Ama e fa' ciò che vuoi

di James Harry
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La casa al mare ***
Capitolo 2: *** Dio, perché i bambini? ***
Capitolo 3: *** Sono già coinvolto! ***
Capitolo 4: *** Al Convento ***
Capitolo 5: *** Ti piacerebbe restare per pranzo? ***
Capitolo 6: *** L’amore, se è amore, riconduce all’Amore ***



Capitolo 1
*** La casa al mare ***



NOTA DELL'AUTORE: una storia seria, scaturita da una scemenza detta per ridere. Funziona così questa fanfiction, che nasce dalla scommessa di poter dimostrare che la ship tra suor Angela e il dottor Pietro poteva divenire realtà... ma funziona spesso così anche la mia amicizia con la persona cui dedico questo breve racconto: buon compleanno alla mia bff, con cui in genere parlo di cazzate ma che alla fin fine c'è sempre quando le cose si fanno serie! ;) 

 
  • “Angela…”
A parlare era stato un uomo, poteva avere tra i cinquanta e i sessant’anni. Camminava a passo sostenuto sulla spiaggia, verso una figura china.
Sentitasi chiamata, una donna si girò.
Il suo volto emerse dalla semioscurità. Un bel volto, benché segnato da qualche ruga. I lisci capelli scuri rigati di bianco erano mossi dal vento; gli occhi, celesti, riflettevano la luce del sole ormai calante.
  • “Lorenza”.
  • “Come?”
L’uomo sembrava perplesso, forse nervoso.
  • “Chiamami Lorenza, Pietro. Era il mio nome prima di diventare suora, no? Tanto comunque non mi chiami maiSUOR Angela, quindi per te fa anche poca differenza…” 
Disse, accompagnando l’ultima constatazione con un sorriso un po’amaro.
  • “Forse…” L’uomo, Pietro, sembrava soppesare le parole “Ma penso faccia la differenza per te. Sei certa che non sia precipitoso?”
  • “Non fanno così le donne divorziate, non cambiano il nome?”
  • “Sì, ma Angela… cioè, Lorenza… oh, insomma, come-accidenti-vuoi-chiamarti!” Sbottò l’uomo “Tu non sei una donna divorziata!” 
  • “Forse no… non ancora. Ed è proprio questo il punto, non trovi?”
L’uomo si lascia andare ad un grugnito d’assenso. 
Sì – pensò Pietro – era quello il punto.
Un paio di giorni prima, Angela gli aveva chiesto di incontrarsi. Era stato un incontro strano… più del solito, per intendersi. Si era abituato da tanti anni alle molte bizzarrie di quella religiosa atipica, cronicamente incapace di farsi i fatti suoi, o perlomeno eccessivamente desiderosa di farsi quelli degli altri. C’è differenza, tra questi due atteggiamenti? Forse… ma non era quello il momento di pensarci. 
Dunque, Angela… suor Angela… Con lei Pietro era abituato ad essere disturbato, non importava l’ora, per le domande più strane. ‘Devi aiutarmi a scoprire perché quella donna vuole abortire, magari è solo perché si sente sola e posso aiutarla’, oppure ‘Rivelami il reale stato di gravità della malattia di quella bambina, affinché io possa capire quanto sanno i suoi genitori e affiancarli’ e via dicendo.  In effetti, erano più ordini che domande. Amava definirli dei ‘tentativi di incastrarlo in faccende poco deontologicamente professionali’ … Ma, in fondo, già da tempo aveva capito che per quella donna erano atti di giustizia. Certo, aveva un confine tra giusto e sbagliato piuttosto relativo, regolato non tanto dalla legge degli uomini quanto da quella della sua palpitante coscienza… Anche se lei avrebbe detto ‘dalla legge di Dio, Pietro, non solo dalla mia coscienza!’, e tra loro due sarebbe sorto uno dei tanti litigoni. Di quelli che terminavano a volte con loro che prendevano un bicchiere di vino e sempre con lui che finiva per accontentarla. 
Dio… a quanto pareva, Angela - o Lorenza - per la prima volta adesso sembrava aver perso la sua fede granitica in quell’entità. Poco male: lui, a Dio, aveva rinunciato già da un pezzo. 
Eppure… 
 
