La strada per Blackhaven

di AlsoSprachVelociraptor
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1-Madre ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Nuove identità ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - Morte ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - Erba secca ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 - Via, via! ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 - Mia lady ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 - Mani ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 - il Fuoco e le Persone ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 - Ago ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 - Mastino ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 - Sacco di Sale ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 - Honeyholt ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 - il Lord di Blackhaven ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 - Soldi ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 - Panico Lucido ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 - a mani nude ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 - Matths ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 - Sussurri nella notte ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


-Una camera, per favore.-

Il locandiere squadrò male l’uomo che gli si era piazzato davanti, come tutti i locandieri prima di lui sin dalla Terra dei Fiumi.

Nel sorriso di quello straniero c’era qualcosa che il vecchio locandiere non riusciva bene a cogliere, e non c’entravano i denti mancanti sotto alla folta barba rosso rame.

-Una sola per tutti voi?-

-Se possibile… Oh, loro sono i miei quattro figli. Veniamo dalla terra dei Fiumi, siamo scappati dalla guerra per un soffio.-

Il locandiere si sporse oltre l’uomo dai capelli rossi, ad osservare i tre ragazzi e la ragazza dietro di lui vestiti di stracci.

-Che cazzo guardi?- fece il più piccolo dei tre, con un cespuglio color corteccia sul testone duro. Non doveva avere più di dieci anni ed era pelle e ossa. Il padre si voltò e lo guardò male. -Arry! Questo buon uomo ci deve ospitare per la notte. Sii gentile!-

Il bambino sbuffò sonoramente, rimanendo però al suo posto tra i fratelli maggiori. Un altro ragazzino di poco più grande di quello che aveva parlato aveva uno sguardo spaventato e un pesante cappuccio calato sulla testa quasi completamente rasata, e tenne lo sguardo basso, per paura o per rispetto. La ragazza, alta e dai capelli rossicci lunghi che a malapena le sfioravano le spalle era rimasta dietro a tutti loro, e appoggiò le mani sulle spalle del bambino più piccolo, forse cercando di tranquillizzarlo e forse di tenerlo.

Il più grande sembrava quasi finto. Un fantoccio con una vaga forma di ragazzo, giovane e distrutto, dal viso imberbe e pieno, invece, di ferite e di ustioni. Una garza sporca di sangue e di chissà cos’altro passava sul suo viso e gli copriva gli occhi e quasi tutta la testa, lasciando fuori solo qualche ciuffo di capelli biondo-rossicci. L’unico altro pezzo di pelle scoperta era la sua mano scheletrica attorno a quella del fratellino minore.

Stringeva la mano al fratello per farsi guidare, ma non sembrava molto abituato a non vedere.

Era quello il motivo per cui erano scappati? Il ragazzo aveva fatto il soldato e si era salvato per un pelo? E la madre?

Non erano messi bene, era palese. L’uomo però allungò al locandiere qualche moneta d’argento, e poté notare che anche la sua mano era piena di cicatrici e il suo braccio coperto da uno straccio sporco di sangue.

Quello era un periodo di magra, e anche quei pochi spiccioli avrebbero fatto comodo alla sua locanda.

L’uomo dai capelli rossi tentò un altro sorriso. -Ci da una camera, allora?-

Il locandiere non poté fare altro che accettare i suoi Cervi d’Argento e allungare loro la chiave per aprire il chiavistello della camera che aveva affidato loro.

-C’è anche una vasca di legno, nel caso il ragazzo voglia farsi un bagno. Magari col caldo starà meglio.-

Il suo sguardo cadde ancora sul più grande dei quattro, che ancora non rispose. Aveva anche delle bende sporche attorno al collo. Probabilmente non riusciva nemmeno a parlare. Il padre dei quattro prese velocemente la chiave e gli sorrise, passando un braccio dietro la schiena del ragazzo e tenendolo ben saldo in piedi. -Probabile. La ringrazio ancora.-

Con ancora quel sorriso tra il malevolo e il servizievole, aiutò il ragazzo a salire le scale che avrebbero condotto quella famigliola alla loro camera.

Il ragazzo sembrava abbastanza saldo sulle sue gambe scheletriche, ma probabilmente era solo un’impressione.

Il ragazzo dal cappuccio calato sulla testa e l’unica ragazza dei figli dell’uomo strano afferrarono i borsoni e i sacchi che si portavano dietro, le poche cose che erano rimaste loro probabilmente, e seguirono il padre mesti e silenziosi. Il più piccolo scoccò ancora un’altro sguardo pieno di odio e di sfida al locandiere prima di seguire i fratelli.

Il locandiere di quella taverna nelle Terre della Corona, al confine con la Valle, rimase ad osservare quella strana famigliola senza sapere cosa pensare di loro, appoggiato al tavolo della taverna deserta. L’ora era tarda, erano arrivati ben oltre l’orario in cui distribuiva di solito la cena.

Chissà dove stavano andando…


-Non ho mai conosciuto una persona più stupida di te, Arya- ringhiò a denti stretti e a bassa voce l’uomo dai capelli rossi, continuando a fingere un sorriso che però non veniva più sulle sue labbra sottili. -Forse sei quasi stupida a livello di Beric, senza esagerare.-

Beric cercò, offeso, di staccarsi da lui ma Thoros non lo lasciò andare, stringendogli saldamente la nuca tra le dita. Thoros era ben più alto e dal fisico indubbiamente più forte del ragazzo che stava quasi trascinando rabbioso su per quelle scale.

Arya, dietro di loro due e al fianco di Ned e Sansa, non rispose subito. Doveva contenersi, Thoros aveva ragione, ma…

-Mi guardava!-

-E tu fregatene.-

-Ma io…-

-E allora guardalo anche tu!- si lasciò scappare a voce più alta Thoros, scuotendo con forza la testa. Era stremato, Arya poteva vederlo dalle pesanti e scurissime occhiaie sotto i suoi occhi azzurro pallido che non erano più così gioviali e pieni di energia di quando erano con la Fratellanza. Beric ancora screpitò per farsi lasciare andare, ma la presa sulla sua nuca aumentò ancora e il Lord della Folgore smise, per un po’, di fare i capricci. Anche Beric era diverso, decisamente meno autorevole e più umano di quando era a capo della banda di fuorilegge più pericolosa di tutta Westeros. Ora sembrava solo un ragazzino testardo. Era davvero sempre stato così giovane? Non doveva avere molti anni in più di Jon.

Sansa ancora ricordava di quando Jeyne sognava di sposarlo quando era giovane e bello e nobile.

-Beric, giuro su R’hllor che se fai saltare il piano io ti faccio saltare la mandibola dal cranio.- sussurrò Thoros, abbastanza piano da non farsi sentire da qualche eventuale testimone ma abbastanza forte perchè la sua voce giungesse anche ad Arya, Sansa ed Edric, sulle scale dietro di lui. Beric si voltò appena a guardarlo, alzandosi la benda sull'occhio buono e rivolgendogli un broncio contrariato, ma non disse altro. Si lasciò aiutare a salire le scale, ad entrare nella stanza e farsi appoggiare sul letto.

Era effettivamente più debole, ma quello che macchiava le bende che portava non era suo sangue. Quello era rosso, mentre il sangue di Beric era nero, denso e viscoso, più simile alla pece che al sangue vero e proprio. E come la pece, era infiammabile. Metà della sua fiamma vitale che l’aveva fortificato e accompagnato in quegli anni nella Fratellanza non era più nel suo corpo, Arya lo sapeva, e di questo ne era grata, sia lei che sua sorella.

Ma ancora non riusciva a sopportare il tutto e, dall’espressione contrariata di Beric, nemmeno lui.

Arya sembrava la più serena da quel punto di vista, ma era solo apparenza. Appena entrata nella stanza appoggiò il fagotto ben arrotolato alla sua schiena da cui non si staccava mai e si fiondò tra le braccia di Beric, che la abbracciò a sua volta con calma, accarezzandole i capelli corti, annodati e strappati in alcuni punti.

-Sono stanca- sussurrò lei, debolmente, come quasi mai. Aveva dovuto imparare ad avere una scorza dura lì nella Terra dei Fiumi, ma con il suo nuovo branco poteva essere sé stessa, una bambina rimasta per troppo tempo da sola, una cucciola di lupo in una fossa dei leoni pronti a sbranarla viva.

-Stiamo andando a casa, Arya. Ci siamo quasi.- sussurrò lui, che ancora la stringeva come se le mani di Arya non avessero già stretto un coltello e strappato via la vita da un essere umano. Le mani di Beric erano sporche di sangue tanto quanto le sue, forse anche di più, e non avevano paura di sporcarsi con l’anima non più pura di Arya, né aveva paura di sporcarla a sua volta.

Arya aveva paura, ma finalmente, dopo anni, si sentiva speranzosa. Quanto era passato da quando era una bambina felice e innocente? Quanti da quando le sue mani erano ancora pulite, quando il sangue non aveva scorso ancora tra le sue dita e a proteggerla dal mondo esterno c’erano le mura di Grande Inverno e le braccia di sua madre e il sorriso di Jon e le risate di Bran, e tutti i suoi fratelli e gli amici del castello.

Non c’erano più, ma Sansa era lì con lei, ed erano riuscite a trovarsi un nuovo branco.

-Tutto bene, Ned?-

La voce melodiosa di Sansa e la sua delicata mano sulla sua spalla fecero sobbalzare Edric, che si era fermato ad osservare il suo lord che sembrava essere quasi più vivo di quanto fosse sempre stato. Spesso, ultimamente, ripensava alla sua vita prima. Prima del Torneo, prima della guerra, prima…

Sansa si sedette al suo fianco sul grosso letto, Abbassandogli il cappuccio del mantello blu che portava per nascondere i capelli argentati e gli occhi blu-viola. -Andrà tutto bene- sussurrò, forse più a sé stessa che al ragazzo.

Ned si sentiva la bocca arida. Era una delle ultime locande delle terre della Corona quella, e difficilmente ne avrebbero trovate altre nelle terre della Tempesta. Sapeva quanto quella guerra avesse influenzato quel territorio già aspro di per sé. E sapeva anche che i soldi ormai stavano finendo.

Sansa però sorrideva al suo fianco, con un bel sorriso tranquillo e sereno e di chi aveva visto di peggio e sapeva che la situazione non poteva fare altro che migliorare. Strinse la mano della ragazza a sua volta, con tutto il coraggio che aveva. Poco.

Thoros chiuse col chiavistello la porta e raggiunse gli altri sul letto, sorridendo in modo consapevole a Ned e sedendosi all’altro capo del grosso, enorme letto duro che era stato affibbiato loro, con un sospiro desolato.

-Per le smancerie ci sarà tempo più avanti, per ora dormiamo. Abbiamo poche ore, siamo arrivati tardi e domani dobbiamo partire all’alba. Le Marche Dorniane sono ancora lontane.- borbottò, voltandosi a pancia in giù sul materasso duro e vecchio del grosso letto che sarebbe dovuto bastare per tutti e cinque.

Era stanco, nervoso e preoccupato. Tutti lì lo erano, ma c’era anche una nota di speranza, come un sogno lucido e vivo che stavano vivendo.

La strada per Blackhaven era ancora lunga.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1-Madre ***


Sala delle Ghiande faceva schifo, era vero, ma almeno era calda e sicura e non c’erano né lupi né leoni, cani o capre.

Solo lady Ravella e la sua voglia di provare qualsiasi vestito su Arya, che forse non era molto meglio di un qualsiasi lupo o cane o leone. Arya, però, ogni volta che si vedeva allo specchio vedeva solo una bambina magra, gracile e bruttina, la faccia lunga e i capelli forse meno annodati ma sicuramente non meno ribelli e un paio di occhi grigi e tristi e che avevano visto troppo.

Quella notte di almeno una settimana prima, quando ancora Arya non era rinchiusa in un castello ma scorrazzava assieme alla Fratellanza senza Vessilli,  il fuoco aveva rivelato al prete rosso i piani dei Lannister, l’assedio di Delta delle Acque e il matrimonio alle Torri dei Frey.

Aveva visto altro, e Arya l’aveva capito dal suo sguardo, mutato da un istante all’altro, ma non aveva detto nulla a nessuno. Forse al suo fidato Lord della Folgore, ma non ne era completamente sicura.

Non l’avrebbero riportata a casa. Non l’avrebbero portata a Delta delle Acque e nemmeno alle Torri.

Arya avrebbe voluto scappare, correre più lontano che poteva, verso sua madre e suo fratello Robb e l’unica famiglia che le era rimasta, ma Thoros era stato più veloce e l’aveva afferrata in tempo, le sue braccia fin troppo forti per lei e piene di cicatrici, e i morsi e i graffi della bambina non avevano fatto nulla all’uomo, che l’aveva in realtà presa per puro caso.

L’aveva abbracciata e le aveva detto che andava tutto bene. Sarebbe andato bene.

Cosa aveva visto davvero nelle fiamme?

Arya non veniva abbracciata da così tanto tempo, da così tanti secoli che cedette prima del dovuto. E Thoros le piaceva, non voleva fargli nessun male. Avrebbe potuto prendere un coltello e piantarglielo nel collo scoperto, sotto quella stupida barba rossa, ma invece aveva singhiozzato contro la sua spalla e chiamato la sua mamma perchè le mancava e si sentiva debole e stanca e voleva tornare a casa.

L’avevano lasciata a Sala delle Ghiande quasi una settimana prima. Gli sguardi tristi dei due comandanti della Fratellanza l’avevano incuriosita e spaventata allo stesso tempo, ma si era fatta promettere, giurare che sarebbero tornati. L’avrebbero portata a casa e dalla lady sua madre, e che tutto sarebbe andato per il meglio.

Lei, in compenso, aveva giurato di non scappare.

Non era ancora scappata, ma la sua pazienza stava finendo. Quella sera non faceva eccezioni. Certo, i pasti erano sempre buoni e abbondanti anche in quel periodo di carestia e guerra, e le persone sempre gentili, ma Arya non voleva rimanere lì. Arya voleva tornare a casa.

-La guerra è finita, Arya- aveva sussurrato Lady Ravella, senza espressione. Tra le mani teneva un pezzo di carta portato da chissà chi. -Chiedo subito alle mie serve di lavarti e prepararti per il viaggio.-

Cosa stava dicendo?

Arya fu, in fretta e furia, trascinata nella sua camera e lavata per bene, vestita di tutto punto con un lungo vestito stupido con altre ghiande, che però non voleva rompere come l’ultimo che le aveva prestato. E quello prima. E quello prima ancora.

Riusciva a malapena a camminare e respirare tutta stretta in quel corpetto fin troppo pesante, ma così fu mandata ai cancelli del castello, e così la trovarono i comandanti della fratellanza.

-Principessa- la salutò il prete rosso di Myr, con un sorriso stanco sul viso che sembrava più pallido di quando l’aveva lasciato l’ultima volta.

Gendry scoppiò a ridere rumorosamente ma fu zittito da un movimento di mano del prete, che sembrava stranamente serio. Non lo era mai. Ad Arya piaceva per quello.

A passo lento, lento in modo snervante, arrivò anche il Lord della Folgore. Sembrava ancora più smunto, pallido e debole, e ora zoppicava anche. Appena arrivò in prossimità del prete rosso gli si aggrappò, staccandosi dalla spalla del povero Ned che l'aveva sorretto fino a quel momento.

-Arya- la salutò Beric, con la sua voce grave e un sorriso nuovo sulle labbra. -c'è qualcuno per te. Ha fatto tanta strada per vederti.-

Dietro di loro e dietro la Fratellanza, effettivamente, c'era qualcuno.

Vestita di una lunga tunica rovinata che probabilmente era stata gettata via e raccattata per fortuna, i capelli lunghi, bianchi e sottili, tanto da sembrare un velo funebre, e gli occhi blu come un mare in tempesta e tormentati nello stesso modo.

Il suo viso era pieno di tagli aperti e la sua pelle era bluastra, ma Arya la riconobbe all’istante

Dopo tanto tempo sentì le lacrime scenderle giù dalle guance e le gambe cederle.

-Madre!- gridò, ma non si mosse. Non era lei, così come Beric non era più il bel lord delle terre della tempesta che aveva partecipato al torneo.

Arya non riusciva a muoversi.

Fu Thoros a doverla prendere per mano e, con calma e pazienza, accompagnarla verso la donna che era stata sua madre.

Arya avrebbe voluto gettarsi tra le sue braccia e stringersi a lei ma invece si aggrappò con tutte le sue forze alla grossa mano di Thoros. Non poteva più avvicinarsi a lei.

Sentì una sensazione che ormai non sentiva da tempo, un peso sulla cassa toracica che sembrava volerla strangolare e uccidere come lei aveva ucciso.

Si passò una mano tra i capelli, che le lady a Sala delle Ghiande avevano insistito a tenere lunghi ma non avevano fatto altro che annodarsi sempre di più e sporcarsi e incastrarsi in qualsiasi cosa. -Sono brutta, non posso…-

-Nemmeno lei è così presentabile- scherzò Thoros, con un sorriso gentile sulle labbra. Il suo viso era spigoloso e scolpito da anni di sofferenze e battaglie ma quel sorriso riusciva a risultare sincero, cordiale, e gentile. Arya era ormai diffidente della gentilezza altrui, ma non di quella del prete. Aveva imparato a conoscerlo.

Annuì lentamente e lui rise sotto lo sguardo austero ma non troppo della donna, di quella che era lady Catelyn Tully, e ora era… chissà cos’era ora?

Catelyn si premette una mano sulla gola aperta, aprendo appena le labbra blu e fredde e lasciando che un verso gutturale e selvatico pervadesse l’aria che s’era fatta pesante e difficile. -Mi sei mancata- capì Arya a malapena. -la mia bambina.-

Non sono più una bambina avrebbe voluto dirle, ma non lo fece. Lo era.

Era probabilmente meglio non avvicinarsi a lei. Non lo fece.

-Faremo quello che ci ha detto, lady Stark.- rispose Beric col suo tono sicuro ma con una voce più fragile di quella che aveva imparato a conoscere. -Lo giuro sul mio onore.-

Thoros decise di allontanarsi e trascinò Arya con sé, che si voltò un’ultima volta a osservare la madre che aveva voluto raggiungere con così tante forze e da cui si vedeva ancora divisa.

La Lady sua madre sorrise, con dolcezza e consapevolezza come aveva sempre fatto, e Arya scoppiò a piangere senza ritegno.

Corse indietro, divincolandosi dalla presa non così ferrea del Prete Rosso e fiondandosi tra le braccia gelide e dure ma amorevoli della madre, sbattendo con la testa contro il suo petto fermo mentre le sue mani la stringevano in un abbraccio che aveva sognato per troppo tempo.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - Nuove identità ***


I suoi capelli non erano mai stati così corti. Non le dispiacevano in realtà, erano comodi e tenevano fresco, anche se ormai l’aria si stava raffreddando sulle terre dei Fiumi.

Arya era una lupa di Grande Inverno e il freddo non faceva altro che renderla più forte e sicura. Almeno a lei piaceva dirsi così, e poi si sentiva davvero più forte dopo l’incontro con sua madre.

Era morta assieme a suo fratello Robb alle Torri, poco dopo che Arya fu spedita con la forza da lady Smallwood dalla Fratellanza.

Thoros aveva visto e non aveva agito. Sulle prime l’aveva odiato e le era saltato addosso, tirandogli i capelli e gridando, ma fu proprio sua madre a fermarla.

Arya, dopo aver ragionato e sbollentito la rabbia e la frustrazione, capì perchè sua madre avesse preferito quella azione della Fratellanza.

I Frey erano troppi, sarebbero morti tutti. Sarebbe morta anche lei, se l’avessero rintracciata.

Catelyn era viva ora, dopo che Beric aveva deciso di donarle metà della sua forza vitale. Ora il Lord della Folgore sembrava lento e appesantito, stanco ma più sereno in un certo senso. Su di lui gravava meno il peso della responsabilità e più quello di una pace meritata, con il suo occhio e la sua espressione più rilassata sempre sul suo prete rosso.

Thoros sembrava solo più stanco.

Arya era comunque salita sul cavallo assieme a lui, si era scusata e si era fatta tagliare i capelli, e Thoros aveva solo sorriso, dandole una pacca scherzosa sulla testa che però le aveva fatto un po’ male.

Se lo meritava.

