Les amis de la Saint-Denis - Libro secondo - So dark, so dark and deep is the secret that you keep.

di Christine Enjolras
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rosso e Nero - Cosette ***
Capitolo 2: *** Marius ***



Capitolo 1
*** Rosso e Nero - Cosette ***


ROSSO E NERO


Cosette
“Siamo a casa, papà!” disse Cosette aprendo la porta d’ingresso. Mentre riponeva sull’attaccapanni la giacchetta in felpa bianca e la borsetta in tela floreale che suo padre le aveva comprato qualche giorno prima per farle una sorpresa, la ragazza si fermò un attimo a guardarsi nello specchio immediatamente di fianco: i suoi capelli biondi avevano bisogno di un leggero colpo di piastra, visto che stavano già tornando dritti e piatti come al solito, e il leggerissimo trucco che si metteva sempre era praticamente scomparso. Nel vedere la sua immagine nello specchio, però, la ragazza dai grandi occhi verdi non poté far a meno di sorridere: nonostante il suo aspetto non fosse al meglio, quel ragazzo l’aveva notata, le aveva sorriso, sembrava pronto ad alzarsi per parlare con lei. Cosette non aveva mai sentito su di sé uno sguardo del genere e la cosa le riempiva il cuore di una gioia strana, una sensazione che non aveva mai provato. Mentre saliva la rampa di bianchissime scale che collegava l’ingresso al salotto, continuava a pensare alla dolcezza del buffo volto di quel ragazzo così carino. I suoi occhi verdi l’avevano del tutto folgorata. Ma chi era quel ragazzo? Da dove veniva? L’avrebbe rivisto? E cosa avrebbe fatto se invece non si fossero visti più? Anche lui stava pensando a lui in quel momento? Anche lui sentiva quella strana gioia che sentiva lei? Sembrava più grande di lei, ma era sicura di non averlo mai visto, neanche tra gli studenti che ogni tanto vedeva passare sotto casa sua o che la domenica si trovavano al parco e nemmeno tra quelli che ogni tanto aveva intravisto aspettando suo padre nella scuola in cui lavorava. Non era sicura che lo avrebbe rivisto, ma ci sperava con tutta sé stessa. Non capiva nemmeno cosa le stesse succedendo: continuava a pensare a lui e a sorridere provando una strana sensazione allo stomaco.
“Cosette si può sapere che cosa ti succede?” le chiese sua madre arrivandole alle spalle. Cosette era talmente assorta nei suoi pensieri che non si era nemmeno accorta di essersi seduta sul divano verde acqua. “Non hai parlato per tutto il tragitto e mi sembri un po’ persa.” Nel vedere gli occhi castani di sua madre fissarla, a Cosette venne da sorridere di nuovo e distolse lo sguardo, tornando nei suoi pensieri. “Che cosa passa nella tua testolina bionda?” Quando tornò a guardare sua madre, Cosette la vide sorriderle come se avesse intuito qualcosa e allora iniziò a ridacchiare emozionata.
“Quando hai conosciuto papà… papà adottivo, intendo… come ti sentivi?” le chiese Cosette.
La sua giovane ed esile mamma si sedette accanto a lei, sorridente, e le rispose: “Diciamo che non lo potevo proprio vedere.”
Cosette rimase delusa dalla risposta di sua madre: non era di certo quello che si aspettava di sentirle dire. "Sul serio?!”
“Certo! Mi aveva fatto cadere l’intera spesa e io ero certa che i soldi che ci avevo perso mi sarebbero stati detratti dallo stipendio, quindi puoi immaginare la rabbia che mi fece salire” le spiegò tranquillamente la madre. Poi, leggendo la delusione negli occhi della figlia, sorrise e proseguì: “Ma poi me la ricomprò lui stesso, tutto ciò che avevo comprato io in precedenza, chiedendomi scusa. Allora lo perdonai e iniziammo ad uscire di tanto in tanto, quando avevo tempo libero e non dovevo necessariamente pensare a te.” Detto ciò le carezzò il viso e, trasformando il suo splendido sorriso da dolce a curioso e divertito, le chiese: “Questo c’entra forse con quel bel ragazzo che stava seduto sulla panchina accanto alla tua?”
Cosette, colta in fallo, non poté far altro che ritornare a ridacchiare e annuì con la testa. “Secondo te è possibile che la gente si innamori così in fretta?”
“Dipende” rispose la esile donna dai corti capelli castani. “C’è chi parla di colpo di fulmine: magari a te è successo. Come si chiama?”
Da sorridente ed emozionata, Cosette tornò seria e, riflettendo senza guardare la mamma, le disse: “Non lo so…”
“Come?”
“Non ho fatto a tempo a parlargli: mi hai chiamato prima che si alzasse.” Vedendo che la madre non le rispondeva, Cosette si allarmò e aggiunse immediatamente: “Ma non è detto che io non lo riveda più, no? Insomma… magari va spesso al parco vicino alla scuola dove lavora papà!” Poi si fermò e sussultò: un pensiero le passò rapidamente per la testa come un fulmine. “E se studiasse proprio lì? Magari papà sa chi è!”
“Eviterei di parlare della cosa con tuo padre, per ora” le fece notare la mamma facendole segno di calmarsi con la mano. “Potresti farlo agitare.”
“Perché?”
“Ah! Eccole qui le mie due donne!” disse una voce maschile proveniente dalle scale che salivano al primo piano. Cosette si voltò e vide sua padre scendere le scale. “Fantine, tesoro: tutto bene?” le disse mettendosi in ginocchio dietro al divano e baciandole la nuca.
“Certo, Jean. Abbiamo fatto la spesa e ho consegnato a monseigneur Myriel le pratiche che mi hai lasciato.”