  • “Ascolta, Angela…” cominciò.
  • “Lorenza!”
  • “Lorenza, allora, d’accordo. Ascolta… posso capire il fatto di volerti prendere del tempo per te, per riflettere sulla tua, come la chiamate, vocazione? Ma perché… perché il bambino?”
Era quello il vero problema urgente, naturalmente. Lorenza non si era accontentata di lasciare il convento di nascosto e andare a nascondersi a casa sua… aveva portato con sé un bimbo! Non suo, per giunta (e ci mancherebbe!). Ciò faceva di lei una sequestratrice di minorenne, e di lui… un complice? Sì, senza dubbio, erano nella sua casa al mare, suoi ospiti: lui era un complice. O perlomeno, così sarebbe parso agli occhi della polizia, se fossero stati ricercati…
Lorenza si voltò alla sua sinistra. Lì, tutto impegnato a fare potacci con la sabbia bagnata, c’era il bambino. 
  • “Si chiama Mattia”.
Pietro avrebbe voluto risponderle: ‘poco importa come si chiama, dal momento che mi farà finire in galera!’, ma si trattenne. Mantenne il silenzio, per tenere il punto. 
Dopo un po’, lei tornò a parlare.
  • “… non potevo lasciarlo, ecco”.
  • “Ma perché? Perché?!” Proprio non riusciva a capire, e sentì la frustrazione fargli perdere il tono calmo della voce “Era con suo padre, e tu…”
  • “Un padre che era pronto a liberarsene! Un padre pronto a mandarlo in uno squallido orfanatrofio, per paura ed egoismo! Non è un padre, un uomo del genere”. Si scaldò subito la donna.
  • “Ok… ammettiamo che lui non fosse un buon padre. La madre?”
  • “Te l’ho già detto, l’ha abbandonato in convento alcuni mesi fa. Non si è più vista, né più si vedrà”. 
Pietro non si diede per vinto. 
  • “D’accordo, forse non ha genitori e sarebbe stato mandato orfanatrofio… anzi, in una comunità per minori: non esistono più gli orfanatrofi, dalla legge che li ha aboliti nel…”
  • “Le leggi si preoccupano di cambiare il nome ma non la sostanza!” Lo interruppe Lorenza, aggressiva. 
  • “D’accordo, va bene, ammettiamo che come destinazione non fosse il massimo. Ma lì poi magari sarebbe stato adottato da una famiglia, non è detto che vi sarebbe rimasto…”
  • “È qui che ti sbagli! Mattia potrebbe avere una grave malattia congenita, lo sai bene, te ne ho già parlato…”
  • “E io ti ho già rassicurato sul fatto che è scientificamente molto improbabile che tale malattia si ripresenti in una forma tanto aggressiva come fece nel caso di suo…”
  • “Lo so, Pietro, lo so!” Lo interruppe lei “Ma chi adotterebbe un bimbo che potenzialmente potrebbe morire dopo pochi anni? Nessuno! Ecco perché l’ho preso, perché io questo bambino ormai l’amo come se fosse mio e non lo lascerò in mano a sconosciuti”.
Capiva il ragionamento della donna, tuttavia… 
  • “Capisco cosa intendi, Ang… Lorenza. Però devi imparare una buona volta che non può decidere il tuo Dio che cosa è giusto e che cosa è…”
  • “Io. Ho deciso io cosa fosse giusto, non Dio. Dio non s’è fatto sentire, manco per sbaglio”.
  • “D’accordo… d’accordo!” Ripeté Pietro, stanco per le interruzioni. “Il punto è che questo si chiama sequestro di minore, e se non ti hanno ancora denunciata alla polizia è solo perché…”
  • “Suor Costanza spera che io mi ravveda. Ha sempre visto il mio lato migliore, povera donna”. Rifletté Lorenza. 
  • “Ecco, forse faresti bene a cogliere l’opportunità che lei ti sta dando, non trovi? Prima che sia tardi”.
  • “Forse”, concesse lei, prima di tornare a guardare il bimbo.
Pietro alzò lo sguardo: ormai il tramonto stava per cedere alla sera. L’aria si era fatta fredda. Si era cacciato proprio in un bel guaio. Perché, poi?
  • “Intanto… che ne dici di cenare?”
  • “Mi sembra un’ottima idea, se cucini tu!” Gli rispose la donna, lasciandosi andare al primo vero sorriso dall’inizio della discussione. Un sorriso capace di estendersi agli occhi, fino a prima sempre tristi.
Forse, Pietro sapeva il perché. 

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Capitolo 2
*** Dio, perché i bambini? ***


