Una notte d'inverno...

di ElfaNike
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Le avventure di Pinocchio ***
Capitolo 2: *** Il principe canarino ***
Capitolo 3: *** Tremotino ***
Capitolo 4: *** Pomo e Scorzo ***
Capitolo 5: *** Biancarosa e Rosarossa ***
Capitolo 6: *** Il piccolo principe ***
Capitolo 7: *** La fiaba dei gatti ***
Capitolo 8: *** L'uccellin Belverde ***
Capitolo 9: *** La barba del conte ***
Capitolo 10: *** La Regina della Neve ***
Capitolo 11: *** Peter Pan nei giardini di Kensington ***
Capitolo 12: *** La contadina furba ***
Capitolo 13: *** Jack e la pianta di fagioli ***
Capitolo 14: *** La fedele guardia del corpo ***
Capitolo 15: *** I musicanti di Brema ***
Capitolo 16: *** La fiaba dei sogni ***



Capitolo 1
*** Le avventure di Pinocchio ***


Premesse dell'autrice:
Questa è una raccolta di fiabe e leggende tratte dalla tradizione italiana, dai romanzi per ragazzi più famosi, dalle opere dei fratelli Grimm (per esempio, Hänsel e Gretel, Cenerentola...) e di Andersen (Il brutto anatroccolo, La sirenetta...) raccontati dai nostri Grandi Quattro preferiti. Questo vuol dire che io mi diverto a scriverle tutte e voi vi godete quelle che più preferite. Se vedete che una non vi aggrada, passate alla successiva, perché tanto al di là di un breve dialogo all'inizio e alla fine del capitolo non vi perdete nulla. 
Il mio scopo è farvi sdraiare sotto le coperte o sul divano e, magari con una bella tazza di tè, farvi sentire come da bambini, quando la meraviglia non ha confini e l'immaginazione è la migliore compagna di giochi.
Buon viaggio e buona lettura!

Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Disney, Pixar e Dreamworks; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro



-...e vissero tutti felici e contenti.- concluse allora Rapunzel, chiudendo con un gesto solenne il volume che aveva in mano. Nella stanza calò un silenzio assorto, mentre Merida e Hiccup rievocavano le parole della storia appena udita.
Era pieno inverno, ancora soffiava fuori della torre il vento di tempesta mentre la neve cadeva a fiocchi, le piante spoglie si piegavano sotto le forti folate. Dentro la torre, i tre ragazzi sedevano attorno al fuoco e in un modo o nell'altro si tenevano compagnia: talvolta giocavano, talvolta si leggevano storie, talvolta le inventavano. Pascal e Sdentato, in un angolo, si riposavano tranquillamente.
-Quindi non ho capito, alla fine quando dice che lei ha conquistato la sua libertà, vuol dire che ha deciso liberamente di sposarsi o ha rifiutato quel bellimbusto?- chiese infine Merida.
-Non è importante la scelta che fa alla fine, ma il percorso che ha fatto per arrivare a trovare il coraggio di scegliere.- le spiegò Hiccup.
-Sì ma è importante lo stesso.- decretò la ragazza.
-Che cosa è importante?- in quel momento una voce allegra risuonò nella stanza semibuia e Jack comparve col suo solito sorriso sbilenco e il bastone in spalla.
Rapunzel agitò il libro: -Stavamo iniziando a dibattere.- esplicò semplicemente.
-Ah. Sempre queste storie noiose.- Jack si lasciò cadere seduto accanto alla sua amica e lo prese per studiarlo: passava gli occhi sulle pagine in maniera irregolare e troppo rapida, non riconoscendo molto di quei segni stani.
-Perché immagino che tu ne abbia di migliori!- lo provocò invece Merida.
Lo spirito si aprì in un ghigno e saltò in piedi: -Ma certo!- e iniziò la sua storia...

-C'era una volta...
-Un re!- Diranno i miei piccoli lettori.
-No ragazzi, avete sbagliato. C'era una volta un pezzo di legno.
Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo di legno vecchio, tutto torto su se stesso, come quello dei bastoni degli spiriti dispettosi. Questo inoltre era tutto snodato, aveva due braccia e due gambe come i bambini veri e una testa tutta sua, dai capelli dipinti di bianco perché il falegname che l'aveva costruito era talmente povero che aveva finito tutti i colori, e rideva e piangeva come un bambino vero.
Già appena uscito dallo scalpello del suo babbo, che ne aveva fatto un burattino per farlo ballare e tirare di scherma, per viaggiare per il mondo e buscarsi onestamente un tozzo di pane e un bicchiere di vino, -Lo chiamerò Jack. Questo nome gli porterà fortuna. Conosco una famiglia intera di Jack: brava gente, il più ricco di loro chideva l’elemosina.- , il birbante saltò per terra e cominciò a combinare una monelleria dietro l’altra, per poi infilare la porta e prendere a correre giù per le viuzze finché non fu acchiappato da un gendarme. Raggiunto allora dal babbo, fu presto sgridato al punto che i passanti e i bighelloni non cominciarono a dire: -Povero Jack, chissà come lo farà a pezzi quell’omaccio del suo babbo, che pare un galantuomo e invece è terribile coi ragazzi.-
A sentir parlare in tal maniera, allora il gendarme lasciò andare Jack, che singhiozzava e scalciava per terra, e portò in prigione quel pover’uomo del suo babbo, che continuava a ripetere: -Sciagurato figliolo, ma ben mi sta, la prossima volta ci penserò prima, quando deciderò di costruirmi un burattino dispettoso.-
Quando fu infine lasciato in pace, Jack si tirò in piedi e, sentendo i morsi alla pancia, corse a casa per cercare qualcosa da mettere sotto i denti.
E mentre era lì, che scavava nei trucioli e osservava con l’acquolina alla bocca il calderone che bolliva dipinto nel caminetto spento, sentì qualcuno che nella stanza si schiariva la voce.
-Chi mi chiama?-chiese spaventato.
-Sono io.- Jack si girò e vide un coniglietto non più alto di un pollice saltellare dal mobile alla mensola del caminetto.
-E tu, Coniglietto, chi sei?-
-Sono il Coniglietto parlante, e abito in questa stanzetta da più di cent’anni.-
-Be’, adesso questa stanzetta è mia, quindi devi andare via.-
-No, questa stanzetta è del tuo babbo, che è buono quanto la luna e ti ha dato due gambe su cui correre.-
-Ma anche lui mi obbligherà ad fare come gli altri ragazzi, andare a scuola e studiare e fare il bravo, quando l’unica cosa che voglio fare è rincorrer farfalle e arrampicarmi sugli alberi e spaventare i gatti.-
-Se proprio non vuoi andare a scuola, perché non impari un mestiere per guadagnarti onestamente un pezzo di pane?-
-Sai qual è l’unico mestiere che mi aggrada di imparare?-
-Quale?-
-Quello di mangiare, dormire e oziare tutto il giorno.-
-Povero monello, ti compatisco. Sei proprio un burattino con la testa di legno.-
A quelle parole Jack saltò su tutto infuriato e prese dal tavolo un martello, e lo lanciò sul povero Coniglietto. Forse non voleva neanche colpirlo, fatto sta che il martello lo prese in pieno e, quando cadde, al posto del Coniglietto non era rimasto più niente.
Intanto si fece notte e Jack si rese conto che non aveva ancora messo niente sotto i denti. Cercò e cercò, finché la fame non lo fece scoppiare in singhiozzi. Ah che birbante, ad aver mandato in pringione il suo buon babbo! Ah che figlio ingrato che era!
E pianse e pianse finché non sentì bussare all’uscio.
-Chi è?- chiese con il corpo che brontolava.
-Sono il tuo babbo. Aprimi, Jack.-
Jack fece un salto e corse al paletto. Che feste! E che pianti! Il pover’uomo, che voleva fargliene tante a quel burattino, s’impietosì a vederlo lagrimare così, e per cena gli diede tre pere che si era portato dalla prigione e si era tenuto per lui per il pranzo dell’indomani.
-Prometto che d’ora in poi farò il bravo!-
-Tutti i ragazzi dicono così per farsi perdonare una monelleria.-
-Anderò a scuola e mi farò onore.-
Allora il babbo, l’indomani, uscì di casa e scambiò la sua giacchetta con un abbecedario.
Tutto contento Jack lo prese e si mise per strada per andare a scuola, pieno di buoni propositi: oggi imparerò a leggere, e domani a scrivere, e il giorno dopo a fare di conto, e poi troverò un mestiere importante e comprerò una bellissima giacchetta al mio babbo… e così via a farsi tanti castelli in aria.
Sentì però, lungo la via, delle musiche come di danza, e tutto incuriosito allungò l’orecchio per ascoltare. Cosa fare? La scuola o la musica?
-Oggi anderò a sentire i pifferi. Per andare a scuola c’è sempre tempo.-
E con due balzi prese la strada che menava alle danze.
Arrivò quindi a un enorme tendone, e chiese a un ragazzetto che bighellonava per lì: -Cos’è?-
Quello gli lesse il cartello: -GRAN TEATRO DEI BURATTINI.-
-E quanto si spende per entrare?-
Fu così che vendette l’abbecedario del suo babbo per andare a vedere la commedia.
Quando entrò, però, e vide il palco, ecco gli elfi di legno che vi danzavano e musicavano coi loro berretti a punta lo videro, e presero subito a fargli delle gran feste: -Jack! Il nostro compare Jack!- al punto che gli spettatori in sala presero a protestare e a fischiare a gran voce, e d’improvviso si sentì un passo pesante e il burattinaio uscì fuori.
Apparve allora un omone dalle spesse sopracciglia nere, e la folta barba bianca lunga fino alla cintola, che squadrò il burattino dall’alto: -Perché sei venuto a scombinare la mia commedia?- chiese con voce cavernosa -Dopo faremo i conti.-
Di fatto, finita la recita, l’omaccione lo prese per il bavero e lo portò in cucina, dove aveva apparecchiato per mangiarsi il bel montone che stava girando in quel momento sul fuoco, e subito voleva gettarvelo, per ravvivare le fiamme.
Allora il burattino prese a piangere e dimenarsi, perché non voleva morire. Allora il burattinaio Nord (ché quello era il suo nome), che a vederlo così poteva metter paura, non dico di no, a sentirlo gridare in tal modo si commosse, e decise di buttare uno dei suoi elfi di legno nel camino.
Alla vista dello strazio di quel povero elfo, allora, Jack si sentì spezzare il cuore: -Pietà, signor Nord.-
-Qui non c’è pietà che tenga. Se ho risparmiato te, devo mettere sul fuoco qualcun altro, perché il mio montone sia arrostito al punto giusto.-
Jack si drizzò con fierezza: -Allora conosco il mio dovere. Se proprio dovete bruciare qualcuno, prendete me. Legatemi e buttatemi sul fuoco.-
Il burattinaio Nord fu molto colpito dal’eroismo di Jack e infatti si commosse e cominciò a starnutire. Perché si sa, quando si commuovono, i burattinai starnutiscono. Decise quindi di risparmiare entrambi (-Pazienza, questa sera mi mangerò il montone mezzo arrostito.-) e il giorno dopo, quando Jack prese la via di casa, gli consegnò cinque monete d’oro per ricomprare la giacchetta al suo babbo.
Jack prese a correre, perché non vedeva l’ora di riabbracciare il babbo e raccontargli tutte le sue avventure, quando lungo la strada una figura nera non lo chiamò dall’ombra:
-Dove te ne vai con passo così allegro, ragazzo?-
-Torno a casa dal mio babbo e per fare la vita da gran signore.- si vantò il burattino.
-Da gran signore tu?- disse l’Uomo Nero, e cominciò a ridere.
-Sì, perché il buon burattinaio mi ha dato queste cinque monete d’oro per comprargli una bella giacchetta nuova.-
L’Uomo Nero allora sorrise gentilmente a Jack: -Che bravo ragazzo che sei. Ma non vuoi portare al tuo babbo ancora più monete d’oro?-
-E come?-
-C’è un campo, nel paese dei Barbagianni, chiamato il campo dei Miracoli. Se ci pianti dento le tue monete e aspetti una sera e una notte, crescerà un albero pieno zeppo di zecchini d’oro. Tu potrai raccoglierle tutte e portarle al tuo babbo.-
Allora Jack, sbalordito, contento di poter comprare una giacchetta, anzi, una casacca tutta brillanti e fili d’oro, per il suo babbo, e in più anche un nuovo abbecedario per lui, seguì tutto contento il suo nuovo amico.
Si fermarono per la notte all’osteria del Gambero Rosso, e, datisi l’appuntamento per ripartire a mezzanotte esatta, andarono a dormire. Quando Jack si svegliò, però, scoprì che quella brava persona dell’Uomo Nero era partito prima per preparargli la strada, così si avviò da solo.
E cammina e cammina, an un certo momento sentì dietro di lui un fruscìo di foglie. Si girò e vide une figuraccia nera.
Gli assassini!” pensò allora, e per precauzione si nascose gli zecchini in bocca.
-O la borsa o la vita!- ordinò il balordo con la voce cavernosa.
Ma Jack con un movimento lestissimo corse via, e scappò e scappò, ma sentiva l’assassino sempre dietro di lui. Dopo quindici chilometri, ormai stanco, si arrampicò su un albero ma l’assassino lo raggiunse e lo agguantò. Cercò di fargli tirare fuori le monete, ma il burattino non rispondeva così l’assassino capì che non poteva parlare perché le teneva in bocca. Allora tirò una corda e impiccò il povero Jack, dicendo: -Quando domani tornerò qui, spero mi farai la garbatezza di essere bell’e morto e con la bocca spalancata.- e se ne andò.

-Cosa?!?- strillò Merida drizzandosi tra le coperte in cui era imbacuccata -Ma come può essere morto il protagonista??-
Jack col dito si stappò l’orecchio, che fischiava a causa di quella voce acuta, mentre Hiccup, a sangue freddo, ipotizzava: -Certe volte le storie possono finire male...-
Merida lo guardò scandalizzata, con gli occhi che dicevano: “Delle volte sei davvero inquietante, tu.”, mentre Rapunzel si sporse un po’ di più verso Jack: -Finisce così la tua storia?-
Lo spirito sorrise furbo e riprese a raccontare…

Vicino all’albero su cui il nostro burattino dondolava come d’autunno, sugli alberi, le foglie, vi era un graziosa casettina bianca, dalla cui finestra si affacciò quella mattina presto una fanciullina dal piumaggio verde e blu. Dalla sua finestra vide il povero Jack e, impietosita, chiamò i colibrì suoi servitori.
-Vedete quel burattino attaccato penzoloni laggiù? Per favore, attaccate la più bella delle mie carrozze e andate a prenderlo. Delicatamente, mi raccomando.-
I colibrì obbedirono e tosto tornarono trasportando il corpo mezzo tramortito di Jack, lo portarono su per le scale e gentilmente lo depositarono su di un lettino preparato apposta per lui.
La fanciulla, che nei fatti era una Fata molto buona, si chinò su di lui: -Chissà se sei vivo o morto?-
Ma il burattino non si mosse. Giunse allora un colibrì col cravattino a comunicare che erano giunte comunicazioni dall’amico Coniglietto:
-C’è il povero falegname che sta molto in pena per il suo figliolo scomparso.-
A quelle parole si sentì un singhiozzo e la Fata buona, scostando un po’ le lenzuola, scoprì che a singhiozzare era stato proprio Jack.
-Sei tu il figliuolo scomparso del falegname?- disse.
Il burattino annuì senza parlare, perché aveva ancora i suoi zecchini in bocca.
-Manderò un colibrì messaggero a rassicurarlo. Chetati intanto e riposati. Io sono la Fata Dentolina. Appena sarai guarito e in forze potrai riprendere la via verso casa.-
Jack dormì quattro giorni e tre notti da tanto era stanco, e quando si svegliò la Fatina comparve con una ciotolina e una pallina di zucchero.
-Questa è una medicina. Bevila e guarirai in pochi giorni.-
-È dolce o amara?-
-Amara, ma dopo ti darò questa pallina di zucchero per rifarti la bocca.-
-Se mi dai prima la pallina di zucchero, dopo beverò la medicina, lo prometto.-
La Fatina paziente gli diede lo zucchero ma dopo che il burattino l’ebbe sgranocchiato rifiutò il bicchiere.
-Ragazzo mio, la tua malattia è grave.-
-Non importa. Se fosse zucchero mi purgherei tutti i giorni, ma questa è troppo amara.-
-Non hai paura di finire all’altro mondo?-
-Non ne ho punto paura. Meglio morire che bevere quella medicina amara.-
In quel momento la porta si spalancò ed entrarono quattro leprotti neri come l’inchiostro con una piccola bara sulle spalle.
-Chi siete voi?-
-Siamo venuti a prendere te, Jack, ché rifiuti il tuo medicamento.-
Ma il leprotto non aveva ancora finito di parlare che in quattro e quattr’otto il burattino aveva preso la ciotola con il medicamento e se l’era bevuta tutta d’un sorso. Allora i quattro becchini ripresero la loro bara e uscirono bofinchiando per aver fatto quel viaggio a ufo.
La Fatina riprese la ciotolina e chiese: -Adesso raccontami come sei finito nelle mani di quell’assassino.-
E allora Jack raccontò tutto, dal burattinaio Nord al suo amico l’Uomo Nero, all’orsteria del Gambero Rosso. Poi la Fatina chiese: -E ora quelle monete dove le hai messe?-
-Le ho perdute.- mentì il burattino, che le aveva infilate in tasca.
A quella bugia il suo naso crebbe di qualche centimetro.
-E dove le hai perdute?-
-Nel bosco mentre scappavo.- il naso crebbe ancora, finché Jack non riuscì più a girare la testa né a destra, né a sinistra. La Fatina, intanto, rideva.
-Perché ridi, Fatina?-
-Rido per le tue bugie.-
-Come hai capito che ho detto delle bugie?-
-Vedi, Jack, esistono due tipi di bugie: quelle con le gambe corte, e quelle con il naso lungo. Le tue sono per l’appunto di quelle con il naso lungo.-
Allora Jack si disperò tanto che la Fatina chiamò i suoi colibrì, i quali beccarono il naso di Jack fino a farlo tornare delle sue dimensioni normali.
Il burattino allora alzò la mano destra: -Ho imparato la lezione, Fatina. Prometto che d’ora in poi sarò buono e mi farò onore. Sono stufo di essere un burattino, voglio diventare un ragazzo perbene.-
La Fatina gli credette: -Allora da domani anderai a scuola. Imparerai a leggere e scrivere e poi potrai tornare dal tuo babbo.-
Jack promise.
A partire dal giorno dopo, per non deludere la sua Fatina, Jack andò alla scuola comunale tutti i giorni, e imparò a leggere e scrivere e far di conto. Nonostante gli sberleffi degli altri monelli, il maestro se ne lodava, perché lo vedeva sempre attento e con la mano levata.
Quando ormai il giorno in cui sarebbe diventato un ragazzo vero era ormai prossimo, rientrando a casa si sentì chiamare:
-Ma quello non è Jack?-
Il burattino si girò per vedere chi aveva parlato e riconobbe il suo amico l’Uomo Nero. Saltellando per l’allegrezza gli si avvicinò: -Mio buon amico!-
-Jack! Che sorpresa… non ti ho più trovato dopo averti lasciato impicc… a dormire all’osteria.-
Jack, che era un burattino di buon cuore, non fece caso a quella frase: -E tu, amico mio, dove sei stato?-
-Sapessi, Jack… ho scoperto un posto in cui voglio andare. Si chiama il Paese dei balocchi.-
-E che Paese è?-
-È un Paese dove si può far cuccagna tutti il dì e non c’è nessuno che ti sgrida.-
Jack riflétté un attimo e poi disse: -E quando ci vai in questo Paese?-
-Parto oggi stesso. Vieni con me, Jack!-
-Non posso. Devo tornare dalla Fatina buona.-
-Solo per oggi. Questa sera tornerai e lei ti perdonerà.-
Jack allora lo seguì sul carro che menava i ragazzi al Paese dei balocchi, dove stette per cinque mesi, quando scoprì che una mattina gli erano spuntate la coda e le orecchie e aveva preso a ragliare. Perché, come la Fatina gli aveva detto, i ragazzi senza giudizio finiscono o al carcere o allo spedale, mentre lui era diventato direttamente un ciuco.
Fu venduto per venti soldi ad un contadino che voleva usare la sua pelle per farsi un tamburo di pelle di somaro. L’uomo lo portò quindi in riva al mare e gli legò una pietra al collo e una fune alla zampa, e lo spinse in acqua. Jack si lasciò affondare, in attesa della morte, quando un branco di pesci molto affamato non decise di passare nei paraggi e, visto un ciuchino legato ad un masso, decisero di darsi al banchetto. Quale orrore quando sotto la pelle scoprirono un corpo tutto di legno duro!
Quando il contadino tirò la fune, invece di un ciuchino morto si ritrovò con un burattino vivo, che appena raggiunse la riva si levò dal collo il sasso e se la diede a gambe lestissimo.
Jack prese la strada che menava a casa e in pochi giorni fu finalmente alla stanzetta del suo babbo. Che orrore a scoprirlo a letto preda della febbre, per aver passato tutto l’inverno in maniche di camicia, dopo aver venduto la sua giacchetta per comprare un abbecedario!
Pinocchio allora si prese cura di lui, e trovò impiego presso un artigiano di vimini, per cui intrecciava con le sue dita agili cesti di tutte le taglie e tutte le forme. Fece anche più di quello che gli era stato domandato e una mattina uscì per comprarsi un vestitino nuovo con i soldi in più, risparmiati dalle spese per prendersi cura del suo babbo.
Sulla strada riconobbe il Coniglietto parlante.
-Oh buon Coniglietto, cosa ti porta qui?-
-Proprio ora sono diventato un buon Coniglietto?-
-Hai ragione, sono stato un birbante con te. Ti chiedo perdono.-
-Sei perdonato. Ti porto nuove della Fata.-
-La mia buona Fatina! Come Sta?-
-Purtroppo non bene. È stata colpita da molte disgrazie e ora è allo spedale senza neanche un soldo per curarsi.-
Jack si disperò alla notizia e consegnò al Coniglietto tutti i soldi messi da parte:
-Portali subito alla Fata Dentolina, e chiedile tanto scusa da parte mia per le mie monellerie!-
Il Coniglietto prese le monete e corse via più veloce del vento.
Quella sera Jack andò a dormire e sognò la Fatina che gli perdonava tutte le sue monellerie e gli diceva che ora era pronto per…

-Jack!- il ragazzo si svegliò quando la sua sorellina gli saltò sulla pancia: -Usciamo a giocare? Usciamo? Usciamo? Usciamo?-
Il ragazzo la sollevò ridendo e la posò per terra: -Adesso mi lavo la faccia e arrivo.-
Lei corse via e lui si stropicciò gli occhi, scoprendoli pieni di sabbiolina dorata. Aveva fatto uno strano sogno, ma non si ricordava bene…

-Quindi se l’era sognato?- chiese senza fiato Rapunzel.
Jack sorrise e annuì.
-Ma questa storia non ha senso! Il protagonista è sempre più sfortunato ogni avventura che passa!- protestò Merida.
-Però la morale alla fine è bella.- sorrise Hiccup.
-Devo confessare che la fine l’ho un po’ adattata a come piace a me...- ridacchiò lo spirito.
-Quindi la sorellina non faceva parte della storia?-
Jack scosse la testa e Rapunzel chiese: -E quindi da dove l’hai tirata fuori?-
-Non lo so.- Jack rise -Mi è venuta così. Che ne dite, storia approvata?-
Merida annuì vigorosamente: -Allora, chi è il prossimo?-

 




Angolino dell'autrice:
Adesso capite perché non so che avvertimenti mettere?!? XD Cos'è, OOC o no? AU o no? Perché ovviamente i nostri protagonisti sono il più fedele possibile ai film come d'abitudine, ma i protagonisti delle loro storie, anche se si chiamano come loro, sono solo affini al loro carattere.
Scherzi a parte: questo spin-off mi è venuto in mente sin da quando ho scritto il capitolo Inverno della fan fiction Rise of the Brave Tangled Dragons. Ovviamente non è l'unica fiaba che verrà raccontata, ce ne saranno altre, e tutte relativamente poco conosciute ;) così, perché mi piacciono le cose curiose.
Allora, la cornice: i nostri grandi quattro si raccontano delle storie. Lineare.
Le storie: saranno tratte tutte da fiabe già esistenti, anche perché così parte la caccia a quale personaggio è chi nella storia originale.
Per quanto riguarda questa storia, non è un cross-over con il Pinocchio della Disney ma un omaggio all'opera di Collodi. Ogni scena è presente nel libro originale, tranne forse i vimini, tratti dal film di Benigni (in realtà Pinocchio nel libro lavora per un contadino). Spero di aver messo tutti gli avvertimenti necessari, ma si tratta di un libro scritto per ragazzi fino ai quattordici anni, quindi non contiene niente di traumatico. Anche lo stile è collodiano, quindi non scandalizzatevi per uno "spedale" o un "bevere" o "anderò". E' tutto calcolato.
Adesso parte la gara: chi è chi, nella riscrittura e nell'originale? E riuscite anche a trovare una cit. di Ungaretti (perché sono una gran secchia e a me la poesia piace)?
A voi! Pronti, partenza, via!

A presto!
Nike

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Capitolo 2
*** Il principe canarino ***


Nel camino il fuoco scoppiettava, alla finestra il vento ululava, e nella stanzetta i quattro giovani si erano sistemati comodi fra cuscini e coperte, per terra intorno alle fiamme. Anche Jack, che più che del calore si godeva la morbidezza e la compagnia.
-Un’altra storia?- chiese Merida -Però magari non deprimente come quella di Jack!-
Hiccup scrollò le spalle: -A me è piaciuta. Proprio perché è piena di pericoli, trovo che la fine sia bellissima.-
-Sì, sì. Qualche altra idea?-
-Io ne ho una.- disse allora Rapunzel.
-Un'altra dai tuoi libri?-
-Era in uno di quelli che avevo quand'ero piccola. Ora non ce l'ho più. Mi è stato... portato via.-
-E di cosa parla?-

C'era una volta un re, che aveva una moglie e una figlia che lui amava molto. Un giorno, purtroppo, la regina morì di malattia e lui rimase da solo con la sua bambina, la piccola Rapunzel.
Nonostante il dolore, lei crebbe in virtù e grazia e i due svilupparono un tenero rapporto di affetto. Quando divenne una fanciulla, il padre decise di riprendere moglie, pensando che questo potesse permettere alla principessa di trovare compagnia e una confidente.
Prese quindi per moglie una donna aristocratica ed elegante di nome Gothel, che però invidiava la bellezza e la purezza della ragazza. Si rivolse quindi al marito, chiedendogli di allontanare la principessa da palazzo. Addusse ogni scusa, trovò ogni argomento, e tanto disse e tanto fece che il re cedette, ma le intimò di occuparsene personalmente.
La regina allora mandò la principessa in un bel castello che era però in mezzo ad una foresta. Le procurò tutto quello di cui aveva bisogno, dalla servitù ai passatempi, e la lasciò lì.
Dopo qualche tempo, comunque, il re prese a chiedere alla consorte: -Come starà la mia bambina? Sarà felice? Starà bene?-
Così Gothel salì in carrozza e si diresse al castello nel bosco. Arrivò e scese dalla carrozza, bussò alla porta e chiese alla domestica che venne ad aprirle come procedeva la vita lì. Lei la rassicurò così la regina salì a vedere la principessa: -Allora, come te la passi? Ti vedo bene. Già, sembra proprio che tu ti diverta parecchio. Bene. Allora, arrivederci.- e così com'era venuta ripartì, e una volta a casa rassicurò il re che la fanciulla stava meravigliosamente.
In realtà la povera Rapunzel non si divertiva affatto, anzi, passava le sue giornate alla finestra a sospirare e fantasticare. Passava talmente tanto tempo appoggiata al davanzale che le sarebbero venuti i calli ai gomiti se non avesse pensato di mettervi un morbido cuscino.
Un giorno, sotto le sue finestre passò un bel giovane, principe del regno vicino, che era giunto fin lì a caccia. Si stupì molto a trovare un castello abitato, dalle finestre aperte e dai comignoli fumanti. Incontrò così lo sguardo della fanciulla alla finestra e rimase senza fiato a scoprirla di una bellezza incredibile. Con timidezza accennò un saluto e lei rispose con un gesto altrettanto timido. Troppo lontani per fare conversazione, passarono l'intero pomeriggio a scambiarsi sguardi languidi e occhiate innamorate.
Il giorno dopo, sempre con la scusa della caccia, il giovane si ripresentò sotto le finestre di Rapunzel, e i due giovani si scambiarono inchini e riverenze per ore.
Il terzo giorno passarono il tempo a mandarsi baci con la mano e a porsela sul cuore con sguardo dolce. Ad un certo punto Eugene, così si chiamava il principe, sentì ridere e dal sottobosco comparirono tre spiritelle, simili a tre ragazzine con la testa piena di trecce, che avevano osservato per tutti tempo i due a si erano divertite un sacco.
Il ragazzo le guardò contrariato, triste di non poter rivolgere direttamente la parola alla bella castellana. Allora loro, per ringraziarlo del divertimento, decisero di aiutarlo: si recarono alle porte del palazzo e lasciarono un libro per la principessa, dicendo che le avrebbe aiutata a passare il tempo.
Il libro fu recapitato a Rapunzel, che lo aprì e lesse, sulla prima pagina: "Se mi sfogli verso sinistra, l'uomo diventerà canarino, se invece mi sfogli verso destra, il canarino diventerà uomo".
Tutta eccitata, la ragazza corse alla finestra e sfogliò le pagine verso sinistra: il giovane si trasformò in canarino e spiccò il volo, venendo ad appoggiarsi al cuscino di Rapunzel. La giovane lo prese il mano e gli diede un leggero bacio sul capino, poi lo riposò sul davanzale e sfogliò il libro in senso inverso.
Fu così che Eugene riprese le sue sembianze da uomo e in ginocchio le dichiarò il suo amore. Passarono insieme tutto il pomeriggio, poi Rapunzel sfogliò il volume verso destra e Eugene ridivenne canarino e volò su un ramo ai piedi del castello. Rapunzel lo ritrasformò in uomo e lui si allontanando salutandola con la mano.
Iniziò quindi un periodo molto felice per Rapunzel, che riceveva la visita del principe praticamente tutti i giorni.
Qualche tempo dopo Gothel tornò a vedere come stava e si insospettì a vederla così allegra. Si guardò intorno con occhio attento. Vide perciò il principe avvicinarsi a cavallo e capì: "Adesso le insegno io a fare la smorfiosa con gli sconosciuti."
Mandò via Rapunzel con la scusa di volere un bicchiere d'acqua, e rimasta sola nella sua stanza si tolse cinque spilloni che nascose nel cuscino sul davanzale, facendo in modo che le punte fossero rivolte verso l'alto, ma che non sporgessero fuori e non si vedessero.
Salutò quindi rapidamente e riprese la via di casa. Appena la sua carrozza fu sparita alla vista giunse il principe.
Rapunzel corse a sfogliare le pagine del suo libro magico e il canarino volò fino al suo cuscino. Quale cinguettio straziato si levò! Quali sguardi di terrore! Il piccolo petto fu trafitto dagli spilloni e il canarino, in preda al dolore, volò di nuovo giù. Sconvolta, Rapunzel si affrettò a ritrasformarlo, nella speranza che le ferite sparissero, ma niente, il giovane giaceva per terra come morto, il petto tutto insanguinato. Gli altri cacciatori furono chiamati dai latrati dei cani e soccorsero il principe, lo presero e lo trasportarono al suo castello. Nessuno notò la fanciulla in cima al castello, pietrificata dallo spavento.
Il re chiamò ogni dottore e ogni sapiente del regno per cercare una cura alle ferite di Eugene, ma nessuno riuscì nell'impresa. Disperato, il sovrano diffuse un bando: "Chiunque guarirà il principe riceverà mille monete d'oro", ma nessuno si presentò.
Intanto, al castello nel bosco, Rapunzel decise che era il momento di lasciare quella prigione. Tagliò le lenzuola e ne fece una corda, e si calò giù fino a terra. Avvolta nel suo mantello, prese a camminare finché non giunse la sera e lei non si rifugiò nel tronco di una quercia per riposare.
Scese le notte.
D'improvviso, Rapunzel sentì sei fruscii come di passi fuori nella notte e si rannicchiò, ma tese l'orecchio per ascoltare.
Tre bruti, uno con un uncino al posto della mano, uno con la gotta alla strozza e uno piccolino, con la barba e l'aria beata dell'ubriaco, si erano trovati ai piedi della quercia e si scambiavano notizie dal mondo:
-Io ho visto il marajà dell'India e le sue trenta mogli.-
-Io ho visto l'imperatore della Cina con il suo codino lungo cinque metri.-
-Io ho visto il re del regno vicino disperato perché nessuno trova il rimedio al male del suo figlio, ma io so qual è.-
Gli altri due si avvicinarono tutti incuriositi per scoprire questo grande segreto, e anche Rapunzel tese l'orecchio a più non posso.
Il bruto si fece pregare per un po', poi si decise a sputare il rospo: -Nella stanza del giovane c'è una mattonella che balla. Sposti quella e sotto c'è un'ampolla piena di un unguento che, spalmato sulle ferite, le guarirà completamente.-
Rapunzel dovette trattenersi dal fare i salti di gioia a quella notizia e aspettò con impazienza che sorgesse il sole e i tre bruti se ne andassero. Appena le fu possibile saltò fuori dalla quercia e si diresse velocemente al regno del suo principe, dove comprò degli abiti da dottore e si recò a palazzo.
Qui giunta dichiarò di sapere come curare il principe e il re la condusse nelle sue stanze, nonostante la perplessità dei suoi consiglieri: -Tanto non potrebbe farlo stare peggio di così.-
Una volta lì, Rapunzel chiese di essere lasciata sola. Quando obbedirono, lei dovette trattenersi dal riempire di baci il suo amato e si concentrò sulla sua missione. Trovò la mattonella che ballava e la spostò, poi prese l'unguento e lo spalmò sulle ferite del giovane, che guarirono immediatamente, lasciandolo in un profondo sonno ristoratore.
Colma di felicità, Rapunzel chiamò il padre del principe e lui gli offrì qualunque cosa avesse desiderato per ringraziarla. La fanciulla allora chiese solo lo scudo del principe con il suo stemma sopra, la sua bandiera e il suo giubbetto giallo insanguinato.
Presa la sua ricompensa la fanciulla se ne andò e fece ritorno al suo castello.
Qualche tempo dopo il principe Eugene passò nuovamente sotto le finestre del castello di Rapunzel, ma non si degnò neppure di alzare lo sguardo.
La fanciulla allora riprese il libro e lo trasformò in canarino, che volò nella stanza. Quando fu fatto tornare uomo, il giovane esclamò: -Non ti basta avermi quasi ucciso una volta? Che cosa vuoi ancora da me?- e continuò così per almeno cinque minuti.
-Come puoi trattare così chi ti ha guarito?-
-Non sei stata tu a guarirmi, ma un sapiente giunto da lontano, che come ricompensa ha chiesto solo il mio scudo col mio stemma, la mia bandiera e il mio giubbetto insanguinato.-
Rapunzel allora, in lacrime, estrasse i tre oggetti e glieli mostrò: -Ero io quel dottore. Ero disperata per le tue ferite e sono venuta per salvarti!-
Alla loro vista allora il giovane si gettò ai suoi piedi e le chiese perdono per la sua cecità, ma la fanciulla era buona e dichiarò che tutto era già stato dimenticato.
Eugene allora la chiese in sposa e la condusse con sé nel suo palazzo, presentandola al padre come colei che lo aveva salvato. Raccontarono allora tutta la storia al re, ma lui si dimostrò contrario al matrimonio con una giovane che non era una principessa.
-Sposerò solo la donna che mi ha salvato la vita.- dichiarò Eugene. Il re allora acconsentì alle nozze e diede una gran festa, a cui furono invitati tutti i reali dei regni vicini.
Furono invitati anche Gothel e il padre il Rapunzel, che non credeva ai suoi occhi.
-Figlia mia!- esclamò correndo ad abbracciarla.
-Come, figlia vostra? Questa fanciulla era una principessa e non me l'ha detto?-
-Come potrei dichiararmi figlia vostra, quando voi mi avete abbandonato nelle mani di una perfida matrigna?-
Il re suo padre allora venne a sapere di tutto, della reclusione e delle sofferenze della figlia, e fece imprigionare subito la regina Gothel.
Così si celebrarono le nozze nella gioia di tutti, tranne di quella megera che si mangiava le mani.
E vissero tutti felici e contenti.

