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La voce del tradimento di Aiolos
si era sparsa come una macchia d'olio, veloce, troppo veloce. Mu aveva appena fatto in tempo a capire che cosa stesse
succedendo che già tutto il Santuario lo stava cercando.
Eppure faceva fatica a credere che Aiolos,
lo stesso Aiolos che spesso passava interi pomeriggi
con loro, il Saint giusto, retto, potesse essere un traditore. Che addirittura
potesse aver rapito Athena con l'intento di ucciderla.
Shura era stato mandato a
cercarlo, era passato per la prima casa senza neanche guardarlo, ma Mu l'aveva guardato eccome. E Shura
aveva la faccia di un condannato a morte anche se, a conti fatti, era Aiolos quello al patibolo.
"Shura! Shura...ma che cosa sta succedendo?" gli aveva
chiesto, agitato. Indossava l'armatura, in quel momento, perché aveva sentito
il pericolo nel Cosmo di Shion, il suo maestro, e poi
di Aiolos.
Ma si sentiva troppo piccolo per quel ruolo, adesso.
E Shion non rispondeva più ai
suoi messaggi telepatici, per quanto lo chiamasse, per quanto lo pregasse.
Gli aveva detto di non venire, un messaggio quasi
telegrafico. Poi era sparito, lui, il suo Cosmo, tutto.
Come se fosse...morto.
Ma si sarebbe saputo, no? Nessuno aveva parlato della
morte del Gran Sacerdote, solo del tradimento di Aiolos.
Quindi non poteva essere, giusto?
"Non fare domande di cui non vuoi conoscere la
risposta, Mu," solo questo gli aveva detto Shura, lo sguardo cupo rivolto verso il basso.
Mu si era zittito e aveva fatto
un passo indietro.
"Devi...devi andare ad ucciderlo?"
Il mutismo di Shura gli rispose
meglio di quanto l'altro avrebbe mai potuto fare a voce. Proprio Shura, proprio lui che per Aiolos
era un fratello al pari di Aiolia.
"Ma Aiolos non può aver
fatto quello che dicono!"
"Sono gli ordini."
"Shion...il maestro Shion non ordinerebbe mai una cosa simile senza un giusto
processo!"
"Per un crimine simile, proprio contro la nostra
Dea, la sentenza sarebbe comunque solo una."
"Però..." Shura lo
aveva stoppato con un brusco gesto della mano, come a dirgli di tacere, e aveva
preso a scendere gli ultimi gradini che c'erano.
Avrebbe ucciso Aiolos, questo
ormai era ovvio. Eppure, una piccola parte di sé gli diceva che, se Aiolos era davvero un traditore, a morire sarebbe stato Shura. Perché Aiolos era più
grande, aveva più esperienza, era più forte, molto più forte di Shura...e se davvero era un traditore, se davvero lo era,
se davvero aveva rapito Athena per attentare alla sua vita, allora che remore
avrebbe avuto ad ucciderlo?
Quindi, Shion aveva mandato a
morire Shura. Perché mandare solo lui? Perché non
mandare Saga, o qualcun altro insieme a Capricorn?
Si stava parlando di Sagitter,
uno dei cavalieri più forti del Santuario! Shura
aveva solo undici anni, era troppo giovane per competere.
No, no, il suo maestro non avrebbe mai preso una
decisione simile, non era da lui. Non era quello che gli aveva insegnato in
tutti quegli anni. Non riconosceva niente del suo maestro nelle parole e
nell'ordine impartito a Shura.
Se era davvero lui, perché non mandare Saga? E dov'era
Saga? Non l'aveva visto, nemmeno per un secondo, eppure lui e Aiolos erano sempre stati così amici, così uniti, una cosa
del genere l'avrebbe toccato direttamente.
E perché non poteva avvicinarsi al Tredicesimo?
D'istinto, un istinto che di norma non lo
contraddistingueva ma che quella notte non era ancora riuscito a far tacere,
aveva ignorato l'ordine ed era corso su, iniziando una scalata che per la prima
volta sembrava troppo lunga. E cosa avrebbe trovato, alla fine di essa? Si
sentiva un fardello sul petto, troppo pesante da sopportare.
Voleva sapere. Voleva sapere se era lui a non capire, o
se qualcosa davvero non aveva senso, in tutto quello che stava succedendo
quella notte.
Toro non c'era, di sicuro salito da Aiolia
dopo la notizia su Sagitter, la Terza Casa era
stranamente vuota. Deathmask invece lo imbruttì,
incenerendolo con un'occhiataccia, già all'ingresso della Quarta.
"Dove pensi di andartene?"
"Su, dal mio maestro. Devo parlargli!"
"Il Gran Sacerdote non vuole essere disturbato, Aries."
"Non è quello che ha detto a me. Lo sai che ha
mandato Shura contro Aiolos,
per ucciderlo? Shura non ha mai battuto Aiolos in allenamento, è un suicidio, non è alla sua
altezza!"
Deathmask ghignò, "Tu
sottovaluti il caprone, Aries."
"E tu sottovaluti Aiolos,
invece. Non crederò a quello che ho visto e sentito questa notte finché non
parlerò con il Sommo!"
"Allora caschi male, bamboccio, perché da qui non si
passa."
Mu indurì lo sguardo, però non
si mosse. Combattere con Deathmask sarebbe stato
quantomeno inappropriato, era un suo pari grado e per di più era anche più
grande di lui, e il rispetto che Shion gli aveva così
diligentemente insegnato per lui era troppo importante. Però doveva passare.
Doveva a qualsiasi costo.
"Non ti interessa se Shura
muore?"
"Se Shura muore è perché è
un debole."
"Io pensavo che tu e Shura
foste amici," le parole di Mu colpirono il
bersaglio. Le labbra di Deathmask si assottigliarono
e gli occhi rossi brillarono. Era preoccupato eccome.
E doveva esserlo anche Aphrodite,
lassù in cima, perché quei tre stavano sempre insieme, da che se li ricordava.
Quindi perché stavano lì? Qualcuno aveva ordinato di non far passare nessuno.
Nemmeno lui, che era l'allievo diretto del Patriarca.
Doveva essere così. Ma chi? Non Shion,
no, lui non l'avrebbe mai fatto, mai.
Quando era poco più piccolo, quando aveva appena ottenuto
l'armatura, Shion l'aveva preso in disparte, un
giorno, e gli aveva detto che non doveva avere paura, anche se sembrava una
cosa molto più grande di lui. E che, se ne avesse avuta, se avesse avuto dubbi,
poteva andare da lui. A qualsiasi ora, avrebbe trovato posto e tempo per
parlare con il suo prezioso allievo.
Erano state le sue parole, e fino a quel momento le aveva
sempre rispettate. Svariate volte Mu era salito su al
tredicesimo tempio, in piena notte, e Shion lo aveva
sempre accolto nelle sue stanze private, lo aveva fatto sedere sul letto o
sulla scrivania e avevano parlato. Tanto, fino all'alba. Per tranquillizzarlo,
per fargli capire che anche se era giovane era degno, che i suoi dubbi, i suoi
timori, non erano sciocchi ma bensì comprensibili. E che lui, che era il suo
maestro, era lì solo per dissiparli.
Proprio quella notte non l'avrebbe mai scacciato.
Se lo stava facendo, era perché qualcosa non andava.
Qualcosa che neanche il Sommo Shion poteva
controllare.
"Aiolia è nella sua Casa?"
"Cosa vuoi che ne sappia, io?"
"Aldebaran è passato di
qui?"
"No."
Non gli chiese altro. Mu girò i
tacchi e corse via.
Se Aldebaran non era passato da lì, era perché Aiolia non era alla Quinta e l'aveva raggiunto altrove.
Avrebbe voluto raggiungere Shaka, parlare con lui,
chiedere anche il suo parere. Ma Deathmask non
l'avrebbe mai fatto passare.
A quel punto, era più saggio cercare gli altri. Se li
trovava.
Li trovò più velocemente di quello che aveva creduto, poiché
Aiolia, furioso come non l'aveva mai visto, stava
facendo un gran baccano e Aldebaran, nonostante la
stazza, faticava parecchio a tenerlo a bada. Ma d'altronde, Mu
pensò che il giovane Leo fosse anche troppo tranquillo in quello che stava
facendo: prendersela con le malelingue che già puntavano il dito su di lui e su
suo fratello era davvero il minimo, con tutto lo stress che doveva star patendo
in quelle ore.
E Aiolia non era mai stato un
tipo tranquillo. Era focoso e quando si arrabbiava perdeva completamente il
controllo. Come in quel momento.
"Che cosa succede?" chiese quindi, anche se era
ovvio.
Aldebaran fu il primo a
voltarsi verso di lui e gli rivolse uno sguardo carico di dolore. Non
sorrideva, il grosso, giovane Toro. Mu non ci era
abituato, il Toro era sempre gioviale e disponibile, positivo davanti qualsiasi
problema gli si presentasse davanti, e adesso invece il suo sguardo mostrava
tutta la gravità di quella terribile situazione.
Un inferno.
"Succede che sono riuscito a fermare Aiolia prima che saltasse addosso a Shura,
poc'anzi. Per fortuna eravamo insieme, quando è scattato l'allarme,"
sospirò.
"E hai sbagliato!" berciò Leo, "Non dovevi
fermarmi! Se Shura fa davvero...e mio
fratello...io..."
"Tu niente," scosse il capo Aldebaran,
"Shura sta eseguendo gli ordini, non è giusto
prendersela con lui. No, Mu?"
Si voltò verso di lui, ma Mu
guardava insistentemente il manto erboso sotto i suoi piedi e non sembrava
quasi in grado di rispondere.
"Mu?"
Si riscosse, scuotendo il capo, "E' vero che sta
eseguendo gli ordini, sì."
Aiolia serrò la mandibola,
prima che l'ira gli facesse fare follie. Perché quei due non c'entravano nulla,
anzi, stavano facendo la cosa giusta. Forse.
"Anche se..."
Appena sentì di nuovo la voce di Mu,
incerta e titubante, Aiolia scattò verso di lui e lo
prese per le spalle. Stava tentando disperatamente di aggrapparsi a qualcosa
che salvasse l'onore di suo fratello almeno ai suoi occhi. Perché non voleva
crederci.
Perché non era possibile, non lo era. Non poteva esserlo.
Non suo fratello.
"Anche se cosa, Mu?"
"Aiolia, non puoi fare
così!" lo redarguì Aldebaran, "Non puoi
prendertela con tutti!"
"Voglio solo sapere che cosa stava dicendo! Tu sai
qualcosa, Mu? Sei l'allievo di Shion,
non puoi non sapere niente!"
Mu strinse le labbra e i pugni,
cercando di fare mente locale, di capire come fare ad esporre i suoi pensieri
senza sembrare un pazzo, un visionario. O un traditore a sua volta, che
arrivati a quel punto era un grosso rischio.
Avrebbe voluto che Shion fosse
lì, o anche l'anziano Dohko, che aveva conosciuto
tramite Shion stesso una volta sola, ma sapeva essere
suo grande amico. Era un sopravvissuto alla guerra precedente, era saggio e di
sicuro più logico di lui. In mancanza, visto che neanche Shion
rispondeva alle sue chiamate, avrebbe voluto poter esporre i suoi dubbi a Saga.
Lui sapeva sempre molte cose, era più grande di loro e
ogni volta riusciva a trovare una soluzione ai problemi di tutti, e per questo
la gente lo adorava quasi al pari di una divinità a sua volta. Saga gli aveva
sempre regalato un forte senso di tranquillità e pace, persino più di Aiolos, fin da quando era arrivato la prima volta al
Santuario. Però anche Saga pareva essere sparito nel nulla, quella notte.
Una notte infinita, priva di stelle.
E lui si sentiva piccolo e smarrito, fuori posto.
"Oggi...oggi avevo appuntamento con il mio Maestro.
Di mattina presto, all'alba. Però, poco prima che si annunciasse del tradimento
di tuo fratello, mi è arrivato un suo messaggio che mi ordinava di non avvicinarmi
alla Tredicesima. -Non venire- mi ha
detto così," fece una pausa, gli occhi di Aiolia
fissi nei suoi. Quelli di Aiolia erano febbrili,
quelli di Mu carichi d'angoscia.
Aldebaran scosse il capo,
"Pensi significhi qualcosa?"
"Penso che non abbia senso, come molte altre cose.
Dovevamo incontrarci, e poi mi dice di non andare ed in più ordina a Deathmask di non far salire nessuno, nemmeno me. E poi il
tradimento di Aiolos, che è uno dei Saint più forti
di tutti, eppure ci manda contro Shura, che è appena
diventato cavaliere come noi e non può competere! Se Aiolos
fosse davvero un traditore, il mio Maestro cercherebbe in tutti i modi di
ottimizzare il numero delle perdite, e invece non lo sta facendo! E poi anche
Saga! L'ho cercato, ma non riesco a trovarlo...voi l'avete visto?"
Toro scosse il capo, "No, potrebbe essere in
missione. Ma anche ammesso che sia così...magari è solo per l'allarme che il
Sommo ha agito così. Un tradimento, al Santuario..."
"Mio fratello non è un traditore! E' successo
qualcosa, non so cosa, ma...è successo! Aiolos io lo
conosco, lo conoscete anche voi, accidenti! Non l'avrebbe mai fatto!"
Aldebaran abbassò un po' il
capo, "Sì, questo lo pensavo anche io. Eppure..."
"Sentite," tentennò appena Mu,
facendosi più sicuro quando ottenne l'attenzione degli altri due, "Voi,
per caso, avete avuto la sensazione che stesse succedendo qualcosa al
Tredicesimo, poco prima dell'allarme? Insomma...il cosmo del Sommo," fece,
"L'avete sentito? E quello di Aiolos, anche, per
un secondo."
"Sì," annuirono gli altri due. Era stato
proprio questo, il fatto che fossero stati proprio i loro due Cosmi a
divampare, che aveva subito fatto credere a tutti quanti che la storia del
tradimento fosse vera. Altrimenti, perché proprio loro due? Era facile pensare
che Aiolos avesse tentato di uccidere Athena e Shion l'avesse fermato, no? Ed ecco spiegato il perché dei
loro Cosmi.
Eppure c'era una cosa che Mu
non aveva scordato.
"Allora avete sentito anche voi che c'era un terzo
Cosmo! Io non sono riuscito a riconoscerlo, aveva qualcosa di familiare ma non
ho capito cosa. E voi?"
Aldebaran sgranò per un attimo
gli occhi, "Pensavo di essermelo sognato! E' stato un frammento, stavo
dormendo e...però se dici che l'hai sentito anche tu, allora non stavo
sognando."
"Proprio no," assicurò Aries,
"L'ho sentito chiaro, anche io per un secondo solo, insieme a quello del
maestro, e poi sono spariti tutti e due, prima che arrivasse quello di Aiolos quasi subito dopo."
Aldebaran annuì, Aiolia invece rimase fermo, ma nessuno aggiunse altro.
Anche se c'era stato un terzo Cosmo, se non erano in
grado di riconoscerne l'origine era tutto inutile, significava che non c'era
comunque nessuno a cui chiedere spiegazione.
Dovevano andare da Shion. Non
c'era alternativa.
Avrebbero dovuto trovare un modo per superare le rose
velenose di Aphrodite, perché finché erano in tre sia
lui che il suo amico non erano un grosso problema. A meno che l'ordine non
fosse arrivato anche a Camus, Milo e Shaka, nelle case inferiori. Ma se così fosse stato, allora
perché non era stato dato anche a loro? Poteva capire Aiolia,
per via dell'accaduto, ma quell'ordine avrebbe dovuto essere anche per lui e Aldebaran, e invece non era così. A conti fatti, non sapeva
neanche perché fosse così sicuro che neanche Aphrodite
li avrebbe lasciati passare, Mu. Forse perché quei
tre stavano sempre insieme, erano una squadra particolarmente affiatata.
Non fecero comunque in tempo a fare niente, neanche a
muovere un passo.
Un attimo dopo aver deciso che avrebbe raggiunto Shion a qualsiasi costo e contro qualsiasi avversario,
questa volta, la consapevolezza di quanto era appena successo li colpì tutti
come una doccia fredda.
Aiolia cadde sulle ginocchia, e
Mu non ebbe il coraggio di guardare quel viso
stravolto dal dolore dell'enorme perdita che aveva appena subito.
Il Cosmo di Aiolos era sparito,
le stelle della sua costellazione si erano spente.
"Fratello..."
Non poteva credere che Shura
fosse davvero riuscito ad ucciderlo. La cosa continuava a risultare strana a Mu, contorta, in un certo senso. Non aveva neanche sentito
il Cosmo di Shura esplodere come durante un vero
combattimento.Come se non avesse avuto
bisogno di affrontare il suo avversario.
Che cosa stava succedendo?
Grecia.
Santuario di Atena. 15 Novembre 1973.
Aiolia trovò Mu ancora fermo sulle scale della Prima, il Pandore Box
sulle spalle insieme ad una piccola sacca mezza vuota. Aveva gli occhi
arrossati proprio come i suoi, come il cielo che virava verso l'alba, verso una
giornata che per loro non avrebbe avuto un barlume di luce, dopo quella lunga
notte così buia.
Teneva le spalle incurvate verso il basso, Mu, e Aiolia pensò che sembrasse
portare il peso del mondo intero, e forse si sentiva davvero così. Anche lui ci
si sentiva.
Suo fratello non avrebbe neanche avuto la degna sepoltura
che meritava. Sarebbe semplicemente scomparso, come se non fosse mai esistito,
poiché era meno di niente. Solo un misero traditore.
Non avrebbe nemmeno avuto un posto dove andarlo a
piangere, dove poter portare un mazzo di fiori. Niente di niente.
Era ingiusto.
"Ciao, Mu," salutò,
atono.
Mu non alzò gli occhi, ma
strinse i pugni, forte, tanto forte da ferirsi i palmi. "Io vado via, Aiolia. Volevo dirlo almeno a te e Al, ma lui non lo
trovo," ammise dopo un po'.
"Via? Per una missione?"
"No," fece Mu, e lo
guardò. Aveva degli occhi, Mu, tremendamente limpidi
e grandi. Aiolia non l'aveva mai notato, perché
quando rideva e sorrideva tendeva sempre ad assottigliarli, come in un gesto
automatico, spontaneo.
Ma quel giorno Mu era serio
come non l'aveva mai conosciuto. Non era il bambino di sette anni che,
nonostante il modo in cui era cresciuto, giocava con loro cercando di
coinvolgere anche i più restii, tipo Shaka. Era quasi
un uomo, Mu, molto più grande della sua vera età.
Chissà se anche lui appariva così, adesso, dopo quella
Notte?
"E cosa devi fare, allora?"
"Andare via. Solo questo."
"Ma che significa, scusa? Non puoi andartene adesso,
con il Santuario sottosopra, Athena sparita e...e anche mio fratello..."
Mu chiuse gli occhi, un solo
secondo. Appena il tempo di chiedersi se stava facendo una follia, se era il
caso di fare silenzio e limitarsi a tenerselo per sé. "Ho visto il
Sacerdote."
Aiolia scattò su, speranzoso,
"E che cosa ti ha detto?"
Mu sospirò, amareggiato. Ma su
quello non aveva timore. Che lo accusasse, che gli puntasse pure il dito contro
come aveva fatto Shaka, lui non aveva paura. Perché
quella era la sua sola verità, quella in cui credeva fermamente.
"Quello non è il mio maestro."
"Come, scusa?"
"Il Sommo non ha mai indossato la maschera con me, e
poi...e poi era strano, era diverso. Il modo in cui mi parla e si muove quando
siamo solo io e lui...di solito è rilassato, dolce. E invece oggi no, oggi era
diverso. Ne sono più che certo, quello non è il mio maestro e ormai sono sicuro
che Aiolos si sia ritrovato vittima degli eventi,
qualunque cosa sia successa!"
Aiolia percepì una strana
sensazione, una pesantezza al petto, forte. Questo implicava che forse c'era un
estraneo al Santuario e che nessuno se ne era accorto, no? Era un insulto a
loro tutti.
Eppure...significava anche che aveva avuto ragione. Che
suo fratello non era un traditore, che davvero non aveva fatto quello per cui
lo accusavano.
Lui lo conosceva, lo sapeva che non era possibile.
"Io non so cosa sia successo ieri notte né chi sia
quell'uomo...ma non è il Sommo. E non posso restare qui finché non capisco
almeno quello che sta succedendo!"
Una piccola parte del cervello di Mu
continuava a dirgli che, forse, parlare con Aiolia
non era una buona idea, nonostante lui fosse sempre animato da buone intenzioni
e fosse una persona sempre disponibile e leale. E poi aveva perso suo fratello
come lui aveva probabilmente perso Shion, la sua
figura paterna.
Però, se non gli aveva creduto neanche Shaka, che era il suo più caro amico insieme ad Aldebaran, Aiolia che avrebbe
fatto?
Si convinse maggiormente della pessima mossa fatta quando
vide il Leone girare i tacchi e dirigersi a testa bassa verso le Dodici Case.
"Dove stai andando?" gli chiese subito,
fermandolo, la fretta nella voce e nei gesti. Era sempre stato un tipo
razionale, per quale motivo quel giorno non era riuscito a tenere la bocca
chiusa? Doveva solo dire che se ne andava, senza una spiegazione. O forse, non
doveva dirgli neanche quello.
"Vado a capire cos'è successo a mio fratello!
Togliti di lì, Mu!"
"No, non posso! E' una follia andarci sa solo, Aiolia! Anche se non ho capito chi è l'impostore, una cosa
è chiara: è forte! E' più forte di noi!"
"Non mi importa! Sono disposto anche a questo, pur
di avere la verità su quello che è successo ad Aiolos!"
"Ma se muori non potrai ottenere nient'altro!
Ragiona, Aiolia!"
"Ma tu non sei arrabbiato, maledizione? Se c'è un
impostore che si finge Gran Sacerdote, allora chissà che fine ha fatto il
vecchio Shion!"
Mu si morse le labbra, ma senza
muoversi da dov'era, immobile e del tutto intenzionato a fermare l'altro col
Crystal Wall, se fosse stato necessario.
Certo che anche lui era furioso, più che mai. L'idea che
forse, anzi ormai sicuramente, Shion fosse morto, che
non avrebbe più potuto parlare con lui, che non l'avrebbe mai più rivisto...che
non l'avrebbe più potuto ascoltare, mentre gli insegnava tante cose. Quella
consapevolezza lo dilaniava.
Ricordava tutti i bei momenti vissuti insieme, il giorno
in cui l'aveva trovato e preso con sé e cresciuto come se fosse suo figlio,
prima di iniziare ad insegnargli a riparare le armature e a farlo diventare
l'uomo che sarebbe diventato. E ricordava i sorrisi, le carezze, i complimenti,
e anche le ramanzine, le punizioni.
Ogni cosa. Ogni singola cosa.
E niente di tutto quello ci sarebbe stato di nuovo,
niente.
Sparito per sempre.
Però non poteva neanche permettere che Aiolia si facesse ammazzare per ricercare una verità e una
vendetta che, a conti fatti, volevano entrambi. Perché se Leo fosse andato,
quella notte sarebbero morti altri due Gold Saint,
lui compreso, e quello sì che sarebbe stato un grosso problema.
Desiderò che Aldebaran o Milo
fossero lì, perché loro sapevano sempre come calmarlo quando non c'era Aiolos. Ma non c'era tempo e poi non era detto che gli
avrebbero creduto.
Aveva ancora in testa le parole di Shaka
e dubitava che sarebbe stato l'unico. In troppi erano così offuscati dalla cieca
fiducia nella sola figura del Patriarca da rifiutarsi di vedere quella che era
la verità, perché troppo terribile e nefasta da accettare. E l'inesperienza, il
fatto che fossero cresciuti lì vedendo solo quello, sentendo solo quelle leggi,
non aiutava.
Il Sacerdote era un'autorità assoluta che nessuno si
azzardava a contraddire, e chiunque fosse l'impostore lo sapeva bene, perché
stava sfruttando proprio questo per andare avanti col suo piano, qualunque esso
fosse.
"Vieni via con me!" se ne uscì all'improvviso,
prima ancora di averci pensato per bene. Ma non trovò altre soluzioni. Non
c'erano, forse.
"Io non scappo, mai!"
"Nemmeno io sto scappando," si difese Mu, punto sul vivo, "Non fuggo, ma non affronto
neanche battaglie inutili, e questa lo sarebbe. Inutile e dannosa. Per ottenere
davvero qualcosa dobbiamo capire! Fidati di me, Aiolia,
ti scongiuro, accantona per un attimo la tua sete di vendetta e
ascoltami!"
Leo si morse il labbro, le mani ancora formicolavano dal
desiderio di menar pugni. Aveva bisogno di agire, vendicarsi. Qualsiasi cosa.
Ma comprendeva anche le parole di Mu.
E forse non aveva tutti i torti.
"Va bene. Per ora."
Cina. Goro-Oh. 15 Novembre 1973
Dohko di Libra li stava ancora
fissando, silenzioso. Erano arrivati lì con il teletrasporto, all'improvviso e
senza neanche avvertirlo, Pandora Box in spalla e sguardi funerei e abbattuti.
Mu fra i due pareva il più
scosso, Aiolia era roso dalla rabbia e dal rancore,
gli occhi quasi iniettati di sangue. Non gli avevano detto nulla, forse
pensavano lui sapesse ed in effetti era così. Si erano limitati a sedersi al
suo segno, senza più neanche muoversi.
Ma adesso il Leone appariva turbato, muoveva il peso del
corpo da una gamba all'altra, cambiava di continuo posizione, batteva l'indice
sul ginocchio, bofonchiava muto, muovendo solo le labbra.
Dohko sorrise, aspettando. E
non dovette farlo per molto, perché l'irascibile Leone non lo fece attendere
oltre.
"Allora che cosa ci siamo venuti a fare qui? Che
cosa facciamo? Roshi, tu sai qualcosa?"
Perché il Leone furioso non è proprio capace di stare con
le mani in mano, deve agire, in qualsiasi modo, saltare addosso all'avversario
e sbranarlo alla gola. Ma in questo caso cosa avrebbe ottenuto? Nulla.
Possibile che non capisse? Certo, erano solo bambini e Dohko lo sapeva bene, quante volte aveva detto a Shion che erano troppo giovani, ancora, che doveva
aspettare un po'.
Ma Shion non aveva sentito
ragioni. Si fidava di Mu e di quei nuovi, giovani
cavalieri.
Ed in fondo era stato vero fino a quel momento, non
poteva negarlo. Sciocco lui a pensare che avrebbero potuto capire ora qualcosa
che lui stesso faticava a comprendere del tutto.
Quello che era successo la notte precedente andava contro
ogni logica, ogni presagio. Shion, il suo vecchio, prezioso amico Shion, morto ammazzato per mano di un Saga reso cieco e
folle dalla brama di potere. Aiolos ucciso per aver
svolto il suo ruolo di Saint, quello di salvare la sua Dea.
E ancora peggio, Shion che
sapeva, che aveva compreso...e aveva permesso.
Per salvaguardare la vita di Saga.
"Perdonami,"
era stato l'ultimo messaggio telepatico che gli aveva mandato. Perdonami, amico mio.
