Nothing will drag you down - Come tutto ebbe inizio

di lisi_beth99
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1


Camminava a passo sostenuto per le vie di Chicago. Quel giorno a lavoro le avevano permesso di uscire prima, fatto eccezionale reso possibile solo dalla sua collega che era arrivata mezzora in anticipo rispetto al solito. Lavorava in un mini market ad Hyde Park, non molto lontano dal museo di scienze; trenta ore a settimana le passava lì. Non era nulla di che ma l’ambiente non era male e il gestore era un tipo ragionevole. Quel giorno avevano portato un paio di muffin presi dalla pasticceria lì vicino, solo perché era il suo compleanno e le sue colleghe l’avevano quasi obbligata a soffiare su una candelina. – I 24 non si compiono tutti gli anni! – aveva esclamato Brenda. Alex le aveva rifilato uno dei suoi sguardi a metà tra il divertito e lo scocciato – Nessun compleanno si compie più di una volta… E non vedo la necessità di tutto questo! – dopo aver compiuto 15 anni non aveva più trovato gusto nel festeggiare, ormai era un giorno come un altro. Nonostante ciò, non si era fatta certo scappare l’opportunità di uscire in anticipo.

Stava pensando a cosa avrebbe trovato una volta tornata a casa quando, svoltato l’angolo, si ritrovò davanti ad uno spettacolo terrificante. Alte fiamme stavano divorando l’edificio in cui lei e la sua famiglia vivevano. Molti degli inquilini si erano riversati in strada, attendendo l’arrivo dei soccorsi. Subito Alex aguzzò la vista, speranzosa di intravedere sua madre o suo fratello, ma nessuna di quelle persone corrispondeva a loro. Sentì il panico montarle nel petto e stringerle lo stomaco con un pugno d’acciaio. Strinse la borsa che portava su una spalla mentre cominciava a correre verso l’ingresso del palazzo.

-Alex! – la voce graffiata della loro vicina la bloccò dal varcare la soglia, si voltò verso l’anziana che si stringeva il cardigan sul petto – Signora Miller! Dove sono? – Alex faticava a respirare dalla paura. – Non sono riuscita a trovare né Monique né Max. Forse erano usciti per comprare qualcosa…- la speranza della donna fece ancora peggio all’agitazione della giovane. – Sono ancora dentro… - sussurrò mentre lasciava cadere la borsa al suolo. In lontananza si sentivano le sirene dei vigili del fuoco ma le fiamme erano già arrivate a coprire quasi metà dell’edificio.

In un secondo aveva deciso. Scattò verso la doppia porta a vetri che portava all’androne delle scale. Si mise il foulard che aveva attorno al collo a coprirle naso e bocca dal fumo e cominciò a correre su per le scale. Fortunatamente il loro appartamento si trovava solo al secondo piano…

Quando lo raggiunse, si trovò davanti le fiamme. Rimase bloccata per qualche secondo. Forse avrebbe fatto meglio a tornare indietro, i vigili del fuoco erano ormai arrivati e sicuramente avrebbero fatto di tutto per tirare fuori le persone da quell’inferno. Ma lei ormai era lì, che senso aveva tornare sui propri passi?
Poi sentì tossire e fu sicura fosse suo fratello. Corse attraverso il corridoio, circondata dalle fiamme. L’adrenalina le stava permettendo di continuare senza pensarci. –Mini! – urlò appena entrata in quello che restava dell’appartamento – Mini! –

Una figura esile spuntò da dietro una parete mezza distrutta e le andò in contro barcollando – O mio dio! – esclamò la giovane abbracciandolo con fare protettivo. Poi lo scostò leggermente – Dov’è la mamma? – dovette urlare per sovrastare il rumore dell’incendio. Il piccolo si guardò attorno spaesato – non… non lo so… Alex… - ma lei non lo lasciò finire – Dobbiamo uscire da qui! – lo prese per la mano e cominciò a correre a ritroso, trascinandosi il fratello lungo il corridoio. L’aria era irrespirabile.

Quando sbucarono sulle scale, quasi si scontrarono con due vigili del fuoco. – Herrmann portali via! – esclamò quello più vicino ai due ragazzi. – Venite! – li incitò il secondo. Senza farselo ripetere, corsero fino all’uscita dove una donna bionda con la divisa da paramedico li condusse verso un’ambulanza parcheggiata poco lontano.

Si sedettero sul marciapiede mentre il paramedico controllava che non avessero riportato danni. Max continuava a tossire tra i vari tentativi di parlare – Tesoro non parlare, peggiori la tosse. – aveva detto ad un certo punto la donna; dalla targhetta che portava, Alex vide che si chiamava Brett. – Ma la mamma… è ancora lì dentro! – esclamò il bambino mentre gli veniva messa una mascherina sul viso – Vedrai che i miei amici la trovano. Tu non toglierti questa però. – era molto gentile e continuava a sorridere per rassicurarlo. Alex era rimasta a fissare l’entrata speranzosa di vedere la madre uscire da un momento all’altro. Il tempo sembrava interminabile. – Tu stai bene? Hai qualche ferita? – domandò Brett alla ragazza. Questa scosse il capo – Sono stata pochi attimi dentro. – rispose atona. Suo fratello si levò la mascherina – Mia sorella è stata come un supereroe! È corsa tra le fiamme per venire a prendermi! – aveva un tono così eccitato che sembrava appena tornato da un parco divertimenti. Alex gli rifilò uno sguardo amorevole, cercando di nascondere al meglio le sue paure.

Beata ignoranza! Pensò il paramedico rendendosi conto che il bambino, di forse dieci anni, non si era ancora reso conto di ciò che era successo e di quello che sarebbe potuto accadere se la sorella non l’avesse portato fuori rischiando la vita.

-Aiutateci! – un vigile del fuoco uscì in quel momento con una donna svenuta fra le braccia. La adagiarono su una barella, era ricoperta di ustioni e di cenere. Un brutto presentimento si impossessò nuovamente dello stomaco di Alex. Si alzò lasciando cadere la coperta che le era stata messa sulle spalle poco prima e si avvicinò alla barella. I due vigili del fuoco si erano allontanati, al loro posto c’erano due paramedici che cercavano di capire la situazione, uno la stava intubando mentre l’altro faceva un rapido calcolo dei possibili danni causati dal fuoco. Quando si spostarono quel tanto da permettere ad Alex di vedere il volto le si fermò il cuore – Mamma… - sussurrò. Uno dei due paramedici la notò – La portiamo al Chicago Med. – disse mentre cominciavano a caricarla sull’ambulanza.
Si sentì tirare la mano e si voltò vedendo lo sguardo spaventato di suo fratello – È la mamma? – aveva le lacrime agli occhi – Sì Mini. Noi andremo da lei appena sarà possibile. – lo attirò a sé e lo strinse in un abbraccio. Doveva essere forte per lui, Max doveva avere una persona su cui fare affidamento. Brett li raggiunse – Venite? Vi dobbiamo portare al Med per degli accertamenti. – e fece loro segno di tornare verso l’ambulanza.

-*-

-Attenzione! Incendio con diverse vittime e intossicazioni da fumo, preparatevi! – la caposala del reparto emergenze stava in piedi al centro della sala pronta ad indirizzare i vari pazienti. La prima ambulanza accostò ed entrarono due paramedici – Dottor Halstead, vada nella due! – ordinò la caposala. Un uomo sulla trentina, barba e capelli arancioni, si avvicinò alla prima paziente entrata in Pronto Soccorso. – Cos’abbiamo? – domandò ai paramedici. Uno dei due cominciò a spiegare – Donna, sulla quarantina, ustioni sul 70% del corpo, incosciente, glasgow 4. – nel frattempo erano arrivati nella sala due dove spostarono la tavola spinale su cui era distesa a donna da una all’altra barella.
Un altro paziente entrò poco dopo – Intossicazione da fumo. – esclamò una dei paramedici – Dottor Choi, sala quattro. – indirizzò Maggie, la caposala. In quel momento entrarono Alex e Max, accompagnati da Brett. – Dottoressa Manning ci pensa lei? – una donna bruna lasciò la cartelletta che aveva in mano e si avvicinò al bambino – Cos’abbiamo qui? – Brett spinse la barella, su cui avevano messo Max, verso una sala vuota – Possibile intossicazione da fumo. Vi lascio nelle mani esperte della dottoressa. – salutò con un buffetto il bambino e si allontanò.

-Faremo alcune analisi. Lei è la madre? – domandò ad Alex. – La sorella. Nostra madre dovrebbe essere stata portata qui da poco… - la donna si ricordò immediatamente della paziente di poco prima, ustioni su gran parte del corpo.

Quando iniziarono a visitare Max, Alex pensò fosse meglio cercare di rintracciare sua madre. – vado a vedere dov’è la mamma. Tu fai il bravo e ascolta quello che ti dice la dottoressa. Io cerco di tornare il prima possibile. – usò un tono dolce, rincuorante, con la speranza di non agitarlo. Scostò la tendina e si ritrovò in una confusione di infermiere e medici. Intravide la caposala e la bloccò – Mi scusi, saprebbe dirmi dove si trova mia madre? Era incosciente e ha ustioni su gran parte del corpo. – la donna le rivolse uno sguardo dispiaciuto – Vieni, ti accompagno. - . E così percorsero parte del reparto fino ad una stanza con la tenda tirata, per impedire la visuale. – Dottor Halstead. – chiamò il medico che stava controllando una cartella – È la figlia della sua paziente. –

L’uomo si avvicinò ma non la fece subito entrare – Deve sapere che ha riportato gravi ustioni su quasi tutto il corpo, le abbiamo dovuto praticare delle incisioni per permetterle di respirare perché il tessuto ustionato non permetteva più ai polmoni di espandersi. Ora è stabile, ma dobbiamo aspettare prima di poter dire se è fuori pericolo. Tra poco la spostiamo nel reparto ustionati, potrà andare con lei. – Alex ascoltò con molta attenzione le parole del medico, metabolizzando ciò che le stava dicendo. – La ringrazio dottore. – disse prima di scostare la tenda ed entrare nella camera.

