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Lista capitoli: Capitolo 1: *** The girl of the bench *** Capitolo 2: *** The boy of the chocolate ice cream *** Capitolo 3: *** The girl with the book *** Capitolo 4: *** The boy with blue eyes *** Capitolo 5: *** The boy and the girl in the park ***
Canzone
scelta:Whenyousaynothingatalldi Ronan Keating
Personaggi e Pairing:
Naruto Uzumaki. Hinata Hyuga. Konohamaru, Udon e Moegi. Un po’ tutti. NaruHina. SasuSaku. Accenni lievissimi a KibaHina
e KibaIno.
Genere:
Romantico. Commedia. Song-fic.
Rating:
verde.
Avvertimenti:
Alternative Universe.
Introduzione:
Sospirò, trasognata, e rimase in quella posizione per un lungo momento prima di
tornare al suo libro. Era appena arrivata ad un punto di svolta nella storia
quando, come non molto tempo addietro, un’ombra le si parò dinanzi, catturando
così la sua attenzione. Guardò in alto e il cuore, ancora una volta, le si
fermò nel petto davanti a due scintillanti occhi di un azzurro fuorviante.
Lui
era lì, con un sorriso alle labbra e il volto impiastricciato di cioccolata.
“Posso
avere un fazzoletto?”
Note dell’autore:
l’intera fanfiction si vuole concentrare sul rapporto particolare tra Naruto ed
Hinata, soffermandosi in particolare sull’effetto che l’entrare nelle reciproche
vite ha apportato all’altro. Per la scelta dell’ambientazione, mi sono riferita
al video e al film portavoce della canzone, limitando così l’intera storia ad
un unico background. Per la scelta del titolo, il ‘movente’ è un’esperienza
personale, a dire il vero, e di conseguenza chi è alla ricerca di congruenze
con NottingHill, non credo ne troverà poi molte,
escluso il parco e la panchina (ma anche questa non si combina con quella del
film). In tutto sono cinque capitoli, con un brevissimo spezzone a farne da
apertura per ognuno di essi.
Can I have a tissue?
“Sei
sicuro di voler venire a vivere qui?”
Sakura
lo fissava, un sopracciglio inarcato e l’aria corrucciata.
“Sì!
Perché? Non ti piace?”
“No,
cioè sì...non è questo. È che non ti ci vedo a vivere qui, ecco.”
“Non
ti ci vede nessuno, a vivere qui.”
Borbottò
Sasuke alle loro spalle, stringendo con noncuranza un fatiscente scatolone.
Naruto
rise, rise sguaiatamente.
“Io
invece penso che mi troverò benissimo, qui!”
#1: The girl of the bench
It's amazing
How you can speak
Right to my heart
Without saying a word,
You can light up the dark
Try as I may
I could never explain
What I hear when
You don't say a thing
Naruto
non era mai stato un attento osservatore.
Tendeva
a dimenticare le cose, a farsi sfuggire i particolari. Era troppo distratto,
troppo sbadato, troppo esuberante per soffermarsi sui dettagli. Naruto era troppo di tutto, ecco.
Sasuke
glielo ripeteva in continuazione, sottolineando soprattutto i troppo negativi.
Sakura era appena un pochino più democratica e, ma proprio ogni tanto, si
lasciava sfuggire anche qualche bella parola dopo l’aggettivo indefinito.
Eppure
quel parco posto al centro esatto del sobborgo era stato come una calamita per
lui.
L’aveva
adocchiato durante il trasloco e c’era andato di primo mattino al suo primo
weekend nella casa nuova, in quel quartiere demodé pieno di ricconi con la
puzza sotto al naso.
Aveva
varcato la soglia del cancelletto con aria tronfia e aveva sorriso fin troppo
audace ad ogni occhiata perplessa ricevuta.
Mentre
camminava a testa fieramente alta, zainetto in spalla e aria sciatta in viso,
non si stupì di come potesse quasi sentire le mute domande che affollavano le
menti compassate di tutte quelle persone. Che
ci fa un tipo così squinternato in un posto come questo? Deve essersi perso,
non è adatto per questo quartiere. Non c’entra niente con noi. E Naruto,
ovviamente, lo sapeva che era così, che avevano ragione.
Un
monolocale in pieno centro: questo sarebbe stato da lui.
Un
appartamentino piccolo, caotico e, perché no, persino cadente avrebbe potuto
rendergli giustizia. Lì uno come lui ci sarebbe andato a nozze. Avrebbe fatto
casino tutte le sere, organizzando una sfilza di party da quattro soldi, e la
mattina sarebbe uscito con il sole già bello alto in cielo, il Borsalino
calcato sui capelli arruffati e la maglia come sempre a rovescio.
In
quella zona residenziale ed isolazionista, invece, il suo solo abbigliamento
suscitava scalpore. Se solo non fossero stati tutti tanto perbenisti e con un carrello
educativo tanto rigido alle spalle, Naruto avrebbe giurato si sarebbero messi
ad urlargli contro di andarsene. Avrebbe fatto sfigurare il quartiere e,
insomma, vestirsi un po’ meglio non aveva ucciso mai nessuno, no?
Ma
anziché ferirlo e farlo scappare a gambe levate da un posto che sapeva di
virginale pudore, tutti quei commenti non detti, tutti quegli sguardi eloquenti
lo capacitavano a rimanersene proprio lì. Magari, se lo avessero ignorato
anziché accusarlo con occhiate di rimprovero, avrebbe fatto le valigie già dal
primo istante. Perché lui era fatto in questo modo; quando vedeva una sfida ci
si buttava a capofitto dentro e più tentavano di screditarlo, più se la legava
al dito e continuava con i suoi comportamenti fuori dagli schemi.
Figuriamoci,
in un quartiere del genere ogni suo atteggiamento risultava essere sovversivo e
antieducativo. E Naruto rideva, sì. Si sganasciava dalle risate quando
intercettava gli sguardi carichi di una malcelata avversione della gente e
sorrideva sardonico quando le mamme, per far capire ai figlioletti di aver
assunto una condotta inidonea a quel tipo di società blasonata, indicavano lui
come termine di paragone.
Solo
per questo, se avesse potuto, avrebbe baciato quel maniaco di Jiraiya. Il suo Ero-Sennin, quel vecchio bastardo del suo tutore che gli
aveva lasciato il suo splendido appartamentino nel quartiere più prestigioso di
Tokyo, Konoha, per andarsene in giro per il mondo a pubblicizzare il suo
nuovissimo libro sulle pomiciate per un tempo indecifrabile. Gli aveva
garantito talmente tante di quelle risate da farne una valida abbuffata fino ai
prossimi dieci anni.
Scosse
il capo e lasciò fuori dal cancelletto ogni altro pensiero, seriamente
intenzionato a godersi il più possibile quell’oretta di libertà prima di dover
correre a casa alla ricerca della sua strimpellante chitarra e di nuovo giù al
garage di quel mattoide di Kiba per le prove. L’aria fresca di primavera gli
solleticava il volto, furbetta, per poi scivolare via e scomparire oltre le sue
spalle, in un circolo vizioso che tuttavia non riusciva a stancarlo. Presto,
valutò rimanendo bloccato a metà strada, sarebbe arrivata l’estate e con essa
il caldo, il mare, la spiaggia, le vacanze e, di conseguenza, meno gente in
giro per le strade. Naruto amava l’estate. Tra le quattro, quella era senza
ombra di dubbio la sua preferita.
“Scusi
signore, potresti passarci il pallone?”
Alzò
il capo verso la parte centrale del parco e vide, proprio nel mezzo, un trio di
ragazzini che lo fissavano in attesa di qualcosa. Abbassò il capo sui suoi
piedi e solo allora notò la sfera bianca e nera che, intanto, si era fermata
proprio accanto a lui. Sorrise furbescamente e, chinandosi, raccolse con una
mano il pallone da calcio.
“Ehi,
voi ragazzetti, che dite se vi stracciassi?” Propose, negli occhi uno
scintillio che aveva qualcosa di selvatico.
“Nei
tuoi sogni, forse!” A rispondergli, dopo un attimo di evidente smarrimento in
cui l’intero parco era caduto nel silenzio più carico e le occhiatacce verso di
lui si erano sprecate, era stato quello che appariva come il più intelligente
tra i tre, oltre che il più sfrontato.
Naruto
ridacchiò al commento, calcando meglio sopra la testa il Borsalino ingrigito.
“Scommettiamo?”
E
prima ancora di poter ricevere risposta, aveva abbandonato con un lancio da
manuale lo zainetto in un angolo ed era corso, palla al piede, verso il
terzetto.
“Vediamo
di che siete capaci, voi tre nanerottoli!”
“Noi
abbiamo un nome!” Si lamentò quello di prima, arrabbiato.
“Davvero?”
Alzò un sopracciglio Naruto, al limite della buona educazione.
L’altro
annuì. “Io sono Konohamaru e loro sono Udon e Moegi.” Fece le dovute presentazioni, indicando
rispettivamente un bambino occhialuto e una ragazzina dagli stopposi capelli
rossicci. “Mentre tu, nonnetto, saresti..?”
Sorrise;
bene: sfacciato e anche impertinente. “Naruto Uzumaki. Segnati questo nome per
quando vincerò, pigmeo!” Così dicendo, con un colpo di tacco, gli fece passare
il pallone tra le gambe, come un allocco, e lo superò diretto alle due scarpe
poste l’una ad una distanza di qualche metro dall’altra che, con una buona dose
d’immaginazione, dovevano essere i pali della porta.
Se
ci fosse stato Sasuke, con lui, lo avrebbe con ogni probabilità deriso per il
suo comportamento immaturo ed esibizionista. Sakura, invece, con la solita
grazia avrebbe preferito rifilargli un pugno in pieno viso e trascinarlo
ansante via dal parco. Inoltre Naruto era abbastanza certo che molte persone,
lì dentro, non aspettavano altro che il momento propizio per sbatterlo fuori,
indispettiti dal suo libertino e poco consono modo di fare.