“Ah, ottimo, grazie! E tu, piccola mia? Tutto a posto?” chiese a Cosette passandole una delle grandi mani fra i capelli.
“Certo papà!” Jean non era il suo padre biologico, Cosette lo sapeva: sua madre lo aveva conosciuto sette anni prima e, dopo essersi frequentati per un po’, si erano sposati un paio di anni più tardi. Tuttavia, a Cosette lui piaceva molto: non aveva avuto il minimo problema a chiamarlo papà, soprattutto perché lei non aveva mai conosciuto il suo vero padre e Jean era l’unico uomo che sua madre aveva voluto frequentare dopo essere stata lasciata. Fantine era giovanissima, aveva solo diciotto anni più di lei, eppure era già stata profondamente delusa dagli uomini e dalla vita stessa. Lasciata sola dalla sua stessa madre, si era sempre dovuta fare in quattro per portare a casa un po’ di soldi così da poter sostenere sé stessa e la figlia. Questo finché Jean non era entrato nella sua vita e a pensare alla famiglia ora erano in due. Era solo un professore di filosofia in una scuola privata, eppure il suo patrimonio sarebbe bastato a sostenere tutti e tre senza problemi. Come questo fosse possibile a Cosette non era chiaro, ma non ci pensava troppo spesso, specie perché suo padre non voleva mai parlare del suo passato. Fantine sembrava sapere cosa avesse passato, ma non ne avevano mai parlato con lei: evidentemente non lo ritenevano necessario, eppure Cosette moriva dalla voglia di saperlo.
Jean rimase a guardarle entrambe serio, poi sorrise e, indicandole con l’indice, disse: “Voi due mi state nascondendo qualcosa, non è vero?”
“No!” dissero madre e figlia in coro, guardandosi poi allarmate per essere cadute in fallo. Sentendole parlare così, Jean non ebbe più dubbi.
“Ah-ah! Lo sapevo!” disse ad alta voce divertito. “Avanti: sputate il rospo.”
“Dovrai passare sui nostri corpi per farci parlare, caro!” gli rispose Fantine scherzosa, alzandosi in piedi.
“Sai che per me non sarà difficile, minute come siete entrambe voi!” disse l’uomo sporgendosi verso di lei.
“Ah sì?” disse Cosette alzandosi in piedi sul divano e recuperando un cuscino. Come suo padre si girò verso di lei, Cosette usò tutta la forza che aveva in corpo e gli tirò una cuscinata in pieno viso. “Non hai fatto i conti con la nostra tenacia!” Detto questo vide il suo volto farsi scherzosamente minaccioso.
“Le cose stanno così?” le disse Jean tirandosi su per mostrarsi in tutto il suo metro e novanta di altezza, quasi volesse intimorire la ragazza, che in piedi sul divano, lo superava appena di mezza testa. “Allora dovrò sforzarmi più del previsto!” Mentre pronunciava queste parole, Jean cercò di prendere Cosette, ma la ragazza corse via ridendo, quindi lui le andò subito dietro. Cosette salì sul basso tavolino rivestito che stava davanti ai due divani e iniziò a prenderlo a cuscinate di nuovo, ma suo padre stava per afferrarla. Quando gli mancava poco a raggiungerla, Fantine lo colpì con una cuscinata da dietro, facendolo girare ed esclamare: “Ehi! Così non vale!”
“Questo lo dite voi solo perché state perdendo, monsieur Valjean!” disse ad alta voce Fantine senza smettere di colpirlo. Cosette approfittò che fosse occupato ad afferrare sua madre per riprendere a colpirlo nuovamente.
Colpito su due fronti, Valjean non sapeva come difendersi, finché non si fermò urlando: “Va bene, va bene! Tregua, per favore! Tregua!” Le due donne si fermarono, lasciandogli riprendere un attimo fiato. Non capiva se per i capelli disordinati, la camicia sbottonata in alto o lo sguardo un po’ perso, ma suo padre le sembrava davvero provato da tutte quelle cuscinate. Ad un certo punto, l’alto uomo portò le mani in vita e riprese fiato ridendo. Poi guardò prima Cosette e poi Fantine e, inaspettatamente, prese la ragazza per la vita, caricandola sulle spalle come un sacco di patate e corse su per le scale, con Fantine che lo inseguiva urlandogli di lasciare andare la figlia. Cosette, dal canto suo, urlava e rideva, cercando di farsi mettere a terra prendendo a pugni la schiena del padre. Arrivati al piano di sopra, Valjean entrò nella sua camera da letto, si voltò, prese la figlia in vita con un braccio stingendola a mezz’aria contro il suo petto, con la mano sinistra tirò a sé Fantine e, stringendole entrambe, si lasciò cadere di schiena sul letto, facendo sì che le due donne gridassero per lo spavento dovuto alla caduta improvvisa. Una volta che toccarono il materasso, tutti e tre iniziarono a ridere: Cosette vide chiaramente Fantine appoggiarsi con la testa al petto di suo marito. La famiglia riprese fiato, poi Valjean guardò negli occhi prima Cosette e poi Fantine e le strinse entrambe in un grande abbraccio al quale le due donne risposero, creando così un abbraccio di famiglia. “Come facessi prima di trovare voi io a volte ancora me lo chiedo!” disse Valjean stringendo ancor più forte Fantine e Cosette.
“Anch’io a volte mi chiedo come facessimo senza di te” gli disse Fantine alzandosi per guardarlo negli occhi. “E anche che avremmo fatto se tu non mi avessi fatto cadere a terra quelle maledette borse della spesa!” Cosette vide i suoi genitori sorridersi a vicenda e darsi un breve bacio prima che Fantine si voltasse verso di lei, carezzandole i capelli mentre Valjean si girò a sua volta verso la ragazza e la accarezzò in vita. Poi Fantine diede velocemente due pacche sul petto di Valjean e si alzò in piedi dicendo: “Bene: è ora di preparare la cena. Tu fatti una doccia, che ne hai bisogno.”