Dopo che Rapunzel ebbe finito di parlare aspettò che gli altri tre metabolizzassero bene tutti i passaggi. Poi arrivò la prima domanda:
-E perché la principessa non se n'è andata subito?- domandò Merida.
-Perché era una principessa ubbidiente.- rispose candidamente Rapunzel, meritandosi una linguaccia.
-E perché dopo aver salvato il principe è tornata al castello?-
-Forse perché sperava che il principe ripassasse sotto la sua finestra, proprio come è successo, per potergli parlare ancora.-
-Ma il principe non poteva portarsela via subito?-
-Hai sentito che il re era riluttante a far sposare suo figlio con una che non era una principessa, no?- intervenne Hiccup -Suppongo che il motivo per cui l'abbia portata via dopo è perché lei gli ha salvato la vita.-
Jack ascoltava assorto. Rapunzel gli sorrise, e lui mormorò: -Una principessa che scappa dal suo palazzo nel bosco? Adesso capisco perché appena se n'è accorta te l'ha portato via.-
I tre ragazzi si scaldavano tra le coperte e i cuscini davanti al caminetto. Fuori il vento ululava gelido.

 




Angolino dell'autrice:
Una fiaba, secondo la raccolta dove l'ho letta, di origine Torinese. Non so quanti la conoscano ma io l'ho sempre amata particolarmente. Chi sarà il/la prossimo/a a raccontare?

A presto
Nike

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Capitolo 3
*** Tremotino ***


-Qualcuno vuole un tè?- chiese quindi Rapunzel -...o un infuso, vista l'ora?-
Gli altri annuirono con vigore e lei andò a prendere una pentola.
Mentre aspettavano, Merida sonnecchiava e Jack canticchiava, e Hiccup rifletteva.
-Ma sì, dai. Erano due belle storie.- commentò poi alla fine.
Merida annuì, ma aggiunse: -Però quando la storia riguarda una ragazza c'è sempre di mezzo un principe da sposare.-
-Ma lei non era obbligata a farlo.-
-Però se non ci fosse stato il principe lei non sarebbe uscita da quel castello, no?-
Rapunzel, che aveva messo l'acqua a scaldare, si risedetta con loro: -No, hai ragione.-
-Ma è davvero importante?- mugugnò stufo Jack.
-Sì che lo è.- ribatté Merida -Non sarebbe bella una storia dove lei non deve per forza sposarsi, ed è capace di cavarsela da sola?-
-Tu ne conosci qualcuna?-
Merida ci rifetté un attimo: -Posso adattarne una.-
-Perché?-
-Perché nella versione che mi raccontavano da bambina la protagonista è una lagna, però io adoravo il cattivo.-
-Quindi cambi tutto?-
-Solo lei.-
-Va bene, ci sto. Sentiamo.-

C'era una volta una fanciulla di incredibile bellezza e abilità.

-È bellissima pure lei?- la provocò Jack.
-Abile a fare cosa?- indagò Hiccup.
-Dettagli!- replicò piccata Merida.
-Shhhh! Fatela continuare!- sussurrò sognante Rapunzel.

Dicevo. C'era una volta una fanciulla, Merida, che fu promessa sposa contro la sua voltontà. Il primo re che propose suo figlio come pretendente fu uno straniero di nome MacIntosh. La prese nel suo seguito e la portò a casa per far conoscere i due giovani, ma lei si ribellò con tanta forza che lasciava tutti a bocca aperta. Provarono a convincerla in tutti i modi, ma lei rifiutò qualunque argomento al punto che il re la convocò e le propose un patto.
La condusse nel fienile, le diede il filatoio e l'aspo e le disse: -Mettiti all'opera, ché se in tutta la notte, fino all'alba, non farai di questa paglia altrettanto filo d'oro, dovrai sposarti con mio figlio.- e con questo fece chiudere le porte dietro di lei.
La ragazza rimase qualche secondo senza riuscire a proferire parola. Poi si liberò in un'esclamazione indignata: -Questa è una trappola bella e buona!-
Tuttavia non si arrese e si mise al lavoro, nonostante non sapesse come si facesse a filar oro dalla paglia. Naturalmente non accadde nulla, ben presto la paglia intasò la ruota e lei si agitò sulla seggiola, completamente impotente. Cominciò allora a cercare un modo per scappare, ma le finestre erano troppo in alto e lei cadde più volte, per fortuna sempre salvata dai mucchi non filati, da cui si alzava sempre più irritata. Ad un certo punto, però, ecco aprirsi le porte ed entrare un omino che rideva burlandosi dei suoi tentativi.
-Ti diverti tanto?-
-Abbastanza.- l'omino si asciugò una lacrima -Non hai intenzione di lasciar perdere, vero?-
-Mai.-
-Che cosa mi daresti in cambio, se io ti aiutassi?-
-Mi aiuteresti?-
-Se mi paghi sì.-
Merida allora si tolse il medaglione che portava al collo e glielo porse.
L'omino lo prese, si sedette davanti alla rotella e in due frucii tre volte trasse il filo, e il fuso era pieno. Andò avanti così tutta la notte, e al mattino tutti i fusi erano pieni. Al levar del sole venne il re, e scoprì Merida accoccolata in mezzo a tutta quella ricchezza che lo lasciò a bocca aperta. Di fronte all'evidenza fu costretto ad arrendersi (forse neanche tanto dispiaciuto) e la lasciò libera.
La notizia della trasformazione giunse alle orecchie del sovrano del regno vicino, MacGuffin, che subito si accese di avidità al pensiero di poter avere come nuora una fanciulla di alto rango, o di ottenere oro filato dalla paglia. Si presentò allora per proporre il suo primogenito come pretendente e di nuovo Merida fu condotta presso la dimora del suo futuro marito. Ma ancora lei si ribellò con tutte le sue forze e il re, che all'inizio, giusto per nascondere le sue speranze, cercò di convincerla con le buone, la condusse nel salone d'ingresso del suo palazzo, colmato per l'occasione di covoni di paglia.
-Se riuscirai a filare oro da tutta questa paglia- le disse -sarai libera. Altrimentidomani diventerai la moglie del principe. Hai una notte.- e fece chiudere le porte dietro di lei.
Merida allora non ci provò neanche e subito si mise a cercare un modo per fuggire, ma di nuovo fu tutto inutile. Dopo poco però sentì di nuovo la risata dell'omino, e lo vide aprire le porte ed entrare tenendosi la pancia.
-Sei di nuovo nei guai, eh?- chiese.
-E tu sei tornato, eh?- rispose lei.
-Cosa mi daresti questa volta, se io ti aiutassi?-
Merida tirò fuori il suo arco e glielo tese. Allora l'omino prese l'arco, ricominciò il ronzìo della ruota, e il mattino dopo da tutta quella paglia era sceso lucente filo d'oro. Il re era un po' contrariato per lo smacco ma poi non del tutto e un po' perplesso ma contento la lasciò libera.
La voce dei prodigi che accadevano attorno a Merida giusnsero fino alle orecchie di un regno ancor più lontano e il suo sire, Dingwall, decise che sarebbe stata proprio un'ottima occasione per rimpolpare le casse del suo regno, o almeno dare una sposa al suo unico figlio. Lo presentò allora come pretendente e per la terza volta Merida fu portata nella sua nuova dimora. Poco passò che anche qui la giovane rifiutasse qualunque sposalizio, allora il re, colta l'occasione al volo, la condusse alla sala del trono del suo castello, che aveva fatto riempire per loccasione di lucida paglia gialla.
-Se riuscirai a filar oro da tutta questa paglia entro domattina- le disse -sarai libera. Altrimenti sarai sposata a mio figlio.- e chiuse personalmente le porte.
Questa volta, consapevole di non poter fuggire e di non essere in grado di compiere un simile prodigio, si scoraggiò definitivamente.
Sentì quindi le porte aprirsi e vide entrarre l'omino: -Ti sei forse arresa?-
-Se avessi una via d'uscita, la piglierei subito.-
-Cosa mi dai se ti aiuto per la terza volta?-
Ma questa volta la fanciulla non aveva nulla da offrire.
-Allora promettimi, se sarai libera, il tuo spirito, che verrò a prendermi tra un anno.-
-Il mio spirito?-
-Sì. Tutti ne hanno uno.- e aperta la mano mostrò uno spiritello blu non più grande del suo palmo.
"In ogni caso" pensò la ragazza "devo affrontare un problema per volta. Chissà come andrà a finire." ma del resto in quelle strette non sapeva cosa fare, e gli promise quello che voleva e lui, in cambio, tornò a filare l'oro dalla paglia.
Il mattino dopo il re Dingwall non fu deluso e Merida tornò padrona della sua libertà.
L'anno passò rapidamente, tanto che ormai la fanciulla non pensava neanche più all'omino, ma dopo un anno lui si ripresentò puntualissimo.
Allora lei gli offrì qualunque altra cosa, ma lui rifiutò: -Qualcosa di vivo mi è più caro di tutti i tesori del mondo.-
Lei insisté con tutte le sue forze, così lui le propose un nuovo patto: Ti lascio tre giorni di tempo. Se prima che scada il termine scoprirai il mio nome, ti lascerò il tuo spirito.- e scomparve.
Merida passò la notte a pensare a tutti i nomi che le venivano in mente, e subito si mise a percorrere tutto il regno in cerca di nuovi.
Il giorno dopo, quando venne l'omino, lei cominciò da Gaspare, Melchiorre e Baldassarre e tutta una lista di nomi che conosceva, ma ogni volta l'omino rispondeva: -Non mi chiamo così.-
Il secondo giorno lei andò a cerca anche nei dintorni del reame e proposeall'omino dei nomi mai uditi: -Ubaldo, Zenzerino o Coscia di pollo?- ma lui rispondeva sempre: -Non mi chiamo così.-
Il terzo giorno si spinse fino ai piedi di un gran monte e, in fondo al bosco, dove la volpe e la lepre si dicono buonanotte, vide una casupola, davanti alla quale ardeva un fuoco intorno al quale ballava qualcuno che non riconobbe, che gridava, saltellando su una gamba sola:
 

-Oggi fo il pane, la birra domani, e il meglio per me
è aver posdomani la figlia del re.
Nessuno lo sa, e questo è il sopraffino,
ch'io porto il nome di Tremotino.


A Merida venne un sospetto e, colma di gioia per quella scoperta, si ridiresse a casa. Poco dopo, quando entrò l'omino, che le chiese: -Dunque, fanciulla, come mi chiamo?-, lei cominciò:
-Ti chiami Cirillo?-
-No.-
-Ti chiami Elvino?-
-No.-
-Ti chiami forse Tremotino?-
-Te l'ha detto il diavolo, te l'ha detto il diavolo!- gridò allora l'omino; e dalla rabbia pestò in terra il piede destro con tanta forza che sprofondò fino al ventre; poi, nel suo furore, afferrò con ambo le mani il piede sinistro e si squarciò.

Merida terminò la frase e si zittì.
Rapunzel, Jack e Hiccup erano tesi in avanti, pronti a cogliere ancora qualche frase, ma lei non aprì più bocca e li guardò perplessa.
-Allora?- la incitò Jack.
-Come "Allora?"? È finita!-
-Come è finita?- protestò lo spirito -Non era mica un finale quello lì!-
-E la ragazza? Visse per sempre felice e contenta?- domandò Rapunzel assetatissima d'informazioni.
-Penso di sì! Non era quello il punto del finale!-
-Ma scusa, il folletto muore così e poi dici che la storia di Jack è troppo violenta?- chiese invece Hiccup. Lei si limitò a fargli una boccaccia.
Dopo qualche momento chiese: -Ma non è piaciuta a nessuno?-
Rapunzel sorrise: -Certo che sì! La principessa era davvero coraggiosa!-
-E io ho capito perché il cattivo ti piace tanto.- aggiunse Jack.
Merida sorrise soddisfatta, mentre l'acqua prendeva a bollire in un angolo. Pochi secondi dopo, tutti e tre soffiavano sulle loro tazze fumanti.

 




Angolino dell'autrice:
Ecco un racconto forse troppo poco conosciuto rispetto al suo personaggio principale. Perché diciamocelo: di questa storia, almeno nella versione originale, resta soprattutto il cattivo, questo folletto Tremotino, una sorta di diavolo ingannatore... anche se, in realtà, i Grimm dicono chiaramente che si impietosisce un paio di volte! Mentre la loro protagonista è davvero una lagna, e non fa altro che piangere. Sostituirla con una Merida più combattiva è stato un piacere.
All'inizio, fedele ai principi delle altre due fiabe, avrei voluto sostituirlo con la strega del film, ma Tremotino resta Tremotino. Non si può sostituire.
Detto ciò, spero che abbiate apprezzato la storia, e vi ci siate cullati come quando vi mettete sotto le coperte per dormire.
A presto
Nike

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Capitolo 4
*** Pomo e Scorzo ***


Merida spalancò la bocca in un lungo sbadiglio. Rapunzel sbatté le palpere un paio di volte, la testa china e l'espressione stanca.
Jack si sollevò appena dai cuscini: -Sonno?-
Rapunzel annuì appena.
Lo spirito sorrise: -Un'ultima storia prima del letto vi va?-
La ragazza annuì di nuovo con un sorriso un poco accennato.
Merida si sistemò meglio sul morbido: -Va bene. Chi racconta?-
Jack accennò a Hiccup col mento: -L'unico che non ha ancora aperto bocca.-
Il ragazzo si grattò dietro la testa, riscosso dal torpore da quella novità: -Io?-
-Conosci qualche storia?-
-Quelle della mia gente rappresentano tutte i draghi come mostri. Non mi va troppo di raccontarvele.-
-...oh.- Jack guardò Sdentato dormire accoccolato in un angolo.
Ci fu un momento di silenzio.
-...però mio padre me ne aveva raccontata una...- rifletté Hiccup -...che aveva sentito in uno dei suoi viaggi al sud.-
-Ed è bella?-
-A me piace molto.-
Rapunzel si sistemò, appoggiando la testa alla spalla di Jack. Merida sollevò la schiena e si appoggiò coi gomiti alle gambe incrociate e sporgendosi verso Hiccup, che aggrottò le sopracciglia nel ricordare....

C'era una volta una coppia di nobili che desiderava tanto un figlio, ma purtroppo non riusciva ad averlo.
Spinti quasi alla disperazione, i due nobili inviarono il loro guardacaccia Stoik nella foresta, per chiedere consiglio ai quattro grandi spiriti che vi abitavano. L'uomo partì, e giunse in una radura dove i quattro spiriti si manifestarono. Stoik avanzò la richiesta del suo padrone e loro gli donarono una mela, dicendogli di darla da mangiare alla moglie del padrone, così avrebbe avuto il suo bambino.
L'uomo tornò a casa e consegnò alla dama il suo tesoro. Lei lo diede alla sua cameriera, che era anche la moglie del guardacaccia, perché lo sbucciasse, poi lo mangiò.
La domestica, invece di buttare via le bucce, se le mangiò, perché era un peccato sprecare un cosìbel frutto.
Entrambe le donne, dopo nove mesi, diedero alla luce, nello stesso giorno, due maschietti. Valka, la domestica, chiamò il suo bambino, tutto bianco e rosso come la scorza della mela, Hiccup, anche se per le strane circostanze della sua nascita tutto lo chiamavano Scorzo, mentre i nobili chiamarono il loro, tutto bianco come la polpa, Jack, soprannominato per lo stesso motivo Pomo.
I due bambini crebbero insieme e una forte amicizia li legò indissolubilmente, tanto che per simboleggiarla i due ersero sopra il pozzo due bandierine che sventolavano una accanto all'altra, e cavalcavano due puledri nati dalla stessa cavalla e giocavano con due cagnolini nati dalla stessa madre.
Un giorno, Jack decise di partire per esplorare il mondo e, abbracciando Hiccup, gli disse:
-Se un giorno, prendendo l'acqua dal pozzo, dovessi vedere la mia bandierina farsi nera, vienimi a cercare, che io sia vivo o morto. Tu che sei per me come un fratello sicuramente mi ritroverai.-
E, salutati i genitori, montò sul suo cavallo e partì.
Arrivò dopo qualche giorno di viaggio in un castello dove trovò una stalla vuota, preparata per sette cavalli. Legò il suo in un angolo e prese un po' di biada da ciascuno dei sette posti per dargliela, poi entrò e trovò una tavola apparecchiata per sette persone. Non volendo fare torto a nessuno, prese un pezzettino di pane da uno e un goccino di vino dall'altro. Poi salì di sopra e trovò una stanza con sette letti, e stanco si accoccolò in un angolino del settimo letto.
La sera arrivarono i sette cavalieri che abitavano in quel castello e scoprirono l'intruso, ma furono molto colpiti dalla sua giustezza e dalla sua discrezione. Il settimo cavaliere accettò di dividere con lui il materasso.
Il mattino dopo Jack aprì gli occhi e scoprì che i padroni di casa erano tornati.Questi lo ammisero alla loro tavola e gli raccontarono la loro storia: erano sette paladini al servizio del re che ogni mattina andavano alle mura della città per uccidere dei banditi che, ogni notte, tornavano in vita e ricominciavano le loro scorribande.
Jack decise quel giorno di accompagnarli: si batté con valore e la sera rimase con i suoi nuovi amici.
"Voglio proprio vedere" pensò quella notte "se i briganti di domani sono davvero gli stessi che abbiamo sconfitto oggi."
Il giorno dopo constatò con sorpresa che sì, i manigoldi erano tornati in vita nella notte. Di nuovo con i suoi compagni li sconfisse con facilità, ma quando calò il sole decise di rimanere a vegliare i corpi per scoprire l'origine di quell'artificio. Ed ecco, quando la luna era nel suo punto più alto, dei passi che si avvicinavano.
-Chi è là?- domandò Jack dal suo cantuccio nel buio.
-Sono una vecchina, vengo a resuscitare i miei figliuoli che mi uccidono tutti i giorni.-
A quelle parole Jack saltò fuori dal suo nascondiglio e con un colpo di spada staccò di netto la testa alla strega.
Il mattino dopo i sette cavalieri arrivarono e lo scoprirono addormentato in mezzo a tutti i corpi. Stupiti lo svegliarono e si fecero raccontare tutto quello che era successo per filo e per segno, e gli fecero una gran festa, e il re lo volle tra i suoi paladini.
Un giorno, durante un giro a cavallo con i suoi compagni, Jack alzò lo sguardo e vide un castello in mezzo al bosco, e pieno di curiosità chiese cosa fosse.
-Non andare lì.- gli risposero -quello è un luogo maledetto, molti vi si sono recati ma nessuno ne è mai tornato.-
Ma Jack voleva scoprire quale mistero si celasse dietro quel castello e partì per esplorarlo.
Quando vi arrivò, bussò alla porta ed ecco una vecchina dai denti aguzzi affacciarsi alla finestra: -Chi bussa? Cosa vuoi?-
-Passare, vecchia.-
-Prima lega quel cane, poi ti aprirò.-
Jack non aveva nulla per legare il suo cane e così la vecchina gli lanciò un lacciò dalla sua finestra. Quando il giovane ubbidì e il cane fu legato, eccoli trasformarsi in pietra tutti e tre, in un istante, cane, cavallo e cavaliere.

Il mattino dopo, quando Hiccup andò al pozzo per prendere l'acqua, scoprì la bandierina del suo amico nera a lutto. Di corsa, salutò i genitori e montò in sella al suo cavallo e, seguito dal suo cane, prese la strada alla ricerca di Jack.
Cammina e cammina, arrivò alla stalla per i sette cavalli, e vi legò il suo, dandogli un po' di biada presa da ciascuno dei sette mucchi.
Poi salì nel castello e, per non disturbare eccessivamente i suoi ospiti, prese un goccio di vino da un calice e un pezzettino di pane da un altro piatto, e si distese con discrezione nel settimo lettino.
Quando la sera tornarono i cavalieri e scoprirono il cavallo e il cane, subito credettero che Jack fosse tornato, ma quale sorpresa scoprire che a riposare era in realtà uno sconosciuto!
Quando Hiccup si svegliò, e si sedette a tavola con loro, i sette paladini gli raccontarono di quella strana coincidenza e Hiccup riconobbe subito che stavano parlando di Jack.
Si fece dire in che direzione fosse andato il suo amico e gli fu detto, assieme allo stesso avvertimento che era stato dato a Jack.
Ma Hiccup voleva ritrovare Jack, e il mattino stesso montò in sella al suo cavallo e si diresse verso il castello nel bosco. Quando vi giunse vide una statua di cavaliere in sella al suo cavallo e con il suo cane accanto: il giovane riconobbe con orrore in quella statua proprio Jack, e con rabbia cominciò a picchiare forte alla porta del castello.
Ed ecco di nuovo la vecchina con i denti da cinghiale affacciarsi alla finestra: -Chi bussa? Cosa vuoi?-
-Passare, vecchia.-
-Prima lega quel cane, poi ti aprirò.-
-Il mio cane non morde, quindi non lo legherò da nessuna parte. Adesso scendi, o con una testata spacco questa porta e anche il tuo brutto muso.- replicò Hiccup.
La vecchia si spaventò molto a quelle parole, e scomparve dalla sua finestra e corse giù ad aprire la porta. Ma quando lo fece una muta di lupi si riversarono su Hiccup, che con la sua spada li uccise o li cacciò tutti.
La strega, sempre più spaventata, prese allora un unguento e lo passò sulla fronte di Jack, del suo cavallo e del suo cane, riportandoli a com'erano prima.
-Adesso andate via.- ordinò.
Ma Hiccup, più veloce di qualsiasi incantesimo, sguainò la spada e le mozzo la testa d'un sol colpo.
Quando Jack si riprese completamente riconobbe subito il suo amico e lo riabbracciò felicissimo, poi i due giovani, con le spade in mano, aprirono le porte del castello per vedere cosa ci fosse dentro. Con stupore scoprirono interi saloni di statue, uomini pietrificati in qualsiasi posizione, in piedi, seduti, in ginocchio. Erano tutte le vittime della perfida strega.
Allora Jack e Hiccup cercarono un rimedio e trovarono la boccetta con l'unguento. Bastava spalmarne appena una puntina sulla fronte delle statue perché quelle tornassero in carne e ossa. La maggior parte di loro erano principi e baroni, e tutti vollero ringraziare i due giovani per averli salvati, offrendo loro terre e ricchezze.
Così Jack e Hiccup divennero due potenti signori e permisero ai loro genitori di vivere sereni e con del buon tabacco nella pipa.

Hiccup finì di raccontare e la sua fronte si distese.
Merida sollevò la testa dalle mani: -Bella.- disse solo.
Jack sorrise al ragazzo e Rapunzel si tirò su stiracchiandosi: -Davvero. Non ci sono principesse, ma anche così non è niente male.-
La ragazza si alzò e raccolse le tazze, poi con Merida andò di sopra a dormire.
Hiccup si era tirato in piedi, e Jack gli diede una pacca sulla spalla: -Molto carina la tua storia. Domani continuiamo?-
-Tu torni qui, domani sera?-
-Certo!-
-Allora ti aspettiamo.-
Jack gli sorrise e scivolò fuori dalla finestra, nella tempesta. Hiccup la richiuse col catenaccio, poi andò a dormire pure lui.

 




Angolino dell'autrice:
E anche Hiccup ha detto la sua per stasera. 
Come chi mi segue dalla storia originale saprà, mi piace la simmetria perfetta, dunque se qui insieme a Hiccup c'è Jack, nei prossimi capitoli ci saranno anche tutti gli altri incontri. Eh, una raccolta decente non contiene quattro capitoli appena, no?
Per quanto riguarda la storia: a onor del vero questa fiaba nasce dalla fusione di due leggende regionali, "Pomo e Scorzo", di origine veneziana, che  dà il titolo al capitolo, e "Aquilante e Grifone", toscana. Dalla prima ho preso la nascita dei due bambini, poiché tengo le loro avventure per un prossimo capitolo, mentre della seconda ho preso le vicende dei due ragazzi, che trovo molto divertenti. 
Adesso potete spegnere il computer, mettere via la vostra tazza ormai vuota, e immergervi nei sogni cullati dalle avventure fantastiche dei nostri Grandi Quattro. 
Grazie agli stoici che continuano a leggermi!
Nike

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Capitolo 5
*** Biancarosa e Rosarossa ***


-Quanto vorrei finisse questo maltempo.- sospirò Rapunzel servendo le infusioni calde in tavola.
Fuori dalla finestra la tempesta si era acquietata, ma il cielo restava basso e cupo, e rombava pesantemente, pronto a scatenarsi ancora. Merida sbirciò fuori dalle imposte e scrollò le spalle: sapeva che avrebbero dovuto resistere al chiuso ancora per un po', anche se ormai era stufa di formaggio e frutta secca.
-Cosa facciamo oggi?- domandò quindi.
-Jack arriva stasera.- informò Hiccup.
-Io penso che finirò di cucirmi l'abito che avevo iniziato qualche giorno fa.- comunicò Rapunzel.
-Io porto su qualche nuova fascina di legna. Poi magari gioco un po' con Sdentato.- aggiunse Hiccup.
Merida mugugnò e si lasciò scivolare sdraiata sulla panca.
-Leggi un libro.- le suggerì allora Rapunzel.
-Ne ho letti più in quest'inverno che in tutta la mia vita.- rispose Merida -Vivere nella torre è bellissimo, ma quando la tempesta dura così tanto tempo non c'è molto da fare.-
Rapunzel le sorrise, dondolò la testa e andò a dedicarsi al suo abito.
Dopo qualche momento Hiccup le picchiettò la fronte. Lei lo squadrò dalla panca.
-Se vuoi puoi aiutare me con la legna. Poi troviamo qualcosa da fare, che ne dici?-
La ragazza gli sorrise e si alzò.

-Mi spiace che tu non possa uscire.- mormorò ad un certo punto Rapunzel.
Merida, che stava giocando a dadi con Hiccup, fece un gesto noncurante: -Se uscissimo adesso, finiremmo per perderci nella nebbia e precipitare in qualche burrone.-
L'altra non rispose, pensava e cuciva, poi riprese: -Sai che mi hai fatto venire in mente un'altra storia?-
-Una interessante?-
-Racconta di due sorelline che si perdono nel bosco. Vagano fino a notte e poi si addormentano abbracciate nella nebbia. Il mattino dopo, quando si svegliano, col bel tempo scoprono che si erano sdraiate a pochi passi da un burrone.-
-Hanno avuto una bella fortuna.-
-Secondo il mio libro erano state protette dal loro angelo custode. Ma non è questo il punto.-
-E qual è?-
-Questa storia mi ha fatto venire in mente una fiaba per stasera.- Rapunzel si aprì in un sorriso contento.

Almeno la cena era sempre buonissima, con la carne bollita e la zuppa di legumi e il pane da inzupparci dentro.
Merida non si risparmiò e spazzolò via la sua parte in pochi minuti. Poi, con uno sguardi soddisfatto esclamò: -Allora, questa storia?-
Rapunzel sorrise, col pane a mezz'aria, e Hiccup la ridimensionò subito: -Dobbiamo aspettare Jack.-
Ed ecco finalmente arrivare, dopo poco, anche lo spirito.
-Che mi sono perso?-
-Rapunzel ha una storia per noi!- esclamò Merida.
La sua amica sospirò: -L'hai aspettata per tutto il giorno, non è vero?-
Lei le fece un sorriso a trentadue denti e annuì.

