L'oro del Reno di shilyss (/viewuser.php?uid=21848)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fortuna e gloria ***
Capitolo 2: *** L'oro del Reno ***
Capitolo 3: *** La città degli dèi ***
Capitolo 1 *** Fortuna e gloria ***
L’oro
del Reno
Capitolo 1
Fortuna e gloria
Ora l’oro ti è
stato pagato (disse Loki),
ti è dato come riscatto
ingente per la mia testa.
Non porterà gioia a tuo
figlio:
la morte porterà a voi
due
(Edda Poetica, Canzone di Reginn,
v. 6)
Londra, 1983
Mancavano
un paio d’ore al tramonto e la luce solare filtrava, fioca e
sbiadita,
attraverso le finestre della biblioteca. Claudette
allungò la schiena, stiracchiandosi sulla poltrona. La
stanchezza per l’infinito
lavoro di catalogazione iniziava a farsi irrimediabilmente sentire. I
libri che
doveva visionare, del resto, erano centinaia: volumi di storia, di
mitologia,
di arte e di letteratura, ma qua e là spuntavano anche
cataloghi di mostre,
atti dei convegni, riviste specializzate, miscellanee, appunti.
Registrò con un
sospiro l’ennesimo testo, riportando, con quanta
più perizia possibile, il nome
dell’autore, la casa editrice, l’anno, ma una certa
impazienza faceva sì che la
mano corresse più rapidamente sul foglio. Il compito che
aveva abbracciato con
una nota di entusiasmo stava diventando sempre più oneroso e
difficile da
portare a termine, pensò. La data della mostra si avvicinava
e non era ancora a
metà dell’opera: avrebbe dovuto telefonare e
disdire il cinema che aveva in
programma per quella sera, constatò con una smorfia, o non
avrebbe mai finito
in tempo.
Claudette
sfiorò, con le dita su cui spiccava un vivace smalto rosso,
la copertina in
pelle dell’ennesimo volume che avrebbe catalogato per quel
giorno. Lo aprì con
delicatezza, cercò il frontespizio, trattenne il respiro. Un
foglio ripiegato
di giornale, datato più di sessant’anni prima,
riportava un breve trafiletto e
una fotografia quasi totalmente sbiadita, corrosa dal tempo. Un uomo
alto e
magro, dall’aria severa, la fissava accanto a una donna
bionda e minuta, con la
chioma raccolta e un volume ingombrante tra le braccia. Si rese conto
di non aver
mai visto quella foto e rimase colpita dal modo in cui
l’uomo, seduto su quelli
che, presumibilmente, dovevano essere i tavolini esterni di un bar,
fissava il
fotografo quasi con dispetto. Ne seguì la linea elegante del
braccio che si allungava
possessivo sullo schienale dov’era seduta lei, che guardava
da un’altra parte e
rideva portandosi con grazia le mani alle labbra. Il profilo delicato e
la
corona d’oro dei capelli della donna illuminava
l’istantanea e creava un
contrasto con quelli scuri dell’uomo e con il suo sguardo
pungente, che pareva
attraversare la pellicola. Si soffermò su ogni dettaglio
della fotografia,
cercando di capire dalla siepe dietro la coppia dove fosse situato il
presunto
bar o ristorante, domandandosi con chi stesse ridendo lei, cosa
pensasse lui,
concentrandosi così tanto su quell’immagine
catturata decenni prima, da non accorgersi
del leggero movimento della porta.
“Che
ci fai tu qui? Cos’è questo disordine?”
La
voce allarmata riscosse Claudette. La ragazza sollevò il
capo, trovandosi di
fronte lo sguardo spaesato e vacuo di sua nonna, avvolta in un maglione
di lana
nonostante ormai fosse primavera. L’anziana avanzò
fissando ansiosa gli
scatoloni in cui erano già stati riposti con cura documenti
e volumi e appunti.
“Questi
sono i libri di tuo nonno! Ci sono tutte le sue ricerche,
qui!” boccheggiò,
prendendo con le dita sottili e rovinate dalla vecchiaia e
dall’artrite un
testo che sembrava provenire direttamente da una biblioteca
dell’Ottocento e
stringendoselo con forza al petto. Claudette si alzò rapida
e raggiunse
l’altra, osservando il titolo sbiadito del testo che la donna
proteggeva; La canzone di Reginn, lesse.
“Nonnina,
è per l’Università, ti ricordi?
È venuto qui il Rettore in persona, dopo che ci
aveva scritto,” spiegò con dolcezza, carezzando la
spalla minuta e fragile
dell’anziana. Gli occhi grigi dell’altra la
scrutarono dubbiosi.
“È
il
centenario della nascita del nonno: ci hanno chiesto i suoi appunti, i
suoi
libri – ricordi? – per allestire una mostra.
Istituiranno un fondo in suo onore,
in vostro onore: si
chiamerà
Laufeyson-Van der Vanir. Mi hai chiesto di aiutarti a selezionare cosa
donare,
cosa far vedere alla gente.”
Un
altro sguardo smarrito. Non lo ricordava affatto.
“Sarebbe
un’idea meravigliosa. L’avrebbe adorata,”
mormorò la donna con un tremito. “Ho
perso la mia bussola,” annunciò senza posare il
libro. “Hai visto da qualche
parte la mia bussola?”
Claudette
scosse la testa in segno di diniego, paziente. “No, ma adesso
ti aiuterò a
cercarla. L’avrai messa in un altro cassetto,”
ipotizzò, ma prima di cimentarsi
nell’operazione di recupero, mostrò
all’altra la fotografia che aveva ammirato
fino a pochi minuti prima. “Guarda cos’ho trovato:
com’eravate belli, nonna.”
Sigyn
Van der Vanir inforcò i sottili occhiali da vicino che
portava perennemente
appesi al collo, facendo tintinnare la catenina d’oro che li
reggeva, assottigliando
gli occhi, per mettere meglio a fuoco la vecchia istantanea. La sua
mente
sfilacciata si smarriva nel passato recente, rimanendo, invece, ben
ancorata agli
anni, ormai lontanissimi, della sua giovinezza. Con un gesto istintivo
che la
nipote le aveva visto fare tante volte, si sfiorò la fede
nuziale ormai larga,
che non s’era mai tolta dalla mano sinistra e tormentava ogni
volta che una
nube si affacciava all’orizzonte.
“Avevo
la tua età quando mi prese come sua assistente,”
ricordò accennando un sorriso
leggero.
Claudette
rimase in silenzio, in attesa. Aveva sentito tante, tantissime storie
su suo
nonno, perché Loki Laufeyson non era stato solamente uno
storico e un
archeologo di fama, ma anche un eroe di guerra fucilato dal regime
mentre
gridava Viva la libertà.
Una
fine tragica, da romanzo, che aveva velato per sempre di dolore gli
occhi grigi
di sua nonna, togliendole luce persino quando, dopo anni di articoli
pubblicati
sotto uno pseudonimo maschile, era riuscita a ottenere proprio la
cattedra che
era stata dell’indimenticato e amatissimo marito e a curarne
le opere postume.
In
ogni casa ci sono storie che vengono raccontate e altre che, invece,
vengono
taciute. In ognuna delle fotografie che ritraevano il professor
Laufeyson,
questi appariva carico del fascino stropicciato
dell’avventuriero e con uno
sguardo glaciale e, allo stesso tempo, fiero. Sembrava un principe invincibile. Sigyn
accarezzò il ritratto, perché il dolore
e la nostalgia le laceravano il cuore da quarant’anni, senza
sosta, né lei
aveva mai voluto né cercato di calmare quel dolore.
“Me la
regalò lui, la
bussola. Era sua.”
♥
Sigyn
Van der Vanir avrebbe collocato l’inizio
della sua tragica e romantica storia d’amore quando, in un
freddo pomeriggio
del Quattordici, il giovane e arrogante professor Laufeyson le
allungò la sua
relazione finalmente corretta; era piena zeppa di punti interrogativi e
chiose
a margine scritte con una malcelata nota beffarda che la indispettirono
per una
serie di ragioni, prima tra tutte che nelle frasi del brillante
archeologo
c’era un fondo di verità lampante. Si maledisse
mentalmente, perché, trovandole
impresse sul foglio di carta opaco, le intuizioni di Laufeyson erano
pungenti,
argute; in un’altra parola, esatte.
Ma lui era questo: uno studioso di fama, un pioniere, celebre per aver
partecipato a degli importantissimi studi in Egitto quand’era
solamente un
ragazzo. Solo che, con gli anni e con la fama, il suo interesse era
deviato per
un punto della storia che non interessava nessuno e per una leggenda
più fioca
e inverosimile di quella che aveva portato alla scoperta della
città della
perduta Troia, la tanto cantata Ilio.
Sigyn, i capelli biondi tenuti a stento da un fermaglio di tartaruga,
gli
occhiali poggiati sulla punta del naso grazioso, gettò
un’occhiata al
complicato disordine che regnava nello studio. Nonostante fosse
mattina, una
bottiglia di crema di whisky campeggiava sulla scrivania ingombra di
carte,
appunti, libri, altre relazioni. Accanto, una tazza di caffè
probabilmente già
vuotata.
Il
professor Laufeyson appoggiò le spalle alla bella sedia in
pelle, increspò le
labbra ironiche e sottili in un sorriso affilato come una lama. Sigyn
sentì un
brivido scorrerle lungo la schiena, perché c’era
qualcosa, nell’archeologo, che
la metteva a disagio. La sua voce era calda, avvolgente, appena
arrochita, ma
il suo sguardo aveva la freddezza dei ghiacci eterni. Colpa della
trasparenza delle
sue iridi glauche.
“Un
lavoro discreto, signorina Van Der Vanir,” fu il suo commento
asciutto,
accompagnato da un movimento elegante delle mani. Aveva il dono
d’irretire chi
lo ascoltasse, di trascinarlo nel suo mondo fatto di tesori perduti,
sepolti in
qualche parte dimenticata del mondo. Le sue lezioni erano brillanti e
finivano
sempre troppo presto e Sigyn si era ritrovata più volte,
alla fine dell’ora,
col cuore che batteva e la voglia di porre domande, il timore di non
farne di
abbastanza intelligenti. Si era firmata col solo cognome, limitando il
resto a
una esse puntata che avrebbe dovuto, nella sua testa, far nascere nel
professore un giudizio più oggettivo e severo. Lui aveva
compreso tutto,
ovviamente. Quando lei si era presentata, aveva alzato un sopracciglio
a metà
tra l’incuriosito e il divertito. Non si era pronunciato sul
suo desiderio di
essere equiparata a uno studente di sesso maschile, né aveva
commentato le sue
velleità da suffragetta, come certo avrebbero fatto altri
accademici più rigorosi
di lui. Aveva assottigliato gli occhi, però, scrutandola con
l’attenzione che
dedicava ad alcuni dei reperti che, talvolta, mostrava loro durante le
sue spiegazioni.
“La
sua analisi delle fibule è molto appassionata,”
continuò Loki, allungandosi per
riprendere la relazione che lei, quasi meccanicamente, gli porse e
sfogliando
le pagine dattiloscritte, zeppe di correzioni, “i disegni
notevoli.”
Discreto.
Appassionata. Notevoli. Sigyn, dalla
sua posizione oltre la
scrivania, tentò di interpretare quelle parole. La stava
lodando? Aveva la
bocca drammaticamente secca e una richiesta sulla punta della lingua;
una che
era assurdo fare e che, certamente, il professor Laufeyson non avrebbe
mai
accettato, ma che lei doveva ugualmente arrischiarsi a porre. Mosse un
passo in
avanti, avvicinandosi ancora di più alla scrivania caotica,
agli occhi
dell’uomo ora verdi, ora azzurri – dipendeva,
probabilmente, dal modo in cui li
colpiva la luce – e parlò con una voce sicura,
decisa.
“Vorrei
diventare la vostra assistente. So che ne state cercando uno.”
L’archeologo
inclinò leggermente la testa bruna, come per guardarla
meglio. “Cerco un assistente,”
confermò, scandendo ogni
parola con lentezza, “ma non sono sicuro che voi
possiate ricoprire il ruolo, miss
Van der Vanir.”
“È
perché sono una donna?”
“Anche.”
Un guizzo negli occhi chiari e indagatori dell’altro la fece
sobbalzare. “Sarebbe
ipocrita dire il contrario. Ma non è solo questo.
È una questione di… come
dire? Reputazione.” Loki si mise più comodo sulla
sedia, inumidendosi le labbra
sottili. “Immagino conosciate ciò che si dice su
di me, nell’ambiente. Quello
di cui mi hanno accusato…”
“Lo
so.” Sigyn rispose in fretta, interrompendolo.
“Dicono che siate un ladro di
tombe, ma questo si dice di buona parte degli archeologi,”
sostenne fiera,
alzando il mento quasi volesse sfidarlo. “Non mi importa di
quello che è successo.
Siete uno studioso brillante, mi basta questo,” aggiunse.
Il
professor Laufeyson prese una penna e la fece roteare tra le belle dita
lunghe
ed eleganti. “Si dice anche altro,”
ghignò. “Vuole davvero essere la mia fedele assistente, miss Sigyn?”
Il suo
sorriso aveva un che di feroce e crudele. “Pensa di avere le
qualità
necessarie?”
Fu
l’inizio di un legame destinato a durare, con fasi alterne,
per tutta la vita.
Nel tempo mutò forma e finì per chiamarsi con una
serie di altri nomi, ma la
sostanza rimase inalterata: lei gli aveva donato la sua fedeltà
incondizionata e l’archeologo, da parte sua, si era
ripromesso
di trattarla come la studiosa che aspirava a essere, senza risparmiarle
nulla.
Nei
primi mesi della loro collaborazione, Sigyn lo chiamava professor
Laufeyson indugiando leggermente sul titolo e guardandolo
da sotto le ciglia scure. Non poteva dire di essere immune al suo
fascino; quando
Loki le si avvicinava, si ritrovava a trattenere il respiro per non
lasciare
che il suo profumo di cuoio e pelle e tabacco la scuotesse facendole
accelerare
il battito cardiaco. La bellezza dell’archeologo era
sfacciata, esibita,
tagliente come le sue frasi spesso troppo crudeli, perennemente venate
da una
nota di divertito sarcasmo. Sulla carta, i compiti di Sigyn dovevano
essere
quelli di aiutare Loki a preparare le lezioni, correggere gli elaborati
degli
altri studenti, gestire la sua agenda universitaria e fare per lui
altri
piccoli lavori utili alle sue ricerche, ma nel giro di poche settimane
le sue
mansioni aumentarono di numero e d’importanza.
