Georgie il sequel

di Francyzago77
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Una lettera ***
Capitolo 3: *** Il viaggio verso casa ***
Capitolo 4: *** Il passato ritorna ***
Capitolo 5: *** Notte d'attesa ***
Capitolo 6: *** Di nuovo insieme ***
Capitolo 7: *** Il lungo racconto ***
Capitolo 8: *** Una storia dolorosa ***
Capitolo 9: *** Sulla nave ***
Capitolo 10: *** Ballo in prima classe ***
Capitolo 11: *** Ultima notte in mare ***
Capitolo 12: *** Sono tuo padre ***
Capitolo 13: *** Scelte ***
Capitolo 14: *** La nuova scuola ***
Capitolo 15: *** Due fratelli ***
Capitolo 16: *** L'esame ***
Capitolo 17: *** Proposta di matrimonio ***
Capitolo 18: *** Ritornare ad amare ***
Capitolo 19: *** La festa ***
Capitolo 20: *** Il discorso di Kevin ***
Capitolo 21: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo
 
“Dovunque io sia, il posto in cui ritornerò sarà accanto a te”… e lui Abel c’era sempre, nei pensieri, nei luoghi, nei passi, in ogni azione che Georgie faceva. Era trascorso quasi un anno dal suo ritorno in Australia con il piccolo Abel Junior e la vita di Georgie era ripresa lentamente ma con molta serenità anche grazie alla presenza di Arthur.
La fattoria Buttman era ritornata quella di una volta: un luogo tranquillo, produttivo e laborioso. Le festose grida di Abel Junior echeggiavano nell’aria e sembrava ascoltare ancora le vocine allegre di Georgie, Abel ed Arthur bambini.
Lo zio Kevin, ormai anziano, si era trasferito a vivere in paese e aveva ceduto una parte delle sue terre ad Arthur il quale era divenuto uno dei coltivatori più apprezzati della zona.
Georgie e il piccolo si erano stabiliti alla fattoria di Kevin mentre Arthur viveva nella vecchia casa. Non avevano ritenuto opportuno stare sotto lo stesso tetto ma condividevano tutto e si sostenevano a vicenda in ogni situazione. Arthur era il fratello gentile, protettivo, affettuoso di sempre e ora anche uno zio esemplare per il piccolo Abel. Certo, le sevizie e la prigionia di Londra lo avevano segnato profondamente ma la calda terra australiana, il lavoro e l’affetto di Georgie e del piccolino  lo facevano sentire un uomo nuovo: era come rinascere una seconda volta. E poi rilevare ed ampliare la fattoria di papà Eric era sempre stato il suo sogno e si stava realizzando pienamente.
Georgie aveva ripreso il suo lavoro di sarta e, dopo l’esperienza con le nobili inglesi, aveva portato in Australia la moda londinese e i suoi abiti spopolavano tra le ragazze della città.
Oggi era un grande giorno: il conte Gerard arrivava con la nave per riabbracciare la figlia e il nipotino.  Georgie, Arthur e Abel Junior si dirigevano verso il porto per andare ad accoglierlo.
-Sono molto felice di conoscere tuo padre – disse Arthur – e spero si fermi con noi per lungo tempo.
-Sicuramente un paio di mesi – rispose Georgie – poi si deciderà cosa fare.
Il carro avanzava lentamente verso il porto ed Arthur, in cuor suo, aveva il timore di perdere Georgie un’altra volta.
Trovarono il conte Gerard già sulla banchina, tra la folla, con un bagaglio in mano ed un sorriso in volto. Abbracci, baci e saluti affettuosi caratterizzarono quell’incontro. Abel Junior era così entusiasta di aver rivisto il nonno che per tutto il tragitto dal porto al carro volle stare in braccio a lui.
- Arthur -  disse Fritz- sono contento di vederti così in forma e ristabilito.
-Grazie conte Gerard – rispose il ragazzo – purtroppo l’unica volta che ci siamo incontrati non ero nel pieno delle mie facoltà mentali …
Il pensiero andava sempre lì, a Londra, a quella cella, allo scambio tra i due fratelli, al volo nel Tamigi, ad Abel …
Il viaggio fu abbastanza lungo e Fritz era incantato dal paesaggio che gli si mostrava intorno. Purtroppo l’Australia era per lui terra di amari ricordi: la deportazione, la morte dell’adorata moglie Sophie, la perdita di Georgie, ma ora era tornato in quel continente con un altro animo e con la certezza che tutti i suoi affetti più cari erano lì.
Il conte si sistemò a casa di Georgie, poi andò con figlia e nipotino a cena da Arthur alla fattoria. Per l’occasione c’era anche lo zio Kevin, tutto vestito a festa ed emozionato di far la conoscenza di un conte! Fu una bella serata, allegra, spensierata. Dopo cena Fritz volle uscire ad osservare il cielo stellato. Georgie rimase in casa con il figlioletto e lo zio Kevin mentre Arthur uscì per parlare da solo con il conte.
-E’ bello il cielo d’Australia – esordì Fritz – le stelle non sono le stesse che si vedono a Londra.
-Mio fratello è morto sotto quel cielo – disse Arthur – e non ha mai più potuto vedere queste stelle del Sud, non me lo posso perdonare.
-No- rispose il conte – tu non devi sentirti in colpa, è stato quel dannato Dangering la causa di tutte le nostre peripezie.
-Ma mio fratello è morto per salvare me – disse il giovane – non posso dimenticare.
-Ascolta – disse Fritz – ora voi siete la mia famiglia, siete il futuro, dobbiamo guardare avanti insieme. Io sono tornato per rimanere.  
 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Una lettera ***


I Una lettera I giorni passarono in fretta, il conte si stabilì da Georgie ed iniziò la sua nuova vita sotto il cielo d’Australia. Amava fare lunghe passeggiate per le vaste praterie, dipingeva, giocava e dialogava molto con il nipotino. Spesso andava a Sydney per affari dove aveva contatti con altri nobili londinesi emigrati lì. Alla fattoria Arthur aveva assunto due nuovi ragazzi che si occupavano degli animali e dei campi. Georgie si divideva tra la casa e il lavoro di sarta. “Dovunque io sia, il posto in cui ritornerò sarà accanto a te” era la frase che riecheggiava spesso nei suoi pensieri. Una mattina Arthur, di ritorno dalla città, portò una lettera indirizzata a Georgie. Proveniva da Londra. -Emma e Dick! – urlò Georgie – Mi hanno scritto finalmente! La sua cara amica Emma, fedele, saggia, abile sarta le aveva scritto dopo tanto tempo. La lettera esordiva così: “Mia cara Georgie, ti scrivo soltanto ora perché ho avuto così tanto lavoro che non sono mai riuscita a trovare un attimo di tempo per te. Scusami. Grazie alla tua abilità e al tuo gusto per i vestiti ho potuto aprire una sartoria tutta mia ed ora cucio gli abiti per le nobildonne di mezza Londra. Dick ha cambiato lavoro, non fa più lo spazzacamino ma ha rilevato un emporio e gli affari vanno veramente bene. Siamo riusciti a sistemare anche la nostra piccola casa, l’abbiamo ristrutturata ed è diventata graziosa e più accogliente di prima. Volevamo concederci una vacanza ed allora abbiamo messo da parte dei risparmi ed abbiamo deciso di venirti a trovare! Lo so che il viaggio è lungo ma possiamo permettercelo, abbiamo fantasticato tanto sull’Australia insieme … Il signor Allen ci ha prenotato due posti sulla prossima nave. Spero tu stia bene ed abbia trovato finalmente la serenità che tanto meriti. Hai un figlioletto meraviglioso e un padre affettuoso che ora ti è vicino. Sono sicura che quella terra australiana che tanto ti mancava qui a Londra ti sia d’aiuto per dimenticare le vicende brutte trascorse e ricominciare a vivere. Il passato, mia cara amica, non se ne va mai ma ama nascondersi nelle strade, nei sogni, nei ricordi, nella vita. Sono certa che ce la farai perché sei una donna forte e piena di ottimismo. Ti penso spesso e ti voglio molto bene. Vorrei riabbracciarti presto.” Tua Emma. Georgie aveva letto la lettera tutta d’un fiato ed era felice ma allo stesso tempo commossa per quelle belle parole che la sua cara amica le aveva scritto. Mentre leggeva, accarezzava delicatamente il capo del suo bambino e ripensava alle gioie e ai dolori condivisi con i suoi due amici inglesi. La malinconia era molta ma la notizia che presto Emma e suo marito sarebbero arrivati lì accanto a lei riuscì a scacciare i pensieri tristi che invadevano la mente di Georgie. -E’ meraviglioso – gridò – Emma e Dick qui! Che fantastica sorpresa. Papà, Arthur li ospiteremo al meglio, faremo conoscere loro i posti più belli, vedranno i koala, i canguri, le nostre vaste praterie … Georgie adesso era la gioia in persona, non aveva mai dimenticato tutto ciò che Emma e Dick avevano fatto per lei e non vedeva l’ora di riabbracciarli.

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Capitolo 3
*** Il viaggio verso casa ***


-Papà è a Sydney, Arthur è impegnato con la mietitura ed io ho un mucchio di vestiti da cucire. Chi andrà a prendere Emma e Dick al porto? Dovrebbero sbarcare oggi pomeriggio. Georgie rifletteva tra sé e sé, aveva contato i giorni che la separavano dall’incontro con i suoi cari amici ed ora non sapeva cosa fare, come andare a prenderli. Emma, Dick, Londra … Abel. “Dovunque io sia, il posto in cui ritornerò sarà accanto a te”. -Possiamo mandare Jimmy - disse Arthur che trovava sempre una soluzione a tutto. Jimmy era un ragazzo che lavorava alla fattoria, molto in gamba, serio e volenteroso, non avrebbe mai rifiutato di dare una mano ad Arthur. E così fecero. Jimmy partì con il carro, direzione porto per andare a prendere gli amici londinesi. -Mettiti al molo – disse Arthur al ragazzo – dove arrivano le navi dall’Inghilterra. -Lei è una bella donna – gli disse Georgie – ha i capelli lunghi ed un viso dolce. Lui è alto, castano … non puoi sbagliare. -Chiederò in giro! – rispose Jimmy. Era sveglio, gli piaceva girare per il porto e poi Arthur era così onesto e generoso che non poteva rifiutargli questo favore. Arrivò presto, si fece una passeggiata, osservò l’andirivieni dei marinai e poi si mise seduto ad aspettare la nave. E la nave arrivò. Quanta gente scendeva … donne, uomini, bambini, ragazzi di ogni ceto sociale. Come avrebbe riconosciuto Emma e Dick? Si fece largo tra la folla e scorse il capitano della nave, chiese a lui. -Emma e Dick? – rispose il capitano – Ma certo sono quei due là in fondo accanto a quei marinai. Jimmy si voltò e vide un uomo alto, girato di spalle che parlava con un marinaio e accanto una donna avvolta da uno scialle rosa. Aveva i capelli lunghi, sciolti e uno sguardo sperduto, era veramente bella. Jimmy pensò che le inglesi avessero un fascino del tutto particolare. Si avvicinò, la donna trasalì. -La signora Emma? – domandò il ragazzo – Mi manda il signor Arthur, sono venuto a prendervi. L’uomo si voltò di scatto, congedò il marinaio e si rivolse a Jimmy che era un po’ incuriosito e un po’ sorpreso. Non l’aveva immaginata così quella coppia londinese e quel Dick aveva un’aria stranamente familiare. La donna era diventata pallida in volto e teneva stretto il braccio del suo compagno come per sostenersi. -Sono Dick e questa è mia moglie Emma. Grazie per essere venuto a prenderci. -Mi chiamo Jimmy, lavoro per il signor Arthur. Né lui né la signora Georgie potevano venire oggi allora hanno mandato me. Si scusano tanto ma vi riceveranno alla fattoria. Io vi condurrò lì. Prese i bagagli e si incamminò verso il carro. I due lo seguirono mano nella mano. -Alloggerete alla fattoria Buttman – disse Jimmy prendendo in mano le redini – la signora Georgie abita non molto lontano. E ‘ un bel posto sapete, certo molto diverso da Londra, credo, ma vi piacerà. Io non sono mai stato in Inghilterra! -E’ tanto che lavori alla fattoria? – chiese Dick. -Un paio di mesi. Mi piace occuparmi del bestiame e la paga non è male. Il signor Arthur è uno dei migliori agricoltori della zona, sono stato proprio fortunato a trovare questo posto. Il sole stava tramontando e il tragitto ancora lungo. -Che prati sconfinati! – disse la donna rompendo il silenzio che si era creato. Avevano lasciato infatti la città per dirigersi verso le campagne. -Già- rispose Jimmy – qua tutto è così. Per chi non ci è nato e non ci è vissuto è un paesaggio del tutto particolare. -Anche chi ci è cresciuto – ammise Dick – e ritorna dopo tanto tempo prova una sensazione d’immensità … almeno credo. -Certo – rispose il ragazzo – sia il signor Arthur che la signora Georgie lo hanno detto tante volte. Voi li avete conosciuti a Londra ma loro sono cresciuti qui. Lei è una contessa ma si vede che è stata allevata dalla grande madre terra d’Australia! Il conte suo padre è una gran bella persona. Pensate che mia madre, che non ha mai sopportato i nobili, quando ha conosciuto Gerard si è ricreduta. -Noi i nobili li abbiamo conosciuti – disse Emma che fino ad allora era rimasta in silenzio – e posso dirti che tua madre non ha tutti i torti! Jimmy rise di cuore ma si accorse che i suoi passeggeri non erano per niente sorridenti e quindi non proferì più parola. Forse erano stanchi del lungo viaggio pensò. Fu Dick a riprendere il discorso. -Chi vive alla fattoria Buttman? – chiese. -Solo il signor Arthur – rispose il ragazzo – Georgie, il figlio e il conte sono alla fattoria del vecchio Kevin che ora si è trasferito giù al paese. Mia madre dice che hanno fatto bene così. Il bambino, la signora Georgie, lo ha avuto con il fratello del signor Arthur che purtroppo è morto a Londra. Ma voi certamente sapete già tutto. Sapevano tutto, infatti, e non ci fu alcun commento. Il viaggio proseguì in silenzio. Jimmy si sentiva a disagio e non vedeva l’ora di arrivare a destinazione.