Monique giaceva immobile, delle bende le rivestivano tutto il busto e le braccia. Era attaccata ad un respiratore, probabilmente perché da sola non riusciva ad assumere abbastanza ossigeno. Rimase ai suoi piedi, ad osservarla. – Mamma… com’è stato possibile? Avrei dovuto restare per cercare di salvarti… - sussurrò accarezzandole una caviglia attraverso le lenzuola.

-C’è bisogno di un medico! – urlò un’infermiera dalla parte opposta del reparto. Alex si voltò per vedere cosa stesse succedendo. La dottoressa Manning corse verso la stanza in cui era stato portato Max. Le si gelò il sangue nelle vene: non poteva succedergli qualcosa! Uscì in velocità e si fermò sulla porta: stavano intubando suo fratello proprio in quel momento. Dovette appoggiarsi alla parete e si costrinse a mantenere il respiro regolare, andare in crisi non sarebbe servito a niente e nessuno.

Nel frattempo in ospedale erano arrivate le altre vittime, nulla di grave: qualche ustione superficiale e diverse intossicazioni di fumo. La signora Miller era seduta su una sedia ed aveva una mascherina per l’ossigeno. Quando vide la giovane sana e salva, le si illuminò lo sguardo –Alex cara. Come stai? Sei stata un’incosciente a lanciarti in quell’inferno! – le prese una mano e la strinse forte – Signora Miller, non occorre farmi una ramanzina. Sto bene… Lei come sta? – non aveva di certo voglia di parlare di come si sentisse in quel momento e di farle sapere di sua madre. Quella donna sapeva essere tanto gentile quanto impicciona e in quel momento non le serviva proprio qualcuno che cercasse di farla parlare.

In quel momento la dottoressa Manning uscì dalla stanza e trovò la giovane – Abbiamo dovuto intubarlo. Il troppo fumo deve aver danneggiato le vie respiratorie. Lo trasferiamo in pediatria così è più tranquillo. Però ci sono ottime probabilità che si riprenda senza conseguenze. – Alex tirò un sospiro di sollievo.



ANGOLO AUTRICE
Ciao a tutti,
questo è un nuovo esperimento. L'idea è quella di seguire un po' l'andamento della serie tv, nel senso che ogni storia avrà al centro Alex Morel ma anche un caso seguito dall'Intelligence.
Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate e, soprattutto, se riesco in questo intento.

Grazie a chi recensirà.
Buona serata
Lisi

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2


Erano passate ore dal loro ingresso in ospedale. Max stava dormendo nella stanza che gli avevano assegnato nel reparto pediatrico, fortunatamente avevano potuto togliergli il respiratore; Monique era stata trasferita nel centro ustionati, almeno così era ciò che le aveva riferito il dottor Halstead pochi minuti prima. Ora Alex stava seduta su una poltroncina non molto comoda e guardava il viso rilassato di suo fratello.

Un leggero bussare alla porta la distolse dai suoi pensieri. Si voltò trovando il dottor Halstead che le faceva segno di uscire, con lui c’erano altri due uomini. Facendo attenzione a non fare rumore, si richiuse la porta alle spalle. – È successo qualcosa a mia madre? – domandò cercando di mantenere la calma. L’uomo scosse la testa – La situazione rimane invariabile. Sono qui per un’altra questione. Questi sono l’agente Ruzek e il detective Halstead, stanno indagando sull’incendio. –. Quello che, dal cognome, immaginò essere il fratello del dottore prese la parola – Stiamo cercando di ricostruire i fatti. Hai visto o sentito qualcosa? – nella mente di Alex passò un solo pensiero – Voi non credete sia stato accidentale. – non era una domanda, bensì un’affermazione. L’altro detective si intromise – Stiamo vagliando tutte le ipotesi. Per ora nessuno è stato in grado di dirci qualcosa. – Balle! Pensò nella sua mente, ma lasciò perdere. - Non ero in casa quando è successo. Però credo che l’incendio si sia originato al secondo piano. – entrambi gli uomini la fissarono accigliati – Come puoi dirlo? – domandò Halstead. Alex lanciò uno sguardo a suo fratello che continuava a dormire – Sono andata a prenderlo. – disse indicando Max – Le fiamme partivano dal secondo piano. Il nostro appartamento sta… stava a quel piano. – Halstead si appuntò quell’informazione sul taccuino poi posò nuovamente lo sguardo sulla giovane – Dovrai passare al distretto per una deposizione. – Alex annuì mentre sentiva la stanchezza avere il sopravvento, segno che l’adrenalina aveva lasciato del tutto il suo corpo. – Il tuo nome? – domandò Ruzek, ricordandosi che la giovane non si era presentata ancora, - Alexandra Morel. – rispose senza enfasi – C’è altro? – chiese poi, sperando che i due se ne andassero. Halstead scosse la testa – Per ora è tutto. Però, appena ti sarà possibile, passa al distretto. – salutarono con un cenno del capo e si allontanarono lungo il corridoio.

Quando Alex rientrò nella stanza, trovò suo fratello con gli occhi aperti – Hey scimmietta, dovresti riposare. – si sedette sul letto. Lui si mise seduto – Chi erano quei due? – domandò incuriosito. – Due poliziotti, volevano sapere se avevo visto qualcosa… - la giovane si passò una mano sul viso cercando di scacciare la stanchezza e la perenne preoccupazione per la madre.

-Ah… io ho visto un tipo strano prima dell’incendio. – disse Max dopo alcuni minuti di silenzio. Sua sorella lo guardò indagatoria – Sì, c’era un tizio che ha parcheggiato un’auto dall’altra parte della strada e quando è uscito aveva uno zaino in mano. È entrato da noi e dopo qualche minuto è uscito. Senza zaino! – si mise quasi in piedi sul letto così Alex lo costrinse a stendersi – Sta’ calmo. Hai visto troppi telefilm polizieschi tu… torna a dormire o la dottoressa non ti farà uscire. – a volte suo fratello aveva proprio una bella fantasia. – Come vuoi… ma sappi che gli ho fatto una foto. – mise il broncio e si tirò le coperte fin sopra alla testa. Alex sorrise a quella scena – Allora è un peccato che la macchina fotografica sia bruciata. – a quella frase la consapevolezza di non avere più un posto dove stare le schiacciò il petto. Avrebbe voluto urlare, lanciare qualcosa… ma non poteva di certo lasciarsi sopraffare dalle sue emozioni.

-E' nella mia felpa… - sussurrò Max tornando fuori dalle coperte con la testa – L’ho messa nella tasca e poi è scoppiato l’incendio. Credo sia ancora lì… - le parole furono strascicate ma non sembrava voler cedere al sonno. Perciò passarono una buona oretta a parlare di cose futili, cercando di ignorare il fatto che fossero a tutti gli effetti dei senza tetto.

-La mamma starà bene? – domandò ad un tratto. Alex non era mai stata una di quelle che mente per proteggere; a suo fratello aveva sempre spiegato le cose in modo chiaro, anche quando aveva dovuto dirgli che persona fosse realmente suo padre. Lo guardò con l’amore di una sorella – Non lo so scimmietta. Spero tanto di sì. Ora però dormi. -. Questa volta la ascoltò e, in pochi attimi, i suoi occhi si richiusero. Sprofondò nel mondo dei sogni, almeno così sperò sua sorella. Con l’esperienza vissuta sarebbe stato solo un bene se non avesse fatto incubi.

Gli rimboccò le coperte e decise di uscire da quella stanza. Voleva vedere come stesse sua madre. Mentre camminava stancamente per i corridoi ripensò a quello che le aveva detto poco prima suo fratello. Se quella storia era vera, avrebbe trovato una foto nella sua macchina fotografica. Gli oggetti personali che aveva all’arrivo erano stati messi in un cassetto del mobile nella sua stanza. Si fermò proprio quando era arrivata da sua madre ma decise di fare dietrofront per controllare.

Suo fratello non era mai stato un bambino che si inventava storie senza un fondo di verità, quindi c’era una buona probabilità che quel tizio di cui parlava fosse realmente entrato nel loro palazzo. Aprì lentamente la porta di metallo ed entrò silenziosamente nella stanza di Max. Cercò nel cassetto e trovò la felpa che indossava quel pomeriggio, ricoperta di fuliggine così come i vestiti che ancora indossava Alex. Tastò l’indumento fino a quando non percepì un oggetto di forma rettangolare; aprì la tasca ed estrasse la fotocamera. Uscì nuovamente e si affrettò ad accendere l’apparecchio.

-Non ci credo… - sussurrò osservando la foto di quello che poteva aver appiccato l’incendio. L’aveva già visto qualche giorno prima. Era appostato nello stesso punto e sembrava osservare il via vai degli inquilini di quel palazzo. Si guardò attorno ed intravide la massa arancione dei capelli del dottor Halstead. Fece uno scatto nella sua direzione mentre cercava di attirare la sua attenzione. Questo si fermò e le sorrise stancamente – Non ci sono novità. – disse senza enfasi, immaginandosi che la giovane fosse lì per quello. – Lo immaginavo. Ma io volevo chiederle un’altra cosa in verità… - si affrettò Alex. – Il detective di prima… - ma non finì la frase che il dottore la interruppe –È mio fratello, sì. – un leggero sorriso si dipinse sul suo volto. Lei fu contenta di aver fatto il giusto ragionamento – Riuscirebbe a chiamarlo? Forse ho qualcosa che potrebbe servire per il loro caso. – sapeva che quella frase sembrava uscire dalla bocca di una fan dei gialli in cerca di attenzioni. Però l’uomo catturato da quello scatto poteva veramente avere qualcosa a che fare con l’incendio, quindi…

-*-

-Ho appena sentito Kelly. – esclamò Dawson salendo gli ultimi scalini che portavano all’ufficio dell’Intelligence. – Per loro l’incendio è partito dal secondo piano ed è sicuramente di origine dolosa. Hanno trovato uno zaino nero, quasi totalmente bruciato, più o meno alla fine del corridoio. – Jay ed Adam si lanciarono uno sguardo che non passò inosservato al loro capo. Il sergente Voight guardò prima uno, poi l’altro. – Avete qualcosa da dire? – a volte lui poneva queste finte domande, dietro alle quali si poteva palesemente leggere la vera domanda. Ruzek prese la parola – Abbiamo parlato con una ragazza che ha detto la stessa cosa. – anche alle sue orecchie la cosa suonava ancora strana.

