Il libro d'Oro dell'Alchimista

di Iaiasdream
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***



Capitolo 1
*** 1 ***


1.
 
A un tratto il silenzio diede posto a un rumore terrificante che rimbombò nel firmamento nero come la pece.
Una linea di luce distorta si disegnò fra le nuvole scure e poi ancora quel rumore.
Kalisya aprì gli occhi, o almeno era convinta di averlo fatto, tutto intorno a sé era offuscato, allora concentrò i suoi sensi appena destati sull’udito, ma anche quello parve averla abbandonata. L’unica cosa che in quel momento le rimaneva era il ricordo di come fosse finita lì, indolenzita, incapace di muoversi e con qualcosa di viscido che continuava a scivolarle dalla bocca. Il sapore era ferroso proprio come il sangue.
Sì, sangue. Ricordò: le grida di suo padre che la implorava di nascondersi e mettersi in salvo, mentre una lama luccicante gli fuoriusciva brutalmente dal fianco e poi… poi cos’era accaduto?
La ragazza sospirò percependo finalmente qualcosa; oltre al dolore che le stava martoriando il corpo. Sentì il suo respiro, pesante e debole.
Tentò ancora una volta di alzare la testa e i suoi occhi vagarono persi per scorgere qualcosa, anche solo un barlume di luce in quell’oscurità. Poi finalmente una figura incomprensibile si delineò davanti alle sue iridi scure, prendendo forma, man mano che si avvicinava.
Una voce metallica inondò il suo udito seguita da un forte dolore alla tempia. Kalisya strinse gli occhi sentendo la fitta diramarsi nella testa e intensificare la sua presenza. Quando riaprì le palpebre, riuscì a notare qualcosa sul pavimento di pietra, anche se sfocate, vide due macchie rosse.
«Basta, così l’ammazzi!», udì quella voce come se quell’ombra le stesse parlando sott’acqua.
«Non parla!», ribatté un’altra più cavernosa.
«Come diavolo credi che possa parlare se è incosciente?»
Mentre le due voci continuavano a sovrapporsi fra loro, la ragazza sollevò il capo in direzione delle due ombre, malgrado la stanchezza intercettò l’uomo dalla voce cavernosa e, prima di essere presa alla sprovvista da un getto di acqua ghiacciata in pieno volto, riuscì a scorgere su quello del suo aguzzino, una cicatrice a forma di X che gli marchiava un occhio privo di iride.
«Vattene! Hai fatto abbastanza.» urlò l’altro avvicinandosi alla ragazza che boccheggiava per catturare quanta più aria possibile e salvarsi da quella specie di soffocamento.
La fissò dalla testa ai piedi. L’aveva trascinata lì con la forza. Sembrava esile di statura, ma possedeva una forza rara. Prima che il suo scagnozzo le avesse piantato un pugno in piena testa per farle perdere i sensi, quella ragazza aveva lottato per difendersi e si era ritrovata con l’abito rovinato. Della scollatura casta non esisteva neanche più un lembo: lo strappo lasciava intravedere la rotondità di un seno. L’uomo dagli occhi taglienti sorrise malizioso mentre continuava a scendere con lo sguardo sulle gambe scoperte da quello che, un tempo, era stato un gonnellone scampanato. Le guardò le caviglie nude e qualcosa dentro di sé iniziò a destarsi.
Le si avvicinò lentamente e in tal maniera le afferrò una ciocca di capelli biondi, stringendola in pugno per farle sollevare la testa.
Kalisya ingoiò a fatica un grumo di sangue, spalancò le palpebre appesantite dalla stanchezza e si ritrovò a guardare due occhi grigi, cattivi. Strinse le labbra trattenendo un mugugno di dolore che le invadeva la cervice.
«Allora, piccola sgualdrina, vuoi deciderti a parlare?» chiese l’uomo lasciandole i capelli e sollevandole il mento «Parla, maledizione! Cosa diavolo ti costa? Dimmi dov’è?»
Le labbra della ragazza si mossero facendo fuoriuscire un sibilo. Ignorò completamente le richieste del suo interlocutore, voleva sapere di suo padre, poiché l’unica cosa che le albergava nella mente era il ricordo sgomento di quella spada che l’aveva trafitto.
L’uomo dagli occhi grigi e taglienti, avendo compreso le sue parole, ghignò rimettendosi dritto, «Mi dispiace per te, ma ha avuto quello che si meritava.», si curvò ancora una volta su di lei e aggiunse «Adesso tocca a te parlare.»