Era sera. Erano già tre giorni che si nascondevano nella sua casa al mare. Lorenza – ormai non gli veniva neanche più troppo difficile chiamarla così – aveva ricevuto qualche chiamata dal Convento, ma non aveva mai risposto. Ancora nessun carabiniere si era affacciato alla loro porta. 
Al momento, mentre lei metteva a letto il bambino, lui stava lavando i piatti. Alle sue spalle, nel salottino collegato alla cucina, la televisione andava su Rai 1.
  • “A volte vorrei che la mia vita avesse la prevedibilità di una serie Tv”. 
Non si era accorto che Lorenza era tornata in salotto. Si voltò verso di lei, e vide che stava guardando lo schermo, dove andava una vecchia replica di don Matteo. 
  • “Dici davvero? Una come te, che fa sempre quello che vuole, non si sentirebbe in gabbia, in una serie TV in cui sia sempre tutto prevedibile?”
Lei gli rivolse un mezzo sorriso.
  • “Forse hai ragione, Pietro… però, eddai, guarda don Matteo: lui fa sempre la cosa giusta! Alla fine dell’episodio è sempre riuscito a risolvere il mistero, convertire il peccatore e… Beh, a volte alcuni miei studenti capitava che mi dicessero che gli assomigliavo. Suor Costanza, a volte, mi rimproverava dicendomi di smettere di fare ‘la don Matteo di turno’, ed io ne ero sempre contenta! Solo che don Matteo non ha mai fallito come sto fallendo io ora…”
  • “Beh, certo, finché prendi come esempio di prete investigatore quello di una serie della Rai, l’esito tende ad essere piuttosto scontato e ripetitivo. Ma nella letteratura ci sono anche esempi più sofisticati di Terence Hill… come padre Brown, di Chesterton” La interruppe Pietro. 
  •  “O frate Guglielmo da Baskerville, di Eco!” stette al gioco lei. 
  • “Ah ah, ecco, ecco! Guglielmo da Baskerville, ad esempio, alla fine fallisce clamorosamente: la biblioteca è distrutta.”
  • “Già, beh, però non è sua la colpa. Non è lui a rubare il secondo libro della Poetica e non perde la fede in Dio a causa dei suoi fallimenti”. Commentò amara lei. 
Pietro, che nel frattempo aveva finito di asciugarsi le mani dopo aver lavato i piatti, non rispose. Fece invece qualche passò verso un certo armadio: è dove teneva le scorte dei superalcolici. Vodka, amaro, whisky, gin… Un gin? Troppo forte per una suora, forse… Beh, ma non era più una suora, no? Gin, dunque! Prese anche due bicchierini. Lei lo guardava curiosa. 
  • “Ho capito che qui i discorsi si fanno seri, e quindi ci vuole dell’alcool”. Si spiegò Pietro, andandosi a sedere sul divano e facendole cenno di raggiungerlo.
  • “La sua è una prescrizione medica, dottor Santoro?” scherzò lei, sedendosi al suo fianco.
  • “Precisamente. Ti ho capita, sai, tu vuoi costringermi a parlare di fede, Dio, vocazione e altre stramberie del genere… ebbene, se sragionare dobbiamo, è meglio sragionare bevendo: almeno non si ha l’aggravante di essere totalmente sobri!”
  • “Ahah, molto simpatico, Pietro, proprio simpatico! E comunque, non ho mai detto di volerti costringere a parlare di…”
  • “Ma no, ma no – interruppe lui, lieto di averla fatta inviperire – non mi costringi affatto, dicevo per dire. Avanti, parliamone.”
  • “Di cosa?”
  • “Ma di questo tuo problema di fede, no? Sinceramente, Lorenza, non sono certo di averti capita veramente. Quindi ora beviti il tuo gin e… spiegami con calma”. 
Lei lo guardò un po’ sorpresa. Quindi, distolto lo sguardo, cominciò a parlare: 
  • “È capitato molte volte, nel corso degli anni, che Dio non esaudisse le mie preghiere. A volte erano scemenze - del tipo ‘ti prego fa che suor Costanza non si accorga che sono in ritardo alle Lodi”, lei ovviamente se ne accorgeva, ma non è che me la prendevo con Dio per il fatto che io sono pigra e lei fin troppo sveglia per la sua età… Altre volte erano anche cose serie, quando ad esempio pregavo per persone in difficoltà o per le mie ragazze o altro. Anche qui, non sempre ero esaudita. A volte le cose andavano male, ed ero triste. A volte ero perfino arrabbiata, con il Signore. Eppure ho sempre saputo che il nostro Dio non è una Juke-Box in cui inserisci la monetina, clicchi la canzone che vuoi e questa parte. ‘Il Signore opera in modi imperscrutabili’, ‘Dio scrive dritto anche su righe storte’… mi consolavo con queste frasi, pensando dentro di me che alla fine l’amore avrebbe vinto. Magari non subito, magari non nel modo in cui avevo sperato, ma l’amore vince sempre… no?”
Un sorriso amareggiato comparve nel suo volto. 