Perdonarlo, chiedeva. Certo.
Dohko era furioso, amareggiato
e mai, mai in vita sua aveva odiato tanto il compito affidatogli dalla
precedente incarnazione di Athena e che gli impediva di lasciare quel luogo. Di
fare quello che voleva davvero: affiancare Leo e prendersi la testa di Saga.
Ma per fortuna sapeva ancora essere razionale, era
consapevole che Saga non fosse davvero malvagio, che qualcosa aveva intaccato
la sua mente buona e giusta, devota. E non poteva certo prendersela con lui.
Così come non poteva mandarci contro quei due. Erano
troppo acerbi.
"Non farete nulla," disse quindi, rivolto
ancora verso la cascata.
"Come sarebbe a dire che non faremo nulla? Non posso
accettarlo, Roshi! Dovremmo forse far finta di nulla,
senza intervenire? Dovremmo stare qui a nasconderci, mentre l'impostore fa
quello che vuole del santuario?"
"Calmati, Aiolia,"
cercò di rabbonirlo anche il giovane Aries,
mettendogli una mano sulla spalla, "Non hai idea di quanto pesi anche a me
questa cosa, ma il vecchio maestro ha ragione. Non credo siamo ancora
all'altezza..."
"Non prendermi in giro, Mu!
Noi siamo Gold Saint, solo un altro Gold o un Dio può esserci pari o superiore!"
Dohko scosse il capo,
"Pecchi di presunzione, giovanotto," lo redarguì. E come dirgli poi
che il loro avversario era proprio un Gold, un Gold che gli era superiore in forza ed esperienza?
Saga, Saga...cosa
stai facendo, Saga?
Dohko se lo ricordava, quando
era arrivato al santuario, come glielo aveva descritto Shion.
Giovane, insicuro ma determinato, cortese ed estremamente educato per la sua
giovane età. Il vecchio Aries aveva solo buone parole
per lui, e ogni volta che lo veniva a trovare, di nascosto, lì a Goro-Oh, non faceva che parlarne...e poi era arrivato Aiolos, e infine Mu.
Shion li adorava, li aveva
trattati tutti al meglio, come figli suoi.
E allora cosa, cosa poteva averlo ridotto a quello?
"Non è presunzione, Roshi!
Noi siamo i guerrieri dorati al servizio della Dea, siamo i più forti del suo
esercito!"
"Naturalmente lo sarete, sì. Ma non ancora, giovane
Leone. Non ancora."
Aiolia incassò la testa nelle
spalle, scuotendo il capo. Non capiva. Certo, lo sapeva che erano giovani, ma
se avessero unito le forze? Non voleva crederci che Milo o Aldebaran
non avrebbero creduto alle loro parole, se avessero spiegato le loro ragioni.
"E quindi cosa? Cosa dobbiamo fare?"
"Non cosa dovete, ma cosa potete," lo corresse
Libra, "E non potete fare altro che aspettare, adesso. Aspettare che il
destino faccia il suo corso, e le stelle seguano la loro strada."
Il silenzio che seguì quelle parole fu quasi tangibile.
Niente riusciva a romperlo, neanche il rumore della cascata.
Secondo il saggio maestro, quindi, dovevano stare lì a
fare niente. Ad aspettare. Ma come poteva pretenderlo? Certo, lui doveva
comunque restare lì fermo a fare la muffa, non poteva muoversi a prescindere,
tant'è che nessuno l'aveva mai visto al Santuario...ma lui non poteva. Proprio
no!
"E se il destino fosse troppo lento?"
"Aspetteremo."
"Anche anni?"
"Se necessario."
Aiolia strinse i pugni. No.
Proprio come aveva pensato, quello non poteva farlo. Che l'anima di suo
fratello lo perdonasse, ma non poteva che disubbidire, questa volta.
"No, questo non posso farlo. Io vado."
"Aspetta, Aiolia! Dove
vai?" la voce di Mu, ancora compostamente fermo
al suo posto, era appena un sussurro. Perché aveva capito ormai, e temeva
quella risposta.
"Torno al Santuario! Che mi uccidano pure, li
affronterò tutti quanti finché avrò un alito di fiato in corpo! Non posso
accettare quello che sta succedendo, non posso stare ad aspettare! Ne va
dell'onore di mio fratello, che è stato accusato ingiustamente, e del nostro Mu, che si siamo fatti passare sotto il naso un impostore
come quello che adesso si finge Shion senza neanche
accorgercene!"
Il sospiro di Dohko fu quasi
inudibile, ma non la sua voce, ferma e autoritaria, "Così facendo otterrai
solo la morte, ragazzo. Renderai vano anche il sacrificio del tuo coraggioso
fratello."
"Ma non posso rimanere fermo, non io. Accetterò le
conseguenze delle mie azioni!"
"Allora renditi utile."
Aiolia si bloccò, a quella
frase, "Ma...aveva detto prima che..."
"So cosa ho detto, giovanotto. Ma se vuoi fare
qualcosa, morire non è la scelta migliore."
"E cosa allora?"
"Trovate la bambina. Trovate la neonata Athena che Aiolos ha protetto con la vita e con essa le prove di ciò
che dite, del fatto che il Gran Sacerdote è un impostore."
"La bambina?" Mu
saltò in piedi, sull'attenti, "Allora Shura non
l'ha uccisa?"
Dohko sorrise, "Ritieni
forse il fedele Capricorn capace di tanto?"
"In effetti no," ammise, "Eppure
l'atmosfera al santuario era così diversa. Si dice che sia stata uccisa proprio
da Aiolos e che per questo è stato condannato. Shura non ha avuto esitazioni perché lo ha creduto
colpevole per colpa delle parole di...quell'uomo," che non era Shion.
Che non era il suo maestro.
"Sagitter l'ha invece
salvata e ora lei è viva, da qualche parte nel mondo."
Aiolia sbuffò, "Un po'
vago, Roshi. Il mondo è grande," lamentò, ma
aveva placato il suo spirito focoso e, insieme a Mu,
era tornato a sedersi ed ad ascoltare.
Dohko rise di gusto, "E'
giusto quello che hai detto. Ma per quanto il mondo sia grande, un giorno la
troverete. Perché è vostro destino che sia così."
Dohko aveva detto loro che,
volendo, avrebbero potuto fermarsi lì a Goro-Oh con
lui. Però, alla fine Mu si era convinto che fosse
meglio tornarsene in Jamir. Anche se lì si sarebbe
sentito solo, adesso in teoria aveva Aiolia a fargli
compagnia, no? Anche se non era la stessa cosa, era un amico.
"Senti, Mu," si
voltò, sentendosi chiamare proprio dall'oggetto dei suoi pensieri momentanei. Aiolia se ne stava seduto accanto a lui, le spalle alla
foresta e gli occhi verdi fissi sulla cascata. Il riflesso dell'acqua creava un
gioco di luci ammaliante su quelle iridi così intense.
"Dimmi."
"Io stavo comunque pensando di tornare al
Santuario."
Mu non poté impedirsi di
irrigidire le spalle, "Ma non hai sentito cos'ha detto Roshi?
Non puoi tornare, Aiolia!"
"Non penso che ci considerino già dei traditori.
Starò attento, niente colpi di testa, te lo prometto. Farò buon viso a cattivo
gioco, si dice così no? Non sottovalutarmi! E poi...io voglio parlare con gli
altri. Non posso accettare quello che sta succedendo così su due piedi, devo
parlare con loro. Milo, Aldebaran...forse persino Shaka capirebbe, non pensi?"
Mu strinse le labbra perché no,
Shaka non avrebbe capito. Lui ci aveva già provato,
buttandolo lì un po' a caso, e Shaka l'aveva
minacciato di ucciderlo se non avesse cessato immediatamente le ostilità contro
il Gran Sacerdote, la più alta carica del Santuario.
E con Aiolia avrebbe mantenuto
la stessa calma apparente avuta con lui o, ad una simile accusa, l'avrebbe
subito fatto fuori?
"E se non dovesse andare come speri?"
"Accetterò le conseguenze."
"Aiolia!"
"Scapperò, se necessario, okay? In attesa del
momento più propizio per fare qualcosa di utile! E poi, stavo pensando, che
magari l'impostore sta anche lui cercando Athena e potremmo trovare qualche
indizio, qualcosa, qualsiasi cosa! Adesso siamo a zero!"
"Non credo che abbia molto senso."
"Beh, lo farò lo stesso. Non sono mai stato bravo a
fare quello che gli altri si aspettano da me, ormai lo dovresti sapere. Starò
attento, fa altrettanto."
"E se invece volessi venire con te?"
"Non puoi. Sei molto più in pericolo di me al
Santuario. E' la scelta migliore, Mu. Lo sai anche
tu."
"Non ne sono convinto per nulla," scosse il capo Mu, "Per nulla. Ma fa come vuoi, Aiolia."
ANGOLINO AUTRICE:
Hola, Mondo cavalleresco!
Della serie ogni tanto ritornano, sapete com’è xD
Ho scritto questa mini Long ai tempi di Wrong Answer
e Spettatore, ma poi l’ho accantonata per un po’ indecisa su come portarla a
termine. Non volevo creare qualcosa di troppo grosso rispetto alle mie
capacità, e per un periodo ho avuto la sensazione che le cose mi fossero decisamente
sfuggite di mano.
Però ho deciso di riprenderla in mano, e finirla, sperando di non rovinare
troppo le cose xD
La fic
vuole rispondere ad una serie di domande che io, e penso molti altri, ci siamo
posti sulla serie originale.
Possibile che Saga fosse così tanto bravo a imitare Shion?
E se no, nessuno se ne è accorto? Okay che erano piccoli, ma il cervello era
ancora in letargo?
E se Mu avesse detto dei suoi dubbi ad Aiolia e lui gli avesse creduto? In fondo, era suo
fratello!
Non voglio modificare la fine
del manga, cercherò di ricollegarmi a quello che alla fine è la scalata che
conosciamo, seppur con una notevole differenza: Dei Gold
Saint forse meno Pesci Lessi, come li avremmo voluti! O almeno come li volevo
io xD
Sperando di non fare troppe
castronerie, iniziamo!
Un bacione, Asu <3
Il primo ad accoglierlo quando rimise piede in prossimità
delle Dodici Case fu Aldebaran, che adesso che Mu era sparito era il primo avamposto a qualsiasi nemico
esterno avesse avuto l'ardire di attaccarli. Ma Aldebaran
non pareva intenzionato ad attaccarlo, invece si avvicinò in un lampo e Aiolia si ritrovò subito dopo in un abbraccio frantuma
ossa. E a giudicare dal modo in cui lo aveva guardato, quell'attimo che il
leone era riuscito a scorgere il suo volto, doveva averlo fatto preoccupare
davvero.
D'altronde, Aldebaran teneva a tutti i suoi compagni,
lo aveva sempre fatto.
"Pensavamo fossi scappato!" berciò la voce di
Milo. Non l'aveva neanche visto arrivare, o forse era già lì e non ci aveva
neanche fatto caso. Era possibile.
Aveva gli occhi lucidi anche lui, notò, e il tono di
voce, che forse voleva sembrare sprezzante e sfrontato, era invece risultato
tremolante. Come se Milo stesso avesse trattenuto le lacrime per giorni e
adesso fosse al limite. E non faticava affatto a crederlo, visto che anche lo
Scorpione era sempre stato molto legato ad Aiolos,
che era stato una sorta di fratello per molti, al Santuario.
Non si fece comunque impietosire da quell'accoglienza,
tutt'altro. Se Milo voleva far finta di essere indifferente alla storia e
intoccabile, che lo facesse pure.
Aiolia, invece, era proprio
così che voleva diventare, e non per fingere di fronte agli altri: sarebbe
diventato forte, avrebbe superato ogni suo limite, per essere pronto
nell'attimo in cui il destino avesse deciso di compiersi.
"Io non fuggo. Mai," lo aveva già detto a Mu, ma lo avrebbe ripetuto a tutti anche uno per uno, se
fosse stato necessario. Lui era il Saint di Leo e mai e poi mai sarebbe fuggito
di fronte a un nemico, anche se questo si fosse rivelato un amico...o il fato
stesso.
Anche se significava aspettare.
"E allora dov'eri?"
"Volevo stare da solo, Milo. Aiolos
era...un traditore," e gli pesò come un macigno dirlo, mentire, "Ma
era comunque mio fratello. Nemmeno questo mi è concesso?"
"No, certo che puoi," fece subito Aldebaran, "Eravamo solo un po' preoccupati."
"Sì. Di dover uccidere anche te," chiarì lo Scorpione.
Perché erano quelli i nuovi ordini del Gran Sacerdote, per quanto fossero
assurdi ed insensati.
Però, poiché Aiolia era il
fratello di un traditore tanto sfrontato da aver avuto l'ardore di tentare di
uccidere la loro Dea, era possibile che decidesse di prendere le orme del
fratello e, per quanto doloroso, non potevano permetterlo. E se questo si fosse
avverato sarebbe stato un grosso problema per l'intero Santuario, quindi
qualsiasi dubbio andava stroncato sul nascere.
A qualsiasi costo.
Era questo l'ordine che aveva dato.
Milo l'aveva trovato assurdo, lì per lì, ma una sorta di
logicità ce l'aveva, anche Camus glielo aveva
spiegato, cercando di rassicurarlo che nessuno avrebbe ucciso Aiolia senza la certezza che avesse preso la strada
sbagliata.
Eppure già molti al Santuario gli puntavano il dito
contro solo per il legame di sangue che aveva con Aiolos,
non solo i soldati ma anche molti altri Saint e aspiranti tali. Camus aveva suggerito di ignorarli e fare quello che si
sentiva, che a conti fatti Aiolia era ancora un loro
compagno, ed era vero, Milo lo sapeva bene. Nonostante questo invece di
essergli amico adesso che ne aveva bisogno lo attaccava anche lui, seppur solo
a parole per il momento. Non riusciva a capire neanche Milo stesso perché si
comportasse così, e non gli piaceva per nulla, ma aveva assunto il suo ruolo di
Gold Saint e non poteva certo tirarsi indietro.
Amici o meno, fratelli o meno, adesso Aiolia
risultava essere un potenziale pericolo per loro tutti. Sperava solo che si
sarebbe limitato a rimanere tutto ipotetico.
"Puoi stare tranquillo, Scorpio.
Non dovrai affaticarti troppo in questo: io non sono un traditore," lo siete voi, gli disse una voce nella
testa. Una voce che Aiolia riuscì a reprimere appena.
No, non erano traditori neanche loro, erano vittime di un
inganno davanti cui lui aveva aperto gli occhi solo grazie a Mu.
E l'istinto era saltare addosso a Milo e prenderlo a
pugni, snocciolandogli la verità che solo lui e Mu
parevano conoscere ormai, e poi fare lo stesso con Aldebaran.
Ma la voce di Dohko nella testa gli diceva che Milo
non avrebbe capito. Non ancora, per lo meno.
E adesso che c'era l'ordine di tenerlo d'occhio,
rischiava anche di ritrovarsi contro tutto quanto il Santuario.
Chissà se avrebbe dovuto piuttosto rimanere nascosto con Mu?
"Buon per te, Leo. Piuttosto, hai visto Aries? Cercavamo anche lui, il Sommo gli vuole parlare, ma
non c'è verso di trovarlo da nessuna parte," domandò Milo, inarcando un
sopracciglio nell'accorgersi che l'espressione di Aiolia
era cambiata, anche se solo per un attimo.
Sapeva qualcosa. Nascondeva qualcosa.
Aiolia, amico mio, non fare cazzate.
Avrebbe fatto finta di non vedere. Era solo un tic, no?
Poteva essere.
"Non l'ho visto. Perché dovrei? Ho detto che sono
stato solo."
Scorpio scrollò le spalle,
"Magari era lui ad essere venuto a cercare te. Per sapere come stai. Sai
com'è, lui."
"No,Milo, non lo so. Com'è, lui?"
Che il falso Sacerdote avesse capito di essere stato
smascherato da MuAiolia lo
dava praticamente per certo, ed era per questo che gli aveva detto che il
Santuario era troppo pericoloso per lui. Ma perché dire agli altri di volergli
parlare, invece che mandarli a dargli la caccia come aveva fatto con Aiolos? O di farlo controllare a vista come pareva aver
fatto con lui?
Forse sarebbe stato troppo sospetto? Forse cercava tutto
sommato di mantenere un profilo basso. Mettere una taglia sulla testa anche a Mu, che apparentemente con tutto quello non c'entrava nulla
e che in teoria era il suo allievo, non aveva senso, avrebbe portato a far
insospettire anche i più fedeli, questo doveva averlo capito.
Parlargli poteva quindi essere una scusa per farlo
sparire. Per fortuna che Mu non era lì, adesso.
"E' gentile, e sicuramente era preoccupato per te dopo quello che è successo," chiarì
Milo, "Comunque fa niente. Se non l'hai visto poco male. Vedi di non
commettere errori, Leo. Sei sott'occhio," concluse, prima di girare i
tacchi e allontanarsi.
Aiolia lo fissò andar via nella
sua scintillante armatura, i capelli non troppo lunghi e completamente arruffati
a malapena contenuti nella tiara dorata. Non poté che chiedersi se quella
sarebbe stata la distanza che li avrebbe separati da quel momento in poi o se
Milo sarebbe un giorno riuscito a credergli.
Per ora, però, forse era meglio fare come diceva e non
commettere errori.
Con nessuno, neanche con Aldebaran,
che gli stava ancora affianco, immobile e silenzioso.
"Qualcosa non va, Al? Mi sembri un po' teso."
Aldebaran, che per avere otto
anni come lui era già il doppio in stazza, lo guardò appena con la coda
dell'occhio. Poi guardò la boscaglia intorno, le Dodici Case e l'Arena in
lontananza, il cielo limpido. Anche troppo limpido, per i gusti del Leone.
"Ti va se ci facciamo un giretto, Lia?"
Aiolia annuì senza pensarci
troppo, seguendolo verso Rodorio, verso i confini del
Santuario. Dove stavano andando, di preciso? Voleva uscire, forse? Ma il
Sacerdote l'avrebbe saputo, e se la sarebbe presa anche con lui, e poi perché
gli dava la confidenza di sempre quando Milo si era sforzato di essere così
distaccato e formale?
"Qua ormai ci sono orecchie ovunque," alle
parole di Aldebaran, Aiolia
alzò la testa di scatto.
"Scusa?"
"Intendo che se parliamo fermi in un posto gli
rendiamo la vita troppo facile e poi abbassa la voce, Aiolia!"
"Ma di che parli?"
"Non vorrei che qualcuno riferisse, tutto qui.
Senti, Lia...Mu è andato via, vero?"
Aiolia si bloccò, gli occhi
spalancati. Come aveva fatto? Mu aveva detto di non
averlo trovato, il giorno prima, quando aveva incrociato lui e poi l'aveva
portato via, quindi non poteva essere stato lui.
Aldebaran, lesto, gli diede una
grossa pacca sulle spalle, "Coraggio, so che è dura adesso, ma sono certo
che il peccato di tuo fratello non infangherà il tuo onore. Ti sei sempre
meritato l'armatura che indossi!" stava parlando a voce eccessivamente
alta, adesso, segno che voleva proprio farsi sentire. Ma c'era poi davvero
qualcuno che li stava spiando?
"Hai...hai ragione, sì."
"Certo che ho ragione. Su, coraggio, tirati
su!"
Ripresero a camminare uno di fianco all'altro e a parlare
a fil di voce.
"Come l'hai capito?"
"Dai, Aiolia, sono grosso
ma mica scemo! Hai fatto una faccia quando Milo ti ha detto che il Sacerdote
voleva parlare con Mu. Deve averlo capito anche lui,
forse, ma sono certo se lo terrà per sé."
"Faccio proprio schifo a mentire, eh?"
"Abbastanza," sorrise Toro, "Abbastanza,
amico. Ma perché?Se il Sommo lo scopre
diventerà un traditore anche lui e verrà condannato a morte come Aiolos. E tu perché sei tornato, se eri con lui? E'
pericolosissimo!"
Aiolia storse la bocca,
"Perché io non sono bravo come lui ad aspettare e nascondermi."
Aldebaran sospirò pesantemente,
"Io non vorrei dover uccidere né te né Mu. Siete
miei amici. Tornate indietro, prima che sia troppo tardi, state commettendo il
più grosso sbaglio della vostra vita! Siamo Santi di Athena, il nostro compito
è proteggerla e proteggere il Santuario, preparandoci alla guerra contro Hades...che cosa vi è successo?"
"Cos'è successo a noi? Quale Athena stai
proteggendo, qui, Al? Qui Athena non c'è più ormai, dalla Notte degli
Inganni!"
"Aiolia!"
"E' la verità. Non siamo io e Mu
a non capire, siete voi. Tutti voi. Aldebaran, se
davvero non vuoi ucciderci, allora fa finta che questa conversazione non ci sia
mai stata e andiamo, torniamo ai templi. Ed evita di parlarmi."
"Che cosa vogliono dire queste tue parole, Aiolia? Prima hai detto che non sei un traditore,
mentivi?"
"Non abbiamo appena appurato che non sono molto
bravo a mentire?"
Aldebaran abbozzò un sorriso,
"Vero. E allora cos'è che stai nascondendo? Sia tu che Mu...se
non siete voi i traditori, chi?" quando Aiolia
non gli rispose, e anzi lasciò vagare lo sguardo ben oltre l'orizzonte, Aldebaran scosse il capo. Era assurdo, stava per commettere
un reato punibile con la morte, lì al Grande Tempio.
Eppure il suo sesto Senso gli urlava a gran voce di
fidarsi dei suoi compagni, degli occhi sinceri e furenti di Aiolia.
Perché qualcosa puzzava, nel comportamento di quei due. E
in quello di Aiolos più che mai.
E anche nella scomparsa di Saga, mandando in missione
all'improvviso senza che nessuno ne sapesse niente, guarda caso proprio il
giorno prima della Notte degli Inganni, come avevano iniziato a chiamarla i
soldati semplici.
"Quante leggi stai per farmi infrangere?"
"Forse tutte," ammise Aiolia.
"Bene. Allora continuiamo a camminare, che ne
dici?"
Milo arrivò di corsa su all'Undicesima, sapendo che era
lì che avrebbe sicuramente trovato Camus, e quando lo
vide non prestò minimamente attenzione a quello che stava facendo -studiava
sempre, Camus, da quando aveva imparato a leggere non
si staccava mai dai libri, Milo certe volte se ne sentiva un po' geloso,
neanche potessero davvero derubarlo del suo migliore amico.
"Milo, che succede?" gli chiese con un sospiro,
tornando ad incrociare gli occhi con i suoi. Milo, che adesso che non era più
con Aiolia non aveva più bisogno di mantenersi
indifferente e superiore, si stava lasciando decisamente andare. Aveva lasciato
l'armatura all'Ottava, la sua Casa, ed era venuto da lui con la casacca da allenamento,
i capelli ancora più arruffati del solito e le labbra tremolanti.
"Vieni qui, dai," fece, spostandosi un po'
sulla poltrona, posta proprio sotto la finestra, per permettere all'altro di sederglisi accanto. Milo non se lo fece ripetere due volte,
le ginocchia strette al petto.
"Prima siamo riusciti a trovare Aiolia."
"Oh, bene. E quindi?"
"Quindi niente. Se ne era andato per stare da solo,
forse per piangere Aiolos senza che nessun altro lo
criticasse. Povero Aiolia, mi dispiace tanto per
lui."
"Non ci puoi fare niente. L'importante è che non
abbia perso la testa, no?"
Milo annuì. Sì, certo che era quello l'importante, perché
non avrebbe mai e poi mai accettato di dover uccidere un amico. Sarebbe morto
piuttosto che torcere un capello a Camus, ma anche Aiolia gli era caro e sperava ancora, con tutto se stesso,
che sarebbero riusciti a tenerlo sulla retta via.
Lui e anche Mu, che però non si
trovava da nessuna parte.
"Io credo...però è una cosa che deve rimanere fra
noi, Cam!"
Camus annuì, "Va bene. Non
lo dirò a nessuno."
"Bene. Stavo dicendo...io credo che Aiolia sappia che fine ha fatto Mu,
e che sappia anche qualcos'altro. Non so che cosa però. Boh, ho avuto una
strana sensazione parlando con lui, prima. Anche se mi ha assicurato che non
avrebbe mai fatto lo stesso errore di Aiolos!"
"Il fatto che lui te l'abbia assicurato non conta
nulla, lo sai. A parole si dicono tante cose. Però non hai prove che sappia
qualcosa di Mu, quindi è inutile andarlo a denunciare
al Sacerdote," ragionò l'altro, "Ti faccio preparare un tè
caldo."
Milo ringraziò con un gesto del capo e Camus si alzò subito dopo, andando a cercare una delle sue
ancelle per farsi preparare la tisana. Si chiese distrattamente se Milo si rendesse
conto, effettivamente, che qualcosa puzzava davvero tanto in tutto quello che
stava succedendo da quella fatidica notte.
Anche il fatto che il Sommo non sapesse dove si trovava Mu era strano. Possibile la pensasse così solamente lui?
Insomma, era il suo allievo diretto o no? Se anche era tornato nel luogo dove
si era addestrato, avrebbe dovuto saperlo.
Capiva non si fidasse di Aiolia,
visto il peccato commesso da Aiolos e su cui lui
aveva ancora diversi dubbi, ma neanche Mu? Certo,
aveva solo ordinato che, nel caso l'avessero incrociato, avrebbero dovuto farlo
venire da lui perché voleva parlargli, e quello non era strano, non più di
tanto. A parte il fatto che di solito, grazie ai loro poteri telepatici, Mu sapeva sempre quando l'altro voleva vederlo, ma l'aveva
notata solo lui la tensione nella voce del Sommo mentre dava quell'ordine?
Milo non era il ragazzino più sveglio e attento del mondo
e Aldebaran aveva la testa fra le nuvole, preoccupato
com'era per gli altri due assenti, ma non poteva averla notata solo lui.
Era strano. Anche durante le riunioni ufficiali, Shion era sempre stato morbido con loro, se non occorreva
il contrario, perché sapeva che erano bambini, e poi aveva sempre avuto una
camminata un po' traballante, da vecchio. Perché era vecchio. Adesso no. Anche
se non si era alzato -per non farsi vedere mentre camminava, possibile?- teneva
la schiena bella dritta e le spalle non erano per niente ingobbite.
Aveva ancora duecento e passa anni o no?
Scosse la testa, sedendosi di nuovo accanto a Milo.
Alla fine, quelli non erano fatti suoi. Finché poteva
starsene tranquillo, non vedeva perché preoccuparsi di cose come quelle. Non
era mai stato un impiccione e di certo non avrebbe iniziato in quel momento.
Però era strano, e questo l'aveva notato.
"Secondo te, Milo, il Sommo è rimasto sconvolto da
quello che è successo?"
"Mh?" Scorpio staccò le labbra dalla tazza, "In che senso,
scusa?"
"Nel senso che sembrava diverso con noi, anche. Come
se non si sentisse più di potersi fidare neanche di noi altri."
"E ti sembrerebbe così strano? Cioè, Aiolos era tipo l'eroe di tutti."
"Già. Hai ragione."
