La regina dei Sette Regni

di pierjc
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Casa ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Inevitabile ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - La Notte ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Sconfitta ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - L'ultima alba ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - Destino ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 - Il Trono di Spade ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Casa ***


La neve ricopriva ormai il paesaggio. Non era inusuale, per il Nord, ritrovarsi imbiancato. Ma questa volta era diverso. Quello non era un semplice inverno. Quello era ciò di cui gli Stark proclamavano nel loro motto: “L’inverno sta arrivando”. Parole semplici, per avvisare i membri della casata che il pericolo e le difficoltà sarebbero state imminenti. Ma nascondevano molto più di questo. Come Jon aveva visto oltre la Barriera. Come Tormund, il Mastino, Beric e gli altri si erano ritrovati ad affrontare. Non era qualcosa di umano. Non era qualcosa che poteva essere affrontato. Eppure, spettava a loro il compito di fronteggiare quel nemico.

A Grande Inverno l’aria era pungente e le nuvole ricoprivano il cielo da troppo tempo, ormai. Gli abitanti del castello si erano lasciati influenzare da quel clima e covavano freddezza, mista a pessimismo e rassegnazione. Sapevano che un’orda di non morti si stava per abbattere su di loro, ma non potevano scappare. Nessuno avrebbe potuto. Qual è il posto in cui potersi nascondere dalla morte?

L’esercito di Daenerys, la regina dei draghi, stava marciando con a capo la loro condottiera. Immacolati e Dothraki erano molto lontani dalle loro terre, le quali erano esattamente l’opposto del freddo Nord. Nati dal sole, morti nel ghiaccio. Sembrava essere un triste destino. Ma tutti loro erano fedeli a Khaleesi. L’avrebbero seguita fino alla morte. E non avrebbero dovuto camminare ancora tanto.

Arya osservava tutti quei soldati immersa tra i popolani. Lei era Nessuno. Non la si poteva sentire arrivare. Non la si poteva sentire andar via. Se ti avesse voluto vedere morto, lo saresti stato prima ancora di accorgertene. La tua gola tagliata da una lama. Il tuo vino avvelenato. Una freccia dritta al cuore. Mille e più modi conosceva per uccidere un uomo. Ma non aveva ancora mai ucciso alcun non morto. Né tantomeno un estraneo. Jon assicurava che il loro punto debole era il vetro di drago. Ma se non fosse stato così?

Daenerys e Jon si scambiarono un’occhiata. Jon era preoccupato di quella che potesse essere l’opinione degli altri Lord del Nord. Dover seguire una regina straniera in battaglia. Sarebbe stato difficile convincerli, sebbene ci fosse di mezzo anche la loro, di vita. Daenerys, invece, guardava dritto di fronte a sé. Aveva una posa regale e dalla sua figura traspariva autorità.

Anche Arya la vide per la prima volta. Scrutò quella donna. I suoi capelli erano argentei, il viso angelico ma segnato da forti sofferenze e il suo corpo era nascosto da una pelliccia bianca. Aveva sentito le leggende sui Targaryen, si ricordava dei racconti di vecchia Nan. Il loro elemento naturale era il fuoco. Eppure si trovava qui, al Nord, circondata da neve e ghiaccio. Poi i suoi occhi si alzarono verso Jon. Il suo cuore ebbe un sussulto. Sebbene avesse imparato a reprimere le proprie emozioni, Jon faceva parte della sua famiglia ed era sempre stata molto legata a lui. Ma lo vedeva cambiato. Era diventato un guardiano della notte. Era diventato il Re del Nord. Era diventato uomo.

Tra gli uomini a cavallo vide anche il Mastino, Sandor Clegane. Era ancora vivo. L’ultima volta che lo aveva visto era in fin di vita. Com’era possibile che fosse sopravvissuto? Ma ciò non le provocò rammarico. Tutt’altro. Poi, subito dopo, rivide anche Gendry, un suo vecchio amico.
In una carrozza poco distante, Tyrion e Lord Varis si stavano scambiando alcune battute di dubbio gusto su nani ed eunuchi. Un modo come un altro di distrarsi dal clima di terrore che li circondava. Un esercito di non morti, che avanzava inesorabilmente. E chiunque dei vivi fosse stato ucciso, sarebbe diventato un nuovo nemico. La morte non si poteva sconfiggere. Nessuno può farlo.

Infine passarono Verme Grigio e Missandei. Anche loro non erano visti di buon occhio dai popolani. Erano lì per aiutarli, eppure c’era della diffidenza e del distacco nei loro confronti. “Se siamo di peso, ce ne torniamo da dove siamo venuti” pensò per un attimo Missandei. Ma poi guardò al comando della fila, verso Daenerys. E capì che questo era il posto in cui doveva stare. In voleva stare. Accanto a Verme Grigio, che capì il turbamento dei suoi pensieri e le fece un impercettibile sorriso di conforto.

Poi un boato squarciò il cielo. Tutti alzarono immediatamente le teste, gettando il proprio sguardo in tutte le direzioni. Cos’era stato? Ci furono dei ruggiti e tutti capirono che si trattava dei due draghi di Daenerys, Drogon e Rhaegal. Essi planarono sull’esercito che continuava a marciare senza timore. Tutti i popolani, che erano sul bordo della strada cominciarono a scappare, fuggendo verso le proprie case. Non avevano mai visto dei mostri di quel genere. Erano giganteschi e le loro grida gli faceva tremare le viscere.

Daenerys li guardò e fece un largo sorriso. Era questo il suo modo di ottenere rispetto: la paura. E ora tutti ne avevano. Tutti tranne una. Arya, che rimase immobile, ad osservarli. Era attratta da quelle creature. Pensò per un attimo che avrebbe voluto cavalcarne uno.

Dalle mura di Grande Inverno, Sansa guardava quell’enorme esercito dirigersi verso il castello. Sarebbero bastati per affrontare quella terribile guerra contro i non morti? Poi anche lei venne spaventata dai ruggiti dei due draghi di Daenerys. Volarono sopra la sua testa, a poche centinaia di metri da lei. Rimase a bocca aperta ma, al contrario di sua sorella, ne aveva timore. Erano dei pericolosi animali al comando di una Targaryen che, come suo padre Aerys, aveva nel sangue anche un po’ di follia. E sarebbe bastata una sola parola per far sì che quelle creature bruciassero qualunque cosa. Ma non erano questi i pensieri da covare in quel momento. Erano lì per aiutarla. Per aiutare il Nord.

Ad attendere i nuovi arrivati, all’ingresso del castello, c’era anche Bran. Anche per lui era passato parecchio tempo dall’ultima volta che aveva visto Jon. Ma era diventato il corvo con tre occhi, ora. Non aveva lasciato trasparire alcuna emozione. Perché non ne aveva provata alcuna. Jon, appena lo vide, smontò da cavallo e corse ad abbracciarlo. Ma non ottenne la reazione che si aspettava.
«Quanto sei cresciuto!» disse Jon, baciandolo sulla fronte.
«Ne hai passate molte» commentò Bran.
«Sì» rispose Jon, un po’ confuso.
«Regina dei draghi. Vieni pure avanti. Io sono Sansa Stark, Lady di Grande Inverno» si presentò Sansa.
«Il Nord mi era stato descritto meno rigido» disse Daenerys, avanzando.
«Perché questo non è un comune inverno» intervenne Bran, sempre con voce impalpabile.
Daenerys capì il rimando. Non c’era tempo per i convenevoli.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Inevitabile ***


La notte si apprestava ad arrivare e, con essa, anche il temibile Re della Notte con il suo esercito di non morti. Il cielo era sempre più cupo e, anche se fosse quasi sera, la luce scarseggiava. Un evidente segno che la morte era molto vicina.

Tormund e Beric, dopo essere riusciti a fuggire dalla Barriera dopo l’arrivo dei non morti, avevano vagato per le terre del Nord, cercando di restare in vita.
«Hai visto anche tu quel maledetto drago?» disse Tormund.
«Sì» rispose con terrore Beric.
«Come diavolo è possibile?».
«Ho paura che il potere del Re della Notte superi qualsiasi immaginazione».
La rassegnazione continuava a farsi largo nei loro cuori. Camminarono a lungo e si ritrovarono a Ultimo Focolare, casa degli Umber, alleati degli Stark. C’erano delle fiaccole accese lungo le mura, per cui intuirono che potesse esserci qualcuno e che il castello non era stato abbandonato. Ma lo sarebbe stato presto. Quale folle sarebbe rimasto?
Arrivarono alle porte urlando e palesandosi come uomini di Jon Snow.
«Hey! C’è qualcuno? Siamo uomini del Re del Nord, cerchiamo riparo» continuava a strepitare Tormund.
«Sei sicuro che ci sia ancora qualcuno? Tutti gli eserciti e tutti gli uomini del Nord si sono diretti a Grande Inverno» commentò mestamente Beric.
Così Tormund batté con ulteriore veemenza sulle grosse porte del castello. Dopo qualche istante esse si aprirono e vennero accolti da una manciata di soldati, con alcuni cavalieri che brandivano delle spade contro di loro con alle spalle degli arcieri con frecce infuocate.
Tormund e Beric alzarono le braccia e continuarono ad urlare il nome di Jon Snow.
«Fateli passare» ordinò una voce dalle retrovie.
I soldati si congedarono e sia il vecchio uomo con la bandana che il gigante rosso poterono entrare e scoprire chi era stato a dare quell’ordine. Era stato Ed dei Guardiani della Notte. Non appena lo videro gli diedero un abbraccio possente e si rallegrarono di vederlo ancora vivo.
«Che diavolo ci fai qui? Non dovresti essere anche tu a Grande Inverno?».
«Potrei chiedere lo stesso a voi due».
«Quell’armata è inarrestabile» intervenne Beric. «E presto saranno qui. Dobbiamo andarcene».
«Infatti mi sto preparando insieme ai miei uomini per la partenza. Ristoratevi per quel che potete, si parte tra meno di un’ora» rispose Ed.
Tormund e Beric vennero accolti nel castello e vennero sfamati. Fecero anche la conoscenza del piccolo Lord Umber. Si meravigliarono di vederlo lì. Sarebbe dovuto essere a Grande Inverno con tutti gli altri. Ultimo Focolare doveva essere un castello pressoché disabitato, ma c’erano fin troppi uomini lì.
«Andate pure dal vostro Re del Nord» disse con voce dura Lord Umber. «Pretende davvero che gli Umber si debbano inginocchiare ad una regina straniera?».
«La Regina Daenerys è qui per aiutarci» spiegò Beric. «Abbiamo bisogno del suo esercito e…dei suoi draghi».
«I miei uomini resteranno qui. Abbiamo incoronato Jon Re del Nord. Evidentemente abbiamo sbagliato».
«Dunque è la morte quello che cercate» bofonchiò Tormund, azzannando un pezzo di carne.