Kalisya lo guardò stanca, ma mostrò un’aria fiera, inespugnabile e, con ancora qualche goccia di coraggio nelle vene, rispose: «Puoi anche scordartelo, maledetto bastardo!», spuntandogli sangue in un occhio.
L’aguzzino indietreggiò di scatto imprecando e, irritato da quel gesto, estrasse una basilarda dal cinturino di cuoio e gliela puntò dritta alla carotide premendo sulla carne. «Maledetta. Farai la stessa fine di tuo padre»
La ragazza non reagì, forse per la stanchezza, o perché il pensiero di aver perso suo padre le aveva annullato le ultime forze. Era pronta al peggio, sapeva ciò che quell’uomo voleva da lei, lo rimembrava, e se quei villani stavano cercando di carpire la verità da lei, questo significava che suo padre era morto portandosi con sé quel segreto, e lei non avrebbe fatto la differenza, quindi, chiuse gli occhi e aspettò la fine.
Qualcosa però fermò le gesta del bandito. Fu un rumore proveniente dall’esterno di quella che pareva una cella.
L’uomo allontanò l’arma dalla ragazza e si avvicinò alla porta di legno, l’aprì e si vide cadere ai piedi il corpo inerme del suo scagnozzo con la cicatrice sull’occhio. Lo squadrò incapace di comprendere che cosa gli fosse accaduto, quando notò sulla schiena una macchia nera fumante a forma di cerchio con una stella al centro.
Poi trasalì vedendosi comparire davanti una figura snella dalle curve femminee, perfette. Rimase frastornato, e solo quando la donna nascosta nell’ombra parlò chiedendogli se si chiamasse Kemar, ritornò alla realtà. «Chi diavolo sei?» chiese indietreggiando.
«Rispondete alla mia domanda.» replicò la donna con voce ferma.
«Sì, sono io.»
«Vi conviene lasciare andare la ragazza.» continuò allora l’intrusa. «Ciò che cercate non lo possiede lei.»
«Mostrati, maledetta!» esclamò a quel punto Kemar impugnando l’arma con la quale pochi istanti prima aveva minacciato la prigioniera. «Di cosa stai parlando?»
«Volete l’Oro Alchemico, no?» chiese la sconosciuta ferma nella sua posizione, accennando un lieve sorriso.
«Come fai a saperlo?» sbraitò l’uomo «È stato suo padre a scrivere quel libro, lei sa dov’è!»
Una sensuale risata lo interruppe e, preso dall’ira, strinse l’impugnatura della basilarda, urlando: «Che cos’hai da ridere? Ti avverto, se mi stai prendendo in giro ammazzo questa sgualdrina!»
Dopo quella minaccia, ci fu silenzio. Kemar, preda del panico, si avvicinò alla prigioniera, ma quando si volse verso la porta, della donna non c’era più traccia. Rimase basito, provò a chiamarla a gran voce, ad offenderla, ma nessuno gli diede risposta. Poi udì: «Che stupido. L’Oro Alchemico non è un libro…» la voce era udibile nella stanza, ma nonostante l’uomo si guardasse intorno per scoprire da dove proveniva, non trovò nessuno.
Kalisya, intanto assisteva a tutto quello in silenzio. Aveva percepito la voce di quella sconosciuta ed era fiduciosa che l’avrebbe salvata. Sbuffò un sorriso prima di chiudere gli occhi e perdere i sensi.
Kemar, invece, aveva perso tutta la sua spavalderia, ancora incredulo che una sola donna potesse disarmarlo. «Che cosa stai dicendo? Se non è un libro, allora cos’è?» chiese continuando a cercare la donna.
«Semplice.» rispose quest’ultima placando le sue risa «Sono io!»
Kemar strabuzzò gli occhi impietrito, il suo sguardo venne attratto da un fascio di luce che si estendeva sul pavimento in forma circolare. Non riuscì a muoversi, «U-un cerchio del demonio?» balbettò ancora incredulo. Sentì la suola degli stivali surriscaldarsi, il calore salì su per le gambe e solo quando l’odore di bruciato invase le sue narici si accorse di andare a fuoco.
Cercò si saltare fuori da quell’inferno, ma non ci riuscì, alzò la testa al cielo, spalancò la bocca gettando all’aria un grido che gli squarciò le corde vocali e, quando le fiamme lo coprirono tutto, cadde a terra torcendosi su se stesso fino a quando il fuoco non lo consumò.



