Disclaimers:
These characters don’t belong to me. Eventual issuing gets me no
profits. All rights reserved to the legitimate owner of the copyright.
Secondo capitolo delle avventure del
povero Merlin... a pochissimi giorni dall’uscita del primo episodio
della seconda stagione mi sento vagamente ispirata, che dire, devo
mettermi sotto, ho moltissime fic da continuare e non intendo
abbandonarne nessuna, sono piuttosto possessiva con le mie creature...
^___^
Capitolo abbastanza lungo, come da pronostico, oh cielo, vedere Uther
in tutta la sua fainaggine mi ha reso felice, certe cose non cambiano
mai... XDDDDDDDDDDDD
Un bacio e tutti coloro che mi hanno
ringraziata per Segrete, sono commossa ç.ç grazie a voi!!!
Mel Kaine
The enemy is within, everywhere
and with him the light, soon they will be here
go now, my lord, while there is time
(War of wrath - Blind Guardian)
†Capitolo
II
Merlin galoppava veloce come il vento stesso, abbassato sul collo del
suo cavallo, gli occhi che saettavano dalla strada davanti a sé
all’anello incandescente e soffocante attorno al suo dito e di nuovo
alla strada.
Poteva intravedere finalmente i torrioni oltre le cime degli alberi.
Era sembrato un viaggio eterno anche se non poteva essere durato che
un paio di misere veglie.
Merlin era nei campi quando per la prima volta l’anello si era stretto
attorno al suo dito. Il giovane mago aveva lanciato un gemito di
sorpresa ed aveva lasciato andare il covone di grano che stava
trasportando. Un bacio a suo madre ed era partito subito. Sarebbe
potuta anche essere una sciocchezza, ma il suo istinto continuava a
gridare e anche se fosse stata una cosa da nulla era impensabile
restare un’altra notte ad Ealdor mentre l’anello di Arthur annunciava
che il principe era in difficoltà. E così era partito subito e adesso
ne era grato oltre ogni possibile parola. Poco dopo la stretta si era
fatta da tenue a decisa e quindi opprimente. L’anello si stava
stringendo attorno al suo dito con forza ed era innaturalmente caldo.
Presto.
Presto, si disse, lanciandosi al galoppo nel fitto della foresta.
Il ponte era abbassato, le guardie non erano al loro posto.
Pessimo segno.
La piazza sembrava gremita.
Il fiato spezzato, i capelli scompigliati dai rami e dal vento, gli
occhi pieni di paura.
Merlin si fermò non visto a lato della piazza grande e sentì il cuore
mancargli un paio di battiti.
Arthur.
Sul patibolo.
Arthur.
In pericolo.
Uther.
Legato.
Arthur.
In ginocchio accanto al boia.
Arthur.
La scena lo colpì in tutto il suo orrore un istante dopo, mentre un
uomo dava fuoco alle fascine ai piedi di Uther ed il boia sollevava
l’ascia.
L’anello pulsò dolorosamente un’ultima volta e da lontano Merlin poté
vedere le labbra di Arthur schiudersi e pronunciare qualcosa.
Un brivido fortissimo lo percorse, quando sentì nella testa il proprio
nome.
Senza domandarsi niente e senza pensare a nulla che non fosse la
salvezza dell’uomo che amava Merlin stese la mano. Neanche le sussurrò
le parole che gli servirono. Le gridò nella propria mente e scatenò un
inferno di sabbia e vento.
La tempesta si levò da terra, davanti alle zampe del suo cavallo e
come fumo si sparse nella piazza accecando i suoi nemici, accecando
tutti tranne Arthur, spegnendo le fiamme ai piedi del re.
Un altro incantesimo e la corda attorno alle mani del principe si
sciolse. Egli si alzò dunque in piedi in un istante e disarmò il boia,
derubandolo della spada. Poi si volse. E si guardarono.
Nel mezzo di quella tempesta magica, ad un soffio dalla morte, si
guardarono ed Arthur gli sorrise.
Ed il suo sorriso significava fiducia. E amore.
Un attimo ancora e Arthur saltò giù dal patibolo e corse verso suo
padre per liberarlo.
La folla lottava contro la sabbia, ma la magia di Merlin non poteva
durare in eterno.
Arthur afferrò suo padre per un braccio e tentò di portarlo via.
Erano circondati, il vento si stava placando, già qualcuno si stava
muovendo per catturarli nuovamente.