“Agli ordini, moglie!” disse Valjean mentre Fantine se ne andava guardandolo negli occhi sorridendogli. Quando Fantine iniziò a scendere le scale, Valjean e Cosette si voltarono l’uno verso l’altro istintivamente e si sorrisero. Valjean le volle dare un altro abbraccio e intanto le chiese: “Com’è andata oggi a scuola? Tutto a posto?”
Cosette si tirò su, si appoggiò sulle braccia al petto di Valjean e, seria in viso, gli rispose: “Sì… sì, tutto a posto…”
Valjean restò a fissarla in silenzio per qualche istante, sicuramente un po’ preoccupato dalla sua incertezza, poi le chiese: “È successo qualcosa, tesoro?”
“No no! È solo che…” Cosette esitò nuovamente: non aveva voglia di discutere con suo padre, ma l’argomento le stava a cuore, quindi si decise a parlare. “È solo che non sono sicura di trovarmi bene lì.”
“Le tue compagne sono cattive con te?” le chiese Valjean.
“No, assolutamente! Anzi! Sono… come posso definirle?” Cosette stette in silenzio qualche secondo, gli occhi verdi assorti sul soffitto. Quando trovò il termine che cercava, la bionda ragazza tornò a guardare il padre e terminò: “Apatiche.”
“Apatiche?”
“Sì: apatiche! Non sembrano provare niente e mi sento continuamente… sola!” rispose sinceramente Cosette. “Non mi esiliano, non pensare male. Ci parliamo e, bene o male, il tempo passa… ma sono tutte così tranquille, così… angeliche e pacate! Sembrano incapaci di provare emozioni adolescenziali! Non riesco a trovarmi bene con nessuna di loro! Sembra quasi che non vogliano avere legami con le altre! Hai presente i robot?”
“Addirittura dei robot? Ahahahah!” Valjean scoppiò in una sonora risata, poi tornò a guardare la figlia e le disse: “Non starai esagerando?”
“No, papà. Sono noiose! E anche le suore… sono delle bacchettone!” Cosette vide il viso di suo padre farsi dispiaciuto e pensò che potesse passare all’attacco. “Non è che…” cominciò sfoggiando un sorriso capace di far intenerire anche il più duro dei cuori, “potrei trasferirmi in un’altra scuola?”
Valjean si fece quasi severo: evidentemente il suo sorriso non aveva funzionato. “Cosette…”
“Dai papà, ti prego!” disse Cosette mettendosi a sedere. “Non capisco perché non vuoi che vada in una scuola mista!”
Valjean si mise a sedere a sua volta e le rispose: “Perché non voglio che succeda anche a te quello che è successo a tua madre, tesoro. Non fraintendermi: sono molto felice che tu ci sia e neanche tua madre potrebbe vivere senza di te. Ma non auguriamo anche a te di fare certe esperienze così presto! I ragazzi della tua età pensano solo ad una cosa e tu non sei pronta a gestirli.”
“Ma dai!” riprovò Cosette. “Non tutti i ragazzi sono così e tu lo sai! Lavori in una scuola mista, santo cielo! Li vedrai i tuoi studenti, no?”
“Per favore, Cosette…” iniziò l’uomo alzandosi in piedi per andarsene, ma Cosette gli prese il polso per fermarlo.
“Se non esco dalla scuola femminile come faccio a confrontarmi con dei ragazzi e imparare a gestirli?” Cosette vide suo padre sospirare e restare a fissare il vuoto come se ci stesse pensando: forse questa volta ce l’aveva fatta. “Andiamo, papà… per favore…”
Quando Cosette tolse la mano dal suo braccio, Valjean restò ancora per un po’ a fissarla senza dire nulla, poi distolse lo sguardo portandolo su una fotografia che teneva sul comodino: ritraeva lui, Fantine e Cosette il giorno delle loro nozze, celebrate dall’ex vescovo preside della sua scuola. Nel guardare quella fotografia sgranò gli occhi, li portò verso la finestra, ancora immerso nei suoi pensieri, si voltò verso di lei e, nell’incrociare i verdi occhi ansiosi di avere una risposta della ragazza lasciò scappare un risolino rassegnato, sorrise e le disse: “Fammi parlare con il preside della mia scuola e vedrò che cosa posso fare.”
Quasi non aveva finito di parlare che Cosette si alzò in piedi emettendo un gridolino entusiasta e si strinse al suo petto. “Grazie, grazie, grazie!” disse mentre Valjean la stringeva a sua volta.
“Tuttavia!” frenò il suo entusiasmo Valjean. “Non credo che potrai venire subito: può darsi che monseigneur Myriel debba parlare con la preside della tua scuola, che ci siano regole e tempi da rispettare per farti trasferire da noi. Finché non ti sarai trasferita voglio che ti impegni al massimo.” Cosette restò a guardarlo seria: avrebbe voluto trasferirsi l’indomani stesso, ma se non fosse stato possibile avrebbe aspettato. L’importante era andarsene da quella specie di convento! Ritornò a sorridere e Valjean, alzando la mano, le chiese: “Affare fatto?”
Cosette, ridendo per la felicità, batté il cinque e gli rispose: “Affare fatto!” Poi Valjean le diede un bacio sulla guancia e se ne andò per farsi una doccia. Cosette, dopo un attimo di esitazione, lo seguì e, sporgendosi dal corrimano delle scale, lo fermò: “Papà?”
“Sì, tesoro?” disse l’uomo girandosi.
