Prosopon

di Saruwatari_Asuka
(/viewuser.php?uid=60468)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


PROSOPON

 

 

 

Grecia. Santuario di Atene. 14 Novembre 1973

 

La voce del tradimento di Aiolos si era sparsa come una macchia d'olio, veloce, troppo veloce. Mu aveva appena fatto in tempo a capire che cosa stesse succedendo che già tutto il Santuario lo stava cercando.

Eppure faceva fatica a credere che Aiolos, lo stesso Aiolos che spesso passava interi pomeriggi con loro, il Saint giusto, retto, potesse essere un traditore. Che addirittura potesse aver rapito Athena con l'intento di ucciderla.

Shura era stato mandato a cercarlo, era passato per la prima casa senza neanche guardarlo, ma Mu l'aveva guardato eccome. E Shura aveva la faccia di un condannato a morte anche se, a conti fatti, era Aiolos quello al patibolo.

"Shura! Shura...ma che cosa sta succedendo?" gli aveva chiesto, agitato. Indossava l'armatura, in quel momento, perché aveva sentito il pericolo nel Cosmo di Shion, il suo maestro, e poi di Aiolos.

Ma si sentiva troppo piccolo per quel ruolo, adesso.

E Shion non rispondeva più ai suoi messaggi telepatici, per quanto lo chiamasse, per quanto lo pregasse.

Gli aveva detto di non venire, un messaggio quasi telegrafico. Poi era sparito, lui, il suo Cosmo, tutto.

Come se fosse...morto.

Ma si sarebbe saputo, no? Nessuno aveva parlato della morte del Gran Sacerdote, solo del tradimento di Aiolos. Quindi non poteva essere, giusto?

"Non fare domande di cui non vuoi conoscere la risposta, Mu," solo questo gli aveva detto Shura, lo sguardo cupo rivolto verso il basso.

Mu si era zittito e aveva fatto un passo indietro.

"Devi...devi andare ad ucciderlo?"

Il mutismo di Shura gli rispose meglio di quanto l'altro avrebbe mai potuto fare a voce. Proprio Shura, proprio lui che per Aiolos era un fratello al pari di Aiolia.

"Ma Aiolos non può aver fatto quello che dicono!"

"Sono gli ordini."

"Shion...il maestro Shion non ordinerebbe mai una cosa simile senza un giusto processo!"

"Per un crimine simile, proprio contro la nostra Dea, la sentenza sarebbe comunque solo una."

"Però..." Shura lo aveva stoppato con un brusco gesto della mano, come a dirgli di tacere, e aveva preso a scendere gli ultimi gradini che c'erano.

Avrebbe ucciso Aiolos, questo ormai era ovvio. Eppure, una piccola parte di sé gli diceva che, se Aiolos era davvero un traditore, a morire sarebbe stato Shura. Perché Aiolos era più grande, aveva più esperienza, era più forte, molto più forte di Shura...e se davvero era un traditore, se davvero lo era, se davvero aveva rapito Athena per attentare alla sua vita, allora che remore avrebbe avuto ad ucciderlo?

Quindi, Shion aveva mandato a morire Shura. Perché mandare solo lui? Perché non mandare Saga, o qualcun altro insieme a Capricorn?

Si stava parlando di Sagitter, uno dei cavalieri più forti del Santuario! Shura aveva solo undici anni, era troppo giovane per competere.

No, no, il suo maestro non avrebbe mai preso una decisione simile, non era da lui. Non era quello che gli aveva insegnato in tutti quegli anni. Non riconosceva niente del suo maestro nelle parole e nell'ordine impartito a Shura.

Se era davvero lui, perché non mandare Saga? E dov'era Saga? Non l'aveva visto, nemmeno per un secondo, eppure lui e Aiolos erano sempre stati così amici, così uniti, una cosa del genere l'avrebbe toccato direttamente.

E perché non poteva avvicinarsi al Tredicesimo?

D'istinto, un istinto che di norma non lo contraddistingueva ma che quella notte non era ancora riuscito a far tacere, aveva ignorato l'ordine ed era corso su, iniziando una scalata che per la prima volta sembrava troppo lunga. E cosa avrebbe trovato, alla fine di essa? Si sentiva un fardello sul petto, troppo pesante da sopportare.

Voleva sapere. Voleva sapere se era lui a non capire, o se qualcosa davvero non aveva senso, in tutto quello che stava succedendo quella notte.

Toro non c'era, di sicuro salito da Aiolia dopo la notizia su Sagitter, la Terza Casa era stranamente vuota. Deathmask invece lo imbruttì, incenerendolo con un'occhiataccia, già all'ingresso della Quarta.

"Dove pensi di andartene?"

"Su, dal mio maestro. Devo parlargli!"

"Il Gran Sacerdote non vuole essere disturbato, Aries."

"Non è quello che ha detto a me. Lo sai che ha mandato Shura contro Aiolos, per ucciderlo? Shura non ha mai battuto Aiolos in allenamento, è un suicidio, non è alla sua altezza!"

Deathmask ghignò, "Tu sottovaluti il caprone, Aries."

"E tu sottovaluti Aiolos, invece. Non crederò a quello che ho visto e sentito questa notte finché non parlerò con il Sommo!"

"Allora caschi male, bamboccio, perché da qui non si passa."

Mu indurì lo sguardo, però non si mosse. Combattere con Deathmask sarebbe stato quantomeno inappropriato, era un suo pari grado e per di più era anche più grande di lui, e il rispetto che Shion gli aveva così diligentemente insegnato per lui era troppo importante. Però doveva passare.

Doveva a qualsiasi costo.

"Non ti interessa se Shura muore?"

"Se Shura muore è perché è un debole."

"Io pensavo che tu e Shura foste amici," le parole di Mu colpirono il bersaglio. Le labbra di Deathmask si assottigliarono e gli occhi rossi brillarono. Era preoccupato eccome.

E doveva esserlo anche Aphrodite, lassù in cima, perché quei tre stavano sempre insieme, da che se li ricordava. Quindi perché stavano lì? Qualcuno aveva ordinato di non far passare nessuno. Nemmeno lui, che era l'allievo diretto del Patriarca.

Doveva essere così. Ma chi? Non Shion, no, lui non l'avrebbe mai fatto, mai.

Quando era poco più piccolo, quando aveva appena ottenuto l'armatura, Shion l'aveva preso in disparte, un giorno, e gli aveva detto che non doveva avere paura, anche se sembrava una cosa molto più grande di lui. E che, se ne avesse avuta, se avesse avuto dubbi, poteva andare da lui. A qualsiasi ora, avrebbe trovato posto e tempo per parlare con il suo prezioso allievo.

Erano state le sue parole, e fino a quel momento le aveva sempre rispettate. Svariate volte Mu era salito su al tredicesimo tempio, in piena notte, e Shion lo aveva sempre accolto nelle sue stanze private, lo aveva fatto sedere sul letto o sulla scrivania e avevano parlato. Tanto, fino all'alba. Per tranquillizzarlo, per fargli capire che anche se era giovane era degno, che i suoi dubbi, i suoi timori, non erano sciocchi ma bensì comprensibili. E che lui, che era il suo maestro, era lì solo per dissiparli.

Proprio quella notte non l'avrebbe mai scacciato.

Se lo stava facendo, era perché qualcosa non andava. Qualcosa che neanche il Sommo Shion poteva controllare.
"Aiolia è nella sua Casa?"

"Cosa vuoi che ne sappia, io?"

"Aldebaran è passato di qui?"

"No."

Non gli chiese altro. Mu girò i tacchi e corse via.
Se Aldebaran non era passato da lì, era perché Aiolia non era alla Quinta e l'aveva raggiunto altrove. Avrebbe voluto raggiungere Shaka, parlare con lui, chiedere anche il suo parere. Ma Deathmask non l'avrebbe mai fatto passare.

A quel punto, era più saggio cercare gli altri. Se li trovava.

 

Li trovò più velocemente di quello che aveva creduto, poiché Aiolia, furioso come non l'aveva mai visto, stava facendo un gran baccano e Aldebaran, nonostante la stazza, faticava parecchio a tenerlo a bada. Ma d'altronde, Mu pensò che il giovane Leo fosse anche troppo tranquillo in quello che stava facendo: prendersela con le malelingue che già puntavano il dito su di lui e su suo fratello era davvero il minimo, con tutto lo stress che doveva star patendo in quelle ore.

E Aiolia non era mai stato un tipo tranquillo. Era focoso e quando si arrabbiava perdeva completamente il controllo. Come in quel momento.

"Che cosa succede?" chiese quindi, anche se era ovvio.

Aldebaran fu il primo a voltarsi verso di lui e gli rivolse uno sguardo carico di dolore. Non sorrideva, il grosso, giovane Toro. Mu non ci era abituato, il Toro era sempre gioviale e disponibile, positivo davanti qualsiasi problema gli si presentasse davanti, e adesso invece il suo sguardo mostrava tutta la gravità di quella terribile situazione.

Un inferno.

"Succede che sono riuscito a fermare Aiolia prima che saltasse addosso a Shura, poc'anzi. Per fortuna eravamo insieme, quando è scattato l'allarme," sospirò.

"E hai sbagliato!" berciò Leo, "Non dovevi fermarmi! Se Shura fa davvero...e mio fratello...io..."

"Tu niente," scosse il capo Aldebaran, "Shura sta eseguendo gli ordini, non è giusto prendersela con lui. No, Mu?"

Si voltò verso di lui, ma Mu guardava insistentemente il manto erboso sotto i suoi piedi e non sembrava quasi in grado di rispondere.

"Mu?"

Si riscosse, scuotendo il capo, "E' vero che sta eseguendo gli ordini, sì."

Aiolia serrò la mandibola, prima che l'ira gli facesse fare follie. Perché quei due non c'entravano nulla, anzi, stavano facendo la cosa giusta. Forse.

"Anche se..."

Appena sentì di nuovo la voce di Mu, incerta e titubante, Aiolia scattò verso di lui e lo prese per le spalle. Stava tentando disperatamente di aggrapparsi a qualcosa che salvasse l'onore di suo fratello almeno ai suoi occhi. Perché non voleva crederci.

Perché non era possibile, non lo era. Non poteva esserlo. Non suo fratello.

"Anche se cosa, Mu?"

"Aiolia, non puoi fare così!" lo redarguì Aldebaran, "Non puoi prendertela con tutti!"

"Voglio solo sapere che cosa stava dicendo! Tu sai qualcosa, Mu? Sei l'allievo di Shion, non puoi non sapere niente!"

Mu strinse le labbra e i pugni, cercando di fare mente locale, di capire come fare ad esporre i suoi pensieri senza sembrare un pazzo, un visionario. O un traditore a sua volta, che arrivati a quel punto era un grosso rischio.

Avrebbe voluto che Shion fosse lì, o anche l'anziano Dohko, che aveva conosciuto tramite Shion stesso una volta sola, ma sapeva essere suo grande amico. Era un sopravvissuto alla guerra precedente, era saggio e di sicuro più logico di lui. In mancanza, visto che neanche Shion rispondeva alle sue chiamate, avrebbe voluto poter esporre i suoi dubbi a Saga.

Lui sapeva sempre molte cose, era più grande di loro e ogni volta riusciva a trovare una soluzione ai problemi di tutti, e per questo la gente lo adorava quasi al pari di una divinità a sua volta. Saga gli aveva sempre regalato un forte senso di tranquillità e pace, persino più di Aiolos, fin da quando era arrivato la prima volta al Santuario. Però anche Saga pareva essere sparito nel nulla, quella notte.

Una notte infinita, priva di stelle.

E lui si sentiva piccolo e smarrito, fuori posto.

"Oggi...oggi avevo appuntamento con il mio Maestro. Di mattina presto, all'alba. Però, poco prima che si annunciasse del tradimento di tuo fratello, mi è arrivato un suo messaggio che mi ordinava di non avvicinarmi alla Tredicesima. -Non venire- mi ha detto così," fece una pausa, gli occhi di Aiolia fissi nei suoi. Quelli di Aiolia erano febbrili, quelli di Mu carichi d'angoscia.

Aldebaran scosse il capo, "Pensi significhi qualcosa?"

"Penso che non abbia senso, come molte altre cose. Dovevamo incontrarci, e poi mi dice di non andare ed in più ordina a Deathmask di non far salire nessuno, nemmeno me. E poi il tradimento di Aiolos, che è uno dei Saint più forti di tutti, eppure ci manda contro Shura, che è appena diventato cavaliere come noi e non può competere! Se Aiolos fosse davvero un traditore, il mio Maestro cercherebbe in tutti i modi di ottimizzare il numero delle perdite, e invece non lo sta facendo! E poi anche Saga! L'ho cercato, ma non riesco a trovarlo...voi l'avete visto?"

Toro scosse il capo, "No, potrebbe essere in missione. Ma anche ammesso che sia così...magari è solo per l'allarme che il Sommo ha agito così. Un tradimento, al Santuario..."

"Mio fratello non è un traditore! E' successo qualcosa, non so cosa, ma...è successo! Aiolos io lo conosco, lo conoscete anche voi, accidenti! Non l'avrebbe mai fatto!"

Aldebaran abbassò un po' il capo, "Sì, questo lo pensavo anche io. Eppure..."

"Sentite," tentennò appena Mu, facendosi più sicuro quando ottenne l'attenzione degli altri due, "Voi, per caso, avete avuto la sensazione che stesse succedendo qualcosa al Tredicesimo, poco prima dell'allarme? Insomma...il cosmo del Sommo," fece, "L'avete sentito? E quello di Aiolos, anche, per un secondo."

"Sì," annuirono gli altri due. Era stato proprio questo, il fatto che fossero stati proprio i loro due Cosmi a divampare, che aveva subito fatto credere a tutti quanti che la storia del tradimento fosse vera. Altrimenti, perché proprio loro due? Era facile pensare che Aiolos avesse tentato di uccidere Athena e Shion l'avesse fermato, no? Ed ecco spiegato il perché dei loro Cosmi.

Eppure c'era una cosa che Mu non aveva scordato.

"Allora avete sentito anche voi che c'era un terzo Cosmo! Io non sono riuscito a riconoscerlo, aveva qualcosa di familiare ma non ho capito cosa. E voi?"

Aldebaran sgranò per un attimo gli occhi, "Pensavo di essermelo sognato! E' stato un frammento, stavo dormendo e...però se dici che l'hai sentito anche tu, allora non stavo sognando."

"Proprio no," assicurò Aries, "L'ho sentito chiaro, anche io per un secondo solo, insieme a quello del maestro, e poi sono spariti tutti e due, prima che arrivasse quello di Aiolos quasi subito dopo."

Aldebaran annuì, Aiolia invece rimase fermo, ma nessuno aggiunse altro.

Anche se c'era stato un terzo Cosmo, se non erano in grado di riconoscerne l'origine era tutto inutile, significava che non c'era comunque nessuno a cui chiedere spiegazione.

Dovevano andare da Shion. Non c'era alternativa.

Avrebbero dovuto trovare un modo per superare le rose velenose di Aphrodite, perché finché erano in tre sia lui che il suo amico non erano un grosso problema. A meno che l'ordine non fosse arrivato anche a Camus, Milo e Shaka, nelle case inferiori. Ma se così fosse stato, allora perché non era stato dato anche a loro? Poteva capire Aiolia, per via dell'accaduto, ma quell'ordine avrebbe dovuto essere anche per lui e Aldebaran, e invece non era così. A conti fatti, non sapeva neanche perché fosse così sicuro che neanche Aphrodite li avrebbe lasciati passare, Mu. Forse perché quei tre stavano sempre insieme, erano una squadra particolarmente affiatata.

Non fecero comunque in tempo a fare niente, neanche a muovere un passo.

Un attimo dopo aver deciso che avrebbe raggiunto Shion a qualsiasi costo e contro qualsiasi avversario, questa volta, la consapevolezza di quanto era appena successo li colpì tutti come una doccia fredda.

Aiolia cadde sulle ginocchia, e Mu non ebbe il coraggio di guardare quel viso stravolto dal dolore dell'enorme perdita che aveva appena subito.

Il Cosmo di Aiolos era sparito, le stelle della sua costellazione si erano spente.

"Fratello..."

Non poteva credere che Shura fosse davvero riuscito ad ucciderlo. La cosa continuava a risultare strana a Mu, contorta, in un certo senso. Non aveva neanche sentito il Cosmo di Shura esplodere come durante un vero combattimento.  Come se non avesse avuto bisogno di affrontare il suo avversario.

Che cosa stava succedendo?  

 

Grecia. Santuario di Atena. 15 Novembre 1973.

 

Aiolia trovò Mu ancora fermo sulle scale della Prima, il Pandore Box sulle spalle insieme ad una piccola sacca mezza vuota. Aveva gli occhi arrossati proprio come i suoi, come il cielo che virava verso l'alba, verso una giornata che per loro non avrebbe avuto un barlume di luce, dopo quella lunga notte così buia.

Teneva le spalle incurvate verso il basso, Mu, e Aiolia pensò che sembrasse portare il peso del mondo intero, e forse si sentiva davvero così. Anche lui ci si sentiva.

Suo fratello non avrebbe neanche avuto la degna sepoltura che meritava. Sarebbe semplicemente scomparso, come se non fosse mai esistito, poiché era meno di niente. Solo un misero traditore.

Non avrebbe nemmeno avuto un posto dove andarlo a piangere, dove poter portare un mazzo di fiori. Niente di niente.

Era ingiusto.

"Ciao, Mu," salutò, atono.

Mu non alzò gli occhi, ma strinse i pugni, forte, tanto forte da ferirsi i palmi. "Io vado via, Aiolia. Volevo dirlo almeno a te e Al, ma lui non lo trovo," ammise dopo un po'.

"Via? Per una missione?"

"No," fece Mu, e lo guardò. Aveva degli occhi, Mu, tremendamente limpidi e grandi. Aiolia non l'aveva mai notato, perché quando rideva e sorrideva tendeva sempre ad assottigliarli, come in un gesto automatico, spontaneo.

Ma quel giorno Mu era serio come non l'aveva mai conosciuto. Non era il bambino di sette anni che, nonostante il modo in cui era cresciuto, giocava con loro cercando di coinvolgere anche i più restii, tipo Shaka. Era quasi un uomo, Mu, molto più grande della sua vera età.

Chissà se anche lui appariva così, adesso, dopo quella Notte?

"E cosa devi fare, allora?"

"Andare via. Solo questo."

"Ma che significa, scusa? Non puoi andartene adesso, con il Santuario sottosopra, Athena sparita e...e anche mio fratello..."

Mu chiuse gli occhi, un solo secondo. Appena il tempo di chiedersi se stava facendo una follia, se era il caso di fare silenzio e limitarsi a tenerselo per sé. "Ho visto il Sacerdote."

Aiolia scattò su, speranzoso, "E che cosa ti ha detto?"

Mu sospirò, amareggiato. Ma su quello non aveva timore. Che lo accusasse, che gli puntasse pure il dito contro come aveva fatto Shaka, lui non aveva paura. Perché quella era la sua sola verità, quella in cui credeva fermamente.

"Quello non è il mio maestro."

"Come, scusa?"

"Il Sommo non ha mai indossato la maschera con me, e poi...e poi era strano, era diverso. Il modo in cui mi parla e si muove quando siamo solo io e lui...di solito è rilassato, dolce. E invece oggi no, oggi era diverso. Ne sono più che certo, quello non è il mio maestro e ormai sono sicuro che Aiolos si sia ritrovato vittima degli eventi, qualunque cosa sia successa!"

Aiolia percepì una strana sensazione, una pesantezza al petto, forte. Questo implicava che forse c'era un estraneo al Santuario e che nessuno se ne era accorto, no? Era un insulto a loro tutti.

Eppure...significava anche che aveva avuto ragione. Che suo fratello non era un traditore, che davvero non aveva fatto quello per cui lo accusavano.

Lui lo conosceva, lo sapeva che non era possibile.

"Io non so cosa sia successo ieri notte né chi sia quell'uomo...ma non è il Sommo. E non posso restare qui finché non capisco almeno quello che sta succedendo!"

Una piccola parte del cervello di Mu continuava a dirgli che, forse, parlare con Aiolia non era una buona idea, nonostante lui fosse sempre animato da buone intenzioni e fosse una persona sempre disponibile e leale. E poi aveva perso suo fratello come lui aveva probabilmente perso Shion, la sua figura paterna.

Però, se non gli aveva creduto neanche Shaka, che era il suo più caro amico insieme ad Aldebaran, Aiolia che avrebbe fatto?

Si convinse maggiormente della pessima mossa fatta quando vide il Leone girare i tacchi e dirigersi a testa bassa verso le Dodici Case.

"Dove stai andando?" gli chiese subito, fermandolo, la fretta nella voce e nei gesti. Era sempre stato un tipo razionale, per quale motivo quel giorno non era riuscito a tenere la bocca chiusa? Doveva solo dire che se ne andava, senza una spiegazione. O forse, non doveva dirgli neanche quello.

"Vado a capire cos'è successo a mio fratello! Togliti di lì, Mu!"

"No, non posso! E' una follia andarci sa solo, Aiolia! Anche se non ho capito chi è l'impostore, una cosa è chiara: è forte! E' più forte di noi!"

"Non mi importa! Sono disposto anche a questo, pur di avere la verità su quello che è successo ad Aiolos!"

"Ma se muori non potrai ottenere nient'altro! Ragiona, Aiolia!"

"Ma tu non sei arrabbiato, maledizione? Se c'è un impostore che si finge Gran Sacerdote, allora chissà che fine ha fatto il vecchio Shion!"

Mu si morse le labbra, ma senza muoversi da dov'era, immobile e del tutto intenzionato a fermare l'altro col Crystal Wall, se fosse stato necessario.

Certo che anche lui era furioso, più che mai. L'idea che forse, anzi ormai sicuramente, Shion fosse morto, che non avrebbe più potuto parlare con lui, che non l'avrebbe mai più rivisto...che non l'avrebbe più potuto ascoltare, mentre gli insegnava tante cose. Quella consapevolezza lo dilaniava.

Ricordava tutti i bei momenti vissuti insieme, il giorno in cui l'aveva trovato e preso con sé e cresciuto come se fosse suo figlio, prima di iniziare ad insegnargli a riparare le armature e a farlo diventare l'uomo che sarebbe diventato. E ricordava i sorrisi, le carezze, i complimenti, e anche le ramanzine, le punizioni.

Ogni cosa. Ogni singola cosa.

E niente di tutto quello ci sarebbe stato di nuovo, niente.

Sparito per sempre.

Però non poteva neanche permettere che Aiolia si facesse ammazzare per ricercare una verità e una vendetta che, a conti fatti, volevano entrambi. Perché se Leo fosse andato, quella notte sarebbero morti altri due Gold Saint, lui compreso, e quello sì che sarebbe stato un grosso problema.

Desiderò che Aldebaran o Milo fossero lì, perché loro sapevano sempre come calmarlo quando non c'era Aiolos. Ma non c'era tempo e poi non era detto che gli avrebbero creduto.

Aveva ancora in testa le parole di Shaka e dubitava che sarebbe stato l'unico. In troppi erano così offuscati dalla cieca fiducia nella sola figura del Patriarca da rifiutarsi di vedere quella che era la verità, perché troppo terribile e nefasta da accettare. E l'inesperienza, il fatto che fossero cresciuti lì vedendo solo quello, sentendo solo quelle leggi, non aiutava.

Il Sacerdote era un'autorità assoluta che nessuno si azzardava a contraddire, e chiunque fosse l'impostore lo sapeva bene, perché stava sfruttando proprio questo per andare avanti col suo piano, qualunque esso fosse.

"Vieni via con me!" se ne uscì all'improvviso, prima ancora di averci pensato per bene. Ma non trovò altre soluzioni. Non c'erano, forse.

"Io non scappo, mai!"

"Nemmeno io sto scappando," si difese Mu, punto sul vivo, "Non fuggo, ma non affronto neanche battaglie inutili, e questa lo sarebbe. Inutile e dannosa. Per ottenere davvero qualcosa dobbiamo capire! Fidati di me, Aiolia, ti scongiuro, accantona per un attimo la tua sete di vendetta e ascoltami!"

Leo si morse il labbro, le mani ancora formicolavano dal desiderio di menar pugni. Aveva bisogno di agire, vendicarsi. Qualsiasi cosa.

Ma comprendeva anche le parole di Mu.

E forse non aveva tutti i torti.

"Va bene. Per ora."

 

Cina. Goro-Oh. 15 Novembre 1973

 

Dohko di Libra li stava ancora fissando, silenzioso. Erano arrivati lì con il teletrasporto, all'improvviso e senza neanche avvertirlo, Pandora Box in spalla e sguardi funerei e abbattuti.

Mu fra i due pareva il più scosso, Aiolia era roso dalla rabbia e dal rancore, gli occhi quasi iniettati di sangue. Non gli avevano detto nulla, forse pensavano lui sapesse ed in effetti era così. Si erano limitati a sedersi al suo segno, senza più neanche muoversi.

Ma adesso il Leone appariva turbato, muoveva il peso del corpo da una gamba all'altra, cambiava di continuo posizione, batteva l'indice sul ginocchio, bofonchiava muto, muovendo solo le labbra.

Dohko sorrise, aspettando. E non dovette farlo per molto, perché l'irascibile Leone non lo fece attendere oltre.

"Allora che cosa ci siamo venuti a fare qui? Che cosa facciamo? Roshi, tu sai qualcosa?"

Perché il Leone furioso non è proprio capace di stare con le mani in mano, deve agire, in qualsiasi modo, saltare addosso all'avversario e sbranarlo alla gola. Ma in questo caso cosa avrebbe ottenuto? Nulla.

Possibile che non capisse? Certo, erano solo bambini e Dohko lo sapeva bene, quante volte aveva detto a Shion che erano troppo giovani, ancora, che doveva aspettare un po'.

Ma Shion non aveva sentito ragioni. Si fidava di Mu e di quei nuovi, giovani cavalieri.

Ed in fondo era stato vero fino a quel momento, non poteva negarlo. Sciocco lui a pensare che avrebbero potuto capire ora qualcosa che lui stesso faticava a comprendere del tutto.

Quello che era successo la notte precedente andava contro ogni logica, ogni presagio.
Shion, il suo vecchio, prezioso amico Shion, morto ammazzato per mano di un Saga reso cieco e folle dalla brama di potere. Aiolos ucciso per aver svolto il suo ruolo di Saint, quello di salvare la sua Dea.

E ancora peggio, Shion che sapeva, che aveva compreso...e aveva permesso.

Per salvaguardare la vita di Saga.

"Perdonami," era stato l'ultimo messaggio telepatico che gli aveva mandato. Perdonami, amico mio.