NDA: Salve a tutte/i. Per chi ha già letto le mie storie e per chi aspetta che continui le altre, premetto che ho pubblicato questa nuova storia perché sentivo il bisogno di farlo. In questo periodo sto conoscendo il "Blocco dello scrittore" e posso assicurarvi che non è una cosa bella, alemeno per me che vivo di libri, sogni, scrittura e fantasia.
Con questa nuova storia, voglio convincere me stessa che ce la posso fare, ma non sono qui per annoiarvi. spero che questo capitolo vi abbia un minimo interessato.
So che è alquanto piccolo, e vi annuncio che lo saranno anche i capitoli a venire.
Vi lascio, e vi ringrazio fin da ora.

Iaiasdream.

 

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Capitolo 2
*** 2. ***


 
2.
 
Il Cardinale del Regno del Nord, sua eminenza Balthazar, osservava quelle beute come se davanti avesse qualcosa che non appartiene a questo mondo, storcendo il labbro superiore di tanto in tanto.
«E questo sarebbe ciò che voi… maghi chiamate alchimia?» chiese a un tratto rivolgendosi all’uomo barbuto, alto e tarchiato che gli stava alle spalle ad osservare con attenzione ogni sua mossa.
«Sì.» rispose cercando di reggere calma.
La visita dell’uomo era alquanto sospetta e inaspettata. Si era presentato al levar del sole portandosi dietro una schiera di soldati. I guardiani della radura erano stati costretti a farli passare, poiché un servitore del Cielo era neutrale alle due schiere che si erano formate in tutto il Regno. Suddivise tra Alchimisti e Umani. Era entrato nella sua casa con la scusa di investigare sulla morte del Barone Vlad, il cacciatore di streghe più temuto del regno.
Accadde qualche anno addietro: il re aveva scacciato tutti i praticanti della magia, ritenendoli una minaccia. Il capo di questi ultimi, chiamati Sid, aveva chiesto di non provocare uno scontro sanguinoso e promettendo di abbandonare il Regno del Nord per non farvi più ritorno, il sovrano aveva accettato, ma qualche notte dopo, l’accampamento dei maghi venne saccheggiato dagli scagnozzi del Barone. Ci fu una rivolta che durò mesi e per mettere la parola fine a quella guerra sanguinaria, il capo dei Sid sacrificò la sua vita, in cambio della pace, ma non era servito a molto, giacché il Barone continuava la sua lotta per il potere.
La Nuova Religione tentava di unificare i due schieramenti nemici, con l’intenzione di abolire definitivamente la magia, fin quando una notte, uno degli scagnozzi del cacciatore di streghe si presentò al cospetto del re, annunciando che il suo signore era stato assassinato nel suo palazzo e che nessuno aveva visto nulla.
Subito furono incolpati i Sid. La guerra sembrava essersi placata e col passare del tempo, anche il pensiero che fossero stati i maghi a versare il sangue di quel vile venne dissipato.
«Alchimia…» sogghignò il porporato facendo una smorfia disgustata, «Arte del Demonio, vorrete dire!»
L’alchimista si spazientì e, incrociando le braccia al petto, gli chiese con poca educazione che cosa volesse veramente da lui e del perché si fosse presentato lì.
«Non sono venuto per mio volere.» rispose il religioso passando un dito sul mobile dov’erano le beute, per poi ripulirsi il polpastrello dalla polvere. «Sono qui per espresso ordine del Re.»
«Che cosa vuole?»
«Vuole una prova, oltre alla vostra innocenza sull’assassino del suo suddito, che il vostro popolo continui a starsene buono in questo… posto.»
«Sono ormai due anni che il Regno del Nord non ha più nostre notizie. E per quanto io ne abbia ricordo, non siamo mai stati una minaccia per tutti voi.»
«Ma voi» lo rimbeccò Balthazar, «Usate l’arte del Demonio, per scopi che a noi appaiono arcani.»
«Eccellenza!» lo interruppe lo studioso, innervosito «Mi dispiace contraddirvi, ma qui non c’è nessuna traccia del Demonio. Sono solo superstizioni per discriminarci. Non siamo altro che semplici studiosi. Quella che voi chiamate magia, noi la definiamo Alchimia!»
«Per l’appunto, l’alchimia è il Demonio. Vedete Lord Alexiel, quella che voi vi ostinate a chiamare Alchimia, non è altro che un veleno di uomini di poca fede.»
«Cardinale Balthazar, rimembrate quel giorno in cui la peste colpì il Regno del Nord e la vostra casa?»
Il cardinale trattenne il fiato e si morse le labbra.
Non ricevendo alcuna risposta da parte sua, l’alchimista continuò: «Se non erro, fu la mia gente a trovare rimedio a quel male. Ricordo perfettamente le vostre parole e quelle del vostro Re, quando ci imploraste di guarirvi. Non fu il Demonio, o il veleno ad allontanarvi dalla morte! Furono i nostri studi, furono guaritori, quelli che voi vi ostinate a chiamare stregoni. E mi rincresce che questo scorcio di verità sia stato cancellato dai vostri ricordi. Nessuno che appartenga a questa radura ha a che vedere con la morte del Barone Vlad; non avete nessuna prova per incolparci. Portate queste parole al Re, se vuole ancora qualche prova della nostra innocenza.»
«Ma Sua Maestà non si accontenterà di una semplice parola a migliaia di leghe di distanza.»
I due uomini si guardarono a lungo come a volersi sfidare, poi Alexiel sciolse la sua posizione, si avvicinò all’ecclesiastico e disse convinto: «Allora, andate a dire al vostro Re, che una prova schiacciante l’ha già avuta nel momento in cui io, Alexiel, signore della Radura, convolai a nozze con la sorella del Barone Vlad, il nostro aguzzino.»
A quelle parole il vescovo sorrise soddisfatto, «Giusta scelta. E con questo posso togliere il disturbo.» il Cardinale si preparò a uscire, ma qualcuno irruppe nella stanza senza curarsi di bussare.
Si trattava di una ragazza, non troppo alta, con un viso fanciullesco, occhi neri profondi, labbra sottili. Vestiva con abiti da battaglia: una calzamaglia nera, un corpetto di cuoio e stivali a mezza gamba, mentre i capelli ricci castani si appoggiavano sulle spalle strette raccolti da una coda alta.
Prese aria, prima di proferir parola e solo quando vide il Cardinale, aspettò il permesso per continuare.
«Sirya, che cosa succede?» chiese Alexiel ignorando l’altro visitatore.
«Non sapevo foste occupato, dottore. Ripasserò.» ma non fece in tempo a uscire, che un soldato del Cardinale entrò a sua volta, avvisando l’ecclesiastico che Kemar, il cacciatore di streghe, era stato ucciso e che il quartier generale era stato dato alle fiamme, aggiungendo che nel luogo del delitto, secondo alcune testimonianze, era stato trovato un cerchio sospetto fatto di simboli diabolici.
Gli occhi di Balthazar si iniettarono di sangue, volse lo sguardo verso Alexiel e, a denti stretti, disse: «Non credo, Lord Alexiel, che la vostra innocenza abbia ancora valore. La vostra gente ha appena dichiarato guerra agli Umani. Preparatevi al peggio.» e con quell’ultimo avvertimento, fece roteare il lungo mantello purpureo e uscì da lì.
Rimasti soli, l’alchimista si avvicinò alla fanciulla che era entrata come una furia e le chiese che cos’era accaduto, la minaccia dell’ecclesiastico gli sembrava qualcosa di subdolo, ma quando Sirya confermò le parole del soldato, aggiungendo che i simboli che per gli altri sembravano demoniaci appartenevano all’elemento naturale del fuoco, Alexiel iniziò a tremare e portandosi una mano sulla fronte sibilò: «Ardinne!»

