé.
MewSugurì scattò rapidamente e con un guizzò puntò la canna della pistola contro la sua gola, gli occhi iniettati di sangue.
Questa volta fu Kisshu a rimanere senza parole.
Deglutì appena, tentando di non farglielo notare.
Allungò piano il braccio libero, afferrando con decisione il polso della ragazza nel tentativo di bloccarla o di disarmarla.
Lei sentì immediatamente la pressione applicata in quel punto e vi si oppose con ostinazione. Strinse i denti, mentre il suo braccio tremava visibilmente nel tentativo di resistere.
Aveva una forza fisica niente male...riusciva a contrastare la sua.
Peccato che non si fosse curato di bloccarle le dita...o il suo braccio destro.
Gli sferrò repentinamente una gomitata sotto le costole, liberandosi dalla sua presa. Poi afferrò saldamente la pistola con entrambe le mani e gliela puntò contro, facendo fuoco.
Lui venne colto di sorpresa dal suo contropiede, ma riuscì letteralmente a smaterializzarsi di fronte ai suoi occhi prima che il suo proiettile potesse colpirlo.
Lei sussultò, incredula.
Ecco il perché di quel suo fare arrogante...poteva eludere facilmente i suoi attacchi.
Aveva ragione a sospettare che fosse pericoloso.
Kisshu ricomparve a qualche metro d’altezza dal terreno, la mano sinistra premuta contro l’addome, pur tuttavia senza perdere il sorriso obliquo che aveva stampato in faccia.
MewSuguri mugugnò, stizzita.
Forse la gomitata non gli era bastata…
Aveva proprio voglia di dargli una bella lezione.
«Ti trovo divertente, lo sai?» Ridacchiò lui, dondolando sopra la sua testa.
Lei non si fece distrarre e prese di nuovo la mira.
Si coprì la bocca, soffocando una risata di scherno.
«La cosa è reciproca. Devo dire che sei un bersaglio perfetto!» Rispose canzonatoria.
Si preparò a sparare, ma il ragazzo anticipò qualsiasi sua mossa e svanì di nuovo, andando a ripararsi in un punto sicuro, lontano dal suo campo visivo.
La mora si guardò attorno senza riuscire ad individuarlo.
«Tks!» Grugnì semplicemente, abbassando l’arma.
«Time out, Tigrotta...per stasera ho giocato abbastanza con te!» Esclamò lui a voce alta. Il suo udito finissimo le fece capire che s’era riparato in un punto più alto, magari sopra un edificio od un tetto.
A seguito di quelle parole non percepì più nulla, eccezion fatta per un semplice fruscio.
Stette all’erta qualche secondo in più, solo per accertarsi che se ne fosse andato, e quando fu finalmente sola sciolse i muscoli rigidi per l’adrenalina, mandando un sospiro profondo.
Era finita.
Si sentiva così stanca…
Sbatté gli occhi piano, osservandosi attorno in silenzio.
Il parco era ormai deserto...
Non passò che qualche attimo prima che lei decidesse a raggiungere con un paio di balzi uno dei veicoli ammaccati abbandonati sulla carreggiata.
Approfittò della luce dei lampioni per potersi specchiare in uno dei finestrini, dai quali riuscì a mettere a fuoco il suo viso.
Orecchie morbide e striate sbucavano da sotto i suoi capelli e direttamente dalla sua pelle, proprio dove avrebbero dovuto trovarsi le sue orecchie umane.
Voltò il collo, guardandosi da più prospettive, scrutando con morbosa curiosità la sua figura riflessa.
Più prendeva coscienza di quella realtà, più le sembrava incredibile...
«La donna tigre...» Esclamò, scoppiando a ridere.
Tuttavia, scacciò in fretta quel pensiero.
Le sue sembianze non avevano nulla di normale, e quello strano tizio sarebbe tornato, ne era sicura.  
Si morse il labbro.
Se non trovava il modo di tornare al suo aspetto originale sarebbero stati guai...
Mentre rifletteva preoccupata sul da farsi, i suoi pensieri vennero bruscamente interrotti dal sibilo di sirene in lontananza.
Ad occhio e croce si trattava della Polizia, e stava giungendo proprio lì.
Sospirò.
Doveva andarsene immediatamente, o l’avrebbero scoperta...avrebbe pensato a come tornare normale non appena tornata a casa.
MewSuguri lanciò un’occhiata ovunque, accertandosi di non essere osservata e, con la complicità della notte, sparì tra gli edifici senza lasciare traccia.





***




MewIchigo si diede un’energica spinta con i polpacci, spiccando l’ennesimo balzo che, dal cornicione di un edificio, le fece raggiungere un tetto poco più avanti.
Si stava ormai abituando all’agilità straordinaria che le veniva conferita dai poteri del Gatto Iriomote.
Un vento fresco le sferzò il viso, facendo svolazzare i suoi capelli color caramella.
Si voltò indietro, lanciando uno sguardo alla sua compagna, MewMinto, la quale non arretrava il passo e la seguiva con la stessa velocità.
Sorrise, quando s’accorse del fatto che stesse usando le sue ali piumate per spostarsi.
Probabilmente, anche lei stava prendendo sempre più coscienza delle sue nuove abilità. Era entusiasmante potere avere un’alleata affidabile come lei, anche se a volte bisticciavano.
«Saremo quasi arrivate?» Le domandò, come a chiederle una mano.
Ryou aveva fornito loro le coordinate esatte del posto in cui dovevano dirigersi, ma doveva ammettere che non aveva un eccellente senso dell’orientamento.
«Dovremmo quasi esserci!» Esclamò la Mew azzurra, indicando un punto davanti a sé. MewIchigo seguì la direzione del suo dito, e scorse luci rossastre ed intermittenti che si riflettevano sulle facciate di alcuni palazzi, in quello che sembrava un piccolo quartiere.
La Mew gatto trattenne il fiato.
Shirogane aveva detto loro di aver percepito la presenza di un Chimero, eppure sentiva che quella sera sarebbe successo qualcosa di diverso.
Non riusciva nemmeno lei a comprendere il perché di quelle sensazioni…ma si fidava del suo intuito.
Non vedeva l’ora di accertarsene in prima persona per scoprirlo.
Accelerò lievemente il passo, e pochi secondi dopo il cicalino emesso dal suo ciondolo s’affievolì fino a spegnersi.
Erano finalmente arrivate.
Le due ragazze decisero di comune accordo di rimanere nascoste proprio lì, sopra quell’edificio, per osservare meglio la situazione prima di scegliere una linea d’azione.
MewIchigo s’aggrappò alle tegole spioventi del tetto e guardò verso il basso, tendendo le orecchie feline: il suo udito sarebbe potuto venire utile.
Si concentrò sull’origine delle luci intermittenti che avevano già scorto in lontananza. Ora erano molto più vicine.
Scorse chiaramente un gruppo di automobili scure in sosta disordinata in mezzo ad una carreggiata vuota.
I fanali sul tettuccio delle auto, di un rosso acceso ed abbagliante, erano ancora in funzione. Un gruppo di uomini in divisa esaminava la zona con circospezione.
Una pattuglia della polizia?
Ruotò gli occhi pochi metri più in là, e scorse un altro paio di veicoli visibilmente ammaccati e rovesciati a terra; l’asfalto distrutto, come se una belva l’avesse preso a zampate con lunghi artigli; e un tronco d’albero completamente sradicato, riverso a terra, che bloccava completamente il passaggio.
Strinse le labbra e scelse di osservare oltre, facendo una radiografia completa dell’area.
Un piccolo parco, con tanto di fontanella e giostre di legno, troneggiava a lato della strada.
Concentrò la sua attenzione su di esso, ma constatò che fosse deserto.
MewMinto, dopo lunghi secondi di silenzio, si voltò verso di lei, confusa.
«C’è stato sicuramente un Chimero qui, ma...» Suppose, incrociando le braccia, «...è già stato sconfitto.» Concluse.
L’altra la guardò di sottecchi.
«Tu dici?» Domandò.
In effetti, le sembrava un’ottima supposizione…
La ragazza con gli chignon annui convinta.
«Forse una nostra compagna se n’è sbarazzata prima di noi...» Ipotizzò.
La Mew gatto sussultò, a quelle parole.
«Una nostra compagna? Sarebbe fantastico!» Esclamò, portandosi una mano alla bocca.
«Già. Penso che dovremmo avvisare Shirogane...» Mormorò, afferrando il ciondolo tra le dita. «Shirogane...» Lo contattò lei, senza perdere tempo. «Siamo arrivate sul posto, ma crediamo che...»
«...che un nuovo membro abbia usato i suoi poteri, dico bene?» Dichiarò la voce dell’americano da oltre il terminale.
Le ragazze si guardarono stupite.
«Come lo sai?» Chiese incredula la Mew gatto.
«Dal computer riesco a percepire i segnali di trasformazione di voi ragazze...» Rispose lui, prontamente, «...ma...»
MewIchigo deglutì, impaziente.
«Ma…?» Borbottò.
Shirogane fece un sospiro.
«Ho percepito due segnali di trasformazione quasi in contemporanea...il primo l’ho perso, mentre il secondo si trova attualmente nell’Istituto scolastico Okumura.» Affermò, asciutto.
La ragazza dai capelli rosa storse il naso.
Non ne aveva mai sentito parlare.
«Istituto scolastico Okumura…?» Ripeté lei, perplessa.
«Vi mando le coordinate!» Replicò il biondo, chiudendo il collegamento.
Il cicalino riprese.
MewMinto lanciò a MewIchigo uno sguardo d’assenso, guardandola con le sue iridi blu cobalto.
«Andiamo ad aiutare la nostra compagna!» Mormorò la ballerina, con rinnovato entusiasmo: l’idea di conoscere una ragazza nuova sembrava piacerle quanto piaceva a lei.
MewIchigo annuì decisa, stringendo i pugni.
«Si!» Asserì di rimando, tutta impettita.
A quelle parole, dunque, la Mew uccello s’avviò velocemente in direzione sud ovest, intenzionata a non perdere secondi preziosi.
MewIchigo prese un bel respiro e riprese a correre, seguendola senza remore.





***




Retasu incespicò nei suoi stessi piedi nel tentativo impacciato di tenere il passo con le sue amiche, le quali la stavano malamente trascinando per i corridoi della scuola ormai deserti.
Lanciò uno sguardo alle ampie finestre alla sua destra.
Il sole stava già tramontando, ed era certa che tra pochi minuti si sarebbe fatto buio.
Sospirò, mordendosi il labbro.
Era rimasta a scuola per i laboratori pomeridiani e al termine aveva aspettato le amiche. Erano state proprio loro ad insistere di darsi appuntamento.
Non sapeva proprio cosa aspettarsi, ma voleva sforzarsi di pensare in positivo.
È vero, a volte erano ragazze un po’ scorbutiche ed arroganti, ma era certa che…
Le cose sarebbero solo migliorate, da lì in avanti.
Sì, se l’era ripromesso, però…
Deglutì, pensierosa.
Sei sicura di quello che pensi?
Retasu reagì con un sussulto intenso ed improvviso.
Quello che pensava...l’altra sé la metteva in difficoltà, a volte.
Era quasi come una farsi una doccia fredda in pieno inverno…
Le venivano i brividi.
In quel momento, optò per lasciare in sospeso quella spinosa domanda, concentrandosi piuttosto sul suo dolore al polso.
«Manami-san, mi fai male!» Si lamentò la ragazza con gli occhiali, gemendo.
Manami, infatti, la tratteneva per il polso destro mentre scherzava e parlava animatamente con Eiko e Rika**.
Sembrava quasi che a loro importasse poco e niente della sua compagnia…
Sospirò nuovamente, rimanendo in silenzio.
Seguì le ragazze su per un paio di lunghe rampe di scale.
S’aggiustò gli occhiali sul naso, guardandosi attorno.
Non ricordava di essere mai stata in quella zona dell’edificio…
«Ragazze, dove stiamo andando?» Abbozzò alle loro spalle.
Rika, la sua compagna dai morbidi capelli mossi color grano, si voltò a guardarla facendole un sorriso.
«Dobbiamo mostrarti una cosa. Sarà divertente!» Le disse solo, tornando ad ignorarla.
La vide ridacchiare insieme ad Eiko, che camminava a sinistra di Manami.
Oltre le scale, il gruppo si trovò di fronte ad una grande porta dalle ante bianche.
Retasu sbatté gli occhi, fissando la targhetta appesa al muro, sulla quale campeggiava la scritta «Piscina esterna Okumura».
«La...la piscina?» Balbettò, impaurita.
Non sapeva nemmeno che la sua scuola ne possedesse una, e nemmeno che fosse agibile...non ricordava l’esistenza di un club di nuoto.
Manami, l’amica dai corti capelli ramati, estrasse una chiave dalla gonna della divisa e la infilò nella toppa, facendo scattare la serratura.
Eiko si coprì le labbra con una mano, trattenendo una risatina.
«Manami, sei un mito!» Esclamò, lanciandole uno sguardo d’intesa.
Retasu osservò la scena con un filo di sbigottimento.
«Come fate ad avere questa chiave?» Borbottò la giovane dai lunghi capelli color lattuga, scuotendo la testa.
Manami la spinse dentro insieme a loro e richiuse piano la porta alle sue spalle, attenta a non farsi notare da nessuno.
«Oh, questo non è importante. Abbiamo scoperto una cosa.» Disse persuasiva, incrociando le braccia dietro la schiena.
«Devi venire con noi!» Replicò imperativa Rika, agguantando nuovamente Retasu per il polso, fino a condurla vicino al bordo della piscina.
Retasu le seguì con titubanza e strabuzzò gli occhi, quando s’accorse che la vasca era effettivamente piena d’acqua.
Eppure, la struttura sembrava non venisse usata da molto tempo.
Sentiva che c’era qualcosa di profondamente sbagliato in tutto quello che stava succedendo...
Rika la tirò giù con sé, accucciandosi vicino al bordo, poi indicò un punto al centro della piscina.
«Crediamo che sul fondo ci sia qualcosa che brilla, forse un gioiello...Manami lo ha perso proprio qualche giorno fa, e abbiamo il sospetto che qualcuno glielo abbia sottratto e lo abbia lanciato lì dentro per farle un dispetto!» Le spiegò la ragazza bionda. «Tu riesci a vederlo?» Domandò infine a Retasu.
Lei provò a sporgersi, tentando di vederci chiaro, ma ormai il sole era quasi calato ed era davvero difficile capire se ci fosse qualcosa.
«B-beh...non saprei, io non riesco a vedere niente!» Si giustificò la ragazza con le trecce.
«Come? È per questo che ti abbiamo portata fino a qui!» Si spazientì Eiko, incrociando le braccia sul petto. «Credi che ad una di noi salti in mente di entrare in piscina a controllare senza permesso?»
Retasu ruotò il collo, deglutendo della saliva.
Iniziava ad agitarsi, adesso.
«M-ma...perché non chiedete agli inservienti? Forse loro potrebbero aiutarvi più di me…!» Propose lei, timidamente.
A quelle parole seguì qualche secondo di silenzio.
«Beh...perché non provi a guardare più da vicino?» Proruppe Manami, che se ne stava ritta in piedi alle sue spalle.
Retasu s’irrigidì a quell’idea.
«No...non posso proprio farlo! Io non so nuotare!» Esclamò spaventata, portandosi le mani al petto.
Amava stare a mollo e sentire la sensazione dell’acqua sulla sua pelle, ma…
Questo non aveva niente a che vedere con le sue capacità natatorie.
«Retasu-chan, le ennesime scuse!» Intervenne a quel punto Rika, gonfiando le guance. Mentre lo faceva, lasciò la presa dal suo polso.
«M-mi dispiace!» Si scusò nuovamente lei, guardando sia Eiko che Rika.
Manami ridacchiò, alzando una gamba da terra.
«Non hai sentito cosa ho detto? Ti ho detto di andare a vedere più da vicino!» Ringhiò la studentessa dai capelli rossi, spingendola dritta in acqua con un calcio ben assestato alla schiena.
Retasu ruzzolò in avanti, cadendo malamente in piscina.
Un brivido di paura le percorse la colonna vertebrale.
Chiuse gli occhi per lo sgomento, rimanendo al buio.
L’acqua era fredda e vischiosa. Doveva essere sporca…
Avviluppava le sue gambe e le sue braccia come una corda impalpabile, che paralizzava i suoi muscoli.
Il cuore cominciò a batterle forte, e la paura le comandò istintivamente di tentare di restare a galla.
Si dimenò goffamente, con forza, allungando il collo e la testa verso l’alto.
«A...aiuto!» Gemette con voce tremante e disperata, ingoiando acqua dalla bocca.
Una sensazione immediata di rigetto la fece tossire violentemente, provocandole fitte acute al petto.
Lacrime di paura cominciarono a sgorgare dai suoi occhi azzurri.
«Guardatela come si dimena! Davvero pietoso!» Sentì dire da Eiko, tra una risata e l’altra. Si teneva la pancia nel vano tentativo di trattenersi.
«È tutta colpa tua, Retasu-chan!» L’apostrofò malignamente Rika, stando a guardare senza battere ciglio.
Infine, sentì Manami abbozzare una risata di scherno.
«Ragazze, lasciamola qui e chiudiamola dentro!» Esclamò divertita, sventolando la chiave che teneva tra le mani davanti alle amiche.
Loro la guardarono con ammirazione.
«Grande idea Manami! Andiamocene!» Propose a quel punto Eiko, voltandole le spalle.
Le tre s’allontanarono in direzione della porta, ridendo tra loro.
Retasu le scorse con la coda dell’occhio, una terribile sensazione di terrore che s’apriva nel suo stomaco.
Aiuto…
Gridava il suo cuore.
Aiuto!
Riuscì soltanto a pensare, muovendo disordinatamente gambe e braccia.
Nonostante i suoi sforzi non riusciva ad avanzare in nessuna direzione...come se fosse davvero in trappola.
Sentiva bruciare terribilmente i muscoli e il corpo diventare pesante come un macigno.
È colpa mia se succede tutto questo?
Retasu pianse ancora, sentendosi soffocare dai singhiozzi.
Morirò...in questo modo?
Si ritrovò a pensare, angosciata.
Era senza forze…
Chiuse gli occhi.
Si, forse...quella fine le andava bene…
Forse Eiko, Manami e Rika avevano ragione, lei era davvero un’incapace.
In fondo, non sapeva nemmeno nuotare...e neanche farsi dei buoni amici.
Era brava solo a nascondersi dietro le spalle altrui...e a tremare impaurita in qualunque situazione.
Retasu decise di smettere di muoversi e di assecondare l’acqua che le faceva tanta paura, affondandovi completamente il collo e smettendo di respirare.
Si, voglio solo...che questa agonia finisca…
Pensò ancora.
...che questa agonia finisca.
A quel punto, passarono infiniti attimi di silenzio prima che una voce sconosciuta irrompesse nella sua testa, facendola improvvisamente sussultare.
Sei certa di meritartelo?
Quelle parole rimbombarono nella sua testa, insistentemente…
Sputò aria dalla bocca.
Si sentiva calda, come se avesse la febbre…forse era quello che si provava mentre ci si abbandonava alla morte?
Retasu strinse i pugni, debolmente.
Sentiva di avere molti rimpianti, ma ormai era troppo tardi.
Avrebbe voluto essere più forte...
Sei certa di meritartelo?
Come in una formula magica, ripetuta più e più volte, qualcosa si risvegliò nel suo petto proprio in quell’istante.
Ogni cellula del suo corpo si riempì di rinnovata energia, attraversata da una scarica elettrica mai provata prima.
Aprì le mani, facendo scorrere l’acqua tra le dita.
Ora le pareva quasi di percepirla come una sua appendice, come se si sentisse parte di essa.
Ricordava di aver già provato qualcosa di simile.
Era una sensazione talmente piacevole...
Perché opporsi alla paura, quando si poteva...accoglierla?
Sei certa di meritartelo?
Domandò ancora quella stessa voce, limpida e chiara, come se l’avesse sempre conosciuta.
Era...la sua voce.
Spalancò gli occhi.
Non era più panico quello che sentiva scorrere nelle vene.
Erano tutti quei sentimenti e quelle sensazioni che aveva sempre taciuto, che aveva sempre represso solo perché...voleva essere accettata.
Solo perché aveva paura.
Eppure, era proprio lei a non accettarsi per come era realmente...
Provare ira, vendetta o frustrazione...non era sbagliato.
Le provavano tutti, e allora...
«Vai...» Sussurrò senza più esitare, facendo oscillare le dita.
A quel semplice comando l’acqua della piscina si mosse e tre fasci d’acqua s’alzarono in aria, dotati di vita propria.
Questi guizzarono con violenza verso la porta bianca da cui era entrata poco prima, spalancandone le ante con una certa facilità.
In lontananza, proprio nella direzione del corridoio, vide delle sagome sdraiate a terra. Dovevano essere le sue amiche, che colte di sorpresa dall’apertura improvvisa della porta, erano state sbalzate via proprio mentre cercavano di chiuderla dentro la piscina.  
Retasu strinse gli occhi, che ora brillavano di un’intensa luce verdognola, e fece un deciso movimento delle braccia.
«Retasu Tanets...» Mormorò, spalancando le dita.
Un paio di nacchere comparvero nelle sue mani in uno schiocco di luce, e la cosa le parve del tutto naturale.
Le accarezzò teneramente con i polpastrelli e dischiuse le labbra, pronta a proferire delle parole nuove.
Le sentiva ronzare nella sua testa…sembravano esattamente ciò che aveva bisogno di pronunciare in quel momento.
«Ribbon Retasu Rush!» Formulò.
I fasci d’acqua sospesi in aria attaccarono immediatamente i corpi delle ragazze a terra, avvolgendosi attorno ai loro colli sottili.
Strinse le nacchere nel pugno con più rabbia e così fece l’acqua, sua nuova e poderosa amica.
Incurvò le labbra in un ghigno quando le sue orecchie percepirono i dolci, flebili lamenti provenire dalle loro labbra.
No che non me lo merito.








***


* Sappiate che il richiamo al videogioco non è affatto casuale.
Infatti, per partorire 'sto Chimero, l'autrice qui presente ha preso spunto da una delle sue turbe mentali dell'infanzia, vale a dire...
* rullo di tamburi *
Jazz Jackrabbit.
Cosa non è Jazz Jackrabbit?!
Jazz Jackrabbit è un videogioco DA STURBO per pc basato su DOS datato 1994. Si tratta, chiaramente, di una parodia di Super Mario, solo che, al posto di impersonare un idraulico messicano spiaccicatore di funghi, puoi vestire i panni di un fottutissimo CONIGLIO VERDE armato di PISTOLA LASER e BOMBE, la cui personalità è una fusione tra Bugs Bunny, il classico eroe senza macchia e lo scugnizzo napoletano. Lo scopo del gioco è quello di salvare la principessa del pianeta natale di Jazz, tale Carrotus (xD) la quale viene rapita e rinchiusa nelle segrete dell'astronave spaziale di Devan - una tartaruga malvagia che, al posto della forza bruta di Bowser, si serve della geniale mente per sottomettere intere galassie - per il semplice motivo che Carrotus si rifiuta di sottomettersi al suo dominio e rappresenta così un focolaio della resistenza.
Inizia così il lungo viaggio - rigorosamente a bordo di un'astronave spaziale, s'intende - del nostro scugnizzo Jazz, il quale si ritrova improvvisamente ad essere un ricercato in qualsiasi punto della galassia.
Questo, però, non gli (ci) impedisce minimamente di approdare di pianeta in pianeta per liberarlo dal giogo di Devan, fino a giungere alla sua astronave spaziale. Qui, per ironia della sorte, ci scontreremo in una battaglia mortale contro un nostro clone gigante nero edgy ricreato in laboratorio, che comunque non riuscirà a sconfiggerci.
Eliminato l'ultimo ostacolo, Jazz può finalmente liberare la principessa e...bombarsela, cosa che la Nintendo non insinuerà mai in nessuna delle sue creature xD
Comunque, se siete curiosi/e di vedere il Chimero, aprite il video che trovate QUI ed andate al minuto 2.50.
(«Com'è che avverto somiglianze tra me e il coniglio spaziale?» nd Kisshu estremamente perplesso
«CHISSÀ ♥» nd Kuro nei fumi dell'estasi)

** «Esatto ragazze, diciamo BASTA agli alieni stuprati dalla moda! èoé» nd Kuro furiosa 
* «Che cazzarola sarebbe ‘sto Tekken??» nd Kisshu perplesso
* L’autrice lo fissa coprendosi la bocca con le mani, trattenendo a stento le risate *
** Come ho detto nel capitolo precedente, i nomi sono di fantasia.
Tanto per precisare: Manami è la ragazza coi capelli ramati e il caschetto, Eiko quella coi capelli corti e neri, Rika quella coi capelli biondi.  
Se vi sfuggono i visi delle “amiche” di Retasu, potete trovarli QUI



 

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Capitolo 10
*** First Act ~ VIII. Squirming. ***


VIII.
Squirming.









MewMinto lanciò uno sguardo sull'orizzonte, scoprendo come il sole fosse ormai quasi tramontato del tutto.
Sospirò lentamente, mentre una strana tensione le saliva dal petto fino alla gola.
Il suo cervello era ancora bloccato a pochi attimi prima quando, giunta alle coordinate indicate da Shirogane assieme a MewIchigo, aveva scoperto che il Chimero apparso in un parco cittadino era già stato sconfitto.
Faticava ad ammetterlo a se stessa, ma a quella constatazione aveva provato sollievo.  
Pensare che qualcuno si fosse sbarazzato di un mostro al posto suo la faceva stare meglio...
Non le piaceva combattere.  
Ne aveva paura e la metteva a disagio.
Se provava ad essere ragionevole, quella era la reazione più logica che si potesse avere: aveva il sacrosanto diritto di provare quel genere di sentimenti!
Tuttavia, in fondo al suo cuore sentiva che la sua paura andasse esorcizzata a dovere, fosse anche con la forza. Fosse anche solo servendosi della tempra mentale che sapeva di avere.
Là, da qualche parte dentro di sé...
Doveva solo capire come usarla, o sarebbe stata condannata a convivere con quell'ansia a vita.
«MewMinto! Credo che ci siamo quasi!» Esclamò decisa MewIchigo al suo fianco, inclinando le orecchie pelose verso il basso.
La Mew bird si ridestò dai suoi pensieri, prestandole attenzione.
Vide l'amica alzare il braccio sinistro ed indicare con l'indice un punto di fronte a lei.
«Quello dev'essere l'Istituto Okumura. Guarda!» L'avvertì ancora, notando degli strani fasci luminosi sul tetto della scuola, ad ore dodici rispetto alla loro posizione.
La ragazza con gli chignon lanciò uno sguardo all'edificio e i suoi occhi cobalto inquadrarono dei sospetti tentacoli muoversi in aria.
Sospirò di nuovo.
Eccolo là, pensò stizzita.
Non poteva che essere il Chimero.
Strinse le labbra, mentre a grande velocità s'avvicinavano al punto prestabilito e i tentacoli diventavano via via sempre più nitidi, rivelando una superficie lucida e riflettente, quasi fluida.
Scosse la testa.
Qualcosa non quadrava in quella situazione...
Una domanda le ronzava in testa di continuo.
Perché un Chimero avrebbe dovuto trovarsi in un istituto scolastico dopo l'ora di chiusura?
Era improbabile che ci fosse ancora qualcuno all'interno.
Attaccare lì non dava nessun vantaggio...non rendeva nessun beneficio.
Anche se, in effetti, ancora non conoscevano le reali intenzioni degli alieni...
MewIchigo fece l'ennesimo, agilissimo balzo, ed atterrò a piedi saldi sul tetto dell'edificio. MewMinto la seguì a ruota, planando fino a terra accanto a lei.
Entrambe concentrarono la loro attenzione sulla piscina, da cui provenivano quelli che, contrariamente a ciò che avevano precedentemente ipotizzato, non erano affatto tentacoli, ma piuttosto fruste d'acqua.
Queste si libravano in aria quasi come se fossero dotate di vita propria, animate da una poderosa magia.
Di quali poteri era capace l'avversario che dovevano affrontare, questa volta?
Apparentemente, sembrava un osso duro...
La ballerina picchiettò la spalla della compagna e la richiamò, invitandola ad osservare meglio.
Le colonne d'acqua venivano mosse da qualcosa che si trovava sul fondo, visibile persino da lì. Brillava debolmente di luce propria.
La Mew gatto s'avvicinò un po' di più, con prudenza, suggerendo a MewMinto di restare indietro.
Mew Minto annuì e scelse di indietreggiare, per cercare di avere una visione più chiara del loro campo di battaglia.
S'accorse immediatamente, facendo scivolare i piedi a terra, di quanto il pavimento fosse bagnato: intere pozzanghere d'acqua inzuppavano le piastrelle polverose della superficie, ed era certa che non provenisse tutta dalla piscina.
Quel Chimero doveva essere in grado di generare acqua.
S'accostò alla porta spalancata di fronte alla piscina, cinque o sei metri distante da essa, e lanciò casualmente un occhio oltre le ante aperte.
Sussultò angosciata non appena inquadrò le figure di tre ragazze in divisa scolastica accasciate sul pavimento.
Si portò le mani alla bocca.
«MewIchigo! Qui ci sono delle ragazze incoscienti!» Esclamò.
Senza pensarci troppo, le raggiunse di corsa e s’inginocchiò a terra. Scosse con delicatezza una studentessa dallo spettinato caschetto scuro che se ne stava a pancia e faccia in giù, tramortita.
Appena qualche secondo dopo questa tossicchiò dolorosamente, espellendo acqua dalla bocca.
«Ehi! Stai bene?» Domandò la Mew Mew al suo indirizzo, senza ricevere però risposta.
Doveva essere svenuta.
La ragazza con gli chignon diede un occhio anche alle altre due stese a terra, auscultandone il petto. Tirò un sospiro di sollievo quando udì in entrambe un regolare, seppur flebile, battito cardiaco.
Si rimise seduta, puntando questa volta lo sguardo in direzione della piscina. S’accorse immediatamente della sottile frusta d'acqua in procinto di colpire MewIchigo, del tutto inconsapevole.
La sua amica aveva un udito finissimo.
Come riusciva ad eluderlo?!
Non l'avrebbe evitata in tempo.
«MewIchigo!» Gridò allora, nel tentativo di avvisarla.
La Mew rosa si voltò istantaneamente al suo richiamo, ma riuscì solamente a vedere con la coda dell'occhio l'ostacolo diretto verso di lei.
La frusta d'acqua la colpì in pieno sulla schiena, sbalzandola contro la rete di protezione del tetto.
La ragazza incassò il colpo e gemette, crollando a terra in ginocchio.
«MewIchigo!» Strillò nuovamente MewMinto, scattando di corsa in avanti.
Quel mostro maledetto ne avrebbe approfittato per attaccare nuovamente la sua amica e finirla...
Non l'avrebbe permesso!
Percorse velocemente la distanza che la separava dalla piscina e dalla Mew rosa, ma all'ultimo passo piantò con troppa foga il piede a terra e la suola scivolò, facendola sbilanciare all'indietro.
Tentò di raddrizzarsi come poteva per evitare una pessima caduta, ma un tentacolo del Chimero le fu addosso in un attimo, pronto a colpirla.
L'acqua la scudisciò dritta nella zona dei lombi, facendola volare in aria con inaudita violenza.     
Una smorfia le piegò il volto, mentre le labbra spiravano un gemito di dolore e il suo corpo veniva lanciato a quasi dieci metri d'altezza.
L'aria le sferzò in faccia per pochi secondi, prima che la gravità la riportasse giù di peso. Un senso d'angoscia le fece tremare le viscere quando lanciò uno sguardo al suolo, riscoprendolo più vicino che mai.
Stava precipitando in picchiata.
Esattamente come l'ultima volta, quando Kisshu l'aveva gettata dal tetto...
MewMinto strinse i denti ed aggrottò la fronte, provando a ricordare le sensazioni di quel momento.
Incrociò le braccia al petto e si raddrizzò, muovendo le sue ali.
Sentì i muscoli bruciare senza successo.
Erano come bloccate, appesantite, inzuppate fino all’ultima piuma...
Gli occhi le stavano per lacrimare dalla disperazione, ma non poteva mollare...
Avanti!
S'incitò tra sé e sé, dandosi un'ultima spinta.
Grazie a quel coraggioso sforzo riuscì a direzionare la planata e a raggomitolarsi su sé stessa, dando le spalle alla piscina ricolma d’acqua.
Provò ancora pochi attimi di terrore, prima di sprofondarvicisi dentro.
L'acqua l'avvolse completamente, più fredda di quanto pensasse, bagnandola da capo a piedi.

Abbozzò un mezzo sorriso.
Non ricordava attimo più felice in vita sua.
Era salva...e non s’era quasi fatta nulla.
Si portò una mano al viso e afferrò il naso tra le dita, tossicchiando per l’impatto che aveva appena subito il suo corpo. Si raddrizzò alla bell’è meglio con il busto e sbattè le palpebre velocemente: aveva bisogno della vista per individuare il Chimero e sfuggire ai suoi colpi.
Secondo i suoi calcoli doveva trovarsi tragicamente vicina a lui, praticamente nelle sue fauci…
Quel pensiero la fece rabbrividire, incoraggiandola ad aprire subito gli occhi.
Lo stupore la invase quando l'acqua della piscina, tra le più trasparenti che avesse mai visto, le permise di delineare chiaramente la sagoma di una figura umana.
Se ne stava immobile sul fondo, in maniera assolutamente innaturale, raccolta in posizione fetale.
Lunghe antenne bianche spuntavano dalla sua testa, sbucando da ciuffi di capelli color verde acceso che ondeggiavano piano al flebile movimento della corrente.
Sul suo volto luccicavano occhi verdi e spiritati che la guardavano fissa, senza mai distogliere l’attenzione.
La Mewbird ne rimase ipnotizzata per alcuni attimi, avvertendo un senso d’angoscia.
Quello non era un Chimero, e di questo era sicura, ma…
Non era altrettanto sicura delle sue intenzioni, e quel fatto la prendeva in contropiede, paralizzandola letteralmente.
Soffermò lo sguardo più in basso, cercando di non pensarci, e un minuscolo dettaglio attirò la sua attenzione.
Sul petto di quella creatura, poco sotto la linea delle clavicole, una piccola voglia ovale brillava di luce propria.
Un piccola voglia formata da due affusolate code di sirena…
Un Mew Mark?!
A quella constatazione, MewMinto sgranò gli occhi e si sentì mancare il respiro.
Annaspò con le braccia e si tirò fino in superficie, ritrovandosi una mano guantata ad afferrarla per darle un aiuto.
«MewMinto!» Esclamò la Mew gatto, tirandola di peso più vicina al bordo e in seguito, spingendola fuori dall’acqua.
La Mew azzurra le lanciò uno sguardo pieno d’apprensione mentre un senso di nausea, dovuto all’apnea prolungata, le opprimeva la testa.
«Ti senti bene?! Il Chimero ti ha aggredita?» Chiese la ragazza dai capelli rosa, prendendola per le spalle.
La ballerina esitò per un attimo a rispondere, una mano premuta sul petto ansante.
«Non è un Chimero...» Disse lei a mezza voce, «È il terzo componente della squadra, MewIchigo...» Aggiunse poi, sospirando.
I grandi occhi dell’amica si spalancarono ancora di più a quelle sue parole.
«Cosa? Ma...» Balbettò, indietreggiando ulteriormente e tirandola con sé, allontanandola prudentemente dalla piscina. «Ci sta attaccando!» Affermò con più enfasi.
MewMinto annuì e si massaggiò la schiena, che ancora bruciava per il colpo subito in precedenza.
«Lo so, ma...ci deve essere un motivo...» Biasiscò tra i denti.
Già, ne era sicura...
Nonostante avesse guardato a fondo negli occhi di quella ragazza, non era riuscita a provare davvero paura…
Si era trovata a pochi centimetri da lei, ma aveva scelto di non attaccarla.
Doveva pur voler dire qualcosa…
Sospirò, stringendosi nelle spalle.
I capelli le gocciolavano sulla faccia ed era fradicia dalla testa i piedi. Aveva brividi di freddo lungo tutti i lembi di pelle che la sua divisa lasciava scoperti e gli stivali zuppi d’acqua, ma...
Per la prima volta da quando erano arrivate lì, si sentiva meglio.
Se non si trattava di un mostro, sentiva di poter fare qualcosa...
Non era costretta a combattere. Non avrebbe combattuto contro una sua alleata...
«Dobbiamo farle cambiare idea!» Propose allora la Mew azzurra, piegando le sopracciglia in un’espressione più determinata.
MewIchigo annuì debolmente, prima di lanciare uno sguardo oltre le sue spalle, per tenere d’occhio le fruste che fuoriuscivano dalla piscina.
Queste scomparvero all’improvviso sotto i suoi occhi prima di lasciare il posto ad un’oblunga massa d’acqua che s’alzò dalla vasca, e s’aprì sulla sua cima come i petali di un fiore. I petali si fusero piano tra loro nella forma di una sfera cava, al centro della quale comparve una ragazza letteralmente seduta su di essa.
MewIchigo si concentrò su di lei, stupita e curiosa di conoscere il volto del presunto nuovo membro. Non riusciva a capire da quale animale avesse acquisito i poteri, ma quell’abito color verde scuro era una divisa da battaglia similissima a quella che indossavano a loro volta.
«È una Mew Mew!» Esclamò a quel punto MewIchigo, facendo alla compagna un segno d’assenso.
Strinse le labbra, cercando di riflettere su quale strategia adoperare.
Non si trattava di sconfiggere un nemico, ma…
«Andatevene!» Gridò la Mew verde in loro direzione, tendendo le braccia lungo i fianchi e mostrando alle due ragazze le sue nacchere magiche.
A quel punto, grazie al rinnovato coraggio ispirato dalle parole della compagna, MewIchigo fece un passo avanti con decisione, senza abbassare lo sguardo.
«Non lo faremo!» Dichiarò, stringendo i pugni.
MewMinto le si affiancò.
«Ci devi delle spiegazioni!» Aggiunse lei, dandole manforte.
La Mew Mew le osservò dall’alto del suo trono sospeso in aria, senza cambiare espressione alcuna.
«Peggio per voi.» Asserì flebilmente, muovendo le dita sulla liscia superficie delle sue nacchere. «Ribbon Retasu Rush!» Formulò, e strepitose colonne d’acqua fuoriuscirono da esse.
La Mew gatto e la Mew uccello rotolarono in due direzione opposte, evitando all’ultimo il suo attacco.
L’acqua rimbalzò a terra ma non si fermò, continuando ad inseguirle.
MewIchigo riuscì ad evitare il contraccolpo schizzando in alto con un salto, mentre MewMinto fu suo malgrado colpita, questa volta alla spalla sinistra.
Ruzzolò malamente a terra, non prima di essersi protetta alla bell’e meglio dalla caduta portando le braccia in avanti.
«Ora tocca a te!» Esclamò allora MewRetasu, facendo convergere il potere delle sue armi su MewIchigo.
La colonna d’acqua fu molto più potente e veloce della precedente.
La leader reagì appena in tempo, tendendo in avanti la sua Strawberry Bell.  
La campanella emise uno schiocchio di luce, attivando uno scudo di difesa impalpabile che andò a contrastare l’attacco della nemica.
Se ne stupì, mentre sentiva rifluire in sé un fiume d’energia.
«Perché ci attacchi? Sei una di noi!» Le chiese la Mew rosa, accoratamente.
A quel quesito, MewRetasu ebbe un impercettibile attimo di smarrimento, che coprì subito rafforzando la forza del suo Retasu Rush.
Questo le bastò per superare le difese della Strawberry Bell di MewIchigo e colpirla  in pieno petto, facendola indietreggiare di parecchi metri e cadere nuovamente contro la rete di protezione del tetto.
Lei si aggrappò alle maglie di metallo per rialzarsi dalla posizione vulnerabile in cui si trovava, un brivido di freddo su per la schiena.
Lanciò uno sguardo a MewMinto, nuovamente sulle sue gambe, l’arco teso verso l’ennesimo attacco della Mew verde.
Una freccia luminosa colpì uno dei fasci d’acqua pronti a colpirla, e questo bastò a renderlo innocuo, deviandolo verso il cielo ormai buio.
Nuovi, ripetuti attacchi emanarono dalle nacchere della Mew avversaria, dando vita alle colonne di poco prima.
Le due Mew Mew, che avevano ormai preso il ritmo, mantennero vigile l’attenzione e riuscirono ad evitarle o a neutralizzarle una dopo l’altra.
«MewMinto! Non me la sento di attaccarla!» Gridò MewIchigo, sfuggendo ad una delle fruste d’acqua.
«Nemmeno io!» Replicò MewMinto, percorrendo il perimetro della piscina per evitare nuovi colpi.
Dovevano trovare un modo per farla desistere…
Cosa spingeva quella ragazza ad agire in quel modo?
Si soffermò sulla sua figura, piuttosto che sulle fruste d’acqua lanciate dalle sue nacchere. Nonostante la concitazione della battaglia, il suo corpo era teso ed immobile. Gli occhi smeraldo che aveva visto sul fondo di quella piscina erano ora ricolmi di rabbia e lucidi di pianto.
La sua espressione, accigliata ed affaticata, sembrava nascondere qualcosa di incontrollabile.
Una rabbia così crudele da farle male...
Non poteva andare avanti così all’infinito...si sarebbe spezzata in due.
«Ehi!» La richiamò MewMinto, rivolgendosi a lei.
MewRetasu si voltò in sua direzione ed abbassò le nacchere, osservandola con sguardo duro e penetrante.
Ottenuta la sua attenzione, la Mew uccello non aggiunse altro e si diresse rapidamente sul lato anteriore della piscina, di fronte alla sua interlocutrice.
Si guardarono per lunghi secondi, in silenzio.
«MewMinto?» La richiamò confusa MewIchigo, fermandosi a sua volta.
La compagna le lanciò un lieve cenno d’assenso, suggerendole di lasciarla fare, poi tornò a focalizzare la sua attenzione sulla Mew focena.
«Sei...parecchio arrabbiata, vero?» Le chiese, facendo una pausa.
MewRetasu si ritrasse un po’, ma non rispose.
«Riconosco quel genere di sguardo...la tua rabbia è così incontenibile da non poterla controllare, non è così?» Insistette ancora.
A quelle parole, notò sul suo volto un primo, lievissimo cenno di cedimento.
«Io e la mia compagna siamo qui per te. Siamo venute per aiutarti, quindi...» Mormorò, aprendo le braccia.
Abbassò lo sguardo e scosse la testa, esitando per un attimo a continuare.
Stava per dire qualcosa di davvero forte e non ci sarebbe stata possibilità di tornare indietro. «Sentiti libera di colpirci pure quanto più ti aggrada. Giuro sulla mia famiglia che non ci difenderemo!» Aggiunse, tornando a guardarla. Gli occhi color zaffiro sembrarono trasformarsi in brace per la determinazione che vi si celava.
Quelli della Mew focena si fecero invece sbarrati. Il suo corpo si freezò, come se non avesse il coraggio di muovere un singolo muscolo.
MewIchigo sospirò e le si avvicinò, posizionandosi di fianco a lei.
Si portò le mani ai fianchi e si rivolse a MewRetasu, impettita e sicura.
«MewMinto ha ragione! Quando ti sarai sfogata abbastanza, scioglieremo la trasformazione tutte assieme e ti riaccompagneremo a casa.» Concluse la Mew gatto al suo posto, facendole un cenno d’assenso con il capo. «D’accordo?» Propose infine, guardando MewRetasu con occhi rassicuranti.
Allungò un braccio verso quello della compagna e le afferrò la mano, guardandola di sottecchi.
L’empatia e la sensibilità dimostrate da MewMinto l’avevano stupita, e nonostante l’avesse supportata non aveva molta voglia di farsi prendere a pugni…
«MewMinto...ne sei sicura?» Le domandò, non del tutto tranquilla.
«Si, MewIchigo. Siamo una squadra, e...» S’interruppe, lasciandosi andare ad un sospiro, «...dobbiamo imparare a condividere tutto con le nostre compagne, anche la rabbia e il dolore...» Terminò poi, voltandosi verso MewRetasu.
Quest’ultima le guardò entrambe a lungo, avvolta nel completo mutismo. Quel silenzio venne interrotto solamente dal fruscio di acqua corrente dei fasci sprigionati dalle sue nacchere, ancora sospesi in aria.
Poi si coprì il viso con le mani, lasciandosi andare ad un pianto pieno di singhiozzi.
Fece scomparire i fasci d’acqua sospesi e rimodellò nuovamente la sfera d’acqua, facendosi spingere con essa fino al bordo della piscina, dove ripoggiò infine i piedi a terra.
«Mi dispiace...» Biascicò lei, con voce rotta, singhiozzando disperatamente. «Non volevo fare del male, io...» Aggiunse, tremando tutta.
Le Mew Mew le si avvicinarono piano, intenerite. Erano entrambe sollevate di essere riuscite a calmarla. La Mew verde, dal canto suo, visibilmente in stato confusionale, si limitò a piangere a dirotto senza essere in grado di aggiungere altro alle parole già pronunciate.
MewIchigo percorse i passi che la dividevano da lei e le cinse le spalle con delicatezza, tirandola a sé.
«È stata dura, ma ora è tutto finito...» Le sussurrò per darle conforto, accarezzandole adagio la testa.
La Mew azzurra si strinse nelle spalle e osservò la scena in disparte, ticchettando nervosamente con un piede a terra.
MewIchigo era molto più adatta di lei per quel genere di cose...
Tirò un sospiro, tenendosi la testa con una mano.
Ora che la tensione della battaglia era rifluita via, si sentiva senza energie.
Non solo aveva combattuto, ma...aveva appena compiuto una follia bella e buona. S’era affidata al caso senza fare troppi calcoli, e lei non era affatto il tipo da agire in maniera tanto sconsiderata...
Eppure, nonostante tutto si sentiva più leggera…
Probabilmente avrebbe potuto fare di meglio, ma non si era pentita della sua scelta. Le sarebbe servita da lezione…
Si concentrò ancora sulla Mew focena, intenta a ricambiare timidamente l’abbraccio della Mew Mew dai capelli rosa, continuando a frignare contro il suo collo. Sorrise nuovamente mentre, con i polpastrelli, ripercorreva la spalla lesa dal Ribbon Retasu Rush.
Le faceva male, ma…
Le sarebbe servito da lezione.
Anche solo un po’...
«Allora ne è davvero valsa la pena...» Mormorò tra sé e sé, serena.
«Hai detto qualcosa?» Le domandò MewIchigo, abbracciata ad una Retasu ancora parecchio turbata.
MewMinto sorrise. «Niente di importante...» Rispose lei, porgendo la mano alla loro nuova compagna. «Torniamo a casa.»