Perdonarlo, chiedeva. Certo.

Dohko era furioso, amareggiato e mai, mai in vita sua aveva odiato tanto il compito affidatogli dalla precedente incarnazione di Athena e che gli impediva di lasciare quel luogo. Di fare quello che voleva davvero: affiancare Leo e prendersi la testa di Saga.

Ma per fortuna sapeva ancora essere razionale, era consapevole che Saga non fosse davvero malvagio, che qualcosa aveva intaccato la sua mente buona e giusta, devota. E non poteva certo prendersela con lui.

Così come non poteva mandarci contro quei due. Erano troppo acerbi.

"Non farete nulla," disse quindi, rivolto ancora verso la cascata.

"Come sarebbe a dire che non faremo nulla? Non posso accettarlo, Roshi! Dovremmo forse far finta di nulla, senza intervenire? Dovremmo stare qui a nasconderci, mentre l'impostore fa quello che vuole del santuario?"

"Calmati, Aiolia," cercò di rabbonirlo anche il giovane Aries, mettendogli una mano sulla spalla, "Non hai idea di quanto pesi anche a me questa cosa, ma il vecchio maestro ha ragione. Non credo siamo ancora all'altezza..."

"Non prendermi in giro, Mu! Noi siamo Gold Saint, solo un altro Gold o un Dio può esserci pari o superiore!"

Dohko scosse il capo, "Pecchi di presunzione, giovanotto," lo redarguì. E come dirgli poi che il loro avversario era proprio un Gold, un Gold che gli era superiore in forza ed esperienza?

Saga, Saga...cosa stai facendo, Saga?

Dohko se lo ricordava, quando era arrivato al santuario, come glielo aveva descritto Shion. Giovane, insicuro ma determinato, cortese ed estremamente educato per la sua giovane età. Il vecchio Aries aveva solo buone parole per lui, e ogni volta che lo veniva a trovare, di nascosto, lì a Goro-Oh, non faceva che parlarne...e poi era arrivato Aiolos, e infine Mu.

Shion li adorava, li aveva trattati tutti al meglio, come figli suoi.

E allora cosa, cosa poteva averlo ridotto a quello?

"Non è presunzione, Roshi! Noi siamo i guerrieri dorati al servizio della Dea, siamo i più forti del suo esercito!"

"Naturalmente lo sarete, sì. Ma non ancora, giovane Leone. Non ancora."

Aiolia incassò la testa nelle spalle, scuotendo il capo. Non capiva. Certo, lo sapeva che erano giovani, ma se avessero unito le forze? Non voleva crederci che Milo o Aldebaran non avrebbero creduto alle loro parole, se avessero spiegato le loro ragioni.

"E quindi cosa? Cosa dobbiamo fare?"

"Non cosa dovete, ma cosa potete," lo corresse Libra, "E non potete fare altro che aspettare, adesso. Aspettare che il destino faccia il suo corso, e le stelle seguano la loro strada."

Il silenzio che seguì quelle parole fu quasi tangibile. Niente riusciva a romperlo, neanche il rumore della cascata.

Secondo il saggio maestro, quindi, dovevano stare lì a fare niente. Ad aspettare. Ma come poteva pretenderlo? Certo, lui doveva comunque restare lì fermo a fare la muffa, non poteva muoversi a prescindere, tant'è che nessuno l'aveva mai visto al Santuario...ma lui non poteva. Proprio no!

"E se il destino fosse troppo lento?"

"Aspetteremo."

"Anche anni?"

"Se necessario."

Aiolia strinse i pugni. No. Proprio come aveva pensato, quello non poteva farlo. Che l'anima di suo fratello lo perdonasse, ma non poteva che disubbidire, questa volta.

"No, questo non posso farlo. Io vado."

"Aspetta, Aiolia! Dove vai?" la voce di Mu, ancora compostamente fermo al suo posto, era appena un sussurro. Perché aveva capito ormai, e temeva quella risposta.

"Torno al Santuario! Che mi uccidano pure, li affronterò tutti quanti finché avrò un alito di fiato in corpo! Non posso accettare quello che sta succedendo, non posso stare ad aspettare! Ne va dell'onore di mio fratello, che è stato accusato ingiustamente, e del nostro Mu, che si siamo fatti passare sotto il naso un impostore come quello che adesso si finge Shion senza neanche accorgercene!"

Il sospiro di Dohko fu quasi inudibile, ma non la sua voce, ferma e autoritaria, "Così facendo otterrai solo la morte, ragazzo. Renderai vano anche il sacrificio del tuo coraggioso fratello."

"Ma non posso rimanere fermo, non io. Accetterò le conseguenze delle mie azioni!"

"Allora renditi utile."

Aiolia si bloccò, a quella frase, "Ma...aveva detto prima che..."

"So cosa ho detto, giovanotto. Ma se vuoi fare qualcosa, morire non è la scelta migliore."

"E cosa allora?"

"Trovate la bambina. Trovate la neonata Athena che Aiolos ha protetto con la vita e con essa le prove di ciò che dite, del fatto che il Gran Sacerdote è un impostore."

"La bambina?" Mu saltò in piedi, sull'attenti, "Allora Shura non l'ha uccisa?"

Dohko sorrise, "Ritieni forse il fedele Capricorn capace di tanto?"

"In effetti no," ammise, "Eppure l'atmosfera al santuario era così diversa. Si dice che sia stata uccisa proprio da Aiolos e che per questo è stato condannato. Shura non ha avuto esitazioni perché lo ha creduto colpevole per colpa delle parole di...quell'uomo," che non era Shion.

Che non era il suo maestro.

"Sagitter l'ha invece salvata e ora lei è viva, da qualche parte nel mondo."

Aiolia sbuffò, "Un po' vago, Roshi. Il mondo è grande," lamentò, ma aveva placato il suo spirito focoso e, insieme a Mu, era tornato a sedersi ed ad ascoltare.

Dohko rise di gusto, "E' giusto quello che hai detto. Ma per quanto il mondo sia grande, un giorno la troverete. Perché è vostro destino che sia così."

 

Dohko aveva detto loro che, volendo, avrebbero potuto fermarsi lì a Goro-Oh con lui. Però, alla fine Mu si era convinto che fosse meglio tornarsene in Jamir. Anche se lì si sarebbe sentito solo, adesso in teoria aveva Aiolia a fargli compagnia, no? Anche se non era la stessa cosa, era un amico.

"Senti, Mu," si voltò, sentendosi chiamare proprio dall'oggetto dei suoi pensieri momentanei. Aiolia se ne stava seduto accanto a lui, le spalle alla foresta e gli occhi verdi fissi sulla cascata. Il riflesso dell'acqua creava un gioco di luci ammaliante su quelle iridi così intense.

"Dimmi."

"Io stavo comunque pensando di tornare al Santuario."

Mu non poté impedirsi di irrigidire le spalle, "Ma non hai sentito cos'ha detto Roshi? Non puoi tornare, Aiolia!"

"Non penso che ci considerino già dei traditori. Starò attento, niente colpi di testa, te lo prometto. Farò buon viso a cattivo gioco, si dice così no? Non sottovalutarmi! E poi...io voglio parlare con gli altri. Non posso accettare quello che sta succedendo così su due piedi, devo parlare con loro. Milo, Aldebaran...forse persino Shaka capirebbe, non pensi?"

Mu strinse le labbra perché no, Shaka non avrebbe capito. Lui ci aveva già provato, buttandolo lì un po' a caso, e Shaka l'aveva minacciato di ucciderlo se non avesse cessato immediatamente le ostilità contro il Gran Sacerdote, la più alta carica del Santuario.

E con Aiolia avrebbe mantenuto la stessa calma apparente avuta con lui o, ad una simile accusa, l'avrebbe subito fatto fuori?

"E se non dovesse andare come speri?"

"Accetterò le conseguenze."

"Aiolia!"

"Scapperò, se necessario, okay? In attesa del momento più propizio per fare qualcosa di utile! E poi, stavo pensando, che magari l'impostore sta anche lui cercando Athena e potremmo trovare qualche indizio, qualcosa, qualsiasi cosa! Adesso siamo a zero!"

"Non credo che abbia molto senso."

"Beh, lo farò lo stesso. Non sono mai stato bravo a fare quello che gli altri si aspettano da me, ormai lo dovresti sapere. Starò attento, fa altrettanto."

"E se invece volessi venire con te?"

"Non puoi. Sei molto più in pericolo di me al Santuario. E' la scelta migliore, Mu. Lo sai anche tu."

"Non ne sono convinto per nulla," scosse il capo Mu, "Per nulla. Ma fa come vuoi, Aiolia."

 

 

ANGOLINO AUTRICE:

Hola, Mondo cavalleresco!
Della serie ogni tanto ritornano, sapete com’è xD
Ho scritto questa mini Long ai tempi di Wrong Answer e Spettatore, ma poi l’ho accantonata per un po’ indecisa su come portarla a termine. Non volevo creare qualcosa di troppo grosso rispetto alle mie capacità, e per un periodo ho avuto la sensazione che le cose mi fossero decisamente sfuggite di mano.
Però ho deciso di riprenderla in mano, e finirla, sperando di non rovinare troppo le cose xD

La fic vuole rispondere ad una serie di domande che io, e penso molti altri, ci siamo posti sulla serie originale.
Possibile che Saga fosse così tanto bravo a imitare Shion?
E se no, nessuno se ne è accorto? Okay che erano piccoli, ma il cervello era ancora in letargo?
E se Mu avesse detto dei suoi dubbi ad Aiolia e lui gli avesse creduto? In fondo, era suo fratello!

Non voglio modificare la fine del manga, cercherò di ricollegarmi a quello che alla fine è la scalata che conosciamo, seppur con una notevole differenza: Dei Gold Saint forse meno Pesci Lessi, come li avremmo voluti! O almeno come li volevo io xD

Sperando di non fare troppe castronerie, iniziamo!
Un bacione, Asu <3

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


CAPITOLO 2

 

 

 

Grecia. Santuario di Atene. 16 Novembre 1973

 

Il primo ad accoglierlo quando rimise piede in prossimità delle Dodici Case fu Aldebaran, che adesso che Mu era sparito era il primo avamposto a qualsiasi nemico esterno avesse avuto l'ardire di attaccarli. Ma Aldebaran non pareva intenzionato ad attaccarlo, invece si avvicinò in un lampo e Aiolia si ritrovò subito dopo in un abbraccio frantuma ossa. E a giudicare dal modo in cui lo aveva guardato, quell'attimo che il leone era riuscito a scorgere il suo volto, doveva averlo fatto preoccupare davvero.
D'altronde, Aldebaran teneva a tutti i suoi compagni, lo aveva sempre fatto.

"Pensavamo fossi scappato!" berciò la voce di Milo. Non l'aveva neanche visto arrivare, o forse era già lì e non ci aveva neanche fatto caso. Era possibile.

Aveva gli occhi lucidi anche lui, notò, e il tono di voce, che forse voleva sembrare sprezzante e sfrontato, era invece risultato tremolante. Come se Milo stesso avesse trattenuto le lacrime per giorni e adesso fosse al limite. E non faticava affatto a crederlo, visto che anche lo Scorpione era sempre stato molto legato ad Aiolos, che era stato una sorta di fratello per molti, al Santuario.

Non si fece comunque impietosire da quell'accoglienza, tutt'altro. Se Milo voleva far finta di essere indifferente alla storia e intoccabile, che lo facesse pure.

Aiolia, invece, era proprio così che voleva diventare, e non per fingere di fronte agli altri: sarebbe diventato forte, avrebbe superato ogni suo limite, per essere pronto nell'attimo in cui il destino avesse deciso di compiersi.

"Io non fuggo. Mai," lo aveva già detto a Mu, ma lo avrebbe ripetuto a tutti anche uno per uno, se fosse stato necessario. Lui era il Saint di Leo e mai e poi mai sarebbe fuggito di fronte a un nemico, anche se questo si fosse rivelato un amico...o il fato stesso.

Anche se significava aspettare.

"E allora dov'eri?"

"Volevo stare da solo, Milo. Aiolos era...un traditore," e gli pesò come un macigno dirlo, mentire, "Ma era comunque mio fratello. Nemmeno questo mi è concesso?"

"No, certo che puoi," fece subito Aldebaran, "Eravamo solo un po' preoccupati."

"Sì. Di dover uccidere anche te," chiarì lo Scorpione. Perché erano quelli i nuovi ordini del Gran Sacerdote, per quanto fossero assurdi ed insensati.

Però, poiché Aiolia era il fratello di un traditore tanto sfrontato da aver avuto l'ardore di tentare di uccidere la loro Dea, era possibile che decidesse di prendere le orme del fratello e, per quanto doloroso, non potevano permetterlo. E se questo si fosse avverato sarebbe stato un grosso problema per l'intero Santuario, quindi qualsiasi dubbio andava stroncato sul nascere.

A qualsiasi costo.

Era questo l'ordine che aveva dato.

Milo l'aveva trovato assurdo, lì per lì, ma una sorta di logicità ce l'aveva, anche Camus glielo aveva spiegato, cercando di rassicurarlo che nessuno avrebbe ucciso Aiolia senza la certezza che avesse preso la strada sbagliata.

Eppure già molti al Santuario gli puntavano il dito contro solo per il legame di sangue che aveva con Aiolos, non solo i soldati ma anche molti altri Saint e aspiranti tali. Camus aveva suggerito di ignorarli e fare quello che si sentiva, che a conti fatti Aiolia era ancora un loro compagno, ed era vero, Milo lo sapeva bene. Nonostante questo invece di essergli amico adesso che ne aveva bisogno lo attaccava anche lui, seppur solo a parole per il momento. Non riusciva a capire neanche Milo stesso perché si comportasse così, e non gli piaceva per nulla, ma aveva assunto il suo ruolo di Gold Saint e non poteva certo tirarsi indietro.

Amici o meno, fratelli o meno, adesso Aiolia risultava essere un potenziale pericolo per loro tutti. Sperava solo che si sarebbe limitato a rimanere tutto ipotetico.

"Puoi stare tranquillo, Scorpio. Non dovrai affaticarti troppo in questo: io non sono un traditore," lo siete voi, gli disse una voce nella testa. Una voce che Aiolia riuscì a reprimere appena.

No, non erano traditori neanche loro, erano vittime di un inganno davanti cui lui aveva aperto gli occhi solo grazie a Mu.

E l'istinto era saltare addosso a Milo e prenderlo a pugni, snocciolandogli la verità che solo lui e Mu parevano conoscere ormai, e poi fare lo stesso con Aldebaran. Ma la voce di Dohko nella testa gli diceva che Milo non avrebbe capito. Non ancora, per lo meno.

E adesso che c'era l'ordine di tenerlo d'occhio, rischiava anche di ritrovarsi contro tutto quanto il Santuario.

Chissà se avrebbe dovuto piuttosto rimanere nascosto con Mu?

"Buon per te, Leo. Piuttosto, hai visto Aries? Cercavamo anche lui, il Sommo gli vuole parlare, ma non c'è verso di trovarlo da nessuna parte," domandò Milo, inarcando un sopracciglio nell'accorgersi che l'espressione di Aiolia era cambiata, anche se solo per un attimo.

Sapeva qualcosa. Nascondeva qualcosa.

 Aiolia, amico mio, non fare cazzate.

Avrebbe fatto finta di non vedere. Era solo un tic, no? Poteva essere.

"Non l'ho visto. Perché dovrei? Ho detto che sono stato solo."

Scorpio scrollò le spalle, "Magari era lui ad essere venuto a cercare te. Per sapere come stai. Sai com'è, lui."

"No,Milo, non lo so. Com'è, lui?"

Che il falso Sacerdote avesse capito di essere stato smascherato da Mu Aiolia lo dava praticamente per certo, ed era per questo che gli aveva detto che il Santuario era troppo pericoloso per lui. Ma perché dire agli altri di volergli parlare, invece che mandarli a dargli la caccia come aveva fatto con Aiolos? O di farlo controllare a vista come pareva aver fatto con lui?

Forse sarebbe stato troppo sospetto? Forse cercava tutto sommato di mantenere un profilo basso. Mettere una taglia sulla testa anche a Mu, che apparentemente con tutto quello non c'entrava nulla e che in teoria era il suo allievo, non aveva senso, avrebbe portato a far insospettire anche i più fedeli, questo doveva averlo capito.

Parlargli poteva quindi essere una scusa per farlo sparire. Per fortuna che Mu non era lì, adesso.

"E' gentile, e sicuramente era preoccupato per  te dopo quello che è successo," chiarì Milo, "Comunque fa niente. Se non l'hai visto poco male. Vedi di non commettere errori, Leo. Sei sott'occhio," concluse, prima di girare i tacchi e allontanarsi.

Aiolia lo fissò andar via nella sua scintillante armatura, i capelli non troppo lunghi e completamente arruffati a malapena contenuti nella tiara dorata. Non poté che chiedersi se quella sarebbe stata la distanza che li avrebbe separati da quel momento in poi o se Milo sarebbe un giorno riuscito a credergli.

Per ora, però, forse era meglio fare come diceva e non commettere errori.

Con nessuno, neanche con Aldebaran, che gli stava ancora affianco, immobile e silenzioso.

"Qualcosa non va, Al? Mi sembri un po' teso."

Aldebaran, che per avere otto anni come lui era già il doppio in stazza, lo guardò appena con la coda dell'occhio. Poi guardò la boscaglia intorno, le Dodici Case e l'Arena in lontananza, il cielo limpido. Anche troppo limpido, per i gusti del Leone.

"Ti va se ci facciamo un giretto, Lia?"

Aiolia annuì senza pensarci troppo, seguendolo verso Rodorio, verso i confini del Santuario. Dove stavano andando, di preciso? Voleva uscire, forse? Ma il Sacerdote l'avrebbe saputo, e se la sarebbe presa anche con lui, e poi perché gli dava la confidenza di sempre quando Milo si era sforzato di essere così distaccato e formale?

"Qua ormai ci sono orecchie ovunque," alle parole di Aldebaran, Aiolia alzò la testa di scatto.

"Scusa?"

"Intendo che se parliamo fermi in un posto gli rendiamo la vita troppo facile e poi abbassa la voce, Aiolia!"

"Ma di che parli?"

"Non vorrei che qualcuno riferisse, tutto qui. Senti, Lia...Mu è andato via, vero?"

Aiolia si bloccò, gli occhi spalancati. Come aveva fatto? Mu aveva detto di non averlo trovato, il giorno prima, quando aveva incrociato lui e poi l'aveva portato via, quindi non poteva essere stato lui.

Aldebaran, lesto, gli diede una grossa pacca sulle spalle, "Coraggio, so che è dura adesso, ma sono certo che il peccato di tuo fratello non infangherà il tuo onore. Ti sei sempre meritato l'armatura che indossi!" stava parlando a voce eccessivamente alta, adesso, segno che voleva proprio farsi sentire. Ma c'era poi davvero qualcuno che li stava spiando?

"Hai...hai ragione, sì."

"Certo che ho ragione. Su, coraggio, tirati su!"

Ripresero a camminare uno di fianco all'altro e a parlare a fil di voce.

"Come l'hai capito?"

"Dai, Aiolia, sono grosso ma mica scemo! Hai fatto una faccia quando Milo ti ha detto che il Sacerdote voleva parlare con Mu. Deve averlo capito anche lui, forse, ma sono certo se lo terrà per sé."

"Faccio proprio schifo a mentire, eh?"

"Abbastanza," sorrise Toro, "Abbastanza, amico. Ma perché?  Se il Sommo lo scopre diventerà un traditore anche lui e verrà condannato a morte come Aiolos. E tu perché sei tornato, se eri con lui? E' pericolosissimo!"

Aiolia storse la bocca, "Perché io non sono bravo come lui ad aspettare e nascondermi."

Aldebaran sospirò pesantemente, "Io non vorrei dover uccidere né te né Mu. Siete miei amici. Tornate indietro, prima che sia troppo tardi, state commettendo il più grosso sbaglio della vostra vita! Siamo Santi di Athena, il nostro compito è proteggerla e proteggere il Santuario, preparandoci alla guerra contro Hades...che cosa vi è successo?"

"Cos'è successo a noi? Quale Athena stai proteggendo, qui, Al? Qui Athena non c'è più ormai, dalla Notte degli Inganni!"

"Aiolia!"

"E' la verità. Non siamo io e Mu a non capire, siete voi. Tutti voi. Aldebaran, se davvero non vuoi ucciderci, allora fa finta che questa conversazione non ci sia mai stata e andiamo, torniamo ai templi. Ed evita di parlarmi."

"Che cosa vogliono dire queste tue parole, Aiolia? Prima hai detto che non sei un traditore, mentivi?"

"Non abbiamo appena appurato che non sono molto bravo a mentire?"

Aldebaran abbozzò un sorriso, "Vero. E allora cos'è che stai nascondendo? Sia tu che Mu...se non siete voi i traditori, chi?" quando Aiolia non gli rispose, e anzi lasciò vagare lo sguardo ben oltre l'orizzonte, Aldebaran scosse il capo. Era assurdo, stava per commettere un reato punibile con la morte, lì al Grande Tempio.

Eppure il suo sesto Senso gli urlava a gran voce di fidarsi dei suoi compagni, degli occhi sinceri e furenti di Aiolia.

Perché qualcosa puzzava, nel comportamento di quei due. E in quello di Aiolos più che mai.

E anche nella scomparsa di Saga, mandando in missione all'improvviso senza che nessuno ne sapesse niente, guarda caso proprio il giorno prima della Notte degli Inganni, come avevano iniziato a chiamarla i soldati semplici.

"Quante leggi stai per farmi infrangere?"
"Forse tutte," ammise Aiolia.

"Bene. Allora continuiamo a camminare, che ne dici?"

 

Milo arrivò di corsa su all'Undicesima, sapendo che era lì che avrebbe sicuramente trovato Camus, e quando lo vide non prestò minimamente attenzione a quello che stava facendo -studiava sempre, Camus, da quando aveva imparato a leggere non si staccava mai dai libri, Milo certe volte se ne sentiva un po' geloso, neanche potessero davvero derubarlo del suo migliore amico.

"Milo, che succede?" gli chiese con un sospiro, tornando ad incrociare gli occhi con i suoi. Milo, che adesso che non era più con Aiolia non aveva più bisogno di mantenersi indifferente e superiore, si stava lasciando decisamente andare. Aveva lasciato l'armatura all'Ottava, la sua Casa, ed era venuto da lui con la casacca da allenamento, i capelli ancora più arruffati del solito e le labbra tremolanti.

"Vieni qui, dai," fece, spostandosi un po' sulla poltrona, posta proprio sotto la finestra, per permettere all'altro di sederglisi accanto. Milo non se lo fece ripetere due volte, le ginocchia strette al petto.

"Prima siamo riusciti a trovare Aiolia."

"Oh, bene. E quindi?"

"Quindi niente. Se ne era andato per stare da solo, forse per piangere Aiolos senza che nessun altro lo criticasse. Povero Aiolia, mi dispiace tanto per lui."

"Non ci puoi fare niente. L'importante è che non abbia perso la testa, no?"

Milo annuì. Sì, certo che era quello l'importante, perché non avrebbe mai e poi mai accettato di dover uccidere un amico. Sarebbe morto piuttosto che torcere un capello a Camus, ma anche Aiolia gli era caro e sperava ancora, con tutto se stesso, che sarebbero riusciti a tenerlo sulla retta via.

Lui e anche Mu, che però non si trovava da nessuna parte.

"Io credo...però è una cosa che deve rimanere fra noi, Cam!"

Camus annuì, "Va bene. Non lo dirò a nessuno."

"Bene. Stavo dicendo...io credo che Aiolia sappia che fine ha fatto Mu, e che sappia anche qualcos'altro. Non so che cosa però. Boh, ho avuto una strana sensazione parlando con lui, prima. Anche se mi ha assicurato che non avrebbe mai fatto lo stesso errore di Aiolos!"

"Il fatto che lui te l'abbia assicurato non conta nulla, lo sai. A parole si dicono tante cose. Però non hai prove che sappia qualcosa di Mu, quindi è inutile andarlo a denunciare al Sacerdote," ragionò l'altro, "Ti faccio preparare un tè caldo."

Milo ringraziò con un gesto del capo e Camus si alzò subito dopo, andando a cercare una delle sue ancelle per farsi preparare la tisana. Si chiese distrattamente se Milo si rendesse conto, effettivamente, che qualcosa puzzava davvero tanto in tutto quello che stava succedendo da quella fatidica notte.

Anche il fatto che il Sommo non sapesse dove si trovava Mu era strano. Possibile la pensasse così solamente lui? Insomma, era il suo allievo diretto o no? Se anche era tornato nel luogo dove si era addestrato, avrebbe dovuto saperlo.

Capiva non si fidasse di Aiolia, visto il peccato commesso da Aiolos e su cui lui aveva ancora diversi dubbi, ma neanche Mu? Certo, aveva solo ordinato che, nel caso l'avessero incrociato, avrebbero dovuto farlo venire da lui perché voleva parlargli, e quello non era strano, non più di tanto. A parte il fatto che di solito, grazie ai loro poteri telepatici, Mu sapeva sempre quando l'altro voleva vederlo, ma l'aveva notata solo lui la tensione nella voce del Sommo mentre dava quell'ordine?

Milo non era il ragazzino più sveglio e attento del mondo e Aldebaran aveva la testa fra le nuvole, preoccupato com'era per gli altri due assenti, ma non poteva averla notata solo lui.

Era strano. Anche durante le riunioni ufficiali, Shion era sempre stato morbido con loro, se non occorreva il contrario, perché sapeva che erano bambini, e poi aveva sempre avuto una camminata un po' traballante, da vecchio. Perché era vecchio. Adesso no. Anche se non si era alzato -per non farsi vedere mentre camminava, possibile?- teneva la schiena bella dritta e le spalle non erano per niente ingobbite.

Aveva ancora duecento e passa anni o no?

Scosse la testa, sedendosi di nuovo accanto a Milo.

Alla fine, quelli non erano fatti suoi. Finché poteva starsene tranquillo, non vedeva perché preoccuparsi di cose come quelle. Non era mai stato un impiccione e di certo non avrebbe iniziato in quel momento.

Però era strano, e questo l'aveva notato.

"Secondo te, Milo, il Sommo è rimasto sconvolto da quello che è successo?"

"Mh?" Scorpio staccò le labbra dalla tazza, "In che senso, scusa?"

"Nel senso che sembrava diverso con noi, anche. Come se non si sentisse più di potersi fidare neanche di noi altri."

"E ti sembrerebbe così strano? Cioè, Aiolos era tipo l'eroe di tutti."
"Già. Hai ragione."

