Beyond the stars

di nozomi08
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un arrivo misterioso ***
Capitolo 2: *** Astral, anno x791 ***
Capitolo 3: *** Puzza di guai ***
Capitolo 4: *** Passato ***
Capitolo 5: *** Fiducia e Verità ***
Capitolo 6: *** Fiamme ***
Capitolo 7: *** Shopping, disguidi e team improbabili ***
Capitolo 8: *** In viaggio ***



Capitolo 1
*** Un arrivo misterioso ***


ANNO X791, FIORE, CITTA' DI MAGNOLIA
 
Era una giornata come tutte le altre, quella.
Il sole splendeva prepotente, sospeso in quell’azzurro pezzo d’infinito, libero dalla morsa delle nuvole.
La pungente brezza marina, che dal porto s’insinuava pericolosa per le strade tortuose della città, inebriava l’aria d’un intenso profumo di salsedine, stemperando l’afa di quei soleggiati giorni d’estate.
La gente girovagava in un’atmosfera allegra, dedicandosi con gioiosa tranquillità agli affari d’ogni giorno, o semplicemente facendo un salto al pub, per una serata tra “veri uomini”.
I bambini si dedicavano ai loro giochi e alle monellerie, ritrovandosi con gli amici per parlare ed imitare i propri eroi, accarezzando vogliosi il sogno di poterlo diventare, una volta cresciuti.
Era, decisamente, una giornata come tutte le altre.
Eppure, una nota d’adrenalina scuoteva ancora i loro corpi, al ricordo dell’emozionante e travolgente torneo che aveva coinvolto centinaia di gilde di maghi in tutto il continente di Fiore.
Le olimpiadi magiche, il grande Dai Matou Enbu, si erano appena concluse, ed era da soli tre giorni, che il vincente gruppo di Fairy Tail, appena uscito dalla pericolosa (e taciuta) minaccia del portale Eclypse, aveva fatto ritorno in città, accolti da vistosi celebramenti e parate.
Città che, per gratitudine verso la gilda più potente e scalmanata di tutto il paese, ricostruì l’intero appalto della gilda, mattone per mattone, rendendola, forse, anche più bella rispetto agli anni passati, prima dei sette, dolorosi, anni di vuoto.
Una gilda creata dall’amore del popolo.
Di certo, il sesto e attuale master, Makarow Dreyar, non poteva esserne più contento. A stento non ci credeva, come a stento riusciva a trattenere le lacrime di gioia.
E fu così che Fairy Tail, dopo i paranoici festeggiamenti per la vittoria al torneo, ritornò ai suoi ritmi di sempre, tra decine di lavori, bevute, allegre risate e le solite baruffe.
Ma, forse, per una certa persona di nostra conoscenza, le cose tornarono un po’ troppo  a come erano prima…
-Uffaaaaaaaaaaa! Come farò a pagare l’affitto ora?!-
-Che ne dici di andare a trovare un lavoretto da fare, Lucy?-
-Oh, Natsu, finalmente ti sei deciso a tornare a lavorare!- piagnucolò lei ancora più forte, disperdendo i suoi disperati lamenti nella vivace confusione della gilda
-Guarda che siamo tornati da appena… uhm… tre giorni?- si girò dubbioso verso Happy, che lì accanto stava sgranocchiando con aria felice del gustoso pesce, per avere conferma
-Aye!- esclamò l’Exceed blu alzando la zampina
-Scusa Lucy, ma non avevi i soldi che ti aveva regalato tuo padre?- si intromise Gray, seduto al lato opposto del massiccio tavolo in legno
-Si, ma non sono abbastanza per pagare l’affitto del prossimo mese, ed il costo è aumentato a 80,000 jewels!- spiegò costernata la ragazza
-Allora credo proprio che dovremmo ricominciare a lavorare…- sbuffò Gray, posando il mento sul palmo della mano
-Si! Finalmente!- esultò Natsu con uno sguardo agghiacciante, alzando le braccia -Mi sento tutto un fuoco!-
-Taci, fiammifero da quattro soldi-
-Come mi hai chiamato, ghiacciolo dei miei stivali?!- ringhiò con pugni stretti, sbattendo con violenza un piede sul tavolo
-Ed ecco che ricominciano…- sentenziò estenuata Lucy
-Ehi Lucy!- la chiamarono due voci da lontano, costringendola a girarsi. Sul suo bel volto trasparì uno splendente sorriso, come i suoi capelli biondi
-Erza, Wendy! Siete tornate! Il lavoro com’è andato?- chiese curiosa
-Perfettamente!- rispose fiera Titania
-Bene- confermò Wendy –e vi abbiamo anche portato qualche dolcetto!- disse, posando una scatola di cartone di colore rosa sul tavolo -Faceva parte della ricompensa-
-Per questo avevano deciso di farlo…- spiegò Carla, l’Exceed bianco della giovane Dragon Slayer
-Però erano buoni! Ne valeva la pena!- si scusò agitata Wendy, mentre Erza e Lucy sorridevano divertite. C’era qualcosa di strano però…
-Gray, i tuoi vestiti!- urlò imbarazzata la maga degli Spiriti, parandosi il viso con le mani, ma il ragazzò sembrò non ascoltarla
-Ehi, Natsu, non ti sarai mica imbambolato?- chiese con un sorriso sprezzante, sventolandogli una mano davanti agli occhi
-Ma che gli prende?- chiese agitata Lucy, scrutando preoccupata l’amico, che fissava serio, completamente immobile, un punto indefinito oltre il portone d’ingresso, lasciato aperto.
-È proprio un idiota- commentò Gray, anche lui abbastanza preoccupato dallo strano comportamento del Dragon Slayer
-Probabilmente ha fiutato qualcosa di strano…- disse pensierosa Erza, indugiando lo sguardo nel punto in cui guardava il suo nakama –in effetti anche io ho avuto uno strano presentimento quando siamo rientrate dalla missione…- ammise
-Sta arrivando…- disse Natsu all’improvviso, senza distogliere lo sguardo. Gli altri lo guardarono interdetti.
-Sta arrivando qualcuno- precisò
La sua espressione si rabbuiò, preoccupando in maniera ancora più grave i compagni lì accanto, che ora guardavano anche loro l’ingresso, guardinghi.
D’un tratto, sulla soglia del portone, si delineò una figura incappucciata, avvolta in un leggero mantello nero strappato in diversi punti. La videro indugiare sull’ingresso, osservando la gilda da cima a fondo, scrutando ogni angolo. Sentivano il suo sguardo addosso, sebbene il suo volto fosse completamente nascosto dalle ombre. Quando la sua testa si girò verso di loro, Lucy si sentì colta da un forte brivido. Strinse nervosa la stoffa blu della sua gonna, mentre una forza misteriosa si avvolgeva attorno ai suoi muscoli, rendendoli tesi, come lo erano i suoi nakama accanto, in quel momento. La figura si apprestò ad avanzare, e, ad un tratto, anche la gilda, colpita da una strana sensazione di disagio, si fece silenziosa, facendosi avvolgere da un raccapricciante silenzio innaturale.
Che stava succedendo a tutti?
Cos’era tutta questa tensione che aleggiava sulle loro teste, così opprimente?
L’incappucciato proseguì la sua camminata con passo deciso, marziale, incurante degli sguardi puntati addosso. Il rumore dei suoi passi pesanti sulle travi di legno riecheggiava potente tra le mura della grande Fairy Tail, facendola quasi vibrare. Passava svelto, sinuoso, tra gli innumerevoli tavoli, avvicinandosi minaccioso al banco dove stava immobile Mira e il master, che lo osservava assorto, seduto a gambe incrociate.
-Percepisco un’aura piuttosto potente, ma c’è qualcosa di strano- mormorò Erza, continuando a fissare, come il resto degli altri, l’incappucciato, che intanto aveva raggiunto il banco.
-Benvenuto! Come posso esserti utile?- chiese gentilmente Mira sfoggiando uno dei suoi migliori sorrisi.
“Non le fa paura proprio niente, eh?” commentò nervosa Lucy tra sé e sé
-Vorrei poter parlare con il vostro master, il signor Makarow Dreyar- disse con tono fermo lo sconosciuto. La sua voce aveva un timbro basso, quello d’un ragazzo.
-Oh, beh, se è per questo, è lui- rispose la Diavolessa, facendo un cenno al vecchietto lì vicino.
Il ragazzo si voltò verso il master, che lo fissò con intensità. Sembrava scavargli dentro, fino a scorgerne l’anima.
-Ebbene?- chiese Makarow con voce dura
Accolto nell’ombra del cappuccio, lo sconosciuto sembrò sorridere borioso.
-La mia è solo una semplice richiesta, che vorrei voi accettaste…- disse portando le mani sul copricapo, facendolo scivolare delicatamente sulle spalle.
Una scintilla di stupore attraversò gli occhi avveduti dell’anziano master, che tuttavia restò composto.
La gilda invece, fu percossa da un sospiro di sbigottimento, guardando il volto dell’intruso: un ragazzo che deve aver avuto non più di diciannove anni, dai biondi capelli irti e scompigliati, che celava un corpo tonico e ben piazzato sotto il lungo e logoro mantello.
Sarebbe stato un comune giovine, se non fosse stato per alcuni particolari tutt’altro che irrilevanti: il colore dorato dei suoi soffici capelli contrastava con il minaccioso rosso scarlatto delle numerose ciocche.
Rosso, passionale come il suo sguardo sprezzante, acceso dall’inquietante brillantezza del color cremisi delle sue vibranti iridi.
Un pozzo di forza e mistero, che ti attraeva a sé con la brutale potenza d’un abissale buco nero.
Un pozzo dove Lucy era cascata in pieno.
-Ha uno strano odore…- constatò Wendy in un sussurro, restia a rompere il pesante silenzio che galleggiava sopra le loro teste. Erza annuì.
-Concordo. C’è qualcosa di lui che non mi convince-
-Non mi piace- si intromise secco Natsu, con una smorfia
-E che odore ha?- chiese scettico Gray.
-Magari di pesce- propose esultante Happy
Natsu rimase in silenzio per un po’, osservando intensamente lo sconosciuto di fronte al banco.
-Non lo so. Non l’ho mai sentito prima. Ma non è di qui, e forse non è neanche di Fiore. Quel tizio ha un profumo simile…-
-A quello di Edolas- concluse seria Wendy per lui, scambiando un’occhiata d’intesa con Carla
I sette tornarono a guardarlo, curiosi e disorientati al tempo stesso.
 Le labbra carnose del ragazzo si incurvarono in un lieve sorriso, scoccando uno sguardo prepotente al master, che aspettava impassibile la sua richiesta, qualunque essa sia stata.
-Il mio nome è Daemon Noctis Atlas, e vorrei poter entrare a far parte di Fairy Tail-
Fu il colpo di grazia.
 

 
 
ANGOLO AUTRICE:
Salve a tutti! Questo è il primo capitolo/prologo della mia prima fanfic su Fairy Tail, spero sia di vostro gradimento! Per lealtà nei vostri confronti, vi avverto che non so ogni quanto potrò aggiornare, in quanto ho anche un’altra storia incentrata su un altro manga (lo so, sono pazza, ma non ho resistito :p). Plus, sono anche piuttosto lenta a scrivere (non sono pratica di computer LOL) quindi vorrei scusarmi in anticipo e chiedervi di portare un po’ di pazienza, se potete ^.^”
Intanto, ringrazio immensamente chi leggerà, o ancora meglio, recensirà questa storia, perché facendolo, capisco che mi avete dedicato un po’ del vostro prezioso tempo per leggere un mio “lavoro”. Dandovi un caloroso abbraccio virtuale, io vi saluto
A presto,
nozomi

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Capitolo 2
*** Astral, anno x791 ***


Astral, anno x791, città sacra di Al Nair, due giorni prima

Gomeisa e Pleione splendevano fulgide, sospese in quell'oscuro manto blu cobalto, brillante dell'intensa luminosità delle sacre stelle. La luce divina dei due candidi astri si immergeva nella prosperosa radura sempreverde, tra gli irridescenti fiumi che si inoltravano nelle fitta foresta di possenti Ianum, gli alberi dalle nere foglie palmate che proliferavano ad Astral. I crisantemi beavano la natura dei loro colori spenti, mentre il delicato profumo delle rose bianche si intrecciava a quello spinoso delle rose nere, giocando nei capricci del fresco vento, nel silenzio dell'oscurità. L'infinita cascata di nivei raggi travolgeva le mura della città di Al Nair, facendo risplendere gli innumerevoli edifici in marmo bianco, illuminando le serpentuose strade in pietra d'ossidiana, traboccanti della comune gente che si tuffava nella miriade di odori e strepidanti suoni. Le grida dei mercanti, rintanati dietro gli spaziosi e sgargianti banchi in legno, si mescolavano alle chiacchiere dei passanti, mentre le risate dei bambini che si rincorrevano spensierati sapevano della stessa dolcezza e sobrietà dello zucchero filato delle botteghe dei dolciumi, come l'aroma del pane e dei tocchi di cioccolata, come la succosa frutta e la verdura fresca dei campi.
E pochi metri più in là, verso l'ala ovest della città, troneggiava solenne l'enorme palazzo in cristallo della casata reale, casa della nobiltà, così fulgido e luccicante da parer esso stesso fonte di luce. Guardava tacito verso la parte opposta, nell'ala est, dove si poteva rimirare in tutta la sua arcana imponenza il tempio di Altair, il più importante luogo di culto dedicato alle stelle e ai loro Spiriti, anch'esso costruito nel prezioso cristallo. Il cristallo di Astral era un materiale assai pregiato: una pietra speciale, di grande resistenza, in grado di incanalare qualsiasi luce e trattenerla al suo interno.
Materiale di certo indispensabile per la vita della popolazione, data la notte eterna della quale questo mondo astrale è vittima.
Anche se, in un certo senso, la gente aveva imparato a... vedere con i propri occhi.
Occhi che, tra le mura di un certo castello, assaporavano assorte le tenebre dell'infinito, in attesa di qualcosa. O qualcuno.
-Notte magnifica oggi, non pensa anche lei, generale?-
La persona in questione si girò pigramente verso l'intruso, mantenendo uno sguardo svogliato, per poi rigirarsi.
-Come sempre- commentò piatto, nel frattempo che l'altro si avvicinava
-Mai una volta che la veda interessato a qualcosa, eh?- sorrise sconsolato l'uomo nell'argentea armatura, sotto il fascio di luce. Il generale abbassò la testa e sospirò, prima di voltarsi per guardarlo.
-È che, semplicemente, ho altri "interessi" a cui badare, piuttosto che pensare a cose superflue come l'aspetto delle nostre due lune-
-Oh, la prego, non bestemmi, non se la prenda così- brontolò l'altro –so perfettamente che deve vegliare su cose ben più importanti. Le sto solo dicendo di... pensare un po' più a sé stesso, tutto qua. Ha appena 19 anni, non dovrebbe avere solo i doveri per la testa. Non so se mi spiego...- spiegò paterno, rivolgendogli un'occhiata maliziosa
Il generale ritornò a guardare le stelle, accennando un sorriso beffardo
-Apprezzo la sua preoccupazione nei miei riguardi tenente colonnello Klaus, ma salvaguardare un intero paese e proteggere la famiglia reale non sono "semplici doveri". Ed in virtù di questi, ci terrei che lei mi spiegasse le ragioni della sua presenza qui. Non mi aveva forse chiesto un giorno di riposo per stare con la sua famiglia?- chiese sbrigativo, desideroso di andare al sodo
-Non le può sfuggire niente, a quanto vedo- commentò arreso Klaus, facendosi serio –Bene, quelle che le porto non sono buone notizie. Riguardano Gacrux-
Il generale si fece improvvisamente attento, guardando con intensità gli acquosi occhi dorati del capitano, che provò un leggero timore. Succedeva sempre, quando lo guardava in quel modo. Vi era qualcosa di così profondo ed inquietante, che poco derivava dal colore unico e particolare delle sue iridi.
-Parla, ti ascolto- ordinò con voce ferma
-Come lei ben sa, negli ultimi anni non abbiamo riscontrato alcuna traccia dell'organizzazione, nonostante i numerosi controlli lungo le frontiere e le pattuglie sparse per la regione, sia nelle città, che nelle periferie. In più, abbiamo catalogato un calo evidente dei traffici illeciti, per la maggior parte in mano loro. Sembravano come smaterializzati: un giorno all'altro e... puff! Spariti nel nulla. Ma qui viene la parte interessante: pochi giorni fa, ci è giunta una segnalazione da parte del villaggio di Logur, a sud-est del fiume Disoh. I paesani raccontavano di aver avvistato dei movimenti sospetti nei pressi della radura di Alvarion, che è nelle vicinanze. Gli uomini sono andati a controllare, ed indovini un po' cos'hanno trovato? Un portale-
-Un portale?- ripetè il generale, leggermente stupito. Klaus annuì.
-Già, anche io sono rimasto un po' interdetto quando me l'hanno riferito, e forse non ci avrei neanche creduto, se solo non fossi andato a controllare di persona. Ora ne abbiamo la conferma. Esistono. Gli antichi portali che i nostri antenati usavano per dominare lo spazio ed il tempo, quegli stessi portali che si dice comunichino con altri mondi, addirittura con il Regno delle Stelle. Gli Archi del Tempo esistono, e sono anche sicuro che quei maledetti bastardi se la sono svignata grazie a quello rinvenuto ad Alvarion-
-Che sia andata così è molto probabile, ma avete scoperto come sono riusciti a farlo funzionare?-
Klaus scosse la testa , aggrottando la fronte in un'espressione frustrata
-Purtroppo no. Ci abbiamo provato, anche con l'aiuto dei maghi, ma niente. Non c'è ragione di farlo attivare-
Il generale si chiuse per un attimo in un silenzio riflessivo, volgendo ancora lo sguardo al cielo notturno. Klaus, osservandone distrattamente il giovane profilo ed il suo vibrante sguardo perso tra le stelle, non poté fare a meno di chiedersi se colui con il quale stava parlando fosse veramente un semplice ragazzo o un uomo imprigionato nelle sembianze di un tale. Quel giovane sembrava portarsi dietro cicatrici che un uomo non sarebbe riuscito a procurarsi in una vita intera. Aveva sentito dire che in passato era stato uno spietato assassino, oltre che un'abile ladro. Voci che reputò veritiere, dopo che lo vide per la prima volta solcare l'arida terra dei campi di battaglia.
Ma poteva un assassino provare un simile cruccio per causa di sé stesso?
Poteva, poteva.
-Hai notato qualche dettaglio particolare?- chiese d'un tratto il generale. Klaus si riscosse
-Cosa? Dove?-
Il ragazzo sospirò, massaggiandosi le tempie
-L'arco. Presentava qualcosa di strano?-
Il tenente ci pensò su.
-Mi pare che presentava delle scritture strambe sulla ghiera. Non sono riuscito a leggerle, ma guardandole meglio mi sembravano delle rune...-
-Rune mistiche, eh- mormorò tra sé il generale –molto bene, capitano Klaus. Dia l'ordine agli uomini di incrementare i controlli nei pressi di Logur, dopodiché, mandi una squadra di ricerca per verificare la presenza di altri portali identici a quello nei dintorni e chieda aiuto ai Sacerdoti Celesti per decifrare quelle rune. Hanno a disposizione centinaia di Tomi nel Tempio, certamente avranno qualcosa che vi si avvicini. Se necessario, controllerò io stesso nella biblioteca reale-
-Sarà fatto-
-Continui a tenermi aggiornato se ci saranno ulteriori cambiamenti. Ci tengo a rimanere al corrente della situazione. Ora può andare- disse congedandolo con un gesto frettoloso della mano.
Klaus fece un piccolo inchino e si incamminò a passo spedito verso l'uscio, quando ad un tratto si fermò
-Ah, non sarebbe opportuno avvisare Sua Maestà a riguardo?- chiese
Il generale gli scoccò un sorriso borioso
-Coraggio tenente, per chi mi ha preso?- lo canzonò –Sono o non sono l'uomo fidato di Sua Maestà?-
Klaus proruppe in una generosa risata di gola. Scosse la testa. Quel ragazzo... era proprio come dicevano: intenso e pungente come la menta selvatica; imprevedibile ed inafferrabile come il vento.
Lo conosceva da pochi anni, e non si era mai smentito. Sorrise.
-Ha ragione- disse avviandosi –Beh, allora le auguro una buona serata, generale Atlas-

§ § § § §

-Su Atlas, muoviti!-
-Altezza, non sarebbe il caso di rallentare un po'? Sapete bene cosa direbbe (e penserebbe) vostra madre se vi vedesse in abiti consunti...-
La principessa si girò imbronciata verso il ragazzo, in uno scatto che fece ondeggiare i suoi lunghi e setosi capelli blu notte, contornati dalle numerose ciocche argentee. I suoi eleganti occhi grigio perla lo guardarono indispettiti, perdendo ogni traccia di grazia sul suo volto dalle fattezze fanciullesche, mentre le delicate e candide mani reggevano decise il lungo abito di seta.
-Atlas, ti prego, risparmiami almeno tu questa tortura. Ho già le mie balie che mi seccano abbastanza, non diventare anche tu un pignolo come loro- sbuffò, girandosi per riprendere la frettolosa camminata attraverso l'oscura foresta, trafitta dagli intensi raggi delle lune sospese là in alto, a salvaguardare la notte e il suo eterno scorrere. Proseguiva determinata nella sua piccola corsa, aggraziata come il dolce strimpellio delle corde di un liuto, incurante del carente stato del vistoso vestito, ormai oltraggiato da evidenti tracce di fango, e del portamento regale al quale era stata votata fin da piccola.
Portamento che, se fosse stata in altri panni, avrebbe gentilmente mandato a quel paese. Esattamente come avrebbe voluto fare qualcun altro, in quel momento...
-Ah, sì? Beh, Altezza, non sono di certo io quello che ha scombussolato l'intero palazzo a suon di grida inveendo il mio nome, ordinarmi di seguirla nella sua scappatella qui, ai confini della città, per poi trascinarmi via senza che abbia detto neanche una parola a riguardo- ribattè dietro di lei Atlas, con una lieve punta di irritazione nel suo scuro tono di voce
-Ma io posso permettermelo, e non me ne curo- affermò lei altezzosa –Sono la futura erede al trono della potente Al Nair, ho il potere di fare quello che desidero-
-Sempre che vostra madre non decida di darvi in sposa a qualcun altro. Per esempio... un certo principe di Logomor. Se non erro, è stato lui a chiedere più volte la sua mano...- la punzecchiò malizioso il giovane, provando un dolce sapore, di natura maligna, non appena la principessa reagì, girandosi verso di lui con un'espressione a dir poco indignata.
-Io non andrò mai in sposa a quel lurido porco chiaro? Mi dovranno decapitare prima di un tale oltraggio nei miei riguardi!- esclamò con rabbia
-Pfff –
–Non c'è niente da ridere! E poi...- bofonchiò arrossendo –io ho già in mente chi voglio sposare, una volta compiuti i sedici anni...- concluse divenendo stranamente silenziosa
Atlas, inconsciamente deliziato da quella lieve sfumatura porpora che impreziosì le gote perlacee della focosa principessa, la guardò stupito
-Potrei sapere chi sia costui, Altezza?- chiese divertito
La nobile gli rivolse un'occhiata sfuggente, dal sapore mesto. Sopirò esasperata. Il cielo solo sapeva quanto avrebbe voluto dirgli che era lui, l'idiota che l'aveva fatta sua.
Lei, che si considerava uno spirito libero, in tutta la sua essenza.
Decise che era meglio arginare la domanda.
-Oh, ti prego Atlas, quante volte te lo devo ripetere che quando siamo soli non c'è bisogno che ti rivolga a me con tutte quelle onoreficenze?-
-Credo altre infinite volte, Altezza- rispose il ragazzo con noncuranza, desideroso di ritornare all'argomento di prima -Ma vedete...-
La principessa gli rivolse un gesto di stizza –Sì, sì, lo so, io sono la principessa e tu il Supremo Generale dell'Ordine Celestiale dei Cavalieri della Corona- disse enfatizzando la nomina con voce scura –nonché il mio fedele supervisore, il mio maestro, al quale devo rivolgermi con il dovuto rispetto e bla, bla, bla- continuò seccata –odio tutti questi preamboli! Ti dico io cosa sei: sei il mio più caro amico, il solo e l'unico. L'amico che, nonostante il suo pessimo carattere, mi è stato accanto con una premura quasi nauseante, dolce e appiccicosa come lo zucchero filato sulle dita- sospirò, socchiudendo le palpebre -Non voglio privarmi di un tesoro così prezioso per un semplice e sconsiderevole fatto di etichetta. Tra di noi, non voglio barriere d'alcun genere- concluse, addolcendo il tono austero che la predominava.
Atlas, alle sue spalle, mostrò un lieve sorriso, non uno di quelli beffardi che era solito far vedere, ma un sorriso sincero, così raro ad apparire sul suo viso impassibile.
Non poté fare a meno di osservare con ammirazione la sua principessa: chi lo avrebbe mai detto che quella graziosa bambina, così timida e gracile, sarebbe diventata così audace, energica ed avventuriera?
Una principessa dal cuore così grande da poter amare e sacrificarsi per un intero popolo.
Una fanciulla dal portamento di una regina.
Forse era questo, che tanto l'affascinava?
Sorrise rassegnato –Come desideri, Alhena-
La principessa si sorprese nel provare un piccolo brivido, a sentire pronunciare il suo nome (così poco enunciato da suonare strano alle sue stesse orecchie) da quelle labbra tanto segretamente agognate da chissà quanto tempo.
In preda ad un tenue calore alle guance, Alhena si morse il labbro inferiore, posando una mano appena sotto il suo seno, come se cercasse di tenere a bada il suo stomaco in tumulto.
Per quanto oltre sarebbe riuscita a nascondere la verità?
Per quanto oltre avrebbe continuato a girare e girare attorno a quell'interminabile cerchio di dubbi e paure?
Continuare a ferirsi o dare sfogo ai suoi sentimenti a lungo celati, arrecando disonore alla famiglia, alla sua cara e amata madre, per via di insulsi pettegolezzi cortesani?
"Sono stanca di tutto questo" pensò, abbassando lo sguardo sull'erba fresca
E mentre cercava di trovare una risposta, indugiò nei ricordi del passato, nel giorno in cui un ragazzino dallo sguardo spento, coperto di sangue e stracci, si presentò al cospetto dei suoi innocenti occhi da bambina, incatenandoli a sé per tutti gli anni a venire.
E fu grazie a lui, che poté uscire dalla favola della corte e vedere la vera, cruda realtà della vita.
Una vita a volte bella, a volte oltraggiosa.
Un capriccio.
Proprio come il suo.
Sentii qualcosa sfiorarle la mano, si riscosse dal vortice. Voltò la testa, e si trovò accanto quel ragazzo, oggetto dei suoi sogni e delle sue passioni, che stringeva con sorprendente delicatezza le sue piccole mani in quelle sue rudi, forgiate da un passato di combattimenti e disgrazie.
Proprio come facevano da bambini.
Le rivolse un'occhiata penetrante, di quelle che ti scavano nel profondo, come se stesse cercando le tracce del suo turbamento. Lei gli sorrise rassicurante, apprestandosi a proseguire la camminata nel folto della foresta, ma lui la trattenne, guardandola con più intensità.
-Sto bene. Non preoccuparti- gli disse –Coraggio, andiamo- lo esortò, trascinandoselo dietro, ancora dubbioso del suo stato
La conosceva, la conosceva troppo bene, il suo Atlas. Doveva stare attenta.
Lei era una principessa, non doveva amarlo. Quale oltraggio, per la casata reale! Ma lo amava. Che poteva farci?
Come migliore amica, conosceva ogni suo lato.
Come donna, li amava tutti.
Come principessa, era obbligata a sopprimerli.
"Ingoia il boccone amaro, nascondi tutto, per te è l'unica possibilità".
Soffocare sé stessa. Era l'unica strada.
Avrebbe pianto per questo? Certo che no, sebbene sia difficile non farlo.
Non si sarebbe fatta violare anche l'orgoglio.
Tenendosi ancora stretti per mano, durante il tragitto Alhena mostrò le tracce di un languido sorriso. Una volta che furono cresciuti, poche volte l'aveva tenuta in quel modo, e così a lungo. Non era il tipo da atti dolci, il suo Atlas: lo mettevano tremendamente a disagio. Anche senza guardarlo, sapeva benissimo quale fosse la sua espressione in quel momento: i suoi vibranti ed intensi occhi cremisi puntati fieri davanti a sé, intralciati ogni tanto da qualche ciocca ribelle; il volto rilassato, imperturbabile, tradito dalla mascella contratta, come accadeva quando era nervoso.
Come avrebbe potuto fare a meno della sua compagnia?
Come avrebbero potuto privarla di lui?
Sarebbe riuscita ad andare avanti?
Cosa le avrebbe riservato il futuro?
Per un attimo, i suoi pensieri corsero al suo castello, fulcro della corte, e non si sorprese nel provare un profondo rancore nei suoi confronti. Come si poteva non odiare una prigione piena di pesanti catene? Perché, quello scintillante e meraviglioso castello era proprio questo per lei. Un posto lurido, maleodorante di pregiudizi, buio, come la foresta nella quale si erano inoltrati. E la sua unica speranza, era quella grande mano calda, che la stringeva dolcemente.

§ § § § §
 
Lo sguardo dell'ombroso cielo stellato si faceva grave, sopra le folti e lucenti chiome dei grandi Ianum.
Il vento fresco si era acquietato, lasciando serpeggiare il quieto silenzio che, impertinente, si divertiva ad avvolgersi intorno alle cose, agli animali, alle persone. Le sue malefatte, furono però presto interrotte da lievi fruscii, passi che causavano l'ondeggiare sinuoso dei fini fili d'erba, baciati dai candidi fasci di luce. Passi provocati dal frettoloso camminare dei due giovani, accolti nell'abbraccio del buio, i fiori fluorescenti ad indicar loro la via...
-Allora vuoi dirmi chi è lui?-
-No-
-Oh, andiamo!-
-No-
-Sei una noia-
-E tu un'impiccione!-
Tenendosi ancora per mano, Atlas assunse un'espressione irritata
-Allora puoi dirmi almeno perché mi hai portato qui?- chiese
-Aspetta e vedrai- rispose composta Alhena
-Ah, bene! Sto rantolando nel buio con un'altezzosa rompiscatole e non so nemmeno il motivo! Proprio bene!- brontolò acido –Sei almeno consapevole che stiamo entrando in un territorio sacro, dove i sacerdoti potrebbero benissimo farci fuori?- chiese con aria di sfida
Lei si voltò un attimo verso di lui, rivolgendogli un'occhiata di sufficienza
-Certo che ne sono consapevole. E tu sei consapevole di chi sia io?-
Atlas alzò gli occhi al cielo –Ecco che ricomincia...- disse esasperato
-Non lo trovi comico? Tu, il trasgressore delle leggi, che si preoccupa di rispettarne una...-
-No, comico è come mi sia venuto in mente di accettare la richiesta di salvaguardarti...- ribatté sarcastico il giovane, mentre le sue iridi scintillavano minacciosamente. Ma la principessa non se ne curò.
-Se è così, allora sei libero di andartene. Peccato però. Ti volevo fare una sorpresa...- disse la principessa con una punta di malizia.
Atlas scoppiò in una profonda risata di scherno.
-Una sorpresa per me? Questa è bella-
-Perché? Ti scoccia forse?- sbottò la Alhena, un po' offesa.
Atlas le rivolse una lunga occhiata, prima di scostare il pesante mantello per frugare sotto il collo della sua camicia. Tirò fuori un grazioso ciondolo, un cristallo di forma sferica, dalle sfumature verdi-azzurrine, intrappolato in una modesta spirale d'argento. Un lungo e sottile filo di cuoio lo legava al suo collo, rendendolo una collana.
Alhena lo guardò con tanto d'occhi, percependo la gioia propagarsi per tutto il corpo.
"Porta al collo il tuo ciondolo!" le cantava una vocina, nella sua testa
-Niente di quello che mi hai dato tu mi ha mai scocciato, ricordatelo- disse con serietà, guardandola dritto negli occhi, per gustarsi lo scintillio commosso di quel grigio perla a cui si era (incredibilmente) tanto affezionato.
Alhena arrossì di colpo alla frase del giovane, accelerando poi il passo per superarlo, tenendo la testa china per non farsi vedere. Troppo imbarazzata per farlo.
-S-si ho capito, il concetto è chiaro, ora andiamo!- balbettò, cercando di ricomporsi
Atlas, sorridendo divertito, la seguì senza fare storie, pensando che, per certi lati, non sarebbe mai cambiata, la principessa.

§ § § § §
 
-Finalmente! Eccoci qua!- esclamò sollevata Alhena, affiancata poco dopo da Atlas, che rimase senza fiato
Davanti a lui la foresta si apriva, rilevando una distesa verde di chissà quanti ettari, cosparsa da centinaia di crisantemi fluorescenti dai soffici petali bianchi, che splendevano fulgidi come diamanti.
Ed al centro della piana, sovrastata dal terso cielo stellato, si ergeva un'enorme complesso di megaliti, che circondavano un possente arco in pietra, posto nel mezzo del cerchio.
Un arco. Come quello che gli aveva descritto Klaus.
-Allora? Come ti sembra? Non è fantastico?- chiese elettrizzata, voltandosi verso l'amico per scorgere qualche segno di sorpresa, ma il giovane non le rispose. Continuò a guardare l'arco, senza proferire parola, finché, all'improvviso, non si incamminò verso di esso. Alhena lo guardò un po' interdetta, un po' preoccupata.
-Cosa c'è che non va, Atlas?- chiese sopraggiungendolo
-Da quanto l'hai scoperto?- le domandò lui invece, secco, mentre toccava assorto la ruvida superficie dal colore grigio-azzurro
-Da circa un ciclo*, credo- rispose confusa –Ma cosa c'entra?-
Atlas si voltò a guardarla con espressione seria.
-Stamane ho ricevuto un rapporto da Klaus. Mi ha riportato la scoperta di un arco che presentava sulla ghisa delle incisioni, probabilmente delle rune. Un arco esattamente come questo- spiegò, picchiettando l'indice su una delle colonne
-E allora? Io non vi trovo nulla di strano... probabilmente sarà un manufatto appartenente al tempo del Popolo delle Stelle- disse la principessa
-Lo so, ed infatti è così. Quest'arco appartiene al Popolo delle Stelle, ma quello che sospettiamo è che non sia un semplice elemento architettonico, ma un portale- continuò Atlas. Alhena sgranò gli occhi.
-Un portale?! Non vorrai dirmi che questo sia uno di quei portali?!- esclamò stupita
Atlas annuì –Sì, pensiamo proprio che sia uno di quelli, e, a quanto pare, non siamo gli unici a farlo-
-Che vuoi dire?-
Il giovane alzò la testa verso l'arco che si stagliava di fronte a sé, guardandolo torvo. Le sue iridi bruciavano di rabbia e odio.
-Gacrux- pronunciò solo
-Pensi che sia per questo che non si vedano in giro ultimamente?- chiese grave Alhena, voltandosi anche lei verso la struttura.
-Già-
La principessa si mosse lentamente intorno all'arco, dedicando attenzione alle rune. Atlas la scrutò con curiosità.
-Sai, mia madre mi insegnò un po' di rune. Diceva che era importante sapere la lingua dei propri antenati, per commemorarli- disse, abbassando poi la testa verso l'amico –Credo di poterne decifrare alcune- continuò, affiancandosi ad Atlas
-Ne sei sicura?- chiese
-Sì- confermò lei, guardandolo intensamente negli occhi –Voglio poterti dare una mano. Concedimi almeno questo-
Atlas rimase a guardarla per un po', incerto se accettare la proposta dell'amica, ma presto si arrese, sospirando. Sapeva bene come si sentiva la principessa.
-E va bene. Procedi- disse
Alhena si concentrò sui segni, scovando nella memoria significato e suono. Le sembrò addirittura di sentire la voce della madre, quando le pronunciava a lei.
-O Tetrabiblos, cux ur tokir anma llave den tomre, uta watteru conq anima luz den octopun constaluz, pax takeru aqyru afka. Credo che voglia dire "Oh Tetrabiblos, con il potere della chiave del tempo, io ti ordino di concedermi la fulgida luce delle 88 costellazioni, per portarmi nel luogo al quale appartengo"- si girò verso Atlas –Cosa pensi volessero intendere?- chiese
Scosse la testa –Non lo so. "...per portarmi nel luogo al quale appartengo"... non c'è dubbio che sottintenda la possibilità di spostarsi, ma mi chiedo quale sia questo "luogo" del quale parla l'incisione. Che sia il vero luogo d'appartenenza dei nostri antenati? Che siano vere le dicerie che le nostre origini non siano ad Astral?- rifletté
-A-Atlas?- mormorò spaventata Alhena
-Cosa c'è?-
-Il ciondolo... guarda il ciondolo!- esclamò, guardandolo preoccupata
Atlas abbassò lo sguardo verso ciondolo, stupendosi nel vederlo brillare d'una luce potente
-Ma cosa...?- esclamò interdetto, prima di essere travolti da un intenso fascio di luce che quasi li accecò
Passò il tempo di un istante, prima che i due giovani riuscirono, dopo una corposa serie di battiti di palpebre, a guardare l'arco, con le iridi piene di stupore. Nello spazio vuoto, si era creato un velo di luce azzurra che ondeggiava sinuoso, luminoso, come lo erano diventate le scritte sulla ghiera.
A stento credevano ai propri occhi.
-Ma come è possibile?- chiese la principessa, avvicinandosi alla luce, come ipnotizzata dal suo muoversi
-Non ne ho idea Alhena, ma è meglio se non ti avvicini a quell'arco- si raccomandò Atlas, impadronito da un pessimo presentimento, ma fu troppo tardi: la principessa toccò la superficie del velo, che incominciò a muoversi in circolo, creando un vortice. L'aria attorno sembrò vibrare pericolosamente, sospirando una lunga attesa.
E poi, la potenza d'un ciclone.
L'arco incominciò a risucchiare l'etra attorno a sé, scuotendo violentemente gli alberi intorno.
Era terribilmente potente.
Atlas, per resistere alla potenza del vortice, chiamò a sé il suo spadone, conficcandolo saldamente a terra per aggrapparvisi. Mentre Alhena, in preda alla paura, provò a fuggire, ancor prima che si formasse il vortice, ma venne trascinata indietro, verso l'arco.
"Proteggi mia figlia: questo è il tuo compito, nonché il tuo unico scopo"
Vedendo la principessa rischiare di essere risucchiata nel vortice, Atlas si buttò senza esitazione, afferrando con rapidità Alhena e spingendola con forza verso la sua spada.
Senza la presenza di alcun appiglio, il giovane si sentì inesorabilmente trascinato verso il vortice. E, stranamente, non riusciva a fare appello alla magia.
Che il vortice risucchiasse anche le fonti magiche?
-Dannazione!- imprecò, aggrappandosi al terreno con tutte le sue forze. Dopo poco tempo, incominciò a percepire un leggero pizzicore alle mani.
-Atlas!- urlò disperata Alhena, salva accanto alla spada.
Il ragazzo sentì la presa farsi sempre più debole. Incominciò a dimostrare segni di cedimento, scivolando di poco verso l'arco. Fu conscio di non resistere ancora a lungo. Dovette escogitare qualcosa.
-Alhena, non credo di poter resistere a lungo, perciò ascoltami attentamente: contatta Klaus e fatti aiutare da lui, dopodiché dovrete trovare un modo per riattivare l'arco tenendo presente le rune qui sopra incise. Io intanto troverò un modo per tornare, è chiaro?!- urlò a squarciagola
-Non avrai intenzione di lasciarti andare?!- urlò lei incredula
-Non c'è altra scelta, non riesco a fare appello alla magia!- ribatté lui
-Allora verrò con te! – strillò lei, con tutta la disperazione che aveva al pensiero di lasciarlo solo.
-No Alhena! – tuonò Atlas, allo stremo delle forze -Tu devi restare qui e fare quello che ti ho detto, hai capito?! Ricordati chi sei, ricorda le tue responsabilità! –
Aveva ragione. Alhena lo sapeva benissimo.
Però…però!”
-E va bene! – urlò, colma di dolore e frustrazione - Ma sappi che se non ti azzarderai a tornare ti strozzerò con le mie stesse mani, è chiaro, Noctis Atlas?! Devi tornare da me!-
Le mani gli dolevano, la terra gli scivolava da sotto le mani. Doveva lasciarsi andare, non c'era scelta.
-Tornerò, stanne certa!- le urlò, sorridendo borioso, un attimo prima di mollare la presa.
L'ultima cosa che vide, fu il volto crucciato di Alhena che inveiva ancora una volta il suo nome.
E poi, il vuoto totale.

