Come mi batte forte il tuo cuore

di Journey
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 13: *** Epilogo ***
Capitolo 14: *** Ascolta come mi batte forte il tuo cuore ***



Capitolo 1
*** 1 ***


1

 
“Papà voglio tornare a casa mia”
“Questa è casa tua, Harriet”
“No, voglio tornare a casa da mamma! Qui mi annoio!”
“Ma hai tanti giochi”
“Sì, ma voglio mamma! Mi manca mamma”
“Non vuoi stare con papà?”
“No, voglio stare con mamma!”
La bambina cominciò a piangere. Jackson si sentì terribilmente triste. Non sapeva come calmarla o come convincerla a restare. Quindi chiamò April. Dopo qualche squillo, lei rispose.
“Ciao April, sono io. Harriet vuole venire da te. Dice che qui si annoia e che le manchi. Puoi passare a prenderla? Sta piangendo”
“Certo, sarò lì tra poco”
I minuti passavano e per tutto il tempo Jackson aveva cercato di convincere Harriet a restare. Ma, nonostante i tentativi, la bambina non voleva saperne di smettere di piangere. April arrivò subito e, quando Jackson sentì il campanello suonare, tirò un sospiro di sollievo. Aprì la porta con Harriet in braccio che scalciava e si dimenava.
“Harriet, perché stai urlando?” domandò la donna.
La bambina si sporse verso di lei affinché la madre prendesse in braccio. Ormai aveva cinque anni, tenerla in braccio diventava sempre più difficile, ma vista la situazione, April fece uno sforzo.
“Mamma voglio tornare a casa con te. Non mi piace stare qui” esclamò.
“Ma perché, tesoro? Papà vuole spendere del tempo con te. Lo sai quanto ti vuole bene. Gioca sempre con te, sei la sua principessa” continuò la donna.
“Lo so e lui è il mio principe, ma qui non mi piace, mi annoio. Voglio stare con te!” disse la piccola gettando le braccia attorno al collo della madre e stringendola.
“Mi dispiace” mimò la rossa con le labbra al suo ex marito.
“Non fa niente” rispose lui allo stesso modo.
“Ho fame!” disse Harriet smettendo all’improvviso di piangere.
“Anche se non ti va di rimanere qui principessa, magari potremmo cenare tutti insieme. Io, tu e la mamma, che ne dici?” propose Jackson.
Improvvisamente gli occhi della bambina si illuminarono. L’idea le era piaciuta. Una volta messi i piedi per terra, si aggrappò alla maglia di April e prese la mano di Jackson.
“Andiamo” disse.
I genitori si ritrovarono a guardarsi e a ridere. L’assecondarono e si lasciarono guidare in cucina. Jackson non aveva preparato ancora nulla e April decise che per quella volta avrebbe provveduto lei alla cena. Sapeva esattamente dove si trovava ogni singola cosa. Conosceva quella cucina molto bene. Il suo ex marito era un uomo abitudinario e un po’ pigro, aveva lasciato tutto esattamente come lei l’aveva disposto quando viveva lì.
“Hai bisogno di una mano?” domandò l’uomo.
“No, so dove tieni tutto” rispose lei.
E Jackson sorrise a vederla destreggiarsi in cucina come se non se ne fosse mai andata. Come se avesse vissuto sempre lì.
“Mamma, ti posso aiutare?”
“Sì, certo amore”
Harriet le si avvicinò.
“Che posso fare?”
“Tu e papà potreste apparecchiare la tavola assieme” propose.
Lei sorrise e annuì. Poi si avvicinò a Jackson e protese le braccia verso di lui. L’uomo la prese in braccio.
“Papà, scusami. Ti voglio bene. Mi aiuti ad apparecchiare?”
“Principessa non devi scusarti, va tutto bene. Certo che ti aiuto ad apparecchiare. Lo sai che ti voglio bene, tantissimo”
April preparò la cena e guardò sua figlia e Jackson apparecchiare la tavola mentre ridevano, scherzavano e giocavano. Si intenerì davanti alle fragorose risate di sua figlia. Portò le pietanze a tavola e, poco prima di sedersi, le squillò il telefono. Era Matthew.
“Ehi amore tutto bene, state tornando?”
“No, non ancora. Stiamo cenando da Jackson, ma appena finiamo torniamo a casa”
“Va bene, non ti aspetto sveglio. Ho appena messo a letto Ruby e sono esausto. Domani devo svegliarmi prestissimo per il turno, vado a dormire. Ti amo”
“Ti amo anche io”
April arrossì sentendo lo sguardo di Jackson su di lei durante tutta la telefonata. Erano anni che non stavano più insieme, eppure quei suoi occhi di ghiaccio ancora riuscivano a farla sciogliere come un ghiacciolo al sole.
Si accomodarono tutti e tre. Ben presto Harriet si addormentò, lasciando i suoi genitori a tavola assieme a concludere la cena.
“La metto nel suo letto fino a quando non terminiamo di cenare. Di certo sarà più comoda che qui” esordì Jackson. April gli sorrise e annuì.
L’uomo prese tra le braccia sua figlia e la portò nella sua stanza. L’adagiò sul suo letto e la coprì con una copertina rosa. Dopodiché si chinò su di lei e le baciò la fronte. Tornò da April che aveva cominciato a sparecchiare.
“Lascia, April, faccio io” le disse.
“Ma no, non preoccuparti, lascia che ti aiuti”
“No, davvero, hai già cucinato una cena fantastica, non posso permetterti di sparecchiare”
“Per me non è un problema, Jackson. Se non mi lasci sparecchiare, mi troverò costretta a lavarti i patti”
“Oh no, non succederà. Stasera hai già fatto abbastanza, April. Davvero, non so come farei senza di te. Ti ho chiamato per Harriet e sei arrivata immediatamente, l’hai calmata, hai cucinato una cena grandiosa e ora vuoi anche ripulire. Non devi, davvero”
“Non dire stupidaggini! È stato un piacere! E poi, se non avessi cucinato questa cena probabilmente saresti finito a comprare cibo da sporto da qualche ristorante. E non va bene, perché non c’è niente di me-“
“Di meglio di mangiare a casa propria” continuò Jackson sorridendole.
“Vedo che te lo ricordi!”
“Certo che me lo ricordo! Ehi io ero il tuo migliore amico e il tuo ex marito. Ti conosco, April”
“Lo so, stupido!” rise lei dandogli un colpetto sulla spalla.
“Ahia! Mi fai male!” esclamò lui toccandosi la spalla.
“Ma smettila, ti ho a malapena toccato. Anzi, accarezzato azzarderei dire” rise lei.
“Ricordo le tue carezze e non hanno nulla a che vedere con questa violenza!” continuò lui fingendosi offeso.
Quella frase, però, aveva reso improvvisamente imbarazzante quella situazione. Parlare delle carezze della propria ex-moglie con lei davanti non è proprio la cosa più intelligente da dire. Calò il silenzio nella stanza. April a stento riusciva a guardare Jackson negli occhi. Non era mai stato così tra loro, essere in imbarazzo l’uno in presenza dell’altro era qualcosa di inimmaginabile. Sapevano tutto dell’altro, si conoscevano nel profondo, ma da quando April aveva smesso di lavorare al Grey-Sloan Memorial le cose erano cambiate. Si vedevano sempre meno, l’idea di avere Jackson in giro per casa a Matthew non piaceva più di tanto, e come biasimarlo! Perciò cominciarono lentamente ad allontanarsi fino a diventare quasi due perfetti sconosciuti. Due persone completamente distinte. Come se tutto ciò che c’era stato tra loro non fosse mai accaduto. Fatta eccezione, ovviamente, per Harriet. Harriet da un paio d’anni a questa parte, era diventata il loro unico collegamento.
“Forse è meglio che vada” esclamò April avviandosi verso la camera di Harriet.
In quel breve momento giocoso/flirtante che aveva condiviso con il suo ex marito, le sembrava che fosse ritornato tutto com’era prima, prima che si perdessero di vista. E quello la spaventò, la spaventò perché sapeva quanto fosse rischioso per lei riavvicinarsi a Jackson.
Dalla loro relazione aveva imparato una cosa: non erano fatti per stare assieme. Tutte le volte in cui ci avevano provato, avevano finito per ferirsi, per farsi male. Il dolore che le aveva causato quell’uomo era inspiegabile e il dolore che lei stessa aveva inflitto al padre di sua figlia era così grande da non poter essere quantificato. Non erano fatti per stare insieme. Era questa la conclusione a cui arrivò mentre cercava di prendere in braccio sua figlia per trasportarla in macchina.
Sapeva inoltre che Jackson era il suo punto debole. Le bastava pochissimo per ricadere nella sua trappola, per ricominciare ad amarlo dolorosamente, pesantemente, infinitamente. Non sapeva perché succedesse, ma era un dato di fatto: amare Jackson era la cosa più semplice che riuscisse a fare. Gli avrebbe potuto perdonare di tutto perché era completamente e ciecamente innamorata di quell’uomo da sempre e per sempre. L’espressione “per sempre” aveva un significato importante per April. Lei sapeva che era legata a Jackson per sempre. Sapeva di avergli giurato amore per sempre. Sapeva, anche, che non importava quanto lui avesse sbagliato nei suoi confronti, al primo cenno di interessamento, lei sarebbe tornata da lui, per sempre. Ma questa volta non poteva permetterselo. Doveva andare via da quella casa più in fretta possibile. Doveva evitare il contatto visivo il più possibile. Non doveva lasciarsi abbindolare dalle sue parole dolci, dai suoi modi di fare e dai suoi bellissimi occhi. Aveva sempre dato tutta sé stessa nella sua relazione con lui, ma si poteva dire che lui avesse fatto altrettanto? Jackson l’aveva mai amata almeno un quarto di quanto avesse fatto lei?
“Aspetta, ti aiuto” disse Jackson arrivando alle sue spalle.
“Non c’è bisogno, davvero” rispose April evitando il suo sguardo.
“April, ti prego” disse lui e si abbassò per guardare la sua ex moglie dritta negli occhi.
Lei gli fece di sì col capo e lui capì che avrebbe accettato il suo aiuto. Quando però, presa Harriet, aprirono la porta di casa di Jackson si ritrovarono davanti uno spettacolo meteorologico non proprio gradito. A Seattle pioveva tanto, lo sapevano tutti, ma ciò che si trovarono davanti fu peggio di quanto ci si potesse aspettare. Pioveva fortissimo. L’acqua si scagliava violenta sul suolo. Come avevano fatto a non sentire ciò che stava accadendo fuori?
Jackson chiuse immediatamente la porta di casa e riadagiò la piccola Harriet sul suo letto. Poi accese la tv. Tutti i canali parlavano dell’acquazzone più violento che Seattle avesse mai visto. A quel punto, si girò verso April che se ne stava in silenzio, pensierosa, davanti alla porta chiusa.
“Ok, non ho intenzione di farti mettere alla guida con il diluvio universale fuori. Tu e Harriet resterete qui per stanotte!” esclamò sicuro.

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Capitolo 2
*** 2 ***


2
 
“Ti ho preparato la camera degli ospiti” esclamò Jackson entrando in soggiorno.
“Grazie, ma non dovevi, il divano andava bene” rispose April sorridendogli cortesemente.
“C’è la camera degli ospiti, lo sai. E qualora non ci fosse stata avrei dormito io sul divano”
“Grazie ancora, Jackson”
“Se hai bisogno di qualunque cosa, fammi sapere, ok?” Jackson si accomodò sul divano e accese la tv.
“Sì”, rispose April e si sedette poco distante da lui.
“C’è la partita, ma se non hai sonno potremmo guardare un film, che ne dici?” chiese lui. Ma lei non rispose. Stava digitando freneticamente qualcosa sul cellulare.
“Terra chiama April, ci sei?” domandò ancora Jackson.
“Sì, scusa. Stavo avvisando Matthew. Starà già dormendo, quindi gli ho mandato un messaggio. Non voglio che domattina, svegliandosi non mi veda e si preoccupi” rispose lei.
Jackson si limitò ad ascoltarla e annuire.
“Quindi per il film, ti va?”
“Grazie Jackson, ma preferirei andare in camera”
“Va bene, buonanotte”
“Buonanotte”
 
Jackson rimase in salotto fino ad addormentarsi. La televisione era ancora sintonizzata sul canale dello sport. La partita era finita ormai da un pezzo e fuori, la tempesta, non accennava a fermarsi. Ad un certo punto, mentre russava per la stanchezza, si sentì tirare la maglietta. Aprì gli occhi all’improvviso e, ai suoi piedi, trovò Harriet. La prese in braccio e lei si accoccolò sul suo petto.
“Dov’è mamma?” chiese e il suo labbro cominciò a tremare. Stava per mettersi a piangere.
“Mamma è di là, sta dormendo. Vuoi che ti porti da lei, principessa?” chiese.
“Sì”, rispose lei.
Jackson si alzò, la bambina ancora in braccio. Gli stringeva le braccia al collo, quasi come se avesse paura che, da un momento all’altro, il padre dovesse lasciarla. Arrivarono fuori dalla camera degli ospiti. Avery bussò, ma nessuno rispose. Aprì la porta lentamente e si avvicinò al letto.
“April, April svegliati” disse gentilmente
La donna aprì gli occhi.
“Ehi tesoro, che ci fai sveglia?”
“Voglio stare con te” disse la piccola.
“Ma certo tesoro, vieni pure”
Jackson tentò di metterla giù, ma lei si aggrappò alla sua maglia.
“Amore se non lasci la maglia di papà lui non può andare in camera sua”
“Non voglio che vada in camera sua. Papà stai qui con me” disse lei.
La situazione si faceva terribilmente imbarazzante.
“Principessa, facciamo una cosa, io sarò nella stanza qui difronte tutto il tempo. Domani mattina appena ti svegli, mi troverai qui”
“No, papà no! Rimani qui”
“Harriet, smettila!” l’ammonì April.
“Voglio che papà dorme qui con noi”
“Va bene tesoro, resto qui con voi” rispose lui.
April lo guardò confusa. Che diavolo aveva in mente? Lui le fece l’occhiolino per tranquillizzarla e si sdraiò accanto a sua figlia. Harriet si riaddormentò immediatamente. A quel punto lui guardò April.
“Adesso posso andare. Scusami se mi sono permesso, ma era l’unico modo per farla tranquillizzare. Ora vado, ci vediamo domani mattina” sorrise.
“Ok, buona idea” commentò April.
Quando fece per alzarsi, notò le dita di sua figlia ancora avvinghiate alla sua maglietta. Cercò di staccarle, ma lei continuava a richiuderle attorno a quella stoffa. April scoppiò a ridere.
“Che c’è?” chiese lui
“C’è che non riesci a sottrarti alla presa di una bambina di cinque anni”
“Una bambina di cinque anni molto forte” commentò.
“Ma smettila!” rise lei.
“Ridi, ridi pure, ma è un osso duro” continuò lui giocosamente.
“Ehm, Jackson?” chiese April
“Si?”
“Guarda qui” disse la donna indicando l’altra mano di Harriet. La bambina teneva stretta nel pugno la maglia di April.
“Non te ne eri accorta?”
“No, mi sa che qualcuno ha deciso che dormiremo assieme stanotte” commentò la Kepner.
“Per te va bene?”
“Sì, non preoccuparti”
Jackson tornò a letto, diede un bacio sulla fronte a sua figlia e chiuse gli occhi sperando di addormentarsi. Ma il pensiero di avere April a qualche centimetro di distanza gli rendeva il lavoro difficile. Non dormiva con lei da quella volta in Montana, quando conobbe suo padre. Non si risvegliava con quella donna al suo fianco da quella stessa volta. Quella volta aprì gli occhi sentì l’odore inebriante dello shampoo di April. Abbassò lo sguardo e la vide, dormiva sul suo petto. Le sue braccia attorno al suo corpo e viceversa. Stavano dormendo avvinghiati. Non erano più una coppia da un po’ e le cose non andavano benissimo. Ma, in quel momento April era tutto ciò di cui aveva bisogno. Quando stava male, quando si sentiva giù, quando aveva bisogno di qualcuno su cui contare, sapeva che lei c’era. Era la sua àncora. E ormai, ormai non erano più nulla. Tra loro c’erano solo telefonate di circostanza e brevi incontri riguardanti la piccola Harriet. April aveva un’altra famiglia a cui badare ormai e lui non ne faceva parte. Questo pensiero lo intristì parecchio. E fu proprio quella tristezza e cullarlo facendolo addormentare come un sasso.
 
L’indomani mattina Harriet si svegliò. I suoi genitori erano ancora addormentati. Così sgattaiolò silenziosamente nella sua stanza e si mise a giocare. Qualche ora più tardi, Jackson aprì gli occhi.
“Buongiorno”, disse prendendo la mano di April com’era abituato a fare quand’erano sposati.
“Buongiorno, Jackson” disse April stringendogliela. Poi fu raggiunta dall’assurdità di quell’affermazione e spalancò gli occhi. “Jackson!” disse rimuovendo la mano dalla sua e mettendosi seduta.
“Non urlare, potresti svegliare Harriet” continuò lui chiudendo nuovamente gli occhi e prendendole la mano.
“Lasciami immediatamente la mano e dove diavolo è Harriet?” chiese.
Jackson si alzò di scatto e cominciò a guardarsi intorno. Di sua figlia nemmeno l’ombra. Lo stesso face April.
“Non guardarmi!” esclamò la donna quando notò lo sguardo del ex-marito sulle sue gambe scoperte.
“Tu copriti però” le rispose lanciandole una vestaglia.
Immediatamente uscirono dalla stanza e si fiondarono in cucina. Nessuna traccia nemmeno lì, idem per il salotto. La porta principale era ancora chiusa a chiave. Entrarono in camera sua e lì la trovarono. Era seduta per terra e giocava con le costruzioni.
“Finalmente! Ho famissima!” esclamò la piccola quando li vide.
“Tesoro perché non ci hai svegliati?”
“Stavate russando”
“Io non russo” esclamò Jackson
“Tu russi, te l’ho sempre detto”
“Anche tu russi” ribatté l’uomo.
“È vero mamma, anche tu russi”
“Dai tesoro, andiamo a lavarci e poi facciamo colazione”
Si lavarono, si vestirono e raggiunsero Jackson per la colazione. Aveva preparato il caffè e stava cucinando dei pancake per la bambina.
“Che buon profumino” affermò la donna entrando in cucina.
Harriet si arrampicò sul bancone per poter vedere cosa stesse facendo il padre.
“Pancake di papà, li adoro!” esclamò felice.
“Lo so, principessa, sono tutti per te” rispose posizionando alcuni pancake su un piatto e condendoli con un filo di sciroppo d’acero e qualche fragola.
“Jackson, Harriet non mangia le fragole”
“Harriet mangia sempre le fragole quando è qui” disse l’uomo.
“Harriet, come mai a casa non le mangi mai?” chiese.
“Quelle sono le fragole che porta Matt e non le voglio, queste sono le fragole di papà, è diverso” rispose la bambina e Jackson non poté trattenere una risata.
April lo vide e gli diede uno schiaffetto sul braccio, ma lui continuò a ridere.
Proprio in quel momento il suo telefono squillò. Rispose, era Matt.
“Ehi, buongiorno”
“State bene?” chiese Matt.
“Sì, stiamo bene. La tempesta si è calmata, tra poco torneremo a casa. Ruby?”
“Ruby è da mia madre, le scuole sono chiuse per via dei danni della tempesta. Dovevo uscire presto per il turno e l’ho lasciata da lei”
“Va bene, ci vediamo stasera a casa”
“A stasera. Ti amo, April”
“Ti amo anche io”
Concluse la telefonata e notò che Harriet aveva smesso di mangiare.
“Tesoro come mai non mangi più?”
“Non ho più fame”
April e Jackson si scambiarono un’occhiata preoccupata.
“Tesoro è successo qualcosa?” domandò April
“E va bene, te lo dico. Megan non vuole giocare con me. Dice che sono strana perché tutti gli altri bimbi vivono con la mamma e il papà e io no”
“Megan è una bambina davvero maleducata!” disse April.
“Perché non posso essere come tutti glia altri e vivere con voi due? Perché dobbiamo stare con Matt?” chiese.
“Amore, io e la mamma siamo follemente innamorati di te, ma non viviamo più insieme perché la mamma è sposata con Matt.”
“Quindi Matt è il mio papà adesso?”
“Non dirlo neanche per scherzo! Il tuo papà sono solo io. Nessun’altro” April rise davanti a quel gesto di gelosia di Jackson.
“E allora tu e mamma vi potete sposare così possiamo vivere insieme” disse ingenuamente la bambina.
“Mi dispiace tanto, ma non funziona così tesoro” continuò Jackson.
“Tesoro due persone si sposano quando si amano e io e papà non ci amiamo. Io amo Matt”
“Lei ama Matt” ribadì Jackson.
“Ma tu, ami mamma?” continuò la bambina.
Jackson rimase senza parole. Non si aspettava quella domanda e non era sicuro di quale fosse la risposta giusta da darle. Amava ancora April, lo sapeva, ma quello non era il momento giusto per dichiararsi. April era felice con Matt e per quanto volesse bene a sua figlia, non avrebbe mai fatto nulla per intaccare la felicità di quella donna. O almeno, così credeva. Così evitò di guardare April e cercò un modo per rispondere a sua figlia. Ma prima che potesse dire qualunque cosa, la sua ex moglie intervenne.
“Tesoro io e papà ti vogliamo un mondo di bene e anche se non viviamo insieme non significa che non ci vogliamo bene. Sai, noi eravamo molto amici, migliori amici, ci volevamo tanto bene. E ci siamo amati tanto. Adesso tutto quell’amore, che era tantissimo, lo proviamo per te.”
La bambina annuì non proprio convinta.
“Vado a prendere lo zaino”
“Tesoro, non devi. Oggi non c’è scuola” disse April.
“Davvero?” domandò la piccola con gli occhi spalancati per la gioia.
“Davvero, ma non essere così felice, sai che la scuola è importante”
“Possiamo restare con papà?” domandò.
April incontrò gli occhi di Jackson. Lui non mosse un muscolo, non disse nulla. Lasciò, ancora una volta, che a prendere la decisione fosse lei.
“Tesoro penso che papà debba andare al lavoro”
“No, oggi ho il giorno libero. L’avevo già preso per stare un po’ con Harriet dopo scuola”
“Ti prego mamma!”
April sospirò e annuì. Harriet le gettò le braccia al collo e le stampò un bacio sulla guancia. Lei sorrise a quel contatto e si trovò ad incontrare nuovamente lo sguardo di Jackson. Le stava sorridendo teneramente. Lei ricambiò il suo sorriso.