Voight sembrò non accontentarsi di quella spiegazione – Fatemi capire bene. Una ragazza vi ha detto che l’incendio è partito dal secondo piano. E come avrebbe fatto a saperlo? – a quel punto intervenne Halstead – Lei è entrata nell’edificio. Il suo appartamento è al secondo piano ed è andata a salvare il fratello che era rimasto a casa. Dovremmo sicuramente riparlarle ma non ci sembrava il momento adatto. – mentre parlava si era appoggiato alla sua scrivania con la sua partner, Hailey, che lo guardava indagatrice.

Il cellulare di Jay cominciò a vibrare nella tasca posteriore dei Jeans, rispose vedendo che era suo fratello – Che c’è Will? – domandò continuando a fissare Hailey. Poi, mentre sentiva cosa gli veniva riferito, la sua espressione mutò in sorpresa – Che genere di informazioni? – chiese quando il fratello ebbe terminato di parlare dall’altro capo del telefono. – Va bene, arrivo. – chiuse la telefonata e guardò il suo capo. – La ragazza, dice di avere informazioni che potrebbero esserci utili. – poi si voltò verso la sua partner – Vieni con me? – questa fece un cenno col capo e afferrò la giacca dallo schienale della sua sedia.

-*-

Alex beveva un caffè, l’ennesimo di quella nottata interminabile, mentre guardava il via vai frenetico del personale dell’ospedale. Un’infermiera era stata così carina da averle portato una divisa pulita, così da potersi togliere quei vestiti che puzzavano di fumo. Poco prima era andata a vedere sua madre. Monique giaceva nel suo letto immobile, attaccata ad un respiratore dato che i suoi polmoni avevano subìto un duro colpo con tutto il fumo che avevano inalato.

In quel momento arrivò il detective Halsted, affiancato da una donna bionda sulla trentina. Li salutò con un cenno stanco della mano. – Alex, lei è la detective Upton. Will mi ha detto che hai qualcosa per noi. – Jay le sorrise in modo incoraggiante, sperando che quella ragazza non fosse una delle tante persone che credeva di avere buoni notizie e poi erano solo un pugno di mosche.
La giovane estrasse la macchina fotografica dalla tasca della divisa e la accese – Mio fratello ha scattato questa foto poco prima dell’incendio. – mostrò l’apparecchio ai due detective ed indicò l’uomo ritratto mentre attraversava la strada – Quest’uomo, secondo mio fratello, è entrato nel nostro palazzo con lo zaino che si vede nella foto e ne è uscito poco dopo senza. – vedendo le facce poco convinte dei due, proseguì la sua spiegazione – Anch’io ho pensato fosse una cosa da nulla: poteva aver lasciato lo zaino da un inquilino… - Hailey alzò lo sguardo quasi stupita dalla perspicacia dell’altra. – Il problema è che io, questo tizio, l’ho già visto fuori da casa. Era nella sua auto parcheggiata dall’altro lato della strada qualche giorno fa e sembrava osservare i movimenti degli abitanti del condominio. Mi aveva dato una strana sensazione così, dopo un’oretta, ho ricontrollato ed era ancora lì. Forse non era niente, però… -

Jay guardò la sua collega, poteva essere solo l’immaginazione di quella ragazza, ma controllare non avrebbe certo richiesto uno sforzo. – Possiamo avere la foto? – domandò mentre vedeva avvicinarsi suo fratello con un’aria funerea. Alex gli mise la fotocamera in mano - Potete prendere questa. Quando avrete finito però la vorrei riavere. – infondo era l’unica cosa che le rimaneva, visto che molto probabilmente l’incendio aveva distrutto tutto nel loro appartamento.

Il dottor Halstead si affiancò alla ragazza – Scusatemi. Alex… - dallo sguardo dell’uomo, Alex capì che c’era qualcosa che non andava. Le fece segno di allontanarsi di qualche passo dai due detective, in mano aveva un plico di fogli – Ho brutte notizie. Tua madre ha avuto un arresto cardiaco, l’abbiamo rianimata ma il suo cervello non ha ricevuto ossigeno per troppo tempo. – il viso della ragazza era diventato una maschera: dentro stava urlando, fuori era rimasta impassibile. Aveva già capito dove sarebbe arrivata quella conversazione e aveva anche capito cosa fossero quei documenti che teneva in mano il dottore. – Mi sta dicendo che è morta. – disse con voce piatta. Lui la guardò quasi spaventato dalla lucidità che stava dimostrando – Cerebralmente sì… - sollevò le carte che aveva in mano, in modo da farle vedere ad Alex – Ci sarebbe la possibilità di donare gli organi. Non devi decidere in questo momento, abbiamo ancora un paio di ore se… - ma lei non lo lasciò finire. Gli prese i documenti e li scorse rapidamente fino a raggiungere il campo per la firma. Il medico le passò una penna continuando a trovare il suo comportamento strano. Lei la prese ed appose la sua firma per poi richiudere il plico e ridarlo all’uomo. -C’è ancora un po’ di tempo, tu e tuo fratello potete andare a salutarla. – per Will era impensabile che lei si comportasse quasi con disinvoltura. Alex scosse il capo – Preferisco che la ricordi sorridente come stamattina. – guardò per un attimo Max che, appena svegliatosi, guardava la sorella attraverso il vetro cercando di capire cosa stesse succedendo. – Ora scusate, devo andare a dirglielo. –

Fece un respiro profondo prima di aprire la porta. Max era seduto sul letto e la guardava preoccupato – Che c’è? – domandò allarmato. Sua sorella si sedette e, con tutto l’autocontrollo che possedeva, cercò le parole giuste da dirgli. Lui le si buttò fra le braccia e scoppiò a piangere; quel pianto durò fino a quando, esausto, non si riaddormentò. Alex rimase con Max in grembo fino alle prime luci del mattino. Una sola lacrima le era scesa lungo il viso in quel tempo interminabile, aveva represso le sue emozioni per poter stare vicina a suo fratello. Quando poi sarebbe stato meglio, avrebbe trovato il modo di sfogare la sua tristezza e quel senso di ingiustizia che le opprimeva il petto.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3


Stava facendo tintinnare delle monete nella sua mano mentre fissava il distributore del reparto di pediatria, indecisa se prendersi una barretta di cioccolata o un sacchetto di patatine. Quella sarebbe stata una delle colazioni più entusiasmanti della sua vita, perfetta per concludere la nottata più lunga e difficile di sempre che aveva portato un tocco di diversità alla monotonia dei suoi compleanni. Perché sì, nonostante tutto ciò che era accaduto, se lo ricordava ancora che quello era stato il suo compleanno ed una giornata così non l’avrebbe mai augurata nemmeno al suo peggior nemico.

Il dottor Halstead le aveva comunicato che l’intervento di espianto organi era andato a buon fine anche se i polmoni non erano trapiantabili a causa dei danni da fumo. Le aveva poi proposto di parlare con il primario di psichiatria del Chicago Med per aiutare sia lei che suo fratello ad elaborare il lutto. Appena si fosse liberato, il Dottor Charles sarebbe andato a “trovarli”. Avrebbe dovuto chiamare l’assicurazione per comunicare il decesso, così come i capi dei due lavori che faceva sua madre e le poche amiche che aveva… sarebbero state un mucchio di telefonate spiacevoli.

Dannazione! Perché non riusciva a scegliere? Non era difficile: o il cioccolato o le patatine! Ma in quel momento aveva la testa immersa in un altro mondo.

-Ciao! – una vocetta la risvegliò. Si voltò trovando un bambino di forse sette anni che la guardava. Indossava un camice azzurro e, al polso sinistro, aveva un braccialettino di riconoscimento. – Ciao. – rispose tornando a guardare il distributore – Cosa fai? – domandò il piccolo. Ad Alex spuntò un sorriso stanco – Cerco di decidere cosa prendere. Tu cosa sceglieresti tra cioccolata e patatine? – il bambino le si avvicinò e guardò le proposte della macchinetta – Assolutamente il cioccolato! –

-*-

Con la barretta in mano, Alex si spostò su una sedia del corridoio. Il bambino ancora accanto. – Non dovresti tornare nella tua stanza? I bambini che non riposano non guariscono in fretta. – disse mentre scartava la barretta. Lui alzò le spalle – Sono settimane che sono qui, non sanno cos’ho quindi non mi lasciano uscire. – Alex gli fece una leggera carezza sul braccio – E i tuoi genitori? Non si staranno chiedendo dove sei? – sul viso del piccolo calò un velo di tristezza – Il mio papà sta combattendo in Afghanistan e la mia mamma è dovuta tornare a casa da mio fratello Timmy perché la Baby sitter stava male… - lei allora si alzò e gli tese la mano – Vieni allora. Ti riporto nella tua stanza. – lui mise il broncio – Lo sapevo! Sei come tutte le altre infermiere: non mi fate mai fare qualcosa di diverso. –

-Non sono un’infermiera. – si affrettò a dire lei ma lui non sembrava convinto – E allora perché sei vestita come loro? – la ragazza si sistemò una ciocca di capelli castani dietro all’orecchio – I miei puzzavano di fumo e mi sono stati dati questi per sostituirli. -. Quella spiegazione sembrò bastargli quindi si alzò e le prese la mano – Però prima voglio fare un giro! – esclamò prima di tirare la giovane verso il corridoio.
In quel momento le ci voleva una distrazione e, visto che Max dormiva ancora, non le avrebbe fatto male allontanarsi da quel reparto.

-*-

Jay si lasciò andare sullo schienale della sedia alla centrale di polizia. Aveva passato il resto della notte al computer cercando qualche informazione sul tizio che era stato fotografato dal fratello di Alex. Quella ragazza lo incuriosiva parecchio, Will gli aveva raccontato che da quando era entrata in ospedale aveva sempre mantenuto la calma e la compostezza; una cosa veramente singolare visto le notizie e gli avvenimenti che l’avevano portata lì.