§ § § § §

Il sole splendeva alto, nel cielo di Magnolia, immergendo i suoi intensi raggi nelle profonde acque dell'oceano, fendendo le nuvole.
Per la città, scorreva tranquilla l'ennesima giornata d'estate, impreziosita dalle risate della gente, e dei bambini che giocavano per le strade, liberi da quella trappola che chiamavano scuola.
Anche Thiago, sceso di casa, inspirò a fondo l'aria impregnata di salsedine, gustandosi quell'odore che per lui significava libertà ed amici. Amici che, di lì a poco, avrebbe incontrato al loro solito posto. Solo che, non avrebbero mai immaginato cosa avrebbero trovato...
Era pomeriggio, e la banda passeggiava tranquilla per le strade della loro chiassosa cittadina. Avevano deciso di andare al porto, questa volta, a visitare la nave dello zio di Kyle. Erano un bel gruppetto, cinque fanciulli in tutto: c'era la piccola e gracile Grace, così timida e spensierata, la forte e ribelle Jenna, il pacato e serio Ethan, il socievole e solare Kyle, e poi c'era lui, il focoso ed avventuriero Thiago.
-Te lo dico io, Salamander è il numero uno!- discuteva entusiasta con Kyle, riferendosi al Dai Matou Enbu
-No, secondo me, il migliore è Gajeel!- ribatteva Kyle
-A me piace Sting, ma penso che anche Rogue non sia male...- si intromise Ethan
-Oh, quanto vorrei essere forte come Kagura!- sospirava eccitata Grace, accanto a Jenna
-Titania è la migliore! E un giorno sarò forte come lei!- sosteneva invece lei, con gli occhi infervorati
-Sapete, stavo pensando, se diventassimo maghi, una volta cresciuti, in che gilda vi piacerebbe entrare?-
-Fairy Tail!- esclamarono in coro gli altri. Ethan sorrise divertito.
-Lo immaginavo...- sospirò –Comunque, anche io penso di voler entrare a farne parte-
-Certo! Perché noi staremo sempre insieme, siamo un gruppo no?- affermò deciso Thiago. I quattro si guardarono tra di loro, per poi annuire al pensiero dell'amico.
-Giusto!- esclamarono
E così, incentrando le loro giovani menti sul loro ignoto futuro da maghi, ricco d'avventure e dolciumi al banco del bar, incapparono in una piccola e stretta stradina, una scorciatoia da loro stessi scoperta per raggiungere il mare. Nel tragitto però, notarono qualcosa di strano, una cosa che fuoriusciva da un buio vicolo...
-Una mano!- esclamò Grace, portandosi una mano davanti alla bocca
-Ne sei sicura?- le chiese Ethan, alzando un sopracciglio
-Si, si è proprio una mano!- insisté Grace
-Che ci sia qualcuno?- domandò Kyle
-Forse è un ubriaco- ipotizzò Jenna con una smorfia di disgusto
-Andiamo a vedere, magari ha bisogno d'aiuto!- propose Thiago, seguito da un acconsenziente Kyle. Jenna li scrutò pensierosa, per poi affiancarsi veloce ai due.
-Hai ragione!- disse
-Ma siete sicuri?- chiese esitante Grace, nascosta alle spalle di Ethan, che li fissava con il suo solito sguardo annoiato.
-Beh- disse –Siamo un gruppo, no? Uno per tutti e tutti per uno-
-Allora, ecco... se stiamo insieme, per me è ok, ma... fate avanti voi, vi prego!- piagnucolò Grace, raggiungendo i suoi amici
Con passo felpato, per quanto potevano, si avvicinarono al vicolo, per affacciarvisi. Dovettero posare in fretta le mani sulla bocca per trattenere il sospiro di stupore che susseguì.
Sdraiato a terra, in una posizione un po' scomposta, giaceva immobile il corpo d'un ragazzo, avvolto in un lungo e logoro mantello nero. Poco più in là, la luce d'un ciondolo splendeva speranzosa nel buio.
-Pensate che sia morto?- mormorò preoccupato Thiago
-Non lo so, ma a me fa paura- mormorò Grace
-A me no- disse Jenna
-Ha degli strani capelli!- constatò Kyle
-Saranno tinti...-
-Forse è uno straniero- pensò Ethan
Thiago restò a fissare il corpo inerme del giovane per un po', per poi incamminarsi lentamente verso di lui, cercando il più possibile di non fare rumore.
-Thiago! Ma che fai?!- mormorò Jenna
-Mi accerto che non sia morto, no?- disse lui con tono ovvio, girandosi verso di loro
-Sei sempre il solito imprudente!- gli soffiò dietro lei, ma il giovincello era ormai arrivato ad un palmo dal ragazzo. Si accucciò accanto a lui, scrutandone attentamente il volto rilassato. Sembrava dormisse. Posò delicatamente la manina sul suo torace, percependolo alzarsi ed abbassarsi, mentre il cuore batteva forte sotto le costole. Si girò sollevato verso i compagni.
-È vivo!- mormorò
-Ok, va bene, ora andiamocene però!- si lamentò Grace, desiderosa di andarsene
Thiago si rigirò verso il ragazzo, scuotendolo per le spalle
-Ehi signore, si svegli!- disse a voce alta
Niente. Scosse il corpo con più forza, urlando più forte.
-Ehi, svegliati!-
Jenna accorse, accucciandosi accanto all'amico.
-Lascia fare a me- disse esperta. Si avvicinò al suo volto, prese un profondo respiro e...
-Svegliaaaaaaaaaaaaaaaaa!- urlò a squarciagola, sotto lo sguardo sbigottito e senza parole dei quattro.
Il ragazzo-straniero mugugnò, corrugando la fronte. Aprì lentamente gli occhi, sbattendo più volte le palpebre.
-Ecco, visto? Si è svegliato- sentenziò soddisfatta
Il giovane si mise piano seduto, passandosi una mano sulla faccia. Si guardò un attimo intorno confuso, per poi posare le sue iridi sui due fanciulli, che rabbrividirono.
-Come fa ad avere gli occhi rossi?- mormorò stupito Ethan
-Forse ha bevuto troppo?- ipotizzò Kyle
-No, no, voglio dire che il colore dei suoi occhi è rosso!- specificò Ethan
-Ma come può essere?!-
-Non ne ho idea, Kyle-
Intanto, lo straniero si tastò frenetico il torace, scrutando poi il terreno con ansia. Non appena vide il luccichio del ciondolo poco più in là, si precipitò a prenderlo, mettendoselo al collo con un sospiro di sollievo. Si volse a guardare di nuovo i ragazzi.
Jenna e Thiago lo guardarono imbambolati.
-Capite la mia lingua?- chiese, indicando la sua gola. I due annuirono, ancora imbambolati.
-Potete dirmi dove mi trovo?- chiese
-Ti trovi nel regno di Fiore, a Magnolia- rispose Jenna, senza staccargli gli occhi di dosso
-Vicino alla zona del porto- continuò Thiago, che faceva altrettanto
Dalle espressioni dei due bambini, il ragazzo intuì la stranezza del suo aspetto da quelle parti, così, decise di tirarsi su il cappuccio. Un po' zoppicante, si rimise in piedi.
-Va meglio adesso?- chiese loro con premura
Jenna e Thiago si guardarono tra di loro, per poi guardare di nuovo il giovane, che allungò le mani e scompigliò loro i capelli, in un gesto d'affetto.
-Grazie- disse solamente, prima di svanire nel buio del vicolo, fondendosi con le ombre.
-Ma chi è quello?-

§ § § § §

Atlas dondolava stanco i piedi, seduto sul tetto di una casa, scrutando assorto il mare, con gli occhi leggermente socchiusi. Sentiva leggermente caldo, lì sopra, e non riusciva ad abituarsi a quella luce tanto accecante.
Non sapeva da quanto tempo si trovava lì, in questa fantomatica "Magnolia", ma sapeva che aveva preso coscienza da poche ore. Due, forse tre. Si chiese se avrebbe continuato a stare lì steso, incosciente in quel vicolo, se non fosse stato per quei bambini. Sospirò, aggiustandosi il cappuccio. Si domandò se Alhena fosse al castello, sana e salva. Sicuramente ora si stava dando da fare, e lui doveva fare altrettanto.
Sapeva che non sarebbe riuscito ad abituarsi presto alla luce, il che implicava che si sarebbe dovuto tenere addosso il cappuccio, ma pensò che era meglio così. Meno vedevano il suo aspetto, che poteva apparire strano, meglio era. E poi, essendo quella una città portuale, dovevano passare molti pellegrini per quelle strade. Sarebbe passato abbastanza inosservato. Ora, non restava che fare delle indagini sul posto. Non aveva nessun soldo in tasca, e prima o poi avrebbe dovuto mangiare. Per non parlare poi di un giaciglio dove riposare. Prima si sarebbe sistemato, prima avrebbe trovato un modo per tornare a casa. Doveva trovare un modo per racimolarsi qualche spicciolo. Avrebbe anche potuto mettersi a rubare, ma la sua arte si era un po' arrugginita. Preferì non rischiare, al momento.
Si alzò, stiracchiandosi, e si gettò nel vuoto, atterrando agilmente sulla strada con un tonfo. Avrebbe chiesto indicazioni per raggiungere il centro della città, e si ritené fortunato di avere la lingua dalla sua.
Per non destare sospetti, si creò un'identità, giocando sul fattore semplicità: un ragazzo vagabondo, proveniente dalla campagna, si lasciò prendere dal desiderio di esplorare il mondo, ma poi prende la decisione di sistemarsi per un pò tempo, al fine di guadagnarsi qualche soldo. Sì, poteva andare.
Girovagò a lungo per le strade, sotto il sole cocente, chiedendo informazioni a decine di persone. Non aveva parlato così tanto in vita sua, per sua scocciatura.
Era ormai passata mezza giornata, e ciò che aveva raccolto era piuttosto scarso.
Fu vicino un modesto locale, che fece finalmente bingo.
Accadde per caso. Si trovava in una strada poco affollata, pensando alla prossima mossa, quando incappò in una conversazione tra due uomini.
-Che meraviglia Wakaba, mi sembra di esser tornato ai vecchi tempi! Romeo è tornato a sorridere e la gilda è diventata la solita bolgia!- esclamava l'uomo barbuto, sorseggiando con gusto il suo boccale di birra. L'altro, di fronte a lui, annuì nostalgico.
-Eh, già, non sembrano nemmeno che siano passati sette anni, vero?- disse dopo un lungo sorso
-Vero, vecchio mio! E vedrai quante richieste arriveranno, ora che abbiamo vinto il Dai Matou Enbu!-
-Sarà peggio di una tormenta! Soldi a catinelle!-
Il bruno rise di gusto, alzando in aria il boccale –A Fairy Tail, la perla di Magnolia!- gridò
-La gilda di maghi più potente di Fiore!- tuonò l'altro, imitando il gesto del compare
Atlas sorrise soddisfatto. Ora sapeva cosa doveva fare.
-Scacco matto- canticchiò





*10 giorni terrestri

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Capitolo 3
*** Puzza di guai ***


PUZZA DI GUAI

Sola, trascurata.
Così si sentiva la povera, lucente bacheca in legno al secondo piano, vestita delle più strampalate e pericolose missioni, così care alle bocche avide dei maghi.
A quanto pareva, nella vivace confusione quotidiana dell'amata Fairy Tail, nessuno osava degnarla d'uno sguardo, fatta eccezione per il vecchio Nabu, appostato davanti a lei da tempi immemoriali.
Rimase perciò deliziata, quando vide un giovane avvicinarsi al suo cospetto, per indagarla in ogni suo angolo con le sue penetranti iridi cremisi.
-Mmm, vediamo, quale richiesta potrei scegliere?- mormorò pensieroso Atlas, vagando il suo sguardo sull'enorme bacheca, in cerca di una missione da poter svolgere. Il marchio di Fairy Tail era ancora fresco, sulla sua spalla destra, e pulsava prepotentemente contro la sua pelle, contro il suo vero io.
In un primo momento, quando si vide addosso quella fiamma nera, si sentì infastidito: per la seconda volta, gli era sembrato di essere proprietà di qualcun'altro, ma presto represse il suo rancore, ricordandosi che quello che stava facendo era per una causa superiore.
Era da appena un giorno che era entrato a far parte di quella scalmanata gilda, tra lo stupore generale dei presenti, i quali tutt'ora, con suo grande sollievo, gli ostentavano indifferenza, forse per un celato timore. Vedere i loro volti sbigottiti fu una vera delizia per lui. Gli ricordò molto le facce incredule degli altri membri della Guardia, il giorno in cui ricevette la nomina di Supremo Generale.
Aveva da poco compiuto i diciassette anni quando accadde, ed un tale avvenimento non succedeva da più di cinquant'anni.
Era una delle cose di cui andava più fiero.
Una carica che gli costò sangue e sudore. Una carica che gli costò fatica, odio e solitudine.
Tutto per tener fede a quel giuramento, diventato il suo unico scopo, per la speranza di un nuovo inizio.
Un inizio che si chiamava Astral.
Un inizio avvolto del colore niveo della pace.
Un inizio che profumava e sapeva di Alhena e del suo popolo.
-"Cercasi insegnante mago per un giorno"... troppo noioso. "Caccia al famigerato ladro Velveno"... uno solo? Troppo poco. "Collezionista cerca un giovane intrepido che gli colga il rarissimo fiore Veritas sulla cima del vulcano Tantakrux"... interessante, peccato che non sappia dove sia questo vulcano...-
Atlas scrutava attento le centinaia di fogli affissi sul robusto legno della bacheca, accanto ad un Nabu che si faceva sempre più teso per la prolungata presenza del misterioso giovane...
-"Minaccia di rapina ad un prezioso carico di oro e diamanti. La nave sbarcherà al porto di Hargeon verso tredici di questo megrodì: cercasi disperatamente mago disposto a proteggere il carico"- annuì -Questo dovrebbe andare per ora- disse compiaciuto, staccandola con un gesto secco.
-Compenso di 250.000 jewels...- lesse pensieroso –Generosi. Questa dovrebbe essere una bella somma- disse con un sorrisetto. Non aveva conoscenza delle valute locali, né sapeva quanto questi jewels valessero in diapri, ma dedusse che quella cifra non era certo modesta. In ogni caso, anche se fosse stato tutto l'opposto di quel che si aspettava, si sarebbe accontentato. La prima notte su questo mondo l'aveva consumata tra le fronde di un albero, e non se ne fece un problema.
Sarebbe sopravvissuto per altre ancora.
Rivolse una mezza occhiata a Nabu, che per tutto quell'arco di tempo era rimasto a fissare concentrato la bacheca, a braccia conserte, senza alzare il minimo muscolo. Anche il giorno prima l'aveva notato così. Con un leggero sospiro, si girò verso le scale.
-Sai, Nabu, il mondo non può girare se tu continui a girare solo su te stesso - commentò schietto.
Nabu, riscosso, si voltò a guardarlo con stupore, ma il ragazzo era già sparito nella baldoria della gilda. Si grattò il capo confuso, volgendosi di nuovo alla famigerata bacheca.
-Ma che...?- si chiese interdetto.

§ § § § §

Era da poco passata l'ora di pranzo, e il sole picchiava severo sulla ruvida strada in pietra, dando sfogo al suo bruciante calore.
Il mare era dominato da una calma apparente; navi e barche ondeggiavano leggere, cullate dal delicato fragore delle onde.
I marinai si davano da fare, sistemando con cura i loro vascelli, fidi e preziosi compagni di viaggio, e sbarcando veloci il fruttuoso carico a lungo portato nelle grandi stive.
Non si lamentavano mai per il duro lavoro.
E mai si pentivano d'aver votato la loro vita al mare.
Per questo, sui loro volti impregnati di sudore, si notava un generoso sorriso prendere il largo su quella pelle abbronzata da quel cerchio giallo perso nel lussureggiante blu.
Sorriso che era stampato sulla bocca di un tale di nostra conoscenza, che si aggirava da quelle parti con la sua fida compagnia al seguito...
-Ah, ma che bella mangiata!- esclamò entusiasta Natsu, dandosi delle piccole pacche sul suo stomaco sazio.
-Aye! Pesce!- confermava Happy posato sulla sua testa, con una faccia così rilassata da parer essere in paradiso.
-Invece che pensare alle vostre stupide pance, notate che, per colpa vostra, abbiamo perso un certo treno per andare in missione- disse scocciato Gray, con le mani in tasca.
-Ed ora è andato tutto in fumo- sospirò sconsolata Erza, trascinandosi dietro il solito carro colmo di bagagli.
-Mi dici ora come farò a pagare l'affitto questo mese?!- aggiunse infuriata Lucy –Tutto perché vi siete voluti fermare a tutti i costi in quel ristorante che cucinava pesce!- concluse gesticolando isterica.
-Ma avevamo fame!- si lamentarono in coro i due guastafeste, guardando la loro nakama sull'orlo delle lacrime. Nel vedere le loro facce disperate, Lucy sentì il disagio prendere posto nel suo stomaco.
-E-e va bene, ho capito, ma non guardatemi in quel modo!- affermò poi agitata.
-Natsu non cambierà mai!- disse divertita Wendy, al fianco di Carla, che si portava una zampa sulla fronte.
-Sono senza speranza- commentò arresa.
-No, sono due idioti senza speranza- precisò sprezzante l'alchimista del ghiaccio, già in mutande. Natsu si voltò verso di lui indispettito.
-Cosa hai detto, ghiacciolo denudato?!- ringhiò.
-Hai sentito benissimo, razza di fiammifero avariato!- ribatté pronto Gray.
-Su ragazzi, non è il momento per certe cose!- li rimproverò severa Erza.
-Ecco- sentenziò piatta Lucy –Zuffa tra 3, 2, 1...-
Uno scoppio. La terra sembrò tremare.
Un'improvvisa nota stonata in quell'armoniosa sinfonia di quiete.
-Cos'è stato?- domandò turbata Wendy, guardandosi intorno insieme agli altri.
-Laggiù! Del fumo nero!- esclamò Erza, puntando il dito verso una vaporosa colonna grigio cenere che si levava da una nave poco lontana. Si girò a guardare il volto dei suoi compagni, cercando una risposta sui loro volti decisi, nella forza che prorompeva dal loro sguardo. Si scambiarono un'occhiata d'intesa, e si diressero in tutta fretta verso il veliero.
-Ehi Erza un momento! E i bagagli?!- esclamò Wendy, fermandosi improvvisamente.
-A quelli ci penserò dopo!- rispose lei continuando a correre.
-Non preoccuparti Wendy, rubarli è impossibile- le disse Lucy con un risolino.
-In effetti...- ammise la piccola Dragon Slayer, rivolgendo un'ultima occhiata all'enorme ammontare di valigie, lì fermo sulla strada, ad aspettare paziente la sua padrona.
Giunti nei pressi della nave colpita, i sette scorsero delle casse di legno, e si nascosero dietro di esse, accucciandovisi in silenzio per assistere ad una scena che li lasciò sbalorditi.
Decine e decine di cadaveri scomposti erano accasciati sulla fosca strada dalle fattezze agreste, decorandola dell'inquietante color scarlatto del loro sangue, cospargendola del forte odore metallico, sinonimo di morte e terrore. I corpi, laddove erano squarciati, erano divorati da delle fiamme blu, come una notte senza stelle.
Spade, fucili ed altre strane armi giacevano accanto ai loro possessori, anch'esse sporche del lurido lascito della guerra.
Una sola figura, avvolta in un logoro mantello nero, era in piedi in quel macabro orrore. I suoi capelli avevano il colore del sole, ma anche di quel liquido viscoso cosparso copioso sotto i suoi piedi, infettando la pura semplicità di quelle grigie vie del mare. Sebbene per loro fosse impossibile scrutare l'espressione del suo volto, potevano percepire con truce chiarezza la fredda e spietata aura che divampava dal suo essere, terrorizzando addirittura i marinai della nave, che si tenevano alla larga. Sui loro volti traspariva l'inquietudine.
I sette, immobili dietro alle casse, si guardarono sconcertati, non riuscendo a credere a ciò a cui avevano assistito.
Un genocidio.
Un genocidio compiuto da un membro di Fairy Tail.
Un genocidio che portava la firma di Atlas.
-Bastardo!- sussurrò furioso Natsu a denti stretti, mentre stringeva i pugni con una forza tale da far trasparire delle sottili vene sul loro profilo rozzo. Tentò di scattare verso Atlas, ma fu bloccato in tempo da Lucy, insieme a Happy. Poteva percepire la temperatura del suo corpo solitamente caldo salire ancor di più. Anche le sue iridi fremevano dalla rabbia. Lo strinse a lei con premura. I suoi muscoli erano tesi, ma parevano più rilassati.
-No Natsu, per ora è meglio non farci scoprire- gli disse seria.
-Lucy, ma non hai visto che ha fatto?! Ha ucciso decine di persone! Un membro di Fairy Tail non lo farebbe mai, mai! - ribatté in un sussurro, bollente della sua rabbia.
Stava infangando Fairy Tail, stava infangando tutti loro.
Stava infangando il valore della vita.
Doveva fargliela pagare.
Lo so Natsu, lo so...
-Capisco quel che provi Natsu, ma l'hai detto tu stesso, ricordi? Quel tizio probabilmente non è di qui, e lo si potrebbe sospettare anche dal suo aspetto. È impossibile che sia anche un demone o un'altra creatura di Earthland. Dobbiamo prima indagare sul suo conto- interloquì Erza, mentre Natsu guardava il nuovo membro con una furia cieca. Ce la stava mettendo tutta per trattenersi dal gonfiarlo di botte. Se solo non gliel'avesse chiesto Lucy...
La bionda guardò l'amico preoccupata, capendo bene i suoi sentimenti. Questi affronti Natsu non li tollerava affatto, lo sapeva perfettamente. Perché nessuno, amico o nemico, aveva il diritto di decidere se vivere o morire. Costernandosi alla vista di tutti quei cadaveri, indugiò lo sguardo sul profilo di Atlas.
Come aveva potuto compiere una tale atrocità?
Come poteva restare insensibile al peso di un tale fardello?
Nessuno poteva, a meno che non sia pazzo. Ma lui non lo sembrava affatto. E allora perché?
-Bisogna ammettere però che è forte- sussurrò Gray guardando il ragazzo –Insomma, far fuori da solo tutte queste persone armate... Mi chiedo se appartengano a qualche gilda oscura...-
-Penso sia probabile. Ho sentito che questa mattina delle navi cariche di metalli preziosi dovevano attraccare qui. Sono una facile preda per i malfattori- disse Erza
-Però, anche se fossero stati dei brutti ceffi, anche se lo avessero aggredito per primi... è stato troppo crudele- confessò Wendy sconfortata, limitandosi ad abbassare lo sguardo. Lucy, con tenerezza, le posò una mano sulle sue piccole spalle, scosse per una tale vista, al fine di consolarla. Poi, alzò di nuovo la testa verso il ragazzo, che, intanto, si stava facendo strada tra i corpi inermi, scavalcandoli senza alcun riguardo. I suoi occhi cremisi vagavano svelti su quell'orrore, mostrando una fredda diffidenza. Eppure, Lucy giurò, per un effimero secondo, uno strano barlume aveva dato prova della sua forza in quella maschera scarlatta...
Che forse anche lui si rendeva conto?
Si avvicinò al cadavere di un uomo corpulento, anche lui accasciato a terra come gli altri poveri dannati, scorrendo gli occhi sulla sua sagoma senza vita. Il marchio del serpente avvolto attorno al pugnale brillava cupo sul suo collo, imbrattato del colore ormai spento del sangue secco. Una zambato la cui lama era avvolta da quelle strane fiamme era conficcata, spietata, sulla sua schiena, come se fosse una reliquia. Atlas ne afferrò l'elsa, e con uno strattone, la estrasse dal corpo. Osservò per un momento il profilo della lama affilata, indugiando sui numerosi rivoli di sangue che ne insudiciavano il luccichio minaccioso. La poggiò sulle spalle, guardando di nuovo il cadavere.
"Ancora... l'ho fatto ancora..." pensò accorato, mentre la morsa al petto si faceva sempre più stretta, quasi sopprimendolo.
Aveva fatto fuori un'intera gilda oscura, senza mostrare pietà o compassione.
Come un vero assassino.
Il desiderio di vendetta aveva preso il sopravvento; così come la bramosia di uccidere, di sentire i suoi muscoli tendersi allo spasmo nei suoi movimenti fluidi, di udire le grida strozzate delle sue vittime imploranti, di sentire il raccapricciante sibilo della lama che lacerava la tenera carne, di assecondarla al suo volere, nella sua folle danza mortale, dove lui si sentiva padrone della morte.
Istintivamente si toccò il braccio sinistro, ripercorrendo con il dito la cicatrice con l'intricato disegno del sole sopra le due mezzelune. Lo scontro di forze oscure che portano alla luce.
Che deplorevole.
Il suo patrigno doveva esserne orgoglioso. Aveva fatto un buon lavoro.
Ma lui già lo sapeva.
Si volse a guardare i marinai terrorizzati sul pontile. Loro avevano assistito a tutto, al suo ennesimo peccato.
"Visto, Atlas? Ora ti vedono come il mostro che sei divenuto, esattamente come tanto tempo fa..." gli sussurrava una vocina nella sua testa. Che crudele, ricordagli il passato in quel modo.
Passato con cui avrebbe dovuto presto fare i conti.
Prima o poi sarebbe arrivato il momento di scoprire tutte le carte in tavola; e lui non vedeva l'ora di farla finita.
Dopodiché, avrebbe potuto scontare tutti i suoi peccati. Poteva anche morire se volevano, non gliene importava.
Aveva scoperto che Gacrux si trovava lì, da qualche parte, nel continente di Fiore. Quei maghi malfattori gli avevano rivelato i loro traffici illeciti con le altre gilde oscure di questo mondo, l'enorme quantità di denaro sporco ricavato grazie allo scambio d'armi tecnologicamente evolute. Infatti, le armi che portavano questi tizi, stesi ai suoi piedi, provenivano proprio da Astral.
Ma a cosa gli poteva servire una tale quantità di denaro?
Perché proprio qui, e non ad Astral?
Atlas richiamò indietro il suo spadone e le fiamme, e si avvicinò con passo lento ai marinai sul pontile. L'incredulità e la paura traspariva brutale sui loro volti adulti, mentre nelle loro orecchie echeggiava sinistro il greve scricchiolio delle travi di legno, che soccombevano al peso dei passi del giovane.
-Che vorrà fare adesso?- sussurrò teso Gray
-Forse prendersi la ricompensa, o fare fuori anche loro. Dopotutto, sono testimoni- mormorò Lucy circospetta, in preda d'una stretta al cuore.
-In ogni caso, tenetevi pronti- disse Erza, pronta a scattare.
Atlas guardò imperturbabile gli uomini davanti a sé. Il suo viso era un dipinto di diffidenza; il cuore alzava un grido straziato.
-Perdonatemi, ma farò un po’ di casino - disse freddamente -Non ne abbiate rancore-
Le sue iridi scarlatte incominciarono a brillare ferocemente, surclassando per un istante l'atro nero della pupilla. Fece ruotare la sua zambato e ci fu un’esplosione, un vortice infernale di quelle splendenti fiamme blu, che accecarono gli uomini e li fecero cadere a terra per il dolore e il calore insopportabile. Alcuni di loro, persero i sensi.
-Fuggite piuttosto, stolti esseri umani...- mormorò distante, afferrando il denaro che gli spettava e correndo via da quel luogo contaminato dalla colpa.
Sapeva che era stato meschino a prendere quella ricompensa, ma, nella sua vita di ladro, aveva imparato bene il valore del denaro, la sua raccapricciante influenza su noi esseri
umani, obbligandosi a prenderselo senza scrupoli.

§ § § § §

Sapeva della sua anima immonda. Lo sapeva da ormai troppo tempo, e se ne era rassegnato. Oramai, era perduta. Non apparteneva più solo a lui.
Corse veloce per le vie di Magnolia, affidandosi unicamente all'istinto. La sensazione dei piedi nudi sulla calda strada granellosa gli ricordava la sua infanzia di ladro, quando correva a perdifiato nei vicoli di Al Nair per scappare dai soldati della Guardia, le volte in cui lo scoprivano a rubare.
Arrivato nei pressi di un bosco, vicino ad una quercia millenaria, appoggiò stanco la schiena al tronco, lasciandosi cadere a terra, mentre i polmoni, voraci, richiedevano l'aria. Si portò una mano sulla fronte sudata, la mente che intanto richiamava a sé sprazzi di dolenti ricordi lontani.
Il dolce volto di una bellissima donna sorridente; un proiettile che la colpisce spietato al petto; e poi, le grida straziate di un bambino.
Atlas rimase immobile, sotto le folte e nodose braccia di quel gigante verde, fissando distrattamente i piccoli pezzi di cielo tra le fronde. Le sue iridi non brillavano più di uno sfavillante cremisi. Erano spente, prive di vita.
Erano efferati resti delle fiamme di un fuoco che stava per spegnersi.
E, senza rendersene conto, le lacrime cominciarono a rigargli il pallido viso, piccole perle avvelenate dal cordoglio che sfumavano in prossimità del collo virile.
Sospirò tremante, raccogliendo tutte le sue restanti forze per tenere a bada il tumulto del cuore.
"Odia, odia sempre di più Atlas! Il tuo momento è ora giunto! Unisciti all’obscurius, divenite la greve mano della morte venuta a giudicare la feccia che popola questo insulso mondo! Fa’ di questo nuovo rancore la tua sola ed unica guida!"
Atlas si portò le mani davanti al viso: se le rigirò più volte, per osservarne i lineamenti.
Erano quelle, le mani del mostro, le figlie della distruzione e della paura?
Sì, lo erano, e anche questa volta ne avevano dato la prova.
Provò un moto di disgusto verso sé stesso. L'ennesimo.
Le speranze di sopprimere quel lato della sua anima si stavano affievolendo di volta in volta. Erano quasi nulle. Per quanto cercasse di controllarsi, di controllarlo, alla fine, c'era sempre, onnipresente, l'incombere d'un fallimento.
Era tutto inutile. Quella parte di sé sarebbe rimasta con lui, a lottare e ad imporsi fino alla vera fine.
Che bisogno c'era di sforzarsi a cambiare? Nulla poteva cambiare ormai, in lui.
Aveva perso fin dal principio. Il vincitore era già stato deciso ancor prima di iniziare a lottare contro l’altra parte di se stesso.
Ora lo capiva.
Sorrise amareggiato.
"Se mi sentisse Alhena in questo momento, probabilmente mi sbranerebbe vivo" pensò mesto, giocando con il lucente ciondolo che portava al collo. A lei non piaceva quando lo vedeva sopraffatto dalla frustrazione e dallo sconforto. Non era il tipo che tollerava l'arresa, lei. Riusciva sempre a vedere una luce nel buio. Lo sapeva, perché era stata lei stessa, un giorno, ad indicargliela.
Fu il principio dell'incanto. Un incanto che durò troppo poco.
Era come la meraviglia di ammirare il leggiadro volteggiare d'una fragile bolla, e di vederla miseramente scoppiare tutto ad un tratto.
La meraviglia è finita, se ne è andata insieme alla bolla.
Arriva la delusione.
"Non mi resta che accettarmi per la bestia che sono. Sono stufo di avvolgermi attorno a decine di catene" concluse. Chiuse gli occhi. Il volto sereno della giovane donna tornò a travolgergli i pensieri, tormentandolo con il suo dolce sorriso.
Il suo cuore cadde succube del ricordo, irrimediabilmente.
"Perdonami... madre.”

§ § § § §

-Che facciamo ora?-
Lucy guardava con aria sofferente il punto in cui Atlas era sparito, portandosi con sé il denaro della ricompensa. I marinai giacevano a terra inermi, sembravano dormire sereni.
Ancora non riusciva a capire il perché d'un tale atto, e ciò la crucciava.
-Io vado e lo faccio a pezzi, quello!- ringhiò furioso Natsu, che ancora non si era calmato totalmente.
E come avrebbe potuto?
-No, Natsu- lo richiamò con tono fermo Erza, trattenendolo per la maglietta –Dobbiamo andarcene da qui, e subito- continuò.
-E vorresti lasciare qui tutti questi cadaveri?!- esclamò incredulo Gray.
-Non abbiamo altra scelta- rispose Erza, guardandolo severamente dritto negli occhi –Se segnalassimo la presenza di tutti questi corpi, e riportassimo al Concilio Magico l'accaduto, vorranno sicuramente sapere il colpevole di questa strage, e noi, per giunta, ne siamo anche i testimoni. Immaginati quello che succederebbe se venissero a sapere che il colpevole è un membro di Fairy Tail...- disse.
Gray abbassò lo sguardo rabbioso, capendo quello che la compagna voleva dire.
-Fairy Tail ne risentirebbe per certo- disse Lucy.
-Con tutto quello sforzo che abbiamo fatto per riguadagnarci il rispetto poi...- aggiunse triste Wendy.
-Esatto. Non voglio creare altri problemi alla nostra gilda. Questa faccenda la dobbiamo risolvere noi stessi. Per prima cosa, riferirò al Master quanto è successo; poi, vedremo cosa fare. Nessuno, tranne noi qui presenti, dovrà sapere anche il minimo dettaglio di quello a cui abbiamo assistito. Sono stata chiara? Niente risse-
I sei annuirono obbidienti, sebbene Natsu e Gray lo fecero di malavoglia.
-Bene- sentenziò soddisfatta Titania –Ora, di corsa alla gilda!-

§ § § § §

Natsu, Lucy, Happy, Gray, Wendy, Carla ed Erza sedevano pensierosi attorno ad un grande tavolo in legno, mentre attorno a loro perseguiva imperterrito il solito, tipico fracasso che animava la gilda.
Molti si chiedevano, dopo varie occhiate nella loro direzione, per quale motivo quei sette erano così silenziosi quel giorno, interrogandosi sulla ragione di quell'aria così tesa.
Ragione che, presto, si presentò innanzi all'ingresso della gilda.
Atlas si dirigeva, assorto, verso il banco, con le mani nelle tasche dei suoi comodi pantaloni, e, questa volta, senza indossare il suo adorato mantello.
In cerca di distrazioni, si era fatto un giro per il centro di Magnolia, sfogliando di tanto in tanto alcuni giornali trovati per caso sui banchi dei numerosi pub. Notandovi alcuni annunci, convenne che era arrivato il momento di sfruttare la ricompensa, prendendosi un appartamento, e puntò l'occhio su uno che stava vicino alla sua nuova gilda. Si trovava in un piccolo condominio situato sulla riva del fiume, e la proprietaria era una donna corpulenta, dai modi un po' burberi. La sua prima impressione su di lei non fu di certo delle migliori: ella infatti vestiva una stretta maglietta bianca e blu, marcata con lo strano nome di Heart Kreuz, ed indossava una gonna decisamente troppo corta ed aderente per un'anziana donna quale lei era. Nonostante quella raccapricciante visione, decise di prendere ugualmente in affitto l'appartamento di quella bizzarra signora, allettato più che altro dal costo non particolarmente eccessivo. Era un alloggio modesto, dotato di una piccola cucina, un bagno, ed un salone che fungeva anche da camera da letto.
Insomma, lì dominava il minimo indispensabile. Era perfetto per lui.
Prese le chiavi ed il restante denaro, il giovane scese ancora per le strade di Magnolia, desideroso di acquistare un po' di cibo e qualche vestito, dato che gli unici che possedeva erano quelli strappati e consunti che stava indossando sotto le pieghe del mantello.
Tornato poco dopo nel nuovo appartamento, si tolse alla svelta vestiti e mantello, cambiandosi con gli abiti nuovi acquistati e addentando una succosa mela rossa, per contrastare la fame che gli attanagliava lo stomaco da ben due giorni. Tentò anche di farsi una bella doccia, ma l'acqua non ne voleva sapere di uscire dal rubinetto in ferro della piccola vasca.
La proprietaria gli rivelò d'un guasto all'impianto idrico, che a giorni sarebbe stato aggiustato. Se avesse voluto farsi un bagno, sarebbe dovuto scendere al piano di sotto, nell'appartamento della coinquilina, in quel momento assente per lavoro.
Orgoglioso com’era e ancora in preda al malumore, in quel momento si disse che, piuttosto, avrebbe preferito farsi un bagno nelle fredde e limpide acque del fiume. Avrebbe mai avuto l’occasione per starsene un po’ da solo?