L’archeologo era entrato nella
sua vita portandosi dietro tutta l’impetuosità e
la sregolatezza che lo
contraddistinguevano, pretendendo da lei una devozione assoluta alla
sua causa
e ai suoi molti, ambiziosi, progetti. Di fronte alla voce graffiata e
roca di
quell’avventuriero con i modi di un Lord, allettata dalla
possibilità di
pubblicare le sue ricerche, anche se sotto falso nome, Sigyn si
lasciò
trascinare in quel mondo d’ombra, illuminato dal sorriso di
fiera di Loki
Laufeyson e dalle sue ricerche più segrete e quasi folli,
perché, come la ragazza
si accorse ben presto, la soddisfazione
non era nella sua natura.
♥
“Professor
Laufeyson, Lord Borson.”
Sigyn
porse due tazze di tè fumante allo studioso e al suo ospite
e fece per
allontanarsi, ma un’occhiataccia del primo la
inchiodò dov’era.
“Tu
non bevi il tè? Siediti, riguarda anche te. Sei la mia
assistente, no?” la
rimproverò caustico.
La
ragazza avvampò. La settimana prima, Loki l’aveva
mandata fuori dallo studio
senza tante cerimonie per parlare di chissà che losche
questioni con un tizio
barbuto che giungeva da Ankara e ora, invece, la voleva lì.
Presa
in contropiede, lo rimbeccò piccata. “Siete
terribilmente volubile, sapete?”
Non
era la prima volta che l’accusava di cambiare idea troppo in
fretta e di essere
scostante; i miei piani variano di minuto
in minuto, sosteneva Laufeyson, e lei incrociava le braccia e
scuoteva la testa,
carica di disappunto, perché Loki si comportava come un
principe e pretendeva
da lei una fedeltà assoluta, totale, terribile.
Aveva
accettato che ricoprisse un ruolo di prestigio che altri le avevano
negato, ma
il prezzo da pagare si era rivelato essere un tributo alto da versare,
forse
troppo. Desiderava stargli accanto il più possibile. Cercava
di far parte della
sua vita.
Lui
la ripagava con certe occhiate troppo lunghe e una serie di sorrisi
sbiechi e
affascinanti che le facevano scorrere troppo spesso un brivido lungo la
schiena,
mettendola a parte dei segreti di quella disciplina nuova che
l’aveva stregata,
correggendo con spietata severità i suoi appunti. Certo, da
studentessa si era
lasciata incantare mille volte dallo sguardo quasi trasparente del
bell’archeologo e, nei primi tempi della loro relazione
lavorativa, il respiro
le si era mozzato nel petto ogni volta che lui si chinato verso di lei
per
mostrarle il dettaglio di un reperto, suggerirle il significato
secondario di
un termine latino o greco, sincerarsi della correttezza del suo
operato. Bugia, era accaduto ogni volta che Loki le si era avvicinato.
Molti
anni dopo, nella solitudine di una casa ormai vuota, Sigyn Van der
Vanir si
sarebbe domandata con un sospiro quale era stato il momento esatto in
cui il
groviglio di emozioni e sensazioni che le scatenava Loki Laufeyson si
era
trasformato nella consapevolezza di
esserne disperatamente innamorata. Ritta in piedi, nello studio troppo
ordinato
che si era ritrovata ad abitare dopo che la guerra che glielo aveva
strappato
via senza darle nemmeno la consolazione di una tomba dove poterlo
piangere, il
ricordo di lui avrebbe avuto il
colore delle cose perdute e mai dimenticate. Sarebbe stato bianco come
la
ciocca di capelli che si attorcigliava attorno al dito, come le ossa
mescolate
ad altre dell’uomo con cui aveva diviso la giovinezza, ma che
non era vissuto
abbastanza per vederla sfiorire. Le parole di Loki le sarebbero uscite
dalle
labbra pallide come una nenia triste, cariche del disincanto di colui
che le
aveva pronunciate quando l’Europa già tremava
sotto i colpi di tensioni
antiche, ma ancora inesplose. Una
sepoltura degna è ciò che l’uomo ha
sempre desiderato per se stesso,
diceva, solo che, per ironia della sorte, lui non ce l’aveva
avuta, una tomba
che uomini nati secoli dopo di lui avrebbero trattato con rispetto. Gli
era
toccata la triste fine dei guerrieri e dei pirati – le sue
spoglie si erano
perse. Sì, l’ormai rinomata archeologa conosceva
esattamente il punto della sua
vita dove doveva scavare per recuperare il ricordo che le serviva, in
verità
mai dimenticato. Aveva capito d’essersi innamorata nel
pomeriggio lontano in
cui portò un tè a Lord Borson e a Loki, per
sedersi poi assieme a loro con un
certo malcelato disagio. Questa consapevolezza le avrebbe fatto
spuntare sulle
labbra il principio di un sorriso dolce e nostalgico, ma
un’altra le avrebbe
velato il cuore: nello stesso momento in cui lei si era innamorata,
Loki
Laufeyson, con quei suoi occhi brillanti e il sorriso astuto dipinto
sulle
labbra sottili, aveva firmato la sua condanna a morte. Solo, non lo
sapeva
ancora. Non lo sapeva nessuno.
♥
“Sei
in cerca di fortuna e gloria, Odino?” Loki si era messo
ancora più a suo agio
sulla poltrona, facendo aderire perfettamente le spalle allo schienale,
ma
c’era, in lui, il disordine che avrebbe avuto il principe dei
furfanti assiso
sul proprio trono.
Un
guizzo divertito illuminò l’unico occhio di Lord
Borson, mentore
dell’archeologo. Li accomunava la medesima passione per la
retorica: entrambi
erano soliti usare nei loro discorsi frasi complesse e sottintesi
incredibilmente pungenti – persino troppo – e
adoravano invischiarsi in
intrighi e piani e ricerche assurde, che spesso traevano la loro
origine dai
miti e dalle leggende. E, in quel preciso istante, proprio un testo che
parlava
delle antiche storie dei vichinghi troneggiava sul tavolo, accanto alle
tazze
di tè. Sigyn abbassò gli occhi sul dorso in pelle
consunto, sulle macchie
giallastre che si intravedevano sulle pagine.
“Deve
essere qui. La leggenda parla di un tesoro enorme nascosto sotto una
cascata e
sorvegliato da un mostro terribile, forse un drago,”
spiegò Odino puntando il
dito nodoso sul foglio. “Si tratterà della
sepoltura di un capo guerriero, di
un re leggendario.”
“L’oro
di Asgard,” mormorò Loki e gli occhi verdi
s’illuminarono di una luce terribile.
“La canzone di Reginn
parla di un
tesoro maledetto che causò la morte di due fratelli e di una
guerra che coinvolse
addirittura otto re,” ricordò asciutto.
“Ne parla anche Beda il Venerabile.”
Durante
le sue lezioni, era solito spiegare che l’archeologia,
nonostante Ilio
dissepolta e strappata dalle nebbie del mito, non era una scienza che
studiava
le fiabe, né si occupava di andare a caccia di tesori. Era
un lavoro fatto d’indagini
e pazienza, che si basava su prove e fatti, null’altro.
Occorreva scavare
necropoli e studiare le sepolture e, da lì, con rispetto e
metodo, carpire le
testimonianze di un passato remoto, svanito, di cui talvolta non
restava che
qualche fibbia, l’elsa di una spada con la sua lama ormai
rovinata e cocci
sparsi di ceramica.
Protetto
dalle quattro pareti del suo caotico studio, però, Loki
Laufeyson abbandonava
definitivamente la maschera del compassato e preciso studioso per
rivelare la
sua parte più selvaggia e, forse, sincera: ascoltandolo
nella penombra di un
pomeriggio inglese, Sigyn si ritrovò a pensare con un
brivido che il confine
tra un archeologo e un predatore di tesori per l’uomo fosse
decisamente labile,
forse persino troppo.
I
volti di Loki e Lord Borson erano solo parzialmente illuminati e
ciò rendeva la
scena degna d’un quadro fiammingo. Le vennero in mente certe
fotografie
raffiguranti gli splendidi gioielli trovati in alcuni scavi in Asia
Minore,
ripensò alle parole severe di suo padre quando aveva deciso
di dedicarsi
all’archeologia: che era una scienza nuova e strana; che
assomigliava troppo al
latrocinio immondo perpetrato dai profanatori di tombe; che i morti non
andavano disturbati. Ma Sigyn aveva letto i lavori di Schliemann
e di Flinders Petrie e si era messa in testa di iscriversi proprio
nella
facoltà di archeologia perché desiderava
squarciare il velo tra passato e
presente e conoscere ciò che era stato, toccarlo con mano,
instaurando un
circolo capace di connettere passato e futuro.
A
lezione e nelle conferenze, sia Loki Laufeyson che Lord Borson
proclamavano a
gran voce e con decisione che la loro professione non era andare a
scavare tesori,
ma rintracciare reperti e studiarli: capire il passato, attraverso la
storia
particolare di uomini e donne che l’avevano costruito, per
rintracciare le
proprie origini. Solo la sera prima, entrambi gli studiosi avevano
partecipato
a un animato dibattito che si era tenuto in un circolo ristretto, per
poi
discorrere con altri insigni colleghi della novità
rappresentata dalla
possibilità di eseguire degli scavi stratigrafici: un metodo
sperimentale, che
offriva la possibilità di compiere ricerche sempre
più metodiche e accurate. Il
giorno dopo, invece, i due uomini erano lì, di fronte a lei,
a raccontarsi una
fiaba vecchia di secoli, a cercare un modo per renderla reale,
sorridendo alla
maledizione che l’oro di Asgard si tirava appresso, incuranti
e sfrontati
com’erano.
Lord
Borson mascherava con più abilità
l’espressione del predatore sotto la pelle
abbronzata dal sole dell’Egitto e dell’Asia Minore.
Merito di un modo di fare
che lo rendeva ancora affascinante nonostante gli anni, ma chi lo
guardava da
vicino poteva cogliere la durezza del suo sguardo celeste e intuire
cosa si
nascondesse nel suo spirito inquieto.
Loki,
animato dalla stessa febbre, aggiungeva nozioni a nozioni, connettendo
tra loro
gli antichi scritti di monaci che avevano consumato la vista alla luce
delle
candele di qualche scriptorium
altomedievale, ripercorrendo, con la sua bella voce
d’incantatore, le epopee di
quanti avevano cercato invano l’oro
del
Reno. Fu lì, mentre l’archeologo si
appassionava a quella storia antica e
progettava di trovare la tomba di Reginn, che Sigyn
s’innamorò definitivamente
del suo profilo affilato e bello, della trasparenza degli occhi verdi,
delle
labbra sottili perennemente arcuate in un mezzo sorriso sghembo, della
voce
leggermente roca. Con i gomiti poggiati sul tavolo ingombro di carte e
mappe di
quella parte dell’Europa che, di lì a qualche
mese, sarebbe stata sconvolta da
una guerra lunga e logorante, muoveva le mani eleganti da prestigiatore
per
illustrare al proprio mentore e a lei dove e come trovare i
finanziamenti
necessari per approntare la spedizione, quale fosse il punto in cui era
più
ragionevole iniziare la caccia a un tesoro maledetto, sepolto, come non
se ne
erano mai visti, colorato del fascino di un mito noto a pochi. Si rese
conto di
essersi innamorata di lui mentre la fioca luce che li circondava
rendeva anche
lei, incantata ad ascoltarli, parte della scena ritratta da un pittore
ispirato.
Erano
elementi della storia anche loro: i mille anni che li separavano dal
gruppo di
re guerrieri divenuti leggenda che si erano combattuti fino alla morte,
ammirati come fossero dèi e messi sul loro stesso piano, si
annullarono
improvvisamente.
Loki parlava,
spiegava, ipotizzava. Afferrata una penna, si era messo a tracciare
segni sulla
cartina sotto lo sguardo compiaciuto di Lord Odino Borson e Sigyn, col
cuore
che batteva al ritmo di una consapevolezza che la rendeva leggera e
cupa
assieme, avrebbe ricordato quel momento fino al giorno lontano in cui
sarebbe
morta. Gli ultimi pensieri nitidi della sua vita, già
corrosi dall’inesorabile
perdita di lucidità cui la malattia, alla fine,
l’aveva costretta, le avrebbero
concesso di rivivere, per un solo momento, quella strana serata,
facendole
ritrovare la bellezza elegante di Loki Laufeyson e il suo sguardo di
lupo.
Subito appresso, il pensiero sarebbe volato irrimediabilmente allo
spiazzo
dietro un edificio grigio dove il nemico di una vita intera si era
vendicato di
un torto antico, dando l’ordine di sparare al petto
dell’archeologo. Luogo
dell’esecuzione che lei, alla fine, aveva visitato mentre il
figlio la teneva
sottobraccio, la figlia si asciugava orgogliosa una lacrima traditrice.
Del suo
brillante marito dal sorriso laterale e lo sguardo chiaro non era
rimasto
niente, tranne quegli occhi verdi accanto a lei che scrutavano furiosi
la terra
battuta, il broncio fiero che, poco distante, soffocava un singhiozzo
represso.
Ma questa è un’altra
storia.
♥
Claudette
non aveva idea di dove sua nonna avesse riposto
l’indispensabile bussola.
Ricordava a malapena l’oggetto, ma era abbastanza convinta
che si trovasse
nella consolle in camera da letto, magari insieme ai gioielli e ai
documenti
che l’anziana teneva nella stanza. Fino a pochi anni prima,
la mente
dell’illustre professoressa Sigyn Van der Vanir era stata
pronta e vigile, ma
negli ultimi anni le dimenticanze e le leggere distrazioni erano
diventate
sempre più profonde. Claudette ricordava ancora quando,
bambina, talvolta
andava a trovare sua nonna nello studio che occupava con fierezza
all’università. Adorava sedersi sulla poltrona in
pelle color cuoio che
troneggiava dietro la scrivania e sfogliare alcuni degli stessi libri
che ora
stava inscatolando per la mostra in onore di suo nonno. Sigyn allora le
sorrideva, energica e vitale, affascinandola con storie di popoli
perduti e di
città nascoste che dormivano sotto la sabbia e degli uomini
e delle donne che,
animati da una passione incontrollabile, avevano riportato alla luce
case e
sepolture, vie e piazze. Quando lei si meravigliava della sua bravura e
si
mostrava entusiasta, l’altra increspava le labbra in un
sorriso leggero e,
abbassando il tono della voce, aggiungeva che, se ci fosse stato ancora
il nonno
con loro, ogni spiegazione o leggenda sarebbe apparsa ancora
più bella, perché
lui aveva il dono, con la sua lingua
d’argento, d’incantare chi lo ascoltasse.