Appena tornati in centrale, lui e Hailey avevano avviato la procedura di riconoscimento dell’uomo scoprendo poi che il suo nome era Theo Johns. Un trentatreenne di Minneapolis, trasferitosi a Chicago da una decina d’anni. Nella fedina penale c’erano solo due voci: furto con scasso e tentata violazioni di domicilio. Non sembrava proprio il tipo da appiccare un incendio…

-Ho trovato qualcosa! – esclamò Burges alzando i pugni in segno di vittoria. Gli altri della squadra le si avvicinarono per guardare quello che stava vedendo lei nel suo monitor – Cercando sui profili social dei vari inquilini, non avevo trovato nulla. Però poi mi sono ricordata che l’appartamento 2C era libero soltanto da pochi giorni, così ho cercato il vecchio residente e bingo! Sara Bukstor – disse indicando la giovane ritratta in una foto assieme a Theo Johns – Indovinate un po’? Si frequentavano fino a qualche mese fa. Magari lei l’ha lasciato e lui non l’ha presa bene. – terminò l’agente. Voight analizzò gli sguardi stanchi dei suoi sottoposti, era bene che andassero tutti a riposare. – Teniamo questa pista buona. Ora però vi voglio veder uscire da questa stanza. -.

-*-

- Stai qui dentro da settimane!? Io sarei già diventato matto! – esclamò Max mentre parlava con il bambino conosciuto alle macchinette. Solo dopo aver conosciuto Max aveva rivelato il suo nome: Danny. Alex aveva deciso di lasciarli un po’ insieme con il benestare della Dottoressa Manning che aveva ritenuto l’idea terapeutica per entrambi.

Alex beveva un altro caffè. Ormai erano più di 24 ore che era in piedi, il suo corpo reclamava un letto e la sua mente voleva poter staccare la spina per un po’. Osservare il cielo limpido di quella giornata di aprile diede una tranquillità alla giovane che quasi non si accorse di un uomo di mezza età che le si avvicinava. Con una rapida occhiata notò che sul camice, accanto al nome Daniel Charles, c’era scritto: Primario di psichiatria. Capì che era lui quello di cui aveva parlato Halstead quella notte. – Buongiorno Dottor Charles. – disse continuando a guardare fuori dalla finestra. – Sei un’acuta osservatrice. Come ti senti? – la giovane lasciò uscire un sospiro di sconforto. – Come si sentirebbe Lei, sapendo che uscito da qui, non può dare nulla alla famiglia che Le è rimasta? – si voltò a guardare l’uomo in faccia. Questo mantenne lo sguardo negli occhi nocciola di lei – Dimmelo tu. -. Mentre Alex stava per rispondere, le suonò il cellulare nella tasca della divisa da infermiera. Lo estrasse e, mentre leggeva il nome di chi la stava chiamando, si allontanò dal medico – Mi scusi… - disse solo.

-Dov’è tua madre? Ho provato a chiamarla una decina di volte! Se non arriva subito, la licenzio. – il Signor Berrigan, il proprietario di una lavanderia nella zona di South Side dove Monique lavorava quattro giorni a settimana, stava sbraitando da circa cinque minuti nell’orecchio di Alex che rimaneva impassibile. Quando, finalmente, l’uomo smise di urlare, la giovane ebbe la possibilità di parlare – Mia madre non verrà più a lavoro, è morta ieri in ospedale a causa delle ustioni riportate durante un incendio. – il Signor Berrigan, dall’altro capo del telefono rimase muto per alcuni attimi, nei quali probabilmente si stava dando dell’imbecille, - Ah, mi dispiace molto Alex. Non ne sapevo nulla… Posso fare qualcosa per voi? – ad Alex venne da urlargli tutto quello che pensava, ma si trattenne – No, non si preoccupi. Ora, mi scusi, ma devo andare. Buona giornata. – nemmeno ascoltò quale fu la risposta dell’uomo, perché chiuse la chiamata e si lasciò scivolare lungo il muro del corridoio. Quella telefonata aveva dato il via ad una catena. Prima o poi avrebbe dovuto contattare anche il secondo capo di sua madre e quelle tre amiche che aveva dai tempi della scuola.

Asciugandosi una lacrima che era sfuggita al suo controllo, sbloccò il cellulare e cercò il numero della Signora Vandollan. – Pronto? – la voce squillante quasi perforò un timpano alla ragazza – Buongiorno Signora Vandollan, sono Alex. Volevo informarla che Monque è rimasta coinvolta in un incendio e non ce l’ha fatta… - dall’altro capo sentì la donna soffiarsi il naso – Mi dispiace per la tua perdita cara, quando ci sarà il funerale? Vorrei salutarla, tua madre era una delle migliori collaboratrici che avessi. – si soffiò nuovamente il naso. Alex trattenne le lacrime che minacciavano di uscire. E quella era solo la seconda telefonata. – Non ci sarà alcun funerale. – la Signora Vandollan scattò subito – Ma come? Nessun funerale?! – Alex si passò una mano sul viso – Le chiedo scusa ma devo andare. Buona giornata Signora Vandollan. – riattaccò sospirando rumorosamente. Avrebbe dovuto anche preoccuparsi di organizzare la cremazione di sua madre. Non aveva le energie per fare anche quello!

-*-

Voight stava fissando il sospettato, Theo Johns, attraverso il vetro della sala degli interrogatori. Antonio e Atwater stavano provando ogni via per far parlare quel tizio ma sembrava quasi fosse stato istruito a dovere. – Parlerò solo in presenza del mio avvocato. – disse per la decima volta da quando era stato ammanettato al tavolo di metallo. Jay si avvicinò al suo capo osservando ciò che stava succedendo nella stanza adiacente. – Ancora non parla? – domandò incrociando le braccia al petto. Voight stava già pensando ad un piano alternativo. – Se lui non vuole parlare, troviamo qualcuno che lo identifichi e lo collochi sulla scena. – si voltò verso il suo sottoposto – Chiama quella ragazza. Falla venire in centrale per un riconoscimento e, se è possibile, fai venire anche il fratello. È lui quello ad aver visto Johns prima dell’incendio. -. Jay fece un cenno col capo ed uscì dalla stanza.

Quando arrivò nel corridoio di pediatria, si guardò attorno alla ricerca della giovane. La trovò con lo sguardo fisso sul display del suo cellulare. – Alex? – la chiamò delicatamente. Lei alzò lo sguardo sul detective – Odio le condoglianze. – disse solo mentre riponeva il dispositivo nella tasca del camice da infermiera. – Come posso esserLe utile detective? – Jay rimase ad osservarla per alcuni secondi, si domandò come facesse a non crollare dopo quello che era successo. – Abbiamo fermato l’uomo della foto, dovresti seguirmi in distretto per identificarlo. E avremmo bisogno anche di tuo fratello. Ho già parlato con Nathalie, la dottoressa Manning, ha detto che se questa notte passa senza problemi, domani possono procedere con la dimissione. -. Quell’informazione provocò uno stato di consapevolezza in Alex che la fece bloccare. Avrebbe dovuto affrettarsi a trovare un posto dove stare. Aveva già cominciato a riflettere ma non aveva avuto né tempo di trovare un hotel né, tantomeno, di andare all’assicurazione per informarli dell’accaduto e riscuotere il denaro. Senza quello non sarebbero andati molto lontani lei e suo fratello. – Perfetto. Andiamo? – disse fingendo una calma che non aveva proprio in quel momento.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

 

Jay spense il motore del suo SUV Sierra Denali davanti al distretto. Alex era stata molto silenziosa lungo tutto il tragitto. Nella sua testa stava architettando un modo per trovare subito un posto dove stare. Jay aveva pensato diverse volte di dire qualcosa, ma non aveva trovato le parole. – Non devi preoccuparti per il riconoscimento, lui non ti vedrà. Dovrai solo guardare delle foto. – disse il detective mentre entravano nell’edificio. – Non è quello che mi preoccupa. – rispose solo la castana. All’ingresso trovarono una donna con la divisa da sergente che fece un cenno col capo ad Halstead. Poi salirono una breve scala fino ad un cancello di metallo, lì Jay digitò un codice su un apparecchio che poi gli lesse le impronte e, con un click metallico, il cancelletto si aprì.

Salirono ancora pochi scalini fino ad arrivare in un ufficio con una decina di scrivanie. Alex si guardava attorno con attenzione ai piccoli dettagli. Quasi tutte avevano dei fascicoli aperti, tranne una. Su quella c’era un cappello e sulla parete accanto una foto che ritraeva un uomo con grandi baffi sale e pepe. La giovane lo riconobbe quasi subito, benché fossero passati quasi dieci anni: Alvin Olinsky, l’uomo per cui aveva fatto da informatrice a soli 14 anni.

-Capo! – Jay richiamò l’attenzione del sergente Voight che stava parlando con Antonio e indicò la giovane poco dietro di sé. – Ottimo. – esclamò l’uomo avvicinandosi – Sono il sergente Hank Voight. – e porse la mano ad Alex – Alexandra Morel. – ricambiò lei. – Jay, portala di là, il vice procuratore è già arrivato. –

-Può prendersi tutto il tempo che le serve. – stava dicendo il vice procuratore. Alex era seduta in una stanza adibita a cucina e sala svago, davanti a lei aveva un foglio con otto foto di uomini. Non le ci vollero più di cinque secondi per riconoscere l’uomo che era appostato fuori casa loro. – Questo. – disse indicando il sospettato. – Sicura? Può prendersi altro tempo, non c’è fretta. – insistette il vice procuratore. La ragazza mantenne il dito puntato sulla foto di Theo Johns – Ne sono certa. -. Jay ed il vice procuratore si scambiarono uno sguardo d’intesa, mentre ad Alex veniva messo sotto al naso un foglio da firmare.

-*-

-Vuoi un passaggio in ospedale? – domandò Jay mentre accompagnava Alex all’uscita. Lei scosse leggermente il capo – No, grazie. Prima devo andare in un paio di posti. -. Dopo aver firmato la dichiarazione, aveva avuto alcuni attimi di tempo per riflettere su dove andare: prima di tutto doveva comprare degli abiti, visto che ancora indossava la divisa da infermiera; poi doveva passare in banca per comunicare il decesso di sua madre e sbloccare il conto che Monique aveva creato per i suoi figli in caso di bisogno; per ultimo sarebbe passata dall’assicurazione per compilare delle scartoffie. Durante il giro di telefonate, aveva avuto il tempo di chiamare anche quelli dell’assicurazione sanitaria che, senza un minimo di tatto, avevano chiesto di andare nella loro filiale il prima possibile.