§ § § § §

Il ragazzo sospirò pesantemente, giunto al banco della sempre sorridente Mira, in quel momento intenta a lucidare i generosi boccali.
-Allora, come è andato il tuo primo incarico?- gli chiese cinguettando allegra, vedendolo sedersi.
Atlas le rivolse uno sguardo sfuggente –Oh, direi a meraviglia- disse piatto.
-Da come l'hai detto non sembrerebbe- commentò la ragazza ridendo.
-Davvero? Non ci ho fatto caso...- mentì con una punta di sarcasmo.
La Diavolessa smise di lucidare i bicchieri, e lo guardò a lungo negli occhi, immergendo le sue penetranti iridi azzurre in quell'oceano scarlatto. Distogliendo lo sguardo, sorrise tra sé.
-Capisco ora perché molti nella gilda preferiscono stare alla larga da te...- convenne. Atlas la guardò un po' sorpreso, mostrandole un sorriso sprezzante.
-Ah sì? E perché?- chiese curioso.
-Beh, tanto per cominciare, il tuo aspetto: sai, è la prima volta che vedo qualcuno con i capelli come i tuoi...- iniziò, riempiendo un boccale di birra.
-Questo è un dato di fatto- commentò lui. Lei lo ignorò, continuando a parlare.
-Ma la cosa, credo, che più colpisce o meglio, intimorisce, sono i tuoi occhi. Mi è capitato molte volte di vedere, durante delle missioni, creature con gli occhi rossi, ma i tuoi sono diversi. È come se...- ci pensò su, puntellandosi il mento con il sottile indice –Come se guardassi la lava bollente del vulcano, ma senza le venature gialle. Centinaia di sfumature rosse- disse infine.
-Wow, che paragone- disse Atlas con una piccola risata. Mira sorrise.
-Ma è vero!- esclamò -Affascinano ed intimoriscono. È un bene!- disse maliziosa, passandogli il boccale.
-Allora dovrei ringraziare mia madre a dovere- scherzò il giovane, gustandosi il primo sorso della stuzzicante bibita dorata. Mira lo guardò incuriosita.
-È da lei che li hai ripresi?- chiese. Atlas annuì.
-Sì. Tali e quali ai suoi- disse, mentre i suoi occhi s'incupivano d'una penombra di nostalgia. Ma fu breve. Ciononostante, Mira lo notò, e, per certi versi, se ne meravigliò un poco.
-Devi esserle molto affezionato- disse, incurvando le rosee labbra in un dolce sorriso. Atlas alzò di scatto lo sguardo su di lei, sovrappensiero, ma presto si ravvide.
-Già- pronunziò soltanto, abbassando lo sguardo sul boccale, sporco della schiuma della birra, che pian piano sfumava come neve al sole sotto i suoi roventi occhi.
Mira lo guardò nervosa e preoccupata, immaginando di aver toccato un tasto sbagliato. Si dedicò di nuovo alla lucidatura dei bicchieri, non sapendo più che dire. Il silenzio ostinato di Atlas si faceva pesante, attorno a loro. Era quasi angustiante.
Natsu, al tavolo dietro, lo guardava torvo.

§ § § § §

-Ma guardalo, ora ha anche il coraggio di presentarsi alla gilda- disse Gray, avvelenato quanto l'amico seduto accanto.
Lucy taceva, volgendo il suo sguardo assorto sul profilo del giovane seduto al bancone di Mira.
I suoi occhi color cioccolato erano ombreggiati da intensi pensieri.
Non ci credeva. Non riusciva a credere che un membro di Fairy Tail avesse compiuto una tale strage. Non riusciva a credere che l'avesse fatto. Come poteva apparire senza rimorsi, senza essere costantemente graffiato dal peso del peccato, della colpa?
Uccidere è il più brutale dei crimini. È un biglietto di sola andata per le fauci vermiglie dell'inferno.
È l'ambrosia dei folli.
Era vero che quei cadaveri erano appartenenti ad una gilda oscura, ma perché farlo? Proprio non lo capiva.
Avrebbe tanto voluto essere d'accordo con le buone intenzioni di Erza, ma una forza sconosciuta la tratteneva. Era come un "ma" annidato in gola.
Quello stesso giorno, aveva notato qualcosa, nei suoi occhi, che tradiva la compostezza del suo corpo statuario. Era come una brezza gentile in una giornata d'autunno. Fievole, carezzevole, sfuggente.
La sfrontatezza della fiamma che trema dinnanzi alla gentilezza del vento.
-Sapete, non so neanche se sia il caso di riferire al Master ciò che abbiamo visto- disse all'improvviso Lucy, ostinandosi a fissare con sguardo vuoto le mani.
-E perché?- chiese brusco Natsu, volgendosi verso la maga degli Spiriti, che lo guardò malinconica.
-Il Master ha già subito abbastanza traumi che hanno compromesso la sua salute in questi ultimi anni, e non credo sia giusto arrecargli altre preoccupazioni. Credo che sia meglio tenerlo d'occhio e pazientare- disse con un nodo alla gola. Natsu mise il broncio, consapevole di quello che l'amica aveva detto, mentre Erza, a braccia conserte, annuì.
-È vero- ammise pensierosa -Ma sarà altrettanto giusto tacergli tutto?- chiese guardandola con fare serio.
-Voglio capire il perché di tutto questo. Sento che c'è qualcosa di losco sotto, qualcosa che gli è sfuggito di mano. Se fosse stato altrimenti, credo che il Master avrebbe provveduto a suo tempo- ammise.
-Lo senti o lo vuoi sentire?- puntualizzò Titania.
-Credo un po' entrambe-
-Però, Lucy, come faremo a sorvegliarlo? Non possiamo mica metterci a pedinarlo durante le missioni...- chiese Wendy, rivolgendo un'occhiata d'intesa a Carla.
-Infatti non lo faremo- spiegò lei –Osserveremo i suoi comportamenti, interagiremo con lui per poterlo conoscere più da vicino. Non diceva forse un proverbio: "Tieniti stretti gli amici, ed ancor più i nemici" ? Ecco, è esattamente quello che faremo-
-Se credi che parlerò con quello lì- indicò Natsu –Te lo scordi, Lucy-
-Sono d'accordo con lui- si intromise Gray.
-Oh, ragazzi vi prego! Fatelo almeno per il Master, per la gilda!- li supplicò la bionda –Se qualcosa andasse storto, mi prenderò io tutta la responsabilità- disse risoluta.
I due ragazzi si scambiarono un'occhiata perplessa.
-Beh, in fondo siamo un team no? Uno per tutti e tutti per uno- sospirò arreso il ragazzo, sorridendole con affetto. Lucy si sentì pervasa da un calore che le era oramai fin troppo familiare, e sorrise di rimando al Dragon Slayer.
Anche questa volta, aveva avuto la prova di non essere sola. Lui era sempre stato lì, accanto a lei, a darle coraggio, a sostenerla. I suoi compagni erano sempre lì, a darle forza.
D'istinto si volse a guardare Atlas, che osservava distratto la vivace bolgia della gilda, tenendo il mano il boccale di birra datogli da Mira. Vide la sua bocca incurvarsi in un mezzo sorriso, e le parve di vedere l'immagine d'un vecchio nonno che provava gusto ad osservare i propri nipoti rincorrersi nei loro spericolati giochi.
Meravigliandosi a quell'espressione, la maga fu ancora più certa dei sospetti che nutriva il suo nobile animo. Accortosi che qualcuno lo stava fissando, il giovane voltò la testa, incontrando il caldo sguardo di Lucy. Rimasero per un attimo così, scrutandosi, come incatenati dal mistero dei sentimenti che si celava sotto le spoglie brillanti delle iridi. Fu Lucy, la prima a rompere l'incanto, quasi intimorita da quel contatto.
Natsu, che a sua volta la stava osservando, le rivolse uno sguardo preoccupato, di fronte al quale la ragazza rassicurò con un piccolo sorriso.
Sperava solo che il suo cuore avesse ragione.

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Capitolo 4
*** Passato ***


PASSATO

-Niente da fare, è tutto inutile!-
Così sbraitava il povero Klaus, gettando via, sulla pila impolverata, l'ennesimo libro estratto dal mare di scaffali che costituivano la biblioteca reale.
Erano tre genjiki che erano chiusi lì dentro, cercando senza sosta. Ma anche senza pranzo e cena... quasi.
Come si potrebbe dedurre da "erano", a fargli compagnia in quelle serate di morbose quanto infruttuose ricerche c'era lei, la principessa, la quale, al contrario del capitano, si ostinava a non cedere alla noia e allo sconforto.
-Più lavoro e meno lamentele, Klaus!- sbuffò con rimprovero la fanciulla, chiudendo di scatto il libro che aveva sottomano, per poi gettarlo sulla pila di fronte. – Atlas si trova perduto chissà dove e non sappiamo nemmeno come poter rintracciarlo! Dobbiamo trovare il modo per riportarlo indietro, a tutti i costi!- continuò severa, afferrando un altro tomo.
"E per di più, il mio potere magico non è ancora abbastanza forte da poter entrare in contatto con la fonte della Chiave del Cielo ad una così grande distanza..." pensò tra sé, frustrata, mentre Klaus bofonchiava l'ennesima rinuncia al suo buon pasto.
Era vivo. Di questo ne era certa, glielo diceva il cuore; ma era preoccupata.
Solo, in un posto sconosciuto, al rischio della crudeltà di quella feccia di Gacrux, di lui. Forse, anche di quello stesso mondo in cui si trovava. Che gli sarebbe potuto accadere?
La distanza la uccideva.
Il dubbio la tormentava.
La paura la scuoteva.
Il desiderio la bruciava.
Lo voleva lì, con lei, al sicuro.
Avrebbe trovato il modo di farlo tornare a casa, di aiutarlo, proteggerlo per quello che avrebbe potuto.
Era una strada a senso unico: il suo obiettivo, prefissato dalla sua volontà.
"... luogo a cui appartengo..."
Erano le parole chiave.
Se era vero che il popolo di Astral aveva origini al di fuori di questo mondo, e che i portali erano il solo mezzo per ricondurlo ad esso... di conseguenza, dovevano esserci altri portali che conducevano da quel mondo ad Astral... Altrimenti, come avrebbe fatto?
Nel caso quella supposizione fosse stata esatta, riattivare il portale sarebbe stato inutile: non avrebbe fatto altro che condurli esclusivamente al di fuori di Astral. Inoltre, secondo quello che le aveva raccontato Atlas riguardo Gacrux, se erano veramente riusciti a tornare indietro, ciò comportava che gli altri portali non erano stati completamente distrutti.
C'era ancora speranza.
Doveva indagare, approfondire ancora.
C'era un'ala della biblioteca che non avevano ancora perquisito.
-Klaus, io andrò a vedere nei Reparti Ignoti- proferì, alzandosi dalla sedia con decisione. Klaus alzò un sopracciglio.
-Siete sicura? In quei scaffali non si trovano altro che scartoffie vecchie di chissà quanti anni!- disse.
-È proprio per questo che ritengo sia necessario controllare: magari lì si trova qualche documento che potrebbe aiutarci- spiegò lei.
-Vostra Maestà, se è per questo, potevano aiutarci anche questi- obiettò Klaus, afferrando a caso uno dei libri lasciati sulla pila –Ma tutto quello che hanno fatto è stato "aiutarci" a sprecare tempo!- commentò amareggiato, rigettandolo in malo modo.
-Questo perché tutti questi libri parlano dell'attuale popolo di Astral- disse Alhena. Klaus la guardò confuso, e lei sospirò. –Mi spiego: in questi libri che abbiamo consultato fino ad ora non si parla altro che delle origini di Astral, di come questo mondo si è evoluto fino a divenire quello dove viviamo oggi- disse.
-E allora?- chiese Klaus.
-E allora si parla delle origini del nostro pianeta e dello sviluppo del nostro popolo. I libri non citano nulla sulle nostre origini, perché tutti pensiamo di essere sempre stati abitanti di Astral- spiegò.
-In pratica, state dicendo che questi libri sono stati scritti con la certezza che siamo sempre vissuti qui?- chiese Klaus. La principessa annuì.
-Esattamente. Queste edizioni sono state scritte dopo la migrazione dei nostri antenati da loro vero luogo d'origine-
-Da come ne parlate, sembra che siate ormai certa di queste ipotesi- disse Klaus, guardandola negli occhi. Si stupì nel non vedervi alcuna traccia di sgomento, nonostante la scoperta dalla portata rivoluzionaria.
"Tutta suo padre" pensò con fierezza.
-Dopo quello a cui ho assistito, direi di sì- rispose Alhena, intrecciandosi le mani –Ma ritengo ugualmente che sia opportuno controllare, e credo che i Reparti Ignoti facciano proprio al caso nostro. Quei documenti sono antecedenti a questi; magari c'è la probabilità di trovare qualcosa che ci possa interessare- finì, incamminandosi a passo svelto.
-Ogni suo desiderio è un ordine!- proferì ironico Klaus, seguendo la principessa come se fosse un'ombra.
-Spero solo di non affogare nella polvere...- bofonchiò.

 
§ § § § §

Un lieve scroscio d'acqua accompagnava un canticchiare soave. Una nuvola di torpore accarezzava la rosea pelle d'un corpo dalle linee sinuose. Ed un Plue spennacchiato osservava tremante dal bordo d'una vasca. La tenda bianca, copriva lo scandalo.
Lucy si cullò dolcemente nelle acque calde del bagno, immergendosi fino alla punta dei suoi capelli biondi, in un'espressione rilassata. Si abbandonò al bordo freddo della vasca, appoggiandovi il capo. Sospirò.
Un'altra ardua, divertente giornata era passata, e l'incubo dell'affitto era temporaneamente scemato grazie a Natsu. Si era fatto perdonare a dovere, il rosato. Ora poteva pensare con calma a come pagare il prossimo. Nonostante ciò, la cosa non riuscì a consolarla a dovere.
Dalle labbra uscì un leggero sospiro, e si godette le acque calde che sommergevano il suo corpo. Pace assoluta, finalmente. Ma fu questione di un momento, prima che sentì bussare alla porta. Afferrò al volo un asciugamano, e se lo avvolse intorno al busto, dirigendosi curiosa in salone. Sicuramente non erano Natsu e Happy: loro entravano e basta. E dalla finestra, per giunta.
Un po' esitante, aprì la porta, parandosi dietro di essa. Sbarrò gli occhi di fronte all'inaspettato: Atlas.
-Disturbo?- chiese il giovane entrando con un'occhiata veloce. Lucy, ancora sbigottita, balbettò un "No figurati, nessun disturbo".
"Perché mai è qui?!" si chiese isterica, sistemandosi alla bella e meglio l'asciugamano indosso, arrossendo imbarazzata. Atlas si diede uno sguardo intorno alla stanza, per voltarsi poi verso la nuova (pseudo) nakama, che notò essere in preda a un lieve rossore alle guance.
-E' un appartamento davvero carino, i miei complimenti- disse, facendola arrossire ancora di più. E giusto per divertirsi ancora un po' con i suoi piccoli sadismi (dovuti ad un certo malumore), le lanciò un'attenta occhiata da capo a piedi, sfiorando con lo sguardo le provocanti curve di Lucy. La stoccata andò a segno: ora la sua faccia era come un peperone.
-A-allora, di cosa hai bisogno?- chiese intimidita, puntellandosi sui piedi.
-Oh, già, stavo per dimenticarmene. Vedi, il mio appartamento è al piano di sopra, e purtroppo la proprietaria mi ha rivelato la presenza di un guasto alle tubature e che deve ancora essere riparato. Siccome avevo proprio bisogno di fare una doccia, le ho chiesto consiglio, e lei mi ha suggerito di venire qui... però non mi ha detto che era l'appartamento di una ragazza-
-Quindi sei venuto per... una doccia?-
-Esatto. Ma se per te è un problema, posso andarmene al fiume-
-Al fiume?!- esclamò Lucy con gli occhi sgranati.
-Beh, non che mi piaccia l'acqua gelata della sera, ma dove potrei andare altrimenti?- oppugnò Atlas. Detestava i bagni freddi, a meno che non facesse un caldo assurdo come in quelle giornate. Quel mondo aveva un clima strano. Del tutto differente da quello di Astral, dove le giornate erano abbastanza miti e turbate solo da una lieve brezza fresca. Lucy si morse un labbro. Non aveva mai invitato un ragazzo a casa sua per farsi una doccia, fatta eccezione per i casi disperati di Natsu, che era sempre di casa (secondo lui). Però sarebbe stata scortese se lo avesse cacciato al fiume, e non sarebbe stato un buon inizio per il suo piano di approccio col giovane. E poi, si sarebbe persa un'occasione ghiotta per poterlo avvicinare e studiare. Lucy sospirò, accennando un lieve sorriso e invitando il ragazzo a fare come se fosse stato a casa sua.
-Non c'è alcun bisogno di andare al fiume. Prego, entra e fa come se fossi a casa tua!- disse la bionda. Atlas sorrise lievemente e la ringraziò, dirigendosi verso la porta del bagno indicata dalla maga. Nel frattempo che il ragazzo era occupato, Lucy ne approfittò per rivestirsi in fretta e furia, per poi adagiarsi turbata sul suo comodo letto. Il cuore le batteva all'impazzata: non sapeva che fare. Non era solita a credere a cose come il destino, ma il fatto che abbia come coinquilino proprio Atlas e che sia in casa sua proprio quella sera le fece venire dei dubbi. Forse esisteva, dopotutto. E se fosse, evidentemente lei non gli suscitava molte simpatie. Si massaggiò le tempie che le incominciavano a dolere in seguito ai suoi pensieri frenetici e allo stress. Aspettava il momento e l'occasione giusta per avvicinarsi a lui, ma mai si sarebbe immaginata che sarebbe successo così presto. Il ricordo di quello che aveva visto il giorno precedente era ancora fresco e prepotente nella sua mente e la paura le aveva lasciato molte tracce addosso. Cosa le sarebbe successo ora? L'avrebbe attaccata? O invece non sarebbe successo nulla? Guardò pensierosa il mazzo delle sue Chiavi degli Spiriti Stellari sulla scrivania. Quanto avrebbe voluto che Natsu fosse lì con lei a guardarle le spalle! Per la prima volta non avrebbe badato alle sue visite clandestine che la facevano tanto infuriare... e nel mentre che la bionda pensava e pensava in cerca di una strategia da attuare, il ragazzo sbucò dal bagno, vestito solo dei suoi comodi pantaloni neri di cotone e del suo asciugamano, adagiato sulla testa bagnata. Le goccioline d'acqua scendevano delicate e incolori lungo suo petto asciutto, scomparendo poi sotto il bordo dei pantaloni. Si diresse con passo disinvolto in salone, mentre involontariamente gli occhi di Lucy cercavano di catturare vogliosi ogni singolo dettaglio, fino a soffermarsi su uno strano particolare. All'altezza del cuore il giovane aveva incastonata nella pelle un frammento di una gemma nera, dalla quale partivano delle ramificazioni del raggio di tre o quattro centimetri lungo tutto il suo perimetro. Incuriosita dai riflessi minacciosi che emanava la pietra, si alzò e andò verso il giovane, fino a ritrovarsi a pochi centimetri da lui, e accarezzò delicatamente il profilo della gemma e quelle ramificazioni che, a toccarle, parevano cicatrici sulla pelle. E lo erano. Al contatto della pelle fresca e dolce della maga Atlas rabbrividì inconsapevolmente. Vederla così vicino lo metteva estremamente a disagio. Era bella da mozzare il fiato. I suoi bei capelli dorati profumavano di vaniglia. La pelle chiara emanava ancora il calore della doccia. Aveva gli occhi scuri e caldi come quelli dei cerbiatti, e lo stavano scrutando attenti. Eccezion fatta per Alhena, non aveva mai avuto una ragazza così vicino da poterne ammirare il profilo, senza poterla toccare. Deglutì, e gli occhi gli caddero sulla generosa scollatura. Sentendo il proprio desiderio ammontare, gli sfuggì una bella imprecazione, e scansò la ragazza prima che l'istinto possa seguire di nuovo le lezioni amorose di Klaus. E non erano lezioni adatte ai minori.
-Lucy, si può sapere che ti è preso?- le chiese un po' irritato, anche se era più per il nervosismo che aveva provato e per quei pensieri poco casti che gli aleggiavano in testa che lo facevano imbestialire.
Lucy si riscosse solo in quel momento e guardò spaesata Atlas. Era stata talmente presa da quella pietra e da ciò che poteva significare che non si era accorta di essersi avvicinata così tanto a lui. Non appena se ne rese conto, arrossì violentemente.
-Scusami, non so cosa mi è preso- disse turbata, guardando altrove –Vedere quella pietra mi ha incuriosito e non ho più pensato a quello che facevo. E' qualcosa che mi accade spesso- rise nervosamente, e lo guardò di nuovo negli occhi –Senti, cosa vuol dire... quella?- gli chiese. Atlas si morse il labbro, aggrottando la fronte. Non aveva voglia di raccontarle il suo passato e ciò che si nascondeva dietro quella pietra, ne valeva della sua copertura. Al tempo stesso però non aveva pensato alla possibilità che vedesse la gemma e che avrebbe destato curiosità. Ma era ovvio che potesse accadere. Era stato incauto, e si diede dello stupido. Cosa le avrebbe detto ora? Scrutò le iridi cioccolato della ragazza che lo guardavano preoccupata sotto una fronte leggermente aggrottata. Così sinceri. Così puri.
-Una specie di... antica magia - gli sfuggì –Ma non ho voglia di parlarne. Sono affari miei, se non ti dispiace- disse in tono duro.
-Oh, si… certo... scusami- disse desolata Lucy, abbassando lo sguardo. Atlas pensò che l'espressione che aveva in volto in quel momento era adorabile. Gli ricordava una bambina. Dimentico di quello che era successo appena un attimo fa, si avvicinò alla bionda e con un sorriso le accarezzò la testa. Lucy si sorprese al contatto. Possibile che le mani che avevano dato vita a quelle cose atroci siano le stesse che ora l'avevano toccata così gentilmente?
-Non ci pensare. Grazie per la doccia- le disse.
-Oh figurati, non è nulla- rispose la maga con un timido sorriso, distogliendo lo sguardo. Atlas la scrutò un secondo, con un mezzo sorriso sulle labbra.
Pensò che avrebbe tanto voluto stuzzicarla. Come faceva ad una certa persona...
"Ah, basta, non è il momento adatto per i miei sadismi" pensò.
-Senti...- proferì d'un tratto Lucy, catturando la sua attenzione –immagino che ci vorrà molto tempo per riparare al guasto, quindi... se vuoi, puoi venire da me ogni volta che avrai bisogno di... una doccia... ma non farti strane idee! È solo per evitare il bagno al fiume e non farti fare atti osceni in luogo pubblico come accade con Gray! Una volta è stato addirittura contattato dal Concilio per questo!- concluse imbarazzata, volgendo ancora una volta lo sguardo altrove.
Non era la prima volta che si trovava a che fare con un suo nakama mezzo nudo (basti solo pensare a Gray appunto), ma con lui sembrava tutta un'altra storia...
Atlas proruppe in una piccola risata. Era inaspettatamente bella... fresca come la brezza della sera al chiaro di luna.
-Ok, ok, ho capito quello che vuoi dire, non c'è bisogno che ti agiti tanto- disse.
"È così pura da dare quasi il voltastomaco. Che sia tutta finzione?" pensò "Prima però, devo sistemare una cosa..."
Con fare sospetto, si avvicinò di più alla turbata ragazza, che finse di guardare da tutt'altra parte. Ne osservò per un attimo i femminei lineamenti del viso, per poi prenderle delicatamente il mento, costringendola a guardarlo negli occhi.
Un tuffo in un seducente mare vermiglio.
Il cuore di Lucy martellava prepotente nel suo petto, mentre le guance le diventavano rosse. Sperò con tutta sé stessa che non avesse notato niente.
Atlas continuò a fissarla intensamente, mentre faceva appello a tutto il suo potere di persuasione. Si accostò lentamente all'orecchio della ragazza, solleticandole il collo con le punte ancora bagnate dei suoi capelli rossi e platino.
-Non parlare con nessuno della gemma che porto al petto. È questione di vita o di morte- le sussurrò, per poi scostarsi e scrutarla nuovamente in volto. Lucy era come stregata, ammaliata dal fascino di Atlas. Poteva ucciderti anche solo guardandoti, con quegli occhi. Sembravano come incantati, delle fiamme che danzano. Si chiese quante donne avesse messo ai suoi piedi, con quello sguardo.
-Posso fidarmi di te?- chiese lui. Lucy annuì debolmente, ancora succube dell'atmosfera che li circondava. L'etere era così pesante e ardente che pareva solido al tatto. Il cuore le batteva ancora più forte.
-Non dirò nulla a riguardo. Puoi fidarti di me- gli disse. Atlas la lasciò andare e si avviò verso l'uscio. Non era un granché come tattica per legarla a sé e ottenere il suo silenzio, ma non gli era venuto niente di meglio in mente. Era una delle poche tecniche di Klaus che riuscivano ad andare a segno.
Lucy strinse nervosa i pugni, cercando di dare un contegno al corpo che sembrava provare strani brividi.
Tutto quello che aveva provato alla vicinanza col ragazzo l'aveva intimorita. Molto.
E poi il calore del suo corpo, il suo respiro... l'avevano mandata in confusione.
Quanto avrebbe voluto avere Natsu lì con lei... era sicura che tutto le sarebbe stato più chiaro, se ci fosse stato lui accanto. Si portò una mano dove batteva ancora frenetico il cuore. Pensò di aver fatto un buon inizio quella sera. Se continuava così, presto si sarebbe fidato completamente di lei. O quasi almeno. Era importante che lo facesse, se voleva scoprire di più su di lui e capire cosa stia tramando. Intorno a lui aleggiavano troppi misteri, troppe domande senza risposta. A cominciare da quella strana gemma. Si appuntò di fare prossimamente delle ricerche a riguardo... magari in biblioteca.
Atlas si rigirò ad osservare la ragazza per un'ultima volta.
-Grazie ancora. Ci si becca in gilda allora- disse, seguito dal debole annuire della giovane, che, tuttavia, non lo guardava direttamente negli occhi. Era ancora rossa sulle guance.
E terribilmente carina.
Sospirò arreso –Beh, buonanotte, Lucy. E... sei molto carina quando arrossisci- proferì con un sorriso che lasciò stupita la ragazza, catturandone di nuovo l'attenzione. Si chiuse la porta alle spalle con un suono secco.
"Klaus, è inutile illudersi, le donne mi manderanno fuori di testa." pensò salendo le scale.
Entrato nella sua camera, si buttò a capofitto nel morbido letto. Sdraiato finalmente su qualcosa di comodo, si ritrovò a ripensare alla sua coinquilina, soffermandosi a lungo sulle sue curve formose. Si chiese cosa sarebbe successo se, lasciandosi guidare dai suoi istinti, le avesse tolto l’asciugamano di dosso. L’avrebbe baciata ovunque, mentre le mani accarezzavano il suo seducente corpo nudo. E lei… come avrebbe reagito alle sue attenzioni? A quei pensieri lascivi la sua coscienza si fece ben sentire, sotto le spoglie dell'austera voce di Alhena.
"Vergognati, razza di vlakas pervertito!" strillava indignata.
Chiuse gli occhi per un secondo, sorridendo all'immaginarsi la scena di lei che gli scoccava uno dei suoi migliori sguardi torvi con un bastone in mano pronto a gonfiarlo di botte.
Ma lei non c'era con lui, e quel pensiero smorzò il sorriso che si era designato sulle sue labbra.
Volse il capo verso la modesta finestra, immergendo lo sguardo nell'oscurità del cielo notturno. Come era strano, quel mondo: prima avvolto da una dorata luce accecante, dalla vita della gente e poi, tutto d'un tratto, così buio, così silenzioso, così... vuoto.
In quel posto si sentiva come un marinaio in balia di acque a lui ignote, ma quella vista... quella vista gli ricordava tanto il cielo di Astral...
Astral, la sua casa...
Aveva promesso ad Alhena che si sarebbe sbrigato a tornare. L'indomani, avrebbe dato inizio alle sue ricerche. Le cose si sarebbero presto sistemate.
O così sperava.
Scrutò le stelle una ad una, stampandosi nella memoria la loro posizione, la loro nivea brillantezza, ogni loro nota di luce.
E fu così che il marinaio sperduto, confortato dall'illusione di ciò che più a lui è caro e familiare, si addentrò nell'infinito mare dei sogni.

§ § § § §

Lucy fissava sognante il punto in cui il giovane era sparito. Era rimasta, in un certo senso, scioccata da quel dolce sorriso improvviso. Anzi, pensò, era proprio lui imprevedibile. Ti lasciava spiazzato ogni volta.
"Che tipo ambiguo..." commentò fra sé e sé, sedendosi alla sua scrivania.
Si poteva intuire a pelle che quel ragazzo nascondeva qualcosa che non voleva far sapere, ma pensava anche che non lo si conosceva abbastanza a fondo da poter trarre alcun tipo di conclusione.
In sostanza: il fatto che sia un tipo dall'aria misteriosa e che abbia fatto fuori tutta quella gente, non significa che sia altrettanto spietato di carattere (o almeno sperava). I tipi così imprevedibili e schivi sono difficili da decifrare. Non si sa mai cosa gli passa per la testa. E se ti aspetti che ti diano una risposta, un indizio ai tuoi dubbi sul loro stesso atteggiamento beh, tutta fatica sprecata. Non te lo diranno mai. Ti lasciano la sorpresa all'ultimo. E in quel momento scopri che potevi aspettarti di tutto, meno che quello. È peggio di una partita a scacchi. Atlas doveva essere un bravo giocatore.
Fatto sta che d'ora in poi, specialmente in sua presenza, avrebbe dovuto imparare a mascherare bene le sue emozioni e stare attenta alle parole e ai fatti. Sarà anche un tipo eccentrico, ma di certo era molto sveglio. Sarebbe stata dura.
Nonostante tutto, con lui era riuscita ad avere un primo contatto, ora non le restava che passare al secondo. Decise che sarebbe stato l'indomani stesso. Su Erza e Gray sapeva di poter contare, per non parlare di Wendy, Carla e Happy, ma Natsu... sarebbe stato il più difficile da tenere a bada.
Ma a questo avrebbe provveduto il giorno dopo. Per quanto riguarda quella strana pietra incastonata nel suo petto... non sapeva di preciso di cosa si trattasse, ma sentiva che non era nulla di buono. Aveva percepito un'aura oscura al suo interno. Doveva essere qualcosa di molto potente, dato che l'aveva sedotta così tanto da non accorgersi di quello che stava facendo. Aveva detto che si trattava di un'antica magia... Forse una qualche magia di Zeref? Finché non avesse scoperto di cosa si trattava, non poteva certo dir nulla ai suoi compagni. Decise di rispettare il patto con Atlas. Al momento sarebbe rimasto un segreto del quale solo lei sarebbe stata a conoscenza.
Si passò le mani sopra la testa, inarcando la schiena per stiracchiarsi, sciogliendo la tensione che i suoi muscoli avevano accumulato. Con la testa piena di pensieri, Lucy preparò carta e penna davanti a sé ed incominciò a scrivere, senza far caso al fatto che, al posto del solito inchiostro color seppia, stava usando quello scarlatto, come gli occhi di un certo qualcuno che, inaspettatamente, stava occupando gran parte dei suoi pensieri...

§ § § § §

-Oh! Buongiorno Lucy...-
La maga stava scendendo gli ultimi scalini, quando vide il suo nuovo inquilino al portone. Non riusciva ancora a metabolizzare il fatto che nel palazzo adesso abitava anche lui.
-Buongiorno Atlas- gli sorrise -Ti sei alzato parecchio presto per andare in gilda-
Atlas fece spallucce -Sono abituato a svegliarmi presto- disse. Ed era vero in parte. Ma la verità era che ancora non era abituato alla luce del sole, specialmente del primo mattino, anche se debole rispetto a quella che aveva avuto modo di vedere durante il giorno. Così si era svegliato colpito (letteralmente) dalle prime luci dell'alba, e non senza qualche imprecazione. Sperò che continuando così non gli sarebbe successo nulla alla sua vista. Andava piuttosto fiero della sua vista notturna. Lucy lo raggiunse al portone, accompagnata dal tintinnio delle sue Chiavi degli Spiriti Stellari. Quando le notò, ad Atlas per poco non venne un colpo.
-M-ma quelle sono...?- le indicò sorpreso. Lucy guardò interdetta il suo mazzo di Chiavi.
-Oh, queste? Si sono le Chiavi degli Spiriti Stellari, quelle d'oro. Ne posseggo 10, e le ultime due hanno un contratto con un'altra maga degli Spiriti che conosco- gli rivolse un sorriso, che però si spense piano piano nel vedere il volto di Atlas impallidire. -Ehi, tutto bene?- gli chiese preoccupata. Atlas si riscosse.
-S-si, sto bene scusami. E' solo che nel mio paese ci sono parecchie leggende sui maghi degli Spiriti Stellari. Non avevo mai visto le chiavi dal vivo- le confessò. A quelle parole Lucy non poté fermare un gran sorriso, e gli occhi le brillarono fieri e incuriositi.
-Davvero? E che genere di leggende?- chiese eccitata.
"Mah, solo che siete i nostri antenati e che per il popolo di Astral siete quasi come degli dei" fece per dire sarcastico, ma si morse la lingua prima che potesse dirlo sul serio.
-Beh, ecco...- iniziò a dire, uscendo dal portone. Lucy lo seguì, attendendo ansiosa la sua risposta. "Pensa in fretta Atlas, pensa in fretta!" si diceva il ragazzo intanto. Era rimasto seriamente scosso da quella scoperta. Nel suo mondo, erano veramente poche le persone in grado di maneggiare quel tipo di potere, e quelle che conosceva erano tutte alti esponenti del tempio dei Sacerdoti Celesti.
 Tuttavia, non appena fu fuori in strada, d'un tratto smise di pensare e si irrigidì, tenendosi allerta. Lucy notò il suo improvviso cambiamento e il volto farsi serio tutto d'un tratto. Aggrottando le sopracciglia gli si avvicinò cauta.
-Atlas... che succede?- gli chiese, ma lui continuando a guardare di fronte a sé alzò l'indice destro come ad intimarla a stare zitta. Dopodiché, sotto lo sguardo interdetto di Lucy, si accucciò a terra e posò un orecchio sulla strada mattonata. La serietà della sua espressione, unita a quella posa buffa, rendeva la situazione ancora più stramba. Atlas sgranò gli occhi e si rimise in fretta in piedi. Afferrò il braccio di Lucy e l'attrasse a sé scansandosi dal centro della strada, mentre dal nulla una carrozza sfrecciò accanto a loro ad una velocità paurosa. Ancora mezzi abbracciati sulla sponda del fiume, i due guardarono interdetti la corsa forsennata di quel mezzo che si allontanava sempre più in fretta verso il centro di Magnolia.
-Ma che diavolo era quello?- esclamò allarmata Lucy. Guardò Atlas, che la fissò intensamente con i suoi bellissimi occhi. Vederlo così da vicino le fece ricordare con enorme imbarazzo che gli stava quasi spalmata addosso. Incredibilmente per un attimo ebbe la piacevole sensazione di sentirsi protetta e al sicuro tra le sue braccia, il che la rese ancora più imbarazzata.
-Non ne ho idea, ma credo che sia meglio fermarlo prima che faccia del male a qualcuno- disse, lasciandola andare dalla stretta protettiva. La sensazione di freddo e vuoto che seguì non piacque affatto alla maga, che vide il giovane iniziare a correre verso il centro della città. Lucy fece per seguirlo, quando sentì gridare il proprio nome dall'altra parte della strada. Si girò di scatto, sgranando gli occhi per la sorpresa: Natsu, Happy, Gray, ed Erza in lontananza che correvano a perdifiato verso di loro, i volti preoccupati e accaldati.
-Ragazzi! Ma che è successo?- gridò la maga allarmata.
-La carrozza! Ha dentro Romeo e Asuka!- urlò Erza con il fiatone senza smettere di correre.
-Eeeeh?!- esclamò Lucy, girandosi verso la direzione opposta ai compagni –Vuoi dire che Asuka e Romeo erano tutti e due dentro a quella carrozza spericolata?!- strillò preoccupata. I suoi compagni la sorpassarono correndo senza risponderle, ma Lucy capì che per qualche strana ragione i due bambini erano finiti proprio lì dentro. Si unì anche lei alla corsa, sperando che Atlas, che li aveva preceduti da un bel po', riuscisse a fermarlo prima che succedesse qualcosa di brutto.
Intanto...
Atlas correva a perdifiato all'inseguimento del carro pazzo, che come aveva previsto, stava lasciando una lunga scia di disastri dietro si sé: gente perplessa e spaventata, qualche ferito, carri e merci rovesciate. Sapeva anche che non avrebbe mai potuto stare dietro a un tale veicolo continuando a correre. Se voleva raggiungerlo, doveva procurarsene uno anche lui. Scrutando da una parte all'altra della strada, i suoi occhi si imbatterono in un carro di un mendicante. Si fiondò all'istante sul mezzo, al momento senza guidatore, e tastò qua e là alla ricerca di un tasto d'accensione. Proprio quando stava cominciando ad innervosirsi, notò due corde nere collegate al di sotto del volante, entrambi terminanti con un bracciale di metallo nero sul quale vi era raffigurato un disegno che faceva intendere come dovevano essere usati. Seguendo le indicazioni del disegno, Atlas agganciò i due bracciali ai polsi, mentre il proprietario del carro, uscito dal negozio, gli si lanciò incontro gridando al ladro. Non appena nella sua testa si formò l'idea di scappare via di lì, il carro scattò in avanti, buttandolo all'indietro contro lo schienale. Riscosso dallo scatto improvviso Atlas afferrò il volante e si rimise all'inseguimento, ignorando i giramenti di testa che stava iniziando ad avere. Suppose che il carro in qualche modo andasse ad energia magica, dato che sentiva la sua riserva di energia magica indebolirsi mano a mano che aumentava la velocità. Ignorando il pericolo di rimanere a secco, Atlas diede a tutto gas e riuscì ad affiancarsi alla carrozza, che aveva quasi raggiunto i confini di Magnolia, continuando a seminare il panico sulla via principale. Atlas non riusciva a capire come si potesse avere una guida così spericolata e pensò che il guidatore fosse un vero pazzo, ma tutto gli fu chiaro quando lanciò un'occhiata al posto del guidatore e con suo grande stupore vide che era vuoto. Alla guida non c'era nessuno, la carrozza andava alla deriva, ed era un miracolo che non si fosse ancora schiantata. L'unico modo per fermarla senza arrecare danni al veicolo o alle persone in strada era montarci sopra e prendere il posto del guidatore. Atlas gli si accostò il più possibile, spostandosi in piedi al lato del suo veicolo per poter effettuare il salto. Si liberò il polso da uno dei bracciali, mentre con l'altro ancora attaccato manteneva la velocità e teneva fermo il volante. Si arrampicò sul bordo del suo carro, tenendosi in equilibrio come un acrobata sulla fune. Dopodiché con uno strattone si liberò in fretta dell'altro bracciale e saltò sulla carrozza, mentre l'altro carro diminuiva di velocità fino a fermarsi. Una volta a bordo, tastò in fretta tutta la superficie del posto di guida alla ricerca di un qualsiasi tipo di freno, ma si accorse che non ve ne era alcuno. Per un attimo ne fu stupito: come faceva un carro senza cavalli a correre ad una tale velocità se non possedeva alcun pannello di comando? Imprecando, si aggrappò al tetto della carrozza e tenendosi saldamente scivolò di lato vicino alla porta. Una volta oltrepassata, la aprì e ci si fiondò dentro, e con un ulteriore stupore vi trovò sui sedili un bambino moro svenuto e una bambina con due lunghe trecce nere e un cappello da cowboy, entrambi legati e imbavagliati. La bambina lo guardava spaventata con le lacrime agli occhi, e mugugnava qualcosa. Atlas le tolse il bavaglio. Tra le lacrime, la bambina disse: -Il pavimento, c'è qualcosa sotto il pavimento!- Il giovane senza dir nulla si inginocchiò sul pavimento di legno e lo tastò, percependo un'energia a lui familiare. Evocò a sé una spada, e dopo aver avvertito la bambina di proteggersi gli occhi, cominciò a colpire il legno più e più volte, più in fretta che poteva. Una volta fatto il buco, vi ficcò la testa, notando che sotto alla carrozza vi era attaccato un dispositivo argentato sottile e circolare che conosceva fin troppo bene: un propulsore ad energia lunare, uno di quelli che venivano dal suo mondo. Il cristallo incastonato al centro brillava a intermittenza, e Atlas finalmente scoprì come faceva il carro a muoversi ad una tale velocità. Ignorando momentaneamente il perché un aggeggio simile si trovasse lì in quel mondo, evocò un pugnale e tentò di levare la pietra dal nucleo centrale, l'unico modo per fermare il mezzo. Infilò la lama in una fessura attorno alla pietra e fece leva più forte che poté, ma senza risultato. Spazientito, provò un tentativo disperato: allungò il braccio verso il dispositivo, chiudendo la mano sulla pietra. Allora Atlas chiuse gli occhi, concentrandosi, e ricorrendo al potere della gemma incastonata al petto, evocò delle fiamme blu notte tra le dita. La pietra del dispositivo incominciò a fumare al contatto con quelle fiamme, e con un ultimo, forte strattone riuscì a toglierla dal nucleo, provocando qualche scintilla. La carrozza tremò leggermente, perdendo visibilmente velocità e rallentando sempre più, come se fosse stata prosciugata di ogni tipo di energia. Atlas infilò la pietra in una delle sue tasche del mantello e liberò i due bambini. Si mise in spalla il bambino ancora inerme e prese in braccio la bambina, che aveva quasi  smesso di piangere, e con un salto balzò fuori dal carro ancora in movimento, atterrando in equilibrio sul suolo. Si guardò intorno e si accorse che oramai avevano superato il confine della città. Per fortuna Magnolia era attraversata da una strada principale che non aveva alcun genere di deviazioni, e la carrozza aveva corso proprio su quella. Era un miracolo che non avesse sbandato. Atlas mise giù la bambina e posò delicatamente a terra anche il bambino, al quale controllò il polso e la temperatura corporea. Pareva non avere traumi fisici.
-Gli hanno soffiato addosso un potente sonnifero, mentre tentavamo di scappare- spiegò la bambina al giovane, tirandosi su il naso -Ci eravamo quasi riusciti- singhiozzò -Se non fossi scappata da lui, Romeo non avrebbe mai combattuto con quei trafficanti per salvarmi, e non saremmo mai capitati in questa situazione!- pianse -E' colpa mia! E' tutta colpa mia!-
Atlas le sorrise, prendendo il suo cappello per posarselo sulla testa. La bambina lo guardò interdetta tra le lacrime.
-Beh, ma sono comunque arrivato io a salvarvi no?- disse, facendole l'occhiolino. Le rimise il cappello sulla testa -L'importante è che state entrambi bene. Che ne dici di tornare indietro ora? Mamma e papà saranno in pensiero per voi-
-Si!- rispose la piccola. Scrutò pensierosa Atlas per un attimo, aggrottando le sopracciglia -Ma tu come ti chiami? E perché hai quei capelli strani? Ti sei tinto? Perché hai gli occhi rossi? Sono delle lenti? Da dove vieni? Qual'è la tua gilda?- chiese a raffica. Il giovane rise.
-Ehi calma, una domanda alla volta. Mi chiamo Atlas, i miei occhi e i capelli sono autentici e vengo dalla gilda di Fairy Tail. Soddisfatta?- al nome di Fairy Tail la bambina lanciò un verso stupito.
-Oh! Anche tu sei di Fairy Tail! Noi veniamo da lì! Anche mamma e papà!- disse entusiasta. Poi però parve come ricordarsi di qualcosa e assunse un cipiglio sospettoso -Aspetta però- bofonchiò -Fammi vedere il marchio- disse. Atlas sospirò, scostandosi la maglietta per farle vedere il marchio sulla spalla destra. Di fronte a quella prova la bambina parve rilassarsi.
-Allora, vi accompagno alla gilda?- propose Atlas. La piccola annuì, senza togliere lo sguardo dagli occhi e dai capelli del giovane -Bene. Quale è il tuo nome? E il ragazzo qui è Romeo giusto?-
-Si, lui è Romeo. Io mi chiamo Asuka- rispose la bambina, mentre Atlas si caricava Romeo sulle spalle. Incominciarono a camminare verso la città.
-Senti, ti va di dirmi come avete fatto a finire imbavagliati dentro quella carrozza?- le chiese. Asuka assunse un'espressione triste, e gli occhi le divennero di nuovo lucidi. Atlas si aspettava che scoppiasse a piangere o non rispondesse per niente alla sua domanda, ma la bambina parlò.
-Stavamo facendo un giro a vedere dei negozi. Ero arrabbiata perché volevo andarci da sola, ma mamma e papà non me l'avevano permesso. Avevano chiesto a Romeo di tenermi d'occhio, e quindi era venuto con me. Quando lui si è distratto, sono scappata via, ma quei brutti cattivoni mi hanno presa. Mi stavano legando, quando Romeo era arrivato a salvarmi. Vedendo che era un mago, uno di loro gli ha soffiato addosso una polvere che lo fece subito addormentare. Poi lo legarono e buttarono su quella carrozza con quello strano coso, pensando di sbarazzarsi di lui. Però io sono riuscita a scappare e a montare sulla carrozza prima che mi portassero via- raccontò tra un singhiozzo e l'altro. Atlas guardava dispiaciuto la bambina, gli ricordava sé stesso nel periodo in cui era morta sua madre, quando non faceva altro che rubare per sopravvivere e scappare dalla Guardia e dai brutti ceffi che gli davano la caccia. Un senso familiare di solitudine e dolore lo attanagliò, pensando a quei ricordi. Non sapendo cosa dire o come consolare Asuka dopo quella brutta esperienza, continuò a camminare in silenzio, guardandola di sottecchi di tanto in tanto. Poi però si ricordò delle parole che gli disse Alhena i primi giorni che si erano conosciuti: se guardare al passato ti annega, allora guarda al futuro che si spalanca sopra di te, e sopravviverai. Guardò di nuovo Asuka, cercando per un attimo le parole giuste, e le disse: -Asuka... non dovresti pensarci troppo. Non puoi cambiare quello che è successo, ma puoi sempre fare in modo che non accada più no?- la bambina, anche se ancora triste, lo guardava incuriosita, come se non riuscisse a capire bene le sue parole. Si schiarì la voce. A consolare con le parole era una vera frana, lo sapeva. -Voglio dire... va bene guardarsi indietro, ma l'importante è il tragitto che hai davanti. Mi capisci?- la bambina continuava a guardarlo senza proferir parola. Cominciando a sentirsi a disagio, distolse lo sguardo. -Ecco, ehm... -
 