“Ovviamente, non sono così ingenua da non aver sempre saputo che alle volte il bene non trionfa in questo mondo. Alle volte non c’è un lieto fine, a volte a vincere pare essere la morte. Ma la speranza cristiana è anche questo: ‘spes contra spem’, sperare al di là di ogni speranza. La mia fede negli anni è stata messa alla prova, però avevo imparato che si crede anche nella croce, anche nel mistero, anche nonostante l’assurdo, anche nel fallimento. La mia fede era più forte dei dubbi, più resiliente delle prove…” 
Pietro non riuscì a fare a meno di interromperla:
  • “Ma allora… non capisco! Che cosa ti ha tanto sconvolta da scuotere una fede del genere?”
Lei non rispose subito. Poi…
  • “Non saprei dirti di preciso. Forse è stato più un insieme di cose. Credo che tutto sia cominciato con l’incidente che ha portato via la vita a Guido e a Davide, la famiglia che Azzurra era riuscita a creare e che, credevo, il Signore le aveva donato. Gli incidenti capitano, ovviamente sono sempre una tragedia, e però non sono colpa di Dio. Il male non è colpa di Dio... Benché non sia neanche sempre colpa dell’uomo, però, non credi? Guido ha avuto un piccolo malore, doveva essere stanco per il troppo lavoro, e la macchina ha sbandato. Come faccio a dare la colpa a Guido? Eppure non è colpa neanche di Dio! O forse lo è di entrambi? Guido poteva lavorare meno e Dio poteva fargli venire quel piccolo malore in un momento in cui non stava guidando? Non saprei. Ad ogni modo… perché toglierli ad Azzurra, subito dopo averglieli donati?”
Lorenza parlava e parlava, e Pietro era rapito. 
  • “Mi rispondevo che è pur sempre ‘meglio aver amato e perso, che non aver amato mai’. E tuttavia… a qualcosa non sapevo proprio rispondere. Perché Davide? Un bambino, Pietro… un bambino! Che colpa hanno i bambini? L’ho chiesto al mio Gesù. Gliel’ho chiesto così tante volte, nei giorni che seguirono l’incidente. Gli ho detto: ‘Signore, perché?’ E poi: ‘Signore, cosa posso dire ad Azzurra? Come posso sostenerla nel suo dolore, se anche io sono lacerata da esso? Cristo sostienimi. Dio, dammi la forza, perché io non ne ho più’. Lui non rispondeva”.
Guardò Pietro con un mezzo sorriso. 
“Ora… Non prendermi per scema! Lo so che non si può parlare col crocifisso come ci parlava don Camillo, a tu per tu! Lo so che non poteva rispondermi in maniera diretta…”
  • “Ah non saprei” le fece Pietro, strizzandole l’occhio “se c’è qualcuno da cui sarei pronto ad aspettarmelo, quella saresti tu: quando ti impunti sei una tale lagna che…”
  • “Ah ah, proprio simpatico”
 Ribatté lei, divertita, prima di tornare seria e riprendere il discorso.
“Quella volta… Sperimentai il silenzio di Dio, Pietro. È una cosa che speravo di non dover affrontare, nel corso della mia vita, eppure ero pronta. Lo sai che si dice che persino santa madre Teresa non riuscì più a sentire Dio, da un certo punto della sua vita in poi? Eppure continuò, instancabile, a servirlo nel povero, nel lebbroso, nel moribondo. Mi dicevo che potevo farcela pure io, anche nel silenzio di Dio, anche senza Dio. E così ho cercato di fare, per un po’ forse riuscendoci. Ho stretto i denti e tirato avanti. Sono stata vicina ad Azzurra nel suo dolore, caricandomi anche della sua croce, benché non sapessi sostenere nemmeno la mia. È stata dura. In questi mesi mi sono spesso sentita affaticata. La minima cosa mi sembrava insormontabile. Dal lavare i piatti allo svegliarmi per le lodi, passando per l’andare all’ospedale e fare il catechismo. Mi sentivo sempre così stanca, e così sola, come se Lui mi avesse lasciata. ‘Signore, ci sei? Dove sei? Perché mi hai abbandonato?’ Nessuna risposta”.
Lorenza si fermò. Cercò di bere un altro sorso di gin, ma il bicchiere era ormai vuoto. 
Pietro riaprì svelto la bottiglia, versando altro gin a entrambi. Lei mormorò un “grazie”, poi riprese a parlare. 
“E poi c’è stato il caso della bambina con il cancro. È stata così dura starle vicino, in questi mesi. Così dura! Quando finalmente si è trovato un donatore, ho creduto che fosse la risposta di Dio che stavo tanto aspettando: ‘Allora ci sei, Signore! Ero io che non riuscivo a vederti, ma tu c’eri, stavi solo aspettando il momento opportuno per rivelarti!’. Così pensai… Ma ero una stupida, ed un’illusa. Ero così contenta di aver potuto trovare una risposta semplice ed immediata al mio problema, che non ero minimamente preparata a ciò che accadde dopo…”
 