C'era una volta una povera vedova che viveva da sola nella sua capannuccia in mezzo al bosco,e davanti alla capanna c'era un giardino con due rosai; l'uno portava rose bianche, l'altro rose rosse. E la donna aveva due bambine, che si chiamavano Rapunzel e Merida, ma per il loro carattere che le faceva assomigliare ai due rosai tutti le chiamavano Biancarosa e Rosarossa. Biancarosa era più dolce e silenziosa di Rosarossa, mentre Rosarossa preferiva correre per campi e prati, coglier fiori e prender farfalle.
Le due bambine erano proprio buone e pie e aiutavano la mamma a tenere la casa pulita e ordinata, e anche fra loro si volevano un gran bene, tanto che quando Rapunzel diceva: -Non ci separeremo mai.- Merida rispondeva: -No, mai, per tutta la vita.-
Durante l'inverno tenevano acceso il fuoco e il paiolo era talmente lucido che sembrava fatto d'oro. Una sera qualcuno bussò alla porta. Merida andò ad aprire, credendo si trattasse di un viandante perso nella neve, ma, una volta tolto il catenaccio, fece un salto indietro e lanciò un urlo, mentre Rapunzel si nascondeva dietro il letto della mamma: non era un viandante, era un orso.
Ma la mamma gli diede il benvenuto: -Cosa sei venuto a cercare qui, amico orso?-
-Non scappate- rispose lui -Sto congelando, vorrei passare con voi la notte per scaldarmi un po' davanti al fuoco. Posso entrare?-
La mamma gli fece spazio davanti al caminetto e domandò a Rapunzel di andare a chiudere la porta. La bambina ubbidì, poi si avvicinò al loro ospite con la sorellina e fecero la conoscenza. Da allora, ogni sera l'orso bussava alla loro porta e Merida gli apriva il catenaccio e al mattino dopo Rapunzel lo faceva uscire. Passarono così l'inverno, con le bambine che giocavano con il loro ospite e poi andavano a dormire, e poi al mattino lo salutavano dalla porta.
Quando arrivò la primavera, l'orso le salutò un'ultima volta: -Questa sera dormirò nel bosco.-
-Perché non torni più?- chiese curiosa Rapunzel.
-Perché devo proteggere i miei tesori dai nani. Vedete, quando è inverno i nani stanno sotto terra, e la terra è dura e loro non riescono a risalire. Ma col disgelo adesso riusciranno a farsi strada per la superficie. Ormai devo andare.-
Così le bambine lo salutarono dalla porta agitando la mano e lo guardarono sparire nella foresta.
Dopo qualche tempo, la mamma mandò le due bambine a cercar della stipa nel bosco, e cammina e cammina ad un certo punto le due arrivarono ad un albero abbattuto, e nei pressi dell'albero qualcosa che si muoveva in tutte le direzioni, ma senza mai allontanarsi da dov'era. Si avvicinarono e scoprirono un nano, la cui barba era incastrata in una fessura del tronco. Quando questi le vide, prese a strillare: -E voi cosa state lì a guardare? Sbrigatevi a darmi una mano!-
-Ma come ci sei finito lì, omino?- chiese invece Merida.
-Ero venuto a farmi legna, ma il cuneo era troppo liscio ed è saltato fuori e il tronco si è richiuso sulla mia bella barba. Ma non state lì a ridere, aiutatemi, facce pelate!-
Ma le due, per quanto provassero, non riuscivano a scastrare la barba dal tronco. Al che, Rapunzel ebbe un'idea, e prese le sue forbicine tagliò la punta della barba, liberando il nano. Il quale, invece di ringraziare, cominciò a brontolare che gli avevano rovinato la sua magnifica barba, e, preso un sacco d'oro nascosto fra le radici lì intorno, se ne andò senza neanche salutare.
Qualche tempo dopo alle due bambine venne voglia di farsi un piattino di pesce, così si presero per mano e andarono al ruscello. E lì videro un esserino come una cavalletta gigante che saltellava nei pressi dell'acqua. Era di nuovo l'omino, e sembrava continuamente che volesse buttarsi in acqua.
-Ma cosa ti è successo?- chiese Merida.
-Non vorrai tuffarti?- chiese Rapunzel.
-Ma che domande sciocche!- rispose invece lui -Ero venuto a pescare, e un pesce si è inghiottito la mia barba assieme alla lenza! Non riesco a tirarlo fuori, ma non riesco a liberarmi!- e infatti si teneva a tutti i giunchi e a tutte le canne per non farsi trascinare, ma non poteva non seguire il pesce che se lo stava portando via.
Le due bambine lo tennero fermo, e provarono a districare la barba dalla lenza, ma non c'era niente da fare. L'unica soluzione era quella di tagliare la barba, sacrificandone un pezzettino, per liberare il nano.
E con un colpo di forbici, infatti, il nano fu libero. Ma quegli prese a strillare: -Sciagurate, che avete fatto alla mia barba? Avete tagliato il pezzo più bello! Adesso non potrò neanche farmi vedere dai miei!- e continuando così prese un sacco di perle nascosto nel canneto e se ne andò senza aggiungere altro.
Accadde ancora che Rapunzel e Merida fossero mandate dalla madre a comprare ago e filo, e che per arrivare al villaggio le due bambine dovessero attraversare una piana coperta di enormi massi e rocce. Ad un certo punto videro un'aquila volare in circolo sulle loro teste, e poi abbassarsi di colpo.
Ed ecco levarsi acuti e strilli. Rapunzel e Merida accorsero e video che l'aquila stava rapendo il loro conoscente, il nano. Allora lo afferrarono e, tira di qua, tira di là, riuscirono a liberarlo dalle grinfie del rapace. Ma quegli, invece di ringraziarle, le rimbrottò: -Ma che modi sono questi, non potevate fare più attenzione? Guardate il mio giubbino, è tutto stracciato per colpa vostra!-
Le due bambine, abituate ai suoi modi scortesi, non vi fecero molto caso e andarono per la loro strada, mentre il nano tirava fuori da sotto una roccia un sacco pieno di pietre preziose.
Dopo che ebbero sbrigato la loro commissione, Rapunzel e Merida ripassarono per la piana, e da lontano videro che il nano stava versando le pietre preziose nella sua tana. Erano così tante, e belle, e luccicanti, che rimasero lì a osservare quello spettacolo. Il nano se ne accorse e prese a lanciare altre ingiurie: -Cosa fate lì, piccole spione!- quando dal bosco giunse un brontolio, ed ecco che un orso nero uscì trottando dagli alberi.
Il nano non riuscì a raggiungere il suo nascondiglio e, raggiunto dall'orso, prese a supplicare: -Non mi mangi, signor orso! Io sono così piccolo e mingherlino, non le basterei per due ore! Ecco, prenda quelle due bambine, così grasse e morbide, sono come due quaglie per un banchetto!-
L'orso non badò alle sue parole, ma gli diede una zampata e il malvagio non si mosse più.
Merida e Rapunzel erano scappate, ma una voce le raggiunse: -Rapunzel, Merida, non scappate, sono io! Vengo con voi!-
Loro riconobbero il loro amico orso e si fermarono, ma quando lui le raggiunse la pelle dell'orso cadde per rivelare un bel giovane, vestito tutto d'oro.
-Sono il principe di queste terre. Ero stato stregato, e dovevo vagare per queste terre finché la morte del nano che ruba i miei tesori non fosse sopraggiunta per liberarmi. Così ha avuto la giusta punizione.-
Il principe invitò le due fanciulle a vivere con lui a palazzo, e loro vi andarono con la loro mamma, che visse tranquilla e felice ancora per molti anni. Ma si portò dietro i due rosai, che continuarono a dare ogni anno le più belle rose, bianche e rosse.

Rapunzel smise di raccontare e guardò i suoi amici, che la osservarono ancora col fiato sospeso.
-Che c'è?- chiese allora.
-Non stai dimenticando qualcosa?- domandò Merida.
-Oh, sì, giusto.-

...E così vissero tutti felici e contenti.

Merida, Hiccup e Jack si rilassarono e sorrisero.
Rapunzel sorrise di rimando: -Che ne pensate?-
-Che a me è piaciuta molto.- Merida le tese la mano, e Rapunzel gliela prese per qualche istante -Probabilmente con una sorella, invece che con tre piccole pesti, mi sarei divertita molto di più.-
-Non ti diverti con me adesso?-
-Assolutamente sì! Ma evitiamo di perderci nel bosco, per favore. Non ho molta voglia di incontrare streghe e folletti strani che fanno incantesimi misteriosi e trasformano la gente in orsi, ti va?-
Rapunzel si mise a ridere: -Non accadrà, lo prometto.-
A quello spettacolo, Jack scambiò uno sguardo divertito con Hiccup.
-Allora- le interruppe poi -Adesso a chi tocca?-

 




Angolino dell'autrice:
Ed ecco, in risposta a Pomo e Scorzo, una fiaba che mette insieme Merida e Rapunzel. Probabilmente le due sono meno distinte l'una dall'altra, rispetto ai due protagonisti della fiaba precedente, ma trovo che il parallelo con i due rosai sia particolarmente azzeccato. 
Questa è la mia fiaba preferita, fra tutte quelle dei fratelli Grimm. La trovo molto dolce, e le due sorelline molto tenere. E poi, per una volta, non è troppo sanguinolenta!
Due piccoli appunti sulla storia: l'episodio dell'angelo custode è la prima parte della fiaba dei Grimm, io l'ho trasformata in un aneddoto per concentrarmi poi sulla storia principale quando Rapunzel racconta. 
Inoltre, c'è da fare una precisazione sul titolo della fiaba. Piccola lezione di tedesco: il titolo in lingua originale è Schneeweißchen und Rosenrot, dove "Schnee" nel primo nome si traduce con "neve" (mentre è "Rosen" del secondo che indica la rosa). Il titolo vero è quindi Biancaneve e Rosarossa, ma questa non è la stessa Biancaneve dei sette nani, perché la fiaba tedesca di quest'ultima è Schneewittchen. La parola "bianca" ("weißchen" per una e "wittchen" per l'altra) è resa in due modi diversi per i due personaggi perché sono usati due dialetti tedeschi diversi. 
Siccome in italiano non è possibile rendere questa differenza dialettale, e siccome la mamma ha chiamato le sue figlie dai colori dei due rosai del suo giardino, esiste un'altra traduzione attestata, appunto Biancarosa e Rosarossa, che mi ispira molto di più.
Nike

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Capitolo 6
*** Il piccolo principe ***


-Allora...- chiese quindi Jack -..Ora a chi tocca?-
Hiccup alzò timidamente la mano: -Io ne avrei una in mente...-
-Ma dai?- rise Merida -Siamo diventati chiacchieroni?-
-Ci ho preso gusto, da ieri sera. E questa è proprio speciale. Me l'hanno raccontata quando ero molto piccolo, me ne ricordo solo delle parti, ma cercherò di essere il più esauriente possibile. Viene davvero da molto lontano.-
-Da dove?-
-Molto da sud.-
-Molto da sud?-
-A sud del mare a sud.-
-E quindi da dove?-
-Dal deserto.-
Gli altri tre si misero comodi, e lui continuò: -Me l'ha raccontata un viaggiatore. Ha detto che è una storia solo per i bambini, perché i grandi spesso si dimenticano di essere stati piccoli.- sollevò lo sguardo su Jack, che si illuminò in un sorriso e assentì annuendo.
Così Hiccup prese un bel respiro e continuò: -Si era perso nel deserto con riserve d'acqua per otto giorni, e lì ha conosciuto un personaggio molto speciale.-
-Com'era?-
-Era un bambino. Una sorta di esploratore. E siccome a me avevano sempre insegnato che i più grandi esploratori siamo sempre stati noi, per me era un piccolo vichingo.-

C'era una volta...
Un piccolo vichingo, che si occupava della sua stella, lassù nel cielo. Non era una grande stella, era abbastanza piccola che per vedere il tramonto gli bastava spostare un pochino la seggiola. Una volta che si sentiva particolarmente malinconico, aveva guardato il tramonto ben quarantatré volte in un giorno.
Però non aveva mai trascurato i suoi doveri verso la sua stella. Puliva sempre con molta attenzione i suoi vulcani che gli arrivavano al ginocchio, due attivi e uno no, ma che lui puliva lo stesso perché non si sa mai. Poi cercava ed estirpava tutti i germogli di baobab, perché i baobab quando crescono diventano troppo grandi e occupano poi tutto lo spazio. Una volta aveva sentito di un uomo che era stato un po' troppo pigro, e aveva tralasciato tre germogli, che poi sono cesciuti e gli avevano occupato tutto il pianeta e lui non era più riuscito a toglierli.
Però lasciava crescere i fiori, di quei fiori semplici, con una sola corona di petali. Non occupavano spazio, non disturbavano nessuno. Nascevano la mattina, poi si spegnevano la sera. Ma ecco, un giorno, un nuovo germoglio, di un fiore mai visto. Probabilmente il suo seme era stato portato lì dal vento. All'inizio il piccolo vichingo credette si trattasse di un baobab, poi però si accorse che non era un baobab e quindi lo lasciò crescere, curioso di vedere quale bel fiore sarebbe nato. E quindi lo osservò, per giorni, perché quel fiore prendeva davvero tanto giorni per aggiustarre ogni piega del suo abito prima di mostrarsi. Era davvero civettuolo! E poi ecco che un mattino, proprio all'alba, si era mostrato.
-Oh, scusami... mi sono appeno svegliata, - disse -sono ancora tutta spettinata...-
Ma il piccolo vichingo non poteva staccare gli occhi da tutte quelle belle corone di petali: -Come siete bella!-
-Credo. E poi sono nata col sole...!- disse dolcemente il fiore -Comunque credo che ormai sia ora di colazione... avrete certo la bontà di pensare a me...-
Il piccolo vichingo corse a prendere l'annaffiatoio. E così, il fiore cominciò a chiedergli una favore, e poi un altro, tipo di coprirlo la sera con una campana di vetro perché non prendesse freddo, e poi un paravento per non soffrire gli spifferi... E spesso parlava di quanto fosse unico, che non ci fossero altri fiori come lei. E così il piccolo vichingo si accorse che quel fiore prendeva sempre più spazio sul suo piccolo pianeta, e decise quindi di partire.
Approfittò di uno stormo di uccelli che passava nei pressi della sue piccola stella.
-Allora... addio.- disse al fiore.
-Addio.- disse il fiore, dopo un lungo silenzio. Sembrava davvero triste, e anche il piccolo vichingo si sentiva triste -Adesso parti. E lascia stare quella campana di vetro. Non ho poi così freddo. Cerca di essere felice.-
Così il piccolo vichingo partì.
Si trovava nella costellazione della cintura di Orione, e da quelle parti c'erano cinque piccole stelle che erano abitate. La prima era abitata da un re, seduto sul suo scranno con tutte le sue asce e i suoi scudi che ricoprivano tutta la superficie della sua piccola stella.
-Oh! Un suddito!- esclamò il sovrano, che si faceva chiamare l'Immenso.
-Come mi conosce se non mi ha mai visto?-
-Ti ordino di avvicinarti, che possa vederti meglio...- rispose invece il re, contento di avere un suddito.
-Ma sono stanco... non è che posso sedermi?-
-Allora ti ordino di sederti e di riposarti.-
Il piccolo vichingo si sedette: -Su cosa regnate?-
-Su tutto. Su tutte le stelle del cielo.-
-Allora potete ordinare al sole di tramontare?- chiese il piccolo vichingo, che si sentiva un po' malinconico, al pensiero del suo fiore solo sulla sua stella.
-No, perché non sarebbe logico.-
Allora il piccolo vichingo ripartì, pensando che talvolta i grandi erano davvero strani.
Arrivò su una stella dove si trovava un giovane vichingo, che amava vantarsi: -Oh, un ammiratore!-
-Come fa a conoscermi se non mi ha mai visto?-
-Allora, dimmi, non mi trovi il più bello di tutti gli altri?-
-Gli altri chi, visto che sei da solo?-
-Ah, sono da solo? Non avevo visto, avevo il sole negli occhi. Cosa vuoi, che spenga il sole?- allora il vanitoso tornò alla sua prima domanda: -Per favore, dimmi che sono il più bello...-
Ma il piccolo vichingo ripartì, pensando che talvolta i grandi erano davvero strani.
Arrivò alla terza stella, dove un uomo sedeva davanti ad una collezione di bottiglie vuote e una collezione di bottiglie piene. Aveva un dente di pietra e gli mancavano un braccio e una gamba.
-Cosa fai?-
-Bevo per dimenticare.-
-E che cosa vuoi dimenticare?-
-Che non riesco a smettere di bere.-
Allora il piccolo vichingo partì, pensando che i grandi spesso erano davvero molto strani.
Arrivò quindi alla quarta stella, dove una giovane vichinga bionda vegliava su un fuoco.
-Benvenuto, buonasera.- gli disse la vichinga bionda, e accese il fuoco.
-Grazie, chi sei?-
-La guardia del fuoco. Buongiorno.- e spense il fuoco.
-Perché hai già spento?-
-Perché è già passato un dì. Buonasera.- e lo riaccese. -Qui i giorni durano un minuto.- e sbuffò, stanca di quel compito così noioso.
-E perché non fai il giro del pianeta seguendo il sole, quando vuoi riposare?-
-Perché vorrebbe dire camminare, e l'unico modo per riposare per me sarebbe dormire.-
-E perché non dormi e non lasci perdere per qualche giorno?-
-Perché questi sono gli ordini.-
-Gli ordini di chi?-
-Non lo so. Ma sono gli ordini.-
Allora il piccolo vichingo ripartì, pensando che i grandi spesso erano davvero tanto strani.
Arrivò quindi sul quinto pianeta, dove incontrò una donna che studiava su dei grandi libri le immagini di enormi draghi, con un bastone con dei sonagli appoggiato accanto a lei.
-Chi sei?-
-Sono una studiosa. Ascolto le storie degli esploratori e le trascrivo nei miei libri.-
-E tu? Tu non esplori mai niente?-
-No... non è il compito degli studiosi, questo. Noi stiamo alla scrivania e studiamo quello che gli esploratori ci raccontano, se è vero o se è falso.-
-E che cosa si può esplorare qui intorno?-
-C'è la Terra, che è piena di persone e di misteri. Anzi, se ci vai, quando ripassi poi raccontami tutto. Se è interessante, manderò qualcuno a verificare che tu racconti giusto e poi lo inserirò nei miei volumi.-
Allora il piccolo vichingo ripartì alla volta della Terra, pensando che certi grandi erano più strani di altri.

Arrivò quindi sulla Terra, e cadde vicino a un campo di cinquemila fiori, che erano tutti uguali al fiore che aveva lasciato sulla sua stella.
-E voi chi siete?-
-Siamo le rose.-
Allora il piccolo vichingo ripartì, tutto triste, perché il suo fiore gli aveva raccontato di essere unico in tutto il cielo e invece aveva trovato un giardino con cinquemila rose tutte uguali a lui.
Tutto triste, e non capiva perché, si sedette sotto un melo, e pianse.
Fu allora che apparve il draghetto. Era tutto nero, e sinuoso, e aveva grandi occhi gialli.
-Buongiorno.- disse il draghetto.
-Buongiorno.- rispose il piccolo vichingo -Chi sei?-
-Sono un draghetto.-
-Vuoi giocare con me?- chiese il piccolo vichingo -Sono talmente triste...-
-Non posso giocare con te... non sono addomesticato.-
-Cosa vuol dire "addomesticare"?-
-Che devi avere molta pazienza. Prima ti siedi lontano da me. Non parliamo. Il linguaggio è fonte di malintesi. Poi il giorno dopo ti siedi un po' più vicino. Poi ancora più vicino. Sarebbe meglio venissi alla stessa ora, così già tutta l'ora prima ti aspetto e il mio cuore è contento. Ci vogliono dei riti...-
Allora il piccolo vichingo addomesticò il draghetto, e finalmente giocarono assieme.
Venne però il giorno della partenza.
-Ah.- disse il draghetto -Allora piangerò...-
-Ma hai voluto tu che ti addomesticassi! Così non ci guadagnerai niente!-
-Oh sì, invece. Ci guadagno il colore delle fronde degli alberi: è il colore dei tuoi occhi. Quando guarderò gli alberi, penserò ai tuoi occhi.- poi aggiunse: -Torna a vedere le rose. Capirai che la tua è unica al mondo, per tutto il tempo che hai dedicato a lei.-
Allora il piccolo vichingo andò a vedere le rose, e si accorse che il draghetto aveva ragione.
-Vedi, è il tempo che hai dedicato alla tua rosa che la rende così speciale. Ormai sei responsabile della tua rosa...-

Hiccup si interruppe e i suoi occhi si rifocalizzarono sui suoi amici. Merida teneva gli occhi spalancati, Jack pure. Rapunzel aveva gli occhi lucidi.
-Questo è il momento in cui il piccolo vichingo incontra il viaggiatore di cui vi ho parlato. Ormai è passato un anno dalla sua partenza dalla sua stella.-

Il viaggiatore lo vide seduto su un muro, che parlava con un serpente giallo.
-L'ho conosciuto quando sono caduto sulla Terra.- gli spiegò -Mi disse che col suo morso poteva darmi la soluzione a tutto.- poi aggiunse -In questo momento la mia stella è esattamente sopra di noi. Non posso mostrartela, è troppo piccola. Però ora, dopo quello che ho imparato dal draghetto, ogni volta che guardo le stelle le vedo fiorire come fiorisce la mia rosa.
-Questo corpo è troppo pesante per il viaggio. Ma non ti preoccupare: d'ora in avanti, quando guarderai le stelle le sentirai ridere come milioni di sonagli, e allora ti ricorderai di me.-
In quel momento ci fu un lampo giallo intorno alla sua caviglia.
Il piccolo vichingo cadde, ma il mattino dopo, quando il viaggiatore tornò a cercare il suo corpicino leggero, scoprì che era sparito.

Hiccup finì quindi di raccontare. Merida abbassò la testa, pensosa. Rapunzel allungò le braccia e gliele avvolse intorno alle spalle.
Per qualche minuto nessuno parlò. C'era silenzio... il silenzio per "addomesticare" i draghetti.

 




Angolino dell'autrice:
Quella di questo capitolo è stata una vera sfida. Nonostante Il piccolo principe sia un libro di una settantina di pagine appena, è talmente ricco che ho dovuto lasciare da parte molti elementi. Il piccolo principe è tenace, capisce che tra i freddi calcoli e le spine che le rose usano per difendersi è la seconda la più importante. La poesia di queste pagine è decisamente troppo profonda perché possa essere resa nell'equivalente di solo tre pagine. Chiedo quindi scusa agli appassionati dell'originale, e spero che la mia pallida copia vi abbia fatto sognare almeno un quinto di quanto l'originale ha fatto sognare me.

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Capitolo 7
*** La fiaba dei gatti ***


Dalla finestra entrò uno spiffero, Sdentato rabbrividì e Hiccup lo accarezzò dietro le orecchie. Merida rifletteva ancora sull'ultima fiaba ascoltata, mentre Rapunzel finiva di versare gli infusi nelle tazze e portarle ai suoi amici. Jack si era drizzato per un momento, intento ad ascoltare il vento:
-Dovrò poi andare.- disse -C'è troppo movimento là fuori, non posso perdermelo.-
-Di già?- sbuffò Merida -Almeno un'altra storia non ti va di ascoltarla?-
Lo spirito aveva sorriso e annuito: -Tu ne hai una pronta?-
Merida scosse la testa, presa alla sprovvista, mentre Hiccup si defilava in silenzio dalla conversazione: aveva appena finito, lui!
Jack aprì la bocca per parlare, quando Rapunzel prese la parola: -In realtà io ne avrei un'altra.-
-Ooooh!- fu l'asclamazione in risposta -Due in una sera sola?-
La fanciulla annuì e si risedette al suo posto, coprendosi con una coperta: dalla finestra entrava proprio uno spiffero noioso!
-Non è bella come quella di Hic, ma parla di gatti e io adoro i gatti!-
Pascal le fece una pernacchia e lei lo accarezzò sulla testa: -Ma sì, Pascal! Sai che adoro anche e soprattutto te!-
Poi tornò a rivolgersi ai suoi amici: -Allora...

C'era una volta una matrigna che aveva una figliastra dolce e gentile, di cui invidiava la bellezza e la grazia innata. Gothel era il nome della donna, e Rapunzel quello della fanciulla.
Per il suo gusto nell'infierire, la donna dava spesso ordini impossibili alla ragazza, per poter poi prendersela con lei e trattarla come un ciuco da fatica. Rapunzel, dal canto suo, non rispondeva e in silenzio sopportava.
Un giorno la donna la mandò a raccogliere cicorie. Rapunzel ubbidì, ma una volta al campo vide un bel cavolo e decise di cogliere quello. Lo prese tra le mani e tira e tira, riuscì a sradicarlo. Ma con sorpresa scoprì sotto il cavolo un pozzo, e dato che vi era pure una scaletta appoggiata, la ragazza decise di scendere per vedere cosa c'era.
Scoprì allora una casa piena di gatti, tutti impegnati nelle pulizie. C'era infatti chi spazzava per terra, chi lavava i panni, chi preparava il pane.
Rapunzel, abituata a lavorare, si rimboccò subito le maniche e si mise a dare una mano: lavò lenzuola e pavimento, e impastò pure la farina per il pane.
A mezzogiorno in punto, ecco comparire Mamma Gatta, che disse:
-Il pranzo è pronto! Chi ha lavorato venga a mangiare, chi ha poltrito venga a guardare!-
Allora i gattini risposero: -Mamma, ci siamo dati tutti da fare, ma questa fanciulla ha fatto molto più di noi!-
-Brava!- la complimentò Mamma Gatta -Siediti e mangia con noi!-
E servì quindi a Rapunzel maccheroni, galletto arrostito e insalatina fresca. Ai suoi gattini, invece, diede solo un piatto di fagioli. Rapunzel, che si sentiva molto in imbarazzo per quel privilegio, spartì subito il suo cibo con i micini, che la guardavano con gli occhioni affamati.
Dopo mangiato aiutò a sparecchiare, pulì il tavolo e salutò: -Devo ripartire, se no arrivo tardi e mia madre mi sgrida.-
Ma Mamma Gatta la trattenne e la portò in un grande ripostiglio: -Aspetta, lascia prima che ti dia una cosa.-
Nel ripostiglio, da un lato c'erano abiti fini, grembiuli di lino e di seta, scarpette di raso e di cristallo (Mamma Gatta era, infatti, la sarta ufficiale della Fata Madrina) mentre dall'altra parte c'erano vestiti di cotone o di lana, grembiuli spessi e zoccoli, per le faccende di casa.
-Ecco, scegli cosa vorresti.-
E Rapunzel si diresse subito verso gli abiti da lavoro, tra cui scelse un vestito di lana, un paio di scarpe di vacchetta e un semplice fazzoletto da mettere al collo.
-No, non va bene.- rifletté la gatta: -Meriti un regalo più bello, per la tua generosità.-
Allora le diede un bell'abito di seta, un fazzoletto azzurro e delle scarpine di seta dello stesso colore. Poi le disse: -Attenta, a risalire, ai buchini che ci sono nel muro. Infilaci le dita, poi alza la testa.-
Rapunzel ubbidì, e quando ritirò le dita dai buchi le ritrovò completamente inanellate, e quando alzò la testa le cadde in fronte una stella.
Ritornò a casa tutta splendente come il sole!
La matrigna, quando la vide così, divenne quasi verde di rabbia, e le chiese cosa fosse successo. Rapunzel le raccontò candidamente tutta la storia.
Allora Gothel si disse: -Se una incapace come lei ha potuto ottenere tutte queste belle cose, sicuramente io riuscirò a ottenere qualcosa di ben migliore!-
Il mattino dopo si mise in cammino, borbottando per il freddo e l'ora troppo presta. Arrivò quindi al campo di cicorie, trovò il cavolo e lo tirò forte. Ecco quindi il pozzo, e la scaletta. Lei scese e trovò la casa dei gatti. Ma sicuramente non era come Rapunzel, era pigra e dispettosa, e cominciò subito a rendere la vita impossibile ai gattini. Li sollevò per la coda, strappò i baffi, a chi cuciva sfilava l'ago. I poveri gattini miagolavano sconvolti.
Arrivò quindi mezzogiorno in punto e arrivò Mamma Gatta che disse: -Il pranzo è in tavola! Chi ha lavorato venga a mangiare, chi ha poltrito venga a guardare.-
Ma i micini risposero: -Mamma, noi volevamo lavorare, ma questa ragazza ce l'ha impedito!-
Allora Mamma Gatta le diede solo del pane bagnato nell'aceto e ai suoi gattini maccheroni al pomodoro e carne arrosto. Naturalmente Gothel non era contenta e rubava il cibo dai piatti altrui.
Finito il pranzo non si preoccupò neanche di far finta di sparecchiare il suo piatto, e ordinò a Mamma Gatta: -Adesso dammi quello che hai dato a Rapunzel!-
La gatta la portò ripostiglio e le mostrò gli abiti: -Scegli che cosa vuoi.-
-Voglio quel bel vestito in seta trasparente e quelle scarpe col tacco!-
Ma Mamma Gatta le diede la sua roba: un abito unto e bisunto e scarpe sfondate e logore, e al collo le legò un cencio. Poi le disse: -Quando esci metti le dita nei buchini e alza la testa.-
Quando Gothel ubbidì si ritrovò le dita piene di vermi, che si arrotolavano tra le sue falangi e che lei non riusciva a sfilarsi in nessun modo, e quando alzò la testa le cadde in bocca un lombrico, che non si accorciava neanche a masticarlo e non cadeva neanche a sputarlo.
Quando tornò a casa e si vide così conciata allo specchio, ne morì di rabbia.
Rapunzel, invece, di li a poco si sposò con un bel giovane, aprì un negozio di erbe e mise su famiglia.
 

E così stettero belli e contenti
Drizza le orecchie che ancora li senti.


Rapunzel smise di raccontare e si ritirò sulla sedia tutta soddisfatta.
-Già finita?- chiese Jack.
La ragazza annuì.
-Io ne conoscevo una simile.- considerò Merida: -Però erano due sorellastre, e la matrigna adorava la sua brutta figlia naturale e odiava la figliastra gentile. Nella mia versione dovevano andare a prendere acqua al pozzo e aiutare una vecchina: toglierle le pulci, rassettare la sua catapecchia...- finì con una smorfia di disgusto.
-Anche tutte le fiabe che ho letto io avevano due sorellastre. In una c'erano addirittura tre raccoglietrici di cicoria!- spiegò Rapunzel -Però in questa versione ho lasciato perdere. Perché prendersela con la figlia se già la madre è cattiva?-
-Per caso hai qualcosa contro le matrigne?- la prese in giro Jack.
-Io... io...- la ragazza si mise i capelli dietro un orecchio -Non lo so, Jack. Quando ripenso a quell'altra non so se provo odio. Ma non so se ho smesso di volerle bene. Mi ha tradita ma mi ha anche cresciuta. Che cosa dovrei pensarne? L'unica cosa di cui sono sicura, in questo momento, è che a pensare a tutto il tempo perso in questa torre per le sue bugie provo solo tantissima... rabbia...-
Hiccup previde un momento di disagio, quindi preferì far cambiare rotta al discorso: -Quindi la matrigna... o la sorellastra... muore sempre in maniera così cruda?-
-Be', nella fiaba dei due nati da una mela le streghe non fanno certo una fine migliore!- ribatté Merida.
-Lì è diverso: loro fanno male a tanta gente. Qui lei è solo... antipatica. E capricciosa. E viziata.- Hiccup rallentò mano a mano il tono, mentre ralizzava quello che diceva.
-Vorresti che finisse in maniera diversa?-
-I cattivi finiscono malissimo in tutte le fiabe. Mi chiedevo solo se non si potesse trovare una versione un po' più... clemente?-
Rapunzel ci pensò un po' su, poi disse: -Così potrebbe andare?-

Quando Rapunzel la vide tornare in quello stato accorse subito ad aiutarla. La portò in casa e la aiutò a sedersi e a lavarsi, e le portò dei vestiti puliti. Gothel non riusciva più a sopportare i vermi tra le dita, figuriamoci il bruco in bocca. Non riusciva nemmeno a guardarsi allo specchio.
Allora guardò Rapunzel, e si rese conto di tutto il male che le aveva fatto e che lei, invece, la guardava con gli stessi occhi dolci di prima.
Si gettò quindi ai suoi piedi e le chiese scusa, mentre un gatto miagolava sullo stipite della porta.
Rapunzel si inginocchiò accanto a lei e con attenzione le disfò i vermi da attorno alle dita e le tolse il bruco dai denti.
Gothel imparò la lezione, andò a vivere vicino a lei quando si sposò e vissero entrambe felici e contente.

-Questa versione sembra calzare di più con il tuo stile.- notò Jack.
-Nella versione in cui la matrigna si pente e la figliastra non perde la sua unica famiglia? Sarebbe un sogno.- replicò amaramente Rapunzel.
-Però sinceramente in questo caso la cattiva perderebbe tutto il suo senso.- riprese lo spirito -Con questo cambiamento la cattiva non sarebbe più così cattiva e nessuno imparerebbe niente dalla sua punizione.-
-Ma non è importante che lei rimanga cattiva fino alla morte!- s'indignò Hiccup -L'importante è la morale, il messaggio che passa: che se si è cattivi bisogna cercare di cambiare e che si è buoni bisogna sempre perdonare.-
-Secondo me in questa versione più che perdonare la cattiva ci si concentra di più sulla buona... io, comunque, trovo che in questo modo la storia si concentri di più sulla protagonista gentile. E non è male! Largo al buon esempio!-
-Che tu seguiresti subito!- la rimbeccò ridendo Jack.
-Sono fiabe!- si difese lei -Ovviamente devono sembre passare buoni insegnamenti ai bambini, se no le nutrici non ce le racconterebbero. Ma la parte divertente è la scena nella casa coi gatti che lavorano e che mangiano!-
-Ovviamente.-
-Ovviamente!- confermò lei.
Rapunzel allora corrugò un po' le sopracciglia: -Ma se avessi un'altra idea?-
Tutti si sporsero avanti per ascoltare.

Dopo che Rapunzel l'ebbe liberata dai vermi e dal bruco, Gothel si rese conto che i suoi capricci le avevano lasciato tracce indelebili: la pelle delle dita era tutta rugosa e i denti tutti neri e macchiati.
Conscia di quanto le era costato il suo caratteraccio, decise di partire. Si trovò una capannuccia tutta sporca, e vestita dei cenci di Mamma Gatta andò a sedersi accanto a un pozzo, dove metteva alla prova le giovani che passavano di lì, premiava le sorellastre gentili e puniva le viziate, perché almeno loro imparassero dai suoi errori.