-Sai Atlas, sei proprio strano- sentenziò Asuka. Atlas sospirò demoralizzato e piuttosto innervosito (insomma, possibile che lì lo considerino tutti così strano?), ma prima che potesse dire qualunque cosa la bambina continuò -Ma mi sei simpatico. Grazie per averci salvato- disse sorridendogli allegramente, con il naso un pò rosso per i pianti. Atlas le rivolse un lieve sorriso, godendosi della sensazione che si prova quando nella tua vita fai finalmente qualcosa di buono. Si gustò goccia per goccia quella calda sensazione che dolcemente sembrava lavargli via, anche se per poco, lo sporco che aveva dentro, quello che gli faceva pensare di essere meno umano, e più mostro. Quello per cui valeva la pena di mettere a rischio la propria vita in prima linea. Quello che lo faceva sentire come se avesse uno scopo ben preciso nella vita, come se avesse un posto tutto tuo. Ma non era forse quello il motivo per cui era entrato a far parte dell'Ordine dei Cavalieri della Corona? Anche se ad obbligarlo era stato la Regina per riscatto Atlas sapeva, anche se inconsapevolmente, di aver semplicemente colto l'occasione per soddisfare un desiderio più profondo a lungo celato e legato alla sua sopravvivenza. Forse anche la Regina lo sapeva già, allora.
"Proteggi la Casata Reale, e la tua vita verrà risparmiata. Proteggi mia figlia, e il tuo cuore vivrà. Proteggi il mio popolo, e la tua anima forse si salverà."
Non avrebbe mai dimenticato quelle parole. Uno degli incontri più importanti della sua vita. Uno di quegli incontri dove capisci che da quel momento in avanti, molte cose cambieranno definitivamente. Lo sai, te lo senti. E quello fu il momento in cui rinacque dalle ceneri del passato, ribattezzato sotto altre spoglie. La possibilità di un nuovo inizio. Non più Noctis, il figlio maltrattato, il ladro e l'orfano. Ma Atlas. Ripensando al passato e agli ultimi avvenimenti che gli erano capitati, il ragazzo capì che prima di tornare a casa, avrebbe dovuto sistemare al più presto i conti con Gacrux... e affrontare per l'ultima volta l'uomo dei suoi incubi. Sapeva che se non l'avrebbe fatto, il suo vecchio io avrebbe continuato a tormentarlo e a impedirgli di andare avanti e rispettare quella richiesta fino allo stremo delle forze. Nel mentre che continuava a camminare con Asuka e con Romeo in spalla verso la gilda, Atlas sentiva che presto sarebbe arrivato un altro di quei momenti che avrebbero lasciato il segno, una cicatrice. Nonostante il nodo allo stomaco e l'inquietudine, tutto quello che Atlas si ripeteva era una sola parola: "presto... presto...".

§ § § § §

Lucy non sapeva dire per la precisione da quanto tempo stessero correndo. Tutto quello che voleva in quel momento era una bottiglia d'acqua e un bagno fresco dove rilassarsi. Era tutta sudata e appiccicosa per via della corsa e del caldo, e aveva la gola secca per lo sforzo e la preoccupazione. Di Atlas non vi era traccia, e sperò con tutto il cuore che fosse riuscito a fermare la carrozza e a salvare i due bambini. In città non c'erano stati danni ingenti, ma la gente che era per strada si era parecchio spaventata. Scrutando in lontananza davanti a sé alla ricerca di un qualsiasi segno, la maga scorse una chioma bionda e rossa che si avvicinava con una persona in spalla. A quella vista il cuore le si strinse per il sollievo e allo stesso tempo per la preoccupazione.
-Asuka!!- strillò Erza. La bambina iniziò a correre a perdifiato e raggiunse il gruppo, incontrandosi a metà strada. Erza si inginocchiò e la prese delicatamente per le spalle.
-Stai bene? E romeo? La carrozza?- chiese ansiosa, mentre Lucy, Gray e Natsu la guardavano preoccupati e con un pò di fiatone. Asuka scosse la testa sorridendo.
-Sto bene. E' tutto a posto- si girò indietro verso Atlas, che intanto li aveva raggiunti. Vedendolo, il cuore di Lucy perse un battito, e la maga capì che il ragazzo che portava in spalla era Romeo, apparentemente come svenuto. -Atlas ci ha salvato! E' stato fighissimo!- raccontò la bambina entusiasta e gesticolando -E' balzato come un gatto dal carro alla carrozza e l'ha fermata subito con una magia strana! Poi ci ha liberato e siamo saltati giù dalla carrozza ancora in corsa! Stavamo ritornando alla gilda ora-
Erza guardò interdetta Atlas, mentre Natsu e Gray lo guardavano sospettosi. O almeno Gray lo era, si disse Lucy, Natsu pareva volerlo incenerire vivo. La maga si chiese quale fosse la "magia strana" della quale parlava Asuka, ma non sapeva quanto potesse prendere seriamente quelle parole, essendo una bambina. Guardò ancora Atlas, che pareva tranquillo.
-E' andata così?- chiese Erza, guardando fermamente il mago. Atlas sostenne il suo sguardo, e Lucy giurò di vedere i suoi occhi rossi ardere come se fossero stati fatti di fuoco. Le venne da pensare agli avvenimenti dell'altra sera, e a come l'aveva protetta quella mattina, e il pensiero la fece arrossire. Sentendosi osservata, si girò verso Natsu, che la guardava intensamente con un sopracciglio alzato, come a chiederle se andasse tutto bene. Lei gli sorrise dolcemente e scosse la testa, sentendo un dolce calore al petto. Sapeva che l'autore era proprio lui, che si preoccupava sempre per lei. Sempre. Da quel lontano giorno in cui l'aveva salvata da Bora, lui l'aveva sempre protetta e aiutata. Senza Natsu, non sarebbe stata nulla.
-Sì, è come ha detto Asuka. Romeo ha combattuto valorosamente per salvare entrambi, ma gli hanno lanciato addosso un potente sonnifero. Non prendetevela con lui- disse Atlas, riscuotendo Lucy dai suoi stessi pensieri. Asuka annuì debolmente, a testa bassa.
-A dire la verità la colpa è mia...- cominciò, e raccontò agli altri tutta la storia dal principio. Non appena ebbe finito, Erza sospirò e le posò una mano sulla testa.
-Che storia...- commentò Gray grattandosi la nuca.
-Coraggio, ora non pensarci- le disse Erza con un sorriso un pò stanco. Atlas pensò che doveva essersi preoccupata parecchio. -L'importante è che tutte e due state bene. Ora non pensiamoci più e ritorniamo alla gilda, saranno tutti preoccupati, specie mamma e papà. Al Master non diremo nulla, ci inventeremo una scusa. Va bene?- Asuka annuì, dandole la mano. Erza guardò di nuovo Atlas.
-Ce la fai a portarlo in spalla?- gli chiese.  Atlas alzò un sopracciglio, mantenendosi inespressivo.
-Ovvio. Per chi mi hai preso?- ribatté guardandola in modo pungente, mentre si incamminava. Tutto il gruppo lo fissò pensieroso. Il ricordo di quello che gli avevano visto fare al porto era ancora fresco nelle loro menti.
-Beh, è ora di tornare in gilda...- sospirò Gray guardando Lucy e Natsu, mentre si metteva le mani in tasca.
-Lucy!! Ho fame! Dammi del pesce!- esclamò in volo Happy.
-Happy! Ma per chi mi hai preso?! Per una pescivendola?!- gli sbottò la maga, portandosi le mani ai fianchi. Poi notò la faccia di Atlas che guardava Happy e per poco non le venne da ridere. Aveva la bocca mezza aperta e sbatteva le palpebre incredulo. Poi chiuse gli occhi e scosse la testa, borbottando qualcosa che la maga non riuscì a capire e riprese a camminare.
-Non mi piace. Non mi piace per niente- borbottava accanto a lei Natsu. Non c'era bisogno di sforzarsi per capire a chi si riferisse.
-Lo so Natsu, ma dobbiamo portare pazienza. Ricordi quello che vi ho detto la sera scorsa?- gli rammentò la maga. Natsu la guardò in silenzio per un istante, poi distolse lo sguardo. Aveva la fronte leggermente aggrottata.
-Si, me lo ricordo- disse piano, tanto che pareva parlare più con sé stesso -Solo che... non voglio che tu rimanga coinvolta in qualcosa di pericoloso per colpa sua. Non riuscirei a perdonarmelo-
Lucy lo guardò con tanto d'occhi, il cuore che le iniziava a battere forte per l'emozione. Aveva proprio sentito quello che pensava di aver sentito? Era stato proprio Natsu a dirlo? O se lo era immaginato? Ma prima che riuscisse a dire o fare qualcosa, il ragazzo si avviò insieme agli altri, lasciandola indietro in un piccolo stato di shock. Con il sole splendente a dominare il cielo di quella giornata sopra di sé, Lucy spostò lo sguardo da Atlas a Natsu, da Natsu ad Atlas, sempre più confusa da tutti quei sentimenti che ultimamente la stavano scuotendo come in balia di una tempesta. Abbassando mestamente lo sguardo, si strinse le braccia al petto.

"Mamma... che mi sta succedendo?"

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Capitolo 5
*** Fiducia e Verità ***


FIDUCIA E VERITA’

Più era il tempo che passava lì dentro, più Atlas si rendeva conto di essere finito, letteralmente, in un altro mondo. Se non un altro pianeta in qualche galassia sperduta. Dire che la gilda era un caos era troppo poco per rendere al meglio la situazione che dilagava in quelle quattro enormi mura. E il pensiero di essere finito a far parte di quella gang di pazzi gli faceva un effetto ancora più strano. Il ragazzo se ne stava seduto ad uno dei tavoli della gilda, immerso in una bolla densa di pensieri, e osservava con sguardo vuoto le urla, risate e risse che si propagavano a macchia d'olio nello spazio circostante. Rientrato dalla sua piccola avventura (o forse è meglio dire salvataggio) con i suoi neo-colleghi maghi, aveva assistito al risveglio di Romeo e al suo piccolo battibecco con Asuka, che passata la paura e il senso di colpa era tornata la bambina vispa di sempre. Insomma, tutto era finito bene e il Master non era stato avvertito di nulla. Data la questione risolta, era inutile parlare con lui dell'accaduto e farlo preoccupare, magari compromettendo sensibilmente il suo stato di salute. Atlas bevve un sorso del suo fresco bloodymary e fissò il bicchiere, osservando il liquido color rubino mentre lo faceva ondeggiare lentamente in cerchio. Forse per quelli della gilda la questione era pure risolta, ma per lui non lo era affatto: trovare quel propulsore sotto la carrozza fu per lui un altro piccolo shock. Se trovare i fucili magici in mano a quei briganti al porto di Hargeon lo aveva preoccupato, questo era forse ancora peggio. Ormai poteva dirlo quasi con certezza, ma Gacrux si era fatta un mercato nero su quel mondo, e chissà quanto grande. Ma a cosa gli serviva? Che collegamento aveva tutto ciò con Astral, con i portali? La situazione si stava mostrando esattamente come aveva presupposto e aveva la sinistra sensazione che le cose sarebbero andate anche peggio. Il che non era una novità, dato che nel suo "lavoro" prepararsi sempre al peggio era fondamentale... Il problema di fondo era che lì era completamente solo. Non aveva un esercito a cui affidarsi. Non aveva il tenente colonnello Klaus o il colonello Olivier a sostenerlo. Non aveva la preziosa guida della regina, né i suoi saggi consigli. Non sapeva se sarebbe riuscito a sistemare tutta quella brutta faccenda senza nessuno ad aiutarlo e senza farsi scoprire. Anzi, ne era piuttosto scettico. Alzò lo sguardo dal suo bicchiere tra le mani e scrutò assente gli altri membri della gilda, ignari dell'esistenza di un altro mondo, della sua vera identità e di quello che di lì a breve sarebbe loro accaduto. Anche se avesse chiesto aiuto a qualcuno dei presenti, si sarebbe potuto fidare? Come avrebbero reagito a sentire tutta quell'assurda storia? Il suo sguardo pensieroso, perso come un vagabondo in mezzo a una tempesta di neve, fu attirato dal lampo di una chioma biondo oro, quella di Lucy, e si soffermò a guardarla ridere e scherzare insieme alla ragazza dai capelli rossi, al rosato con il gatto volante e allo stripper moro. Strinse le pupille nello sforzo di ricordarsi i loro nomi (gli avevano detto Erza, Natsu, Happy e Gray giusto?) quando Lucy si accorse che li stava osservando, da qualche tavolo più in là. Atlas ebbe l'impulso di distogliere lo sguardo, ma resistette e mantenne il contatto con lei, nel tentativo di bluffare lo stato emotivo altalenante in cui si trovava in quel momento. La conosceva da poco, ma si era reso conto che la ragazza non era affatto un tipo stupido con il quale ci si può permettere di abbassare la guardia. Continuò a fissarla intensamente, e dopo qualche istante la ragazza cedette, presa dall'imbarazzo, e abbassò lo sguardo con un'espressione preoccupata che Atlas non seppe spiegare. Il ragazzo lo abbassò a sua volta e si diede dello stupido. Nella sua vita di strada (e non solo) una delle tante cose che aveva imparato era quella di non fidarsi mai troppo di nessuno, e quando lo aveva fatto, ne aveva pagato amaramente il prezzo. Non conosceva affatto nessuna delle persone lì presenti, come avrebbe potuto anche solo pensare di raccontare loro una storia di un tale peso, una storia che comprometteva il bene non di un mondo, ma di ben due mondi? E se così facendo si sarebbe cacciato ancora più nei guai? E se lo avessero rinchiuso in qualche prigione? Se lo avessero tradito e spifferato tutto a qualcuno? Se non gli avessero più permesso di ritornare a casa, di tornare da Alhena? 
D'improvviso sbarrò gli occhi, e al pensiero dei brividi di terrore gli corsero come serpenti lungo la schiena.
Alhena... se le andassero a fare del male? Cosa sarebbe successo se decidessero di sottomettere Astral? E se, invece, si sbagliasse di grosso e proprio non dire niente a nessuno si rivelasse la scelta fatale? 
Esasperato e stressato da quel frenetico pensare, Atlas ringhiò e si passò le mani tra i capelli, fermandole poi sul collo e sospirando a occhi chiusi. D'un tratto sentì tutta la stanchezza dello sconforto addossarsi sulle sue spalle. Forse per la prima volta in tutti quegli anni, il ragazzo non sapeva cosa fare, quale fosse la via più giusta da seguire. La posta in gioco era enormemente alta e se avesse commesso anche il minimo errore, sarebbe saltata non solo la sua copertura, ma anche l'intera missione. Forse il mondo intero. Anzi i mondi.  Cosa doveva fare quindi? Come doveva comportarsi? Atlas non lo sapeva proprio, e ciò gli causava un perenne stato di stress come non ne aveva mai provati prima e che lo rendeva sempre più vulnerabile, più distratto. Il suo piano di partenza era quello di immischiarsi negli affari loschi, nel mercato nero, bluffare in una doppia vita e sporcarsi le mani, risolvendo l'enigma al più presto possibile. Niente di nuovo o di particolarmente scandalizzante per lui, ma era difficile farlo quando dovevi passare gran parte del tuo tempo in un ambiente come quello di Fairy Tail, dove esistevano principi e ideali che lui era stato costretto a diffidare sin da quando era un bambino, sin dalla morte di sua madre. Ideali così profondamente saldati nell'anima della gilda, nell'anima dei suoi membri, che anche un nuovo arrivato come lui potrebbe percepirli: la lealtà, la famiglia, la cieca fiducia l'uno nell'altro. E in qualità di nuovo membro, il ragazzo era costantemente sotto esame, per accertarsi di essere meritevole del loro prezioso tesoro. Lo capiva dai loro sguardi, increspati di sospetto e diffidenza ogni volta che era nel loro campo visivo. Il rosato e il moro, per qualche ragione a lui ignara, lo erano particolarmente, date le occhiatacce che gli riservavano senza ritegno. Ma non poteva certo biasimarli... del resto, nemmeno lui avrebbe riservato loro un trattamento diverso se fossero stati loro ad arrivare, anche se accidentalmente, ad Al Nair. 
"Alhena invece, sono sicuro che si sarebbe messa ad osservarli giorno e notte senza sosta, magari appostata da qualche parte con un taccuino in mano in stile da perfetta stalker..." pensò divertito.
-Ma guarda! E' la prima volta che ti vedo sorridere così!- esclamò d'un tratto una voce squillante. Atlas alzò lo sguardo, e il sorriso che aveva si smorzò sulle labbra. Davanti a lui si era seduta proprio Lucy, e accanto a lei vi era Erza, che stava gustando con espressione appagata un pezzo generoso di torta alle fragole. 
-A cosa stai pensando?- continuò la maga. Atlas esitò un attimo, prima di decidersi a rispondere.
-A una mia... amica, a cui tengo molto- disse, abbassando di nuovo lo sguardo sul bicchiere e bevendosi un altro sorso di bloodymary. Un lungo sorso, data l'improvvisa gola secca.
-Oh!- esclamò Lucy sorpresa, spalancando gli occhi -E vive qui vicino?- chiese, appoggiando tutti e due i gomiti sul tavolo, in ascolto insieme a Erza, che continuava a gustarsi in silenzio il suo dolce. 
-No- rispose Atlas -Vive in una città lontana... così sperduta da sembrare su un altro pianeta- 
"In tutti i sensi" aggiunse mentalmente in tono sarcastico.
-Immagino tu non la veda da tanto tempo- commentò pensierosa Lucy.
-Già, ma... ora non ho voglia di parlare di lei- deglutì a fatica -E' un tasto dolente per me- tagliò corto il giovane. Lucy aggrottò la fronte dispiaciuta e distolse gli occhi dal giovane, in un palese disagio. Forse era stato troppo rude con la ragazza. Ma se solo lei avesse saputo cosa stia passando in quel momento... A ripensarci, Atlas dovette resistere all'impulso improvviso di urlare con tutto il fiato che aveva in corpo e spaccare il tavolo in due a suon di pugni. Ma non poteva. Doveva restare calmo, apparire imperturbabile. Perciò si limitò a stringere le nocche così forte da farle sbiancare, mentre Erza posava il cucchiaino d'acciaio sul piatto vuoto e prese parola.
-Atlas, ascolta... molto probabilmente ti sarai chiesto per quale motivo ci siamo sedute qui al tavolo con te, dato che sin dal tuo arrivo ci siamo scambiati a malapena qualche parola...- iniziò la rossa -Ma Asuka e Romeo ci hanno raccontato di uno strano oggetto dotato di una fonte magica sconosciuta, un oggetto che si trovava sotto al carro dei briganti e che tu hai distrutto. Abbiamo bisogno di maggiori dettagli per fare rapporto al Master- concluse, fissandolo intensamente. Ancora stretto in un fascio di nervi, Atlas alzò un sopracciglio, interdetto.
-Fare rapporto? Ma non avevamo deciso di tenerlo all'oscuro?- disse. Erza chiuse gli occhi per un momento e sospirò, come per prepararsi a dire qualcosa di decisamente poco gradevole.
-Ti abbiamo visto, al porto, l'altro giorno- sentenziò con sguardo serio -Abbiamo visto tutto. E sai cosa intendo-
Lucy guardò la propria compagna tra lo stupito e lo scandalizzato -Erza!- esclamò incredula. Ma Titania continuò a guardare dritta negli occhi di Atlas, in cerca di una qualche reazione da parte sua. Il giovane sospirò, pesantemente. Peggio di così non poteva andare. O forse doveva esserne sollevato, così da poter sputare fuori tutta la verità una volta per tutte?
-E allora?- disse in maniera provocante -Arriva dritta al punto- esortò gelido. Ma Erza non si fece intimidire, e l'atmosfera tra loro divenne più tesa. Lucy si guardò furtiva intorno, a disagio, e notò a malincuore che Natsu e Gray le stavano osservando preoccupati, e che alcune delle persone lì presenti si erano accorti della brutta aria che stava tirando lì. La maga si morse il labbro, e tornò a guardare i due seduti allo stesso tavolo.
-Abbiamo perquisito i corpi dei ladri, dopo che sei scappato via- continuò Erza -Avevano delle armi addosso che non avevo mai visto in vita mia, e da quello che mi hanno raccontato Asuka e Romeo, sono molto simili, se non dello stesso genere, a quella strana arma che hanno visto sulla carrozza di quei briganti. Probabilmente si è creato un nuovo mercato nero, e dato che potrebbe avere a che fare con tutta Fiore, sono obbligata a mettere al corrente il Master. Fatalità le merci, da quel che ho sentito, hanno iniziato a circolare poco prima il tuo arrivo... ora, non sto dicendo che tu sia coinvolto in prima persona nei traffici, ma ho ragione di sospettare che tu abbia un qualche legame con tutta questa storia. Noi non ti giudicheremo, ma se sei a conoscenza di qualcosa a riguardo, ti prego di raccontarcela e di collaborare per evitare probabili danni ingenti- concluse. Atlas si incupì e dopo un altro lungo sospiro si massaggiò le tempie, stressato e indeciso sul da farsi. Eccolo lì, l'errore che non poteva permettersi, quello che gli avrebbe fatto saltare la copertura. Mai si era immaginato che lo avessero sorpreso così con le mani nel sacco, non quella volta, non quando si era assicurato di non essere seguito da nessuno, di essere completamente solo. Sfortuna nera. Ora, qualunque scusa si sarebbe inventato, non sarebbe stata credibile. Erza e Lucy non se la sarebbero mai bevuta, figurarsi il Master. Ma proprio in quel momento, pensando alla bionda, gli venne in mente una cosa...
-Allora, tu sapevi...- iniziò d'un tratto, rivolgendosi a Lucy -Quella sera, già sapevi tutto- le disse con sguardo accusatorio, alludendo alla sera prima, quando era stato nel suo appartamento. Lucy sembrò sentirsi in colpa, e si sistemò meglio sulla sedia, rompendo per un attimo il contatto con lui. 
-Si... si, lo sapevo- disse con voce fievole, e un momento dopo tornò a guardarlo dritto negli occhi, con uno sguardo incredibilmente serio e determinato -Ma non ti ho mentito quando ti ho detto che potevi fidarti di me. Lo giuro sui miei Spiriti Stellari- disse. Atlas restò molto sorpreso da quelle parole, ma si soffermò ancora a scrutarla, in cerca di altre conferme. Nonostante la pressione psicologica a cui era sottoposta dagli occhi ardenti del giovane, Lucy mantenne un cipiglio risoluto. A quanto pareva, la ragazza era sincera, e lui non aveva né la forza, né la lucidità, né la possibilità di scappare incolume a quell'interrogatorio. E anche se ci fosse riuscito per miracolo, aveva la vaga sensazione che le cose avrebbero preso una piega anche peggiore di quella attuale, se avesse mentito in quel momento. E poi, doveva crearsi degli alleati, altrimenti da solo non ce l'avrebbe mai fatta. Un generale non vale nulla senza il suo esercito, senza i suoi fidati e fedeli sottoposti.
"Come una regina non vale nulla, senza il suo popolo... non ha ragione di esistere" 
Era quello che gli diceva sempre Alhena. E aveva ragione.
-Ok, va bene mi arrendo, vi racconterò tutto...- decise -Ma non qui. E voglio solo voi e il Master. Questo è il patto che vi propongo-
Erza annuì -Va bene. Vediamoci in biblioteca, fra dieci minuti- disse, alzandosi insieme a Lucy -Ci saranno anche Natsu, Happy, Charle, Wendy e Gray, dato che anche loro erano con noi quel giorno-
-Capito, nessun'altro?- disse, irritato, mentre le due scuotevano la testa e si congedavano. Con quante caspita di persone si era fatto beccare?! Stizzito, tracannò in un solo sorso metà bicchiere del bloodymary restante, sotto lo sguardo preoccupato di Lucy. Pensando a quella strana pietra nera che aveva visto incastonata al petto del giovane, Lucy ebbe la sensazione che quella che sarebbero andati a scoprire sarebbe stata solo una mezza verità, solo una faccia del medaglione.
Quello che non sapeva, era quanto aveva ragione.
§ § § § §