-Sicura? – insistette il detective tenendo aperta la porta alla ragazza – Sicura. – confermò lei e si avviò giù per le scale, diretta verso la fermata della metropolitana più vicina.

-*-

Adam e Kevin fecero il loro ingresso in ufficio seguiti da una donna sui 25 anni, capelli biondi e occhi verdi. La fecero accomodare nella sala interrogatori mentre Voight li raggiungeva per assistere.

-Lo conosci? – Atwater mostrò la foto di Theo Johns alla bionda. Lei sbuffò irritata – Sì, lo conosco. Si chiama Theo Johns. È il mio ex. – a quel punto intervenne Ruzek – Sei stata tu a lasciarlo, Sara? -. Lei rimase muta per alcuni istanti, stava tentando di capire perché due agenti del dipartimento di polizia avessero suonato alla sua porta e l’avessero trascinata in centrale. – Perché sono qui? -. – Rispondi alla domanda Sara. – disse con il solito tono piatto Voight. Seguirono un altro paio di secondi di silenzio. – No, mi ha lasciata lui. Ora mi dite che cosa volete?! -. Adam lanciò un’occhiata al suo capo – Hai saputo dell’incendio nel palazzo dove vivevi fino a poco fa? – lei fece un leggero cenno col capo – Non penserete sia stato Theo… - disse inorridendo – E invece è proprio quello che pensiamo. – Voight si staccò dal muro a cui era appoggiato – Non ha mai dato segni di violenza, scatti d’ira? – Sara Bukstor negò col capo – Nemmeno a parole? Qualche segno che potesse far pensare ad un comportamento simile? – insistette Atwater. – No! No, mai! Certo, è stato uno stronzo a mollarmi, però ha detto di averlo fatto per me… aveva cambiato da poco lavoro e sembrava cambiato. Era più pensieroso e chiuso in se stesso ma non aggressivo. –

Jay era, assieme ad Hailey, nella stanza adiacente. Si stava massaggiando il mento con due dita mentre osservava Sara Bukstor parlare del suo ex. – Addio alla teoria dell’incendio per vendetta. – disse la detective uscendo infastidita dalla porta.

-*-

Erano circa le cinque di pomeriggio quando Alex salutò suo fratello dopo aver girato mezza Chicago. Sentiva un peso sul petto che le rendeva difficile respirare. Prima di aprire la porta della stanza di Max, fece un respiro profondo, si asciugò la lacrima che era scivolata sulla sua guancia e rimise la maschera di pacatezza che l’accompagnava da molto tempo.

-Alex! – la salutò il piccolo correndole incontro e saltandole al collo per abbracciarla. In quel momento, stringere suo fratello sembrava l’unica cosa in grado di lenire un minimo quel dolore che la stava divorando. Usciti da quell’ospedale sarebbero andati in un motel per un po’ di tempo, non era riuscita a trovare una soluzione migliore e poco costosa. Aveva anche chiamato il suo capo per farsi dare qualche giorno di malattia, evitando completamente di dire il vero motivo della sua assenza.

Per il resto del pomeriggio si tennero abbracciati sul letto di Max, mentre raccontava alla sorella quello che aveva fatto durante la mattinata con Danny. Verso l’ora di cena passò la dottoressa Manning per parlare con Alex.

-Teniamo d’occhio la situazione ancora per la notte e, se tutto procede bene, domani lo dimettiamo. La TAC ai polmoni non ha presentato nessuna lesione dovuta al fumo, Max non ha avuto sintomi da intossicazione, quindi penso proprio che domani a quest’ora sarete fuori da qui! – Alex sorrise per non far trasparire la paura che le stava montando dentro e salutò la dottoressa. In quel momento passò un’infermiera con la cena così la giovane tornò in stanza. Avrebbe cenato quando Max si sarebbe addormentato.

-*-

Tutti erano chini sulle scartoffie, cercando di trovare un collegamento tra quello che aveva detto la Bukstor ed il comportamento di Johns. – Non risulta da nessuna parte che avesse cambiato lavoro. Siamo sicuri di quello che ha detto quella donna? – domandò Antonio dopo aver ricontrollato per la decima volta il fascicolo di Johns. – Potrebbe essere stato un lavoro in nero? Di certo non risulterebbe. – disse Kevin mentre si alzava per andare a prendersi la terza tazza di caffè. – Aspettate! – esclamò Jay richiamando l’attenzione di tutti – Ho trovato un conto offshore intestato ad Allison Johns, la sorella del nostro sospettato. Peccato che sia morta in un incidente d’auto tre anni fa. – sul suo viso spuntò un sorrisetto di soddisfazione. – Ottimo! Abbiamo qualcosa da chiedere al nostro ospite. Hailey, Jay andate voi. – disse il capo dopo aver controllato l’informazione trovata da Halstead.

-Allora Theo. Parlaci del tuo lavoro. – Jay si sedette sul tavolo di metallo al centro della stanza. – Non ho nulla da dire, se non ‘avvocato’! – esclamò il sospettato guardando un punto fisso davanti a sé. – Andiamo Theo, non puoi pensare di passarla liscia. Abbiamo dei testimoni che ti collocano sulla scena del crimine pochi attimi prima dell’incendio. Se collabori ti veniamo incontro. Lo sai vero che nell’incendio è morta una donna… è omicidio colposo a tutti gli effetti. – ma nemmeno quello servì per fargli aprire bocca.

Hailey uscì poco prima di Jay dalla sala interrogatori – Nulla da fare. Non sembra spaventato da quello che potrebbe succedergli. – commentò esasperata. – Forse perché gli possono fare di peggio se parla. Dobbiamo capire chi sia il suo capo! – esclamò Antonio tornando verso la sua scrivania a ricontrollare il fascicolo di Johns. In quel momento fece la sua comparsa Hank – Per oggi basta ragazzi. Abbiamo già fatto molto. Ci restano poco meno di 24 ore prima di dover rilasciare il sospettato. Andate a casa e riposatevi, a mente fresca potrebbero venirci nuove idee. – e così, uno dopo l’altro, i componenti della squadra si diressero verso casa. Tutti tranne uno.

-*-

Stava facendo tintinnare delle monete nella mano mentre cercava di decidere quale sarebbe stata la sua cena. Era così stanca che non connetteva più e la consapevolezza di tutto quello che era successo si faceva sempre più presente. C’era già passata per quella situazione: non riuscire nemmeno a scegliere cosa mangiare era l’apice!

-Dannazione! – esclamò dando un colpo al distributore con un piede. Per fortuna che non c’era nessuno in giro a quell’ora… rinunciò a mangiare, si voltò cercando di asciugarsi le lacrime che erano scappate al suo controllo e si trovò il detective Halstead davanti a sé, a guardarla. Fu rapida nel cancellare le righe di pianto, ma non abbastanza. – Detective, come mai è qui? – domandò cercando di nascondere al meglio tutti i suoi sentimenti. – Chiamami Jay. Volevo portarti a bere qualcosa, mi sembra tu ne abbia bisogno. – accennò ad un sorriso – Non credo sia una buona idea… - rispose Alex. – A giudicare da come te la sei presa col distributore, hai bisogno di uscire da qui e staccare per un paio d’ore. – la giovane fece un leggero cenno col capo – Sì, forse hai ragione… -

-Come stai? – domandò Jay mentre ingranava la marcia e partiva. Alex guardava fuori dal finestrino cercando di mantenere il controllo – Insomma… - rispose senza spostare lo sguardo – Non so cosa farò domani, quando Mini sarà uscito dall’ospedale. Non abbiamo più una casa, non abbiamo più nulla. E i soldi che mia madre aveva messo da parte per noi basteranno per poco più di un anno se tutto va bene. È solo un bambino… non credo di riuscire a dargli tutto quello di cui ha bisogno. Mia madre faceva due lavori per mantenerci ed io cercavo di aiutarla il più possibile! L’unica cosa che continuo a chiedermi è “perché”? Abbiamo già avuto abbastanza problemi nella nostra vita… - finalmente sentì un po’ di quel peso sparire. Inspirò a fondo ed espirò cercando la calma. – E vostro padre? – domandò Jay, continuando a guardare la strada. Ad Alex comparvero nella mente delle immagini di quando era ancora solo una ragazzina – Lui è uno di quei problemi. – ed il silenzio cadde nuovamente nel veicolo.

Halstead parcheggiò poco lontano dal pub in cui voleva portare la giovane. Quando smontarono e si avviarono verso l’entrata Alex lo fermò per un braccio – Scusa… solitamente non parlo dei miei problemi con gli altri. – non attese nessuna replica e varcò la soglia accanto alla quale era affissa l’insegna “Molly’s”.

Si avvicinarono al bancone mentre diverse persone salutavano amichevolmente il detective. Però Alex era troppo stanca per badarci realmente. Quando poi si sedettero ad un tavolino proprio accanto al bancone, il barman stava servendo una birra ad una donna di una certa età che Alex era quasi sicura di aver già visto prima. Un uomo sulla cinquantina, o poco più, con capelli grigio argento si avvicinò – Hey Jay, come va? – domandò l’uomo mentre prendeva uno straccio da sotto al ripiano e puliva le gocce di liquore. – Ciao Herrmann. Tutto bene, come al solito. – rispose il detective. Quel nome, associato ad una voce vagamente famigliare, fece concentrare maggiormente Alex su quell’uomo. – Cosa vi porto? – fu allora che Herrmann inquadrò la giovane donna accanto a Halstead – Tu sei quella ragazza! Quella dell’incendio. Abbiamo saputo di tua madre… mi dispiace molto. – Alex scrollò leggermente le spalle – Già beh… è andata così. – fece un leggero sorriso di circostanza – Io prenderei rum e cola, grazie. – aggiunse dopo alcuni attimi di silenzio dannatamente fastidioso.