-Il piano è arrivare a Blackhaven e aspettare lì che tutto si tranquillizzi. Una volta che il Nord sarà libero, tornerai a casa.- aveva spiegato Beric, mentre si faceva radere i capelli a sua volta. Ora era senza barba, giovane e emaciato, al fianco di Ned che a quanto pare li avrebbe accompagnati, che invece sarebbe dovuto essere rasato completamente. Solo le sopracciglia pallide sarebbero rimaste sul suo viso come ricordo dei suoi capelli argentati.

-Perchè tagli i capelli a tutti?- chiese Arya, una volta sistemata a sua volta. Si voltò a osservare le lunghe ciocche color rame di Thoros cadere a terra, mentre sulla sua testaccia dura non rimaneva che un cespuglio di capelli arancioni. -Non ci riconosceranno se saremo diversi. Te l’ha detto Bebe, dobbiamo arrivare a Blackhaven, e ci troverebbero e ucciderebbero subito. Non è un buon piano, non ti sembra?-

Arya stortò la testa. -Bebe?-

Il viso di Thoros si fece rosso quanto la tunica che portava. Sviò la testa, imprecò in valyriano imbastardito di Myr sottovoce e le sue folte sopracciglia si fecero aggrottate sulla sua fronte. -È solo un modo affettuoso di chiamare il mio Lord. Non darci tutta questa importanza.-

Quello ad arrossire fu Ned, che probabilmente non prendeva particolarmente bene quella palese relazione. Beric sorrise ancora, stringendosi le mani in grembo. -Credo sia un nome molto carino, non trovi, Arya?-

Lei alzò le spalle, poco interessata.

Cosa facessero quei due non era affar suo.

Rimase ad osservare i capelli rossi a terra. Capelli rossi, come quelli della mamma e di Sansa. Le mancava…

Raccolse una ciocca da terra e la annodò, mettendola da parte frettolosamente e senza essere vista. Almeno, credeva di non essere stata vista.

L'occhio verde scuro di Beric era puntato sulla sua schiena, mentre Thoros era intento a radere quasi a zero i capelli di Edric. -I capelli rossi…-

Il Lord alzò una mano a zittirla, con un sorriso consapevole sulle sue labbra. -Non giustificarti. Ognuno ha i propri rituali.-

Beric, come sempre, nascondeva qualcosa.

-Non prenderemo la Strada del Re, non siamo scemi- fece Thoros, continuando a scuotersi i capelli, forse per abituarsi alla nuova leggerezza sulla sua testa. -tranne per Beric, ovviamente. Lui è scemo per davvero.-

Nella Fratellanza, Thoros non si era mai permesso di insultare il Lord della Folgore, ma lontano dai loro occhi sembrava farlo continuamente. Oltre a un vago broncio, Beric non sembrava reagire, e quasi ne sembrava divertito. -Perchè?- chiese senza pensarci Arya, osservando i vestiti sporchi che il prete rosso poco prima aveva appoggiato su un tronco lì vicino.

-Perchè è morto sei volte e io zero pur avendo combattuto le stesse battaglie, e anche perchè ha deciso di non farci scortare da nessuno.-

Gli scoccò un’occhiataccia mentre si toglieva la pesante veste rosata dal collo, piegandola alla ben’e meglio.  -L’erede di Grande Inverno, il lord Dayne e l’uomo più ricercato di Westeros, ad attraversare il continente senza nessuna scorta.-

-E tu?-

Thoros si voltò come punto nella carne viva. Fissò Arya con uno sguardo interrogatore, come se stesse scrutando nel fuoco, per poi lasciarle un sorriso finto. -Io sono solo un ubriacone da niente, principessina.-

Erano in un bosco non lontano da Sala delle Ghiande, completamente da soli. La Fratellanza se n’era andata assieme a sua madre, o almeno Lady Stoneheart come si faceva chiamare ora, lasciandoli al loro destino. Arya non capiva, non capiva perchè sua madre se ne fosse andata e cosa quel Dio Rosso le avesse fatto, perchè Thoros li avesse portati un quella piccola radura al bordo di un ruscello, con vestiti laceri che avrebbero dovuto cambiare ai loro e due cavalli macilenti e vecchi.

A Blackhaven, nel sud delle Terre della Tempesta, era quella la loro destinazione. Arya non se lo ricordava come castello. Sansa saprebbe esattamente dire dove si trova. Sansa le mancava, ogni tanto.

Beric si era nascosto in un angolo per cambiarsi, le braccia ridotte a ossa mentre, tremante, si sfilava la vecchia e pesante casacca rotta in troppi punti. Non era altro che ossa, nervi tesi e pelle tanto pallida da sembrare cuoio bianco e fresco. Buchi neri sulla sua schiena a forma di feccie, un buco sulla sua cassa toracica da parte a parte e altri tagli, neri a loro volta, sui suoi fianchi e sulle sue braccia. Un enorme taglio sul suo palmo sinistro.

Beric indossò velocemente la vecchia camicia grigiastra che Thoros gli aveva passato con cautela, troppo larga sul suo corpo scheletrico.

Ned aveva un mantello bluastro con un grosso e pesante cappuccio che gli copriva il viso e una vecchia casacca di lady Smallwood, così come Arya.

Beric aveva intimato a Ned di coprirsi gli occhi mentre Arya si cambiava, e lui stesso si era voltato in segno di rispetto, anche se ad Arya non importava più nulla. Aveva fatto cose molto più imbarazzanti.

Nemmeno a Thoros importava, perchè continuò a cambiarsi e nascondersi gli oggetti più svariati tra gli strati di vestiti che indossava, dalle mappe ai denari a coltellini dall’aspetto minaccioso.

Ne allungò uno ad Arya, una volta vestita, e lei lo afferrò senza troppe pretese, infilandoselo nella cinta un po’ larga per lei. Thoros si affrettò a strapparglielo di dosso e infilarglielo sotto la casacca, tra la camicia e la pesante maglia, incastrata nella cinta. -Non farti notare, Arya. Non devono vederti, ricordalo.- disse semplicemente lui, senza aggiungere altro. Arya cercò di scacciarlo, perché credeva già di sapere come cavarsela da sola.

Thoros premette un dito sulla tempia della bambina, con forza, quasi facendole male. - Sii furba, ascolta, impara e agisci di conseguenza. Ricordalo sempre.-

Quelle parole rimasero impresse nella mente di Arya, che non si mosse finchè non le si accostò il preoccupato Ned. Era così pallido che aveva paura si fosse ancora ammalato.

-Io non voglio- sussurrò ad Arya, come una intima confessione che solo lei poteva udire. Nei suoi occhi c’era il terrore. -Non sono bravo a mentire. Non voglio mentire.-

Tu non sei mai stato obbligato a cambiare identità per sopravvivere, si sentì rimproverarlo. Non disse niente. Era stanca di pensarla così.

-Sono sicura ce la farai- rispose invece, senza però alzare lo sguardo su di lui. Gli ricordava un po’ Sansa nella sua integrità morale.

Quando alzò lo sguardo, vide Ned fissare Beric aggiustarsi una pesante benda sul viso, a coprirgli non solo l’occhio mancante, ma anche quello buono. Thoros lo stava aiutando, e sentendosi osservato tentò di ridacchiare. -Stanno cercando un lord senza un occhio, no? E invece si troveranno un ragazzino senza nessuno dei due. Per finta, almeno. Purtroppo non posso cavarglieli entrambi, gli occhi.-

-Lo faresti volentieri, prete?- gracchiò Beric mentre cercava di scacciare le sue mani dal viso coperto.

-Non sono più un “prete”- annunciò lui, voltandosi anche verso i due ragazzini che lo stavano fissando. -da oggi in poi sarò vostro padre, che vi piaccia o meno.-

-Meno- rispose Beric, mesto.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 - Morte ***


Non chiudeva quasi mai l’occhio, ma quando lo chiudeva rimaneva ritto sul letto di paglia, con attorno alla vita il braccio protettivo del suo prete rosso, come uno di quelle brutte bambole con cui giocava Sansa tanti anni prima.

Forse non erano così tanti, ma lo sembravano davvero.

Arya non voleva dormire, anche se poi a cavallo era sempre stanca e si appisolava contro la schiena del paziente Ned, che cercava di sostenerla come poteva. Odiava dover condividere un cavallo con lui, ma almeno non cadeva come un sacco di patate ogni volta che si sentiva mancare.

Beric doveva fare finta di essere completamente cieco, e condivideva il cavallo con Thoros, aggrappato alla sua schiena senza proferire parola. Probabilmente sonnecchiava. Lo faceva sempre, e di notte non dormiva mai, era rimasto ad osservarlo per diverse sere di seguito.

Arya credeva di non essere stata scoperta, imbacuccata sotto le coperte e contro il caldissimo corpo di Thoros, che invece russava di gusto.

L’occhio di Beric però si mosse e incontrò lo sguardo di Arya. Sorrise.

-Hai ancora paura di me?-

No, non aveva più paura di lui. Era molto meno sovrannaturale di quanto non sembrasse durante la Fratellanza.

Negò.

Beric non rispose, tornando a fissare il fuoco delle candele che aveva acceso prima di mettersi a letto. Aveva esplicitamente chiesto per delle candele alla locandiera, senza dare spiegazioni. Un ragazzo cieco che chiedeva candele…

-Thoros è tanto gentile- iniziò lui, appoggiando una mano sul braccio che Thoros nel sonno aveva scaraventato sulle gambe di Beric. -mi scosta un po’ la benda quando me la mette sul viso. Odio il buio. Non sopporto più la mancanza di luce, io… sono grato che ci sia lui. E anche voi.-

Il viaggio stava procedendo senza troppi intoppi, e ormai erano vicini alle terre della Corona.

Ora Beric la stava guardando, e anche quell’occhio che gli era rimasto, alla luce fioca della candela, sembrava l’orbita cava di un teschio. -La Morte. Tu la conosci bene, no?-

No!

Arya si morse il labbro inferiore, cercò di reagire e negare, di lavarsi via il sangue dalle mani, ma le sue labbra non emisero nessun suono e le sue mani continuarono a sfregarsi tra loro senza risolvere nulla. Il sangue si era lavato via dalla pelle, ma…

-Non è una colpa, Arya.- continuò Beric, allungando una mano verso di lei. Prese una sua mano nella propria, appoggiandosela stancamente sul suo palmo. Beric non era particolarmente alto, poco più di Ned che invece stava continuando a crescere senza sosta e decisamente meno di Thoros, ma la sua mano era comunque grande e larga e gelida in confronto a quella di Arya. Non si era accorta di essersi graffiata il dorso della mano per il nervosismo, ora ricoperto di graffi brutti e gonfi e rossi.

Premette la mano in quella di Beric. Poteva sentire sotto le dita le ossa e i tendini della sua magra mano, e i bordi slabbrati e rigidi del taglio nero sul suo palmo. Da lì uscivano le fiamme  che illuminavano la sua spada.

-Hai dovuto fare cose brutte, vero?- continuò lui. Arya non riusciva più a rispondere, non riusciva nemmeno a respirare. Forse non voleva nemmeno. Beric strinse con più forza la sua mano, sviando però lo sguardo. -La Morte non è cattiva e non è buona, Arya. La morte esiste e basta. E noi siamo tutti suoi schiavi. Noi due lo siamo, anche se non è semplice da comprendere.-

Sospirò e si scostò da quel monologo solo per iniziarne un altro. Doveva davvero farne tanti nella sua testa ammaccata, anche se poco usciva dalle sue labbra.

-Non sono bravo a niente. Credo che sia per questo che Thoros ha deciso di farmi sembrare un povero ragazzino accecato. A lui piace tanto prendersi cura di me, di tutti. Lui sarebbe un bravo padre. Io non sono bravo in questo… non sono bravo davvero a nulla se non impartire ordini suicidi. Non sono nemmeno capace di tornare al mio castello, di proteggere il mio scudiero e di amare la donna che ho promesso di sposare. Non sono nemmeno capace di rimanere vivo. Se non fosse per Thoros, vorrei non essere tornato. Vorrei solo chiudere gli occhi per sempre e non rivedere la luce mai più. non tornare mai più indietro e non mancare a nessuno, ma non funziona così...-

La sua voce si stava facendo sempre più roca, bassa, tetra, come un lamento lugubre durante un funerale, un lento e incessante singhiozzo di una vedova affranta. Il viso di Beric era pallido e il suo occhio era lucido e fisso su un punto imprecisato mentre la sua mano continuava lenta ad accarezzare l’avambraccio del prete al suo fianco.

Non riusciva a capire cosa passasse sul suo viso, ma Arya non voleva nemmeno saperlo. Aveva mangiato bene quella sera alla taverna ma la voce e le parole di Beric le stavano rivoltando lo stomaco.

-Non dirlo a Thoros- sussurrò di nuovo lui, rigido e inumano eppure così tanto simile a un ragazzino terrorizzato e sperduto. -e io non dirò che passi la nottata sveglia a sussurrare nomi di persone da uccidere con le tue mani..-

Arya non avrebbe nemmeno voluto ricordare quelle parole. Annuì e cercò di chiudere gli occhi, affondando il viso contro la spalla di Thoros al suo fianco, mentre nel sottofondo Beric aveva iniziato una lieve cantilena triste e funebre che le fece passare un brivido gelido lungo la spina dorsale.

La vita sembrava ancora più spaventosa della morte ora, dopo aver conosciuto lui.

Beric era la morte, Beric era quel qualcosa che Arya voleva raggiungere e superare, ma non aveva il coraggio di fare.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 - Erba secca ***


-Puoi aiutarmi ad allacciarmi la cintura… padre?-

Non vide Thoros sorridere ma seppe che aveva distintamente sorriso, con quei denti storti e alcuni persino mancanti e quel sorrisaccio da orecchio a orecchio che Beric davvero odiava.

-Ma certo, caro mio.- rispose con un invidiabile accento westerosi. Sentì le sue mani calde sui fianchi, sostare più a lungo di quanto avrebbero dovuto e il loro peso sull’osso dell’anca, strisciare lentamente lungo la sua schiena ed allacciargli la cintura alla vita, i suoi capelli ora corti e arruffati e puzzolenti di sudore e di lui  contro il suo viso mentre si piegava per aggiustare meglio il tutto.

Fortunatamente Beric aveva la benda a coprirgli il viso, perchè era arrossito come una damigella vergine. Strinse le labbra e alzò la testa, cercando di allontanarsi un po’ da lui.

Non avrebbe funzionato, e Beric odiava quel piano.

-Devi solo far finta di essere mio figlio, l’età ce l’hai- gli aveva detto Thoros poco dopo la loro partenza, qualche settimana prima. -Non cambia davvero un granchè. Devi solo cercare di non infilarmi la lingua in bocca davanti a tutti. Ce la farai?-

Beric si era offeso e aveva sbuffato e digrignato i denti e gli aveva dato una testata sulla spalla. Thoros l’aveva detto per scherzo e Beric odiava i suoi scherzi.

Da qualche giorno però sentiva come se quello non fosse stato davvero uno scherzo, e il bisogno di stargli vicino, da solo e molto vicino, aumentava notte dopo notte. Ma davanti ai bambini? No, non poteva.

-Simon- continuò Thoros, rivolgendosi a Beric. Aveva scelto “Simon” come nome per l’eroe Simon Dondarrion, un suo lontano antenato e ciò che l’aveva più spinto nell’infanzia a diventare cavaliere e giocare ai tornei. Beric non era altrettanto bravo, però. -che ne dici se oggi cavalchi con Ned?-

-Cosa?-

Gli unici momenti che Beric poteva passare assieme a Thoros erano a cavallo. Stringersi a lui placava un po’ il subbuglio che aveva nel cuore e nel basso ventre,  ma…

-Ned ti accompagnerà a cavallo e Arry rimarrà un po’ con me. Non ha fatto il bravo bambino ultimamente.-

No, era vero. Arya aveva già due volte preso le redini dalle mani di Ned e aveva condotto il cavallo giù per sentieri e quasi scaraventato entrambi giù per un dirupo.

Sentì Thoros avvicinarsi al suo viso e alitargli nell’orecchio. -E- aggiunse, a un tono così basso che anche Beric faticava a sentire. -sono stanco di sentire perennemente il tuo cazzo sul culo. Datti una calmata.-

Beric lo spinse via e per poco non cadde a terra. Non riusciva a stare bene in piedi con l’occhio bendato. Con un ramo di fortuna che Ned gli aveva trovato e scolpito col suo coltellino si allontanò dalle scuderie, o almeno ci provò. Non riuscì a trovare la porta, per quanto colpisse i muri col bastone.

-Ahi- fece un muro particolarmente morbido.

-Ned? Scusami, Ned.-

Lo passò e continuò alla sua ricerca della porta, testardo come un mulo e come era sempre stato. Almeno, per quanto ricordava.

Sentiva la voce agitata e divertita di Arya e non sentiva Ned anche se era al suo fianco, dunque tutto nella norma.

Sentì di nuovo le mani di Thoros sui fianchi, questa volta alzarlo di peso mentre lo sistemava sul cavallo. Beric tentò di tirare un calcio a Thoros ma andò a finire a vuoto.

-Offeso?- chiese il prete rosso da un punto imprecisato. -Vai a farti fottere- rispose Beric.

Sentì Ned salire a sua volta sul cavallo e si aggrappò alle spalle magre. Odiava essere cieco e odiava non poter un po’ torturare Thoros per quella situazione che lui gli aveva imposto.

-Andiamo a pagare il locandiere e poi partiamo- disse la voce sicura di Thoros, più ovattata di prima. Che andasse a fottersi, quel vecchio idiota.

Poteva comunque passare un po’ di tempo con Edric.

-Hai le spalle più larghe?- chiese a bruciapelo. Sentì Ned muoversi ma la risposta tardò ad arrivare.

Edric era sempre stato un bambino silenzioso e mite, estremamente mite. Lo ricordava allenarsi nei giardini del castello dei Dondarrion di cui ormai non ricordava più il nome, lo ricordava come una figura sbiadita nei colori e nelle forme, un vecchio dipinto mangiato dal tempo.

-Credo…- sussurrò il ragazzino, a disagio. Sentiva i suoi muscoli tesi sotto le mani.

-Quanti anni hai ora, Ned?- chiese ancora Beric. Non poteva vedere ma voleva interagire comunque con lui.

-Tredici, mio s… ah… fratello?-

Ned era anche tremendamente impacciato. Era gentile ma inflessibile, sorridente ma sempre imbarazzato.

-Sei quasi un uomo.- ma non arrivò nessuna risposta.

Passò le sue braccia attorno al suo busto e lo abbracciò con le forze che aveva, non molte, premendo la fronte alla sua schiena. Sentiva il suo battito veloce e la sua pelle appena calda, e il suo respiro e, purtroppo, anche il suo disagio in quella situazione. -Grazie per tutto- sussurrò Beric.

Beric sperò solo che, prima o poi, si abituasse a quella situazione. Non si era abituato ancora alle morti di Beric, a quella strana relazione con Thoros, e ora nemmeno a quella fuga.

In tutti i suoi ricordi, Edric c'era, anche in quelli rari e confusi prima della sua prima morte, prima del torneo, prima di Thoros, prima, lui era lì, giovanissimo e alto come uno scricciolo, sempre a guardarlo dal basso verso l’alto con tutta l'ammirazione del mondo.

Il trambusto arrivò tutto ad un tratto, dal punto in cui aveva sentito per l’ultima volta arrivare la voce di Thoros. Scalpicciare di passi, un rumore sordo e l’ormai conosciuto crepitare del fuoco.

Fuoco?

-Via, via!- gridò Thoros con un tono strano. Un tono di guerra. Beric non riuscì a reagire subito, ancora impacciato dal buio, dal freddo e ancora non ripreso del tutto dall’aver riportato in vita lady Catelyn, e tutto quello che riuscì a fare fu aggrapparsi più forte che poteva a Ned mentre il cavallo iniziava a correre e saltare sotto le sue gambe.

Si strappò la benda in un secondo momento, osservando davanti a loro il cavallo di Thoros con a bordo tre persone.

Tre?

Beric cercò di parlare, ma la sorpresa era troppa. Si voltò ad osservare i molteplici cavalli e gli altrettanti soldati armati correre dietro di loro, non troppi metri più indietro, dai cavalli troppo appesantiti dalle loro armature in acciaio e rame. Soldati della Valle? Perchè stavano scappando da dei soldati della Valle? Ormai erano nelle terre della Corona, e non potevano averli riconosciuti. E anche se fosse, cosa c’entravano gli Arryn?