Forse, immaginò Claudette, era
allora che aveva visto per la prima volta sua nonna sfiorare con un
tocco
leggero la bussola dal coperchio intarsiato che teneva sulla scrivania.
Un moto
di tenerezza la invase vedendo la figura sottile dell’anziana
archeologa che
s’affannava nella ricerca dell’oggetto.
“Proviamo
a vedere se è in questo cassetto, nonnina?”
♥
Il
piano per rintracciare il favoloso oro
del Reno rimase su carta, destinato a non trovare compimento,
per lungo
tempo. Era come se la maledizione scritta nell’alfabeto
runico, che Sigyn aveva
finito per apprendere, avesse impregnato i loro cuori, macchiandone
persino le
anime. Poche settimane dopo l’incontro serale tra Loki e Lord
Borson, scoppiò
un conflitto che si sarebbe combattuto nelle trincee scavate nella
terra, tra
il fango che inzaccherava il filo spinato. Anche il professor Laufeyson
vi prese
parte. Partì col grado di ufficiale che gli spettava per
rango, privo
dell’illusione che si trattasse di una guerra giusta,
ammantato del disincanto
cinico che contraddistingueva molte delle sue idee politiche e del
dispetto per
essere stato costretto ad abbandonare le sue ricerche in un momento
fondamentale: quello in cui, assieme al suo mentore e amico, che
considerava
alla stregua d’un padre e che ammirava sopra ogni cosa, stava
iniziando a
raccogliere fondi per preparare l’ambiziosa spedizione.
Un’idea folle che si
era tramutata in ossessione, perché Loki non era capace di
accontentarsi di
niente: la soddisfazione non era nella sua natura e Sigyn lo sapeva, lo
aveva
capito fin dai primi, tumultuosi, giorni in cui era iniziato il loro
sodalizio
professionale, in cui si consumava gli occhi per sottoporgli
precisissime
riproduzioni fatte a matita dei corredi funebri che
l’archeologo aveva scavato
in qualche remoto villaggio del Cumberland da allegare alle sue
ricerche e,
contemporaneamente, con uno sbuffo, gli sistemava una delle giacche
eleganti
che gli calzavano comunque a pennello.
Il
primo conflitto mondiale spazzò via la routine di un
continente intero e anche
di più, ma, soprattutto, incrinò definitivamente
buona parte dei rapporti
personali di Loki o, perlomeno, i più importanti, creando
una profonda frattura
persino nei confronti di Sigyn, che col duro lavoro e la sua
intelligenza viva
e pungente era riuscita faticosamente a guadagnarsi la sua stima.
Dalla
guerra l’uomo tornò spezzato, furioso, arrabbiato.
La brama
di scoprire l’ignoto, che l’aveva sempre
caratterizzato, si era unita a
qualcosa di spiacevole, che gli orrori dei campi di battaglia potevano
spiegare,
sì, ma solo in parte. Era una sete, un’arsura, che
poteva essere letta come il
bisogno di vendicarsi del mondo intero consegnando il proprio nome alla
gloria
non solo – o non più – per il bisogno di
donare agli uomini il fuoco della
conoscenza, ma per un
crudele tornaconto personale, per pareggiare dei torti che aveva
subìto. Nessuna
ferita visibile gli deturpava il fisico asciutto e nervoso, ma i suoi
occhi
chiari e quasi trasparenti mostravano una traccia evidente
d’inquietudine.
Colpa
del tradimento che gli era stato inflitto, lungo una vita intera,
iniziato nel
momento in cui, ancora in fasce, aveva gridato il suo disappunto per
essere
venuto al mondo.
Sigyn
scoprì il mutamento nel peggiore dei modi, nel periodo di
una breve licenza
dell’archeologo, quando, dopo quasi due anni passata ad
attenderlo – a sognarlo
– se lo ritrovò finalmente davanti con un
bicchiere di whisky in mano e la
divisa da ufficiale ancora indosso. Sarebbe falso dire che quella vista
la
colse impreparata: l’aveva cercato. Alcuni compiaciuti
colleghi che mal
tolleravano le intemperanze di Laufeyson,
all’università, si erano messi a
raccontare di come Loki fosse tornato dal fronte furioso e avesse
deciso di
mostrare il suo disappunto all’intera Londra nel
più plateale e scenico dei
modi, così come si confaceva al suo animo altero e
orgoglioso: aveva raggiunto
Lord Borson al circolo, gli si era parato davanti e, puntandogli una
pistola, si
era messo a gridare che sapeva tutto. Si trattava, come presto avrebbe
scoperto
a sue spese anche Sigyn, di un segreto noto a troppi, che solo il
diretto
interessato ignorava ancora. Stando ai racconti dei presenti, Odino
Borson
stava leggendo un quotidiano con un sigaro che gli pendeva dalle
labbra. A
quella vista, l’anziano studioso aveva abbassato leggermente
il giornale fissandolo
con quel suo unico occhio che Sigyn immaginò terribile
eppure triste. Pare che
non disse nulla, né si mostrò sorpreso di fronte
all’arma.
Forse
se lo aspettava, se lo era aspettato per una vita intera, che quel
momento
giungesse. Alcuni raccontarono di come Lord Borson si fosse alzato in
piedi,
altri che aveva preferito rimanere lì, sulla poltrona
rivestita in pelle, in
attesa di un colpo che non sarebbe arrivato mai.
Era
stato Loki a parlare per primo. “Cosa sono?”
Domanda
secca, fatta a bruciapelo, con gli occhi lucidi.
Odino
si era concesso un sospiro e aveva parlato con lentezza, come quando,
durante
le lezioni che teneva all’università tra
un’esplorazione e l’altra, voleva
assicurarsi che i suoi ragionamenti si sedimentassero nelle menti degli
allievi
di fronte a lui. “Il mio miglior studente, il mio socio.” Aveva sospirato di
fronte all’altro che scuoteva la testa. “Un
brillante archeologo.”
“E
cosa più di questo? Sir Thor
non è
l’unico bastardo che hai avuto, vero?”
Loki
incalzava, furioso, furibondo.
Odino
aveva continuato a sostenere lo sguardo spaventoso che gli era di
fronte. “Lasciai
sua madre per la tua. Fu una storia breve anche quella,”
aveva ammesso.
“Perché?
L’hai sempre saputo. Perché?”
“La
famiglia di tua madre non gradiva la mia presenza.”
“No,
no.” La risposta non era stata giudicata abbastanza esaustiva
dal brillante
professor Laufeyson, che doveva certi colpi di fortuna proprio
all’interessamento e alla raccomandazione dell’uomo
di fronte a lui. Il braccio
non si era abbassato, né la mano aveva tremato.
“Tu mi hai mentito fino a ora
per un motivo. Qual è? Dimmelo!”
Lo
aveva detto gridando, a denti stretti, carico di
un’esasperazione per una
scoperta atroce, emersa, del tutto casualmente, una sera, al fronte. E,
dinanzi
a quell’ira cocente, Lord Odino, alla fine, aveva ammesso il
ragionamento fatto
quando, dopo anni di disinteresse, aveva preso sotto la sua ala
protettrice
quel ragazzo dagli occhi verdi e la risposta sempre pronta che aveva il
suo
stesso sangue nelle vene.
“Pensavo
che avresti rifiutato di aiutarmi nelle mie ricerche se avessi saputo
la verità,
ma le mie preoccupazioni, ora, non hanno più
importanza.”
Era
calato il silenzio, nella sala. E, forse, qualcuno aveva chiamato la
polizia
per evitare che Loki sparasse.
“Allora
non sono altro che questo: un mezzo, utile per raggiungere cosa? Fortuna e gloria?”
“Perché
deformi le mie parole?” Una domanda pronunciata con voce
stanca, disincantata, destinata
a scontrarsi, ancora, con una furia impossibile da domare.
“Avresti
potuto rivelarmi chi ero dall’inizio. Perché non
l’hai fatto?”
“Tu
sei mio figlio. Ho solo cercato di proteggerti dalla
verità.”
Alla
fine, Odino Borson l’aveva detto: Loki era suo figlio, come
Thor.
♥
Sigyn
venne a sapere tutto questo e mascherò il disagio per quella
rivelazione più
abilmente che poté, in pubblico, ma si avviò a
passo svelto a casa del
professor Laufeyson per mille ragioni e nessuna. Il rumore dei suoi
stivaletti
sul marciapiede accompagnò il ricordo di tutte le volte in
cui i due studiosi
si erano ritrovati insieme, complici l’uno delle scoperte
dell’altro.
Ragionavano allo stesso modo, agivano seguendo i medesimi schemi e si
stimavano
in maniera feroce e orgogliosa. L’oro
del
Reno era l’ultimo dei loro grandiosi progetti, ma
non il primo, né il solo:
sarebbe stato l’unico irrealizzato, però.
Stringendosi nel semplice paltò di
lana per proteggersi dal severo inverno londinese, Sigyn
pensò che l’antica
maledizione del tesoro vichingo si fosse abbattuta, a distanza di
secoli, anche
su di loro che avevano solo osato ipotizzare di riportarlo alla luce.
La
cosa peggiore nel trovarsi di fronte Loki non
fu capire cosa gli fosse successo cercando di interpretare le ombre
scure
dietro le sue pupille mobili e inquiete, chiare e sempre acutissime,
né
sopportare il cinico sarcasmo che le riversò addosso con una
smorfia sghemba
delle sue labbra sottili, segnate da una cicatrice nuova. Lui era caos
e lei se
ne era accorta dal giorno in cui si era proposta come sua assistente.
Loki si
sentiva tradito e pareva un animale in gabbia. Era vissuto dentro un
inganno,
si era illuso di essere stato scelto per merito, invece il vecchio Lord
Borson
si era semplicemente pentito di aver abbandonato l’ennesimo
frutto delle sue
relazioni amorose, anzi, peggio: aveva fatto del proprio figlio
bastardo
l’assistente perfetto, sfruttando l’ammirazione
accademica che il più giovane
provava per lui, negandogli una verità dovuta,
perché, in fondo, tutti
meritiamo di sapere chi siamo e da dove veniamo. È un
desiderio legittimo.
Loki
l’accolse squadrandola dall’alto in basso e
piegando le labbra in una smorfia
tirata, perché lei sapeva – come tutta Londra, del
resto. Non l’invitò a
restare, ma Sigyn osservò la bottiglia di whisky e il
bicchiere con due dita di
liquore dentro e disse che bere non sarebbe servito.
“E
cosa mi servirebbe, invece miss Van
der Vanir?” chiese ironico. La chiamò per nome
assaporandone le sillabe sulle
labbra sottili e lei tremò sentendo il tono roco e
freddamente divertito
dell’archeologo, perché quel modo di pronunciare
il suo nome era troppo, troppo
simile a una carezza fatta sulla pelle. Non parlarono mai di quello che
aveva
significato, per Loki, scoprire le circostanze della sua nascita e la
paternità
di Odino. Il professor Laufeyson era bravo a custodire i propri segreti
e non
li avrebbe condivisi con nessuno, nemmeno con lei, neppure mentre le
posava
davvero le labbra sulla pelle. Le sue certezze si erano infrante, la
sua
esistenza e parte della sua carriera si era rivelata una menzogna, una
truffa,
e allora tanto valeva prendersi ciò che aveva desiderato, ma
fino a quel
momento aveva scelto di non prendere.
Nello
studio avvolto dalla penombra, Sigyn si ritrovò con le
spalle contro la
libreria che aveva messo in ordine mille volte e la bocca
dell’archeologo che
sfiorava con infinita lentezza il suo collo, come se volesse
assaggiarla,
respirando il suo profumo. La strinse per la vita e lei
lasciò che lo facesse,
perché aveva sognato e sperato che una cosa simile
avvenisse, vergognandosi per
un simile desiderio. Si morse le labbra, sperando che
l’esplorazione sempre più
rapace non terminasse, odiandolo, perché le sue carezze
audaci la scuotevano,
ma lui continuava a negarle il piacere di un bacio sulla bocca. Allora
Sigyn
gli accarezzò i capelli scuri, ghermì le spalle
larghe e robuste, si tese
contro il corpo asciutto e tonico dell’uomo per cui lavorava
e che le era
mancato ogni giorno di quella guerra vicina eppure troppo lontana.
Finirono
per fare l’amore sul divano di quello stesso studio dove, un
paio d’anni prima,
avevano ipotizzato insieme di trovare il tumulo sotto cui era custodito
l’oro del Reno. Loki le
sciolse i capelli,
le tolse dal naso gli occhiali dalla montatura rotonda, le disse che
era bella,
ma Sigyn non commise l’errore di chiedergli che cosa
significasse quel momento
di passione non trattenuta, né cedette al medesimo impulso
dopo, quando la
convinse a spogliarsi del tutto e a rifarlo nel suo letto.
Sfiorò le cicatrici
leggere che aveva sulle spalle, si addormentò cingendogli la
schiena,
ascoltando il battito del suo cuore, domandandosi se
quell’amore l’avrebbe
consumata. Non si pentì di aver scelto di unirsi a lui,
quella notte e le
altre, troppo brevi, della licenza, ma non gli diede la soddisfazione
di
farglielo sapere, mai, così come si rifiutò di
versare anche una sola lacrima
davanti a lui quando Loki dovette tornare al fronte. Immobile alla
scrivania
della sua casa natale ormai vuota, con la famiglia decimata dal
conflitto e un
padre troppo malato per poterne vedere la fine, lo maledisse per tutte
le
lettere cui lui non si degnò mai di rispondere.
Sentì di essersi spezzata. L’oro
del Reno li aveva maledetti prima
ancora che la sua ricerca divenisse realtà.
La bussola
non le apparteneva ancora: era di Loki, che l’aveva comprata
qualche anno prima
in una vecchia bottega d’antiquariato. Sigyn
l’aveva notata molte volte, mentre
era nel suo studio, ma non l’aveva mai nemmeno sfiorata. Una
sera, vestita solo
di una sua camicia che le copriva interamente i fianchi, si era
avvicinata per
osservarla meglio: splendeva dentro a una vetrina e pareva un gioiello.