Forse ci stava andando con i piedi di piombo per cercare di capire se aveva mal giudicato qualcun altro di loro oltre ad Aiolos, e lui aveva mal interpretato il suo comportamento. Non sarebbe stato così sospetto, quello. Anzi, era normale.

Doveva essere così, anche lui l'avrebbe fatto se fosse stato il vecchio Shion, perché in fondo aveva sulle spalle un intero Santuario, la vita di Athena, e milioni di altre cose importanti. Non poteva farsi sfuggire più nulla.

Non poteva più essere una sorta di padre per loro, come in passato.

Le cose stavano cambiando, era ovvio.

 

Shaka mise piede nella sala del Gran Sacerdote bardato dalla sua armatura d'oro e si inginocchiò subito al suo capezzale. C'era solo lui, quella sera. Era stato mandato a chiamare dicendogli che il Sommo voleva parlargli, e lui era andato subito.

Solo il giorno prima aveva visto quell'uomo che Mu aveva accusato con tanto ardore di tradimento e aveva notato che Camus lo fissava come se non lo riconoscesse. E d'altronde anche lui aveva ancora le parole di Mu nella testa, a rimbombargli come una nenia fastidiosa.

Per questo, non riuscì a non scorgere il ticchettio nervoso del dito sul bracciolo dello scranno, il fatto che non si fosse alzato, la voce che da dietro la maschera risultava forzatamente grave. La schiena era più dritta, lo faceva sembrare persino più alto. E i capelli, anche.

Quelli di Shion erano sempre stati lunghi, bianchi, ondulati, all'apparenza morbidi. Anche ora era uguale, se non li si guardava bene. Eppure a Shaka parvero più scuri.

Era ovvio che si stesse facendo influenzare eccessivamente dalle parole di Mu, doveva essere per forza così.

E doveva smetterla, perché stava commettendo un grave reato, punibile con la pena di morte. Non si contraddiceva il  Patriarca. Mai.

"Mi ha fatto chiamare, Sommo?"

"Sì, Shaka. Vorrei che tornassi in India, sulle rive del Gange dove ti sei allenato e dove hai vinto la Cloth che ora indossi, per riprendere, continuare e finire il tuo addestramento."

"Certo, Sommo. Ma...avevo capito che la priorità fosse rimanere tutti qui, al Santuario."

Nessun gesto o movimento strano. La maschera gli impediva di vedere l'espressione. Non poteva giudicare da quel punto di vista, quindi cercò un'altra strada.

Una che non l'aveva mai condotto in errore fino a quel momento.

"Era così, per via della nascita di Athena al Tempio. E vi farò richiamare non appena avremmo ritrovato la nostra Divina Signora. Ma dopo quello che è successo, ciò che più conta in questo momento è che voi diventiate più forti...mentalmente oltre che fisicamente. Per non ricadere nel peccato commesso da Aiolos."

"Voi pensate quindi che Aiolos non abbia ucciso la neonata?"

"Ne sono certo. Troveremo il cadavere del traditore e la bambina e la ricondurremo qui al Santuario, e con essa farete ritorno anche voi. Ma il tempo non è ancora maturato, avrei dovuto capirlo già allora."

Quindi avrebbe mandato via anche gli altri, non solo lui. Li avrebbe allontanati per permettere loro di diventare più forti.

O per non farsi scoprire?

No, no, doveva smettere di pensare alle parole di Mu.

"Come ordinate, Sommo!"

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


CAPITOLO 3

 

 

Deciso ancora più di prima a raggiungere il Tredicesimo Tempio e parlare con Shion, Mu si era messo di pazienza ad aspettare, sperando che con l'arrivo del nuovo giorno il divieto di salire sarebbe stato revocato. In qualsiasi caso, però, avrebbe raggiunto il suo obiettivo, anche se non sapeva ancora come.

Non dovette attendere l'alba, però, non ce ne fu bisogno.

Quando scorse la figura di Shura all'orizzonte, le spalle incassate e il volto cinereo ad invecchiarlo di almeno dieci anni, si vide passare accanto sia il custode della Quarta che della Dodicesima Casa, diretti verso Capricorn.

Come aveva intuito, quei tre erano più amici di quello che volevano apertamente mostrare. Chissà se lo stavano aspettando insieme, in attesa di confortarlo per quanto era appena successo? Gli fece pena, non poté evitarselo, e allo stesso tempo avrebbe anche voluto andare da lui a dirgli a sua volta qualcosa che lo tirasse su. Ma che cosa c'era da dirgli? Niente, proprio niente.

Aveva ucciso un compagno, anche se erano stati gli ordini. Niente avrebbe potuto risollevare l'animo ferito di Shura, nemmeno i due amici.

Li guardò per un po', fermi l'uno davanti all'altro, con Shura che guardava a terra e gli altri due che si scambiavano occhiate allarmate, di qualcuno che vorrebbe ma non può.

Nel momento in cui scorse il sangue a macchiare l'armatura del Capricorno, però, decise immediatamente che non sarebbe rimasto un attimo in più a vegliare su quella patetica scena, e che era il caso invece di approfittarne. Girò le spalle ai tre e iniziò a correre verso il Tredicesimo, prima che anche solo uno di loro potesse fermarlo.

Non ci mise molto ad arrivare, ma ad accoglierlo furono solo le guardie.

"Nobile Mu, la prego di tornare alla sua Dimore. Il Sommo Patriarca non desidera essere disturbato, al momento."

Mu scosse il capo, "Non mi importa! Ho bisogno di parlare con il mio maestro, ditegli che sono qui!"

"Questo non è possibile, Nobile Cavaliere. La prego di andarsene, o sarebbe costretti a mandarla via con la forza."

"Non ne avete le capacità! E adesso annunciatemi, ho detto!"

Perché evitava così di vederlo? Non l'aveva mai fatto, neanche nel cuore della notte, neanche per le cose più sciocche. E quella non era certo una sciocchezza. Dopo quanto successo doveva aspettarsi che avrebbe desiderato vederlo, lo conosceva ormai.

Era Mu quello a non riconoscere più il suo maestro, negli ordini impartiti quella notte. La morte di Aiolos per mano di Shura, il divieto di incontrare persino lui. Che stava succedendo?

Non poteva più aspettare.

Contro ogni suo principio morale, colpì le due guardie mettendole facilmente fuori gioco e, con un movimento secco, aprì il portone che portava alle sale del Sacerdote.

"Maestro! Maestro Shion, devo parlare con voi! Vi prego!"

Per un lungo istante, Mu non avvertì alcun rumore, né delle guardie né di Shion. Poi i passi di qualcuno che si avvicinava e infine la casacca nera del Patriarca comparve davanti ai suoi occhi.

La maschera sul viso.

"Maestro?" non poté evitarsi di chiamarlo in un sussurro appena, mentre gli si avvicinava.

D'istinto, prima ancora di capire perché, fece un passo indietro.

Shion aveva il passo claudicante degli anziani e odiava portare l'elmo e la maschera a coprirgli il volto, se poteva evitarlo. Con lui non l'aveva mai fatto, nemmeno nella sua veste più formale. Per non parlare del fatto che il peso degli anni vissuti l'aveva reso ricurvo, quasi arcigno a vederlo.

Quindi chi era quello? Chi era quella figura che, vestita come il suo maestro, camminava verso di lui diritto e con la testa alta, la maschera sul volto?

Anche i capelli erano diversi, adesso che gli era più vicino. Appena, ma era così.

"Che cosa succede, Mu? Avevo chiesto di non essere disturbato, come sei arrivato qui?"

"Io...ho approfittato del caos dovuto alla morte di Aiolos...volevo parlarle," gli disse. Sì, l'idea era chiedere spiegazioni, se c'erano. Eppure ora si sentiva la mente svuotata.

"Capisco. Cosa volevi chiedermi, Mu?"

Dietro quella maschera che rendeva più distante e ovattata la voce c'era una nota diversa, che Mu non riconobbe. Era davvero la voce di un vecchio bicentenario? Quella di Shion di norma era dolce, strascicata nei momenti in cui era più stanco. Mentre ora qualcosa era diverso.

Era sicura. Minacciosa.

Sì, Mu si sentì minacciato da quella figura vestita di nero che lo guardava con gli occhi ciechi della maschera.

Voleva andarsene, andarsene subito.

Maestro mio, dove siete?

"E' vero quello che dicono, Sommo? Che Aiolos ha ucciso Athena?" lo chiese comunque, cauto, perché non poteva rendere palese il fatto che sospettasse. Sarebbe stato troppo strano.

"Purtroppo era suo intento farlo, Mu, sì. Ho mandato dietro di lui il giovane Capricorn proprio per impedirlo. Quando tornerà con il resoconto della missione saprò dire di più a tutti voi."

"Non mi aspettavo che Aiolos..."

"Lo so. Nessuno di noi se lo aspettava. Va a dormire, Mu, riposati. La parte più difficile è appena iniziata."

Grato di essere stato scacciato e di poter fuggire senza sembrare sospetto, Mu si piegò in ginocchio davanti a lui in segno di rispetto e corse fuori, non sentendosi più al sicuro in nessuna delle Case che stava oltrepassando. Quasi qualcuno lo stesse spiando.

 

"Shaka, posso entrare nella tua Casa? Sei già sveglio?" la voce di Mu era incerta, il giovane Virgo la colse immediatamente. Shaka, che quella notte come tutti loro non era riuscito a prendere sonno, si avviò verso l'ingresso posteriore della sua Dimora per accogliere l'ospite inatteso. Doveva essere passato anche per salire, ma Shaka stesso era uscito dopo aver sentito il Cosmo di Aiolos spegnersi, e non se ne era minimamente accorto.

"Vieni pure, Mu. Cosa ti porta a fermarti alla Sesta Casa?" domandò, inclinando appena il capo di lato con fare curioso, gli occhi sempre chiusi.

"Shaka, avevo bisogno di parlare con qualcuno," ammise Mu, cercando le parole giuste per spiegare quello che doveva. Avrebbe voluto parlarne anche con Aldebaran, che era il suo più caro amico, ma l'altro era sicuramente insieme ad Aiolia, per confortarlo in quella difficile serata, e non gli sembrava il caso. E poi, Shaka c'era sempre quando si aveva bisogno, e in quel momento lui necessitava di risposte.

Che il Buddha potesse dargliene qualcuna era una cosa che sperava ardentemente.

"Che cosa succede?" s'interessò l'altro, cortese, facendogli cenno di entrare nella sua Casa. Mu però non lo seguì, rimanendo fermo, le mani strette fra loro, quasi fosse nervoso. E forse era così. Forse era persino spaventato.

Accusare il Sacerdote era contro le leggi del Santuario. Ma quello non era il Sacerdote, e lui ormai ne aveva avuto conferma.

"Tu non hai avuto strane sensazioni, questa notte, Shaka?"

"Svariate cose sono state strane questa notte, Mu, primo fra tutte il comportamento di Aiolos, non trovi? A che cosa ti stai riferendo, di preciso?"

"E se non fosse Aiolos quello sospetto? Hai percepito anche tu il terzo Cosmo che questa notte si è mosso per un istante nel Tredicesimo Tempio, non puoi non averlo fatto! Devi esserti accorto anche tu che c'era qualcosa!"

Il piccolo Shaka aggrottò le sopracciglia, "Certo che c'era qualcosa. Aiolos che tentava di uccidere Athena, ancora in fasce, infangando il nome di tutti noi Saint."

Mu scosse il capo, con più forza. Lo aveva sentito anche Shaka, come Aldebaran e Aiolia, non c'erano dubbi. Che volesse vedere la realtà dei fatti o meno.

"No, non è così! C'era una terza persona che non ho riconosciuto, stanotte, devi averla percepita!"

Shaka assottigliò le labbra, abbassando appena il capo, "Stavo dormendo ed è stato solo un istante..."

"Però l'hai sentito! Hai sentito che c'è stato qualcosa!"

"Forse," ammise, "Ma non ne sono sicuro. Cosa c'entra, questo?"

"C'entra perché quando quel Cosmo è sparito, prima che divampasse quello di Aiolos, anche quello del mio maestro è sparito. E non riesco più a percepirlo, adesso!"

"Non dire sciocchezze, Mu. Devi esserti fatto influenzare da qualcosa, senza alcun dubbio. Sei stato al Tredicesimo Tempio proprio ora, hai visto con i tuoi occhi il Sommo, sano e salvo."

"No, Shaka, sono sicuro di quello che ho sentito! E anche di quello che ho visto ora. Il Gran Sacerdote che ho incontrato adesso era...diverso! Non era il mio maestro, ne sono certo."

"Blasfemie!" esclamò Shaka, spalancando gli occhi. Normalmente, Mu sarebbe stato felice di vederli, invece qualcosa in quello sguardo lo fece rabbrividire e si ritrovò in posizione di difesa.

Doveva immaginarlo, quindi perché aveva parlato? Perché non aveva taciuto? Credeva Shaka suo amico fino al punto da andare contro le leggi del Santuario, forse? Era vero, sì, che Shaka gli era affezionato e lo stimava, ma quello che aveva sperato era troppo.

Però aveva così tanto bisogno di sfogarsi, dopo ciò che aveva visto, che la sua bocca e il suo corpo avevano agito prima della sua mente. Aveva sperato.

"Quello che stai dicendo è un insulto, Mu! Dubitare del Gran Sacerdote, come puoi? Questo solo basterebbe per farti accusare di tradimento, lo sai bene!"

Mu strinse i pugni, "Ne sono consapevole, ma so quello che dico! Perché non provi a stare ad ascoltarmi, Shaka? Te ne supplico, credi alle mie parole. Ho mai forse dato motivo di farti dubitare di me?"

Il piccolo Shaka rizzò la schiena e chiuse di nuovo gli occhi. "No, questo no," fece, "Ma sono io a supplicarti di tornare in te, Mu. Ti prego di tutto cuore, perché ti rispetto come compagno, di ritirare quello che hai detto."

"Shaka..."

"Per aver dubitato del Gran Sacerdote, dovrei attaccarti seduta stante."

"Quello non è il mio maestro!" trillò la voce di Mu, ferito. Non solo non gli credeva, ma si dimostrava pronto ad attaccarlo, persino.

Shaka parve tendersi come una corda di violino, a quelle ultime affermazioni, e l'istinto era senz'altro quello di congiungere le mani e colpire, come avrebbe fatto contro chiunque altro.

Ma contro Mu no. Contro di lui non poteva con così tanta leggerezza.

"Basta così. Farò finta di non aver sentito, e che Athena ti perdoni, ma adesso vattene subito!" esclamò, a voce altrettanto alta, "Non costringermi ad attaccarti e ad ucciderti, Mu, non voglio macchiare di sangue la Sesta Casa."

"Bene. Perdonami per averti disturbato."

Shaka lo guardò continuare la discesa, la testa incassata nelle spalle, curve verso il basso come se fossero schiacciate da qualcosa di troppo pesante e grande perché lui, a otto anni, potesse riuscire a sorreggerlo da solo.

 

Quella notte Shaka aveva cacciato Mu in malo modo, ma le sue parole gli erano comunque rimaste impresse. Per quanto non fosse disposto a credere che il Patriarca fosse un impostore, sapeva che Mu non era tipo da parlare a sproposito, su una cosa del genere men che meno. Per quel motivo aveva continuato a pensarci, incessantemente, ma solo incontrandolo a sua volta, da solo, aveva potuto notare quei dettagli che Mu doveva aver colto all'istante, vedendolo.

La postura, la voce, i gesti.

Che fossero stati loro i ciechi?

Si chiese dove potesse essere ora l'altro, se fosse al sicuro o se avesse intenzione di tornare. Avrebbe voluto parlare di nuovo con lui di quel fatto, ma non sapeva dove fosse e non poteva quindi raggiungerlo. Non di persona, almeno.

Ma chissà se Mu avrebbe risposto ad un suo messaggio telepatico, visto come l'aveva trattato?

"Mu? Mu, riesci a sentirmi? Ho bisogno di parlare con te."

La risposta fu solo l'ostinato silenzio della Sesta Casa, in un primo momento. E a ragione, perché neanche lui avrebbe accettato niente dopo essere stato minacciato in quel modo.

Ma Mu era una persona troppo giusta e corretta, seppur nient'affatto sciocca.

Shaka ricevette la sua risposta solo quando lasciò i confini del santuario, Pandora Box e sacca il spalla, diretto verso l'aereo che l'avrebbe portato in India.

Anche telepaticamente, il Santuario non era più un posto sicuro. Non per Mu, comunque.

Shaka studiò appena l'uomo che lo stava accompagnando, giusto per non far apparire troppo sospetto un bambino di otto anni che viaggiava da solo in quel modo, e che probabilmente non era altro che un emissario del falso Sacerdote per tenerlo sott'occhio.

Ma era davvero quindi un impostore, l'uomo che aveva incontrato quella mattina? Non sapeva più che pensare.

C'era un modo familiare di porsi che però non gli ricordava Shion. Familiare era stato anche il Cosmo estraneo percepito quella notte, ma non riconosciuto.

Shaka continuava a protrarsi verso quella sensazione, la soluzione a tutto, senza riuscire a raggiungerla, a toccarla.

Se era familiare perché non era riuscito a riconoscervi nessuno? Cosa gli sfuggiva che neanche Mu, che conosceva Shion così bene, era stato in grado di comprendere?

"Ho visto il Patriarca. Con in mente quello che mi avevi detto tu, non ho potuto fare a meno di lasciarmi confondere e vedere cose che forse non ci sono. E forse anche tu hai notato queste cose, Mu. So che eri in buona fede, ti conosco, non avresti mai parlato in quel modo per niente, eppure...io non ho colto alcuna malvagità nel cuore del Sommo, Mu. E' possibile che tu ti sia sbagliato?"

"E' possibile che sia tu ad esserti sbagliato?"

Shaka rimase impassibile sentendo la voce di Mu direttamente nella sua testa, per non destare sospetti. Fino a quel momento non gli aveva risposto, e adesso gli insinuava ancora dei dubbi?

"So quello che ho visto."

"Anche io so quello che ho visto, Shaka. E so meglio di tutti voi com'è il Sommo Shion privatamente."

Fu il turno di Shaka di tacere, questa volta.

Certo, era vero per ovvi motivi che Mu fosse l'unico a conoscere davvero bene Shion, visto che ne era direttamente l'allievo, e forse solo Saga e Aiolos avrebbero potuto dissipare quella nebbia e rispondere alle loro domande. Ma uno era morto e l'altro, partito segretamente in missione, non avrebbe fatto ritorno molto presto.

"E se avessimo ragione entrambi?"

"Se è un impostore come potrebbe avere un cuore puro?"

"A questo non so rispondere," ammise il giovane indiano, "Ma se anche quello non era lo Shion che conosciamo noi, io non ho scorto malvagità."

"E io mi fido del tuo giudizio più di ogni altra cosa, Shaka. Ma mi fido anche dei miei occhi, e del mio cuore. C'è un'ombra funesta sul Santuario, è un luogo non più sicuro ormai. Troverò il modo per dimostrarlo e scacciarlo, fosse l'ultima cosa che faccio," assicurò, e la voce di Mu nella sua testa era decisa, in netta contrapposizione con il tremore che aveva avuto quella notte.

Aveva preso la sua decisione, e ne era sicuro.

Non sapeva quindi che cosa sarebbe successo adesso, ma il suo istinto gli faceva temere il peggio.

"Mi denuncerai?"

"No," fece, senza pensarci neanche, "Sto andando in India, adesso. Mi è stato ordinato di completare il mio addestramento e forse darà lo stesso ordine anche agli altri, nell'attesa di ritrovare Athena. Probabilmente, se hai ragione tu, lo userà come scusa per giustificare la tua assenza."

"E cosa ne sarà allora di Aiolia? La sua terra di addestramento è il Santuario, era Aiolos il suo maestro!"

"Non lo so. Ma tu non fare ritorno, Mu. Diventerebbe il tuo sepolcro."

"Ti ringrazio, Shaka. Anche per aver pensato alle mie parole."

"Di più non posso fare, per ora."

"E' sufficiente," assicurò. Andava bene così, per il momento.

C'era ancora tempo prima che il destino si compisse.

 

Tibet. Jamir. 5 Dicembre 1973.

 

Quando la voce di Shaka sfumò e scomparve dalla sua testa, Mu si alzò dal giaciglio approssimato che aveva nella pagoda in Jamir, lì dove si era allenato con Shion per imparare a riparare le armature. Ne sfiorò una con la punta delle dita, sentendola fredda al tatto.

Tutto lì era freddo ormai, il suo stesso cuore lo era.

Non avrebbe mai creduto di doversi nascondere così, come il peggiore dei criminali, senza più poter fare ritorno in quella che, a conti fatti, era la sua casa. Scacciato dalla sua stessa famiglia.

Almeno, però, Aiolia e Shaka sembravano credergli, o quantomeno Shaka aveva mostrato di non voler escludere a priori le sue parole, puntandogli contro il dito. Per lui significava tanto, visto come era stato trattato quella notte.

Chissà se anche Aldebaran gli avrebbe creduto? Forse. Ma anche in quel caso, Shaka si sarebbe tenuto da parte piuttosto che rischiare di commettere il grave errore di colpire un innocente ed inoltre cosa mai avrebbero potuto fare? Attaccarlo?

Per altro, Aldebaran sicuramente sarebbe tornato in Brasile, come Shaka in India.

Era preoccupato per Aiolia, a quel pensiero, non poteva farne a meno. Che cosa avrebbe fatto tutto da solo, come si sarebbe sentito? Abbandonato a forza dai suoi compagni, lasciato a se stesso.

Loro erano i suoi unici amici, loro che lo conoscevano e sapevano quanto era bravo, forte, di buon cuore. Per anni era stato additato per essere un raccomandato e adesso sarebbe stata la stessa cosa per colpa del tradimento di Aiolos. Cosa ne sarebbe stato, di lui?

Di sicuro, se lo conosceva, avrebbe fatto di tutto per non rimanere indietro. Con gli altri sparsi in giro per il mondo a completare l'addestramento e solo l'assassino di Aiolos, con Aphrodite e Deathmask, al Santuario, oltre all'impostore, Aiolia avrebbe di certo fatto in modo di continuare ad allenarsi da solo. Per diventare più forte, abbastanza da non dover abbassare il capo dinnanzi a nessuno, neanche il falso Patriarca.

Ed era giusto così.

Anche Mu doveva fare la stessa cosa. Diventare molto più forte di com'era adesso.

 

Grecia, Santuario di Atene. 10 Dicembre 1973.

 

Quando diversi giorni dopo anche gli altri tre mancanti all'appello partirono, ognuno per la terra in cui avevano già svolto la parte fondamentale del proprio addestramento, Saga fu certo di aver isolato a dovere Aiolia. Non avrebbe azzardato nulla contro di lui e, anche se l'avesse fatto, non sarebbe riuscito ad ottenere nient'altro che la morte.

Anche gli altri sospettano di te, folle!

Saga scosse il capo. Si, certo che sospettavano di lui. Shaka e Camus non erano certo degli sciocchi e anche se Aldebaran e Milo peccavano spesso d'ingenuità, rischiava comunque che cogliessero qualcosa.

Il tutto era stato troppo improvviso perché riuscisse a creare una mascherata impeccabile e non aveva purtroppo potuto ignorare la presenza degli altri Gold suoi pari.

Per questo li aveva mandati via, lontano da lui e dalla furia del Leone, lontani dal suo piano quasi perfetto il tempo sufficiente perché ogni dubbio venisse dissipato.

Non a tuo favore! Torneranno più forti di prima, e per te sarà la fine!

"Taci!" sbottò, lanciando senza alcuna posa l'elmo del Patriarca contro il grande specchio a muro presente nelle stanze private precedentemente appartenute a Shion e frantumandolo, "Non è certo per questo che li ho mandati via!"

Non importa il motivo per il quale l'hai fatto. Ti sei scavato la fossa da solo.

Saga puntò quegli occhi fin troppo rossi in uno dei cocci sparsi a terra, specchiandosi in un altro paio, uguali e diversi. Azzurri e furiosi.

"Quei mentecatti non avranno il coraggio di rivoltarsi contro di me."

Hai ordinato a Shura di uccidere Aiolos, hai privato Mu del suo maestro e Aiolia di suo fratello. Non ti perdoneranno mai!

"Non me ne faccio nulla del loro perdono. Io desidero solo il potere," calpestò ciò che rimaneva dei vetri, ferendosi il piede nudo, e si avviò verso la sala da bagno adiacente.

Certo, quello che diceva l'altro Saga era vero, la decisione presa era rischiosa, senz'altro. Mandarli a completare il loro addestramento significava riaverli più forti ma non necessariamente dalla sua parte. Ciononostante, avrebbe avuto dalla sua del tempo.

Tempo per organizzare il falso ritrovamento di Athena al Santuario, e per diventare più forte a sua volta. Imparare a padroneggiare il Genro Mao Ken era la sua unica possibilità. Plagiare la mente di qualcuno come Shaka non sarebbe stato affatto semplice, ma tutti gli altri erano alla sua portata, persino Mu, se fosse riuscito a trovarlo. Altrimenti l'avrebbe ucciso.

Non sarebbe stata una grossa perdita.

Purtroppo, per anni l'altro Saga aveva combattuto una strenua resistenza alla sua coscienza ed era riuscito a prendere il sopravvento solo quando anche su di lui l'ira e il risentimento avevano avuto la meglio. Insieme alla frustrazione e alla delusione per la scelta del Patriarca ricaduta su Aiolos, quel Saga che adesso stava camminando verso la vasca era riuscito a prendere il controllo, e da lì era stata tutta una strada in discesa. Disorganizzata, però, e questo non gli aveva permesso di evitare che Aiolos lo scoprisse e salvasse Athena. E poi anche Mu aveva capito, nonostante avesse ordinato a quell'idiota di Deathmask di non far passare nessuno.

Ma d'altronde, che doveva aspettarsi?

Da adesso, però, niente doveva più essere lasciato al caso o alla fortuna. Tutto doveva essere assolutamente perfetto.

 

 

ANGOLINO AUTRICE:

Salve! Innanzitutto, grazie mille a Oktavia e _FireStar_55 per aver commentato! Arriverò a rispondere il prima possibile, non temete!

Punto due. Sì, lo so che il modo in cui muove il piccolo Shaka è strano e opposto a quello che conosciamo solitamente, ma come detto in Little Lotus, non credo che Shaka da bambino fosse così cinico e insopportabile come quello che conosciamo noi alla Sesta.
Spero comunque che non stoni troppi! =)
Un bacione,

Asu

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


CAPITOLO 4

 

 

 

Grecia. Santuario di Atene. 1973-77

 

Gli anni al Santuario senza suo fratello diventavano sempre più pesanti, più cresceva più si sentiva furioso e allo stesso tempo schiacciato dalla situazione che tutti loro stavano vivendo. Tutti, ma di cui lì dentro solo lui pareva essere cosciente del tutto.