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Capitolo 4
*** Il passato ritorna ***


III
Il passato ritorna
 
Arrivarono alla fattoria che era ormai sera inoltrata, ma Arthur non c’era e neppure Georgie.
-Non fa nulla aspetteremo qui – disse Dick.
-Potete appoggiare le vostre cose nel fienile – consigliò Jimmy – mi dispiace saranno stati trattenuti in città per affari. Io devo andare.
-Vai e grazie. Noi ci metteremo nel fienile – rispose Dick stringendo la mano al ragazzo.
Jimmy risalì sul carro per tornare a casa sua. Si sentiva risollevato, quella tensione stava svanendo ma quei due erano veramente avvolti da un alone di mistero.
Il giovane era partito, il carro in lontananza diventava sempre più piccolo, Dick si voltò e corse verso il fienile. Emma gli andò dietro e lo trovò al centro della stanza che osservava ogni cosa, ogni angolo, le lacrime gli rigavano il volto.
-Non c’è nessuno – disse lei appoggiandogli la mano sulla spalla – ancora non è arrivato nessuno ed io sono distrutta.
-Arriveranno – la tranquillizzò lui – riposati sul fieno.
Lei si adagiò in terra ed iniziò a piangere. Sembrava una bambina indifesa, lui si sedette accanto a lei dicendo:
-Adesso non dobbiamo più recitare la parte, ora siamo qui per vivere la nostra vera vita.
Si sentì il rumore di ruote sul selciato, arrivò un piccolo calesse.
-Emma, Dick siete qui vero? – era il conte Gerard – Ho incrociato Jimmy per strada e mi ha detto di avervi lasciato nel fienile.
 
 
E scese dal calesse continuando a dire:
-Mi dispiace ma c’è stato un contrattempo. Ora vi apro la casa.
I passi si avvicinavano sempre di più, dal fienile in penombra si sentivano i singhiozzi della giovane donna.
-Che succede? – gridò Fritz – State bene?
Aprì la porta e sobbalzò nel vedere tra la paglia una ragazza col volto coperto dalle lacrime abbracciata a chi aveva visto cadere sotto gli spari feroci di un odio spietato.
-Non sono un fantasma, sono io, sono sopravvissuto. Sono Abel! – urlò il giovane.
Il conte rimase senza parole, fermo sulla porta con gli occhi spalancati.
-Lo so sembra impossibile – iniziò Abel – ma è tutto vero. Sono qui per raccontarvi ogni cosa. Basta lacrime siamo al sicuro ora.
Asciugò il viso della donna che spalancò i suoi grandi occhi azzurri e fissò il conte con uno sguardo perso e triste.
-Maria! – sussurrò Fritz – Maria Dangering …
Abel si alzò, il conte corse ad abbracciarlo. Erano lacrime di stupore, di gioia, di incredulità, di speranza.
Nessuno parlava poi Fritz esordì timidamente:
-Ci dovete spiegare, noi … Georgie … io non capisco più nulla!
-Ci siamo imbarcati sotto il falso nome di Emma e Dick, loro e Allen ci hanno aiutato come sempre. Maria non è ben vista a Londra, avevamo bisogno di un’identità fittizia. Ma ora siamo in salvo.
Il conte li fece entrare in casa ancora stordito e poi corse a fermare Georgie.
-Non è opportuno che vi incontriate ora – disse – è meglio che prepari i ragazzi alla notizia. Inventerò qualcosa e torneremo qui in tarda mattinata per parlare con tranquillità. Ora riposatevi.
 
 
-Conte – lo fermò Abel – ho un figlio, vero? Voglio vederlo.
-Lo vedrai domani – rispose Gerard – è un bravo ometto ma anche lui deve essere preparato alla notizia.
Fritz scappò via di corsa, Abel iniziò a girare per la casa. Non era cambiata molto, la grande cucina, le loro stanze, la sedia dove la mamma ricamava … La mamma … sembrava passata un’eternità.
Intanto il conte era arrivato a casa e aveva bloccato Georgie che con Arthur stava andando ad accogliere Emma e Dick.
-E’ meglio lasciarli dormire, vi vedrete domani, erano stanchissimi, non sono abituati a lunghi viaggi. E poi Abel Junior è distrutto siete tornati ora! Arthur rimani a dormire qui con noi.
-Va bene papà – disse Georgie dopo una breve discussione – hai ragione. E’ colpa mia se abbiamo fatto tardi. Il commerciante di stoffe in città non è stato puntuale ed Arthur è potuto venire a prendermi soltanto al tramonto.
-Sì, sì – replicò Gerard velocemente – andiamo a riposare anche noi.
-Ma che hai papa? – sorrise Georgie – Sembra tu abbia visto un fantasma!
E forse era proprio così.
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 5
*** Notte d'attesa ***


IV
Notte d’attesa
 
 
-Preparo qualcosa e poi andremo a dormire – disse Georgie avviandosi verso la cucina.
-No – rispose il padre – non ho fame. Vado a buttarmi sul letto. E poi domattina dobbiamo parlare.
E salì le scale per andare in camera.
- Arthur, mio padre è molto strano stasera – bisbigliò Georgie – cosa gli è preso?
-Sarà dispiaciuto per Emma e Dick – rispose lui – per fortuna avevo lasciato in casa della carne con della verdura! Domani dovremmo scusarci con loro per non averli ricevuti come si deve.
-Ma Arthur io sarei andata anche ora ad accoglierli ma papà è stato irremovibile!
-E’ meglio così cara, saranno stanchi anche loro.
Georgie si mise a preparare una minestra calda ed Arthur affettò il pane. Mangiarono poi lei andò in camera a finire di cucire.
Intanto alla fattoria Buttman Maria si era addormentata nella stanza che era stata di Georgie e Abel in cucina, guardava alla finestra. Mille ricordi riaffioravano nella sua mente. Non riusciva ad aspettare l’indomani mattina, doveva correre subito da Georgie e dichiararle la verità. Uscì, prese un cavallo dalla stalla e partì verso la vecchia casa dello zio Kevin, conosceva la strada, in poco tempo sarebbe arrivato.
Giunto a destinazione lasciò il cavallo poco distante, scavalcò il recinto ed entrò come un ladro nella notte nel cortile. Aveva timore di bussare, il conte non aveva ancora parlato a Georgie, lo avrebbe fatto il giorno successivo. Si avvicinò alle finestre per vedere di scorgere qualcosa ma era buio in casa. Vide una piccola luce proveniente da una stanza al pianterreno, si accostò e dal vetro vide un bimbo in un
 
lettino che dormiva beato con accanto una piccola lucina per dargli sicurezza se si fosse destato nella notte.
Quello era suo figlio, le lacrime scesero spontanee, si alzò di scatto come per rompere il vetro, entrare nella stanza ed abbracciarlo con tutta la forza che aveva in corpo, ma la porta si aprì. Era Arthur che con in mano una lampada ad olio era entrato a controllare che il bimbo dormisse e gli rimboccò la coperta facendogli una carezza. Abel rimase pietrificato dietro la finestra, pianse in silenzio e se ne tornò al cavallo mestosamente. Era notte, una notte lunga e con poche stelle ma la luna illuminava il sentiero ed anche il suo cuore.
Quello era suo figlio ma era stato suo fratello a fargli da padre e lui si sentiva impotente. Era andata così, lui non voleva sconvolgere le loro vite ma solo far presente che era ritornato, che c’era sempre stato.
“Dovunque io sia, il posto in cui ritornerò sarà accanto a te”.
Cavalcò senza una meta per un po’ poi tornò alla fattoria. Pensò a Georgie, a suo figlio e ad Arthur, suo fratello era vivo ed era lì in Australia. Era sopravvissuto alle gelide acque del Tamigi, quindi, e come lui era scampato alla morte. Le loro strade si incrociavano di nuovo e ripartivano da quella terra che li aveva visti nascere. Era felice. Erano di nuovo insieme, tutti e tre, come un tempo anche se le vicissitudini passate li avevano certamente cambiati.
Tornò in casa e trovò Maria in piedi.
-Mi sono svegliata nel cuore della notte, mi sono alzata e non ti ho visto- disse lei.
-Avevo bisogno di uscire, ho preso un cavallo ed ho galoppato un po’ – rispose il giovane – è stata una giornata piena di emozioni.
-Arthur è vivo – sussurrò Maria – stentavo a crederlo  al porto  quando quel ragazzo ci è venuto a prendere.
-Lo sentivo che dovevo condurti con me in Australia Maria – disse Abel stringendola a sé – e non ho sbagliato.
 
 
 
-Torno a dormire – disse lei - è ancora notte e vorrei riposare di nuovo.
Abel rimase sveglio a riflettere. La notte era ancora lunga e quando si attende i minuti scorrono lenti come le ore, e le ore appaiono lente come le giornate ed una notte può essere come un’eternità.
 
 
 
 
 

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Capitolo 6
*** Di nuovo insieme ***


V
Di nuovo insieme
 
Il conte si era alzato presto quella mattina, non aveva passato una buona nottata, doveva parlare con Georgie e Arthur e condurli alla fattoria dove avrebbero trovato Abel e Maria. Vide Arthur già pronto per uscire ad andare nei campi.
-Aspetta – iniziò Fritz – dovrei parlarti. Dov’ è Georgie?
-E’ già fuori, voleva cogliere dei fiori per portarli a Emma e scusarsi per ieri sera.
-No! Non deve andare alla fattoria! – urlò Gerard.
-Ma cosa diavolo è successo? – ribatté il giovane.
-Mettiti seduto, ti spigherò tutto – ammise Fritz.
Intanto Georgie, ignara di ogni cosa, era al fiume. Aveva raccolto dei fiorellini colorati per la sua amica ed ora, si stava specchiando nell’acqua sistemandosi fra i capelli un piccolo bocciolo rosso.
-L’ultima volta che sono venuta qua – pensò – fu quando Lowell si dichiarò. Proprio sulla sponda di questo fiume, io indossavo il vestito della moglie di Kevin ed ero stata invitata al ballo del governatore ma non andai … una vita fa! Oh Lowell mio primo amore, sono contenta che sei guarito perfettamente e vivi con Elise in Italia sul lago di Como.
Si specchiò di nuovo, quella Georgie di allora non c’era più, quella ragazza spensierata e sognatrice aveva lasciato il posto a una donna sofferente ma determinata, coraggiosa e matura.
Sdraiata a riva, con le braccia incrociate e lo sguardo immerso nell’acqua, fissava il fondale mentre una leggera brezza di vento aveva iniziato a creare piccole onde nel fiume. Sentì un fruscio, dei brevi passi, ma era così intenta ad osservare la sua immagine riflessa che non si accorse di nulla.
 