Una volta ricevuti i loro drink, Alex decise di godersi quella serata, o almeno di provarci. – Allora, perché hai scelto di entrare in polizia? – Jay rimase spiazzato da come era iniziata quella conversazione. Fino ad un secondo prima aveva temuto che la castana sarebbe rimasta chiusa in se stessa per tutto il tempo. Alex, vedendo che non rispondeva, si agitò leggermente – Scusa. Forse non ti va di parlarne… sono fuori allenamento con queste cose… - le sue guance si tinsero di un rosa più acceso. – Intendi dire bere qualcosa con qualcuno? – domandò cercando di nascondere una risata. Lei si mosse sullo sgabello – Intendo dire parlare con qualcuno. Lo so! Sembra una cosa impossibile, ma faccio fatica a relazionarmi con gli altri… storia lunga. – tagliò corto lei, rendendosi conto che a Jay si era accesa la curiosità negli occhi.

Rimasero a guardarsi negli occhi per alcuni secondi – D’accordo! – esclamò bevendo un sorso di birra – Prima di entrare in polizia ero nell’esercito, più precisamente nei Ranger. Tu? Cosa fai nella vita? – Alex era totalmente persa negli occhi azzurri di lui – Niente di entusiasmante… Volevo studiare per diventare ostetrica, ma non volevo essere un peso economico per mia madre quindi ho lasciato stare. Per ora ho un lavoro, diciamo così, in un mini market. Per nulla entusiasmante vero? – fece una smorfia mentre sentiva i primi calori dovuti all’alcol che stava entrando nel suo corpo. – Che mi dici del tuo lavoro? Dev’essere davvero molto duro in certi momenti… - l’idea che potessero vedere cose atroci ogni santo giorno, aveva fatto passare la voglia ad Alex di provare ad entrare nel corpo di polizia. – Sì, diciamo che ci sono giorni in cui mi chiedo in che razza di mondo viviamo, però ci sono molte altre volte in cui ringrazio di fare questo lavoro. – un’ombra spense leggermente lo sguardo di Jay, come se in quel momento stesse ripassando nella sua mente tutto quello a cui aveva assistito. Alex decise di cambiare argomento – Grazie per avermi portata fuori da quell’ospedale. Avevi ragione: mi ci voleva proprio… - sollevò il bicchiere e finì di bere il suo drink. – Figurati! – rispose lui sorridendole.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5


Il mattino seguente Max era pronto per le dimissioni. La dottoressa Manning passò per gli ultimi accertamenti e per scambiare due parole con Alex, dopodiché i due fratelli erano pronti per ricucire una sorta di vita. Con nulla in mano, uscirono dall’ospedale.

Il cellulare di lei squillò nella sua borsa (l’unica cosa sopravvissuta all’incendio): era Jay. Rispose un po’ scettica, mentre Mini la fissava curioso – Ciao. – prese suo fratello per mano mentre ascoltava cosa le stesse dicendo Halstead all’altro capo del telefono. – Va bene. Siamo appena usciti. Chiamo un taxi e arriviamo in centrale. – seguì un’altra pausa – Cosa? E dove? – si guardò attorno. Max non riusciva a capire cosa stesse succedendo. Poi sentirono un clacson, si voltarono entrambi ed il SUV del detective accostò a pochi passi dalla loro posizione.

Alex non era in grado di decidere se la cosa fosse un bene o meno… di certo non poteva negare che Halstead la attraesse, però non era il momento giusto e, quasi sicuramente, una regola della polizia era di non avere relazioni con dei testimoni o con persone che avessero a che fare con un caso che si stava seguendo. Forse però, era lei quella che si stava facendo degli strani film mentali… d'altronde era emotivamente instabile in quel momento e, come quando se n’era andato suo padre lei aveva ceduto alle avances di un deficiente, forse anche questa volta era solo frutto dell’intaccatura alla sua corazza ben spessa.

-*-

Hailey chiuse la chiamata col suo partner – Era Jay, ha detto che sta portando in centrale la ragazza e suo fratello. – comunicò al resto della squadra. – Ottimo! Giusto in tempo. Abbiamo ancora solo due ore per incriminare o rilasciare Theo Johns. – disse Voight mentre si apprestava a levarsi l’arma dalla cintura per riporla in una cassetta di sicurezza - Do al nostro amico un’ultima chance di confessare. –

-Allora Theo? Ancora convinto a non voler confessare? – il sospettato sbuffò – Av-vo-ca-to. – sillabò e guardò con sfida il sergente. – Ottimo! Quando ti condanneranno, ti daranno il massimo per omicidio premeditato. Auguri! – e così dicendo uscì sbattendo la porta.

Fermò Adam che stava passando di lì – Prepara il sospettato per il riconoscimento. –. Il suo sottoposto fece un cenno col capo ed entrò nella sala interrogatori.

-Sergente! – Jay richiamò la sua attenzione mentre terminava di salire gli scalini. Accanto a lui c’era la ragazza del girono prima, quella Alexandra Morel. E il fratello, un bambino di circa dieci anni, le camminava a pochi passi di distanza osservando tutto con molto interesse. – Tu devi essere Max. Io sono il sergente Hank Voight. – gli porse la mano e ricevette una bella stretta forte, nonostante fosse un bambino - Ora dovresti seguirmi per riconoscere l’uomo che hai visto prima dell’incendio. Te la senti? – sembrava una persona completamente diversa dal giorno prima. Ad Alex aveva dato l’impressione di un uomo freddo e senza scrupoli, invece in quel momento sembrava un pezzo di pane.

Max allora si incamminò con il sergente ma non mollò la mano della sorella. – Io no, Mini. Ti aspetto qui fuori. – la perplessità si poteva leggere sul viso di tutti tranne che dei due fratelli – Va bene! Ci vediamo dopo. – squittì il piccolo ricominciando a camminare. Poi si bloccò – Dovresti riposarti un po’… - e riprese a seguire il sergente.

-Caffè? – domandò Jay mentre accompagnava Alex nella stanza svago in cui era andata per riconoscere il sospettato. Mentre lei aveva dovuto guardare delle foto, suo fratello avrebbe avuto il sospettato davanti a sé, con altri uomini presi a caso. Attraverso un vetro riflettente. Forse avrebbe dovuto stare con lui, ma credeva che sarebbe stato meglio se non ci fosse stata lei ad interferire. – Piuttosto avrei bisogno di un letto… - sospirò sedendosi su una sedia e massaggiandosi il collo – Difficoltà a dormire? – chiese lui mentre le porgeva una tazza fumante – Direi proprio incapacità. Ma lasciamo stare… questa notte è stata produttiva sul fronte appartamento. Ho trovato un annuncio di un monolocale sulla 59esima strada, nei pressi di Washington Park. L’affitto è di 600$ al mese, però potrei provare a trattare… - Jay la osservava attentamente – Sembra proprio che tu abbia tutto sotto controllo. – sorrise marcando le fossette agli angoli delle sue labbra. Alex fece un respiro profondo – Devo cercare di mantenere il controllo sulle nostre vite, non posso permettermi di… - ma non terminò la frase perché il suo cellulare squillò sul tavolo. – Dev’essere il proprietario, gli ho lasciato un messaggio in segreteria questa mattina presto. – sorrise leggermente mentre si alzava e rispondeva.

-*-

-Sei stato bravissimo Max! – esclamò Atwater dando il cinque al bambino. – Non è stato difficile… - rispose il piccolo mentre raggiungevano la sorella nella saletta svago. Così Alex fece la conoscenza di un altro membro dell’Intelligence. Kevin Atwater avrà avuto una trentina di anni, afroamericano con lo sguardo allegro di un bambino.

-Alex! Era proprio lui! Quello che avevo visto entrare! – quasi urlò tutto eccitato il fratello. Alex gli fermò le braccia che muoveva sconnessamente – Max, vorrei ricordarti che è stato il suo zaino ad uccidere la mamma. Ed è meglio se non ne parli troppo in giro del tuo riconoscimento. – la faccia seria della sorella lo fece immobilizzare immediatamente – Scusa Alex… - lei gli fece una carezza sui capelli – Non scusarti, io ti do solo un consiglio. Ora andiamo, sono riuscita a trovare un appartamento non molto lontano dalla tua scuola. – gli occhi del piccolo si accesero nuovamente. Era bello come i bambini riuscissero a fronteggiare i lutti, in un modo così innocente e senza perdere la gioia delle piccole cose.

Alex strinse la mano ad Atwater, poi al sergente Voight, ringraziandoli del lavoro e pregandoli di ricevere degli aggiornamenti in merito al caso. Quando fu il momento di salutare Jay, sentì come un peso sullo stomaco – Vi accompagno giù. – la anticipò lui. Fortunatamente nessuno si accorse dello sguardo severo di Voight.

Quando arrivarono in fondo alle scale, notarono uno strano movimento. La donna che, solitamente, stava dietro al bancone di accoglienza, in quel momento era davanti alla porta e dava istruzioni ad un paio di agenti in divisa. – Che succede? – domandò Alex prendendo per mano suo fratello. Jay scosse le spalle, visto che era all’oscuro di quello che stava succedendo lì. Poi il gruppetto lasciò l’edificio e tutto tornò più calmo. Arrivati all’uscita si bloccarono, nessuno dei due aveva realmente voglia di salutare l’altro. Max si staccò dalla sorella e scese la scalinata davanti al distretto, voglioso di prendere quel po’ di sole che c’era in quella giornata dopo i giorni passati chiuso in ospedale.

-Magari possiamo vederci per una birra? – domandò lui giocherellando con l’orologio. – Non mi piace la birra… ma volentieri! – Alex sorrise mentre si voltava per scendere gli scalini.

Fu tutto molto veloce. Un’auto arrivò a tutta velocità, dal finestrino del passeggero comparve la canna di una mitraglietta ed una raffica di colpi investì tutti quelli che passavano per strada in quel momento. Jay fu molto rapido ad afferrare Alex per le spalle e spingerla dietro al portone mezzo chiuso. Quando sentirono l’auto sgommare via, uscirono dal loro nascondiglio trovandosi una scena orribile davanti agli occhi.