***




Da quella mattina non faceva altro che seguirla.
Dopo l’altra notte, l’aveva riconosciuta…
La guerriera dai lunghi capelli neri che aveva sconfitto il suo chimero lucertola non era altri che la Bambolina, quella che aveva scorto al parco il primo giorno che era approdato sulla Terra.
Quella che aveva tastato da vicino…
In effetti, doveva immaginarselo…
Una tipa del genere non poteva che far parte di quel gruppo di ragazzine vagamente fastidiose.
E ovviamente, quello lo stimolava ancora di più...
Voleva assolutamente reincontrarla.
Si era scervellato a lungo su come poterla scovare in una città sovrappopolata di esseri umani senza farsi scoprire.
Non potendo servirsi di un Chimero, con il quale non avrebbe ottenuto gran ché, aveva optato per ritornare al luogo dove si erano incontrati la sera prima.
L’idea più semplice, a volte, si rivelava essere la migliore...
S’era appostato su uno degli alberi più grandi di tutto il parco fin da prima dell’alba, ed era rimasto lì a godersi la piacevole quiete mattutina.  
Fin quando non l’aveva rivista.
Il sole era già alto. S’era fermata per un lungo paio di minuti ad osservare, con sguardo indecifrabile, il luogo dove s’era consumata la battaglia, stando attenta a non oltrepassare una certa distanza di sicurezza.
Poi se l’era filata via, a passo spedito.
Aveva aspettato quell’occasione per ore.
Decise di seguirla con la massima cautela possibile, tenendola d’occhio dall’alto.
Kisshu sorrise tra sé e sé.
Da lassù, sembrava poco più che una palletta scura, e invece...
Quanto le nascondeva?
Non era cosa nuova per lui inseguire le ragazze, ma questa volta era diverso.
Aveva una sfida aperta con lei, e di certo non aveva nessuna voglia di perderla.
Starle alle calcagna gli era sembrato un ottimo espediente per scoprire il suo nome, oltre che un gioco particolarmente interessante…
Abbassò lo sguardo su di lei per l’ennesima volta in quei pochi minuti, vedendola oltrepassare un’apertura a vetri trasparenti e scomparire dentro un edificio.
L’incessante via vai sulla porta spinse l’alieno ad ipotizzare che fosse un luogo di estrema importanza per gli umani.
L’alieno fece spallucce, senza interrogarsi troppo sulle abitudini dei terrestri e scese così a terra, oltrepassando l’accesso a piedi.
D’altronde, se voleva seguirla non aveva scelta…
Ignorò accuratamente gli sguardi silenziosi puntati addosso a lui, cacciò le mani nelle tasche dei pantaloni e si concentrò con discreta curiosità su ciò che gli si parò davanti.
All’interno, fioche luci al neon rimbalzavano su asettiche pareti bianco lucide, tappezzate di pubblicità ed insegne colorate.
Caotici sciami di persone d’ogni età si muovevano rapidi ed inquieti da un lato all’altro dell’edificio, incanalandosi in ordinate file di fronte a bassi aggeggi di metallo che bloccavano loro l’accesso all’area successiva.
Vide gli umani farsi strada e sorpassarli facendo scorrere delle tessere plastificate su di un sensore, che di volta in volta emetteva un bip sonoro.
Varchi a riconoscimento.
Le chiacchiere di sottofondo, lo scalpiccio incessante delle suole contro il pavimento, lo strofinio metallico delle sbarre che entravano e uscivano dagli obliteratori e lo stridio che sentiva rimbombare in lontananza lo stavano quasi facendo impazzire.
Quel posto era troppo rumoroso per i suoi gusti...e poi, cosa c’era oltre quegli accessi?
Persino la Tigrotta era passata di lì ed era in procinto di scomparire in uno dei corridoi che s’aprivano al di là del suo campo visivo.
«Non mi sfuggirai...» Mormorò a voce bassa, prima di avvicinarsi rapido ad uno dei tornelli e scavalcarlo con un balzo.
Procedette, confondendosi tra la folla.
Nonostante fosse mattino presto, tutti sembravano troppo indaffarati, del tutto concentrati su quello che stavano facendo.
Sapeva di avere sembianze lievemente diverse da quelle umane, ma nessuno sembrava farci caso.
Che sulla Terra fossero tutti irrimediabilmente idioti?
Scrollò le spalle a quel pensiero, continuando a seguire la ragazza lungo quel dedalo di corridoi sempre uguali. Superò a sua volta l’ennesimo varco, penetrando all’interno di una galleria sotterranea. Una ventata d’aria calda lo colpì al viso e uno stridio decisamente assordante lo investì, provocandogli un certo fastidio all’udito.
Di fronte a sé, un treno dalla scocca argentata e dai numerosi vagoni con ampi finestrini in vetro sulle fiancate, sostava su quelle che parevano a tutti gli effetti delle rotaie.  
Vedendo la ragazza salirci sopra, Kisshu non ebbe scelta se non fare lo stesso. Percorse deciso la distanza che lo separava dal mezzo s’infilò con nonchalance nel vagone adiacente a quello della Mew Mew. Sgusciò velocemente verso la facciata del vagone opposta alla porta aperta e si appropriò di una piccola porzione di parete vuota dove poter stare tranquillo.
Vi ci appoggiò la schiena, restando immobile, gli umani che pian piano percorrevano i suoi stessi passi e riempivano il suo campo visivo.
Si celò meglio dietro una donna, un paio di uomini e un gruppetto di ragazzine, lasciando libero al suo sguardo soltanto uno spiraglio alla sua sinistra.
La sezione che divideva i due vagoni gli permetteva di spiare comodamente la sua preda, voltata di spalle rispetto a lui.
Un sorriso obliquo si dipinse sulle sue labbra mentre il suo sguardo ne squadrava il profilo da capo a piedi.
Percorse con lento piacere le onde disegnate dalle sue gambe, fasciate in sensuali collant scuri che lasciavano intravedere la sua pelle, fino a giungere al bordo della minigonna scarlatta che indossava.
Vi ci soffermò per secondi quasi interminabili, fremendo tra sé e sé.
Se solo avesse potuto spogliarla con gli occhi...*
Gli era tornata alla mente la deliziosa sensazione della sua pelle nuda sotto le sue dita.
Quanto gli era piaciuto...
Voleva stuzzicarla ancora...e avrebbe aspettato il momento giusto per farlo.
Nel frattempo, si sarebbe goduto la vista...
Un cicalino fastidioso, simile ad un allarme, risuonò, distraendolo bruscamente dai suoi pensieri.
La porta ad ante scorrevoli da cui era entrato si richiuse, ed il mezzo ingranò la corsa, proseguendo attraverso un labirinto di gallerie sotterranee senza sbocchi verso l’esterno.
Che desolazione…
Si ritrovò a pensare, incupendo lo sguardo.
Quei muri scuri, quelle luci tristi e fredde...gli ricordavano i cunicoli rocciosi di Evemeth, scavati nel sottosuolo del suo pianeta.
Erano pochi gli addetti autorizzati ad accedervi.
Lui aveva avuto la sfortuna di percorrerli solo pochi anni fa, quando era bambino.
Quando era stato strappato a forza dal luogo in cui era cresciuto, quando aveva assistito a scene terribili
Ripensarci gli dava ancora i brividi...
Lui e pochi altri ragazzini, tra cui Fen e Jad, vennero prelevati da alcuni tizi dell’esercito governativo e condotti in malo modo in un treno adibito al trasporto merci. Se chiudeva gli occhi, riusciva persino a ricordare…
Ficcati dentro ad un vagone buio ed usurato dal tempo trascorsero il viaggio in silenzio, troppo impauriti per parlare...
Scosse energicamente la testa.
No, no e ancora no.
Non c’era nessun motivo per cui dovesse fossilizzarsi su pensieri simili.
Era inutile che cercasse quelle stupide analogie.
Non era una cosa da lui, in effetti…
Provava nostalgia...per Evemeth?
Per quella claustrofobica realtà che chiamava erroneamente casa?
Eppure, in certi momenti sentiva di odiarla così tanto…
Ma non riusciva a distogliere lo sguardo.
Dannazione…
Imprecò mentalmente, battendo con impeto un pugno contro la parete del vagone.  
Adesso, così come allora...si sentiva schiacciato dal peso delle sue responsabilità.
Non riusciva nemmeno più a capire se era lui che se le era scelte o se, per uno strano scherzo del destino, erano loro che avevano scelto lui.
Così...intoppato in un circolo senza uscita, a cui di tanto in tanto sfuggiva...
Abbassò le palpebre e tirò un sospiro profondo, nel tentativo di darsi una calmata. Ruotò gli occhi, attento a non perdere di vista il motivo per cui era lì.
Il suo attuale passatempo...
Concentrarsi su di lei lo aiutava a distrarlo.
Si morse il labbro, respirando appena.
In fondo era per quello che l’aveva provocata.
Era per quello che l’aveva seguita...
Era per quello che stava facendo una cosa così assurda come salire su un treno pieno zeppo di umani, mischiarsi tra loro, adeguarsi al loro modo di agire per non destare sospetti...
Prima o poi avrebbe scoperto chi e cosa fossero quelle strane ragazzine che ostacolavano i suoi piani.
Poco dopo, per la terza volta da quando era salito, il treno rallentò, pronto ad approdare alla prossima stazione.
Arricciò il naso non appena vide la mora avanzare verso l’uscita del suo vagone.
Finalmente poteva uscire di lì.
Kisshu si sbilanciò in avanti, raggiungendo in pochi secondi la porta.
Lei schivò gli individui sulla sua strada e proseguì rapidamente verso le scale che conducevano all’esterno.
Capendo quello che voleva fare, Kisshu decise di anticiparla, smaterializzandosi direttamente fuori.




 
***




Dopo quel giro in metropolitana aveva seguito la Tigrotta per un’altra manciata di minuti, fino a che non era scomparsa di nuovo dentro un edificio.
Questa volta però, aveva compreso fin da subito che entrarvici non sarebbe stato ugualmente facile: non aveva scorto che ragazze accedervi, e di certo non sarebbe passato inosservato**.
Aveva passato i primi ed angosciosi minuti a resistere alla tentazione di fare irruzione là dentro, ma aveva scelto poi di rimanere buono buono in attesa del momento opportuno per eseguire la prossima mossa.
Ben presto, dando una fugace occhiata alle finestre che davano sull’interno, aveva dedotto che si trattasse di una specie di accademia dove gli umani tenevano lezioni di teoria.
Ma cosa ancor più importante, aveva ritrovato la bambolina ed aveva persino scoperto quale fosse il suo cognome.  
Moriyami...
Così si erano rivolte a lei le persone là dentro.  
Ma da lì, in quella posizione così defilata, non poteva semplicemente distinguere qualche parola. Aveva anche il privilegio di poterla osservare da molto, molto vicino, quasi come aveva fatto l’ultima volta al Parco Inohara.
Sedeva più o meno in mezzo all’aula, in una terza fila di banchi.
Era una ragazza decisamente irrequieta, che faticava a starsene tranquilla e ferma.
Faceva spesso passare le dita tra i lunghi capelli corvini, oppure distendeva e piegava le gambe in continuazione, scarabocchiava annoiata qualcosa su di un foglio di carta o si soffermava per dei minuti a fissare punti indefiniti della stanza.
In quel momento preciso, però, se ne stava con lo sguardo basso a contemplarsi il polso sinistro, assorta nei propri pensieri.  
Di tanto in tanto, il suo volto si piegava in una qualche espressione corrucciata.
Com’era carina…
Commentò tra sé e sé.
Chissà se stava ripensando a quello che era accaduto il giorno prima...o a lui.
Sogghignò in silenzio, incrociando le gambe per aria.
A quella considerazione, una campana all’interno dell’istituto trillò a lungo, con insistenza. Il suono, particolarmente acuto, distolse dai pensieri sia l’alieno che la Mew Mew, la quale sobbalzò lievemente in reazione.
Doveva significare un qualche segnale, poiché a quel punto le allieve congedarono l’insegnante, che prontamente se ne andò, e cominciarono ad agire in libertà ed in autonomia. C’era chi chiacchierava con le compagne, chi si prendeva qualche secondo di pausa e chi s’apprestava ad uscire dall’aula per un motivo o per l’altro.
Tuttavia, Kisshu lasciò perdere presto le altre umane e si concentrò esclusivamente su di lei. La vide sbuffare con le labbra, prima di tirarsi in piedi con inerzia, spingere indietro la sedia con una gamba e uscire a sua volta dalla stanza, sparendo dalla sua vista.
In pochi istanti il luogo si svuotò del tutto e Kisshu ne approfittò per entrare.
Finalmente, dopo ore d’attesa, fece scattare del tutto la finestra e la spalancò per farsi strada dentro la classe.
Si diresse verso il banco, dove la ragazza aveva lasciato incustodita la sua borsa e l’afferrò tra le mani, scrutandovi all’interno: libri, quaderni, un paio di astucci...e quella che sembrava una scatola avvolta in un panno di stoffa.
Nulla che potesse essergli d’aiuto...
Grugnì insoddisfatto, rigettandola malamente dove l’aveva trovata e tornando a guardarsi intorno.
A parte un armadietto in un angolo sul fondo della stanza, pieno di quadernetti e vari strumenti di cancelleria, non c’era praticamente nient’altro.
Digrignò i denti.
Dannazione...non poteva arrendersi proprio ora.
Al momento di accettare la sfida non aveva riflettuto su come potesse essere tanto difficile indagare sul nome di quella ragazza.
Sapeva che in un modo o nell’altro se la sarebbe cavata, si sarebbe inventato qualcosa…
Come sempre...
Aggrottò la fronte, pensieroso.
Il suo sguardo si focalizzò su di un oggetto posto sulla cattedra che non aveva ancora analizzato.
Vi si avvicinò, volando a mezz’aria, e lo prese repentinamente tra le mani.
Ne osservò la copertina in cartoncino blu con una certa diffidenza, prima di cominciare a sfogliarlo.
Aveva l’aria di essere una specie di registro cartaceo.
Questo gli fece ipotizzare che, presumibilmente, al suo interno avrebbero dovuto esserci i nomi degli alunni di quella classe.
Kisshu tornò velocemente alle prime pagine dell’albo, dove scorse una lunga tabella piena di appunti.
Si grattò il mento e strinse gli occhi, soffermando più e più volte lo sguardo su quei caratteri assurdi scritti a penna, senza che...
Ci capisse assolutamente niente!
«Cazzo!» Esclamò con frustrazione, lanciando il registro sulla cattedra.
Se solo avesse saputo leggere i caratteri umani, a quel punto…
Sarebbe stato già padrone della partita.
Incrociò nuovamente le gambe a mezz’aria e incurvò le spalle, mordendosi il labbro. I suoi occhi dorati cominciarono a fissare vacuamente le piastrelle biancastre del pavimento, come se quelle potessero suggerirgli una soluzione.
In quell’esatto momento, una ragazza s’affacciò sulla porta dell’aula.
Kisshu volse lo sguardo su di lei non appena percepì dei passi avvicinarsi.
Mantenne il contatto visivo per interminabili secondi di silenzio, prima che lei si decidesse a gridare spaventata, indicandolo con un dito.
Era di bassa statura ed aveva capelli ed occhi castani.
Il suo viso era familiare...ricordava di averla vista in classe poco prima.
Un sorriso guizzò rapido sul suo volto.
Si teletrasportò immediatamente dietro di lei e le immobilizzò rapidamente le braccia, torcendogliele sulla schiena. Poi, la spinse dentro l’aula con decisione.
«Non provare ad urlare...» Le sibilò all’orecchio, chiudendo la porta alle sue spalle.
Non voleva altre intromissioni.
Con la mano libera fece spuntare dal nulla uno dei suoi tridenti e lo infilò sotto al suo collo.
La ragazza singhiozzò terrorizzata.
Lui sogghignò.
Ho vinto.
«Senti bambolina, non ti sarà fatto del male se farai come ti dico...» Sussurrò intimidatorio, «...Ho solo bisogno di un piccolissimo favore...una cosa che sei in grado di fare anche tu!» Mormorò ancora, ridendo in maniera inquietante.
Lei tremò, respirando appena.
«Q-quale favore?» Replicò, con voce flebile e rotta dalla paura.
Lui ghignò ancora, stringendo la presa sui suoi polsi.
Era fin troppo facile.
Avrebbe dovuto pensarci fin dall’inizio.
«Moriyami...è una tua compagna di classe, giusto? Qual è il suo nome per intero? Sapresti dirmi dove si trova adesso?»




 
***




In quel momento le scoppiava letteralmente la testa.
Aveva soltanto bisogno di una pausa...
Per quella ragione aveva scelto di allontanarsi dai corridoi dell’istituto e di rintanarsi nel giardino sul retro: lì sarebbe stata certamente più tranquilla.
Da ieri non riusciva a distogliere i pensieri da quello che era accaduto.
Il lucertolone, la sua trasformazione improvvisa, quel tipo bizzarro e pericoloso che si era dichiarato nemico degli umani...
Si rotolò su di un fianco, inspirando l’odore dell’erba che filtrava dalle sue narici. Lanciò l’ennesimo sguardo alla voglia rossastra comparsa sul suo polso, lasciato mollemente poggiato a terra, di fronte al suo viso.
Doveva ammetterlo, di fronte al pericolo aveva avuto paura l’altra sera, ma poi…
Quella paura era stata fagocitata completamente dall’adrenalina e dall’eccitazione, come mai prima d’ora.
Combattere era stato così elettrizzante
Era certa di non aver mai provato sensazione più bella in tutta la sua vita*.
In quel momento, sul campo di battaglia...era riuscita a scordare tutti suoi problemi. Le importava solo di scaricare le energie, menare le mani…
Sentirsi viva…
Strinse le dita nel pugno.
No, non si pentiva di quei sentimenti…
Non voleva pentirsene.
Per quanto fossero proibiti…
Forse un altro si sarebbe soffermato a chiedersi perché aveva subito una metamorfosi e sarebbe andato alla ricerca di risposte.
Forse un altro sarebbe andato nel panico. Invece lei...
Lei non vedeva l’ora di rifarlo.
Già, rifarlo...
Solo questo...
Non fece in tempo a socchiudere gli occhi, questa volta per riposare davvero, che una risata improvvisa rimbombò nelle sue orecchie, facendola sussultare di spavento. Scattò a sedere sull’erba e si voltò repentinamente verso la sorgente di quel suono, una smorfia di fastidio dipinta sul volto.
Quella voce non le era estranea…per niente.
Riconobbe una figura umanoide proprio là, sopra la sua testa.
Fluttuava in aria, e aveva un paio di orecchie inconfondibili...
Il tizio volante!
Pensò tra sé e sé, tirandosi immediatamente in piedi.
Cosa diavolo ci faceva lì?!
Si chiese di nuovo, premurandosi di non perderlo di vista nemmeno per un attimo.  
Aveva ormai appreso che poteva teletrasportarsi dove voleva e che era un combattente piuttosto abile, per questo poteva rivelarsi un tipo molto pericoloso.  Aveva le capacità per metterla in difficoltà, e...
Abbozzò un sorrisino.
Quello le piaceva, la infiammava...
Aveva finalmente trovato un avversario alla sua altezza.
Infilò la mano nella tasca della gonna, afferrando il ciondolo per la trasformazione: ad occhio e croce, le sarebbe servito presto.
Lo rigirò tra le dita, vagamente nervosa.
Non era contraria a levarsi tutto quello stress facendo del sano riscaldamento con lui, tuttavia…
Era stupita.
Non credeva che quel tipo avrebbe potuto spingersi a tanto, irrompendo addirittura a scuola.
Mentre era ancora umana…
Come aveva scoperto la sua vera identità?!
Si mordicchiò il labbro, guardandosi attorno.
Tirò un sospiro di sollievo nel constatare che non vi fosse nessun altro, lì sul retro.
Se era una sfida tra loro due, tale doveva rimanere...
«Suguri Moriyami!» Esclamò lui trionfante, indicandola minaccioso con l’indice, un ghigno che non nascondeva insicurezze stampato sul viso.
«È questo il tuo nome...non è vero, Tigrotta?» Le domandò poi, accentuando particolarmente quel nomignolo.
Suguri non rispose, limitandosi a deglutire.
Come l’ha scoperto?, si chiese la ragazza, cercando di celare la sua preoccupazione.
Lei, al contrario, non sapeva proprio niente di lui…
Un brivido le attraversò la schiena, come al loro ultimo incontro.
Quel tizio le generava sensazioni contrastanti...
«Te l’avevo detto, no? Io non perdo mai una sfida!» Aggiunse il ragazzo dalle orecchie a punta, abbassandosi verso di lei. Si fermò a qualche metro di distanza e la fissò con insistenza, un’espressione particolarmente boriosa sul viso. «Per di più, se è con una ragazza come te...» Mormorò divertito, ridacchiando tra sé e sé.
Lei strinse gli occhi.
Non gli avrebbe lasciato condurre il gioco...
«Tsk!» Grugnì lei, calciando un piede a terra. «Parliamo di te, piuttosto...» Cominciò, sostenendo il suo sguardo con determinazione. «...cosa sei e cosa vuoi davvero da me?»
Sapeva di avergli già fatto quella domanda, ma quel tipo aveva il brutto vizio di evadere tutte quelle a cui non riteneva utile rispondere.
Lui rise.
«Quello che voglio già lo sai...» Mormorò, allungando una mano verso il suo mento. Lo accarezzò soltanto, con il dorso delle dita. «Ti voglio con me...» Sibilò.  
Suguri restò immobile, focalizzandosi su ogni suo dettaglio.
Il suo sguardo, il suo tono di voce...voleva cercare di capire qualcosa di lui anche solo così, osservandolo con minuzia.
«Perché insisti tanto con me?» Chiese dopo un po’, senza implicazioni particolari.
Il viso di lui si fece più serio.
Forse non s’aspettava quella domanda...
Tuttavia, il suo turbamento durò poco, sostituito prontamente dal solito sorriso beffardo.
«Perché mi piaci.» Rispose semplicemente. «Hai un bel temperamento...» Rimarcò.
Un sorriso identico a quello del ragazzo dai capelli verdi si dipinse sul viso della Mew Mew.
Cosa sentivano le sue orecchie...
«Ah ah?» Ammiccò la ragazza dai capelli scuri, incrociando le braccia dietro la schiena, il ciondolo di trasformazione chiuso nel pugno.
Quel tizio la istigava a giocare ogni secondo di più, e doveva ammettere che faticava a trattenersi. Ancora pochi secondi e sarebbe scoppiata...
«Detta in questi termini non mi basta...hai altro da offrire?» Replicò divertita.
«Pff!» Mugugnò lui, trattenendo una risata. «Sono certo che insieme ci divertiremmo un sacco, ma se proprio insisti...» Mormorò tranquillo, aprendo la mano sinistra. «...Posso sempre provare a convincerti con modi più...persuasivi, capisci cosa intendo?»
A quelle parole, Kisshu materializzò uno dei suoi tridenti e cominciò a rigirarselo abilmente tra le dita.
Quel gesto fece sussultare Suguri, la quale cambiò immediatamente espressione.
A giudicare da come lo maneggiava, pareva un utilizzatore esperto di quell’arma...
Ma la cosa non le fece paura. Anzi...
«Beh, allora...vogliamo giocarcela?» Propose lei, abbassando le braccia ed indietreggiando di qualche passo.
«Con molto piacere, Suguri...» Rispose lui con un cenno del capo prima di arretrare a sua volta, restando sempre a mezz’aria.
La ragazza si portò il ciondolo alle labbra, bisbigliando la formula che sentiva venire dal profondo del cuore.
Tutto ciò di cui aveva bisogno comparve in uno schiocco di luce, compresa la sua fidata pistola.
La strinse con sicurezza nella mano, caricandola di energia, e la puntò verso Kisshu, il quale fece comparire a sua volta un secondo tridente nella mano destra.
«Sei pronto?» Lo stuzzicò lei, mentre un proiettile luminoso brillava intenso sulla volata della pistola**.
Kisshu strinse gli occhi, spingendosi in avanti.
«E tu?» Incalzò poi, scendendo in picchiata verso di lei.
MewSuguri spiccò un balzo alla sua destra e lo evitò, ricadendo saldamente sui suoi piedi. Lo mise nuovamente nel mirino e sparò senza riserve, non prima di aver grossolanamente calcolato la sua traiettoria di volo. Kisshu non si fece trovare impreparato e per sua sfortuna si smaterializzò in un punto più in alto, evitando provvidenzialmente il suo proiettile.
La Mew tigre digrignò i denti.
Era riuscito ad evitare il colpo, sebbene l’avesse sparato mentre il suo avversario era di spalle.
Non era soltanto veloce, doveva essere anche dotato di sensi particolarmente acuti, in grado di percepire pericoli provenienti da ogni direzione.
Per di più, poteva persino scomparire a suo piacimento. Si trattava di un serio problema per lei, che aveva bisogno di tenerlo sotto tiro per colpirlo.
Si fermò per un istante a riflettere.
Forse, di fronte ad un simile opponente, giocare sempre in posizione d’attacco non era la mossa più furba.
Doveva aspettare che lui s’avvicinasse, spingerlo in trappola...
MewSuguri non ci pensò su una volta di più.
Allungò le braccia in avanti e piegò le ginocchia, mettendosi in posizione di guardia. Allacciò saldamente le dita attorno all’impugnatura della sua arma e la tenne puntata verso di lui, l’indice pronto a scattare sul grilletto.
Rimase in silenzio, concentrandosi solo sul battito del suo cuore, nel tentativo di sincronizzarsi con esso.
Era una scelta rischiosa, ma era l’unico modo per avere qualche chance di vittoria.
Proprio in quell’istante, vide Kisshu comparire davanti ai suoi occhi, il braccio slanciato in avanti nel tentativo di colpire la sua pistola per disarmarla all’istante.
MewSuguri riuscì ad anticipare la mossa spostando tutto il corpo all’indietro, fuori dalla sua portata. Si slanciò in avanti con la mano libera, afferrandogli il gomito destro, e lo usò come perno per tirarlo verso di lei.
Approfittò dell’effetto sorpresa per infilare la pistola sotto il suo braccio.
«Ribbon Suguri Explosion!» Esclamò, e il suo proiettile andò a segno, esplodendo contro le costole del ragazzo.
Una sensazione di bruciore, come di una scarica elettrica concentrata, attraversò le sue membra facendolo urlare.
La Mew nera si soffermò sulla sua smorfia di dolore per istanti che le parvero interminabili, un senso di traboccante soddisfazione che rifluiva nel suo corpo, facendola tremare compiaciuta.
A causa del colpo, Kisshu si sbilanciò del tutto e le finì addosso, dolorante.
MewSuguri non perse tempo e seguitò ad infliggergli una serie di pestoni sul polso sinistro, nel tentativo di fargli perdere la presa sul suo tridente.
Kisshu strinse i denti e non emise nemmeno un gemito, rifiutandosi di mollare la presa. Respinse l’ennesimo calcio della ragazza con l’avambraccio e compì lo sforzo di teletrasportarsi via, lontano da lei.
Ricomparve a qualche metro d’altezza dal suolo, dove si prese alcuni secondi per recuperare ossigeno.
Questa volta fu la ragazza a far roteare la pistola tra le dita, fissandolo con scherno.
«Già stanco?» Lo provocò beffarda.
L’alieno dagli occhi dorati si portò la mano sulle costole, aggrottando la fronte.
Quella zona dell’addome bruciava, ancora vittima di dolorose fitte, e i muscoli del suo corpo erano intorpiditi per via dell’effetto paralizzante del proiettile.
Non se l’aspettava da una novellina come lei, doveva ammetterlo.
«Dopo un colpo così misero? Ma non farmi ridere!» Ghignò, tornando a cercarla con gli occhi, ma…
MewSuguri era scomparsa.
Esaminò l’area circostante, aguzzando vista ed udito.
Si rese subito conto di come il cortile fosse spoglio di alberi, e dunque del tutto privo di punti ciechi.
Non poteva essersi nascosta in nessun altro posto, se non dietro le pareti dell’edificio scolastico, all’interno, oppure...
Tempo qualche frazione di secondo e un flebile sibilo lo fece scattare istintivamente, facendogli evitare un secondo proiettile lanciato a velocità supersonica. Il colpo riuscì solo a sfiorargli la guancia destra, ferendolo di striscio, per poi finire dritto al suolo.
Kisshu rifletté per un istante, prima di puntare lo sguardo dritto verso l’alto, in direzione del tetto.
Se l’angolo di tiro aveva fatto piantare il colpo a terra, lei non poteva che essere…
Lassù.
«Ti ho trovata.» Sussurrò tra sé e sé, prima di teletrasportarsi in quel punto.
La colse di spalle, accucciata contro il muretto, intenta a prendere la mira su di lui.
Con rapidità disarmante le cinse il collo col braccio sinistro e la tirò forte a sé, premendo con decisione il bicipite contro il suo collo sottile.  Contemporaneamente le impedì di reagire, afferrandole con la mano destra il polso che impugnava la pistola. Lo torse dolorosamente fino a farle perdere le presa sull’arma, la quale rotolò a terra in un leggero tonfo.
Ormai disarmata, la Mew Mew non poté far altro che subire la sua presa,  mugolando di dolore.
Tentò di liberarsi servendosi della mano libera, con la quale affondò senza riserve le dita nel suo braccio. Kisshu percepì la spiacevole sensazione di un quintetto di artigli affilati bucare la sua pelle e sussultò, trattenendo un gemito di dolore.
«Bastardo» Gemette a quel punto lei, spingendolo indietro con forza e riuscendo a farlo sbilanciare. Si tirò maldestramente in piedi e, non appena recuperato l’equilibrio, cercò immediatamente di pestargli un piede, nel tentativo di fargli perdere la stretta sul suo collo.
In risposta lui le liberò il polso, facendo però comparire uno dei suoi tridenti, che puntò dritto contro il suo petto.
MewSuguri tremò per un istante e tentennò.   
«Non vorrai costringermi ad usarlo, vero?» Le sussurrò suadente, nelle morbide orecchie striate.
«Lasciami!» Sibilò la mora, divincolandosi di nuovo.
Spinse il braccio sinistro all’indietro, tirandogli una gomitata sulle costole già indolenzite. Prese Kisshu in pieno, facendogli sputare una teatralissima espressione di dolore.
Lei allora lo colpì di nuovo, ripetutamente, facendolo vacillare.
«Aaah...va bene, d’accordo! Ti concederò una tregua!» Esclamò innervosito, «Ma solo se ammetterai di avere perso!» Aggiunse provocatorio mentre le immobilizzava la gamba sinistra, incrociandola con la sua.
Ormai non riusciva più a muoversi...e la sua unica scelta era di restargli appiccicata in quel modo, anche contro la sua volontà.
Rimase in silenzio, concentrandosi sulle piccole percezioni che riusciva a cogliere.
Il flebile respiro della ragazza contro il suo braccio, il profumo esotico e fruttato dei suoi capelli lunghi, il suo corpo così esile e morbido…
Sorrise compiaciuto, trattenendo un fremito lungo la schiena.
In fin dei conti, quella situazione aveva duplici vantaggi...
«Non ti sento!» La richiamò, serrandole di più la trachea e puntando il tridente contro il suo petto.
La lama era ormai sulla sua pelle: una lieve pressione, e…
«Tre, due...»
«D-d’accordo...hai vinto! Ma ora lasciami!» Gemette MewSuguri, afferrando il suo polso con furia ed abbassando il suo tridente con un gesto deciso della mano.
Kisshu la lasciò fare ed allentò immediatamente la presa sul suo collo.
Fece infine scomparire il tridente ed indietreggiò, lasciandola libera.
Lei lo spintonò via e torse il busto nella direzione opposta, risparmiandogli la soddisfazione di guardarla negli occhi dopo quella sconfitta.
Lui alzò un sopracciglio e restò in silenzio ad osservarla, mentre celava accuratamente il suo sguardo dietro quella cascata di splendidi capelli corvini.
«Beh, ora che ti ho dato una lezione potresti smettere di fare la scontrosa?» Sputò il ragazzo dagli occhi d’ambra, piuttosto contrariato.
Lei si voltò piano a guardarlo, il viso ancora paonazzo e gli occhi lucidi per lo sforzo appena compiuto.
«Mi vuoi dire una volta per tutte cosa sei?» Borbottò, arresa.
Kisshu la guardò di sottecchi.
Forse per quel giorno l’aveva fatta penare abbastanza.
«Vengo dal pianeta Evemeth, di cui immagino voi umani non conosciate nemmeno l’esistenza...»
«Quindi sei un alieno...» Lo interruppe la ragazza, la voce ancora rauca ed impastata, lo sguardo più incuriosito e disteso del precedente.
Sembrava una persona completamente diversa rispetto a prima.
«Già...voi...Mew Mew, giusto? Siete degli ossi duri, invece...» Rispose, «Tu sei un osso duro...» Terminò infine, accompagnando la frase con un risolino visibilmente soddisfatto.
A quelle parole, la Mew tigre lo fissò con aria interrogativa.
«Voi Mew Mew hai detto?» Ripeté a pappagallo, confusa. «Di che stai parlando?»
Lui le rivolse uno sguardo sorpreso.
«Non lo sai? Ci sono altre seccanti ragazzine come te, qui in città... mi pare che si chiamino Mew qualcosa...» Borbottò vago l’alieno.
Mew Mew
Rimuginò lei, pensierosa, abbassando lo sguardo.
Aveva già sentito quelle strane parole, non facevano semplicemente parte della sua formula di trasformazione…
Ma dove?
...
All’improvviso, un guizzo attraversò le sue iridi cremisi e il suo corpo sussultò.
Già...come aveva fatto a non pensarci prima?
L’insegna di quel nuovo locale al centro del parco Inohara, quella che aveva scorto lo stesso giorno del terremoto e dello strano sogno con la tigre.
Il Caffé Mew Mew.
Al solo ricordo di quelle parole un forte nervosismo, di cui non seppe individuare l’origine, attraversò le sue membra.
Era tutto così strano…
Ma di una cosa era sicura.
Il suo intuito animale le stava chiaramente suggerendo che lì avrebbe trovato tutte le risposte di cui aveva bisogno.








 

***

* «Fidati, lo stai già facendo.» nd Kuro
«Chi, io?!» nd Kisshu indicandosi con espressione inconsapevole
* Kuro si facepalma *
«Si, tu! I tuoi occhiettini qui, color ambra fusa del Baltico, hanno questo stracazzo di potere tipo da sempre, eddai su. Che deve dirtelo la Best Fangirl Ever in the World perché tu te ne accorga, razza di super genio? -.- » nd Kuro spazientita
* Kisshu la fissa *
«Chi stracazzo sarebbe la mia Best Fangirl Ever in the World?» nd Kisshu con sguardo stralunato
* Kuro ride nervosa, trattenendosi dallo strangolarlo. Esita a rispondere. *
«È Pai.» nd Kuro con sguardo malefico
«COSA?!?!» nd Kisshu

** Come sapete, in Giappone esistono istituti scolastici esclusivamente femminili, esclusivamente maschili e misti. Suguri frequenta un istituto femminile.
(Credo che un posto del genere possa potenzialmente essere un paradiso per Kissyno xD)

* «Dici questo perché non sei ancora venuta a letto con me.» nd Kisshu prendendo Suguri per il mento.
* L’autrice si arma di martello di gomma e colpisce sonoramente Kisshu sulla testa, il quale crolla a terra tramortito *
«Dicevi? -.-» nd Kuro rivolgendosi al corpo dell’alieno riverso al suolo

** La volata della pistola è il foro da cui vengono sparati i proiettili quando si preme il grilletto.

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Capitolo 11
*** First Act ~ IX. Where I Belong. ***


IX.
Where I Belong.






 
V come vulcano
E mille altre cose,
Come la volontà di camminare vicino al fuoco...
E capire se è vero questo cuore che pulsa
Se senti sul serio, oppure è vanità?

V come vulcano
E mille altre cose,
Come il volume che si alza e contiene il mare...
E capire se vale scottarsi davvero
O non fare sul serio, fare sul serio?

V come vulcano
E mille altre cose,
La paura di vagare per troppo tempo a vuoto...
E capire se è vivo questo cuore che vibra
Può viaggiare davvero, viaggiare davvero?