 

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Capitolo 3
*** 3. ***


3.
 
Gli occhioni vispi avevano seguito la traiettoria della farfalla senza abbandonarla per un istante. Suo padre le aveva detto che era rara e doveva ritenersi fortunata per averla trovata.
Kalisya aveva raccolto due lembi della sua gonna e si era messa a rincorrere l’insetto fino a giungere lì, proprio dov’era quel cerchio.
Ne aveva visti tanti, suo padre, lo stregone del villaggio, ne creava uno ogni giorno per sperimentare nuove formule magiche. Ma quello che decorava il prato ben curato del chiosco non l’aveva mai visto prima.
La piccola si era inginocchiata accanto a quelle pietre appuntite e l’aveva osservato dimenticandosi della farfalla che ormai era volata via, posandosi chissà su quale fiore, poi si era alzata e con passi saltellanti aveva percorso tutta la linea curva canticchiando una canzoncina inventata al momento.
«Kalisya, piccola mia! Allontanati da quel cerchio, vieni qui accanto a me!» le aveva ordinato affettuosamente suo padre sedendosi a un tavolino e aprendo un libro ne aveva iniziato a sfogliare le pagine giallastre, poi l’aveva chiamata ancora.
«Sto scegliendo il segno più bello, padre!» aveva risposto la bambina con voce squillante. Nonostante tutto sapeva che l’uomo non sarebbe stato tranquillo e, volendo allontanarla da quel posto, le si era avvicinato, l’aveva presa in braccio e l’aveva fatta sedere con sé appoggiandola sulle gambe.
«Facciamo un bel gioco» le aveva mormorato in un orecchio, notando il suo solito cipiglio capriccioso. «Adesso ti disegno lo stesso cerchio sulla mano, che ne dici?»
Il broncio sull’espressione della bambina era scomparso del tutto, lasciando il posto a un sorriso candido. Kalisya non aveva esitato a mostrare il suo palmo sporco di terra. Lo stregone glielo aveva pulito prima di passarle un pennello dalla punta imbevuta di uno strano liquido dorato. La bambina aveva seguito attenta ogni sua mossa e si era fatta promettere di non avvicinarsi a quel grande cerchio di pietre, ma annuendo col capo si era morsa le labbra: segno che non avrebbe mantenuto la promessa.
 