Aveva
aperto il mobiletto guardandola ammirata, certa che Loki non la stesse
osservando, ma lui, invece, l’aveva notata.
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Capitolo 2 *** L'oro del Reno ***
Capitolo 2
L’Oro
del Reno
I couldn't find quiet
I went out in the rain
I was just soakin' my head to
unrattle my brain
Somebody said you disappeared in a
crowd
I didn't understand then
I don't understand now
[..] And everybody was gone
I was standing in the street 'cause
I was trying not
to crack
I was solid gold
I was in the fight
I was coming back from what seemed
like a ruin
I couldn't see you coming so far
I just turn around and there you are
(The National, Pink rabbit)
Claudette
si soffermava sempre sulle fotografie che decoravano la stanza di sua
nonna.
Sigyn era una donna sottile, con la schiena leggermente curva e
l’ovale del
viso segnato inesorabilmente dal tempo; la sua figura ispirava un senso
di
fragilità sempre maggiore, aumentato dalla
facilità con cui il passato più
recente le sfuggiva dalla mente. A volte era difficile e strano, per
Claudette
come per gli altri membri della sua famiglia, ricordare che
l’anziana era stata
una ragazza vivace e coraggiosa e bella, trasformatasi in una donna
vitale e
forte, capace persino di imporsi e brillare in un ambito accademico che
aveva
sempre favorito gli uomini e sopportare una vedovanza lunga decenni. A
testimoniare il tempo lontano della giovinezza smarrita,
c’erano molte
fotografie in bianco e nero. Claudette ne amava una in particolare:
nello
scatto, sua nonna era a cavallo con i capelli raccolti in una lunga
treccia
spessa che le scendeva fin sul seno. Indossava stivali da cavallerizza
e un
paio di pantaloni su una camicia chiara. Accanto a lei, abbigliato
praticamente
nello stesso identico modo a eccezione delle calzature, c’era
suo nonno. Loki
Laufeyson portava un cappello a coprirgli parzialmente il viso, mentre
una
bandoliera tenuta ad armacollo spiccava sul torace ampio e largo. Non
sorrideva
all’obiettivo, anzi: fissava Sigyn con aria guardinga e il
movimento del suo
braccio pareva suggerire che stesse dando all’animale
l’ordine di partire
perlomeno al trotto.
La
ragazza rivolse alla fotografia un sorriso dolce, di commiato, e
tornò ad
aprire cassetti, in cerca del regalo antico che la nonna aveva ricevuto
dal
nonno, sì, ma quando? Increspò le labbra in
un’espressione di disappunto,
perché era strano parlare di Loki Laufeyson in quei termini.
Era e sarebbe
stato sempre l’astuto membro della Resistenza fucilato in un
piazzale, che
aveva lasciato troppo presto la famiglia, eternamente giovane negli
scatti in
bianco e nero che lo ritraevano fiero e avevano catturato, ma solo in
parte, lo
spirito indomito e insolente del cacciatore di tesori.
Sovrappensiero,
Claudette aprì un cassetto e vide una catenella spuntare da
sotto dei foulard
di seta ben impilati.
“Nonna,
è questa?” domandò tirando fuori il
grazioso oggetto.
Vedendo
la bussola, Sigyn sgranò gli occhi e
l’afferrò come fosse la più preziosa
delle
reliquie. La prese in mano tremando, attribuendo all’oggetto
più valore di
quanto non sembrava dimostrarne, tanto che la ragazza fu tentata di
chiederle
se fosse fatta d’oro.
“Quando
te l’ha regalata?”
L’anziana
studiosa si sistemò meglio gli occhiali sul naso,
accarezzò l’incisione che ne
impreziosiva il coperchio – un lupo e un drago marino stretti
insieme – e
rispose alla nipote senza guardarla, gli occhi persi in un passato
senza nome,
ma indimenticato, scolpito nella sua anima con a una tale
profondità che, forse,
nessuna malattia l’avrebbe privata di quel ricordo. “Quando
uscì da Asgard,” soffiò.
“Asgard?
Tu e il nonno non avete mai trovato Asgard.”
“Io
non l’ho mai vista, ma lui sì.”
♥
Strasburgo, 1919
Assistente,
amica, amante. No, quello no,
non lo sarebbe tornata
a essere mai più. Respiravano la stessa aria e le loro
labbra, nella penombra,
erano troppo vicine. Presto si sarebbero sfiorate lambendosi appena,
per poi
cercarsi con urgenza, cariche di un desiderio che settimane, mesi e
anni di
studio e di lontananza avevano solo acuito. Sentì il braccio
di Loki cingerle
la vita per avvicinarla al suo torace asciutto, al suo odore di cuoio e
pelle.
Lo detestava. Gli aveva scritto decine di lettere, dopo che lui era
tornato a
combattere al fronte – dopo che la loro relazione si era
confusa e complicata
tra le soffici lenzuola di un letto, ma l’archeologo aveva
pensato bene di non
risponderle mai. Era arrivata a pensare che fosse morto, e allora un
brivido
gelido le era corso lungo la schiena e lo stomaco le si era stretto in
una
morsa glaciale, perché gli occhi chiari di Loki, spalancati
e fissi verso un
cielo cieco e lontano, erano qualcosa che non riusciva a immaginare,
così come
era troppo doloroso pensare che il suo corpo scattante e forte potesse
essersi
irrigidito nel gelido abbraccio della morte in una terra straniera e
lontana.
Sì,
Sigyn lo odiava anche in quel momento, mentre
una mano audace le carezzava la vita per poi ghermirle la stoffa della
giacca, saggiandole
la pelle tesa sotta di essa. Per un momento, si lasciò
trascinare dal caos di
quella situazione. Per un istante, uno solo, dimenticò il
tesoro e,
soprattutto, che lui si era spezzato
nei campi di battaglia invasi dal filo spinato che avevano diviso in
due
l’Europa in fiamme. Gli sfiorò la guancia
affilata, leggermente ispida, desiderando
abbandonarsi a un bacio, uno soltanto, ma poi pensò al
giorno successivo e a quello
dopo ancora: cosa sarebbe stato di loro e delle ricerche che stavano
portando
avanti, se avessero di nuovo oltrepassato il confine tra rapporto
professionale
e amore, di qualunque natura fosse?
“Professor Laufeyson, non
dovremmo,” gli sussurrò
sulle labbra e immaginò di non dirlo e di baciarlo, invece,
perché era
innamorata di lui da quando ancora sedeva sui banchi
dell’università e rimaneva
incantata ad ascoltarlo, anche se lo aveva capito più tardi,
davanti a una
tazza di tè.
Lui
si sorprese per quella frase, perché era da prima della
Grande Guerra che aveva
iniziato a chiamarlo per nome. Lo ricordavano perfettamente entrambi.
“Non
dovremmo perché, quando sei sobrio, non vuoi avere
legami,” aggiunse decisa,
posandogli le mani sul petto per allontanarlo. Un gesto delicato,
lieve, cui
non seguì alcuna spinta. L’altro rispose con una
smorfia del bel viso affilato
e la liberò immediatamente, spezzando così
l’incanto. Le regalò uno sguardo
ardente, quasi crudele, perché, probabilmente, non aveva
bevuto poi così tanto
e doveva essersi accorto, nonostante la penombra, di come il viso di
lei fosse
rosso dall’emozione.
Sigyn
si lisciò le pieghe inesistenti della gonna. La guerra le
aveva portato via
troppe cose, anche l’amore.
“Ho appena accettato di tornare a essere la
tua assistente solo per un motivo, lo sai. Non abbiamo
tempo.”
Implacabile,
altera, offesa. Una principessa.
Che aveva
cercato di essere indifferente alla corte insistente di un cacciatore
di tesori
bugiardo, venuto a cercarla non perché se l’era
portata a letto nelle brevi
settimane di una licenza invernale, né per premiare la
fedeltà che lei gli
aveva tributato occupandosi, in sua vece, di certi affari personali e
scrivendogli lettere argute e mai sdolcinate in attesa che tornasse.
No, Loki
si era presentato poche settimane prima alla sua porta, con ancora la
divisa
militare addosso, di nuovo,
cercando
non la donna, ma la studiosa esperta di rune, l’assistente su
cui lui aveva
scommesso.
Quando
se l’era ritrovato davanti, a pochi passi dal portico della
casa di campagna
che era stata dei suoi genitori, il primo impulso di Sigyn era stato
quello di
afferrare il fucile appeso all’ingresso e sparargli.
Vedendola con l’arma in
mano, Loki aveva aggrottato le sopracciglia e, lesto come un gatto, si
era
gettato di lato, in mezzo a una siepe. Lei aveva premuto il grilletto
davvero e
l’archeologo, rialzandosi, aveva commentato che
sì, forse avevano ancora qualche
conto in sospeso, ma l’aveva
fatto regalandole il più tetro e affascinante dei suoi
ghigni, perché adorava
vederla infuriata.
“Sono
qui per proporti di partecipare alla più grande caccia al
tesoro del secolo,”
aveva spiegato, “non per farti finire quello che i crucchi
hanno iniziato. So
dov’è l’oro
del Reno e… Asgard.”
Così
l’aveva convinta: stuzzicando la sua sete di conoscenza e
allettandola con la
prospettiva di porre anche il suo nome in calce a una scoperta come non
ce ne
sarebbero state altre; solo che Sigyn non era riuscita né
aveva voluto dargli
immediatamente il suo assenso, perché il ricordo delle notti
in cui le labbra
beffarde dell’archeologo si erano posate sulle sue per poi
scoprirle con
infinita lentezza il collo e il seno – prendendosi lei, cuore e corpo e mente –
erano dolci e dolorose insieme.
Parlavano di un amore non corrisposto o non inteso alla stessa maniera.
Eppure,
la spedizione diveniva ogni giorno più reale. Merito del
coinvolgimento di Thor
Stormbreaker,
alleato, amico, fratello ritrovato su un campo di battaglia. Si era
ritagliato
il ruolo di finanziatore non perché gli interessasse
particolarmente infilarsi
in qualche caverna o scavare un sito archeologico, ma per dare lustro
al suo
casato, riportandolo ai vecchi fasti di qualche generazione prima e
perché
amava l’avventura – anzi, ne aveva bisogno.
“Dobbiamo
arrivare prima di Odino. Batterlo sul tempo è la nostra
unica possibilità. I
suoi corvi sono già
sulle nostre
tracce, così hai detto,” gli ricordò
caustica, spostando lo sguardo grigio
sulla mappa aperta sopra il tavolo dello studio. Aveva le labbra gonfie
per i
baci che si erano scambiati, il cuore in tumulto.
Il
termine ironico che aveva usato per indicare i nuovi seguaci di Lord
Borson
strappò a Loki un ghigno divertito. Era stato lui ad
affibbiare con malcelato
disprezzo quell’epiteto ai signori Huginn e Muninn, questi i
loro nomi. Colpa
degli abiti perennemente cupi che indossavano e dell’aria
lugubre che si
tiravano dietro, aveva spiegato cattivo.
“E
così, alla fine, ti ho convinta.”
Loki
Laufeyson lo disse arricciando le labbra in un sorriso trionfante,
perché lei
aveva ceduto alla sua richiesta. Detestava chiedere poiché
aveva l’animo di un
principe, ma era bravo a convincere e a irretire il prossimo; sapeva
scovare i
punti deboli dei suoi ascoltatori e conosceva il modo per far leva su
di essi
in modo tale da piegarli senza che questi se ne accorgessero. Sigyn,
che
conosceva benissimo questa sua abilità, aveva tentato di
opporsi alla sua corte
serrata, ma alla fine aveva deciso di capitolare in nome della
possibilità di
essere trattata da uno studioso della levatura di Loki come una pari.
Qualsiasi
altro professore universitario l’avrebbe relegata a fare la
dattilografa o la
segretaria, invitandola a sposarsi e a mettere su famiglia
com’era giusto che
facesse una donna, assegnandole mansioni blande e poco interessanti,
oppure
avrebbe criticato il suo interessamento alla questione del voto, mentre
Loki le
aveva sempre concesso una parità tagliente.
“Voglio
partecipare a una spedizione archeologica riguardo un sito su cui sono
preparata.
Molto preparata,” sospirò lei.
Lui
inclinò
appena il capo da un lato, fissandola ammirato. “Ambiziosa.
Ero sicuro che
avresti accettato.”
“Sei
arrogante e superbo. L’hai chiesto a me perché non
ti fidi di nessun altro,
anzi: non ritieni che ci possano essere altri studiosi in grado di
farti da
assistente senza una formazione adeguata e non hai tempo di addestrarne
di
nuovi.”
Loki,
colpito dall’acutezza del suo ragionamento, rise brevemente.
“Sei l’unica, è
vero. Non ne sei lusingata? O dovrei trattarti come una dolce dama da
proteggere per quello che è successo tra noi?”
Erano
di nuovo lì, nell’appartamento elegante tappezzato
di libri dell’archeologo,
nelle stanze che avevano visto consumarsi la loro relazione. Il
tramonto
coperto di nubi regalava una luce fredda e giallastra allo studio
– quella
notte sarebbe scoppiato un temporale.
L’oro
del Reno era una
leggenda, un mito racchiuso
nei polverosi libri di mitologia che occupavano gli scaffali della
biblioteca
di famiglia. Un’ossessione che il giovane professor Laufeyson
aveva inseguito
invano, senza mai trovare, corroso da una febbre che ricordava quella
di certe
figure dei poemi, che sacrificavano ogni cosa in loro possesso, anche
la più
preziosa, per correre dietro a una chimera o per il gusto di sfidare a
testa
alta i propri avversari. Le scoperte che lo avrebbero reso celebre
sarebbero
state altre – quelle fatte nella penisola scandinava, in Gran
Bretagna e in
Francia più tardi, verso la fine degli Anni Venti
– ma la gara per scovare ciò
che restava della favolosa Asgard coinvolgeva la sfera personale: era
la
stoccata che il brillante studioso desiderava infliggere a Odino
Borson. Una faida
familiare, dunque, che si mescolava alla carriera e metteva in mezzo
persino il
desiderio e la passione.