Francesca Michelin – Vulcano







Un’insegna morbida e sinuosa, color rosso ciliegia, troneggiava sopra la porta d’entrata del castello al centro del Parco Inohara, disegnando una manciata di chiare lettere scritte in alfabeto occidentale.
Caffé Mew Mew.
Esattamente come la ricordava...
Era proprio nei pressi di quell’edificio che si era verificato quell’improvviso terremoto, s’era propagato quello strano fascio di luce e lei era caduta in un sonno profondo di pochi minuti.
Stando alle parole di Kisshu, altre ragazze erano incappate nel medesimo destino ed il loro corpo aveva subito una metamorfosi.  
Il fatto che quel locale fosse spuntato dal nulla, così come i suoi misteriosi poteri... era una coincidenza decisamente peculiare.
Subito dopo averlo saputo, s’era messa in testa di andare a farci una capatina.
Aveva liquidato Kisshu e le sue chiacchiere in due minuti netti e se n’era andata via, non prima di averlo sentito gridare che "sarebbe tornato a prenderla".
Suguri sospirò, cercando di scacciare quel pensiero.
S’avvicinò di soppiatto alla finestra a forma di cuore del locale e vi sbirciò silenziosamente all’interno. Scorse immediatamente piccoli gruppetti di studentesse ridere e chiacchierare tra loro, sorseggiando un tè o mangiandosi una fetta di torta.
Pochi secondi dopo, un uomo alto e snello dai capelli castani raccolti in un codino sbucò da chissà dove, sorreggendo tra le mani un paio di vassoi.
L’osservò con attenzione mentre si fermava di fronte ad uno dei tavolini già gremiti per servire delle giovani clienti.
Avrebbe davvero trovato quello che cercava, lì dentro?
Le sembrava il posto meno adatto dove parlare di combattimenti all’ultimo sangue, creature aliene e mutamenti genetici...
Anche se ormai non riusciva a stupirsi più di nulla.
S’acquattò contro la parete esterna rosa confetto e vi ci appoggiò la schiena, meditando in silenzio.
Da quando aveva ottenuto i suoi poteri non ricordava un singolo momento noioso.
La piatta, prevedibile normalità era stata brutalmente spazzata via da tutta una serie di piacevoli sorprese.
Piccoli eventi ed emozioni a cui non voleva rinunciare.
Ma cosa l’aspettava d’ora in poi?
Cos’erano davvero quei poteri? Era tutto frutto di una scelta oppure di una casualità? Era stata realmente modificata geneticamente?
Questo avrebbe portato ad effetti dannosi sul suo corpo?
Aveva riflettuto a lungo, senza cavarci un ragno dal buco.
Tuttavia, di una cosa era certa.
Nessuno ti dà nulla gratis.
Nemmeno dei poteri potenzialmente pericolosi e distruttivi.
Dal canto suo, aveva un paio di ipotesi che potessero spiegare l’arrivo di una tale manna dal cielo, ed erano tutto fuorché piacevoli.
Prima ipotesi: i poteri le erano stati donati per uno scopo.
Tale scopo era combattere una guerra contro dei presunti alieni.
Risultato: lei era carne da macello.
Seconda ipotesi: i poteri le erano stati donati per sbaglio.
In tal caso sarebbe una cavia vivente, vittima di un esperimento genetico non desiderato e probabilmente sperimentale.
Risultato: lei era carne da macello*.
«Tsk!» Mormorò, scuotendo energicamente la testa e così i lunghi capelli corvini.
Non poteva accettare nessuna di queste due possibilità.
Strinse la mano destra nel pugno, sentendo le unghie aguzze pungolare sulla pelle dei palmi.
Una sensazione a cui s’era ormai abituata.
Una percezione soltanto sua...
Nessuno poteva distorcerla o rubarla.
Non ce la faceva davvero più a stare lì, ferma ed inconsapevole, in balia di un destino controllato da altri.
Ruotò le iridi rosso ciliegia in direzione della porta d’entrata e rimase immobile per un’altra manciata di secondi, prima di scattare via dal muro e spingere con forza una delle ante di legno verso l’interno.
Il cicalino di una campanella l’accompagnò nel suo primo, deciso passo oltre l’uscio. Si lasciò la porta alle spalle e piantò con decisione i piedi a terra, guardandosi con curiosità attorno.
Davanti ai suoi occhi s’aprì l’interno ampio ed accogliente che aveva adocchiato poco prima dalla finestra. Pareti dai colori eccentrici e vivaci delimitavano una sala tonda ed ariosa, sormontata da un soffitto molto più alto di quello che si poteva immaginare dall’esterno. Sugurì tirò la punta del naso all’insù, dando un’occhiata alla cupola superiore, decorata da un affresco di fumose nuvole color pastello e astri stilizzati.
Il chiacchiericcio dei clienti, seduti a graziosi tavoli bianchi e rossi, e un ottimo odore di dolci appena sfornati, impregnavano completamente l’ambiente.
Si trattava di un maid café in piena regola, smisuratamente femminile...
La mora si coprì la bocca con la mano all’ultimo istante, in tempo per nascondere una smorfia decisamente disgustata.
Tutto quel rosa ad ogni angolo le provocava strani scompensi...
Solo in seguito il suo sguardo si posò sulla ragazza che le si stava avvicinando, una cameriera occhialuta dai capelli verde lattuga e il sorriso timido.
«B..benvenuta! Prego, posso aiutarti?» Balbettò, rivolgendosi a lei.
Suguri le lanciò un’occhiata, rimanendo in silenzio.
Era evidentemente incerta, nonostante stesse cercando di assumere l’aria più gentile e cordiale che potesse offrire.
Indossava una divisa da cameriera nel tipico stile sweet lolita.
«Emh, il proprietario di questo locale...potrei parlarci?» Chiese di getto la mora, senza troppi giri di parole.
Non era certo venuta fin lì per fare il carico di calorie e zuccheri...e non aveva nulla da spartire con le impiegate. L’intuito le suggeriva insistentemente che se ci fosse stato davvero qualcuno che avrebbe potuto rispondere alle sue domande, quello non poteva che essere il responsabile di tutto lo stabile...il capo della baracca.  
Chissà di che tipo si trattava...non riusciva proprio ad immaginarsi la faccia del genetista pazzo che le aveva donato i poteri.
«Parli di Shirogane-san? In realtà lui non...» Riprese impacciata la cameriera, prima di bloccarsi senza sapere cosa dire.
Suguri aggrottò le sopracciglia e la guardò più minacciosamente, nel tentativo di intimorirla. Non aveva nessuna voglia di sentirsi raccontare delle scuse.
«Si, ho bisogno urgente di parlare con questo Shirogane-san.» Precisò la giovane dai capelli corvini, digrignando i denti e inasprendo il tono di voce quasi senza rendersene conto.
Cosa le stava succedendo?
Quella faccenda la stava decisamente agitando, facendole vorticare la testa e ribollire il sangue nelle vene.
Voleva sapere tutto subito.
Sentiva quell’urgenza così impellente, come se non riuscisse a pensare ad altro...
La cameriera del caffè si sistemò gli occhiali sul naso e diventò paonazza a seguito delle sue parole, lo sguardo incollato in un punto alla sua sinistra.
«Shirogane-san!» Esclamò, raddrizzando la schiena e tirando un sospiro di sollievo, quasi come se il nuovo arrivato l’avesse letteralmente salvata da una brutta fine.
La Mew tigre si voltò incuriosita, e i suoi occhi incrociarono la figura del ragazzo appena sbucato dal corridoio sul retro.
Con la sua corporatura alta e snella, i biondi capelli perfettamente in ordine sulla fronte e i luminosi occhi azzurri, poteva farsi quasi passare per modello. L’espressione sul suo viso era rilassata così come le spalle, lasciate morbide oltre il collo. Le mani, invece, erano infilate nelle tasche di un paio di pantaloni chiari, abbinati ad una canotta scura.
Il ragazzo fece qualche passo nella sua direzione prima di fermarsi a fissarla intensamente, senza dire una parola.
Suguri, dal canto suo, fece lo stesso, limitandosi a squadrarlo da capo a piedi.
Che fosse davvero lui il proprietario, Shirogane?
Quei lineamenti ancora così acerbi, e il viso glabro...
Era estremamente giovane, praticamente un suo coetaneo.
Che cosa tremendamente sospetta
«Sono Shirogane, piacere. Potrei gentilmente sapere invece chi mi cerca?» Domandò, rivolgendosi a lei, senza tradire stupore dal suo tono di voce.
Sembrava un tipo diretto e parecchio sicuro di sé...
Lei non si tirò indietro, sostenendo senza timore le sue limpide iridi azzurre.
Sorrise di scherno.
«Credo proprio che tu lo sappia, Shirogane...» Incalzò la mora, alzando un braccio ed afferrando un lembo della manica della divisa. «...o mi sbaglio?» Aggiunse poi,  scoprendo il polso sinistro di fronte a lui.
Shirogane abbassò lo sguardo su di esso e sgranò gli occhi non appena riconobbe la voglia rossastra sulla sua pelle.
Suguri gongolò in silenzio, gustandosi l’espressione incredula sul volto del ragazzo.
Il suo intuito aveva visto giusto.
Anche la cameriera accanto a lui, l’occhialuta dalla divisa verde lattuga, si lasciò scappare un’espressione di sorpresa e si portò entrambe le mani alla bocca.
«Allora? Sei rimasto ammutolito, Shirogane?» Sibilò, accentuando la pronuncia del suo nome con tono piuttosto canzonatorio.
Non gli spettava quella reazione di stupore...proprio lui, che l’aveva creata?
«Quindi sei una di noi! È fantastico, non è vero Shirogane-san?» Mormorò entusiasta la ragazza con le trecce, con voce pacata e gentile.
«Voi...Mew Mew, intendi?» Le chiese sorniona Suguri, tornando a guardarla.
La ragazza annuì semplicemente, stringendo le labbra, come se avesse paura di rivolgerle la parola.
«Questo già lo so. Veniamo alle questioni importanti...» Sibilò nuovamente, lanciando un’occhiata in tralice al ragazzo alla sua sinistra. «Sarò chiara, biondino...» Mormorò, riabbassando il braccio lungo il fianco, «Non mi interessa sapere perché hai modificato il mio corpo...»
Suguri cacciò aria dalle narici a quell’affermazione.
Quella era una bugia.
Le sarebbe piaciuto conoscere i motivi per cui era stata trasformata a quel modo, ma...
Era irrequieta, seccata...e aveva voglia di spaccare tutto.
E quella verità perdeva via via d’importanza, ogni secondo di più.
Come se stesse volando lontano...
Voleva qualcosa di meglio.
Qualcosa che quella combriccola di sciocchi non poteva darle.
Ma cosa?
Convinta da quelle nuove, esplosive sensazioni, puntò con decisione l’indice sul petto del ragazzo, premurandosi di fargli sentire i suoi artigli**.
Lui sussultò impercettibilmente.
«Io non sono tua.» Scandì lapidaria.
Shirogane si limitò a guardarla, fissandola con iridi di ghiaccio.
C’era un’atmosfera piuttosto elettrica tra loro, come tra due rivali pronti a sfidarsi...ma nessuno dei due sembrava voler fare la prima mossa.  
«Cosa succede qui? Retasu, Shirogane!» Chiese improvvisamente una voce femminile fuori campo, accompagnata da uno scalpiccio incalzante che s’avvicinava in sua direzione.
Suguri sbuffò, alzando gli occhi al soffito: non c’era verso di conversare senza essere interrotti, in quel caffè.
Si voltò verso la sorgente di quel suono e, con sua grande sorpresa, i suoi occhi incrociarono quelli color cioccolato di Ichigo Momomiya.
Accanto a lei, una ragazza un po’ più bassa di statura e dai capelli blu notte la scrutava insistentemente, con sguardo a metà tra lo scocciato e l’inquieto.
Poteva scommettere che era stata lei ad irrompere con le sue domande.
Entrambe indossavano la stessa divisa da cameriera della ragazza occhialuta, che da quello che aveva capito pareva chiamarsi Retasu.
La loro presenza lì non era casuale…
Esattamente quanto la sua.
Quella scena era già stata prevista, già annunciata allo scoccare del primo atto di quell’assurda, pruriginosa pantomima…
Pantomima nella quale lei sembrava ricoprire, insieme alle altre ragazze, la parte della stupida inconsapevole, assoldata agli ordini dello stratega/genetista pazzo, occasionalmente supermodello dei poveri. Il biondo imperturbabile che le stava di fronte, che non faceva altro che ribattere alle sue accuse con l’atteggiamento tipico del passivo-aggressivo.
Ryou Shirogane.
E lei non aveva nessuna voglia di attenersi alla sceneggiatura prestabilita…
Dedicò alle sue compagne di sventura solo una fugace occhiata, prima di rivolgere di nuovo la sua attenzione al ragazzo.  
Non si rese del tutto conto del fatto che stesse ormai ringhiando tra i denti.
Voleva proprio sentirlo uscire dalla bocca di quello lì.
«Quali sono le tue vere intenzioni, Shirogane?» Cominciò. «Cosa pensi di fare con noi Mew Mew? Pensi di comandarci tutte a bacchetta?» Continuò in seguito, in preda ad un fiume in piena di parole che non aveva nessuna voglia di fermare.
La sola idea la faceva uscire di testa.
Lei non era sotto il controllo di nessuno.
«Moriyami-san!» La richiamò Ichigo, ignorando le parole che aveva appena rivolto a Shirogane. L’espressione sul suo viso dimostrava tutto il suo stupore. «Anche tu hai il Mew Mark?» Domandò. Dalla sua voce e dai suoi occhi color cioccolato trapelavano un miscuglio di emozioni: curiosità, agitazione, apprensione...
Le si leggeva proprio tutto in faccia...
Suguri però non disse nulla, limitandosi ad ammorbidire lo sguardo.
«Vedi di darti una calmata...» Commentò Ryou, rivolgendosi a lei, telegrafico e pungente. Suguri lesse nella sua voce un tono di supponenza che la fece solo innervosire di più. Lo guardò con occhi di fuoco e aprì la bocca per parlare, ma solo per farvi uscire un suono muto.
«Moriyami-san...giusto? Se hai il Mew Mark, significa che sei una di noi, una
Mew Mew.» Prese a parlare la ragazza bassina con i capelli acconciati in due chignon ai lati della testa, interrompendola. «...e il nostro compito è combattere contro la minaccia aliena che sta per invadere il pianeta.» Concluse, incrociando le braccia.
Suguri fece passare lo sguardo su di lei e poi nuovamente su Ichigo, la quale non sembrò obbiettare le parole pronunciate dall’amica.
Si fece pensierosa.
Un’invasione aliena, dei poteri magici...sembrava la trama di un film fantascientifico tragicomico. Quello che le uscì dalla bocca a quelle constatazioni fu soltanto un grugnito strozzato.
«Quindi le cose stanno così. Beh te lo ripeto, Shirogane...» Riprese lei, «...questi poteri ormai appartengono a me. Spetta a me farne quello che voglio!» Asserì, rincarando la dose, battendosi una mano sul petto.
Le sue parole vibrarono sotto il suo respiro rabbioso.  
Il ragazzo americano la osservò soltanto, lo sguardo freddo come un monolite di ghiaccio. Sembrava non avere nulla da dire al riguardo.
Suguri si mordicchiò il labbro.
Quell’indifferenza la faceva talmente incazzare...
Eppure era lui che l’aveva trasformata in una tigre.
Come poteva fregarsene a tal punto?!
«Ma chi ti credi di essere?» Commentò la ragazza con gli chignon, l’espressione piccata in volto.
Suguri le rivolse un’occhiata torva.
«Qualche problema?» La freddò lei.
Minto sgranò gli occhi sorpresa, ma non ebbe il tempo di reagire.
«Adesso basta, voi due…!» Borbottò Ichigo, mettendosi in mezzo. «Dovremmo andare d’accordo, non litigare!»
Retasu s’avvicinò titubante, seguendola in coro.
«Moriyami-san! Ichigo-san ha ragione, non essere così furiosa con Shirogane-san!» L’intero gruppo rimase fossilizzato per qualche secondo, lasciando spazio ad un'atmosfera terribilmente tesa, dove nessuno dei presenti sembrava avere il coraggio di ribattere.
La Mew nera non poté credere alla reazione delle ragazze.
Possibile che non avessero un briciolo d’amor proprio?
Dopo un po’ fu Minto a sbuffare, rompendo il silenzio per prima.
Prese Ichigo per il polso, con stretta parecchio nervosa. Era chiaro a ciechi e sordi che fosse sull’orlo di sbottare.
«Avanti Ichigo, torniamo al lavoro. Assistere a questa scena mi dà il voltastomaco!*» Sputò forte e chiaro, squadrando la Mew tigre per una seconda volta.
Non aggiunse null’altro mentre s’allontanava da lì, trascinando Ichigo con sé.
Suguri rimase sola con Shirogane e Retasu, la quale si limitò a farsi piccola piccola senza proferire parola.
Si portò una mano su fianchi e pestò un piede a terra, visibilmente irritata.
Non voleva stare lì un minuto di più.
Sarebbe stata solo una perdita di tempo...
«Bah...non ho altro da dirvi.» Asserì in un sospiro, come se volesse raffreddare i bollenti spiriti. «Vi saluto!» Esclamò infine, con un teatrale cenno della mano, prima di lanciarsi verso l’uscita senza guardarsi indietro.
Spinse la porta con forza e se ne andò, facendo sbattere malamente le ante alle sue spalle.
Retasu fissò imbambolata la porta d’ingresso, come se si aspettasse che da un momento all’altro quella ragazza potesse tornare sui suoi passi, mettesse da parte la rabbia e accettasse di essere un membro della squadra.
Attese per un minuto buono in religioso silenzio, in preda a speranzosi pensieri e congetture.
Ma non accadde nulla.
Si voltò timidamente verso Shirogane, alla ricerca di qualche piccola consolazione.
«Shirogane-san...la cosa ti va bene così?» Bisbigliò lei, preoccupata.
Lui le lanciò un’occhiata fugace ed ansiosa, prima di fare lo stesso con Ichigo e Minto dall’altra parte della sala.
La prima s’era rimessa al lavoro più distratta di prima, e fingeva di non far caso alla scaramuccia appena avvenuta. La seconda, invece, se ne stava seduta al suo solito tavolino, a sorseggiare del tè con fare piuttosto nervoso.
Ad occhio e croce, doveva trattarsi della peggior ora del tè della sua vita.   
Lo sguardo di Ryou s’incupì all’improvviso.
Quella Suguri...sapeva bene chi era.
L’ennesima vittima dei suoi esperimenti.  
In un angolo del suo cuore, sapeva bene di non poterla biasimare…
Solo per quel motivo s’era bloccato davanti alla sua furia.
Aveva tutto il diritto di provare quel genere di sentimenti per lui...
Ma d’altro canto, non poteva permettersi rimorsi o ripensamenti.
Il Mew Project era ormai avviato, e da lì in avanti la battaglia non avrebbe potuto che farsi solo più serrata e difficile.
«A quanto pare, convincerla sarà uno dei vostri compiti...» Mormorò, aprendo appena le labbra e tirando un sospiro mesto.
Fece cadere la sua posa e richiuse le spalle su loro stesse, lasciando andare la tensione. Infine, ripercorse i passi di poco prima, tornando al piano di sopra senz’aggiungere nient’altro.
Retasu l’osservò a testa bassa, abbattuta, finché non lo vide scomparire oltre l’angolo del corridoio.


 


***




Varcò speditamente il cancelletto del parco con passo marziale, il corpo tutto teso in avanti, come se volesse allontanarsi il più possibile da una forza che invece la tratteneva indietro.
Percorse pochi metri ancora e si bloccò all’improvviso in mezzo al vialetto ciottolato che disegnava il percorso lungo l’area verde, nel tentativo di darsi una seria calmata.
Sciolse le dita, strette nervosamente nel pugno, ed inspirò profondamente e lentamente ossigeno, per cercare di porre fine a quel respiro affannoso ed asmatico che l’aveva tormentata da quando era uscita dal Caffé Mew Mew.
Sbatté gli occhi, concentrandosi in maniera quasi ossessiva sulle fessure sinuose ed irregolari delle piastrelle di pietra del sentiero sotto ai suoi piedi, come se volesse trovare in esse il senso della vita.
La realtà era che stava cercando un qualsiasi appiglio che le permettesse di riacquistare lucidità e rimanere coi piedi per terra. Per motivi a lei del tutto illogici, la testa le vorticava in modo feroce e quella sensazione ottundeva i suoi sensi, annebbiandole quasi completamente il cervello.
Si portò una mano alla fronte, mandida di sudore.
Aveva sottovalutato la situazione.
L’incontro faccia a faccia con le altre Mew Mew e con colui che aveva creato il suo alter ego animale l’aveva turbata in un modo che non voleva ammettere a sé stessa.
S’era talmente sorpresa di vedere Ichigo di nuovo, invischiata in tutta quella storia, per non parlare della reazione piatta ed apatica di quello Shirogane…
Non era quello che s’aspettava.
Era scombussolata...aveva bisogno di rifletterci con più calma.
Rimase in silenzio ed abbassò il capo, respirando l’aria attorno a sé.
Odore di terra ed erba affondò nelle sue narici, più intenso di quanto ricordasse.
Abbozzò un sorriso.
Già...ormai era una mezza tigre, il suo olfatto era quello di un animale.
Ricordandosi dell’istinto primordiale insito nel suo nuovo codice genetico, si riempì i polmoni e ruggì con tutte le forze, nel tentativo di scrollarsi di dosso la tensione e qualunque altro sentimento che ritenesse d’ostacolo.
Si coprì il viso con le mani.
Era stata troppo aggressiva? S’era infuriata troppo?
Che...razza di reazione avrebbe dovuto avere?
Più ci pensava, più non ne aveva idea...
Spostò le mani dagli occhi e rimase in silenzio a fissare un punto davanti a sé, mentre un peso le montava su per lo stomaco.
Inghiottì, ricacciandolo giù.
No...non si sarebbe sentita in colpa.
Non si sarebbe sentita sbagliata...ancora una volta.
Non voleva tornare a quei giorni.
Mai più.
...
Proprio mentre era persa nei suoi pensieri, un paio di braccia diafane circondarono il suo collo con delicatezza, spingendola all’indietro.
Lei sobbalzò dallo spavento, prima di sentir risuonare una voce familiare nelle sue orecchie ed irrigidire il suo corpo.
«A che pensi?»
Parole in un soffio lieve, come un sottile alito di vento.
E invece era...
«Kisshu...» Sbuffò sorpresa, sbattendo gli occhi.
Ogni volta che voleva restare per conto suo quell’alieno sbucava da chissà dove, come se potesse leggerle nel pensiero.
Quell’eventualità la fece rabbrividire.
Si liberò facilmente della sua presa e si voltò per guardarlo in faccia, pronta a difendersi.
Non si stupì quando trovò stampata sul suo volto l’espressione di sempre.
«Quello a cui penso non sono affari tuoi...» Replicò, con una nota di stizza.
Cacciò le mani nella tasca della gonna della divisa e mise il muso, senza aggiungere nient’altro.
Non era esattamente di buon umore, in quel momento.
Tuttavia, l’alieno dai capelli verdi sorrise imperterrito e si limitò a galleggiare per aria, ignorando il suo tono scontroso.
Allungò le braccia in sua direzione, premendo le dita sui suoi avambracci, sotto i gomiti. La costrinse a estrarre le mani dalle tasche in cui le aveva appena infilate e la tirò a sé di qualche centimetro, stringendole i polsi senza farle male.
A quel gesto, lei gli volse i suoi occhi.
Finalmente riusciva ad attirare la sua attenzione.
Cercò immediatamente il contatto visivo con lei, immergendo lo sguardo nelle sue iridi rosso ciliegia.
«Sono venuto a prenderti, Tigrotta...non accetterò un no come risposta.» Mormorò assertivo, inclinando impercettibilmente le sopracciglia.
Il suo tono di voce era più gentile di quanto ricordasse...
Non sarà stata tutta colpa del...miscuglio di emozioni che le rimbalzavano in testa?    
La Mew Mew rimase a guardarlo per un attimo, senza rispondere subito.
«Ancora con questa storia...» Rimbrottò, lamentandosi, lanciandogli un’occhiataccia. «Non ho nessuna intenzione di seguire un tizio che evade continuamente le domande.» Affermò seccamente.
Kisshu si fece serio per un istante.
«Di che parli?» Domandò incuriosito.
«Tsé...» Grugnì la giovane, «Non fingere...lo sai a cosa mi riferisco.» Replicò convinta. Poi sciolse la presa sulle sopracciglia aggrottate, rilassando la muscolatura.
«...Cos’hai da offrirmi?» Sospirò, quasi arresa.
Non aveva proprio le forze per discutere con lui.
Gli occhi dorati di Kisshu s’illuminarono di colpo, a quella domanda.
Sembrava non vedesse l’ora di risponderle.
«Perché accontentarsi di sconfiggere i miei Chimeri quando potresti avere di meglio?» Rispose, con una discreta sicurezza nella voce.
Lei fece una smorfia poco convinta, ma tese l’orecchio.
«Libertà, divertimento, potere*...non c’è bisogno di scegliere. Posso darti tutto.» Bisbigliò stringendo gli occhi, due iridi luminose come ambra lucida.  
Suguri si morse il labbro ed ebbe un fremito, che tentò di nascondere come meglio poteva.
Certo sapeva essere persuasivo, mannaggia a lui..
L’offerta era allettante. Tanto.
Tutto quello che desiderava, a portata di mano...
«Libertà, divertimento e potere...eh?» Ripeté lei, con voce incerta.
Le erano bastate quelle semplici parole per lasciare che la sua immaginazione volasse lontana, verso scenari inebrianti.
Kisshu inclinò le labbra e sfilò la mano destra dal suo polso per appoggiarla sulla sua vita. La tirò per l’ennesima volta a sé, ma questa volta Suguri non si sottrasse.
Circondò il suo collo con le braccia e gli lanciò uno sguardo sornione.
Perché far reggere il gioco solo a lui?
Non sarebbe rimasta a guardare…
Approfittare della sua offerta...aveva molti più vantaggi che limitarsi ad accettarla.
Che fossero i suoi geni? La confusione di poco prima?
Non riusciva a spiegarselo...ma l’adrenalina le pulsava nelle vene come linfa dolce e dirompente, cibo del suo spirito selvaggio e privo d’inibizioni.
Non poteva resistere alla tentazione di cedervi...
«Se accettassi, dove mi porteresti?» Chiese lei, canzonatoria e sfacciata.
I loro corpi aderivano ormai l’uno all’altro.
«Ti porterei in un’altra dimensione...» Sibilò lui, a voce bassissima. «...La mia….»
Aggiunse poi, chinando il viso verso il suo e socchiudendo gli occhi dorati.
La Mew Mew sospirò piano, imitandolo.
Che la stesse...baciando?

Prima che potesse farlo, Suguri frappose una mano tra loro con gesto mellifluo e lento. Kisshu, in reazione, risollevò le palpebre, incrociando immediatamente il suo sguardo. Restarono così per lunghi, muti secondi, fino a quando l’alieno non fece passare la bocca sulle sue dita, schioccando baci lievissimi sulle sue falangi.
Suguri strinse le labbra e tremò.
«Davvero? Portamici...» Sussurrò lei di rimando, imitando il suo tono di voce. «Voglio vederla...» Affermò, le iridi purpuree colme d’eccitazione.
Kisshu si leccò le labbra e sorrise. Strinse più saldamente la presa su di lei, poggiando interamente il palmo sul suo fianco e afferrò il polso della sua mano destra con decisione.
«Ai suoi ordini...» Asserì con un gesto del capo, facendola sparire nel nulla con lui.




 
***  
 



Ricomparvero in un luogo dall’atmosfera decisamente spettrale.
Un cielo uniforme, dagli aspri toni verde acido, s’espandeva a vista d’occhio in qualunque direzione posasse lo sguardo.
Fissarlo a lungo le faceva venire la nausea.
Tutt’attorno a loro, rovine di edifici sconosciuti se ne stavano sospese a mezz’aria in maniera del tutto innaturale, andando a costituire le uniche basi d’appoggio in quella dimensione desolata e claustrofobica.
Templi, colonnati e arcate ormai distrutte ed erose dal tempo erano gli unici compagni in quel cupo, irreale silenzio.
Suguri vi ci soffermò per un po’, seguendo con lo sguardo i resti di pitture colorate sui frontoni e i motivi bizzarri dei colonnati.
Sembravano provenire da mondi sconosciuti e lontani...alieni.
Non aveva mai visto niente del genere.
«Che roba...» Balbettò la Mew Mew. «Sarebbe questa la tua dimensione?*» Domandò.
Kisshu ridacchiò prima di rispondere. Era peculiare vederla così interessata a qualcosa che lo riguardasse da vicino.
«Già. Non so quali siano le sue origini, ma la mia astronave è finita dritta qui poco dopo aver varcato la vostra atmosfera...un po’ come se avesse captato la mia presenza.» Commentò dubbioso, tamburellando con le dita sul mento.
Che si trattasse, in effetti, di un qualche retaggio del passato?
«Me ne rendo conto, non è granché...ma mi torna utile. Qui dentro sono schermato, non è possibile che voi mi intercettiate.»  Disse infine.
Suguri l’ascoltò attentamente, guardandolo fisso per alcuni secondi. Poi si liberò bruscamente della sua presa con fare piuttosto impaziente, e la vide puntare lo sguardo sulla sua nave spaziale, parcheggiata sulla base di un’enorme sezione colonnata a breve distanza da loro.
Sorrise non appena vide la Mew Mew corrervi incontro con l’entusiasmo di una bambina. La raggiunse grazie ad una manciata di agili balzi e vi si bloccò di fronte, indugiandovisi con sguardo avido e curioso.
Le dimensioni della fusoliera e della coda s’aggiravano attorno ai sedici metri di lunghezza e, nella parte centrale, a circa quattro metri d’altezza, per poi abbassarsi progressivamente in direzione del muso, sinuoso ed aerodinamico, dotato di un ampio parabrezza.
Ali strabilianti s’aprivano verso l’esterno, incurvandosi leggermente lungo la linea del velivolo. Ricoperte di una scocca color bianco lucente, con alettoni e rinforzi nero pece nella parte posteriore, parevano essere piuttosto resistenti.
Il posteriore della nave, al di sotto delle ali e del portellone, presentava quella che sembrava una serie di propulsori ad alta potenza.  
Suguri vi girò attorno un paio di volte con occhi spalancati, concentrandosi su ogni minimo particolare senza proferire parola. Optò poi per oltrepassare il portellone aperto, e sgusciare all’interno della nave.
Mise un piede sul ponte di volo, guardandosi attentamente attorno.
Lucide piastrelle di materiale sconosciuto alternavano il bianco e nero sul pavimento e sulle pareti. Uno stretto corridoio conduceva dritto alla postazione comandi, davanti alla quale troneggiava una poltrona dallo schienale alto e ed ergonomico. La ragazza dai capelli corvini oltrepassò il locale bagno e gli stretti armadietti a scomparsa posti a sinistra, così come il piccolo divanetto sulla destra, per affacciarsi direttamente sull’oblò centrale.
Appoggiò il peso del corpo alla solida poltrona posta di fronte al pannello e restò a guardare, meravigliata.
Soffermò gli occhi sui ogni pulsante, levetta, monitor e strumentazione di guida e, infine, lanciò curiosa lo sguardo oltre il parabrezza, esaminando la porzione di dimensione aliena visibile dal vetro.
Inclinò leggermente la testa, come a rilassarsi meglio, entrambe le braccia a farle da supporto sul lato superiore della poltrona. L’accarezzò piano con le dita e sospirò in silenzio, facendo vagare a lungo la fantasia.
Non mosse un muscolo nemmeno quando percepì i passi di Kisshu raggiungerla alle spalle.
«Ti piace?» Le domandò lui, con tono di voce visibilmente disteso e compiaciuto.
Lei schiuse le labbra, ma ci mise un pochino a rispondere.
«È una figata...» Commentò elettrizzata la ragazza. «Roba da farci un giro...» Mormorò in seguito, facendo un risolino all’idea.
A quell’affermazione Kisshu rise di rimando, facendo rigirare le dita nelle tasche dei pantaloni.
«Allora ce lo faremo...» Replicò.
La ragazza sussultò e si voltò di scatto, rivolgendogli uno sguardo indagatore.
«Giura.» Mormorò, incrociando le braccia.
Kisshu le si avvicinò e appoggiò le mani sullo schienale della poltrona, chiudendola nello spazio compreso tre le sue braccia.
La guardò dall’alto in basso con l’aria di uno che se la credeva parecchio.
«Vai sul sicuro con me...» Le soffiò sul naso, facendole un sorrisino sghembo.
Lei incurvò le labbra in una smorfia e non aggiunse nulla, affrettandosi a sfuggire da lui sgattaiolando da sotto la sua presa.
Indietreggiò fin quasi al portellone, ma prima di varcarlo virò alla sua destra,  infilandosi nello stretto ascensore tubolare posto vicino all’ingresso.
Pigiò con frenesia il bottone rosso posto su uno dei bordi esterni e il vetro prese a richiudersi su sé stesso, facendo un lieve stridio elettrico. L’ascensore cominciò a scendere lentamente e Suguri s’appoggiò alla parete trasparente alle sue spalle, incrociando le braccia. Esultò compiaciuta non appena incrociò lo sguardo dell’alieno rimasto vicino al quadro comandi. La sua espressione divertita tentava di nascondere la lieve punta di fastidio visibile sua fronte, impercettibilmente aggrottata poco sopra le sopracciglia scure.
«Tanto so che nascondi qualcosa qua sotto!» Esclamò, approdando nel sottocoperta della nave. Non v’erano che un giaciglio smontabile e un’altra serie di armadietti grandi e piccoli, tutti a scomparsa come i precedenti ed addossati lungo le pareti laterali della stanza.
La ragazza lasciò che la porta s’aprisse prima di avanzare di qualche passo nella stretta cameretta dell’alieno ed avvicinarsi al bordo del suo letto.
L’osservò per qualche secondo, sfiorandolo col la punta delle dita. Sopra il materasso vi erano una coperta sfatta e un paio di cuscini buttati in maniera disordinata, ma nonostante tutto sembrava essere piuttosto comodo e spazioso.
Trattenne un risolino quando immaginò Kisshu dormirci sopra a gambe all’aria o a testa in giù.
Lanciò uno sguardo oltre la testata del letto e s’accorse di come l’oblò frontale continuasse dal piano superiore, restituendo un angolo sbieco della dimensione aliena e una sezione della colonna sulla quale era parcheggiata l’astronave.
Suguri vi si attardò con lo sguardo per una buona manciata di secondi e sospirò, immaginando di come, durante il viaggio, fosse possibile addormentarsi lì sopra ammirando la volta stellata.
Solo in seguito ruotò il collo alla sua destra, incuriosita dall’oggetto che vedeva nella coda dell’occhio da un po’, ma che non riusciva ad identificare.
Accanto alla porta dell’ascensore tubolare, su una delle poche porzioni di parete lasciata libera da altri impedimenti, giacevano infatti i tridenti di Kisshu, ordinatamente incrociati su di un sopporto incassato nel muro.  
Suguri si bloccò ad osservarli per un attimo e una scarica elettrica le salì su per la spina dorsale.  
Deglutì, sentendosi improvvisamente irrequieta.
Avvertiva un’energia prorompente provenire da quelle spade, come se fossero…
Vive
Si mordicchiò piano il labbro inferiore, cercando inutilmente di trattenere la fortissima tentazione di toccarle.
Allungò subito la mano destra verso la parete con la decisa intenzione di prenderne una tra le mani. Stava quasi per afferrarne l’elsa, ma non appena la sfiorò con le dita un’intensa scossa la colpì, facendola saltare con veemenza all’indietro.
Si spaventò quando si ritrovò Kisshu alle sue spalle, pronto ad acciuffarla e ad evitarle uno sbilanciamento che avrebbe potuto farla cadere a terra.
Da quanto era lì?
Non l’aveva sentito arrivare…
Gli volse gli occhi confusa, accarezzandosi la mano ancora dolorante.
Kisshu invece rise, abbassandosi a riprendere il tridente caduto a terra.
«Su su, dolcezza! È così che si accolgono gli ospiti?» Esclamò affabile, afferrandolo tra le dita.
Suguri lo guardò, ancora sconvolta, mentre lui si rialzava in posizione eretta e rivolgeva i suoi occhi al suo sai, sorridendo.
Stava senza dubbi parlando con l’arma...
In quello che parve un istante, Kisshu la circondò da dietro con le braccia, chiudendola in un abbraccio.
Suguri strinse le labbra e trattenne il respiro al contatto con il suo corpo, ma non seppe dire il perché.
Il ragazzo agguantò le sue mani con delicatezza e le unì, prima di riconsegnarle il tridente. Lei abbassò gli occhi su di esso per guardarlo più da vicino.
Contrariamente a prima, l’arma non le provocò nessun dolore.
Vi fece passare sopra lo sguardo, concentrandosi per lunghi secondi sui riflessi di luce proiettati sulla lama e sulla gemma verde al centro della coccia**.
«Vedi, i miei sai sono armi rituali***...» Cominciò lui, sussurrando, avvicinandosi al suo orecchio destro. «...vale a dire, che sono stati forgiati con il mio sangue...» Disse poi in un sibilo.
A quelle parole, Suguri percepì ogni minima vibrazione della sua voce e sussultò piano. Kisshu chiuse le mani sopra le sue e guidò delicatamente i suoi movimenti, facendola giocherellare con il tridente.
Sospirò, senza opporre resistenza.
Sembrava ricolmo di un’energia aliena che non riusciva a comprendere.
Esattamente come le carezze delle sue mani sulle sue dita…
Così lente e piacevoli…come se volesse ipnotizzarla, annebbiarle la mente.
Socchiuse gli occhi.
Forse ci stava riuscendo davvero...
«Questo significa che solo io posso usarle, a meno che non conceda a qualcun altro di toccarle...» Sibilò ancora, incrinando la voce, ora melliflua e suadente.
Suguri deglutì.
A che gioco stava giocando?
Sentiva di essere sempre più in balia di un mare sconosciuto, alla mercé…
Di quell’alieno intrigante, pericoloso...
«Dunque non ti ritieni privilegiata...Suguri?» La canzonò ancora, alzando l’avambraccio sinistro e facendo scorrere il dorso delle dita sulla clavicola della ragazza, risalendo fino al collo.
A quel gesto, lei ebbe un guizzo e si levò di scatto.
Si voltò con decisione verso di lui e lo spintonò via per allontanarlo da sé, il tridente ancora tra le mani.
«Che diavolo stai cercando di fare?» Tuonò la ragazza con iridi di fuoco, tenendolo d’occhio.
Kisshu non disse nulla e la guardò.
Pochi istanti e si lanciò su di lei come un felino. Suguri, colta di sorpresa, perse la presa sul suo sai e lo fece ruzzolare a terra.
Lui, invece, la fece arretrare fino a farla scivolare sul letto alle sue spalle, immobilizzandola sotto il peso del suo corpo.
Lei grugnì, lanciandogli un’occhiata al vetriolo.  
Ogni scusa era buona per metterle le mani addosso…
«Che faccio? Fraternizzo con te...» Mormorò l’alieno, con voce che a Suguri parve a tratti arrogante. «...ormai siamo complici, no?» Le chiese, senza staccare lo sguardo dal suo. Due gocce dorate che parevano volerla trafiggere, leggerle la mente...  
La ragazza strinse gli occhi, una punta di sospetto nelle iridi purpuree.
«Che cosa intendi dire?» Soffiò lei, sorpresa.
Non voleva darlo a vedere, ma era nervosa.
Quel Kisshu era imprevedibile, un tipo del quale ed era difficile comprendere le reali intenzioni.
Proprio per quella ragione l’attraeva a sé…
E lui lo sapeva.
Quella vena di follia che leggeva nei suoi gesti, nelle sue insinuazioni…
Era stuzzicante...
«Che ne dici...ti va di far parte del terribile duo?» Domandò allora, euforico.
Lei lo fissò per alcuni secondi prima di soffocare una risata e allentare le sopracciglia, aggrottate sotto la frangetta scura.
«Il terribile duo?» Ripeté lei, divertita.
Kisshu rise di gusto alla sua reazione e la lasciò andare improvvisamente, puntellando tutto il peso sulle ginocchia. Suguri ne approfittò per sfilare le gambe dalle sue e rimettersi più comodamente a sedere, prima di volgergli uno sguardo di morbosa curiosità.
Kisshu la guardò e increspò le labbra in un grande sorriso beffardo.
«Guarda qui.» Le suggerì lui, aprendo la mano sinistra e facendo comparire dal nulla una minuscola medusa trasparente, identica a quella che la ragazza aveva visto uscire dal Chimero lucertola qualche giorno prima.
Due, tre, quattro...cinque medusette si materializzarono una dietro l’altra, seguendo la prima. L’alieno strinse gli occhi dorati e li puntò nuovamente nei suoi, le pupille strette in due fessure.
«Sai che fa adesso il terribile duo?» La stuzzicò, schioccando la lingua.
Lei ammorbidì la schiena e sorrise sorniona, trattenendo un brivido.
«Casino?» Tirò ad indovinare, in preda all’eccitazione.
Aveva i nervi a fior di pelle...e non riusciva a calmarsi.
Non voleva calmarsi...
Voleva altra benzina sul fuoco...
«Esatto, Dolcezza...andiamo a fare casino.» Completò infine, agguantandola a sé, prima di teletrasportarsi con lei fuori dalla dimensione aliena.








 
***

* E la cosa figa è che entrambe sono vere. xD
** Questo è un appello del telefono azzurro.
È ormai il secondo caso di aggressione e minacce verbali e fisiche perpetrate ai danni di Ryou Shirogane da feroci belve feline di sesso femminile.
Se volete preservare il povero Shirogane dagli abusi di artigli vaganti e potenzialmente pericolosi, esprimete la vostra solidarietà mandando una mail a salvateilsoldatoRyan@associazioniumanitariedallaseriareputazione.it.
Gli operatori si occuperanno della corrispondenza e dell’esplicazione di tutte le procedure atte alla donazione.
Avete l’occasione di fare una buona azione nella vostra vita.
Non rinunciate per pigrizia, scrivete ORA.  
* «Far stare sulle balle la tua OC alla tua Mew preferita: challenge accepted.» nd Autrice che si infila un paio di occhiali neri
** «Libertà, divertimento, potere...ma soprattutto SESSO! S-E-S-S-O! Diciamolo chiaramente, porca la putt...!!» nd Kisshu esaltato prima che l’Autrice gli tappi la bocca con le mani
«Sta zitto, razza di cretino ingestibile che non sei altro!» nd Kuro
* «Ahahah..praticamente l’ha portata a casuccia sua...che tenerezza! :°)» nd Kuro
«Un giorno ti ucciderò...maledetta…-_-» nd Kisshu
** La coccia è la parte del corpo della spada che sta dopo l’elsa e prima della lama, in parole povere, dove si trovano le pietre smeraldine dei tridenti di Kisshu :)
*** Le armi rituali sono oggetti che servono ad invocare, assorbire ed elaborare energia, oppure hanno valori simbolici specifici. Per quanto riguarda i sai di Kisshu, mi sono sbizzarrita e ho voluto infondervi due forze distinte che credo lo definiscano al meglio: la libertà e il fuoco interiore. Sono proprio queste due cose che Suguri percepisce :)
Ps. Un giorno mi divertirò a raccontare la storia della nascita dei suoi tridenti :)  

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Capitolo 12
*** First Act ~ X. Prepare for Trouble! ***


** Mi è stato fatto notare che questo capitolo potrebbe presentare delle scene che possono risultare forti per lettori e lettrici e questo mi ha convinta a mettere una piccola nota d’avvertimento. Non preoccupatevi, non ci sono scene gore, splatter o particolarmente violente, ma i concetti enunciati potrebbero creare qualche piccolo turbamento alle persone più sensibili.
(In compenso, le note di fine capitolo sono, come sempre, demenziali! * coff coff *)
Ragazzi/e, vi prego di non disperarvi nel chiedervi ‘perché’, verrà tutto spiegato nei prossimi capitoli.
Detto ciò, buona lettura!