-Non dobbiamo tornare indietro, vero?- chiese. Ned borbottò qualche cosa, troppo impegnato a far correre il cavallo più velocemente che poteva evitando tutti gli ostacoli. -Co..cosa?-

-Se dobbiamo tornare indietro. No, vero?-

-Non credo! Ma perchè…?-

-Perfetto.-

Beric portava un coltellino all’interno della propria casacca. Lo estrasse velocemente e, rimanendo in bilico ad osservare i soldati armati e pronti al massacro, si incise il palmo della mano sinistra col coltello.

Il sangue, nero e denso, iniziò a colare. Strinse la mano e lasciò cadere una grossa goccia di sangue, una sola, sull’erba secca d’autunno.

Una goccia nera che iniziò a fumare, e poi a bruciare l’erba secca e creare un grosso muro di fuoco sotto i piedi dei cavalieri. Alcuni caddero assieme ai loro cavalli, in grida strazianti, altri si rotolarono a terra apposta, senza nessun successo.

Beric usò la benda che aveva prima sul viso per fasciarsi la mano, sospirando pesantemente.

-Ned, sai cos’è successo e perchè abbiamo rapito una ragazza?-

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 - Via, via! ***


Thoros negò con insistenza, picchiettando le dita sul bancale. -Non erano questi gli accordi! Erano otto monete d’argento, non quaranta!-

La locandiera però sembrò non smuoversi. -Beh, ora i prezzi sono questi. Dieci argenti a testa.-

-Erano due ieri sera!- gridò Arya, cercando di arrivare con gli occhi al bancone. Stava prendendo davvero i brutti modi di Thoros, e non andava davvero bene. In quella situazione sì.

La locandiera abbassò lo sguardo, facendo cenno loro di guardarsi alle spalle. Un folto gruppo di soldati stavano accompagnando un lord, con tanto di seguito di cantori, giocolieri e servette. C’era anche una giovane lady, a quanto pareva. -Vi posso fare ancora otto- sussurrò la locandiera all’uomo dai capelli rossi, per non farsi sentire. Voleva far soldi con quel ricco gruppo appena arrivato, ovviamente. -ma dovete far finta di pagare quaranta. E magari darmi una piccola mancia per…-

-Seh, seh.- borbottò Thoros, dandole il doppio di quello per cui aveva contrattato.

Arya sbuffò contrariata, ma una manata gentile sulla testa la tranquillizzò, almeno finchè non fosse sorto il prossimo problema.

La locandiera afferrò i soldi e sembrò scappare via, e anche tutto il biascicare dei soldati crollò alle loro spalle.

Un lord si era avvicinato loro. Thoros afferrò Arya per il braccio e abbassò la testa, cercando di essere più umile possibile. Ma quell’uomo stava proprio puntando a loro.

Thoros lo conosceva, e quel lord conosceva lui. Vestito di velluti verdi e con una grossa spilla d’argento e di pietre preziose a forma di merlo a tenere fermo il lungo mantello e quegli occhietti verde-azzurro che lo perforavano da parte a parte.

Erano ormai anni che si conoscevano, avevano praticamente vissuto nella stessa fortezza per troppo tempo.

Petyr Baelish si piazzò davanti a Thoros e sorrise consapevole. Si era fatto scoprire? Era quasi irriconoscibile, era impossibile.

Squadrò entrambi per quello che sembrava un tempo infinito, e Thoros iniziò a sentire la mano stretta in quella di Arya completamente sudaticcia.

-M'lord..?- tentò. Ditocorto sorrise, forse anche peggio di prima.

-Qual è il tuo nome, carota?-

Qualche soldato in ascolto rise. Thoros si sentì bruciare dentro ricordando quel nomignolo che gli davano anche al tempio rosso di Myr, tirandogli i capelli e una volta lanciandogli persino un pomodoro. Tentò comunque di sorridere. -Il mio?-

Baelish annuì sicuro.

-Dennis, m'lord. E questo è mio figlio Wes, m'lord. Ho altri figli che…-

Petyr scosse quasi infastidito una mano. -Va bene, va bene. Ti piace giocare o non lo sai davvero?-

Thoros piegò un po’ la testa di lato. Era un attore nato, si sentiva davvero un contadinotto spaventato da un grande lord. -Cosa?-

Il Lord afferrò il braccio magro di Arya e lei scoppiò quasi a piangere, brava a mentire tanto quanto Thoros. -No!- gracchiò, forse impaurita davvero, stringendogli la mano con tutta la sua forza. -Padre!!!-

Thoros entrò nel panico e lasciò trasparire quel panico sul suo viso, mentre stringeva la mano della bambina. -La prego m'lord…No..!-

-Arya Stark. Io ti conosco.-

Arya si bloccò e boccheggiò e sembrò un pesce fuori d'acqua con un amo in bocca. Negó e si voltò verso Thoros e sembrò dover mettersi a gridare, ma lui cercò comunque di reagire. -M'lord questo è mio figlio Wes… io non so…-

Le guardie li accerchiarono e Arya si divincolò dalla stretta di Baelish solo per fiondarsi tra le braccia di Thoros, che la strinse con tutte le sue forze. -Lasciaci stare- sussurrò lui.

Lo avrebbero ucciso e avrebbero portato via Arya, facendola sposare a chissà chi, facendole chissà cosa. Beric sarebbe rimasto da solo e Ned avrebbe dovuto vederlo morire ancora, Ned sarebbe rimasto perso, sperduto in un mondo crudele.

Strinse le mani sulle spalle di Arya mentre Ditocorto si inginocchiava davanti a lei, faccia a faccia.

-Sei cambiato davvero in questi anni, Thoros. Sembri dieci anni più vecchio.-

Thoros si lasciò scappare una risata anche se avrebbe voluto piangere. -Sono cambiato davvero.-

-Mia lady- salutò Baelish, mentre Arya affondava il viso nella casacca di Thoros. L'uomo dai capelli rossi le accarezzò i corti capelli, tentando di calmarla e farla ragionare. Sii furba, ascolta, impara e agisci di conseguenza. L'aveva ripetuto chissà quante volte a lei, a Beric e anche a Ned, ma nessuno sembrava voler imparare.

-Posso portarti da tua zia lady Lysa. Non vuoi venire con me, dalla tua famiglia, al sicuro?-

Lo sguardo di Arya si fece più attento, ma negó ancora una volta, voltandosi e stringendosi al corpo rigido di Thoros, che al momento aveva una daga puntata al collo e nessuna voglia di scherzare.

Il sorriso di Petyr si incrinò. -Ti hanno rapita?-

La bambina negó senza voltarsi.

-Non vuoi rivedere tua sorella Sansa?-

Questo fece scatenare qualcosa in Arya. Si voltò verso Ditocorto, che stava parlottando con una guardia dall'elmo così basso da coprirgli gli occhi.

-Sansa è morta.-

Ditocorto non sembrò interessarsi alle sue parole. Sparí nella folla che li accerchiava e tornó con una ragazza, alta e dallo sguardo triste, sottobraccio.

Thoros non l’aveva riconosciuta, non avrebbe potuto, ma Arya sì. Sentì le sue mani staccarsi dalla sua casacca e, con passi incerti, si avvicinò a quella ragazza che si era già messa a piangere. -Sansa.. Sansa!- gridò, correndole contro. Sansa la strinse tra le braccia e gridò dal pianto contro i capelli sporchi e corti della più piccola.

Una guardia prese Sansa per un braccio e un’altra, più grossa e aggressiva, fermò Arya per le spalle e la tirò con forza.

Arya scalciò e quasi sparì dietro a quella guardia, con solo un elmo sulla testa e con una semplice casacca di cuoio a coprirlo.

Mentre Thoros veniva trascinato sul retro della locanda per finire il lavoro e non lasciare superstiti.

-Petyr- gridò Thoros, mentre una guardia già sguainava la spada. -sei stato davvero per tanto tempo a Approdo del Re, vero?-

Ditocorto, a pochi metri da lui, lo squadrò male. In che senso?

Thoros sorrise, troppo vicino a una torcia appoggiata al muro. -Non hai sentito niente riguardo la Fratellanza e le loro spade di fuoco?-

Il silenzio crollò. Era troppo tardi.

-Vai, Arya!- gridò Thoros, mentre afferrava velocemente la torcia al muro. Una guardia dallo spadone già sfoderato decise di piantarglielo nel fianco, ma la fiamma si propagò presto per la lama e raggiunse le sue braccia e il suo viso in pochi istanti.

Entrambe le guardie al suo fianco crollarono a terra divorate dal fuoco mentre Thoros impugnava la spada coperta del proprio sangue, e un istante dopo coperta di fuoco. Le altre due guardie che gli si scagliarono contro furono tagliati e bruciati, e fortunatamente il prete era abbastanza ubriaco da poter sopportare il dolore lancinante al fianco sinistro.

Fissò la spada che aveva rubato a quel soldato: una coltella a due mani dalla lama lunga e micidiale, quasi perfetta tra le sue mani, e di una fattura troppo raffinata per un soldato semplice. Quello che aveva bruciato vivo era probabilmente un nobile, un quarto o quinto figlio di qualche casata minore della valle.

Arya, nel frattempo, al segnale del prete tirò fuori il coltellino che le aveva donato e lo conficcò nel basso ventre della guardia che aveva avuto la sfortuna di averla vicino. Questi si abbassò, contorto dal dolore, e fu sufficiente per Arya per piantargli il coltello nel petto, finendolo.

Finì a terra rantolante, mentre il soldato che teneva la sorella indietreggiava terrorizzato.

Fu l’occasione per Arya di afferrare a sua volta Sansa per mano e tirarla con sé. -Andiamo, andiamo assieme!-

Sansa aveva ancora le lacrime agli occhi, ma non disse nulla. Strinse la mano sanguinolenta della sorella e corse tra i soldati nel panico che schizzavano da una parte all’altra. Nella confusione, Ditocorto riuscì ad afferrare Sansa per una ciocca di capelli.

Sansa gridò, lo colpì in pieno viso con una gomitata accidentale e quasi cadde in avanti quando l’uomo perse la presa sui suoi capelli, con una scarsa ciocca ancora incastrata tra le sue dita.

Le sorelle corsero verso la porta in legno che ormai stava andando a fuoco. Thoros le stava aspettando.

Arya gli si lanciò addosso e lui tirò entrambe fuori dalla sala, dove ormai erano arrivati anche i proprietari della locanda e gli altri ospiti che soggiornavano lì.

Accompagnò entrambe le ragazzine alle stalle, dove Ned e Beric già erano montati sul loro cavallo.

Sollevò prima Sansa e poi Arya di peso sulla sella del grosso cavallo che aveva scelto per quel viaggio e poi salì a sua volta, gridando dal dolore quando il profondo taglio sul suo fianco si fece sentire di nuovo, colando ormai fiotti di sangue sulla sua coscia e sul fianco del povero cavallo che spronò ad andare più veloce che poteva.

-Via, via!- gridò con una voce che nemmeno lui riconobbe, stravolto dal fiatone, dal dolore e dalla paura. Beric si strinse confuso a Ned, che seguì col terrore negli occhi le orme di Thoros.

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 - Mia lady ***


Il prete rosso dormiva tranquillo, steso su un giaciglio di fortuna in mezzo al bosco. Sotto la sua schiena un vecchio mantello rosato lacero, e la testa appoggiata sulle cosce scarne del Lord di Blackhaven e bende strette al suo fianco ancora sanguinolento e gonfio.

Quello era il Thoros di Myr che aveva preso in giro e ridacchiato alla vista al torneo  che non era stato nemmeno due anni prima. Quell’uomo avanti con l’età, alto e gonfio, quasi ciondolante e dalla folta barba rossiccia e la testa rasata come un velo arancione a coprirgli la testa grossa e pelata. Ora era dimagrito, quasi sciupato anche se le sue spalle erano rimaste larghe e il viso squadrato, con un cespuglio ramato sulla testa e diverse cicatrici che non ricordava prima. L’aveva trascinata lontana da Ditocorto poche ore prima, assieme a sua sorella Arya che era la stessa e allo stesso tempo era diversa, come tutti lì in mezzo. Come Lord Dondarrion, che la stava osservando da tutta notte senza dire una parola, mentre lentamente, con le sue dita ossute, accarezzava i capelli rossi del suo prete.

Jeyne si era infatuata del giovane lord delle Marche Dorniane al torneo. Era giovane, bello e forte, e ora quello che Sansa si trovava davanti era uno scheletro ricoperto da pelle pallida, sottile e tirata.

Sansa non osò alzare lo sguardo sul suo. Se lord Beric era stato bello, quello che ne rimaneva ora…

-Hai paura di me?-

La sua voce era grave e profonda come era sempre stata, ma nel suo tono ora c’era un eco diverso. Sansa non voleva alzare la testa.

Il Mastino aveva metà viso sfigurato dal fuoco e dalla pazzia di suo fratello, Gregor Clegane, e ogni volta che pensava a come l’aveva trattato, come si era rifiutata di guardarlo negli occhi si sentiva in colpa, come un pugno nello stomaco, pensiero dopo pensiero.

Così alzò lo sguardo, fissando l’orbita vuota e l’occhio profondo di Beric Dondarrion come aveva guardato la testa di suo padre sulla picca e Joffrey e ser Dontos che era stato tanto gentile a portarla via da quell’inferno che era la Fortezza Rossa.

Sul viso di Beric c’era la morte nello stesso modo in cui c’era su quelle persone, ma a differenza loro, lui era lì ad osservarla e a parlarle.

Se Sansa aveva paura di lui? Di un gracile spaventapassero, di un ricordo pallido di un bel lord?

Negò. Non aveva paura. Non aveva più paura della morte.

Beric annuì, quasi deluso dalla risposta. -Arya mi ha detto che eri rimasta coi Lannister ad Approdo del Re. Come hai fatto ad arrivare qui, nelle terre della… del...?-

-Corona- sussurrò. Il Lord sembrava dimenticarsi molte parole.

Sansa si strinse le mani in grembo, senza riuscire a rispondere. Non subito.

Quando chiudeva gli occhi vedeva ancora ser Dontos morirle ai piedi…

-Un cavaliere mi ha fatta scappare dalla Fortezza, dopo la morte di re Joffrey. Il piano era scappare attraverso il Bosco del Re. Poi lord Petyr Baelish lo stava aspettando fuori dalle mura della città, nel bosco, con tutte quelle guardie. Loro lo hanno…-

Beric annuì, chiudendo il suo unico occhio. Poteva vedere che era ancora sveglio, vivo, solo dal movimento delicato della sua mano sulla fronte bollente e madida di sudore freddo del prete sul suo grembo e il suo petto alzarsi e abbassarsi piano, appena, come se non avesse davvero bisogno di respirare.

-Hai visto tanto- sussurrò lui, non aprendo l’occhio. -hai visto troppo. I tempi sono bui, mia lady, e la morte è con noi. Ma ti prometto che ti condurremo in salvo, come ho promesso alla Lady tua madre. Non permetterò né a te, né ad Arya che succeda più nulla di male, l’ho giurato.-

Aprì l’occhio e solo allora Sansa realizzò che erano gli unici due svegli. Ned era al suo fianco, appallottolato al fianco del suo lord, mentre Arya era coricata a terra, con la testa sull’addome di Thoros e le gambe a scalciare ogni tanto quelle di Sansa.

-La lady mia madre..?-

-Dormi, mia lady. Dormi da nobile finchè puoi. Domani avrai tutte le tue spiegazioni.-

Le parole di Beric erano enigmatiche, anche più di quelle di Ditocorto che l’aveva trascinata per mezza Westeros dopo aver sgozzato ser Dontos che era stato tanto gentile da accompagnarla fuori da quell’inferno che era Approdo del Re..

I boschi erano bui e spaventosi e Sansa aveva già dormito sotto le stelle, durante quel viaggio che le aveva imposto Ditocorto verso la valle di Arryn.

Gli uomini di Baelish montavano sempre delle tende, e Sansa era obbligata a dormire nella stessa tenda del lord. Sentiva il suo sguardo nella notte, ma non poteva fare altro che dormire, o cercare di farlo. Si sentiva impotente tanto quanto nella Fortezza Rossa.

Prima di dormire, si voltò ad osservare l’uomo che faceva da vedetta per tutti loro quella notte, lord Beric.

Lui non sembrava minimamente interessato ad osservarla dormire, e invece era intento ad accarezzare con delicatezza la guancia del suo prete rosso. Nella luce del vago fuocherello che avevano acceso per quella nottata, il suo unico occhio brillava con convinzione e amore.

Quando si accorse di essere osservato si fermò e si voltò verso Sansa con un misto di stupore e vergogna.

-Ti reca fastidio, mia lady?-

Sansa capì all’istante cosa intendeva dire il Lord della Folgore. Dopo quello che sembrava troppo tempo sorrise, premendo il viso sul cuscino di fortuna che si era creata con un mantello vecchio e lacero.

Da quando era diventata donna e il suo seno era cresciuto e le sue forme erano sempre più evidenti, gli uomini non avevano mai smesso di guardarla in quel modo strano e disgustoso che Sansa disprezzava, e non si sentiva mai al sicuro.

In mezzo a loro, in quella compagnia, non aveva nulla da temere. Ne era più che felice.

Un ululato spezzò il silenzio della notte, e Arya scalciò ancora, un sorrisetto sul viso.

Arya era un lupo. Sansa era un lupo. Non dovevano temere nulla, lì in mezzo.

Negò e chiuse gli occhi con un sorriso, e l’ultima cosa che vide prima di addormentarsi fu sua sorella tranquilla al suo fianco, sana e salva, e un giovane lord gentile e innamorato. Sansa fece bei sogni, dopo troppi anni di incubi.

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 - Mani ***


Thoros era febbricitante ma ancora lucido. Probabilmente era per il fatto che, essendo sempre ubriaco, non era mai totalmente lucido, e con la febbre non era lucido allo stesso modo, e dunque…

-Mi stai solo confondendo di più, cazzo- sussurrò Thoros, tenendosi la fronte come se dovesse cadergli giù la testa se avesse tolto la mano. Beric si zittì quasi offeso. Il suo ragionamento filava.

Il prete rosso allungò una mano verso Ned, o almeno tentò di farlo. -Ned, da bravo, tagliale i capelli. Ho… le polveri coloranti nella borsa. Devi solo metterci dell’acqua e sai… sai quello che devi fare.-

Edric Dayne, che tutti chiamavano Ned, arrossì e annuì.

Edric Dayne, Lord di Starfall di Dorne, l’unico figlio del vecchio lord Ardrian Dayne, nipote dei famosi Arthur e Ashara.

Sansa notò che arrossiva spesso.

Aveva dormito bene, ma non si era svegliata nel migliore dei modi. Delle grida in una lingua che non conosceva la fecero sobbalzare sul giaciglio scomodo su cui si era addormentata, e quasi saltò in piedi, inciampando e rischiando di cadere a terra.

La lingua sconosciuta era un dialetto di Valyriano che non aveva mai sentito e le grida erano di Thoros, appoggiato a un albero mentre Ned affondava un ago nella sua carne viva e rossa. La ferita nella notte non aveva fatto altro che peggiorare e ora era violacea e piena di pus e sangue, e il povero Edric aveva dovuto ricucire i punti che si erano aperti e avevano strappato la carne del prete.

Beric e Arya stavano facendo colazione tranquilli attorno al fuocherello della notte precedente.

-Non ti abbiamo svegliata perchè sembravi dormire così bene…- disse con tranquillità lord Beric, mangiucchiando senza troppa voglia un tozzo di pane vecchio, senza badare alle grida su cui parlava. Anche Arya sembrava tranquilla.

-Ser Thoros starà bene?- cercò di essere forte Sansa, inginocchiandosi al loro fianco. Arya si intromise e quasi saltò verso di lei, rischiando di cadere nel fuoco.

-Sai che il Mastino una volta ha sbudellato Beric? Io volevo che vincesse Beric. Il mastino doveva crepare.-

Il Mastino?

Sansa boccheggiò per un istante, ma quando cercò di parlare Beric sovrastò anche le sue parole e non solo le grida di Thoros. -E la Montagna mi ha ficcato un coltello nell’occhio e ha rigirato. Ho sentito la lama nella testa, dentro.-

Arya annuì quasi divertita e strappò un pezzo di pane coi denti, come un lupo che sbrana una pecora. -Io ho sognato che ero Nymeria e mi mangiavo la gente.-

Beric si voltò verso di lei stupito. -Questo non me l’avevi mai detto.-

Arya alzò le spalle, con un sorrisetto sulle labbra.

