Let the colors enter

di Darcymalec07
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Some dark things ***
Capitolo 2: *** Out of the room ***
Capitolo 3: *** Big heart ***



Capitolo 1
*** Some dark things ***


La musica può essere intima amica e confidente, e Charlie lo sapeva bene.
Da qualche anno a quella parte, le cuffie e la musica a palla erano la migliore compagnia per lui che se ne stava chiuso nella sua stanzetta asfissiante, piena di poster e di scritte, sfoghi, poesie. Il suo mondo fatto di parole aggraziate ma dissonanti era tutto lì, non gli importava di ciò che c’era fuori. O perlomeno, non gliene importava più.
Viveva in una costante allergia dell’esterno.
Si rigirò nel letto senza prendere in considerazione l’idea di alzarsi, i capelli scuri e lucidi sparsi sul cuscino, le mani strette sull’ipod con la sua playlist preferita del giorno.
La sua mente persa in altri mondi mentre fuori dalla finestra il chiasso della città non era mai cessato. Il mondo poteva tranquillamente continuare ad andare avanti senza il suo contributo, non gliene importava.
L’atmosfera nella stanza era stagnante, ma erano ormai mesi che non usciva se non per andare in bagno o per prendere qualcosa da mettere nello stomaco.
Aveva ridotto la stanza ad essere continuazione diretta della sua anima. Un blocco scuro e putrido, cacofonico, imprigionato da sé stesso, alla continua ricerca di aria nuova che non c’era.
C’era stato un periodo in cui aveva cercato una via d’uscita, ma ormai aveva perso le speranze.
Non vedeva nulla di buono in quello che c’era fuori.
La situazione era critica, a sentire i suoi genitori. Ma per Charlie era solo apatia, un giorno dopo l’altro in cui decidere come passare il tempo, in cui sperare che arrivasse il giorno dopo.
Si era costruito la sua personale prigione e le sbarre di ferro erano sempre più massicce, più invase dalla polvere e dallo sporco, perché era tempo che non cercava di sradicarle.
Fissava il soffitto da un’ora e non si era nemmeno accorto del tempo che era passato.
L’unica a scandire il passare del tempo era la musica. Una traccia finiva, l’altra incominciava, in un loop apparentemente infinito.
Chiuse gli occhi, ma dovette riaprirli quando qualcosa urtò contro la sua finestra. Si mise in ginocchio sul letto per guardare fuori.
Non era di certo un bel panorama, quello fuori dalla piccola finestra della sua stanza. Si vedeva semplicemente un edificio di mattoni, perfettamente identico a quello in cui abitava Charlie, e una finestra speculare alla sua. Era poco distante dato che i due edifici erano quasi schiacciati l’uno contro l’altro.
Charlie si sforzò di guardare l’edificio davanti a sé, ma apparentemente non c’era nulla di strano.
Si sdraiò di nuovo sul letto, pensando che molto probabilmente un qualche uccello aveva sbattuto contro il vetro della finestra.
Aveva appena richiuso gli occhi, quando qualcosa sbatté di nuovo contro la finestra.
Si tirò su, deciso a scoprire cosa stava succedendo.  
Osservò la finestra davanti e si rese conto che per la prima volta la luce era accesa. La casa era stata disabitata per qualche anno dopo che l’anziana che ci viveva era stata portata dai parenti in un ospizio, e probabilmente ora qualcuno l’aveva comperata.
Spalancò gli occhi tra l’irritato e il sorpreso quando vide una testa spuntare da dietro la finestra dell’altro condominio, ma non fece in tempo a tirarsi indietro quando la piccola pietra lo prese in pieno in fronte.
Chiunque fosse il nuovo inquilino dell’appartamento di fronte aveva una fionda, e la sapeva usare bene.
Charlie aprì la finestra e non si sentì per niente strano quando gridò al vento, con tutta l’irritazione possibile:
“Si può sapere che cosa vuoi??”
Nessuna risposta giunse, ma Charlie rimase sorpreso. Era di una ragazzina la testa che spuntava da dietro l’altra finestra, e si stava sbracciando in un tentativo di lontano saluto.

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Capitolo 2
*** Out of the room ***


