Sonia's side story

di MaikoxMilo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Reminiscenza ***
Capitolo 2: *** Io e te, il principio ***
Capitolo 3: *** Il Mago dell'acqua e del ghiaccio (prima parte) ***
Capitolo 4: *** Il Mago dell'acqua e del ghiaccio (seconda parte) ***
Capitolo 5: *** Il viandante del Libero Arbitrio ***
Capitolo 6: *** I briganti dell'isola di Milos ***
Capitolo 7: *** Essere Cavaliere d'Oro di Atena ***
Capitolo 8: *** Dubbi e doveri, l'eterno conflitto ***
Capitolo 9: *** Per la tua persona speciale (parte prima) ***
Capitolo 10: *** Per la tua persona speciale (parte seconda) ***
Capitolo 11: *** Oltre la vita ***
Capitolo 12: *** Per un mondo dove tu possa sorridere ***
Capitolo 13: *** L'Anatema della rovina (prima parte) ***
Capitolo 14: *** L'Anatema della rovina (seconda parte) ***
Capitolo 15: *** L'Anatema della rovina (terza parte) ***
Capitolo 16: *** Il calore di una famiglia ***
Capitolo 17: *** Per amicizia, per amore e... per gelosia! ***
Capitolo 18: *** Il devastante potere del Kraken ***



Capitolo 1
*** Reminiscenza ***


 

 

CAPITOLO 1: REMINISCENZA

 

 

Novembre 2014, in una regione gelida sperduta a cavallo fra due dimensioni...

 

 

Fa freddo... o almeno credo che così dovrebbe essere, visto quanto siamo a Nord per svolgere la missione.

Purtroppo, e un po' a malincuore, io non sono più in grado di sentire sulla mia pelle questo fresco, essendomi sempre più assuefatta al gelo, il mio elemento, tanto da controllarlo quasi completamente.

Non lo Zero Assoluto, però...

Quello mi è ancora irraggiungibile, malgrado tutti gli insegnamenti pregressi.

Che strano, prima di finire al Grande Tempio adoravo l'estate, amavo il caldo e pativo il freddo da matti, una parte di me li ama ancora, l'altra invece è sempre più congelata. Che sia la maledizione del ghiaccio, questa? Odio ed amo questo elemento, dal quale dipende la vita e la morte di tutte le cose. Odio ed amo... intanto un gelo sempre più sinistro si fa largo in me, dentro: il gelo dell'anima, il gelo della perdita e della malinconia.

Cosa direbbe lui, se potesse vedermi ora? Sarebbe fiero dei miei progressi? O deluso? Anche a sforzarmi con tutta me stessa, non c'è più alcun legame tra noi, non lo riesco a vedere più, nei miei sogni. Tutto è ancora più freddo e buio. Mi raggela.

Sospiro rumorosamente, osservando il cielo stellato sopra di me. Incredibile quanto la visibilità migliori con il freddo vento del Nord, rendendo le stelle ancora più vicine. Gli stessi astri. Lo stesso cielo. La stessa luna.

Me lo continuo a ripetere incessantemente, tentando di farmi coraggio. Non voglio dimenticare quel volto, NON VOGLIO, ma qualcosa sembra sfuggire. Fatico sempre di più a mantenere i ricordi che ho con lui, fatico a rammentarlo, a volte persino il suo nome si perde nell'infinito. Sospiro nuovamente, affranta. Ho così freddo ora, sebbene mi senta totalmente a mio agio con l'ambiente ghiacciato intorno a me,

Dei passi dietro di me mettono i miei sensi da guerriera in allerta immediata. So che mi sono allontanata notevolmente dal gruppo e che probabilmente qualcuno mi sarà venuto a cercare, ma non si è mai troppo prudenti in missione

Fortunatamente dalla boscaglia dietro di me fuoriesce una figura sin troppo famigliare che, dopo avermi sorriso tiepidamente, felice di aver constatato che le sue supposizioni fossero fondate, non esita ad incalzarmi con una domanda, centrando in pieno l'oggetto dei miei pensieri.

“Ti manca tuo fratello, vero?”

La fisso imbambolata per qualche secondo... giusto, mio fratello Camus! Ecco il perché di questo mio malessere, ecco a cosa stavo pensando prima, a lui... come ho potuto scordarmelo, anche se per pochi, brevi, istanti?!

“Sì, ma tu come lo sai?”

La ragazza mi sorride ancora una volta, sedendosi poi vicino a me.

“Sono tutte uguali le persone che soffrono la perdita di qualcuno, affettiva, o più banalmente fisica, è irrilevante .. si mettono in disparte e guardano il vuoto, sperando di rivedere il volto del proprio caro. Lo capisco bene, sai? Milo era così quando ha perso Camus nella battaglia delle Dodici Case...”

Discosto lo sguardo, imbarazzata. Non posso aspettarmi altro dalle percezioni di Sonia, forse una delle persone che più mi ha capito in queste anni, una cara amica, nonché uno degli esseri umani con cui mi trovo intimamente meglio. Siamo come due sorelle acquisite.

“E' proprio degno di te, figlia dell'aere!” mi congratulo con lei, guardandola con affetto.

In questi due anni non è cambiata molto, malgrado il passaggio dalla minore età alla maggiore, ma i contorni del viso e degli occhi si sono fatti più marcati, forse anche per i capelli corti che ha deciso di portare dal giorno della separazione in avanti.

Mi sfioro le mie ciocche, che ricadono appena in prossimità delle spalle. Già, anche io ho avuto i capelli corti per un periodo, non li ho più toccati da allora, facendoli poi crescere per rassomigliare a mio fratello. Tuttavia, anche se non li ho più tagliati, sono comunque molto meno lunghi di come li avevo quell'estate del 2011, l'estate che cambiò per sempre le nostre vite, l'estate che sancì irrimediabilmente il nostro destino.

“Te lo si legge in faccia, Marta, ormai sei come un libro aperto per me!” mi spiega Sonia, abbracciandomi di istinto.

Chiudo istintivamente gli occhi e sorrido di riflesso, rincuorata da quel tepore: non sento quasi più il freddo esterno, ma ho ancora un bisogno disperato di calore, soprattutto dopo tutto ciò che ho perso...

“Sì, comunque... - riprendo poco dopo, tornando al discorso iniziale, nel farlo contemplo nuovamente il cielo - Mi manca tanto, ci sono alcune volte che quasi fatico a respirare quando penso intensamente a lui e, sebbene lui stesso abbia promesso di vegliare su di me sempre e comunque, indipendentemente dalla lontananza, ho sempre più difficoltà a ricordarmi di lui, quasi come se il suo viso iniziasse a scomparire nel buio delle tenebre, quasi come se... stesse svanendo nel nulla.”

Sonia si stacca leggermente da me, guardandomi in volto. Cala dunque il silenzio assoluto tra noi, non quello ricco di disagio, bensì quello onnicomprensivo, quello che trascende i limiti delle parole, arrivando fino all'essenza di due persone intimamente vicine.

Anche tra me e Camus non c'era bisogno di aggiungere parole, molto spesso... o meglio, così avevo imparato a capirlo soprattutto nell'ultimo anno. Per Atena, quanto mi manca adesso... so che la scelta è stata mia, so che devo diventare più forte per proteggere lui e tutti gli altri, ma davvero non riesco a scacciarmi dalla testa questa brutta sensazione di perdita. Le nostre mani, strette l'una sull'altra, stanno cominciando a scivolare via, lontano. Non voglio mollare la presa, perché sento che sarebbe la fine, ma non riesco più a trattenerlo, è più forte di me.

“Ti ricordi... che Hermes aveva manipolato i miei ricordi?” mi chiede retoricamente Sonia, rompendo il silenzio tra noi. La sua voce giunge alle mie orecchie mesta, come di memorie a stento recuperate ma indissolubilmente legate alla sua effige.

Tuttavia... perché rinvangare questo fatto proprio ora?

Sonia si limita ad annuire, notando la strana luce che mi brilla negli occhi.

“Non ve ne ho mai parlato in seguito, non ce ne è stato il tempo e non erano parole facili da adoperare... ma mi sono ricordata ogni cosa della mia vita passata, da Aiolia, ferito, che mi portava ad Atene, a quando ho conosciuto Camus, e infine, alla dolorosissima battaglia contro Hades, il dio degli inferi - spiega lei, portandosi le ginocchia contro il petto – C'ero... in tutte quelle circostanze!”

Rimango in attesa che prosegua, rispettando le sue pause per trovare le parole giuste. Sì, ricordo del fattaccio di Hermes, ricordo tutto di quell'estate. Sono parole difficili da pronunciare, ma... ricordo persino del paese natio di Sonia, raso al suolo da coloro che, in principio, credevamo Bersekers, e che invece si sono rivelati pedine nelle mani del Mago.

“E perché... ora?” chiedo, avvicinandomi ulteriormente a lei. La vedo avvilupparsi ancora di più nel giacchino pesante, mentre una nuvoletta di vapore le fuoriesce dalla bocca, sparendo immediatamente dopo nell'infinità dell'aria attorno.

“Perché vorrei raccontarti la mia storia...” asserisce, squadrandomi il volto.

“So', sono consapevole che sia tremendamente difficile per te, non c'è bisogno di...”

“No, io vorrei raccontarti di come sono arrivata a Milo, di come ho vissuto sull'isola di Milos fino alla Battaglia delle 12 Case e di alcuni episodi che ti farà sicuramente piacere sentire. Hai detto che, ogni tanto, hai difficoltà a ricordarti di loro, ebbene anche io... non so cosa stia succedendo, ma avverto che, se non ne parliamo ora, tutto sparirà, tutto ciò che amiamo non sarà mai esistito nelle nostre menti, come un sogno sfuggente... ED IO NON VOGLIO!”

Le sorrido con dolcezza, tornando a guardare, per pochi secondi, il cielo sopra di me, così ricolmo di stelle e così lontano. Forse... parlarne servirà davvero a non perderli per sempre, servirà per opporci a questo ingrato destino.

“Va bene, So... sai che adoro le storie lunghe, proprio come Dégel!” pronuncio il suo nome nella carezza di un respiro, avvertendolo nitidamente come parte integrante di me.

Sonia annuisce placida, un velo di malinconia a solcarle gli occhi, poi scompare in una debole scintilla di consapevolezza.

“Tanto per cominciare vorrei parlarti della mia venuta al Mondo segreto e, conseguentemente, di come conobbi Milo...”

 

 

***

 

 

Questa storia risale a quando avevo compiuto da poco 10 anni, l'ultimo compleanno che festeggiai a casa mia, in Sicilia, perché... sai cosa successe dopo...

Dunque, dicevo che questa storia risale al 2005, con precisione a dicembre del 2005. Ho ancora grosse difficoltà a ricordare nitidamente, ma rimembro perfettamente l'intervento di Aiolia in tutto quello sfacelo di fuoco e fiamme che mi divampava intorno. Poi il nulla... devo essere svenuta, oppure nel mentre Hermes, mio padre, mi aveva già manomesso i ricordi per impedire loro di distruggermi. In ogni caso, quel giorno incontrai per la prima volta Milo, colui che mi avrebbe cambiato la vita da quel momento in avanti!

 

 

 

Aiolia correva disperatamente, tenendo in braccio quel fagotto informe che respirava appena.

No, no, no, dannazione, NO! Non le avrebbe permesso di morire, non dopo che aveva già perso un fratello anni prima...

No, no, no, maledizione, NO!

La gola era secca, i muscoli doloranti, le bruciature presenti sul corpo gli trasmettevano fitte istantanee...

La carne così martoriata, a contatto con l'aria così pura, ostacolava i suoi movimenti, mentre il cervello lottava per rimanere vigile.

Ciò non aveva la minima importanza.

Tossì forte, rabbrividendo. Era allo stremo delle forze, ma non si sarebbe fermato.

Doveva andare il più in fretta possibile al tempio. Andare, andare, più veloce del vento ma drasticamente meno della luce per evitare conseguenze nefaste alla piccola creaturina che teneva tra le braccia.

Dipendeva da lui, lo sapeva.

Il sole stava morendo, incendiando il cielo... con lui la cenere di un paese che, fino al giorno prima, era pullulante di vita. Ora non più. Solo la cenere.

Quelle terribili immagini non facevano altro che rimbombargli in testa, premendo sulle pareti del cervello al solo scopo di fuoriuscire in un urlo dilaniante. Le lacrime in tutto quel calore dovevano essere evaporate. Il corpo di sua madre, nero di... di...

Inciampò in un ostacolo e finì malamente a terra, tuttavia non permise al fagotto di toccare terra.

Dipendeva da lui...

Aiolia urlò, un grido dilaniante si sparse per l'aere, frantumandosi in mille, invisibili, pezzi. Era il ruggito di un leone ferito a morte che si trascinava in avanti nel tentativo di non arrendersi.

Invece lui voleva desistere... a che pro continuare a combattere contro tutto e tutti?! A che pro farlo, se la sua famiglia era stata barbaramente trucidata?! Cosa gli rimaneva, se non l'orgoglio leonino?!

Era un traditore, del resto... l'intero Santuario lo prefigurava come un mostro; un mostro legato allo spergiuro, che non poteva più essere nominato, da un rapporto diretto di sangue: era il fratello di quel dannato che aveva tentato di uccidere la piccola Atena. Nessun nome, solo il dannato, il traditore.

La piccola Atena... la piccola Sonia...

 

Figlio mio, salva Sonia, te ne prego... tu DEVI salvarla! Portala al Santuario, unico luogo sicuro, e affidala a qualcuno di cui ti fidi, ti supplico... proteggila!

 

Parole sincere anche se provenienti da un dio quasi sconosciuto, tuttavia di chi fidarsi al Grande Tempio, se tutti gli erano contro?

Senza un piano in testa si alzò di scatto con tutte le forze che possedeva, riprendendo a correre con ancora più impeto.

No, Sonia non sarebbe morta... al costo di pregare in ginocchio qualsivoglia parigrado, al costo di ingoiare un rospo più grande di lui. Quanto sono amari i rospi, ma nulla a confronto al vuoto tetro di perdere una persona cara, Aiolia lo sapeva bene questo.

No, no, no, dannazione, NO!

La via per il Santuario era spianata, Aiolia la raggiunse in poco più di qualche minuto, stremato. I polmoni bruciavano da morire, tanto da farlo sussultare ad ogni respiro.

Aveva raggiunto l'anfiteatro a poca distanza dai dodici templi, mentre una brutta sensazione lo invadeva senza pietà.

Stava per morire anche lui lì, o cosa?

“Aiolia...?”

Il suo nome veniva pronunciato con un pizzico di ansia, eppure non riconosceva quella voce...

 

Aiolia... sei ancora troppo goffo nei movimenti, vedi?

“F-fratello, sei tu?!”

Non va bene così, Lia, concentra il cosmo dentro di te e serba la parola giustizia nel tuo cuore. Quanto è bella questa parola, nevvero? G-I-U-S-T-I-Z-I-A! Profuma come i fiori e splende come il cielo, non trovi? Questa è la nostra strada!

“Fratello, io senza di te non sono più...”

Non dire assurdità, Leo, sei un leone, come tale, sei un combattente nato! Segui il tuo segno, e vedrai che riuscirai a proteggere le persone a te carte, anche se io non sono più con te...

“AIOLOOOOOS!!!”

 

“Aiolia, ma cosa...?”

Il Cavaliere del Leone sgranò gli occhi a seguito di quel lieve contatto inaspettato sulla spalla. Come ogni animale ferito e guidato dall'istinto, scacciò con una violenta manata quel potenziale nemico, balzando indietro per poi apprestarti a fuggire.

“Aiolia, sono io!”

Riconobbe quella voce acuta e ancora un po' bambinesca, ma non riuscì totalmente a rilassarsi. Quel suono... così famigliare e, un tempo, amico, ora parte integrante delle schiere avversarie. Ah, i tempi dell'addestramento in terra di Grecia, quando ancora suo fratello lo confortava con la sua presenza, ah le calde giornate assolate, dove, tra uno schiamazzo e l'altro, il gruppo dei futuri Cavalieri d'Oro, i giovanissimi, correva ad Atene a prendere un gelato... quel tempo si era concluso brutalmente, nulla più era rimasto.

“M-Milo, io devo... devo andare!” bofonchiò Aiolia, diffidente, senza degnarlo di uno sguardo.

“Ma hai bruciature su gran parte del corpo e, in più, cosa porti lì in braccio?”

Aiolia si voltò, trovandosi a faccia a faccia con Milo, Cavaliere d'Oro di Scorpio di Atene, un tempo un suo grande amico, ora invece...

“Scorpio, il Grande Sacerdote è stato chiaro, no? Voi altri non dovete avere niente a che fare con me, nulla più di un rapporto di blanda educazione tra compagni, vai pure per la tua strada!” esclamò Leo, raccogliendo tutte le forze per scattare un ultima volta lontano da lui, tuttavia non vi riuscì, bloccato dal compagno per un braccio.

“Conosco gli ordini del Sacerdote, e li rispetto, mi pare! Tuttavia non sono nemmeno tipo da abbandonare così un mio vecchio amico e l'anima innocente che si sta portando dietro!” esclamò Milo con vigoria. Era testardo come pochi.

Degno spirito di osservazione poi, non c'era che dire. Ma non era il momento per perdere tempo con stupidi giochetti!

“Milo, non ho t...”

“Cosa, tempo? E allora permettimi di aiutarti, perché conciato come sei non andrai lontano, e anche la creatura che ti porti dietro non sembra stare molto bene...”

Un improvviso flash illuminò la giovane mente del Cavaliere di Leo, portandolo a voltarsi interamente verso la figura del compagno.

Milo di Scorpio indossava l'uniforme di allenamento con vari rinforzi per proteggersi meglio dai colpi avversari. I suoi occhi limpidamente azzurri non tradivano alcuna ironia, facendolo sembrare quasi solenne.

La muscolatura di Aiolia si rilassò appena.

“Milo... quell'espressione seria non ti dona per niente, non sembri neanche tu!” ironizzò Leo, un lieve sorriso sulle sue labbra. Erano cresciuti insieme, d'altronde...

“Lia, quelle bruciature non rendono giustizia alla tua tempra di Cavaliere d'Oro, pensavo che il Leone fosse un segno di fuoco, come puoi essere conciato così?” ribatté l'ex amico, con ugual tono.

Aiolia avrebbe riso, se le circostanze lo avessero permesso, avrebbe riso se si fossero trovati, ancora una volta, ai tempi dell'allenamento... tuttavia quel periodo si era concluso nel peggiore dei modi. Era troppo tardi per tutto.

“Lia, puoi fidarti ancora di me...”

Era vero, di Milo ci si poteva fidare, ma avrebbe accettato un favore così complicato senza tante spiegazioni? Il Cavaliere di Scorpio aveva una mente analitica, sempre pronta a farsi domande e ad interrogarsi sugli eventi, quello invece sarebbe stato un salto nel buio...

“Milo, io... non posso spiegarti alcunché, tuttavia...”

“Ma almeno fatti controllare da qualcuno e...”

“Posso affidartela? Ne va della sua vita; della vita di una innocente”

Milo strabuzzò gli occhi e fece due passi indietro, incredulo.

“E'... è una bambina!” riuscì solo a dire, tremando vistosamente.

Aiolia infatti, senza pensarci due volte, preoccupato per le sorti della piccola Sonia che sembrava stare sempre peggio, mostrò al compagno d'armi, senza ulteriori rigiri di parole, il fagotto che teneva in braccio.

“Sì, ha bisogno di riprendersi in un posto sicuro e di essere curata al più presto...” iniziò a spiegare Aiolia, faticando non poco.

Milo lo fissava con un'espressione di urgenza negli occhi che, nonostante questo, marcavano anche un certo scetticismo. Come poteva essere altrimenti, d'altronde?! Lui era fratello di un traditore, nel suo sangue scorreva la stessa essenza di uno impostore che aveva tentato di uccidere la piccola Atena, proprio colei che aveva promesso di difendere! Lo stesso sangue scorreva in lui, la stessa essenza, per questa ragione era tassativamente vietato instaurare rapporti con il giovane Leone.

 

Sei uno sciocco, Aiolia, sai cosa sei, sai cosa rappresenti per il Santuario, come puoi aver abbassato così la guardia davanti ad uno dei fedelissimi del Grande Sacerdote?! Eppure lo fai per Sonia; Sonia che ha bisogno di cure, Sonia che rischi di perdere come il resto della tua famiglia... dannazione, qualunque cosa, qualunque... per salvarla!

 

“In ogni caso non ha importanza ora dove tu l'abbia trovata o cosa le sia successo... lei ha bisogno di cure!” sentenziò alla fine lo Scorpione, ricacciando immediatamente tutti i dubbi lontano da sé.

“Milo, significa che...”

“Cosa posso fare io, per voi?” chiese infine Milo, avvicinandosi ulteriormente.

Se Aiolia avesse potuto, avrebbe permesso alle sue gambe, oramai sciolte, di toccare terra; se avesse potuto si sarebbe messo a piangere, supplice... ma era un Cavaliere d'Oro, e tra i più forti, non poteva mostrarsi così debole.

“L'unica cosa che puoi fare, Milo, è prendertene cura tenendola il più lontano possibile da me...”

“Aiolia, sei...?”

“E' mia sorella minore! Non posso dirti di più, ma sappi questo!”

“COS...?!”

Aiolia annuì appena, cercando di mascherare il malessere sempre più incombente per quello che si apprestava a dire.

“Sì, è mia... sorella... deve stare lontana da me, sono una fonte di pericolo per lei, non deve neanche venire a sapere che io sono suo fratello, ti supplico...”

“E non mi dirai cosa cappero è successo, vero?!”

Aiolia rimase in silenzio, confermando così la domanda del compagno. Dire alla piccola Sonia la verità sulla morte della madre e sulla distruzione del paese, rimescolare i ricordi che Hermes aveva faticosamente tramutato in qualcosa di più accettabile e dolce, no... mai, mai e poi MAI!

Milo sospirò, massaggiandosi la testa e imprecando sotto voce: la situazione in cui ci era accollato più o meno inconsciamente non era esattamente ciò che aveva pensato per quel giorno.