Come stabilito, qualche minuto più tardi il gruppo, insieme al Master, stava scendendo le scale in direzione della biblioteca. Ogni passo sembrava farsi sempre più pesante, e tra di loro aleggiava una tensione palpabile, anche se cercavano di non darlo a vedere. Lucy teneva lo sguardo basso, ed era irrequieta, non si sentiva affatto rilassata per ciò che sarebbero andati a scoprire. Come non lo era Natsu, data l'aura stranamente astiosa che prorompeva dalla sua figura. Lucy non ricordava di averlo mai visto così... voleva tanto chiedergli cosa lo turbava fino a quel punto, ma le parole le si bloccarono in gola, come se per uscire avessero dovuto prima oltrepassare le mura di una fortezza inespugnata. In balia di quel timore che galleggiava sulla bocca dello stomaco, strinse forte le chiavi dei suoi Spiriti Stellari, in cerca di anche solo un barlume di conforto.
-Ma siamo sicuri che possiamo fidarci di uno come lui?- d'un tratto borbottò seccato il Dragon Slayer. Il Master sospirò stancamente.
-Non lo so Natsu, ma dobbiamo dargli il beneficio del dubbio e sentire quello che ha da dire. La situazione nel mondo magico potrebbe essere davvero critica, quelle armi stanno spuntando a vista d'occhio tra le gilde oscure... e lui sembra essere l'unico a saperne qualcosa, quindi non abbiamo altra scelta- disse in tono grave. 
Appena scesa la rampa di scale, il piccolo gruppo trovò Atlas appoggiato al tavolo di legno al centro della biblioteca, mentre sfogliava assorto un libro dalla copertina color petrolio logorata, rilegata da disegni fantasiosi color oro, che Lucy riconobbe subito: era un antico libro di leggende, che lei aveva letto più volte. A guardarlo leggere uno dei suoi libri preferiti, le scappò un piccolo sorriso. E si guadagnò un'occhiata torva da parte di Natsu.
Sentendo lo scricchiolante rumore di passi sulle vecchie assi di legno di quella biblioteca, Atlas alzò lo sguardo, prestando tutta la sua attenzione dal libro che aveva in mano ai nuovi arrivati.
-Sa, Master, mi sento proprio in dovere di dire che avete una splendida biblioteca- esordì chiudendo con uno schiocco il libro.
-Di tutte le cose che ci sono da dire, parlare della biblioteca è l'unica che ti viene in mente?- sbottò incredulo Gray.
Atlas fece spallucce, spostando lo sguardo da una parte -Beh, era solo un modo per alleggerire la tensione, si riesce a tagliare con un coltello- poi spostò di nuovo lo sguardo su di lui, e gli rivolse un ghigno -Ma forse preferisci che si parli della parte in cui tu sei in mutande?- 
Gray strabuzzò gli occhi e abbassò lo sguardo interdetto, rendendosi conto con sua grande sfortuna che il collega aveva ragione: senza accorgersene, forse per la tensione, si era sbarazzato dei vestiti ed era rimasto solo con il suo indumento intimo addosso.
Di fronte allo sguardo esasperato e quasi divertito dei suoi compagni lì presenti, Gray non sapeva se sentirsi più imbarazzato o adirato, ma nulla gli proibì di lanciargli un'occhiata gelida.
-Il sarcasmo certo non ti manca. - puntualizzò con una nota di risentimento.
Atlas, divertito dall'opportunità di sfogare lo stress che aveva accumulato con il suo sadismo, finse un inchino e lo ringraziò del complimento, facendo ancora più  ribollire il sangue al mago del ghiaccio.
Ma in tutto ciò, quel che più sorprese Lucy e i presenti fu che neanche Natsu, che era sempre disposto a dare man forte a Gray in qualunque situazione, non avesse proferito parola a discapito del rivale. Questo faceva ancora più intendere quanto Atlas non gli andasse a genio. E Lucy, osservandolo, si preoccupava sempre di più: non lo aveva mai visto in uno stato così cupo e astioso, e continuava a chiedersene il motivo. Stava per allungare la mano a sfiorargli il braccio e rassicurarlo, per dirgli che qualunque cosa lo turbasse, lei sarebbe sempre stata al suo fianco a supportarlo, per dirgli che poteva dirle qualunque cosa gli passasse per la testa, quando il Master prese finalmente parola dopo un lungo silenzio.
-Bene Atlas, ora che siamo qui, che ne diresti se ci raccontassi tutto fin dal principio? -
Atlas fissò un momento il vecchio che gli stava davanti: la corporatura esile e la statura piccola, insieme alla veneranda età, tradivano l'aura potente che emanava la sua magia. Sotto le folte ciglia ormai biache e ragnatele di rughe si dimenava nello sguardo fiero l'anima di un uomo che aveva vissuto tante battaglie. Fin da quando lo vide la prima volta, appena entrato in gilda, istintivamente ne aveva provato un grande rispetto, e pensandoci ora si rese conto per quale motivo i membri della gilda parlavano di lui con assoluta devozione. Con un sospiro che pareva pesare quanto gli anni di un veterano, il ragazzo appoggiò la schiena al tavolo dietro di sé, mettendosi a braccia conserte.
-Sarà una storia un po' lunga, vi avverto. Perciò mettetevi comodi. -
E sotto lo sguardo serio e concentrato dei presenti, Atlas iniziò a raccontare la sua storia. O almeno una parte. Parlò di Astral, della sua bellissima città Al Nair, del castello, del ruolo che vi ricopriva. Raccontò del Popolo delle Stelle, dei Sacerdoti Celesti, dei misteriosi Archi del Tempo e del loro legame con l'origine del suo popolo. Parlò di Gacrux, del loro giro di affari, della sua teoria sul rapporto che si intesse fra questi e i Portali, e di come tramite proprio uno di questi lui finì in questo mondo.
Al termine della sua storia, tutti si sentirono come storditi dall'esplosione di un fulmine piombato dal cielo sulla terra. Erano sconcertati, Lucy più di tutti. Quante, erano le domande che le aleggiavano per la testa!
-Caspita, qualcosa di molto più grosso bolle in pentola allora - disse Erza, guardando con preoccupazione il Master.
Atlas appoggiò le mani al tavolo dietro di sé, e un'ombra sembrò passargli in volto. Raccontare tutto gli costò molta più energia di quello che pensava. Non voleva ammetterlo, ma tutto sommato era contento di averlo fatto. Era come se si fosse tolto un morbo letale dal suo petto, un morbo che continuava a divorarlo lentamente, con gusto maligno. Per quanto possa essere egoista, sapere di non essere più il solo a covare un segreto di tale portata gli portava un enorme sollievo.
Lucy scosse la testa, come a schiarirsi i pensieri in balia di un ciclone -Atlas, quindi... stai dicendo che il tuo popolo proviene dai Maghi degli Spiriti Stellari? E' tutto vero?-
- A dirti la verità Lucy, non conosco la storia in tutti i minimi particolari, e tutti i documenti che abbiamo risalenti a quell'epoca sono frammentari e piuttosto confusi... dopotutto, si tratta di scritti di migliaia di anni. Però si, da quel che so, è vero, discendiamo dai maghi Stellari superstiti alla guerra contro i draghi- disse.
-Ma allora perché le Chiavi si trovano ancora qui?- protestò la bionda.
-Secondo quanto mi è stato detto, coloro che possedevano le Chiavi d'Oro rimasero a guardia dei Portali in questo mondo, insieme a pochi altri volontari. Le uniche Chiavi che possediamo sono quelle d'Argento, e si trovano all'interno del Tempio del Cielo, protette chissà dove da centinaia di incantesimi. -
-Ecco perché stamattina eri così sorpreso nel vedere le mie Chiavi...- mormorò Lucy. Atlas proruppe in una leggera risata dalla sfumatura isterica.
-L'avrebbe fatto chiunque del mio mondo, veneriamo i Maghi e gli Spiriti Stellari come fossero delle divinità. - disse -Se ti portassi con me ad Al Nair, ti tratterebbero come una dea scesa in terra, anche la regina in persona si inchinerebbe al tuo cospetto. - continuò con un sorriso sbieco.
-Addirittura!- rise imbarazzata Lucy. E d'improvviso Atlas si sorprese nel perdersi ad ascoltare ogni singola nota di quella risata così pura, anche se fu fievole e sfuggente come un raggio di sole perso nelle nuvole.
-Atlas...- iniziò il Master con tono stanco -Sei proprio certo dei piani di Gacrux? Possibile che abbiano in mente solo il traffico di armi illegali?-
Un po' sorpreso, Atlas lo guardò un momento in silenzio, prima di prendere parola. A quanto pare anche il Master sospettava qualcosa di ben peggiore.
-Master, con tutta sincerità, conoscendo personalmente il loro capo, temo che questa sia solo la punta dell'iceberg. Come le ho detto, secondo le prove accumulate fino ad ora da me e i miei sottoposti, pare che vogliano aprire un traffico d'armi tra questo mondo e il nostro. Ma le prospettive sono infinite, potrebbe anche accadere che Gacrux stringa un patto con le gilde oscure di Fiore e decida di usare i Portali per condurre nuovi eserciti nella capitale e rovesciare l'attuale governo, oppure per sterminare l'intera popolazione di Astral. Le supposizioni possono essere molte di più, e non è detto che questo mondo ne rimanga incolume. -
Il Master chiuse un attimo gli occhi, e prese un profondo respiro, chiudendosi in un minuto di riflessione. Tra pochi giorni si sarebbe tenuto il raduno mensile con le altre gilde, e si chiedeva se sarebbe stato più conveniente sollevare la questione durante l'incontro. Però, siccome i fini ultimi di Gacrux non erano ancora certi e le informazioni scarne, non sapeva se era il momento giusto per farlo. Senza contare che, se avesse posto di fronte agli altri Master la questione, avrebbe dovuto mettere allo scoperto anche l'identità Atlas e la storia di un intero mondo alle sue spalle. Cosa sarebbe successo se qualcuno decidesse di raccontare tutto al Concilio?
Intanto i ragazzi guardavano il Master con trepidante attesa e con grande preoccupazione, aspettando una sua decisione. Lucy notò con sollievo che Natsu aveva accantonato gran parte della sua ira, di fronte al nuovo problema. In gilda lo consideravano tutti uno stupido, eppure era uno dei pochi che sapeva mettere da parte i suoi sentimenti e i suoi stessi desideri per il bene degli altri. Una delle tante cose che adorava di lui. Atlas invece se ne stava lì pensieroso, con le ciocche bionde e rosse che si sparpagliavano disordinate sul volto, gettandovi delle ombre alla luce della lampada sopra di loro. Lucy vide che si toccava il braccio sinistro, in una zona dell'avambraccio vicino al polso, e ripercorreva con il pollice delle linee che la ragazza non riusciva ad inquadrare. Non riusciva a vedere chiaramente con quei capelli disordinati, ma con perplessità notò che i suoi occhi erano spenti. Non erano del solito, sfavillante color cremisi, ma erano di un colore smorto, come le acque sporche e torbide di un fiume. Non fece in tempo a riflettere sui motivi di quello sguardo che il ragazzo chiuse gli occhi un istante e poi li riaprì, scambiandosi con Erza un'occhiata eloquente e decisa. Le iridi erano come prima. Come se quello sguardo non fosse mai esistito.
"Quest'uomo è più intricato di una partita a scacchi!" pensò esasperata.
-Master - esordì il giovane -Credo di sapere a cosa sta pensando. Non è obbligato a tenere questa faccenda per sé. Sono io che ho portato a galla questo bordello, quindi ogni responsabilità è solo mia. Se lo ritenete più giusto, è bene che ne parliate con gli altri Master, o chiunque ci sia in carica, non sappiamo quanto tempo ci rimane ancora. A questo punto, è necessario più aiuto possibile. -
-Però Atlas, se ne parliamo anche con gli altri Master, la tua identità e il tuo mondo verranno messi sotto i riflettori, sei cosciente di questo?-
-Ovvio. E' inevitabile. E ad essere sincero, la cosa non mi piace per niente. Insomma, chi mi assicura che qualcuno di voi non voglia manipolare mio mondo? Ma non ritengo giusto mettere in pericolo le vite che ci sono qui dentro per colpa di una mia decisione personale. Non mi hanno fatto Generale per ammazzare innocenti. -
-Ah si?- rispose sarcastico Natsu. Tutti si girarono a guardarlo stupiti. Le iridi carbone di Natsu ardevano come le sue fiamme, pronte a consumare colui che gli stava innanzi con il loro furente impeto. Atlas aspettò che proseguisse, con aria di sfida.
-Peccato che al porto di Hurgeon non ti sei posto lo stesso problema. - disse avvelenato.
-Natsu!- lo rimproverarono Lucy ed Erza in coro.
-Che intendi dire, Natsu?- lo interrogò il Master.
-Questo qui ha ammazzato un'intera gilda oscura, senza esitazione.- spiegò con rabbia il rosato. Il Master, tra il confuso e lo stupito, si girò a guardare Atlas per conferma. 
-Si, è vero. Li ho ammazzati io. - confessò con una calma da far venire i brividi -Dal primo all'ultimo. O almeno, tutti quelli che erano presenti. - specificò. -Però, caro Natsu, tu non sai... -
-Hai ammazzato delle persone! Cos'altro c'è da sapere?! Anche se cattivi, erano vite umane! - rispose gridando l'altro. Atlas abbassò lievemente il capo, e ripensando ai fatti di quel giorno, ombre cupe nella sua memoria, si sentì fremere dalla rabbia da capo a piedi. Non aveva certo bisogno di farsi rimbeccare proprio da lui, mago qualunque, che non sapeva niente. Quando rialzò il capo, gli occhi gli brillavano di una luce sinistra, piena di ira, che colse tutti in sgomento. Natsu compreso.
-Cosa c'è da sapere...?- ringhiò -Quando sono giunto lì, quegli uomini stavano già saccheggiando le navi, e avevano ammazzato altri uomini, tutti innocenti. Ho visto uno di loro uccidere un bambino. Padre e figlio, comuni pescatori, che stavano cercando di aiutare i mercanti a scaricare le merci. - continuò iroso, avvicinandosi minacciosamente al rosato, fino a trovarsi faccia a faccia con lui -Quindi si, avrò ucciso vite umane, ma dopo quello che ho visto, per me erano morte già da un pezzo. - concluse. Si allontanò di un passo ed inspirò profondamente, cercando di recuperare la calma. Non era da lui perdere il controllo delle sue emozioni così facilmente, specie data la natura della pietra nel suo petto, ma non sopportava proprio la lezioncina morale da parte di un ragazzo che non aveva mai visto la morte presentarsi al suo cospetto e vederla portare una vita cara via con sé, avvolta nel suo mantello scuro come una coltre di tenebre. Non conosceva il profondo rimorso, il senso di impotenza che si provava quando realizzi che anche se ti trovavi lì davanti, a un palmo dall'impedire tutto ciò, non hai potuto fare nulla comunque. Cosa ne sapeva lui, di morti sulla coscienza, di quelle povere anime che di notte si risvegliavano dal loro sonno e venivano a turbare la tua mente entrando come vento gelido dalla finestra dei tuoi sogni? Convivere con questo peso per anni e anni, sin da quando eri bambino, tutto per colpa di un padre malato e impazzito dal dolore.
Lucy intanto guardava con apprensione il ragazzo, dando ora una ragione alle sue sensazioni e capendo finalmente il perché di tanta ferocia dietro quel folle gesto, quel giorno. Non che ci fosse una giustificazione esistente per un atto simile, ma immaginava quanto fosse difficile trattenere la rabbia quando si trattava di gente senza scrupoli che ruba vite umane per puro egoismo e smanie di esclusivo valore materiale. Ammazzare un bambino a sangue freddo... e per cosa poi? Un bambino che poteva essere come Romeo, o Asuka. Chiuse un attimo gli occhi, sentendo le lacrime pungerle e bruciarle sotto le palpebre solo al pensiero. Eppure ripensandoci, non riusciva ancora a credere che quelle mani gentili che quella mattina l'avevano protetta fermamente fossero le mani di un ragazzo così brutale.
-Non voglio che mi capiate o altro, pensate pure quello che volete. Ma non mi piace che veniate a farmi la lezioncina morale, di quelle non ne ho proprio bisogno. - disse con tono stanco Atlas, passandosi una mano sulla fronte.
-Mmm. Te lo dico chiaramente, in nome dei principi che governano questa gilda, non approvo per niente ciò che hai fatto. Specie dato che hai compiuto un tale gesto con il marchio della nostra famiglia tatuato sul tuo corpo. Ma sei anche un generale di un mondo parallelo al nostro, e immagino che con queste situazioni devi conviverci spesso. Se non con altre ben peggiori. - disse il Master, emergendo con le sue parole dal mare di quell'improvviso silenzio tombale.
-Esatto... da noi vivere non è così facile. A differenza del vostro, il mio paese è spesso in periodo di guerra, per colpa dei capricci dei signori della nobiltà a capo delle quattro regioni sotto il governo centrale. Colpi di stato, tirannie, rivolte, centinaia di morti ogni volta. Noi militari siamo costretti a combattere, a stare ai loro servigi. Senza contare i crimini da gestire all'interno del proprio regno. Assassini, truffatori, mercenari, sette religiose, spie, scandali... essendo il più alto comando dell'esercito in carica, mi devo occupare di tutte queste cose. In più, devo anche proteggere la casata reale, giorno e notte. Non ho tempo per troppi sentimentalismi. Ho un regno da proteggere, e la gente si merita la pace. - disse Atlas.
-E allora signor generale, cosa intendi fare? - chiese Natsu al giovane, un po' scocciato.
-L'ho già detto e lo ripeto: spetta al Master la decisione ora. Io posso solo garantirvi tutto il mio appoggio. Purtroppo sono solo, e non ho la minima idea di dove sia l'altro Portale che conduce ad Astral. Non so nemmeno se ce ne sono più di uno. Se lo sapessi, non vi avrei neanche coinvolti in questa faccenda. -
-Atlas, sicuro che per te andrebbe bene se ne parlassi con altre gilde?- chiese Makarov.
-Si, purtroppo devo correre il rischio. Ma vorrei che riferiate ai vostri colleghi che se solo proferiranno parola con qualcun altro o avranno l'intenzione di far del male al mio mondo, per me sarà come dichiarare guerra, e moriranno per mano mia. - disse con occhi fiammeggianti. Nessuno osò obiettare. Dopotutto, avevano come la sensazione che se mai fosse successo, quel che diceva poteva avverarsi sul serio.
Il Master annuì gravemente -Sarà fatto. Ma devi stare tranquillo, ho l'intenzione di riferirlo solo a poche persone fidate, garantisco io che non proferiranno parola con nessuno. -
-Mi auguro per loro che sia così. - ribatté il ragazzo.
§ § § § §

Quando il gruppo riemerse dalla biblioteca, fuori il sole era già scomparso dietro il profilo aguzzo delle montagne, tingendo il cielo come la tela di un artista. Le sfumature calde del rosso e dell'arancione parevano danzare come farfalle nel vento, insieme al blu del cielo. Il Master aveva detto ai ragazzi che al raduno delle gilde avrebbe parlato della loro chiacchierata solo con Lamia Scale, Blue Pegasus e Sabertooth, con le quali sapeva per certo di fidarsi in seguito alle numerose, precedenti collaborazioni. Adesso, non restava altro che aspettare gli esiti del raduno che si sarebbe tenuto a breve.
Nonostante l'ora tarda e la stanchezza che lo intorpidiva, Atlas non aveva affatto voglia di tornare in quello spoglio appartamento che aveva preso in affitto. Mentre si avviava verso l'uscita, si fermò a fissare assorto la chioma bionda di Lucy che oscillava ad ogni suo passo con la stessa grazia di un violinista. Aveva i capelli lunghi come quelli di Alhena... proprio i capelli di una principessa. Era impegnata a parlare con Erza e Wendy, precedute da Natsu, Happy e Gray, ma nei suoi sorrisi si nascondeva un'ombra di preoccupazione. O forse di angoscia. O forse di qualcos'altro che lui non conosceva. Era come se avesse la testa da un'altra parte, immersa in chissà quali pensieri. Tuttavia era cosciente che lo stato in cui riversavano lei e i suoi compagni era colpa sua. Assistere accidentalmente a un genocidio, scoprire l'esistenza di un altro mondo, i traffici illegali, le alleanze tra le gilde oscure, venire a sapere che il proprio mondo è in pericolo... non è qualcosa di facile da digerire. Rimanere storditi è più che normale, dato l'ammontare di realtà sconcertanti esplose in una volta come nitroglicerina. In un certo senso Atlas si sentiva in colpa. Gli dava la nausea coinvolgere altre persone innocenti in questioni pericolose. Lui era il tipo che preferiva affrontare il pericolo da solo, in prima linea, cercando di mettere a rischio il minor numero di persone. Sapeva che salvare una vita comportava non salvarne un'altra, ma aveva sempre cercato di arginare i rischi a percentuali minime per non creare troppa sofferenza al cuore delle persone. Sentiva di aver appena rotto la pace di quei ragazzi, e sapeva bene che la tranquillità è qualcosa di raro da ottenere. E come se non bastasse, quel senso di inquietudine che provava da quando era arrivato a Magnolia non si era affatto dissipato. Gacrux, quella che una volta era la sua famiglia, che non si faceva sentire per anni, e che d'improvviso ritornava in campo con attività di tale portata, mai affrontate prima. Che cosa mai aveva in mente il suo padrigno?

"Già, "padrigno"... l'uomo che tanto tempo fa mi aveva dato una famiglia che poi mi ha strappato via. L'uomo che ha ucciso mia madre, e di cui quasi non ricordo nemmeno il volto..."

L'ultima volta che lo aveva visto aveva 12 anni, quando scappò dall'organizzazione che una volta era la sua casa, per vivere una vita solitaria e libera dalle torture, nel disperato tentativo di dimenticare la morte dell'amata madre, Fiambre, e della follia malsana e vendicativa nata lentamente nel padrigno, Loki. Atlas si ricorda bene di quell'infausto giorno, quando colui che considerava come un secondo padre lo usò come cavia finale per i suoi fanatici esperimenti magici con i frammenti oscuri e i cristalli di Lux. Quello in cui capì che per Loki lui non era più un figlioccio, ma solo un arma di vendetta, portatore dell'apocalisse e dell'ultimo giudizio. La pace familiare in cui era sempre vissuto si era trasformata in una prigione fatta di incubi... e pur di sfuggire da questi spettri che sembravano spingerlo sull'orlo della pazzia, voltò le spalle alla sua famiglia, a ciò che era sempre stato, per morire e poi rinascere... per sopravvivere. All'inizio fu veramente dura: l'anno passato vagando solo per le strade di Al Nair, rubando tutto quel che poteva per tenersi in vita e spostandosi continuamente per non essere preso dalle Guardie Reali, la lotta interiore contro il mostro, l'obscurius che il padre aveva impiantato dentro di lui, i giorni passati nelle prigioni sotterranee al castello, le torture... ma pensando a quel che trovò dopo quell'oscurità, a distanza di tutti quegli anni pensò che intraprendere quella strada impervia, buia e colma di sofferenze, di sacrifici e di solitudine ne è valsa la pena. E pensando a quel prezioso, lucente tesoro trovato all'improvviso che voleva a tutti i costi proteggere, ritrovò la luce per affrontare l'ignoto e immediato futuro che tanto lo spaventava e lo angosciava. Era un pensiero egoista da parte sua, per uno come lui che è diventato un mezzo demone, volere per sé qualcosa di così puro, da custodire ad ogni costo. Ma nonostante ciò era anche un umano, e gli umani senza amore non sanno come vivere, né cosa vuol dire la vita... senza amore si perde il senso della vita stessa. Nonostante sapesse di non essere meritevole di tali pensieri così nobili, non poteva fare a meno di lasciarsi bruciare e consumare da quel desiderio fervido e disperato e dalla volontà, dalla speranza di mantenere quella promessa fatta alla regina. Chiuse gli occhi, ripetendo a mente quel mantra che 6 anni addietro gli donò nuovi sogni, e una nuova vita. Una seconda possibilità.

"Proteggi Alhena, proteggi il regno... proteggi la tua famiglia!"

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Capitolo 6
*** Fiamme ***


FIAMME

"Proteggi Alhena, proteggi il regno, proteggi la tua famiglia..."