Il vento, all’esterno, si era alzato. Le poche sentinelle che erano sulle mura avrebbero giurato di aver visto qualcosa di strano attraverso le nuvole. Il sole non era ancora calato. Poi videro un piccolo fiocco di neve scendere lentamente. Lo guardarono posarsi delicatamente a terra. Avevano visto quella scena già mille volte. Si rimboccarono le pellicce e maledissero il giorno in cui erano nati. Infine, un rumore di corpi sfregati l’uno contro l’altro, accompagnati da sibili e rantolii. Il sangue nelle vene dei due soldati si ghiacciò, più di quanto non lo fosse. Tutto quello che riuscirono a fare fu di chiamare aiuto e lanciare l’allarme. Poi misero mano alle proprie spade e cominciarono a tremare. Forse era il freddo. Forse la consapevolezza che non avrebbero superato quel tramonto.

Il grido delle due sentinelle riecheggiò ad Ultimo Focolare, richiamando l’attenzione di tutti gli altri.
«Mio Signore, scenda nelle cripte, lì sarà al sicuro» suggerì uno degli uomini del piccolo Lord.
Egli raccolse il consiglio e si diresse in quel luogo insieme ad altre poche donne e bambini. Quelli che avevano avuto il coraggio di rimanere.
«Sono qui» disse Beric, riferendosi all’arrivo inevitabile del Re della Notte e della sua armata.
Estrasse la sua spada e , pregando il Signore della Luce, la vide illuminarsi e avvolgersi di un fuoco magico.
Tormund non si fece prendere dal panico e finì il suo piatto prima di mettere mano alla sua ascia.
Uscirono fuori e videro quei pochi soldati radunarsi in una formazione sparpagliata e confusa.
«Dobbiamo essere compatti!» urlava Ed. «Spalla contro spalla, schiena contro schiena!».
L’inferno travestito di bianco si era abbattuto su di loro. Una tempesta di neve accompagnata da corpi putridi e irruenti si presentò a Ultimo Focolare. La morte. In pochi istanti furono circondati.

Tutti tirarono un lungo respiro e iniziò il combattimento. La proporzione era impari. Per ogni non morto colpito, ne uscivano due pronti ad attaccare. Beric ondeggiava la sua spada nel vento, colpendo quanti più nemici possibile. Il Signore della Luce lo aveva portato, dunque, a dover vivere quel momento? A combattere una guerra senza speranza contro la morte? Tormund, accanto a lui, spaccava crani e teste con una possente brutalità. Ma i non morti cominciarono a saltare anche dalle mura, diventando un pericolo da dover affrontare non solo dal fronte e dal retro, ma anche dall’alto.

Nel frattempo, il Re della Notte osservava tutto dall’alto, in groppa al suo drago Viserion. Poi, lentamente, alzò le braccia, trasformando tutti coloro che avevano appena perso la vita combattendo per i vivi in nuove reclute per il suo esercito.

Il piccolo Lord Umber, nelle cripte, ascoltava le urla degli uomini impegnati a combattere e cominciò a piangere, abbracciato agli altri. Essi sentirono un piccolo ticchettio e si spaventarono ulteriormente. Cosa stava succedendo? La porta d’ingresso era stata sbarrata in modo tale che per aprirla sarebbero serviti ben cinque uomini, quindi prima di poter entrare, i non morti avrebbero dovuto faticare un bel po’.
Ma non c’era bisogno di entrare. Perché i non morti erano già lì. Dalle tombe degli antenati Umber cominciarono ad arrivare delle grida agghiaccianti e i sarcofagi, a poco a poco, venivano smossi e, da essi, iniziarono a venir fuori corpi putrefatti. Le donne e i bambini non poterono far altro che urlare e andare incontro al loro destino. In pochi istanti, la carneficina si consumò.

Intanto, la battaglia tra i pochi uomini ancora rimasti e i non morti si stava concludendo. Ed dei Guardiani della Notte vide la fine imminente e gridò ai suoi uomini: «È stato un onore combattere al vostro fianco, soldati. Moriremo con onore. E di noi verrà scritto che combattemmo come eroi contro il peggior nemico che si sia mai visto».
Non ebbe il tempo di terminare quella frase che un non morto lo azzannò alla gola. Cercò di divincolarsi, strattonandolo via, ma subito venne bloccato da altri tre nemici, che lo graffiarono e pugnalarono in ogni punto del suo corpo. L’ultima cosa che vide fu un corvo nero che volava via.

«Udite le mie parole, siate testimoni del mio giuramento. Cala la notte, e la mia guardia ha inizio. Non si concluderà fino alla mia morte. Io non avrò moglie, non possiederò terra, non sarò padre di figli. Non porterò corona e non vorrò gloria. Io vivrò al mio posto, e al mio posto morirò. Io sono la spada nelle tenebre. Io sono la sentinella che veglia sulla barriera. Io sono il fuoco che arde contro il freddo, la luce che porta l'alba, il corno che risveglia i dormienti, lo scudo che veglia sui domini degli uomini. Io consacro la mia vita e il mio onore ai Guardiani della Notte. Per questa notte e per tutte le notti a venire».

Tormund e Beric si trovavano nella stessa identica situazione. Poi arrivò qualcosa di inaspettato. E persino la sicurezza di Giantsbane venne a mancare. Un enorme gigante zombie. Le risorse dell’esercito dei non morti erano infinite. Quell’enorme mostro si scagliò contro di loro, facendo volare Beric contro un muro ad una forza tale che crollò, seppellendolo sotto una tomba di macerie. Tormund, invece, sgattaiolò al di sotto delle gambe del nemico, saltandogli alle spalle e pugnalandolo ripetutamente. Ma non fu efficace. Il gigante lo afferrò con una delle sue mani e lo gettò in mezzo ad un nugolo di non morti, che fecero il loro dovere, trasformando anche l’ultimo superstite in un membro dell’armata mortale.

L’avanzata del Re della Notte era inarrestabile. La morte non si poteva fermare. Nessuno poteva farlo.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - La Notte ***


I piani di guerra erano stati studiati a lungo per tutta la giornata. Nulla poteva essere lasciato al caso. Ogni uomo perso avrebbe significato un soldato in più per il nemico. L’esercito su cui Grande Inverno poteva contare non era quello che ci si potesse aspettare per combattere il più grande dei nemici, ma era tutto quello che erano riusciti ad ottenere. Daenerys aveva contribuito con oltre la metà delle truppe, con Immacolati e Dothraki, per non parlare dei due draghi. Il Nord aveva appena finito di combattere una guerra, quindi i suoi uomini erano pochi, ma determinati. Dal Sud, la regina Cersei aveva promesso qualcosa che non aveva mantenuto. Tyrion era stato ingannato e sua sorella non aveva inviato nessun soldato per rafforzare la loro linea di difesa. Questo perché a lei interessava solo difendere il suo trono, incurante della morte che stava per abbattersi su di loro. Infine erano stati costretti a combattere anche gli anziani, i contadini, i ragazzi giovani, tutti coloro che non avevano mai brandito una spada. L’addestramento era stato sommario e a stento sapevano rimanere in formazione. Ma essi sarebbero stati impiegati solo in caso estremo, quando e se i non morti avrebbero preso il sopravvento.

Intorno alle mura del castello erano state scavate delle fosse e riempite di pece, per incendiarle e tentare di bloccare per qualche tempo il nemico. Inoltre erano stati piantati una serie di pali appuntiti nel terreno, la cui punta era stata cosparsa di vetro di drago, così come tutte le mura e ogni singola arma. Dietro i merletti del castello si trovavano pentole di pece da riscaldare e gettare sul nemico per poi incendiarlo, massi di pietre da azionare per schiacciare quanti più non morti possibile.
Ma era la tattica di guerra che aveva preso il sopravvento nelle menti di tutti. Come avrebbero fatto a contenere il nemico e a distruggerlo? I Dothraki, che rappresentavano la cavalleria e la parte di esercito più dinamica, nonché quella meno diligente, sarebbe stata disposta sul fianco destro e la loro carica avrebbe investito i non morti come un mare in tempesta. Gli Immacolati, che non avrebbero indietreggiato per nulla al mondo, sarebbero stati  disposti di fronte all’ingresso del castello. Il fianco sinistro sarebbe stato coperto dai due draghi cavalcati da Daenerys e da Jon.

Tutti coloro che non erano in grado di combattere, inclusi Sansa, Tyrion, Varys e Gilly, si erano diretti a sud con una carovana. Sarebbe stato inutile rimanere a Grande Inverno e, se tutto fosse girato per il verso giusto, sarebbero riusciti ad arrivare ad Approdo del Re poco prima del Re della Notte. Se invece, la guerra sarebbe stata vinta, sarebbe bastato uno dei draghi di Daenerys per avvertirli del lieto evento.

Bran si trovava nel giardino di Grande Inverno, sotto l’Albero Diga. Aveva preso il controllo di alcuni corvi in volo e aveva visto il triste destino di tutti coloro che si trovavano a Ultimo Focolare. E aveva visto che il Re della Notte si stava già muovendo insieme alla sua armata di non morti.
«Stanno arrivando. È ora di preparare l’esercito» aveva detto a Theon, che si trovava con lui.
«Cosa? Adesso?» aveva risposto il Greyjoy, che stava pensando a sua sorella Yara.
«Sì. Ogni minuto che perdiamo potrebbe cambiare le sorti di questa battaglia» disse Bran quasi con tono di rimprovero.
Così Theon corse dagli altri e li avvertì. Nel castello tutto cominciò a muoversi all’unisono. Tutti sapevano cosa fare e dove andare. I trabucchi di guerra erano pronti a far fuoco non appena sarebbero apparsi i nemici in lontananza. Jon e Daenerys salirono sui loro draghi e si diressero sul fianco sinistro. Jorah e i suoi Dothraki su quello destro. Brienne, Jaime, Verme Grigio e gli Immacolati si disposero di fronte all’ingresso, coprendo per intero le mura del castello. Il Mastino si trovava nel castello e avrebbe guidato l’ultima speranza di difesa. Arya, che si era fatta costruire una nuova arma da Gendry, si aggirava silenziosa per il castello, pronta a colpire al momento giusto. Sam era sulle mura con gli arcieri e aveva cominciato a tremare, senza però lasciar trasparire nulla.