 
X.
Prepare for Trouble*!






 
I wanna fly
I wanna drive
I wanna go
I wanna be a part of something I don't know
And if you try to hold me back I might explode
Baby, by now you should know

I can't be tamed
I can't be tamed
I can't be blamed
I can't can't
I can't be tamed
I can't be changed
I can't be tamed
I can't be, can't be tamed

Well I'm not a trick you play
I'm wired a different way
I'm not a mistake
I'm not a fake
It's set in my DNA



Miley Cyrus – Can’t be Tamed






MewSuguri lanciò uno sguardo a terra, soffermandosi morbosamente sulla distesa di edifici e grattacieli che sembravano estendersi senza fine sotto i suoi occhi.
Non s’era mai accorta di quanto fosse immensa la città di Tokyo prima di poterla osservare da lassù.
Tirò un sospiro profondo e strinse forte tra le dita la criniera del Chimero volante sul quale era seduta in groppa, cercando di non pensare alla terrificante altezza a cui si trovava in quel momento.
Lasciò che l’oscillazione cadenzata e lenta dei suoi movimenti la distraesse un po’, mentre lo sguardo cadeva senza troppo interesse su di lui.
Si trattava di una strana creatura aliena uscita dalla fusione di un para-para di Kisshu con un serpente di fiume**, una specie di drago dal corpo serpentino e il muso allungato, la bocca ricolma di denti appuntiti e gli occhi vispi color giallo acceso.
Corte e minute zampe anteriori sbucavano poco sotto al collo, a breve distanza dalle sue ginocchia piegate e dai suoi piedi sospesi nel vuoto.
S’appiattì contro il corpo del mostro, trovando quella posizione decisamente molto più rassicurante, e chiuse gli occhi per qualche secondo, godendosi il calore che la sua pelle color rosso vivo emanava.
«Che fai Tigrotta, dormi?» La canzonò una voce a lei familiare, riportandola suo malgrado alla realtà.
La Mew Mew riaprì gli occhi color ciliegia e riservò al suo interlocutore un’occhiata infastidita.
Nonostante fosse in grado di volare, quel tizio aveva ugualmente deciso di attraversare la città in groppa ad un Chimero drago del tutto simile al suo, esclusion fatta per il colore delle squame, di una splendida sfumatura celeste.
Un’altra coppia di Chimeri svolacchiava rilassata alla sua sinistra, seguendolo  fedelmente. Il più vicino al drago azzurro aveva un manto color verde smeraldo e uno sguardo particolarmente sveglio ed allegro. Il drago che chiudeva la fila, invece, era ricoperto di squame argentee, e le palpebre semi abbassate sui suoi occhi gli disegnavano sul muso un’espressione calma e distesa.
Dopo aver passato in rassegna le creature, Suguri tornò con lo sguardo sull’alieno dagli occhi dorati, in attesa di risposta.
 «Mi stavo solo rilassando un secondo.» Sbuffò. «E poi...» MewSuguri raddrizzò nuovamente la schiena, evitando accuratamente di guardare in basso. «E poi non...mi sento a mio agio a volare a quest’altezza» Balbettò velocemente, con un velo di stizza nella voce.
Non le andava gran che di ammettere di essere impaurita in sua presenza.
Kisshu le sorrise, le iridi color miele più luminose del solito sotto i ciuffi di capelli scuri, mossi disordinatamente dall’attrito con l’aria.
«Che ne dici di scendere, allora?» Le propose lui con entusiasmo, dando un calcetto al fianco del Chimero con un piede.
Questo s’inarcò in avanti e accelerò bruscamente, proseguendo in picchiata verso il basso. All’improvviso tutti i draghi, compreso il suo, fecero lo stesso, e lo seguirono in direzione della città a rotta di collo.
MewSuguri trasalì fin nelle viscere e trattenne un grido di paura, stringendosi a lui con tutte le forze. Inghiottì un blocco di saliva e infilò la testa nella morbida criniera del Chimero drago, sopportando strenuamente i vuoti d’aria che rimbombavano nel suo stomaco e pregando che quella mirabolante discesa terminasse il prima possibile.
Nonostante le orecchie feline fossero sferzate dall’aria, percepì abbastanza chiaramente le urla euforiche di Kisshu a qualche metro da lei.
Stava prendendo l’avvenimento con ben altro spirito...
L’ha fatto di proposito!
Grugnì furiosa, pensando tra sé e sé.
Ecco cosa succedeva ad aprire troppo la bocca.
Mai e poi mai gli avrebbe più confessato una sua fobia.
Mentre era tutta intenta a maledire mentalmente l’alieno, il rettile volante finalmente si fermò.
MewSuguri non s’attardò a rialzare lo sguardo e sospirò piacevolmente quando constatò di trovarsi a poca distanza dai grattacieli del quartiere sotto di loro.
L’alieno dai capelli scuri si posizionò nuovamente al suo fianco, fremendo per la corroborante scarica d’adrenalina appena ricevuta, e la ragazza s’accorse immediatamente dell’assenza degli altri due draghi.
«Che fine hanno fatto i tuoi simpatici compagni a sangue freddo?» Proruppe la Mew nera, indicando il suo Chimero con l’indice della mano.
Kisshu fece spalluce. «Li ho lasciati liberi. Andranno a divertirsi da qualche parte...» Replicò con poco interesse, prima di lanciarle uno sguardo particolarmente intenso.
«Allora, Bambolina...apriamo le danze?» Le sussurrò, come se stesse facendole una proposta intima. Ci avrebbe anche creduto se non fosse stato per il sorriso malizioso sulle sue labbra il quale, generalmente, non presagiva nulla di buono.
Eppure, per una volta non aveva motivo di dubitare...
Non aspettava altro che fare del sano casino da...nemmeno lei sapeva quanto tempo. Erano anni che desiderava scatenarsi a dovere senza essere costretta a rispettare delle stupide, sciocche regole sociali, civili, morali e blablabla!
Ora era MewSuguri.
Nessuno conosceva la sua vera identità.
Nessuno poteva additarla, accusarla…o farle pagare uno scotto.
Era libera, libera da ogni cosa.
E se qualcuno ci avesse anche solo provato, beh…
Avrebbe fatto ricadere la colpa su di lui.
Su quell’alieno invasore, ostile e fin troppo idiota per rendersi conto che lo stava usando a suo piacimento.
Si portò una mano al petto, fermandosi ad ascoltare il suo cuore.
Batteva forte sotto la sua pelle come se volesse esplodere...
Era una sete così logorante quella che sentiva nel profondo dell’anima?
Una fame così a lungo sopita da assumere connotazioni violente, catastrofiche...
A quella constatazione, i suoi occhi s’illuminarono di viva luce e le sue labbra s’incresparono in un sorriso divertito.
Inforcò le dita nella criniera del suo drago e, senza perdere altro tempo, strattonò il collo della creatura con decisione.
«Chi arriva ultimo è un cazzone!» Gridò lei prima di farlo partire all’attacco, impuntando il tacco dei suoi stivali nel fianco destro del Chimero.
Quest’ultimo scese di un’altra manciata di metri, gettandosi a ridosso di un ampio viale asfaltato percorso da automobili e delimitato da esercizi commerciali, tipico del centrocittà.
Scosse il capo entusiasta prima di aprire la grande bocca dentata e sputare, con grande sorpresa della Mew Mew, lingue di fuoco come non ne aveva mai viste.
Queste impattarono sui palazzi circostanti, causandone l’istantanea ed inevitabile distruzione in pochi secondi.
Un grattacielo posto a sinistra della carreggiata, dall’aspetto piuttosto tecnologico e futuristico, venne colpito da una fiammata, spezzandosi in un punto vicino alla sua cima. Dalla frattura s’alzò immediatamente una stretta colonna di fumo che MewSuguri rimase a fissare attonita, senza parole.
A quel punto il Chimero volse la sua attenzione ad ore tre, indirizzando il respiro rovente verso un palazzo in muratura posto a destra della carreggiata.
Il tetto dell’edificio si scalfì a contatto con le fiamme e si scosse, facendo crollare blocchi di cemento sul marciapiede sottostante.
La ragazza lanciò fulminea lo sguardo più in basso, scorgendo un paio di ragazzi che dovevano avere più o meno la sua età. Grazie a dei riflessi veloci riuscirono ad evitare i calcinacci in caduta, salvandosi la vita per miracolo.
Qualcosa di quella scena smosse profondamente la Mew tigre, la quale si limitò a sbarrare gli occhi e a mantenersi immobile, priva di reazioni.
Soffermò lo sguardo più avanti, mentre un forte nervosismo le saliva dalle profondità del ventre. Questa volta, il Chimero drago scelse di colpire di fronte a sé, lanciando una palla di fuoco diretta verso la carreggiata.
La sfera si scagliò con violenza contro l’asfalto, provocando una grossa esplosione.
Una delle auto si ritrovò ad un tiro di schioppo dal colpo lanciato dal rettile e saltò letteralmente in aria, incendiandosi in pochi istanti di fronte ai suoi occhi.
Altri veicoli immessi nel traffico ne rimasero coinvolti e vennero sbalzati ai lati della strada. Le auto in posizione più arretrata finirono invece per riversarsi nella voragine di asfalto crepato o per inchiodare brutalmente in prossimità di quest’ultima, causando incidenti stradali a catena.
La ragazza abbassò le palpebre e trattenne il respiro, per evitare che la polvere d’asfalto bruciata che s’era alzata dal suolo le finisse nel naso o negli occhi.
Restò in silenzio, il cuore in gola, orientandosi grazie all’ausilio del solo udito.
Era così finemente sviluppato che aveva la capacità di raccogliere ogni più piccolo suono e vibrazione dall’ambiente circostante.
Avrebbe voluto non sentire...
Un’accozzaglia caotica di boati, fragori metallici, fischi di pneumatici che s’erodevano a contatto con l’asfalto, urla disperate dei presenti e strepitii di mura e palazzi in frantumi s’affollarono nelle sue orecchie, finendo letteralmente per stordirla.
«Merda...» Commentò inquieta, riaprendo lentamente gli occhi.
Aveva paura di sapere cosa avrebbe visto, ma la curiosità era più grande di qualunque altra cosa.   
Non ebbe il tempo di valutare il quadro della situazione poiché una sferzante folata di vento gelido la raggiunse di striscio, facendola trasalire.
Lanciò uno sguardo alle sue spalle, direzione da cui era arrivato il colpo, incrociando Kisshu in groppa al suo drago.
La bestia aveva le fauci aperte e da esse gettava finissime scaglie di ghiaccio ad incredibile velocità. Il fascio gelato s’indirizzò al suolo come una raffica di sottili proiettili e lame di vento, andando a congelare qualunque cosa vi entrasse in contatto.
Si morse il labbro quando una coppia di anziane signore impaurite che passeggiava su di un marciapiede a fianco della strada venne colpita in pieno dal colpo del drago azzurro*, cadendo rovinosamente a terra.
Non le vide più rialzarsi.
Strinse i pugni in un gesto istintivo del corpo.
Cosa diavolo stai facendo?
Quel dubbio, semplice ed ingenuo, s’insinuò viscido nella sua mente, facendola boccheggiare per un istante.
Tuttavia, quell’abbozzo di pensiero venne bruscamente interrotto da un movimento inconsulto del suo drago il quale s’impennò all’improvviso, incalzato da quello di Kisshu, avvicinatosigli con impeto giocoso.
La ragazza dalle orecchie striate, colta di sorpresa, si tenne più saldamente alla criniera del Chimero, evitandosi per poco una brutta caduta.
Rimase in silenzio, prendendosi un minuto per rilassare mente e corpo: le girava la testa, e non riusciva a capire perché.    
Abbassò gli occhi, decisa ad estraniarsi da tutto il resto, ma si ritrovò invece a seguire i movimenti del rettile dalle squame blu.
Il Chimero riprese a lanciare le sue schegge taglienti, andando a ricoprire ogni bersaglio di una patina di ghiaccio all’apparenza impenetrabile.
Edifici, alberi, auto...e persone ne rimasero prigioniere.
Il drago dalle scaglie rosse lo seguì a ruota, lanciando le sue distruttive spire di fiamme. Il suo attacco colpì le aiuole e la vegetazione a lato della carreggiata, mandandole a fuoco, e fece esplodere porte e finestre degli edifici circostanti, lasciando cadere a terra frammenti di legno e vetro appuntiti come lame.
«Vedo che ti stai scatenando, Tigrotta!» Commentò Kisshu alle sue spalle.
Lei gli lanciò un’occhiata distratta. «Se continui così, finirai per piacermi sul serio...» Lo sentì blaterare poi, leccandosi le labbra.
La Mew Mew ignorò completamente le sue affermazioni e sospirò, più confusa di prima.
Aveva evidentemente perso il controllo della situazione e non aveva idea di come avrebbe dovuto reagire.
Non era così che aveva immaginato il suo momento di gloria.
La sua rivincita...
Era davvero questo che voleva?
Colpire gente a caso…
In fondo, che le era mai fregato a lei, della gente?
...
Scosse energicamente la testa, lanciando un ruggito di frustrazione.
Si sentiva come divisa in due.
Una parte di lei la scongiurava di fermarsi ma l’altra gridava, spingeva con insistenza per uscire da recondite profondità del suo istinto.
Quale delle due doveva seguire?
Quell’interrogativo rimase tale poiché, per l’ennesima volta, il Chimero si mosse all’improvviso, ridestandola dal suo torpore. MewSuguri s’aggrappò alla sua criniera ma, questa volta, il troppo scuotersi della creatura le fece perdere la presa, sbalzandola in avanti.
La ragazza si ritrovò lanciata per aria e fremette per lo spavento.
Si fece coraggio in qualche secondo, recuperando il controllo del suo corpo abbastanza velocemente da poter effettuare una capriola ed atterrare sull’asfalto, attutendo al massimo l’impatto del contraccolpo con le gambe.
Si tirò in piedi ed indirizzò lo sguardo verso lo stimolo acustico più vicino, distante da lei di qualche metro.
I bambini di una scuola elementare, con genitori e maestra al seguito, passeggiavano in fila indiana su di un marciapiede ancora in perfetto stato.
Lei si voltò indietro, lanciando lo sguardo ai draghi in rapido avvicinamento ed imprecò tra sé e sé, mordendosi il labbro inferiore.
Stavano andando dritti tra le fauci di quei Chimeri…
Non voleva che si facessero del male...come altri innocenti prima di loro.
Qualcosa che non riuscì a spiegarsi scattò nella sua testa.
S’avvicinò al gruppetto, attirando bruscamente l’attenzione dei presenti.
«È pericoloso qui!» Ruggì al loro indirizzo, indicando i mostri che sorvolavano le loro teste e che stavano facendo strazio della città, seminando distruzione.
A quella vista gran parte di loro si mise a gridare o si paralizzò, sgomenta.
La Mew tigre aprì le braccia e suggerì loro di spingersi più all’interno, verso il parco che si trovava alle loro spalle.
Non ne era molto convinta, ma forse poteva offrire un minimo di riparo.
«State dietro di me...» Li intimò soltanto e quelli non replicarono, limitandosi a fare come da lei ordinato.
Tuttavia, l’espressione nervosa sul suo volto e gli occhi vacui esprimevano chiaramente le emozioni che stava provando davvero.
«Cosa pensi di fare contro quei mostri?»
Una voce si fece avanti e la Mew Mew ci mise qualche frazione di secondo prima di capire che qualcuno si stesse rivolgendo a lei.
Una mano s’appoggiò gentile sulla sua spalla destra e lei si voltò, incrociando lo sguardo con quello di un giovane padre dai capelli mossi e scuri.
L’espressione accigliata sul suo viso le comunicava una forte preccupazione.
Lei non rispose e si voltò nuovamente verso i Chimeri volanti, attenta a non perderli di vista.
Già...cosa pensava di fare?
Non aveva armi difensive nemmeno per proteggere sé stessa, figuriamoci delle persone!
Respingere quel genere di attacchi non era impresa facile...
Se la cavava decisamente molto meglio con la lotta corpo a corpo.
«Papà? Chi è la Signorina Tigre?» Pigolò a quel punto una vocina, distogliendola dall’angoscia di quel momento.
MewSuguri scorse con la coda dell’occhio una bimba sbucare da dietro il soprabito scuro dell’uomo.
Un sorriso fece capolino sulle sue labbra non appena sentì quel nomignolo.
«Lei? Beh...» Formulò il padre, cercando di farsi venire in mente un’idea. «È una supereroina! E dire che sei tu l’esperta in materia, o mi sbaglio?» Le domandò, nascondendo con la voce il timore per quella situazione drammatica e pericolosa.
«Supereroina?! Esistono davvero?!» Domandò la bambina, strabuzzando gli occhi per la sorpresa. MewSuguri le lanciò un’occhiata veloce: era una piccola marmocchietta dai capelli castani chiaro, lunghi più o meno fino alle spalle, e vivaci iridi color ciliegia. Con una mano se ne stava morbosamente aggrappata al cappotto del genitore, mentre con l’altra stringeva con insistenza un lecca lecca alla fragola.
«Certo che esistono. Ne dubitavi?» Replicò lei, abbassando lo sguardo sul suo per farle un occhiolino.
Una goccia di sudore freddo le sfiorò una tempia, ricordandole di non far calare troppo la concentrazione. Non poteva permettersi errori e doveva tenersi pronta a contrattaccare qualunque offensiva da parte dei Chimeri. Mantenne lo sguardo fisso su di loro, osservandone accuratamente ogni micro movimento fino a che questi, dopo secondi interminabili, oltrepassarono l’isolato senza causare danni alle persone.
Non indugiò a quel punto a rivolgere un’occhiata veloce prima all’uomo coi capelli scuri e poi gli altri. V’era grande autorevolezza nel suo sguardo.
«Vi suggerisco di tornarvene a casa. Se restate qui, non posso garantire per la vostra sicurezza. È chiaro?» Avvisò lei, perentoria.
Tutti quanti annuirono, ancora ammutoliti per lo spavento.
Si lasciò andare ad un attimo d’esitazione prima di svuotare la mente e passare oltre, scattando in direzione dei draghi volanti senza più voltarsi indietro.
Raggiunse la massima velocità di corsa che il suo corpo le permettesse e fece un salto verso un edificio sulla sua destra. Si servì della facciata come perno per spiccare un altro balzo, questa volta in direzione del drago che volava ancor più in alto, sopra la sua testa.
Allungò ogni suo muscolo verso la creatura, riuscendo a raggiungerne la coda e ad aggrapparvicisi con tutte le forze. Infilzò le unghie nelle sue scaglie per assicurarsi ancor più di presa, costringendo sé stessa a non guardare in basso.
Aveva una paura fottuta di cadere di sotto...
Fece appello alle energie rimaste per incollarsi al corpo del rettile e strisciarvici sopra, risalendo pian piano fino al suo dorso.
Gemette per lo sforzo e la fatica quando riuscì a raggiungerlo, accorgendosi di provare una terribile nausea.
Si mise a sedere, raddrizzando il corpo alla bell’e meglio.
Kisshu ricomparve immancabilmente alla sua sinistra in groppa al fidato drago azzurro.
«Che fine avevi fatto?» Le domandò, squadrandola con sincero interesse.
«Ero volata giù di sotto.» Ammise soltanto, incapace di trovare una battuta più pungente da usare.
Chissà se quell’alieno stava pensando a quanto fosse strano il suo comportamento…o a quanto lei fosse strana.
Distolse lo sguardo da lui, tentando di non pensare alle possibili opinioni che il ragazzo potesse avere di lei, ma piuttosto focalizzandosi sugli ultimi avvenimenti.
Aveva istintivamente cercato di proteggere delle persone dal Chimero che lei stessa aveva lanciato all’attacco.
Il suo corpo e la sua coscienza le avevano dato dei segnali inequivocabili al riguardo: seminare il caos senza un bersaglio specifico non l’aveva appagata.
Qualcosa bruciava ancora, dentro di lei...
Si sentiva tremendamente insoddisfatta.
Così insoddisfatta che credeva d’impazzire...
Non vedeva l’ora di liberarsi del peso che portava, una volta per tutte.
«Allora? Ti sei incantata?» Chiese perplesso l’alieno, riportandola sull’attenti.
Lei esitò prima di prendere parola.
Non comprendeva i suoi reali sentimenti...
Tensione, eccitazione...e paura le invadevano lo stomaco.
Forse c’era una soluzione a tutto questo…
Una soluzione definitiva.
«Prima hai detto che mi stavo scatenando, non è così?» Le domandò, lanciandogli uno sguardo intenso e deciso.
Lui annuì, e lei si sentì in imbarazzo all’improvviso.
Un sentimento così a lungo sopito che non riusciva nemmeno a parlarne...
Strinse le labbra e prese un grosso respiro, cercando di sciogliere la lingua.
Si stava sentendo soffocare, ed era una sensazione claustrofobica.
«Beh. Non hai ancora visto niente.» Replicò, abbozzando un sorriso obliquo.
Scorse nello sguardo dell’alieno un genuino moto di sorpresa.
«Andiamo!» Gli ordinò a quel punto, spronando il Chimero a muoversi.
Questo partì rapido, seguendo con estrema diligenza i suoi comandi.
La Mew Mew s’accertò che Kisshu la stesse seguendo e, infine, s’accucciò contro il corpo del rettile, bucando l’aria il più possibile per accelerare il passo.
Era arrivato il momento di dare scacco matto al suo passato...
...Per non tornare indietro mai più.




 
***




A MewSuguri bastarono pochi minuti per raggiungere un’area di Tokyo che era certo di non avere mai visitato.
Kisshu rimase a guardare distrattamente il monotono paesaggio urbano per un tempo indefinito, prima che la Mew Mew gli lanciasse uno sguardo d’intesa e cominciasse a scendere.
La vide dirigere il volo verso un complesso di edifici bianco latte e dal tetto piatto, la cui prospettiva dall’alto sembrava disegnare una specie di U rovesciata.
Quando fu soddisfatta dell’altezza raggiunta la ragazza impennò il suo Chimero, spingendolo a fermarsi.
Lui fece lo stesso, scrutando nuovamente il luogo di destinazione alla ricerca di qualche indizio, senza però intuire nulla che potesse essergli utile.
Spostò rapidamente gli occhi sulla ragazza, trovando in lei un soggetto più interessante da analizzare.
L’aveva seguita senza fiatare né chiedere nulla, e quel giochino cominciava a piacergli.
Erano moltissime le domande che gli frullavano per la testa, ma la più elettrizzante di tutte riguardava la sua vera natura.
Chi era davvero Suguri?
Quel semplice interrogativo l’aveva spinto a lasciarle campo libero per il solo gusto di scoprire fin dove l’avrebbe condotto.
Non era una risposta a parole ciò che bramava…
Lui voleva vedere con i suoi occhi.
Voleva poter scorgere attraverso quel velo di vedo non vedo…
Muovere i suoi primi passi attraverso quel lido appena scoperto, cercare gli indizi per comprendere, poco a poco, quello strano enigma dai capelli neri e gli occhi rossi come il sangue.
Se n’era chiaramente accorto…
Quella ragazza era peculiare.
Ogni suo gesto seguiva un linguaggio misterioso che gli pareva di afferrare, di conoscere…ma che, puntualmente, gli sfuggiva dalle mani.
Poterla osservare da vicino lo eccitava più di quanto volesse.
Avvertiva in lei un’energia prorompente, esplosiva...come non ne aveva mai viste.
La vide rivolgere uno sguardo fisso al luogo posto sotto di loro, quasi come se cercasse di memorizzarne ogni insignificante dettaglio.
Un ghigno compiaciuto piegava le sue labbra, scoprendo i canini appuntiti ai lati della sua bocca, mentre le morbide orecchie striate erano ritte, allungate verso l’alto, e vibravano impercettibilmente, con impazienza.
La coda che spuntava da sotto la sua gonna oscillava senza posa, con un entusiasmo che nemmeno il suo viso riusciva a nascondere.
A che stai pensando, Suguri?
Si domandò l’alieno, e un sorrisetto sornione gli si dipinse sul volto.
Fremeva d’impazienza...moriva dalla voglia di vedere.
Quell’attesa lo stava uccidendo piano, dolcemente…
Come una ninna nanna che t’accompagnava piano verso gli antri nascosti del subconscio.
Proprio mentre fantasticava tra sé e sé, MewSuguri partì alla carica, scendendo dritta verso gli edifici da lei a lungo studiati fino a pochi attimi prima.
La sentì ridere sguaiatamente, con tutta l’energia che aveva in corpo, scagliando il Chimero all’attacco. Ben lieto di accontentarla, quest’ultimo lanciò le sue palle di fuoco al suolo con un solo, chiaro obiettivo: distruggere qualunque cosa.
Beh, non che quel rettile col cervello di gallina potesse concepire altro...
A contatto con le fiamme, il tetto di uno di quei palazzi bianchi si sbriciolò come burro, crollando su sé stesso per buona parte della sua estensione.  
MewSuguri se ne compiacque, ma distolse immediatamente da esso la sua attenzione, sguinzagliando il drago alla sua sinistra con più ferocia.
Un secondo attacco colpì in pieno l’edificio di fronte al primo, penetrandolo da parte a parte con una grossa esplosione che ne fece collassare le pareti.
Per finire il Chimero, guidato dalla ragazza, rivolse la sua attenzione all’edificio centrale, il più grande dei tre.
Aprì nuovamente le fauci, dirigendo il suo colpo contro un’insegna di metallo rossa che campeggiava sopra la porta d’ingresso.
Le lingue di fuoco ne provocarono la fusione quasi immediata, contorcendo a poco a poco l’ammasso di lamiera in un sordo, agghiacciante stridio.
A quel punto, la Mew Mew fermò la corsa del Chimero e rimase in osservazione, meditando sulla sua prossima mossa.
Kisshu, che seguiva i suoi movimenti da una posizione più sopraelevata, trattenne per un attimo il respiro.
Sentiva che lo spettacolo non era concluso…
L’epilogo non era ancora stato scritto.
E infatti, come a confermare la sua intuizione, la Mew tigre spronò nuovamente il drago di fuoco.
Il rettile ruggì con vigore, percorrendo in tondo il perimetro dell’intera area, prima di lanciare l’ennesima offensiva. S’accanì sulle aiuole che circondavano il complesso di palazzi, dandovi fuoco come ad un mucchietto di carta.
Perforò i vetri delle finestre, facendoli scoppiare a contatto col calore rovente delle sue fiamme. Squarciò i tetti, sventrò i muri…
Fino a che non fu più possibile vedere nulla.
Il fumo provocato dalla combustione e dalle esplosioni coprì rapidamente il terreno, rendendo l’aria irrespirabile.
Kisshu si portò una mano alla bocca, nauseato da quelle esalazioni tossiche, e incitò il drago azzurro in modo da portarsi il più lontano possibile dalla cappa di fumo.
Nonostante la distanza gli fu possibile percepire i lontani, irritanti allarmi anti- incendio rimbombare esasperatamente da una parte all’altra del complesso.
Le grida d’aiuto e di paura degli umani s’amalgamarono al tumulto, ammorbando l’aria quanto la coltre densa e scura che s’espandeva a vista d’occhio.
Pochi istanti e MewSuguri sbucò dalla nube nera in groppa al suo Chimero, ormai completamente padrona della volontà di quest’ultimo.
Lo raggiunse in quattro e quattr’otto, posizionandosi laddove poteva sfruttare a proprio vantaggio la direzione del vento e non rimanere così investita dai gas velenosi.
La vide dunque abbassare lo sguardo su ciò che era rimasto, come a voler ammirare la straordinaria opera di distruzione appena compiuta.
I suoi occhi furono rapiti da ciò che le fu possibile scorgere oltre la coltre di fumo, la quale si stava diradando a vista d’occhio.
Ma per Kisshu, fu la sua immagine a rapirlo...
Sembrava esausta.
Si teneva stretta al Chimero con forza, come se temesse di cadere nel vuoto da un momento all’altro.
Gli splendidi capelli neri le ricadevano non più ordinati sulle spalle, ma scarmigliati, impiastricciati di polvere e fuliggine.
Il suo esile diaframma s’alzava e s’abbassava furiosamente, al ritmo impazzito del cuore, mentre la pelle scoperta dalla divisa da combattimento era coperta da una patina lucida, umida di sudore.
Le guance sul suo viso erano visibilmente arrossate. I suoi occhi…
I suoi occhi erano un mare purpureo di desiderio.
Bruciante, violenta soddisfazione li infiammava, traboccando da essi senza limite.
La vide ridere, ma di una risata nervosa che fece tremare il suo corpo.
Non riusciva a staccarle gli occhi di dosso.
Così affascinante…
Così sconsideratamente caotica, portata all’eccesso…
Non smise di fissarla mentre lei si sistemava la chioma scura alla bella e meglio, spostandosi i capelli dal viso, e si copriva la bocca con una mano.
Quasi quasi gli andava bene anche così…
Aveva assistito ad un evento senza precedenti. Aveva chiaramente distinto in lei guizzi di follia che mai aveva visto in una ragazza...  
Ma la sua era una sete di curiosità troppo forte.
Le aveva messo tra le mani il suo Chimero, l’aveva lasciata condurre...e infine sfogare.
In fondo, era tutto merito suo...
Ora era arrivato il momento di andarsi a prendere il suo piccolo assaggio, quello che gli spettava…
Avrebbe cominciato da una domanda molto semplice.
«Cosa significa questo posto per te?» Le chiese a quel punto, senza mezzi termini.
A quelle parole la ragazza alzò finalmente lo sguardo, prestandogli attenzione.
Puntò gli occhi nei suoi e le fiamme di poco fa gli sembrarono braci spente in confronto alle sue iridi, intense e lucide...
Sembravano quelle di un animale selvatico in piena euforia della caccia, dopo aver azzannato a morte la preda….
E aver gustato il sapore del sangue.
Sapore che le era piaciuto….
Una scarica elettrica attraversò il suo corpo e lui si ritrovò a col respiro mozzato a metà, tra lo stomaco e i polmoni.
Un’attrazione che non sapeva spiegare lo attirava verso quella ragazza, inesorabile...
Lei lo fissò per attimi troppo brevi per i suoi gusti, prima di distogliere nuovamente lo sguardo dal suo.
«Questa è...era, la clinica Yamazaki. Il luogo dove sono nata...» Disse a mezza voce, stringendo le dita nel pugno, nervosa. Gli sembrò come turbata, in procinto di fare una confessione per lei sofferta. «...e Il luogo dove il mio dolore è iniziato. Dolore che terminerà qui ed ora, per mano mia!» Ruggì poi, la rabbia nella voce.
Dopo quella replica MewSuguri serrò le labbra, chiudendosi nel silenzio.
A Kisshu non sfuggì l’irrequietezza dipinta sul suo volto ed immaginò che quella non fosse che la punta dell’iceberg di ciò che stava pensando.
C’era dell’altro che nemmeno lei riusciva a tradurre in parole.
La mora si concesse alcuni minuti di riposo, dopo quelli che per lei dovevano essere sembrate interminabili ore di tensione. La vide ammorbidire la schiena e le spalle, fremendo per il rilascio di endorfine, e lasciare scivolare le braccia più in basso, appoggiando le mani in corrispondenza del collo del drago di fuoco.
Cambiò completamente espressione mentre, con sua estrema sorpresa, prese ad accarezzarlo con tenerezza e gratitudine.
Un sorriso dolce e sincero, come mai gliene aveva visti fare, si stampò sulle labbra di lei. Un sorriso così diverso dai precedenti, ricolmi di sete di potere...
Come poteva celare in sé due aspetti tanto discordanti?**
Percepì un sospiro uscire dalla bocca della ragazza prima che lei alzasse gli occhi, rivolgendogli una strana occhiata.
«Mh?» Mugugnò soltanto, ma non ricevette risposta.
La Mew nera si limitò allungare il corpo in avanti e a spostare le gambe, portando le ginocchia verso l’alto. Puntellò i piedi sul dorso del Chimero, usandolo come perno per un balzo, e piombò alle sue spalle con precisione quasi chirurgica, finendo in groppa al drago dalle squame azzurre.
Appena un attimo dopo la sentì circondargli la vita con un braccio con stretta decisa ma delicata.
Fallì miseramente nel reprimere un brivido su per la schiena.
Percepì le sue dita percorrere i suoi addominali e risalire fino alle costole con lentezza quasi estenuante
E ora cosa...diavolo aveva in mente?
«Che...fai Tigrotta, tocchi?» Esclamò di getto, con incertezza nella voce.
Non era proprio da lui ribattere in maniera tanto fiacca.
Provò a farsi venire in mente una replica migliore, ma la Mew Mew s’appoggiò alla sua schiena, incrementando a livello esponenziale il contatto fisico tra di loro.  
Si ritrovò a boccheggiare, confuso dalle proprie reazioni e da quelle della ragazza.
Doveva essere davvero fuori di sé per fargli tutte quelle moine...
«Ho voglia di vedere il mare...» Blaterò, le labbra calde contro le sue scapole.
Poteva sentirle...anche da lì...
Deglutì.
Merda...ma che cazzo…
«Il mare?» Sospirò stupito, voltandosi piano verso di lei.
Riuscì a scorgere appena, con la coda dell’occhio, i ciuffi scuri della sua frangetta e l’orecchio felino che sbucava sinuoso tra i suoi capelli.
MewSuguri sorrise, socchiudendo gli occhi.
«Già...» Mugugnò lei. «Kisshu...»
Lui tese le orecchie, in attesa di ciò che aveva da dire.
Il modo in cui aveva pronunciato il suo nome era stato così
«Cosa?» Chiese ancora l’alieno, il cuore in gola.
Il cuore in gola...ma che cazzo...
«Ti va se ce ne andiamo alla spiaggia di Odaiba?***»




 
***




Si passò la mano guantata contro naso e bocca, cercando di trovare il sottile equilibrio che le permettesse di respirare il meno possibile senza sentirsi svenire. Con gli occhi color cobalto si guardò attorno circospetta, allo scopo di individuare i i bersagli che credeva nascosti dentro quella nebbia biancastra e densa.
Peccato però che non riuscisse a scorgere nulla di nulla, e l’ansia cominciava seriamente a montarle su per lo stomaco.
Aveva forse sbagliato qualcosa?
Era giunta fino a lì dal Caffé, seguendo le coordinate di Shirogane, scegliendo di sorvolare la città in volo: una buona opportunità per allenare le sue ali!
Le era sembrata una grande idea, fino a quando non aveva scorto un’enorme nube  circondare un intero isolato della città, ed aveva pensato di scendere per controllare più da vicino.
Doveva trattarsi del luogo in cui si trovava il Chimero, ma…
Quella fitta, impalpabile sostanza ricopriva ogni cosa, impedendole di scorgere la presenza di una qualche creatura aliena.
Tuttavia, il suo sesto senso le diceva che non poteva che essere lì attorno, in attesa di attaccare o causare danni irreparabili.
Sbuffò, molleggiando il peso del corpo sulle gambe, inquieta.
Ancora non le piaceva lanciarsi all’azione, soprattutto senza avere un piano prestabilito da seguire.
Ma non poteva permettersi di aspettare...
Un mostro avrebbe potuto sbucare all’improvviso e ferire qualcuno.
Così aveva pensato, e s’era gettata dentro quella nebbia senza riflettere.
Cominciava a pentirsi di quella scelta sconsiderata...
L’aria era pesante, più di quanto potesse sopportare.
Non aveva idea di che cosa si trattasse, ma quel fumo biancastro era estremamente tossico e le faceva girare la testa.
Oltre a ciò, non riusciva letteralmente a vedere ad un palmo dal suo naso.
Tutto quello che riusciva a scorgere erano le enormi ombre degli edifici attorno a lei profilarsi dietro quei cumuli gassosi in movimento, e non era certo una buona notizia. Si era inoltre resa conto che la nube stessa era avvolta da una sottile carica elettrificata, la quale le ronzava nelle orecchie ad un ritmo lento e cadenzato.
Non aveva certo il vantaggio del campo, in condizioni come quelle...
«Dannazione...» Esclamò tra i denti, stringendo tra le dita il suo arco, pronta ad inforcarlo al minimo segnale di pericolo.
S’era lasciata prendere la mano, e non era una cosa da lei.
Diventava troppo impulsiva quando era troppo nervosa...
Lo era da quando era uscita dal Caffé.
Ogni volta che indossava i panni di MewMinto, le sue paure diventavano reali…
Sapeva che aveva delle grosse responsabilità, sapeva che non era un gioco…
Sapeva che non le era concesso di fallire…
Se solo avesse ceduto, gli alieni avrebbero avuto la meglio.
A quel punto solo Dio avrebbe potuto sapere cosa ne sarebbe stato di lei e degli abitanti di Tokyo.
Espirò piano dal naso e provò a concentrarsi meglio, allontanando da sé quelle spiacevoli sensazioni.
Non era tempo di perdersi nei propri, futili pensieri...
Socchiuse gli occhi e cercò di memorizzare i fruscii che percepiva attorno a sé, gli spostamenti d’aria sulla pelle, i sottili sfrigolii elettrici...
Le pareva di sentire qualcosa che si stava avvicinando.
Si voltò d’istinto ad ore tre, appena in tempo per accorgersi di una minacciosa sfera d’energia giallastra in rapida discesa verso di lei.
Sgranò gli occhi per la sorpresa e mosse di scatto i muscoli solo per spiccare un ampio salto a sinistra, riuscendo ad evitare il colpo.
La sfera impattò sull’asfalto ed esplose in uno scoppio di luce, lasciando una vistosa ammaccatura sul manto stradale.
Si morse il labbro.
L’aveva evitata appena in tempo...
Cercò di non pensare a cosa sarebbe successo se l’avesse presa in pieno, e puntò lo sguardo dritta verso il punto da dove era venuta.
Continuava a non vedere nulla, eppure era certa che dovesse trattarsi per forza di un Chimero.
S’era scelto bene il suo nascondiglio...
La sfera, scesa al suolo come un proiettile, aveva lasciato uno spiraglio in mezzo a quel fumo denso.
Forse per scovare il Chimero non aveva altra scelta se non passare attraverso quell’apertura, ma…
Si strinse nelle spalle a quell’idea.
Aveva osservato con attenzione il suo campo di battaglia, e aveva intuito che se si fosse inoltrata nella nebbia più fitta avrebbe preso una bella scossa.
Non fece in tempo a formulare soluzioni migliori, poiché una seconda sfera d’energia, lanciata dal suo punto cieco, la colpì a tradimento alle spalle.
Un dolore che non aveva mai provato s’irradiò lungo tutto il corpo, intorpidendole i muscoli.
Un gemito intenso le uscì dalle labbra mentre le sue gambe si ammollivano come il burro, facendola cadere al suolo.
MewMinto si sorresse come poteva, a carponi, e prese ampi respiri per ricaricarsi d’ossigeno. Si portò una mano alla gola e serrò i denti, nel tentativo di sopportare le fitte di dolore al petto ad ogni inspirazione d’aria.
Alzò gli occhi guardandosi attorno nuovamente, agitata.
Se lo sentiva, sarebbe arrivata una nuova sfera a breve…
Quel Chimero stava giocando con lei al gatto con il topo.
La Mew bird increspò le labbra in una smorfia.
Sapeva di essere nei panni del topo, ma…
I topi erano veloci, potevano infilarsi in qualunque anfratto...e sfuggire alle grinfie dei gatti randagi.
Strinse i pugni, rimanendo in attesa.
Si, era un’idea folle ma avrebbe potuto funzionare...
Pochi istanti e una seconda sfera giunse dall’alto, pronta a colpirla una seconda volta. Facendo affidamento su tutte le sue energie, compì uno sforzo che le sembrò enorme e si spostò rapidamente, evitando la sfera d’energia con una capriola a terra. Senza perdere ulteriore tempo, si lanciò nel mezzo del foro che questa aveva lasciato dietro di sé.
Si sentì immediatamente trafiggere da sottili, impercettibili lame di elettricità, che lasciarono sulla sua pelle lievi bruciature e la fecero tremare in tutto il corpo.
MewMinto s’irrigidì, senza lasciarsi andare ai gemiti di dolore che premevano per uscirle dalle labbra, e mise tutta la sua concentrazione nel volo.
Scorgeva una piccola luce in mezzo alla nebbia, proprio di fronte a lei.
«Ah!» Sputò, schermandosi all’improvviso gli occhi con un braccio.
Bruciavano come l’inferno.
Espirò, evitando di allarmarsi più di quanto già non fosse.
Avanti, Aizawa Minto …puoi farcela!
Si ripeté nella mente, come una sorta d’autoincitamento.
Il suo corpo vibrava come una foglia scossa dal vento, ma non poteva cedere proprio ora.
«Sono qui, Chimero impertinente!» Ringhiò la Mew azzurra, sbucando in un punto in cui la nuvola tossica era meno fitta.
Il sollievo per la sua pelle, irritata ed arrossata dalla tensione elettrica, fu immediato.
Sbatté gli occhi a fatica, facendone uscire alcune grosse lacrime di sollievo.
La ballerina fece scorrere lo sguardo sull’ambiente circostante ed inquadrò le cime dei grattaceli, che si sorprese di ritrovare intatte.
Scorse, in posizione piuttosto defilata, un serpente-drago dal manto e dalla criniera color panna che se ne stava placido, tutto appallottolato su sé stesso, emettendo fumo dalla bocca aperta.
I suoi occhi, vacui ed assonnati, osservavano un punto indefinito di fronte a sé, non il più impercettibile movimento, come se gli fosse ignoto ciò che gli accadeva attorno.
Che fosse lui il Chimero che l’aveva colpita poco prima?
Non lo riteneva possibile…
Non sembrava una grave minaccia.
Lo lasciò perdere presto, concentrandosi altrove.
Il drago argento era circondato dalla nube bianca che lui stesso alimentava, estendendone un fitto manto sia sopra che sotto di lui.
Indietreggiò, tenendo la facciata di un edificio alle sue spalle.
In quella posizione, poteva aspettarsi un’offensiva da tre direzioni…
Rimase in ascolto di quello che le parve un silenzio spettrale, finché un ruggito non la colse di sorpresa, riportandola sull’attenti.
Un secondo Chimero sbucò dalla nube sotto i suoi piedi, emettendo un verso mostruoso. Si trattava di una creatura praticamente uguale alla precedente nelle sembianze, ma dal manto e la criniera verdi smeraldo e l’indole totalmente opposta a quella del compagno.
Il solo tempo di posare gli occhi su di lui e quello le venne addosso, rapido come i fulmini che sputava dalla bocca.
Tentò di colpirla con una sfera d’energia lanciata a bruciapelo, ma MewMinto l’evitò appena in tempo. Il Chimero se ne sentì provocato e prese allora ad inseguirla a tutta velocità come un predatore selvaggio, eccitato dalla caccia della preda.
MewMinto tremò di paura, ma non le fu concesso di più.
Si diede alla fuga, mentre le sue orecchie si riempivano dei latrati del drago alle sue spalle. Si voltò in sua direzione scoprendolo più vicino di quanto potesse immaginare, le mascelle aperte e l’espressione divertita dipinta nelle pupille spiritate, color giallo vivo.
Si morse il labbro inferiore a sangue, tanto era il nervosismo, senza riuscire a pensare ad altro se non a scappare.
Si portò una mano sul petto, sentendosi mancare il respiro.  
Non sarebbe resistita a lungo a quei ritmi.
Se quel Chimero aveva intenzione di sfinirla, ci stava riuscendo alla grande.
La ragazza dai capelli blu scosse la testa.
Doveva assolutamente ribaltare la situazione...
Doveva tentare di seminarlo.  
Per farlo avrebbe dovuto sfidarlo su di un campo a lei più congeniale...
Un campo costellato d’ostacoli e anfratti dietro i quali avrebbe potuto nascondersi o proteggersi.
MewMinto si convinse dell’idea ed uscì dalla nube tossica, infilandosi a fatica tra gli edifici del quartiere.
Seguì un schema di volo a zig zig attorno alle cime dei grattacieli con l’obiettivo di confondere l’avversario e far perdere le sue tracce.
Il Chimero grugnì in risposta, seccato dalla velocità che MewMinto aveva acquisito tutta d’un colpo, e s’incaponì ancor di più per cercare di acciuffarla.
Ad un certo punto la Mew Mew prese una planata strettissima, estremamente a ridosso dell’angolo di un alto grattacielo, con l’intenzione di sfruttare l’imponenza di quel palazzo a suo vantaggio. Si lasciò sfuggire un sorriso di soddisfazione quando, nel tentativo di seguirla, il drago color smeraldo ci andò a sbattere contro, mugulando di dolore.
È il momento!
Pensò, facendo un giro su sé stessa a centottanta gradi e tendendo l’arco in sua direzione.
Puntò la sua freccia luminosa su uno degli occhi del Chimero, ancora semi-chiusi per l’intontimento, e gridò la sua formula d’attacco, lasciando infine andare la presa sulla corda impalpabile che teneva in posizione il suo dardo.
La freccia si scagliò rapida verso il Chimero e MewMinto credette di averlo sconfitto, ma questo spostò bruscamente il muso dalla traiettoria, venendo colpito solamente di striscio.
La creatura diede allora un colpo di reni e si gettò su di lei con veemenza, azzerando i metri che li dividevano in mezzo secondo.
La Mew azzurra ricevette la testata del drago nello stomaco e l’impatto piegò il suo corpo in due.
Venne sbalzata con violenza contro il parapetto dell’edificio alle sue spalle, ruzzolando per alcuni metri sul tetto ancora integro prima di fermarsi definitivamente.
Uno spasmo di dolore uscì dalle sue labbra socchiuse e il sapore ferroso del sangue le invase la bocca.
Riaprì gli occhi dopo infiniti secondi e rimase immobile a terra, incapace di muovere un singolo muscolo del corpo.
Dalla vista appannata scorse il Chimero avvicinarsi pericolosamente in sua direzione.
Non gli aveva fatto nulla...e lei era esausta.
Non aveva idea di come sconfiggerlo...
Una fitta lancinante le spezzò il fiato.  
Era la fine?
Sarebbe morta...così?
Abbassò le palpebre, trascinando con affanno le braccia attorno alla vita nel tentativo di raggomitolarsi su sé stessa.
In fondo lo sapeva...lo sospettava da sempre.
Non era adatta per fare l’eroina.
Non era abbastanza forte
A quella constatazione, un singhiozzo le scosse il corpo.
E poi ancora, due, tre, quattro…calde gocce d’acqua salata scesero dai suoi occhi ormai chiusi, mischiandosi alla sabbia e alla polvere a terra.
Se solo MewIchigo e MewRetasu fossero state lì con lei, forse avrebbe potuto fare di più.
Avrebbero potuto fare di più...
Chi poteva salvarla, adesso?
Sospirò mestamente al ricordo delle sue compagne di squadra.
Pensare a loro la faceva sentire meglio…ma nonostante questo, non riusciva a smettere di piangere.  
Tirò su col naso, amareggiata.
Doveva rialzarsi...starsene lì non aveva alcun senso.
Cominciò a fantasticare su come avrebbe potuto muoversi, anche solo di poco, per evitare il peggio, quando...
Quando una voce intensa e limpida la fece trasalire.
«Ribbon Zakuro Spear!»
Non poteva credere alle sue orecchie.
Una formula d’attacco?!
Riaprì gli occhi colmi di lacrime e, per sua grande sorpresa, scorse la figura di una giovane donna a pochi passi da lei.
Movimenti aggraziati, lunghi capelli color lavanda...e una coda grigia ed arruffata che le spuntava dai pantaloncini corti, di una bella tonalità vinaccia.
La osservò in completo silenzio mentre questa ritraeva il braccio destro, riportandosi al fianco quella che le sembrò una specie di frusta luminosa color violetto. Da lontano, nello stordimento generale dei sensi, le parve perfino di sentire i ruggiti lamentosi del Chimero con cui si era scontrata poco prima, sconquassato dal dolore.
Che succede?
Sto sognando?