Atlas non stava facendo altro che ripetersi questo, per scacciare il flusso aggrovigliato di pensieri che lo confondeva e recuperare un po' le forze. Era così assorto nel recitare quella specie di mantra, da non accorgersi che il gruppo davanti a lui si era fermato alle porte della gilda, finendo addosso a Erza e Lucy.
-Ah!- esclamarono i tre in coro.
-Ah, colpa mia - bofonchiò Atlas -Tutto bene?-
Erza, senza nemmeno volgersi a guardarlo, annuì, mantenendo lo sguardo in un punto preciso davanti a sé. Strano che non si sia infuriata con lui. Fin dall'inizio quella ragazza dai magnetici capelli rubino gli aveva dato l'impressione che fosse un tipo tutto disciplina ferrea e niente errori. Tanto che gli suscitava un po' di timore. E quella sensazione non era di suo gusto. Troppi brutti ricordi di quando era stato cadetto.
-Si, si. Tranquillo! - confermò poi sorridendo Lucy, sfuggendo subito allo sguardo del giovane per guardare preoccupata dalla stessa parte in cui stava guardando Erza. Atlas, perplesso per l'atteggiamento sfuggente delle due maghe, svagò lo sguardo tra le due, per poi avvicinarsi di più per scrutare meglio l'oggetto del loro interesse. All'istante capì per quale motivo le due maghe avevano delle espressioni vagamente preoccupate: in lontananza, all'interno della città, si stava elevando serpeggiante nel cielo una colonna di fumo denso che non prometteva nulla di buono. Forse era accidentalmente scoppiato un incendio in qualche negozio, magari un macchinario rotto, chissà. Mentre Erza, sospettosa, valutava con Lucy l'idea di andare a dare un'occhiata sul posto, Atlas chiuse gli occhi cercando di affinare i sensi e gli sembrò di percepire dei suoni strani provenienti da quella direzione: grida, legno frantumato, colpi di pistola. Sbarrò gli occhi.
"Una rapina!" pensò allarmato.
Senza pensarci due volte, il ragazzo superò le due maghe di mala grazia e si avviò svelto verso quella torre di fumo che macchiava il cielo terso. Erza e Lucy lo guardarono interdette, per poi scambiarsi un cenno e seguirlo a loro volta, facendo segno a Natsu, Happy e Gray di andare con loro a verificare cosa stesse succedendo.
Una volta arrivato sul posto, Atlas ebbe modo di confermare quel che aveva temuto: un fumo malsano si elevava nell'aria, alzandosi dalle fiamme che stavano divorando l'interno di quella che era stata una pasticceria come serpenti di fuoco avvinghiati alle sue membra di legno, mentre gli abitanti dell'area strillavano dal terrore, al sicuro dentro le case o rifugi improvvisati. Con la coda dell'occhio Atlas vide un gruppo di persone con delle armi dal profilo strano e dei pezzi blu fluorescenti filarsela a tutta velocità con dei sacchi colmi per un vicolo opposto a quello da cui veniva, immerso nell'ombra. Certo che fossero quelli i malfattori, si accinse a inseguirli senza indugio, quando dietro di lui una donna, col fiatone della corsa appena fatta a scuoterle i polmoni, le mani nei capelli e il viso deformato dalla disperazione, strillò cadendo in ginocchio:
-Aiuto! C'è mio figlio là dentro! Ci sono gli altri bambini! Qualcuno li aiuti! -
Nel mentre che proferiva questo appello disperato, un uomo le si avvicinò per darle conforto, chiedendole preoccupato se fosse sicura che suo figlio non fosse già uscito di lì, o fosse andato da qualche altra parte. Il locale, per fortuna, era stato evacuato in tempo e i feriti della sparatoria tratti in salvo. Ma la donna, che appena arrivata aveva scrutato accorata i volti dei superstiti, era certa che l'adorato figlio e i suoi amici fossero rimasti lì, intrappolati all'interno di quel demone rosso e oro. Volgendosi più volte a guardare la donna e poi il vicolo dove oramai i malfattori erano scomparsi, Atlas restò un attimo combattuto, quando poi, stizzito, incominciò a gridare ai presenti di dargli immediatamente un secchio d'acqua. Dopo un secondo di stupore e perplessità generale fu presto accontentato, e dopo aver impregnato bene il mantello del liquido incolore, si schermò alla svelta naso e bocca con un pezzo di stoffa imbevuta e si gettò tra le fiamme. Abituato com'era al buio della notte, alle luci e alle temperature fredde, entrare in quell'inferno fu per lui un duro colpo. La sala, che dipinta di quei colori densi e accesi, seppur così spaventosi, pareva quasi risplendere, e l'intenso calore soffocante stordirono i sensi di Atlas, che per un istante non seppe come muoversi. Strizzò gli occhi più volte per riprendersi almeno in parte dal fastidio e si mosse il più velocemente e delicatamente possibile all'interno del locale, cercando in ogni angolo raggiungibile un minimo segno di vita. Dati i sensi offuscati, e l’aria densa di fumo che gli entrava nei polmoni, per accelerare la sua ricerca Atlas scostò per un attimo la maschera improvvisata e strillò: - Ragazzi, dove siete? Fate rumore, vi porterò fuori di qui! -
Qualche secondo dopo il suo appello, il giovane sentì qualcosa battere ripetutamente sul legno, come dei forti calci, ma per via delle fiamme che continuavano ad imperversare e a divorare ogni cosa, dovette rimanere qualche secondo immobile per capire da dove provenisse il suono. Attese finché finalmente non riuscì a capire la sua origine: proveniva da un tavolo da bigliardo, precipitato a terra dal piano di sopra, accasciato in posizione obliqua in fondo all'angolo del locale. Il tavolo e le pareti avevano casualmente creato un piccolo rifugio sotto al quale si erano nascosti tre ragazzini terrorizzati e con le mani sulla bocca per coprirsi almeno in parte dal fumo delle fiamme. Atlas cercò di accorrere subito, ma procedeva a rilento per colpa dei detriti caduti a terra e delle fiamme. Quando finalmente li raggiunse, senza proferire parola si accertò velocemente che nessuno dei tre avesse nulla di rotto e avvolse il mantello umido intorno a uno di loro. Lo prese in braccio e si preparò a scattare verso l'uscita, ma scorse lo sguardo sgomento degli altri due bambini rannicchiati a terra.
-Tranquilli, verrò a prendere anche voi, uno alla volta. - disse attraverso la maschera, e senza ulteriori indugi corse via verso l'uscita, dove coloro che erano rimasti fuori lo stavano aspettando impazienti e preoccupati. Appena fuori il locale mise delicatamente a terra il bambino, che gettandosi via il mantello corse veloce dalla donna che prima aveva chiamato aiuto. Atlas raccolse il suo indumento, lo ribagnò e si buttò di nuovo tra le fiamme. Ma il ragazzo non notò che poco prima di rientrare in quell'inferno sul posto erano accorse anche Erza e Lucy, con al seguito Natsu, Happy e Gray, e che appena visto il disastro che si era svelato ai loro occhi, Natsu non aveva esitato a buttarsi anch'esso tra le fiamme. Di fatto, raggiunti i bambini, Atlas se lo ritrovò in un attimo alle spalle, e poco ci mancò che lo attaccasse di riflesso per la sorpresa. Capendo immediatamente che anche lui era lì per dare una mano, sotto lo sguardo interdetto di Natsu Atlas chiamò a sé un pugnale e tagliò un pezzo di stoffa del mantello, strappandolo poi in due in un singolo strattone. Una parte di esso la porse la Natsu e gli fece cenno di avvolgerla intorno ad uno dei bambini, mentre lui si occupava dell'altro. Una volta coperti entrambi, i due maghi velocemente si avviarono verso l'uscita, cercando di fare più attenzione possibile e schivando appena in tempo le assi di legno che cadevano come alberi abbattuti dal piano di sopra della pasticceria. Nel frattempo, Lucy, in prima linea di fronte all’edificio, si era procurata un bicchiere d’acqua e non appena vide i due giovani uscire dalla porta con i due ragazzini in braccio, usò proprio quell’acqua per evocare l’unico spirito stellare ideale per estinguere in un lampo fiamme di quella portata. Così Atlas fu investito da una luce dorata accecante e nel giro di un istante di fronte ai suoi occhi apparve una bellissima, giovane donna dai lunghi capelli blu, con una flessuosa coda di pesce, che fluttuava nell’aria come se si trovasse tra le onde. Le squame, del colore del mare baciato dal sole, brillavano alla luce delle fiamme, quasi si appropriassero del loro bagliore, e nei suoi occhi vibrava tutta la solennità dell’oceano. Atlas si sentì investito da un timore mai provato prima, che lo scosse in tutto il corpo e che gli pietrificò gli arti. Quasi si dimenticò come respirare, perché dinnanzi a lui per la prima volta nella sua vita si trovava Acquarius, il leggendario Spirito Stellare della costellazione dell’Acquario. Imbambolato di fronte a quella apparizione per lui divina, riuscì a stento a sentire la voce di Lucy che dialogava con il suo Spirito, e rimase con il fiato sospeso dalla meraviglia nel vedere Acquarius sollevare la sua anfora d’argento e con un feroce grido scatenare tutta la potenza del mare e delle sue onde. L’eco di un fragore, e in un attimo le fiamme erano scomparse, uccise dal loro nemico naturale, e avevano lasciato solo lo scheletro devastato di quella che una volta era stata la pasticceria. Un silenzio quasi contemplativo avvolse le case e la piccola folla, stendendosi dolcemente come un velo di pizzo, finché esso non venne improvvisamente gettato via dalle grida di Acquarius che si levarono come una marea.
-Lucy! – gridò voltandosi verso la maga – piccola maledetta, come hai osato evocarmi in un sudicio bicchiere d’acqua?! Chi pensi che io sia?! –
Lucy, dal canto suo, sebbene fosse abituata alle scenate del suo volubile amico Spirito, non poté fare altro che balbettare una specie di scusa, accompagnata da qualche risolino isterico.
-S-scusami Acquarius, ma era una situazione di emergenza, e non mi era venuto in mente niente di meglio… -
Acquarius, per contro, si avvicinò minacciosamente a lei, le braccia conserte e con indosso un’espressione inquietante. L’aria attorno a lei vibrava dell’ozono e tutt’intorno regnava un silenzio surreale, sostenuto da bocche spalancate e sguardi interdetti. Erza, Natsu, Happy e Gray, che avevano assistito ad episodi del genere innumerevoli volte, conoscendo bene la suscettibilità di Acquarius non poterono fare altro che assistere a quella sfuriata che aveva come vittima designata la loro povera compagna.
-Ascoltami bene donnetta senza uno straccio di fidanzato, la prossima volta o ti farai venire un’idea migliore o ti scaravento in mezzo al mare, a decine di kilometri da qui, e ti affogo con le mie stesse mani, intesi? –
-I-intesi sì… -
E, sbuffando, così come era apparsa, Acquarius scomparve nell’aria, lasciandosi dietro una Lucy pallida e tremante. A quanto pare, l’aveva scampata… per il momento. Imbarazzata per la scenata appena conclusa, Lucy si preparò ad affrontare i presenti, che come aveva previsto, proruppero in una grande, sonora risata. Si voltò, aspettandosi volti dipinti di derisione nei suoi confronti, ma non fu così, con suo grande sollievo. Ciò che li aveva smossi era stata, semplicemente, l’ilarità della scena. Gli abitanti di Magnolia con gli anni si erano abituati alle stranezze dei maghi di Fairy Tail, e quella non fu un’eccezione. E quelle sane, corpose risate aiutarono a smorzare la tensione e la preoccupazione che non avevano smesso di scuoterli per interminabili minuti in quegli attimi di paura appena vissuti.
Atlas stava assistendo alla scena intontito, come se stesse guardando dalla vetrina di una realtà parallela alla quale egli non apparteneva. Vedeva sorrisi, tanti sorrisi, e pacche sulle spalle, e abbracci, e lacrime, e parole gridate, parole sussurrate, sguardi grati e sollevati. E vedeva Lucy, che più di tutti primeggiava tra la folla, come un giglio che troneggiava fiero sul suo piccolo fusto in mezzo ad un campo di gelsomini bianchi. O forse era la sua immaginazione, il suo fresco senso di reverenza, a farla tale. La vedeva fare la finta offesa e guardare con affetto e orgoglio i suoi compagni, che la stavano bonariamente prendendo in giro e che si stavano congratulando con lei per ciò che aveva fatto. E neanche sapeva descrivere il lungo, intenso sguardo che si scambiò con il focoso ragazzo con i capelli rosa, Natsu. E quasi si sorprese nel sentirsi bruciare nel petto una piccola fiamma di invidia, nel vedere una tale intimità che nessun altro, lì in mezzo, poteva comprendere.
Ma lui sì.
Perché rivide in loro gli stessi sguardi che si era scambiato con Alhena, innumerevoli volte. E nel pensare alla sua preziosa principessa, sentì il cuore stretto tra le spire della malinconia e della mancanza.
Ma Atlas voleva anche sapere cosa i due si stavano dicendo, voleva seguire il flusso dei loro pensieri e osservarli come una creatura dei fondali oceanici. E questo, più di tutto, fu ciò che lo sorprese.
Ma perché? Si chiedeva, e l’unica risposta che sorse in superficie dalle acque del suo inconscio fu una sola: gelosia. Ma gelosia di cosa? E anche a quella domanda, presto affiorò la risposta. Perché Lucy aveva Natsu, e Natsu aveva Lucy. Non avevano bisogno di niente, loro: uno era la certezza dell’altra, e viceversa. E la sua certezza, in questo momento, si trovava persa in un punto sconosciuto, sospeso tra spazio e tempo. Così come era perso lui, in quel mondo. Solo adesso si accorse di quanto in realtà il pensiero della vicinanza della principessa l’avesse sostenuto nell’affrontare, anno dopo anno, il suo passato, presente e futuro. E per un istante Atlas desiderò ardentemente che fosse lui, e non Natsu, a ricevere da Lucy un tale sguardo, così da mettere a tacere l’ennesimo dolore, l’ennesima sofferenza. Sentì un pizzicore all’altezza del cuore, là dov’era la pietra. Il demone incatenato nelle profondità abissali della sua coscienza aveva una voce suadente, dolce e viscosa come il miele.
“Potresti sempre portargliela via no? E usarla per confortarti…” gli sussurrò.
E per un momento Atlas, mentre fissava con intensità e dolore e desiderio Lucy, fu quasi per cedere alle sue parole. Ma il ragazzo si rendeva conto che Lucy era Lucy, e non una sostituta di Alhena. Non era un oggetto con cui consolarsi e giocarci a piacimento. E soprattutto, non faceva parte del suo mondo. Lei aveva già il suo. Perciò con difficoltà Atlas cercò di domare i suoi istinti, abbassò la testa, chiuse gli occhi e prese un lungo respiro. E quando dischiuse le palpebre, vide un paio di giovani teste, una verde smeraldo e una blu cobalto, che lo fissavano imbambolati con sorpresa e ammirazione. Erano due dei tre bambini che aveva salvato dall’incendio, insieme a Natsu. Non capendo le loro intenzioni, il giovane li fissò a sua volta, non sapendo cosa fare. Guardandoli attentamente oltre le macchie di nero della fuliggine che sporcava loro i volti fanciulleschi, Atlas ebbe la sensazione di averli già visti da qualche parte prima di allora, e proprio nel momento in cui pensò ciò, il bambino con i capelli smeraldo, senza staccare gli occhi da Atlas, eruppe strillando con: -Thiago corri! Vieni a vedere! –, mentre il bambino dai capelli cobalto sussurrava meravigliato: -E’ proprio lui… -
Confuso, Atlas vide arrivare correndo la testa rosso carminio di quello che doveva essere Thiago, l’altro bambino scampato alle fiamme. Il bambino era pervaso dalla felicità e dal brio, perché aveva appena incontrato di persona il suo idolo, Natsu. E infatti quando arrivò dai suoi amici, chiese loro cosa fosse successo con una voce squillante ed elettrizzata. Il bambino dai capelli smeraldo, quasi saltellando per l’eccitazione, gli chiese di guardare attentamente Atlas, in particolare i capelli e il colore inconfondibile dei suoi occhi.
-Guardalo Thiago! Non ti pare familiare? – continuò con voce squillante. Thiago strinse le palpebre e scrutò intensamente Atlas, che nel frattempo si era fatto guardingo, finché piano piano, a cavallo dei ricordi, la consapevolezza si fece strada sul volto del bambino, e negli occhi scintillò la sorpresa.
-Oh cacchio ma è lui! – strillò, scambiandosi occhiate eccitate con i suoi due amici -Il signore del vicolo! Quello che abbiamo trovato svenuto! – continuò. Atlas si irrigidì per la sorpresa.
Il bambino dai capelli cobalto annuì -Eh già, proprio lui – disse.
-Signore, si ricorda? – esordì esagitato Thiago -Ci siamo incontrati qualche giorno fa, nel vicolo vicino al porto! –
Finalmente, ora anche Atlas ricordava: erano tre di quel gruppo di sei ragazzini che l’avevano trovato svenuto in quel famoso vicolo vicino al porto, quando il portale l’aveva scaraventato in quel mondo. Ricordò che erano stati proprio loro, a svegliarlo. Mai si sarebbe aspettato di rincontrarli in quel modo, e in quella circostanza. Ripercorrendo i ricordi di quel giorno per lui traumatico, il ragazzo cercò di ricordarsi i loro nomi. E mentre si sforzava di ricordare, puntò il dito sul ragazzo dai capelli rossi.
-Tu, sì, sei Thiago… - esordì, per poi puntare il dito sul bambino dai capelli smeraldo alla sua sinistra -tu invece, sei… Kyle. – e il bambino annuì, sorridendo felice. Poi si rivolse al taciturno bambino dai capelli cobalto -E tu… Ethan. Giusto? –
-Sì! – confermò con voce bassa il bambino, l’espressione calma e gli occhi che tradivano la sua contentezza, brillando.
-Incredibile… - mormorò Atlas, che ancora non si capacitava di un simile incontro.
“Deve essere il volere delle stelle, questo” si disse.
I tre bambini si scambiarono uno sguardo d’intesa, e tutto d’un tratto tutti e tre chinarono la testa.
-Grazie infinite per averci salvato, signore! – esclamarono in coro. Atlas rise.
-Nulla, nulla, ma non chiamatemi “signore” ragazzi, mi fa sentire vecchio! – disse divertito. Si chinò in ginocchio, così da raggiungere la stessa altezza dei bambini.
-Chiamatemi Atlas. Questo è il mio nome. – disse loro, con un piccolo sorriso. Gli occhi di Kyle scintillarono d’eccitazione.
-Che forza, anche il tuo nome è strano! – esclamò. Ormai rassegnato al continuo sentirsi additare come “strano” o “strambo” Atlas rise di nuovo e scosse la testa.
-Non pensavamo però facessi parte di Fairy Tail… – aggiunse Ethan.
-E infatti ci sono entrato da poco. – gli rispose Atlas.
-Ma perché ce li hai così? – si intromise trepidante Kyle, indicando i capelli e gli occhi del giovane.
-Vieni da qualche isola sconosciuta? – chiese Thiago con lo stesso entusiasmo.
-E perché quella volta ti trovavi svenuto in quel vicolo? – aggiunse curioso Ethan. Di fronte a tutte quelle domande una dopo l’altra, per un momento Atlas si sentì spaesato. Come poteva raccontare a dei bambini una realtà molto più complicata di quella a cui erano abituati? Nel vedere che i bambini stavano per prorompere in un’altra serie di domande, Atlas alzò di scatto la mano destra.
-Alt! Per prima cosa: uno alla volta. – iniziò, nel frattempo che il suo cervello elaborava delle risposte plausibili per i tre bambini -I capelli e gli occhi. Ce li ho così perché… ci sono nato. Semplicemente. – disse, facendo un sorrisetto furbo a Kyle, che sentendosi raggirato dal giovane gli fece una smorfia -E sì, diciamo che vengo da un posto molto, estremamente lontano da qui. – e prima che uno dei tre facesse qualche altra domanda si affrettò ad aggiungere -Non chiedetemi il nome perché è top secret.  Non mi piace farlo sapere in giro. E per ultimo, mi trovavo in quel vicolo perché… quella sera avevo bevuto troppo, e cercando di ritornare a casa mi sono perso. Soddisfatti? –
Che lo fossero o meno, questo non poté scoprirlo, perché la madre di Thiago li richiamò per tornare a casa. Non volendo disobbedirle e farla arrabbiare dopo quanto era successo, i bambini si rigirarono verso Atlas e salutandolo espressero il desiderio di rivederlo, un giorno.
-Venite alla gilda quando volete, mi troverete lì. – li rassicurò il giovane, salutandoli con un cenno della mano, mentre si allontanavano. Sentendosi d’un tratto osservato, Atlas fece scivolare il suo sguardo sulle persone rimaste, finché non si scontrò con quello di Lucy, che al contatto abbassò gli occhi e volse la testa, imbarazzata di essere stata colta sul fatto. Probabilmente l’aveva solo immaginato, ma gli era sembrato che la maga lo stava guardando con un sorriso molto affettuoso, e non capiva per quale motivo. Forse era ai bambini che stava sorridendo, non a lui. Ma se era per i bambini, allora perché distogliere lo sguardo dal suo così in fretta? Confuso dal comportamento della giovane e dal nuovo senso di stima e reverenza nato in lui nei suoi confronti, Atlas si incamminò per ricongiungersi con i nuovi compagni, che stavano interrogando il proprietario e chi era presente per approfondire le dinamiche dell’incidente così da fare rapporto al Master e al Concilio.
A quanto raccontarono, ciò che accadde quella sera fu proprio una rapina: una banda di cinque assalitori muniti di “armi bizzarre” erano entrati prepotentemente nel locale e avevano minacciato il proprietario con il fine di rubare tutti i soldi dell’incasso. Al fine di non arrecare danni ai clienti che oramai erano diventati degli ostaggi, l’uomo fece come richiesto e consegnò loro tutto quello che aveva in cassa. Solo che i furfanti, non appena ricevuto quanto avevano richiesto, avevano incominciato a sparare “proiettili di luce” contro le pareti e il soffitto del locale, provocando così le fiamme che in un attimo crearono l’incendio. Poi, nella confusione generale, i delinquenti ne approfittarono per darsela a gambe. Per fortuna, nell’incendio non ci furono feriti gravi. E questo fu quanto.
Salutati i presenti, il gruppo si incamminò verso casa, ognuno sfinito e perso nei propri pensieri. Atlas, in particolare, aveva uno sguardo ombroso e preoccupato. Da come gli avevano descritto le armi e da quello che aveva scorto nelle mani dei ladri durante la fuga, si trattava proprio di quelle nuove armi modificate che sfruttavano Lux, il famoso cristallo di Astral, capace di trattenere al suo interno la luce e qualsiasi altro tipo di energia o magia. Il mercato nero diretto da Gacrux si stava espandendo ancora più velocemente di quanto sperava, e la situazione non poteva fare altro che peggiorare, purtroppo. Sperò che il Master tornasse il più presto possibile dalla riunione con i Master delle altre tre gilde, così da valutare finalmente un piano d’azione. Era appena passata quasi una settimana da quando era giunto a Fiore, e detestava l’idea di aspettare e di rimanere con le mani in mano. Se avesse avuto i mezzi adatti, almeno si sarebbe dato da fare nel raccogliere informazioni sui traffici o su una possibile locazione di Gacrux, come si era detto più volte di fare. Ma quando pensava ad un punto di partenza, un indizio per iniziare le indagini, i suoi pensieri divenivano sterili, si bloccavano nel vuoto. Le lacune che presentava nella conoscenza di Fiore e la natura schiva e fuggitiva di Gacrux e dei suoi membri non facevano altro che guidare Altlas verso una scia di vicoli ciechi.
“Credo che mi converrà scendere in biblioteca e studiare tutto quello che posso su questo mondo. Se necessario, farò qualche domanda anche agli altri, non posso permettermi di lasciare indietro alcuna informazione utile.” pensò assorto.
Oltretutto, doveva anche comprarsi un nuovo mantello, dato che quello che aveva era andato ormai distrutto.
Ma Atlas non era l’unico a ponderare sull’implicito messaggio che la rapina aveva loro svelato. Anche gli altri, infatti, erano preoccupati dalla natura delle nuove armi e dell’aumento di incidenti dovuti a malfattori di ogni genere, in particolare temevano possibili disordini di natura consistente da parte delle gilde oscure. Atlas pareva saperne qualcosa più di loro su quanto stava accadendo, ma osservandolo ogni tanto con delle occhiate curiose e preoccupate mentre proseguivano a passo lento verso casa, sembrava troppo stanco e assorto per parlarne in quel momento. Forse il giorno dopo, a mente fresca, avrebbero potuto discuterne meglio e cercare di decidere cosa fare finché il Master non sarebbe tornato dalla sua riunione.
Si potrebbe dire che tutto era andato per il meglio, o almeno per quella sera, ma quella che, più di tutti, risentì dell’incidente appena vissuto fu… Erza. Per la maga, infatti, la distruzione della pasticceria era risultato essere un trauma.
-Che disdetta, la mia pasticceria preferita oramai è distrutta, e chissà quanto ci vorrà prima che riapra l’attività… - sospirò affranta -Mi mancano già le sue magnifiche torte alla fragola! – piagnucolò. Per Erza sarebbe stata dura senza mangiare i suoi amati dolci.
-Su, su Erza, fatti coraggio… - la consolò quasi divertito Gray con delle pacche sulla spalla.
-Su con il morale, scommetto che entro una settimana la pasticceria tornerà al suo vecchio splendore e a sfornare buonissime torte!- la rassicurò sorridendo Lucy.
-Povera Erza, anch’io sarei disperato se non potessi mangiare il pesce. – disse rattristato Happy, volandole vicino per dimostrare la sua solidarietà verso la maga.
Nel mentre che i tre cercavano di consolare Erza, Natsu invece osservava pensieroso il nuovo compagno, non riuscendo a comprendere la vera natura del giovane. I suoi occhi, ora ancora più vividi nell’oscurità della sera, erano posati sui ciottoli della strada che scorrevano come acqua sotto il suo sguardo perso e, incredibile, quasi melanconico. I capelli e il viso sporchi di fuliggine, insieme alle spalle ricurve e al suo passo leggero, gli conferivano un’aria da ragazzo di strada. Tempo fa Lucy si era raccomandata di conoscerlo e di cercare d’andare d’accordo con lui, ma Natsu non riusciva a togliersi di dosso la sensazione che qualcosa nel suo essere celasse qualcosa di oscuro. Ricordava con rabbia e frustrazione quanto era successo al porto qualche giorno prima, pensava al salvataggio di Romeo e Asuka, e poi a come un momento fa aveva soccorso quei bambini, aiutandoli a uscire incolumi dall’incendio. Il rosato, che era abituato ad avere a che fare con persone che svelavano ogni lato della loro personalità (bella o brutta che sia) alla luce del sole, si sentiva confuso da una personalità così ambigua, riservata e sfaccettata come quella di Atlas. E allo stesso tempo, non riusciva a capire per quale motivo Lucy fosse così determinata a tessere dei rapporti intimi con lui. Perché, si chiedeva, non senza una scintilla di irritazione, voleva diventare sua amica e aiutarlo a tutti i costi? E a sua insaputa, purtroppo nemmeno la stessa Lucy riusciva a spiegarselo. Lucy, la dolce Lucy, che nel mentre che camminava al fianco dei suoi amici, stava osservando turbata Natsu ed Atlas, non potendo fare a meno di pensare agli strani sentimenti che provava per quest’ultimo. Da quell’incidente al porto la maga aveva sentito dentro di sé un forte bisogno di aiutarlo, come se sapesse l’esistenza di qualcosa che non avrebbe mai dovuto esistere nel suo essere, ma che è entrato dentro di lui come un virus dal quale non può liberarsi da solo. Era come un libro con una pagina che non gli apparteneva, e che Lucy non riusciva a trovare per potersene così sbarazzare. Qualcosa in lei le suggeriva con sicurezza che quella pietra nera dall’aura oscura che aveva visto sul suo petto avesse un ruolo fondamentale nella sua storia, ma in che modo avrebbe potuto indagare? Doveva fare qualche ricerca? O aspettare che fosse lo stesso Atlas a confessare tutto? E quel desiderio di stargli accanto… sapeva che non era normale. Recentemente aveva letto in qualche libro di leggende che legami speciali di questo genere potevano accadere tra persone che nel passato avevano condiviso la stessa vita. In altre parole, tra due spiriti reincarnati che una volta erano uniti da un forte legame d’amore, di qualunque tipo esso sia. Sebbene allora avesse pensato fosse una cosa romantica e avesse desiderato che accadesse davvero (specie con Natsu), non vi erano prove certe per accertarlo. Possibile che tra lei ed Atlas ci fosse un legame simile? Eppure, non poteva fare a meno di pensare che quella storiella, che poteva facilmente essere considerata banale e frutto di pura fantasia, era in grado di spiegare ciò che aveva subito iniziato a provare per il giovane generale.
Giunti ad un incrocio, presto per il gruppo fu tempo di separarsi, e di ritornare ognuno alle proprie case. Sentendosi inquieto nel sapere che doveva tornare a casa insieme ad Atlas, Natsu si avvicinò a Lucy, che aveva appena salutato Erza e Gray.
-Vuoi che ti riaccompagni a casa? – le chiese premuroso e allo stesso tempo quasi imbarazzato, ma con un’espressione seria in volto. Lucy ne fu stupita e lusingata: era la prima volta che glielo chiedeva con un tono così affettuoso e con quell’espressione sul volto. Gli sorrise e scosse la testa, voltandosi per un secondo ad osservare Atlas, che la stava aspettando pochi metri più avanti.
-Va tutto bene Natsu, so cavarmela da sola. – gli disse in tono scherzoso. E Natsu questo lo sapeva benissimo.
“Però…” pensò, guardando di nuovo Atlas. Chiuse gli occhi e sospirò.
-E va bene. Buonanotte Lucy. – le disse con un sorriso, incamminandosi verso casa. Lucy gli sorrise di nuovo e agitò la mano, mentre li osservava andarsene.
-Buonanotte anche a te, Natsu. – gli disse, quasi mormorando. Non sapendo, che, nel frattempo…
-Lei ti piaaaaace! – gli cantilenava Happy, svolazzandogli intorno.
-Zitto, Happy! – gli ringhiò lui per contro, mano a mano che si allontanavano.
-Vogliamo incamminarci? –
Lucy sobbalzò e si girò verso quella voce ora così vicina. Atlas la stava guardando con un’espressione stanca, ma paziente. Lucy annuì, e si incamminarono anche loro. Il breve viaggio verso casa proseguì in silenzio, la mente troppo esausta per le rivelazioni di quella giornata. Lucy ne approfittò per godersi la vista di Magnolia nelle vesti della sera, cosa che per suo rammarico non faceva troppo spesso. Le piaceva osservare il fiume che scorreva al fianco della strada, e vedere la luce tremula della luna che rifletteva sul suo manto apparentemente nero. Le piaceva osservare la luce dei lampioni che si riversava sull’acciottolato, donandogli una sfumatura di giallo che non apparteneva alla sua solita tonalità beige, perché una luce così artificiale non faceva che mettere in risalto la bellezza del cielo notturno e delle sue stelle. Le piaceva osservare le finestre delle case, perché la luce delle lampade che celavano al loro interno le davano un senso di tepore e di sicurezza. Le piaceva farsi avvolgere dal suono dei suoi stessi passi e dal tenue fragore delle onde al suo fianco, e percepire i suoi stessi respiri. Fare tutto ciò la rilassava incredibilmente. Nel frattempo, Atlas osservava la giovane incuriosito, rapito dall’espressione di beatitudine che dipingeva il suo volto in quel momento. Si chiese cosa mai stesse pensando la ragazza per avere uno sguardo così appagato e felice, ma si sentiva troppo stanco per proferire parola. Dopo quanto era successo al porto quell’infausto giorno, Atlas era assalito da incubi che lo perseguitavano durante la notte, e che non lo facevano dormire bene. Di solito quando passava notti come quelle faceva affidamento ad un calmante ottenuto dall’infusione di speciali erbe, ma in quella nuova città non aveva saputo dove trovarne, e con i recenti eventi si dimenticò di chiedere a qualcuno in gilda. Come risultato, la stanchezza lo assalì più prepotentemente di quanto avrebbe potuto essere in quelle circostanze. Lo guardo gli cadde in un piccolo vicolo, e d’un tratto gli vennero in mente i tre bambini che aveva rincontrato qualche attimo fa. Ripensando alle loro espressioni meravigliate, come se avessero appena visto una figura mitologica, non poté trattenersi dal sorridere lievemente.
-A cosa stai pensando? – gli chiese giocosa una voce. Atlas si voltò sorpreso verso Lucy, che lo stava osservando divertita.
-Non ti vedo sorridere spesso… - aggiunse, come per giustificare la sua domanda. Atlas distolse lo sguardo, imbarazzato.
-Stavo solo pensando a quei tre marmocchi. – le rispose.
-Intendi i tre bambini dell’incendio di stasera? – gli chiese. Atlas annuì.
-Li avevo già incontrati, giorni fa. Mi ha fatto piacere rivederli. – le confessò, e Lucy lo guardò sorpresa e incuriosita dal vederlo aprirsi, aspettando che il giovane proseguisse a parlare. Cosa che lui fece, notando la sua espressione.
-Furono loro che mi trovarono, quando arrivai qui per la prima volta. Ero svenuto, e loro… - si interruppe, ripensando alla bambina che gli strillò in faccia, e rise -Beh, mi svegliarono. Devo dire che fui fortunato che furono proprio quei bambini a trovarmi. – proseguì. Lucy ridacchiò.
-Immagino che erano sorpresi di rivederti. – disse, raggiungendo il muretto che separava la strada dal fiume e salendoci sopra con un balzo. Alzò le braccia all’altezza delle spalle e continuò a camminare, tenendosi in equilibrio. Istintivamente Atlas la raggiunse e le fu accanto, pronto ad afferrarla in caso cadesse.
-Dalle loro espressioni, mi pare che sì, lo erano. – riprese lui. Ritornò il silenzio tra loro, e Lucy ne approfittò per osservare meglio il profilo di Atlas. Ora i capelli biondi, sotto la luce dei lampioni, avevano assunto uno strano colorito smorto, a causa del grigio della cenere che si era posata sul suo capo. Le ciocche rosse accese invece, avevano assunto una tonalità di rosso scuro. Il viso, ora mezzo annerito, gli conferiva un’espressione buffa che rivelava la giovinezza degli anni che aveva e che cercava di mascherare con la sua solita espressione inflessibile. E gli occhi… erano davvero belli e spaventosi, così insoliti, e Lucy non si sarebbe mai stancata di guardarli. Sembravano due splendidi rubini, la stessa tonalità di rosso, ma dotati di un’anima propria che li cambiava esattamente come cambiano le stagioni. Aveva già sentito parlare di occhi che cambiavano la sfumatura del colore delle iridi a seconda delle emozioni della persona che li aveva, e Lucy pensava che fosse una cosa incredibile.
“Già, proprio come i miei, che sono dei comunissimi occhi marroni.” Pensò con sarcasmo, continuando a fissare Atlas e a seguire quella catena di pensieri che involontariamente le fecero mettere il broncio. Sentendosi addosso uno sguardo di una certa intensità, il malcapitato si girò con curiosità verso la maga e dovette trattenersi dal scoppiarle a ridere in faccia per l’espressione buffa e dai tratti fanciulleschi che aveva in quel momento.
-Qualcosa non va? – le chiese ridendo sotto i baffi. Lucy si voltò e alzò la testa in un gesto sprezzante.
-No, affatto! – affermò, per poi aggiungere borbottando -Razza di fortunato. – sbirciando però l’occhiata perplessa e penetrante di Atlas, Lucy decise di dar voce al cruccio che l’assaliva sin da quando era bambina.
-E’ che… - iniziò, sospirando -Stavo pensando a quanto ti invidio per i tuoi occhi. Ho sempre avuto un complesso per le iridi di un colore particolare, fin da quando ero piccola. – spiegò rattristata, senza celare un certo imbarazzo per quel complesso così infantile. Atlas, per contro, ancora non riusciva a comprendere per quale motivo tutti fossero così impressionati dal colore delle sue iridi e dei capelli, al punto da fissarlo in modo strano o impressionato, quasi fosse un fenomeno da baraccone. E dire che ad Astral era una cosa comune trovare persone così. Dedusse che evidentemente in quel mondo avere occhi o numerose ciocche di un colore particolare era una cosa rara, anche se per lui non era niente di speciale. Eppure, vedendo l’espressione quasi triste e imbarazzata di Lucy, come quella di una bambina di fronte a qualcosa che desidera ma che sa di non poter mai avere, Atlas si raccomandò di non scherzare sul piccolo capriccio di Lucy. O almeno non in quel momento.
-Capisco… - disse, dopo un attimo di silenzio -Quindi hai un debole per i miei occhi. – continuò con tono cantilenante, rivolgendo a Lucy un sorriso malizioso di fronte al quale la maga lo fissò e arrossì, colta completamente in contropiede.
Niente, proprio non ce la faceva a non prenderla in giro.
-N-non dire stupidaggini razza di scemo, sai di cosa sto parlando! – si affrettò a rimbeccare, mentre Atlas la guardava ridendosela sotto i baffi. Si stava divertendo molto a metterla in imbarazzo, e per sfortuna della bionda quello sarebbe stato solo l’inizio. Infatti erano in pochi, a palazzo, a sapere che il tanto temuto Noctis Atlas, oltre a essere un amante passionale, fosse un appassionato degli scherzi e delle prese in giro, dovuti al suo lato sadico (invece noto a tutti). Una volta designata la vittima, era difficile sfuggirgli. E Lucy, purtroppo, era già entrata a pieno titolo tra le sue “grazie”.
-Povera Lucy, non c’è mica bisogno di nasconderlo sai? Lo so bene di essere un tipo affascinante. – la canzonò infatti. Lucy, ancora più rossa dopo quelle parole, scese con un salto dal muretto, e iniziò a scagliare una raffica di pugni su Atlas, che alzando le mani per proteggersi il viso non accennò a fuggire e anzi, scoppiò a ridere.
-Atlas scemo, scemo, scemo! – continuava a gridare la maga ad ogni pugno. E Atlas se la rideva di cuore. Di solito non si apriva così tanto a chi conosceva da poco, ma l’istinto e la stanchezza lo portavano a fidarsi della maga.
-Pietà, pietà divina Lucy, ve ne prego! – disse infine, ancora in preda alle risa. Lucy gli si piantò davanti, i pugni serrati lungo i fianchi, fissandolo con una faccia che doveva essere tremendamente offesa e arrabbiata, ma che Atlas non poté far a meno di trovare adorabile per via delle gote arrossate.
-Ebbene, ora scusati, razza di scemo insensibile! – gli ordinò con tono irritato.
-Chiedo umilmente perdono per avervi mancato di rispetto, divina Lucy. – disse il giovane con un rispettoso inchino, posando una mano dietro la propria schiena e portandosi l’altra diagonalmente al petto. Se avesse avuto il suo mantello, sarebbe stato decisamente più scenico di quanto potesse sembrare. Lucy incrociò le braccia al petto, con un’espressione scettica e diffidente. Atlas sospirò.
-Avanti Lucy, ora non tirarla per le lunghe! – la pregò -Mi dispiace sul serio! – mentì, ma notando l’aria di scetticismo ancora più prominente della maga si affrettò a ritrattare e a tentare di rimediare. -No va bene, forse non del tutto, ma penso che le tue iridi non hanno nulla a che invidiare a quelle degli altri. A me piacciono molto, ad esempio. – confessò, e Lucy lo guardò stupita.
-Dici sul serio? – chiese.
-Giuro, sono di un bel marrone scuro, dolce e intenso come il colore del cioccolato, e il cioccolato è il mio dolce preferito, su questo non ci scherzo. – proseguì con onestà, mentre Lucy, abbassando leggermente lo sguardo, cominciava di nuovo a sentire l’imbarazzo scaldarle il viso. Fu in quel momento che l’attenzione le ricadde su un rigonfiamento della maglietta di Atlas, all’altezza del centro del petto, e Atlas non parve far caso alla destata curiosità della giovane. Sorridendo lievemente, il giovane le diede due leggere pacche sulla testa.
-Su, coraggio ora cammina, o non arriveremo più a casa. – le disse incamminandosi, incitandola così a proseguire. Quando lo raggiunse, Lucy si decise a togliersi lo sfizio.
-Atlas, posso farti una domanda? –
-Dimmi. –
-Che cosa porti al petto? –
Atlas, che fino a poco prima stava camminando guardando dritto di fronte a sé, si sentì sorpreso e sconvolto a quella domanda, e si voltò di scatto a guardarla, cercando però di mascherare il suo turbamento per non farla insospettire.
-A cosa ti riferisci? – le chiese guardingo. Notando l’atteggiamento del giovane, Lucy gli rivolse uno sguardo timido e innocente.
-Beh, mi riferisco al rigonfiamento della maglietta, all’altezza del petto. – gli spiegò, indicando il punto in questione. Capendo che non si riferiva al frammento oscuro che aveva nel petto, Atlas, sollevato, ringraziò mentalmente gli astri. Per vendicarsi, rivolse un altro sorriso malizioso a Lucy, al quale ribatté prontamente e con goffaggine che non era affatto come pensava. Dopodiché, il giovane si decise a tirare fuori dalla maglietta l’oggetto che aveva catturato la curiosità di Lucy: si trattava di un incantevole pietruzza di forma sferica e dai riflessi simili all’acquamarina, incastrata in una piccola spirale d’argento e appesa a uno spesso filo di cuoio. Era così limpida da sembrare essere fatta di acqua stessa. Lucy si sentì subito affascinata dalla sua bellezza.
-E’ meravigliosa… - mormorò, rapita dal luccichio -Chi te l’ha donata? – chiese, distogliendo lo sguardo dalla pietra per rivolgerlo al giovane.
-Cosa ti fa pensare che me l’abbia regalata qualcuno? Potrei anche averla rubata, sai? – la canzonò, eludendo così la domanda. Lucy alzò gli occhi al cielo.
-Oh insomma, non è qualcosa che un ragazzo si comprerebbe da solo! E poi per quale motivo rubare una pietra simile e non approfittarne per venderla? –
-Perché magari potrebbe avere un qualche potere magico. – disse lui con noncuranza, rigirandosela tra le mani. Gli occhi di Lucy si accesero come quelli di una bambina che viene a sapere dell’esistenza di un tesoro.
-Davvero? – esclamò.
-No, scherzavo. –
-Ah, insomma! – sbottò la maga. Ignorando le reazioni della maga, Atlas stava per rimettere la pietra sotto la camicia, ma Lucy gli afferrò i polsi, fermando d’improvviso la loro camminata.
-Aspetta Atlas, messa lì però è proprio uno spreco! – piagnucolò. Lui la guardò perplesso.
-Ma così almeno è nascosta da occhi colmi d’ingordigia e possesso. Attira troppo l’attenzione. – le spiegò. Lucy scosse la testa.
-No, anche messa così sotto la maglietta desta curiosità, come mi è successo adesso. A volte il modo migliore per nascondere l’importanza di un oggetto è ostentarlo a oltranza. Lascia fare a me. – gli disse in tono pratico, mentre sotto lo sguardo agitato di Atlas gli sfilava la collana. Tolse la pietra, sganciando il laccio, e lo avvolse in due giri attorno al collo teso di Atlas. Fece passare il gioiello da una delle estremità del laccio, e lo riagganciò, sistemando la collana e rimettendo la pietra al suo posto. Ora Atlas aveva il collo un choker con il bellissimo gioiello in bella vista, e non volendo aveva reso il giovane ancora più attraente di quanto già non fosse. Guardandolo, un’immagine buffa ma indecente le balenò in mente, e non poté fare a meno di ridere.
-Cosa c’è ora? – chiese Atlas quasi stizzito. Vederla maneggiare con il ciondolo l’aveva fatto sentire irrequieto.
-Se adesso ti mettessi le orecchie da gatto, saresti pronto per una bella copertina sul Sorcier Magazine – ridacchiò. Atlas si sentì ancora più confuso, ma l’istinto gli suggerì di non chiedere altro. Proseguirono la camminata, e mentre Atlas tastava perplesso e preoccupato la collana, Lucy tornò all’attacco.
-Ehi, prima non mi hai risposto: chi te l’ha regalata? – Atlas sospirò esasperato.
-Alhena. Me l’ha regalata Alhena. –
-Oh, l’amica d’infanzia di cui avevi accennato? – chiese. Incredibilmente, Atlas per qualche ragione sembrava improvvisamente imbarazzato, per la gioia vendicativa di Lucy.
-Sì, proprio lei. – rispose, deciso a non rivelarle che era anche la principessa del regno di Astral. E poi, parlare della sua principessa e del loro legame con un’altra ragazza lo metteva a disagio.
-Questa sì che è una notizia incredibile! – ridacchiò la maga, prendendolo in giro. Atlas le lanciò un’occhiataccia.
-Ah sì? – chiese stizzito.
-Non ti facevo così premuroso. – confessò sorridendo Lucy, ignara dell’ennesimo scherzo che stava per essere messo in atto.
-Sono un uomo dalle mille sorprese, dovresti averlo capito. Lascio tutti senza fiato… – si vantò lui con aria seria, incrociando le braccia. Lucy alzò gli occhi al cielo, non credendo alle sue orecchie. Non notò però che Atlas le si era avvicinato, con un sorriso malizioso e uno sguardo da predatore.
-Specialmente le donne, a letto… - continuò sussurrandole all’orecchio, con voce profonda. In un attimo Lucy divenne rossa come un peperone e si voltò a guardarlo scandalizzata, gli occhi sgranati per l’incredulità.
-Atlas! – strillò -Ti sembrano discorsi da fare?! – Atlas, ritornata la sua espressione seria, fece spallucce.
-Perché? Non dirmi che ancora non sai cosa fanno un uomo e una donna in intimità… Sei ancora vergine? - la stuzzicò.
-E se anche fosse? – continuò sconvolta, ormai preda della vergogna -Non sono affari tuoi razza di depravato! E poi ti sembra un argomento di cui parlare con una ragazza?! –
-Non ci vedo nulla di male a parlare dei piaceri carnali. – disse con aria indifferente, consapevole che con quelle parole avrebbe mandato ancora più in panne la povera Lucy. Non che non lo pensasse veramente, ma in normali circostanze non avrebbe mai fatto discorsi del genere con una del gentil sesso. Quando ci aveva provato per la prima volta con Alhena, lei gli aveva scagliato una sedia contro. Nel frattempo, Lucy si coprì il viso con le mani, scuotendo la testa disperata.
-Io non ho parole! E abitiamo anche nello stesso condominio? – mugugnò.
-Io non la considererei una sfortuna. Se una di queste notti ti sentissi particolarmente sola, mi offro volontario per scaldare a dovere il tuo corpo prigioniero della fredda morsa della solitudine. –
-Piantala! Ora basta, ti prego! – piagnucolò lei al limite della sopportazione e della vergogna, mentre Atlas ancora se la rideva sotto i baffi.
“E a dire la verità Lucy, quasi ci spererei che accadesse…” pensò involontariamente, sfiorando il profilo della maga con sguardo languido. Immaginandola tra le sue braccia in un simile momento di profonda intimità, Atlas sentì di nuovo l’impulso carnale farsi strada dentro di lui come un serpente fatto di fiamme ardenti. Di fronte a quelle sensazioni rafforzò il suo autocontrollo, domando fermamente i suoi istinti demoniaci. Stava pensando di farsi una bella doccia fredda per placarsi quella sera, quando con sollievo riconobbe il condominio dove si trovavano i loro appartamenti.
-Finalmente a casa… - sospirò esausta Lucy, varcando la soglia del portone e salendo le scale. Giunti al piano dell’appartamento della maga, i due si congedarono. Appollaiato sul corrimano, a quasi metà della rampa di scale, attese che Lucy proferisse parola. Prima di entrare in casa, ella si voltò verso di lui.
-Buonanotte Atlas. – gli disse, afferrando la maniglia.
-Buonanotte, divina Lucy – ricambiò con un sorrisetto, facendole l’occhiolino. E prima che Lucy dimostrasse qualunque reazione, il giovane si dileguò su per le scale, dritto verso il piano superiore, e verso l’agognato letto.
Scuotendo la testa, incredula, per l’ennesima volta, Lucy aprì la porta e se la chiuse dietro di sé. Desiderosa di farsi una doccia veloce e di buttarsi sul letto, senza neanche accendere la luce incominciò a spogliarsi, gettando maglietta e reggiseno sul pavimento. Fece per togliersi anche la gonna, quando nella penombra notò due figure, una umana e una felina, accucciate a terra tra il letto e il comodino.
-Aaaaah! – strillò la maga per lo spavento, coprendosi il seno ed attaccando gli intrusi con uno dei suoi calci. Una delle figure riuscì a schivarlo, levandosi in aria, ma non ci fu scampo per l’altra, che colpì in pieno. Lucy stava per sferrare il suo secondo calcio, quando l’intruso la interruppe.
-Lucy, sta’ calma, sono io! – quella voce era inconfondibile.
-Natsu?! -

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Capitolo 7
*** Shopping, disguidi e team improbabili ***


SHOPPING, DISGUIDI E TEAM IMPROBABILI

-Natsu?! –
Incredula, coprendosi il seno Lucy corse ad accendere la luce, che gli mostrò il rosato a terra a gambe incrociate, mentre con una mano si teneva la guancia dolorante.
-Yo, Lucy! – esordì allegro, mentre Happy gli si posava sulla testa.
-I calci di Lucy fanno davvero paura… – la salutò così anche lui.
-Siete davvero incorreggibili, siete passati di nuovo dalla finestra senza il mio permesso?! – li strillò la maga. I due sorrisero colpevoli, e Lucy sospirò arresa. Si stava quasi rassegnando al fatto che ormai quello era diventato un vizio impossibile da togliere.
-Comunque, cosa ci fate qui adesso? Non eravate tornati a casa? – chiese, dando loro le spalle per rimettersi almeno la maglietta che aveva gettato a terra.
-Natsu era geloso di At- - tentò di dire Happy, ma fu interrotto da un cazzotto di Natsu che lo centrò in pieno muso prima che potesse finire la frase. Il rosato guardò Lucy, a disagio.
-Ero preoccupato per te. – confessò un momento dopo imbronciato, a braccia conserte -Per quanto tu mi ripeta che va tutto bene, non mi piace affatto che quel tipo ti stia intorno, non mi fido. – proseguì con tono irritato. Lucy se ne stupì, non volendo credere che Natsu, il Natsu che tutti conoscevano, allergico alle questioni di cuore, si stava veramente ingelosendo.
“Ma, d’altro lato, se veramente è così come penso, come spero…” un senso di felicità la pervase, come una coperta calda in una notte di gelo. Sorrise dolcemente. Inebriata dai suoi stessi sentimenti, raggiunse il rosato e si sedette accanto a lui, che in quel momento la guardava con curiosità. E Natsu sentì il palpito del proprio cuore intensificarsi quando vide Lucy chiudere gli occhi e appoggiare la testa alla sua spalla. Finiva sempre così, con lui che si sorprendeva stregato a guardarla ad ogni suo gesto, ad ogni briciolo di attenzione che gli rivolgeva, sentendo un vortice di fiamme danzare nello stomaco. Un sentimento che ancora non comprendeva appieno lo spinse a desiderare di baciarle il capo e abbracciarla, stringendola a sé. Eppure, insicuro della natura dei suoi stessi sentimenti e di quelli della maga, esitò, limitandosi ad appoggiare il proprio capo sopra quello di Lucy. Ma anche solo quel gesto, la rese immensamente felice.
-Grazie, Natsu…- sospirò commossa, ancora con gli occhi chiusi, iniettando in quelle parole tutto l’amore che provava per lui. Il cuore del Dragon Slayer tremò, come in risonanza alla musica della voce e delle parole della maga, e a lui sembrò di rimanere senza fiato. Presto sentì il respiro di Lucy farsi più profondo e regolare, facendogli capire che si era addormentata così, accanto a lui. Sbirciò il volto sereno della maga, che ancora sorrideva lievemente, e non poté fare a meno di sorridere a sua volta. Muovendosi il più delicatamente possibile per non svegliarla, Natsu spostò il braccio dietro la schiena di Lucy, mentre faceva passare l’altro sotto le sue ginocchia. Il rosato la sollevò con delicatezza, come fosse una principessa, e l’adagiò sul letto, sistemandosi affianco a lei come faceva tutte le volte che passavano la sera in quell’appartamento. Dopo averla osservata con devozione per qualche altro momento, fece cenno ad un Happy malizioso ma felice di spegnere la luce e chiuse gli occhi, prima che anche l’exceed si accoccolasse con loro0020 ai piedi del letto. Si addormentarono così, confortati dai loro respiri, e scaldati dai loro stessi sentimenti che si celavano come ombre dallo sguardo della luna alla finestra.
E nello stesso momento, in una stanza al piano di sopra…
Atlas se ne stava disteso comodamente sul letto, con indosso solo un paio di pantaloni di cotone che aveva rimediato come presunto pigiama, e fissava meditabondo il soffitto, studiando distrattamente le ombre che la luce della luna creava fendendo l’oscurità silenziosa della stanza. Avvolto nel tepore delle membra rilassate e adagiate sul proprio materasso, Atlas riviveva, momento per momento, il tempo trascorso con Lucy, durante il tragitto verso casa. Inizialmente aveva pensato fosse attratto da lei perché era una bella ragazza (e definirla semplicemente “bella” era anche diminutivo), ma ora non riusciva a togliersi di dosso la sensazione di benessere e di libertà che aveva provato parlando con lei, camminando affianco a lei. Non si era mai sentito così a suo agio con qualcuno, a eccezione di Alhena , Klaus, Olivier e Yvonne, la giovane proprietaria del bordello dove vi si recava spesso quando era ancora ad Al Nair, e che era diventata sua cara confidente. Ancora più assurdo era che si sentisse in quel modo con una ragazza, una persona che conosceva a malapena. E poi, da dove veniva quel senso di familiarità che aveva provato, come se l’avesse già conosciuta in un tempo passato, perso nell’oblio? Mentre cercava invano di dare una risposta, portò assorto una mano al ciondolo, rigirandoselo tra le dita. Ricordò, quasi con un senso di colpa, anche il desiderio carnale di possesso che era nato in lui nei confronti della bella maga, e che era affiorato ben due volte quella sera. Aggottò la fronte preoccupato, mentre il suo sguardo si adombrava, accarezzando ora la superficie liscia della pietra nera incastonata al petto. Già ad Astral negli ultimi tempi la sete di Asmodeus era diventata sempre più vorace e si trovava costretto a soddisfarla spesso tra le braccia di Yvonne e delle sue dame di piacere, ma da quando era approdato lì a Fiore la fame era diventata improvvisamente molto più difficile da gestire. E infatti, al primo segno di debolezza il suo obscurius (o demone, come veniva più comunemente chiamato) ne aveva subito approfittato per cibarsi delle anime degli uomini che aveva incontrato al porto quel giorno. Non si aspettava che dopo quella carneficina la sua sete si risvegliasse così presto, e ciò iniziò a preoccuparlo sul serio. Avrebbe dovuto controllarsi a dovere d’ora in avanti, o temeva di spaventare Lucy e farle involontariamente del male, dato quello che aveva iniziato a provare nei suoi confronti. La sua mano si chiuse attorno al frammento, e desiderò follemente di poterlo strappare e gettare via, lontano da lui.
“Loki… è tutta colpa tua!” pensò con un improvviso fremito di rabbia repressa. Non solo gli aveva strappato via sua madre, ma lo aveva condannato a una maledizione che lo avrebbe tenuto avvinghiato a sé per tutta la vita. Non poté fare a meno di chiedersi per l’ennesima volta come avevano fatto ad arrivare a quel punto, lui, che una volta considerava come un padre. Dove? Dove avevano sbagliato?
Inspirando profondamente più e più volte, oppresso da quei pensieri, si girò su un fianco e cercò di addormentarsi. Sfumata la rabbia, un senso di smarrimento e solitudine riaffiorarono in lui, riportandolo di nuovo a ricordi bui della sua vita. Strinse il cristallo donatogli da Alhena nella mano e chiuse gli occhi, desiderando ardentemente e disperatamente che la sua principessa fosse lì con lui, ad abbracciarlo come aveva sempre fatto, sin da quando si erano conosciuti da piccoli. Gli mancava come lo stringeva a sé quelle innumerevoli volte che si era trovato in preda agli incubi, sussurrandogli tra i capelli che andava tutto bene, perché c’era lei, perché erano insieme. Ma in quel momento a cingerlo non c’era nessuno, se non il freddo vuoto dell’assenza e il silenzio della notte.