Poi, il silenzio.

Tutti avevano ridotto al minimo il respiro, perché anche il minimo rumore sarebbe stato fondamentale per capire se il nemico stava arrivando. Perché la notte era calata ed era più scura del solito. La più scura che gli uomini avessero mai visto. Le nuvole coprivano il cielo ed era pressoché impossibile scorgere la luna.
L’attesa divenne sfiancante. Non tutti riuscirono a mantenere la concentrazione per tutto il tempo. Era impossibile mantenere contratti tutti i muscoli, pronti all’azione in qualsiasi momento.

Una leggera brezza aveva cominciato a soffiare su Grande Inverno. I fuochi che illuminavano il campo di battaglia avevano cominciato ad affievolirsi. Poi arrivarono dei fiocchi di neve. Uno dopo l’altro. E divennero sempre di più. E così anche il vento prese a tirare sempre più forte. Gli uomini avevano capito e sguainarono le armi. Jon e Daenerys si alzarono in volo con i loro draghi. I trabucchi erano pronti a scoccare delle enormi rocce di vetro di drago infuocate.

In seguito arrivò una terribile tempesta di neve e tutto calò nelle tenebre. I fuochi si spensero e il rumore di passi confuso dei non morti prese il sopravvento.

La battaglia era iniziata.

I trabucchi scagliarono le pietre infuocate fin dove l’occhio non poteva arrivare. La visuale era ridotta a pochi metri data la confusione che la bufera aveva provocato. Gli immacolati avanzarono leggermente e puntarono le lance di fronte a loro, pronti all’impatto col nemico. I Dothraki cominciarono la cavalcata verso il centro nel campo di battaglia. Gli arcieri dalle mura non riuscivano a vedere nulla e non sapevano quando dover entrare in azione. Drogon cominciò a fare fuoco sul campo, illuminando quello che poteva e iniziando a bruciare qualche nemico. Lo stesso avvenne per Rhaegal.

Theon e i suoi uomini di ferro, posti a difesa di Bran nel giardino di Grande Inverno, avevano impugnato i loro archi, pronti a colpire.

I non morti, che erano quasi giunti nei pressi degli Immacolati, vennero investiti dall’orda Dothraki, che iniziò a spaccare crani e a fracassare ossa. Jaime urlò agli arcieri di cominciare a scoccare frecce, così Sam diede l’ordine e iniziò una pioggia di frecce infuocate. La visuale divenne a tratti migliore, per i soldati. I Dotraki per qualche minuto sembrarono riuscire a tenere testa ai non morti, fin quando non vennero investiti tutti da una valanga di fuoco blu.

Il Re della Notte era arrivato.

Tutto l’esercito Dothraki era letteralmente in fiamme. Così, da quel mare incendiato, vennero fuori i non morti che attaccarono gli Immacolati.
Jon e Daenerys che avevano assistito a tutta la scena videro il Re della Notte volare tra le nuvole e sparire. Lo inseguirono e sparirono anch’essi. Volarono fin su, superando la tempesta e sbucando sopra le nuvole. Videro Viserion e il Re della Notte fare un sorriso di sfida, per poi sparire nuovamente. Quello che seguì fu come una danza. Drogon e Rhaegal ebbero un attimo di esitazione ad attaccare quello che era un loro fratello, ma quando questi li graffiò, essi cambiarono idea. Jon riusciva a tenersi a fatica sul suo drago, mentre Daenerys si manteneva salda. Fu un susseguirsi di morsi, graffi e soffi incendiari.

Nel combattimento a terra, i non morti stavano surclassando gli Immacolati, spuntavano dappertutto. Come era stato per Ultimo Focolare, anche stavolta si stava trasformando in un inferno travestito di bianco. Era giunto il momento. Jaime gridò a Brienne che avrebbero dovuto dar fuoco ai fossati, così ordinarono agli arcieri di farlo. In pochi istanti tutto si illuminò, con il fuoco che cominciò a prendere il sopravvento. Gli Immacolati indietreggiarono ulteriormente, riparandosi dietro i pali di legno appuntiti. I non morti non sembravano soffrire il fuoco, infatti lo superarono agevolmente, diventando forse ancora più pericolosi proprio perché i loro corpi cominciarono ad essere avvolti dalle fiamme. Ma questo piccolo vantaggio aveva una durata residua, perché il fuoco consumava quei cadaveri facendoli collassare a terra dopo qualche minuto.

Sulle mura, Sam ordinò alle retrovie di prepararsi a combattere, mentre cominciò a scaldare i pentoloni di pece da gettare sul nemico per incendiarlo.
Arya si muoveva come un gatto tra i tetti del castello e osservava dall’alto tutta la battaglia. Aveva il presentimento che le cose potessero solo peggiorare.

«Probabilmente ora saranno già tutti morti» commentò mestamente Varys.
La carovana, che aveva lasciato Grande Inverno da poche ore, si muoveva lentamente, perché era notte e perché non tutti avevano avuto la possibilità di avere una carrozza o un cavallo.
«Non hai uno dei tuoi uccelletti che può farcelo sapere?» rispose ironicamente Tyrion.
«Potrei inviare te, d’altronde hai la perfetta stazza per essere un uccelletto» rimbeccò il ragno tessitore.
«Smettetela, sembrate due mocciosi» intervenne Sansa. «A Grande Inverno c’è il più grande esercito che Westeros abbia mai visto. Compresi i due draghi di Daenerys. A me preoccupa sia la vittoria che la sconfitta. Credete che la regina dei draghi non intenda bruciare tutti pur di ottenere il trono?».
«Quello che mi piace di te, Sansa, è che riesci sempre a guardare oltre, a porti problemi che non sono ancora insorti, mentre non hai ancora finito di risolvere quello attuale» disse Tyrion.
«Nella peggiore delle ipotesi, saremo comunque tutti morti» continuò Varys.
«Non sottovaluto il pericolo dei non morti, ne sono spaventata quanto voi. Ma non metterei in secondo piano nemmeno la sete di potere di Daenerys» affermò Sansa.
«Non ho detto che il guardare su più fronti sia un difetto. Semplicemente, non ti troverai impreparata quando e se dovesse presentarsi quell’eventualità» convenne il folletto.
«Dimenticate un particolare» puntualizzò l’eunuco. «Ci stiamo dirigendo a Sud, verso Approdo del Re. Con la speranza che un drago venga a fermarci in tempo per dirci che la guerra è finita. Ma se ciò non dovesse accadere, ci ritroveremo alle porte della capitale. Da una regina che ha più di un motivo per uccidere ognuno di noi. Ma io spero nella clemenza di Cersei. Potrebbe mostrare la sua compassione non aprendoci i cancelli del castello e lasciarci fuori alla mercé dei non morti, quando arriveranno».
«Ho bisogno di vino» constatò Tyrion.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Sconfitta ***


Lentamente, tra le macerie di Ultimo Focolare, si muoveva una donna. I suoi capelli erano rossi e il suo vestito riecheggiava quel colore. Era Lady Melisandre, che aveva legato il suo cavallo ed era entrata a vedere ciò che rimaneva di quel luogo. Nessun corpo. Ovviamente tutti i cadaveri erano stati riportati in vita e fatti muovere verso Grande Inverno. Tutti tranne uno. Si piegò sulle ginocchia e cominciò a scavare tra un mucchio di pietre. Alcune erano molto pesanti, perciò ci mise tempo per spostarle. Ma poi, infine, riuscì a riportare alla luce ciò che vi era sepolto. Il corpo di Beric Dondarrion.
«Non c’è bisogno che il Signore della Luce ti riporti in vita, Beric. Perché non sei ancora morto» disse Lady Melisandre.
La risposta fu un grugnito debole. Lei gli tese la mano e lo aiutò a rialzarsi. Era scosso, un gigante lo aveva scaraventato contro un muro ed era stato letteralmente seppellito. Questo, però, gli aveva permesso di rimanere in vita e di non essere vittima del Re della Notte.
«Come sapevi che ero lì sotto?» domandò Beric.
«Il tuo destino non si è ancora compiuto. Sei arrivato fin qui per un motivo. E dovrai fare ancora molta strada prima che tu possa raggiungere il tuo scopo» spiegò la donna rossa, camminando verso l’uscita.
«Credo che sia inutile farti notare che sicuramente quel maledetto mostro e il suo esercito avranno già distrutto tutto ciò che esisteva su questo mondo» commentò Beric seguendola lentamente.
«Non è ancora detta l’ultima parola».
Detto questo, Lady Melisandre gli mostrò il suo cavallo e gli disse di prenderlo e di dirigersi a Su, verso Approdo del Re.
«Vuoi dire che Grande Inverno è caduta? Che Jon Snow e la regina dei draghi sono morti?» chiese Beric.
«Non posso sfamare la tua curiosità. Dovrai scoprirlo da solo».
«E allora perché mi hai detto di dirigermi lì?».
«Perché è lì che il tuo destino si compirà. Ora va. Non c’è tempo».
«Come credi che possa arrivare fin laggiù in tempo?».
«Questo non è un semplice cavallo. Guardalo negli occhi, te ne renderai conto».
Beric fissò l’animale nelle pupille. Non vide nulla di particolare. Somigliava in tutto e per tutto ad cavallo normale. Ma poi apparvero dei rifletti luminosi. Fiamme. Era il Signore della Luce che aveva generato quel destriero.
«È più veloce di qualunque altro cavallo sia mai esistito» disse la donna rossa.
«Vuoi dirmi che questo è il famoso Toynarr?» domandò Beric, sul cui volto si era stagliato un enorme sorriso.
«Sì, è il cavallo della leggenda. Tutti noi abbiamo sentito le sue storie. Ma adesso non è il momento. Come ti ho detto, non c’è tempo. Ora va».