Entrambi gli agenti di scorta erano al suolo, con chiazze di sangue ad imbrattare la loro divisa. Il detenuto che avrebbero dovuto trasportare aveva un buco in testa ed un paio di civili si lamentavano dal dolore. Ad Alex quasi si fermò il cuore. Max era riverso a terra, una pozza di sangue che andava espandendosi di secondo in secondo – Oh mio dio! – sussurrò la giovane prima di lanciarsi verso il fratellino.

Si inginocchiò al suo fianco – Mini… - disse piano cercando di vedere dove fosse la ferita. – Hey Mini. – sorrise amaramente cercando di trattenere le lacrime. Mise le mani sul torace del bambino cercando di diminuire l’emorragia ma non sembrava servire a molto. – Alex… - sbiascicò lui – Non parlare, risparmia le energie… -. Non sarebbero mai arrivati in tempo i soccorsi, lo sapeva benissimo. – Alex? Sto per morire vero? – quella domanda lasciò la castana totalmente distrutta. Fece un cenno con la testa – Sì Max, sì… - una lacrima cadde sull’asfalto. – Alex? – domandò ancora mentre la sua vista si faceva sempre più sfocata – Ti saluto la mamma… -

Quelle furono le sue ultime parole.

Alex non provò a chiamarlo, o a scuoterlo per farlo tornare da lei. Si limitò a guardare il viso contratto dal dolore di suo fratello. Si alzò dal suolo sotto shock. Perché? Perché proprio lui? E subito dopo la morte di sua madre…

Dopo il chiasso in strada tutti quelli presenti in centrale erano accorsi a dare una mano. Voight e la sua squadra erano rimasti colpiti alla vista del piccolo Morel steso a terra. Il sergente non riuscì a fare a meno di pensare che, almeno, erano riusciti ad avere un riconoscimento così da arrestare il colpevole della morte della madre… Un pensiero per nulla consono alla scena.

Alex stava in piedi in mezzo alla strada, si guardò le mani sporche di sangue, il sangue di Max. Poi alzò lo sguardo per un attimo e trovò Halstead a guardarla, non riusciva a capire quali fossero i suoi pensieri in quel momento ma poco le importava. In meno di un secondo si trovò circondata dalle braccia del detective e, senza più riuscire a trattenersi, scoppiò in un pianto che aveva tenuto a bada dal momento in cui aveva visto casa sua bruciare. I suoi singhiozzi furono coperti solo dal rumore delle sirene delle numerose ambulanze che stavano arrivando sulla scena per prestare soccorso ai feriti.

-*-

-Voglio sapere cos’è successo! – la voce furente del loro capo, fece quasi paura ai membri dell’Intelligence. – Devono aver fatto una soffiata ai “Los matadores”. – disse Antonio senza staccare gli occhi dal suo monitor – Il detenuto che dovevano trasferire era un membro della gang. Aveva fatto un accordo col procuratore per uno sconto di pena. Ha dato informazioni utili per bloccare il traffico di droga proveniente dal Messico. L’informazione doveva essere riservata… - concluse puntando gli occhi sul capo. – A quanto pare, non è stato così! – Hank sbattè un pugno sul tavolo accanto a sé – Due agenti sono morti oggi. Così come quel povero bambino. Dobbiamo ottenere giustizia. Chiedete anche mille favori, ma dobbiamo prendere quel figlio di puttana che ha fatto la soffiata! – detto ciò si chiuse nel suo ufficio per fare alcune telefonate per nulla gradevoli.

Per alcuni secondi rimasero tutti in silenzio, poi Kim ruppe quel momento di agonia – Sapete qualcosa della sorella? Alex… deve stare malissimo, ha perso la sua famiglia nell’arco di una settimana… - Hailey alzò lo sguardo dalle scartoffie che stava controllando – Jay l’ha accompagnata nel suo nuovo appartamento, o almeno credo. – Adam spuntò dalla sala ristoro – C’è qualcosa di strano in quella ragazza, non vi sembra? A me pareva un po’ troppo fredda e calcolatrice. Chi è che non batte ciglio se gli viene detto che la madre è morta? – Kim scattò contro il suo ex fidanzato – Non puoi fare un ragionamento del genere, Adam. Ognuno reagisce in modo diverso! – Ruzek sbattè un paio di volte gli occhi sorpreso dalla reazione della donna – Come mai te la prendi così a cuore? – Burgess sistemò i fogli sulla sua scrivania per evitare lo sguardo del collega – Perché ha 24 anni, è completamente da sola e si capisce che ha vissuto qualcosa di molto spiacevole. Non si nasce così insensibili, lo si diventa per proteggersi dalla vita e dalle persone. – il silenzio tornò a regnare nell’ufficio. Adam si diede dell’imbecille per il resto del pomeriggio.

-*-

-Grazie, ma non dovevi accompagnarmi dal signor Zolik. – disse stanca Alex mentre infilava le chiavi nella toppa della serratura. Jay l’aveva portata all’appuntamento con il suo potenziale affittuario e l’aveva convinto a dare a lei l’appartamento e a chiedere 500$. La castana non sapeva come avesse fatto perché era completamente assente in quel momento.

Dopo averla trascinata via dalla scena della sparatoria, Halstead l’aveva portata nel suo appartamento dove le aveva dato il tempo di cambiarsi, farsi una doccia e lavare via il sangue di Max. Era stato estremamente cordiale e amorevole, la cosa era sembrata quasi normale, talmente normale che nessuno dei due ci aveva dato peso.

E così entrò nel suo nuovo appartamento: un monolocale con un piccolo bagno ed un cucinino. Perfetto per una persona sola come era lei.

-Se hai bisogno di qualcosa, qualunque cosa, non farti problemi a chiamarmi. – Jay sorrise dolcemente. – Perché sei così gentile? – domandò Alex sospirando esausta ed esasperata da quella situazione. Il detective fece un passo verso di lei e le posò una mano sul braccio – Perché so come ci si sente. Non è la stessa cosa, ma in guerra ho visto molti amici morire per colpa di una pallottola… - rimase sorpreso delle sue stesse parole. Solitamente non raccontava della sua vita privata, specialmente di quello che aveva vissuto e visto in Afghanistan. Nonostante apparisse sempre allegro e socievole, trovava veramente molto difficile aprirsi con gli altri.

-Io ora vado. Cerca di riposare… - fece per aprire la porta d’ingresso ma Alex lo fermò – Jay? – il detective si voltò per guardarla in viso – Credi che tuo fratello potrebbe avere il numero del dottor Charles? -. Lei sapeva che non ne sarebbe mai uscita senza l’aiuto di uno specialista e sperò che il primario in psichiatria sarebbe stato ancora disposto a fare una chiacchierata con lei. Jay sorrise leggermente – Posso provare a chiederglielo. Ti faccio sapere! Ciao Alex. – la salutò prima di aprire e richiudersi la porta alle spalle.

Rimasta sola, Alex si guardò per alcuni attimi attorno. Quella casa sembrava così fredda e opprimente… fortunatamente era per metà arredata, ma a quello avrebbe pensato in un secondo momento. Srotolò il sacco a pelo lasciatole dal detective e lo adagiò con poca cura sul materasso presente nella stanza da letto. Si sdraiò stancamente e scoppiò in un pianto che durò fino a quando il sonno la raggiunse.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6


Hailey bussò insistentemente alla porta di casa Slutton. – Arrivo! – si sentì urlare da dentro. In pochi attimi apparve sulla soglia l’avvocato Slutton in giacca e cravatta e gli occhietti piccoli incorniciati da una spessa montatura nera. – Che volete? – domandò l’uomo senza dare cenno di voler fare entrare i due detective. Jay mise una mano sullo stipite verniciato di bordeaux – Vorremmo parlare con Lei del Suo cliente, Jim Mendez. Quello ucciso ieri, fuori dal 21° distretto. – la voce piatta che nascondeva il sentimento di ribrezzo per quell’uomo. – Ah certo… È stata una tragedia e… - ma Upton non lo lasciò finire – Sì, sì ci risparmi i convenevoli. Siamo qui per farLe un paio di domande. Lei, i due agenti di custodia, il suo assistito e il procuratore eravate gli unici a sapere del trasferimento del sospettato. Il procuratore non aveva nessun motivo per fare una soffiata e, guarda caso, Lei è l’unico altro ad essere ancora vivo. Di certo non potrà non trovare la cosa alquanto strana...- l’uomo contrasse i muscoli visibilmente – Non mi starete certo accusando! Vero? – Jay inclinò la testa – Siamo qui solo per fare alcune domande. – ripeté fintamente cordiale. L’avvocato si scaldò ulteriormente – Non vi permetto di venire in casa mia ad accusarmi senza prove! Ora uscite! – quasi urlò facendo segno ai detective di prendere la porta ed andare.

-*-

-Okay ragazzi. Voglio tutto quello che riuscite a trovare sull’avvocato Slutton! Da come ha reagito alla nostra visita è chiaro che nasconda qualcosa, quindi mettetevi al lavoro. – Voight era appena stato aggiornato sulla visita a casa dell’avvocato e quello che aveva sentito gli aveva solo dato molto fastidio.

Dopo aver impartito gli ordini si chiuse nel suo ufficio: c’era una cosa che gli premeva dal pomeriggio precedente e doveva assolutamente trovare una risposta.

Entrò nel sistema sul suo computer e digitò un nome: Alexandra Morel. Il file che risultò dalla ricerca lasciò l’uomo ancora più infastidito di prima. L’unico riscontro apparso sul monitor, oltre alle informazioni basilari quali nome, indirizzo e poco più, era secretato. Il che lasciava pensare a qualcosa che non si sarebbe mai dovuto sapere. Avrebbe anche potuto lasciar stare se non fosse stato però che, uno dei suoi migliori detective fosse palesemente interessato alla ragazza. Sbuffò chiudendo la pagina, proprio nel momento in cui il diretto interessato entrava nel suo ufficio senza bussare. -Capo, abbiamo trovato qualcosa! – esclamò con un barlume di speranza.

-*-

-Andate a prenderlo immediatamente! – impartì Hank alla sua squadra. L’informazione appena trovata si era rivelata proprio ciò che stavano cercando: delle misteriose transazioni sul conto di Slutton.