Anche
mentre giocava a calcio con quei tre ragazzini, era facile sentire gli sguardi
di fuoco che gli divampavano addosso ed era proprio prendendo forza da essi se
le sue capriole si facevano sempre più spettacolari e i palleggi da capogiro.
Lo avevano messo al centro dell’attenzione? Perfetto, se lo tenevano.
“Attento!”
La voce di Moegi fu l’ultima cosa che udì prima che
qualcosa gli sbattesse violentemente sul viso, oscurandogli la vista per un
lungo istante e facendolo precipitare rovinosamente col sedere a terra.
“Ahi!”
Si lagnò, massaggiandosi prima le natiche doloranti, poi il naso.
“Ti
sei fatto male?” Gli domandò subito la ragazzina, preoccupata.
“Forse
dovresti farti vedere.” Obiettò pratico Udon,
sistemandosi con un dito gli occhiali sul naso adunco.
“Che
pivello, non era neppure tanto forte!” Incrociò invece le braccia al petto
Konohamaru, risentito.
Solo
in quel momento, vedendo una chiazza rossastra allargarsi sull’erbetta e
strofinando una mano sotto al naso, Naruto capì che stava sanguinando.
“Che
palle!” Borbottò, alzandosi in piedi per guardarsi attorno, freneticamente,
alla ricerca di qualcuno o qualcosa in particolare.
Saltellò
con lo sguardo su ogni millimetro quadrato di giardino, scartando e
selezionando chi tra i tanti potesse fare al caso suo e alla fine, proprio
quando stava per arrendersi ad avvicinarsi alla tipa col bimbo, si accorse
della ragazza mingherlina seduta su una panchina al limitare del parco. Non si
soffermò tanto di più sui capelli nerissimi quanto sulla borsa riposta accanto,
perché, dopotutto, non era mai stato bravo con le minuzie. Né lei parve
accorgersi del fatto che lui le si stesse avvicinando, immersa com’era tra le
pagine di un vecchio libro dall’aria minacciosa.
“Ehm...
Non è che posso avere un fazzoletto?” Domandò a bruciapelo, dritto al sodo come
gli era congenito fare.
Le
si era fermato davanti, ponendosi a barriera tra lei e i raggi caldi del sole,
incurante e ignorando di poterle arrecare fastidio così facendo. D’altro canto
lei, assorbita dalla lettura, ci mise un po’ ad accorgersi del cambiamento e a
capire che sì, si stavano rivolgendo proprio a lei. Qualcosa come un lieve tic
al sopracciglio destro, l’aveva indotta a valutare l’ipotesi e ad alzare il capo,
con lentezza disarmante, per puntare due inusuali iridi glicine su di lui.
Naruto l’aveva vista passare, nel giro di una manciata di secondi, da
un’accentuata frastornazione ad un goffo imbarazzo, salito su lungo il collo e
sviluppatosi in una deliziosa macchia rossastra su ambedue le guance.
Intanto
il sangue continuava a venir giù dal naso e a colargli lungo le mani, sul
braccio, ricadendo in gocce rossastre sull’erba.
“Oh,
s- sì. C- Certo!” Trillò dopo una lunga esitazione lei, rianimata dall’inarrestabile
scia vermiglia, mentre con ambo le mani snidava un pacco di fazzolettini dalla
borsa di paglia. “E- Ecco.”
Gli
porse il fazzoletto e Naruto si affrettò a prenderlo, per poi tamponarsi il
naso con quello. Per un momento il suono leggero, quasi inudibile della sua
voce lo aveva lasciato con la bocca aperta, come trasognato. Era abituato alle
parole della gente, a sentirsi immerso e a fare al contempo parte di quel fiume
di chiacchiere, ma era la prima volta che sentiva una vocina tanto delicata,
quasi trasparente.
“Te
lo restituirò!” Promise, con un sorriso largo, prima di darle le spalle e
correre verso Konohamaru e gli altri, mentre il viso di lei scivolava via da
ogni pensiero e la pelle di porcellana, e gli occhi grandi, e i capelli della
notte che tanto l’avevano colpito diventavano un ricordo già troppo vecchio, da
rilegare in qualche angolo polveroso della sua scarsa memoria.
“Ti
muovi o no, vecchiaccio?”
≈♦≈♦≈♦≈
Stento ancora a crederci, sul serio.
Vero che sono una disfattista cronica
per natura, soprattutto –per non dire esclusivamente- quando si parla di me. Ma
è anche vero che non avevo mai scritto, prima, una fanfiction dove Hinata non
sia di Neji. E poi, diciamocelo, tendo ad essere un tantino perfezionista
quando mi ci metto e, ergo, ho dovuto riscrivere la fanfiction una decina di
volte buone (tanto più che all’inizio sarebbe dovuta essere una NaruINO, con un
altro contesto, altra ambientazione, altra canzone...tutta un’altra faccenda,
insomma).
Un simile risultato, però, no, non me lo sarei mai aspettata. Mai e
poi mai. E ne sono davvero contenta. Beh, ‘contenta’ è un eufemismo bello e
buono, a dire il vero. Elettrizzata, entusiasta ed eccitata dovrebbero rendergli
maggiore giustizia, credo.
Ma veniamo alla storia.
Sono cinque capitoli in tutto dove il
punto di vista di Naruto si alterna a quello di Hinata e viceversa fino alla
fine.
Se posso dare un consiglio spassionato,
ascoltate la canzone se potete. È divina. Divina. *-*
Colgo l’occasione, inoltre, per
ringraziare le giudici bambi88 e LalyBlackangel, sia per l’impegno profuso, sia
per la celerità nel rispondere a qualsiasi tipo di domanda –anche le più
stupide, sì- e per la pubblicazione dei risultati, sia per la serietà e,
infine, per gli splendidi bannerini. Li adoro! ^-^
E poi volevo complimentarmi anche con le
altre podiste, Hotaru e Valy88, e con ValeHina e Iledesu. È stato fantastico concorrere
con voi!
Perciò non mi rimane che eclissarmi,
almeno per il momento, e darvi appuntamento al prossimo capitolo. Intanto,
sotto, vi lascio i bannerini del concorso.
Capitolo 2 *** The boy of the chocolate ice cream ***
“Ma
che ci trovi di bello in quel parco? È noioso.”
Hanabi,
in piedi sulla porta, la fissò con aria scettica, quasi scocciata.
Hinata
sorrise discretamente alla domanda, ripensando ad un paio di occhi azzurri in
particolare.
“È...è
d- divertente invece. Ci sono m- molte p- persone.”
“Se
neppure ti piace stare con troppa gente!”
Hanabi
sbuffò spazientita, per poi farsi particolarmente audace ad un’acuta
osservazione.
“Non
ti piacerà qualcuno, vero?”
Hinata
arrossì, come prevedibile, senza però perdere il buonumore nell’avvicinarsi al
portone d’ingresso.
“Non
dire sciocchezze, Hanabi!”
Eppure,
valutò la sorella minore, nel dirlo non aveva balbettato ad una sola parola.
#2: The boy of the chocolate ice cream
The smile on
your face
Lets me know
That you need me
There's a truth
In your eyes
Saying you'll never leave me
The touch of your hand says
You'll catch me
Whenever I fall
You say it best
When you say
Nothing at all
Hinata
aveva sempre saputo di essere una ragazza fin troppo obbediente.
A
sei anni, quando suo padre aveva stabilito l’insegnamento privato per lei,
aveva chinato il capo e, trattenendo a stento il groppo alla gola, aveva
annuito. Poi era salita in camera sua, aveva aperto l’armadio e vi aveva posato
lo zaino nuovo di zecca che era andata a comprare proprio quella mattina. Senza
versare una lacrima, né sbattere i piedi a terra come avrebbe fatto invece sua
sorella.
Qualche
notte, nei sogni, aveva immaginato di poter essere una bambina normale e di
andare a scuola come tutti gli altri. Di avere degli amici – di quelli veri, di quelli che non si limitano a
fissarti con quegli enormi bottoni neri – e di poter usare la sua bella cartella.
Ma inesorabilmente il tutto era scivolato via di mattina, quando i raggi pigri
del sole a solleticarle il viso parevano ricordarle che non c’era tempo per
certe sciocchezze, che Kurenai-sensei la stava
aspettando per la lezione riservata.
Così
Hinata si ritrovava ad avere diciassette anni e nemmeno uno straccio di amico
con cui condividere gioia o dolori. Lei faceva scappare le persone, lo sapeva
bene. Una volta, a undici, dodici anni, la sua vicina di casa Tenten l’aveva
invitata ad un pigiama party. Tenten era stata l’unica ragazza, in qualche
modo, a dimostrare una certa predisposizione a volerle essere amica. Eppure,
quando aveva avanzato l’idea a suo padre, non aveva detto una singola parola
dinanzi alla sua netta negazione. Le
ragazze dabbene non perdono tempo in queste attività futili. Va ad allenarti con
l’Ikebana, piuttosto. Pigiama party...che sciocchezza. Quella sera era
rimasta nella sua stanza, a contare le stelle appena visibili in cielo, e così
anche la sera dopo, e quella dopo. Alla fine, dopo aver collezionato una serie
innumerevole di rifiuti, anche Tenten aveva finito per stancarsi di lei e aveva
smesso di chiamarla. Hinata non aveva mai provato risentimento per questo, al
contrario. Era rimasta persino colpita della determinazione con cui aveva
insistito con lei per tutto quel tempo.
Lei,
al contrario, non poteva certo definirsi una persona determinata.