A Grande Inverno la battaglia impazzava. I Dothraki erano tutti morti. Gli Immacolati resistevano a fatica e i soldati sotto il comando di Jaime e Brienne si erano ritirati all’interno delle mura del castello. Gli arcieri comandati da Sam continuavano a scoccare frecce ad un ritmo impressionante. I non morti continuavano ad avanzare imperterriti e persino Verme Grigio capì che era giunta la fine. Ripensò per un attimo a Missandei, che si trovava sulla carovana diretta a Sud. Sperava che potesse salvarsi e che, almeno lei, avrebbe potuto vedere l’alba di un nuovo giorno. Poi si caricò di adrenalina e cominciò ad uccidere quanti più nemici potesse. Le fiamme ormai si stavano spegnendo per via della tempesta di neve sempre più incalzante. Poi apparve, dalle retrovie, il temibile gigante che già aveva fatto carneficina a Ultimo Focolare. A quel punto, forse per la prima volta, Verme Grigio ebbe paura. Si girò, afferrò una lancia di un suo compagno morto e la tirò con tutte le forze nella direzione dell’enorme nemico. Lo trafisse in una gamba, ma egli continuava a camminare imperterrito. Così indietreggiò ancora un po’ e ritentò con un’altra lancia. Questa volta fu più fortunato perché centrò il busto. Il gigante allora si fermò. Rimase lì per qualche istante. Verme Grigio cercò di prendere un’altra lancia e tentare il colpo finale, quando sentì una strana fitta sulla spalla sinistra. Voltò lo sguardo e vide che era stato colpito da una delle lance degli Immacolati. Non capiva come fosse possibile. I suoi compagni morti erano ancora senza vita, non erano ancora stati resuscitati dal Re della Notte. Allora cosa era successo. Poi alzò lo sguardo. La tempesta di neve non gli dava una buona visuale, però vide il gigante togliersi l’altra lancia che l’aveva colpito per rilanciarla indietro verso Verme Grigio. Quest’ultimo non ebbe il tempo di spostarsi e venne colpito in pieno petto. La sua bocca si riempì di sangue. Poi cadde sulle ginocchia e si lasciò abbracciare dalla morte.

Jon e Daenerys continuavano a volteggiare nel cielo, cercando di trovare il modo di non essere colpiti da Viserion e dal Re della Notte, cercando allo stesso tempo di porre fine a quello spettacolare scontro. Daenerys, allora, virò verso una nuvola piuttosto densa, scomparendo al suo interno. Così Jon rimase da solo a fronteggiare quel temibile nemico. Egli si avvicinava sempre di più e la sua bocca cominciò ad illuminarsi di un blu intenso, segnale che stava per emettere un respiro incendiario, quando Drogon spuntò all’improvviso e lo colpì. Il drago sembrava stordito, ma il Re della Notte non era per nulla sorpreso. Ridestò il suo Viserion, volò in alto e si frappose fra loro e la luna. La sua figura era statuaria e si stagliava su quel corpo celeste. Era un’immagine davvero inquietante. Jon e Daenerys si guardarono, scambiandosi dei cenni. Sarebbero volati da entrambi i lati per colpire il nemico e bruciarlo. Ma accadde qualcosa che non si sarebbero mai aspettati. Il Re della Notte si alzò in piedi sul drago. Fece alcuni passi e poi si lasciò cadere nel vuoto.
«Ma che diavolo?».
Mentre i due erano distratti a vedere quella figura planare e perdersi tra le nuvole, vennero investiti dal fuoco blu di Viserion. La battaglia non si era affatto conclusa. Così Daenerys urlò a Jon di inseguire il Re della Notte mentre lei si sarebbe occupata di Viserion. Non del tutto convinto, Jon obbedì. Sapeva che uccidere il Re della Notte avrebbe potuto porre fine a tutto quel conflitto in un solo istante. Così Rhaegal puntò la terra e si lasciò cadere al massimo della velocità. Entrò dapprima nelle nuvole per poi ritrovarsi immerso nella tempesta di neve. Quando si ritrovò a sorvolare Grande Inverno, si rese conto che i non morti stavano scalando le mura.

«Gettate la pece! In fretta! Bruciateli!» urlava Sam ai suoi. «Lasciate cadere anche i massi. Schiacciamoli! Lasciamoli pentire di essere rinati».
I soldati cercavano di mantenere i nervi saldi e di eseguire quegli ordini. Ma il nemico era inarrestabile. Sembrava non funzionare nulla. La pece e il fuoco era utile con quei corpi che si trovavano alla base delle mura. Ma per quelli che erano quasi giunti in cima, era un motivo in più per creare scompiglio e terrore. I massi sembravano funzionare meglio. Delle ossa rotte non permettevano loro di potersi muovere granché. Col senno di poi avrebbero fatto meglio e puntare principalmente su ciò, pensava Sam. Ma ormai era troppo tardi.
«Che cosa diavolo sta succedendo là sopra?» gridavano dal centro della piazza.
«Sembra che i non morti stiano per superare le mura».
Tutti erano pronti a combattere, con le spade dritte di fronte a loro. Anche Arya aveva preso parte allo scontro, lanciando frecce e cercando di far arrivare meno nemici possibili fin sopra le mura.

Il Re della Notte era atterrato senza troppi problemi. Il suo corpo sembrava indistruttibile. Non si era nemmeno scalfito. Dopodiché, aveva visto tutti i cadaveri di Dothraki e di Immacolati e, in quel momento, decise di aumentare ancora di più il numero delle milizie del suo esercito. Alzò le braccia e in pochi istanti tutti quei corpi ripresero vita, dirigendosi verso il castello.

Jorah Mormont, dopo aver visto i suoi uomini bruciati dal drago del Re della Notte, aveva cavalcato cercando di non essere disarcionato dai non morti e di ucciderne quanti più possibile. Anche lui sembrava non poter sfuggire alla morte.

Nel giardino di Grande Inverno, Bran era del tutto impassibile. Gli Uomini di Ferro che lo circondavano erano visibilmente agitati. Sapevano che sarebbero potuti uscire cadaveri camminanti da un momento all’altro. E di fatto, fu quello che avvenne. In poco meno di un minuto furono circondati e quasi tutti persero la vita.
«Bran! Vattene! Mettiti in salvo!» urlava Theon.
«Dove vuoi che vada? Ormai sono qui. È questo il mio posto» rispose in tono serafico.
«Cosa?» domandò il Greyjoy, poco prima di vedersi trapassare da una spada di ghiaccio.
«Sei un brav’uomo Theon» disse Bran, guardandolo negli occhi.
Quegli occhi che videro scivolare via la vita del giovane Greyjoy.
La spada che lo aveva ucciso era stata quella del Re della Notte, che adesso si trovava a pochi passi da Bran.

Sam, dalle mura, non riusciva più a tenere a bada i non morti, che inevitabilmente avevano superato anche quelle difese. Scese le scale e si apprestò a combattere con tutti gli altri. Il combattimento che ne seguì ricalcò le orme di ciò che era avvenuto a Ultimo Focolare. I non morti arrivavano da ogni angolo. Jaime fu il primo a cadere, dopo che un non morto gli aveva tranciato di netto il braccio destro. Brienne, nel tentativo di salvarlo, aveva ucciso più di una ventina di nemici prima di essere abbattuta. Sam, piangendo, lasciò questo mondo ripensando a Gilly e al figlio che non avrebbe mai visto. Il Mastino morì cercando di scappare. Ma non c’era via di fuga dalla morte. Tutti gli altri difensori della vita, subirono il destino ultimo che il Re della Notte stava portando sui Sette Regni.

Nei cieli, Daenerys stava tenendo a bada Viserion, fin quando quest’ultimo non decise di abbandonare lo scontro e scendere sul castello. Daenerys lo inseguì e anche lei si ritrovò di fronte all’apocalisse. Praticamente non c’era più nessun uomo in vita. Erano stati tutti uccisi e tutte le fiamme di Grande Inverno si stavano spegnendo, facendo calare la notte e rendendo tutto più buio. Incendiò qualche decina di cadaveri, fin quando non video un uomo a cavallo. Non era ancora stato ucciso. Era ancora un soldato dell’esercito dei viti. E il suo cuore si riempì di gioia nel vedere che era Jorah. Col suo drago formò un semicerchio, bruciando tutti i non morti che si trovavano di fronte al vecchio Mormont. Poi Drogon scese, si fermò per un attimo e Daenerys gridò a Jorah di salire sul drago con lei. Jorah non se lo fece ripetere due volte e si arrampicò su quella maestosa bestia. Dopodiché, Drogon riprese il volo e tornò a guardare il tutto dall’alto. Dov’era Jon?

Il Re della Notte si trovava di fronte a Bran. Il ragazzo non si muoveva. Non poteva nemmeno provare a scappare perché ormai era circondato da ogni lato.
«Sai che potrei sconfiggerti in qualsiasi momento?» gli disse Bran.
Il Re della Notte si limitò a fare un sorriso e a tendere la spada, pronto a colpire.
«Solo che non è il mio destino sconfiggerti» concluse Bran, prima di essere vittima del colpo del nemico.
Il Re della Notte calò la spada su Bran, con tutta la forza che poté. Quando la lama colpì il ragazzo, egli si smaterializzò, perdendosi nel vento, tra la tempesta di neve che c’era in atto. Il leader dell’esercito dei non morti non capì cosa era successo. Aveva tutto sotto controllo, ma quell’aspetto gli era sfuggito. Dove diavolo era finito Bran? Era morto? Era così che moriva un Corvo con Tre occhi?

Arya, con la sua picca a doppia lama, stava in bilico sul tetto di una delle torri del castello e aveva trovato il modo di uccidere non morti senza che potessero avere la benché minima possibilità di attaccarla. Ma le forze stavano diminuendo e sapeva fin troppo bene che il suo era solo un prolungamento di una vita che stava giungendo al termine. Perse la speranza. Smise di uccidere nemici. Chiuse gli occhi. Avrebbe accolto la morte. Ma non fu così. Si sentì chiamare. Era la voce di Jon. Egli era giunto con il suo drago per salvarla. Dopo aver planato un paio di volte, le gridò che avrebbe dovuto saltare. Così Arya si fece coraggio e saltò con le ultime forze che aveva in corpo. Jon l’aveva afferrata. Dopodiché era tornato in cielo. Daenerys lo stava aspettando. Non c’era più una battaglia da combattere, lì. Avevano perso. La morte aveva vinto ancora una volta.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - L'ultima alba ***


Gli unici quattro sopravvissuti nella battaglia a Grande Inverno si stavano dirigendo ad Approdo del Re. Sarebbe stato l’ultimo baluardo della vita umana. Cersei, che non li aveva aiutati inviando uomini al Nord, avrebbe dovuto cambiare idea. Jon, con alle spalle Arya, stava pensando alla carovana spedita a Sud. Erano già arrivati? Erano ancora per strada? Era difficile stabilire la loro posizione, potevano essere ovunque, magari stavano attraversando un bosco per cui non erano visibili dall’alto. Ciò che contava, però, in quel momento era di convincere la Regina dei Sette Regni di imbastire una difesa più efficace contro i non morti. Gli Immacolati, i Dothraki egli uomini del Nord non erano stati sufficienti ad abbattere l’armata del Re della Notte, che adesso poteva contare su centinaia di nuove reclute.
«Credevo che solo i Targaryen potessero cavalcare un drago» disse Arya, distogliendolo dai suoi pensieri.
Jon era stato messo a conoscenza della sua vera identità. Gliel’aveva detto dapprima Sam, poi glielo aveva confermato anche Bran. Ma non ne aveva parlato non nessuno. Il suo segreto era al sicuro. Sapeva fin troppo bene che se quella notizia si fosse diffusa, avrebbe creato dei disagi con Daenerys. Lui era il legittimo erede al trono, ma ora non era il momento di pensarci. Quelle stupide dinamiche di potere non avevano significato di fronte al pericolo di un’inarrestabile esercito di non morti.
«A quanto pare le leggende non raccontavano il vero» cercò di spiegare Jon.
Arya non poteva credere di essere su un vero drago. La velocità con la quale questi fendeva l’aria e i respiri che prendeva. Aveva sempre e solo sentito delle storie su quelle bestie e adesso, finalmente, aveva la possibilità di cavalcarlo. Le mani erano ancorate al grosso animale, così come le gambe. Guardò alla sua sinistra e vide quello su cui si trovava Daenerys. Appariva molto più grosso di quello su cui erano loro due.
 