La voce di Lorenza si spezzò. Ma non occorreva parlare: Pietro sapeva a cosa si riferiva. A quella terribile mattina di alcuni giorni prima, in cui lei aveva scoperto ciò che lui già sapeva, ovviamente: la donazione non era un dono della Provvidenza… ma l’ultimo lascito di un altro bambino, morto sotto una macchina. Ricordava di aver eseguito il trapianto lui stesso, con un enorme sforzo di volontà per restare concentrato e non piangere. Ma per Angela, Lorenza, quella scoperta era stata drammatica. Gli si era lanciata contro, disperata, gridando ‘Non avevo pregato per questo! Non Ti avevo chiesto questo!’, rivolgendosi al suo Dio, ma piangendo sulla sua spalla. 
 
Lei riprese a parlare. 
“Ormai ero spezzata, Pietro. Ho tirato avanti qualche altro giorno per pura inerzia, saltando le lodi, cercando di dire a me stessa che la mia verso Dio era rabbia, mentre invece era ormai più che altro disperazione. E poi… sai come dice il detto? ‘Piove sempre sul bagnato’. Beh, nei giorni scorsi, molte altre cose hanno cominciato ad andar male. Ginevra mi ha accusato di non averla seguita come direttrice spirituale, suor Costanza mi stava addosso per l’ufficio delle ore che saltavo… avevano ragione entrambe, naturalmente, ma non ci potevo fare niente… e poi Nico ha scoperto che io lo avevo ingannato sulla madre di Mattia. L’avevo fatto per il suo bene, speravo Nico potesse imparare ad amare il bimbo. Ma non si ama come i cani di Pavlov, per abitudine coercitiva! Nico ha paura di amare Mattia, e la paura è la tomba dell’amore, il suo opposto, la sua negazione. Mi ha accusata di aver cercato di scegliere per lui. Forse aveva ragione. Poi mi ha detto che avrebbe portato il bimbo in una comunità”. 
Lorenza fece una pausa, quindi guardò Pietro dritto negli occhi: 
“Per me, fu la goccia che fece traboccare il vaso. Non sapevo più molte delle cose che credevo di sapere, su Dio, su di me, sulle mie scelte, la mia vocazione… Ma una cosa, un’ultima cosa, la sapevo ancora: non avrei lasciato che fosse Mattia a portare la croce. Non sarebbe cresciuto infelice, solo perché suo padre era un vigliacco egoista, io troppo debole per convincerlo ad assumersi le sue responsabilità e Dio troppo occupato a non occuparsi di noi per aiutarmi nel ristabilire la giustizia infranta. No, almeno Mattia non avrebbe sofferto. Lo dovevo a lui, lo dovevo a quel bimbo morto per donare un organo all’altra ragazzina, lo dovevo a Davide. Mattia è un bambino, Pietro, non merita di crescere senza amore solo perché gli adulti e questo mondo crudele non glielo vogliono dare. Non fintantoché io potevo oppormi. Non fintantoché io posso oppormi!” 
Le ultime parole le disse con forza, con rabbia. 
Pietro la guardò, poi distolse lo sguardo e disse: 
  • “Lo sai, chi mi ricordi?”
Lorenza gli rivolse uno sguardo indagatore.
 “Mi ricordi uno dei miei personaggi preferiti della letteratura russa. Hai mai letto I Fratelli Karamazov?”
Parve spiazzata. 
  • “Di Dostoevskij?”
  • “Precisamente”.
  • “A dirti la verità, no. Ho letto Anna Karenina però, quando ero alle superiori: non mi ricordo granché, solo che ho pianto come una fontana per il suo suicidio. Non so se potrò mai perdonare il conte Vronsky per averla sedotta e poi fatta sentire abbandonata, da bravo uomo egocentrico e inaffidabile…”
  • “Via, via, non è il momento adatto per una tirata femminista!” scherzò Pietro. 
  • “Èsempreil momento adatto per una tirata femminista!” rispose lei, ridendo.
  • “Te lo concedo, ma comunque… io parlavo di Ivan. Ivan Karamazov. A un certo punto, lui e suo fratello minore Aleksej hanno una discussione. Ivan è un nichilista, un intellettuale ateo. Aleksei è un giovane novizio, pronto a diventare monaco ortodosso. I due si misurano su Dio. E Ivan, in una delle pagine più drammatiche che io abbia mai letto, dice qualcosa di non molto diverso da te, Lorenza (http://www.filosofico.net/Antologia_file/AntologiaD/Dostoevskij_02.htm)”.
Lei lo guardò, stringendo gli occhi. 
  • “E tu, Pietro, tu cosa pensi?”
Lui ricambiò lo sguardo. Bevve un altro sorso di gin. Poi rispose. 
  • “Io… ho perso la fede insieme alla mia dignità, quando non riuscii a curare un bambino dal cancro, benché ne fossi io il medico curante”.
  • “Ma non era colpa tua! Sono certa che devi aver fatto tutto il possibile per salvarlo…”
  • “Oh no, Angela. Fu colpa mia”.
  • “Fatico a crederci. Sei sempre così scrupoloso, nel tuo lavoro! Eppure, anche se fosse… perché perdere anche la fede?”. 
Lui si prese qualche secondo, prima di rispondere. Non parlava mai di questo argomento, con nessuno, da quando la sua ex moglie lo aveva lasciato. Eppure… eppure Lorenza con lui si era aperta tanto. Era lì, lo guardava, sinceramente interessata alla sua vita. E lui… lui si sentì di potersi fidare di lei. Forse, per una volta, per la prima volta, aveva trovato qualcuno con cui poter condividere, almeno per un po’, il suo fardello più grande? 
  • “Perché, benché la colpa fosse mia ed interamente mia, nessun Dio d’amore avrebbe mai potuto lasciare che accadesse quanto accadde allora. Vedi… quel bambino, di cui io non mi accorsi del tumore in stato avanzato se non quando era ormai troppo tardi perché le cure avessero effetto… Quel bambino… era mio figlio”.
La voce gli tremava, ma non una lacrima scese sulla sua guancia. Da quanti anni aveva disimparato a piangere? Si voltò verso Lorenza. Lei lo stava guardando con uno sguardo ardente. Lacrime silenziose ne rigavano il volto. Poi, fece qualcosa che Pietro non si aspettava. Deposto il bicchiere, gli posò la testa sulla spalla, i lunghi capelli lisci, ormai da giorni liberati dal solito velo, sciolti. 
Quella notte, si addormentarono così: vicini. 

