Star Wars: A New Universe

di Alecs Brazz
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo
 
Mentre i turbo ascensori lo portavano silenziosamente all’ultimo piano della seconda morte nera, in compagnia di suo padre Darth Vader, Luke ripensò al sogno rivelatore che aveva avuto la notte prima di consegnarsi agli imperiali. Un sogno che gli aveva concesso di vedere il futuro, ne era convinto. Aveva visto la sconfitta dell’imperatore per conto di suo padre e la conseguente morte di quest’ultimo, che si era sacrificato per far vivere lui; suo figlio. In un ultimo gesto di redenzione, Darth Vader era tornato Anakin Skywalker, il cavaliere jedi, e aveva finalmente portato a compimento la profezia che lo riguardava, salvando la galassia e uccidendo il signore dei sith. Il prezzo di quella scelta, tuttavia, era stato mortale anche per il redento jedi. Luke, dopo aver finalmente ritrovato suo padre, lo aveva perso di nuovo. Nel più crudele dei fati. La visione diventava, infine, nera, come una notte senza luna, e una voce sconosciuta e femminile gli sussurrava un’ultima parola prima di interrompersi. Un nome. Leia. Poi tutto era finito e Luke si era ritrovato all’interno della sua palafitta, costruita sulla cima di uno dei tanti alberi millenari nella luna boscosa di Endor. Niente di quello che aveva visto era ancora successo, eppure gli fu chiaro fin da subito che quello appena avuto non era stato un semplice sogno. Poteva essere quella una visione della Forza così potente da avergli mostrato l’esatto percorso delle sue scelte e di quelle di suo padre? Poteva un nome sussurrato nel pieno di una notte, alla vigilia di una battaglia decisiva, poter cambiare le sorti della galassia intera e della loro famiglia?
 
Quando le porte scorrevoli si aprirono sull’atrio della sala del trono, padre e figlio, superarono le due guardie imperiali e raggiunsero il trono. L’imperatore li attendeva, con il suo volto sfigurato e il sorriso di chi aveva già vinto.
“Benvenuto, giovane Skywalker. Ti stavo aspettando”.
Palpatine congedò le due guardie imperiali e con un solo gesto della mano lo liberò dalle manette che gli ufficiali imperiali gli avevano chiuso ai polsi fin dalla sua consegna spontanea e da quel momento in poi, tutto quello che Luke aveva visto in sogno su Endor, semplicemente si ripeté.
Il duello con suo padre accadde nell’esatta sequenza che ricordava. Le mosse stesse erano impresse nella sua mente, come se stesse rivivendo qualcosa; Eppure era la prima volta. Nascosto nella penombra di un ponte comandi, tuttavia, si rese conto che qualcosa stava effettivamente cambiando. L’attacco della flotta dell’Alleanza Ribelle contro la stazione delle morte dell’impero era in corso, ma l’alleanza non avrebbe mai trovato campo libero per penetrare il deflettore che difendeva la morte nera. Quest’ultimo non sarebbe mai stato compromesso dalla squadra di ribelli su Endor; quella di Han, Ciube e Leia. Perché era proprio questo che Luke aveva modificato appena qualche ora prima, dopo la sua visione. Han e Leia, assieme ad una task force dei migliori agenti ribelli, si erano infiltrati efficacemente nelle strutture imperiali e proprio in quel momento erano a bordo della stazione spaziale. O così sperava.
 
“… Così hai una sorella gemella”.  La voce metallica di Darth Vader lo riportò al momento presente. Le sue preoccupazioni avevano vinto per un attimo la sua mente e suo padre ne aveva approfittato per captare i suoi pensieri.
“Se tu non passerai al lato oscuro, forse lei lo farà!”.
A quel punto qualcosa di terribile si scatenò in lui. Qualcosa di selvaggio e lontano da ciò che aveva promesso di essere.
“NO!”. Urlò e si scaraventò contro suo padre.
Il combattimento selvaggio che ne scaturì fu un’altra prova che Luke aveva già vissuto quella storia. Lo aveva fatto solo mentalmente, eppure a sufficienza per averne consapevolezza. E fu proprio in quel momento che la sentì di nuovo: la voce. Luke si rese conto che suo padre non stava combattendo per attaccarlo, ma solo per difendersi. L’ira era tutta sua e lo stava portando esattamente dove l’imperatore voleva. Non doveva cedere. Non poteva uccidere suo padre. Non sarebbe passato al lato oscuro. E fu con quell’ultima scelta, che infine, il destino mutò. Luke colpì Vader al fianco, con un miracoloso zampillo di lucidità, proprio mentre stava per arrendersi al suo destino. Con un calcio fece volare la spada laser di suo padre oltre il ponte e Darth Vader cadde, disarmato, sul pavimento. Quando l’imperatore Palpatine si alzò dal suo scranno, non aveva più alcuna voglia di sorridere. Forse anche lui, inconsciamente, aveva captato che qualcosa non stesse andando come avrebbe dovuto.