La carovana si muoveva nascosta dalle chiome degli alberi. Era la strada più breve per raggiungere Approdo del Re. Il loro destino era in mano al caso. Sarebbero morti per l’arrivo dei non morti alle loro spalle? Sarebbero sopravvissuti perché la guerra era finita e i vivi avevano vinto? Sarebbero morti per mano di Cersei? C’era anche la possibilità che avrebbero trovato Approdo del Re già conquistata dal Re della Notte. L’unica cosa di cui erano sicuri era la propria stanchezza. Avevano camminato per tutta la notte, fronteggiando i pericoli che potevano nascondersi per la strada: lupi, briganti o quant’altro. Ma non c’era neanche un animale, né tantomeno briganti. Il pericolo dei non morti aveva fatto scappare tutti.
«Sbaglio o comincio a sentire una leggera brezza?» commentò Tyrion.
Si trovavano all’interno di un carro e attraverso le aperture sui lati erano cominciati a cadere dei fiocchi di neve.
«I non morti sono qui» sentenziò Varys.
«Cosa ne sai? Magari la neve li anticipa di qualche ora» ribatté il folletto.
«Guarda la velocità con la quale ci stiamo muovendo. La notte è passata e a quest’ora Grande Inverno sarà probabilmente caduta. Spero vivamente di arrivare in tempo da Cersei. Preferisco essere decapitato che finire sbranato da un mostro senz’anima» continuò il Ragno Tessitore.
«Io non preferisco né l’una né l’altra» interruppe Sansa. «Voi Lord Varys state pensando così tanto alla morte che potrei accontentarvi anche subito».
La lady di Grande Inverno stringeva tra le mani un pugnale e non sembrava avere alcun timore di usarlo.
«Siamo tutti spaventati ma cerchiamo di mantenere i nervi saldi. So bene che rimanere con le mani in mano non è facile. E per di più senza avere notizie di quello che è accaduto» disse diplomaticamente Tyrion.
In quel momento, da fuori, arrivò un urlo. Poi un altro. E un altro ancora. In poco tempo quelle urla singole si trasformarono in un concerto di grida. Accompagnate da versi disumani. Lord Varys aveva ragione. I non morti erano arrivati.
«Maledizione, lo sapevo che erano qui» disse Varys con voce spezzata dalla paura.
Tyrion guardò fuori dalla carrozza e vide una donna cadere a terra e spingere suo figlio lontano, mentre da dietro un non morto le staccava a morsi il collo.
«Non resterò qui ad aspettare che giunga la mia ora» sentenziò il ragno tessitore.
Detto questo uscì dal carro e corse il più veloce possibile, cercando di non guardarsi indietro. Ma era impossibile. E proprio questa sua curiosità gli costò la vita. Inciampò e cadde a terra, rotolando e finendo contro un albero. Si rialzò a fatica ma venne raggiunto da un gruppetto di nemici, che lo circondò e ne fece carneficina.
«Bene, Lady Sansa, direi che l’opzione ‘scappare a gambe levate’ possa essere esclusa» commentò Tyrion.
«Io ho un’opzione ben più dignitosa. Concordo sul non voler essere divorata da un non morto» rispose Sansa.
Alzò il pugnale di fronte a lei e lo guardò a lungo. Il suo battito rallentò e le sue mani erano ferme. Non tremava affatto. Era sicura che quello era il miglior modo di andarsene.
«Davvero? Vuoi toglierti la vita? Uno sforzo inutile considerando che ci basta aspettare ancora un po’ e qualcun altro potrebbe farlo per noi».
«Sì? Guardando qualcuno che mi strappa a morsi un braccio? Mentre qualcun altro mi affonda le unghie nel petto? Sarò codarda, forse, ma voglio andarmene a modo mio».
«Sai, sei sempre stata la mia Stark preferita. E lo dico senza lusinghe. Già da prima che ti sposassi con mio nipote. E prima che sposassi me. Devo dire che il nostro matrimonio è stato piacevole. Solo avrei voluto poter passare più tempo con te».
«Sincerità prima di morire. Vorrei porti tante altre domande, ma a cosa serve, ormai? Tanto fra pochi istanti saremo solo due cadaveri che combatteranno per il Re della Notte».
Sansa orientò il pugnale verso il proprio petto e lo avvicinò. Sebbene fosse stata determinata a farlo, ora qualcosa glielo impediva. Non riusciva a fare quell’estremo gesto. Ma le sue mani furono bloccate da Tyrion, che le tolse il pugnale e se lo portò al suo, di petto.
«Se ti serve un incentivo a farlo, te lo darò io».
Dall’esterno, intanto, le urla erano finite ed era calato un agghiacciante silenzio.
«Tyrion, sei sempre stato l’unico Lannister che io abbia sempre rispettato. E il nostro matrimonio è stato piacevole anche per me» disse Sansa.
Dopodiché Tyrion le sorrire, poi chiuse gli occhi e si pugnalò. Dritto al cuore. Rimase qualche istante ancora ad aggrapparsi alla vita, poi si lasciò andare e morì.
Sansa, con alcune lacrime che le sgorgarono dagli occhi, riprese il pugnale e cercò di fare la stessa cosa. Se lo puntò al cuore, fece un profondo respiro e affondò. Quello che sentì, però, non fu una sensazione piacevole. Questo, forse, perché il pugnale era di vetro di drago che, forse, provocava meno dolore.
 
I due draghi erano giunti ad Approdo del Re. Erano atterrati a qualche centinaio di metri di distanza. Avevano visto che le mura erano adornate di enormi balestre con frecce giganti. Erano il benvenuto che avevano preparato per Rhaegal e Drogon. Per cui erano rimasti fuori gittata al sicuro. Jon leggeva negli occhi di Daenerys il desiderio di incendiare tutto e prendere il controllo della città, oltre che ad uccidere Cersei. Ma necessitavano di ogni singolo uomo. Probabilmente adesso a Westeros i non morti erano di gran lunga più numerosi dei vivi, perciò tutti sarebbero stati più che fondamentali in quella lotta per la vita.
«Lasciate fare me. Se dovessi morire non sarebbe una grande perdita. E avreste il pretesto per attaccare Cersei» propose Jorah.
«Tu non ti farai uccidere» ordinò Daenerys.
«Allora potrei andare io. Entrerei di nascosto direttamente nella sala del consiglio di Cersei e potrei puntarle una lama alla gola, obbligandola ad aiutarci e ad aprirci i cancelli della città» incalcò Arya.
«Non ci andrà nessuno di voi» sentenziò Jon. «Ci andrò io. Ho convinto i Bruti a combattere con i popoli del Nord».
Si girò a guardare la regina dei draghi: «Ho convinto te a combattere con noi prima di venire qui ad esigere il tuo trono. Riuscirò a convincere Cersei a collaborare. La morte è dietro di noi e sta arrivando. Spero che si renderà conto che non c’è più tempo per complotti politici».
Detto questo, si avviò verso le mura del castello. Daenerys salì nuovamente su Drogon e osservava con attenzione. Sarebbe bastato un solo passo falso di Cersei per scatenare la furia della madre dei draghi.
 
Sansa si sentiva bene. Era quello l’aldilà? Non era posi così male. Poi la sua mente cominciò ad annebbiarsi. Prese a perdere lentamente coscienza. Poi aprì gli occhi e vide qualcosa che la sbalordì. Aveva il pugnale conficcato nel petto, ma sull’elsa di esso, oltre alle sue, c’era anche una mano ghiacciata. Probabilmente uno di quei non morti era giunto prima che riuscisse a morire del tutto. Poi alzò lo sguardo e rimase a bocca aperta, letteralmente. Era il Re della Notte, proprio lì di fronte. Perché aveva allungato la sua mano verso il pugnale? Dopodiché si lasciò andare. La sua mente si spense del tutto. Ma il suo corpo non cessò di esistere. Pian piano iniziò a trasformarsi, diventando di ghiaccio, così come i suoi capelli che divennero color cenere. E i suoi occhi, chiusi, si riaprirono. Erano diventati ancora più blu. Il Re della Notte estrasse il pugnale e lo gettò a terra. Poi porse la mano a quella che era stata Lady Sansa e la aiutò a scendere dal carro. Una volta fuori, si guardò intorno. Sentiva di avere il potere. Il vero potere. Sentiva che avrebbe potuto comandare tutti quei non morti. E di poter ridare la vita. Difatti si voltò, guardò il cadavere di Tyrion e alzò le braccia. Egli aprì gli occhi e si voltò verso di lei. I suoi occhi erano diventati chiari, ma non erano blu come quelli di Lady Sansa. Il Re della Notte sorrise, poi Sansa lo guardò. In un istante capì tutto. Era diventata la Regina della Notte.
 