Chiunque
avesse avuto la costanza di parlarle per più di cinque minuti, avrebbe imparato
che, nonostante le varie somiglianze genetiche, Hinata non aveva nulla a che
fare con il resto degli Hyuga. Non era fredda, non sapeva essere distaccata
neppure a mordersi la lingua. Non sapeva fare niente in particolare e non era
neppure un’eccellente studentessa. Nella norma, questo sì, senza mai un solo
primato in una qualche attività. Ed era sensibile, così tanto da risultare
persino fastidiosa, quando di fama uno Hyuga sapeva attraversare gli insulti
peggiori a testa alta senza dare segno di averne accusato alcuno. Suo cugino
Neji, ecco. Lui sì che era uno Hyuga perfetto. Lei, invece, era soltanto una pallida,
malriuscita e ridicola imitazione di quello che sarebbe dovuta essere.
Qualche
volta Hinata si era illusa di aver ereditato almeno il dono del silenzio dalla
sua famiglia, ma non di recente aveva appurato di aver speso tempo dietro
all’ennesima utopia.
I
silenzi degli Hyuga erano incisivi, così taglienti da incutere un rigido timore
riverenziale a chi ne subiva gli effetti.
I
silenzi di Hinata, invece, erano imbarazzanti, perché sapevano di mille parole
incapaci di venir fuori e di un’altra infinità di cose tutte insieme.
Perciò,
dopotutto, aveva dovuto rassegnarsi all’evidenza e capacitarsi – come se ce ne
fosse stato mai veramente bisogno – di essere una fallita. Di non avere niente,
niente di speciale. Nemmeno una
piccola peculiarità. Nemmeno un po’. Nemmeno niente.
Forse,
se si fosse presa la briga di uscire di più ogni tanto, avrebbe sentito dire
qualcosa in più sul suo conto. Forse si sarebbe fatta trovare preparata,
insomma, se solo l’avesse saputo almeno un pochino prima. Forse non sarebbe
rimasta tanto colpita quando, avvertendo il cono d’ombra precipitatole ad un
tratto addosso, aveva incontrato i suoi occhi di un azzurro infinito.
O
forse no, forse sarebbe andato tutto allo stesso identico modo, forse, forse...
Hinata
non poteva di sicuro saperlo mentre, con un sospiro, prendeva posto sulla sua
amata panchina, quella nell’angolo più remoto del parco, quella meno visibile.
Ecco,
era proprio quello il punto. Perché proprio lei? Tra tante persone, lui era
andato da lei. Lei che, in tutta la
sua vita, non era mai stata scelta per niente. Non che questo potesse lasciarla
illudere di essergli rimasta, in qualche modo, impressa nella mente. Troppo
anonima. Troppo. Troppo, troppo anonima.
E
andava bene anche così, dopotutto. Non chiedeva tanto. Che, Elena era stata
amata subito dal suo Demetrio? *
A
lei bastava poter rimanere sulla panchina a guardarlo mentre, con sterminata
noncuranza, si beffava del mondo. Non hai
paura... – avrebbe voluto potergli chiedere – ...non hai mai il terrore di rimanere solo? Ma i suoi erano solo
pensieri che si inabissavano con un singulto insieme a tutte le altre
osservazioni non dette, rimanendo semplicemente a guardarlo, con occhi mai saturi
di tanta sfrontata insolenza, desiderando talvolta di poter avere – un giorno,
chissà – lo stesso coraggio nell’affrontare le cose. La vita.
Perché,
infondo, la verità stava tutta lì: quel ragazzo dagli occhi del cielo e i
capelli del grano, con quelle buffe cicatrici a segnargli le guance e l’aria
impenitente cucita ad arte...sì, quel ragazzo, lui, la sapeva affrontare la
vita. Più di lei, più di suo padre che si nascondeva nel suo potere, più di sua
sorella che si infilava in vestiti già troppo grandi, più di suo cugino che se
la prendeva col destino, più di tutti gli Hyuga, più di tutti quelli convinti
che Konoha fosse il quartiere ideale in cui vivere. Più di tutti loro, sì.
Hinata
lo studiava con attenzione ogni giorno dal suo piccolo lembo di mondo. Lo
vedeva gareggiare scorrettamente con bambini più piccoli di lui e pavoneggiarsi
dinanzi alla sua indiscutibile vittoria, incurante delle occhiate di diniego
degli altri. E sorrideva, perché non aveva mai visto nessuno così, e con un
sospiro già sognava di poter fare la stessa cosa, prima o poi, anche se sapeva
che quel giorno non sarebbe arrivato mai.
Tutto
sommato, Hinata aveva sempre saputo di essere una ragazza fin troppo
obbediente.
Eppure
questo non le impediva di fantasticare, no? Di immaginare una realtà
alternativa dove una lei più intraprendente e meno passiva afferrava con
decisione le redini della propria vita, indifferente al giudizio della sua
famiglia, insofferente alle occhiate della gente. Una lei che, ad ogni occhiata
se ne rendeva sempre più conto, assomigliava in modo incredibile a quello
stesso ragazzo che, nel giro di poche settimane, aveva saputo riempire e
sconvolgere ogni pensiero.
Scosse
il capo mentre rastrellava il suo amato libro dal fondo della borsa. Aprì al
segno e si accorse, non senza un certo stupore, di essere rimasta alla pagina
cinquantuno. La stessa da giorni. Non era andata avanti di una sola, singola
frase. Nonostante si recasse in quel parco a leggere ogni singolo giorno.
Come
era possibile?
E
la risposta arrivò ancora con la sua inoppugnabile vitalità.
“Ehilà
bambocci! Pronti per l’ennesima sconfitta?”
Eccolo,
si disse con un sorriso che velocemente andò ad aprirsi sulle labbra scarlatte,
era arrivato.
Alzò
la testa e si soffermò per un lungo istante sull’immagine distante del ragazzo
che, solo arrivando, aveva fatto storcere parecchi musi. Borsalino bene in
testa e abbigliamento trascurato, come proprio non si conveniva ad un quartiere
simile. Eppure Hinata, anziché disapprovare come il resto delle persone lì dentro,
sorrise di pura contentezza. Era lui. Era lì. Era ancora lì.
“See, ti piacerebbe!”
“Sei
in ritardo!”
“E
quando mai è puntuale, Moegi?”
“Hai
ragione, Udon.”
“Quel
vecchiaccio non ha il minimo senso della puntualità, figuriamoci!”
“Ehi,
guardate che vi sento! Hai capito Konohamaru? Vecchiaccio io, tsk!”
Lui
si scaldò dinanzi a quella vagonata di improperi a domicilio e lei, nel suo
arco di spazio, non poté fare a meno di ridacchiare, arrossendo appena dietro
le dita sottili. Nessuno sembrava darle peso ma, se a qualcun altro avrebbe
dato fastidio, Hinata ne era addirittura sollevata. Non era brava a stare al
centro dell’attenzione, era più brava ad osservare gli altri, ecco.
“Sentite
questo rumore? È quello dei gelati! Chi vuole un gelato?”
Aguzzò
a sua volta l’udito e sentì, proprio oltre le alte siepi che costeggiavano il
parco, la canzoncina monotona del gelataio. Quando ritornò sull’insolito
quartetto, rimase con l’amaro in bocca nel non ritrovarli più nel posto in cui
per un solo secondo li aveva lasciati. Allora assottigliò le palpebre e si
sforzò di mettere a fuoco quanto più poté, rintracciandoli così a qualche metro
di distanza, mentre con ogni probabilità si sfidavano a chi corresse di più.
Sospirò,
trasognata, e rimase in quella posizione per un lungo momento prima di tornare
al suo libro. Era appena arrivata ad un punto di svolta nella storia quando,
come non molto tempo addietro, un’ombra le si parò dinanzi, catturando così la
sua attenzione. Guardò in alto e il cuore, ancora una volta, le si fermò nel
petto davanti a due scintillanti occhi di un azzurro fuorviante.
Lui
era lì, con un sorriso alle labbra e il volto impiastricciato di cioccolata.
“Posso
avere un fazzoletto?”
≈♦≈♦≈♦≈
* Riferimento a “Sogno di una notte di
mezza estate”, di W. Shakespeare.
Vi ho fatto attendere un po’ –e me ne
dispiace davvero- ma finalmente eccovi il secondo capitolo. Come avrete notato,
stavolta la visuale passa ad Hinata. Dirò che scrivere questo capitolo in
particolare ha richiesto molta più fatica del previsto, nel senso che
immedesimarmi in Hinata e rendere ogni punto di vista come lo vede lei ma come
lo immagino io, beh, è stato. E perciò
mi piacerebbe sapere ancor di più cosa ne pensate, se ho fatto, diciamo, un
buon lavoro o meno.
Già che mi trovo, colgo la palla al
balzo per ringraziare le persone che si sono fatte sentire lo scorso capitolo. Dunque:
·A valehina volevo dire grazie, semplicemente. Le tue parole mi
hanno fatto spuntare il sorriso sulle labbra –come una scema- e mi hanno
scaldato il cuore. Mi piace sapere che quello che sento scrivendo, in qualche
modo riesce ad arrivare a chi lo sta leggendo. Ecco, credo che sia questo il
punto fondamentale. Non serve a niente scrivere se non si riesce a far capire
all’altro cosa si sta vedendo in quel
momento. Per quanto riguarda la scelta dei capitoli, ti dirò che all’inizio
doveva essere una one-shot, ma poi la storia è venuta fuori da sé. Animata di
vita propria. E poi volevo contrapporre la visione della vita di Naruto con
quella di Hinata, il che alla fine mi ha definitivamente convinta a puntare su
una tale scelta. Spero che continuerai a seguire la fanfiction, ad ogni modo, e
a farmi sapere, se non ti chiedo troppo. E tranquilla, i complimenti te li sei
meritati appieno. Mi è piaciuta davvero
la tua fanfiction, te l’assicuro!