Quella Arya non era l’Arya che conosceva. La mano che l’aveva portata in salvo era ricoperta di sangue, e di quel sangue non le era importato nulla. Aveva accoltellato una persona come se niente fosse. Sansa rabbrividì.

-Sai che Beric impicca la gente?- continuò Arya, come se fosse qualcosa di positivo. Anche il ragazzo sorrise, annuendo. -Lo faccio per la giustizia e il volere del Dio, non per divertimento. Uno dei gutti l’abbiamo anche bruciato vivo, una volta. R’hllor ci ha ascoltati, e il giorno dopo una carovana Lannister che si stava dirigendo alla Zanna Dorata si è fermata nelle nostre zone. Li abbiamo impiccati e abbiamo preso tutte le loro scorte. C’erano spade nuove e cibo per settimane.-

-Forse dovremmo bruciare qualcuno anche adesso.- ammise Arya, con una semplicità disarmante.

Sansa sgranò gli occhi. Fece ancora per dire qualcosa. Si trattenne quando vide il lord annuire.

-Forse dovremmo.-

Sansa ricordò gli occhi ribaltati all’indietro di Joffrey mentre con le unghie cercava di aprirsi un varco nella sua gola serrata. La testa ricoperta di pece della sua gentile septa e di suo padre. Il corpo gonfio di ser Dontos buttato in un fosso come una carcassa di animale, nudo e sanguinolento. Gli uomini e donne e ragazzi e ragazze che venivano trascinati sotto da mani fameliche, che venivano scaraventati a terra dai loro cavalli e sovrastati da una marea di persone affamate come cani randagi…

-Milady- sussurrò una voce alle sue spalle. Edric si stava coprendo le mani ricoperte di sangue, il suo viso cereo e tremante sotto la pesante cappa che portava sempre. -Milady, stai bene? Sei così pallida…-

Sansa era sbiancata quasi quanto Edric, ma si promurò di sorridere e annuire. Ned non parve convinto, ma la lasciò fare, con altrettanta gentilezza e educazione. Sansa non aveva voglia di spiegare nulla.

Si lavò le mani con foga con uno straccio e una borraccia d’acqua mezza vuota, finchè le mani non diventarono rosse per lo sfregamento. Soddisfatto, si avvicinò di nuovo a Sansa, porgendole la mano.

-Devo.. tagliarti i capelli e…-

Non riuscì a finire la frase. Abbassò lo sguardo quando Sansa prese la sua mano per aiutarsi a sollevarsi. -Puoi chiamarmi Sansa.- disse lei. Lui mantenne lo sguardo basso e annuì.

Erano alti quasi uguali, forse Edric appena di più. Doveva avere uno o due anni in meno di Sansa stessa, ma era talmente timido da risultare ancora più giovane.

Sansa strinse la sua mano come se fosse l’unico appiglio durante una tempesta.

Si sedette su una grossa radice mentre Edric preparava gli strumenti come un coltellino e quell’impasto strano che avrebbe schiarito i suoi capelli che erano già tornati al loro rosso naturale, al rosso Tully di sua madre e dei suoi fratelli morti, tutti morti…

Sentì le mani tremanti e delicate di Ned tra i suoi capelli.

-Hai.... hai dei bellissimi capelli, mia lad.. Sansa.- sussurrò lui, e Sansa poteva giurare che fosse diventato violaceo in viso dall’imbarazzo. -Sei sicura di...-?-

I suoi capelli erano ciò che le era rimasto della sua famiglia. Dopo le Nozze Rosse, dopo l’assedio di Grande Inverno, dopo lo sterminio della sua famiglia…

-Tagliali.- disse Sansa con decisione. -I capelli ricrescono.-

Sopravvivere era più importante.

Robb avrebbe voluto questo. Sua madre avrebbe voluto questo, suo padre, septa Mordane lo avrebbero voluto. Loro avrebbero voluto vederla combattere e sopravvivere, contro ogni nemico e contro ogni previsione.

Il rumore della lama che recideva i suoi capelli, poco sopra le sue spalle, non le diede dolore ma speranza.

L'impasto schiarì i suoi capelli quanto bastava per farli sembrare di una tonalità più simile a quelli che, nella finzione, dovevano essere suo padre Dennis e suo fratello maggiore Simon.

Ned si sedette al suo fianco sulla radice una volta finito, sorridente ma non tranquillo, mai tranquillo.

-Beric ti ha chiesto se ti fa paura?-

Sansa annuì e lui sorrise ancora di più, abbassando ancora lo sguardo. -Lo chiede sempre a tutti, credo che ormai lo faccia divertire vedere le persone spaventate da lui.-

Sansa non rispose. Il Lord della Folgore era sicuramente una persona diversa da quella che aveva incontrato al torneo.

-Le voci che circolavano… che lui fosse morto. Erano vere?-

Si aspettava una risposta di scherno, ma se è lì davanti a te a mangiare come può essere morto?, ma la risposta fu ben diversa.

-Sei volte, milady. Oh, Sansa. Perdonami.-

Sansa rimase a guardare Beric, che aveva illustrato ad Arya come affilare la spada che Thoros aveva rubato al soldato della Valle e poi si era inginocchiato al fianco del prete rosso, addormentato sul giaciglio di fortuna che gli avevano costruito. Stringeva la sua mano con delicatezza, intrecciando con calma le dita alle sue.

-E Thoros?- si lasciò scappare Sansa.

Ned impiegò a rispondere. -Lui l'ha riportato in vita. Sei volte. Con un…-

Sansa si voltò a guardare Edric nei suoi occhi scuri e profondi blu-viola. Un incantesimo? Un sacrificio? Un…

-...un bacio, milady. Volevo dire Sansa.-

Era diventato paonazzo in viso. -Beric era promesso sposo di mia zia Allyria, ma non credo sia più interessato a sposarla.-

Arya nel frattempo si era avvicinata al giaciglio dove riposava Thoros, sedendosi al fianco di Beric e continuando a parlottare. Sansa non poteva vederli in viso perché erano girati di schiena rispetto alla sua posizione.

-Beric ieri notte mi ha parlato della lady mia madre. Cosa le è successo?-

-Un...miracolo, non saprei come altro definirlo. Lei è tornata in vita.-

Ned cercò di allungare una mano verso quella di Sansa che era sbiancata di nuovo come un lenzuolo pulito. Ricordava come Joffrey parlava nelle Nozze Rosse. Cercò di prendere la sua mano, ma desistette.

Fu Sansa stessa a prendere la mano di Edric e stringerla nella propria, come unico conforto. -....parlamene.-

Ned non strinse la sua mano subito, ma pian piano sentì le sue dita serrarsi gentilmente sul suo dorso, dita dure e callose di chi sapeva tenere una spada e sapeva usarla bene, ma gentili e timide e quasi spaventate dallo stringere troppo.

-Beric… ha trovato tua madre nel fiume. Me lo ricordo. Era stata… al collo, lei, dai Frey…-

Ned era tanto gentile e premuroso ma Sansa sapeva che sua madre era stata sgozzata. Lo ringraziò mentalmente di non aver però detto nulla.

-Beric ne è rimasto scosso perché aveva promesso a Ned Stark di tornare vittorioso e ad Arya di riportarla da sua madre, e ha dato a tua madre metà della sua forza vitale. Lei si è rialzata, e…. Poi hanno deciso che avrebbero portato Arya al sicuro, al castello del mio lord.-

-Blackhaven.- sussurrò Sansa. I ricordi di septa Mordane che le insegnava tutti i castelli delle casate di Westeros la colpirono dolorosamente come uno schiaffo di Joffrey. Blackhaven, il castello dei Dondarrion nelle Marche Dorniane, la regione più a sud delle Terre della Tempesta.

-Il viaggio è lungo.- sussurrò Sansa. Ned al suo fianco fece un'espressione simile alla sua. -Sì ma… prometto che non ti succederà nulla.-

La ragazza si voltò a guardarlo, e lui arrossì di nuovo. -Sarai tu a proteggermi, mio Lord?-

Edric avvampò in modo atroce, ma strinse la mano di Sansa e annuì con convinzione. -Ti proteggerò a ogni costo.-

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 - il Fuoco e le Persone ***


Thoros era arrivato a fatica nella locanda nelle Terre della Corona in cui avevano deciso di fermarsi per la notte. Il locandiere aveva avuto talmente tanta pietà per loro che aveva concesso una bella camera a un prezzo abbastanza basso.

Il prete non riusciva nemmeno a reggersi in piedi, e a turni Ned e Sansa, gli unici abbastanza grandi (al contrario di Arya) e forti (al contrario di Beric), l'avevano tenuto sollevato e accompagnato verso il letto, dove cadde in avanti, faccia in giù sulle lenzuola vecchie e ingiallite.

-Stanno dando la cena, meglio scendere e mangiare- fece Ned, sfilandosi di dosso i pesanti borsoni che aveva portato. Arya annuì convinta e Beric non rispose. Si sfilò la benda dagli occhi e accarezzò la nuca di Thoros, ancora immobile. -Ti portiamo qualcosa. Magari una zuppa calda.-

Thoros negó, tentando di aggiustarsi e mettersi più comodo sul giaciglio. Non rispose e rimase con gli occhi lucidi chiusi, anche se Sansa poteva vedere le lacrime della febbre tra le sue ciglia rosse.

-Nemmeno io ho molta fame.- disse Sansa a sua volta, sedendosi sul bordo dello stesso, unico letto della camera. -Voi andate e mangiate pure. Rimarrò qui a controllarlo.-

-Ned- tentò di parlare Thoros, ma la sua voce risultò solo un lamento basso e sconclusionato. -Ned, da bravo, controlla quei due. Arya e Beric. Non fidarti, sono stupidi entrambi.-

Sansa sorrise al pensiero che si preoccupasse tanto per loro anche in un momento di dolore come quello.

Arya e Beric contrassero il viso in una smorfia di offesa nello stesso istante, ma se Arya si sbrigò ad uscire dalla camera, Beric rimase per ancora qualche istante.

Si piegò sul letto e diede un lieve, appena accennato bacio sulla guancia al prete. -Guarisci, invece di fare il simpaticone.-

Prima di aggiustarsi le bende sugli occhi guardò Sansa e sorrise, prese il suo bastone e seguì Edric ed Arya, che lo aspettavano sulla soglia della porta.

Sansa non era mai rimasta da sola con Thoros.

L’aveva visto al torneo, il primo torneo, quello vero, quello per suo padre Eddard. Thoros era grasso e rideva sempre ed era sempre ubriaco, quasi scortese nella sua esagerata e finta cortesia, e sempre vestito male, di rosso e arancione e sembrava un grosso tizzone ardente a ogni suo ciondolante passo. Lo ricordava allungare le mani sulle servette ridenti, bere troppo, pisciare completamente ubriaco nel giardino della fortezza davanti a tutti.

Quell’uomo invece…

Quando alzò lo sguardo dal punto in cui si era fissata, persa nei ricordi, vide lo sguardo del prete su di lei.

Sorrise appena, mostrando i denti storti. Aveva un sorrisaccio e i denti storti anche allora. -Ti ricordi di me, principessina?-

La sua voce era rauca e ora era confusa e rallentata dalla febbre. Sansa annuì, e sviò lo sguardo. -Rircordo di aver riso di te, allora. Forse dovresti ridere tu di me, ora.-

-Ridere di te? E perchè dovrei?-

Sansa sentì gli occhi riempirsi di lacrime. -Ero una bambina stupida.-

Non voleva un altro nemico. Non dopo che lui l’aveva portata via dalla carovana di assassini che la stavano conducendo dalla zia che non aveva mai conosciuto, dopo che tutta la sua famiglia era stata sterminata.

-No, Sansa- sussurrò Thoros, cercando la sua mano. Sansa si ritrasse quasi subito, ma capì che le sue intenzioni non erano cattive, e decise di appoggiare la mano sulla sua. Lui la strinse nella propria. Era bollente, sudaticcia e callosa. -No… eri solo una bambina. Eri una bambina, e ti hanno chiusa là dentro. Eri piccola ed eri sola. Sei stata brava.-

Sansa annuì, e sapeva che le sue parole erano vere, ma non riusciva ad accettarle.

Dopo una pausa che sembrava eterna, il prete riprese a parlare. Si premette un avambraccio sugli occhi stanchi, e continuò a parlarle, anche se evidentemente gli costava davvero troppe energie. -Ero anch’io prigioniero nella Fortezza Rossa. Erano tempi diversi, ma…-

Sansa si voltò a guardarlo, confusa. Prigioniero nella Fortezza Rossa?

L’uomo sorrise, ancora quel sorrisaccio tirato e tutto storto. -Arya dice che non sei scappata. Non tutti possono. Delle volte devi solo stare lì e annuire e sperare che non ti brucino vivo.-

-Cosa ti è successo?- sussurrò Sansa. Thoros sospirò pesantemente, sentì la sua mano rabbrividire e non seppe se era per la febbre o per i ricordi.

-Mi spiace per quello che hai passato, eri una bambina.. sei una bambina.- disse ancora. Forse non l’aveva sentita. Forse stava peggio.

Si alzò e prese un vecchio straccio che Beric poco prima aveva imbevuto d’acqua e lasciato raffreddare sulla finestra. Cambiò con delicatezza lo straccio sulla fronte dell’uomo e prese quello che aveva prima, caldissimo e zuppo di sudore.

Fece per andarsene ma la mano di Thoros afferrò il suo polso e la tirò a sé, e la prima reazione di Sansa fu irrigidirsi e bloccarsi sul posto.

Rabbrividì sotto la sua presa.

Lui aprì appena gli occhi, in un brutto contrasto tra il rosso dei suoi capelli e del suo viso surriscaldato e l’azzurro dei suoi occhi, e tentò di sorridere di nuovo. -Sei tanto gentile, Sansa. Anche dopo le brutte cose che ti hanno fatto. Il tuo cuore è buono e gentile.-

Lasciò finalmente andare il suo polso e si accorse di aver pensato troppo male di lui.

Ripeté l’operazione di bagnare lo straccio con l’acqua nel catino che un servo aveva portato ore prima e lasciarlo raffreddare sul davanzale della finestra, e tornò vicina al prete. Sembrava dormire, ma sotto le palpebre violacee vedeva i suoi occhi schizzare da una parte all’altra.

Si sedette al suo fianco sul letto.

-Puoi raccontarmi della tua permanenza nella Fortezza Rossa?-

Come aveva previsto, Thoros era sveglio. Aprì appena un occhio e stavolta non sorrise.

-Per quale motivo?-

Sansa deglutì e tutto ad un tratto sentì la gola arida come i deserti di Dorne. Per non sentirmi una bambina stupida e incapace di scappare o opporsi al suo destino. Arya è stata capace di scappare, di combattere, e io sono rimasta là a farmi picchiare, farmi sposare alla famiglia le cui mani erano sporche del sangue di mio fratello e mia madre. Per non sentirmi stupida e sola.

Invece negò e basta, tentando di sorridere. -Così. Se ti compiace sarò lieta di sentirlo.-

Thoros continuò a non sorridere, e quando non sorrideva era peggio di quando sorrideva.

Sospirò e appoggiò pesantemente la testa al cuscino, tornando a sfregarsi un braccio sugli occhi. -Sono un prete rosso, piccola principessa. Sono stato cresciuto al Tempio Rosso di Myr da quando ho memoria, e mi hanno insegnato a leggere il fuoco tanto quanto le persone.-

Aveva capito qualcosa? Aveva letto qualcosa nei suoi occhi?

-Sono stato mandato da Myr ad Approdo del Re nel.. L’anno in cui è nato Beric.-

Nove anni prima della nascita di Sansa. Beric durante il torneo aveva ventun’anni, e ora doveva averne ventitré. Sansa allora ne aveva dodici, e ora ne aveva quasi quattordici.

-Mi hanno mandato perchè sapevo fare i trucchetti col fuoco e perchè non mi sopportavano più al tempio. Al re folle di Westeros piaceva il fuoco, e hanno pensato, perchè no? Perchè non mandare a morire quel peso di Thoros?-

Thoros sorrideva ma non era felice. Ancora non poteva vedere i suoi occhi.

-Ad Aerys i myresi non piacevano ma il fuoco gli piaceva fin troppo, e allora mi ha chiuso dentro quella fortezza. Non sono potuto né uscire né andarmene da lì fino alla fine della guerra.-

-La guerra è finita nel duecentottantatré- sussurrò Sansa, tra sé e sé. Thoros, se sentì, non rispose.

-Sei anni-

-Già.-

Ancora silenzio.

-Ho visto tuo nonno e tuo zio morire.- continuò Thoros, premendosi il braccio sul viso con ancora più forza. -Li ho visti morire.-

Delle scuse non dette aleggiarono nell’aria della camera. Sansa decise di allungare di nuovo la sua mano verso quella grossa e pallida e tremante di Thoros, e di stringerla tra le proprie, in silenzio.

-Non ti faranno più niente- sussurrò Thoros. Ti hanno fatto del male, ma non te ne faranno più. Anche Ned gliel’aveva promesso.

-Ti ringrazio.-

Dopo aver cambiato ancora la pezza sulla sua fronte, Sansa decise di riposarsi sul letto. Non aveva mai cavalcato così a lungo come in quei giorni, e finalmente erano arrivati in una taverna, e se Sansa aveva imparato a non fidarsi di nessuno, era talmente stanca, mentalmente e fisicamente, da lasciarsi cadere sul letto a fianco di un uomo adulto semi sconosciuto.

-Thoros?- mormorò Sansa contro il proprio cuscino. L’uomo grugnì qualcosa dall’altro capo del grosso letto.

-Mi puoi… potresti insegnarmi a leggere il fuoco e le persone?-

-Non posso insegnarti a leggere nel fuoco, bambina- sussurrò la voce cantilenante di Thoros alle sue spalle, lontana e flebile ma sicura e gentile. -ma sarà un piacere insegnarti a leggere nelle persone.-

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 - Ago ***


Arya si rovesciò il bicchiere d’acqua addosso per quanto le mani le tremavano dalla rabbia, dall’odio, dall’impotenza.

Gli uomini della Montagna.

-Arry…- sussurrò Ned ignaro, cercando di asciugarla con una pezza. Lei scacciò la sua mano e fece per alzarsi e correre incontro a quegli uomini e accoltellarli e ucciderli e

Beric strinse forte, troppo forte il suo polso e la constrinse a stare seduta. Erano solo tre fratelli che scappavano dalla guerra col loro padre e avevano trovato rifugio in una locanda, non lord di terre lontane e principesse e preti rossi.

-Chi è?- sussurrò con calma Beric, continuando a tenerla ferma.

Calma. Doveva rimanere calma.

Arya strinse gli occhi e respirò ed espirò profondamente dal naso.

-Sono quelli che mi hanno catturata e portata ad Harrenhal e mi hanno rubato Ago- iniziò, con le mani talmente tremanti da non poter tenere nulla in mano senza farlo cadere. Beric a fatica raggiunse una mano stringendola nella propria, rigida e fredda come quella di un cadavere.

-Polliver è quello alto e calvo. Polliver mi ha rubato Ago, Ago era la mia spada, e poi…-

-Calma.- ripeté Beric. La sua mano era rigida ma gentile. Beric era stato ucciso più volte dagli uomini della Montagna e da Gregor stesso eppure era lì, fermo e calmo.

Arya rimase a guardarlo per un po’, mentre mandava giù a forza qualche cucchiaiata di brodo annacquato. Voleva essere fredda come lui…

-L’altro è messer Sottile. Lui chiedeva di te.-

-Di me?- chiese, come se fosse stupito. Non lo era, poteva leggerlo sul suo viso mezzo coperto. Chissà quante persone aveva visto morire per colpa sua…

-Chiedeva dove ti trovassi e dove tenessi l’oro. Lui ha…-

Ned smise di mangiare. Il suo sguardo era vitreo e vuoto, perso su nessun punto preciso, ma Beric era ancora lì, fermo e rigido, in attesa.

Arya non sapeva se voleva davvero ricordare quello che aveva visto, quello che messer Sottile aveva fatto a tutti quegli uomini e donne e bambini…

-...ha torturato tanta gente. Tanta gente.-

-E tu l’hai visto?-

Arya annuì, ma il ragazzo dai capelli rossi non la vedeva. Allora disse di sì, che lei aveva visto tutto. Che lei aveva visto i metodi con cui chiedeva la domanda, la stessa domanda ripetuta cinquanta, cento, mille volte. Dov'è nascosto l'oro del villaggio? C'è argento, ci sono gemme? C'è altro cibo? Dov'è lord Beric Dondarrion? Chi nel villaggio l'ha aiutato? Quando è andato via? Che direzione ha preso? Quanti…. i ricordi iniziavano a sbiadirsi nella sua mente. Non ricordava tutta quella filastrocca macabra, ma fu sufficiente.