“Davvero notevole, mio giovane, nuovo, apprendista. Davvero”.
La maschera tumefatta del sith era, se possibile, ancora più orrenda. Distorta dall’odio e dalla malvagità.
“Ora finiscilo e regnerai con me. Vendicati di tuo padre. Poni fine alla sua grottesca esistenza”.
“No. Mai”. Furono le semplici, inflessibili parole di Luke.
Palpatine tornò ad esibire una risata, ma questa volta suonò come un latrato terribile. Come qualcosa di mortale.
“Come vuoi stolto ragazzo. Allora ucciderò entrambi e farò di tua sorella la mia degna apprendista”.
Dei fulmini si generarono dalle sue mani e si scaraventarono contro di lui e contro Vader. Luke riuscì a parare quelli destinati contro di lui con la sua spada, ma non poté nulla contro i fulmini che raggiunsero suo padre. La scarica di energia investì Vader e s’insinuarono, devastanti, contro la sua corazza, perforandola. Non sentì le grida di suo padre, ma solo i respiri affannati che produceva il suo respiratore. E poi sentì dell’altro: La voce di Anakin Skywalker si propagò nella sua mente come già era accaduto su Bespin, in una comunicazione mentale. La voce era calma e pura, senza alcuna traccia di dolore. Era la voce di un jedi redento.
“Lasciami andare Luke. E’ la tua unica speranza. Lasciami morire”.
“NOOOOOOO!”. Ancora una volta perse il controllo. Con ferocia riuscì a deviare la scarica di energia statica che Palpatine gli stava scaraventando contro e a deviarla lontano.  D’istinto lanciò contro il signore sith la sua spada, che si indirizzò dritta verso il suo bersaglio. L’imperatore dovette interrompere la scarica di fulmini per dirigerla verso l’arma e proteggersi dalla lama laser di quest’ultima. Quel frangente di tempo guadagnato fu abbastanza per Luke, che prese il suo posto davanti a suo padre. Se la visione della Forza lo aveva indotto a modificare gli eventi per consentirgli di morire insieme a lui, avrebbe accettato quel destino.
“Non passerò mai al lato oscuro. Mai. Uccidimi ora e avrai perso”.
Darth Sidious era di nuovo davanti a loro e sembrava che nulla di tutto ciò che fosse accaduto lo avesse scalfito più di tanto. Le porte degli ascensori si aprirono e fecero entrare nella sala del trono le due guardie imperiali di Palpatine. Entrambe con dei curiosi danni da blaster impressi sulla corazza rossa, malamente celati. Si avvicinarono all’imperatore, pronte a dargli sostegno.
“Come già detto, avrò una nuova apprendista. Più potente, più facile a cadere. Addio miei jedi”.
Il sith alzò le mani e le puntò contro i due Skywalker, ma non riuscì mai a scatenare contro di loro i fulmini. Si sentì un colpo, seguito da un grido strozzato. Palpatine si guardò, sorpreso, il torace, da dove affiorava la punta di una lancia, che lo trapassava da parte a parte. L’imperatore si girò a fatica, verso le sue guardie personali. Per la prima volta nella sua vita sembrò debole e morente. Fece per parlare. Non ci riuscì. La seconda guardia aveva alzato nel frattempo un blaster piuttosto famigliare e lo aveva colpito alla testa con un unico, preciso colpo. Sheev Palpatine sembrò impiegare molto tempo a cadere, ma quando lo fece, non si rialzò mai più. Darth Sidious era stato sconfitto. Le due guardie si tolsero i loro caschi, rivelando le espressioni gravi di Leia Organa e Han Solo. Fu il suo amico a parlare per primo, rivolgendo a Luke un sorprendente e irritante, sorriso.
“Beh ragazzo, non c’è di che. Ancora”.
E così il destino era stato cambiato. Le conseguenze sarebbero state catastrofiche, ma ancora nessuno di loro poteva saperlo.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1
 
Trenta anni dopo la Battaglia di Endor.
 
“Phil Cogan. Mercenario, contrabbandiere, talvolta cacciatore di taglie e in questo caso, ahivoi, anche ehm… ladro”. Stava parlando con tre sullustani e un vecchio droide da battaglia B1, dell’antica federazione dei mercanti oramai non più esistente. I quattro erano stati tutti chiusi nelle celle del loro stesso mercantile. Un secondo droide da battaglia era stato invece vaporizzato. Non era stato tanto furbo da arrendersi come il suo collega di ferraglia.
“Come dicevo, grazie enormemente per il carico. Siamo ladri, ma pur sempre gentiluomini, quindi lanceremo un messaggio di soccorso in una frequenza pubblica dalla vostra nave affinché i vostri amici possano salvarvi. Tutto chiaro?”.