 
I suoi occhi erano gli occhi di chi ha sofferto molto e li fissava attenta quando un’altra immagine si materializzò accanto a lei. Abel, l’uomo che aveva amato, il padre di suo figlio era lì vicino a lei. Sentì la sua voce pronunciare il suo nome, si voltò, come in un sogno si destò e Abel era veramente accanto a lei. Non era l’immagine riflessa irreale, lui era proprio lì, in carne e ossa.
-Georgie non ti spaventare, sono io, non ero morto  ma soltanto ferito. Ho fatto di tutto per ritrovarti.
-Non è possibile – urlò lei – è un sogno, non ci credo …
Lui l’abbracciò come avrebbe voluto fare da tanto tempo, lei iniziò a piangere e ad accarezzargli il volto.
Arthur e Fritz erano sulla soglia di casa pronti ad andare a cercare Georgie quando videro in lontananza due persone avvicinarsi lentamente. Camminavano insieme, all’unisono, come se fossero stati sempre insieme e forse così era stato.
-Non c’è bisogno di parlarle – disse Arthur al conte – si sono già ritrovati.
E corse verso di loro. I due fratelli si abbracciarono come non avevano mai fatto prima. Nessuno si sarebbe mai aspettato un epilogo simile, la gioia era immensa come immenso era il cielo sopra di loro.
-Devo parlare con mio figlio – disse Georgie – deve conoscere suo padre ma vorrei prepararlo.
-Anch’io devo parlare con tutti voi – disse Abel – e spiegarvi ogni cosa per bene. Andiamo da Maria anche lei ha molto da raccontare.
Georgie andò in casa dal bambino che ancora dormiva mentre i tre uomini presero il calesse del conte per dirigersi verso la fattoria.
Lì trovarono Maria, ancora frastornata, intenta a prendere un po’ d’acqua dal pozzo.
Maria – la chiamò Arthur – Maria, l’unica cosa bella in giorni e giorni d’infinita prigionia.
 
 
 
Arthur – rispose lei – ti credevo morto nel Tamigi.
I due si abbracciarono poi entrarono in casa con Abel e Fritz. Si sedettero attorno al tavolo ed attesero Georgie che doveva parlare al piccolo per poi lasciarlo ad una vicina per raggiungerli.
Quando Georgie arrivò, erano tutti intenti a parlare tra loro, lei andò a baciare Maria.
-Questo era un incontro che non immaginavo più neppure nei sogni – disse Georgie piangendo di nuovo e andandosi a sedere accanto ad Abel.
-Bene – disse Fritz prendendo la parola – ora che siamo tutti qui ed abbiamo asciugato le lacrime, cerchiamo di capire cosa è successo. Io sono il primo ad essere felice ma stupito. Abel inizia a raccontare tu!
E Abel incominciò a narrare la sua lunga storia.        
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 7
*** Il lungo racconto ***


-L’ultima cosa che vidi sotto il cielo di Londra, quel giorno, fu il volto di Georgie piangente ed udii la sua voce che mi chiamava. Poi persi i sensi completamente. Per tutti ero morto, ucciso dal duca Dangering.
-Certo Abel – lo interruppe subito il conte – noi portammo via Georgie che era disperata mentre Wilson e le guardie cercarono di acciuffare il duca. Ci fu un parapiglia generale, la folla gridava, correva, andammo tutti via.
-Sì – continuò Abel – mi hanno poi detto che non c’era più nessuno sulla piazza dell’esecuzione soltanto una donna si avvicinò  a me per portarmi un fiore  e si accorse che forse ero ancora vivo. Era con suo marito, un medico, il quale mi soccorse subito e capì che le ferite erano profonde ma i colpi non avevano intaccato organi vitali. Mi condussero immediatamente a casa loro che era un po’ fuori Londra e lui mi salvò la vita grazie alla sua grande esperienza di medico. Si chiamava dottor  Green, Paul Green e sua moglie Jane. Lei mi accudì amorevolmente come una mamma, mi disse poi che le ricordavo tanto suo figlio Tom, morto alcuni anni prima per un incidente sul lavoro. Non  rammento nulla di quei giorni passati nel letto dai Green e quando mi svegliai, non sapevo più se ero vivo o morto. Per loro ero Cain, il fidanzato di Maria Dangering, quello che aveva ucciso Irwin ed era stato condannato a morte. Avevano cercato di contattare Maria per dirle che il suo ragazzo era vivo ma non erano riusciti a trovarla perché i Dangering, dopo la condanna a morte del duca e la scoperta di tutte le sue malefatte, erano spariti da Londra. Io mi risvegliai che era primavera, non ricordavo nulla, sentivo solo un bel tepore sul volto ed avevo in mente due occhi verdi e dei capelli biondi.
Dopo giorni e giorni, grazie alle cure del dottor Green e alla pazienza e all’amore di sua moglie, iniziai a parlare e a ricordare. Spiegai che mi chiamavo Abel, che mi ero sostituito a Cain che in realtà era mio fratello e che avevo, per sbaglio, ucciso Irwin nella cella. La signora Jane mi ascoltava attentamente, cercando di farmi ricordare e farmi parlare.
 
 
Non potevo ancora alzarmi dal letto, il dottor Green lo aveva proibito assolutamente. Non sapevo neppure quanti giorni o mesi erano passati dall’esecuzione. Forse un anno? Parlai di Georgie alla signora Green, la mia Georgie che era in Australia con mio fratello e con il conte Gerard, almeno così credevo. Avrei voluto alzarmi, correre a prendere una nave e raggiungervi subito ma non avevo la forza neanche di lasciare il letto. La convalescenza fu lunghissima e dolorosa, lottai  con tutte le mie forze come un leone, ciò che mi teneva in vita era la speranza di poter un giorno rivedere Georgie. Non sto qui a raccontarvi tutto per filo e per segno, vi dirò solo che quando il dottor Green mi annunciò che ero guarito avrei subito voluto imbarcarmi per l’Australia ma lui, ovviamente, me lo impedì. Non ero ancora così forte per poter affrontare un viaggio così lungo. Potevo però finalmente uscire, tornare al porto di Londra e informarmi sulle navi per l’Australia. Decisi di andare dal signor Allen, mi avrebbe aiutato sicuramente.
I Green furono meravigliosi, mi diedero anche una somma di denaro per affrontare le spese ed io sarò sempre grato a lui, ottimo medico, e a lei, una seconda madre per me. Mi salutò in lacrime sull’uscio, mi disse che era come se il suo Tom  fosse tornato in vita. Partii per Londra avendo in mente solo Georgie.
Arrivai dal signor Allen in tarda mattinata, il suo ufficio era rimasto tale e quale come lo ricordavo con la scritta “Allen” bella grande, di fronte al porto. Entrai e vidi una ragazza di spalle, era la sua segretaria certamente, decisi di presentarmi a lei per poi essere ricevuto in studio. Quando la giovane si voltò per poco non svenne davanti a me, era Joy! L’ufficio di Allen era sì uguale a prima ma Joy era invece cresciuta veramente, lavorava lì da un anno mi disse e intanto piangeva vedendomi vivo accanto a lei. Mi condusse dall’ingegnere anche lui stupito, allibito e incredulo. Parlammo per ore e ore e fu proprio Allen a comunicarmi le due notizie che più sconvolsero la mia già travagliata vita: avevo avuto un figlio da Georgie, un bimbo che portava il mio nome e che era partito per l’Australia con la sua mamma, ma mio fratello, il mio caro Arthur, era affogato nelle gelide acque del Tamigi.
Questo loro sapevano, avevano salutato Georgie quando era partita con la nave costruita da Allen da me progettata e non l’avevano più vista. Il conte Gerard mi dissero era poi andato in Francia per affari e li avrebbe raggiunti in seguito.
 
 
-Potresti metterti in contatto con Emma – mi disse Joy – lei era molto amica di Georgie magari può darti notizie più dettagliate.
-E puoi alloggiare da me per tutto il tempo che vuoi – mi disse Allen – io intanto cercherò di procurarti un biglietto sulla prossima nave per l’Australia.
Così feci, andai alla sartoria di Emma assieme a Joy. Quando la donna mi vide, non vi dico le feste, le grida e i pianti che ci facemmo tutti insieme. Mi disse che pensava alla felicità di Georgie se solo avesse saputo che ero sopravvissuto. Non poté darmi ulteriori notizie, anche lei non aveva più scritto a Georgie, sapeva solo che era partita per l’Australia e che Gerard l’avrebbe raggiunta dalla Francia.
Quel giorno rimasi a cena da Emma, con Dick parlammo molto soprattutto della notte in cui ci fu lo scambio con Arthur. Mi raccontò del volo nel Tamigi, della disperazione di Georgie nell’aver perso il suo adorato fratello e di quanto avevano fatto per cercare di liberarmi dalla prigione. Pensai ad Arthur per tutta la notte, ero disperato all’idea che lui non ci fosse più, piansi lacrime amare ininterrottamente.
La mattina dopo il signor Allen mi disse che la prossima nave per l’Australia sarebbe partita fra tre settimane e lui stava cercando di trovarmi un posto su di essa. Mi sarei imbarcato e, una volta arrivato lì, avrei cercato Georgie alla nostra fattoria. Ero sicuro di trovarla là, nel posto dove avevamo trascorso la nostra infanzia.
Un pomeriggio entrai in un locale non molto lontano dal porto, avevo appuntamento con Dick per parlare e poi andare da Emma, quando delle grida di donna attirarono la mia attenzione.
Ma penso che ora sarà Maria a continuare la storia.
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 8
*** Una storia dolorosa ***


Maria era rimasta in disparte, silenziosa, un po’ distaccata dal gruppo quasi si sentisse un’estranea. Georgie le prese la mano come per incoraggiarla.
E questa volta fu la bella Dangering a parlare.
-Dopo aver aiutato Georgie ad entrare nella cella di Abel, credendo Arthur ormai morto, capii che a Londra non potevo più stare … troppi ricordi, troppo dolore. Tornai dai miei genitori nella residenza di campagna, nel Kent. Avevo vissuto a Londra per tre anni. Mia madre voleva per me un’educazione da vera nobildonna e la vicinanza di mio zio con la Regina poteva darmi facilmente l’accesso a corte. Non pensavo minimamente che mio zio, il duca, fosse quello che poi si è rivelato di essere: con me era sempre gentile, amabile, premuroso ma quando aprii gli occhi, capii che avevo vissuto per anni in un mondo malato e sbagliato.
Arrivai nel Kent credendo di rimanerci il più a lungo possibile, ma non fu così. Ritrovai mia madre distrutta dal dolore: la morte di Irwin l’aveva segnata profondamente, mio padre invece ripeteva che era sempre stato un pervertito e che si era meritato la fine che aveva fatto.
La notizia dell’arresto di mio zio il duca e la scoperta di tutti i suoi intrighi, non per ultimo il tentato assassinio alla Regina, fece sgretolare completamente la mia già fragile famiglia.
Mio padre non resse questo disonore, si sparò un colpo di pistola e morì qualche settimana dopo l’esecuzione di suo fratello. Il cuore della mamma, già malandato, si fermò qualche mese dopo, riuscii a starle accanto sino all’ultimo respiro.
Ormai ero rimasta completamente sola. Lasciai la villa di campagna dopo aver scoperto della confisca di tutti i beni dei Dangering. Fuggii di notte portando con me una valigia con poche cose ma dentro avevo tanto tanto dolore. Tornai a Londra non sapendo cosa fare e senza una meta precisa, non potevo contare su nessuno, solo su me stessa.
 
Non avevo un tetto dove dormire, non avevo un lavoro, non avevo nulla. Mendicai per alcuni giorni trovando qualche riparo di fortuna. Conobbi una ragazza che mi condusse in un posto dove offrivano lavoro, quando capii che si trattava di un bordello scappai all’istante. Avevo conosciuto una triste realtà, quella dei sobborghi di Londra. Lavoro minorile, donne sfruttate e molta molta povertà.
Una sera entrai in una locanda, chiesi disperatamente un lavoro e qualcosa da mangiare. Il proprietario mi accolse, mi diede una minestra calda e mi mise a lavar piatti in cucina per pochi soldi. Accettai, almeno sapevo dove dormire. Mi facevo chiamare Fanny. Non ero capace a far nulla, mi prendevano a schiaffi perché non ero svelta, ma rimanevo lì perché non sapevo veramente dove andare.
E un pomeriggio, dopo le ennesime botte prese dalla moglie del proprietario, scappai fuori dalla cucina in lacrime gridando come un’ossessa. Fu grande la sorpresa quando nella sala della locanda mi ritrovai davanti Abel: sembrava Arthur, pensavo di essere impazzita perché io li credevo morti entrambi.   
La storia di Maria aveva ammutolito tutti.
Ora fu Abel a parlare:
-La vidi in quella locanda e stentavo a riconoscerla; dimagrita, stanca, sciatta. Lei mi guardava con quei grandi occhi ed io pensai ad Arthur, pensai a Georgie e a mio figlio. Se avevo potuto amare completamente Georgie ed avere un bambino da lei lo dovevo solo a Maria. Istintivamente la afferrai per un braccio e la avvicinai a me, discussi col proprietario ed arrivai quasi alle mani con lui perché non sopportavo veder trattata una donna in quel modo. Uscimmo da lì e le dissi che non doveva ridursi in quello stato, che non meritava quella vita, ma lei non mi rispose, piangeva. La presi tra le mie braccia e la portai a casa di Dick.
Era molto stanca, distrutta, Emma le preparò un bagno caldo e le diede dei vestiti puliti poi cucinò qualcosa di buono. Dick disse di essere prudenti, se si sapeva in giro che nascondevamo in casa una Dangering, sarebbe stato un guaio per tutti. Rimanemmo l’intera notte a parlare, Maria ci raccontò la sua storia ed io la mia.
 