Rapunzel sorrise: questa nuova versione le piaceva ancora di più.
Gli altri studiarono affascinati questa nuova possibilità. Poi:
-Ma questo è impossibile per un personaggio come era la matrigna a inizio storia!- e il dibattito ricominciò.
Smisero solo quando lo spiffero dalla finestra ricordò loro che ormai era tardi. Jack salutò i suoi amici e li lasciò andare a dormire, e scivolò fuori, nella tempesta, rimuginando ancora su cosa facesse la differenza fra buono e cattivo.

 




Angolino dell'autrice:
Capitolo un po' di pausa. La seconda fiaba di Rapunzel riprende tutto quel filone di fiabe in cui fra due sorellastre, una gentile e una viziata, una viene premiata e l'altra punita. Si tratta di una storia molto breve, ma i nostri grandi quattro hanno avuto il tempo di personalizzarla e dibatterci abbastanza!
Questa fiaba, La fiaba dei gatti, secondo il mio libro viene dalla Puglia. 
Detto ciò, spero che le mie storie continuino ad essere un piacevole intermezzo!
A presto
Nike

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Capitolo 8
*** L'uccellin Belverde ***


-Dovreste davvero controllare l'imposta della finestra.- commentò Jack.
Era sera, era passato qualche giorno dalla sua ultima visita, un tempo in cui i suoi tre amici avevano continuato a leggersi storie e a giocare, a carte, a dadi, a scacchi.
-Ti sei divertito, almeno, a far festa fra le nuvole?- gli chiese Merida.
-Una vera liberazione!- rispose candidamente lui -E sono andato fino ai confini del maltempo: pochi giorni e dovrebbe calmarsi tutto.-
-Finalmente!- esclamò allora Merida, lasciandosi andare sui cuscini davanti al caminetto acceso.
-Neppure io vedo l'ora che esca un po' di sole.- sospirò Rapunzel andando a sedersi davanti a lei, avvolta in una coperta spessa.
Hiccup era seduto al tavolo e aveva le mani impegnate ad aggiustare qualcosa, ma fece comunque loro segno: -Non aspettatemi: io ascolto. Cominciate pure!-
-Allora chi racconta?- chiese Rapunzel, poi prese fiato ma Merida l'interruppe:
-No! Tu no: hai già raccontato un sacco di roba l'ultima volta. Adesso voglio proprio ascoltare quello che dice di avere sempre qualche novità.- e si sporse con un sorrisetto maligno verso Jack.
-Oh, ma è una sfida, questa? Mi stai sfidando?-
-A parte la storia del burattino non ho più sentito niente di emozionante da parte tua. Non credere che ti lascerò riposare sugli allori!-
Jack incrociò le dita delle mani e le scrocchiò tendendo le braccia in avanti: -E va bene. Aspetta di sentire la più bella di tutte le storie!-
-Sì, sì...- Merida fece l'occhiolino a Rapunzel, che si nascose un sorrisetto con la mano, poi spostò la sua attenzione sullo spirito.

C'erano una volta tre sorelle talmente povere che avevano un abito solo, e se lo passavano per poter uscire. Una sera erano tutte e tre intente a rammendare e a parlare, quando un servo del re passò sotto la loro finestra e le sentì dire così:
-Se io potessi sposare il fornaio del re- sognava la prima -Preparerei il pane più buono di tutto il regno.-
-Se io potessi sposare il cuoco del re- aggiungeva la seconda -Cucinerei i piatti più deliziosi che si possano volere.-
-Se io potessi sposare il figlio del re- concludeva la terza -Gli partorirei due gemellini, un maschietto e una femminuccia, lui con la luna sulla fronte, lei con il sole.-
Quando il servo arrivò al castello, ovviamente raccontò quello che aveva sentito e in poco tempo la voce arrivò anche alle orecchie del re, che volle mettere le tre sorelle alla prova. Fu così che la prima sorella fu sposata al fornaio del re, la seconda al suo cuoco e la terza al figlio del re.
Subito le prime due sorelle mantennero le loro promesse, la prima sfornava un pane profumatissimo e croccante, mentre la seconda serviva pietanze delicate e dal gusto esotico.
Per la terza sorella fu necessario aspettare un po' di più, ma dopo nove mesi partorì due bei bambini, lui con la luna sulla fronte e lei con il sole.
Purtroppo, poco prima del parto il figlio del re dovette partire per una guerra e lasciò la sua sposa in custodia a sua madre Gothel. Ma la regina madre, che non amava per niente la nuora, fece mettere i due bambini in un cesto e li fece abbandonare nel fiume perché affogassero, e fece mettere al loro posto due maialini.
Quando il figlio del re tornò, la regina madre gli diede la terribile notizia: sua moglie non solo non aveva mantenuto la promessa, ma aveva dato anche alla luce due bestioline. Colmo di collera e orrore, il figlio del re fece murare la donna fino alle spalle fuori dalle porte del castello e diede ordine che le si sputasse addosso ogni volta che le si passasse davanti, poi volle che si arrostissero i due porcellini.

-Ma questo è orribile!- protestò Merida -Va bene che reagisse male per la scoperta, ma non poteva rinchiuderla nelle segrete e basta?!-
-Va bene, diciamo che almeno non le sputano addosso. Ti va meglio?-
-Lei deve stare fuori dal castello per un motivo?-
-Sì.-
-Oh.- Merida rifletté -Allora va bene.-

I due bambini non morirono, ma furono trovati da un contadino che li tenne con sé e li crebbe come dei figli, chiamandoli Jack e Rapunzel. Quando i due divennero dei bei giovani, il vecchio raccontò loro di come li aveva trovati nel fiume.
-Vi ringraziamo per tutto quello che avete fatto per noi.- gli disse allora Jack -Ma questo non è il nostro posto.- e partirono.
Trovarono un bell'angolino in un bosco di castagni dove costruirsi una capannuccia, e lì vissero insieme guadagnandosi il pane onestamente. La capannuccia divenne una casetta, e attorno alla casetta misero un bel giardino, pieno di rose, ortensie e lillà, che Rapunzel curava con amore tutti i giorni e che attirava api e farfalle e ogni tipo di uccellino.
Gothel, nononstante fossero passati anni, ancora si tormentava nell'insicurezza che i suoi nipoti fossero ancora vivi. Allora fece chiamare un mago nero al suo servizio, Pitch Black, e scoprì così che Jack e Rapunzel vivevano una pacifica vita nel boschetto di castagni.
-Va' e uccidili.- ordinò al mago.
Questi, il giorno dopo, si presentò vestito da vecchietto da Rapunzel, che era sola in casa e che lo accolse con tutte le cortesie.
-Che magnifico giardino... peccato vi manchi qualcosa...- commentò ad un certo punto lui.
-Che cosa, nonnino?-
-L'acqua che brilla.-
-E dove la si trova?-
-Vai per la strada che esce dal bosco, e troverai una fonte con un'acqua brillante anche di notte. Nel prendi un po', poi la metti in una vasca nel tuo giardino e questo sarà perfetto!-
Quando Jack tornò la sera Rapunzel gli raccontò tutta la storia. Il giorno dopo lui partì per andare a cercare questa famosa acqua che brilla. Ad un incrocio trovò un uomo dalla lunga barba bianca, vestito di rosso e con "buono" e "cattivo" sulle braccia: -Dove vai, figliolo?-
-Vado a prendere l'acqua che brilla.-
-Non andare, potresti non tornare più indietro!-
-Ma no, nonno, vedrai che andrà tutto bene!-
-Allora ascolta: sulla strada troverai minacce, visioni spaventose, orrori. Non reagire, fa' come non ci fosse nulla, e forse tornerai indietro sano e salvo.-
Il ragazzo proseguì per la sua strada, ed ecco mute di cani, e cavalli e tori corrergli addosso, ma lui avanzava come non succedesse niente e le visioni sparirono tutte. Trovò quindi la fonte e prese l'acqua, tornò a casa e con Rapunzel costruì una vasca in cui metterla.
Qualche tempo dopo, ecco riapparire il vecchietto: -Ma che bello, ma che bello.- commentò -Peccato che vi manchi l'albero di tutti i suoni.-
-E dove possiamo trovarlo?--Andate oltre la fonte dell'acqua che brilla, troverete una fila di alberi. L'ultimo è l'albero di tutti i suoni: basta un rametto e potrete trapiantarlo nel vostro giardino.-
Il giorno dopo Jack ripartì e reincontrò l'uomo dalla barba bianca, che gli rinnovò tutte le raccomandazioni, e lui proseguì.
Anche questa volta le visioni furono spaventose... anzi, addirittura di più! Ma Jack avanzò impavido fino alla fila di alberi, trovò l'albero di tutti i suoni e riuscì a prendere un bel rametto con qualche radice. Tornato a casa, trovò con Rapunzel un angolino ben soleggiato e vi piantò il rametto. L'albero crebbe veloce e inondò il giardino di campanelli e suoni deliziosi.
Qualche tempo dopo, Pitch Balck tornò.
-Ma che giardino favoloso! Adesso sì, c'è davvero solo più una cosa che vi manca.-
-Dimmi, nonnino: cos'è?-
-L'uccellino Belverde, che parla e canta. Si trova in un portico dopo la fila di alberi dove tuo fratello ha trovato l'albero di tutti i suoni. L'ultima gabbia, la più sporca di tutte. Ecco, quella è la sua. Ma attenta: per arrivare al portico bisogna passare tre cancelli che si aprono solo a mezzanotte.-
Così Jack partì quella sera stessa.
Arrivato al solito incrocio incontrò per la terza volta l'uomo dalla barba bianca, che gli ripeté le solite raccomandazioni, con ancora più forza.
-Attento figliolo: se i cancelli si aprono a mezzanotte, sappi che un'ora dopo si richiudono. Esci prima e sarai salvo.-
Jack riprese il cammino, superò la fonte, superò la fila di alberi, e le visioni erano sempre più spaventose. Poi, d'un tratto, cadde il silenzio, e il ragazzo sentì la voce della sorella: -Ciao, Jack...-
-Rap...- lo sciagurato ebbe il riflesso di rispondere, e nel voltarsi rimase pietrificato.
Passarono tre giorni, e Rapunzel, a casa, era sempre più disperata. Al terzo tramonto si mise in cammino e incontrò l'uomo con la barba bianca.
-Dove vai, fanciulla?-
-Vado a recuparare mio fratello che si è perso cercando l'uccellin Belverde.-
-Ahimé, lo troverai come di marmo.-
-E come posso raggiungerlo? Come posso salvarlo?-
-Per arrivare da lui incontrerai visioni orribili e udirai ogni genere di mostruosità. Tu devi fare come nulla stia succedendo, e quando troverai tuo fratello ponigli questo unguento in fronte. Così, forse, potrete tornarvene a casa sani e salvi.
Rapunzel lo ringraziò di cyore e seguì i suoi consigli. Con coraggio superò ogni visione. Arrivò quindi da Jack e lo liberò dall'incanto.
-Cosa ci fai tu qui?-
-Come cosa ci faccio? Sono tre giorni che non ho tue notizie!-
-Va bene, ma ora torna a casa, ché devo andare a prendere l'uccellin Belverde.-
-Vengo anch'io con te!-
No, sì, no, sì, alla fine si diressero insieme ai cancelli. A mezzanotte in punto questi si aprirono, loro arrivarono al porticato e trovarono l'ultima gabbia, che era la davvero la più sudicia di tutte. La presero e tornarono di corsa a casa.
L'uccellin Belverde era davvaro magnifico: se non cantava parlava, e viceversa.
Qualche tempo dopo, durante una tempesta, qualcuno bussò alla loro porta: era il figlio del re, che fu accolto con calore dai due giovani. Lui non riconobbe i suoi figliuoli ma li invitò il giorno dopo a pranzo al castello per ringraziarli dell'ospitalità.
Il mattino seguente Jack e Rapunzel videro fuori dalla loro porta una carrozza tutta d'oro trainata da sei cavalli bianchi, che li portò alle porte del palazzo. Lì videro una povera donna murata fino al collo.
Orripilati vollero tornare subito a casa, ma il figlio del re li vide dalla finestra e aprì loro le porte.
I due fratelli arrivarono dunque al banchetto del figlio del re, che li invitò a sedersi e, per sciogliere il loro imbarazzo, chiese loro di raccontare qualcosa.
-Be', cosa dirvi... abbiamo un bel giardino con l'acqua che brilla, l'albero di tutti i suoni e l'uccellin Belverde...-
Tra le esclamazioni di stupore si sentì un suono dolcissimo provenire dalla finestra e tutti i commensali corsero a vedere, ed ecco che nella corte erano apparsi l'acqua che brilla, l'albero di tutti i suoni e l'uccellin Belverde.
Jack fece cenno all'uccellino, che volò nella sala e prese posto sul tavolo. Cantava, era vero, ma appena ebbe finito tutti vollero che parlasse.
-Purché non parli troppo...- si schernì l'uccellino.
-Hai la mia parola di re che puoi dire quello che vuoi.- gli disse il sovrano.
-Va bene. Allora ascoltatemi: smurate quella povera donna. Vostra moglie ha mantenuto la sua promessa, e questi due giovani sono i vostri figli. Fu la regina madre Gothel che li sostituì con due porcellini e ingaggiò un mago nero per ucciderli.-
A quelle parole si diffuse un malessere generale: il re paonazzo fece smurare la nuora e la fece condurre nella sala. Il figlio del re si gettò ai suoi piedi per chiederle perdono e lei, che era gentile, glielo concesse, mentre la regina madre morì schiattando di rabbia e vergogna.
E vissero tutti felici e contenti.

Jack finì la sua storia e fece un sorrisetto: -Qui possiamo lasciarla morta, la cattiva?-
Merida gli fece la linguaccia, mentre Hiccup, che si era interrotto per ascoltare, riprendeva il suo lavoro.
Rapunzel si appoggiò alla spalla dello spirito, che era seduto accanto a lei, e si godette quel contatto fresco sulla guancia. In barba allo spiffero dalla finestra.

 




Angolino dell'autrice:
Ho la brutta sensazione di prendere una deriva un po' troppo dolce. Le fiabe che racconto non vogliono essere edulcorate in alcun modo, ma la mia coscienza più moderna (I suppose?) rispetto a quella di chi queste storie le raccontava qualche decennio (per non dire secolo) fa mi blocca nei momenti più dubbi: sputare in faccia a una persona non va bene. Per cui contestiamolo.
Nella versione di Jack, ci sono un paio di elementi che si discostano parecchio dalla fiaba originale (almeno, dalla versione del mio libro... perché girando su internet ho scoperto un po' di versioni diverse... ma in fondo è anche questo il bello dei miti e delle fiabe, no? Tante versioni con tanti dettagli differenti, a seconda del luogo, del tempo e del narratore): per prima cosa, Pitch Black prende il posto di una Strega del Monte, che assieme alla regina madre alla fine della storia viene legata a un palo e bruciata viva (un po' troppo dolce, dicevamo?); in secondo luogo, i gemellini nascono con dei simboli diversi: lei con il sole e la luna insieme, lui con la croce di cavaliere. Io mi sono sempre chiesta come nessuno per tutta la storia noti questi simboli sulle loro teste. Forse sono spariti con la crescita? E io sono ancora qui a pormi queste domande?
A presto!
Nike

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Capitolo 9
*** La barba del conte ***


Il vento fischiava e sibilava attraverso la fessura della finestra. Hiccup aveva appena finito di aggiustare quello che stava aggiustando e si era messo di traverso sulla panca del tavolo. Sdentato dormiva in un angolo.
-Mi è venuta in mente un’altra storia.- disse.
-Sempre del tuo popolo?-
-No, questa viene da Corona.- rispose lui -Me l’avevano raccontata in bottega qualche tempo fa.-
-Va bene.- Merida si stiracchiò -Ti ascoltiamo.-

C’era una volta un paese chiamato Pocapaglia, talmente in pendenza che per evitare che le uova appena fatte rotolassero giù gli abitanti mettevano dei sacchetti dietro le galline. La gente di Pocapaglia era gente pacifica, che non si arrabbiava mai, al punto che nei villaggi vicini si diceva:

Tutti sanno che a Pocapaglia,
l’asino fischia e il padrone raglia

I pocapagliesi non se la prendevano, e rispondevano solo: -Aspettate che torni Hiccup, e vedremo chi raglierà di più.-
Ma chi era questo Hiccup? Era il figlio del taglialegna del villaggio. Alla sua nascita la madre gli aveva fatto il bagno nel vino, scaldato da un ferro di cavallo bollente che suo padre aveva messo in fondo alla vasca. Il vino gli aveva conferito astuzia, e il ferro forza. Sua madre poi l’aveva messo a dormire in un guscio di noce ancora verde che, si sa, dona intelligenza.
Purtroppo Hiccup in quel periodo era partito per una guerra e non si sapeva nemmeno dove fosse, e questo lasciava i pocapagliesi nella più completa disperazione perché in quel periodo erano colpiti da un’enorme sventura: la Masca Micillina, un’orribile donna dai poteri sovrannaturali che viveva nei boschi intorno a Pocapaglia, aveva cominciato a rubare tutte le vacche e tutti i buoi del villaggio.
Arrivava dietro ai poveri contadini di ritorno dal pascolo, e con il suo alito fetido li faceva svenire fino al mattino, quando rialzandosi scoprivano tutte le loro bestie andate. Le uniche tracce che lasciava dietro di sé, erano le impronte delle sue scarpacce e delle forcine qua e là.
All’inizio avevano provato accendendo enormi falò, ma la Masca Micillina si avvicinava di soppiatto al contadino più isolato, e lo atterrava col suo soffio puzzolente. Da lì, neutralizzava anche gli altri e si prendeva le povere bestie.
Ormai i paesani non osavano più portare fuori la mucche, e le povere bestie erano smagrite così tanto che per pulirle dovevano passar loro un rastrello tra le costole.
La Masca Micillina colpiva soltanto gli abitanti di Pocapaglia. Forse, credevano tutti, perché proprio per via del loro carattere pacifico non reagivano. Si limitavano a grattarsi la testa e sbuffare.
Tuttavia, i pocapagliesi erano pacifici sì, ma a un certo punto decisero che era il caso comunque di fare qualcosa.
Decisero quindi di chiedere aiuto al Conte. Il Conte era il signorotto del luogo, che viveva in una fattoria in fondo alla valle tutta circondata di mura.
Andarono da lui una domenica mattina, con lo sguardo basso e il berretto in mano. Bussarono alla porta e i soldati li fecero entrare, lisciandosi i baffi e guardandoli torvi.
Il Conte era seduto su una poltrona rossa in fondo al cortile, e quattro servitori gli pettinavano la barba, che era lunga lunga e nera nera. Li accolse con espressione accigliata e non disse niente.
Dopo un momento, il più anziano dei contadini si fece avanti e disse: -Signor Conte, siamo spiacenti di essere venuti qui a disturbarla... Ma vede... la Masca Micillina è uscita dal bosco, adesso ci ruba tutte le bestie... non sappiamo più come fare per difenderci...-
Anche a questa notizia il Conte non fece una piega. Allora l’uomo si sentì obbligato a continuare: -Vorremmo chiederle di lasciarci una truppa dei vostri soldati... per proteggerci finché la Masca non se ne sarà andata...-
-Temo proprio che non si possa fare.- rispose finalmente il Conte.
-E perché no?-
-Se vi do la truppa, devo darvi il capitano, e se vi do il capitano, chi giocherà con me a tombola la sera?-
I contadini non sapevano che rispondere, e a un gesto del Conte i soldati spinsero via i poveri contadini con le baionette spianate.
Al loro ritorno in paese, disperati, non sapevano più che pesci pigliare, quando qualcuno esclamò: -Scriviamo a Hiccup!-
Allora tutti si trovarono d’accordo e scrissero una lunga lettera a Hiccup, in cui gli raccontavano tutte le loro sventure.
Qualche tempo dopo, finalmente Hiccup ritornò. Quanti abbracci, pacchi sulle spalle, e “come stai?” e “cosa ci racconti?”! Tutti erano contenti del suo arrivo, gli offrirono di ristorarsi, poi passarono all’argomento che non li faceva più dormire di notte.
Hiccup ascoltò attentamente, poi disse: -Adesso vi porrò tre domende, poi dormirò un po’ vicino al fuoco per riposarmi dal viaggio, poi a mezzanotte in punto andrò a prendervi la vostra Masca.-
Pose allora la prima domanda: -Barbiere, quande barbe hai raso quest’utlimo mese?-
E lui rispose:

Barbe lunghe e barbe corte,
Barbe molli e barbe storte,
Capelli ricci e capelli brutti,
Le mie forbici li han tagliati tutti.

Poi pose la seconda domanda: -E tu, ciabattino, quante scarpe hai venduto nell’ultimo mese?-
E la risposta fu:

Facevo zoccoli di legno e cuoio,
Ben ribattuti chiodo per chiodo,
Facevo scarpe di seta e serpente,
Ma ora non han soldi,
E non mi fan far più niente.

E poi pose la terza domanda: -E tu, cordaio... hai venduto tante corde questo mese?-
Ed egli rispose:

Corde ritorte, corde filate,
Corde di paglia, a strisce o intrecciate,
Corde di pozzo, di vimini e spago,
Grosse un braccio, sottili un ago,
Forti di ferro, molli di strutto,
In questo mese ho venduto di tutto.

-Va bene, grazie. Ho già capito tutto. Adesso vado a dormire. Svegliatemi a mezzanotte in punto.-
E detto ciò si sdraiò accanto al fuoco, si coprì il volto col berretto e si addormentò.
I pocapagliesi lo lasciarono riposare facendo ben attenzione a non disturbarlo, e a mezzanotte in punto lo risossero timidamente.
Lui si alzò sbadigliando, bevve un sorso di vino rosso e andò nel bosco.
Avanzò da solo nel buio, senza un luce se non quella della luna, in attesa del minimo indizio per sapere dove colpire... o dove la Masca Micillina avrebbe colpito. Camminava tra le piante grigie e immobili come spettri, nel silenzio rotto solo dai gufi e dal fruscio del vento.
Poi sentì un passo dietro di lui.

I pocapagliesi aspettavano tutti attorno al fuoco, con gli occhi sgranati e i respiro trattenuto.
Attesero finché il fuoco non si spense e non divenne cenere, poi sentirono un gran movimento e qualcuno che urlava e invocava pietà.
Videro quindi Hiccup uscire dal bosco, ma non era solo: trascinava per la barba il Conte, che piangeva e implorava Hiccup di lasciarlo andare.
Quando furono accanto al fuoco, il Conte si fece piccolo piccolo e Hiccup esclamò: -Ecco a voi la Masca Micillina.-
-Ma non è possibile...- riposero i contadini basiti -...che sia il signor Conte...-
-Voi non potevate essere.-spiegò Hiccup -Perché siete andati tutti dal barbiere, e non potendo permettervi delle scarpe andate tutti in giro scalzi. E non poteva essere un fantasma o uno spirito perché altrimenti non avrebbe avuto bisogno di corde perlegare le bestie.-
-E le forcine?-
-Gli servivano per acconciarsi la barba dietro la testa come fanno le donne.-
-E come faceva a far svenire gli uomini con il fiato?-
-Macchè fiato! Li colpiva dietro alla testa con un bastone avvolto negli stracci, così da non lasciare altro segno che un bel melo di testa al risveglio!-
I paesani guardavano sempre più arrabbiati il Conte, che sembrava voler sparire sottoterra.
-Allora- chiese quindi Hiccup: -Cosa volete farne?-
A quella domanda scoppiò il finimondo, tutti urlavano in preda alla collera: -Lo uccidiamo! Lo leghiamo nel bosco e lo lasciamo lì! Lo mettiamo in un sacco con sei cani e sei gatti!-
Ma Hiccup propose: -E se invece vi faceste restituire gli animali e lo metteste a lavorare nelle vostre stalle? Poi lo mandate nel bosco di notte a raccoglier fascine. Vedrete che gli passerà la voglia di rubarvi le bestie.-
Tutti furono d’accordo con la sua proposta.
Hiccup quindi riprese la strada per la guerra, e compì atti talemente coraggiosi che furono raccontati fino a Pocapaglia.

Hiccup finì il suo racconto e appoggiò un gomito sul tavolo, in attesa del verdetto.
-Questa non è sicuramente una fiaba da vichinghi.- commentò infine Jack.
-Già, è proprio una fiaba da fabbri.- rispose lui.
-Ed è l’unica che si racconta giù in città?-
-L’unica che mi sia mai rimasta impressa.-
-E perché?- domandò quindi Merida -Non mi sembra ci siano lucertoloni da addomesticare o streghe a cui tagliare la testa.- poi aggiunse -Anche se per tutta la prima parte ne sono stata convinta!-
Hiccup si grattò dietro la testa guardando Sdentato dormire pacifico: -Non lo so. Forse mi piace il modo del protagonista di risolvere la situazione senza fare cose eccessive, come fanno i cavalieri, per esempio...-
Rapunzel, che aveva tenuto tutto il tempo la testa sulla spalla di Jack, si sollevò appena: -Dev’essere bello quanto il tuo paesino ti rispetta tanto da chiederti aiuto contro le streghe, vero?- mormorò -Quando tutti gli abitanti del tuo villaggio ti rispettano così...-
-Già.- mormorò in risposta Hiccup “Dev’essere quello...”

 




Angolino dell'autrice:
Non pensavo che avrei pubblicato così tanti capitoli in così poco tempo... ho già il prossimo in cantiere. Probabilmente passare le mie serate con la testa fra le fiabe mi aiuta a scaricare un po' il periodo che, sicuramente, è un po' teso per tutti.
Mi sto rendendo conto che è sempre più difficile trovare personaggi dei film originali da sostituire ai personaggi delle fiabe. Diciamocelo, se in Pinocchio non era difficile immaginarsi Nord come l'orco pacioso Mangiafuoco, qui l'unico personaggio con la barba temuto e rispettato da tutti poteva essere solo Stoik. Ma neanche con tutta la buona volontà potrei immaginarmi Stoik travestito da Masca che se ne va in giro ad accopare la gente. Per cui ci siamo tenuti il conte pocapagliese e pace.
Questa fiaba è originaria del Piemonte, in particolare, credo, del Monferrato, dove la Masca Micillina sembra essere esistita veramente. Secondo i siti in cui ho letto io dovrebbe essere un fanciulla dai capelli rossi sposata ad un uomo più vecchio che non l'amava. Probabilmente schiva, per via di carattere e aspetto viene accolta con diffidenza, una voce tira l'altra... e possiamo immaginare come sia finita.
Le Masche, se ho ben capito, non sono propriamente streghe: la loro sovrannaturalità passa perlopiù da conoscenze esclusive della natura, per cui sono brave a curare come a lanciare il malocchio etc etc.
Un argomento davvero interessante che almeno io continuerò ad approfondire.
A presto
Nike

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Capitolo 10
*** La Regina della Neve ***


-Benissimo.- disse quindi Jack -Ora tocca a Merida.-
-Cosa?! E perché a me?-
-Perché è un po' che non ti sentiamo raccontare qualcosa.-
-È vero.- gli diede corda Rapunzel -A parte la storia di Tremotino non ti abbiamo più sentito raccontare niente.-
Merida le fece una smorfia che voleva dire: "Ma tu da che parte stai?!"
Anche Hiccup annuì: -In effetti...-
Merida si vide messa alle strette.
-Va bene.- sbuffò dopo un po' -E dire che ci avevo preso gusto a stare ad ascoltarvi... datemi un momento che penso a qualcosa.-
Ci fu un momento di silenzio, in cui nessuno staccava gli occhi dalla massa di ricci di Merida, che riflettendo aveva chinato la testa e li aveva lasciati cadere in avanti.
Dopo un po', Jack esclamò: -Entro la fine dell'inverno, se possibile!-
Lei gli fece la linguaccia.
-Non te ne viene in mente nessuna?- domandò Rapunzel.
-La fine dell'inverno... la fine dell'inverno... in realtà sì.- mormorò lei sovrapensiero -Però non è della mia gente. Viene dal sud. Dalla terra degli Juti.-
-Dei vichinghi Juti?- si accese Hiccup.
-Già, magari la conosci, parla dell'inverno e di uno specchio magico...-
Lui scosse la testa: -Temo di no. L'unica storia di quella terra che sia mai giunta a Berk racconta di una fanciulla con una coda di pesce al posto delle gambe.-
-Davvero?!- Rapunzel si aprì in un sorriso entusiasta -Poi potremo sentirla?-
Ma Hiccup scosse la testa: -Troppo deprimente...-
Rapunzel si rilassò, mentre Merida si schiariva la voce: -Allora vi toccherà ascoltare la mia.-

C'era una volta un diavolo, Pitch Black, che aveva inventato uno specchio magico: qualunque cosa positiva vi si specchiasse fniva per essere deturpata e diventare negativa, mentre qulunque cosa negativa veniva moltiplicata cento volte.
Capitò un giorno d'inverno che Pitch Black stesse volando tra le nuvole pesanti cariche di neve, quando lo specchio si ruppe fra le sue mani e le sue schegge precipitarono sul mondo. A quello spettacolo il diavolo rise divertito, perché ogni scheggia aveva mantenuto intatto il potere dello specchio intero: così, cadendo, finiva nei cuori delle persone, che non riuscivano più a sentire il calore dell'amore o dell'amicizia, o nei loro occhi, impedendo loro di vedere il bello che li circondava.

Merida tappò la bocca a Jack, che l'aveva aperta sicuramente per qulche domanda: -Aspetta, c'entra. Ci arrivo.-

In una città della Terra c'erano due finestre di due mansarde una dirimpetto all'altra. I due tetti spioventi in cui si trovavano erano adiacenti, ed erano uniti da una grondaia. In quelle due mansarde vivevano due bambini, una femminuccia, Merida, e un maschietto, Jack, che a forza di farsi gesti e smorfie da dietro il vetro erano diventati amici. Addirittura, d'estate, i loro genitori mettevano un vaso di rose sulla grondaia per mettere una barriera col bordo del tetto, e i due bambini potevano uscire dalle finestre e giocare assieme tutto il pomeriggio.
Ma quando arrivava l'inverno Jack e Merida non potevano più uscire sul tetto per giocare insieme. In quel periodo dell'anno potevano solo farsi le smorfie dalle finestre
Una sera, dopo che Merida gli aveva dato la buonanotte, Jack rimase un secondo ad osservare i fiocchi di neve cadere sul tetto. Aveva sentito le storie delle nonne, che avvertivano di non seguire mai la Regina della Neve, ché poi non sarebbero più tornati indietro. Lui ovviemente non credeva che sarebbe caduto così facilmente nella trappola tesa dalla Regina della Neve.
Osservava i fiocchi di neve, dicevo, quando ne vide uno posarsi proprio davanti a lui e prendere a crescere a vista d'occhio, fino a formare una donna coperta da sottilissimi veli candidi, i cui occhi brillavano come stelle ma non erano né tranquilli né in pace. Fissò Jack e gli fece un cenno di saluto con la mano, lui corse lontano dalla finestra e si nascose sotto le coperte.
Quella notte una scheggia dello specchio magico andò a conficcarsi nel suo cuore e un'altra nel suo occhio.
Merida notò da subito che il suo amico era cambiato, perché alla finestra non rideva e non scherzava più. Quando si trovavano a giocare per strada lui si divertiva a prendere in giro e a imitare i difetti di tutti, compresa Merida, che gli voleva bene come a un fratello e ci rimaneva malissimo.
Un giorno che giocavano con gli slittini nella piazza della città, i ragazzi più grandi si sfidarono a chi lega lo slittino alle slitte per farsi trascinare. Jack non era certo il più grande, ma si riteneva abbastanza coraggioso da poterlo fare anche lui. Gli passò accanto una slitta candida come la neve, e lui subito legò il suo slittino e si lasciò portare via. Infatti quella era la slitta della Regina della Neve, i cui cavalli bianchi presero la via principale, uscirono dalle porte della città e portarono slitta e slittino nel bosco. In quel momento la neve cominciò a cadere fitta e loro si fermarono solo quando furono molto lontani. La Regina, avvolta nella sua bianca pelliccia, lo fece sedere accanto a lei, con un bacio in fronte gli fece dimenticare il freddo e con un altro tutti i suoi amici e la sua famiglia, compresa Merida.
Merida che invano gli aveva urlato di staccarsi, di non andare, lui a causa del suo cuore ghiacciato non l'aveva sentita più.