Forse ci stava andando con i piedi di piombo per cercare
di capire se aveva mal giudicato qualcun altro di loro oltre ad Aiolos, e lui aveva mal interpretato il suo comportamento.
Non sarebbe stato così sospetto, quello. Anzi, era normale.
Doveva essere così, anche lui l'avrebbe fatto se fosse
stato il vecchio Shion, perché in fondo aveva sulle
spalle un intero Santuario, la vita di Athena, e milioni di altre cose
importanti. Non poteva farsi sfuggire più nulla.
Non poteva più essere una sorta di padre per loro, come
in passato.
Le cose stavano cambiando, era ovvio.
Shaka mise piede nella sala del
Gran Sacerdote bardato dalla sua armatura d'oro e si inginocchiò subito al suo
capezzale. C'era solo lui, quella sera. Era stato mandato a chiamare dicendogli
che il Sommo voleva parlargli, e lui era andato subito.
Solo il giorno prima aveva visto quell'uomo che Mu aveva accusato con tanto ardore di tradimento e aveva
notato che Camus lo fissava come se non lo
riconoscesse. E d'altronde anche lui aveva ancora le parole di Mu nella testa, a rimbombargli come una nenia fastidiosa.
Per questo, non riuscì a non scorgere il ticchettio
nervoso del dito sul bracciolo dello scranno, il fatto che non si fosse alzato,
la voce che da dietro la maschera risultava forzatamente grave. La schiena era
più dritta, lo faceva sembrare persino più alto. E i capelli, anche.
Quelli di Shion erano sempre
stati lunghi, bianchi, ondulati, all'apparenza morbidi. Anche ora era uguale,
se non li si guardava bene. Eppure a Shaka parvero
più scuri.
Era ovvio che si stesse facendo influenzare
eccessivamente dalle parole di Mu, doveva essere per
forza così.
E doveva smetterla, perché stava commettendo un grave
reato, punibile con la pena di morte. Non si contraddiceva ilPatriarca. Mai.
"Mi ha fatto chiamare, Sommo?"
"Sì, Shaka. Vorrei che
tornassi in India, sulle rive del Gange dove ti sei allenato e dove hai vinto
la Cloth che ora indossi, per riprendere, continuare
e finire il tuo addestramento."
"Certo, Sommo. Ma...avevo capito che la priorità
fosse rimanere tutti qui, al Santuario."
Nessun gesto o movimento strano. La maschera gli impediva
di vedere l'espressione. Non poteva giudicare da quel punto di vista, quindi
cercò un'altra strada.
Una che non l'aveva mai condotto in errore fino a quel
momento.
"Era così, per via della nascita di Athena al
Tempio. E vi farò richiamare non appena avremmo ritrovato la nostra Divina
Signora. Ma dopo quello che è successo, ciò che più conta in questo momento è
che voi diventiate più forti...mentalmente oltre che fisicamente. Per non
ricadere nel peccato commesso da Aiolos."
"Voi pensate quindi che Aiolos
non abbia ucciso la neonata?"
"Ne sono certo. Troveremo il cadavere del traditore
e la bambina e la ricondurremo qui al Santuario, e con essa farete ritorno
anche voi. Ma il tempo non è ancora maturato, avrei dovuto capirlo già
allora."
Quindi avrebbe mandato via anche gli altri, non solo lui.
Li avrebbe allontanati per permettere loro di diventare più forti.
O per non farsi scoprire?
No, no, doveva smettere di pensare alle parole di Mu.
Deciso ancora più
di prima a raggiungere il Tredicesimo Tempio e parlare con Shion,
Mu si era messo di pazienza ad aspettare, sperando
che con l'arrivo del nuovo giorno il divieto di salire sarebbe stato revocato.
In qualsiasi caso, però, avrebbe raggiunto il suo obiettivo, anche se non
sapeva ancora come.
Non dovette attendere
l'alba, però, non ce ne fu bisogno.
Quando scorse la
figura di Shura all'orizzonte, le spalle incassate e
il volto cinereo ad invecchiarlo di almeno dieci anni, si vide passare accanto
sia il custode della Quarta che della Dodicesima Casa, diretti verso Capricorn.
Come aveva intuito,
quei tre erano più amici di quello che volevano apertamente mostrare. Chissà se
lo stavano aspettando insieme, in attesa di confortarlo per quanto era appena
successo? Gli fece pena, non poté evitarselo, e allo stesso tempo avrebbe anche
voluto andare da lui a dirgli a sua volta qualcosa che lo tirasse su. Ma che
cosa c'era da dirgli? Niente, proprio niente.
Aveva ucciso un
compagno, anche se erano stati gli ordini. Niente avrebbe potuto risollevare
l'animo ferito di Shura, nemmeno i due amici.
Li guardò per un
po', fermi l'uno davanti all'altro, con Shura che
guardava a terra e gli altri due che si scambiavano occhiate allarmate, di
qualcuno che vorrebbe ma non può.
Nel momento in cui
scorse il sangue a macchiare l'armatura del Capricorno, però, decise
immediatamente che non sarebbe rimasto un attimo in più a vegliare su quella
patetica scena, e che era il caso invece di approfittarne. Girò le spalle ai
tre e iniziò a correre verso il Tredicesimo, prima che anche solo uno di loro
potesse fermarlo.
Non ci mise molto
ad arrivare, ma ad accoglierlo furono solo le guardie.
"Nobile Mu, la prego di tornare alla sua Dimore. Il Sommo Patriarca
non desidera essere disturbato, al momento."
Mu scosse il capo, "Non mi importa! Ho
bisogno di parlare con il mio maestro, ditegli che sono qui!"
"Questo non è
possibile, Nobile Cavaliere. La prego di andarsene, o sarebbe costretti a
mandarla via con la forza."
"Non ne avete
le capacità! E adesso annunciatemi, ho detto!"
Perché evitava così
di vederlo? Non l'aveva mai fatto, neanche nel cuore della notte, neanche per
le cose più sciocche. E quella non era certo una sciocchezza. Dopo quanto
successo doveva aspettarsi che avrebbe desiderato vederlo, lo conosceva ormai.
Era Mu quello a non riconoscere più il suo maestro, negli
ordini impartiti quella notte. La morte di Aiolos per
mano di Shura, il divieto di incontrare persino lui.
Che stava succedendo?
Non poteva più
aspettare.
Contro ogni suo
principio morale, colpì le due guardie mettendole facilmente fuori gioco e, con
un movimento secco, aprì il portone che portava alle sale del Sacerdote.
"Maestro!
Maestro Shion, devo parlare con voi! Vi prego!"
Per un lungo
istante, Mu non avvertì alcun rumore, né delle
guardie né di Shion. Poi i passi di qualcuno che si
avvicinava e infine la casacca nera del Patriarca comparve davanti ai suoi
occhi.
La maschera sul
viso.
"Maestro?"
non poté evitarsi di chiamarlo in un sussurro appena, mentre gli si avvicinava.
D'istinto, prima
ancora di capire perché, fece un passo indietro.
Shion aveva il passo claudicante degli anziani e
odiava portare l'elmo e la maschera a coprirgli il volto, se poteva evitarlo.
Con lui non l'aveva mai fatto, nemmeno nella sua veste più formale. Per non
parlare del fatto che il peso degli anni vissuti l'aveva reso ricurvo, quasi
arcigno a vederlo.
Quindi chi era
quello? Chi era quella figura che, vestita come il suo maestro, camminava verso
di lui diritto e con la testa alta, la maschera sul volto?
Anche i capelli
erano diversi, adesso che gli era più vicino. Appena, ma era così.
"Che cosa
succede, Mu? Avevo chiesto di non essere disturbato,
come sei arrivato qui?"
"Io...ho
approfittato del caos dovuto alla morte di Aiolos...volevo
parlarle," gli disse. Sì, l'idea era chiedere spiegazioni, se c'erano.
Eppure ora si sentiva la mente svuotata.
"Capisco. Cosa
volevi chiedermi, Mu?"
Dietro quella
maschera che rendeva più distante e ovattata la voce c'era una nota diversa,
che Mu non riconobbe. Era davvero la voce di un
vecchio bicentenario? Quella di Shion di norma era
dolce, strascicata nei momenti in cui era più stanco. Mentre ora qualcosa era
diverso.
Era sicura.
Minacciosa.
Sì, Mu si sentì minacciato da quella figura vestita di nero che
lo guardava con gli occhi ciechi della maschera.
Voleva andarsene,
andarsene subito.
Maestro mio, dove siete?
"E' vero
quello che dicono, Sommo? Che Aiolos ha ucciso
Athena?" lo chiese comunque, cauto, perché non poteva rendere palese il
fatto che sospettasse. Sarebbe stato troppo strano.
"Purtroppo era
suo intento farlo, Mu, sì. Ho mandato dietro di lui
il giovane Capricorn proprio per impedirlo. Quando
tornerà con il resoconto della missione saprò dire di più a tutti voi."
"Non mi
aspettavo che Aiolos..."
"Lo so.
Nessuno di noi se lo aspettava. Va a dormire, Mu,
riposati. La parte più difficile è appena iniziata."
Grato di essere
stato scacciato e di poter fuggire senza sembrare sospetto, Mu
si piegò in ginocchio davanti a lui in segno di rispetto e corse fuori, non
sentendosi più al sicuro in nessuna delle Case che stava oltrepassando. Quasi
qualcuno lo stesse spiando.
"Shaka, posso
entrare nella tua Casa? Sei già sveglio?" la voce di Mu
era incerta, il giovane Virgo la colse
immediatamente. Shaka, che quella notte come tutti
loro non era riuscito a prendere sonno, si avviò verso l'ingresso posteriore
della sua Dimora per accogliere l'ospite inatteso. Doveva essere passato anche
per salire, ma Shaka stesso era uscito dopo aver
sentito il Cosmo di Aiolos spegnersi, e non se ne era
minimamente accorto.
"Vieni pure, Mu.
Cosa ti porta a fermarti alla Sesta Casa?" domandò, inclinando appena il
capo di lato con fare curioso, gli occhi sempre chiusi.
"Shaka, avevo
bisogno di parlare con qualcuno," ammise Mu,
cercando le parole giuste per spiegare quello che doveva. Avrebbe voluto parlarne
anche con Aldebaran, che era il suo più caro amico,
ma l'altro era sicuramente insieme ad Aiolia, per
confortarlo in quella difficile serata, e non gli sembrava il caso. E poi, Shaka c'era sempre quando si aveva bisogno, e in quel
momento lui necessitava di risposte.
Che il Buddha potesse dargliene qualcuna era
una cosa che sperava ardentemente.
"Che cosa succede?" s'interessò
l'altro, cortese, facendogli cenno di entrare nella sua Casa. Mu però non lo seguì, rimanendo fermo, le mani strette fra
loro, quasi fosse nervoso. E forse era così. Forse era persino spaventato.
Accusare il Sacerdote era contro le leggi del
Santuario. Ma quello non era il Sacerdote, e lui ormai ne aveva avuto conferma.
"Tu non hai avuto strane sensazioni,
questa notte, Shaka?"
"Svariate cose sono state strane questa
notte, Mu, primo fra tutte il comportamento di Aiolos, non trovi? A che cosa ti stai riferendo, di preciso?"
"E se non fosse Aiolos
quello sospetto? Hai percepito anche tu il terzo Cosmo che questa notte si è
mosso per un istante nel Tredicesimo Tempio, non puoi non averlo fatto! Devi
esserti accorto anche tu che c'era qualcosa!"
Il piccolo Shaka
aggrottò le sopracciglia, "Certo che c'era qualcosa. Aiolos
che tentava di uccidere Athena, ancora in fasce, infangando il nome di tutti
noi Saint."
Mu scosse il capo, con più forza.
Lo aveva sentito anche Shaka, come Aldebaran e Aiolia, non c'erano
dubbi. Che volesse vedere la realtà dei fatti o meno.
"No, non è così! C'era una terza persona
che non ho riconosciuto, stanotte, devi averla percepita!"
Shaka assottigliò le labbra,
abbassando appena il capo, "Stavo dormendo ed è stato solo un
istante..."
"Però l'hai sentito! Hai sentito che c'è
stato qualcosa!"
"Forse," ammise, "Ma non ne
sono sicuro. Cosa c'entra, questo?"
"C'entra perché quando quel Cosmo è
sparito, prima che divampasse quello di Aiolos, anche
quello del mio maestro è sparito. E non riesco più a percepirlo, adesso!"
"Non dire sciocchezze, Mu. Devi esserti fatto influenzare da qualcosa, senza alcun
dubbio. Sei stato al Tredicesimo Tempio proprio ora, hai visto con i tuoi occhi
il Sommo, sano e salvo."
"No, Shaka,
sono sicuro di quello che ho sentito! E anche di quello che ho visto ora. Il
Gran Sacerdote che ho incontrato adesso era...diverso! Non era il mio maestro,
ne sono certo."
"Blasfemie!" esclamò Shaka, spalancando gli occhi. Normalmente, Mu sarebbe stato felice di vederli, invece qualcosa in
quello sguardo lo fece rabbrividire e si ritrovò in posizione di difesa.
Doveva immaginarlo, quindi perché aveva
parlato? Perché non aveva taciuto? Credeva Shaka suo
amico fino al punto da andare contro le leggi del Santuario, forse? Era vero,
sì, che Shaka gli era affezionato e lo stimava, ma
quello che aveva sperato era troppo.
Però aveva così tanto bisogno di sfogarsi,
dopo ciò che aveva visto, che la sua bocca e il suo corpo avevano agito prima
della sua mente. Aveva sperato.
"Quello che stai dicendo è un insulto, Mu! Dubitare del Gran Sacerdote, come puoi? Questo solo
basterebbe per farti accusare di tradimento, lo sai bene!"
Mu strinse i pugni, "Ne sono
consapevole, ma so quello che dico! Perché non provi a stare ad ascoltarmi, Shaka? Te ne supplico, credi alle mie parole. Ho mai forse
dato motivo di farti dubitare di me?"
Il piccolo Shaka
rizzò la schiena e chiuse di nuovo gli occhi. "No, questo no," fece,
"Ma sono io a supplicarti di tornare in te, Mu.
Ti prego di tutto cuore, perché ti rispetto come compagno, di ritirare quello
che hai detto."
"Shaka..."
"Per aver dubitato del Gran Sacerdote,
dovrei attaccarti seduta stante."
"Quello non è il mio maestro!"
trillò la voce di Mu, ferito. Non solo non gli
credeva, ma si dimostrava pronto ad attaccarlo, persino.
Shaka parve tendersi come una corda
di violino, a quelle ultime affermazioni, e l'istinto era senz'altro quello di
congiungere le mani e colpire, come avrebbe fatto contro chiunque altro.
Ma contro Mu no.
Contro di lui non poteva con così tanta leggerezza.
"Basta così. Farò finta di non aver
sentito, e che Athena ti perdoni, ma adesso vattene subito!" esclamò, a
voce altrettanto alta, "Non costringermi ad attaccarti e ad ucciderti, Mu, non voglio macchiare di sangue la Sesta Casa."
"Bene. Perdonami per averti disturbato."
Shaka lo guardò continuare la
discesa, la testa incassata nelle spalle, curve verso il basso come se fossero
schiacciate da qualcosa di troppo pesante e grande perché lui, a otto anni,
potesse riuscire a sorreggerlo da solo.
Quella notte Shaka aveva
cacciato Mu in malo modo, ma le sue parole gli erano
comunque rimaste impresse. Per quanto non fosse disposto a credere che il
Patriarca fosse un impostore, sapeva che Mu non era
tipo da parlare a sproposito, su una cosa del genere men
che meno. Per quel motivo aveva continuato a pensarci, incessantemente, ma solo
incontrandolo a sua volta, da solo, aveva potuto notare quei dettagli che Mu doveva aver colto all'istante, vedendolo.
La postura, la voce, i gesti.
Che fossero stati loro i ciechi?
Si chiese dove potesse essere ora l'altro, se fosse al
sicuro o se avesse intenzione di tornare. Avrebbe voluto parlare di nuovo con
lui di quel fatto, ma non sapeva dove fosse e non poteva quindi raggiungerlo.
Non di persona, almeno.
Ma chissà se Mu avrebbe
risposto ad un suo messaggio telepatico, visto come l'aveva trattato?
"Mu? Mu, riesci a sentirmi? Ho
bisogno di parlare con te."
La risposta fu solo l'ostinato silenzio della Sesta Casa,
in un primo momento. E a ragione, perché neanche lui avrebbe accettato niente
dopo essere stato minacciato in quel modo.
Ma Mu era una persona troppo
giusta e corretta, seppur nient'affatto sciocca.
Shaka ricevette la sua risposta
solo quando lasciò i confini del santuario, Pandora Box e sacca il spalla,
diretto verso l'aereo che l'avrebbe portato in India.
Anche telepaticamente, il Santuario non era più un posto
sicuro. Non per Mu, comunque.
Shaka studiò appena l'uomo che
lo stava accompagnando, giusto per non far apparire troppo sospetto un bambino
di otto anni che viaggiava da solo in quel modo, e che probabilmente non era
altro che un emissario del falso Sacerdote per tenerlo sott'occhio.
Ma era davvero quindi un impostore, l'uomo che aveva
incontrato quella mattina? Non sapeva più che pensare.
C'era un modo familiare di porsi che però non gli
ricordava Shion. Familiare era stato anche il Cosmo
estraneo percepito quella notte, ma non riconosciuto.
Shaka continuava a protrarsi
verso quella sensazione, la soluzione a tutto, senza riuscire a raggiungerla, a
toccarla.
Se era familiare perché non era riuscito a riconoscervi
nessuno? Cosa gli sfuggiva che neanche Mu, che
conosceva Shion così bene, era stato in grado di
comprendere?
"Ho visto il
Patriarca. Con in mente quello che mi avevi detto tu, non ho potuto fare a meno
di lasciarmi confondere e vedere cose che forse non ci sono. E forse anche tu
hai notato queste cose, Mu. So che eri in buona fede,
ti conosco, non avresti mai parlato in quel modo per niente, eppure...io non ho
colto alcuna malvagità nel cuore del Sommo, Mu. E'
possibile che tu ti sia sbagliato?"
"E' possibile
che sia tu ad esserti sbagliato?"
Shaka rimase impassibile
sentendo la voce di Mu direttamente nella sua testa,
per non destare sospetti. Fino a quel momento non gli aveva risposto, e adesso
gli insinuava ancora dei dubbi?
"So quello che
ho visto."
"Anche io so
quello che ho visto, Shaka. E so meglio di tutti voi
com'è il Sommo Shion privatamente."
Fu il turno di Shaka di tacere,
questa volta.
Certo, era vero per ovvi motivi che Mu
fosse l'unico a conoscere davvero bene Shion, visto
che ne era direttamente l'allievo, e forse solo Saga e Aiolos
avrebbero potuto dissipare quella nebbia e rispondere alle loro domande. Ma uno
era morto e l'altro, partito segretamente in missione, non avrebbe fatto ritorno
molto presto.
"E se avessimo
ragione entrambi?"
"Se è un
impostore come potrebbe avere un cuore puro?"
"A questo non
so rispondere," ammise il giovane indiano, "Ma se anche quello non era lo Shion
che conosciamo noi, io non ho scorto malvagità."
"E io mi fido
del tuo giudizio più di ogni altra cosa, Shaka. Ma mi
fido anche dei miei occhi, e del mio cuore. C'è un'ombra funesta sul Santuario,
è un luogo non più sicuro ormai. Troverò il modo per dimostrarlo e scacciarlo,
fosse l'ultima cosa che faccio," assicurò, e la voce di Mu nella sua testa era decisa, in netta contrapposizione
con il tremore che aveva avuto quella notte.
Aveva preso la sua decisione, e ne era sicuro.
Non sapeva quindi che cosa sarebbe successo adesso, ma il
suo istinto gli faceva temere il peggio.
"Mi
denuncerai?"
"No,"
fece, senza pensarci neanche, "Sto
andando in India, adesso. Mi è stato ordinato di completare il mio
addestramento e forse darà lo stesso ordine anche agli altri, nell'attesa di
ritrovare Athena. Probabilmente, se hai ragione tu, lo userà come scusa per
giustificare la tua assenza."
"E cosa ne
sarà allora di Aiolia? La sua terra di addestramento
è il Santuario, era Aiolos il suo maestro!"
"Non lo so. Ma
tu non fare ritorno, Mu. Diventerebbe il tuo
sepolcro."
"Ti ringrazio,
Shaka. Anche per aver pensato alle mie parole."
"Di più non
posso fare, per ora."
"E'
sufficiente," assicurò. Andava bene così, per il momento.
C'era ancora tempo prima che il destino si compisse.
Tibet. Jamir. 5 Dicembre 1973.
Quando la voce di Shaka sfumò e
scomparve dalla sua testa, Mu si alzò dal giaciglio
approssimato che aveva nella pagoda in Jamir, lì dove
si era allenato con Shion per imparare a riparare le
armature. Ne sfiorò una con la punta delle dita, sentendola fredda al tatto.
Tutto lì era freddo ormai, il suo stesso cuore lo era.
Non avrebbe mai creduto di doversi nascondere così, come
il peggiore dei criminali, senza più poter fare ritorno in quella che, a conti
fatti, era la sua casa. Scacciato dalla sua stessa famiglia.
Almeno, però, Aiolia e Shaka sembravano credergli, o quantomeno Shaka aveva mostrato di non voler escludere a priori le sue
parole, puntandogli contro il dito. Per lui significava tanto, visto come era
stato trattato quella notte.
Chissà se anche Aldebaran gli
avrebbe creduto? Forse. Ma anche in quel caso, Shaka
si sarebbe tenuto da parte piuttosto che rischiare di commettere il grave errore
di colpire un innocente ed inoltre cosa mai avrebbero potuto fare? Attaccarlo?
Per altro, Aldebaran
sicuramente sarebbe tornato in Brasile, come Shaka in
India.
Era preoccupato per Aiolia, a
quel pensiero, non poteva farne a meno. Che cosa avrebbe fatto tutto da solo,
come si sarebbe sentito? Abbandonato a forza dai suoi compagni, lasciato a se
stesso.
Loro erano i suoi unici amici, loro che lo conoscevano e
sapevano quanto era bravo, forte, di buon cuore. Per anni era stato additato
per essere un raccomandato e adesso sarebbe stata la stessa cosa per colpa del
tradimento di Aiolos. Cosa ne sarebbe stato, di lui?
Di sicuro, se lo conosceva, avrebbe fatto di tutto per
non rimanere indietro. Con gli altri sparsi in giro per il mondo a completare
l'addestramento e solo l'assassino di Aiolos, con Aphrodite e Deathmask, al
Santuario, oltre all'impostore, Aiolia avrebbe di
certo fatto in modo di continuare ad allenarsi da solo. Per diventare più
forte, abbastanza da non dover abbassare il capo dinnanzi a nessuno, neanche il
falso Patriarca.
Ed era giusto così.
Anche Mu doveva fare la stessa
cosa. Diventare molto più forte di com'era adesso.
Grecia,
Santuario di Atene. 10 Dicembre 1973.
Quando diversi giorni dopo anche gli altri tre mancanti
all'appello partirono, ognuno per la terra in cui avevano già svolto la parte
fondamentale del proprio addestramento, Saga fu certo di aver isolato a dovere Aiolia. Non avrebbe azzardato nulla contro di lui e, anche
se l'avesse fatto, non sarebbe riuscito ad ottenere nient'altro che la morte.
Anche gli altri
sospettano di te, folle!
Saga scosse il capo. Si, certo che sospettavano di lui. Shaka e Camus non erano certo
degli sciocchi e anche se Aldebaran e Milo peccavano
spesso d'ingenuità, rischiava comunque che cogliessero qualcosa.
Il tutto era stato troppo improvviso perché riuscisse a
creare una mascherata impeccabile e non aveva purtroppo potuto ignorare la
presenza degli altri Gold suoi pari.
Per questo li aveva mandati via, lontano da lui e dalla
furia del Leone, lontani dal suo piano quasi perfetto il tempo sufficiente
perché ogni dubbio venisse dissipato.
Non a tuo favore!
Torneranno più forti di prima, e per te sarà la fine!
"Taci!" sbottò, lanciando senza alcuna posa
l'elmo del Patriarca contro il grande specchio a muro presente nelle stanze
private precedentemente appartenute a Shion e
frantumandolo, "Non è certo per questo che li ho mandati via!"
Non importa il
motivo per il quale l'hai fatto. Ti sei scavato la fossa da solo.
Saga puntò quegli occhi fin troppo rossi in uno dei cocci
sparsi a terra, specchiandosi in un altro paio, uguali e diversi. Azzurri e
furiosi.
"Quei mentecatti non avranno il coraggio di
rivoltarsi contro di me."
Hai ordinato a Shura di uccidere Aiolos, hai
privato Mu del suo maestro e Aiolia
di suo fratello. Non ti perdoneranno mai!
"Non me ne faccio nulla del loro perdono. Io
desidero solo il potere," calpestò ciò che rimaneva dei vetri, ferendosi
il piede nudo, e si avviò verso la sala da bagno adiacente.
Certo, quello che diceva l'altro Saga era vero, la
decisione presa era rischiosa, senz'altro. Mandarli a completare il loro
addestramento significava riaverli più forti ma non necessariamente dalla sua
parte. Ciononostante, avrebbe avuto dalla sua del tempo.
Tempo per organizzare il falso ritrovamento di Athena al
Santuario, e per diventare più forte a sua volta. Imparare a padroneggiare il Genro Mao Ken era la sua unica possibilità. Plagiare la
mente di qualcuno come Shaka non sarebbe stato
affatto semplice, ma tutti gli altri erano alla sua portata, persino Mu, se fosse riuscito a trovarlo. Altrimenti l'avrebbe
ucciso.
Non sarebbe stata una grossa perdita.
Purtroppo, per anni l'altro Saga aveva combattuto una
strenua resistenza alla sua coscienza ed era riuscito a prendere il sopravvento
solo quando anche su di lui l'ira e il risentimento avevano avuto la meglio.
Insieme alla frustrazione e alla delusione per la scelta del Patriarca ricaduta
su Aiolos, quel Saga che adesso stava camminando
verso la vasca era riuscito a prendere il controllo, e da lì era stata tutta
una strada in discesa. Disorganizzata, però, e questo non gli aveva permesso di
evitare che Aiolos lo scoprisse e salvasse Athena. E
poi anche Mu aveva capito, nonostante avesse ordinato
a quell'idiota di Deathmask di non far passare
nessuno.
Ma d'altronde, che doveva aspettarsi?
Da adesso, però, niente doveva più essere lasciato al caso o
alla fortuna. Tutto doveva essere assolutamente perfetto.
ANGOLINO AUTRICE:
Salve! Innanzitutto, grazie
mille a Oktavia e _FireStar_55 per aver commentato!
Arriverò a rispondere il prima possibile, non temete!
Punto due. Sì, lo so che il
modo in cui muove il piccolo Shaka è strano e opposto
a quello che conosciamo solitamente, ma come detto in Little Lotus, non credo
che Shaka da bambino fosse così cinico e
insopportabile come quello che conosciamo noi alla Sesta.