“Per caso nella tua scuola è arrivato qualche nuovo studente oltre a quelli della mia età?”
“Sì… perché?”
“No, nulla…” disse Cosette sorridendo ed entrando nella sua stanza. Si mise le mani sul lato della porta per qualche secondo, la chiuse dietro le sue spalle e, appoggiandovisi con la schiena, abbassò lo sguardo e aggiunse: “Pura curiosità.”

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Capitolo 2
*** Marius ***


Marius si era trattenuto ancora al parco per studiare, ma si era continuamente distratto ripensando a quella ragazza dai capelli biondi: ogni volta che ripensava a lei e si deconcentrava, cercava di costringersi ad applicarsi alla materia, ma durava poco, quindi ci mise più del previsto a finire il programma per la verifica. Quando finì era già buio: guardò l’orologio e scoprì che erano già le sette di sera. Ora che fosse arrivato a casa sarebbero state quasi le sette e mezza, quindi con tutta probabilità Enjolras si sarebbe arrabbiato: aveva chiesto a tutti i membri del gruppo di essere puntuali a cena per riuscire a parlare del programma elettorale. Mentre tornava al Musain, la sua mente era tempestata da domande. Chi era quella ragazza? Da dove veniva? L’avrebbe rivista? E cosa avrebbe fatto se invece non si fossero visti più? Anche lei stava pensando a lui in quel momento? Marius non riuscì a fare altro che chiederselo e richiederselo per tutto il tragitto. Quando arrivò alla residenza studentesca il sole era già basso e tutte le luci all’interno erano accese, così si fermò ad osservare l’edificio: era la prima volta che lo vedeva di sera dall’esterno; quando erano andati in piscina non era ancora tanto buio al loro ritorno. Ad un certo punto alzò lo sguardo verso la finestra della loro sala comune, quella al primo piano, e distinse chiaramente la figura di Courfeyrac accanto a quella di Enjolras alle quali poi si aggiunse anche la sagoma di Combeferre: quella visione creò in lui una strana sensazione, simile alla nostalgia, quasi iniziasse a riconoscere quel luogo come casa sua e questo lo fece sorridere. Quando entrò era talmente preso dai suoi pensieri che non si accorse nemmeno che qualcuno gli stava parlando. “Marius…” disse quel qualcuno prendendolo per un braccio. Marius si voltò tornando alla terra ferma e riconobbe chi lo chiamava. “Éponine!” La ragazza dai capelli scuri continuò a guardarlo per un po’ sorridendo, quasi volesse essere certa di avere la sua attenzione. “Tutto a posto? Mi sembri strano.” “Sì sì!” confermò Marius arrossendo. Éponine si avvicinò a lui e gli sistemò la giacca: Marius non si era nemmeno accorto di essere andato in giro per strada tutto in disordine. “A me sembri parecchio distratto, stasera” disse lei sorridendo. “Sì, io… magari è solo un po’ di stanchezza, ecco tutto.” “Oh…” disse Éponine con un tono tra il dispiacere e la delusione. “Non ti tratterrò molto. Volevo solo chiederti scusa per prima… di solito mia madre non passa l’aspirapolvere… nel senso che lo faccio io… mi spiace tanto…” Vedendola mortificata, Marius capì che avrebbe dovuto rassicurarla nuovamente: le mise una mano sulla spalla e le disse sorridendo: “Non ti preoccupare, davvero. Adesso devo andare: sono già in ritardo, scusami. Ci vediamo domani pomeriggio.” Come terminò di parlare, Marius salutò la ragazza con un sorriso e si avviò verso le scale. Éponine corse dietro di lui e, restando sul primo gradino gli disse: “Ma almeno sei riuscito a studiare?” Nel sentire quella domanda, il lentigginoso ragazzo ripensò a quel pomeriggio e alla ragazza del parco e questo gli fece tornare quella strana sensazione allo stomaco che tanto lo faceva sorridere. Si voltò un po’ sbadatamente e disse velocemente: “Sì, stai tranquilla: sono a posto.” Senza perdere il sorriso, si voltò vedendo distrattamente il viso di Éponine farsi strano e salì le scale per raggiungere i suoi compagni. “Marius” lo chiamò nuovamente Éponine. Quando si voltò, lo studente notò sul volto di lei una insolita preoccupazione. “Sicuro che sia tutto a posto?” “Non preoccuparti per me. Credo di non essere mai stato meglio.” Al piano di sopra, i ragazzi erano già attorno alla tavola apparecchiata pronti per la cena quando Marius, dopo essere passato dalla sua stanza, entrò nella sala comune: vide Bossuet, Bahorel e Jehan seduti ai loro posti a parlare tranquillamente, i quali scambiavano qualche parola anche con Joly, appoggiato allo stipite della porta della cucina, e Grantaire, che invece trafficava al suo interno come al solito. Marius cercò con lo sguardo Enjolras e lo vide esaminare alcune carte con attenzione assieme a Combeferre, Courfeyrac e Feuilly: Enjolras gli aveva chiesto di venire per la cena in modo che potessero discutere di migliorie da fare a scuola anche dal punto di vista strutturale, visto che l’apprendista custode conosceva meglio l’edificio. Marius pensò che, se fosse entrato un po’ di soppiatto, il leader non lo avrebbe notato. Tuttavia, le sue speranze andarono perdute quando il biondo ragazzo alzò lo sguardo sentendolo entrare. Marius vide i suoi occhi azzurri passare dalla sorpresa alla severità: “Marius, sei in ritardo!” “Sì, scusami io…” iniziò Marius quando anche gli