·A LalyBlackangel volevo rassicurarla perché
sei sulla buona strada per farmi amare questo pairing. Strano, stranissimo per
una fan sfegatata dello Hyugacest, il mio primo vero colpo di fulmine da quando
ho scoperto il fandom di Naruto. Eppure, rivalutando le NaruHina, ho trovato
parecchi punti su cui ricamarci sopra qualcosa. Parecchi. Non me l’aspettavo e
sì, lo ammetto: me ne sto innamorando a mia volta. Ah, grazie mille per il
contatto MSN! ^//^ Felicissima dello scambio e, tale ragione, ti lascio il mio:
a_melania@hotmail.it
.
·A kry333 ringrazio –ancora una volta, sì,
sono noiosa e ripetitiva- per la recensione e per i complimenti. Me,
onoratissima! Spero che questo secondo capitolo non ti abbia delusa –io nutro
ancora qualche dubbio, a dire il vero- e continuerai a seguirmi. E, perché no?,
a recensirmi se ti va! ^.-
·A hotaru, infine, chiedo scusa per non
essere ancora riuscita a leggere la tua storia. Mi farò perdonare quanto prima,
questa è una promessa che voglio farti. Mi piace leggere anche le altre storie
che hanno partecipato al mio stesso contest, di modo dal rapportarmi con altre
prospettive. È semplicemente fantastico come, una stessa cosa, può essere vista
e analizzata in mille e più sfumature diverse. E poi volevo anche ringraziarti
per la recensione e per le splendide parole che mi hai rivolto. Sono commossa,
sul serio! Ç.Ç Come dicevo, è stupendo sapere di essere riuscita a far “vedere”
quello che intendevi. E questo è il secondo capitolo. Il secondo di cinque. Spero
ti piaccia, di aver reso giustizia alle tue parole, in qualche modo.
Non voglio scocciarvi ulteriormente e,
perciò, approfitto solo per ringraziare le persone che hanno aggiunto a
preferiti –me eternamente grata! *-* -, a seguiti o che hanno semplicemente
letto. Siete deliziosi, come i marshmallow! >.< E con questo rimando il
resto al prossimo capitolo che, prometto, tenterò di postare il prima
possibile.
“Certo,
certo... Grazie a me, per forza, è evidente...”
“Ma
chi vuoi che li legge i tuoi libri di merda!”
“Piccolo
ingrato! Aspetta che torni e ti faccio le scarpe! Tsk!”
“Sì,
ceeerto...come no! Stammi bene, Ero-Sennin!”
“Ehi,
Naruto, aspetta, non riattacc-TUTUTU”
#3: The girl with the book
All day long
I can hear people
Talking out loud
But when you hold me near
You drown out the crowd
(The crowd)
Try as they may
They can never define
What's been said
Between your
Heart and mine
“Accipicchia
amico, questo sì che è un signor giardino! Non come quel fazzoletto di terra
giù da noi! Quello non passa neppure per aiuola, figuriamoci.”
“E
dovresti vedere che tipi ci sono!” Rise rozzamente Naruto, al solo ripensarci.
“Tutti fricchettoni, gente con la puzza sotto al naso.”
“Mica
come te che puzzi di tuo!” Lo prese per i fondelli l’altro, mollandogli un
pugno tra le costole che quasi gliene costò qualcuna.
“Ha
parlato l’amico dei cani!” Alzò gli occhi al cielo il biondo, scocciato,
massaggiandosi la parte dolorante.
“Che
c’entra adesso? Vabbè, non importa.” Si sfregò
piuttosto le mani il moro, negli occhi uno scintillio per nulla rassicurante.
Adesso,
non è che si confidassero i loro segreti o tutte quelle stronzate lì, ma Naruto
poteva dire di conoscere abbastanza quel cinofilo di Kiba Inuzuka per sapere
quando preoccuparsi. E quello, senza ombra di dubbio, era uno dei momenti
giusti per farlo. D’altro canto, non una volta le sue strampalate idee avevano
portato a frutti non proprio ambiti e anzi, nella maggior parte dei casi, aveva
sempre finito coll’uscirne con il portafoglio bucato e la dignità sotto i
piedi.
Perciò,
a conti fatti, non c’era da meravigliarsi se in quello sguardo smaliziato non
ci vedeva assolutamente nulla di cui rallegrarsi.
“Sai
che sarebbe una buona idea?”
Domanda
retorica. Naruto sbuffò.
“No,
cosa? Spara!”
“Un
picnic.” Proclamò tranquillo Kiba, la mente e lo sguardo perso in un altro
universo.
“Uhm?
Un picnic? Che picnic?”
“Un
picnic!” Ripeté con enfasi maggiore l’Inuzuka, sempre più convinto. “Qui, tutti
quanti! Sai che forza?! Magari mi porto pure la chitarra che non si sa mai! E
lo diciamo anche a quel musone di Sasuke, così viene Sakura, e con lei pure
Ino, e Shikamaru, e Choji così abbiamo chi cucina, e-”
“E?”
Lo incalzò Naruto, incuriosito dal cambiamento repentino.
Kiba,
difatti, dopo aver intercettato qualcosa con le sue vivaci iridi nere si era
fermato come un baccalà sott’olio al centro del parco, senza andare né avanti
né indietro e senza emettere neppure un fiato a dirla tutta. La bocca
spalancata e l’aria trasognata, inoltre, non contribuivano a dargli un tono
sveglio in quel momento, né un aspetto rispettabile. C’era da giurarci che mezzo
parco si era voltato nella loro direzione, chiedendosi il motivo per cui non
solo avevano dovuto sopportare il primo, ma adesso vi si era andato ad
aggiungersi anche il secondo caso clinico della città.
“E
quella chi è?” Domandò, senza alcuna traccia di educazione, mentre con l’indice
indicava un punto preciso davanti a lui.
Naruto
si voltò, mosso più da una genuina voglia di sapere che non per altro, e un
groppo gli si formò stranamente all’altezza della gola nell’individuare il
motivo di tanto scalpore.
Capelli
del colore dell’onice, pelle candida, viso diamantino... Era lei, la ragazza dei fazzoletti. La
ragazza con il libro.
Per
una frazione di secondo, mentre gli occhi azzurri si fermavano a soppesarne la
figura – non era la prima volta che la scorgeva in quel parco, no di certo; ma
di sicuro era la prima volta che si soffermava davvero a vederla -, Naruto si trovò a pensare che quel libro
doveva essere proprio interessante per catturarla in quel modo. Completamente
rapita dalle pagine che, nero su bianco, narravano di vicende lontane anni luce
da lì, da tutto quello, da lui. Come se non esistesse altro che quella realtà
raccontata da mani esperte, incurante che appena davanti ai suoi occhi un mondo
le apriva le porte.
“Allora?
Chi è? La conosci?” Lo pressò Kiba, insistente, affatto intenzionato a lasciare
la preda.
Era
fatto così. Quando scovava una ragazza carina che gli piaceva, ingranava la
quinta e partiva sparato, incurante delle conseguenze. Non che si solito Naruto
non avesse trovato positivo quell’impetuosa tempestività essendo lui per primo
un istintivo cronico, ma quella volta, per una qualche arcana ragione, gli
diede un certo non so che di fastidio.
C’era
la ragazza biondina, seduta ai piedi di una quercia secolare. E c’era quella
brunetta carina in compagnia della sua amica. Persino quest’ultima era
senz’ombra di dubbio una bella ragazza. Perché, allora, aveva puntato gli occhi
proprio su di lei? Tra
tante...perché?
“Non
lo so.” Rispose, scontroso, dando le spalle alla figura minuta della ragazza
con il libro per rivolgere un’occhiata particolarmente distaccata a Kiba.
“Andiamo, ti mostro la fermata del bus.”
“Vuoi
dire che non sai il suo nome?” Il moro, però, non parve averlo neppure sentito,
gli occhi fastidiosamente fissi su di lei. “Come fai a non saperlo? Conosci
persino i nomi dei miei gatti!”
“Uff.
Non lo so e basta!” Sbuffò spazientito Naruto. “E poi tu non hai i gatti.”
Non
poteva farci niente, era più forte di lui. Avrebbe potuto interessarsi a
chiunque, chiunque! Perché lei?!
“Vabbè, adesso vado là e glielo chiedo!” Risolse la
questione Kiba, pratico come sempre.
“Come
vai là?” Al biondo quasi uscirono gli occhi dalle orbite all’affermazione. “Non
puoi dire sul serio! Non la conosci neppure!”
“Ma
và, genio?” Alzò gli occhi al cielo l’altro, in risposta, esasperato. “Sarà per
questo che ci vado?”
In
quel momento di tre cose era assolutamente certo Naruto: il ramen era la
migliore invenzione al mondo, Konoha era un quartiere imperdibile e Kiba era un
idiota. Di quest’ultima cosa, soprattutto, era del tutto convinto. Era così
arrabbiato che, contrariamente a quello che era il suo carattere, si pentì
persino di averlo portato in quel parco.
Avrebbe
dovuto farsi i fatti suoi senza dire nulla, invece di spifferare ai quattro
venti la sua fantastica scoperta e, addirittura, proporre – povero scemo – all’Inuzuka di accompagnarlo una volta o
l’altra. E perché quella benedetta volta era arrivata tanto in fretta? Perché
non aveva misurato ogni cosa, prima?
E quando mai pensi prima di agire,
tu?
A Naruto parve quasi di udirla la voce sarcastica di Sasuke, quasi gli fosse
stato a non più di un metro di distanza, e la cosa peggiore era che – porca
vaccaccia – doveva persino dargli ragione! Oh, beh, non dinanzi a lui, questo
era ovvio.
“Ehi,
Kiba aspetta!” Per poco non gli saltò addosso nel vederlo avvicinarsi, a grandi
falcate, alla panchina.