Spero comunque che non stoni troppi! =)
Un bacione,
Gli anni al Santuario senza suo fratello diventavano
sempre più pesanti, più cresceva più si sentiva furioso e allo stesso tempo
schiacciato dalla situazione che tutti loro stavano vivendo. Tutti, ma di cui
lì dentro solo lui pareva essere cosciente del tutto.
Ed era inutile cercare di riferirlo a qualchedun’altro.
Nessuno lo avrebbe ascoltato. E nessuno lo meritava neanche. Lì, tutti pronti a
credere genuflessi a sua signoria il Gran Sacerdote, tutti ciechi, sordi alla
realtà.
Neanche chi aveva conosciuto Aiolos
mai aveva avuto un dubbio a sfiorarlo, mai si era posto un quesito.
Neanche chi era cresciuto con Aiolos
si era fermato a pensare, prima di alzare la propria arma contro un uomo
disarmato che cercava di fare il suo Sacro dovere; proteggere la Dea Athena.
E se dunque era quella la strada che tutti loro, stolti,
avevano deciso di intraprendere, chinando il capo davanti ad un folle, chi era
lui per fermarli.
Anche se solo, anche se i soldati semplici e gli allievi,
ignorando il suo status di Cavaliere D'Oro, non facevano altro che sparlargli
alle spalle, senza neanche preoccuparsi che non fosse effettivamente in grado
di sentirli. Anche così, Aiolia aveva intenzione di
andare avanti, e smascherarlo.
Da solo. Non era un problema. Non aveva paura.
No. Quando guardava il suo stesso riflesso, sapeva di non
dover aver paura affatto.
Più cresceva, più gli somigliava. Quando si guardava allo
specchio, e rivedeva a volte il volto del suo amato fratello, si rendeva conto
di essere orgoglioso di essere fratello di Aiolos di Sagitter, eroe giusto e Gold
Saint al servizio di Athena fino alla morte. L’unico che si meritava quel
titolo, l’unico fra tutti loro.
Gli altri non meritavano null’altro che l’infamia di
essere abbandonati dalle loro stesse armature, declassati a niente, sterpaglia.
Proprio come stavano cercando di fare con lui.
Ma non era quello che l’avrebbe fatto cedere.
Mai in tutta la sua breve vita era stato così certo di
qualcosa come in quel momento.
Non importava quanti anni avesse, non importava se per
anni aveva avuto timore di essere troppo poco per l’armatura di Leo, se
paragonato ad Aiolos.
Adesso non era più così.
Non c’era più Aiolos a cui
paragonarsi, e dietro cui nascondersi.
Adesso toccava a lui, Aiolia di
Leo, mostrare cosa significasse essere davvero un Cavaliere D’Oro.
Un vero Cavaliere d’oro.
Per questo continuava ad allenarsi, incessantemente,
anche adesso che era solo, senza più gli insegnamenti di Aiolos
ad indicargli la via. Non poteva essere certo avesse avuto i suoi giusti frutti,
troppo difficile comprenderlo quando non aveva nessuno con cui confrontarsi,
suo pari o meno che fosse.
Ma lui si sentiva più forte. Sicuro. Degno più che mai
che Leo gli vibrasse addosso.
Rare erano state in quegli anni le occasioni che l’avevano
portato a spingersi ad abbassarsi al livello di quegli inetti, parlando,
discutendo o litigando con loro. Poteva accettare che la gente continuasse ad
accusarlo di tradimento, di essere della stessa pasta di Aiolos,
perché era ovvio che nessuno di quelle pecore avesse idea di quale fosse la
verità né che il Patriarca fosse un impostore che li stava ingannando. Quello
che non accettava, però, era che si screditasse tutto quello che Aiolos era stato prima di quella dannata notte.
Non suo fratello, che era sempre stato giusto e buono.
Quello non poteva accettarlo. Nessuno doveva permettersi, mai, nessuno,
tantomeno un branco di sciocchi che parlava solo perché si sentivano protetti.
Solo perché secondo loro non poteva toccarli. E chi mai glielo impediva? Shura forse, che di tanto in tanto nelle sue ronde gli
passava accanto e lo ammoniva con un'occhiata furiosa?
No di certo. Non aveva paura di Shura.
Se avesse potuto, si sarebbe preso la sua giusta vendetta, e un giorno
l'avrebbe fatto. Avrebbe dato all'assassino di suo fratello quello che
meritava: la morte con un giusto duello. Equilibrato, non come aveva fatto
l'altro.
Perché per quanto furioso il Leone aveva un orgoglio da
difendere.
Voleva uno scontro, e solo lì l'avrebbe ucciso.
Ma non ora, non a rischio che anche quello passasse in
cattiva luce. No, sarebbe accaduto dopo, dopo lo smascheramento dell’impostore,
dopo che tutti loro avessero ammesso che Aiolos non
era un traditore. Dopo averli sentiti scusarsi tutti, prostrarsi davanti alla
sua tomba.
Dopo il giusto funerale che Aiolos
meritava.
Solo allora avrebbe puntato il dito contro Shura, chiedendogli quello che era suo di diritto: la
vendetta.
E se la sarebbe presa, riscattando e spolverando un’ultima
volta l’onore di suo fratello.
Non prima.
Dopo neanche un anno dalla morte di Aiolos,
la voce che la neonata Athena fosse stata ritrovata e tratta in salvo, e
riportata lì al Santuario, al sicuro fra le braccia del Patriarca, si era
sparsa in tutto il Santuario.
Tutti ci credettero fin da
subito, a nessuno sfiorò mai il dubbio che fosse strano, sospetto. Che se Aiolos fosse stato davvero un traditore non ci sarebbe più
stata un’Athena viva da riportare al Grande Tempio. L’avrebbe uccisa subito, o
strada facendo.
Ma no. A nessuno venne nessun dubbio.
“Non è possibile,”
gli disse Mu quando glielo riferì, appena possibile.
Era sempre Mu a contattarlo telepaticamente, di rado
e per pochissimo tempo.
Solo per sapere come stava, se era vivo. Mai di più.
Perché era pericoloso.
“Lo penso anche io.
E’ una bugia.”
“Senz’alcun dubbio.
Come vanno da te le cose, Aiolia?”
“Come devono. Non
ti preoccupare per me, Mu.”
“Okay. Stai attento.”
Annuiva sempre, ogni volta che Mu
glielo rammentava.
Attento, non fare
follie. Mantieni un profilo basso, non fare colpi di testa.
Ma non c’erano rischi. A malapena si avvicinava agli
altri, Aiolia. E il Gran Sacerdote non l’aveva ancora
mai richiamato al suo cospetto, quindi non aveva neanche più avuto modo di
vedere la sua faccia. La sua maschera, anzi, letteralmente parlando.
Ebbe il dispiacere di doversi di nuovo genuflettere al
suo cospetto solo tre anni dopo, quando gli diede il compito di occuparsi di
una ragazzina giapponese venuta fin lì per tentare di ottenere la Silver Cloth dell’Aquila.
Marin, si chiamava.
Aiolia acconsentì con appena un
cenno del capo, frustrato dal fatto che avessero dato un compito simile a lui.
Era un uomo, era un Gold Saint. Non era lui che
doveva occuparsi di addestrare una ragazza. Le donne lo facevano per conto
loro, fra di loro, in un campo d’allenamento per altro isolato.
Se voleva sbeffeggiarlo, umiliarlo o declassarlo pur
senza potergli togliere l’armatura d’Oro, quello era il modo peggiore con cui
potesse farlo. Ma non importava.
Se allenarla era quello che doveva fare, se così facendo
pensava di fargli perdere tempo, o pazienza, o chissà che altro, l’avrebbe
fatto comunque.
Sarebbe diventata una Silver Saint migliore di tutti quei
boriosi sciocchi che vagavano senza una vera meta per il Santuario.
Quando la vide la prima volta, ad Aiolia
fece pena.
Abbandonata a se stessa e al fratello del traditore
perché nessuno voleva avere a che fare con una giapponese venuta a rubare un’armatura
che sarebbe dovuta rimanere per tradizione in terra di Grecia.
Ma non era così che funzionava.
Le armature andavano a chi era prescelto, a chi era
meritevole. Non importava se eri greco o giapponese. La metà dei Gold Saint non lo era, greca, seppur obbligati a differenza
degli altri a rimanere lì a presidiare ognuno la propria casa.
Le porse la mano e fu felice di non vedere tentennamenti
nei suoi occhi castani.
“Sono Aiolia, Saint di Leo.
Sarò il tuo maestro.”
“Marin,” disse lei. Nient’altro.
Non una scintilla di paura o ripensamenti. Capiva a
malapena il greco, ma era ovvio che fosse determinata.
Per la prima volta dopo anni, dopo la morte del fratello,
Aiolia si aprì in un sorriso sincero.
“Bene, Marin. Conosci il Cosmo?”
Se il Patriarca voleva fargli un torto, aveva sbagliato
senza neanche essere realmente consapevole del grosso fallo commesso.
Probabilmente gli aveva appena fatto conoscere l’unico
appiglio di sanità all’interno del Tempio.
L’unica che non lo conosceva, che non aveva pregiudizi su
di lui. Né odio né rancore. Pura, ancora, dall’influsso malevolo del Gran
Sacerdote.
L’unica che poteva essergli amica.
Grecia.
Santuario. Febbraio 1977.
Shura gli passò accanto anche
quella mattina –come sempre, come tutte le volte che
toccava a lui fare la ronda- e come sempre Aiolia lo
fissò con odio e sgarbo. Non ricevette neanche un cenno dall'altro, solo una
lunga occhiata che Aiolia interpretò come una sfida.
Non poteva sapere, non voleva immaginare, quanto Shura morisse dentro ogni giorno per quello che aveva
fatto. Ora soprattutto, con AIolia alla soglia di
quei quindici anni che Aiolos, per colpa sua, non
aveva avuto la possibilità di raggiungere.
Ora che gli somigliava più che mai. Ad Aiolos, che a quattordici anni si era macchiato dell'onta
del tradimento ed era stato condannato a morte, condanna eseguita per mano sua.
Aiolos, che quella notte non si era difeso, che
l'aveva guardato con rammarico, chiedendogli solo di risparmiare quella povera
creatura che teneva fra le braccia.
"Se sei ancora
il ragazzo che ho cresciuto, Shura...lei è innocente!"
E Shura, che non era stato in
grado di capire, aveva fatto come gli era stato chiesto. Col cuore pesante,
aveva colpito Aiolos e poi allontanato la bambina,
lasciandola viva. Nessuno gli aveva ordinato di ucciderla. Shion,
se era lui, gli aveva chiesto di riportarla indietro. Ma Shura
non l'aveva fatto. Quando aveva visto Aiolos
stringerla in quel modo, non aveva avuto cuore di separarli.
Era stato sciocco, ma non era riuscito a vedere Aiolos morire così, come un cane. Non ci era riuscito.
Sagitter era stato un fratello
anche per lui, un maestro in un certo senso, aveva avuto fiducia nelle sue
capacità quando neanche Shura stesso ne aveva. Lo
aveva ripreso se v’era necessità, incoraggiato, guidato.
Non aveva potuto guardarlo così.
Non ce l’aveva fatta.
Ma quando era tornato a riprendere la bambina e magari a
dare una se non degna quantomeno adeguata sepoltura all'amico...era sparito. La
macchia di sangue a terra era stata l'unica cosa che aveva trovato. Il
cadavere, perché che fosse morto era certo, e anche la bambina non c'erano più.
Una piccola parte di lui era stato sollevato perché forse
questo implicava un motivo, una spiegazione a quel gesto così sconsiderato.
Così era tornato indietro, straziato e sconfitto a metà,
senza il cadavere del traditore e senza la bambina. E con la piccola speranza
nel cuore che un motivo dietro tutto quello doveva esserci, doveva.
Da allora aveva sempre vegliato su Aiolia,
a distanza, roso dai sensi di colpa.
Ma glielo doveva, perché se era solo era anche colpa sua.
Nell'attesa di poter sacrificare la sua vita per ripagare il debito che aveva
col Leone, come si era ripromesso quel giorno.
E non importava se Aiolia lo
odiava. Era giusto così.
"Di logica dovresti provare a rivolgergli la parola,
considerando che non fai altro che stargli dietro."
Shura si voltò appena,
riconoscendo il suono di quella voce che adesso era cambiata, aveva assunto un
timbro più profondo, virile, un qualcosa che Aphrodite
aveva dimostrato di aberrare profondamente, ma in fondo erano ragazzi normali. E
come era normale, erano cresciuti e cambiati.
"Non ne vedo il motivo," gli disse, voltando le
spalle alla figura di Aiolia che, come ogni giorno,
aveva raggiunto il campo d'addestramento femminile.
"Che cosa c'è, Aphrodite?"
Quello, per tutta risposta, storse le labbra appena
lucide, "Beh, cos'è tutta questa freddezza, negli ultimi tempi?"
Shura chiuse gli occhi con fare
stanco, poi si voltò di nuovo verso l'amico, "Niente di diverso dal
solito. C'è un motivo se sei sceso dalla Dodicesima? Non lo fai mai."
"Magari avevo voglia di cambiare aria," fece
con una scrollata di spalle, ma all'occhiata glaciale dell'altro sospirò,
"Va bene, ammetto che non verrei qui se così fosse."
Ma era vero che Shura era
cambiato, da quell'assassinio imposto. Era distaccato con tutti, manteneva le
distanze, si ripeteva come un mantra che aveva fatto la cosa più giusta, che
aveva eseguito gli ordini per salvare il Santuario e chi ci viveva, e forse anche
il resto del mondo, liberandolo da quello che probabilmente sarebbe diventato
un uomo pericoloso.
Ma non era vero, e Shura lo
sapeva. Da quella notte, non aveva fatto altro che chiedersi se avrebbe dovuto
dire di no, rifiutare gli ordini, disobbedire. Per la prima volta in vita sua.
Non l'aveva fatto, ma se ne pentiva ogni singolo giorno.
Perché il Gran Sacerdote gli aveva chiesto di ucciderlo?
Perché non di fermarlo, di riportarlo indietro come prigioniero, di catturarlo
per sottoporlo a processo? Perché proprio la morte, data così, su due piedi? Lì
per lì, Shura non aveva colto la stranezza di
quell'ordine, l'autorità con cui era stato dato, quasi crudele. Era un bambino,
shockato da quello che aveva appena scoperto...e una parte di lui, che si
sentiva tradita personalmente, voleva vendetta.
Ma crescendo aveva avuto dei dubbi su quel gesto. Tanti,
troppi dubbi.
Aiolos non l'avrebbe mai fatto,
Shion non l'avrebbe mai fatto. Che cosa stava
succedendo, al Santuario?
Vegliare su Aiolia era
diventato un chiodo fisso, e non aveva certo perso tempo ad indagare su
qualcosa che probabilmente vedeva solo lui, che non esisteva. Eppure...i suoi
occhi potevano davvero ingannarlo fino a quel punto? La sua mente poteva
giocargli uno scherzo simile?
E se c'era davvero qualcosa che lui non voleva vedere?
"C'è altro? Dovrei finire la mia ronda."
"Lo so. Quando hai finito, il Gran Sacerdote vuole
parlarti."
Shura annuì, "Allora mi
recherò subito da lui."
Aphrodite gli diede le spalle,
mentre l'altro si allontanava, la rosa rossa appena materializzata fra le dita pallide,
"Una cosa, Shura."
"Cosa?"
"Ricordati che è pur sempre il Gran Sacerdote."
Capricorn si girò di scatto,
quasi fulminandolo, "Che vorresti dire?"
Aphrodite aggrottò le
sopracciglia sottili, sospirando appena, "Anche se stai facendo pensieri
al limite del legale e vorresti risposte...ricordati che quello è comunque il
Sommo." Anche se non era Shion, era stato Deathmask a confermarglielo. Shura non reggerebbe la notizia, tienitela per te, così gli aveva detto.
Lui era salito di gran carriera fino alle stanze private, spalancato la porta e
urlato il nome di Saga. Non si era stupito più di tanto quando gli era comparso
davanti mezzo nudo.
Ma era davvero Saga? Il colore di occhi e capelli era
diverso, la postura e il modo di fare lo erano. Di Saga aveva a malapena
l'aspetto esteriore.
"Che cazzo hai
fatto?" era stato tutto quello che gli aveva chiesto. Non aveva idea
di come Deathmask l'avesse scoperto, e forse non
l'avrebbe saputo mai, ma non gli importava neanche. Quello che contava era la
risposta, la minaccia, che gli aveva rifilato Saga alla sua domanda.
"Non sei
indispensabile. Ricordatelo, Pisces."
E se non era indispensabile lui, allora non lo era
neanche Shura. La differenza stava nel modo di fare.
Lui e Deathmask avevano avuto la decenza di abbassare
il capo e decidere che non era un problema loro, che finché si manteneva un
certo equilibrio, finché la forza era in grado di governare, anche se col pugno
di ferro, andava bene. Loro erano dalla parte dei più forti, di chi poteva
portarli in alto, mostrare agli altri quello che avevano sempre voluto
mostrare.
Ma Shura non era mai stato come
loro. Il suo senso di giustizia gli impediva e gli avrebbe sempre impedito di
aiutare qualcuno che sapeva essere -probabilmente- dalla parte sbagliata.
E Saga aveva capito che Shura
sospettava, che si stava ponendo delle domande.
"Perché mi stai parlando in maniera così ambigua, Aphrodite?"
"Io parlo sempre in maniera ambigua, mio caro,"
rispose Pisces, ricominciando a camminare nella
direzione opposta da quella intrapresa dal Custode del Decimo Tempio.
"In che modo potrei dimenticarmi che quello è il
Sommo?"
"In nessuno. Era solo per dire. Ci vediamo più
tardi, Shura," e prima che l'altro potesse
aggiungere qualcosa, era già andato via.
Durante la salita, Aphrodite si
fermò alla Quarta Casa, quella del Cancro. Deathmask
era fuori, proprio come se lo stesse aspettando, con la sigaretta fra i denti.
Aveva iniziato a fumare dopo aver scoperto di Saga, neanche fosse lui quello
che aveva motivo di essere sotto stress.
"Ci hai parlato?"
"Certo che ci ho parlato," berciò Aphrodite, "Sono sceso apposta, visto che sua signoria
è troppo impegnato a nascondersi nel suo haremper prendersi il disturbo di chiamare le guardie."
"Bah, tanto ci siamo io e te che non abbiamo un
cazzo da fare, no?"
"Certo, proprio niente!" sbuffò lo svedese,
prima di sederglisi accanto, "Non accendere
quello schifo, che puzza."
"Che lagna! E' solo una sigaretta."
"Puzza uguale. Senti, invece, parlando di cose
serie...secondo te vuole ucciderlo?"
Deathmask ispirò, aria pulita
questa volta, e non nicotina, e la cosa lo fece quasi tossire. "Non credo
che gli convenga," ammise.
"Eppure ha ammazzato Aiolos
senza pensarci due volte."
"Appunto per questo. Mica può accopparci tutti. Se
iniziasse a puntare il dito, dopo Sagitter, anche su Shura, magari Aiolia, se lo trova
Mu...anche il più fedele dei fedeli inizierebbe ad
insospettirsi. Anche se mi sa che Mu, se lo trova, lo
ammazza sul serio."
"Lo pensavo anche io, ma Mu
è l'unico riparatore d'armature al mondo, in un certo senso gli serve. Sempre
che il vecchio abbia fatto in tempo ad insegnargli qualcosa di utile,
s'intende."
"Vero anche questo."
Deathmask si rigirò di nuovo la
sigaretta fra le dita, la portò alle labbra masticandone il filtro con i denti,
tentato com'era di accenderla ugualmente, anche se sapeva che all'altro dava
fastidio.Ma alla fine desistette.
"Posso farti una domanda, Death?"
"Perché, se ti dico di no non me la fai?"
"Certo che te la faccio lo stesso."
Deathmask scoppiò a ridere, una
risata graffiante e animalesca, ma per nulla divertita. Una di quelle fatte per
spaventare l'avversario che si ha di fronte, perché di divertente non c'era un
bel niente. Anche se Aphrodite non era un avversario,
e di certo non si sarebbe spaventato così facilmente.
"Come lo hai capito? Di Saga, intendo."
"Come lo hai capito tu. Come lo sta capendo Shura. Forse come lo hanno capito anche i marmocchi, se non
sono stupidi. Per quanto si sforzi, Saga non c'entra niente col vecchio,
proprio niente."
E dopo era andato ad affrontarlo a muso duro, per essere
sicuro, si era fatto la sua sana risata e aveva detto che, se non gli metteva i
bastoni fra le ruote, poteva fare quello che gli pareva. Saga l'aveva mandato
via apparentemente soddisfatto, nonostante tutto.
"Io non avevo compreso, invece, finché non me l'hai
detto."
"Mi hai creduto subito, qualche dubbio t'era
venuto."
"Qualcuno," ammise Aphrodite,
chiudendo gli occhi, "Ma l'avevo visto solo un'altra volta prima di quella
sera. Si tiene alla larga da noi, ancora di più da Shura.
Avevo solo notato che alcune cose erano...diverse. Ma poteva essere dovuto a
tante cose. Tipo la delusione verso Aiolos."
Deathmask scrollò le spalle,
"Se non si tenesse a distanza, sarebbe davvero un cretino. Sono quasi
sicuro che abbia mandato via gli altri anche per questo: non essere scoperto
prima di avere un piano vero. Dopotutto, il bacucco aveva più di duecento anni ed
era tipo una prugna secca ormai. Come lo imiti uno così? Devi inventarti una
storia plausibile, altrimenti non sta in piedi."
Per un attimo, fra i due scese di nuovo il silenzio, poi Aphrodite si alzò, "Già, comunque mandare via gli
altri non è stata una grande mossa. Ha solo tardato l'inevitabile."
"Suppongo speri che al loro ritorno abbiano così
inculcata in testa la figura del Gran Sacerdote da non alzare più neanche la
testa davanti a lui."
"Scemenze, non succederà mai. Piuttosto mi chiedo se
non fosse un modo per isolare Leo."
"Non ha funzionato. Quello s'è fatto
l'amichetta," sghignazzò Cancer, "Gli
serviva solo tempo, Aphro," aggiunse poi. Tempo
per pensare, tempo per architettare. Tempo per imparare.
"Tempo, tempo, lo hai detto anche prima. Ma anche
così, quanto potrebbero cambiare le cose? Anche adesso che ha fatto girare la
voce che Athena è di nuovo al Santuario, al sicuro...io non ci credo."
"Ovvio che è una balla."
"L'altro giorno mi ha parlato di una tecnica per il
controllo mentale che cercava di perfezionare," fece dopo un po' Aphrodite, "Pensi ci sia riuscito?"
Deathmask morse di nuovo il
filtro, "Saga ottiene sempre quello che vuole."
"Per questo mi chiedo cosa voglia ora! Una manica di
zombie al posto dei Gold Saint? E vuole testarla proprio
su Shura?"
"Chi lo sa? Può anche essere."
"Che piano di merda."
"Tutto quello che ha fatto fino ad ora è stato un
po' una merda," ghignò Deathmask, "Ma non è
affar mio. Non voglio certo farmi ammazzare, io mi sto divertendo! Che faccia
quello che gli pare."
"Sei una merda pure tu, Deathmask,"
affermò Aphrodite, aspro, e fu l'ultima cosa che gli
disse prima di riprendere la scalata fino alla sua Dimora.
Deathmask non aspettò neanche
che terminasse quella del Tempio del Leone per accendersi la sigaretta,
aspirandone subito una grossa boccata.
Sì, forse Aphrodite aveva
ragione, ma che gli importava? Non voleva certo finire fra le mani di Gemini,
lui. Gli andava benissimo così, non aveva niente in contrario. Anzi, se doveva
essere onesto...si stava persino divertendo.
ANGOLINO AUTRICE:
Potrei aver vagamente peccato di
troppa licenza poetica nel pezzo di Aiolia e Marin.
Ho pensato che Merin a, quanto, 16 anni mi pare?
Fosse già degna di diventare la maestra di un futuro Cavaliere, quindi il suo,
di maestro, doveva essere per forza importante, o quantomeno averle insegnato
molto, e bene. Immagino che un Saint non possa allenare una Sacerdotessa, visto
che la divisione fra uomo e donna al santuario è più che netta, fin troppo.
Quindi per Aiolia sarebbe stata una sorta di
punizione, ecco. Per altro non mi pare Kurumada abbia
mai detto questa cosa e i due sono amici quindi...non so, ho pensato che fosse
carino. Mi è piaciuta l’idea, e ce l’ho messa xD
Descrivere tutto il periodo di isolamento di Aiolia
penso non serva, non nel dettaglio, quindi ho stringato nelle parti più
importanti!
E poi ho adorato muovere Death e Aphro alla fine xD Sperando di non essere andata troppo fuori pg!
Per il resto, spero che questo capitolo possa essere di vostro gusto come gli
altri!
Al prossimo, con il ritorno dei pargoletti dall’allenamento!
Un bacione, Asu
Quando era tornato quella sera, Leo aveva subito notato
la luce accesa nel Tempio dell'Anfora Dorata, ma non era comunque salito ad
accertarsi che il suo Custode fosse effettivamente tornato.
Aiolia ormai non sapeva più
come interpretare il comportamento del Custode dell'Undicesima, ma dopotutto
non aveva mai avuto un gran rapporto con lui. Era il migliore amico di Milo,
anche se sembrava strano conoscendoli, e Milo era un suo prezioso compagno, ma
nonostante questo le loro conversazioni erano sempre state intermediate dallo
Scorpione e da bambino Camus era sempre stato molto
sulle sue.
Quindi, il fatto che non l'avesse salutato prima di
andarsene o che non si fosse fatto rivedere al suo rientro non implicava che lo
credesse davvero un traditore.
Ma il sesto senso di Aiolia,
che non era infallibile ma di cui si fidava ciecamente, gli diceva che Camus sapeva. Aveva capito e non aveva intenzione di fare
nulla.
Perché era sempre stato così, Aquarius.
Se non lo colpiva direttamente, o non colpiva direttamente Milo, non era un
problema suo. E, visto come stava andando il Santuario, seppur nelle mani di un
impostore, che senso avrebbe avuto intervenire e creare quella che si sarebbe
poi rivelata una vera e propria guerra interna?
No, dal punto di vista del glaciale francese la decisione
di ignorare i segnali doveva essere la scelta migliore da fare.
E Aiolia, per questo, lo odiò,
appuntando il suo nome sulla sua lunga, infinita lista nera.
Lui, e tutte quelle malelingue e quei traditori,i veri traditori, che continuavano ad
infangare e disprezzare la memoria di suo fratello. Una memoria che Aiolia stava solo aspettando di poter rispolverare,
lucidare. Per sputare in faccia a tutti quanti, per prendere tutti a pugni.
Tutti.
L'impostore, quei tre traditori, Camus,
che si voltava dall'altra parte.
E si chiese se anche Milo aveva capito, o avrebbe
creduto. Milo che non era ancora tornato.
E Aldebaran, che sapeva?