altri ragazzi si girarono ad osservarlo, “i-io ho tardato con lo studio e non mi sono reso conto dell’orario…” Marius si guardò attorno imbarazzato e, a giudicare dagli sguardi che avevano i suoi amici, avrebbe detto che i membri del gruppo lo avessero compreso e perdonato; tutti tranne Enjolras, che restò ad osservarlo per un po’ con la stessa severità inflessibile di cui solo lui era capace. Tuttavia dopo un lungo sospiro il suo sguardo si fece leggermente più dolce e il biondino fece segno con la testa a Marius di raggiungerli: il lentigginoso ragazzo aveva imparato a conoscere abbastanza Enjolras da sapere che non si sarebbe arrabbiato seriamente per così poco. Quando fu lì vicino, Courfeyrac gli passò un braccio attorno al collo e gli fece un occhiolino d’intesa, quasi per dirgli di stare tranquillo. “Che… che mi sono perso?” “Parlavamo di come gestire la questione delle attività extrascolastiche” iniziò a spiegargli pazientemente Enjolras. “Dopo la protesta il minimo che possiamo fare è cercare una soluzione.” “A cui non penserete adesso” disse Grantaire uscendo dalla cucina con una grossa pentola in mano. “È ora di cena.” Marius sentì il buonissimo profumo di pesce proveniente dalla pentola e capì che Grantaire aveva preparato la bouillabaisse: suo padre gliela aveva preparata più volte quando aveva avuto serate libere; quanti ricordi! Quando appoggiò la casseruola in mezzo al tavolo, tutti si sedettero ai loro posti e Grantaire si fece passare i piatti in modo da riempirli di zuppa. Il primo piatto che Grantaire riempì fu quello di Jehan: per lui aveva preparato in una pentolina una classica zuppa di cipolle. Marius aveva capito che il minuto ragazzino era vegetariano osservando le sue pietanza rigorosamente prive di cibi animali. In seguito Grantaire servì tutti gli altri, chiedendo di passargli le stoviglie per evitare troppi giri attorno al tavolo. Quando toccò a Combeferre e Enjolras, tuttavia, non gli arrivò in mano alcun piatto, così si voltò e vide che i due ragazzi stavano ancora consultando delle scartoffie e si parlavano tra di loro: Combeferre sembrava avere molto da consigliare ad Enjolras e il biondo ragazzo stava ad ascoltare parola per parola con gli occhi fissi sul foglio, senza accorgersi che attorno a loro tutti li fissavano in perfetto silenzio. Marius vide Grantaire stare ad osservare il biondino con uno sguardo strano: esterrefatto, ma sorridente; severo, ma con un non so che di divertimento; esasperato, eppure così pieno di tenerezza. Ad un certo punto si mosse ed andò dietro Enjolras togliendogli dalle mani il foglio che stava consultando, facendo così voltare il biondino che, mettendosi in ginocchio sulla sedia, cercò di allungarsi verso Grantaire per riprenderlo. Il ragazzo dai riccioli scuri si spostò a lato della sedia, facendo così sbilanciare Enjolras sullo schienale, davanti a sé. Poi si spostò di fronte a lui, vicino al suo viso, si abbassò in modo da guardarlo negli occhi e disse: “Non si legge a tavola, bimbi!” Enjolras restò in silenzio per qualche secondo: dalla sua immobilità Marius pensò che fosse o perplesso o imbarazzato per la vicinanza di Grantaire. “B…bimbi?” Fu quando disse così che Marius ebbe conferma che il ragazzo era perplesso. Grantaire restò fermo ad osservare il biondino per un po’ con uno strano sorrisetto sul volto, prima di alzarsi. “Su, su!” disse Grantaire facendo sedere composto Enjolras. “Mettiti seduto bene che è ora di mangiare anche per te!” Marius era confuso: non aveva mai visto Grantaire comportarsi così e la cosa lo incuriosì parecchio. “Hai bevuto, vero?” chiese Enjolras mentre Grantaire gli riportava il piatto pieno di bouillabaisse. Il ragazzo dai riccioli scuri lasciò il piatto davanti al biondino, si appoggiò con le mani alle sue spalle, si avvicinò con le labbra alla sua nuca e gli disse con voce bassa, ma comunque udibile: “Solo un pochino!” Dopodiché si allontanò tranquillamente per tornare alla sua sedia, sotto lo sguardo di Enjolras, il quale lo osservava solo muovendo gli occhi severi. La cena procedette relativamente tranquilla, o almeno così Marius credeva: era ripiombato da poco nei suoi pensieri, tanto da non ascoltare più i discorsi dei suoi amici. Riusciva a sentire le loro voci, ma non coglieva neanche una parola di ciò che stavano dicendo. Riusciva solo a pensare alla ragazza bionda del parco, a come gli aveva sorriso, al modo in cui si erano guardati… avrebbe voluto prendersi a sberle per non averle parlato, ma tanto ormai era tardi: l’unica cosa che gli restava di lei era il fazzoletto che le era caduto sulla panchina. Marius lo teneva ancora nella tasca dei pantaloni dove lo aveva riposto dopo averlo raccolto, così lo tirò fuori e si mise ad esaminarlo distrattamente. Quando vide la piccola U ricamata sull’angolo in basso a destra iniziò a passarci il dito sopra leggermente, chiedendosi cosa mai potesse significare quella lettera. “Marius, sveglia!” richiamò la sua attenzione Joly. Marius alzò subito gli occhi verde chiaro su di lui e restò a fissarlo con occhi interrogativi e confusi. Quando si rese conto di essere ancora seduto a tavola con gli altri ragazzi, vide che Joly sembrava