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Capitolo 3
*** 3 ***


3

 
Uscire dopo la tempesta sarebbe stato inutile e pericoloso. Quindi decisero di restare a casa. Giocarono per tutta la mattinata con Harriet, guardarono dei cartoni super demenziali e pranzarono assieme. Poi, nel primo pomeriggio, la piccola crollò esausta.
Jackson e April si ritrovarono soli. Si sedettero sul divano anche loro esausti.
“Com’è possibile che una bambina così piccola riesca a metterci k.o. entrambi?” disse l’uomo.
“I tempi del tirocinio sembrano passeggiate in confronto” rispose la Kepner.
“Hai proprio ragione. Ti ricordi dei primi tempi al Mercy West?”
“Certo, li ricordo come se fosse ieri”
“Mi stavi super antipatica, sai?”
“Sì, Jackson, l’hai fatto presente in diverse occasioni”
“Ehi, se non ricordo male io ti stavo altrettanto simpatico” aggiunse Jackson.
“Effettivamente non ero una tua grande fan” rise April.
Rimasero in silenzio a guardarsi per un po’.
“Come stai?” chiese April all’improvviso.
“Bene, perché me lo chiedi?”
“Frequenti qualcuna? So che la rottura con Maggie non è stata facile”
“Perché me lo chiedi?”
“Perché non voglio che resti tutto solo in questa casa enorme”
“Non sono solo, c’è Harriet con me”
“Sì, per tre giorni a settimana. Con chi sei il resto del tempo? Credevo che la storia con Maggie sarebbe durata”
“Lo credevo anche io all’inizio, credimi. Avevo bisogno di guardarmi intorno, di non tornare da te in poche parole.”
“Beh questo sì che mi lusinga” scherzò April.
“Ma smettila, sai a cosa mi riferisco! Tu sei sempre stata al mio fianco. Ad un certo punto sono diventato dipendente da ciò che avevamo. E quando sei andata via, quando abbiamo divorziato mi sono ripromesso che non sarei più corso da te per cercare conforto. Non era giusto nei tuoi confronti, soprattutto dopo ciò che successe in Montana”
“Questo lo capisco, ma che ha a che fare con Maggie?”
“Credevo di aver trovato una donna che mi piacesse davvero. E lei mi piaceva. Per un periodo ho pensato anche di amarla. Le ho chiesto di vivere insieme e ha funzionato per un po’. Ma c’era comunque qualcosa che non andava, come un pezzo mancante in un puzzle che non riuscivo a trovare. Mi mancava qualcosa, mi mancava qualcuno”
“Jackson…”
“Mi mancavi tu, April”
April non disse nulla, rimase in silenzio.
“Mi mancavi così tanto. Avevo tutto. Avevo una carriera professionale soddisfacente, una donna che mi amava, ma non mi bastava. Quello che c’era con lei non era minimamente paragonabile a quello che c’era tra noi. Non ho mai amato nessuno come ho amato te. Le volevo bene, molto bene. E, in qualche modo, eravamo anche imparentati. Ma non riuscivo a fingere, a prenderla in giro. Così, decisi di lasciarla. Fu duro per entrambi. Mi sono sentito uno stronzo per tanto tempo. E non fraintendermi, ho provato a rimettermi in gioco, a frequentare delle donne, ma nessuna è te, April. E so che sei felicemente sposata con Matt, non ho nessuna intenzione di provare a riconquistarti. Non rovinerò un’altra volta il vostro rapporto. E sì, ogni tanto mi sento solo, ma quando mi sento così mi concentro sul lavoro, faccio qualche turno in più, chiamo Harriet al telefono e passo un po’ di tempo con lei. E questo mi basta”
April rimase ancora in silenzio. Jackson le sembrava così fragile in quel momento, così vulnerabile. E per quanto volesse non provare nulla per quell’uomo le era impossibile non volergli bene. Gli aveva dato tutta se stessa. Aveva lottato per lui innumerevoli volte. Addirittura, si era ritrovata a pensare di averlo amato più di quanto avesse mai fatto lui. Sapeva che probabilmente non era vero, ma c’era qualcosa in lei che la portava a trarre questa conclusione. Aveva visto com’era la vita con un uomo che l’amava infinitamente, senza riserve e quell’uomo era Matt. In Matt, nei suoi gesti, nelle sue parole, nelle sue intenzioni rivedeva se stessa con Jackson. Lei voleva bene a suo marito, ma non tanto quanto gliene voleva lui. Ed era sicura che con il suo ex era lei quella ad amare alla follia senza essere completamente ricambiata.
Jackson era il suo punto debole e lo sapeva bene. Così, quando vide il suo ex marito in quelle condizioni le fece un po’ pena. Portò una mano sul suo viso e istintivamente lo accarezzò.
“Mi dispiace che tu ti senta così. Vorrei poter fare qualcosa”
“Divorzierai presto?” chiese lui cercando di sdrammatizzare.
“Mi dispiace” rispose lei abbassando la testa e allontanando la mano dal viso dell’uomo.
“Ehi, ehi, April scherzavo. Davvero” disse credendo di averla offesa in qualche modo con la sua battuta.
“Jackson sta tranquillo, non è per quello che hai detto. È solo che mi sento in colpa”
“Per quale motivo?”
“Beh tutta questa faccenda è un po’ colpa mia”
“Ehi, smettila subito! Non è colpa tua, semmai è tutta colpa mia. Non ti ho apprezzato abbastanza quando avrei dovuto. Chissà, se non avessi chiesto il divorzio magari adesso staremmo ancora insieme”
“Probabilmente non avremmo Harriet. Non mi pento di come le cose sono andate tra noi, perché ci hanno portato a dove siamo adesso. Abbiamo una figlia splendida che amiamo più di noi stessi. Sta bene, noi stiamo bene, dovrebbe bastarci”
“Eppure, non mi basta. Mi sembra tutto inutile senza te al mio fianco”
“Jackson”
“Lo so, scusami. Ho esagerato”
“Forse dovrei prendere Harriet e andare”
“Ti prego, scusami. Non andartene”
“Jackson”
“April, ti prego, resta qui con me ancora un po’”
Lei lo guardò, i suoi occhi la stavano implorando. Le prese la mano e quel contatto la fece sussultare. Avrebbe voluto stringergliela, voleva fargli capire quanto gli volesse bene. Ma aveva paura che potesse fraintendere. O, semplicemente, aveva paura di poter cedere al fascino e alla dolcezza di quell’uomo che ogni tanto riusciva ad essere incredibilmente vulnerabile.
“Va bene”
“Grazie, davvero” disse Jackson appoggiando la testa sulla spalla di April.
Stava passando il limite. Ma April era lì, davanti a lui. Finalmente gli dedicava la sua attenzione. E, anche se lo faceva sentire malissimo, pensò di provare il tutto per tutto. Amava quella donna e se n’era accorto troppo tardi. Ora che l’aveva un attimo tutta per sé, non avrebbe sprecato la sua occasione. Respirò quel profumo così familiare che gli era mancato tantissimo. La sentì irrigidirsi quando intrecciò le dita con le sue. Sapeva che April in fondo lo amava. Era stata proprio quella convinzione a portarlo a darla per scontata. Adesso era più maturo, non avrebbe fatto lo stesso errore. Non avrebbe giocato ancora con i suoi sentimenti. Sta volta avrebbe ricambiato il suo amore al 100%. Anche prima l’aveva amata, ma solo dopo averla persa si era reso conto di quanto.
Cercò gli occhi di April, ma lei evitava il suo sguardo. Con due dita le girò dolcemente il volto. E lì, per quanto la donna cercasse di non cedere, si ritrovò a guardare gli occhi meravigliosamente azzurri di Jackson.
“Sei bellissima” disse lui con un filo di voce.
“Jackson sono sposata”
“Lo so, purtroppo” commentò l’uomo “Sai a cosa sto pensando in questo momento?”
“A cosa, Jackson?”
“Sto pensando alle tue labbra, a baciarti. Sono qui e ti guardo e tutto ciò che vorrei fare è baciarti”
Era chiaro che April stesse facendo di tutto per resistere a quell’uomo. La possibilità di assaggiare di nuovo le sue labbra, la tentava. Sapeva di non dover cedere, eppure la sua integrità stava vacillando sempre di più. Cercava di raccogliere ogni briciolo di forza di volontà che le rimaneva. Ma non era sicura di riuscire a reggere oltre. Ormai fissava famelica le labbra perfette di Jackson. Si ritrovò a pensare di volergliele mordere e si sentì così sporca.
Il volto dell’uomo si avvicinava sempre di più al suo. Poteva sentire inconfondibilmente il suo profumo.
In breve tempo si ritrovò quelle labbra così familiari sulle sue. Delicate, soffici. Era in estasi. Quel contatto così casto eppure così passionale le era mancato. Ricambiò il bacio continuando a pensare che qualcosa di così bello non poteva essere sbagliato. Era quello che si ripeteva sin dalla prima volta con quell’uomo. Non poteva essere sbagliato. Anche non ci credeva. Stava sbagliando nei confronti di Matt. Lui non se lo meritava. Ma era solo un bacio. Soltanto uno stupido bacio. April si ritrovò a pensare che forse ripetendosi anche questo, si sarebbe sentita meglio.
Jackson, nel frattempo, pensava a quanto fosse felice in quel momento. Sentiva il cuore in gola per l’eccitazione. Finalmente stava baciando la sua April, la donna che amava. E dio quanto era diverso dal baciare chiunque altro. Nessuno lo faceva sentire in quel modo con un semplice bacio. Quella donna era la sua dipendenza più pericolosa. Per quanto cercasse di farlo, non riusciva a starle lontano. La bramava, la desiderava, la sognava. Egoisticamente decise di godere di quel bacio il più lungo possibile. Non sarebbe stato lui ad interromperlo, avrebbe lasciato che fosse lei a porre fine a quel momento.
Era inizialmente un bacio casto, un contatto dolce. Ma ben presto entrambi si ritrovarono a volere di più. Le mani di April, prima sul viso di Jackson adesso gli circondavano il collo. Quelle di Jackson, invece, scesero lungo i fianchi di April. Glieli accarezzarono dolcemente.
All’improvviso April si staccò. Prese a respirare affannosamente. Lo sguardo lussurioso puntato sul suo ex marito che la guardava altrettanto accecato dalla passione. Erano magnetici assieme, come due calamite si attiravano.
“Tutto questo è sbagliato”
“Tu dicevi sempre che qualcosa di così bello non può essere sbagliato”
“Lo so e mi sbagliavo. Come mi sto sbagliando adesso”
“Allora fermiamoci. Fermiamoci adesso” disse Jackson. I suoi occhi ancora fissi su quelli di April.
“Sì, fermiamoci adesso che siamo in tempo”
“Esatto, siamo ancora in tempo. Adesso mi vado a fare una doccia fredda”
“Penso sia la cosa migliore da fare” disse April.
“Sono d’accordo” concordò Jackson.
Ma non si mosse di lì.
“Dovresti alzarti”
“Anche tu”
Dopo qualche istante si ritrovarono nuovamente incollati l’uno all’altro, proprio come ai vecchi tempi.
“April, non sai quanto sia difficile per me dirtelo, ma sei ancora in tempo per fermarti, sei ancora in tempo per non commettere questo sbaglio”
“Qualcosa di così bello non può essere sbagliato” affermò lei prima di fiondarsi di nuovo sulle labbra del suo ex marito.
A quel punto Jackson si alzò e la prese in braccio, la portò in camera dove fecero l’amore.

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Capitolo 4
*** 4 ***


4
 
Finito l’amplesso, erano sfiniti. Jackson guardò la donna al suo fianco e sorrise. Si ritrovò a pensare a quanto fosse bella e a quanto fosse stato cretino per averla lasciata andare. Avrebbe potuto avere chiunque, lo sapeva, ma nessuna era April. Lei si accorse dello sguardo insistente dell’ex marito e glielo fece presente.
“Smettila di fissarmi, sei inquietante!”
“Smetti di essere così bella”
“Cretino”
“Vieni qui” disse lui tirandola verso di sé. L’abbracciò, la strinse al petto come fosse la cosa più preziosa che avesse.
Jackson era consapevole che presto sarebbero tornati alla realtà, uscendo da quella bolla che si erano creati per un paio d’ore. April avrebbe realizzato di aver sbagliato ad andare a letto con lui e sarebbe tornata da suo marito. A lui non sarebbe rimasto nulla se non il rimpianto di aver lasciato andare l’unica donna che aveva mai amato.
Voleva sfruttare ogni secondo con lei. Tenerla stretta tra le sue braccia gli faceva battere il cuore all’impazzata. Se avesse potuto, non l’avrebbe mai liberata da quell’abbraccio. Se avesse potuto, sarebbe tornato indietro nel tempo per non commettere tutti gli errori fatti e per apprezzare di più la donna che aveva al suo fianco.
“Non voglio che questo momento finisca” sussurrò all’orecchio della ex moglie prima di lasciarle un bacio dolce sulla guancia.
“Jackson, sappiamo entrambi che questo momento finirà. Sappiamo entrambi di aver fatto un errore” precisò April.
“Lo so, lo so. Ma com’è possibile che qualcosa di così bello possa essere un errore?”
“È la domanda che mi pongo dalla prima volta che siamo stati assieme, te la ricordi?”
“Come potrei dimenticarla. Avevi appena preso a pugni un tizio”
“Mi sentivo imbattibile, inarrestabile”
“Capì in quell’istante di essere innamorato di te”
“Perché avevo dato un pugno ad uno?”
“No, perché il solo pensiero che le sue parole potessero ferirti, mi fece imbestialire. Ma tu non avevi bisogno di un cavaliere che ti salvasse, eri perfettamente in grado di difenderti da sola. Ricordo che pensai: wow, questa ragazza è un tornado”
“E non avevamo ancora fatto sesso” rise April.
“E non avevamo ancora fatto sesso” sottolineò Jackson.
La schiena di April era appoggiata sul petto nudo di Jackson. Le braccia dell’uomo cingevano il corpo della donna. Il suo mento era appoggiato sulla spalla della rossa.
“Cosa ci è successo? Credevo saremmo stati insieme per sempre”
“Lo credevo anche io, Jackson. Ne ero sicura. Ma la vita ci ha portato a prendere strade diverse. Saremo sempre legati da Harriet, ma dobbiamo accettare di essere acqua passata. Il nostro tempo è passato”
Quelle parole erano tremende quanto vere. E Jackson fece fatica a mandarle giù. Aveva bisogno di rimanere un attimo da solo. Così lasciò April sul letto e si alzò. Entrò in bagno. Aprì il rubinetto della doccia e lasciò che l’acqua scorresse prima di privarsi di ogni indumento rimasto. Stava per entrare nel box quando si sentì abbracciare da dietro. Si voltò. April era nuda, gli stava sorridendo maliziosamente. Forse il loro tempo non era poi del tutto finito.
Ma, una volta fuori dalla doccia, si rese conto di essersi sbagliato. Il telefono di della donna squillò, era Matt. Lei lo guardò e si allontanò per rispondere. Jackson rimase seduto sul letto a pensare per qualche istante a quanto fosse stato ingenuo a pensare che aprire il suo cuore sarebbe bastato per farla innamorare di nuovo di lui e per farle dimenticare tutto il male che si erano fatti.
April rientrò in camera qualche minuto dopo. Aveva quello sguardo triste tipico di quando si sentiva in colpa per qualcosa.
“Jackson, devo tornare a casa” cominciò a dire.
“Capisco, tranquilla”
“Mi dispiace, davvero” disse lei.
“Per cosa? Anzi, scusami”
“Perché ti stai scusando?”
“Per ciò che è successo tra noi poco fa, sei sposata, non avrei nemmeno dovuto provarci e invece ti ho fatto dichiarazioni d’amore imbarazzanti”
“No, Jackson! Quello che è successo tra noi non è colpa tua, abbiamo deciso di farlo insieme. E le tue dichiarazioni d’amore sono imbarazzanti” disse lei prendendogli la mano.
“Non andartene, resta con me” disse lui spostandole una ciocca di capelli dal viso e accarezzandole la guancia. “Prendiamo Harriet e scappiamo insieme. Ce ne andiamo in un posto in cui nessuno ci conosce e viviamo per sempre insieme felici e contenti” propose guardando la sua ex negli occhi.
“Jackson, mi dispiace” rispose April lasciando la stanza.
Entrò in camera di sua figlia e la svegliò dolcemente. Jackson se ne stava appoggiato allo stipite della porta e le guardava.
“Dove andiamo?” domandò la bambina mentre la madre le metteva le scarpe.
“A casa, Harriet”
“Ma voglio stare con papi”
“Tesoro è tardi, dobbiamo tornare a casa. Tra poco arriverà anche Ruby”
“Non voglio giocare con Ruby, piange sempre. Restiamo qua con papà”
Jackson si avvicinò a sua figlia e mentre April preparava le sue cose, le parlò.
“Principessa ora devi tornare a casa, ma se vuoi domani vengo a prenderti per accompagnarti a scuola, va bene?”
“Va bene” rispose la bambina triste.
“Vieni qui” disse Jackson aprendo le braccia e abbracciando sua figlia. Le diede un bacio sulla guancia prima di dirle quanto le volesse bene.
“Tesoro, è ora di andare” si intromise April prendendo la mano della bambina e avviandosi verso la porta principale. Lasciò che la piccola desse un ultimo bacio a suo padre prima di raggiungere l’auto e farla sedere sul seggiolino posteriore.
Per tutto il viaggio di ritorno, April non fece altro che pensare a quanto fosse successo tra lei e Jackson. Avrebbe dovuto dire tutto subito a Matt oppure avrebbe dovuto nascondergli il tradimento? Sapeva che non avrebbe dovuto tradirlo in principio, ma Jackson era il suo punto debole, non riusciva a capire perché le facesse quell’effetto. Non riusciva a pensare lucidamente con lui nei paraggi… Forse sapeva perché le facesse quell’effetto, semplicemente non era pronta ad ammetterlo a se stessa.
Arrivò a casa. Matt non era ancora tornato. Avrebbe fatto tardi, doveva passare a prendere Ruby dopo il lavoro e sicuramente si sarebbe fermato un po’ dai suoi. Harriet si precipitò nella sua stanza. April era sola con i suoi pensieri e i suoi dubbi. Compose il numero dell’unica persona che sapeva che non l’avrebbe giudicata, l’unica in grado di consigliarla, la sua migliore amica Arizona. Nonostante non vivessero nella stessa città, non avevano mai smesso di sentirsi. La loro era un’amicizia che superava i confini territoriali. Quando ce n’era l’occasione, si vedevano. April era stata a New York da lei solo il mese prima. E Arizona progettava di andare a trovarla a Seattle a breve.
“Sei al lavoro?” domandò quando l’altra rispose al telefono.
“No, sono a casa. Dimmi tutto”
“Arizona, ho fatto una cazzata e ora ho bisogno di un consiglio”
“Che hai fatto, April?”
“Sono andata a letto con Jackson!”
“Finalmente, era ora!” esclamò una voce dall’altra parte del telefono.
“No, Callie, è un disastro! A proposito, ciao Callie”
“Perché sei andata a letto con Jackson, le cose con Matt non vanno bene?” domandò Arizona.
“No, vanno bene. Ma sai che effetto mi fa”
“È normale, è la tua anima gemella” si intromise Callie.
“Forse è un segno, forse è arrivato il momento di tornare con lui” aggiunse la Robbins.
“Arizona, Callie, io vi voglio bene, ma non tutti hanno la vostra fortuna. Voi vi siete ritrovate a New York, ma questo non succederà tra me e Jackson. Io sto con Matt”
“Non ti importava molto di Matt mentre ti scopavi Jackson”
“Callie!” l’ammonì Arizona.
“Che c’è, dico solo la verità! Ascolta April se tu non avessi più sentimenti per Jackson, il pensiero di andare a letto con lui non ti avrebbe nemmeno sfiorato e non avresti mai tradito Matt. Forse questo è ciò che ti serviva per farti capire che dovresti divorziare”
“Callie è stato un errore. Non si ripeterà. Voglio bene a Matt”
“April, devi dirglielo! Non se lo merita” affermò Arizona.
“Proverò a farlo. Penso sia arrivato, ho sentito il rumore della sua auto. Vi terrò aggiornate e comunque non mi avete per niente aiutato, anzi sono più confusa di prima”
“Non c’è di che” rispose Callie.
“Ti voglio bene, qualunque cosa tu decida di fare” disse Arizona.
 
Matt entrò in casa. Ruby tra le sue braccia. April gli andò in contro e lasciò che Matt la baciasse. Poi salutò la bambina. Più guardava quell’uomo e meno le sembrava intelligente raccontargli di quanto accaduto con Jackson. Non voleva ferirlo ed era super intenzionata a non commettere più l’errore di tradirlo. Non se lo meritava. Ma, ben presto, si rese conto che quel bacio scambiato con suo marito non si avvicinava nemmeno minimamente a quelli dati a Jackson. I baci di Matt non le trasmettevano le stesse emozioni di quelli di Jackson.
Nei giorni a seguire, tutto ciò a cui riusciva a pensare era Jackson. Si chiedeva cosa stesse facendo, con chi fosse, se pensasse a lei almeno un quarto di quanto lei pensasse a lui. E il fatto di non riuscire a darsi una risposta, la tormentava. Voleva vederlo ed evitarlo allo stesso tempo. Aveva paura di come avrebbe reagito alla vista di quegli occhi, di quelle labbra, di quell’uomo che stava giocando con la sua mente e i suoi sentimenti. Non era giusto, quello che le stava accadendo non era giusto. Forse era una punizione divina per il suo tradimento, ma non riusciva a smettere di pensare a lui. Al suo corpo, alle sue mani, alle sue parole.
Arizona continuava ad insistere perché lei dicesse tutto a Matt, credendo che forse così avrebbe potuto archiviare una volta per tutte quella storia. Callie, invece, insisteva perché April parlasse con Jackson a cuore aperto, così da realizzare quanto ancora si amassero. Ma la Kepner non aveva il coraggio di seguire nessuno dei due consigli. Cercava di far finta che tutto andasse bene con suo marito e parlava con Jackson solo tramite messaggi e solo di sua figlia. Ogni qual volta lui cercasse di parlarle di altro, smetteva di rispondergli. Non accettava le sue chiamate e cercava di guardarlo il meno possibile quando andava a prendere e lasciare Harriet. Ma più il tempo passava e più il peso di quel segreto la consumava. Quello che April non sapeva è che tutto ciò era solo la punta dell’iceberg. La faccenda era destinata a precipitare.

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Capitolo 5
*** 5 ***


5
 
Qualche settimana dopo la vicenda, April era al lavoro quando ricevette una chiamata. Era la scuola di Harriet. Preoccupata rispose. La voce della maestra della piccola era calma e ferma, il che la portò a pensare che la questione non potesse essere troppo grave.
“Signora Avery potrebbe venire a scuola, c’è stato un piccolo problema tra sua figlia e un’altra compagna”
“Harriet sta bene?”
“Sì, ma deve venire a prenderla”
Immediatamente April si precipitò a scuola. Percorse velocemente il corridoio e andò in contro all’insegnante di sua figlia che le faceva cenno con la mano dall’uscio della classe.
“Grazie per essere venuta signora Avery, suo marito è già qui” disse l’insegnante e, in quel momento notò Jackson seduto davanti.
“Sono la signora Taylor, io e il signor Avery non siamo più sposati” precisò lei sedendosi accanto al suo ex marito.
La maestra sorrise in modo equivoco a Jackson e April capì immediatamente che quegli occhi azzurri avevano mietuto una nuova vittima. Roteò gli occhi e aspettò che la giovane donna cominciasse a parlare e a spiegarle per quale ragione si trovassero lì.
A quanto pare Harriet aveva tirato i capelli ad una compagna di classe, Megan e gli insegnati erano stati costretti a contattare la famiglia per informali. April cadde dalle nuvole, non era da sua figlia comportarsi in quel modo e voleva assolutamente capire perché avesse agito così.
La maestra li accompagnò dalla piccola che giocava tranquilla come se non fosse accaduto nulla. Subito le chiesero quale fosse il motivo del suo gesto e lei gli disse che Megan, la sua compagna, aveva continuato ad infastidirla dicendole cose cattive. E lei, alla fine, si era stancata e le aveva tirato i capelli.
A Jackson venne da ridere e si allontanò per non farsi vedere. Nel frattempo, April cercò di farle capire che la violenza non era mai la soluzione, anche quando qualcuno la portava allo sfinimento. E Harriet le promise che non l’avrebbe più fatto a patto che Megan avesse smesso di prenderla in giro. April lo fece presente alla maestra che la rassicurò promettendole di andare a fondo alla questione. Non completamente soddisfatta, April uscì dalla struttura assieme a sua figlia e a Jackson.
“Ti prego di non ridere quando tua figlia tira i capelli ad un’altra bambina. Potrebbe accorgersene e rifarlo solo perché pensa che ti faccia ridere”
“Lo so, ma mi ha ricordato qualcuno” rispose lui ridendo sotto i baffi.
“Sei un idiota”
“Scusami, non eri tu quella che ha preso a pugni un tizio la notte prima di un esame importantissimo?”
“Sì e abbiamo visto com’è andata a finire quella storia, non ho passato l’esame”
“Ma mi hai fatto innamorare di te” rispose Jackson strizzandole l’occhio.
“Signor Avery!” esclamò una voce alle loro spalle. Entrambi si girarono. Era la maestra di Harriet. April aveva già capito cosa la donna volesse dal suo ex marito. Lo osservò dirigersi verso di lei e notò come questa ci provasse spudoratamente. Continuava a toccargli il braccio e rideva a qualunque cosa dicesse. April fu incuriosita da quella situazione. Non riusciva ad andare via. Voleva sapere cosa stesse dicendo l’insegnante di sua figlia al suo ex marito e per farlo doveva aspettare che lui tornasse da lei. Oltre alla curiosità dovette ammettere che c’era gelosia. Avrebbe voluto prenderla a pugni solo per avergli sorriso.
Quando Jackson tornò, aveva un’espressione incredibilmente compiaciuta sul viso, espressione che April conosceva fin troppo bene. Aveva rimediato un appuntamento.
“Allora, che ti ha detto?”
“Niente di particolare”
“Jackson, conosco quell’espressione e la tipa ci stava provando spudoratamente con te”
“Gelosa?”
Gli occhi di April si fecero piccoli. Strinse i denti e sorrise.
“No, assolutamente”
“E perché hai lo stesso sguardo da pazza che avevi quando prendesti a pugni quel tipo?”
“Non è vero!”
“Non vorrai mica dare questo esempio a tua figlia? Potrebbe imitarti”
April gli diede uno schiaffetto sul braccio.
“Mi fa male, signora Taylor. E comunque, non hai mai voluto prendere il mio cognome e hai finito per prendere il suo”
“Ma smettila! April Taylor suona meglio di April Avery”
“Non sono d’accordo. April Avery suona molto meglio”
“Comunque non ho preso il suo cognome, l’ho detto solo per darti fastidio”
“Sei perfida”
 
April tornò a casa con Harriet. Matt era lì che cucinava. La donna si affacciò al bancone della cucina per poter avere una visuale migliore di cosa stesse preparando suo marito. Dall’odore, doveva essere buonissimo. Sorrise mentre lo guardava correre da una parte all’altra della stanza tutto indaffarato. Era buffissimo. Aveva i pantaloni sporchi di farina e la maglia bianca macchiata di pomodoro.
“Che giorno è?” domandò lui mentre controllava la data di scadenza su una scatoletta di carne essiccata.
April guardò lo schermo del telefono.
“È il ventisei” disse.
“Ah, allora è da buttare!” concluse Matt gettando via la scatoletta.
Quando alzò il viso notò che l’espressione di April era cambiata di punto in bianco.
“Tutto bene?” le chiese.
Lei si limitò ad annuire e lasciò la stanza in fretta. Entrò in bagno e ci si chiuse dentro. Cominciò a fare avanti e dietro nervosamente. Prese il telefono e cercò il nome di Arizona tra le chiamate recenti. Aspettò che l’amica rispose.
“Ehi April, tutto bene?”
“No, per niente. Ho bisogno del tuo aiuto. Dobbiamo vederci immediatamente”
“Mi piacerebbe molto, ma come sai bene non sono più a Seattle, sono a New York e ho una clinica da dirigere” scherzò Arizona.
“Lo so, ma ho bisogno di te. Chiamo al lavoro, prendo dei giorni e vengo lì, posso?”
“Certo April, ma che succede, mi stai spaventando”
“So che probabilmente sto esagerando e non dovrei farmi tutte queste paranoie, ma ora come ora sono terrorizzata e ho bisogno della mia migliore amica”
“Che è successo, Matt ha scoperto di Jackson?”
“Peggio, ho un ritardo” disse a bassa voce April
“Cosa?”
“È raro che abbia un ritardo, il mio ciclo è sempre puntuale”
“Ma è già successo in passato che si trattasse solo di un falso allarme, dovresti aspettare un altro po’ prima di trarre conclusioni affrettate” l’avvisò Arizona.
“Ho un brutto presentimento al riguardo. Sono da te domani” detto questo, senza nemmeno aspettare la risposta dell’amica, April chiuse la telefonata.
Si passò il telefono tra le mani, nervosamente. Cominciò a calcolare i giorni di ritardo, erano sette. Sette giorni di ritardo. Non le era mai successo, era terribile. Non vedeva l’ora di poter abbracciare la sua migliore amica. Chiamò al lavoro per chiedere dei giorni di ferie e le furono concessi. Dopodiché chiamò Jackson per chiedergli di occuparsi di Harriet mentre era via. Gli disse che Arizona aveva bisogno di lei e che doveva andare a New York. La stessa scusa la usò anche con Matt, giustificando così la partenza improvvisa e immediata. Prese la prima valigia che trovò e la riempì col necessario. Prenotò un volo di sola andata per l’indomani senza badare a spese. Non sapeva quanto si sarebbe trattenuta dalla sua amica.
Il giorno dopo Matt si propose di accompagnarla all’aeroporto, ma April gli proibì categoricamente di farlo. Chiamò un taxi, lasciò Harriet da Jackson e subito dopo si diresse all’aeroporto.
 