I tre sullustani non risposero, il droide B1 invece disse: “Roger, roger”.
“Bene. Allora ci si rivede”.
Era quasi sul punto di attraversare la porta scorrevole che lo avrebbe riportato sulla sua nave quando uno dei tre si decise a parlare, ma il traduttore intergalattico non riuscì a interfacciarsi al meglio con quella lingua e Phil comprese solo la parola “Togan”. Non era ammissibile che i tre rapinati andassero in giro a dire il suo nome scorretto. Perciò fece marcia indietro e tornò dai sullustani.
“Potresti ripetere?”.
Questa volta il traduttore fece il suo dovere.
“Abbiamo una proposta signor Togan”
“Cogan. Phil Cogan”
“Come vuole. Senta…”
“No. Noi non lavoriamo in questa maniera. Facciamo colpi rapidi e ce ne andiamo. Non trattiamo con i rapinati”.
Uno degli altri due sullustani intervenne. La voce più profonda e sicura. Forse il capo dei tre.
“E quanti colpi simili dovrete farete prima di diventare ricchi davvero? Sempre che non moriate prima…”
Aveva colto nel segno, ma Phil non voleva sembrare affatto colpito da quel tentativo di prendere tempo. Aveva già visto tante volte trucchetti simili.
“Immagino tanti, ma quando ci si diverte…”
“Noi vi stiamo proponendo un affare, che vi renderà enormemente ricchi. Se poi vorrete ugualmente continuare con questa vita, lo potrete fare, ma senza doverlo fare per vivere”.
Ora a parlare era stato il terzo prigioniero, ma dall’impronta della voce Phil comprese solo in quel momento che era una sullustana. Effettivamente non parevano esserci differenze fisiche sostanziali con gli altri due. Addolcì comunque il suo atteggiamento e a dire il vero si sentì un pochino in colpa per averla chiusa con così poche cerimonie insieme agli altri due.
“Senta, il vostro carico lo rivenderemo al doppio”.
“E noi stiamo parlando di un valore molto superiore al doppio del nostro carico”.
“Il triplo?”.
“Almeno dieci volte di più”.
“Che cosa?”.
La porta pressurizzata che collegava le due astronavi si aprì e da essa fece capolino Dicker Taun, il suo migliore amico, nonché collega di furti e di tutto il resto. Indossava ancora gli scarponi magnetizzati che aveva utilizzato per abbordare il mercantile dall’esterno e in volto aveva la stessa espressione grave e preoccupata che mostrava ogni volta; prima, durante e dopo ogni colpo.
“Problemi?” insinuò.
“Beh. Questi signori stanno parlando di un qualcosa che varrebbe dieci volte il loro carico di iperguide e…”
“Non ti ripeto sempre che devi smetterla di parlare di cifre con chi derubiamo? Diranno sempre cose del genere!”.
“Si, ma...”
“Andiamo a casa perfavore”. Questa volta suonava più come una supplica.
“Onorevole signore”. Era di nuovo la sullustana a parlare, questa volta si stava rivolgendo a Dicker.
“Vi potremmo mostrare di cosa stiamo parlando. Se fosse così gentile da passarmi il mio comlink”.
Dicker rimase in silenzio per qualche secondo. Evidentemente il genere della sullustana era stata una sorpresa anche per lui. Nonostante un certo sospetto, gli porse il comunicatore, ma decise di tenerla a tiro con il blaster attivo in modalità stordimento.
“Ecco qua”. La donna sullust aveva appena attivato una rappresentazione olografica. L’immagine di una nave sfilò davanti ai loro occhi. I dati statistici la identificavano come una corvetta di classe Raider-II. Phil si illuminò e anche Dicker ebbe un sussulto. Entrambi conoscevano la fama di quell’eccellente nave, che era appartenuta a una divisione speciale dell’Impero Galattico chiamata Inferno Squad, e di cui, con la sconfitta dell’imperatore, si erano perse le tracce. Fino a quel momento.
“Quella nave fu costruita a Sullust. Era stata venduta all’impero quando al potere c’era ancora Palpatine. Direi che i termini di legittima proprietà sono venuti meno con la sua caduta. Desideriamo riportarla a Sullust e se ci darete una mano vi pagheremo dieci volte il suo valore”. Continuò la donna.
“E dove sarebbe questo gioiello?”. Intervenne Phil, continuando a scrutare i dettagli della corvetta, concentrandosi soprattutto sul potenziale bellico di cui disponeva.
“La nave ci è stata sottratta due giorni fa. Era alla deriva, e mentre la stavamo scortando nel pianeta, un vascello pirata è comparso all’improvviso dall’iperspazio e l’ha agganciata con il raggio traente. Non siamo riusciti a reagire, ma fortunatamente avevamo nascosto un localizzatore al suo interno. Eravamo sulle loro tracce quando un altro vascello di pirati spaziali ci ha abbordato. Eravate voi”.