Sigyn
lo sapeva, lo ricordava, ed era stata la testimone della frattura
avvenuta tra
l’archeologo e il suo mentore. L’affascinante
professor Laufeyson, capace di
incantare qualunque interlocutore grazie al potere della sua voce roca
e
ironica, era imprigionato in una solitudine nera, che pesava sulle sue
spalle
come una cappa. Chi sapeva osservare con la dovuta attenzione lo
studioso, avrebbe
potuto scorgere il contrasto tra il tono di voce sempre ironico e
sicuro e la
ferocia dello sguardo verde e aguzzo, che si posava rapido su ogni cosa
analizzandola fin nella sua essenza. Nella profondità degli
occhi chiari di
Loki, Sigyn aveva letto il bisogno di trovare il tesoro per vendicarsi
dell’inganno supremo, per infrangere il vincolo che ancora lo
legava a Odino
Borson sottraendogli l’unica cosa che condividevano e che per
lui aveva
importanza. Loki era cambiato. La scintilla di una follia insana, che
sapeva di
vendetta, brillava nel suo sguardo, spaventandola e attraendola
insieme. Non
poteva permettere che andasse da solo – aveva ancora il
sapore delle sue labbra
beffarde sulla bocca – ma non doveva cadere di nuovo nella
rete di una
relazione che, Sigyn lo ricordava, l’aveva già
spezzata, distrutta.
♥
Da qualche parte
lungo il corso del
fiume Reno, in Germania, 1920
“Mio
fratello nutre per voi un interesse particolare, anche se a volte non
si
comporta esattamente come un gentiluomo.” Sir Thor aveva
perso un occhio ad
Arras,
in un incidente aereo durante la controffensiva britannica in
territorio
francese. Tale circostanza, lo rendeva incredibilmente simile al padre
suo e di
Loki, Lord Borson. Questo, assieme ai capelli corti e biondi e al viso
abbronzato dal sole, gli regalavano un’aria fiera, da
combattente, che
contrastava con i lineamenti affilati e virili, ma eleganti, di Loki.
Erano
in viaggio da diversi giorni verso quel punto della Germania ancora
sconfitta
dove, secondo Laufeyson, era ragionevole che ci fossero tracce della
tomba che
si diceva essere stata d’un mostro, di un re guerriero, di
entrambi. La
spedizione si era trasformata in una lotta contro il tempo,
perché anche Lord Odino
aveva deciso di raggiungere il presunto sito dell’oro del Reno e, purtroppo, non era
l’unico. Qualcun altro si
era gettato sulle tracce del
mitico tesoro: un magnate o un capo di Stato si era messo in testa di
foraggiare uno studioso tedesco, Malekith Von Svarthelfheim,
affinché scovasse
per primo la sepoltura, rivendicandone in tal modo la scoperta. La
squadra di
Loki aveva un vantaggio sulle altre, ma solo momentaneo; merito del
libro
d’appunti che quest’ultimo aveva trafugato a Odino
e che conteneva la copia,
ricalcata con cura in un vecchio monastero italiano, della mappa oscura
contenuta
in un antico codice.
Il
vecchio Lord era convinto che il sito della fantastica sepoltura fosse
oltre
una valle, nei pressi di Colonia, mentre Loki riteneva che si trovasse
molto
più a nord, in quella che era nota come la Gola
del Reno.
La frase che indicava esattamente il punto dove iniziare
l’esplorazione
assomigliava, tanto da sembrarne un calco perfetto, al verso di un
antico poema
d’amore, che indicava, appunto, un luogo differente da quello
individuato da
Borson. Sigyn e Loki si erano confrontati – o, per meglio
dire, scontrati – a
lungo sul distico troppo simile per essere una coincidenza.
Raccogliere
dati e osservare erano i compiti principali di uno studioso che si
rispetti, ma
non i soli. Interrogare uomini e donne morti in un altro tempo
attraverso ciò
che era rimasto di loro, saper scorgere oltre le righe di un verso o di
una
ceramica riportata agli antichi fasti dopo aver tolto dalla sua
superficie
terra e polvere, era un’abilità che necessitava di
rispetto, calma, pazienza e
curiosità. L’indizio che Odino si era rifiutato di
guardare o, semplicemente,
di interpretare nel corretto modo, su cui si era lambiccato per una
vita
intera, si era rivelato, quasi casualmente, al professor Laufeyson e
alla sua
assistente, solo in virtù della lettura sensibile di
quest’ultima, che si era
ricordata della somiglianza con una nenia d’amore antica e
quasi dimenticata.
La
spedizione volta a scoprire l’ultima e unica traccia terrena
di Asgard era
iniziata nell’alba ancora fumosa di un nuovo decennio in cui
l’Europa sarebbe
stata ancora corrosa e lacerata dalle numerosissime tensioni irrisolte
che gli
anni trascorsi in trincea non avevano sedato, ma amplificato. Alcuni,
come Loki
e Thor, avrebbero tentato di incanalare il loro bisogno di superare
l’esperienza della Grande Guerra e tutte le considerazioni e
le scoperte, che
quest’ultima aveva inciso sulla loro pelle, nella ricerca di
tesori perduti,
nel desiderio di sentirsi vivi andando a caccia di miti. Altri
avrebbero
rivolto lo sguardo altrove – alle promesse di una vita
migliore, alle
condizioni sempre uguali a se stesse, alle richieste fatte ai governi
rimaste inascoltate,
alle vendette e alle sconfitte.
Era
sera. I due fratelli avevano parlato a lungo, a cena in una piccola
locanda,
del costo delle riparazioni di guerra stabilito dalla
Società delle Nazioni;
Thor sosteneva che fosse una decisione legittima e giusta e aveva
ricordato
l’occhio perso in una missione. Loki l’aveva
fissato con una smorfia tirata e,
con voce lenta, bagnandosi appena le labbra sottili con un boccale di
birra,
aveva sentenziato che molte cose erano giuste, ma non tutte potevano
trovare
applicazione nella realtà. A suo parere, la
Società delle Nazioni aveva
esagerato, richiedendo un prezzo troppo alto alla nazione sconfitta.
Era
seguita una discussione animata, in cui nessuno dei due uomini aveva
ceduto
sulla propria posizione;
poi, Loki era andato a controllare se fosse arrivato qualche telegramma
circa
la posizione di Odino o di Von Svarthelfheim, mentre lei era rimasta
lì,
assieme a Thor, che li aveva visti la sera prima scambiarsi un bacio
fuggevole
e intenso, dato perché si erano giurati che non doveva
più capitare, di cedere
all’amore. Solo che i lunghi mesi trascorsi tra la fine della
guerra e la messa
a punto di quella spedizione, a cui lei doveva partecipare a ogni
costo,
l’avevano portata a vivere troppo tempo assieme
all’archeologo.
C’era
ricaduta un’altra volta.
Lo
aveva fatto e non riusciva a pentirsene, anche se il suo cuore era
lacerato
dalla consapevolezza di chi fosse, Loki Laufeyson.
La
domanda del ricco inglese la distolse dai suoi pensieri.
“Mio
fratello nutre per voi un interesse particolare, anche se, a volte, non
si
comporta esattamente come un gentiluomo.”
La
donna apprezzava l’atteggiamento schietto e sincero del
fratellastro del
professor Laufeyson, ma in quel momento non riuscì a
impedirsi di arrossire visibilmente
di fronte alla battuta franca dell’altro.
“Vostro
fratello nutre un interesse particolare per le sue ricerche e io
l’aiuto, tutto
qui,” si schermì, ma sapeva bene a cosa
l’altro si riferisse.
“Ne
siete innamorata.”
Voce
sicura, che non ammetteva repliche e scandagliava, allo stesso tempo,
il suo
cuore.
Thor
lo disse convinto, dando voce a un sentimento che Sigyn non era in
grado di
occultare né di nascondere. Non riusciva a fare a meno di
lui. Ci aveva
provato, ma era una guerra da cui sceglieva sempre di uscire sconfitta,
che
instillava nel suo cuore un desiderio contrario, fiero e allo stesso
tempo
folle: quello di amare Loki nonostante tutto – nonostante lui. L’attrazione che aveva
provato per il suo brillante professore
d’archeologia si era trasformata, col tempo, in un amore
più maturo e consapevole,
certo, ma altrettanto doloroso, che spezzava le vene, soffocava il
respiro, non
aveva soluzione.
“Subisco
il suo fascino. Come molti,” insinuò guardandolo
da sotto le ciglia nere.
Thor
si rese conto di dove lei volesse andare a parare e si strinse nelle
spalle. “Entrambi
siamo capaci di riconoscere i suoi pregi e di bilanciarli con i
difetti. In
qualche modo, credo che siamo vittime della sua sete di
conoscenza,” ammise con
semplicità.
Era
un uomo solido, nato per vivere e morire con la divisa addosso, che si
annoiava
terribilmente all’idea di dover trascorrere le sue giornate a
curare i numerosi
possedimenti fondiari della sua famiglia. Per questo aveva colto al
volo
l’occasione di partecipare a un’avventura di cui
capiva solo in parte la valenza
storica. L’oro del Reno
per lui non
era nemmeno una leggenda, ma solamente l’ossessione di un
fratello ritrovato al
fronte che si era rivelato, in brevissimo tempo, un alleato di cui non
era
capace di fare a meno. Ignorava che la sepoltura di cui tutti avevano
dimenticato l’ubicazione fosse un luogo mitico,
così come non gli interessava
affatto che generazioni di monaci avessero perso la vista copiando,
alla luce
fioca di una candela, le descrizioni fantastiche che avrebbero
arricchito le
trascrizioni di poemi epici, di bestiari medievali, di cronache
relative a un
tempo perduto e dimenticato.
“Siete
innamorata,” sentenziò Thor di nuovo accennando un
breve sorriso. “Non
vergognatevene. Vi prometto riserbo,” concesse.
“Lo
chiamate fratello, avete finanziato
quest’avventura,” esordì Sigyn
lentamente,
sforzandosi di cambiare argomento. “Da quando è
finita la guerra, siete
inseparabili. Eppure, a guardarvi dall’esterno, sembra che
non vi accomuni
nulla.”
Thor
si sporse verso di lei. “Loki non vi ha raccontato proprio
niente?”
Sigyn
abbassò lo sguardo. “Ha detto che vi siete
picchiati per una sciocchezza; che
vi ha salvato la vita. Che Lord Borson era promesso a vostra madre.
Nient’altro.”
Thor
buttò il capo all’indietro e scoppiò in
una risata scrosciante, allegra.
“Conoscendolo,
si è esposto persino troppo,” constatò.
Si indicò l’occhio cieco, tagliato da
una cicatrice che gli segnava la guancia. “Questa ferita me
l’ha fatta la
scheggia di una granata che mi ha colpito ad Arras. Loki mi ha visto e
mi ha
salvato la vita e io l’ho salvata a lui.”
Arricciò le labbra, perso nel ricordo
del conflitto, la mente volta ai compagni che non ce
l’avevano fatta, ombre
pallide che tormentavano i suoi sogni.
Il
legame tra quei due fratelli che avevano scoperto troppo tardi di
essere tali
era complicato, intenso, robustissimo, eppure, allo stesso tempo,
basato su un
precario equilibrio. Negli anni, entrambi si sarebbero lasciati andare
a
maggiori confidenze, rivelando, rigorosamente di fronte a un bicchiere
di vino
e con gli occhi arrossati dall’alcool, alcuni dei dettagli e
delle imprese che
avevano contribuito ad aumentare i gradi sul loro petto, ma nei
primissimi Anni
Venti, il ricordo era ancora troppo vicino per essere affrontato col
giusto
distacco. Nell’attesa che Loki tornasse, Thor
continuò a raccontare di quel
rapporto fatto di sfida e ammirazione e competizione. Insieme erano una
squadra
formidabile, come se il sangue che condividevano rendesse
più robusta la loro
intesa. Sebbene fossero diversi tra loro per indole e inclinazione,
studi e
interessi, talvolta riuscivano a capirsi solo con uno sguardo,
un’occhiata. Un
simile affiatamento non poteva essere imputato alle sporadiche
occasioni in cui
i due avevano parlato del più e del meno a casa di Odino
Borson, l’uno in veste
di collega giovane e promettente e l’altra di figlio naturale,
ma aveva radici più profonde: era uno scegliersi,
un’elezione particolare che
si sarebbe rivelata essere la beffa della natura in persona.
Gli
occhi di Sigyn erano orgogliosi e tristi, le sue guance rosse
d’emozione:
ascoltare le gesta del professor Laufeyson le faceva battere
più veloce il
cuore nel petto.
Loki,
spiegò Thor Stormbreaker, al fronte era esattamente come
appariva nella vita di
tutti i giorni: un uomo superbo arrogante, assertivo, con la lingua
troppo
lunga, che riteneva di essere più intelligente del suo
prossimo, tutto. E
sapeva farlo pesare. Ma la cosa peggiore, quella che più
aveva fatto innervosire
Thor, era stata la pretesa, sfoggiata da Loki in più
d’una occasione, di essersi
fatto da solo e di dovere la sua fortuna e il suo ruolo al fatto di
esserne,
semplicemente, degno.
“Io e
Loki siamo fratelli due volte. Di sangue e per scelta. I tedeschi ci
catturarono assieme ad altri dei nostri e noi fuggimmo prima che ci
portassero
in qualche campo di prigionia in Germania o in Austria. Rischiammo di
morire
infinite volte e una notte, quando eravamo quasi
certi di non farcela, mi raccontò un paio di
aneddoti su sua madre e allora
capii chi fosse e glielo dissi. Non mi volle credere e allora lo
afferrai per
il bavero del cappotto e glielo ripetei ancora e ancora,
finché non si
convinse. Il giorno dopo, persi l’occhio e lui mi
salvò la vita.”
Lord
Stormbreaker aveva parlato schiettamente, ma un guizzo inquieto
animò il suo
unico occhio d’un blu intenso, a quel ricordo. Sigyn se ne
accorse, ma non
disse nulla. La rivelazione amara aveva afferrato la mente
dell’ex ufficiale
riportandolo a quella notte terribile in cui aveva creduto di morire,
mentre la
pioggia si trasformava in una neve leggera che, per fortuna, non
avrebbe
attecchito.
“Non
ti sei accorto, tenente Laufeyson,” gli aveva detto
stringendo la stoffa, “che
Lord Borson, il tuo mentore e amico, mio padre, ti assomiglia non solo
nel
carattere, ma anche nell’aspetto? Lasciò mia
madre, incinta, sull’altare, per
scappare con la tua. Siamo fratelli.