Con
una rapida occhiata cercò la sua abituale occupatrice, ma lei aveva il capo
chino e il naso tuffato tra le pagine del solito libro. Per un istante, rimase
paralizzato dall’immagine che si rifletteva nei suoi occhi azzurrissimi. Con
tutti quei capelli neri ad incorniciarle il viso delicato e con quei grandi
occhi mammola, sembrava quasi...ecco, pareva...una bambola di porcellana, sì.
Una
deliziosa bambola di porcellana.
Naruto
era sicuro di non saper trovare descrizione migliore di quella, per lei, e allo
stesso tempo i suoi pensieri si erano irretiti nell’idea di poterla prendere
con sé, di rinchiuderla in un angolo della sua stanza e di poterla rimirare lì
all’infinito, incurante del tempo, dei giorni, del sole e della notte.
Ma
era una cosa sciocca su cui soffermarsi, la sua, degna dei più patetici film
mielosi di serie C, perciò con un gesto stizzito della mano la scacciò via,
saltellando un paio di volte e raggiungendo finalmente Kiba, che, intanto, si
era già tuffato in una bizzarra conversazione a senso unico con lei.
“Scusa,
non volevo spaventarti, ma ti ho vista da laggiù, ecco.” Ed indicò il punto del
parco da cui erano venuti. “Mi sei sembrata da sola e allora ho pensato che
forse potevo darti compagnia. Sempre se a te non dispiace, si intende!”
“Sì,
cioè no. Io volevo dire che...” Balbettò impacciatissima
la ragazza, mentre un lieve rossore le saliva ineluttabilmente sul viso per
dipanarsi sulle guance pallide.
“Io
sono Kiba!” Prima ancora di lasciarle il tempo di concludere la frase, Kiba con
la solita irruenza aveva già ripreso il controllo e il monopolio della
conversazione. “Kiba Inuzuka. E tu sei...?”
Che
sfacciato! Naruto era senza parole. Non poteva crederci. Ci stava provando! Non
la conosceva neppure!
“Ehi,
Kiba!” Quasi non si rese conto della sua stessa mano che, audace, afferrava la
spalla dell’amico con una tale veemenza da costringerlo a voltarsi senza
proteste. “Ha chiamato Ino. Ha detto qualcosa come appuntamento.”
“Davvero?
Che appuntamento?” Alzò un sopracciglio il moro, perplesso. “E quando ha
chiamato?”
“Proprio
ora, ti dico.” Digrignò tra i denti Naruto, rafforzando involontariamente la
presa sulla spalla ad ogni secondo che passava un pochino di più.
Gliel’avrebbe
volentieri presa a morsi se solo non avesse avuto il sentore di poter
spaventare la ragazza, oltre che venire arrestato seduta stante.
“Io
non ho sentito niente, veramente.”
“Beh,
io sì ed era arrabbiata. Molto arrabbiata.”
D’accordo,
era una carognata la sua. Sapeva che Kiba era abbastanza cotto della Yamanaka e
stava spudoratamente utilizzando la cosa a proprio vantaggio. Beh, certo, c’era
il problema che in verità Ino non aveva affatto chiamato, ma aveva una certa
idea su come risolvere la faccenda. Una telefonata di nascosto e... Non gli
doveva un favore?!
“Sei
sicuro? Non ricordo di avere neeessun appuntamento
con mia cugina.” Gli rispose
l’Inuzuka, indicandogli ferocemente con il capo la ragazza sulla panchina e
mimandogli qualcosa simile ad un mi stai
rovinando la piazza, imbecille, mentre quella se ne rimaneva interdetta e
imbarazzata ad osservare la scena.
Naruto
aggrottò la fronte. Giocava pure sporco, ora? Okay, l’aveva voluta lui.
“Allora
forse voleva dire Kankuro. Sì, a pensarci bene, mi sa che ha detto proprio
Kankuro. Credi che tua cugina debba
uscire con lui?” Ghignò, malefico.
Lo
vide mordicchiarsi le labbra, indeciso sul correre ai ripari o se piuttosto
provarci con la nuova ragazza, prima di sbuffare e fare una smorfia seccata.
“No,
no, avevi ragione. L’appuntamento con mia cugina...ma certo, come ho potuto
dimenticarmene?!” Scosse il capo e alzò gli occhi al cielo, teatrale.
“Infatti.
È quello che sto dicendo.” Confermò Naruto, persuasivo.
“Beh,
allora...” Kiba si voltò verso la ragazza, piano, le dita dell’altro ancora
saldate nella sua spalla. “Ci... Ci vediamo in giro, okay? Ciao!”
Salutò,
di nuovo esageratamente allegro, svicolando dalla sua stretta per dirigersi a
grandi falcate – per non dire correre – verso l’uscita.
Naruto
sogghignò. Aveva fatto centro. Uno a zero per lui e palla al centro.
Stava
ancora cantando tra sé e sé l’inno della vittoria, quando un movimento appena
percettibile alla sua sinistra lo fece voltare, incrociando così gli occhi
chiari della ragazza. Si era alzata, aveva posato il libro nella borsa e si
stava avvitando una ciocca di capelli attorno al dito, insicura sul da farsi.
“Io...do-
dovrei a- andare.” Biascicò, con quella vocina sottile che, seppure aveva
sentito pochissime altre volte, Naruto aveva già imparato ad associarla a lei.
Forse
perché, tra le tante persone che aveva conosciuto nella sua vita, lei era
l’unica che riusciva ad essere tanto silenziosa anche quando parlava.
“Oh,
sì, certo!” Sorrise, dopo un attimo di incertezza, lui, per poi allungare una
mano nella sua direzione. “Comunque io sono Naruto! E tu sei...?”
La
vide avvampare ancor più di prima e fissare la sua mano quasi timorosa,
passando da un piede all’altro in trepidazione. Era così titubante che quasi
temette di aver appena compiuto una gaffe nel porgerle la mano e, di
conseguenza, fece per ritirarla quando, con una leggerezza indescrivibile,
sentì qualcosa afferrargliela. Era lei, ovviamente, la quale, seppur con una
certa esitazione, ricambiava alla stretta in un contatto talmente lieve che, se
non l’avesse avuta concretamente tra le dita, Naruto avrebbe pensato fosse
stata la mano di un fantasma.
“Hi- Hinata.”
≈♦≈♦≈♦≈
Terzo capitolo. Di nuovo dalla parte di
Naruto. E, come già anticipato, qualche accenno al KibaIno e KankuIno. Che poi,
detto tra noi, tra queste due varianti ancora non riesco a decidere quale
preferire. Sì, lo so che non c’entra niente adesso, ma mi è venuto in mente e ops.
Lasciamo perdere, và.
Piuttosto, avete visto? Finalmente Naruto
ed Hinata riescono a parlarsi e a dirsi più di quattro parole! ^-^ Il prossimo
capitolo, poi, ve l’assicuro: un po’ più di dialogo!
Intanto passo col ringraziarvi ad uno ad
uno –saltellando, saltellando!-.
LalyBlackengel. Laly...posso chiamarti così? Beh, di
nuovo grazie per la recensione. Non posso crederci che abbiamo avuto la stessa
idea! Per gli stessi personaggi, poi! Roba da rimanerci a bocca aperta davanti
lo schermo u.u . Sinceramente, io l’ho trovata così perfetta per loro che mi è
saltata subito all’occhio e, semplicemente, non
potevo non usarla. Naruto è proprio Demetrio, voglio dire. Che rincorre sempre
tutti ma non capisce mai un tubo... E Hinata è la piccola Elena, così tanto
innamorata che non esita un istante a seguire il suo amore *-* . Li adoro!
Indovina un po’ chi sono Lisandro e Ernia? >.< Ah, ti ho aggiunta su MSN,
cosicché le sporadiche volte che ci vado –me molto, molto pigra- magari ti
incontro!
A proposito, mi dici qual è la
fanfiction dove hai utilizzato la citazione? Così vado a leggerla! ^-^
hotaru. Davvero hai usato anche tu l’analogia
con Sogno di una notte di mezza estate
per una NejiHina? Wow. Non so se lo sapevi, ma io vado fuori di testa per le
NejiHina! Figurati che è stato il mio primo amore non appena messo piede nel
fandom!
Sì, Naruto è un bambinone. Un vero
bambinone. Ha capito dove trovare quello che cercava e, puntualmente, va sempre
lì, sapendo di non venire mai deluso. E Hinata, ovviamente, non lo delude mai,
anche se lei si fa sempre tutti qui complessi che la legano ad un cono d’ombra,
invece di convincerla a buttarsi una volta tanto.
Beh, Hinata che osservava da lontano è
quasi doveroso da infilarci dentro, a mio parere. Dopotutto se è cresciuta come
personaggio, lo deve proprio a questo, no? È stato guardando Naruto se Hinata,
nel manga, è diventata forte e decisa come negli ultimi capitoli.
Per i fazzoletti...tu che dici,
conoscendo Naruto: se li comprerà mai?! ^.-
kry333. Sono contentissima che abbia apprezzato
anche la versione di Hinata. Come dicevo, avevo un po’ il timore che non
venisse fuori ciò che avevo in mente. E, come hai potuto ben vedere, finalmente
si sono parlati! Già dal prossimo, poi, le cose inizieranno a cambiare, eh,
eh...
Ti dirò. Guarda, io amo gli Hyuga, con
tutti i loro difetti e i loro pregiudizi. Probabilmente sono una dei pochi ad
apprezzare persino Hiashi –che è un bastardo questo sì, ma a suo modo riesce ad
evolvere, ecco, e poi io ho una teoria tutta mia a riguardo-. Comunque sia,
quando devo descrivere il rapporto di Hinata con la famiglia, ecco che vado in
crisi. Figurati: Neji non riesco a vederlo se non innamorato perso della cugina
–il mio animo NejiHina persiste nonostante tutto- e Hanabi riesce sempre a
darmi più di quanto magari non sia. Conclusione? Una tragedia. Le tue parole,
perciò, mi rendono davvero felice. E anche soddisfatta, sì! Perciò grazie,
grazie di cuore. ^-^
valehina. La tua recensione mi ha lasciata senza
parole. Così... Grazie. Grazie, grazie, grazie! Infinite grazie!