Beric era lì, sempre meno Simon e sempre più Lord della Folgore, una mano stretta attorno alla sua, sempre più forte e convinta, sempre più viva. -Va bene.- sussurrò.  -Finiamo di mangiare e andiamo a dormire.-

-------------------------

Arya non era riuscita ad addormentarsi bene e si aggrappò alla schiena della sorella con tanta forza che sembrò quasi strapparle il vestito di dosso. Quando erano rientrati in camera, Thoros e Sansa erano bellamente appisolati l’uno accanto all’altra, e Thoros sembrava quasi sorridere sereno. Difficile da dire sotto quella brutta barba arancione.

Ned lo guardò male prima di addormentarsi al fianco di Thoros, perchè Edric lo conosceva da prima di quanto Beric potesse ricordare. Quando l’aveva preso come scudiero? In che anno? Per quale occasione? Erano domande a cui Beric non riusciva a darsi una risposta.

-Dormi, Ned.- disse Beric, frugando in uno dei loro borsoni.

Sapeva che Edric avrebbe voluto chiedere cosa stava cercando, perchè non stava dormendo, e dove volesse andare, ma non l’avrebbe mai fatto. Si addormentò come Beric gli aveva consigliato, finchè il silenzio non calò sovrano sulla camera.

Gli unici rumori provenivano dal piano di sotto.

Gli uomini della Montagna.

Uno di loro aveva dovuto causargli una delle sue morti, o una delle morti di qualche suo compagno che nemmeno ricordava più. Il fuoco stava consumando la sua mente, morte dopo morte, vita dopo vita. Come ormai i ricordi del suo castello - ho mai avuto un castello? - si erano fatti tanto sbiaditi da essere irriconoscibili, così stavano facendo quelli del suo periodo nella Fratellanza. Gli unici ricordi vividi erano gli occhi lucidi di Thoros ogni volta che Beric riapriva gli occhi e tornava a vivere, e il suo calore e le sue labbra che gli ridavano la vita. Il rumore delle spade che sbattevano l’una contro l’altra, il fuoco che colava dalle sue vene… ma non il nome di sua madre, non il colore del suo castello, null’altro.

Ma ricordava cosa fosse la giustizia e la vendetta e il sangue di nemici colpevoli scorrere lungo la spada, tra le sue dita fino al gomito, sotto la casacca.

Tirò fuori da una borsa un fagotto costellato di stelle sbiadite in filo d’argento rotto e stagliuzzato, e dentro di esso vi era nascosta una spada arrugginita e bruciacchiata.

Beric indossò il suo mantello e il suo peso sulle spalle gli ricordò chi era. Il portatore di giustizia di Westoros. L’uomo scelto dal Dio della Luce per portare la verità e la giustizia sugli uomini corrotti e sporchi. L’uomo morto e tornato in vita sei volte.

Lui era il Lord della Folgore, lo spettro dei boschi, il lord dei cadaveri.

Uscì silenzioso come un gatto e altrettanto veloce dalla camera in cui dormivano le uniche persone che gli erano rimaste al mondo, le uniche di cui avesse memoria.

Quel Polliver, messer Sottile e gli altri uomini avevano causato loro dolore. Polliver aveva strappato dalle mani l’unico ricordo che Arya aveva della sua famiglia. In battaglia aveva ucciso degli uomini che combattevano per Beric senza nessuna pietà. Messer Sottile aveva torturato così tante persone che Beric aveva promesso di proteggere proprio per cercare lui.

Quante persone erano morte per colpa sua?

Era tempo di portare giustizia anche nella terre della Corona.

Scese lentamente le scale che l’avrebbero portato alla camera principale della locanda.

Appena i suoi piedi toccarono il pavimento, gli uomini smisero di parlare.

La figlia dei locandieri si lasciò scappare uno squittio di terrore nel vedere la spada in mano a Beric, e corse sul retro.

Polliver fu il primo a zittirsi e voltarsi verso Beric, ma fu Sottile a reagire, sgranando gli occhi.

-Sono qui per giudicarvi e condannarvi a morte per i vostri osceni crimini.- sussurrò il Lord della Folgore, sfregando il palmo della mano sulla sua fidata spada. Il fuoco attecchì al vecchio acciaio e gli uomini si scagliarono verso di lui, ma Beric era più veloce, più agile e dalla parte giusta della giustizia divina di R’hllor.

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Arya si contorse sul letto e andò a sbattere contro qualcosa di duro e freddo. Tastando ad occhi chiusi di cosa si trattasse, si tagliò. Saltò sul letto e strinse tra le mani una spada che non vedeva forse da mesi, o da anni.

Aprì la bocca per gridare il nome della sua spada ma un colpo di tosse la fermò.

Beric era seduto a terra mentre si infilava ago e filo nella carne e si chiudeva una nuova ferita sulla sua coscia scarna e ossuta. C’era un sorriso compiaciuto sul suo viso. -È una spadina di ottima fattura.- disse a bassa voce, per non svegliare gli altri.

Era appena l’alba, ma sapeva che presto si sarebbero svegliati tutti.

-Cos’hai fatto?- chiese Arya curiosa. Beric alzò di nuovo le spalle, e notò un grosso taglio orizzontale sulla sua schiena mentre si voltava per tagliare il filo.

Si alzò e con passo felpato si sedette al suo fianco, cercando di allungarsi per prendere l’ago che Beric teneva tra le mani.

-Faccio io.- sussurrò la bambina e il sorriso di Beric si fece ancora più largo e gentile. Arya si sentiva così felice e Beric sembrava così poco vero che chiudere quella ferita brutta e slabbrata non le causò quasi niente. E poi glielo doveva.

Le aveva riportato Ago, le aveva riportato Grande Inverno e il sorriso di Jon e l’abbraccio di suo padre.

Abbracciò anche Beric, strinse le sue ossa tra le braccia e lui l’abbracciò amorevolmente a sua volta e lei si accorse che, forse, anche quel lord macilento poteva essere famiglia.

-Quando Thoros lo scoprirà mi ammazzerà per l’ultima volta, ma sono felice di averlo fatto.- borbottò Beric, che però non sembrava così contrariato dal farsi scoprire e farsi ammazzare dal suo prete rosso.

Forse ne valeva la pena, o forse la punizione non era qualcosa di così orribile.

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 - Mastino ***


Gli occhi azzurri di Thoros sembravano un cielo terso e privo di nuvole, che eppure  premoniva una tempesta in arrivo. Cieli stranieri che nascondevano segreti che nessun Westerosi avrebbe compreso.

-Hai degli occhi meravigliosi, Thoros.- disse Beric, perso nelle iridi dell’uomo che amava di più al mondo.

-Stai zitto, cretino- sibilò Thoros stringendo la presa sulla sua mascella. Il pollice e l’indice erano premuti sulle sue guance e sembrava nient’altro che un ragazzino capriccioso particolarmente pallido e stupido.

-Hai impiccato delle persone nel posto in cui ci eravamo fermati e hai messo a soqquadro la locanda. Sei stupido? E se ci avessero scoperto?!-

Beric premette le mani sul suo petto. Erano da soli ed era raro che fossero da soli, di quei tempi. E la maggior parte delle volte non facevano altro che litigare.

Il più giovane cercò di sbottonare la camicia di Thoros ma lui scacciò la sua mano con uno schiaffo. -Smettila, arrapato del cazzo. Rispondi e pensa ogni tanto!-

Ma Beric aveva pensato e Beric aveva agito nel giusto, aveva recuperato un po’ di soldi per loro e alcuni per comprarsi il silenzio della locandiera, anche se probabilmente non ce ne sarebbe stato bisogno: il Lord della Folgore era una figura che il popolino amava, quasi idolatrava. La figlia della locandiera aveva gli occhi lucidi dall’emozione e dalla felicità quando Beric aveva dato lei delle monete d’oro prese dai cadaveri degli uomini della Montagna, e lei quasi non le accettò.

Era stata zitta, da quanto aveva capito.

Beric chiuse l’occhio e assaporò il calore della mano di Thoros sotto la sua mandibola. -Ho pensato. Ho agito nel giusto e ora abbiamo armi, soldi e abbiamo fatto anche giustizia nel nome del Dio. Dov’è il problema, mio caro?-

La presa di Thoros sotto scemò pian piano.

La mano sotto la sua mandibola servì solo ad alzare la sua testa per dargli un veloce e frettoloso bacio a stampo sulle labbra. -Sei davvero il bambino più stupido che conosca.-

Beric gli allacciò le braccia alla vita e sorrise sornione, abbracciandolo pigramente.

Thoros era appena guarito dalla febbre, due soli giorni di riposo per il prete e già Beric aveva combinato un guaio. Non era morto per miracolo, Beric non poteva saperlo dato che non provava più dolore.

Però provava altro e le braccia calde e forti  di Thoros attorno a sé così come il sorriso di Arya che stringeva tra le mani Ago con le lacrime agli occhi e i sorrisini timidi che Sansa e Ned si scambiavano di tanto in tanto Beric li sentiva, dentro.

-Smettila di sorridere, idiota. Stavi per farci ammazzare tutti.-

Beric ridacchiò contro la sua spalla mentre Thoros gli accarezzava lentamente la schiena, con calma e tranquillità, come quasi mai. Beric non ricordava l’ultima volta che aveva riso, anche solo riso.

Stava tornando a casa con la sua nuova famiglia, il suo compito stava arrivando alla fine, e finalmente avrebbe potuto vivere e non solo morire in continuazione.

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-Ned, non ce n’è bisogno.- tentò Sansa mentre il ragazzo prendeva dalle sue mani i tronchi più grossi e se li caricava addosso. Cercava così tanto di essere galante con lei che finiva sempre per fallire.

I tronchi caddero e gli caddero sul piede e sfiorarono il ginocchio di Sansa e Ned gracchiò dal dolore e cadde a terra.

Sansa non riuscì a non ridere, anche se le dispiaceva per lui. Ned era gentile e amorevole e timido, e… cercò di usare quelle tecniche che il febbricitante Thoros della sera precedente aveva iniziato ad insegnarle.

Lo guardò negli occhi, notò le differenze nei suoi sguardi, nei suoi movimenti, e si comportava strano con lei. Probabilmente… lui provava una certa infatuazione per lei, ne era quasi sicura.

Sansa arrossì. Ned era dolce e carino, ma… anche Joffrey, all’inizio, le sembrava dolce e carino. Forse non del tutto in realtà.

No, non lo sapeva. Non voleva saperlo.

Il ragazzo si scusò sottovoce e raccolse tutto tra le sue braccia non così larghe, anche se le sue spalle stavano iniziando a farsi più larghe, e qualche pelo pallido già si stagliava sul suo mento e sul suo viso che però era ancora troppo arrotondato per essere considerato adulto.

Ned era dolce e carino ed era ancora giovane, più giovane di lei.

Joffrey era più grande e forte di lei, Tyrion era più grande di lei, Ditocorto era più grande di lei. Sandor, il Mastino, lui…

no, lui era diverso. Diverso da tutti loro, che avevano esperienza e potere e forza fisica per metterla da parte, ma lei e Ned erano alla pari. Sansa era forse un po’ più alta di lui, e il suo rango era più elevato del suo.

Purtroppo per lei, era l’erede al trono del Nord.

Forse poteva prendere le redini della questione.

Sfilò da sotto al braccio del ragazzo qualche ramo, cercando di aiutarlo e sorridendogli. Lui non alzava mai lo sguardo.

-Ned, tu… tu eri lo scudiero di Beric, giusto?-

Il ragazzo annuì, mordicchiandosi l’interno della guancia. -Io… io in realtà lo sono ancora. Beric dice che non sono pronto. Sono bravo, ma…-

Sansa raccolse un altro ramo che le sembrava decente per attizzare un buon fuoco. -Ma?-

Sentì dietro di lei Edric smuovere qualche foglia secca e raccoglierla. -...non riesco a uccidere. Non voglio uccidere. Beric vorrebbe che io… ma…-

Sansa si ritrovò a sorridere da sola. Tutti gli uomini che la attorniavano sembravano assetati di sangue, sempre e perennemente. Anche Loras, dagli occhi pieni di lacrime e di rabbia e voglia di giustizia e vendetta nei suoi occhi scuri…

Non è un male, Ned. Avrebbe tanto voluto dirglielo ma un elmo lucido tra le frasche, oltre il cespuglio in cui stava cercando rami da bruciare per il fuoco che avrebbero acceso quella notte le gelò il sangue nelle vene. Lo mosse per sbaglio sfilando un ramo da sotto l’elmo. Cadde su un lato con un lieve rumore metallico ovattato. L’uomo che era seduto vicino all’elmo a forma di testa di cane si voltò a fissarla con quel viso a metà tra l’umano e il demoniaco, i suoi occhi grigi talmente sgranati dalla sorpresa e… cos’altro c’era in quegli occhi?

Sansa saltò indietro dal terrore, atterrando sui rami che si era lasciata cadere ai piedi. Cercò di rialzarsi in piedi, di fare chissà cosa volesse fare il suo corpo. Stare ferma? Corrergli incontro? Nascondersi con Ned o scappare da Beric e Thoros e Arya?

Sandor Clegane emerse dal cespuglio dietro il quale riposava, spostando i rami come se fossero foglie.

-Uccelletto?- raspò la sua voce roca. Sansa rimase immobile a fissarlo. No, non sono Sansa. -Sono solo la figlia di un contadino- sussurrò sottovoce, senza davvero crederci.

Non poteva mentire a quegli occhi.

Sandor si avvicinò a lei, ma Ned saltò fuori da qualche parte, e né lei né il Mastino lo videro finchè non si parò davanti a Sansa.

Aveva un bastone in mano, e scacciò la grossa mano del Mastino con una bastonata. Sandor gli tirò un forte schiaffo che Ned parò con grande abilità, ma il rametto si spezzò contro la mano guantata di ferro del Mastino e colpì Edric, rovesciandolo a terra.

Sandor rise con la sua voce che sembrava un guaire dall’inferno. -Ah, ti si è spezzata la spada come al tuo lord. Il tuo Dio deve proprio amarmi!-

Ned non si rialzò. Strisciò velocemente verso Sansa, mezzo viso rosso e un taglio sulla guancia dove il guanto aveva colpito la sua pelle delicata e pallida.

C’erano anche lacrime nei suoi occhi. Bambino, sei solo un bambino pensò Sansa.

Edric rimase al fianco di Sansa, anche se era visibilmente spaventato.

-Come…-

-Ho ucciso Dondarrion. L’ho tagliato a metà, quello stronzo di fuoco.-

Ricordò quella mattina, quando Beric si era cambiato e Sansa era rimasta a fissare quel fisico scheletrico e pieno di ferite e cicatrici.

Ricordava quella nerastra tra la spalla e il collo, profonda, fino al petto. Mortale.

Sansa si passò senza pensarci una mano in quel punto, e il Mastino dovette notarlo. I suoi occhi si sgranarono ancora. -Conosci Dondarrion, uccelletto? È stato lui a portarti via dai leoni?-

Sansa negò, e Ned stette zitto, all’erta, pronto ad agire. Cosa avrebbe voluto fare? Se anche Beric, che quella notte aveva ucciso tre uomini grossi il doppio di lui senza fare rumore era stato ucciso dal Mastino, cosa poteva fare un ragazzino magrolino e disarmato?

Era felice, in un certo senso, che Sandor fosse vivo. Lo ricordava l’ultima volta che si erano visti come terrorizzato, distrutto, e pronto a tutto per salvarla. Le aveva rubato una canzone, e…

Sansa abbassò lo sguardo e deglutì.

-Uccelletto, vieni via con me.-

Sandor insistette. Fece un passo avanti, Ned si agitò al suo fianco ma lo sguardo del Mastino bastò a fermarlo.

Sansa sentì la mano gelida di Ned a stringere la propria.

-Vieni via. Ti devo portare via. Non permetterò a nessuno di sposarti, a nessun altro di averti, di portarti via e di…-

Sansa strinse gli occhi, tanto forte da vedere tutti i colori sotto le palpebre. Vide Grande Inverno, vide Robb che la prendeva in braccio e Bran che giocava e Rickon in braccio a sua madre che sorrideva al fianco di suo padre, Alyn che cavalcava nella sua armatura scintillante, Jeyne che mangiava assieme a lei le tortine che tanto amava e Mikken che batteva il martello sull’incudine, e poi la Fortezza Rossa come il sangue e… un castello nero, dagli stendardi ricoperte di stelle che baluginavano nell’aria rossa dell’alba, in un mare di sabbia e roccia rossa.

-Perdonami- sussurrò Sansa, aprendo appena gli occhi. Il castello scomparve e il viso mezzo ustionato di Sandor, distrutto e spaesato, fu l’unica cosa che vide davanti ai suoi occhi tristi. -Perdonami Sandor, perdonami, ma non posso.-

Sul viso del Mastino comparve tristezza, stupore, rabbia. I suoi denti si snudarono come quelli di un cane rabbioso.

Sansa ricordò gli insegnamenti di Thoros, e continuò a fissarlo negli occhi.

Non le avrebbe fatto del male, in nessun modo. Era così triste sotto quella rabbia...

-Sono un lupo, Sandor.-

Sansa non seppe dove trovò il coraggio di parlare. -Ho trovato il mio branco, so dove devo andare e ci sto andando.-

-I lupi non appartengono a una massa di sfigati. Un cadavere con una spada di fuoco, un pastore obeso e una fichetta bionda? C’è anche quella cagnetta rognosa di tua sorella? Non farmi ridere, uccelletto.-

-I lupi non appartengono a nessuno- rispose Sansa. Si stupì della sua stessa risposta. -I lupi non appartengono a nessuno, non hanno padroni come i cani.-

Per secondi interminabili, Sandor non reagì.

-Non essere più un cane, tu puoi…-

Cambiare? Migliorare? Cosa poteva fare un Clegane?

Non reagì nemmeno dopo.

Si voltò, riprese il suo elmo e fece per tornare da dove era venuto. -Ci incontreremo di nuovo. Ancora.- disse, prima di sparire nei cespugli.

-Lo so.-

Sansa trattenne il respiro finchè i rumori del bosco cessarono e il silenzio tornò a essere il sovrano sopra e intorno a lei. Quasi si era dimenticata del ragazzo al suo fianco.

Lo sentì solo tirarla a sé in un abbraccio troppo stretto e troppo spaventato per i suoi gusti, ma caldo e accogliente al punto giusto.

-Torniamo- sussurrò contro i suoi capelli. Sansa non era spaventata ma qualcosa dentro di lei non andava. -Torniamo.- rispose a Ned.

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 - Sacco di Sale ***


Il fuoco crepitava in un rumore caldo e calmante. Era una situazione quasi familiare, con un docile fuoco a scaldarle le mani bagnate e infreddolite.

-Siamo a poche miglia di distanza da Approdo del Re, lo sai?- esordì Thoros, non alzando lo sguardo dalle aperture nella casacca di Beric che stava ricucendo. Se le era fatte nel combattimento con quegli uomini della Montagna, e oltre alla tela si era lacerata anche la sua pelle, ma Thoros aveva cucito entrambi nello stesso modo.

Sansa non rispose, non distogliendo lo sguardo dalle braci sotto il falò.

Stavano ancora soggiornando nel Bosco del Re, nei territori più meridionali delle Terre della Corona. Finalmente vicini alle terre della Tempesta, a Blackhaven. Si poteva sentire dall’umidità che rendeva pesante l’aria nei polmoni e i frequenti acquazzoni che li avevano infreddoliti.

-Mia stavi dicendo che anche tu sei stato tenuto contro la tua volontà dentro la Fortezza rossa.- tentò Sansa.

Thoros, anche se per un solo istante, smise di cucire. Riprese dopo poco. -L’ho fatto?-

-Quando avevi la febbre. Quando Beric ha…-

Il prete rosso la interruppe con un apposito colpo di tosse studiato ad arte, facendole capire che l’argomento non era decisamente uno dei suoi preferiti. Ma Sansa in quelle settimane aveva imparato che Thoros era un uomo paziente e gentile e quasi materno, anche sotto la sua scorza dura.

-Non è molto divertente.-

-Non importa. Non deve esserlo.- si sbrigò a rispondere Sansa, e questo le costò un’altra occhiata strana. 