 
 
Il giorno dopo tornai dal signor Allen chiedendo non uno, ma due biglietti per l’Australia. Avevo deciso: Maria sarebbe partita con me, non sapevo il perché ma qualcosa mi diceva che lei doveva venire in Australia.
Abel rimase in silenzio e il suo sguardo incrociò quello del fratello. Nessuno parlava più, Maria riprese timidamente il discorso:
-Non avevo più nessuno, ero sola, accettai la proposta di Abel. Infondo era meglio vivere in un posto completamente nuovo piuttosto che a Londra dove avevo passato solo sofferenze e non avevo più nulla da perdere. Allen ci trovò i biglietti ma io non potevo mantenere il mio nome, era troppo pericoloso. Fu Emma a trovare la soluzione, scrisse a Georgie dicendo che lei e il marito sarebbero andati in Australia a trovarla e noi ci imbarcammo non come Abel Buttman e Maria Dangering ma come una coppia di sposi, Emma e Dick, una sarta e un commerciante che andavano a trovare la loro amica dall’altra parte del mondo. Partimmo una mattina d’ottobre, seconda classe, cabina quaranta. Al molo Joy e il signor Allen ci vennero a salutare, io sapevo che non avrei più rivisto l’Inghilterra.
Georgie aveva le lacrime agli occhi, era sempre stata grata a quella ragazza ed ora il ritrovarsi alla fattoria tutti insieme sani e salvi era come un sogno.
-Non pensavate minimamente – chiese – che Arthur potesse essere vivo?
-Assolutamente no – rispose Maria – sapevo che era disperso nel Tamigi, fu per quello che lasciai Londra la prima volta.
-E poi – aggiunse Abel – né Emma né Allen sapevano che vi eravate rincontrati qui in Australia.
-E’ vero – disse Georgie – arrivata qua dallo zio Kevin, non credevo neanche io di ritrovare Arthur. Fui così felice ma lo scrissi solo a mio padre, le lettere non arrivano molto velocemente, e papà era in Francia e non aveva più visto nessuno dei nostri amici londinesi.
-Mi spostai in Francia dopo la partenza di Georgie – disse Fritz – avevo affari da sbrigare tra Parigi e Lione ma avevo promesso di raggiungere mia figlia e mio nipote in Australia.
 
 
-Io trovai molto conforto e un grande aiuto nello zio Kevin – disse Arthur – non è stato facile disintossicarmi ma il lavoro alla fattoria mi ha aiutato molto. Poi la vicinanza di Georgie e del piccolo si può dire mi ha riportato in vita.
E accarezzò teneramente la mano di Georgie.
Nella stanza era calato il silenzio. Fu il conte a parlare dicendo che sarebbe andato a prendere Abel Junior e lo avrebbe portato in città come promesso. Al ritorno avrebbe finalmente conosciuto il suo papà e Fritz preferì lasciare soli i quattro giovani uscendo in fretta dalla casa.
Arthur teneva ancora stretta la mano di Georgie, lei guardava Abel con le lacrime agli occhi e quest' ultimo accarezzava il capo di Maria che si era chinata sulla tavola come per riposare.
Si era creata una strana atmosfera, Georgie si alzò di scatto dicendo:
-Vi preparo un the, un the caldo. Intanto raccontateci del viaggio in nave.
-Sì – aggiunse Arthur – come avete fatto a non farvi scoprire? Vi hanno tutti creduto veramente Emma e Dick?
Abel guardò Maria poi disse:
-Volete proprio sapere del viaggio? Bene! Ascoltate e sentirete che coppia siamo Maria ed io!    
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 9
*** Sulla nave ***


Questo fu ciò che raccontarono Abel e Maria.
Partirono grazie al signor Allen sotto il nome di Emma e Dick. La nave era enorme, loro viaggiavano in seconda classe e dividevano la stessa cabina, proprio come una coppia di sposi. Non era una stanza grande e l’unico letto matrimoniale mise in imbarazzo entrambi.
-Io mi sistemerò qui – disse Abel prendendo una coperta e portandola in un angolo della cabina.
Faceva intendere che il letto sarebbe stato di Maria.
-Ma non puoi dormire in terra per tutti questi giorni! – rispose lei rammaricata.
-Sono stato marinaio – ribatté Abel – ho dormito in posti peggiori di questo.
Così si sistemarono e non affrontarono più l’argomento.
I primi giorni furono di assestamento per tutti e due: Abel passava la maggior parte del suo tempo ad osservare il mare, a parlare con i marinai o con il capitano della nave; Maria era spesso in cabina, non usciva molto per paura di incontrare qualcuno che la riconoscesse.
-Non devi aver timore – le disse lui – le persone della prima classe non si mescolano con noi, se anche c’è qualche duca o baronessa non è detto che ti vedano.
-Sì – rispose lei – e poi non conosco mica tutta la nobiltà di Londra, è che non so se riuscirò a mentire per tutto questo tempo.
Abel rise poi aggiunse:
-Devi solo dire che ti chiami Emma e che sei mia moglie, non è difficile!
Maria annuì, Abel le ispirava fiducia e poi con lei era protettivo e rassicurante.     
 
 
Consumavano i pasti nella sala da pranzo, con tutti gli altri passeggeri di seconda classe. Abel aveva stretto amicizia con il signor Burton, un omone grosso e buono, che viaggiava con moglie e figli e vedeva nell’Australia l’Eldorado tanto ambito. Era un agricoltore in cerca di fortuna, la Rivoluzione industriale aveva portato allo spopolamento delle campagne e l’Inghilterra non era più un posto favorevole per i coltivatori diretti. Parlava spesso di politica e la moglie lo redarguiva sempre perché alla fine s’imbatteva in discussioni animate che lo portavano a liti frequenti. Con Abel dialogava volentieri, forse perché avevano le stesse vedute o forse perché il giovane lo lasciava parlare senza contraddirlo quasi mai. Maria li ascoltava divertita con accanto Rob, il figlioletto dei Burton, che le si era affezionato e non la mollava un attimo chiamandola “la mia Emma”. Completava il gruppo Sarah, la figlia maggiore, una ragazza di tredici anni bionda con gli occhi chiari che invece stravedeva per Abel.
-Come mai non avete le fedi nuziali? – chiese un giorno la ragazzina a Maria.
-Le abbiamo vendute per pagarci il viaggio – rispose prontamente Abel.
E giù il signor Burton a parlare della povertà che c’era in Inghilterra, della suddivisione in classi sociali e così via.
Maria aveva timore di non saper mentire in circostanze come quella mentre Abel riusciva sempre a trovare la risposta pronta.
Ma un giorno fu proprio Maria a risolvere una questione che si mostrò intricata e pericolosa.   
Quella mattina il capitano bussò con vigore alla porta dei due giovani, Abel uscì preoccupato.
-Mi scusi Dick – esordì il capitano – ho bisogno di parlare con vostra moglie.
-Si sta vestendo – rispose lui - cosa c’è?
Maria s’affacciò alla porta.
-Signora – disse il capitano – mi dispiace disturbarvi ma dovrebbe venire con me nella zona riservata alla prima classe.
 
 
Maria impallidì, Abel rispose contrariato.
-Cosa deve venire a fare mia moglie lì?
-Ecco – rispose il capitano imbarazzato – la signora Emma è una sarta se non erro, la baronessa De Lacy ha bisogno urgentemente di un lavoro di cucito e la manda a chiamare …
-Deve farlo proprio mia moglie? – domandò bruscamente Abel – La baronessa non ha della servitù che viaggia con lei?
-Sì – rispose il capitano – ma il lavoro lo vuole eseguito da una sarta esperta, sua moglie è una delle migliori a Londra.
-Non ho l’occorrente con me – disse timidamente Maria – è un viaggio di piacere il nostro, non ho portato nulla.
-Non si preoccupi la baronessa le darà tutto ciò che le serve – rispose il capitano – la prego, non mi metta in difficoltà, credo paghi anche bene …
-Non abbiamo bisogno di soldi – disse Abel sempre più nervoso – e non siamo qui per esaudire i capricci di questa gente!
-La prego signora Emma – supplicò il capitano – almeno venga a sentire di cosa si tratta.
-Ora finisco di vestirmi, arriverò – sussurrò Maria.
Il capitano si allontanò più sollevato, Abel chiuse la porta ,  Maria si sedette sul letto e sospirò:
-Ed ora che facciamo? Io non so tenere neppure un ago in mano, capiranno che non sono la sarta che ho detto di essere.
Abel era sempre più agitato, girava nervosamente per la stanza, ad un certo punto disse:
-Usciamo, possiamo dire che ti sei ferita ad una mano e non puoi lavorare!
- Abel ho paura, ci scopriranno  e non oso pensare che fine faremo.
 
 
Uscirono di corsa, lei era terrorizzata, s' imbatterono nella signora Burton.
-Oh Emma cercavo proprio lei – disse la signora vedendoli salir le scale.
Maria si fermò ad ascoltare. 
-Ho saputo che deve fare un lavoro di cucito per la baronessa De Lacy – sussurrò la signora – la mia Sarah è andata ad imparare il mestiere per un anno in una sartoria a Londra, le piacerebbe tanto vedere come lavora lei signora Emma!
-Vuol dire che Sarah sa cucire, riparare, tagliare? – disse Maria entusiasta.
-Certo – rispose la Burton – per lei sarebbe un’occasione d’oro veder lavorare una sarta del suo calibro.
A Maria s’illuminarono gli occhi:
-La mandi subito da me, stiamo andando dalla baronessa.
La signora Burton corse dalla figlia.
-Che hai in mente? – chiese Abel.
-Ora vedrai! – rispose Maria risollevata.
Andarono dalla baronessa con il capitano, c’era anche Sarah con loro.
-E’ una fortuna che sia su questa nave – esordì la baronessa rivolgendosi a Maria – ho bisogno di sistemare un abito per la festa di questa sera, venga, le faccio vedere, le darò tutto ciò che le occorre.
-Va bene – rispose lei – ma porto anche questa ragazza con me.
Nella lussuosa cabina fu illustrato dalla servetta della nobildonna tutto il lavoro da fare. Maria ascoltò in silenzio poi rimase sola nella stanza con Sarah.
-Bene – disse alla ragazza – credo che per te questa sia una grande occasione! Tua madre mi ha detto che sei molto abile, fai tu il lavoro sotto la mia supervisione. Ti darò tutta la paga che mi ha promesso la baronessa.
Sarah si meravigliò: 
 
 
-Ma non posso essere al suo livello Emma! E poi la baronessa vuole un lavoro fatto da lei.
-Io iniziai proprio alla tua età – mentì Maria – guarda che stoffa meravigliosa, non ti ricapiterà spesso di lavorare un tessuto così pregiato.
Sarah accarezzava l’abito e Maria ricordava i suoi vestiti di quando era una Dangering, erano ancora più preziosi di quello.
La ragazza accettò e si mise subito al lavoro contenta. Maria la osservava facendo finta di capire tutti i passaggi uno alla volta. Abel entrò nella cabina per vedere se tutto procedeva per il meglio: Sarah cuciva con grande abilità, le ricordava Georgie quando alla sua età ricamava con la mamma.
La baronessa fu soddisfatta, credeva che il  lavoro fosse stato eseguito da una delle migliori sarte della capitale. Pagò la donna e la invitò alla festa di quella sera sulla nave. Maria accettò ma volle con sé anche Sarah con tutta la famiglia.
E quindi si ritrovarono tutti nella bella sala di gala della prima classe: Maria, Abel e i Burton al completo.
 
