Auto analisi

di Alba_Mountrel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Addio... figli di puttana! ***
Capitolo 2: *** Presentazioni informali ***
Capitolo 3: *** Sovraccarico d'informazioni ***
Capitolo 4: *** Avviso importante ***
Capitolo 5: *** Decisioni e test ***
Capitolo 6: *** ''Giochi di ruolo' ***
Capitolo 7: *** Conoscenza brusca e complessa ***
Capitolo 8: *** Ansia bruciante, finto distacco, ritorno ***
Capitolo 9: *** Undo, Stranezze, Nuova casa ***
Capitolo 10: *** Crollo, Parole in codice, Inconveniente ***
Capitolo 11: *** Arrivo, 'Terapia', Confessioni a freddo ***
Capitolo 12: *** Frustrazione, Anima leggiadra, Coraggio ***
Capitolo 13: *** Psicologie Inverse ***
Capitolo 14: *** "Stabilità" ***
Capitolo 15: *** Ritrovarsi x Capirsi x Perdersi ***



Capitolo 1
*** Addio... figli di puttana! ***


Primo capitolo
Addio… figli di puttana!
 
Questi miei pensieri vennero all’improvviso interrotti da una voce a me sconosciuta.
“E dire che ero così concentrata fino a un attimo fa. Penso di stare per buttarmi ma basta un sibilo di vento inatteso e, fuori posto… per farmi desistere, di nuovo. Il mio cuore ha desistito un po’ troppo spesso, finora”.
«Ehi, ciao!». Mi sentii dire dalla voce sconosciuta.
“Chissà perché… ma mi aspettavo una voce spaventata o simile e, parole pronunciate con paura o con un trasporto di altro tipo, sicuramente. Di certo un saluto qualunque non l’avrei mai previsto, eppure di recente non faccio altro che questo… Prevedere. La mia morte, quella ovvia di altri prima che accada, come finirà un discorso eppure non mi è per nulla servito per rifarmi una vita, dopo quel brutto giorno. Questo solo perché sono una codarda, una codarda e basta”.
E di nuovo mi scoppiava la testa.
“Possibile che questo martellamento in me non debba cessare mai? Nemmeno in punto di morte… sul serio fai? Dio… se ci sei ti conviene scappare, non vorrei essere la causa anche della fine del mondo con la tua stessa medesima”.
«Ehi tu tizia, perché sei qui? Io perché ho combinato un bel casino, anzi un bel po’ di casini e questa è l’unica via d’uscita, tra l’altro salverà la situazione in tutti i sensi. Ma scusami, ti ho fatto una domanda e alla fine mi sono risposto da solo». Girai lentamente il capo, ora ero veramente curiosa di vedere in faccia un tale disturbatore e irrispettoso della privacy altrui, in una situazione così delicata. Avevo il cuore sempre più pesante e le tempie sempre meno resistenti alle pulsazioni violente e intermittenti del mio cervello, che quasi mi facevano lacrimare gli occhi, ma il mio orgoglio non mi permetteva di piangere. Il mio sguardo, dopo secondi interminabili si posò su un ragazzo: capelli vivaci, viso magro ma dolce e con la mascella definita ma non troppo sporgente, nasino quasi da donna, un filo di barba come piace a me e… abbaglianti occhi verde smeraldo con un accenno d’azzurro cielo sul contorno, davvero particolari. Purtroppo non avevo più neanche la voglia di guardare oltre, in un essere umano di sesso maschile, da quante delusioni mi sentivo ancora addosso.
“Perché non riesco a dimenticare come tutti? Perché vivere mi è così impossibile? Cosa ho che non va? Perché è evidente che sono io il problema principale della mia vita. Arrivò accanto a me e subito mi sentii sulla difensiva, ebbi paura. Che potesse costringermi a tornare sul balcone e alla realtà”.
«Va bene, senti, ovviamente non siamo qua per far conversazione, però purtroppo non posso farne a meno, anche in un momento come questo, sono un inguaribile chiacchierone estroverso». Mi sorrise in un modo così sereno e dolce che non l’avevo neanche mai visto, in nessun altra persona. Dal suo sorriso, lo sguardo mi cascò di nuovo sui suoi capelli, o meglio sul colore, poi si spostò sugli occhi e facendoci più attenzione: saranno stati, sì abbaglianti ma avevano un colore un po’ cupo.
“Probabilmente ha davvero un motivo per buttarsi nel mare dell’infinto…”.
Poi, di nuovo tornai a fissare i capelli, al contrario dei miei erano mega lisci, meno sfibrati e a caschetto con un taglio regolare.
“Non ho mai amato i tagli irregolari negli uomini”.
Il punto fondamentale del mio interesse però non era il taglio.
“Dai cazzo… un po’ di concentrazione”.
Ero così attirata da quel particolare che decisi istintivamente e senza remore di: espormi diciamo.
«Hai i capelli rossi».
“Ma va là? Che genio che sono. Ecco perché mi trovo in questa situazione: da sola”.
«Già. Sai, non sapevo se, insieme al colore era bene o no accompagnare anche un bel taglio corto oppure asimmetrico, sbarazzino e alla moda, ma alla fine ho capito che sarei sembrato un bambinetto o, ancora peggio… gay, così li tingo e basta. Non che mi faccia schifo sembrar un po’ diverso dagli altri, ma sai com’è, se sembro gay non attiro di certo le donne, cioè ciò che mi interessa». Mi rispose serafico e ironico. Intanto io continuavo a scervellarmi su come quel tizio potesse essere così allegro, dolce, spensierato e quant’altro, in un momento come quello.
“Io, che probabilmente ho una vita molto meno piena di cose da abbandonare della sua, sono con l’umore sotto terra, neanche sotto le scarpe come si suol dire. Probabilmente questo è solo il suo modo di vivere gli ultimi momenti, per non sprecare neanche un attimo, reputando la vita troppo preziosa per passarla a… rispettar regole su regole, farsi problemi su cosa pensano gli altri, rinunciare al coraggio, lasciarsi cullare dal dolce veleno dell’orgoglio e della rabbia repressa, mantenere la calma e non esternare nessun sentimento. Lui non vuole morire, ma sembra più deciso di me”.
Questo mi fece rabbrividire, per mille motivi che si sovrapposero l’uno con l’altro ma uno fra tutti prevalse.
“Lui non merita di morire. Mi sento quasi una sciocca a pensare questo…. ‘In un momento come questo’”.
Queste parole mi riecheggiarono nella mente.
“Ha detto la stessa cosa di se stesso, che ho pensato io poco fa di me. Siamo sulla stessa barca, eppure… io mi sembro una vecchia di ottant’anni che non ha nemmeno il coraggio di posare lo sguardo sul suo corpo troppo bello da far quasi male, mentre lui sembra una luce abbagliante e sfavillante nel pieno della vita e, mai e poi mai si penserebbe che stia per togliersela così, in un soffio”.
«Perché sei qui?». Quasi sputai quelle parole, quindi mi morsi subito il labbro perché non avrebbero dovuto uscirmi così quelle parole.
“Stupida! Dovevano uscire caute e rassicuranti, soprattutto riflessive. Decisamente non così dirette e invadenti”.
Mi guardò, con aria quasi interessata ma sempre mantenendo quella nota di allegria e oserei dire, sfrontatezza verso la morte che lo attendeva.
“No, decisamente non ha il profilo di chi si vuole buttare e di sicuro non è pazzo, beh magari solo un po’ ma in senso buono. Allora, cosa c’è che lo spinge a fare un gesto simile?”.
Mi ripetei ancora una volta che forse era solo il suo modo di affrontare la cosa.
“Sì, dev’essere così. Eppure giurerei di scorgere quasi paura ma non cieca: consapevole e malinconica. Lascia qualcosa che non vorrebbe abbandonare. Non ha veramente alcun senso. Forse è un uomo d’affari che si è messo nei guai con la finanza. D’altronde, se io all’età di trent’anni non ho ancora un lavoro né una vita in generale, tutto può essere”.
Fissai di nuovo il mio sguardo sui suoi capelli.
“Se non avessi la fiducia sotto le scarpe giurerei che siano praticamente uguali ai miei, è mai possibile? E gli occhi sono di un verde azzurro un po’ cupo, come i miei. E… wow che belli quegli occhiali, con lenti riflettenti e rilucenti e, quell’effetto vintage rovinato… chissà perché prima non ci avevo fatto caso. E dire che occupano tutta la testa”.
«Che guardi, bellezza? Ti piacciono i miei occhialoni da nerd? O anche in un momento come questo mi stai ridendo dietro? Cosa plausibile, tanto che ti frega? Tra poco sarà tutto finito, ah la vita. Non sai mai dove ti porterà e cosa ti deve riserbare. Io, per esempio un giorno fa non mi aspettavo minimamente di arrivare a questo punto». “Incredibile”.
Il suo tono mi apparve allegro nel dire certe parole, sognante.
“Questo tipo deve veramente avere un’autostima di ‘Vibranio’ … o solo tutte le rotelle al contrario piuttosto. Ma allora, se non avevi programmato niente del genere… con il carattere che ti ritrovi, come mai sei qui? Se è per…”.
«Non sarà per una ragazza, vero? Però, in effetti mi sembri troppo intelligente e spensierato per arrivare a una conclusione del genere… e poi, mi hai detto che fin ieri non sapevi dove saresti arrivato…». Nella mia testa continuava a non avere senso.
“Chi sei strano ragazzo super figo e… nerd, come ti sei definito tu? Cosa che a me non sembra affatto, ma tant’è”.
«Pff, no, ma che ragazza… scherzi, vero? Il mio cuore è forte come una roccia … o come il Vibranio» rise con una risata dolce e allo stesso tempo un po’ arrochita dal fumo «Te l’ho detto che sono una specie di nerd? Il Vibranio è un metallo inventato dalla Marvel per uno dei suoi…».
“Ha detto proprio Vibranio? Cioè, io penso al Vibranio e lui lo nomina? Ma stiamo scherzando? Cos’è, mi legge nel pensiero?”.
Dovevo stare fissandolo particolarmente imbambolata, come mi capitava quasi sempre con i ragazzi carini, perché non finì la frase e mi sorrise interrogativo. A quel punto mi accorsi della pessima figura che avevo fatto e con molta calma mi apprestai a spiegarmi.
«Scusami».
“Ma che cazzo mi scuso a fare con un completo estraneo? Alla faccia dell’orgoglio, ma lo so da sempre che i bei ragazzi mi fanno l’effetto ‘Oca tarda’”.
«Hai parlato del Vibranio e… fatalità, poco fa ho pensato la stessa cosa».
“Non dovrei fare conversazione… l’ha detto lui stesso. Pur essendo molto più giovane, almeno all’apparenza, è molto più avanti di me. L’ho capito che il problema risiede solo nella mia testa e in me in generale… ma non credevo che anche in punto di morte, il destino amasse sbeffeggiarmi in questo modo”.
Rivolsi lo sguardo nuovamente al pavimento, il quale a qualche metro da me si sarebbe potuto far sfocato e accogliermi con un dolce e finale tonfo, ma non successe nulla. Anche in quel disastroso momento l’orgoglio prevalse, non una lacrima o un mutamento. Solamente guardai il marciapiede con odio e risentimento, più verso me stessa che verso tutto il resto.
“Provo risentimento per come mi sono giocata la vita, per come mi sono auto condotta verso questo punto… che poi, non lo sappiamo veramente: sarà veramente così buio e terribile dall’altra parte? Più di questa merda di vita? No, non credo. Questa vita in cui, ora ti giri per strada e vedi coppie felici, ora ti giri e vedi gente con macchinoni o case bellissime, ora ti giri e rigiri nei social e vedi super modelle e super modelli di qua e di là, in spiagge sempre più belle e sempre a divertirsi e o, sicuramente a scacciare la tristezza e i problemi. Io, nemmeno in questo ho il coraggio di agire… Orgoglio… ormai, arrivata a questo punto non si tratta più certo di questo. Oramai, sono solo un mare di scuse su scuse, per nascondere la mia incapacità e la mia svogliatezza”.
Ringhiai, e un solo spostamento d’aria sarebbe bastato a far terminare tutto quello che stavo passando. Il pavimento avrebbe potuto bruciare per quanto lo guardavo incavolata.
«Ma dai, sul serio? Che figo, siamo in sintonia, eh? Quindi, hai visto quel fantastico e super tecnologico film? Forse l’ennesimo su super eroi e fantascienza, ma a me fa venire i brividi dall’emozione ogni volta che vedo quel materiale così freddo, impersonale e incolore, diventare qualcosa di straordinario, come per esempio un treno. Uno ad altissima velocità, che però non causerà incidenti in nessun caso perché, sempre grazie allo stesso materiale e alla fisica applicata, è contornato da una barriera invisibile resistente persino al suono» dicendo la frase fece un plateale gesto a descrivere le proprie parole «Dovrebbero decidersi a trovare un metodo per applicare tale tecnologia. Càpitano un po’ troppi incidenti con i mezzi per i miei gusti e poi, sono sempre in ritardo e di una lentezza inesorabile. Però, se nemmeno io so come fare, figurati quei cretini di falsi fisici: teorici, pratici e chiropratici». Affermò gonfiando il petto in segno d’orgoglio ma con un sorriso sul volto che quasi mi sciolse, e sentii le spalle rilassarsi senza però farmi perdere l’appiglio con il parapetto su cui ero pericolosamente seduta.
“Questo mi prende in gir…, sul serio. O ha una paura matta e cerca di darsi coraggio, o non ha la benché minima intenzione di saltare, oppure non ci capisco più nulla. Quanti interrogativi ancora dovrò pormi per mettere fine alle mie sofferenze?”.
Quasi leggendomi nel pensiero, smise di pavoneggiarsi e tornò serio, senza però mollare quella punta di consapevolezza e sfrontatezza. Come avesse dovuto fregare la morte stessa, in qualche modo.
«Scusami, ti sto solo annoiando con tutte queste chiacchiere inutili. Immagino non te ne freghi più niente di quegli stupidi treni, ora che…».
“Già, ma sembra che a te invece, importi anche troppo per uno che sta per suicidarsi, però… non posso che porla solamente come una semplice supposizione nella mia testa, niente di più”.
«Ma senti, dove abiti di bello?». A questa domanda nei suoi occhi passò un lieve sensore di divertimento e furbizia. Come lo sguardo che attraversa gli occhietti vispi dei bambini quando hanno combinato un pasticcio, non grave ma pur sempre un pasticcio.
“Immagino che non gliene freghi niente, e mi ponga la domanda come pura distrazione per farsi una risata. Magari penserà che io viva nei bassi fondi...”.
«Qua a Padova, vicino alla grande piazza ‘Prato della valle’».
“Voglio proprio capire cosa ci trova di tanto divertente”.
«Ah, capisco. Che bel posto, anch’io fino a poco tempo fa avevo in mente di trasferirmi in quel quartiere lì. Piccolo, pieno di vecchi criticoni ma immerso nel verde e isolato dalla criminalità» la nota di furbizia nel suo sguardo si accentuò «e poi, c’è il bello di dover arrivare almeno fino al centro per raggiungere un po’ di vita, quindi sei costretto a muoverti almeno un po’. Io, al contrario sto molto più in periferia rispetto a te, diciamo che non amo il casino quando mi rinchiudo in me stesso, ecco». Capitolò in un’altra tenerissima risata, che non riuscii a ignorare.
“Mi fa quasi male dover lasciare anche solo questa bella cosa, per finire… non nel nulla, non in paradiso o nell’inferno o nel limbo come tutti pensano, ma finire e basta. Se solo non fosse andata in questo modo... forse potrei anche dare una possibilità a quella risata: dolce, rasserenante, esorcizzatrice di tristezza, fiera. Ma… come al solito, non ho il coraggio neanche di continuare a vivere, non ce l’ho… mi sento svenire… sto per svenire…
Stavo per cadere, ancora mezza cosciente sentii il mio corpo che si staccava dalla ringhiera, cioè l’unica cosa che mi tratteneva dal cadere e, chiudendo gli occhi spensi la mente abbandonandomi all’idea di ciò che mi sarebbe accaduto. Neanche il tempo di lasciarmi andare del tutto che mi sentii afferrare da delle possenti e calde braccia, che mi tirarono verso l’alto e, mi sentii cadere sì, ma non dove avrei sperato…
«Ma che?». Profilai imbambolata e disorientata. Fu lui a prendermi.
“Perché? Perché l’hai fatto? Ero a un passo dal perdere tutto il dolore che mi pervade secondo dopo secondo. Perché? Perché ho esitato? Perché sono rimasta ad ascoltarti? BASTARDO!”.
«Bastardo!» lo ammonii decisa «Ma che vuoi da me? Mi sentivo quasi felice e leggera al pensiero di quello che mi stava per accadere… quasi una cosa bella, una cosa eccitante, diversa dal solito e infinita, dopo una vita di infelicità e inutilità!». Quasi gridai, anche se il mio cervello non connetteva ancora tanto bene per permettermi di utilizzare appieno le corde vocali.
«Finito?».
“Maledetto! Questa stoccata non me la doveva affatto fare, cosa ho fatto di male nella vita? COSA?”.
«Come? No… Non ho FINITO! Sono stanca, triste, sola, voglio un po’ di pace!».
“Perché non te ne vai a fanculo da dove sei venuto, eh?!”.
Pensai in preda all’ansia.
«Senti, non voglio separarti dal tuo amato marciapiede ma se cerchi la felicità forse, non è il modo adatto… non credi?!».
“Non credo? Come sarebbe a dire? Ma cosa ne può sapere questo di me?”.
Risi con fare ironico.
«Ma cosa ne sai di me? C’eri quando, pur ribellandomi mentalmente agli sbeffeggiamenti a scuola, non riuscivo a tirar fuori neanche una parola per difendermi? Quando mi facevo remore pure a mandare a fanculo la gente che mi rovinava la giornata? Eh? O quando mi approcciavo per la prima volta al fantasticissimo mondo del lavoro, così eccitante e pieno di varietà, dove poi mi sono ritrovata con solo porte sbattute in faccia e la derisione negli occhi, velata dalla falsa tristezza per non poter tenere un’incapace come me? C’eri? E c’eri quando mi approcciavo le prime e, anche ultime volte alle storie, cosiddette d’amore, che alla fine di amore non hanno avuto proprio niente? Senza amore, senza lavoro, senza famiglia, senza più passione per niente, stanca di tutto, mentalmente incapace di alzare un dito per far qualsiasi cosa, a parte ragionare e ragionare, su cose che per la vita di tutti i giorni non hanno alcun significato o importanza…». Mi interruppe.
«Tipo cosa?».
“Si aspetta davvero una risposta? Era un concetto generale e troppo ampio da spiegare… Rompi Coglioni!”.
«Come, tipo cosa? Non capisco se mi prendi in giro o fai sul serio… tipo tutto! Le previsioni di varie cose che però sono alquanto ovvie, e nella mia contorta mente in mezzo a pensieri importanti e intelligenti, a completare e… complicare il tutto, passano anche immagini che non mi servono proprio a nulla… proprio a nulla!». Continuai urlando a pieni polmoni, non mi interessava di essere sentita, stavo per lasciare il mondo fino a prova contraria.
«Che immagini? Il discorso sta cominciando a piacermi di più… prima era un po’… smorto». Mi rifilò un sorrisetto divertito e quasi canzonatorio ma sempre dolce e rassicurante.
“Come fa a restare così perfetto? Io ho i nervi a fior di pelle”.
Gli ringhiai contro infastidita dalla sua insinuazione, che per altro era vera.
“Non sono mai di compagnia, rinchiusa nel mio mondo come sono, quando esco faccio anche uno sforzo immane per non risultare pazza o cose così. Cosa che per esempio a lui non sembra minimamente interessare, o forse è solo il più spigliato che io conosca”.
«Ma fatti i cazzi tuoi… stavo per buttarmi e, adesso dovrei raccontarti gli affari miei, come una sorellina minore un po’ triste per la prima cotta andata male?». Risposi sempre urlando.
«Se ti fa sentire meglio…». Mi disse con tono incoraggiante per invogliarmi a continuare e ad approfondire il discorso.
“Non lo voglio assolutamente approfondire. Non ne ho mai parlato con nessuno, nemmeno con il migliore psicologo che ho incontrato nella vita. Cosa dovrei dire a uno sconosciuto? Guarda, non riesco mai a concentrarmi perché nella testa di tanto in tanto mi passano le canzoni dei cartoni, le scene degli stessi, che mi distraggono e riempiono la testa anche durante cose a cui tengo molto, e mi passano inesorabili immagini dei personaggi che amoreggiano e fanno cose che nel cartone non farebbero mai, vorrei che la mia vita fosse dentro ai miei cartoni preferiti, scrivo, immagino e sogno cose molto improbabili sempre sui cartoni e ormai il quaranta per cento del mio cervello è occupato da cose così. Ah, ciliegina sulla torta… mi dimentico quasi tutto, senza avere l’Alzheimer però eh, non sia mai. Bello, proprio bello. Mi internerebbero sul serio stavolta. Meglio star zitta, va”.
«Non ho alcuna intenzione di dare motivo a qualcuno di ridere di me, o peggio…».
«Che c’è di peggio di ridere dietro a qualcuno che ne potrebbe soffrire?». Mi guardò serio ma rilassato.
«È una cretinata in confronto ai problemi del mondo».
“Non riesco proprio a mettere al primo posto un sentimento così stupido come questo… sentirsi derisi… certo che ne ho risentito, ma non è niente in confronto alla fame che sentono nei paesi poveri e tutto il resto.
«Ma tu come ti sei sentita? E comunque, l’ho provato anch’io. È esattamente come la fame che circola nei paesi poveri».
“Questo mi prende in giro… lo ammazzo…”.
«Come osi paragonare due cose così diverse? Quanto puoi essere ignobile per paragonare i morsi della fame che durano tutta la vita per qualcuno, con una semplice derisione alle età di quindici anni per altri? Idiota!». Non mi stupii di sentire la gola che piano piano diventava sempre più riarsa per le eccessive grida e la troppa energia che infondevo in quello che dicevo.
«Vuoi sapere cosa mi spinge ad andare oltre, oggi? Eppure ho una paura matta di perdere tutto quello che ho. Mi spinge il sapere che grazie a me tutto il resto del ‘mondo’ trarrà una grande vittoria… ma soprattutto la salvezza».
“Ok, ora mi sta canzonando alla grande e, anche usando un tono serio… Figlio di puttana!”.
«Ma chi ti credi di essere? Non prendermi per il culo». Stavo per piangere.
“Me lo stai proprio sbattendo in faccia il tuo menefreghismo, eh vita? Eh, mondo? EH, natura?”.
«Non ti sto prendendo in giro. Ma comunque, l’hai detto anche tu… non sono affari tuoi» continuò sempre con tono serio, ma c’era solo serietà, non rabbia o risentimento o ironia «Ad ogni modo, perché non credermi? Non ti ho nemmeno detto i particolari, solo che il mondo…»
«Ma sta zitto, fighettino viziato di merda! Il mondo senza di te sarebbe salvo? Starebbe meglio? Senza di me starebbe meglio semmai, sono solo un peso per la mia città… in tutti questi trent’anni non sono riuscita a cavarmela in niente. IN NIENTE!». Piansi sul serio perché mi aveva abbandonato anche l’orgoglio.
“È finita, finita… Finita”.
«Fighettino viziato di merda? Ma come, credevo d’essere un nerd poco fa». Mi sorrise nuovamente con un sorriso così dolce che, in quell’istante a mala pena potei vedere, con tutte le lacrime che mi riempivano gli occhi e mi bruciavano l’anima.
«Perché?». Sussurrai tra i singhiozzi.
«Perché cosa, bellezza?». Sembrava avere il controllo di tutta la situazione, sembrava già sapere come avrei reagito ma io contavo sulla mia stupida e inappropriata imprevedibilità: finsi di indietreggiare solo di qualche passo, con le mani sugli occhi a coprire le lacrime.
“Voglio solo non vedere più niente, lasciarmi andare al nulla e dire addio a tutto”.
Lui doveva aver intuito tutto questo, perché lo sentii sussultare di paura e balzare verso di me per afferrarmi. Sentii di nuovo le sue braccia: calde, buone, forti, rassicuranti ma che quasi mi portavano via ogni proposito o resistenza, che ancora albergavano nel mio contorto cervello. Cominciai a scalciare e a dimenarmi come una pazza incatenata in camera di isolamento, mi sentii veramente pazza, ma non mi importò un fico secco di cosa sembravo o, di cosa sarei diventata… per l’ennesima volta mi veniva negata la possibilità di raggiungere la felicità, o la pace.
“Forse sono io la bambina viziata qui. La felicità la si crea. Me lo avrebbe insegnato la vita stessa, in teoria. Ma no. No, non devo cascarci ancora”.
Continuai a scalciare e quant’altro ma non ottenni molto.
“Quanto forte è, per la miseria?”.
All’improvviso, riuscii a colpirlo con il gomito destro sullo stomaco e lo sentii gemere di dolore ma non durò poi molto, e non mi liberò nemmeno di un millimetro.
“Voglio solo farla finita, solo questo! Perché? Perché dev’essere così difficile?”.
Urlai dentro di me e, nel frattempo fuori continuai a piangere e a lamentarmi, come una vera pazza che si rispetti e in effetti non ero nemmeno tanto normale, per quello mi rinchiudevo spesso in me stessa, perché sarei stata un pericolo e basta.
Sentii piano, piano le forze abbandonarmi e, tentai fino all’ultimo di togliermi di dosso e di ribellarmi da quella pericolosa sensazione di sicurezza che le sole braccia calde di quel perfetto sconosciuto riuscivano a infondermi. Non sentivo più le membra, quindi rassegnata mi fermai ma per lo stress accumulato non potei fare a meno di sfogare le ultime energie in un forte e straziante urlo disumano: come mi stessero cavando il cuore. Quello, che non era più al suo posto da molto tempo. Il mio cuore era da un’altra parte, non che non ci fosse e non si sentisse ma era distante, inespressivo, inesperto, disinteressato, stanco, rassegnato. Lo sentii di nuovo gemere di dolore, probabilmente per l’urlo a cui lo stavo sottoponendo senza alcun ritegno, sia di petto che di gola. Lo feci nella speranza di finirmi da sola, di far uscire ogni briciolo di energia e di vita dal corpo ma soprattutto dalla mente.
“Non voglio più sentir nulla. Queste braccia rassicuranti, questo venticello fresco nei capelli, la gioia di assicurarsi ogni mattina che la natura non si è fermata insieme a te, la bellezza dei ragazzi per strada, quella interiore delle persone che ti vogliono bene, e delle persone sagge. Ogni volta. Ogni mattina rinunciare a tutto questo senza però poterne abbandonare il ricordo, che mi tormenta come una bufera di sabbia nel deserto… non lo voglio più sentire. Basta. BASTA!”.
All’improvviso sentii le corde vocali incrinarsi e come a esprimere il mio precedente desiderio, il buio prese il sopravvento sui miei occhi e sulla mia mente così all’improvviso, neanche mi avessero dato un forte colpo in testa. Cosa che non mi era mai successa in tutta la vita perché quando mi addormentavo, anche in quell’occasione restavo sempre cosciente e, infatti ricordavo molto bene tutti i sogni che avevo fatto, salvo poi dimenticarli per un ovvio sovraccarico di memoria, infondo non era poi così importante ricordarsi i sogni. Il buio totale mi avvolse, quindi ero morta forse; mi sentivo avvolta da leggerezza e calore, consapevolezza e il nulla.
“Sì, ora posso finalmente dirlo. Non sono più un’anima in pena, ma un’anima salvata dal fuoco terreno. Lo stesso fuoco: malvagio, infido, silenzioso e invisibile, che serpeggia dentro di te e non ti lascia tregua, fino a che non ti capita qualcosa o non decidi di sfuggirgli: appunto, abbandonando tutto quello che hai, lasciandoti andare alla morte. Addio”.

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Capitolo 2
*** Presentazioni informali ***


Secondo capitolo
"Presentazioni informali"
 
All’improvviso apro gli occhi o almeno è quello che credo, e ciò può solo significare che non sono morta.
“E allora perché vedo tutto nero? Non vedo niente di niente, esattamente come fossi morta o abbia gli occhi chiusi. Non so proprio cosa pensare, ma riflettendoci… morire per una sfuriata è altamente improbabile alla mia età, non ho ancora raggiunto i cento anni per avere un infarto in quel modo. A conti fatti, quindi sono ancora viva, anche perché mi sento le membra e sto pensando, cose che una persona morta non può di certo fare”.
Un sorriso amaro mi pervade, e sento di nuovo lacrime di tristezza scendermi dagli occhi sul viso e forti singhiozzi impadronirsi di me, bloccandomi perfino il respiro.
“Già. Non sarebbe un metodo poi male: morire piangendo. Ma non sarei mai abbastanza forte da trattenere il respiro così a lungo e… inevitabilmente ritornerei a respirare”. Mi giro di fianco e mi aggrappo a quello che il cervello registra come un lenzuolo. Questo mi fa sussultare e spalanco gli occhi, quindi stranamente i singhiozzi s’interrompono per far spazio ai dubbi, che si fanno prepotentemente spazio nella mia mente.
“Dove sono? Non eravamo sul terrazzo?”.
A evidenziare certi dettagli sento uno strano suono: un mugolio proveniente dalle mie spalle che mi fa girare, anche se essendo ancora intorpidita trascino con cautela gli arti. Vago con le mani, in cerca di qualcosa che mi dia un indizio sulla provenienza di quel suono ma sento solo le lenzuola, e temo di aver sbagliato tutto, quando all’improvviso però, sento qualcosa di consistente al tocco e ritraggo le mani.
“Ho paura pure di ciò che non vedo… sono un caso disperato”.
Provo a farmi coraggio e, riavendo quello sconosciuto contatto mi balenano mille immagini e ipotesi, quindi ritraggo di nuovo le mani verso di me per lo stupore ma ancora non capisco bene cosa io abbia toccato: solo una fastidiosa se pur improbabile ipotesi mi attraversa la mente. Riavvicino con un po’ più di coraggio le mie sottili dita curiose e, nel ritrovare il contatto con quel qualcosa che non riuscivo prima a identificare, all’improvviso l’ipotesi si trasforma in consapevolezza e decido di esplorare un po’ più audacemente l’oggetto in questione per accertarmi che sia reale, e non una mera illusione della mia debole mente ancora sotto shock.
“Sembra tutto reale, tutto disgustosamente reale. Non mi sto sognando niente. Voglio tornare alla mia solitudine, tranquilla e sicura solitudine. Però, tralasciando questo particolare… con chi sono adesso? ... che situazione pietosa… Mente adorata, da quando ti rifiuti di carpire anche i puri e semplici fatti? Sono con quello sconosciuto. Già, ci voleva uno sconosciuto per salvarmi… ma che dico? Salvarmi? Mi ha condannata… ad una lunga e miserabile e, soprattutto inutile vita di solitudine e monotonia. Odio la monotonia ma è la condizione in cui irrimediabilmente sono caduta, con o senza l’influenza negativa di mio padre. Perfetto, anche in questo momento riesco a pensare a quel…”.
Emetto un ringhio strozzato per non rimettermi a urlare come una pazza.
“Tanto ormai mi sono abituata ad avere dentro solo pazzia, rabbia e dolore e non posso tirarli fuori tutti assieme, ma nemmeno separatamente. Devo tenerli in me, o anche debellarli proprio non sarebbe una cattiva idea ma non è possibile”.
All’improvviso, sento il corpo dello sconosciuto muoversi sotto il mio delicato ma insistente tocco.
“Si sarà svegliato. Avendo percepito che lo sto toccando, si sarà infastidito”.
Ritraggo ancora le mani consapevole che non mi servirà più capire, perché so già cosa e chi mi trovo davanti. Non faccio a tempo a muovere un altro muscolo che mi sento tirare da un braccio, e ora sento tutto il calore possibile di questo mondo avvolgermi mente e corpo, il quale ormai credevo congelato.
“Più che altro la mente e il cuore lo sono, perché il mio corpo stranamente non va di pari passo, per niente”.
Sento il ragazzo mugugnare di nuovo per poi sbadigliare leggermente ma non ne sono del tutto sicura, dati il calore e il profumo di pulito delle lenzuola, i quali non mi lasciano affatto ragionare.
«Ehi, bellezza! Finalmente ti sei svegliata». Biascica e sbadiglia nuovamente.
“Dev’essere proprio stanco, è tutta colpa mia”.
Emetto un lieve sospiro sconsolato e depresso.
«Se stai ancora piangendo dimmelo, perché con questa oscurità non vedo niente».
«Già… l’oscurità…». Sto per perdermi nei miei pensieri quando mi distoglie fortunatamente, riportandomi al presente.
«Come ti senti?».
«Non volevo svegliarti».
“Ha ragione, sto per piangere e, di certo non perché l’ho svegliato. Ma perché il solo essere io stessa sveglia e, … ancora viva, mi provoca un dolore insopportabile, insostenibile. Vorrei essere un tipo freddo, così la semplice solitudine non mi toccherebbe nemmeno di striscio. Ma anche qua la ‘fortuna’ non è stata dalla mia. Piango e piango e, piango, perché tanto… che altro posso fare? Quanto posso essere negativa in un solo secondo di riflessioni. Tanto, è ufficiale”.
«Non dirmi che ti preoccupi per me…».
«No». Piango più forte.
«Ah… grazie eh… dopo che ti ho portato nel mio covo segreto e ti ho tenuta in vita». Ride divertito alla fine, mentre inizialmente credevo si fosse offeso.
“Questo tipo sembra incomprensibile anche per una riflessiva ossessiva compulsiva, come me”.
«Comunque… ti chiederai dove siamo o che ci faccia tu qui, con me: uno sconosciuto».
“Sì, forse solo un po’”.
Tutto è offuscato dal pianto, e dal dolore allo stomaco e al cuore, che ancora è presente e non smette di lanciare scariche di dolore, come una ferita aperta e pure auto inflitta.
«Beh, sei svenuta tre giorni fa e non ho proprio avuto voglia di lasciarti lì o riportarti a casa tua, non che sappia dove abiti… mi sarei informato».
“Perché mi sa tanto di bugia?”.
Il pianto e il viso immersa nelle lenzuola non mi permettono di far seguire una reazione a quel mio pensiero.
«Chissà cosa avresti provato a rifare, o meglio… come ti saresti sentita». Finisce la frase in tono più serio, allora capisco che non ha intenzione di provare qualche sporco giochetto mentale per farmi rinsavire.
“Ne sono felice, avrò pur il diritto di sfogare tutto il dolore che sento, senza dover per forza ragionare per tirarmene fuori. Voglio annegarci invece, nel dolore. Dicono che dopo si riesca a riemergerne più forti, visto che l’annegamento simbolico non ti uccide… in teoria… e invece uccide solo la vecchia parte di te stesso. Non sono affatto d’accordo, ma non posso esserne sicura finché non lo vivo in prima persona, penso. Penso, perché non sono più sicura di nulla. Questa situazione non me la sarei mai aspettata, per esempio. Forse, adesso il mio pianto si può un pelo affievolire, perché sento di non dover trattenermi e, quindi mi sento più libera. Il fato, almeno questa carità me l’ha concessa”.
Stiamo così, attaccati per un tempo che non saprei proprio definire e, mi viene voglia di ammazzarlo per quello che sta facendo per me.
“Non lo gradisco appieno perché non volevo svegliarmi di nuovo con il peso nel cuore dei ricordi della mia inutile e storta vita”.
A pensarci comincio a piangere, quindi giro senza accorgermene il viso verso il suo petto, in un gesto quasi involontario, ma tornando un po’ lucida noto che è nudo. Ho un sussulto, appena accennato come sempre perché sono molto introversa e mi stacco, quasi bruciata.
“Beh, in effetti è bollente, neanche fosse fatto di lava”.
«Non preoccuparti bellezza, non brucio mica» ride. Che bella, dolce e sincera risata. Mi soffermo sulle sue parole… l’ha fatto di nuovo, mi ha come letto nel pensiero. In ogni caso, quella non è la risata di chi si stava per buttare, o forse sono solo paranoica. Sì, questo è più plausibile, sicuramente. Però, devo ammettere che questa sua spensieratezza sta alleggerendo la morsa che sento allo stomaco e alla gola e, anche il pianto si calma un po’. Quella risata mi fa pensare che rida più per le battute che fa lui stesso e, per il proprio spirito allegro, che per altro. Forse ride solo perché gli viene naturale, non come me che ci devo pensare prima di emettere anche un solo suono e, scervellarmi quando sia più consono farlo e quando no. Queste riflessioni come al solito mi hanno portata lontana dal mondo reale, perché mi sento accarezzare la schiena dolcemente senza che me ne fossi accorta prima, in modo fraterno, rassicurante, rinvigorente quasi. Perché sì, ero disidratata. Disidratata di affetto e di calore umano. Non ricordavo già più questa sensazione: di un peso che tenta di sciogliersi come neve al sole. Mi ero quasi abituata a quel ‘peso’ e l’avevo diciamo, accolto in famiglia come parte fondamentale di me, quindi ecco perché fatica ancora adesso ad andarsene. Sento che potrei rilassarmi, smettere di piangere amarezza, sciogliere quel groppo di muscoli che mi blocca la schiena, liberare il cuore, smettere di pensare. Pensare… forse la mia unica e malvagia croce. Però… però sento che uno sforzo il cuore lo sta facendo, almeno uno e forse anche il primo. Il pianto si affievolisce e torno a respirare regolarmente, lasciando cadere sul suo petto lacrime silenziose e solitarie, ora tranquille.
«Adesso scommetto che ti senti un po’ più tranquilla». Sì, ma se lo ripeti ancora finirò per sentirmi solo in ansia e, quindi peggio ancora.
«Sì…. ma…». Il mio tono deve essere risultato un po’ sulla difensiva, perché…
«Ok, ok. Non te lo chiederò più. Certo che con questo buio è più difficile del previsto capirti». Una veloce risatina e, poi riprende…
«Però non amo affatto la luce che mi acceca gli occhi, soprattutto nel cuore della notte mentre sono totalmente rincoglionito. In questo periodo sta succedendo un po’ troppo spesso… con la vita che faccio, il mio coinquilino che è ogni volta più mestruato della prima… a volte penso davvero che lo dovrei incatenare per una settimana al letto… ma poi mi ricordo che se lo facessi, dopo averlo slegato sarebbe solo un tornado di dimensioni gigantesche perché ha covato, covato e ancora covato contro di me, cioè quello che l’ha tenuto bloccato. Quindi, come potrai ben immaginare… non so proprio che pesci prendere in alcuni casi». Me lo immagino con quella espressione finta rassegnata ma divertita che adoro tanto quando la vedo, soprattutto in un ragazzo che mi piace tanto… già, come lui. Sorrido e… rido. Cos’ho appena fatto, scusa? Ho riso. Ho riso? Perché ho riso? Non c’era niente da ridere. In tutto questo mi tiene ancora stretta a sé per la schiena e, quando mi sente quella breve risata smette quel bellissimo movimento tranquillante sulla mia schiena.
«Ehi bellezza, hai riso… hai davvero riso per me e una delle mie squallide battute, sono in paradiso!». Esclama concitato.
«Hai un coinquilino? Beh era comprensibile, con quella testa bacata non potevi vivere davvero da solo». Ora sto davvero sorridendo. Voglio dire, ho fatto una battuta, da quanto non ne facevo una, volendolo veramente intendo e, senza sentirmi poi stupida… e da quanto non sentivo la voglia di sdrammatizzare o fare della comicità per il solo gusto di farla.
«Beh, non mi pare sia un problema se mi faccio un po’ coccolare, con tutti gli aiuti che gli concedo… rischio anche la vita per lui. Quindi non può dirmi proprio niente. In realtà, me ne dice di tutti i colori… ma non lo fa sul serio». Sorrido di nuovo, sì sì… chissà cosa intende per rischiare la vita e per coccolare, saranno amanti. Dio, non me ne va bene una. Ma che vado a pensare? Sono proprio un’egoista, se sono felici non mi dovrei immischiare. Ma aspetta… che scema, mi ha detto di voler attirare ragazze appena ci siamo conosciuti. Forse ha mentito… ma perché avrebbe dovuto farlo? Per trarmi in salvo? Ecco… i dubbi e quel senso di peso mi attanagliano nuovamente. Che strazio!
«In che senso rischi la vita?». Chiedo cauta, cercando di mantenere un tono quasi scherzoso.
«Nel senso che quel dannato culo gliel’ho salvato io da quello sporco edificio, l’ultima volta» ribadisce serafico. Sporco edificio e culo in una sola frase non sono proprio tanto rassicuranti…
«Continuo a non seguirti… Tizio!». Vorrei chiamarlo col suo nome ma mi sono accorta di non saperlo e, così l’ho preso in giro col nomignolo come quello che lui ha usato la prima volta con me… di certo bellezza non è adatto a me, fredda, riflessiva e… scioccamente indiretta e, cauta.
«Purtroppo non posso dirti il mio vero nome ma puoi chiamarmi ‘bellezza’… mi starebbe proprio a pennello». Adesso sfoggia una risata di pancia parecchio divertita, contraendo i muscoli facendomi di conseguenza sussultare. Cosa che mi auguro non succederà a ogni suo minimo movimento.
«No, non penso».
«Perché no?». Mi sembra già di immaginargli stampato sul viso uno sguardo quasi ironicamente beffardo e… malizioso? Il buio mi lascia il beneficio del dubbio e preferisco così, non sono mai riuscita a sostenere uno sguardo del genere. L’ho già detto che sono troppo codarda? Credo di sì, ma non basta mai.
«Per favore… non guardarmi così… intendo: non è da me esser così sfrontata, anche se ti conoscessi e fossimo in… intimità». Deglutisco alla sola idea, anche se non mi dispiacerebbe affatto.
«Come ti sto guardando bellezza?». Intravvedo delle iridi chiare e divertite davanti a me farsi strada nel buio, a un dito dal mio naso, i miei occhi si stanno abituando al buio… purtroppo.
«Pervertito» arrossisco violentemente «Ti stai prendendo gioco di me». Sbuffo leggermente infastidita.
«Pervertito? Ma come? Non ero un fighettino viziato di merda?». Si finge risentito ma ormai vedo chiaramente la sua espressione e, la lucentezza che in questi giorni hanno acquistato i suoi occhi. Se possibile, sono ancora più belli così luminosi e lucidi, quel giorno invece sembravano leggermente arrossati e nel colore tendevano al grigio, pur distinguendosi i due colori predominanti. La sua faccia da schiaffi però non mi impedisce di ridere un’altra volta… mi sta proprio contagiando… ‘bellezza’, che però io chiamerò ‘Tizio’. A proposito, perché non potrei sapere il suo nome?
«Posso farti una domanda prima che ti esalti ancora per avermi fatta sorridere?».
«Veramente a me quella sembrava una risatina in piena regola…». Grugnisco lievemente, in faccia a Tizio e lui finge uno sbuffo scocciato e mi cede la parola con un tacito assenso.
«C’è un motivo particolare per cui non posso sapere il tuo nome? Non sembrava una battuta, ma non me ne spiego il motivo… non sarai mica un mafioso». Ho sempre voluto fare questa battuta. E non mi aspetto di certo una risposta ma mi diverte pensare come l’altro si incastrerà e farneticherà scherzosamente per farmi capire che non è come sostengo. Certo che, però potevo evitarla con un mero sconosciuto… e se lo fosse davvero? NO! Non vedo l’ombra di tutto ciò e, certe cose le sento perfettamente. Però non sento arrivare nessuna risposta… che fa? Non mi starà prendendo in giro… vero? Altrimenti mi alzo seduta stante e me ne vado.
«Veramente dolcezza… non ho ancora ammazzato nessuno, quindi tecnicamente non lo sono». Cosa?
«Dolcezza? Non ero: bellezza?».
«Te ne sei accorta eh? Certo che mi metti in difficoltà così… non mi aspettavo proprio una domanda così da te e, così a brucia pelo, poi. Certo, dovrei mentire…».
«Eh?». Mi scappa spontaneamente per la sorpresa, la quale comincia a far spazio a una lieve ma sensata paura.
«Aspetta, aspetta fammi finire, altrimenti sembrerà che io sia una persona orribile». Non mi stai per niente aiutando a mantenermi zitta ad ascoltarti, cazzo! Stringo le mani a pugno, ancora schiacciate tra i nostri corpi, per il fastidio e la rabbia che servono a coprire la paura dentro di me.
«Non so come spiegartela una cosa del genere… non è come appunto dire… sono un mafioso. Che io non sono, ribadisco. Diciamo che aiuto il mio ‘coinquilino’ nelle sue ‘avventure’. Ah e, sono un informatico». Vorrai dire un truffatore informatico…
«Vorrai dire un hacker, perché chiunque può essere un informatico al giorno d’oggi». La mia voce è più dura di prima perché non sopporto che mi si dicano mezze verità, soprattutto quando non so di cosa si parla.
«Eh, già! Non immagini neanche quanto». Cos’è questo tono adesso? Sembra… dispiaciuto? Perché dispiacersi con un’estranea? Beh, visto come mi ha trattata finora non credo abbia cattive intenzioni, infondo è questo l’importante, no?
«Spiegami». Lo invoglio a parlare, tanto ormai ha cominciato, che vada fino infondo.
«È complicato bellezza». I suoi occhi sono ancora mogi, mogi.
«Certo che voi uomini siete proprio tardi, eh…». Lascio cadere la frase in modo da fargli capire che si può fidare di me, mi sembra più intelligente degli altri che ho conosciuto. Decisamente più intelligente, lo è più di quello che dimostra e, la mia era solo una semplice offesa di provocazione. Ride lievemente e mi fa increspare le labbra in un ‘tenero’ sorriso, uno di quelli che non ho quasi mai espresso perché non sono affatto tenera. Incurva la schiena per posizionarsi più comodo.
«Sei davvero decisa a scoprire i loschi segreti di questo sconosciuto soprannominato ora Mafioso, ma che si chiama ‘bellezza’?».
«Tizio» lo correggo. Non lo chiamerò mai ‘bellezza’, non mi abbasserò mai a tanto, che orrore.
«Certo… beh, allora… da dove inizio?».
«Da Adamo ed Eva». Gli rispondo seria e lui, come supponevo inizia invece con una battuta, ma se ne pentirà.
«Ah sì? Ma non ne so molto, non ho avuto molto tempo e soprattutto voglia di studiare la bibbia secondo pierino». Gli sferro un pugno sullo stomaco per quanto posso, vista l’assenza di spazio tra noi.
«Ah! Mi hai ucciso!» ride orgoglioso della sua resistenza «Va bene, allora… come avrai già capito… non centra la voglia… non ho proprio potuto studiare… almeno non cose normali, quelle erano frammentarie perché avevo tutto un altro tipo di percorso. Tra l’altro non ci hanno insegnato a credere nelle religioni, se mai in noi stessi e nel mondo, ma nemmeno in quello, sono io che sono un inguaribile ottimista». Sorride a questa sua affermazione. Dio, vorrei non vedere altro in questo momento, se non fosse che praticamente sta per dirmi di essere un criminale.
«Però sembri molto più intelligente di me che il liceo l’ho finito… da un pezzo ma l’ho finito. Anzi, sembro aver risentito molto più di te per la mancanza di studio e comunque non è questo che volevo sapere, quindi non ti interromperò e ti lascerò andare avanti, magari riesci ad emozionarmi con una storia, quasi quanto i miei libri preferiti». Lo punzecchio. Spero proprio che reagisca e finga di volersi impegnare al massimo per ‘eguagliare’ i suddetti libri, con il suo racconto. Infatti, mi guarda divertito con la sfida negli occhi e il sorriso sulle labbra… e che labbra… ehm… torniamo a concentrarci va là, non c’è dubbio che anche lui a quest’ora riesca a vedere le mie espressioni e, dove guardo…
«Ah… allora è una sfida! Ma bene, però sappi che non perdo quasi mai le sfide… e quel quasi lo colma il mio compagno di casa che invece non le perde proprio mai, è un genio assoluto. Sicuramente molto più intelligente e arguto di me… anche un fottuto figlio di puttana, però dai, gli voglio bene in ogni caso». Non è molto normale chiamare il proprio amico: fottuto figlio di puttana… sarà un modo di dire.
«Va avanti Tizio…». Va bene che mi dai indizi anche con le battutine ma io voglio sapere di te, non del tuo… compagno… mah.
«Ehi…». Sospiro esasperata, roteando gli occhi e continuando a fissarlo come a invogliarlo a continuare, non posso sempre essere dell’umore adatto per le battute, ma soprattutto non lo sono di natura.
«Va bene, va bene bellezza, vai avanti». Mi fissa per un assenso e gli sorrido compiaciuta che abbia capito.
«Allora, ti evito sconci dettagli…». Mugugno di disappunto ma me ne pento immediatamente, perché è come affermare apertamente che mi piaccia, solo che ormai l’ho fatto e lui se ne sarà sicuramente accorto. Ma sì, tanto è solo uno sconosciuto, che m’importa se capisce o no cosa penso? Mi stavo per suicidare proprio perché mi preoccupo sempre di quello che pensano gli altri. Stranamente però, va avanti col racconto… mi aspettavo una battuta o un versaccio ironico, meno male.
«Sono orfano… fin dall’infanzia, la mia amata famiglia mi è stata strappata alla bruttissima età di dieci anni. Per fortuna, o per sfortuna… dipende da come la si vuole vedere, sono stato trovato da un santo uomo e portato nel suo personale orfanotrofio in Inghilterra. Comunque non sono inglese ma americano. Non sono nemmeno sicuro di dove precisamente sia nato, ma… mi piace pensare di esser nato a Los Angeles. Che significa Angeli, giusto? Un significato intrinseco molto nobile e poetico. Per uno ateo e menefreghista come me… è un bel pensiero, non trovi?! Ma lasciamo stare, non è importante. Appunto, sono stato portato all’orfanotrofio e lì sono stato addestrato, per così dire a essere una specie di successore di un certo L, chiamato con molti nomi per mantenere al sicuro la propria identità, in quanto miglior detective al mondo. Era un uomo fantastico secondo me, non so se ne hai mai sentito parlare ma probabilmente no, era così sfuggente che non l’avresti trovato nemmeno dopo cent’anni, lui solo poteva trovare te. Un genio anche in campo informatico, certo non come me». Ride energicamente e questo mi riempie il cuore di gioia, vuol dire che la morte di questa persona non è più o non è mai stata un dramma per… Tizio. Accidenti, devo scoprire il suo nome. Comunque, è bello non vedere quasi nulla e, quindi non doversi concentrare che sulla sua voce. Gli occhi per me sono sempre stati un ostacolo.
«Questa persona come la conoscevi se era così sfuggente?». Sono curiosa all’inverosimile, la sua storia è oltre modo avvincente e la sua voce basta a farlo ‘pareggiare’ con la bellezza dei miei libri. Che tremenda che sono. Sorrido al pensiero.
«Beh, perché ogni tanto veniva a farci visita… o ufficialmente o in incognito, facendoci capire solo molto tempo dopo che era lui a esserci stato affianco, ma in generale mi ricordo molto bene i pochi incontri che abbiamo fatto, non direttamente con lui ma con la sua voce in un pc. Sai, sempre per mantenere la privacy. Ah, che genio. In effetti ci sarebbero stati parecchi problemi se fosse stato visto da almeno metà dei ragazzi che gira per quell’istituto. L’ho capito solo ora che sono successe tutte queste cose… e lui… ancora prima che accadessero le aveva intuite, così da poterle evitare. Voglio dire che conoscendo anche poche parole e gesti di tutti noi ragazzi, si era fatto un’idea oltremodo accurata dei nostri profili e quindi si era comportato di conseguenza con ognuno di noi. Per esempio, e ci sono arrivato sempre molto dopo, ovviamente: a me non ha mai chiesto di vederlo di persona per conoscerlo, fargli delle domande o che so io, sai perché? Anche se non centra poi molto…». Penso sia quasi indispensabile invece, caro il mio ‘rosso’.
«Dimmi, tanto ti devo ascoltare lo stesso e non ho niente da fare, ti pare?». Vedo che mi sorride gioioso, come dire che gli ho rivelato la cosa più bella del mondo… esagerato.
«Ok. Lui non mi ha mai incontrato semplicemente perché non ero interessato a diventare come lui, o a incontrarlo per davvero, forse ogni tanto ma era solo un capriccio, infatti è una cosa per cui non ho mai penato. L devo dire che me l’hanno descritto come un tipo un po’ competitivo e freddo, quindi tutto torna». Dubito sia così ma vai pure avanti: gli faccio capire con un accenno del capo e, lui va avanti.
«Poi c’è un altro personaggio importante della mia vita, di cui non posso non parlare. Che è proprio un personaggio… come dite qua. Parlo del mio coinquilino, amico, compagno di avventure o, dovrei dire sventure, confidente ecc, ecc, ecc». Lo vedo sorridere con dolcezza e divertimento negli occhi parlando di questo ragazzo, dev’essere proprio speciale anche se ho potuto constatare che il Tizio che ho di fronte non è gay, quindi non lo sarà nemmeno il suo coinquilino altrimenti dubito rimarrebbero nello stesso appartamento, senza che l’altro gli salti addosso. Beh, sono sollevata… per così dire, chissà che altro c’è dietro a questo sorriso da angelo.
«Ah sì, oltre che tutto questo è anche il mio capo, non perché lo sia veramente ma perché è fatto così e io gli sono troppo affezionato per andargli contro o, peggio…». Si rabbuia leggermente al pensiero di quello che dovrà dire, si capisce perfettamente cosa intende.
«Abbandonarlo… infondo, anche un capo ha bisogno di un amico e una spalla. Un capo non è mica perfetto, giusto?!». Già.
«Giusto». Potrebbe essere anche un assassino, ne dubito, ma mi sembra comunque un ragazzo d’oro, da non farsi scappare in poche parole.
«È una furia in tutto quello che fa, si incazza come niente ed è la persona che forse temo di più e, allo stesso tempo di meno. Questo perché so che non mi farebbe mai niente… specialmente dopo l’episodio all’orfanotrofio». Esita, forse non trova le parole per continuare, ma i suoi occhi dicono tutto. Un episodio finito parecchio male a mio avviso.
«Lui, il mio migliore amico mi abbandonò all’improvviso, senza dirmi nulla e dandomi le spalle, con la sua solita furia omicida negli occhi e nei movimenti, che però in quel momento non riuscii a gestire perché ero ancora piccolo e, soprattutto demoralizzato dalla notizia di non poter più rivederlo». A questo punto sospira pesantemente e mi arriva una ventata d’aria calda sul viso, che mi fa fremere impercettibilmente. Da quanto non sentivo questo tepore, questo calore umano, questa vitalità che mi scorre addosso. Abituata come sono ad allontanare gli altri, non ne ero più neanche consapevole, non me lo ricordavo neanche più e, potevo anche immaginarmelo ma non era affatto come averlo davvero a un palmo dal naso. Comunque, gli deve esser pesato molto quell’episodio, come pensavo. Uno come lui non emetterebbe un suono che sia uno se non fosse importante, al massimo farebbe una battutina facendo cadere il discorso. Gli appoggio una mano sull’avambraccio per incoraggiarlo ad andare avanti, magari ne ha bisogno anche lui, non lo posso sapere. A questo gesto lo sento fremere e contrarre i muscoli dell’avambraccio, ma non voglio badarci in questo momento e stacco la mano incriminata dalla sua pelle.
«Ti va di andare avanti?». Mi guarda fisso negli occhi, che ora brillano anche più di prima. Possibile? Con questo buio sarà solo un riflesso. Lo vedo distogliere lo sguardo e sospirare, ancora ma prende nuovamente coraggio e continua il suo racconto, che ora più che mai… di sicuro mi sta prendendo più d’un libro.
«Certo…».
“Il caro vecchio ‘bellezza’ è andato a farsi fottere… Uff! Non dovevo toccarlo, siamo troppo vicini, ma… mi farebbe addirittura male distaccarmi e,  poi sono sicura che non me lo permetterebbe, pensando che io me ne voglia andare”.
«Beh… dopo quello schifoso giorno… in cui non mi dilungo su come mi sentii… anche se una bella seduta con una psicologa mi farebbe passare gran parte di tutto… dicevo, dopo quel giorno, ancora quello dopo avevo la gioia sotto le scarpe ma mi decisi a cambiare il mio modo di vedere il mondo… peggio di come lo vedessi prima, a causa della morte dei miei… ti lascio immaginare cosa diventai. Però, il ricordo e soprattutto la voglia di rivedere il mio amico non se ne andava in nessun modo… bevendo, scherzando, fumando… pippando. E chi più ne ha più ne metta…». Continua cantilenando per far apparire tutto meno deprimente e sconcertante, povero ragazzo. Possibile che un amico possa fare quest’effetto? Dev’essere proprio un tipo particolare… ma questo l’avevo già capito, quindi non ha molto senso stupirsi.
«Ma… dopo un po’ mi sono detto che era inutile andare avanti a buttar via la vita e, siccome ancora non me lo scordavo… d'altronde come potevo? Non c’era nessuno con cui sfogarsi o impiegare il tempo libero in quel posto…. tutti troppo occupati da se stessi, le proprie passioni, i propri obiettivi e…. la maledetta successione. Decisi che lo avrei ritrovato anche se fosse stato impossibile. Lui non è sfuggente, al contrario è ingombrante ma basta un passo falso o una voce di troppo, e sei morto. Nel mio caso, non morto ma nei guai sì, eccome… perciò dovetti usare tutte le tecniche di spionaggio che conoscevo e… pianificare, cosa che proprio mi risulta insopportabile… però dai, col tempo ci ho un po’ legato, altrimenti non andavo da nessuna parte. Soprattutto nel mio ‘lavoro’ è impossibile non pianificare le azioni da compiere».
«Hai detto spionaggio… cosa sei, un investigatore? Anche se dalla tua prima reazione non si direbbe proprio, anzi sembra che tu debba essere uno dei peggiori furfanti» sorrido lievemente, divertita dal fatto che adesso sono io a far battute per alleviare il suo umore, sempre che ce ne sia bisogno «Comunque, adesso che ci faccio caso, lo parli davvero bene l’italiano. Alla fine mi devi proprio spiegare il perché dell’azzardata decisione di trasferirvi in Italia, in questo buco di stivale che sembra isolato dal mondo da quanto è messo male».
«È semplicissimo bellezza…».
«No… alla fine… Bellezza». Profilo in un sussurro, mi vergogno troppo, ma la vicinanza gli permette purtroppo di sentirmi e anche troppo bene e, infatti esulta soddisfatto. Cosa mi è saltato in mente…
«Mi hai chiamato bellezza… a-ha! Che gioia, sono riuscito a fartelo dire. Che bello! Ora posso lasciarti andare, sei guarita» ride di gusto. Allora fingo di allontanarmi.
«Beh, se è così…». Comincio con finta tristezza nella voce ma i miei occhi dicono tutt’altro… gli poggio le mani sul petto, un’altra volta…. devo essere proprio tarda, non do ascolto nemmeno a me stessa. Poi, mi allontano un poco ma lui è subito pronto a trattenermi a sé per la schiena e cerca in tutti i modi di restare spiritoso e di ignorare la situazione che si sta creando.
«Eh no… stavo solo scherzando… e poi mi hai promesso di non interrompermi e di farmi finire il mio racconto». Sorride divertito ma vedo un’altra nota in quello sguardo, che per ora catalogherò come ‘da ignorare’ …
«Va avanti Tizio…». Lo ammonisco con voce fintamente brusca e fredda.
«Mi mancherà ‘Bellezza’. Dov’ero rimasto? Ah sì!» solleva un dito in aria per puntualizzare «Dopo un anno di ricerche estenuanti e… pericolose, molto pericolose, sottolineato mille volte, lo trovai e… penando per farmi riconoscere, perché a quel punto ero abbastanza cambiato, ci riunimmo. Pensa, che da quando se ne andò dall’orfanotrofio passarono due anni e, poi ne passò un altro per cercarlo, in più avevo preso a tingermi i capelli sotto consiglio di una, quindi ero già arrivato ad avere diciotto anni e, soprattutto noi ragazzi a quell’età cambiamo da così a così nel giro di pochissimo. Ma tu lo saprai meglio di me… chissà quanti ne avrai frequentati a quell’età…». Sospiro pesantemente, ma che cazzo stai a dì Tizio? Ne ho frequentato uno per due stupidissime settimane a diciotto anni. E poi, è stato anche peggio. Tutto è stato peggio. Sbotto e stringo gli occhi a due sottili fessure, per la rabbia che questo ricordo mi provoca.
«Ehi, ehi! Gradirei che ti concentrassi sul mio racconto e non pensassi a nient’altro signorina ‘Bellezza’». Profila divertito… e ‘risentito’, non è mai serio questo ragazzo, accidenti a lui.
«Certo… ‘bellezza’» rispondo acida, ma poi mi do un po’ di contegno «Ma sei tu che mi hai fatto quella domanda implicita. Beh, non voglio rispondere e preferirei che andassi avanti… senza far riferimenti alla mia di vita, diciamo che la mia vita in generale è un tasto dolente per me. So che forse sono troppo drammatica e negativa, ma… anche fosse? Se sono nata così, non ci posso fare niente». Mi guarda… sembra stare pensando a come continuare e, se… continuare.
«E continua…». Lo sprono sorridendo e distogliendo lo sguardo, tirandogli un pugnetto sul petto.
«Certo. Da lì ci riunimmo e iniziarono solo i guai, solo che stranamente non mi importava più di tanto quello che avrei dovuto fare, mi bastava essere con lui»
«Disse quello che non voleva attirare il sesso maschile…».
“Incredibile… ho fatto una battuta”.
«Ah! Adesso mi dai anche del gay mancato… beh, se la lista non è completa dimmela tutta adesso». Adesso non è più così buio, si intravvede un po’ di luce penetrare dalle serrande che barricano questo posto e quindi lo vedo perfettamente. Ha gli occhi che brillano, questa situazione… con me o con una donna in generale, non gli dispiace affatto. Altro che gay. E poi, come mi ha stretta a lui prima… per ben due volte. Sospiro per calmare le sensazioni che sto provando e, per ignorare i brividi che mi stanno attraversando. Rovinerei soltanto questo momento, magico ma in bilico su un filo sottile che lo divide dal totale disfacimento di esso stesso.
«In ogni caso… cosa intendi con… qualsiasi cosa? Ti ripeto… non ti interromperò. E l’avrai capito anche tu… intendo che non ti giudicherò fino a che non mi dirai che hai finito il tuo racconto o, non vorrai fermarti». Impegnativa come promessa.
«Sì, l’avevo intuito…» si fa più serio, evidentemente apprezza questa mia decisione e l’accoglie seriamente ma di buon grado, avrà qualcosa di ‘spinoso’ da raccontarmi «Beh, intendo che… dovendo risolvere un caso dopo l’altro ma soprattutto quello di quei tempi… ecco, lui non viveva come un santo di sicuro e dovendo seguirlo, stargli dietro, mi sono dovuto immischiare con la mafia americana, tra l’altro proprio nella mia città, non in Inghilterra dove sono cresciuto».
“È quasi triste, in effetti dover vivere come un mafioso senza volerlo dev’essere brutto ed è un eufemismo”.
«Avrei preferito almeno che non si dovesse lavorare proprio in quella città che una volta tanto amavo, ma in Inghilterra che mafia mai si poteva trovare? E, di conseguenza, che razza di potere si poteva ottenere, per poi utilizzarlo per catturare e incastrare quel dannato assassino? Dimmi te, tutto per un solo stupido dannato ragazzino». Sbatte un pugno sul materasso. È... arrabbiato. Non l’avevo ancora visto così. È bello pure ora, mi trovo a pensare… non sono proprio capace a concentrarmi sulla realtà.
«Ora è tutto a posto con quell’assassino?». Lo fermo prima che scaturisca in una scenata e si perda nella rabbia del momento. Beh, in effetti quella sono io, però con mio padre mi sono abituata a essere una specie di psichiatra, quindi magari funziona anche con questo ragazzo. Ecco perché la mia vita è rovinata. Non ho mai potuto essere me stessa, essere umana o normale, son sempre dovuta essere diversa e distaccata e, infatti non so come lui possa sopportarmi ancora… mi ha anche tenuto con sé, un caso umano come me. Mi sento quasi fortunata adesso, pensa un po’.
«No, cazzo!». È ancora incazzato ma ora che ho le difese abbassate non riesco a contenere le mie reazioni o a prevederle come faccio di solito, così da reagire di conseguenza, così sussulto e spalanco gli occhi. Tizio se ne deve essere accorto perché con molta calma, come non fosse successo nulla…
«Scusami, non volevo spaventarti. Ci ho quasi rimesso la pelle e il mio coinquilino peggio ancora, lui un po’ ce l’ha rimessa davvero. È rimasto coinvolto in un’esplosione e, adesso sul viso ha un’enorme bruciatura cicatrizzata che lo sfregia per tutta la metà sinistra. È stato terribile trovarlo immerso nelle fiamme e ridotto in quello stato. Tu non l’hai ancora visto perché ci ha gentilmente lasciato la casa libera oggi, ma vederlo ora non sarebbe niente in confronto a quello che ho visto quel giorno io. Mi sconvolse pure il fatto che prevedevo già come l’avrebbe presa una volta vistosi allo specchio. E infatti, se non lo avessi calmato avrebbe messo a fuoco e fiamme il nostro stesso covo. Sarebbe stato capace. Perché lui le fiamme mi sa che le ha direttamente nell’anima, però te l’ho detto anche prima. Dipende… con chi è e come gli si parla. Non ha vissuto una bella vita nemmeno lui e ovviamente ha un carattere opposto al mio, o a quello… per esempio di L. O di un nostro vecchio compagno di orfanotrofio».
«Mi divorerebbe». Rido brevemente per poi tornare seria, perché penso non sia un argomento propriamente scherzoso, non voglio esagerare.
«Sì, infatti…! Ovviamente non glielo permetterai mai». Drizza la schiena e solleva nuovamente l’indice, orgoglioso come quando l’ho conosciuto giorni fa.
«Ma io veramente intendevo in un altro senso». Lo stuzzico con un sorrisetto malizioso, voglio vedere fin che punto va avanti a far lo spiritoso. Andiamo. Vorrebbe proteggermi? Sono un’estranea e, lui è un detective con una vita da nascondere per non avere grane… non gli passerebbe mai per la testa di mettersi nei guai per così poco. Però, per ora devo ammettere che è piacevole parlare con lui. Poi, dovrò ritornare alla realtà e uscire da questa bolla di tranquillità, spensieratezza e leggerezza, dove sto provando in una sola volta tutto quello che non ho potuto in un’intera vita. Ma intanto mi godo questi bei momenti.
«Ah sì, e in che senso intendi?». Sembra preoccupato… ma che è, scemo? Era una battuta la mia…
«Be sai, hai detto che ha il fuoco dentro…». Rispondo con finto disinteresse nella voce.
«Ah! Ma dai… lo sapevo che non dovevo parlarti di lui subito. Se le prende tutte lui quelle che conosco e finora non mi sono mai lamentato visto che c’è il libero arbitrio per tutti e… tutte, ma insomma, che cavolo». È proprio un amore quando se la prende… per finta, credo, spero.
«Sei proprio un bravo ragazzo Tizio, per me ti sforzi anche di non essere volgare ma di questo non ti devi preoccupare, ci sono abituata e preferisco il linguaggio scurrile a quello falso. In ogni caso, non ti chiamo bellezza… sai perché? Ed è un altro dei vari motivi» gli chiedo serafica «Perché lo sei veramente. Comunque, per mia sfortuna ho preso il carattere da mio padre, inoltre ho un fortissimo senso della giustizia e della vita, quindi… non penso proprio che mi avvicinerei a un tipo come il tuo amico».
«Davvero? Perché, che carattere hai?».
«Non credo ti serva chiedermelo. Lo hai visto tu stesso, no? Ci scanneremmo a vicenda. E comunque devo ammettere che non te la sei cavata tanto male… dopo tutto». Continuo tranquilla, ma decisa a fargli capire che non mi è indifferente. Infatti…
«Davvero? Quel dopo tutto alla fine me l’aspettavo, è tipico, mi becco sempre qualche rimprovero alla fin fine, non riesco in nessun modo a evitarlo». Ride lievemente passandosi una mano dietro la testa, come se fosse in imbarazzo.
«Comunque sì, davvero».
«Me lo sentivo che ti avevo fatto cambiare idea, almeno un po’».
«Su questo ci ritorneremo… comunque intendevo che…». Prendo un bel respiro per farmi coraggio, ogni tanto lo dovrò pur tirar fuori… ma tentenno, non sono mai stata abituata a questo genere di conversazioni. Sbuffo… questo sì che mi sprona e, quindi riesco a continuare.
«Che a pensarci bene… non mi sei indifferente, ecco. Ammetto che al mio ‘convincimento’ ha contribuito un po’ anche la tua… personalità». Non voglio sbilanciarmi oltre, ho detto anche troppo per i miei standard.
«Bellezza… così mi fai arrossire». Che spiritoso, sono io a essere avvampata come un kaiser.
«Come no… vai avanti Tiziettino». Provo a sviare il discorso e, sono molto ma molto contenta che lui lo accetti.
«D’accordo… dov’ero rimasto? Questo racconto non avrà mai fine… ma infondo era questo l’obiettivo» mi squadra. Mi dà fastidio quando mi squadrano enormemente, chiunque sia. Prego che davvero vada avanti e, non mi lasci ad annegare nell’imbarazzo.
«Se ti piace così tanto parlare allora non credo di essere la persona giusta… sono molto silenziosa e quasi non reagisco». Fingo di nuovo di spostarmi da questa posizione ma è evidente che non me ne voglia davvero andare da lì eppure lui mi ferma, di nuovo. Questa volta per il fianco sinistro, quello libero, visto che sono sdraiata di fianco. A questo punto non mi sento andare a fuoco solo le guance. L’ho già pensato e lo penso ancora, sto provando in una volta tutto quello che non ho provato in una vita e, non mi dispiace affatto. Il problema è che mi sento agguantata e sommersa da tutte queste emozioni. Beh forse esagero a dire che non le ho mai provate, dai non è vero. Però… erano anni, anni su anni. Deglutisco nuovamente, più rumorosamente di prima, mi sento la gola secca e le guance come tutto il resto andare a fuoco ma non riesco proprio a staccarmi dalla sua dolce morsa.
«Ti sei proprio preso a cuore la mia causa persa». Constato con tono quasi sensuale ma intimidito, mentre ancora mi tiene ancorato il bacino con la sua mano, una mano grande e calda ma non viscida e, in più c’è da dire che la gradisco visto che è la sua.