preoccupato e perplesso insieme. “Che cos’hai che non va oggi? Sembra che tu abbia visto un fantasma!” Nel sentirlo parlare così, anche Bossuet, che stava appoggiato allo schienale della sedia del suo ragazzo, si girò a fissarlo, ma con uno sguardo curioso, più sorpreso che preoccupato. “Avanti, amico!” disse Grantaire da dietro di lui, dandogli una pacca sulla spalla. Poi si avvicinò al suo bicchiere e vi versò un po’ di vino rosso, di quello che beveva ogni tanto lui… o così credeva: non è che Marius ci capisse molto di vini. “Prendi un sorso di vino e dicci che succede!” “Grantaire!” lo riprese Enjolras alzando lo sguardo dai fogli di prima: Marius notò solo in quell’istante che lui e Combeferre avevano finito di mangiare e si erano rimessi al lavoro assieme a Courfeyrac e Feuilly. “Va bene, va bene!” disse Grantaire recuperando il bicchiere di Marius e vuotandolo con un solo sorso. “Mi spiace, ma il capo ha detto niente alcool per te.” Marius gli fece capire con un cenno e un sorriso imbarazzato che non c’era il minimo problema, poi vide Enjolras tornare al suo lavoro fulminando un’ultima volta Grantaire. D’istinto si girò verso Joly e notò che sia lui che Bossuet attendevano una risposta. Pensando a ciò che avrebbe dovuto dirgli, Marius iniziò a sorridere e gli disse: “Un fantasma, hai detto? Sì… è possibile…” Distolse lo sguardo e si fece serio, pensando al fatto che si fosse lasciato scappare quella ragazza. “È stata come un fantasma per me. Un minuto era lì e poi se ne è andata…” Joly e Bossuet ebbero la stessa reazione: sgranarono gli occhi sorridendo e, guardandosi l’un l’altro, iniziarono a ridacchiare divertiti. Grantaire, che, dietro di loro, aveva voluto ascoltare tutto, si appoggiò al tavolo accanto a Marius e, sorridendo divertito, disse: “Non so se sono più eccitato o sbalordito! Mi state dicendo che Marius si è innamorato? Non so voi, ma io non lo avevo ancora sentito parlare così…” Stette un attimo a riflettere su quale parole dovesse dire, fissando il soffitto; poi, con una vocetta strana e sbattendo le ciglia come per parodiare una ragazzina innamorata, aggiunse: “Del tipo ‘uuuh!’, ‘aaah!’!” A Marius venne da ridere, ma ne fu anche un po’ imbarazzato, quindi distolse lo sguardo dal suo compagno: non si aspettava certo tutto quell’entusiasmo. Joly e Bossuet, invece, ridevano di gusto per quelle parole: Marius li sentiva, ma non cercò i loro sguardi. Il ragazzo dai capelli neri, poi, alzò un’occhiata di sfida verso Enjolras, ancora concentrato su ciò che stava facendo, sorrise, andò da lui e lo scrollò per una spalla, facendo scendere leggermente su di essa la felpa grigia a maniche rosse che il biondino indossava e attirando su di sé gli azzurri occhi innervositi e inflessibili. “Tu sei lì che parli dei lavori da fare per la scuola e lui ritorna qui come un Don Giovanni!” disse facendo uno strano movimento circolare con la bottiglia di vino che aveva in mano davanti alla sua virilità. Quando alcuni dei ragazzi iniziarono a ridere, Grantaire di lasciò scappare una risata e concluse: “Questo è molto meglio di un’opera!” Marius si imbarazzò incredibilmente, specie quando incontrò gli occhi di Enjolras, e abbassò lo sguardo, sentendo chiaramente Bossuet e Joly cercare di trattenere le risate dietro di lui. Mentre Grantaire tornava al suo posto e spiegava ridendo cos’era successo a Bahorel e Jehan, Marius vide Combeferre fissare il ragazzo dai capelli scuri con occhi indecifrabili, forse sconcertati e rassegnati assieme, e Feuilly fulminarlo con lo sguardo, mentre Courfeyrac sembrava sul punto di scoppiare a ridere. Marius scambiò un’occhiata con Courfeyrac: sembrava che il suo compagno di stanza volesse chiedergli qualcosa, quando entrambi sentirono Enjolras alzarsi in piedi e camminare per la stanza con passo elegante e sicuro e i loro occhi si concentrarono su di lui. Enjolras arrivò da Grantaire che, come lo vide, smise di bere dalla bottiglia di vino e rimase con lo sguardo perso fisso sul biondo ragazzo. Guardandolo negli occhi, Enjolras si appoggiò allo schienale della sua sedia e al tavolo, si abbassò leggermente e, senza distogliere lo sguardo, disse: “Vi sembra il caso di perdere tempo in sciocchezze?” Mentre Grantaire ancora lo fissava come incantato, Enjolras si mise dritto con la schiena e si rivolse al resto del gruppo: “Non abbiamo molto tempo per consegnare la lista delle nostre idee per la campagna elettorale. Dovremmo forse occuparci di questo lavoro come stessimo andando a teatro?! Ci siamo presi una responsabilità e la dobbiamo portare fino in fondo con serietà.” Marius si guardò intorno un po’ a disagio: tranne i tre ragazzi che erano già prima attorno al leader a parlare del piano elettorale, i quali sembravano dargli il loro appoggio in quel discorso, tutti i membri del gruppo parevano mortificati da quanto accaduto e non osarono controbattere. Enjolras li fissò uno ad uno e dopo una breve pausa, riprese: “Abbiamo già abbastanza cose da fare senza perdere tempo dietro a futili fesserie. Iniziate a chiedervi cosa sia più importante in questo momento per voi. Questo non è un semplice gioco di popolarità per ragazzini viziati: lo dovete prendere