“Mercenari. Mercenari spaziali”. Si sentì in dovere di chiarire.
Dicker studiò ancora la nave fluttuante, infine abbassò il blaster e si girò versò Phil.
“Ce la facciamo questa esperienza?”.
“Direi di si, bro!”.
“Bene andata allora. Trasferite le coordinate del localizzatore al nostro navicomputer. Inviateci un punto di incontro e vi riporteremo la vostra nave”.
“Ehi. Liberateci!”. I due sallustani uomini tornarono alla parola. Scandalizzati. La donna, invece, era rimasta in silenzio e sembrò sorridere.
“Siamo gentiluomini, ma non così stolti. Vi verranno a salvare. Saluti!”.
 
A bordo della Saxer, la loro vecchia nave corelliana, li stava aspettando la droide protocollare T1-LD3, conosciuta come Tilde. La sua ingombrante personalità li accolse appena entrarono in cabina, come una fascia di asteroidi accoglie le navi sperdute.
“Che fine avete fatto? Dov’è il carico?”.
“E’ una storia lunga Tilde”. Cominciò Phil.
“Non ne vale la pena. Sappi che ora abbiamo una nuova missione e che con il ricavato potremmo pure comprarti dei circuiti nuovi di zecca. E magari anche un software nuovo”.
“Ah… umani”. Si zittì e inserì le coordinate senza chiedere altro.
“Ehi Dick. Stiamo veramente andando a caccia di una nave rubata da pirati. Pirati veri?”.
“Si. Ripensamenti, fifone?”.
“No, ma mi stavo iniziando a chiedere. Noi due contro…”
“Io chi sono, giovanotto?”. Si intromise T1LD3.
“Si certo. Noi tre contro chissà quanti. Abbiamo un piano?”.
“Lo abbiamo”. Rispose Dicker. A Phil sembrò solo un modo di Dick per autoconvincersi, ma non aggiunse altro sull’argomento. Invece chiese:
“La riporteremo davvero ai sullustani?”. Appena le sue parole formularono la domanda, a Phil parve di conoscere già la risposta dell’amico.
“Scherzi? Lo sai quanto ci pagherà l’imperatrice Leia quando le riporteremo la Corvus?”.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2
 
Una ragazza dalla vivacissima chioma color fiamma guardava oltre l’oblò della propria cabina con aria assente. Di tutte le navi che Meryl avesse mai pilotato, ce ne era una in particolare cui non smetteva di pensare. La nave in questione era sicuramente la migliore che avesse mai visto. Dotata di un design impeccabile e di una potenza tecnica assurdamente elevata per gli anni di servizio che aveva. Solo che effettivamente c’era un particolare di quella storia che la infastidiva e la rendeva insofferente: Non era riuscita a pilotarla. Chiusa in quella stanza quadrata, mentre le sue due amiche giravano per la stazione spaziale a gozzovigliare, sembrava che tutto fosse più opprimente e inaccettabile. Continuava a pensare e ripensare a tutte le operazioni che avevano svolto, in cerca di un errore che spiegasse perché diavolo non rispondesse ai comandi. Avevano fatto il pieno di carburante, controllato l’iperguida e attivato le sequenze di avvio convenzionali. Nulla. L’astronave non si era attivata. A quel punto, Z5-GE, il loro droide, aveva attivato tutte le sequenze di diagnosi e analisi che conosceva. Dato il suo trascorso come droide di sicurezza imperiale, era probabile che avesse le capacità per venirne a capo. Invece, anche Zeta si era dovuto rassegnare. Al momento era ancora bordo della nave, in orbita in un luogo sicuro, incapace di arrendersi al compito per via delle prerogative che gli ufficiali imperiali avevano programmato nel suo software della personalità al tempo del suo servizio. Meryl, comunque, non nutriva molta speranza nel droide. E neanche molta simpatia in effetti. Mentre quel rottame del passato continuava la sua diagnosi numerica, lei aveva preferito chiudersi in camera a guardare il soffitto e leccarsi le ferite della delusione.