§ § § § §

Il mattino dopo, Atlas si svegliò più tardi del solito, data la spossatezza che lo aveva afflitto in quei giorni, e tra poco avrebbe dovuto recarsi in gilda per chiedere qualche missione. Maledicendosi tra sé e sé, scappò a farsi una doccia fredda per svegliarsi dal torpore. Bagnato e con ancora l’asciugamano in vita, arraffò i primi indumenti che trovò nel cassetto del piccolo armadio a due ante affianco al comodino del letto e iniziò a vestirsi, cercando di fare in fretta.
“Dannazione dovevo anche andare a comprarmi un nuovo mantello e fare la spesa!” pensò stizzito.
Si stava infilando la maglietta, quando sentì bussare alla porta. Con una manica ancora da infilare, si approcciò alla porta e aprì d’istinto, senza nemmeno controllare. Con lieve sorpresa, si ritrovò faccia a faccia con Lucy, che non appena lo vide scoppiò a ridere. Con la maglietta mezza infilata che gli lasciava l’addome mezzo scoperto, lo sguardo smarrito e ancora assonnato, e i capelli umidi e arruffati, Atlas aveva un aspetto buffissimo e tenero che mai si sarebbe aspettata di vedere.
-Buongiorno Atlas! – lo salutò allegra, con uno strascico di risa.
-‘Giorno a te. – le rispose Atlas imbronciato, avendo capito che lo stava prendendo in giro -Come mai sei venuta da me? Vuoi entrare? – le chiese.
“E soprattutto come ha fatto ha sapere che la mia stanza è proprio questa?” aggiunse mentalmente, e sospettò che la proprietaria del condominio c’entrasse qualcosa.
Lucy, scuotendo la testa, rispose: -No, sono solo venuta a chiamarti per andare insieme in gilda. Natsu e Happy ci stanno già aspettando di sotto. –
-Andate pure, se volete, non voglio far aspettare oltre il tuo ragazzo con il suo gatto volante. – disse, notando con piacere che le gote di Lucy si erano leggermente arrossate.
-N-non è il mio ragazzo. – protestò lei, balbettando.
-Ah no? – esordì sorpreso -Allora è il tuo amante? – la stuzzicò, quasi geloso al pensiero che fosse così. A quelle parole Lucy gli lanciò uno sguardo tagliente e alzò un pugno come minaccia implicita, spingendo Atlas a ritornare serio.
-Va bene, scherzavo, divina Lucy. – si arrese -Ma sono serio, non voglio farvi perdere tempo, prima devo recarmi alla zona commerciale per procurarmi un mantello nuovo. – le spiegò, finendo di infilarsi la maglietta.
-Capisco…- disse, quasi dispiaciuta -Ma almeno sai la strada? – chiese, mentre il ragazzo rientrava in salone a prendere le scarpe.
-Per la gilda, dici? – chiese lui, mentre se le infilava. Di questo passo alla fine sarebbero scesi insieme, e Natsu avrebbe continuato ad aspettarli impaziente al portone.
-No, intendo per i negozi. – precisò lei, che al silenzio titubante di Atlas intuì che no, la strada non la sapeva affatto, e iniziò già a pensare a una soluzione. Finito i preparativi e chiusa la porta, i due raggiunsero il rosato e il suo fedele amico exceed, che li attendevano.
-Ce ne hai messo di tempo! – sbottò, rivolgendosi ad Atlas. Quest’ultimo fu sul punto di rispondere a tono con una delle sue risposte sarcastiche, ma dato che il gruppo era veramente in ritardo per colpa sua, tenne a freno la lingua. Inoltre, aveva ormai capito che il rosato nutriva un’antipatia spontanea nei suoi confronti, non sapeva se dovuta alla totale mancanza di fiducia o a chissà quale altra motivazione. Anche per questo motivo, rispondere al fuoco con il fuoco non era la scelta migliore per tessere un rapporto pacifico con lui. Perciò, al commento di Natsu Atlas rimase in silenzio, abbassando lo sguardo corrucciato e chinando lievemente il capo in segno di scusa. Dopo avergli rivolto una lunga occhiata severa, Natsu si rivolse a Lucy.
-Forza, andiamo in gilda ora, gli altri ci stanno aspettando per la missione.-
-Ecco, a tal proposito…- esordì Lucy, quasi esitante. Natsu alzò un sopracciglio, guardandola incuriosito.
-Cosa c’è? –
-Non vuoi più andare in missione Lucy? – chiese Happy. Lucy evitava i loro sguardi.
-Ti senti poco bene? – aggiunse allora Natsu preoccupato.
-No, no, non è questo il problema… - disse. Congiunse le mani e si portò le braccia al petto, vestendosi dell’espressione più tenera e supplichevole che riuscisse a fare. Natsu e Happy si scambiarono un’occhiata, ancora più perplessi dall’atteggiamento della maga.
-Potreste andare intanto alla gilda ad avvisare gli altri che ritarderò di qualche ora? Atlas deve comprare un nuovo mantello, e dato che non sa la strada vorrei aiutarlo e accompagnarlo. – disse in un fiato, agitata, lasciando Natsu e Happy di stucco.
“Che poi, perché tutto d’un tratto mi sento di avergli fatto un torto?!” pensò un attimo dopo concitata “Sto solo aiutando un amico, e poi Natsu non è il mio ragazzo!”
Invece, Atlas, si stava gustando la scena con curiosità ed interesse, specialmente osservando la reazione del rosato, che guardava la sua compagna confuso, ferito e incredulo. Natsu infatti non aveva affatto gradito quella richiesta, non tanto per la parte riguardante la missione o l’andare a fare compere quanto perché Lucy aveva rinunciato a lui per andare insieme all’altro. Ripensando alla notte appena trascorsa insieme, una delle tante trascorse così, si sentì tradito, in un certo senso, e non se l’aspettava. Non da Lucy. La sua Lucy.
-D’accordo. – bofonchiò, non riuscendo a nascondere la delusione -Ma cerca di fare in fretta. – aggiunse, incamminandosi verso la gilda con le mani in tasca e strascicando i piedi con un’aria abbattuta. Happy guardò preoccupato l’amico, per poi puntare i suoi occhi neri su Lucy, scuotendo la testa in segno di disapprovazione.
-Potevi anche chiederlo solo a me, sai? Non mi sarei offeso ad andare da solo. – la rimbeccò dispiaciuto e amareggiato l’exceed, raggiungendo poi in volo l’amico per confortarlo, intensificando così i sensi di colpa della maga, che ancora non riusciva a capire dove aveva sbagliato.
“E’ vero…” pensò accorata, dopo averci riflettuto “Avrei potuto anche chiederlo solo ad Happy, e non a Natsu… eppure, perché al pensiero che fosse venuto con noi mi sento a disagio, come se non si sarebbe rivelata una buona idea?”
Sentì un leggero tocco sullo spalla, e voltandosi incontrò gli occhi di Atlas, velati di una taciuta compassione che un po’ la sorprese, quasi avesse percepito l’eco dei pensieri della maga.
-Vogliamo andare? – le chiese teneramente, con voce sommessa. La maga annuì debolmente e si incamminò, ancora attanagliata dal senso di colpa e dal pensiero di aver ferito Natsu. Un pensiero che le usurpava tutta la vitalità che di solito scorreva in lei come una cascata. Atlas le camminava affianco, in silenzio, quasi partecipe della sua sofferenza, dimostrando un tatto che Lucy non immaginava potesse avere. “Sono un uomo dalle mille sorprese” le aveva detto, e le venne quasi da ridere a pensare che forse aveva ragione a dirlo.
Lucy proseguiva la sua camminata senza parlare, e Atlas la seguiva docilmente, osservandola rattristato. Comprendeva bene i sentimenti della maga, perché erano gli stessi che lui aveva provato ogni volta che era scoppiato un litigio con Alhena, piccolo o grave che era. Li vedeva, quei sentimenti, nello sguardo basso della maga, vedeva l’afflizione e il senso di colpa ombreggiare le sue iridi, incresparle la fronte. Vedendola così triste come mai gli era capitato di vederla, dovette resistere all’impulso di cingerle le spalle e attirarla a sé in una specie di abbraccio. Avrebbe voluto farle sapere che le era vicino, anche se non si conoscevano bene, che quel momento sarebbe passato. E Atlas ne era certo, sapeva che sarebbe passato, se i sentimenti che lei e il rosato provavano l’un l’altra erano abbastanza forti come credeva. Si sarebbero rivisti, un gioco irruento di sguardi e di parole, e avrebbero fatto la pace. Ma sapeva anche che la parte difficile era proprio questa, quel momento in cui ogni parte di te, anche quella più razionale, affoga nelle acque tumultuose dei tuoi stessi sentimenti, facendola affondare negli abissi. A volte il silenzio era un unguento capace di guarire le ferite più brucianti, ma in questo caso, non bastava. Ci volevano i gesti, portatori di parole taciute ma vorticanti attorno al gesto stesso, come fossero un profumo. E Atlas questi gesti non poteva concederglieli. Non ancora, perlomeno.
Perciò, per quanto sconclusionato e goffo potesse risultare, decise di distrarla nell’unico modo che conosceva senza toccare fisicamente una donna: prendendola in giro.
-Sai, c’è un detto che dice: l’amore non è bello, se non è litigarello. – proruppe, guadagnandosi l’occhiata confusa di Lucy, che era ancora sovrappensiero.
-Già, litigare con il tuo fidanzato ha i suoi pregi sai? – proseguì. Lucy continuava a guardarlo perplessa e incuriosita, non riuscendo a seguire il discorso del giovane. Atlas sospirò con aria melodrammatica.
-Non guardarmi con quegli adorabili occhi da cerbiatto, sai cosa voglio dire! Quando una di queste sere ti rivedrai con Natsu, capirai le mie parole. – disse, esibendo un sorriso così colmo di malizia che fece suonare in Lucy i suoi nuovi campanelli d’allarme creati appositamente per captare i doppi sensi di Atlas.
-Co-cosa vuoi dire Atlas? Non riesco a seguirti…- azzardò lei guardinga. Il sorriso sornione di Atlas si fece ancora più largo.
-Ma come, non lo sapevi? Fare la pace dopo aver litigato con il tuo lui significa una bella notte di sess- ahia! – gridò, massaggiandosi il capo dolorante. Lucy gli aveva assestato un duro cazzotto sulla testa poco prima che terminasse la frase, fumante di imbarazzo.
-Atlas scemo! Guarda tu cosa devono sentire le mie orecchie! – gesticolò scandalizzata -E poi ti ho già detto che Natsu non è il mio fidanzato! – precisò.
-Sì, sì, non imbrogli nessuno qui, mia divina Lucy…- la stuzzicò ancora. Lucy sospirò pesantemente e alzò gli occhi al cielo. Esasperata com’era a quel punto, non aveva nemmeno al forza di obiettare. Sapeva sarebbe stata una causa persa con lui, e che rispondendogli a tono non avrebbe fatto altro che reggere il gioco (e il divertimento) del ragazzo dagli occhi scarlatti. Dopo averle lanciato un’altra occhiata divertita, Atlas decise di tornare serio.
-Lucy, avrai anche sbagliato a non invitarlo a venire con noi, ma non l’hai fatto con cattiveria. -cominciò, catturando l’attenzione di Lucy.
-Inconsciamente hai voluto evitare che io e Natsu finissimo per litigare in mezzo alla piazza, dato che non si fida affatto di me e quasi mi disprezza. Sicuramente lo avrà capito anche lui. Adesso è solo geloso, un capriccio, tutto qua. Non appena vi rivedrete sarà tutto più chiaro a tutti e due, e farete la pace. – finì, rivolgendole uno sguardo fiducioso e sorridendole lievemente.
Di fronte a quelle parole così… confortanti, come la carezza di un vento estivo, Lucy sentì qualcosa smuoversi dentro di lei, come una creatura che si destava ai raggi del sole, intorpidita da un lungo sonno. Gratitudine? Affetto? Commozione? O tutte e tre? Questo al momento Lucy non sapeva dirlo. Tutto quello di cui era conscia in quell’istante, erano il sorriso di Atlas, sfuggente e impercettibile come i petali di ciliegio al vento, e i suoi occhi, che le riversavano addosso un affetto che sapeva dello stesso sapore della cioccolata e delle arance.

§ § § § §

Dopo un’ora di camminata passata a parlare del più e del meno, Lucy ed Atlas giunsero finalmente nella zona commerciale della città di Magnolia, situata nel cuore della città. Questa zona pullulava di negozi di vario genere con esposte le mercanzie più variegate: dai prodotti autoctoni a quelli esportati, dai negozi di antiquariato a quelli di abbigliamento, dalle librerie ai negozi di strumenti musicali, dai souvenir ai prodotti gastronomici, e tanto altro. Era una tavolozza dei colori più variopinti e dei suoni più disparati, e vibrava di una vitalità che solo l’intreccio di centinaia di vite sa regalare. In quella zona, quasi si pensava che la città fosse viva e che respirasse di sua volontà. E Atlas osservava tutto, ogni minima cosa, ogni impercettibile dettaglio, con la stessa meraviglia e ingordigia di un bambino che scopre il mondo per la prima volta. Quel posto, sebbene così bagnato di luce e di colori così vibranti da essere quasi dolorosi da guardare, somigliava così tanto ad Al Nair da lasciarlo quasi senza fiato per il senso di casa che gli suscitava e la struggente mancanza della città natale. La lieve risata di Lucy lo scosse dall’incantesimo della città e dal potere ammaliatore dei suoi stessi ricordi.
-A quanto pare la città ti ha lasciato senza parole, eh? – disse divertita. Atlas non obiettò, e si limitò a guardare ancora rapito quella danza di vite, suoni, odori, colori. Come aveva fatto a non averci mai messo piede prima di allora?
Divertita dall’espressione esterrefatta e incantata sul volto dell’amico (perché a questo punto potevano chiamarsi così no?), Lucy sorridendo gli prese la mano e lo guidò in quel mare di vita, dritti verso la meta. Ma la traversata si mostrò più ardua di quanto potesse sembrare, perché Atlas si fermava continuamente ad osservare, toccare, odorare qualsiasi cosa entrasse nel suo raggio visivo, tempestando Lucy di domande alle quali non poteva far altro che rispondere, di fronte alla sua traboccante, genuina curiosità. Per una volta, gli sembrava fosse tornato il bambino che era stato un tempo, e Lucy a malincuore dovette trascinarlo via da quel covo di meraviglie in cui era caduto senza quasi nemmeno accorgersene. Atlas rimaneva ancora per lei un labirinto smeraldo avvolto da una nebbia misteriosa e surreale, ma quel tempo che stava passando con lui la stava aiutando ad attraversare a poco a poco, quella nebbia, svelandole la strada e i dettagli che mai si sarebbe immaginata di vedere.
Intanto che Atlas si perdeva in quello che gli sembrava un dipinto versicolore che aveva preso improvvisamente vita, Lucy scrutava i negozi di abbigliamento alla ricerca di quello che più le garbava, sperando che avesse un mantello adatto per il giovane che si stava trascinando mano nella mano. Non appena le parve di averlo trovato, la maga vi si fiondò varcando la porta d’ingresso. Al tintinnio della campanella appesa alla porta, li accolse una vecchia signora che, dopo aver notato le loro mani ancora giunte, con una strana espressione divertita chiese loro di cosa avessero avuto bisogno. Atlas, ovviamente, si era accorto dello sguardo della proprietaria del negozio, e improvvisamente la consapevolezza della presenza della mano di Lucy nella sua lo colpì come uno schiaffo. Aveva delle mani abbastanza piccole, morbide e calde e… gentili. Ancora provato dalle cupe sensazioni della notte appena trascorsa, quel contatto gli irradiava una sensazione di tepore e di vicinanza che lo faceva stare incredibilmente bene, che lo scaldava dentro, e voleva approfittarne ancora per un po’. Perciò non disse nulla e lasciò che la maga parlasse con la proprietaria, gustandosi quel contatto il più a lungo possibile.
-Oh non si preoccupi signorina, è capitata proprio nel posto giusto! Troveremo di certo un mantello che si adatti alla perfezione al vostro bellissimo ragazzo! – stava dicendo la signora. A quelle parole Lucy si rese conto delle proprie mani ancora avvolte in quelle di Atlas e imbarazzata le sciolse subito, quasi scottassero.
-A dire la verità signora, non è il mio ragazzo…- obbiettò imbarazzata, lanciando uno sguardo accusatorio ad Atlas -Ma la ringrazio per l’aiuto! -
La signora però, guardandola scettica e divertita, scosse la testa sorridendo e li pregò di seguirla in fondo al negozio, laddove si trovavano i mantelli. Atlas stava per pescarne uno a caso, date le sue scarse preferenze e soprattutto dato il suo portafoglio abbastanza scarno, quando la signora lo girò bruscamente e gli prese il volto tra le mani, girandolo da un profilo all’altro, scrutandolo concentrata come fosse un pezzo da museo da esaminare.
-Giovanotto, hai dei colori difficili, ma veramente incantevoli.- gli disse, dedicandosi poi a setacciare la mercanzia. Atlas bofonchiò un “grazie”, mentre guardava con un leggero timore la signora che si scambiava pareri vestiari con Lucy. Guardandole, ebbe la sensazione di aver perso ogni parere decisionale per la scelta finale, ed ebbe quasi paura per quello che stava per accadere per mano di quelle due. Infatti, nei momenti seguenti Atlas fu travolto da una tempesta fatta di stoffe e colori che si gettavano su di lui come onde sul mare, e non poté opporvisi in alcun modo. Dopo un lasso di tempo che ad Atlas parve un’eternità, la lotta che le due avevano ingaggiato contro la moda e i tessuti risparmiò solamente due mantelli, entrambi di velluto e dotati di cappuccio, di fronte ai quali Lucy e la signora si trovarono ad indugiare indecise: sarebbe stato più adatto quello rosso veneziano, screziato ai bordi di decorazioni nere, dello stesso colore della fodera di raso, oppure sarebbe stato meglio quello nero, ma attraversato da una danza di linee e disegni scarlatti, come era la sua fodera di seta? Guidata dall’istinto, Lucy prese il mantello nero e lo adagiò con grazia su un Atlas imbronciato e a braccia conserte. Tirò su il cappuccio e… seppe che era quello giusto. Fece un passo indietro, e rimase a guardarlo incantata, mentre la signora, anch’essa meravigliata, si complimentava con lei per la scelta. Le ombre scure che il cappuccio gettava sul viso ancora corrucciato del giovane non facevano altro che mettere tremendamente in risalto il colore delle sue iridi, mentre le decorazioni rosse e il colore nero del mantello intessevano un’aura magnetica attorno alla sua figura e ai rubini che brillavano sul suo volto insieme all’acquamarina della pietra che portava al collo.
“È…stupendo.” pensò Lucy ammaliata. Fu riscossa dal suo stato di trance quando la signora, entusiasta, le disse che aveva scelto il regalo perfetto per il suo ragazzo.
-Giovanotto, la tua ragazza ha decisamente occhio, ti sta d’incanto! – esclamò, rivolgendosi a lui. Atlas la ringraziò, tirandosi indietro il cappuccio e sorridendole con cortesia, ma in quel momento stava sudando freddo pensando a quanto gli sarebbe costato il mantello scelto da Lucy. Quando infatti il giovane, simulando una certa calma, le chiese il prezzo di quel bellissimo capo, la signora, con gli occhi che luccicavano al pensiero dell’affare in corso, rivelò la predetta cifra da capogiro che colpì i due alla stregua di un vigoroso pugno in faccia. Atlas stava per aprire bocca per rifiutare e suggerire un capo più economico, ma Lucy lo interruppe dicendo che l’avrebbero preso, lasciandolo così senza parole.
-Amore…- iniziò enfatizzando la parola per vendicarsi, facendola innervosire -Non devi per forza prenderlo, lo sai…- disse, rivolgendole un’occhiata eloquente.
-Infatti pagheremo insieme. – ribatté Lucy con lo stesso tono apparentemente gentile che aveva usato lui. L’affermazione lo lasciò spiazzato, e non sapendo come controbattere, si arrese alla decisione di quella ragazza dall’aspetto angelico che aveva appena causato una crisi delle sue finanze senza precedenti.
Uscirono così dal negozio una Lucy di ottimo umore e un Atlas che nonostante il mantello nuovo fiammante pareva appena uscito da una passeggiata negli inferi. Alla fine, Atlas aveva pagato gran parte dell’incasso (non puoi far pagare una somma del genere alla tua dolce metà, no?) e Lucy mossa da compassione aveva coperto il restante che non era riuscito a pagare quando si era accorta che era rimasto pericolosamente agli sgoccioli.
Atlas sospirò pesantemente, pensando che se non fosse andato in missione al più presto non solo l’avrebbero cacciato fuori dall’appartamento, ma avrebbe dovuto stare anche a digiuno.
-Si può sapere perché ti ci sei messa così d’impegno e hai voluto prendere questo stramaledetto mantello a tutti i costi?- chiese alla maga con asprezza, guardandola torvo.
-Perché? – chiese innocentemente -È un bellissimo mantello, e di ottima fattura. Sarà stato un po’ caro, è vero, ma secondo me ne è valsa la pena. La signora ci ha anche fatto un po’ di sconto! - gli disse con un mezzo sorriso canzonatorio che lo irritò ancora di più. Perché Atlas era convintissimo che la maga l’aveva fatto per vendicarsi delle sue prese in giro negli ultimi giorni.
-E comunque te l’avrei anche pagato io, musone, se non fossi anche io al verde e con la rata dell’affitto da pagare la prossima settimana. – proseguì corrucciata, sentendosi in fondo un pochino in colpa per avergli fatto spendere una cifra così eccessiva per un suo capriccio estetico e sì, anche per fargli un dispetto. Atlas schioccò la lingua, ma decise di non dire nulla perché, alla fin fine, si stava rendendo conto che quel mantello era inaspettatamente molto comodo, oltre che resistente. Magari, se l’avesse trattato in maniera decente, dato quanto gli era costato, avrebbe anche potuto usarlo per un lungo periodo di tempo prima di sbarazzarsene.
Lucy, frattanto che camminavano, stava rendendosi conto di essersi forse lasciata trasportare troppo, e stava quasi rimpiangendo di non aver optato per un capo più sobrio. Atlas non se ne rendeva conto, o forse non lo faceva di proposito, ma molti occhi femminili lo stavano accarezzando come piume e si adagiavano su di lui come farfalle. È incredibile come un semplice capo, un piccolo dettaglio, possa donare un aspetto così folgorante e magnetico, esaltando ogni forma, ogni curva. La bellezza di Atlas non stava tanto nella forma ovale nel viso, nel naso dritto e leggermente all’insù, o nelle labbra aggraziate, o nella piccola cicatrice che gli attraversava il sopracciglio sinistro, ma nell’aura ammaliatrice che emanava, negli sguardi intensi e vivi che ti rivolgeva. E con quei capelli scarmigliati e sbarazzini dalle ciocche color del fuoco, e il cristallo al collo, e il mantello e quello… sguardo era perfettamente normale che attirasse l’attenzione della gente, specie del gentil sesso. E Lucy si sentì soverchiata da quegli sguardi goliardici e stupiti e dai loro sussurri, e quasi si sentì fuori posto a camminare affianco a lui… finché Atlas non le afferrò la mano, e iniziò improvvisamente a correre, trascinandosela dietro esattamente come aveva fatto lei con lui quella stessa mattina. Solo quando furono usciti dal fulcro della zona commerciale, approdando in quella parte di periferia vicino al loro appartamento e alla gilda, che Atlas fermò quella corsa forsennata, e riprese a camminare normalmente. Lucy, che ancora gli teneva la mano, era senza fiato.
-E ora perché, all’improvviso… - annaspò -Hai iniziato a correre come un razzo? –
Con un leggero fiatone, le rispose: -La gente… mi stava mettendo inquietudine. Amo gli sguardi delle belle donne, ma non quando mi fissano così. È troppo anche per me. – concluse con una smorfia.
Lucy, osservandolo divertita e sollevata, stava pensando a quanto fosse buffo e singolare che entrambi si fossero sentiti inquieti nello stesso istante, quando si accorse che, di nuovo, erano ancora mano nella mano. Mollò la presa, schiarendosi la gola, meravigliandosi di quanto si fosse sentita a suo agio in un gesto per lei così intimo e imbarazzante.
-Bene, ora conviene affrettarci per andare in gilda. – sentenziò, incamminandosi impettita. Guardandosi la mano che aveva stretto quella della maga, Atlas sorrise leggermente, e la raggiunse.

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Stavano proseguendo la loro camminata verso la gilda, quando, per pura casualità (o almeno così credeva Lucy), finirono davanti alla pasticceria che soccorsero l’altra sera. In realtà, era stato Atlas a guidarli appositamente lì, non appena l’odore di bruciato che ancora si percepiva lievemente nell’aria gli accarezzò le narici. Quando poi, poco dopo, aveva udito il rumore di travi di legno battute, metallo stridente e chiodi fissati, gli affiorò nella mente l’immagine della pasticceria e decise di andare a controllare, con Lucy al seguito. Una volta arrivati sul posto, notarono anche il proprietario, che stava sorvegliando i lavori con il nuovo progetto in mano. Sentendosi osservato, il paffuto signore dai grigi baffi ridenti si voltò nella loro direzione e riconoscendoli, fece loro il gesto di avvicinarsi. Incuriositi, i due raggiunsero il signore e conversarono con lui sull’andamento dei lavori di ricostruzione alla pasticceria.
-Giovanotti, speravo proprio di rincontrarvi, volevo ringraziarvi di cuore per il vostro aiuto, quella sera! – affermò infine il signore, e mentre i due ribattevano che avevano solo fatto quello che era stato giusto fare, il pasticcere tirò fuori una pergamena tenuta arrotolata da un sottile nastro rosso.
-Questo è un invito speciale alla festa di riapertura del prossimo weekend per voi e per i vostri amici, vi prego di accettarlo come segno di gratitudine da parte mia. – disse, porgendo il rotolo di carta a Lucy, che non sentendosela di rifiutare l’accettò riconoscente.
-Sappiate anche che vi aspetterà una bella sorpresa, se deciderete di venire, e io lo spero tanto! – aggiunse il pasticcere ridendo, facendo loro l’occhiolino.
-Le siamo veramente riconoscenti per la vostra gentilezza, accettare il vostro invito è per noi un enorme piacere. – disse Atlas con un lieve inchino, dimostrando tutta la sua galanteria. Il signore, sorridendo, agitò le mani in un gesto di imbarazzo.
-Il piacere è tutto mio, giovanotto! – rispose l’altro, lisciandosi i baffi.
Notando che si stava facendo troppo tardi, i due infine si congedarono dal generoso signore, non senza aver espresso di nuovo la loro riconoscenza per quel pensiero inatteso. Poco dopo che Atlas e Lucy si erano avviati a passo svelto verso la gilda, il signore gridò loro, agitando la mano: -Vi aspetto giovanotti, ci conto! – mentre i due, a poco a poco, diventavano due macchie indistinte nel dipinto di luce disegnato dal sole.

§ § § § §

Quando Lucy arrivò alla gilda, aveva di nuovo il fiatone. Preoccupata e ansiosa di fare ancora più tardi di quanto già non fosse per partire insieme agli altri per la missione, la maga si era messa a correre più svelta che poteva, con Atlas alle calcagna. Una parte di lei lo invidiava per il suo fisico, perché nonostante quella corsa forsennata non sembrava minimamente provato, di certo non quanto lo era lei in quel momento. E mentre varcavano insieme il portone della gilda, si chiese se non fosse il caso di cominciare ad allenarsi seriamente per aumentare il suo pessimo livello di stamina.
-Lucy, hai mai pensato di fare esercizio fisico? Mi fa quasi pena vederti così. – proruppe infatti Atlas dopo averla osservata, allarmato dal fiato ansimante della giovane.
-Stavo pensando la stessa cosa… - ansimò lei, colta improvvisamente dalla sensazione di essere osservati.
Si stava infatti verificando lo stesso fenomeno che avevano vissuto poco prima, in città. Decine di facce che la fissavano stupite e perplesse, e che soprattutto fissavano Atlas, vestito di una luce completamente nuova rispetto al suo aspetto trasandato e quasi grottesco dei giorni precedenti. Per non parlare dello sguardo affascinato delle ragazze, poi.
Anche ad Atlas non era sfuggito tutto ciò, ma sebbene fosse lusingato dagli sguardi delle fanciulle, preferiva non farci troppo caso. Dovette inoltre riconoscere che, almeno, in gilda non gli stavano rivolgendo le solite occhiate torve e diffidenti alle quali si era quasi abituato a ricevere. Eccezion fatta per Natsu, ovviamente.
Il rosato infatti li stava guardando con espressione imbronciata ai tavoli vicino al bancone del bar dove c’era Mirajane, insieme a Erza, Happy, Gray, Wendy e Carla. E più i due si avvicinavano a loro, più lui si sentiva di malumore, poiché i fatti di quella mattina lo stavano torturando ripetendosi nella sua testa come un vecchio disco rotto. Allora Natsu non lo sapeva con certezza, ma quell’episodio sarebbe stata la prima crepa di un muro insormontabile, del quale nemmeno era a conoscenza, dietro al quale era nascosta una delle sue paure più grandi: perdere Lucy. Natsu, in fondo al cuore, temeva tremendamente che le cose tra loro cambiassero inaspettatamente, come un proiettile inatteso sparato al petto, e aveva tanta paura che la maga si allontanasse da lui, sempre di più, sempre più impercettibilmente, finché un giorno non si sarebbe svegliato in un letto dalle lenzuola fredde e non l’avesse più trovata al suo fianco, solo con quel freddo, solo con quel vuoto terribile. Come era successo con Lisanna anni fa, come era successo con Igneel, quel lontano giorno della sua infanzia. Era una sensazione che non sopportava e che non voleva più provare. Specialmente non con Lucy, che gli era letteralmente piombata dal cielo come un raggio di sole in una giornata uggioso.
No, non voleva che gliela portassero via. Niente e nessuno gliel’avrebbe portata via.
-Lucy, sei arrivata finalmente! – volò ad abbracciarla Happy.
-Ci eravamo quasi rassegnati a perdere il prossimo treno…- sospirò sollevata Erza.
-Già… scusate il ritardo ragazzi. – sorrise loro Lucy, con aria dispiaciuta. Si voltò turbata verso Natsu e lo guardò dritto negli occhi, pronta a scusarsi con lui, ma non appena le parole le furono sulla punta della lingua, pronte a spiccare il volo, il rosato sciolse il contatto visivo girando il volto da un’altra parte. Lucy provò una fitta al cuore, e sentì il proprio stomaco agitarsi all’assaggio di un tenue sapore di paura.
-A proposito di missione ragazzi, devo informarvi di una cosa…- esordì Erza, lanciando un’occhiata eloquente verso Atlas. Il team seguì il suo sguardo, per poi ritornare a guardare Erza con un’espressione perplessa e allo stesso tempo incuriosita.
Frattanto, l’ignaro Atlas era al bancone da Mirajane per chiedere un drink.
-Ollalà Atlas, questa nuova veste ti dona, sai? – esclamò con la sua solita spensieratezza la diavolessa, portandosi una mano sulla guancia e osservandolo compiaciuta.
-Purtroppo me ne sono accorto… - le rispose Atlas, indicando con una mano le ragazze alle spalle che cinguettando tra loro continuavano a fissarlo incantate. Mirajane rise.
-Ah, la gioventù… - sospirò teatralmente, mentre gli versava il suo solito bloodymary. Atlas, non aspettando altro, tracannò un bel sorso.
-Guarda che anche tu sei ancora giovane… - precisò poi lui, umettandosi le labbra con gusto.
-Ma tra poco non lo sarò più! – si lamentò fingendosi imbronciata -E nessun uomo mi vorrà! – continuò, ma i suoi occhi sembravano distaccati, spenti, fuggivano da ombre maligne che la inseguivano da anni, incessantemente, con il proposito di divorarla, di sopprimerla.
Atlas, che in quell’istante stava giocando con il drink, posò il mento sul dorso della mano e guardò assorto la diavolessa. Vedendolo guardarla intensamente, uno strano brivido le corse lungo la schiena. Seguì un attimo di silenzio che parve lungo quanto un’ora, dove ognuno dei due si fissava dritto negli occhi, giocando a nascondersi l’uno dall’altra.
-Coraggio Mirajane, la maschera con me non funziona. – proruppe lui con tono sommesso. La maga sembrò intrigata, e si chinò verso di lui, mezza distesa sul bancone di legno, gli occhi ancora incatenati ai suoi.
-Vedo che abbiamo un esperto di maschere. – canticchiò pericolosa. Negli occhi luccicava una malizia da predatrice. Atlas, però, non si scompose, e anzi, avvicinò il volto al suo, trovandosi a un centimetro dal naso della ragazza.
-È davvero un peccato che tu abbia scelto di giocare una parte così frivola… io vedo che sei molto meglio di così. – le disse, soffiandole il proprio respiro sulle labbra carnose di lei, che si irrigidì impercettibilmente. Approfittando di quell’attimo di perplessità e sorpresa di Mirajane, le accostò il volto all’orecchio in un gesto fluido.
-Da cosa ti nascondi, Mira? Di cosa hai paura?– le sussurrò con una carezza della sua voce bassa. La ragazza, sentendosi accarezzata in un punto vivo, una ferita sanguinante e non ancora rimarginata, si scostò di scatto dal banco, con il cuore che le martellava nel petto. Stavolta, non lo guardava. Aveva le gote leggermente arrossate e si scostò una ciocca di capelli bianchi dietro l’orecchio, in un segno di disagio. Nessuno, nessuno si era mai accorto del passato che aveva deciso di coprire, di quella parte di sé stessa che aveva deciso di rinchiudere. Nessuno, aveva mai sondato oltre quel velo che l’aveva nascosta così bene. E ora, sotto lo sguardo di Atlas, avvolta dalle sue parole, si sentiva nuda per la prima volta.
“Noi maghi di Fairy Tail… tutti… portiamo qualcosa. Ferite, dolore, sofferenza…” così aveva detto a Lucy, anni fa. Ed era la verità per ciascuno di loro.
Atlas, ovviamente, la stava ancora osservando, e preso da un leggero senso di colpa, si concentrò di nuovo sul colore del suo bloodymary, sul suo sapore e il bruciore che lo sfiorava scendendo giù nel suo stomaco. Sapeva che l’aveva aggredita, che aveva forzato troppo presto una porta che non avrebbe dovuto ancora aprire, ma aveva sentito il bisogno improvviso di farla desistere, di farle capire che portare delle maschere non significa altro che portare altre, nuove sofferenze. Il resto è tutto un’illusione. L’aveva capito fin da subito, che lei ne portava una, e lo sapeva bene perché ne portava una anche lui, e ogni giorno si era fatta sempre più pesante e sempre più difficile da togliere, perché si fonde come metallo sulla pelle della tua anima, fino a non staccarsi più. Farci troppo affidamento equivale ad una condanna. E sia lui che Mirajane si erano già condannati.
-Mira… - la chiamò, con un tono dolce che non usava da tempo, e che gli suonò strano alle sue stesse orecchie. Dopo un istante di esitazione simulato da bicchieri lavati e asciugati, la maga si decise a guardarlo.
-Scusami. – le disse, semplicemente, con una sincerità che la lasciò disarmata. Gli sorrise mesta.
-Tranquillo, va tutto bene. – gli disse, per poi aggiungere, scherzando -Anche se quando fai così fai davvero paura! – Atlas ridacchiò.
-A volte mi chiedo se mettere paura è diventata un’abitudine o se sia un’estensione del mio sadismo. – disse, parlando più con sé stesso che con Mira. Stava sorseggiando ancora il suo drink, quando sentì una mano posarsi sulla sua spalla. Voltandosi, il suo viso incontrò quello di Erza.
-Seguimi. – gli disse, semplicemente, con voce ferma che non ammetteva obiezioni. Atlas obbedì senza fiatare, e la seguì al tavolo dove sedevano gli altri, con ancora il drink in mano. Senza volerlo, le sue iridi si posarono su Lucy, e con una piccola fitta al cuore vide un velo di tristezza e sofferenza nel suo sguardo. Evidentemente Natsu era ancora arrabbiato con lei. Sapeva di non poterlo biasimare, e perfino comprendeva almeno un po’ lo stato d’animo del rosato, ma ebbe ugualmente la voglia di mollargli un bel destro per la sua cocciutaggine. Bastava una sola occhiata per capire che la maga era terribilmente dispiaciuta.
Una volta giunti al tavolo, Atlas evitò di sedersi affianco a Lucy, per non metterla ancora più nei guai con il Dragon Slayer, e si sedette vicino a Wendy, che sembrò trovarsi a disagio.
-Sono tutto orecchi, Erza. – disse, incitandola a parlare con un gesto del bicchiere. Bevve un altro sorso.
-Questa mattina, come credo saprai, dovevamo partire per una missione…- esordì lei.
-E? –
-La missione consiste nell’eliminare un demone che sta sterminando la popolazione di un villaggio vicino la costa, in particolare le donne. Prima che tu e Lucy arrivaste mi è giunta la notizia che questo demone ha un legame con una gilda oscura stabilitasi recentemente in zona, e si è scoperto che questa gilda oscura ha dei contatti con Gacrux… le persone che stai cercando… – spiegò la maga. Atlas, sentendosi l’eccitazione e la rabbia e la sete di vendetta danzargli nel petto come uno sciame di api, la scrutò attentamente, aspettando con impazienza che la maga proseguisse con ciò che voleva dire.
-Quindi stavamo pensando di proporti di unirti a noi e venire anche tu in missione. – concluse Titania. Al pensiero di acciuffare finalmente qualcuno di Gracrux e di scoprire qualcosa di più, Atlas sorrise smanioso, con una luce folle negli occhi che suscitò negli altri i peggiori scenari possibili..
-Non vedo l’ora. – disse.
-Ed ecco ora il team più improbabile della storia della gilda. – commentò con sarcasmo Gray, rivolgendo un’occhiata eloquente a Lucy, che ridacchiò a disagio. Al contrario degli altri, lei aveva avuto modo di passare più tempo con Atlas, e pertanto non gli serbava la stessa diffidenza che ancora provavano i compagni nei suoi confronti. Anche se, notò con un certo sollievo, con il salvataggio di Asuka e Romeo, la confessione e l’incendio in pasticceria, l’aura di ostilità nei confronti di Atlas si era notevolmente dissipata. Tuttavia, quello che era successo al porto li lasciò sconvolti ed era impossibile per loro dimenticare un fattaccio simile. Ad esempio, Lucy non ci pensava troppo perché sperava con tutto il cuore, anzi, sentiva che, se Atlas avesse potuto, avrebbe evitato di uccidere così tante persone. Ci doveva essere qualcosa che l’avesse condizionato. E quella pietra oscura, che seguitava a balenarle in mente, e continuava a darle sinistre sensazioni…chissà se, con quella missione, si sarebbe rivelato qualcosa di più? Ma in quel momento, c’era qualcos’altro di cui Lucy si doveva occupare, e qual “qualcos’altro” era un ragazzo dai capelli rosa che se ne stava seduto a gambe incrociate di fronte a lei, con un’espressione imbronciata e sofferente. Avrebbe voluto andare subito a parlargli, ma non riusciva a trovare una scusa che non destasse l’attenzione degli altri. Istintivamente spostò lo sguardo verso Atlas, che era impegnato a discutere con Erza, Wendy e Gray del percorso che avrebbero dovuto fare per arrivare al villaggio e altri dettagli che in quel momento ignorava.
Forse, pensò, avrebbe potuto chiedere aiuto a lui, che sapeva cosa era successo. E poi, le parole incredibilmente gentili che le aveva rivolto, da persona matura e comprensiva, le avevano ispirato una fiducia tale da spingerla a convincersi che Atlas avrebbe potuto aiutarla a fare la pace con Natsu.
E fu proprio così, grazie a quei momenti brevi e inaspettati come lo zampillo di una fontana, che nei giorni successivi il legame, tra i due, si fece sempre più forte.
 