seriamente…” Marius, nel sentirlo silenzioso, alzò lo sguardo e vide che Enjolras lo stava guardando: quando i loro occhi si incrociarono, il biondino, dopo una leggerissima esitazione, quasi stesse cercando di misurare le parole terminò: “…e non farvi distrarre da cose inutili.” Nel sentirlo parlare così, Marius non riuscì a contenersi. Quando Enjolras si avviò verso il suo posto, Marius si alzò in piedi, attirando nuovamente la sua attenzione e disse, avanzando verso di lui: “Se tu l’avessi vista oggi forse potresti capire come ci si sente ad essere colpito nel profondo… da una gioia che ti lascia senza respiro!” Ad Enjolras scappò un leggero risolino e, cercando di tornare al lavoro, disse: “Marius, ti prego…” “Se tu fossi stato lì oggi avresti anche saputo…” insistette Marius con occhi seri, prendendolo per un braccio, facendo sì che il biondino, dopo aver fissato la sua mano, tornasse a guardarlo, “come il mondo può cambiare del tutto con una semplice esplosione di luce.” Poi Marius non si trattenne più e, sfidando la severità del leader, che nel frattempo non si era mosso, aggiunse: “E tutto ciò che era giusto adesso mi sembra sbagliato, mentre tutto quello che era sbagliato ora mi sembra giusto!” “Digli un po’ com’è!” gli diede corda Grantaire, alzandosi in piedi. “Fagli capire cosa si prova!” “Mi sento…” Nonostante l’occhiata che Enjolras aveva lanciato a Grantaire fosse la più raggelante che avesse mai visto, Marius iniziò a sentire dentro di sé l’esplosione di tantissime emozioni diverse, tutte bellissime, e dovette assolutamente tirarle fuori: “Mi sento come se la mia anima stesse prendendo fuoco, come se il mondo fosse nero senza di lei! Come se nient’altro avesse senso, come se non avesse più alcuna importanza!” “Oooooooh!” esclamò Jehan emozionatissimo. “Che bella sensazione essere innamorati!” “L’hai presa bella tosta, eh?” chiese Bahorel divertito. “Dev’essere davvero una tipa speciale!” “Aaaaaah! L’amore!” disse Bossuet guardando negli occhi Joly. Enjolras passò lo sguardo sugli altri per poi posarlo su Marius, ma non era lo stesso che aveva lanciato prima a Grantaire: era più dolce, forse più paziente e dispiaciuto per ciò che stava per dire. “Marius tu non sei più un bambino” disse con quanta più delicatezza gli fu possibile. Poi distolse lo sguardo, scosse la testa e aggiunse sospirando: “Non ho dubbi che questo ti faccia sentire bene…” Tornò a guardarlo serio e terminò: “Ma adesso abbiamo una cosa più importante a cui pensare.” “Lo so, però…” volle tentare Marius senza perdere il sorriso. “Non possiamo pensare a te se abbiamo un obbiettivo più grande in mente” lo interruppe Enjolras tentando di farlo ragionare. “In questo momento le nostre vite private devono venire dopo.” Detto questo lo fissò ancora per qualche secondo e tornò al lavoro: aveva preso la cosa molto seriamente per essere lo stesso ragazzo che il giorno prima era indeciso se trasferirsi o accettare l’incarico... Combeferre guardò Marius e, sorridendogli, gli fece un cenno con la testa, grazie al quale Marius capì che non doveva preoccuparsi troppo di ciò che aveva detto Enjolras. Nonostante questo, Marius rimase un po’ male dalla reazione di Enjolras: la sua felicità era appena stata demolita con la stessa facilità con cui una ruspa butta giù un edificio. Aveva visto in più di un’occasione che il biondino non era un ragazzo romantico, magari quando la sera Jehan guardava con Éponine film rosa o gli altri ragazzi parlavano di ragazze conosciute, appuntamenti o cose del genere, ma non avrebbe mai pensato che potesse reagire a quel modo. L’unica cosa che riuscì a fare fu sedersi al suo posto e guardare il fazzoletto che aveva in mano, tornando a tartassarlo con le dita come aveva fatto prima. “Che hai lì?” chiese Bahorel incuriosito. “Ah, emh…” iniziò Marius tornando a fissare il fazzoletto, prima di allungarsi sul tavolo e passarlo a Bahorel, il quale lo prese e lo esaminò con attenzione, attirando anche l’interesse di Jehan. “Le è caduto quando è andata via, ma non ho fatto in tempo a ridarglielo.” Nel sentire quella frase, anche Grantaire, che stava osservando il gruppo al lavoro, portò il suo sguardo sul fazzoletto: non passò molto tempo prima che anche Joly e Bossuet si alzarono per vederlo. “Allora?” chiese Courfeyrac cercando di non farsi sentire da Enjolras. “Lei com’è? Carina?” Marius tornò a sorridere imbarazzato e disse: “Stupenda. Non credo di aver mai visto una ragazza più bella.” Poi abbassò lo sguardo sulle sue mani, quasi volesse concentrarsi per ricordarla, e timidamente riprese. “Ha dei lunghi capelli biondi che le cadono sulle spalle mossi, morbidi… dei grandi occhi verdi molto dolci, un fisico minuto, delicato… e ha un viso assolutamente bellissimo…” “Come si chiama?” chiese Bossuet sorridente, alzando lo sguardo dal fazzoletto. Marius stava per rispondere, ma esitò, ricordando solo in quel momento che non le aveva parlato. Sul suo viso cadde un’espressione seria e disse: “Non lo so…” “Come?” chiese Bahorel incredulo. “Non ho fatto a tempo a parlarle: sua madre l’ha chiamata prima che mi alzassi…” “Mi stai dicendo che ti sei preso per una ragazza che non conosci?” chiese Joly senza