“E cosa dovrei farci, con lei? Sai che non sono un buon maestro come Camus, sai anche che non ho pazienza con i mocciosi... Insomma, sono una frana su questo settore, sei proprio sicuro di volerla affidare a me?”

“Milo, sei l'unico di cui mi fidi ancora abbastanza... ti supplico, fallo per la nostra passata amicizia, oppure fallo per questa povera bambina, ti assicuro che ne ha passate tante...”

Milo fissò in silenzioso il fagotto di Aiolia, studiando con attenzione tutti i particolari.

Era una piccola creaturina dalla carnagione chiara e le guance un po' paffute, i capelli erano castano scuro, lunghi, e le manine ancora troppo piccole per poter tenere qualcosa di grosso e insostenibile come il peso della vita.

“Quanto... ha?” chiese, quasi automaticamente. Faceva tenerezza, avvolta così da una coperta stracciata e con il visino sporco di fuliggine. Cosa aveva passato quella creatura prima di arrivare lì, in braccio ad una Aiolia conciato anche peggio?!

“D-dieci anni... è ancora molto piccola ma ha un bel caratterino, te lo posso assicurare!”

Milo tornò ad osservare il visino di quella bambina, che si stava agitando nel sonno, le manine tremavano appena, come nel tentativo di afferrare qualcosa di tremendamente lontano.

Per Zeus, non poteva proprio abbandonare quella povera creatura che, con ogni probabilità, era appena scappata dalle grinfie del fuoco divoratore.

“Aiolia, uff... d'accordo, me ne occuperò io e farò in modo di tenerla lontana da te... ma tu vatti a medicare che non possiamo proprio perdere un Cavaliere d'Oro come te, traditore o non traditore che sia!” affermò alla fine Milo, prendendo delicatamente la bambina in braccio.

In che razza di situazione era finito?! Da quella mattina soleggiata, malgrado il fresco di dicembre, tutto si sarebbe aspettato tranne di diventare baby-sitter di una mocciosa. Proprio lui che, con i bambini, non ci azzeccava nulla di nulla. Certo che il destino era proprio beffardo!

Aiolia inaspettatamente sorrise, e fu un sorriso aperto e sincero, di quelli che Milo non gli aveva più visto da diversi anni. Fratello di un traditore... era vero! Nessuno, tra i piccoli Cavalieri d'Oro, se lo sarebbe mai aspettato da una persona magnifica e retta come Aiolos, eppure il Sagittario aveva davvero tentato di uccidere Atena, fuggendo e sparendo poco dopo. Si vociferava fosse morto per le ferite riportate, ma intanto aveva creato un bel po' di scompiglio con le sue nefaste azioni, il peso delle quali, era caduto sulle giovani spalle di Aiolia. Che destino ingrato! Da allora nessuno lo vedeva di buon occhio, quel ragazzo dai capelli castano chiari e dagli occhi feroci, stracolmi di una foga e una fierezza inaudita che a stento sarebbe stata da attribuire ad un ragazzo di appena sedici anni. La stessa età di Milo di Scorpio, ma con un vissuto nettamente diverso.

In ogni caso c'era poco da fare, le cose erano andate come andate, non ci sarebbe stato più alcun legame di amicizia tra loro, no... il Grande Sacerdote aveva detto di stare all'occhio da quel furfante che condivideva il sangue di un traditore. I Cavalieri d'Oro potevano semplicemente attenersi alle direttive. Tuttavia non era nemmeno da Milo abbandonare un vecchio, caro, amico, con cui aveva condiviso i giorni dell'allenamento, giammai! Quindi, per una volta, il Grande Sacerdote non ne sarebbe venuto a conoscenza, tanto meno Shura, Death Mask e Aphrodite, i suoi fedelissimi. No, tutto il loro discorso, la stessa piccola Sonia, era da preservare, pertanto sarebbe rimasta, per quanto possibile, segreta.

“Ancora un favore, Milo, ti supplico...”

Aiolia sembrava parecchio addolorato oltre che affaticato. Davvero, cosa cappero aveva combinato Leo, per finire in quella situazione?!

“Lia, mi spiegherai mai come diavolo hai fatto a ridurti così e cosa sia successo?”

“NO! E ti supplico di non incalzare nemmeno Sonia con queste domande, è molto pericoloso!”

“Sonia?”

“Mia sorella, sì! Mi raccomando, crescila sana e forte sull'isola di Milos, lontano da qui, lontano dal Mondo Segreto... ti giuro che non avrai più nulla a che fare con me, da adesso in avanti, ma ti supplico, io...”

Faceva fatica a parlare, ma non si capiva se per le ferite riportate o per il dolore di separarsi da lei, faceva quasi tenerezza, tanto da rassomigliare ad un gattino bagnato più che ad un leone possente.

“Ti ho già promesso che lo farò, ma tu...”

“Non ti curare di me, ho un debito nei tuoi confronti, tienilo a mente. Le nostre strade si dividono qui, grazie ancora!” lo interruppe Aiolia, quasi come se tagliare il discorso rendesse il tutto meno difficile. Poco dopo rizzò la schiena, sparendo in un lampo di luce.

Milo avrebbe potuto seguirlo, se solo avesse voluto, ma le condizioni della bambina erano più importanti di ogni altra cosa, era necessario agire subito.

“Va bene allora, Lia, se questo è ciò che vuoi, in onore della nostra passata amicizia, mi prenderò cura di Sonia al posto tuo, non hai nulla da temere!” decretò a voce alta, per darsi un tono in quella situazione assurda e sperando che il compagno potesse comunque udirlo in qualche modo.

Da quel momento in poi sarebbe tutto cambiato, già lo sapeva. Per un breve istante, ebbe l'impulso di confidarsi con il suo migliore amico e magari chiedergli consiglio. Fu un attimo, poco prima di rendersi conto che non avrebbe mai potuto: Camus aveva ben altro da fare in quel periodo, era lontano, un puntino luminoso di cosmo nelle infinite steppe della Siberia. I fasti passati in cui i due potevano vedersi dopo gli allenamenti e chiacchierare sotto il solito albero di mele, erano ormai polvere di memoria, lontani nel tempo ma incommensurabilmente vicini ai loro giovani cuori.

Sospirò sonoramente, poco prima di sistemare meglio in braccio la piccola creatura che, da quel momento in avanti, sarebbe dipesa da lui.

DECISAMENTE... crescere era una gran seccatura!

 

 

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo:

 

Buonsalve a tutti e felice anno nuovo, innanzitutto! Volevo inaugurare questo 2019 con una nuova longfic che, come avete potuto vedere, parte da una situazione futura non ancora narrata e che però tratta del periodo intercorso tra l'arrivo di Sonia nelle chele dello Scorpione (quindi 2005), all'entrata di Marta, Michela e Francesca nel Mondo Segreto (estate 2011).

E ora ecco un paio di dritte per farvi raccapezzare meglio:

  • Il racconto, narrato da Sonia a Marta, inizia in una notte di novembre del 2014, ora, chi segue la serie principale, è consapevole che la seconda storia termina a settembre del 2011. Abbiamo quindi tre anni di buco in cui sarà sviluppata la terza storia che, vi anticipo, terminerà alla fine del 2012. Perché quindi il salto temporale di altri due anni?! Avrete di sicuro intuito che i gruppi si sono separati, ma il motivo vi sarò chiarito nella terza storia che (spero) prenderà la luce proprio in questo anno.

  • Ricordo che si tratta di una AU (universo alternativo) per cui le date non coincidono con la serie classica. Avendo voluto modernizzare i Cavalieri, le varie date di nascita sono spostate in avanti. Per intenderci, i giovanissimi Cavalieri d'Oro, Milo, Camus , Aiolia, ecc. sono nati tutti nel 1989, quindi ad inizio di questa storia i protagonisti hanno 16 anni (Camus quasi 17 ma è un trascurabile dettaglio XD) e Sonia, come già stato detto, 10 perché nata alla fine dell'anno. Sempre in quest'arco narrativo, la storia coprirà quindi gli anni dal 2005 (quasi 2006) al 2011: la Battaglia delle 12 case avrà luogo a novembre del 2009, mentre Hades circa un anno dopo).

Che dire ancora, spero che la storia possa piacere e sarei contenta che qualcuno di voi mi scrivesse cosa ne pensa (anche se sono consapevole trattarsi di una utopia XD). Bando alle ciance e cominciamo anche questa avventura, buona lettura a tutti!

P.S.: dedico la storia a Narclinghe, che so essere fan della coppia allievo/maestro formata da Sonia e Milo, la ringrazio calorosamente perché, inconsapevolmente, mi spinge a continuare a pubblicare questa mia opera (scrivere lo farei già, sono troppo legata a questa storia!)

Un saluto a tutti!!!

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Capitolo 2
*** Io e te, il principio ***


CAPITOLO 2: IO E TE, IL PRINCIPIO

 

 

-Quindi fu così che l'universo di Milo e il tuo entrarono in contatto, cominciando ad influenzarsi reciprocamente; così iniziò il tuo percorso da guerriera!

-Sì, è un ricordo di mio fratello Aiolia, ancora adesso vivo le sue emozioni a volte, sai? Comunque quello fu l'inizio di tutto, ma non fu affatto facile in principio, proprio per niente!

-Perché eravate incompatibili?

-No, perché entrambi eravamo molto giovani ed inesperti. Milo, te l'ho detto, non aveva mai avuto allievi e tra i Cavalieri d'Oro era il più piccolo, non fu affatto facile per lui interagire con me...

-Ma fin dal nostro primo incontro si vedeva distintamente che tenesse a te, forse addirittura qualcosa in più, rispetto al mero rapporto maestro-discente...

 

Silenzio...

 

-Non ricordo quanto tempo trascorsi incosciente, né i sogni che popolavano il mio inconscio in quel momento. D'altronde la mia mente era sconvolta dal maneggiamento di Hermes. Tuttavia rammento il mio risveglio, il suo volto, le parole che ci siamo detti. E' tutto così lontano ma irrimediabilmente vicino, Marta, mi sembra di poterlo toccare!

 

Voce strozzata... emozioni mai del tutto sopite...

 

-E' così perché per lungo tempo siete stati in contatto. Hai presente cosa afferma l'equazione di Dirac? Ecco, io non sono ferrata in fisica come mio fratello, ma questa mi ha sempre affascinato. E' la teoria che afferma che quando due sistemi interagiscono a lungo fra loro e vengono successivamente separati, non possono più essere definiti come un unicum, perché essi continueranno ad influenzarsi a vicenda, diventando una cosa sola, non importa se distanti anni luce fra loro! Ora, anche se questa formula ha senso solo per i sistemi microscopici, voglio condividere il pensiero con te. So che la scienza mal si combina con i sentimenti umani, ma per me questa equazione non può che valere anche per i nostri rapporti interpersonali: l'affetto che lega me e Camus, quello che unisce te e Milo... non potremo mai essere separati da loro, nessuno potrà mai strapparci da questo. Ormai le nostre vite sono talmente compenetrate vicendevolmente che nulla potrà mai essere come prima, neanche se fossimo ad anni luce di distanza!

 

Miracolo di sangue e vita, ricordi... che non voglio dimenticare!

 

-Quanto hai detto è bellissimo, Marta, pensi davvero che io e Milo possiamo essere considerati come un unico sistema, come un'unica persona? Io non so... i miei sentimenti, non li capisco ancora, ma quello che hai detto mi emoziona davvero tanto!

-Te la senti dunque di proseguire nel tuo racconto?

-Sì, mi sento molto più vicina a lui così facendo...

-E allora prosegui, sono tutta orecchie, amica mia!

 

 

* * *

 

Era stata una pessima idea, sì... proprio pessima!

La bambina davanti a lui, dopo giorni in cui pareva dormire di un sonno profondo, si era infine risvegliata e, da subito, aveva puntato i suoi grandi e profondi occhioni verdi nella sua direzione, tuttavia... non parlava!

Diavolo se non parlava! Erano trascorsi diversi minuti di totale silenzio a fissarsi come due ebeti, le parole sembravano come rapite da un dio beffardo che si divertiva così a passare il suo tempo. E ora cosa cappero fare?! Avrebbe forse dovuto rompere il ghiaccio lui? Impossibile, con quella bambina inspiegabile e un poco inquietante. Sembrava Aiolos, diavolo se lo sembrava! I lineamenti del viso del fratello più grande parevano quasi stampati su di lei; lo Scorpione ne era quasi inibito.

Discorso diverso sarebbe stato, forse, se avesse avuto otto anni in più, lì sì che sarebbe partito alla carica, poiché il suo inespugnabile savoir-faire avrebbe vinto sulla soggezione nel vedersi gli occhi carichi di rimprovero del Sagittario puntati addosso. Un rimprovero che Milo non comprendeva...

Finalmente la situazione si sbloccò, ma non nel modo da lui sperato. La mocciosa infatti scese goffamente dal letto e si avvicinò a lui per tirargli la tunica, quasi ne volesse saggiare la concretezza in qualche modo.

“E-ehi, ma dico... potresti anche esplicare cosa ti frulli in quella testolina, no?!”

NO! La bambina continuava a permeare nello stato di afasia, limitandosi a scrutarlo ancora più a fondo con quei due occhioni indagatori che lo mettevano ancora più a disagio. Tutto vano!

Milo si ritrovò ad imprecare sotto voce, maledicendosi per la milionesima volta per aver accettato quell'insolito incarico per un Cavaliere d'Oro della sua risma: occuparsi della bambinetta e farla crescere sana e forte. E già non parlava, partivano benissimo!

Per giorni aveva avuto la paura sviscerale che quella bambina gli crepasse da sotto il naso, tanto era labile il suo respiro... e chi lo andava a dire poi ad Aiolia, che gliela aveva affidata?! Con che faccia avrebbe poi guardato negli occhi Camus, già mentore di due giovani allievi, se lui, con una bimba ferita, non fosse riuscito a salvarla?! Fortunatamente la tempra della piccola sembrava resistente, cosicché alcuni giorni erano passati, ed eccola lì in piedi, in forma... e però muta!

Per la quattordicesima volta nell'arco di sei minuti Milo si chiese che razza di trauma avesse subito per perdere l'uso della parola. Rabbrividì, ripensando a quell'eventualità terribile: parlare per lui era tutto, grazie a quel meraviglioso mezzo si poteva entrare in contatto con gli altri ed esprimere il proprio parere. La lingua per Milo era tutto, senza non si sarebbe considerato nemmeno umano.

Il problema pertanto rimaneva... come comunicare tra loro se quella creatura aveva perso l'uso della voce per sempre?! I silenzi già lo destabilizzavano, a meno che non si trattasse di Camus, ma quella bambina ancora di più!

“Ehi, pensavo... hai dormito per un sacco, immagino avrai fame!” ritentò, a disagio.

La bambina lo squadrò nuovamente, silente, a quel punto a Milo venne un dubbio atroce: che fosse semplicemente un problema di linguaggio? Che non capisse il greco?!

“Where are you from?” provò, in un inglese abbastanza ferrato, ma la bambina lo guardò ancora più spaventata. Non era la strada giusta... riprovò con altre lingue ma le reazioni erano tutte più o meno uguali, ad eccezione del greco e dell'italiano che, se non altro, pareva comprendere.

Non era dunque un problema di quel genere, ciò rendeva il tutto più complesso, anche perché la bambina, pur capendo il significato di quelle parole, non dava alcun cenno di risposta.

Davvero una brutta gatta da pelare, non restava che un unico asso, il sublime asso per qualsiasi bambino!

“Che ne dici se andiamo a prendere un gelato vicino alla spiaggia? Nonostante sia dicembre, le temperature non sono mai troppo basse qui, ah, ti trovi sull'isola di Milos, Grecia. Inoltre un dolce è quanto di più appropriato per risollevare il morale, no?!”

Stavolta il volto della bambina si illuminò con un largo sorriso, permettendo poi al visetto infantile di compiere un leggere cenno in avanti. Era fatta, era deciso, da quel momento in avanti avrebbero parlato greco, inframezzato da qualche parola italiana per non perdere la praticità su quella lingua. Milo si sentiva soddisfatto di aver trovato finalmente un modo per comunicare, anche se, al momento, era univoco, non ci sarebbe stato bisogno neanche di chiedere aiuto del suo migliore amico, il primo passo era stato compiuto egregiamente!

Milos, o Melos, che dir si voglia, da cui prendeva il nome proprio in quanto nativo del luogo, era l'isola più a sud-ovest delle Cicladi e aveva origini vulcaniche. Il suo significato letterale significava “isole delle mele”, ed era proprio a questo frutto che il giovane Cavaliere di Scorpio si sentiva indissolubilmente legato, chissà perché, era come avere una sorta di imprinting sul fatto che quel particolare frutto gli facesse bene. Quando doveva togliersi uno sfizio, pigliava una mela dall'albero e se la gustava, più o meno come una caramella, non c'era nulla di più buono di quel frutto zuccherino! Naturalmente adorava anche la sua isola che gli aveva dato i natali e il nome. Non che il luogo potesse offrirgli chissà quali spunti, visto la circonferenza di appena 23 km e il territorio per lo più aspro e collinoso, ma era il suo posto; il posto che aveva ereditato dai suoi parenti e dal quale, per la prima volta, si era affacciato al mondo.

In verità, non aveva mai conosciuto i genitori, non aveva alcun ricordo di loro, non sapeva cosa significasse essere figlio, né tanto meno fare il padre o la madre, perché i suoi erano morti prima di insegnarglielo. Come avessero lasciato quella vita non lo rammentava, e forse era anche meglio. Ricordava solo la solitudine, aspra e forte, come l'isola, poi... l'iniziazione a Cavaliere, ancora piccolissimo, e... una fitta chioma di capelli blu di un bambino che, in principio, aveva creduto muto e asettico, da quanto stava zitto e immobile, ma che, successivamente, dopo numerosi tentativi e fraintendimenti, aveva preso a sorridergli, a parlargli e ad apprezzarlo per come fosse. Quel bambino corrucciato era Camus, il suo migliore amico, la persona che sarebbe diventata il suo punto di riferimento e, per certi versi, l'esempio da ammirare per modo di combattere e temperanza. Una vera e propria spina nel fianco che difficilmente parlava apertamente con lui dei propri problemi, ma avvertiva nitidamente il suo affetto e tanto gli bastava. Quella persona lo aveva salvato dalla solitudine triste dei giorni dell'infanzia, non lo avrebbe mai dimenticato. Per quanto Camus avesse diverse difficoltà ad esporsi, costituiva il suo mondo, che avrebbe protetto ad ogni costo.

“Accidenti, da quando sono diventato così sentimentale?! - bofonchiò tra sé e sé, mentre, con la mano stranamente sudata, stringeva quella della piccola Sonia, gesto imbarazzatissimo ma che non era poi così male, forse, del resto anche lei, come lui era ormai sola al mondo e spaurita – Possibile che quel ghiacciolo mi manchi così tanto?! E non si è fatto ancora sentire, quel dannato!”

Camminavano sull'isola mano nella mano, mentre, di tanto in tanto, qualche passante gli concedeva uno sguardo un po' più lungo del dovuto, interrogativo, neanche pensasse davvero che potesse essere il padre della bambina e... un secondo! Ma effettivamente a cosa poteva assomigliare, in un frangente simile?! Aveva negli occhi qualcosa di diverso rispetto ai suoi coetanei, un qualcosa che lo rendeva concretamente già uomo, sebbene si sentisse un ragazzo.

La bambina se ne stava sulle sue, non parlava, seguitava solo a a stare al suo passo, il capo chino e gli occhioni spalancati verso il vuoto. La paura si poteva percepire, la paura, in quelle due iridi tumultuose come i flutti del mare, bastava fermarsi solo un po' ad osservarla.

L'obiettivo finale di Milo andava al di là del mero gelato, comprendeva anche l'incontro con una persona; una persona che, sperava, l'avrebbe aiutato in quel casino: Myrto.

Myrto era una levatrice ispirata alla filosofia di Socrate e quindi, conseguentemente, al Platonismo. L'aveva conosciuta che era un ragazzo, un puer inesperto, se così si poteva dire, lei era ciò che comunemente gli esseri umani normali potrebbero definire il primo, tumultuoso, amore, malgrado la notevole differenza di età di 8 anni, anzi, forse proprio per quello.

Lei era bella, istruita e affascinante, con gli uomini ci sapeva fare e anche Milo, all'epoca appena quattordicenne, desideroso di nuove esperienze che rompessero gli schemi del Santuario, ci cadde; lui, così voglioso di provare, impertinente quanto inesperto, non poteva perdere un'occasione simile, ancora di più perché le piaceva follemente, le piaceva il suo formoso corpo che racchiudeva tutta la perfezione di una creatura dell'altro sesso, follemente bella e assai più navigata di lui.

Successe perché entrambi lo desideravano ardentemente, entrambi si piacevano, senza pretese di chissà quale tipo e, in ultimo, i loro corpi richiamavano l'altro con tale forza da essere impossibile resistergli. Si era creata una certa complicità tra loro negli anni, essendo originari della stessa isola che gli aveva dato i natali, come Venere baciata dalle onde, così il loro accordo fu di tacere tutto, così fecero.

Una legge di Atena, antica come le ere mitologiche, obbligava i Cavalieri suoi adepti a prestare giuramento di castità, ma era una regola vecchia millenni, più nessuno ci dava retta, compresi molti dei Cavalieri d'Oro. Per cui... Milo fece, a piccoli passi dati dall'incertezza, ciò che Death Mask e altri suoi pari praticavano regolarmente, infischiandosene delle regole.

Fu un'esperienza memorabile, avuta con la donna che, all'epoca, considerava la più bella creatura mia vista su quella Terra, che doveva proteggere perché compito di dorato custode. Lo fece e non se ne vergognò, ma in quel momento, a distanza di due anni, a posteriori non avrebbe più ripetuto quell'errore. Poiché era cresciuto un po', poiché due anni, per un Cavaliere, erano forse 5, anzi, 10 di una persona normale. E Milo sentiva che qualcosa gli fosse stato strappato a forza, perché doveva maturare, e farlo velocemente, non poteva cincischiare, non poteva perdere tempo.