Si domandò, senza ottenere risposta.
Percorse il profilo di quella giovane eroina con lo sguardo, centimetro dopo centimetro...
E in quel preciso momento le parve così forte e fiera, come lei non era mai stata...
Per un attimo le sembrò che risplendesse luce propria.
«...Chi sei?» Balbettò tra le labbra, con voce troppo bassa perché quella ragazza potesse sentirla.
Dopo ciò la vista le si annebbiò e così la coscienza, facendola sprofondare nel completo torpore.
        
 









 
***

* «Prepare for trouble/Make it double» è la prima strofa del motto del Team Rocket nella versione americana, da cui è stata adattata la celebre versione italiana: «Preparatevi a passare dei guai/Dei guai molto grossi».
E ora fatemi postare un link su questi disagiati xD
https://www.youtube.com/watch?v=j387ZqqxzAE

(«Preparatevi a passare dei guai!» nd Suguri mettendosi in posa
«…» nd Kisshu guardandola di sottecchi, rimanendo immobile
* Suguri lo guarda male, poi grugnisce e si rivolge a Kuro *
«Autrice!? Per l’amor del cielo dai un copione decente a questo...idiota!» nd Suguri indicando Kisshu
* Kuro prende in considerazione l’idea e si picchietta sul mento, pensosa *
«Io posso anche dare un copione decente all’idiota...ma dove lo trovo un Meowth parlante?» nd Kuro)
** Potreste stupirvi, ma Tokyo è attraversata da più fiumi che confluiscono tutti nella baia omonima :)  * «Se mi dici drago azzurro, a me viene in mente solo una cosa.» nd Kuro
«Cioè?» nd Kisshu
«Beybladeeee boybladeeee beybladeee ba-ba-ba-bauuu!» nd Kuro cantando con entusiasmo molto opinabile
«La tv dei ragazzi fa male...» nd Kisshu facepalmando inorridito
«Shhh ridi ridi, che in un universo parallelo il tuo alter ego sta giocando coi beyblade...e tu non puoi farci assolutamente nulla BUHAHAHA!!» nd Kuro ridendo malvagia
** «’Cause she’s sweet but a psycho, a little bit psycho, lalalala ♫
A parte gli scherzi, te ne sei trovata una che ti fa concorrenza Kissy. Complimenti!» nd Kuro guardando l’alieno e facendogli pat-pat sulla spalla. «A proposito, vuoi?» nd Kuro porgendogli un grosso barattolo di popcorn
* Kisshu la fissa *
* internal screaming intensifies *
*** «Che vuoi farmi sulla spiaggia, eh? Piccola pervertita!» nd Kisshu
«Pestarti di botte lontana da occhi indiscreti!» nd Suguri scrocchiandosi le nocche. «Pronto?»
«Ehi, voi due! Questo è l’angolo informativo, quindi non interrompete l’Autrice! Emh...»
* Kuro si schiarisce la voce *
«Parliamo di Odaiba! Odaiba è un’isola artificiale facente parte dell’area amministrativa di Tokyo, nonché...il quartiere dove casualmente abitano tutti i protagonisti di Digimon Adventure! xD» nd Kuro
«Ma per piacere! Interrompi noi per parlare delle tue stronzate?! Smetti di fare la nostalgica del cazzo, sto capitolo è pieno di citazioni che non centrano una fava con Tmm!» nd Kisshu adirato
«Sei consapevole del fatto che se non fossi una ‘nostalgica del cazzo’ non starei scrivendo una fanfic su di te nel 2019...vero?» nd Kuro limandosi le unghie con nonchalance
«…Tsk! Come se mi fregasse qualcosa!» nd Kisshu ringhiando
«Ah, te ne fregherà qualcosa quando cancellerò la scena rossa a te dedicata nel capitolo XXX…» nd Kuro aprendo il pc portatile
«Nnnono! Non ci pensare neanche!» nd Kisshu sudando freddo
«Come dici?» nd Kuro ridacchiando
«Ho detto...p...per favore, ovviamente!» nd Kisshu sibilando a denti stretti
«Ahahaha! Colpito e affondato!» nd Suguri ridendogli in faccia con scherno
«Sta zitta tu! Vedi che ti faccio nel prossimo capitolo...altro che rosso, ti farò vedere tutte le sfumature dell’estasi!» nd Kisshu ridendo sguaiatamente  


 

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Capitolo 13
*** First Act ~ XI. Blackout. ***


XI.
Blackout.










Kisshu si focalizzò per l’ennesima volta sulle increspature del mare, seguendone distrattamente i movimenti placidi e morbidi con le iridi dorate.
Inspirò nuovamente, con estrema lentezza, l’aria frizzantina e intrisa di sale di quel luogo, godendosi la fresca brezza marina sulla pelle.
Quanta leggerezza gli trasmetteva quel profumo così sconosciuto e piacevole...
Il suo sguardo vagò oltre, sull’orizzonte.
A duecento metri dalla riva, ampie zolle di terra coperte d’erba ed alberi dalle grandi fronde lasciavano il posto alle immense strutture tecnologiche costruite dagli umani. Un grosso ponte metallico, percorso da colonne di automobili, riempiva buona parte del suo campo visivo, attraversando la baia da parte a parte*.
Sullo sfondo di quest’ultimo, invece, si stagliava l’impressionante skyline di Tokyo. Profili alti e stilizzati, sovrapposti l’uno sull’altro come carte, diventavano man mano evanescenti per via della distanza e della cappa di smog che ricopriva la città di una coltre fitta ed incolore.
Accarezzò con lo sguardo ogni più piccolo dettaglio di quelle nubi, prima d’annoiarsi e perderne del tutto l’interesse.
Incrociò le gambe sulla sabbia e allungò la mano destra sul muso del drago azzurro, il quale se ne stava tutto appallottolato al suo fianco, sonnecchiando beatamente.
Per un attimo gli balenarono alla mente i draghi che aveva lasciato liberi di mettere  a soqquadro la città, e la sua mente cominciò a fantasticare sulle battaglie che questi stavano certamente affrontando contro le altre Mew Mew.
Gli sarebbe piaciuto essere là, sul teatro dello scontro, a vedere come se la sarebbero cavata le ragazze.
Studiare le loro mosse, indagare sulle loro capacità, escogitare man mano nuovi modi per metterle in difficoltà...
Eppure quel pensiero gli pareva estremamente distante, in quel momento.
Spostò lo sguardo ad ore nove, incrociando la figura della ragazza che riempiva la sua testa.
Suguri.
Dopo che gli aveva proposto di portarla a quella famosa ‘spiaggia’ s’era limitata ad indicargli la direzione da seguire con voce strascicata, incollandosi al suo corpo a peso morto.
Approdati sull’isola, la ragazza era scesa dalla groppa del Chimero, aveva sciolto la trasformazione e aveva iniziato a guardarsi attorno in silenzio, come se volesse riportare alla mente dei lontani ricordi.
In seguito, s’era sfilata gli stivali e le calze scure con rapidi gesti delle mani e aveva cominciato a zampettare sulla sabbia a piedi nudi. Dopo una breve camminata vicino alla riva, aveva scelto accuratamente un punto dove sedersi ed era rimasta immobile, le ginocchia strette al petto e lo sguardo fisso sull’orizzonte, a lasciarsi cullare dal rilassante scrosciare delle onde del mare che s’infrangevano sul bagnasciuga.
Da quel momento erano ormai passati dieci minuti di pura noia.
Non un fiato, non una spiegazione...niente di niente.
È vero, non s’aspettava da lei enormi rivelazioni...
Probabilmente non le avrebbe nemmeno volute.
Il velo di mistero tra loro era intrigante, faceva parte del gioco...
Tuttavia, doveva ammettere che non ci aveva capito quasi nulla.
Le sue azioni erano chiaramente guidate da ragioni e sentimenti reali, tanto radicati da istigarla a compiere atti proibiti.
E lui?
Lui era stato un mezzo, l’elemento scatenante che aveva reso possibile tutto ciò.
Lui era stato il pretesto capace di far emergere quel lato di lei così inconfessabile, così perverso
Questa consapevolezza lo lusingava, lo fomentava…scatenando dentro di lui una fame che lo spingeva a fare strazio di lei a piccoli bocconi, senza mai saziarsene del tutto…
Nell’attesa del climax, dell’estasi più violenta ed appagante.
Estasi che gli faceva gola e lo stuzzicava, logorandolo piano...
Quella mancanza di feedback lo stava rendendo pazzo.
La scrutò per l’ennesima volta, i capelli che si muovevano al vento come fili scuri, gli occhi socchiusi, il mento appoggiato mollemente alle ginocchia...
E quella fase di mutismo quasi irritante in cui s’era chiusa...
Tipico delle sbronze tristi…
Commentò tra sé e sé.
A quella considerazione, un guizzo gli attraversò la mente.
Ma certo...ecco il perché di quel suo comportamento così strano.
Dopo quell’overdose d’adrenalina, dopo quella voglia lasciata libera di rifluire fuori da sé, trattenuta per anni...
Aveva bisogno di raggomitolarsi dentro ad un bozzolo e ricaricare le energie.
Se ci aveva preso almeno un po’, riusciva a comprendere il suo stato d’animo...
Quella ragazza era come stordita…
Ubriaca.
L’alieno incurvò le labbra compiaciuto.
Che cosa interessante, pensò.
Non ne poteva più di starsene lì fermo e buono…gli formicolavano le mani.
S’avvicinò di soppiatto alla Mew Mew e s’accomodò al suo fianco, lasciandosi cadere di peso sulla sabbia.
A quel gesto lei non batté ciglio, quasi come se lui non ci fosse.
La guardò di sottecchi.
Avrebbe fatto in modo di costringerla a prestargli attenzione…
In quel genere di cose era piuttosto bravo.
«Ehi, Tigrotta?» Le sussurrò in un orecchio.
«Mh?» Mugugnò la ragazza, senza schiodare lo sguardo da un punto fisso di fronte a lei.
«Mi dici che hai?» Le domandò senza troppi convenevoli, picchiettandola con un dito su di una spalla.
A quella sua curiosità lei arricciò il naso per pochi istanti, come se non volesse affatto rispondergli, e si voltò verso di lui con sguardo corrucciato e turbato al tempo stesso.
Lo guardò negli occhi solo un secondo prima di abbassarli immediatamente.
«Cos’ho? Io...» Balbettò, «...proprio...niente...» Disse infine, con tono piuttosto incerto.
Lui digrignò i denti, sorpreso da quella reazione.
Cosa le prendeva?
Pareva sotto shock...l’ombra dell’impetuosa guerriera di poco prima.
Non riusciva nemmeno a capacitarsi che fosse la stessa persona.
Doveva escogitare un qualche trucco per sbloccarla in maniera naturale, qualcosa che l’avrebbe spinta ad aprirsi, fidarsi di lui…
La parola giusta era assecondare.
Avrebbe sondato ogni più piccolo cedimento nella sua psiche, e poi…
«Sei stanca...perché non lo ammetti?» La stuzzicò il ragazzo dai capelli verdi, allungando il braccio sinistro sulle sue spalle.
Le cinse delicatamente, col timore che la mora se ne accorgesse e lo rifiutasse con decisione...ma lei non reagì.
Kisshu esultò tra sé e sé.
La sua tattica stava avendo successo...
Strinse la sua spalla sinistra nella mano, sorpreso di scoprirla così piccina e fragile, e attirò la ragazza più vicina al suo petto.
Suguri si prese qualche secondo di silenzio prima di rispondere alla sua domanda di poco prima.
«Mhh...quanto sei noioso...» Biascicò, chiudendo gli occhi ed inclinando la testa nell’incavo del suo collo.
Una zaffata di profumo gli arrivò dritta alle narici.
Odore di fuliggine, mischiato a quello della sua pelle e all’essenza dolce e fruttata che aveva percepito durante il loro incontro ravvicinato sul tetto della scuola...
Trattenne un brivido.
«Ahh e così sarei noioso, eh?» La canzonò lui afferrandole l’orecchio sinistro con due dita e tirandoglielo delicatamente per gioco.
Noioso...
Me lo dici così?!
S’interrogò mentalmente lui, perplesso.
C’era come una sconnessione completa tra ciò che diceva e ciò che faceva.
Persino i suoi atteggiamenti, falsamente scontrosi, nascondevano in realtà un sentimento ben diverso...
La voglia di abbandonarsi alle sue lusinghe.
L’aveva compreso in quei dieci minuti passati ad osservarla.
Era quello il momento giusto per avvicinarsi a lei.
In altre circostanze non lo avrebbe certo permesso...
Andava prima sfiancata, svuotata delle sue energie…
Solo allora, solo quando era stanca, la tigre abbassava la guardia…
Abbastanza da lasciarsi toccare e, sorprendentemente, mostrare il suo lato più docile...
Fortunatamente per lui, a quel dettaglio ci aveva già pensato da sola, dando in pasto un pugno di edifici alle fiamme del suo Chimero…e le sue emozioni più profonde ad un atto di oscura follia.
«Ehi!» Protestò prontamente lei, rivolgendogli un’espressione contrariata.
«Che c’è?» Le chiese il ragazzo con sguardo sornione, facendo finta di nulla.
Si guardarono a lungo in silenzio, in una specie di gara a chi soccombeva per primo allo sguardo indagatore dell’altro.
Visto la cocciutaggine di entrambi, non sembrava una sfida destinata a concludersi a breve...
«Allora? Mi rispondi, Tigrotta?» Mormorò mellifluo Kisshu, cercando di persuaderla.
Lei grugnì, lasciandosi scappare un lieve sorriso che subito nascose, sfuggendo per l’ennesima volta dal contatto visivo diretto.
Con lei in quelle condizioni era un gioco fin troppo facile.
Non era così complicato farla sciogliere...
«...Era tanto che non venivo qui...» Replicò la ragazza dai lunghi capelli mori, dopo infiniti secondi di silenzio. «...Il mare mi rilassa molto.» Concluse poi, senza nessuna intonazione particolare.  
Dopo quelle parole, la ragazza si mise a scrutare attentamente l’oceano che s’estendeva di fronte a lei, e l’alieno ne approfittò per concentrarsi nuovamente sul suo profilo.
Osservò la linea delle sue sopracciglie scure, le lunghe ciglia a corredarle le palpebre, la dolce curva delle guance.
E ancora, le sua bocca socchiusa…
Così invitante.
Si morse il labbro, un istinto irrefrenabile a percorrergli il corpo.
Quell’istinto che l’aveva infiammato a dismisura poco prima, quando l’aveva vista scatenare tutta la sua foga…
Un istinto che non aveva nessuna voglia di fermare.
«Suguri...» La chiamò lui, con voce bassa e gutturale.
La ragazza lo guardò confusa, come in attesa di una sua replica, ma Kisshu le s’avvicinò soltanto e la spinse verso di sé.
Un attimo dopo le sue labbra stavano già sfiorarando quelle di lei.
Suguri sussultò appena, ma non lo respinse.
Lui prese allora ad accarezzare le sue labbra più a fondo, lentamente...
Come se volesse incantarla.
La sentì fremere per un istante prima che lei si convincesse a socchiudere le palpebre, cadendo vittima dell’incantesimo...
Kisshu strinse le dita nel pugno, come ad esorcizzare la tensione di quel momento.
Era nervoso...e quello era solo un bacetto
Ma quanto ci aveva messo per farla cedere?**
Proprio quando s’era deciso ad approfondire il bacio, Suguri lo scacciò con uno spintone, facendogli aprire gli occhi di scatto.
Guardò stupito la Mew Mew nelle iridi color ciliegia, un’espressione visibilmente stizzita stampata in viso.
«Ma che diavolo fai?!» Domandò lei, furiosa...ma priva della sua solita foga.
V’era una buona dose d’indecisione in lei...
Indecisione che aveva intenzione di usare a suo vantaggio...
Non è finita, pensò l’alieno, piegando le labbra in un sorrisetto malizioso.  
Non era tipo da arrendersi al primo no. Anzi…
Più una ragazza faceva resistenza, più la sfida diventava eccitante...
Le afferrò saldamente il polso della mano che aveva usato per allontanarlo e rafforzò la presa sulle sue spalle, per evitare altre sorprese.
La bloccò contro di sé e l’avvicinò di nuovo, facendo sfiorare le loro fronti.
Suguri protestò debolmente, ma non tentò di liberarsi.
«Su su, Tigrotta...non fare la scontrosa...» Le soffiò sulle labbra, prima di baciarla ancora.
Lei non lo rifiutò né abbassò lo sguardo, puntando fieramente gli occhi nei suoi.
Quelle iridi intense e misteriose, color del sangue…
Riuscivano a rapirlo ogni volta.
Premette le labbra sulle sue, cedendo alla tentazione di morderle delicatamente, solo per stuzzicarla…
Lei sussultò impercettibilmente in risposta, schiudendo le sue, e il ragazzo non si fece scappare quell’occasione.
La strinse di più a sé, infilando la lingua nella sua bocca.
Lei mantenne lo sguardo nel suo, le sopracciglia aggrottate per chissà quale genere di pensiero le stesse frullando in quella testolina…
Lui la fissò con occhi ricolmi di desiderio.
Cedi...
Le ordinò tra sé e sé, come se il pensiero bastasse a plagiarla.
Accarezzò la sua lingua con decisione prima e più dolcemente poi, avvolgendola lentamente con la sua...
Piano piano la vide ammorbidire l’espressione sul volto e arrossare le guance, il cuore che le batteva impazzito nel petto...
Già, erano talmente vicini che poteva sentirlo…
In quel momento capì che era vicina alla resa.
La sentì scogliere il corpo in tensione e infine la vide abbassare le palpebre, accogliendolo al suo fianco.
Lo lasciò fare, assecondando il suo bacio…
Kisshu chiuse gli occhi, sollevato.
Finalmente...
Si prese lunghi secondi per approfondire quel contatto, cercando di memorizzare la sensazione della saliva di lei mischiata alla sua.
Quella saliva aliena…
Aveva un così buon sapore, diamine...***
Come ogni cosa di lei, poteva giurare…
Quel pensiero gli diede completamente alla testa.
Fece passare la mano sulla sua schiena, fino alla sua esile vita.
La strinse a sè, ritrovandosi a tremare quando s’accorse che la Mew Mew lo stava accarezzandolo con le dita, percorrendo con i polpastrelli la linea delle sue scapole...
E che stava ricambiando quel bacio così terribilmente dolce...
In effetti, non era proprio roba da lui…
A che stava pensando?
E lei...a che pensava davvero?
Non l’aveva ancora afferrato…
Ma non gli importava...
Non fece in tempo a svuotare la mente da quei pensieri, lasciandosi andare alla leggerezza di quel momento, che uno strattone lo riportò bruscamente alla realtà, rompendo l’idillio.
Approfittando del fatto che avesse abbassato la guardia, Suguri s’era staccata all’improvviso dalla sua stretta. Sgusciò via dalle sue braccia e s’alzò in piedi decisa, non curandosi del fatto che…
Da quell’angolazione potesse vedere tutto, sotto quella minigonna...
Gli rivolse uno sguardo arrabbiato ma i suoi occhi erano ancora lucidi, incapaci di nascondere l’emozione. Il viso era rosso e la bocca era coperta dalla mano destra, le nocche schiacciate contro le sue labbra come a volerle nascondere.
«Ora basta Kisshu, hai passato il limite!» Esclamò offesa.
Poi si voltò di scatto, dandogli la schiena, e prese a camminare nervosamente lungo il bagnasciuga, borbottando tra sé e sé parole incomprensibili.
Mentre lei s’allontanava Kisshu la osservò a lungo, ritrovandosi a sorridere senza ritegno.
Un enorme, ingombrante senso di soddisfazione riempiva ogni cellula del suo corpo in maniera incontrollata.
Era rimasta visibilmente turbata dal suo bacio.
Bingo…
Pensò, ghignando compiaciuto.
Aveva ceduto, aveva ricambiato
E il suo orgoglio non riusciva ad ammetterlo.
Ora si che la riconosceva...
«Ehi, Tigrotta! Dove stai andando?» La stuzzicò l’alieno, senza muoversi dal punto in cui l’aveva lasciato.
Lei si freezò per un istante, come un felino che rizzava il pelo, prima di riprendere la sua camminata a passo spedito.
Kisshu soffocò una risata.
Aveva perso tutto il suo applombe…
«Mi allontano da te, razza di...Diavolo baciatore!» Sputò dalle labbra, facendolo scoppiare a ridere sul serio, questa volta.
Che razza d’insulto era quello?!
«Suvvia...» Mormorò lui, canzonatorio, alzandosi in piedi.
Si sgranchì la schiena con calma, facendo eseguire morbidi allungamenti ai muscoli indolenziti, prima di teletrasportarsi davanti a lei e coglierla di sorpresa.
Suguri si bloccò di colpo, rivolgendogli un’occhiataccia al veleno.
Kisshu sorrise di scherno.
«Ti è piaciuto, no?» Le rinfacciò, provocatorio.
Lei divenne rossa come un pomodoro e digrignò i denti.
«Per niente!» Rispose acida, schivando il suo sguardo e muovendo altri passi avanti con l’intento di superarlo. Kisshu alzò un sopracciglio e allungò una mano in sua direzione, afferrandole il braccio.
La fece girare verso di lui a forza e le strinse il mento con gesto fulmineo, chiudendolo in una salda presa.
Subito le alzò il viso, costringendola a guardarlo negli occhi.
«Guardami in faccia mentre lo dici.» Le sibilò allora l’alieno, con arroganza.
«Lasciami!» Ruggì lei, furiosa, levandosi la sua mano di dosso.
Kisshu rimase a guardarla senza provare alcun timore.
Il suo nervosismo era talmente palese che non aveva bisogno di altre prove…
«Basta giocare, esigo che tu mi riporti a casa, ora!» Gli urlò la ragazza.
I suoi occhi, la sua voce gridavano ‘ti faccio a fettine’.
Ma non voleva cascare nel suo capriccio...
L’aggressività era la carta di cui più abusava.
«E se non volessi?» Le chiese facendole la linguaccia, alzandosi in volo a pochi centimetri da terra.
Lei tremò dalla rabbia.
«Tsk! Se è così, ci andrò a piedi!» Esclamò convinta, riprendendo a camminare speditamente senza voltarsi indietro.
La vide andare a recuperare di tutta fretta le calze scure e gli anfibi che aveva lasciato sulla spiaggia, a pochi metri dalla loro attuale posizione, per poi procedere a ritmo decisamente incalzante.
«A piedi? Ma se siamo su un’isola?» Replicò lui, divertito.
Quanto l’aveva sconvolta…
Era una vittoria su tutta la linea.
Tigrotta, mi fai crepare...
Pensò lui, trattenendo le risa.
Gli piaceva quella sua cocciutaggine.
L’alieno buttò il corpo in avanti, raggiungendola rapidamente in volo.
«Che vuoi ancora?» Mormorò spazientita la mora, rifiutandosi di guardarlo in faccia.
Kisshu le si affiancò e la fissò soltanto, senza darle risposta. Allungò poi un braccio sulla sua vita e la cinse a sé, in barba alle sue proteste.
«Ti riporto a casa...principessa scorbutica!» Ridacchiò, alzandola di peso da terra, prima di scomparire in uno schiocco di dita assieme a lei.




 

***




MewRetasu s’asciugò una goccia di sudore dalla tempia con un braccio, tentando di concentrarsi sui suoi compiti senza farsi cogliere dall’inquietudine provocata dalla scena che era costretta a vedere.
Un’intera clinica ospedaliera, nell’area Nordest della città, era stata quasi completamente distrutta dall’attacco di un Chimero.
Un incendio aveva reso l’intero complesso di edifici totalmente irriconoscibile.
I tetti, posti a protezione della struttura, erano stati ridotti a pezzi, così come le pareti, letteralmente sventrate e lasciate annerire dall’azione delle fiamme.
Anche il piazzale centrale, il grande spazio entro cui la clinica era collocata, aveva vissuto tempi più felici.
L’asfalto a terra era crepato, costellato di crateri in più punti, mentre i sentieri di ciottoli piatti che guidavano l’accesso agli edifici della clinica s’interrompevano bruscamente a distanza di pochi metri, andando a disegnare un percorso irregolare e sconnesso.
In quello scenario da brivido, operai sanitari e Vigili del Fuoco s’affaccendavano ormai da mezz’ora con l’obiettivo di salvare le persone rimaste intrappolate nella struttura e, contemporaneamente, spegnere l’incendio.
MewRetasu voltò lo sguardò verso coloro i quali, incuranti del pericolo, stavano prestando soccorso a pazienti e visitatori della clinica che avevano inalato troppo fumo, somministrando ossigeno ed assicurandosi delle loro condizioni di salute.
Purtroppo, il lieto fine era un lusso che non tutti si erano potuti permettere.
La Mew verde gettò lo sguardo più a sinistra, verso il perimetro ovest del piazzale.
Proprio lì, in posizione ben più defilata rispetto all’accesso principale, giacevano immobili a terra...
Tante, troppe sagome tristemente abbandonate al loro destino, nascoste da asettiche coperte verdi e bianche.
Vittime di un fato ingiusto e inclemente.
Vittime senza una colpa né un perché…
Tremò nella sua divisa da guerriera.
Quando Shirogane-san aveva detto loro d’intervenire, non s’aspettava di ritrovarsi davanti ad un simile spettacolo…
Era stato un autentico shock.
Era questa la guerra?
Era per scongiurare quel genere di tragedie che dovevano combattere?
La sola idea le metteva i brividi...e la faceva sentire sciocca.
I suoi problemi personali, quelli per cui aveva ingaggiato una lotta contro MewIchigo e MewMinto pochi giorni prima...le sembravano così privi di senso.
Non s’era resa conto della poca importanza che potessero avere i suoi piccoli drammi quotidiani, se visti in una prospettiva ben più ampia.
Si sentì minimamente sollevata al pensiero che il suo Retasu Rush stesse aiutando a domare l’incendio di cui era preda l’ala ovest dell’edificio centrale.
Gli idranti dei Vigili del Fuoco, che operavano al suo fianco a ritmo incalzante, le davano manforte e la facevano sentire più sicura.
Diresse entrambe le nacchere verso il tetto, dove vivide fiamme continuavano a divampare.
Stava cercando di nasconderlo...ma aveva tanta paura.
Una paura folle di non farcela…
Voleva salvare tutti...non avrebbe sopportato altri morti.
Ma ne sarebbe stata davvero in grado?
Spostò lo sguardo sulla porta d’accesso principale della clinica a pochi metri da lei, ormai riportata in condizioni di sicurezza. Vide uscire da essa numerosi pazienti sopravvissuti, coadiuvati dal personale di soccorso che li accompagnava a bordo di lettini, aste reggiflebo e macchinari al seguito, stando attenti a non incappare in qualche buca o irregolarità del terreno.
La Mew focena sospirò rincuorata a quella vista, ma sapeva bene che non era finita…
Indirizzò con timore la sua attenzione oltre la cima dell’edificio, ad ore tre dal punto in cui si trovava.
Da quella direzione provenivano terrificanti e feroci ruggiti, indescrivibili a parole.
Il Chimero responsabile della distruzione della clinica, un imponente drago volante dal manto a scaglie color rosso vivo, volava sospeso lassù e si trovava in procinto di annunciare un nuovo attacco.
MewRetasu fece scorrere gli occhi lungo il piazzale, alla disperata ricerca di MewIchigo, la compagna di squadra che l’aveva accompagnata e che aveva scelto di occuparsi del nemico per permettere a lei di spegnere l’incendio e prevenire ulteriori vittime.
Tuttavia, il Chimero era parso un osso duro già ad una prima e semplice occhiata, e con molta probabilità anche MewIchigo s’era resa conto di non poterlo sconfiggere.
Erano una squadra, e proprio per questo non erano costrette a cavarsela da sole…ma quello di dare il suo contributo per salvare gli altri era stata una sua scelta.
Egoistica? Altruistica?
Non riusciva a capirlo a pieno.
Il limite tra i due concetti era labile, indefinito...
Però, forse MewIchigo aveva avuto il coraggio che lei non aveva dimostrato...ed ora che non riusciva ad individuare il suo sgargiante vestitino rosa in mezzo a quella folla e quel fumo, iniziava davvero a preoccuparsi.
In preda al nervosismo, spostò istintivamente le iridi verde brillante verso il Chimero drago, sempre più vicino. Quest’ultimo, particolarmente inviperito, stava planando in picchiata proprio verso il piazzale gremito di persone.
MewRetasu tremò di paura quando lo vide aprire la bocca, mostrando le zanne.
Aveva compreso perfettamente le sue intenzioni…
Voleva colpire i presenti con una delle sue micidiali palle di fuoco.
Perché tanta cattiveria?
Inghiottì a fatica, terrorizzata.
Aveva avuto modo di testare i poteri che aveva ottenuto in seguito alla sua modificazione genetica quando aveva effettuato la metamorfosi per la prima volta, mentre rischiava di affogare.
Erano enormi, in grado di ferire gli altri…
Esattamente come i suoi sentimenti repressi e nascosti.
Aveva il terrore di venirne fagocitata se solo si fosse distratta e ne avesse perso il controllo.
Per questo non le piaceva combattere.
Escludendo il fatto che era una ragazza pacifica e tranquilla per natura, non era nel suo istinto offendere, e per questo s’era precipitata a salvare le persone rimaste intrappolate nella clinica.
Respingere gli attacchi. Giocare in difesa.
Così aveva deciso fino a data da destinarsi…
Egoistico? Altruistico?
Non riusciva ancora a comprendere.
Tuttavia, si trovava in condizioni particolarmente propizie.
I suoi poteri le permettevano di controllare l’acqua.
Acqua che aveva potenzialità incredibili...e che poteva opporsi al fuoco.
Forse poteva rivelarsi efficace contro l’offensiva di quel mostro.
Forse avrebbe dovuto attaccare...
Se non l’avesse fatto…
Le bruciarono gli occhi al solo pensiero.
Se non l’avesse fatto, se ne sarebbe probabilmente pentita a lungo.
Come sempre, rimarcò poi la ragazza dai capelli lattuga, tra sé e sé.
Tenne gli occhi fissi sul drago, il quale stava preparando il suo attacco con più vigore di prima. A quella vista, scoppiò a piangere.
Prese ampi respiri per cercare di calmare il suo povero cuore, il quale batteva così forte nel petto che credeva sarebbe morta all’istante.
Non ce la faccio!
Pensò tra sé e sé, scuotendo la testa.
Aveva ormai scelto di essere una paladina della giustizia.
Ma aveva così paura…le tremavano le gambe!
Come poteva un’...indifesa proteggere altri indifesi?
Era un’impresa impossibile...inutile illudersi.
Non bastava fare un cambio d’abito per trovare il coraggio di compiere azioni eroiche.
Il Chimero sputò fiamme dalla bocca e il tempo sembrò fermarsi per un istante.
Le venne in mente la sua compagna MewIchigo.
L’ultima volta che s’erano viste, le aveva rivolto un bel sorriso.
Poi le aveva voltato le spalle ed era corsa senza paura verso il Chimero.
Chissà come s’era sentita davvero?
Eppure le aveva sorriso…perché aveva voluto incoraggiarla.
Quello era il suo modo per riporre in lei la sua fiducia.
Non poteva tradirla proprio ora.
«No!» Gridò sofferente la Mew verde.
Non poteva permettere che gli sforzi di MewIchigo risultassero vani...
Tutte quelle persone...doveva proteggerle!
Non appena formulò quel pensiero, aveva già ritratto le braccia lungo l’addome e lanciato il corpo alla sua destra, abbassandone il baricentro.  
Schizzò in mezzo alla folla ad una velocità che non credeva di poter raggiungere e
si bloccò di fronte all’offensiva del Chimero drago, alzando le braccia in aria.
«Allontanatevi!» Urlò balbettando, all’indirizzo della gente radunata nel piazzale. «Ribbon Retasu Rush!» Esclamò poi, con tutta l’aria che aveva nei polmoni.
Tentacoli d’acqua fuoriuscirono dalle armi nelle sue mani, disegnando giganteschi fiori ricolmi di petali sopra la sua testa.
L’attacco del Chimero impattò dritto su di essi, i quali funsero perfettamente da scudi. A contatto col calore del fuoco, le barriere d’acqua si dissolsero lentamente, riempiendo l’aria di vapore.
MewRetasu socchiuse gli occhi e piantò i piedi a terra, resistendo a lungo all’aria bollente che le si incollò sul viso e sulla pelle lasciata scoperta dalla divisa da guerriera.
Non appena la sfera di fuoco s’estinse contro la sua difesa, riprese fiato e si guardò alle spalle per assicurarsi che andasse tutto bene.
Un sorriso si dipinse sulle sue labbra e il rossore le invase le guance quando le persone rimaste illese grazie al suo intervento le rivolsero sinceri applausi e cori d’incoraggiamento, nonostante le condizioni precarie in cui molti di loro ancora versavano per le scottature o le tossine inalate.
Il cuore le si scaldò per un attimo.
Sono tutti salvi…
Penso sollevata la giovane, incrociando le mani al petto.
Era a corto d’ossigeno e l’adrenalina le scorreva ancora in corpo…
Ma era felice.
«Grazie!» Esclamò infine, piangendo ancora.
Non più lacrime di paura, ma di gioia.