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Capitolo 3
*** Sono già coinvolto! ***


Il mattino seguente, Pietro si svegliò con calma. La sera prima lui e Lorenza si erano addormentati sul divano, con lei con la testa sulla sua spalla… ma poi, a notte inoltrata, lui si era svegliato e l’aveva adagiata per bene sul divano, facendo attenzione a non svegliarla e a metterle una copertina per il fresco notturno. Poi, dopo un ultimo sguardo alla donna, si era ritirato nella sua camera. 
Quella mattina, si era preso il suo tempo per dormire. E per riflettere. La conversazione con Lorenza non lo aveva davvero stupito: sapeva, in cuor suo, che lei doveva aver avuto un motivo più che valido per fare ciò che aveva fatto. Piuttosto, era preoccupato per le conseguenze… e, soprattutto, ora che era di nuovo giorno e di nuovo pienamente sobrio, non si capacitava di come luiavesse potuto rivelarle il grande segreto, la grande vergogna, del suo passato. Le aveva parlato di suo figlio, e di certo lei doveva aver capito che quindi lui aveva avuto anche una moglie, o comunque una donna… Non aveva paura del giudizio di Lorenza, ciò che più temeva, che più lo disturbava, era la facilità con cui gli era riuscito di parlare di un tale argomento con lei. Non ne aveva mai parlato con nessun altro, di sua spontanea volontà. 
Lanciò uno sguardo all’orologio-sveglia sul comodino: erano già le 10.00. La casa sembrava silenziosa, forse Lorenza aveva già portato il piccolo Mattia al mare. Infilò le pantofole ed una vestaglia e si diresse verso il salotto e la cucina.  
Come previsto, non c’era traccia dei suoi due ospiti. 
Cominciò a prepararsi il caffè… stava giusto cercando la moca, quando lo sguardo gli cadde su un biglietto scritto a mano. 
 
Caro Pietro, 
sto riportando Mattia in convento

 
Il cuore gli mancò un colpo. Lasciò cadere la moca, e prese in mano il biglietto.
 
Caro Pietro, 
sto riportando Mattia in convento da suo padre. Ho deciso che non posso più fuggire dalla realtà. 
Grazie per avermi tanto aiutata, ma l’altro giorno sulla spiaggia avevi ragione: non posso restare qui e rischiare che questo coinvolga anche te.
Lorenza

 
Era andata… era tornata al convento?! Senza riflettere, si catapultò in camera, prese il telefono e la chiamò. 
Segreteria telefonica. Ovviamente. 
Che fare? Rilesse il biglietto. Non parlava di cosa avrebbe fatto, dopo aver riportato il bambino! Tornava a fare la suora? Tornava da lui? Perché non gli aveva parlato di questa sua intenzione, invece di prendere decisioni affrettate e soprattutto non condivise?!
 
Non posso restare qui e rischiare che questo coinvolga anche te… beh, poteva pensarci prima! Ormai lui era convolto. Coinvolto!
Furioso, prese la giacca, le chiavi della macchina (per fortuna Lorenza se ne doveva essere andata in taxi, perché le chiavi erano al loro posto) e uscì di casa. Sarebbe andato a prenderla in convento, se necessario, perché non se la sarebbe cavata così. Non dopo averlo coinvolto.

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Capitolo 4
*** Al Convento ***


Dopo aver parcheggiato alla bell’e meglio davanti al Convento degli Angeli, Pietro si precipitò a suonare al campanello. Qualche secondo d’attesa, poi aprì una bellissima ragazza sui trent’anni. Era alta, magra, capelli neri lisci portati lunghi, vestiti firmati. Difficilmente avrebbe potuto immaginare una donna più eccentrica, in un convento per suore. Doveva essere Azzurra, Lorenza gli aveva parlato spesso di lei. 
  • “Oh, suor Angela aveva detto che forse lei sarebbe arrivato! Entri entri, signor dottore, faccia attenzione allo scalino… anzi, posso darle del tu, vero? Io sono Azzurra, comunque, Azzurra Leonardi! Di certo suor Angela ti avrà parlato di me!
Aveva detto tutto senza mai prendere fiato e Pietro accennò un sì con la testa, mentre la seguiva. 
  • “Possiamo aspettare suor Angela qui in chiostro. In questo momento sta parlando con suor Costanza nella cappella, sai, ha già riportato Mattia a Nico… che spavento che abbiamo avuto in questi giorni, pensa che io ero a New York prima e… 
Ma non ci fu il tempo per sentirsi raccontare cos’era accaduto a New York, perché in quel momento due donne, una delle due con il velo, uscirono da quella che doveva essere la cappella. Azzurra balzò in piedi scuotendo i capelli e puntò dritto su di loro. Pietro si affrettò a seguirla. 
Appena lo vide arrivare, lei fece un mezzo sorriso: 
  • “Ecco, lo sapevo che saresti venuto! Ti avevo detto di non preoccuparti…”
Pietro sbuffò sonoramente. Dopo aver salutato con lo sguardo suor Costanza, che sembrava provata, si rivolse a Lorenza: 
  • “A quanto pare questa cosa dell’andartene da un posto all’altro senza lasciare spiegazioni sta diventando un’abitudine”.
Lei ricambiò il suo sguardo, ferita. 
  • “Io… ti avevo lasciato un biglietto. E comunque…”
Fu interrotta da suor Costanza: 
  • “Adesso stava per tornare da te”. 
Pietro la guardò sorpreso. E non fu il solo. Azzurra intervenne basita, rivolgendosi a Lorenza:

     -  “Come sta per tornare da lui?! Non resta qui al convento, suor Angela?!” 

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Capitolo 5
*** Ti piacerebbe restare per pranzo? ***


Il viaggio di ritorno in macchina verso la casa al mare fu piuttosto atipico. Di solito tra loro c’erano grandi litigate, Lorenza che non era capace di starsene tranquilla un secondo… stavolta, invece, tra loro aleggiava un silenzio colmo di cose non dette. Perché stava tornando con lui alla casa al mare? Certo, aveva lasciato lì tutte le sue cose, i bagagli… era solo per quello? Peraltro, quel giorno era domenica e prima aveva preso un paio di giorni di ferie… ma il giorno successivo avrebbe dovuto tornare a lavorare per forza. 
Svoltarono l’angolo e comparve il cancello della sua casa. Mentre parcheggiava, si rivolse infine alla donna, senza guardarla: 
  • “Hai… hai intenzione di restare per pranzo?”
Lei lo guardò, con un sorriso un po’ esasperato: 
  • “Mi fa piacere che tu abbia deciso di tornare a parlarmi!”
Pietro non rispose, al che lei continuò: 
“No perché ad andare col taxi c’era più conversazione…”
All’ennesima provocazione, scattò: 
  • “Scusa sai, se non ho voglia di parlare del tempo! Sei solo scomparsa nel bel mezzo della notte per tornare al convento che dicevi di voler abbandonare, senza dirmi nulla, senza…”
Avrebbe continuato a gettarle addosso tutta la sua frustrazione, ma lei lo interruppe: 
  • “A dire la verità, ti avevo detto dove andavo e perché…”
Pietro era pronto a rispondere in maniera piuttosto sgarbata, ma lei non gli lasciò il tempo di interromperla
  • “D’accordo, d’accordo, ti chiedo scusa per non averti parlato di persona del perché me ne sono andata. Va bene?”
  • “No, non va bene! Mi devi una spiegazione. Non volevi salvare il bambino? Non volevi smettere di essere suora?”
  • “E lo voglio ancora! Ma sei stato proprio tu a farmi ragionare. Questa notte ci ho pensato e, a un certo punto, sono anche riuscita a tornare a pregare e…  
  • “Oh bene, allora se sei riuscita a pregare adesso è tutto chiaro e puoi tornare a metterti il velo e a fare la suora? Spero tu ti sia trovata bene all’hotel in questi giorni, non preoccuparti per me”.
  • “Ma sei scemo?! Ti sembra che io avrei mai potuto considerarti solo come un hotel?!”
  • “Ah non so, Lorenza… o adesso devo di nuovo chiamarti di nuovo suor Angela?!” 
Capì subito di essersi spinto troppo in là, e infatti lei alzò le sopracciglia e rispose con tono molto più calmo e freddo di prima: 
  • “Ti stai coprendo di ridicolo, Pietro”.
Lui non rispose subito, ma andò ad aprire la porta di casa. Poi si voltò verso di lei: 
  • “Puoi… potresti dirmi almeno se ti fermi a pranzo o se invece vuoi che ti riporti subito al convento?”
Lei lo guardò con uno sguardo strano. Intenerito?

     -   “Mi fermo, Pietro, mi fermo”. 

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Capitolo 6
*** L’amore, se è amore, riconduce all’Amore ***


NOTA DELL'AUTORE: ed eccoci alla fine di questa breve fanfiction, spero sia piaciuta. Da parte mia, è stato divertente scriverla per farmi due risate con un'amica... e però anche un bel modo per riflettere sul fatto che a volte l'amore può trasformarsi e ciononostante (o forse proprio per questo) sopravvivere: le cose non sono sempre bianche o nere. 