L’odore acre dell’aceto allontanò dai suoi sensi quelle voci lontane e dissolse le immagini dei ricordi passati. Nel buio dei suoi occhi una lama di luce comparve e si ingigantì man mano che tentava di aprire le palpebre.
Il formicolio che aveva preso il posto dei suoni andati si diradò facendole udire uno scoppiettio. Un dolce calore le invase tutto il corpo e in quel momento rientrò in scena il dolore alla testa.
Respirando a fatica, Kalisya cercò di aprire gli occhi e mettere ben a fuoco ciò che la circondava. Intravide un soffitto fatto di travi e paglia, poi muovendo le dita delle mani toccò qualcosa di ruvido che scricchiolava a ogni suo lieve movimento.
Dove sono? Pensò guardandosi intorno e portandosi la mano destra alla testa si accorse che il polso era circondato da un livido segnato da piccoli e profondi taglietti. Girò la mano per vederlo meglio, poi i suoi occhi a mandorla si posarono su quel segno circolare che lo strato di pelle del palmo metteva in evidenza. E di nuovo venne catapultata nel passato. Rivide suo padre che correva verso di lei, mentre una luce azzurra la inghiottiva rendendola cieca e sorda. Le sue grida di terrore venivano sopraffatte da un’ondata di acqua ghiacciata uscita dal nulla, l’aveva sentita opprimerle il respiro fino a farle scoppiare i polmoni, poi pian piano il dolore l’aveva abbandonata e si era sentita come galleggiare su uno strato liquido inesistente. Alla fine, quando aveva riaperto gli occhi, si era resa consapevole che più nulla sarebbe stato come prima.
Ma il respiro affannoso la riportò velocemente al presente, e si accorse di tremare come una foglia, mentre i dolori l’avvinghiavano senza darle via di fuga, ricordò quello che era accaduto in casa sua, a lei e a suo padre.
Ma cos’era successo dopo?
Distese la mano sulla coperta ruvida e ritornò a guardarsi intorno, cercando di capire dove si trovasse e se fosse ancora prigioniera dei mercenari.
Quando sentì il cigolio alla porta, volse di scatto gli occhi strabuzzati dal terrore e si sentì mozzare il fiato.
Era entrata una ragazza dai lunghi capelli neri raccolti in una treccia alta, mentre canticchiava una canzoncina, e si accorse che in mano reggeva un secchio di legno.
Si guardarono per qualche istante, poi la sconosciuta le sorrise dicendo: «Avrei dovuto bussare, non pensavo fossi sveglia.»
«Dove sono?» chiese Kalisya sforzandosi di alzarsi.
La ragazza la raggiunse e le impedì di farlo. «Resta giù. Il medico dice che devi riposare…»
«Il medico?» la interruppe «Non ho bisogno di un dottore!» esclamò mettendosi a sedere, scostando la coperta e scoprendo le gambe nude. Le fissò per un attimo accorgendosi che le ginocchia erano fasciate da bende impregnate di sangue e la pelle era chiazzata di ematomi.
«Sei ridotta male», la voce dispiaciuta dell’intrusa la riportò alla realtà. Kalisya distolse lo sguardo dal suo corpo e lo posò sulla persona che le stava accanto. «Dove diavolo sono?» ripeté passandosi una mano sulla fronte come a voler afferrare il martellante dolore che continuava a martoriarle la testa.
«Ti trovi nella radura dei Sid» rispose la sconosciuta incrociando le braccia al petto e volgendole uno sguardo titubante.
La Radura dei Sid? Si chiese Kalisya spalancando gli occhi. Conosceva quel posto. Suo padre gliene aveva parlato spesso. Era il luogo dove tutti i maghi, i guaritori e le persone che praticavano ogni sorta di magia si erano rifugiati per scampare all’ordine del Re delle terre del Nord di darli la caccia e bruciarli sul rogo.
Era lì che suo padre le aveva consigliato di andare prima di essere ucciso da quegli uomini.
Ma come ci era arrivata?
Provò a mettersi in piedi, «Che cosa ci faccio qui?» chiese più a sé stessa.
La sconosciuta scattò istintivamente in avanti per aiutarla ad alzarsi, ma Kalisya la respinse. Fu un attimo, e in quel momento la giovane dalla lunga treccia nera poté intravedere sul suo palmo il marchio.
“Il Cerchio dell’Alchimista!” si disse incredula e scoccò uno sguardo interlocutorio verso la ferita. «Ma tu chi sei?», ebbe come una sensazione di timore nel chiederglielo.
Kalisya si volse a guardarla «Chi sono io?» domandò incredula «Chi sei tu?! E che diavolo ci faccio qui?»
La sconosciuta la interruppe alzando la mano e mostrandole il marchio che ne occupava il palmo. Identico al suo ma con un simbolo diverso al centro.
La figlia dello stregone sgranò gli occhi afferrandole d’istinto la mano. “Come fa ad averlo anche lei? Solo mio padre è in grado di interpretare questa magia!” si disse guardando ora la mano della ragazza, ora la sua.
«Sei Kalisya, vero?» chiese l’altra spezzando il silenzio.
«Come fai a saperlo?»
«Sei… la figlia di Cedrom, lo stregone?» insistette facendole mollare la presa.
Kalisya barcollò all’indietro, scombussolata. «Chi te l’ha detto?»
La sconosciuta scosse la testa, poi si volse verso la porta, la raggiunse e prima di uscire disse: «Fa’ ciò che devi. Non entrerà nessuno qui dentro, non ti vedrà nessuno e…vattene», infine, sbattendo la porta, la lasciò sola.