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Capitolo 3
*** Sovraccarico d'informazioni ***


Terzo capitolo
"Sovraccarico d’informazioni"
 
La mia attuale instabilità mentale non mi darà tregua per un bel po’ temo. Un lampo di lucidità e freddezza all’improvviso mi attraversa la schiena e la mente… non mi ha rivelato praticamente niente, nessun dettaglio, niente di niente. Questo apparentemente agli occhi di uno stolto, ma ha praticamente ammesso a cuor leggero e senza giri di parole, che è un mafioso. Perché non mi sono ancora alzata da questo maledetto letto? Ah già… lo so io perché… perché sono disperata ecco perché. Ma, tra l’altro cosa mi ha fatto rinsavire e venire in mente questo ‘dettaglio’? La sua presa forte e decisa? Se… può essere, in questo caso mi meraviglio dei miei riflessi, molto a scoppio ritardato devo dire… ma essere così dura con me stessa non servirà a risolvere la situazione, devo ricordarmi che stavo per compiere un atto peggio di tante cose, quindi lo sconvolgimento e le reazioni non proprio tanto normali sono quasi da prevedersi. Ma che devo fare? A parte che mi ha fatto capire di non essere un santo ma neanche un assassino, comunque se mai dovessi continuare a vivere, non voglio avere niente a che fare con gente simile… comunque anche se non prende parte alle azioni, comunque il proprio contributo con le azioni della ‘feccia’. Non m’interessa se per loro ci sarà redenzione o se lui è un bravo ragazzo. Come l’ho chiamato poco fa solo io, tra le altre cose. Perché? PERCHÈ? Dalla padella alla brace e, che brace… una brace che… veramente arde di fiamme, ma non fiamme comuni. No. LE fiamme, le fiamme dell’inferno. L’inferno sulla terra. Quello che mi aveva quasi trascinato a sé. Sto nel letto con un servo del demonio! No. Basta essere debole. Con un grugnito più rabbioso che mai, mi stacco dalla sua dolce ma decisa presa… che ne so di cosa hanno toccato queste mani? E non sto parlando dei germi. No, non voglio mai più vederlo. Sarà più facile che bere un bicchier d’acqua perché se dovessi andarmene lui non potrebbe farsi vedere troppo in giro per un motivo così futile come: cercare una ragazza. Inoltre… se dovessero decidere di farmi fuori perché so dove stanno e li ho visti in faccia… non lo rivedrei e non rivedrei neanche più questo mondo, mondo di merda che, come colpo di grazia, mi ha fatto avvicinare pure alla mafia, all’inferno reale e terreno oltre che a quello mentale, spirituale. Mio Dio, mi sento troppo mio padre in questo momento. Ma non ho mai voluto essere come lui… quindi in teoria se lui dicesse di no io dovrei dire di sì… ma no, non è così semplice, devo ragionare con la testa e, questo per tanto comporta che devo dare la possibilità di spiegarsi al mio interlocutore.
«Bellezza, che ti prende? Credevo che dovessi continuare un discorso». Mi chiede sinceramente confuso.
“Non dovresti minimamente avere espressioni sincere. Non si addicono a gente come te o come il tuo amico. Statemi lontani, non voglio macchiarmi anche di sangue oltre che di un marchio già in me indelebile”.
«Non prendere per il culo». Sibilo inviperita con lo sguardo rivolto in basso verso le lenzuola candide e ringhio di nuovo.
“Queste lenzuola dovrebbero essere intrise dei vostri peccati. Non linde e pinte come quelle di un ospedale. Là le persone vengono curate, invece che uccise o torturate, o… stuprate e abusate”.
Ringhio di nuovo e non riesco a fermare il fiume in piena dei pensieri.
“Avevo detto che non lo avrei giudicato. Che non l’avrei fermato fino alla fine, ma è più forte di me. È come se mi fossi risvegliata da un letargo autoindotto direttamente da questo ragazzo. Dalla sua bellezza, dalla sua loquacità, dal suo saperci fare, dal fatto che mi ha salvato la vita, dalle sue mani, il suo petto, le sue battute e le sue espressioni sempre troppo vere e sempre troppo amplificate per reggerne il confronto”.
Ringhio nuovamente ma stavolta ne segue che, con le mani sul suo petto, mi spingo via dal meraviglioso sconosciuto.
“Stavolta non oserà riprendermi o giuro che lo mordo con quanta forza ho. Dovrebbe aver capito che non sto più giocando e non sono più allegra. Non è scemo come gli altri. Per mia sfortuna. Per come mi stanno andando le cose in amore, farei meglio a dare una possibilità al mio amico Gian. Ma no che dico? Che centra ora? Non mi piace e non mi interessa in nessun modo. Perché dovrei chiedergli di uscire? Però… troppi interrogativi, non è il momento adatto”.
Vedo una mano avvicinarsi timorosamente al mio viso: la sua mano.
“Non voglio quelle mani sul viso, non sul viso, passi, sul corpo finché ero indifesa, bisognosa di calore umano, depressa, debole e quant’altro che poi mi verrà in mente. Ma ora… BASTA”.
Mi alzo di scatto su una mano per allontanare appunto il mio viso da lui e la sua mano e lo sguardo che mi scappa, lo avessi visto io stessa, avrebbe intimorito anche me.
“Non lui”.
Pur fermandosi a mezz’aria con la mano continua a fissarmi come niente fosse, come se si aspettasse una reazione simile.
“Non è possibile…  è stata una reazione istintiva la mia, e il semplice e puro istinto non si può affatto prevedere, giusto? Mi dà fastidio il suo continuo restare calmo, come se tutto intorno a lui non lo riguardasse, non lo sopporto. Mi dà sui nervi. Lo vorrei un po’ più umano, un po’ più imperfetto, un po’ più vulnerabile e meno allegro in situazioni critiche, forse per la mancanza in me di allegria o spensieratezza non sopporto di vederla negli altri nei momenti peggiori. Vorrei che tutti provassero le stesse emozioni, un altro dei miei problemi, non so soffermarmi unicamente su ciò che provo io e mi fisso sempre su quello che dovrebbero provare gli altri, potrei anche fregarmene però in questo caso, visto chi ho di fronte...”.
«Stammi lontano!». Sputo fuori con quanta irruenza e crudeltà riesco a immettere nella voce.
«Devo tenere in conto di avere un’altra regina isterica nella squadra, come il mio compagno, o c’è qualcosa che devi dirmi sui tuoi istinti che non so?».
“Mi provoca anche, non è contento di aver provato ad abbindolarmi, ha anche il coraggio di insultare”.
«Isterica a chi? Mafioso!». Torna più serio di prima, con una punta di consapevolezza e conseguente tristezza negli azzurri e verdi occhi.
«Dolcezza…». Prova a persuadermi con trucchetti tanto insulsi e infantili quanto viscidi ma lo blocco sul nascere, perché non aprirò una volta di più il cuore, senza saperlo prima al sicuro.
«Sta zitto! Dolcezza…». Sibilo di nuovo, carica d’odio e scherno.
«Senti… ti giuro che ti dirò ogni cosa che vorrai, senza tralasciare dettagli, ma devi credermi… non sono la brutta persona che il mio racconto vuole farmi apparire…».
“E come no, adesso vuole anche provare a far la vittima”.
«Di certo non sei un santo, non trovi?». La mia voce è ironica e a stento trattengo le urla di frustrazione, per questa assurda situazione.
«Giusto...». Non riesce a continuare la frase.
“Strano”.
Penso ironica.
“Credevo avessi tutto e tutti sotto controllo, esattamente come i mafiosi. Che stupida ragazzina sognatrice che sono, non mi sembrava strano che uno sconosciuto sapesse dov’ero, io che sono estranea a tutto e a tutti, io che non esco mai di casa? Che sono un fantasma vivente? Idiota che non sono altro”.
Mi guarda rattristato ma leggo nei suoi occhi un lieve speranza che mi torni la voglia di ascoltarlo.
“Forse potrei ma mi sento infiammare. Ogni minuto che passa. Forse sono davvero mestruata, però non ricordo l’ultima che mi è successo. Il lavorare continuo del mio cervello ha soppresso qualunque cosa di normale o bella ci fosse nella mia vita. Ecco perché ero lì, su quel benedetto balcone, unica mia fonte di salvezza”.
Continua a guardarmi con occhi timorosi.
“Ma cosa vai temendo? Un’estranea che non può farti nulla, di cui non ti può fregar niente? Perché non te ne frega niente, giusto? Non mi spiego tutto quello che stai facendo per me ma comunque non vuol dire che te ne freghi veramente qualcosa… magari non volevi una vittima sulla coscienza… una cosa del genere. Ma perché? Perché tutti mi devono mettere in difficoltà? O sono io che vado nel panico e perdo la ragione per un nulla… sì, probabilmente è così. E d’altronde cosa potrei fare per cambiare? Beh, di certo non frequentare sta gente. Devo farlo finire col racconto? Ma vaffanculo. La presa su di me l’ha mollata quindi sono libera di fare ciò che voglio”.
Con uno scatto mi sollevo seduta sul letto, man mano che passa il tempo sono sempre più furiosa, e forse questo perché non sta andando avanti.
“Se ne sta zitto, zitto come un vigliacco, come un codardo, un cane bastonato… e non mi sembra che nessuno di questi aggettivi gli si addica. Però, forse le cose si capovolgeranno…”.
Si alza anche lui con movimenti più tranquilli ma pronti a fare la propria mossa, mentre continua imperterrito a fissarmi dritto negli occhi.
“Cosa che non ho mai sopportato perché infrange ogni controllo che ho di me stessa, mi squarcia quella sottile barriera che ho di sicurezza nello sguardo”.
Ancora adirata volto lo sguardo da un’altra parte, insostenibile.
“Non riesco mai a sostenerlo lo sguardo, di nessuno, con o senza confidenza. Mi eviteranno tutti per questo? Ma lui no… beh, è chiaro… vorrà una spia in più, o peggio ancora…”.
«Perché mi hai cercato? Che intenzioni hai?». Il controllo su ogni mio pensiero è definitivamente sfumato.
«La mia intenzione era di non lasciarti andare, di non lasciarti sola, Des…».
“Cos’era quello? Il diminutivo del mio nome, per caso? Non può essere… ma d’altronde… se fa parte della mafia, quanto gli ci può volere per scoprire il nome di una semplice civile qualunque”.
«Come sai il mio nome?» adirata. La voce è completamente e irrimediabilmente adirata, come sul tetto quando mi ha afferrato per trattenermi sul tetto.
“Già allora ho sentito un senso di pericolo. Lieve e insensato ma ora tutto è più chiaro”.
«Senti…».
«Dimmelo!». Quando perdo la ragione sono irriconoscibile ma non posso proprio fermarmi o agire in modo sensato e quello che succede, succede.
«L’ho sentito… al bar. Varie volte quel cameriere biondo ti ha chiamato amichevolmente per nome e ti ha sorriso svariate volte, perciò o doveva essere scemo o dovevi per forza conoscerlo e quindi chiamarti così e, anche se era solo un nomignolo e capisco perché… non è poi così difficile per uno come me conoscere una cosa così semplice come il nome di una semplice civile… non mi fraintendere… semplice lo dico solo per dire. Non per rivolgermi alla tua persona».
“Continua a farlo, ripete a voce le parole che uso nella mia testa, la quale mi sta solo per scoppiare da quanto si sta frantumando in mille pensieri e congetture. E, ora che ci penso… quando mi ha parlato del cameriere la sua voce è impercettibilmente mutata. Forse era… scherno… verso il cameriere carino biondo? Può essere? Ma no, non mi deve interessare la presunta gelosia di un mafioso, anche se non ha ammazzato non sono pane per i suoi denti”.
«Beh ormai è andata, lo sai. Ma sappi questo… bel rossino» lo redarguisco con perfidia in un filo di voce, come a farla apparire appunto perfida «Non sono pane per i tuoi denti, non mi farò mettere i piedi in testa da te. Criminale!» sbotto infine. Mi sento svuotata dopo questa affermazione: questa ‘conferma’ dei miei pensieri nei suoi confronti.
“È come se l’ira funesta che serpeggiava dentro di me, non riesca infine a prendere libero potere e, venga di nuovo rilegata negli inferi della mia mente contorta. Insomma, mi sento svuotata, nuovamente senza forze o più che altro senza più voglia di sbraitare, o di attaccarlo. Questa cosa mi ha sempre fatto sentire vulnerabile più degli sguardi penetranti perché permette all’altro di attaccarti indisturbato approfittandosi della tua mancanza di… ’argomenti’”.
«Intanto te l’ho detto… non ho mai ammazzato nessuno, in nessun modo possibile, nemmeno coinvolgendolo in un incidente. Mi sarebbe pesato a vita. Anche se non sembra, sono sensibile oltre modo a queste cose». Sogghigno a quelle parole.
“Secondo me invece ne hai fatte di cose indicibili finora… eccome anche”.
«Ti prego di credermi, ci ho sempre fatto attenzione». Ringhio, è l’unica reazione che la poca energia che mi è rimasta mi permette.
“Sarà un calo di zuccheri, sì, non so da quanto è che non mangio e dubito che sia possibile ingerire qualsiasi cosa mentre si è addormentati. Dubito anche e, pure fortemente, che mi abbia portato in un qualche ospedale per attaccarmi a una flebo. Li avrebbero scoperti di sicuro… poveretti”.
Penso con vivida stizza.
“Io potevo morire ma di sicuro non potevano portarmi a curarmi come si deve”.
Batto debolmente un pugno sul letto.
«Mi sento debole all’improvviso, perché?».
«Perché ti ho dovuta nutrire con una flebo improvvisata. Diciamo che siamo preparati a certe evenienze». Strabuzzo gli occhi e socchiudo le labbra.
“Allora mi sbagliavo, non mi hanno lasciato in fin di vita. Per come sono abituata io sarei sicuro morta dopo tre giorni di digiuno completo. Allora non è poi così cattivo come pensavo, in teoria. In teoria, visto che, come si dice… una donna trasforma l’uomo. Ma non so se posso accettare di trasformare la bestia in un principe, non so se posso accettare la bestia. Non lo so”.
La testa mi duole e infatti non posso fare a meno di posare la mano destra sulla tempia nel vano tentativo di far passare quel pulsare, quel bruciare incessante. Sento la testa andare quasi a fuoco, il digiuno ha sempre un pessimo effetto sulla mia stabilità mentale e, basta saltare un pasto.
“Lo dice anche Caparezza che siamo tutti già troppo grassi per digiunare. Ha ragione cazzo eppure mi sono sempre impegnata a non oltrepassare la soglia, quella sottile soglia di inutilità. Quella a cui vieni indotto dai media”.
Di pensiero in pensiero, il male aumenta tanto che non mi accorgo nemmeno di aver iniziato a lacrimare, semplicemente ho iniziato. Vengo assalita dallo sconforto, a causa della debolezza che mi impedisce di innalzare una corazza contro le avversità.
“Non posso più sopravvivere a nessuna esperienza, di nessun genere. Oddio che negatività, spero sia la mancanza di cibo a parlare. Non è vero che sono debole, non del tutto almeno. Però se sto a digiuno non c’è niente da fare… divento una macchina di negatività e depressione”.
I suoi occhi attenti non si lasciano sfuggire le mie lacrime e piano si avvicina, per poi abbracciarmi nuovamente con tutte e due le braccia, una mano sui capelli rossi, ora più sfibrati e malconci che mai e, l’altro braccio a cingermi le spalle e la schiena, carezzandomi lievemente.
“Non voglio, non voglio il tuo calore. Il tuo sporco calore. Voglio il calore di una persona per bene, di un buon ragazzo che la pensi come me sulla natura e sulla giustizia, non di certo un fumatore incallito e criminale. Anche se sono stordita sento perfettamente l’odore acre e penetrante di fumo sia impregnato nella stanza stessa, sia nei tuoi vestiti. È cattivo questo odore. Non lo sopporto e sono abituata ai sapori e odori forti ma buoni. Come quello della cioccolata: al peperoncino, all’arancia e, altre ancora. Quello è un sapore buono e non lede al corpo, perché di certo non crea dipendenza e quindi non ti ci strafoghi. Non so come fate voi che fumate, con quel sapore perenne in bocca, mezzo dolciastro, mezzo acre, mezzo bruciato, mezzo tutto. Non si capisce che sapore abbia”.
Continua la dolce tortura che non voglio dalle sue mani.
“Chissà cos’hanno toccato”.
«Mi sento svenire. Ho fame». Siccome non posso svenire di nuovo, a stento torno lucida, ma la testa duole terribilmente.
«Vieni. Andiamo a mangiare qualcosa, non mi devi svenire così. Non tra le mie braccia».
“Questa frase… che dolce”.
Cerca di sollevarmi ed è quello che faccio anch’io, ma nel mettere i piedi a terra sento un capogiro da paura e le gambe, ovviamente molli per l’inattività cedono e, trattenendomi a lui quasi mi accascio a terra. Gemo per il dolore e la frustrazione, mentre mi tiene in piedi per un fianco, con un modo molto, ma molto protettivo e rassicurante.
“Sarà abituato a… non di certo ad ammazzare, mi dico. Sono davvero una causa persa”.
Penso sconsolata.
“Perché all’improvviso ho cominciato tutta quella sceneggiata? Non mi ero forse detta di aspettare la fine della sua storia? Sono molto coerente. Ma forse è stata solo la foga e l’adrenalina accumulata in questi anni e soprattutto in questi giorni, nei quali ho solo dormito”.
Mi porto una mano nuovamente alla tempia e le lacrime mi pungono nuovamente gli occhi e mi rigano le guance, che già scottano da sole perché avrò anche la febbre.
Arriviamo dopo poco a un tavolo di legno lercio, vecchio, brutto. Non me ne interesso ma i miei occhi vagano, anche se sono doloranti. Appoggio il gomito con cui mi sto tenendo la testa, sulla superficie del tavolo e l’unico istinto che in questo momento riconosco vagamente, è quello di tremare. Tutto il mio corpo è scosso da violenti tremori che non provo nemmeno a controllare, mi farei solo del male.
“Questa reazione non l’avevo mai provata personalmente, ma mi immagino sia normale visto che non mangio da giorni. E le lacrime non smettono di scendere, non smettono, NON SMETTONO”.
Ringhio, nervosamente perché tutto il dolore mi sta sopraffacendo. Passa un tempo che non riesco a quantificare, nel quale c’è solo quel male a farmi compagnia, e a tenermi presente alla realtà. Dopo quello che sembra un minuto, ma in realtà sono solo pochi secondi, mi vedo posizionare davanti al naso un bel panino fresco e abbondante di farciture varie: vegetariano, come piace a me.
“Neanche farlo apposta. Neanche gli avessi rivelato i miei gusti… ma a pensarci bene… è da un po’ che mi osserva e quindi per questo sa una cosa del genere”.
Il martellio alle tempie si fa più intenso, il che mi fa gemere sommessamente.
«Des… basta pensare e mangia». Mi intima calorosamente, per poi accendersi una sigaretta elettronica avvicinandola però alla finestra aperta, di quella che deve essere la cucina.
“Lo farà per non investirmi direttamente col fumo mentre mangio... anche se in effetti, non credo si sentirebbe un così cattivo odore. È uno dei tanti dubbi… ma non ce la faccio nemmeno ad aprir bocca”.
«Mangia, ti sentirai in forze dopo».
“E va bene. Non posso fare altro per ora”.
Mangio con fin troppa calma, non ho energie neanche per fare quella piccola e semplice azione. Un’azione vitale, indispensabile ma mi riesce ugualmente molto difficile, ho la gola secca e i bocconi di un pane se pur morbido mi raschiano ugualmente le pareti della gola come fossero lame.
“Anzi, le lame farebbero meno male perché essendo affilate non le sentirei”.
Deglutisco forzatamente facendomi appunto male alla gola, con un rumore fastidioso che non sfugge alla costantemente osservazione dello strano sconosciuto ancora a torso nudo.
«Ti do dell’acqua. Non vorrei che ti ferissi solo perché hai fretta di finire quella schifezza». Lo guardo di striscio e sorride malandrino.
«Quale schifezza? A me sembra un panino normalissimo e, anche molto buono… e fresco». Mi giro totalmente verso di lui con una smorfia imbronciata e interrogativa.
“Tanto so cosa vuoi dire, è inutile che mi sorridi con quella brutta faccia da schiaffi. Voglio tornare al mio balcone e al mio destino…”.
«Ti do dell’acqua. Comunque intendevo che è senza carne. Per me un panino senza carne è una vera schifezza. Non c’è nemmeno un pezzettino di formaggio. Come mangiarsi un pezzo di pane con dell’erba di campo».
“Immaginavo intendessi quello, caro rossino ma non mi immaginavo invece che fossi così ‘crucco’”.
«Ma scusa, ce lo avevi tu in frigo…». Gli domando sardonica.
«Non ci provare, è ovvio che hai capito che ti stavo seguendo da tempo. Infatti, sono sempre più preoccupato per la tua reazione che verrà, dopo esserti rimessa in forze. Tieni». Mi porge dell’acqua ghiacciata già al tatto, come piace a me. Sospiro e mando giù un sorso, lentamente e non troppo abbondante, come sono abituata quando la bevo fredda altrimenti si bloccherebbe anche il respiro, oltre che la digestione. Poi, la sua bontà semplice e rinfrescante mi travolge e nella foga mi dimentico tutto ciò, trangugiando un sorso dietro l’altro.
“Mi sento veramente riarsa”.
«Mio Dio, quant’è buona fresca. Soprattutto con l’arsura che mi sentivo dentro». Chiudo gli occhi e riprendo a mangiare, perché non posso lasciare quella delizia in balia della pattumiera anche se mi è molto difficile sforzare lo stomaco, il quale nonostante i pochi morsi è già pieno.
“Sono sicura. Se lasciassi questo buon panino incustodito, non aspetterebbe nemmeno di arrivare a sera per buttarlo. Nemmeno fosse farcito con vera erba di campo incolta. Deglutisco di nuovo rumorosamente, dovrei bermi tutta la bottiglia prima di tornare come prima. Il giorno stesso in cui mi ha trovata sul balcone, cioè non tre ma ben quattro giorni fa, avevo già smesso di mangiare. Era da giorni che lasciavo il frigo vuoto. Apposta per non consumare niente ma nemmeno permettere che qualcosa andasse a male. Sono sempre stata così, sempre troppo fissata su questi atteggiamenti di preservo e, si può dire, rispetto verso la natura; per accorgermi o convincermi che stavo andando verso una direzione di non ritorno. E sono ancora ora in queste condizioni. Seduta a un tavolo vecchio e malandato, in una cucina puzzolente di muffa e chiuso, senza luce, davanti a un mezzo sconosciuto a petto nudo, che se mi vedesse mia madre, mi darebbe della… Donna di compagnia. Ma lo farebbe in ogni caso ed è anche a causa sua che ho tanti complessi, secondo lei non dovrei nemmeno pensare che questo ragazzo è bellissimo, è peccato… e di certo non dovrei fissargli i pettorali scolpiti ma poco pronunciati come piacciono a me: è peccato, non dovrei nemmeno immaginarmi di fare un sacco di cose che sono peccati, secondo certi canoni”.
Torno a un’espressione imbronciata, ma sono molto più concentrata sul finire il panino per seguire il filo logico dei miei pensieri. Così dopo un attimo, mi dimentico irrimediabilmente di certi sottili dettagli e, dopo un altro morso stentato finisco di mangiare.
Espiro e questo piccolo, semplice gesto mi appare come una depurazione per la mente.
“Anche se in realtà non dovrebbe succedere proprio nulla, farlo mi aiuta in parte a sentirmi un poco più leggera, ed è come ricominciare da capo. Come esempio non centra nulla ma, in questo caso mi succede così e, ogni volta dopo sto meglio. Devo ammettere che funziona, mi sento meglio e più rilassata: sono un fascio di nervi a causa dei vari giorni passati senza mangiare e, a causa delle mie debolezze”.
Penso amareggiata.
Finisce la sigaretta e si avvicina a me, cauto, sedendosi poi di fronte.
“Diciamo che posso credere almeno a metà delle parole che mi ha detto: innanzi tutto, ci sono solo due sedie qui, quindi può essere vero il fatto che abbia solo un coinquilino; poi se avessi più forze e voglia di vivere, girandomi intorno con lo sguardo, potrei valutare tutto il resto da certi dettagli, i quali anche volendo non si possono nascondere del tutto…  non esiste il ‘delitto perfetto’. Queste parole le trovo abbastanza appropriate a questa situazione, una situazione alquanto assurda per i miei gusti. Mi trovavo su un semplice tetto, quando all’improvviso sono stata catapultata nel covo di due… ‘mezzi mafiosi’. Guarda tu cosa mi tocca sentire: in teoria non sono un mafioso, perché non ho ancora ucciso nessuno. E meno male, che bella consolazione. La vita mi sta proprio sputando in faccia, a quanto pare. A questo punto, tanto vale fargli continuare la sua bella storiella, a cui non devo crederò a occhi chiusi, così si concluderà questa sceneggiata e, qualunque sarà la conseguenza mi andrà più che bene”.
«Senti… penso di aver esagerato. In questi giorni… diciamo che non ero io… anche se in realtà una vera me…».
“Non c’è… vorrei dirle queste due semplici parole, ma non credo lo farò. Anzi, non devo emettere un solo suono, ho detto anche troppo”.
«Non preoccuparti bel…». Lo guardo con una faccia indecifrabile, bloccando sul nascere quella parola.
“Non dovrà più chiamarmi così, riferita alla mia persona”.
Lo sento schiarirsi la voce, e abbassare per un secondo lo sguardo, quel suo sguardo quasi sprezzante, che ora si fa un po’ più serio.
«Va bene. Farò il serio d’ora in poi. Però, posso chiamarti per soprannome, almeno? Farei abbastanza fatica a non chiamarti in qualche modo».
“Lo so benissimo anch’io, ‘sconosciuto’”.
«Beh, non è che io sia in una posizione migliore. Mi dovevi raccontare tutti i tuoi più oscuri segreti… e non so nemmeno il tuo nome, o un soprannome con cui ti chiamano di solito… e chiamarti tizio non è che sia il massimo».
“Che stronzata di discorso”.
«Almeno mi parli ancora. Comunque, per il momento mi puoi chiamare Giovanni, o Giò se proprio vuoi. Anzi, per il tuo bene avrei dovuto darti subito questa info, come vera. Non dovresti nemmeno sapere che questo non è il mio vero nome». Sospira leggermente chiudendo gli occhi.
“O, è un ottimo attore, o sta dicendo la verità. Credo… la seconda? Spero. Non sono così brava a leggere le persone, non sono un’investigatrice. Né una brava psicologa”.
«Detto questo…» esita un secondo, infinito e insopportabile «Continuerò il mio discorso e lo farò senza interruzioni, quasi come io sia una macchinetta».
“Finalmente”.
Penso, guardandolo di sottecchi. Ora come ora, mi sembra di essere in un film
“È come se lui fosse il mio ragazzo e lo avessi beccato a quasi tradirmi. Non mi piace né subirli, né porli gli interrogatori, perché anche se in realtà sta dicendo tutto lui… è come se implicitamente fossi io a porgli le domande/accuse, visto che mi vuole a tutti i costi dare spiegazioni e, dal canto mio, se gli devo restare vicina devo pur sapere qualcosa di lui. O per lo meno, devo potermi fidare di lui e sapere che alla prima occasione non mi ammazzerà a bruciapelo o non mi sbatterà sul letto a mo’ di bambola per i giochi”.
«Dopo quel giorno… in cui il mio amico si fece quella bruciatura al corpo, passai notti insonni a cambiare garze piene di sangue e… beh, diciamo altro. Non voglio traumatizzarti». Mugugno e muovo la testa in gesto di assenso ma lo guardo in una maniera che lascia trapelare un bel ‘Va avanti, e comunque non me ne frega niente di che dettagli aggiungi, sono grande ormai per certe cose e, comunque non sono dell’umore adatto per le gentilezze costruite’.
«Ma… alla fine guarì nel giro di una settimana, mentre altri ci avrebbero messo almeno due mesi. È un duro, di quelli veri. Dopo questo episodio abbiamo dovuto quasi arrivare a rimetterci la vita per risolvere quel caso di cui ti parlavo prima. Di cui preferisco non parlarti per una serie di motivi. Alla fine però, si è risolto tutto nel migliore dei modi e noi due, al contrario di ogni previsione, siamo sopravvissuti. Io, perché sono stato sostituito da un nostro sottoposto all’ultimo secondo. E il mio compagno, perché ha dato ascolto anche alla propria coscienza, oltre che al proprio cervello. In poche parole, non ci siamo dovuti sacrificare. Che sollievo che ho sentito quando dopo qualche mese dal nostro quasi fallimento, sono venuto a sapere che un altro detective aveva finalmente risolto il caso. Alla fine l’ha risolto lui, perché noi due dovevamo restare fuori dai giochi per un bel po’. E con la risoluzione del caso, acquistammo anche una certa meritata fama nell’ ambiente nostro e non, perché l’altro detective ci lasciò il merito di tutte le operazioni: che non erano state rese note in nessun modo, semplicemente si dichiarò un nostro valido ma indiretto aiutante. In ogni caso. Purtroppo non posso farci niente, è andata così… essendo nella mafia, io e lui avevamo un unico e difficilissimo compito, oltre a quello di detective… restare in vita e assicurarci che la gerarchia venisse rispettata e, soprattutto che non venisse minata da ‘esterni’. Voglio dire… niente vietava a qualcun altro di fare la stessa cosa che fece il mio amico all’inizio per farsi strada e raggiungere la vetta, cose indicibili sicuramente. La gerarchia in questo schifoso lavoro si supera solo uccidendo quello più in alto, non certo convincendolo a ritirarsi. Andando avanti con la storia: siccome durante i vari avvenimenti di quel caso, il capo di Los Angeles era morto, e anche i suoi diretti sottoposti… noi due eravamo quelli più in alto, in quella città almeno. Solo che il mio compagno voleva complicarsi ulteriormente la vita. Anzi, credo non sia mai soddisfatto e, quindi decise di trasportarmi in questo buco di paese come l’hai definito tu poco fa». Mi sorride dolce, forse ripensando alla battuta che ho fatto.
“Vorrei… non so nemmeno io cosa vorrei. Per ora mi limiterò a fissarlo imperscrutabile, così non si perderà e andrà al punto senza stupide interruzioni”.
«Ufficialmente, siamo venuti qua perché potesse conquistare una qualche posizione anche qui, farsi conoscere in un certo senso. Non so cosa potrà mai ottenere. Mah, avrà un piano, anzi mille piani… che spero non prevedano troppe morti o, non ne prevedano affatto. Ogni volta torna a casa più cupo del solito. Non sarà mai come la prima volta che si sentiva quasi eccitato per aver ‘salvato il mondo’ da una persona malvagia. Dopo aver compreso l’entità del gesto ha capito che dal momento in cui ha cominciato, non poteva ne smettere ne salvarsi l’anima. Sapeva e sa che ogni volta tornerà a casa irrimediabilmente compromesso, cambiato, peggiore e triste. Nonostante questo non permette a niente e nessuno di scoraggiarlo. Ogni volta trova un modo differente e più incisivo per venirne fuori e per non cedere, non farsi sopraffare. Certamente, quelle che fa fuori sarebbero persone indegne ma pur sempre persone. Saprai a grandi linee come funziona la mafia, no?! Uccidere per non essere uccisi. Ah…» sospira. All’improvviso il suo sguardo viene assalito da una sfumatura stonata: tristezza, con un misto di rabbia, rassegnazione.
“Decisamente stonata, per uno come lui, forse l’ho giudicato affrettatamente. Perché non si è affatto presentato come una persona rassegnata o infelice della propria vita, come invece lo sono io”.
Vorrei invogliarlo a continuare con parole d’incoraggiamento ma l’unica cosa che esce è un mugugno d’assenso. Il mio sguardo ancora non riesce ad addolcirsi, rimango indifferente e ne ho tutti i diritti. Mi guarda di rimando con degli occhi da cane bastonato che, decisamente stonano ma, decide di farsi forza e andare avanti.
«Dicevo, siamo venuti qui per avere una qualsiasi posizione ma il motivo dell’avere una posizione di rilievo e, quindi rispetto è uno solo. Come ho detto, siamo detective e viviamo unicamente per proteggere e liberare il mondo dalla feccia, ‘nel nostro piccolo’. Per quello seguo il mio compagno, perché con lui non ci si annoia mai e poi perché è il migliore. È come un fratello, un amico, un amante se fossimo omosessuali, scommetto sarebbe il migliore anche in quello. Nessuno ha la sua determinazione. Comunque, siccome ormai Los Angeles per me e il mio povero fragile cuore».
“che spiritoso…”
«Era off limits, decisi insieme a lui che la nostra meta sarebbe stata appunto l’Italia. Non ne potevo più dell’aridità del nostro paese. Tanta potenza e caparbietà, tante risorse… per nulla. Per ottenere soltanto altro potere, tanto potere da non veder più ciò che è bello e importante nella vita. Mi volevo allontanare dalle grandi potenze per avvicinarmi invece ai… ‘bassi fondi’. Li preferisco di gran lunga. Il mio compagno non ci si trovava poi male dove stavamo prima. Quello è il suo ambiente, e avrebbe anche potuto troneggiare. Un giorno però, finiti i vari casini sempre riguardanti quel maledetto caso, si è accorto della freddezza e della tristezza che mi velavano gli occhi nei pochi sorrisi che riuscivo ancora a dispensare. Così mi ha fatto due, tre brevi e semplici domande a cui non ho potuto più mentire e, ha capito che non ne valeva affatto la pena. Siamo qua, in questa dolce e rinfrescante penisola da quasi dieci anni. Dopo il caso a Los Angeles abbiamo dovuto racimolare di nuovo i soldi necessari per sopravvivere finché non avessimo fatto dei passi avanti anche qua in Europa. E per sopravvivere… intendo, non certo rubando. O meglio… abbiamo fatto qua e là, ogni tanto, delle mosse mirate, ma abbiamo deciso di cambiare radicalmente il metodo di approccio col mondo. Siamo qua da tanto, perché ce la siamo presa comoda… molto comoda, anche se, senza dirmelo quel cane continuava a far le sue ricerche senza dare nell’occhio. E intanto ci siamo fatti i nostri bei viaggi del paese e solo l’anno scorso abbiamo deciso di trasferirci qui a Padova». Fa una pausa breve e apparentemente insensata.
“Ha detto ‘qui’ a Padova, quindi non siamo in capo al mondo come temevo. Questo significa che se in qualunque momento volessi scappare potrei farlo e non mi ritroverei sperduta chissà dove. Però pensando anche a quello che ha detto prima, mi sale una rabbia… io che avrei tanto voluto viaggiare almeno per il mio paese non l’ho mai fatto e, loro invece se lo sono mangiato tutto in pochi anni, porca puttana!”.