Inizialmente l’assoluto silenzio della stanza, la infastidiva esattamente come avrebbe fatto un vociare animato, per cui aveva recuperato un gioco della sua infanzia; una pallina di gomma corelliana, e aveva giocato con essa, lanciandola contro la parete e riprendendola dopo un rimbalzo e così via. Dopo qualche minuto così, però, Meryl aveva smesso di divertirsi e aveva permesso al silenzio di invadere di nuovo la cabina. Restò immobile e pensierosa per un po’ e tentò di dormire quando la noia la invase, ma il sonno non arrivò. Con estrema riluttanza, decise di vestirsi e raggiungere quelle due smorfiose che non la capivano. In realtà, in un angolo remoto della sua mente, sapeva che avevano ragione. D’altro canto, il veicolo in questione, non sarebbe rimasto a loro una volta scoperto come farlo funzionare. Avrebbero dovuto subito fare rotta per il rendez-vous con i compratori, coloro che le avevano commissionate per il lavoro di recupero, in un punto specifico di una rotta commerciale secondaria, e consegnarla senza troppe cerimonie. Quindi perché perdere la testa per una nave che tanto non sarebbe mai stata sua? Ama ed Edi avevano fatto leva su questa teoria per convincerla a lasciarle perdere la corvetta, ma loro non erano cresciute nei cantieri di costruzioni, non possedevano la metà della sua sensibilità nautica e non potevano capire. Meryl si legò i capelli rossi in uno chignon, indossò un cappello con visiera e uscì dalla porta della cabina. Si portò dietro la pallina antistress, che faceva rimbalzare a intervalli irregolari tra le pareti della stazione e gli sguardi scandalizzati degli altri ospiti. Trovare le sue amiche, non fu affatto difficile. Amanita Carson, la sua migliore amica fin dai tempi dell’Accademia piloti, e Ediz'lowa, per le amiche Edi, la Twi'lek, erano di fronte al bancone del bar, intente a tracannarsi uno di tanti cocktail. Lanciò la pallina in direzione delle due, ancora intente a sghignazzare con il barista. La palla di gomma prese una strana direzione, puntando verso il calice che Amanita teneva sopra il bancone, e sarebbe stata fatale per il drink di Ama se non fosse intervenuta Edi, che possedeva dei riflessi Twi’lek ben superiori a quelli umani, a prenderla al volo. Amanita si girò verso la nuova arrivata con uno sguardo imbronciato.
“Ti sarebbe toccato ripagarmelo sai?”.
Meryl non rispose, richiese indietro la pallina e fece per sedersi in un divanetto lontano. Le altre due si scambiarono uno sguardo preoccupato e decisero di abbandonare le ostilità. Ama si sedette affianco e s’impose un tono materno.
“Senti, facciamo così. Una volta che ci avranno pagato per il lavoro, avremo i soldi per toglierci qualche sfizio. Ci compreremo una nuova nave. La sceglierai tu. Va bene?”.
Meryl non rispose. L’offerta era chiaramente allettante, ma ancora non si capacitava del fatto di aver tra le mani una nave così leggendaria e di non averla potuto pilotare neanche a un quarto d’impulso. Edi le alzò la visiera del cappello, che le stava coprendo lo sguardo, e la guardò dritta negli occhi color nocciola. “Andremo su Ryloth. Sai, lì costruiscono astronavi davvero veloci. Questa è lentissima… e poi è probabile che si sia proprio fusa del tutto. Cosa te ne faresti di un rottame simile, Emme?”.
“D’accordo”. Disse soltanto. In realtà, per quanto riguardava la velocità, sapeva che quella nave in particolare poteva essere infinitamente superiore agli Ala X dell’Alleanza, i caccia più veloci dell’universo conosciuto. Invece, per quanto riguardava il cosa se ne sarebbe fatta, aveva almeno un centinaio di rotte diverse da propinargli come risposta, ma non disse nulla per non guastare ulteriormente la situazione.
“Mi portate anche a me uno di quelli?”, disse invece, puntando lo sguardo su uno dei cocktail azzurrini che stavano bevendo le due.
Amanita, di nuovo raggiante, volò verso il bancone. Forse contenta di essere utile in qualcosa a Meryl o forse, più probabilmente, per passare altro tempo insieme al barista. Edi rimase al tavolo, continuando a fissare l’amica con un sorriso pieno di comprensione, che per la verità la infastidiva. Decise di farla parlare, così forse avrebbe smesso di guardarla come se fosse una piccola cucciola nel corso di una tempesta ormonale.
“Quanto è distante Ryloth da qui?”. Ora che le avevano fatto quella promessa, non se la sarebbe lasciata scappare.
“Oh, alla velocità della luce ci impiegheremo…”
Il comunicatore di Ama vibrò. Meryl premette il pulsante centrale. Comparve un ologramma. La sagoma di un androide della sicurezza.
“Capitano Carson sono… ah, sei tu”. La voce metallica del droide cambiò rapidamente umore. “Dici che potrebbe essere nelle tue facoltà quella di passarmi il Capitano e proprietario del comunicatore che stai abusivamente utilizzando?”.
Meryl rispose con un gestaccio.
“Al momento è impegnata, insulso pezzo di latta”.
Il droide sussurrò qualcosa. Meryl non comprese, e non chiese dettagli. Fece per spegnere la comunicazione, ma fu lo stesso Zeta a parlare.