«Sono disarmato. Vengo qui solo per parlare. Portatemi Cersei» disse Jon, giunto nelle prossimità delle mura di Approdo del Re.
Decine e decine di arcieri avevano incoccato le frecce pronti a colpire.
«Non c’è tempo. Volete capire che l’esercito di non morti sta venendo qui? Abbiamo perso. A Grande Inverno sono tutti morti. E presto lo sarete anche voi se non mi fate parlare con la regina».
Dopo qualche minuto sulle mura si materializzò Cersei.
«Che sorpresa. Il Re del Nord. E se non sbaglio mi sembra di vedere ancora quelle due bestiacce ancora in vita» esordì la regina.
«Siamo stati sconfitti. Ci avevi promesso un aiuto che non è arrivato».
«E cosa sarebbe cambiato? Che sarebbero morti anche i miei uomini e che adesso Approdo del Re sarebbe stata senza difese».
«Devi aiutarci ora. I non morti stanno arrivando, dobbiamo organizzare un piano di difesa. Non è un nemico come gli altri, le tattiche che valgono per fronteggiare un esercito normale non valgono».
«Se sapevi tutto questo come mai non sei riuscito a sconfiggerli?».
«Perché sono inarrestabili».
«E in che modo potresti tornarmi utile nell’affrontarli?».
«Perché c’è bisogno di ogni uomo. Dobbiamo unire le forze e combattere insieme. Solo così potremo scamparla».
«Scommetto che queste parole abbiano funzionato con gli altri».
Cersei poi, guardando nella direzione dei draghi, commentò: «Siete sopravvissuti solo voi?».
«Sì! E non c’è tempo. I non morti potrebbero arrivare da un momento all’altro».
«A quanto pare questo Re della Notte è riuscito a fare quello che non sono riuscita a fare io. Uccidere Tyrion».
Si disegnò un impercettibile sorriso sul volto di Cersei dopo quelle parole.
«Presto saremo tutti morti se non deciderai di aiutarci. Tutti».
«Correrò il rischio» concluse, girandosi.
Poi si fermò e tornò indietro. Jon rialzò lo sguardo, sperando in cuor suo che, infine, Cersei potesse aiutarli. Ma non fu così.
«Ah, e state alla larga dal castello. Quelle balestre giganti non sono messe lì per fare scena» disse Cersei, uscendo di scena.
Jon si girò e gettò un urlo di rabbia. Un paio di frecce si conficcarono a pochi passi da lui. Era un avvertimento. Doveva allontanarsi.
Tornato da Daenerys le disse che non era stato in grado di far cambiare idea a Cersei e che se si fossero avvicinati avrebbero ucciso i due draghi. Non c’era più speranza. Il Re della Notte era destinato a vincere. Cersei si sarebbe goduta il proprio trono per poco tempo. Poi sarebbe stata uccisa e il mondo sarebbe finito.
«Dov’è Arya?» domandò Jon, guardandosi intorno.
La ragazza non c’era più.
«Non lo so, era qui fino a poco fa» constatò Jorah.
«Forse abbiamo ancora una possibilità» disse Daenerys, scendendo dal suo drago.
«Vuoi dirmi che l’avete lasciata andare ad Approdo del Re da sola?» rimproverò Jon.
«La ragazza si è addestrata con gli Uomini senza Volto. Riuscirà a cavarsela. E, a questo punto, non vedo altre soluzioni».
 
Proprio in quell’istante, il cielo già tetro divenne ancora più scuro. Il vento prese ad alzarsi sempre più forte, così come la neve, che cominciò a cadere.
I non morti erano arrivati.
Jon salì sul suo drago, così come Daenerys e Jorah, e presero a volare. L’ultima battaglia stava per cominciare. E mai come in quel momento l’esito era incerto.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 - Destino ***


Un’intera ondata di non morti si era riversata dinnanzi ai cancelli di Approdo del Re. Gli arceri Lannister avevano preso a colpire con una pioggia di frecce tutti quei nemici, non sempre con esito positivo. Il colpo doveva essere inflitto alla testa o in più punti, così da rendere inoffensivo il corpo. Del Re della Notte non c’era ancora traccia, né tantomeno degli estranei. Cersei era al sicuro protetta dalla Montagna, Gregor Clegaine. Qyburn, affascinato dai non morti, si trovava sulle mura tra i soldati. Era incredulo che potesse esistere una magia così potente da far tornare in vita dei corpi morti. Differentemente dalle volte precedenti in cui la battaglia era stata animata da forti ondate di vento, il clima era stabile. C’erano solo fiocchi di neve che scendevano lentamente, con il cielo ricoperto da profonde nuvole grigie. All’improvviso ci fu un’enorme respiro incendiario sui cadaveri. Era Daenerys, che nonostante tutto aveva deciso di aiutare Approdo del Re a combattere per la vita. Ed era la scelta più giusta. Sconfiggere la morte era la priorità.
«Colpite il drago» ordinò Euron, che si trovava sulle mura con gli altri.
«Cosa?» rispose incredulo uno dei soldati.
«Levatevi, faccio io» tuonò il Greyjoy.
«Ma ci serve, sta bruciando centinaia di nemici».
«Sono entrambi nemici, per quanto mi riguarda».
«E se dovessi mancarlo? Finiremmo per incattivire la regina dei draghi che potrebbe rivolgere i propri attacchi anche su di noi».
Il soldato non ebbe il tempo di terminare quell’ultima frase che Euron lo infilzò con un pugnale. Lo vide morire a poco a poco e poi lo gettò di sotto, per evitare vendette post mortem.
«Qualcun altro ha intenzione di dire la sua?» domandò a gran voce agli altri.
Non ottenne risposta.
«Bene, ora facciamo fuori quel drago del cazzo».
 
«Qual è la nostra via di fuga?» chiese Cersei ad uno dei suoi consiglieri.
«Abbiamo delle navi pronte a salpare nel caso in cui le cose dovessero mettersi male» rispose Elor.
Questi era un uomo anziano che operava in silenzio. Parlava poco ma agiva molto. Sapeva che quella guerra aveva un’altissima percentuale di sconfitta, per cui aveva preparato tutto il necessario per scappare. Aveva fatto carriera poco per volta, ma le sue qualità erano stato immediatamente notate da Cersei, che lo aveva nominato suo consigliere. Non lo aveva reso Mano del Re solo perché ad Elor non piaceva stare sotto i riflettori. Ma il suo lavoro era il più importante di tutti.
«Bene» disse Cersei, con un sorriso.
 
In lontananza, dietro le enormi schiere di non morti che continuavano a spuntare da ogni parte, apparvero gli estranei. Erano in sei, sui loro cavalli. Rimasero ad osservare per qualche istante, poi si guardarono e si fecero un cenno. Sarebbero entrati nella capitale passando per vie diverse. Ognuno di loro controllava un enorme gruppo di cadaveri, perciò avrebbe assaltato un punto diverso di Approdo del Re. Sapevano che la Fortezza Rossa sarebbe stato il castello più difficile da conquistare, ma non avevano timore. Loro non potevano morire. E non era un vantaggio da poco.
 
I non morti ormai erano giunti fino alle mura e avevano cominciato a scalarle, salendo l’uno sopra l’altro. Qyburn aveva capito che era ora di ritirarsi e si incamminò verso la Fortezza Rossa, dalla sua regina. Euron, invece, era totalmente incurante dei non morti. Il suo obiettivo era colpire quel maledetto drago. In un colpo solo avrebbe fatto fuori non solo quell’enorme bestia, ma anche la regina dei draghi. Un grande onore per un uomo come lui. Lanciò la prima lancia con la sua balestra gigante, che colpì di striscio Drogon. Daenerys se ne rese conto e prese il volo verso l’alto, scomparendo tra le nuvole.
«Non sbaglio due volte» affermò Euron, sotto voce.
Senza quell’aiuto, i non morti poterono approcciarsi ancora più numerosi alle mura della città. Parecchi soldati maledirono il Greyjoy per aver fatto un gesto così stupido. Così passarono agli altri strumenti, abbandonando le frecce. Ma nulla sembrava poter fermare quell’orda inarrestabile. Come un lampo a ciel sereno, arrivò un’enorme soffio incendiario su di loro, che incenerì più della metà degli uomini a difesa delle mura. Da lontano Jon vide quella scena e non si capacitò. Si trovava a sorvolare sulla città in cerca di Arya, ma tutto quello che aveva ottenuto erano le grida degli abitanti. Scappavano in preda al panico senza sapere dove andare. Ma quando vide ciò che stava facendo Daenerys, trasalì. Cosa diavolo era successo? Perché la regina dei draghi stava colpendo gli uomini sulle mura? Probabilmente i non morti erano già giunti fin lì. Ma quando si rialzò in volo e si avvicinò per essere di aiuto alla sua regina, capì che non era affatto così. Sulle mura bruciavano corpi di uomini Lannister. Poi aveva visto il terrore di quelli ancora in vita che non sapevano chi colpire prima: i non morti o quell’enorme drago che li stava per bruciare vivi? Infine gettò l’occhio sull’enorme balestra puntata proprio verso Drogon, che scagliò il suo enorme dardo colpendo il drago.
«No!» urlò Jon.
Il drago, ferito, faceva fatica a volare e si diresse verso la Fortezza Rossa. Euron era più che soddisfatto del suo colpo. Gustava già tutti i festeggiamenti che avrebbe ricevuto, Cersei sarebbe stata contenta e lui si sarebbe infine guadagnato la sua mano. Ma non si rese conto che i non morti erano giunti sulle mura. Fu attaccato e riuscì a divincolarsi quasi per miracolo, estraendo il pugnale e colpendo tutti quelli che cercavano di agguantarlo.
«Non mi avrete» urlava.
Ma il suo destino era ormai segnato. E se lo era scritto da solo.
Jon virò il drago, con l’intenzione di raggiungere Daenerys, ma venne attaccato improvvisamente da Viserion e dal Re della Notte, che si era palesato sul campo di battaglia.
 