Ed era inutile cercare di riferirlo a qualchedun’altro. Nessuno lo avrebbe ascoltato. E nessuno lo meritava neanche. Lì, tutti pronti a credere genuflessi a sua signoria il Gran Sacerdote, tutti ciechi, sordi alla realtà.

Neanche chi aveva conosciuto Aiolos mai aveva avuto un dubbio a sfiorarlo, mai si era posto un quesito.

Neanche chi era cresciuto con Aiolos si era fermato a pensare, prima di alzare la propria arma contro un uomo disarmato che cercava di fare il suo Sacro dovere; proteggere la Dea Athena.

E se dunque era quella la strada che tutti loro, stolti, avevano deciso di intraprendere, chinando il capo davanti ad un folle, chi era lui per fermarli.

Anche se solo, anche se i soldati semplici e gli allievi, ignorando il suo status di Cavaliere D'Oro, non facevano altro che sparlargli alle spalle, senza neanche preoccuparsi che non fosse effettivamente in grado di sentirli. Anche così, Aiolia aveva intenzione di andare avanti, e smascherarlo.

Da solo. Non era un problema. Non aveva paura.

No. Quando guardava il suo stesso riflesso, sapeva di non dover aver paura affatto.

Più cresceva, più gli somigliava. Quando si guardava allo specchio, e rivedeva a volte il volto del suo amato fratello, si rendeva conto di essere orgoglioso di essere fratello di Aiolos di Sagitter, eroe giusto e Gold Saint al servizio di Athena fino alla morte. L’unico che si meritava quel titolo, l’unico fra tutti loro.

Gli altri non meritavano null’altro che l’infamia di essere abbandonati dalle loro stesse armature, declassati a niente, sterpaglia. Proprio come stavano cercando di fare con lui.

Ma non era quello che l’avrebbe fatto cedere.

Mai in tutta la sua breve vita era stato così certo di qualcosa come in quel momento.

Non importava quanti anni avesse, non importava se per anni aveva avuto timore di essere troppo poco per l’armatura di Leo, se paragonato ad Aiolos.

Adesso non era più così.

Non c’era più Aiolos a cui paragonarsi, e dietro cui nascondersi.

Adesso toccava a lui, Aiolia di Leo, mostrare cosa significasse essere davvero un Cavaliere D’Oro.

Un vero Cavaliere d’oro.

Per questo continuava ad allenarsi, incessantemente, anche adesso che era solo, senza più gli insegnamenti di Aiolos ad indicargli la via. Non poteva essere certo avesse avuto i suoi giusti frutti, troppo difficile comprenderlo quando non aveva nessuno con cui confrontarsi, suo pari o meno che fosse.

Ma lui si sentiva più forte. Sicuro. Degno più che mai che Leo gli vibrasse addosso.

Rare erano state in quegli anni le occasioni che l’avevano portato a spingersi ad abbassarsi al livello di quegli inetti, parlando, discutendo o litigando con loro. Poteva accettare che la gente continuasse ad accusarlo di tradimento, di essere della stessa pasta di Aiolos, perché era ovvio che nessuno di quelle pecore avesse idea di quale fosse la verità né che il Patriarca fosse un impostore che li stava ingannando. Quello che non accettava, però, era che si screditasse tutto quello che Aiolos era stato prima di quella dannata notte.

Non suo fratello, che era sempre stato giusto e buono. Quello non poteva accettarlo. Nessuno doveva permettersi, mai, nessuno, tantomeno un branco di sciocchi che parlava solo perché si sentivano protetti. Solo perché secondo loro non poteva toccarli. E chi mai glielo impediva? Shura forse, che di tanto in tanto nelle sue ronde gli passava accanto e lo ammoniva con un'occhiata furiosa?

No di certo. Non aveva paura di Shura. Se avesse potuto, si sarebbe preso la sua giusta vendetta, e un giorno l'avrebbe fatto. Avrebbe dato all'assassino di suo fratello quello che meritava: la morte con un giusto duello. Equilibrato, non come aveva fatto l'altro.

Perché per quanto furioso il Leone aveva un orgoglio da difendere.

Voleva uno scontro, e solo lì l'avrebbe ucciso.

Ma non ora, non a rischio che anche quello passasse in cattiva luce. No, sarebbe accaduto dopo, dopo lo smascheramento dell’impostore, dopo che tutti loro avessero ammesso che Aiolos non era un traditore. Dopo averli sentiti scusarsi tutti, prostrarsi davanti alla sua tomba.

Dopo il giusto funerale che Aiolos meritava.

Solo allora avrebbe puntato il dito contro Shura, chiedendogli quello che era suo di diritto: la vendetta.

E se la sarebbe presa, riscattando e spolverando un’ultima volta l’onore di suo fratello.

Non prima.

 

Dopo neanche un anno dalla morte di Aiolos, la voce che la neonata Athena fosse stata ritrovata e tratta in salvo, e riportata lì al Santuario, al sicuro fra le braccia del Patriarca, si era sparsa in tutto il Santuario.

Tutti ci credettero fin da subito, a nessuno sfiorò mai il dubbio che fosse strano, sospetto. Che se Aiolos fosse stato davvero un traditore non ci sarebbe più stata un’Athena viva da riportare al Grande Tempio. L’avrebbe uccisa subito, o strada facendo.

Ma no. A nessuno venne nessun dubbio.

Non è possibile,” gli disse Mu quando glielo riferì, appena possibile. Era sempre Mu a contattarlo telepaticamente, di rado e per pochissimo tempo.

Solo per sapere come stava, se era vivo. Mai di più. Perché era pericoloso.

Lo penso anche io. E’ una bugia.”

Senz’alcun dubbio. Come vanno da te le cose, Aiolia?

Come devono. Non ti preoccupare per me, Mu.”

Okay. Stai attento.”

Annuiva sempre, ogni volta che Mu glielo rammentava.

Attento, non fare follie. Mantieni un profilo basso, non fare colpi di testa.

Ma non c’erano rischi. A malapena si avvicinava agli altri, Aiolia. E il Gran Sacerdote non l’aveva ancora mai richiamato al suo cospetto, quindi non aveva neanche più avuto modo di vedere la sua faccia. La sua maschera, anzi, letteralmente parlando.

 

Ebbe il dispiacere di doversi di nuovo genuflettere al suo cospetto solo tre anni dopo, quando gli diede il compito di occuparsi di una ragazzina giapponese venuta fin lì per tentare di ottenere la Silver Cloth dell’Aquila.

Marin, si chiamava.

Aiolia acconsentì con appena un cenno del capo, frustrato dal fatto che avessero dato un compito simile a lui. Era un uomo, era un Gold Saint. Non era lui che doveva occuparsi di addestrare una ragazza. Le donne lo facevano per conto loro, fra di loro, in un campo d’allenamento per altro isolato.

Se voleva sbeffeggiarlo, umiliarlo o declassarlo pur senza potergli togliere l’armatura d’Oro, quello era il modo peggiore con cui potesse farlo. Ma non importava.

Se allenarla era quello che doveva fare, se così facendo pensava di fargli perdere tempo, o pazienza, o chissà che altro, l’avrebbe fatto comunque.

Sarebbe diventata una Silver Saint migliore di tutti quei boriosi sciocchi che vagavano senza una vera meta per il Santuario.

Quando la vide la prima volta, ad Aiolia fece pena.

Abbandonata a se stessa e al fratello del traditore perché nessuno voleva avere a che fare con una giapponese venuta a rubare un’armatura che sarebbe dovuta rimanere per tradizione in terra di Grecia.

Ma non era così che funzionava.

Le armature andavano a chi era prescelto, a chi era meritevole. Non importava se eri greco o giapponese. La metà dei Gold Saint non lo era, greca, seppur obbligati a differenza degli altri a rimanere lì a presidiare ognuno la propria casa.

Le porse la mano e fu felice di non vedere tentennamenti nei suoi occhi castani.

“Sono Aiolia, Saint di Leo. Sarò il tuo maestro.”

Marin,” disse lei. Nient’altro.

Non una scintilla di paura o ripensamenti. Capiva a malapena il greco, ma era ovvio che fosse determinata.

Per la prima volta dopo anni, dopo la morte del fratello, Aiolia si aprì in un sorriso sincero.

“Bene, Marin. Conosci il Cosmo?”

Se il Patriarca voleva fargli un torto, aveva sbagliato senza neanche essere realmente consapevole del grosso fallo commesso.

Probabilmente gli aveva appena fatto conoscere l’unico appiglio di sanità all’interno del Tempio.

L’unica che non lo conosceva, che non aveva pregiudizi su di lui. Né odio né rancore. Pura, ancora, dall’influsso malevolo del Gran Sacerdote.

L’unica che poteva essergli amica.

 

Grecia. Santuario. Febbraio 1977.

 

Shura gli passò accanto anche quella mattina –come sempre, come tutte le volte che toccava a lui fare la ronda- e come sempre Aiolia lo fissò con odio e sgarbo. Non ricevette neanche un cenno dall'altro, solo una lunga occhiata che Aiolia interpretò come una sfida.

Non poteva sapere, non voleva immaginare, quanto Shura morisse dentro ogni giorno per quello che aveva fatto. Ora soprattutto, con AIolia alla soglia di quei quindici anni che Aiolos, per colpa sua, non aveva avuto la possibilità di raggiungere.

Ora che gli somigliava più che mai. Ad Aiolos, che a quattordici anni si era macchiato dell'onta del tradimento ed era stato condannato a morte, condanna eseguita per mano sua. Aiolos, che quella notte non si era difeso, che l'aveva guardato con rammarico, chiedendogli solo di risparmiare quella povera creatura che teneva fra le braccia.

"Se sei ancora il ragazzo che ho cresciuto, Shura...lei è innocente!"

E Shura, che non era stato in grado di capire, aveva fatto come gli era stato chiesto. Col cuore pesante, aveva colpito Aiolos e poi allontanato la bambina, lasciandola viva. Nessuno gli aveva ordinato di ucciderla. Shion, se era lui, gli aveva chiesto di riportarla indietro. Ma Shura non l'aveva fatto. Quando aveva visto Aiolos stringerla in quel modo, non aveva avuto cuore di separarli.

Era stato sciocco, ma non era riuscito a vedere Aiolos morire così, come un cane. Non ci era riuscito.

Sagitter era stato un fratello anche per lui, un maestro in un certo senso, aveva avuto fiducia nelle sue capacità quando neanche Shura stesso ne aveva. Lo aveva ripreso se v’era necessità, incoraggiato, guidato.

Non aveva potuto guardarlo così.

Non ce l’aveva fatta.

Ma quando era tornato a riprendere la bambina e magari a dare una se non degna quantomeno adeguata sepoltura all'amico...era sparito. La macchia di sangue a terra era stata l'unica cosa che aveva trovato. Il cadavere, perché che fosse morto era certo, e anche la bambina non c'erano più.

Una piccola parte di lui era stato sollevato perché forse questo implicava un motivo, una spiegazione a quel gesto così sconsiderato.

Così era tornato indietro, straziato e sconfitto a metà, senza il cadavere del traditore e senza la bambina. E con la piccola speranza nel cuore che un motivo dietro tutto quello doveva esserci, doveva.

Da allora aveva sempre vegliato su Aiolia, a distanza, roso dai sensi di colpa.

Ma glielo doveva, perché se era solo era anche colpa sua. Nell'attesa di poter sacrificare la sua vita per ripagare il debito che aveva col Leone, come si era ripromesso quel giorno.

E non importava se Aiolia lo odiava. Era giusto così.

"Di logica dovresti provare a rivolgergli la parola, considerando che non fai altro che stargli dietro."

Shura si voltò appena, riconoscendo il suono di quella voce che adesso era cambiata, aveva assunto un timbro più profondo, virile, un qualcosa che Aphrodite aveva dimostrato di aberrare profondamente, ma in fondo erano ragazzi normali. E come era normale, erano cresciuti e cambiati.

"Non ne vedo il motivo," gli disse, voltando le spalle alla figura di Aiolia che, come ogni giorno, aveva raggiunto il campo d'addestramento femminile.

"Che cosa c'è, Aphrodite?"

Quello, per tutta risposta, storse le labbra appena lucide, "Beh, cos'è tutta questa freddezza, negli ultimi tempi?"

Shura chiuse gli occhi con fare stanco, poi si voltò di nuovo verso l'amico, "Niente di diverso dal solito. C'è un motivo se sei sceso dalla Dodicesima? Non lo fai mai."

"Magari avevo voglia di cambiare aria," fece con una scrollata di spalle, ma all'occhiata glaciale dell'altro sospirò, "Va bene, ammetto che non verrei qui se così fosse."

Ma era vero che Shura era cambiato, da quell'assassinio imposto. Era distaccato con tutti, manteneva le distanze, si ripeteva come un mantra che aveva fatto la cosa più giusta, che aveva eseguito gli ordini per salvare il Santuario e chi ci viveva, e forse anche il resto del mondo, liberandolo da quello che probabilmente sarebbe diventato un uomo pericoloso.

Ma non era vero, e Shura lo sapeva. Da quella notte, non aveva fatto altro che chiedersi se avrebbe dovuto dire di no, rifiutare gli ordini, disobbedire. Per la prima volta in vita sua. Non l'aveva fatto, ma se ne pentiva ogni singolo giorno.

Perché il Gran Sacerdote gli aveva chiesto di ucciderlo? Perché non di fermarlo, di riportarlo indietro come prigioniero, di catturarlo per sottoporlo a processo? Perché proprio la morte, data così, su due piedi? Lì per lì, Shura non aveva colto la stranezza di quell'ordine, l'autorità con cui era stato dato, quasi crudele. Era un bambino, shockato da quello che aveva appena scoperto...e una parte di lui, che si sentiva tradita personalmente, voleva vendetta.

Ma crescendo aveva avuto dei dubbi su quel gesto. Tanti, troppi dubbi.

Aiolos non l'avrebbe mai fatto, Shion non l'avrebbe mai fatto. Che cosa stava succedendo, al Santuario?

Vegliare su Aiolia era diventato un chiodo fisso, e non aveva certo perso tempo ad indagare su qualcosa che probabilmente vedeva solo lui, che non esisteva. Eppure...i suoi occhi potevano davvero ingannarlo fino a quel punto? La sua mente poteva giocargli uno scherzo simile?
E se c'era davvero qualcosa che lui non voleva vedere?

"C'è altro? Dovrei finire la mia ronda."

"Lo so. Quando hai finito, il Gran Sacerdote vuole parlarti."

Shura annuì, "Allora mi recherò subito da lui."

Aphrodite gli diede le spalle, mentre l'altro si allontanava, la rosa rossa appena materializzata fra le dita pallide, "Una cosa, Shura."

"Cosa?"

"Ricordati che è pur sempre il Gran Sacerdote."

Capricorn si girò di scatto, quasi fulminandolo, "Che vorresti dire?"

Aphrodite aggrottò le sopracciglia sottili, sospirando appena, "Anche se stai facendo pensieri al limite del legale e vorresti risposte...ricordati che quello è comunque il Sommo." Anche se non era Shion, era stato Deathmask a confermarglielo. Shura non reggerebbe la notizia, tienitela per te, così gli aveva detto. Lui era salito di gran carriera fino alle stanze private, spalancato la porta e urlato il nome di Saga. Non si era stupito più di tanto quando gli era comparso davanti mezzo nudo.

Ma era davvero Saga? Il colore di occhi e capelli era diverso, la postura e il modo di fare lo erano. Di Saga aveva a malapena l'aspetto esteriore.

"Che cazzo hai fatto?" era stato tutto quello che gli aveva chiesto. Non aveva idea di come Deathmask l'avesse scoperto, e forse non l'avrebbe saputo mai, ma non gli importava neanche. Quello che contava era la risposta, la minaccia, che gli aveva rifilato Saga alla sua domanda.

"Non sei indispensabile. Ricordatelo, Pisces."

E se non era indispensabile lui, allora non lo era neanche Shura. La differenza stava nel modo di fare. Lui e Deathmask avevano avuto la decenza di abbassare il capo e decidere che non era un problema loro, che finché si manteneva un certo equilibrio, finché la forza era in grado di governare, anche se col pugno di ferro, andava bene. Loro erano dalla parte dei più forti, di chi poteva portarli in alto, mostrare agli altri quello che avevano sempre voluto mostrare.

Ma Shura non era mai stato come loro. Il suo senso di giustizia gli impediva e gli avrebbe sempre impedito di aiutare qualcuno che sapeva essere -probabilmente- dalla parte sbagliata.

E Saga aveva capito che Shura sospettava, che si stava ponendo delle domande.

"Perché mi stai parlando in maniera così ambigua, Aphrodite?"

"Io parlo sempre in maniera ambigua, mio caro," rispose Pisces, ricominciando a camminare nella direzione opposta da quella intrapresa dal Custode del Decimo Tempio.

"In che modo potrei dimenticarmi che quello è il Sommo?"

"In nessuno. Era solo per dire. Ci vediamo più tardi, Shura," e prima che l'altro potesse aggiungere qualcosa, era già andato via.

 

Durante la salita, Aphrodite si fermò alla Quarta Casa, quella del Cancro. Deathmask era fuori, proprio come se lo stesse aspettando, con la sigaretta fra i denti. Aveva iniziato a fumare dopo aver scoperto di Saga, neanche fosse lui quello che aveva motivo di essere sotto stress.

"Ci hai parlato?"

"Certo che ci ho parlato," berciò Aphrodite, "Sono sceso apposta, visto che sua signoria è troppo impegnato a nascondersi nel suo harem  per prendersi il disturbo di chiamare le guardie."

"Bah, tanto ci siamo io e te che non abbiamo un cazzo da fare, no?"

"Certo, proprio niente!" sbuffò lo svedese, prima di sederglisi accanto, "Non accendere quello schifo, che puzza."

"Che lagna! E' solo una sigaretta."

"Puzza uguale. Senti, invece, parlando di cose serie...secondo te vuole ucciderlo?"

Deathmask ispirò, aria pulita questa volta, e non nicotina, e la cosa lo fece quasi tossire. "Non credo che gli convenga," ammise.

"Eppure ha ammazzato Aiolos senza pensarci due volte."

"Appunto per questo. Mica può accopparci tutti. Se iniziasse a puntare il dito, dopo Sagitter, anche su Shura, magari Aiolia, se lo trova Mu...anche il più fedele dei fedeli inizierebbe ad insospettirsi. Anche se mi sa che Mu, se lo trova, lo ammazza sul serio."

"Lo pensavo anche io, ma Mu è l'unico riparatore d'armature al mondo, in un certo senso gli serve. Sempre che il vecchio abbia fatto in tempo ad insegnargli qualcosa di utile, s'intende."

"Vero anche questo."

Deathmask si rigirò di nuovo la sigaretta fra le dita, la portò alle labbra masticandone il filtro con i denti, tentato com'era di accenderla ugualmente, anche se sapeva che all'altro dava fastidio.  Ma alla fine desistette.

"Posso farti una domanda, Death?"

"Perché, se ti dico di no non me la fai?"

"Certo che te la faccio lo stesso."

Deathmask scoppiò a ridere, una risata graffiante e animalesca, ma per nulla divertita. Una di quelle fatte per spaventare l'avversario che si ha di fronte, perché di divertente non c'era un bel niente. Anche se Aphrodite non era un avversario, e di certo non si sarebbe spaventato così facilmente.

"Come lo hai capito? Di Saga, intendo."

"Come lo hai capito tu. Come lo sta capendo Shura. Forse come lo hanno capito anche i marmocchi, se non sono stupidi. Per quanto si sforzi, Saga non c'entra niente col vecchio, proprio niente."

E dopo era andato ad affrontarlo a muso duro, per essere sicuro, si era fatto la sua sana risata e aveva detto che, se non gli metteva i bastoni fra le ruote, poteva fare quello che gli pareva. Saga l'aveva mandato via apparentemente soddisfatto, nonostante tutto.

"Io non avevo compreso, invece, finché non me l'hai detto."

"Mi hai creduto subito, qualche dubbio t'era venuto."

"Qualcuno," ammise Aphrodite, chiudendo gli occhi, "Ma l'avevo visto solo un'altra volta prima di quella sera. Si tiene alla larga da noi, ancora di più da Shura. Avevo solo notato che alcune cose erano...diverse. Ma poteva essere dovuto a tante cose. Tipo la delusione verso Aiolos."

Deathmask scrollò le spalle, "Se non si tenesse a distanza, sarebbe davvero un cretino. Sono quasi sicuro che abbia mandato via gli altri anche per questo: non essere scoperto prima di avere un piano vero. Dopotutto, il bacucco aveva più di duecento anni ed era tipo una prugna secca ormai. Come lo imiti uno così? Devi inventarti una storia plausibile, altrimenti non sta in piedi."

Per un attimo, fra i due scese di nuovo il silenzio, poi Aphrodite si alzò, "Già, comunque mandare via gli altri non è stata una grande mossa. Ha solo tardato l'inevitabile."

"Suppongo speri che al loro ritorno abbiano così inculcata in testa la figura del Gran Sacerdote da non alzare più neanche la testa davanti a lui."

"Scemenze, non succederà mai. Piuttosto mi chiedo se non fosse un modo per isolare Leo."

"Non ha funzionato. Quello s'è fatto l'amichetta," sghignazzò Cancer, "Gli serviva solo tempo, Aphro," aggiunse poi. Tempo per pensare, tempo per architettare. Tempo per imparare.

"Tempo, tempo, lo hai detto anche prima. Ma anche così, quanto potrebbero cambiare le cose? Anche adesso che ha fatto girare la voce che Athena è di nuovo al Santuario, al sicuro...io non ci credo."

"Ovvio che è una balla."

"L'altro giorno mi ha parlato di una tecnica per il controllo mentale che cercava di perfezionare," fece dopo un po' Aphrodite, "Pensi ci sia riuscito?"

Deathmask morse di nuovo il filtro, "Saga ottiene sempre quello che vuole."

"Per questo mi chiedo cosa voglia ora! Una manica di zombie al posto dei Gold Saint? E vuole testarla proprio su Shura?"

"Chi lo sa? Può anche essere."

"Che piano di merda."

"Tutto quello che ha fatto fino ad ora è stato un po' una merda," ghignò Deathmask, "Ma non è affar mio. Non voglio certo farmi ammazzare, io mi sto divertendo! Che faccia quello che gli pare."

"Sei una merda pure tu, Deathmask," affermò Aphrodite, aspro, e fu l'ultima cosa che gli disse prima di riprendere la scalata fino alla sua Dimora.

Deathmask non aspettò neanche che terminasse quella del Tempio del Leone per accendersi la sigaretta, aspirandone subito una grossa boccata.

Sì, forse Aphrodite aveva ragione, ma che gli importava? Non voleva certo finire fra le mani di Gemini, lui. Gli andava benissimo così, non aveva niente in contrario. Anzi, se doveva essere onesto...si stava persino divertendo.

 

 

 

ANGOLINO AUTRICE:

Potrei aver vagamente peccato di troppa licenza poetica nel pezzo di Aiolia e Marin.
Ho pensato che Merin a, quanto, 16 anni mi pare? Fosse già degna di diventare la maestra di un futuro Cavaliere, quindi il suo, di maestro, doveva essere per forza importante, o quantomeno averle insegnato molto, e bene. Immagino che un Saint non possa allenare una Sacerdotessa, visto che la divisione fra uomo e donna al santuario è più che netta, fin troppo. Quindi per Aiolia sarebbe stata una sorta di punizione, ecco. Per altro non mi pare Kurumada abbia mai detto questa cosa e i due sono amici quindi...non so, ho pensato che fosse carino. Mi è piaciuta l’idea, e ce l’ho messa xD
Descrivere tutto il periodo di isolamento di Aiolia penso non serva, non nel dettaglio, quindi ho stringato nelle parti più importanti!
E poi ho adorato muovere Death e Aphro alla fine xD Sperando di non essere andata troppo fuori pg!
Per il resto, spero che questo capitolo possa essere di vostro gusto come gli altri!
Al prossimo, con il ritorno dei pargoletti dall’allenamento!
Un bacione,
Asu

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


CAPITOLO 5

 

 

 

Grecia. Santuario di Atene. 23 Febbraio 1979.

 

Quando era tornato quella sera, Leo aveva subito notato la luce accesa nel Tempio dell'Anfora Dorata, ma non era comunque salito ad accertarsi che il suo Custode fosse effettivamente tornato.

Aiolia ormai non sapeva più come interpretare il comportamento del Custode dell'Undicesima, ma dopotutto non aveva mai avuto un gran rapporto con lui. Era il migliore amico di Milo, anche se sembrava strano conoscendoli, e Milo era un suo prezioso compagno, ma nonostante questo le loro conversazioni erano sempre state intermediate dallo Scorpione e da bambino Camus era sempre stato molto sulle sue.

Quindi, il fatto che non l'avesse salutato prima di andarsene o che non si fosse fatto rivedere al suo rientro non implicava che lo credesse davvero un traditore.

Ma il sesto senso di Aiolia, che non era infallibile ma di cui si fidava ciecamente, gli diceva che Camus sapeva. Aveva capito e non aveva intenzione di fare nulla.

Perché era sempre stato così, Aquarius. Se non lo colpiva direttamente, o non colpiva direttamente Milo, non era un problema suo. E, visto come stava andando il Santuario, seppur nelle mani di un impostore, che senso avrebbe avuto intervenire e creare quella che si sarebbe poi rivelata una vera e propria guerra interna?

No, dal punto di vista del glaciale francese la decisione di ignorare i segnali doveva essere la scelta migliore da fare.

E Aiolia, per questo, lo odiò, appuntando il suo nome sulla sua lunga, infinita lista nera.

Lui, e tutte quelle malelingue e quei traditori,  i veri traditori, che continuavano ad infangare e disprezzare la memoria di suo fratello. Una memoria che Aiolia stava solo aspettando di poter rispolverare, lucidare. Per sputare in faccia a tutti quanti, per prendere tutti a pugni.

Tutti.

L'impostore, quei tre traditori, Camus, che si voltava dall'altra parte.

E si chiese se anche Milo aveva capito, o avrebbe creduto. Milo che non era ancora tornato.

E Aldebaran, che sapeva?