-Sono stato venduto al Tempio Rosso di Myr quando avevo pochi anni. Non so quando, non so nemmeno quanti anni ho. Però ricordo che mi hanno venduto per un sacco di sale. Il sale era più importante di un ottavo figlio a Myr in quel periodo, e valevo più di un sacco di farina perchè ero nato con la benedizione del Dio Rosso e con il sangue di Valyria a scorrermi nelle vene, così hanno detto. Essere un pel di carota come me, a Myr, è un segno di R’hllor. E un sacco di prezioso sale valeva quanto un bambino di troppo coi capelli arancioni.- incominciò, con un tono di voce talmente neutrale da far passare a Sansa un brivido gelido lungo la schiena. 

Era un modo tremendo per raccontare di essere stato venduto per del sale a un tempio. Un modo così distaccato, insofferente e privo di emozioni che le ricordava fin troppo il modo in cui lei stessa continuava a sognare, a fare incubi sulla morte di suo padre Eddard. Vedeva quella ragazzina dai vestiti di velluto e i capelli ramati crollare a terra e gridare mentre la testa di suo padre rotolava sullo spalto. Lo vedeva in terza persona, come se fosse stata in mezzo alla folla scrosciante e gridante ai suoi piedi, a vedere l’esecuzione di un nobile qualunque. 

Era questo che poteva legarli?

-Sansa? Tutto bene? Te l’avevo detto che non era niente di divertente. Forse dovresti…-

-No- insistette Sansa, avvicinandosi a lui. Non le piaceva stare vicino alle persone, non dopo Approdo del Re.

Beric le faceva paura, la sua pelle era dura e fredda ed emanava gelo che non le serviva davvero. Arya si era quasi inselvatichita, e Ned era in imbarazzo ogni volta che si sfioravano le mani anche solo per sbaglio.

Ma Thoros era caldo, grande e grosso, solido e confortevole. Thoros era gentile e paziente e amorevole, e un po’ gli ricordava sua madre Catelyn che le spazzolava i capelli e le insegnava qualche canzone sui cavalieri e sulle giostre.

-No, voglio sapere.- sussurrò Sansa, riuscendo a sedersi al suo fianco davanti al fuoco. Appoggiò la testa alla sua spalla, e lui la lasciò fare, mentre continuava a rammendare i vestiti di tutti loro.

Vide un sorriso appena accennato sotto i suoi baffi rossastri.

-Sono sempre stato un idiota, e hanno deciso di usarmi per tentare di convertire re Aerys. Era il duecentosettantasette, secondo i vostri calcoli. Lo stesso anno in cui nacque Beric. Forse è davvero un segno del Dio, no?-

-Questo lo so.-

-E sai anche degli Stark?-

Sansa annuì contro la sua spalla. Lo sentì quasi rilassarsi, come se non dover riscavare in quei ricordi, con una parente degli uomini che aveva visto morire, fosse un sollievo.

-Aerys mi ha tenuto chiuso lì per sei anni, ma già sai anche questo. Non c’è molto altro da dire, davvero.-

-Ma non mi hai detto come ti sei sentito.-

Ora Thoros stava fissando il fuoco, con uno sguardo vacuo, quasi triste. -Nemmeno tu mi hai detto come ti sei sentita, là nella fossa dei leoni.-

Sansa non voleva rispondere, e nemmeno Thoros.

Sansa tentò di guardare a sua volta nelle fiamme, perchè Thoros sembrava trovare al suo interno sollievo e tranquillità, ma lei vedeva solo una luce troppo forte per i suoi occhi stanchi. Alzò lo sguardo sul suo viso, scavato dalle fatiche e dal dolore e dalle responsabilità, ma i suoi occhi ancora caldi, liquidi e vivi, tremendamente vivi.

Non poteva vedere nel fuoco ma il prete rosso era un po’ come un fuoco, incomprensibile eppure protettivo, caldo ma inavvicinabile. E impossibile da leggerci dentro, a meno che…

Forse condividevano più cose di quelle che entrambi avevano il coraggio di raccontare.

-Raccontami cosa hai visto nelle persone, Sansa.-

Cosa aveva visto nelle persone. Da quando Thoros era rimasto convalescente nella locanda e Sansa l'aveva accudito come meglio poteva, aveva provato a usare i pochi trucchi che il prete le aveva insegnato.

-Arya… lei ha tanta paura. Vede Beric come un Dio della Morte che può aiutarla a… non so cosa voglia. Forse arrivare a Blackhaven. Forse tornare a casa, anche se non può, o forse scappare per sempre e non tornare mai più.-

Thoros annuì lentamente, le dita che accarezzavano quasi le cuciture sulla stoffa che aveva rammendato poco prima. -Non lo sa nemmeno lei cosa vuole. Ned?-

Sansa si voltò ad osservare il ragazzo, accucciato al fianco degli altri due. Incredibilmente Beric stava dormendo, il petto fermo e il corpo pesante e inerme vicino al fuoco, dalla parte opposta rispetto a dove si trovavano loro due. Arya gli dormiva vicino, arrotolata su sé stessa come un cucciolo di lupo.

-Un cavaliere delle canzoni, valoroso e gentile… ma con la paura di uccidere. E… credo che provi una certa simpatia per me.-

Ma a te, lui piace?

Thoros non fece quella domanda ma Sansa se la sentì rimbombare nella scatola cranica. Edric era bello, gentile, galante e infatuato di lei, ma Sansa non si sentiva ancora pronta. Ora che aveva la libertà di prendersi i suoi tempi, l'avrebbe fatto.

-E Clegane? Com'è lui?-

-Sandor?-

Thoros ridacchiò appena. -Il cane che ha fiutato le tue tracce fin qui.-

Come faceva a saperlo? Ned aveva spifferato tutto? Oppure aveva letto entrambi?

-Confuso. Spaventato. Solo. E vuole proteggermi…-

Il cane è gentile, leale, rabbioso.

-Con me, il Mastino è sempre stato crudele. Con Beric anche peggio. Abbiamo conosciuto due Mastini diversi.-

Thoros lasciò scivolare Sansa su di lui, stancamente, mentre la ragazzina appoggiava la testa sulle sue cosce. Erano morbide, larghe e calde, il contrario dei femori sporgenti di Beric. 

-Non esiste un solo noi, Sansa. Con ogni nostro amico e ogni nostro nemico dobbiamo essere un io diverso, in base a cosa vogliono da noi. Thoros che rammenda i panni di Beric e accarezza i capelli di Sansa non è Thoros che beve con Robert e Thoros che predica nella Fratellanza, e non è Dennis che chiede una camera alla locanda.-

Sansa chiuse gli occhi stanca mentre Thoros rimaneva di vedetta per quella notte lunga e fredda. Avrebbe voluto rimanere sveglia con lui, ma la notte sembrava pesarle tutta sulle palpebre.

-Devi imparare a essere tante Sansa. Che Sansa ti senti ora?-

Con le dita gentili di Thoros a pettinarle e intrecciarle i capelli, Sansa si sentiva la piccola Sansa di Grande Inverno con septa Mordane e la lady sua madre a raccontarle le fiabe della buonanotte e a sperare in un futuro felice.

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 - Honeyholt ***


Dopo cani, uccellacci e grosse donne bionde che cercavano una certa Sansa Stark, si lasciarono le terre della Corona alle spalle e la pioggia li accolse nelle terre della Tempesta.

-Piove sempre qui?- borbottò Arya, nascondendosi sotto la cappa di Thoros. Beric alzò le spalle. -Non lo so. Non lo ricordo.-

Thoros si voltò ad osservare Ned che parlottava con Sansa, abbracciata dietro di lui sul loro cavallo. Era stata un’idea sua lasciarli da soli, a chiarirsi le idee. Edric sembrava intento in un lungo discorso e Sansa lo osservava con gli occhi pieni di meraviglia, ma il loro tono era talmente basso da non riuscire a captare nessuna parola.

Beric si mosse dietro di lui, lo sentì piegarsi da una parte e poi tornare a stringersi alla sua schiena. -Rumori.- sussurrò, strattonando la casacca del più vecchio.

-Rumori cattivi o buoni?-

-Sembra una taverna o delle persone felici. Non so altro, sono cieco. Guarda tu.-

Anche Arya, fradicia e tremante davanti a lui, iniziò a fremere e muoversi sulla sella improvvisata del loro cavallo. -C’è del fumo! Sembra del fumo!-

Arya aveva l’aria di chi sarebbe crollata da un momento all’altro dalla stanchezza. Non era solo Arya stanca, anche il cavallo sotto di loro ansimava e sbavava. Erano in cammino da due giorni consecutivi, e anche Thoros si sentiva stremato come quel cavallo. Arya e Beric avevano pisolato tranquillamente contro di lui, ma Thoros era rimasto sempre vigile e attento, e ora non riusciva quasi più a pensare.

Thoros serrò le labbra e fischiò come aveva imparato a fare da Robert durante le sue cacce. Thoros odiava andare a caccia ma amava bere a spese del vecchio re.

I due ragazzi si voltarono come se li avesse colti in flagrante. -Crediamo ci sia una taverna- disse Thoros, senza modulare il tono della voce. Non ce n’era bisogno. -e non dormo da due giorni. Ho bisogno di riposo. Andiamo?-

La taverna effettivamente c’era, anche se sembrava più una vecchia casupola adibita a tale. Le terre della Tempesta non erano state colpite direttamente dalla guerra che aveva distrutto così tante vite nelle terre dei Fiumi e in tutta Westeros del nord e del centro-nord, ma la povertà, la crisi di potere e di speranza era giunta fino a lì. 

Thoros battè un dito sulla mappa disegnata approssimativamente che si era portato dalla Collina Cava. Era semplice e disegnata maluccio, ma era comunque accurata quanto bastava per averli fatti giungere lì dov’erano, nelle parti più settentrionali e occidentali delle terre della Tempesta.

-Dobbiamo arrivare a Summerhall, poi potremo prendere la Strada delle Ossa e scendere tranquillamente e velocemente fino a Blackhaven.- sussurrò, cercando però di farsi capire da tutti i quattro ragazzi che stavano bevendo e mangiando attorno a lui, al tavolo che era riuscito ad occupare nella piccola taverna della zona.

Beric si portò alle labbra il calice di birra che aveva tanto richiesto e sputacchiò quel poco che aveva bevuto, rabbrividendo. -Odio la birra delle terre della Tempesta. È amara. Nell'Altopoano ci mettono sempre il miele. Padre, potresti chiedere del miele…-

Thoros strappò di mano a Beric il boccale di birra e gli rifilò quello pieno di acqua di Arya, stizzito. Beric rimase ancora più offeso, mandando giù a malapena qualche sorso d'acqua zuccherata. 

Arya allungò le mani verso il calice ma Thoros si tirò indietro e lo bevve tutto, da solo, in un sorso solo. Solo allora lo consegnò alla contrariata Arya.

Aveva i nervi a fior di pelle e riusciva a malapena a mantenere la calma. Edric sembrava più interessato a raccontare le sue gesta eroiche a Sansa che ascoltarlo, Beric stava diventando sempre più pesante da sopportare e Arya sempre più selvatica e inaddomesticabile. 

Era un incubo, ma almeno erano nelle terre della Tempesta.

-Conosco un solo uomo che non apprezzi la birra delle terre della Tempesta e preferisci quell'intruglio di miele e zucchero dell'Altopiano- fece un uomo, avvicinandosi al loro tavolo.

Quel tizio Thoros l'aveva visto al bancone, parlare a lungo col locandiere. Dall'accento, doveva essere del posto. Forse un parente della famiglia che gestiva la locanda?

Thoros sorrise, un po’ a disagio. -Chi?- chiese, con un sorriso tirato.

Un ubriaco che voleva attaccare bottone. Tutto nella norma. 

L'uomo picchiò con forza una mano sulla spalla magra di Beric, che si piegò su un lato per l'impatto ma non reagì in nessun altro modo. -Ovviamente il Lord di quell'ammasso di pietre nere giù nelle Marche!-

Blackhaven, il castello nero delle Marche Dorniane.

Ned sgranò gli occhi e Sansa reagì circa nello stesso modo. I loro occhi blu pieni di terrore incontrarono quelli di Thoros, che boccheggiò per qualche istante prima di tornare a ridacchiare. -Cosa vuol dire? Sei ubriaco? Vuoi l'elemosina?-

-Elemosina? La mia famiglia non sta così male, mio padre è il locandiere di questa catapecchia.-

L'uomo doveva avere sui venticinque anni ed era energetico come un fuocherello appena attizzato. Strinse entrambe le mani sulle spalle di Beric e lui si lasciò scappare un verso di disagio, cercando di scrollarsele di dosso. Non amava essere toccato.

-Ah! Beric, sei messo male!- disse a voce troppo alta l'uomo. -Sai, qua dicevano tutti che eri morto. Io non ci ho mai creduto, hai sempre avuto il testone troppo duro… ah, ti ricordi quando Edwin ti ha fatto cadere…-

Thoros si alzò di scatto in piedi, avvicinandosi a sua volta a Beric. L'uomo fece un passo indietro e Thoros ne approfittò per mettersi tra lui e Beric, che sembrò rilassarsi un po’ ora che era al sicuro. Si piegò dalla parte di Arya che lo stava tirando per una manica, che iniziò a bisbigliargli nell'orecchio.

-Basta. Mio figlio Simon non è nessuno. Siamo solo viaggiatori, stiamo andando a Dorne, lasciaci in pace.-

L'uomo quasi gli rise in faccia. -Simon? L'ha scelto lui come nome, vero?-

Thoros sgranò gli occhi, senza riuscire a rispondere. Sì, l'aveva scelto lui.

-Quando eravamo a Honeyholt, durante il suo scudierato, faceva sempre finta di essere il leggendario ser Simon Dondarrion. Voleva vincere tutti i tornei come lui, ma invece cadeva sempre da cavallo e veniva sempre picchiato, soprattutto da Elwood… lord Elwood Meadows, ora.-

Quell’uomo conosceva Beric. Thoros si piegò su di lui, sussurrandogli e lasciando perdere l’accento westerosi che aveva finto fino a quel momento. Parlò con la voce più bassa e più aggressiva possibile, quasi sfiorando i suoi capelli e il suo orecchio con le proprie labbra. -Non qui. In privato.-

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 - il Lord di Blackhaven ***


Jas, questo era il suo nome, accompagnò i cinque nel magazzino sul retro, non lontano dalle cucine ma abbastanza appartato da non avere nessuno intorno. Beric, appena furono soli, si strappò dal viso la benda, sotto lo sguardo stupito di Jas.

-Allora un occhio l’hai perso davvero- 

-Ho perso molto, troppo altro.- rispose Beric col suo solito tono lugubre e cantilenante. Jas non lo ascoltò e continuò con quella sfilza di domande a cui Beric non poteva o voleva rispondere. 

-Sei così freddo, ti ricordi di me?-

Lo sguardo di Beric cadde su Thoros, che negó con veemenza.  -Beric… lui non ricorda quasi nulla di ciò che è avvenuto prima.- dovette rispondergli, anche se avrebbe tanto voluto inventarsi qualcosa, anche solo per farlo sorridere e non fargli ricordare che il fuoco l'aveva consumato quasi completamente. 

-Jason di Valle Erbosa, lo stalliere di Edwin Meadows. Beric, tu ed Edwin avete entrambi servito come scudieri a Honeyholt.- La voce di Edric arrivò, quasi sicura e cristallina, alle orecchie di tutti. Edric conosceva il passato di Beric, al contrario di Thoros.

Jas sorrise con un sorrisone largo e storto e brutto. -Tu sei il suo scudiero, vero? Il bambino biondo?-

Edric affondò la testa nelle spalle, borbottando qualche scusa e qualche giustificazione. -Io… Non sono più…-

-Dovremmo informare a Blackhaven del tuo ritorno.- propose Jas, avvicinandosi di nuovo a Beric come se lo conoscesse bene. 

-Siamo in incognito! Non c'è bisogno di avvertire nessuno.- rispose il prete rosso, leggermente più nervoso di prima.

Beric non ricordava di lui e indietreggiò, accostandosi a Thoros.

Jas sapeva di polvere e sporco e birra scadente e odiava il suo odore, mentre Thoros sapeva di fumo e di alcool e… beh, anche lui di sporco e sudore, ma famigliare e tranquillizzante. 

Strinse una mano sul suo avambraccio e Thoros capí al volo cosa doveva fare.

-Jas, sta’ un po’ indietro. Beric non si fida degli sconosciuti.-

Il viso di Jas si contorse in un'espressione strana. -Sconosciuti? Ho passato quasi dieci anni in compagnia sua e del lord di Valle Erbosa!-

Beric abbassò lo sguardo, fissando nel vuoto per qualche istante. 

Non ricordava quasi nulla di ciò che era successo nella sua vita prima della sua prima morte. Prima del primo bacio del suo prete.

Il pensiero che esistesse un Beric che nella vita aveva fatto altro che combattere per la giustizia di Westeros al fianco del suo Thoros lo faceva sentire… strano. C'era qualcos'altro oltre alla vita che aveva vissuto. Oltre alle morti di cui era caduto.

-Voglio sapere- disse Beric, senza preavviso. -Voglio sapere tutto, Jason. Voglio tornare a essere Beric.-

Il silenzio calò su quella sala. L'unico rumore in sottofondo era Arya che sgranocchiava e rubacchiava qualche frutto e Sansa che le sussurrava di smetterla.

Beric si voltò verso il suo prete rosso e lesse tanto dolore e sofferenza che prima non c'erano.

-Thoros, non smetterò di amarti perché conoscerò  qualche cosa in più della mia vita passata.- gli sussurrò, ma non parve convinto. -Lo so- gli rispose a bassa voce, senza nessun motivo per tenere un tono così basso. Nella Fratellanza erano abituati a parlare così per non farsi sentire dagli altri, tutti chiusi nelle grotte vicino a loro. 

-....ma non voglio che tu soffra per qualcosa che hai perso e di cui non ricordi nulla.-

Beric non sapeva cosa rispondergli. Vedeva l'uomo che amava lì davanti a lui, disperato perché sapeva che Beric soffriva qualsiasi cosa lui facesse o tentasse di fare. Un peso troppo pesante sul suo cuore già appesantito.

-Thoros…-

Strinse una mano attorno al suo polso. Thoros faceva tanto per lui. Cosa poteva fare invece Beric per il suo amato?

Jas pareva tremendamente a disagio. -Giá, a proposito di…-

Non trovò le parole. Dovette quasi farsi forza per far uscire quella frase dalle labbra. -Patrek è diventato lord.-

Beric non si scompose ma Edric ebbe un fremito. Scattò in avanti, superando Sansa e mettendosi davanti a Jas. Ned era più alto di lui, ora. -Patrek Storm? Il cugino di Beric?-

-Lord Patrek Dondarrion signore di Blackhaven, vorrai dire.- rispose mesto lo stalliere. Nessuno dei due sembrava avere in simpatia questo Patrek. -Non vi erano altri eredi, se non i figli bastardi dello zio di Beric.-

Beric non sembrò realizzare subito. -Io sono il signore di Blackhaven.-

-Per loro sei morto, Beric.- gli rispose Jas, che però vide la stessa testardaggine nello sguardo di Beric che aveva sempre visto. -Sì, sono morto, ma sono qui e sono il lord di Blackhaven. Ho ereditato il titolo da mio… mio padre…?-

-Ruben Dondarrion, nel duecentonovantacinque.- finì la sua frase Edric, con una sicurezza che non sembrava mai aver avuto fino a quel punto. Beric gli sorrise, ma poi il sorriso gli si spense sulle labbra. Aveva governato da Lord per soli tre anni, prima di morire in guerra.

-Patrek deve a breve sposarsi con Allyria Dayne. Credevo tu fossi qui per questo, all'inizio. Sembri… sembri averla sostituita, a quanto vedo.-

Beric sorrise appena, cercando di dire qualcosa, ma Thoros fu più veloce. -Vi lasciamo parlare delle terre della Tempesta in pace. Io e le mie figlie vorremmo continuare il nostro pasto e andare a dormire.-

Beric vide il ghiaccio negli occhi azzurri di Thoros e deglutì, anche se non aveva più saliva da mandare giù. 

Cosa poteva fare per lui?

Annuì e basta. Stava andando a ubriacarsi, e se lo meritava, dopo quello che aveva fatto per loro.