“Sono riuscito a mettere in funzione la nave”. Disse, senza un’enfasi che avrebbe sicuramente inserito nella frase se l’interlocutrice fosse stata Amanita.
“Cosa?”. Meryl, invece, non resistette. L’euforia prese il sopravvento.
“Sono riuscito a…”.
“No idiota. Intendo, come?”.
“Attraverso la procedura di ripristino codificazioni d’emergenza dell’Impero Galattico. La nave stava utilizzando un codice originario risalente alla sua costruzione in lingua sullust che bloccava…”
“Ok, ok arriviamo!”.
“Ah, umani…”.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Trovare la Corvus non era stato affatto difficile come credevano. Avevano seguito il segnale del localizzatore fino ad un settore remoto. Avevano proseguito quasi alla cieca, guidati solo dal suono del dispositivo di tracciamento fino a quando il segnale non si era spento, rivelando un paradiso per i loro occhi. La Corvus, una Star Destroyer in miniatura, era davanti a loro. Inspiegabilmente indifesa e... disattivata. Sembrava completamente alla deriva e in balia del vuoto spaziale. Phil e Dicker si scambiarono uno sguardo perplesso, poi Taun riprese a parlare, una strana nota di preoccupazione nella voce. “Tilde scansiona la nave. Phil prepara le armi per l’abbordaggio”. “Nessuna forma di vita rilevata, capitano”. Dicker sembrò, se possibile, ancora più preoccupato. “Attiva il raggio traente. Saliamo”. Phil tornò con i blaster d’assalto e delle armature tattiche logorate dal servizio e dalla ruggine. “Non è una buona notizia?”. Il capitano scosse la testa. “Qualsiasi cosa abbia convinto i possessori a lasciare una nave del genere alla deriva, non può essere positiva per noi”. “Guardate!”, fu Tilde a parlare. La corvetta, agganciata dal raggio traente, si avvicinò alla loro nave. Dal lato posteriore spuntava una seconda navetta, prima nascosta, delle dimensioni simili alla loro. Sembrava un abbordaggio. Phil fece per parlare, ma qualcosa lo precedette. Il rombo di qualcosa di rigido che urtò contro il loro abitacolo, provocando una scossa di assestamento. “Che diavolo era?”. “Non ne ho idea. Non sono riuscito a vederlo”. “Io si”. L’androide si girò meccanicamente verso i due compagni umani. “Era un mandaloriano. Morto. E quello che sta arrivando a ore undici è un cereano, con ogni probabilità morto anche lui”. Un secondo oggetto si avvicinò rapidamente alla loro nave, questa volta poterono constatare con i loro occhi che Tilde aveva ragione. Il corpo di un cereano sbatté contro il vetro del loro abitacolo e ruzzolò via, verso l’infinito dello spazio. “Ma che...”. “Potrei azzardare due ipotesi”. Continuò Tilde. “Un guasto sulla Corvus potrebbe aver intaccato l’integrità strutturale del supporto vitale, e aver aperto i compartimenti stagni, risucchiando le forme di vita presenti sull’astronave all’esterno. Poco probabile”. “Va’ avanti”. Disse, spazientito, capitan Taun. “Oppure. Qualcuno dall’interno ha aperto i compartimenti stagni, sacrificandosi per sventare il probabile abbordaggio e la Corvus ha poi riabilitato il supporto vitale automaticamente”. Espresse, meccanicamente l’unità protocollare. “Più probabile, ma ugualmente strano”. Il Capitano tornò alla parola. “L’unico modo per scoprire la verità è andare là dentro. Sei pronto Phil?”. “Ehm. Diciamo di sì”. “Tilde, stai in guardia. Potrebbero esserci altri navi. Canale d’emergenza K23”. “Nel caso moriste...”. “Non succederà”. “Ma nella remota possibilità che...”. “Allora ritieniti libera di unirti ad un altro equipaggio. Andiamo Phil”. “Vi ricorderò sempre”. Dovettero aprirsi una varco da uno sportello secondario con la sega laser e si fecero largo nel corridoio buio della corvetta. “Dick, supporto vitale e gravità risultano attivi”. “Bene. Tieni il blaster carico e in alto. Potrebbero avere utilizzato dei dissimulatori”. Dicker Taun era pratico di quelle cose. A differenza di Phil, aveva avuto un passato da assaltatore del Nuovo Impero e sapeva come potevano andare certe incursioni. Superarono diversi ponti vuoti e bui, tutti dal design semplice e ingombro, tipico di una nave militare. Non c’era traccia di forme di vita. Pareva che la nave fosse assolutamente deserta. La plancia, si palesò davanti a loro poco dopo. Phil, che era un genio nell’hackerare i computer di bordo, si appropriò della console dei comandi e attivò la nave. Pareva un bambino sopra uno spider giocattolo, ma la sua espressione si rabbuiò all’istante. Dicker si accorse. “Cosa c’è?”. “Tilde aveva ragione Dick. La procedura è stata attivata dall’interno”. Cogan premette un pulsante. Una videoregistrazione interna mostrò la sagoma di un androide avvicinarsi ad una console e digitare qualcosa. Negli altri video si vedevano delle sagome umanoidi aggirarsi per i ponti della nave. La scena successiva mostrò la tragica fine di almeno sette pirati spaziali, risucchiati nel vuoto. “Dannazione. Questo droide è ancora a bordo!”. “Si. Precisamente dietro di voi”.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