Quella volta, Aldebaran aveva ascoltato in silenzio, tutto quanto. E non aveva giudicato, non aveva accusato, puntato il dito. Gli aveva messo una mano sulla spalla e aveva stretto, forte, quasi a fargli male. Non aveva detto niente, se ne era solo andato. Lasciandolo lì, muto, solo, tradito...abbandonato. Anche da lui, che forse poteva essere il suo unico alleato.

E poi era tornato il giorno successivo, di corsa e pallido. Aiolia l'aveva guardato di sotto in su, furioso.

"Il Sommo mi ha convocato," gli aveva detto Toro, concitato.

Aiolia aveva assottigliato gli occhi, "E allora? Fai pure, denunciami...ammazzami, portagli direttamente il mio cadavere, se pensi di riuscire a battermi. Non ritirerò una sola parola di quello che ho detto!"

"No, che hai capito, Lia?" fu la risposta di Aldebaran, svelto, quasi avesse paura ancora che qualcuno li spiasse, anche se non sapeva chi, "Ieri ho incontrato Shaka, è partito per l'India, per l'allenamento. Anche Milo se ne va. Se manda via anche me? Rimani solo, Aiolia!"

E allora Aiolia aveva capito, aveva capito che se Aldebaran non gli aveva risposto era stato perché doveva elaborare il concetto. Perché era una notizia grande, enorme, e credere significava mentire, infrangere tutte le leggi del Santuario, rischiare una condanna a morte o, peggio, la rinuncia all'armatura. Ma non aveva neanche fatto in tempo a decidere, che il Sommo l'aveva davvero mandato via, anche lui come Shaka prima e Milo dopo, e forse il prossimo sarebbe stato Camus, l'ultimo di loro ad essere stato investito ancora a metà dell'addestramento. A parte Mu, ovvio, ma la voce che Mu fosse stato il primo a partire si era già sparsa, anche se non era così. E Aiolia stesso, ma Aiolia non poteva lasciare il Santuario, perché era lì che si era allenato fin da principio.

"Io ti conosco, Aiolia, lo so che se rimani da solo farai qualche cavolata! Hai tutti gli occhi addosso, non te lo devi scordare!"

Commosso da tutta quella preoccupazione, Aiolia aveva abbozzato il primo sorriso da quella famosa Notte degli Inganni. "Sta tranquillo, Al. L'ho promesso anche a Mu. Niente colpi di testa, niente sparate. Non è ancora ora."

"Devi aspettare che torno! Aspetta, capito? Se torno e sei morto, ti disseppellisco e ti do il resto!"

Aiolia aveva riso, a quella frase, senza aggiungere altro. Almeno, finché la grossa schiena del Toro non era uscita dal colonnato della Quinta Casa.

"Mi credi, allora?"

"Non so in cosa credere, Lia. Ma so che né tu, né MuAiolos fareste mai una cosa simile, e questo mi porta a pensare. Quindi non farti ammazzare, Aiolia."

Ed era partito davvero il giorno dopo, Aldebaran, proprio come avevano temuto. Lo stesso giorno se ne era andato anche Camus, salutandolo appena con un cenno del capo.

"Aiolia, posso superare la tua Casa?" la voce di Shaka lo riportò alla realtà, e Leo abbassò appena il capo.

Stava ancora fissando l'Undicesima Casa, perso in ricordi e pensieri, e non se ne era neanche accorto. Ma Shaka adesso era lì, davanti a lui. Più alto, non tanto da superarlo ancora però. Ma era l'unico cambiamento evidente che riuscì a notare, insieme ai lunghi capelli biondi che adesso arrivavano a metà schiena, ricadendo morbidi su spalle che sembravano ancora troppo strette, ad Aiolia, per reggere il peso di un'armatura d'oro. Eppure, Shaka era uno dei cavalieri più potenti che conosceva.

"Bentornato, Shaka. Passa pure."

"Ti ringrazio," fece l'altro, prima di superarlo.

Aiolia non notò nemmeno un piccolo movimento di sopracciglia, quando gli passò accanto per raggiungere la Casa successiva, la sua. Eppure, Shaka fece solo pochi passi, nonostante non sembrasse voler effettivamente parlare, prima di fermarsi di nuovo.

Dandogli questa volta le spalle, gli occhi rigorosamente serrati sul mondo fissi verso il Tredicesimo Tempio. Quello dov'era il Gran Sacerdote. L'impostore, secondo Mu.

Shaka, invece, un'idea definitiva non era riuscito a farsela. Aveva fiducia in Mu, ma si sentiva confuso, perché non poteva non credere anche a quello che aveva visto a sua volta. Innumerevoli volte, in quegli anni di lontananza, aveva provato a confessare i suoi timori al Buddha e a chiedere i suoi consigli ma lui, seppur rispondendo sempre alle sue chiamate, non si era mai esposto.

Quella decisione, che poteva rivelarsi fatale, doveva prenderla da solo. L'unico consiglio che gli aveva dato era di non lasciarsi ingannare dalle apparenze. Ma quali apparenze? Quelle fisiche, quelle che l'avevano portato a credere a Mu e a diffidare persino della più alta Carica del Santuario? O quelle mentali, quelle che lo portavano a credere che, impostore o meno, c'era qualcosa di buono, in quell'uomo, che urlava e chiedeva di essere salvato, seppur inconsciamente?

Doveva accettare la furia di Aiolia, e far fuori l'impostore insieme a lui e Mu? O doveva star fermo, e aspettare, per non commettere il grave errore di uccidere qualcuno che, forse, poteva ancora essere aitato? L'anima che aveva scorto in quell'uomo era  candida e fedele alla Dea Athena, non era macchiata od oscura. Ma se non era Shion, come poteva essere possibile?

Come poteva prendere una decisione simile? Quale delle due facce doveva guardare? Il bene del Santuario, e quindi la giustizia, o la verità, anche se solo apparente?

Non riusciva a capirlo. E lui, da solo, che seppur così vicino agli Dei era solo un uomo, come poteva?

Non stava a lui, quella decisione, forse era questo che voleva dirgli il Buddha. Il suo unico compito era aspettare, guardare con gli occhi della Ragione e della Giustizia, e intervenire solo se necessario.

Quando necessario.

Per l'una o per l'altra fazione, solo in quel modo avrebbe potuto prendere la Giusta decisione.

"C'è qualche cosa che non va?"

"No, Leo. Mi stavo solo chiedendo come fossero andate le cose qui al Grande Tempio, in questi anni."

"Tutto come al solito, Virgo. Schifosamente e pateticamente falso."

"Farò finta di non aver sentito."

"Fa un po' come ti pare."

E nel frattempo, forse, sarebbe stato il caso di gettare un occhio anche al fiero e focoso Leone, suo vicino di Casa. Per rispetto a Mu, e anche ad Aiolos, che tanto stimava.

Per essere certo che non intralciasse il giusto cammino del Fato mettendosi in qualche guaio o facendosi uccidere.

 

Milo era tornato al Santuario per ultimo e aveva volutamente e attentamente evitato Aiolia.

Non voleva parlargli, non aveva niente da dirgli. Non al momento, non ancora, almeno.

C'era altro, invece, che doveva fare: schiarirsi le idee. Scacciare i dubbi.

Lui, da solo, non ce l'aveva fatta in quegli anni. Perché se con la mente non poteva minimamente pensare di tradire le ideologie del Santuario e l'alta carica che era il Sacerdote, dall'altra il suo animo lo spingeva a credere all'amico, a quel bambino solare e gioioso con cui era cresciuto.

Aiolia era stato il primo con cui Milo avesse mai parlato, quand'era arrivato, troppo piccolo anche solo per capire che cosa stesse succedendo ma euforico all'idea di conoscere nuove persone. Aiolia era nato lì, e suo fratello era diventato Cavaliere giovanissimo, quindi già sapeva tutto. Era stato un po' la sua guida, un aiuto immenso per quel bambino che si era ritrovato solo all'improvviso.

Fino all'arrivo di Camus, Aiolia era stato il suo unico compagno, quello con cui ridere e scherzare, quello con cui divertirsi ad ideare scherzi su scherzi ai danni degli altri, senza un preciso motivo.

Poi era arrivato Camus, che da vittima preferita del pestifero Milo era diventato in fretta il suo migliore amico. Era un legame diverso, non più profondo ma più complice e serio di quello che lo univa al Leone. Milo ci si era aggrappato, perché Camus era l'altra metà della mela, e lo teneva in equilibrio. Se da una parte c'era l'irascibilità dello scorpione, dall'altra arrivava la fredda compostezza dell'acquario.

Aiolia invece era persino più focoso di Milo e in quei giorni Scorpio aveva quasi paura di sapere che cosa potesse star pensando.

Ma teneva all'amico, e non voleva essere costretto a litigare con lui, né che Aiolia fraintendesse.

Perché Milo credeva, ma allo stesso tempo temeva.

Temeva che credere potesse portare solo guai. E altre morti inutili.

E lui ci teneva ad evitarle, le morti inutili.

Per questo ignorò Aiolia, non andò a salutarlo, lo lasciò invece alle cure di Aldebaran, che era sempre stato gentile con tutti e riusciva a strapparti un po' di serenità anche nei momento più bui.

Milo era certo, in fondo, che Aldebaran, in assenza di Mu, fosse la soluzione ideale per il Leone. Che lo tenesse buono, nel frattempo.

Lui aveva altro a cui pensare.

Camus era all'Undicesima, come sempre. Da quando aveva preso l'armatura, non scendeva mai in Arena nei momenti più caotici. In verità, Milo ce lo aveva intravisto solo di sera, o in piena notte. Da solo, soprattutto in inverno, quando il gelo e il freddo, e a volte la neve, forse lo facevano sentire a casa. Per l'altra parte della giornata Camus leggeva; studiava le stelle, studiava la storia, studiava le lingue.

A Camus piaceva studiare, forse persino troppo, per i gusti di Milo, ma ormai ci si era abituato.

E lo trovò lì anche quel giorno, il libro sulle ginocchia e i capelli, più lunghi, legati strettamente.

"Non sei cambiato di una virgola!" esclamò subito dopo aver varcato la soglia dell'Undicesima.

Camus alzò di scatto il capo, chiudendo il libro; Milo non riuscì neanche a leggerne il titolo, in francese, tant'era stato veloce. "Milo, sei tornato! Tu, invece, un po' sei cambiato," fece, un sorriso appena accennato, un sorriso alla Camus che racchiudeva in niente un intero mondo.

Milo scrollò le spalle, scompigliandosi la zazzera bionda: crescendo, aveva fatto allungare i capelli scoprendo che la forza di gravità era utile anche per il suo caso disperato e adesso erano meno arruffati e crespi, più ricci e, in un certo modo contorto, più ordinati. Gli arrivavano ancora solo a metà schiena, ma piuttosto che ritrovarsi di nuovo con quel cespuglio in cui la tiara dell'armatura si reggeva appena non li avrebbe mai più tagliati.

"La natura è un ottimo parrucchiere. Posso sedermi qui?"

"Certo," concesse subito l'altro, passandogli il cuscino rosso. Il preferito di Milo.

A Milo piaceva sdraiarsi a terra, rotolarsi e cambiare posizione in continuazione anche nei discorsi più seri. Soprattutto nei discorsi più seri.

Quello che era venuto ad intraprendere lo era, o non avrebbe indicato il pavimento, visto che c'era posto sul divanetto a due accanto a Camus stesso.

Milo afferrò il cuscino e lo gettò a terra, fiondandocisi sopra, "Come stai? Com'è andato l'allenamento?"

Camus scrollò le spalle, "Normale, direi."

"Ma che risposta è?"

"La più logica, no? E' andata normale, come doveva andare. O tu hai qualcosa da raccontare?"

"No...no, niente."

"Visto? Normale," ripeté, poi lo guardò più attentamente. Se ne stava lì, col cuscino sotto la pancia, a prendersi piccole ciocche di capelli fra le mani, spezzarsi le punte e gettarle a terra. Gli avrebbe riempito il pavimento. "A cosa stai pensando?"

"A niente."

"Milo..."

"Te lo giuro. Non posso venire a trovare il mio migliore amico che non vedo da sei anni e più?"

"Certo. A patto che non decidi di diventare calvo e lasciare a me l'incombenza di liberarmi del tuo pelame. Che è parecchio, e mi scoccerebbe."

Milo lo guardò da sotto in su, stupito, "Cos'era, ironia?" fece, praticamente a bocca spalancata.

Camus non faceva mai ironia. A malapena parlava, di solito, era quasi sempre lui a farlo per entrambi.

"Pazzesco, allora sei cambiato, altro che!"

Camus scosse il capo, "Allora?"

"Allora niente. Sono tornato stamattina, in verità, e in Arena ho incontrato Aldebaran e Aiolia...ma non mi sono avvicinato."

"E perché? E dove sei stato per più di tre ore?"

"In giro. A non fare niente. A pensare."

"A che cosa pensi, Milo?"

"A un sacco di cose," sospirò, "A un sacco di cose che non mi piacciono, Cam. Proprio un sacco."

Camus lo fissò ancora un po', ma le mani di Milo stavolta erano ferme, una sull'altra, a terra. Si sentiva più tranquillo, forse perché stava parlando con lui.

"Spiegati."

"Davvero devo dirtelo io, Cam? Tu sei più intelligente di me, se l'ho capito io, di certo tu hai già in testa tutto il quadro completo!"

"Non ti sottovaluti un po' troppo? Tu dimmi lo stesso, anche se pensi che io sappia già."

Milo sospirò, "Va bene. Ma siediti comodo, perché ti giuro...se iniziamo questo discorso non arriveremo ad una fino molto presto!"

"Sono comodo. Coraggio, ti ascolto!"

Milo si alzò a sedere in maniera più composta, schiena dritta e gambe incrociate. Il cuscino rosso sulle ginocchia, le mani a giocare con i lembi.

"Il fatto è che mi sento confuso, capisci? So che non bisogna fare questi discorsi, che è un po' illegale tipo, ma non riesco a fare a meno di pensare che da quella notte...da quando Aiolos...insomma, hai capito, le cose sono andate davvero male. C'è aria di complotto da tutte le parti, qui, ovunque mi giro la gente borbotta. Ma non dovrebbe essere tutto risolto, visto che il traditore è stato fermato e Athena è di nuovo qui al sicuro? E invece non pare per niente sistemato! Mu è sparito nel nulla, e anche se la gente dice che è ad allenarsi ormai non ci credo più. Il Sommo aveva chiesto di trovarlo per parlargli, prima di mandarci via, e già quella volta avevo avuto una strana sensazione: mi è partito un brivido proprio lungo la schiena, come se presagissi un guaio. E poi c'è Aiolia, ed un po' è ovvio che ce l'abbia con tutti no? Però se Aiolos era davvero un traditore, allora non dovrebbe fare così, perché rischia di passare per un pazzo. E adesso Aldebaran gli da corda! E se il Sommo...Cam, che rimanga fra di noi, ma se il Sommo non fosse chi dovrebbe essere? Che cosa facciamo? Io non voglio stare contro Aiolia, è mio amico, e anche Al. Mi dispiacerebbe combattere anche contro Mu, ucciderlo ancora di più."

Milo tacque, riprendendo fiato, e anche Camus tacque.

Perché sì, tutti quei dubbi il Custode dell'Undicesima li aveva già avuti, anni prima, giorni prima della partenza. Aveva notato qualcosa, qualcosa di diverso nel Sommo. E adesso, tornando, anche in Aphrodite e Deathmask. Nello sguardo di Aiolia, a cui era sfuggito, ma che aveva intravisto.

Perché, come diceva Milo, il Sommo non era chi diceva di essere.

Shion, il buon Shion che anche con la maschera sapeva essere gentile e caritatevole, era sparito.

Se fisicamente, perché era davvero morto, o solo spiritualmente, troppo deluso da ciò che era accaduto, Camus non lo sapeva, perché aveva avuto modo di vederlo troppo poco per farsi un'idea davvero precisa.

Eppure era così. Le cose lì al Grande Tempio erano cambiate, stavano cambiando e avrebbero continuato a cambiare, temeva. E non in meglio.

E adesso anche Milo aveva intuito, Milo che come unico dilemma fino a quel momento si era posto solo l'amicizia di Aiolia. Ma Milo era pericoloso almeno quanto lo era il Leone, perché lì dove il Leone tendeva a sbranare le sue prede appena ne aveva la possibilità, lo Scorpione pungeva senza pensare che le conseguenze potevano causare anche la sua morte, come nella favola della rana e dello scorpione.

E Camus temeva davvero che quello in cui si sarebbe infilato Milo avrebbe portato solo alla sua morte. O anche alla sua.  Comunque non sarebbe finita bene.

"Mu è un traditore."

"Lo pensi anche tu? Però Mu...Mu, come Aiolos, perché avrebbero dovuto fare una cosa simile? A che pro  arrivare a tanto? Che cosa ci guadagnano?  Aiolos è morto e Mu, se non torna, sarà bandito e ricercato!"

"Aiolos voleva uccidere Athena, Milo, lo hai scordato? E per quanto riguarda Mu...puoi davvero dire di averlo conosciuto bene?"

"Ma Aiolos alla fine non ha ucciso nessuno e...e Mu è sempre stato gentile con tutti!"

"Certo, anche Aiolos era gentile e buono. Ma se non ci fosse stato Shura, cosa sarebbe successo quella notte?"

"Stai davvero dicendo che credi a questa storia? Che Mu e Aiolos abbiano tradito, è questo che credi? Se vedessi Mu lo uccideresti?"

"Se fosse un ordine del Sommo, sì."

"Del Sommo, Camus? Di quale Sommo?"

"Del Gran Sacerdote, Milo, la più alta carica che il Grande Tempio conosca! E abbassa la voce!" berciò, intimandogli con un'occhiata la compostezza che le mura dell'Undicesima meritavano. "Il Sommo, chiunque sia, resta il Sommo. Ascolta, Milo, capisco il tuo punto di vista, ma con che prove affermi che è qualcun altro?"

"Con quelle mi hai dato tu, ti ricordi, Cam? Sei stato tu a chiedermi se il comportamento del Sommo potesse essere stato influenzato dal tradimento di Aiolos! Tu mi hai fatto notare che era strano, che era diverso!"

"Certo, è vero, e insieme abbiamo appurato che è possibile che quello che è successo quella notte gli abbia fatto perdere fiducia in noi e che per questo è più freddo e distaccato, e forse ci ha mandati via tutti proprio per farci maturare, per sperare che l'errore che ha commesso nell'investirci dell'armatura così giovani non gli si ritorca di nuovo contro!" a Camus dispiaceva dover dire quelle cose, puntare il dito contro Mu, contro Aiolos. Ma non c'era alternativa. Mu, per ora, era lontano e al sicuro e Aiolos era morto, e se per impedire a Milo di fare qualche sciocchezze il prezzo da pagare era infangare quei due che non potevano difendersi, allora andava bene.

Sì. Andava bene.

"Sì, certo, è vero. Però..."

"Però niente, Milo. Niente. E' il Gran Sacerdote, e nonostante questo fino ad ora ci ha dato più di quello che doveva, una confidenza che nessun altro Gran Sacerdote aveva mai dato prima ai suoi Gold. E noi abbiamo rotto quel legame di fiducia, lo abbiamo tradito. Tutti. Perché lo tradiamo tutti i giorni coi nostri dubbi. Io non voglio avere niente a che fare con questa storia, con Aiolia e Mu: sono qui per difendere Athena, darò la mia vita per lei e il suo ideale, è questo che ho giurato. Tutto il resto non è affar mio. Ed è la stessa promessa che hai fatto anche tu, Milo."

Milo abbassò il capo, sconfitto.

Quello che diceva Camus aveva senso, aveva sempre senso. Ma quel discorso stava ancora in piedi se il Gran sacerdote non era chi doveva? E Camus ci credeva davvero?

Si alzò, il cuscino rosso fra le mani, "Quindi tu pensi che dovremmo farci gli affari nostri? Evitare di impicciarsi? Anche se Aiolia è mio amico?"

"Per ora sta bene, no? Non è successo niente, né a lui né a Mu, e nessuno ti ha ordinato di uccidere nessuno. La nostra vita sarà già breve così, senza crearci problemi che l'accorcino ancora di più," rispose, ma non lo guardava più in faccia, e stringeva i lembi del libro che aveva in mano, "Io non farò niente, perché non è un mio problema. Per mio conto, tutto quello che farò sarà al servizio della mia Dea: solo di questo mi importa."

"E' un discorso egoista."

"Sono un Saint di Athena, non un buon samaritano. Non sempre l'altruismo porta a qualcosa."

"Come posso guardare negli occhi Aiolia, sapendo di star ignorando qualcosa di così grande?"

"Tecnicamente non stai ignorando, poiché non sai."

"Sospetto, però."

"E ne vale la pena? Vale la vita?"

"I miei amici valgono la vita. Tu la vali e, per quel che conta, anche Aiolia!"

Camus sospirò, "Lo so. Ed è proprio perché gli amici la valgono che vorrei tu non facessi nulla. Ti farai ammazzare, Milo, e per niente. Niente, perché il potere che ha il Gran Sacerdote è troppo grande."

E Milo lo sapeva. Non solo come ex Cavaliere, o chiunque adesso fosse, ma anche solo per il potere che aveva dentro il Grande Tempio. Perché tutti pendevano dalle sue labbra.

E anche se erano Gold Saint, c'era un limite a quello che potevano e non potevano.

Che per il momento Camus avesse ragione? Forse era meglio, ora, stare al proprio posto, senza agire. Guardare, studiare la situazione. Vegliare, se voleva. In silenzio, in un angolo.

Ma lui non era bravo, in queste cose. Non lo era mai stato.

E sapeva che, anche se l'ordine fosse partito dal Sommo in persona, non avrebbe ucciso Aiolia, né Mu. No. Forse, se fosse successo, avrebbe finito per schierarsi dalla loro parte, e poteva solo sperare che Camus, allora, non si sarebbe messo anche contro di lui.

 

*

 

Aphrodite aveva guardato a lungo Shura, quando gli era ricomparso davanti dopo l'incontro avuto con il sommo -con Saga- qualche sera prima.

Ancora adesso, se ripensava alla faccia che aveva Capricorn, gli venivano i brividi.

Quel giorno, la prima  cosa che aveva notato erano stati gli occhi dell'altro.

Erano rossi, sgranati verso il vuoto. Ma non erano le sclere ad essere rosse, no, non come dopo un pianto o svariate notti insonni.  Non il rossore che li aveva cerchiati vagamente per giorni, dopo aver ucciso Aiolos, dopo quella dannata notte.

Era un rosso che faceva paura questo. Erano iridi rosse, come illuminate da un lampo. Non costante, ma spaventoso, che portava un brivido in tutto quello che gli era a tiro. Cose e persone.

E lo sapeva, Aphrodite, che si sarebbe trovato davanti un altro, quando lo aveva visto salire per parlare con il Sommo, ma quello andava oltre i suoi timori e a tutto quello che poteva aspettarsi.

"Shura, stai bene?" glielo aveva chiesto così, un po' per caso, distrattamente, mentre se ne stava ancora appoggiato alla colonna. Non aveva motivo di bloccare il suo passaggio, in fin dei conti.

E anche se avesse voluto fermarlo, il modo in cui Shura l'aveva guardato gli aveva fatto immediatamente cambiare idea. Non avrebbe mai potuto fermarlo senza essere poi fatto a pezzi da Excalibur, e lui non ci teneva per nulla ad essere trasformato in uno spiedino di pesce.

"Non dovrei, Pisces?"

E anche questo ad Aphrodite era parso strano, perché per quanto distaccato Shura si fosse fatto in quegli anni, per quanto distanze avesse preso anche da lui e Deathmask, per quanto si fosse isolato da tutto, richiudendosi in se stesso e nei suoi sensi di colpa, mai lo aveva appellato solo con la sua Costellazione guida.

Non era mai stato semplicemente Pisces, per Shura. Persino quando era irritato e voleva mandarti via, Shura sapeva come essere tagliente solamente chiamandoti per nome.

Era quando usava i loro veri nomi che Aphrodite e Deathmask sapevano di dover girare alla larga. E per parecchio tempo.

In quegli anni era successo svariate volte. Da quando aveva ucciso Aiolos, Shura aveva mandato al diavolo tutto quel poco costruito in anni di amicizia, e ormai mal sopportava persino la loro presenza. Ed aveva sempre i loro nomi -i loro veri nomi- sulle labbra, pronto a far sapere che era meglio girare a largo perché, davvero, di stare in compagnia non ne voleva sapere nulla.

Ma Pisces non ce lo aveva mai chiamato.

"Chiedevo," aveva risposto, una scrollata di spalle e la maschera dell'indifferenza stampata in volto.

Gli veniva ancora bene, recitare. Anzi, forse più che mai. Se non fosse stato destinato ad indossare un'armatura, magari avrebbe avuto successo in teatro, chi poteva dirlo?

"Che voleva il Sommo?"

Aphrodite lo sapeva bene, cosa voleva Saga, o almeno lui e Deathmask lo avevano supposto svariate volte. Ma sapeva che non era certo la scusa che aveva usato con Shura, per parlare con lui. Anche se a guardarlo, Aphrodite quel giorno si era detto che, tutto sommato, forse Saga non aveva neanche avuto bisogno di trovare una scusa o mentire: aveva scagliato direttamente il Genro Maoken, imprigionando la mente di Shura nei suoi più infimi desideri e assoggettandolo ai suoi scopi.

Proprio Shura, così retto e fiero.

Aphrodite non aveva niente in contrario sul seguire il più forte, poiché questo poteva aiutarlo a raggiungere il suo obiettivo, il loro obiettivo: dovevano proteggere gli indifesi e i deboli, erano Santi di Athena, e di certo la potenza di Saga avrebbe portato a questo; certo, forse sarebbe stato un equilibrio dettato da tirannia e paura, ma era pur sempre pace.

E quale dimostrazione di bellezza maggiore se non quella che Saga dava di sé ogni giorno?  Per lui non c'era niente di meglio e mai aveva pensato di denunciare il suo operato -a chi, poi? Era lui il Gran Sacerdote, adesso. Eppure, nonostante questo, non poteva evitare di avercela un po' con lui per quello che aveva fatto a Shura.

Avrebbe potuto trovare un'altra soluzione, una qualunque.

La cosa peggiore era la consapevolezza che, tutto sommato, gli era anche andata bene. A tutti e tre.

Avrebbe potuto ucciderli all'istante.

"Perché lo vuoi sapere?"

"Lo sai che sono curioso."

Shura aveva schioccato la lingua, a quelle parole, e Aphrodite allora aveva rilassato un po' le spalle. Quello era un tic tipico di Shura, dunque qualcosa c'era ancora, lì da qualche parte.

"Solo una missione. Partirò dopodomani."

"Capisco."