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Capitolo 4
*** Avviso importante ***


Ho cominciato a scrivere questa storia per divertimento, come sempre. Temo, ogni volta che non ho voglia di scrivere o che mi dimentico di farlo quando ho tempo, che sarà un altro dei miei soliti progetti chilometrici e super difficili che proprio per questo motivo rimarrá incompiuta. In questo cercherò di farmi forza e, ogni volta che certi persieri mi attanaglieranno mi impunteró e andrò avanti a scrivere pur di andare fuori tema, o di sbagliare, o di scrivere la prima cosa che mi viene in mente. Questa pessima giornata mi ha fatto capire che la scrittura come anche per esempio il canto o il disegno, sono tutta la mia vita. Senza sono solo un ammasso di ego e nervosismo e lamentele, senza alcuna utilità. E comunque, visto che siete così gentili da leggere questa mia piccola storia nata per caso e, che la capite al volo senza chiedermi troppe spiegazioni, vi sono infinitamente grata e continuerò in ogni caso a scrivere fino alla fine, anche perché la state leggendo in tantissimi/e, nel giro che pochissimo tempo. Vi auguro di fare successo e... baci baci! A prestooooooo!

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Capitolo 5
*** Decisioni e test ***


Quarto capitolo
"Decisioni e Test"
 
“A parte questo sciocco pensiero. Non so proprio cosa pensare. So ancora meno cosa dovrei fare, essendo io un’eterna indecisa. Non so proprio cosa credere. L’istinto mi ripete con insistenza che non ho nulla da temere da questo ragazzo, ma la mente preme impetuosa per avere la propria opinione e per imporsi incontrastata. Vorrei fargli domande, domande su domande ma non esce nessuna delle tante. Non me le ricordo nemmeno tutte insieme, da quanto numerose sono. Allora mi farò un esame di coscienza e ripenserò a tutto quello che mi ha spinta fin qua, in particolare a quello che mi ha spinta lontana da qualsiasi uomo. Vediamo un po’… Più d’una volta ho preferito la passione personale all’amore, ho sempre scelto di non avvicinarmi a persone finte ma da che pulpito viene la predica, non faccio altro che comportarmi come vogliono gli altri e di conseguenza alla fine di tutto sono falsa con me stessa, falsa come ‘il giorno trenta del mese di febbraio’. Mai una volta che abbia tirato davvero fuori quello che pensavo veramente, basterebbe così poco infondo. Arrivata a questo punto, non so più neanche dove sbattere la testa. Non che prima andasse meglio, sono sempre stata incorreggibile con la gente. In ogni caso, il problema non è questo adesso”.
«Perché mi state seguendo da tempo? Ho forse qualche legame con la malavita di cui non sono a conoscenza?» lo apostrofo sarcastica. D'altronde non riesco a spiegarmene il motivo.
“Perché dovrebbero seguirmi? Bah”.
«Non ci arrivi?».
“Spero sia uno scherzo”.
«No. Non ci arrivo. Se mi vuoi illuminare…».
“Se non me lo dici subito mi alzo e me ne vado”.
Lascia passare qualche secondo prima di rispondere.
«Per la tua intelligenza Des. O meglio, per la tua sensibilità ai particolari apparentemente meno importanti, diciamo che sei una specie di psicologa. Una caratteristica che, se ben addestrata, può portare a grossi risultati nel nostro lavoro. Ti potremmo spiegare come concentrarti su certi particolari, invece che su altri. O ti insegnerò come collegarne altri per arrivare a delle conclusioni e agire di conseguenza. Comunque, dipende anche da caso a caso. E, ora che ci conosciamo… diciamo che la tua vita non è più poi così tanto pulita come prima… voglio dire che in un certo senso sei legata a noi ora, perché chi conosce noi è anche invischiato con la mafia. Siamo detective ma facciamo tutt’altro che redimere il mondo e di sicuro non stiamo lontani da pericoli e peccati». Mi spiega completamente serio.
“Questo l’avevo già capito, ma non mi è ancora chiaro cosa centro io. Ho un interesse per i particolari… bah. Non credevo mi seguisse così da vicino. Come ho fatto a non accorgermene? Ah già, sono assopita nel mio mondo e nel mio ego da cui fatico enormemente a uscire. Bel modo di ‘uscire’… incontrando la mafia. O meglio… dei detective immischiati con la mafia. Beh dai, mi ritengo fortunata. E adesso che ci penso, ho ripreso a ragionare in modo logico. Lo shock mi aveva offuscato completamente il cervello. Però… ora che sono tornata in me… cosa devo fare? Sto buttando via la mia vita, non so più dove sbattere la testa e non ho nessuno al mondo. Il solo pensare alla sua proposta mi fa venire le vertigini e il mal di testa. È anche vero che, appunto non avendo nulla da fare potrei anche pensarci, infondo non si tratterebbe di commettere peccati ma di evitarne futuri, ma questo a che prezzo? Lo so, lo so che per uno scopo nobile bisogna sacrificarsi ma qua non si parla di sacrificare solo se stessi, se fosse solo quello allora lo avrei già abbracciato a baciato in bocca. Ma ovviamente la vita non è mai semplice, e in questo caso lo è ancora meno. Cosa devo fare? Se accettassi, praticamente lo farei alla cieca… visto che le mie idee su cosa nasconda questo mondo sono davvero molto limitate. Non voglio legarmi di nuovo a un mondo che non è il mio, scoprendone le caratteristiche solo dopo, quindi subendo solamente le conseguenze. Devo essere matta. Scoprire i pro e i contro della vita da detective. Mi faccio ridere da sola. Va là, Desdemona hai realmente toccato il fondo. Non ho mai spiccato su qualcuno ma almeno prima i miei pensieri erano sensati e razionali. O forse era proprio quello il problema in me? Sì, perché essendo artista, pensieri troppo razionali non mi si addicono completamente. Forse li utilizzo per sopravvivere e come forma di difesa… Può anche essere, quindi a maggior ragione non li posso abbandonare per far spazio alla mia esagerata impulsività e irrazionalità. Una qualsiasi difesa mi dovrà pur servire, no? Qualsiasi sia però, deve diventare assolutamente più solida. Decisamente”.
«La mia attenzione per i particolari, dici?».
“Credo che l’inconscio abbia deciso per me. Se non fossi interessata ad ascoltarlo oltre, non gli farei di certo domande, scontate o non”.
«Sì. Se vorrai ti spiegherò tutto quello che ho in serbo per te».
«Ah! Quindi hai già tutto pronto da un pezzo. Ti dico subito una cosa che altrimenti non lascerei mai trasparire dai comportamenti… Mi dà fastidio tantissimo quando mi viene sbattuto in faccia che il mio futuro è stato già costruito».
«Però… devi ammettere che finora, evitando tutto non ti è andata molto bene».
«Cosa vorresti dire?».
“Ma che me la prendo a fare? Ecco la mia impulsività che viene fuori. È vero. È totalmente e fottutamente vero ciò che ha detto! Ma voglio davvero cambiare così radicalmente in un colpo solo? Dovrei rinunciare completamente a me stessa per diventare… detective, ‘commissaria’ della mafia, ‘amica’ di questi due, ecc, ecc? Non ne ho alcuna voglia. Però… sono in trappola oramai. Almeno, è così che mi sento in questo momento. È chiaro che pur fingendo di darmi una scelta, in realtà mi ha condannata a dover stare alle loro direttive e poi, c’è l’incognita delle loro identità. Come cazzo faccio a sapere che il suo bel raccontino non nasconde qualcos’altro? Dovrei chiederglielo”. Sorrido sarcastica a questo mio pensiero puerile ma disilluso. Alla mia reazione insensata, di rimando mi fissa perplesso ma con naturalezza, forse un po’ se l’aspettava.
«Lo so cosa vuoi dire».
“Non so se continuare o no la frase, sarebbe come ammettere che ho reagito seguendo i miei istinti più bassi. Beh, diciamo più che altro che ho reagito come una donna mestruata, ecco… ora ha più senso. Cosa che non mi capita molto spesso. Sarà questo tipo che mi provoca queste reazioni incontrollate? O sono io che sto perdendo definitivamente la testa?”.
«Vuoi dire che ogni cosa vale l’altra… ma puoi capirmi, no?».
«Ovvio che sì. Ma proprio per questo devo insistere. Non sopporto più di vederti così sola, abbandonata a te stessa, annoiata e… castigata». L’ultima frase la pronuncia con un filo di voce per non farsi sentire ma per me che lo sto fissando e ascoltando intensamente non è passato inosservato, però reagire non ha molto perché è vero.
“Troppo vero e nitido nella mia testa per essere solo un mero ricordo del passato: questa sensazione è ancora vivida e penetrante in me che pulsa a ritmo del cuore stesso, e ne infetta la purezza”.
«Comunque, non ho niente di pronto come hai detto tu. Semplicemente ho in mente che ruolo potresti acquisire stando con noi, hai un certo tipo di carattere e di capacità, inconsce e non. Le tue espressioni sono molto spontanee e accentuate per esempio, rispetto alle mie, ma ti sai anche controllare molto bene. Quindi, non so ancora cosa veramente ti si addica ma penso che nel tempo il buon amico mio saprà sfruttare a pieno ciò che meglio ti contraddistingue».
«Guarda che non sono scema. Puoi anche dirlo che dovrò fare cose atroci. Ma in caso fosse così, ti avverto… preferisco morire». Lo rimbecco decisa.
«Sapevo che avresti detto così. Così mi sono informato su di te, credo ormai un mese o due fa. E ho una sorpresa per te ma solo se accetti di collaborare con noi a tutti i casi che non ti mettano eccessivamente in pericolo». Lo vedo cambiare espressione, la quale si trasforma in un sorriso soddisfatto.
“Non capisco cosa ci sia da sorridere tanto, sarà per la sorpresa che ha per me… sarà... Idiota. Se prova a far dell’ironia gli faccio prendere un infarto e saltare i timpani”.
«E quale sarebbe questa speciale sorpresa?». Domando con un tono fortemente ironico.
«Eh no, bellezza! Prima ci mettiamo d’accordo. E comunque… ci vorrà ancora un po’ di tempo. Dobbiamo aspettare che il mio compagno ci possa portare in un posto, o meglio, che abbiamo il permesso di uscire e di spostarci più lontani di qualche metro». Mi spiega con voce leggermente arrochita dal fumo.
«Cos’è? Adesso hai bisogno del permesso del tuo amante per uscire di casa?». Lo punzecchio sardonica.
«Wow, questa tua sagace battuta per caso vuole sotto intendere che sono troppo bello per poter uscire senza il permesso e senza un’accompagnatrice? E sottolineo quel… ICE. Siccome… te l’ho già detto… sono convintamente etero e, il mio compagno è l’ultimo essere umano sulla terra con cui vorrei stare. Bellezza!». Finché dice questa frase, continua a fissarmi in modo enigmatico ma capisco subito che quella nei suoi occhi è malizia, malizia allo stato puro, quindi lo abbasso per paura di abbassare le barriere protettive che ho alzato col mondo esterno. Non riesco ancora a sostenere quel tipo di sguardo con nessuno, figurati con uno come lui.
“Con un fico come lui. Cosa? Ma che vado a pensare? È un ragazzo normalissimo. Non ha nulla di speciale. A parte il fatto che sta quasi riuscendo a farmi accettare l’odore del fumo, o che adoro i suoi occhi così rassicuranti o, che adoro il suo stile. Un pensiero superficiale per Des, cioè me, signore e signori. Insomma… ho capito che non riuscirò a stargli lontana così facilmente. Posso sempre provare a scappare, anche questa è una soluzione valida. Impossibile ma valida. E non accetterò mai l’odore del fumo, nemmeno da lui e se proveranno a farmi fare qualcosa che non voglio quella sarà la volta buona che mi toglierò io stessa la vita e adempierò alle mie precedenti preghiere”.
«Voglio sapere cosa vi aspettate da me». La frase mi esce spontanea e senza pensarci tutta d’un fiato.
“Immagino già cosa vorrebbero da me e, se è davvero così non ho alcuna intenzione di continuare nemmeno la conversazione”.
«Beh… te l’ho detto piccola…».
«Piccola?». Esplodo improvvisamente, senza nemmeno accorgermene. Però, nonostante il mio tono brusco lo sento ridere di gusto, come non fosse successo nulla.
«Scusa, scusa. Prometto che non ti chiamerò così. Parola di Nerd, Bastardo, Idiota, Fighettino viziato di merda, Tizio, Bellezza, Pervertito, mafioso, Bel rossino, Criminale. Ho dimenticato qualcosa? Penso di no. In ogni caso l’ho fatto solo per testare la tua reazione. Reagisci bene agli stimoli giusti e, scusa anche per questo. Il mio amico mi ha ordinato purtroppo di testarti, prima di spiegarti o farti fare qualsiasi cosa. Sai… per… carpire le tue vere capacità».
“Accidenti a me, potrebbe essere che se la smettessi di reagire in modo istintivo… mi lasci andare perché vedrebbe che non sono la persona adatta a loro. Però… devo fare un patto con me stessa: o continuo a fuggire tutta la vita, oppure accetto quello che la vita mi presenta e ne faccio tesoro, infondo non ho nulla da perdere e nulla da guadagnare. Posso sempre diventar brava nel fare quello che mi chiedono per poi diventare indipendente e trovare così, un modo per tirarmene fuori”.
“Ma dimmi te se deve riuscire a carpire e usare a suo vantaggio tutti i miei punti deboli. Non mi pareva di aver sentito che è uno psicologo però è anche vero che mi segue da un anno ormai, quindi penso sia normale che un po’ mi conosca e viste le sue doti, che lo rendono molto più attento e riflessivo di altri, non ci avrà messo molto a inquadrarmi. Certo, fare tutto questo per sbattermi in faccia che sono un completo libro aperto è davvero un colpo basso. Vorrei tanto aver avuto un esempio da seguire che mi indicasse cosa fare quando ne avevo bisogno. So che in realtà dovrei seguire il mio istinto e cioè me stessa, ma proprio non ce la faccio ad avere una personalità decisa e ferma sulle mie posizioni. Oscillo verso dove mi fa più comodo o quasi. Sono proprio come la città in cui vivo. Non avendo un punto di riferimento non posso fare a meno di oscillare. Come una bussola che voglia con tutta se stessa puntare al nord ma non possa, invece puntare da nessuna parte perché è immersa in un campo magnetico che la destabilizza e alla lunga la farà impazzire e poi rompere”.
«Comunque… dicevo, dobbiamo aspettare il via libera del mio amico perché, dipendentemente dai periodi, uscire potrebbe o no essere rischioso se non mortale. Potrebbero esserci degli scagnozzi mafiosi o la polizia o chiunque abbia voglia di farci tirare le cuoia». Conclude la frase con tono tutt’altro che preoccupato e quasi divertito, come non significasse nulla.
“Come si stesse parlando di un film entusiasmante visto di recente. Deve essere proprio abituato a questa vita e allora come mai…?
«Scusa la domanda… bellezza…».
“Mi disgusta questo modo di fare”.
«Ma perché eri sul tetto quel giorno? La verità intendo…».
“Figurati se mi dirà la verità. Potrei se mai definirla dalla sua risposta o dai suoi comportamenti. Se, boom, Sherlock Holmes improvvisata. Ma chi voglio prendere in giro? Non sarei in grado di fare una cosa simile nemmeno con un addestramento, sono troppo disattenta e concentrata su cose inutili”.
«Te l’ho detto poco fa… ancora non puoi sapere niente. Ma presto arriveranno i resoconti e allora ti sarà spiegato tutto nel dettaglio. Ti giuro che ti ricrederai… o il tuo cuore è diventato totalmente di ghiaccio?». Mi pone la domanda in tono retorico, con un mezzo sorriso sghembo.
“Da dove gli vien fuori quel sorriso inquietante? Non era quello carino e coccoloso dei due amici?”.
«No. Non lo è. Sono solo un po’ giù per come mi va la vita, vedi tu, mi sono, diciamo… un po’… scoraggiata. Sono un essere umano, che male c’è?». Gli faccio notare indispettita.
“Se mi segue da tempo e ha fatto ricerche su di me, saprà che della mia famiglia sono tutti morti a causa appunto della mafia e io ne sono l’unica superstite. Altro che stizzita dovrei rispondere a una domanda simile. Dovrei scaraventargli dietro qualcosa, perché sono questi i miei istinti, lo so bene. Lo so fin troppo bene. Per questo li reprimo, altrimenti finirebbe tutto di male in peggio”.
Dopo questa mia frase che all’apparenza non ha significato ma nasconde una rabbia infinita, lo vedo farsi decisamente più serio e anche la sua voce diviene tremendamente seria e dura.
«Des».
“Perché ora mi chiama per nome?”.
«Non devi reprimere i tuoi istinti, per nessun motivo del mondo e, nemmeno dell’universo… in caso volessi ribattere per dirottare il discorso». Questa ultima battuta mi porta a fissarlo come un pesce lesso: molto molto perplessa e stupita.
“Mi sta proprio cuocendo a puntino. Con queste premesse ribattere mi sarebbe impossibile in ogni caso. Nonostante ciò, mi dà talmente fastidio che me lo sbatta in faccia, che potrei seriamente prenderlo a pugni, i quali non gli farebbero nulla, però lo farebbero smettere… forse”.
«Non ho intenzione di dirottare il discorso». Mento spudoratamente.
«Meglio così, anche se non ti credo»
“Sto per picchiarti, non tirare così tanto la corda”.
«Dicevo… bloccare le tue reazioni e i tuoi istinti non giova ne a te ne a quello che deve inevitabilmente subire le conseguenze delle sue parole o azioni che siano. Voglio dire, se un tuo amico continua a parlarti sopra senza mai accorgersi che ti dà fastidio e che devi dire la tua… e tu non fai e non dici nulla per far cambiare questa situazione, lui continuerà e col passare del tempo la vostra amicizia peggiorerà o finirà addirittura, esattamente come la tua pazienza. E questo solo perché non potevi prenderlo un secondo da parte e dirgli che hai anche tu qualcosa da dire di importante e se continua così non è possibile averci un qualche tipo di relazione insieme?».
«Non penso tu stia parlando in generale».
“Che fastidio che mi dai… ‘Giovanni che non ti chiami in realtà così’”.
«Quindi se proprio lo vuoi sapere… una cosa che mi dà veramente fastidio è essere studiata e che poi mi vengano sbattuti in faccia i miei più profondi difetti. Come non ci dovessi già convivere e come non li conoscessi. In poche parole, come mi ritenessi stupida e cieca».
«Lo vedi che già cominci ad avere il coraggio di rispondermi? Intendo, senza essere mossa dai tuoi istinti più estremi. Voglio dire, è troppo facile ribellarsi quando proprio l’acqua ha toccato il fondo del barile, la tua anima. Ma a quel punto… ella stessa è stata corrotta del tutto. Da cosa e quante cose lasciamo perdere, altrimenti il discorso me lo potrei dirottare da solo».
“Già, stronzo”.
«Ritorniamo al mio discorso. Non voglio distrarti da quello che veramente voglio farti capire. Il punto è che tu ti tieni tutto dentro e pensi di doverlo gestire da sola dentro di te perché hai paura di creare problemi».
«Non ho paura di niente. È una certezza la mia. So per certo che non verrò capita e nessuno si interesserà dei miei problemi. Sono tutti occupati con se stessi e a mantenere l’apparente freddezza e il disinteressamento. Ah! Quello è diventato un credo. Tutti si sentono usati da tutti e finiscono con l’evitarsi, finiscono per fingere di interessarsi ad altri oltre se stessi solo per mantenere le apparenze. Proprio non lo sopporto. Ero un minimo felice finché c’era ancora la mia famiglia con me. E ora che anche loro mi hanno abbandonata e non li potrò più rivedere… non c’è niente che mi interessi». Sbotto esasperata.
“Nemmeno lui, signor ‘pieno controllo della situazione’, ‘so tutto io’, ‘ti conosco come le mie tasche’, ecc mi capisce e mai mi capirà”.
Alzo lo sguardo che avevo fissato sul tavolo per non perdere il controllo guardandolo negli occhi, e mi accorgo che mi sta rivolgendo uno sguardo quasi dispiaciuto.
“Non è veramente dispiaciuto, forse è fiducioso o prova pena? Forse vorrebbe farmi capire che di lui mi posso fidare? Che mi capirebbe? Beh, in effetti avrebbe senso perché anche lui è orfano e per di più da quando era molto piccolo”.
«Senti, a meno che tu non mi possa ridare la mia famiglia non puoi pretendere che io sia gentile, carina e disponibile». Mi esprimo con serietà e fermezza per quanto riesco, ma non essendo affatto abituata a impormi non mi riesce molto bene. Infatti, la voce si addolcisce appena.
“Tanto… sai cosa me ne importa se sene accorge? Non lo conosco nemmeno. E in teoria mi ha fatto capire che non mi farà del male. Ne che mi giudicherà. Comunque, a pensarci bene non ha tutti i torti. So benissimo che il suo discorso non fa una piega. Io non esprimo davvero le mie emozioni perché non ho fiducia nel genere umano. Ho nel cuore solo l’odio che infetta il mondo e, penso… anche l’universo”.
«Ti ringrazio della sincerità, me lo ricorderò». Mi stupisce a tal punto che, ancora dopo qualche secondo, devo concentrarmi per chiudere la bocca.
“Questa sua improvvisa spontaneità mi ha sorpreso parecchio. Cosa del tutto inusuale, ormai mi ero abituata a prevedere anche il suo modo di pensare, più o meno. Mi aspettavo che iniziasse un discorso trito e ritrito sul ‘dover essere più positiva e dover avere più fiducia in me stessa e nel mondo’. Discorsi da chierici a parer mio. Uno se sceglie di aver fiducia lo fa, così spontaneamente e senza problemi, nonostante tutto. Io non riesco nemmeno facendo tutta la fatica possibile, ecco tutto. Non riesco, punto”.
«Ahm… prego… credo» poi, in un attimo improvviso di lucidità «Comunque, non provare a fare il carino con me. Mi hai fatto ben capire che devo stare alle vostre direttive». Sbuffo con tono nettamente sprezzante così magari capirà che ha poco da entusiasmarsi e mi lascerà in pace ma invece…
«Invece, credo che non si tratterà affatto solo di ordini ed esecuzione, scommetto tutto quello che vuoi che un giorno ci chiederai di rimanere con noi e ti piacerà quello che fai». Il suo sguardo viene attraversato da un guizzo di furbizia e consapevolezza che mi infastidisce.
“Ha detto che dovrei esprimere tutti i miei sentimenti e pensieri ma questo fino a prova contraria permette agli altri di analizzarmi e scavarmi dentro, quindi in questo particolare caso gli permetterà di potermi manovrare, so benissimo come ragionano questi qua, quindi col cazzo che gli farò capire che mi sto incazzando a ogni sua parola. Sembra nato apposta per farmi infuriare, in pochi ci riescono come lui. Evidentemente lo farà apposta per farmi reagire. Tsk, che patetici trucchetti”.
«Stai perdendo il tuo tempo se pensi di portarmi dalla vostra parte».
“Capito, stronzo?”.
«Non voglio portarti dalla nostra parte. Quello che dovevo fare l’ho fatto ed è andata anche molto bene, poi il resto verrà da sé». A questo punto incastona il suo sguardo intenso di smeraldo nel mio, e sembra dover dire qualcos’altro, ma al contrario di ogni mia aspettativa abbassa lo sguardo e si avvicina per poi prendere la sedia, portarla accanto a me e sedersi a sua volta poggiando il peso sugli avambracci e congiungendo le mani, lo sguardo sempre assorto. I quali, non posso capire se siano positivi o negativi perché non lo vedo, quindi mi limiterò a osservarlo e ad aspettare.
“Tanto cosa ho da fare? Niente. Anzi, vorrei tanto sfogarmi in qualche modo ma questa casa sembra essere deserta. Cade a pezzi e quindi con un solo movimento potrei far cadere tutto, tipo”.
Continuo a guardarmi intorno in cerca di una via d’uscita o di qualcosa d’interessante da fare o su cui riflettere.
«Ti va di giocare ai videogames?». Mi chiede molto genuinamente tutt’a un tratto.
“Giocare? Con un ‘mezzo mafioso’? Tra l’altro non a scacchi, non a carte, e nemmeno a giochi da tavolo. Ai videogames. Ma cos’è scemo? Però… mi sto annoiando da matti e cos’altro potrei fare? Però, che alternativa pessima. E se provassi a proporgli qualcosa di più… adulto? Bah, proviamo. Al massimo mi ammazza per la rabbia”.
Rido dentro di me a questo pensiero sciocco e stranamente rasserenante.
«Prima però mi fumo una sigaretta, al diavolo il mio amico e le sue fisse con la salute, al suo ritorno lo affronterò, cosa devo farci?! Ne vuoi una?» lo fulmino «Ok, ok! Ho capito che sei come lui». Ringhio come una tigre a questa sua insinuazione e lo vedo sorridere, gentile e divertito.
“Evidentemente gli fa più piacere che altro il modo in cui ho reagito. Poco male, ma è lui che non mi piace come mi parla. Comunque, dai, una partita me la posso anche fare se poi accetta di usare le carte invece dei giochini di guerra e i soliti… da uomini”.

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Capitolo 6
*** ''Giochi di ruolo' ***


Quinto capitolo
"Giochi di ruolo"
 
«E va bene. Faremo una partita, tanto non sono un asso nei videogames, però poi facciamo una partita a carte, eh? Altrimenti ti diverti solo tu»
«E non è questo il senso della mia richiesta?». Lo fulmino di nuovo accartocciando le labbra su se stesse per la rabbia, e non riesco a spiegarmi tanta rabbia.
“Forse sono tutte emozioni che ho represso in tutti questi anni”.
Mi alzo per prima dalla sedia ma subito mi blocco perché non so ne dove andare ne cosa fare.
“Adesso mi tocca aspettarlo in piedi come un baccalà, se pur per solo due, tre secondi. O forse, la verità è che… voglio aspettarlo. Se non volessi stargli vicino non avrei mai accettato di fare una cosa del genere, visto che è pure un mezzo sconosciuto”.
Sorride divertito da questa mia piccola gaffe e si alza ma, al contrario delle mie aspettative, decido di ignorarlo perché non mi va di incoraggiarlo ulteriormente.
«Vieni, di solito gioco qua in ‘cucina’, però oggi non posso perché il mio amico arriverà che avrà un diavolo per capello. Anche se non lo vuole riconoscere, uccidere lo rende tremendamente nervoso. Capirai, si tratta di cancellare dalla faccia della terra la cosa più preziosa al mondo, anche se tutti noi dubitiamo che ci sia qualcosa di buono nell’ambiente in cui lavoriamo. Con queste premesse ci arrivi anche senza conoscerlo che, dopo un blitz torna estremamente nervoso. Non può fare a meno dell’adrenalina che gli provoca l’azione e, per questo, ha accettato certe conseguenze ma di sicuro non gli rinfaccerò di non essere coerente. Non sarebbe umano imparare a restare indifferenti nell’aver tolto di mezzo una persona». A queste ultime parole mi attraversa un brivido, mi sono figurata nella mente quello che ha detto e ne sono rimasta sconvolta, infatti rimango interdetta.
“Come ho affermato prima… Non ho alcuna intenzione di stroncare vite umane, tanto meno con certi mezzi, tipo la tortura, che immagino utilizzino la gente di questo ambiente… proprio perché non ne sarei in grado. Gli ho fatto un favore a dirglielo da subito, così non si illuderanno di potermi convincere. Anzi, è già tanto che non mi sia dibattuta come una forsennata per uscire da questo posto buio e infetto per ritornare alla mia ‘quiete’. Questo però, perché sono io a volerlo… perché… diciamo che questo strambo ragazzo mi sta facendo sentire meno pesante e apatica; mi sta… risvegliando. Chissà perché non ho mai incontrato nessuno che abbia avuto le palle o, ancora meglio, le capacità per farlo...”.
All’improvviso lo scopro a fissarmi di sottecchi e vedo allargarsi sul suo pallido volto un enorme sorriso, che può essere canzonatorio della mia sensibilità, la quale per lui si chiamerà come al solito ‘Debolezza’.
“Come dargli torto? Sono davvero troppo suscettibile alle parole. Ovviamente a lui, che ne ha viste di cotte e di crude, viene da ridere. Certo, però non mi fa piacere in ogni caso che si prenda gioco di me. Io non le ho viste e, forse nemmeno immaginate certe realtà crude e mefitiche. Che motivo avrei avuto? Sono nata in una famiglia ‘normale’ e relativamente tranquilla e, non mi sono mai interessata a fare la ‘detective mafiosa’. Queste cose dovrebbe pensarle anche lui. Porco cane!”.
«Non stai ridendo perché mi hai sorpresa a rabbrividire solamente avendo sentito le tue parole, vero?!» lo fulmino di nuovo. Stavolta carica più che mai e pronta a riversargli addosso tutto il mio odio, in caso di risposta positiva.
«Ma sei matta?! Anzi. Ciò mi convince una volta di più che sei la persona che cerco, cioè che cerchiamo noi, io e il mio amico. Sensibile per le cose giuste, dura e testarda per altre. Un concetto un po’ astratto, però mi avrai capito, immagino».
“Questa è una cosa veramente bella da dirmi, da parte di uno come lui. E quello sguardo… era quasi imbarazzato. Non lo dimenticherò. Va bene Tizio, anche tu ti sei guadagnato un punto in più”.
«Va bene, allora questi giochi? Non avrai cambiato idea?!». Gli sorrido di rimando per fargli capire che ho compreso le sue intenzioni e, almeno per ora, è tutto a posto. Almeno finché non si rivelerà per quello che è o che tutti e due, sono veramente.
“Non credo molto a questa sua pantomima sull’utilità della mia mente per i loro progetti. Ho sbagliato a dimostrarmi anche solo un po’ disponibile nei suoi confronti, a causa di ciò sicuramente penserà che sono, primo una debole e poi che mi può manipolare a suo piacimento, come e quando vuole. D’altronde credo sia proprio così… lui mi può manipolare e me l’ha anche dimostrato apertamente. Beh, che me l’abbia specificato e fatto capire, forse vuol dire che non è veramente intenzionato ad approfittarne. Può mai essere che abbia incontrato una persona vera, in questo enorme oceano di falsi e doppio giochisti? No, non esiste una persona così”.
Mi dice di aver calcolato circa quaranta minuti per fare quello che vogliamo, prima che arrivi il suo amico.
“Scommetto che vorrebbe fare tutt’altro rispetto a qualche stupido gioco ma capisce che perderebbe tutta la poca fiducia che ho in lui se solo provasse ad avvicinarsi. Beh, ha ragione. Sono io che in questo caso dovrò decidere se fare o no qualche passo, non siamo mica al karaoke il sabato sera a divertirci e a ridere come due fidanzatini. È una situazione oltremodo delicata e io sono in una posizione di netto svantaggio, perciò una sua iniziativa amplierebbe ancora di più questo concetto. Il risultato per me sarebbe devastante quindi sto apprezzando molto che proponga di ‘giocare’ e basta. Che poi… dicono che si possa conoscere una persona e manipolarla o altro, anche da come gioca. Quindi, che ci mettiamo a giocare o no, basta che non faccia mosse affrettate o audaci. Devo stare allerta”.
All’improvviso mi sorge un dubbio.
«Scusa Tizio… cioè…». Lo vedo alzare l’indice, segno che vuole correggermi ovviamente ma lo anticipo molto volentieri. Mi fa quasi ridere questo giochetto scemo.
«Giò… Domanda. Ma perché avremmo solo quaranta minuti e non un’ora?». Più che curiosità è una vana speranza di sapere cosa sta succedendo e cosa mi succederà.
«Mi hai proprio graziato quando quella volta mi hai chiamato col mio unico e solo soprannome. In ogni caso, dobbiamo mettere tutto a posto, ci deve essere assoluto silenzio e, beh… io fumo come una ciminiera, finché gioco con un tempo prestabilito e limitato. Dobbiamo far uscire l’odore che lui non sopporta per nessun motivo, quando torna da una missione gravosa. Mi sono preso cazzotti in faccia varie volte. È molto duro per essere solo un ragazzo. Te l’ho detto, no?! Ha avuto una vita molto crudele e ha sviluppato un temperamento cinico ed esuberante, e come ti ho già anticipato: spesso è costretto ad uccidere. Nonostante questo, provo sempre a dissuaderlo ad arrivare a certi termini oppure provo a toglierlo da questo peso ma il suo orgoglio e il suo ‘amore’ per la mia integrità sono così forti che arriva pure a mentirmi spudoratamente a volte, pur di sobbarcarsi lui di tutte le conseguenze. Afferma con sicurezza che la sua integrità ormai è bella che fottuta da un pezzo, quindi una morte di più o di meno sulla sua coscienza non peseranno nulla. Come parlasse di soldi, accidenti a lui» si accende una sigaretta con le mani tremanti, immagino per la preoccupazione «Ma lo sento quando mi manda fuori per una commissione… aspetta che, almeno secondo lui, io sia abbastanza lontano, e caccia di quelle urla disumane che mi fanno tremare le gambe dalla tristezza e dalla preoccupazione. Ogni volta, ritornato a casa temo di ritrovarlo con la gola recisa. Dio, che vita». Non faccio a tempo ad accorgermene che ha già finito la prima sigaretta e, sempre più nervoso, ne ha già accesa un’altra come se gli mancasse l’aria.
“In effetti è proprio così. Un fumatore respira fumo, non aria pura, in poche parole. Poveri ragazzi, temere che il proprio amico si tolga la vita. Adesso che ci penso non deve aver apprezzato la scenetta che gli ho presentato davanti agli occhi. Anche se abituato, non vuol dire che per lui fosse tutto normale”.
Lo guardo empatica senza emettere alcun suono per farlo sfogare ma, molto più importante, anche per fargli capire che non sono indifferente a quello che sta provando. “Anche se dovrei esserlo dato che non mi riguarda. In questo preciso istante mi sembra un padre: fragile e protettivo con il figlio che ha un lavoro pericoloso, più che un amico molto affezionato. A pensarci bene, il discorso fila. Chi nasce in orfanotrofio non ha nulla e le amicizie o gli amori possono essere la cosa più importante o il nulla cosmico, dipende dalla persona. Nel caso di questi due ragazzi, è evidente che l’amicizia reciproca sia più importante della propria stessa vita. O della propria morale o delle proprie passioni, come il fumo e i giochi, per esempio. Sono valori che non trovo in nessuno. Inoltre, questi due hanno talmente le palle quadrate, che poi mi appare più che scontato non ritrovarmi nel loro modo di rapportarsi, nel loro modo di comportarsi almeno con me. Rapirmi solo per inserirmi nella loro squadra senza pensare se abbia o no il fegato, senza chiedersi se sarei mai stata d’accordo e se lo sia o no tuttora. Semplicemente lui mi voleva accanto in qualche modo ed è riuscito a esaudire il suo desiderio. Comunque, è evidente che mi ha portata qui principalmente perché mi vuole lui, fin qua ci arrivo anche io: anche se non sono una detective. E questo non può che piacermi. Una nota positiva per mia fortuna c’è, in questa storia”.
Mentre entriamo nel salotto per poi dirigerci verso un largo ma estremamente corto corridoio, avverto distintamente che mi fissa luminoso. Come se quell’unico mio sguardo di comprensione lo abbia totalmente sollevato dal nervosismo che provava.
“Come se un semplice sguardo potesse alleviare tutti i problemi del mondo”.
All’improvviso sposta lo sguardo davanti a sé e sospira quasi sollevato, il che conferma il mio pensiero.
“Però, sto tipo dev’essere proprio strano se con un semplice mio sguardo cambia umore da così a così. Un momento… se mi avesse voluto mettere alla prova? Se volesse testare le mie reazioni e non avesse agito spontaneamente?”.
Mi viene naturale abbassare il capo, per la frustrazione o per lo sconforto oppure ancora per la rabbia che in questo momento voglio tenere per me. Non lo so nemmeno io cosa provo.
“Ho deciso: mi ingegnerò per intavolare una conversazione che mi faccia chiarire una volta per tutte le sue vere intenzioni, così saprò se sono continuamente sotto osservazione oppure condivido l’aria con dei semplici ragazzi della mia età con un lavoro particolare”.
Fisso lo sguardo sul pavimento, con occhi fiammeggianti con decine di emozioni, che tutte insieme non si possono esternare.
“Il punto è che, tenersele tutte dentro, è parecchio frustrante, doloroso quasi e mi impedisce di essere serena. Infatti, in vita mia non sono mai stata veramente serena per più di una giornata. Mi faccio trasportare un po’ troppo dai sentimenti che un’azione esterna mi provoca, soprattutto se proviene da un membro della mia famiglia. In quel caso, l’emozione mi scava a fondo nell’anima e mi lascia un vuoto quando viene a mancare la componente positiva, oppure un’impronta negativa che non se ne va più, se mai viene levigata con il tempo, le belle giornate e l’ottimismo. Colui il quale ora c’è e ora mi fa ciao ciao con la manina. Ecco, appunto! Levigata. L’impronta negativa: quanto più è facile che si cancelli un ricordo positivo, quanto più questa è difficile che mi abbandoni”.
Adesso siamo in una grande stanza luminosa, o almeno suppongo sarebbe luminosa, se si potessero tirare su le veneziane. C’è un grande armadio con due ripiani che occupa tutta una parete sinistra, lungo l’altra parete ci sono dei piccoli mobili alti solo un metro con tanti piccoli cassetti e in mezzo alla stanza ci sono due letti a una piazza che all’occorrenza si potrebbero unire.
“Ma immagino che, soprattutto al suo amico, non faccia molto piacere. Se invece dovessi dormire io con lui, con ‘Giò’, allora penso che la musica sarebbe tutt’altra. Suppongo anche, purtroppo, che se non avremo un certo tipo di intimità, non potrò nemmeno io dormire nella stessa stanza, ergo mi toccherà dormire sul divano nel salotto. Quel divano che sembra più rotto, che marrone mogano scuro (ed è tutto marrone, anche il legno della struttura, quindi è tutto dire)”.
I letti hanno il versante dei piedi rivolto verso l’armadio e quello della testa rivolto verso i mobili bassi su cui sono posati una console, vari giochi e due coppie di Joypad una diversa dall’altra ma immagino che dentro ai piccoli cassetti ci sia il resto dell’‘armamento’.
“Invece per esempio di cose normali come, che ne so, i vestiti? O nel loro caso, le armi necessarie per il lavoro. Quelle le terrà nell’armadio grande insieme a solo due, tre completi d’abbigliamento tutti uguali”.
Questo pensiero mi fa scaturire tanta ilarità che non posso trattenere un risolino sarcastico a denti stretti mentre ancora ho lo sguardo rivolto al pavimento, per non farmi scoprire. Ovviamente, lui se ne accorge, e non perde tempo per gettarmi a cascata la domanda che gli ronza in testa, la prima di una lunga serie.
«Che c’è stavolta, bellezza? Ho qualche macchia di sporco in faccia?». Mi domanda ingenuo, o più propriamente, con finta ingenuità.
«Eh?».
“Anche se probabilmente sta fingendo, mi lascia inorridita questa sua reazione. Un po’ troppo infantile. Sì, ora ho la conferma che sta mentendo e, quindi è logico pensare che anche tutto il resto sia un test, una balla, qualcosa di costruito. Questo non è lui. Si ‘offenderebbe’ così tanto se gli chiedessi di smetterla, perché mi interessa ancora meno in questo modo? Bah, vediamo. Come avevo già pensato prima… al massimo finisco davvero giù dal balcone, o giù dalle scale. Dipende da dove siamo… se ci sono le scale. Mamma, che pensiero cinico e… e… e tanti altri pessimi aggettivi”.
«Se ho…». Sta per ripetere seriamente la frase.
“Ok, adesso basta essere presa per i fondelli”.
«Senti, adesso mi hai stancata. Non ti ho mai chiesto niente e sinceramente dubito che questa scenetta serva a testarmi. Perciò, perché non la pianti e, piuttosto mi fai vedere com’è il gioco che vuoi fare? Eh? Mi starei innervosendo. E se ti venisse in mente che io debba sottostare a Ogni tua regola... beh, ricordati che non ho niente da perdere».
“Adesso scommetto che non ha più niente con cui ribattere e si sta mangiando le mani. Cos’è quel sorriso che gli vedo? Ha forse un piano per impedirmi di commettere atti… ‘di cui potrei pentirmi’? In che modo, vorrei proprio sapere. Bah, valli a capire sti americani. Sempre sicuri di sé nonostante tutto, o meglio, sicuri di sé per tutto quello che riguarda gli altri, invece l’ho visto com’era apprensivo e sensibile e, quasi indifeso nei confronti dell’amico. Ripeto, dev’essere proprio speciale questo amico. Che questo Giò sia bisex? In effetti, quel caschetto morbido come la seta e un po’ troppo lungo per la moda di adesso, il tutto contornato da quella tinta shock: non mi stupirei se avesse catturato anche l’attenzione dell’amico con lo stesso fascino che ha usato e usa tuttora con me. Sono sicura funzioni allo stesso modo con gli uomini, magari al contrario sono proprio le donne che non se lo filano più di tanto, viste le sue bizzarrie, che a me non dispiacciono affatto invece”. «Beh?»
«Niente… niente, lascia stare».
“Eh sì, per ora sono obbligata a lasciar stare, bastardo! È chiaro che è deciso a farmi aspettare ancora molto per farmi sapere che succede. L’ho pensato e lo penso ancora, bastardo… e infame”.
Cominciamo a giocare e si concentra sullo schermo al plasma, sempre sorridendo a trentadue denti.
“Quel sorriso è irresistibile, mi fa quasi sciogliere ogni volta che lo vedo. È maturo e intelligente ma anche bambino, pieno di infantile spensieratezza e dolcezza. Per niente conforme al personaggio insomma… ma non si può mai dire: un giorno potrei riuscire pure a capirlo. Apprezzarlo proprio no ma capirlo è tutto un altro discorso. Se cominciassi ad apprezzare veramente un mafioso vorrebbe dire che sono impazzita del tutto, e a quel punto sì che preferisco non continuare a vivere”.
Ci studiamo l’un l’altro nel frattempo che comincia la partita, di cui non ho intenzione di seguire nulla che non sia lo stretto necessario.
“Anche se ce la metto tutta per capire che tipo è, ho paura che sia la sua mente a scavare nella mia. Sicuramente alla fine del gioco potrà rivoltarmi come un calzino. Bella merda! Riesco a capire che è riflessivo ma anche emotivo, dal modo in cui avanza nella partita. Questo, però potrebbe anche essere totalmente frutto della mia immaginazione. Potrebbe sapere il gioco a memoria e quindi non avere più alcuna difficoltà o indugio nell’avanzare, quindi si spiegherebbero i modi pacati e controllati. Dopo tutto non sono poi così svampita nei ragionamenti, però c’è sempre l’incognita della verità. Il suo comportamento è solo un test rivolto a scandagliare la mia intelligenza, oppure è lui che esprime se stesso? Come posso fare a eliminare questo dubbio? Non posso. Ah, per diana. Questo gioco è più facile del previsto. E se perdessi apposta? Da lì sarebbe più facile capirlo ma chi mi garantisce che il test si limiti a questa unica improvvisata del giochetto? Risposta: nessuno”.
Passano cinque minuti e decido che è il momento buono per attuare il ‘piano’, quindi perdo la partita. A questo punto lo vedo stiracchiarsi tranquillo, senza emettere alcun suono a parte un sonoro sbadiglio di pura noia, che mi fa abbastanza innervosire ma non lo esprimo. Dopo di che si alza dal suo letto e si prende una birra in lattina, da un mini frigo presente nella stanza. Non mi degna nemmeno di uno sguardo, e questo vuol dire che voleva testarmi.
“Magari voleva capire se sono competitiva o arrendevole, se ho un minimo di riflessi oppure no, oppure se so attuare strategie utili e vincenti, e ancora se so ragionare con la mia testa… Sì, direi che sono queste le uniche spiegazioni plausibili. Di certo, non avrà capito che ho perso apposta, e se invece avesse avuto un motivo più che valido con cui scovare l’inganno? Che so, magari quello era un percorso facile e impossibile da sbagliare. Può essere. E ora, come faccio a farlo parlare? Ah, adesso preferirei di gran lunga essere un’oca giuliva ma di quelle forti, proprio. Così avremmo fatto una di quelle sonore scopate, domani buona giornata e a mai più arrivederci”.
«Ah, accidenti! Sono proprio negata con questi giochi. Molto meglio i cari vecchi giochi di carte o da tavolo. Mi chiedo tu come faccia a essere così bravo!».
“Mi è venuto in mente come farmi dire quello che pensa, finalmente un’idea azzeccata in tanti anni”.
Passa qualche secondo, sicché comincia a fissarmi, mi scruta in modo tanto penetrante che non riesco a sostenere i miei occhi nei suoi, e li rivolgo verso lo schermo che ancora persiste sulla schermata del game over.
“Non so perché, ma sembra che debba sapere con largo anticipo ogni mossa che farò, o che potrei fare. Pare riesca a leggermi la mente. Proprio non lo sopporto quando fa così, cioè sempre, quindi non lo sopporterò mai ma visto che sono praticamente sua prigioniera, non posso fare più di così”.
«Perché mi guardi così? Ti sembro scema a far sti discorsi? Comunque visto che, come già sapevo, ho fatto totalmente schifo in questo gioco, passiamo alle carte? Non mi sento molto a mio agio a continuare a far qualcosa che non mi viene bene. Tipo studiare».
“Forse dovrei starmi zitta e farmi gli affari miei dato che ho già constato, in più d’un occasione, quali sono i suoi scopi. Così mi farò soggiogare servendogli le risposte su un piatto d’argento, anche se a pensarci bene, seguendo il suo intuito potrebbe già aver scoperto tutto di me. Perché seguendomi ha saputo già parecchie cose e poi da quelle avrà ricollegato tante altre cose. Madonna buona, sembra Sherlock Holmes negli anni 2023. Ma adesso lasciamo perdere perché altrimenti finisco in stato vegetativo a furia di pensare e ragionare e analizzare e… razionalizzare. E a proposito del suo sguardo… anzi, i suoi sguardi. Quelli sì che mi è impossibile razionalizzarli. Sono troppo… intensi”.
Mi sento costretta a spostare lo sguardo nuovamente, perché sento il viso in fiamme.
“Come una liceale alla prima cotta… patetico. Non sono una trentenne matura e compiuta, sono ancora una ragazzina in cerca dei sentimenti e… bla, bla, bla”.
Sbuffo.
“Mi sento inetta”.
«A cosa pensi, bellezza? Io stavo pensando che è una bella idea giocare a carte però non abbiamo molto tempo ormai. Fra poco arriva il mio amico. Adesso se non ti dispiace vorrei rilassarmi un po’ ma tu stai pure li seduta se ti fa piacere, visto che questa non è la più comoda delle case. So anch’io che avere un divano in più non guasterebbe. Se cominciassi un discorso simile però, cosa nella quale mi sono già cimentato, il mio amico snocciolerebbe mille e più motivi per cui non possiamo e non abbiamo bisogno di prendere un divano o una poltrona in più. Sinceramente voglio troppo bene a me stesso e alla mia pazienza, per mettermi a discutere con lui. Discutere un suo ‘comandamento’, è come ammazzargli la famiglia. Oh, pardon. Esempio sbagliato». Finisce con un sorriso tranquillo e soddisfatto, come non avesse detto niente di strano.
Lo guardo inviperita, imbestialita.
“Mi ha recuperata dall’orlo del precipizio per un motivo ben preciso e, adesso se ne viene fuori con questa battuta di merda qui? Col cazzo che resto ancora qua. Per quale motivo dovrei farlo, poi? Per… fargli compagnia? Ma non farmi ridere. Non sono certo la dama da compagnia, perciò penso proprio che me ne andrò in cucina a… ‘meditare’. Brutto bastardo! Ti venisse un colpo, sarei più felice. Di una cosa però penso di operare nel modo corretto: non ti darò la soddisfazione di farmi vedere incazzata da te. Stanne certo.
«A quanto vedo hai deciso di andartene…». Lascia la frase in sospeso a sotto intendere che l’aveva previsto ma ad ogni modo non ho alcuna intenzione di fargli capire che mi sono arrabbiata.
“Anzi ancor di più ora che mi sbatte anche in faccia la sua superiorità nel manipolare le mie azioni e reazioni”.
«C’è dell’acqua in frigo o non avete nemmeno quella?». Lo rimbecco con voce fredda e atona. Lui per tutta risposta mi rifila un sogghigno degno di un diavolo bello e dannato, e si distende sul letto dandomi la schiena.
“Questa te la faccio pagare!”.
Mi dirigo verso la cucina e di malavoglia apro il frigo, ancora pensando alla situazione in cui mi trovo e al modo in cui vengo trattata dal ragazzo.
“Figo ma sicuramente strano. Non ho mai visto un tipo andare in giro vestito e conciato in quel modo, con quegli occhiali da motociclista e quel completo… così fuori moda e da marinaio. Così… strano, punto. Da quando sono a conoscenza di certe nozioni e… da quando mi interesso a come ci si deve vestire secondo la moda? Ero scesa a patti col mio cervello ancora anni fa riguardo a questo, decidendo che la moda era fatta per il singolo individuo e, soprattutto, scelta dal singolo individuo. Al contrario, in poco tempo diventeremmo tutti delle copie sputate con le gambe e la testa… senza cervello. Quindi, secondo questa logica in lui non c’è niente che non va, magari semplicemente vuole star comodo e avere sempre gli occhiali a portata di mano in caso dovesse guidare senza preavviso, sì, sarà questa la spiegazione”.
Mentre bevo del succo che è scaduto da un po’, partorisco queste riflessioni che a uno sguardo superficiale mi sembrano inutili e una ripetizione di tante altre.
“In effetti mi ritrovo a pensare più volte le stesse cose senza un motivo apparente, semplicemente i pensieri mi sopraggiungono all’improvviso e non c’è niente che li possa fermare”.
Dalla stanza sento arrivare la sua voce ovattata perché per ripicca ho chiuso la porta.
«Ah, comunque non prendere il succo, è scaduto da qualche giorno, non vorrei mai che ti prendessi i vermi».
“Perché quella sua cazzo di voce mi sembra tanto ironica? E poi di quali vermi parla… Bastardo! È evidente che mi prende in giro ma quando torno di là glieli tiro in testa i vermi”.
«Scusa, perché non me l’hai detto prima che era scaduto? E comunque, c’era solo questo in frigo da bere, l’acqua l’ho bevuta tutta prima e di certo non mi metto a riempire il bicchiere con l’acqua dei vostri rubinetti, figurati! Finirei in ospedale nel giro di una giornata». Lo rimbecco con finta cattiveria.
«Ma che cattiva che sei».
“Più ironico di così non po’ essere, temo”.
«Adesso mi devi scusare, devo aprire le finestre e mettere tutto via… altrimenti qualsiasi cosa farebbe una brutta fine. Ho ancora un ricordo indelebile della mia prima povera psp, appena io e… il mio amico ci eravamo ritrovati. Quel giorno è volata qualunque cosa, anche ciò che ha lui stesso di più caro» mi rivela con il sorriso divertito, solo che personalmente percepisco una profonda fatica e tristezza.
“Poveri ragazzi. Forse non dovrei compatirlo, non lo apprezzerebbe ma non posso farci niente, mi viene naturale. Le sue parole mi fanno scaturire una pena involontaria e naturale. Provo a rispondere con parole di conforto ma non mi esce un suono, sono come bloccata. Ho paura di riaprire qualche ferita e, inoltre, in certi momenti ho sempre preferito i gesti alle parole. È meglio lo sguardo giusto piuttosto che due tre frasi imparate da qualcun altro. Per di più non avrò capito chi è, ma l’ho inquadrato e di certo le parole non servono: ne ora ne mai”.
Il mio sguardo si fa triste e lui, accorgendosene, si addolcisce e distoglie lo sguardo sempre sorridendo, andando quindi ad aprire le finestre come detto e io, come mossa da fili invisibili, raccolgo dal letto console e Joypad per riporli in uno dei cassetti della cassettiera sotto lo schermo, tutti vuoti.
“Evidentemente sono in questa casa da poco o non possono avere più dello stretto necessario. Già”.
Penso con un sentore d’amarezza sul palato.
“Quello schermo enorme a cristalli liquidi è anche troppo ma per loro non sarà un problema lasciarlo, in caso di fuga improvvisa”.
Sospiro e vorrei piangere lacrime amare.
“Stavolta non per me o la mia famiglia ma più che altro per un concetto… un concetto del tutto sbagliato, che nel mondo non dovrebbe esistere. Credo sia anche il motivo per cui sono quella che sono. Un concetto che va al di là del normale viver umano, della vita civile. Per fortuna, allo stesso tempo questo concetto nasconde ai meno nobili di cuore, un altro significato e altre caratteristiche molto più importanti. Se il concetto di base è che una persona non possiede nessun avere materiale, al contrario nell’animo nasconderà una tale forza da far impallidire il mondo stesso. E il paragone con questi ragazzi è più che azzeccato. Trent’anni e il mondo sulle spalle. Nemmeno il tempo di respirare, come robot. Solo che di robotico non hanno proprio nulla”.
Sorrido a questo pensiero scontato ma terribilmente significativo.
«Che c’è da sorridere bellezza? Un attimo fa ti avevo lasciata triste come non mai».
«Beh sai, io rifletto quando non parlo».
«Prova a riflettere un po’ meno allora, vedrai che ti risulterà tutto più facile».
«Se…! Ogni tanto ci provo. Non è che non ci provo, a dar vita a questa frase ma non è mai venuto fuori nulla di buono. Perciò lasciamo stare va».
“Ci manca solo che il mio istinto più basso prenda il totale sopravvento come giorni fa”.
«Non so se ti ricordi la bellissima scenetta che ti ho presentato qualche giorno fa… sul balcone. Le strilla, i pianti, le gomitate nei… beh, credo tu abbia capito, no?!». Lo canzono ma col sorriso, perché la situazione non si deve appesantire ulteriormente.
“Ma per me eh. Di lui non me ne frega assolutamente niente. Certo, è così!”.
Cerco di convincermi con tutte le forze.
«Uh… sento ancora il male della gomitata». Ride di gusto, quindi capisco che mi ha compresa.
“Bene. Allora è davvero il ragazzo sveglio che ho inquadrato… Questo mi fa sentire più serena. Sento che la giornata andrà meglio di come è iniziata”.