Innanzitutto, sono felice di sapere che
anche tu hai apprezzato il modo in cui ho descritto la visuale di Hinata. Un personaggio
che adoro, che mi da tanto e che, pertanto, riesco a renderle davvero molto
poco. Ma ci sto lavorando u.u . Hanabi mi piace. Lo so che sembrerà strano, perché
è una vera stronza quando ci si mette. Ma mi piace. E mi piace metterla in
coppia sia con Konohamaru, che con Kiba. Devo ancora decidere quale dei due sia
meglio per lei! Anche perché Konohamaru lo vedo bene pure con Moegi...uhm.
La parte della cartella è venuta da sé. L’ho
scritta senza neppure starci a pensare, mossa solo da quello che vedevo in quel momento. Credo che Hiashi
l’avrebbe fatto. E, altrettanto, credo che Hinata avrebbe obbedito senza alcuna
protesta. Ma ormai sappiamo come sono fatti, no?
Comunque hai fatto benissimo a prenderti
l’indirizzo! Ci mancherebbe! Anzi, io stesso ho già aggiunto il tuo! ^-^ E
figurati se potrei mai odiarti a morte per così poco! Meglio: figurati se
potrei mai odiarti e basta!
Sae. Tex! *-* Che bello vedere la tua
recensione! Non sai, sono stracontenta! Di più! Sono entusiasta, felice,
raggiante! Ancora di più...qualcuno mi aiuta a trovare qualcosa per esprimere di più?! No? Beh, tex, io ci ho provato.
Perché sono proprio, proprio entusiasta del tuo passaggio. La mia best! Ti adoro,
lo sai, neh?
Anche se mi avevi già detto cosa ne
pensavi –e non mi stancherò mai di ringraziarti per questo- mi ha fatto un
immenso piacere ritrovare la tua recensione. Davvero ti è sembrata realistica?!
*-* E IC? Tex! Ah, vengo lì a portartelo di persona il fazzoletto, giuro!
Spdl! Ti amo di bene, ma anche questo tanto
lo sai, no?
Perdono se adesso scappo via, ma sono
piena di impegni fino all’anno prossimo! >.< Fatemi sapere anche di
questo capitolo, mi raccomando. E alla prossima!
Hinata
strinse i pugni, prese un ampio respiro ed aprì gli occhi.
“T-
Tenten!”
Alla
sua vocina un paio di codini castani seguiti da un viso dall’aria sorpresa,
spuntarono da oltre la siepe di rose.
“Ehi,
ciao Hinata!”
La
salutò allegramente, come era solita fare ogni volta che la vedeva.
“I-
Io...v- volevo chiederti se...se ti andava d- di...prendere qualcosa da b-
bere, qualche volta. Con m- me, e- ecco.”
Hinata
stava ormai farfugliando, ridotta ad una maschera di rossore e imbarazzo.
Avrebbe
rifiutato, lo sapeva. L’avrebbe fatto e aveva pure ragione. Sì, ecco, stava per
rifiutare e-
“Mi
farebbe molto piacere, Hinata. Conosco un locale che ha aperto da poco, qui
vicino. Forse potremmo andarci insieme...domani?”
“S-
Sì. Domani andrà b- bene.”
#4: The boy with blue eyes
(You say it best
When you say
Nothing at all
You say it best
When you say
Nothing at all)
The smile on your face
The truth in your eyes
The touch of your hand Let's me know
That you need me
“Ciao
Hinata!”
Hinata
alzò gli occhi dal libro quando si accorse che qualcuno stava salutando proprio
lei, in una maniera vivace più del necessario. Era lui, Naruto. Il ragazzo
dagli occhi più azzurri ed incredibili che avesse mai conosciuto.
Naruto.
Le faceva un certo effetto poter pronunciare il suo nome, adesso che lo sapeva.
Per lei era sempre stato il ragazzo del parco, quello che le rallegrava senza
saperlo le giornate e la invogliava a combattere per un pizzico di se stessa.
Era quello che non si preoccupava della gente. Non si preoccupava di niente. Ma
Naruto...sì, Naruto era il nome
perfetto per lui.
“C-
Ciao.” Balbettò, in risposta, sfoderando una vocina appena udibile tra tutte le
risate di sottofondo.
Lui
si mosse sui piedi, alla ricerca della posizione ideale, prima di sospirare.
“Posso
sedermi?” Le sorrise infine, genuino, mentre con una mano indicava lo spazio
vuoto della panchina accanto a lei.
Si
sorprese lui per primo di quella richiesta, perché era sempre stato piuttosto
menefreghista verso quegli aspetti. Se voleva ridere, rideva. Se voleva
abbuffarsi, si abbuffava. Se voleva canticchiare, per quanto stonato potesse
essere, cantava. Se voleva sedersi in un posto lo faceva e basta, senza
chiedere nulla a nessuno.
Eppure
chiederglielo stavolta gli era sembrato del tutto naturale, come poteva esserlo
muovere un braccio, o una mano, o un piede.
Lei,
alla richiesta, si bloccò a guardarlo come trasognata, in un modo così gentile
e discreto che non pareva lo stesse vedendo davvero. Tutto sommato alla fine,
non senza un certo imbarazzo e una nuova ondata di rossore, annuì. Piano, quasi
in maniera invisibile, ma sufficientemente a dargli la spinta a sederle di
fianco.
Sentì
il cambiamento all’istante, perché all’improvviso le sembrò che la temperatura
fosse aumentata di almeno dieci gradi.
Naruto,
intanto, aveva allungato le gambe e allargato le braccia, circondando lo
schienale in legno della panchina, come la sua usuale postura gli aveva
dettato, senza dare troppo peso alla nuova vicinanza che aveva creato, così
facendo, con lei. Visti da lontano, con molta facilità, qualcuno avrebbe potuto
scambiarli per un’insolita coppia di fidanzatini, con lui che abbracciava la
ragazza e lei che abbassava il capo imbarazzata. Qualcuno, magari, avrebbe
scosso persino il capo chiedendosi che diavolo ci facesse una come lei, con uno
come lui.
Ma
in quel momento, proteso verso il sole come una lucertola, non c’erano pensieri
di sorta nella mente del ragazzo.
Era
tutto talmente naturale che gli venne spontaneo parlarle, sebbene non fosse stato
affatto necessario.
“Tu
sei di qui, vero?”
Lei,
fintamente sprofondata nella lettura del suo libro – in verità erano cinque
minuti buoni che continuava a rileggere la stessa frase senza afferrarne il
senso concreto -, alzò appena il capo, lanciandogli un’occhiata veloce e
ritornando poi a nascondersi dietro la copertina rigida.
“S-
Sì.” Incespicò, di nuovo.
Si
morse la lingua per questo, chiedendosi quando avrebbe smesso di risultare
tanto goffa e insulsa come credeva.
Naruto
però non pareva averlo notato, gli occhi chiusi e l’espressione rilassata.
“Anche
io. Cioè, non proprio. Mi sono appena trasferito a casa del mio tutore. Ma lui
non c’è, perciò posso dire che vivo da solo. Bah, è un matto. Toglimi una
curiosità piuttosto: come vi divertite quaggiù? Perché vi divertite ogni tanto,
vero?”
Un
fiume in piena di parole.
Hinata
si sentì trascinata. Trascinata via dalla corrente, senza avere paura però,
anche se una persona così logorroica non l’aveva mai conosciuta in tutta la sua
vita, specie con gli sconosciuti. Per questo, probabilmente, ne era rimasta
tanto affascinata. Non per i capelli arruffati, malamente nascosti sotto al
Borsalino, né per gli occhi di un azzurro vivace, intenso. Lui era tutte quelle
cose, certo, ma anche molto di più. Naruto era tutto ciò che lei non sarebbe
mai potuta essere.
“I-
Io...non saprei.” Mormorò, ad un tratto afflitta, abbassando il capo sotto gli
occhi incuriositi di lui.
Il
suo massimo divertimento per lei era sempre stato quello di sprofondare nella
lettura di qualche libro e, solo di recente, andare al parco per vedere da
lontano il ragazzo con gli occhi azzurri – Naruto,
non era difficile, doveva solo farci pratica, Na-ru-to – mentre le insegnava
cos’era vivere la vita. Di certo non ci voleva un esperto per sapere che lei
era un’asociale. Avrebbe potuto mentirgli, sì, anziché passare per la solita
ragazzina inadeguata, inadatta, insufficiente a soddisfare le aspettative. Ma
non sarebbe stato da lei e, comunque, presto o tardi Naruto avrebbe scoperto il
suo inganno. Almeno così, si disse in un moto di auto coraggio, si era tolta il
dente subito e gli aveva dato la possibilità di scappare finché era ancora in
tempo.
Era
così sicura che per istinto si strinse su se stessa, pronta a vederlo fuggire
via da un momento all’altro.
“Beh,
sai una cosa?” Sorrise Naruto, allegro.
Hinata
chiuse gli occhi e strinse i pugni. Lo sapeva già, stava per dirle che aveva un
impegno o qualcosa del genere e si sarebbe dileguato a gambe levate da lì. Lei
l’avrebbe fatto, perché era noiosa, banale, insulsa e-
“Potremmo
scoprirlo insieme, che ne dici Hinata?” Le propose piuttosto e lei dovette per
forza di cose pizzicarsi il braccio, insicura se attribuire quella bizzarra
conversazione al frutto di un sogno o meno. “Sono sicuro che troveremo qualcosa
di divertente anche qui. Ma sì, dai, sarà divertente!”