Non aveva aggiunto altro, nessuno dei due l'aveva fatto, lasciandolo andare così com'era arrivato: sguardo perso, dritto davanti a sé.

Aphrodite non aveva più fatto cenno a niente di quello, nei due giorni successivi, né ad altro. Né aveva avuto motivo di lasciare granché volte la protezione della sua Casa e del suo Giardino, a dover essere onesti.

Era stato infatti Deathmask a salire, quella mattina poco dopo l'alba. Niente armatura, solo un paio di jeans e una maglietta fin troppo leggera per l'inverno greco. Quando gli aveva sentito chiedergli il permesso nella solita maniera rozza, Aphrodite aveva alzato gli occhi al cielo, esasperato.

"Sono in giardino, scimmione. Non calpestare le aiuole, altrimenti il tè te lo verso in testa!" lo accolse.

Deathmask sbuffò, raggiungendolo in un lampo e buttandosi a peso morto e gambe divaricate sulla sedia in ferro battuto, bianca come il latte, che Aphrodite aveva piazzato anni prima in mezzo al giardino.

"Hai un po' rotto il cazzo, lasciatelo dire!"

"Nessuno ti ha chiesto di venire a trovarmi, se proprio vogliamo essere pignoli," ribatté l'altro, sorseggiando il liquido bollente, "E non accendere quella roba nel mio giardino! Così rozzo! A vent'anni avrai i denti gialli e la pelle di un vecchio!"

Deathmask scoppiò a ridere di gusto, a quelle parole, con quella risata roca e spezzata che sembrava più il latrato di un cane. O il respiro di un asmatico, a ben vedere.

"Perché, sei convinto di arrivare ai vent'anni comunque tutto intero?"

"Chi può dirlo? In caso avvenga, gradirei essere in forma smagliante, grazie."

"A me invece non frega un bel niente, tanto con questi dannati capelli ho l'aspetto di un vecchio da quando sono nato! Benjamin Button mi fa una pippa!"

"Chi?"

"Un...tizio che nasce vecchio. Un libro di Shura, l'ho letto di sfuggita mentre lo aspettavo qualche tempo fa."

Aphrodite alzò entrambe le sopracciglia, ma non aggiunse altro. In fondo, quello era un vizio che Cancer non si sarebbe mai tolto: arrivava, afferrare le cose che lo incuriosivano e sbirciava. A volte capitava persino leggesse, anche se molti dei libri di Shura erano in spagnolo o in inglese e dubitava, Pisces, che Deathmask fosse diventato improvvisamente così portato per le lingue.

Di sicuro gliene aveva parlato Shura quando aveva capito che Deathmask non aveva capito nulla di ciò che aveva appena letto. Come sempre.

"Comunque, che sei venuto a fare così presto?"

Deathmask sogghignò, "Il caprone mi ha svegliato, non riuscivo a tornare a dormire e allora ho pensato di venire a romperti un po' le palle!"

"Carino, come sempre."

"Squisito è il mio secondo nome," ghignò.

"Sì, in un mondo parallelo inverso a questo!" sbottò, "Comunque, hai visto Shura, giusto? Lo ha fatto, vero?"

"Mi pare ovvio. Te l'avevo detto, no? Saga ottiene sempre quello che vuole."

Aphrodite storse le labbra, "Saga è un pazzo, ecco cos'è."

"Può essere, le due cose non si escludono,"  affermò Deathmask, mordicchiando il filtro della sigaretta che teneva ancora fra i denti, "Ma se lo pensi, perché sei qui?"

"E dove dovrei essere? Saga è folle, ma è anche forte, e adesso la sua forza è quello di cui il Santuario ha bisogno, e di cui anche noi abbiamo bisogno. E poi...beh, ci ha praticamente salvati! Il Santuario nelle mani di quel fesso di Aiolos sarebbe andato alla rovina!"

Deathmask rise di gusto, battendo la mano sul tavolo. Ma Aphrodite, nonostante la battuta, non rideva.
Non sorrideva neanche. Era serio, serio come poche volte Deathmask l'aveva visto, tutto sommato.

Teneva fermamente la tazza, la punta delle dita ormai bianche, le belle labbra lucide strette tra loro.

Deathmask sospirò, perdendo di botto tutta l'ilarità che aveva, stravaccandosi maggiormente sulla sedia e passandosi una mano fra i capelli bianchi.

Sapeva a cosa stava pensando l'altro e, tutto sommato, era una cosa che anche lui si era chiesto più volte, in quei brevi attimi.

Ad occhi non esperti, Shura sembrava più o meno se stesso, quasi normale. Parlava come al solito, si muoveva come al solito. La mimica facciale era ancora quasi inesistente.

Però, chi lo conosceva davvero bene -e Deathmask osava infilarsi nel poco assortito gruppo di persone che potevano vantare un tale privilegio- avrebbe capito facilmente che qualcosa era diverso. Sbagliato, osava dire.

Gli occhi, innanzitutto, quasi sempre persi nel vuoto e spenti. O i movimenti, usuali ma scattosi.

Aveva paura di vedere se fosse cambiato anche il suo modo di pensare, prendere decisioni. Di certo, se prima aveva dei sospetti sul Sommo, adesso questi erano spariti. A conti fatti, era appena diventato il più sicuro degli alleati, per Saga, visto che non lo avrebbe mai tradito.

Perché per quanto la coscienza di Shura fosse forte, Deathmask non era certo che si potesse opporre resistenza al Genro Maoken. O se Shura avesse la determinazione di farlo davvero.

Intanto, il piano di Saga era andato a buon fine.

Come si aspettava.

Ma la domanda che sorgeva spontanea a loro, a lui e ad Aphrodite, era se sarebbe mai tornato normale, se fosse tornato lo Shura che avevano conosciuto da bambini.

O se, piuttosto, avrebbero dovuto abituarsi a questo.

"Meglio così che morto," sentenziò alla fine, alzandosi.

Aphrodite non lo seguì, né lo accompagnò alla porta come un buon padrone di casa.

Lui, che Shura avrebbe preferito questo alla morte, non ne era tanto sicuro. A ben vedere, era quasi certo del contrario.

 

 

Angolino Autrice:

E con questo spero si siano chiarite le perplessità che un sacco di voi avevano sul povero Milo xD In verità, la cosa che non si capisse bene cosa volesse a me ha fatto piacere, perché rientrava nei miei intenti. Milo era diviso fra il voler aiutare un amico e il voler fare quello che deve. Semplicemente non sa da che parte battere la testa, come dice a Camus.
Camus e Shaka, alla fine, hanno preso la stessa decisione: restare a guardare, osservare in silenzio. Almeno per il momento.
Cam ho sempre avuto la sensazione fosse un po’ egoista, e credo di aver ribadito il concetto. Anche se qui, lo fa per Milo, essenzialmente.
Shaka, invece, da bravo verginello quale è, se non ha le idee precise entra nel pallone. Come adesso.
E infine Saga, che ha davvero usato il Genro Maoken sul povero Shura. E qua ho preso spunto da Episode G!
Lo userà anche su qualcun altro? Shaka? Vedremo :D
Un bacione,
Asu

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


CAPITOLO 6

 

 

 

Cina. Goro-Oh. 10 Marzo 1979.

 

A Goro-Oh, quel giorno di tre anni prima, la pioggia sferzava imperterrita. Eppure, nonostante questo Dohko era ancora lì, seduto sullo scoglio a strapiombo sulla cascata. Era stato lì che quella lontana notte aveva sentito il pianto di un bambino; una bambina, aveva scoperto in un secondo momento.

Neonata in fasce, per lei aveva fatto lo strappo di alzarsi e raggiungerla, l'aveva presa e portata nella capanna dove un tempo aveva abitato, ma che da secoli occupava a malapena. Lì l'aveva posta su un giaciglio improvvisato, aveva scaldato il latte e l'aveva fatta bere. La piccola, che doveva avere poco più di due anno, si era aggrappata a lui, mangiando avidamente.

Dohko, anziano e incartapecorito, non aveva fatto cenno di essere turbato da tutto quello. E aveva deciso di tenere la bambina fino a quando qualcuno non sarebbe tornato a riprendersela, e se così non fosse stato Goro-Oh era comunque abbastanza grande per entrambi.

Lo aveva deciso perché, ad essere onesti, lui si sentiva solo. Incredibilmente solo, adesso che non aveva neanche più Shion con cui parlare.

Negli anni la mancanza dell'amico si era fatta sentire, pesante come macigni, e se possibile aveva fatto sì che le sue spalle si incurvassero ancora di più.

Si rendeva conto, quindi, di non essere fisicamente adatto a crescere una bambina. Poteva insegnarle tanto, ma non starle dietro con facilità, e il Mesopethamenos non lo aiutava di certo in agilità, nonostante fosse un sopravvissuto dell'ultima Guerra Santa.

Per questo motivo aveva chiamato Mu, quella volta.

"Vieni qui. Ho bisogno di te, amico mio," gli aveva detto solo questo, con tono pacato.

Mu, però, che in quegli anni aveva visto l'anziano maestro solo per allenarsi e che mai era stato contattato direttamente da quest'ultimo, era arrivato un istante dopo, teletrasportandosi alle pendici della cascata.

Dohko aveva riso della sua espressione, del modo in cui si era guardato intorno; sicuramente aveva creduto fosse successo qualcosa di terribile, mostruoso.

E invece si era ritrovato in braccio una bambina.

"Ma...maestro..."

"Sono troppo vecchio per queste cose! Ti andrebbe di darmi una mano? In cambio, se vorrai, continuerò ad insegnarti tutto quello che so!"

Mu aveva sorriso, sentendosi un po' preso in giro. In quegli anni era venuto lì dallo Jamir ogni giorno, per diventare più forte, e credeva di esserci riuscito. Adesso si era ripromesso di concentrarsi sulla riparazione delle armature, per non esserne da meno: Dohko però lo sapeva bene, che non gli avrebbe mai detto di no, anche senza nulla in cambio.

Ed infatti, quando Mu aveva accettato, si era fatto una sana risata, tornando poi alla cascata.

Ma non era stato Mu a crescere la bambina, in quegli anni. Lo aveva aiutato nei primi tempi, quello sì, ma adesso si presentava solo di tanto in tanto, con qualcosa da mangiare o dei vestiti per lei, poiché Dohko non poteva lasciare quel posto e non poteva occuparsene. Shunrei -così Dohko aveva deciso di chiamarla-, però, si era abituata molto in fretta a stare lì con lui, pur essendo molto piccola.

Con gli anni, Mu aveva insegnato a Shunrei a preparare il tè e il riso, senza spingersi troppo oltre visto che era troppo piccola per occuparsi di altro. Così, la bambina ne preparava sempre al vecchio, poi si sedeva accanto a lui sulla roccia, quando c’era bel tempo. Con gli anni Mu si era presentato sempre meno e Shunrei aveva dimostrato di sapersela comunque cavare, per l’orgoglio di Dohko che, messa da parte quella missione centenaria solo per qualche ora al giorno, le stava anche insegnando a leggere.

Era stato lì che l'aveva conosciuta Aiolia, quando era passato a Goro-Oh, di strada per una missione affidatagli dal Gran Sacerdote. Dal Falso Patriarca. Seduta accanto a Dohko con un quadernino regalatole da Mu aperto sulle ginocchia, e un carboncino in mano.

La bambina aveva appena alzato gli occhi, gli aveva regalato un enorme sorriso e salutato con la mano, poi si era alzata, ad un cenno di Dohko, ed era sparita nella capannina dove viveva, lasciandoli soli. Mezzo minuto dopo era sbucato da lì anche Mu, che gli aveva fatto cenno di raggiungerlo dentro, accompagnata dalla lieve e singhiozzante risata di Dohko.

E nonostante la serietà di Mu nell'esplicitare le sue perplessità, anche Aiolia si era messo a ridere, quando gli aveva raccontato la storia, seduti davanti a due tazze di tè che Aiolia non avrebbe mai assaggiato -lo disgustava il modo in cui lo bevevano gli orientali, sapeva solo di acqua sporca- e la bambina che adesso dormiva al fianco di Mu.

"Non c'è nulla da ridere, Aiolia."

"Hai ragione, scusami, è che...dovresti vedere la tua faccia in questo momento, Mu, davvero! E' esilarante!"

"Sono felice che tu ti diverta," storse il naso Mu, "Io non posso dire altrettanto."

"Ci credo...beh, almeno ti tieni impegnato invece di startene solo in eremitaggio!"

"Avevo da tenermi impegnato anche dov'ero."

Aiolia ridacchiò, "Sono certo che il Roshi lo abbia fatto anche per te. Insomma…stare da solo sempre e comunque non è sempre una buona idea. Credimi. Lo so bene."

Mu annuì, senza ribattere. Ovviamente, ci avrebbe guadagnato anche lui, visto che allenarsi con Roshi  non poteva che portare buoni risultati, ma non era esattamente a quello che puntava quando aveva abbandonato il Santuario.
Anche se, doveva ammetterlo, la solitudine dello Jamir iniziava a dargli malinconia.

Ripensava costantemente al tempo che aveva passato lì con Shion, ad allenarsi, a riparare armature. O anche quotidianamente. Il modo in cui, d'inverno, lo avvolgeva stretto stretto nelle coperte e gli dava un bacio sul capo, la notte. O quando, d'estate, lo portava a fare un giro al villaggio, tenendolo per mano e sorridendo a quelli che li additavano affermando che dovesse essere davvero un bravo papà. Mu era felice, quando lo dicevano, e si sentiva speciale.

Le cose più semplici da fare, come prepararsi la cena, in quella pagoda diventavano strazianti.

La prima volta che aveva ripreso in mano lo scalpello dorato, aveva pianto. Si era accasciato a terra e aveva pianto come un infante, la soffocante consapevolezza che la voce di Shion nella sua testa si era spezzata.

Sparita.

Non la ricordava più. Per quanto si sforzasse di rimembrare quello che gli diceva nel momento di usare gli attrezzi, non riusciva. Vedeva le parole, ma non sentiva il suono.

Shion non aveva più suono, ormai, neanche nei suoi ricordi più belli. Non ricordava più la sua voce.

L'aveva scordata.

"Mu?"

Sobbalzò, sentendosi sfiorare dalla mano ruvida di Aiolia; così giovane eppure già ricoperta di calli e ferite.

Leo aveva abbozzato un sorriso mesto, vedendo la reazione dell'altro, "Sai? Credo ti faccia bene stare qui un po' ogni tanto. Sono certo che Roshi lo abbia proprio fatto apposto, a chiederti di venire ad aiutarlo con la bimba di tanto in tanto. Dimmi, quanto tempo era che non avevi rapporti con nessuno, quando ti ha chiamato?"

"Otto mesi," ammise Mu. Erano otto mesi che aveva smesso di venire a Goro-Oh, e da un anno abbondante che  non vi si recava comunque ogni giorno.

"Un sacco di tempo," sentenziò il Leone.

Mu sorrise, "Non so. Ma non posso restare comunque a lungo, ogni volta."

"Metto la mano sul fuoco che non è quello che Roshi si aspetta! Il fatto che vieni di tanto in tanto ti impedisce di impazzire, lì da solo. E Roshi lo sa."

"Forse. Ad ogni modo, Aiolia, come mai sei passato di qui?"

"Volevo aggiornare il Roshi, e chiedergli un po' di cose, in verità. Anche se credo che lui sappia cosa succede al Santuario, chissà come."

"Parlane anche a me! Come sta Aldebaran? Gli hai parlato, alla fine?"

"Sta benone, credimi, è ancora più grosso adesso!" rise Aiolia, "E sì, in effetti sì. Fin da quando sono tornato, a dire il vero."

"E...ti ha creduto?"

"Beh, sono vivo. Non mi ha denunciato. Non si è espresso, ma mi è ancora amico. Per me vuol dire tanto. Con Milo e Camus non ho avuto il piacere di interloquire, invece."

"Secondo Shaka sarebbe da lasciarli fuori. Non sono pronti, e forse ha ragione. Conoscendo Camus, non si metterebbe in mezzo."

Aiolia quasi sobbalzò, "Scusa? Shaka?"

"Sì. Mi sento regolarmente con lui. Sa tutto e..."

"Ma l'ho visto, l'altro giorno, e non mi ha detto nulla!"

"Preferisce non intervenire. Ma non ci è contro, Aiolia. Penso che per lui sia già tanto."

"Avrei preferito mi concedesse una chiacchierata amichevole," sbuffò.

Fu il turno di Mu di ridere, "Shaka è fatto così. Tendenzialmente credo sia dalla nostra parte, anche se...secondo lui, l'impostore è una persona dal cuore puro."

"Sì, certo. E io sono Zeus. Che gli salta di dire? Ha ammazzato mio fratello!"

"Non ha saputo spiegarmi il perché preciso delle sue convinzioni. Sesto senso, presumo, non ne è certo neanche lui."

"Stiamo messi bene," berciò il Leone, alzando gli occhi al cielo.

Ci mancava solo l'indecisione della reincarnazione del Buddha. Lui, se si fossero ritrovati a combattere, sarebbe stato capacissimo di difendere l'impostore solo perché lo credeva "puro".

Come poteva essere puro uno così?

A furia di tenere gli occhi chiusi e vivere al buio doveva aver iniziato a vedere cose che non c'erano, non aveva altre spiegazioni.

"Non essere così duro, Aiolia. Ad ogni modo, concorda anche lui che per ora non si può far altro che aspettare."

Aiolia, per risposta, strinse i pugni, "Noi siamo già quasi sei anni che aspettiamo, e intanto quello là, chiunque sia, non se ne sta con le mani in mano! Ha detto che Athena è di nuovo al Santuario, sana e salva, e anche se so che è una bugia tiene di nuovo tutti in pugno! Senza contare, poi, che ha libero accetto allo Star Hill e a tutte le carte che avevano Shion e i suoi predecessori. Ha una conoscenza illimitata, adesso, forse Athena l'ha già trovata e starà progettando di ucciderla!"

"In quel caso interverremmo!"

"Sempre che qualcuno di noi rimanga sano di mente!"

"Che intendi dire?"

Aiolia scrollò le spalle, "Shura. Si sta comportando in modo strano, da qualche giorno. Guarda caso, due settimane fa ha visto il Gran Sacerdote e quando è uscito sembrava un altro."

E gli scocciava parecchio ammetterlo, ma persino lui aveva notato la differenza. Perché era tanta.

Troppa, avrebbe osato dire. Erano gli occhi di un'altra persone, anche se tutto il resto pareva lo stesso.

Persino lui se ne era accorto.

"Ho sentito parlare di un colpo simile, una volta," ammise Mu, pensieroso, rigirandosi la tazza ormai vuota fra le mani, "Un colpo in grado di controllare la mente dell'avversario e costringerlo a fare quello che si vuole."

"Terribile..." e quindi, doveva forse pensare che Shura ne era stato oggetto? E per quale motivo farlo?

Shura aveva già obbedito all'ordine peggiore di tutti, ammazzare la persona che più si fidava di lui, e l'aveva fatto senza remore, Excalibur non aveva tentennato.

Quindi, dopo anni di servizio, dopo l'omicidio del proclamato traditore, perché mai azzerare la sua volontà?

"Forse anche Shura sospettava," azzardò Mu, leggendo tranquillamente nell'espressione corrucciata di Aiolia quello a cui stava pensando.

Il diretto interessato per poco non sputò a terra, "Quello lì? Non farmi ridere, Mu! Quello non ha dubbi, è un cagnolino obbediente! Niente più di questo: non farebbe mai il contrario di quello che gli viene ordinato!"

"Ma, Aiolia, quella notte Shura non ha neanche avuto il tempo di pensare lucidamente! Gli era stato detto che se non avesse agito la Dea sarebbe morta!"

"Non difenderlo, Mu! Forse il bastardo che ha ammazzato il Sommo ha ordito il piano, ma la mano che ha stroncato la vita di mio fratello è quella di Shura! Niente lo giustificherà mai!"

Mu tacque, perché a continuare quel discorso avrebbero davvero finito per litigare seriamente, e non ne aveva voglia né intenzione.

Eppure, in quello che aveva raccontato Aiolia c'era qualcosa che non gli andava a genio. C'era aria di tempesta, al Santuario. La nube nera che li aveva fino a quel momento oscurati si era fatta più densa, più fitta. 

A sei anni dalla Notte degli Inganni il traditore stava cercando un altro modo per dividerli.

"Stai attento, Aiolia: ho una brutta sensazione. Se ha usato quel colpo su Capricorn deve essere molto potente, e sa che tu gli sei contro."

"Non mi importa, non ho paura. Cha faccia pure, sono pronto!"

Mu sospirò, "C'è anche un'altra cosa che temo, Leo. Se ha trovato una scusa per far stare Saga così tanto tempo lontano dal Santuario, forse potrebbe farlo anche con gli altri. Potrebbe isolarti di nuovo, mandando via Al e anche gli altri."

"Hai ragione. Saga non è ancora tornato. Ma era già via, quando è successo."

"Però c'è sicuramente un motivo diverso, se non è tornato."

"Forse," ammise Leo, "Ad ogni modo non mi interessa. Se per non farsi scoprire vuole mandarli tutti via, va bene lo stesso. Sono pronto anche a stare da solo. Gli strapperò via quella maschera e mostrerò a tutti quanti chi c'è sotto, prima o poi. E' una promessa che faccio a mio fratello!"

 

Mu non gli aveva detto altro, dopo quella dichiarazione d'intenti. Era preoccupato, quello sì, ma non poteva farci niente; Aiolia non era più un bambino, stava diventando un uomo come lo stava diventando lui, poteva benissimo cavarsela da solo. Era, anzi, bene che imparasse a controllarsi senza che fossero lui o Aldebaran a fermarlo prima che fosse tardi.

Anche se Mu voleva credere ancora che Aiolia fosse abbastanza accorto da evitare di finire volontariamente nei guai, considerando che aveva incontrato il Sommo due giorno prima, quando gli aveva affidato la missione, ed era riuscito a venire lì a raccontarglielo.

Coprì Shunrei con la copertina rosa con cui, a quanto ne sapeva, era stata trovata, poi uscì dalla capannetta per raggiungere l'anziano maestro alla cascata. Di norma, si sedeva accanto a lui e meditavano insieme, ed era quello che aveva intenzione di fare anche quel giorno; gli si mise affianco, gambe incrociate e mani sulle ginocchia, ma fu Dohko ad interromperlo prima ancora che iniziasse, voltandosi verso di lui.

"Il giovane Leone è partito?"

"Sì maestro," rispose subito Mu, "In missione per conto dell'impostore. Gli ho detto di venirvi a parlare, ma..."

Dohko rise appena, mesto eppure sinceramente divertito, "Non ti preoccupare, il giovane Leone ha la testa fra le nuvole, ultimamente. E' comprensibile."

Mu annuì per poi tacere, aspettando che fosse Dohko stesso a parlare, visto che lo aveva interpellato.

Ma l'anziano maestro era tornato a voltarsi verso la cascata, assente, in contemplazione.

Sembrava stranamente assorto, più del solito, quasi melanconico, avrebbe detto. Non sapeva se fosse stata la presenza di Aiolia lì a Goro-Oh a rattristarlo, se avesse percepito qualcosa che a lui era sfuggito o se, semplicemente, fossero i pensieri di un uomo anziano e nostalgico, ma la sensazione che trasmetteva era di profonda amarezza .

Si alzò e tornò alla casa, mettendo a fare dell'altro tè. Quello di prima era ormai freddo, la tazza di Aiolia era ancora piena, per altro, ma non poteva certo dargli quello.

Quando fu certo che fosse pronto tornò da lui e gli poggiò la tazza accanto, sempre in silenzio.

Dohko a quel gesto si riscosse, "Molto gentile."

"Va tutto bene, maestro?"

"Va tutto bene, mio giovane amico," soffiò sul liquido ancora bollente, tenendo saldamente in mano la tazza, "La presenza di soppiatto del giovane Leone qui a casa mia mi ha ricordato i vecchi tempi, e mi sono un po' distratto," ammise.

Mu annuì, "E' comprensibile."

"Tu non lo sai, ragazzo, ma Shion veniva spesso a trovarmi! Anche se, a conti fatti, non avrebbe dovuto farlo affatto," rise l'anziano, "Usciva di nascosto dalla tredicesima e veniva qui, portandomi sempre un po' di sakè da bere in compagnia!"

"Davvero? Il mio maestro?"

"Oh, sì! Eccome se lo faceva!"

Non era previsto che il Gran Sacerdote lasciasse il tredicesimo tempio senza permesso o senza un reale motivo, e Shion era sempre stato molto ligio ai suoi doveri. Ma non riusciva proprio a negarsi costantemente all'amico di vecchia data.

I primi tempi, duecento anni addietro, le scappate erano rarissime: Shion era giovane e inesperto e aveva il terrore, anche se non l'avrebbe mai ammesso, che la sua assenza potesse creare problemi. Perché non aveva nessuno sopra di lui che potesse sgridarlo, era vero, ma che cosa sarebbe successo se in due ore fossero stati attaccati? O fosse pervenuto qualche altro guaio?

Qualche volta aveva chiesto a Teneo di gestire il Santuario al posto suo, e il giovane Toro si era sempre dimostrato all'altezza del suo compianto maestro, ma era anche un ragazzino, e Shion si sentiva in colpa ad affidargli compiti gravosi. Così, fino alla fine della ristrutturazione totale del Santuario, non si erano più visti, e a volte mancava anche il tempo per una sana conversazione.

Ma poi le cose si erano stabilizzava, altri cavalieri, d'argento e di bronzo, erano giunti a reclamare le loro armature, e anche se con la morte di Teneo i Gold erano venuti definitivamente a mancare per un secolo e mezzo, Shion ormai sentiva la sicurezza di sapere quello che stava facendo.

E allora, di tanto in tanto ma non troppo spesso, nessuno gli impediva di lasciare il Santuario per due ore, bottiglia di sakè e casacca scura alla mano. Si teletrasportava lì a Goro-Oh e silenzioso gli si sedeva accanto, versando a Dohko una cospicua dose di alcolico.

Dohko lo accoglieva sempre con una risata, ricordandogli che non avrebbe dovuto essere lì, ma Shion rispondeva con una scrollata di spalle, "A volte la cosa più saggia da fare è sedersi a parlare con un vecchio amico, non trovi anche tu?" era la sua giustificazione. Dohko rideva e lo ascoltava parlare, gli raccontava come andavano le cose, gli descriveva i giovani allievi che aveva trovato o che erano giunti a lui, gli chiedeva consigli.