“Vuoi rispondere, stupida lattina?”. Per l’ennesima volta, Meryl, provò a mettersi in contatto con Zeta, a bordo della Corvus, ma il droide, come le altre volte, non rispose. “Che diavolo gli prende?”, disse più a se stessa che alle sue amiche. Edi provò comunque a calmarla. “Forse è in sala macchine senza il trasmettitore”. Amanita non disse nulla, ma da quanto spingeva la Janeva, la loro nave naboo, probabilmente non condivideva il pensiero ottimistico della Twi’lek. Non era però cosi stupida da esporre le proprie preoccupazioni ad alta voce e scatenare così una delle famose crisi di rabbia di Meryl. Del resto, Ama, era convinta che fosse successo qualcosa. Zeta era un droide programmato per rispettare il rigido protocollo imperiale, ed eseguire i compiti con precisione. Il suo cervello positronico non poteva ammettere le dimenticanze. “Zeta rispondi o ti vendo ai Jawa!”, ma il comunicatore si limitò a riprodurre lo stesso suono distorto degli altri tentativi. Emme si alzò bruscamente dal sedile e senza dire niente si diresse verso la rastrelliera delle armi. “Cosa fai?”, le chiese, allarmata, Edi. Fu Amanita a risponderle mentre si alzava anche lei. “L’abbordiamo, ecco cosa facciamo”. La Twi’lek rimase impietrita, con gli occhi blu sgranati. “Ma... ma. Insomma io...”, Ama la guardò con dolcezza. Sapeva che l’amica era una pilota di navi da trasporto e vascelli commerciali. Non aveva dimestichezza con le armi. “Tu resterai qui. Ci servirà qualcuno a bordo nel caso dovessimo squagliarcela”. Edi sembrò rasserenarsi per un momento, ma la preoccupazione per ciò che stavano facendo le sue amiche prese presto il sopravvento. Fece per dire ancora qualcosa, ma Ama la interruppe mettendole affettuosamente una mano sulla spalla. “Non succederà niente. È solo una precauzione. Torneremo in un baleno”. “E con la carcassa cibernetica di quell’idiota robotico”, aggiunse Meryl, caricando il suo blaster con un rumore secco. Quando la Janeva si avvicinò alla Corvus, il trio notò due piccole navette, incollate alla corvetta. Ama diede ordine di analizzare lo scafo, Edi e la sua voce tremante informò il gruppo. “Due forme di vita rilevate, capitano”. Amanita Carson ebbe la conferma che qualcosa non andava. Con due astronavi incollate allo scafo, sarebbero dovuti esserci sicuramente più uomini a bordo. A meno che non fossero due gruppi rivali e avessero già dato inizio allo scontro. E Zeta? Non osò continuare la riflessione. “Dobbiamo muoverci”, sentenziò, prendendo una sfera dalla rastrelliera delle armi. I boccaporti della Corvus erano tutti chiusi, perciò dovettero farsi strada manualmente. Fortunatamente, essendo state le proprietarie di quella nave per qualche giorno, conoscevano lo scafo abbastanza da individuare il ponte d’accesso della plancia. Se i calcoli di Meryl fosse stati giusti, si sarebbero trovati esattamente sopra. Meryl raccolse i capelli fulvi in una coda e si diede da fare, armeggiando con lo sportello esterno. In breve lo aprì e si intrufolò voracemente. Ama la sgridò, facendo del suo meglio per farsi sentire nonostante il tono di voce necessariamente basso: “Vuoi darti una calmata, Emme? Se ci sentono siamo fritte”. “Se ci sentono, sono fritti loro”. Rispose l’altra, ora armeggiando con l’ultimo sportello appena sopra la sala comandi. Amanita fece per dire ancora qualcosa, piccata, ma qualcosa scattò, ridando energia per tutto il corridoio. La nave era appena stata riattivata. Le due si guardarono negli occhi, allarmate. Chiunque fosse a bordo della nave, ora non era più cieco e ci avrebbe messo poco a individuarle. “Muoviamoci!”. Meryl aprì lo sportello con uno strattone e si calò dabbasso. Atterrò proprio al centro esatto della cabina, in mezzo a due sagome. L’unica cosa che vide prima di essere agguantata da uno dei due, fu Il loro androide, con il dito meccanico su un pulsante di una console. “Zeta?”