Quella volta, Aldebaran aveva
ascoltato in silenzio, tutto quanto. E non aveva giudicato, non aveva accusato,
puntato il dito. Gli aveva messo una mano sulla spalla e aveva stretto, forte,
quasi a fargli male. Non aveva detto niente, se ne era solo andato. Lasciandolo
lì, muto, solo, tradito...abbandonato. Anche da lui, che forse poteva essere il
suo unico alleato.
E poi era tornato il giorno successivo, di corsa e
pallido. Aiolia l'aveva guardato di sotto in su,
furioso.
"Il Sommo mi
ha convocato," gli aveva detto Toro, concitato.
Aiolia aveva assottigliato gli
occhi, "E allora? Fai pure,
denunciami...ammazzami, portagli direttamente il mio cadavere, se pensi di
riuscire a battermi. Non ritirerò una sola parola di quello che ho detto!"
"No, che hai
capito, Lia?" fu la risposta di Aldebaran,
svelto, quasi avesse paura ancora che qualcuno li spiasse, anche se non sapeva
chi, "Ieri ho incontrato Shaka, è partito per l'India, per l'allenamento. Anche Milo
se ne va. Se manda via anche me? Rimani solo, Aiolia!"
E allora Aiolia aveva capito,
aveva capito che se Aldebaran non gli aveva risposto
era stato perché doveva elaborare il concetto. Perché era una notizia grande,
enorme, e credere significava mentire, infrangere tutte le leggi del Santuario,
rischiare una condanna a morte o, peggio, la rinuncia all'armatura. Ma non
aveva neanche fatto in tempo a decidere, che il Sommo l'aveva davvero mandato
via, anche lui come Shaka prima e Milo dopo, e forse
il prossimo sarebbe stato Camus, l'ultimo di loro ad
essere stato investito ancora a metà dell'addestramento. A parte Mu, ovvio, ma la voce che Mu
fosse stato il primo a partire si era già sparsa, anche se non era così. E Aiolia stesso, ma Aiolia non
poteva lasciare il Santuario, perché era lì che si era allenato fin da
principio.
"Io ti
conosco, Aiolia, lo so che se rimani da solo farai
qualche cavolata! Hai tutti gli occhi addosso, non te lo devi scordare!"
Commosso da tutta quella preoccupazione, Aiolia aveva abbozzato il primo sorriso da quella famosa
Notte degli Inganni. "Sta
tranquillo, Al. L'ho promesso anche a Mu. Niente
colpi di testa, niente sparate. Non è ancora ora."
"Devi
aspettare che torno! Aspetta, capito? Se torno e sei morto, ti disseppellisco e ti do il resto!"
Aiolia aveva riso, a quella
frase, senza aggiungere altro. Almeno, finché la grossa schiena del Toro non
era uscita dal colonnato della Quinta Casa.
"Mi credi,
allora?"
"Non so in
cosa credere, Lia. Ma so che né tu, né Mu né Aiolos fareste mai una cosa simile, e questo mi porta a
pensare. Quindi non farti ammazzare, Aiolia."
Ed era partito davvero il giorno dopo, Aldebaran, proprio come avevano temuto. Lo stesso giorno se
ne era andato anche Camus, salutandolo appena con un
cenno del capo.
"Aiolia, posso superare la
tua Casa?" la voce di Shaka lo riportò alla realtà,
e Leo abbassò appena il capo.
Stava ancora fissando l'Undicesima Casa, perso in ricordi
e pensieri, e non se ne era neanche accorto. Ma Shaka
adesso era lì, davanti a lui. Più alto, non tanto da superarlo ancora però. Ma
era l'unico cambiamento evidente che riuscì a notare, insieme ai lunghi capelli
biondi che adesso arrivavano a metà schiena, ricadendo morbidi su spalle che
sembravano ancora troppo strette, ad Aiolia, per
reggere il peso di un'armatura d'oro. Eppure, Shaka
era uno dei cavalieri più potenti che conosceva.
"Bentornato, Shaka. Passa
pure."
"Ti ringrazio," fece l'altro, prima di
superarlo.
Aiolia non notò nemmeno un
piccolo movimento di sopracciglia, quando gli passò accanto per raggiungere la
Casa successiva, la sua. Eppure, Shaka fece solo
pochi passi, nonostante non sembrasse voler effettivamente parlare, prima di
fermarsi di nuovo.
Dandogli questa volta le spalle, gli occhi rigorosamente
serrati sul mondo fissi verso il Tredicesimo Tempio. Quello dov'era il Gran
Sacerdote. L'impostore, secondo Mu.
Shaka, invece, un'idea
definitiva non era riuscito a farsela. Aveva fiducia in Mu,
ma si sentiva confuso, perché non poteva non credere anche a quello che aveva
visto a sua volta. Innumerevoli volte, in quegli anni di lontananza, aveva
provato a confessare i suoi timori al Buddha e a chiedere i suoi consigli ma
lui, seppur rispondendo sempre alle sue chiamate, non si era mai esposto.
Quella decisione, che poteva rivelarsi fatale, doveva
prenderla da solo. L'unico consiglio che gli aveva dato era di non lasciarsi
ingannare dalle apparenze. Ma quali apparenze? Quelle fisiche, quelle che
l'avevano portato a credere a Mu e a diffidare
persino della più alta Carica del Santuario? O quelle mentali, quelle che lo
portavano a credere che, impostore o meno, c'era qualcosa di buono, in
quell'uomo, che urlava e chiedeva di essere salvato, seppur inconsciamente?
Doveva accettare la furia di Aiolia,
e far fuori l'impostore insieme a lui e Mu? O doveva
star fermo, e aspettare, per non commettere il grave errore di uccidere
qualcuno che, forse, poteva ancora essere aitato?
L'anima che aveva scorto in quell'uomo eracandida e fedele alla Dea Athena, non era macchiata od oscura. Ma se non
era Shion, come poteva essere possibile?
Come poteva prendere una decisione simile? Quale delle
due facce doveva guardare? Il bene del Santuario, e quindi la giustizia, o la
verità, anche se solo apparente?
Non riusciva a capirlo. E lui, da solo, che seppur così
vicino agli Dei era solo un uomo, come poteva?
Non stava a lui, quella decisione, forse era questo che
voleva dirgli il Buddha. Il suo unico compito era aspettare, guardare con gli
occhi della Ragione e della Giustizia, e intervenire solo se necessario.
Quando necessario.
Per l'una o per l'altra fazione, solo in quel modo avrebbe
potuto prendere la Giusta decisione.
"C'è qualche cosa che non va?"
"No, Leo. Mi stavo solo chiedendo come fossero
andate le cose qui al Grande Tempio, in questi anni."
"Tutto come al solito, Virgo.
Schifosamente e pateticamente falso."
"Farò finta di non aver sentito."
"Fa un po' come ti pare."
E nel frattempo, forse, sarebbe stato il caso di gettare
un occhio anche al fiero e focoso Leone, suo vicino di Casa. Per rispetto a Mu, e anche ad Aiolos, che tanto
stimava.
Per essere certo che non intralciasse il giusto cammino
del Fato mettendosi in qualche guaio o facendosi uccidere.
Milo era tornato al Santuario per ultimo e aveva
volutamente e attentamente evitato Aiolia.
Non voleva parlargli, non aveva niente da dirgli. Non al
momento, non ancora, almeno.
C'era altro, invece, che doveva fare: schiarirsi le idee.
Scacciare i dubbi.
Lui, da solo, non ce l'aveva fatta in quegli anni. Perché
se con la mente non poteva minimamente pensare di tradire le ideologie del
Santuario e l'alta carica che era il Sacerdote, dall'altra il suo animo lo
spingeva a credere all'amico, a quel bambino solare e gioioso con cui era
cresciuto.
Aiolia era stato il primo con
cui Milo avesse mai parlato, quand'era arrivato, troppo piccolo anche solo per
capire che cosa stesse succedendo ma euforico all'idea di conoscere nuove
persone. Aiolia era nato lì, e suo fratello era
diventato Cavaliere giovanissimo, quindi già sapeva tutto. Era stato un po' la
sua guida, un aiuto immenso per quel bambino che si era ritrovato solo all'improvviso.
Fino all'arrivo di Camus, Aiolia era stato il suo unico compagno, quello con cui
ridere e scherzare, quello con cui divertirsi ad ideare scherzi su scherzi ai
danni degli altri, senza un preciso motivo.
Poi era arrivato Camus, che da
vittima preferita del pestifero Milo era diventato in fretta il suo migliore
amico. Era un legame diverso, non più profondo ma più complice e serio di
quello che lo univa al Leone. Milo ci si era aggrappato, perché Camus era l'altra metà della mela, e lo teneva in equilibrio.
Se da una parte c'era l'irascibilità dello scorpione, dall'altra arrivava la
fredda compostezza dell'acquario.
Aiolia invece era persino più
focoso di Milo e in quei giorni Scorpio aveva quasi
paura di sapere che cosa potesse star pensando.
Ma teneva all'amico, e non voleva essere costretto a
litigare con lui, né che Aiolia fraintendesse.
Perché Milo credeva, ma allo stesso tempo temeva.
Temeva che credere potesse portare solo guai. E altre
morti inutili.
E lui ci teneva ad evitarle, le morti inutili.
Per questo ignorò Aiolia, non
andò a salutarlo, lo lasciò invece alle cure di Aldebaran,
che era sempre stato gentile con tutti e riusciva a strapparti un po' di
serenità anche nei momento più bui.
Milo era certo, in fondo, che Aldebaran,
in assenza di Mu, fosse la soluzione ideale per il
Leone. Che lo tenesse buono, nel frattempo.
Lui aveva altro a cui pensare.
Camus era all'Undicesima, come
sempre. Da quando aveva preso l'armatura, non scendeva mai in Arena nei momenti
più caotici. In verità, Milo ce lo aveva intravisto solo di sera, o in piena
notte. Da solo, soprattutto in inverno, quando il gelo e il freddo, e a volte
la neve, forse lo facevano sentire a casa. Per l'altra parte della giornata Camus leggeva; studiava le stelle, studiava la storia,
studiava le lingue.
A Camus piaceva studiare, forse
persino troppo, per i gusti di Milo, ma ormai ci si era abituato.
E lo trovò lì anche quel giorno, il libro sulle ginocchia
e i capelli, più lunghi, legati strettamente.
"Non sei cambiato di una virgola!" esclamò
subito dopo aver varcato la soglia dell'Undicesima.
Camus alzò di scatto il capo,
chiudendo il libro; Milo non riuscì neanche a leggerne il titolo, in francese,
tant'era stato veloce. "Milo, sei tornato! Tu, invece, un po' sei cambiato,"
fece, un sorriso appena accennato, un sorriso alla Camus
che racchiudeva in niente un intero mondo.
Milo scrollò le spalle, scompigliandosi la zazzera
bionda: crescendo, aveva fatto allungare i capelli scoprendo che la forza di
gravità era utile anche per il suo caso disperato e adesso erano meno arruffati
e crespi, più ricci e, in un certo modo contorto, più ordinati. Gli arrivavano
ancora solo a metà schiena, ma piuttosto che ritrovarsi di nuovo con quel
cespuglio in cui la tiara dell'armatura si reggeva appena non li avrebbe mai
più tagliati.
"La natura è un ottimo parrucchiere. Posso sedermi
qui?"
"Certo," concesse subito l'altro, passandogli
il cuscino rosso. Il preferito di Milo.
A Milo piaceva sdraiarsi a terra, rotolarsi e cambiare
posizione in continuazione anche nei discorsi più seri. Soprattutto nei
discorsi più seri.
Quello che era venuto ad intraprendere lo era, o non
avrebbe indicato il pavimento, visto che c'era posto sul divanetto a due
accanto a Camus stesso.
Milo afferrò il cuscino e lo gettò a terra, fiondandocisi sopra, "Come stai? Com'è andato
l'allenamento?"
Camus scrollò le spalle,
"Normale, direi."
"Ma che risposta è?"
"La più logica, no? E' andata normale, come doveva
andare. O tu hai qualcosa da raccontare?"
"No...no, niente."
"Visto? Normale," ripeté, poi lo guardò più
attentamente. Se ne stava lì, col cuscino sotto la pancia, a prendersi piccole
ciocche di capelli fra le mani, spezzarsi le punte e gettarle a terra. Gli
avrebbe riempito il pavimento. "A cosa stai pensando?"
"A niente."
"Milo..."
"Te lo giuro. Non posso venire a trovare il mio
migliore amico che non vedo da sei anni e più?"
"Certo. A patto che non decidi di diventare calvo e
lasciare a me l'incombenza di liberarmi del tuo pelame. Che è parecchio, e mi
scoccerebbe."
Milo lo guardò da sotto in su, stupito, "Cos'era,
ironia?" fece, praticamente a bocca spalancata.
Camus non faceva mai ironia. A
malapena parlava, di solito, era quasi sempre lui a farlo per entrambi.
"Pazzesco, allora sei cambiato, altro che!"
Camus scosse il capo,
"Allora?"
"Allora niente. Sono tornato stamattina, in verità,
e in Arena ho incontrato Aldebaran e Aiolia...ma non mi sono avvicinato."
"E perché? E dove sei stato per più di tre
ore?"
"In giro. A non fare niente. A pensare."
"A che cosa pensi, Milo?"
"A un sacco di cose," sospirò, "A un sacco
di cose che non mi piacciono, Cam. Proprio un
sacco."
Camus lo fissò ancora un po',
ma le mani di Milo stavolta erano ferme, una sull'altra, a terra. Si sentiva
più tranquillo, forse perché stava parlando con lui.
"Spiegati."
"Davvero devo dirtelo io, Cam?
Tu sei più intelligente di me, se l'ho capito io, di certo tu hai già in testa
tutto il quadro completo!"
"Non ti sottovaluti un po' troppo? Tu dimmi lo
stesso, anche se pensi che io sappia già."
Milo sospirò, "Va bene. Ma siediti comodo, perché ti
giuro...se iniziamo questo discorso non arriveremo ad una fino molto
presto!"
"Sono comodo. Coraggio, ti ascolto!"
Milo si alzò a sedere in maniera più composta, schiena
dritta e gambe incrociate. Il cuscino rosso sulle ginocchia, le mani a giocare
con i lembi.
"Il fatto è che mi sento confuso, capisci? So che
non bisogna fare questi discorsi, che è un po' illegale tipo, ma non riesco a
fare a meno di pensare che da quella notte...da quando Aiolos...insomma,
hai capito, le cose sono andate davvero male. C'è aria di complotto da tutte le
parti, qui, ovunque mi giro la gente borbotta. Ma non dovrebbe essere tutto
risolto, visto che il traditore è stato fermato e Athena è di nuovo qui al
sicuro? E invece non pare per niente sistemato! Mu è
sparito nel nulla, e anche se la gente dice che è ad allenarsi ormai non ci
credo più. Il Sommo aveva chiesto di trovarlo per parlargli, prima di mandarci
via, e già quella volta avevo avuto una strana sensazione: mi è partito un
brivido proprio lungo la schiena, come se presagissi un guaio. E poi c'è Aiolia, ed un po' è ovvio che ce l'abbia con tutti no? Però
se Aiolos era davvero un traditore, allora non
dovrebbe fare così, perché rischia di passare per un pazzo. E adesso Aldebaran gli da corda! E se il Sommo...Cam,
che rimanga fra di noi, ma se il Sommo non fosse chi dovrebbe essere? Che cosa
facciamo? Io non voglio stare contro Aiolia, è mio
amico, e anche Al. Mi dispiacerebbe combattere anche contro Mu,
ucciderlo ancora di più."
Milo tacque, riprendendo fiato, e anche Camus tacque.
Perché sì, tutti quei dubbi il Custode dell'Undicesima li
aveva già avuti, anni prima, giorni prima della partenza. Aveva notato
qualcosa, qualcosa di diverso nel Sommo. E adesso, tornando, anche in Aphrodite e Deathmask. Nello
sguardo di Aiolia, a cui era sfuggito, ma che aveva
intravisto.
Perché, come diceva Milo, il Sommo non era chi diceva di
essere.
Shion, il buon Shion che anche con la maschera sapeva essere gentile e
caritatevole, era sparito.
Se fisicamente, perché era davvero morto, o solo
spiritualmente, troppo deluso da ciò che era accaduto, Camus
non lo sapeva, perché aveva avuto modo di vederlo troppo poco per farsi un'idea
davvero precisa.
Eppure era così. Le cose lì al Grande Tempio erano
cambiate, stavano cambiando e avrebbero continuato a cambiare, temeva. E non in
meglio.
E adesso anche Milo aveva intuito, Milo che come unico
dilemma fino a quel momento si era posto solo l'amicizia di Aiolia.
Ma Milo era pericoloso almeno quanto lo era il Leone, perché lì dove il Leone
tendeva a sbranare le sue prede appena ne aveva la possibilità, lo Scorpione
pungeva senza pensare che le conseguenze potevano causare anche la sua morte,
come nella favola della rana e dello scorpione.
E Camus temeva davvero che
quello in cui si sarebbe infilato Milo avrebbe portato solo alla sua morte. O
anche alla sua.Comunque non sarebbe
finita bene.
"Mu è un traditore."
"Lo pensi anche tu? Però Mu...Mu, come Aiolos, perché avrebbero
dovuto fare una cosa simile? A che proarrivare a tanto? Che cosa ci guadagnano?Aiolos è morto e Mu, se non torna, sarà bandito e ricercato!"
"Aiolos voleva uccidere
Athena, Milo, lo hai scordato? E per quanto riguarda Mu...puoi
davvero dire di averlo conosciuto bene?"
"Ma Aiolos alla fine non
ha ucciso nessuno e...e Mu è sempre stato gentile con
tutti!"
"Certo, anche Aiolos era
gentile e buono. Ma se non ci fosse stato Shura, cosa
sarebbe successo quella notte?"
"Stai davvero dicendo che credi a questa storia? Che
Mu e Aiolos abbiano
tradito, è questo che credi? Se vedessi Mu lo
uccideresti?"
"Se fosse un ordine del Sommo, sì."
"Del Sommo, Camus? Di
quale Sommo?"
"Del Gran Sacerdote, Milo, la più alta carica che il
Grande Tempio conosca! E abbassa la voce!" berciò, intimandogli con
un'occhiata la compostezza che le mura dell'Undicesima meritavano. "Il
Sommo, chiunque sia, resta il Sommo. Ascolta, Milo, capisco il tuo punto di
vista, ma con che prove affermi che è qualcun altro?"
"Con quelle mi hai dato tu, ti ricordi, Cam? Sei stato tu a chiedermi se il comportamento del Sommo
potesse essere stato influenzato dal tradimento di Aiolos!
Tu mi hai fatto notare che era strano, che era diverso!"
"Certo, è vero, e insieme abbiamo appurato che è
possibile che quello che è successo quella notte gli abbia fatto perdere
fiducia in noi e che per questo è più freddo e distaccato, e forse ci ha
mandati via tutti proprio per farci maturare, per sperare che l'errore che ha
commesso nell'investirci dell'armatura così giovani non gli si ritorca di nuovo
contro!" a Camus dispiaceva dover dire quelle
cose, puntare il dito contro Mu, contro Aiolos. Ma non c'era alternativa. Mu,
per ora, era lontano e al sicuro e Aiolos era morto,
e se per impedire a Milo di fare qualche sciocchezze il prezzo da pagare era
infangare quei due che non potevano difendersi, allora andava bene.
Sì. Andava bene.
"Sì, certo, è vero. Però..."
"Però niente, Milo. Niente. E' il Gran Sacerdote, e
nonostante questo fino ad ora ci ha dato più di quello che doveva, una confidenza
che nessun altro Gran Sacerdote aveva mai dato prima ai suoi Gold. E noi abbiamo rotto quel legame di fiducia, lo
abbiamo tradito. Tutti. Perché lo tradiamo tutti i giorni coi nostri dubbi. Io
non voglio avere niente a che fare con questa storia, con Aiolia
e Mu: sono qui per difendere Athena, darò la mia vita
per lei e il suo ideale, è questo che ho giurato. Tutto il resto non è affar
mio. Ed è la stessa promessa che hai fatto anche tu, Milo."
Milo abbassò il capo, sconfitto.
Quello che diceva Camus aveva
senso, aveva sempre senso. Ma quel discorso stava ancora in piedi se il Gran
sacerdote non era chi doveva? E Camus ci credeva
davvero?
Si alzò, il cuscino rosso fra le mani, "Quindi tu
pensi che dovremmo farci gli affari nostri? Evitare di impicciarsi? Anche se Aiolia è mio amico?"
"Per ora sta bene, no? Non è successo niente, né a
lui né a Mu, e nessuno ti ha ordinato di uccidere
nessuno. La nostra vita sarà già breve così, senza crearci problemi che
l'accorcino ancora di più," rispose, ma non lo guardava più in faccia, e
stringeva i lembi del libro che aveva in mano, "Io non farò niente, perché
non è un mio problema. Per mio conto, tutto quello che farò sarà al servizio
della mia Dea: solo di questo mi importa."
"E' un discorso egoista."
"Sono un Saint di Athena, non un buon samaritano.
Non sempre l'altruismo porta a qualcosa."
"Come posso guardare negli occhi Aiolia,
sapendo di star ignorando qualcosa di così grande?"
"Tecnicamente non stai ignorando, poiché non
sai."
"Sospetto, però."
"E ne vale la pena? Vale la vita?"
"I miei amici valgono la vita. Tu la vali e, per
quel che conta, anche Aiolia!"
Camus sospirò, "Lo so. Ed
è proprio perché gli amici la valgono che vorrei tu non facessi nulla. Ti farai
ammazzare, Milo, e per niente. Niente, perché il potere che ha il Gran
Sacerdote è troppo grande."
E Milo lo sapeva. Non solo come ex Cavaliere, o chiunque
adesso fosse, ma anche solo per il potere che aveva dentro il Grande Tempio.
Perché tutti pendevano dalle sue labbra.
E anche se erano Gold Saint, c'era
un limite a quello che potevano e non potevano.
Che per il momento Camus avesse
ragione? Forse era meglio, ora, stare al proprio posto, senza agire. Guardare,
studiare la situazione. Vegliare, se voleva. In silenzio, in un angolo.
Ma lui non era bravo, in queste cose. Non lo era mai
stato.
E sapeva che, anche se l'ordine fosse partito dal Sommo
in persona, non avrebbe ucciso Aiolia, né Mu. No. Forse, se fosse successo, avrebbe finito per
schierarsi dalla loro parte, e poteva solo sperare che Camus,
allora, non si sarebbe messo anche contro di lui.
*
Aphrodite aveva guardato a
lungo Shura, quando gli era ricomparso davanti dopo
l'incontro avuto con il sommo -con Saga-
qualche sera prima.
Ancora adesso, se ripensava alla faccia che aveva Capricorn, gli venivano i brividi.
Quel giorno, la primacosa che aveva notato erano stati gli occhi dell'altro.
Erano rossi, sgranati verso il vuoto. Ma non erano le
sclere ad essere rosse, no, non come dopo un pianto o svariate notti
insonni.Non il rossore che li aveva
cerchiati vagamente per giorni, dopo aver ucciso Aiolos,
dopo quella dannata notte.
Era un rosso che faceva paura questo. Erano iridi rosse,
come illuminate da un lampo. Non costante, ma spaventoso, che portava un
brivido in tutto quello che gli era a tiro. Cose e persone.
E lo sapeva, Aphrodite, che si
sarebbe trovato davanti un altro, quando lo aveva visto salire per parlare con
il Sommo, ma quello andava oltre i suoi timori e a tutto quello che poteva
aspettarsi.
"Shura, stai bene?"
glielo aveva chiesto così, un po' per caso, distrattamente, mentre se ne stava
ancora appoggiato alla colonna. Non aveva motivo di bloccare il suo passaggio,
in fin dei conti.
E anche se avesse voluto fermarlo, il modo in cui Shura l'aveva guardato gli aveva fatto immediatamente
cambiare idea. Non avrebbe mai potuto fermarlo senza essere poi fatto a pezzi
da Excalibur, e lui non ci teneva per nulla ad essere trasformato in uno
spiedino di pesce.
"Non dovrei, Pisces?"
E anche questo ad Aphrodite era
parso strano, perché per quanto distaccato Shura si
fosse fatto in quegli anni, per quanto distanze avesse preso anche da lui e Deathmask, per quanto si fosse isolato da tutto,
richiudendosi in se stesso e nei suoi sensi di colpa, mai lo aveva appellato
solo con la sua Costellazione guida.
Non era mai stato semplicemente Pisces,
per Shura. Persino quando era irritato e voleva
mandarti via, Shura sapeva come essere tagliente
solamente chiamandoti per nome.
Era quando usava i loro veri nomi che Aphrodite
e Deathmask sapevano di dover girare alla larga. E
per parecchio tempo.
In quegli anni era successo svariate volte. Da quando
aveva ucciso Aiolos, Shura
aveva mandato al diavolo tutto quel poco costruito in anni di amicizia, e ormai
mal sopportava persino la loro presenza. Ed aveva sempre i loro nomi -i loro
veri nomi- sulle labbra, pronto a far sapere che era meglio girare a largo
perché, davvero, di stare in compagnia non ne voleva sapere nulla.
Ma Pisces non ce lo aveva mai
chiamato.
"Chiedevo,"
aveva risposto, una scrollata di spalle e la maschera dell'indifferenza
stampata in volto.
Gli veniva ancora bene, recitare. Anzi, forse più che
mai. Se non fosse stato destinato ad indossare un'armatura, magari avrebbe
avuto successo in teatro, chi poteva dirlo?
"Che voleva il
Sommo?"
Aphrodite lo sapeva bene, cosa
voleva Saga, o almeno lui e Deathmask lo avevano
supposto svariate volte. Ma sapeva che non era certo la scusa che aveva usato
con Shura, per parlare con lui. Anche se a guardarlo,
Aphrodite quel giorno si era detto che, tutto
sommato, forse Saga non aveva neanche avuto bisogno di trovare una scusa o
mentire: aveva scagliato direttamente il GenroMaoken, imprigionando la mente di Shura
nei suoi più infimi desideri e assoggettandolo ai suoi scopi.
Proprio Shura, così retto e
fiero.
Aphrodite non aveva niente in
contrario sul seguire il più forte, poiché questo poteva aiutarlo a raggiungere
il suo obiettivo, il loro obiettivo: dovevano proteggere gli indifesi e i
deboli, erano Santi di Athena, e di certo la potenza di Saga avrebbe portato a
questo; certo, forse sarebbe stato un equilibrio dettato da tirannia e paura,
ma era pur sempre pace.
E quale dimostrazione di bellezza maggiore se non quella
che Saga dava di sé ogni giorno?Per lui
non c'era niente di meglio e mai aveva pensato di denunciare il suo operato -a
chi, poi? Era lui il Gran Sacerdote, adesso. Eppure, nonostante questo, non
poteva evitare di avercela un po' con lui per quello che aveva fatto a Shura.
Avrebbe potuto trovare un'altra soluzione, una qualunque.
La cosa peggiore era la consapevolezza che, tutto
sommato, gli era anche andata bene. A tutti e tre.
Avrebbe potuto ucciderli all'istante.
"Perché lo
vuoi sapere?"
"Lo sai che
sono curioso."
Shura aveva schioccato la
lingua, a quelle parole, e Aphrodite allora aveva
rilassato un po' le spalle. Quello era un tic tipico di Shura,
dunque qualcosa c'era ancora, lì da qualche parte.