Spesso due ore diventavano l'alba, e Shion allora si rialzava stanco ma felice, e sereno, lo salutava con un cenno della mano e la promessa che non avrebbe fatto passare troppo tempo per il prossimo incontro. Poi lo lasciava, di nuovo da solo. Grato di avere un amico così caro.

L'ultima volta si erano visti un mese prima del suo assassinio, e a posteri Dohko era ormai certo che Shion conoscesse già il suo destino, o lo intuisse. Eppure, non gli aveva mai detto nulla. Non aveva mai fatto cenno alla follia di Saga, neanche una volta.

"E' un ragazzo strano," diceva col sorriso, "In lui c'è una luce accecante, sai? Ma ho timore che la luce nasconda anche ombre, e adesso che Athena è rinata su questa terra bisogna fare attenzione."

"Non ti fidi del ragazzo?"

"Saga è un cavaliere retto e giusto, ma puntargli contro altra luce potrebbe creare problemi. Temo per la sua stabilità emotiva."

"Non hai risposto alla mia domanda."
"Hai ragione, Dohko, perdonami. La vecchiaia si fa sentire anche per me, cosa credi?"
la risata di Shion Dohko la ricordava ancora, non più cristallina come in giovane età ma ancora tiepida e calda.

Gli mancava. Ah, se gli mancava.

"Mi fido di tutti i cavalieri che sono giunti a noi in questi anni, ma memore di Deuteros e Aspros non posso ignorare la stella oscura che avvolge la costellazione dei gemelli."

"L'hai notata anche in lui?"

Shion aveva scosso il capo, "No. Ma il suo gemello, Kanon, che Saga crede di avermi tenuto nascosto a Rodorio, sì. Quel ragazzo è come Aspros. Saga è puro e giusto, ma non voglio dare al giovane Kanon motivi e strumenti, capisci?"

"Capisco. Quindi sceglierai Sagitter!"

"Sì. Credo sia la scelta migliore per tutti."

"Come la prenderà il ragazzo?"

"E' intelligente. Capirà."

"Bene. Allora, raggiunta la pensione mi auguro che verrai a tenermi compagnia più spesso, vecchio mio!"

"Pensione? Un Saint di Athena non va certo in pensione, Dohko, inizi a dare i numeri? Ti prometto che verrò di più, però, questo posso farlo. Magari al tuo compleanno, che ne dici? Sono duecentoquarantotto quest'anno, mi sbaglio?"

"Ho smesso di contare l'età da molto, molto tempo."

Shion gli aveva risposto con un sorriso, un altro bicchiere di sakè e una pacca sulla spalla, prima di andarsene.

Era l'ultimo ricordo che Dohko aveva di lui, l'ultimo sorriso del suo migliore amico.

Non era venuto il venti ottobre, quell'anno, e poco dopo Dohko aveva dovuto dirgli addio.

"Era un grande eroe, il tuo maestro. E un prezioso amico."

E Saga glielo aveva portato via, e adesso stava creando scompiglio in tutto il Santuario, anche se in apparenza non sembrava. Ma era ovvio che le cose sarebbero peggiorate. Avere lì tutti quanti i Gold era pericoloso, per lui. Chi aveva dubbi rischiava di schierarsi contro di lui, e non poteva permetterlo.

Ma Saga era anche un tipo ragionevole, se qualcosa di lui era rimasta, quindi non temeva per la vita degli altri. Non dei Gold, almeno.

"Roshi, posso farle una domanda?"

Dohko si girò verso di lui, la lunga barba bianca a coprire le labbra sottili e screpolate piegate in un sorriso paterno, "Naturalmente, ragazzo."

Mu tacque per un lungo istante, lo sguardo serio, determinato. Lo stava sondando, e Dohko per un solo istante rivide Shion in quel ragazzo, lo Shion diciassettenne che aveva conosciuto al Santuario quando era diventato Saint, anche se Mu era più giovane. Ma gli occhi erano quelli, la compostezza era quella.

Solo per un attimo, però. Poi lo sguardo tornò dolce, melanconico.

Mu era diverso da Shion, molto. Ma a volte Dohko non poteva che notare le poche somiglianze, nella postura, nello sguardo, nel modo di porsi al prossimo.

"Lei lo sa, vero? Chi è l'impostore. Chi ha ucciso il mio maestro."

Dohko non perse il sorriso, ma si volò di nuovo. Ah, perspicace proprio come lo era stato Shion. Di certo gli aveva insegnato bene, anche se aveva avuto poco tempo.

"Chi lo sa, giovanotto? E' davvero importante?"

"Lo sarebbe, se fosse uno di noi. L'altra volta ad Aiolia ha detto che è molto più forte, e noi eravamo molto giovani, lo siamo ancora ma...Anche Aiolia ha detto una cosa giusta: noi siamo Gold Saint! E anche il maestro lo era! Quindi chi? Chi ha avuto questo potere?"

Dohko sospirò, "Shion era vecchio, Mu. E stanco. Molto stanco. Il fatto di essere un ex Gold Saint non ha influito, poiché non si è difeso."

"Quindi si è arreso. Mi ha abbandonato così, ha abbandonato tutti noi..."

"Non lo ha fatto. Shion ha preso una decisione che in quel momento era quella che riteneva più giusta. Non giustifico il suo assassino, ma ricorda, Mu, che a volte le cose vanno ben oltre quello che vediamo e percepiamo."

"Che vuol dire...?"

"Che forse, tutto sommato, il tuo amico Virgo non ha tutti i torti."

"Come...come fa a sapere di Shaka?" borbottò, stupito. Per quanto tempo avesse passato a Goro-Oh, Mu era certo di non aver mai nominato gli altri, escluso Aiolia, né si era mai permesso di giudicare o discutere del loro pensiero.

Dohko rispose con una risata di gola, "Ah, Mu. Ci sono molte cose che ancora non capisci!"

"Ad esempio? Sta davvero dicendo che anche lei pensa ci sia del buono in quell'uomo?"

"Shion lo pensava," rivelò, serio, "Anzi, ne era certo. Gli dava la sua piena fiducia."

"Ed è stato tradito! Eppure lei parla ancora così!"

"Mi fido di Shion."

"Ma è morto, Roshi! Ed è stato quell'uomo ad ucciderlo!" si alzò di scatto, davanti al ritrovato silenzio dell'anziano maestro, irritato come poche volte lo era stato in vita sua.

E ancora non aveva un nome.

Eppure, aveva scoperto che era una persona degna della fiducia di Shion, forse in parte del suo affetto, ma che lo aveva tradito e pugnalato alle spalle. Letteralmente. E non erano molte le persone con tale privilegio al di fuori del Gold Saint. E lui le conosceva. Tutte.

Quindi chi? Chi era stato?

Oppure...non era al di fuori della casta Dorata. Dohko non si era espresso su quello.

Ma chi? Per quanto vagliasse tutti i suoi compagni, da Aldebaran ad Aphrodite, non c'era nessuno che avrebbe potuto.

Una persona, però, mancava dal Santuario da anni, come aveva fatto notare Aiolia poco prima.

Saga.

Saga che non si vedeva dalla mattina precedente a quella dannata notte.

Saga che aveva meritato l'affetto e la stima di Shion, per quanto non era stato lui la scelta di Shion come successore.

Saga, lo stesso Saga così amato dal popolo, dai bambini. Quello che li aveva cresciuti insieme ad Aiolos.

Il Saga che gli aveva insegnato le basi del combattimento, prima che l'addestramento li dividesse. Il paziente Saga che aveva insegnato il greco persino a uno come Deathmask. Sorridente e buono. Ma anche severo all'occorrenza.

Saga la fiducia di Shion ce l'aveva eccome, ma allora perché? Smania di potere? Solo questo?

No. C'era qualcosa, qualcosa che non aveva mai notato nel Saint di Gemini.
Qualcosa che avrebbe potuto giustificare il cosmo percepito quella notte. Un Cosmo strano, sconosciuto e familiare al tempo stesso.

Scosse il capo con forza e i capelli biondi, ancora corti, gli frustarono il volto.

No. Stava sbagliando.

C'era sicuramente una motivazione logica all'assenza di Saga al Santuario dopo anni dall'incidente. Doveva esserci.

"Quando torni, potresti portare qualcosa per la bambina? Dal villaggio mi viene consegnato solo cibo, acqua e latte," gli disse d'un tratto Dohko, un istante prima che si teletrasportasse in Jamir. Come se lo sapesse già.

Ma doveva essere così, in effetti. Doveva aver intuito il suo bisogno di restare solo.

 

 

ANGOLINO-INO AUTRICE:

La storia di Shion che va a trovare Dohko l’ha detto Kurumada in un’intervista. Quando l’ho letto ho amato la scena, non ci posso fare niente **
Come vedete, è arrivata Shunrei! E questo significa che presto arriveranno anche i nostri baldi Bronzini! E che la storia è quasi terminata =)
Quale sarà la prossima mossa di Saga?
Un bacione care!
Asu

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


CAPITOLO 7

 

 

 

Grecia. Santuario di Atene. 2 Aprile 1980.

 

Milo rigirò il bicchiere di Vodka che Camus gli aveva messo davanti poco dopo essere arrivato. Era stato Camus ha chiamarlo, stranamente.

Non lo faceva mai. Per quanto fossero amici, la verità era che a fare il primo passo doveva essere sempre lo Scorpione. Non era cattiveria, quella del glaciale Camus, quanto più distrazione. Non ci pensava, semplicemente. Ma quando andava lui, Milo sapeva che era quasi sempre felice di vederlo.

Quasi.

Perché c’era sempre quel margine di fastidio che uno come Milo sapeva causare anche all’uomo più paziente, e no, non Shaka: Shaka diceva di essere la reincarnazione del Buddha, di certo era forte, ma la pazienza tanto declamata non era una sua virtù. Non la principale, per lo meno. Se si rompeva il suo sacro silenzio, Shaka diventava la persona più umana della terra; espandeva il cosmo in maniera aggressiva e ti faceva uscire dalla Sesta che lo si volesse o meno.

No. Paziente Milo era una qualità che avrebbe affidato più a persone come Aldebaran, o a Mu. A Mu, che però non vedeva da sette anni, e chissà com’era diventato in quel lungo lasso di tempo.

Ma Camus ormai lo conosceva, quindi salvo quelle rare volte in cui proprio non lo sopportava, era sempre contento di vederlo.

Ma non lo cercava comunque mai per primo. Per questo quell’invito era risultato strano.

Neanche dopo il loro ritorno dall’allenamento, un anno prima ormai, lo aveva fatto. Era stato Milo ad andarlo a cercare, e ad intrufolarsi della fredda dimora del padrone delle Energie Fredde per più di una sera di fila. Per parlare.

Per dirsi quello che non si erano potuti dire in quei sei anni di allenamento.

Ma l’atmosfera fra loro si era comunque fatta più pesante, dopo la loro conversazione di quel lontano giorno.

Milo era ancora convinto di dover fare qualcosa. Camus no.

Così, parlavano solo di sciocchezze, senza più vagliare argomenti che avrebbero dovuto realmente interessarli.

Ma quel giorno Milo aveva la sensazione che le cose sarebbero andate in maniera diversa.

Camus l’aveva accolto con un bicchiere di Vodka e gli aveva fatto cenno di sedersi sul divano. Poi si era seduto a terra, dove di solito sedeva Milo.

La pesantezza che si sentiva all’altezza del petto era paragonabile solo a quella che aveva avvertito quando aveva rivisto Aiolia un anno prima.

Uno scambio di sguardi solamente, tesi e penetranti. Non c’era stato bisogno di parlare, quel giorno.

Aiolia gli puntava il dito contro. A lui, che sottostava ancora a testa bassa agli ordini del Gran Sacerdote. A lui, che era uno sciocco a non aver ancora capito nulla. O che aveva capito, ma fingeva l’opposto.

E aveva ragione, Aiolia. Aveva ragione da vendere.

Non si erano più parlati, da quel giorno. Anche in Arena, durante gli allenamenti, si limitavano a scambiarsi colpi e sguardi. Non una parole.

Era evidente che Aiolia non lo riteneva più degno. Come dargli torto.

Solo Aldebaran e Marin avevano quel privilegio. Sempre che di privilegio si potesse parlare, ormai.

Rivolgere parola al fratello del traditore, al raccomandato Aiolia di Leo, senza riceve contro i suoi colpi più tremendi.

Milo aveva buttato giù e ci aveva fatto il callo.

L’istinto gli diceva che doveva agire, ma neanche Aiolia osava. Lo accusava con gli occhi, ma taceva a sua volta ed eseguiva. Quindi, con che coraggio screditava lui?

No. Milo non era un genio, ma non occorreva esserlo per capire che non era il momento.

Non ancora.

Non c’era niente ad unirli, erano divisi e disgregati.

Shura, Aphrodite e Deathmask si sarebbero schierati con il Gran Sacerdote, Shion o chiunque fosse.

Shaka non aveva idea di cosa avrebbe fatto, ma l’istinto gli diceva che sarebbe stato dalla stessa parte di Camus: nessuna delle due fazioni. Neutrale, senza sbilanciarsi.

Aiolia, Aldebaran e, se si decideva a tornare, Mu. Solo loro tre c’erano ad opporsi al Sacerdote. E Milo, che però ancora non sapeva che fare.

Ad ogni modo, erano divisi. Non sarebbero andati da nessuna parte.

Lo sapevano tutti, per questo la situazione era ancora perfettamente com’era stata da dopo la Notte degli Inganni. E nessuno si azzardava a far nulla.

Ma Milo era certo anche che le cose un giorno, molto presto, sarebbero cambiate.

E allora anche Camus avrebbe dovuto prendere una decisione.

“Sai, Cam, non per qualcosa, ma non mi sento molto a mio agio con te seduto lì,” ammise alla fine Milo, decidendosi a parlare.

Camus sorrise appena, scolandosi la metà rimasta nel bicchiere. “Così capisci cosa provo io ogni volta.”

“Non pensavo che ti desse fastidio! Dai, siediti qui.”

“Sto bene qui, Milo,” sentenziò. Nient’altro uscì dalle sottili labbra del rosso per svariati minuti.

Milo iniziava davvero a pensare al peggio. Che mai doveva dirgli?

Perché qualcosa doveva dirgli, era ovvio.

“Taglia corto e basta, Camus. Stiamo solo perdendo tempo.”

Camus poggiò il bicchiere a terra, il dito sul margine esterno. Con una lieve pressione lo fece girare due volte, poi tornò a farlo poggiare per intero sulla superficie del pavimento.

“Immagino tu abbia ragione,” fece. Non c’era nervosismo nella sua voce, nemmeno la più piccola traccia. Eppure, le dita snelle che giocherellavano con la superficie liscia e trasparente lo tradirono.

Sa mentire, Camus, questo era ovvio.

Ma non a lui. A lui mai. Si conoscevano da troppo tempo, e troppo bene.

“Domani sera partirò per la Siberia. Tornerò nella terra in cui mi sono allenato in questi anni, di nuovo.”

Milo annuì. “Okay. Beh, se c’è una missione da affrontare in quelle terre impervie è ovvio mandino te. Sei il più adatto. Quanto tempo starai via?”

“Sei anni.”

Milo sgranò gli occhi, l’azzurro del mare di Grecia a perdersi nello scuro cielo Siberiano. La tranquillità con cui Camus l’aveva detto cozzava in maniera spaventosa con tutto il teatrino fatto fino a quel momento per rivelarglielo.

“Scusami?”

“Hai capito, Milo. Come saprai, c’è un’altra armatura, di Bronzo, custodita fra le fredde terre Siberiane: quella del Cigno. La prossima settimana arriverà un pretendente, Isaac. E fra qualche mese ne giungerà un secondo dal Giappone, dicono. Mi è stato dato il compito di addestrare entrambi e decidere chi sarà il degno Bronze Saint del Cigno.”

“Ah.” Milo si zittì di nuovo.

Mandavano Camus ad allenare due sbarbatelli. Non era una cosa così insolita, che un Gold Saint seguisse gli allenamenti degli altri Cavalieri di ranghi inferiori, certo, ma Camus aveva solamente quindici anni, compiuti da poche settimane per altro.

Era forte, sì, certo, ma se la sarebbe cavata?

“Quanto hanno?”

“Sette e sei anni.”

Milo annuì, “Ho capito perché sei nervoso, allora.”

Avrebbe dovuto crescerli lui. Da solo, perché in Siberia chi sarebbe mai andato ad aiutarli?

Doveva creare da zero quei piccoli futuri cavalieri. Ma erano solo dei bambini.

Camus sapeva a malapena cavarsela da sé, nella vita di tutti i giorni. E adesso lo mandavano ad occuparsi di due bambini.

“Non credo di essere nervoso. Però…non credo neanche di essere il più adatto.”

“Io invece credo di sì. Non per il tuo potere. Proprio perché sei tu, Cam.”

Camus scosse il capo, tacendo. Certo, l’idea di dover andare a crescere due bambini non lo rendeva tranquillo e non sarebbe certamente partito sereno, ma non era solo quello a preoccuparlo. Quei due bambini sarebbero diventati due Saint, ed era a quello che doveva pensare lui. Il suo maestro non aveva avuto remore con lui solo perché era molto più piccolo degli altri aspiranti cavalieri, e lui non sarebbe stato da meno.

Da adesso per quei due ragazzini non c’era più tempo per problemi infantili di normali ragazzi. Il loro destino era un altro.

Lui avrebbe tirato fuori i Saint, li avrebbe resi degli uomini degni della Cloth.
Sapeva di potercela fare, anche se non sarebbe stato facile.

L’idea di crescere qualcuno, quando lui stesso stava ancora crescendo, lo faceva tremare.

Ma non era questo che lo preoccupava davvero. Non solo, non fino in fondo.

Fino a quel momento era stato l’unico a frenare Milo, lì al tempio. E aveva paura, era il caso di dirlo, che senza di lui se fosse successo qualcosa che avrebbe coinvolto Aiolia, Milo si sarebbe messo in mezzo. E lo sapevano tutti che, contro quell’impostore del Gran Sacerdote, in quel momento poteva facilmente trasformarsi in morte certa.

“Di tanto in tanto dovrò comunque tornare a fare rapporto con il Gran Sacerdote,” disse dopo un po’. Gliene aveva chiesto almeno uno all’anno, l’impostore, e su due piedi Camus si era chiesto come mai quella regola non fosse valsa anche per Saga, che non si era più fatto vedere da quando era partito per quella presunta missione.

Sempre che fosse in missione. Camus ne dubitava.

Ma se gli avessero chiesto dove fosse finito il Saint di Gemini, più che alzare gli occhi verso il Tredicesimo Tempio Camus non avrebbe saputo rispondere.

Milo scrollò le spalle con apparente indifferenza, “Beh, quando torni fai un fischio, che se non ho niente da fare ci facciamo un altro bicchierino,” mormorò, versando altra Vodka in tutti e due i bicchieri e tracannando velocemente il suo.

L’idea che Camus partisse per la Siberia di nuovo, e questa volta lasciandolo indietro e solo lì al Santuario, non lo metteva a suo agio. Per nulla.

Negli ultimi tempi Camus dell’Acquario era stato il suo unico amico. Il rapporto con Aiolia era ormai distrutto e per quanto Aldebaran fosse una brava persona, non era la stessa cosa.

E l’atmosfera, lì al Santuario, negli anni in cui erano stati via era diventata di una pesantezza soffocante, per chiunque avesse abbastanza cervello da capire che no, quel Gran Sacerdote non era affatto Shion.

Milo non aveva paura di esserne schiacciato, era un Gold Saint e non avrebbe mai avuto paura di un fantasma di cui non conosceva neanche il volto. Ma non sarebbe stato facile rimanere al suo posto, senza Camus a tenerlo in riga.

Fin troppe erano state le volte in cui avrebbe voluto salire le scalinate che lo dividevano dal Tredicesimo, scacciando via chi gli si sarebbe parato di fronte, per arrivare al Sacerdote e strappargli di dosso quella dannata maschera.

E se non lo aveva fatto era stato solo grazie alla presenza dell’Undicesimo Saint Dorato.

“Quindi non ho bisogno di chiederti di fare attenzione ai tuoi attacchi di eroismo, che ti porterebbero solo alla morte.”

“Non credo che servirebbe a qualcosa,” mormorò anche Milo, stravaccandosi sul divano a gambe larghe, “Voglio dire, hai visto Shura? Non voglio mica ridurmi in quello stato!”

Camus aggrottò le sopracciglia, “Shura è sempre stato fedele al Gran Sacerdote.”

“Se lo dici tu. Quello che so è che il bastardo non può comunque decimare i Gold Saint. Ho la sensazione che a mettersi contro di lui da soli si otterrebbe ben di peggio…

“Lo penso anche io. E te lo ripeto, Milo, non sono affari nostri. Noi abbiamo il compito di proteggere la Dea, tutto qui. Il resto non ci compete.”

Milo storse il naso, per nulla convinto di quello che l’altro diceva. “Sì, certo. Ma siamo sicuri che la Dea sia dove lui dice che è?”

“Finché nessuno mi proverà l’opposto, non mi fermerò per qualche dubbio insulso.”

“Ma se Athena non fosse davvero qui, noi chi stiamo proteggendo?”

“Il suo Tempio, nel quale è comunque destinata a tornare. La Guerra Sacra è alle porte, siamo nati per questa. Che sia qui, che sia morta quel giorno con Aiolos, o che sia altrove, non importa; il destino la riporterà qui, per guidarci.”

“Hai ragione,” ammise quindi Milo.

Come sempre. Camus aveva sempre ragione, dopotutto.

“Quello che dobbiamo fare è attendere, Milo. Rimanendo al nostro posto,” affermò Camus, tirandosi finalmente in piedi e avvicinandosi invece all’amico, stravaccato sulla poltrona. “Quando Athena tornerà la riconosceremo, e allora potrai strappare la maschera dell’impostore. Fino a quel momento, morire o diventare il suo burattino non servirà a niente.”

Milo sospirò, poggiò il bicchiere di nuovo vuoto a terra e si alzò a sua volta.

Uno di fronte all’altro, Milo si limitò a dargli una pacca sulla spalla. “Non farò nulla se non succederà nulla che non mi costringa. Tu, piuttosto, cerca di non massacrarli troppo, quei bambini!”

“Farò quello che devo per creare dei Cavalieri che possano lottare al nostro fianco.”

 

Cina. Goro-oh. 8 Settembre 1980.

 

Dohko aveva temuto il peggio, quando Mu aveva lasciato Goro-oh quel giorno.

Che tornasse in Grecia a prendersi la sua vendetta, a prendersi la testa di Saga, adesso che aveva capito chi fosse l’impostore. Chi era l’assassino che, sfruttando l’affetto di Shion, lo aveva poi ucciso.

Ma Mu non aveva fatto nulla.

Era un ragazzo intelligente, Dohko lo sapeva. Shion glielo ripeteva sempre, orgoglioso. E aveva ragione.

Non erano abbastanza uniti, i Gold Saint della Dea Athena.

Molti erano ancora indecisi, alcuni avevano scelto la fazione sbagliata.

E Saga aveva il vantaggio di avere un intero Santuario ai suoi comandi, ai suoi piedi.

Aveva taciuto, quindi. Aveva taciuto la verità ad Aiolia, per proteggerlo dai suoi stessi colpi di testa, ben sapendo che neanche Aldebaran sarebbe riuscito a placare la sua ira se avesse saputo che ad ordire la morte di Aiolos era stato proprio il suo più caro amico, l’uomo di cui più si fidava in quel periodo.

E aveva taciuto anche con lui. Per mesi, non aveva risposto ai messaggi mentali di Dohko. Il silenzio era tornato ad essere il suo unico amico, rotto stavolta solo dalla presenza della piccola Shunrei.

E poi, nove mesi dopo, gli era arrivata una missiva, che gli annunciava la venuta dal Giappone di un pretendente per l’armatura del Dragone.

L’attesa era finita, ormai era agli sgoccioli.

Certo, forse qualcuno avrebbe potuto criticare la loro stasi in quei lunghi anni, ma il destino aveva mosso le sue carte e loro, semplici marionette del fato, lo avevano atteso con pazienza perché era quello il loro compito.

Athena, la vera Athena, non quella di cui aveva annunciato la presenza al Santuario Saga, si era quasi risvegliata e stava richiamando a sé i suoi guerrieri.

Uno ad uno le forze si sarebbero riunite, stavolta sul serio, e a quel punto neanche Saga avrebbe potuto fare nulla se non arrendersi o morire.

Sperava, Dohko, che la resa e il pentimento sarebbero state le prossime mosse del falso Sacerdote, in un attimo di lucidità. Mai avrebbe voluto perdere un altro Gold Saint, dopo Aiolos. A Shion si sarebbe spezzato il cuore, se fosse stato lì.

Ma l’esperienza e il sesto senso gli dicevano che non era quella la fine che sarebbe spettata al Saint di Gemini, quando si sarebbe trovato d’innanzi alla realtà del fatti, all’inutilità di un piano che l’aveva portato ad ingannarsi per tredici anni senza portarlo ad ottenere quello che davvero bramava. Quello per cui aveva ucciso Shion e il suo migliore amico, Aiolos.

E sperava, in cuor suo, che almeno una piccola parte del cuore di Saga fosse ancora dalla parte della giustizia, di Athena, per permettergli di risparmiarsi tutto quello.

Roshi…

Non si scompose affatto di sentire la voce di Mu alle sue spalle, improvvisa eppure attesa. Non voltò neanche il capo verso di lui, ma aprì gli occhi vispi e li puntò in basso, nelle acque limpide che nascondevano l’armatura del Dragone.

 “E’ tanto che non ci sentiamo né vediamo, giovane Mu. Perché non ti siedi qui con me e fai compagnia ad un povero vecchio?”

Mu sorrise, mesto, ma si sedette comunque sui talloni poco dietro di lui, “Chiedo scusa per il mio silenzio di questi lunghi mesi.”

“Non importa. Lo capisco. Hai appianato i tuoi conflitti interiori, Mu?”

“Credo di sì,” ammise, “Anche se non capisco. Non riesco davvero a capire come proprio lui possa aver fatto una cosa simile. Fra tutti, proprio Saga…E lei e il mio maestro lo sapevate, ma non avete fatto nulla per impedirlo!”

“Fin dal loro arrivo al Santuario, Shion aveva capito che qualcosa non andava, in quei bambini. Ma non c’era niente che potesse fare.”

…loro, Roshi? Loro chi?”

“Saga e l’altro bambino. Il suo gemello: Kanon.”

Mu sgranò gli occhi. Non lo sapeva. Non sapeva che Saga avesse un fratello gemello, non lo aveva mai visto. O forse sì, senza neanche saperlo?

“Ti vedo perplesso, Mu. Non lo sapevi, come nessun’altro a parte me, Shion e i diretti interessati.”