Quando arrivò a New York ad accoglierla all’aeroporto c’era Callie Torres e sua figlia Sophia. Le salutò abbracciandole e tirando una guancia dolcemente a Sophia, ormai quasi adolescente. Per tutto il viaggio in macchina, Callie cercò di convincere April che quello fosse un segno della provvidenza, che dio o chi per lui stesse cercando di dirle che Jackson era l’uomo della sua vita e che sarebbe dovuta tornare con lui. April, invece, era dell’opinione opposta. Secondo lei quello che le stava succedendo era il risultato dell’ira divina del suo dio che la voleva punire per la deplorevole azione commessa: il tradimento.
Quando arrivarono a casa Torres-Robbins, Arizona era ancora in ospedale. Sarebbe tornata a momenti e Callie cominciò a preparare il pranzo aiutata da una svogliata Sophia.
“Come mai non sei a scuola?” domandò April per fare conversazione e distrarre per un secondo l’attenzione dal suo problema.
“Disinfestazione” rispose la ragazzina.
“Scarafaggi?”
“No, topi”
L’espressione sulla faccia di April si trasformò. La curiosità aveva lasciato il posto al disgusto. Improvvisamente parlare della sua vita sentimentale e dei suoi errori le sembrava l’idea migliore. Stava aiutando Callie ad apparecchiare la tavola, quando il rumore delle chiavi nella serratura le fece capire che Arizona era tornata. La donna entrò e gettò con poca cura la borsa sul divano. Si tolse la giacca e corse ad abbracciare April. Nonostante la stanchezza, vedere la sua migliore amica era sempre una gioia. Diede un bacio a Sophia e poi a Callie. April sorrise guardandole. Era felicissima per la sua amica, aveva ritrovato sua moglie e rimesso assieme i pezzi del suo matrimonio. Così facendo aveva anche ridato una famiglia unita a sua figlia. Si chiese se una cosa del genere sarebbe mai potuta accadere a lei. E, nell’instante in cui si rese conto del pensiero appena fatto, diventò pallida. Stava davvero pensando all’ipotesi di rimettere in piedi la sua famiglia? Di ritornare con Jackson? Forse era solo stanca per il viaggio, forse aveva solo bisogno di dormire.
Il pranzo trascorse tranquillamente. E, in quel frangente, le tre amiche si erano raccontate cosa era successo nelle loro vite. Qualcosa di tranquillo, prima di cominciare con i discorsi seri. Poi, con un bicchiere di vino in mano si spostarono in salotto. Si sedettero sul divano e cominciarono a sorseggiarlo. Ad un certo punto, Arizona chiese ad April come mai fosse lì. April le rispose che aveva paura di essere incinta, motivo per il quale aveva rifiutato l’invitante bicchiere di vino bianco gentilmente offerto dalla Torres. Ma ad Arizona quella risposta non convinceva affatto. Avrebbe potuto fare un test di gravidanza piuttosto che volare in un altro stato per farlo con la propria migliore amica.
“Siamo sicuri che sia tutto qui?” domandò Arizona.
“Arizona”
“April ti conosco, avresti potuto semplicemente fare un test di gravidanza, ma non l’hai fatto, perché?”
“Perché tu sei il chirurgo fetale migliore del mondo e qualora fossi incinta, dati i miei precedenti con le gravidanze, vorrei che tu fossi al mio fianco e che mi seguissi passo per passo”
“Non tiriamo conclusione affrettate, April. Potrebbe benissimo trattarsi di un comunissimo falso allarme. E qualora fossi incinta lo sai che ti starei vicino fino all’ultimo giorno. Ora, messe da parte le lusinghe e gli scenari ipotetici, perché sei qui? Davvero”
“Ok, avevo bisogno di staccare un attimo. Avevo bisogno di prendermi una pausa da Matthew e Jackson. Devo fare i conti con i miei sensi di colpa e devo capire cosa voglio. Perché mi sta succedendo tutto ciò. Perché sto cominciando ad evitare Matt e ad ingelosirmi perché la maestra di Harriet ci prova con Jackson. Gli ha chiesto di uscire davanti ai miei occhi. Lo ha invitato a cena. Ma come si permette? E poi, è permesso? Un’insegnante può chiedere di uscire al padre di una sua alunna? Mi sembra estremamente poco professionale, non credi? Che faccia tosta! Glielo ha chiesto proprio davanti a me.”
“April sei sposata con un altro. Non dovrebbe infastidirti questa cosa, lo sai?”
“Lo so!”
“Forse e dico forse sei ancora irrimediabilmente innamorata di Avery?” si intromise Callie.
“L’ho amato tantissimo e forse ho ancora un debole per lui, ma non è amore. Penso sia attrazione fisica”
“Solo?” domandò Torres.
“Certo. Solo!” rispose.
“Non mentirmi Kepner, Avery è un gran pezzo di gnocco ma il mondo è pieno di manzi. Se fosse solo attrazione fisica avresti potuto trovare un altro bel ragazzone. Ma, purtroppo non è così. Hai tradito tuo marito col tuo ex marito. Mi sembra piuttosto chiaro che per te Jackson sia più di una botta e via. Alla fine torni sempre da lui” continuò Callie.

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Capitolo 6
*** 6 ***


6

Jackson era a casa con Harriet. Adorava stare con sua figlia. April era via da tre giorni e lui e la piccola si stavano godendo la loro meritata vacanza insieme. Se solo la Kepner avesse saputo che stavano combinando. Jackson aveva stravolto completamente la routine fitta che la donna aveva stabilito per la piccola. Per due sere di fila avevano mangiato gelato a cena e avevano passato un pomeriggio intero al parco dei castelli gonfiabili. Erano andati in giro per la città a fare compere. Ad Harriet bastava indicare un giocattolo che Jackson glielo comprava. Tutto procedeva per il meglio. Sì, probabilmente la stava viziando un po’ troppo, ma che ci poteva fare, quella bambina era il suo punto debole. Harriet guardava i cartoni animati seduta sulle gambe di Jackson mentre beveva il latte prima di andare a dormire quando il telefono dell’uomo squillò. Lui rispose al telefono mentre con l’altra mano accarezzava i capelli della figlia che cominciava a dare i primi segni di sfinimento.
“Ehi, sono io, Harriet dorme?” domandò la voce così familiare di April.
“Non ancora, ma sta per crollare. Come sta andando a New York?”
“Jackson perché è ancora sveglia? Dovrebbe essere già a letto da un pezzo!” borbottò lei.
“Ma dai, che vuoi che sia!”
“Le scombussoli la routine e quando tornerò dovrò farla riabituare. Non sarà facile”
“Tu sei eccezionale, ce la farai” rispose lui prendendola un po’ in giro.
“Quanto sei stupido!”
“Ti ho fatto ridere però”
“Forse un po’”
“Comunque, non mi hai risposto. Come sta andando a New York?” domandò ancora Jackson.
“Tutto bene”
In sottofondo Jackson sentì Callie che lo salutava e ricambiò il saluto.
“Mi sembra che vada tutto bene da Callie e Arizona. Ma quindi che ci fai lì? Avevi detto che Arizona aveva bisogno di te”
“Cos’è, un interrogatorio?”
“Non starai pensando di trasferirti a New York, vero?”
“Cosa?”
“Non puoi portarmela via, April!”
“Non mi sto trasferendo a New York Jackson, calmati”
L’uomo tirò un sospiro di sollievo e si chinò per dare un bacio sulla testa di sua figlia.
“E allora la domanda resta, che ci fai lì?”
“Arizona ha bisogno di un consulto”
“E non ci sono chirurghi d’urgenza a New York?”
“Voleva il parere della migliore, chiaramente” disse scherzando April.
“Non sottovalutarti, sei davvero un chirurgo eccellente”
“Grazie per le lusinghe. Ora, mi fai parlare con la mia bambina?” chiese April e Jackson passò il telefono a sua figlia.
“Mamma?” domandò lei.
“Ehi amore, come stai?”
“Bene”
“Davvero? A scuola tutto bene?”
“Sì”
“Che state facendo?”
“Niente. Quando torni?”
“Non lo so ancora, tesoro”
“Domani?”
“No tesoro, non domani. Ma presto perché mi manchi tantissimo e non vedo l’ora di abbracciarti e riempirti di baci”
“Va bene”
“Buonanotte tesoro”
“Ciao”, disse la piccola togliendosi il telefono dall’orecchio e consegnandolo a Jackson.
“April, sei ancora lì?”
“Sì, ci sono” disse lei con voce rotta.
“Non starai mica piangendo?” domandò Jackson.
“Mi manca”
“E allora torna a casa, di’ ad Arizona che Harriet ha bisogno di sua madre e di trovare qualcun altro che l’aiuti”
April, dall’altra parte del telefono sorrise. E sentì l’urgenza di dire tutta la verità a Jackson. Ma non ne ebbe il coraggio. Ultimamente non aveva il coraggio di fare nulla, nemmeno uno stupidissimo test di gravidanza. Aveva bisogno di supporto e di una spalla a cui appoggiarsi. E Arizona era la persona ideale. Era la sua migliore amica, la sua confidente, l’unica persona che sapeva che non l’avrebbe mai giudicata.
“Mi tenti, ma ormai sono qui. Dai un bacio ad Harriet da parte mia, buonanotte Jackson”
“Buonanotte April”.
 
Chiusa la telefonata, Jackson guardò Harriet rapita dai personaggi in televisione e si perse un attimo nei suoi pensieri. April gli era sembrata strana al telefono. Qualcosa non lo convinceva. Avrebbe voluto tanto prendere il jet di famiglia e volare da lei. Ma c’era Harriet a cui badare e doveva andare al lavoro. Il pensiero sfumò nel momento in cui si accorse che Harriet stava giocando col lobo del suo orecchio. Quando faceva così, significava che stava per addormentarsi. Così, spense la televisione e prese in braccio la bambina che continuava a giocherellare con il lobo del suo orecchio. La piccola appoggiò la testa sulla spalla di Jackson e crollò immediatamente. Jackson la adagiò sul suo letto e le rimboccò le coperte. Le stampò un bacio sulla fronte e, dopo aver acceso una lucina a forma di tartaruga accanto al suo letto, andò in camera sua. Cercò di addormentarsi, ma il sonno non arrivava. Si ritrovò a girarsi e rigirarsi nel letto. Il pensiero di April lo tormentava. Così prese in mano il telefono e la chiamò.
“Che c’è Jackson? È successo qualcosa a Harriet?” domandò allarmata lei.
“No, no. Si è appena addormentata”
“Ok, quindi qual è lo scopo di questa chiamata?” domandò adesso confusa.
“Sono più che sicuro che tu non mi stia dicendo la verità sul motivo per cui sei a New York e so che non dovrebbe importarmi, ma sono preoccupato per te. Non sarà un’altra crisi di fede? È colpa mia?”
In qualche modo, era un po’ colpa di Jackson se April era fuggita a New York. Ma non se la sentì di scaricargli quel fardello addosso. Non se la sentì di farlo sentire in colpa per qualcosa che avevano deciso entrambi. Inoltre, poteva benissimo essere tutto un grande falso allarme. E allora le cose sarebbero andata a posto. Aveva perso la fede? Non esattamente, ma un po’ si sentiva in colpa per il peccato commesso. Non avrebbe dovuto cedere. Ma Jackson! Come avrebbe potuto dirgli di no. Lui era il suo punto debole, il suo tallone d’Achille.
Solo qualche ora prima, Arizona le aveva prelevato il sangue. Non si fidava degli stupidissimi test di gravidanza comprati al supermercato che potevano dare dei falsi positivi. Voleva la sicurezza e qualcuno che le stesse accanto ogni secondo. Quel qualcuno era Arizona. L’unica in grado di farla sentire giudicata in quel momento di totale confusione. I risultati sarebbero arrivati il giorno dopo. April era terrorizzata all’idea di scoprire la sua sorte. Cosa avrebbe fatto? Chi era il padre del bambino? Tutte queste domande non la facevano essere serena. Inoltre, più tempo passava lontana da Matthew e meno le mancava. Qualcun altro, invece, le mancava terribilmente: Jackson. Callie aveva ragione. Aveva capito tutto dall’inizio. Ma non voleva dargliela vinta, non voleva scendere a patti con le sue emozioni. Erano emozioni sbagliate, non dovevano esistere. Jackson era solo un caso chiuso, archiviato, un capitolo della sua vita che era convinta di aver chiuso per sempre. Si sbagliava. Quanto si sbagliava!
E ora lui era dall’altra parte del telefono, preoccupato per lei che chiedeva di sapere la verità. Per quanto quella dimostrazione d’affetto le facesse piacere, April continuò a fingere che non ci fosse un secondo fine per quel suo improvviso viaggio e Jackson sembrò crederle.
Quando chiuse la chiamata, i dubbi di Jackson non si appianarono, bensì si ingigantirono. Aveva finto di crederle per non farle sentire il fiato sul collo, ma era seriamente preoccupato per lei. Così, nonostante fossero le undici di sera, compose il numero di sua madre. Catherine rispose immediatamente.
“Jackson sono le undici, ti prego sii breve, vorrei andare a dormire, sono esausta”
“Lo so mamma. Senti domani ho bisogno del jet della fondazione, devo andare a New York”
“A New York, perché?”
“Devo sbrigare una faccenda. C’è un’altra cosa, potresti tenere Harriet mentre sarò via?”
“Lo sai che non rinuncerei mai a passare del tempo con la mia meravigliosa nipotina. Ma, dov’è April?”
“A New York?”
“Le è successo qualcosa?”
“No, mamma. Non lo so almeno, è per questo che sto andando lì. Voglio verificare di persona che stia bene. Abbiamo parlato al telefono, ma era strana. E ho bisogno che tu tenga Harriet. Se per te è un problema, se non ce la fai per via dei trattamenti, non preoccuparti, chiamerò una delle sue sorelle per tenerla o chiederò a Meredith”
“Lascia stare quelle squilibrate delle sorelle Kepner. Mia nipote starà con me. Il caso è chiuso. Meredith Grey ha troppi bambini a cui badare e non lascio la mia erede in mani altrui.”
“Va bene, grazie mamma”
Jackson salutò sua madre e le mandò i dettagli per il volo l’indomani mattina. Finalmente, poi, riuscì ad addormentarsi.
 
Il giorno dopo, April Kepner si svegliò nella stanza degli ospiti di casa Torres-Robbins. Andò in cucina e fu di nuovo travolta dall’armonia di quella famiglia. Rimaneva sempre meravigliata dal modo in cui Callie e Arizona erano riuscite a ricostruire la loro relazione dalle macerie. Si ritrovò a sognare ad occhi aperti per l’ennesima volta da quando era lì. Immaginò come sarebbe stato se anche lei e Jackson avessero riallacciato i rapporti, a come quel riavvicinamento avrebbe potuto influenzare la crescita di Harriet.
Arizona le andò in contro, facendola ritornare con i piedi per terra. Le diede un bacio sulla guancia e le posò davanti un piatto di pancakes con sciroppo d’acero e fragole. Le fragole le fecero venire in mente Harriet e quella mattina in cui fecero colazione tutti e tre assieme. La sua famiglia. Negli ultimi tempi si era ritrovata sempre più spesso a pensare alla sua famiglia riferendosi solo a lei, Jackson e Harriet. E si sentiva terribilmente in colpa per questo. Il senso di colpa la stava lacerando. Era una figura importante della vita di Ruby e Matthew moriva d’amore per lei. Eppure, pensava solo a Jackson. Solo a lui. Era un pensiero costante, un pensiero distruttivo.
“Più tardi passiamo a prendere le analisi dal laboratorio. Vieni in ospedale con me? Una mano non mi farebbe di certo male” esordì Arizona.
“Certo, penso mi distrarrebbe lavorare”
“Benissimo, ti garantirò i privilegi una volta in clinica. Sbrighiamoci, fai colazione, vestiti e andiamo” disse Arizona.
“Da quando sei a New York fai tutto freneticamente”
“Lo so, qui o ti adegui o la città ti risucchia. Ogni tanto sogno di trasferirmi nel Main o in qualche paesino dimenticato dal mondo. Un posto in cui ho dieci pazienti e posso dedicarmi a mia moglie e mia figlia per il resto della giornata.”
“Sarebbe terribile!” commentò Sophia immaginandosi lo scenario appena descritto da sua madre. Aprili sorrise davanti a quella reazione.
“Ehi, starai anche diventando grande, ma rimani pur sempre la mia bambina e ho tutto il diritto di coccolarti”
“Ma mamma, è imbarazzante, non ho più cinque anni”
“Per me li avrai sempre”
“E addio, io me ne vado a scuola” esclamò la ragazzina afferrando lo zaino e uscendo di casa.
“April, tesoro, non voglio arrivare in ritardo al lavoro perciò muoviti!” esclamò Arizona voltandosi verso di lei.
 
Nel frattempo, Jackson era appena atterrato a New York. Ad aspettarlo all’aeroporto c’era una macchina pronta a scortarlo ovunque volesse. Arrivò in hotel, gettò la borsa sul pavimento e si fece una doccia veloce. Dopodiché chiese di essere portato alla clinica di Arizona. Entrò nella struttura e domandò della Robbins. Una delle infermiere gli disse che sarebbe arrivata a momenti. Lui approfittò di quell’informazione e si recò all’esterno. Arizona sarebbe dovuta per forza passare di lì. E, in quel momento, l’avrebbe fermata per chiederle di April. Rimase senza parole quando vide proprio April con la donna. Era sicuro che la storia dell’aiuto in clinica fosse una scusa. Forse si era sbagliato? Stava diventando paranoico? Desiderava così tanto April da farsi film mentali? Che figura avrebbe fatto se lo avessero visto lì? Prima che potesse sfuggire al loro sguardo, April lo vide. E si fermò di scatto. Arizona aveva già fatto qualche passo in avanti continuando a parlare da sola. Poi lo vide anche lei, si guardò a fianco e non trovò nessuno. April era a qualche metro di distanza da lei. Se ne stava in silenzio e col viso basso. Capì che era il momento di uscire di scena e di lasciare che i due parlassero. Sorrise a Jackson in segno di saluto ed entrò in clinica.
April aveva le mani in tasca, la borsa a tracolla e i suoi bellissimi capelli rossi le ricadevano morbidi sulle spalle. Jackson pensò a quanto fosse bella. Era la donna più semplice del mondo, la tipica ragazza della porta accanto. Eppure, per lui, non esisteva nessun’altra donna al mondo più bella della sua April. Camminò verso di lei.
“Ehi” disse semplicemente.
“Jackson che ci fai qui, ti ho detto che sto bene”
“Ma non ti credo April”
“Non è un mio problema se non mi credi”
“Sì che lo è. Possiamo negarlo quanto vogliamo ma tu sei un mio problema.”
“Che cosa romantica!” commentò sarcastica lei.
“April, non sto scherzando. Sono preoccupato. Ho volato da Seattle a qui solo per starti accanto perché ho percepito che ti sta succedendo qualcosa.”
“Che cosa vuoi da me, Jackson? Non ti ho chiesto io di venire”
“No, l’ho deciso da solo e ti ripeto che l’ho fatto perché sono preoccupato per te”
“E io ti ripeto che non sono problemi tuoi. Con chi hai lasciato mia figlia?”
“Avevo pensato di lasciarla ad una delle tue sorelle”
“Che hai fatto? Hai lasciato Harriet con quelle pazze?”
“No, no. Ci avevo pensato, ma mia madre ha voluto occuparsene lei”
April prese un sospiro di sollievo. Catherine era l’unica persona a cui era disposta a lasciare sua figlia. Non si fidava di nessun altro.
“Adesso mi dici cos’hai?”
“Jackson!”
“Guarda che mi sono fatto sostituire in ospedale e ho tutto il tempo del mondo. Perciò sarà meglio che cominci a parlare”
“Jackson, non voglio parlare”
“Va bene, allora restiamo in silenzio” rispose lui con un sorriso dispettoso sul viso.
 
Nel frattempo, dentro la clinica Arizona li spiava mentre parlava al telefono con Callie.
“Sì, ti dico che è così! Avery è venuto qui. Li ho lasciati da soli. Ora sembra stiano zitti. Si sono seduti e non parlano.”
“Come non parlano, perché?”
“Non ne ho idea!”
“E lui che fa?”
“La guarda”
“E lei che fa?”
“Guarda per terra”
“Forse gliel’ha detto?”
“Detto cosa?”
“Che potrebbe essere incinta”
“Ma no, non sarebbe così calmo”
“Hai ragione, come sempre” constatò Callie.
“Dottoressa Robbins che ci fa qui, non dovrebbe essere in sala visite?” domandò un’infermiera.
“Sì, hai ragione – rispose la donna chiudendo la chiamata con Callie e guardando l’infermiera – ascolta, se non hai da fare, puoi tenere sott’occhio quei due lì fuori? Se cominciano a parlare, ma soprattutto se hanno qualunque tipo di contatto fisico, vieni a riferirmelo”
La donna guardò Arizona con sguardo confuso. Poi si limitò ad annuire.
 