Nei giorni che seguirono la ragazzina si rese conto di quanto il suo amico mancava a tutti, e decise di andarlo a cercare. Si avventurò nel bosco e arrivò a un fiume, ma nell'attraversarlo finì in acqua e la corrente la portò via. Lei cercò invano di raggiungere la riva, ma senza risultato. Fu ripescata da una vecchina, che la portò a casa sua, l'asciugò e si fece raccontare la sua storia. Mentre ascoltava le pettinava i capelli, pensando che avrebbe davvero voluto una bambina come lei, e a ogni pettinata Merida dimenticava Jack e la sua volontà di ritrovarlo.
La donna che conosceva la magia, dalla casa piena di colibrì, al punto che sembrava un colibrì lei stessa, la tenne quindi con sé, facendo ben attenzione a nascondere sotto terra i suoi roseti e a cancellare ogni traccia di questo fiore dalla casa: temeva infatti che se Merida si fosse ricordata del vaso di rose davanti alla sua finestra, avrebbe ricordato insieme anche Jack e se ne sarebbe andata. Cancellò tutte le rose, quindi, ma si dimenticò di quella dipinta con altri fiori sul suo cappello da giardino, e un giorno a Merida capitò di vederla. Cominciò quindi a ricordare: andò dove la rose erano state nascoste sotto terra dalla donna che conosceva la magia e pianse: allora le rose, grazie alle sue lacrime, ripresero a fiorire alla luce del giorno.
Merida chiese loro se, finché erano sotto terra, non avessero visto Jack.
-Noi siamo state dove stanno tutti i morti.- risposero loro -Non ti preoccupare: lui non è fra loro.-
Merida fu sollevata a quelle parole, andò fino al cancello e sgusciò fuori prima che la donna che conosceva la magia se ne accorgesse.

Arrivò quindi ad un palazzo dove il principe e la principessa ascoltarono al sua storia e decisero di aiutarla: le permisero di ristorarsi dal lungo viaggio e le prepararono una carrozza e dei vestiti caldi, perché stava andando sempre più verso nord e stava diventando sempre più freddo.
Merida ripartì dunque nella carrozza, ma durante la traversata del bosco dei briganti aggredirono il convoglio: i lacchè furono uccisi e la carrozza saccheggiata.
Merida fu portata davanti al capo dei briganti, che volle decretare che le si prendessero i begli abiti e che poi la si uccidesse come gli altri, ma sua figlia, Cremina, decise che la voleva per sé, e fece talmente tanti capricci, pestando i piedi e tirando i capelli alla madre, che i genitori cedettero.
Portò quindi Merida nel covo e le mostrò il suo letto: -Tu dormirai qui vicino a me. Ma fai attenzione: se mi disturbi o mi svegli...- e con questo estrasse un coltello e punzecchiò il fianco a una povera renna, che aveva voluto, anche quella, a tutti i costi e che si era ostinata finché non le avevano permesso di tenerla in cametra con lei. Tormentarla col coltello era il suo trastullo preferito ogni sera prima di andare a dormire, dopo aver messo il coltello sotto il cuscino, ovviamente.
Merida non osò dire niente ma, nella notte, dopo che la figlia del brigante si fu addormentata, scivolò fuori dal letto e slegò silenziosamente la renna, con cui uscì dal covo in punta di piedi.
Quando furono fuori, lei saltò in groppa alla renna e presero a correre, poco importa che i branganti si svegliassero, tanto ormai erano lontane.
-Io ho visto il ragazzo che stai cercando.- le disse la renna tra uno sbuffo e l'altro: -È passato da qui qualche tempo fa. Era sulla slitta della Regina della Neve, che abita a nord.-
-E tu potresti portarmici?-
La renna annuì e accelerò il passo.

Arrivarono fino il Lapponia e si fermarono vicino ad una casupola, da cui uscì una donna: -Oh poverina!- esclamò, quando vide Merida: -Ma tu sei tutta congelata!-
Infatti gli abiti pesanti del principe e della principessa se li era tenuti la figlia del brigante, e Merida aveva viaggiato per tutto il tempo con abiti troppo leggeri.
La donna le ristorò e fornì una pelliccia, guanti e stivali a Merida e loro ripartirono. Arrivarono in Finlandia, da un'amica della donna di Lapponia, che le accolse per la notte.
Il mattino dopo la ragazza salutò la renna, che aveva deciso di restare con la donna di Finlandia: -Da qui in poi non posso più accompagnarti.Ma penserò sempre a te. Buona fortuna nella tua ricerca!-
Merida salutò con la mano e riprese la sua strada.

In tutto quel tempo, la Regina della Neve aveva tenuto Jack con sé. Di notte lo lasciava giocare mentre di giorno lo guardava dormire ai piedi del suo trono. Quando aveva manifestato il desiderio di tornare a casa, gli aveva detto: -Se con i pezzi di ghiaccio riuscirai a comporre la perola "eternità", allora sarai libero.-
Ma il pezzettino di specchio nel cuore del ragazzo gli impediva di arrivare all'ultima lettera.
Fu così che lo trovò Merida, intento al suo compito. Quando gli saltò al collo dalla felicità, però, lui non la riconobbe e lei si mise a piangere. Le sue lacrime scaldarono il cuore di Jack, da cui uscì il pezzettino di vetro e questo portò anche lui a piangere di sollievo. Fu così che, grazie a quel pianto, il ragazzo si liberò anche della scheggia nel suo occhio e poté finalmente riconoscere Merida.
Quale gioia una volta che si furono riconosciuti!
Approfittando che la Regina non era in casa, Merida prese Jack per mano e lo ricondusse a casa.

-Aspetta!- la interruppe Jack: -E se ne vanno così, senza un po' di avventura?-
-Non ti basta quello che lei ha passato finora per il suo amico?- rispose Merida.
-Sì, ma tutte le volte riesce a scappare senza che nessuno se ne accorga!- protestò lui -Così non vale! E poi il ragazzino non fa niente, è lì solo per essere salvato!-
-Ma se la storia finisce così...!- provò a impuntarsi Merida.
-No che non finisce così.- borbottò Jack: -Adesso state ad ascoltare me...-

Era capitato un giorno d'autunno che Jack (prima che venisse colpito dalla scheggia dello specchio etc. etc.), nel bosco a raccoglier legna con la mamma, fosse avvicinato da una vecchina, gobba e con un corvo sulla spalla, che gli aveva chiesto: -Tu che sei piccino, scendi per quel tronco cavo. Troverai tre cani che fanno la guardia a tre tesori: quello con gli occhi grandi come scodelle che veglia su uno scrigno pieno di monete di rame, quello con gli occhi grandi come le ruote di un mulino su uno scrigno pieno di monete d'argento, e quello con gli occhi grandi come la Torre Rotonda di Kaupmannahǫfn su uno scrigno pieno di monete d'oro. Non temere per i cani, coprili col mio grembiule a righe e non saranno pericolosi. Prendi tutti i soldi che vuoi, l'importante è che mi porti l'acciarino che si trova là sotto.-
Il bambino aveva ubbidito, un po' perplesso, e quando era sceso aveva scoperto effettivamente i tre cani e i tre scrigni. Ma, essendo ancora un bambino, più che gli scrigni fu attratto da quei cani così strani, e dall'acciarino che la vecchietta voleva a tutti i costi.
Lo aveva dunque preso e si era arrampicato fuori, ma non aveva visto subito la vecchietta: si era nascosta perché la sua mamma stava venendo a cercarlo. Allora Jack aveva legato il grembiule della vecchieta a un ramo (mica voleva rubarglielo!) e, presa la mamma per mano, se ne era tornato a casa con l'acciarino in tasca.

Adesso facciamo un salto e torniamo al palazzo della Regina della Neve, dove Merida aveva appena ritrovato Jack.
I due erano usciti dal castello quando si udì un rombo di tempesta: la Regina era tornata e li aveva sorpresi. I due amici si misero a correre, ma il freddo li raggiunse e presto furono troppo congelati per poter correre. Allora Jack si ricordò dell'acciarino e, nella speranza di scaldarsi, lo sfregò una volta sul pantalone per accenderlo. Con loro immensa sorpresa, comparve però il cane dagli occhi grandi come scodelle, che offrì loro il dorso per farli montare: con un po' di titubanza loro accettarono e lui prese a correre più veloce del vento, allontanandosi dal Regno della Neve, superando la Finlandia, dove Merida salutò la sua amica renna con la mano, superando la terra di Lapponia, con la donna di Lapponia e la sua casupola, e raggiunse i confini del regno del Principe e della Pincipessa.

Qui i due amici credettero potersi rilassare, ma dopo poche ore di cammino si scoprirono circondati: Cremina non era stata contenta del furto della renna e a suon di strilli e capricci aveva messo tutti i briganti sulle tracce di Merida.
I due amici presero a correre ma furono presto cirdondati da briganti con le lame tra i denti e gli occhi assetati di sangue.
Jack estrasse il suo acciarino e lo sfregò due volte. Comparve allora il cane dagli occhi grandi come le ruote di un mulino e ringhiando prese a girare intorno ai due ragazzi, spaventando i briganti che si ritraevano, ma poi tornavano subito all'attacco. Jack gli montò in groppa e tese una mano a Merida, facendola salire sul cane proprio un istante prima che Cremina le saltasse addosso.
Così il cane prese a correre come il fulmine, riportando i due amici al fiume, passando con un balzo sopra il castello della Principessa e del Principe che li avevano guardati passare con la bocca aperta.

Al fiume Merida tirò un sospiro di sollievo: ormai era quasi arrivati. Ma nella sua avventura si era dimenticata della donna che sapeva usare la magia.
Quando era scappata, la donna colibrì si era disperata tanto che tutti i fiori del suo giardino si erano messi alla ricerca della scomparsa Merida, e finalmente l'avevano trovata.
Già con le loro radici le avvolgevano le gambe e le braccia, trascinandola verso il loro giardino, implorandola di tornare, quando Jack sfregò il suo acciarino per tre volte e comparve il cane dagli occhi grandi come la Torre Rotonda di Kaupmannahǫfn, che lo prese subito in groppa e corse a recuperare Merida: coi denti afferrò delicatamente la ragazza per la maglia e la tirò via da quel groviglio di rami e radici. La posò poi davanti a Jack e prese la via per casa, più veloce del pensiero.

Arrivarono quindi alla loro città, davanti alle cui porte furono deposati dal terzo cane, che sparì come gli altri due. Ma prima di poter rientrare trovarono una brutta sorpresa: la Regina della Neve reclamava il suo prigioniero, che non aveva saputo superare la sua prova per liberarsi.
In effetti, convinto di non saperlo fare Jack non ci aveva più pensato, ma ora che era libero dalla scheggia dello specchio si rese conto che poteva sì superare quella prova. Così prese i ghiaccioli che gli erano comparsi intorno e compose sotto lo sguardo della Regina della Neve la parola "eternità". Fu così che la videro svanire davanti ai loro occhi, come neve che si scioglie al sole.
Prima di entrare in città, Jack tornò all'albero cavo e rigettò dentro l'acciarino. Che la vecchietta chiedesse a qualche soldato di recuperarglielo!
Tornato dalla sua amica, Jack e Merida si presero la mano e tornarono finalmente dalle loro famiglie.

Jack finì di raccontare con un sorriso vittorioso.
-Effettivamente...- mormorò Hiccup sovrappensiero -...così il personaggio del ragazzino ha molto più senso.-
Anche Merida fu costretta ad ammettere che non era così male, in fondo.
-Ma Jack...- chiese Rapunzel a mezza voce -...quindi la Regina della Neve... esiste veramente?-
Jack tentennò a rispondere, e quando aprì la bocca la fessura della finestra cedette.
La neve invase la stanza e spense il fuoco, il vento si infilò in ogni angolo della torre. Hiccup e Merida si precipitarono alle imposte e le richiusero a forza di braccia, mentre Rapunzel lo chiudeva con un coccio incastrato nelle maniglie.
-Domani avrai da fare.- commentò con un sorriso a Hiccup.
Lui annuì e Jack attirò la loro attenzione: -Non preoccupatevi per me. Uscirò da un lucernario.-
-Niente più storie?- domandò delusa Merida.
-Per stasera no.- Jack le scopigliò i capelli e fu scrollato via con indignazione -La prossima volta.-
Lo spirito uscì con un agile salto e tornò nella bufera. Nel Regno della Neve.

 


 



Angolino dell'autrice:
Ed eccomi finalmente con un nuovo capitolo! 
Finito il periodo occupatissimo approfitto delle vacanze super calde per raccontare... una storia d'inverno. Come per la fanfiction di cui questa è lo spin off. La mia dev'essere un'abitudine.
Allora, andiamo con ordine: il contesto della storia. Merida dice che viene dalla terra degli Juti, aka lo Jutland, ovvero l'antico nome della Danimarca. La fiaba della Regina della Neve è infatti una delle innumerevoli scritte da Hans Christian Andersen, nello specifico la più lunga, divisa in sette racconti. Io l'ho condensata in due pagine, perdendo un sacco di personaggi e di episodi, ma era da fare, soprattutto in vista dell'intromissione di Jack. 
Infatti il capitolo contiene riferimenti anche ad altre due fiabe di Andersen, la Sirenetta e L'acciarino. La prima è effettivamente un po' splatter, come dice Hiccup (altro che la metaforica pallina di luce che Ursula estrae dalla gola di Ariel, qui la strega del mare le taglia direttamente la lingua, ed è solo l'inizio... sicuri di volere che vada avanti?), mentre la seconda presta a Jack il famoso acciarino.
Questa seconda storia racconta effettivamente di un soldato che scende in un tronco cavo per trovare l'acciarino di una strega, ma poi i tre cani li usa per far portare la principessa nella sua casa ogni notte e, quando scoperto, per uccidere il re e la regina e sposarsi la principessa. Decisamente meno encomiabile e sicuramente per nulla adatto al nostro Jack. Ma l'idea dei cani era bella, e trovo bilanciasse bene le azioni dei due protagonisti. Diciamocelo: senza gli episodi dell'acciarino la storia sarebbe davvero finita con loro due che rientrano mano nella mano in città e Jack avrebbe fatto il Marzio di turno.
Un appunto: la vecchietta che manda Jack giù per il tronco dice che il terzo cane ha gli occhi grandi come la Torre Rotonda di Kaupmannahǫfn: si tratta di una torre che esiste realmente e si trova a Copenhagen, di cui Kaupmannahǫfn è il nome più antico che sia riuscita a trovare.
Con ciò ho quasi concluso. L'ultimo appunto riguarda la Regina della Neve. Mi sono chiesta se non inserire Elsa nel suo ruolo, facendole fare un cameo nella storia da cui è effettivamente tratta. Non mi sono risposta, e lascio al lettore la libertà di immaginarsela come la regina di Arendelle, oppure... così.
Con ciò, vado a sciogliermi al sole. Buone vacanze a tutti, anche a chi le inizierà dopo i tanto sudati esami.
Nike

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Capitolo 11
*** Peter Pan nei giardini di Kensington ***


-Secondo voi- rifletté una sera Merida -si smetterà mai di raccontare fiabe?-
Jack si lasciò scappare un risolino, stupito che la ragazza avesse tirato fuori una riflessione del genere di punto in bianco.
Rapunzel, invece, prese la domanda molto sul serio: -Non credo... non riesco a immaginare un mondo dove la gente non inventi più storie.-
-Perché ti chiedi una cosa così?- indagò dal canto suo Hiccup.
-Non so.- Merida fece spallucce -Me lo chiedo proprio perché non voglio neanch'io che si smetta.-
-Come fai a intrattenere i bambini, se no?- chiese allora Jack. In realtà, lui qualche idea ce l'aveva, proprio perché lui ai bambini non poteva raccontare niente, ma doveva ammettere che alle balie e alle nutrici non si presentavano molte alternative in sua assenza.
-Vuoi dire che le fiabe sono roba solo da bambini?- Merida incrociò le braccia e guardò pensosa il soffitto.
-Ma no!- lo spirito rise di nuovo -Le fiabe restano anche per i grandi. Solo... cambiano forma.-
-Quindi non sono più fiabe.-
-Oh, andiamo Merida... a tutti piace quando il drago viene sconfitto...- (Sdentato mandò uno sbuffo offeso e Jack gli fece un cenno per scusarsi) -... il principe e la principessa riescono a sposarsi...- (Merida mandò uno sbuffo offeso e Jack le fece la linguaccia) -...o il protagonista si salva da incantesimi e trappole. Sono tutte fiabe, solo che la versione per i grandi si chiama leggenda.-
Merida si ripeté silenziosamente la parola, tra sé e sé: -E allora perché cambia?-
Jack allargò le braccia: -Questo me lo direte voi tra qualche anno.-
Rapunzel e Hiccup passavano lo sguardo dall'una all'altro, divertiti da quell'insolito scambio di battute.
-Ma quindi...- Merida non aveva ancora finito -Ma quindi non è possibile non crescere... no?-
-Perché preferisci le fiabe alle leggende?-
Lei non colse la provocazione, aveva lo sguardo perso nei suoi ragionamenti.
Jack la guardò riflettere per un momento, poi si tirò indietro con la schiena e disse: -No, temo non ci sia modo di non crescere. Però non sei la prima a essersi posta la domanda.-
Lei alzò di scatto la testa e focalizzò gli occhi su di lui.
Rapunzel e Hiccup fiutarono la storia e andarono a sedersi con gli altri due, per terra, in cerchio davanti al caminetto.
-Da dove viene?- chiese infatti Hiccup.
-Da Lundenwic. In realtà non è una fiaba, è un racconto inventato da uno scoto.-
-Che ci faceva uno scoto a Lundenwic?- si stupì Merida.
-Che ci fai tu a Corona?- la rimbeccò Jack.
Merida alzò le mani e gli assegnò il punto, poi tornò ad aprire le orecchie.
-Va bene, tenetevi forte.- esordì quindi Jack -Questa potrebbe non essere la storia che vi state aspettando...-

Dovete sapere che prima di nascere tutti i bambini sono degli uccellini. Sì, sì, esatto, ed è per questo che nei loro primi giorni di vita si sentono prudere dietro le scapole, dove una volta c'erano le ali.
Jack lo seppe quando aveva solo una settimana, perché dalla carrozzina aveva visto gli alberi dei giardini di Kensington e aveva desiderato di andare a vivere lì così ardentemente, così dolorosamente, che una notte era saltato fuori dalla culla, si era appolliaito sul davanzale e da lì aveva spiccato il volo.
Se quella volta qualcuno avesse guardato il cielo notturno, un vigile, una bambinaia, probabilmente si sarebbero cercate lunghe scale, si sarebbero lanciate corde, si sarebbero inventati retini per farfalle abbastanza grandi da riportare Jack per terra, e la nostra storia sarebbe finita qui. Invece nessuno vide il bambino che volava e lui poté arrivare oltre lo steccato dei giardini, oltre il canale della Serpentina, e atterrare nell'isola degli uccellini. Si tratta di un'isoletta piccina in cui vivono gli uccellini prima di diventare veri bambini e vere bambine, e lui vi atterrò dolcemente.
Ricordandosi un po' di quando era stato un uccellino anche lui, Jack provò ad attaccare bottone con gli altri animaletti, ma loro non lo riconobbero e fuggirono. Allora il corvo Salomone gli spiegò che lui non era più vestito di penne, quindi non era più un uccellino. Ormai era "fra l'uno e l'altro". A quelle parole Jack ebbe un fremito di nostalgia e sentì passare il prurito alle scapole: la sua tristezza non gli permetteva più di volare.
In realtà, non fu difficile per Jack adattarsi alla vita nell'isola Serpentina: aiutava gli uccellini a costruirsi il nido, non potendo cantare come loro si costruì uno zufolo con delle canne per suonare e fare musica, osservava dalla sua isola gli altri bambini giocare e le balie spingere le carrozzine. Desiderava tanto andare a giocare con gli altri bambini, ma purtroppo non sapeva come superare il canale.
All'inizio chiese alle papere di insegnargli a nuotare, ma quelle erano troppo stupide per spiegarglielo bene. Chiese quindi ai cigni, ma loro erano troppo superbi per perdere tempo con quelle sciocchezze e gli fischiarono dietro, alzando il becco e andandosene. Poi un giorno un aquilone si impigliò fra i rami degli alberi dell'isola: Jack lo prese e decise di provare ad attraversare il canale volando. Chiese aiuto agli uccellini che portarono il cervo volante su nel cielo e Jack dietro, attaccato alla coda. In principio andò tutto bene, poi con un sonoro crack il povero aquilone si spezzò e Jack finì in acqua, dove fu recuperato da due cigni, che lo riportarono a riva sdegnosi: perché se non ci fossero stati loro...! Si sa, i cigni sono fatti così, sono superbi, ma questo salvataggio dimostra che non sono cattivi.
Fatto sta che Jack era sempre più triste di non poter attraversare il canale, tanto che gli uccellini, dispiaciuti, decisero di unire le forze: insieme costruirono un nido di tordo grande abbastanza per un "fra l'uno e l'altro" perché Jack potesse attraversane il canale galleggiando, e dopo aver trovato molti rametti, molta erba e molte zolle di fango il nido-barchetta fu finalmente pronto.
Jack attese una notte di plenilunio, poi salì sul suo nido-barchetta e si diresse verso l'altra riva. Non vi racconterò i mille ostacoli che dovette superare per riuscire a guidare la barchetta per tutto il tragitto!
Per fortuna riuscì a raggiungere la terraferma, dove però le fate lo accolsero diffidenti: sapete, sono creature dalla memoria molto labile, quindi non si ricordavano di aver già giocato con Jack quando era ancora un uccellino tutto intero. Per loro, lui era un bambino rimasto di nascosto dentro il giardino dopo l'orario di chiusura. Tutti si sarebbero spaventati a vedere le loro facce minacciose, ma Jack era un bambino coraggioso e spiegò loro che lui era "fra l'uno e l'altro", tagliando corto sulla discussione. Allora le fate lo portarono dalla loro regina Dentolina, che decretò che lui poteva andare liberamente per i giardini, ma solo una volta calata la notte, perché chi fa parte del loro regno incantato non può farsi vedere dai bambini veri e dalle bambine vere.
Da allora Jack passava le giornate sulla sua isoletta, per poi navigare fino ai giardini una volta deserti e cercare i giocattoli scappati dai bambini. Perché i giocattoli, quando si stufano del loro proprietario, scappano sotto un cespuglio e restano nascosti in modo da non farsi più trovare. Fu così che Jack ne trovò un sacco, ma non avendoli mai usati non conosceva la loro funzione e si ingegnava per scoprirla. Per esempio, un giorno trovò un cerchio, che lui scambiò per una barca, e lo lanciava in acqua per poi andarlo a recuperare quando affondava. Al che, il cerchio si stufò subito e rotolò via offeso. Poi trovò una spada di legno, che decise di usare come remo, e lei non obiettò, poiché era abbastanza stanca del suo lavoro sulla terraferma.
Un altro suo passatempo era suonare il suo zufolo per le fate, che lo aspettavano per questo tutto il giorno nascoste nei giardini. Le fate, infatti, di giorno si nascondono dai passanti trasformando le loro gonne in fiore di stagione; per cui, se un giorno osservate un croco o un giaginto, non potete immaginare, per la sua immobilità, che in realtà è una fata, ma nel momento in cui vi distrete quella scappa via lestissima.
Le fate sono creaturine dalla memoria labile ma astutissime, e questo perché non sono proprio figure reali. In realtà sono come una dolce sfumatura della risata di bimbo. Quando il primo bimbo rise, il suo riso si infranse in mille scintille. Ecco, quelle furono le prime fate. E così, ogni volta che un bambino ride, altre fate vengono al mondo.

Siccome loro vivono in piccole comode grotte sotto le radici degli alberi, la fate non devono costruirsi case. Ma capitò una volta che ne costruirono una per una bambina.
Sophie Bennett aveva sentito, come tutti gli altri bambini, che ai giardini di Kensington viveva un bambino che si faceva chiamare il "Pan", e come tutti gli altri bambini non sognava altro che incontrarlo. Anche suo fratello maggiore, Jamie Bennett, aveva dichiarato la stessa cosa, e siccome lui era un bambino coraggioso (Sophie ne era sicura) aveva anche dichiarato che sarebbe rimasto nei giardini una notte dopo la chiusura per poterlo incontrare.
Il pomeriggio che ci erano andati con la balia, però, Jamie non sembrava più così sicuro. Così, per incoraggiarlo, Sophie aveva urlato: -A chi arriva prima ai cancelli, Jamie!- e i due avevano spiccato una corsa, lasciando la balia indietro.
Solo che... Jamie aveva sì raggiunto i cancelli, ma li aveva anche superati, e siccome Sophie sapeva che il "Pan" qualcuno doveva pur incontrarlo, si nascose dietro una siepe, lasciando passare la sua balia e non uscendo finché i cancelli non furono chiusi.
Allora Sophie cominciò a girare per i giardini, quando sentì delle voci: -Come state, signor olmo?-
-I rami un po' tesi, signor salice. E lei?-
-Sempre giù di morale.-
Erano le piante, che dopo una giornata di duro lavoro si salutavano e si scambiavano inchini e riverenze. In tutto quel trambusto di frasi cortesi nessuno si era accorta di una bambina che non doveva essere lì, e lei avanzava guardandosi intorno con gli occhioni spalancati, quando vide un bambino fare i dispetti ai germogli appena spuntati.
-Cattivo, cattivo bambino!- li difese lei, e questo la fece notare da un giacinto, che la puntò con la foglia e diede l'allarme. Allora tutte le piante cominciarono a chiedersi se non fosse il caso di andare a dire alle fate che una bambina vera si trovava nei giardini di notte, ma Sophie si offrì di far loro compagnia, dare loro il braccio e permettere loro di sgranchirsi le radici in brevi passeggiate. Fu così che fu subito benvoluta da tutti gli alberi.
Quando poi lei dichiarò che voleva vedere le fate, loro glielo sconsigliarono, ma lei ci volle andare lo stesso e, nascosta sotto un agrifoglio, si mise ad osservare cosa succedeva.
Allora davanti a lei vide un assembramento di lucine e in poco tempo il sottobosco si reimpì di fatine che davano un gran ballo. Chi danzava di qua, chi chiacchierava di là... tutto andò bene fino a quando la bambina, incantata da quella vista, non fece un passo nel cerchio di luce.
Abbiamo già detto di quanto le fate facciano paura, quando sono arrabbiate. A vederle così minacciose, quando la scoprirono, Sophie scappò via, corse, cadde e si rialzò, e riprese a correre finché non cadde di nuovo e, completamente persa nella notte, non si addormentò sfinita.
Gli alberi frenarono l'ira delle fatine e raccontarono loro quanto la bimba fosse stata gentile con loro, così la regina Dentolina decretò: -Che Sophie viva!- e tutte la altre fate: -Che Sophie viva! Che Sophie viva!-
Fu quindi per proteggerla dal freddo della notte che decisero di costruirle una casetta attorno, poiché era troppo pesante per loro per portarla al riparo. Tutte le creaturine si ingegnarono a portare legno e muschi e foglie, e una bella casetta col comignolo in pietra, il tetto spiovente, la veranda di muschio fu eretta attorno al suo corpicino. Le fu fatto dono di un sogno al gusto di fragola e fu lasciata lì a riposare.
La bambina si svegliò qualche ora dopo e si trovò in quella casetta così graziosa! Quando uscì questa non sparì di colpo, ma prese a rimpicciolire fino a scomparire completamente alla vista. E lei, dispiaciuta di aver perduto una casetta così carina, ci rimase talmente male che sentì una voce dirle: -No piangere, piccola creatura umana, non piangere!-
Sophie si girò e vide un bambino seduto su un ramo, e subitò capì che quello era il "Pan".
Jack era tutto contento perché era la prima volta che parlava con una bambina vera, e aveva aspettato quel momento per tanto tempo. Infatti si comportò come se avesse sempre ripetuto delle frasi cortesi fra sé e sé, per prepararsi: -Hai dormito bene?-
-Molto, grazie.- rispose Sophie -Che bambino buffo che sei!-
-Non sono un bambino.- la corresse lui -Sono un "fra l'uno e l'altro". Mi chiamo Jack!-
-Lo so come ti chiami... tutti lo sanno!-
Jack fu contento di quella notizia. Fece spazio sul ramo accanto a sé e la invitò a sedersi. Sophie salì un po' goffamente, poi le fu chiesto di raccontare tutto quello che la gente sapeva di Jack. E Jack, che amava vantarsi, era sempre più contento che le sue avventure fossero conosciute da così tanta gente, anche se sapeva che mancavano molti dettagli.
Allora Sophie gli chiese di raccontargliele e lui la accontentò: narrò dall'arrivo all'isola Serpentina all'aquilone, alle fate. E Sophie si accorse che in tutte quelle avventure Jack era sempre da solo e questo la commosse.
-Che cosa c'è?- chiese quindi lui.
-Niente, niente. Vorrei solo... darti un bacio.-
Jack, che conosceva molte cose delle sue avventure ma non molte delle cose che sanno tutti i bambini veri e le bambine vere, tese la mano in attesa di un regalo. Per non deluderlo, Sophie estrasse dalla tasca un ditale e glielo infilò nel ditino. E Jack tutto felice prese a studiare quel nuovo gioco.
-Adesso raccontami tu!- disse poi, e Sophie si lanciò nel racconto di Jamie e della Mamma, e della bambinaia, della sua cameretta e del caminetto acceso (di cui sentiva improvvisamente la mancanza).
Jack ,intanto, più ascoltava la bambina più le si affezionava, e desiderava tanto che non andasse più via. La condusse con sé al suo nido di tordo: -Vuoi venire con me sull'isola?- le chiese. Ormai era mattino, e presto avrebbe dovuto riattraversare il canale.
-Oh Jack! Mi piacerebbe molto!- e prese a studiare la barchetta. Sentiva però una strana sensazione crescerle dentro, così chiese: -Però potrò tornare, vero? A rivedere la Mamma e Jamie?-
-Certo, certo.- ma Jack non ne era così sicuro. Poi però le disse, per convincerla: -Sicuramente gli uccellini saranno contenti di conoscerti! Dovrai solo dare loro i tuoi vestiti, così diventerai davvero "tra l'uno e l'altro"...-
-Perché dovrei dar loro i miei vestiti?- chiese scandalizzata la bambina.
-Ma per i loro nidi!- esclamò Jack, come fosse una cosa ovvia.
Sophie era sempre più dubbiosa: -Ma sei sicuro che potrò tornare spesso a vedere la Mamma?-
Ma Jack le rispondeva senza guardarla negli occhi, così lei lo costrinse a dirle la verità: -Non lo so se si ricorderanno di te.-
Sophie si coprì la bocca con la manina, poi si sentì un sonoro clangore e i cancelli dei giardini furono riaperti. Fu così che si salutarono: -Spero di tornare in tempo, che non si siano già dimenticati di me!-
-Se così fosse- rispose Jack -Verrò a prenderti.-
Sophie corse a casa in tutta fretta.
Jack tornò ai giardini molte notti nella speranza di rivedere Sophie, ma ormai la balia non la perdeva più di vista per impedirle di nascondersi di nuovo.
Una sera, però, trovò una letterina per lui, in cui Sophie scriveva: "Volevo farti un regalo, e la mia Mamma mi ha consigliato di regalarti la mia capretta immaginaria. Chiedi alle fatine di trasformatela in una reale, così non sarai mia più solo."
La regina Dentolina fu contenta di esaudire questo desiderio e da allora Jack girava tutte le notti per i giardini in compagnia della capretta e suonando il suo zufolo.
Le fatine non dimenticarono la casetta: la conservavano e la ricostruivano sempre in un angolo diverso dei giardini, nel caso in cui qualche altro bambino si fosse perso per cercare Jack, il "Pan".

Jack smise di raccontare e attese il verdetto.
-Questa storia...- decretò Merida -...è strana.-
-Non è avventurosa.- considerò Hiccup -Non ci sono nemici, solo un bambino che non cresce che incontra una bambina che cresce.-
-Io l'ho trovata davvero poetica.- sorrise Rapunzel.
Jack sorrise e fece spallucce: a lui non infastidiva l'idea che per una volta ci fosse una storia su uno spirito dei bambini che girava non visto per il mondo. Anche perché lui aveva sempre adorato quando il Pan incontrava finalmente la bambina. Chissà perché...