 
 

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Capitolo 10
*** Ballo in prima classe ***


Il signor Burton era contrariato, non voleva assolutamente andare alla festa in prima classe ma Sarah riuscì a convincerlo con insistenza.
Furono accolti dalla baronessa e dal marito che dissero loro di prendere posto al tavolo, era prevista infatti, una ricca cena. Tutte le signore erano elegantissime e Maria si sentiva in imbarazzo, non aveva un abito adatto ma solo un vestito rosa che le aveva sistemato Emma prima di partire.
-Tutti ci osservano – disse la signora Burton – non siamo vestiti adeguatamente.
-L’avevo detto io di non accettare l’invito! – replicò il marito sempre più inquieto.
-Sanno chi siamo – disse Abel – e che non abbiamo le loro possibilità ma io non mi sento assolutamente inferiore a nessuno.
-Ben detto Dick! – ribatté il signor Burton – A questo punto mangiamo e beviamo qualcosa.
La cena era composta da pietanze raffinate e da ottimo vino, il signor Burton mangiò con gusto ma faticò a districarsi fra tutti quei bicchieri e le numerose forchette. Sua moglie quasi non toccò cibo per paura di far brutte figure, Abel non era di buon umore ed invece Maria spiegò a Sarah e al piccolo Rob quali posate usare per prima e come distinguere i bicchieri da acqua e da vino.
-Santo cielo Dick – disse meravigliato il signor Burton – dove ha imparato tua moglie tutte queste nozioni di galateo?
-Sono stata qualche anno a servizio da una duchessa – rispose prontamente Maria che ormai aveva imparato a mentire con abilità.
Una deliziosa orchestrina suonava magistralmente delle arie e terminata la cena molti dei presenti iniziarono a ballare. Le dame volteggiavano al braccio dei rispettivi cavalieri al ritmo della musica.
 
 
Gli abiti delle signore sembravano tante nuvole colorate, azzurre, verdi, rosa, rosse, bianche che si mescolavano tra loro nella sala. Sarah e la mamma osservavano quello spettacolo e ne erano incantate, non avevano mai assistito ad un ballo di nobili e guardavano stupite tanta ricchezza. Maria, al contrario, si era intristita perché ripensava a quando la sua era una delle famiglie più importanti di Londra e a quanti balli aveva partecipato, anche alla corte della Regina, indossando abiti molto più ricchi e sfarzosi di quelli delle dame presenti. I suoi occhi erano velati di malinconia ed Abel seduto al suo fianco aveva capito perfettamente i suoi sentimenti.
-E’ meglio andar via – disse il signor Burton – non conosciamo questi balli, tutti ci stanno guardando con curiosità.
-No papà – piagnucolò Sarah – a me piace anche solo osservare tutte quelle belle dame che danzano.
-Ha ragione tuo padre – rispose Abel – sono proprio stufo di questa atmosfera, ci guardano dall’alto in basso e non lo posso soffrire.
La baronessa si avvicinò a loro dicendo:
-Cara Emma, se suo marito permette, mio figlio gradirebbe ballare con lei.
-Non lo permetto! – sbuffò Abel alzandosi – Stavamo infatti andando via.
-Giusto Dick! – aggiunse il signor Burton – Vogliono mettere in difficoltà Emma perché non ha un bel vestito e perché non conosce questi balli.
La baronessa rise e disse con tono di comando:
-Ora suoneranno un valzer, Emma le conviene danzare con mio figlio, è meglio per lei non mettervi contro di noi.  
-Andiamo via! – urlò Burton mentre Abel prendeva la mano di Maria per condurla alla porta.
-Io voglio danzare – disse con fermezza lei – solo questo valzer e poi ce ne andremo.
Si avvicinò alla baronessa sotto gli occhi stupiti di Abel e dei Burton. La nobildonna chiamò suo figlio, un ragazzo alto biondo vestito molto elegante il quale le fece un inchino e la invitò al centro della sala. Maria accettò e si mise a ballare con lui.
L’orchestra suonava e lei danzava. Era così leggiadra, delicata, sembrava una farfalla svolazzante in primavera. Tutti si erano fermati a guardarla, non un passo era fuori posto, era l’armonia fatta persona.
Al termine la baronessa, ancora sbalordita, le rivolse la parola:
-Non credevo fosse così aggraziata nel ballo Emma!
-Ho imparato tanto tempo fa – rispose prontamente Maria – la signorilità e le buone maniere invece non s’imparano e non è un titolo nobiliare a garantirle. Buona serata baronessa.
Ed uscì dalla sala seguita da Abel e dai Burton.
-E’ stata fantastica! – gridò il signor Burton appena fuori – Che smacco per quella gente superba e piena di boria!
-Come ballava bene Emma – sussurrò la signora Burton – sembrava lei la più nobile di tutte.
Ma Maria aveva le lacrime agli occhi e si fermò sul ponte a piangere a lungo con accanto un Abel sempre più frastornato.
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 11
*** Ultima notte in mare ***


Ormai il viaggio volgeva al suo termine, dopo giorni e giorni di navigazione, la nave sarebbe presto arrivata in Australia.
Abel scrutava il mare e sognava la sua Georgie, Maria non sapeva più cosa attendersi dal futuro ma sperava in una nuova vita almeno serena.
-Allora Dick stiamo per arrivare – disse il capitano avvicinandosi al giovane che era intento ad osservare il mare – stasera ci sarà una grande festa tra i marinai, sarà l’ultima notte sulla nave, sarete dei nostri spero!
-Va bene, grazie capitano – rispose Abel incuriosito.
Quella sera la sala da pranzo della seconda classe era piena di gente: famiglie, giovani e marinai si erano riuniti per festeggiare l’arrivo a destinazione. Cibo, vino, musica a volontà e tanta allegria erano il filo conduttore della serata. Un ragazzo con la fisarmonica improvvisò alcune danze e tutti si misero a ballare in compagnia.
Il signor Burton era già brillo e sua moglie ballò prima con Abel, poi con un marinaio e addirittura col capitano. Anche i bambini fecero un chiasso a non finire, Rob volle ballare con Maria e Sarah con Abel ma si vergognava così tanto che sbagliò tutti i passi diventando rossa in viso.
Dopo diverse danze in allegria Abel si avvicinò a Maria che stava facendo un girotondo con il piccolo Rob e altri bimbi.
-Mi riprendo la mia dama – disse il giovane facendo un inchino a Maria e porgendole la mano.
La musica era sempre più incalzante, il ritmo sempre più coinvolgente, Maria e Abel si ritrovarono al centro della sala circondati da tutte le altre coppie che ruotavano intorno a loro formando un bel cerchio. I bambini e i ragazzi invece, tenendosi per mano, fecero un girotondo esterno racchiudendo dentro tutte le coppie di ballerini. 
Al termine della danza tutti fecero un inchino improvvisato verso quella coppia che al centro della sala aveva stupito per bravura e bellezza ed era stata naturalmente eletta come migliore di tutte.
-Bacio, bacio! – urlò un gruppetto di marinai seguito da tutti i presenti festanti.
Abel si avvicinò alla sua compagna e le diede un bacetto sulla fronte.
-Dick! – gridò il signor Burton col boccale di birra in mano – Ma quello è il bacio di uno scolaretto, puoi farci vedere di meglio!
Tra le urla, le risate e gli applausi Abel prese tra le mani il volto di Maria e la baciò con passione. Questa volta era un bacio vero.
La festa si protrasse per tutta la notte fra musica e bevute. Ad una certa ora Maria si distaccò dal gruppo ed uscì dalla sala.
Fuori sentiva un po’ fresco, o era la differenza  tra la temperatura dell’ambiente chiuso  e surriscaldato dalla gente o era il calore di quel bacio inaspettato e piacevole. Decise di tornare in cabina, la musica era ormai troppo forte e il chiasso iniziava a darle noia.
Era sulla soglia quando Abel la raggiunse.
-Scusami – le disse lui – non volevo approfittarmi di te, ma la situazione era tale … tutti urlavano, il signor Burton m’incitava …
Lei non disse nulla ma entrò nella cabina. Lui la seguì.
Era notte, l’ultima notte sulla nave prima di arrivare in Australia.      
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 12
*** Sono tuo padre ***


Abel aveva raccontato a Georgie e a suo fratello tutta la storia del lungo viaggio, di come lui e Maria erano riusciti a farsi passare per Emma e Dick, dei Burton, della baronessa, del capitano, della festa.
-Quando – continuò Abel – dopo settimane e settimane di mare vidi finalmente la terra, la mia terra, capii che ce l’avevo fatta, ero ritornato dove avevo sempre voluto stare.
Arrivati al porto salutammo il capitano e i Burton, loro ci credevano in vacanza e un po’ ci è dispiaciuto mentire  a quelli che infondo erano diventati nostri amici.
Il resto lo sapete, è venuto Jimmy a prenderci e quando ha parlato di Arthur stentavo a credere. Mio fratello era vivo! Era con Georgie e mio figlio … e poi eccoci qui!
I quattro si guardarono negli occhi, senza dir nulla quando, ad un certo punto, si udì il rumore del calesse del conte. Abel balzò dalla sedia, uscì di casa, suo figlio stava arrivando. Il piccolino stava correndo verso la porta mentre il nonno lo seguiva lentamente. Georgie gli andò incontro, lo prese in braccio e lo portò da Abel.
-Questo è il tuo papà – gli disse lei – quel papà di cui tanto ti ho parlato è ritornato.
-Amore mio – disse Abel piangendo – non vi lascerò mai più, ora che vi ho ritrovati vi starò accanto per sempre.
Il conte commosso era fermo sulla porta e guardava quel bel quadretto familiare.
-Dobbiamo festeggiare – urlò Abel – dobbiamo festeggiare il mio ritorno!
Era una bella serata calda, prepararono la cena e decisero di mangiare all’aperto.
-Zio Arthur quando m’insegni ad andare a cavallo? – disse il piccolo Abel Junior mentre stavano cenando.
 -Ma ti insegnerò io – disse subito Abel.
-No – rispose prontamente il bambino – è zio Arthur che mi ha promesso!
-Ma ora ci sono qui io – ribatté Abel – ti insegnerò tutto quello che vuoi.
-No, voglio zio Arthur! – piagnucolò il piccolo.
-Basta! Non piangere! – gridò Georgie spazientita.
Allora Arthur si alzò da tavola, prese il bimbo sulle ginocchia e  gli spiegò con molta calma che il suo papà gli avrebbe insegnato meglio di lui a cavalcare. Il piccolo si tranquillizzò e tornò a mangiare seduto.
Abel non diceva nulla ma appena terminato il pasto si allontanò dalla tavolata per stare un po’ da solo. Georgie lo raggiunse.
-Sai – esordì lei – Arthur aveva promesso di fargli cavalcare un puledrino.
-Vedo come è attaccato a lui – sussurrò Abel – anche adesso stanno giocando insieme.
-Soltanto Arthur riesce a farlo ragionare – aggiunse Georgie – è un bimbetto testardo neppure io so parlargli come sa fare lui. Abel, non sarà facile fargli capire che tu sei tornato e che sei suo padre, insomma, deve capire il tuo ruolo. Lui si è così legato ad Arthur.
-O forse – insinuò Abel – sei tu Georgie che ti sei così legata ad Arthur?
E tornò con ira verso casa.
Georgie lo osservò mentre rientrava sbattendo la porta.
“Dovunque io sia, il posto in cui ritornerò sarà accanto a te”.
Era tornato accanto a lei ma anche Arthur era lì con suo figlio, nel cuore Georgie sentiva molta inquietudine.
 Lo seguì in casa mentre suo padre, Arthur e Maria chiacchieravano tranquilli  al chiaro di luna. Il piccolino si era appisolato accanto all’amato zio e dormiva buono.
-Come dorme – disse Georgie più tardi uscendo dall’abitazione - sembra un angioletto! Papà è ora di ritornare andiamo al calesse.
-Bene  - disse Fritz alzandosi – come vuoi, andiamo.
-Credo – esordì Georgie – che Maria possa stabilirsi da noi. Potrebbe dormire nella vecchia stanza dello zio Kevin, è già sistemata e pulita.
-Oh – rispose Maria imbarazzata – non vorrei disturbare e poi voglio cercarmi un lavoro.
-Cara – disse Georgie prendendole le mani – vai a prendere il tuo bagaglio. Abel invece resterà qui alla fattoria con Arthur.
Maria, un po’ meravigliata, entrò in casa e vide Abel seduto accanto al camino che beveva in modo esagerato.
-Hai visto? – disse lui guardandola – Non mi vogliono! Cosa sono venuto a fare qui? Potevamo scappare io e te e andare in giro per il mondo.
-Abel non dovresti bere così, ti fa male – rispose lei prendendo in mano la valigia e avvicinandosi alla porta.
Andarono via con il calesse mentre Arthur, rincasato, vide suo fratello che dormiva accasciato su di una sedia, era ubriaco e stremato.
Il mattino dopo Georgie si preparò per andare alla sartoria, doveva portare molte stoffe e sarebbe tornata soltanto nel tardo pomeriggio.
-Posso aiutarti in qualche cosa? – le chiese Maria.
-Non preoccuparti – rispose Georgie – è già molto se ti occupi del piccolino. Papà starà a Sydney per tre giorni e non so se Abel avrà voglia di venire a vedere suo figlio.
 