La mente di Charlie ferveva. Cosa voleva quella strana tipa? Perché lo salutava? Perché gli dava confidenza?
Con un sonoro “Toc” chiuse la finestra e decise che ne aveva abbastanza, l’avrebbe ignorata. Prima o poi avrebbe smesso… vero?
L’ennesimo colpo alla finestra dimostrò due cose: che la ragazza non si arrendeva, e che aveva probabilmente una scorta di sassi sotto il suo letto.
Charlie si buttò sul suo giaciglio e si mise il cuscino sopra la testa.
Avrebbe ignorato il mondo, come sempre.
“Ora basta!”
Due colpi in fila uno dopo l’altro lo costrinsero ad uscire dal suo covo di coperte.
Avrebbe dovuto fare qualcosa prima che la pazza gli spaccasse il vetro.
“Santo cielo” Sibilò tra sé, spremendosi il viso con le mani aperte.
Aprì la finestra. La ragazza era ancora lì, con il sorriso più grande del mondo stampato in faccia e i capelli raccolti in due codini da bimbetta, come se non si fosse accorta di essere cresciuta.
Con fare teatrale, lei portò le mani a cono davanti alla bocca e gridò:
“Posso venire lì?”
Charlie rimase interdetto, bloccato in mezzo alla stanza senza sapere cosa fare. I “perché” che gli ondeggiavano nella testa erano migliaia.
Decise che l’unica cosa da dire per togliersi il problema in quel caso era la verità:
“No. Sono un serial killer!”
Va bene, forse non era la verità. Ma la solitudine auto inferta tipica delle menti folli, quella c’era, nel contesto.
La risposta di lei fu immediata, e per Charlie suonò come una sentenza di morte:
“Arrivo!” Gridò lei sopra il frastuono del traffico, integrando alla voce il tipico gesto del pollice in alto.
Charlie si lasciò scivolare sul letto. Magari aveva fatto male i calcoli, magari la serial killer era lei.
Erano mesi che non aveva rapporti sociali con persone che non fossero i suoi genitori, con cui tra l’altro parlava poco, e non aveva richiesto di ricominciarli. Aveva scelto la solitudine brulla e oscura della sua anima. Gli sbagli che aveva fatto nella vita non li avrebbe più dovuto ripetere, era stata una sua scelta.
Basta vita esterna, basta sbagli. Fine.
Comportamento vigliacco, ma inevitabile.
Stava seduto sul letto, in una sorta di catarsi auto distruttiva, quando il suono del campanello lo fece trasalire.
I suoi genitori non erano in casa, e non era sua abitudine aprire la porta quando qualcuno suonava. Ignorava il tutto, e fine.
Questa volta però era diverso, e la situazione troppo strana per poterla semplicemente ignorare.
Tanto strana, che Charlie si dimenticò di guardare dallo spioncino prima di aprire.
 
(E’ la prima volta che pubblico, fatemi sapere cosa ne pensate :D)

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Capitolo 3
*** Big heart ***


La porta era aperta, e la pazza era lì. Charlie non riusciva a comprendere perché ogni logica fosse andata a farsi friggere.
Aveva aperto la porta. Aveva aperto la porta a una sconosciuta, forse pazza, probabilmente una serial killer. Ma che cosa aveva nella testa, cenere?
Soppesò le parole per qualche secondo, prima di dire la cosa più scontata che potesse venirgli in mente:
“Che cosa vuoi da me?”
Lei era lì, che lo fissava. Il sorriso a 36 denti era sparito per lasciare il posto ad una espressione vagamente incuriosita.
“Sei molto scontroso. Rilassati. Sono soltanto la tua nuova vicina di palazzo.” Chiosò lei, osservando la stanza alle spalle di Charlie.
“Non ti è passato per la mente che sono uno sconosciuto per te, vero?”
“Se vuoi uccidermi e nascondere il mio cadavere nel muro provaci.”
“Oh, lo farei molto volentieri, ma non voglio sporcare. Dimmi cosa vuoi o chiudo la porta.”
La ragazza sbuffò, irritata: “Mi chiamo Carol, mi sono appena trasferita qui dalla campagna e volevo fare amicizia. Fine. Quando ti ho visto alla finestra, ho pensato che fossi un tipo interessante.”
Charlie boccheggiò qualche secondo, cercando invano le parole adatte per rispondere. L’arrugginito macchinario dei suoi sentimenti si era improvvisamente e dolorosamente rimesso in moto.
“…A-amicizia? Con me?”
Carol lo fissò, interdetta e stranita dalla sua reazione.
“Si… è così strano?”
A Charlie sembrò di essere stato lanciato in orbita senza tuta stagna e senza astronave. Era assolutamente troppo, era terrificante.
Indietreggiò con sguardo atterrito, si tirò il cappuccio sulla testa e si voltò, dandole la schiena.
“Chiudi la porta quando te ne vai.” Balbettò, avviandosi sulle scale.
Carol, turbata, rimase lì a ondeggiare sulle gambe, senza sapere cosa fare.
Entrato nella sua stanza, Charlie si buttò sul letto a peso morto.
L’accesso al suo animo era serrato da una chiusura ermetica con serratura a tripla mandata. L’accesso era vietato, ogni tipo di ferita era esclusa. Questa era la sua sicurezza, ciò su cui Charlie contava.
“Non mi hai neanche detto il tuo nome.”
Charlie sussultò quando Carol entrò nella stanza. In fondo, da vicino era più carina. Aveva quel sorrisetto sornione e lo sguardo diretto, perforante.
Charlie si ficcò ancora di più sotto le coperte, sperando che se ne andasse.
“Scusa ma sei convinto che non ti veda?” Disse Carol, girando intorno al letto.
“Vattene. Lasciami solo.” Biascicò Charlie da sotto la montagna di coperte.
“In questa stanza l’aria è irrespirabile, ma non te ne accorgi?”
Carol si avviò ad aprire la finestra, l’aria fresca invase la stanza: “Così è molto meglio.”
La testa di Charlie spuntò da sotto il cuscino come un funghetto. I capelli neri erano tutti spettinati e non vedevano un parrucchiere da anni.
“Se sapevi dove abitavo, puoi anche sapere il mio nome.”
“Sapevo che stavi al terzo piano come me, e ho tirato a indovinare tra le due porte del pianerottolo. Mi dici il tuo nome?”
Carol prese una sedia e si sedette di fronte a lui.
Charlie sapeva di avere un pessimo aspetto al momento, e anche il suo odore non era dei migliori. Non capiva perché la pazza non se ne fosse ancora andata.
“Mi chiamo Charlie.”
Carol sorrise. E in quel momento Charlie comprese che non se ne sarebbe andata tanto facilmente.

 

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