I non morti avevano scalato ormai sia le mura frontali che quelle laterali, cominciando a penetrare nella città da ogni punto del perimetro. Nessun altro soldato si trovava a difesa dei popolani. La Compagnia Dorata era sistemata a difesa della Fortezza Rossa. A difesa della regina Cersei.
In silenzio, approfittando di tutta l’attenzione focalizzata verso quei combattimenti contro i non morti, Arya si aggirava tra le strade della città. Era ormai giunta fino alla dimora della regina in carica. E in mente aveva solo una parola: vendetta. Doveva uccidere Cersei. Giunse presso le ultime mura e le studiò, cercando un punto in cui poter entrare. Ma non ce n’erano. Era tutto presidiato. Non sarebbe potuto entrare nulla e nessuno senza essere visto. Così improvvisò. Andò all’ingresso, dove c’era l’enorme ponte levatoio chiuso e urlò alle guardie.
«Fatemi entrare! Devo portare un importante messaggio alla regina!».
«Fila via mocciosa».
Gli arcieri avevano già incoccato le frecce pronti a colpirla.
«Ho un’importante messaggio per la regina, vi dico! Mandate qualcuno qui cosicché io possa comunicarglielo, così poi sarà lui a portarlo a destinazione» proseguiva la ragazza.
Un po’ interdetti, accettarono e fecero andare un soldato a parlare con quella sconosciuta.
«Allora? Che cos’hai da dire alla regina di così importante?» chiese.
«È da parte di coloro che stanno che stanno combattendo sulle prime linee di difese» cominciò a blaterare Arya.
Poi finse delle smorfie di dolore, raccontando di essere stata lì e aver visto tutto. Cercava un muro su cui potersi appoggiare per poter continuare a parlare. Ne scelse uno in penombra.
«Sbrigati a parlare. Non ho tutto questo tempo».
Arya indietreggiò ancora un po’, cercando di allontanarsi ulteriormente dalla visuale di tutti gli altri.
«Se devi morire fallo in fretta, ma almeno dimmi quello che mi serve sapere».
Estrasse il pugnale e lo lanciò nella direzione del suo interlocutore, che però ebbe dei riflessi pronti e alzò il braccio, nel quale si conficcò l’arma. Fece per urlare l’allarme agli altri, ma alle sue spalle si materializzò una figura, che gli tagliò la gola e lo uccise.
«Chi sei?» domandò Arya.
«Qualcuno che deve aiutarti a compiere il tuo destino» affermò.
Era Beric Dondarrion. Ed era riuscito ad entrare ad Approdo del Re. Aveva seguito i segni che il Signore della Luce gli aveva mostrato. Ed era giunto fin lì per aiutare la ragazza ad entrare nella Fortezza Rossa. Forse il suo destino era uccidere Cersei e porre sul trono la regina dei draghi? Non lo sapeva.
«Perché mi hai aiutato?» continuò Arya.
«Ora va» concluse e sparì.
La ragazza prese il volto del soldato e uscì dalla penombra tornando tra le mura.
«Quindi? Che voleva quella ragazzina?».
«È meglio non perdere tempo. Devo andare urgentemente dalla regina Cersei per recapitare il messaggio. Le cose non stanno andando secondo le previsioni» disse Arya, allontanandosi ed entrando nel castello.
Prima ancora che qualcun altro avesse qualcosa da ridire, videro l’enorme drago di Daenerys schiantarsi contro la fortezza. Tutti si allarmarono e cominciarono a scoccare frecce e ad estrarre le armi, dirigendosi in fretta verso il luogo dell’impatto. Quello che trovarono fu solo il drago, ansimante e con la vita che gli scorreva via. Lo aiutarono ad andarsene continuando a colpirlo finché non fu morto. Ma dov’era finita la madre dei draghi?
 
Jon e il Re della Notte avevano cominciato una battaglia nei cieli di Approdo del Re. I due draghi continuavano a scontrarsi, cercando di colpirsi. Nella città i non morti erano ormai entrati e si erano riversati per le strade, così come gli estranei che guidavano quei plotoni. Ma non erano i soli. C’era anche la Regina della Notte, che avanzava imperterrita tra le strade a bordo del suo cavallo di ghiaccio. Aveva una sola meta: la Fortezza Rossa. Anche lei era alla ricerca di Cersei. Fuori alle mura della città cominciò ad alzarsi un forte vento. Ma non era quello solito delle precedenti battaglie. Era diverso. E sembrava soffiare nel verso contrario ai non morti. Ce n’erano ancora migliaia e migliaia che si stavano apprestando ad entrare ad Approdo del Re, ma quel vento tirava con così forza che gli divenne impossibile entrare. Nessuno poteva più entrare. Le forze erano equilibrate, per una volta. Il numero di non morti poteva essere tenuto a bada dai soldati che difendevano la Fortezza Rossa. Per la prima volta, dopo tante battaglie, l’esito dello scontro cominciava a sembrare tutt’altro che scontato. Nei cieli i due draghi Rhaegal e Viserion continuavano a combattere, con Jon che questa volta riuscì a tenere testa al nemico. Difatti riuscì a staccare dapprima una parte di ala di Viserion e, poi, a centrarlo in pieno con un respiro incendiario. Jon credeva di aver finalmente sconfitto il Re della Notte. Ma non era stato così. Quando le fiamme di diradarono, egli era ancora lì, a dirigersi velocemente verso di lui. Rhaegal venne colpito e l’urto disarcionò Jon, che scivolò fino alla coda del drago, mantenendosi con tutte le sue forze. Alzò lo sguardo e vide che il Re della Notte, come aveva fatto a Grande Inverno, si gettò dal drago e si riversò nella città.
 
Daenerys venne scagliata nella sala del consiglio della Fortezza Rossa. Aveva urtato una grossa colonna e si era ferita in più punti. Quando si riprese, capì che aveva perso un altro drago e che, nonostante avesse voluto aiutare Cersei nel combattere i non morti, quest’ultima l’aveva ripagata uccidendo Drogon. Si mise gattoni, accusando un gran dolore alle spalle e si lasciò andare ad un pianto. Aveva combattuto così tanto e aveva fatto così tanta strada. Ed ora due dei suoi draghi erano morti. C’era ancora Rhaegal, ma chissà se sarebbe sopravvissuto anch’esso.
«Bene, bene. Mi fa piacere ricontrarti» disse una voce femminile.
Daenerys alzò la testa e non poté credere ai propri occhi. Era finita nella sala in cui si era rifugiata Cersei ad osservare lo scontro. I suoi occhi furono iniettati di odio, ma poi si rese conto che c’era anche l’enorme guardia del corpo con la regina in carica, perciò non poteva fare nulla.
«Ser Gregor, vorresti gentilmente fare gli onori di casa?» continuò Cersei.
La montagna estrasse la spada e si diresse verso Daenerys in atteggiamenti minacciosi.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 - Il Trono di Spade ***


I non morti erano giunti alla Fortezza Rossa e avevano intrapreso l’ennesimo scontro. Si erano diretti tutti al cancello principale, sfondandolo e penetrando nell’ultima linea di difesa. Con loro, anche gli estranei erano giunti per prendere parte a questo scontro finale, estraendo le loro armi e combattendo contro gli ultimi soldati rimasti. Il Re della Notte era giunto lì davanti e osservava, non spiegandosi come mai il resto del suo esercito non potesse entrare nella capitale. Ma non gli importava, quelli che erano riusciti a penetrare erano più che sufficienti per portare a termine quella battaglia. Così estrasse la sua spada e oltrepassò le mura del castello, combattendo e cominciando ad uccidere uomini. Dopodiché si fece di lato e vide passare un elegante cavallo di ghiaccio, dal quale scese la sua regina. Ella scese e, con un solo sguardo, le fece capire dove fosse diretta. Entrò nella Fortezza Rossa e si diresse alla sala del consiglio, mentre invece il Re della Notte ripose la sua spada e andò nella sala del trono. Lì avrebbe trovato ciò che gli spettava. E ci si sarebbe seduto, assaporando quello che aveva aspettato di conquistare da più di ottomila anni. Si avviò da solo, senza i suoi generali impegnati a tener testa e ad annientare la Compagnia Dorata, ormai rimasta l’unica ancora a fronteggiarli.
 
In cielo i due draghi continuavano a colpirsi con grande violenza. Jon era ancora aggrappato alla coda di Rhaegal, ma sapeva che non poteva rimanere lì ancora per molto. Sarebbe bastato un altro movimento brusco di quella bestia per farlo precipitare. Viserion era stato sfigurato e aveva metà del viso mancante. Così quando lanciava i suoi soffi incendiari le fiamme andavano in tutte le direzioni, non potendole concentrare in un unico punto. Il drago di Jon ne approfittò e rispose al fuoco, centrandolo in pieno. Dopodiché lo azzannò al collo e con un colpo secco gli staccò la testa. Infine gettò un terrificante urlo. Era come se stesse soffrendo per aver ucciso suo fratello. Quello era un urlo liberatorio e carico di dolore. Jon si arrampicò nuovamente e riprese il controllo del drago. Virò verso la Fortezza Rossa, dove ormai erano giunti i non morti e vide i combattimenti in atto. Sapeva che ormai non c’era più nulla da fare. I soldati di Cersei erano mescolati ai nemici, per cui colpirli con il fuoco sarebbe stata una pessima idea. Poi guardò più in là e vide Drogon, a terra, esanime. Gridò il nome di Daenerys, poi fece atterrare Rhaegal e si diresse a controllare. Il drago più grande dei tre era morto, dopo essere stato colpito dalle balestre giganti di Euron. Poi alzò lo sguardo e vide il punto colpito da Drogon, al di sopra del quale c’era una finestra. Forse Daenerys era stata scagliata lì dentro. Estrasse la sua spada, Lungo Artiglio, ed entrò nella Fortezza Rossa alla ricerca della sua regina.
 
Il terrore governava ad Approdo del Re. Le poche persone ancora in vita sapevano che per loro non c’era più niente da fare. C’era chi si era nascosto, c’era chi continuava a correre imperterrito e c’era chi, con tutte le proprie forze, cercava di resistere ai non morti. Nel giro di qualche minuto la capitale avrebbe perso tutta la sua popolazione e gli estranei avrebbero preso il controllo. Qyburn si muoveva circospetto, cercando di raggiungere la Fortezza Rossa e scappare insieme alla sua regina. Sapeva che c’era un piano di fuga, nel caso in cui le cose si sarebbero messe male, e questo era il momento di attuarlo. Ma non riuscì a fuggire dalla morte molto a lungo. Davanti a lui si presentò una figura spaventosa. Aveva gli occhi spenti, i capelli che coprivano solo una parte del capo e i vestiti quasi completamente strappati. Nonostante la morte stava per prenderselo, Qyburn non poté fare a meno di studiarlo. La pelle era putrefatta e in alcuni punti era possibile anche scorgere delle ossa. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma venne riempita con una lama. Venne rigirata tranciando completamente lingua e muscoli. La mano del re ci mise poco a morire, affogata con il proprio sangue. Adesso poteva diventare quello per il quale aveva sempre nutrito un insano interesse: un non morto.
 