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Capitolo 7
*** Conoscenza brusca e complessa ***


Sesto capitolo
"Conoscenza brusca e complessa"
 
Passa mezz’ora e ora ne cose ne odori popolano più la stanza, quando all’improvviso sento un tonfo, un altro tonfo non ben identificato mentre l’altro riesco a catalogarlo come la chiusura brusca della porta, e per finire una bestemmia a cuor leggero, una leggera risatina sadica, e un’imprecazione verso destinatari ignoti.
“Beh, ignoti per me almeno perché suppongo che invece ‘l’altro Tizio’ sappia che sta succedendo… e infatti…”
«Amico, ti vedo di buon umore». Vedo il nuovo arrivato girarsi nella nostra direzione e fissare delle iridi color del ghiaccio, con uno sguardo tremendo, nelle mie che pur essendo di un colore simile sono decisamente diverse, molto meno glaciali e preoccupanti, a occhio e croce.
«Cos’è Matt, hai dimenticato il mio nome per caso?». Lo sento rivolgersi al ragazzo a fianco a me.
“Quindi è così che si chiama, che bel nome, un po’ scontato e corto ma pur sempre bello, diciamo carino”
«Certo che no, capo mastro. Che è successo, sei entrato come una mandria di…». Lascia la frase in sospeso.
“Perché?”.
Sposto l’attenzione verso la direzione del suo sguardo e noto che la nota beffarda ha abbandonato il viso dell’amico, di cui forse non posso ancora sapere il nome.
“Fantastico direi, adesso che succede?”.
«Mello, cosa c’è? Seriamente!»
«Seriamente, non sono cazzi tuoi e della tua puttanella rossa».
“Cosa sono?”
Prima che possa ribattere, il rospo che ho in gola e sta per uscire se ne torna giù, perché mi vedo bloccare dal braccio di Matt davanti agli occhi. Grugnisco e, accusando il colpo, abbasso lo sguardo che sento bruciare di rabbia e stringo i pugni.
“Mi aveva detto che non era un tipo facile, per dirla in breve. Certo che poteva avvertirmi un po’ più dettagliatamente”.
«Mello… in stanza!». Dice senza scomporsi, con decisione. La risposta che sento arrivare farebbe anche ridere, se non fosse per la voce spaventosa.
“Va beh, ma dove sono finita. D’altronde: due pazzi per una mezza suicida, la comparazione è abbastanza appropriata”.
Sospiro, afflitta.
Vedo i due sparire verso una stanza che non è la camera dove eravamo prima ma un’altra alla sua sinistra, mentre Matt, con lo sguardo e un sussurro, si scusa. Sussurra qualcosa ma non la sento, con i farfugliamenti del suo amico Mello di sottofondo.
“No, probabilmente sarebbe stato mutilato se avesse parlato più forte, deve aver detto qualcosa di fastidioso per l’altro, va bene. Uff! Vorrà dire che aspetterò qui, senza far nulla e, probabilmente, sentendo urla e bestemmie di quel mezzo pazzo di… Mello. Mello. Che soprannome è? Matt è un soprannome, non Mello. Sembra una presa in giro, anche nella loro lingua”.
I miei timori dopo uno o due minuti si concretizzano e sento le pareti tremare.
“Oh no! Che è? Sono fatte di carta pesta? Non è che ci rimetto adesso, solo per una sfuriata? No, no, non è possibile. Non ero mai stata in un manicomio. Visto, però, che mi piacciono le nuove avventure, beh… eccone una bella tosta”.
Sento che il colorito del viso mi sta abbandonando e, anche la volontà di restar qui.
“E se all’improvviso decidesse di spararmi solo perché gli ho chiesto di passarmi da bere a tavola? Aiuto, non voglio di nuovo finire tra le fauci della mia mente: tra la paura e l’inerzia, anche se in effetti quello non è nessuno per me. Però… è decisamente più terrificante di mio padre. È un mafioso dopotutto. Anzi, no! Non mi devo far ingannare dalle apparenze. Matt mi ha detto che il suo amico è un bravo ragazzo, infondo infondo ma si accolla tutto il lavoro sporco e ogni volta ne esce segnato. Bravo ragazzo, un assassino un bravo ragazzo? Non credo proprio. Immagino che per portare a termine le missioni abbia dovuto far qualcosa di… brutto, ecco”.
Intanto, le urla, bestemmie e quant’altro continuano a propagarsi nella casa/stanza come il fumo di poco fa, di cui per altro si sta lamentando Mello stesso ma sarà solo un riflesso di rabbia e frustrazione.
“Dio, che dolore mi infonde questa situazione, le loro condizioni... che sia una specie di missione affidatami da chissà chi o cosa, quella di aiutarli, diventando loro complice e amica? O qualcosa di più che amica, come vorrebbe… ‘Bellezza’, ma non credo succederà mai. Non credo nel destino ma sono capitata in una situazione troppo assurda per poter spiegarla in modo logico, o per poterla ignorare. Come ha fatto Matt a trovarmi tra tanti in questa città? C’è un particolare troppo grande che mi stanno nascondendo. Se non me lo dice subito, giuro che mi aggiungo alle urla di quell’altro”.
«No! Sai che tollero a malapena te e me stesso. Una donna no! È troppo. Devi cacciarla immediatamente».
“Andiamo bene, spero che Matt lo faccia rinsavire, altrimenti io che ci sto a fare qui?”
«Mello, brutto incosciente. Dimmi cos’è successo» sento un altro tonfo, credo un pugno al muro «Non farti pregare ogni volta. Se non mi vuoi dire cosa ti passa per la testa la prossima volta ti lego e ti porto con me in missione così dovremo per forza condividere tutti i ‘dettagli’, che ne dici?».
“Non capisco come faccia a rimanere così calmo e costante nella voce, non un accenno di cedimento o di rabbia, o altro… sarà èer far sfogare in una volta tutta la rabbia dell’altro. Che sia veramente uno psicologo? Ma no. Che vado a pensare. Stare insieme a uno così per vent’ anni basta e avanza per diventare o pazzi o morti o… così. Le altre due opzioni non erano contemplabili evidentemente”.
«Matt, testa di cazzo! Ho detto che stavolta non potevi sapere cos’è successo». Sento continuare Mello che non accenna a cedere.
“E sì che lo sta solo aiutando a esternare i propri demoni. Se si liberasse, finirebbe tutto in poco tempo e si sentirebbe molto meglio”.
Poi, Matt lo rimprovera con voce da vera apprensiva/minacciosa che sta per lanciare piatti e bicchieri.
«Sai benissimo cosa intendo Mello. Non farmi passare al piano B. È già successo questa settimana che tornassi a casa teso a più non posso, e te ne andassi di nuovo subito dopo a… ‘farti un giro per sfogarti’. Il tuo sfogarti ti ha solo procurato delle dita ‘momentaneamente’ rotte, come dici te ma evidentemente non è abbastanza per farti passare la voglia del piano B. eh?».
«Matt…»
«Mello, dimmi cos’è successo». Una bestemmia mi attraversa i padiglioni auricolari come uno schiaffo in faccia.
“Miseria, la situazione dev’essere molto difficile se arriva a dover imprecare in quel modo, è ovvio che non gli è solo ‘scappato’: Matt non mi sembra affatto un bestemmiatore. Sopraggiunge un altro ruggito e poi… come per miracolo il ragazzo si decide a vuotare il sacco. Mi fa piacere che abbiano un dialogo. La vita del mafioso, o del detective la immagino parecchio diversa da quella di noi civili, molto più… complicata e sacrificata. Non essendo convenzionali detective, avranno trovato questo delicato equilibrio, che però non comprende di certo me. Quindi che ci faccio qui? Non dovevo essere qui per aiutarli? E come dovrei fare se scombinassi questo loro sottilissimo ecosistema, chiamato anche catapecchia, per gli amici casa…”.
“Preferisco tapparmi le orecchie per non diventare anch’io, almeno per il momento, complice dei loro misfatti. Non sono allenata né motivata a evitare di confessare verità nefaste… sotto tortura”.
Rabbrividisco solo al pensiero. Ogni tanto mi sento fischiare le orecchie e prego di non sentire niente di compromettente nel togliere un secondo le mani.
“Che situazione strana e particolare allo stesso tempo. Avessi le mie cuffie con la musica, adesso sarei in paradiso. Un po’ di sano metal ci vorrebbe proprio. Che vado a pensare? Cosa centra in questo momento? Sono proprio un caso perso. Scoppiata, andata, persa”.
Sento di nuovo insulti, stavolta rivolti a Matt stesso, il quale evidentemente è abituato e non se la prende più.
“Allora è proprio una caratteristica di Mello, non ce l’ha con me per chissà quale motivo… beh, magari forse un po'.
Un altro impropero pesante da parte dell’uomo soprannominato Mello.
“Chissà come si chiamano? Sono in teoria americani, quindi non dovrebbe essere difficile arrivare ai loro nomi… come no… sogna pure, Des”.
«Mi vuoi psicanalizzare, eh?! Sai benissimo che la mia mente è superiore alla media».
«E se ti impedissi di mangiare cioccolata?».
“Eh? Mangiare cioccolata? Cos’è, uno scherzo questo? Comunque adesso sono troppo curiosa di sapere come va a finire con questa storia, spero non tornino sui dettagli ‘tecnici’”.
Sento il biondo ridere beffardo e sicuro di sé, giurerei però che la sua voce abbia una sottile nota di disperazione.
“Quindi, è completamente vero quello che Matt mi ha detto sullo stato d’animo dell’amico, quando si lascia sopraffare dalle emozioni”.
 «Non farmi ridere coglione! Come vorresti impedirmi di mangiare la mia amata cioccolata?! Fai ridere i polli. E poi lo sai benissimo che di cioccolata e anche di tutto il resto non me ne importa assolutamente niente. La mia è solo una dipendenza».
“La ‘seduta/conversazione’ si sta facendo molto ma molto ridicola, ma visto che non la sto sostenendo personalmente, quindi non sono coinvolta, voglio provare a fidarmi di Matt. Devo abituarmi a chiamarlo per nome anche a voce alta. La mia mente non è solita essere collegata con la lingua nel momento più adatto. Per quello sembro balbettante a volte e spero vivamente di non esserlo davanti a quel pazzoide megalomane, biondissimo. Sarà tedesco, boh. Anzi, russo- A pensarci bene, però, sarà proprio davanti a lui che mi metterò a balbettare perché mi metterà di sicuro in soggezione, per non parlare dell’ansia e della pressione che mi farà provare.
«A maggior ragione. Farò chiudere tutte le fabbriche della tua cioccolata preferita. Anzi no, troppo ingiusto per la gente che ci lavora. Convincerò tutti i tuoi contatti che non li pagherai perché sei al verde. Se servirà userò la tua impronta vocale». Silenzio.
“Forse l’avrà convinto, lo spero. Anche se mi sembra un’enorme boiata. Chi mai potrebbe credere a una scusa del genere”.
«Gli farei vedere il tuo conto fintamente in rosso»
«Non oseresti, Hacker di merda». Silenzio assenso. Non l’ho mai sopportato e, anche se non riguarda me sento ugualmente la tensione. Da un momento all’altro immagino di vedere l’altro uscire sbattendo la porta come una furia e fiondarsi su qualsiasi cosa o persona gli si pari davanti.
“Non ci tengo a trovarmi con la testa spaccata. Ma quando sono diventata così egoista? Devo smetterla. Adesso che ci penso… Matt sta minacciando un suo amico e sembra che il motivo sia farmi restare qui. Possibile? Arrivare a litigare con un amico storico per una sconosciuta? No, aspetta. È più probabile che sia perché gli servo per le loro missioni, sì, sarà così e tutto ciò non mi rincuora affatto, perché questa è tutta una finta... Vorrebbe dire che oltre alle difficoltà materiali della situazione dovrò avere a che fare anche con quel tipo. Beh, spero mi accetti prima o poi… oppure che mi faccia fuori in fretta”.
Dopo un minuto sento altri tre tonfi sul muro e la porta che si apre con calma.
“Strano, avrei immaginato tutt’altro finale dopo una sfuriata del genere. Io e mia sorella lasciavamo semplicemente passare il tempo senza scusarci o altro e restavamo semplicemente a debita distanza in modo da calmarci a vicenda… sarà sbagliato?”.
Intanto mi ero seduta sull’unico tavolo presente, quello in cucina. Sento di dover dire qualcosa ma la scrollata del capo di Matt mi fa capire che, per l’appunto, devo far passare del tempo e lasciar fare a lui. Annuisco, e ricevo un bellissimo sorriso, dolce ma maturo, serio allo stesso tempo. Che bel ragazzo. Ehm, no Des… concentrati.
«Senti Des, che ne dici di preparare per tutti una bella camomilla calda? Così ci calmiamo e facciamo le presentazioni ufficiali». Conclude con finto entusiasmo.
«Va bene, capo» esclamo provando a infondere serenità nella voce «Vado subito».
Poi, però dalla frase che mi sento rivolgere dal suo amico, fermata a metà da Matt, quasi mi infiammo nuovamente; se non che, Matt batte un pugno allucinante sul tavolo e il silenzio cade opprimente nella stanza, quindi non devo far altro che aspettare la ‘quiete dopo la tempesta’ e riscaldare l’acqua per la camomilla.
“Tanto lo so che è tutta una cazzo di farsa. Quindi anche se il tuo sorriso sembra il più sincero che io abbia mai visto, risparmiamelo perché mi ferisci e basta… porca…”.
Lascio passare cinque minuti e poi servo le tazze, a me non piace la camomilla quindi ho optato per un tè allo zenzero, come sempre. Mentre sorseggiamo assorti, sento che il giovane di nome Mello non si è ancora del tutto tranquillizzato perché continua incessante a mormorare frasi ingiuriose, con lo sguardo basso, contro di noi e contro tutto il mondo, penso.
Dopo un po’ vedo Matt che si alza e temo in una ricaduta dell’umore di Mello ma stranamente l’azione passa inosservata, ciò che più mi stupisce è quello che fa Matt quando si risiede con noi. Apre la confezione di una tavoletta di cioccolata fondente ‘ottantotto per cento’, per poi togliere con un taglio netto la stagnola che l’avvolge. Infine, la porge all’amico attendendo che lui si degni di alzare lo sguardo.
“Deve essere abituato anche a questo”.
Quando Mello alza il viso nei suoi occhi passa una veloce scintilla di passione ma tutto si dissolve quando con un gesto decisamente brusco afferra la tavoletta e l’addenta staccandone quasi metà, con la stessa violenza e foga con cui il lupo strappa le carni della propria preda. Un gesto che mi fa salire i brividi lungo tutta la schiena, vista l’attenzione con cui l’osservavo, infatti sposto lo sguardo così non noterà il mio.
“Meglio che al suo mal umore non si aggiungano anche le mie di emozioni, anch’esse troppo ‘voluminose’ per gestirle”.
«Pulisci». Mi ordina sgraziato Mello. Mi si contraggono i muscoli, mi sale il sangue alla testa e sto per ribattere ma Matt nuovamente mi blocca, facendomi cenno con la testa di obbedire. Inorridita ma confidente nelle scelte di Matt, di mala voglia mi alzo e prendo le tazze per lavarle ma i miei movimenti sono scattanti e nervosi e la testa comincia a pulsarmi come un tamburo. Mi salgono le lacrime agli occhi, lacrime brucianti e pesanti ma non le verso né emetto alcun suono, ne andrebbe del poco orgoglio che mi è rimasto, e ormai è anche l’unica cosa rimastami.
“Tra qualche giorno mi porteranno via la casa e, anche la libertà nel caso mi trovassero lì. Forse dovrei dirlo a Matt. Dovrei avvertirlo che sono un caso perso, un caso umano, una nullità, una bambina viziata che si mette a piangere appena non la trattano come una principessa. Ma a lui cosa dovrebbe fregargliene? Niente. Quindi non servirebbe a niente dirgli della casa, e della mia famiglia, ecc ecc. Dovrei spiegargli che non potrà mai guarirmi dalla mia mente bastarda e infame. Ma per ora mi limiterò a pulire queste dannate tazze di Death Note. Bah, degli investigatori/mafiosi… nerd, il massimo insomma. Anzi, sono sicura che è stata un’idea di Matt, molto più allegro e spensierato del suo amico che povero caro, è simpatico come una zappa sui piedi. Speriamo non sia così tutto il tempo. Confido in un cambiamento radicale entro un’ora o, forse sono troppo ottimista”.
Finito di lavare, ancora piuttosto furiosa di scatto mi volto, e a passo marziale in tre passi arrivo in camera, della quale chiudo la porta sbattendola e come conseguenza sento una sguaiata risata ironica che di nuovo mi fa salire le lacrime ma sono più che decisa a non versarle davanti a loro.
“Se mai uscirò dal girone dei dannati mi sfogherò come non mai. Però, è difficile trattenere qualcosa che preme in questo modo. Non posso farcela, non posso farcela, non posso. E invece devi Des, devi per te e la tua famiglia. Devo essere forte anche per loro. Per la loro memoria, per come erano loro: combattivi ognuno a suo modo, belli come il sole, spirituali e ispiratori di un futuro migliore. Sì, sarò forte per loro, perché a causa del fato non hanno potuto avverare i loro sogni o godersi semplicemente ancora tanti tramonti e il vento sul viso o la neve bianca fredda ma soffice che con i suoi fiocchi leggeri accarezza la pelle come un velo dei più sottili. Prima o poi, metterò fine alla farsa di questi due pazzi”.
Non faccio a tempo a togliermi l’unica lacrima scesa dagli occhi, che scatta la serratura ed entra Matt.
“Non so a che gioco sta giocando, se cerca solo d’aiutarmi o di cambiarmi in una servetta, quindi non intendo rivolgergli troppe attenzioni”.
«Ehi… sei stata perfetta, beh, almeno per Mello. Un po’ gli sei piaciuta ma capisco che questo possa non interessarti più di tanto visto come lui ha trattato te. Però, fidati se ti dico che con lui è tutto più che normale. È un po’ sessista, oppure diciamo che non sa trattare con la gente, ecco… beh, adesso che ci penso l’ha detto lui stesso poco fa. Ma è un buon punto di partenza il fatto che abbia voluto rivelarti i nostri ‘nomi’. Per farti meglio comprendere il peso delle mie parole, sono i nomi che più facilmente sono conosciuti per la città, ma anche in tutto il mondo. Per questo mi sono presentato a te con il soprannome di un mio nemico, aspettavo l’assenso di Mello. Così, in caso lui non avesse acconsentito, e ci sarebbe stato un motivo ben preciso, se ti avesse interrogata la persona sbagliata tu avresti fatto il nome di un nostro nemico e avresti condannato lui, facilitandoci la vita». Lo fisso sconcertata.
“Non era affatto una battuta, ne sono più che sicura. Mi fa paura essere entrata in contatto con questa dimensione della realtà, mi fa sentire sporca già solo conoscerli. Stronzo!”.
Questi pensieri devono aver fatto presa su di me perché, appena vedo la sua mano avvicinarsi alla mia spalla, inorridita mi scanso bruscamente e quasi sbatto a uno spigolo del letto.
«Non toccarmi! Fai tanto l’intelligente, il carino, il comprensivo ma poi mi hai portata qui solo per fare da palo, da cavia, da pedina. Non valgo un cazzo, sono una risorsa utile, tutto qui. Eh beh, come sempre, non sia mai che qualcuno mi avvicini perché mi vuole amare, incoraggiare, aiutare o altre stronzate del genere. No Matt, tu no, tu sei diverso. Voi invece potete usarmi addirittura per compiere i vostri piani e… ‘salvare’ il mondo. Salva pure il mondo mentre io aggiungo alla mia lista di ‘avventure’, lo stupro o l’omicidio, la vista di sangue o l’imbroglio, l’immoralità più estrema e così via, per non parlare dell’umiliazione più totale. O magari sono io che mi sto sognando tutto?!».
“Sto per piangere lo sento, eppure m’ero ripromessa di non farlo finché sarò vicina a questi due. Dio! Che situazione. Le lacrime dispettose pungono sugli occhi rendendoli visibilmente lucidi e premono per cadere, e segnare così la caduta anche della mia dignità, o quel che ne resta”.
«Io… io non ho mai pensato di usarti Des, né mai lo vorrò ma… Se vuoi davvero far parte della nostra squadra… sì, dovrai sporcarti le mani. Comunque, ti assicuro che non ti manderemo mai a fare quello che fa Mello, anche perché lo vuole fare lui e solo lui riesce in certe imprese, dio solo sa come. Evito anche solo di raccontarti un aneddoto che mi è appena venuto in mente. Più che altro perché se spiffero qualcosa che non dovrei siamo morti, senza contare che mi fa secco prima lui, però sono fiducioso. Se ti ha detto i nostri nomi vuol dire che si fida… Non ti sarà capitato di farci caso ma appena è entrato ha buttato l’occhio verso di te e anche prima di ‘presentarsi’ coi suoi soliti modi, ti ha scrutata a fondo e in quei due, tre massimo cinque secondi in totale si è fatto un’idea della tua persona che per ora gli ha permesso di valutare che potevi sapere un dato importante e delicato su di noi. Fidati che si è già pentito amaramente ma non è tipo da rimangiarsi la parola nemmeno con l’inganno, quindi puoi star tranquilla che non rischi di morire per questo»
«Ah… grazie mille, adesso sì che sono tranquilla, quindi al minimo sbaglio sono morta in poche parole. Beh… così almeno raggiungerò il mio obiettivo iniziale…». Forse questa battuta era un po’ cruda per i miei standard. Lo vedo stringere i pugni e lo sguardo si fa teso ed estremamente serio.
«Se ti fa comodo suicidarti, allora quella è la porta». Detto ciò, mi indica la porta alzando il braccio a mezz’aria, con la testa bassa e attende immobile la mia reazione, quindi la mia decisione.
“Infondo… infondo cosa ho da fare? Cosa da perdere? O da guadagnare? Nulla. Di quale dignità vado vaneggiando… non ho più niente, altro che storie, quindi penso che accetterò. E bravo Matt, come sempre me l’hai fatta alla grande. Abbiamo la stessa età ma in confronto io sono un essere insignificante”.
Gli rispondo di no, che rimarrò ancora per un po’. E in tal caso, decido di suggellare questa decisione con una forte stretta di mano, troppo forte da parte sua perché mi scappa un leggero lamento di dolore, perché era vicino a spaccarmi la mano, a giudicare dal rumore che ho sentito delle mie ossa.
«Ehi, mi hai fracassato la mano. Madonna, in più le hai veramente ruvide ma posso capirne il motivo…».
“Mi sembra di esser stata un po’ polemica. Solo un po’, però se lo merita alla grande”.
«Che polemica» mi sorride benevolo «Non vorrai mica che mi levighi le mani, vero?!». Ride. Di quelle risate che sciolgono il cuore anche a venti gradi sotto zero, e di nuovo penso che mi ha anticipata.
“Sembra veramente leggermi nel pensiero ma in realtà è solo molto accorto e intelligente”.
Dopo qualche secondo che mi sono incantata, torno in me e distolgo lo sguardo: le mie guance sono di nuovo in fiamme ma questo, per fortuna, non mi impedisce di pensare a qualcosa da dirgli.
“Così se sono fortunata non avrà fatto caso agli occhi da pesce lesso che gli stavo rivolgendo… se sono fortunata, ma non lo sono poi molto in questo periodo, quindi non ci spero più di tanto. Sto pensando a come organizzare la frase per esprimere quello che gli voglio dire, in proposito al nostro accordo. Vediamo se riesco a parlare senza dir qualcosa che mi fa sembrare scema”.
«Senti… Matt».
“Lo sapevo: c’ho dovuto pensare per ricordarmi il suo nome E va beh”.
«Puoi determinarlo tu stesso da questo ultimo piccolo episodio… diciamo imbarazzante. Sono debole, molto debole o forse sei tu che sei un uomo e in più sei troppo forte per me ma comunque…».
“Che imbarazzo, sto facendo esattamente il loro gioco, a me la forma fisica non interessa proprio nulla”.
«Se voglio fare le cose che mi chiedete, dovrò pur essere pronta sia psicologicamente, che soprattutto fisicamente. A questo punto mi verrebbe da chiederti se avessi già in mente un allenamento a cui sottopormi oppure posso proporre io qualcosa? Non sono per niente d’accordo con quello che dovrò fare ma se proprio devo giocare meglio mettermi in gioco, no?!». Non so spiegare da dove venga la voglia di aiutarli.
“Sono così stupida da allearmi spontaneamente con questi due? Non ho ancora deciso se è una cosa abbastanza amorale o totalmente e irrimediabilmente, eppure il mio istinto sembra già aver scelto tutto per me… forse era davvero destino”.
Quando finisco la frase vedo gli occhi del rosso che si illuminano a più non posso e quasi virano all’azzurro ghiaccio come l’amico, da quanto diventano luminosi. Allarga un sorriso a trentadue denti e mi fa segno di aspettare perché vuole consultarsi con Mello ma dopo qualche secondo che è uscito sento il portone che si apre, quindi è uscito. Allora aspetterò pazientemente senza toccare nulla perché ho paura di prendermi qualche malattia mortale.
“Ma senti un po’ come ragiono, ho paura di prendermi qualche infezione, che stupida. Pensare che poco fa stavo per buttarmi da quattro piani, cioè quindici metri, cioè troppo per sopravvivere; altro che malattie e balle varie. Mi conviene di svegliarmi fuori, qua non sono a casetta bella ma nella tana del lupo, quasi nella tana del lupo: diciamo che questo è un lupo vegetariano, ecco, ma pur sempre un lupo. Inoltre, non posso fare niente perché non c’è niente da fare per me, il PC e il telefono sono rimasti a casa ma non credo mi lascerebbero usarli, il materiale da disegno anche… insomma, sono tornata a quando passavo la vita interamente a guardare i cartoni animati, solo che ora non ho nemmeno quelli. Uff! e lo ripeto, Uff. E se guardassi la televisione? Però, nessuno mi ha dato il permesso, anche se a Matt non importasse nulla, non vuol dire che il capo, lì, sia d’accordo. Potrei provare a chiederglielo ma mi sembra una cosa così stupida che mi è già passata la voglia, anche se la noia non so proprio come scacciarla. Potrei fare origami però non è che ne sappia fare di belli e comunque non ho visto se abbiano carta o no. Vediamo”.
«Ehm…».
“Aiuto, mi sparerà, lo sento”.
«Mello». Attendo, in caso mi volesse assalire.
«Se…». Lo sento rispondere dalla cucina e allora mi do un po’ di coraggio.
«Senti, non è che…».
“Aiuto!”
«Dimmi cosa vuoi donna, sono occupato». Risponde brusco.
“Lo sapevo, è di pessimo umore e… come sarebbe a dire che è impegnato? Su cosa? Su un caso, probabilmente”.
Sbuco fuori con solo la testa, dalla camera e noto che il tavolo si è riempito di carte e ben tre portatili.
“Ma com’ha fatto a tirar fuori tutto quel casino senza che neanche lo sentissi. Mah, adesso sono anche sorda”.
«Vorrei…»
«Se…?!». Deglutisco a fatica prima di parlare.
«Vorrei scrivere qualcosa, sai per scacciare la noia. Matt mi ha detto di aspettarlo ma non so quando torni visto che è uscito»
«Questo covo non è sicuro e c’è la forte possibilità che si debba sgomberare entro pochi secondi perché qualcuno ci vuole attaccare, cosa molto probabile visto che sei qui e non a casa tua come tutti gli adulti normali, e se un nostro nemico trovasse qualche indizio a nostro carico, anche il più minuscolo, manderesti nel cesso trent’anni di sforzi solo per una puttanata, quindi fammi un favore… Vattene nella camera e restami lontana, non voglio dover fare da babysitter a una della mia stessa età».
“Brutto figlio… no Des, non diventare volgare come lui. Non è proprio da te”.
«Non è che voglio mandarlo in stampa, voglio solo passare il tempo in qualche modo ma non ho le mie cose».
“Perché non la smetti di fare lo stronzo?”.
«Ho detto di no!» quasi urla, però non muove un muscolo e continua imperterrito il suo lavoro «E ora, se non vuoi un buco in testa e la disfatta della mia amicizia col caro, povero, ingenuo Matty… ti consiglio di fare come ti ho appena detto». Mi rimbecca con voce melliflua e venefica ma la sento anche seria, seria e matura e questo vuol dire che o fa sul serio, oppure tiene davvero al suo amico: opto più per la seconda. Comunque, mentre mi minacciava ho ben notato la pistola che tiene al fianco quindi non lo prenderò sotto gamba.
«Ci tieni al tuo amico… ne sono felice. Non immaginavo di poter mai scoprire questo lato del mondo». Ogni tanto è bello poter prendere in giro il proprio nemico.
«Tzé! Come ti pare». Mi liquida con una scrollata rapida della mano destra e la sinistra portata alla pistola, e faccio in tempo a notare il sorriso beffardo ma soddisfatto che gli compare sul volto anche se è chino sui fogli, intento a elaborare chissà quale piano, o strategia vincente.
“Ah, allora non sei poi quel mostro che mi sembravi appena entrato, hai un po’ di sale in zucca, però devi ammettere che un po’ dal tuo amico hai da imparare: ad esempio il gioco di squadra. Penso, mentre mi rassegno a dover passare il tempo “libero” senza fare niente. Un bel niente di niente, che bellezza… dalla padella alla brace nel giro di pochi giorni, un record”.
«Ah… chiudi la porta quando entri, e… non fare rumori molesti di nessun genere. Non che abbia bisogno di concentrarmi ma non sopporto la voce femminile». “Che stronzo maschilista. Vaffanculo, farò tutto il rumore che voglio, se voglio, quando e come voglio. Sembra uno sciogli lingua. A proposito del mio vizio di vagare con i pensieri… d’altronde non ho niente da fare, a parte infastidire questo biondo ossigenato con gli occhi perforanti e i vestiti da checca. Cioè, sei un uomo in tutto e per tutto… perché ti devi vestire così? Attillato, di pelle e scollato, e con un rosario che sembra una collana portato in quel modo. Un connubio di omosessualità indecifrabile su un uomo che di omo non ha proprio nulla, va beh. Affari suoi, non credo sia un problema nel mondo in cui vive e per il lavoro che fa, al massimo spaventerà qualche vecchietta”.
A questo pensiero per nulla serio, prima di entrare in camera che si trova nella parte nord della casa e ha una grande finestra a doppio vetro, sghignazzo vistosamente. Lui si deve essere accorto di tutto perché nuovamente mi minaccia e mi fa salire i brividi con il solo tono della voce, così con un balzo scappo in camera ma, ahimè, scopro che non c’è nessuna chiave.
“Aiuto! Questo mi fa fuori se gli girano un po’ di più. No, aspetta… Matt mi ha rassicurato che non mi vuole fare niente ma allora mi chiedo se non ci sia un motivo ben preciso per cui io sia qui. Matt, cosa aspetti a tornare? So che sono passati solo pochi minuti ma sento già un’ansia paradossale per l’attesa di porti tutte le domande che mi passano per la testa. Perché è uscito? Non aveva detto che parlava con Mello? Accidenti”.
«Uff! E adesso non potrei nemmeno parlare da sola?». Chiedo ironica, appositamente con voce più alta, in attesa di far saltare definitivamente i nervi a quel tizio.
“Matt… Perché continuo a pensare a quello lì. Basta. Devo davvero darmi una regolata o finirò col crearmi ancora più casini mentali: con l’amore… e tutto il resto. Pensa un po’, tempo fa mi preoccupavo tanto per non perdere troppo tempo a pensare invece di lavorare. Al contrario, ora non ho nient’altro da fare se non pensare o rimuginare, o morire più che altro di noia”.
D’istinto, come mossa da un’entità estranea o più semplicemente dalla noia, comincio a ballare, passi casuali e senza troppa grazia o importanza, mosse un po’ così: tanto per provare e per sfogarmi. Per fortuna c’è uno specchio, e quindi posso vedere quello che faccio. Dopo solo due, tre minuti, però, non facendo riferimento a una qualche coreografia su cui concentrarmi, quel modo di svagarmi perde totalmente di significato e comincio a fissare la mia immagine: i particolari del mio viso, dei capelli, del corpo e tutto il resto. Faccio caso alla stanza in cui sono: al letto che è matrimoniale e non capisco perché ma forse ho qualche idea… al termosifone che è in stile ‘giurassico’, e faccio caso anche a tutto il resto, solo con meno interesse perché in questa casa non c’è veramente nulla da vedere, ma proprio nulla a parte la muffa forse.
“Che orribile condizione, o forse sono io che sono diversamente abituata e quindi non posso capire? Potrei provare a chiedere a Mello perché stanno in un posto simile… Bah, dubito fortemente che mi risponderebbe, però…”.
Sospiro.
“Ma che mi salta in mente? Ho già constatato che non è possibile parlare con lui. È troppo chiuso e scorbutico. Non arriveremmo neanche a una frase intera. Beh, glielo chiederò quando saremo veramente entrati in confidenza, se non lo verrò a sapere prima. Avanti Matt, ti prego, sbrigati ad arrivare”.

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Capitolo 8
*** Ansia bruciante, finto distacco, ritorno ***


Settimo capitolo
"Ansia bruciante, finto distacco, ritorno"
 
Dopo circa un’ora, ho fatto dentro e fuori dal bagno ben due volte e avanti indietro dalla cucina dieci volte dal nervosismo, adesso sono in cucina a costruire un origami con un tovagliolo usato, mentre il biondo con un vistoso rosario rosso appeso al collo continua imperterrito a lavorare sui fogli sparsi per tutta la tavolata e di tanto in tanto a fissarmi in cagnesco, come se lo stessi disturbando a morte.
Dopo un altro interminabile minuto, sento la porta aprirsi, quindi drizzo un po’ lo sguardo e attivo le antenne.
“Finalmente sei arrivato Matt… chissà perché è uscito… così su due piedi, non so darci alcun senso logico. Comunque, sentire i suoi passi e sapere di avere affianco una presenza: più confortante di questo tizio biondo, è un sollievo per me. Per me, che mi sento costantemente sola, impaurita e incompleta. Tagliata in migliaia di pezzi, di cui solo una parte è presente a me stessa. Quindi, anche una persona come Matt può sembrarmi un’ancora di salvezza”.
«Ciao!». Mi fingo distaccata così da non sembrare una ‘cagnolina fedele’. Però, evidentemente l’amico invece non se l’è bevuta tanto facilmente perché lo scopro a fissarmi di sottecchi con un ghigno inverosimilmente sardonico, appena accennato ma presente.
«Ciao Bellezza, com’è andata con il Mister? Ti ha insultata? Sparata? Cose così? No perché, se è così… lo fulmino e poi ci faccio un bel cappotto di pelle per te». Ride sguaiatamente, tanto che mi appare quasi isterico.
“Che gli è preso tutto a un tratto? Prima era molto più pacato e controllato. Mah, avrà il ciclo anche lui come il suo amico”.
Sorrido vistosamente a questo buffo e insensato pensiero. Mi aspetto una battuta sagace da parte di Matt ma tutto ciò che arriva alle mie orecchie è un sonoro verso di stizza da parte di Mello e mi par strano che invece la reazione di Matt non arrivi per niente.
“È anche vero però che non conosco ancora per niente il tipo, quindi non mi pronuncerò in alcun modo. Adesso che ci faccio caso ha la sigaretta in bocca ma avevo capito che al biondo dà molto fastidio il fumo e di conseguenza non dovrebbe essere entrato con la sigaretta accesa. Mello vorrà fare un’eccezione?”.
«Mello, abbiamo visite. Non ne sai niente, vero?». Mello, che nel frattempo senza che mi accorgessi di nulla ha messo via tutti i fogli che c’erano sul tavolo, ora come per magia completamente vuoto; di scatto mi porta via di mano il tovagliolo-origami e se lo mangia.
“O mio Dio, è impazzito?”.
«Mah…?!».
“Proprio non lo capisco questo tipo”.
«Preparatevi, si balla!». Esclama con voce quasi trionfante.
“Bastardo. Come si balla? Che sta succedendo? Non sarà arrivato qualche loro nemico, spero…”.
D’improvviso mi sento afferrare e strattonare un polso da Mello. Adesso sì che posso ufficialmente allarmarmi. Anzi, senza allarmarmi so già che sto per finire all’inferno quindi tanto vale che me la metta via… no?! No! No, Des ma che ti salta in mente? Questi sono i residui di pazzia post tentato suicidio, ecco cosa. Me ne devo liberare al più presto. Forse Matt sa come aiutarmi. Temo fortemente di ricadere nuovamente vittima di me stessa”.
Sento un sussurro all’orecchio: è la voce calda, un po’ nasale ma decisa di Matt.
 «Tieniti forte bellezza, adesso si vola. Chiudi gli occhi, ti sentirai più al sicuro».
“Come: chiudi gli occhi? Oh no, ragazzi che sta succedendo? Vi prego mandatemi un segno, un indizio, qualsiasi cosa…”.
Mi copre gli occhi con una mano e io non posso far altro che farmi manovrare e fidarmi del ragazzo. Sembra avere completo controllo e potere su di me. “Stranamente però questo non mi spaventa, ne m’infastidisce… La aggiungo alle svariate argomentazioni di cui non sto capendo nulla in tutta questa faccenda. Prima o poi ne verrò a capo, spero”.
Come mi è stato ordinato, chiudo gli occhi e mi preparo al peggio, dopo di che mi sento sollevare da terra e l’unica cosa che comprendo è che abbiamo compiuto un salto.
“Aiuto… Saremo saltati dalla finestra… ma sono tre piani. Aspetta, ma non ho sentito il rumore tipico di qualcosa che cade pesantemente sull’asfalto, come stavo per fare io”.
Questo pensiero blocca tutta la poca concentrazione che avevo e momentaneamente mi perdo in un mondo tutto mio.
«Bellezza ci sei?». Deve star dicendomi qualcos’altro ma non lo sento perché la paura che provo è troppa.
“Non ci sto capendo più nulla ragazzi. Vi prego, mi sento persa, vi prego!”.
«Ti prego…!».
«Ehi… sta tranquilla, ci sono io con te. Ricordatelo sempre quando senti il panico montare».
“Matt… non mi sembri neanche un essere umano con difetti in questo momento. Ma a parte questo, ora sì che posso seguirti, ora sì che posso dire di fidarmi almeno un po’ di te”.
Nel frattempo mi sono riappropriata del mio corpo, e Matt evidentemente se n’è accorto perché scatta in avanti tenendo la sua mano sempre ben ancorata sul mio polso, di conseguenza mi trascina a tutta velocità. Dopo qualche secondo, che a me è sembrato molto di più per via di quel piccolo contatto imbarazzante tra noi e di tutto il resto, arriviamo di fronte a un’auto ferma dietro all’edificio nel quale mi tenevano in ostaggio. La suddetta auto è rossa, un modello americano che così su due piedi non so identificare.
“Glielo chiederò, anche se non importerà poi molto se ci facciamo ammazzare… Dio… che situazione!”
Saliamo in macchina e di tutta fretta accende il motore e sgasa per partire. Per la fretta non ha il tempo di schivare un’aiuola che viene tranciata di netto facendomi prendere un colpo per essermela trovata all’improvviso davanti ma fortunatamente non siamo in moto. Man mano aumenta la velocità perché il rumore di ruote sull’asfalto è subito dietro di noi, sento l’adrenalina bruciarmi dentro le vene e pompare al cuore, ansia energia pazzia ed euforia.
“Tutti insieme dovrebbero portare al mio primo collasso, o all’infarto, a occhio e croce”.
Quasi non sento più nemmeno i pensieri e sto perdendo il controllo del mio corpo ma non posso fare né dire niente che sia totalmente inutile.
“Cosa mai potrebbe fare il ragazzo accanto a me? Fermarsi? Girare in un vicolo per nascondermi? Svanire? Dio, sento la pressione di mille atmosfere tutta nel sangue: un altro modo per morire da aggiungere alla lista. Lista che non ho nemmeno ancora iniziato a stilare ma lo farò di sicuro, quando saremo in salvo. O meglio… io sarò in salvo, perché questo qui sembra quasi divertirsi e non accenna il minimo senso di turbamento, è evidente che per lui una situazione simile sia del tutto normale”.
«Oh cazzo! Ho il cuore a mille». Ho una mano premuta sul petto dalla paura.
“Non voglio morire. Aspetta, cosa? Cervello… hai le allucinazioni”.
«Tranquilla Des, quando c’è Mello a farci strada non c’è da preoccuparsi». Mi regala uno sguardo rassicurante e rilassato ma ci capisco sempre meno.
“Dovrebbe essere come minimo agitato… leggermente almeno. Comunque… mi ha chiamata per nome. Ok, è uno psicologo. Come poteva sapere che in occasioni del genere le battute peggiorano solamente il mio stato? Bah, avrà una psiche superiore oppure collegata alla mia”.
Il solo pensiero mi strappa un sorriso e momentaneamente mi strappa via dalla realtà nuda e cruda donandomi un attimo di serenità.
«Mi piace il tuo sorriso, sai? Comunque… adesso tieniti forte! Aggrappati da qualche parte perché… si vola!». Esclama con fervore e allegria per riportarmi alla realtà.
«Ah… ah sì, più di così?». Chiedo istupidita, e lui ride di gusto con una risata dolce e divertita ma profonda.
«Sì, più di così. Qua non siete molto allenati all’azione, eh?!».
“Eh no. Aspetta, ma qua dove siamo? Non riconosco come Padova questo posto. Guardo fisso davanti a me con occhi vitrei e il cervello momentaneamente mi si spegne. Paura, fastidio, confusione, rabbia, terrore, pazzia. Tutte insieme si sovrappongono in me in pochi secondi e sento che potrei urlare…”.
«L’hai capito? Non siamo più a Padova. Ma ne parliamo dop…». Non termina la frase che si sente partire il colpo d’una pistola, il quale per fortuna colpisce solamente il finestrino retrovisore dalla mia parte, però il solo fatto che un proiettile mi passi affianco mi fa saltare il cuore in gola e caccio fuori l’urlo che non si era ancora concretizzato. Urlo fortissimo, chiudendo gli occhi e proteggendomi il viso e il petto con le braccia più che posso.
«Brutti cani rognosi maledetti!» esclama con finta rabbia, come mi sono accorta che sta fingendo rimane un mistero «Glieli do io i proiettili… bifolchi!». Esclama ancora, e poi…
«No… pensa a portarci in salvo!». Urlo d’un tratto.
“Non voglio che uccida anche se in effetti non sarebbe un’idea del tutto folle metterli in difficoltà… ma questo non mi deve neanche passare per l’anticamera del cervello”.
Mi guarda sbalordito e confuso allo stesso tempo, con la pistola nella mano sinistra a mezz’aria e lo sguardo fisso su di me che adesso quasi mi sento in imbarazzo. Ho detto quella frase quasi senza pensarci, così d’istinto, e adesso quasi non so che è successo.
“A volte penso davvero d’essere pazza. Forse lo sono”.
«Come vuoi Des. Allora aggrappati dietro al sedile, devo tirare al massimo e superare Mello se vogliamo avere una chance di evitare altri spari o imprecazioni». Mi sorride benevolo e in cerca di un assenso.
“Sul serio sta aspettando il mio permesso? Credevo fossi io l’ostaggio…”.
«Credevo d’essere io l’ostaggio». Chiedo confusa e lo sento ghignare lievemente.
«No, ti sbagli. Non c’è nessun vero ostaggio qui. Almeno per il momento, perché se quelli continuano a inseguirci finiranno dritti dritti nella nostra tela e allora sì, avremmo degli ostaggi». Continua a sorridermi come niente fosse.
“O è scemo, o sadico oppure non gliene importa niente di tutto questo. Al che sono tentata di trarre la conclusione che è menefreghista o, appunto sadico. Non so se mi può far piacere. Anzi, non mi fa affatto piacere”.
«Des, ci sei? Resta concentrata, te l’ho detto… dobbiamo velocizzare il passo». Non me lo faccio ripetere e cerco un appiglio sicuro portando le mani dietro al sedile, così finalmente lui può ingranare la marcia automatica, e aumentare la velocità. Quando schiaccia sull’acceleratore sento il petto sobbalzare e partiamo a tutta velocità, tanto che sento il vomito bussare alle porte dello stomaco.
“No, porca… il vomito no, un po’ di dignità mi è rimasta ancora… credo”.
Stringo gli occhi e serro i denti per farmi coraggio e costringere il mio cervello a mantenere il controllo della situazione.
“Dovrei essere un asso ormai in fatto di controllo e invece mi sento tutta sconquassata… sarà l’effetto che mi fa la vicinanza di Matt?”.
Rido sotto i baffi a questo pensiero. Per mia sfortuna, lui se ne deve essere accorto, perché ride brevemente di gusto e schiaccia ancora più l’acceleratore e la macchina sembra dover esplodere da quanto è fuori giri.
“Spero l’abbia modificata in qualche strano modo e che non cominci a fumare nel giro di un minuto”.
Per una mezz’ora buona continuiamo così, dopo di che comincio a non sentirmi più col fiato sul collo, e così all’improvviso vedo comparire al mio fianco, la moto nera e scattante di Mello
“L’ho già detto che la mia memoria fa cilecca un po’ troppo spesso? Sì. Beh, lo ripeto volentieri se necessario, anche se in verità… basta. Sto uscendo come al solito dalla realtà”.
«Mello» urlo per farmi sentire «Tutto bene?».
“Chissà perché adesso mi viene così naturale preoccuparmi di uno così…”.
Mi fissa un secondo, poi solleva un sopracciglio con fare interrogativo, poi ghigna molto ma molto ironicamente, dopo di che scambia un rapido sguardo di derisione con il suo amico che al contrario sorride neutro ma fa una cosa inaspettatamente piacevole nei miei confronti: pigia il pulsante del mio finestrino e lo tira su, togliendo la possibilità al biondo di replicare, in quanto i finestrini sono oscurati. A quest’azione, rimango un attimo sorpresa ma poi mi volto verso l’artefice di ciò, e gli sorrido grata e divertita allo stesso tempo, ne segue una sensazione di rimembranza in me: mi torna in mente che fino a poco fa ero in una casa che non è la mia e non sapevo dov’ero o se mi avrebbero ammazzata, o se avrei fatto dei passi avanti o sarei rimasta catatonica, o ricordi simili.
“Invece, sono in macchina all’aria aperta o quasi, insieme a due ragazzi come me burloni e a quanto pare, salvatori miei e del mondo. Forse hanno trovato la formula segreta e magica… per portarci verso un mondo migliore”.
Tutti questi pensieri miscelati insieme alla situazione che non potrebbe essere più assurda, mi fanno scaturire una risata per nulla trattenuta, isterica. Mi lascio andare, sfogando tutto il peso di un tempo indefinito, tutto quello che era rimasto irrisolto dentro di me, qualcosa che non sapevo nemmeno di aver provato. Mi tornano in mente anche vecchi rancori e vecchi ricordi, ed emozioni e sentimenti e quant’altro che credevo ormai cancellato dalla mia testa. Poi, puntualmente l’immagine di una foto di tutta la mia famiglia unita per natale, mi perfora l’animo e la mente come un coltello affilato e mi riporta definitivamente alla realtà.
“Nel peggiore dei modi direi…”.
Intanto, Matt è rimasto senza fare una piega ad assistere alla mia patetica e infantile scenetta, però ovviamente la sua espressione è confusa, quindi ne approfitto per bombardarlo con la domanda più importante, quella che avrei dovuto porgli immediatamente.
«Perché sono qua… con voi? Dimmi la verità, il vero motivo, perché sapevi dove abito, perché mi conosci e perché non mi avete ammazzata ancora adesso, e anzi mi volete… salvare addirittura». Enfatizzo sulla penultima parola per sottolinearne l’assurdità.
«Ti sembra il momento adatto? Guarda che ho tramortito, legato e imbavagliato quel tornado di Mello per molto meno, sai?  Guarda che non sono stronzo come il mio amico, so benissimo di doverti delle spiegazioni ma… Bellezza… andiamo, non è il momento.  Un discorso delicato e poi in questa macchina ci può aver messo le mani chiunque quindi non so nemmeno se siamo al sicuro o liberi di parlare. Inoltre, ripeto… è un discorso serio ma anche spinoso e quindi entrambe dobbiamo essere concentrati e ricettivi. Non ha senso parlarne ora. In ogni caso, ti senti meglio ora che stai cominciando ad esternare ogni cosa? Io sì. Sono ogni volta più felice quando ti sento ridere anche se non per i più leggeri dei motivi, lo capisco ma ridere fa pur sempre meglio di un pensiero negativo inespresso... o di mille…». Lascia la frase in sospeso e si gira fissandomi con due occhi profondi come laghi immensi, o prati erbosi incontaminati. Al che mi vien da soffermarmi sul fatto che forse questo tizio non sa di quanto potere magnetico riescono ad avere su di me i suoi soli sguardi.
“Non parlo neanche della sua naturale affinità con la gente. Ha messo a tacere Mello, con uno stratagemma del cazzo, lo ammetto, però cosa vuoi fare con menti come le loro? Ricattarle bassamente, ovvio no?!”.
il suo sguardo mi fa talmente battere il cuore che la difficoltà di mantenere il suo sguardo è troppa, rivolgo lo sguardo verso il finestrino e mi sento come imbambolata. Sento la testa più leggera e non riesco quasi a capacitarmene, ritengo di essere un po’ troppo vulnerabile.
“Già. Decisamente. Però mi sento bene almeno in questo momento, poi ovviamente capiterà qualcosa che mi farà ritornare alla realtà e capire che è tutto un errore, ma… è così sbagliato? Sentirsi bene per anche solo un secondo? Cosa ho da perdere? Una famiglia, un moroso o un marito? No. Quindi? Quali sono i miei problemi… da risolvere? Che sia nella mafia? Che forse avrà ammazzato innocenti? Mi ha giurato di no. Che abbia le mani sporche di chissà quale crimine per un fine… ‘superiore’? Può essere. Eppure, chissà perché il mio istinto mi dice tutto il contrario. Istinto bastardo. Per ora mi limiterò a tenermi il cuore nel petto e a pensarci su bene… cioè, vale a dire: mille e una volta”.
Passa un’altra mezz’ora buona e…
“Oddio, ma siamo a Padova, cioè… di nuovo a Padova. Dev’essere un sogno, sto ancora dormendo e nessuno mi vuole svegliare? AH, a sto punto non mi pongo più domande di questo genere perché tutto può essere”.
Mi sento piacevolmente in subbuglio per essere tornata nella mia città.
“Che poi… ‘mia città’, ci sarebbe da discuterne ma tralascio di pensare a questo, ora. Ha ragione Matt: non è il momento”.
Dopo dieci minuti superiamo delle vie più chiuse, strette e sinistre, il che mi fa pensare a nulla di buono, anche se un po’ me lo aspettavo.
“Voglio dire, da qualche parte dovranno pur lavorare questi due…”.
«Matt... ma siamo a Padova…».
“Beh, sono proprio un genio… capitan ovvio proprio”.
«Forse un po’ me l’aspettavo però mi sono sorpresa che una mia previsione si rivelasse esatta. Di solito non succede».
“Chissà perché… ma vedere un ambiente noto mi ha fatto arrossire. O è lui che mi fa quest’effetto? Con quel sorriso smagliante, apparentemente freddo e derisorio, che invece nasconde dentro di sé tutt’altro. A proposito, sta sorridendomi o ridendo di me? Posso dedurlo”.
«Allora Des… ti va un frullato? Al gusto Death?». Ride di gusto a questa sua battuta.
“Non mi fa totalmente ridere però devo ammettere che un po’ me la sono cercata, vista la scenata messa in atto la prima volta che ci siamo incontrati. Ah, se esistesse il tasto undo anche nella realtà, quante cose potrei cambiare. Però, a pensarci bene… la capacità di cancellare il passato e ciò che meno ci aggrada… ci permette in un certo senso di restare sempre gli stessi, e quindi gli stessi problemi e gli stessi difetti rimarrebbero insiti in noi senza possibilità alcuna di livellarli. È il dover accettare di non poter tornare indietro che permette alla mente di cambiare, di modificare il suo metodo di giudizio. Interessanti questi pensieri… peccato che non sia il momento adatto, visto che sono in una situazione di pericolo e in macchina con un mezzo sconosciuto che se gli gira mi può far fuori. E io che vado anche a pensare al suo piacevole aspetto. Che bocia visià dio…”.
«Senti… dove intendete portarmi? Voglio saperlo se dobbiamo fare… squadra». Il tono mi esce un po’ più seccato di quanto desiderassi.
“Matt sembra anche comprensivo ma non lo conosco così bene da poter dire che mi lascerà stare. Che sbadata che sono”.
Passa ancora qualche minuto e, infine arriviamo davanti un piccolo condominio attaccato a una schiera di altri piccoli e degradati condomìni. Ha l’ingresso alla fine di due, tre scalette alla cui fine c’è un vaso di fiori appassiti e ingialliti che rovina ancora di più la vista dell’intera zona. Non siamo propriamente a Beverly Hills. All’improvviso mi sento leggermente spingere sulla schiena verso le scalette e comincio a sentirmi inghiottire dall’ansia, un’ansia quasi incontenibile che però, come al solito sfocia in un lieve e silenzioso gemito di paura, semplice e per nulla rappresentativo del mio reale stato d’animo.
“È ufficiale… sono fottuta”.