"Solo una
missione. Partirò dopodomani."
"Capisco."
Non aveva aggiunto altro, nessuno dei due l'aveva fatto,
lasciandolo andare così com'era arrivato: sguardo perso, dritto davanti a sé.
Aphrodite non aveva più fatto
cenno a niente di quello, nei due giorni successivi, né ad altro. Né aveva
avuto motivo di lasciare granché volte la protezione della sua Casa e del suo Giardino,
a dover essere onesti.
Era stato infatti Deathmask a
salire, quella mattina poco dopo l'alba. Niente armatura, solo un paio di jeans
e una maglietta fin troppo leggera per l'inverno greco. Quando gli aveva
sentito chiedergli il permesso nella solita maniera rozza, Aphrodite
aveva alzato gli occhi al cielo, esasperato.
"Sono in giardino, scimmione. Non calpestare le
aiuole, altrimenti il tè te lo verso in testa!" lo accolse.
Deathmask sbuffò,
raggiungendolo in un lampo e buttandosi a peso morto e gambe divaricate sulla
sedia in ferro battuto, bianca come il latte, che Aphrodite
aveva piazzato anni prima in mezzo al giardino.
"Hai un po' rotto il cazzo, lasciatelo dire!"
"Nessuno ti ha chiesto di venire a trovarmi, se
proprio vogliamo essere pignoli," ribatté l'altro, sorseggiando il liquido
bollente, "E non accendere quella roba nel mio giardino! Così rozzo! A
vent'anni avrai i denti gialli e la pelle di un vecchio!"
Deathmask scoppiò a ridere di
gusto, a quelle parole, con quella risata roca e spezzata che sembrava più il
latrato di un cane. O il respiro di un asmatico, a ben vedere.
"Perché, sei convinto di arrivare ai vent'anni
comunque tutto intero?"
"Chi può dirlo? In caso avvenga, gradirei essere in
forma smagliante, grazie."
"A me invece non frega un bel niente, tanto con
questi dannati capelli ho l'aspetto di un vecchio da quando sono nato! Benjamin
Button mi fa una pippa!"
"Chi?"
"Un...tizio che nasce vecchio. Un libro di Shura, l'ho letto di sfuggita mentre lo aspettavo qualche
tempo fa."
Aphrodite alzò entrambe le
sopracciglia, ma non aggiunse altro. In fondo, quello era un vizio che Cancer non si sarebbe mai tolto: arrivava, afferrare le
cose che lo incuriosivano e sbirciava. A volte capitava persino leggesse, anche
se molti dei libri di Shura erano in spagnolo o in
inglese e dubitava, Pisces, che Deathmask
fosse diventato improvvisamente così portato per le lingue.
Di sicuro gliene aveva parlato Shura
quando aveva capito che Deathmask non aveva capito
nulla di ciò che aveva appena letto. Come sempre.
"Comunque, che sei venuto a fare così presto?"
Deathmask sogghignò, "Il
caprone mi ha svegliato, non riuscivo a tornare a dormire e allora ho pensato
di venire a romperti un po' le palle!"
"Carino, come sempre."
"Squisito è il mio secondo nome," ghignò.
"Sì, in un mondo parallelo inverso a questo!"
sbottò, "Comunque, hai visto Shura, giusto? Lo
ha fatto, vero?"
"Mi pare ovvio. Te l'avevo detto, no? Saga ottiene
sempre quello che vuole."
Aphrodite storse le labbra,
"Saga è un pazzo, ecco cos'è."
"Può essere, le due cose non si
escludono,"affermò Deathmask, mordicchiando il filtro della sigaretta che
teneva ancora fra i denti, "Ma se lo pensi, perché sei qui?"
"E dove dovrei essere? Saga è folle, ma è anche
forte, e adesso la sua forza è quello di cui il Santuario ha bisogno, e di cui
anche noi abbiamo bisogno. E poi...beh, ci ha praticamente salvati! Il
Santuario nelle mani di quel fesso di Aiolos sarebbe
andato alla rovina!"
Deathmask rise di gusto,
battendo la mano sul tavolo. Ma Aphrodite, nonostante
la battuta, non rideva.
Non sorrideva neanche. Era serio, serio come poche volte Deathmask
l'aveva visto, tutto sommato.
Teneva fermamente la tazza, la punta delle dita ormai
bianche, le belle labbra lucide strette tra loro.
Deathmask sospirò, perdendo di
botto tutta l'ilarità che aveva, stravaccandosi maggiormente sulla sedia e
passandosi una mano fra i capelli bianchi.
Sapeva a cosa stava pensando l'altro e, tutto sommato,
era una cosa che anche lui si era chiesto più volte, in quei brevi attimi.
Ad occhi non esperti, Shura
sembrava più o meno se stesso, quasi normale. Parlava come al solito, si
muoveva come al solito. La mimica facciale era ancora quasi inesistente.
Però, chi lo conosceva davvero bene -e Deathmask osava infilarsi nel poco assortito gruppo di
persone che potevano vantare un tale privilegio- avrebbe capito facilmente che
qualcosa era diverso. Sbagliato, osava dire.
Gli occhi, innanzitutto, quasi sempre persi nel vuoto e
spenti. O i movimenti, usuali ma scattosi.
Aveva paura di vedere se fosse cambiato anche il suo modo
di pensare, prendere decisioni. Di certo, se prima aveva dei sospetti sul
Sommo, adesso questi erano spariti. A conti fatti, era appena diventato il più
sicuro degli alleati, per Saga, visto che non lo avrebbe mai tradito.
Perché per quanto la coscienza di Shura
fosse forte, Deathmask non era certo che si potesse
opporre resistenza al GenroMaoken.
O se Shura avesse la determinazione di farlo davvero.
Intanto, il piano di Saga era andato a buon fine.
Come si aspettava.
Ma la domanda che sorgeva spontanea a loro, a lui e ad Aphrodite, era se sarebbe mai tornato normale, se fosse
tornato lo Shura che avevano conosciuto da bambini.
O se, piuttosto, avrebbero dovuto abituarsi a questo.
"Meglio così che morto," sentenziò alla fine,
alzandosi.
Aphrodite non lo seguì, né lo
accompagnò alla porta come un buon padrone di casa.
Lui, che Shura avrebbe
preferito questo alla morte, non ne era tanto sicuro. A ben vedere, era quasi
certo del contrario.
Angolino Autrice:
E con questo spero si siano chiarite le perplessità che un
sacco di voi avevano sul povero Milo xD In verità, la
cosa che non si capisse bene cosa volesse a me ha fatto piacere, perché
rientrava nei miei intenti. Milo era diviso fra il voler aiutare un amico e il
voler fare quello che deve. Semplicemente non sa da che parte battere la testa,
come dice a Camus. Camus e Shaka, alla fine,
hanno preso la stessa decisione: restare a guardare, osservare in silenzio.
Almeno per il momento. Cam ho sempre avuto la sensazione fosse un po’
egoista, e credo di aver ribadito il concetto. Anche se qui, lo fa per Milo,
essenzialmente. Shaka, invece, da bravo verginello
quale è, se non ha le idee precise entra nel pallone. Come adesso.
E infine Saga, che ha davvero usato il GenroMaoken sul povero Shura. E qua ho
preso spunto da Episode G!
Lo userà anche su qualcun altro? Shaka? Vedremo :D
Un bacione, Asu
A Goro-Oh, quel giorno di tre
anni prima, la pioggia sferzava imperterrita. Eppure, nonostante questo Dohko era ancora lì, seduto sullo scoglio a strapiombo
sulla cascata. Era stato lì che quella lontana notte aveva sentito il pianto di
un bambino; una bambina, aveva scoperto in un secondo momento.
Neonata in fasce, per lei aveva fatto lo strappo di
alzarsi e raggiungerla, l'aveva presa e portata nella capanna dove un tempo
aveva abitato, ma che da secoli occupava a malapena. Lì l'aveva posta su un
giaciglio improvvisato, aveva scaldato il latte e l'aveva fatta bere. La
piccola, che doveva avere poco più di due anno, si era aggrappata a lui,
mangiando avidamente.
Dohko, anziano e
incartapecorito, non aveva fatto cenno di essere turbato da tutto quello. E
aveva deciso di tenere la bambina fino a quando qualcuno non sarebbe tornato a
riprendersela, e se così non fosse stato Goro-Oh era
comunque abbastanza grande per entrambi.
Lo aveva deciso perché, ad essere onesti, lui si sentiva
solo. Incredibilmente solo, adesso che non aveva neanche più Shion con cui parlare.
Negli anni la mancanza dell'amico si era fatta sentire,
pesante come macigni, e se possibile aveva fatto sì che le sue spalle si
incurvassero ancora di più.
Si rendeva conto, quindi, di non essere fisicamente
adatto a crescere una bambina. Poteva insegnarle tanto, ma non starle dietro
con facilità, e il Mesopethamenos non lo aiutava di
certo in agilità, nonostante fosse un sopravvissuto dell'ultima Guerra Santa.
Per questo motivo aveva chiamato Mu,
quella volta.
"Vieni qui. Ho
bisogno di te, amico mio," gli aveva detto solo questo, con tono
pacato.
Mu, però, che in quegli anni
aveva visto l'anziano maestro solo per allenarsi e che mai era stato contattato
direttamente da quest'ultimo, era arrivato un istante dopo, teletrasportandosi
alle pendici della cascata.
Dohko aveva riso della sua
espressione, del modo in cui si era guardato intorno; sicuramente aveva creduto
fosse successo qualcosa di terribile, mostruoso.
E invece si era ritrovato in braccio una bambina.
"Ma...maestro..."
"Sono troppo
vecchio per queste cose! Ti andrebbe di darmi una mano? In cambio, se vorrai,
continuerò ad insegnarti tutto quello che so!"
Mu aveva sorriso, sentendosi un
po' preso in giro. In quegli anni era venuto lì dallo Jamir
ogni giorno, per diventare più forte, e credeva di esserci riuscito. Adesso si
era ripromesso di concentrarsi sulla riparazione delle armature, per non
esserne da meno: Dohko però lo sapeva bene, che non
gli avrebbe mai detto di no, anche senza nulla in cambio.
Ed infatti, quando Mu aveva
accettato, si era fatto una sana risata, tornando poi alla cascata.
Ma non era stato Mu a crescere
la bambina, in quegli anni. Lo aveva aiutato nei primi tempi, quello sì, ma
adesso si presentava solo di tanto in tanto, con qualcosa da mangiare o dei
vestiti per lei, poiché Dohko non poteva lasciare
quel posto e non poteva occuparsene. Shunrei -così Dohko aveva deciso di chiamarla-, però, si era abituata
molto in fretta a stare lì con lui, pur essendo molto piccola.
Con gli anni, Mu aveva
insegnato a Shunrei a preparare il tè e il riso,
senza spingersi troppo oltre visto che era troppo piccola per occuparsi di
altro. Così, la bambina ne preparava sempre al vecchio, poi si sedeva accanto a
lui sulla roccia, quando c’era bel tempo. Con gli anni Mu
si era presentato sempre meno e Shunrei aveva
dimostrato di sapersela comunque cavare, per l’orgoglio di Dohko
che, messa da parte quella missione centenaria solo per qualche ora al giorno,
le stava anche insegnando a leggere.
Era stato lì che l'aveva conosciuta Aiolia,
quando era passato a Goro-Oh, di strada per una
missione affidatagli dal Gran Sacerdote. Dal Falso Patriarca. Seduta accanto a Dohko con un quadernino
regalatole da Mu aperto sulle ginocchia, e un
carboncino in mano.
La bambina aveva appena alzato gli occhi, gli aveva
regalato un enorme sorriso e salutato con la mano, poi si era alzata, ad un
cenno di Dohko, ed era sparita nella capannina dove
viveva, lasciandoli soli. Mezzo minuto dopo era sbucato da lì anche Mu, che gli aveva fatto cenno di raggiungerlo dentro,
accompagnata dalla lieve e singhiozzante risata di Dohko.
E nonostante la serietà di Mu
nell'esplicitare le sue perplessità, anche Aiolia si
era messo a ridere, quando gli aveva raccontato la storia, seduti davanti a due
tazze di tè che Aiolia non avrebbe mai assaggiato -lo
disgustava il modo in cui lo bevevano gli orientali, sapeva solo di acqua
sporca- e la bambina che adesso dormiva al fianco di Mu.
"Non c'è nulla da ridere, Aiolia."
"Hai ragione, scusami, è che...dovresti vedere la
tua faccia in questo momento, Mu, davvero! E'
esilarante!"
"Sono felice che tu ti diverta," storse il naso
Mu, "Io non posso dire altrettanto."
"Ci credo...beh, almeno ti tieni impegnato invece di
startene solo in eremitaggio!"
"Avevo da tenermi impegnato anche dov'ero."
Aiolia ridacchiò, "Sono
certo che il Roshi lo abbia fatto anche per te. Insomma…stare da solo sempre e comunque non è sempre una
buona idea. Credimi. Lo so bene."
Mu annuì, senza ribattere.
Ovviamente, ci avrebbe guadagnato anche lui, visto che allenarsi con Roshinon poteva che
portare buoni risultati, ma non era esattamente a quello che puntava quando
aveva abbandonato il Santuario.
Anche se, doveva ammetterlo, la solitudine dello Jamir
iniziava a dargli malinconia.
Ripensava costantemente al tempo che aveva passato lì con
Shion, ad allenarsi, a riparare armature. O anche quotidianamente.
Il modo in cui, d'inverno, lo avvolgeva stretto stretto
nelle coperte e gli dava un bacio sul capo, la notte. O quando, d'estate, lo
portava a fare un giro al villaggio, tenendolo per mano e sorridendo a quelli
che li additavano affermando che dovesse essere davvero un bravo papà. Mu era felice, quando lo dicevano, e si sentiva speciale.
Le cose più semplici da fare, come prepararsi la cena, in
quella pagoda diventavano strazianti.
La prima volta che aveva ripreso in mano lo scalpello dorato,
aveva pianto. Si era accasciato a terra e aveva pianto come un infante, la
soffocante consapevolezza che la voce di Shion nella
sua testa si era spezzata.
Sparita.
Non la ricordava più. Per quanto si sforzasse di
rimembrare quello che gli diceva nel momento di usare gli attrezzi, non
riusciva. Vedeva le parole, ma non sentiva il suono.
Shion non aveva più suono,
ormai, neanche nei suoi ricordi più belli. Non ricordava più la sua voce.
L'aveva scordata.
"Mu?"
Sobbalzò, sentendosi sfiorare dalla mano ruvida di Aiolia; così giovane eppure già ricoperta di calli e
ferite.
Leo aveva abbozzato un sorriso mesto, vedendo la reazione
dell'altro, "Sai? Credo ti faccia bene stare qui un po' ogni tanto. Sono
certo che Roshi lo abbia proprio fatto apposto, a
chiederti di venire ad aiutarlo con la bimba di tanto in tanto. Dimmi, quanto
tempo era che non avevi rapporti con nessuno, quando ti ha chiamato?"
"Otto mesi," ammise Mu.
Erano otto mesi che aveva smesso di venire a Goro-Oh,
e da un anno abbondante chenon vi si
recava comunque ogni giorno.
"Un sacco di tempo," sentenziò il Leone.
Mu sorrise, "Non so. Ma
non posso restare comunque a lungo, ogni volta."
"Metto la mano sul fuoco che non è quello che Roshi si aspetta! Il fatto che vieni di tanto in tanto ti
impedisce di impazzire, lì da solo. E Roshi lo sa."
"Forse. Ad ogni modo, Aiolia,
come mai sei passato di qui?"
"Volevo aggiornare il Roshi,
e chiedergli un po' di cose, in verità. Anche se credo che lui sappia cosa
succede al Santuario, chissà come."
"Parlane anche a me! Come sta Aldebaran?
Gli hai parlato, alla fine?"
"Sta benone, credimi, è ancora più grosso
adesso!" rise Aiolia, "E sì, in effetti sì.
Fin da quando sono tornato, a dire il vero."
"E...ti ha creduto?"
"Beh, sono vivo. Non mi ha denunciato. Non si è
espresso, ma mi è ancora amico. Per me vuol dire tanto. Con Milo e Camus non ho avuto il piacere di interloquire,
invece."
"Secondo Shaka sarebbe da
lasciarli fuori. Non sono pronti, e forse ha ragione. Conoscendo Camus, non si metterebbe in mezzo."
Aiolia quasi sobbalzò,
"Scusa? Shaka?"
"Sì. Mi sento regolarmente con lui. Sa tutto
e..."
"Ma l'ho visto, l'altro giorno, e non mi ha detto
nulla!"
"Preferisce non intervenire. Ma non ci è contro, Aiolia. Penso che per lui sia già tanto."
"Avrei preferito mi concedesse una chiacchierata
amichevole," sbuffò.
Fu il turno di Mu di ridere,
"Shaka è fatto così. Tendenzialmente credo sia
dalla nostra parte, anche se...secondo lui, l'impostore è una persona dal cuore
puro."
"Sì, certo. E io sono Zeus. Che gli salta di dire?
Ha ammazzato mio fratello!"
"Non ha saputo spiegarmi il perché preciso delle sue
convinzioni. Sesto senso, presumo, non ne è certo neanche lui."
"Stiamo messi bene," berciò il Leone, alzando
gli occhi al cielo.
Ci mancava solo l'indecisione della reincarnazione del
Buddha. Lui, se si fossero ritrovati a combattere, sarebbe stato capacissimo di
difendere l'impostore solo perché lo credeva "puro".
Come poteva essere puro uno così?
A furia di tenere gli occhi chiusi e vivere al buio
doveva aver iniziato a vedere cose che non c'erano, non aveva altre spiegazioni.
"Non essere così duro, Aiolia.
Ad ogni modo, concorda anche lui che per ora non si può far altro che
aspettare."
Aiolia, per risposta, strinse i
pugni, "Noi siamo già quasi sei anni che aspettiamo, e intanto quello là,
chiunque sia, non se ne sta con le mani in mano! Ha detto che Athena è di nuovo
al Santuario, sana e salva, e anche se so che è una bugia tiene di nuovo tutti
in pugno! Senza contare, poi, che ha libero accetto allo Star Hill e a tutte le
carte che avevano Shion e i suoi predecessori. Ha una
conoscenza illimitata, adesso, forse Athena l'ha già trovata e starà
progettando di ucciderla!"
"In quel caso interverremmo!"
"Sempre che qualcuno di noi rimanga sano di
mente!"
"Che intendi dire?"
Aiolia scrollò le spalle,
"Shura. Si sta comportando in modo strano, da
qualche giorno. Guarda caso, due settimane fa ha visto il Gran Sacerdote e
quando è uscito sembrava un altro."
E gli scocciava parecchio ammetterlo, ma persino lui
aveva notato la differenza. Perché era tanta.
Troppa, avrebbe osato dire. Erano gli occhi di un'altra
persone, anche se tutto il resto pareva lo stesso.
Persino lui se ne era accorto.
"Ho sentito parlare di un colpo simile, una
volta," ammise Mu, pensieroso, rigirandosi la
tazza ormai vuota fra le mani, "Un colpo in grado di controllare la mente
dell'avversario e costringerlo a fare quello che si vuole."
"Terribile..." e quindi, doveva forse pensare
che Shura ne era stato oggetto? E per quale motivo
farlo?
Shura aveva già obbedito
all'ordine peggiore di tutti, ammazzare la persona che più si fidava di lui, e
l'aveva fatto senza remore, Excalibur non aveva tentennato.
Quindi, dopo anni di servizio, dopo l'omicidio del
proclamato traditore, perché mai azzerare la sua volontà?
"Forse anche Shura
sospettava," azzardò Mu, leggendo
tranquillamente nell'espressione corrucciata di Aiolia
quello a cui stava pensando.
Il diretto interessato per poco non sputò a terra,
"Quello lì? Non farmi ridere, Mu! Quello non ha
dubbi, è un cagnolino obbediente! Niente più di questo: non farebbe mai il
contrario di quello che gli viene ordinato!"
"Ma, Aiolia, quella notte Shura non ha neanche avuto il tempo di pensare lucidamente!
Gli era stato detto che se non avesse agito la Dea sarebbe morta!"
"Non difenderlo, Mu! Forse
il bastardo che ha ammazzato il Sommo ha ordito il piano, ma la mano che ha
stroncato la vita di mio fratello è quella di Shura! Niente
lo giustificherà mai!"
Mu tacque, perché a continuare
quel discorso avrebbero davvero finito per litigare seriamente, e non ne aveva
voglia né intenzione.
Eppure, in quello che aveva raccontato Aiolia c'era qualcosa che non gli andava a genio. C'era
aria di tempesta, al Santuario. La nube nera che li aveva fino a quel momento
oscurati si era fatta più densa, più fitta.
A sei anni dalla Notte degli Inganni il traditore stava
cercando un altro modo per dividerli.
"Stai attento, Aiolia: ho
una brutta sensazione. Se ha usato quel colpo su Capricorn
deve essere molto potente, e sa che tu gli sei contro."
"Non mi importa, non ho paura. Cha faccia pure, sono
pronto!"
Mu sospirò, "C'è anche
un'altra cosa che temo, Leo. Se ha trovato una scusa per far stare Saga così
tanto tempo lontano dal Santuario, forse potrebbe farlo anche con gli altri.
Potrebbe isolarti di nuovo, mandando via Al e anche gli altri."
"Hai ragione. Saga non è ancora tornato. Ma era già
via, quando è successo."
"Però c'è sicuramente un motivo diverso, se non è
tornato."
"Forse," ammise Leo, "Ad ogni modo non mi
interessa. Se per non farsi scoprire vuole mandarli tutti via, va bene lo
stesso. Sono pronto anche a stare da solo. Gli strapperò via quella maschera e
mostrerò a tutti quanti chi c'è sotto, prima o poi. E' una promessa che faccio
a mio fratello!"
Mu non gli aveva detto altro,
dopo quella dichiarazione d'intenti. Era preoccupato, quello sì, ma non poteva
farci niente; Aiolia non era più un bambino, stava
diventando un uomo come lo stava diventando lui, poteva benissimo cavarsela da
solo. Era, anzi, bene che imparasse a controllarsi senza che fossero lui o Aldebaran a fermarlo prima che fosse tardi.
Anche se Mu voleva credere
ancora che Aiolia fosse abbastanza accorto da evitare
di finire volontariamente nei guai, considerando che aveva incontrato il Sommo
due giorno prima, quando gli aveva affidato la missione, ed era riuscito a
venire lì a raccontarglielo.
Coprì Shunrei con la copertina
rosa con cui, a quanto ne sapeva, era stata trovata, poi uscì dalla capannetta per raggiungere l'anziano maestro alla cascata.
Di norma, si sedeva accanto a lui e meditavano insieme, ed era quello che aveva
intenzione di fare anche quel giorno; gli si mise affianco, gambe incrociate e
mani sulle ginocchia, ma fu Dohko ad interromperlo
prima ancora che iniziasse, voltandosi verso di lui.
"Il giovane Leone è partito?"
"Sì maestro," rispose subito Mu, "In missione per conto dell'impostore. Gli ho
detto di venirvi a parlare, ma..."
Dohko rise appena, mesto eppure
sinceramente divertito, "Non ti preoccupare, il giovane Leone ha la testa
fra le nuvole, ultimamente. E' comprensibile."
Mu annuì per poi tacere,
aspettando che fosse Dohko stesso a parlare, visto
che lo aveva interpellato.
Ma l'anziano maestro era tornato a voltarsi verso la
cascata, assente, in contemplazione.
Sembrava stranamente assorto, più del solito, quasi
melanconico, avrebbe detto. Non sapeva se fosse stata la presenza di Aiolia lì a Goro-Oh a
rattristarlo, se avesse percepito qualcosa che a lui era sfuggito o se,
semplicemente, fossero i pensieri di un uomo anziano e nostalgico, ma la
sensazione che trasmetteva era di profonda amarezza .
Si alzò e tornò alla casa, mettendo a fare dell'altro tè.
Quello di prima era ormai freddo, la tazza di Aiolia
era ancora piena, per altro, ma non poteva certo dargli quello.
Quando fu certo che fosse pronto tornò da lui e gli
poggiò la tazza accanto, sempre in silenzio.
Dohko a quel gesto si riscosse,
"Molto gentile."
"Va tutto bene, maestro?"
"Va tutto bene, mio giovane amico," soffiò sul
liquido ancora bollente, tenendo saldamente in mano la tazza, "La presenza
di soppiatto del giovane Leone qui a casa mia mi ha ricordato i vecchi tempi, e
mi sono un po' distratto," ammise.
Mu annuì, "E'
comprensibile."
"Tu non lo sai, ragazzo, ma Shion
veniva spesso a trovarmi! Anche se, a conti fatti, non avrebbe dovuto farlo
affatto," rise l'anziano, "Usciva di nascosto dalla tredicesima e
veniva qui, portandomi sempre un po' di sakè da bere in compagnia!"
"Davvero? Il mio maestro?"
"Oh, sì! Eccome se lo faceva!"
Non era previsto che il Gran Sacerdote lasciasse il
tredicesimo tempio senza permesso o senza un reale motivo, e Shion era sempre stato molto ligio ai suoi doveri. Ma non
riusciva proprio a negarsi costantemente all'amico di vecchia data.
I primi tempi, duecento anni addietro, le scappate erano
rarissime: Shion era giovane e inesperto e aveva il
terrore, anche se non l'avrebbe mai ammesso, che la sua assenza potesse creare
problemi. Perché non aveva nessuno sopra di lui che potesse sgridarlo, era
vero, ma che cosa sarebbe successo se in due ore fossero stati attaccati? O
fosse pervenuto qualche altro guaio?
Qualche volta aveva chiesto a Teneo
di gestire il Santuario al posto suo, e il giovane Toro si era sempre
dimostrato all'altezza del suo compianto maestro, ma era anche un ragazzino, e Shion si sentiva in colpa ad affidargli compiti gravosi.
Così, fino alla fine della ristrutturazione totale del Santuario, non si erano
più visti, e a volte mancava anche il tempo per una sana conversazione.
Ma poi le cose si erano stabilizzava, altri cavalieri,
d'argento e di bronzo, erano giunti a reclamare le loro armature, e anche se
con la morte di Teneo i Gold
erano venuti definitivamente a mancare per un secolo e mezzo, Shion ormai sentiva la sicurezza di sapere quello che stava
facendo.
E allora, di tanto in tanto ma non troppo spesso, nessuno
gli impediva di lasciare il Santuario per due ore, bottiglia di sakè e casacca
scura alla mano. Si teletrasportava lì a Goro-Oh e
silenzioso gli si sedeva accanto, versando a Dohko
una cospicua dose di alcolico.
Dohko lo accoglieva sempre con
una risata, ricordandogli che non avrebbe dovuto essere lì, ma Shion rispondeva con una scrollata di spalle, "A volte la cosa più saggia da fare è
sedersi a parlare con un vecchio amico, non trovi anche tu?" era la
sua giustificazione. Dohko rideva e lo ascoltava
parlare, gli raccontava come andavano le cose, gli descriveva i giovani allievi
che aveva trovato o che erano giunti a lui, gli chiedeva consigli.