Myrto aveva accettato pienamente il compromesso, rimasero quindi amici, complici, ma non ci sarebbe stato più nulla di fisico tra loro; del resto. l'accordo non prevedeva null'altro, solo quella travolgente passione durata la carezza di un respiro, intenso come l'ultimo. Nessuno dei due ci era rimasto male, tuttavia Milo continuava ad avere la sensazione che qualcosa gli fosse stato strappato con veemenza, estraniandolo da sé stesso, estraniandolo dall'essere un ragazzo qual'era, obbligandolo a crescere anzitempo.

Arrossì notevolmente a quei pensieri, mentre osservava Sonia gustarsi il gelato con enfasi. Si era davvero rammollito, tutta quella pioggia di ricordi proprio nel momento in cui doveva tirare su quella creatura dal passato difficile e misterioso, pazzesco! Ma lo aveva promesso ad Aiolia, al quale era legato da una vecchia amicizia ormai decaduta, senza contare che si sentiva in dovere di essere all'altezza di Camus, fiero e risoluto nel proseguire i suoi obiettivi e gli ordini impartiti dal Grande Sacerdote che, a soli 13 anni, gli aveva già affidato diversi allievi, alcuni dei quali misteriosamente scomparsi.

Però... che rottura crescere! Era tutto così ingiusto!

Tutto ciò a cui teneva in fanciullezza era stato spazzato via dall'impossibilità di condurre esistenze normali. I suoi amici d''infanzia, nonché compagni, li avvertiva smarriti, ancora prima di essere separati dalla Nera Signora, perché, si sapeva, il loro destino era quello di morire giovani, in una battaglia o nell'altra. Mai si era sentito così solo, neanche da bambino, perché un conto era non sperimentare mai una certa cosa, un altro conto era invece viverla, sentirla sotto pelle, come si sentivano i battiti del cuore, e poi perderla irrimediabilmente... perderla, perché le circostanze lo richiedevano, perché gli altri avevano preso strade diverse, perché, infine, lui era rimasto indietro, ancora saldamente e ottusamente ancorato al desiderio di vivere una vita che a lui, in quanto Cavaliere d'Oro, non era concessa. Non voleva tutto ciò, voleva ritagliarsi il suo tempo, tuttavia non esistevano alternative.

Si trovavano ora su una panchina, il sole discretamente tiepido nonostante la brutta stagione inoltrata. Sonia aveva il naso sporco, ma non sembrava darci peso, cosa che invece fece ridacchiare Milo, finalmente concentrato su questioni concrete e non sui rimpianti che tacitamente si portava dietro.

“Vieni qui, peste, che col naso così sembri un animaletto!” le disse, prendendola maldestramente in braccio per pulirla. Sonia pareva avere un temperamento mansueto, non oppose resistenza, limitandosi a fissarlo con quei due occhioni verdi, gli stessi di Aiolia, ma l'espressione determinata e fiera di Aiolos, l'intrepido Cavaliere del Sagittario. Milo scacciò a forza l'immagine fastidiosa e opprimente del traditore che era la causa matrice di tutto. Per colpa sua era nato tutto quello sfacelo, quell'avvenimento aveva decretato la fine della loro infanzia, già segnata, affrettandola ancora di più.

“Ma guarda un po'... mi chiami tutto trafelato che sei nel pieno di un'emergenza, io mi preoccupo, accorrendo qui il prima possibile per scoprire invece che hai deciso di adottare una creatura... questo sarebbe il motivo della tua chiamata?!”

Milo sussultò al solo udire quella voce melodiosa e un poco canzonatoria. Non c'era che dire, anche Myrto poteva essere pungente come uno scorpione, non era un caso che fosse nata il suo stesso giorno, l'otto di novembre di diversi anni prima.

La guardò mentre il cuore accelerava di colpo, battendo come un forsennato contro il suo petto. Myrto era bellissima come sempre, i suoi occhi languidi, la pelle un poco olivastra come da sue origini, gli trasmetteva una voglia smisurata di continuarla a fissarla, quasi si trattasse del più bello spettacolo della natura. E forse lo era, lo era ancora, nonostante le promesse.

Sonia, dalla sua posizione, la guardò inclinando un poco la testa di lato, scettica. Rassomigliava ad una maestrina che stesse studiando tutte le caratteristiche del proprio allievo. Non aveva che dieci anni, invece.

“Di' un po'... - lo incalzò nuovamente Myrto, sedendosi al suo fianco e scoccando un'occhiata delle sue, che quelli come Milo sapeva come prenderli e farli girare senza troppi fronzoli – Per caso è figlia tua e di Camus? Vi siete finalmente decisi a fare il grande passo?”

Milo imporporò fino a raggiungere un colorito scarlatto come la sua cuspide.

“Ma che ti salta in mente, Myrto?! Sai bene che Camus non è qui, ed è il colmo che proprio tu mi chieda una cosa simile, ben sapendo cosa c'è stato tra noi!” esclamò lo Scorpione, girando la testa di lato. Ma era visibilmente imbarazzato.

Inaspettatamente la donna rise di gusto, nascondendo le labbra rosee e carnose dietro la mano affusolata.

“Massì, massì, lo so... - lo prese in giro, ridacchiando – Anche se devi ammettere che tra te e Camus vi è quantomeno un rapporto, per così dire, strano... soprattutto da parte tua, giovincello!”

“Ma non dire fesserie e ascoltami, piuttosto!” la zittì l'altro, tentando di scacciare l'imbarazzo.

Che quel dannato di Camus gli mancasse era più che veritiero... gli mancava talmente tanto che, qualche volta, provava a chiamarlo per telefono, o inviando lettere, e quell'ingrato non rispondeva. Mai. Ma da lì ad accorparlo sessualmente al compagno era una esagerazione, che cappero le frullava in testa?!?

Tuttavia si accorse altresì di essere arrabbiato proprio con il migliore amico per la sua, neanche poco apparente, indifferenza. Decise di non pensarci più e illustrare la situazione.

Trattò quindi di Sonia, del fatto che non parlasse e che probabilmente era successo qualcosa per renderla così. Naturalmente non scese nei dettagli, poiché lo aveva promesso ad Aiolia e aveva il concreto timore che i ricordi le potessero tornare, procurandole un nuovo trauma. Gli dispiacque non essere più preciso di così e pregò in cuor suo che l'amica potesse comunque essergli d'aiuto anche con quei pochi elementi narrati.

Myrto ci rimuginò un po' su, prima di parlare direttamente con la piccola creatura.

“Sonia, eh? E' proprio un bel nome, sai?! E' la variante russa di Sofia; Sofia come filosofia, sì, quindi come saggezza. Hai un nome di grande prestigio, piccoletta, sarai senz'altro all'altezza del suo significato. Anche perché... - tacque un attimo, facendo l'occhiolino – Milo ha proprio bisogno di una balia come sostegno, altrimenti è talmente idiota che si smarrisce da solo, ancora di più ora che Camus non è con lui!”

“EHI! Ma che comportamento è questo?!? Ti ho chiesto una mano con lei, non di insultarmi in questa maniera! Guarda te che modi!”

“Vedi?!?”

Inaspettatamente Sonia si mise a ridere, sorprendendo lo stesso Milo che gonfiò le guance evidentemente offeso. Aveva fatto un bell'affare, non c'era che dire, ci mancava giusto che Sonia si mettesse a parlare per dargli addosso, complice di quella sputasentenze di Myrto.

Decise comunque, con uno sforzo encomiabile, di comportarsi con maturità e lasciarsi passare sopra le critiche, anche se non era affatto facile, per Atena, non era mica Mu, o Shaka!

Myrto prese delicatamente il viso di Sonia fra le dita, chiedendole gentilmente di aprire la bocca e fare altre cose che lo Scorpione non comprendeva affatto. Quella gli sembrava una visita in tutto e per tutto e non aveva chiesto un parere a Myrto per ispezionare la piccola Sonia, bensì per capire se qualcosa non andasse, morfologicamente o meno. Attese pazientemente qualche minuto.

“Milo... non vedo niente che non vada in lei!” decretò infine Myrto, tornando a concentrarsi sul di lui.

“Come no! Non parla... dimmi poco!” ironizzò lo Scorpione, sbuffando.

“Ma capisce quanto le dici e non ha alcun tipo di danno a lungo termine... quindi significa che il suo stato non è causato da una patologia, ma da un trauma, ne sai qualcosa?”

“Eeeeeeeh, ecco, no...” mentì Milo, laconico.

Effettivamente conosceva poco dell'accaduto, ma qualcosa sapeva e non rivelarlo lo faceva sentire dannatamente sporco.

“Booof, allora non possiamo che aspettare finché la voce e la voglia di comunicare non tornerà da sé!” concluse, pratica.

“Mi confermi... che non ha niente?”

“Sì, è una bambina sana e forte, puoi star tranquillo! Aspetta con pazienza e, se hai bisogno di una mano, non esitare a chiamarmi. Mi piacciono molto i bambini!” disse Myrto, regalando una carezza a Sonia che nel frattempo sbadigliava assonnata.

“Perfetto, allora aspetterò!”

 

 

* * *

 

 

In effetti, Sonia non aveva niente che non andasse, proprio come aveva detto Myrto. Mangiava, sorrideva, espletava i suoi bisogni senza problemi e guardava con curiosità l'ambiente circostante, ma perseguiva a non parlare. I giorni passavano tra chiacchiere dello Scorpione, che si sforzava di continuare a parlarle, e routine quotidiana. Era una bambina molto intelligente, questo Milo lo presagiva dai pochi elementi che aveva appreso continuando ad osservarla. Tuttavia il silenzio tra loro gli causava parecchio imbarazzo, non essendo abituato a comunicare senza ricevere una risposta. Certo, neanche il suo migliore amico era un genio della comunicazione, ma almeno qualche segno di vita, un borbottio, lo dava. Lei no. Ma lui non demordeva, determinato come non mai.

Passarono alcuni giorni dove Milo si premuniva di mantenerla lontana dal Tempio. Si assentava per buona parte del giorno a causa dei suoi compiti e, quando tornava, Sonia aveva già preparato la tavola, a volte addirittura cucinando alcune cose che allo Scorpione parevano squisite. Certo, erano cose semplici, ma a Milo piacevano, anche perché lui non era propriamente portato in quel settore.

Così l'anno andava globalmente verso la sua conclusione, ormai si contavano i pochi giorni che separavano la fine del 2005 al nuovo anno; un anno nascente che avrebbe visto Milo nuovamente da solo, come ormai accadeva dai diversi anni, ovvero da quando Camus era partito alla volta della Siberia per allenare gli allievi. Milo sbuffò a quel pensiero, mentre, con lo sguardo vacuo, guardava fuori dalla finestra. Sonia era già andata a dormire, placida, mentre a lui era rimasto il tempo per pensare, come accadeva sempre più soventemente. Sbuffò ancora una volta, ricordandosi che, alla fine di tutto il rigiro, era stato più il tempo trascorso separato dal suo migliore amico che non quello in cui erano stati insieme. Era frustrante. Li separavano chilometri e chilometri, ma avrebbero potuto rivedersi quante volte volevano con i poteri dei Cavalieri d'Oro. Ma non era fattibile, lo sapeva. Il Grande Sacerdote nutriva grande fiducia in Camus, talmente tanta da affidargli il primo allievo da giovanissimo, l'Acquario, dal canto suo, si era buttato in quell'impresa con determinazione e saggezza, mentre lui, lo Scorpione, era ancora a razzolare per l'aiuola in maniera puerile, sempre con quella perenne sensazione di essere stato strappato e maciullato senza pietà. Quel qualcosa proprio non gli andava giù, men che meno il fatto che i suoi legami; i legami che si era creato, fossero stati strappati in quella maniera vergognosa. Camus in Siberia, Mu in esilio volontario, il Cavaliere della Bilancia, reduce dalla Scorsa Guerra Sacra, non faceva più ritorno da secoli, Death Mask e Aphrodite, tanto per dire, a fare il cazzo che pareva a loro, infine Aiolia il fratello del traditore, prima vittima di Aiolos, ma indissolubilmente complice.

Era aberrante, lui veniva dal nulla, ed era tornato nel nulla, in una esistenza vuota soggetta ai doveri. Tutto il mondo che si era costruito, la famiglia che si era creato... tutto in malora per decisioni altrui. E lui, a quelle decisioni, doveva attenersi. Doveva starsene. Perché erano più potenti di lui. Eppure un uomo, ancora di più se Cavaliere, non aveva il sacro dono di plasmare il futuro?! Di decidere della propria sorte?!

In un impeto di stizza, si alzò in piedi, facendo cadere maldestramente il cellulare che magicamente si illuminò proprio in quel momento. Milo in un primo momento credette fosse causato dalla botta stessa, poi guardò meglio, accorgendosi che quello continuava a vibrare. Si ritrovò a sussultare nel constatare il numero in sovrimpressione, un vero e proprio colpo al cuore. Un sogno... un miracolo!

Lentamente lo raccolse, portandolo istintivamente all'orecchio poco dopo aver schiacciato il tasto per l'accettazione della chiamata.

“Milo?”

Eccolo lì, il redivivo siberiano che si era appena ricordato della sua esistenza. Un misto di emozioni invase lo Scorpione, dal sollievo, alla felicità, al fastidio... decise di fare il prezioso, per una volta. Doveva fargliela sudare, non poteva cedere, non subito, almeno.

“Il numero da Lei chiamato non è al momento raggiungibile. Il cliente si deve essere stufato di essere continuamente bistrattato da quello che, almeno in teoria, dovrebbe essere il suo migliore amico!”

Cantilenò Milo, con tutta l'asprezza e la durezza che gli riuscisse, malgrado avvertisse già il suo cuore sciogliersi. Dannata debolezza! Dannato affetto!

“Non fare lo scemo, Milo! Pensi che mi diverta a fare così? A non farmi sentire?! Certo che no! Ma ho dei doveri, lo sai, sto addestrando due futuri Cavalieri di Atena!”

Ribatté la voce francese, con un pizzico di alterigia.

“Esistono i cellulari, sai?!”

“Non sempre qui prende e, cosa ancora più importante, spesso non ho il tempo fisico per fare due chiacchiere con te. Se non mi vedi, o non mi senti, non significa che io mi sia dimenticato di te!”

Milo sospirò, riconoscendo un velato tentativo di tranquillizzarlo in quel tono apparente piatto. Tuttavia non si arrese.

“Piccioni viaggiatori, invece? Ne avete lì? Magari questo stratagemma funziona!” continuò, sempre beffardo.

Silenzio dall'altra parte. Conoscendolo, avrebbe anche potuto buttare giù il telefono, quel disgraziato, decise quindi di cedere il passo.

“Lo so, Camus, lo so... ma la distanza fisica tra noi mi pesa, capisci? Inoltre... inoltre ci sono tante cose di cui vorrei parlarti, amico mio!”

“Ne sono consapevole... è da tanto che non lo facciamo... - prese una breve pausa, sospirando – Ascolta, Isaac e Hyoga sono abbastanza grandi per rimanere da soli qui in Siberia per un paio di giorni, inoltre il Grande Sacerdote mi ha chiesto di far rapporto sui loro progressi. Ancora non so quando, ma farò in modo di venire lì in Grecia il prima possibile, intesi?”

“Da-davvero?!”

Milo non ci poteva credere, era la notizia più bella che potesse ricevere in una tetra giornata fredda di fine dicembre.

“Sì, è una promessa... ora però devo staccare, Mil...”

“Cam, aspetta un attimo!”

“Sì?”

Il tono del suo migliore amico, dall'altra parte della cornetta, aveva assunto una sfumatura strana, che avesse capito l'urgenza della sua voce?!

“Anche io... anche io sto tenendo una bambina. Deve avere grossomodo l'età del tuo Hyoga, ma diverse sono le circostanze in cui l'ho incontrata e... e ho bisogno di consigli, amico mio...”

“Un'allieva? O cos'altro?

“EHM, è un po' lungo da narrarti...”

“Va bene, ho capito, ne parleremo a voce e... ah, Milo...”

“Sì?”

Bonne année, mon ami! Anche se da voi è più corretto dire San Basilio, giusto? In ogni caso, spero che il melograno che aprirai ti indichi molta fortuna!”

E riattaccò istantaneamente, neanche si vergognasse dell'eventuale risposta. Semplice. Diretto. In qualche modo però riusciva a riscaldargli il cuore.

“Dannazione a te, Camus, e al giorno in cui io decisi di essere tuo amico!” ironizzò Milo, al tu-tuu della linea ormai interrotta. Eppure era quanto di più bello volesse ricevere in quella notte. Posò la sua fronte contro il freddo del vetro, socchiudendo le palpebre. Sempre per qualche strana ragione, ora che lo aveva sentito si sentiva più solo di prima.

“Era la persona con cui hai quel rapporto strano, vero?”

“Sì, era il mio migliore amico Camus... non immagini... non immagini quanto mi pesi la sua lontananza, e quello sfacciato finge pure indifferenza anche quando è limpidamente emozionato. L'ho sempre detto che è sentimentalmente dislessico!”

“Immagino... immagino che ti manchi così come, dopo una lunga assenza, ti manca casa tua. Un po' come le rondini quando sono costrette a migrare...”

“Sì, è un paragone un po' sforzato, ma...” ma si bloccò, pietrificandosi. Non aveva mai sentito quella voce pacata, eppure non poteva appartenere che all'unica persona con cui ormai condivideva la casa sull'isola di Milos. E quella persona era...

Si voltò incredulo, incrociando il suo sguardo con quello della piccola Sonia che, nell'oscurità, brillava di smeraldi bagliori. Ci mise un po' a razionalizzare il tutto, credendo di stare sognando. Fortunatamente Sonia decise di continuare a parlare.

“Non ricordo di aver avuto mai amici così, però... è come se la avvertissi, questa tua malinconia, è come se...”

Ma non ebbe il tempo di finire che si ritrovò quell'impulsivo dello Scorpione a stritolarla in una morsa soffocante. Impossibile evitarla, troppo veloce e inaspettato.

Sonia si ritrovò maldestramente tenuta in braccio dalle forti braccia dello Scorpione, i piedi sollevati da terra e il non raccapezzarsi più della situazione. Non avrebbe mai potuto pensare che qualcuno la potesse abbracciare con così tanta forza, neanche fosse stata un fuscello.

Milo, dal canto suo, non capiva il motivo di tutta quella euforia. Neanche lui si raccapezzava più, né di come ci fosse finito lì, correndo come un forsennato per abbracciare quella piccola creatura a cui si era ritrovato a badare, né del perché il suo cuore aveva accelerato così tanto. Non riusciva a ripetere altro che:

“PER ATENA! TU PARLI! PARLI!!!”

Sonia si ritrovò così stretta nella prima morsa 'scorpionifera' della sua vita. E arrossì, non aspettandosi quell'intenso gesto di affetto.

“Uh... sì... ci sono riuscita. Perché volevo farlo con tutto il cuore già da un po' ma... non riuscivo e... - tossicchiò, imbarazzata – Tu parli sempre, Milo... era impossibile non controbattere mai niente!” tentò di spiegare, ritrovandosi a sorridere.

Anche Milo sorrise tra sé e sé, sedendosi per terra per tenere meglio tra le braccia quella creaturina che, da lì in poi, avrebbe imparato a crescere.

“A quanto pare i miracoli... esistono davvero!” commentò, sbuffando ilare, affondando il viso nei capelli della bambina. La distanza fra loro non era più così incolmabile.

 

 

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Ed eccoci al secondo capitolo, tra fisica (molto) spicciola, i pensieri e le azioni di Milo, un nuovo personaggio appena apparso e il primo approccio tra la piccola Sonia e lo Scorpione.

Come al solito, se avete commenti e consigli sono ben accetti, per il momento una precisazione: il melograno che cita Camus è una usanza greca in cui, durante la notte di San Basilio, il nostro Capodanno, viene rotto questo frutto, più sono numerosi i chicchi sparpagliati, più grande sarà la fortuna in quell'anno. La Grecia è a maggioranza Cristiano Ortodossa, Milo è greco, Camus è francese, entrambi sono ovviamente fuori dal Cristianesimo, ma me li immagino comunque a festeggiare le rispettive usanze dei propri Paesi, inoltre l'Acquario ha passato i primi 5 anni di vita in Italia, con la famiglia d'origine, quindi ricorda festività diverse.

Cosa ve ne pare di Myrto? Avrà un ruolo importante anche per la piccola Sonia!

Come sempre, ringrazio calorosamente chi mi segue! :)

 

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Capitolo 3
*** Il Mago dell'acqua e del ghiaccio (prima parte) ***


CAPITOLO 3: IL MAGO DELL'ACQUA E DEL GHIACCIO (PRIMA PARTE)

 

 

 

-Da quel momento in poi cominciai a parlare, senza fermarmi più, a parlare a parlare e ancora parlare. Era bello discorrere con Milo, anche se credo che per lui, il più delle volte, rappresentassi una seccatura di non poco conto. Comunque trascorse Capodanno e passò quasi un altro mese sull'isola di Milos senza che io potessi entrare nel Mondo Segreto e senza chiedermi da dove venisse colui che mi aveva dato rifugio, anche se qualche volta accennava a questo luogo un po' magico e misterioso chiamato 'Santuario di Atene'. Passò un mese, ho detto, perché effettivamente a fine gennaio sorse il primo problema, la prima separazione: era stato chiamato ad adempiere ai suoi sacri doveri di Cavaliere d'Oro, perciò si sarebbe assentato da casa per almeno una settimana.

-E quindi tu rimasi da sola?

-L'intento era quello di affidarmi a Myrto, le mie intenzioni differivano. Al terzo giorno con lei mi sentii sola, perché mi mancava tremendamente la sua presenza costante. Ebbi infine paura di essere stata abbandonata, per questo motivo, al quarto giorno, mi decisi a seguirlo.

-A seguirlo?!? Non eri che una bambina, Sonia, su un isola discretamente distante da Atene, come... come hai fatto?

-E' proprio questo che ti voglio raccontare ora.

-Oh, sono tutta orecchie!

-Quel giorno, il giorno della mia fuga da Milos per tentare di ricongiungermi a Milo, destino volle che mi incontrassi per la prima volta con un'altra persona che sarebbe stata basilare per la mia vita. Sto parlando di Camus, tuo fratello maggiore!