Arthur tentò di raggiungere la prima cerchia muraria, in una corsa
verso una qualsiasi delle postierle che avrebbero potuto condurre lui
e suo padre alla bassa corte.
Ma la folla bloccava le possibili vie di fuga anche in quella
direzione ed il principe fu costretto a ripiegare, guidando il re
dentro al castello.
Si volse un ultimo istante, per vedere ancora Merlin, per chiedergli
di restare salvo mentre Arthur compiva il suo dovere e portava via il
loro sovrano, per chiedergli con lo sguardo di seguirlo, di
raggiungerlo. Perché egli lo avrebbe aspettato, sempre.
Merlin comprese ogni parola non detta di quel dialogo di sguardi e
quindi annuì.
Un battito di ciglia dopo li vide sparire dentro al castello.
+†+
Insieme padre e figlio si mossero veloci attraverso gli anditi vuoti,
oltre la corte interna, oltre la grande sala, verso la sala del trono.
L’unica sala con porte robuste, l’unica che poteva accoglierli,
nasconderli. Ma Arthur sapeva bene che stavano correndo verso una
trappola. Rinchiusi come topi poteva immaginare il suo stesso popolo
dare fuoco alle porte, bruciarli dentro il loro stesso castello,
accanto al trono.
Ma non v’era altra scelta, non adesso.
Continuare a fuggire senza meta avrebbe segnato la loro rovina e
combattere il suo stesso popolo, Morgana, i suoi cavalieri, era
semplicemente impensabile.
Raggiunsero le porte, ne sbarrarono una, ma quando Uther fece per
chiudere completamente anche l’altra Arthur lo fermò.
Il viso severo del re chiese silenziosamente una spiegazione per
quella follia.
Arthur rispose con la verità.
“Sto aspettando Merlin”.
Uther sbuffò, incredulo.
“Il tuo servo non è al castello”.
“E’ tornato” disse Arthur, scrutando ansiosamente i corridoi. Sentiva
voci piene d’odio avvicinarsi, gridare il nome della sua casata,
giurare morte e vendetta.
Uther fece un passo avanti, per esercitare tutta la sua autorità e
porre fine a quell’insana testardaggine.
“Se anche fosse sarà impazzito, come tutti gli altri. Non ti
riconoscerà”.
Nel crescendo irato della folla che avanzava Arthur si volse, un
sorriso calmo sul viso pallido, un sorriso pieno di fiducia.
“Merlin mi riconoscerà, padre. Mi riconosce sempre”.
E nuovamente si dispose ad attendere.
+†+
Merlin correva per i corridoi, gli occhi dorati, le mani alzate
davanti a sé a protezione.
In qualche modo, pensò, avrebbe dovuto immaginarlo.
Dopo la morte di Nimueh avevano beneficiato di un relativo periodo di
pace.
Niente epidemie misteriose, niente bestie immortali, nessun cavaliere
risorto, nessun calice avvelenato.
Ma Merlin si rimproverò una volta in più la propria ingenuità.
La morte di un singolo nemico, per quanto temibile e potente, non è
mai la fine di tutti i mali.
In verità sì, avrebbe dovuto aspettarselo.
La magia, in quanto essenza a se stante poteva essere combattuta, un
mostro demoniaco poteva essere reso vulnerabile, un’epidemia poteva
essere fermata, un cavaliere poteva essere ucciso di nuovo, al veleno
si poteva trovare un antidoto, ma come poteva la sua magia o qualsiasi
altra cosa, fermare quella follia?
Oltre le spesse mura di pietra del castello ed in ogni angolo
dell’intera Camelot risuonavano le urla inferocite del popolo.
“A morte i Pendragon! A morte i Pendragon!”
Le porte erano state aperte dalle stesse guardie che adesso avanzavano
minacciose brandendo le loro alabarde. I servi e le serve cercavano
impazziti ogni stanza, fra di loro Gwen, la buona, pacifica Gwen che
rivoltava letti e strappava tende nella speranza di trovare il
principe ed il re ed ucciderli. Lady Morgana avanzava decisa con una
spada, Gaius seguiva i cavalieri, armato di bastone.
Il loro mondo era totalmente fuori controllo.
Era magia.
Merlin poteva sentirla.
Magia potente che aveva creato, questa volta, un nemico che Uther e
Arthur Pendragon non potevano imprigionare o arrestare o decapitare.
La magia perfetta, rise cupo fra sé e sé il giovane mago.