Spesso due ore diventavano l'alba, e Shion
allora si rialzava stanco ma felice, e sereno, lo salutava con un cenno della
mano e la promessa che non avrebbe fatto passare troppo tempo per il prossimo
incontro. Poi lo lasciava, di nuovo da solo. Grato di avere un amico così caro.
L'ultima volta si erano visti un mese prima del suo
assassinio, e a posteri Dohko era ormai certo che Shion conoscesse già il suo destino, o lo intuisse. Eppure,
non gli aveva mai detto nulla. Non aveva mai fatto cenno alla follia di Saga,
neanche una volta.
"E' un ragazzo
strano," diceva col sorriso,
"In lui c'è una luce accecante, sai? Ma ho timore che la luce nasconda
anche ombre, e adesso che Athena è rinata su questa terra bisogna fare attenzione."
"Non ti fidi
del ragazzo?"
"Saga è un
cavaliere retto e giusto, ma puntargli contro altra luce potrebbe creare
problemi. Temo per la sua stabilità emotiva."
"Non hai
risposto alla mia domanda."
"Hai ragione, Dohko, perdonami. La vecchiaia si
fa sentire anche per me, cosa credi?" la risata di ShionDohko la ricordava ancora, non più cristallina come
in giovane età ma ancora tiepida e calda.
Gli mancava. Ah, se gli mancava.
"Mi fido di
tutti i cavalieri che sono giunti a noi in questi anni, ma memore di Deuteros e Aspros non posso
ignorare la stella oscura che avvolge la costellazione dei gemelli."
"L'hai notata
anche in lui?"
Shion aveva scosso il capo, "No. Ma il suo gemello, Kanon, che Saga crede di avermi tenuto nascosto a Rodorio, sì. Quel ragazzo è come Aspros.
Saga è puro e giusto, ma non voglio dare al giovane Kanon
motivi e strumenti, capisci?"
"Capisco.
Quindi sceglierai Sagitter!"
"Sì. Credo sia
la scelta migliore per tutti."
"Come la
prenderà il ragazzo?"
"E'
intelligente. Capirà."
"Bene. Allora,
raggiunta la pensione mi auguro che verrai a tenermi compagnia più spesso,
vecchio mio!"
"Pensione? Un
Saint di Athena non va certo in pensione, Dohko,
inizi a dare i numeri? Ti prometto che verrò di più, però, questo posso farlo.
Magari al tuo compleanno, che ne dici? Sono duecentoquarantotto quest'anno, mi
sbaglio?"
"Ho smesso di
contare l'età da molto, molto tempo."
Shion gli aveva risposto con un
sorriso, un altro bicchiere di sakè e una pacca sulla spalla, prima di
andarsene.
Era l'ultimo ricordo che Dohko
aveva di lui, l'ultimo sorriso del suo migliore amico.
Non era venuto il venti ottobre, quell'anno, e poco dopo Dohko aveva dovuto dirgli addio.
"Era un grande eroe, il tuo maestro. E un prezioso
amico."
E Saga glielo aveva portato via, e adesso stava creando
scompiglio in tutto il Santuario, anche se in apparenza non sembrava. Ma era
ovvio che le cose sarebbero peggiorate. Avere lì tutti quanti i Gold era pericoloso, per lui. Chi aveva dubbi rischiava di
schierarsi contro di lui, e non poteva permetterlo.
Ma Saga era anche un tipo ragionevole, se qualcosa di lui
era rimasta, quindi non temeva per la vita degli altri. Non dei Gold, almeno.
"Roshi, posso farle una
domanda?"
Dohko si girò verso di lui, la
lunga barba bianca a coprire le labbra sottili e screpolate piegate in un
sorriso paterno, "Naturalmente, ragazzo."
Mu tacque per un lungo istante,
lo sguardo serio, determinato. Lo stava sondando, e Dohko
per un solo istante rivide Shion in quel ragazzo, lo Shion diciassettenne che aveva conosciuto al Santuario
quando era diventato Saint, anche se Mu era più
giovane. Ma gli occhi erano quelli, la compostezza era quella.
Solo per un attimo, però. Poi lo sguardo tornò dolce,
melanconico.
Mu era diverso da Shion, molto. Ma a volte Dohko
non poteva che notare le poche somiglianze, nella postura, nello sguardo, nel
modo di porsi al prossimo.
"Lei lo sa, vero? Chi è l'impostore. Chi ha ucciso
il mio maestro."
Dohko non perse il sorriso, ma
si volò di nuovo. Ah, perspicace proprio come lo era stato Shion.
Di certo gli aveva insegnato bene, anche se aveva avuto poco tempo.
"Chi lo sa, giovanotto? E' davvero importante?"
"Lo sarebbe, se fosse uno di noi. L'altra volta ad Aiolia ha detto che è molto più forte, e noi eravamo molto
giovani, lo siamo ancora ma...Anche Aiolia ha detto
una cosa giusta: noi siamo Gold Saint! E anche il
maestro lo era! Quindi chi? Chi ha avuto questo potere?"
Dohko sospirò, "Shion era vecchio, Mu. E stanco.
Molto stanco. Il fatto di essere un ex Gold Saint non
ha influito, poiché non si è difeso."
"Quindi si è arreso. Mi ha abbandonato così, ha
abbandonato tutti noi..."
"Non lo ha fatto. Shion ha
preso una decisione che in quel momento era quella che riteneva più giusta. Non
giustifico il suo assassino, ma ricorda, Mu, che a
volte le cose vanno ben oltre quello che vediamo e percepiamo."
"Che vuol dire...?"
"Che forse, tutto sommato, il tuo amico Virgo non ha tutti i torti."
"Come...come fa a sapere di Shaka?"
borbottò, stupito. Per quanto tempo avesse passato a Goro-Oh,
Mu era certo di non aver mai nominato gli altri,
escluso Aiolia, né si era mai permesso di giudicare o
discutere del loro pensiero.
Dohko rispose con una risata di
gola, "Ah, Mu. Ci sono molte cose che ancora non
capisci!"
"Ad esempio? Sta davvero dicendo che anche lei pensa
ci sia del buono in quell'uomo?"
"Shion lo pensava,"
rivelò, serio, "Anzi, ne era certo. Gli dava la sua piena fiducia."
"Ed è stato tradito! Eppure lei parla ancora
così!"
"Mi fido di Shion."
"Ma è morto, Roshi! Ed è
stato quell'uomo ad ucciderlo!" si alzò di scatto, davanti al ritrovato
silenzio dell'anziano maestro, irritato come poche volte lo era stato in vita
sua.
E ancora non aveva un nome.
Eppure, aveva scoperto che era una persona degna della
fiducia di Shion, forse in parte del suo affetto, ma
che lo aveva tradito e pugnalato alle spalle. Letteralmente. E non erano molte
le persone con tale privilegio al di fuori del Gold
Saint. E lui le conosceva. Tutte.
Quindi chi? Chi era stato?
Oppure...non era al di fuori della casta Dorata. Dohko non si era espresso su quello.
Ma chi? Per quanto vagliasse tutti i suoi compagni, da Aldebaran ad Aphrodite, non c'era
nessuno che avrebbe potuto.
Una persona, però, mancava dal Santuario da anni, come
aveva fatto notare Aiolia poco prima.
Saga.
Saga che non si vedeva dalla mattina precedente a quella
dannata notte.
Saga che aveva meritato l'affetto e la stima di Shion, per quanto non era stato lui la scelta di Shion come successore.
Saga, lo stesso Saga così amato dal popolo, dai bambini.
Quello che li aveva cresciuti insieme ad Aiolos.
Il Saga che gli aveva insegnato le basi del
combattimento, prima che l'addestramento li dividesse. Il paziente Saga che
aveva insegnato il greco persino a uno come Deathmask.
Sorridente e buono. Ma anche severo all'occorrenza.
Saga la fiducia di Shion ce
l'aveva eccome, ma allora perché? Smania di potere? Solo questo?
No. C'era qualcosa, qualcosa che non aveva mai notato nel
Saint di Gemini.
Qualcosa che avrebbe potuto giustificare il cosmo percepito quella notte. Un
Cosmo strano, sconosciuto e familiare al tempo stesso.
Scosse il capo con forza e i capelli biondi, ancora
corti, gli frustarono il volto.
No. Stava sbagliando.
C'era sicuramente una motivazione logica all'assenza di
Saga al Santuario dopo anni dall'incidente. Doveva esserci.
"Quando torni, potresti portare qualcosa per la
bambina? Dal villaggio mi viene consegnato solo cibo, acqua e latte," gli
disse d'un tratto Dohko, un istante prima che si
teletrasportasse in Jamir. Come se lo sapesse già.
Ma doveva essere così, in effetti. Doveva aver intuito il
suo bisogno di restare solo.
ANGOLINO-INO AUTRICE:
La storia di Shion che va a
trovare Dohko l’ha detto Kurumada
in un’intervista. Quando l’ho letto ho amato la scena, non ci posso fare niente
**
Come vedete, è arrivata Shunrei! E questo significa
che presto arriveranno anche i nostri baldi Bronzini! E che la storia è quasi
terminata =)
Quale sarà la prossima mossa di Saga?
Un bacione care! Asu
Milo rigirò il bicchiere di Vodka che Camus
gli aveva messo davanti poco dopo essere arrivato. Era stato Camus ha chiamarlo, stranamente.
Non lo faceva mai. Per quanto fossero amici, la verità
era che a fare il primo passo doveva essere sempre lo Scorpione. Non era
cattiveria, quella del glaciale Camus, quanto più
distrazione. Non ci pensava, semplicemente. Ma quando andava lui, Milo sapeva che
era quasi sempre felice di vederlo.
Quasi.
Perché c’era sempre quel margine di fastidio che uno come
Milo sapeva causare anche all’uomo più paziente, e no, non Shaka:
Shaka diceva di essere la reincarnazione del Buddha,
di certo era forte, ma la pazienza tanto declamata non era una sua virtù. Non
la principale, per lo meno. Se si rompeva il suo sacro silenzio, Shaka diventava la persona più umana della terra; espandeva
il cosmo in maniera aggressiva e ti faceva uscire dalla Sesta che lo si volesse
o meno.
No. Paziente Milo era una qualità che avrebbe affidato
più a persone come Aldebaran, o a Mu.
A Mu, che però non vedeva da sette anni, e chissà
com’era diventato in quel lungo lasso di tempo.
Ma Camus ormai lo conosceva,
quindi salvo quelle rare volte in cui proprio non lo sopportava, era sempre
contento di vederlo.
Ma non lo cercava comunque mai per primo. Per questo
quell’invito era risultato strano.
Neanche dopo il loro ritorno dall’allenamento, un anno
prima ormai, lo aveva fatto. Era stato Milo ad andarlo a cercare, e ad
intrufolarsi della fredda dimora del padrone delle Energie Fredde per più di
una sera di fila. Per parlare.
Per dirsi quello che non si erano potuti dire in quei sei
anni di allenamento.
Ma l’atmosfera fra loro si era comunque fatta più
pesante, dopo la loro conversazione di quel lontano giorno.
Milo era ancora convinto di dover fare qualcosa. Camus no.
Così, parlavano solo di sciocchezze, senza più vagliare
argomenti che avrebbero dovuto realmente interessarli.
Ma quel giorno Milo aveva la sensazione che le cose
sarebbero andate in maniera diversa.
Camus l’aveva accolto con un
bicchiere di Vodka e gli aveva fatto cenno di sedersi sul divano. Poi si era
seduto a terra, dove di solito sedeva Milo.
La pesantezza che si sentiva all’altezza del petto era
paragonabile solo a quella che aveva avvertito quando aveva rivisto Aiolia un anno prima.
Uno scambio di sguardi solamente, tesi e penetranti. Non
c’era stato bisogno di parlare, quel giorno.
Aiolia gli puntava il dito
contro. A lui, che sottostava ancora a testa bassa agli ordini del Gran
Sacerdote. A lui, che era uno sciocco a non aver ancora capito nulla. O che
aveva capito, ma fingeva l’opposto.
E aveva ragione, Aiolia. Aveva
ragione da vendere.
Non si erano più parlati, da quel giorno. Anche in Arena,
durante gli allenamenti, si limitavano a scambiarsi colpi e sguardi. Non una
parole.
Era evidente che Aiolia non lo
riteneva più degno. Come dargli torto.
Solo Aldebaran e Marin avevano quel privilegio. Sempre che di privilegio si
potesse parlare, ormai.
Rivolgere parola al fratello del traditore, al
raccomandato Aiolia di Leo, senza riceve contro i
suoi colpi più tremendi.
Milo aveva buttato giù e ci aveva fatto il callo.
L’istinto gli diceva che doveva agire, ma neanche Aiolia osava. Lo accusava con gli occhi, ma taceva a sua
volta ed eseguiva. Quindi, con che coraggio screditava lui?
No. Milo non era un genio, ma non occorreva esserlo per
capire che non era il momento.
Non ancora.
Non c’era niente ad unirli, erano divisi e disgregati.
Shura, Aphrodite
e Deathmask si sarebbero schierati con il Gran
Sacerdote, Shion o chiunque fosse.
Shaka non aveva idea di cosa
avrebbe fatto, ma l’istinto gli diceva che sarebbe stato dalla stessa parte di Camus: nessuna delle due fazioni. Neutrale, senza
sbilanciarsi.
Aiolia, Aldebaran
e, se si decideva a tornare, Mu. Solo loro tre
c’erano ad opporsi al Sacerdote. E Milo, che però ancora non sapeva che fare.
Ad ogni modo, erano divisi. Non sarebbero andati da
nessuna parte.
Lo sapevano tutti, per questo la situazione era ancora
perfettamente com’era stata da dopo la Notte degli Inganni. E nessuno si
azzardava a far nulla.
Ma Milo era certo anche che le cose un giorno, molto
presto, sarebbero cambiate.
E allora anche Camus avrebbe
dovuto prendere una decisione.
“Sai, Cam, non per qualcosa, ma
non mi sento molto a mio agio con te seduto lì,” ammise alla fine Milo,
decidendosi a parlare.
Camus sorrise appena,
scolandosi la metà rimasta nel bicchiere. “Così capisci cosa provo io ogni
volta.”
“Non pensavo che ti desse fastidio! Dai, siediti qui.”
“Sto bene qui, Milo,” sentenziò. Nient’altro uscì dalle
sottili labbra del rosso per svariati minuti.
Milo iniziava davvero a pensare al peggio. Che mai doveva
dirgli?
Perché qualcosa doveva dirgli, era ovvio.
“Taglia corto e basta, Camus.
Stiamo solo perdendo tempo.”
Camus poggiò il bicchiere a
terra, il dito sul margine esterno. Con una lieve pressione lo fece girare due
volte, poi tornò a farlo poggiare per intero sulla superficie del pavimento.
“Immagino tu abbia ragione,” fece. Non c’era nervosismo
nella sua voce, nemmeno la più piccola traccia. Eppure, le dita snelle che
giocherellavano con la superficie liscia e trasparente lo tradirono.
Sa mentire, Camus, questo era
ovvio.
Ma non a lui. A lui mai. Si conoscevano da troppo tempo,
e troppo bene.
“Domani sera partirò per la Siberia. Tornerò nella terra
in cui mi sono allenato in questi anni, di nuovo.”
Milo annuì. “Okay. Beh, se c’è una missione da affrontare
in quelle terre impervie è ovvio mandino te. Sei il più adatto. Quanto tempo
starai via?”
“Sei anni.”
Milo sgranò gli occhi, l’azzurro del mare di Grecia a
perdersi nello scuro cielo Siberiano. La tranquillità con cui Camus l’aveva detto cozzava in maniera spaventosa con tutto
il teatrino fatto fino a quel momento per rivelarglielo.
“Scusami?”
“Hai capito, Milo. Come saprai, c’è un’altra armatura, di
Bronzo, custodita fra le fredde terre Siberiane: quella del Cigno. La prossima
settimana arriverà un pretendente, Isaac. E fra qualche mese ne giungerà un
secondo dal Giappone, dicono. Mi è stato dato il compito di addestrare entrambi
e decidere chi sarà il degno Bronze Saint del Cigno.”
“Ah.” Milo si zittì di nuovo.
Mandavano Camus ad allenare due
sbarbatelli. Non era una cosa così insolita, che un Gold
Saint seguisse gli allenamenti degli altri Cavalieri di ranghi inferiori,
certo, ma Camus aveva solamente quindici anni,
compiuti da poche settimane per altro.
Era forte, sì, certo, ma se la sarebbe cavata?
“Quanto hanno?”
“Sette e sei anni.”
Milo annuì, “Ho capito perché sei nervoso, allora.”
Avrebbe dovuto crescerli lui. Da solo, perché in Siberia
chi sarebbe mai andato ad aiutarli?
Doveva creare da zero quei piccoli futuri cavalieri. Ma
erano solo dei bambini.
Camus sapeva a malapena
cavarsela da sé, nella vita di tutti i giorni. E adesso lo mandavano ad
occuparsi di due bambini.
“Non credo di essere nervoso. Però…non
credo neanche di essere il più adatto.”
“Io invece credo di sì. Non per il tuo potere. Proprio
perché sei tu, Cam.”
Camus scosse il capo, tacendo.
Certo, l’idea di dover andare a crescere due bambini non lo rendeva tranquillo
e non sarebbe certamente partito sereno, ma non era solo quello a preoccuparlo.
Quei due bambini sarebbero diventati due Saint, ed era a quello che doveva
pensare lui. Il suo maestro non aveva avuto remore con lui solo perché era
molto più piccolo degli altri aspiranti cavalieri, e lui non sarebbe stato da
meno.
Da adesso per quei due ragazzini non c’era più tempo per
problemi infantili di normali ragazzi. Il loro destino era un altro.
Lui avrebbe tirato fuori i Saint, li avrebbe resi degli
uomini degni della Cloth.
Sapeva di potercela fare, anche se non sarebbe stato facile.
L’idea di crescere qualcuno, quando lui stesso stava ancora
crescendo, lo faceva tremare.
Ma non era questo che lo preoccupava davvero. Non solo,
non fino in fondo.
Fino a quel momento era stato l’unico a frenare Milo, lì
al tempio. E aveva paura, era il caso di dirlo, che senza di lui se fosse
successo qualcosa che avrebbe coinvolto Aiolia, Milo
si sarebbe messo in mezzo. E lo sapevano tutti che, contro quell’impostore del
Gran Sacerdote, in quel momento poteva facilmente trasformarsi in morte certa.
“Di tanto in tanto dovrò comunque tornare a fare rapporto
con il Gran Sacerdote,” disse dopo un po’. Gliene aveva chiesto almeno uno
all’anno, l’impostore, e su due piedi Camus si era
chiesto come mai quella regola non fosse valsa anche per Saga, che non si era
più fatto vedere da quando era partito per quella presunta missione.
Sempre che fosse in missione. Camus
ne dubitava.
Ma se gli avessero chiesto dove fosse finito il Saint di
Gemini, più che alzare gli occhi verso il Tredicesimo Tempio Camus non avrebbe saputo rispondere.
Milo scrollò le spalle con apparente indifferenza, “Beh,
quando torni fai un fischio, che se non ho niente da fare ci facciamo un altro
bicchierino,” mormorò, versando altra Vodka in tutti e due i bicchieri e
tracannando velocemente il suo.
L’idea che Camus partisse per
la Siberia di nuovo, e questa volta lasciandolo indietro e solo lì al
Santuario, non lo metteva a suo agio. Per nulla.
Negli ultimi tempi Camus
dell’Acquario era stato il suo unico amico. Il rapporto con Aiolia
era ormai distrutto e per quanto Aldebaran fosse una
brava persona, non era la stessa cosa.
E l’atmosfera, lì al Santuario, negli anni in cui erano
stati via era diventata di una pesantezza soffocante, per chiunque avesse
abbastanza cervello da capire che no, quel Gran Sacerdote non era affatto Shion.
Milo non aveva paura di esserne schiacciato, era un Gold Saint e non avrebbe mai avuto paura di un fantasma di
cui non conosceva neanche il volto. Ma non sarebbe stato facile rimanere al suo
posto, senza Camus a tenerlo in riga.
Fin troppe erano state le volte in cui avrebbe voluto
salire le scalinate che lo dividevano dal Tredicesimo, scacciando via chi gli
si sarebbe parato di fronte, per arrivare al Sacerdote e strappargli di dosso
quella dannata maschera.
E se non lo aveva fatto era stato solo grazie alla
presenza dell’Undicesimo Saint Dorato.
“Quindi non ho bisogno di chiederti di fare attenzione ai
tuoi attacchi di eroismo, che ti porterebbero solo alla morte.”
“Non credo che servirebbe a qualcosa,” mormorò anche
Milo, stravaccandosi sul divano a gambe larghe, “Voglio dire, hai visto Shura? Non voglio mica ridurmi in quello stato!”
Camus aggrottò le sopracciglia,
“Shura è sempre stato fedele al Gran Sacerdote.”
“Se lo dici tu. Quello che so è che il bastardo non può
comunque decimare i Gold Saint. Ho la sensazione che
a mettersi contro di lui da soli si otterrebbe ben di peggio…”
“Lo penso anche io. E te lo ripeto, Milo, non sono affari
nostri. Noi abbiamo il compito di proteggere la Dea, tutto qui. Il resto non ci
compete.”
Milo storse il naso, per nulla convinto di quello che
l’altro diceva. “Sì, certo. Ma siamo sicuri che la Dea sia dove lui dice che
è?”
“Finché nessuno mi proverà l’opposto, non mi fermerò per
qualche dubbio insulso.”
“Ma se Athena non fosse davvero qui, noi chi stiamo
proteggendo?”
“Il suo Tempio, nel quale è comunque destinata a tornare.
La Guerra Sacra è alle porte, siamo nati per questa. Che sia qui, che sia morta
quel giorno con Aiolos, o che sia altrove, non
importa; il destino la riporterà qui, per guidarci.”
“Hai ragione,” ammise quindi Milo.
Come sempre. Camus aveva sempre
ragione, dopotutto.
“Quello che dobbiamo fare è attendere, Milo. Rimanendo al
nostro posto,” affermò Camus, tirandosi finalmente in
piedi e avvicinandosi invece all’amico, stravaccato sulla poltrona. “Quando
Athena tornerà la riconosceremo, e allora potrai strappare la maschera
dell’impostore. Fino a quel momento, morire o diventare il suo burattino non
servirà a niente.”
Milo sospirò, poggiò il bicchiere di nuovo vuoto a terra
e si alzò a sua volta.
Uno di fronte all’altro, Milo si limitò a dargli una
pacca sulla spalla. “Non farò nulla se non succederà nulla che non mi
costringa. Tu, piuttosto, cerca di non massacrarli troppo, quei bambini!”
“Farò quello che devo per creare dei Cavalieri che
possano lottare al nostro fianco.”
Cina. Goro-oh. 8 Settembre 1980.
Dohko aveva temuto il peggio,
quando Mu aveva lasciato Goro-oh
quel giorno.
Che tornasse in Grecia a prendersi la sua vendetta, a
prendersi la testa di Saga, adesso che aveva capito chi fosse l’impostore. Chi
era l’assassino che, sfruttando l’affetto di Shion,
lo aveva poi ucciso.
Ma Mu non aveva fatto nulla.
Era un ragazzo intelligente, Dohko
lo sapeva. Shion glielo ripeteva sempre, orgoglioso.
E aveva ragione.
Non erano abbastanza uniti, i Gold
Saint della Dea Athena.
Molti erano ancora indecisi, alcuni avevano scelto la
fazione sbagliata.
E Saga aveva il vantaggio di avere un intero Santuario ai
suoi comandi, ai suoi piedi.
Aveva taciuto, quindi. Aveva taciuto la verità ad Aiolia, per proteggerlo dai suoi stessi colpi di testa, ben
sapendo che neanche Aldebaran sarebbe riuscito a
placare la sua ira se avesse saputo che ad ordire la morte di Aiolos era stato proprio il suo più caro amico, l’uomo di
cui più si fidava in quel periodo.
E aveva taciuto anche con lui. Per mesi, non aveva
risposto ai messaggi mentali di Dohko. Il silenzio
era tornato ad essere il suo unico amico, rotto stavolta solo dalla presenza
della piccola Shunrei.
E poi, nove mesi dopo, gli era arrivata una missiva, che
gli annunciava la venuta dal Giappone di un pretendente per l’armatura del
Dragone.
L’attesa era finita, ormai era agli sgoccioli.
Certo, forse qualcuno avrebbe potuto criticare la loro
stasi in quei lunghi anni, ma il destino aveva mosso le sue carte e loro,
semplici marionette del fato, lo avevano atteso con pazienza perché era quello
il loro compito.
Athena, la vera Athena, non quella di cui aveva
annunciato la presenza al Santuario Saga, si era quasi risvegliata e stava
richiamando a sé i suoi guerrieri.
Uno ad uno le forze si sarebbero riunite, stavolta sul
serio, e a quel punto neanche Saga avrebbe potuto fare nulla se non arrendersi
o morire.
Sperava, Dohko, che la resa e
il pentimento sarebbero state le prossime mosse del falso Sacerdote, in un
attimo di lucidità. Mai avrebbe voluto perdere un altro Gold
Saint, dopo Aiolos. A Shion
si sarebbe spezzato il cuore, se fosse stato lì.
Ma l’esperienza e il sesto senso gli dicevano che non era
quella la fine che sarebbe spettata al Saint di Gemini, quando si sarebbe
trovato d’innanzi alla realtà del fatti, all’inutilità di un piano che l’aveva
portato ad ingannarsi per tredici anni senza portarlo ad ottenere quello che
davvero bramava. Quello per cui aveva ucciso Shion e
il suo migliore amico, Aiolos.
E sperava, in cuor suo, che almeno una piccola parte del
cuore di Saga fosse ancora dalla parte della giustizia, di Athena, per permettergli
di risparmiarsi tutto quello.
“Roshi…”
Non si scompose affatto di sentire la voce di Mu alle sue spalle, improvvisa eppure attesa. Non voltò
neanche il capo verso di lui, ma aprì gli occhi vispi e li puntò in basso,
nelle acque limpide che nascondevano l’armatura del Dragone.
“E’ tanto che non
ci sentiamo né vediamo, giovane Mu. Perché non ti
siedi qui con me e fai compagnia ad un povero vecchio?”
Mu sorrise, mesto, ma si
sedette comunque sui talloni poco dietro di lui, “Chiedo scusa per il mio
silenzio di questi lunghi mesi.”
“Non importa. Lo capisco. Hai appianato i tuoi conflitti
interiori, Mu?”
“Credo di sì,” ammise, “Anche se non capisco. Non riesco
davvero a capire come proprio lui possa aver fatto una cosa simile. Fra tutti,
proprio Saga…E lei e il mio maestro lo sapevate, ma
non avete fatto nulla per impedirlo!”
“Fin dal loro arrivo al Santuario, Shion
aveva capito che qualcosa non andava, in quei bambini. Ma non c’era niente che
potesse fare.”
“…loro, Roshi?
Loro chi?”
“Saga e l’altro bambino. Il suo gemello: Kanon.”
Mu sgranò gli occhi. Non lo
sapeva. Non sapeva che Saga avesse un fratello gemello, non lo aveva mai visto.