Nella sala del consiglio c’era Cercei che guardava come la sua guardia del corpo si dirigeva verso Daenerys per ucciderla. Elor si era diretto a controllare se la strada per la fuga era libera. La regina dei draghi si muoveva a fatica, alla ricerca di salvezza. Aveva afferrato alcuni vasi e li aveva gettati verso la Montagna, ma senza successo. Si erano infranti contro quella statuaria figura come se fossero di sabbia. Daenerys continuava ad ansimare e a cercare di rimettersi in piedi, senza mai però ridursi a chiedere pietà. Non lo avrebbe mai fatto. Se questa era davvero la sua fine, l’avrebbe accolta con l’autorità che spetta ad una regina.
«Se ti opponi sarà peggio» commentava Cersei, tornando a guardare fuori dalla finestra. «Guarda fuori. Ci sono non morti ovunque e presto arriveranno anche qui. Dovresti considerarlo un favore, il mio. Essere l’ultima persona ad essere uccisa da un uomo vivo».
Si girò per un attimo, squadrò Gregor Clegane e si corresse: «Beh…quasi vivo».
«È ammirevole questa tua testardaggine. L’esercito dei morti è giunto alla tua porta e nonostante questo ti ostini a volermi uccidere perché mi vedi ancora come un avversario politico» rispose Daenerys. «Entro questa sera non ci sarà più alcun trono su cui sedersi».
In quel momento la porta della sala del consiglio si spalancò. Cersei si aspettava fosse Elor per avvertirla che era tutto pronto per scappare, ma non fu così. Era Sansa Stark. Ma non aveva un aspetto normale. Aveva gli occhi di un blu agghiacciante e anche la sua pelle era diventata bianchissima. La Montagna si bloccò, capendo che forse le sue priorità erano improvvisamente cambiate. Si girò e andò incontro alla nuova arrivata, roteando la sua spada per poi lanciare un fendente verso di lei. Ma la Regina della Notte alzò la mano e bloccò la lama, senza subire alcun danno. Cersei, guardando quella scena, indietreggiò e forse, per la prima volta, un po’ di paura cominciò a farsi largo nel suo cuore.
«Che cosa ti è successo?» domandò Daenerys.
Non ottenne risposta. Sansa girò quella lama e la infilò nella gola della Montagna. Era impossibile che una donna come Sansa potesse avere più forza di Gregor Clegane, uno degli uomini più possenti di tutto Westeros. Eppure era così. Dopo avergli tagliato la gola, finì il lavoro staccandoli la testa, che finì a terra e venne schiacciata dal suo pesante corpo. Poi alzò lo sguardo e lo indirizzò a Cersei. Era lei l’obiettivo. La regina in carica cominciò a tremare e si schiacciò contro il muro, non sapendo da che parte fuggire. Fino a pochi istanti prima era Daenerys a trovarsi in quella situazione, ora le cose era drasticamente cambiate.
«Cosa vuoi fare?» chiese Cersei a Sansa.
Ma anche questa volta non ottenne risposta. La Regina della Notte si muoveva imperterrita nella sua direzione e, nonostante i tentativi di Cersei di sfuggirle, venne presa, sbattuta all’angolo e presa alla gola. Le mani di Sansa bloccarono il suo collo e cominciarono a stringere con forza. Sempre più forza. A Cersei sembrava di sentire i propri occhi uscire dalle orbite, il sangue fare sempre più fatica a passare e il respiro diventare sempre più affannoso. Le sue mani cercavano di bloccare quelle di Sansa, ma senza esito. Da lontano c’era Daenerys che assisteva a quella terribile scena, senza però avere la minima intenzione di intervenire. Cersei stava avendo quello che si meritava.
 
Il Re della Notte, nel frattempo, era giunto nella sala del trono. Era stato assaltato da qualche guardia, ma se ne era liberato facilmente. Ed era rimasto solo. Distante poche centinaia di metri dal trono. Il Trono di Spade. Una sedia di ferro che aveva innescato guerre, sofferenze e caos. E ora era lì, di fronte a lui. Si incamminò, lentamente, verso di essa. Sul suo viso si disegnò un sorriso. I suoi passi accelerarono. Salirono lentamente le scale che precedevano il trono e toccò, lentamente, i braccioli. Poi si girò e si sedette. Era arrivato al suo obiettivo. Conquistare il trono di spade dopo aver sconfitto gli uomini e aver posto fine a tutti i conflitti di Westeros. Ora non ci sarebbero state più guerre. Non ci sarebbero state più casate in lotta tra loro per il predominio. Ci sarebbe stata solo morte e inverno. Dopo tanto tempo, aveva raggiunto il suo obiettivo. Poi, alle sue spalle, spuntò Arya Stark, con un pugnale di ossidiana, pronta a colpirlo. Aveva abbassato la guardia, si era crogiolato in una vittoria, che a quanto pareva, non era ancora del tutto arrivata. Ma riuscì a bloccare la mano sinistra della ragazza, che però fece scivolare il pugnale in quella destra e lo infilzò poco sotto il pettorale sinistro, esattamente nel punto in cui era stato trafitto dai Figli della Foresta che lo resero un estraneo. Lo sguardo del Re della Notte si fece cupo. Aveva progettato tutto nei minimi particolari, aveva pazientato per così tanto tempo. Ma, alla fine, una piccola distrazione ad un passo dalla vittoria lo aveva sconfitto. Esplose in un milione di pezzettini di ghiaccio, sparendo nel nulla. E in questo modo tutti gli altri estranei, impegnati nel combattere con la Compagnia Dorata videro lo stesso esito. Si dissolsero nel vento, ponendo fine al conflitto che, infine, vide prevalere la vita sulla morte. Tutti i non morti tornarono ad essere solo cadaveri senza impulsi vitali. I soldati, dapprima reticenti, avevano continuato a colpirli prima di accorgersi che non serviva a nulla continuare. Avevano vinto ancora una volta. E una volta ancora la Compagnia Dorata aveva potuto rispettare il loro contratto che sanciva che da qualsiasi lato dello schieramento si sarebbero trovati a combattere loro, quello schieramento avrebbe senz’altro vinto. Ma se per le altre volte era stato più semplice in quanto si erano schierati sempre dalla parte del più forte, questa volta era stato un vero e proprio rischio. Ben ricompensato. Ma pur sempre un rischio.
 
Nella sala del consiglio, Cersei non poteva credere di essere ancora in vita. Era ad un passo dalla morte quando aveva visto Sansa smaterializzarsi e sparire nel nulla. Ora la regina Lannister si trovava a terra, respirando a fatica e toccandosi il collo dolente. Ma non ebbe neanche il tempo di riaprire gli occhi che il suo collo tornò sotto una stretta mortale. Questa volta, però, era Daenerys a tentare di toglierle la vita. Solo che la sua presa era molto più debole di quella che era stata la forza di Sansa, per cui Cersei riusciva a contrastarla. Anche se per poco.
«Ti prego, lasciami andare. Ho delle navi che mi aspettano, scapperò via da Westeros, non mi vedrai mai più. Non è rimasto nessuno della mia famiglia, non è rimasto nulla dei miei possedimenti e non ho neanche più oro» diceva con un filo di voce Cersei, cercando di convincere Daenerys.
«Finché tu resterai in vita, io non sarò mai del tutto regina» rispose la madre dei draghi.
«Ti prego» continuava Cersei, con le lacrime agli occhi. «Voglio solo andarmene da qui e partorire il mio bambino. Voglio essere una mamma migliore di quanto non lo sia stata con i miei tre figli».
«Io sono la sola e unica regina. Tu sei solo una donna morente» sentenziò Daenerys, con il fuoco negli occhi.
Le sue mani stringevano sempre più forte e l’adrenalina che aveva in corpo le aveva donato ancora più forza. Sentì la vita di Cersei finire sotto le sue dita. La guardò negli occhi, mentre spirava. Era la cosa che le aveva dato più soddisfazione della sua vita. Quando fu sicura di averla uccisa, la lasciò andare. Si rimise in piedi e fece dei respiri lunghi e profondi.
«Non era questo che dovevi diventare» esordì una voce alle sue spalle.
Daenerys si girò e vide che Jon era lì e aveva assistito a tutta la scena.
«Jon…io…ho dovuto farlo».
«No, avevi una scelta. Hai sempre detto che volevi rompere la ruota, che volevi essere un sovrano differente da tutti gli altri. Ma non ti sei dimostrata tale. Ti sei macchiata di sangue, come è sempre stato nella conquista del Trono».
«Lei sarebbe tornata, avrebbe cercato in tutti i modi di spodestarmi dal trono, di fomentare il popolo contro di me, di minare il mio potere».
«Quale popolo? Non hai visto che sono sopravvissuti solo poche decine di persone?».
Daenerys riprese il controllo di sé stessa e si avvicinò a Jon, parlando da Regina.
«Non devo giustificarmi con te. Ho quello che mi spetta. E me lo sono guadagnato. E se ti azzarderai a fare parola di quello che hai visto, sarà l’ultima volta che parlerai».
Jon si sentiva tradito. Deluso. Aveva sempre dichiarato che lei fosse la sua regina. Ma adesso non lo era più. Era cambiata. Non rispecchiava quegli ideali che aveva condiviso.
«Bene, allora governerai senza di me» disse Jon.
«Non ho bisogno di te».
«Tornerò a Grande Inverno. Come Lord Protettore del Nord. Ci sarà da ricostruire tutto. Spero che non ti dispiaccia se volessi mantenere la mia carica».
«Rimarrai sotto il mio comando. Il Nord si sottometterà a me. Come tutti gli altri regni».
«Noi siamo indipendenti, i popoli del Nord…».
Daenerys lo bloccò sul nascere: «I popoli del Nord sono tutti morti. Ora c’è da ricostruire da zero. E tu lo farai a mio modo. Altrimenti sai che ci sarà solo una soluzione a questo problema».
«Mia regina!» proruppe una voce.
Era Jorah Mormont, che era entrato nella sala del consiglio. In battaglia era stato scagliato lontano dopo l’urto di Drogon contro la Fortezza Rossa. Ma adesso era riuscito a ritrovare la sua khaleesi. Ma non aveva potuto fare a meno di vedere il corpo senza vita di Cersei all’angolo della stanza.
«Cosa è successo?» aveva chiesto.
«Cersei è morta per mano degli estranei. Ora la regina è Daenerys. Lunga vita alla regina» disse Jon, con un velato tono di stizza.
Daenerys sostenne il suo sguardo, poi lo oltrepassò, andando ad abbracciare Jorah.
«Ser Jorah, spero che tu possa accettare la carica di Prima mano della Regina» propose al vecchio Mormont.
Jorah non poteva credere alle proprie orecchie. Accettò senza riserve con grande commozione.
 
Jon tornò a Nord, dove, per il momento, si considerava sottomesso alla regina Daenerys. Bisognava ricostruire tutto, ripristinare tutte le casate che erano state annientate da quella battaglia contro i non morti. Era da solo. Anche se lo sarebbe stato ancora per poco.

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