 

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Capitolo 4
*** 4. ***


4.
 
Dopo aver appoggiato il bicchiere di terracotta sul tavolino, la cameriera guardò sottocchio la donna che, con fare mascolino, stava raccontando le sue avventure a un gruppetto che le si era formato intorno per ascoltarla. Indossava abiti da uomo, ma il suo corpo formoso non ingannava la sua natura. Il viso attraente era segnato da una cicatrice che le marchiava lo zigomo destro, occhi da cerbiatta verdi come i vasti prati catturavano ogni minima mossa di chi gli stava davanti.
«Ardinne!» esclamò uno di quelli «Perché non ci racconti cosa è accaduto questa notte?»
La giovane guerriera gli scoccò uno sguardo compiaciuto, non aspettava altro e, portandosi alle labbra carnose il bicchiere lasciatole dalla cameriera, mandò giù tutto d’un fiato il forte liquido, si passò un polso fasciato sulla bocca per detergersi e con modi mascolini disse: «Non ho la più pallida idea di come sia giunta fin qui. So solo che se l’avessi trovata in uno stato migliore, non nego che vi avrei fatto un pensierino.», rise maliziosamente lanciando un’occhiata alla cameriera che sorrise a sua volta alzando gli occhi al cielo e, scuotendo il capo, se ne ritornò dietro al bancone.
Un uomo attirò la sua attenzione ridendo sguaiatamente, «Sei sempre la solita!» esclamò dandosi dei colpetti sulla pancia gonfia che traballava a ogni parola.
A un tratto la porta della locanda si spalancò andando a sbattere contro la parete. Tutti i presenti si voltarono a guardare curiosi, mentre la ragazza dalla lunga treccia nera avanzava nello spazio fino a raggiungere Ardinne e, sbattendo un pugno sul tavolo mise a tacere il brusio.
La guerriera sollevò un sopracciglio guardandola incuriosita, poi si portò ancora una volta il bicchiere alle labbra, ma accortasi che era vuoto, fece una smorfia e decise di prestare attenzione all’intrusa.
«Si può sapere dove diavolo l’hai trovata?» scattò quest’ultima.
Ardinne la guardò divertita, poi volse lo sguardo verso il resto dei presenti e chiese: «Che cos’è venuta a fare, Tyana, l’intrepida assistente dell’alchimista in questo covo dissoluto?»
Subito delle risate di scherno esplosero nell’aria, ma la giovane non si fece intimorire, «Avanti, Ardinne, non sto scherzando. Rispondimi!»
«Perché lo vuoi sapere? Sei per caso gelosa?» le domandò accarezzandole il braccio con due dita.
Tyana conosceva i modi di fare di quella donna, era risaputa la sua natura, se solo fosse stata un uomo, forse avrebbe ceduto ai suoi approcci, ma detestava quando si comportava in quel modo davanti a tutti. Così si divincolò bruscamente da quella presa e le afferrò la mano destra mettendogliela davanti. Ardinne non oppose resistenza e la lasciò fare, ritrovandosi a fissare il cerchio marchiato sul palmo della mano.
«Lo vedi questo?» domandò spazientita Tyana «Non ti sei accorta che ce l’ha anche lei?»
Ardinne strabuzzò gli occhi, «Questo significa…»
«Che lei è il quarto elemento.» la interruppe la ragazza dalla lunga treccia nera, mollandole la presa e recandosi alla porta.
Dopo qualche istante di silenzio, un mormorio di incredulità si udì nell’aria. La guerriera si guardò la mano, mentre la cameriera le porse un altro bicchiere non ordinato.
 