Gli
occhi gli brillavano nel dirlo, quasi stesse già immaginando ogni piccola cosa
di quella avanscoperta insieme. Non pareva affatto turbato dal fatto che lei
gli avesse appena detto, in sostanza, di non aver mai messo piede fuori casa
dopo la cena. Sembrava più affascinato, ecco, ma non in un modo che avrebbe
potuto farla sentire in imbarazzo, fuori luogo. Era tutto dannatamente
naturale. Era un bambino che aveva appena scoperto di poter avere un compagno
di avventure in un posto in cui si era creduto da solo sin dall’inizio.
Questo...questo era Naruto.
“Che
ne dici di stasera? O domani magari? Edddddai
Hinata!” Lo supplicò con lo sguardo lui, speranzoso e fiducioso.
Hinata
era abbastanza sicura che nessuno, prima di allora, avesse mai riposto tanta
fiducia in lei.
“O-
Okay.” Abbassò il capo, talmente rossa che avrebbero potuto cuocerle la carne
sulla pelle senza difficoltà.
“Evvai‼ Stasera? O domani? O anche entrambe, se vuoi!
C’è un pub sulla strada per venire qui a parco, che ne dici? Oppure, se non ti
piace, c’è quel localino al centro, quello sempre pieno di tavoli e di
gente...hai presente, no? Vedrai, sarà divertente andarci!” Si mise a ridere
Naruto.
Sembrava
così felice, valutò Hinata. Quasi avesse appena acconsentito a regalargli il
gioco che desiderava da secoli. Il che la faceva sentire stranamente a disagio,
perché dopotutto lei non era mai stata così importante. Come fai? Come fai a farmi sentire così? Come fai a farmi battere il
cuore senza alcun motivo in particolare? Lo guardava ed erano queste le
domande che i suoi occhi trasmettevano, fin troppo chiaramente per i suoi
gusti. E Naruto riusciva a leggerle? Forse sì perché non aveva smesso per un
solo istante di farla sentire a quel modo, come se fosse stata su un
piedistallo e come se fosse nata per stare su di esso, lei che era rimasta
sempre nascosta nell’ombra per paura di far capire al mondo la propria nullità.
“Sai
che ti dico, Hinata?” Domandò all’improvviso Naruto, fissando i suoi espressivi
occhi azzurri su di lei, modulando la voce su una tonalità talmente seria da
provocarle dei brividi lungo tutta la colonna vertebrale.
Scosse
il capo, in segno di diniego, ma non si azzardò a parlare. Un nodo le si era
stretto alla gola ed era certa di non saper mettere più di una parola davanti
all’altra in modo coerente. In fin dei conti, il silenzio era sempre stato il
suo più caro amico.
“Mi
piace stare con te, Hinata. Mi piacciono le persone come te.” Per un istante
Naruto parve perdersi in mille discorsi già detti, salvo poi sorriderle di
nuovo e fare il segno di vittoria con le dita.
Al
che lei avrebbe ridacchiato, o almeno sorriso, se solo non fosse stata sul punto
di svenire lì, da un momento all’altro. Ad un tratto Hinata era piuttosto sicura
di non essere poi tanto male. Forse non aveva nessuna dote particolare, non
spiccava a scuola e non era una brava oratrice. Forse era noiosa e banale, e
non era neppure una brava Hyuga. Forse era inadeguata, ma a lui...ecco, a lui
piaceva. E se ad uno come Naruto piaceva proprio lei...beh, non poteva essere
tanto male, infondo, no?
“Guarda,
ci sono quel fetente di Konohamaru e gli altri! Una partitina? Io e te contro
loro tre, sì?”
“M-
Ma io...” Tentò di ribattere Hinata, ma la mano di Naruto sulla sua le mandò in
pappa il cervello e in tilt il cuore.
“Non
preoccuparti, ti insegno io, Hinata!” La rassicurò, anche se lei non aveva
esposto a parole le sue titubanze, e prima che lei avesse potuto rendersene
conto era già in mezzo al parco, con la mano di lui impiantata sulla propria.
“Chi perde paga per tutti, okay marmocchi?”
“Guarda
che abbiamo quattordici anni, vecchio!” Si lamentò Konohamaru, mettendo su il
broncio.
“Davvero?”
Naruto parve colpito, prima di indicare la ragazza al suo seguito. “A
proposito, lei è Hinata, la mia compagna di squadra da oggi in poi!”
I
tre la fissarono per un momento interminabile alla presentazione, chiaramente
stupiti. Hinata non era abituata a sentire tanti sguardi addosso, tutti in una
volta sola per di più, e perciò tentò di nascondersi dietro la schiena
dell’Uzumaki, che ancora sorrideva gioviale. Poi, però, Moegi sorrise, Udon
emulò un mezzo inchino di rispetto e Konohamaru le porse la mano.
“Benvenuta
in squadra, Hinata!”
≈♦≈♦≈♦≈
Quarto capitolo. Il penultimo! ^-^ E lo
dedico interamente a LalyBlackangel, che oggi a quanto pare
compie gli anni!
Tanti, tantissimi auguri! Spero stia
passando un buon compleanno, perché insomma, sono i Magici Venti, no? La fine
di un’era, per l’inizio di un’altra u.u . E –che io sia dannata!- se tu sei
vecchia! Che dovrei dire io, allora?! Campare di pensione??
Perciò, ancora infiniti auguri di buon
compleanno! Non è un granché, ma spero apprezzerai comunque! ^//^
E poi volevo ringraziare anche i
commenti di kry333 e di valehina per il precedente capitolo. Scusate
se non rispondo singolarmente alle vostre recensioni –graditissime, tra l’altro- ma ho un po’ di fretta –e quando mai
no?-. Vedrò di farmi perdonare con il prossimo capitolo, che è anche l’ultimo.
Dunque, gente, mi accomiato fino al
nuovo aggiornamento, dove di sicuro risponderò degnamente alle vostre splendide
parole! *-*
Capitolo 5 *** The boy and the girl in the park ***
“Dove
vai, Hinata?”
Si
voltò di scatto alla domanda vagamente sorpresa di suo padre.
“E-
Esco.”
Lui
alzò un sopracciglio, stordito dalla risposta.
“Sola?”
“N-
No. Vado con Naruto.”
Hinata
era avvampata nel dirlo, ma non aveva abbassato il capo, sostenendo piuttosto
il suo sguardo.
Sulla
porta, suo cugino Neji e sua sorella Hanabi ascoltavano la conversazione in
silenzio, quasi temessero da un momento all’altro di dover intervenire.
Poi,
Hiashi Hyuga sospirò e rilassò le spalle.
“Non fare tardi, Hinata.”
#5: The boy and the girl in the park
(You say it best
When you say
Nothing at all
You say it best
When you say
Nothing at all)
The smile on your face
The truth in your eyes
The touch of your hand Let's me know
That you need me
Forse,
se anche lei lo avesse scrutato come a tutti quanti gli altri, Naruto non
l’avrebbe neppure notata seduta in quella panchina, al limitare del parco. Si
sarebbe limitato a dare un’occhiata veloce, a stravaccarsi sull’erbetta
curatissima e a fischiettare una qualche canzone solo per il gusto di
infastidire, in attesa di vedere arrivare Konohamaru, Udon e Moegi per la
partitella a pallone. Perché, com’era ormai risaputo da tempo, lui non era
bravo ad appuntarsi i dettagli.
Ma
Naruto si era ritrovato ad aver bisogno di un fazzoletto e lei, così isolata
dal chiasso della gentaglia del parco, era sembrata la persona ideale a cui
chiederlo. Era nato tutto così, quasi per caso. Posso avere un fazzoletto? Hai un fazzoletto? Mi dai un fazzoletto?
Sempre la stessa domanda, la stessa richiesta, fatta vuoi per un motivo, vuoi
per un altro, fino a divenire un’abitudine. Fino a farle guadagnare il famoso
appellativo ‘ragazza dei fazzoletti’.
I
gesti di Hinata avevano imparato ben presto a uniformarsi, di volta in volta.
Balbettava un sì incerto, rastrellava nel fondo della borsa e gli porgeva il
pacchetto di fazzolettini a capo chino, in imbarazzo. Senza mai aggiungere una
parola o uno sguardo di più. Non lo fissava indignata per quella sua continua
mancanza, non faceva smorfie scocciate, non sbuffava impaziente. Semplicemente
rimaneva così, con il braccio alzato ed il pacchetto proteso verso di lui, la
mano appena tremante per un imbarazzo che Naruto ancora aveva difficoltà a
spiegarsi.
Poi,
un giorno, anziché il solito fazzoletto, le aveva chiesto il suo nome e da lì
le cose avevano iniziato a prendere una direzione inaspettata.
Quei
pochi secondi di conversazione si erano trasformati in ore di monologhi vivaci,
rotti solo di tanto in tanto dal balbettio incerto di Hinata, e ben presto
Naruto si era accorto che il motivo per cui continuava a dirigersi in quel
parco era il poter chiacchierare ancora con lei.
Delle
volte lei sorrideva, o si spostava una ciocca dal viso, o lo fissava rapita, e
tutto diveniva confuso, sfumato. Le risate. Il cicaleccio della gente. Le
occhiate di traverso. I gridolini dei bambini. Il cinguettio degli uccelli. Si
spostava tutto in secondo piano, a fare da sfondo. In quei momenti Naruto si
accorgeva di poter entrare veramente
nelle cose come non aveva mai fatto e il respiro gli si bloccava nel petto,
passando attraverso quegli occhi di un glicine rarissimo. Allora la situazione
si ribaltava e anche se Hinata non diceva mai troppe cose a voce alta, era lei
a sommergerlo con le sue parole. Parole trasparenti, fatte di fumo e di mille
altri silenzi. Parole che non aveva mai sentito venir fuori dalla bocca di
nessuno, per quanto rumorosi o chiassosi potessero essere.