Jas rispose positivamente e Thoros prese per mano Arya, che si stava nascondendo un pezzo di formaggio sotto la casacca. Fece finta di niente: quel formaggio sarebbe servito, tutto sommato. -Ysa, Zosme, andiamo.-

Sansa fece un breve inchino e Arya si nascose dietro Thoros mentre varcavano la porta delle cucine per dirigersi di nuovo nella sala centrale della taverna.

-Pat e Allyria non sono un problema, Jason.- fece di nuovo Beric, una volta che la figura del prete rosso non fu più visibile. -quando morirò e non lascerò eredi, la famiglia Dondarrion continuerà come ha sempre voluto mio padre.-

Non ricordava suo padre, lord Ruben come aveva detto Edric, se non per una lunga barba bianca su una vecchia sedia in un castello nero e buio. Quando pensava a lui, però, si sentiva quasi in colpa, come se non avesse mai fatto abbastanza. E ora era lì, un cadavere in piedi, incapace di amare una donna e dare un erede alla sua millenaria casata.

Chissà se suo padre lo aveva considerato una delusione, al tempo in cui entrambi erano vivi. Chissà se suo padre aveva mai accarezzato i capelli di Beric, chissà la lady sua madre, se era sorridente e lo prendeva in braccio…

Presto l’avrebbe scoperto.

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 - Soldi ***


Jason decise che era meglio se avessero soggiornato nella sua umile casupola con cui viveva con sua moglie e i suoi figli. Non era particolarmente lontana dalla locanda, ed era sicuramente più calda e accogliente di un mucchio di sterpaglie nel bosco. Offrirono loro dei giacigli modesti e poveri ma li accettarono volentieri, anche se Jason e sua moglie Suzanne avevano insistito fin troppo per far dormire Lord Beric e Lord Edric sul loro giaciglio.

Se solo sapessero chi siamo io e Arya, pensò Sansa con una nota di rancore. Erano principesse, e Sansa era l'erede al trono del Nord. L'erede di casa Stark.

La ragazza più vecchia, la figlia maggiore dei due si chiamava Harra ed aveva ancora il sorriso ignaro e spensierato di chi non aveva visto la guerra e la morte e i suoi occhi scuri le ricordavano tanto, troppo, quelli di Jeyne Poole. Jeyne era la sua migliore amica e confidente, Jeyne… chissà dov’era ora, se era viva o la sua testa svettava su un muro di qualche castello. Non aveva più importanza, perchè anche Sansa era morta.

-Mi chiamo Zosme- rispose Sansa con un sorriso alla domanda di Harra, che la stava aiutando a costruire un pagliericcio nella stanza principale della loro casupola, vicino al camino. -e lei è mia sorella Ysa. Siamo le figlie di ser Thoros.-

Harra la guardava come se fosse stata una contadinotta qualunque. -E perchè accompagnate lord Beric e lord Edric?-

-Nostro padre ha deciso di darci un’occasione in più. Dove abitavamo noi c’era la guerra, e se ci avesse lasciate lì saremmo morte. Dobbiamo tutto a nostro padre e al gentile lord Beric per averci invitato a passare la guerra al sicuro, presso il suo castello.-

In parte era una frottola e in parte era vero. Aveva deciso, assieme a Thoros, cosa dire se le si fossero poste queste domande. Da dove venite? Chi siete? Perchè siete qui? Dove andate? Thoros era un uomo attento e preciso, quando non era ubriaco. Quella sera era particolarmente ubriaco, ma il sorriso e le parole e le bugie non smettevano di scorrere tra le sue labbra assieme all’alcol di Jason.

Emmett era il fratello minore di Harra ed era un bimbetto magrolino e biondiccio che non smetteva di ronzare intorno ad Arya e cercare di toccare Ago, che ora Arya portava senza paura alla cintura. Il ragazzino doveva avere circa la sua stessa età ma Arya era più alta, e dagli occhi più duri e consapevoli. Di chi aveva visto troppo.

Edric quasi corse fuori dalla stanza che Jas e Suzanne gli avevano concesso, passandosi con fastidio una mano sui capelli argentati che ormai erano ricresciuti sulla sua testa. Non abbastanza per essere acconciati ma abbastanza da dare prurito e fastidio al povero Edric, che come palese si avvicinò a Sansa e ad Harra con un timido sorriso.

Harra, al suo fianco, era in un brodo di giuggiole. Un lord mi ha sorriso! Per Sansa quella condizione era così palese che non ci aveva mai pensato davvero a quanto la nobiltà potesse condizionare il popolino.

-Non intendo passare la notte in compagnia di Beric e Thoros, sono fastidiosi quando sono da soli.- borbottò Ned sedendosi tra Sansa ed Harra. Harra gli toccò un braccio, lui le sorrise imbarazzato e Sansa non si sentì più tanto sicura di non avere nessun interesse per Edric.

-Tornerai al tuo castello?- chiese Harra, aggiustandosi sul suo giaciglio. Doveva avere forse l’età di Sansa o forse un po’ di più, perchè le sue forme erano anche più visibili e meglio formate di Sansa, e la ragazza quasi cercava di farsi vedere come mercanzia a un mercato. Sansa rimase disgustata da quella scena, e finalmente riuscì a scostare lo sguardo da Edric dalla ragazza. -Ned, vai a dormire sul tuo giaciglio. Questo è quello delle donzelle. Non vorrai dormire con noi, vero?-

Edric arrossì e sviò lo sguardo, i suoi occhi indaco sgranati come se Sansa l’avesse trafitto al petto con una daga. 

Si scusò, si alzò e si sedette metri lontano, vicino alla porta e al fianco del camino, dove il fratello minore di Harra stava già sonnecchiando.

Harra la guardò con astio ma Sansa prese la palla al balzo. -Perchè stavi facendo così?- 

-Zosme, tu non puoi capire.- la zittì la ragazza castana, scacciandola con la mano. -Non puoi capire cosa voglia dire vivere nella fame ogni giorno. Se fossi anche solo l’amante di un lord, potrei comprarmi tutti i gioielli e le bistecche che voglio e non dover mai addormentarmi su un pavimento di legno puzzolente.-

Gli occhi azzurro sporco di Harra scavarono in quelli di Sansa, e le fecero male. Era vero. Non sapeva cos’era la povertà perchè fin da quando era nata aveva sempre cibo in tavola e un tetto sopra la testa, e anche ora che doveva fingersi una popolana, Thoros e Beric le procuravano sempre sostentamento e protezione.

-Non è tutto oro quel che luccica- sussurrò Sansa, ma Harra era irremovibile. -Una volta che avrò i soldi, cosa potranno farmi?-

Tutto. Potranno fare tutto quello che vogliono di te. Potranno complottare contro di te, farti lavorare in un bordello a vita e farti morire lì, se sarai di intralcio a qualcuno.

-Non funziona così.- insistette Sansa, e Harra ancora la allontanò con una manata. -Voi bastardi vi credete sempre tanto superiori perchè avete per metà il sangue di lord o cavalieri e siete cresciuti nella bambagia, vero? Sei solo stata fortunata a nascere nella parte di letto giusta.-

Nel suo tono c’era veleno. La parte del letto sbagliata, la chiamavano i nobili. 

Che credesse questo. Che si facesse ingravidare da qualche stupido lord, non importava. Che portasse in grembo un bastardo.

Sansa chiamò la sorella che sembrava non volerne sapere di dormire, ma alla fine cedette e con uno sbadiglio segnò la sua sconfitta. Si sdraiò al fianco della sorella e la guardò male a sua volta, ma per un altro motivo. -Non voglio stare qui- sussurrò lei, mentre già tutti dormivano. 

Sansa era stanca e non solo fisicamente, e sicuramente non era pronta a un’altra discussione. -Ne parleremo domani mattina, ti prego.-

Arya lasciò perdere e Sansa tentò di addormentarsi.

Non seppe quanto tempo passò prima che Arya la svegliasse di nuovo, scuotendola come una tempesta scuote una piccola nave. -Stanno entrando!- sussurrò con però il tono di qualcuno che sta gridando.

-Chi?- borbottò Sansa sonnolenta.

-La porta. Stanno scassinando la porta. Sansa, stanno…-

La ragazza dai capelli rossi, finalmente, realizzò.

Stavano scassinando la porta. Stava entrando qualcuno.

Arya aveva già in mano Ago, il piccolo stocco sottile e tanto lucido da sembrare uno specchio.

Pensa, cosa devi fare?

-Corri a svegliare Thoros e Beric. Corri!-

Entrambi dormivano in una camera vicina a quella dei padroni della casa, Jas e Suzanne. I ragazzi, invece, dormivano nella sala su cui si affacciava la porta d’ingresso. 

Il lucchetto saltò.

Arya corse come un ratto verso le camere posteriori della casa mentre Sansa, istintivamente, si ributtò sul giaciglio, facendo finta di dormire.

Sentì la porta aprirsi, i passi e il vociare di due uomini che si avvicinavano proprio al suo pagliericcio, e un nome che continuavano a ripetere.

Sansa Stark. Sansa Stark è qui.

 

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 - Panico Lucido ***


Sansa saltò sul suo giaciglio facendo finta di svegliarsi quando uno dei due uomini la afferrò per una spalla.

Non doveva avere trent’anni ed era anche abbastanza magrolino, quasi emaciato. Il suo alito puzzava da morire, ed era troppo vicino al suo viso.

Sansa rimase a fissarlo immobile, senza dire nulla. Senza provare nulla. Non era la guerra delle Acque Nere, quella. Non era il Mastino che cercava di portarla in salvo. Non era ad Approdo del Re tra i leoni.

Al fianco dell’uomo pendeva una grossa spada arrugginita.

-Non è lei- sussurrò l’uomo a qualcuno che però non era lì, tenendola per un braccio e bloccandola ma spostandosi. Prese Harra per una spalla e la rigirò, guardandola in viso.

Harra aveva i capelli lunghi, mossi e pettinati per l’occasione di incontrare lord Edric, e i suoi occhi erano abbastanza chiari da sembrare azzurri anche nella fioca luce di una candela. Sansa, invece, aveva i capelli corti e impiastricciati di un brutto colore tra il ramato e il pagliericcio, e i suoi occhi blu non sembravano che neri alla notte.

Harra se ne stava immobile, gambe serrate e sguardo perso nel vuoto. 

Nessuno poteva fare qualcosa, e Sansa era da sola. 

Si voltò a guardare Edric, ma era ancora addormentato. Lui era quasi un cavaliere. Lui avrebbe potuto fare qualcosa.

Pur di sopravvivere, Sansa era dovuta cadere in un sonno profondo, uccidere Alayne Stone e diventare Zosme. 

Zosme doveva sopravvivere, a qualsiasi costo.

-Sansa, ti hanno scoperta, devi scappare- disse allora Sansa ad Harra, che sgranò gli occhi con sorpresa.

Anche l’uomo reagì. 

Lasciò Sansa e prese Harra per entrambi i polsi, tirandosela al corpo. Harra, finalmente, scoppiò a gridare e a piangere, svegliando tutti nella sala. L’uomo non era concentrato su altri che sulla ragazza, e Sansa riuscì a scostarsi e trascinarsi, in una sorta di panico lucido, verso il giaciglio di Edric, nascosto dietro al camino.

Lui era ritto seduto, e tirò Sansa a sé in un abbraccio veloce.

-Edric, fa’ qualcosa, ti prego- sussurrò Sansa, rendendosi solo conto di cosa aveva appena causato.

L’uomo era in piedi e aveva ormai quasi portato Harra verso la porta. Le aveva quasi strappato i vestiti di dosso. 

-Matths, ho preso la cagnetta! L’ho presa!- gridò a un uomo fuori, di cui vedeva solo una torcia in lontananza. -Domani ci faremo dare i soldi della ricompensa!-

-Non scopartela- fece l’uomo fuori, in un tono fin troppo freddo. -La vogliono coi buchi tutti chiusi.-

Edric divenne completamente viola in viso. Di rabbia.

Si alzò in piedi.

Sansa rimase seduta sul giaciglio, al fianco del tremante Emmett, guardando la scena come se fosse nel corpo di qualcun altro. 

Aveva mandato Harra a morire. Aveva spinto Edric verso la morte.

Emmett le si avvicinò e la abbracciò tutto piagnucolante e Sansa cercò di consolarlo come poteva, in quel momento in cui non sentiva niente.

Nemmeno la scena di Edric che, veloce e furtivo, si avvicinò di soppiatto all’aggressore, nel buio quasi completo della camera. Sfoderò la sua spada, la alzò sopra la sua testa, e calò la lama sulla spalla dell’uomo, tranciandolo a metà.

L’uomo, con un grido disumano, cadde a terra. Harra cadde a terra a sua volta, e quando l’uomo cercò di rialzarsi dalla pozza in cui era caduto Ned sferrò un altro fendente, un altro e forse un’altro ancora, e l’uomo smise di contorcersi.

Due uomini, due uomini erano entrati in casa, e ce n’era anche uno fuori.

Sansa si alzò in piedi, e corse nella stanza in cui dormivano il lord e il prete, in cui aveva mandato Arya. Solo qualche macchia di sangue a terra la accolse, nel silenzio e nella vuotezza della stanza. Solo il fuoco crepitava, in un angolo, e sembrava gridarle contro qualcosa.

-Sansa…-

Si voltò e dietro di lei, davanti alla porta che portava nella stanza dei padroni della casa, c’era Thoros.

Era vivo, ed era qualcosa come un vero e proprio prete rosso. Era ricoperto di sangue, e sul suo viso colante di sangue non suo stavano iniziando a colare anche lacrime.

Sansa non si era accorta di avere la spallina del vestito abbassata, probabilmente dalla presa dell’uomo che Edric aveva ucciso. Se ne accorse solo quando Thoros gliela risollevò, con una mano tremante e debole e ricoperta di sangue e pezzi di qualcosa. Ai suoi piedi c’era un uomo, l’uomo che era arrivato col primo. O quello che ne rimaneva.

Sansa si buttò tra le braccia del prete e, appoggiando l’orecchio al suo petto fradicio, sentì il suo respiro irregolare al limite del singhiozzo e il suo cuore che batteva troppo velocemente. Anche quello di Sansa batteva, in quel momento? Non lo sentiva.

-Grazie- sussurrò Suzanne, che era ancora seduta sul letto, il vestito strappato e il marito mezzo svenuto tra le braccia, sanguinante a sua volta. -Grazie, Thoros, grazie, grazie…-

Emmett arrivò da qualche parte e si tuffò sul padre, sanguinante ma presente, e sulla madre ferita ma sana.

Edric dietro il ragazzino, pallido come un fantasma, ma Sansa rimase stretta tra le braccia di Thoros, sentendosi bisognosa di quella stretta sul suo corpo. Se l’avesse lasciata andare, Sansa era sicura che la sua anima sarebbe scappata, lontano, sopra le ceneri di Grande Inverno e sopra la testa di lupo di suo fratello, oltre la Barriera, dentro l’inverno e non sarebbe mai più tornata.

 

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 - a mani nude ***


Non sapeva se Beric stava davvero dormendo o se aveva semplicemente chiuso il suo occhio e si era rilassato contro al suo petto, ma sembrava tranquillo e tanto bastava.

Il fuoco crepitava alle spalle del ragazzo, e lo sguardo di Thoros vi cadde dentro. Vide tre ombre, ma nulla di più.

Tre ombre. Poteva voler dire qualsiasi cosa. Il fuoco gli parlava sempre, ma quasi mai erano segnali importanti, e spesso erano solo fatti che stavano succedendo in quel momento, come una tormenta di neve sulla Barriera o un terremoto in una città Essosi che non conosceva.

Jason e Suzanne erano stati così gentili da concedere loro un’intera camera, che in realtà era pianificata per ospitare Beric e Edric, e sicuramente non Thoros, un prete straniero di una religione lontana e poco più che uno schiavo liberato. Beric era stato irremovibile: o Thoros, o anche lui avrebbe dormito su un pagliericcio davanti alla porta.

Suzanne acconsentì senza troppo ribellarsi, e così i due uomini ebbero tempo per stare da soli dopo mesi, e fare tutto ciò che due uomini adulti fanno da soli, cercando di mantenere un dignitoso silenzio nel mentre. Suzanne e Jason erano dall’altra parte del corridoio di legno e la camera non era così grossa.

Thoros si sentiva bene. Riposato, rilassato, e pronto a passare le terre della Tempesta e raggiungere Blackhaven assieme ai ragazzini che aveva protetto e all’uomo che amava.

Finchè la porta della camera non si spalancò per poi richiudersi subito, e Arya atterrò sul giaciglio dei due addormentati. 

Le sue mani si arpionarono ai al colletto della camicia di Thoros, che si svegliò di soprassalto.

-Ci sono… c’è uno! È entrato in casa! Sansa…!-

Beric era già in piedi, vestito e pronto. 

Il fuoco scoppiettava, e Thoros, senza davvero comprendere cosa stesse succedendo, lo fissò come se fosse un’ancora in mezzo alla tempesta, mentre Beric si sistemava il cinturone e la spada al fianco e Arya sussurrava disperata.

C’era la casa di Jas, e tre ombre, tre uomini attorno. Due entravano nella casa e uno rimaneva fuori, con una torcia in mano, ad aspettarli e fare da vedetta.

-Sono tre- sussurrò, sotto lo sguardo terrorizzato di Arya e quello freddo di Beric. -Uno è fuori. Due sono dentro.-

-Mi occupo di quello fuori.- fece duro Beric, afferrando di già l’elsa sua spada arrugginita e ammaccata. Si passò il mantello sulle spalle e Beric era sparito, e rimaneva solo il tremendo Lord della Folgore, col suo sguardo carico di giustizia e di morte.

Aprì una finestra e si calò da essa, veloce e silenzioso come un assassino. Arya si schiacciò al muro, e Thoros avrebbe voluto dirle qualcosa per tranquillizzarla, ma la porta si aprì e qualcuno gli si fiondò contro. Thoros cadde, batté la testa contro il caminetto e ruzzolò a terra come un sacco di farina, e l’uomo gli si buttò addosso, puntando le mani sul suo collo. Aveva un coltellaccio tra le mani ma evidentemente non lo sapeva usare, perchè diede a Thoros un istante per realizzare cosa stava succedendo e raccogliere abbastanza aria calda dal camino vicino per soffiare una fiammata in faccia all’assalitore.

Un trucchetto del tempio che aveva imparato e aveva usato solo per riportare in vita Beric, e ora lo stava usando per uccidere un uomo.

L’uomo gridò e anche altre persone iniziarono a gridare. Si voltò e corse via, lasciando Thoros stordito a terra.

Si tastò il retro della testa ed era bagnaticcio. Sangue, probabilmente sangue.

Si mise barcollante in piedi e notò che Arya non era più nella stanza, ma colse le grida di Jas e di Suzanne.

Reggendosi al muro, arrivò nella loro stanza, e trovò lo sconosciuto sul letto dei due, mentre reggeva i capelli biondi di Suzanne tra le mani e le puntava un coltello alla gola, Jas rantolante a terra, pugnalato dall’uomo.

-Muoviti e la sgozzo- raschiò l’uomo, con gli occhi a malapena aperti per colpa delle ustioni provocate da Thoros.

Non capiva nulla, il mondo sembrava ruotare su sé stesso e Thoros si sentiva di dover cadere a terra, svenuto o morto, da un istante e l’altro.

Ricordò di quando aveva incendiato i capelli di una nobildonna petulante perchè Robert gliel’aveva ordinato ed entrambi avevano riso e bevuto, troppi anni prima. Ricordava di aver riso così forte che il vino gli era uscito dal naso. Allora aveva utilizzato un trucchetto, ma da quando aveva riportato in vita Beric non aveva più bisogno di nessuna polvere o pozione o trucco da prestigiatore.

Thoros strizzò gli occhi, cercando di racimolare tutte le forze e le attenzioni che gli rimanevano. L’uomo aveva dei guanti di cuoio, che iniziarono a fumare e poi a bruciare dal nulla.

L’assalitore saltò indietro, tenendo Suzanne per il vestito, cercando di spegnersi il fuoco su di lei, ma Suzanne non prese fuoco e non gridò, spinse l’uomo lontano da sé e si avvicinò a Jason rantolante a terra.

Thoros venne preso da una sorta di furia che non ricordava di avere dall’assedio di Pyke. Quel miscuglio di terrore e adrenalina che rendeva sempre il suo sangue acido e marcio, quel fuoco interiore che sembrava volerlo ardere di dolore da dentro, consumarlo, come diceva sempre Beric.