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Capitolo 9
*** Undo, Stranezze, Nuova casa ***


Ottavo Capitolo

"Undo, Stranezze, Nuova casa"
 
POV Matt

“E adesso come le dico che la sua famiglia è ancora viva? Anzi, perché… sto per dirglielo? Mi lascerà all’istante, lo so. D’altronde perché dovrebbe restare con noi. Devo inventarmi all’istante qualcosa. Potrei dire che, per la loro sicurezza, è meglio che almeno uno di loro resti come garanzia con noi e a quel punto, farò finta di ricollegarmi senza averci troppo pensato al fatto che Des ci conosce già e si fida di noi. Inizialmente farà sicuro storie ma poi si convincerà che questo è l’unico modo per mantenere in salvo la sua famiglia. E se ci tiene come penso… allora farà quello che le dirò”.
«Mello»
«Sì Matt, dimmi… però fa in fretta, devo uscire». Mi spiega in tono serio.
“Non che di solito sia goliardico. Ma quel tono serio non preannuncia nulla di buono. D’altronde se deve incontrarsi con Macca… non mi stupisce che sia incazzato nero…”.
«Ok. Dirò a Des che deve restare con noi per un po’, per non destare sospetti».
“Scusa a cui non crederebbe neanche un bambino”.
Infatti, Mello mi fa subito notare che devo pensare a qualcosa di più plausibile.
«Pensa piuttosto a dirle subito la verità e smettila di fare il coglione, finto cane da compagnia. Amico lo sai che con le donne non funziona, non otterrai nulla continuando a mentire prima di tutto a te stesso».
«Ah… saggio Mello. Grazie di avermi illuminato con una delle tue perle…! Ti sfugge che la vorrei ancora accanto, per quanto ancora non si fidi del tutto di me. Anzi…». Mi interrompe.
«Appunto».
«Ma appunto cosa? Arriverà a fidarsi di me se il tempo mi permetterà di starle accanto». Ribadisco sempre più intestardito a mantenere la mia posizione.
«Forse il tempo sì… Matt… ma io no e sai che, tra i due, sono io a comandare…». Mi sorride scanzonato ma lascia la frase in sospeso apposta per rimarcarne il significato.
“Brutto…”
«Senti Mello, non ti chiedo mai niente. Non discuto mai con le tue assurde e pericolose idee, ma ricordati quanti anni abbiamo… ho… e ricordati anche siamo amici. Non amanti, non sposati, non questo e non quello, e soprattutto… non sei davvero il mio capo». Una lampadina scatta fulminea nella mia testa.
“No. No, aspetta. Undo. Cancella. Back Space. Indietro. Rewind. Riavvolgi. Qualcosa… non posso aver detto questo. Non a lui. È la prima regola della nostra amicizia e collaborazione, cazzo”
«Ah sì? So bene che ti sei appena pentito, lo vedo dal tuo sguardo. Però, se è così che mi devo sentir rispondere… fa un po’ come ti pare!».
“Oh no, l’ultima volta che Mello ha ‘ceduto’ a una mia idea o decisione non è andata affatto bene”.
«Mello…».
“Ti prego girati. Così so che non te la sei davvero presa. Altrimenti poi, chissà quando avremo altro tempo per parlarci”.
Si allontana, centimetro dopo centimetro, portando via anche la mia speranza di avere tregua.
“E certo, perché non solo non ha abbandonato l’idea di mandare via Des, ma visto come gli ho risposto indietro mi metterà anche i bastoni fra le ruote, cazzo. Ma perché non ragiono mai prima di parlare? Porco…”.
Mi scappa una colorita bestemmia muta che mi permette momentaneamente di concentrarmi su altro.
“Anzi, è chiaro che ogni tanto si deve dare una regolata e deve rispettarmi. Abbiamo concordato fin dall’inizio che avrei tenuto Des con me. Stronzo… e adesso vorrebbe che la mandassi via? Può anche mangiarmi… No, troppo volgare. Des non apprezzerebbe affatto e la capisco benissimo”.
«Mello!». Lo chiamo con più decisione.
“Sembra deciso in ogni maniera a farmela pagare. Proprio non lo capisco… D’altronde non ci sono mai riuscito e ma ci riuscirò. Sono pur sempre un uomo e forse forse, anche diventassi una divinità, ancora non potrei capirlo. Bah, le ‘donne’”.
Dopo questa divertente ma sconcertante riflessione mi ricordo il motivo della discussione, e ritorno nel palazzo per parlare con Des. Chiudo la porta e ci appoggio la schiena, come stremato da una forza superiore che incombe su di me. Una forza bruta che scava un solco nell’anima e apre la mente a mondi inesplorati, perfidi, giocosi, pericolosi.
“Che mal di testa. Maledetto Mello e i suoi giochetti di potere. Anche a me i sensi di colpa divorano dall’interno ma…”.
Mi duole talmente la testa che sono costretto a piegarmi al male e, con una mano sulla tempia destra, scivolo con la schiena lungo la porta e il gesto mi porta a pensare alla mia vita.
“Una metafora perfetta: un amico che non riesco a trattenere con me, e la mia schiena che non riesce a sorreggere nemmeno il peso di una mente, figurati quella di quel malato psicotico e quella povera debole mente della graziosa, immacolata Des. Des…”.
All’improvviso sento un forte fischio alle orecchie che mi fa gemere di dolore e di paura, e tutto diventa buio.
“Meno male, stavolta sono a terr…”.
 
POV Des

“Uff! Chissà che fine hanno fatto. Cosa ci faccio qui? Chi o cosa sto aspettando? Mi sembra di essere caduta io stessa nella loro tela. Mi sento in trappola, anzi… sono in trappola”.
Ringhio indispettita a questo pensiero.
“Mi faccio sempre trasportare dagli eventi perché non sono mai in grado di pensare a tutte le conseguenze e alle azioni. Sono una cazzo di perdente che si piange addosso e non risolve mai nulla se non con l’aiuto di tutti e tutto. E anche in quel caso non risolvo mai nulla. Perché? Perché dio mi hai fatto questo? A cosa mi serve questa capacità di pensiero così fantasiosa? Anzi no… dio non centra nulla. Sono io che penso sempre alle cose che non mi servono veramente nella vita. È che… penso sempre a sviluppare abilità trasversali ma poi mi dimentico ogni volta di quelle attinenti al mio obiettivo. Ma poi… io… ce l’ho mai davvero avuto un vero obiettivo?”.
«Ma dove è andato a cacciarsi Matt? Quel dannato… spero non mi abbia lasciata qui come una cretina, altrimenti gli urlo dietro appena torna a prendermi… ma di che mi lamento? Infondo sono due criminali in poche parole. Cosa mai dovrei aspettarmi…? Niente, in teoria. Però Matt… è strano, è come se mi nascondesse qualcosa ma allo stesso tempo fosse la persona di cui più mi possa fidare. Non emana gli stessi intenti del suo amico che, invece, sembra volermi sparare da un momento all’altro. A proposito… sto parlando da sola. Non è molto consigliabile farlo soprattutto quando c’è qualcuno che potrebbe stare fissandoti dietro una telecamera… quindi…».
“Accidenti a me. Mi scordo sempre che devo essere cauta. Almeno ogni tanto eh… non dico sempre. Solo ogni tanto. Va beh. Dannazione quando arrivano? Sto chiaramente impazzendo in questa situazione assurda”.
«Dannazione!». Esclamo in preda all’ansia di non sapere cosa mi aspetta e di non sapere, soprattutto, cosa fare.
“In realtà lo so benissimo cosa devo fare, provare a scappare. Fuori di qui farò la mendicante… porca puttana. Questa non è vita”.
Penso, mentre mi salgono le lacrime, lacrime scottanti e amare di dolore e incompiutezza, perché alla fin fine in tutta una vita non sono riuscita a compiere il passo, quel passo che ti fa raggiungere una volta di più un obiettivo.
“Non riesco mai a decidermi e a concertarmi. Sono così labile che rinuncerei a piangere la mia stessa famiglia se non ne trovassi il tempo,o avessi sotto gli occhi un’altra qualsiasi scusa. Mi faccio schifo da sola, Dio”.
All’improvviso, sento uno strano rumore che mi riporta immediatamente alla realtà da quanto ero e sono tuttora tesa, ma lo catalogo come non pericoloso o rilevante.
“L’importante ora è trovare un modo per scappare. Una bella parola. È praticamente una stanza d’isolamento questa. E non è che porti forcine o cose del genere nella tasca dei pantaloni o in testa... Mi dicevano che niente è impossibile, ma qua non c’è nemmeno una finestra. Wow, che furbizia e che provvedimenti… come se io fossi un’addestrata spia di chissà quale organizzazione. Meno male che il mio sorriso piaceva così tanto a Matt… Parole…”.
«Solo parole». Esclamo ampiamente frustrata e demoralizzata.
Passano minuti interminabili e tutto quello che riesco a fare è deprimermi, deprimermi fino alla nausea come ho sempre fatto e penso che non sto affatto facendo progressi, al contrario di quello che ha previsto Matt.
“Anche se in effetti non so cosa ha previsto Matt o se ha effettivamente previsto qualcosa… Forse aveva un affare da sbrigare e semplicemente mi ha lasciata qui ad attendere. Infondo è questo il mio destino e in un certo senso me la sono cercata. Non ero io che continuavo a pensare di lasciarmi trasportare perché è questa la realtà dei fatti? Non sono io stessa che mi ripeto che è questo l’unico reale modo di vivere? Sì, e allora di cosa vado lamentandomi. Ho deciso: adesso non penso più a niente e faccio la prima cosa che mi passa per la mente”.
«Cantare». Detto fatto: comincio a cantare la mia canzone preferita dello storico gruppo Gothic Metal ‘Nightwish’.

«Baptized with a perfect name
The doubting one by heart
Alone without himself
War between him and the day
Need someone to blame
In the end, little he can do alone
You believe but what you see
You receive but what you give
Caress the one, the Never-Fading
Rain in your heart, the tears of snow-white sorrow
Caress the one, the hiding amaranth
In a land of the daybreak
Apart from the wandering pack
In this brief flight of time we reach
For the ones, whoever dare
You believe but what you see
You receive but what you give
Caress the one, the Never-Fading
Rain in your heart, the tears of snow-white sorrow
Caress the one, the hiding amaranth
In a land of the daybreak
Caress the one, the Never-Fading
Rain in your heart, the tears of snow-white sorrow
Caress the one, the hiding amaranth
In a land of the daybreak
Reaching, searching for something untouched
Hearing voices of the Never-Fading calling
Calling
Calling
Caress the one, the Never-Fading
Rain in your heart, the tears of snow-white sorrow
Caress the one, the hiding amaranth
In a land of the daybreak
Caress the one, the Never-Fading
Rain in your heart, the tears of snow-white sorrow
Caress the one, the hiding amaranth
In a land of the daybreak».
(Amaranth dei “Nightwish” - Album 'Dark Passion Play' del 2007)
 
“Evvai. Me la sono ricordata. E dire che non era mai capitato prima d’ora. Evidentemente non avendo mai avuto il giusto tempo e la giusta spinta per ricordare, andavo avanti per inerzia. Oddio…”.
Constatando questa nefasta verità mi porto le mani ai capelli e sbarro gli occhi, sentendo poi tutto a un tratto le tempie pulsare e un forte magone attanagliarmi la gola. Mi viene da piangere per questa constatazione che mi ritorna alla mente a tradimento e come conseguenza mi torna anche un ricordo doloroso, almeno per l’orgoglio.
 
“Ero ventiquattrenne e single con tanta voglia d scappare alla noia e alla tristezza, gettandomi nel lavoro nel campo del disegno artistico, quello che più mi contraddistingue e che meglio mi riesce, d’altronde. Appunto per questo, un giorno per caso mi arrivò un’email di posta elettronica con scritto che su uno dei miei tanti account in giro per il web, su un sito di vendita, ero stata contattata da una ragazza di Napoli perché voleva dei disegni su personaggi di un’opera teatrale poco conosciuta e sicuramente un po' controversa, per un lavoro che non sarebbe riuscita a fare per l’università. Come richiesta mi è subito parsa ignobile perché i miei affari me li ero sempre gestiti da sola e, in ogni caso, non avevo mai chiesto una mano così sostanziosa a nessuno. Così mi hanno cresciuta e quindi, in teoria, non ho intenzione di cambiare. Dico in teoria, perché sono sempre stata molto malleabile e mi ritrovo a dover affrontare occasioni che con un po' più di carattere e amor proprio, non sfiorerei nemmeno con la fantasia: come appunto quel viaggio che un bel giorno, proprio a causa o grazie a quella ragazza di Napoli, dovetti intraprendere per portarle altri disegni che altrimenti, con la spedizione, non sarebbero arrivati in tempo per il suo esame. Arrivata lì, quella volta sono rimasta a casa sua una settimana, giusto il tempo di farmi fare un giro per la città e farmi conoscere… tipo a tutti quelli del suo quartiere. La volta dopo invece, sono saltati fuori i guai e tutti i miei peggiori drammi (sono sempre stata un po' drammatica di mio) così se poi anche gli altri mi sbattono in faccia i propri, per me è davvero la fine perché perdo me stessa e cerco in ogni modo di andare incontro all’altro, dimenticando che ci deve essere un confine nelle relazioni che non va superato… per nessun motivo. Evidentemente, quel confine a Napoli non sanno cosa sia. Caddi nella sua trappola di rugiada e poesia, amore e catene allo stesso tempo. Mi fece conoscere, per qualche strano motivo, un ragazzo che mi convinsi di dover ‘abbordare’, poi me ne presentò un altro ma più che altro questo si presentò da solo, cosa un po' da ‘libertino’ a dir poco e insisteva con una certa urgenza a voler uscire con me e ad entrare in intimità, cosa che io assolutamente non volevo, però alla fine mi sono lo stesso lasciata strappare un bacio: cosa per me molto importante, sempre in teoria. Dopo quell’episodio non so sia ancora vero. Poi, diventò tutto sempre più strano, il comportamento di uno, quello di un altro. Il lavoro che avrei dovuto assicurarmi al pub dove lavorava la ragazza stessa e il primo ragazzo che mi presentò ma che non durò nemmeno una settimana. La pazzia che scorgevo in tutta quella gente così ben agghindata ma con poco sale in zucca, a parte pochi esempi che mi rimarranno nel cuore nel modo che preferisco. Quelli che rimangono indifferenti agli altri perché non si vantano delle loro qualità, false o vere che fossero, le tenevan per sé per scatenarle al momento e nel luogo più adatti. Quelli rimarranno per sempre nel mio cuore come i migliori al mondo, vista la pazienza che portano per tutti gli altri che li circondando. In tutto questo, una cosa fece da colonna portante della mia avventura: la disattenzione che portò alla mia totale inerzia e alla paura. Fui costretta psicologicamente a restare in qualche modo legata a quei posti e a quelle persone. Per questo, ancora adesso mi rammarico per non aver agito seguendo completamente il mio istinto. Per non aver pensato anche a me stessa, pensato che stavo piano piano collassando e toccando il fondo e perdendo la dignità”.
 
“Ma tanto ora cosa e, soprattutto, a chi dovrebbe importare? E comunque, devo andare avanti con la vita… accidenti. Non posso credere che la mia essenza si riduca miseramente ai soli ricordi del passato che molto fastidiosamente si ripresenta per rovinare tutto. Io rovino tutto”.
«A cosa serve rimuginare su quella ragazza, adesso? Adesso che ho trent’anni e non so più nemmeno che faccia abbia… quella lì, o se sia viva e che cosa stia facendo».
“Tipico di noi adulti… ridurre l’intera esistenza propria e degli altri a un solo concetto: lavoro, famiglia, passione. Tre semplici concetti che, invece non potrebbero, mai e poi mai, racchiudere interamente la vita di una persona. Che arroganti che siamo. Sperare di capire gli altri, dovremmo smetterla di provare a capire gli altri e, invece far luce in noi stessi perché è proprio da dentro di noi che parte la vera forza. È da dentro noi stessi che parte la conoscenza e, quindi se dovessimo capirci a vicenda dovremmo prima di tutto… Accettare noi stessi, a contatto con il nostro io interiore ma soprattutto a contatto col mondo esterno? Può essere, ma non solo. Non basta accettarsi e passare la vita a sguazzare nei propri errori e nelle proprie incertezze… Vorrei, io in primis, cambiare in meglio la mia situazione ma pare proprio che da sola non abbia nessuna speranza. Che desolazione”.
«Matt».
“Forse se cominciassi a chiamarlo a bassa voce e dentro di me, potrebbe avvenire che lui mi senta…”.
«Come no. Mi piace proprio sognare alle volte. Dio… che devo fare? Che devo fa…». La frase resta in sospeso nella mia bocca, perché all’improvviso sento la porta cigolare sinistra e dopo qualche secondo in cui sudo freddo, vedo il caschetto regolare di Matt accompagnato dal quel tipico abbigliamento eccentrico, fare il suo ingresso nella stanza blindata. Mi sento leggermente sollevata al pensiero che non dovrò più attendere ma sento che c’è qualcosa che non va.
“Me lo dice il mio intuito e stavolta non sbaglio. Basta guardare lo sguardo che Matt mi sta rivolgendo. È… come dire… sinistro. Sì, non è quello di prima. Che sta succedendo? Mi hanno incastrata alla grande e adesso vogliono farmi fuori perché li conosco? Ma non ho deciso io di conoscerli. È stato lui a venire da me, e allora perché? Perché ogni volta che incontro il suo sguardo o ci parlo assieme, tutto fa presupporre che io sia in serio pericolo? Mah…”.
«Matt… posso uscire adesso, vero?!». Il suo sguardo è sempre sinistro ed ha assunto una parvenza quasi malvagia, il che mi fa provare brividi in tutto il corpo e un pensiero mi trafigge senza pietà.
“Poco fa non era affatto così. Quanto è passato? Un’ora? Due? Cosa può essere accaduto in così poco tempo? Mah… che diavolo”.
Matt mi sorprende di nuovo uscendo, così com’era entrato, dalla stanza. Senza dire una parola ma non passa nemmeno un minuto che lo vedo rientrare e questo mi mette addosso soltanto agitazione.
“Aiuto. Sono fottuta… ma… adesso che lo vedo meglio… ha la stessa espressione di sempre… che diavolo?”.
Fa appena in tempo a chiudere la porta di cui si sente lo scatto della serratura, segno che sono di nuovo di gattabuia, che balzo all’indietro spaventata oltre ogni limite. Non voglio assolutamente che mi si avvicini di più. Ritengo sia saggio per me, al primo viaggio di ritorno, trovare una soluzione per scappare.
“Sì, è essenziale. Devo pensare solo a quello e non mi devo per nulla distrarre. Se non trovo un modo al più presto sarò spacciata. Più che spacciata. Fritta andata, persa, ecc. ecc. ecce”.
«Bellezza, ti senti bene? Guarda che me lo devi dire se c’è qualcosa che non va perché non ho la sfera di cristallo, ma comunque non meriti di essere trattata come una comune testimone o altro, quindi sentiti libera di rompermi le palle per qualsiasi cosa». Mi spiega con un sorriso raggiante e l’espressione distesa.
“Ma… ma… fino a un attimo fa sembrava volermi incenerire con il solo sguardo… e ora… e ora? Non riesco più nemmeno a formulare dei pensieri nella mia testa… e ora se ne viene fuori così? Come fosse un bambino simpatico e carino? Ma no. Non è possibile. È uno scherzo, deve esserlo per forza. Io… Io ho visto quella sua espressione, non me la sono inventata, ne sono più che sicura. Oddio e se stessi definitivamente impazzendo? Forse è anche colpa loro… magari nel condotto d’aerazione hanno immesso dei fumi tossici o direttamente un veleno leggero. Leggero così non mi permette di accorgermi di qualcosa di anomalo… ma allora, seguendo questo ragionamento e il fatto che loro sono professionisti… non avrei dovuto accorgermi di nulla. Non penso di aver acquisito improvvisamente poteri eccezionali che mi possano far capire le cose del nulla”.
«Ahm, senti Matt…».
«Dimmi bellezza, che c’è?».
«Senti, non è che… c’è qualcosa che mi devi dire, vero? So che se non me lo potessi dire non me lo riveleresti, almeno puoi accennarmi se c’è qualcosa che devo sapere? Solo questo».
«Bellezza, come sei criptica tutto a un tratto. Se ti mancavo così tanto dovevi dirmelo, no?!». Termina la frase con una lieve risatina divertita e lievemente sarcastica.
“Alla fine non mi ha risposto alla domanda. Quindi avevo visto giusto. Non mi sono inventata niente e per fortuna non mi stanno drogando. Sai che fortuna… quindi mi nasconde più di una cosa. Perfetto, direi che sono a cavallo. Complimenti Des, sei molto intelligente e autonoma… e soprattutto coraggiosa e determinata. Uff. Per adesso farò buon viso a cattivo gioco.”.
«No… è che sai… sento che c’è qualche particolare, in tutta questa faccenda, che mi sfugge completamente e questo mi destabilizza non poco…». Anche se non ce n’è bisogno, lascio in sospesa la frase come e voler intendere che è lui a doverla continuare. Purtroppo, come sospettavo lui non ci casca e volta lo sguardo sorridendo consapevole, per poi sedersi con la schiena appoggiata al muro rivolta dalla parte opposta rispetto alla mia.
«Purtroppo, adesso dobbiamo pazientemente aspettare che Mello, sua signoria, ritorni con la cena per tutti. Intanto il mio compito è scortarti fino alla nostra casa che abbiamo in questa città».
«In questa città? Perché? Avete una casa anche qui? Però, alla faccia degli squattrinati barboni pezzenti e…».
«Vaa bene, ho capito che non tieni a me» ride di gusto «Comunque, adesso seguimi e non parlare perché ci possono essere cimici. Anche telecamere in realtà ma quelle verrebbero tutte bruciate dalla mia preziosissima App. Della quale non ti posso ancora dire nulla ma prima o poi lascerò apposta in giro per casa il cellulare e allora ti accorgerai da sola di cosa sto parlando. Ne vado matto e ogni giorno non vedo l’ora di usarla per far cadere qualche piano malefico di un nostro obiettivo». Ride sornione sotto i baffi. Apre la porta, non riesco bene a capire come, e allora mi decido a muovere le gambe che sembravano in trance fino a un attimo prima, per raggiungerlo. Dopo di che si richiude la porta alle spalle e mi fa segno di seguirlo. Dopo un minuto, passato ad evitare di toccare le pareti umidicce e viscide della struttura, arriviamo a un ascensore.
«Che mi venisse un colpo». Esclamo stupefatta.
«Che cosa hai visto?». Mi chiede l’altro senza voltare l’attenzione su di me, come non fosse realmente interessato alla mia spiegazione, o come fosse già al corrente dei miei pensieri.
“Strano. No, no invece che non è strano. Parlo ad alta voce e poi mi sembra normale che uno finga di non ritenermi pazza fingendo disinteresse”.
Arrivato l’ascensore, mi fiondo all’interno e subito scopro che è come pensavo. L’apparecchio ‘infernale’ è di ultima generazione e non vecchio e pericolante come ci si aspetterebbe da un ascensore in un edificio tenuto così male e, anzi lasciato andare a se stesso.
«Ma… perché c’è un ascensore di fattura americana e di ultima generazione in un edificio così? Saranno stati spesi migliaia di euro per costruirlo, quando l’intero edificio tutt’intorno cade letteralmente a pezzi…». Non riesco a capacitarmene e sento che ogni minuto che passa potrei dare di matto con la voce a pieni polmoni.
«Non giudicare mai un libro dalla copertina. Nel nostro lavoro… fare ciò ti porterebbe inesorabilmente alla morte».
«Ma che scoperta. La mia non era un’affermazione, era più che altro una domanda… genio. Vorrei sapere che ci fa un affare di ottima fattura in un posto così stretto e angusto». E niente da fare, l’unica modo in cui mi risponde è rivolgermi nuovamente un sorriso consapevole e divertito: cosa che mi fa totalmente desiderare di essere un energumeno esperto di arti marziali, così da poterlo scaraventare a terra con un dito.
“Ma purtroppo non sono ancora né forte né astuta e forse non lo sarò nemmeno mai, quindi è meglio che cominci a scrivermi da sola l’elogio funebre e… ma io non dovevo pensare a un piano di fuga? Già. Se chiedessi loro di cominciare subito a collaborare con loro potrei avere una valida scusa per uscire dall’edificio e così da lì sarebbe abbastanza semplice squagliarmela. No, no. Devo essere più astuta, così mi potrebbero recuperare anche a mani nude e senza il ‘GPS’. No. Devo trovare una maniera più elaborata, solo che non sono mai stata un asso a elaborare perché mi sono sempre affidata… alla pazienza degli altri? O al fatto che non si sarebbero accorti di nulla…. Già. È così. Ma qua non è impossibile che loro si… ‘dimentichino’ di venirmi a cercare se non torno entro il tempo da loro calcolato”.
Appena siamo entrati tutti e due, le porte si chiudono e Matt, stranamente, non preme nessun pulsante ma l’ascensore parte lo stesso all’istante.
“Tutto sta procedendo verso l’estremo dell’assurdità. Gli ascensori adesso partono da soli. Ah. No, adesso ho capito. È per non lasciare impronte. Geniale ma le tracce comunque restano. Residui di suola delle scarpe, pelle, odore soprattutto per uno come Matt, direi. Per non parlare dei capelli… bah. Contenti loro, però niente mi vieta di porgli delle semplici domande”.
«Matt… come fate a eliminare tutte le tracce del vostro passaggio…? Soprattutto tu con l’odore di fumo…?».
«Eh eh, sapessi bellezza» lo fulmino scocciata «No, questo ascensore ha un sistema di ‘decontaminazione’ autonomo. Dopo Chernobyl, e dopo aver capito che avevano il via libera perché erano passati abbastanza anni e la notizia si era dispersa, alcuni ‘scienziati’ hanno deciso di applicare alle nuove tecnologie il meccanismo di reazione che aveva innescato l’esplosione. E dopo questo non posso dirti altro. Comunque questo edificio è di millenni fa, invece l’ascensore è più recente ma non quanto pensi tu. La tecnologia qui non si sviluppa, viene esportata da altri paesi già molto più avanti».
“Grazie tante”. Penso stizzita. Poi, però mi ricordo che le suddette tecnologie di cui lui sta parlando sono state applicare ad armi sempre più pericolose e letali.
“Per questo e molti altri motivi preferisco di gran lunga il mio paese in fatto di avanguardia, ad altri. Questo però non intendo dirglielo perché certe cose è meglio tenersele per sé in alcuni casi, come il mio per esempio”.
Dopo solo un minuto alzo lo sguardo sui numeri dei piani e mi accorgo che siamo al quindicesimo piano.
“Che diavolo…. Ma dove sarebbero i quindici piani?”.
«Matt… ma da che piano parte il piano terra? Il decimo?».
«Felice che te ne sia accorta. Non siamo poi del tutto così barboni. In ogni caso, questo edificio lo abbiamo, come dire, ‘preso in prestito’ al vecchio proprietario».
“Certo, come no”.
Mi scappa una risatina sarcastica trattenuta.
«Eccoci arrivati pagliaccio. Fai ridere anche me, no?!». Mi sorride complice e mi sembra che mi voglia indurre a sorridergli a comando. Probabilmente mi sbaglio ma in caso fosse vero, non mi piace per niente quello che cerca di ottenere da me. A questi pensieri il buon umore dato dallo stupore della novità, mi passa definitivamente e mi incupisco. Il sorriso svanisce anche dalle labbra di Matt, il quale forse ha capito che certi trucchetti dovrebbero essere banditi da qualsiasi relazione ma evidentemente è abituato a strumentalizzare.
In un attimo, siamo arrivati all’ultimo piano sotto terra e già all’idea di essere sotto terrà mi fa sentire claustrofobica, in più poi, quando apre la porta che ci fronteggiava capisco che la grandezza della loro ‘casa’ raggiunge a malapena quella di una stanza e lì mi viene quasi male e mi manca un po' anche il respiro. Mi porto una mano al petto perché all’idea di dover restare lì, in quel posto da panico, potrei tranquillamente svenire.
“Non ne posso più, sempre e solo spazi chiusi. Non sono un animale da mandare al macello”.
«Matt, questa non è la vostra casa, vero?!».
«Ma no bellezza. La casa è dopo questa enorme stanza». Ride di nuovo, divertito dalla mia reazione che per lui, chiaramente è esagerata e insensata.
“Ci sarei schiattata se era questa la casa”.
Dopo di che, apre sempre elettronicamente la porta della vera casa ed entriamo.
«Beh, fa come se fossi a casa tua. Tanto per un po' lo sarà davvero». Queste parole mi riportano alla mente che non ne ho più una e la mia famiglia non c’è più.
“Andata, svanita, morta. Tutto per un gioco troppo pericoloso di potere che l’uomo non può evitare in nessun modo. Tutto per orgoglio”.
Divento triste e penso che questo ragazzo è veramente incapace a far restare stabile una persona.
“A meno che non lo faccia apposta e in questo caso non ci potrei fare niente perché io le regole della psicologia non le conosco”.
Gemo di sconforto. Vorrei un abbraccio dalla mia cara sorella, o dal mio fratellino, o da quella roccia del mio fratellone.
“Però qua… c’è solo uno sconosciuto che fa pure il sarcastico a suo piacimento con i miei sentimenti”.
Gemo di nuovo, di disperazione. Alzo lo sguardo per cercare una via di salvezza e intanto lui si è accorto di esser stato indelicato e cerca di rimediare ma è troppo tardi perché, scorta una porta che possibilmente porta ad una stanza da letto, la apro e me la richiudo alle spalle. Poi, facendomi forza cerco di alzare la voce senza lasciar trapelare che sto piangendo.
«È insonorizzata questa stanza, Matt?».
“La mia voce non era affatto decisa, magari posso avvalermi della porta chiusa”.
«No Des, altrimenti non ti avrei sentita nemmeno avessi urlato più forte che potevi».
“Già. Che stupida”.
Il pianto preme per uscire dirompente dai miei occhi e dalle mie corde vocali ma voglio assolutamente una stanza insonorizzata, anche se lui avrà di certo capito qualcosa di simile alla verità.
“Per lo meno non voglio assolutamente che mi senta, tanto meno il suo amico”.
Esco da quella stanza che non era affatto una camera da letto ma il bagno a destra. Appena sono fuori alzo la testa e lo fisso con gli occhi lucidi e gonfi, segno evidente a chiunque, e lui senza dire una parola mi indica la camera da letto che stavolta è davanti all’entrata e gli sento vagamente dire che devo prima salire una scala a chiocciola. Dopo l’informazione mi sento come se mi potessi rilassare perché lui non può vedermi e attraverso la porta per poi richiudermi alle spalle anche quella. Aspetto di aver salito completamente la scala e là lascio andare liberamente le lacrime e che assieme ai singulti esprimono tutto il mio dolore.
“Per la mia famiglia. Finalmente avrò un po' di pace. Sola e al sicuro. Almeno voi sarete felici. Felici di sapermi al sicuro, forse. Forse sono al sicuro, per ora”.

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Capitolo 10
*** Crollo, Parole in codice, Inconveniente ***


Preannuncio che questo capitolo sarà parecchio lungo. Non riesco a capacitarmi di come sia potuto venir tanto pieno di parole, parole, parole e ancora parole ma la realtà non finisce mai di stupirmi. Quindi, ecco a voi il nuovo capitolo. Buona lettura!
Ps. se trovate degli errori o incongruenze o qualcosa che non è chiaro o che non vi garba, e vi va di lasciare una recensione, vi prego fatelo. Se no che le pubblico a fare le mie storie? Buona scrittura a tutteeee

Nono Capitolo

"Crollo, Parole in codice, Inconveniente"
 
Piango, piango e non riesco a non disperarmi oltre che all’esterno pure all’interno, nella mia debole mente che fa fatica a dibattersi per ‘un tozzo di pane’: per un minimo di stabilità.
“Sono circondata da una manica di esseri insensibili, che pensano solo a portare avanti i loro affari”.
All’improvviso, sono attraversata da una speranza.
“Mi ero ripromessa che avrei trovato un modo per riuscire a scappare, ed è quello che farò. Quanto è vero che mi chiamo Desdemona. E lo farò appunto per voi… famiglia mia”.
Provo a mettere in moto la mente per risollevarmi, prima di tutto, il morale e trovare il coraggio di uscire dal ‘tunnel’ della negatività. Dopo qualche minuto mi calmo e, quindi non piango più, allora nella mia mente comincia a tornare un minimo di speranza. Quel minimo che mi serve adesso e mi servirà sempre per tirare fuori la grinta e le capacità, stavolta completamente e non per metà come al solito.
Il primo pensiero che mi passa per la testa è che l’amico di Matt, Mello, non c’è perché deve essere andato a sbrigare qualche lavoro.
“Quindi uno in meno, eventualmente, da raggirare. Anche se temo che siano infinitamente più scaltri e attrezzati di me, anche presi da soli. Anzi. Senza credo. Lo sono, eccome. Parto nettamente in svantaggio, Dio. E se provassi a diventarci amica? Però, subdola Des…. Non credevo di poter formulare un pensiero simile, per poi realizzarlo davvero. Però, che alternative ho? Non molte temo, anche conoscendole, e io non le conosco, purtroppo. Ok. Positività Des. Allora, per diventare amica di Matt… beh, non dovrebbe essere difficile visto che era lui stesso disposto a essere anche di più nei miei confronti… no?! No, non sarà affatto semplice. Potrei provare a farlo sentire in colpa per cosa mi ha detto poco fa, per cominciare”.
«Cazzo. Ma come mi vengono certe idee? La disperazione, ecco cos’è. Non potrebbe mai funzionare. Matt è un professionista anche se sembra un completo sempliciotto. Accidenti a me e alla mia testaccia bacata».
Urlo con quanto fiato ho in corpo. Memore che sono in una camera insonorizzata.
“Chissà per cosa la usano loro”.
Rabbrividisco violentemente al solo pensiero di sangue, torture e tutto il resto, che volano per la stanza e mi sento ancora più oppressa di prima. Mi aggredisce un senso di peso nel petto e cerco freneticamente la maniglia della porta per uscire.
“Devo. Immediatamente. Uscire di qui”.
Caccio un breve e leggero ma liberatorio urlo. Di solito vengo sentita in capo al mondo ma mi trattengo perché non voglio che l’altro mi senta. Uscita dalla stanza, prendo la scala e la percorro molto lentamente. Mi sento la testa vuota ma sono lo stesso presente a me stessa, il che per me è una sensazione terribile ma mi faccio coraggio e continuo a percorrere la scala, quella che non so più esattamente ‘dove mi porterà’.
“Dopo quella pessima sensazione di morte e schifo totale, non riesco più a pensare a niente che non siano i miei stessi pensieri. È terribile”.
«Matt». Cerco di richiamare l’attenzione dell’altro mentre finisco di scendere la scala a chiocciola, la cui forma non sopporto ma non arriva nessun segno di vita, a parte qualche rumore che per il momento catalogo come sconosciuto e non importante.
“Ma che sta facendo? L’ho lasciato lì tipo un secondo fa…”.
«Matt». Urlo appena per farmi sentire dal ragazzo con i capelli rossi e i suoi strani occhiali da aviatore in testa.
“Adesso li avrà messi al collo. Ma… e dai che mi distraggo”.
Ancora, il ragazzo non accenna a rispondermi.
“Evidentemente non mi sente perché sta facendo qualcosa d’impegnativo. Anzi no, questi rumori…”.
Non faccio a tempo a formulare nemmeno il pensiero completo che, aprendo la porta del sotto scala, sento un connubio di suoni fastidiosi se pur bassi, uno dietro l’altro.
“Ma sta giocando ai video giochi… ma quanti anni ha?”.
Cerco di farmi gli affari miei perché mi è passata la voglia di attuare il piano.
“Per ora fare la gatta morta non è il modo adatto per conquistare la sua fiducia e quindi la libertà. Giusto? Ci sono. Bene. Allora aspetterò che la smetta di giocare come i bocchia di dieci anni, e poi mi inventerò qualcosa di utile”.
«Mi avevi chiamato? Scusa, quando mi concentro sul gioco non capisco più nulla».
“Ma perché si scusa? Che fastidioso. Non mi farò abbindolare dal suo modo benevolo di fare”.
«Ah ok».
“Risposta secca e concisa. Dovrebbe bastare a farlo tornare ai suoi affari. Prima ero così lanciata ma adesso mi è cascato praticamente tutto il mondo addosso. Devo pensare tutto da capo. Meno male che non devo elaborare piani per salvare il mondo. Lo farei finire sotto tiro di qualche pazzo in men che non si dica”.
Sospiro sconsolata e mi guardo un poco intorno nella stanza in cui siamo, l’ingresso. Noto che a sinistra dell’entrata c’è una porta da cui, presumibilmente, si accede alla cucina quindi decido di entrare nell’ennesima stanza di questo buco, per cercare qualcosa di commestibile da mettere sotto i denti.
“Sempre che non siano a secco come nell’altra casa. Ma forse lì sapevano di dover andare via a breve. Già. Quindi era ovvio che non avessero niente, anche se ho l’impressione che loro non abbiano mai niente. Mai e poi mai. Una vita sacrificata in tutto e per tutto, eh?! Va bene…”.
Arrivata all’interno, mi guardo a destra e a sinistra e mi colpisce il fatto che, pur essendo una cucina, il tutto mi appare ancor più spoglio delle altre stanze.
«Dio… e io dovrei stare qui? Non c’è nemmeno una finestra, essendo sottoterra. Altro che claustrofobia. Come fanno a starci ogni giorno, ogni settimana?».
“Ogni anno”.
A certi pensieri ho un tuffo al cuore e mi sento rivoltare lo stomaco: letteralmente, infatti d’istinto comincio a correre e per un attimo mi sembra di annegare nel senso di bruciore che sento alla gola. Arrivo alla porta, e quasi ci sbatto contro da quanto sono lanciata nella mia corsa disperata e cieca, la apro di scatto e intravvedo vagamente un piccolo water su cui mi fiondo senza remore, rimettendo poi tutto quello che avevo mangiato stamattina, quando ancora ero nella prima casa dove mi ha portata Matt.
“Sto praticamente rimettendo lo stesso intestino visto che ho mangiato solo un cazzo di panino, misero e leggero”.
Il mostruoso suono di ciò che sto facendo mi fa sentire ancora peggio, in un continuo sforzo degli addominali per poi esternare tutto ciò che di lercio c’è in me. Dopo due, tre minuti che vado avanti in questo modo, mi sento appoggiare delicatamente una mano sulla spalla, alche mi distraggo momentaneamente per capire se sono in pericolo, e chi è che mi vuole disturbare anche in un momento simile ma la risposta è ovvia.
“Matt… che vuoi”.
Non riesco a esprimere questo pensiero ma ai suoi occhi deve essere più che ovvio.
«Che ti è successo? Eh, Bellezza?». Mi chiedi con voce tranquilla, senza energia, come non volessi spaventarmi.
«Sme… Smettila di…».
“Di chiamarmi così. Niente, non ci riesco. È più forte di me. La mia famiglia… La mia famiglia è tutta morta, e io sono ancora qui. Perché? Perché io sono ancora qui? Non dovrebbe essere così. Non DEVE essere così. E forse la mia reazione è una risposta e una preghiera al mio desiderio di farla finita”.
Senza che me ne accorgessi mi sono messa a piangere e lentamente ho anche smesso di vomitare, però i conati a vuoto continuano a non lasciarmi tregua un secondo.
“Sento male alla testa, alla gola, alle ossa, alle budella. Non una sola fibra intatta, c’è in me. Non ce la faccio più”.
Essendo io ancora troppo debole, dopo pochi secondi sento la testa e la schiena troppo pesanti, e mi sento cadere pregustando già un violento schianto contro qualcosa, qualsiasi cosa ma non succede perché Matt mi trattiene per le spalle, e dopo non vedo e non sento più niente perché si fa tutto nero, vuoto e oscuro.