Quando arrivarono alla sua porta, l’uomo stava per entrare in casa. – Avvocato Slutton? Deve seguirci in centrale. – disse Adam mentre lo afferrava per un braccio e cominciava a trascinarlo verso la sua auto. – Non potete! Lasciatemi stare. Voglio sapere di cosa mi accusate! – sbraitava Slutton ma nessuno lo degnò di una risposta.

-*-

Alex beveva un caffè espresso al bar vicino al Chicago Med. Di lì a poco l’avrebbe raggiunta il dottor Charles. Jay aveva mantenuto l’impegno ed aveva chiamato suo fratello Will per avere informazioni. Alla fine aveva dato il numero di cellulare di Alex allo psichiatra così che potessero concordare un incontro.

L’uomo entrò nel locale con gli occhiali che penzolavano al suo collo ed ancora il camice addosso. Quando vide la giovane le fece un segno di saluto e si avvicinò solo dopo aver preso un thè nero. –Ciao Alex. – sorrise mentre si sedeva difronte alla castana – Buongiorno Dottor Charles, grazie per avermi incontrata. – rispose lei prima di bere un altro sorso di bevanda calda. – Come stai? Ho saputo di tuo fratello, mi dispiace molto… - Alex fece spallucce, un modo che aveva sempre usato per farsi da scudo alle domande a cui non sapeva come rispondere – Non lo so, davvero. Questa mattina mi sono svegliata con la consapevolezza di non avere più nessuno al mondo. Ma ciò che più mi ha fatta stare male è che, nemmeno per un momento, ho sperato di essere con loro, di essere morta anch’io… - abbassò lo sguardo sul bicchiere di simil cartone. Daniel la guardò per alcuni attimi, senza proferire verbo, poi sospirò rumorosamente richiamando l’attenzione della sua interlocutrice – Sai Alex, non molti hanno il tuo stesso spirito. Non desiderare la morte perché si ha perso tutto è un grande segno, significa che sei una combattiva. Ed il fatto che abbia chiesto di me, significa che vuoi riuscire a superare questa situazione. Cosa provi in questo momento? -. Le parole del dottore riecheggiarono nella sua mente mentre cercava di capire come si sentisse – Io… Io voglio ricordarmi di loro, di mia madre e di Max; sono davvero furiosa per come sono andate le cose e vorrei non aver lasciato la mano di mio fratello su quella maledetta porta! Però non riesco a immaginarmi una vita di rimpianti… una vita che non è vita perché continuo a vivere nel passato. E poi… devo riuscire a chiudere col passato. – Lo psichiatra si domandò cosa volesse dire con quell’ultima frase ma il suo cercapersone vibrò costringendolo a tornare in reparto. – Io ora devo andare. Ma ti chiamo entro sera per fissarti un appuntamento nel mio studio in ospedale. – la salutò con una stretta di mano e si allontanò.

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-Andiamo avvocato, abbiamo visto i tuoi conti e ci sono degli strani movimenti inspiegabili. Ti hanno pagato i “Los matadores” non è così? Ti sei messo d’accordo con loro per dirgli quando sarebbe avvenuto il trasferimento? – Hank aveva la pazienza al limite, ancora cinque minuti e non avrebbe più risposto delle sue azioni!

Slutton tremava quasi come una foglia seduto sulla sedia di metallo della sala interrogatori. Il viso del sergente a pochi centimetri dal suo. Poi Kim estrasse delle foto da una cartelletta di cartoncino – Guardale. – ordinò mentre gli scatti dei corpi martoriati dei due poliziotti e di Max Morel venivano messi sul tavolo, proprio sotto al suo naso – La tua soffiata ha ucciso due agenti e un bambino che non c’entrava nulla. Ti conviene confessare. La pena sarà diminuita se collabori, altrimenti lo sai anche tu, passerai il resto della tua vita dietro le sbarre. Non potrai più rivedere Sebastian… si chiama così tuo figlio no? Quanti anni ha? 15? – Burgess stava dando il meglio di sé in quell’interrogatorio.

Fu quando nominarono suo figlio che Slutton scattò – Non mi hanno pagato! Quei soldi me li ha dati un amico per tirarlo fuori da un guaio… - ammise abbassando il capo sconfitto – Voi non capite. Io dovevo farlo! Avevano rapito mio figlio… se non gli avessi dato quell’ informazione lo avrebbero ucciso. Non avevo altra scelta… - era scoppiato a piangere come un bambino.

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Voight richiuse la porta alle sue spalle solo dopo aver fatto firmare una confessione all’avvocato in cui ammetteva il suo coinvolgimento e dava i nomi degli affiliati ai “Los matadores” che lo avevano contattato e avevano rapito suo figlio.

Con poca eleganza sbattè la confessione sulla sua scrivania così che il vice procuratore potesse esaminarla e procedere con i mandati di arresto. – Ah Hank! – si bloccò prima di uscire dall’ufficio del sergente – Ho brutte notizie… Theo Johns è stato rilasciato qualche ora fa. – Poco ci mancò che Voight si strangolasse con la propria saliva – Scusa, cosa? – l’altro uomo giocherellò con i fogli che aveva in mano – La difesa ha convinto il giudice che il riconoscimento di un bambino di 10 anni non fosse abbastanza e che la foto non provava nulla. Nemmeno la dichiarazione della ragazza è stata ammessa: il giudice ha concordato che, aver visto Johns fuori dall’edificio qualche giorno prima, non significa nulla. – fece un respiro – Mi dispiace Hank. – ed uscì senza aspettare una replica.

-Halstead vieni un attimo! – quasi ringhiò sporgendosi leggermente dalla porta. Jay si alzò dalla sua scrivania e si appoggiò ad una delle due sedie per gli ospiti che c’erano nell’ufficio del capo. – Che succede? – domandò leggermente allarmato. Voight si massaggiava la mascella nervosamente – Hanno rilasciato Theo Johns. – Halstead quasi fece cadere la sedia su cui era appoggiato – Cosa?! Perché? – l’altro si sedette sulla sua poltrona in pelle logora – La difesa è riuscita a rendere inutile la dichiarazione dei fratelli e la foto scattata dal bambino. È stato rilasciato qualche ora fa… Jay, forse è meglio se lo dici tu alla ragazza. E, con l’occasione, dille di passare in centrale appena può, avrei un paio di cose da chiarire con lei. – detto ciò gli fece segno di andare.

Chiamare Alex per dirle che l’assassino di sua madre era stato rilasciato era da escludersi, così pensò fosse meglio invitarla a bere qualcosa. Almeno avrebbe potuto parlarle a quattr’occhi.

-*-

Alex stava fissando il cellulare da minuti. Avrebbe voluto chiamare Halstead per ringraziarlo di tutto quello che aveva fatto in quei giorni; magari invitarlo a bere qualcosa poteva essere la cosa più facile e meno impegnativa, d'altronde non sarebbe stata la prima volta…

Rischiò di farlo cadere a terra quando sullo schermo comparve il nome del detective ed il cellulare cominciò a vibrare. Attese alcuni secondi prima di rispondere – Ciao. – disse neutrale, dall’altra parte ci fu il silenzio per una frazione di secondo – Hai voglia di andare al Molly? – domandò Jay – C’è una cosa di cui dovrei parlarti… - quella frase non faceva presagire nulla di buono ma Alex non riusciva a sopportare di stare in quell’appartamento. – Okay, facciamo fra un’ora? Ci vediamo lì davanti? – stava per chiudere la conversazione quando sentì bussare alla porta – Scusa un attimo… - e, senza togliere il cellulare dall’orecchio, andò ad aprire.
Si ritrovò il detective davanti, anche lui col cellulare ancora in mano – Ciao… - disse sorpresa, Jay sorrise – Ho pensato avresti gradito un passaggio. – le fossette si marcarono ulteriormente. Alex prese al volo la felpa e la borsa ed uscirono.

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-Non ci credo… - c’era rassegnazione nella sua voce – Com’è possibile?! – domandò Alex ad Halstead portandosi poi il bicchiere di rum e cola alle labbra. – Non è stato considerato affidabile… mi dispiace Alex. – la giovane scosse il capo – Non è certo colpa tua! Come pensate di procedere ora? Avrete ben un piano, sarà già successa una cosa del genere, no? – Jay sorseggiò il suo Bourbon – Voight vorrebbe parlarti, non so di cosa, però appena puoi dovresti passare in centrale. – la castana alzò le braccia frustrata – Domani torno a lavoro, ho il turno di pomeriggio. Quindi passerò di mattina… - sospirò sconsolata – Sembra proprio che non ne vada una giusta quando ci sono di mezzo io… -

Il resto della serata cercarono di non pensare a quella notizia e si persero a parlare del più e del meno. Alex raccontò alcuni aneddoti su suo fratello e sua madre sentendo un grosso peso sul cuore. Nonostante ciò, ed un paio di lacrime versate, fu felice di riuscire a ricordare momenti felici della sua vita.

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Hank parcheggiò l’auto subito prima del nastro giallo che delimitava il perimetro della scena del crimine. – Hey capo! – lo chiamò Ruzek accanto al cadavere coperto con un telo. Si trovavano in una zona quasi deserta, vicino ad un magazzino dismesso che, negli anni ’50 veniva usato come cotonificio. – Cos’abbiamo Adam? – domandò il capo, l’altro sollevò il telo – Non sarai contento… -. Il corpo apparteneva a Theo Johns; un foro di proiettile gli trapassava il cranio. – No, decisamente non sono contento. – disse prima di girare sui tacchi e tornare verso la sua auto.


Angolo dell'autrice

Ciao a tutti,

ecco la conclusione di questa storia. Per chi è arrivato fino a questo punto dico un grazie e mi piacerebbe molto sentire il vostro parere. 
Come già detto nella descrizione della storia, sarà una sorta di collana di racconti, una specie di storia a puntate. "Nothing will drag you down" è il titolo generale, che poi si suddividerà in varie sottostorie (simile a come viene strutturata una serie tv). Ora avete appena letto "Come tutto ebbe inizio" e, a breve, inizierò a pubblicare "Una ragazza complicata". Spero di essermi spiegata...

Grazie ancora a tutti coloro che sono arrivati fino a questo punto e spero di trovarvi ancora nella prossima storia!

Un saluto
Lisi

 

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