 

 

 

* * *

 

 

Sonia sospirò in direzione del mare da cui aveva visto partire Milo almeno tre giorni prima. Si sentiva affranta, spaurita e... sola. Certo, il ragazzo con cui si era trovata a convivere le aveva promesso che, nel giro di una settimana, sarebbe tornato con dolcetti e regali per premiarla della pazienza, il che, in un primo momento, era riuscito a rincuorarla. Aveva quindi aspettato in trepidante attesa le prime giornate sulla spiaggia, ma successivamente a quel vago senso di febbrile aspettativa, si era andato incrementandosi un timore sempre più soffocante: e se invece l'avesse abbandonata lì, rappresentando un peso per lui, incalcolabile spina nel fianco?

Sonia rabbrividì al solo pensiero, tornando ad incassare la testa tra le spalle e ad abbracciarsi le ginocchia. Aveva terrore a rimanere da sola, non voleva più starci. Convivere con la solitudine significava rivedere immagini di fiamme maligne che lambivano tutto, distruggendolo fino a ridurlo in cenere. In tutto questo lei scappava, fino allo stremo delle forze. Poi il nulla. Non riusciva a collegare quelle immagini con sé stessa, ma... ne aveva una paura folle!

 

Milo, dove andrai? Perché ci devi andare?”

E' solo per una settimana, Sonia. Te l'avevo detto, no, che sono un supereroe? Ecco, questo supereroe ha dei doveri ai quali non può sottrarsi!”

E con chi parlerò io, con chi mi conforterò se avrò gli incubi?”

No sarai sola, ti lascio con Myrto, se avrai bisogno ci sarà lei”

Non è la stessa cosa, Milo...”

Ehehehe, effettivamente da quando hai aperto bocca non stai un secondo zitta, ora capisco come si sentiva Camus quando parlavo a macchinetta. Anche tu sei un treno, Sonietta!”

Significa... che ti do fastidio?”

No, aha, solo che ora capisco cosa significhi non trovare spazio per aprire bocca a causa del fluire delle parole di un altro!”

 

E se ne era andato così, con quella frase a metà che poteva rasentare il fastidio. Forse davvero l'aveva lasciata lì, non sopportando più la sua pedanteria. Rabbrividì di nuovo, terrorizzata alla sola idea. Effettivamente, una volta riacquistata la voce, lo aveva sommerso di domande, alcune delle quali non trovavano volontariamente risposta. Anche quello, di per sé, poteva essere un chiaro sintomo del fastidio. Ingoiò a vuoto, tesa.

“Eccoti, Sonia, sapevo di trovarti qui!”

La bambina si voltò in direzione della voce, vedendo avvicinarsi Myrto che era appena sopraggiunta. Istintivamente si fece piccola piccola, desiderando scomparire.

“Sai che Milo non tornerà prima di almeno altri tre giorni, se ti trova così imbronciata poi se la prenderà con me per non essermi presa cura sufficientemente di te!” la rimproverò bonariamente lei, accarezzandole i capelli.

Sonia non rispose, tornando a guardare il mare. Si trovava bene con Myrto e, in circostanze normali, ci avrebbe anche parlato, ma non era come Milo, con lui era automatico discorrere, come era automatico avvinghiarsi al suo braccio muscoloso nelle notti di paura, tra gli incubi inconsistenti e il buio della mente. Era allora che il ragazzo, ridestatosi a seguito del suo tocco, la abbracciava dolcemente, riaddormentandosi più vicino a lei senza più lasciarla. Bastava quello per rasserenarla e ricacciare indietro le lacrime che, fastidiose e inspiegabili, facevano capolino nei suoi occhioni. Solo quello. E di nuovo chiudeva gli occhi, più serena.

“Aspetto Milo” bofonchiò laconica, sistemandosi meglio a sedere.

“Come preferisci, l'isola è sicura, non è pericolosa e puoi andare dove vuoi, ma ricordati di tornare prima del tramonto a casa. Io oggi sono un po' impegnata perché Adelpho è tornato all'alba con il carico proveniente dal Santuario e le provviste, ripartirà per l'ora di pranzo per Atene, quindi dobbiamo scaricare le merci prima di quell'ora. – spiegò pratica Myrto, sorridendole e permettendosi di arruffarle i capelli – Ti prometto che domani passerò la giornata a giocare con te, va bene?”

A Sonia le si illuminarono gli occhi, ma non per l'ultima frase, bensì per quella prima ancora. Da quanto si ricordava, Adelpho era un adepto del Luogo Segreto di cui ogni tanto Milo accennava qualcosa senza scendere in particolari. Quell'uomo di mezza età si era occupato in prima persona dell'addestramento di Milo in gioventù, ed era anche ambasciatore fra i due mondi. La sua presenza lì poteva significare solo una cosa...

“Myrto, Adelpho tornerà ad Atene in tarda mattinata?! E' il luogo in cui Milo va a fare il supereroe, vero?” chiese, un poco titubante.

“E' esattamente così, per questo devo aiutarlo a scaricare il più in fretta possibile, in più oggi pomeriggio devo fare la spesa. - rispose la giovane donna, sorridendo affabile – Siamo intesi, allora? Torna prima del tramonto e domani sarò tutta tua. A dopo, piccoletta!”

Sonia annuì con convinzione, aspettando che Myrto si allontanasse da lì. La sua mente aveva già preso a lavorare febbrilmente.

Adelpho sarebbe quindi ripartito per la volta di Atene con la sua imbarcazione e, ad Atene, da qualche parte, c'era Milo. Non ci sarebbe stata un'altra occasione più propizia!

Sonia attese ancora qualche minuto, era una bambina molto sveglia, prima di sgattaiolare a tutta birra in direzione del porto più vicino, presso Adamas. Doveva fare in fretta, il tempo scorreva veloce, troppo veloce.

La piccola corse veloce a dispetto delle corte gambine che si ritrovava, non ancora pienamente sviluppate. Aveva un leggero ritardo nella crescita, al punto da sembrare più piccola rispetto alle sue coetanee, ma non per questo era meno volenterosa nei suoi intenti, tutt'altro. Conosceva bene l'imbarcazione di Adelpho, impossibile sbagliarsi, poiché tante volte aveva approdato a Milos, rifornendogli cibo, acqua e altri beni di prima necessità. Giunse quindi nell'area destra del porto, notando, con immenso piacere, che, dato il periodo, non vi era molta gente. Meglio così. L'isola era piccola e ormai, lì al porto principale, la riconoscevano praticamente tutti, un passo falso sarebbe equivalso ad essere immediatamente colta in fragrante, e Sonia aveva altro per la testa che finire in punizione senza aver raggiunto i suoi obiettivi.

Sgattaiolò velocemente tra le imbarcazioni, studiandole brevemente una per una, finché non riuscì ad individuare quella che interessava a lei. Come immaginava, era facile accedervi, complice il fatto che su Milos si conoscevano tutti, quindi non c'era bisogno di precauzioni contro i furti o altro, almeno nella cosiddetta brutta stagione in cui l'isola in questione era popolata solo dai suoi abitanti.

“Non ti preoccupare per me, Myrto, starò bene, appena avrò trovato Milo ti telefonerò per dirti che è tutto apposto!” disse al vento, sentendosi un po' in colpa per la marachella che stava per combinare. Ma Milo le mancava troppo e aveva bisogno di sapere se davvero lei non fosse altro che una seccatura per lui.

Salì quindi quatta quatta sull'imbarcazione rinominata 'il Kraken' da Adelpho, si nascose dentro la scialuppa coperta da un telo e si sdraiò a pancia sotto, facendosi piccola piccola. Non le restava che attendere. E attese, attese quel che a lei parvero ore ma che probabilmente fu molto meno. D'improvviso avvertì uno scricchiolio appena fuori dalla barca, poi un chiacchiericcio di voci sia maschili che femminili, istintivamente si acquattò ancora di più, timorosa. Successivamente ancora uno zampettare frenetico che precedeva dei passi pesanti. Sonia si ricordò solo in quel momento che Adelpho aveva un cane che lo accompagnava sempre, un Setter inglese per la precisione, addetto al controllo dell'imbarcazione che probabilmente reputava parte del suo territorio. La bambina tremò, mentre la sua mente cominciò a lavorare ancora più febbrilmente. Il cane poteva, senza ombra di dubbio, percepire la sua presenza. Era un bel problema.

Infatti Diablo, così si chiamava, appena salito a bordo si arrestò di colpo mentre, annusando l'aria, ringhiò, un'unica volta, individuando una pista. Sonia si costrinse a tapparsi la bocca, perché altrimenti avrebbe potuto farsi beccare, data l'accelerazione istantanea del suo respiro. Aveva paura dei cani, una sorta di terrore atavico, anche di questo non ne ricordava il motivo.

Nel frattempo, ancora a terra, Adelpho e Myrto discorrevano placidamente tra loro di un qualcosa per loro urgente. Sonia non li udì se non appena, troppo impegnata a ritrarsi nel vedere, con orrore, il muso del cane apparire sotto il telone, ringhiando con sempre più forza.

“Mi farai sapere qualcosa di Milo, allora?” chiese Myrto, incrociando le braccia al petto.

“Certo che sì, appena lo vedrò ti farò un chiamo, sai perché è andato?” ribatté Adelpho, con un pizzico di tremore.

“Sai com'è... il Mondo Segreto tende a non rivelare molto di sé, non solo agli esterni, ma anche a noi periferici che viviamo a cavallo tra le due realtà. Comunque pare che il Grande Sacerdote faccia dei sogni sinistri sul futuro, a proposito di una Atena maledetta che muove guerra contro di lui. Dio solo sa cosa significhi!”

“Una Atena maledetta, eh? Mmm, le cose sono cambiate molto rispetto a quando Milo era piccolo, non mi piacciono i nuovi risvolti...”

“Che rimanga fra noi, ma... a me non piace proprio questo Grande Sacerdote, sembra totalmente snaturato!”

“Myrto! Non puoi dire questo, lo sai bene... - la rimproverò Adelpho, fremendo notevolmente – Tuttavia capisco bene il tuo pensiero, ahimé, ma che rimanga fra noi!”

Si ritrovarono ad annuire entrambi, complici. Tuttavia il sacro era inviolabile, non potevano permettersi, loro due, semplici umani, di contrapporsi alla volontà del rappresentante di Atena in terra. Si scambiarono quindi parole di saluto, prima di tornare alle rispettive faccende.

Adelpho salì a bordo, preparandosi a ripartire per la volta di Atene, ma si accorse che qualcosa non quadrava, non riuscendo ad individuare il suo cane sulla prua dell'imbarcazione come era solito fare. Si guardò intorno.

“Diablo, dove... - poi lo vide, intento a dare la caccia a qualcosa sotto il tendone della scialuppa di salvataggio – Andiamo, Diablo, non c'è niente lì, vieni qui, bello, EHI!”

Al quinto richiamo finalmente il cane si decise a tornare dal padrone e Sonia poté tirare un sospiro di sollievo, cercando di calmare i battiti irrefrenabili del suo cuore.

Dopodiché finalmente partirono. Sonia non era mai andata per mare, non che se lo ricordasse, almeno, perché effettivamente per essere finita in mezzo ad un'isola con Milo qualcuno ce l'aveva dovuta portare. Pregò in tutte le lingue che conosceva (l'italiano e il greco), di non patire quel particolare mezzo di trasporto e si ricordò improvvisamente di un libro che aveva letto proprio in quel mese che parlava di viaggi ed esplorazioni e persino di una imbarcazione finita nella pancia della balena. Supplicò di non terminare la sua vita come i personaggi di quella storia.

Il tempo pareva non scorrere mai, chiusa in quella scialuppa con sopra quel telo, la piccola non sentiva già più le gambe e le braccia, quasi come se fossero addormentate, ma erano pochi i movimenti che poteva compiere senza fare troppo rumore. Si cominciò a pentire della sua decisione. Nel mentre, pur non percependo lo scorrere dei minuti e forse delle ore da quanto fosse opprimente quel giaciglio, cominciò ad avvertire l'imbarcazione oscillare sempre di più, probabilmente frastornata dalle onde. Che il mare si fosse agitato?

“Merda! - imprecò intanto Adelpho ad alta voce – Le previsioni davano effettivamente una sciroccata a partire da stasera, ma speravo con tutto il cuore che non fosse così in anticipo! Mi sa che balleremo un po', bello!” disse rivolto al cane.

Sonia ingoiò a vuoto, mettendosi in posizione fetale. Non pativa il mar di mare, ma cominciò ad avere paura, una paura folle di finire in acqua. E lei non sapeva nuotare.

“Milo... Milo, aiutami!” sussurrò tra sé e sé, sull'orlo delle lacrime. Ormai la consapevolezza di aver fatto una stupidata era fuori da ogni dubbio.

La barca volteggiava sempre di più in balia del mare, il tutto mentre il tempo scorreva sempre più lentamente. Quanto effettivamente era trascorso dalla loro partenza? Quando ci sarebbe voluto da Adamas al Pireo, il porto di Atene? Come avrebbe trovato Milo?!

Troppe... troppe domande imperversavano nella testolina di Sonia, ormai vinta dal pianto e costringendosi, con l'ultimo baluardo di raziocinio, a non fare alcun rumore che potesse far individuare la sua presenza lì.

Minuti trascorsero ancora, ore... ormai aveva perso il contatto con la realtà, finché, nell'immagine della sua retina, scoprì che la luce del giorno era cambiata, diventando più fioca.

“Uff, eccoci alla vista di Atene!” sospirò di sollievo Adelpho, mantenendo comunque il controllo della barca. Quelle poche parole bastarono per permettere a Sonia di ricacciare indietro i lacrimoni, soppiantati da una nuova speranza. Non poteva in alcun modo affacciarsi, ma quella frase tanto bastava per reputare quasi finito il suo tortuoso viaggio.

Si fece quindi coraggio, infagottandosi ancora di più nella giacchetta che aveva indosso, perché cominciava a fare non poco freddo. Milos, e in generale la Grecia, non erano, di per sé, posti molto rigidi durante l'inverno, ma a volte capitava che il vento proveniente dai Balcani sferzasse l'isola, acuendo la sensazione di disagio. Non era quello il caso, ma la piccola Sonia si trovò a rabbrividire più volte, complice la posizione per lungo tempo statica.

Intanto, con l'avvicinarsi della costa, l'oscillazione della barca aumentava anziché diminuire, obbligando Sonia a tenersi su una sporgenza della scialuppa per evitare di essere sballottata. Era stremata, se ne rendeva conto, e la stanchezza cominciava a farsi sentire, frastornandola e rendendola meno attenta. Chiuse meccanicamente gli occhi, tentando di recuperare una parvenza di calma. Myrto le aveva detto di tornare prima del tramonto, che stava avvenendo proprio in quel preciso momento... chissà se si era già accorta della sua assenza, preoccupandosene. Quante probabilità c'erano che avvertisse subito Milo, magari chiamandolo al telefono o mettendosi in contatto con lui in altro modo? Chissà... chissà... il buio era sempre più incombente su di lei, la sferzava come il vento flagellava le colline aride, sollevando una nuvola di polvere. Ancora un secondo e si sarebbe addormentata completamente, lì, in quella posizione, tenendosi disperatamente alla scialuppa.

Ma non vi riuscì, colpa di un'entità estranea che, apparentemente silenziosa, si era avvicinata a lei, dandole delle vere e proprio musate. Sonia si riscosse, dapprima tiepidamente, poi, mano a mano che la coscienza ritornava, sempre più consapevolmente. E la consapevolezza conduceva presso di sé una vera e propria, gelida, paura.

“Grrrrr!!!”

Questa volta Sonia, ridestandosi completamente, non riuscì a trattenere un urlo, accorgendosi che il cane di prima l'aveva nuovamente puntata, infilando la testa sotto il telone e digrignano i canini affilati. La piccola si ritrasse meglio che poté, ma quella bestia inferocita premeva sempre di più, non lasciandole altra scelta che uscire. Scappò quindi alla ben meglio, gli occhi sempre più annebbiati, i capelli sferzati dal vento imperioso e vari schiamazzi attorno a sé. Nella sua cieca fuga verso il nulla, riuscì solo a percepire la perenne oscurità fuori, mentre il cane, predandola neanche fosse una lepre, la tampinava aggressivamente da dietro. Sonia non capiva più niente dalla agitazione, il cuore era come impazzito e il petto le dava delle dolorose fitte. Con la coda dell'occhio, vide una figura alta che incespicò nei suoi stessi piedi, urlando qualcosa in lingua greca che la bambina, così intenta a fuggire con tutte le sue forze, non capì. Peggio: quel grido strozzato riuscì solo a terrorizzarla ancora di più. L'istinto la guidava verso la prua della barca, via, via da quella bestia che la inseguiva senza pietà. Tuttavia non ebbe il tempo di arrivarci, una brusca scossa dell'imbarcazione, seguita da un nuovo urlo, le fece perdere totalmente l'equilibrio verso il vuoto. Stava precipitando... fu l'unica cosa che riuscì a razionalizzare, prima di finire in acqua e avere la sensazione di essere trafitta da numerosi aghi ghiacciati. Ingoiò automaticamente qualcosa di aspramente salato che la privò di quasi tutte le forze che le erano rimaste. Eppure si dibatteva totalmente alla cieca, non volendo arrendersi a quel tetro sapore di morte che sapeva di salmastro. Provò a muovere e braccia per risalire in superficie, ma qualcosa la trascinava giù. Aprì la bocca per gridare aiuto, permettendo così a nuova acqua di entrare dentro di lei, riempiendole i polmoni. Ormai anche il freddo pareva sparito, sostituito da un bruciore che le ardeva in in gola e nei bronchi. Eppure doveva incontrare Milo, doveva sapere se era davvero una seccatura, doveva...

Gli occhi le si chiusero, arrendendosi all'ovvietà: stava annegando, nessuno l'avrebbe più ritrovata, sarebbe davvero finita nella pancia della balena...

 

Milo... Milo... perdonami!

 

Riuscì a malapena a pensare, prima che la coscienza, già labile, si spense definitivamente, prima di essere acciuffata da due forti braccia che la avvolsero, calde, sicure...

 

 

* * *

 

 

-Sonia!!!

Mi ritrovo ad urlare anch'io, carpita dal racconto della mia amica. L'immagine è stata talmente vivida davanti ai miei occhi che mi ritrovo ben presto a sussultare, percependo quasi la paura della piccola Sonia come mia.

-Sono stata davvero stupida, non trovi?! E' che... pensavo davvero di morire, quella volta, se ci penso ancora rabbrividisco. Non mi è mai del tutto passato quel trauma...

-E ci credo!!! Ecco perché, quando Cardia era stato attaccato nel 2011 durante la nostra missione per recuperare il farmaco per debellare la peste, avevi quell'espressione terrorizzata nel vedere il mare.

-E' proprio per questo, capisci?

-E poi... e poi cosa successe?!? Mi hai procurato un'ansia, So'... non immagini quanto!!!

-Successe che fui salvata...

 

 

* * *

 

 

L'odore di qualcosa di lontanamente simile alle patatine fritte, le entrò prepotentemente nel naso, trovandovi dimora. La piccola bimba tossì, inciampando più volte nei piedi e ansimando con tutta la forza che aveva, perché respirare era diventato difficile, perché se non lo avesse fatto sarebbe stata la fine per lei. Voci imploravano richieste di aiuto in mezzo ai lamenti, ma la bimba non si voltò, continuando il suo cammino totalmente assuefatto. Non si fermò, ma non c'era verso di arrestare quegli schiamazzi, quella puzza sempre più forte di fritto, di qualcosa che bruciava intensamente. Non si fermò, ma le lacrime le pizzicavano gli occhi, incrementando il bruciore causato da quel nero di fumo che le irritava le iridi, arrossandole ulteriormente.

Ad un certo punto tutto tacque, ne più schiamazzi, né richieste, nulla... solo il vento impetuoso e il crepitio del fuoco che divampava. Sonia proseguì il suo cammino con passo incerto ma continuo, desiderando ardentemente la salvezza. Schiacciò inconsapevolmente qualcosa di nero, che subito, con un orrido suono, si disfò.

Doveva sopravvivere, doveva proseguire... doveva farlo! Doveva...

Improvvisamente Sonia cadde in avanti, singhiozzando. Era al limite, non riusciva più a proseguire. Gli occhi si chiusero, vinti dallo sfacelo a cui erano stati costretti ad assistere. Respirò ancora una volta, prima di perdere coscienza.

Intorno non era altro che cenere; silenziosa cenere...

 

 

Sonia si agitò e pianse nel sonno, divincolandosi nella coperta che aveva addosso e che era parecchio più grande di lei. Fremeva e ansimava, come se qualcosa di parecchio più forte della sua gracile costituzione le bloccasse la gola, rendendole difficile il respiro.

Automaticamente una mano, dalla quale venne sprigionata una luce azzurrina, si posò sulla sua fronte, trasmettendole un po' di refrigerio che tuttavia non la tranquillizzò completamente. Non sembrava in pericolo di vita, eppure...

“Grandissimi dei del cielo! Menomale che c'eravate Voi qui in zona, altrimenti... altrimenti... Dei, non ci voglio neanche pensare!!!” esclamò sgomento Adelpho, poggiandosi alla parete alla sua destra. Aveva un atroce crepacuore, per un uomo di mezz'età non faceva per niente bene, ancora meno per lui che era cardiopatico.

“Va tutto bene, non è in pericolo di vita, ma... avrei bisogno mi procurassi melissa e cardamomo al mercato di Atene, puoi farlo, Adelpho? Andrei io, ma non posso lasciare sola questa bambina proprio ora!” ribatté il ragazzo in maniera pacata, non dimenticandosi di sottolineare però l'urgenza nel suo tono di voce.

“Sì, sì, ora vado, aspettate solo che... oddei!!!”