 
 
Kalisya si tolse lentamente la garza dal ginocchio e raccolse un po’ del sangue fresco che fuoriusciva da una ferita, poi si piegò sul pavimento e tracciò un segno, sibilando la parola: “AQUA”.
Volse lo sguardo verso la porta, sicura di non essere vista, unì le mani a mo’ di preghiera, esclamando ancora quella parola, infine poggiò con sicurezza la mano marchiata sulla scritta di sangue.
Un cerchio di luce segnato da simboli sconosciuti si estese sul pavimento e iniziò a girare. La ragazza chiuse gli occhi sollevata, mentre le ferite scomparivano a poco a poco.
«Sai, sei fortunata a trovarti qui» riecheggiò una voce alle sue spalle riportandola bruscamente alla realtà. Kalisya si volse di scatto, e la donna, che era entrata standosene appoggiata all’infisso con le braccia conserte, continuò: «Se avessi fatto una cosa del genere fuori dalla radura, a quest’ora staresti bruciando su un rogo» aggiunse indicando con gli occhi il cerchio che scompariva lentamente.
«Chi siete?» chiese Kalisya fissandola sottocchio, come a volersi ricordare di averla vista da qualche altra parte.
«Principessina, sono io che devo farti questa domanda, con l’aggiunta del perché ti trovavi in fin di vita all’entrata della Radura?»
La ragazza si guardò intorno sconcertata, «Io…» disse «Non lo so. Ricordo che ero prigioniera nel quartier generale dei cacciatori di streghe e poi, il buio totale.», volse lo sguardo verso la donna e le chiese se fosse stata lei a trovarla.
Ardinne annuì senza esitare.
«Non c’era nessuno con me?» domandò ancora Kalisya.
La donna scosse il capo, mentre la figlia dello stregone abbassava lo sguardo verso il marchio della sua mano senza accorgersi che anche Ardinne lo stava fissando. «Quello è il simbolo Aqua, vero?» chiese quest’ultima incuriosita.
Kalisya alzò di scatto la testa, guardando incredula la donna che con non curanza aveva alzato anche la sua mano mostrando lo stesso cerchio con un altro simbolo.
«No. Non è possibile» esclamò la ragazza «Quello è l’elemento del fuoco! Come fate ad avere questi marchi? Li ha creati mio padre, come fate ad averli anche voi?»
Ardinne cambiò repentinamente espressione e atteggiamento: incrociò le braccia al petto e si inoltrò nella stanza avvicinandosi alla finestra. «Posseggo questo cerchio alchemico da quando avevo tredici anni.» raccontò chiudendo gli occhi e rivedendosi fanciulla.
I suoi genitori erano medici di corte nel Regno del Nord. Servivano con fedeltà il Re, fino a quando i maghi vennero discriminati, perseguitati e uccisi sui roghi. Ricordò le spregevoli gesta del barone Vlad, lo rivide riverso su sua madre che gridava a squarciagola, rivide il corpo di suo padre appeso dal collo a una trave del soffitto e quel maledetto che si avvicinava a lei con quella malvagia espressione sul volto con la mano imbrattata del sangue di sua madre a stringerle il collo e quella voce abominevole che la intimava di tacere, mentre cercava di saziare quella voglia spregevole che non aveva saziato con la donna.
Ardinne strinse gli occhi per allontanare quell’inquietante ricordo, ma l’immagine di sua madre che la guardava con occhi sbarrati e senza vita era ritornata a invaderle la mente.
Non raccontò nulla di tutto ciò alla ragazza che aveva trovato, disse soltanto che Lord Alexiel le aveva fatto ereditare l’elemento Ignis per salvarla dalla morte.
Quando riaprì gli occhi, si accorse che la figlia dello stregone era trasalita, ripetendo incredula il nome dell’alchimista.
«Non sai chi è?» le chiese «È il signore della Radura!»
«Se lui è qui…» si disse la ragazza «Chi altri, oltre a voi e la ragazza dalla lunga treccia nera, ha il simbolo alchemico?» le chiese ansiosa.
«Stai parlando di Tyana?»
«Non conosco il suo nome. Vi prego di rispondermi.»
«Sirya. La guardiana. Lei ha il simbolo Terra.»
«Non c’è nessun altro?»
A quella domanda, Ardinne ebbe un sussulto e scosse la testa.
«L’alchimista d’oro?» chiese ancora Kalisya con voce speranzosa.
«Chi?» ribatté sconcertata la donna dal marchio di fuoco.
«È la persona che mi ha salvata e mi ha portata qui. Ha un marchio sul petto: il Macro e il Micro cosmo.»
«Ma di cosa stai parlando?»
Kalisya non rispose. Era furibonda e iniziò a camminare avanti e indietro per la stanza pensando sul da farsi. Doveva andarsene al più presto da lì, doveva incontrare quella persona e avvisarla del pericolo che correva. I cacciatori di streghe la stavano cercando e, anche se Kemar era morto nell’incendio, gli altri assassini non si sarebbero fermati.
Ma sapeva che da sola non avrebbe potuto far nulla, suo padre era morto e, ripensando a lui, ricordò dell’alchimista che aveva nominato quella donna dai modi di fare mascolini. A quel punto le chiese dove avesse potuto trovare Alexiel, e Ardinne rispose senza porsi domande. Solo quando la vide andarsene dalla stanza ritornò alla realtà e decise di seguirla.