 




Angolino dell'autrice:
E con Peter Pan abbiamo finito il ciclo dei libri per ragazzi: Pinocchio per l'italiano, il Piccolo Principe per il francese e Peter Pan per l'inglese. Tutti scritti fra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento (per deformazione passionale).
Per i pochi sopravvissuti arrivati fino all'angolino, rispondo subito alla primissima obiezione: e Wendy? e Uncino?!? Cavoli Nike ma che fine hanno fatto praticamente tutti i personaggi?!? Colgo l'occasione anche per spiegare il titolo, che già da solo dovrebbe aver messo la pulce nell'orecchio: perché i giardini di Kensington e non l'Isola che non c'è? Perché in realtà quella che ho riscritto è la prima versione dove appare Peter Pan. Il nostro bambino che non voleva crescere è stato citato per la prima volta in un paio di capitoli della novella per adulti "L'uccellino bianco" e, per il successo ottenuto, questi capitoli sono stati poi adattati a racconto autonomo. Ed è qui che spunta fuori Peter Pan ai Giardini di Kensington
La versione che conosciamo tutti, con quei mucchi di personaggi figherrimi e variopinti invece è saltata fuori da un pezzo teatrale successivo, poi riadattato anche quello a racconto, da cui poi è stato tratto il classico Disney. Quindi, sempre nello spirito della raccolta che vuole presentare le storie meno conosciute, ho raccontato il Peter Pan che nessuno conosceva.
Partiamo ora con i piccoli appunti sul capitolo: J. M. Barrie era uno scrittore scozzese vissuto a Londra. Ecco spiegato lo scoto a Lundenwic (ovviamente antico nome della città etc etc).
Per quanto riguarda il racconto di per sé, ho eliminato una figura importante per capire il personaggio di Peter Pan: la Mamma, che chiude la finestra e perciò impedisce a Peter di tornare da lei, facendolo sentire abbandonato. Si tratta di un elemento che potrebbe essere ereditato dal racconto "L'uccellino bianco" (credo? Non l'ho letto), per adulti e quindi con un punto di vista più adulto: la mia storia racconta di un bambino che vola via e vive grandi avventure, se fosse inserita anche una figura materna si introdurrebbe un elemento di coscienza che può mettere a disagio. Bisognerebbe trattarlo con delicatezza e nell'equivalente di quattro pagine non sarebbe possibile. E soprattutto si inserirebbe male nell'ambiente reso completamente fiabesco dei giardini di Kensington.
Gli altri elementi reinseriti interessanti sono l'immagine del "fra l'uno e l'altro", che rende Peter più un folletto che un bambino o un uccellino, il ditale, ovvero un topos presente anche in Peter Pan e Wendy che non ha bisogno di altre spiegazioni, e la capretta. Quest'ultima fa un po' ridere, ma da qui devo raccontare un aneddoto personale: quando ho visto "Hook", coi mitici Dustin Hoffman e Robin Williams, un bambino sperduto esclama: "Sono io il Pan, adesso!" e io "Che cavolo avrà mai voluto dire con il pan?! Dire il capo non era abbastanza?" Povera stolta: ho poi scoperto la mitologia greca, col dio Pan mezzo capra e con lo zufolo. Ovviamente non mi è venuto subito in mente. Ho prima dovuto leggere Peter Pan ai Giardini di Kensington. A volte mi sento così sveglia...
In ultimo: nella riscrittura che vede Jack protagonista di questa fiaba, avrei dovuto dire Jack Pan. Se Peter Pan suona benissimo, Jack Pan è orribile. Per cui non li ho mai messi insieme come nome unico.
Con ciò, buon week end ai due sopravvissuti anche al mio angolino.
Nike

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Capitolo 12
*** La contadina furba ***


-Va bene.- disse quindi Rapunzel -Ora tocca a me.-
Gli altri tesero le orecchie: -Qualche nuova idea?-
-Già... è da un po' che non racconto niente, per cui mi prendo il turno.-
-Prevedi qualcosa di interessante come l'ultima di Merida?- ridacchiò Jack.
-Sai, credo sia difficile trovare storie come la sua, dove sia la ragazza che il ragazzo fanno qualcosa per arrivare al "vissero felici e contenti". A meno che non si tratti di una storia dove i due si devono sposare.-
-Ma di quelle ce ne sono anche troppe.- sbuffò l'altra ragazza.
-Provo a tirarne fuori una. Spero vi piaccia.-

C'era una volta un re che non aveva figlioli a cui lasciare il suo regno. Allora chiamò uno dei suoi tre più fidati cavalieri e lo mise alla prova, per valutare se avesse potuto nominarlo suo erede. Gli diede un sacco d'oro per ogni suo bisogno e lo mandò al servizio d'un curato per apprendere l'umiltà.
Questi accolse il giovane e, la sera prima di metterlo al lavoro, gli propose una scommessa, che loro facevano al di fuori di ogni dovere verso il sovrano: -Tu hai un sacco d'oro, e anche io ne ho uno. Facciamo che il primo che si arrabbia deve consegnare il suo all'altro.-
Il giovane accettò e il giorno dopo si mise la zappa in spalla e andò nei campi. Arrivò pranzo e il giovane attendeva la serva del curato col pranzo e col vino, ma quella non venne. Continuò a zappare fino a ora di cena, ma la donna arrivò solo a tarda sera, con mille scuse. Il giovane prese la pignatta con la zuppa, ma era sigilata "per non far entrare le mosche", e così anche il fiasco di vino. Il giovane tornò dal curato e gli fece una sfuriata tale che se ne infischiò della scommessa e tornò dal re senza un soldo.
Il sovrano mandò allora il secondo dei suoi tre più fidati cavalieri, ma anche il secondo accettò la stessa scommessa del primo e si beccò la stessa giornata di lavoro a digiuno, con conseguente sfuriata e perdita del sacco di quattrini che il re gli aveva affidato.
Il re mandò allora più giovane dei suoi tre cavalieri, Hiccup, il quale si mise in spalla il suo sacco di quattrini e arrivò dal curato fischiettando. Questi gli propose la stessa scommessa fatta agli altri due: -Il tuo sacco di quattrini contro il mio più quello dei tuoi due compari.-
Hiccup accettò e finì la sua cena col curato con un brnidisi. Quando poi dovette ritirarsi in camera sua, passò prima dalla cucina e si mise in tasca quanto più pane, formaggio e prosciutto che poté. Il mattino dopo si mise la zappa in spalla e andò ai campi. Lavorò fino a mezzogiorno, e come al solito la vecchia serva non venne. Hiccup mangiò allora quello che si era preso la sera prima, poi andò in una casetta poco lontano e chiese un po' d'acqua. Dormì poi per un po' all'ombra della macchia, poi si rimise a zappare canticchiando fra sé. Arrivata l'ora di cena finì quello che gli era rimasto in tasca, andò di nuovo a chiedere un po' d'acqua ai contadini, e aspettò la serva.
Questa arrivò con mille scuse, ma lui la perdonò senza batter ciglio, usò il manico della zappa per sfondare il coperchio della pignatta e spaccò il collo della bottiglia su una pietra, mangiò e bevve, poi rimandò la donna a casa, ché lui doveva finire lì.
La vecchia tornò a casa scandalizzata, e il curato macchinò qualcosa per Hiccup.
Il giovane tornò a tarda sera e chiese che cosa avrebbe dovuto fare domani.
-Ho questi cinquanta maiali. Portali al mercato per vendermeli.-
Il mattino dopo Hiccup andò al mercato con i maiali e li vendette tutti tranne una scrofa bella grossa, e a tutti prima di darli via tagliò il codino.
Sulla via del ritorno piantò in un campo tutti i codini e vi seppellì anche la scrofa, con solo il codino che usciva dal terreno. Poi si mise a urlare:

Corri corri Don Raimondo,
che i maiali vanno a fondo!

Il curato accorse e si mise le mani nei pochi capelli, prese a tirare i codini ma gli rimanevano in mano. E Hiccup a raccontare: -Stavo andando al mercato, quando i maiali sono affondati nella terra. Sicuramente è opera del diavolo!-
E tirò il codino della scrofa, che venne fuori strillando come avesse davvero visto il demonio.
I due tornarono a casa e ci volle un po' perché il curato sbollisse. Poi disse: -Hiccup, domani vammi a vendere le mie cinquanta pecore al mercato.- e così Hiccup fece, tenendosi solo un agnellino zoppo.
Tornando alla curia prese una scala, salì su un pioppo e vi legò l'agnello, poi scese e prese a urlare:

Corri corri don Carmelo,
che gli agnelli vanno in cielo!

E il curato accorse, disperato, mentre Hiccup raccontava: -Stavo portando le pecore al mercato, quando hanno preso tutte il volo, sicuramente verso i Cieli! Guardi, è rimasto solo l'agnellino zoppo!-
Quella sera il curato non volle dargli nessun incarico per il giorno dopo: -Verrai con me in una parrocchia qui vicino e mi aiuterai a dir Messa.-
Ma il mattino dopo, quando furono sulla strada, prese a piovere così forte che il curato mandò Hiccup a prendergli gli zoccoli alla curia. Il giovane corse indietro e arrivò in cucina e disse alle due giovani serve: -Il curato vuole che vi dia un bacio.- ma loro non volevano crederci, così Hiccup urlò dalla finestra: -Cos'aveva detto, signor curato? Una o tutt'e due?-
-Ma tutt'e due! E sbrigati!-
Così le due ragazze si lasciarono dare il bacio e Hiccup portò gli zoccoli al curato. Il quale, una volta rientrato, quando scoprì il tiro che Hiccup gli aveva giocato, andò su tutte le furie e lo cacciò.
Hiccup vinse la scommessa e tornò dal re con il suo sacco di quattrini, quello del curato, i due degli altri due cavalieri e i soldi guadagnati dalla vendita di maiali e pecore. Inutile dire che fu lui che ereditò il regno quando il vecchio re morì.

Capitò un giorno che uno dei contadini di re Hiccup scoprì un giorno, zappando la terra, un mortaio d'oro. Lo portò a casa da sua figlia Rapunzel e glielo diede da pulire, ché voleva farne dono al re. Ma lei lo avvertì: -Qui manca qualcosa, padre: vedrete che il re noterà subito che manca il pestello!-
Ma il padre non volle darle ascolto e portò comunque il mortaio dal re. Hiccup lo guardò diffidente: -Se qui c'è il mortaio, che fine ha fatto il pestello?- temeva infatti che l'uomo volesse raggirarlo in qualche modo.
E l'uomo: -Ahimé, mia figlia mi aveva avvertito.-
-Vi aveva avvertito di cosa?-
-Che a ricevere solo il mortaio non vi sareste fidato di me...-
A sentire ciò Hiccup rimase sorpreso, e cominciò ad interessarsi a questa ragazza: fece consegnare del lino all'uomo e ordinò: -Dite a vostra figlia di fabbricarmi camicie per un reggimento con questo lino. Altrimenti...- e non aggiunse altro.
L'uomo tornò a casa sconvolto e raccontò a Rapunzel cos'aveva ordinato il re. La ragazza non fece una piega, prese il lino e lo scosse per farci uscire le lische, ché si sa, ce ne sono sempre anche se il lino è scardassato da un maestro. Ne caddero tre, lei le diede al padre e lo mandò dal re, dicendo: -Ovviamente farò le camicie, ma mi manca il telaio: quando lui riuscirà a produrmi un telaio da queste tre lische, allora io gli farò le camicie.-
A sentire queste parole, Hiccup era sempre più divertito e volle conoscere la ragazza: -Fatela venire al mio cospetto. Ma badi: che non venga né nuda né vestita, nè a cavallo né a piedi, né di giorno né di notte. Altrimenti...- e non finì.
Questa volta il padre era davvero disperato, ma Rapunzel gli disse: -Non preoccuparti. Portami una rete da pestatori e una capra.-
Il mattino dopo, prima che albeggiasse, Rapunzel si avvolse nella rete (così non era né nuda né vestita), montò sulla capra (così non era né a piedi né a cavallo) e partì per il palazzo che schiariva appena (così non era né giorno né notte).
Così si presentò a Hiccup, che a vederla così scoppiò a ridere e la prese come sua consigliera personale, poiché gli altri due cavalieri non erano proprio delle cime, a un patto: che mai avrebbe mai messo in discussione la sua parola davanti a qualcuno del popolo.
Capitò un giorno di fiera che un garzone arrivò in città con una vacca gravida, la lasciò un momento vicino al bue di un altro contadino e si allontanò. In sua assenza, la vacca diede alla luce un bel vitello. Il garzone tornò al contempo del proprietario del bue, che cominciò a berciare che il vitello era suo. Ne uscì una lite così furibonda che furono costretti a chiamare il re.
Hiccup arrivò e si trovò davanti un gran scompiglio. Dato che non voleva essere superficiale nella sua scelta, poiché lui non aveva visto la mucca ancora gravida e contando sul fatto che il vitellino volesse stare per natura con la madre, decretò che il vitellino apparteneva al proprietario della bestia che avrebbe seguito.
Il garzone prese la sua mucca e si allontanò, ma il vitellino non si mosse. Il proprietario si allontanò con il bue e il vitellino lo seguì di qualche passo. Così l'uomo si aggiudicò l'animale e il garzone rimase con niente.
Dopo che le acque si furono calmate, Rapunzel si avvicinò al giovane e gli disse: -Domani vai alla macchia ai confini del giardino del palazzo. Là c'è un lago che in questa stagione è asciutto, e il re vi passerà per andare a caccia. Tu fai finta di pescare e quando il re ti moanderà cosa credi di fare, tu rispondi: "Se un bue può partorire un vitello, allora io posso prendere pesci anche all'asciutto."-
Il giovane ubbidì, e il giorno dopo si mise a pesace sulla strada di Hiccup, che si mise a ridere, poi gli domandò cosa stava facendo.
-Maestà, se un bue può partorire un vitello, allora io posso prendere pesci anche all'asciutto.-
Hiccup fu punto sul vivo, capì che quella era farina del sacco di Rapunzel. Ammise il suo errore e gli assegnò il vitello, poi andò dalla ragazza: -Non sei stata ai patti, Rapunzel. Parola di re non torna indietro: devi tornare a casa tua. Prendi quello che più ti piace dal castello poi vattene.-
-Va bene. Posso solo chiedere di partire domattina e non stasera, ché già si sta facendo buio?-
Hiccup gli accordò il permesso, e quella sera i due cenarono assieme. Ma Rapunzel drogò il vino di Hiccup e quando questi si fu addormentato lo fece portare a casa sua.
Hiccup si svegliò il mattino dopo con la testa che girava e senza riconoscere la stanza. Capì subito chi era la responsabile di quella novità e chiamò a gran voce: -Rapunzel!-
-Eccomi!-
-Che cosa credi di fare?-
-Mi avevi detto di prendere ciò a cui ero più affezionata al castello, e io ho ubbidito.- rispose lei con una scrollata di spalle.
A quelle parole Hiccup scoppiò a ridere e i due si perdonarono a vicenda. Rapunzel tornò con Hiccup a palazzo e vissero tutti felici e contenti.

Rapunzel finì di parlare e riprese fiato.
Gli altri si riscossero di colpo: erano stati tutti e tre tesi a scoprire il prossimo trucco che quasi dispiaceva loro che fosse finita.
-Bella.- disse Merida annuendo -Divertente.-
-Ma lei non doveva diventare solo la consigliera, giusto?- ipotizzò invece Jack.
-Esatto. Però qui non va molto a genio di parlare di matrimoni...-
Merida si difese piccata. Ma dovette ammettere che, questa volta, anche ci fosse stato di mezzo un matrimonio non le avrebbe dato poi tutto questo fastidio.

 




Angolino dell'autrice:
Come si dice, two in a row! In realtà questo capitolo proprio non vedevo l'ora di scriverlo! XD
Come per la Regina della Neve, anche qui l'idea della storia (quella che dà il titolo al capitolo, e che ne occupa la seconda parte) vede una fanciulla celebrata per le sue capacità. Tuttavia, non so cos'avesse chi inventava queste storie, ma difficilmente se ne trovano dove ci siano due protagonisti che siano attivi in ugual modo (senza che ci sia un matrimonio di mezzo, del tipo: "ho fatto tutti questi sacrifici per te, perché sono follemente innamorata/innamorato, adesso sposiamoci e facciamo un figlio"), specie se la protagonista è una fanciulla: allora lì l'uomo fa sempre un po' la figura del pollo. 
Per bilanciare, questa volta ho voluto introdurre Hiccup attraverso una fiaba bolognese, "La scommessa a chi primo si arrabbia", per far capire che non è l'ultimo caduto dalle nuvole. Nella versione originale erano tre fratelli in cerca di fortuna dopo la morte del padre, ma mi serviva un re per la seconda parte quindi ho adattato il contesto. Nella versione originale, inoltre, ho anche tagliato alcune parti: in primis le filastrocche di don Raimondo e don Carmelo, perché non mi andavano molto a genio le versioni intere (nella resa dal dialetto in italiano saltano delle rime e questo mi dà sui nervi), e poi anche l'ultima furberia del protagonista che porta il curato a licenziarlo: dato che si dice che non si può licenziare un lavoratore prima del canto del cuculo, il curato fa travestire la vecchia serva da uccello e la manda su un albero a fare cucù. Non essendo la stagione dei cuculi, il protagonista prende uno schioppo e vi lascio immaginare la fine che fa la serva. Questa parte non mi serviva particolarmente e la trovo anche un po' eccessiva per il nostro Hiccup, quindi l'ho levata.
La fiaba che dà il titolo al capitolo, invece, viene da Montale Pistoiese e l'ho già incontrata altre volte con altri titoli, tipo "Vestita e non vestita" o, il mio preferito, "Madama Cirimbiscola". Nella versione originale ovviamente il re sottopone alla contadina/Caterina/Cirimbiscola delle prove per sposarla, ma già difficilmente mi immagino Hiccup col mantello rosso e la corona d'oro, sposato a Rapunzel, per di più...!
Ultimo punto, per sostenere con ancora più forza la necessità di introdurre degnamente il personaggio del re, sappiate che nella versione di riferimento invece che fra una mucca e un bue il sovrano deve scegliere fra una mucca e un carro. Ovviemente scegliendo il carro, se no Cirimbiscola che ci sta a fare lì? Mi sembrava indegno per il nostro Hiccup.
Con ciò, mi butto sul prossimo capitolo.
Nike

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Capitolo 13
*** Jack e la pianta di fagioli ***


-Va bene.- decretò quindi Merida -Ora che ci siamo sorbiti un po' di furberia, propongo di passare a quello che davvero interessa di una fiaba.-
-E cosa sarebbe?-
-Ma l'avventura! Il pericolo! Giganti, streghe, folletti, dr...- ma si trattenne e guardò di sottecchi Sdentato, che non si era accorto di niente e si era messo a poltire in un angolo.
-E immagino che tu abbia già in mente una storia?- chiese quindi Hiccup.
-Ovviamente!- Merida si preparò a parlare e gli altri si misero comodi ad ascoltare.

C'era una volta una vedova che abitava con sua figlia in una casetta in un campo. La giovane si chiamava Merida. Avevano anche una mucca, che si chiamava Biancolatte. Per campare le due vendevano al mercato il latte che Biancolatte dava loro ogni mattina.
Purtroppo, un giorno Biancolatte non diede più latte e la donna non sapeva cosa inventarsi per arrivare a sera.
-Che cosa possiamo fare?- si chiese torcendosi le mani.
-Non preoccuparti, madre. Troverò lavoro da qualche parte.-
-Ci hai già provato, nessuno ti prende per i lavori di fatica. No, dobbiamo vendere Biancolatte e provare a mettere su un'attività, o qualcosa di simile.-
-Va bene. Oggi è giornata di mercato, vado a vendere Biancolatte e poi vedremo che si può fare.- detto ciò Merida prese la corda a cui era legata la mucca e si mise in cammino per il mercato.
Ma non era andata molto lontano quando incontrò una vecchietta dall'aspetto buffo, che le disse: -Buongiorno Merida.-
-Buongiorno a lei.- rispose la ragazza, chiedendosi come lei conoscesse il suo nome.
-Cosa vai a fare di bello?-
-Vado a vendere la mia mucca.-
-Vedo, vedo. Senti, dimmi un po': sai quanti fagioli fanno cinque?-
-Due in ogni mano e uno in bocca.- replicò Merida.
-Hai ragione, brava!- la vecchietta tirò fuori dei fagioli dalla tasca: -Eccoli qui, i fagioli. Che ne diresti di scambiarli con la tua mucca?-
-Ma che razza di accordo sarebbe questo?-
-Dici così perché non conosci il potere di questi fagioli: li pianti la notte e al mattino sono cresciuti fino al cielo.-
-Ma non mi dica!-
-Certo! E se per caso così non fosse, ti restituirei la mucca.-
-Affare fatto!- Merida le diede la corda di Biancolatte e la vecchia fece cadere nel palmo della sua mano i cinque fagioli.
La ragazza tornò a casa che era già il crepuscolo.
-Allora, Merida? Vedo che non hai più la mucca, a quanto l'hai venduta?-
-Non indovineresti mai, madre.-
-Non mi dire! Cinque, dieci sterline? Aspetta, magari quindici? Non dirmi venti!-
-Ma no! Guarda questi fagioli, madre: li pianti la sera e...-
-Cosa?! Hai venduto la nostra unica mucca per cinque miseri fagioli?- la donna li afferrò e in collera li gettò fuori dalla finestra: -Stasera tu non mangi. A letto senza cena! E adesso fila in camera tua!-
Merida obbedì, e se ne andò a letto contrariata tanto per aver deluso la madre quanto per essere rimasta con la pancia vuota. Alla fine si addormentò come un sasso.
Il mattino dopo si svegliò con la luce del sole, ma si accorse subito che in realtà la sua camera era più scura rispetto al solito. Guardò fuori dalla finestra e vide, indovinate cosa?, che i fagioli che sua madre aveva gettato fuori dalla finestra la sera prima avevano dato una pianta che raggiungeva il cielo. Allora la vecchietta non aveva mentito...
La pianta di fagioli era cresciuta non lontana dalla finestra di Merida, che con un salto poté afferrarla e cominciare a scalarla come fosse una scala a pioli intrecciata. E scalò e scalò e scalò e scalò e scalò e scalò finché non arrivò fino al cielo, da dove partiva una strada che andava dritta come un fuso e lei la seguì e camminò e camminò e camminò e camminò finché non arrivò a una casa gigantesca alla cui porta stava una donna gigantesca.
-Buongiorno, signora.- salutò Merida educatamente -Sarebbe così gentile da darmi qualcosa per colazione?-
-Vuoi la colazione?- rispose invece la donna -Guarda che lo diventerai tu, se resti qui: mio marito è un orco a cui nulla piace più che un giovane arrostito a puntino. Faresti meglio a dartela a gambe.-
-Oh, per favore! È da ieri che non mangio nulla... se non arrostita, sicuramente morirò di fame!-
Be', la moglie dell'orco non era poi una persona così cattiva, dopo tutto: portò dentro Merida e le diede pane con formaggio e un bicchiere di latte. Ma la ragazza non aveva ancora finito che sentì dei passi pesanti avvicinarsi.
-Cielo! Cosa devo fare adesso?- la moglie dell'orco si guardò intorno, poi aprì il forno: -Presto, salta qui dentro!-
L'orco entrò. Certo, era proprio uno di quelli grossi. Portava tre vitelli legati alla cintura. Ne staccò uno e lo diede alla moglie: -Ecco, preparamene uno per colazione. Ma cosa sente il mio naso?

Ucci ucci
sento odor di inglesucci
che sia sano o che sia matto
me lo mangio lesto e ratto

-Stai sognando, caro.- gli rispose la moglie -magari senti i resti del ragazzetto che ti sei mangiato ieri sera a cena. Dai, vatti a lavare: quando tornerai la colazione sarà pronta.-
Merida era già pronta per darsela a gambe quando la donna la trattenne: -Aspetta che dorma. Si fa sempre un pisolino dopo pranzo.-
L'orco fece quindi colazione, poi andò al comò e tirò fuori due sacchi pieni di monete d'oro, che prese a contare sul tavolo finché la testa non cominciò a ciondolare e lui non cadde addormentato.
Merida uscì dal forno in punta di piedi, e uscendo prese con sé uno dei due sacchi di monete d'oro. E poi corse e corse e corse e corse fino alla pianta di fagioli, e poi scese e scese e scese e scese fino a casa sua, dove mostrò il suo bottino a sua madre: -Vedi mandre? In fin dei conti sono proprio fagioli magici!-
La donna faticava a credere che sua figlia avesse potuto trovare tutto quel denaro da sola ma il sacco era lì davanti ai suoi occhi e non rimase perplessa a lungo.
Così le due vissero per un po' del denaro del sacco, ma quando questo finì Merida decise di tentare di nuovo la fortuna. Una mattina si alzò presto e scalò e scalò e scalò e scalò la pianta di fagioli fino alla strada di sopra, e arrivò alla casa gigantesca alla cui porta c'era, ovviamente, la donna gigantesca.
-Buongiorno signora.- salutò di nuovo Merida -Non potrebbe darmi per favore qualcosa per colazione?-
-Vai via da qui, giovinetta, o sarai tu la colazione di mio marito. Ma non ti ho giò vista qualche tempo fa? Ah,, sei tu. Sai che quel giorno a mio marito è scomparsa una borsa piena d'oro?-
-È davvero strano, signora.- si stupì Merida -Non so se ho indizi per voi, ma nel caso li avessi sicuramente non riuscirei a ricordarli a pancia vuota.-
La donna era talmente curiosa che la portò dentro e le diede da mangiare, ma subito si sentirono i passi dell'orco avvicinarsi. E di nuovo come l'ultima volta Merida si nascose nel forno, l'orco fece "Ucci ucci" e si mangiò tre buoi. Poi disse: -Moglie, portami la gallina che depone uova d'oro.- e lei obbedì. E quando lui diceva: -Deponi.- la gallina deponeva un uovo d'oro. Poi cominciò a ciondolargli la testa e si addormentò.
E Merida uscì di soppiatto e afferrò la gallina, e prima che potessi dire "Jack Robinson" era corsa via. Ma la gallina mandò uno schiocco che svegliò l'orco, e Merida era appena uscita dalla casa che lo sentì urlare: -Moglie, che ne hai fatto della mia gallina?-
E la donna rispondere: -Perché, caro?-
Merida arrivò alla pianta di fagioli e scese giù, e mostrò il suo tesoro alla madre: e tutte le volte che diceva "deponi", la gallina deponeva un uovo d'oro.
Di nuovo la donna inarcò le sopracciglia a veder tornare la figlia con una gallina in mano, ma quando questa all'ordine "deponi" obbedì stranamente non fece storie di sorta.
Ma Merida non era contenta, voleva provare ancora il suo valore davanti alla madre e decise di tornare un'altra volta in cima alla pianta di fagioli. Così una mattina presto riprese la scalata e salì e salì e salì e salì finché non arrivò in cima. Ma questa volta non si presentò alla porta dell'orco. Aspettò che sua moglie uscisse con un secchio per l'acqua e si infilò veloce dentro, e si nascose in un barattolo di rame.
Non dovette aspettare molto che sentì risuonare dei passi e arrivarono l'orco e sua moglie.
-Ucci ucci sento odor di inglesucci.- urlò l'orco -Il mio naso la avverte, donna, è qui!-
-Davvero, caro? Dev'essere quella mascalzona che ti ha rubato il sacco d'oro e la gallina! Se è qui si è nascosta sicuramente nel forno!- e si precipitarono a guardare, ma per fortuna Merida non era lì.
-Non è lei.- commentò allora la moglie dell'orco -devi aver sentito l'odore del giovanotto che ti ho arrostito ieri per colazione. cielo, non sai fare la differenza fra un inglese vivo e uno morto!-
L'orco si sedette a fare colazione e ogni tanto mugugnava: -Eppure avrei giurato...- e si alzava a controllare nei cassetti e nelle ante. Per fortuna non pensò mai al barattolo.
Finita la colazione l'orco ordinò: -Moglie, portami la mia arpa.- ella obbedì e lui ordinò all'arpa: -Canta.- ed essa cantò in maniera meravigliosa. Poi all'orco ciondolò la testa e si mise a russare come un trombone.
Allora Merida scivolò fuori dal barattolo e si arrampicò sul tavolo, prese l'arpa e si precipitò fuori. Ma l'arpa urlò forte: -Padrone! Padrone!- e l'orco di svegliò di soprassalto in tempo per vedere Merida uscire dalla porta con la sua arpa.
Si mise ad inseguirli e Merida poté salvarsi solo perché si nascondeva e sapeva dove si trovava la sua meta. L'orco era a venti iarde da lei quando la vide come scomparire, e quando giunse la vide scendere per la pianta di fagioli. Ma era un orco prudente e non voleva sovraccaricare il fusto, così attese indeciso, quando l'arpa gridò di nuovo: -Padrone! Padrone!-
Allora l'orco si decise e prese a scendere dietro a Merida, ma lei era quasi a casa e urlò: -Madre! Presto, portami un'ascia!-
La donna corse fuori con l'ascia in mano e guardò in su, ma rimase pietrificata alla vista dell'orco che arrivava.
Merida saltò a terra e afferrò l'ascia, e diede un colpo alla pianta. L'orco sentì tremare il fusto e si fermò per vedere cosa stesse succedendo. Merida colpì la pianta di nuovo e quella fu tagliata di netto. L'orco cadde per terra e morì, e la pianta cadde su di lui.
Merida mostrò l'arpa alla madre e questa non mise più in dubbio il coraggio di sua figlia, e vendendo le uova d'oro della gallina vissero felici e contente.

Merida finì di raccontare.
-Alla faccia dell'avventura!- esclamò allora Jack.
-Questa tipa mi sembra una che se le va un po' a cercare... no?- commentò invece Hiccup.
-Ma no! È una ragazza coraggiosa e basta.-
-Però l'orco e sua moglie non hanno fatto nulla...- provò a obiettare Rapunzel.
-Non è vero. L'orco si mangia la gente.-
-...per cui è cattivo.- concluse Rapunzel, che allo sguardo contrariato di Merida spiegò: -È solo che non lo si vede fare nulla di brutto in particolare. Probabilmente se invece di vitelli o buoi una volta avesse chiesto alla moglie di cuocergli un uomo sarebbe sembrato subito più cattivo...-
-Probabilmente il fatto di inserire un episodio del genere nel racconto l'avrebbe reso troppo truculento?- ipotizzò Hiccup -In realtà all'inizio anch'io ero della tua idea, Rapunzel, ma in effetti a pensarci magari basta dire che l'orco si è mangiato una persona la sera prima per far capire che è cattivo. Altrimenti diventa davvero eccessivo.-
-Ma detta solo a parole sembra una scusa perché l'orco appaia "cattivo". La storia funziona bene anche senza che si dica che mangia inglesi. Sembra quasi che si voglia che l'orco sia cattivo a priori, che l'orco per definizione sia cattivo e quindi mangi le persone.- Jack decise di mescolare ancora un po' le carte in tavola.
Rapunzel sospirò e sorrise, perché Jack voleva provocare Merida e dall'espressione della ragazza ci era riuscito. Poi però riprese la parola: -Scusa Merida se sono stata polemica. La storia mi è piaciuta! E per quanto riguarda te, Jack: gli orchi mangiano bambini per definizione. Credo che la parola "orco" stia proprio a indicare questo tipo di malintanzionati, per cui è normale che nelle fiabe gli orchi siano cattivi senza aver bisogno di aggiungere altro. Questi sono tutti "tipi" che danno un'idea di personaggio al solo nominarli: l'orco è il mangiatore di innocenti, la strega la donna malintenzionata, il principe il giovane coraggioso. Se dovessimo mettere in dubbio la bontà delle fate e dei principi e la cattiveria di orchi e streghe le fiabe non finirebbero più: ci si perderebbe troppo a capire perché ogni personaggio agisce in un certo modo.
-Poi ovviamente dipende dal tipo di storia: in quella del Pan o del burattino tutto è sottosopra e quindi è anche divertente scoprire personaggi particolari, ma per questo tipo di fiabe semplici dove l'interesse ruota tutto intorno alle prove e agli oggetti magici credo che l'idea di avere il giovane intelligente contro il malvagio mangiatore di uomini mi basti.-
Merida la osservò un momento a bocca aperta. Poi chiese: -Quindi facevi solo la bastian contraria?-
Rapunzel sorrise: -Riflettevo.-
Merida le fece una smorfia, ma era soddiafatta: dopo la riflessione di Rapunzel, Jack era rimasto senza parole.