Hinata
gli parlava di sé. Gli mostrava le sue paure, le sue debolezze. A volte,
persino i propri sogni.
Naruto
non era mai stato bravo ad ascoltare la gente. Sapeva invaderle di chiacchiere,
come una fiumana. Ma ad ascoltare, ecco, era tutta un’altra storia.
Eppure,
quando era lei a farlo, a parlargli,
non poteva fare a meno di prestare attenzione. Era inevitabile. Una cosa così
naturale da non darci neppure tanto peso.
Hinata
sapeva parlare persino per ore, senza dire nulla.
E
sapeva dire le cose giuste, quelle migliori.
Lui,
invece, parlava tanto e di tanto, eppure neanche una sola volta aveva saputo
centrare il fulcro della questione.
Ciò
nonostante, quando le si sedeva accanto e iniziava a ciarlare, e ciarlare, era
lei ad essere la più appagata tra i due. I suoi occhi, ancora una volta,
parevano gridare al mondo che lui era lì, con lei. Tra tanti, si era seduto
accanto a lei e stava parlando con lei,
anche se non aveva fatto nulla per meritarselo.
Ma
la verità era un’altra.
Era
Naruto ad essere stato fortunato. Perché aveva incontrato Hinata. Non il
contrario.
“Domani
voglio portarti al mio vecchio quartiere, a farti conoscere un po’ di gente.
Beh, quel teme di Sasuke e Sakura già li conosci, e anche Kiba, veramente. Però
ci sono anche persone più normali di loro, sai? Allora, ci vieni?” Le domandò
quella mattina, mentre scendevano la stradina acciottolata del parco per
raggiungere la solita panchina di legno.
Naruto
le stringeva la mano, come aveva preso la disarmante abitudine a fare già da
qualche tempo, inconsapevole dell’effetto devastante che quel semplice gesto
riusciva a scatenare in lei.
“S-
Sì. Ci v- vengo.” Farfugliò, guardandosi i piedi, mentre le labbra si
arricciavano da sole in un sorriso di gioia e di ringraziamento, senza sapere
che era lui a dover ringraziare lei per quella concessione.
“Fantastico!”
Ululò raggiante l’Uzumaki, in risposta, il viso disteso in un’espressione di
pura soddisfazione, per poi fermarsi e voltarsi a guardarla serioso nel giro di
pochi secondi.
“C-
Che c’è?” Ispezionò tutt’attorno Hinata, confusa da quel cambiamento,
chiedendosi se per caso non avesse avuto qualcosa fuori posto.
Si
portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, in imbarazzo. Forse erano in
disordine, o magari le era rimasto un residuo di gelato sul viso. Oppure-
“Come
sei bella, Hinata.”
L’aveva
detto così, come se fosse stata una cosa ovvia, quasi scontata. Come se lo
fosse stata davvero. Abbassò il capo,
a disagio – beh, non veramente, perché con Naruto era impossibile sentirsi sul
serio a disagio -, e il viso le si colorò di un rosso talmente intenso da
risultare persino viola. Le tremavano le gambe e il cuore batteva troppo,
troppo forte perché non fosse udito da tutti, lì dentro. E lui continuava a
ripetere il suo nome – Hinata – e a
farlo sembrare sempre così nuovo, così incantevole.
“N-
Non è v- vero.” S’incespicò nelle parole, come sempre, incapace di alzare il
capo e di guardarlo in viso.
Ecco,
pensò Naruto, stava accadendo di nuovo. Senza altre parole, senza neppure
osservarsi, lei gli stava parlando. Non
sono bella – gli suggeriva quel rossore, e il modo in cui si aggrappava ad
una piega della gonna, e i capelli che continuavano ad abbandonarsi sul suo viso,
come una cascata onice – sono banale e
insignificante, ecco. Ma Hinata era bella, invece. Era la ragazza più bella
che avesse mai conosciuto; la persona migliore. Aveva soltanto bisogno di
qualcuno che glielo dicesse. Aveva bisogno di lui; o, forse, era sempre stato
il contrario.
“Sei
proprio bella...” Le poggiò delicatamente due dita sotto al mento e la
costrinse a guardarlo negli occhi. “...Hinata.”
Naruto
non era mai stato troppo interessato alle ragazze e, di conseguenza, ai baci.
Una volta aveva creduto di essersi innamorato di Sakura, ma quella era un’altra
storia. Baciare Hinata, però, gli veniva spontaneo come parlare, o mangiare, o
ridere.
Inarcò
la schiena e si chinò verso di lei, perché la sovrastava, poggiando le labbra
su quelle amarantine della ragazza. La sua bocca sapeva ancora di fragola, il
gusto del gelato che avevano appena mandato giù, e Naruto si sorprese di notare
lo strano connubio che faceva a confronto del cioccolato di cui le sue labbra
erano ancora sature. Due sapori così diversi che sarebbe venuto la pelle d’oca
a chiunque al pensiero di accostarli, mentre invece parevano fatti apposta per
stare insieme.
Un po’ come noi due!
Si ritrovò a pensare, contento, sorridendole sulle labbra. Quando si separò da
lei, Hinata aveva il viso in fiamme e sembrava sul punto di svenire da un
momento all’altro. Anche quello lo faceva ridere, come uno stupido ragazzo
innamorato qualsiasi, incurante di aver deriso a lungo Sasuke per quello stesso
motivo. Le cinse la vita con un braccio e se la annodò di fianco, nel caso
fosse svenuta davvero.
La
cosa, ovviamente, la fece virare in un acceso bordeaux, ma Naruto non se ne
curò, ormai avvezzo ai continui cambiamenti di colorazione di lei.
“Potremmo-”
Iniziò a dire, salvo venir interrotto da una risata fredda alle sue spalle.
Si
voltò, trascinando anche Hinata con lui, e aggrottò la fronte nel ritrovarsi
dinanzi il suo miglior nemico.
“Sasukoccio!” Lo incenerì con lo sguardo, furibondo, per poi
sorridere all’indirizzo della ragazza allacciata al suo braccio. “Ciao,
Sakura!”
“Io
e Sasuke siamo venuti a trovarvi.” Li informò subito lei, di rimando,
nonostante nessuno le avesse domandato ancora niente. “Ciao Hinata.” Sorrise
poi, gentile, nel notare la mora accanto a Naruto.
La
prima volta che si erano visti, Sakura l’aveva guardata severa e si era stretta
al suo Sasuke, temendo di trovarsi dinanzi l’ennesima rivale da cui
proteggersi. Poi però Hinata aveva gettato una rapida occhiata a Naruto e,
anche senza dire una parola, Sakura si era rilassata all’istante. Non le ci era
voluto molto tempo a fare due più due.
“C-
Ciao.” Biascicò la Hyuga di rimando, ancora scossa dagli ultimi avvenimenti per
anche solo azzardare a qualcosa di più.
“Potremmo cosa, baka? Avanti, continua.”
Stava nel frattempo dicendo Sasuke, estremamente divertito, per quanto il suo
limitato repertorio di espressioni facciali lasciasse ad intendere.
Per
tutta risposta Naruto si voltò verso Hinata, afferrò il suo Borsalino e glielo
piantò saldamente in testa.
“Prenditene
cura, Hinata, devo commettere un omicidio.” Dichiarò, facendole l’occhiolino,
per poi girarsi minaccioso verso Sasuke. “Teme, adesso ti ammazzo.” Lo informò,
deciso.
Sasuke,
per nulla impaurito dalla dichiarazione, alzò un sopracciglio con aria
scettica.
“Ma
davvero, baka?” Disse, alzando una mano giusto il momento in cui Naruto gli si
fece incontro, prendendolo così in pieno viso.
“Ehm...
Posso avere un fazzoletto? Credo di essermi rotto il naso.”
(You say it best
When you say
Nothing at all
You say it best
When you say
Nothing at all)
“E comunque potevi anche dirlo che ti interessava,
volpone, invece di tutte quelle storie con Ino!”
“Sta zitto, Kiba.”
“Okay, cara!”
≈♦≈ The End ≈♦≈
Finita. È finita veramente. Un po’ mi dispiace, perché anche se è stato “complicato”,
mi è piaciuto scrivere questa fanfiction e parlare di questa coppia. Ma va
bene. It’s okay! ^.-
L’ultima parte dialogata è un regalo
KibaIno che mi sono fatta u.u , perché mi piacevano da inserire a dire il vero.
E pensare che all’inizio volevo dare più spazio anche agli altri, ma alla fine
sono riuscita solo ad inserirci la coppia SasuSaku, effettivamente! Beh, c’est la vie!
Dedico quest’ultimo capitolo alle
persone che hanno seguito la storia dall’inizio alla fine, spendendo anche una
manciata del loro tempo per lasciarmi una qualche recensione, apprezzata
infinitamente.
Perciò questo è per valehina, LalyBlackangel,
kry333, hotaru, Sae (teeex!) e kokuccia. Grazie! Di cuore, siete state splendide a farmi sapere cosa ne
pensavate, a sostenermi e ad incoraggiarmi con le vostre meravigliose
recensioni.
Spero solo di non avervi delusi con
quest’ultimo capitolo, che idealmente dovrebbe collocarsi un po’ di tempo dopo
rispetto i precedenti quattro.
Grazie, grazie ancora a tutte quante. E grazie
alle ideatrici del contest, di nuovo, per avermi permesso di mettermi in gioco.
E di nuovo complimenti alle altre, che hanno fatto tutte uno splendido lavoro
(sì, le ho lette!), anche se io devo sempre trovare il tempo per andare a
recensire! ^-^’’
E con ciò non mi resta che lasciarvi alla
prossima (?).