 -Georgie – le disse Maria – non voglio intromettermi ma pensavo che Abel venisse a vivere qui con voi.
-Ieri sera abbiamo discusso – rispose lei – ed abbiamo ritenuto opportuno prendere questa decisione. Per ora è meglio così per tutti.
Fece una pausa poi aggiunse:
-Credo che siamo sconvolti noi quattro. Ognuno di noi ha passato sofferenze diverse ma ugualmente terribili, dobbiamo riflettere un po’ e decidere cosa fare dalla nostra vita.
E partì verso il paese con il piccolo calesse.
Abel invece era stato a trovare lo zio Kevin nella nuova casa, aveva voglia di parlare con lui, le chiacchierate col vecchio si erano sempre rivelate proficue ed utili. Al ritorno si era fermato al piccolo cimitero dove erano sepolti mamma Mary e papà Eric ed aveva portato dei fiori freschi per loro.
-Vorrei essere come te – pensò rivolgendosi al padre – vorrei dare a mio figlio tutti gli insegnamenti che tu hai dato a noi. Dammi la forza per andare avanti.
Tornò alla fattoria e raggiunse Arthur nei campi. Il fratello stava dando delle direttive ai suoi dipendenti. Abel constatò che la fattoria Buttman si era veramente ingrandita e stava dando i frutti che si meritava.
-Sei stato da zio Kevin? – gli disse Arthur avvicinandosi.
-Sì e l’ho trovato bene, un po’ invecchiato ma sempre in gamba. È un piacere parlare con lui. Posso aiutare nei campi? Poi andrò dal mio bambino ma prima vorrei rendermi utile.
Arthur annuì e pensò che i discorsi dello zio Kevin erano sempre chiarificatori.      
 
 
 
 

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Capitolo 13
*** Scelte ***


 
Georgie era molto impegnata con il suo lavoro di cucito, aveva tanti abiti da preparare ed andava spesso in città a comprare le stoffe.
Il ritorno di Abel l’aveva sconvolta: la gioia immensa nel rivederlo e saperlo vivo si contrapponeva al timore di perdere quella tranquillità che aveva conquistato stando accanto ad Arthur in tutti questi mesi.
I fratelli Buttman avevano nuovamente occupato il suo cuore e lei non riusciva a capire a quale dei due aprirlo pienamente.
Con Arthur si era instaurato un legame molto solido che non era ancora sfociato in passione, ma andava forse al di là dell’amore fraterno anche per la complicità e l’intesa con cui avevano diviso le gioie e i dolori fino allora.
Abel era l’uomo che aveva amato, con cui aveva avuto un figlio e, credendolo morto, lo aveva forse idealizzato non aspettando più il suo ritorno.
I suoi occhi si riempivano di lacrime mentre ricamava ed il suo cuore era in pieno subbuglio.
Poi c’era Maria che si era stabilita da loro e le stava dando una grossa mano con il bambino. Era molto brava con il piccolo, soprattutto perché gli raccontava le fiabe e gli leggeva le storie contenute in un grosso libro che nonno Fritz aveva regalato al nipotino. Il suo cuore aveva sempre battuto per Arthur anche se il ragazzo, pur essendole molto grato, non era riuscito a legarsi subito a lei. Maria stava cercando un lavoro per rendersi indipendente e non pesare esclusivamente su Georgie e suo padre.
Abel si divideva tra la fattoria e suo figlio, voleva passare la maggior parte del tempo con lui ed alcune volte lo conduceva al porto, dove osservavano le navi, la sua grande passione.
 Il suo sogno di girare il mondo per mare con Georgie e il piccolino non era tramontato e, dentro il suo cuore, sperava sempre di tornare ad essere il grande amore della sua donna. Aveva capito, grazie allo zio Kevin, il dilemma che tormentava Georgie e cercava in tutti i modi di non scontrarsi con Arthur ma di attendere il corso degli eventi come consigliatogli dal vecchio.
Arthur lavorava tutto il giorno alla fattoria ed era impegnato con il comitato degli agricoltori della zona. Era spesso da Georgie per sistemare la vecchia stalla di Kevin che ora era inutilizzata.
-Sarà meglio abbatterla, non sappiamo cosa farcene – disse al conte – inutile sistemarla per poi tenerla così.
-Sì è una buona idea – rispose Fritz – quando arriverà Abel ci aiuterà. Gli ho detto di passare qui, era al porto con il bambino, dobbiamo parlare della scuola per Abel Junior.
Il conte infatti, aveva visto a Sydney un ottimo collegio dove il nipotino avrebbe potuto ricevere un’eccellente educazione. Doveva però parlarne con Abel e Georgie.
-Non sono assolutamente d’accordo – rispose subito Abel alla proposta di Gerard – non manderò mio figlio lontano da me. Se deve andare a scuola, andrà a quella domenicale della parrocchia oppure giù in paese.
-La ritenevo una grossa opportunità – disse il conte – il bambino avrebbe potuto studiare con i migliori insegnanti.
-Va bene così papà – rispose Georgie – io la penso come Abel. Mio figlio è troppo piccolo per staccarsi da noi. Lo manderemo alla scuola del paese ,anche se è lontana. Mi sembra che pure il fratello di Jimmy vada lì vero Arthur?
-Sì, certo è un po’ scomodo perché devono accompagnarlo tutti i giorni – rispose lui – altrimenti c’è la scuola domenicale ma è appunto un solo giorno a settimana e, da quanto ho capito, l’istruzione oggi sta diventando fondamentale per un ragazzino. 
 -Ci vorrebbe una scuola qui vicino – sospirò Georgie – con una brava maestra che possa seguire tutti i bambini che abitano nelle campagne.
-Lo porteremo al paese – disse Abel – Arthur chiedi a Jimmy dove dobbiamo andare per l’iscrizione.
E si alzò per uscire ed andare da suo figlio che era rimasto in giardino con Maria mentre loro discutevano.
Trovò il piccolo sotto l’albero di eucalipto seduto accanto a Maria che gli leggeva una storia. Lei gli scandiva le parole molto lentamente e gliele indicava con il dito sulla pagina mano mano che andava avanti. Il bimbo era entusiasta ed era molto interessato a tutte quelle lettere che scorrevano sul foglio.
-Ecco la maestra per mio figlio – disse Abel ad alta voce avvicinandosi all’albero.
-Ma io non sono una maestra – gli rispose lei candidamente.
-Però ne sai di più di tutti noi! E i bambini stanno bene con te, lo vedevo sulla nave ed ora con mio figlio – affermò lui.
-Ho avuto un precettore per anni – disse Maria – ho studiato anche il francese e una buona parte della matematica, se è per questo!
-Appunto – replicò Abel – vuoi che non sappia insegnare a quattro bambini australiani figli di contadini?
-Abel cosa vuoi dire? – gli disse lei alquanto incuriosita.
Anche Georgie, Arthur e il conte uscirono e li raggiunsero.
-Non demoliremo la vecchia stalla – annunciò Abel a tutti – ma la faremo diventare la nuova scuola. Ci verranno i bambini delle campagne e Maria sarà la loro insegnante.             
 
 
 
 

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Capitolo 14
*** La nuova scuola ***


L’idea della nuova scuola piacque subito a Georgie che si mise a fantasticare sulla sistemazione dell’aula e dei banchi e già pensava  di cucir delle tendine per le finestre. Arthur prese l’impegno di comunicare la notizia al comitato degli agricoltori: tutti i loro figli potevano usufruire della scuola senza andare fino al paese pagando una piccola quota per lo stipendio dell’insegnante. Era molto felice per Maria perché la riteneva la persona giusta per questo lavoro, così dolce e paziente sarebbe stata la maestra ideale per suo nipote e per gli altri bambini.
Sia Abel che Arthur si misero a lavorare con impegno per trasformare la vecchia stalla in un ambiente adatto per ospitare una classe con degli alunni. Anche Jimmy con gli altri ragazzi li aiutarono e il conte Gerard, ogni volta che tornava da Sydney, portava o dei quadernini o dei libri che potevano servire alla nuova scuola.
Georgie ricamò veramente delle graziose tendine per le finestre e ripulì tutto l’ambiente sistemando anche il cortile esterno. Maria invece studiava e si preparava  per essere pronta quando sarebbero arrivati i suoi piccoli alunni.
E quando tutto fu a posto la nuova scuola aprì: ospitava circa una decina di bambini tutti provenienti dalle fattorie vicine, erano sia maschi che femmine, di varie fasce d’età e, tra loro, c’era il fratellino di Jimmy e naturalmente Abel Junior.
Arrivavano la mattina, Maria li attendeva sulla porta e li faceva entrare e sistemare nei banchi. Le lezioni duravano circa quattro ore e nell’intervallo spesso Arthur portava del formaggio o del latte per la merenda dei bambini. Al termine tornavano nelle loro case a piedi, molti di loro nel pomeriggio dovevano aiutare i genitori alle rispettive fattorie.
Abel Junior era uno dei migliori studenti, imparò quasi subito a leggere e a scrivere con grande soddisfazione di Georgie.
 Lei e Abel si erano riavvicinati, anche grazie alla storia della scuola, e lui, vedendo che suo fratello passava molto tempo con Maria, sperava che le cose ritornassero al loro posto.
Un pomeriggio Georgie e Maria erano andate in paese a far compere quando s’imbatterono nei signori Sanders, una coppia di agricoltori il cui figlio frequentava la scuola. Maria era preoccupata perché il bambino era da più di una settimana che non era presente.
-Come mai – disse loro salutandoli – James non sta venendo a scuola? È malato?
-No – rispose con tono burbero il signor Sanders – mio figlio non verrà più a quella scuola.
Georgie e Maria rimasero stupite, lui aggiunse:
-E’ inutile, è una perdita di tempo, ha già dieci anni e deve aiutarmi alla fattoria.
-Ma questo non significa che non debba istruirsi – replicò Maria – è un peccato perché è un ragazzino molto sveglio ed apprende bene.
-Lei gli insegna un sacco di sciocchezze! – tuonò Sanders – Gli legge dei racconti fantastici, lo incita a scrivere ed ora si è messo in testa di voler fare il giornalista. La scuola mi sta bene se insegna a far di conto, a come pesare il grano o a misurare un campo da arare. Questo serve al mio James, null’altro.    
-Ma non può dir così – cercò di farlo ragionare Maria – suo figlio non deve sentirsi obbligato a fare il fattore perché è il lavoro di suo padre.
-Non insista – disse la moglie di Sanders prendendo per la prima volta la parola – non lo manderemo più alla vostra scuola anche perché siete gente di dubbia moralità!
Maria e Georgie spalancarono gli occhi.
-Come si permette – rispose prontamente quest’ultima – ritiri subito tutto quello che ha detto!
 -Assolutamente no – rispose la Sanders con aria di superiorità – abbiamo saputo che Maria proviene da una famiglia inglese poco raccomandabile e lei Georgie la conosciamo bene … ha avuto un figlio con quello che era stato suo fratello ed ora se la intende con quell’altro!
-Se ne vada dalla mia vista! – gridò Georgie amareggiata.
-Molto volentieri – rispose l’altra salendo sul carro con il marito.   
Le due donne erano rimaste senza parole. Tornarono a casa in serata e decisero di non raccontare a nessuno quell’episodio.    
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 15
*** Due fratelli ***


Era domenica ed Abel stava andando a prendere Georgie, Maria e il piccolino per recarsi a Sydney a trovare il conte che si era trasferito lì per un periodo. Arthur era alla riunione degli agricoltori, sarebbe giunto da loro nel pomeriggio. Stavano per sistemarsi e partire quando un carro si sentì arrivare in lontananza.
-Ma è Arthur – gridò Georgie – è già qui! Cosa sarà successo?
Il giovane entrò dal cancello, era visibilmente provato, aveva delle escoriazioni in volto e zoppicava dalla gamba destra.
-Sei ferito? – disse Maria preoccupata – Come hai fatto?
-Pensavo foste già partiti per Sydney – rispose lui.
Abel s’avvicinò al fratello.
-Ti sei battuto? – gli disse.
-Sì – rispose Arthur – è stato un episodio spiacevole.
-Ma alla riunione? – disse Georgie – Di cosa mai avete discusso?
-E’ stato Sanders – disse Arthur – ha iniziato lui.
Al sentire quel nome Georgie e Maria trasalirono.
-Ha offeso tutti noi – proseguì lui – ha detto che non manda più suo figlio a scuola perché Maria è un’insegnante strana, che usa metodi particolari e soprattutto perché proviene da una famiglia di delinquenti. E che noi siamo persone immorali, senza principi etici. Non ci ho più visto e l’ho colpito. Quindi è iniziata la lite.
Entrarono in casa per medicare Arthur e Georgie raccontò dell’incontro con i Sanders della scorsa settimana.
 