La magia che in un colpo solo aveva spogliato Uther di tutto il suo
potere. Che cosa è un re se non un uomo comune quando non ha nessuno
su cui regnare? Un re può ordinare perché qualcuno eseguirà, può
arrestare perché arriveranno delle guardie e può decidere della vita e
della morte perché il popolo si lascerà convincere che egli ha il
diritto di farlo. Ma quando non v’è più nessuno il re non è un re e
l’ordine naturale delle cose è perso per sempre.
L’inizio della fine.
Merlin corse. Corse come se avesse la Nera Signora alle spalle.
Doveva raggiungere Arthur prima di tutta Camelot o sarebbe stato
troppo tardi.
Conosceva la morale del principe, la sua abnegazione e la sua totale
devozione verso il popolo. Arthur non avrebbe ucciso nessuno di loro e
si sarebbe lasciato trafiggere dalle spade dei suoi stessi cavalieri
piuttosto che levare la lama su di loro. E Uther? Probabilmente
avrebbe combattuto con più caparbietà e meno considerazione, ma se il
suo prossimo avversario avesse avuto il viso di Lady Morgana anch’egli
sarebbe caduto.
No.
Non poteva permetterlo.
Arthur era la sua ragione d’esistenza e tutta la sua priorità.
Lo avrebbe raggiunto e lo avrebbe protetto, a costo della vita, come
ogni volta, come sempre.
Quando lo vide, quando vide la sua testa bionda contro lo stipite
della porta della sala del trono il suo cuore batté una volta di più.
Lo stava aspettando.
Come si erano promessi.
Mai dove non é l’altro.
Questo si erano giurati prima di ogni battaglia e questo continuavano
a fare, sempre.
Il suo Arthur.
I suoi occhi azzurri fissi su di lui, il suo mezzo sorriso, così
arrogante, era la cosa più bella che avesse mai visto in quei momenti
di angoscia, in quella follia di volontà piegate.
Fece per raggiungerlo quando vide un gruppo di guardie scorgerli,
correre verso di loro.
I polmoni bruciavano già, ma Merlin scattò in avanti con tutta
l’energia che gli era rimasta e le sue dita strinsero quelle di Arthur
un attimo prima che tutto finisse ed il principe lo tirò dentro,
chiudendo la porta contro le lance che erano state scagliate nella
loro direzione.
Per un attimo l’unico suono fu il respiro affannoso di Merlin.
“Arthur…”
Il rumore di ferro sguainato li fece volgere.
Uther aveva preso la spada da cerimonia che teneva abitualmente presso
il proprio trono e adesso la brandiva contro Merlin, sfidandolo a
commettere una qualsiasi mossa falsa.
Per tutta risposta il giovane mago lo ignorò.
Cercò gli occhi di Arthur e li lasciò solo per guardare tutto il suo
corpo alla ricerca di qualche ferita. Soddisfatto si perse nuovamente
in quell’oceano limpido.
“Arthur, stai bene…” ed il sollievo in quell’affermazione era più che
evidente.
Il principe annuì, scrutando a sua volta la sua figura in cerca di
rassicurazioni sulla sua salute.
“Hai fatto presto… per una volta… ”
Merlin sorrise, quasi divertito ed abbassò lo sguardo verso la propria
mano, dove finalmente l’anello aveva smesso di stringere.
“Ha funzionato…”
Prima che Uther potesse interrompere quell’insensato dialogo il suono
di pugni e ferro battuti contro il legno li fece trasalire.
Il volto di Merlin si fece serio e senza colore.
“Camelot è come impazzita. Raccontami cosa è accaduto…”
Arthur scosse la testa.
“Non lo so, quanto è vero Iddio, non lo so. Il giorno prima tutto era
come sempre e poi un istante dopo il popolo è venuto a cercarci, hanno
invaso il castello e ci hanno catturati. Hanno espresso chiaramente le
loro intenzioni quando ci hanno portati verso il patibolo”.
“E’ senz’altro opera di una stregoneria” ponderò Uther.
Merlin si trovò ad annuire con serietà e ciò bastò a confermare i
sospetti di Arthur, al di là dei pregiudizi di suo padre.
Il legno della grande porta cigolò sinistramente sotto i colpi del
popolo. Le urla se possibile si fecero più alte.
Dovevano fuggire, dovevano lasciare Camelot e nascondersi nei boschi.
Merlin sapeva tutto ciò, ma ne conosceva anche il prezzo.
L’unica porta naturalmente non era da considerarsi una possibile via
di fuga e tre delle quattro pareti erano di pietra solida. La quarta
era un’immensa distesa di ferro battuto e vetro.