Nel frattempo, fuori dalla clinica, Jackson e April continuavano a stare in silenzio, assieme. April alzò finalmente gli occhi e incontrò quelli azzurri e preoccupati di Jackson. Quindi si sentì profondamente in colpa e riabbassò la testa.
“April, parlami”
“Non ho niente da dirti”
“April sapere che stai male mi fa stare male”
“Ma io sto bene”
“E io non ti credo. So riconoscere quando stai male. Ti ricordo che non c’è nessuno a questo mondo che ti conosce come ti conosco io. Nemmeno Arizona” continuò lui.
“Smettila. Smetti di essere così fastidiosamente insistente. Non ho voglia di parlare con nessuno, tantomeno con te che non sei nessuno per me.”
“Puoi ripeterti questa idiozia quanto vuoi, ma sappiamo bene che io e te non siamo nessuno. Eravamo migliori amici. Eravamo innamorati. Io lo sono ancora. Quindi non venire a dirmi queste stronzate” affermò l’uomo cercando di catturare il suo sguardo.
“Ah già, tu sai tutto di me. Tu mi leggi dentro. Mi capisci, vero?” disse lei provocandolo.
“Guardami negli occhi April”
Lei finalmente lo guardò.
“Tu non sai nulla di me. Dici di capirmi adesso, ma quando stavamo insieme non ci riuscivi. Non sei riuscito a capire perché avessi bisogno di andare in Giordania. Non riuscivi a capire le cose quand’erano grosse ed evidenti. E adesso dici di capirmi? Mi capisci solo quando mi rivuoi indietro, preso da improvvisa solitudine o mi capisci solo quando le cose non sono serie?” domandò lei. Sapeva di ferirlo in quel momento, ma questo non la fermò.
Quelle parole lasciarono Jackson allibito. Sapeva che in fondo April la pensava così e che lo riteneva responsabile del loro divorzio. Lo uccideva il pensiero di averla fatta soffrire così tanto e lo uccideva continuare a farla stare male. Prima che potesse dire qualunque cosa, April rincarò la dose.
“Tu sei quello che si è arreso. Ti sei arreso. Mi hai detto che non eri sicuro che valesse la pena lottare per il nostro matrimonio. Sei tu che mi hai chiesto il divorzio. Sei tu che mi hai respinta. Mi hai lasciato arrivare all’autodistruzione perché eri troppo impegnato a correre dietro a Maggie Pierce. E non te ne faccio una colpa. Ma c’è un uomo, un uomo che mi ama sopra ogni cosa. Un uomo che ha messo da parte il suo orgoglio e mi ha dato una seconda opportunità. Un uomo che era al mio fianco mentre stavo sprofondando nelle sabbie mobili e che mia teso la mano e mi ha riportato in superfice. Quell’uomo è mio marito, Matthew. E per la mia stupida fissazione per te adesso rischio di mandare a puttane il mio matrimonio. Tu non mi fai bene Jackson. Tu mi porti alla distruzione. E io sono stanca. Sono stanca di questa tiritera. Quando penso che sono fuori dalle tue grinfie ecco che riappari dal nulla e mi illudi di nuovo. Tutta la nostra storia è stata una grande illusione. Io che mi illudevo che tu potessi amarmi almeno un quarto di quanto ti abbia amato io. Io che mi illudevo che saresti riuscito ad accettarmi per come sono e che non avresti cercato di cambiarmi. Io che mi illudevo che avremmo potuto avere una relazione sana. Ma non è mai successo. Perciò, ti prego, va’ via e lasciami in pace una volta per tutte”
Il volto di April era paonazzo. Jackson continuava a guardarla senza proferire parola. Aveva gli occhi lucidi. Quelle affermazioni l’avevano ferito. La cosa giusta da fare in quel momento era alzarsi e lasciarle lo spazio che aveva chiesto. Doveva dimostrarle di non essere egoista. Uscire dalla sua vita e smettere di incasinarle la testa. Forse April aveva ragione, forse Jackson non l’aveva mai amata quanto credeva. Forse il suo era solo un capriccio. Eppure, nonostante questi pensieri, Avery non le diede retta. Non si mosse dalla panchina su cui erano seduti. Anzi, sentì il bisogno urgente di catturare April in un abbraccio e stringerla forte a sé.
April cercò di opporsi a quel gesto, ma quelle braccia, nonostante tutto la facevano sentire al sicuro. I suoi muscoli rigidi cedettero al contatto con il suo ex e si lasciò andare. Si lasciò andare anche ad un pianto liberatorio. Finalmente aveva trovato il coraggio di dirgli tutto ciò che non era mai riuscita a dirgli. Finalmente stava avendo la sua rivincita. Era stata tremenda con lui, era stata dura e cattiva. Eppure, Jackson continuava a stringerla sempre più forte a sé.
“Mi dispiace” le sussurrava ripetutamente nell’orecchio. “Mi dispiace, April. Perdonami. Io so di non meritarti. So di averti data per scontata. E so che sono io il motivo per cui il nostro matrimonio non ha funzionato. Ma adesso sono più maturo e sono cambiato. Sento che stai male e voglio aiutarti. Sento che posso aiutarti. E soprattutto sono sicuro che tu sia la donna della mia vita. La mia anima gemella. Prima eri tu quella che amava senza riserve. E, ti giuro, da oggi in poi, la mia missione sarà dimostrati quanto ti amo. Ti riconquisterò.” Continuò Jackson.
“Jackson non ho bisogno di dimostrazioni d’amore da parte tua. Ho solo bisogno che tu capisca che tra noi non potrà mai tornare com’era prima. Ho bisogno che tu mi prometta una cosa: se mi ami così tanto come dici, devi lasciarmi in pace. Devi lasciarmi vivere la mia vita assieme a mio marito e alla mia famiglia. Ci sentiremo e vedremo solo per Harriet. Tutto qui. Fine.” Disse April.
“Non so se ci riesco”
“Se mi ami, ci riuscirai”
“Ti prego April, come faccio senza di te?”
“Smettila di essere così egoista per un secondo!”
“Lo so, lo so. Non ci posso fare niente. Io ti amo. Ti amo e non riesco a lasciarti andare. Non ce la faccio. Voglio solo una possibilità. Una soltanto. Non sarò così stupido da ferirti, non di nuovo”
“Ma come fai a non rendertene conto? Mi stai facendo male anche adesso. Mi stai ferendo anche adesso. E sono stanca Jackson. Il mio amore per te mi ha consumata. Ora voglio che mi lasci in pace. Non ti amo più, non ti voglio più. Ti prego, va’ via!”
Jackson sciolse l’abbraccio e la guardò distrutto. Le lacrime avevano cominciato a scendere lungo le sue guance. Stava piangendo come un ragazzino. In cuor suo sapeva che April avesse ragione. Ma come poteva accettarle di lasciarla andare? Sentiva che, in fondo, lei lo amasse ancora.
“April, ti prego, non dire così” le disse prendendole la mano e stringendola tra le sue.
“Jackson mi fai solo del male. Per favore, lasciami stare”
A quel punto Jackson le lasciò le mani. Si alzò. Il volto gonfio, gli occhi arrossati per le lacrime.
“Vorrei non essere la causa del tuo dolore. Vorrei poter essere la persona che ti fa stare bene. Mi uccide il pensiero di stare lontano da te, ma non posso costringerti ad amarmi.” Disse. La guardò per un’ultima volta prima di andare via.
April rimase lì distrutta da quella conversazione. Non appena Jackson andò via, Arizona corse da lei. Le si sedette accanto e l’abbracciò. La Kepner si lasciò cullare dall’abbraccio dell’amica.

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Capitolo 7
*** 7 ***


7

“Papà!” esclamò Harriet correndo verso suo padre all’uscita da scuola.
“Principessa!” rispose lui prendendola al volo. Le diede un dolce bacio sulla fronte.
“Signor Avery è bello rivederla” disse una voce familiare. Jackson si girò e vide l’insegnante di sua figlia.
“Salve signorina Smith”
“Mi chiami pure Amanda”
“Beh lei mi chiami pure Jackson”
“Non c’è la sua ex moglie oggi?” domandò la donna.
“No, April aveva da fare, sono venuto io a prendere Harriet”
“È sempre bello vederla” rispose la maestra sorridendogli.
“La ringrazio. Ora dobbiamo proprio andare, arrivederci”
“Ciao maestra”
“Ciao Harriet”
 
“Com’è andata oggi?” domandò Jackson a sua figlia mentre pranzavano.
“Bene, ho detto a tutti del regalo”
“Quale regalo?” domandò l’uomo sorridendo davanti all’espressione entusiasta della figlia.
“Mamma mi regala un fratellino o una sorellina” rispose con nonchalance la bambina.
Jackson per poco non si strozzò con il cibo.
“Cosa?” domandò sperando che fosse tutto frutto della sua fantasia.
“Mamma stava parlando al telefono con zia Arizona. E io sono entrata nella sua stanza, ma lei non mi ha visto. E ha detto che non sapeva che fare perché era incinta. Allora l’ho detto a Megan e mi ha detto che significa che sto per avere un fratello o una sorella. Lei lo sa, ne ha appena avuto uno. Ma non le piace molto, piange sempre e non vuole giocare con lei”
Jackson era senza parole. Non vedeva April da quella volta a New York. Erano passato un po’ di tempo. E adesso era incinta. Sapeva che stava sbagliando, ma non gli importò. Prese il telefono e chiamò Arizona. Lei rispose immediatamente.
“Ciao Arizona, sono Jackson, è un buon momento? Vorrei parlarti”
“Certo, dimmi”
“Senti so che non dovrebbe interessarmi, ma April è incinta?” domandò.
“Jackson, non posso parlare di questo con te”
“Arizona, ti prego, ho bisogno di saperlo”
“Jackson ho già fatto quest’errore una volta, non lo farò di nuovo”
“Che vuol dire?”
“Che devi chiedere direttamente a lei. Ho le mani legate. April è la mia migliore amica e sono il suo medico, non posso aiutarti”
“Va bene, ti ringrazio” rispose Jackson prima di riattaccare.
Dopodiché scrisse un messaggio ad April che era al lavoro. Le disse di doverle parlare quando sarebbe andata a prendere Harriet.
Le ore sembravano interminabili. Il tempo non passava mai. Jackson aveva bisogno di parlare con April. Da quanto era incinta? Di chi era il bambino? Come stava? Nonostante ci fosse una grandissima probabilità che il bambino non fosse suo, una probabilità pari al 90%, era preoccupato per la salute di April, sapendo quanto fossero state difficili le sue precedenti gravidanze.
 
Jackson stava giocando con Harriet quando April suonò il campanello. Si affrettò a raggiungere la porta. Quando l’aprì, la Kepner era lì. I capelli legati in una coda, la sua solita borsa a tracolla e il viso stanco di chi non aveva avuto una bella giornata. Avrebbe voluto evitarle l’ennesima noia, ma era suo diritto sapere. Immediatamente il suo sguardo finì inizialmente sul ventre coperto della donna e successivamente sul suo seno visibilmente ingrossato. Era quasi impercettibile, ma un occhio attento quelle cose le notava.
“Mi hai chiamato per fissarmi le tette?” domandò April irritata da quella radiografia.
“Non che mi dispiaccia fissarti le tette, ma no, entra” disse spostandosi dalla porta.
Lei si recò immediatamente da Harriet e le diede un bacio prima di tornare da Jackson.
“Sii veloce, è stata una giornata dura, vorrei tornare a casa” affermò la donna sedendosi sul divano.
“Sei incinta?” domandò subito lui.
April strabuzzò gli occhi.
“Sei incinta?” chiese di nuovo lui.
“Cosa?”
“April, sei incinta?”
“Chi te l’ha detto?”
“Me l’ha detto Harriet, allora è vero?”
Lei non rispose. Annuì soltanto. Jackson non sapeva cosa dire. Si sedette accanto a lei.
“Di quanto sei?” chiese lui.
“Appena tre mesi”
“Appena? Tre mesi? Sei di tre mesi? Tutto questo è ridicolo. E tuo marito lo sa?”
“Non lo sa”
“E non se n’è accorto?”
“No, è sempre al lavoro”
“Che idiota! April, chi è il padre?” domandò cominciando ad innervosirsi.
“Non ne ho idea! Non chiamarlo idiota e smettila di agitarti, sono sicura che non sia tuo”
“Non è per quello che mi sto agitando. Mi sto agitando perché so quanto ti terrorizzino le gravidanze dopo Samuel. E stai facendo tutto da sola”
“Non è vero, ho Arizona e Callie dalla mia parte”
“Arizona e Callie sono a New York, April!”
“Non è un tuo problema”
“April devi smetterla con questa stronzata. Tu sei un mio problema. E ti ricordo che quello che hai in grembo potrebbe essere mio figlio. Mio figlio, April!”
“Jackson le probabilità che questo sia tuo figlio sono veramente poche” disse cercando di restare tranquilla lei.
“Voglio fare il test del DNA! Tra poco la pancia si vedrà e non potrai nasconderla a tuo marito. Cosa gli dirai se il bambino alla nascita somigliasse a me?”
“Non so, sorpresa?”
“Non fare la cretina! Sono serio!”
“Jackson quando e come dirlo a mio marito sono fatti miei. E non preoccuparti, ho già pensato al test. I campioni li stanno analizzando mentre parliamo. Arizona mi ha assicurato i risultati entro fine settimana. So badare a me stessa, Jackson!”
“E quando me l’avresti detto? Se non me lo avesse detto Harriet non l’avrei mai saputo?”
“Avrei aspettato i risultati. Non avrei dovuto informarti se il bambino fosse stato di Matt. Perché ti ricordo che noi due non siamo più niente”
“Non siamo più niente? Va bene, continua pure a raccontarti questa stronzata. E comunque ti ripeto che io ti amo.”
“Ancora con questa storia? Sono passati mesi, basta”
“Non è così semplice, April. Non posso semplicemente smettere di amarti”
“In passato l’hai fatto, non mi sembrava fosse così difficile per te”
“Ero un uomo diverso”
“No, Jackson, eri sempre la stessa persona. Eri, sei e sempre sarai un egoista che pensa solo a se stesso.”
“Puoi insultarmi quanto vuoi, puoi darmi la colpa di tutto e farmi sentire uno schifo, io non smetterò di amarti. Mai! Questa tattica non funziona con me, non riuscirai ad allontanarmi” rispose lui prendendole le mani.
April sussultò a quel contatto. E bastò quel gesto a tradirla. Le cadde la maschera. Aveva provato con tutte le forze a mostrarsi impenetrabile, a far finta di essere una dura, una che aveva tutto sotto controllo. Ma non era così. Quella situazione la stava consumando dall’interno. E Jackson aveva ragione, parlare al telefono o tramite videochiamate con Arizona non era la stessa cosa che averla accanto. Non aveva nessuno su cui scaricare le sue paure, le sue tensioni. Non c’era nessuno che le fosse accanto in quel momento così spaventoso. Avery era riuscito a leggerle dentro con una facilità impressionante. Era sempre stato così. E nonostante April cercasse di allontanarlo e lo insultasse, lui non si arrendeva. Effettivamente questo atteggiamento un po’ la lusingava, ma non solo, la faceva sentire incredibilmente in colpa. Non voleva fargli del male, ma non poteva rischiare di cadere di nuovo nella sua trappola. Non ora che di mezzo c’era un bambino. Aveva fatto la scelta giusta, allontanarlo in qualunque modo possibile. La sua relazione con Matthew rischiava di rovinarsi e qualora il bambino fosse stato di Jackson, lei sarebbe stata l’unica responsabile per la fine del suo matrimonio, di nuovo. Nonostante avesse detto a Jackson il contrario, sapeva che le colpe della fine del loro matrimonio non erano solo sue. April aveva una grande fetta di responsabilità in quell’occasione. Era andata via nel momento del bisogno, lasciando Jackson solo, senza una spalla su cui piangere, senza sua moglie con cui processare il lutto. Era stata egoista. Era stata meschina. E non riusciva a perdonarselo.
“Jackson…” disse lei e gli occhi le si riempirono di lacrime.
“Non dire niente” rispose lui tirandola verso di sé e abbracciandola.
“Ho paura, aiutami” confessò.
April aveva chiesto aiuto. E Jackson ne fu felice. Si stava fidando di lui e lui non l’avrebbe delusa. Non questa volta.
“Shh” disse lui stringendola più forte e lasciando che si sfogasse. “Ci sono io. Ricordatelo, sono la tua persona. Su di me puoi contare sempre” le disse piano.
“Lo so, so di poter contare su di te e mi dispiace per quello che ti ho detto a New York” affermò April.
“Non scusarti, avevi ragione. Ma questa volta è diverso. Questa volta non ti lascio, seppure come amico, non ti mollerò un secondo”
“Mi dispiace davvero”
“Non è colpa tua se non mi ami più, avrei dovuto tenerti stretta quando potevo e non chiederti il divorzio. Avrei dovuto provare a risolvere le cose invece di scappare”
“Jackson sono io quella che è scappata”
“E sei tornata. Sei tornata ed eri disposta a lottare. Io no e ti ho persa. Ma non ti perderò come amica. Non permetterò che questo succeda, te lo garantisco”
“Grazie, Jackson” rispose lei stringendo più forte le braccia attorno al suo collo.
“Ahi, ahi, ahi! Mi stai facendo male” disse lui allentando un po’ la presa della donna.
“Scusa”
“Ti va di raccontarmi tutto dall’inizio, da quando hai scoperto di essere incinta?” domandò lui ed April annuì.
 
Il fine settimana arrivò più in fretta di quanto si aspettassero. April non era pronta a leggere i risultati in quella busta. Ma doveva farlo. Lo doveva a se stessa e lo doveva a Jackson. Per l’occasione i due avevano preso di nuovo il jet privato di Catherine ed erano volati a New York. Quando Callie li vide uscire dall’aeroporto assieme sorrise maliziosa e Arizona la ammonì scherzosamente.
“Torres, Robbins è un piacere vedervi”
“Anche per me, Avery, anche per me” commentò Callie con lo stesso sguardo di prima.
April corse ad abbracciare Arizona mentre la Torres fissava Avery con un ghigno soddisfatto che lui trovò piuttosto inquietante.
“Avevo ragione, siete tornati insieme” disse lei all’uomo.
“In realtà no, sono qui come amico e come supporto emotivo” affermò subito lui.
“Continuiamo a raccontarci queste idiozie… capisco” commentò Callie.
“Sei pronta?” domandò Arizona stringendo le mani di April.
“Sì, sono pronta”
“Va bene, allora andiamo in clinica. La dottoressa Coleman del laboratorio mi ha appena mandato un messaggio dicendomi che i risultati sono pronti” affermò la Robbins.
April cercò istintivamente la mano di Jackson e la trovò. Quel contatto non sfuggì allo sguardo compiaciuto e attento della Torres.
Arrivarono in clinica e April cominciò a stritolare la mano di Jackson che aveva stretto per tutto il viaggio. Lui la guardò e la rassicurò. C’era qualcosa in lui che riusciva sempre a tranquillizzarla, a farla sentire al sicuro, a farla sentire protetta. Era uno degli aspetti che l’avevano fatta innamorare. Ad un certo punto lui le sorrise e lì April si sentì in grado di poter affrontare tutto. Qualunque cosa sarebbe successa, Jackson non l’avrebbe lasciata. Glielo aveva promesso e qualcosa, sta volta, le diceva di fidarsi.
“È il momento” disse Arizona interrompendo quell’attimo che avevano condiviso.
“Può entrare con noi?” domandò April all’amica riferendosi a Jackson.
“Certo, è una tua scelta” rispose la Robbins rassicurandola col suo sorriso radioso.
I tre entrarono nello studio della dottoressa Coleman. La dottoressa Coleman era una donna sulla sessantina, capelli quasi completamente bianchi, bassina, con due grossi occhiali neri che penzolavano sul suo petto, legati ad una catenella, mentre camminava.
“Dottoressa Kepner è un piacere rivederla. Venga pure, abbiamo i risultati. Immagino che lui sia uno dei potenziali padri”
“Esatto, sono Jack-” disse Jackson prima di essere interrotto dalla Coleman.
“Bene, arriviamo al dunque. Accomodatevi” disse la donna sedendosi alla sua scrivania e tirando fuori dal cassetto un fascicolo di parecchie pagine. Cominciò ad addentrarsi in una premessa abbastanza lunga che non faceva altro che aumentare l’ansia di Jackson e April.
April sperava, in fondo, che il bambino fosse di Matthew così da poter salvare il suo matrimonio e continuare la sua relazione con suo marito a cui voleva un mondo di bene. Jackson, invece, sperava che il bambino fosse suo. L’idea di avere un altro figlio dalla donna che amava era quanto di più bello potesse volere.
Arizona si accorse della tensione nell’aria e francamente si era stancata anche lei di ascoltare la Coleman dilungarsi in quell’inutile prefazione. Erano tutti medici lì dentro, sapevano esattamente ciò che stava succedendo. Volevano solo sapere i risultati del test. Il campione che Aprila aveva fatto analizzare era quello di Matt, se il test fosse risultato negativo, il bambino sarebbe stato di Jackson. Arizona guardò le mani di April che stritolavano quella di Jackson e capì che era arrivato il momento di intervenire.
“Dottoressa Coleman, la ringrazio per la sua approfondita spiegazione, vorremmo, se fosse possibile, arrivare al dunque” disse nel modo più dolce possibile.
“Va bene dottoressa Robbins. Mi dispiace signor Taylor, il bambino non è suo” disse la Coleman guardando Jackson dritto negli occhi.
April sbiancò immediatamente. E l’espressione preoccupata di Jackson lasciò il posto ad un’espressione felice. Era così felice che quasi non riusciva a contenere l’emozione.
“Wow, la sua è una strana reazione signor Taylor” commentò la Coleman.
“Piacere, Jackson Avery, il padre del bambino” rispose lui dandole la mano entusiasta.
“Ora ha senso” commentò la donna prima di lasciarli da soli.
Jackson si voltò verso April e istintivamente le prese il viso tra le mani. I due si guardarono per un secondo. Secondo in cui lui avrebbe voluto baciare la sua ex moglie, ma si trattenne.
“Lo so che non è quello che volevi, ma ti giuro che ci sarò per te ogni istante di questa gravidanza e non ti lascerò sola” affermò lui.
“Lo so, so che non mi lascerai sola. Ti sei sempre preso cura di me e Harriet fin dal primo istante. Scusami se non riesco ad essere felice, ma ora devo parlare con Matthew” disse April.
“Non preoccuparti, lo so. E sappi che se qualunque cosa dovesse succedere, tu mi chiami ed io arrivo. Sei la mia persona, April”
“Lo so, Jackson” rispose lei.

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Capitolo 8
*** 8 ***


8

“Avery! Apri questa cazzo di porta!” esclamò Matthew Taylor bussando furioso a casa del chirurgo.
Jackson aprì la porta e il pugno di Matt lo colpì dritto in faccia, proprio sopra il labbro sinistro che cominciò immediatamente a sanguinare. Si pulì il sangue con la mano.
“Me lo sono meritato” commentò Jackson.
“Matt, fermo!” esclamò April, appena arrivata sul posto.
“Troppo tardi” commentò Jackson.
“Questa è la seconda volta, Avery! Ma sta volta non me l’hai soltanto portata via, l’hai messa incinta. È mia moglie!” esclamò Matt caricando il secondo pugno pronto a colpire.
“Lo so e mi dispiace farti questo. Sei un brav’uomo, ma non posso farci niente. La amo”
“Se l’amassi come dici, il vostro matrimonio sarebbe ancora in piedi”
“Ho sbagliato con lei. E non era mia intenzione rovinare il vostro di matrimonio, ma quando la guardo smetto di pensare razionalmente”
“Non parlare così di mia moglie!”
“Prima di essere tua moglie era mia moglie!” esclamò irritato Jackson.
“Tu l’hai lasciata, non hai nessun diritto di parlare di lei”
“Puoi minacciarmi quanto vuoi, puoi colpirmi dove vuoi, ciò che c’è tra me e lei è qualcosa che voi non avrete mai. Lei è la mia persona, non la tua!” affermò Avery.
Il pugno di Matt arrivò immediatamente, ma sta volta Jackson non rimase fermo. Reagì sferrando a sua volta un colpo violento sul viso dell’altro ed era pronto a sferrarne un altro.
Immediatamente April si precipitò da lui e lo spinse via. Poi si chinò su Matthew e gli prese il viso tra le mani. Jackson, in quel momento, capì che non sarebbe mai tornata con lui. Amava Matt e non amava più lui. Quella notte era stata sinceramente solo un errore per lei. Lo capiva da come lei lo guardava. Era corsa da suo marito nel momento del bisogno, proprio come prima correva in contro a lui. E fu mentre lei accarezzava suo marito e gli asciugava il sangue dal naso che ricordò le sue urla durante l’esplosione dell’autobus, esplosione in cui aveva creduto che fosse morto.
Entrò in casa e prese il kit di primo soccorso, lo portò ad April. Lei lo guardò terrorizzata e Jackson si sentì morire dentro. La guardò medicare suo marito e cominciò a rassegnarsi. Si passò un dito sulla ferita che continuava a sanguinare e la tamponò con la manica della sua maglietta.
Dopo aver medicato Matthew, April cercò con lo sguardo Jackson e lo trovò sull’uscio della porta che tamponava la sua ferita con la maglietta. Si diresse verso di lui e gli abbassò il braccio rivelando il taglio sul suo labbro. Si guardarono negli occhi per un attimo. Dopodiché April cominciò a medicarlo. Questo fece innervosire Matt che tornò alla ribalta.
“Corri sempre da Jackson. Cos’ha di speciale? Ti ha dato per scontata così tante volte che mi è impossibile capire perché torni sempre da lui! Io ti amo, ti amo per davvero e ti amo con tutto me stesso. Ma per te non sarà mai abbastanza, vero? Perché non sono lui” esclamò nervoso.
“Innanzitutto, non parlarle così! E poi cosa stai dicendo? Ho visto come ti guarda e ho visto come guarda me. Non mi ama, ama te. Quello che è successo tra noi, per lei è sinceramente uno sbaglio.” Affermò Jackson mettendosi davanti ad April.
“Tu sei davvero innamorata di questo idiota? Pensa davvero che tu non sia più innamorata di lui. Non è in grado di capire i tuoi sentimenti e pretendi che possa amarti?” disse Matt guardando sua moglie.
“Basta! Smettetela! Sembrate due ragazzini” esclamò April irritata.
“Stasera non premurarti di tornare a casa” affermò Matt prima di andare via.
 