 




Angolino dell'autrice:
Se siete arrivati fino a qui, spero abbiate la forza di finire anche il mio angolino, perché questa fiaba si è rivelata più problematica di quanto pensassi.
Allora, questa storia è delicata. Mi collego subito a quello che dice Rapunzel, o meglio: a quello che faccio dire a Rapunzel. È difficile parlare di cosa voglia dire essere buono o cattivo in un'epoca dove tutti hanno voce in capitolo e tutti i punti di vista possono essere espressi. Mi viene in mente Shrek: è la storia di un orco condannato a vivere isolato perché nelle fiabe lui ha sempre il ruolo del cattivo. Quando parliamo di lui non ho nessun problema ad affermare che si tratta di un orco buono. Ma perché?
Seguitemi: da un lato abbiamo un personaggio americano verde e con le antennine e dall'altro abbiamo un mangiatore di uomini. Qual è la differenza? Che nel caso di Sherk si tratta quasi di una categoria a sé, una creatura "del fantastico". Può essere equiparato a un elfo o un nano. Come ci sono elfi e nani buoni e cattivi, ci possono essere orchi buoni o cattivi. Invece, nel secondo caso, abbiamo una parola, "orco", che nell'immaginario di tre millenni fa indicava un malintenzionato che non esitava a far del male a degli innocenti. Probabilmente per riassumere tutto i concetto di "malintenzionato che fa male a degli innocenti" si usava proprio la parola "orco", che ne diventava così la definizione. Praticamente è il contrario rispetto ai giorni nostri: all'epoca si diceva che quelli che vogliono la tua pelle sono degli orchi, mentre oggi ci si domanda perché gli orchi debbano essere dei cattivi ("Povera creatura fantastica verde con le antennine").
Ma dove voglio arrivare con tutto questo sproloquio? Alla sua contrapposizione con Merida/Jack (il protagonista della fiaba). Ammetto che scrivendo il capitolo neppure io sapevo bene dove trovare l'eterna lotta tra buono e cattivo che è tanto soddisfacente in questo tipo di fiabe. L'orco è un mangiatore di uomini, ma Merida... Merida è una ladra! Ho dovuto rifletterci parecchio, perché qui questa lettura si impone: Merida/Jack deruba davvero un poveraccio che non le/gli aveva fatto niente? Può esistere davvero una fiaba così ingiusta? Poi ho realizzato: in realtà, almeno secondo me, in questa fiaba si vuole mettere in luce il coraggio di Merida/Jack che affronta l'ignoto e la fa al cattivo, e poi quando il cattivo le/gli corre dietro si ferma e reagisce, e guadagna in questo modo il suo lieto fine. E proprio il fatto che il cattivo sia un uomo che in generale vuole fare la pelle un sacco di gente per riempirsi la pancia non fa altro che mettere più in luce il coraggio di Merida/Jack: una persona "normale", a confronto, non sarebbe più risalita. L'orco, quindi, può essere sostituito con una strega o un ladrone, non avrebbe fatto differenza. E probabilmente tremila anni fa la versione con la strega o il ladrone è esistita davvero, ma quella che è arrivata fino a noi è quella con l'orco!
E qui passo alle curiosità sulla fiaba: perché dico tremila anni? Perché pare che questa fiaba inglese abbia questa età. La sua prima versione scritta data della metà del Settecento e non ha una morale espressa, che viene invece aggiunta nelle riscritture dell'Ottocento. Io ho preso come riferimento quella nella raccolta di fiabe di Joseph Jacobs, della fine dello stesso secolo, che non presenta morale e quindi si avvicina di più alla versione originale.
Il protagonista, ho scoperto, equivale un po' al nostro Pierino: un giovine sveglio e lesto che ne fa di tutti i colori in più fiabe del folklore britannico, e di cui esiste pure una raccolta, le Jack's Tales.
L'unica aggiunta che ho fatto io a questa storia è la perplessità della madre nei confronti di Merida, per giustificare meglio il fatto che lei se ne torni su più volte a fare la furba.
L'ultimissima considerazione riguarda la filastrocca dell'orco: non ho trovato traduzioni attestate da dare come riferimento, per cui l'ho tradotta io dall'inglese. In italiano ha spopolato l'"ucci ucci sento odor di cristianucci", ma l'orco sente chiaramente odore di "blood of an englishman" (di sangue di inglese), per cui pace. E per la seconda rima... letteralmente sarebbe: "che sia vivo o che sia morto, / avrò le sue ossa macinate nel mio pane". Dove cavolo la infilo la rima??? Accetto consigli XD
Nota per l'aggettivo "ratto": non vuol dire topo, in questo caso, ma vuol dire lesto, rapido. A scanso di equivoci.
Ecco. Vado a far la catatonica a letto.
Nike
PS: ma voi siete riusciti a immaginarvi Elinor nei panni della madre isterica? Io no! XD

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Capitolo 14
*** La fedele guardia del corpo ***


-Va bene.- disse di nuovo Merida -Adesso ve ne racconto un'altra.-
Rapunzel si era alzata a preparare del tè, mentre gli altri tre erano ancora seduti davanti al fuoco. Hiccup era immerso nei suoi pensieri, Jack ebbe un sussulto: -Un'altra?!-
-Certo!-
Jack si mise a ridere e lei lo spintonò: -Stasera ne abbiamo già raccontata una tutti, quindi posso prendermi di nuovo il turno.-
-Non è vero. Manca Hiccup.-
-Manca Hiccup?-
Il diretto interessato annuì: -Ci sto già pensando. Una ce l'avrei.-
-Un'altra con principe e principessa?-
-Due ragazzi e una ragazza.-
-E lei se ne sposa uno?-
Rapunzel sospirò e porse le tazze ai suoi amici: -Prima o poi la dovrai superare, Merida. Le storie d'amore si trovano dappertutto.-
Merida sospirò, ma Hiccup intervenne: -Ma quella parte non ha molto a che vedere con quello che piace a me di questa fiaba. Posso adattarla.-
-E come?-
-Sono due che salvano una principessa. Posso farli diventare due che hanno una qualche altra avventura.-
-E quindi niente fanciulle nella tua storia?- domadò Rapunzel.
-Tranquilla che ho già un'idea.- Hiccup le fece un sorriso timido e prese a raccontare.

C'era una volta un re che aveva un generale con cui era legato da profonda amicizia. I due ebbero la gioia di diventare padre lo stesso giorno: il generale ebbe una bambina e il re ebbe un maschietto, e li chiamarono Merida e Hiccup.
I due giovani crebbero legati da una profonda amicizia, e il carattere combattivo della figlia del generale compensava spesso quello generoso del figlio del re. Erano diventati due giovani forti e di buon cuore, quando il re purtroppo si ammalò, e nessuna medicina riusciva a guarirlo.
Si riunirono i dotti, i medici e i sapienti da ogni parte del regno e dopo lungo disquisire decretarono: -Il re potrà salvarsi solo con i poteri dell'uovo magico custodito sulla cima della Montagna del Nord.-
-Andrò subito a prenderlo!- disse allora Hiccup, già col mantello in mano.
-Ma dobbiamo avvertirvi- gli dissero gli anziani -L'uovo è custodito nel castello di un terribile mago: dovrete riuscire a sottrarlo a lui.-
Hiccup non si fece intimorire dai terribili racconti su quel fattucchiere e si preparò a partire, e ovviamente Merida si preparò per seguirlo nell'impresa. Prima di partire, il previdente principe si reccò nelle cucine, dove prese della saggina per accendere un fuoco in caso di necessità, della carne e dell'olio per cuocerla. Poi montarono in sella ai cavalli e partirono.
Arrivarono ai piedi della montagna e incontrarono delle serve, che per pulire i forni del pane usavano i loro capelli poiché non avevano nient'altro a disposizione.
Hiccup offrì loro la saggina perché potessero farsi delle scope, e si giustificò davanti a Merida dicendo che loro due potevano trovare della legna ovunque.
Avanzarono ancora e incontrarono una muta di cani che si sbranava per un pezzo di pane, e Hiccup decise di offrir loro la carne perché non morissero più di fame. A Merida disse che si fidava ciecamente delle sue capacità di cacciatrice.
Arrivarono alle mura del castello e trovarono una porta che si apriva e si chiudeva da sola, cigolando dolorosamente. Hiccup prese l'olio e fece spallucce a Merida, come per dire: tanto siamo senza legna e senza carne, e lo usò per oliare i cardini della porta, che si aprì e chiuse più dolcemente.
I due giovani lasciarono le cavalcature nel bosco, aspettarono che il mago uscisse di casa e si intrufolarono nel castello. Trovarono l'uovo, lo presero, e poi via! Come lepri.
Ma quando il mago tornò e trovò il suo tesoro trafugato, si affacciò alle mura e disse:
-Porta! Chiuditi e intrappola i ladri!-
Ma la porta rispose: -No che non mi chiudo! Da tanto non ero unta e quel giovane mi ha unta!-
Allora il mago si rivolse ai cani: -Cani mangiateli!-
Ma i cani risposero: -No che non li mangiamo! Finora abbiamo dovuto ucciderci per un tozzo di pane, e il giovane ci ha dato della carne!-
E quindi il mago si rivolse alle serve: -Serve bruciateli!-
Ma le serve risposero: -No che non li bruciamo! Abbiamo sempre spazzato strappandoci i capelli, e il giovane ci ha dato della saggina per pulire i forni!-
Sentendosi rispondere sempre così, il mago furibondo lanciò un terribile incantesimo: -Che il ladro del mio uovo arrivi sano e salvo al suo regno. E quando il cavallo su cui galoppa sarà stanco e deciderà di cambiarlo, che vengano verso di lui tre cavalli: uno bianco, uno nero e uno rosso. Che salga su quello bianco e quello sarà il cavallo che lo tradirà.
-E se questo non dovesse succedere, che arrivato a casa gli vengano incontro tre cagnolini, uno bianco, uno nero e uno rosso. Che lui accarezzi quello nero e quello sarà il cane che lo tradirà.
-E se anche questo non dovesse avvenire, che un serpente entri nottetempo dalla finestra nella camera di colui a cui l'uovo è destinato, e quello sarà il serpente che lo tradirà.-
Mentre il mago lanciava queste tre sentenze sotto le sue mura passarono delle maghe di sua conoscenza che sentirono tutto. Arrivarono la sera alla stessa locanda dove alloggiavano Merida e Hiccup, che si era addormentato tranquillo.
Merida, invece, aveva imparato che era sempre meglio dormire con un occhio solo, e sentì le tre vecchie che commentavano la maledizione.
-Che sia lui il giovane che ha sottratto l'uovo al mago?-
-Povero disgraziato, se sapesse cosa lui gli ha augurato!-
-Che quando dovrà cambiare cavallo vengano verso di lui tre cavalli, uno bianco, uno nero e uno rosso. E che quando proverà a montare sul cavallo bianco quello sarà il cavallo che lo tradirà.- ripetè la prima maga.
-Però,- replicò la seconda -se ci fosse qualcuno accorto taglierebbe subito la testa al cavallo e non succederebbe niente.-
-Silenzio!- aggiunse la terza maga -perché se qualcuno lo racconterà, pietra e marmo diventerà!-
-E poi gli ha augurato che, una volta a casa, gli vengano incontro tre cagnolini, uno bianco, uno nero e uno rosso, e che quando lui proverà ad accarezzare quello nero quello sarà il cane che lo tradirà.-
-Ma, se ci fosse qualcuno accorto, taglierebbe la testa al cagnolino e non succederebbe nulla.-
-Zitte, però. Perché se qualcuno lo racconterà, pietra e marmo diventerà.-
-E infine- continuò la prima maga -se si dovesse salvare le prime due volte, un serpente entrerà nottetempo nella stanza di colui a cui l'uovo è destinato e lo tradirà.-
-Ma, se ci fosse qualcuno nascosto nella stanza, taglierebbe la testa al serpente e non succederebbe nulla.-
-Ma non bisogna dirlo a nessuno.- concluse la terza maga -Perché se qualcuno lo racconterà, pietra e marmo diventerà.-
E con ciò andarono a dormire.
Merida, che aveva sentito tutto, era terrorizzata all'idea di affrontare quel viaggio di ritorno.
Il mattino dopo arrivarono a poche miglia dalla città quando dovettero cambiare cavalcature. I soldati del re li attendevano ad una locanda sulla via e portarono a Hiccup tre cavalli, uno bianco, uno nero e uno rosso.
Hiccup prese le briglie di quello bianco, ma Merida estrasse la spada e gli tagliò di netto la testa. Il suo amico la guardò allibito, ma lei si scusò dicendo di aver perso la ragione per un momento e chiese così tanto perdono che Hiccup si tranquillizzò.
Cavalcarono fino alle porte del palazzo, e una volta nel cortile tutti attendevano il ritorno del principe e della sua guardia del corpo con il prezioso tesoro. Tra i mille festeggiamenti, ecco arrivare giocando tre cagnolini, che si misero a fare le feste a Hiccup. Lui si chinò per accarezzare quello nero, quando Merida estrasse la spada e tagliò di netto la testa all'animale.
Tra i mormorii di stupore e spavento il generale intervenne per portarla via, mentre lei si scusava mille volte con Hiccup, che a stento riconosceva ancora la sua amica.
Giunti al capezzale del re, Hiccup gli mostrò l'uovo e lo posò in una teca sul comodino, dicendo al padre che il giorno dopo avrebbe scoperto in che modo quell'oggetto avrebbe potuto salvarlo.
Durante la cena Merida fece finta di accusare la stanchezza per il viaggio e si ritirò, ma invece di andare in camera sua si nascose nelle stanze del re mentre questi riposava e, dietro una tenda, attese.
Calò la notte e tutti andarono a dormire, quand'ecco che la ragazza sentì un sibilo e dalla finestra vide entrare il biscione, diretto al letto del sovrano. Merida saltò fuori ed estrasse la spada, e tagliò di netto la testa al serpente, che sparì in una nuvola di fumo. A quel rumore il re si svegliò e quando vide la ragazza con la spada in mano chiamò le guardie. Merida fu tosto arrestata e condotta in prigione, e condannata a morte per aver attentato alla vita del re.
Ma nessuno riusciva a capacitarsi di un tale comportamento e le furono poste molte domande, a cui lei si rifiutò di rispondere. Fu solo quando le fu comunicata la sentenza che chiese udienza al principe. Quando Hiccup arrivò, lei prese a raccontare: -Ti ricordi la locanda dove abbiamo alloggiato? Mentre dormivi ho scoperto una maledizione che gravava su di te.
-La prima sentenza voleva che tu montassi sul cavallo bianco dei tre che ti fossero portati, e che l'unico modo per salvarti fosse tagliargli la testa. Ma non era da raccontare, perché chi lo racconterà pietra e marmo diventerà.-
Così dicendo sentì le gambe gelide e infatti si erano trasformate in pietra.
Hiccup capì dove quella storia voleva andare a parare e cercò di fermarla, ma lei continuò: -Morta per morta, voglio che tu lo sappia: una volta giunti a palazzo, la seconda sentenza ti condannava a essere tradito dal cagnolino nero che tu avresti accarezzato, dei tre che sarebbero venuti a giocare con te. L'unico modo per salvarti era tagliargli la testa, ma chi lo racconterò pietra e marmo diventerà.-
Hiccup cercò di farla smettere prendendole le mani, ma anche quelle erano ormai pietrificate, e Merida non poteva muoversi fino alle spalle.
-L'ultima sentenza, infine, condannava colui al quale fosse destinato l'uovo a essere tradito, nottetempo, da un serpente che sarebbe entrato dalla finestra, e che sarebbe sparito in fumo solo se qualcuno gli avesse tagliato la testa. Ma chi lo racconterà- concluse amaramente a fatica -pietra e marmo diventerà.- e infatti diventò completamente di pietra.
Hiccup era disperato, era pronto a tutto pur di salvare la sua fedele guardia del corpo, ma non sapeva che pesci pigliare. L'unico che poteva rivelargli il controincantesimo era il mago, a cui scrisse promettendogli la sua stessa vita se gli avesse rivelato come salvare Merida.
Lo stregone, nonostante fosse ancora estremamente in collera, non poté non riconoscere la salda amicizia che legava principe e guardia del corpo, e gli diede solo un indizio: "Ciò che può curare uno, può salvare entrambi"
Hiccup si precipitò a prendere l'uovo, e si decise a cuocerlo nella speranza che potesse sortire qualche effetto. Ma quando lo aprì saltò fuori... un draghetto nero.

-Un draghetto?- inarcò un sopracciglio Merida
-Un draghetto.- assentì Hiccup -Perché mi va.-
-E poi cos'è successo?-

Hiccup non sapeva più che pesci pigliare, quando il draghetto si accoccolò nei gusci rotti e lui ebbe un'idea. Prese i gusci e ne fece una farina, e con quella produsse un unguento, che provò a spalmare sulla fronte di Merida. E la ragazza prese a muovere la testa, poi le braccia, poi il corpo e infine le gambe: era salva.
-Ciò che può curare uno può salvare entrambi.- Hiccup andò da suo padre e spalmò anche sulla sua fronte l'unguento miracoloso, e il re guarì.
Hiccup portò il draghetto sulla torre del castello e lo lasciò andare via, e lui tornò dal mago, che in cima alla montagna lo aspettava a braccia aperte.
Merida fu liberata e salutata come un'eroina e così fu anche Hiccup, e vissero entrambi felici e contenti.

Hiccup finì di parlare e sorrise. In effetti l'aveva modificata non poco, ma così gli piaceva.
Piaceva anche a Merida, che adorò tantissimo la guardia del corpo coraggiosa, mentre Jack e Rapunzel si divertirono a commentare le varie prove.
Continuarono così fino a quando il fuoco non divenne brace, poi andarono a dormire e Jack volò fuori dalla finestra.

 




Angolino dell'autrice:
Dopo un capitolo impegnativo come quello di Jack e la pianta di fagioli, eccone uno più leggero. Per la prima volta i riferimenti alle fiabe sono amalgamati in maniera più libera e ci sono pure elementi completamente nuovi, e sono rimasta anche fedele all'ultima fiaba, in cui Merida si becca un ruolo all'origine maschile. Che volete, lei si diverte così.
Allora, partiamo dall'inizio: il re malato è una delle scuse che in millemila fiabe che porta i principi a mettersi in cammino per ritrovare non si sa mai quale rimedio bizzarro. Qui l'ho usato perché, togliendo la motivazione della fiaba originale, avevo bisogno di qualcosa che portasse Hiccup nel castello di un mago vendicativo. E qual è la fiaba originale? Ma Pomo e Scorzo! Se nel capitolo 4 vi ho raccontato di come sono nati (facendoli impersonare da Jack e Hiccup, dove però Jack è il nobile e Hiccup il figlio della domestica), qui vi ho raccontato della seconda parte della fiaba, cioè delle loro avventure. Nello specifico, nella versione originale i due vogliono incontrare la figlia del mago, che lui tiene rinchiusa, riescono a liberarla e Pomo, il nobile, se la porta a casa per sposarla. E subentrano le tre maledizioni, che Scorzo riesce a scongiurare.
In pratica, togliendo la figlia del mago, il motivo della partenza non è più la ricerca della sposa ma della medicina per il re malato, e ciò che viene più rubato al mago non è la figlia ma un uovo.
Ma parliamo dell'uovo! Non ho mai incontrato una fiaba (per ora) dove il protagonista trova un uovo da cui esce un simpatico draghetto. Ma a raccontare è Hiccup e a Hiccup l'idea piace, quindi inseriamo pure questo dettaglio di hagridiana memoria. Per di più, con il draghetto nero che se ne torna dal mago anche quest'ultimo sta subito un po' più simpatico, diciamocelo!
Ultimo dettaglio, le prove di Hiccup. Queste le ho tratte da La bambina venduta con le pere (non chiedete), fiaba del Monferrato, dove una fanciulla, per sposare il figlio del re, deve riuscire a trovare in un palazzo incantato una scatoletta magica, e aiuta sulla sua strada porta, cani e serve.
Sia le tre prove di Hiccup sia quelle di Merida, in realtà, le ho trovate in più storie, ma il fatto curioso è che di solito sono le protagoniste femmine a ungere le porte e i protagonisti maschi a tagliare la testa al serpente (quindi il contrario rispetto a qui). Eppure in questo capitolo mi sembravano così giuste...!
Due note finali al commento: con questa fiaba si conclude la raccolta come l'avevo pensata all'inizio. Adesso prevedo solo più un capitolo bonus e la fiaba conclusiva...
Nike

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Capitolo 15
*** I musicanti di Brema ***


Era tutto l'inverno che Rapunzel, Merida, Jack e Hiccup si raccontavano le loro storie. Si sedevano davanti al fuoco con qualcosa di caldo in mano e perdevano i loro sguardi in mille avventure diverse, mentre a turno ognuno tirava fuori ciò che conosceva di più strabiliante.
Quando Rapunzel raccontava, agitava le mani, ma discretamente, sempre a livello del grembo, e il suo sguardo era il primo a visualizzare quello che stava descrivendo. Jack, al contrario, si sporgeva in avanti, guardava i suoi tre amici dritti negli occhi, e a volte, nei momenti più concitati, si alzava o faceva una piroetta in aria. Ma era Merida la più agitata quando raccontava: più di una volta si accorgeva di essere scattata in piedi, nei momenti in cui l'ingiustizia verso il libero arbitrio delle fanciulle la indignava di più, e agitava le mani in tutte le direzioni per aiutarsi nelle spiegazioni. Hiccup, invece, spesso e volentieri rallentava nei suoi racconti per cercare la parola giusta, il termine che con più precisione indicava quello che lui voleva trasmettere agli altri.
Dal loro cantuccio, Sdentato spesso si addormentava e Pascal un po' ascoltava e un po' si riposava. Ma ogni tanto, quando i quattro ragazzi erano talmente presi da darsi poi ai dibattiti più intensi, i due si scambiavano un'occhiata perplessa e osservavano con interesse quelle strane creature senza squame e dalle zampe troppo lunghe e magroline accalorarsi su orgomenti a loro poco chiari.
Una volta, Sdentato chiese a Pascal se capisse che cosa stessero facendo, e lui gli rispose annuendo con un sorriso di chi la sapeva lunga. In fondo, stando tutti quegli anni chiuso in isolamento con Rapunzel, aveva avuto modo di godersi con lei i pochi libri presenti nella torre. L'aveva anche ascoltata mentre gli leggeva qualcosa!
Sdentato inclinò la testa di lato: difficilmente capiva il punto di raccontarsi storie di persone che non erano lì con loro.
Pascal allargò il suo sorriso di chi la sapeva davvero lunga, perché no, quelle persone non esistevano, in realtà, ma le loro avventure erano davvero divertenti.
Sdentato passò lo sguardo sui quattro ragazzi, poi tornò su Pascal. Secondo te ce ne sono anche su di noi?
Lì fu come chiedere a Dentolina di spiegare i benefici del filo interdentale. Pascal gli fece segno di zampa di mettersi comodo, ché lui stava per cominciare...

C'era una volta un drago nero.

Sdentato si agitò tutto contento, e Pascal lo fulminò con uno sguardo perché si desse una calmata.

C'era una volta un drago nero, che un giorno si accorse che lì dov'era lui non era più possibile vivere una vita dignitosa. Dopo diversi anni di civile convivenza i viveri cominciarono a scarseggiare e i vicini presero a dare la colpa a lui, al punto che a vederli così arrabbiati alla porta della fattoria il drago capì che volevano fargli la festa. Decise quindi che era il caso di partire, e pensò che sarebbe potuto andare a Brema, per unirsi alla banda locale e fare il musicante. Si mise quindi per via e si diresse verso la città, quando ad un certo punto vide un cane ad un incrocio che stava riprendendo fiato.
-Compare, che succede? Perché così esausto?-
-Saresti esausto anche tu, se corressi i miei stessi rischi.- rispose quello, con la lingua di fuori -Mi chiamo Elvis. Ho seguito fin nella foresta un coniglio gigante, poi ho perso lui e mi sono perso io. Non voglio stare nel bosco, non sono così avventuroso.-
-Io sono Sdentato. Puoi venire a Brema con me. Possiamo unirci entrambi alla banda! Io suono il piffero e tu i piatti!-
Al che Elvis accettò e si misero in viaggio insieme.
Dopo qualche ora di cammino arrivarono ad un bivio da cui partiva una strada per il bosco, e lì su un cartello stava un corvo con gli occhi strabuzzati.
-Compare corvo, come mai quello sguardo stralunato?-
-Se ci vanno di mezzo le penne...!- rispose quello -Sono il corvo di una strega intagliatrice. Quando è partita per un suo convegno mi ha dimenticato qui, ora cerco un posto dove non finire mangiato.-
-Puoi unirti a noi. Andiamo a Brema per fare i musicanti. Se ti piace la tromba possiamo fare un buon concerto!-
Il corvo ci pensò un po' su, poi decise di accettare e ripresero la marcia.
Arrivarono ad una fattoria e incontrarono un camaleonte che esplorava il muro perimetrale.
-Compare camaleonte, che cosa fai?-
-Cerco un rifugio.- rispose quello -Sono piccolino, pochi metri per i miei predatori sono chilometri per me. Spero di salvarmi la pelle in questo modo.-
-Vieni con noi a Brema. Vogliamo farci musicanti, se ti piace potresti occuparti del tiangolo.-
Il camaleonte, che si chiamava Pascal, ci pensò un attimo perché tutti e tre quei pazzi viaggiatori potevano essere suoi potenziali predatori, poi però notò gli sguardi vacui e si disse che non potevano essere così pericolosi. Quindi accettò e partì con loro.
Per arrivare a Brema, però, ci voleva più di un giorno di marcia e alla sera i quattro si fermarono ai piedi di un grande albero per riposare. Sdentato ed Elvis si accoccolarono fra le radici, il corvo volò su un ramo e Pascal si arrampicò fino in cima, dove si sentiva un po' più al sicuro.
Da lì, prima di addormentarsi vide una luce tra le fronde.
-Ci dev'essere una casa poco lontano.- comunicò agli altri.
-Andiamo a dare un'occhiata.- stabilì allora Sdentato -Tanto qui l'alloggio è cattivo.-
I quattro si rimisero in viaggio, finché non raggiunsero una casetta le cui finestre erano tutte illuminate. Dentro c'era una banda di briganti che banchettava con i frutti dell'ultimo bottino.
Sdentato, che era il più alto, guardò dentro.
-Cosa vedi, compare Sdentato?- gli chiese Pascal.
-Cosa vedo? Una tavola imbandita con ogni bendidio, e attorno i briganti che se la spassano.-
-Certo non sarebbe male stare lì dentro anche noi.-
-Certo che no!-
Allora gli animali tennero consiglio su come cacciare dalla casa i briganti. Poi Sdentato si appoggiò alla finestra con le zampe anteriori, Elvis si mise sulla sua schiena con le zampe sulla sua testa, il corvo si appoggiò alla testa del cane e Pascal si mise in equilibrio sul suo capo.
Ad un dato segnale, i quattro diedero fiato alla loro musica: il drago ruggiva, il cane latrava, il corvo gracchiava, e il camaleonte con la sua lingua lunga faceva risuonare la grondaia e le imposte, e faceva crollare cocci di legno e secchi.
A quel rumore orrendo i briganti fecero un salto sulla sedia, e alla vista di quella sagoma con ali enormi e corpo deforme se la diedero a gambe lasciando tutto sulla tavola.
I quattro musicanti entrarono quindi e si sedettero a banchettare, e mangiarono tutti con gusto. Poi, una volta sazi, andarono a dormire, ognuno come natura dettava. Sdentato si accoccolò nel camino, Elvis dietro la porta, il corvo su una trave e il camaleonte in una fessura del muro.
Passò qualche ora, quando i briganti cominciarono a chiedersi se avessero davvero visto uno spettro o avessero avuto le traveggole. Si riavvicinarono di soppiatto e trovarono la casa immersa nel buio. Il capo dei briganti, a cui non sarebbe andata giù l'idea di essersi fatti giocare da qualche furbacchione, mandò uno dei suoi a controllare.
L'uomo entrò dalla finestra e si ritrovò nella sala da pranzo buia. Volle accendere una luce, per cui si avvicinò al caminetto con la fiammella del fiammifero, ma vide due lumini osservarlo dall'ombra: erano gli occhi di Sdentato che cercava di capire cosa volesse fare quell'intruso. Quando questi si avvicinò col fuoco, lui se ne ebbe a male e con ruggiti e zampate lo respinse. Atterrito, l'uomo provò a fuggire dalla porta sul retro, ma pestò la coda di Elvis che reagì con un morso al deretano. Allora il poverino cercò di passare dalla porta davanti, ma così svegliò il corvo che gli strillò nelle orecchie. Pascal uscì dal suo cantuccio e lanciò la lingua all'altro stipite della porta. Tesa così, il brigante vi inciampò e cadde lungo disteso fuori nell'erba. Precipitevolissimevolmente l'uomo si alzò e corse via, arrivando dagli altri con la lingua a un palmo da terra, e raccontò al capo: -Ah, dentro quella casa c'è un orribile troll, che quando sono entrato mi è saltato addosso ruggendo e graffiando per mangiarmi, e prima di arrivare alla porta il suo mostro voleva divorarmi e infatti mi ha morso! E sentivo i suoi strilli nelle orecchie e i suoi tentacoli hanno cercato di prendermi le gambe ma io sono riuscito a fuggire!-
Da allora i briganti non osarono più avvicinarsi alla casa infestata, ma i quattro musicanti di Brema ci stavano così bene che non la lasciarono più!

Ci furono effettivamente dei momenti in cui, preparando la cena, Hiccup, Merida o Rapunzel osservavano Pascal e Sdentato conversare. Quella sera, Jack li scoprì mentre Pascal, sul bordo di un vaso, agitava le zampette davanti con fare sapiente e Sdentato, sdraiato, teneva la testa appoggiata alle zampe con sguardo rapito.
Non capirono mai cosa stessero facendo.

 




Angolino dell'autrice:
Ovviamente, in questa lunga notte d'inverno che ci prende tutta l'estate non potevo dimenticare le due mascotte dei Grandi Quattro! Voglio dire, in fondo anche loro si sorbiscono la tempesta, le notti davanti al fuoco e tutto, no?
In realtà... in realtà volevo inserire tantissimo la favola di oggi! I musicanti di Brema è uno dei racconti della raccolta dei Grimm, uno di quelli che si potrebbero tranquillamente trasformare in cartone animato o in sketch comico: quattro animali che la fanno a degli umani cattivi. Mi sembrava che fra tutti questi nobili, principesse, giganti, mancasse l'elemento squamoso, e un po' di semplicità quasi da fattoria.
Questo perché, all'origine, i quattro animali erano un asino, un cane, un gatto e un gallo, e l'unico motivo per cui si sono incontrati per strada è che, siccome sono tutti diventati vecchi, i loro padroni volevano far loro la pelle e loro se la sono data a gambe. Al di là del fatto che mi sembrava un espediente, questo della linciatura causa età avanzata, un po' troppo da protezione animali, mi sarebbe risultato difficile già solo trovare dei "padroni" per Sdentato e Pascal che non fossero Hiccup e Rapunzel (perché questi due da loro non si sarebbero mai separati), ma anche asserire che uno vuole fare la pelle a un drago perché è vecchio e non serve più! Per cui l'ho adattata un po' a tutti e quattro i nostri protagonisti, che vengono ognuno da ciascuno dei film dei Grandi Quattro.
Ora, se Sdentato era una scelta ovvia, come Pascal (con buona pace di Max), Elvis, il levriero di Jamie, è l'unico animale che compare ne Le cinque leggende (che poi, quel cane si chiama proprio così?), e il corvo di Brave quello con più espressività, se confrontato con Angus. Per quest'ultimo film, ammetto che gli orsi non li ho neppure considerati: poveri briganti, sarebbe stato vincere facile!
Non ho molto altro da aggiungere, se non che ormai l'inverno sta finendo e così le serate intorno al fuoco...
Nike

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Capitolo 16
*** La fiaba dei sogni ***


Quella sera, i quattro grandi se ne erano raccontate di tutti i colori. Ormai era notte inoltrata, ma nessuno aveva sonno e continuavano a fantasticare e a proiettarsi in mondi lontani.
Qualche momento dopo la fine dell'ultima fiaba, Rapunzel sospirò: -Quest'inverno passa davvero molto velocemente, con voi.-
-Anche i prossimi passeranno velocemente, credimi!- le promise Hiccup.
-Adesso che ci siamo trovati sicuramente non ti lasceremo da sola, Rapunzel!- rincarò Merida -Staremo insieme così per sempre!-
Gli altri sorrisero al suo entusiasmo e Rapunzel riprese: -Secondo voi esiste una fiaba come noi quattro?-
-Cosa vuoi dire?-
-Finora c'erano fiabe con un solo protagonista, al massimo due. Ma da quando siamo qui mi chiedo se non ce n'è una con quattro protagonisti che si aiutano a vicenda...-
-Non lo so...- Hiccup si grattò la testa -Io non ne conosco nessuna.-
-E il mago di tutte le storie non ha idee?- chiese Merida.
Jack le scompigliò i capelli per darle fastidio: -Ci sto pensando!-
Ci fu un attimo di silenzio, poi Merida esclamò: -Possiamo sempre inventarne una noi! Con le parti delle fiabe che ci piacciono di più!-
-Per esempio?-
-Non lo so. Per esempio... Hiccup!- il diretto interessato la guardò perplesso -C'è qualche personaggio che ti piace particolarmente di cui ancora non ci hai raccontato nulla?-
Lui si grattò il sopracciglio: -Ci sarebbe il prode piccolo fabbro...
-Ecco, ecco! Esatto!- Merida fece un gesto entusiasta, così la storia cominciò:

C'era una volta un fabbro, piccolo e mingherlino, che si chiamava Hiccup. Una mattina d'estate lavorava di buona lena, quando sentì dalla finestra aperta: -Marmellata buona! Marmellata buona!-
Il piccolo Hiccup prese un barattolo vuoto e corse giù per farsene dare un po'. Ne chiese due once alla contadina, poi ritornò a casa dove tirò fuori il pane dall'armadio.
-Adesso,- si disse -Dio benedica la mia marmellata, che mi dia forza e vigore.- e ne spalmò una generosa porzione su una fetta di pane. A sentire quel buon profumo, entrarono allora dalla finestra delle mosche che passavano per caso di lì, e cominciarono a svolazzare intorno alla merenda del fabbro. Questi, preso da un movimento di collera, afferrò il martello e, mena di qua e mena di là, dopo poco per terra non ve n'erano meno che sette, stecchite e con le zampe ritte. Il prode piccolo fabbro ne fu talmente fiero che si forgiò una cintura dove scrisse: "Sette in un colpo!" e decise di andare per il mondo perché tutti conoscessero il suo valore.
Arrivò dopo un lungo andare nel cortile di una reggia, e preso dal sonno si addormentò un cantuccio, dove fu visto dai consiglieri del re, che andarono subito dal sovrano: -Nel vostro cortile c'è un uomo in grado di abbattere sette uomini con un colpo, sire! E se lo arruolassimo per la guerra che sta per cominciare?-
Il re si recò di persona a svegliare il piccolo Hiccup e, nonostante fosse perplesso per la sua taglia, gli offrì l'accordo, che lui accettò subito.