Sei suo figlio anche tu! Ti ha spianato la carriera perché
vinto dal senso di
colpa, come ha fatto con me.”
Questo
gli aveva detto e Loki si era liberato per poi indietreggiare, colpito
da
quella scoperta che aveva il sapore amaro di una maledizione, incapace
di sopportare
il peso della menzogna, di leggere in una chiave nuova il rapporto
strettissimo
che aveva instaurato con Thor.
♥
La
ricerca del tesoro della perduta e mitica Asgard, che riempiva i poemi
scaldici
ricchi di figure retoriche e di kennings,
rappresentava un modo, per Thor e Loki, di superare gli strascichi
indimenticabili della guerra e provare a dare un nuovo corso alle loro
vite.
Niente, nessuna cosa avrebbe mai potuto essere come prima e allora
tanto valeva
rendere reali desideri, sogni e speranze, piegare al proprio volere il
destino.
Attività superba, quest’ultima, soprattutto se
l’oggetto delle ricerche in cui
si erano gettati i due uomini scomodava miti antichi e
divinità perdute. Il
nome di Asgard raschiava le loro gole, carico di tutta la potenza del
mito e
l’oscurità che si tirava dietro una
città d’oro che, si diceva, fosse stata
eretta dal dio delle forche e della poesia in persona.
Loki
tornò al tavolo e ordinò dell’altra
birra; la mascella contratta e lo sguardo
mobile e nervoso non lasciavano presagire nulla di buono o consolante.
“Cattive
notizie?” domandò Thor, sistemandosi meglio sulla
sedia.
“Peggio,
nessuna. Avevo supposto che Odino si trovasse ormai nei pressi di
Colonia,
invece nessuno dei miei contatti lo ha ancora intercettato,”
s’innervosì.
“Forse
ha tardato,” fu la replica asciutta dell’altro.
Loki
gli rivolse un’occhiata feroce. “Tuo padre non
tarda, Thor. Arriva in anticipo,
piuttosto.”
“Temi
che possa aver già trovato il tesoro?”
“No,”
replicò l’archeologo con lentezza. “E se
anche fosse riuscito a raggiungere la
Gola del Reno prima di noi, non entrerebbe immediatamente.”
“Perché?”
domandò Thor, “per via della maledizione? Ci
credete davvero?” rise,
guardando ora il fratello ora la sua assistente.
Sigyn
tirò fuori dalla borsa una cartella in cuoio che conteneva
diversi taccuini e
ne aprì alcuni: contenevano, scritti a matita e a penna con
grafie ora lente e
curate, ora frettolose, una lunga serie di appunti.
Loki
le gettò un’occhiata distratta solo
all’apparenza e prese a spiegare. “I ladri
di tombe esistono da sempre, Thor: le maledizioni sono semplicemente un
modo
comodo per spaventare i più deboli tra loro, un tentativo di
dissuadere e
allontanare i predoni. L’oro del
Reno non
fa eccezione, ma la sua particolarità è che si
trattava di una leggenda quando
ancora non era nemmeno stato sepolto,” spiegò.
Un
sorriso furbo gli illuminava il viso affilato; prese a raccontare i
dettagli
più curiosi che aveva appreso leggendo e studiando i
manoscritti di Iordane, di
Paolo Diacono, di Beda il Venerabile, di Snorri Sturloson e di altri
monaci dai
nomi oscuri, inghiottiti dal tempo.
Il tesoro era ciò che rimaneva di una città
perduta che, si diceva, fosse
abitata dagli dèi Æsir in persona – un
popolo guerriero che si era stanziato in
quelle terre, le cui storie si erano confuse con le canzoni dei poeti e
dei
bardi – aggiunse Loki con un’alzata di spalle.
La storia, tuttavia, aveva assunto i contorni del mito: tre Asi avevano
ucciso,
per errore, un essere magico tramutato in lontra. Da lì, si
dipanava una storia
fatta di promesse e di magie, di vendette, di amore e, infine, di morte.
La conclusione di quella che, alle orecchie di Thor, suonò
come una fiaba per
bambini, era una leggenda nella leggenda, ancora più cupa
della prima: i
favolosi e potenti dèi degli Æsir, dopo aver
consegnato agli uomini un tesoro
maledetto che aveva provocato infiniti lutti e sanguinose guerre, erano
stati
sconfitti, a loro volta, da un destino amaro e terribile.
“Quella
che inseguiamo noi, è una variante della ben nota trama del
Crepuscolo degli
dèi, quello di Wagner,” concluse Loki.
“Mi
hai parlato di una sepoltura piena di tesori, ora mi racconti
un’opera lirica
crucca.”
“Se
avessi iniziato dall’opera lirica crucca, temo non mi avresti
mai dato ascolto,
né finanziato, fratello,”
ghignò
l’archeologo.
“Secondo
un’antica versione de La Canzone di
Reginn,” spiegò Sigyn, “un
grande tesoro venne sepolto in una cascata qui,
nella Gola. Pare che derivasse dalle ultime vestigia di Asgard, la
città d’oro
degli Æsir: gli dèi vichinghi avevano
qualità particolari, molto umane,”
spiegò
la ragazza, lanciando di tanto in tanto uno sguardo irrimediabilmente
dolce a
Loki. “Erano predoni,” continuò la
ragazza, “dediti spesso all’imbroglio,
all’inganno, in perenne lotta con i loro vicini, i Giganti.
Nonostante la loro
immensa potenza militare, però, le Norne, le
divinità che filano il destino di
tutti, avevano deciso che, un giorno, anche a loro sarebbe toccato
morire.
Così, Asgard venne distrutta da Surtur, un Gigante di Fuoco.
Più probabilmente,
la popolazione nota come Æsir fu sterminata dopo una rovinosa
campagna militare
e la loro favolosa città data alle fiamme. Parte del tesoro,
però, pare che
seguì il corso del Reno fino a… questo punto.
Ecco perché è tanto importante
trovare la sepoltura. È la traccia di una civiltà
scomparsa,” terminò
semplicemente la ragazza.
“Dovresti
riordinare i tuoi appunti e pubblicarli,”
sentenziò Loki alzandosi. La serata
era terminata, l’ultima tappa del loro viaggio li aspettava.
Sigyn pensò che
fosse bello e che forse Thor aveva ragione: amare Loki era qualcosa che
non
poteva fare a meno di fare, cui non desiderava affatto rinunciare,
anche se il
suo spirito inquieto e caotico lo avrebbe spinto sempre
all’inseguimento di ciò
che nessun altro uomo osava cercare né scoprire. Una vita
vissuta al limite,
trascorsa alla ricerca di qualcosa che lo facesse sentire vivo e
cancellasse il
trauma nascosto, ma senz’altro presente, della guerra. Al
ricordo delle notti
insonni che aveva trascorso negli anni, passate a chiedersi se il
professor
Laufeyson fosse vivo o morto, le si strinse lo stomaco: non era pronta
a
immaginarlo di nuovo in pericolo e persino quella spedizione ambiziosa
era coperta
da una cappa tetra che la maledizione antica degli avidi e feroci
Æsir poteva
spiegare solo in parte.
Non
sarebbe riuscita ad accettare di nuovo che Loki fosse sotto il tiro di
un
nemico, neppure quando, molti anni dopo di allora, in
un’altra guerra, una
pallottola avrebbe finito davvero per strappare la vita
all’astuto archeologo.
A partire da quel giorno, un’ombra scura le avrebbe per
sempre velato lo
sguardo grigio.
Ma
questa è un’altra storia o, forse, no,
è la stessa, perché le vite degli uomini
seguono percorsi inauditi e strani e fantasiosi, tali che la
letteratura e
l’immaginazione dello scrittore non sono spesso in grado di
inventarne di
simili e altrettanto fantastici. Di questo, Sigyn un giorno ne avrebbe
avuto
un’amara prova, ma durante il viaggio verso
quell’Europa sconvolta, impegnata a
leccarsi le ferite scavate dalle trincee che l’avevano
attraversata per tre
lunghi anni e a ricostruire quello che era stato distrutto,
ignorò i presagi
che la ricerca del tesoro maledetto portò, inevitabilmente,
con sé.
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Capitolo 3 *** La città degli dèi ***
Capitolo 3
La
città degli dèi
Io non sono cambiato,
il cuore ed i pensieri son gli
stessi,
sul tappeto magnifico dei versi
voglio dirvi qualcosa che vi tocchi.
Buona notte alla falce della luna
sì cheta mentre l'aria
si fa bruna,
dalla finestra mia voglio gridare
contro il disco della luna.
La notte è
così tersa,
qui forse anche morire non fa male,
che importa se il mio spirito
è perverso
e dal mio dorso penzola un fanale.
(Confessioni di un malandrino,
Angelo Branduardi)
Londra, 1983
Scovare
un tesoro maledetto vecchio di secoli, rubare il segreto di una
città morta la
cui unica traccia ancora esistente è racchiusa in una
sepoltura dimenticata, sono
atti di superbia che meritano di essere puniti: rappresentano la sfida
di un
uomo che vuole annullare l’oblio provocato dal tempo,
riportando alla luce un
luogo favoloso che, si diceva, fosse stato eretto dagli dèi
in persona.
Tormentando il coperchio della bella bussola con le dita sottili ormai
nodose,
l’anziana professoressa Van der Vanir si domandò,
per l’ennesima volta nella
sua lunga e intensa vita, se i prodromi della tragica e coraggiosa
morte di
Loki fossero stati davvero ravvisabili nella spedizione volta a
ritrovare l’Oro del Reno.
L’archeologo aveva
commesso l’errore di credersi superiore agli avvertimenti di
una maledizione
antica, come tutti loro, ma era stato il solo a pagare;
perché? Era per via di
ciò che aveva fatto quando, entrando nella cripta antica,
ancora sorvegliata da
un essere senza tempo, si era azzardato a parlare, discorrere,
contrattare, rubare, forse?
Sigyn,
che aveva sempre creduto di avere la risposta a quella domanda crudele,
si
accorse, improvvisamente, di non essere più certa di niente.
Persino il passato
che, fino ad allora, le era sembrato nitido e privo di macchie,
iniziò a
vacillare. Da quella prospettiva aliena, era ugualmente doloroso
interpretare
la morte di Loki come la fredda vendetta di una serie di
divinità rancorose quali
il dio delle forche, del tuono e quello degli inganni; Loki e Thor
avevano varcato
le soglie della tomba perduta perché costretti, spinti dalle
canne dei fucili
di Von Svarthelfheim puntati contro le loro schiene. In gioco,
ricordò, c’erano
la sua vita e quella di Lord Odino. Era stato lui, involontariamente,
ad
attirare nella Gola del Reno Malekith Von Svarthelfheim. Non aveva
reputato il
tedesco un avversario pericoloso e aveva finito per sottovalutarlo,
lasciandosi
corrodere da un’ira che, alla fine, si era dimostrata fatale.
Claudette
la riportò al presente. “Nonna, non eri con
lui?”
La
voce dell’archeologa assunse un tono sognante, lo stesso che
aveva usato per
raccontare ai suoi bambini le fiabe, quando li metteva a letto. Si
sedette e la
ragazza l’aiutò avvicinandole la poltrona.
“Ero
con lui, ma non entrai, no. Lo fece Thor. Noi arrivammo per primi
lì dov’era il
sito,” mormorò decisa, “ma fummo
raggiunti dalle altre spedizioni che
cercavano, come noi, l’Oro del Reno.
Prima venne il tuo bisnonno, poi Von Svarthelfheim e i suoi.”
L’ultimo
nome suscitò in Claudette un brivido; lo conosceva,
l’aveva già sentito
nominare più volte, ma in un contesto altro, diverso. Le
parve un riferimento
estraneo e sbagliato, credette che sua nonna si fosse confusa, come
ormai
sempre più spesso le capitava.
“Ma
se nonno e zio Thor trovarono davvero l’Oro
del Reno, perché non risulta tra le vostre
scoperte, perché tutti credono
che non lo abbiate fatto davvero?”
Claudette
era curiosa, ma l’espressione dell’anziana la fece
pentire per aver posto
quella domanda che, era evidente, le provocava una qualche sofferenza.
Vedendola
più pallida del solito, le chiese se desiderasse bere, si
accertò che avesse
preso le sue medicine, ma Sigyn, con ancora la bussola stretta tra le
dita, insistette
affinché la ragazza rimanesse lì, con lei.
“Sono
un po’ stanca, ninì,”
ammise, “ma prima devo farti vedere una cosa,”
aggiunse e aprì la bussola,
mostrandola a Claudette.
“Tuo
nonno entrò nella tomba maledetta e vide il tesoro e disse
che era magnifico.
Solo, non poté portare con sé nulla.”
“Perché?”
boccheggiò la ragazza.
♥
La Gola del
Reno, 1920, la notte
della scoperta
Il
fuoco danzava al centro dell’accampamento posto sulle placide
rive del fiume. Sigyn
aveva i polsi legati dietro la schiena e la corda segnava
irrimediabilmente la
sua pelle candida.
“Ve
l’avevo detto, che ci avrebbe traditi.”
Dietro
di lei, la voce di Lord Odino risuonò distaccata e amara,
perché lo studioso si
fregiava di conoscere meglio di tutti loro lo spirito arguto e inquieto
del suo
figlio cadetto. Si assomigliavano troppo, del resto. Thor gli
lanciò
un’occhiata furente, perché del genitore non
condivideva certe posizioni che,
in vecchiaia, si erano sclerotizzate. Al contrario di Loki, era
riuscito a far
pace già da tempo con il temperamento volitivo del loro
padre, ma questa
circostanza era dovuta anche al fatto che, tutto sommato, era stato
più
fortunato dell’archeologo. Odino Borson gli si era sempre
presentato per quello
che era – un padre dedito allo studio e da esso corroso e
Lady Frigga, sua
madre, lo aveva allevato in seno a una famiglia serena, trattandolo
come il
giovane e glorioso erede di un patrimonio incredibilmente ingente.
“Sei
davvero il peggiore dei fratelli,” mormorò con
tono di rimprovero in direzione
di Loki. Quello, libero e in piedi di fronte a loro, ma con le armi
puntate
addosso, gli rivolse un sorriso affilato.
“È
la
scoperta del secolo, Thor,” ironizzò bieco.
“La mia scelta è tra morire in nome
di un principio discutibile, o approfittarne e salire sulla barca del
vincitore.”
Thor
si divincolò, accusandolo, mentre Kurse, fratello di
Malekith, lo trascinava
verso l’entrata della grotta. Un drago marino era inciso
sulla sua pietra.