“April perdonami, davvero. È tutta colpa mia” disse Jackson seduto sul divano di casa sua mentre lei gli medicava la ferita.
“Non è colpa tua, smettila! Abbiamo deciso tutti e due di andare a letto insieme” rispose April.
“Tutto questo stress e questa agitazione non fanno bene al bambino. Perché non ti sdrai un attimo? Se mi dai uno specchio finisco io con questo taglietto e tu ti puoi rilassare”
“Ho quasi finito”
“April, sono un chirurgo plastico, so come trattare un taglietto, ti prego. Il bambino ha bisogno che tu riposi”
A quel punto la Kepner portò a Jackson uno specchio e si sdraiò sul divano. I pensieri si susseguivano veloci. E il tempo passava in fretta.
“Sto andando a prendere Harriet da scuola, aspettami qui e non ti muovere per nessuna ragione al mondo. Devi stare a riposo” si premurò lui.
“Non so stare a riposo, lo sai. Vengo con te a prendere Harriet”
“April”
“Jackson ho appena mandato a puttane il mio matrimonio per la seconda volta e sono incinta del mio ex marito. Se voglio andare a prendere mia figlia ci vado e tu non puoi impedirmelo” disse lei.
“E va bene, ma appena torniamo a casa, ti riposi”
“Vedremo”
 
Jackson e April arrivarono davanti a scuola di Harriet e furono subito avvicinati dalla maestra.
“Signora Taylor, Jackson, salve”
“Ciao Amanda” rispose Avery.
“Signorina Kepner, grazie” rispose la Kepner.
“Certo, mi scusi”
“Non si preoccupi. Il cambio di status è recente” scherzò lei facendo ridere la donna che però non smetteva di guardare Jackson.
Questo infastidì molto April che a quel punto sentiva il bisogno di marcare il territorio, ma non sapeva come.
Qualche istante dopo, Harriet raggiunse i suoi genitori. Saltò in braccio a Jackson e gli stampò un bacio rumoroso sulla guancia. Dopodiché cercò di passare tra le braccia di sua madre, ma il padre glielo impedì.
“Tesoro mamma non può prenderti in braccio ora che porta in grembo il tuo fratellino o la tua sorellina” disse lui.
La bambina annuì e si sporse solo per baciare la guancia della mamma.
April notò il volto dell’insegnante della piccola cambiare quando apprese la notizia. Dopo il momento iniziale, mise su la sua migliore espressione felice e parlò.
“Congratulazioni. Lei e suo marito sarete felicissimi”
“Effettivamente lo siamo” commentò Jackson lasciando Amanda molto confusa.
Non appena furono in macchina, April scoppiò a ridere e diede uno schiaffetto sul braccio al suo ex marito.
“Ahi! Non sono già stato picchiato abbastanza per oggi?” domandò lui.
“Sei un idiota! Perché hai fatto capire alla maestra che siamo tornati insieme, adesso smetterà di chiederti di uscire” affermò la donna.
“Lo so, meglio così. Era troppo insistente e poi non cerco nessuno. L’unica donna che voglio è proprio qui, vero Harriet? Chi è l’amore della mia vita?”
“Io, io!” esclamò la bambina e April rise.
Jackson si girò verso la sua ex moglie e la guardò dritto negli occhi.
“Quando ridi ti amo ancora di più” le disse e poi mise in moto.
 
Quella sera April non riusciva a dormire. La rottura con Matt era stata devastante nonostante non lo lasciasse trasparire. Non poteva permettere che sua figlia avvertisse il suo dolore. Non poteva permettere che Jackson si sentisse ulteriormente in colpa. Ma tutto quello stress poteva nuocere alla sua gravidanza. Era preoccupata per la salute del suo bambino. Arizona era in un altro stato e volare fino a New York diventava sempre più difficile nelle sue condizioni. Doveva cercare qualcun altro che potesse seguirla, un nuovo medico. Pensò di contattare Addison Montgomery e chiederle se fosse tornata in zona. Avrebbe voluto scegliere una persona competente, per il suo bambino voleva i migliori medici. Pensando ai suoi figli, fu assalita dal senso di colpa. Aveva lasciato Ruby. Era affezionata a Ruby. Non era biologicamente sua figlia, ma aveva imparato ad amarla giorno per giorno negli ultimi anni. E ora, non l’avrebbe più rivista. Conosceva Matthew e sapeva quanto fosse difficile per lui superare i traumi. Aveva un’attitudine a ricominciare da capo in un altro posto. Era sicura che quella sarebbe stata la sua prossima mossa. Nell’arco di un mese si sarebbe spostato altrove assieme alla piccola e lei, probabilmente, non l’avrebbe più rivista. In quel momento Jackson bussò alla porta della sua camera.
“Avanti” esclamò lei.
Jackson entrò e si sedette ai piedi del suo letto.
“Come stai?” le chiese.
“Non hai una domanda di riserva?”
“April, posso solo immaginare quanto tu stia soffrendo adesso. Volevo solo essere sicuro che sapessi che, in qualunque momento, io sono qui. Anche nel bel mezzo della notte. Sono qui. Se vuoi parlare, se vuoi sfogarti, se hai bisogno di qualunque cosa. Io ci sono per te”
“Lo so Jackson, e ti ringrazio. Ti ringrazio per avermi accolta qui dopo, beh sì, insomma, dopo che Matthew mi ha cacciata di casa”
“È il minimo che potessi fare dopo aver rovinato il tuo matrimonio” commentò.
“Te lo ripeto, non è colpa tua” rispose April.
“Posso chiederti una cosa?” domandò lui.
“Sì, certo”
“È un po’ strana”
“Ok” rispose stranita April.
“Ti dispiace se parlo col bambino?” domandò.
“Sai che probabilmente non può ancora sentirti per quanto è piccolo, vero?”
“Sì, ma vorrei davvero farlo”
“Certo, è tuo figlio. E poi trovo che sia una cosa dolce”
Jackson appoggiò l’orecchio sul ventre della donna e cominciò a parlare. Gli occhi di April si inumidirono immediatamente. Forse erano gli ormoni, ma la trovava davvero una cosa dolcissima. Accarezzò la testa di Jackson e lui si irrigidì. Si girò a guardarla e i loro sguardi si incatenarono. Jackson portò una mano sulla guancia di April e l’accarezzò. Avrebbe voluto baciarla, ma non lo fece. Sapeva che non era il caso, così le lasciò un dolce bacio sulla guancia e fece per andare via.
“Jackson?”
Lui si girò verso April. Una mano già sulla maniglia, pronto ad uscire.
“Puoi rimanere a dormire qui? Non voglio restare da sola stanotte” chiese.
Jackson ci pensò un attimo prima di risponderle. Lasciò la maniglia della porta e tornò da April. Si sdraiò accanto a lei e le prese la mano. Intrecciò le dita con le sue e le diede un bacio sul dorso. Aveva detto ad April che avrebbe sempre potuto contare su di lui, ma diventava sempre più doloroso starle accanto sapendo di non poterla avere. Dormire al suo fianco sapendo, però, di essere solo un amico, lo faceva soffrire. Era innamorato di quella donna da così tanto tempo ormai che avrebbe dovuto fare meno male. Avrebbe dovuto sentire di meno la voglia di starle accanto, di accarezzarla, di vedere – per prima cosa al mattino – il suo viso. E, invece, non era così. Non si sarebbe mai stancato di lei. Se c’era una cosa che aveva capito in quegli anni era che l’amore, quello vero, non passa mai. Nemmeno le tragedie che li avevano portati a separarsi, riuscivano a far affievolire quel sentimento così intenso ed ingombrante che Jackson provava per April. Aveva cercato in tutti i modi di andare avanti. Ma non ci era riuscito. E adesso tenere la mano della donna che amava, sapendo che lei non ricambiava, lo uccideva. Stringerla sapendo che non è la sua mano quella che lei avrebbe voluto stringere, lo divorava dall’interno. Quanto avrebbe voluto sentirsi dire che lo amava, quando avrebbe voluto baciare quelle labbra e unirsi di nuovo a lei.
 
I giorni passavano e nonostante April cercasse di farsi forza per non far capire a sua figlia quanto stesse soffrendo, aveva il cuore a pezzi. Sapeva di non amare poi così tanto Matthew. E sapeva che lasciarlo andare era la scelta migliore. Ma, quando le arrivarono le carte del divorzio fu inghiottita da una consapevolezza: i suoi due matrimoni erano falliti per colpa sua. Era sempre colpa sua. Aveva lasciato Jackson solo quando aveva più bisogno di lei. Era andata via per la seconda volta nonostante il suo ultimatum. E adesso aveva perso Matthew. Lo aveva tradito. E per di più lo aveva tradito con Jackson. Lo stesso Jackson che aveva interrotto il loro primo tentativo di matrimonio per dichiararle il suo amore. Era la cosa peggiore che avrebbe potuto fargli. Non le era importato niente. Davanti al suo ex marito era tornata debole e aveva ceduto. Era consapevole di ciò che stava facendo ed era questo a tormentarla adesso. In fondo sapeva che il suo cuore batteva inevitabilmente per Jackson. Era sempre stato così e sarebbe sempre stato così. Fino alla fine dei tempi. Fino alla fine dei loro giorni sulla terra. L’amore per quell’uomo la consumava. Aveva sofferto troppo per ricaderci. Doveva resistere. Ma era troppo difficile resistere quando lui dormiva nella stanza accanto e qualche volta, quando era troppo spaventata per dormire da sola, anche nel suo stesso letto.
Quella mattina si svegliò e, ancora frastornata, entrò in cucina. Jackson aveva preparato il caffè, stava per andare al lavoro.
“Buongiorno”, disse sorridente.
April non diede una risposta vera, si limitò a fare un cenno col capo, troppo rintontita per dire qualcosa di senso compito prima di prendere il caffè. Jackson le passò la tazza.
“Ehi, April, mi chiedevo se potessi spostarti in camera mia per un po’ di tempo. Webber va via per qualche giorno, ha un convegno e non voglio che mia madre stia a casa da sola, soprattutto per via dei trattamenti che fa. Quindi se tu ti spostassi in camera mia, a lei daremmo la stanza degli ospiti”
“E tu dove dormiresti?” domandò lei.
“Qui sul divano”
“Non se ne parla, è casa tua. Andrò in albergo e poi è arrivato il momento che cerchi casa e un nuovo lavoro considerato che ho intenzione di tornare al vecchio dopo ciò che ho fatto a Matt”
“No, no. April, non se ne parla proprio. Non andrai in albergo. Questa è casa mia e se voglio darti la mia camera, ti do la mia camera e dormo sul divano. E non voglio assolutamente che tu cerchi casa. Voglio che tu e Harriet rimaniate qui con me.”
“Jackson l’ultima volta che abbiamo provato a convivere come amici e genitori, siamo finiti a letto insieme e ho dovuto andarmene perché non sono brava a compartimentalizzare le cose.”
“E allora non facciamolo, non compartimentalizziamo nulla”
“L’unico modo in cui potremmo non farlo è se io andassi via, Jackson”
“Non è quello che intendevo”
“E cosa intendevi?”
“Ti voglio con me. Ti amo. E lo so che non mi ami” cominciò a dire lui, ma non ebbe il tempo di finire perché April intervenne.
“Jackson ti fermo subito. Non possiamo tornare insieme”
Lui si rattristò immediatamente. Aveva, ancora una volta, fatto ciò che non avrebbe dovuto fare. Le aveva promesso di esserle amico e non ci era riuscito. Aveva messo davanti i suoi bisogni, come sempre. April cercò di cambiare discorso quando vide gli occhi tristi dell’uomo.
“Quando viene tua madre?”
“Domani mattina”
“Forse è il caso che cominci a portare via le mie cose dalla stanza degli ospiti prima di svegliare Harriet per portarla all’asilo”
“No, faccio io quando torno. Non voglio che ti sforzi. Riposati e fa riposare anche mio figlio. Vado a dare un bacio ad Harriet” Jackson diede le spalle ad April ed entrò in camera di sua figlia. Si chinò sulla bambina che dormiva beata e le baciò la fronte. Dopodiché lasciò la stanza e andò al lavoro.
Al suo ritorno notò, non con grande stupore, che April non gli aveva dato retta. La trovò impegnata a spostare cose da una parte all’altra della casa. Si affrettò a raggiungerla e le tolse di mano la valigia che aveva.
“Sei completamente fuori di testa?” chiese.
“Jackson sono perfettamente capace di trasportare una valigia”
“April ti avevo detto che l’avrei fatto io”
 “Lo so, ma volevo rendermi utile. Mi stai già lasciando la tua stanza, non mi sembrava giusto farti anche traslocare la mia roba”
“Ascolta, ti conosco troppo bene e so che ti stai comportando così perché non sai stare ferma. Ma, ti prego, fallo per il bambino, riposati” le chiese.
“Jackson riposarsi è noioso”
“Lo so. A proposito, hai trovato un nuovo medico che ti segua?”
“No, ma ho chiamato Bailey e mi ha detto che Owen e Teddy se ne vanno in Germania quindi presto potrò riprendere a lavorare al Grey-Sloan come primario di chirurgia d’urgenza”
“Veramente?” domandò Jackson felice
“Sì”
“Promettimi, però che non ti sforzerai”
“Te lo prometto”
“Guarda che ti controllerò”
“Fai pure, mi comporterò bene”
Jackson le sorrise. E finalmente, si sentì di nuovo felice. Puramente felice. Si stava abituando ad avere April di nuovo intorno ventiquattr’ore su ventiquattro. Avrebbe voluto fermare il tempo per assaporare e godere di ogni granello di quella felicità.
“April, ti prego di non trovare un’altra casa. Resta qui con me. Stiamo bene, vero? Stiamo bene così. Non andartene, continuiamo su questa strada, come due amici che convivono. Come facevamo prima” disse lui.
April aveva sul viso un’espressione illeggibile. Si morse il labbro inferiore e sospirò rumorosamente. Guardò Jackson.
“Jackson io ti voglio bene. Lo sai, te ne voglio tanto. Forse troppo. E ho paura di ciò che potrebbe succedere se rimanessi qua. Ma so anche di aver bisogno di te, del mio amico, del mio sostegno. So di volerti accanto per tutta la gravidanza.”
“Quindi resti?” chiese lui.
“Resto” rispose lei ritrovandosi immediatamente rapita da un abbraccio di Jackson che la sollevò da terra. In quel momento Harriet uscì dalla sua cameretta e lì guardò per un istante. Erano ancora avvinghiati l’uno all’altro quando lei parlò.
“Ho fame” disse e si trascinò sul divano.
Jackson e April si guardarono per un attimo prima di scoppiare a ridere. Dopodiché l’uomo si avvicinò a sua figlia e le diede un bacio sulla fronte. Cominciarono a chiacchierare mentre April li guardava soddisfatta.

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Capitolo 9
*** 9 ***


9

Il giorno dopo, mentre Jackson era al lavoro e Harriet a scuola, Catherine arrivò a casa del figlio. Rimase stranita quando ad aprirle andò April.
“Che ci fai tu qui?” domandò confusa.
“Ultimamente ci vivo, Jackson non ti ha detto nulla?”
“No, ma era solo questione di tempo prima che tornaste assieme” disse superandola e addentrandosi nel salotto. Lasciò la borsa sul divano assieme al cappotto e si sedette.
“In realtà non siamo tornati insieme” commentò April.
E Catherine la guardò con un sopracciglio alzato.
“E perché stai vivendo con il tuo ex marito? Dimmi” le chiese la sua ex suocera.
“Perché ho fatto un casino”
“Parla April, ti conosco da così tanto tempo che pensavo avessimo superato la fase dell’imbarazzo” la incitò Catherine.
“Ok, allora sono stata a letto con Jackson qualche mese fa. È stato solo uno sbaglio, un bellissimo e piacevole sbaglio. Solo che dopo ho avuto un ritardo e ho pensato di essere incinta. Allora ho fatto le analisi ed è venuto fuori che sono incinta. Quindi ho fatto il test del DNA perché non avevo idea di chi fosse il padre del bambino. E il padre è Jackson. Quando l’ho detto a mio marito è impazzito e ha spaccato il labbro a Jackson. Jackson gli ha spaccato il naso. Ho medicato le loro ferite, ma Matt ha dato di matto e mi ha mollata. Non avevo un posto in cui stare e Jackson ha insistito perché restassimo qui. Ora siamo amici, solo amici che vivono assieme e crescono assieme i propri figli” disse parlando a macchinetta la Kepner.
Catherine era sconcertata. Aveva la bocca spalancata. Ne aveva viste di tutti i colori nella sua vita. Aveva passato con quei due tutte le fasi della loro relazione. Gli era stata accanto durante le due gravidanze, durante il divorzio e adesso questo? Quando avrebbero smesso di fare gli idioti sarebbero finalmente tornati insieme? Non riuscivano a starsi lontani. Erano anime gemelle e dovevano fare i conti con quella consapevolezza. Non importa quanto si sarebbero feriti, alla fine avrebbero ritrovato sempre la strada per tornare l’uno dall’altro.
“Voi siete due idioti!” esclamò lei severa.
“Ma Catherine” cominciò a dire April.
“Catherine niente, April! Come fate ad essere così stupidi? Continuate a girarvi intorno come due cretini quando potreste semplicemente mettere fine a questo strazio e tornare insieme”
“Ho appena mandato in rovina il mio secondo matrimonio, intraprendere una nuova relazione sentimentale non è nei miei piani” affermò sicura e infastidita April.
“Falla finita! Raccontati le stupidaggini che vuoi, so che in fondo vorresti tornare con Jackson. Ti conosco e te lo leggo negli occhi.”
“Catherine non amo più Jackson”
“Ah, è questo che ti racconti allora… Sai perché tra tutte le ragazze che ha avuto Jackson tu sei quella che preferisco?” chiese la donna.
“Perché ti ho dato i tuoi nipoti?” domandò a sua volta l’altra.
“No. Non fraintendermi, amo i miei nipoti e amerò quello in arrivo di cui non vi siete premurati di avvisarmi. Ma no, April. Tu sei la mia preferita perché non sai mentire, perché sei trasparente, perché sei buona e perché ami mio figlio quasi quanto lo amo io. Ho detto quasi” disse.
“Non lo amo più, Catherine”
“Allora guardami negli occhi, i tuoi occhi non sanno mentire. Dimmi che non lo ami più” Catherine si avvicinò a lei in modo da poterla guardare più da vicino.
E April non rispose. Non riuscì nemmeno a mantenere il contatto. Gli occhi le si riempirono di lacrime e abbassò lo sguardo. E, proprio in quel momento, la porta si spalancò. Jackson fece il suo ingresso con Harriet sulle spalle. Catherine strinse la mano ad April per darle conforto e poi si avvicinò a sua nipote. Aspettò che suo figlio la mettesse giù per poterla abbracciare e riempire di baci. Harriet adorava sua nonna. Le portava sempre nuovi giochi, le raccontava delle storie divertenti e le cucinava tutto quello che voleva.
Jackson si avvicinò ad April e sussurrò nell’orecchio qualcosa.
“Forse dovremmo dire a mia madre che sei incinta”
“Oh tesoro, lo so già” esclamò Catherine.
E per un secondo entrambi si chiesero se quella donna avesse qualche tipo di super potere. Come aveva fatto a sentire ciò che l’uomo aveva sussurrato nell’orecchio della sua ex-moglie?
“Io e Harriet abbiamo tante cose da raccontarci, Jackson ti dispiace portare la mia borsa e la valigia in camera? A proposito, dove starò? Immagino che April stia in quella degli ospiti” chiese la donna.
“No, nella camera degli ospiti ci starai tu, April dormirà nella mia stanza”
“Oh, va benissimo. Cercate solo di non fare troppo rumore” commentò sorridendo maliziosamente prima di andare a giocare con sua nipote.
“Mia madre è impossibile!” esclamò Jackson gettandosi sul divano.
“Lo so, ma ha altre qualità” rise April sedendosi accanto a lui.
“Hai ragione”
“Com’è andata oggi?” domandò.
“Bene, anche se ho la schiena a pezzi. Ho passato tutta la mattinata in sala operatoria”
“Girati, ti faccio un massaggio”
Jackson non se lo fece ripetere due volte. Si tolse la maglietta in fretta e le diede le spalle. Quando April gli disse che gli avrebbe fatto un massaggio, non aveva considerato la parte in cui lui si sarebbe tolto la maglietta, rivelando il suo fisico statuario. La temperatura della stanza si era appena alzata drasticamente. Non appena mise le mani sulle sue spalle e cominciò a massaggiargliele sentì l’impulso di chinarsi e baciargli il collo. Sarà stata la situazione, saranno stati gli ormoni e saranno stati pure i versi di piacere che Jackson emetteva, ma April trovava difficilissimo concentrarsi. Catherine aveva ragione. Lo aveva sempre saputo di essere innamorata di Jackson. Quel sentimento non era mai morto. Aveva cercato di reprimerlo in tutti i modi possibili, ma non poteva essere represso. Era vicina a cedere, stava per baciargli il collo, quando lui si sottrasse alla sua presa. Lei rimase un attimo interdetta. Poi, lo vide girarsi verso di lei e tirarle su le gambe facendola ricadere con le spalle sul divano. Le tolse le scarpe e le calze e cominciò a massaggiarle i piedi.
“Scusami, tu sei la donna incinta e io mi faccio fare i massaggi, che idiota!” esclamò ridendo.
April era troppo presa a godersi il massaggio per rispondergli, perciò si limitò ad annuire.
 “Che state facendo?” domandò Catherine piombando all’improvviso nel soggiorno.
“Sto facendo un massaggio ai piedi a April” disse Jackson.
“E tu di solito fai i massaggi ai piedi senza maglietta?” domandò la donna.
“No, ma”
“Ok – lo interruppe subito lei – non so a quale gioco perverso stiate giocando. Ognuno in camera da letto fa quello che vuole. E vi ripeto, in camera da letto. Questo è il soggiorno. Non vorrete mica traumatizzare mia nipote?” domandò sconcertata.
“Catherine, non stiamo facendo nessun gioco perverso. Jackson mi sta semplicemente massaggiando i piedi. Ed è senza maglietta perché prima gli stavo massaggiando le spalle” rispose April.
“E tutto questo vi sembra perfettamente normale. È esattamente ciò che farebbero due amici. Perché siete solo amici, vero April?” domandò ironica.
“Sì, mamma, siamo solo amici” intervenne Jackson.
Catherine sorrise in modo furbamente e tornò da sua nipote.
 
Il giorno dopo, Jackson tornò dal lavoro e, andando in camera sua, trovò April vestita in modo elegante.
“Tesoro, non c’era bisogno che ti mettessi in tiro per me. Sai che ti trovo sempre bellissima” scherzò lui.
Ma April sembrava non essere altrettanto divertita.
“Forse è meglio che tu vada nel guardaroba” disse.
Jackson di nuovo serio andò nel suo guardaroba. Appoggiata, su uno sgabello, c’era una scatola abbastanza grande. Al suo interno c’era un elegantissimo smoking. Portò la scatola da April e la guardò con un sopracciglio alzato.
“Idea di tua madre. Mi ha fatto trovare una scatola identica e ha lasciato un biglietto. Dice che dobbiamo indossarlo perché stasera andremo a cena fuori.”
In quel momento Jackson sentì di amare profondamente sua madre credendo che avesse organizzato tutto per provare a far rinnamorare April di lui. Di solito odiava quando si intrometteva nelle sue cose, ma sta volta, le era grato.
Si affrettò a farsi la doccia e ad infilarsi lo smoking. Uscì dal bagno e si fermò un attimo ad osservare la sua ex moglie che si truccava davanti allo specchio. Era bellissima. Ed era bellissima anche senza quel trucco. April non ne aveva mai avuto bisogno, ecco cosa pensava Jackson. Il trucco copriva soltanto ciò che la natura aveva già creato perfettamente.
“Sei bellissima” le disse lui porgendole il braccio.
“Anche tu” rispose lei accettandolo.
Camminarono fino in salotto e trovarono Catherine e Harriet che li aspettavano.
“State benissimo. Ora che ci penso non vi ho mai visti andare insieme ad un evento galante” commentò.
“Stiamo andando ad un evento?” domandò Jackson.
“No, meglio”
“Avevi detto che saremmo andati a cena” commentò April.
“Sì, ma non sarete soli” disse la madre di Jackson.
In quell’istante il campanello suonò e Catherine si affrettò ad aprire. Sulla porta c’era una coppia, un uomo e una donna che April e Jackson non avevano mai visto nella loro vita. Si guardarono un attimo prima di guardare l’architetto di quella situazione. Anche quei due erano vestiti eleganti.
“Che succede?” domandò Jackson
“Dal momento che siete entrambi single, ho pensato che vi avrebbe fatto bene uscire un po’. Vi ho organizzato un appuntamento doppio. Ho fatto bene, vero? Tanto siete solo amici” Rispose Catherine col suo miglior sorriso diplomatico stampato in faccia.
“Sì”, si affrettò a dire April quando sentì lo sguardo dell’altra donna su di lei.
“Loro sono William e Louise. William è un imprenditore, io e i suoi siamo amici da anni. Louise invece è un avvocato. E devo dire uno dei migliori” disse Catherine introducendo la coppia a suo figlio e alla sua ex nuora. I quattro si strinsero le mani piuttosto imbarazzati. Immediatamente William porse il braccio ad April e Jackson lo copiò facendo lo stesso con Louise. Si prospettava una serata disastrosa.
 