parole. Marius non riuscì a rispondere: effettivamente era una situazione singolare e forse Enjolras non aveva avuto torto a pensare che la sua fosse stata una reazione esagerata. “E allora?” chiese deciso Jehan al resto del gruppo, attirando su di sé tutti gli sguardi interrogativi. “L’amore può nascere in tanti modi diversi! Non c’è un modo giusto di innamorarsi, succede e basta! Io lo trovo così romantico!” “Non ha torto!” lo sostenne Courfeyrac indicandolo con una mano. Il volume della sua voce fu così alto che Combeferre e Feuilly alzarono lo sguardo per capire cosa stesse accadendo. Anche Enjolras alzò gli occhi dal foglio, ma più lentamente e in un modo irritato, grazie al quale fu chiaro che sapeva esattamente di cosa stavano parlando. “In qualche modo due persone si devono conoscere ed è ovvio che è guardandosi che si accende un primo interesse, no?” “Ci sono tanti modi per conoscersi, Courfeyrac” gli fece notare Joly. “Innamorarsi a prima vista mi sembra molto labile…” “Io mi sono innamorato a prima vista” lo interruppe Bossuet senza guardarlo. Quando sentì lo sguardo di Joly addosso, il ragazzo pelato si voltò sorridente e restò a fissarlo senza cambiare espressione, se non per quella singolare alzata di sopracciglia che ogni tanto faceva al suo ragazzo. “Qui c’è una piccola U” disse Feuilly, che nel frattempo si era avvicinato al fazzoletto. Marius si girò d’istinto verso Enjolras e lo vide osservare Feuilly con occhi esterrefatti. Poi si voltò verso Grantaire e lo vide guardare il biondino con quanto più divertimento si possa provare. “Potrebbe essere l’iniziale del suo nome, che dite?” “Umh…” si mise a pensare Bossuet. “Urielle, Ufrasine, Ursule…” “Ursule non è male!” si sentì dire a Combeferre. Nel guardarlo, Marius posò gli occhi su quelli di Enjolras: non lo aveva mai visto tanto sconcertato prima di quell’istante. “È particolare!” “Combeferre…” iniziò senza parole Courfeyrac, “un giorno capirò l’entità dei tuoi gusti orridi!” “Magari si chiama Uga!” disse Jehan visibilmente emozionato, lasciando tutti quanti senza parole. Marius pensò che in confronto ad Uga, Ursule fosse il nome più poetico del mondo, ma non ebbe il coraggio di dirglielo. “Sì, Uga Tartaruga!” disse ad alta voce Bahorel fingendosi entusiasta. Si voltò verso Jehan e il suo sguardo cambiò. “Jehan, non dire stronzate!” Ecco: c’era da aspettarsi che Bahorel avrebbe avuto il coraggio di dire ciò che anche gli altri pensavano, ma non avrebbero mai osato riferire. “A me sembra simpatico…” disse Jehan rimanendoci male. “Magari non è suo” provò a proporre Joly. “Insomma… potrebbe essere di un suo parente.” “Anche questa è un’ipotesi!” gli diede corda Bossuet. “Vi rendete conto che state discutendo di una ragazza che Marius ha visto solo per due secondi al parco?!” chiese Enjolras smorzando l’entusiasmo. “Oh! Eh dai, piccolo!” gli disse Grantaire dopo aver preso un sorso di vino, alzando la bottiglia per indicarlo. “Stai sempre lì a demolire la gioia altrui! È bello sentirsi innamorati e…” “È soltanto una ragazza che lui, tra l’altro, non conosce” lo interruppe con decisione il biondino. “Questo non è amore: è solo un’infatuazione passeggera!” Grantaire, vedendolo tornare sui suoi fogli per l’ennesima volta, si alzò e andò da lui, appoggiando la bottiglia sul tavolo senza lasciarla, non lontano da dove si trovava il biondino. Poi, avvicinandosi leggermente al suo viso, dietro l’orecchio, gli disse: “Perché tu sai tutto dell’amore, non è vero?” Nel vedere la bottiglia vicino al suo viso, Enjolras alzò gli occhi su essa e disse perentoriamente: “Grantaire, metti giù la bottiglia. Smettila di bere come una spugna.” Grantaire ridacchiò e si avvicinò all’orecchio del biondino, dicendo: “Ordini a destra e manca oggi?” Evidentemente seccato dalla situazione, Enjolras si alzò in piedi ad occhi chiusi, recuperò tutti i suoi fogli e si avviò verso l’uscita. Grantaire cercò di fermarlo, ma il leader rimase a fissarlo negli occhi impassibile, facendo sì che il ragazzo dai capelli neri sorridesse arrendevolmente e lo lasciasse passare. Prima di uscire, Enjolras si voltò verso Marius e gli disse: “Ricordati almeno che oggi è il tuo turno di ripulire tavola e cucina, Marius.” Quando Enjolras se ne fu andato, tutti rimasero senza parole. Courfeyrac e Combeferre si scambiarono la loro tipica occhiata e lo seguirono: prima di uscire, i due studenti diedero una rapida pacca sulla spalla a Marius e gli sorrisero. Il ragazzo dalle orecchie a sventola si fermò, e gli fece l’occhiolino, sussurrandogli: “In camera poi mi racconti tutto!” Marius vide anche Feuilly sorridergli e uscire con gli altri ragazzi, mentre il resto del gruppo gli fece segno di non darci peso. “L’unico consiglio che posso darti è di non parlarne più in sua presenza” disse Bossuet quasi ridendo. “Lascia correre e vedrai che andrà tutto bene! Allora? Che cosa vuoi fare con lei?” Detto questo gli porse indietro il fazzoletto e, nel vederlo, Marius tornò a sorridere. “Io so che la rivedrò” disse tranquillamente prima di guardare Bossuet e alzare il fazzoletto per mostrarglielo. “Devo ridarle il suo fazzoletto.”

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