 
POV MATT
 
“Porca puttana. Cosa le è preso tutto a un tratto? Stava bene fino a un attimo fa. Adesso che faccio? Se le viene un attacco epilettico o qualcosa del genere, non sono attrezzato per placare certe reazioni. Fa che Mello risponda e non sia già nella fase due”.
«Des… dai, Des. Ehi».
Provo a scuotere la ragazza che tengo tra le braccia ma non succede niente.
“Era debole, lo so. Troppo debole, e adesso perché questa reazione esagerata all’inverosimile?”.
Il cervello non trova la spinta per riavviare il sistema e cercare una soluzione.
“Stupidi pc e computer e laptop, e puttanate varie, siete inutili. E ora come ne vengo fuori? Devo prendermi una pausa da tutto e portarmi via con me questa fragile creatura. Mi sono sbagliato, non è adatta a questo mondo”.
«Forse…».
“Senza forse. So benissimo perché sta così… gli spazi chiusi nel suo stato non sono affatto consigliati. Beh, nemmeno gli ospedali nel nostro caso. Però, sembra l’unico modo… e se chiamassi il nano bianco? Sì, e poi mi preparerò mentalmente alla reazione di quell’altro pazzo, fuori di testa. No”.
«Coraggio Des. Dai Desdemona, svegliati. Non sei affatto bella da svenuta, e se ti lascerai andare non te lo perdonerò mai. So che non te ne frega niente ma… svegliati». Urlo mantenendo la calma, però man mano che passa il tempo sento la possibilità di riaverla, andarsene secondo dopo secondo ma non sono mai stato un tipo che si fa prendere dal panico. La prendo in braccio e la posiziono delicatamente sul divano di pelle nera posizionato alla sinistra della porta d’ingresso, e considero l’idea di avvicinarle l’orecchio al petto per sentire il suo cuore.
“Pessima idea. Non potrebbe avere un seno più evidente”.
Sconfortato e leggermente agitato le passo due dita della mano sinistra su un punto preciso del collo ma sento che il cuore ancora batte ma non come speravo, è debole.
“Fottutamente debole, cazzo”.
A questo punto comincio a praticarle le manovre di BLS e nel frattempo, pur essendo agitato, riesco lo stesso e inebriarmi i sensi con il profumo delle sue labbra.
“Of course… with this taste isn’t the top but (Certo… con il sapore di vomito non è il massimo) … Ecco che ricomincio a pensare in inglese. Mi fa proprio effetto retrocessione questa ragazza”.
Mi scappa un sorriso.
«Dai Des, ritorna da me, coraggio Bellezza».
“Niente, il battito è sempre debole”.
Non mi faccio mai prendere dal panico ma è anche vero che non sempre la situazione è sotto controllo, e quindi continuo a chiedermi se si salverà o no; quando all’improvviso, dopo qualche massaggio cardiaco, la vedo spingersi in su con gli addominali e allora posso tornare a respirare anche io perché so che è fuori pericolo. Tossisce e sputa un misto di saliva, mia e sua, e resti di vomito che le erano rimasti in gola. Ho appena riacquistato il sorriso che di nuovo sprofonda nel sonno ma stavolta, riaccostando l’orecchio al naso e sentendo il battito, il respiro e le pulsazioni sono regolari e questo mi fa capire che ha bisogno solo d’essere nutrita quanto le serve, e di riposare.
“Non dovrei sporcare un essere tanto puro, sensibile e dolce. Sono proprio un egoista. Mello… torna a casa. Ho bisogno di uscire di qui. Ci deve essere qualcosa per l’ansia in questa casa. In bagno magari… bingo”.
Trovo nella specchiera, soprastante al lavandino, una serie di medicinali e guardando le etichette scorgo ciò che mi serve.
«10 gocce di En e in qualche minuto mi dovrebbe passare tutto».
Esco dal bagno e molto flemmaticamente mi dirigo nuovamente verso il divano dove la giovane sta ancora dormendo, ha un sonno tormentato perché la sento mugolare ma non ci bado particolarmente.
“Avrà un incubo. Povera ragazza. Il problema è che pensa continuamente alla sua famiglia. Quella che sa essere morta. Già. Appena si sveglia la farò rinsavire del tutto quando le dirò la verità. Sì, stavolta non ho dubbi che lo farò, e non ho nemmeno dubbi sul motivo dello stato in cui giace. Non posso più negarle questa verità. Il resto può anche aspettare e che vadano a farsi fottere Mello e tutti i suoi piani della minchia. A proposito…devo monitorare a distanza i movimenti di Mello mentre è insieme a quell’altro… che ore sono? Le otto di sera. Mi ha detto di aspettare almeno l’ora di cena ma quando dice così intende sempre che almeno devo calcolare un’ora in più, quindi alle nove devo ricordarmi di accendere il pc numero nove e di avviare il collegamento con la microcamera che quell’altro ha posizionata sul crocifisso. Ho un’ora per trasportare in camera mia Des e tentare di svegliarla, se necessario, anche con la forza per farle mangiare qualcosa. Anche se non abbiamo granché, visto che non eravamo proprio tanto preparati per la sua presenza. È da un mese che non torno qua, porca eva. Non c’è nemmeno un letto in più e Mello non tornerà prima delle dieci. Devo chiedere al buon vecchiardo Gin se mi fa un po' di riso in bianco d’asporto perché Des non riuscirà a mandar giù nient’altro e io dopo quello che ho visto non ho per niente fame ma mi sforzerò altrimenti va a finire che domani non avrò energie sufficienti”.
Prendo il telefono normale e chiamo il mio ‘corriere’ di fiducia. Come al solito mi fa attendere cinque squilli come abbiamo concordato, dopo di che la sua voce roca ma pastosa mi riempie il padiglione auricolare.
«Ehilà, Vodka». Mi saluta questo con voce altamente sarcastica.
«Ehi, Gin».
«Potresti portarmi i due pc bianchi tra mezz’ora? E aggiungi anche tre porzioni di riso così io te e la mia ragazza ci facciamo una bella cena così te la presento. Io metto vino e tutto il resto. Ho un momento libero, così c’è anche il tempo per una bella chiacchierata». Vado dritto al punto, con voce flemmatica e appositamente disinteressata ma amichevole.
“Se pur questo telefono non sia tracciabile la conversazione potrebbe venir spiata ugualmente, va a sapere. Meglio che mantenga la copertura fino a che non sarà necessario”.
«Va bene amico mio. Senti, già che ci sono porto anche qualcosa da bere e ce la raccontiamo. Ho voglia di sapere cosa hai fatto in questo ultimo mese».
«Gin quante volte ancora di dovrò dire che non serve che porti niente quando vieni da me. Non sono un poveraccio che ha bisogno del contentino». Emetto una risata sommessa per completare la recita, dopo di che lo saluto e metto giù la chiamata per tornare a dedicare le mie attenzioni a Des, la quale sembra nuovamente morta, se non fosse per il ventre che si alza e si abbassa ritmicamente a contrassegnare che è viva e vegeta.
“Meno male che non sei morta… Mello persiste nell’affermare che ha pensato all’idea di tenerla… e che è arrivato alla conclusione che qualcosa gliela potremo far fare ma non sono così sicuro che fosse sincero, ora come ora. Magari dopo viene fuori che dopo questa crisi Des si riprenderà e diventerà più forte di prima però la strada è ancora lunga, e nel frattempo le rovineremmo la vita. Chissà che piani stronzi ha in mente quello lì”.
Improvvisamente la sento mugugnare qualcosa ma non la capisco, perché parla nel sonno ma provo lo stesso ad avvicinarmi per cogliere il più possibile, visto che l’inconscio dice molto più di tutto il resto. Mi sorreggo con le mani ai lati dei suoi fianchi e dopo averla guardata molto attentamente per cogliere eventuali importanti sfumature della sua espressione, avvicino l’orecchio sinistro alla sua bocca e quel che sento conferma i miei pensieri: quando sarà in forze le dirò tutta la verità.
«Sorella… sorellina. Io… io, io non… vi prego…».
“Ovvio, sta sognando la sua famiglia. E chi non lo farebbe in una situazione simile. Se fossi in lei mi sarei buttato molto tempo fa. Invece, lei ha preferito attendere. Forse pensava di potersi riprendere con le proprie forze. Quanto sei ingenua povera piccola. Beh, poco male perché ho potuto avere la possibilità di risparmiarle questo dolore e soprattutto di evitarle un’azione inutile… dato che i suoi non sono effettivamente morti. È meglio che la porti in camera mia, di sopra. Pensa te, è venuta giù solo un attimo fa e adesso ce la devo riportare di peso”.
Le metto una mano sotto la testa e l’altra sotto il bacino, per poi far forza e tirarla su fino a portarmela in braccio. Pur essendo in una posa alquanto scomoda sopporto il suo peso, che per le mie abitudine è esiguo, e mi incammino verso la porta che per fortuna è rimasta aperta. Entro nel sotto scala e chiudo la porta a chiave, poi salgo la scala e nel frattempo Des non la smette un secondo di agitarsi e di mugolare come una neonata che non è riuscita a fare il riposino pomeridiano, e un po' mi fa sorridere.
“È così piccola e indifesa. Non vorrei proprio doverla introdurre a corruzione, inganno e quant’altro”.
Arrivo nella mia stanza e prima di tutto chiudo la porta con il piede sinistro, la quale con un tonfo si chiude automaticamente e fa agitare Des ancora di più, tanto che rischia di cadermi. La trattengo a me forzatamente e faccio a tempo a poggiarla delicatamente sul mio letto, quello affianco a quello di Mello, il quale al contrario del mio è dalla parte della finestra. La osservo per capire se è cambiato qualcosa ma vedo che è stabile, quindi mi prendo un secondo per osservarla.
“Da sveglia non avrei molte possibilità, non nel modo che vorrei almeno. Che bella… peccato doverla svegliare subito”.
«Des… dai Des, sveglia! È pronto tesoro». Urlo. La frase e l’intonazione e, soprattutto, le parole che uso sono atte a risvegliarla esattamente come faceva sua madre.
“Un metodo orribile ma che funziona sempre, se lo scopo è mettere il ‘soldato’ sull’attenti. Questa frase l’ho scoperta dalla stessa madre di Desdemona, e mi voleva ammazzare quando ha capito il motivo della mia domanda”.
«Detesto questo lavoro». Rifletto ad alta voce con poco interesse e senza enfasi.
“Non lo penso veramente ma ogni tanto dire questa frase mi toglie il disturbo di crasharmi in inutili e pesanti complessi e moralismi, che mi rallenterebbero e basta il sistema”.
Nel frattempo Desdemona si è svegliata e ora mi fissa con gli occhi gonfi di sonno e di lacrime, e lo sguardo perso, confuso.
«Mi pareva di… ho sognato…».
«Lo so, la tua famiglia. Però adesso non ci pensare perché fra mezz’ora arriverà la cena».
«Ah… ah il tuo amico sta per arrivare, quindi».
«Vuoi dire Mello?».
«Eh? Sì… già… Mello». Mi risponde con lo sguardo prima confuso, poi malinconico e pensieroso.
“Che dolce, di me si è ricordata subito e invece il nome di Mello, adesso che è suscettibile, non se lo ricordava”.
 

POV DESDEMONA
 
“Perché ho sentito mia madre che mi chiamava per il pranzo, come quando da piccola mi alzavo molto tardi? L’avrò sognato…”.
«No, Mello non arriverà presto, perciò… visto che sei svenuta dopo aver vomitato qualsiasi cosa ci fosse al tuo interno ho pensato avessi bisogno di un trattamento d’emergenza, così ho chiamato un mio amico che ci porterà del riso, più qualcosa per rilassarmi». Mi scappa un suono interrogativo e confuso di cui mi pento immediatamente perché subito dopo mi rispondo da sola.
“Ma certo… parla di droga. Ma che cazzo… mafioso, doppiogiochista e pure drogato? Tombola”.
Lo fisso con disprezzo e odio. Dopo di che tutto a un tratto mi tornano in mente le immagini di poco fa e vengo attraversata da una violenta fitta alla testa, e allo stomaco, e alle ossa, e dappertutto. Mi porto il palmo della mano destra sulla tempia, nella disperata speranza che passi tutto quel male ma non me lo aspetto veramente.
«Che buffa che sei. So cosa pensi e francamente non mi tocca poi tanto ma in ogni caso ci tengo a farti sapere che il mio cervello è ancora bello intatto, di conseguenza non posso essere drogato. Poi, col ruolo che ricopro di hacker non mi verrebbe mai permesso di assumere sostanze troppo pesanti e troppo spesso. Quindi puoi stare tranquilla perché la uso solo per allentare la tensione che mi crea un’ansia che non ti sto nemmeno a descrivere. I farmaci legali non li sto nemmeno a calcolare. Non mi fanno praticamente niente, ormai. Lo so, non avrei dovuto nemmeno abituarmi a questa roba ma ormai è così».
«Lo sai che parli un po' troppo, Matt?! Comunque, non pensavo a quello». Mento spudoratamente, senza alcun motivo.
«Des…». Mi rivolge un ghigno di divertimento e consapevolezza, insomma il solito.
“Ha sempre la stessa identica espressione sul viso, questo qui”.
«Si?». Mento di nuovo, facendo finta di niente e allora lui sospira, e si gira verso il cassetto a destra del letto dove sono sdraiata.
“Adesso che ci faccio caso. Perché è così vicino? Solo per svegliarmi?”.
Digrigno i denti per la rabbia che questi pensieri mi provocano.
“Che diavolo mi ha fatto? Forse è lui che mi ha chiamata in quel modo che mi ha ricordato mia madre. Sì, per forza… BASTARDO”.
Rivolgo lo sguardo dalla parte opposta rispetto a lui per non fargli vedere la mia espressione, una volta tornato a guardarmi.
«To’ Des, pulisciti la bocca e bevi. Ne hai bisogno perché hai perso molti liquidi. Ed è dire poco».
«Ah, ok». Senza voltarmi allungo la mano verso di lui e mi porge una bottiglia piccola e un fazzoletto di carta. Li afferro e senza più voglia né di pensare né di dire niente, mi pulisco la bocca da eventuali tracce di vomito e apro la bottiglia, per poi bere a grandi sorsate disperate tutto il suo contenuto.
«Avevi una gran sete, eh. Adesso vieni con me in cucina che aspettiamo il corriere».
“Ma perché non se ne sta un po' zitto? E poi, ancora persiste a restare in questa maledetta posizione. Non ti voglio vicino, Matt. Che tu sia pulito o no come persona… sei sempre un estraneo, per me”.
Lo guardo intensamente, carica d’odio per fargli capire che si deve spostare subito e lui afferra il concetto al volo, ma la sua risposta mi fa presupporre che non abbia mai avuto cattive intenzioni.
«Oh… ok. Dai vieni». La sua espressione da stupita passa a sorridente, come sempre ma è lo stupore che mi fa capire che non aveva secondi fini.
“A meno che non sia un attore incallito. Spero proprio di no. Mi manda il sangue alla testa la gente che mente. A volte rischio di provocarmi un aneurisma, a pensarci. Dovrei imparare a soprassedere ma non c’è verso”.
Si alza liberandomi i movimenti e a questo gesto mi torna in mente quando eravamo nel letto dell’altra casa.
“In quel momento non pensavo minimamente che ero nel letto con uno sconosciuto. Chissà perché. Forse, ero così annichilita da non accorgermi nemmeno dell’ovvio. Ero troppo occupata a fargli ottenere i suoi obiettivi, per accorgermi che la vicinanza con i suoi addominali non era il punto fondamentale della situazione”.
Questo ultimo pensiero mi provoca un lieve e dolce tuffo al cuore ma decido di non farci caso.
“Se badassi a tutti i miei pensieri potrei impazzire qui, seduta stante. Meglio concentrarmi sulla cena, va”.
«Hai detto che viene il corriere? Quale corriere? Di certo non è un amico come mi hai detto poco fa ma comunque… gli hai chiesto qualcosa di leggero e commestibile, vero?!».
«Ma come siamo sarcastici oggi… certo, per chi mi hai preso. Mangeremo un semplice riso in bianco perché tanto anch’io non potrei mangiare altro dopo quello che ho visto poco fa. Ah, ho deciso che mangeremo qui perché non è il caso che ti alzi, ora come ora. Così, quando avrai finito sarai già qui per riposarti. Comunque, ho capito cosa ti è successo di sotto. Hai pensato per l’ennesima volta alla tua famiglia… e… beh… l’ennesimo pensiero negativo e gli spazi chiusi hanno provocato l’effetto boomerang nel tuo stomaco». Conclude con un sorriso amichevole stampato sul volto, e non so se schiaffeggiarlo, non ne avrei le forze, o sorridere insieme a lui.
“Di questo non se ne parla neanche”.
«Lo so cos’è successo, mi chiedevo solo se mi avessi stuprata, approfittando del mio stato d’incoscienza…». Gli domando sardonica e mi sento invadere i padiglioni auricolari da una risata genuina e divertita che mi stupisce non poco.
«Ma no, come avrei potuto? Ti paio il tipo?».
«Non lo so». Gli rispondo sicura di me, scavando affondo nel suo sguardo in modo da far trasparire il fatto che non sono del tutto deficiente.
«Ah beh, giusto. Comunque no, non sono un vigliacco simile. Ho molto rispetto per le donne solitamente e quando non ne ho, non vado certo a scoparmele. A meno che non lo richieda il piano, s’intende ma questo lo potrai capire anche tu». Lo sguardo di ovvietà, sereno e per nulla turbato che mi rivolge mi fa rabbrividire perché ha espresso con naturalezza un concetto che è terribile quanto indispensabile, almeno in questo mondo aspro e crudele.
Provo a muovermi perché nella posizione seduta appoggiata ai cuscini in cui sono, mi duole l’osso sacro, e poi sono stanca di star seduta e se continuo così, so per certo che potrei impazzire. Questo per ovvi motivi, ma soprattutto per la situazione di cappa asfissiante che sento gravarmi sul petto.
«Matt, ti dispiace lasciarmi sola?». Mi decido ad aprire bocca tutto a un tratto.
“Non voglio vedere nessuno, tanto meno loro due. Matt… anzi no, non solo Matt. Perché gli uomini nella mia vita devono sempre rovinare tutto?”.
Penso amareggiata e rifletto sul fatto che nel corso della mia vita, i maggiori problemi li ho avuti a causa loro.
“Forse è un segno che dovrò prima o poi interpretare come una specie di dovere, verso me stessa, di dover allontanare loro e attrarre qualcun altro. Ma no, è come dire che siccome non trovo l’uomo giusto, mi faccio suora… no! Non è questo il metodo”.
Le mie riflessioni vengono all’improvviso interrotte dalla voce pacata e un po' roca del ragazzo che mi sta accanto.
«Va bene ma…». Sento un suono che non riesco a identificare ma immagino sia il campanello, qualcosa che funge da esso.
«Oh, il campanello. Cambio di programma. Se ti senti in grado scendi pure e raggiungimi in cucina».
«Matt, io non voglio vedere nessuno. Né mangiare, né niente. Solo restare sola». Mi volto verso la mia sinistra per nascondere la mia espressione che esprime tutto il mio odio e la disperazione del momento.
«No, Des». Mi sento dire con decisione, quasi fosse un ordine e in qualche modo lo è di certo. Il mio verso interrogativo e confuso lo esorta a spiegarsi, anche se non ce n’è davvero bisogno e il motivo è palese, e mi rincuora anche un po', facendomi lievemente tornare la voglia di alzare lo sguardo.
“Nonostante tutto però, non mi convincerai a seguirti”.
«Des, adesso vado ad aprire la porta e tu decidi cosa fare ma le opzioni comprendono mangiar qui sul letto o venire con me in cucina, chiaro?».
«Certo». Rispondo dispettosamente ironica.
“Matt… guarda che non sono scema. Ho capito. Ma non vuol dire che debba seguirti come un cagnolino ovunque tu vada”.
Questo esprimono i miei occhi davanti alla sua espressione decisa ma anche implorante, e lui fortunatamente mi presta attenzione, perché lo vedo rassegnarsi e girarsi verso la porta per andare ad aprire alla persona che è arrivata.
«Ascolta. Io sono di là… se ti viene voglia dopo cena ci facciamo anche qualche tiro, che ne dici?». Mi domanda sarcastico guardandomi in modo malandrino. A questa sua espressione così poco distaccata e professionale, sbuffo sonoramente girandomi scocciata dall’altra parte, più per non mostrare il sorriso che mi ha strappato, che per un reale motivo.
“Ma perché gli uomini devono essere tutti così mona?”.
Penso, sentendo nel frattempo un peso sullo stomaco che si alleggerisce.
Sento Matt scendere le scale e superare la porta di sotto di tutta fretta, al che mi vien da pensare che dietro il portone d’ingresso non ci sia uno che ama aspettare.
“Che gente che conosci Matt. Spero che tu non l’abbia anche invitato a restare. Allora no, che non uscirei da questa stanza. Fossi matta. Mi dovresti legare e imbavagliare a una sedia di sotto se volessi farmi stare con quello vicino”.
Tendo l’orecchio destro, quello più acuto, per captare la situazione e quando, dopo aver sentito la porta chiudersi, sento il silenzio totale capisco che la persona non è rimasta, così posso rilassarmi un po' e decidere seriamente se ho la forza di alzarmi dal letto oppure sono ancora troppo debole.
“Così debole da non poter nemmeno arrivare a un cazzo di tavolo? No, non ci sto”.
Cerco di muovermi in modo da scendere dal letto, ma di fatto, le mie membra sono scosse da brividi e fitte lancinanti a ogni mio movimento. Decido ugualmente di stringere i denti e penso che infondo non mi è successo niente di così grave, quindi con un ultimo sforzo e tanta volontà d’animo metto i piedi per terra e mi alzo. Soddisfatta di me stessa, mi dirigo anche io di sotto perché non ho mai amato farmi compatire o trattare da invalida.
«Oh… non me l’aspettavo, ben venuta nel paradiso terrestre degli investigatori infiltrati». Annuncia sorridendomi divertito e, sempre con quella espressione scanzonata in volto.
“So benissimo a cosa ti riferisci Matt, ma non potrei mai drogarmi. Idiota. Soprattutto nelle mie condizioni”.
Lo guardo con occhi che più torvi non potrebbero apparire e questo, per fortuna, lo porta a desistere.
«Va bene, va bene. Lo capsico se vuoi rimanere coi tuoi pensieri e non vuoi rilassarti un po' con me».
“Non capisco se sei stupido o lo fai apposta… Matt”.
La mia conseguente espressione lo deve aver divertito parecchio perché scoppia in una risata che mi appare sulle prime molto denigratoria, ma poi mi rilasso un po' pensando che infondo, se sono riuscita a inquadrarlo come si deve, è solamente divertito.
“E questo non può che farmi piacere. Mi è sempre piaciuto far ridere la gente, anche se avere un pubblico simile non è delle migliori prospettive”.
«Va bene. Ora mangiamo che se no il riso si fredda. Ah, Bellezza mangia piano e prima testa se te la senti oppure no, so benissimo come ci si sente dopo aver vomitato e di certo, mangiare non è il primo dei tuoi pensieri. Ho visto più volte Mello intestardirsi nel voler mangiare cioccolata e poi, puntualmente rimetteva anche il doppio di prima». Pensare alla scena appena descrittami mi fa tornare su quel senso di bruciore come stessi annegando, e mi porto una mano a coprire la gola, come questo gesto mi aiutasse a far passare la paura e il male.
«Oh, scusa. Forse non dovrei parlare di certe cose proprio mentre mangi. Va beh dai, ora mangiamo».
“Imbecille”.
«Imbecille». Lo fisso infuriata come una belva.
“L’hai fatto apposta, bastardo”.
«Beh, che ho detto?». Mi chiede in falsetto, al che gli ringhio addosso, per poi prendere con rabbia, ben trattenuta per non diventare un animale, la forchetta che ho alla destra del piatto e cominciare a inforcare il contenuto del mio piatto.
“Non mi posso nemmeno alzare e andarmene, sicuramente mi obbligherebbe con qualche sotterfugio mentale a restare qui per qualche motivo. Dio…”.
«Bellezza…». Alzo di scatto la testa, puntando gli occhi sui suoi, rivelando l’ira che mi acceca ma che si placa tutto a un tratto perché un pensiero mi attraversa fulmineo la mente.
“Devo trovare un modo per uscire di qui. Ma… a pensarci bene, se non mi ha nemmeno portata a un cavolo d’ospedale dopo una reazione simile, vuol dire che non mi farebbe uscire per nulla al mondo. Dio, ma perché devo essere così sfigata? Però, no. Questo non è il modo di ragionare e non mi farà arrivare a nulla. Calma Desdemona. Il mio nome ripetuto nei pensieri mi rilassa in momenti di panico. Allora, Desdemona. Ricapitoliamo… ho un mal di testa che non mi permette di pensare, prodotto dall’eccessiva fame che ho; sono in una gabbia di matti e anche ben architettata per non far né entrare né uscire nessuno… beh, direi che le premesse sono ottime…”.
Mi porto alla bocca una forchettata di riso per lasciar per un secondo fuori tutti i pensieri, per poi ripartire con un po' più di ordine e calma. La sensazione di appagamento momentanea che mi trasmette quel boccone però, mi fa passare totalmente la voglia di formulare qual si voglia piano ‘malefico’ di fuga.
“Sono troppo debole ancora, per pensare di poter fregare questa gente. Ho capito, me ne dovrò restar buona, intrappolata qui per un bel po'. Forse dovrò anche fare quello che mi ordineranno ma i miei pensieri nei loro confronti non cambieranno mai. Sempre dei ragazzi di cui non ci si può fidare resteranno per me”.
«Des, non hai appetito?».
«Eh? No, sì. Ce l’ho, ce l’ho eccome l’appetito. Se ben ricordi non ho mangiato niente e per giunta ho rimesso ciò che non c’era, cioè parte dell’abile». Sospiro sconsolata, al ricordo dei quattro giorni, antecedenti all’arrivo di Matt, passati a digiuno.
«Ah, bene bene. Sono contento. Comunque sì, mi ricordo eccome che eri abbastanza sciupata ieri, quando ti ho salvata». Il mio sguardo triste e inquisitorio lo porta a desistere per un attimo «E a... adesso che ci penso, c’è una domanda che mi ronza in testa da una settimana… ma tu hai mangiato in questi giorni?». Mi chiede con un tono più affermativo che interrogativo e mi colpisce la profondità della sua intonazione, mi fa capire che non gli fa per niente ridere il discorso.
“Potrei arrischiarmi a fargli qualche domanda sul motivo per cui mi ha seguita? Avanti… coraggio”.
«Senti Matt…».
«Sì? Dimmi». Sempre con tono serio e roco.
“Che bella voce… no… concentrati”.
«E-ehm… volevo chiederti… mi hai detto che mi seguivi da un po', giusto? E questo mi può far supporre che tu in qualche modo sia, come dire… interessato a me…» mi blocco per un secondo ricercando una vaga conferma involontaria nel suo sguardo, che non arriva «Ma perché mai mi trovo qui, qui dove voi avete la vostra base operativa e dove organizzate tutti i vostri piani e contro piani… non dovrei restare all’oscuro di tutto ciò e persino delle vostre identità, per… diciamo, non farvi correre rischi?».
“Se solo provassi a citare che sono più io a correre rischi, mi riderebbe in faccia. Tipo…”.
«Beh…».
“Oh no, questa pausa così lunga e il suo improvviso cambio di sguardo non mi piacciono per niente”.
«Ci sono delle cose che non sai. C’è un motivo, anzi più di uno per cui tu sei qui ma se c’è una cosa certa, è che tu sei qui proprio per essere al sicuro e non il contrario come tu pensi». Sussulto appena.
“L’ha capito, eh?!”.
«Detto questo… non so come continuare… ci vorrebbe Mello e il suo disinteresse verso i sentimenti altrui».
«Matt, se ti può servire fa finta di essere lui… ma dimmi subito quello che hai da dire».
Esclamo con tono autoritario.
“Forse se mi fingo dura e menefreghista, si deciderà a rivelarmi questi stupidi segreti. Diavolo, ho il diritto di conoscere il motivo per cui sono qui, o no?”.
«Non la penserai allo stesso modo quando ti avrò detto tutto».
«Ma intanto devi dirmelo, no?!».
«Non fa una piega…» sospira, e io mi sento sempre più in ansia «Comincio dall’inizio, così prendo coraggio anch’io». Ridacchia in modo nervoso passandosi una mano sui capelli ora più spettinati del solito, per tutto il trambusto dell’ultima ora.
«No!». Urlo, in un improvviso scatto d’ira che mi prende la mente e mi impedisce di trattenermi, ma accortami dell’esagerata reazione, mi correggo subito dopo.
«Ehm, cioè… prego, va avanti però non ti soffermare su dettagli inutili solo per prendere tempo… sarebbe vigliacco da parte tua». La voce mi si abbassa alla fine perché il pensiero di cosa dovrà dirmi, e di come potrei io prendere le sue parole, mi sento il magone riformarsi in gola e pesarmi sul cuore.
«Certo! Allora…» sospira un’ultima volta per trovare le parole «Prima di tutto sappi che i dettagli tecnici sulle motivazioni di ciò che sto per raccontarti, non posso rivelarteli per la tua stessa sicurezza. Comunque… Ecco, sarò breve. Un giorno la tua famiglia… la tua famiglia è stata rapita dalla mafia locale. Rapita, non uccisa e…». Sbianco e spalanco la bocca, sgomenta.
“Come? Non credo di aver compreso quello che mi stai dicendo…. Matt. Sei tu che sei uno scherzo della mia mente malata? O sono io che sono impazzita all’improvviso?”.
Il mio sguardo è sempre attento e fisso su di lui che continua a parlare ma in realtà non lo vedo affatto, anzi non vedo più niente e tra un po' temo che sverrò per l’ennesima volta in una settimana.
«Eh sì, il loro intento era quello di far fuori tutti, compresa te ma io e Mello siamo riusciti a salvarvi. Des, hai capito? I tuoi sono salvi e li abbiamo noi adesso. Non sono più in mano a quei bifolchi». Credo mi stia guardando sollevato da un peso, con la speranza di una mia comprensione nello sguardo ma dal canto mio, non riesco nemmeno a muovermi od a formulare un pensiero intelligente.
“Quindi… la mia famiglia è viva… ed è vicina…”. Inizio, senza un motivo apparente, a ridere. Rido, rido di gusto e la felicità che mi arriva dritta alla mente e al cuore, tutta in una volta, mi fa sentire e apparire pazza.
“Sì… sì. Ti prego, dimmi che non è un sogno Matt. E se lo è, prima svegliami e poi ammazzami”.
Perseguito a ridere e a sorridere così intensamente, che dopo neanche mezzo minuto sento i polmoni andare a fuoco ma non riesco a calmarmi, nonostante tutto.
“La mia famiglia…”.
«Matt, dimmi che sono pazza o che sto dormendo. Ti prego… oppure dammi una prova del fatto che sono ancora viva e in salute. Ti prego, dimmi che non è tutto uno scherzo, che è tutto vero e non un trucco per ottenere qualcosa da me, che poi cosa non lo so ma va bene lo stesso». E di nuovo rido senza freni, fino allo stremo delle energie e le lacrime scendono copiose, senza vergogna dai miei occhi, i quali non vedevano un raggio di felicità da mesi tra una delusione e l’altra. Non penso a niente ma non ho dubbi che in un momento come questo, non ce ne sia bisogno.
Poi, dopo un altro minuto di sproloqui e risate isteriche sento la sua voce parlare e ritorno lentamente alla realtà, dandomi un contegno con tanta, tanta fatica.
«Bellezza, sono contento che tu sia felice. Fin da quando ti ho trovata sul tetto, aspetto di poterti dire questa… piccola frase che racchiude qualcosa di immenso. Proprio non volevo farlo, perché… infondo sono un debole. Mello d’altronde me lo dice sempre».
«E con questo che vorresti dire? Hehe oh ti prego, bando alle ciance. Voglio vederli, ti prego ho il diritto di vederli. Dove si trovano? Sono vicini? Dimmi di sì…».
“Sono così agitata che potrebbe esplodermi il cuore da un momento all’altro”.
«Ci ho pensato parecchio in questi ultimi giorni. Ovviamente prima devo chiedere a Mello perché è lui a gestire le nostre azioni e… il nostro futuro in generale». Abbassa per una frazione di secondo il viso nel momento in cui l’ultima frase gli esce dalle labbra, come si vergognasse di una simile verità o come se non fosse affatto d’accordo su quel punto.
«Ma non dovrebbero esserci grandi problemi a farteli vedere. Ah, ti avverto… sicuramente Mello vorrà, come dire… averti nella sua rete di informatori e quant’altro. Noi in ogni caso ti vorremmo per la tua capacità di mantenere segreti. Capisci bene che una qualità del genere nel nostro campo sia molto più che ben accetta… Ma in ogni caso, dovrai essere tu a decidere se dare un tuo contributo alla nostra causa, o no».
“Improvvisamente, sento che il suo modo di parlare è cambiato rispetto al solito. È stato più professionale ma allo stesso tempo più freddo, come gli pesasse quello che ha dovuto dire e come se, appunto avesse dovuto dirlo per forza. Beh, ci penserò un’altra volta”.
«Oh… non credevo di essere degna di un tale incarico. Non mi ritengo per niente in grado di sostenere uno stile di vita simile. Capisci Matt?».
“Spero vivamente che davvero faccia ordine in quella testolina rossa, e possa comprendere quanto io non sia in grado d’aiutarli in alcun modo”.
«Ovvio, lo so Desdemona. Lo so benissimo questo ma mi sono impuntato di poter fare un tentativo nel darti la possibilità di… contribuire alla società e nel frattempo, la possibilità di rifarti una vita. Per esempio, se volessi pubblicare un romanzo… noi potremmo agevolare le cose in maniera sostanziosa». A queste rivelazioni rimango senza fiato e già mi raffiguro la vita perfetta che sempre mi sogno ad occhi aperti durante alcuni momenti morti della giornata. Questo però, non impedisce di rimanere fedele a me stessa.
«Scusa Matt, ma non vorrei mai uscire nelle librerie solo grazie ad una stupida e frivola raccomandazione».
«Non penso tu abbia bisogno, in ogni caso, di una raccomandazione». Il blocco emotivo che percepisco in questi momenti si fa sempre più acuto man mano che questo ragazzo dice qualcosa.
“Possibile che ogni cosa che dice sia una cosa sempre più positiva della precedente? Oddio, mi sento in iperventilazione”.
«S… stai dicendo che… ma non voglio, non voglio che per colpa di un mio capriccio qualcuno ci vada di mezzo». Ride.
“Cosa gli fa tanto ridere?”.
Mi chiedo confusa ma ancora non del tutto cosciente di ciò che ho intorno.
«Des, ovviamente farei in modo di accelerare i tempi e di permetterti di arrivare al tuo obiettivo senza dover sborsare un centesimo o al massimo potremmo sborsarli noi, che di certo ne vediamo molti più di te di soldi, questo intendo, tutto qui. Perché finora ci hai visti aggirarci in catapecchie da far spavento, è solo perché mrs. Mello ha deciso che bisogna risparmiare su tutto e spendere anche l’ira di dio, solo per quello che decide lui. Sinceramente a me, la maggior parte delle volte va più che bene perché non sono un grandissimo stratega e, comunque il problema è che non sono così ligio alla rigorosità come lui. Sono un tipo abbastanza alla mano quando posso essere me stesso».
“Questo ti fa onore Matt”.
«Il mio ragazzo…». Mi tappo la bocca metaforicamente prima di tradirmi e rivelare l’immensa scempiaggine del mio inconscio.
«Ho controllato, non hai un ragazzo». Mi punzecchia divertito.
“Che abbia capito che stavo per dire: ‘il mio ragazzo ideale’? No, impossibile”.
«E con questo? Cosa vorresti dire, Matty?». Lo prendo in giro, usando lo stesso nomignolo che ha usato Mello, il suo amico, parlando con me.
«Niente, niente. Però che diavolo… ti ha detto quel nomignolo? Che cane… me la pagherà. Comunque, intendevo solo che le mie ricerche non sbagliano mai e poi, non ti ho vista in ogni caso uscire con nessuno». Mi sorride sornione ma trattenendosi, come a intendere che non è possibile capire cosa stia pensando.
“Simpatico come un cactus negli occhi, eh Matt?”.
«Mi hai spiato il cellulare, eh?!».
«Eh ti ho spiato di persona». Emette una risatina sommessa, non vergognandosi affatto delle sue azioni e parole.
“Beh, in effetti non ha fatto niente di cui vergognarsi. Se mai dovrebbe pentirsi…. Ma non la ritengo una cosa poi tanto grave, visto il tipo”.
«Ma come siamo simpatici…». Lo rimbecco fingendomi arrabbiata, mentre dentro di me prego con tutta me stessa per non esplodere anch’io dal ridere, più per la comicità della situazione che per altro.
“Come ho fatto a non accorgermi mai di nulla? Sono proprio…. no. Matt mi ha espressamente urlato contro che non devo offendermi da sola. Ci pensano già gli altri…”.
«Beh, lo so. Comunque… tornando seri, sarei felice se ti unissi a noi, anche solo ogni tanto. Abbiamo bisogno di gente come te al seguito. Però… allo stesso tempo non insisterò un attimo di più… perché se decidessi così su due piedi per poi cambiare idea subito dopo… sarebbero cavoli amari. Mello non perdona i cambi di programma radicali e, quindi le conseguenze sarebbero abbastanza frustranti… per me ma anche per lui. È uno dei suoi tanti difetti, non riesce a rimangiarsi la parola, o a cambiare idea su qualcosa di importante e quindi si aspetta, anzi pretende che nemmeno gli altri intorno a lui lo facciano. Solo a me permette di essere quasi  totalmente libero. E per un motivo più che valido».
«A cosa ti riferisci? Se posso…».
«Ma sì, ti ricordi che stamattina ti ho raccontato della mia infanzia? Sono uscito dall’orfanotrofio prima del tempo, non perché mi andasse ma per cercare quel deficiente del mio amico. Se non fossi stato così caparbio da uscire dalla tediosa routine, lui non sarebbe più qui ora… intendo su questa terra. Mi deve la vita, quindi non farebbe mai niente che mi mettesse in serio pericolo. Semplicemente ogni tanto capitano situazioni in cui sono anch’io nei guai, per forze maggiori. Ma, quello che voglio dire è che l’esempio lampante di un cambio d’idea e di vita… sono io stesso. Sono al suo fianco, nonostante non avessi nessuna intenzione di diventare un investigatore. Quindi, prima ancora di rincontrarlo, non solo sono diventato un investigatore ma anche un infiltrato nella mafia, e tutto questo per non permettere che muoia» si avvicina al mio orecchio con una mano al lato della bocca come a volermi rivelare a bassa voce un segreto, che mi fa avvampare e ridere allo stesso tempo «Comunque, il motivo è anche che scopa da dio quando abbiamo un momento libero tra una corsa e l’altra». L’ultima frase mi provoca un’ilarità tale che fatico a trattenermi a stento.
“Mi sta venendo da ridere… però non è proprio il caso. In ogni caso, comincia a starmi proprio sulle balle questo Mello. Quando mai uno non può mai cambiare idea? La gente lo fa come bere acqua, e dovrebbe essere condannata per questo? Ma non farmi ridere”.
«Secondo me dovrebbe farsi un esame di coscienza».
«Oh, credimi che se ne fa… ogni tanto… ma poi si ricorda che è troppo sommerso dalle responsabilità per soffermarsi su quello che fa. Appunto, perché non sempre può evitare di compiere certe azioni, capisci bene che sia estremamente restio a tornare sui propri passi».
«Capisco, Matt. Mi spiace che abbiate passato avventure simili e impronunciabili. Al vostro posto non avrei mai accettato, non sono affatto determinata se è questo che volete sapere».
«Ah… ti prego, non mi parlare di determinazione. Mello quando è fuso mi fa una testa così con la determinazione, che sembra un vecchio di ottant’anni dopo quarant’anni di guerra... beh… non è molto lontano, solo che ne ha trenta di anni. È ancora un fottuto trent’enne, cosa che gli ribadisco ogni volta dopo la sua sfuriata, e quindi capisce che non c’è verso e si placa».
“Che forti che sono. Li vorrei come amici, anche se non mi fido ancora ciecamente. Però, è anche vero che sono nel loro covo, senza protezione ne niente, quindi peggio di così…”.
Penso sconsolata e sospiro. Mi domanda a cosa stia pensando ma non serve che gli riveli questo pensiero.
“O forse sarebbe determinante per capire le loro vere intenzioni? Proviamo”.
Vengo illuminata da un lampo di genio.
«Beh… pensavo che siete molti simpatici e, in più, siete delle fottute tartarughe ninja, perciò vi vorrei come amici. Il problema è che non riesco ancora a fidarmi delle vostre reali intenzioni».
“Omettendo la parte in cui mi auto do della prigioniera, potrei testare la sua reazione in maniera che possa in ogni caso andare a mio vantaggio”.
«Beh… beh… questa poi. Non ti facevo così risoluta, cioè… non credevo avresti avuto il coraggio di farmi un’osservazione simile».
“Bingo”.
«Perché, scusa? È lecito da parte mia dire quello che penso».
«Esatto, però come tu stessa hai detto stamattina, siamo dei mafiosi… io dopo che mi hai risposto in questo modo potrei decidere di farti fuori… senza problemi e insieme a tutta la tua famiglia». Parole tanto taglienti mi feriscono profondamente per il semplice suono di ognuna di esse ma mi faccio forza e non distolgo lo sguardo perché quel che vuole dire in realtà, è che non lo farebbe mai.
“È quello che volevo sentirmi dire, Matt. Ora forse posso provare a fidarmi un po' di più. Mai come fossi un normale ragazzo qualunque ma… diciamo che un po' di fiducia almeno tu, te la sei meritata. Del tuo amico non so se riuscirò mai ad avere meno che paura. Poi, con quei vestiti da tipico mafioso russo…. Senza offesa per i russi ovviamente…”. Rido brevemente.
«Senti, Matt. So che forse ti chiederò qualcosa di difficile, ma vedendo la mia famiglia potrebbero aiutarmi nella scelta, non trovi?».
«Ah… certo… beh, te l’ho detto. Il problema è che Lady Gaga deve darci il permesso perché è lui ad avere il controllo delle nostre azioni, presenti e future. Ma non penso ci saranno grossi problemi, visto che ritornerà tra un’ora più o meno. Ma se dirà di no, ti prego di non insistere. In ogni caso, tu rivedrai la tua famiglia… quindi, non ti devi preoccupare. Non ha fatto nemmeno storie perché non gli è andato giù il comportamento di chi li ha rapiti e, quindi farebbe di tutto anche lui per tenerti in vita».
«Ah… perfetto. Ma… posso sapere perché sono stati rapiti? Da quello che mi dici, sembra che sia io la causa delle loro disgrazie…».
“Eh, no. Questo no”.
«No Des. Comunque, adesso se vuoi aiutarmi… Devo seguire Mello nei suoi spostamenti col mio pc. Anzi, con uno dei tanti pc che abbiamo». Alza un indice ad accompagnare le sue parole.
“Questo vuol dire che… stronzo. Cos’è mi vuoi obbligare a diventare vostra complice, eh?”.
«Matt… ti prego. Non mi prendere in giro… prima voglio parlare con la mia famiglia». Lo guardo seria perché comprenda quello che sto pensando e che non voglio più essere presa in giro proprio da lui.
“Quando vorrò aiutarvi allora accetterò di sapere i vostri spostamenti. Volevi davvero farmi saper a tradimento quello che sta facendo Mello, così da rendermi vostra partecipe? O era solo per mettere alla prova la mia intelligenza? Beh, in ogni caso non mi è piaciuto”.
Continuo a squadrarlo, con un misto di indignazione e risolutezza che vuole trasmettere la poca pazienza che ho per i giochetti.
“Non ho intenzione di farmi psicanalizzare”.
«Ti chiedo scusa, volevo testare quanto fossero attivi i tuoi riflessi cognitivi».
«Tsk!» sbuffo indignata, per poi voltarmi verso la porta d’entrata «Comunque, il punto è che per ora non posso proprio fare niente per voi. Prima devo vedere la mia famiglia». Ribadisco imperterrita ma molto meno scocciata di prima.
«Va bene, se mi vuoi sai dove trovarmi».
“Questa frase… con quel tono… ci stai forse provando con me, Matt?”.
Mi volto a guardarlo, indispettita e il sorriso che vedo, unito al modo sinuoso di muoversi, mi tolgono ogni dubbio.
“Non penso proprio che sia il modo adatto per conquistarmi… attirare la mia attenzione sì… ovvio, ma non mi conquisterai tanto facilmente”.
In risposta, mi giro nuovamente sulla sedia, portando lo sguardo al muro con fare disinvolto e disinteressato, perché mai e poi mai succederà che concederò qualcosa a qualcuno per il puro gusto di togliermi uno sfizio.
“Mai!”.
 
Le lancette di un orologio che in questa casa non c’è, mi fanno sentire il tempo che scorre lento, e mi attanagliano la mente come degli artigli aguzzi che stringono sulla preda. Mi sento opprimere dal nulla, perché non so cosa fare e i pensieri continuano a vorticarmi in testa.
“Per lo meno, una nota positiva in tutto questo… c’è. La voglia di vivere mi è tornata più di prima. Forse questo lo dirò a Matt. E poi, la mia famiglia è viva. È viva… non ci credo”.
«Non ci credo». Esclamo ad alta voce senza nessuno che possa rispondere, con gli occhi lucidi e un magone di felicità, di cui finalmente non mi devo preoccupare. Sto per piangere ma un pensiero tanto inappropriato quanto insolito per me, mi attraversa veloce.
“Chissà che starà facendo Matt. Uff. La curiosità mi sta uccidendo. Ma non posso andare da lui così. Poi, chissà cosa gli verrebbe in mente. Meglio non pensarci, va… Però, riflettendo… se andassi lì solo per chiedere delle banali informazioni… non farei un delitto, giusto?!”.
«Avere un cellulare… Non dovrei nemmeno andar lì». Sbuffo annoiata.
«Matt». Dopo aver aperto la porta che dà sulle scale urlo il suo nome per farmi sentire ma rammento che anche la porta della sua stanza è insonorizzata e quindi mi costringo a muovere dei passi strascicati per arrivare fino alla sua camera.
“Se sento qualcosa che non devo, lo ammazzo”.
Apro appena la porta e per precauzione lo chiamo a voce un po' più alta del normale, così da coprire eventuali rivelazioni inopportune.
«Matt, posso?». Vedo che ha le cuffie sulle orecchie.
“Questo vuol dire che, in ogni caso non potrei sentire niente e allora a cosa è servito trasferirsi in questa stanza? Bah, la paranoia a volte gioca bruisti scherzi… io personalmente lo so bene, più che bene anzi”.
Siccome, come immaginavo non mi ha sentito, mi dirigo verso il letto e gli agito la mano destra davanti agli occhi, al che si desta e ha un leggero sussulto, una reazione al pericolo imminente.
“Beh, in effetti se non mi facessero più rivedere la mia famiglia diventerei un pericolo… sì”.
«Matt, non avevi detto che Mello doveva tornare a momenti? Ah, comunque volevo chiederti dove posso dormire. Sono molto stanca, ho un mal di testa terribile e non ce la faccio più a stare in piedi. So che è da deboli lamentarsi e bla, bla, bla ma questa settimana per me… è stata dura. Beh, forse tu lo sai tanto quanto me. Quindi, che te lo dico a fare». Gli spiego, fiduciosa che abbia un po' di tatto e che mi accontenti pur non credendomi, difatti gli si increspa lo sguardo per una frazione di secondo ma poi sparisce tutto, e torna nuovamente la solita maschera di spensieratezza.
«Bellezza, mi sa proprio che non ci avevo pensato. E Mello era troppo occupato, oppure ha voluto mettermi in difficoltà per i suoi motivi e quindi non mi ha fatto presente di un fattore… tanto importante».
“Come?”.
«Scusa? Ma… quindi dove dormo? So che non essendo in casa mia non dovrei avanzare pretese… ma cerca di capire. Non sono nemmeno tanto in forze…».
«Direi, proprio per niente». Si tiene il mento, con fare pensoso.
“Mi chiedo se sia davvero il genio che sembra oppure se sia solo frutto della mia immaginazione”.
«Perché non dormi qui per oggi? Io Potrei andare a dormire da una mia amica e Mello dormirebbe di sotto sul divano».
“Come? Do… dovrei dormire da sola con quello in casa? E Matt… dovrei mandare via Matt dal suo letto? No, non se ne parla neanche. Ho ancora una morale, che diavolo”.
«No, Matt. Non se ne parla neanche. Io andrò a dormire sul divano. Non è mica la prima volta che mi trovo a dover dormire sul divano, sai?! Cosa vuoi che sia per una notte. Ah, a proposito quando vi svegliate voi. Immagino molto presto».
«Non sai quanto… più volte non dormo per giorni interi, però sai, prima o poi ti ci abitui e la mente, soprattutto la nostra, è infinitamente piena di risorse». Schiocca un occhiolino nella mia direzione che mi fa sorridere ma quello che ha detto mi toglie all’istante il sorriso, rendendomi triste e nuovamente depressa.
“Certe cose non dovrebbe più accadere. Eppure, sembra che il male debba incrementarsi sempre di più nel tempo. Con l’avanzare della tecnologia, con la disinformazione, le nuove armi, i nuovi metodi dei criminali nel web profondo… tutto troppo per due persone. No?!”.
«Certo… però ci saranno dei giorni morti, no?!».
“Spero vivamente, per loro, che la risposta sia sì”.
«Non molti Bellezza. Comunque, adesso che mi viene in mente, c’è un materasso ad aria nell’armadio di questa stanza. Il problema è Mello, però dall’alto della sua genialità forse avrà trovato un modo. Non penso che la sua soluzione sia mandarti a dormire fuori in strada». Deglutisco al solo pensiero perché quello, più che sicuro, ne sarebbe capace.
«Ma dai, Des. Gli ho detto che non ti faccia niente e quindi mi sembrava ovvio che la mia fosse una battuta». Ride di gusto.
“Beh… almeno lui ha un motivo per ridere, siamo a cavallo”.
 
Dopo la nostra conversazione decidiamo di aspettare il ragazzo biondo, vestito di pelle nera e con il rosario rosso al collo per chiedergli cosa vuole fare, solo che di lui non c’è traccia. Non accenna ad arrivare, nonostante abbia promesso di tornare per le ore dieci. Verso le undici comincio a preoccuparmi io al posto di Matt, il quale evidentemente è abituato a ritardi del genere. A mezza notte e qualche minuto, che sono ancora seduta sul letto ad aspettare in compagnia solamente dei miei pensieri, visto che Matt ha rimesso le cuffie sulle orecchie; mi distendo a pancia in giù e appoggio la guancia sul cuscino, giusto per riposare gli occhi e il corpo, con la faccia rivolta verso Matt, il quale seduto sull’altro letto non si accorge di nulla perché è in contemplazione dello schermo, in cerca di chissà cosa. Dopo due minuti, pensare che sono un’incosciente e addormentarmi, diventano una cosa unica, quindi sprofondo nel buio lasciandomi cullare da delle braccia invisibili e impercettibili ma calde e rassicuranti.