Era stato un pranzo piuttosto sobrio (una pasta) e silenzioso, almeno all’inizio. Poi, forse per riempirlo, Lorenza aveva acceso la TV sul telegiornale e quindi avevano passato alcuni momenti gradevoli a sparlare della Brexit prima e di Salvini dopo. Pietro stava lavando i piatti, quando lei ruppe il silenzio: 
  • “Dicevo sul serio, prima… mi dispiace di essermene andata via senza darti grandi spiegazioni”.
Pietro alzò le spalle, e lei continuò: 
“Il fatto è che la nostra conversazione di ieri mi ha aiutato molto a schiarirmi le idee e così volevo fare ciò che andava fatto e parlare con suor Costanza, prima di… prima di affrontarti, diciamo”. 

Lui la ascoltava, sempre chino sulle stoviglie, e rispose con un grugnito. Così lei riprese.

“Ho riportato Mattia a suo padre, chiedendo perdono e ringraziando per il fatto che non mi avesse denunciata alla polizia. Nico è un bravo ragazzo, benché un padre codardo, e mi ha perdonata. Porterà comunque il bambino in comunità d’accoglienza e a quel punto io…”

Esitò, poi aggiunse, con decisione:

“…Io sarò pronta, per domandarne l’affido”.

Per poco a Pietro non cadde un bicchiere per la sorpresa: 
  • “Tu cosa?!”
  • “Chiederò l’affido del minore, vorrei poter diventare sua mamma. Lo so, non sono più giovanissima e non sono sposata… ma lui già mi riconosce, e Nico ha assicurato di mettere una buona parola e…”
  • “Ma potrai farlo? Cioè, come suore ovviamente potreste forse adottarlo come comunità, benché non penso sia il massimo, ma non credo tu possa diventarne propriamente la ‘madre’, cioè…”
Lei lo guardò in silenzio per un attimo, poi spiegò: 
  • “Per allora, non sarò più suora. Potrò essere solo… sua madre, Lorenza”.
I piatti giacevano nel lavabo ancora mezzi da lavare, ormai abbandonati: Pietro era andato nuovamente verso la credenza degli alcolici. Stavolta ci voleva un Whisky. Sedette nella poltrona di fronte al divano dove si era seduta lei e versò un bicchierino ad entrambi. Solo dopo il primo sorso, abbondante, si azzardò a tornare a guardarla e a risponderle. 
  • “Naturalmente, se pensi che sia la cosa giusta, non posso che appoggiarti. Penso che potresti essere un’ottima madre… d’altronde, lo sei stata in questi giorni, con Mattia! Lui è un bambino speciale, spero davvero che tutto vada come vorresti…”
Lei gli rivolse un sorriso timido e accennò ad un grazie, borbottando un “anche tu te la sei cavata bene, con lui”. Pietro ne fu lusingato, ormai si era piuttosto affezionato al bimbo, ma preferì domandare altro:

“C’è solo una cosa che ancora non capisco… non hai detto di essere tornata a pregare, ieri? Perché dunque abbandonare la tua vocazione?”
  • “Ma è proprio qui che entri in gioco tu, Pietro!”
Il suo cuore perse un colpo. Guardò la donna, che gli sorrideva divertita, consapevole di averlo spiazzato.
  • “In… in che senso, c’entro io?” Chiese.
  • “Ho ragionato molto su quel libro che mi hai citato l’altra sera, i Fratelli Karamazov. Lo so che non è la stessa cosa che leggerselo, ma su Wikipedia ne ho trovato il riassunto. Mi ha molto colpito il finale. Vedi… il minore dei fratelli, quello seminarista, alla fine non diventa monaco”.
Pietro, che si ricordava bene la fine e non capiva cosa c’entrasse col discorso di prima, la interruppe:
  • “No, trova l’amore, lascia la sua chiesa e Dio…”
Lei lo interruppe a sua volta:
  • “Ti sbagli! Lui non lascia la sua chiesa, né lascia Dio. Continua ad essere credente, ad amare Dio, e tuttavia si innamora anche di una donna”.
Fece una pausa, quasi ad invocare la forza per andare fino in fondo. Poi riprese: 

“Io sono stata una suora felice. Davvero. Tuttavia, in mezzo a tante peripezie, in un momento in cui non sentivo più la presenza di Dio, ho finito per innamorarmi di un amore terreno. All’inizio lo credevo alternativo a quello per il Signore, pensavo fosse l’ennesima cosa che mi allontanava da Lui. Ora non la penso più così… Ora penso che l’amore, se è amore, ci riconduce all’Amore: amo ancora il Signore, Pietro, ma adesso anche attraverso il volto speciale di un bambino, di Mattia, e… forse non solo il suo”.

Pietro alzò lo sguardo: Lorenza lo guardava.
 
          THE END




NB alcune letture che spiegano il titolo della storia e ne sostengono l'impianto filosofico/teologico: 
https://www.augustinus.it/italiano/discorsi/discorso_576_testo.htm
https://www.augustinus.it/italiano/commento_lsg/omelia_07.htm
http://www.filosofico.net/Antologia_file/AntologiaD/Dostoevskij_02.htm

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