Vedendolo, Lord Borson aveva pronunciato un solo nome: Fafnir.
“Abbiamo
combattuto insieme, viaggiato insieme, deciso ogni dettaglio di questa
spedizione insieme,” gridò Stormbreaker
rivolgendosi al professor Laufeyson. “Tutto
questo non significa niente, per te?”
Una
smorfia si delineò sul viso affilato dell’altro.
“Una
scoperta fatta all’ombra della tua grandezza, dei tuoi
soldi” constatò
freddamente, valutando il peso della loro alleanza come fosse un
mercante. “Non
è questo, ciò che voglio. Von Svarthelfheim mi ha
appena concesso dei vantaggi
migliori,” gli ricordò.
“Il
tesoro del Reno dovrebbe stare in un museo, col nostro
nome accanto! Loro lo venderanno a qualche collezionista, lo
smembreranno,” insistette Thor, furente, maledicendolo ad
alta voce per la sua
doppiezza bieca, crudele.
“È
davvero questo, quello che desideri, Loki? Vuoi distruggere
l’ultima traccia
della tua Asgard?”
Alla
luce delle fiamme, gli occhi chiari dell’archeologo parevano
quasi lucidi. “È
troppo tardi. È comunque troppo tardi,”
mormorò tra i denti.
Sigyn
non entrò mai nella sepoltura proibita che, come si
racconta, custodiva
addirittura l’ultima traccia dell’immenso tesoro
dei perduti Æsir: furono Loki
e Thor, a farlo, perché Malekith Von Svarthelfheim li aveva
catturati,
piombando su di loro con una squadra armata che era riuscita a
sovrastarli per
numero, ma era stata la presenza di Lord Borson prigioniero, a bloccare
i due
ex ufficiali britannici, costringendoli ad alzare le mani in segno di
resa.
Odino era stato senz’altro crudele e spietato con loro,
anteponendo all’amore,
che avrebbe dovuto dimostrare nei loro confronti, la sfrontata ricerca
della
conoscenza. Era troppo impegnato a interessarsi al destino di popoli
morti
millenni prima, che a occuparsi dei suoi figli o delle loro madri.
Nonostante tale consapevolezza, però, persino Loki si
arrese. Il tradimento
bruciava ancora nel suo petto fiero, lo diceva la piega severa delle
labbra
sottili e altrimenti ironiche, le sopracciglia scure aggrottate, ma che
Odino
morisse per mano di Von Svarthelfheim era qualcosa che nemmeno
l’enorme
menzogna in cui era vissuto, poteva giustificare. Perdonarlo no, non
gli
sarebbe stato possibile, neanche quella notte, ma un giorno avrebbe
accettato
che suo padre era tale pur con i suoi limiti, vizi, debolezze,
meschinità,
peccati, difetti.
Sì,
Sigyn
non entrò mai nella sepoltura proibita: rimase
all’esterno, con Odino. La sua
vita, assieme a quella del vecchio studioso, costitutiva
l’accordo su cui si
era basata la pericolosa alleanza tra Loki e Malekith. “La
salvezza del vecchio
e della ragazza in cambio del mio aiuto,” si era sbilanciato,
ignorando del
tutto la volontà del suo commilitone, amico, fratello, che
gli gridava di non
cedere a nessun compromesso e lo accusava a gran voce di essere un
traditore
con quanto fiato aveva in gola.
Le
canne metalliche dei fucili erano a pochi centimetri dai loro volti
pallidi,
fiocamente illuminati dalla luce dei falò che Malekith aveva
ordinato di
accendere. Le fiamme guizzanti, però, non facevano altro che
rendere ancora più
spaventose le ombre già terrificanti che circondavano
l’accesso alla sepoltura.
Era come lei e Loki avevano ipotizzato: c’era
un’apertura quasi invisibile nella
grotta, che si trasformava in un cunicolo che scendeva giù,
nelle cavità della
roccia. L’archeologo e sir Stormbreaker furono costretti ad
avvicinarsi al buio
corridoio di pietra, incontro alla maledizione, pena
l’immediata fucilazione.
“Vi
concedo l’onore di aprirci la strada, professor
Laufeyson,” esordì Malekith, ma
il suo dono era tale solo all’apparenza: non aveva avuto
accesso alle stesse
informazioni dell’archeologo e temeva, forse a ragione, la
presenza di
trabocchetti o trappole sparse. Oppure, l’avvertimento contro
i ladri di tombe
faceva più effetto sul suo spirito. Non si fidava
palesemente di Loki e
continuava a tenerlo sotto tiro e quest’ultimo, dal canto
suo, non aveva smesso
di sfoggiare la consueta aria spavalda e fiera. A bilanciare la
situazione,
c’era Thor: la reazione di sir Stormbreaker era stata troppo
scomposta e
sincera perché si trattasse di una qualche trappola; nessuno
avrebbe saputo
recitare una parte con altrettanta bravura.
“Von
Svarthelfeim, sei più generoso di quanto pensassi, con i
tuoi amici e con i
tuoi prigionieri,” constatò Loki sfoggiando un
sorriso di lupo.
“Per
questo credo che non vi dispiacerà, professore, se anche
vostro fratello ci
accompagnerà nella nostra allegra gita. È una
precauzione in più.”
Loki
non batté ciglio. In questo modo, l’ira dei
rancorosi Æsir avrebbe colpito
loro, per primi, perché questo avviene, quando fiaba e mito
e storia si
mescolano assieme. Sigyn cercò lo sguardo quasi trasparente
dell’archeologo,
riuscendo a intercettarlo, sì, ma per un solo istante. Vi
lesse una
determinazione gelida che la spaventò, suo malgrado, quasi
facendole ignorare
l’ammonimento criptico che Odino lanciò ai figli
quando quelli erano già oltre
la spaventosa soglia.
“Perché fare l’angelo quando
puoi fare Dio?”
Malekith
si incupì. Il buio della caverna già li
inghiottiva e un cattivo presagio gli
scivolò lungo la schiena. “Che
significa?” si stizzì, impaziente.
L’archeologo
inglese piegò le labbra sottili in una smorfia.
“Davvero lo ignori? Allora è
vero quello che si dice sul vero motivo per cui ti hanno affidato la
cattedra,”
gli soffiò contro, mellifluo e crudele e sfrontato.
“Gli Æsir credevano, o
meglio facevano credere agli altri,
di essere delle vere e proprie divinità invincibili. Ne
erano così convinti,
che le popolazioni da loro conquistate offrivano loro ingenti tributi.
Anche
così si formò il tesoro,”
spiegò, ma forse era una menzogna, la sua.
Quello
che avvenne dopo, Sigyn non lo seppe mai con assoluta certezza.
Sentì più volte
la versione di Loki e, quando lui era ormai morto, udì anche
quella di Thor: i
due racconti combaciavano quasi alla perfezione, ma la donna avrebbe
avuto per
sempre la sensazione che qualcosa le fosse stato volutamente nascosto.
Non
scoprì mai, invece, che la strana frase sarebbe stata
mormorata all’orecchio
del professor Laufeyson poco più di vent’anni
dopo, quando il plotone di
esecuzione comandato da Kurse Von Svarthelfheim era pronto a porre fine
alla
sua vita sfrontata e colma d’avventura.
♥
Loki
e Thor raccontarono a Sigyn e a Odino una strana storia, quando
uscirono dal
cunicolo. Erano riusciti a salvarsi per un soffio, ma l’oro del Reno era rimasto lì,
nel cuore della terra, protetto dalla
roccia e dal tempo. Con esso, erano sparite per sempre anche le ultime
vestigia
della perduta città degli dèi. Malekith si era
sopravvalutato: non si era
accorto che i due fratellastri erano in combutta tra loro. La loro
recita
carica d’improvvisazione fu condotta, da ambo le parti, con
maestria e abilità
e acume, perché era vero ciò che sir Stormbreaker
aveva gridato a gran voce
all’archeologo: prima di essere fratelli di sangue, erano
amici, alleati, compagni
d’avventura sopravvissuti a mille orrori. Eppure, dove
trovare le parole per
spiegare ciò che avvenne in fondo alla sepoltura di Reginn,
un re che si diceva
fosse stato ucciso dal suo congiunto Fafnir che, compiuto
l’insano gesto, aveva
mutato il proprio aspetto in quello d’un drago? Si
inoltrarono lungo il
corridoio di pietra, osservando i disegni e le rune del tempo che era
stato,
incantandosi di fronte alla vastità del sepolcro del re,
posto sotto un’immensa
volta naturale d’inimmaginabile perfezione. La nave che lo
aveva ospitato,
contro ogni logica e previsione, si era perfettamente conservata e,
sulla sua
sommità, riposava un corpo, ma nessuna gemma o pietra o
manufatto rischiarava
la sepoltura.
“Dov’è
l’oro del Reno?”
gridò Malekith
voltandosi verso Loki e Thor. Il primo forse avrebbe sorriso e si
sarebbe
dilettato in una delle sue battute facete e pungenti, ma il suo volto
scolorì,
fissando un punto dietro Von Svarthelfheim.
“Temo
che siamo arrivati comunque tardi,” deglutì,
sgranando gli occhi.
Gli
uomini di Von Svarthelfheim indietreggiarono, uno sparò
nonostante non ne
avesse ricevuto l’ordine. Il proiettile colpì la
strana e imponente figura,
provocando un frastuono che echeggiò tetro tra le pareti di
pietra, ma l’ombra
continuò a emergere dall’oscurità
rivelandosi per quello che era. Un guerriero
d’altri tempi con la pelle scurissima e un’armatura
antica addosso. Nelle sue
mani, stringeva una lama affilata dall’elsa finemente
decorata.
“Vi
ho aspettati per tempo lunghissimo, quindi sì, siete
arrivati tardi,” constatò.
I suoi occhi di brace si posarono brevemente su Malekith, per poi
tornare a
soffermarsi sui due britannici.
“Chi
sei tu? Dov’è il resto del tesoro?”
“Io
sono il Guardiano di Asgard, Heimdall,” spiegò la
figura impassibile e severa.
“Per mille anni ho aspettato che qualcuno varcasse la Porta
di Fafnir. Se vi
dimostrerete degni, potrete avere tutto ciò che
desiderate.” La meravigliosa
arma continuava a rilucere tra le sue mani, né il misterioso
straniero mostrava
l’intenzione di abbassarla.
“E
cosa dobbiamo fare, per dimostrarci degni?”
s’interessò Loki guardingo,
cercando di capire se l’uomo di fronte a lui fosse un folle o
un incubo sbucato
dal passato.
“Rispondere
alla mia domanda. Posso
leggere nel tuo
cuore come in quello dei tuoi compagni, quindi siate
sinceri,” spiegò sicuro
Heimdall.
I due
ex ufficiali si scambiarono un’occhiata sorpresa. Non
c’era scritto in nessun
codice antico, né in alcuna poesia, che il tesoro di Asgard
fosse protetto da
un guardiano imponente. Malekith diede ordine che fosse ucciso e una
pioggia di
piombo si riversò sulla figura ammantata d’oro e
armata, ma Heimdall non solo
sopravvisse ai proiettili, ma usò la sua spada contro gli
uomini, uccidendo
quanti gli si opposero. I sopravvissuti imboccarono la via
d’uscita; alcuni si
persero, inoltrandosi nel cunicolo sbagliato, altri si misero in salvo
e
fuggirono. Solo Von Svarthelfheim, Loki e Thor rimasero al cospetto del
Guardiano.
“Dimmi,”
disse Heimdall rivolgendosi a Malekith, “Perché
desideri il tesoro maledetto di
Reginn?”
Von
Svarthelfheim spostò lo sguardo su Loki e Thor.
Fu
l’archeologo a parlare. “È la frase che
ha detto Lord Borson, ricordi? Perché
fare l’angelo quando puoi fare Dio.
Gli Æsir consideravano se stessi delle
vere… divinità scese in terra. Vuole sapere se
sei degno, l’ha detto.”
“Il
mio nome deve legarsi ad Asgard in eterno. Il tesoro mi
spetta,” proferì sicuro
Malekith, “perché io l’ho
trovato.”
Il
Guardiano non parlò, limitandosi ad annuire. La risposta era
stata sicura e
superba e senz’altro adatta a un popolo di predoni e feroci
combattenti che
aveva messo a ferro e a fuoco il mondo intero.
“Il
tuo cuore è gonfio d’arroganza e la tua risposta
è sbagliata,” decise dopo un
tempo che parve a tutti infinito e lo uccise con un fendente secco
della sua
spada. Mentre la lama era ancora infilata nel cadavere dello studioso,
si
rivolse a Loki e a Thor. “Lo avete consigliato molto, molto
male. E voi, perché
siete qui, cosa volete dal tesoro di Reginn?”
“Qual
è la risposta giusta?” chiese a denti stretti
Thor, fissando il corpo ormai
inerte ai suoi piedi.
Loki
scosse la testa: non la conosceva. La sicurezza che aveva sfoggiato
fino a quel
momento era frutto dell’improvvisazione e della sua natura
istrionica e astuta,
capace di adattarsi a ogni situazione, ma la verità era che
l’archeologo non
aveva la più pallida idea di cosa fosse giusto dire.
C’erano state, tra lui e
Lord Borson, numerose teorie e illazioni su cosa potesse avvenire una
volta
varcate le Porte di Fafnir, ma nessuna riguardava indovinelli mortali.
Improvvisamente, gli tornò in mente la criptica frase che
gli aveva suggerito
Odino. Perché fare
l’angelo quando puoi
fare Dio? Il riferimento era strano e
l’interpretazione tronfia che aveva
dato, buona solo a metà. Nei poemi scaldici e nelle canzoni,
gli Æsir erano un
popolo fierissimo e arrogante che si vantava di avere ascendenze
addirittura
divine. I riferimenti in tal senso erano numerosissimi, ma gli angeli?
Cosa
c’entravano quelle figure che appartenevano a
tutt’altra religione, con l’oro
del Reno? Perché
fare l’angelo quando
puoi fare Dio?
Un
guizzo, un ragionamento gli illuminò la mente sempre
scaltra. Gli angeli. Beda
il Venerabile. Snorri Sturloson, che era stato, allo stesso tempo, un
monaco e
un capo del Thing,
unendo le due culture – quella cristiana e quella vichinga
– mettendo per
iscritto l’Edda e pregando, allo stesso tempo, gli angeli.