Merlin venne improvvisamente strappato ai suoi pensieri
dall’improvviso odore acre di fumo. Lente volute biancastre presero ad
insinuarsi sotto la porta e così come Arthur aveva temuto si stava
avverando.
Li avrebbero bruciati vivi o forse, prima ancora, li avrebbero stanati
per poi giustiziarli.
Indietreggiarono fin dietro il trono.
Il fumo saliva, inesorabile.
Le loro gole iniziavano a bruciare e l’aria andava rarefacendosi.
Arthur si volse.
Cercò con gli occhi il re.
Uther Pendragon era in piedi accanto al proprio trono, la spada
sguainata, ma lo sguardo sperso e, forse per la prima volta da quando
il principe aveva memoria, realmente atterrito.
Il re di Camelot.
Atterrito.
Niente, come quel momento, aveva mai mostrato al principe la natura
umana dell’uomo austero e crudele che egli stesso riteneva invincibile
da sempre.
Vedere la paura nei suoi occhi ed assistere ai suoi futili tentativi
per nasconderla gli fece quasi male.
In fondo avrebbe dovuto saperlo.
Tutti gli uomini, per quanto potenti, non sono altro che uomini.
E come tutti provano dolore, come tutti hanno paura e come tutti
muoiono.
Possibile fosse quella la loro fine?
Impercettibilmente si spostò di fianco al suo servitore. Il calore di
Merlin era sempre stato in grado di calmarlo. Dopo le missioni
fallite, dopo i rimproveri di suo padre, prima di un torneo, prima di
una battaglia incerta.
Sempre.
E adesso Merlin era accanto a lui.
Unica costante di una vita che era davvero degna di essere vissuta,
finalmente.
No, non si sarebbe arreso, non così.
Non senza combattere.
Bruciare come un topo in trappola non era il modo in cui un Pendragon
se ne andava.
Eppure, in quegli attimi durante i quali la sua determinazione si
rafforzava, la speranza veniva portata via dal fumo che empiva la
sala, salendo denso da ogni fessura.
Come potevano fuggire?
Come potevano salvarsi?
Poi sentì delle dita sfiorare le sue, appena.
Un attimo fugace, finito subito e si volse.
Merlin.
Il giovane mago interruppe l’atterrito silenzio un momento dopo.
Benché si rivolgesse ad entrambi i Pendragon i suoi occhi guardavano
Arthur, supplicandolo.
“Dovete fuggire, adesso”.
Ed il pesante significato nascosto dietro le sue parole, dietro le sue
mani che si alzavano davanti a sé bastò a fermare il cuore del
principe.
“No, no” mormorò Arthur con veemenza.
Era una follia, era un errore.
Non glielo avrebbe permesso.
Uther, il re, era lì. Li stava osservando.
Avrebbe visto.
Avrebbe capito.
Ma gli occhi di Merlin lo pregavano.
Le sue iridi così blu, decise e leali.
Il suo sguardo morbido tinto di dolore, di rassegnata accettazione.
Ma Arthur non desiderava ascoltarlo, non desiderava scendere a patti
con la sua improvvisa pazzia, con il suo incombente, inutile
sacrificio.
Gli afferrò le mani, abbassandole, senza badare al sospetto che già si
faceva strada sul volto del re.
“No, Merlin. Troveremo un’altra soluzione, troverò un modo”.
“Arthur, non abbiamo tempo…”
“E’ un ordine del tuo principe, Merlin. No”.
Le loro mani si strinsero l’un l’altra, invano.
Merlin scosse la testa.
Un sorriso impertinente sul viso.
“Sapete bene che non sono solito obbedirvi, Sire”.
Uther alzò un sopracciglio, sconvolto da tanta irriverenza.
Se mai fossero sopravvissuti si ripromise di punire la lingua lunga di
quel servo.
“Merlin…” sussurrò Arthur, ma più che un rimprovero suonava come una
preghiera, ormai.
Il giovane mago scostò le sue mani e liberò i polsi dalla sua stretta
gentile.
Fece un passo indietro e guardò verso la vetrata, studiando
l’obliquità della luce.
Il sole della terza veglia diurna brillava tenue attraverso le
decorazioni.
Se quella era la direzione del tramonto allora era vero che dalla
parte opposta solo una parete li divideva dalle postierle est e dal
bosco dietro di esse.
Fronteggiò quindi l’altissimo muro di pietre e tese le mani.
“Eos lift / fiar / uha tah / essumemé / eos akstànas / essumemé /
ikanstànas to bretàn / essumemé!”