Adelpho doveva ancora riprendersi dallo shock di sapere Sonia nascosta nella scialuppa della sua barca, figurarsi poi di quel che era successo dopo. Diablo, una volta raggiunto il Pireo aveva avvertito la sua presenza, anzi probabilmente già da molto prima, reputandola così una minaccia per il suo padrone, nonché un intruso, l'aveva inseguita per tutta l'imbarcazione con l'intento di braccarla. Non vi era stato il tempo fisico per impedirlo, né di azionarsi; solo quello di assistere, impotente, alla caduta di Sonia nei flutti buoi del mare in burrasca nei quali, nel giro di un unico secondo, era completamente scomparsa. Totalmente impossibile da vedere e da raggiungere per un essere umano comune, il martoriato cuore di Adelpho aveva perso un battito, mentre il respiro gli si era mozzato in gola. Fortunatamente non era stato il solo ad assistere all'accaduto...

“Nobile Camus, davvero... io... io non mi capacito di quanto sia avvenuto, non avrei mai pensato che la piccola... santi numi, no!” ripeté scosso, come a volersi scusare in tutte le maniere possibili e immaginabili. Che orrendo sbaglio aveva perpetrato, considerando l'isola di Milo sicura e quindi non controllando arbitrariamente se si fosse qualcosa che non andava... che terribile errore!

“Va tutto bene, Adelpho! - ripeté il Cavaliere dell'Acquario, stavolta guardandolo dritto in faccia, la sua voce si accentuò – Non è in pericolo di vita, ma è traumatizzata e necessita del mio intervento immediato. Se tu mi potessi andare a recuperare le due erbe che ti ho chiesto, mi faresti un gran favore e aiuteresti questa bambina!”

“Corro... corro subito!” ribatté l'altro, non perdendo più tempo e azionandosi immediatamente. Il tono del Cavaliere, pur rimanendo educato e cordiale come al solito, non ammetteva repliche.

Camus si ritrovò a sospirare, scostando le coperte dal corpicino di Sonia che aveva indosso solo la maglia del Cavaliere dell'Acquario, in quanto il vestiario originario della bimba era inservibile e zuppo. Era fin troppo largo per lei, ma almeno le poteva dare un po' di calore.

Non c'era alcun dubbio, un secondo ancora e la piccola avrebbe potuto rimediare danni seri e duraturi, visto tutta l'acqua che aveva ingurgitato. Ma aveva fatto in tempo, Camus, Cavaliere d'oro dell'Acquario, si ritrovò così a rilassare impercettibilmente la muscolatura, rinfrancato. Volse con dolcezza il viso della piccola nella sua direzione, constatando di come la sua espressione fosse un poco più rasserenata rispetto a prima. Tuttavia c'era ancora molto da fare affinché si sentisse meglio.

“E così tu sei l'allieva di Milo, eh? Che ironico scherzo del destino! Avrei preferito incontrarti in un altro modo, ma, a quanto pare, ho fatto bene a passare per il Pireo, prima di andare al Tempio – disse con tutta calma Camus, sollevandola un poco per stringerla al suo petto. Era infatti ancora tremendamente infreddolita – Andrà tutto bene, il peggio è passato. Ora dormi, senza temere più nulla!” concluse, in tono dolce, solcando la sua fronte con il pollice come a volerle regalare un'antica benedizione.

Sonia rimase incosciente tutta la notte e il Cavaliere dell'Acquario non volle abbandonare il suo fianco, nonostante l'insistenza di Adelpho di riposare un poco. Non era in pericolo di vita, lo sapeva, ma rimaneva il fatto che gli occhi della piccola continuavano ad essere serrati in quella smorfia di atroce sofferenza. A Camus ricordò in qualche modo Hyoga ed i suoi eterni incubi che, a distanza di tre anni dall'inizio dell'allenamento, non era stato ancora in grado di scacciare; incubi in cui una donna di ghiaccio lo prendeva con le sue mani sottili e bianche, trascinandolo sul fondo del mare, lontano dal suo mentore.

Finalmente, dopo un'ora dall'alba, la piccola strinse le palpebre prima di aprirle del tutto, muovendosi appena come a ridestare le dita intorpidite. La mano gentile di Camus fu subito poggiata contro la sua guancia sinistra, come a volerla incentivare dolcemente a riprendere coscienza.

“Bene così, bimba! Coraggio!” le disse appena, solleticandola con il pollice. Gli occhi di Sonia si spalancarono del tutto, prima di rimanere sgomenti a fissarlo. Anche l'Acquario si paralizzò per una decina di secondi: la piccola creatura aveva dei meravigliosi occhi verdi e fieri, malgrado in quel momento sembrassero traboccare di paura. Quegli occhi... non ci si poteva certamente sbagliare!

Rimasero ancora per pochi istanti a guardarsi, scrutandosi per tentare di capirsi da quel primo contatto visivo, poi Sonia scoppiò letteralmente a piangere, vinta dalla spossatezza, dai ricordi che le erano appena tornati e dallo spavento che aveva avuto. Si avvinghiò al braccio del suo salvatore, non riuscendo più a trattenersi, Camus arretrò automaticamente, non aspettandosi una simile reazione. Non era abituato al contatto fisico, ma la bimba gli aveva bloccato ogni possibilità di manovra, bagnandogli completamente l'avambraccio con il suo pianto feroce e apparentemente incontrollabile. Neanche alle lacrime era abituato, bandendole come primo insegnamento che aveva impartito a Hyoga e Isaac, un insegnamento sacro e inviolabile. Tuttavia quella creatura non aveva nulla a che vedere con il suo essere maestro, era solo terrorizzata e, con ogni probabilità, si era sentita sola, spacciata, morta... e Atena solo sapeva cosa avesse dovuto patire prima di finire da Milo. Pertanto, dopo un iniziale rigetto, Camus vinse la resistenza, posandole l'altra mano dietro alla testa per infonderle un po' di coraggio.

“Va tutto bene adesso, su, asciugati quelle lacrime, sei al sicuro!” la provò a tranquillizzare, invano.

Vedendo che non si calmava in nessuna maniera, la prese delicatamente in grembo, facendola adagiare sull'avambraccio e permettendole di nascondere il viso nell'incavo della sua spalla. Le accarezzò delicatamente la schiena con le lunghe dita sottili, un tocco leggero come la brezza primaverile, ma ugualmente potente. Attese pazientemente che si calmasse, prima di ricominciare a parlare.

“Mi chiamo Camus... non so cosa ricorderai di ieri sera, ma sei finita in acqua e stavi per annegare. Hai fatto prendere un bello spavento ad Adelpho, sai? Non si aspettava che fossi salita sulla barca!” si presentò lui, sorridendo tiepidamente.

Sonia lo fissò sconvolta, tanto da far presagire a Camus che non sarebbe stato affatto facile parlare con lei, chiederle come fosse finita lì e, soprattutto, se fosse stata ben conscia dei rischi corsi. Prese un profondo respiro prima di apprestarsi a continuare il discorso. Ma la piccola, vinto l'iniziale stupore, lo precedette.

“C-Camus?! - esclamò, tirando su con il naso e tentando di asciugare gli ultimi residui di lacrime con le manine – Allora sei tu... sei tu quello che ha il rapporto strano con Milo, quello di cui Milo parla sempre!”

“U-un... rapporto strano?!”

A Camus sfuggì un singulto a quella affermazione, ma prima di aggiungere altro fu interrotto dalla corsa sfrenata di Adelpho, che la prese dalle braccia del Cavaliere allo scopo di spupazzarsela tutta, straziato com'era dalla paura di averla perduta per sempre e dal sentirsi responsabile della disavventura della piccola.

“Sonia!!! Per gli dei del cielo... GRAZIE! GRAZIE! E... perdonami, perdonami, ti prego!!!” urlò, scoppiando anche lui in lacrime. Camus preferì allontanarsi da quella scena intima e dirigersi verso l'oblò in attesa che si acquietassero entrambi. Del resto era un estraneo lì, non c'era stato ancora tempo di parlare con Milo su come si fossero conosciuti.

“Sto bene, Adelpho, va tutto bene... scusami... scusami! Volevo rivedere Milo e mi sono intrufolata nella tua imbarcazione, non avrei dovuto!” singhiozzò anche Sonia, imbarazzata da tutte quelle attenzioni. Significava che le volevano bene, dopotutto, sentì una sensazione calda invaderle il petto, una sensazione da tempo dimenticata.

“Camus... Camus ti ha salvato la vita! E' stato eroico e... degno di un Cavaliere – cominciò a spiegare Adelpho, stringendola ancora di più a sé – Sai, te lo ha detto Milo che è un supereroe, vero? Ecco, loro sono dei Cavalieri, dei protettori della giustizia, ti ha visto in difficoltà ed è corso ad aiutarti, e Atena sia ringraziata per questo, solo la vista di un paladino, anzi di uno sciamano dei ghiacci come è lui, avrebbe potuto individuarti nella tempesta!”

“Uno... uno sciamano dei ghiacci?” chiese conferma Sonia, non avendo mai sentito un termine simile. Poi guardò, per la prima volta nella sua interezza, la figura di Camus, girata ancora di spalle verso il finestrino, accorgendosi, sempre per la prima volta, che non indossava gli abiti con cui era partita, bensì... istantaneamente avvampò, tastandosi il corpo e avendo così la conferma dei suoi timori.

“Che ti succede ora, Sonia?” chiese Adelpho, vedendola imporporare e rannicchiarsi contro il suo petto al limite dell'imbarazzo.

“Lui mi ha... mi ha...” iniziò a balbettare, tesa.

“Ti chiedo scusa, non era mia intenzione farti imbarazzare così, ma i tuoi vestiti erano fradici e dovevo coprirti con qualcosa nell'immediato, altrimenti il tuo corpo avrebbe potuto subire gli effetti dell'assideramento” spiegò gentilmente Camus, voltandosi a mezzo busto nella sua direzione.

Sonia dischiuse le palpebre meravigliata, colpita dai suoi modi affabili ed educati. Si permise inoltre di guardarlo con ammirazione sempre più crescente. Non sembrava molto più basso di Milo, eppure la sua costituzione differiva completamente da quella del suo coinquilino, risultando molto meno robusta e, almeno apparentemente, più fragile. La carnagione era invece di un chiarore adamantino, avvolta da una strana aura azzurrina che la rendeva quasi evanescente. Si trattava comunque di un bel corpo, coronato da una chioma di capelli lisci che dietro gli ricadevano fino alle scapole, mentre davanti scendevano sull'ampio petto. Era un fisico da nuotatore, razionalizzò Sonia, non smettendo di guardare davanti a sé il ragazzo che le sorrideva con velata dolcezza; non vi era nulla di fuori posto, tutto era meravigliosamente equilibrato, compresi gli addominali definiti ma non scolpiti, come se l'artista si fosse fermato prima del raggiungimento del pieno sviluppo, degustando lo splendore della sua opera così come appariva. Un mago... era come un mago dell'acqua e del ghiaccio, lo percepiva distintamente da quella brezza fredda intorno a lui che, per la prima volta, poteva scorgere nitidamente. Eppure la sua pelle, il suo velato sorriso... sembravano così incommensurabilmente caldi!

Sonia di divincolò un poco, dimostrando ad Adelpho il suo desiderio di scendere. Una volta a terra, si barcamenò in direzione di Camus, accorgendosi di fare non poca fatica a camminare a causa delle membra che percepiva logore. Ma desiderava presentarsi decentemente a lui.

“Ciao, Camus, grazie per avermi salvata! Io sono Sonia... Sonia e basta!” disse emozionata, tentando di non far vedere la stanchezza crescente. Cosa del tutto vana, perché le gambe le tremavano, dettaglio che non sfuggì al ragazzo, che si inginocchiò davanti a lei e non le permise di cadere, sorreggendola come si faceva con i bambini piccoli non ancora in grado di camminare. E Camus, di bambini, se ne intendeva, Sonia lo intuiva ardentemente, poiché era impossibile non sentirsi protetti da quel viso delicato e dagli occhi blu che trasmettevano calore e tranquillità, sebbene si percepisse una strana patina ghiacciata eretta come barriera tra lui e l'esterno, o forse era una semplice impressione...

“Felice di conoscerti, Sonia! Come ti ho già detto, io sono Camus... – ripeté, passandole una mano leggera che le sfiorò i capelli – il migliore amico di Milo!”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Ed eccoci al terzo capitolo, che vede la presentazione del mio Cavaliere d'Oro preferito (e si vede, visto tutto quello che gli ho fatto e gli continuo a far subire, ihihihi!).

Come dicevo, Camus è il mio preferito, ma qui avremo un ritratto un po' diverso di questo Cavaliere rispetto alla mia serie principale, perché le circostanze sono diverse e i traumi, quali la perdita di Isaac e la morte, non ci sono ancora stati. Ho parlato di Mago (non il nemico!) e Sciamano, poiché questo lato di Camus è ancora tutto da scoprire e prenderà piede nella terza storia in cui sarà chiarito meglio cosa io intenda con questi termini e perché proprio lui abbia il titolo onorifico di Sciamano, almeno secondo alcuni personaggi. Spero vi possa piacere. Descrivere Camus non è mai facile, men che meno nella mia storia, ma a me piace molto, anche se non posso esimermi da mettere l'avvertimento OOC soprattutto per lui. Nel caso, fatemi sapere! :)

Sempre in questo capitolo appare anche Adelpho, un altro OC che sarà importante per la prima parte della storia, non escludo di mettere altri personaggi a gravitare intorno ai nostri Milo e Sonia, giusto per arricchire il tutto e... non dimentichiamoci di Aiolia o degli altri compagni Gold, eh! ;)

Come al solito, grazie a tutti per il sostegno!

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Il Mago dell'acqua e del ghiaccio (seconda parte) ***


CAPITOLO 4: IL MAGO DELL'ACQUA E DEL GHIACCIO (SECONDA PARTE)

 

 

 

Sonia desiderava con tutto il cuore vedere Milo, vero e proprio motore delle sue azioni, ma era troppo stremata per poter camminare con le sue sole forze, se ne rese conto presto e a forza quando, pur impegnandosi con tutte le energie, si accorse di non poter muovere un passo senza cadere a terra a bocconi. Era spaventata e sfiduciata quando, adagiata sul grande letto dell'imbarcazione, cadde in un sonno profondo e riparatore; cadde nelle tenebre silenti del riposo privo di sogni.

Passò del tempo, non seppe quanto, ma ebbe l'impressione del trascorrere di qualche ora, prima di cominciare a ridestarsi lentamente. La prima cosa che percepì era che non si trovava più nel letto, bensì da qualche altra parte ugualmente calda e confortevole, ma... in movimento! Le gambine infatti ballonzolavano con naturalezza, mentre i sensi riaffioravano in lei, e con essi i ricordi.

Accennò un movimento nel tentativo di stiracchiarsi; movimento che non passò inosservato alla persona che la stava portando.

“Sonia? Ti sei finalmente svegliata?”

Un singulto sfuggì alla piccola nell'accorgersi che le braccia che la stringevano con delicatezza inaudita, neanche fosse una piuma, erano quelle del Mago Camus, conosciuto quella stessa mattina; colui che aveva salvato la sua vita dall'acqua salmastra e soffocante.

Istintivamente si rannicchiò ancora di più contro il suo petto, vergognandosi un poco di averlo così vicino, mentre con le manine gli arpionò il leggero tessuto della maglietta, ora di nuovo tenuta indosso. I ricordi di cosa fosse successo dopo essersi riaddormentata nell'imbarcazione non tornavano, ma Sonia di sentiva qualcosa di nuovo addosso. Diede una veloce occhiata sotto di sé, notando la nuova felpa che le copriva il busto fin ad oltre le manine, e i pantaloni, anch'essi più larghi.

“Te li ha comprati Adelpho... – spiegò l'Acquario, intuendo i suoi pensieri – ma ha sbagliato la misura di un a taglia. Poco male, alla tua età cresci in fretta, ti andranno bene fra un annetto!”

“Scusatemi, io... mi devo essere addormentata, non so quanto tempo sia passato!” balbettò a disagio lei, nascondendo il viso tra le clavicole di Camus. Si sentiva meglio rispetto a prima, ma era a ancora paurosamente stanca e quel corpo così caldo la portava istintivamente a chiudere nuovamente gli occhi e a dormire ancora un po'.

“Non hai nulla di cui scusarti. Visto quello che hai passato, è più che normale la tua stanchezza, sei ancora molto piccola, concediti il giusto tempo per rimetterti in sesto!”

Sonia si prese qualche attimo di pausa prima di parlare di nuovo, rinfrancata dalle parole del giovane ragazzo. Cercò di ripensare a quello che Adelpho aveva detto su di lui, ricordando che lo aveva appellato sciamano dei ghiacci, ma esattamente in cosa consisteva essere uno sciamano? E dei ghiacci, poi?!? La piccola non trovava una spiegazione a quella parola misteriosa, tuttavia era piuttosto sicura che non era ingiusto considerare un ragazzo simile figlio delle nevi perenni. Che avesse a che fare con i suoi poteri magici?! Che davvero governasse l'energia congelante?! Eppure i suoi modi gentili e la sua pelle... erano così caldi!

“D-dove stiamo andando?” chiese alla fine, con voce roca, socchiudendo gli occhi. Era una giornata di sole ad Atene e non faceva freddo più di tanto, eppure lei tremava.

“Ti porto da Milo. Del resto, hai rischiato così tanto per vederlo, giusto?”

Sonia istantaneamente si rizzò, totalmente stupita.

“Mi porti da Milo?!? Da-davvero?! Potrò... potrò rivederlo?!” esclamò, sull'orlo delle lacrime, guardando negli occhi il suo salvatore.

Camus si accigliò nel constatare che Sonia era di nuovo sul punto di piangere, ma alla fine prevalse in lui la parte umana, decidendo di non darci peso. Qualcosa in lui incrinava la sua dura corazza di ghiaccio; un qualcosa che, con ogni probabilità, affondava le sue radici nel suo passato. Gli occhioni di Sonia le ricordavano quelli di un animaletto terrorizzato, nondimeno gli riportavano alla mente altri due occhioni ben vivi nella sua mente anche se distanti anni luce nel tempo; o per lo meno così sembrava. Certo, poteva solo immaginarseli ormai, troppo era passato, era un'altra vita, quella, un'altra... in quel momento era, e sarà sempre stato Camus dell'Acquario, il passato non esisteva più, morto e sepolto all'età di cinque anni, quando era stato strappato dalle braccia di sua madre. Ma quegli occhioni blu esattamente come i suoi ancora li rammentava.

“Certo che ti porto da lui, non temere! Però ora asciugati quei lacrimoni se non vuoi spaventare ancora di più il tuo maestro, che già sarà scosso per il guaio in cui sei finita!” la redarguì comunque, in tono pacifico, anche se il suo sguardo era caldo.

“Grazie! Grazie, Camus!” riprese Sonia, attaccandosi al suo collo come un paguro alla sua conchiglia.

Poi rifletté con calma sulla frase appena pronunciata, tornando a guardarlo in viso. Aveva bisogno di sapere un'ultima cosa.

“Camus... questo significa che Milo sa?”

“Sì, mi sono messo in contatto telepatico con lui mentre dormivi, era in riunione con gli altri; gli altri... - si fermò un attimo, dubbioso - …con gli altri supereroi! Si è spaventato a morte, ma non poteva certo abbandonare i suoi doveri, quindi gli ho detto di stare calmo e che ci saremmo incontrati al crepuscolo sul promontorio vicino al Santuario. E' proprio dove stiamo andando”

Sonia si sentiva ancora in colpa per la marachella compiuta, parallelamente non vedeva l'ora di poter abbracciare Milo e porgli finalmente la domanda che la torturava psicologicamente da giorni.

“In... contatto telepatico? - la bambina era incredula – E Myrto? Anche Myrto lo ha saputo?! Sono scappata senza dirle niente e...”

“Per Myrto ci ha pensato Adelpho a chiamarla a telefono, lei non ha un... - si bloccò di nuovo, in difficoltà, voleva dire 'cosmo sviluppato' ma la piccola non avrebbe capito – Una... chiamala scintilla divina, che mi permetta di mettermi in contatto con lei su lunghe distanze” concluse, tossicchiando un poco. Era davvero difficile parlare con chi non era iniziato a diventare Cavaliere, non c'era ombra di dubbio.

Sonia, dal canto suo, era sempre più incredula. Milo e Camus potevano comunicare, con il solo ausilio della mente, su grandi distanze, anche se effettivamente non seppe definire quanto. Era meraviglioso! Davvero comprendeva sempre di più le parole di Adelpho, Camus era davvero eccezionale: poteva stare a lungo in apnea, vedere tra i flutti bui, parlare con la forza del pensiero e chissà quante altre cose. Sonia si sentiva emozionata, automaticamente strinse ancora di più il collo del Cavaliere, desiderando non separarsene mai più.

Camminarono ancora per diversi minuti, forse un'ora, finché non raggiunsero il promontorio in questione. La luce rossiccia del sole accarezzava le loro chiome e la loro pelle, mentre la temperatura, non più riscaldata dall'astro, cominciava a scendere lentamente ma costantemente. Sonia, ancora in braccio all'Acquario, si sporse un po' di più oltre alla sua ampia spalla, stupendosi dei colori di quel tramonto che appariva ben diverso da quello di Milos. Lì, infatti il sole si divertiva a giocare a nascondino dietro un monte, mentre sul promontorio pareva quasi toccare il mare, sembrando infinitamente più grosso di quello che fosse realmente. Dunque, a seconda del luogo, si potevamo vedere cose diverse, la piccola si trovò inaspettatamente stupita da quel fatto. Il suo mondo era l'isola, andando indietro con la mente non c'era altro che buio e fuoco, nient'altro, ma lì, in quel preciso momento, si ritrovò a meravigliarsi di quella apparentemente ovvia rivelazione. Del resto, le formichine che vivevano per terra e tessevano file e linee con i loro movimenti forse non sapevano, e non avrebbero mai potuto sapere, del mondo di fuori, invece lei... lei poteva scoprirlo, perché era un essere umano, perché la sua vita, ne ebbe pieamente consapevolezza, cominciava in quel preciso attimo.

“C-Camus! S-Sonia!”

La piccola trasalì nel sentire la voce del ragazzo e istantaneamente cominciò a tremare febbrilmente. Per un solo attimo ebbe l'istinto di farsi piccola piccola nelle braccia del suo salvatore, ma alla fine prese coraggio e si voltò nella sua direzione. Gli occhioni lucidi.