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Capitolo 11
*** Arrivo, 'Terapia', Confessioni a freddo ***


Decimo Capitolo

"Arrivo, ‘Terapia’, Confessioni a freddo"

 
POV MATT
 
Mello all’improvviso, fa il suo ingresso di sotto, spalancando la porta con un tonfo alquanto disturbante, che per fortuna posso sentire solo io, in quanto ho il programma collegato al suo microfono.
«Matt». Mi urla con voce arrochita dalla fatica, ma non gli rispondo subito, perciò alza il tono di voce, cominciando subito a innervosirsi mentre io, invece, me la rido come un bambino nonostante mi abbia assordato.
«Matt». Ancora non accenno a dargliela vinta.
“Lo so che avrei dovuto farmi trovare di sotto e anche aprirgli la porta in caso di complicazioni ma me ne sarei accorto se fosse stato seguito o altro, quindi non c’è motivo di preoccuparsi e poi è tornato ad un orario improponibile. Altro che aspettarlo, dovrei fargli la paternale”.
«Che cazzo combina quel ammasso di capelli al neon…? Ehi, neon. Se ti pesco a dormire ti faccio le maglie a strisce».
“Le mie maglie… povere, cosa gli hanno fatto? Riconosco quel tono, non è poi così incazzato ma va bene, ora è il momento di farla finita, quando comincia con le minacce è meglio non tirare oltre la corda, però mi stavo divertendo, cazzo”.
Mi alzo dal letto e mi tolgo le cuffie dalla testa, deciso a non far svegliare Desdemona e mi dirigo verso il piano inferiore con passi felpati, per non far scricchiolare eccessivamente il pavimento in legno.
“A proposito di pavimento… quanto vorrei dargli una sistemata ma Mello ogni volta si rifiuta categoricamente, come non fosse importante che potremmo in qualunque momento prenderci una spina nei piedi... che tipo, e io che gli sto dietro”.
Questo pensiero mi strappa un sorriso lievemente accennato ma che mi infonde ugualmente energia, nonostante tutto il sonno accumulato. Poi, varcata la soglia del soggiorno, chiudo la porta per non far passare altri suoni molesti, e mi annuncio a Mello col solito modo di salutarlo.
«Come le fai le mie amate maglie?». Gli sorrido sarcastico ma benevolo ma non ricevo un riscontro, anzi ignora completamente il mio saluto.
«Matt, dov’è la ragazza?».
«Ciao a te Mello caro… anche detto…».
«Matt…». Il mio sbuffo lo fa ghignare, come ogni altra volta ma non me ne preoccupo.
«Noioso, che coinquilino noioso e isterico, è di sopra che dorme… sai, sono le sei di mattina».
«Lo so che ore sono. Perché non è ancora sveglia?».
«Beh… che domande fai, Mello? Primo non è in salute, e poi non è che mi sia venuta tutta sta voglia di metterle la sveglia accanto all’orecchio… come ho già detto, non è in salute. Intendo che…».
«Matt, non ti ho chiesto di farmi il riassunto accurato».
«Certo, amico mio». Questa volta è lui a sbuffare e questo decreta un miraggio di vittoria per me e la mia autostima, che ogni giorno è minacciata dal temperamento del mio amico.
«Comunque, non posso svegliarla prima delle otto. È troppo debole, e dobbiamo fare una bella colazione perché riprenda un po' d’energia. Che dici, la porto fuori dal nostro ‘amico’?».
«Per dopo tornare subito qua, giusto?!». Domanda sarcastico.
“Che mi centra ora il sarcasmo?”.
«Ma non prendermi per il culo, Matt. Tu hai il cuoricino tenero… ti conviene tornare alla Wammy’s house a giocare ai videogiochi».
«Ma quanto sei infantile Mello… bene, grazie del tuo permesso».
«Ha parlato l’aragosta di montagna…».
«E-ehm… infantile». Faccio finta di tossire nel dire la parola.
“Come all’asilo, per l’appunto. In realtà noi non cresceremo mai, vero Mello caro? Teniamo troppo a noi per cambiare”.
«Matt…». Mi sento chiamare con voce melliflua, segno che i nervi di Mello sono provati e sta trattenendo le urla d’isteria.
“Non lo biasimo. Una stupida e inutile festa, durata fin le cinque di mattina… gli altri invitati stanno già tutti dormendo della grossa e… invece noi dobbiamo lavorare… evviva”.
«Lo so, torniamo subito. Adesso riposati queste due ore. Poi riprendiamo quando avremo fatto colazione». Il mormorio di assenso mi arriva di striscio all’orecchio perché mi sto già dirigendo a letto, nella stanza superiore, per farmi almeno due ore di sonno, pur sapendo che non serviranno a molto.
“Mi sta già passando la voglia. Anzi… mi è proprio passata. Non mi sarebbe possibile svegliarmi se mi buttassi a ‘sonnecchiare’. Meglio non fare i cretini, va. Però Des, nessuno mi vieta di godermela un po' finché non si sveglia. È così bella e nemmeno lo sa”. Arrivo nella stanza da letto, e subito sento mugolare Desdemona, al che mi si scioglie il cuore, il quale perde un battito per l’emozione.
“Finalmente un po' di pace. Ma posso mai stare due ore a fissarla senza prendere sonno? Io… il re dei pigri? Giocherò un po' con la PSP che è divertente anche senza il suono. Ma sentimi… sembro lo sposo premuroso. Beh, in effetti… no, no”.
Scuoto la testa per togliermi di dosso quel senso di vuoto che minaccia di attanagliarmi, schiacciarmi il petto e chiudermi la gola, ogni volta che penso al mio futuro.
“Ho fatto una scelta parecchio impegnativa, eh Mello? Tu lo sai meglio di me. Per quello mi fai tante concessioni”.
«Ah». Sospiro un po' amareggiato, per poi sdraiarmi, sul letto di Mello e concentrarmi su Desdemona.
“È immobile, nonostante immagino sia ancora assillata da incubi. Si può dire che sia un buon segno come anche no, ma conoscendola lo è sicuramente. Se resta calma pur avendo incubi, vuol dire che non si fa schiacciare dal male che sente. Lo posso affermare con certezza, anche se non la conosco perfettamente. È da un anno che la seguo peggio fossi la sua ombra. Anche se lei non se n’è mai accorta, le sono entrato nel cellulare, tanto al giorno d’oggi ci vuole un attimo… poi, non ho mai perso occasione per pedinarla di nascosto… e c’è stato un momento in cui mi ha incuriosito parecchio, a parte quando l’ho incontrata a sua insaputa per la prima volta. La sua forza d’animo l’ha addirittura portata a progettare di aprire un’azienda per conto suo. Le sue idee erano molto buone ma… evidentemente non sa metterle in pratica o non ne aveva la forza, altrimenti non mi spiego perché sia rimasta ferma tutto questo tempo. Ha una forza d’animo che va oltre ogni immaginazione ma è come se al momento decisivo cambiasse idea e decidesse, pure molto ardentemente, che non riuscirà a raggiungere l’obiettivo, quindi cambia via per sceglierne una più allettante o più facile. Devo ammettere che è un comportamento abbastanza comune… e non le fa per niente onore. Ma se la conosco bene, non è solo poca voglia di affrontare la realtà e le sue difficoltà… è lei stessa che tende inconsciamente a essere così”.
Rifletto, con la mano destra a sostenere la testa, ma dopo qualche minuto ho già il collo dolorante, così mi stendo completamente sul fianco, appoggiando la testa al cuscino ma mantenendo l’attenzione sempre sulla ragazza dai capelli rossi e le curve appetitose.
“Non ci sarà molto d’aiuto nelle attuali condizioni. Una persona seria e normale non avrebbe mai accettato di stare nel letto con uno sconosciuto… avrebbe provato qualsiasi cosa per scappare. Insomma, non si sarebbe mai fidata, a priori. Invece, lei non è sembrata molto riluttante a parte per un momento appena. Che strana ragazza. Non sarà che un po' ti piaccio? Ma non deve essere così. Non sono la persona adatta a una relazione, che è quella che poi tu cerchi con un uomo. So anche questo dai miei estenuanti pedinamenti. Non posso averla una relazione. La mia vita si oppone in ogni suo aspetto alle condizioni favorevoli per una relazione. Gli orari, i pericoli, il mio carattere per niente espansivo, la mia predilezione a essere mentalmente infantile e a preferire i video giochi alla vita reale… e… Mello. Mello è una presenza fin troppo ingombrante per lasciar spazio ad altro”.
Sospiro nuovamente ma mi convinco che non posso rimangiarmi la parola, altrimenti verrei meno a me stesso medesimo.
“Soprattutto, non posso gettare al vento tutto di questi anni di lavoro svolti con tanta dedizione per farci una posizione anche qua in Italia. Non dispiace nemmeno a me quello che facciamo ma di certo non apprezzo i metodi che ha quel pazzoide. Però… allo stesso tempo li capisco. Un giorno è capitato che, come tanti anni fa, si ritrovasse tra le fiamme. E allora, per forza ci scappano vittime innocenti tra cui anche bambini. Nel profondo quel giorno avrebbe preferito morire. Poi, sono arrivato io che con molta calma l’ho rassicurato che non è stata colpa sua e poi non ho più voluto menzionare quel capitolo, perché sono sicuro riaprirei una ferita, se pur piccola ma presente. Come gettare nuovamente fuoco sulla orribile cicatrice, che pur essendosi parzialmente rimarginata è sempre presente a ricordare la propria presenza al proprietario, ogni mattina. Lui magari la userà solo a proprio vantaggio, però… però, forse anche lui un pensiero verso una relazione di qualche tipo, lo fa. E dopo quell’orrendo sfregio nessuno lo avvicina molto facilmente. Sono fortunato, tutto sommato. Per lui che è molto più organizzato, determinato e maturo di me… dev’essere uno shock ogni volta, constatare che non potrà mai avere l’amore. Forse…”.
Nel frattempo, i miei occhi hanno vagato lungo tutto il corpo di Desdemona e non si sono fermati un attimo, passando dagli arredi asettici di legno invecchiato nella stanza, al suo corpo.
“Bella. Quando ti sveglierai ti porterò in un bel posto per fare colazione. Siamo a Padova… una città molto più grande e piena di comodità rispetto ad altre. Ancora due ore, e un altro pesante giorno comincerà. Quando mai io sono stato un filosofo, poi? Bah, però è ovvio che divento un pensatore se riesco ad avere addirittura due ore solo per me. Adesso che ci penso… era da tanto che non mi trovavo solo con me stesso, senza Mello a dettar ordini e tirar oggetti, senza poliziotti, mafiosi e prostitute intorno, senza operazioni suicide da portare a termine. Forse erano anni che non mi passava la voglia di dormire nonostante fossi stanco morto. Che poi, la stanchezza che ho in corpo non la sto nemmeno sentendo, tanto sono rilassato”.
Sospiro, con l’unico scopo di sospirare, e non di noia o abbattimento, come mi succede solitamente. Nella mente sembra essersi bloccato tutto e non un pensiero mi sfiora le pareti della mente per uscire e far lavorare il cervello, un avvenimento alquanto insolito, visto quanto lavoro abbiamo avuto negli ultimi anni.
“Ah, Mello. Mi farai impazzire anche se ho deciso io di starti dietro. Col fatto che sei affetto da una terribile iperattività non stai fermo un attimo e vorresti fare mille cose contemporaneamente. Cosa che per me non è affatto salutare, anche se mi ci sono abituato col tempo. Certo che però… potresti anche rallentare, no? Se no che siamo venuti a fare qua in Italia? Potevamo buttarci nel traffico e nell’asfissia di Los Angeles nuovamente, e invece siamo venuti qui, in questo posto tranquillo…. Perché Mello? Un’altra delle domande a cui non posso rispondere, spero che il numero non aumenti negli anni”.
Mi spunta un sorriso perché una certezza molto positiva mi attraversa la mente: cioè, che in realtà io ho tutto quello che voglio, o almeno sto per averlo.
“Sono sicuro di piacere almeno un po' a Des. Penso che prima o poi mi chiederà di provarle la mia identità e per allora sarò pronto a rispondere a ogni suo dubbio. Ah… spero proprio di fare una bella figura ai tuoi occhi… a partire da oggi. Adesso mi farò una bella e meritata sigaretta e poi giocherò un po' alla Nintendo Switch con i Joycon rimuovibili”.
Le due ore passano in fretta perché, pur non avendo niente da fare, a parte giocare e fumare, ho potuto restare in contemplazione dell’alba, o del corpo perfetto della ragazza che mi dorme affianco.
“Adesso però è meglio che me ne vada di sotto, onde evitare di farle pensare qualcosa che non deve. La farò svegliare a Mello, augurandomi che non scelga il format uragano. Fa che sia di umore soft… che strano che è parlare al contrario, in italiano usano l’aggettivo dopo il sostantivo e non prima. Mi suona ancora particolarmente strano”.
Mi dirigo di sotto e trovo, come non fosse ovvio, il mio compagno già sveglio, come se si sentisse in colpa a perdere del tempo dormendo.
“L’azione più inutile, a detta sua”.
«Ehi, Mello». Il suono scorbutico che sento conferma i miei pensieri, e mi fa capire che Mello non ha dormito granché, o proprio per niente.
«Quanto hai dormito stanotte, Mello? Sai che mi devo preoccupare se non riesci a dormire».
«Non dire stronzate. Semplicemente oggi sarò rincoglionito. Che vuoi che sia…». Mi dice con tono altamente sarcastico.
“Per l’ennesima volta insiste nel non volermi far preoccupare, cosa impossibile, visti tutti gli sforzi e i pericoli che compie. È inevitabile che mi preoccupi per te Mello, cerca di capirmi ogni tanto”.
«Dai Mello, dimmi cos’hai in questi giorni e quali pensieri ti fanno essere così irascibile».
«Matt, te l’ho detto mille e più volte di non psicanalizzarmi, e che sono io a dover dirti le cose quando ne ho voglia».
«Voglio semplicemente arginare in anticipo il problema».
«Caro Matt adorato, non sono un pc e nemmeno un videogames, perciò fammi un favore… Du nicht zerbrichst mich meine Bälle!».
“Ahia.. quando parla in tedesco si mette male”.
«Ok. Vieni con noi a fare colazione?».
«Vestitevi meno appariscenti possibile».
“Come dire che per lui non sarebbe possibile. Che stupido, di cosa ha paura? A meno che non ne abbia combinata un’altra delle sue… eh sì, per forza”.
«Mello, Mello. Cosa cazzo hai combinato in quelle sole poche ore che non ho monitorato la situazione?».
«Niente, Matt. Non ti devi preoccupare di nulla. Ho già fatto colazione io… voi andate pure. Con Des parliamo dopo».
“Come dire… vai fuori dai coglioni che c’ho un affare losco da portare avanti. Cosa pensa, sia nato ieri? E poi non rimanda mai un impegno, e non rimanderebbe nemmeno il prenderla a insulti e bestemmie come piovesse. Cosa nascondi per la miseria? Sono tuo amico o no? Ho il diritto di sapere”.
«Va bene Mello, stai troppo male per essere lasciato solo». Nel dire la frase giro lo sguardo verso il suo per notare l’espressione che farà ma non esprime niente di strano. Solo, accorgendosi di essere osservato si mette sulla difensiva, la reazione che più si addice a una persona che nasconde qualcosa.
«Du starrierst mich nicht! (Non fissarmi!)». Al che faccio finta di voltarmi per dirigermi verso la porta delle scale e faccio pochi passi. All’improvviso però, mi volto di scatto e lo afferrò di peso, scaraventandolo con forza sul divano di pelle nera e bloccandolo per i polsi, salendo poi con le ginocchia sulle sue gambe per bloccargli movimenti improvvisi o colpi bassi.
«Mihael Keehl».
«Oh, oh. Il nerd mi ha chiamato per nome. È la fine del mondo». Mi guarda maligno di rimando ma in quel suo sguardo scorgo una lieve disperazione che, chiaramente, il sonno perso ha alimentato.
«Dimmi subito cosa c’è che non va, Mihael. Brutto tedesco di merda, irascibile, scontroso, iracondo e bastardo. Posso continuare all’infinito se ti va e non mi serve fare né colazione, né pranzo, né cena. Lo sai benissimo».
«Magnifico, stai pure lì a perdere il mio tempo prezioso, e a non far niente».
«Ti lascerò andare quando sarai stato sincero». Queste parole gli sfiorano sempre la coscienza, per un attimo appena, lo so e lo sa anche lui ma per fortuna non me ne fa mai una colpa.
“Altrimenti, i miei trucchi sarebbero totalmente inutili con una mente come la sua. Voglio dire… temo sia lui ogni volta che decide di lasciarsi andare e di darmela vinta, e sinceramente mi va bene così”.
«Allora? Cominci tu Mello, o lo faccio io? Sai che non mi piace fare gli interrogatori».
«Lasciami i polsi». E giù una serie di insulti che non mi toccano minimamente.
«Allora Mihael?».
«Вы знаете что вам никогда не придётся называть меня по имени при незнакомцах вокруг! (Ti ho detto mille volte di non chiamarmi per nome quando ci sono degli estranei!)».
“E adesso passa anche al russo. Magnifico… come volevasi dimostrare. È successo qualcosa”.
«Sai che non capisco molto bene il russo, Mihael Keehl…». L’occhiataccia che ricevo farebbe raggelare chiunque, non abituato ad averlo affianco, perché è un misto di sadismo, di tristezza, di furore o, ancora di pazzia ma ho presto imparato ad interpretarlo, anche a livello visivo, come una richiesta d’aiuto e quindi mi può far quasi piacere visto che lo rivolge solo a me, in quanto suo unico fidato.
«No, vero? Бастардо. Убирайся с дороги мне нужно срочно закончить дело (Bastardo. Togliti di mezzo, ho una questione urgente da sbrigare)».
«Te l’ho detto che non riesco a capire bene il russo». Fingo uno sguardo sarcastico e maligno, cosa su cui devo ancora lavorare perché non mi riesce bene, dopo tutto sono un giocatore e fumatore incallito, non un attore come lui, e anche per questo sono qui, per far abbassare le sue barriere.
“Sembra facile a dirsi…”.
«сними, блин, сними! (Levati, cazzo, levati!)». Sbraita, ora più disperato che mai.
“Andiamo Mihael, per la miseria, sputa il rospo”.
«No!».
«Ti farò pentire di essere nato».
«Andiamo, vuota il rospo, non abbiamo tutto il giorno Mello».
«No!».
«No, lo dico io. Che cazzo ti sta prendendo oggi? E ieri? E l’altro ieri, che Des non era ancora qui con noi? Non sarà…».
Un pensiero mi balena per la mente.
“Che sia per la famiglia Minozzi? Avrà paura, o addirittura il sensore che non andrà come abbiamo previsto? No…”.
«Ti prego, dimmi che non è quello che penso. Dimmi che non centra la famiglia di Des…». Il sorriso tirato che gli contraddistingue sempre il volto si affievolisce per spegnersi totalmente in un secondo e il cuore nel mio petto entra in tumulto.
«Se ti levi, che tra l’altro mi stai letteralmente schiacciando…».
«Mihael! Fottiti, puoi anche resistere un secondo o due in più… lo sai che mi piace contravvenire alle regole, soprattutto le tue, visto che mi comandi sempre a bacchetta».
«Ah, adesso ho capito. A te piace stare in questa posizione… brutto…».
«Adesso però, sconfini nello scontato… avanti Mello, ti prego. Mi sto rodendo il fegato più di te, qua. Se si tratta della ragazza, me lo devi dire. Sai quanto ci tengo».
«Боже мой, сегодня мужчины все педики. (Dio mio, oggi gli uomini sono tutti froci)».
«Mello, abbiamo la stessa età, che cazzo dici? Ah… a proposito di uomini… non sei nemmeno in grado di mettere insieme un concetto logico per spiegarmi cosa sta succedendo…». Puntualizzo, e finalmente, non vedendo via d’uscita, il mio amico si sfoga in un urlo straziante e disperato, quello che gli permettere di lasciar andare qual si voglia ansia o angoscia, che lo attanaglia.
“Ma deve per forza urlare così forte, dannato uragano di uomo. È l’ennesima volta che perdo l’udito questa settimana. Almeno dopo si calmerà e tornerà il solito russo freddo e distaccato di sempre. Purtroppo svuotato, ma soft… anzi, tranquillo. La devo smettere di pensare in lingua informatica, potrebbe procurarmi problemi seri… a detta di Mello”.
Dopo un minuto di urla e ringhi animali inquietanti, il ragazzo si calma e ritorna ad avere un’espressione e una pacatezza fuori dal mondo, e soprattutto, non sue.
«Matt, per favore… scendi, mi stai schiacciando. Ti ricordo che non ho dormito tutta la notte…».
“È un buon segno che si lasci andare alle ‘debolezze’ e confessi di essere ‘stanco’”.
«Mello, ci hanno intercettati nonostante le nostre ferree norme di sicurezza? Sarebbe veramente il colmo dopo tutte le precauzioni e i soldi spesi per esse». Gli chiedo, con voce conciliante, visto che so in che fase d’umore è in questo momento. Mi scosto, scendendo dal divano e lasciandolo respirare ma tutto ciò che vedo, è un uomo abbattuto e momentaneamente svuotato di ogni energia, con la sola volontà di far a pezzi tutto e tutti.
«Matt…». Mi guarda con uno sguardo un po' perso, vago ma non comprendo bene cosa realmente lo affligga.
“Mello che indugia… non è preoccupato per Des, sicuramente… e allora? Cosa c’è che non mi hai detto? Dimmelo per la miseria”.
«Ho rincontrato Nidaesa Diohil… giorni fa, e anche qualche ora fa, quando non eri in collegamento». Mi fissa come a cercare comprensione, ed è una delle cose che può veramente avere, da me.
“Se non lo conoscessi, direi che è triste… ma visto che lo conosco… non avevo mai visto Mello preoccupato”.
«Sei preoccupato che possano prendere di mira anche lei?»
«Che idee del cazzo, sono preoccupato che possa intralciarmi». Mi risponde con voce tranquilla e pacata.
“O è preoccupato per lei… vorrei tanto sapere cosa ci fa qui, proprio in questo periodo. Non sarà in incognito per spiarci, spero. Sarebbe un duro colpo per Mihael”.
«Pensi sia qua in incognito per spiarci?».
«Non lo penso, lo so. Ne sono sicuro. Per cosa quella donna verrebbe qui, se no? Per spiarmi… per raggirarmi, è chiaro».
«Senti russo, l’ultima volta che vi siete lasciati, è finita male… ma questo solo all’apparenza. Sai benissimo che alla fine si è rivelata diversa da quella che sembrava».
«Sai benissimo che non credo nel destino, o nel colpo di fulmine. Quindi me ne sbatto delle apparenze o non apparenze. Mi ha fregato, e questo non posso tollerarlo. Tra l’altro ha, insopportabilmente, il nome con la stessa lettera di quell’invertebrato del mio rivale, è come se la mia maledizione si protraesse all’infinito». Emetto una risata sonora e divertita che lo induce a voltarsi verso di me, guardandomi in cagnesco ma si rassicura perché sa che non gli riderei mai in faccia per un motivo così importante.
“Ci tengo alla pelle. No, anzi… sono suo amico”.
«Mello, Mello… te l’ho detto che sei inesorabilmente infantile?! Mi pare di sì, e se ti impunti su una questione non ti si può dire niente, che fai di tutto per aggirare il problema vero e proprio. Va beh, vorrà dire che la prossima volta sarò io a salvarla come si deve, per poi farmela a dovere».
“Se lo stuzzico… matematico che s’incavola nero e mi sbotta contro, per poi capire le mie vere intenzioni e lasciarsi andare, finalmente”.
«Ma tu non volevi stare con la piccola Desdemona? Nome interessante il suo, non trovi Matty?».
«Non ci ho ragionato… ma su quanto fosse sexy Enne, sì…». Fingo un sorriso malizioso, quello che di solito schifa altamente il mio amico, quando lo vede in uno dei suoi tirapiedi: porci e corrotti.
«Enne? Enne dici, ma quante moine per una donna qualunque che nemmeno conosci…». Mi risponde con voce melliflua ma che preme per esplodere da un momento all’altro.
“Le finte non ti serviranno per proteggerti dall’ira, Mello”.
«Sì, esatto. Scommetto che a letto non è affatto male, vero Mihaelino?!».
“Che rompi coglioni che sono… lui odia i diminutivi”.
«Schluss damit sofort!! (Smettila subito!)».
“E ridaje con il traduttore automatico… comunque vedi che fra poco esplodi, me lo sento”.
«Mi servirebbe il traduttore incorporato a volte…» gli rivolgo di nuovo un sorriso beffardo «Non mi hai sentito? Me la vorrei fare, io ovviamente starei sotto… la bella fantina che mi cavalca e non mi fa fare tutta la fatica che mi fai fare tu… il paradiso». Concludo la mia scenetta con occhi fintamente sognanti e l’espressione persa nelle mie finte fantasie. Al che sento il frusciare dei suoi aderenti vestiti di pelle che si alzano dal divano e che si avvicinano a me, allora decreto la mia vittoria.
“Bingo, e nel minor tempo possibile rispetto al solito.… lamentarmi del suo comportamento in quanto amico suo, e insultare l’unica persona che gli piace. Mix perfetto che spero nessun altro usi a proprio vantaggio”.
«Сукин сын! (Figlio di puttana!)». Mi sferra un pugno e poi un altro, e un altro ancora ma non ci mette tutta la forza che possiede, visto che non ha intenzione di uccidermi ma solo di ferirmi, come io ho ferito lui.
“La psicologia mi spaventa a volte. Anzi, molte volte”.
Incasso tutto, ogni colpo e ogni sofferenza, che il mio amico vorrebbe condividere con me ma non ha altri modi per tirare fuori. Non provo nemmeno a difendermi, anche se ne ricaverò forse una bella gita in ospedale ma stavolta so benissimo che la situazione è oltre la norma.
“C’è qualcos’altro che lo tormenta, è chiaro. Ma se non lo ha ancora detto o accennato, non lo farà mai”.
«Reagisci cazzo! Nerd fottuto… insulti me, la mia donna, e adesso non fai niente? Ma che cazzo ti dice il cervello?». Inveisce contro di me senza senso continuando a picchiarmi, con delle mosse e una forza che non gli appartengono perché troppo trattenuti e malfermi; infatti, non sento quasi niente ma scelgo di trattenermi dal reagire, ugualmente.
“La tua donna, eh?! Adesso ti riconosco Mihael. Se io reagissi, tutta questa tiritera non sarebbe valsa a un emerito…”.
Un colpo un po' più forte allo stomaco interrompe lo scorrere dei miei pensieri, e mi porto istintivamente la mano sinistra nel punto colpito ma la tolgo subito perché un altro colpo sempre malfermo mira di nuovo al mio stomaco.
“Maledizione Mello… mi sta venendo una voglia tanta di ammazzarti, qui e subito… ma no. Non devo nemmeno muovermi. Devo a ogni costo fare da Patch… come dicono qua in Italia? O meglio, tra persone normali? Ah già. Valvola di sfogo”.
Dopo due minuti che continua a tartassarmi di pugni e grugniti, si assopisce e smette totalmente di muoversi; così, come se niente fosse, si allontana da me e, con aria ancora più abbattuta di prima si dirige al frigo. Prende qualcosa di cui non mi curo e poi, succede qualcosa che non mi aspettavo.
«Anche venisse a cercarmi… non credo proprio che avremo occasione di far qualcosa di significativo insieme».
«A cosa ti riferisci?».
“Mello che dice cosa pensa… è il colmo, anzi… un miracolo. Un Millenium Bug in piena regola”.
«Mah… quella volta ho cercato di accontentare le sue richieste perché se ci affidavamo alle mie fantasie...».
«Capito».
«Vorrei solo non fosse una donna: una creatura quindi da proteggere, vorrei per una volta incontrare una persona che mi tenga testa e… anzi».
“What?”.
«Ma io cosa sarei? Un fagiolo?».
«Tu a suo tempo mi hai tenuto testa perfettamente…».
«Ma?».
«Ma non per questo verrò a letto con te… caro Matty». Il sorriso beffardo e languido che mi rivolge mi fa rabbrividire, e il solo pensiero di ciò che ha detto peggiora di più la situazione. Ritorno in me e cerco di dargli la forza di pensare positivo, per una volta.
«Beh, che ne sai? Magari, anche lei riesce a tenerti testa benissimo. Magari non riuscirà a tirare pugni come te ma…».
«È proprio di questo che sto parlando». Mi riprende, sardonico.
“Ho capito benissimo di cosa stai parlando, che cazzo”.
«Le differenze ci saranno sempre. Siete comunque diversi, Mello. Uomo e donna».
«E chi dice che bisogna essere diversi?».
«Ehm… non lo dice nessuno, temo. Ma è così. Per esempio: vedi me e Des… io, anche fossi stato disperato fino al collo, mi sarei dibattuto con le unghie e con i denti mandando a fanculo ogni buon senso e ragionamento, per non essere catturato. Invece, lei ha ragionato su di me… su come mi comporto e cosa dico, ecc; prima di darmi o no il ben servito. È anche vero che così mi lascia carta bianca su cosa fare con lei ma questo perché siamo su due piani diversi of mind».
«D’intelligenza Matt, su due piani d’intelligenza». Mi corregge il mio compagno di lavoro, e amico.
«Certo. Capisci? Se fossimo identici non saremmo insieme, e soprattutto non ci piaceremmo per nulla al mondo. Tu staresti con una te? Pensaci…».
«In effetti… però queste cose le so già. Matt, io voglio solo che lei sia indipendente e non abbia bisogno del principe azzurro, o di un miracolo dal cielo per sopravvivere. Perché sembra che in un modo o nell’altro debba sempre essere così. Sai quanto odio gli stereotipi».
«Sì! Ma se ti ha affascinato tanto… un motivo c’è di sicuro. Non è stato solo il suo nome particolare e… che ha la stessa lettera iniziale di quella del tuo rivale». Mi scappa una smorfia di disappunto e confusione.
«Ci ho ragionato prima di arrivare qui».
«Ah ecco. E tu quando hai la mente libera pensi a queste cose?».
«Sì Matt, perché non ce l’ho mai libera. Ti sembra avere la mente libera, tornare coi ragionamenti a quel topo da laboratorio fastidioso?».
“No, affatto. Qui devo far qualcosa per questo pover’uomo, che fra poco pur di avere un po' di vita sentimentale si butterà sul primo che capita, uomo donna indifferentemente”.
Di nuovo un brivido mi attraversa la schiena.
«Perché non troviamo un modo ingegnoso e criptato per farle avere un ‘invito’ da qualche parte?».
«Certo che te la fantasia la usi proprio per niente». Sospiro frastornato dalla poca fantasia, fiducia ed empatia di quest’uomo.
«Mello, anch’io sono stato alzato tutta la notte. Quindi, se fai così il difficile, esploderò anch’io prima o poi… comunque… Siccome, per un motivo imprecisato, anche lei è qua in Italia… potresti comporre un messaggio che solo lei potrà capire. Sono sicuro che un modo per farti riconoscere l’hai trovato. Hai una mente così geniale che avrai pensato anche a quello. Non mi interessa saperlo eh, ma… come idea sarebbe perfetta».
«Tsk! È proprio di questo genere di cose che sono schifato». Dice, ma i suoi occhi rivelano tutt’altro e dentro di me sento i cori dell’alleluia.
“Sei un bravo attore ma… amico mio… finalmente ti sta venendo un po' di sale in zucca. Mello innamorato non l’ho mai visto ma spero che accada presto. Devo necessariamente trovare quella ragazza, o sarà lei per prima a trovare noi? Chissà. Oh my God… Mello innamorato? No, no, no. Interessato magari… se siamo fortunati. In ogni caso, qualsiasi cosa succeda non se la toglierà dalla testa, e chissà come ha fatto quella a ritagliarsi uno spazietto in quel cervello stracarico d’informazioni…”.
«Oh, le otto e mezza. Io e Des siamo in tempo per andare a far colazione, visto che qualcuno… cioè io, non ha potuto fare la spesa e nemmeno farla fare a qualcun altro. Detesto quando non abbiamo un piano». Lo guardo di sottecchi per capire se mi prenderà in giro o se, semplicemente non si curerà del mio discorso, e i miei dubbi hanno subito conferma. Lo scopro a ghignare in modo appena accennato per non farsi scoprire ma, abituato come sono ad aspettarmi qualsiasi cosa da lui, non può nascondermelo.
“Lo sapevo… brutto spam. Ha fatto apposta a non organizzarsi. E io che gli faccio anche da psicologo, gratis. Dovrei chiedergli mille dollari ogni volta. O meglio, euro”.
«Senti…» lo guardo male, solo che io lo faccio veramente di nascosto «La vuoi svegliare tu la ragazza?».
«No, chi se ne frega. Fate quello che volete e portatemi qualche ricordino dalla pasticceria… Love and uomo spastico sottomesso». Faccio finta di niente, per poi dirigermi verso la camera da letto. Arrivato, noto che la ragazza nel mio letto sta ancora dormendo.
“Per fortuna, così il suo sarà un risveglio più soft di quello che avevo temuto”.
«Ehi Des… Desdemona. Sveglia, sono le due del pomeriggio». Mento per invogliarla a svegliarsi nel minor tempo possibile.
“Qua non ci sono orari a parte nei nostri due cellulari... quindi, non potrà verificare quello che le ho detto fintantoché non glielo confermerò io”.
«Dai… Des, sveglia… sono le due del pomeriggio». All’improvviso si gira a faccia in su, sotto il mio tocco gentile e premuroso, e apre gli occhi.

 
POV DESDEMONA
 
«Eh… uhm… sono già le due? Accidenti, avevo proprio sonno. Era da mesi che non mi svegliavo così tardi».
«Dai, alzati andiamo a fare colazione».
«Wow… perché sei così gentile con me, lo devo ancora capire. Cioè… ah». Mi porto una mano allo stomaco, che comincia a dolermi per i crampi di fame.
“È davvero tardi… aspetta…”.
«Come colazione? Non erano le due del pomeriggio?». Lo sguardo inviperito che gli lancio lo fa ridere a crepapelle.
«No, sono quasi le nove, e quindi per me è già tremendamente tardi».
«Perché?». Chiedo con voce scocciata, passandomi l’altra mano sugli occhi, i quali ancora faticano ad aprirsi e a mettere a fuoco.
«Perché sì Bellezza… non immischiarti in cose più grandi di te».
«E se invece, volessi farlo?». Rispondo, dispettosa, con uno sguardo sarcastico in viso.
«Beh… ti ringrazierei con un bacio appassionato… ovvio». Rimango a bocca alla sua esclamazione, perché non mi aspettavo proprio una risposta stupida in questo momento.
“E se in realtà non fosse solo una battuta la sua?”.
Al che, mi balenano in testa le scene più sconce possibile, e subito dopo rimembrando che non si tratta di un amico, anche le più terribili che mi fanno scuotere la testa con veemenza, per tornare alla realtà il più accuratamente possibile.
Sbuffo, per poi alzarmi con non poca fatica dal letto e ricordarmi che mi sono addormentata con i vestiti, i quali adesso odorano di formaggio avariato.
“Ma non è possibile”.
«Senti Matt, se dobbiamo uscire non posso farlo così… non è che il tuo amico avrebbe dei vestiti da prestarmi?».
«Che hanno i miei che non vanno?». Mi chiede fingendosi ingenuamente offeso, anche se si capisce benissimo che mi prende per i fondelli.
«Che spiritoso, come le dovrei sistemare quelle spalle enormemente larghe?».
«Nah… sono nella media». Ancora col sorriso radioso che mi è piaciuto da morire fin dal primo momento.
«Sta di fatto che non mi andrebbero mai. Invece… Mello è più longilineo e magro di te». Sostengo, con lo gli occhi chiusi, la testa bassa e l’aria solenne.
«Ehi… mi stai dando del grasso?». Mi scappa una risatina involontaria.
“Per la miseria, questa proprio non ci voleva…”.
Mi riserva uno sguardo magnetico, al che distolgo il mio che diventerebbe altrimenti una cosa sola con la sua bocca.
“Dio, non lo guardare… non lo guardare Des, non ti azzardare. Ti maledirò a vita se lo farai. Grandioso, adesso parlo anche col mio cervello”.
«Beh… io vado di sotto a chiedere a Mello dei vestiti adatti. Anche se i suoi non lo sono affatto… non per te».
«Prendi quello che vuoi». Lo tranquillizzo senza alzare lo sguardo.
«Mello… hai dei vestiti che non ti vanno più?». Urla restando nella stanza, senza muoversi di un millimetro.
“Ma non doveva andare di sotto? Che ansia, Dio…”.
«Почему? (Perché?)».
«Parla in italiano, Mello».
«Нет! (No!)».
«Questo l’ho capito anch’io. Senti, ho capito… vengo così, non ci sono altre soluzioni».
«No, aspetta… Mello, brutto mafioso russo. Dammi dei vestiti». MI impressiona il tono con cui si esprime con una persona simile.
“Sembra davvero un mafioso in piena regola, quell’altro. Si è immedesimato proprio bene. Non so proprio come faccia a non impazzire da un momento all’altro. Impazzire davvero, perché pazzo lo è già di suo. Basta vedere come veste. C’è bisogno di conciarsi così solo perché sei infiltrato e ti fingi uno di loro? Evidentemente sì”.
«E va bene!». Urla il biondo dal piano inferiore e mi stupisce la velocità con cui ha ceduto a un ‘ordine’.
«Grazie! Hai sentito? Adesso arriva qua e ti presterà qualcosa di perlomeno pulito».
«Ehm… grazie… Matt».
“Non si vede che vorrei sapere il suo vero nome? Ah… no aspetta? E a cosa mi serve? A niente. Piantala di fare la cretina. Rivoglio solo la mia famiglia e poi andarmene da questo posto dimenticato da Dio”.
Deve aver capito i miei pensieri perché sorride benevolo ma si gira verso la porta, in attesa che il suo amico arrivi.
«Falla uscire». Matt mi rivolge uno sguardo eloquente ma anche disperato per i modi del biondo ma io sorrido divertita e annuisco, in segno che ho capito e non me la sono presa.
“Stavolta non mi ha trattata praticamente da schiava, e non mi ha urlato dietro”.
Corro di sotto ma non aspetto neanche un secondo che subito sento i passi di Matt, almeno quelli che riconosco come i suoi per il rumore dei suoi stivali che è diverso da quello di Mello, arrivare di sotto allora lo ringrazio e vado in bagno. Mi cambio in tuta fretta perché sto morendo di fame e insieme usciamo di casa.

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Capitolo 12
*** Frustrazione, Anima leggiadra, Coraggio ***


Undicesimo capitolo

"Frustrazione, Anima leggiadra, Coraggio"

 
«Oh… fighi questi vestiti, su di me non li vedo poi così male». Matt ride animatamente alla spontaneità della mia esclamazione.
«Che forte che sei! Comunque Mello ci sta sentendo. I miei e i suoi vestiti sono dotati di cimici inserite nella fodera». Sbarro gli occhi, esterrefatta e terrorizzata dall’idea di aver offeso un mafioso.
“Certo che però lui non è un mafioso. Chissà perché però, non riesco a essere tranquilla e nemmeno a fidarmi”.
Ride ancora, portando una mano sulla guancia a sfregarla.
«Ok, Bellezza adesso andiamo, altrimenti il tempo ci scappa dalle mani». Annuisco e rimiro ancora una volta i bei vestiti che indosso: tutti neri, gilet antracite di cotone a coste fìni, dei semplici e lineari jeans con attaccate ai passanti due catene di cui una più lunga, con un’estremità che ho attaccato al cursore a cerchio della cerniera.
“Non che tutto questo sia molto in linea con lo stile delle mie scarpe… sono delle semplici calzature da ginnastica e per giunta pure beige. Però… non me ne importa niente, sono troppo belli”.
Dopo questi pensieri alzo lo sguardo per tornare alla realtà, e girandomi leggermente verso Matt lo scopro a fissarmi, cosa che mi mette terribilmente in imbarazzo e la tentazione di fuggire e mandare a monte tutti i buoni propositi è molto più forte di quanto potessi immaginare, ma mi convinco ad arrestare i miei istinti più bassi; quindi gli rivolgo un sorriso di cortesia sfuggente ma rivolgo subito la mia attenzione su tutt’altro. Usciamo dal sotterraneo e continuando a camminare, in dieci minuti arriviamo davanti a un cancello basso, contornato da edera lasciata crescere in maniera selvatica, che dà sul muro di un’umile casa a due piani.
«Ma…».
«Non preoccuparti, non ti sto portando a casa di un assassino… solo che non possiamo sempre andare dove ci pare…». Mi rassicura Matt. Deglutisco rumorosamente ma cerco di farmi forza.
«Lo so, è da panico, infatti, ogni tanto mi concedo qualche cosa per rilassarmi». Mi sorride affabile.
«Ah sì, forse me l’avevi già detto. Vero?!». Il mio sorriso minaccia di spegnersi e trasformarsi in una smorfia di preoccupazione.
“Non so se preoccuparmi per me o per lui. Sembra davvero drammatica la situazione. Con tutti i pensieri che ho fatto finora sul salvare il mondo… penso che mi ricrederò presto”.
Rifletto tra me e me, mentre lui suona il campanello, da cui risponde una voce gutturale e spiacevole che sembra dover mandare in fiamme il vicinato, per la collera che trasmette.
“In cosa cazzo mi sono immischiata? Senza volerlo tra l’altro. Certo, la mia famiglia è viva ma resta il fatto che non posso né vederla né essere libera”.
Abbasso la testa per non mostrare a nessuno il mio umore, che altrimenti solleverebbe discussioni che in questo momento non mi servono, per nulla al mondo.
«Ehi Henry».
«Ehilà Ciccio».
«Henry, passami Gin».
«Va bene, va bene… Gin!». Urla la voce da dietro lo sgangherato campanello col vetro mezzo crepato del nome, al quale decido appositamente di non interessarmi perché non so cosa potrebbe comportare altrimenti.
Il cancello, dopo un minuto che mi sono rosa il fegato dall’ansia si apre e mi sale il cuore in gola, comincio a sudare freddo e serro i pugni sperando che nessuno si accorga in che stato mi trovo, altrimenti oltre all’ansia e i morsi della fame avrei anche risate in faccia, bell’e buone. Cammino piano per un’inconscia speranza di prendere tempo, e riuscire ad arrivare in casa con il cuore a velocità normale.
«Matt, dove siamo? Era una balla detta a Mello, quella della colazione?».
«No, Des e ti ricordo che lui ci sente, e… non te l’ho detto prima ma non devi mai nominare quel nome fuori dal covo. Devi chiamarlo Sambuca, o Sam. Comunque, la moglie di questo mio amico sa cucinare. Il mio amico è un imprenditore nato, quindi ha deciso di sfruttare la sua capacità e il fatto che fosse sua moglie, per aprire un’attività illecita di ristorazione. Ovviamente deve essere discreto quindi si è trasferito in questa casetta semplice e invisibile, e i suoi non sono semplici clienti».
«E così sfrutta la moglie, eh?». Ringhio di rabbia e stringo nuovamente i pugni.
«No che non la sfrutta, Des». Mi corregge Matt, infondendo però nella voce una nota bemolle. Gli getto uno sguardo interrogativo ma la sua faccia mi fa immediatamente rendere conto della verità.
“Forse non vuole rischiare che ci sentano parlare di certe cose, e lo capirei benissimo”.
Gli rivolgo uno sguardo apprensivo e arrabbiato, e lui capendo cosa provo fa nascere un sorriso appena accennato sul suo viso e poi mi fa l’occhiolino, che mi fa comprendere quanto io abbia afferrato come stanno la situazione.
“Che tristezza. Se questo dovrebbe essere un ‘appuntamento galante’… devo dirti Matt, che non funziona per nulla così”.
Penso, sempre mantenendo i miei occhi in quelli del trentenne.
«Ehi… ragazzo mio, qual buon vento».
«Ehi, Gin». Risponde Matt con voce atona e distaccata ma guardandolo negli occhi, al che provo anch’io a posare gli occhi sull’uomo che mi sta davanti sulla soglia della casa, in vestaglia semi aperta, i capelli unti e dei sandali ortopedici grigio topo e logori. Alla vista di quei due occhi che mi fissano perforandomi l’anima con evidente interesse sessuale, mi sale al cervello un misto di nausea e ira che reprimo a stento con un brivido, lo maschero facendo capire che sento freddo, perché in effetti, un po’ di freddo lo sento davvero ed è più che plausibile in questo periodo e con l’abbigliamento che indosso.
«Allora ragazzo mio, cosa ti porta così presto nella mia umile dimora? Hai per caso qualcosa di nuovo per me?». Chiede divertito fissandomi ancora più languidamente, e io capisco che si sta riferendo a me come fossi una prostituta.
«No! Sono qua per fare colazione. Io e la mia compagna ieri ci siamo dati da fare ma sai com’è il mio compagno numero uno… in casa non c’è niente». Asserisce Matt con voce un po’ roca, mantenendo quel distacco e quella formalità, che sono tipiche di un colloquio di lavoro.
Mentre ci fa entrare, mi sorge un dubbio.
“La domanda è… perché… fa proprio a Matt, una domanda simile?”.
M’infiammo tutto a un tratto perché non riesco a capire niente, perché il mio sentore di pericolo è al massimo, e allo stesso tempo sono anche furiosa per via di quest’uomo spregevole.
“Uomo che non si fa molti scrupoli, anzi… a pensarci bene non se ne farà proprio nessuno, gli capitasse l’occasione. Matt, ti detesto, ora più che mai. E non poterlo urlare ai quattro venti è così frustrante. Ecco. Adesso mi è un po’ più chiaro il perché sono finita su quel tetto. Maledetto…”.
Digrigno i denti inconsciamente durante queste mie riflessioni ma all’improvviso sento un brivido, molto meno sgradevole del precedente, percorrermi la schiena. Matt si è avvicinato a me e mi sussurra all’orecchio di rilassarmi perché va tutto bene. Siccome, però sono molto testarda e non demordo molto facilmente nelle mie idee, il mio unico pensiero è per tutte quelle povere donne che hanno patito sotto la mano di quell’uomo, perciò non riesco proprio a rilassarmi.
“Basterebbe una parola per farmi esplodere. Beh, non esageriamo ma il concetto è che non posso tollerare che uomini così abbiano sempre la meglio, e soprattutto una fortuna sfrenata”.
Giacché non accenno a calmarmi, dopo due tre secondi sento la mano del rosso stringere la mia, cosa che mi fa sussultare impercettibilmente, e mi conduce dietro di sé.
“Penso sia il segno che quell’uomo non ha molta autorità su di me. Ma comunque preferisco non emettere nemmeno un fiato finché siamo qui. Poi, io e Matty faremo i conti. Ma guardami… sembro una sposa. Eh? Ma va a cagare stupido cervello ammuffito. So che non dovrei offendermi da sola, ma stavolta ho oltrepassato il limite. Ve la farò vedere uomini… è triste… ma io morirò sola, vedrete”.
Penso con sguardo determinato. Nel frattempo, passando per un corridoio corto e stretto utilizzato anche come cucina, arriviamo nel salotto a destra, uno spazioso salotto con luci soffuse e tantissime stranezze sparse per tutta la stanza. Una tartaruga già molto cresciuta in un acquario con l’acqua putrida, delle luci stroboscopiche infondo a destra a contornare le pareti e, in netto contrasto con tutto il resto che è rovinato e vecchio, un divano nuovo e vistoso. Storco ancora di più il naso e stringo furiosamente la mano di Matt, il quale per fortuna non si scompone e ricambia.
“Penso che bene o male riesca a capire quello che sto provando. E… madre de dios, ma com’è conciato questo salotto? Sembra una discarica di colori e stili. Ergo… sicuro, la donna non ha voce in capitolo, e quindi l’arredamento è opera di questo porco che, ancora adesso, continua a fissarmi come fossi la sua bambola dei giochi. Porco schifoso maledetto”.
«Beh, bando alle ciance. Di sopra c’è mia moglie che sta già cucinando quindi se la gentile signorina vuole farci l’onore di lasciarci soli e andare a recuperare qualcosa di buono per tutti noi… Per me la tazza grande di latte con i cereali, e poi anche un Pasticciotto Atranese, krapfen, brioche e cornetto. E per il mio ragazzo qui, un bel cheeseburger». Storco di nuovo il naso.
“Dà anche ordini come fosse un re. Schifoso fin’infondo. Fanculo”.
Guardo male Matt, il quale mi sorride e mi indirizza un occhiolino appassionato e ciò non può che farmi piacere, se non fosse che nella mente ho le parole del bastardo.
«Sì dai, un Cheese dopo tanto tempo non mi farà male. Mi ricorderà un po’ i tempi in cui stavo nella grande America. Beh… lì sì che li fanno schifosi i panini. Non fanno testo con quelli prodotti qui». Osservo il ragazzo, prima di defilarmi e noto che lo sguardo di Matt si è come animato di una luce quasi sinistra e di sfida, verso il suo interlocutore. Non riesco a capire bene, quindi decido che gli chiederò spiegazioni dopo, quando saremo tornati. Mi dirigo verso la cucina in ingresso e alla mia destra noto che tramite una porta si arriva alle scale, che portano presumibilmente al piano cottura della casa e altre stanze funzionali. Salgo, titubante e vogliosa più che mai di urlare, urlare a squarcia gola che sono qui, e ho bisogno d’aiuto.
“Aiuto. Ti prego Matt, e se sopra le scale mi aspettasse una brutta sorpresa? Se non ci fosse la donna ma la guardia del corpo? Aiuto… aiuto. Aspetta, non devo perdere la concentrazione, altrimenti combino guai come al solito. Per lui devo chiedere un Cheese e per l’altro un Pasticciotto Atranese, brioche e cornetto e… ah sì, latte e cereali. Spero di non scordarmi appena incontrata la donna…”.
Durante questi lugubri pensieri sono continuamente attraversata da brividi inquietanti lungo la schiena, e non riesco a rilassarmi nemmeno di un millesimo, e quando poi arrivo a una porta sulla sinistra e vi busso delicatamente, il mio cuore entra in tumulto sentendo come la risposta di quella donna arriva flebile e disillusa alle mie orecchie.
“Ma cos’ha? Non si sentirà male, vero? Perché tanto a quello che gliene frega se la donna con cui dovrebbe stare tutta la vita, e che lo accudisce come fosse suo figlio, si ammala o muore? Nulla. Non gliene importa nulla. Niente di niente. Matt, adesso comincio a capire le strane sfaccettature del tuo carattere, che a volte non mi quadrano per niente, le une con le altre. Anche tu, esattamente come me e il tuo amico, avrai delle situazioni, che nel profondo non riesci a digerire”.
«Signora, suo marito mi ha mandata per ordinarle la colazione».
«Ah sì? D’accordo vieni pure, stavo giusto preparando qualcosa di leggero per il pranzo».
“A quest’ora? La sua voce mi mette i brividi. Sembra uno spettro da quanto è spenta e volatile”.
«Buon giorno signora. Mi spiace disturbarla ma suo marito e il mio amico vogliono un cheeseburger, un Pasticciotto Atranese, brioche e cornetto, e latte con i cereali». Mentre parlo, cerco di cogliere e interpretare più fedelmente possibile le sue espressioni, e purtroppo non vedo altro che desolazione.
«Ma come fa suo marito a mangiare tutta quella roba senza morire di infarto di prima mattina?». Cerco di rassicurarla con un sorriso ma non mi illudo che funzioni più di tanto.
«Si è abituato… quando è andato al sud». Per un attimo, quella pausa mi ha trasmesso tutta la sua tristezza e quasi, quasi sembrava dover svenire.
“Povera donna”.
La tristezza mi raggiunge appena ma cerco di farmi coraggio, e ritorno col sorriso.
“Non può che farle bene un sorriso sincero e rassicurante… spero. Adesso che ci penso… io sono fortunata. Anzi, fortunatissima. Non vedo figli in giro per casa, quindi non deve avere nemmeno quelli come consolazione. A pensarci bene, invece sarebbero una disgrazia con un padre simile”.
Comincia a preparare ciò che le ho chiesto immediatamente, come un automa che si rispetti, quando all’improvviso ricordo di dover mangiare qualcosa anch’io ma decido comunque, di non dirle niente perché mi fa solo pena e tristezza, e non voglio sobbarcarla di altro lavoro. Oltre a questo, mi viene in mente che potrei anche darle una mano visto che non penso abbia già tutto pronto.
«Signora, la prego vorrei darle una mano a cucinare per… suo marito… e il ragazzo che sta di sotto a parlare con lui».
“Non so se lei possa sapere il nome di Matt, quindi preferisco restare sul generale”.
«Oh no, mio marito non vuole che mi faccia aiutare da qualcuno».
La sua frase mi provoca l’ennesima fitta al cuore, e quasi mi viene da implorarla.
«Certo ma suo marito non è qui al momento».
“Questo dovrebbe convincerla”.
«Purtroppo mi ha concesso di evitare di posizionare anche le cimici ma in tutte le stanze ci sono telecamere ovunque». Continua con voce spenta e senza vita.
«Oh no, ma… per…». Stavo per chiederle il motivo ma mi blocco in tempo perché immagino lei non possa sapere ma solo immaginare i loschi giri del marito.
“In più non avrà alcuna voglia di parlare mentre sta cucinando. Dio…”.
Capito che ogni mio sforzo sarebbe inutile, almeno per il momento, decido di limitarmi ad aspettare che abbia finito di cucinare il piccolo dolce, e a guardarla nella sua opera, la quale a detta del marito è di ottima qualità.
“Chissà… da dove le verrà tutta questa energia… o questa capacità di tirare fuori l’arte che non viene affatto stimolata ma anzi, sfruttata e demolita. Sarà per questo che quel figlio… no, troppo banale. Sarà per questo che l’ha sposata? Non posso farle una domanda del genere, nello stato in cui versa, chiederò anche questo a Matt. Ah no, me l’ha già detto lui stesso che è così. Cazzo, cazzo… CAZZO. Me ne starò qua buona a cercare di farmi gli affari miei, altrimenti potrei creare seri problemi. ‘Na parola…”.
Dopo venti minuti, il tutto è pronto e io riemergo dal profondo abisso dei miei pensieri, nel quale rischio sempre di sprofondare a causa di una realtà che non va mai per il verso giusto. La donna, emaciata e con degli anomali lividi sul collo, con gli occhi spenti e il respiro inesistente, mi porge un piatto contenente i tre dolci, più il panino di Matt e una tazza gigantesca con il latte e cereali. Dopo aver capito come non far cadere tutto quanto, mi dirigo alla porta aprendola con il piede, l’avevo lasciata socchiusa per fortuna, e scendo le scale. Prima di arrivare al corridoio d’ingresso, c’è una porta che lo separa dalle scale e, prima di varcare quella porta mi fermo un secondo per riprendere fiato, quello che la visione della donna mi ha tolto.
“Piangerò, lo sento. Non davanti a questa gente ma piangerò. Ho già gli occhi lucidi, Dio…”.
Ricaccio indietro le lacrime e tiro un profondo respiro, poi apro la porta e, facendo attenzione a non versare niente per terra, vado a sinistra dove l’altra porta che dà sul salotto è già aperta, quindi attendo i comandi del padrone di casa che non tardano ad arrivare.
“E certo, avrà una fame da lupi il porco sfruttatore”.
Nella parte destra c’è un grande tavolo da pranzo e lì poggio piatto a tazza, che cominciavano a pesarmi.
“Dev’essere un piatto parecchio pesante per farmi venire i crampi dopo qualche secondo”.
«Grazie mille cara». La voce melliflua accompagnata da uno sguardo di pura preoccupazione, di Matt ha un che di surreale, e ora come ora c’è qualcosa che non riesco a comprendere, perciò ignoro lui e anche i miei crampi allo stomaco, e mi rinchiudo in me stessa. Decido di non vedere né sentire niente.
“Ma chi voglio prendere in giro, ho visto anche troppo bene… ma perché sono qui? Perché proprio io?”.
Quel senso di blocco e lo stesso bruciore alla gola che ho sentito ieri si ripresentano spavaldi, e presa dal panico inizio a sudare freddo e penso che non posso rimettere proprio in una situazione del genere, non in questo luogo e con quest’uomo di fronte. Con la voce spezzata mi congedo ed esco dalla casa in tutta fretta. Appena varcata la soglia, comincio a correre e supero il piccolo recinto di edera che circonda la casa, poi apro il cancello con uno strattone, e immediatamente mi fiondo per terra perché la mia anima possa venir fuori libera e leggiadracome l’acqua.
“Questa è bile, dannazione. Aiuto, sento che sverrò di nuovo ma stavolta non so se potrò risvegliarmi al sicuro. Aiuto, aiuto… aiuto”.
Il vomito non mi perseguita come il giorno prima, anzi non mi sento poi così male ma lo stomaco che si riversa per terra mi fa stare ancora peggio. Cerco di controllarmi in qualche modo, quindi per non rimettere nuovamente inizio a piangere, piango e ripenso a tutti gli avvenimenti delle ultime ore.
“Prima sto per suicidarmi e vengo magicamente salvata da un investigatore… immischiato con la mafia, poi mi ritrovo nel letto con lui a torso nudo, poi arriva un tornado biondo, poi mi coinvolgono in un inseguimento e sparatoria, mi portano in un covo sotterraneo, vomito e svengo per poi mangiare del riso insieme a uno sconosciuto. Uno sconosciuto che… no, no. Poi, addirittura scopro che la mia famiglia è viva… ma non la posso vedere. Come ciliegina sulla torta… adesso questo. E alla fine quella che ci rimetto sono sempre e solo io, ma adesso non voglio cominciare a far la vittima. Ritornerò lì e me ne starò zitta, come nulla fosse. Nemmeno Matt dovrà accorgersi di niente. Sfodererò il mio miglior sorriso. Ok”.
«Se devo essere trattata da rifiuto umano, almeno lo farò con dignità. Ve la farò vedere io».
E così faccio, infatti il rosso non sembra badare molto a quello che è successo anche se dagli sguardi che mi lancia di tanto in tanto, mi porta a sospettare che in realtà sì, abbia capito che sto male ma non mi interesso molto del fatto che sia preoccupato o meno. Nel frattempo, che il mio stomaco non mi dà tregua, e al cervello non arriva più ossigeno. Tento con tutte le mie forze di seguire il discorso che intrattengono i due uomini, anche se sembra usino una parlata in codice, come non potessero parlare liberamente davanti a me.
«Ma che mi stai dicendo Gin? Non vorrai dire che proprio quella donna è una tua protetta?». Dice Matt e l’altro si esprime semplicemente con un ghigno che, in quanto estranea all’argomento, non riesco a decifrare.
“Avrà un altro motivo sotto per sorridere? E di che donna stanno parlando? Ovvio che non lo posso sapere, però magari potrei dedurre cosa faccia, e che ruolo abbia per i due investigatori”.
«Proprio così, la bella Enne vive sotto il mio tetto e io vivo sotto le sue… di tette». Anche Matt stavolta storce le labbra e il naso.
“Che battuta orribile… ma a guardarlo meglio, Matt sembra quasi arrabbiato, quindi lo tocca nel personale questa battuta. Può voler dire che la conosce oppure la conosce il biondo”.
«E allora? Che mi puoi dire di lei? Andrebbe bene per i nostri affari? È in grado di portare a termine operazioni come scambi, o contrattazioni?».
«Ma certo… mi ha aiutato in più d’un occasione, in più è l’ideale vista la sua sterilità».
«Ah… beh questa sì è una sorpresa».
«Infatti, quando me l’ha detto non ci credevo così l’ho fatta visitare da un mio dottore di fiducia, e in effetti l’ha confermato». Dopo questa frase vedo negli occhi di Matt uno scintillio di malizia, dopo di che la mia attenzione subisce una depressione improvvisa così perdo il filo del discorso. In cinque minuti, con la mia incessante fuga dalla realtà, riesco ad arrivare con i ragionamenti a capire perché è nato il detto ‘sta in campana’.
 