Ma…perché?”

“Perché era meglio così per tutti. Kanon è malvagio, e Shion ha provato in ogni modo a proteggere l’animo puro di Saga, non reputandolo neanche degno di un’armatura. Memore dei nostri compagno Saint di Gemini, ai tempi della precedente Guerra Sacra, Shion aveva allontanato Kanon dal santuario per tenerlo d’occhio. Ma non è bastato. Qualcosa in Saga si è comunque oscurato.”

Mu tacque, la mente sovraccarica di informazioni in così poco tempo, e tutte così preziose.

Non sapeva che Saga avesse un fratello gemello, e come poteva? Neanche gli altri ne erano a conoscenza.

L’unica cosa a cui adesso riusciva a pensare era il Cosmo percepito quella notte di sette anni prima. Quel Cosmo che somigliava a quello di Saga, ora che ne conosceva l’identità, ma non era il suo. Non era il suo, o l’avrebbe riconosciuto.

E come faceva Dohko ad essere certo, allora, che non fosse stato proprio quello di Kanon?

Erano gemelli. Avevano un cosmo diverso, certo, ma simile al tempo stesso.

“Non è Kanon l’impostore,” la voce di Dohko lo fa sobbalzare, quasi, fermando i suoi pensieri sul nascere come se gli avesse letto la mente. “Shion aveva pensato che l’unico pericolo riguardasse Kanon, e aveva allontanato i bambini. Ma non era così. Saga stesso era diviso a metà. Una parte buona e una parte malvagia. Contaminato da uno spirito maligno di cui Shion non è mai riuscito a carpire davvero l’origine, e da cui non è riuscito a salvarlo, Saga alla fine è stato semplicemente schiacciato da esso, agendo come ha agito. Io stesso ci ho messo lungo tempo a comprenderlo e ad accettarlo.”

Mu annuisce, “Capisco,” mormorò. Certo, una parte malvagia che ha preso il sopravvento sul Saga giusto e retto che loro tutti avevano conosciuto da bambini.

Ecco il perché di quel Cosmo, di quella sensazione che aveva avuto. Molto più ovvio, a ben vedere, di Kanon, che lui non aveva mai visto.

Shion aveva solo cercato di fare quello che aveva potuto per proteggerlo, ben sapendo che non era del tutto colpa di Saga. E per farlo, ci aveva rimesso la vita.

“Ma non è per questo che sono venuto qui, Roshi.”

Dohko rise appena, di quella risata un po’ nasale che lo caratterizzava, “Lo so, mio giovanissimo amico. Sei qui per dirmi dell’armatura di Pegasus, vero?”

Per l’ennesima volta Mu si ritrova a sgranare gli occhi, sorpreso. “Come lo sa?”

Dohko puntò gli occhi in alto, dove le prime stelle iniziavano a far capolino nell’ancora chiara volta celeste. Mu seguì il suo sguardo, ma ancora non era possibile scorgere le costellazioni.

“Le stelle, Mu, le stelle sanno rivelarti molto più di quello che immagini, se sai parlare con loro.”

E non fa fatica a credere che sia davvero così, Mu. Perché Dohko sa sempre tutto prima ancora che chiunque glielo dica.

Il suo maestro gli diceva spesso che dallo Star Hill, il punto più alto del Santuario, era possibile vedere tutta la volta celeste e così, se si sapeva ascoltarle e leggerle, si poteva vedere nelle stelle persino il futuro. Ma era qualcosa che Mu aveva sempre pensato propria esclusivamente del Gran Sacerdote, poiché a nessun altro era permesso salire su quell’altura.

Shion gli aveva insegnato a leggere le stelle, riconoscere le costellazione, percepire da esse il pericolo. Ma si chiese se mai un giorno avrebbe potuto raggiungere anche quei livelli.

Perché Dohko, era evidente, sapeva leggere il futuro nelle stelle proprio come sapeva farlo Shion.

“Oggi in Grecia è arrivato  un ragazzino dal Giappone come pretendente all’armatura. Lo hanno affidato a Marin dell’Aquila, nonostante anche lei sia Saint solo da un anno e mezzo. Anche l’allievo di Shaina dell’Ofiuco concorrerà per la stessa armatura,” rivelò comunque, per quanto immaginasse, a quel punto, che Dohko lo sapesse già.

“Uno di loro due è la sua reincarnazione…” mormorò, così piano che Mu quasi non lo sentì neanche. Ma non servì comunque chiedere alcuna spiegazione. “Il Cavaliere di Pegasus e Athena sono sempre stati legati da un doppio filo, Mu. Come duecento anni fa con il mio allievo Tenma, così oggi. Senza neanche cercarla, è stata Athena a trovare noi, mandandoci quel giovane aspirante Saint.”

“Il giapponese?”

“Molto probabile,” annuì Dohko, “Anche io avrò un allievo per l’armatura del Dragone, molto presto. Abbiamo aspettato anni e ne aspetteremo ancora alcuni, ma ormai il tempo è quasi maturato, Mu.”

Anche Shaka glielo aveva detto, quando avevano parlato telepaticamente e l’amico gli aveva rivelato dell’arrivo del ragazzino al Santuario, quella mattina.

Forse presto sarebbero stati tutti costretti a prendere il loro posto, che lo volessero o meno, perché il destino stava per compiersi e nessuno di loro della casta dorata poteva tirarsi indietro.

Quando l’armatura di Pegasus sarebbe stata assegnata, o a Cassius o a Seiya, allora il fato avrebbe scoperto tutte le carte in gioco, e a quel punto sarebbe toccato agli stessi giocatori decidere.

Athena o il Falso Sacerdote.

 

 

ANGOLINO AUTRICE:

Chiedo scusa per il tempo che ci ho messo e anche per il fatto che forse, temo, la storia sia andata a parare un po’ meh. In verità più o meno dall’inizio non avevo in mente di creare chissà quale tipo di rivolta interna, solo di cercare di spiegare a modo mio il perché dell’immobilità dei personaggi.

Il fatto che qui tutti sappiano la verità è perché non posso accettare la stupidità che gli ha messo addosso Kurumada xD Non è possibile che nessuno si sia accorto. O che nessuno dubitasse. Preferisco pensare che volutamente abbiano fatto finta di nulla, per un motivo o un altro che sia.

E quindi, questa è la mia piccola versione.

La storia si conclude qui, manca solo un epilogo che spero di portarvi in conclusione il prima possibile, con l’inizio della storia che tutti conosciamo, e la scalata.

Grazie per la pazienza e grazie per la fiducia!

Un bacione enorme,

Asu

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 8 - Epilogo ***


EPILOGO

 

 

 

Grecia, Santuario di Atena. 1 Settembre 1986.

 

Era strano tornare in terra di Grecia dopo tredici anni lontano da quella che era stata la sua casa per tutta l’infanzia, o buona parte di essa.

Arrivare e chiedersi, inevitabilmente, se i suoi compagni avrebbero accettato la sua presenza.

Ma non potevano ucciderlo. L’impostore in persona aveva richiesto la sua presenza così come quella di tutti gli altri, Dohko incluso, ma il vecchio maestro, com’era ovvio, non si sarebbe presentato.

Non lasciava Goro-Oh da duecento anni, non lo avrebbe certo fatto per qualcosa che neanche reputava giusto.

Ma lui sì. Mu aveva deciso, infine, di presentarsi.

Con il piccolo Kiki al seguito si era recato al Santuario, presidiando di nuovo la Prima Casa. La sua. Quella dell’Ariete.

Non era stupito di trovarla trascurata e impolverata, ma lasciò che fosse Kiki a darsi da fare per sistemare il sistemabile. Lui, invece, aveva intrapreso una scalata che ricordava solo nei suoi sogni più cupi.

Non verso la Tredicesima dimora, però, dove sempre si rifugiava da bambino, bensì fino alla Quinta.

La casa del Leone dorato e il suo Custode lo accolsero come s’era aspettato, con distaccato garbo e stupore.

Aiolia si era fatto uomo duro negli anni, così come Mu stesso. Non solo nel fisico ma anche nel temperamento, spesso nei modi, pur senza cattiveria. Mantenevano solo le distanze da tutti e tutto, da quei compagni che li avevano inevitabilmente delusi. Quasi tutti almeno.

Toro era stato dalla loro parte, e lo era ancora. Quando Mu, pochi secondi prima, aveva chiesto il permesso di superare la sua Casa, Aldebaran era sbucato dalle stanze interne e gli era andato incontro.

Mu! Sei tornato! Pensavo ormai che neanche questa volta ti avrei rivisto!” l’aveva accolto con un sorriso. Un tempo l’avrebbe abbracciato, gli avrebbe dato una pacca sulla spalla con quelle enormi mani che sapevano essere così gentili eppure mortali. Ma adesso no.

Gli aveva sorriso, cordiale, ma non l’aveva toccato. In un certo senso, nonostante anche Mu gli sorrise, Aldebaran doveva aver capito che stava mantenendosi distante a sua volta. Troppo tempo era stato lontano da qualsiasi forma di vita prima di incontrare Kiki e anche dopo aveva avuto con sé solo il bambino.

Persino Leo non lo vedeva da quando Seiya era arrivato in Grecia.

Questa volta non potevo esimermi, amico mio.”

Aldebaran aveva annuito, “Le cose stanno per cambiare, vero? L’ho percepito anche io.”

E’ così.”

Aiolia, invece, lo aveva accolto in silenzio.

C’era ben poco da dire. Presto il destino si sarebbe compiuto, e Athena sarebbe tornata a richiedere il suo posto lì al Grande Tempio, dov’era giusto fosse.

“Il Falso Sacerdote si sta già muovendo contro quei ragazzi,”  gli rivelò, “Ha chiesto a Milo di andare ad uccidere Seiya e Saori Kido, accusandola di essere un impostore.”

Mu annuì, “Saori Kido è la vera Athena.”

“Lo verificherò di persona.”

“Tu?”

“Sì. Andrò io al posto di Milo. E’ mia intenzione capire se Seiya ha le capacità di arrivare fin qui, o se Athena affidata a lui è in pericolo, ma contro Milo non avrebbero avuto alcuna possibilità.”

“L’hai visto crescere in mano a Marin. Dovresti sapere che Pegasus è tutt’altro che un debole.”

“Lo so. Ma adesso che abbiamo trovato finalmente Athena, ammesso che sia davvero la Kido, abbiamo bisogno che torni qui in Grecia. Abbiamo bisogno che sia al sicuro, e che il Falso Sacerdote non possa farle del male. E’ finito il tempo dell’attesa, Mu.”

“Quando arriverai in Giappone per incontrare Seiya e Saori Kido non essere avventato, Aiolia.”

Aiolia si limitò ad un cenno del capo, e il discorso cadde lì.

Ma sapevano bene tutti e due che Aiolia, ponendosi davanti a Milo come volontario a partire per il Giappone, aveva salvato la vita a quei Bronze, così come sapevano che non erano pronti. C’erano ben poche possibilità che potessero affrontare dei Gold Saint e purtroppo molti di quelle delle case superiori alla Quinta, e DeathMask giù alla Quarta, erano traditori. Avevano tutti deciso di servire l’Impostore anche se sapevano –perché Aiolia era certo sapessero- che la sua identità non era quella del vecchio Shion.

Shaka, Milo, Camus, Shura, Aphrodite, nessuno di loro era degno dell’armatura che indossava.

Shaka è dalla nostra parte, Aiolia. O quantomeno, non è da quella dell’Impostore,” affermò Mu di punto in bianco, già sulla soglia della Quinta casa, pronto di nuovo a scendere, “Per quanto non abbia preso una posizione, ha capito anche lui la verità. Quando vedrà Athena e la riconoscerà capirà anche da che parte stare.”

Aiolia storse le labbra. Conosceva poco il Cavaliere della Sesta, ma non era del tutto convinto delle parole di Mu. L’aveva sempre trovato strano ed era difficile riuscire a capire cos’avesse.

Ma se Mu aveva ragione, per loro non era che una fortuna.

 

Da allora, i giorni passarono tranquilli. Aiolia tornò in terra di Grecia con una Shaina ferita, sacrificatasi per salvare Seiya, e la cattiva notizia che sì, quella ragazza era davvero Athena, ma Seiya non era pronto.

Marin era stata un’ottima, innegabile, insegnante per lui. Ma non era stato sufficiente.

Contro un Cavaliere D’Oro, quei ragazzi erano spacciati.

L’unica alternativa che avevano, era stata la proposta del Leone, era quella di allenarli. E c’era un solo modo per farlo, in un tempo inesistente e davanti agli stessi occhi del Falso Sacerdote.

Combattendo.

“La morte per mano nostra, o il Settimo Senso,” decise Aiolia alla fine, fermo sulla soglia della Seconda Casa insieme a Toro e Mu.

Proprio Aldebaran inarcò per primo il sopracciglio, “Mi pare estremo, Aiolia. Sono solo dei ragazzi.”

“Ragazzi che devono proteggere la Dea. E che se non raggiungeranno il Settimo Senso moriranno comunque per mano del falso Sacerdote, o peggio durante la Guerra Santa che, sappiamo, ci aspetta. E’ per questo che siamo nati, lo sai.”

“Certo, lo so, ma...”

“A malincuore, Lia non ha torto,” intervenne anche Mu, “Purtroppo, è il loro fato. Abbiamo atteso troppo, Al. Non possiamo aspettare ancora che loro raggiungano la giusta maturazione.”

“Quindi, quando arriveranno, se intraprenderanno la scalata non devo farli passare?”

“No,” sentenziò Aiolia, “Devi combattere. Spingerli al limite. Spingili ad un punto in cui possano raggiungere il Settimo. Quando arriveranno alle Case dei traditori, più in alto, dovranno essere pronti.”

A cuor pesante, Aldebaran alla fine annuì.

Non aveva motivo alcuno di mettere il bastone fra le ruote agli amici e, infondo, avevano ragione.

E a prescindere di come sarebbe andata con i Bronze, loro poi avrebbero ucciso l’Impostore, riportando Athena al suo giusto posto. Dove le spettava di diritto.

Preparando, e aiutandola loro –in assenza di Shion-, alla Guerra Sacra che li attendeva.

 

Quella sera stessa, la sera prima della presunta venuta di Athena in Grecia, Mu si presentò alla Sesta Casa.

Pur non essendo riuscito ancora a parlare con Milo e Camus, era Shaka l’unico di cui gli interessava davvero avere un parere.

Shaka lo fece entrare subito, accogliendolo al centro della Sesta in Armatura. Mu non chiese perché la indossasse, con lui, semplicemente lo fissò con un lieve sorriso sulle labbra.

Si erano sentiti sempre più di rado, in quei tredici anni, e non si erano più visti. Shaka non aveva mai più lasciato la Sesta casa e la sua posizione di meditazione da quando era tornato al Santuario, se non per le rare missioni assegnatogli dal falso Sacerdote.

Per questo, vederlo in volto, vedere quelle palpebre perennemente calate e quelle labbra crucciate, riporta Mu ai vecchi tempi.

A quando erano bambini, e lo convinceva a nascondersi con lui per mangiare Tigmo, in piena notte, a quell’unica volta in cui Shion aveva manifestato la sua presenza –anche se Mu era certo, in realtà, che sapesse bene che spesso con anche Aiolia rompevano il coprifuoco-. Ricordava che li avesse sgridati, togliendosi anche la maschera per poterlo fare mentre li guardava. Ricordava che sorridesse, in verità, mentre Mu e Shaka tenevano mestamente il capo basso.

Avevano sei anni e tutto quello che volevano era scappare a nascondersi –forse Shaka a meditare, per penitenza. Invece poi Shion aveva riso, aveva messo una mano sulla testa di entrambi e scombinato loro i capelli, paterno. Poi, semplicemente, aveva chiesto a Mu di offrire un panino anche a lui.

Era stata l’unica volta in cui Shaka aveva infranto le regole, se così si poteva dire. L’unica volta che Shaka stesso credeva di aver sbagliato.

Adesso, però, la storia si ripeteva.

L’errore, seppur diverso, si ripeteva.

Shaka aveva sbagliato, inizialmente, il suo giudizio verso il Gran Sacerdote, verso Mu e verso Aiolos, e da quando lo aveva ammesso, indirettamente, era la prima volta che si incontravano.

Non gli permetteva di vedere quegli occhi azzurri, ma sapeva che lo fissavano.

“Ciao, Shaka.”

Mu,” salutò l’indiano, “Sei tornato.”

Mu annuì, “Il tempo è giunto. Non è più il momento dell’attesa né tantomeno di rimanere in disparte. So che lo percepisci anche tu.”

Shaka si limitò ad un cenno del capo, voltandosi di tre quarti verso il Tredicesimo Tempio. Quello del Gran Sacerdote.

Dell’impostore, per la precisione.

Di Saga, ma questo Mu non poteva dirlo. Forse, con gli anni Shaka aveva riconosciuto quel Cosmo. Forse no.

Mu non aveva prove di questo se non le parole sconnesse di Dohko, e nessuna conferma da parte del vecchio maestro.

Per questo, puntare il dito non serviva a nulla, e nessuno.

Quello che dovevano fare ora, il compito per cui per anni, per tutta la vita, si erano allenati, era riconoscere la parte della giustizia, e allearsi con essa.

Era riconoscere nella giovane Saori Kido la loro Dea, e combattere al suo fianco.

Suo, e dei giovanissimi Cavalieri di Bronzo che lei aveva scelto.

“La fanciulla ha palesato la sua intenzione di recarsi a parlare con il Sommo,” gli disse Shaka, “Ha mandato una missiva.”

“Quando arriverà, il Falso Sacerdote farà la sua mossa. Stavolta non possiamo far finta di non vedere, o di non sapere, amico mio.”

“E’ per questo che sei qui, Mu? Per fare la tua mossa?”

“Sì.”

Per un istante, Shaka tacque. “Contro l’impostore.”

“E tu, Shaka? Cos’è che farai, quando Athena giungerà?”

“Se riconoscerò la fanciulla come la mia Dea, allora combatterò al suo fianco. Se saprà farsi riconoscere, sarà mia volontà inginocchiarmi al suo volere.”

Mu annuì. Certo, non avrebbe potuto sperare in nulla di diverso da Shaka.

Lui, che viveva seguendo solo le direttiva del Buddha e che mai sarebbe andato contro ai suoi principi, neanche per qualcosa che considerava vero, non avrebbe mai preso una decisione netta, in nessun caso.

Il suo ruolo era difendere la Dea e quello avrebbe fatto, nient’altro.

L’unica cosa che poteva sperare Mu era che non cercasse di fermare i Bronze Saint.

“Buddha non ha saputo dirti cosa fare?”

“Buddha non da mai risposte nette. E ad ogni modo...” Shaka tacque, lasciando morire la frase a metà.

Per un attimo Mu rimase interdetto, “Ad ogni modo?”

Shaka scosse il capo, i lunghi capelli biondi ondeggiarono maestosi dietro la schiena, “Non sento la voce del Buddha da anni, ormai. Da quando sono tornato qui.”

Questa volta, fu Mu a non aver parole da pronunciare.

Shaka, l’uomo più vicino agli Dei, che sempre si era lasciato guidare da essi, che non percepiva da anni la voce del Buddha?

Non presagiva nulla di buono.

“Questo posto è carico di negatività, il Cosmo del falso Sacerdote è oscuro e il comportamento di Pisces, Capricorn e Cancer sospetto. In più, Saga ancora non è tornato, e dopo un’assenza di tredici anni inizio a pensare che sia morto anche lui,” ammise Shaka dopo un po’, “Inoltre, io...,” fece una pausa, come se quello che stava per dire fosse dura da ammettere, per lui. Dura anche solo da dirlo a parole, a farle uscire da quelle labbra sottili, “Io sono stato confuso...indeciso, per molto tempo. E credo che sia questo il motivo per cui non riesco più a sentirlo.”

Mu si ritrovò a sorridere, comprensivo.

Shaka, che per gran parte della sua vita aveva vissuto nella solitudine della meditazione, con la sola compagnia della voce del Buddha, doveva sentirsi spaesato e sperduto senza di essa.

Eppure, nonostante questo, ancora non si azzardava a prendere una vera decisione.

“Allora è il momento di prendere la tua decisione, non trovi?”

“L’unica cosa che posso dire, Mu, è che non fermerò quei ragazzi, se vorranno passare la mia casa, se riconoscerò in lei la Dea. Ma non li aiuterò. Non fino a quando...non sarò certo.”

“Immagino che sia già qualcosa,” sorrise Mu, “Aiolia pensa che dovremmo cercare di fargli raggiungere il Settimo Senso.”

Shaka arcuò elegantemente un sopracciglio, “Non sono certo che dei Bronze possano riuscirci.”

Val la pena tentare, non trovi?”

“Forse. Se arriveranno vivi a me dopo aver affrontato Aldebaran, Cancer e Aiolia...allora agirò di conseguenza.”

Mu si lasciò scappare una lieve risata, abbassando piano il capo, “Mi impegnerò nel riparare le loro armatura, perché possano resistere anche ai vostri colpi. Posso permettermi, Shaka, di invitarti giù alla prima casa da me? Ho portato...dei dolci, dal mio eremitaggio.”

Per un istante, Mu ebbe la netta impressione che Shaka avesse schiuso gli occhi.

Ma durò solo un istante. Un flebile, velocissimo istante che lo fece sorridere.

“Non credo sia il caso, stasera.”

“Quanto tutto questo sarà finito, allora. Buonanotte, Shaka.”

 

Nella Settima Casa, quella dello Scorpione, Milo aveva accolto un Camus stranamente cupo.

Non che l’amico dell’Undicesima fosse mai stato particolarmente allegro o vivace, ma rare volte l’aveva visto così.

Anni prima, durante la notte degli Inganni, e forse mai più dopo allora.

La preoccupazione, malcelata, che trapelava dal suo volto era lampante, rendeva quel bel viso teso.

Ma dopotutto, anche uno dall’animo lieve come Milo era in grado di capire che qualcosa stava per succedere, che le cose stavano per cambiare e che quello che li aspettava adesso non era un bene.

Il ritorno di Mu era un segno più che ovvio.

Quello che per anni avevano ignorato, fingendo di non vederlo, in attesa di qualcosa che non sembrava essere ancora pronto a verificarsi, stava venendo a galla.

Se qualcosa ancora lo perplimeva, presto avrebbe dissipato tutti i suoi dubbi.

Presto neanche Camus avrebbe potuto più dirgli di far finta di nulla, di ignorare il più per sopravvivere. Perché stava per diventare un loro problema.

Loro erano i Cavalieri della Dea, e se Athena stava venendo lì per smascherare l’impostore, Milo non avrebbe mai fatto finta di nulla.

“Che cosa succede, Cam?”

“Quando Hyoga del Cigno vorrà passare la tua casa, lascialo venire da me.”

Milo sgranò gli occhi, “Perché dai per scontato che sarà così?”

“Il Sommo, vero o falso che sia, è stato chiaro: la ragazza vuole parlare con lui. I Cavalieri di Bronzo le andranno dietro. Compreso Hyoga.”

“E vuoi che io lo lasci passare come se nulla fosse? Perché?”

“Sarò io a fermare la sua corsa.”

Cam...ancora non sei convinto che quello non sia davvero Shion?”

“Certo che lo sono. Lo sono da anni. Non è per questo che Hyoga combatterà con me. E morirà per mano mia, all’Undicesima, se necessario.”

“Perché?”

Camus non rispose nell’immediato, invece diede le spalle all’amico, avviandosi verso l’uscita. Solo sull’uscio si voltò verso Milo, pur senza guardarlo in volto, “Perché quel ragazzo non è ancora pronto. E se durante la sfida che gli porrò deciderò che non è degno, che muoia per mano mia piuttosto che per quella dell’impostore.”

Milo lo guardò andarsene in silenzio, i capelli rossi legati in una coda bassa mossi dal vento lieve e tiepido di Grecia.

Era giusto, sì.

O si sarebbe dimostrato degno di raggiungere il Settimo Senso, o sarebbe morto per mano del suo amato maestro.

La trovava una fine degna anche per un Cavaliere di Bronzo.

E pur non conoscendolo di persona, la trovava una fine degna per l’allievo di Camus.

 

Grecia, Santuario di Athene. 16 Ottobre 1986

 

Vederli arrivare, segna definitivamente la fine di quella fasulla pace che fino a quel momento aveva invaso il Grande Tempio e tutti i suoi abitanti.

Aiolia lo sa, che quello è il momento in cui tutto sarebbe venuto alla luce.

La verità. La sola verità.

Su quella notte, su suo fratello.

Finalmente, Aiolos avrebbe avuto quello che meritava davvero. Il rispetto, la lode per aver salvato, sacrificando la propria vita, la sua sola e unica Dea.

Quella ragazza, Saori Kido, avrebbe spazzato via tutta la polvere, tutto l’orrore in cui aveva vissuto. Tutti gli anni di soprusi, discriminazioni. Niente sarebbe stato più come prima.

Il Grande Tempio avrebbe riavuto la sua Dea.

Lui, avrebbe riavuto suo fratello, seppur solo nel ricordo, e l’orgoglio di poter dire di essere il fratello dell’unico, Vero Cavaliere, l’unico degno della stima di Athena stessa.

L’uomo grazie al quale la Dea era sopravvissuta e, combattendo contro Hades, avrebbe potuto vincere e salvare di nuovo la terra.

“Guardali, Aiolos. Guardali. Sono i ragazzi che hai scelto, a cui hai affidato Athena. Rendili degni di questo compito, fratello mio. Hai donato loro la cura e la salvezza della Dea, ma adesso ti prometto che anche noi faremo la nostra parte. Semmai hai creduto in noi, anche solo un po’...scocca un’ultima freccia. In nostro aiuto.”

 

 

 

 

Angolino Autrice:

Salve a tutti, signori e signori, ammesso e non concesso che ci sia ancora qualcuno a cui questa mini-storia interessi.

Lo so, è passato più di un anno da quando, la prima volta, ho pubblicato Prosopon.

Mi sono persa per strada, lo ammetto tranquillamente, in più ho iniziato a scrivere di altro, su un altro fandom, e ho perso ispirazione.

Forse alcuni di voi si aspettavano molto altro, da questo. Ma io sono abbastanza soddisfatta così.

Prosopon è stato un lavorone e forse ho chiesto troppo alle mie capacità strategiche –praticamente inesistenti!!-.

Quindi mi ritengo soddisfatta, sì!
Spero che, seppur anche solo un po’, possa piacere anche a voi.

Un bacione forte, grazie per avermi seguito e aspettato e supportato!

Alla prossima, prima o poi!

Asuka <3

 

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3830182