 

***  




MewIchigo tossì dolorosamente, tenendosi le costole con una mano.
Quanto faceva male...
Rotolò agonizzante sulle piastrelle del vialetto della clinica, in parte distrutto dalle esplosioni, e portò a fatica il peso sugli avambracci, cercando di recuperare il più possibile le energie. Strinse i pugni ed alzò il capo in aria, lanciando uno sguardo ad ore due. Il temibile Chimero, sospeso in cielo, occupò quasi completamente il suo campo visivo.
Pochi secondi e lo vide scendere in picchiata verso i pazienti scampati all’incendio, il personale della clinica e i Vigili del Fuoco ivi presenti.
Il drago aprì la bocca voracemente, caricando una palla di fuoco tra i denti aguzzi.
Un singhiozzo le spezzò il respiro già debole.
Non riusciva a muoversi...i suoi muscoli erano come intorpiditi.
Forzò il suo corpo, tirandosi a sedere e piegando le ginocchia verso alto, nel tentativo di alzarsi in piedi.
Tutto inutile...
Non sarebbe riuscita a fermarlo.
Sbatté un pugno a terra, ricolma di frustrazione.
Non credeva che si sarebbe mai ritrovata in una situazione simile.
Costretta a decidere a chi sarebbe toccato vivere...e a chi morire.
Dubbi che, fino a pochi giorni prima, non le sfioravano nemmeno la mente.
Non era certo per questo che era venuta a Tokyo...
Le importava solamente di condurre una vita semplice.
Farsi delle amiche, inseguire il suo amore infantile...come la protagonista di un film romantico.
E invece ora…
In che genere di film si trovava?
E lei, cos’era?
La protagonista, l’eroina
O la vittima, prossima ad una brutta fine?
Il Chimero gettò il suo attacco verso l’asfalto e MewIchigo rimase inerme a guardare, a bocca aperta.
Sapeva perfettamente che non avrebbe mai dimenticato quella scena, eppure…
Non riusciva a distogliere lo sguardo.
Rimase in attesa dell’inevitabile, tragico epilogo, quando scorse MewRetasu farsi avanti facendo slalom tra la folla.
La Mew verde alzò le braccia al cielo e lanciò un Retasu Rush di enormi proporzioni. L’impenetrabile scudo d’acqua che gemmò dalle sue nacchere bloccò l’attacco del drago volante, fornendo protezione ai presenti che non potevano difendersi.
MewIchigo osservò ammirata portandosi una mano al petto, accorgendosi di essere tornata a respirare regolarmente dopo chissà quanto tempo.
Si sentiva sollevata...ed elettrizzata al tempo stesso.
MewRetasu aveva ridotto in briciole quell’offensiva micidiale tutta da sola.
Che anche lei fosse in grado di sprigionare simili poteri?
Mandò giù saliva per dare sollievo alla gola, riarsa per via della tensione, e inghiottì il sapore ferroso del sangue.
Aveva testato abbondantemente che si trattasse di un Chimero di livello superiore.
Quel drago era veloce, robusto, e poteva generare fiamme all’interno del suo corpo.
Aveva provato a respingere le sue palle di fuoco, se non addirittura a danneggiarlo, ma ogni volta era stata costretta a difendersi, venendo sbalzata via malamente da forti onde d’urto.
Mandò un sospiro più lungo degli altri e si puntellò coi piedi, riuscendo a riportarsi in posizione eretta. Si sfiorò l’avambraccio sinistro con le dita, in un punto dove la pelle s’era arrossata a seguito di una bruciatura subita nel corso del combattimento.
Infilò i polpastrelli nella carne in maniera quasi masochistica, facendo tremare tutto il suo corpo per il dolore. Fu rincuorata di essere ancora in grado di provare quella sensazione, nonostante tutto.
Alzò il braccio destro di fronte a sé e pronunciò la formula magica, facendo comparire la sua campanella. Lanciò poi gli occhi al cielo, stando attenta a seguire i prossimi movimenti del rettile.
Non era come nel suo scontro con il Chimero Topo…
Aveva bisogno di agire con più prudenza.  
MewRetasu s’era difesa egregiamente da lui, ma era sicura che il loro avversario non avesse ancora esaurito le sue energie…
Certamente meditava una nuova controffensiva.
Lo vide svolacchiare girando su sé stesso, come a volersi mordere la coda, prima di volgersi nuovamente in direzione della Mew verde.
La Mew gatto si concentrò più a fondo, cercando di ignorare le fitte di dolore che sentiva dappertutto.
Le ferite e le ammaccature ricevute le erano servite a comprendere che attaccarlo frontalmente non avrebbe dato frutti. Doveva esserci dell’altro...
Non potevano passare il loro tempo a difendersi, aspettando di essere sfiancate nel corpo e nello spirito.
Quel mostro doveva pur avere un punto debole, una falla, un difetto!
MewIchigo strinse i pugni, provando a smuovere i suoi neuroni.
Come si batte un colosso sputafuoco?
Più ci pensava, più non le veniva nessuna idea!
Si tenne la testa, lamentandosi disperata.
«Avanti Ichigo, avanti! Se non ti viene il lampo di genio, moriranno tutti!» Gemette, sentendo gli occhi bruciare tutti d’un colpo.
Abbassò le palpebre, isolandosi dall’ambiente circostante.
Forse poteva cercare di partire da qualcosa di più semplice e familiare per elaborare una strategia vincente…
Come elencare i difetti di ciò che conosceva già.
I suoi.
Cominciarono a venirle alla mente una serie d’informazioni, una dopo l’altra.
Dettagli che riusciva a ripercorrere lucidamente...
I suoi punti forti erano certamente i riflessi rapidi e reattivi, tipici dei piccoli felini. Questo le permetteva di mantenere uno scontro a ritmi molto alti.
La sua tendenza era quella di attaccare subito, senza preoccuparsi della controffensiva avversaria. In caso di bisogno, la Strawberry Bell poteva proteggerla bloccando i colpi nemici, rispondendo al fuoco col fuoco.
Quello schema di combattimento le ricordava qualcosa...
...
Come aveva fatto a non notarlo?
Il Chimero aveva uno stile di lotta simile al suo.
Bramava la pura e semplice azione, facendosi unicamente guidare dalla cieca voglia di distruggere…
E ripartiva alla carica, tentativo dopo tentativo.
Ma non aveva di che difendersi. Poteva solamente limitarsi ad attaccare, sperando che il suo avversario non avesse armi migliori in serbo.
MewIchigo riaprì gli occhi rosa e scattò all’improvviso verso la compagna, raggiungendola di corsa. «MewRetasu!» La chiamò con veemenza.
A quel grido vide la ragazza voltarsi verso di lei, sorpresa.
«MewIchigo!» Esclamò a sua volta la Mew focena, le lacrime agli occhi. «Sono felice di vedere che stai bene!» Aggiunse poi, senza muoversi dalla sua posizione.
Le sue mani erano alzate in aria, pronte richiamare un’altra cupola di difesa.
La Mew rosa le rivolse un’espressione accigliata.
«Non sto bene per niente!» Si lamentò la leader, alludendo alle numerose contusioni sul suo corpo. «Questa è la volta buona che Shirogane mi sente!» Disse poi, stizzita. Lanciò un’occhiata al Chimero, incrociando il suo sguardo vivace.
Lo vide allargare le narici, come ad inglobare nei polmoni una grande quantità d’aria, e la palla di fuoco tra le sue fauci s’ingrandì di conseguenza.
Non c’era tempo da perdere.
«Piuttosto...ho un piano!» Proruppe, rivolgendosi nuovamente alla compagna.
«Un piano?» Ripeté lei, confusa.
«Si, una...una specie di piano, ecco!» Balbettò la Mew gatto, mordendosi la lingua.
Non era sicura che avrebbe funzionato, ma non aveva altre idee per sconfiggerlo.
«Riesci a reggere un altro dei suoi colpi?» Le domandò, guardandola seria nelle iridi verde lattuga.
MewRetasu strinse le labbra e annuì dopo qualche secondo d’esitazione.
«Posso provarci!» Esclamò, infondendosi coraggio.
«Bene! Mentre tu lo distrai, io lo colpirò alle spalle!» Le comunicò infine, allontanandosi di nuovo. «Attenzione, arriva!» L’avvertì, indicando il Chimero.
Come aveva previsto, lo vide avvicinarsi a MewRetasu, ripetendo la stessa offensiva di prima.
La Mew focena gridò la sua formula, materializzando lo scudo di fiori d’acqua.
A quel punto il Chimero s’incaponì su di lei, lanciando una seconda fiammata nel tentativo di farla cedere.
MewRetasu sentì gli effetti del colpo, cominciando ad indietreggiare.
Doveva essere stanca almeno quanto lei...  
Dannazione!
Sputò tra sè e sè MewIchigo, agitatissima.  
Diede fondo a tutte le energie rimaste per azzerare le distanze tra lei e il suo bersaglio, raggiungendolo rapidissima in corsa. Giunta alle sue spalle, posizionatasi nel suo punto cieco, piegò le gambe verso il suolo e si diede un poderoso slancio, compiendo il salto più alto che avesse mai fatto in vita sua.
I suoi muscoli collaborarono un’ultima volta, facendole fare una capriola in aria che attutisse al massimo il suo impatto con il Chimero.
Atterrò a piedi uniti sul suo dorso e s’accucciò contro di lui, la Strawberry Bell stretta nel pugno.
Si trovò ad una distanza da lui decisamente ravvicinata, e questo la fece rabbrividire per il disgusto.
I rettili le facevano orrore...e le tremava tutto il corpo per la fatica.
Ma doveva sbrigarsi...
Facendosi aiutare con le gambe, strisciò fino al collo del Chimero e afferrò saldamente la sua criniera tra le dita guantate.
Sentiva che, se non l’avesse fatto, sarebbe caduta da metri e metri d’altezza...e non era certa di riuscire a cadere in piedi, questa volta.
«Sei finito! Ribon...» Pronunciò la Mew rosa, facendo aderire la campanella al corpo del rettile. Fu in quel momento che il drago s’accorse di lei e tentò di levarsela di dosso, scuotendo energicamente il muso.
MewIchigo venne sballotata di qua e di là, rischiando di finire per aria.
Per un attimo s’immaginò di venire sbalzata via, e provò un fortissimo senso d’angoscia.
«...St..rawberry Check!» Gridò all’ultimo, senza mollare la presa dal Chimero.
Questo venne inevitabilmente colpito dal fascio di luce della sua arma ed emise un ruggito straziante, ma continuò a muoversi in segno di ribellione.
«Ribbon Retasu Rush!» Provenne a quel punto dal suolo, e una versione offensiva delle colonne d’acqua di Retasu lo colpirono in pieno.
Crepa!
Imprecò la Mew gatto, gli occhi iniettati di sangue e il cuore di peluche rosa schiacciato contro il Chimero.
Non ce la faceva più...voleva finire quella cosa in fretta.
Esposto a lungo ad entrambi gli attacchi, il drago mugolò e infine esalò il suo ultimo respiro, dissolvendosi nel nulla.
MewIchigo abbozzò un mezzo sorriso, sciogliendo immediatamente i muscoli in tensione e dimenticandosi di ogni altra cosa.
Abbandonò le forze e abbassò le palpebre, lasciandosi cadere senza opporre resistenza.
L’aria sferzò con forza sulla sua pelle nuda.
«MewIchigo!» Avvertì debolmente con l’udito felino.
Era MewRetasu che la chiamava…
Perché? Non capiva più cosa stesse accadendo...   
Pochi secondi dopo percepì l’impatto contro il corpo della sua compagna, ma ben poco fu il dolore.
«Tu...tutto bene?!» Le domandò ancora la Mew focena, ma la sua voce le arrivava lontana. Si sentì sorreggere e scuotere con dolcezza e questo la spinse ad alzare appena le palpebre, lasciando che le sue pupille raccogliessero alcuni raggi di luce dall’esterno.
Vide il viso dell’amica soffermarsi su di lei con espressione preoccupata.
«MewIchigo? Ce...ce l’abbiamo fatta!» Balbettò lei, le sopracciglia aggrottate e un bel sorriso ad incurvarle labbra.
La Mew gatto sbatté gli occhi con più energia e la guardò di rimando.
Poggiò i piedi al suolo e si rialzò con la dovuta calma, facendosi aiutare dal suo supporto. Fece poi passare lentamente in rassegna il campo di battaglia, per accertarsi che fosse realmente tutto finito.
Non seppe dire come si sentì dopo aver constatato che il Chimero fosse stato  sconfitto e che le fiamme fossero state domate, limitandosi ad un piccolo focolare ad uno degli edifici della struttura ormai completamente evacuato.
Alzò gli occhi al cielo, là dove un elicottero stava sorvolando la zona, immerso in un mare striato d’azzurro e arancio.
Il sole stava per tramontare...si sarebbe fatto buio a minuti.
Si concentrò sul suo volo in maniera piuttosto distratta, riempiendosi le orecchie del frastuono delle sue eliche.  
«Già...» Biascicò, osservandolo senza troppo interesse.
In seguito, rivolse lo sguardo alla Mew verde.
Avevano vinto, ma non si sentiva felice…
Il suo istinto felino le suggeriva che quello non fosse altro che l’inizio di una lunga serie di drammi e sofferenze, e l’idea le faceva venire i brividi.
Incurvò la schiena sbuffando rumorosamente, esausta.
Non vedeva l’ora di tornarsene a casa il prima possibile per dimenticare quella terribile giornata.












 
***

* Quello che vede Kisshu è il Rainbow Bridge, un ponte sospeso che attraversa la sezione nord della Baia di Tokyo. È ispirato al celebre Ponte di Brooklyn di New York.
Qui una foto :)
** «A dire la verità, non tanto.» nd Kuro ponderando
«EHI!» nd Kisshu e Suguri protestando in coro
*** LO DOVEVO DIRE xD





** NOTE DI FINE CAPITOLO (NON continuate se non avete finito di leggere tutto!) **
«Salve a tutte! Prima di tutto, vi ringrazio per essere arrivate fino a qui.
In secondo luogo, volevo fare una precisazione che mi preme assai riguardo gli avvenimenti di questo capitolo. Sappiate che il limone NON ERA ASSOLUTAMENTE PROGRAMMATO A QUESTO PUNTO DELLA STORIA!
Si, insomma...doveva arrivare più in là, ma davvero MOLTO più in là...ma ‘sti pg mi sfuggono di mano, porca trota! Kisshu mi è sfuggito parecchio di mano in questi ultimi due capitoli...» nd Kuro che si facepalma da sola
«Che novità!» nd Tutte/i
«Ma quale limone non programmato! Viva i limoni! Viva il sesso libero! *-*» nd Kisshu che irrompe stra esaltato
«Perchè hai sottolineato e grassettato delle parti?» nd Suguri perplessa
«Shh! È un messaggio subliminale per l’Autrice!» nd Kisshu
«Guarda che sono qui...ti sento, razza di deficiente!» nd Kuro che si facepalma di nuovo



 

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Capitolo 14
*** First Act ~ XII. On The Wrong Side. ***


** Buongiorno! ^^
Quest’oggi volevo fare uno strappo alla regola per fare due parole con voi.
Di solito non metto mai introduzioni ai capitoli perché mi piace che sia la storia a parlare, e generalmente penso che non siate interessati a leggere amenità varie che mi riguardano ^^”
Dunque mi pongo come narratore invisibile, il quale si ritaglia un po’ del suo spazio nelle note più demenziali a fine capitolo e morta lì. Tuttavia, negli ultimi giorni ho riflettuto a lungo, e ho necessariamente bisogno del vostro contributo per fugare un paio di dubbi.
Mi aiutate per favore? ^^

Domanda n° 1:
Nell’Intro di questa Long ho esordito dicendo (lo ripeto, nel caso qualcuno non se lo ricordi o non l’abbia letta!) che questa fic avrebbe ruotato attorno ad una forte componente introspettiva e sarebbe stata di genere per lo più action. La mia idea era quella di richiamare l’atmosfera dell’opera originale ma con una serie di elementi What If e, soprattutto, un taglio più maturo, alcuni contenuti più forti ed adulti rispetto alla commedia sentimentale con cui siamo cresciuti/e e la prospettiva di un'ampia evoluzione psicologica per i protagonisti e cooprotagonisti della storia, inseriti all'interno di un percorso di crescita diciamo 'corale'.
Finora, vi ritrovate in questa descrizione?

Domanda n° 2:
2. Un uccellino mi ha detto che forse non riesco a caratterizzare al meglio la mia Long e a delineare dei punti di riferimento, e che per questo i lettori possano risultare confusi. La fic, infatti, non ha come obiettivo primario la realizzazione di ship (che comunque ci saranno) e risulta un po’ lenta proprio per l’approccio introspettivo e descrittivo che adotto. ^^”
Dunque vi chiedo...
Faticate a capire dove voglio andare a parare?
Qual è, secondo voi, il valore aggiunto che riesco a darvi?
Cosa vi aspettate dai prossimi capitoli?


Invito tutti/e ad esprimere la propria umile opinione. Siete in tanti/e a seguirmi e leggermi in silenzio, quindi mi domando se non ci sia qualcosa che vi lascia perplessi/e ^^”
Noto, a volte, la stessa sensazione anche da chi mi recensisce con affetto dall’inizio.
Pertanto, ci tengo a comprendere meglio cosa ne pensate voi, il mio pubblico ^^”
Sono un’autrice, ma prima di tutto sono una persona. La scrittura per me è una cosa molto personale, per questo ogni vostro contributo è importante per migliorarmi e migliorare così anche il livello di intrattenimento. Non pensate che ciò che dite non apporterà niente di nuovo e non abbiate paura di esporvi. Io non vi mangio ^^”
Sarei anzi felicissima di conoscere lettori nuovi.
Anyway, fatemi sapere se vorreste o preferireste più spesso avere un’intro di questo genere ai capitoli postati. In ogni caso, vi reindirizzo alla mia pagina, dove si parla di questa Long ma anche di altri contenuti e cavolate varie xD (soprattutto queste ultime)
Se siete interessati/e a conoscermi meglio o a comunicare con me, quello non è l’unico mezzo, ma potrebbe essere uno dei migliori ^^
Detto ciò, buon capitolo! ^^






XII.
On the Wrong Side.







Masaya immerse le bacchette nella ciotola e mescolò lentamente la zuppa di miso, amalgamando sommariamente tutti i sapori.
Infilzò un pezzetto di tofu e se lo portò alla bocca, assaporandone la consistenza morbida e il lieve retrogusto dato dalle cipolle verdi*.
Inclinò la ciotola e diede una sorsata al brodo, passando poi alla frittata.
Afferrò il piattino sul quale era poggiata e ne afferrò un pezzetto, mettendoselo in bocca. Lo masticò con gusto, prima d’inghiottire il boccone e portarsi alla bocca la tazza contenente il té.
Il té verde rinfrescò il suo palato all’istante, dissetandolo quel che bastava per continuare la colazione.
Lasciò vagare distrattamente lo sguardo sulla finestra di fronte al tavolo del soggiorno, la quale permetteva al bel sole primaverile di penetrare nella stanza.
Sorrise, di discreto buonumore, fino a quando sua madre adottiva spuntò alle sue spalle.
«Tieni pure caro.» Gli disse con pacatezza, servendogli un filetto di sgombro appena grigliato. Masaya s’appropriò immediatamente del piatto, spezzando la carne morbida del pesce con le bacchette.
«Ti ringrazio, Okaa-san.» Replicò lui, rivolgendole un sorriso gentile. «Otou-san?» Domandò poi, curioso.
La madre, una donna di mezza età con capelli ormai grigi raccolti in uno chignon dietro la testa**, lo guardò.
«Sta riposando. Visto che oggi è domenica, preferisco lasciarlo dormire ancora un po’.» Gli rispose, prima di lasciarlo solo in salotto e tornare in cucina con il passo lento e leggero che gli era tanto familiare.
Dopo aver ingurgitato con gusto una parte del pesce, il ragazzo poggiò il piatto sul tavolo e s’alzò in piedi, dirigendosi verso il televisore posto a pochi metri da lui. Allungò un braccio ed agguantò il telecomando, pigiando il tasto d’accensione.
L’apparecchio si sintonizzò automaticamente sul notiziario mattutino di NHK*, il primo canale in ordine d’elenco.
In sovrampressione spiccava un annuncio tanto drammatico quanto singolare, scritto in caratteri neri su sfondo giallo:
‘Clinica di Tokyo attaccata da un mostro, intervengono misteriose supereroine. 9 morti e 22 feriti, di cui 5 gravi’
Il giovane lesse quel titolo e storse il naso.
Supereroine…
Seriamente?
Che si trattasse di un’iperbole, o…
Rimase in ascolto, perplesso ma curioso.
Per sua fortuna, di lì a pochi secondi il telegiornale aprì un servizio dedicato alla notizia, e Masaya incollò gli occhi allo schermo.
Immagini di un complesso di edifici in fiamme s’alternarono a quelle degli idranti dei Vigili del Fuoco e delle ambulanze giunte sul posto per trasportare altrove i pazienti portati in salvo.
La voce del giornalista in sottofondo informò i telespettatori riguardo i dettagli sulla vicenda. La clinica coinvolta era la Yamazaki e, a detta dei testimoni oculari, questa sarebbe stata data alle fiamme da un drago volante sputafuoco.
Drago volante…
Ancora più assurdo
, pensò Masaya.
Il moro si mise in bocca il riso in bianco col sesamo e qualche altro pezzetto di sgombro, senza distogliere troppo l’attenzione dal televisore.
Proprio in quel momento, le immagini ufficiali lasciarono spazio a quelle di un video amatoriale girato dal telefonino di uno visitatori della clinica.
Un drago dalla testa enorme era chiaramente visibile, così come le fiamme che esso emetteva dalla bocca. Decisamente meno chiara, per via della bassa qualità del filmato** e della camera in continuo movimento, era la fisionomia di una delle ‘eroine’, così come definite dall’autore del servizio.
Certo era che, a detta delle immagini, le fiamme sputate dal drago si fermavano stranamente a mezz’aria, come se si scontrassero contro un muro invisibile che ne impedisse la propagazione. Il video mostrava poi un improvviso fascio di luce e la repentina scomparsa del mostro, dissolto nel nulla come se non fosse mai esistito.
Il giovane si fece passare sotto gli occhi tutte quelle sconvolgenti sequenze, incapace di formulare una parola o un commento.
Era incredulo. Sembravano gli effetti speciali di un film, ma dubitava fortemente che il notiziario facesse circolare notizie false.
Doveva trattarsi della verità.
Il cronista proseguì nella sua disamina, informando i telespettatori di alcuni dettagli decisamente poco incoraggianti. A seguito dall’attacco del mostro la clinica era stata quasi completamente distrutta, e si contavano sia morti che feriti.
Fortunatamente, la struttura sorgeva vicino ad una stazione dei Vigili del Fuoco, i quali erano riusciti ad intervenire tempestivamente, limitando danni che avrebbero potuto essere molto più gravi.
Masaya masticò con foga i chicchi di riso e il pezzetto di frittata che s’era appena infilato in bocca, mischiando tra loro i sapori.
Com’era possibile che un drago fosse comparso a Tokyo?
Nessun documento scientifico ne attestava la reale esistenza.
Si trattava di creature appartenenti al mondo fantastico…
Eppure i fatti parlavano chiaro.
Proprio mentre inclinava la ciotola con la zuppa di miso verso di sé, andando a svuotare tutto il brodo ivi contenuto, la sua attenzione venne attirata nuovamente, questa volta dalle interviste a caldo comprese nel servizio.
Il sottotitolo aveva ora cambiato focus, concentrandosi non più sui tragici avvenimenti accaduti, ma sulle vere protagoniste della notizia.
‘Supereroine a Tokyo?’ era la domanda che campeggiava in grassetto, mentre le immagini mostravano una giornalista porgere il microfono a due ragazze abbagliate dai riflettori.
Entrambe parevano disorientate e confuse.
Dal loro aspetto, era evidente quanto fossero provate dalla battaglia.
A sinistra della telecamera, una ragazza che non sembrava avere più della sua età osservava l’obiettivo con sguardo estremamente accigliato.
La sua carnagione appariva molto pallida e la pelle era lucida, smunta.
I capelli, corti e di un acceso color lattuga, ricadevano bagnaticci e disordinati sul viso e sulla fronte.
Indossava un vestitino verde scuro, decisamente troppo succinto per combattere, il quale lasciava le gambe completamente scoperte, ad esclusione degli stivali al ginocchio.  
La porzione destra dello schermo, invece, era occupata interamente da una seconda ragazza. Lievemente più bassa rispetto alla prima, indossava un vestitino a palloncino di un bel rosa caramella.
Sulle sue braccia nude v’erano bruciature e contusioni, così come sul viso. Un paio di grandi occhi rosa facevano capolino sulle sue guance, rosse per l’imbarazzo. Il caschetto corto e mosso che portava pareva ormai un ammasso di capelli impiastricciato di sudore e polvere.
Due splendide quanto curiose orecchie da gatto spuntavano da sotto la sua voluminosa chioma rosa.
Masaya strabuzzò gli occhi.
Erano vere orecchie da gatto?
«Ma dai...sembrano cosplayer!» Commentò tra sé e sé, sorridendo.
«Allora, potreste dirci chi siete? È vero che siete supereroine?» Domandò la giornalista, allungando verso quest’ultima il suo microfono.
Masaya continuò a seguire interessato, infilzando con una bacchetta una fetta di tamagoyaki.
La ragazza gatto fece un ampio sorriso, scoprendo un canino appuntito sotto il labbro superiore. Indietreggiò di un passo, come intimorita, e la sua coda felina s’arricciò su sé stessa.
«B-beh, noi siamo...» Cominciò a balbettare, mentre la ragazza lattuga al suo fianco guardava di sottecchi l’obiettivo, spostando di tanto in tanto lo sguardo nervoso sulla compagna in rosa. «S-si, è proprio così!» Esclamò a gran voce. »Siamo combattenti che vestono alla marinar-uhooa!» Pronunciò allora, gesticolando in maniera sconnessa e confusa, prima di sbilanciarsi troppo e rischiare di cadere.
La ragazza lattuga accorse in suo soccorso immediatamente, trattenendola per un braccio e ritirandola in piedi.
A quelle immagini, il ragazzo si mise a ridere di gusto.
«Che carina...quanto è maldestra!» Mormorò divertito, prima di svuotare anche la ciotola del riso.
Gli ricordava qualcuno in quei gesti impulsivi, e in quel modo imbarazzato di parlare...
Ma non riusciva bene a capire chi...
«Come? Quindi siete delle combattenti? Come avete sconfitto quel pericoloso mostro?» Chiese a quel punto la giornalista, stordendo del tutto la sua interlocutrice.
La ragazza gatto boccheggiò nuovamente, guardando fissa le telecamere.
Sudò freddo mentre i suoi occhi si spalancarono, esprimendo un grandissimo disagio. Alzò una mano ed andò a sbattere contro il microfono, prima di grattarsi la testa e ridacchiare nervosa.
«Chi siamo? N-noi...ebbene...» Cominciò a dire. «...ebbene...» Biascicò ancora, abbassando lo sguardo. Poi prese la ragazza lattuga per le spalle con grande irruenza. «Siamo guerriere che combattono per la giustizia! Proprio così, nya!~» Miagolò tutta d’un fiato. «Siamo le Tokyo Mew Mew! Il nostro compito è proteggere i più deboli!» Esclamò infine, ammiccando energicamente alle cineprese. «Ci vediamo!» Aggiunse infine, prima di afferrare l’amica lattuga per un braccio e fuggire via alla velocità della luce.
Il video spostò a quel punto l’attenzione sui commenti e le testimonianze dei presenti che avevano assistito allo scontro.
L’opinione degli intervistati era unanime su due punti: l’esperienza vissuta era stata spaventosa, e le...‘Tokyo Mew Mew’ erano state spettacolari.
Forti e coraggiose, s’erano battute faccia a faccia con un enorme drago...
Parevano tutti impazziti per questo nuovo fenomeno.
«Ora sono quasi curioso di vederle in azione...» Pensò a voce alta, portandosi nuovamente alla bocca la tazza di té verde...
Anch’essa vuota.
Lanciò uno sguardo sulla tavola, rendendosi conto di aver completato la colazione senza che se ne fosse accorto.
Ma che strano…
Forse i cronisti avevano ragione.
Era rimasto totalmente rapito dalle Tokyo Mew Mew.
E per uno come lui non era nemmeno facile*...
«Sarà meglio andare...» Disse tra sé e sé, senza rimuginare troppo su quel fatto.
Spense immediatamente il televisore e prese le ciotole ed i piatti usati, incolonnandoli ordinatamente uno sopra l’altro in modo da afferrarli tutti con entrambe le mani. S’alzò dalla sedia e la ripose a fianco delle gambe del tavolo prima di dirigersi direttamente in cucina.
Con passo incalzante ma controllato raggiunse il lavabo in fondo alla stanza e poggiò gli oggetti di fianco ad esso.
«Okaa-san, mi spiace lasciarti queste stoviglie da lavare, ma ora devo andare. Se desideri posso pensarci quando torno...» Le disse, rivolgendosi a lei in maniera estremamente garbata.
La donna sorrise, e gli occhi le si illuminarono di una gioia semplice e spontanea.
«Che bravo ragazzo che ho! Non preoccuparti, è una sciocchezza. Va pure a prepararti, caro...» Gli raccomandò la madre.
Il figlio fece per allontanarsi ed uscire dalla stanza, ma lei lo bloccò poco dopo, chiamando il suo nome.
«Esci con gli amici del club?» Gli domandò, sinceramente curiosa.
«Questa volta no, ho un appuntamento con un’amica.» Rispose.
Masaya ebbe la tentazione di concludere lì la conversazione, ma si sentì subito in dovere di aggiungere ulteriori informazioni.
«Ricordi quella ragazzina coi capelli rossi che stava in classe con me alle scuole elementari? Momomiya-san?» Chiese.
La signora Aoyama rimase in silenzio, pensandoci un attimo su.
«Ah, Momomiya-san. Quella ragazzina vivace!» Commentò non appena il suo viso le balzò alla mente, accompagnato dagli immancabili codini rossi.
«Mi piaceva molto. Si trova a Tokyo?» Replicò.
Il ragazzo annuì con la testa. «Si è trasferita da circa due settimane e mezzo. Abbiamo ripreso a frequentarci.»
Nonostante la neutralità con cui il figlio le avesse comunicato quelle parole, la donna si lasciò scappare un sorriso sornione piuttosto eloquente.
«Ah si? Beh, va a divertirti allora. Lascia a me la cucina.» Mormorò infine, suggerendogli di andare in camera sua a prepararsi.
Masaya la congedò con un grazie ed un sorriso, prima di avviarsi al piano di sopra.



 
***  



Ichigo si mordicchiò nervosa l’unghia del pollice e si dondolò senza sosta contro l’arco d’accesso allo Zoo Parco, ripercorrendo mentalmente gli infiniti avvenimenti del giorno prima.
Ultimamente non faceva che andarle tutto storto.
Ci aveva quasi rimesso le penne contro un Chimero spaventoso, e a seguito dello scontro aveva riportato una brutta contusione sotto le costole e una bruciatura sul braccio sinistro.
Shirogane aveva assicurato che, in quanto Mew Mew, il loro corpo si era rafforzato a seguito della mutazione genetica e dunque quel genere di lividi o ferite sarebbe stato destinato a scomparire molto più in fretta della norma, specie se trattate con pomate o altri medicinali tradizionali.
Tuttavia, secondo il suo parere, quelle parole non erano altro che un tentativo di indorare la pillola.
Come poteva andarsene in giro con delle ferite visibili, specie con la bella stagione alle porte?
Sarebbe stata costretta a nasconderle, con il rischio costante che qualcuno le scoprisse.
Come se ciò non bastasse, dopo il combattimento era stata intervistata dalla tv pubblica nazionale!
Non solo aveva rischiato la vita per colpa di qualche alieno cretino, ma era persino apparsa su tutte le tv del Giappone in condizioni del tutto impresentabili.
In seguito s’era trascinata a casa, psicologicamente distrutta, e aveva recuperato il cellulare che aveva lanciato nella borsa ore prima.
Con mostruoso ritardo, lesse un paio di messaggi lasciati dalle sue amiche, le quali l’avvisavano che lo Zoo di Ueno** aveva programmato l’entrata gratuita per quella stessa domenica.
‘Un’occasione perfetta per invitare il ragazzo dei tuoi sogni ad un appuntamento!’
Le avevano scritto. Con un po’ d’impegno, avrebbe quasi potuto sentirle cinguettare allegramente sull’argomento...
Era rimasta a fissare per trenta secondi buoni quelle parole, il cervello completamente vuoto, prima di pensare che si trattasse effettivamente di una buona idea.
Così, senza nemmeno sapere come, aveva fatto scorrere la rubrica e aveva pigiato sul contatto di Aoyama-kun, aveva premuto su ‘Nuova mail’* ed aveva buttato giù due semplici righe nelle quali proponeva al ragazzo di andarci assieme.
Tempo pochi minuti e lui le aveva risposto, accettando con gioia l’invito e suggerendole luogo e ora in cui si sarebbero dovuti incontrare il giorno seguente.
S’era stupita della sicurezza e risolutezza che aveva dimostrato.
Combattere contro il Chimero le aveva lasciato addosso tanta di quella stanchezza che persino l’imbarazzo di sempre era sparito.
Forse avrebbe dovuto agire alla stessa maniera, in futuro…senza starci a pensare troppo su.
Quella mattina, quando s’era alzata dal letto, non aveva ancora realizzato il tutto.
Aveva fatto colazione come sempre e aveva suo malgrado assistito al servizio del tg che la vedeva protagonista della più grande figuraccia mondiale mai vista.
Irritata da quelle immagini aveva ingurgitato ciò che rimaneva sulla tavola ed era andata a prepararsi, riuscendo a condensare tutto in pochi minuti.
Subito dopo era uscita di casa di corsa, diretta verso la stazione, ed era riuscita ad arrivare in anticipo all’appuntamento con Aoyama-kun.
Utopico.
Eppure, era tanta la voglia di vederlo.
Il lavoro al Caffé e le responsabilità da eroina avevano ridotto ad un lumicino il suo tempo libero, e più d’ogni altra cosa voleva passarlo assieme a lui.  
Si portò le mani al viso, continuando a giocherellare con le punte dei piedi.
«Aoyama-kun...» Bisbigliò tra sé e sé, arrossendo tutta.
«Momomiya-san?» Afferrarono le sue orecchie e la ragazza saltò in aria, spaventata.
Alzò gli occhi castani ed incrociò immediatamente quelli scuri dell’amico.
«A-Aoyama-kun! Non t’avevo sentito arrivare!» Balbettò, indietreggiando di mezzo passo ed andando a sbattere contro il muro alle sue spalle.
«Ahia...» Si lamentò lei, ben attenta a non farsi sentire.
«Sei arrivata in anticipo!» Commentò con stupore il moro, rivolgendole un sorriso.
Le guance di Ichigo s’imporporarono lievemente.
«Non...n-non volevo perdermi nemmeno un minuto di questa giornata!» Replicò lei, raddrizzando la schiena come un soldatino.
Lui non cambiò espressione.
«Allora entriamo!» La esortò, oltrepassando l’arco d’accesso.
Lei lo seguì a ruota, osservandolo di sottecchi.
Indossava una camicia color rosso mattone, un paio di jeans slavati e una felpa chiara color beige.
Incredibile come riuscisse ad essere bellissimo con qualunque tipo di look.
Aoyama-kun…
Mormorò ammirata nella sua testa, senza smettere di fissarlo.
Le era mancato così tanto…
Sembravano essere passati secoli dall’ultima volta in cui erano usciti assieme o avevano avuto occasione di parlarsi.
Ora che era lì con lui, voleva lasciare tutte le sue preoccupazioni e i suoi malumori fuori da quello zoo. Voleva solo rilassarsi e godersi il bel sorriso che solo lui sapeva farle.
Mossa da quelle convinzioni, avvicinò d’istinto un braccio a quello di lui, lasciato lungo sul fianco.
Voleva toccargli la mano, anche solo per un po’…
Arrivò quasi a sfiorarlo, quando…
«È una vera fortuna che abbiano organizzato questo evento, non trovi?» Le domandò lui, volgendosi nella sua direzione.
Ichigo si ritirò come un’anguilla nella tana.
«Già, una...una vera fortuna!» Rispose lei, sorridendo e ritraendo le braccia dietro la schiena. Si misero in coda per l’entrata e passarono rapidamente i controlli di sicurezza, approfittando del fatto che fosse un momento di poca affluenza.
Gli addetti consegnarono loro un biglietto di carta plastificata valido per la visita e li lasciarono passare attraverso i tornelli.
«Cosa...cosa vorresti vedere per prima?» Squittì Ichigo, cercando di distogliere l’attenzione dall’imbarazzo di poco prima.
Masaya le riservò il suo solito, splendido sorriso, indicando uno dei recinti poco lontano, posto in uno dei percorsi percorribili a sinistra.
«Andiamo a vedere gli elefanti?» Le propose. «Per i panda al momento c’è troppa coda.» Le fece notare poi, facendo riferimento al percorso principale a destra dei tornelli, gremito di turisti.
La ragazza coi codini annuì con un cenno della testa.
«Non ho mai visto gli elefanti dal vivo, sai?» Lo informò, riportandosi al suo fianco.
«Se oggi sono qui è solo...»
All’improvviso, Ichigo divenne tutta rossa e la lingua le si attorcigliò in bocca, impedendole di continuare la frase.
Abbassò la testa, sentendosi di colpo troppo codarda per guardarlo.
Agire senza essere tesa? Quando era con lui?
Utopico!
Commentò, maledendosi mentalmente.
Proprio non ce la faceva. Era così frustrante!
Quando era in sua compagnia, si sentiva così nervosa che il cuore le batteva forte e non riusciva ad esprimere al meglio i suoi sentimenti.
«C’è qualcosa che non va? Non ti senti bene?» Le chiese lui, prendendola per una spalla, nel tentativo di sincerarsi delle sue condizioni.
Lei s’irrigidì e scosse energicamente la testa, sudando per l’imbarazzo.
«...N-Nono! È tu...tutto apposto…» Mugugnò non molto convinta, non appena le sue labbra tornarono magicamente a muoversi.
Rialzò allora gli occhi cioccolato su di lui, e si ritrovò addosso il suo sguardo indagatore.
Vi si perse irrimediabilmente.
Era serio ma al tempo stesso rilassato, diverso dal solito sguardo pacato e gentile che le riservava. Le sue sopracciglia scure erano abbassate, disegnando sul suo viso un’espressione estremamente concentrata.
Le sue labbra, invece, erano lievemente socchiuse, ma immobili.
«Aoyama-kun?» Mormorò piano, senza ricevere risposta.
La stava fissando
Un ragazzo che fissava una ragazza in quel modo…
Poteva significare solo...
Che gli piace…
A quella riflessione la ragazza cambiò colore in mezzo secondo, diventando rossa in viso.
«Oh mio dio!» Si fece sfuggire dalla bocca, e a quel commento Aoyama si ridestò dal suo torpore
«Momomiya-san?» La richiamò, dandosi un tono con un gesto del capo.
«Aoyama-kun!» Replicò lei a sua volta.
Non riusciva ancora a crederci.
Aoyama-kun s’era distratto...
Anzi, lei l’aveva distratto.  
Un dettaglio di poco conto che cambiava tutte le carte in tavola.
 «Perdonami, sono stato sfacciato a guardarti in questo modo.» Mormorò dispiaciuto.
Lei abbassò gli occhi dietro la frangetta e si fece piccola piccola, sorridendo intenerita. «Non è necessario che ti scusi, Aoyama-kun.» Cinguettò, sospirando contenta.
«Tu stai bene?» Le domandò il ragazzo, facendo scivolare la mano dalla spalla al suo braccio. Lo sentì afferrarlo tra le dita, ma a quel gesto la ragazza tremò senza volere.
L’aveva stretta proprio lì, dove s’era procurata quella dannata bruciatura…
Ora mi scoprirà!
Pensò, trattennendo un’espressione di dolore.
Masaya sembrò accorgersente e lasciò immediatamente la presa, facendole tirare un sospiro di sollievo.
Lo guardò con un filo di preoccupazione, aspettandosi un ulteriore commento da parte del ragazzo…
Per fortuna, le labbra di lui rimasero serrate.
«Sto bene» Affermò a quel punto, come a cambiare in fretta discorso.
Allungò una mano verso la manica della sua camicia e vi ci si aggrappò con due dita, teneramente. «Riprendiamo il nostro giro?» Lo intimò, indicando il recinto degli elefanti.
Il ragazzo annuì e le sorrise con dolcezza, sfilando il braccio dalla presa della ragazza e afferrando la mano di lei appesa alla sua camicia.
La strinse nella sua e a quel gesto Ichigo s’ammutolì, limitandosi a diventare più rossa dei suoi capelli.
Dopo qualche secondo chiuse a sua volta le dita sulla sua mano, estraniandosi completamente dall’ambiente circostante.
Quanto aveva sognato di potergliela afferrare, un giorno o l’altro!
Era così calda e rassicurante.
«Così sono sicuro che non ti perdi o inciampi da qualche parte!» Replicò, facendole l’occhiolino e tirandola dolcemente verso di sé, riprendendo a camminare.
Lei si coprì la bocca con una mano, trovando impossibile guardarlo anche solo con la coda di un occhio.
Si sentiva svenire!
Era così dolce, sicuro di sé...
Fece vibrare le dita, fecendole aderire per bene alla sua mano: voleva godersi al massimo ogni contatto con lui per preservarne un perfetto ricordo.
Tirò un sospiro leggero e abbassò le palpebre con sguardo sognante.
Era apposto così. Poteva già dirsi soddisfatta…
Era completamente diverso dal loro primo appuntamento alla mostra.
In quell’occasione, Masaya era rimasto del tutto rapito dagli Animali Codice Rosso.
Ora, invece, era lei a trovarsi al centro della sua attenzione…
Non le avrebbe riservato tutte quelle gentili premure, altrimenti...
Chissà che cosa pensi di me?
Si domandò, alzando lo sguardo su di lui.
Quando era in sua compagnia il tempo rallentava, rimaneva come sospeso in aria...e ogni sua preoccupazione, ogni cattivo pensiero volava via.
Anche per lui era lo stesso?
«Guarda lì!» Le sorrise, fermandosi nuovamente e facendole un cenno con la mano libera. Ichigo si voltò nella direzione indicata dal ragazzo e incrociò il gruppetto di pachidermi che avevano visto da lontano.
Un piccolo branco di esemplari adulti pascolava con calma all’interno di un grande recinto comprendente un’ampia area verde.
Alcuni di loro strappavano del cibo dagli alberi con la proboscide, mentre altri aiutavano i cuccioli a cibarsi delle foglie poste ai rami più alti.
«Non sono carini, Aoyama-kun?» Domandò la rossa, accucciandosi per osservarli meglio.
Le labbra le si incresparono in un leggero sorriso.
Aveva proprio fatto bene a chiedere in ginocchio a Shirogane un permesso al Caffé.
«Tu cosa ne pensi degli zoo, Momomiya-san?» Chiese a bruciapelo il ragazzo alle sue spalle, rivolgendosi a lei.
La Mew gatto si girò a guardarlo con espressione stupita.
«Perché questa domanda?» Replicò lei, leggermente intimorita. «Non ti piace questo posto, Aoyama-kun?»
Alle parole della ragazza lui non cambiò espressione, e non disse nulla per qualche secondo. «Non fraintendermi, Momomiya-san...mi chiedevo solo se trovi giusto che gli animali restino chiusi in un recinto come questo, invece di stare nel loro habitat naturale...» Mormorò.
Ichigo incurvò le sopracciglia in modo strano, brontolando sommessamente.
Già concluso l’interesse per lei?
Prese un ampio respiro e si calmò, concentrandosi sulla sua domanda.
Forse se chiedeva la sua opinione su questioni per lui così importanti significava qualcosa...
«Forse...non è poi così giusto, però...» Esitò per un attimo, giocherellando con una ciocca di capelli. «...Però qui sono accuditi...non rischiano nessun pericolo. In natura, invece...vengono...cacciati dai...bracconieri, giusto?» Farfugliò imbarazzata, col timore di dire qualche strafalcione.
A quella risposta il moro rilassò lo sguardo, facendole un lieve sorriso.
«Si. Hai ragione...» Le disse, lanciando lo sguardo oltre il recinto, in direzione dei grossi erbivori. «Qui sono al sicuro...»
La rossa lo guardò con gli occhi dolci.
«Che ne dici se andiamo a prenderci qualcosa da bere prima di riprendere il giro?» Gli propose, abbassando la voce. «Laggiù c’è un chiosco.» Lo informò poi, indicandone uno poco più avanti, a ridosso del percorso pedonale.
«D’accordo» Rispose cordialmente lui, avviandosi.
Ichigo fece per seguirlo, quando un brutto presentimento le serrò la bocca dello stomaco all’improvviso.
Si voltò di scatto verso il recinto degli elefanti e le sue orecchie individuarono immediatamente il barrito forte e lamentoso di uno degli esemplari in posizione più arretrata. Una luce abbacinante lo avvolse...
Oh no, un Chimero!
Pensò tra sé e sé, spalancando la bocca e paralizzandosi sul posto.
L’animale, sotto l’influsso del parassita alieno, modificò le sue sembianze, diventando più imponente e massiccio.
Le sue zanne s’ingrandirono e il suo temperamento ne venne stravolto, passando da placido ad aggressivo e bellicoso.
Il Chimero cominciò ad ululare e a muoversi in tondo, scatenando il panico nel recinto.
Alcuni grossi maschi tentarono invano di attaccare il compagno, divenuto ormai una minaccia, mentre il resto del branco si lanciò spaventato sul lato opposto della palizzata nel tentativo di fuggire.
Ichigo deglutì. Le stavano per venire addosso.
«Momomiya-san!» Sentì gridare da Aoyama-kun, e i suoi occhi si posarono su quelli di lui.
Lo vide lanciarsi in sua direzione con grande coraggio, afferrandole il braccio con più forza del dovuto. «Andiamo via di qui!» Le urlò preoccupato, cercando di tirarla verso di sé.
«Aoyama-kun!» Lo richiamò lei, le lacrime agli occhi.
Avrebbe tanto voluto andarsene via di lì, ma…
Non poteva farlo.
Solo lei poteva intervenire.
Solo lei poteva proteggerlo…
Per un istante, Masaya notò un cambio di sguardo nella ragazza, prima che il branco di pachidermi sfondasse il recinto, dirigendosi di corsa verso di loro.
Ichigo approfittò di quell’attimo di distrazione per spingerlo via dalla loro traiettoria, allontanandolo da sé.
Gli animali imbizzarriti penetrarono nel varco lasciato aperto, coprendo completamente la visuale di entrambi.
Ichigo s’infilò immediatamente la mano in tasca, afferrando la sua spilletta per la trasformazione.
Per fortuna l’aveva portata con sé…
Quello era il momento adatto per scappare via.
«Scusami, Aoyama-kun!» Disse, mischiandosi alla folla di visitatori in fuga e facendo perdere le sue tracce.
Si lanciò tra i cespugli che delimitavano i percorsi guidati dello zoo, assicurandosi di essere al riparo da occhi indiscreti.
S’accucciò contro l’ampio tronco di un albero e si portò la spilla alla bocca.
«Mew Mew Strawberry Metamorfosi!» Sussurrò, e il suo corpo venne avvolto dalla luce iridescente che, ogni volta, la trasformava nella sua controparte felina.
«E ora a noi, stupido Chimero!» Esclamò, sbucando dalla vegetazione con un balzo atletico.
Non l’avesse mai fatto.
Si ritrovò nel bel mezzo del caos.
Gli elefanti, atterriti dalle reazioni del Chimero, erano ormai sconfinati nelle zone pedonali riservate ai turisti e correvano a grande velocità in ogni direzione, alzando nuvole di polvere e terra.
MewIchigo si coprì il naso con un braccio, lanciando lo sguardo ovunque e stando attenta ad individuare un qualsiasi, potenziale pericolo per i visitatori del parco.
I pachidermi, infatti, non erano gli unici animali dello zoo ad essere agitati.
Ruggiti, ululati e latrati d’ogni tipo riempivano l’aria, mischiati alle urla terrorizzate dei presenti.
La situazione s’era fatta improvvisamente drammatica...
Non poteva permettere che un altro momento di spensierata quotidianità venisse rovinato dagli alieni.
«Mettetevi in salvo, presto! Uscite di qui!» Gridò la Mew rosa all’indirizzo dei presenti, compiendo ampi gesti con le mani.
Li vide fuggire alla bell’e meglio, imboccando le uscite del parco di fretta e furia.
Tirò un sospiro, cercando di calmarsi e studiare la situazione.
Non poteva pensare a tutti...doveva dare fiducia al prossimo e augurarsi che tutti ne uscissero sani e salvi senza farsi male.
La sua priorità poteva essere solo una...il Chimero.
Quest’ultimo scalpitava da una parte all’altra dello zoo, devastando le panchine ai lati del sentiero, facendo crollare alberi e sfondando i recinti delle altre bestie con la potenza delle lunghe zanne.
Sembrava una specie di grosso tir impazzito…
«Fermati, bestione!» Esclamò a denti stretti compiendo un giro dell’area, in modo da tenerlo all’interno del suo perimetro d’azione.
Era inutile inseguirlo: il suo schema di movimenti era troppo imprevedibile. L’avrebbe sfinita e, ancora peggio, avrebbe rischiato di essere caricata.
Pronunciò la formula magica e fece comparire in un batter d’occhio la sua campanella.
Avrebbe aspettato, lo avrebbe colpito al momento giusto...
Fortunatamente, sembrava essere un avversario piuttosto stupido.
Anche una strategia così semplice poteva funzionare.
Lo vide portarsi vicino a lei pochi secondi dopo, del tutto inconsapevole della sua presenza.
«Ci siamo! Ribon...» Esclamò, facendo brillare di luce Ia sua campanella.
Fu in quel momento che il suo udito percepì un colpo proveniente dall’alto, diretto verso di lei.
MewIchigo indietreggiò istintivamente con un balzo, evitando per tempo un proiettile.
Quello andò a vuoto, impattando a terra in un’esplosione elettrica.
«Perché tanta fretta, Gattina?» Tuonò una voce maschile.
La Mew Mew alzò la testa e vide sbucare un alieno da un varco dimensionale aperto.
Capelli scuri, occhi dorati...MewIchigo lo riconobbe al volo.  
Aprì la bocca, pronta a dirgliene quattro, quando s’accorse che non era solo.
Accanto a Kisshu, che ella aveva malauguratamente conosciuto durante lo scontro con Miky a casa di Minto, v’era una ragazza.
L’alieno la portava in braccio, cingendole le ginocchia nude con una mano e la vita con l'altra.
Quest’ultima se ne stava aggrappata alle sue spalle con il braccio destro, mentre nella mano sinistra impugnava una pistola color nero pece, esattamente come l’abito corto che indossava e i lunghi capelli che le incorniciavano il viso, scendendo delicatamente sulle spalle nude.
Intensi occhi color ciliegia, uniti al sorriso beffardo sulle sue labbra, vagliavano con attenzione la sua figura; le dita della sua mano destra, avvolte da un guanto scuro, ticchettavano impazienti sul collo dell’alieno.
Orecchie e coda feline, dal manto acceso e striato, sbucavano dalla sua testa e da sotto la sua gonna, manifestando in maniera inequivocabile la sua identità**.
MewIchigo sgranò gli occhi e rimase impietrita mentre i suoi avversari scendevano lentamente fino al suolo, piombando nel mezzo del campo di battaglia con la leggerezza di una piuma.
Nonostante non l’avesse mai vista nelle sue sembianze di guerriera, non aveva nessun dubbio.
Moriyami Suguri, o meglio...MewSuguri, era lì davanti a lei.   
E stava combattendo dalla parte sbagliata.   