La mia mente, quasi totalmente inabissata in se stessa, riesce a tornare libera dopo indefiniti minuti di riflessioni leggere ma futili, e mi maledico per essere così distratta e infantile.
«Va bene Gin… sei stato molto utile, lo dirò a Sambuca. Beh, ti avvertirò quando avrò bisogno di lei, o di altre…».
«Oh, così mi piaci ragazzo mio. L’importante è che parli al caro buon vecchio capo della mia buona condotta».
Si salutano brevemente e poi ci incamminiamo verso l’uscita, mentre sento un misto di gioia e fame nello stomaco che reprimo, con la speranza di poter mettere a breve qualcosa sotto i denti.
“Già, a proposito. Lo devo dire a Matt”.
«Matt…». Inizio, con le labbra e la gola secche e una gran voglia di urlare.
«Sì…». La voce atona utilizzata con l’uomo per tutto il tempo, mi colpisce come una forte spinta sul petto, all’altezza del cuore.
«Ehm… ti seccherebbe portarmi da qualche parte?».
«In che senso?». La voce senza né tono né vita del ragazzo mi impressiona e preoccupa allo stesso tempo, e comincio a sospettare che non abbia veramente bisogno d’una risposta.
«Hai capito tutto, vero?!».
«Sì… Des… Ti capisco, ti capisco benissimo ma...».
“Questa pausa non mi piace per niente”.
«Devo sentire Sam». Sussurra. Proprio in quell’istante squilla il suo telefono, neanche farlo apposta.
«Pronto…».
«Perché mi chiami, Sam?».
«Oh, madonna che rapidità. Sei sicuro? Guarda che…».
«E va bene, va bene… calma, per dio!». Impreca, per poi mettere giù la telefonata e riporgere il cellulare nella tasca del giubbotto color cammello.
«Mr. ‘Comando io’ ha detto che posso portarti a mangiare fuori. Ma Des, perché non hai approfittato della ‘gentilezza’ di quel porco?». Mi chiede Matt, mentre siamo già lontani dalla casa di Gin.
«Perché mi chiedi? Sul serio Matt? Credevo fossi più intelligente. Ti prego, voglio solo rimettere il mio stomaco a posto».
«Cosa intendi con questo?».
“Era troppo bello che avesse anche capito che ho vomitato”.
«Ho…».
«Vomitato per l’ansia? E sei ancora a digiuno perché ti dispiace per quella donna? Beh, sono contento che su questo pianeta, tra le mie conoscenze, ci sia almeno una persona sensibile».
«Ma…?». Mi rivolge un sorriso bellissimo: un misto di divertimento per la mia ingenuità e di tristezza per la verità dei fatti.
«Ti conosco da parecchio, ricordatelo. Anche se devo ammettere che sei molto brava a mentire. Cioè, gente come noi ti può capire benissimo, infatti Sam mi ha chiamato per quello… ma… come posso dire? Hai quel che in più che ti permette per lo meno di nascondere che stai soffrendo come un cane». Un altro sorriso sereno ma triste.
“Ti ho fatto soffrire con la mia ‘debolezza’ Matt? Sì, credo proprio di sì. Mi spiace. Mi capita spesso di perdere il controllo di me stessa, e da qua la mia più grande debolezza”.
Abbasso il capo, impensierita da questa rivelazione.
«Ma non voglio che adesso ti metti in testa strane idee… Dobbiamo trovare un posto super appetitoso per la mia bella».
«Ma chi ha detto che sono tua?». Ride di gusto a questa mezza battuta.
“Ma cosa ridi, non era una battuta”.
«Ok, adesso andiamo alla Pergola».
«E va bene, Matt ho deciso di deporre l’ascia di guerra per il momento… solo, se la smettessi di chiamarmi in quel modo mieloso e ridicolo, mi faresti un favore».
«No, non posso farlo». Ride nuovamente.
“La smetterai, invece”.
«Beh… pensavo che volessi attrarmi…». Lo sguardo d’intesa che mi lancia, non lascia spazio ai dubbi.
«Forse è meglio cambiare argomento».
«Va bene, se ci tieni…». Rispondo con fare vago e fintamente deluso.
«Sì, e tanto anche». Ribadisce guardandomi in tralice per carpire le mie espressioni e capire dove voglio andare a parare. Dal canto mio, non vedo l’ora di liberarmi in una risata liberatoria.
“Tutta questa situazione in qualche modo la devo esternare e non posso portarmene dentro il peso, ma non è ancora il momento giusto”.
Penso con un sorrisetto, a stento trattenuto.
«Senti… non dico che sia brutto, figuriamoci ma… che vuoi farci? Mi dà fastidio… per un motivo ignoto». Finisco con voce ironica.
“Forse se gli faccio credere di prenderlo in giro si incavolerà, e poi gli passerà la voglia di sicuro. Almeno spero…”.
«Non crederai di darmela a bere, vero?!». Sorride guardando dritto davanti a sé.
“Già. Lo sapevo. Non è possibile coglierlo in fallo. A meno che non sia svenuto”.
Sorrido a questo ennesimo pensiero puerile, lui però deve essersi accorto di questa mia reazione perché emette una breve risatina soddisfatta.
“Cos’ha adesso da ridere? Sicuro che non mi legga nella mente ma… allora? Bah, gli uomini”.
«Te l’ho già detto che sei bella quando ridi? Ma non ti montare troppo la testa, altrimenti diventeresti una snob e non serviresti più». Termina con un sorriso affabile ma una fitta mi percuote e mi rivolta lo stomaco come un calzino.
“Come? Sapevo che era diverso da noi comuni esseri umani ma non pensavo dovesse essere stronzo, per questo”.
«Matt… tu sei…». Le parole vengono soppresse dalla rabbia che sale veloce e mi attanaglia la mente, impedendomi qualsiasi modalità comprensibile di espressione.
«Eh?».
«Fanculo. Andiamo a far sta cazzo di colazione».
«Va bene».
“E non si accorge di un cazzo”.
All’improvviso arriva di nuovo una chiamata al telefono dell’uomo, che infila la mano nella tasca sinistra del giubbotto senza dare attenzione a quello che fa, e risponde svogliatamente.
«Ehi…».
«Ma che ti urli? Sei mestruato?». Mi viene da ridere ma per fortuna sono ancora arrabbiata e poi, so che potrei essere sentita da Mello.
«Ah… eh… dicevo io…».
«E perché?». Il suo tono si fa confuso e scocciato.
«Ah…». All’improvviso si ferma e fissa imbambolato davanti a sé la strada, senza emettere un suono o muovere un muscolo.
«Va bene… arriviamo tra venti minuti».
«No, Sam. Non riusciamo in meno». Chiude la chiamata e spegne lo schermo del cellulare, per poi voltarsi verso di me e piantarmi lo sguardo addosso, e subito mi sento perforata da quei suoi grandi occhi verde-azzurri.
«Che c’è?». Gli chiedo divisa tra la confusione e la rabbia, che ancora non accenna a scemare.
«Te la sei presa per qualcosa che ho detto?». Comincia in tono sicuro di sé.
«Di cosa parli, Matt?». Faccio finta di nulla.
“E certo che me la sono presa, mona. Ma mica vengo a dirlo a te… un estraneo di cui non ci si può fidare”.
«Se lo sai, dimmelo. Non far finta di niente… con me non serve».
“Ma veramente sì… fino a poco fa, almeno. Non sembravi proprio essertene accorto. Se non fosse stato per quella telefonata…”.
Questo pensiero mi fa sussultare e capire che quella telefonata non è stata una semplice sfuriata da parte di qualcuno.
“Quel qualcuno era Mello, ne sono sicura e gli deve aver fatto notare che mi ha parlato in modo sgarbato senza accorgersene”.
«Dal tuo silenzio ne deduco che sì… te la sei presa, dico bene?». Afferma, con empatia.
«Invece, io ho capito che è stato Sam a farti notare quello che hai fatto».
“Questo dovrebbe bastare a ‘lasciargli in fronte’ un bello smacco. Alla faccia, da quando sono così competitiva e stronza? Bah, sarà l’influsso di sti due a contagiarmi. Sono la solita ingenua che si fa influenzare come niente”.
«Eh? Sam? Beh, in effetti sì».
“Già”.
Mi acciglio, perché questa storia può voler dire anche che verrò ferita di qui in avanti, senza alcun motivo.
“Non che mi aspettassi altro, comunque. Anche se mi fa credere il contrario, non vuol dire che tra i loro piani per me, ci sia qualcosa di buono nei miei confronti. Anche se sono tentata di credere che quel che è avvenuto poco fa non significhi nulla. Certo che, se invece di restarsene lì senza dir nulla, si scusasse magari sarei più invogliata a credergli”.
«Sei sempre d’accordo per l’andare a far colazione?».
“Ma perché quando gli uomini si accorgono di aver fatto una cazzata non devono mai ammetterlo e non si devono manco scusare? Brutti figli…”.
«Certo, il mio stomaco mica sta dietro ai miei pensieri».
«Giusto».
“Ma come siamo espansivi, Matt... ah, adesso che ci penso… è probabile che lui non lo sia affatto. Lo capirei, vista la vita che fanno…”.
«Matt… tu… ahm… non so se puoi parlare direttamente di te, però a ripensarci bene quando ti ho conosciuto mi hai raccontato anche troppo, perciò penso di poterti fare questa semplice domanda. Tu… non sei molto espansivo vero? E nemmeno molto sentimentale…». Lascio in sospeso la frase e solo lui può continuarla, anche se in realtà non ha niente da dire se non darmi una risposta, la quale dev’essere negativa altrimenti è la volta buona che mi verrà da urlare.
«Già, non sono mai stato molto a mio agio con le donne o con le persone in generale, con questo non dico che preferisco gli uomini, per carità… sono così stressanti. Invece, con voi donne il mio problema è che non riesco a starvi dietro, in un modo o nell’altro finisco sempre per sbagliare gravemente qualcosa».
“Beh, insomma… gravemente… adesso non esagerare Matt. Hai solo fatto una battuta riuscita male”.
«Beh, ma non è il caso di poco fa».
«Beh… allora vuol dire che stavolta è andata bene ma non mi va sempre… bene».
«Capisco… beh, forse è meglio che andiamo, altrimenti l’amico se la prenderà con te, poi». Mi spunta un sorriso sadico ma divertito, d’intesa e, infatti Matt ride e la tensione che si era creata si allenta. Sorrido dentro di me, perché una battuta o due con un amico, dopo tanto che non avevo occasione di farne, mi ci voleva proprio.
«Eccoci arrivati. Ti piacerà, fanno da mangiare cose particolari, rispetto a un normale bar. Gestito dai cinesi, va bene, ma non per questo è meno valido».
«Ah… e cosa danno da mangiare?».
«Vedrai». Mi sorride conciliante ma mi preoccupo.
“Mi fa solo entrare in confusione, non sapere in anticipo cosa posso fare… almeno quando vado al bar per ordinare qualcosa… Che pensiero idiota… dio”.
Mi tormento la coscia cominciando leggermente a grattarmi per il nervoso, sono ancora molto sensibile dopo gli eventi di questi giorni e in più non ho mangiato niente.
“Il nervoso mi sta facendo venir di nuovo da vomitare. No, cazzo, non voglio”.
«Matt, non riesco neanche a reggermi in piedi… ti prego scegli tu cosa potrebbe essere adatto a una ragazza che non mangia da giorni ed è… vegetariana. Mi raccomando».
«Ok Bellezza. Ci penso io».
“E Eureka…”.
Penso ironica.
“Invece di chiamarmi a vanvera… perché non pensi alle conseguenze delle tue azioni? Tipo che se mi sbatacchi di qua e di là poi sto male? Che diavolo…”.
Il quarto d’ora che abbiamo a disposizione passa in fretta ma mi permette di riprendermi, almeno spiritualmente. Mandando giù quei pochi semplici bocconi mi sento come rinascere, anche se sono perfettamente consapevole che non basterà a saziare la fame che si è accumulata in me. Entro i venti minuti stipulati, riusciamo ad essere nuovamente nel covo, e l’ansia per gli spazi chiusi, cosa che non mi ha mai preoccupata, torna a bussare imperterrita ma mi convinco che in realtà non sia che una sensazione. Mi sarà molto più facile concentrarmi sulla realtà se mi concentro su ciò che realmente sento, e non su ciò che dovrei o prevedo di voler sentire.
“La vita la devo vivere, e per farlo devo provare, rischiare ed essere forte. Non posso farmi fermare dal primo sentore di ansia che bussa alle bocche del mio stomaco”.
«Ehi Mello, finalmente non ti devo chiamare in quel modo da spastici». Matt saluta il suo amico chiudendo la porta e passandosi una mano sul viso per togliersi la stanchezza di dosso, definitivamente.
«Da che pulpito…». Risponde scorbutico il biondo.
«Matt… devo andare a fare la spesa. Mi raccomando, se viene qualcuno con una qualsiasi scusa, anche spacciandosi per me, non aprire. Io userò le chiavi». Il biondo agita sarcasticamente il mazzo di chiavi davanti all’amico dai capelli rosso fuoco.
«Ah, Mello. Quanto vorrei che non mi considerassi solo un nerd, idiota e sfigato». Si pronuncia Matt con finto rammarico, sorridendo sotto i baffi e guardando altrove. Il verso di stizza che arriva in risposta mi fa sorridere, e a stento trattengo l’impulso irrefrenabile di ridere, quell’impulso che mi perseguita fin da quando mi sono alzata stamattina e che finalmente, una volta uscito l’amico, potrò sfogare in tutta libertà.
“Aspetta Des, non è ancora uscito e poi deve allontanarsi altrimenti ti sentirà, e a quel punto sarà finita. Ancora un minuto o due”.
L’uomo di trentuno anni, biondo con gli occhi azzurri, il fisico asciutto ma con una cicatrice a dividergli il volto, e l’altezza nella media indossa un lungo Parka nero con il pelo molto lungo intorno al cappuccio, e si precipita come un forsennato fuori dalla porta.
 
 
Spazio autrice.
In questo preciso momento, esattamente come la mia protagonista sto attraversando una lieve crisi, la quale se non faccio attenzione rischia di farmi buttare nel cesso tutto quello che sto creando per questa storia e per tutto il resto, compresa la mia vita, in senso figurato ovviamente… ma anche un poco di verità c’è: perché in quanto artista, la mia vita è creata soprattutto attraverso la mia arte, e se quella creasse uno scompenso in me, diventerebbe il finimondo all’esterno. Starò straparlando? Boh, può essere… in parte.

Intanto auguro un saluto a tutte/i, e grazie del seguito e delle recensioni… di questo sono felicissima, e soprattutto di chi ha osservato che la storia è… ‘centrata in modo diverso’, rispetto alla maggior parte presenti su questo sito. Chi ha occhi per intendere, intenda, non faccio nomi… 0_eleonora_0. Vorrei tanto fare di più per tutti quelli che mi lasciano una recensione e leggono con passione quello che scrivo! Beh… in proposito vi invio un grosso abbraccio a tutte/i! Byye!!

Ah... PS: per chi se lo stesse chiedendo, la formula che uso per il titolo, cioè tre concetti separati da una virgola, sono tratti dallo stile dei titoli che rappresentano ogni capitolo, ovvero ogni episodio dell'anime Hunter x Hunter, solo che per non copiare spudoratamente ho messo appunto una virgola.

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Capitolo 13
*** Psicologie Inverse ***


Dodicesimo capitolo

"Psicologie inverse"
 
Dalla mia bocca esce solo una risatina leggera, essendo io ancora debole e affamata. Mi passo il dito medio sul naso, in un gesto involontario, come a voler sollevare qualcosa che in realtà non c’è.
“Adesso che ci penso… dove sono i miei occhiali? Li avevo sul terrazzo… almeno credo”.
I dubbi improvvisamente si sovrappongono al senso d’ansia e di chiuso che m’attanaglia, annaspo dentro di me e i pensieri si fanno confusi.
“Me li ha tolti lui? E dove li ha messi? Perché avrebbe dovuto togliermeli? E se, invece io non abbia mai portato gli occhiali? Ma che discorso è Des? Sei anche pazza oltre che una ciminiera di vomito? Oh dio santo… glielo devo chiedere? E se non mi risponde, come faccio? Ah, se avessi una mappa per la mia mente, che si colleghi al mondo reale… ma… aspetta, a proposito di mappa… il mio cellulare e il mio pc, ecc sono rimasti a casa mia e, se non li vado a riprendere faranno la muffa… io farò la muffa. Non sono niente senza di essi. Come farei a scrivere senza sprecare carta? Diavolo… Matt, ti prego, sono troppo orgogliosa per chiederti un favore, ti prego… arrivaci da solo. Se davvero mi hai pedinata dovresti sapere che sono dipendente da social e pc, quindi ti prego… portameli. Ho anche le mie storie all’interno. Voglio scrivere, Dio…”.
Inizio a sudare freddo e i miei occhi vagano irrequieti per la stanza come boomerang, spero probabilmente di avere un po' d’attenzione da uno come Matt, il quale in realtà è un ragazzo sulle sue, più interessato ai videogiochi che ad altro.
“Ma no, che vado a pensare? Mi ha dimostrato di essere interessato a me. Beh, comunque non ho alcuna intenzione di cominciare qualcosa con lui. Mi ha precluso le possibilità che mi ero prefissata di raggiungere la pace, e in più mi ha condannata a una vita in fuga”.
Lo strazio si impossessa del mio cuore ma un piccolo spiraglio riporta leggermente il sereno nella mia testa, ripensando alla mia famiglia, la quale è ancora là fuori ad aspettare il mio ritorno.
«Ehi Matt... hai tu i miei occhiali, vero?!». La mia domanda appare puramente ingenua, in realtà il tono di voce nasconde mille domande ed emozioni che non mi devono sfuggire, almeno finché il ragazzo continua a usare le mie stesse armi contro di me.
«Quali occhiali?». Mi risponde ma nella voce scorgo una punta di sarcasmo o consapevolezza che, non mi è ancora possibile decifrare con sicurezza. Decido, allora, di avvicinarmi e rifargli la domanda, fingendo di non aver sentito e quando gli sono abbastanza vicina, per impedirgli di ‘fuggire’ l’argomento sbatto le ciglia nel riporgli la domanda.
«Nh…». Il ragazzo ha un lieve sussulto, sufficiente a farmi capire che mi nasconde qualcosa, allora decido di tirar fuori il carattere: quello che non sapevo di avere.
«Sai… in questi giorni sono stata molto disattenta a quello che facevo ma… ti confesso che diventerei cieca senza i miei occhiali, e prima ancora sarei perseguitata dal bruciore agli occhi e, un conseguente mal di testa cronico. Ti prego, se li hai tu dammi gli occhiali».
“A prima vista sembra non fare una piega però la vedo quella incrinazione, se pur molto lieve, nella sua sicurezza. Mi spiace approfittare di te Matt ma dopo tutto quello che sto passando, non mi pongo scrupoli di questo genere. Infondo sto solo facendo la gatta morta… ma solo un po’”.
«Guarda che non li ho io». Ribadisce neutro.
«Ma io… ricordavo di averli sul tetto. Ne ero sicura». Faccio finta di perdere la sicurezza nella mia idea e abbasso lo sguardo demoralizzata.
“Se recito bene la parte lo convincerò sia a farmi riavere gli occhiali, che la mia famiglia, che la mia stessa vita. Spero di non essere troppo ottimista”.
«Ah… mi sono appena ricordato che i tuoi occhiali li ha Mello. Quindi, come minimo dobbiamo tornare nel covo».
“Lo sapevo che mi tirava fuori una qualunque scusa … ma cosa vuoi da me Matt? O come ti chiami? Chi ti credi di essere? Insomma, ho chiesto molto? No, voglio solo indossare i miei occhiali… e poi, ho forse dato segno di voler scappare o, di volermi vendicare? Non penso, eppure Matt… ti leggo in faccia che hai una fottuta paura che io provi ad attuare chissà quale mossa per sfuggirvi… quanto vorrei essere un po' più scaltra. Allora sì che ve la metterei in culo a tutti”.
«Sai cosa penso?». Matt mi rivolge uno sguardo sorridente e amichevole.
“È più probabile che mi stia ridendo dietro, come sempre. Maledizione alla mia debolezza… vorrei tanto tirargli un cartone ben assestato”.
«Cosa?». Chiedo, trattenendo l’ira che minaccia di emergere da un momento all’altro.
«Spero che questo non ti sconvolgerà ma il fatto di portare gli occhiali, per te potrebbe essere psicosomatico. Cioè, almeno parzialmente…».
«Può essere». Ancora trattengo le emozioni.
“Se lascio cadere il discorso forse… può essere… è probabile, che la smetta di cercare di intortarmi, visto che tra l’altro ci riesce spesso”.
Lo sento annuire, dopo di che volge lo sguardo altrove come a far cadere il discorso, apparentemente disinteressato ma riparte immediatamente alla carica.
«Potresti avere un complesso d’inferiorità che preme nella tua mente, e ti impedisce di capire il vero problema. A lungo andare, inoltre, questo può averti causato degli scompensi notevoli…».
«Con questo cosa vorresti dire?». Gli rispondo fingendo poco interesse sia nei gesti che nella voce, mentre il mio sguardo s’infiamma e la rabbia mi pervade la mente.
«Niente Des, niente…». Risponde Matt, con supponenza.
“Brutto…”.
«Vuoi dire che credo di non veder bene, o di essere intollerante al caffè o, quant’altro?». Chiedo al rosso, sardonica.
«No…». Questa volta la sua voce mi appare sulla difensiva.
«Sì… sì, invece… vuoi dire proprio questo». Lo sfido con lo sguardo e, i miei occhi si iniettano di puro rancore.
«Voglio dire… in un anno, per ben quattro volte li hai persi e due volte li hai rotti. Quindi, le motivazioni possono essere tre. O sei iper sbadata ma il tuo profilo psicologico non corrisponde a tale caratteristica. Oppure, hai voglia di liberarti dei tuoi difetti ma ovviamente non è possibile rimuoverli tutti. E infine, c’è la mia personale di teoria. Certi problemi non esistono veramente o… potrebbero variare o sparire totalmente, con un cambio radicale di vita». Continuo, chissà perché, ad ascoltare le sue menzogne ben architettate però ancora mi sfugge il movente del suo comportamento.

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Capitolo 14
*** "Stabilità" ***


"Stabilità"

“Ormai non so più neanche dove mi trovo. Sono a casa mia? O nel covo? Sono definitivamente impazzita, o sono solo troppo ubriaca per orientarmi? Non c’è altra spiegazione… non sapere nemmeno dove sono… ridicolo. Eppure… non lo so. Mi sono persa. Sono persa senza quei due pazzi. Loro mi hanno costretto ad amare la vita ma erano il mio unico appiglio ad essa stessa. Senza loro non riesco a togliermela ma nemmeno a viverla”.
«Dio!». Un’unica semplice parola mi esce dalle labbra, non una di più. Sono abituata a tenere tutto dentro, tutti i ricordi e i pensieri e le emozioni sono e restano sprofondate nei meandri della mia mente.
“Non riesco ad andare ne avanti ne indietro. Cosa assai strana per me che ero un continuo altalenare, come se lo spazio tempo per me fosse realmente relativo. Come se per me passato, presente e futuro potessero coesistere… ma non è possibile. È solo una mera illusione o un desiderio della mia contorta e sicuramente poco lucida mente. Invece, attualmente sono talmente stabile che mi faccio paura da sola, evidentemente quei due stronzi maledetti mi hanno resa così immune al male che non c’è più nessun male fisico che mi possa distruggere. Al contrario, il male psicologico è tale che la mia mente sta cadendo lentamente nell’oblio più profondo e prima o poi diventerò un vegetale. Scoprirò il segreto dell’umanità ma non potrò ne goderne ne condividerlo perché resterà tutto dentro la mia testa”.
Verso l’ora di pranzo, stranamente riconosco uno stimolo in particolare, sento la fame premere per essere saziata ma stranamente la mente questa volta decide di seguire l’istinto dettato dal corpo e mi alzo dal letto, dal comodo letto che in questi mesi sembra essere la mia unica ragione di vita.
“Perché io mi stia alzando, non lo ricordo nemmeno. Non ricordo di aver riavuto indietro le mie uniche ragioni di vita. Quelle che allo stesso tempo mi hanno distrutta e riportata alla vita… Mello… Matt… dove siete? Perché non siete qui, e perché io non posso essere lì con voi a vivere tutte le avventure possibili immaginabili che si presentano? Mello… tu… sei sempre stato troppo impulsivo”.
«Dio! Mello… tu sei sempre stato troppo impulsivo. Non ti sei mai accorto dell’amore che gli altri ti davano e hai sempre preferito fare di testa tua… Matt, tu invece ti sei lasciato schiacciare dall’immenso ego delle persone di cui ti sei circondato. Perché ragazzi? Perché non siete dei normali trentaduenni qualunque? Però se lo foste non ci saremmo incontrati, quindi che senso ha… ah! Ma sto parlando da sola… mio dio… sono proprio caduta di basso. Oggi andrò da una psicologa di fiducia dell’organizzazione e spiattellerò tutto quello che c’è da dire e che posso dire. Visto che ci sono parecchie cose da mantenere segrete a qualunque costo. Anzi… no, non posso. Dovrei saperlo ormai che non posso. Questa gente non è portata per la semplice seduta, mi analizzerebbe a fondo per i propri scopi e mi ritroverei con ancora più problemi psicologici e creerei solo problemi ai miei amici. No! Ho deciso, comincerò ad uscire facendo qualche passeggiata, oppure andrò al bar o in disco e conoscerò uno o anche due, tre uomini. Mi distrarrò in qualche modo. Uff! Però… se sapevo che parlare ad alta voce faceva sentire meglio, l’avrei fatto fin da subito, a costo di urlare come una pazza incallita». Mangio qualcosa al volo, e mi dirigo verso una strada erbosa che segue il fiume, che un tempo apprezzavo particolarmente.
È pomeriggio inoltrato ma ancora non mi stanco di vagare senza meta e senza uno scopo, infatti arrivo all’ora di cena con lo stomaco in subbuglio e, per niente la voglia di dirigermi in un pub e addentare qualsiasi cosa di commestibile.
“Ora come ora posso anche guardarmi intorno ma non vedrei altro che desolazione. Essendo io parecchio in balia delle mie emozioni non posso mancare di cadere preda di dipendenze e depressione. Ho bisogno di un appiglio alla realtà ma ora come ora ho voglia solo di affogare nel mio alcol. Mihael… Matt, mi mancate”.
Questi sono i miei pensieri, nel frattempo che i piedi ignari mi hanno portata quasi alla fine della strada, in una zona costellata di imbarcazioni di vari generi, un clima con un’aria più pulita, senza nebbia e col cielo leggermente terso rispetto al centro città. Mi avvio verso il ponte più vicino e, con lo sguardo perso nel vuoto della mia infinita tristezza, appoggio i gomiti sul corrimano in legno scuro. I pensieri corrono veloci ma per quanto siano frenetici non mi portano che a due sole persone, e le avventure vissute con loro. Resto immobile per qualche minuto, fissando nulla in particolare, facendo correre pericolosamente gli occhi da un oggetto all’altro. Poi, la mia attenzione ricade inevitabilmente sulla cresta dell’acqua, imperturbabile e tranquilla che improvvisamente mi chiama a sé. Guardo un punto in particolare dove il livello del fiume è più basso.
“Perché mi interessa di nuovo il suicidio, tutto a un tratto? Cos’è cambiato nell’ultima ora? O è passato di più? Forse sì, ricordo di aver fatto questa strada con Matt e Mello e ci abbiamo impiegato ben quattro ore per completarla camminando tranquillamente. Adesso sono più o meno a metà, di conseguenza saranno passate due ore dalla mia partenza dal covo. Ma poi, cosa importa quanto c’ho impiegato? Ah… sono così abituata ormai a contare i secondi in situazioni di pericolo che il mio cervello lo fa in automatico. Comunque, sono caduta talmente in basso da volere il suicidio? Sì. È questa la verità… la mia famiglia non mi capirebbe mai, e non voglio coinvolgerli nei giri pericolosi che hanno coinvolto me, e Mello non so neanche lontanamente dove sia, potrebbe essere a Timbuktu in Mali, o essere dietro di me senza che io me ne sia accorta finora… tanto sono distratta”.
All’improvviso, sento un suono tanto conosciuto quanto agghiacciante alle mie spalle. Quando poi, attratta mi volto, non vedo ne sento più nessuno.
«Definitivamente sono pazza. Sento Mello che mangia cioccolata anche in giro per la strada, non solo in quel cazzo di covo immerso nei fumi dell’alcol e della droga. Dio…». Impreco impetuosa battendo un pugno sul corrimano, colpendo con le nocche e provocandomi altro dolore, quello però che mi tiene stabile e ancorata a me stessa.

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Capitolo 15
*** Ritrovarsi x Capirsi x Perdersi ***


Ritrovarsi x Capirsi x Perdersi

POV MIHAEL

«Se riuscirai a riprenderti... giuro che diventerò buono e docile... solo con te s’intende. E so che vorresti un po’ d’amore anche per gli altri... ma non ne ho bellezza. Ti dovrai accontentare».
«Mel... Mihael ma... che?».
"Dai donna... qualche parola in più la puoi anche esprimere, non trovi?! Ah dio... questi italiani".
Questo è il mio pensiero sulla ragazza che mi sta di fronte ma sul mio viso si forma un’espressione a me ‘sconosciuta’. Continuando a muovermi nella sua direzione, le sono arrivato dietro, a sua insaputa. In questo modo, se proverà a cedere alla propria ‘sensibilità’, sarò subito pronto e dovrà irrimediabilmente dire addio ai suoi intenti suicidi.
"Però... nonostante la sua instabilità adesso che mi sono mostrato a lei, di sicuro abbandonerà ogni desiderio di questo genere".
Anche questo penso, subito dopo essermi appoggiato con i gomiti al corrimano.
«Già Des, che ti piaccia o no, sono di nuovo qui. Pensavi potessi essere fermato da così poco? Tsz!». Questa mia domanda affermativa non corrisponde a verità ma la mia maschera di freddezza e invincibilità può cadere solo di fronte a quattro persone in tutto il mondo... due delle quali sono morte anni or sono, quand’ero ancora un lattante, quindi solo questa strana ragazza e il mio amico Matt possono vedermi esattamente per quello che sono. D’altronde, io non sono altro che il risultato degli esperimenti degli scienziati e degli psicologi della Wammy’s house, e non sarò mai nulla di più.
«Non ci credo... tu... tu sei qui... sei proprio qui Mihael, sei proprio qui... sei proprio qui... oddio, sei pr...».
«Falla finita donna. Sì, sono qui, non serve ripetersi all’infinito». Blocco sul nascere ogni forma inutile di ripetizione o effusione, cose troppo invadenti per la mia indole violenta: come la descrissero al tempo gli psicologi che ‘tanto ho amato’ alla Wammy’s. Questo era il mio intento ma invece qualcosa va storto perché mi ritrovo le sue braccia, fredde ma morbide, attorno al collo.
"Ma che cazzo le passa per la testa? Oh, forse non avrei dovuto sorriderle... non sono stato molto credibile. Diavolo... i miei piani di mostrami il più distaccato possibile, andati in fumo... persi al vento".
«Des...».
«Oddio! Scusa, scusa... dimenticavo... tu non puoi dare affetto, e quindi inutile darne a te, giusto?!». Ripete le mie parole con un sorriso smagliante.
«Esatto!».
«Invece tu devi sapere una cosa di me... non me ne importa un fico secco di quello che mi dici... Mello... io continuerò a darti tutto l’affetto che voglio. Indipendentemente che tu lo voglia, o no... sai perché?».
«Lo so benissimo come va a finire il discorso... e fermati qui». Ordino perentorio ma purtroppo nell’ultimo anno che son stato lontano dalla malavita ho abbandonato la stoffa del comandante, infatti la ragazza nuovamente mi abbraccia stringendomi più forte che può. All’improvviso un odore forte di alcol mi investe le narici, non mi sono mai abituato del tutto a quest'odore. Ma Des, è sempre stata molto più avanti di noi, però questa sua caratteristica fondamentale, è anche quella che, se non tenuta strettamente sotto controllo, può distruggerla in men che non si dica. Io e il mio amico siamo stati abituati fin dalla tenera infanzia a tenere a bada la nostra mente, lei no. Lei è talmente incline alla depressione che potrebbe tagliarsi le vene qui e subito, con la tecnica che di recente aveva messo a punto poi, le cose sono peggiorate ancora di più. È anche per quello che non ce l’ho fatta più, e me ne sono andato.
«E invece no, no che non lo sai cosa voglio dire... sapevi che voglio assolutamente recuperare Matt, o che voglio dargli un’altra possibilità, o ancora che mi mancate da morire? Immagino che queste cose non le hai affatto immaginate... eh, caro il mio comandante deciso e prepotente?».
«Cosa dovrebbe essere quello, un insulto?». La canzonò.
«Mello...».
«E va bene... Però non chiamarmi mai più con quel nome... te lo concedo solo per sbaglio... so quanto sbadata sei e, non me la prenderò se per sbaglio ti scapperà ogni tanto... infondo hai dovuto ripetere quel nome per almeno un anno, e in ogni caso un pò mi ero abituato anch’io a sentirlo affibbiato alla mia persona, ma non è mai stato veramente mio». Esprimo questo pensiero a Desdemona, parlando con un velato tono di nostalgia, alquanto stonato per la mia abituale risolutezza.
“Io che faccio concessioni? Sono proprio caduto in basso... e tutto, per questa brutta e insulsa donna italiana. Chi me l’ha fatto fare quella volta di farla salvare da Matt...? Potevo benissimo obbligarlo a restare bello bello tranquillo nel covo, e lui probabilmente l’avrebbe fatto. Ci saremmo anche risparmiati di perderlo. Dio... Mail, amico mio. Perdonami".
Mi riscuoto da questo pensiero che per sempre mi attanaglierà la memoria, perché nel frattempo Des mi ha abbracciato di nuovo.
"Come non bastassero le prime due volte, a farmi venire il volta stomaco".
Mi scappa una smorfia di fastidio che lei, attenta, nota subito.
«Sei sempre molto affettuoso Mel... Mihael. Ma... una domanda... con la mafia è tutto a posto? Cos'hai combinato in questo anno che te ne sei andato? Non ti chiedo neanche i dettagli. Potrei stare male...». Mi guarda ammiccante.
«Preferisci non saperlo principessa, credimi. Comunque, fidati хороший (carina), non abbiamo più niente da temere. Eravamo in quella situazione per causa mia. Quel maledetto me lo disse chiaramente il motivo delle sue intenzioni: era mosso da un antico rancore di suo padre verso di me... e tutti coloro che mi erano vicini. Perciò, una volta allontanatomi da voi per tenervi il più al sicuro possibile, mi sono diretto subito da quel succhia seno, ed ho indetto una festa in suo onore: l’ultima». Termino con un ghigno soddisfatto.
«E quella volta... oh, se mi sono divertito. Hai presente "l’ultima cena" il quadro? Ecco... tra suppliche e gemiti sono riuscito a fargli fare di tutto. Anche a riprenderli». Rido di gusto a questo ricordo.
«Ti ho sempre detto che non voglio i dettagli delle tue stragi. Preferisco vederle sulla scena, che sentirle raccontare da te». Fa finta di rabbrividire come se l’abbia sconvolta, reazione che mi provoca un’enorme ilarità, tutte le volte che la vedo da lei.
«Va bene, va bene Des... non andrò avanti, non ti dirò che...».
«Ehi, ehi! Ho detto no...». Urla puntandomi il dito contro, snello e scattante. Questa sua reazione ha un che di esilarante ma allo stesso tempo mi fa sorridere quasi teneramente. Sono abituato a un ambiente falso e malato, quindi le sue emozioni mi scaldano il cuore. Sembrava impossibile che Io potessi provare qualcosa, e alla fine è riuscita a fregarmi. Dev’essere una strega, se è riuscita in un’impresa del genere... con me nessuno è stato in grado di smuovermi dai miei obiettivi, e dal mio muro d‘indifferenza e di crudeltà. Alto e sconfinato muro.
«Allora... glupaya devushka (sciocca ragazza), vuoi ancora buttarti o preferisci seguirmi fino all’ospedale per recuperare il tuo "amico"?». A questa frase la giovane sbianca impercettibilmente e le muoiono le parole in gola.
«Mello... ma come puoi parlare di Mail, il povero Matt in questo modo? Non possiamo andare a prenderlo così, non sappiamo se sia guarito, o se potrebbe avere delle ricadute. Inoltre... temo sia io in qualche modo, la causa maggiore scatenante della sua malattia». Le lacrime le riempiono gli occhi ma non scendono, è troppo orgogliosa per permettere loro di manifestarsi in tutto e per tutto, preferisce trattenerle.
«Vedi Des, te lo avrò spiegato mille e più volte... se Matt ha un problema con te che non dipenda direttamente da te... non è affar tuo».
«E ti ho risposto ogni volta che affar mio o no, non voglio che gli altri soffrano per colpa mia, non senza meritarlo davvero».
«Disse quella che tagliò la testa di questo e quello senza battere ciglio».
«Ehi... ero obbligata...». Mi risponde la ragazza dai capelli lunghi e verdi, con uno sguardo misto delle precedenti lacrime e di derisione, che contraccambio con piacere.
«Certo... anch’io ero obbligato ad entrare nella mafia la prima volta». Entrambi scoppiamo a ridere di gusto e dopo un minuto lei finisce per abbracciarmi di nuovo, questa volta con più trasporto, in modo più intimo.
"Da quando do peso a certi dettagli? Beh certo, sono abituato ad essere abbracciato per essere derubato delle armi... o ad essere abbracciato dalle prostitute... se penso questo, é ovvio che per me un abbraccio sentito sia un evento insolito. Ah Des, se Mail non fosse andato in malora, sarei l’uomo più felice del mondo. Beh, nulla vieta che io possa diventarlo, mi basterà aspettare il momento e l’occasione gusta...".
«Me lo dicevi spesso... ricordi?».
«Cos’è che ti dicevo Mel... ehm, Mihael?».
«Che per la felicità bisogna aspettare il momento e l’occasione giusta...». Sulle prime mi guarda stranita, ma subito dopo capisce il mio ragionamento, e lo sguardo le si illumina. Si addolcisce, al pensiero di ciò che ho detto.
«Sì Mihael... proprio così, bisogna crederci e aspettare».
«Ok principessa ma adesso non fare la filosofa, sai che non lo sopporto».
"Nonostante le mie parole scostanti, non posso trattenere un sorriso di compiacimento per ciò che ho raggiunto in questi tempi, e soprattutto per la sicurezza che Des ha acquisito. Come minimo le devo questo sorriso... quello che non le ho mostrato quella notte. Però, non sono qua per questo. Basta chiacchierare".
«Senti Des, che tu lo voglia o no, stanotte ti porterò da lui, e tornerà con noi nel covo. Ho trovato un lavoro sicuro e legale per tutti e tre, così saremo puliti d'ora in poi». Le si spegne appena il sorriso.
"Le fa piacere tornare pulita ma non sopporta l'idea di rincontrare dopo tanto tempo il suo vecchio amore. Prevedibile come sempre".
Lei distoglie lo sguardo dal mio, segno che, per l'appunto, è rimasta delusa, e da un momento all'altro, può rinchiudersi in se stessa.
"La capisco, non dev'essere stato facile per lei in quest'anno senza noi, senza nessuno. Però... non posso aspettare tutte le tue benedette fasi di ripresa. Non posso obbligarti a venire ma mi basterebbe fare perno suoi tuoi sentimenti per Matt, però no, non sono più un manipolatore. Quella parte di me deve scomparire nel nulla cosmico. Le farò credere semplicemente che la lascerò scegliere di seguirmi o no, tanto alla fine cederà anche da sola. La conosco fin troppo bene".
«Des... a te la scelta. Io non mi opporrò». Lei si fa pensierosa, segno che sta analizzando le mie parole e il loro reale significato, e, come volevasi dimostrare non si accorge o evita di accorgersi del mio bluff; quindi, senza indugio ne malizia mi stampa un bacio sulle labbra. Preso alla sprovvista mi stacco dopo poco, con un misto di sorpresa e disgusto. I rimorsi non hanno mai fatto parte di me ma da un pò di tempo sono cambiato radicalmente, quindi era inevitabile la mia reazione. Al che Desdemona si distacca da me e abbassa il suo sguardo intenso, per riflettere sul perché sembri che all'improvviso le donne mi siano diventate repellenti. Poi, evidentemente comprende.
«Mi dici che non devo preoccuparmi delle reazioni di Mail alla mia persona ma... vedo che te ne preoccupi molto più di me... caro il mio leader, calcolatore e spietato».
"Colpito e affondato, come i suoi sentimenti del resto ma d'altronde se non inizia a tenere a freno la sua ingenuità, non farà altro che distruggere tutto ciò che di buono c'è in lei. D'altro canto, però... non è compito di un vero leader raccogliere i pezzi dei propri compagni?". Mi domando, già con il voltastomaco in corso per ciò che dovrò compiere, e non c'è bisogno di risposta.
«Des...»
«No, andiamo a recuperare Matt...». Dice risoluta ma ancora le sue gambe non accennano a spostarsi, quindi insisto.
"Potrebbe anche destabilizzarsi... ma...".
«Des...». Ribadisco con più enfasi, cercando comunque di mantenere il controllo.
«No, niente Des...» nel proseguire poi, le si incrina la voce «In tutti questi anni che vi conosco, mi hai sempre tenuta in sospeso» vacilla pericolosamente «Ogni giorno avrei voluto chiederti cos'avessi. Volevo conoscerti meglio, sapere di quella donna di cui ti eri tanto interessato; eppure mi sono sempre fatta gli affari miei, per non distrarti dai vari obiettivi, e alla fine...». Le si inumidiscono gli occhi nuovamente ma subito riprende il controllo di sé, e ribadisce la propria posizione.
«Ho detto no... senti non me la sento di...». Tronco volentieri la sua frase a metà, perché so benissimo che vuole dirmi di lasciarla andare da sola.
"Primo Little Des, non posso permettere che con le tue emozioni esagerate rovini tutto il mio piano in un attimo; e secondo, ti devo stabilizzare. Sembro ancora un opportunista? Sì, e me ne sbatto altamente, perché non lo sono più".
Capisco che non c'è altra soluzione se non agire, e le tappo la bocca con non curanza, fermandole invece la schiena, e quindi i movimenti con l'altro braccio. Prova a divincolarsi e non riuscendovi le si iniettano gli occhi di sangue, caratteristica acquisita negli ultimi mesi, immagino. Al che capisco che sto per perderla e mi costringo a fare l'unico gesto che vuole. Darle un bacio. Dura poco, le sue lacrime e i singulti appena accennati le fanno abbandonare le mie braccia e... le mie labbra.
"Per lei erano un porto sicuro, che ora ho incrinato forse irrimediabilmente. È brutto essere donna, almeno quando sei Veramente donna".
La abbraccio per evitarle lo svenimento imminente ma serve a poco. Il mio egoismo è il più feroce degli squali, il più devastante degli tsunami, il più duro e freddo ghiacciaio del mondo; quando fa capolino può distruggere anche, appunto, il cuore di una Donna.
«Hai il cuore malandato, povera Des. Appena avrò recuperato Matt, te lo assicuro, non attenderò un secondo e ricostruirò anche te. Infondo, è colpa mia».
"Cos'ho appena ammesso? Devo essere totalmente impazzito, però se è giusto è giusto".
Smette qualche secondo di singhiozzare ed evidentemente si accorge anche lei che mi sono alzato addossato una mia colpa.
"Cosa del tutto speciale e unica se si parla di me, a parole non ammetto mai la sconfitta o un errore, anche se so benissimo di essere un uomo: Soltanto un uomo".
Mi guarda spaesata e cerca qualcosa: domande, risposte e non sa bene nemmeno lei cosa, ma per ora la priorità è tutta concentrata sul mio migliore amico.
"Devo assolutamente escogitare qualcosa per  farlo uscire da quel cazzo di  manicomio, e portarlo da Near".
«Vieni Des, andiamo a riprendere Mail». Di nuovo le si illuminano le iridi e il mio cuore ha un sussulto, poi un altro. Uno per il suo sorriso, e un altro per la punta di gelosia che sta per colpirmi al pensiero di come finirà, tutto in un soffio, tra me e lei. O meglio, per ciò che ricomincerà tra lei e Matt. Nonostante l'apparente felicità, il suo umore sembra ancora sotto le scarpe.
"Non me ne importa niente, se vorrà tornare insieme a Mail, ben venga. Per una volta la mia sete di vendetta e di potere si farà da parte. Per lui lo farei a occhi chiusi, e lo farò. Sicuro al cento per cento che lui sia ancora innamorato di questa bellissima ebete frignona. Bellissima? No, no. Non è bella, e non mi interessa. Basta cazzate".
«Tesoro. Nel frattempo che andiamo voglio fare un piccolo discorso, che non vuole assolutamente essere una liberazione dalle mie responsabilità verso di te...». Provo a dire ma vengo interrotto bruscamente.
«Sta zitto». Sorrido.
"Ho aperto una breccia nella depressione che l'attanaglia".
«Te lo dirò lo stesso: posso anche ferirti. Tu non dimenticare mai chi sei e cosa sei diventata».
«Ho detto sta zitto, cazzo!». Ripete con più fervore, e capisco che non posso più fare altro se non lasciarle un po' di spazio, nonostante non ci vediamo da ben un anno, un mese e venti giorni.
«E va bene». Le concedo.
"Il discorso può anche dirsi concluso. Continua principessa, continua a districarti dal mare di pensieri negativi".
Nel frattempo però, ai miei occhi la ragazza non smette di apparire pensierosa e assente.

POV DESDEMONA

"Se penso a tutte le volte in cui sono stata male, a causa dei comportamenti violenti e scostanti di quest'uomo, o al fatto che ci sono andata a letto... Oddio, ho tradito Matt, Mail... Ti ho tradito, e per questa persona. Mi odio per come sono andate le cose, e tanto. Mi dovevi lasciare morire Michael, ma no... tu vuoi dei sudditi che stiano dietro alle tue manie".
«Ok».

POV MIHAEL

Io l'assecondo, conosco bene la mia boccaccia, potrebbe sputare fuori solo cattiverie.
"Questa risposta a una domanda inesistente non è un buon segno. Di sicuro vorrà farmi capire, se non altro, che l'ho ferita... patetica. Anzi no, questo non sono più io, sono diverso ma... non posso neanche cambiare il passato, quindi forse sarebbe meglio per lei evitarmi, in futuro. Non sono una compagnia adatta... a nessuno, in effetti".

Grazie della lettura.
Spero apprezziate questo capitolo, è uno dei miei preferiti e comunque fa parte della storia, quindi ci tengo a prescindere. Beh ditemi se c’è qualcosa che non va o che non vi convince, e buona scrittura a tutti, belli e brutti. Ehhehehe
Ringrazio tantissimo NicoRobs per tutto quello che fa per me e la mia scrittura e JAPAN_LOVER perché recensisce sempre ogni capitolo e lo fa con attenzione ma anche calore.
Grazie mille. Adesso, non dirò che scrivo per gli altri perché non è vero… ma devo ammettere che preferisco fare conoscere a tutti una mia storia, che tenerla per me, inoltre anche sapere cosa uno ne pensa lo apprezzo tantissimo… perché vuol dire che sto facendo qualcosa in modo giusto, utile e apprezzato.

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