 
 
-Ho paura che anche altri tolgano i propri figli dalla scuola. È un disastro – disse Arthur sconsolato.
-Quel Sanders è un infame – tuonò Abel – ma non finisce così.
-Quindi anche le altre famiglie si faranno condizionare? – disse Maria con un filo di voce.
-C’è questa possibilità - ammise Arthur - ma tu non ne hai colpa cara, sono calunnie basate sulla cattiveria della gente.
Decisero di andare comunque a Sydney anche per non far cadere tutte le tensioni sul piccolo Abel Junior che aveva aspettato tanto quella gita dal nonno. Non fu una domenica allegra, ognuno di loro aveva tristi pensieri per la testa e non bastarono le risate e la gioia del piccolino ad allietare la giornata.
Al ritorno i due fratelli si ritrovarono soli alla fattoria e questa volta avevano molte cose da dirsi.
-Vedremo domani quanti bambini ci saranno a scuola! – iniziò Abel buttando la giacca su di una sedia.
-Quel Sanders ha contagiato con le sue idee le altre famiglie, ho paura che domani saranno soltanto tre o quattro alunni – rispose il fratello amareggiato.
-Così pensano questo di noi in paese! – disse Abel sedendosi.
-Sono chiacchiere – rispose Arthur – ci conoscevano tutti come i tre figli dei Buttman, poi siamo andati a Londra e Georgie è tornata con un figlio tuo che è cresciuto con me. Anche se hanno saputo che lei non era la nostra vera sorella la notizia ha fatto scalpore in paese. Zio Kevin può raccontarti ogni cosa.
Abel era in silenzio, tamburellava le dita sul tavolo, ad un certo punto disse:
-Arthur tu sei innamorato di Georgie, ammettilo!
-L’ho sempre amata – rispose lui – e lo sai, ma come una sorella.
 
 
 
-Non ci credo più – gridò Abel alzandosi – non ci ho mai creduto! Me lo dicesti prima di partire per Londra che l’amavi ma dovevi soffocare i tuoi sentimenti per il suo bene. Poi in Inghilterra è successo quello che è successo. Ma ora siamo di nuovo qui, io sono ritornato e mi ritrovo a non poter amare come vorrei la mia Georgie perché è indecisa fra te e me! Tu hai passato tutto questo tempo con lei e mio figlio. Cosa è successo fra di voi Arthur? Devo sapere!
Arthur guardava fuori alla finestra, in silenzio.
-Girati! – urlò Abel – Rispondimi.
Lui si voltò, aveva gli occhi rossi dal pianto, lo fissò e disse:
-Cosa credi che sia facile per me amare pienamente una donna dopo tutto quello che ho subito a Londra? Cosa ne sai Abel! A te riesce facile parlare … cosa hai fatto sulla nave con Maria?
E se ne andò in camera sbattendo la porta.
Abel tornò seduto, con la testa bassa e le mani tra i capelli. Era sconvolto e rifletteva. Dopo un po’ si alzò e andò a bussare alla stanza del fratello. Arthur era sdraiato sul letto, al buio.
-Comunque Maria è innamorata di te – gli disse – e profondamente.
Poi richiuse la porta.       
 
 
 
 

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Capitolo 16
*** L'esame ***


La mattina dopo a scuola c’erano soltanto tre bambini: Abel Junior, il fratello di Jimmy e Kitty, la figlia della vicina di Georgie.
Maria era molto scoraggiata ma svolse comunque la lezione del giorno. Arthur arrivò all’intervallo per portare la merenda ai bimbi e s’intristì nel vedere l’aula praticamente semi vuota.
-Come pensavo – disse a Maria – non li hanno portati.
-Purtroppo è così – rispose lei – si sono fatti condizionare tutti dai discorsi di Sanders.
Uscirono in cortile, Maria aggiunse:
-Se vuoi andare da Georgie è in casa, non si è recata alla sartoria oggi.
Arthur uscì dal cancello, Maria lo osservava mentre si avvicinava all’abitazione. Da quando avevano incontrato i Sanders non faceva altro che pensare a quelle parole. Veramente era innamorato di Georgie?
Si sentì tirare la gonna, era la piccola Kitty che le porgeva dei fiori.
-Questi sono per te! – le disse la bambina.
Quei dolci gesti la rallegrarono ma solo per poco.
Riprese la lezione pensando che Arthur era in casa con Georgie, sempre con lei, era a Georgie che pensava? Era lei che amava?
 
Intanto Abel era al porto, andava a vedere il mare quando era triste e si sentiva inquieto, il rumore delle onde riusciva a placarlo.
Tornò con una lettera per Maria, proveniva da Sydney, era un avviso che la invitava a sostenere un esame per l’insegnamento, senza di quello non avrebbe più potuto far la maestra.
-Sanders ha conoscenze molto in alto! – sentenziò Abel.
-Purtroppo sì – rispose Arthur – l’avevo sempre sospettato.
-Maria supererà brillantemente quell’esame, vero? – disse Georgie ottimista.
-Tanto non ci sono più alunni, la scuola chiuderà comunque – sospirò Maria rassegnata.  
-Assolutamente no – disse Georgie incoraggiandola – i bambini torneranno, non l’avranno vinta!
Ma Maria prese la lettera e si chiuse in camera.
Abel andò da suo figlio ed uscì con lui, rimasero Georgie ed Arthur a parlare nella grande cucina, lei credeva molto in quella scuola, le piaceva l’insegnamento di Maria e vedeva suo figlio maturare ed avvicinarsi di più a suo padre.
Arthur le prese la mano:
-Georgie cara – le disse – andrai a vivere con Abel ora che tuo figlio sta instaurando un buon legame con lui?
Lei stava per rispondere quando entrò Maria nella stanza annunciando:
-Ho deciso, sosterrò l’esame!
-Evviva! – grido Georgie – Lo sapevo, diventerai la migliore maestra di tutta l’Australia!
 
 -Questo non lo so – rispose lei – ma prendendo il titolo per l’insegnamento potrò lavorare in una scuola a Sydney. Qui non ci sono più gli alunni, lì potrò vivere   e mantenermi autonomamente senza pesare su di te, Georgie.
-Ma non sei mai stata un peso per noi Maria – rispose Georgie desolata.
-Ti ringrazio, comunque sosterrò l’esame per poi trovare una buona scuola a Sydney. Non ha più senso che io stia qui.
Arthur non disse una parola, rimase a guardarla mentre rileggeva quella dannata lettera.
 
 
 
 

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Capitolo 17
*** Proposta di matrimonio ***


Le settimane che seguirono furono per Maria giornate di lavoro e di studio: continuava a insegnare per i pochi bambini rimasti ma nel pomeriggio studiava per superare l’esame.
Fu Arthur ad accompagnarla a Sydney il giorno della prova. Durante il tragitto non parlarono molto, lei era abbastanza tesa e lui, egoisticamente, forse sperava non la superasse. E invece la superò e brillantemente.
-Non sarai più la mia maestra? – le chiese Abel Junior a cena.
-Se mi chiamano alla scuola in città, no – rispose lei – ma ti penserò sempre e ti verrò a trovare se lo vorrai.
-Certo che lo vorrò – disse il bimbo un po’ imbronciato.
Ormai Maria aveva deciso di trasferirsi a Sydney qualora avesse ricevuto la chiamata da una scuola anche abbastanza prestigiosa. Quella chiamata arrivò, lei decise di accettare, sarebbe partita subito dopo la festa della tosatura che, ogni anno, si svolgeva alla fattoria Buttman. Era una festa che durava dalla mattina alla sera, tutti gli agricoltori della zona vi partecipavano. Gli uomini tosavano le pecore e le donne preparavano la prima colazione e poi un ricco pranzo. Gli ovini venivano tosati con cura sotto la supervisione del vecchio Kevin che partecipava ancora volentieri alla festa. La sera poi si ballava allegramente e i bambini soprattutto si divertivano un mondo. Ma quell’anno, per via della storia della scuola, non si sapeva se tutti avrebbero partecipato.    
Georgie era molto indaffarata, aveva preparato dei dolci, il formaggio e delle torte salate, mancavano pochi giorni alla festa e tutto doveva essere organizzato nel migliore dei modi.
 Era arrivata alla fattoria con suo figlio ed aveva iniziato a sistemare le ultime cose quando vide Abel in cortile giocare col bambino.
Li osservava, erano proprio uguali padre e figlio. Il cuore si riempiva di gioia. Li raggiunse.
-E’ quasi tutto pronto – esordì lei.
-Sarà una grossa festa quindi – disse lui curioso.
-L’anno scorso andò benissimo – ricordò Georgie – ma quest’anno non so quante famiglie parteciperanno. Arthur ci tiene molto a questo evento, l’organizzazione è sua con la direzione dello zio Kevin.
-Arthur ha fatto un lavoro enorme – dichiarò Abel – questa fattoria sta rendendo veramente bene. Era il suo sogno e lo sta realizzando pienamente.
-E’ vero! – ammise Georgie guardando lontano.
Lui le prese le mani fra le sue, le strinse forte e le disse:
-Georgie partiamo! Io, te e il nostro bambino. Giriamo il mondo con la nave, ricordi? Questo era il mio sogno.
-Oh Abel! – sussurrò lei – Ti ho pensato tanto, non me ne facevo una ragione della tua morte e poi quando sei tornato … non ci ho capito più nulla!
-Georgie sposiamoci – continuò lui – se questo ti fa sentire più tranquilla io, ti sposo anche domani. Andiamo in chiesa con tuo padre, due testimoni e poi partiamo con nostro figlio.
Lui l’abbracciò con tutto il suo calore mentre il piccolino scorrazzava per il prato.
-Attendo una tua risposta – disse Abel – puoi darmela anche dopo la festa, so che sei molto impegnata con i preparativi.
E corse da suo figlio.
 Georgie era confusa ma felice, non sapeva cosa pensare, era giusto partire? Era Abel il suo uomo? Lo osservava di nuovo mentre saliva sul carro con suo figlio e la salutava sorridendo.
 
 
 

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Capitolo 18
*** Ritornare ad amare ***


Era un pomeriggio molto caldo, assolato, non un filo di vento spostava una foglia e Georgie aveva preparato ormai tutto per l’imminente festa. Fuori c’era silenzio, il piccolino era in giro con Abel per il paese ed anche gli animali non facevano il minimo rumore. I cavalli nella stalla, le pecore nell’ovile riposavano e neanche gli uccelli regalavano il loro canto. Era come se tutto intorno fosse assopito dal calore del sole che con i suoi raggi scaldava ogni luogo e portava ogni essere vivente a sonnecchiare pigramente. 
La porta di casa si aprì, era Arthur che tornava dai campi:
-Georgie sei qui? – disse lui vedendola seduta a riposare.
-Sì Arthur – rispose – ho voluto finire di sistemare tutto per la festa.
-Grazie – sorrise lui – vado a rinfrescarmi che fuori è veramente caldo.
-Arthur – pensò Georgie – come avrei fatto senza di te per tutto questo tempo.
Lui tornò con i capelli un po’ bagnati, senza la camicia e le disse:
-Sei stata un angelo a voler preparare tutte queste cose per la festa. Spero vengano in tanti come lo scorso anno ma ho i miei dubbi purtroppo!
Ed intanto si spostò in camera per prendere una camicia pulita. Georgie lo seguì. Non aveva il coraggio di dirgli che Abel le aveva proposto di convolare a nozze e di partire con lui.
Lo guardava mentre apriva i cassetti del comò, si avvicinò a lui e disse:
-Vedrai che la festa riuscirà bene, io credo che la gente verrà voglio essere ottimista. Anche mio padre arriverà da Sydney stasera per assistere alla tosatura, i miei vicini di casa hanno detto che parteciperanno e poi Jimmy con tutta la famiglia saranno sicuramente presenti!
 -Georgie sei sempre così piena di vita! – disse Arthur – Vorrei aver anch’io tutta questa capacità di vedere il bicchiere sempre mezzo pieno.
Non sopportava di vederlo così amareggiato e non era soltanto per la paura di non aver organizzato bene la festa o per la tristezza di aver fallito con il progetto della scuola. Arthur aveva un dolore che si portava dentro, che nascondeva e non voleva renderlo evidente. Georgie aveva imparato a comprenderlo e mentre si sedeva sul bordo del letto, pensò di affrontare il discorso parlando dell’unica persona che, a suo parere, poteva capirlo quanto lei.  
-Maria andrà a Sydney dopo la festa, stava preparando i bagagli, non ti dispiace, Arthur, che vada via?
-E’ un’ottima opportunità per lei – rispose – potrà insegnare in una scuola in città molto prestigiosa. Ha deciso così …
-Ma non ti vien voglia di fermarla?  - disse Georgie con impeto.
-Perché dovrei? – rispose lui – Cosa posso offrirle io qui?
Si mise seduto accanto a Georgie, sul letto e la guardò negli occhi.
-Puoi darle tutto il tuo amore – disse lei – tu sai amare con tutto te stesso Arthur!
-Non lo so – sussurrò lui – mi sento ancora così ferito dentro.
E le si appoggiò sulla spalla come per piangere.
Lei lo accarezzò, il suo corpo era caldo, si guardarono di nuovo e si baciarono.
Non dissero nulla, si distesero sul letto e continuarono a baciarsi come se non ci fosse un domani.
Era un pomeriggio molto caldo, assolato, non un filo di vento spostava una foglia. Ora si sentiva il frinire delle cicale, forte, quasi assordante, come a voler coprire quell’interminabile pomeriggio d’amore e di passione.
-Non è vero che non sai amare Arthur – disse Georgie mentre lui l’aiutava a riabbottonarsi il vestito.
 -Tu mi hai riportato in vita Georgie – rispose Arthur – mi sento un uomo completamente nuovo.
-Tu mi salvasti quella notte nel fiume, ricordi? – disse lei – Non ho mai dimenticato il tuo gesto generoso e sincero di tanti anni fa.
Lui l’abbracciò e lei rimase lì, dentro quell’abbraccio caldo, sicuro.
Fuori ancora e soltanto le cicale, il loro frinire, sempre più forte, più forte, assordante, assordante.
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 19
*** La festa ***