Milo se ne stava lì, impalato, incredulo, quasi sgomento, mentre gli ultimi raggi di sole gli regalavano tutt'intorno un'aura rossiccia che guizzava fino alle iridi solitamente azzurre, cremisi in quel momento.

“Milo... - lo chiamò placido Camus, facendo scendere la bambina dalle sue braccia ma continuando a sorreggerla – Riesci a reggerti?” chiese poi alla piccola, tenendola sotto le ascelle per evitarle una possibile caduta.

Sonia quasi inconsciamente annuì con la testa, poco prima di essere liberata. Subito saettò in direzione di Milo con le mani protratte nella sua direzione. Non fece comunque che pochi passi, perché il ragazzo, lesto, si gettò verso di lei, abbracciandola con foga inaudita prima di prenderla a sua volta in braccio, ancora scosso per le rivelazioni della mattinata.

“Sonia! Sonia! Cosa diavolo ti è saltato in mente di fare?!? Venire fin qui ad Atene intrufolandoti nella barca di Adelpho e rischiando poi di annegare. Cosa devo fare con te?!? Non avrei mai creduto tu potessi compiere una tale follia solo per rivedermi. E se Camus non fosse passato di lì proprio in quel momento?!? Che testa... che testa che sei!” disse a raffica Milo, lasciando trasparire, in un benevolo rimprovero, tutta l'ansia provata per lei.

Sonia, che a stento tratteneva le lacrime, si permise di scoppiare nuovamente a piangere sopraffatta dall'emozione e dalla paura.

“Milo... Milo... scusami! Scusami!!! Avevo bisogno di chiederti una cosa, non tornavi più, ho avuto il terrore di essere nuovamente abbandonata perché parlo troppo!”

“Che dici, ora?! Non potrei mai farlo, MAI! Sei stata affidata a me! Ti avevo detto, no, che sono un supereroe e che sarei mancato per una settimana, ricordi? Era una riunione da supereroi, non potevano in alcun modo portarti con me!”

“Tu dici sempre che parlo troppo, che sono passata da stare zitta a non stare mai ferma, pensavo... pensavo...”

“Ma che stupidina che sei! Era una battuta, nient'altro! Secondo te potrei abbandonarti per una simile sciocchezza?!? Ti voglio bene, Sonia, e non sarai più sola, questo te lo posso promettere! - esclamò Milo, passandole una mano dietro alla nuca per accorciare ancora più le distanze tra loro – Non sarai più sola... ma non mi far prendere ancora simili spaventi, va bene, birba?! Quando Camus mi ha contattato, dicendomi quello che era successo, il mio cuore ha perso un battito, se mi farai prendere altri colpi, non posso garantire che il mio cuore reggerà sempre, e se poi a me viene una sincope a causa di una qualche tua marachella, cosa farai, eh? Ti toccherà prenderti cura di me e sarà una seccatura, non trovi?” tentò di ironizzare lo Scorpione, per non far preoccupare ulteriormente la piccola, ancora scossa dagli ultimi avvenimenti.

“Va bene, Milo, scusami... scusami ancora!” biascicò ancora lei, tra le lacrime, affondando il visetto tra i lunghi capelli ribelli del ragazzo.

“Starò con te... non aver paura di nulla!” le sussurrò dolcemente Milo, finalmente cheto anche lui, socchiudendo gli occhi e rilassando i muscoli.

Camus, rimasto in disparte fino a quel momento, sorrise tiepidamente a quella scena. Non aveva ancora idea di come i due si fossero potuti incontrare, né di chi fosse realmente Sonia, anche se aveva una supposizione, ma era lampante l'affetto che il suo migliore amico nutriva per lei. Era gli albori di un rapporto che probabilmente avrebbe giovato ad entrambi, non poteva che essere felice per lui, anzi, per loro. Si ritrovò ben presto a fissare il crepuscolo lontano, la mente brevemente agli allievi che aveva lasciato e di cui nutriva per anch'essi un profondo affetto. Non era poi così male voler bene a qualcuno, anche se, per evitare di rimanere troppo indeboliti da una simile scelta, occorreva anteporre le giuste precauzioni. Eppure una sensazione spiacevole si annidava in lui, serpeggiando per gli anfratti del suo petto e procurandogli un discreto peso. Era arrivato al Santuario, circa dodici anni prima, totalmente asettico, privato dei rapporti infantili che, a forza, quel luogo sacro aveva richiamato a sé. In quel momento invece aveva Milo, gli altri Cavalieri d'Oro, Isaac e Hyoga... non era quindi più solo, si era creato una sorta di prototipo di quel che era una famiglia. Eppure qualcosa non andava, una sensazione, un presagio...

Forse... forse non avrebbe dovuto, tutto qui!

Dei passi dietro di lui attirarono la sua attenzione, portandolo a discostare lo sguardo dal crepuscolo lontano. Milo si era avvicinato, tenendo sempre Sonia, in quel momento tranquilla, in braccio, il sorriso sornione consueto e quella luce brillante negli occhi, sempre presente quando lo rivedeva. Calore... quello sguardo era caldo come non mai.

“Bentornato a casa... Camus, Cavaliere d'Oro dell'Acquario!”

Già, il luogo chiamato 'casa'; il luogo in cui tornare dopo la lunga permanenza nelle terre inospitali della Siberia. A Camus non dispiacque quel nome un poco altisonante, in fondo poteva davvero pensarla così, come l'amico Milo, più solare e positivo di lui. Non disse niente ma sorrise, annuendo con la testa. Fu il sorriso più aperto e sincero che fosse mai riuscito a dare a qualcuno.

 

 

 

* * *

 

 

Nei giorni che seguirono, Sonia si tenne alla larga da tutti i possibili guai, complici anche la stanchezza e lo stress che aveva accumulato in quella disavventura. Sempre per i giorni che seguirono, non poté tornare immediatamente sull'isola di Milos: Milo e Camus erano ancora in piena riunione dorata, e mai si sarebbe avventurata da sola per mare, troppo lo shock della prima esperienza. Trascorse quindi il tempo nelle stanze private dell'ottava casa, ovvero un tempio greco con colonne doriche, preceduto (e forse anche succeduto) da numerosi altri templi. Il luogo pareva immenso, ma la piccola non aveva le forze per curiosare intorno, preferendo rimanere a letto a dormire in una strana letargia che faceva preoccupare il Cavaliere dello Scorpione. Tutte le sere, finita l'assemblea, Milo e Camus tornavano al tempio e si toglievano l'armatura per indossare gli abiti civili; tutte le sere ad accoglierli, c'era Sonia, sdraiata sul letto con la faccina stanca ma con il sorriso migliore che potesse indossare.

Una di quelle sere, l'ultima prima del lieto 'liberi tutti' che contraddistingueva il termine del Chrysos Synagein, Milo prese tempo per sincerarsi più approfonditamente delle condizioni della piccola, sempre più preoccupato della sua innaturale apatia. La bambina era avviluppata sotto le coperte, non dava segni di rispondere agli stimoli ma parallelamente aveva un'espressione serena e innocente stampata in viso. La cosa, di per sé, non riusciva a far tranquillizzare Milo. Era ancora intento ad accarezzare le guanciotte di Sonia quando Camus, con due tazze fumanti di tè in mano, lo raggiunse e si sedette al suo fianco sul bordo del letto. Lo Scorpione avvertì la domanda in aria ancora prima che il custode della Giara del Tesoro potesse spiccicare parola.

“Sono preoccupato, amico mio... da quel giorno Sonia non fa nient'altro che dormire, non riesco a capire cosa abbia. La febbre è scesa grazie al tuo intervento, ma lei continua ad essere così... così debole...”

“Milo... è più che normale questo suo stato, ha passato una brutta esperienza, in più l'acqua dell'Egeo, sebbene non gelida, è comunque discretamente fredda in questa stagione. Si riprenderà... dalle solo il tempo necessario!” lo provò a rassicurare l'altro, passandogli una delle due tazze.

“Mi fido del tuo giudizio, Camus, e... ti ringrazio per essere rimasto qui con me per queste notti. Sonia ha avuto un bel febbrone, menomale che c'eri tu!”

L'amico sorrise senza aggiungere altro, incominciando a sorseggiare il contenuto della tazza. Milo seguì immediatamente il suo esempio, abbandonandosi sulla poltrona lì vicino prima di sospirare rumorosamente. Annusò la fragranza del tè, tentando di capire cosa contenesse; il profumo di vaniglia annullava tutto il resto da quanto era intenso, ma una nota persino più dolciastra in fondo al palato, proprio all'ultimo, gli fece capire che vi era anche del miele.

Provò a rilassarsi un poco mentre, con la coda dell'occhio, spiava Camus intento a regalare una carezza a Sonia, in un gesto tanto spontaneo che Milo non si sarebbe mai aspettato. O gli allievi lo avevano addolcito, o...

“Ma che tenero, Camus! Da piccolo non ti avrei affidato nemmeno un animale da quanto sembravi scostante, apatico e impassibile, invece guardati ora: sembri un padre modello! Sei così anche con Hyoga Isaac?!” lo pungolò, occhieggiandolo con audacia.

Il Cavaliere dell'Acquario sussultò istantaneamente, arrossendo a dismisura, neanche fosse stato appena beccato a rubare. Gli servirono alcuni secondi prima di ricomporsi e scambiargli un''occhiata torva, mormorando un: “ma certo che no, Milo! Hyoga e Isaac sono miei allievi, devo essere duro con loro, non posso perdermi in smancerie, li danneggerei e basta!”

“Eppure mi sembri affezionato a loro, anche se forse non lo dai a vedere, men che meno con i due pargoli... eheheheh, chissà come li trattati quei due poveri bambini, ogni tanto vorrei essere un cigno per sbirciare i vostri allenamenti!” continuò a pizzicarlo, sornione, sorridendo amabilmente.

“Non ho mai alzato un dito su di loro, non sono il tipo, dovresti ben saperlo! - ribatté l'Acquario, punto sul vivo – Ma sono destinati ad assurgere al ruolo di Cavalieri di Atena, se la dea vorrà. Il mio compito è quello di renderli forti e capaci di affrontare il male, non sono permessi passi falsi! Devo essere duro, più duro di quanto vorrei, non posso esitare!” provò a spiegare, leggermente a disagio.

“Allora devo pensare che hai un debole per le bambine? Non ti ho mai visto con il muso così addolcito, eppure, guardati, la osservi con occhi luminosi e ogni tanto le regali persino una carezza!” proseguì Milo, del tutto intenzionato a trattenere la preda. L'occasione di vedere Camus così emozionale non poteva sfiorire così, nel nulla, avrebbe potuto pungolarlo a vita su quel versante.

“Non è quello, è che...” biascicò l'Acquario, fremendo appena. Cominciava a provare un certo disagio, la situazione si stava facendo soffocante.

“Quindi cosa è? Preferisci le bimbe ai bimbi? Oppure...”

“Potrebbe benissimo essere mia sorella... ha all'incirca la sua stessa età... credo... i ricordi sono labili...”

Milo si morse la lingua, non avendo minimamente pensato al fatto che, quelle domande scomode, potevano rinvangare un passato che Camus provava, ogni giorno e con tutte le sue forze, a cancellare disperatamente. I suoi unici ricordi della vita precedente, le sue uniche radici, che avrebbero dovuto essere nascoste nel profondo e che invece riaffioravano nei momenti meno propizi. A Camus la consapevolezza di essere un debole umano non aggradava proprio!

“Oh, scusa, Cam, io...”

“No, va bene così, ora sai perché mi comporto così con lei... anche dopo averla salvata, io... ho avuto l'istinto di proteggerla, sembrava così fragile e... e ho pensato che, visto che non ho potuto fare niente per mia sorella, almeno lei... almeno lei avrei potuto proteggerla...” sussurrò, con l'espressione sofferente tipica di lui.

Milo tacque, decidendo di rispettare il malessere del compagno che, in quel momento, appariva fragile come non mai.

Camus gli aveva parlato quasi subito di sua sorella, lo Scorpione lo ricordava bene. Era stato uno dei primissimi argomenti di conversazione quando, alcuni mesi dopo il suo arrivo, ultimo Cavaliere d'Oro a giungere al tempio, era miracolosamente riuscito a intagliare un dialogo con lui che non finisse con dei secchi monosillabi del bambino imbronciato dagli occhi blu. Fu allora che lo vide per la prima volta, il sorriso del futuro Cavaliere d'Oro dell'Acquario. Rammentava ancora la meraviglia, la sorpresa e l'incredulità: Camus non possedeva certo un buon bagaglio di espressioni facciali, anzi! Eppure... eppure per quella creatura misteriosa e un po' eterea, Camus poteva sorridere al solo parlare di lei e, in certi casi, rattristarsi per la separazione. Chiunque avrebbe potuto essere questa sorella, era di sicuro una creatura speciale se riusciva a far provare emozioni al chiuso e riservato Cammy.

“Piuttosto... - continuò il discorso l'Acquario, riprendendosi dal turbamento di prima per tornare a concentrarsi sul compagno d'armi – Ho bisogno di approfondire una cosa, Milo, ti chiedo di essere franco con me...”

Il suo tono di voce era grave, come il suo sguardo. Per qualche strano motivo lo Scorpione seppe anzitempo dove stesse per andare a parare il discorso. Ingoiò a vuoto, in attesa.

“Quando ho visto gli occhi di Sonia, subito li ho associati ad una persona che entrambi conosciamo a fondo; sondando, con gli occhi della mente, il suo inconscio, ho trovato una cosa che, se scoperta da altri, potrebbe portarla a fare una scelta obbligata...”

“So cosa vuoi dire...”

“Milo, la bambina ha un cosmo! Non è che una scintilla, ma, se dovesse uscire allo scoperto, gli condizionerà la vita in eterno! - disse Camus, poco prima di continuare – Inoltre... inoltre ha gli stessi occhi di Aiolia, come può...

“E' sua sorella minore infatti... sua e di Aiolos...”

Gli occhi di Camus si spalancarono per lo stupore e dovette concentrare tutte le sue forze nelle dita per impedire che la tazza, appena raffreddatasi, scivolasse per terra.

“C-COSA?! Stai... stai dicendo che Sonia è...”

“Non so nulla di lei, né del suo passato. Due mesi fa circa ho visto Aiolia ferito e grondante di sangue, stava scappando da qualcuno, o qualcosa, mi ha affidato la vita di sua sorella, chiedendomi poi di tenerla lontana dal Santuario. Così ho fatto, nascondendola sull'isola di Milos con l'aiuto di Myrto e Adelpho fino all'altro giorno... Davvero non so altro, mi piacerebbe sapere di più, per aiutarla meglio, ma... sto brancolando nel buio!”

Camus tacque, tornando a fissare il volto di Sonia, placidamente addormentato. Chissà cosa aveva dovuto subire prima di giungere lì, chissà se lo rammentava, o se, molto più magnanimamente, il cervello avesse deciso di bloccare i ricordi per istinto di conservazione. Di sicuro la bambina possedeva un cosmo e, in quanto sorella di un Cavaliere d'Oro, nonché del traditore Aiolos, correva dei grossi pericoli a rimanere al Tempio, ecco anche il motivo della richiesta di Aiolia. Camus si ritrovò a pensare che, per sua sorella, avrebbe fatto uguale, comportandosi come lui. Non poteva permettere che gli sforzi di un vecchio amico fossero vanificati!

“Milo... dobbiamo continuare a mantenere un profilo basso e a tenere Sonia sull'isola di Milos, qui è troppo pericoloso per lei. Se qualcuno la incontrasse, riconoscendola come sorella del Leone, neanche noi potremmo fare più nulla!”

“Questo lo so, Camus, ma...”

“Non mi piace l'atmosfera che si respira qui al Santuario da qualche anno a questa parte...”

Disse l'ultima frase in un sussurro appena percettibile, quasi temesse di essere udito da orecchie indiscrete. Milo spalancò le iridi azzurre, intuendo il motivo di quel mormorio sommesso.

“Ti riferisci... alle voci che circolano sul Grande Sacerdote?” chiese conferma, preoccupato.

“Il Grande Sacerdote, il rapimento per mano di Aiolos, la sua fuga e la conseguente scomparsa... Shura dice di averlo ucciso e sistemato tutto, Death Mask e Aphrodite, tra i suoi fedelissimi, continuano la loro vita come se nulla fosse successo, ma quel giorno tutto è cambiato, noi lo sappiamo bene...”

“Amico mio, condivido i tuoi dubbi e smarrimenti, ma... stiamo mettendo in discussione il vicario tra noi Cavalieri e la dea Atena, stiamo dubitando del potere secolare da sempre più alto delle schiere della giustizia. Metterlo in dubbio, è come accettare l'idea che noi sacri guerrieri dorati possiamo trovarci dalla parte del male, e non... non posso pensare di essere in errore!” provò ad opporsi Milo, un poco livido.

“Non metto in discussione nulla, ma la gente mormora e i fatti... i fatti parlano! - ribatté Camus, abbassando lo sguardo – Inoltre... inoltre... ricordi Aiolos, come era fiero e ardente di giustizia? Come è possibile che, tutto ad un tratto, sia impazzito?! E Saga, poi? Da quel giorno si è volatilizzato! Troppe cose non coincidono con la pappardella che c'è stata impartita, troppe!”

Milo si alzò di scatto, voltandosi di spalle in direzione della finestra. Camus era stato sempre molto intelligente e arguto fin dalla più tenera età, lo dimostrava anche il fatto di essere stato tra i primi a ottenere l'armatura d'oro, malgrado fosse giunto per ultimo al Santuario; tutto sommato gli argomenti che portava erano leciti e sacrosanti, denotavano il dubbio che, latente, serpeggiava ad Atene e che possedeva lo stesso Cavaliere di Scorpio. Tuttavia il pensare di trovarsi dalla parte fallata, di non discernere la verità dalla menzogna, portava Milo a rigettare indietro quelle stupide domande che, ogni tanto, lo coglievano: lui era un Cavaliere d'Oro, uno della cerchia dorata, non poteva... non poteva in alcun modo prendere un simile abbaglio, ne andava del suo onore!

Camus avvertì le increspature del cosmo dell'amico, agitato come non mai alla sola idea di essere messo in discussione. Decise quindi di cambiare discorso, riportando l'attenzione sull'argomento più importante.

“Ha poca importanza ora starci a scervellare su questo, probabilmente sono io ad aver preso un abbaglio, tutti questi vaneggiamenti devono essere causati dalla mia difficoltà intrinseca a fidarmi degli altri... - cercò di smorzare la tensione, sebbene il dubbio rimanesse, spietato – Ora dobbiamo pensare a riportare Sonia al sicuro, lontana da qui. Domani... domani prenderemo il traghetto per Milos, io verrò con voi!” sancì il dorato custode dell'Acquario, deciso.

“Davvero, Camus?! - gli occhi si Milo si illuminarono per un breve istante, prima che la consapevolezza lo riportò con i piedi per terra – Ah, ma aspetta... tu hai due allievi a cui badare, non puoi...”

“Un giorno in più o in meno non fa differenza! Ho dato direttive ad Isaac di continuare con gli allenamenti, so che lo sta facendo, credo molto nel potenziale e nella determinazione di quel ragazzo: non ho nulla da temere!”

“Ma è fantastico, Camus! Anche Sonia sarà entusiasta di averti al nostro fianco!”

Camus sorrise tiepidamente e annuì, tornando a concentrarsi sulla piccola.

“Tornerò in Siberia dopodomani, per il momento mi preme portarla al sicuro lontano da qui!” affermò, regalandole una nuova carezza sulla fronte, leggera come la brezza primaverile.

 

 

 

* * *

 

 

“Forza e coraggio, Sonietta, non manca più molto ormai!” la avvertì Milo, tentando di attirare l'attenzione della piccola. L'interpellata, tacitamente avvinghiata al collo di Camus, alzò appena il visetto da bambina, spalancando le enormi iridi al solo pensiero di poter tornare finalmente con i piedi per terra. Non se ne sarebbe più staccata, si disse, per lei l'esperienza per mare era bastata per decidere arbitrariamente di non tornarci mai più.

Milo sorrise tra sé e sé, lieto e rassicurato di poter tornare finalmente sull'isola madre, che stava comparendo proprio in quel momento all'orizzonte.

Erano partiti quella mattina dal porto di Atene per prendere il traghetto che li avrebbe portati a destinazione. La piccola Sonia era sembrata ancora un po' titubante e traballante sulle gambe al solo pensiero di tornare per mare; il mare che per poco non l'aveva voluta con sé come cimelio. A nulla erano servite le parole di Milo, solo a farla impuntare ancora di più, solo grazie all'intervento di Camus che, lesto, aveva giurato a Sonia ti tenerla in braccio per tutto il tragitto, la piccola si era riscossa, protraendo le manine in direzione dell'Acquario per essere tenuta in spalle. Milo, di tutta quella scenetta deliziosa, aveva solo notato che la pupilla, per così dire, arrivava a malapena alla cintola del Cavaliere dell'Acquario che, proprio come un paziente fratello maggiore che si prodigava per la più piccola, la raccolse e la tenne stretta a sé per tutto il viaggio.

Tuttavia, ormai che erano quasi arrivati, una nuova sensazione difficilmente comprensiva albergava in lui, trasmettendogli un certo fastidio che non gli dava requie.

Fissò nuovamente in tralice i suoi due compagni di viaggio, intenti ad ammirare il paesaggio all'orizzonte, Camus stava dicendo qualcosa alla piccola, qualcosa che lo Scorpione non udì, ma che riuscì comunque a farlo borbottare tra sé e sé visto il sorriso sincero e aperto che aveva appena colto Sonia, del tutto abbarbicata al Cavaliere, neanche fosse ubriaca di lui.

Non vi era alcun dubbio, Camus aveva un notevole ascendente sui bambini e le bambine, probabilmente neanche lui se ne accorgeva, ma vederlo così affiatato con una creatura che non conosceva neanche da una settimana, lo irritò alquanto.