 
 
 

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Capitolo 8
*** In viaggio ***


In viaggio


Il sole del tardo pomeriggio splendeva ancora trionfante su quella tela dalle sfumature azzurre che era il cielo, macchiata qui e là da schizzi di qualche nuvola bianca. Allontanatisi dalla più vicina stazione dei treni, il gruppo di maghi procedeva il suo cammino con tranquillità, ma stando alla mappa e ai calcoli di Erza, erano ancora lontani dalla loro meta.
-Erza, quanto pensi mancherà ancora? – le chiese infatti Wendy, notando che la maga stava scrutando assorta la mappa di fronte a sé.
-Almeno altri due giorni, credo. Il viaggio è abbastanza lungo. – le rispose, fermandosi con il suo solito enorme carro carico di bagagli, e invitandola con lo sguardo a osservare anche lei la pergamena che stava tenendo in mano.
-Vedi, per prima cosa dovremo attraversare il bosco, e poi il fiume, e proseguire dritti verso la costa. – le spiegò, tracciando con il dito il percorso mano a mano che parlava. -Il villaggio di Ypso dovrebbe trovarsi proprio su questa parte della penisola, in questo punto della costa. – le mostrò.
-Caspita, è veramente lontano dalla città dove siamo partiti. – disse Wendy, impressionata. Erza annuì.
-Già, vivono completamente isolati. – disse in tono grave, riprendendo a camminare. -La vita deve essere abbastanza dura per loro, laggiù. –
Wendy sospirò -Spero per loro che almeno riusciremo a finire in fretta questa missione... -
Nel frattempo, alla coda del gruppo, una chioma bionda e una bionda e scarlatta procedevano l'una affianco all'altra, in un'atmosfera cospiratoria. Un paio di occhi color cioccolato guizzavano ansiosi da una chioma ribelle di capelli rosa a due iridi scarlatte che la fissavano curiosi e pazienti, mentre si avvicinavano al limitare del bosco.
-Lucy, sei nervosa come un grazioso topino nella tana del serpente. Avanti, che cosa mi vuoi dire? – le sussurrarono le due labbra rosee della persona che le stava camminando accanto. La maga improvvisamente smise di fissare il ragazzo-drago che aveva avanti a sé per guardare con nervosismo la rozza strada di campagna che stavano percorrendo i suoi stessi piedi.
-N-non so come fare pace con Natsu. – confessò con imbarazzo.
-E? – la incitò Atlas socchiudendo gli occhi, con un lieve sorriso sprezzante.
-Potresti aiutarmi? – gli chiese con tono supplichevole, volgendosi finalmente a guardarlo di nuovo negli occhi. L'espressione innocente e adorabile e quasi sofferente che aveva indosso in quel momento provocò dei flash inaspettati nella mente di Atlas, flash che comprendevano un letto, un cielo notturno, lenzuola sfatte e la stessa Lucy, sotto di lui. Strinse i pugni con forza, conficcando le unghie nella carne, cercando di soffocare all'istante quelle immagini, di sicuro opera della sete di Asmodeus. Finse di soppesare la richiesta della maga.
-Non saprei, magari se mi dessi qualcosa in cambio... - disse con aria pensierosa, lasciando cadere a metà la frase.
-E che cosa vorresti avere? – chiese accorta Lucy, e Atlas dovette trattenersi dal ridere al fatto che la maga lo stava prendendo davvero sul serio.
-Mah... - esordì con noncuranza, per poi fissarle intenzionalmente le labbra con trasporto, facendola arrossire lievemente -Magari concedendomi un bel bacio. Con lingua, s'intende. – disse, e la guardò nuovamente negli occhi. Vide un lampo di indignazione negli occhi di Lucy, che stava aprendo bocca per sbraitargli contro, quando lui le mise tempestivamente un dito sulle labbra, facendola irrigidire per la sorpresa.
-Buona, stavo scherzando. – le disse ridacchiando -Ti aiuterò, non devi darmi niente in cambio. – proseguì, togliendo il dito. -Anche se pure un bacio casto non mi sarebbe dispiaciuto. – confessò infine facendole l'occhiolino.
Lucy, camminando su un filo sottile tra imbarazzo e gratitudine, in bilico sopra un piacere femminile (il piacere di essere corteggiata così spudoratamente da un uomo carismatico) che non avrebbe mai ammesso, lo guardò con sdegno -T-tu... tu...! – balbettò, puntandogli il dito addosso. Atlas alzò un sopracciglio, osservandola divertito.
-Io cosa? – le chiese, abbassandosi leggermente per avvicinare il viso al suo -Sto semplicemente mostrando la mia gentilezza verso una donna che mi piace e che penso sia bellissima, cosa c'è di male? – continuò innocente, con una venatura di malizia. E in quel momento, prima che potesse ribellarsi ai complimenti spudorati del ragazzo, Lucy fu catturata dai due rubini che le stavano davanti, incorniciati dalle numerose ciocche bionde e scarlatte, e cento piccole sfumature di rosso si rivelarono ancora una volta di fronte a lei, ammaliandola come il canto delle sirene. Se fossero stati una tavola di colori, si disse che con quelli avrebbe potuto dipingere uno splendido tramonto.
Il cuore di Lucy, che già cantava a squarciagola nel suo petto per quella vicinanza con il ragazzo e i suoi occhi che tanto le piacevano, a quelle parole batté così forte che le parve di non riuscire a respirare. Quasi spaventata da quelle sensazioni così forti, si scostò di un passo indietro, completamente arrossita.
"Cuore mio, perché devi fare così proprio davanti a lui?!" pensò disperata e confusa. Non è che non fosse abituata ai corteggiamenti dei ragazzi e ai loro complimenti (ne aveva avuti a centinaia), ma erano pochi i ragazzi che riuscivano a suscitarle un tale effetto, e non ci era affatto abituata. E l'alchimia, quell'alchimia stranissima che aveva con lui, che si avvicinava a quella che aveva con Natsu.
Atlas, ovviamente, si era accorto di tutto e stava godendo di quella visione come quella volta che aveva sgraffignato della cioccolata dalle cucine del castello e nessuno si era accorto che era stato lui.
-Atlas scemo, sei sempre il solito don Giovanni! – gli sbottò infine arrabbiata e scossa dal nervosismo, trattenendo la voce per non farsi sentire dagli altri. Atlas sgranò gli occhi, per la prima volta senza parole dallo stupore.
-Don Giovanni, hai detto? – ripeté con un accenno di irritazione, non credendo alle proprie orecchie. Una parte della sua coscienza materializzò in un istante l'immagine di Alhena che annuiva concorde alle parole di Lucy. E ciò lo irritò ancora di più.
Perché in fondo, non aveva tutti i torti.
-Sì, don Giovanni! – affermò lei riavvicinandosi con aria di sfida, così da trovarsi di nuovo faccia a faccia con lui. I due si ritrovarono circondati da un silenzio denso, guardandosi in cagnesco, pronti sul piede di guerra.
-Avanti, fate i bravi voi due...- commentò Gray, che aveva sentito vagamente il battibecco, voltandosi indietro verso di loro.
Nel guardarlo d'un tratto increduli, gli occhi di Lucy incontrarono per un momento quelli velati da rabbia e tristezza di Natsu, finché essi non sfuggirono per nascondersi di nuovo lontano dai suoi.
"Natsu guardami. Guardami, ti prego, parlami!" pensava, pregandolo angosciata, ignara della scoperta di nuove paure, paure mai scovate, che il rosato stava affrontando.
In quel breve istante Lucy sentì un enorme groppo in gola, e la rabbia, la confusione e l'ombra dell'incanto di Atlas scemò come sabbia al vento. Natsu. Doveva fare la pace con Natsu, adesso. Si voltò di scatto verso un Atlas dall'umore leggermente storto, guardandolo con un'espressione ansiosa.
-Atlas, ti prego, aiutami, cosa faccio? –
Atlas sospirò guardandola esasperato. Non c'era niente di più stressante dell'aiutare due amici, innamorati, ma non dichiarati, a fare la pace per una piccola e insulsa scenata di gelosia di uno dei due.
"Innamorati, eh..." pensò, con una punta di invidia. Una parte di lui non poté fare a meno di sperare ardentemente che non fosse così, e se ne chiese il motivo. Vedeva la risposta, da qualche parte dentro di lui, ma era una scia di gocce rosso sangue che portava in un oblio oscuro, vorticante tra ricordi traumatici e verità non ancora svelate. Scorgeva la risposta, lì in mezzo, ma non la voleva vedere, perché sentiva che l'avrebbe sconvolto profondamente.
Il suo più profondo desiderio non era nient'altro che amare, ed essere amato.
E quello stesso desiderio, era ora divenuto il suo più grande terrore. Trasfigurato, distorto. Come gli alberi della foresta nel buio tetro della notte. Come il suo corpo, percosso dagli esperimenti, quando gli era stato trapiantato il frammento oscuro. Come il volto della madre, quando una notte lontana gli aveva urlato di scappare dal suo carnefice. Distorto, trasfigurato, come aveva visto il suo stesso riflesso, le sue stesse mani, la prima volta che aveva ucciso un uomo.
Stravolto, trasmutato, come l'uomo che lui stesso era diventato.
§ § § § §

Camminando incantato nel verde della foresta, Atlas non poté fare a meno di pensare per l'ennesima volta quanto quel mondo, sebbene simile in certi aspetti, fosse diverso rispetto alla sua terra, Astral. Non aveva mai visto, ad esempio, il bosco così luminoso, tanto da apparirgli accogliente, più della taverna di Yvonne (il bordello era al piano di sopra dello stabile) al quale era solito andare la sera. Di fronte a sé danzavano e si rincorrevano mille sfumature di verdi, graziati dalla luce del sole che si faceva strada tra le chiome degli alberi. Verdi del tutto diversi da quelli che vedeva al bagliore dei raggi delle due lune di Astral: enigmatici, surreali. Per non parlare poi dei fiori, o dei funghi, o dell'oro lucente venato da sfumature di marrone della resina degli alberi. Non aveva mai visto il bosco brillare di così tanti colori, né lo aveva mai visto così multiforme: alberi, piante e piccoli arbusti mai visti prima si mostravano a lui nel vigore che la natura può avere in dono solo l'estate, dopo la rinascita in primavera. Per lui, che veniva da un luogo di luci fredde ed ombre, un panorama stregato ed impenetrabile, quello era uno spettacolo di vita che mozzava il fiato.
Purtroppo per lui, c'erano delle ragioni che lo stavano trattenendo dall'inoltrarsi in avanscoperta come avrebbe voluto. La prima, l'orgoglio: mai e poi mai, pensò, si sarebbe fatto vedere così genuinamente eccitato e meravigliato di fronte al gruppo di nuovi compagni. Per loro era un generale e un ragazzo antipatico, insolente, e maturo all'occorrenza, e così doveva restare. La seconda: Lucy. Doveva riappacificarsi con quella testa calda di Natsu, e lei gli aveva appena chiesto di darle una mano. Ma come? Cosa avrebbe potuto fare lui? Questo era il dilemma. Gli vennero i brividi al pensare di dover fare la parte della fata turchina tra i due quasi-morosi, e avvertì una certa repulsione alla possibilità di dover parlare con il rosato. Ma aveva detto a Lucy che l'avrebbe aiutata, e senza il bacio ricompensa per giunta. Si era incastrato da solo con le sue stesse mani ormai e non poteva più tirarsi indietro.
Con aria arresa, spostò il proprio sguardo da Natsu a Lucy, e viceversa.
"Che scocciatura..." pensò infastidito. Poi però indugiò nel guardare la figura di Lucy, che in quel momento stava chiacchierando più avanti con Wendy. E il bisogno di aiutarla e di prendersene cura lo prese di nuovo alla bocca dello stomaco. Grugnì, e fu preso dal desiderio di sfogare il suo malumore su qualcosa, o meglio, qualcuno. Puntò Gray e Natsu, che stavano battibeccando vivacemente come al loro solito, e corse verso di loro, gettandosi alle loro spalle e cingendo loro il collo con le braccia, facendoli trasalire per la sorpresa.
-Su, su ragazzuoli, non è bene litigare! – disse fingendo un tono allegro -Non avevi forse detto anche tu così? – chiese rivolgendosi poi a Gray. I ragazzi allarmati tentarono di liberarsi dalla stretta, quasi inorriditi, ma le braccia di Atlas erano ancorate saldamente alle loro spalle.
-Ah, i giovani d'oggi, come sono irrequieti! – sospirò, ora divertito dalla loro reazione. Per indispettirli ancora di più, aumentò la stretta, quasi abbracciandoli. I due ragazzi si dimenarono con più foga, e Atlas se la stava spassando.
-Fai quello che vuoi di quel ghiacciolo, ma lasciami andare, razza di demone, figlio del demonio! – esclamò con un certo fervore Natsu, arpionandogli un braccio per liberarsi da lui. Le ultime parole del rosato echeggiarono come sussurri sinistri nella mente di Atlas. La pietra al petto pulsò, e le voci emersero come centinaia di occhi rossi in una nebbia notturna con un cielo senza luna.
"Figlio del demonio, demone..."
Non era, forse... la verità?
Ma certo che lo era.
Eppure... era così evidente? Così lampante anche agli occhi di un ingenuo? E il pensiero che, con gli anni, avesse potuto ottenere anche l'aspetto di un demone, di un mostro, lo lasciò tramortito. Come sarebbe apparso in futuro agli occhi delle persone? Sarebbe diventato sempre più... mostro? 
Improvvisamente, il divertimento, il malumore e ogni altra emozione in lui svanì, come tagliate da un colpo di falce, o portate via da un forte vento, verso l'abisso. Le acque scure che si dimenavano in lui da tempo immemore rimbombarono nelle sue orecchie e in tutto il suo essere. Senza dire una parola, allentò la presa e lasciò andare i due giovani maghi, che si voltarono verso di lui, indispettiti, con uno sguardo di rimprovero che li animava. Tuttavia, il cipiglio sui loro volti si fece incerto, fino a dissiparsi, quando videro l'espressione degli occhi e del volto di Atlas. Sembrava... assente. Un essere che proveniva dall'altro mondo. Lo sguardo, ora tenuto basso, era privo di vita, un'ombra. Lo videro tirarsi su il cappuccio del mantello, esibendo un sorriso che li confuse. Pareva tutt'altro che allegro, o vero. E quando li guardò, mentre si incamminava, Natsu e Gray si sentirono colti da un brivido. Perso nel traboccante stato di vuoto in cui in quel momento annegava, colse solo in maniera sfocata e sfuggente la perplessità dei due compagni. Con una mano, si tirò ancora più giù il lembo del cappuccio.
-Troppa luce. Mi dà fastidio. – disse loro semplicemente, come a scusarsi, con voce inespressiva.
Una volta che li ebbe superati, il moro e il rosato continuarono a fissarlo increduli, e dopo essersi scambiati un'occhiata confusa, si accinsero a raggiungere le ragazze.
Lucy, Erza e Wendy, con Happy e Carla in volo sopra di loro, si erano fermate poco più avanti, assistendo incuriosite al nuovo siparietto dei tre. Quando Atlas, ora incappucciato, le raggiunse, Lucy si sentì colta da una sensazione sgradevole. Intuì che qualcosa di spiacevole era accaduto, e nel momento in cui il ragazzo si voltò non appena sentì Lucy chiamarlo, la ragazza ne ebbe la conferma. L'ultima volta che lo aveva visto così perso, assente, anche se stava facendo di tutto per non darlo a vedere, era stato al porto di Hurgeon. E quella volta fu per un istante.
Era inanime. Un corpo oscuro che cammina come fosse un burattino. E quell'impressione le fece paura.
-Come mai ti sei tirato su il cappuccio? È abbastanza ombreggiato qui.- gli chiese cauta. Il ragazzo sorrise impercettibilmente, conscio di essere osservato dalle maghe. Il gruppo, intanto, riprese a camminare.
-Stare a lungo sotto tutta questa luce è troppo per me. Forse ho sforzato i miei occhi più del dovuto ultimamente. – si giustificò con tono basso. E in parte era vero. Ma la realtà era che con quel gesto sperava di far capire agli altri la volontà restare un po' da solo per riprendersi dai suoi stessi pensieri. Purtroppo il suo intento fu vano, in quanto quelle parole accesero la curiosità in Lucy come in Erza e in Wendy.
-Perché, ad Astral non siete abituati alla luce? – chiese infatti Titania, abbastanza stupita, ignara dell'atmosfera attorno al nuovo arrivato. Atlas la scrutò un attimo, indeciso se parlare o meno. Non ne aveva molta voglia in quel momento, e il senso di protezione lo rendeva nervoso a parlare a degli stranieri della sua terra natia, ma erano alleati dopotutto, e dovevano pur costruire un legame di fiducia, fondamentale per la riuscita della missione.
-No, non proprio. Non siamo abituati a luci così forti, ecco. – rispose restio, mentre gli altri continuavano a guardarlo incuriositi, Gray e Natsu compresi. Sembravano un gruppo di bambini che si riuniscono attorno a un cantastorie, nella trepidante attesa di una nuova storia mai udita.
-In che senso? – lo premette infatti Wendy, per niente soddisfatta della risposta del giovane. Atlas sospirò leggermente, stanco e irritato da tutta quell'attenzione che lo punzecchiava in un momento dove ne avrebbe fatto volentieri a meno. In altre circostanze, una situazione del genere l'avrebbe divertito. Li avrebbe presi in giro uno ad uno, confondendoli tra i poli della menzogna e della verità.
-Non esiste il sole. – disse infine, rassegnato. I suoi compagni di viaggio lo guardarono perplessi.
-Cosa? – proruppe interdetta Lucy, facendosi portavoce dei pensieri dei suoi nakama.
-Ad Astral. – chiarì Atlas, cercando di scandire le parole -Il sole. Non esiste. –
Calò il silenzio sul gruppo, che cercava di metabolizzare la sconcertante notizia. Quella che seguì fu una scena che fece sbuffare Atlas a suo malgrado, leggermente divertito. Vide le sue parole farsi strada nei pensieri dei compagni, mordere voracemente la loro conoscenza del mondo e dei suoi ritmi, sedurre la loro curiosità e fantasia. Il risultato di questo processo erano le loro facce scioccate e meravigliate, ognuna buffa a suo modo. Se non altro, lo stavano distraendo eccellentemente dal suo umore tutt'altro che allegro, e quasi gliene fu grato. Quasi.
-Ma se non avete il sole, allora cosa avete? – chiese a quel punto Gray, cedendo così alla sua stessa curiosità.
-Beh... - tentò di rispondere, ma Lucy lo interruppe.
-Hai detto che non siete abituati a una luce troppo forte, quindi dev'esserci qualcosa che sostituisce il sole. Una luna, magari? – parlò frettolosamente e con foga, presa dalle sue riflessioni. Atlas la guardò esterrefatto. Come aveva fatto a dedurlo così velocemente?
-Sì... - disse, ancora colpito dal ragionamento di Lucy -A dire la verità, non abbiamo proprio una luna ad Astral. Ne abbiamo due. – precisò.
-Due lune?! – esclamò il gruppo in coro, stupiti. Natsu compreso. Volente o meno, anche il dragon slayer si era fatto trascinare dal fascino esotico di un altro mondo.
Atlas annuì. -Le abbiamo chiamate Gomeisa e Pleione. E dominano il nostro cielo dalla notte dei tempi, ruotando attorno al nostro pianeta. – raccontò, incredibilmente e contrariamente a tutte le sue aspettative, sempre più preso e orgoglioso di parlare del suo mondo d'origine.
"E pensare che Loki lo disprezza così tanto..." si ritrovò, improvvisamente e senza volerlo, a pensare, colmo di rabbia e pena per quell'uomo che da piccolo gli aveva insegnato ogni cosa del loro amato mondo, stregandolo con i suoi insegnamenti insieme a suo padre.
-Quindi, riuscite a vedere ben due lune nel cielo? E ci sono sempre? – chiese attonita Erza. Atlas scosse la testa.
-Non sempre. I loro moti di rivoluzione sono diversi, e per fortuna direi, altrimenti non avremmo alcuna fonte naturale di luce. – spiegò, mentre le facce di Gray e Natsu si facevano sempre più confuse e intontite -Gomeisa ci impiega dieci giorni per completare un giro, Pleione invece ci mette ventiquattro ore. Può capitare di vederle tutte e due in cielo nello stesso momento, o di vederle sovrapporsi l'una all'altra. Le veneriamo come se fossero dee in carne e ossa. -
-Ma Atlas...- proruppe allora Wendy, allarmata da un fiume di pensieri improvviso -Senza le lune, non avete luce? In... che senso? E poi come fate ad avere il giorno, se non avete il sole? –
-Non lo abbiamo infatti. O almeno non come lo conoscete qui. Nel mio mondo la notte è eterna, come le sue stelle. – disse, e nel pronunciare quelle ultime parole, il giovane guardò intenzionalmente Lucy, che si sentì ancora una volta in imbarazzo sotto il suo intenso sguardo. Tuttavia, la maga si sentì pervasa anche da un inaspettato senso di sollievo, perché l'Atlas che l'aveva tanto spaventata fino a qualche minuto fa si era completamente dissolto, lasciando l'Atlas presuntuoso, indisponente, anticonformista, e serio che stava imparando a conoscere e ad affezionarvisi. Ma ripensando alle parole appena pronunciate dal ragazzo, qualcosa la scosse.
-Notte eterna?! – esclamò infatti.
-Sì. Ad Astral è sempre notte, da tempo immemore. Non sappiamo nemmeno cos'è il giorno, per l'appunto. – confessò lui. Ripensò al giorno in cui giunse a Fiore, a quando aprì gli occhi la prima volta in un nuovo e sconosciuto mondo, dopo che era svenuto per non si sa quanto tempo. Si ritrovò a ridacchiare, e gli altri lo guardarono di nuovo perplessi.
-Ho vissuto una specie di trauma quando mi sono ritrovato qui a Fiore. Ho aperto gli occhi per trovarmi una "luna" dorata impossibile da guardare per quanto splende, e un cielo completamente diverso da quello che conoscevo. – rivelò.
Erza assunse un'espressione seria e comprensiva. -Capisco non sia stato affatto facile per te. –
-Specialmente dato che eri completamente solo... - aggiunse Gray.
-Non oso immaginare come mi sarei sentita al tuo posto, lontano da casa e in un mondo sconosciuto... – si aggregò Wendy. Atlas fece spallucce.
-Essere Generale ha i suoi vantaggi no? Ti tocca affrontare ogni tipo di situazione. Anche quelle come questa, per quanto assurde siano. – la confortò, arcuando leggermente le labbra all'insù.
-Immagino di sì...- disse lei, contraccambiandolo con un lieve sorriso.
Ma Lucy, in tutto ciò, aveva un'altra domanda che gli ronzava per la testa.
-Atlas, tempo fa mi avevi detto che ad Astral noi maghi degli Spiriti Stellari siamo come dèi. Che genere di legame avete con noi e gli Spiriti? – chiese infatti. A quella domanda il volto di Atlas si adombrò. Erano acque pericolose, quelle. Acque nelle quali Gracrux navigava a vele spiegate.
-La questione è delicata...- cercò di spiegare lui -Ma si dice che il nostro popolo sia discendente dei maghi degli Spiriti Stellari e di altra gente fuggita da una certa battaglia contro delle creature chiamate draghi. Molti dettagli non li conosco nemmeno io, si tratta di una storia di millenni fa. Di più non posso dirti. –
-Discendenti... dai maghi? Fuggiti da Earthland? – chiese Lucy scossa, non credendo alle proprie orecchie e portandosi una mano alla bocca, mentre sul gruppo calava un silenzio pregno di stupore -Come hanno fatto ad arrivare ad Astral? È assurdo! – Atlas rimase taciturno, conscio di non poter ancora rivelare ciò che lui era invece venuto a conoscenza: i portali, le origini di Gacrux e della sua dottrina. Dietro quella storia c'era la chiave dei problemi che stavano vivendo sia Astral che Earthland a causa di Gacrux, e mancavano ancora molti tasselli da ritrovare. Erano passati quasi otto anni da quando aveva abbandonato l'organizzazione, rompendo ogni contatto che aveva con essa e allo stesso tempo troncando l'unico modo che aveva per scoprire il nuovo folle piano di Loki.
-Una ragione c'è. Non è una storia insensata, specialmente alla luce di quello che ho passato e sto passando. Come pensi che sia finito qui, altrimenti? O Gacrux? È solo che... non posso dirvi di più. Non al momento almeno. – disse allora.
-Non puoi dircelo perché non ti fidi di noi, per caso? – gli chiese con una punta di irritazione Natsu, lanciandogli un'occhiata penetrante. Atlas alzò gli occhi al cielo e sospirò, invocando mentalmente una buona razione di pazienza per sopportare la dose di antipatia che si era guadagnato dal rosato.
-Non è che non mi fidi di te, o di voi, è solo che non mi pare questo il momento adatto per discuterne, e ho le mie buone ragioni per avere bisogno di più tempo per vederci chiaro. Se quando tornerà il Master ci saranno novità, o se riuscissi a scoprire qualche cosa di più che mi indichi una traccia da seguire, allora vi dirò di più. Farlo adesso non ha senso. Ti ricordo che in questo momento siamo in missione. Una missione che non ha a che fare con Gacrux, me o Astral. È proprio necessario parlarne ora? – spiegò con una certa enfasi.
Di fronte al ragionamento sensato del ragazzo, Natsu non poté fare altro che scuotere corrucciato la testa ed arrendersi alle sue parole. Nessuno di loro osò proferir altra parola.
Il gruppo procedette il suo cammino, e questa volta erano solo i loro propri pensieri, scossi e fecondi, a riecheggiare silenziosamente nella foresta.

§ § § § §

Sebbene l'immobilità fatata della foresta facesse pensare a qualsiasi viandante che anche il tempo si fosse fermato, come incastrato tra le fronde per effetto di una rete fatta d'incanto, in realtà la notte arrivò presto ad reclamare il suo dominio sul creato.
-Direi che è meglio fermarsi qui al momento. – sentenziò Erza, sistemando in un angolo il suo carro colmo di scrigni e valigie. Grazie all'olfatto e all'udito di Wendy (e anche all'aiuto di Happy e Carla), sensibili ai cambiamenti dell'etere, il gruppo si era avvicinato al corso di un ruscello che attraversava la foresta, imbattendosi poi fortunatamente in una piccola radura nelle sue prossimità. Era un posto perfetto per accamparsi.
-Era ora! Ho una fame pazzesca! – si lamentò Gray, massaggiandosi lo stomaco e la pancia con fare significativo.
-Allora ci servirà un fuoco per cucinare... - disse Wendy, fissando il centro di quella piccola radura.
-Per il fuoco ci penso io! – esclamò con un ghigno Natsu, battendo un pugno sul palmo della mano, come era solito fare quando si sentiva carico.
Lucy si lasciò andare in un sospiro estasiato alla prospettiva di un buon piatto caldo gustato di fronte al calore e alla luce di un fuoco che ti scaldava le membra provate dalla fatica. Fuoco che, con tutta la buona volontà di Natsu, non poteva però semplicemente bruciare di propria volontà.
-Visto che l'hai detto, perché allora non vai a procurare tu la legna? – enunciò Atlas, con gli occhi che gli luccicavano di una luce divertita, ma sinistra, manipolatrice -Lucy, che ne dici di accompagnarlo? –
Lucy, riscuotendosi dalla sua fantasia da campeggio, guardò perplessa e incuriosita Atlas, che con un movimento fulmineo delle pupille e uno quasi impercettibile del mento, le indicò Natsu, che stava poco lontano da lei. Si sentì confusa. Vedendo che la maga ancora non capiva il suo intento e che Natsu si stava facendo sospettoso per il silenzio dell'amica, ripeté quegli stessi gesti, con un'espressione quasi esasperata. Fu allora che Lucy capì.
In un attimo, Atlas le aveva procurato l'intimità che stava disperatamente cercando per parlare con Natsu.
-Oh! Sì, certo! – esclamò infine trillando, trattenendosi dal correre ad abbracciare Atlas per ringraziarlo. Corse invece da Natsu e lo prese per il braccio, lasciandolo meravigliosamente attonito -Andiamo, Natsu! – gli disse sorridendogli con entusiasmo, trascinandoselo dietro nel folto della foresta, insieme ad un Happy silenzioso, ma che se la stava ridendo sotto i baffi.
-Attenti a non allontanarvi troppo! – gridò loro dietro Erza, impensierita.
Gray alzò un sopracciglio -Non sono mica bambini, sai? – le disse con una punta sarcasmo, mentre aiutava la maga a tirare fuori coperte e sacchi a pelo.
-No, ma la prudenza non è mai troppa. Non conosciamo bene questa zona. – gli rispose.
-Ed è notte, per giunta. – aggiunse Wendy.
-Si ma... - tentò di protestare Gray.
-Le ragazze hanno ragione Gray, non sai mai cosa potrebbe accadere sotto cieli così oscuri... – disse Atlas con un tono leggermente canzonatorio, mentre la sua mente veniva colpita dai propri ricordi sottoforma di flash improvvisi: lui, che si risveglia di colpo in un laboratorio lasciato in penombra; lui, che viene catturato e portato alle celle del castello; lui, sul letto, e delle mani che improvvisamente gli stringevano il collo con forza; lui, nel bel mezzo di una zuffa, e la lama di un pugnale che brilla minaccioso alle sue spalle e sparisce nella sua schiena; lui e Alhena, che vengono risucchiati da un portale che ha preso vita all'improvviso.
Sebbene concordasse con Gray, dovette ammettere a sé stesso che erano decisamente troppe, le cose che potevano accadere inaspettatamente.
-Bah, secondo me state tutti esagerando... – controbatté bofonchiando il mago del ghiaccio.
Atlas ridacchiò e aiutò gli altri a finire di sistemare le cose, chiedendosi se, a quel punto, Lucy non stesse già facendo la pace con Natsu. Stare da soli in una foresta al buio non combaciava esattamente con la giusta aria confortevole per una riappacificazione, ma portava a ben altre idee. Idee piene di adrenalina.
O di libidine. La mente di Atlas cominciò a lavorare con furore.
Soli.
Al chiaro di luna.
Un ragazzo e una ragazza.
Giovani e nel pieno degli ormoni.
D'un tratto desiderò di essere lui con Lucy, da solo nella foresta.
Prima di concedere alla sua fantasia di correre troppo, Atlas strinse forte gli occhi e si morse l'interno della guancia, il dolore riportandolo sulla terra.
"Cibo, pensa al cibo Atlas. Pensa alla bella zuppa che ti attende. O la carne. Succosa carne alla brace." Si ripeteva. E continuò a farlo per qualche tempo, mentre attendeva ansioso insieme agli altri il ritorno dei due compagni.

§ § § § §

-Ehi Luce, pensi che questo vada bene? –
-Credo di sì, ma dovremmo cercare più legnetti. Happy, vedi se ne trovi altri in giro. –
-Aye! -
-Eh?! Ancora?! Ma perché? –
-Perché senza di quelli la fiamma non prende... -
Natsu e Lucy e Happy si trovavano poco lontano dal nuovo punto di accampamento, rovistando attentamente tra arbusti e cespugli, in cerca di rami caduti per racimolare la legna da ardere. Natsu non era particolarmente entusiasta del compito assegnatogli, ma fedele al suo carattere, ci stava mettendo tutto il suo impegno.
E poi, era finalmente solo con Lucy.
Poteva sembrare assurdo, ma gli era mancato stare solo con lei (e certo, anche con Happy) senza avere il biondo malefico a ronzarle intorno. Eppure, era stato proprio lui ad avergli offerto un'opportunità del genere. Ricordò come quella mattinata confabulava vivacemente con Lucy, che dal giorno prima di partire si era comportata in modo strano con lui (così come lui con lei). Era... nervosa. E triste.
Possibile che quel biondo malefico l'avesse fatto di proposito, per farli stare insieme? Che avesse intuito anche lui che qualcosa era rimasto in sospeso, taciuto tra di loro? Stentava a crederci.
E, più di tutti, non voleva credere che Lucy si sentisse triste per i fatti della scorsa mattina, e per il suo distacco improvviso da lei. Sapeva che la maga non l'aveva fatto apposta, ma strani pensieri, mai avuti prima, continuavano a tormentarlo, bruciavano come carboni ardenti. Ci era rimasto male, sì, e aveva voluto un po' di tempo per sé per riflettere sui suoi sentimenti, forse voleva anche farle un dispetto comportandosi in quel modo a lui innaturale, ma in fin dei conti non poteva, non voleva stare lontano da lei.
E quell'improvviso silenzio, nel bel mezzo della ricerca, lo faceva sentire sempre più a disagio, sensazione generalmente ignara a lui.
"Pensa a qualcosa da dirle Natsu, pensa!"
Ma inaspettatamente, fu proprio Lucy a venire in suo soccorso:
-Senti, Natsu... - iniziò lei, catturando così l'attenzione del mago. Si era accucciata poco più in là, accanto a un albero, e giocherellava con alcuni rametti spezzati, con sguardo ostinatamente basso -Credo... di doverti delle scuse. – proseguì -So di averti ferito, e mi dispiace. Da morire. –
Natsu la fissava, stralunato, con gli occhi sgranati dalla sorpresa. Sentì il proprio cuore saltare un battito non appena le ultime parole lasciarono la bocca della maga, ignaro del colpo di grazia che seguì: Lucy girò il suo bel volto verso di lui, con gli occhi semilucidi e un'espressione sofferta.
Il cuore di Natsu, quasi fosse impostato sul pilota automatico, partì alla carica, battendo prepotentemente contro il suo petto. Non seppe come, non seppe perché, ma di fronte a quell'espressione il suo istinto da predatore improvvisamente lo esortava a balzarle addosso e divorarla in quello stesso istante.
Nel frattempo, Happy era atterrato accanto a Lucy, posandole una zampetta sul braccio per incoraggiarla, e guardandola con fare comprensivo. Lucy inspirò, prima di parlare.
-Natsu, facciamo pace? Sentirti così distaccato... mi fa male – aggiunse con tono pentito la maga, ignara dei pensieri poco casti del rosato, in parte vergognandosi per aver espresso chiaramente a voce una piccola parte dei suoi sentimenti verso colui che ormai era divenuto per lei molto più che un amico o un membro della famiglia.
Di fronte al silenzio e allo sguardo insistente di Natsu, Lucy si umettò le labbra prima di continuare, nervosa: -Quella mattina non volevo mandarti via, lo giuro, è solo che so quanto Atlas non ti vada a genio e avevo paura che avreste combinato qualche pasticcio per la città e... -
-Luce – la interruppe Natsu -sarò anche un tipo focoso e Atlas non mi ispira molta simpatia, ma non sono così irresponsabile da attaccar briga in giro per la città. – concluse borbottando, incrociando le braccia.
Ma poi vide entrambi Happy e Lucy alzare un sopracciglio, scettici, e dovette ritrattare -Ok, lo ammetto, forse non sono sempre responsabile, ma so quando posso permettermi una zuffa e quando no.-
Commossa dal vederlo comportarsi di nuovo normalmente con lei, lo sguardo di Lucy si addolcì e le sue labbra si curvarono in un lieve sorriso.
-Allora... pace? – chiese timidamente. Natsu la scrutò un secondo, sperando con tutto sé stesso di non essere arrossito, per poi annuire e distogliere lo sguardo, imbarazzato. Arrabbiato o meno, non sarebbe stato capace di resistere un giorno di più senza stare accanto a Lucy. Nemmeno il tempo di un attimo, che il rosato si sentì tramortito da qualcosa, o qualcuno, e dovette poggiare in fretta le mani a terra per non perdere l'equilibrio. Quando realizzò cosa stava succedendo, poco ci mancò che tutto il suo corpo andasse in fiamme: Lucy, al colmo della felicità, si era lanciata su Natsu, cingendolo con trasporto in un abbraccio. Erano state pochissime le volte che la maga l'aveva abbracciato a quel modo, e a Natsu parve che d'un tratto gli mancasse l'aria, per la forza con cui il suo cuore batteva. Sperò anche con tutto se stesso che Lucy non si accorgesse di quella magia, di come ogni suo gesto rivolto a Natsu scatenasse in lui quella reazione, perché se ne sarebbe vergognato da morire. Come avrebbe potuto spiegarle le ragioni di quel batticuore? Eppure, in quel momento c'era qualcosa che poteva fare, un modo semplice e diretto per esprimere almeno parte di ciò che provava, l'istinto glielo gridava a gran voce; e Natsu dovette raccogliere tutto l’autocontrollo che possedeva per mettere in pratica ciò che aveva in mente: chiuse gli occhi, avvolse le sue calde e forti braccia attorno a Lucy, e la strinse forte a sé, cogliendola di sorpresa. Perso nell’inebriante sensazione di averla tra le braccia, spostò lievemente il capo, inspirando a pieni polmoni il profumo dei capelli di Lucy. Forse era colpa dell’atmosfera del momento e della sua stessa euforia, data dall’averla così vicina, ma gli sembrò che il cuore di Lucy stesse battendo più forte rispetto a poco prima. Rimase per un secondo così, oramai smarrito inesorabilmente in quello stato di beatitudine, quando poi si decise ad appoggiare il capo delicatamente sopra quello della bionda, e a sussurrarle: -Scusami anche tu, Luce. –
E nel sentirlo pronunciare, così vicino, quelle parole con voce profonda e leggermente arrochita, Lucy fu percorsa da un brivido che mai si sarebbe immaginata di provare, e sentì il sangue affluirle alle guance. Le parve di percepire con più intensità la presenza del suo nakama, quasi fosse il centro gravitazionale di tutto: il calore del suo corpo si era fatto più vivo, i polpastrelli percepivano con maggior chiarezza i muscoli sotto la consueta giacchetta nera, la pelle rabbrividiva lì dove arrivava il suo respiro, le ciocche di capelli che le sfioravano l'orecchio le parvero più soffici, il profumo speziato della pelle di Natsu le solleticava le narici. Di solito, anche il più piccolo gesto da parte del suo compagno era in grado di rendere la ragazza estremamente felice, soprattutto conoscendo la natura fin troppo ingenua e spesso infantile del rosato. Ma mai come in quel momento Lucy avrebbe voluto di più dal suo Natsu: voleva che la toccasse di più, che la abbracciasse di più, che la baciasse, che la facesse sua. Lucy voleva Natsu, voleva appartenergli, e voleva che lui appartenesse a lei. Solo a lei. Sentì gli occhi iniziare a pizzicarle per l'impeto dei sentimenti suscitati dai suoi stessi pensieri, quando Natsu sciolse l'abbraccio, schiarendosi la gola imbarazzato. Un senso di solitudine avvolse Lucy, mentre il rosato si alzava in piedi, scrollandosi le tracce di terra dai vestiti.
Happy, che era rimasto in silenzio tutto il tempo ad osservarli divertito come il Grillo Parlante, ritenne che era arrivato il momento giusto per parlare: -Natsu, Lucy, credo che sia ora di tornare dagli altri, mi sembra che abbiamo raccolto abbastanza legna! -
Natsu annuì, di nuovo felice e sereno, e sorridendo porse una mano a Lucy, che era ancora seduta a terra con lo sguardo chino. Notando la mano che gli tendeva, Lucy di riflesso alzò lo sguardo verso quello del rosato, che le sfoggiò uno dei suoi bellissimi e calorosi sorrisi.
-Coraggio Luce, andiamo! - esclamò.
Vedendolo di nuovo con quell'espressione, quella che più adorava perché a lei più preziosa e nostalgica, Lucy non poté fare a meno di sorridergli a sua volta con tutto il cuore. Dopo un piccolo sospiro, gli prese la mano, e finalmente si rialzò. Rimasero per un momento così, in piedi, a guardarsi con affetto l'un l'altra negli occhi e a sorridere, finché Happy non si esibì nel suo numero preferito:
-Che carini, vi piaceeete! - cantilenò con la solita malizia. I due compagni si girarono all'unisono verso di lui, del tutto arrossiti. Lucy stava per fare la sua consueta scenata, ma contrariamente ad ogni aspettativa, questa volta fu Natsu che indispettito partì alla carica, rincorrendo l'amico volatile che aveva iniziato a darsela a gambe verso l'accampamento. Lucy fece per inseguirli a sua volta, quando si ricordò della legna che dovevano portare indietro.
-Ah! La legna! Natsu, Happy, la legna! Non ce la farò mai a portarla da sola! - urlò Lucy, cercando di fermarli -Fermatevi! Natsuuu! -
 
 ANGOLO AUTRICE:
*si affaccia timida e tremante da un angolino oscuro* S-saaaaalve gente! Sì, mi sono fatta decisamente attendere come al solito, ma vi prego di credermi che ci sto mettendo tutto l'impegno possibile per combattere contro tutte le mie ansie, la mia scarsa autostima e la mia mania di perfezionismo T_T ci tenevo moltissimo a rigraziarvi dal profondo del mio cuore per tutto l'interesse e il sostegno che mi avete dimostrato, e soprattutto a coloro che hanno sacrificato un altro pezzettino del loro tempo a recensire ad un'ingrata come me! (n.d Atlas: ed eccola che riparte con i lacrimoni...) Nei momenti in cui non mi disperavo per la vita, lo studio e l'ansia mi sono data da fare per riparare quelli che ritenevo alcuni buchi di trama e a farmi una scaletta per gli eventi futuri, cercando di rendere sia la storia che i personaggi il più coerenti e realistici possibile! E proprio per queste ragioni, ho anche modificato l'età del nostro brontolone e vanitoso Atlas! Dati i suoi comportamenti e la sua storia, ad un tratto mi sembrava irrealistico che avesse 19 anni, così ora gliene ho dati 21! Praticamente è diventato il sempai di tutti xD (n.d Atlas: scherzi, vero?! Mi rifiuto categoricamente!) Spero moltissimo che continuerete a seguire questa storia, e mi auguro anche che non rientri nel blocco dello scrittore T_T GRAZIE DI NUOVO, DI TUTTO CUORE!
A presto,
Nozomi

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