 
***  



La Mew gatto deglutì ed abbassò la sua arma, stringendosi nelle spalle.
Era come se le avessero sparato per davvero e il proiettile l’avesse colpita in qualche punto vitale.  
Non riusciva a staccarsi da quell’immagine...i suoi occhi ritornavano continuamente su MewSuguri, ripetendosi al pari di un disco rotto.
In piedi di fronte a Kisshu, le dava parzialmente le spalle.
Entrambi la guardavano di sottecchi, confabulando tra loro, come se stessero studiando le prossime mosse.
Le mani di lei erano poggiate sul corpo dell’alieno e i loro visi era molto vicini.
Fin troppo vicini.
«Moriyami-san…» Balbettò tra sé e sé.
Non riusciva a capire.
Perché se ne andava in giro con gli alieni?*
Eppure l’aveva vista.
La persona che aveva incontrato sulla metro, la ragazza riservata e gentile che l’aveva aiutata...
Aveva provato per lei un’ammirazione istintiva.
Non le era mai capitato prima, se non con Aoyama-kun.
Poteva scommettere che non era un caso...
C’era un legame tra loro che non poteva spiegare.
Non voleva credere che fosse tutto una bugia, frutto della sua immaginazione...
Non voleva credere che le avesse tradite.
Lei era una Mew Mew. Lei era una sua compagna...
Con lei era destinata a condividere la responsabilità di essere una supereroina e il dovere di salvare il pianeta Terra.
Scosse il capo.
Non doveva andare così.
Era tutto sbagliato...
«Moriyami-san!» Gridò ad un certo punto MewIchigo, decisa.
Doveva farglielo capire. Doveva farle cambiare idea...prima che fosse tardi.
La Mew tigre la guardò, ma non disse nulla né cambiò espressione.
«Attenta!»
Una voce accorata alle sue spalle la scosse, attirando la sua attenzione.
Si voltò in quella direzione, ruotando la testa ad ore otto, ed incrociò il grosso Chimero elefante pronto ad attaccarla.
Accanto al mostro, un ragazzo dai capelli e la carnagione scura correva con tutto il fiato che aveva in corpo. Indossava una camicia color mattone, un paio di jeans slavati e...
Aoyama-kun!
Sobbalzò lei, stringendo nervosamente le labbra.
Che volesse avvisarla del pericolo?
Stava rischiando la sua vita per aiutare una Mew Mew...perché?
Se gli stava così vicino, quel Chimero avrebbe potuto ferirlo…
Non se lo sarebbe mai perdonato.
A quell’eventualità, MewIchigo decise di dare un brusco stop a tutti i suoi interrogativi e di scattare rapidamente verso di lui.
«Non avvicinarti, è pericoloso!» Lo avvisò, più preoccupata che mai.
Tuttavia, il giovane ignorò volutamente il suo avvertimento e lanciò uno sguardo al Chimero, attirandone l’interesse.
Virò verso il viale alberato a perimetro del parco, con l’intenzione di distoglierlo dall’intento di attaccare MewIchigo…
Ma purtroppo per lui, quel bestione era piuttosto veloce.
Nonostante tutti i suoi sforzi, stava avendo serie difficoltà a seminarlo come avrebbe voluto. Pochi istanti e sarebbe stato raggiunto, schiacciato dalle sue zampe...
Masaya cominciò a rallentare, sentendosi ormai spacciato, quando con la coda dell’occhio vide la Mew rosa spiccare un lungo balzo verso di lui.
Con le braccia portate in avanti, la ragazza riuscì ad afferrarlo per l’addome e a spingerlo via dalla traiettoria del Chimero, evitando per un soffio una tragedia.
Ruzzolò malamente al suolo per qualche metro prima di perdere del tutto la presa sul corpo del ragazzo, venire sbalzata via con violenza e fermarsi a non molta distanza da lui, faccia a terra e pancia in giù.  
Dopo lunghi secondi di immobilità, MewIchigo lanciò un sommesso gemito di dolore, ma rifiutò di dichiararsi sconfitta. Alzò la testa e si tirò immediatamente sulle braccia, strisciando a rilento sullo sterrato.
Cercò Aoyama-kun con lo sguardo e lo trovò a pochi metri da lei, in posizione più arretrata e sicura.
Le iridi scure di lui incrociarono quelle rosa di lei, e il suo cuore fece un balzo per l’emozione non appena s’accorse dell’apprensione che bagnava i suoi occhi, lucidi e provati per il timore di poterla perdere per sempre.
La Mew gatto tirò un sospiro impercettibile e sentì le sue guance scaldarsi.
Era certamente arrossita...ma all’improvviso non le importava.
Allentò la tensione sulle sopracciglia e dimenticò per un attimo le fitte di dolore, ricambiando quei sentimenti con sguardo ricolmo di dolcezza.
Ricambiando quei sentimenti nel modo in cui aveva sempre desiderato...
Masaya sembrò recepire il suo messaggio ed accolse le sue emozioni, senza staccare gli occhi dai suoi.
Cosa...stava accadendo, quale magia?
Dovevano quasi rischiare di morire a quel modo per riuscire a comunicare in maniera così intima?
Le emozioni erano così intense, adesso…
Era come se volesse parlarle, pur senza aprire bocca.
Era come se volesse dirle ‘Non ti lascio sola, sono qui con te’.
A quell’idea, la Mew Mew si sentì ribollire di lusinga in ogni cellula del suo corpo.
Pareva un bel sogno...o una splendida fiaba.
Ma quello non era il momento...
Non era più Ichigo Momomiya.
Ora era MewIchigo…e solo lei poteva proteggerlo.
Toccava a lei salvarlo...ricambiare il meraviglioso favore che lui aveva cercato di farle.
«Mettiti in salvo...» Gli sussurrò, scandendo lentamente ogni parola e riservandogli uno sguardo pieno d’amore.
Si puntellò con le braccia e si tirò in piedi, stringendo vigorosamente la Strawberry Bell nella mano.
Grazie, Aoyama-kun.
Pensò tra sé e sé, portandosi una mano al petto.
Non attese oltre e partì alla carica, cercando di raggiungere il Chimero bloccato a ridosso di uno dei percorsi pedonali.
Mentre era rimasta a terra, infatti, il pachiderma alieno era andato a sbattere contro la facciata di uno degli info point presenti nella struttura, procurandosi dei danni alla testa. Vide l’animale barrire furiosamente e girare su sé stesso, stordito e pazzo di dolore.
MewIchigo intuì che quella fosse l’occasione perfetta per sconfiggerlo e vi s’avvicinò di corsa. Si fermò ad una certa distanza da lui, abbastanza da farlo rientrare nel suo range d’azione.
«Ribon Strawberry Check!» Esclamò, e il mostro venne avvolto in pieno dal suo fascio di luce.
Non appena lo vide tornare alle sue normali dimensioni abbozzò un sorriso, convinta che fosse tutto finito, ma…
Contrariamente a ciò che accadeva di solito, l’animale non smise di brillare, come se la procedura di trasformazione faticasse a concludersi.
«Cosa succede?» Si domandò, con tono di voce incerto.
Non passò che un istante e una sfera luminosa fuoriuscì dal corpo dell’erbivoro, lanciandosi rapida verso un cucciolo di leone poco distante, fuoriuscito assieme ai fratelli dalla propria area recintata.
La Mew Mew rimase impalata a guardare mentre il piccolo felino si lamentava, rotolando a terra e lanciando striduli guaiti. Le sue dimensioni si moltiplicarono in un batter d’occhio e il suo manto cambiò colore, prendendo una sfumatura violetta.
«Che te ne pare del mio parassita speciale, Gattina?» L’apostrofò provocatorio l’alieno dagli occhi dorati, comparendo sopra il Chimero che assunse ben presto le dimensioni di un enorme leone adulto.
«Kisshu! Che significa tutto questo?» Sputò senza garbo, rivolgendogli occhi pieni di rabbia.
Il ragazzo dalle orecchie a punta ridacchiò senza scomporsi.
«Questo parassita è in grado di cambiare ospite quante volte lo desidera!» Esclamò sicuro di sé. «L’ho studiato appositamente per attaccare in un posto come questo...» Concluse, stringendo gli occhi in due fessure**.
MewIchigo fu atterrita dalle sue parole.
Quel luogo era pressoché perfetto per il suo piano...e, contemporaneamente, una splendida trappola per lei.  
«Da sola non ce la farai mai!» Rincarò la dose lui, sguinzagliando infine il Chimero all’attacco.
MewIchigo non si fece cogliere impreparata ed evitò la zampata del felino nemico con prontezza di riflessi.
Tuttavia, la creatura cominciò ad inseguirla con ferocia, come se volesse condurre un simpatico gioco al massacro.
Il suo comportamento era identico a quello del pachiderma…
«Possibile che questi Chimeri non sappiano fare altro?!» Protestò la Mew gatto, tentando di distrarre o seminare il nemico alle sue spalle.
Non un compito facile...il parassita aveva preso possesso di un corpo ben più agile e prestante del precedente.
Il felino, infatti, compì un lungo balzo e la prese in contropiede, bloccando la sua corsa. La Mew Mew cercò di scappare di nuovo, cambiando direzione, ma subì un attacco che la gettò più indietro.
Riuscì ad atterrare in piedi, ma traballò nel mantenere la sua posizione.
I colpi incassati durante lo scontro con il Chimero elefante e con il drago del giorno prima iniziavano a far sentire i loro effetti…
«Sta arrivando...» Sospirò affaticata, tenendosi le costole indolenzite.
Impugnò la sua arma e se la portò al petto, pronta ad attaccare, ma le parole le si fermarono in gola.
Se l’avesse colpito, il parassita sarebbe finito nel corpo di un altro animale...e lei avrebbe dovuto combattere ancora.
Lanciò uno sguardo in aria, in direzione nord ovest.
Kisshu l’osservava attentamente, pronto a dare manforte al Chimero se non ad ostacolarla nel suo contrattacco.
Abbassò poi gli occhi al suolo, incrociando la figura di MewSuguri.
La scrutava immobile, le gambe incrociate, un braccio stretto sul torace e lo sguardo penetrante fisso su di lei.
«Aiutami...» Sussurrò al suo indirizzo.
Perché non interveniva?
Quali erano le sue intenzioni?
Le sue amiche tardavano ad arrivare.
Da sola non poteva sconfiggere quel Chimero leone…
Si voltò scoraggiata verso di lui e abbassò il peso del corpo sulle gambe, preparandosi a schivare.
L’unico modo era cercare di prendere tempo...
«Ribon Purin Ring Inferno!» Gridò una voce femminile, poco distante da lei.
MewIchigo compì un balzo per allontanarsi dal Chimero, ma questo venne raggiunto da un lampo di luce giallo e si paralizzò, venendo inglobato dentro una sostanza gelatinosa trasparente.
La ragazza dai capelli rosa sgranò gli occhi incredula, studiando più da vicino la grossa bolla gialla.
«Un...budino?» Balbettò sorpresa.
Un budino comparso a seguito di una formula…
Poteva essere...
«Niente paura!»
MewIchigo si voltò in direzione di quella voce e vide avvicinarsi, con passo incalzante, una ragazzina dai biondi capelli corti e il sorriso entusiasta stampato in faccia. Indossava una tutina a pagliaccetto di un color giallo sgargiante, e tra le mani stringeva un paio di tamburelli magici che dovevano presumibilmente essere la sua arma.
Ai lati della testa, coperte da alcune ciocche di capelli, sbucavano un paio di piccole orecchie color marroncino caldo, mentre dal posteriore faceva capolino una coda sottile e arricciata all’estremità, tipica delle scimmie.
La raggiunse in quattro e quattr’otto e si fermò di fronte a lei, rimasta a bocca aperta.
«Tu sei la ragazza gatto che ho visto stamattina in tv!» Esclamò esagitata.
Poi si profuse in un profondo, rapidissimo inchino e si ritirò su con la schiena, facendo il saluto militare.
«Piacere di conoscerla! Io sono MewPurin!» Disse a voce alta, prima di afferrare la sua mano e stringerla energicamente.
«P...piacere...il mio nome è MewIchigo!» Replicò la Mew rosa, un filo di perplessità nella voce. «Ti ringrazio, sei intervenuta nel momento giusto!» Le comunicò poi, sollevata.
«Hai visto che figata di poteri?!» Dichiarò con enfasi, indicando con orgoglio l’opera appena compiuta.
A quel punto, però, MewIchigo scattò all’improvviso e si spinse verso di lei, impedendole di aggiungere altro.
«Attenta!» L’avvertì, tirandola giù al suolo e riuscendo a farle evitare un proiettile lanciato da MewSuguri.
Nello stesso momento, Kisshu sferrò una delle sue sfere d’energia e penetrò il budino lanciato da MewPurin, annullandone immediatamente gli effetti e liberando il Chimero dalla gelatina.
«Scappiamo!» Intimò a quel punto la Mew gatto, aiutando la nuova Mew Mew ad alzarsi e riprendendo a correre.
«Dobbiamo attaccarlo!» Le suggerì MewPurin, affiancandosi a lei.
MewIchigo la guardò con espressione accigliata.
«Se lo attacchiamo, il parassita entrerà nel corpo di qualcun altro! Dobbiamo trovare una soluzione!» Le spiegò, alternando le parole al fiatone.
«Ribon Minto Echo!»
«Ribon Retasu Rush!»
Le formule d’attacco echeggiarono nell’aria e il Chimero leone alle loro spalle venne colpito in pieno, agonizzando.
Come in precedenza, l’animale fu avvolto da una luce che lo fece ritornare alle sue normali dimensioni, prima che il parassita venisse espulso dal suo corpo.
Una sferetta di luce schizzò fuori dal felino e strisciò raso terra, andando alla ricerca di un nuova preda in cui infilarsi.
Raggiunse in pochi attimi un esemplare di pavone maschio che beccava vicino ad alcuni cespugli, e se ne servì come contenitore.
«Ragazze!» Esclamò MewIchigo, correndo incontro alle amiche.
Si lanciò verso MewMinto e le gettò le braccia al collo, piagnucolando.
«Sono così contenta di vedervi!» Biascicò, stringendola forte a sé.
«Vedi di mollami!» Si lamentò la Mew bird, stizzita.
«MewIchigo, lei è…» Mormorò MewRetasu, indicando la ragazzina in giallo.
«Sono MewPurin, piacere!» Proruppe lei, alzando una mano in aria.
«Già, lei è una dei nostri. Invece, quella laggiù...» Annunciò sommessamente la Mew rosa, attirando la loro attenzione su due figure poste al centro del piazzale, là dove prima dell’attacco si trovava il recinto degli elefanti.
Le ragazze si voltarono nella direzione da lei indicata e ciò che videro le lasciò sconvolte.
Una Mew Mew dall’abito nero s’accompagnava a quello che era il loro odiato nemico.
«Non è la Mew Mew che mi ha salvato ieri...» Mormorò MewMinto tra sé e sé.
MewRetasu sobbalzò preoccupata, portandosi le mani strette al petto.
«Si tratta di Moriyami-san!» Affermò turbata.
La leader le rivolse uno sguardo abbattuto e annuì con la testa.
«Perché se la fa con quello lì?! Non dovrebbe combattere con noi?» Domandò ingenuamente la Mew gialla, indicando i due con poco garbo.
«Non ne ho idea...» Le rispose MewIchigo, sinceramente in difficoltà.
Mentre le ragazze parlavano, nella direzione opposta a quella di MewSuguri e Kisshu emerse dagli alberi quello che era un enorme pennuto dall’imponente coda piumata e gli occhi color arancio vivo.
«Quel Chimero...» Riprese a spiegare la Mew neko, «È infettato da un parassita che continua a cambiare ospite. Non basta colpirlo per neutralizzarlo...» Mormorò mortificata, rendendosi conto di non essere riuscita a fare gran che.
«Troveremo un modo per batterlo!» La incoraggiò la Mew scimmia, pronta alla lotta.
«Beh, serve pensarci in fretta...siamo circondate!» Fece notare la Mew azzurra, lanciando uno sguardo in entrambe le direzioni.
MewIchigo avvicinò a sé la Strawberry Bell, stringendola con entrambe le mani.
Non sapeva che fare...
Era preoccupata per le condizioni di Aoyama-kun.
Provava angoscia per il suo ruolo nella squadra...
E infine, era turbata per il voltafaccia della misteriosa Suguri.
Sarebbe davvero riuscita a raddrizzare la situazione?
      








 
***

* Quella che mangia Masaya è la tradizionale colazione giapponese, che si compone generalmente dei due elementi principali, ossia riso bianco bollito (gohan) e zuppa di miso, che consiste in un brodo caldo in cui viene fatto sciogliere il miso (una pasta di soia fermentata) e può essere arricchita da cipolle verdi, tofu, alghe nori e pesce essicato. In aggiunta vengono serviti salmone o sgombro alla griglia, il natto (semi di soia fermentati), la frittata arrotolata (tamagoyaki) generalmente non farcita, e infine verdure e frutta sottaceto, il tutto accompagnato da té verde. Insomma...roba per stomaci forti >.>
Le famiglie generalmente la preparano la domenica mattina, quando non sono di fretta per la scuola, il lavoro o altri impegni quotidiani. QUI un esempio in foto.
** Come ben sapete, Masaya ha dei genitori adottivi che però non vengono mai mostrati né nel manga né nella serie animata. Ho provato ad immaginarli tenendo conto degli ipotetici criteri da soddisfare per poter adottare un bambino. Vista la grande abnegazione che Masaya prova nei loro confronti, ho supposto che si trattasse di una famiglia molto tradizionale, con il padre direttore o vicedirettore di un’azienda e la madre casalinga, entrambi sulla cinquantina o alla loro soglia.
* NHK (Nippon Hōsō Kyōkai) è un’emittente televisiva pubblica che trasmette in tutto il Giappone.
** Ragazzi/e! Ricordiamoci che questa Long è ambientata nel 2004. Questo significa che internet è poco diffuso, i cellulari fanno schifo e i social network e le app di messaggini non esistono. Sappiatelo :)
* «Hai la passione per il furry? A me puoi dirlo, manterrò il segreto! ^.-» nd Kuro ridacchiando
«Come? ^^;» nd Masaya
«Secondo me l’appassionato di furry è quello là.» nd Suguri indicando un Kisshu selvatico svolazzante nei dintorni
«^^?» nd Kisshu
«SIGH» nd Kuro guardandolo
** Lo Zoo di Ueno è uno zoo all’aperto all’interno del quartiere Ueno, in pieno centro Tokyo. È molto grande ed ospita numerose varietà di animali, tra le quali spicca anche il panda gigante. Date le foto che ho visto sul web per poter contestualizzare la scena, è molto plausibile che nel manga, come nell’anime, lo zoo parco nel quale Ichigo e Masaya trascorrono del tempo sia proprio questo, visto che oltre agli animali presenta una piccola area adibita a Luna Park e altre strutture come bar o ristoranti.
* Lo preciso a tutti coloro che non sono esperti mangofili: quando si vedono personaggi scambiarsi messaggini al cellulare, in realtà si scambiano mail. Di preciso non so bene come funzioni, ma in Giappone le usano al posto degli SMS.
** Piccolo aneddoto divertente: quando ho fatto leggere il capitolo alla mia amica e beta MewLeemoon, è saltata fuori questa immagine QUA (VI PREGO GUARDATELA x°) proprio mentre si stava parlando dell’entrata in scena di sti due deficienti.
E niente, la posa che ho descritto evidentemente non è questa, ma è talmente tamarra e IC per entrambi che la dovevo postare e far fare due risate pure a voi :DD
* «No cara, io sono QUINDICI FOTTUTI ANNI che mi chiedo perché a nessuna di voi salti per la mente di seguire uno STRAFICO che ti promette la LUNA, le STELLE e l’UNIVERSO INTERO porca di quella santissima CIPOLLA!! E tu, piccola ed insignificante salsiccetta, ti permetti di farmi queste domande!? TI FACCIO ARROSTO SULLA GRIGLIA E TI MANGIO!!» nd Autrice in modalità Berserk
«Ma che ho fatto? TwT Aiuto» nd MewIchigo
«Attenzione!» nd Suguri prendendo la mira e sparando una siringa con un fucile
* L’Autrice viene colpita e s’accascia a terra addormentata in pochi secondi *
* Suguri s’avvicina e la tira su di peso *
«Sta più attenta alle belve pericolose la prossima volta, Gattina.» nd Suguri guardandola, prima di balzare via e sparire con Kuro svenuta in groppa
«Dove sono finita? Voglio tornare dalla mia mamma TwT» nd MewIchigo
** Il concetto richiama quello del Capitolo 5 nel Volume 2 del Manga. Andate a rileggerlo se avete bisogno di rinfrescarvi le idee :)   

(PS. Ma quante note ho messo?!)



** NOTE DI FINE CAPITOLO **
Non aggiungerò nient’altro, se non una piccola targhetta celebrativa: oggi, infatti, RorD compie un anno di pubblicazione.
Grazie per il vostro affetto!


 

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Capitolo 15
*** First Act ~ XIII. Y-Hello-w! ***


** Long time no see!
Salve a tutti. Mi spiace di aver tardato tanto ad aggiornare, ma ho avuto numerosi problemi personali negli ultimi mesi che non mi hanno incoraggiata a dedicarmi alla scrittura e alla mia vita.
Nonostante la lunga pausa, ho continuato a ricevere molto affetto da parte vostra ♥
Più di una lettrice mi ha scritto in privato, informandomi di aver concluso l’ennesimo re-read dei capitoli finora pubblicati.
Sappiate che vi adoro e che siete un supporto importantissimo per me ♥
Visto che aspettate da molto, passerò subito al dunque c:
Nelle note autore dell’ultimo capitolo vi avevo sottoposti ad alcuni quesiti, i quali si riassumono tutti nelle domande:
Dove voglio andare a parare con il tipo di struttura narrativa che ho scelto?
Cosa vi aspettate dai prossimi capitoli?


Ho già risposto ad ogni recensione che toccava l’argomento, e vorrei ringraziare tutti coloro che si sono espressi al riguardo c:
Ugualmente, mi interessa chiarire a tutti un punto di cui non ho ancora parlato.
Se dovessi scegliere un paragone, si può dire che la struttura narrativa che ho scelto somiglia a quella del Marvel Cinematic Universe.
Una serie di eroi vengono introdotti tramite una dilogia/trilogia di film inizialmente slegati gli uni dagli altri. Man mano che le varie dilogie o trilogie prendono forma, queste si intrecciano tra loro e convergono in una dilogia o trilogia collettiva.
La prima parte di questa longfic introduce i personaggi, le loro motivazioni, il loro mondo e il loro passato.
Questa prima parte si chiama ‘First Act’.
Il ‘Second Act’ corrisponderà al nocciolo della storia e avrà un respiro più collettivo, il punto di fuoco sarà proprio su come le varie identità si intrecceranno tra loro in parallelo allo svilupparsi della trama.
Il ‘Third Act’ corrisponderà alle fasi che porteranno all’epilogo.
Spero che questo vi incuriosisca ancora di più riguardo alla storia c:
Parlando di questo capitolo, posso dirvi che ho passato molto, molto tempo a rimaneggiarlo, soprattutto la prima parte della prima scena: molte cose continuavano a non quadrarmi, e la versione attuale non mi soddisfa ancora.
Quanto è snervante questa sensazione! >.>
Usare il pov di Purin non è affatto semplice come potrebbe sembrare.
Inoltre, ho scoperto che scrivere scene d’azione con molti personaggi in campo è mortalmente difficile >.>
Spero che la apprezzerete comunque, nonostante i difettucci ^^”
Buona lettura!











XIII.
Y-Hello-w!








Quella mattina, lei e la zia* avevano deciso di visitare tutti assieme lo Zoo di Ueno.
Sarebbe stato faticoso portarsi appresso cinque piccole pesti, ma il meteo dava bel tempo e l’entrata era gratuita, perciò le era sembrata una grande idea.
Era da tanto che non si toglievano un piccolo sfizio…
Ogni tanto se lo meritava!