Il sole era già sorto e la fattoria Buttman era in pieno fermento. Tutto era ormai pronto per la giornata della tosatura. Le pecore nell’ovile rumoreggiavano come avessero capito di essere loro le protagoniste della festa. I tavoli per mangiare erano apparecchiati e Maria stava aiutando Georgie a portare i cibi pronti per la colazione. Arthur, accanto al cancello, attendeva gli altri fattori mentre Abel era andato a prendere lo zio Kevin che doveva presiedere alla tosatura. Anche il conte era ritornato per godersi quella festa e giocava con il nipotino sulle ginocchia.
Georgie era più silenziosa del solito, pensava al pomeriggio scorso e cercava di evitare Maria che invece era di ottimo umore.
-Partiremo insieme per Sydney – disse il conte a Maria – conosco un piccolo albergo, dove potrai stare nell’attesa di una sistemazione definitiva. È vicino alla scuola dove insegnerai.
-E’ perfetto! – rispose Maria – Non vedo l’ora di iniziare. Sono contenta di aver trovato la mia strada come Georgie ha trovato la sua. È una sarta fantastica ed io m’impegnerò per diventare un’insegnante altrettanto brava.
Georgie non rispose ma andava avanti e indietro con le pietanze. Finalmente arrivò lo zio Kevin e tutti andarono ad accoglierlo con gioia.
-Arthur è molto teso zio Kevin! – disse Abel – La responsabilità della buona riuscita della festa se la sente tutta sulle spalle.
Ma Arthur era nervoso anche per un altro motivo, pure lui come Georgie non faceva che pensare a quel pomeriggio caldo.
Iniziarono ad arrivare i primi invitati: Jimmy e la sua famiglia e i genitori della piccola Kitty. Poi altri tre ragazzi che lavoravano alla fattoria.
 -Penso che per quest’anno saremo solo noi – disse Arthur visibilmente rattristato.
Ma in lontananza videro arrivare due carri, erano altre due famiglie di agricoltori, i Carson e i Robson.
-Salve! – gridò allegramente il signor Carson – C’è posto anche per noi?
Poi rivolgendosi ad Arthur:
-Sai Buttman è un po’ che non ci vediamo ma i miei figli hanno insistito tanto! Scusa, ci siamo fatti condizionare da chiacchiere senza fondamento. Sia io che Robson ti stimiamo come agricoltore e vogliamo continuare a collaborare con te.
-E poi – aggiunse Robson – i nostri bambini vogliono tornare a scuola. Ne parlano in continuazione, giù al paese non vanno volentieri, preferivano l’insegnamento della signorina Maria.
-Mi dispiace – rispose Arthur – Maria si trasferisce a Sydney, lavorerà lì, ma ora siete i benvenuti alla festa. Entrate!
I bambini corsero ad abbracciare Maria, erano cinque, due dei Carson e tre dei Robson. Le signore, invece, avevano portato uova fresche, del pane e della frutta per la colazione. Georgie le invitò ai tavoli per sistemare il tutto per poi sedersi e godersi in compagnia la festa.
Il clima era familiare e sereno. Tutti i partecipanti parlottavano fra loro, la giornata era splendida e i bambini iniziarono a giocare correndo spensierati nel prato.
-Allora iniziamo questa tosatura! – urlò Abel – Voglio far vedere a mio fratello che non mi sono dimenticato come si fanno certi lavori agricoli!  
Si spostarono tutti nello spazio predisposto, dove lo zio Kevin era pronto a supervisionare.
Abel, Arthur, Carson, Robson, Jimmy, suo padre, I ragazzi, il papà di Kitty erano lì, pronti per tosare le pecore e gareggiare fra loro.
 Stavano per iniziare, quando, arrivarono altre tre famiglie di fattori. La pace era ristabilita.
 
           
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 20
*** Il discorso di Kevin ***


Robson vinse la gara, tosando più pecore di tutti. Lo seguirono Arthur e il padre di Jimmy a pari merito. Tutti fecero un’abbondante colazione con le pietanze preparate da Georgie e dalle altre donne. Poi ripresero a tosare fino all’ora di pranzo. I bambini giocarono con Maria e si divertirono moltissimo a correre, saltare e schiamazzare. Dopo mangiato erano così stanchi che, alcuni di loro, si addormentarono all’ombra sotto gli alberi.
Lo zio Kevin, seduto a capo tavola, aveva mangiato con gusto ma era stranamente di poche parole ed osservava ogni movimento, ogni atteggiamento dei suoi tre “ragazzi” e sembrava aver capito quello che li tormentava.
Era tranquillo tutto intorno. Abel, Arthur e Georgie si ritrovarono accanto al vecchio Kevin, loro quattro soli, come quando erano bambini ed andavano da lui per risolvere qualche problema.
-Zio Kevin stai bene? – gli chiese Georgie preoccupata.
-Certo mia cara. – rispose lui – Ero in silenzio perché vi osservavo e vi rivedevo bambini vicino a me. Io ormai sono vecchio, non so quanto il Signore mi darà da vivere, ma sono così contento di avervi qui insieme dopo tutto quello che avete passato.
Tu Abel sei scampato alla morte, hai ritrovato tuo figlio e stai cercando di essere un buon padre per lui. Sei meno impulsivo e più riflessivo questo ti aiuterà nelle tue scelte future, qualunque esse siano.
Arthur sei rinato qui in Australia, stai gestendo meravigliosamente la fattoria di tuo padre, cerca di aprire il tuo cuore e di non farti sfuggire l’amore, quello vero.
 E tu Georgie, la mia piccola Georgie, ormai donna e madre quanto vorrei vederti veramente felice! Cerca di comprendere i tuoi sentimenti, segui la giusta strada per il bene tuo e di tuo figlio. Ripensa al tuo percorso, alla tua vita, ne hai ancora tanta davanti a te. Il destino poi ci metterà una mano.
I tre lo ascoltarono in silenzio. Ognuno di loro fece tesoro di quelle parole e la sera quando la tosatura era ormai terminata e tutti si accingevano a ballare e a divertirsi, Georgie e Arthur si ritrovarono soli accanto alla staccionata della fattoria.
-Georgie – iniziò lui – dimentichiamo quel pomeriggio, il discorso di zio Kevin …
-Sì Arthur – lo interruppe subito lei – sono d’accordo. Non parliamone più, vai dal tuo vero amore e non lasciartelo far scappare mai.
Arthur si allontanò dalla staccionata guardando Georgie appoggiata ad essa, d’ora in poi l’avrebbe amata come una sorella, quella sorella che aveva guarito le sue ferite e gli aveva permesso di tornare ad essere un uomo nuovo.
Corse da Maria che era con i bambini e stava ballando con loro. La prese per mano e la tolse dal gruppo. Lei era stupita, non l’aveva mai visto così sicuro di sé.
-Maria non partire – le disse lui – i bambini qui hanno bisogno di te, vogliono che resti.
-I bambini – sussurrò lei – e tu? Cosa vuoi che io faccia?
-Resta con me Maria – le disse abbracciandola – rimani qui, potrai insegnare alla nostra scuola, io desidero stare con te per sempre. Non andare a Sydney, ti prego!
-Desideravo tanto che tu me lo chiedessi! – rispose lei – Partivo con il dolore nel cuore ma ora che so quali sono i tuoi sentimenti, e sono sinceri, non vorrei stare in nessun altro posto che accanto a te.
Si baciarono dolcemente mentre i bambini li osservavano sbalorditi.
-Io avevo capito tutto! – sentenziò la piccola Kitty.
 -Riavremo la nostra scuola! – urlò il fratello di Jimmy che era il più grande e si sentiva il capo del gruppo.
Tra il chiasso e la musica Georgie raggiunse Abel che, stanco per la giornata lunga, aveva il piccolo tra le braccia e cercava di riposarsi seduto su una panca di legno.
-Io devo darti una risposta – gli disse lei sedendosi accanto a loro.
-Ti ascolto – disse lui chiudendo gli occhi.
-Mi avevi promesso che saresti tornato accanto a me – iniziò Georgie – ed hai mantenuto la promessa.
Lui aprì gli occhi e la guardò intensamente.
-La mia risposta è sì – disse annuendo con la testa.
“Dovunque io sia, il posto in cui ritornerò sarà accanto a te”.     
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 21
*** Epilogo ***


Quel giorno ben due matrimoni furono celebrati nella piccola chiesa del paese, Abel si univa a Georgie e Arthur a Maria. Il conte Gerard accompagnò entrambe le ragazze all’altare, i vestiti da sposa erano stati cuciti da Georgie ed erano bellissimi.
Fu una cerimonia semplice seguita da un banchetto intimo, familiare ma pieno di gioia e serenità.
Arthur e Maria andarono a vivere alla fattoria, lei continuò ad insegnare nella scuola, dove ormai si era arrivati a quasi venti bambini.
Abel iniziò a lavorare al porto come aiuto di un ingegnere navale progettando il suo viaggio intorno al mondo con la sua famiglia ma, avendo scoperto Georgie di essere incinta, rimandò la partenza di alcuni mesi.
Nacque una dolcissima bimba che chiamarono Sophie, come la nonna. Il conte, che ormai viveva a Sydney ed aveva intrapreso la carriera politica, andava a trovarli tutte le volte che poteva ed anche lui era raggiante di felicità.
Non molto tempo dopo anche Maria ebbe la gioia di diventare madre di un bel maschietto, il piccolo Eric.
Quando tutto fu pronto Abel poté partire con moglie e figli per il tanto sognato viaggio in nave.
-Arthur – disse al fratello salutandolo – le nostre strade si dividono un’altra volta ma questo, ricorda, non è un addio ma solo un arrivederci.
-Abbiate cura di voi – rispose Arthur – e scriveteci così sapremo quali paesi avrete visitato.
-Vorrei arrivare nelle Americhe – rispose Abel – era il mio sogno, ora tocca a me realizzarlo come tu hai fatto con il tuo.
 
 E partirono. Abel e Georgie lasciarono l’Australia di nuovo ma questa volta per andare incontro a tanta felicità.
Riuscirono ad arrivare in America, dove si stabilirono per un certo periodo. Georgie poté lavorare anche lì come sarta ed Abel Junior frequentò una buona scuola dove scoprì di essere molto portato per la matematica. Sognava di diventare un ingegnere e suo padre era veramente orgoglioso di lui.
Dopo quattro anni decisero di ritornare nella loro amata terra per riabbracciare i loro cari e vivere felici insieme.
Avevano scritto ad Arthur e Maria del loro rientro e morivano dalla voglia di rivederli.
La nave andava e Georgie osservava il mare, quel mare immenso come il cielo che le dava un senso d'infinito e di libertà.
Il destino aveva fatto il suo corso, come disse il buon vecchio Kevin quel giorno, ognuno di loro aveva trovato la propria serenità.
“Dovunque io sia, il posto in cui ritornerò sarà accanto a te”. E Abel, il suo Abel era sempre lì, accanto a lei. Con suo figlio, così vivace, pronto, sveglio, affettuoso. E Sophie, la sua bambina, dolce, graziosa, quieta. La guardava Georgie, era sua figlia. Era la figlia di quel pomeriggio caldo australiano con le cicale che frinivano in modo quasi assordante? Forse. Chissà?
Ma questa è un’altra storia.
 
Fine    

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