Il re con cui erano in guerra era il sovrano di un regno vicino. Questo re era ormai anziano e sapeva che non avrebbe potuto più condurre i suoi uomini in battaglia, ma disperava per l'assenza di un figlio maschio a cui affidare l'incarico, poiché aveva solo una figlia femmina, Merida.
Un giorno la fanciulla entrò nella stanza del padre e lo vide sedere sul trono col volto scuro, e con mille moine riuscì a farsi spiegare il motivo di tale umore. Una volta che lo seppe, Merida gli disse: -Se lei lo permette, babbo, sarò io il generale delle sue truppe.-
-Sei troppo giovane, e troppo bambina. Come vuoi che mi fidi di te?-
-Che male c'è a farmi provare? Vedrete che non vi farò sfigurare.-
E tanto disse e tanto fece che il re alla fine cedette.
-Ma a un patto.- le disse -che nel momento in cui ti metti a parlare di cose di donne torni a casa difilato.-
Merida promise e il re le mise a fianco il suo fidato scudiero perché vegliasse al suo comportamento. Arrivarono al confine, e Merida disse: -Prima di cominciare la battaglia, voglio incontrare il generale nemico.-
-Fate attenzione.- l'avvertì lo scudiero -Pare che il loro generale sia un prode che può abbattere sette uomini con un colpo solo.-
-Sarà un valoroso contro cui mi batterò con onore.- e inviò un messo per accordarsi sulle ragioni della guerra, prima di cominciare a battagliarsi. Luogo e ora furono concordati e l'appuntamento stabilito.
Quando Merida vide arrivare il mingherlino Hiccup, imbacuccato nell'armatura di un grande generale, si chiese da dove questi potesse tirare fuori tutta quella forza leggendaria.
Quando Hiccup vide il generale Merida avanzare verso di lui, gli venne il sospetto che non fosse un uomo, bensì una fanciulla. Andò allora alla corte e disse:

Merida, persona bella
ha gli occhi neri e dolce favella
cielo, mi pare una donzella.

A quell'affermazione la consorte del re, che questi aveva sposato in seconde nozze, gli chiese: -Ma davvero? E se anche lo fosse? Hai dunque timore ad affrontare una fanciulla, tu che ne abbatti sette con un colpo?-
E Hiccup: -Non oserei mai alzare le mani su una donna, quindi desidero sincerarmi di non commettere questo tipo di affronto.-
Per nulla convinta, la donna gli disse con sguardo canzonatorio: -Portala in sala d'armi. Se è una donna non gliene importerà nulla e non darà neanche un'occhiata.-
Hiccup obbedì e una volta giunti in sala d'armi Merida subito prese le spade dalla parete per soppesarle, e le pistole per controllare come si caricassero.
Ma Hiccup non era convinto e tornò dalla moglie del re: -Il generale brancica le armi come un uomo. Ma più lo guardo più sono convinto: è una fanciulla.-
Allora la donna, con una certa malizia, gli disse: -Portala in giardino. Se è donna, si metterà una rosa o una viola al petto, se è un uomo, si metterà il gelsomino catalogno dietro l'orecchio.-
Hiccup fece come gli era stato consigliato. Ma una volta in giardino Merida strappò un fiore del gelsomino catalogno, lo annusò e se lo mise dietro l'orecchio.
Neanche così Hiccup era convinto e tornò dalla moglie del re, dicendo: -Ha colto il gelsomino. Tuttavia io sono davvero sicuro che è una fanciulla.-
Allora la donna, con scherno, gli disse: -Fai l'ultima prova: invitala a fare il bagno con te. Se è uomo, non esiterà. Se è donna, non si spoglierà.-
Ma Merida accolse l'invito e accettò.
Prima di recarsi al luogo dell'incontro, però, la principessa prese il fido scudiero da parte e gli disse: -Domattina arriva con una lettera di mio padre, dove ci dev'essere scritto: "Caro generale, sono in fin di vita. Desidero rivederti prima di morire."-
Il giorno dopo, Hiccup si spogliò della sua pesante armatura e si immerse nel fiume, invitando il generale nemico a fare lo stesso, ma Merida prese tempo finché non giunse lo scudiero con la missiva e lei non dovette partire con mille scuse.
In questo modo il generale Merida non rivelò il suo segreto, e mantenne la sua promessa. Giunse al castello a notte fonda. Desiderosa di consultarsi col padre, si recò alla sala del trono, ma lo trovò addormentato. Il re era immerso in un sonno profondo che lo tormentava, e lei lo sentì biascicare: -Sì, è ingusto... sì, sì, devo fare la guerra contro il mio vicino... sì, vendicherò questo affronto...-
Fu così che Merida scoprì che il diavolo veniva a tormentare con incubi il sonno di suo padre. Non sapendo come fare per liberarlo da quella maledizione, calcò l'elmo sulla testa, mise la spada al fianco e partì per trovare una soluzione. Prima che se ne andasse, il suo fidato scudiero le aveva detto che, se il re era tormentato da spiriti maligni, occorreva trovare qualcosa che li cacciasse. In quel caso, disse, occorreva trovare un Mangiasogni, ma non seppe dirle se si trattasse di un animale, di un troll o cos'altro.
Merida cavalcò per monti e per valli, ma nessuno riuscì mai a spiegarle come trovare un Mangiasogni. Dopo parecchi giorni giunse in un villaggio, dove stremata si tolse l'elmo e tuffò la testa nell'acqua di una fontana. Chiese quindi a una lavandaia di passaggio dove potesse alloggiare, e non essendoci locande nei dintorno la donna la invitò a casa sua. Questa la mise nelle mani della sua unica figlia, che la curasse e la ristorasse. Questa fanciulla si chiamava Rapunzel.

-Va bene, calma.- interruppe Jack -Qui le cose si fanno serie.-
-Hai qualche dubbio su questo bellissimo racconto?- domandò Merida.
-Sì. Per cominciare mi sembra che quel fabbro la conti un po' lunga.-
-Che vuoi dire?-
-Non ci sono state prove dove lui dimostrasse il suo valore. Così è facile fare la bella vita a corte!-
-Ma era proprio la guerra il modo per il fabbro di dimostrare il suo valore.- spiegò Hiccup -Solo che siccome lui in realtà più che forte è furbo, ha trovato il modo per evitare il confronto diretto.-
-Eh, ma così ha fatto il gioco della principessa generale!- ribatté Rapunzel, completamente presa e sporta in avanti.
-E lei faceva il gioco di lui!- spiegò concitata Merida -Si sono aiutati a vicenda senza saperlo!-
-Questo mi piace!- disse Jack -Andate avanti!-
A Rapunzel brillarono gli occhi.

La figlia della lavandaia si prese cura dell'ospite e le offrì il letto più comodo della sua povera casa. Il mattino dopo condivise con lei il poco di pane che aveva in dispensa e le chiese per quale motivo una fanciulla vestita da generale andasse per il mondo. Merida le raccontò della maledizione che gravava su suo padre e le chiese se per caso non sapesse dove si trovava un Mangiasogni.
Lei non ne sapeva nulla, ma avrebbe chiesto in giro quel giorno andando a lavorare. Intanto lei poteva riposare ancora un po' prima di riprendere le sue ricerche.
Quella sera, però, tornò con scarsi risultati. Nessuno sapeva dove trovare un Mangiasogni. All'ora di cena qualcuno bussò alla porta e Rapunzel andò ad aprire: era un uomo alto e vestito di nero, con il naso in argento. Disse di chiamarsi Pitch Black e di aver sentito che qualcuno cercava un Mangiasogni: lui sapeva dove trovarne uno. Nel giro di un secondo, Merida fu subito il sella e, ringraziando Rapunzel, seguì lo sconosciuto al suo castello.
-Il Mangiasogni lo si trova solo al tramonto. Ormai è tardi, dormi da me e domani sera te lo mostrerò.- poi aggiunse -Domattina sarò via per impegni. Puoi accedere a tutte le stanze le castello, tranne a quella in fondo al corridoio. Io sarò di ritorno per mezzodì.-
Quella notte, mentre Merida dormiva, Pitch Black entrò nella sua stanza e le mise una viola fra i capelli.
Il mattino dopo partì, e Merida, che diffidava dell'uomo col naso d'argento, esplorò tutta la casa, e infine aprì la porta proibita: fuoco e fiamme, urla e pianti, quella era la porta per l'inferno. E quello era il diavolo che tormentava i sogni di suo padre.
Non sapendo come liberarsi, cercò un modo per aggirare Pitch Black, ma non si era accorta della viola fra i capelli che quando aveva aperto la porta era rimasta appassita. Fu così che quando Pitch Black rientrò, la scoprì subito e senza che lei potesse portare la mano alla spada la afferrò e la gettò fra le fiamme.

Intanto, nel palazzo dove alloggiava Hiccup, la moglie del re, dama Gothel, cominciò a mettere il dubbio al sovrano sull'effettiva forza del suo nuovo generale. In fondo, nessuno l'aveva visto fronteggiare il generale nemico! Il re, allora, promise che se ne sarebbe liberato, chiamò Hiccup e gli disse: -Devi sapere che ci sono due giganti che infestano i boschi del regno: distruggono tutto sul loro passaggio. Ti darò cento uomini, vai e liberami di loro.-
-Vedrà, maestà, che non avrò bisogno dei suoi cento uomini.- rispose Hiccup.
Infatti, quando fu al limitare del bosco, Hiccup congedò gli uomini ed entrò da solo. Si riempì le tasche di pietre e cercò i due giganti. Li trovò che dormivano sotto un albero. Lui si arrampicò sull'albero e lasciò cadere uno dopo l'altro alcuni sassi su un gigante. Quello si svegliò: -Ma perché mi batti?- chiese all'altro.
-Ma tu sogni!- e si rimisero a dormire.
Hiccup se la prese con l'altro e la scena si ripeté, finché i due non cominciarono ad attaccarsi e si uccisero a vicenda. Allora Hiccup inflisse qualche colpo di spada nel torace ai due e tornò vittorioso dal re.
Questi, allora, lo mandò a cacciare un unicorno che aggrediva i viandanti e i pellegrini. Lui arrivò al bosco, congedò i cento uomini, e poi cercò l'unicorno. Lo trovò, si fece vedere, quello lo caricò e lui si spostò all'ultimo, cosicché il corno sprofondò tanto nel tronco di un albero che non riuscì più a liberarsi. Hiccup gli tagliò il corno, gli allacciò una fune al collo e così lo portò dal re.
Il re allora lo sottopose ad un'ultima prova. Nei suoi boschi bazzicava un cinghiale furioso che devastava tutti i suoi possedimenti. Che lo catturasse.
Hiccup arrivò al bosco, congedò i cacciatori e andò da solo. Trovò il cinghiale, si fece inseguire finché non trovò una cappella. Svelto vi si infilò e il cinghiale dietro di lui. Ma lui era abbastanza agile da uscire dalla finestrella in fondo: e il cinghiale rimase catturato.
Hiccup sbarrò la porta e fischiettando prese la strada per il palazzo. Ma ormai era tardi, e bussò ad una casetta per chiedere ristoro per la notte.
Ad aprirgli fu una fanciulla, che appena lo vide sembrò delusa.
-Aspettavate qualcuno?- chiese il fabbro.
-Attendo una fanciulla generale che era partita per salvare suo padre.-
Hiccup si ricordò del generale Merida e si chiese se per caso non fosse lei. Domandò quindi asilo per la notte, offrendo il suo aiuto in caso di necessità.
-Mi chiamo Rapunzel.- si presentò la fanciulla -La donna generale con cui ho parlato si chiama Merida ed è partita per cercare un rimedio alla maledizione che perseguita suo padre.-
-Quale maledizione?-
-Degli spiriti maligni infestano le sue notti, lei cerca un Mangiasogni. Ieri è partita con un uomo che diceva di poterla aiutare, poi non ne ho più avuto notizie.-
Hiccup promise che sarebbe andato a cercarla il giorno dopo. Rapunzel divise con lui un po' di pane e un pezzo di formaggio, quando sentì bussare alla porta: era di nuovo Pitch Black.
-La vostra amica ha trovato quello che cercava ed è tornata a casa.- disse.
-Allora potrà aiutare anche me.- disse Hiccup, che non si fidava di un uomo col naso d'argento -Cerco un Mangiasogni anch'io.-
L'uomo lo invitò a seguirlo e lui, prima di andare, disse a Rapunzel: -Che dica il vero o che dica il falso, tornerò a darti conferma.- e partì.
Pitch Black gli disse le stesse cose che aveva detto a Merida, e concluse: -Domattina sarò via per affari, tornerò per pranzo. E, al crepuscolo, ti porterò dal Mangiasogni.-
Poi, mentre Hiccup dormiva, entrò nella sua camera e gli pose un gelsomino dietro l'orecchio.
Il mattino dopo Hiccup esplorò tutta la casa, e quando aprì la porta proibita vide Merida in mezzo alle fiamme, che allungò una mano verso di lui in cerca di aiuto.
Lui richiuse la porta e cominciò a pensare a un modo per aggirare il diavolo, ma non si accorse che il gelsomino era rimasto tutto bruciacchiato. Fu così che, appena rientrato, Pitch Black scoprì pure lui e senza lasciarlo parlare lo gettò nella porta dell'inferno.
Passò un giorno, e Pitch Black si presentò di nuovo a casa di Rapunzel: -I due giovani hanno trovato quello che cercavano e sono partiti. Ho visto con quale gentilezza li hai trattati: siccome ho bisogno di qualcuno che badi alla mia casa quando io non ci sono, mi chiedevo se non volessi venire al mio servizio.-
Rapunzel, già sospettosa per il mancato ritorno di Hiccup, accettò, salutò la madre e partì con il misterioso uomo dal naso d'argento.
Una volta al suo castello, lui le consegnò le chiavi di tutte le stanze, e le vietò di aprire la stanza proibita. Quella sera, entrò nella stanza dove Rapunzel dormiva e le pose una rosa fra i capelli. Poi partì.
Quando Rapunzel si svegliò, il mattino dopo, si pose davanti allo specchio per darsi una sistemata e l'occhio le cadde proprio sul fiore.
-Che pensiero gentile.- e lo mise in un vaso. Poi esplorò la casa. Fu così che trovò Hiccup e Merida, intrappolati fra le fiamme, e subito richiuse la porta con un'idea che le frullava in testa.
Quando Pitch Black rientrò, lei si era risistemata la rosa fra i capelli. Lui la vide ancora fresca e non ebbe sospetti. A metà del pranzo, Rapunzel disse: -Dev'essere da molto che qui nessuno si occupa della casa. Mi chiedevo se domattina non potesse portare un sacco di roba sporca a mia madre, così da alleggerire me nelle faccende.-
-Certamente.-
Poi, dopo un momento, Rapunzel riprese: -Ma è sicuro di volerlo fare davvero? Non è che me lo molla lì e se ne va?-
-Come puoi pensare una cosa del genere?-
-Guardi che io posso vedere per miglia e miglia, lo sa? Se per caso posa il sacco o cerca di guardarci dentro, io la vedrò subito!-
E di nuovo Pitch Black promise.
La mattina dopo, prima che l'uomo uscisse dalle sue stanze, Rapunzel fece uscire Merida e la fece nascondere in un sacco, dicendole di esclamare "Ti vedo!" ogni volta che Pitch Black provasse ad aprirlo.
Così l'uomo partì con il sacco, e tutte le volte che cercava di posarlo Merida esclamava "Ti vedo! Ti vedo!" e lui la portò dalla lavandaia senza accorgersi di niente e tornò indietro.
Il mattino dopo la stessa cosa si ripeté per Hiccup, e il terzo giorno Rapunzel confezionò una bambola delle sue dimensioni che mise nel suo letto, e si chiuse nel sacco. Così Pitch Black riportò pure lei a casa sana e salva senza rendersene conto.

-Mi piace questa lavandaia!- esclamò allora Merida -Io non mi sarei mai spazzolata al mattino con una casa del genere tutta da esplorare, ma comunque se l'è cavata bene.-
-Approvi?- rise Rapunzel.
-Certamente!-
-Ma quindi- si inserì Hiccup -A questo punto lo trovano, un Mangiasogni, o no?-
-Ché poi- aggiunse Merida -Si è capito cos'è, un Mangiasogni?-
Jack aveva un sorriso a trentadue denti: -Non lo so- disse -Ma sicuramente è un personaggio che mi piacerà.-

Quando furono tutti e tre a casa della lavandaia, Rapunzel mise i due giovani, incolumi ma stremati dalle fiamme, a riposare, e li affidò a sua madre. Poi mise segni di scongiuri intornò alla casa per evitare che il diavolo vi tornasse e partì alla ricerca di questo benedetto Mangiasogni. Hiccup, per aiutarla, le offrì i suoi comodi stivali, e Merida il suo mantello. Poi lei prese un bastone e si avviò. Camminò per boschi e valli per giorni, finché una vecchierella non le consigliò di andare in cima alla montagna: probabilmente, qualcosa di mai sentito come un Mangiasogni poteva trovarsi solo in luoghi inaccessibili.
La ragazza prese la sua scalata, e arrivò in un bosco che era tutto innevato. Ormai stava calando la notte e lei sentiva solo una profonda stanchezza e un gran freddo. Stava per crollare nella neve quando vide come un bagliore muoversi rapido da un albero all'altro. Sembrava un pezzetto di luna che saltellasse qua e là.
La ragazza fece un salto spaventata, perché lo stesso bagliore si avvicinò a lei alla velocità della luce e si nascose dietro un cespuglio poco lontano.
-Sei... sei un Mangiasogni?-
-Dipende da chi lo cerca.- rispose una voce cristallina.
Rapunzel ebbe un brivido: e se il Mangiasogni fosse stato un famelico orco? Come si sarebbe potuta salvare, così congelata com'era?
-Mi chiamo Rapunzel.- disse -Sto cercando un Mangiasogni per degli amici.-
-Se non sei tu a volerlo, perché non sono loro qui al posto tuo?-
-Perché li sto aiutando. Se non ne trovo uno poi loro vanno in guerra e si fanno ammazzare.-
Allora il bagliore uscì dal cespuglio e si fermò a pochi centimetri dal suo naso. La ragazza, che aveva chiuso gli occhi per il movimento improvviso, quando li riaprì si trovò davanti uno spirito alto più o meno come lei: -Mi chiamo Jack, e sono IL Mangiasogni. Non ce ne sono altri come me.-
-Puoi aiutarmi?-
-Dipende se tu puoi aiutare me. Se hai qualcosa da farmi mettere sotto i denti posso seguirti fino in capo al mondo.-
-Purtroppo non ho dietro nulla, se no avrei potuto offrirti pane e formaggio.-
Lui scoppiò in una risata cristallina e misteriosa: -Dato che sei così gentile, ti aiuterò. Presto, dammi il tuo mantello, uno dei tuoi stivali e il tuo bastone.-
Lei obbedì e lui trasformò con un fischio e uno schiocco della lingua lo stivale in un calamaio, il mantello in un foglio e il bastone in una penna. Poi scrisse una formula che arrotolò e consegnò alla ragazza: -Io mangio solo sogni, ma lo faccio solo se mi sono offerti. Se volete invitarmi, dovete chiamarmi con questa formula.-
Poi la prese in braccio e la portò ai piedi della montagna.
-Grazie.- lei si rimise dritta zoppicando un po', perché le era rimasto uno stivale solo, che quindi si tolse: -Ma quindi tu puoi anche farli avere, i sogni?-
-Posso provocarne, ma non voglio, se no rimango a pancia vuota e pian piano mi spengo. Io i sogni li mangio, per questo aspetto sempre che qualcuno mi inviti, ma è molto raro. Preferisco gli incubi, perché sono belli salati. I sogni d'oro sono troppo zuccherosi, al massimo possono farmi da dessert.- poi chiese: -Hai ancora molta strada da fare?-
Lei gli indicò il suo paese: -Abito con la mia mamma che fa la lavandaia. Adesso a casa da me ci sono una fanciulla generale e un giovane che può abbattere sette uomini in un colpo solo.-
-Hai ancora tanto da camminare. Avviati, e quando sarai arrivata sana e salva mi inviterai per banchettare.-
Rapunzel ringraziò quello spirito così ammodo e si avviò.
Purtroppo per lei, quando Pitch Black aveva scoperto di essersi fatto giocare aveva giurato vendetta. Non si poteva avvicinare alla casa della lavandaia, ma ritrovò Rapunzel mentre tornava con il suo prezioso foglio e la addormentò lì dov'era sulla strada verso casa. E per essere sicuro che nessuno la svegliasse più dai suoi incubi pose un gigante come guardia.

-E adesso?- si disperò Merida -Il fabbro e la principessa sono a poltrire e non sanno niente, lei è addormentata e il Mangiasogni non può combattere contro un gigante!-
-Ci siamo infilati in un bel vicolo cieco...- momorò Hiccup grattandosi la testa.
Rapunzel e Jack si guardarono sorridendo: nonostante fossero fiabe, riuscivano comunque a coinvolgere i loro amici come fossero le avventure più epiche.

Dopo aver incontrato Rapunzel, il Mangiasogni Jack aspettava un invito da un momento all'altro. Era così tanto che non mangiava un bell'incubo pasciuto che si sentiva lo stomaco rattrappire. Sapeva che, se fosse continuata così, avrebbe finito per mangiarsi da solo.
Passarono però parecchi giorni senza nessun segnale, cosicché lui si prese talmente a male per la maleducazione di quella ragazza che non l'aveva più invitato che volle andare a recuperare il foglio con la formula. Seguì quindi in un baleno la strada che Rapunzel aveva preso e subito si dovette ricredere sui suoi cupi pensieri: la trovò addormentata nella brughiera con un gigante a farle la guardia. Lui riconobbe subito gli incubi prelibati che la tormentavano, ma era uno spirito ammodo e non banchettava mai se non era invitato.
Per di più, quando cercò di avvicinarsi il gigante vide il suo bagliore, prese il corpicino di Rapunzel in mano e rimase lì in attesa.
Jack capì che l'unico modo per poter mettere qualcosa sotto i denti era che Rapunzel arrivasse dai suoi amici. Ma, in questo caso, si rese conto che forse erano i suoi amici a dover trovare lei.
Si lanciò quindi come un fulmine a cercare la casa della lavandaia con la fanciulla generale e il giovane con la cintura con su scritto "Sette in un colpo!", e li trovò addormentati.
All'idea di doverli svegliare con un sogno il suo stomaco ebbe un gorgoglìo di protesta, ma lui era uno spirito beneducato: non prendeva se non gli veniva offerto, ma poteva generosamente dare anche se non gli veniva chiesto. Fu così che Merida e Hiccup si svegliarono al sogno di Rapunzel in mano al gigante, e trovarono uno spirito raggomitolato per terra.
-Sei il Mangiasogni?- lo scosse Merida -Rapunzel ti ha trovato?-
-Sto morendo di fame...- mormorò lui.
Non potendo cavargli altro di bocca, Merida e Hiccup si misero a cavallo e cercarono il gigante e Rapunzel.
Lo trovarono e, nascosti tra i cespugli, escogitarono un piano: Hiccup voleva dimostrare il suo valore sconfiggendo il gigante, Merida voleva salvare suo padre, e recuperare Rapunzel era la chiave per riuscirci.
Hiccup quindi si avvicinò al gigante, ma poco prima di mostrarsi trovò un uccellino impigliato fra i rovi. Lui lo prese e se lo mise in tasca con un pezzo di formaggio che era rimasto lì dal suo viaggio con i cacciatori.
-Salve, compare gigante! Sono venuto a provare la mia forza, ti va di venire con me?-
-Chi sei tu, piccolo straccione?-
-Proprio! Se non ci credi, leggi un po' cosa c'è scritto sulla mia cintura!-
E il gigante lesse, e si mise a ridere: -Credi di potermi battere? Io so stritolare una pietra fino a farne uscire acqua!- e glielo dimostrò con una pietra raccolta ai suoi piedi -Fammi vedere se sai fare meglio!-
Hiccup tirò fuori il pezzo di formaggio e lo scambiò abilmente con una pietra appena raccolta, e lo strizzò fino a farne uscire il succo.
Il gigante allora disse: -Va bene, questo lo sai fare. Ma sai tirare una pietra più in alto di quella che lancio io?-
-So tirare una pietra che neanche torna giù!-
Allora tirarono insieme, ma Hiccup tirò l'uccellino che, ben contento di essere finalmente libero, se ne volò via. Il gigante, scontento di veder ricaduta la sua pietra e non quella del rivale, gli porse il ramo in cima ad un albero, sfidandolo a tenerlo giù.
-Certo che posso! Posso farlo anche con una mano sola! Guarda, mettimi in braccio la fanciulla e vedrai!-
Il gigante obbedì, e Hiccup, presa saldamente Rapunzel con un braccio, lasciò che la pianta lo lanciasse su delle fronde lontano. L'altro rideva, e Hiccup gli urlò: -Credi che non abbia tenuto il ramo, ma l'ho fatto apposta per saltare più lontano! Tu questo non sei capace di farlo!-
E allora il gigante si mise a provare, Hiccup e Merida lo lasciarono fare e partirono a cavallo, e forse quello è ancora là adesso.

Arrivati sulla strada per il regno di Merida, finalmente i due si posero a riposare. Sdraiarono il Mangiasogni e Rapunzel uno accanto all'altra, ma non capivano perché nessuno dei due si svegliasse.
Solo dopo un poco notarono il prezioso foglio che la fanciulla aveva con sé. Lo aprirono e lo lessero, e capirono che era una formula magica. Ripresero allora a cavalcare e intanto il bagliore del Mangiasogni, rannicchiato in sella con Hiccup, andava piano piano spegnendosi. E Hiccup lo rassicurava, dicendogli che presto sarebbe stato meglio, perché il prode piccolo fabbro confidava nella formula magica al sicuro nella saccoccia di Merida, che cavalcava portando Rapunzel in sella con lei.
Arrivarono al castello di Merida e corsero al trono del re. Quando suo padre la vide con il generale nemico chiamò le guardie. Avevano poco tempo.
Hiccup era dietro di lei e sosteneva sia Rapunzel che lo spirito. Merida guardò il bagliore ormai quasi spento, poi svolse il foglio e lesse:

Mangiasogni, Mangiasogni!
Prendi bello il tuo coltello
tira fuori in grande fretta
la tua piccola forchetta!
Apri il becco su quei sogni
che spaventano chi dorme!
Ma se il sogno e bello e buono
mi sia subito lasciato!
Mangiasogni, Mangiasogni
Mangiasogni io ti ho invitato!

A quelle parole il bagliore ormai spento si riaccese di tutta la sua luce. Tutti si coprirono il volto con la mano. Quando tornò tutto normale, si accorsero che il re era ormai sveglio dai suoi incubi, e anche Rapunzel si era tirata a sedere. Di Jack il Mangiasogni non c'era più traccia.
Ora che il re si era destato, fu possibile per Merida spiegargli come stessero davvero le cose. Allora il sovrano organizzò un'ambasciata per riappacificarsi col re vicino, e questa fu portata da Hiccup in persona, che comunicò al suo sovrano di aver catturato il cinghiale come promesso e di aver anche concluso la guerra.
Quella sera, per ringraziare del lauto banchetto, Jack donò un ultimo sogno a Hiccup, Merida, Rapunzel e ai due sovrani: era il sogno di dama Gothel che, invidiosa dell'amore del re per la figlioletta neonata ultimo ricordo della prima moglie, la faceva abbandonare in un fiume e dava la colpa al re vicino. Quella bambina era Rapunzel. Il mattino dopo, quando le guardie entrarono nelle sue stanze, di dama Gothel non furono ritrovate tracce.
Da quel giorno, Rapunzel visse con suo padre al castello, e invitò anche la lavandaia che l'aveva trovata in un cesto sul fiume e l'aveva cresciuta come figlia sua, Merida fu ufficialmente dichiarata generale di suo padre e Hiccup riprese a girare per il mondo per dimostrare il suo valore.
E Jack? Da spirito generoso qual era chiese che la formula per invitarlo fosse resa pubblica assieme a tutta la storia, perché potesse aiutare tutti a non soffrire più per gli incubi.
E vissero tutti felici e contenti.

-Che fatica!- Hiccup si lasciò andare sulla sedia.
Merida rise e batté le mani: -Mi piace! Mi piace! Lo rifacciamo?-
Gli altri chiesero tregua qualche minuto: una storia del genere andava digerita piano. La commentarono ancora per ore, poi ci fu la domanda se per caso non fosse tempo di andare a letto.
-Ma no! L'alba è ancora lontana!- dichiarò Jack. E Rapunzel colse la palla al balzo: -Quindi a chi tocca?
E subito si ricominciò: C'era una volta...

 




Angolino dell'autrice:
E con questo capitolo finisce pure questa fanfic. Che strano!
Quest'ultima fiaba è stata un parto! Non ne avevo due, ma ben quattro da amalgamare bene (e neanche sono sicura di essere riuscita a farlo bene) e il risultato è denso. Ogni tanto ho cercato di rallentare il ritmo, perché facevo fatica pure io a stare dietro a tutto quello che succede...!
Allora, un paio di appunti: la fiaba a cui fa riferimento Hiccup è quella de "Il prode piccolo sarto" dei fratelli Grimm, con la grossa differenza che ho rimescolato l'ordine delle prove: dopo averne fatti fuori sette, il sarto prima incontra il gigante stupido (che non era a guardia di niente, passava di lì), poi si mette al servizio di un re che lo manda a occuparsi di giganti, unicorni e cinghiali.
Merida invece è la protagonista di "Fanta-Ghirò, persona bella" di Montale Pistoiese. Perché sì, prima di diventare un film con un numero imbarazzante di sequel, questa è una fiaba toscana. Lei è la terza di tre figlie, le prime due provano a fare i generali ma si scoprono sul tragitto per la guerra parlando di telai e fusi e sono riportate indietro. Per il resto, il re nemico la mette davvero alla prova come descritto nel capitolo, solo che poi se ne innamora tanto da arrendersi al padre della protagonista e chiederla in sposa (Merida, questo, si è dimenticata di inserirlo. Chissà perché...)
Rapunzel, invece, è la protagonista della fiaba delle Langhe "Il naso d'argento", dove il diavolo chiede come donne di casa alla lavandaia le prime sue due figlie, che finiscono come Hiccup e Merida, e poi la terza le salva con la scusa dei sacchi di roba sporca.
Infine, il personaggio di Jack è il Mangiasogni, una specie di folletto di un racconto di Michael Ende che fa... quello che fa in questo capitolo (tranne dare i sogni agli altri. Quello serviva a me se no non sarei più andata avanti). L'unica differenza è che il protagonista è il re di Sonnonia che cerca un rimedio agli incubi della figlia Pisolina, e il Mangiasogni lo incontra per caso.
Altre due ispirazioni inconsce sono probabilmente re Théoden de "Il Signore degli Anelli - Le due torri" per il padre mal consigliato di Merida (ci ho riflettuto mentre lo scrivevo, questa non l'avevo certo prevista!) così come la scomparsa di una principessa che porta a una guerra (in quel caso mi è venuta in mente "Barbie Raperonzolo". A parte il collegamento con Rapunzel... no, neanche qui è un riferimento volontario!).
Con questo, credo di poterla finire qui.
Spero che questa raccolta sia piaciuta a tutti, magari fatemi sapere quale fiaba avete apprezzato particolarmente! Ma soprattutto, spero di avervi dato un momento piacevole!
Nike

 




Bibliografia:

Collodi Carlo, Le avventure di Pinocchio - Storia di un burattino, 1883 Pinocchio
Saint-Exupéry Antoine de, Le petit prince, 1943 Il Piccolo Principe
Barrie James Matthew, Peter Pan in Kensington Gardens, 1906 Peter Pan nei giardini di Kensignton
Ende Michael, Fiabe e Favole, 2010 (?) Il Mangiasogni
Calvino Italo, Fiabe italiane, 1956 Il Principe Canarino
  Pomo e Scorzo
  La Fiaba dei Gatti
  La Storia dell'Uccellin Belverde
  La Barba del Conte
  La Contadina Furba
  La Scommessa a chi primo si arrabbia
  La Bambina venduta con le Pere
  Il Naso d'Argento
  Fanta-ghirò, persona bella
Jacobs Joseph, English Fairy Tales, 1890 Jack e la Pianta di Fagioli
Fratelli Grimm, Fiabe, 1812-1822 Tremotino
  Biancarosa e Rosarossa
  I Musicanti di Brema
  Il Prode Piccolo Sarto
Andersen Hans Christian, Fiabe, 1835-1872 La Regina della Neve
  L'Acciarino
AAVV, Fiabe tradizionali italiane, 2002 Aquilante e Grifone

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