Solitamente, si limitava a dedicare la maggior parte del suo tempo a giocare con i fratellini a casa o al parco, oppure a tenere loro qualche semplice lezioncina di arti marziali in modo da iniziarli all’attività del Dojo di suo padre.
Pensava che sarebbe stata una tranquilla giornata all’aperto, invece le cose non erano andate come aveva previsto.
Il caos era scoppiato all’improvviso, e…
...In lei era scattato qualcosa.
I suoi sensi avevano cominciato a recepire molti più stimoli di quanto non le fosse mai capitato.
Una specie di istinto primordiale l’aveva avvertita di un pericolo in avvicinamento e le aveva letteralmente suggerito di entrare in azione.
Non sapeva bene come, ma sentiva di dover agire, e di doverlo fare su
bito.
Aveva quindi domandato a zia Mei la cortesia di mettere in salvo i suoi fratellini prima di dirigersi verso il luogo indicatole dall’olfatto.
Le sue gambe l’avevano condotta di corsa al percorso di visita due, lungo il quale era possibile ammirare gli animali esotici ospitati allo Zoo.
Mentre saettava in mezzo alla folla di persone che, terrorizzata, scappava nella direzione opposta alla sua, non si accorse minimamente del fatto che il suo corpo avesse cominciato a brillare, modificando il suo aspetto e gli abiti che indossava.
Tuttavia, lo stupore per quell’avvenimento ebbe breve durata.
La prima tappa del percorso di visita, il recinto degli elefanti, era ormai un ricordo.
L’ampio piazzale circolare brullo e sassoso che l’accoglieva, infatti, non ospitava che misere macerie.
Un leone mastodontico, dal manto chiaro e la folta criniera, digrignava i denti e la fissava da lontano, ruggendo cupo in sua direzione.  
A poca distanza da esso, circondati da quelli che erano i resti delle palizzate ridotte in briciole, due individui vestiti di nero chiacchieravano tra loro sottovoce, godendo di quell’impietoso spettacolo.
In posizione ben più defilata, a ridosso del fitto viale alberato che circondava il piazzale, una ragazza dall’abito rosa giaceva al suolo insieme ad un ragazzo.
A giudicare da com’era mal ridotta, doveva aver lottato contro quel mostro enorme...
Avrebbe voluto andare a salvarla, ma una strana nausea la prese allo stomaco, facendola stare male. Si portò una mano alla gola, prima di far uscire dalla sua bocca una manciata di  parole.
Non appena pronunciatole, un paio di tamburelli apparvero come per magia tra le sue mani.
Ne percepì il potenziale al semplice tatto e comprese al volo che si trattassero di armi.
Le sue armi.
Corse dunque in direzione della ragazza vestita di rosa, la quale nel frattempo s’era rialzata a fatica.
Aveva lo sguardo basso e l’arma lasciata lungo il fianco, l’aria stanca ed arresa.
Uno sguardo in più le bastò per riconoscere nella ragazza la Mew Mew con le orecchie da gatto che aveva visto al notiziario quella stessa mattina.
La Mew gialla intuì si trovasse in serie difficoltà, e perciò si convinse ad esclamare con foga la formula che sentiva sgorgare dal cuore.
Indirizzò le armi verso il grosso leone di poco prima, che nel frattempo s’era avvicinato di corsa alla Mew rosa con l’intenzione di aggredirla, e dalle sue armi fuoriuscì un raggio di luce gialla che cristallizzò il felino dentro ad un budino.
MewPurin sorrise istintivamente a quella vista, più euforica che mai.
Era tanto elettrizzata da non riuscire in nessun modo a contenersi!
Aveva dei poteri magici e stava combattendo in nome della giustizia.
Quella sensazione la rinvigorì ancor di più quando vide giungere in soccorso di MewIchigo altre due compagne, le quali si posero immediatamente in sua difesa.
Il Chimero leone, liberato dalla morsa gelatinosa grazie ad un colpo dei nemici, era stato sconfitto immediatamente da una freccia di MewMinto.
Pensava fosse finita, ma s’accorse ben presto che non era ancora arrivato il momento di gioire.
Una medusa trasparente sbalzò fuori dal leoncino e s’impadronì di un esemplare di pavone poco distante, trasformandolo a sua volta in un pennuto di dimensioni XXL.
Quello sbarrò minacciosamente l’unica via di fuga a ore dieci.
Per quanto riguardava la via di fuga a ore due, beh…
Quella era ostacolata dalla presenza dei due brutti ceffi in nero, avvicinatisi alle Mew Mew nei pochi secondi di concitazione nei quali nessuno aveva prestato loro attenzione.
Avevano finalmente deciso di entrare in azione e combattere...
MewPurin, che fino a quel momento li aveva solo scorti da lontano, lanciò loro un’occhiata per poterli osservare meglio.
Si trattavano di un tizio con le orecchie a punta e gli strani indumenti scuri, armato di sai, e di una Mew Mew dal corto abito nero e la coda e le orecchie di una tigre.
Nella mano destra stringeva quella che doveva essere la sua arma, la quale, suo malgrado, non riusciva a distinguere, immersa com’era tra le balze della sua gonna.
Se ne stavano immobili come statue ad osservarli, gli occhi penetranti come predatori pronti alla caccia.
L’alieno rivolse a lei e alle compagne un sorrisetto raggelante e a quella vista rabbrividì istantaneamente nelle spalle, incapace di capire perché.
MewPurin ignorò quel breve attimo di sgomento e scosse la testa, tornando a concentrare la sua attenzione sul Chimero alla sua sinistra.   
Quel pavone dalle dimensioni titaniche guardava a lei e alle altre Mew Mew come ad un bel pranzo, il becco semiaperto pronto a sferrare furiose beccate.  
Non sarebbe rimasta lì a farsi mangiare.
Si sentiva carica, traboccante di energie...
Ce l’avrebbe messa tutta per evitare che quello splendido posto venisse distrutto.
«Dobbiamo dividerci!» Ordinò a quel punto la Mew uccello vicina a lei, sussurrando alle compagne. «Ho analizzato la situazione, ed è l’unico modo che abbiamo. Dobbiamo tenere impegnati quei due!» Esclamò, indicando l’alieno e la Mew nera alla loro destra. «Se non lo facciamo, ci impediranno di attaccare il Chimero!» Aggiunse poi, accennando al grosso animale alla loro sinistra.
A quelle parole, MewPurin scattò sull’attenti.
«Ci penso io!» Replicò, rivolgendole lo sguardo.
La Mew azzurra abbassò il suo su di lei, fissandola in silenzio per qualche secondo.
«Quali sarebbero i tuoi poteri?» Le domandò, con una punta di scetticismo nella voce.
La Mew gialla incrociò le braccia e le lanciò un’occhiata sorniona.
«Sparo budini in faccia alla gente!» Rispose lei, con visibile esaltazione nella voce.
MewMinto inarcò un sopracciglio.
«Spari...budini?» Ripeté incredula la ballerina.
MewIchigo la guardò e tirò MewPurin a sé, come a volerla far stare buona per un attimo.
«Può bloccare i movimenti del nemico intrappolandolo in grossi budini...» Cercò di spiegare lei, mimandone le dimensioni con le mani.
MewMinto si portò una mano al mento.
«Potrebbe rivelarsi utile...» Mormorò, riflettendoci su.
MewRetasu interruppe le sue supposizioni, scrollandola delicatamente.
«Attenzione, sono scomparsi!» Avvertì lei, indicando il punto in cui si trovavano in precedenza Kisshu e MewSuguri.
Le ragazze si misero in allerta ed acuirono i sensi, pronte a scattare o ad inforcare le proprie armi al minimo segnale di pericolo.
In quell’esatto momento, il Chimero pavone gorgheggiò rumorosamente e partì alla carica, dirigendosi pericolosamente verso di loro.
«Lo blocco io!» Esclamò MewPurin, puntandogli addosso i suoi tamburelli. «Ribon Purin Ring...» Cominciò a formulare, quando una sfera d’energia le arrivò addosso dall’alto, colpendola alla schiena.
«Ferma, bambina!» Esclamò Kisshu, comparso sopra le loro teste con il teletrasporto. MewPurin gemette dal dolore e cadde al suolo, una dolorosa scossa elettrica lungo le membra.
Strinse i denti piena di rabbia, cercando di distogliere l’attenzione dalla fastidiosa sensazione di bruciore che quel colpo le aveva procurato.
 Non si sarebbe fatta battere così...
«Non si attacca alle spalle, vigliacco!» Gridò all’indirizzo dell’alieno, cercando di rialzarsi in ginocchio.
Da lì non riusciva proprio a vederlo...
«Fermo!» Sentì dire MewMinto alle altre, spiccando il volo dal punto in cui si trovava.
MewPurin inclinò il collo e vide la compagna raggiungere il nemico in pochi secondi, con un rapido e deciso movimento delle sue ali.
Si fermò di fronte a lui, rivolgendogli un’occhiata al veleno.
«Non ti vergogni ad attaccare una bambina alle spalle?» Domandò furiosa all’alieno, riservandogli uno sguardo acido.
Kisshu sorrise e strinse gli occhi, minimamente colpito. «Perché dovrei?» Replicò, prima di abbassare le spalle e concentrare tutta la forza sulla parte bassa dell’addome. Si servì delle reni e compì uno scatto verso di lei, tentando di colpirla con tutto il peso del corpo.
La Mew uccello intuì la sua mossa riuscì a spostarsi per tempo, evitando all’ultimo la sua offensiva. Scelse poi di allontanarsi immediatamente da lui, forse ben conscia del fatto che un combattimento ravvicinato non l’avrebbe avvantaggiata, e caricò la sua arma con un dardo di luce, puntandolo verso l’alieno.
Quest’ultimo, d’altro canto, rimase a mezz’aria ad osservarla, cercando di studiare la sua tattica.
«Ti aiuto!» Esclamò a quel punto MewIchigo, eseguendo un balzo verso il ragazzo armato di sai per dare manforte all’amica.
Non riuscì a vedere di più, poiché la Mew verde le si avvicinò di corsa e le si affiancò, coprendo il suo campo visivo.
«Ribon Retasu Rush!» La sentì formulare, e una maestosa cupola d’acqua fece da scudo a una beccata del Chimero, il quale s’era abbassato verso di lei nel tentativo di colpirla.
«Stai bene, MewPurin?» Domandò a quel punto la Mew focena, lanciandole uno sguardo preoccupato.
MewPurin annuì con la testa e si tirò in piedi con un balzo, pronta a tornare di nuovo in azione. «Wow, quanto è fico il tuo scudo!» Commentò, osservandolo con interesse.
Il Chimero, infatti, non riusciva ad infrangerlo, nonostante la mole considerevole.
MewRetasu abbozzò un lieve sorriso ed arrossì sulle guance.
«È forte, non resisterò a lungo!» Replicò, stringendo le labbra e mantenendo i muscoli tesi in quella posizione.
Come se si fosse accorto di stare facendo degli sforzi inutili, il pennuto indietreggiò, rinunciando a sfondare lo scudo.
Alzò il collo al cielo e cacciò un verso acuto e strozzato, muovendo goffamente le ali.
Le due Mew Mew mantennero lo sguardo fisso su di lui, aspettandosi l’arrivo di una mossa micidiale, ma l’uccello si limitò a srotolare la gigantesca coda e distendere le piume, rimanendo fermo nella sua posizione.
I raggi del sole si riflessero su di esse, facendole brillare di una luce accecante. MewPurin fu costretta a chiudere gli occhi e ripararsi la vista, perdendo per lunghi secondi il contatto con l’ambiente circostante.
«Dannazione!» Biascicò a denti stretti mentre un forte ronzio le riempiva le orecchie, impedendole di sentire chiaramente i suoni attorno a lei.
Anche quella doveva essere opera di quel mostro. «Non riesco a vedere nulla!» Balbettò MewRetasu accanto a lei, ciondolando vistosamente in avanti.
MewPurin sbatté energicamente le palpebre nel disperato tentativo di riacquistare la vista, e i suoi occhi lacrimarono per lo sforzo.
Non ci voleva proprio...in quelle condizioni erano molto vulnerabili.
«Ribon Suguri Explosion!»
MewPurin percepì per miracolo la formula di MewSuguri, la quale riecheggiò nell’aria seguita dal fragore di colpi d’arma da fuoco.
Si concentrò meglio, cercando di rimanere mentalmente lucida e non farsi prendere dal panico in un momento così cruciale.
Poteva riuscire a sentirlo...
Il ticchettio di un grilletto.
Doveva aver usato la sua arma.
Una pistola...
Quindi le sue intenzioni erano…
«Sta giù!» Esclamò la ragazzina dai capelli biondi, lanciandosi alla cieca addosso alla compagna e riuscendo a portarla miracolosamente al sicuro.
Quando udì il sibilo dei proiettili passare sopra le loro teste poté tirare un sospiro di sollievo, certa che si trovassero al riparo.  
Ora era tutto più chiaro...
Ecco perché la Mew tigre era scomparsa senza partecipare alla battaglia.
S’era nascosta in mezzo alla vegetazione, pronta ad agire nel momento più opportuno...
Non aveva dubbi, era stato tutto calcolato in precedenza.
Lei e Kisshu avevano approfittato dei poteri del Chimero per colpirle tutte assieme ed immobilizzarle.
Un piano diabolico...
«Ah!» Gemette la Mew focena ancora stordita, accorgendosi di essere stata gettata a terra. Si strofinò energicamente gli occhi, riprendendo pian piano a vedere.
«Che succede?» Chiese poi, spaventata.
La ragazzina grugnì al suo indirizzo.
«Succede che ci sparano addosso!» Le urlò contro la Mew scimmia, tirandosi in piedi. «Su, rialzati!» La esortò in seguito, porgendole una mano. «Abbiamo bisogno del tuo scudo!»
«Il mio scudo?» Ripeté lei, prima di accettare il suo aiuto e rimettersi in piedi, incerta.
MewPurin la guardò di sottecchi.  
Non sembrava avere esattamente la stoffa della guerriera...  
«Sì, fa come ti dico e scherma la sua offensiva!» Le ordinò MewPurin con impeto, indicando la Mew in nero diretta di corsa verso di loro.
Poi si mordicchiò il labbro inferiore e si guardò attorno, nervosa.
MewIchigo e MewMinto giacevano a terra poco distanti, preda delle morse paralizzanti dei proiettili.
Dovevano essere state colpite dalla loro avversaria.
L’alieno, rimasto anch’egli coinvolto dalla luce emanata dal Chimero, fluttuava in aria, tenendosi la testa.
Con quegli occhiacci da animale che si ritrovava, forse era più sensibile alla luce di quanto non lo fossero gli esseri umani…
Poteva essere un vantaggio.
Avevano ancora qualche secondo per elaborare un piano d’attacco...
Voltò lo sguardo alla sua destra, incrociando il grosso pavone che aveva tentato di attaccarle in precedenza. Lo vide inarcare il collo all’indietro, forse per caricare una seconda beccata diretta verso di lei e la Mew verde.
Ah no! Non si sarebbe fatta fregare da quello stupido pennuto!
Lei era una fottuta supereroina!
«Sei solo un pollo gigante!» Gridò MewPurin, scattando determinata verso di lui.
La sua esperienza nel campo delle arti marziali le aveva insegnato alcune importanti e semplici regole.
Più un avversario è grosso, più è lento.
E più è grosso…
«Più fa rumore quando cade!» Esclamò, entrando sulla zampa dell’uccello con un calcio volante e colpendone in pieno il ginocchio. Il Chimero emise un rumoroso lamento, prima di sbilanciarsi in avanti e scivolare malamente a terra, alzando una nuvola di polvere.
«E uno è sistemato!» Commentò la Mew Mew ad alta voce, voltandosi in direzione delle compagne.
A pochi metri da lei, MewRetasu era intenta a farsi scudo dall’offensiva corpo a corpo di MewSuguri. La Mew nemica cercava con tutte le forze di penetrare la barriera d’acqua a spallate, ottenendo tuttavia magri risultati.
La vide allora alzare di sbieco lo sguardo e lanciarlo oltre la Mew verde, abbozzando un sorrisetto soddisfatto. MewPurin seguì i suoi occhi con sospetto ed incrociò la figura dell’alieno in rapido avvicinamento dal cielo, pronto a mettere fuori gioco la Mew focena a sua completa insaputa.  
Kisshu si teletrasportò in un lampo e riapparve alle spalle di MewRetasu, accorciando brevemente le distanze da lei. Lo vide far roteare il sai nella mano destra e tirare il gomito all’indietro, intenzionato a colpirla con la lama.
La Mew gialla digrignò i denti furiosa e compì un lungo balzo verso di lui, eseguendo un altro calcio volante all’altezza del volto.
L’alieno riuscì a scorgerla con la coda dell’occhio, ma era ormai tardi perché la evitasse. Riuscì a parare la sua offensiva con l’avambraccio ma MewPurin lo colpì ugualmente, gettandolo lontano di qualche metro.
«MewIchigo, pensa al Chimero!» Urlò lei a gran voce, con la speranza di farsi sentire dalla leader del team. I suoi occhi color marroncino rimasero inchiodati alla sagoma di Kisshu, il quale aveva fortemente attutito gli effetti del suo calcio restando in volo.
«Cosa vuoi fare, ragazzina?» La schernì Kisshu, prima di scagliarsi su di lei senza aspettarsi una risposta.
Le arrivò addosso come un fulmine, il braccio sinistro in avanti e il destro più arretrato, il sai impugnato nella mano di quest’ultimo.
MewPurin indietreggiò con uno dei suoi salti acrobatici, evitando la lama per pochi centimetri. Il suo corpo s’irrigidì per un istante, un improvviso brivido di paura misto ad adrenalina lungo la spina dorsale.
Era questo che significava combattere davvero?
Non era come sul tatami…
Qui si rischiava la pelle.
Deglutì a quella constatazione, cercando di non perdere il controllo sulle sue azioni. Kisshu cominciò a mangiarle terreno poco a poco, affondando con impeto nelle sue difese. MewPurin evitò quell’ennesimo tentativo di offesa, ma indirizzò immediatamente la sua attenzione alla sua destra, dove il braccio sinistro dell’alieno s’avvicinava sempre più, armato del secondo sai.
Afferrò saldamente uno dei suoi tamburelli e lo usò per parare il colpo, facendo in modo che l’elsa vi ci rimanesse bloccata. Non ebbe il tempo di pensare ad altro, se non a fermare una nuova offensiva ad ore dieci.
Bloccò anche questa volta l’elsa entro il tamburello, impedendogli così di avvicinarsi con la lama al suo addome.
A quel punto, Kisshu le rivolse lo sguardo e MewPurin si ritrovò, suo malgrado, costretta a quel contatto visivo.
Venne assorbita dalle sue iridi, di un dorato freddo e soffocante al tempo stesso.
L’espressione sul suo volto non era cambiata e trasudava una sicurezza di sé praticamente urticante.
«E ora?» Le domandò canzonatorio, facendo riferimento alla situazione di stallo in cui si trovavano.
La scimmietta sostenne il suo sguardo, cercando di non farsi intimorire.
Se era quello il suo gioco, non voleva proprio cascarci…
«Ho bloccato i tuoi colpi...ti ho fregato!» Replicò lei, facendogli una linguaccia.
Kisshu inarcò un sopracciglio e ridacchiò sommessamente.
«No...» Rispose lui, sorridendo. «...T’ho fregato io.»
A seguito di quelle parole, il ragazzo fece pressione su uno dei tamburelli ed approfittò di quel breve attimo di distrazione per disarmarla di quest’ultimo.
Si liberò poi del sai che impugnava nella mano destra e chiuse le dita nel pugno per sferrarle un rovescio allo stomaco.
Quel colpo avrebbe potuto metterla definitivamente KO…
Presa in contropiede, MewPurin abbassò il tamburello per preparare una difesa, ma Kisshu l’anticipò ancora, spostando repentinamente il braccio dal suo campo d’azione per colpirla alla tempia con il taglio secco della mano.
MewPurin accusò la botta e barcollò, provando un breve senso di straniamento.
Una finta...
Pensò, prima di provare il sapore amaro di un altro pugno, questa volta sotto le costole. Boccheggiò, ripiegandosi a riccio su sé stessa.
Porca miseria se era forte…
Ma non voleva darsi per vinta.
Spinta dall’istinto, afferrò il braccio sinistro dell’alieno, quello che impugnava ancora il sai, con la mano lasciata libera dal tamburello di cui lui s’era disfatto poco prima.
Con uno sforzo delle reni lo tirò a sé e lo spinse giù, cercando di immobilizzarlo in modo da non nuocerle.
A quel punto, una freccia luminosa di MewMinto lo colpì alla schiena, paralizzandolo sul posto. Kisshu s’inarcò all’indietro e traballò, biascicando a denti stretti prima di accucciarsi ai suoi piedi.
La Mew scimmia approfittò dell’aiuto della Mew uccello e calciò la mano dell’alieno, facendogli perdere la presa sul suo tridente.
S’abbassò poi su di lui e affondò il gomito tra le sue scapole, facendolo tremare in silenzio fino a farlo crollare del tutto a terra.
Soddisfatta, recuperò il tamburello che le era caduto e s’allontanò di corsa dall’alieno.
Si prese un attimo per recuperare ossigeno, tenendosi contemporaneamente il ventre con una mano e asciugandosi la fronte con l’altra.
Era madida di sudore per la tensione e la fatica.  
Sistematasi alla bell’e meglio, alzò nuovamente gli occhi, concentrandosi sulla situazione del campo di battaglia.
A pochi passi da lei, MewRetasu e MewMinto si stavano occupando di MewSuguri, attaccandola ripetutamente in modo da costringerla a giocare in difesa.
MewIchigo, dal canto suo, stava facendo il possibile per distrarre il Chimero pavone, rialzatosi faticosamente a seguito del calcio che le aveva assestato poco prima, per impedirgli di aprire di nuovo la coda.
MewPurin si fermò per un secondo a pensare e la richiamò da lontano, incrociando subito lo sguardo con quello dell’amica.
Non appena ottenuta la sua attenzione, si limitò a farle un cenno con la testa e a lanciare al cielo i suoi tamburelli, scuotendoli per aria come due racchette.
«So come sconfiggerlo!» Le gridò, prima di dirigersi di corsa verso il pennuto.
La Mew rosa le lanciò un’occhiata poco convinta, ma decise di fidarsi di lei.
Prese le corrette distanze dal Chimero e puntò la Strawberry Bell verso di lui, pronunciando ad alta voce la sua formula.
Il mostro venne colpito dal fascio di luce e strillò di dolore, annunciando in tal modo di essere prossimo a ritrasformarsi.
MewPurin attese il momento esatto in cui l’animale tornò alle sue dimensioni originali prima di scagliare con decisione il suo attacco a ridosso delle sue zampe.
Il budino giallo comparve all’improvviso in uno schiocco di luce, incrociando sulla sua traiettoria il parassita alieno, già pronto a guizzare via come un topo.
Quest’ultimo, impossibilitato a difendersi in quella debole forma, rimase inevitabilmente cristallizzato dentro la gelatina.
A quella vista, un sorriso di gioia s’aprì sul viso della ragazzina.
«Ce l’ho fatta!» Urlò entusiasta lei, cominciando a saltare dappertutto.
MewIchigo la osservò festeggiare e sorrise, facendosi contagiare dalla sua allegria.  S’avvicinò stanca al frutto del suo Purin Ring e ne accarezzò la superficie gelatinosa, incredula del piano che quella ragazzina era riuscita ad escogitare per farle uscire da quell’impasse.
«MewPurin!» La chiamò poi, facendole un ampio gesto con la mano.
«Che c’è?» Gridò lei, fermandosi di colpo.
«Come ti è venuto in mente di intrappolare il parassita nel budino?» Domandò la Mew gatto, eccitata e curiosa.
La scimmietta rise, coprendosi la bocca con entrambe le mani.
«Ho tirato ad indovinare!» Ammise candidamente lei.
«Come?!» Esclamò MewIchigo perplessa, portandosi una mano in faccia.
Sospirò tra sé e sé. «Beh, ciò che conta è che ce l’abbiamo fatta...» Aggiunse, assicurandosi che il para para fosse ormai innocuo.
«Potete sognarvelo!»
La voce di MewSuguri tuonò nell’aria, guastando quel piacevole momento di gloria.
MewPurin bloccò repentinamente la sua eccitazione non appena vide la Mew nemica avvicinarsi a loro ed afferrare la pistola con entrambe le mani, decisa a colpire il suo budino.
Lanciò uno sguardo preoccupato alle sue spalle ed individuò i corpi di MewRetasu e MewMinto, distesi doloranti a terra.
Nonostante avessero cercato in tutti i modi di disarmarla, non c’erano riuscite.
Quella tipa era davvero tosta...
«Ribon Suguri Explosion!» Esclamò a quel punto MewSuguri, premendo il grilletto con tutte le forze che le erano rimaste in corpo.  
Il suo proiettile si diresse rapido come un fulmine contro il Purin Ring, ma venne parato per tempo dal campo di difesa di luce generato dalla Strawberry Bell di MewIchigo.
«Non te lo permetterò!» Replicò la Mew gatto, gettando alla Mew nemica uno sguardo deciso.
MewPurin aggrottò le sopracciglia e scattò in avanti, bucando l’aria col suo corpo.
«Lascia, faccio io!» Le suggerì la ragazzina, compiendo un lungo balzo verso MewSuguri. Atterrò ad un tiro di schioppo da lei ed approfittò spudoratamente delle sue condizioni, penetrando la sua difesa e a disarmandola con un calcio improvviso sferrato alle mani.
MewSuguri ingoiò un ruggito ed abbassò il baricentro del corpo per indietreggiare ma MewPurin glielo impedì, afferrando con forza uno dei suoi avambracci.  
Più veloce della luce, spinse i tamburelli stretti nella mano contro le sue costole, lasciandosi andare ad un sorrisetto di soddisfazione.
«Ribon Purin Ring Inferno!» Formulò, e la ragazza dai lunghi capelli scuri irrigidì le membra, rimanendo prigioniera della gelatina in pochi secondi.
MewPurin trattenne a fatica una risata divertita. 
«Ben le sta!» Commentò tra sé e sé, fregandosi energicamente le mani per liberarle dalla polvere.
Gettò un occhio al budino alle sue spalle, attorno al quale s’erano riunite le Mew Mew, e notò una strana palletta di pelo rosa svolazzarvi attorno, tutta intenta a scavarvi attraverso per raggiungere il parassita alieno in esso prigioniero.
«MewPurin!» La richiamò MewIchigo per l’ennesima volta, attirando la sua attenzione con ampi gesti della mano.
MewPurin le si avvicinò di corsa e la Mew rosa si mise in ginocchio di fronte a lei per abbassarsi alla sua altezza.   
«Non ti sembre di avere esagerato?» Le domandò, lanciando un’occhiata accigliata alla Mew nera rimasta vittima dei suoi poteri.  
La ragazzina si soffermò sulla nemica per qualche secondo e rimase in inebetito silenzio, non comprendendo il significato di quella domanda.
«Perché?» Le chiese lei, ingenuamente.
«Non capisci? Lì dentro potrebbe soffocare!» Replicò con agitazione la Mew neko, prendendola per le spalle.
Lei grugnì in risposta, sbattendo un piede a terra.
«Non merita nessuna pietà!» Replicò MewPurin, incrociando le braccia al petto contrariata.
MewIchigo la guardò dritta negli occhi e la scosse, come a volerla far ragionare.
«È pur sempre una Mew Mew...» Puntalizzò lei. «Una...di noi.» Balbettò, non del tutto sicura della sua affermazione.
La scimmietta rimase colpita da quelle parole ed allentò per un attimo le sopracciglia, rendendosi conto delle conseguenze che avrebbero potuto avere le sue azioni.
Forse aveva ragione lei?
In quel momento, le sue orecchie percepirono quella che sembrava essere una sciabolata provenire dalle sue spalle. Si voltò in quella direzione e vide quell’alieno dagli occhi spaventosi sorreggere MewSuguri tra le braccia, visibilmente intontita per la mancanza di ossigeno.
«Tutto ok?» Lo sentì sussurrare all’indirizzo della ragazza, aggrappata alle sue spalle.
MewSuguri ruotò le pupille e lo guardò, ringhiando furiosa.
«Odio i mocciosi.» Mugugnò lei a bassa voce, stizzita.
«A chi lo dici...» Replicò lui, irritato.
MewPurin strabuzzò gli occhi.
Non aveva dubbi, stavano parlando di lei!
Entrambi gettarono uno sguardo in tralice al gruppo di supereroine, ma non proferirono una singola parola.
Le Mew Mew, per reazione, si schierarono in formazione di difesa, stanche ma pronte a riprendere gli scontri.
«Non ne avete avuto abbastanza?» Esordì MewPurin imbracciando i tamburelli, come a voler rispondere alle provocazioni che i due si erano scambiati tra loro poco prima.
Kisshu le riservò un’occhiata perplessa, ridacchiando sotto i baffi.
Non si levava mai quell’aria di superiorità dalla faccia…
«Siete state brave!» Replicò lui, complimentandosi con loro per averli messi tanto in difficoltà. «Ma non crediate che sia finita qui!» Esclamò.
Infine si teletrasportò nell’aria e sparì nel nulla, portando la Mew tigre con sé.
Volare, svanire a piacimento…
Ma che razza di creature erano quelle?
MewPurin sbuffò, rifiutandosi categoricamente di scervellarsi oltre.   
Abbassò definitivamente la guardia e rilassò le spalle, tirando un sospiro di sollievo.
«Ah, meno male che è finita!» Sentì pronunciare da MewIchigo all’indirizzo delle amiche. Quelle annuirono, abbozzando un sorriso sulle labbra.
MewPurin se ne fece contagiare.
Già, era finita…
...e tanto del merito per quella vittoria era suo!
Niente male come prima prova!
Considerò soddisfatta, facendo sparire i tamburelli in uno schiocco di luce.
I suoi pensieri andarono subito ai suoi fratellini.
Chissà come se la stavano passando? Dovevano presi una tale paura!
Incrociò le braccia dietro la testa e chiuse gli occhi, stiracchiando i muscoli della schiena.
Non aveva nessun cattivo presentimento.
Era certa che zia Mei li avesse messi in salvo...
«Ahhh...» Si lamentò a quel punto, portandosi una mano al ventre.
Borbottava furiosamente per la fame...in tutto quel trambusto non s’era proprio accorta.
Lanciò uno sguardo alle Mew Mew, supplicandole con i grandi occhi castani.
«Ragazze...» Mormorò, attirando definitivamente la loro attenzione.
Non appena vide il loro sguardo puntato addosso a lei riprese a parlare, non prima d’aver messo in bella mostra un persuasivo sorriso a trentadue denti.
«Andiamo a mangiare qualcosa?» Propose la ragazzina, strepitando. «Io ho una fame da lupi!»

 



***




Cinque…
Contò tra sé e sé, rassegnato, prendendo nota di quante volte avesse accavallato le gambe da quando si trovava lì.
Si molleggiò sullo schienale a forma di cuore della seggiolina laccata bianco su cui sedeva, picchiettandosi pigramente la nuca con le dita di una mano. Poi chiuse gli occhi e rilassò i muscoli, cercando di non pensare a quanto quella seduta sembrasse, di minuto in minuto, sempre più a una graticola arroventata.
Il Caffé s’era preso un paio d’ore di chiusura in piena domenica pomeriggio, uno dei momenti di maggiore affluenza di clienti, per quelle che erano state definite necessità di forza maggiore.
Più precisamente, si trattava di una 'riunione straordinaria’ che lui era stato costretto ad accettare sotto gentilissima minacc..emh, richiesta delle quattro Mew Mew, per tentare di salvare la sua pellaccia.
Tirò un sospiro dalle labbra semi chiuse.
Sembrava ieri da quando aveva cominciato ad occuparsi del Mew Project, a seguito della morte dei suoi genitori.
Quanti erano stati i giorni, gli anni passati a ripetere calcoli e ricerche, al solo scopo di raggiungere la perfezione?
Ogni briciolo delle sue energie era stato speso per trovare un team di giovani ragazze dalle caratteristiche geneticamente impeccabili, pronte a tutto per la difesa della Terra.
Ichigo, la Mew gatto determinata e sbarazzina.
Minto, la Mew uccello analitica e risoluta.
Retasu, la Mew focena altruista e gentile.
E infine la piccola Purin, la Mew scimmia energica e vulcanica aggiuntasi da poco al gruppo di supereroine.  
Sì, era tutto corretto.
Avrebbe fatto di tutto per proteggerle, persino dare la vita...
...Tutto, tranne che essere costretto a sentire quei discorsetti femminili da té delle cinque che riempivano a loop le sue orecchie da mezz’ora.
No, non era proprio fatto per quel genere di cose.
D’altronde, se Keiichiro l’accompagnava ovunque c’era pure un motivo…
Tuttavia, in quell’occasione persino lui era stato capace di abbandonarlo al suo destino, approfittando di quella pausa per uscire a prendere degli ingredienti che avrebbe voluto usare per sperimentare un nuovo dolce.
Alzò pigramente una palpebra, lanciando un’occhiata distratta alle ragazze.
Se ne stavano tutte e quattro in cerchio attorno ad uno dei tavolini del locale.
La ballerina dai capelli scuri, in posizione centrale rispetto al gruppo, era seduta a braccia incrociate e dava gli occhi al cielo, dondolando nervosamente una gamba.
Ichigo, seduta alla sua sinistra, si stropicciava di continuo l’orlo della gonna a pieghe che indossava; gli occhi vacui fissavano distrattamente un punto del tavolino di fronte a lei senza distaccarsene mai.
Retasu, in piedi a destra della rossa, teneva le mani giunte sul ventre e sorrideva in silenzio, mentre Purin, dal lato opposto al suo, poggiava gli avambracci sullo schienale di una sedia e ondeggiava avanti e indietro, trattenendo tutto il peso del corpo su un solo piede.
Improvvisamente, Minto s’alzò in piedi e spezzò il teso silenzio che s’era insinuato tra loro, sbattendo le mani sulla superficie del tavolo.
«È inconcepibile!» Proruppe a quel punto, incapace di trattenersi oltre.
Ryou grugnì ma non si scompose, rimanendo immobile.
Se lo sentiva, stava per scoppiare una tempesta...
«A cosa ti riferisci, Minto-san?» Domandò immediatamente Retasu, nell’impacciato tentativo di calmare l’ira della compagna.
Minto arricciò il naso, lanciandole un’occhiataccia.
«Parlo di quella tizia che s’è messa contro di noi! Chi altri?» Sbottò lei, infuriata.
Retasu abbozzò un sorriso nervoso.
«Moriyami-san?» Precisò timidamente, aggiustandosi gli occhiali sul naso.
La ragazza con gli chignon, in risposta, sventolò una mano per aria.
«Quello che è!» Esclamò, dimostrandosi completamente disinteressata al suo intervento. «S’è messa in testa di allearsi con quel...coso disgustoso!» Commentò poi, acida.
Ryou rimase scosso da quelle parole e la sua reazione riflessa fu quella di riaprire gli occhi, nell’incerto tentativo di riprendere contatto con la realtà.  
Allungò di più l’orecchio mentre un tic nervoso s’impadronì del suo piede, tradendo la sua maschera di freddezza.
Finalmente qualcosa di quelle chiacchiere catturava il suo interesse...
Una Mew Mew aveva fatto comunella con gli alieni?
Non gli era difficile immaginare di chi stessero parlando…
«Non ci voleva proprio...» Borbottò tra sé e sé, massaggiandosi ossessivamente il mento con le dita.
A quella considerazione, alzò lo sguardo dal pavimento, sul quale si era ossessivamente soffermato, incrociando quello furente ed accusatorio di Minto.
Ryou aggrottò le sopracciglia e sospirò, maledicendosi immediatamente per averlo fatto.
«E tu, Shirogane?» L’apostrofò lei, puntandogli un dito addosso. «Invece di startene lì a sonnecchiare, potresti partecipare?» Rimarcò, fissandolo duramente.
L’americano sostenne il suo sguardo con fermezza, distendendo i muscoli della fronte.
Non aveva nessuna voglia di mettersi a litigare, tanto più che la sua posizione doveva essere la più neutra possibile, in modo da non sbilanciare equilibri e animi.  
«Beh? Cosa pensi che dovrei fare io, esattamente?» Le rispose, allungando il dorso sullo schienale della sedia. «Andare a prendere questa ragazza di peso e costringerla a far parte del team?» Le domandò infine, lapidario.
Una provocazione della quale si pentì subito.
Che idiota.
Faceva il sostenuto, ma in realtà…
L’idea che una delle Mew Mew si fosse alleata con gli alieni gli faceva venire i brividi.
Strinse le mani nel pugno, nervoso.
Cosa poteva fare concretamente uno come lui?
Era piombato nella vita di quelle ragazze all’improvviso, senza aver chiesto il consenso a nessuna di loro.
Se qualcuna non si fosse trovata d’accordo, o persino si fosse ribellata ad una sua decisione, arbitraria ed egoistica…
In fondo se lo sarebbe meritato.
Era la sua punizione...
«Potresti esprimere la tua opinione, non è forse per causa tua se siamo qui?» Gli rispose la ballerina, non il minimo cambio di tono.
Esatto...per causa mia, Pensò.
Si schiarì un poco la voce prima di rispondere.
«Il punto è che io non sono una Mew Mew» Cominciò lui, sospirando. «Siete voi le uniche a poter comprendere il vero stato d’animo di quella ragazza. Siete le uniche che possano farle cambiare idea!» Tagliò corto il biondo.
Scosse di poco il capo, trattenendo il più possibile il senso d’impotenza che gli spezzava il respiro.
Non appena udite le sue parole, Retasu annuì con un cenno del capo.
«Minto-san, io la penso come Shirogane-san...» La sentì mormorare, rivolgendo alla compagna uno sguardo amorevole. «Forse quella ragazza ha delle motivazioni che l’hanno spinta ad allearsi con quell’alieno...» Terminò, torturandosi le dita delle mani, ben sapendo quanto quella sua opinione avrebbe fatto spiacere alla Mew azzurra.
«Scusami, Retasu-chan...quali motivazioni ci possono essere per fare del male al prossimo!?» S’inseri a quel punto Purin, incredula. «Insomma, l’avete vista, no? Non si è degnata di darci una mano, non le interessiamo minimamente!» Aggiunse, enfatizzando il concetto con ampi gesti delle braccia. «Al mondo esistono i buoni e i cattivi, e lei rientra nella seconda categoria, ecco tutto!» Sentenziò, incrociando le braccia al petto.
A quelle parole, il capo del Mew Project, rimasto in disparte, sospirò per l’ennesima volta.
Quella discussione stava pian piano degenerando…
«Purin-san...» La richiamò la Mew occhialuta, timidamente. «Ti sembro cattiva?» Le chiese a bruciapelo, portandosi una mano al petto.
Ryou fu catturato da quella domanda, certo che Retasu stesse per dire qualcosa di importante, e rimase in ascolto.  
La ragazzina la guardò sorpresa, tentennando per un attimo.
«Assolutamente! Ma qui si stava parlando...»
«Di Moriyami-san, giusto?» La interruppe per prima la Mew focena. «Tu ancora non c’eri, Purin-san, ma quando mi sono trasformata...» Cominciò a dire, con un filo d’incertezza nella voce. Poi si bloccò, trattenendosi per un istante.
«Ho quasi...ucciso delle persone...» Proferì, abbassando il capo per la vergogna.
Purin cambiò espressione e così fece Shirogane, facendosi di colpo ancor più serio.
Quelle ragazze erano insospettabilmente forti...
Erano già così grandi i pesi che dovevano portare?
«Non l’ho fatto per errore, è stata un’azione consensuale, e...» Riprese Retasu con voce tremante, prima che Minto le prendesse una mano, conscia della sua sofferenza.
«Basta così, Retasu...» Le soffiò lei, guardandola dispiaciuta.
Retasu scosse il capo e si morse le labbra, asciugandosi gli occhi lucidi.
Si trattava di una questione molto dolorosa per lei, ma si stava sforzando per rendersi utile.
«Minto-san e Ichigo-san mi hanno aiutata a capire che stavo sbagliando, e forse...»
«Forse dovremmo farlo anche con Moriyami-san...» Propose a quel punto la rossa, lanciando uno sguardo ad ognuna di loro.
Nonostante il tono di voce piuttosto cupo che aveva usato, l’espressione sul suo viso era risoluta.
Nessuna delle ragazze trovò da obiettare a quella sua affermazione.
Persino Minto, sull’orlo di una crisi di nervi un attimo prima, si ritrovò ad abbassare gli occhi.
Ryou si portò una mano al mento, rimanendo a guardarle in silenzio.
Finora Ichigo non aveva detto una parola, escludendosi dalla conversazione…ma in quel momento, gli parve più sicura che mai.  
«Io credo che non sia cosciente di quello che fa...» Mormorò ancora Ichigo, guardandosi le mani appoggiate al tavolino. «Probabilmente non conosce le reali intenzioni degli alieni...»
La Mew bird tirò un sospiro a quelle parole.
«Come puoi esserne sicura?» Domandò, con aria malinconica, forse contrariata all’idea di avere effettivamente sbagliato le sue personali valutazioni.
La rossa abbozzò un pallido sorriso.
«So di per certo che è una persona gentile...» Replicò semplicemente. «Me lo sento qui!» Aggiunse, portandosi una mano sul cuore.
Minto la guardò senza spiccicare parola, e lo stesso Ryou non fu in grado di capire se quelle considerazioni fossero realmente sincere.
Un mistero che rendeva più interessante tutta la faccenda...
A quel punto, Purin ridacchiò, sporgendosi dallo schienale della sedia a cui era rimasta appoggiata per tutto quel tempo.
«Se è il tuo istinto a parlare, allora non ci sono dubbi!» Esclamò la ragazzina, con l’idea di darle una scarica di sicurezza e fiducia.
Ichigo annuì e le sorrise più convinta di prima, dimostrandole di essere riuscita nel suo intento.
«Allora andiamo tutte a cercarla!» Suggerì d’impeto, alzandosi di colpo dalla sedia. «Dobbiamo parlarle faccia a faccia!»
«Facciamolo!» Proruppe Purin, eccitata.
Minto volse lo sguardo alla biondina, squadrandola da capo a piedi.
«Dunque hai già ritrattato?» Le chiese delusa, sostenendosi il viso con il dorso di una mano. Purin le lanciò un’occhiata e fece spallucce, come a rimarcare che non era possibile contraddire le decisioni della leader.
La ballerina sbuffò poco convinta e riprese a dondolare nervosamente un piede, senza aggiungere null’altro.
«Come possiamo rintracciarla?» Domando allora Retasu, anticipando il pensiero di tutte.
Ryou si soffermò qualche secondo su di lei, notando con piacere che si fosse ripresa dalla crisi di poco prima.
«Sapete, non appena l’ho vista...» S’inserì la Mew scimmia, «Mi ha dato come la sensazione di averla già incontrata da qualche parte.» Ammise pensierosa.
«E dove?» La spronò Ichigo, curiosa.  
«Moriyami, Moriyami...» Ripeté la ragazzina di origini cinesi, arrovellandosi e massaggiandosi nervosamente il mento con le dita di una mano. «Ahh! Non mi riesce proprio di ricordare!» Si lamentò lei, calciando un piede a terra.
«Non ti stressare!» Le suggerì la Mew gatto, picchiettandole una spalla. «Penso di riuscire a rintracciare l’istituto che frequenta» Affermò in seguito, a voce abbastanza alta perché tutte potessero sentirlo. «L’ho incontrata sulla metro una volta...» Disse, bloccando però la frase a metà.
La sua mente vagò immediatamente a quel ricordo.
Dopo tutti quegli avvenimenti pareva così lontano nel tempo…
A quel punto, Shirogane s’alzò dalla sedia e batté le mani un paio di volte, attirando l’attenzione delle ragazze.
Gli occhi castani di Ichigo incrociarono i suoi e la ragazza mutò bruscamente espressione.  
«Benissimo, la decisione è presa.» Concluse Ryou, sancendo la fine della discussione, prima di rivolgere alla rossa un’occhiata calma e distesa.
«Ti affido il comando dell’impresa. D’accordo?» Le domandò, trattenendo a lungo gli occhi su di lei.
La Mew gatto annuì e sorrise, ma il suo sguardo era perso altrove, tanto che persino lui riuscì ad accorgersene.
Stava fingendo...
«Qualcosa non va?» Le chiese, un filo d’apprensione nella voce.
Lei negò immediatamente, l’aria riluttante e nervosa, bloccando sul nascere un qualunque tentativo d’instaurare un dialogo.
L’americano espirò aria dal naso e non indagò oltre, scacciando l’idea di approfondire la questione.
Molto probabilmente non erano affari suoi…
Voltò le spalle alle ragazze, muovendo un paio di passi verso il corridoio che dava al piano di sopra.
«Andate a prepararvi, tra mezz’ora apriamo il locale.» Ordinò al loro indirizzo, prima di oltrepassare l’uscio di fronte alla cucina e sparire sul retro, lasciandole sole.
Il turbamento di quella Suguri, la confusione all’interno del gruppo…
Erano tutte causa sua.
Lo sapeva perfettamente...
Ma non poteva fare di più.
D’altronde, non avrebbe mai potuto paragonarsi a loro...
Solo le Mew Mew potevano compiere quella difficile missione.
«Ho fiducia in voi...» Mormorò tra sé e sé, salendo le scale che davano alla sua stanza.

 



***  




Suguri spiluccò dalla sua ciotola una fettina di pollo teriyaki** accuratamente posta sopra un abbondante letto di cavolo e riso bollito, afferrandola saldamente con le bacchette. Se la portò alla bocca e l’azzannò coi canini, soffermandosi su di essa per assaporarne la consistenza morbida e succosa.
Qualunque piatto, se preparato da nonna Miyoko, sembrava assumere il dolce retrogusto della nostalgia.
Si fece rigirare distrattamente le bacchette tra le dita della mano, la testa bassa e lo sguardo inchiodato ad un punto al centro del kotatsu*, persa tra sé e sé.
Da qualche giorno sentiva di provare un fortissimo senso di straniamento...
Aveva la netta sensazione che la gran parte degli stimoli e dei messaggi attorno a lei le arrivassero ovattati, e che altri non riuscissero minimamente a raggiungerla.
Pensava continuamente alle sensazioni che provava quando vestiva i panni della Mew Mew.
Quando pronunciava quella formula, cessava di essere una ragazza comune e si ritrovava tra le mani un potere immenso, in grado di svelare al mondo ciò che realmente era.
Non appena la magia terminava, una parte importante di sé volava via insieme alla trasformazione, e lei ritornava ad essere Suguri...
Suguri e basta.

Non s’era mai sentita così.
Nemmeno nei suoi anni più infantili aveva assaggiato il sapore bruciante della libertà che Kisshu le aveva donato...
S’era chiusa in sé stessa per troppo tempo, castrando i lati di sé più scomodi, smussando i suoi angoli più appuntiti…
Perché così le avevano insegnato.
Così le avevano detto...
Così l’avevano punita, resa indegna di essere amata...
Ancora e ancora, fino a che non c’erano riusciti.
Erano giunti infine a manipolarla, a ricattarla in maniera tanto diabolica da farle provare vergogna per il suo essere…
Sbagliata.
Crebbero in lei la frustrazione, l’incomprensione, la rabbia...
Lati che non le era mai riuscito di cacciar via, che la infestavano come un’erbaccia coriacea e robusta, dura da estirpare...
Per questo aveva scelto di cambiare punto di vista.  
Fino a quel momento aveva lottato con tutte le sue forze per reprimere qualcosa che non andava in lei.
Aveva lottato per conformarsi al volere altrui, nella speranza di venire accettata...
Una lotta vana ed amara.
Era inutile ribellarsi alla propria natura...
Lei l’aveva accettato, e così avrebbero dovuto fare tutti.
Non si sarebbe più piegata al volere altrui.
Mai più.
«Suguri.»   
La voce di suo nonno s’insinuò tra i suoi pensieri, costringendola suo malgrado ad interrompersi e a rivolgergli lo sguardo.
L’uomo, in piedi dal lato opposto del kotatsu, teneva ambedue la ciotola della cena e le bacchette in una mano, così come gliele aveva servite nonna Miyoko.
L’espressione sul suo viso era, come sempre, seria ed austera, di quelle che da bambina le facevano paura.
«Ojisan**.» Rispose lei, telegrafica, prestandogli il minimo d’attenzione necessario.
In quell’istante scorse Miyoko comparire alle spalle del marito e sfilargli affianco per tornare a sedersi, e preferì di gran lunga concentrare il focus su di lei.
Non s’era nemmeno accorta d’essere rimasta la sola a tavola.
Che fosse rimasta a riflettere così a lungo?
Tutte quelle domande le sembrarono prive di senso.
Aveva proprio la testa su un altro pianeta...
«Miyoko mi ha detto che sei tornata tardi.» Continuò Seijuuro, squadrandola con una lieve punta d’irritazione.
Suguri non cambiò espressione, intuendo che il nonno si riferisse alla postura ben poco corretta che aveva assunto, lasciando le gambe piegate di lato sotto al kotatsu***.  Poi lo vide inginocchiarsi a terra senza commentare oltre e poggiare la ciotola sulla stuoia di bambù che nonna apparecchiava ogni volta che pranzavano o cenavano tutti assieme.
«Anche tu, mi pare.» Replicò la nipote, agguantando una manciata di chicchi di riso dalla ciotola.
A quelle parole piene d’arroganza, l’uomo sbatté una mano sulla tavola, facendo vibrare pericolosamente il té verde all’interno della sua ciotola.
«Io sono stata da tua madre. Tu che giustificazione hai, ragazzina?!» Replicò duro, lanciandole un’occhiata tagliente.
Quel gesto riuscì ad attirare l’attenzione della ragazza la quale puntò gli occhi su di lui, fissandolo in tralice. Seguì un silenzio di circostanza fin troppo lungo, carico della tensione che si era creata tra i due e nel quale Seijuuro credette che Suguri si stesse rifiutando di rispondergli, fin quando non vide l’adolescente aprire bocca.
«Sono stata a scuola. Poi sono uscita con un...amico...» Mormorò rilassata, sostenendo senza alcun problema il suo sguardo.
A quelle parole, nonna Miyoko allontanò la ciotola di té dalle labbra e si soffermò incuriosita su di lei, ma non s’azzardò ad intervenire nella discussione.
Nonno Seijuuro la guardò, incerto se crederle o meno, ma si limitò ad alzare la ciotola dalla stuoia e a portarsi alla bocca numerosi bocconi di cibo, masticando voracemente il tutto.
«Hai visto i notiziari, vero?» Domandò lui, subito dopo aver inghiottito parte della cena. «La clinica Yamazaki è stata distrutta.» Continuò serissimo, prima di pulirsi le labbra umide di salsa con il tovagliolo. «Sai bene che era la clinica dove era ricoverata tua madre.»
Suguri s’irrigidì a quell’affermazione, un brivido freddo su per la schiena.
Dove voleva andare a parare?
«Caro, dicci tutto!» Mormorò Miyoko, guardandolo con apprensione.
Seijuuro sospirò.
«Hotaru sta bene. Fortunatamente i macchinari non hanno subito danni. È un vero miracolo» Replicò, ricambiando il suo sguardo ed abbozzando un sorriso sollevato, prima di prenderle teneramente la mano.
La donna gliela strinse e arricciò le labbra, restando in attesa di ulteriori aggiunte da parte sua.
«È stata trasferita al Centro Medico di Tokyo senza conseguenze.» Concluse infine l’uomo, mentre nonna Miyoko s’asciugava gli occhi lucidi con un fazzoletto, rincuorata dalla notizia.
Contrariamente a lei, Suguri deglutì a fatica e s’ammutolì.
Strinse con forza le bacchette nel pugno, sentendosi tutto d’un colpo molto nervosa.
Il nonno le lanciò un’occhiata, senza soffermarsi sull’espressione allarmata che aveva in viso.
«Domani pomeriggio dopo la scuola verrai con me.» Le ordinò, facendole un cenno con il capo. «Intesi?»
Suguri gli volse lo sguardo, incapace di percepire in lui un minimo segno di tentennamento.
Voleva trascinarla a tutti i costi da sua madre e a giudicare dal tono che aveva usato, non ammetteva repliche o ribellioni.
Distolse lo sguardo, ringhiando a labbra socchiuse.
Non era affatto d’accordo con quella decisione.
All’improvviso si sentì come chiusa nuovamente in gabbia...
Una sensazione urticante che aveva provato spesso nel corso della sua infanzia, e con la quale non voleva avere più niente a che fare.
«Non so con che amici tu esca, Suguri...» Riprese poi Seijuuro, tornando a rivolgere la sua attenzione alla cena. «Ma vedete di stare attenti. Ultimamente la città è piena di pericoli.» L’avvisò, scrutandola con la stessa inflessibilità di poco prima.
La nipote fremette a quelle parole, trattenendosi a fatica dal replicare.
Basta...stava per ribollire.
Non poteva pretendere di decidere della sua vita.
Non avrebbe ammesso altre incursioni nel suo territorio.
«Non c’è nessun pericolo.» Sibilò aspramente, a denti stretti.
Scostò gli occhi da lui si portò la ciotola alle labbra, rovesciandosi in bocca l’intero contenuto.
Ingoiò il cibo di corsa e, infine, si scolò il té verde rimasto nella tazza, afferrò in fretta e furia le stoviglie usate e arrotolò su sé stessa la stuoia di bambù, liberando in quattro e quattr’otto il suo lato del tavolo.
L’aria era irrespirabile in quella stanza.
Non aveva intenzione di starsene lì un minuto di più.
«Grazie per la cena, Obaasan.» Mormorò, modulando la voce quel tanto che bastava a nascondere la sua irritazione. «Era ottima come sempre.» Aggiunse poi, alzandosi in piedi.
Aggirò il kotatsu e sfilò accanto a Seijuuro, ignorando del tutto la sua presenza.
Tirò dritta verso la cucina alla sue spalle, grugnendo silenziosamente, e raggiunse in pochi passi il lavabo dove poggiò le ciotole e bacchette con un gesto secco della mano.
Infine se ne andò, sparendo dalla loro vista una volta per tutte.   












***

* Questa Long è una What If, quindi mi riservo il diritto di whatifare (?) ciò che penso abbia bisogno di una sistemata. Beh, non volete che replichi le condizioni familiari da galera di Purin così come ci sono state presentate in originale, vero?
* si schiarisce la voce *
Visto che sono tutti minorenni e il padre c’ha da lavorà, i figli hanno, in questo caso, una delle sorelle della madre defunta e perché no, qualche nonno o nonna a fare loro da tutori. Ecco. u.u
** Il pollo teriyaki è un piatto giapponese composto da carne di pollo fatta cuocere in padella dopo essere stata marinata nella salsa teriyaki (salsina giapponese composta da salsa di soia, saké, zucchero, aglio e farina di mais), con aggiunta di riso bollito, insalata o cavolo cappuccio tagliato finemente.  
* Il kotatsu è il tavolino basso tipico delle case giapponesi. Si usa sedersi attorno al kotatsu per mangiare, guardare la tv o condividere altri momenti d’aggregazione. Nei mesi invernali viene coperto con un futon, sotto il quale si infilano le gambe, e viene usato per scaldarsi, previa l’installazione di una fonte di calore sul lato inferiore del tavolino stesso.  
** ‘Ojisan’ è un termine informale che significa ‘nonno’ in giapponese. Il corrispettivo per ‘nonna’ è ‘Obaasan’.
*** Suguri fa riferimento alla seiza, la seduta tradizionale giapponese tipica di varie discipline (arti marziali, ikebana, cerimonia del té ecc…) e di numerose situazioni quotidiane. QUI una foto c:

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