Arrivarono al ristorante. Il posto era incantevole. Elegante, sofisticato, da sogno. Catherine aveva davvero pensato a tutto. William spostò la sedia ad April per farla accomodare. Lo stesso face Jackson che, però, non smetteva di osservare attentamente tutti i movimenti dell’altro uomo. Era verde di gelosia. Lo avrebbe voluto prendere a schiaffi solo per aver offerto il braccio alla sua April. Non poteva farci nulla, sentiva un primitivo istinto di possesso quando si trattava della Kepner.
William aveva uno smoking nero perfettamente stirato. Al polso luccicava un costoso Rolex dorato. Indossava delle scarpe italiane. Aveva la mascella scolpita e delle labbra sottili. Gli occhi erano azzurri e i capelli corti e curati, castani. Louise era leggermente più bassa di April, aveva un tubino nero che si sposava perfettamente con la sua pelle ambrata e faceva risaltare ancora di più i suoi occhi verde smeraldo. Le sue labbra carnose erano ravvivate dal colore rosso del rossetto. Sul seno prosperoso si adagiava una collana di perle. I capelli scuri come la pece erano raccolti in una coda alta che rivelava il collo snello.
April la guardò e sentì l’impulso di trascinarla via da Jackson. Era gelosa. Quella donna non doveva avvicinarsi, non doveva parlare e nemmeno guardare il suo Jackson. Perché quello era il suo Jackson. Catherine aveva raggiunto il suo obiettivo, farle ammettere che era ancora innamorata del suo ex marito. Non c’era più bisogno di continuare con quella pagliacciata. Sapeva cosa voleva chiaramente ed era Jackson.
Durante la cena William non faceva altro che parlare di economia, investimenti e cose super noiose. Ogni tanto faceva qualche complimento ad April e le toccava la mano o le sfiorava il braccio. E Jackson finiva per guardare altrove oppure gli avrebbe sferrato un pugno in pieno volto. Louise era l’unica sinceramente interessata agli argomenti tirati in ballo da William. Ogni qual volta qualcuno cercava di tirar fuori il suo lavoro diventava vaga affermando che per via del rapporto confidenziale tra assistito e avvocato, non poteva addentrarsi nei dettagli. Qualche volta riusciva a fare delle affermazioni divertenti. Quando vedeva Jackson ridere, gli si gettava addosso, irritando April che cominciò a muovere freneticamente la gamba sotto il tavolo e a mangiarsi l’interno della guancia.
Al momento del dolce, April si sporcò con la panna e William si affrettò a pulirglielo con fare sensuale. Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Jackson si scusò da tavola e andò in bagno. Era nervoso, aveva voglia di spaccare qualcosa. Doveva calmarsi, ma non ci riusciva. Quell’uomo ci stava provando con la sua April.
April, capendo la situazione si scusò anche lei e lo raggiunse in bagno. Aprì la porta e lo trovò lì che faceva avanti e dietro nervosamente. Lui si accorse di lei e si fermò.
“Scusami, ho bisogno solo di un attimo” affermò.
April lo stava guardando in silenzio. Aveva gli occhi scuri, velati dal desiderio. Jackson lo riconobbe subito, conosceva benissimo quello sguardo. Lei gli si avvicinò pericolosamente. Lo guardò per un istante prima di fiondarsi avida sulle sue labbra.
Quel contatto lasciò Jackson senza parole. Si staccò solo per realizzare quanto fosse appena successo. La guardò e le accarezzò il viso prima di fiondarsi ancora sulle labbra della donna che desiderava ardentemente. April gli circondò il collo con le braccia e Jackson la tirò su con un braccio. L’appoggiò al muro. Lei si aggrappò con le gambe alla sua vita.
“April, April, April” disse Jackson staccandosi da lei.
“Cosa c’è? Ho fatto qualcosa di sbagliato”
“No, no! Assolutamente no, ma dobbiamo andare via di qui immediatamente” disse lui, lei lo guardò maliziosamente.
“Perché?” chiese.
“Perché sennò finisco per strapparti i vestiti di dosso” commentò lui.
“Sarebbe eccitante se lo facessi, ma non vorrei fossimo denunciati per atti osceni in luogo pubblico. Andiamo via dal retro” disse lei.
Jackson non se lo fece ripetere due volte. Le prese la mano e la trascinò via da quel posto.

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Capitolo 10
*** 10 ***


10

L’indomani mattina, April si svegliò tra le braccia confortevoli di Jackson e si maledì all’istante. Si maledì per essere stata debole. Per aver ceduto di nuovo a quell’uomo. Al suo Jackson. Lo guardò dormire tranquillo accanto a lei. Cerco di sottrarsi alla sua presa, ma lui, ancora dormiente, la strinse di più a sé. Lei continuò a divincolarsi, costringendolo ad aprire gli occhi per capire per quale motivo lo facesse.
“Dove credi di andare?” chiese dandole un bacio casto.
April non rispose. E questo bastò per far insospettire Jackson che si mise seduto e guardò la donna al suo fianco.
“Che c’è April?”
“Non doveva succedere, è stato un errore”
Jackson la guardò deluso e confuso.
“È stato un errore?” disse incredulo.
April non rispose. Lui si scostò le coperte di dosso e si alzò lasciandola in camera da sola. Lei, a quel punto, si mise velocemente la vestaglia e lo seguì.
“Jackson ascoltami” provò a dire.
“April non voglio parlarne, so già cosa dirai e credimi, non ho voglia di sentirlo, ok? Quello che è successo la notte scorsa è stata un errore e non accadrà più” concluse lui.
“Cosa è successo la scorsa notte?” domandò Catherine entrando in cucina con un ghigno malizioso sul volto.
“Niente” risposero contemporaneamente i due.
“Dov’è Harriet?” chiese April.
“Dorme. Avete fatto sesso?” domandò diretta.
“Mamma, ti prego”
“Me ne accorgo dalla faccia di April. Tesoro praticamente è come se ti avessi aiutato io a sbocciare.” Commentò la donna.
“Ok, adesso stai diventando inquietante” continuò Jackson.
“Fatemi capire, siete stati a letto insieme e state litigando. Qualcuno non ha adempito alla sua parte durante l’amplesso?” domandò guardando il figlio.
“Cosa? Non ho intenzione di parlare della mia vita sessuale con te. Non so come altro dirtelo” disse l’uomo.
“Tesoro capita a tutti, non è un problema. Certo, non è il modo migliore per riconquistare la tua ex-moglie, ma April è una donna di chiesa e la sua fede la porta a sostenere la teoria del perdono, sono sicura che troverà il modo di perdonarti. O tu il modo di farti perdonare” Catherine non voleva mollare l’osso.
“Ok, ne ho abbastanza, me ne vado” disse lui fiondandosi in bagno.
Catherine si avvicinò ad April e la guardò con occhi severi.
“Che è successo?”
“Catherine non mi va di parlarne”
“April, raccontami tutto”
“E va bene. Il tuo piano di ieri sera ha funzionato. Sì, lo amo ancora, sì sono gelosa e sì potrei spezzare il collo a chiunque dovesse avvicinarsi a lui” confessò la Kepner a bassa voce.
“E?” la incitò a parlare l’altra.
“E ho fatto un casino. Siamo stati a letto insieme e sono stata io a prendere l’iniziativa. Ed è stato stupendo, come ogni volta. Ma, stamattina, quando mi sono risvegliata accanto a lui sono andata in panico”
“Perché?”
“Perché per un attimo mi sono sentita come se fossimo ancora una coppia. Come quando eravamo sposati e sono tornati a galla tutti i pensieri autodistruttivi e i ricordi e tutti gli sbagli che abbiamo commesso. Non voglio soffrire di nuovo così, Catherine. Fa male e non voglio più farlo” disse con le lacrime agli occhi.
“Oh tesoro” rispose semplicemente la ex suocera catturandola in un abbraccio confortante. April si lasciò andare, si lasciò cullare da quella donna che era sempre più una madre per lei. La sua era troppo lontana e Catherine c’era stata per lei nei momenti peggiori, come quando perse suo figlio Samuel ed era devastata dal dolore. Il supporto che ebbe da quella donna fu prezioso.
Quando sciolsero l’abbraccio, la più anziana le asciugò le lacrime con le dita.
“Tesoro quello che è capitato a voi avrebbe messo alla prova chiunque. Non tutte le coppie sopravvivono ad un dolore tale. E voi, nonostante gli sforzi, non siete sopravvissuti. Ma le cose sono cambiate, è passato del tempo, siete cresciuti, siete maturati e vi siete accorti di essere ancora innamorati l’uno dell’altro. Probabilmente questa volta potrebbe essere diverso. Certo, non posso garantirtelo, ma posso dirti con estrema sicurezza che Jackson è completamente, perdutamente e irrimediabilmente innamorato di te. Conosco mio figlio e glielo vedo negli occhi il dolore da quando ti ha lasciata. È un uomo buono il mio Jackson”
“Lo so Catherine, lo so che è un uomo buono ed è anche per questo che mi sono innamorata di lui. Era la mia persona preferita al mondo. Quello con cui volevo parlare quando mi succedeva qualcosa, quello da cui mi rifugiavo quando ero triste o cercavo conforto, quello che ho amato al punto tale da consumarmi. Ma se non dovesse funzionare, se per l’ennesima volta dovessimo farci del male, non potrei sopportarlo. Eravamo appena tornati alla normalità, amici. Proprio come avevamo iniziato”
“Tesoro, voi non siete mai stati amici. Eravate destinati, due anime gemelle che dovevano solo aprire gli occhi. Te lo dico io che non credo in queste stupidaggini di solito. April, ti ripeto, la scelta è tua, ma non fagli del male. Io ti voglio bene, ma lui è il mio bambino”
Mentre April guardava negli occhi incredibilmente lucidi di Catherine, Jackson passò davanti a loro senza nemmeno guardarle o salutarle. Uscì sbattendo la porta.
 
Arrivò in ospedale deluso da quanto successo. Fu chiamato da una specializzanda, il dottor Hunt aveva bisogno di lui in pronto soccorso. Si affrettò a cambiarsi e scese nel minor tempo possibile.
“Che abbiamo?” domandò guardando il collega.
“Incidente d’auto” rispose Hunt guardandolo appena.
“Tutto bene, Avery?” chiese.
“Sì”, rispose non riuscendo però a convincere il collega.
Quando il paziente arrivò, Jackson rimase senza parole. Era Matthew Taylor.
“Ma, è Matthew Taylor?” domandò Hunt.
“Sì, è lui”
“Forza ragazzi, portatelo dentro. Qualcuno chiami la moglie” esclamò Owen.
 
La voce si sparse in poco tempo. E, quando Jackson entrò nella stanza degli strutturati, piombò il silenzio. Bailey parlò per tutti.
“Abbiamo sentito che Matthew Taylor è stato ricoverato qui”
“Sì, incidente d’auto” commentò Jackson.
“Come sta?” domandò Miranda.
“Bene, si rimetterà”
“April come sta?” continuò la donna.
“Non lo so” rispose innervosito.
“Avery, tutto bene?” domandò la donna prendendogli il braccio preoccupata.
Lui non le rispose, si limitò a serrare la mascella. Bailey fece uscire tutti dalla stanza per potergli dare l’opportunità di parlarle e raccontarle tutto.
“Parla, Avery. Posso stare qui tutto il giorno, è il mio ospedale” disse accomodandosi.
“April e Matthew non stanno più insieme. E April è incinta. Lo sai che ha avuto delle gravidanze turbolente in passato e ho paura che questa notizia possa farla agitare e nuocere al bambino” rispose.
“Capisco, quindi April e Matthew stanno per avere un figlio. Sicuro che non sia per questo che sei giù?”
“Non è di Matthew il bambino. È per questo che non stanno più insieme. Il bambino è mio, Bailey”
“Tuo? Avery ma sei un idiota! Le hai rovinato il matrimonio con Taylor per la seconda volta!”
“Lo so, Bailey. Ma la amo, che ci posso fare?”
“Non lo so, usare il preservativo?”
“Bailey”
“Mi dispiace” disse lei ridendo.
“April non vuole tornare con me e sono piuttosto sicuro che voglia tornare con Matt. E forse, questo incidente potrebbe farli riavvicinare.”
“Avery, mi dispiace per il tuo dolore, ma l’unica cosa che puoi fare per lei, in questo momento, è starle vicino. Stalle vicino, non troppo letteralmente e rispetta le sue decisioni, qualunque esse siano. Questa à la dimostrazione d’amore più grande che potresti darle. Supporta le sue decisioni anche se ti fanno male e custodisci gelosamente il ricordo di quello che avete avuto” gli disse la donna dandogli una pacca sulla spalla e lasciandolo lì, da solo con i suoi pensieri.
Bailey aveva ragione, avevano tutti ragione. Era difficile, ma ci era riuscito ad essere solo lì per lei senza doppi fini. E, quella volta, era stata April a saltargli addosso. Avrebbe dovuto rifiutare quel contatto e rinunciare a stare con lei anche se era la cosa che più desiderava al mondo.
Uscì dalla stanza degli strutturati e si recò in sala d’attesa dove vide April. Per un istante pensò di girarsi e andarsene da un’altra parte. Ma lei lo vide prima che potesse farlo e fu costretto a parlare. Mentre attraversava la sala per raggiungerla, la sua mente cominciò ad affollarsi di pensieri. Dopo quella mattina, avrebbe dovuto mettere da parte ogni malumore, vero? Avrebbe dovuto far finta che tra loro non ci fosse stato niente e che nonostante quella si fossero svegliati assieme, tutto quello non contava più. Doveva solo prendersi cura di lei facendole sapere che aveva un supporto emotivo.
“Ehi” le disse sedendosi accanto.
“Ehi” rispose lei.
“Come stai?”
“Non bene.”
“Posso capirti, è tuo marito”
“Non è più mio marito, ma questo non significa che-“, cominciò a dire lei.
“Non c’è bisogno che tu dica niente, lo so già. Sono stato nella tua posizione. Sei preoccupata per la persona che ami. Volevo solo farti sapere che il tuo amico Jackson c’è” disse lui riferndosi chiaramente a quando April era arrivata in pronto soccorso dopo essere stata vittima di un pericoloso incidente.
April lo guardò confusa. E notò la difficoltà con cui diceva quelle parole. Avrebbe voluto consolarlo, dirgli che non amava Matthew e che amava lui, ma non ci riuscì. Riuscì solo a prendergli la mano e a stringerla tra le sue. Quasi come fosse lei a consolare lui. E, in certo senso, era così. Sapeva che le ferite e l’incidente di Matthew non erano gravi, aveva parlato con Hunt e si era subito tranquillizzata. Non sapeva nemmeno se avesse voglia di rivedere Matthew. Ma era ancora il suo contatto di emergenza.
“Il tuo amico Jackson”, quelle parole le rimbombavano nella testa, prepotenti. Non era suo amico. Catherine aveva ragione. Come faceva ad entrarle nel cervello ogni volta. Riusciva, come una pulce, a ficcarsi nel suo orecchio.
“Signora Taylor?” la chiamò una specializzanda.
“Signorina Kepner” la corresse lei.
“Mi scusi, suo marito vuole vederla” le disse.
April si alzò, lasciando così le mani di Jackson. Lui la guardò andar via, sparendo dietro nell’ascensore.
 
Quando arrivò in stanza, Matthew la guardò severamente. Se avesse potuto, April si sarebbe volentieri risparmiata quella discussione e quell’incontro.
“Come stai?” chiese.
“Meglio”
“Posso fare qualcosa per te?” domandò la donna.
“Sì, fammi portare un modulo per cambiare il mio contatto di emergenza dai tuoi amici” rispose lui.
“Va bene, altro?” chiese.
“Come sta Harriet?” domandò.
“Bene, Ruby?”
“Bene. Un po’ le manchi”
“Anche lei mi manca” rispose la donna.
Rimasero per qualche istante senza dire nulla. La tensione era palpabile e April desiderava uscire di lì il prima possibile.
“Mi dispiace, Matt. Insomma, sì, mi dispiace per come le cose sono finite tra noi”
“No, ti prego. Non mettere il dito nella piaga. Fa già male così. Non ho bisogno delle tue scuse e non le accetto. È la seconda volta che lo fai. Mi chiedo perché tu mi abbia sposato. Mi hai davvero mai amato?” domandò Matthew.
“Certo che ti ho amato e ti ho sposato per quello. Non ti so spiegare cosa c’è tra me e Jackson. Non lo so nemmeno io perché continuiamo a finire insieme nonostante siamo tossici l’uno per l’altro”
“April per favore basta!”
“Scusa”
“Adesso devo chiederti di andartene. Non ce la faccio a non provare rabbia, delusione e rancore nei tuoi confronti. Per favore, va’ via”
“Va bene. Ti capisco e non ti biasimo, salutami Ruby”
 
Fuori dalla stanza di Matt, Jackson osservava quanto stesse succedendo. Era troppo lontano per sentire qualunque cosa, ma questo non lo fermava di certo. Si guardò intorno cercando qualcosa da fare per non rendere la sua presenza lì sospetta. Prese un tablet e guardò qualche cartella medica. Lasciò che un’infermiera lo riempisse di domande, mentre da lontano osservava April. Voleva solo essere sicuro che tutto procedesse tranquillamente, senza temperamenti particolarmente alterati da parte di nessuno dei due. In fondo sapeva che il suo non era solo un gesto premuroso e nobile. In realtà era lì per osservarli e per studiare i loro movimenti. Insomma, era lì per vedere se sarebbero tornati assieme oppure no.
Quando April uscì dalla stanza di Matt, vide Jackson. Gli andò in contro e lui provò a far finta di essere impegnato a leggere una cartella medica.
“Interessante?” domandò la donna.
“Come?”
“Interessante il caso che stai leggendo?” domandò ancora lei.
“Sì, molto” rispose lui.
April gli prese dalle mani il tablet e glielo girò nella posizione corretta.
“Questo è il verso di lettura giusto” disse ridendo.
“Ti ringrazio” rispose lui serio.
Era freddo, incredibilmente freddo. April si chiese cosa credesse di aver visto in quella stanza. E le si spezzò il cuore al solo pensiero di saperlo sofferente. Così gli prese la mano, proprio come aveva fatto prima, e gliela strinse. I loro sguardi si incrociarono. Jackson forzò un sorriso e si liberò dalla presa della donna lasciandola lì e incamminandosi verso l’ascensore. Istintivamente April lo seguì, quasi senza una ragione. Si ficcò nell’ascensore con lui.
“Jackson dobbiamo parlare”
“Possiamo farlo quando torniamo a casa? Ovviamente sempre se tornerai a casa mia. Se avessi deciso di tornare a casa con Matthew, dovremmo organizzarci per chiacchierare, dubito che a tuo marito farebbe piacere vedermi in casa vostra”
Prima che April avesse il tempo di replicare, le porte del mezzo si aprirono e ciò che i due medici si ritrovarono davanti fu un delirio.
“Che diavolo è successo?” domandò Avery raggiungendo in fretta Hunt.
“È scoppiato il laboratorio di chimica dell’università, niente di grave, ma sono tutti spaventati. A quanto pare si tratta di una reazione chimica sbagliata” affermò l’altro.
“Corro a dare una mano” disse Jackson afferrando un camice e correndo verso l’ingresso del pronto soccorso.
“Oh, bene Kepner sei qui, prendi un camice e vieni ad aiutarmi” disse Owen in piena confusione.
“Ma non ho i privilegi qui” commentò la donna.
“Capo, garantisci alla Kepner i privilegi” esclamò l’uomo attirando l’attenzione della Bailey.
“Kepner hai i privilegi, ora mettiti al lavoro”
Senza farselo ripetere un’altra volta e presa dalla scarica di adrenalina, April indossò il camice e corse all’arrivo delle ambulanze. Jackson era lì accanto a lei. Si guardarono per un istante prima che le porte del mezzo si aprissero e i paramedici presentassero il caso.
I pazienti erano due, l’uno sopra l’altro. Dopo un attimo di straniamento iniziale, i due medici si misero al lavoro.
Stavano trattando due docenti che si erano trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato. Lei non era cosciente, mentre lui, ancora lucido spiegava ciò che era successo provocando stupore generale. Stando alla sua ricostruzione stavano avendo un rapporto sessuale nel ripostiglio del bidello quando il laboratorio era esploso. Cadendo lei aveva urtato la testa e attutito la caduta del partner, il quale aveva poi sentito un dolore indescrivibile proprio nelle parti basse. April guardò Jackson cercando di trattenere una risata. Lui la guardò e le sorrise con gli occhi mentre cercava di mantenere un’espressione e un contegno professionale.
I pazienti furono immediatamente trasportati in sala operatoria. Dovevano separarli per poter salvare la donna, ancora incosciente e gravemente ferita alla testa. Dopo aver chiamato la Shepherd e essere corsi in sala operatoria, cominciarono l’impresa. Parecchie ore più tardi, gli interventi finirono. Era andato tutto secondo i piani. C’era solo una cosa da riparare, il pene fratturato dell’uomo. E, per farlo, avrebbero avuto bisogno di Catherine. Jackson non aveva granché voglia di avere a che fare con sua madre in quella giornata già di per sé estenuante. Con April si recò dai due sfortunati amanti e, quando entrarono in stanza ricevettero una strana accoglienza.
“Non ci credo!” esclamò la paziente che avevano appena salvato. I due medici si guardarono per un secondo.
“Come scusi?” domandò April.
“Amore, questi sono i dottori che mi hanno aggiustato la gamba quella volta che finì nel trita rifiuti di Ted” continuò la donna.
E, in quel momento, i due medici collegarono i puntini. Anni prima, quando April e Jackson erano ancora novelli sposini e nessuno era a conoscenza della loro unione, avevano avuto una paziente piuttosto particolare. Una professoressa di sociologia caduta in un trita rifiuti durante la festa organizzata dal suo fidanzato e dalla moglie. Era una persona davvero curiosa, motivo per cui quella storia era rimasta particolarmente impressa ai due dottori. Adesso era di nuovo in ospedale, per un motivo altrettanto strano, ma non così tanto come quello della volta precedente. Almeno questa, non avrebbero dovuto rimuoverle pezzetti di scampi dalla gamba.
“Mi ricordo di lei, vedo che ha trovato fino alla fine la sua anima gemella” commentò April sorridendole.
“Sì, io e Geroge stiamo insieme da un paio d’anni ormai. Ted è solo una brutta storia ormai”
“Mi fa piacere sentirlo, spero che George non sia sposato” scherzò April.
“No, non lo sono” rispose l’uomo ancora dolorante.
“Questa volta me lo sono scelto bene” rispose lei sorridendogli. Lui provò a ricambiare, ma il dolore glielo rese difficile.
“Vedo che il suo collega non ha ancora imparato ad indossare la fede. Mi creda dottore, lei è davvero troppo bello per andarsene in giro senza.” Commentò la paziente guardando Jackson.
“Lisa, davvero? Sono proprio qui” esclamò George.
“Lo so tesoro e sai che ti amo, ma so apprezzare la bellezza quando la vedo. Non posso farci niente” commentò lei facendo sorridere tutti.
In quel momento, un’infermiera entrò in stanza.
“Oh, bene siete entrambi qui. Dottor Avery, dottoressa Kepner, c’è l’asilo di vostra figlia in linea, vogliono essere sicuri che sappiate che Harriet non è a scuola”
“Harriet non è a scuola?” domandò Avery guardando la Kepner.
“L’ho lasciata con tua madre perché mi avete chiamato per Matt” rispose.
“Che faccio?” domandò l’infermiera.
“Mi dia un istante, chiamo mia madre” disse Jackson.
“Va bene, dico che state operando e richiamo tra poco” disse la donna uscendo dalla stanza.
Jackson la seguì, prese il telefono e chiamò sua madre.
“Dov’è Harriet?”
“È con me al centro commerciale, stiamo facendo compere”
“Mamma, avresti dovuto avvisarci. Ci hanno chiamato da scuola dicendoci che Harriet non era lì, ci hai fatto spaventare. Sai che April non può spaventarsi, perciò ti prego, avvisaci la prossima volta”
“Va bene tesoro, te lo prometto” commentò la donna prima di chiudere la telefonata.
Jackson tornò in camera e riferì tutto alla Kepner.
“Quindi mi sembra di capire che la moglie che lo manda in giro senza fede sia lei. Che figuraccia! Mi scusi, come vede non sono cambiata poi così tanto, ho ancora la mia innata abilità di mettermi in imbarazzo”
April rise di gusto e le disse di non preoccuparsi. Jackson si domandò perché non avesse puntualizzato, come era solita fare, che non fossero più sposati.
“È per questo che ti amo” commentò George all’improvviso, facendo capire ai medici che era arrivato il momento di lasciare spazio ai due piccioncini.
 