Prese l’uomo per i capelli e gli tirò un forte pugno sullo stomaco. Sentì qualcosa rompersi sotto le sue nocche.

Thoros era un uomo alto, quasi imponente anche se non arrivava nemmeno lontanamente all’altezza di Robert o del Mastino. Era comunque un omone dalla grossa stazza e dai pugni duri e ben collaudati, mentre quello che stava distruggendo tra le sue mani non doveva pesare più di Sansa o Suzanne.

A un pugno ne seguì un altro, poi un altro in viso, e altri sul petto, sull’addome, sul viso, sul naso che sentì spezzarsi sotto le nocche.

Il ragazzo, l’uomo o quello che era tentò di difendersi in qualche modo, ma Thoros non glielo permise. Il coltello che teneva tra le mani cadde a terra definitivamente quando il suo cranio sbatté più volte contro il pavimento, sotto la presa d’acciaio del prete rosso.

Sbatté finché c’era qualcosa da poter sbattere, finchè le sue mani non iniziarono a colare sangue e il pavimento non fu ricoperto di pezzi di cranio e cervella.

Il sangue era ovunque, e in qualche modo era finito anche nella sua bocca, perchè il sapore metallico arrivò tanto forte da, finalmente, farlo fermare.

Sotto di sé c’era solo un cadavere sfigurato vestito di stracci.

Non aveva mai ucciso un uomo a pugni. Sapeva di esserne capace fisicamente, ma non a fatti.

Non avrebbe mai voluto saperlo.

Poi arrivò Sansa, sconvolta tanto quanto lui, e un Edric dallo sguardo spento e morto.

Non seppe come si rialzò da terra, pieno di sangue proprio e soprattutto di un pover’uomo a cui aveva frantumato il cranio con le proprie, sole mani.

Sporcò i vecchi vestiti di Sansa stringendosela al petto, ma nessuno sembrò importarsene.

Quando Beric tornò alla baita, con la piccola Arya addormentata in braccio, trovò ancora Thoros a stringere Sansa tremante e mezza svenuta tra le braccia, Edric seduto in mezzo alla stanza e Suzanne a cercare di fermare l’emorragia al fianco del marito, e la puzza della morte e del senso di colpa ad aleggiare su tutti loro.

 

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 - Matths ***


Un uomo c’era davvero, e davvero aveva tra le mani una torcia, ma invece che affrontarlo con dignità, cercò di scappare via. Beric non amava i vigliacchi.

Gli corse dietro, in un gioco che durò troppo per i suoi gusti. L’uomo si fermò di colpo e cercò di lanciargli la torcia, senza troppi risultati. Beric la afferrò, afferrò il tizzone ardente tra le mani insensibili e lo spense.

Il buio calò su di loro, e rimasero solo le grida che provenivano da dentro casa come sottofondo a quel giochetto macabro.

-Fermati e spiega cosa tu e i tuoi furfanti volete da noi.- disse Beric, strisciandosi la lama della spada sul palmo della mano. Ormai la spada era sempre meno tagliente, e dovette premere non poco sulla pelle dura per aprirla e far sgorgare il suo sangue nero e vischioso.

La spada si accese e a quella vista l’uomo corse ancora attorno alla casa, e Beric lo inseguì ancora, stanco e sempre più irritato. Tentò anche di lanciargli la spada, ma la mira di Beric non era mai stata buona e senza un occhio era anche peggio. La spada cadde a terra e si spense, facendo tornare il buio. 

Era stata un’idea tremendamente stupida. Forse Thoros aveva ragione a dire che non fosse particolarmente intelligente.

L’uomo però tutto ad un tratto cadde e gridò dolorante e da un cespuglio a cui si era avvicinato troppo spuntò Arya, Ago insanguinato tra le mani.

Beric finalmente riuscì ad avvicinarsi e a bloccarlo, legandogli mani e piedi coi suoi stessi vestiti.

L’uomo aveva un intero polpaccio squarciato da parte a parte, e se non avesse curato quella ferita sarebbe morto dissanguato.

Beric, però, non aveva nessuna intenzione di lasciarlo vivere.

-Da Approdo del Re… danno una grossa ricompensa a chi trova le cagnette Stark! Una soffiata ci ha detto che le avremmo trovate qui con un lord del Sud…- bofonchiò l’uomo. Aveva l’accento delle terre centrali di Westeros e non di certo di un uomo proveniente dalle terre della Tempesta. Dalla Corona, o forse dalla Valle.

Non era sicuro non fosse un uomo di Baelish, così come non era sicuro che lo fosse.

Arya lo guardò con rabbia ma Beric non le permise di agire. Lo sollevò da terra e lo trascinò dietro di sé, verso il fitto del bosco. Riaccese la torcia e la consegnò ad Arya, indicandole di fargli strada.

-Dopo il processo c’è la condanna- le spiegò Beric, mentre l’uomo iniziava a contorcersi dal terrore. Le braccia di Beric erano scheletriche, pallide ma estremamente rigide e forti, tanto da non lasciare nessuna speranza di fuga al pover’uomo che si era macchiato di crimini così gravi come il tradimento, il tentato omicidio e il tentato rapimento e chissà cos’avrebbero fatto alle bambine questi schifosi, si ritrovò a pensare Beric.

Fermò Arya. 

-Rimani qui. Il processo non è per bambini.-

-Non sono una bambina.- ringhiò lei di risposta. 

-Non sei tu a deciderlo- rispose freddo Beric. Non avrebbe fatto assistere ad Arya alla tortura dell’uomo. Stava mentendo, non l’avrebbe solo condannato, ma avrebbe spillato anche delle dichiarazioni da lui. E Arya non avrebbe dovuto vedere.

Dopo un lieve battibecco Arya si sedette su una grossa radice lì vicino,  voltata di schiena in offesa.

Non seppe quanto durò il tutto, perchè ormai per Beric il tempo non aveva più senso e non era altro che una parola inutile. La morte non ha tempo. Il tempo è vita, la morte è eternità.

Quando tornò e si pulì sulla casacca il sangue di Matths dalle mani, l’uomo si chiamava Matths, trovò Arya addormentata sulla radice di prima.

Era una bambina, e aveva torturato e ucciso un uomo a pochi metri da lei. Chissà se aveva sentito le sue grida.

Prese Arya di peso e se la portò al petto, e la bambina si sistemò meglio contro al suo corpo scheletrico e poco comodo.

-L’hai ucciso?- sussurrò lei, premendo la testa sotto al mento di Beric. Non rispose, ma le consegnò una cosa.

Arya si rigirò tra le dita un dente sanguinolento dell’uomo a cui l’aveva strappato poco prima. -Se lo butti nel fuoco ed esprimi un desiderio, si avvererà. L’ha detto Thoros.-

La storia era che i bambini, quando perdevano i primi denti, se buttavano il loro dente nel fuoco potevano esprimere un desiderio al Dio Rosso, ma Beric non aveva più denti da perdere e tanti desideri da esprimere, e sperò che funzionasse lo stesso con denti altrui. 

Arya strinse il dente nella mano e tornò a dormire contro il suo corpo. Forse l’avrebbe fatto, più tardi.

Nella casa, tentò di continuare da dove era rimasto, a letto col suo prete, ma niente era più normale lì.

Per rientrare in casa scavalcò un cadavere maciullato a suon di spadate, scansò la ragazzina che ancora piangeva al suo fianco e appoggiò Arya sul giaciglio in cui dormiva prima. Poco lontano, Edric era in piedi, sguardo spento e perso nel vuoto.

-Dobbiamo bruciare i cadaveri prima che arrivi l’alba, Ned- tentò Beric, avvicinandosi. Edric non reagì. Era talmente pallido che il suo viso aveva lo stesso colore dei suoi capelli.

Poco più avanti, Thoros completamente ricoperto di sangue e Sansa tremante ad abbracciarlo, e nemmeno loro risposero alle sue richieste.

-Lo farò io, mio lord- rispose, invece, Suzanne. Era l’unica in grado di rispondergli, lì in mezzo, seduta diligentemente al fianco del marito sanguinante. 

-Ma prima aiuta Jason.-

Ai piedi di Thoros c'era il terzo uomo, dal cranio frantumato sul pavimento e il viso irriconoscibile.

Thoros era più bravo a rammendare e cucire ferite aperte, ma non poteva delegare il compito di chiudere la ferita di Jason a lui.

L'aveva dovuto trascinare a letto, farlo stendere a forza e ancora il suo sguardo era perso nel vuoto e nel dolore.

Beric non aveva avuto il tempo per chiedere cosa fosse successo.

Suzanne però lo sapeva.

-Thoros mi ha salvata.- disse a Beric mentre lo aiutava, cercando di tenere fermo il marito nei suoi spasmi di dolore. -Quell'uomo mi aveva afferrata dopo aver accoltellato Jas… lui avrebbe…-

Beric annuì mesto. Sapeva cosa le persone meschine facevano alle donne che catturavano.

-L’importante è che stiate tutti bene.- cercò di concludere Beric, ma il discorso era tutt’altro che chiuso. Gli occhi chiari di Suzanne erano puntati su di lui, con una certa rigidità sul suo viso.. 

-Ti sembra che i tuoi compagni di viaggio stiano bene? Ti sembra che i ragazzi che hai giurato di proteggere e l’uomo che dici di amare siano sani e felici?-

Stavolta fu Beric a non rispondere. 

La morte era eterna, la vita momentanea, e i sentimenti altrui erano difficili da capire.

 

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 - Sussurri nella notte ***


Fu Suzanne ad accompagnare Beric e il suo folto gruppo verso Summerhall, e poi giù per la Strada del Re. Aveva anche trovato alcuni cavalli, offerti dalla locanda della famiglia del marito che faceva lo stalliere e di cavalli ne avevano a bizzeffe, con la promessa che il lord delle Terre Basse glieli avrebbe riconsegnati, se fossero arrivati a destinazione.

Beric non aveva accettato un cavallo nuovo, e aveva deciso di montare comunque assieme a Thoros, che non si era rifiutato. Non aveva praticamente parlato dalla notte precedente.

Edric invece un cavallo l’aveva accettato e cavalcava da solo, in fondo al gruppo, testa bassa e sguardo torvo.

Ned era un ragazzo così dolce… aveva promesso di non uccidere nessuno. In anni di guerra era riuscito a non fare nessuna vittima, e in una notte sola Sansa aveva rovinato tutto. Sansa gli aveva fatto uccidere un uomo. Non poteva che sentirsi in colpa, e lui con lei. Non le aveva parlato dalla notte prima, e nemmeno l’aveva guardata negli occhi.

Erano giorni che marciavano, e giorni che nessuno osava parlare.

Il primo cambiamento arrivò quando si accamparono vicino alla vecchia Summerhall. Lì, avrebbero intrapreso il viaggio per la Strada delle Ossa, fino a Blackhaven. Erano vicini, e questo provocava brividi lungo la schiena di Sansa ogni volta che ci pensava.

Non sapeva se di felicità o di terrore.

Erano stati giorni tesi, uggiosi e silenziosi. 

-Tu ti ricordi quando Summerhall è bruciata?- chiese Arya quella notte. C’era la luna piena e il cielo era bluastro, e illuminava il paesaggio assieme alle rovine nere del castello vicino all’orizzonte. Thoros fece una risata finta e spazzolò i capelli di Arya, che ormai stavano ricrescendo selvaggi e sporchi ben oltre la lunghezza delle orecchie. -Mi credi così vecchio? Non dovevo avere che cinque o sei anni e non ero altro che un servetto a Myr.-

Non c’era gioia nel suo sorriso e nella sua voce, e Sansa lo notò perchè era stato proprio il prete ad insegnarle come fare, come leggere le persone. Thoros era solitamente difficile da leggere, ma ora sembrava un libro aperto. Anche Ned era facile da intuire, al contrario di Beric, incomprensibile, ed Arya, che a tratti le sembrava una completa estranea.

Dato che nessuno era di troppe parole, Suzanne propose di dormire prima e svegliarsi all'alba per proseguire. Qualche giorno di cammino e sarebbero arrivati a destinazione, disse lei. Era già stata a Blackhaven, perché Suzanne Flowers era la figlia di un bastardo di Campo Fiorito e tra i Meadows e i Dondarrion scorreva buon sangue.

-Tua madre, lady Melia, è per parte di padre una Beesbury e da madre una Meadows. Per questo tu hai avuto il tuo cavalierato nell'Altopiano.- spiegò Suzanne mentre il gruppo preparava i giacigli per la notte. -Si spiega anche il mio gusto per le bevande dolciastre che nessuno tranne me apprezza.- tentò Beric allora, voltandosi verso Thoros. Lui fece finta di non aver sentito nulla e il sorrisetto di Beric svanì dalle sue labbra bluastre.

Poi, per qualche ragione che Sansa non capì mai, si voltò a guardarla, fissarla dritta negli occhi, come se da un momento all'altro dovesse iniziare a parlarle.

Beric però non disse nulla, e si stese quasi di peso sul proprio giaciglio, tra il fuoco alle sue spalle e il prete di fronte a lui, fin troppo vicino a entrambi.

La notte fu piena di brusii, borbottare e spiegazioni date sottovoce, e Sansa non poteva dormire. Anche lei avrebbe dovuto borbottare e dare e ricevere spiegazioni.

Vicino a lei, vedeva Edric immobile e dagli occhi chiusi, ma sotto le sue ciglia pallide e le palpebre pesanti i suoi occhi si muovevano all'impazzata.

Allungò una mano per sfiorargli la spalla e Ned sobbalzò, sbarrando gli occhi pieni di terrore.

-Ned, sono solo io.- sussurrò Sansa, strisciando verso di lui. Il realizzare che non era un nemico ad attaccarlo ma solo la ragazza che voleva parlargli lo tese ancora di più, se possibile.

-Volevo ringraziarti.- continuò Sansa. 

-Per aver ucciso un uomo?-

La sua voce era sempre più bassa e ora le sembrò di avere davanti il Mastino, sofferente e rancoroso.

-No.-

Edric non era il Mastino, Edric era dolce e gentile e i suoi occhi neri alla luce fioca della luna erano pieni di lacrime.

-No, per averci salvato, io e…La ragazza. Hai salvato vite. Sei un vero cavaliere.-

Sansa prese le sue mani nelle proprie. Erano rigide e fredde e appena più piccole di quelle di Sansa. Ancora per poco, pensò. 

Sentì i suoi nervi cedere pian piano e i suoi occhi diventare sempre più lucidi. Un singhiozzo scappò dalle sue labbra benché provasse in tutti i modi a ricacciarlo giù.

No, davanti non aveva Sandor Clegane, aveva solo un ragazzetto spaventato e in colpa, ancora troppo puro per quel mondo crudele.

Forse il Mastino era così, prima di imbattersi nella morte e nella guerra.

Tentò di avvicinarsi ancora e stavolta Ned non reagì. Tentò di abbracciarlo e Ned rispose abbracciandola a sua volta.

Sansa cercava di non pensare a cosa aveva fatto invece lei, perché non aveva più  tempo e voglia e forza per il rimorso.

Tanto tempo era passato da quando aveva sentito vero e proprio calore corporeo e affetto e un abbraccio così sincero, e nella sua mente poche immagini balenarono nel buio delle sue palpebre chiuse. 

Suo padre e la sua septa e Jeyne al torneo di Approdo del Re, sua madre e Robb a Grande Inverno tra i suoi muri caldi e scuri, i piccoli Bran e Rickon seduti sulle radici dell’enorme Albero Diga e anche Theon e il suo sorriso pieno di segreti.

Sansa non voleva davvero raggiungere Blackhaven. Era il Nord il posto in cui voleva tornare, ma a cui non poteva avvicinarsi. Nord, non sud le diceva l’istinto, ma non poteva. Doveva sopravvivere. Doveva resistere.

L’abbraccio di Edric la stava aiutando a trattenersi dallo scappare e correre nei boschi e perdersi nel fitto della foresta fino a raggiungere il Nord a piedi, come un lupo selvaggio. Sansa era un lupo, e non avrebbe più dovuto dimenticarselo. Edric era la stella che illuminava il suo cammino, che sembrava a tratti oscuro e misterioso, ma decisamente più sicuro.

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Il fuoco quasi gli scottava la pelle alle sue spalle ma era una sensazione piacevole nel gelo di quella notte. L’inverno stava arrivando, così dicevano gli Stark, e Beric poteva sentirlo sulla sua pelle morta e fredda: l’aria era sempre meno calda, sempre più umida, ed era tutto ancora peggio perchè il suo prete rosso gli stava voltando la schiena.

Beric provò più volte a chiamarlo, toccargli la schiena e i fianchi ma senza nessun successo.

-Thoros, lo so che sei sveglio.- gli sussurrò contro la nuca. Per un po’ non avvenne nulla ma alla fine si girò, gli occhi gonfi e arrossati e un’espressione corrucciata. -E come faresti a saperlo? Ho sperimentato questa tecnica da prima che tu nascessi.-

Beric ridacchiò sotto ai baffi. -Forse è un altro dei poteri che il Dio mi ha concesso.-

Non era vero, ma l’espressione curiosa e sconvolta negli occhi azzurri di Thoros gli diede il calore di cui aveva bisogno. In realtà l’aveva osservato dormire così tante notti che aveva imparato cosa succedeva quando si addormentava davvero. Tendeva a girarsi sulla schiena, a pancia in su, e russava anche appena, forse per colpa del suo naso rotto in più punti. 

Thoros decise di voltarsi nella sua direzione, non guardandolo direttamente negli occhi. Fissava il fuoco con insistenza, come se qualcosa dovesse venirne fuori, ma non sembrava leggervi dentro nulla.

-Cosa provi quando uccidi un uomo, Bebe?-

La sua domanda arrivò a bruciapelo come lo scalpitare del fuoco dietro la schiena di Beric. Un piccolo tizzone volò contro il suo braccio, bruciandolo un po’. Lui non reagì né all’ustione né alla domanda.

-Nulla, più nulla.-

Qualcosa sembrò mutare nello sguardo del prete ma Beric non seppe dire cosa. -Raramente ormai provo anche solo qualcosa. Il caldo mi fa ancora qualche effetto… e tu..-

Doveva suonare più intrigante ma suonava solo patetico. Thoros finalmente abbassò lo sguardo su quello di Beric, in quella maniera così dolce e stanca che tanto gli aveva visto tante volte. Finalmente decise di abbracciarlo e Beric trovò quello che cercava, il suo cuore che batteva sotto al suo orecchio e le sue braccia calde attorno al proprio corpo freddo. Anche questa era una emozione, forse quella più importante.

-Il primo uomo l'ho ucciso a Pyke, ma ero giovane e ubriaco e non l'ho massacrato a botte.-

Il suo tono era talmente basso che se si fosse allontanato anche solo di qualche centimetro Beric non l'avrebbe sentito. Era talmente vicino che sentiva le sue labbra sfiorare il proprio orecchio.

-Io… ho provato forza nell'ammazzarlo. Credo mi sia anche venuto duro, io… io…-

-Se arriveremo a Blackhaven, non avrai bisogno del…-

-Bebe, sono serio, non lo capisci?-

Ora vedeva lacrime vere e proprie nei suoi occhi. -Sono un mostro..?-

Beric non capì se quella dovesse essere una domanda o un'affermazione.

Ma Beric era serio e a Blackhaven sapeva che avrebbero risolto ogni problema. Aveva un piano, piccolo e semplice, da applicare al suo castello, ma aveva bisogno di arrivarci e aveva bisogno del suo prete al suo fianco.

Ma il suo uomo sembrava spento e freddo e Beric non poteva fare nulla. Si sentiva inerme al destino, pagliericcio nel vento, che a ogni spiffero poteva danzare nell'aria e atterrare nel fango.

Odiava il destino.

Appoggiò le labbra alle sue come aveva fatto con Catelyn Stark e tentò di soffiare vita nei polmoni di Thoros. Avrebbe dato la vita per lui.

-Non importa- sussurrò contro le sue labbra contratte in una smorfia e un singhiozzo. -non importa, non importerà nulla quando saremo a Blackhaven io e te, Ned e le ragazze. Non importa niente, se non arrivarvi.-

-Perchè così tanta fretta, mio Lord?- sussurrò Thoros, con una specie di sorriso ora sulle labbra. 

Forse il Bacio della Vita aveva funzionato. -Sei ansioso di vedere la lady tua moglie?- continuò.

-All'incirca, ma non sono sicuro gli piaccia essere chiamato "lady".-

 

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