Era lui che
rappresentava il punto di unione tra il mito e ciò che era
reale. Odino gli
aveva dato la soluzione senza nominarla davvero, affidandosi alla sua
intelligenza, ma anche a un’illazione fantasiosa e forse
fallace, a una
profezia vecchia mille anni. Un guizzo di nero orgoglio gli
gonfiò il petto.
Sorrise,
sfoggiando una sicurezza che, forse, non possedeva del tutto.
“Siamo qui perché
la Voluspa dice che, anche se il destino degli Æsir era
quello di morire
nonostante il loro grande potere, un giorno sarebbero comunque
tornati.”
Si
fermò, stupito improvvisamente da una consapevolezza che si
dipanava nella sua
testa. “Asgard non è solamente un luogo o un
tesoro, ma la memoria di un
popolo. Noi non siamo qui come fossimo dei messaggeri alati, ma per
portare
agli uomini la vera vista di un tesoro favoloso e per raccogliere
l’eredità di genti
scomparse.”
“Allora
la tua Lingua d’Argento non
si è improvvisamente
seccata,” mormorò il Guardiano. “Sei
stato saggio, e io ho aspettato che tornaste
qui per molto, molto tempo,”
gli disse e mostrò a lui e a sir Stormbreaker ciò
che era rimasto del tesoro
perduto nascosto nella Gola del Reno e raccontò loro una
storia di anime cui
era stata data la possibilità di avere altre occasioni e, assieme
a queste fiabe,
altri miti e leggende e canzoni che erano state dimenticate.
♥
Sigyn
e Odino ascoltarono il racconto e se lo fecero ripetere più
volte. Non
riuscivano a credere a una storia così fantasiosa, non
potevano farlo, eppure,
nei loro cuori, sapevano in qualche modo che Loki e Thor avevano
ragione ed
erano sinceri. Intuirono anche che una parte del dialogo con il
Guardiano
sarebbe stato loro precluso per sempre, ma questo non aveva importanza.
Certe
cose devono rimanere sepolte, come Heimdall, che si lasciò
soffocare dalla
caverna che gli cadde sulla testa quando Loki e Thor uscirono di corsa
dalla
sepoltura di Reginn, perché così diceva la
Voluspa. Kurse Von Svarthelfheim,
vedendo uscire dalla caverna i due inglesi senza il fratello,
giurò vendetta e
tentò di ucciderli, ma, poiché era rimasto
pressoché solo, finì per essere
sopraffatto dai suoi avversari e fuggì.
L’archeologo
rimediò un graffio lieve alla spalla e fu allora, mentre
Sigyn medicava la
ferita leggera con gli scarsi mezzi che aveva, che tirò
fuori dalla camicia
imbrattata di polvere la bussola.
“Ti
sei quasi fatto uccidere,” lo rimproverò lei.
“E adesso, professor Laufeyson? A
quale altro tesoro vorrai dare la caccia?”
Un
lampo divertito illuminò lo sguardo verde
dell’archeologo. “Troverò qualcosa,
non preoccuparti,” ghignò.
“Immagino:
qualcosa di pericoloso, potenzialmente mortale, che mi farà
vivere in una
preoccupazione costante.”
“È
la
mia natura, Sigyn.” Loki parlò con lentezza,
osservando i bei capelli d’oro
stretti in una treccia morbida e leggera, fissando gli occhi grigi e
dolci
della donna dietro le lenti degli occhiali. “Andrò
sempre in cerca di
qualcos’altro; la soddisfazione non è nella mia
natura. Non posso rimanere
seduto dietro a una scrivania a fare lezione. Sono nato per lasciare un
segno
nel mondo,” disse fiero.
“Amo
di te, Loki Laufeyson, che anche se qualcosa ti spezza, tu non ti
arrendi mai,”
rispose Sigyn continuando a medicarlo con infinita dolcezza.
“Per questo sono
qui, sono spezzata anch’io; forse tu puoi ripararmi, e io
riparerò te, se me lo
lascerai fare.” Lo guardò alla luce fioca della
lampada e trattenne il respiro,
perché sapeva di essersi esposta eccessivamente, ma quando
Loki era entrato con
Thor nella caverna aveva temuto che non tornasse più da lei.
“Credevo
fossero l’ambizione e la voglia di diventare
un’importante studiosa, a muoverti,”
ironizzò.
“Oh,
Loki!” rise lei, “sei acuto
nell’indovinare i pensieri degli altri, ma
terribilmente cieco per il resto.”
“Hai
un pessimo senso dell’orientamento e la x
non è mai il punto dove scavare. Ti serviranno le coordinate
giuste,” decise
spiccio lo studioso, sorvolando sull’allusione di lei e su
molte, troppe cose.
Sigyn
guardò la bussola dal coperchio intarsiato che le ricordava
sempre troppe cose
– notti d’amore lontane, eppure vicine.
“Ti consoli del tesoro perduto
facendomi un regalo?”
“Abbiamo
trovato l’oro del Reno,
eppure non ci
è rimasto niente. Anche se, forse, non tutto è
andato perduto.” Un sorriso
lento e sbieco, di lupo, si disegnò sulle labbra sottili del
professore.
Premette un pulsante e la bussola si aprì, rivelando il
segreto di un
doppiofondo.
“Loki
Laufeyson, mi stai dando un anello?”
“Un
anello che viene da un tesoro maledetto, per la precisione. Ma non
preoccuparti, nessuna sventura toccherà la persona cui
è stato donato. Me l’ha
assicurato il Guardiano. Un tipo pedante, ma non male,
dopotutto.”
“Perché?”
boccheggiò Sigyn.
L’uomo
rispose faceto e ironico, come sempre. “Conosci le mie
abitudini, i miei ritmi…sarebbe
seccante ricominciare daccapo, ma ormai sei una studiosa a tutti gli
effetti e
la ricerca che stai scrivendo è buona. Non puoi essere la
mia assistente in
eterno, ma nemmeno andartene in giro liberamente, con tutti i miei
segreti,”
chiosò furbo.
“Che
mi sta proponendo, professor Laufeyson?”
“Pare
che debba chiederti di diventare mia moglie. Ovviamente, come
garanzia.”
♥
Londra, 1983
“Non
ci rimase nulla, a parte questo.” L’archeologa
aprì la bussola dal coperchio
intarsiato e mostrò alla ragazza un cerchio d’oro
antico, un anello formato da
due fili che si univano. Il sorriso di Sigyn era vacuo e dolcissimo.
“Nella
canzone di Reginn c’era scritto che il tesoro era maledetto,
tutto tranne
questo anello. Così è stato. La sua
più grande scoperta l’ha condotto alla
morte. Kurse ebbe la sua vendetta, alla fine.” Un sospiro
carico di nostalgia
le uscì dal petto.
“Ora
sono davvero stanca, ninì.
È ora che
riposi.”
Le
dita ormai segnate dagli anni strinsero la bussola come fosse una cosa
cara,
preziosa.
Sigyn
chiuse gli occhi, mentre la pioggia, lentamente, la cullava col suo
ritmo
cadenzato e sempre uguale, incessante come i giorni che sarebbero
passati
scorrendo gli uni uguali agli altri. Claudette si era già
addormentata nella
sua stanza e il sonno flebile colse anche l’anziana studiosa,
trasportandola in
quella dimensione a metà strada tra il sogno e il ricordo,
tra il pensiero e la
realtà. Fu lì che rimase sospesa
finché il cuore non cessò di battere, il
respiro di uscirle dal petto. Fu una morte dolce, arrivata prima che
l’alba si
affacciasse oltre la finestra, che l’accolse mentre lei era
avvolta tra coperte
candide. Un sorriso lieve e leggero le increspava le labbra. La presa
sulla
bussola si allentò appena, ma la catenella che la reggeva
rimase a cingerle
l’anulare e il polso come fosse un fantastico gioiello. Nei
dolci sogni misti
alla memoria che la condussero lentamente verso
l’aldilà, Sigyn si ritrovò a
vagare finché ogni cosa, anche se stessa, perse di
significato. Così il sonno
eterno l’avvolse.
Gola del Reno,
Germania, 1920, la
lunga notte della scoperta
Un
rumore improvviso, forse un tuono, la riscosse. Sigyn aprì
gli occhi
sollevandosi appena dal letto, la coperta di lana ruvida stretta sulla
camicia
di raso sottile, strappandola al calore delle coltri su cui, poche ore
prima,
aveva sospirato e amato e perso il controllo. Nella penombra non
notò nulla. Si
passò una mano tra le ciocche bionde che le ricadevano,
caotiche, sulle spalle
esili e sottili e poi si adagiò di nuovo sul materasso
cigolante, cercando il
conforto di Loki, steso accanto a lei.
L’archeologo
aprì un occhio, mugugnando appena. La cinse con un braccio e
l’attirò contro il
suo corpo asciutto e tonico, carezzando il raso liscio e piacevole al
tatto che
le fasciava la pelle calda, ghermendole la vita. Sigyn si
crogiolò in
quell’abbraccio e gli diede un bacio sul collo, uno sulla
mascella affilata e
leggermente ispida, un altro, più lento e intenso, sulle
labbra ironiche e
sottili – assaggio accorato, dolce, profondo.
“Cos’hai
sognato, di così terribile?” le ghignò
lui perfido sulla bocca, facendo
scorrere le dita sul tessuto liscio, carezzandole la linea arcuata
della
schiena, i fianchi sodi e rotondi.
“Asgard,”
disse lei, ma non era sicura di averla ricreata davvero nella propria
testa,
perché si era trattato uno di quei sogni vividi che
svaniscono non appena si
aprono gli occhi.
“L’abbiamo
trovata, Asgard,” rispose Loki e chiuse di nuovo gli occhi
mentre lei respirava
il suo profumo, si consolava col suo tepore, si stringeva contro il suo
corpo,
godendo della prima di molte notti che avrebbero trascorso
l’uno tra le braccia
dell’altra.
“Ti
amo,” gli disse, ma il respiro lento e regolare
dell’uomo la convinse che non
l’avesse udita e così si lasciò cullare
dal suo respiro. Glielo avrebbe detto
ogni volta, per tutto il tempo che le sarebbe stato dato da vivere, ma
questo,
ancora, non lo sapeva.
Dopo
un minuto che le parve lunghissimo, lo sentì respirare con
più forza. “Lo so,”
le rispose, e cominciò a carezzarle le ciocche bionde senza
aggiungere
nient’altro finché il sonno non li avvolse.
…A time for us at last
to see
A life worthwhile for you and me
And with our love through tears and
thorns
We will endure as we pass surely
through every storm
(Nino Rota, “A time for
us”, Romeo e Giulietta OST,
regia di F. Zeffirelli, 1969)
Note Autrice:
Nome
(EFP e Forum): shilyss/Shilyss
Titolo:
L’oro del Reno
Genere:
Rating: arancione
Pacchetto
scelto + eventuale bonus: Niobe e
Latona, completo VICENDA:
Il protagonista
subisce la perdita di qualcuno di importante;
FRASE: "Perché fare
l’angelo quando
puoi fare Dio?"
SENTIMENTO:
Superbia;
Fandom: Thor
Note
(facoltative):
presenti a fine testo.
Autore:
shilyss/Shilyss
Titolo
della storia: L’oro
del Reno
Pacchetto
utilizzato: Archeologo
Elementi
utilizzati: pacchetto
completo [
Cari
Lettori,
C’è
chi questa storia
la attende da quasi un anno, chi ha chiesto che fosse inserita questa o
quella
scena, chi mi ha supportato ascoltando le mie paturnie sulla trama.
Beh, questa
storia è per voi ♥, ve la dedico, ma lo
è anche per quelli che inizieranno a
leggere e (spero) la ameranno. Scriverla non è stato
semplice: ho scelto un
periodo problematico che va dal 1914-1920 con accenni al 1944 e al 1983
e ho
ribaltato per l’occasione il canone. Il tentativo
è sempre quello di scrivere e
proporre storie sempre nuove, un po’ perché sono
una lettrice che si annoia
facilmente, un po’ perché amo sperimentare.
La storia
partecipa a
ben due contest: nel primo, Lavoratori
allo sbaraglio, dovevo inserire una relazione di
lunga data tra i
personaggi protagonisti, una bussola, e la frase «Per questo sono qui, sono spezzata
anch’io; forse tu puoi ripararmi, e
io riparerò te,» (Aviators – Angels and
Demons). Il rapporto di lunga data
è duplice ed è quello tra il professor Loki
Laufeyson e la sua bionda assistente Sigyn, poi moglie e, infine,
curatrice
delle sue opere. Un legame lungo una vita. La bussola
è l’oggetto dentro cui Loki nasconde
ciò che resta di
Asgard (l’anello) e che dona a Sigyn, che lo
conserverà per tutta la vita. La
frase è quella che trovate nel capitolo 3, anche se il
concetto di “spezzato”
domina l’intera minilong.
L’altro
contest è “L’Antica
Grecia al giorno d’oggi: vizi e virtù”
qui un personaggio doveva subire una perdita (Sigyn
rimane vedova di
Loki e ripercorre il tempo della sua giovinezza, ma anche Loki perde il
suo
mentore a seguito di una rivelazione tremenda). La vicenda doveva svolgersi in età moderna e contemporanea,
quindi abbracciare un periodo che va dal 1492 a oggi ed è
ambientata nel 1914,
nel 1917-20 e nel 1983. La frase
è
presente nel secondo capitolo e nel terzo, in riferimento alla
necessità di
violare un luogo maledetto (il luogo dov’è situato
L’oro del Reno) e come
battuta volta a dannare Malekith, anche lui vittima della propria
superbia. La superbia è
un atteggiamento che
caratterizza naturalmente il personaggio di Loki e gli Æsir,
ma qui è intesa
anche come la sfida di uno studioso che desidera violare un tesoro,
svelare un
segreto, non comprendendo realmente il significato della Voluspa. Il
discorso
finale su Snorri è reale.
Come sempre,
anche in
questa mia storia c’è tantissimo mito: in
particolare, tutta la leggenda legata
al mito delle Canzoni di Reginn e
di Fafinir (Edda poetica); rispetto
al MCU
Loki e Thor qui sono davvero fratelli. Credo di aver messo note nel
testo per
altri passaggi. Augurandomi che la lettura vi sia stata piacevole (se
così è
stato ricordatevi che ci sono le liste), vi ringrazio per essere
arrivati fino
a qui. ♥
Shilyss
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