“Wow! Chi l’avrebbe mai detto” commentò April una volta fuori dalla stanza guardando Jackson.
“Già!” rispose lui incupendosi nuovamente.
April lo prese per il camice e lo trascinò in uno delle stanzette lì vicino.
“Che fai?” domandò lui.
“Che hai?” controbatté lei.
“Niente”
“Niente? Davvero, vuoi che creda a questa stupidaggine?” domandò lei incrociando le braccia sotto il seno.
“Niente di cui tu debba preoccuparti, davvero. È solo il lavoro. È stressante, lo sai” rispose.
“Non usare la scusa del lavoro con me”
“April, hai reso chiaro che siamo amici, ho accettato di esserti amico. Perciò rispettami in quanto amico quando ti chiedo degli spazi. E in questo momento ti chiedo un po’ di spazio. Non ho voglia di parlarne. Non credo sia il caso”
“Riguarda me, non è vero?”
“April”
“Se è per stamattina, mi dispiace. Non era mia intenzione ferirti”
“Sei tornata con lui, sei tornata con Matthew?” chiese all’improvviso Jackson accigliato.
“Cosa? No!” si affrettò a rispondere sicura April.
Jackson a quel punto rilassò i muscoli del viso. April gli si avvicinò e gli portò le mani al viso. Glielo accarezzò dolcemente.
“No, Jackson, no” sottolineò puntando i suoi occhi in quelli dell’uomo che a stento riusciva a sostenere il suo sguardo.
Presa dal momento si alzò sulle punte dei piedi e lo baciò. Lo baciò dolcemente. Improvvisamente tutto tornò ad avere senso. Tutto aveva senso quando stava con Jackson. Era la sua persona. Avevano vissuto per troppo tempo separati, adesso non riuscivano più a fare finta che tra loro non ci fosse più niente. Il cuore di April batteva all’impazzata ogni qual volta vedeva il suo Jackson, quando sentiva la sua voce e quando condividevano un contatto fisico di qualunque genere. Bastava che lui le sfiorasse la mano per farle venire il batticuore. Pensava di essere l’unica a sentirsi in quel modo. Ma Jackson le provava ogni giorno di sbagliarsi. Lui l’amava profondamente. Non aveva mai amato nessuno quanto amava quella donna. Sapeva dal primo istante di aver trovato quella giusta, di aver trovato l’amore della sua vita. E sapeva di essere stato un idiota a lasciarla andare. L’amava ed era disposto ad accontentarsi di una semplice amicizia pur di starle accanto. Seppure lei gli stesse mandando messaggi contrastanti. Diceva di voler essere solo amici, ma erano stati a letto insieme solo il giorno prima. Diceva di voler essere solo amici e non correggeva chi credeva che stessero ancora insieme. Diceva di voler essere solo amici e adesso lo baciava. Era confuso, totalmente fuso.
Chiuse gli occhi e si godette quel momento. Le labbra della sua April sulle sue, le mani della sua April che gli accarezzavano il viso, il suo profumo inconfondibile che lo inebriava completamente. L’attirò a sé, stringendola come se da quello dipendesse la sua stessa vita. Si lasciarono trascinare da quella passione che sin dal primo bacio li aveva travolti.

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Capitolo 11
*** 11 ***


11

Erano settimane che andava avanti quella storia. Andavano a letto insieme e poi si ritornava a far finta di niente. A far finita di essere solo amici. Nel frattempo, April aveva ripreso il suo vecchio lavoro al Grey-Sloan. E, proprio come tanti anni prima, si ritrovarono a consumare i loro rapporti nelle stanzette o nei ripostigli. La gravidanza procedeva a gonfie vele, la Kepner aveva trovato un bravo ginecologo che la seguisse. E, tutto sommato era anche un bell’uomo. Capelli brizzolati, occhi color nocciola, pelle ambrata, tratti nativi americani. Quel giorno, all’appuntamento andò solo April. Credeva di fare una visita di routine e non sentì l’urgenza di portare con sé Jackson sapendo quanto fosse impegnato al lavoro. Quello che non sapeva è che proprio in quell’occasione il dottor Kaheeli le avrebbe comunicato il sesso del bambino.
“April, va tutto bene. Il bambino non ha alcun tipo di problema. Ormai siamo al quarto mese ed è possibile vedere il sesso. Vuole saperlo?” domandò il medico.
“Sinceramente vorrei saperlo, ma allo stesso tempo vorrei saperlo assieme al padre del bambino e vorrei che fosse una sorpresa”
“Posso scriverglielo in una bustina e decide lei quando aprirlo e scoprilo. Oppure può fare come fanno la maggior parte delle mie clienti. Consegnano la busta con il sesso del bambino ad una pasticceria e loro preparano una torta. Quando la tagliano, si rendono conto dal colore all’interno se si tratta di un maschietto o di una femminuccia”
“Sembra un’idea carina. Va bene, facciamo così” rispose April.
Il dottor Kaheeli preparò la busta con il sesso del bambino e la consegnò alla donna che la ripose, al sicuro, in borsa.
Sorrise uscendo dalla visita col medico, era felice che sta volta stesse procedendo tutto per il meglio. Mentre si cullava con quel pensiero, le squillò il telefono, era Jackson. Non vedeva l’ora di condividere con lui le emozionati novità. Ma, quando rispose, si rese conto che dall’altro capo non c’era lui, ma bensì Webber.
“Dottor Webber? Che succede, Jackson sta bene?” domandò preoccupata.
“April non voglio che ti agiti, ma ho bisogno che tu venga in ospedale” rispose l’uomo.
Immediatamente si mise in macchina e guidò fino all’ospedale. Entrò in pronto soccorso dove vide Webber. Gli andò in contro correndo.
“È successo qualcosa a Jackson?” domandò preoccupata.
“Niente di grave, ma è arrivato un paziente in preda ad un attacco psicotico e c’è stata una colluttazione. Jackson cercava solo di fermarlo. Il paziente era incontrollabile e stava per colpire Bailey”
“Dov’è? Come sta?” domandò lei e i suoi occhi si riempirono di lacrime.
“Lo abbiamo portato a fare una tac, per sicurezza. Gli abbiamo messo dei punti al labbro e ha qualche livido. Ma per fortuna niente di grave” commentò l’uomo.
“Niente di grave? Me lo avete quasi ammazzato” sbottò lei preoccupata.
“April, adesso è meglio che ti calmi. Sta bene, non è niente di grave” continuò l’uomo mettendole un braccio dietro la schiena e accompagnandola a sedersi. Dopodiché le fece portare una camomilla e lasciò che si calmasse restandole vicina.
“Posso vederlo? Avrà finito la tac” domandò lei.
“Chiedo subito” disse Richard guardandosi intorno “Shepherd! Avery è fuori dalla tac?” chiese guardando la neurochirurga.
“Sì. Tutto bene. Lo hanno appena dimesso, dovrebbe essere in laboratorio” rispose la donna prima di passare al suo caso successivo.
“Mi accompagna da lui?” chiese April guardando Webber.
“Certo, andiamo”
Webber accompagnò la Kepner in laboratorio. Non appena lei vide Jackson si fiondò su di lui e prendendolo alla sprovvista lo abbracciò. Dolorante, Avery ricambiò l’abbraccio, godendosi ogni istante di quel contatto. Ringraziò Webber con un cenno del capo facendogli capire che poteva lasciarli soli. Non appena si staccò da lui, April gli mollò uno schiaffo sul braccio.
“Ahia! Sei impazzita?” esclamò lui.
“Non farlo mai più! Non farmi preoccupare mai più così!” esclamò lei.
Lui rise.
“Va bene, va bene. Com’è andata la visita?”
“Il dottor Kaheeli dice che la gravidanza procede bene”
“Ne sono felice”
“E c’è un’altra cosa”
“Niente di grave spero”
April aprì la borsa e prese dal suo interno la busta.
“Qui c’è scritto il sesso del nostro bambino. Non volevo saperlo senza di te. Potremmo aprirla subito oppure fare una di quelle torte che rivelano il sesso. Me l’ha detto il dottore, a quanto pare vanno molto di moda in questi tempi” commentò lei.
Gli occhi di Jackson, nel frattempo, si erano riempiti di lacrime. Sorrise a trentasei denti prima di sollevare April da terra e farla girare. Era felicissimo.
“Facciamo quella cosa della torta, non vedo l’ora di saperlo. E grazie per non averlo letto senza di me” disse lui rimettendola a terra e baciandola.
April non si oppose, ma si godette quel contatto. Era felice, felice che Jackson stesse bene, felice di saperlo così entusiasta per il bambino e soprattutto felice che la gravidanza stesse procedendo secondo i piani.
 
Il giorno dopo in ospedale arrivò un caso molto complesso. Un ragazzino di all’incirca dodici anni era rimasto ferito durante una sparatoria. Purtroppo, non ce l’aveva fatta. Era l’ennesimo bambino vittima di proiettili volanti a causa di gang e nessun controllo sulle armi. Jackson non riusciva più a sopportare quelle ingiustizie. Davanti al pianto disperato della madre del bambino, si lasciò cadere su una sedia sconfitto. April arrivò qualche minuto più tardi. Adesso, la signora Parker, la madre del bambino inveiva contro suo marito che, col viso pieno di lacrime, cercava di tranquillizzarla.
“Che succede?” domandò la Kepner cercando di capire la situazione.
“Se nostro figlio è morto è colpa tua! Gli permettevi di andarsene in giro per il quartiere senza supervisione! È tutta colpa tua!” continuava a dire la donna, ignorando il medico e continuando a colpevolizzare il marito.
“Signora Parker, mi guardi” esclamò April con voce ferma. La donna la guardò con gli occhi rossi e gonfi, il viso inondato di lacrime.
“È il mio bambino, il mio bambino capisce? Ed è tutta colpa sua!” esclamò la madre distrutta.
“Signora Parker la capisco” cominciò a dire April.
“Mi capisce? Mi capisce? Lei non ha la minima idea di come ci si senta a perdere un figlio. Non mi venga a dire che mi capisce” urlò tra le lacrime.
Jackson si alzò immediatamente, pronto a raggiungere April e a trascinarla via di lì.
“Mi creda, so esattamente come si sente. Ho perso un figlio anche io” disse la rossa con un filo di voce e gli occhi lucidi.
“Mi-mi scusi” balbettò la signora Parker.
“Non deve scusarsi. Può urlarmi addosso quanto vuole, ma non se la prenda con suo marito. Non è colpa sua. Non è stato lui a premere il grilletto. In questo momento lui è l’unica persona che può capirla. L’unica che si trova nella sua stessa condizione. Signora Parker, suo marito sta soffrendo quanto lei. Non lo allontani, lo tenga stretto e cerchi di superarla assieme a lui. Dovete sostenervi, dovete restare uniti. Lui è l’unica altra persona al mondo che sa esattamente come si sente. Cercano di fare i duri, ma sono umani anche loro. Non faccia il mio errore, non lo lasci da solo. Gli stia vicino. Ha bisogno di lei tanto quanto lei ha bisogno di lui” disse April.
Jackson rimase ad ascoltarla, gli occhi pieni di lacrime, la mascella serrata e i pugni chiusi. Ricordare quel periodo lo faceva soffrire, ripensare a Samuel, suo figlio, lo faceva soffrire. Ricordò quei mesi senza April, senza il suo bambino e si sentì devastato.
“Io ho solo bisogno di riavere mio figlio. Ridatemi mio figlio” disse la signora Parker prima di essere catturata dall’abbraccio del marito e lasciarsi andare tra le sue braccia.
April cominciò a sentirsi male e corse in bagno. Jackson prontamente la seguì. La trovò china sul water che vomitava. Le si avvicinò immediatamente e le tenne la testa.
“Ci sono io, ci sono io” le disse sostenendola.
Lei si girò verso di lui. Ormai era un fiume in piena. Le lacrime le ricoprivano il viso. Il dolore di quella donna, le aveva ricordato il suo dolore. La perdita di Samuel. Jackson si sedette sul pavimento accanto a lei e l’abbracciò. La tenne stretta a sé mentre questi singhiozzava e tremava. Cercò di essere forte, ma non ci riuscì, scoppiò a piangere anche lui.
“Scusami Jackson, scusami” disse lei tra i singhiozzi.
“Shh, sta tranquilla” cercò di calmarla lui.
“Ti ho lasciato da solo. Non avrei dovuto farlo, perdonami. Meritavi una moglie migliore di me”
“Non dirlo neanche per scherzo. Abbiamo sbagliato entrambi. È vero, sei andata via, ma non avrei mai dovuto darti quell’ultimatum. Sarei dovuto venire con te, avrei dovuto raggiungerti, ma ero troppo arrabbiato e accecato dalla rabbia”
“È tutta colpa mia”
“No, non lo è! È colpa di entrambi. Non abbiamo saputo gestirla. Ad oggi posso dirti solo una cosa, se potessi tornare indietro, non ti lascerei andare. Lotterei per noi perché ne valeva la pena. Valeva la pena lottare per te”
“Ti amo, Jackson”
“Cosa?” domandò lui guardandola negli occhi incredulo.
“Ti amo e non ho mai smesso di amarti, neppure per un istante”
“Ti prego, se non lo pensi davvero non dirmelo, ne morirei”
“Jackson io ti amo. Non c’è stato un istante in cui non ti abbia amato. Ma ho paura di ciò che ci facciamo. È solo per questo che dicevo di non amarti. Non posso più nasconderlo, questo mio amore per te è così grande che non può essere nascosto. Ti appartengo, è inutile. E se anche questa volta non dovesse funzionare, se dovessimo tornare a farci del male, beh, non mi importa. Sono disposta a farmi ferire all’infinito da te”
“Non voglio ferirti April. Non l’ho mai voluto fare. Ti amo, ti amo così tanto che non mi fa mangiare, che non mi fa dormire. Ti amo così tanto che quando non mi sei accanto è difficile respirare. Sei il mio ossigeno, April. Sei la mia persona. Questo mio cuore è tuo – disse prendendole la mano e portandogliela sul cuore – senti come mi batte forte il tuo cuore” le disse.

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Capitolo 12
*** 12 ***


12

“Fammi capire un attimo, la Kepner e Avery si sono fatti una dichiarazione d’amore da film. Lui le ha preso la mano, gliel’ha portata sul suo cuore e le ha detto di sentire come gli batte forte il suo cuore, implicando che il suo cuore sia di April in realtà, giusto?”
“Esatto”
“E da quel momento non ne hanno più parlato, cercano di evitarsi e si comportano da idioti?”
“Esatto”
“Va bene, dobbiamo anticipare il nostro viaggio a Seattle. Sophia, prepara le valigie!” esclamò Callie.
Arizona le diede un bacio sulle labbra prima di fiondarsi in camera a preparare i bagagli per il viaggio. Avevano già deciso di tornare a Seattle per comunicare ai loro ex colleghi e amici un’emozionate novità, si sarebbero risposate. Ma, stando ai loro piani, non sarebbero dovute partire prima di un paio di giorni. Le chiamate con April avevano preoccupato Arizona che trovava quella situazione estremamente imbarazzante e stupida. Non riusciva proprio a capire perché la sua amica e il suo ex marito non riuscissero a trovare la pace e a godersi la felicità che di diritto gli spettava. Sapeva di dover intervenire. Erano adulti, grandi e vaccinati, ma in quel periodo si comportavano da ragazzini. Un po’ come quando, da bambini, ci si fidanza e si è così in imbarazzo da non riuscire nemmeno a guardare l’altra persona. Quando si tratta di ragazzini, va bene, ci sta, ma tra adulti che hanno alle spalle un matrimonio, una storia d’amore e di passione senza eguali e dei figli, non è accettabile.
Callie e Sophia la aspettavano davanti alla porta di casa con le rispettive valigie in mano. Arizona si affrettò a raggiungerle e per tutta la durata del viaggio da New York a Seattle non faceva altro che pensare a come avrebbe potuto intervenire nella vita sentimentale di April senza farglielo pesare e senza sembrare una ficcanaso. La sua futura moglie, invece, aveva intenzione di entrare in gamba-tesa nella situazione. Credeva che presentarsi a casa di Jackson e stabilirsi da loro per un po’, li avrebbe sicuramente aiutati a scendere a patti col problema. E, qualora non volessero farlo, avrebbe usato le maniere forti: avrebbe tirato fuori la questione senza preoccuparsi di ferire nessuno e senza un minimo di tatto. Era stanca di vedere la sua futura moglie così preoccupata per la sua migliore amica, ed era stanca di continuare a vedere Jackson e April inseguirsi come gatto e topo, senza mai riuscire ad arrivare ad una conclusione. Voleva solo che tutti potessero godersi il tanto meritato lieto fine.
Arrivarono a Seattle e, non si sa come, Callie era riuscita a far prevalere la sua idea su quella di Arizona. Si sarebbero presentate a casa di Jackson e avrebbero tirato fuori il problema senza girarci troppo attorno. C’era solo un piccolo problema: nessuna delle due sapeva dove diavolo abitasse Avery. Durante le loro visite a Seattle erano state a casa di April e Matt, ma mai a casa di Jackson. A Callie venne in mente di chiamare Bailey e chiederlo direttamente a lei, preservando così l’elemento sorpresa. Bailey sembrò poco convinta delle motivazioni datele dalla Torres, ma le diede comunque l’indirizzo di casa Avery.
Una mezz’oretta dopo, Callie, Arizona e Sophia erano fuori casa dell’uomo. Arizona era chiaramente nervosa all’idea di entrare così prepotentemente nella vita personale della sua migliore amica. Per fortuna c’era Callie che, con la sua sicurezza, riusciva a tranquillizzarla. Suonarono il campanello e ad aprire andò una April distrutta. Sul viso c’era ancora la forma del cuscino, i capelli erano in disordine e indossava un pigiama troppo grande per lei.
“Ti sei per caso ritrovata nel bel mezzo di un uragano?” domandò senza tatto Callie.
“Che ci fate qui?” domandò sbadigliando la Kepner e spostandosi dall’ingresso per farle passare.
“Siamo arrivate un po’ prima, ma la nostra prenotazione in hotel non poteva essere anticipata ad oggi. Non sappiamo dove andare, ti dispiace se per stanotte rimaniamo a dormire qui?” chiese Arizona dolcemente.
“Non è casa mia, ma se lo fosse la risposta sarebbe sì. Jackson sarà qui a breve, potrete chiedere a lui” commentò lei aprendo un’anta in cucina e cominciando a farsi il caffè.
“Non potresti chiamarlo? È solo per stanotte, domani andremo in hotel”
“Sarà qui a breve, non serve chiamarlo” si giustificò April.
Ma Arizona, che la conosceva fin troppo bene, sapeva che quella dell’amica era una scusa per non dover chiamare il suo ex marito e parlarci. Si sedettero sul divano mentre April faceva colazione e andava a lavarsi e vestirsi. Jackson arrivò un’oretta dopo. Entrò in casa stringendo la mano di Harriet. Aveva il suo zainetto sulle spalle. Immediatamente Sophia corse dalla piccola Harriet e l’abbracciò. Adorava quella piccoletta. Avrebbe tanto voluto un fratellino o una sorellina. Le due entrarono in camera di Harriet, lasciando così gli adulti da soli.
“Callie, Arizona, che piacere vedervi” commentò l’uomo.
“Anche per noi, Avery” rispose Callie.
“Che ci fate qui?” domandò lui.
“Abbiamo anticipato il volo e quelli dell’hotel sono riusciti ad anticiparci la prenotazione solo a partire da domani, quindi per stanotte non abbiamo un posto in cui dormire. Abbiamo chiesto ad April se potessimo restare qui e ci ha detto di parlare con te, dato che questa è casa tua”
“Per me non c’è alcun problema, prendete la camera degli ospiti, April si sposta nella mia, Sophia può dormire in camera di Harriet e Harriet può dormire con April. Io dormirò qui sul divano” disse lui sorridendo alle due.
“Grazie Jackson” dissero all’unisono le due per poi guardarsi e ridere come ragazzine.
In quel momento April tornò in salotto e, quando lei e Jackson si videro, abbassarono lo sguardo. Arizona scosse la testa davanti a quella reazione e Callie parlò.
“Ok, il vero motivo per cui siamo qui in anticipo è innanzitutto per invitarvi ufficialmente al nostro matrimonio. Io e Arizona ci risposiamo”
“Congratulazioni!” esclamò Jackson andando ad abbracciare entrambe.
“È fantastico” disse April facendo lo stesso.
“Grazie, ma non è tutto. Siamo qui perché Arizona è preoccupata per voi. E sì, forse lo sono anche io”
“In che senso?” domandò April
“In che senso? Me l’hai detto tu April, tu e Jackson vi state evitando, nonostante siate innamorati l’uno dell’altro. Siamo qui da un’oretta e non hai voluto parlare di lui, né parlare con lui. Appena vi siete visti avete distolto lo sguardo. Ma dove siamo, all’asilo? Perché vi comportate così?” sbottò Arizona.
“Quando fai così mi ecciti” le sussurrò nell’orecchio Callie.
Jackson e April in quel momento si guardarono. Non avevano un contatto visivo così prolungato da quando si erano professati amore eterno sul pavimento di quel bagno. Arizona capì che era arrivato il momento di portare Sophia e Harriet a fare un giro. Fece un cenno con la testa a Callie che entrò nella stanza in cui le due stavano disegnando e le portò, assieme alla sua futura moglie a prendere un gelato per poter dare ai due il tempo di parlarsi.
 
Erano passati pochi minuti e nessuno dei due riusciva a dire nulla. Gli occhi di entrambi erano velati di lacrime.
“April” disse per primo Jackson.
“Non voglio ferirti” esclamò improvvisamente lei.
“Nemmeno io” rispose l’altro.
“No, Jackson! È per questo che non riesco a guardarti o a starti vicino. Adesso che siamo così vicini a poter stare insieme, ho paura. Sono terrorizzata. Non voglio farti del male, non voglio farmi del male. E so che prendere le distanze è l’unico modo in cui potrei riuscirci. Ma fa male lo stesso. Perché non sto con te. E mi manchi, mi manca il mio migliore amico, mi manca la mia persona, mi manca l’uomo che amo” Disse April.
“Lo so, ti capisco. Non sai quanto. Sono terrorizzato anche io. Quando mi hai detto di amarmi, mi sono sentito l’uomo più felice sulla faccia della terra. Almeno fino a quando non mi è piombato addosso il peso di tutto ciò che ci siamo fatti. Come possiamo evitare che succeda? Non c’è un modo certo per saperlo. E se dovessi mandare di nuovo tutto a puttane? Se dovessi perderti ancora? Non sopravvivrei a tutto questo, non di nuovo. Tu e Harriet e il bambino o la bambina che avremo siete ciò che ho di più prezioso. Non voglio in nessun modo arrecarvi dolore” affermò Jackson.
“Non voglio starti lontana”
“Nemmeno io”
“Allora vieni da me”
“Da questo momento in poi smettiamola di fare gli idioti, smettiamo di evitarci e di comportarci da ragazzini” disse Jackson avvicinandosi a lei fino a prenderle la mano.
“Ti prego, baciami” gli chiese lei.
Jackson non ci pensò due volte a premere le sue labbra su quelle di April.
“Ho bisogno che tu mi dica una cosa” disse all’improvviso lui.
“Cosa?”
“Che nome diamo a ciò che c’è tra noi? Siamo tornati insieme?” domandò lui.
“Questa è il tuo modo di chiedermi di tornare insieme?” lo prese in giro lei.
“April Kepner, vuoi tornare ad essere mia?” domandò Jackson appoggiando la sua fronte a quella della donna.
“Sì, sì e ancora sì” rispose lei baciando il suo uomo ogni qual volta pronunciava quei sì.
 