. “Prendila Phil!”. “Cosa...”. Si sentì strattonare all’indietro e un braccio le portò via il blaster. Subito dopo sentì la canna di un’arma premuta contro la tempia. Fu l’altro uomo a parlare, riferendosi a Zeta. “Togliti da lì e non faremo del male alla tua amica”. L’androide sembrò impiegare diverso tempo a reagire, come se stesse soppesando diverse variabili. Con voce atona, alla fine, rispose: “Amica? Non conosco quella... donna. È una donna tra l’altro? Sembra un maschietto”. Dicker ridacchiò acidamente. “Non fare l’insulso. Ti ha chiamato Zeta”. “E chi sarebbe Zeta?”. “Un droide che vuole essere disintegrato, evidentemente”. Aggiunse Phil. “Non se prima dovessi premere questo pulsante, immagino”. Dicker puntò meglio il suo blaster in direzione della testa di Zeta. Phil dal canto suo, stava facendo una notevole fatica a tenere a bada la ragazzina sua prigioniera. “Vuoi smetterla? Vogliamo solo questa nave”. Tentò di calmarla il suo rapitore. “La mia nave intendi?”. Rispose lei, tentando di mordere la mano del ragazzo. “Basta!”. Decretò Dicker, il blaster ancora puntato contro il droide della sicurezza. “Se premi quel pulsante moriremo tutti”. “Oh, non io. Io sopravvivo allo spazio”. “Ma non ad un colpo in testa”. “Provaci”. “Non sfidarmi, pezzo di latta!”. Erano chiaramente in una situazione di stallo. Seppure a fatica, immerso com’era in una sfida di resistenza contro la ragazza, fu Phil Cogan a provare a ragionare. “Non deve per forza finire così. Lasciateci la nave e vi daremo una parte”. “Che ti salta in testa?”. Gli sbraitò contro il suo capitano. “Meglio metà che niente!”, cercò di mediare Phil. “Che pirati coi fiocchi che siete”, staffilò la ragazza ostaggio, velenosa. Sembrava fossero ancora punto a capo quando fu Zeta a parlare. “Se qualcuno sta aspettando il momento giusto. Potrebbe essere questo”. Disse, criptico. Dicker sgranò gli occhi per l’incomprensione. Fece per parlare quando qualcosa simile ad una sfera di metallo ruzzolò giù dal portello ancora aperto. Dicker comprese troppo tardi di ciò che si trattava e fece appena in tempo a lanciarsi dietro una postazione. La bomba accecante esplose di luce e per alcuni, intensi, secondi si vide solo una accecante luce dorata. Quando Dicker riuscì a mettere a fuoco vide Phil, con l’ostaggio ancora tra le mani, e una ferita sanguinosa in volto, segno di una colluttazione con la ragazza, l’androide vicino alla postazione e... una terza figura, che gli stava puntando il suo fucile contro. “Ciao carino!”. Dicker dovette buttare a terra il suo blaster, ma non rinunciò alla sua ironia tagliente. E nemmeno all’uso di una buona dose di fantasia. “Siamo da capo e fra poco arriveranno i rinforzi”. La nuova arrivata ridacchiò. “Certo. Sai quante ne ho sentite di storie simili? Tutti hanno dei rinforzi in arrivo appena gli punti contro qualcosa”. Taun rispose prontamente. “Ma è vero. Sono in arrivo e se non ci lasciate subito...” Qualcosa interruppe le parole del mercenario. Un’allarme proveniente da una postazione poco lontana. Phil, che era il più vicino, strattonò Meryl e si avvicinò alla console. Lesse dal monitor: “Una nave in arrivo”. “Visto? Fate ancora in tempo ad andare per la vostra strada”, Dicker fece del suo meglio per nascondere la sorpresa, e si dipinse uno sorriso colmo di soddisfazione improvvisata. Per un attimo, Amanita Carson si sentì persa. Durò fino a quando un incrociatore non uscì dall’iperspazio proprio davanti a loro, seguito da diversi caccia ala x. Questa volta fu Amanita a sorridere. “Mi sentite?”, gracchiò il comunicatore. “Navetta Corvus e pirati da strapazzo al suo interno, mi sentite?”, il comunicatore si illuminò e si spense ancora. Nessuno sulla Corvus sembrò propenso ad abbassare le armi per rispondere. “So che mi sentite. Sono Poe Dameron, della flotta della Repubblica. Lasciatevi abbordare e non apriremo il fuoco”. /Spazio autore/ Ciao amici e amiche come va? Vorrei tanto sapere se vi sta piacendo la mia fan fiction. Se vi siete fatti già dei personaggi preferiti o, anche, se ci sono già personaggi che odiate. Ho davvero tanta voglia di leggere i vostri feedback, non fatevi problemi! A presto! Ale.

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