O forse sì, senza neanche saperlo?
“Ti vedo perplesso, Mu. Non lo
sapevi, come nessun’altro a parte me, Shion e i
diretti interessati.”
“Ma…perché?”
“Perché era meglio così per tutti. Kanon
è malvagio, e Shion ha provato in ogni modo a
proteggere l’animo puro di Saga, non reputandolo neanche degno di un’armatura.
Memore dei nostri compagno Saint di Gemini, ai tempi della precedente Guerra
Sacra, Shion aveva allontanato Kanon
dal santuario per tenerlo d’occhio. Ma non è bastato. Qualcosa in Saga si è
comunque oscurato.”
Mu tacque, la mente
sovraccarica di informazioni in così poco tempo, e tutte così preziose.
Non sapeva che Saga avesse un fratello gemello, e come
poteva? Neanche gli altri ne erano a conoscenza.
L’unica cosa a cui adesso riusciva a pensare era il Cosmo
percepito quella notte di sette anni prima. Quel Cosmo che somigliava a quello
di Saga, ora che ne conosceva l’identità, ma non era il suo. Non era il suo, o
l’avrebbe riconosciuto.
E come faceva Dohko ad essere
certo, allora, che non fosse stato proprio quello di Kanon?
Erano gemelli. Avevano un cosmo diverso, certo, ma simile
al tempo stesso.
“Non è Kanon l’impostore,” la
voce di Dohko lo fa sobbalzare, quasi, fermando i
suoi pensieri sul nascere come se gli avesse letto la mente. “Shion aveva pensato che l’unico pericolo riguardasse Kanon, e aveva allontanato i bambini. Ma non era così. Saga
stesso era diviso a metà. Una parte buona e una parte malvagia. Contaminato da
uno spirito maligno di cui Shion non è mai riuscito a
carpire davvero l’origine, e da cui non è riuscito a salvarlo, Saga alla fine è
stato semplicemente schiacciato da esso, agendo come ha agito. Io stesso ci ho
messo lungo tempo a comprenderlo e ad accettarlo.”
Mu annuisce, “Capisco,”
mormorò. Certo, una parte malvagia che ha preso il sopravvento sul Saga giusto
e retto che loro tutti avevano conosciuto da bambini.
Ecco il perché di quel Cosmo, di quella sensazione che
aveva avuto. Molto più ovvio, a ben vedere, di Kanon,
che lui non aveva mai visto.
Shion aveva solo cercato di
fare quello che aveva potuto per proteggerlo, ben sapendo che non era del tutto
colpa di Saga. E per farlo, ci aveva rimesso la vita.
“Ma non è per questo che sono venuto qui, Roshi.”
Dohko rise appena, di quella
risata un po’ nasale che lo caratterizzava, “Lo so, mio giovanissimo amico. Sei
qui per dirmi dell’armatura di Pegasus, vero?”
Per l’ennesima volta Mu si
ritrova a sgranare gli occhi, sorpreso. “Come lo sa?”
Dohko puntò gli occhi in alto,
dove le prime stelle iniziavano a far capolino nell’ancora chiara volta
celeste. Mu seguì il suo sguardo, ma ancora non era
possibile scorgere le costellazioni.
“Le stelle, Mu, le stelle sanno
rivelarti molto più di quello che immagini, se sai parlare con loro.”
E non fa fatica a credere che sia davvero così, Mu. Perché Dohko sa sempre tutto
prima ancora che chiunque glielo dica.
Il suo maestro gli diceva spesso che dallo Star Hill, il
punto più alto del Santuario, era possibile vedere tutta la volta celeste e
così, se si sapeva ascoltarle e leggerle, si poteva vedere nelle stelle persino
il futuro. Ma era qualcosa che Mu aveva sempre
pensato propria esclusivamente del Gran Sacerdote, poiché a nessun altro era
permesso salire su quell’altura.
Shion gli aveva insegnato a
leggere le stelle, riconoscere le costellazione, percepire da esse il pericolo.
Ma si chiese se mai un giorno avrebbe potuto raggiungere anche quei livelli.
Perché Dohko, era evidente,
sapeva leggere il futuro nelle stelle proprio come sapeva farlo Shion.
“Oggi in Grecia è arrivatoun ragazzino dal Giappone come pretendente
all’armatura. Lo hanno affidato a Marin dell’Aquila,
nonostante anche lei sia Saint solo da un anno e mezzo. Anche l’allievo di Shaina dell’Ofiuco concorrerà per
la stessa armatura,” rivelò comunque, per quanto immaginasse, a quel punto, che
Dohko lo sapesse già.
“Uno di loro due è la sua reincarnazione…”
mormorò, così piano che Mu quasi non lo sentì
neanche. Ma non servì comunque chiedere alcuna spiegazione. “Il Cavaliere di Pegasus e Athena sono sempre stati legati da un doppio
filo, Mu. Come duecento anni fa con il mio allievo Tenma, così oggi. Senza neanche cercarla, è stata Athena a
trovare noi, mandandoci quel giovane aspirante Saint.”
“Il giapponese?”
“Molto probabile,” annuì Dohko,
“Anche io avrò un allievo per l’armatura del Dragone, molto presto. Abbiamo
aspettato anni e ne aspetteremo ancora alcuni, ma ormai il tempo è quasi
maturato, Mu.”
Anche Shaka glielo aveva detto,
quando avevano parlato telepaticamente e l’amico gli aveva rivelato dell’arrivo
del ragazzino al Santuario, quella mattina.
Forse presto sarebbero stati tutti costretti a prendere
il loro posto, che lo volessero o meno, perché il destino stava per compiersi e
nessuno di loro della casta dorata poteva tirarsi indietro.
Quando l’armatura di Pegasus
sarebbe stata assegnata, o a Cassius o a Seiya,
allora il fato avrebbe scoperto tutte le carte in gioco, e a quel punto sarebbe
toccato agli stessi giocatori decidere.
Athena o il Falso Sacerdote.
ANGOLINO AUTRICE:
Chiedo scusa per il tempo che ci ho messo e anche per il
fatto che forse, temo, la storia sia andata a parare un po’ meh.
In verità più o meno dall’inizio non avevo in mente di creare chissà quale tipo
di rivolta interna, solo di cercare di spiegare a modo mio il perché dell’immobilità
dei personaggi.
Il fatto che qui tutti sappiano la verità è perché non
posso accettare la stupidità che gli ha messo addosso KurumadaxD Non è possibile che nessuno si sia accorto. O che
nessuno dubitasse. Preferisco pensare che volutamente abbiano fatto finta di
nulla, per un motivo o un altro che sia.
E quindi, questa è la mia piccola versione.
La storia si conclude qui, manca solo un epilogo che spero
di portarvi in conclusione il prima possibile, con l’inizio della storia che
tutti conosciamo, e la scalata.
Era strano tornare in terra di Grecia dopo tredici anni
lontano da quella che era stata la sua casa per tutta l’infanzia, o buona parte
di essa.
Arrivare e chiedersi, inevitabilmente, se i suoi compagni
avrebbero accettato la sua presenza.
Ma non potevano ucciderlo. L’impostore in persona aveva
richiesto la sua presenza così come quella di tutti gli altri, Dohko incluso, ma il vecchio maestro, com’era ovvio, non si
sarebbe presentato.
Non lasciava Goro-Oh da
duecento anni, non lo avrebbe certo fatto per qualcosa che neanche reputava
giusto.
Ma lui sì. Mu aveva deciso,
infine, di presentarsi.
Con il piccolo Kiki al seguito
si era recato al Santuario, presidiando di nuovo la Prima Casa. La sua. Quella
dell’Ariete.
Non era stupito di trovarla trascurata e impolverata, ma
lasciò che fosse Kiki a darsi da fare per sistemare
il sistemabile. Lui, invece, aveva intrapreso una scalata che ricordava solo
nei suoi sogni più cupi.
Non verso la Tredicesima dimora, però, dove sempre si
rifugiava da bambino, bensì fino alla Quinta.
La casa del Leone dorato e il suo Custode lo accolsero
come s’era aspettato, con distaccato garbo e stupore.
Aiolia si era fatto uomo duro
negli anni, così come Mu stesso. Non solo nel fisico
ma anche nel temperamento, spesso nei modi, pur senza cattiveria. Mantenevano
solo le distanze da tutti e tutto, da quei compagni che li avevano
inevitabilmente delusi. Quasi tutti almeno.
Toro era stato dalla loro parte, e lo era ancora. Quando Mu, pochi secondi prima, aveva chiesto il permesso di
superare la sua Casa, Aldebaran era sbucato dalle
stanze interne e gli era andato incontro.
“Mu! Sei tornato! Pensavo ormai che neanche
questa volta ti avrei rivisto!” l’aveva accolto con un sorriso. Un tempo
l’avrebbe abbracciato, gli avrebbe dato una pacca sulla spalla con quelle
enormi mani che sapevano essere così gentili eppure mortali. Ma adesso no.
Gli aveva sorriso, cordiale, ma non l’aveva toccato. In
un certo senso, nonostante anche Mu gli sorrise, Aldebaran doveva aver capito che stava mantenendosi
distante a sua volta. Troppo tempo era stato lontano da qualsiasi forma di vita
prima di incontrare Kiki e anche dopo aveva avuto con
sé solo il bambino.
Persino Leo non lo vedeva da quando Seiya
era arrivato in Grecia.
“Questa volta non
potevo esimermi, amico mio.”
Aldebaran aveva annuito, “Le cose stanno per cambiare, vero? L’ho
percepito anche io.”
“E’ così.”
Aiolia, invece, lo aveva
accolto in silenzio.
C’era ben poco da dire. Presto il destino si sarebbe
compiuto, e Athena sarebbe tornata a richiedere il suo posto lì al Grande
Tempio, dov’era giusto fosse.
“Il Falso Sacerdote si sta già muovendo contro quei
ragazzi,”gli rivelò, “Ha chiesto a Milo
di andare ad uccidere Seiya e SaoriKido, accusandola di essere un impostore.”
Mu annuì, “SaoriKido è la vera Athena.”
“Lo verificherò di persona.”
“Tu?”
“Sì. Andrò io al posto di Milo. E’ mia intenzione capire
se Seiya ha le capacità di arrivare fin qui, o se
Athena affidata a lui è in pericolo, ma contro Milo non avrebbero avuto alcuna
possibilità.”
“L’hai visto crescere in mano a Marin.
Dovresti sapere che Pegasus è tutt’altro che un
debole.”
“Lo so. Ma adesso che abbiamo trovato finalmente Athena,
ammesso che sia davvero la Kido, abbiamo bisogno che
torni qui in Grecia. Abbiamo bisogno che sia al sicuro, e che il Falso
Sacerdote non possa farle del male. E’ finito il tempo dell’attesa, Mu.”
“Quando arriverai in Giappone per incontrare Seiya e SaoriKido
non essere avventato, Aiolia.”
Aiolia si limitò ad un cenno
del capo, e il discorso cadde lì.
Ma sapevano bene tutti e due che Aiolia,
ponendosi davanti a Milo come volontario a partire per il Giappone, aveva
salvato la vita a quei Bronze, così come sapevano che non erano pronti. C’erano
ben poche possibilità che potessero affrontare dei Gold
Saint e purtroppo molti di quelle delle case superiori alla Quinta, e DeathMask giù alla Quarta, erano traditori. Avevano tutti
deciso di servire l’Impostore anche se sapevano –perchéAiolia era certo sapessero- che la sua identità non
era quella del vecchio Shion.
Shaka, Milo, Camus, Shura, Aphrodite,
nessuno di loro era degno dell’armatura che indossava.
“Shaka è dalla nostra parte, Aiolia. O quantomeno, non è da quella dell’Impostore,”
affermò Mu di punto in bianco, già sulla soglia della
Quinta casa, pronto di nuovo a scendere, “Per quanto non abbia preso una
posizione, ha capito anche lui la verità. Quando vedrà Athena e la riconoscerà
capirà anche da che parte stare.”
Aiolia storse le labbra.
Conosceva poco il Cavaliere della Sesta, ma non era del tutto convinto delle
parole di Mu. L’aveva sempre trovato strano ed era
difficile riuscire a capire cos’avesse.
Ma se Mu aveva ragione, per
loro non era che una fortuna.
Da allora, i giorni passarono tranquilli. Aiolia tornò in terra di Grecia con una Shaina
ferita, sacrificatasi per salvare Seiya, e la cattiva
notizia che sì, quella ragazza era davvero Athena, ma Seiya
non era pronto.
Marin era stata un’ottima,
innegabile, insegnante per lui. Ma non era stato sufficiente.
Contro un Cavaliere D’Oro, quei ragazzi erano spacciati.
L’unica alternativa che avevano, era stata la proposta
del Leone, era quella di allenarli. E c’era un solo modo per farlo, in un tempo
inesistente e davanti agli stessi occhi del Falso Sacerdote.
Combattendo.
“La morte per mano nostra, o il Settimo Senso,” decise Aiolia alla fine, fermo sulla soglia della Seconda Casa
insieme a Toro e Mu.
Proprio Aldebaran inarcò per
primo il sopracciglio, “Mi pare estremo, Aiolia. Sono
solo dei ragazzi.”
“Ragazzi che devono proteggere la Dea. E che se non
raggiungeranno il Settimo Senso moriranno comunque per mano del falso
Sacerdote, o peggio durante la Guerra Santa che, sappiamo, ci aspetta. E’ per
questo che siamo nati, lo sai.”
“Certo, lo so, ma...”
“A malincuore, Lia non ha torto,” intervenne anche Mu, “Purtroppo, è il loro fato. Abbiamo atteso troppo, Al.
Non possiamo aspettare ancora che loro raggiungano la giusta maturazione.”
“Quindi, quando arriveranno, se intraprenderanno la
scalata non devo farli passare?”
“No,” sentenziò Aiolia, “Devi
combattere. Spingerli al limite. Spingili ad un punto in cui possano
raggiungere il Settimo. Quando arriveranno alle Case dei traditori, più in alto,
dovranno essere pronti.”
A cuor pesante, Aldebaran alla
fine annuì.
Non aveva motivo alcuno di mettere il bastone fra le
ruote agli amici e, infondo, avevano ragione.
E a prescindere di come sarebbe andata con i Bronze, loro
poi avrebbero ucciso l’Impostore, riportando Athena al suo giusto posto. Dove
le spettava di diritto.
Preparando, e aiutandola loro –in
assenza di Shion-, alla Guerra Sacra che li
attendeva.
Quella sera stessa, la sera prima della presunta venuta
di Athena in Grecia, Mu si presentò alla Sesta Casa.
Pur non essendo riuscito ancora a parlare con Milo e Camus, era Shaka l’unico di cui
gli interessava davvero avere un parere.
Shaka lo fece entrare subito,
accogliendolo al centro della Sesta in Armatura. Mu
non chiese perché la indossasse, con lui, semplicemente lo fissò con un lieve
sorriso sulle labbra.
Si erano sentiti sempre più di rado, in quei tredici
anni, e non si erano più visti. Shaka non aveva mai
più lasciato la Sesta casa e la sua posizione di meditazione da quando era
tornato al Santuario, se non per le rare missioni assegnatogli dal falso
Sacerdote.
Per questo, vederlo in volto, vedere quelle palpebre
perennemente calate e quelle labbra crucciate, riporta Mu
ai vecchi tempi.
A quando erano bambini, e lo convinceva a nascondersi con
lui per mangiare Tigmo, in piena notte, a quell’unica
volta in cui Shion aveva manifestato la sua presenza –anche se Mu era certo, in
realtà, che sapesse bene che spesso con anche Aiolia
rompevano il coprifuoco-. Ricordava che li avesse sgridati, togliendosi anche
la maschera per poterlo fare mentre li guardava. Ricordava che sorridesse, in
verità, mentre Mu e Shaka
tenevano mestamente il capo basso.
Avevano sei anni e tutto quello che volevano era scappare
a nascondersi –forseShaka
a meditare, per penitenza. Invece poi Shion aveva
riso, aveva messo una mano sulla testa di entrambi e scombinato loro i capelli,
paterno. Poi, semplicemente, aveva chiesto a Mu di
offrire un panino anche a lui.
Era stata l’unica volta in cui Shaka
aveva infranto le regole, se così si poteva dire. L’unica volta che Shaka stesso credeva di aver sbagliato.
Adesso, però, la storia si ripeteva.
L’errore, seppur diverso, si ripeteva.
Shaka aveva sbagliato,
inizialmente, il suo giudizio verso il Gran Sacerdote, verso Mu e verso Aiolos, e da quando lo
aveva ammesso, indirettamente, era la prima volta che si incontravano.
Non gli permetteva di vedere quegli occhi azzurri, ma sapeva
che lo fissavano.
“Ciao, Shaka.”
“Mu,” salutò l’indiano, “Sei
tornato.”
Mu annuì, “Il tempo è giunto.
Non è più il momento dell’attesa né tantomeno di rimanere in disparte. So che
lo percepisci anche tu.”
Shaka si limitò ad un cenno del
capo, voltandosi di tre quarti verso il Tredicesimo Tempio. Quello del Gran
Sacerdote.
Dell’impostore, per la precisione.
Di Saga, ma questo Mu non
poteva dirlo. Forse, con gli anni Shaka aveva
riconosciuto quel Cosmo. Forse no.
Mu non aveva prove di questo se
non le parole sconnesse di Dohko, e nessuna conferma
da parte del vecchio maestro.
Per questo, puntare il dito non serviva a nulla, e
nessuno.
Quello che dovevano fare ora, il compito per cui per
anni, per tutta la vita, si erano allenati, era riconoscere la parte della
giustizia, e allearsi con essa.
Era riconoscere nella giovane SaoriKido la loro Dea, e combattere al suo fianco.
Suo, e dei giovanissimi Cavalieri di Bronzo che lei aveva
scelto.
“La fanciulla ha palesato la sua intenzione di recarsi a
parlare con il Sommo,” gli disse Shaka, “Ha mandato
una missiva.”
“Quando arriverà, il Falso Sacerdote farà la sua mossa.
Stavolta non possiamo far finta di non vedere, o di non sapere, amico mio.”
“E’ per questo che sei qui, Mu?
Per fare la tua mossa?”
“Sì.”
Per un istante, Shaka tacque. “Contro
l’impostore.”
“E tu, Shaka? Cos’è che farai,
quando Athena giungerà?”
“Se riconoscerò la fanciulla come la mia Dea, allora
combatterò al suo fianco. Se saprà farsi riconoscere, sarà mia volontà
inginocchiarmi al suo volere.”
Mu annuì. Certo, non avrebbe
potuto sperare in nulla di diverso da Shaka.
Lui, che viveva seguendo solo le direttiva del Buddha e
che mai sarebbe andato contro ai suoi principi, neanche per qualcosa che
considerava vero, non avrebbe mai preso una decisione netta, in nessun caso.
Il suo ruolo era difendere la Dea e quello avrebbe fatto,
nient’altro.
L’unica cosa che poteva sperare Mu
era che non cercasse di fermare i Bronze Saint.
“Buddha non ha saputo dirti cosa fare?”
“Buddha non da mai risposte nette. E ad ogni modo...” Shaka tacque, lasciando morire la frase a metà.
Per un attimo Mu rimase
interdetto, “Ad ogni modo?”
Shaka scosse il capo, i lunghi
capelli biondi ondeggiarono maestosi dietro la schiena, “Non sento la voce del
Buddha da anni, ormai. Da quando sono tornato qui.”
Questa volta, fu Mu a non aver
parole da pronunciare.
Shaka, l’uomo più vicino agli
Dei, che sempre si era lasciato guidare da essi, che non percepiva da anni la
voce del Buddha?
Non presagiva nulla di buono.
“Questo posto è carico di negatività, il Cosmo del falso
Sacerdote è oscuro e il comportamento di Pisces, Capricorn e Cancer sospetto. In
più, Saga ancora non è tornato, e dopo un’assenza di tredici anni inizio a pensare
che sia morto anche lui,” ammise Shaka dopo un po’, “Inoltre,
io...,” fece una pausa, come se quello che stava per dire fosse dura da
ammettere, per lui. Dura anche solo da dirlo a parole, a farle uscire da quelle
labbra sottili, “Io sono stato confuso...indeciso, per molto tempo. E credo che
sia questo il motivo per cui non riesco più a sentirlo.”
Mu si ritrovò a sorridere,
comprensivo.
Shaka, che per gran parte della
sua vita aveva vissuto nella solitudine della meditazione, con la sola
compagnia della voce del Buddha, doveva sentirsi spaesato e sperduto senza di
essa.
Eppure, nonostante questo, ancora non si azzardava a
prendere una vera decisione.
“Allora è il momento di prendere la tua decisione, non
trovi?”
“L’unica cosa che posso dire, Mu,
è che non fermerò quei ragazzi, se vorranno passare la mia casa, se riconoscerò
in lei la Dea. Ma non li aiuterò. Non fino a quando...non sarò certo.”
“Immagino che sia già qualcosa,” sorrise Mu, “Aiolia pensa che dovremmo
cercare di fargli raggiungere il Settimo Senso.”
Shaka arcuò elegantemente un
sopracciglio, “Non sono certo che dei Bronze possano riuscirci.”
“Val la pena tentare, non
trovi?”
“Forse. Se arriveranno vivi a me dopo aver affrontato Aldebaran, Cancer e Aiolia...allora agirò di conseguenza.”
Mu si lasciò scappare una lieve
risata, abbassando piano il capo, “Mi impegnerò nel riparare le loro armatura,
perché possano resistere anche ai vostri colpi. Posso permettermi, Shaka, di invitarti giù alla prima casa da me? Ho
portato...dei dolci, dal mio eremitaggio.”
Per un istante, Mu ebbe la
netta impressione che Shaka avesse schiuso gli occhi.
Ma durò solo un istante. Un flebile, velocissimo istante
che lo fece sorridere.
“Non credo sia il caso, stasera.”
“Quanto tutto questo sarà finito, allora. Buonanotte, Shaka.”
Nella Settima Casa, quella dello Scorpione, Milo aveva
accolto un Camus stranamente cupo.
Non che l’amico dell’Undicesima fosse mai stato
particolarmente allegro o vivace, ma rare volte l’aveva visto così.
Anni prima, durante la notte degli Inganni, e forse mai
più dopo allora.
La preoccupazione, malcelata, che trapelava dal suo volto
era lampante, rendeva quel bel viso teso.
Ma dopotutto, anche uno dall’animo lieve come Milo era in
grado di capire che qualcosa stava per succedere, che le cose stavano per
cambiare e che quello che li aspettava adesso non era un bene.
Il ritorno di Mu era un segno
più che ovvio.
Quello che per anni avevano ignorato, fingendo di non
vederlo, in attesa di qualcosa che non sembrava essere ancora pronto a
verificarsi, stava venendo a galla.
Se qualcosa ancora lo perplimeva,
presto avrebbe dissipato tutti i suoi dubbi.
Presto neanche Camus avrebbe
potuto più dirgli di far finta di nulla, di ignorare il più per sopravvivere. Perché
stava per diventare un loro problema.
Loro erano i Cavalieri della Dea, e se Athena stava
venendo lì per smascherare l’impostore, Milo non avrebbe mai fatto finta di
nulla.
“Che cosa succede, Cam?”
“Quando Hyoga del Cigno vorrà
passare la tua casa, lascialo venire da me.”
Milo sgranò gli occhi, “Perché dai per scontato che sarà
così?”
“Il Sommo, vero o falso che sia, è stato chiaro: la
ragazza vuole parlare con lui. I Cavalieri di Bronzo le andranno dietro.
Compreso Hyoga.”
“E vuoi che io lo lasci passare come se nulla fosse?
Perché?”
“Sarò io a fermare la sua corsa.”
“Cam...ancora non sei convinto
che quello non sia davvero Shion?”
“Certo che lo sono. Lo sono da anni. Non è per questo che
Hyoga combatterà con me. E morirà per mano mia, all’Undicesima,
se necessario.”
“Perché?”
Camus non rispose nell’immediato,
invece diede le spalle all’amico, avviandosi verso l’uscita. Solo sull’uscio si
voltò verso Milo, pur senza guardarlo in volto, “Perché quel ragazzo non è
ancora pronto. E se durante la sfida che gli porrò deciderò che non è degno,
che muoia per mano mia piuttosto che per quella dell’impostore.”
Milo lo guardò andarsene in silenzio, i capelli rossi
legati in una coda bassa mossi dal vento lieve e tiepido di Grecia.
Era giusto, sì.
O si sarebbe dimostrato degno di raggiungere il Settimo
Senso, o sarebbe morto per mano del suo amato maestro.
La trovava una fine degna anche per un Cavaliere di
Bronzo.
E pur non conoscendolo di persona, la trovava una fine
degna per l’allievo di Camus.
Grecia,
Santuario di Athene. 16 Ottobre 1986
Vederli arrivare, segna definitivamente la fine di quella
fasulla pace che fino a quel momento aveva invaso il Grande Tempio e tutti i
suoi abitanti.
Aiolia lo sa, che quello è il
momento in cui tutto sarebbe venuto alla luce.
La verità. La sola verità.
Su quella notte, su suo fratello.
Finalmente, Aiolos avrebbe
avuto quello che meritava davvero. Il rispetto, la lode per aver salvato,
sacrificando la propria vita, la sua sola e unica Dea.
Quella ragazza, SaoriKido, avrebbe spazzato via tutta la polvere, tutto l’orrore
in cui aveva vissuto. Tutti gli anni di soprusi, discriminazioni. Niente
sarebbe stato più come prima.
Il Grande Tempio avrebbe riavuto la sua Dea.
Lui, avrebbe riavuto suo fratello, seppur solo nel
ricordo, e l’orgoglio di poter dire di essere il fratello dell’unico, Vero
Cavaliere, l’unico degno della stima di Athena stessa.
L’uomo grazie al quale la Dea era sopravvissuta e,
combattendo contro Hades, avrebbe potuto vincere e
salvare di nuovo la terra.
“Guardali, Aiolos. Guardali.
Sono i ragazzi che hai scelto, a cui hai affidato Athena. Rendili degni di
questo compito, fratello mio. Hai donato loro la cura e la salvezza della Dea,
ma adesso ti prometto che anche noi faremo la nostra parte. Semmai hai creduto
in noi, anche solo un po’...scocca un’ultima freccia. In nostro aiuto.”
Angolino Autrice:
Salve a tutti, signori e signori, ammesso e non concesso
che ci sia ancora qualcuno a cui questa mini-storia interessi.
Lo so, è passato più di un anno da quando, la prima volta,
ho pubblicato Prosopon.
Mi sono persa per strada, lo ammetto tranquillamente, in
più ho iniziato a scrivere di altro, su un altro fandom,
e ho perso ispirazione.
Forse alcuni di voi si aspettavano molto altro, da questo.
Ma io sono abbastanza soddisfatta così.
Prosopon è stato un lavorone
e forse ho chiesto troppo alle mie capacità strategiche –praticamente
inesistenti!!-.
Quindi mi ritengo soddisfatta, sì!
Spero che, seppur anche solo un po’, possa piacere anche a voi.
Un bacione forte, grazie per avermi seguito e aspettato e
supportato!