Callie e Arizona tornarono qualche ora più tardi. Harriet e Sophia si divertivano un sacco quand’erano insieme. Callie si trovò a pensare a quanto Sophia sarebbe stata una brava sorella maggiore, considerando come trattava e proteggeva la piccola Avery. Avrebbe tanto voluto darle una sorella o un fratello, ma in seguito al suo incidente non poteva più restare incinta. L’unica possibilità era chiedere ad Arizona, ma c’erano già passate. Cosa sarebbe successo se anche questa volta non fossero riuscite ad andare fino in fondo? La Torres si fece scivolare di dosso quei pensieri autodistruttivi e si ripromise di proporre alla sua futura moglie una gravidanza, non curandosi delle conseguenze prima di aver sentito la sua risposta.
“Beh, avete chiarito vedo” affermò Arizona quando vide Jackson e April seduti assieme sul divano, il braccio di lui attorno alle spalle di lei che intrecciava le dita alla mano dell’uomo che le ricadeva sulla spalla.
“Siamo ufficialmente tornati insieme” disse April sorridendo alla sua migliore amica e avvinghiandosi a Jackson.
“Finalmente Kepner, hai visto? Avevo ragione” commentò Torres prendendo posto.
“Avevi ragione” rispose April.
“Su cosa?” domandò Jackson.
“Sin dal primo istante, sin da quando avete concepito questa meraviglia – affermò la Torres mettendo le mani sul pancione di April – ho detto ad April che prima o poi sareste tornati insieme. Ho sempre creduto che quello che c’era tra voi era troppo forte per ridursi ad una semplice amicizia. Certe relazioni vanno in contro a terribili conclusioni solo per riuscire a trovare una nuova strada tempo dopo. Avevate bisogno di tempo, come io e Arizona avevamo bisogno di tempo e di stare lontane per capire quanto ci amassimo”
“Hai proprio ragione” affermò la Robbins mettendo una mano sulla spalla della sua futura moglie accarezzandogliela per darle supporto e conforto.
“Quello che ci è capitato è una fortuna. Non tutti riescono a recuperare i rapporti” disse Jackson.
“Non tutti si amano come ci amiamo noi” commentò Arizona.
“Hai proprio ragione” continuò April riprendendo a guardare Jackson come fosse la cosa più bella e preziosa che avesse mai visto.
“Mi è venuta un’idea” esordì Avery.
“Quale?” chiese April.
“Perché non organizziamo quella cosa di scoprire il sesso del bambino domani? Sono esaltato all’idea e poi ci sono anche Callie e Arizona, farla più tardi potrebbe significare non avere loro perché saranno tornate a New York” spiegò il chirurgo plastico.
“Mi sembra un’idea bellissima” sorrise April lasciandogli un dolce bacio sulle labbra.
Gli occhi di Callie divennero lucidi e Arizona le prese la mano, convinta che si fosse emozionata per il gesto degli amici. In realtà, gli occhi di Callie si erano inumiditi davanti all’idea di poter, in futuro, fare la stessa cosa per un loro ipotetico figlio. Chissà quale sarebbe stata la risposta della sua donna.
 
Quel pomeriggio April, Arizona e Callie lasciarono Sophia e Harriet con Jackson e andarono in giro per Seattle ad organizzare il party del giorno dopo. Entrarono in pasticceria e consegnarono la busta col sesso del bambino. Andarono in un negozietto di dolci e comprarono dei confetti rosa e celesti per gli invitati, scelsero la confezione e la decorazione che li avrebbe racchiusi e si spostarono in un ipermercato per comprare addobbi di tutti i tipi. Jackson, Sophia e Harriet erano incaricati di scrivere l’invito più importante, quello da consegnare a Catherine. Harriet decise che doveva essere di colore rosso perché era suo preferito, Sophia avrebbe messo per iscritto quello che la più piccola le avrebbe dettato. E, a Jackson, il compito più arduo, quello di consegnarle l’invito sperando che non desse completamente di matto per il poco preavviso. Per il resto, inviò una mail a tutti i colleghi del Grey-Sloan Memorial che in poco tempo cominciarono a rispondere. Grey, Shepherd e Pierce avrebbero partecipato assieme ai corrispettivi compagni e figli. Grey avrebbe portato Ellis, quasi coetanea di Harriet nonché sua persona preferita, Bailey e Zola che non vedeva l’ora di riunirsi a Sophia con la quale era cresciuta. Ci sarebbe stato anche Andrew DeLuca. Amelia avrebbe portato la sua bambina Grace Lincoln, avuta con il compagno Atticus. Avrebbe partecipato anche Maggie, ex ragazza di Jackson e adesso fidanzata ufficialmente con il divertentissimo Lucas Smith, un dentista con dei capelli perfetti. I due non si erano ancora sposati per via delle perplessità della Pierce sul prendere il cognome del marito. Credeva che avrebbe confuso i pazienti se si fosse chiamata Maggie Smith, proprio come l’attrice di Downtown Abbey e Harry Potter. Alex Karev rispose che ci sarebbe andata solo Jo perché lui avrebbe dovuto accompagnare i loro due gemelli agli allenamenti di Judo. April tirò un sospiro di sollievo quando lo seppe. I gemelli di Karev avevano solo tre anni, ma erano delle pesti. Miranda Bailey avrebbe partecipato senza Ben, impegnato al lavoro e senza Tuck, ormai troppo grande per quel genere di cose.
Stranamente Catherine non si adirò per il poco preavviso con cui ricevette l’invito, anzi, abbracciò sua nipote e suo figlio e cercò di contribuire in ogni modo all’evento. Decise di chiamare un servizio di catering, il migliore in tutta Seattle e comprò un passeggino nuovo, una culla, una quantità esorbitante di giocattoli sia per il nuovo arrivato che per la Harriet. Inoltre, mandò l’aereo privato degli Avery a Moline, Ohio. Prenotò un albergo per i genitori e le sorelle di April con le rispettive famiglie. Tutto per quei due che, finalmente, erano tornati assieme. Le era passato per la testa di acquistargli una casa più grande, ma si trattenne lasciando quel progetto per la nascita del piccolo o della piccola.
Quando April il giorno dopo vide Catherine varcare la porta di casa sua e di Jackson assieme a Richard, i suoi genitori, le sue sorelle, i suoi cognati e i suoi nipoti, credette di essere vicina a svenire per la gioia. Non vedeva la sua famiglia da troppo tempo. La relazione con le sue sorelle si era raffreddata dopo il primo matrimonio, ma da un po’ di tempo avevano recuperato i rapporti. Si sentivano molto spesso. Corse prima ad abbracciare Catherine, consapevole che fosse la ragione per cui la sua famiglia si trovasse lì. Dopodiché si lasciò travolgere dall’ondata scatenata dei Kepner. Jackson la guardava da lontano, con Harriet in braccio. Sorrise a sua madre e le mimò un grazie ricevendo in cambio una strizzata d’occhio. Si avvicinò alla famiglia di sua moglie e salutò tutti. Harriet teneva stretta la sua mano mentre si lasciava sbaciucchiare da quelle persone che quasi non conosceva. Sapeva che lì in mezzo c’erano i suoi nonni, ma non ricordava di averli mai visti dal vivo. Ci mise pochissimo a fare amicizia con tutti, soprattutto con i cugini. Al suo fianco, c’era sempre Sophia che la sorvegliava per essere sicura che nessuno facesse il bulletto con lei. Presto arrivarono gli altri ospiti. C’erano proprio tutti. Per fortuna Jackson aveva un giardino molto spazioso. C’erano bambini che correvano ovunque, gente che parlava, rideva e scherzava ovunque. Quando finalmente arrivò il momento di scoprire il sesso della creatura nel grembo di April, tutti si posizionarono davanti alla torta, in attesa della rivelazione. April e Jackson lasciarono che Harriet tagliasse col loro aiuto la torta.
“È azzurro!” esclamò la piccola.
Gli occhi di Jackson si riempirono di lacrime. Avrebbero avuto un altro maschietto e questa volta sarebbe stato bene. Guardò April che si lasciava sbaciucchiare da Harriet. Prese la bottiglia di Champagne e la stappò facendo volare il tappo che finì per colpire Callie Torres sulla spalla.
“In Italia diciamo che se il tappo ti colpisce, porta fortuna!” esclamò DeLuca.

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Capitolo 13
*** Epilogo ***


Epilogo

“JJ, scendi immediatamente di lì!”
“Ehi, eccomi sono qui, come posso aiutarti?”
“Karev, era ora! Tieni sotto controllo JJ, non riesco a farlo stare buono”
“Avery, sei sicuro che sia figlio tuo e della Kepner? Questo bambino è un demonio. I miei gemelli sono delle bestie, ma lui li supera a mani basse”
Jackson rise quando il collega gli disse quelle parole. Jackson Jr., per tutti JJ, era una peste. Ormai aveva tre anni e non era per niente simile a sua sorella Harriet. Harriet alla sua età era sveglia, sì, ma più pacata. JJ era incontenibile. Iperattivo al limite del ragionevole e, allo stesso tempo, estremamente buono e coccolone. A fine giornata, quando aveva spremuto anche l’ultima goccia di energia dal suo corpo, si accoccolava sul petto di uno dei suoi genitori e li riempiva di baci e abbracci. Adorava far loro le coccole. Lo faceva anche con Harriet, ma più raramente perché con lei preferiva litigare e tirarle i capelli. Vedere sua sorella urlare e inseguirlo per la casa lo divertiva più dei cartoni animati alla tv.
“JJ, sta fermo!” esclamò Jackson con tono fermo.
“E va bene, ci penso io” esclamò Karev quando il bambino prese a correre come un forsennato nella stanza d’hotel dov’erano i due uomini. Quando il piccolo JJ Avery corse abbastanza vicino a Karev, questi lo afferrò per i pantaloni e con una mano lo tirò su. Jackson scosse la testa per il gesto dell’amico, Alex sembrò piuttosto soddisfatto della sua soluzione, mentre il piccolo JJ rideva con un pazzo cominciando a muovere freneticamente gambe e braccia come se stesse volando. In quel momento Catherine fece il suo ingresso nella stanza.
“Karev, metti immediatamente giù il mio angioletto” esclamò sicura.
“Angioletto, ma lo conosce suo nipote?” chiese in rimando.
Detto questo rimise il piccolino a terra che corse in contro a Catherine saltandole in braccio. Catherine adorava quel piccoletto, era un bambino così vivace e allegro, quasi le ricordava Jackson da bambino. Certo, Jackson era costantemente trattenuto dalle tate di Harper Avery che per un periodo lo avevano letteralmente tenuto al guinzaglio per poterlo tenere sotto controllo. Le chiamavano bretelle all’epoca.
JJ parlava molto bene nonostante la sua età. Subito le disse quanto fosse felice di vederla e cominciò a parlare di qualunque cosa gli passasse per la testa. Lei rise pensando a quanto loquace e quanto spigliato fosse quel bambino.
“Mamma, mi dispiace interrompere la vostra intensa conversazione, ma come mai sei qui, c’è qualcosa che devi dirmi?” chiese Jackson.
“Sì – disse la donna mettendo giù JJ e avvicinandosi al figlio – forse è meglio se andiamo in corridoio”
“In corridoio? È grave? April è andata via? Non vuole più sposarmi?” domandò preoccupato Jackson cominciando a fare avanti e dietro con fare nervoso.
“No, no, assolutamente no. April non vede l’ora di risposarti. Ma è importante”
Madre e figlio uscirono dalla stanza lasciando il povero Karev nelle grinfie di JJ. Nel frattempo, Catherine stava per dire a Jackson qualcosa che lo avrebbe sconvolto.
“Tuo padre è qui”
“Chi?” domandò spontaneamente il chirurgo plastico.
“Tuo padre, Robert Avery è qui”
“È qui. Ok, per quale ragione?” chiese nervoso stringendo i pugni.
“Ci siamo incontrati per sbaglio mentre ero in Montana per dirigere l’ospedale della fondazione”
“E quindi?”
“Abbiamo chiacchierato, ha conosciuto Richard. Abbiamo cenato tutti assieme e mi ha chiesto di te. Mi ha raccontato del vostro incontro e di quanto avrebbe voluto trovare un modo per rimediare alle sue mancanze e rientrare nella tua vita. Ho provato a dirgli che forse era troppo tardi, ma voleva fare un tentativo”
“E così ha pensato bene di rovinare il giorno più bello della mia vita. Bene…” commentò
“Se non vuoi vederlo, posso mandarlo via. Ma è l’occasione per fargli conoscere la tua vita, la tua famiglia e le persone che ti vogliono bene. È pentito, Jackson. Vuole solo rimediare ai suoi errori” disse la donna.
“Va bene, può restare, ma sono furioso nei suoi confronti. Digli che non deve assolutamente avvicinarsi a me. Deciderò io quando e se farlo.”
Catherine si avvicinò a suo figlio e gli lasciò un bacio sulla guancia prima di andare via.
“Ehi amico, tutto bene? Non per farti innervosire ulteriormente, ma tuo figlio sta distruggendo tutto e dobbiamo scendere. La cerimonia comincerà tra poco” intervenne Alex aprendo di poco la porta della stanza per evitare che JJ scappasse fuori.
Qualche minuto più tardi, Jackson, Alex e JJ entrarono nella sala in cui si sarebbe svolta la cerimonia. Niente fienile, niente fuga romantica, sta volta avrebbero fatto le cose da manuale. Piano, piano gli invitati cominciarono ad arrivare. Jackson sentiva l’asia salire. Non sapeva perché, aveva già sposato April, eppure gli tremavano le gambe come fosse un ragazzino. E se avesse avuto dei ripensamenti all’ultimo secondo e fosse andata via? No, non poteva accadere, sua madre gli aveva detto che era tutto a posto. E poi si amavano, sì si amavano alla follia. Ma allora perché gli sudavano le mani in quel modo, perché si sentiva terrorizzato? JJ che continuava a correre avanti e indietro per la navata rendendolo ancora più nervoso.
“JJ, vieni qui! JJ ti prego sta buono” gli disse a denti stretti mettendo su il suo sorriso più forzato.
“No!” esclamò il piccolo facendogli la linguaccia.
“JJ, ti prego” lo scongiurò lui.
Il piccolo gli si avvicinò e per un secondo Jackson pensò che si fosse calmato.
“Quando arriva mamma, papi?”
“Tra poco, quindi vieni qui.”
Ma prima che potesse terminare la frase, riprese a correre come un forsennato. Dovette intervenire Richard che, lo sollevò di peso e se lo caricò sulle spalle come fosse un sacco di patate.
“Nonno, possiamo rifarlo?” domandò il piccolo quando l’uomo lo mise a terra.
“Non ora, JJ. La mamma sta per entrare e vuole trovarti accanto al tuo papà oppure diventerà triste e tu non vuoi che sia triste, vero?” gli disse.
Il bambino fece di no con la testa e prese la mano di Jackson il quale sorrise a Webber e lo ringraziò. Stringere la mano di suo figlio lo fece sentire improvvisamente più tranquillo. Gli invitati avevano preso posto e così anche il giudice di pace che, allo stesso tempo, era anche un ministro ecumenico. La marcia nunziale cominciò a suonare e gli occhi di Jackson si inumidirono quando sua figlia Harriet in abito rosa antico, con in mano un bouquet di fiori e una coroncina simile appoggiata sui capelli fece il suo ingresso. Ormai aveva otto anni, quasi nove, era diventata una signorina. Gli sembrava ieri quando arrivò in ospedale tra le braccia di Ben Warren e poté stringerla per la prima volta. E ora, faceva da damigella al loro matrimonio. Dietro di lei c’era Arizona, con un vestito dello stesso colore di quello di sua figlia. Mentre percorreva la navata la vide spostare lo sguardo su Callie che, seduta teneva tra le braccia la loro bambina di appena due anni. Accanto a loro c’era Sophia che era ormai una signorina. E poi, finalmente, April fece il suo ingresso, accompagnata da suo padre. Indossava un abito bianco da sogno, un corpetto stretto e una gonna vaporosa. I capelli erano raccolti in un’acconciatura elegante sulla quale era adagiato il velo. Non appena Jackson la vide, una lacrima gli corse lungo il viso.
Quando April vide Jackson, in fondo alla navata, bellissimo come sempre, il cuore prese a batterle all’impazzata. Aveva già sposato quell’uomo ma questa volta era diverso. Questa volta sapeva che sarebbe stato per sempre. Accanto a lui, in uno smoking identico, ma in miniatura c’era JJ, il loro figlio più piccolo che somigliava tantissimo a suo marito, avevano gli stessi occhi. Non lo aveva ancora visto con indosso quel completo ed era così adorabile che avrebbe voluto mangiarlo di baci. Guardò poco più avanti di lei, di Harriet vedeva solo i capelli. La sua bambina. Il suo miracolo. Era cresciuta così tanto. E adesso la stava accompagnando all’altare. Guardò velocemente suo padre e gli sorrise. Poi spostò lo guardo e lo puntò su un'unica persona: il suo Jackson. Suo marito, il suo migliore amico, il padre dei suoi figli, l’unico uomo che avesse mai amato. All’improvviso JJ sfuggì alla presa di Jackson e corse in contro ad April. Tutti sorrisero quando lo videro abbracciarla. Lei si chinò verso il piccolo e gli disse qualcosa nell’orecchio. Lui fece di sì con la testa sicuro e poi le porse la mano. Guidò sua madre all’altare e, una volta davanti a suo padre, gliela lasciò. Fu una scena estremamente dolce.
“Cosa gli hai detto?” domandò Jackson curioso.
“Gli ho chiesto se volesse accompagnarmi all’altare e ha detto di sì” sorrise April.
“Sei la donna più bella del mondo”
“Smettila, sei tu il più bello”
“No, sei tu, è la verità”
“Cominciamo” gli interruppe il giudice di pace. Loro sorrisero e lasciarono che la cerimonia cominciasse.
 
Quando cominciò il ricevimento, tutti gli invitati si avvicinarono agli sposi per potersi congratulare. Tutti tranne una persona, Robert Avery. Aveva fatto esattamente come Jackson aveva stabilito, era rimasto in disparte. A quel punto, Jackson gli fece un cenno col capo e lui capì di potersi avvicinare.
“Ciao”, disse con fare timido Robert.
“Ciao”, rispose Jackson.
“Congratulazioni, bella cerimonia”
“Ti ringrazio”
“Salve”, si intromise April.
“April, è un piacere rivederti”
“Anche per me signor Avery”
“Per favore chiamami Robert”
“È un piacere rivederti Robert”
“Mamma JJ continua a seguirmi ovunque, ti prego fermalo” esclamò Harriet avvicinandosi ai suoi genitori e trascinando con sé suo fratello.
Robert guardò quei bambini e poi guardò Jackson con occhi tristi.
“Ehi, tu chi sei?” domandò JJ guardando di traverso l’uomo che non conosceva.
“Io sono Robert, tu?” rispose lui porgendogli la mano.
Il piccolo la strinse scuotendola prepotentemente e facendo ridere l’altro.
“Io sono Jackson Kepner Avery Jr., ma mi chiamano JJ. Lei è mia sorella Harriet”
“Oh, è un piacere conoscervi ragazzi” disse Robert.
“Piacere” rispose semplicemente la bambina guardando poi sua madre con fare interrogativo.
“Lui è Robert Avery, è mio padre” disse all’improvviso Jackson.
“Quindi sei nostro nonno?” chiese Harriet.
“Ehi ma noi abbiamo già due nonni” disse JJ.
“Se per voi va bene io potrei essere il vostro terzo nonno” disse lui.
“Sì, va bene” rispose JJ prima di cercare la mano di April.
Harriet guardò suo padre, conosceva quello sguardo era lo stesso che le rivolgeva quando faceva qualche succedeva qualcosa di brutto al lavoro. Era così che adesso guardava Robert Avery. Perciò la bambina si avvicinò a suo padre non appena quell’uomo che disse di essere suo nonno si allontanò e lo abbracciò. Jackson fu felice di quel contatto e quasi come se i ruoli fossero invertiti, si lasciò cullare dall’abbraccio di sua figlia.
 
Quando la festa terminò, Jackson e April tornarono a casa assieme ai loro figli, niente di troppo stravagante per il loro secondo matrimonio. Avevano già avuto la loro luna di miele, adesso volevano solo ricominciare la loro vita come marito e moglie. Dopo aver messo Harriet e JJ a dormire, finalmente si ritrovarono soli. Dopo un’intera giornata circondati da amici e parenti, avevano bisogno di una tregua dal mondo, di spendere un po’ di tempo solo loro due. Si sdraiarono nel loro letto di lato, con il viso rivolto l’uno verso l’altra.
“Ti amo” disse April mettendo una mano sulla guancia ruvida del marito e accarezzandogliela.
“Ti amo” rispose lui sicuro baciandola.
In quel momento, April si sentì toccare la schiena. Si voltò: JJ era lì, in piedi accanto al suo comodino che la guardava.
“Tesoro che succede?” gli chiese lei.
“Posso dormire con voi?” domandò lui.
“Certo che puoi” rispose April.
Lui si arrampicò sul letto e si sdraiò proprio tra i due novelli sposi. A pancia in su, aprii braccia e gambe come fosse una stella marina. Con una mano giocherellava con l’orecchio di Jackson, con l’altra con quello di April. Anche Harriet aveva avuto quel vizio quand’era piccola. Doveva, a tutti i costi, percepire il contatto con la pelle e prediligeva giocherellare con il lobo. Pochi minuti dopo, anche la più grande entrò nella camera dei suoi genitori. Si sedette sulla punta del letto e li osservò per un secondo, fino a quando Jackson non le fece un cenno col capo e lei si andò a mettere accanto al fratello e vicino a suo padre.
Jackson e April agli estremi del letto rischiavano di cadere. I loro figli li avevano spodestati. Sorrisero quando li videro dormire beatamente.
“Sono uno spettacolo” commentò Jackson guardandoli.
“Hai ragione, sono una meraviglia” rispose April facendo lo stesso.
“Non c’è un attimo, però, in cui non penso che qui con loro ci sarebbe dovuto essere anche Samuel a proteggerli, a comportarsi da fratello maggiore”
“Ad insegnare a JJ a giocare a football e a proteggere Harriet dai bulli” continuò April
“Ci penso di continuo a lui, a come sarebbe stato se non fosse morto”
“Anche io, Jackson. Penso a che faccia avrebbe avuto, al colore di cui sarebbero stati i suoi occhi, al modo in cui avrebbe sorriso o al suono della sua voce”
“Sono grato all’universo per i nostri figli, ma soprattutto sono grato all’universo per te, April. Se quindici anni fa mi avessero chiesto come mi sarei visto oggi, non avrei mai immaginato di essere qui. Ma soprattutto non avrei mai immaginato di meritare una donna come te e dei figli meravigliosi come i nostri”
“Smettila, meriti tutto questo Jackson. Tu sei un brav’uomo. E sei il mio uomo. Sei quello esattamente quello che sognavo da ragazzina nella mia stanzetta da sfigata quando nessuno mi trovava neppure minimamente interessante o carina. Sei il principe azzurro che sognavo venisse a salvarmi da quel posto. Certo, forse all’epoca ti immaginavo con la faccia di Justin Timberlake...”
“Dannato poster degli ‘N Sync” la interruppe Jackson facendola ridere.
“Stupido. Stavo cercando di dirti una cosa carina. Ma, posso anche evitare”
“Non evitare, dimmi tutto. Mi piace sentirti dire che mi ami”
Lei scosse la testa e gli sorrise. Le sue guance si infuocarono all’improvviso. Come faceva dopo così tanto tempo a farla ancora arrossire in quel modo?
“Ma guardati, stai arrossendo!” commentò Jackson
“Sei un idiota”
“Ma mi ami”
“Ti amo”
“Quindi continua la tua dichiarazione d’amore. Dimmi quanto mi ami, ti prego” continuò lui facendo quel suo sorrisetto che le faceva venir voglia di prenderlo a schiaffi e baciarlo nello stesso momento.
“E va bene, dicevo che sei tutto ciò che ho sempre sognato. Se ai tempi del Mercy West mi avessi detto che saremmo finiti insieme, probabilmente ti avrei riso in faccia. Ho sempre pensato che tu fossi troppo per me. Troppo bello, troppo buono, troppo perfetto. Uno così non avrebbe mai scelto la fastidiosissima tizia che viene dall’Ohio e che ha passato la vita intera a dar da mangiare ai maiali e ad andare in chiesa”
“E invece eccoci qua. Io e te, tu ed io. Non cambierei la mia fastidiosissima moglie che viene dall’Ohio e che ha passato la vita intera a dar da magiare ai maiali e ad andare in chiesa con nessun’altra” disse Jackson alzandosi dal letto e avvicinandosi alla moglie.
Si chinò su di lei e la baciò. April si mise seduta, gli prese la mano e se la portò sul petto.
“Jackson, senti come mi batte forte il tuo cuore”

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Capitolo 14
*** Ascolta come mi batte forte il tuo cuore ***


Ascolta come mi batte forte il tuo cuore
Wislawa Szymborska

 

Poteva accadere.
Doveva accadere.
È accaduto prima. Dopo.
Più vicino. Più lontano.
È accaduto non a te.
Ti sei salvato perché eri il primo.
Ti sei salvato perché eri l’ultimo.
Perché da solo. Perché la gente.
Perché a sinistra. Perché a destra.
Perché la pioggia. Perché un’ombra.
Perché splendeva il sole.
Per fortuna là c’era un bosco.
Per fortuna non c’erano alberi.
Per fortuna una rotaia, un gancio, una trave, un freno,
un telaio, una curva, un millimetro, un secondo.
Per fortuna sull’acqua galleggiava un rasoio.
In seguito a, poiché, eppure, malgrado.
Che sarebbe accaduto se una mano, una gamba,
a un passo, a un pelo
da una coincidenza.
Dunque ci sei? Dritto dall’animo ancora socchiuso?
La rete aveva solo un buco, e tu proprio da lì? Non c’è fine al mio stupore, al mio tacerlo.
Ascolta
come mi batte forte il tuo cuore.

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