Si arrestò un attimo non appena razionalizzò quel pensiero: un secondo, di CHI era geloso?! Di Sonia, che si era subito aperta con qualcuno al di fuori di lui, o del suo amico Camus che, ancora in quel momento, aveva quel sorriso disteso a solcargli il viso chiaro?! Lui, Milo di Scorpio, per ottenere entrambe le posizioni, aveva faticato parecchio, anni nei confronti dell'Acquario e mesi per quelli della bambina... ed eccoli lì invece ad aprirsi spontaneamente con l'altro, neanche fossero stati fatti vicendevolmente! Era... era così seccante!

“Milo... oggi mi sembra che sia tu a tenere il muso lungo... cos'hai da guardare in cagnesco?!” gli chiese Camus squadrandolo. Il tono non voleva essere assolutamente provocatorio ma il tono indispettì ancora di più lo Scorpione.

“Niente, cos'altro?! Stavo pensando, cogito anche io, Cam, sai?! Non sono così stupido come può sembrare!” gli soffiò contro, offeso, voltandosi dalla direzione opposta.

L'amico di sempre fece per chiedergli spiegazioni ma fu intercettato da Sonia che, essendosi tenuta per lungo tempo quella domanda in corpo, decise di esplicarla proprio in quel momento.

“Camus! Adelpho mi ha detto che tu sei uno sciamano dei ghiacci, che significa? Cosa vuol dire 'sciamano' e perché, poi, dei ghiacci?”

“Uh! Ehm, effettivamente molti mi chiamano così, ma sbagliano... - si prese una breve pausa l'interpellato, scacciando l'imbarazzo – Questo termine raffigura qualcosa di etereo e di irraggiungibile, per certi versi, ma non è così. Con il giusto allenamento, chiunque può diventare sciamano!”

“Ma cosa significa questa parola?” insistette la piccola, sempre più ammirata.

Camus si prese ulteriori secondi di silenzio per soppesare pienamente una definizione appropriata e comprensibile per una bambina.

“Innanzitutto è una parola che prende origine dal termine russo saman, perché ti cito la Russia? Perché è da lì che ha origine lo sciamanesimo, con esatta precisione proprio nella Siberia, da dove vengo io... - iniziò, accorgendosi di non aver usato un costrutto troppo facile, ma rincuorato dal fatto che la bambina sembrava comprendere, continuò – Viene appellato così un individuo a stretto contatto con gli spiriti superiori che governano il nostro mondo, pertanto in possesso di conoscenze tecniche in diversi campi che invece altri esseri umani non possiedono, o, per meglio dire, possiedono in forma latente. Per questo ti ho detto che la definizione non è corretta: chiunque può attingere a quel sapere, perché è insito nell'umana specie il contatto con l'infinito. Il nostro microcosmo; il microcosmo di ogni essere senziente, è fatto per collegarsi con il tutto, e il tutto è collegato a noi, siamo come un grande organismo!”

Sonia lo fissò sgomenta e sempre più ammirata: era davvero un mago, un essere speciale che diceva cose incredibili con il massimo dell'umiltà, la piccola se ne sentì sempre più entusiasta.

“Eccolo che incomincia con la modestia, come se fosse normale parlare con i grandi spiriti della Terra!” commentò Milo, beffardo.

“Non è questione di modestia, è davvero un qualcosa di raggiungibile per chiunque, basta l'allenamento giusto, poi, ovvio, ci si può essere più o meno portati!”

“Sarà, ma io non parlerei mai con 'il grande tutto', mi sentirei un completo idiota che blatera da solo cose senza senso, anche perché dubito che questo 'grande tutto' mi dia le risposte che cerco! Meglio parlare con gli esseri umani allora!”

“Milo, sei sempre il solito ottuso...”

“Può darsi, ma io non sono uno sciamano dei ghiacci!” gli fece linguaccia lui, alzando le spalle con indifferenza velata da un certo nervosismo. D'altro canto, a Sonia piacevano quei racconti favoleggianti, infatti era tutta occhioni per lui, per Camus. Milo si ritrovò a pensare che davvero sarebbe stato meglio se Aiolia l'avesse affidata all'Acquario. Tuttavia, il pensiero che la bambina, in quel caso, sarebbe andata in Siberia a prendere freddo, lo fece parzialmente riflettere che forse forse, stare con lui sull'isola di Milo, temperata persino nell'inverno più gelido, non era poi così male.

“E perché 'dei ghiacci'?” insistette ancora Sonia, carpita da quel racconto.

“Perché è il mio elemento a cui sono indissolubilmente legato”

“Al ghiaccio? Ma quindi alla neve?”

“Sì”

“Puoi far nevicare?”

“Posso, sì, fa parte delle mie capacità”

A quel punto Sonia lo abbracciò di slancio, del tutto euforica. Camus, ancora non avvezzo all'iperattività della bambina, visto che Hyoga e Isaac erano molto più discreti, ci mise un altro po' a ricambiare goffamente il gesto, discostando lo sguardo per non vedere il risolino di Milo che in quella situazione lo avrebbe messo solo ancora più a disagio.

“Nel mio dialetto, neve si dice nivi, ricordo che da noi questo evento è raro, ma a me è sempre piaciuta da impazzire, mia mamma...” iniziò a raccontare, in tono sempre più fievole fino a spegnersi del tutto. E rimase lì, fissa e immota, lo sguardo perso di chi ha smarrito molto più di un ricordo, bensì sé stesso.

Milo e Camus si accorsero del cambio di voce della piccola, e si preoccuparono, tuttavia solo il secondo si arrischiò a porle una domanda.

Nivi? Sei forse italiana, Sonia?”

Ovviamente la bambina non rispose, del tutto presa a fissare il vuoto.

“Oh... EHI!” la provò a riscuotere Camus, con leggere pacche sulla schiena.

Questa volta Sonia si rianimò e, proprio come una bolla di sapone su una superficie, che prima di esplodere tende a farsi più piccola, si accucciò contro il petto di Camus, del tutto amorfa, non trovando più il coraggio di parlare.

Milo la scrutò a fondo, confuso da quell'atteggiamento. Sonia di blocchi ne aveva tanti, ma mai era capitato che rinvangasse il passato e, cosa ancora più inspiegabile, che si interrompesse a metà strada, come se la corda avesse smesso improvvisamente di caricare il giocattolino. Si ritrovò ad ingoiare a vuoto, un poco scosso da quell'avvenimento. Le sue pupille saettarono in quelle dell'amico, che lo accolsero e lo abbracciarono come un fratello. Bastava un unico sguardo per comprendersi: Camus annuì appena, facendo intendere di aver percepito i suoi pensieri ed emozioni come propri.

I due amici decisero di non mettere ulteriormente sotto pressione Sonia, smettendo di farle domande o parlarne fra loro. Fu così che, evitando accuratamente su richiesta della stessa bambina, l'incontro con Myrto a causa dell'imbarazzo della piccola, scelsero di passare l'ultima serata insieme prima della partenza di Camus per la Siberia.

Milo si era premunito di andare a comprare, dal market vicino alla spiaggia non lontana da casa sua, tutto il necessario per una cena con i fiocchi, del resto non capitava spesso che l'Acquario si fermasse da lui -ormai loro, vista la presenza di Sonia- a mangiare, quando accadeva, era una scusa per fare festa, malgrado le lamentele di Camus che borbottava a proposito dell'evitabile spreco di fatiche per una situazione simile. Il solito vecchio dentro, si disse tra sé e sé lo Scorpione, trovando invece molto bello e naturale voler godere della compagnia reciproca. Quel dannato di Camus quando era in Siberia a fare lo sciamano, gli mancava da morire, anche se non lo avrebbe mai ammesso in sua presenza.

Consumata la cena preparata dall'Acquario, visto che Milo, come al solito, era un impiastro ai fornelli, si sedettero sul divano, mentre Sonia, ancora ilare per la pessima figura fatta dal suo tutore, si mise a prendere in giro lo Scorpione che, sulle prime, fece finta di non ascoltarla ma che in verità si sentiva sconfitto nella sua stessa casa.

Sonia aveva incominciato finalmente a parlare come qualsiasi altra bambina della sua età, era un sollievo, anche se Milo, per la prima volta, comprese apertamente le parole di Aiolia quando definiva la sorella con 'un bel caratterino'. Era vero, lo Scorpione percepiva che la bambina non fosse tipo da lasciar cadere i discorsi, sempre pronta a prenderlo amichevolmente in giro e a punzecchiarlo, un po' come i piccoli artropodi che, avvertito il pericolo, sferzano minacciosi il pungiglione. Sonia era molto simile a lui, audacia ed ironia non le mancavano, se ne rese conto per la prima volta.

“Milo, sembra che si sia addormentata!” gli fece notare Camus, sorridendo tiepidamente, mentre, con la mano, toccava la spalla della bambina; Sonia si era infatti appisolata sulle sue ginocchia e ora respirava profondamente.

E Milo si rese sempre più conto anche che la piccola aveva davvero una predilezione per Camus, un po' come un vero e proprio colpo di fulmine visto che non si era staccata da lui, neanche quando stava cucinando, e lei, con occhi vispi e attenti, aveva osservato le sue manovre non perdendosene una.

Bofonchiò un: “avevo notato, grazie!” prima di andare a lavare i piatti che, almeno quello, gli riusciva bene.

“Milo, non fare l'idiota geloso. Sonia ti adora, si vede!” lo rimproverò bonariamente l'amico, in apparente tono indifferente.

Milo quasi inciampò contro la sedia.

“Ci mancherebbe altro, mi prendo cura di lei da due mesi, persino gli animali domestici si affezionano in questo arco di tempo!” rispose piccato, fingendo alterigia. Cosa che non gli riuscì, non agli occhi dell'amico di sempre.

“Ma se sembri un cucciolo bastonato a cui non danno le attenzioni necessarie...”

“Non una parola di più, Camus dell'Acquario, Cavalieri d'Oro dell'undicesimo tempio della Giara del Tesoro ed eccetera eccetera. NON UNA PAROLA IN PIU'!”

Camus sembrava divertito e disteso, tanto che i doveri e i dubbi da sacro custode del Santuario, nonché maestro, erano stati messi momentaneamente da parte. In quella sera Camus dell'Acquario si sentiva un ragazzo normale, come tanti altri. Sorrise leggermente tra sé e sé, decidendo di avere pietà del povero Scorpione geloso, malgrado avesse già una risposta pronta da ribattere.

Lasciò quindi cadere il discorso, permettendo alle sue orecchie di riposare un poco, che tra Sonia e gli schiamazzi di Milo, non c'era stato tempo per pensare tra sé e sé. Trascorsero un paio di minuti in cui solo l'acciottolio delle stoviglie faceva da sfondo tra loro, ritratto di una vera e propria famiglia, poi...

“Amico mio, io domani partirò prima dell'alba. Non svegliare Sonia, non è necessario!” disse in un soffio, sprofondando ancora di più nel divano per rilassarsi meglio. Inaspettatamente Milo tacque per un po', sentendosi amareggiato ma parallelamente non volendo farlo percepire all'amico.

“Ho capito... è proprio degno di te sparire così, alle prime luce del nuovo giorno, nevvero? Sei sempre il solito, Cam...”

Si girò per sorridergli, accorgendosi invece che l'Acquario si era placidamente addormentato sul divano, la bocca semiaperta e la mano destra sulla spalla di Sonia con fare protettivo. Il respiro era già ritmico, quasi in sincronia con quello della piccola.

“Uhmpf, una famiglia davvero... è così che me la immagino!” sussurrò tra sé e sé, asciugandosi le mani e regalando un sorriso pieno di affetto nella direzione dei due dormienti.

 

 

 

* * *

 

 

Sonia non rammentava di aver mai dormito così bene in vita sua, così cullata dal tocco caldo di Camus e dal fatto di sapere Milo vicina a lei. Si stiracchiò pigramente le gambe e poi le braccia, prima di riemergere da sotto le coperte più riposata che mai. L'oscurità dilagava ancora nei dintorni, non permettendole di vedere bene il profilo delle cose. Ma ancora prima della vista, notò di essere sul morbido e non più sulle ginocchia del suo salvatore, come se non bastasse, neanche Milo era lì. Si preoccupò.

“Milo! Cam... aaaaaaah!” capitombolò per terra prima di rendersene conto portandosi dietro la coperta che era stata posata su di lei. Un secondo esatto dopo le luci si accesero e si delineò la figura dello Scorpione.

“Sonia!!! Non mi aspettavo che ti saresti svegliata così presto!” la richiamò, recuperandola da terra. La piccola si avvinghiò a lui, rassicurata.

“Milo, dov'è Camus? Perché non sono più...?”

Esitò un attimo, notando la piega delle labbra che aveva assunto il ragazzo, come a voler soppesare bene le parole da esprimere. Una strana luce nei suoi occhi.

“Camus se ne è andato dieci minuti fa, ha detto che non era il caso di svegliarti...”

“Noooooo! Perché? Dove va? Perché va?” si lamentò la piccola, tutta corrucciata, alzandosi in piedi e zampettando per tutta la stanza smarrita.

“Anche lui deve badare a due bambini lassù in Siberia, non può perdere troppo tempo...”

“Ma se sapeva di andarsene doveva dirmelo!!! Io... io lo vorrei salutare!”

“Lo vedremo un'altra volta, ora...”

“NO! Dovevo dirgli una cosa!” si impose Sonia, ostinata.

Milo sospiro, non sapendo se cedere il passo o impuntarsi anche lui come già stava facendo lei. Soppesando brevemente le alternative, decise per la prima, non volendo rischiare che la piccola prendesse nuovamente il largo, stavolta per andare a cercare Camus. Rabbrividì, al solo pensiero di vedersela partire per la transiberiana tutta da sola. Era una paura assurda, ma dopo lo stratagemma per andare a trovare lui, non si sarebbe meravigliato più di nulla.

“D'accordo, forse se ci muoviamo lo becchiamo ancora al porto: prende una nave prima di 'saltare nella luce' e dirigersi in Russia...”

Lo sguardo della piccola si illuminò, correndo incontro a Milo per poi salirgli in braccio.

“Grazie... grazie! Userai la velocità della luce, vero?”

“Aspetta, e tu come fai a...”

“Eheheheh...” ridacchiò Sonia, strofinandosi il nasino con fare furbetto, sentendosi di aver centrato qualcosa di misterioso e segreto.

Milo sospirò brevemente, prima di sorriderle e apprestarsi ad usare la velocità luminare: davvero Sonia era piena di sorprese, e non erano che passati due mesi!

Giunti immediatamente al porto, lo Scorpione si guardò velocemente intorno, individuando quasi subito la lunga chioma del suo migliore amico.

“CAMUS! ASPETTA!” lo chiamò, posando simultaneamente Sonia a terra, la quale, senza aspettare altro, corse incontro all'Acquario.

“Milo? Son...” chiese l'interpellato, interdetto, poco prima di essere stretto dalle braccine di Sonia che riuscivano a malapena a stringerli la vita.

Camus rimase in attesa di spiegazioni, guardando prima Sonia e poi il Milo, il quale gli scambiò uno sguardo allibito. L'Acquario inarcò un sopracciglio, un poco infastidito da quella interferenza. Non aveva fatto subito il 'salto nella luce' per evitare di farsi notare da altri, ma non aveva alcuna intenzione di perdere ulteriore tempo prezioso, aveva dei doveri da compiere.

Sonia intercettò la sua domanda nell'aria.

“Sono stata io a chiedere a Milo di accompagnarmi qui, non prendertela con lui! Te ne sei andato senza dirmi niente, Camus!” bofonchiò, fingendosi offesa.

“Hai ragione, Sonia, ma, vedi, altri dipendono da me e... e non sono propriamente bravo con i saluti...”

“Lo so, come so che hai due bambini a cui stai badando!”

“Se sai questo, puoi anche capire perché non posso stare con voi, anche se mi piacerebbe tanto!”

Sonia annuì meccanicamente, stringendolo ancora di più. Non voleva lasciarlo andare, ma se altre due creature dipendevano da lui, non aveva scelta. Si permise di alzare il visetto infantile verso il Cavaliere, meravigliandosi ancora una volta del leggero tessuto della maglietta. Era gennaio e faceva freddo, ma lui, Mago dell'Acqua e del Ghiaccio, stava tranquillamente con una maglia a mezze maniche e dei jeans azzurro chiaro.

“Camus, hai detto che governi la neve, vero?”

“Sì, ma questo cosa potrebbe...”

“E' perché la tua pelle è straordinariamente calda, nonostante questo...”

Sia Camus che Milo si bloccarono seduta stante davanti a quella manifestazione sincera che non poteva appartenere ad altri che ad una bambina. Sonia sorrise ancora una volta, mentre gli occhioni si facevano lucidi, doveva dire ancora qualcosa, spiegare quella sua frase, per questo poggiò la guancia sinistra contro il fianco dell'Acquario.

“E' così, Camus! Tu dici di avere il pieno controllo sul gelo, ma io, una persona così, me la aspetto cattiva, brutale e fredda, perché il freddo non può che appartenere alla morte, e la morte è cattiva... - si sforzò di essere chiara Sonia, sempre più emozionata – Ma tu non sei così, Camus, sei la persona più buona che abbia mai conosciuto, la tua pelle così calda lo dimostra, non mi sono mai sentita così, non ho mai sentito un calore così intenso invadermi il petto, non so come sia possibile questo, visto che sei un Mago del ghiaccio...”

“Sonia...”

La piccola lo guardò nuovamente in faccia, sforzandosi si sorridergli per ricambiare, almeno un po', quel calore che percepiva.

“Camus, non dimenticarti mai di me, per favore, e, se puoi, torna... Milo ed io ti aspetteremo!” concluse, staccandosi a malincuore da lui.

Ma stavolta fu Camus ad accorciare le distanze tra loro, inginocchiandosi per vederla direttamente in faccia e posandole una mano sulla testa con fare protettivo.

“Non mi dimenticherò di te, Sonia, te lo prometto! Tornerò appena potrò, tu intanto, fai la brava e non far tribolare il tuo maestro Milo, intesi?”

“Maestro?”

“Sì, se lo vorrai, oppure fratello maggiore, o qualunque altra cosa significhi lui per te!” le spiegò con pazienza, rialzandosi in piedi mentre il primo raggio di sole gli accarezzò delicatamente la nivea pelle della guancia.

Sonia sorrise tutta felice, annuendo con vigore prima di ritornare da Milo. Con un ultimo saluto e una occhiata ricca di affetto, Camus si voltò, un leggero sorriso a solcargli il giovane viso.

Milo e Sonia attesero. Attesero che il primo traghetto del mattino, con a bordo Camus, partisse dalla riva e solcasse il grande blu, rimanendo fermi nelle loro posizioni fino a quando non fu più possibile scorgerlo con la sola vista.

Sonia teneva docilmente la mano di Milo nel tragitto verso casa, era pensierosa e un po' giù di corda, il ragazzo poteva percepirlo, non sarebbe stato facile riscuoterla da quel torpore.

“Milo... - disse lei ad un tratto, in tono basso – quindi tu e Camus non state insieme, giusto?”

Questa poi, non se la sarebbe di certo aspettata! Erano già un sacco ad accorparli l'uno all'altro, non sia mai che due ragazzi potessero essere tanto legati affettivamente da qualcosa che fosse altro rispetto all'amore fisico, eh! Non poteva di certo permettere che anche la piccola Sonia lo credesse.

“Ma certo che no, birba! Ti sembriamo compatibili, Camus ed io? MA FIGURATI! Come amico vale tantissimo, ma se dovessi avere una relazione stabile con lui mi metterei le mani nei capelli! Già mi vedo a estirpargli le parole dalla gola, a capirlo quando non si esprime e a rassicurarlo quando si fa le tare mentali! - ci pensò un po' su, accorgendosi però di una cosa – Ah, ma in fondo lo faccio già, anche come amico!”

Suo malgrado, si ritrovò ad arrossire a seguito di quel pensiero... Camus e lui insieme?! Ma figurarsi! Andava più che bene così, e poi a lui piacevano altri lidi, mentre l'altro non era proprio interessato all'argomento.

Sonia rimase silente ancora per un po', come a soppesare bene quel discorso dentro di sé. Poi si ritrovò ad annuire e sorridere raggiante, mentre, con gesto veloce, sfuggiva dalle mani di Milo per trotterellare con foga.

“Va bene, meglio così!!!” esclamò, su di giri.

Milo fece per chiederle spiegazioni, ma, ancora una volta fu Sonia a precederlo.

“Meglio così, Milo! - ripeté, sorniona – Perché, quando sarò grande, io sposerò Camus, lo sciamano dei ghiacci!”

Se la mascella di Milo fosse stata snodabile, lo Scorpione l'avrebbe creduta a terra diversi metri più in là, da quanto aveva spalancato la bocca al culmine dello stupore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Salve a tutti ed eccoci al quarto capitolo che abbonda di fluff (ogni tanto ci vuole XD). E' un po' più lungo della media ma avevo tanto da raccontare in questo spazio e quindi è uscito così.

Come sempre dei chiarimenti:

  • Che Camus abbia dei dubbi sul Grande Sacerdote viene spiegato nel manga, in un flashback di Hyoga e Isaac che, combinazione, avviene proprio tre anni prima rispetto alla scalata delle 12 Case, proprio come questa storia che, pur avendo tempistiche diverse (siamo nel 2006) vedrà la battaglia proprio 3 anni dopo, ovvero nel 2009. Anche Milo nutre certamente dei dubbi, ma qui ha ancora 16 anni, è “piccolo”, pertanto, come già si intuisce dal manga e dall'anime, essendo fiero di appartenere alla schiera dei sacri custodi, rifiuta momentaneamente l'idea di essere dalla parte sbagliata.

  • Sonia, come si è visto, si è infatuata, per non dire proprio innamorata, di Camus, questo argomento non è trattato nella mia serie principale, per il semplice fatto che, lo vedrete, più avanti le cose cambieranno e, pur rimanendo una figura basilare per lei, il sentimento scemerà a seguito di un determinato fatto. Forse, se ci pensate, potete già intuirne il motivo :)

  • Chi segue le mie storie, sa che amo l'angst e il fluff, quindi, abbandonando un po' il primo (per il momento) perché già massicciamente usato nella serie principale, ho utilizzato abbondantemente quest'ultimo, che tornerà, con intensità variabile, anche in altri capitoli. Per quanto i veri e propri protagonisti siano Sonia e Milo, volevo ricreare il prototipo di una famiglia in questo capitolo, un luogo che richiama gli affetti e in cui i nostri ragazzi possono avere l'illusione di condurre una vita normale. Spero sia piaciuto!