 



 

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Capitolo 5
*** 5. ***


5.
 
Quella notizia sembrò vorticargli nella mente come un uragano. Malgrado Sirya gli stesse riferendo quello che Ardinne aveva raccontato alla taverna cotanta superbia, il suo unico pensiero, nonché preoccupazione, era rivolto alla minaccia fatta dal porporato.
L’intera Radura non era pronta per affrontare una nuova guerra, lui stesso aveva promesso al vecchio Maestro che avrebbero esercitato la loro “magia” solo per far del bene e non per nuocere a qualcuno.
Spazientito e col sudore che gl’imperlava la fronte, Alexiel interruppe la ragazza avvicinandosi alla porta del laboratorio, annunciando che si sarebbe recato da Ardinne per avere conferma di quello che aveva fatto.
Era risaputo l’odio che quella donna provava per il barone, l’alchimista stesso l’aveva salvata quell’orrenda notte, ed erano anni che si incolpava per non essere arrivato prima che l’atto spregevole fosse consumato. Ardinne era solita maledire quell’uomo prima della sua morte, e per un attimo Alexiel si chiese se non fosse stata proprio lei ad ucciderlo.
Scosse il capo lasciando Sirya incredula e, quando mise piede all’esterno della capanna, un trambusto lo riportò alla realtà
I suoi occhi vagarono alla rinfusa e per un attimo ebbe paura che i soldati di Balthazar avessero attaccato il villaggio, ma quelle grida, fortunatamente, provenivano da due persone che strattonavano una ragazza che fino a quel momento era sicuro di non aver mai visto in giro.
«Lasciatemi!» urlava questa, dimenandosi brutalmente.
«Chi diavolo sei?» ribatteva un uomo tarchiato stringendole il braccio «Come fai ad avere quel cerchio?»
«Sarà una spia?» chiedeva un’altra.
L’alchimista non perse altro tempo e, senza chiedersi il perché, si avvicinò al terzetto e intimò i due interlocutori di lasciare la sconosciuta. Dopo qualche istante, si avvicinò Ardinne ansimando per la corsa e cercando fra una pausa e l’altra di chiedere alla ragazza come facesse ad essere così veloce.
Kalisya, ormai calma, rimase a fissare a lungo l’uomo dalla lunga barba castana e dagli occhi verdi che pareva esser intervenuto in suo soccorso.
Anche quest’ultimo la osservava attentamente in quegli occhi così famigliari da ricordare la persona che era stata la rovina per tutti i Sid, e per esserne sicuro, abbassò lo sguardo verso la sua mano per constatare la presenza del cerchio alchemico.
«Sei la figlia di Cedrom?» chiese quasi con un filo di voce, dopo aver confermato i suoi dubbi.
Kalisya trasalì «Come fate a saperlo?» ribatté accennando qualche passo indietro, «Chi siete?»
L’alchimista sospirò, chiuse gli occhi per un secondo e dopo aver mandato giù il sapore acre della saliva, aggiunse «Sono Alexiel, il cugino di tuo padre.»
Kalisya scrollò le spalle e, come un fulmine a ciel sereno, le parole di quell’uomo le riportarono alla mente ricordi d’infanzia ancora vividi: il fuoco che lambiva il corpo della sua povera madre, la folla accerchiata intorno al falò mentre pregava e le urla di suo padre rivolte a quell’uomo barbuto dagli occhi tristi, ordinandogli di andare via da lì.
 
 

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