Ed i suoi occhi si riempirono di oro fuso, luminoso e denso.
Le sue labbra si schiusero attorno a parole della religione antica,
traendone il mezzo per dirigere il suo potere verso l’immensa parete
di pietra.
Quando la nube di fitta polvere si spense ai loro piedi, assieme al
rumore assordante della roccia che franava, luce e aria pulita li
inondarono.
Le mura del lato est erano ben visibili attraverso l’ameno cortile
posteriore.
Merlin si volse.
Un istante d’intenso silenzio occupò lo spazio fra loro.
Mentre sensazioni diverse avvolgevano i tre uomini, cominciando a
dipingersi sui loro volti.
Rassegnato coraggio, inerme disperazione, odio profondo.
“Tu… lo sapevo… lo sapevo che qualcosa in te non andava, ragazzo… come
ho potuto essere così cieco… tu, dannato traditore…” proferì la voce
di Uther, tremante di rabbia.
La sua mano corse nuovamente all’elsa della spada mentre egli avanzava
minaccioso.
Ancora una volta le voci della folla inferocita distolsero la loro
attenzione.
L’immensa porta di legno stava cedendo, entro breve sarebbe crollata
in un cumulo di braci.
Il fumo sciamava fuori dalla stanza molto più lentamente di quanto
stesse entrando.
Non avevano tempo per dichiarazioni di odio e promesse di morte.
Gli occhi di Merlin si fecero d’oro ancora una volta, proprio ad un
passo dal re, mentre egli lo guardava come fosse il peggiore verme che
avesse mai strisciato sulla faccia dell’intera Albion.
Il giovane mago tese la mano un istante e la spada lasciò le dita di
Uther, trascinata via da una forza magica inarrestabile. Merlin
l’afferrò e senza volgersi ne offrì l’elsa ad Arthur.
Poi, semplicemente, li guardò.
Con fermezza, con supplica scritta negli occhi, con lealtà e coraggio
e forza.
Mentre la porta principale tremava e cadeva a pezzi e visi inferociti
comparivano dietro il legno spezzato.
“Il nemico è ovunque, presto sarà qui, andate adesso che ve n’è ancora
il tempo, andate adesso miei signori, fuggite”.
Arthur strinse la spada che Merlin gli aveva porto.
Cos’era quel tono? Cos’erano quelle parole scelte?
‘Andate’ aveva detto… e lui?
Lui cosa avrebbe fatto?
Dove sarebbe andato?
In un attimo fu chiaro che si sarebbe offerto come esca, che avrebbe
rallentato i loro inseguitori a costo di essere circondato dalla folla
e ucciso.
Arthur scosse la testa.
“Merlin…” una nota di avvertimento nel suo richiamo, rotta, contusa…
Ma Merlin sapeva cosa faceva, sapeva cosa desiderava sopra ogni altra
cosa e ripeté quanto detto prima, con ancora più fermezza, con ancora
più autorità.
“Andate adesso, dannazione, fuggite, cercate rifugio nei boschi, ad
est. Fuori Camelot sarete al sicuro”.
E Arthur sentì che rifiutarsi adesso sarebbe stato disonorevole. Che
avrebbe sprecato l’enorme sacrificio che Merlin aveva compiuto, che
avrebbe sporcato la sua lealtà, che avrebbe reso tutto vano e l’amava
troppo per recargli un torto simile, anche se lo amava troppo anche
per lasciarlo lì. Ma non aveva più scelta.
Era tardi ormai e molto era già perduto.
Afferrò suo padre per la spalla, guardò Merlin.
“Hai promesso, Merlin e sei vincolato alla tua parola. Nei boschi, ad
est”.
“Ad est” mormorò Merlin mentre la porta si schiantava al suolo ed il
popolo entrava ed egli si gettò contro di loro, gli occhi in dorata
tempesta, le mani che erigevano un muro invalicabile, invisibile.
Uno sguardo dietro di sé, uno solo, per vedere la schiena di Arthur
lasciarlo, così come aveva chiesto, così come desiderava.
Sapere il suo principe incontro alla salvezza era ciò che serviva a
scaldargli il cuore.
†Continua...
Note del capitolo:
Le parole dell’incantesimo
di Merlin sono le stesse che Nimueh usa nell’episodio 4 per far cadere
il pezzo di roccia, l’ho trascritte così come le ho capite, quindi non
saranno affatto giuste, ma fanno figura uguale *.* no?
|