 

Come sempre, ringrazio chi commenta, chi ha messo la storia tra le preferite/seguite e chi legge questa mia piccola fatica. Al prossimo capitolo, che vedrà il ritorno del nostro Aiolia! :)

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Capitolo 5
*** Il viandante del Libero Arbitrio ***


CAPITOLO 5: IL VIANDANTE DEL LIBERO ARBITRIO

 

 

-Addirittura sposarlo?!? Sposare mio fratello?!? Però! Non mi sarei mai aspettata un risvolto simile!!!

Ridacchio divertita, quasi tenendomi la pancia con le mani per non rotolare a terra in preda agli spasmi. Sonia mi guarda di sottecchi, alquanto imbarazzata. Ed io che la pensavo affiliata a Milo fin dalla più tenera età, e invece eccola a prendere una sbandata apocalittica per l'apparente gelidità di Camus!

-E'... è così, Marta... ma tu devi capire che... che ero molto piccola, Camus mi aveva appena salvato la vita e si era rivolto a me con quella premura un po' distante tipica di un genitore che fissa partecipe il proprio figlio provare a muovere i primi passi. E poi... e poi è un bel ragazzo, forse il più bello della cerchia dorata, questo non l'ho mai nascosto, era davvero difficile rimanere indifferenti al suo fascino!

-E quanto ti durò la sbandata?

-Più di tre anni...

-Alla faccia della cotta, eh... ahahahah! E perché poi ti è passata?

-Perché, come sai, Camus morì alle Dodici Case nel 2009... il contraccolpo di quell'evento mi fece disperare nell'amore, non volli più averci nulla a che fare, mi faceva troppa paura e.. troppo male!

-Oh...

Taccio, essendomi raggelate le vene a seguito di quell'ultima frase e, come di consueto, una forte sensazione di freddo mi investe, facendomi rivivere gli ultimi istanti di vita di mio fratello. Il gelo, la solitudine, ma parallelamente la consapevolezza di aver fatto crescere un giovane uomo che, da quel momento in avanti, avrebbe lottato contro il male meglio di quanto avrei potuto fare io. Non ero dunque solo un fallimento, come già con Isaac, qualcosa di buono nella mia vita potevo farlo anche io!

-Comunque... i mesi dalla partenza di Camus passarono in fretta, senza che Milo fu più richiamato. Imparai a barcamenarmi sull'isola, a conoscerne gli abitanti e le creature lì presenti, persino gli incubi mollarono la presa sul mio inconscio per un bel periodo. Giunse ben presto aprile; aprile del 2006 quando feci un nuovo incontro tutt'altro che sperato, anche se, ovviamente, non lo riconobbi quel giorno.

-Stai forse parlando di...?

-Sì, Aiolia, Cavaliere del Leone, mio fratello. Credo volesse sincerarsi delle mie condizioni, per cui, sotto mentite spoglie, in un giorno di primavera, mi venne a trovare, un giorno in cui Milo non c'era. Ma andiamo con ordine...

 

 

* * *

 

 

Milo, dopo i giorni trascorsi con Camus e la conseguente dichiarazione (a lui!!!) del presunto innamoramento di Sonia nei confronti dell'algido custode dell'undicesimo tempio, credette 'acqua passata' l'interessamento della bambina nei confronti dell'Acquario o, in alternativa, un qualcosa di fugace dato dalla gratitudine per averla salvata. Nulla di più sbagliato.

La piccola chiedeva ostinatamente di lui, neanche ne avesse bisogno per respirare, domandava spesso dove fosse, cosa stesse facendo e quando sarebbe tornato, stupendosi del perché Milo non ne sapesse niente. La verità era che Camus, passata la parentesi del Grande Tempio, si era dato di nuovo alla macchia, non facendosi sentire. Tipico di lui anche questo comportamento che irritava lo Scorpione, ma farglielo notare era improponibile. Era il classico tipo che dava anima e corpo ai suoi doveri, impegnandosi sempre al massimo senza badare a cosa o a chi rimanesse indietro. Questo, nel bene e nel male, era Camus, bisognava solo accettarlo. Sonia ancora non lo conosceva, non poteva conoscerlo, ma si sarebbe presto avvezzata pure lei.

 

Se non mi vedi, o non mi senti, non significa che io mi sia dimenticato di te!

 

Era vero, probabilmente pensava di frequente a lui e, in quel momento, avendola conosciuta, anche alla piccola Sonia. Però che cavolo, dimostrarlo un po' di più era troppo difficile?! Loro due erano legati da un profondo legame, erano più che amici, più che fratelli... era difficile da spiegare a chicchessia, ma Milo poteva avvertirlo chiaramente. Solo che, in quel preciso momento delle loro ingarbugliate vite, erano fisicamente distanti e questo allo Scorpione pesava, pesava ogni giorno di più. Provava una strana paura sviscerale, come di star perdendo tempo, e il tempo era come una falce che calava su di loro... rabbrividì, passandosi una mano nei capelli. Erano solo ansie prive di consistenza, non poteva dargli peso.

“Milo, ma Camus quando tornerà?”

Ed eccola di nuovo lì, la consueta domanda mensile della piccola. Sospirò teatralmente, voltandosi verso di lei. Da quando era partito, era un quesito ricorrente. All'inizio era posto con la frequenza di uno ogni dieci giorni, poi, andando sempre più a scemare, una volta ogni due settimane fino ad arrivare ad un mese, avendo continuato ad aspettarlo e non vedendoselo più arrivare.

In quel momento era metà aprile, il primo tiepido già aleggiava nell'aria, accarezzando le chiome dei meli e le onde del mare. La pace dei sensi regnava sovrana, Milo pregò che continuasse così.

“Mah! Io punto sul prossimo anno direttamente...”

“UN... UN ANNO?!?” esclamò sgomenta Sonia, avvertendo come non mai la distanza.

“Come sai, ha molto da fare con quei due bambini...”

Sonia annuì comprensiva, sbuffando un poco e riprendendo a torturarsi le dita: lo avrebbe atteso a qualsiasi costo.

“Capito... allora aspetterò, sarò una brava moglie, aspetterò... prima o poi tornerà, lo so!”

Milo alzò lo sguardo al cielo, radunando tutta la pazienza di cui disponesse.

“Moglie?! Non sei un po' troppo piccola per questo?”

“Devo solo crescere, quando sarò abbastanza grande sarà ok, no?”

“Sonia cara, andando dietro al ghiacciolino ti perderai una serie di esperienze importanti.... dai retta a me, non precluderti di guardare gli altri maschi in futuro, molti sono bellocci e coraggiosi, non fissarti su un unico punto, espandi le tue vedute!” le consigliò, aprendo le braccia con fare esaustivo.

“E chi sarebbero questi maschi?”

“Ne hai uno davanti!” affermò, scoccandole l'occhiolino e sorridendo sornione.

Sonia non rispose neanche, tornando a concentrarsi su un punto a caso del salotto. Per Milo fu un colpo durissimo, ma non come la sferzata, alla quale avrebbe preferito un umile, seppur esaustivo, silenzio, che ottenne subito dopo.

“Piuttosto che con te, Milo, vado con uno dei due allievi di Camus che, se non sbaglio, hanno la mia età all'incirca!”

“Ma... MA!!! Non li conosci neanche e...”

“Ma sono stati addestrati da Camus, il vero e nobile cavaliere senza macchia e senza paura, non possono essere così diversi da lui! - lo zittì, raggiante – Comunque io sono già promessa sposa, se, per qualche ragione, non manterrò il giuramento, rimarrò casta, perché solo con lui voglio stare, nessun altro è degno!”

Piccolina ma con le idee già chiare in testa, anche se, nella sua scelta, non aveva fatto compartecipare Camus, il vero fulcro del suo interesse. Milo tentò di soprassedere ma era infastidito, non gli era mai capitato di finire così bellamente sconfitto in un campo che pensava a lui congeniale. Sonia forse lo percepì; percepì il suo orgoglio arruffato come di cucciolo fradicio, pertanto tentò di spiegarsi meglio.

“Dai, Milo, non volevo offenderti, ma... tu sei un po' scemotto, ti vedo più come fratello minore che non in altri modi!” provò a rincuorarlo Sonia, capendo che lo Scorpione c'era rimasto male. Peccato solo che le sue parole erano riuscite solo ad abbatterlo ancora di più, altroché rincuorarlo!

Fratello minore e pure scemo... era davvero così che lo vedeva?! Lui, Cavaliere d'Oro dello Scorpione e difensore della giustizia al pari di Camus! Sbatté più volte le palpebre, accorgendosi di quel particolare: non aveva ancora trattato con Sonia l'argomento sul suo ruolo, le aveva solo detto che era un supereroe, ma... prima o poi la verità sarebbe emersa, come dirlo quindi alla piccola?! Visto il suo pensiero su di lui, probabilmente non gli avrebbe mai creduto, non era incoraggiante...

Tacque quindi per qualche minuto, lasciando cadere il discorso. Sonia generalmente non era mai la prima a parlare, salvo quando doveva porre quesiti; comportamento questo che gli rammentava quello del migliore amico, era quindi facile mutare discorso in altro laddove questo non fosse propriamente a suo favore. Si mise un po' a pensare, rammentando un altro fatto importante, ovvero la questione che da lì a pochi giorni sarebbe dovuto nuovamente partire perché un incarico che gli era stato affidato direttamente dal Grande Sacerdote. Come affrontare anche quell'argomento con la bimba? Visti gli avvenimenti dell'ultima volta in cui se ne era andato, con Sonia che per poco non ci finiva annegata, lo Scorpione voleva evitare accuratamente di lasciarla nuovamente sola, ma non poteva fare diversamente.

Decise quindi di prendere parola, avvicinandosi alla bambina e scoccandole un'occhiata grave, di quelle che faceva presagire il bisogno della sua completa attenzione. Sonia percepì tutto questo nei suoi occhi, d'altronde era molto intelligente, quindi si rizzò sull'attenti, attendendo placida che la bocca di Milo si dischiudesse.

“Sonia... in verità devo dirti un'altra cosa piuttosto importante: mi tocca assentarmi per alcuni giorni, di nuovo, non ne posso fare a meno!”

“Capisco... è di nuovo perché sei un supereroe?”

“B-beh, sì...”

“Prima o poi mi dirai cosa fai veramente quando ti assenti, vero?” gli chiese timidamente, un poco corrucciata. Era pressoché certa che Milo facesse del bene, là fuori, ma cominciava a dubitare sulla storia del 'supereroe'. Insomma, non reggeva più tanto come spiegazione, ecco tutto! Vero era che anche Camus le aveva accennato dei loro strani poteri, ma da quando era stata quei giorni in quello strambo tempio greco che prendeva il nome di 'Santuario', aveva percepito nell'aria qualcosa di molto più forte e indicibile dei comuni supereroi.

“Uh... - biascicò Milo, preso in contropiede da tanta scaltrezza, tuttavia riparò – Te lo prometto, piccoletta, prima o poi ti dirò tutto, ma non oggi; oggi si fa a gara di solletico!” esclamò, vivace, buttandosi a capofitto e a sorpresa verso la piccola, che si ritrovò ben presto sdraiata sul divano a ridere come una matta, del tutto ubriaca da quel contatto.

A Milo parve un cane giocoso che si prendeva i grattini sulla pancia, era davvero adorabile e, in fondo, non era nemmeno male prendersi cura di un altro essere vivente. Si ritrovò sorpreso a quella constatazione.

Dopo quel momento di svago, tornò brevemente serio, sistemandosi i capelli e la maglietta che la piccola, per difendersi, gli aveva giocosamente arpionato. La riguardò negli occhi, un poco severo.

“Vero... che stavolta non scapperai dall'isola, Sonia?”

“Uh...”

Sonia istantaneamente avvampò, scorgendo il velato rimprovero dietro l'apparente tono neutro del ragazzo. Non sarebbe più scappata, no, la lezione l'aveva imparata.

“No... ma posso dormire da Myrto, almeno? Ogni tanto ho degli incubi e... non mi piace proprio stare da sola, fa paura!” tentò di spiegarsi, annaspando un poco.

Milo ebbe un moto di tenerezza, pertanto le accarezzò dolcemente una guancia.

“Certo che puoi, scemetta, non c'è bisogno di chiedermelo, ma... ma non provare a seguirmi stavolta, intesi? Giuramelo solennemente, Sonia! L'altra volta mi hai fatto prendere un vero e proprio colpo al cuore e...”

“Non lo farò più, Milo, promesso! - gli saltò addosso la piccola, stringendolo con enfasi – ma torna presto, va bene?”

“Certo, piccola, sarò da te in un lampo, come il flash che precede immediatamente il rombo!” le disse, baciandola dolcemente sulla guancia. Gli costava enormemente abbandonarla lì, ma c'era Myrto con lei, pertanto si tranquillizzò: con Myrto non poteva succede nulla di male, già, non poteva succedere nulla, del resto era pungente e determinata come lui, nulla la poteva fermare!

 

 

* * *

 

 

Aveva promesso solennemente che non si sarebbe mossa da lì, ma era comunque dura l'attesa!

Erano passati due giorni dalla partenza di Milo, e già aveva chiamato che si sarebbe attardato per alcune complicazioni durante la missione, pertanto non sarebbe tornato quel giorno. Sonia sospirò, mentre il sole alto nel cielo rischiarava il mare blu cobalto che lei non aveva smesso di osservare da un paio di ore. Aveva scoperto che la grande distesa blu le piaceva enormemente... da lontano! Stare sulla spiaggia gialla-marroncina, a tratti più scuri, formata da granuli finissimi, la rilassava e la faceva sentire in pace con il mondo. Le giornata si stavano allungando a vista d'occhio, provocando in lei una strana voglia di vivere e di fare nuove esperienze che difficilmente comprendeva pienamente.

In quei giorni aveva dormito effettivamente da Myrto, che la trattava con massima cura e la viziava quando poteva. Si trovava bene con lei, anche se i primi mesi dopo la marachella aveva provato una intensa vergogna a guardarla in viso; vergogna che fortunatamente era passata, anche perché la giovane donna non pareva affatto avercela con lei, anzi la trattava con il doppio dei riguardi e delle premure.

Sonia si ritrovò bene presto a raspare sulla sabbia, incuriosita dalle mille e una sfumature di colore di ogni singolo granello che gli sfuggiva dalle dita per unirsi nuovamente agli altri. Forse per la prima volta sfiorò il reale significato delle parole di Camus sul singolo che si unisce all'immenso marasma del tutto, ma era comunque presto per comprenderlo appieno, anche se... ci sarebbe riuscita, un giorno!

Poi un garrito strozzato attirò la sua attenzione, spingendola ad alzarsi per ricercare la fonte sonora. L'isola di Milos era piena di gabbiani e gabbianelli di diversa specie, ma nessuno di loro aveva mai prodotto un suono così sinistro e profondo; in genere vocalizzavano starnazzi acuti che provenivano dall'alto, questo invece sembrava di differente origine.

Non ci mise comunque molto a capire da dove provenisse quel rumore, perché, poco più in là, vicino alle onde del mare, vi era un gabbiano reale che tentava disperatamente di sbattere le ali per prendere così il volo, ricadendo immediatamente appena le zampe si staccavano da terra.

Sonia si avvicinò, incuriosita, non aveva mai avuto molte esperienze con gli animali, le poche che le erano capitate non erano state affatto positive. Ma quel gabbiano sembrava in seria difficoltà. Riuscì a scorgere una macchia rossa, che credette sangue, sul becco, guardando però meglio era parte del suo corpo, non come invece quell'orrenda rete da pescatore che gli avvolgeva parte della zampa e dell'ala di sinistra. Più si dibatteva peggio era, rischiando di farsi male da solo.

Sonia tentò un primo approccio avvicinandosi lentamente al pennuto, ma l'uccello era ancora troppo vispo per lasciarsi prendere e balzò di lato dopo avergli soffiato sinistramente. La piccola allora tentò un movimento rapido, saltando su di lui per prenderlo, ma ancora la prova si rivelò vana perché il gabbiano, usando tutte le sue forze, spiccò un volo un po' più consistente, ma cadde ancora una volta malamente a terra, rotolando. Era il momento propizio. Sonia agì di slancio, tuffandosi nella sua direzione e riuscendo a prenderlo. Tuttavia l'uccello era tutt'altro che domato: sentendosi infatti catturato, contorse il collo nella sua direzione, aprendo prepotentemente il becco prima di colpirla violentemente sul braccio. La piccola urlò d'istinto, mollando la presa e finendo a terra.

L'aveva beccata sul polso, dal quale uscì un rivolo di sangue. Si chiese se continuare ad impuntarsi su una battaglia persa o se mandare al diavolo quell'essere che non capiva il suo desiderio di aiutarlo.

Improvvisamente avvertì una mano sulla sua spalla, sussultando nell'essere stata beccata in contropiede senza che se ne rendesse conto. Appena si girò nella direzione in cui la luce solare era stata appena oscurata dall'arrivo impercettibile di qualcuno, Sonia scorse una figura famigliare dietro di sé, che tuttavia non riconobbe, malgrado il sentirsi, in qualche modo inspiegabile, affine a lui.

“E' finito in una rete di pescatore, purtroppo è una cosa che capita facilmente. Cosa intendi fare? Vuoi lasciarlo così o fare qualcosa?” le chiese gentilmente il nuovo arrivato, coperto da un turbante che gli avvolgeva la testa per proteggerlo dal sole. Sonia spalancò gli occhioni verdi, non aspettandosi un quesito simile da uno sconosciuto. Tuttavia il poco che percepiva di lui, cioè gli occhi determinati che parevano del colore delle fronde degli alberi e il fisico snello ma possente, le regalavano una sensazione di pace e tranquillità persino maggiore dell'astro per eccellenza.

Tornò a guardare in silenzio il gabbiano, che ora provava con ostinazione a togliersi l'impedimento di dosso, continuando a non riuscirci. Successivamente decise di rispondere.

“Cosa farei io? Non lo so... davvero rischia di morire senza il mio intervento?” chiese, un poco dispiaciuta.

“Difficilmente riuscirà a togliersi l'impiccio da solo, a meno che non intervenga qualcuno in suo favore. Molto facilmente esaurirà le energie e morirà poco dopo...”

“E se invece faccio qualcosa questo ingrato destino cambierà?”

“Dipende... in una certa proporzione sì, anche se non completamente. Del resto, quando adoperiamo il nostro Libero Arbitrio ci azioniamo per cambiare qualcosa, ma le conseguenze non sono mai controllabili al 100%!”

“Il... Libero Arbitrio?”

“Sì, la capacità umana di fabbricare il proprio destino e, entro certi limiti, quello degli altri. Noi, in quanto esseri a metà strada tra l'animale e il divino, lo possiamo fare!”

Sonia era allibita. Era la prima volta che sentiva parlare di questo Libero Arbitrio, eppure la spiegazione data era talmente affascinante e intuibile che le sembrava quasi di poterlo dare per scontato.

“Quindi io, solo io, in questo momento posso salvarlo?”

“Sì, ma tieni conto che, se lo farai, forse danneggerai altri che non potranno così nutrirsi con un pasto facile stanotte, oppure, chissà... se non lo farai, può darsi che, quel gabbiano là, sia una mamma con i piccoli, in questo caso danneggerai i pulli. Come vedi, non è sempre facile scegliere...”

Sonia ci rimuginò un po' su. Qualunque soluzione pareva danneggiare irreversibilmente altri, non era affatto un quesito di facile assolvimento. Fare o non fare? Entrambe le scelte avrebbero portato conseguenze. Salvare il gabbiano sarebbe stata una buona azione, ma poi chi garantiva per l'uccello? Una volta libero avrebbe ripreso a volare, ritornando a cacciare le sardine e quindi decretarne la morte. Salvare lui significava decidere di far morire altri...

“Comprendo le tue difficoltà...”

Nonostante questo, chiudere gli occhi davanti ad un essere in pericolo di vita era da villani e bruti, costituiva una azione cattiva, e Sonia voleva essere una brava persona, una di quelle su cui ci si potesse contare, una di quelle giuste ed eque... come Camus!

Già, se Camus avesse chiuso un occhio quel giorno lei sarebbe morta, inevitabilmente. Non sarebbe quindi andata a pescare successivamente con Milo, non avrebbe catturato altri pesci, non si sarebbe più nutrita provocando la morte di altri animali, infine non si sarebbe trovata lì a scegliere del destino del gabbiano. Non avrebbe potuto percepire più nulla, perché sarebbe morta, altri sarebbero stati consci del mondo circostante, non più lei, che invece era lì in quel momento, poteva agire! Fece quindi la sua scelta.

“Voglio salvarlo, so che ucciderà altri pesci per nutrirsi, ma voglio farlo comunque. E' in serie difficoltà, non si può abbandonare qualcuno in pericolo di vita, non ci renderebbe... umani!”

Inaspettatamente all'uomo sconosciuto scappò un singulto pieno di sorpresa, Sonia, dal basso della sua posizione, poté quindi percepire la sua bocca aprirsi in un connubio di meraviglia e stupore. Aveva dei denti bianchissimi, razionalizzò, prima di vederlo sorridere nella sua direzione e fare dei lunghi passi avanti, verso il gabbiano.

“Va bene, se questa è la tua scelta...” decretò il misterioso individuo, sparendo improvvisamente dalla sua vista. A Sonia parve, per alcuni secondi, di avere avuto una fugace visione, un ironico scherzo dettato dalla stanchezza, poco prima di scorgerlo poco più in là, con il pennuto in braccio. La bambina sbatté più volte le palpebre, sfregandosi gli occhi con insistenza, convinta che il miraggio potesse svanire da un momento all'altro. Ma era ancora lì, un secondo esatto dopo aveva liberato il gabbiano dalla rete che, sbattendo le ali con la recuperata vigoria, si allontanò in fretta verso i cieli infiniti.

Davvero Sonia stentava a crederci, talmente tanto che non si accorse che la bocca le si era automaticamente aperta, rimanendo ammutolita a fissare ancora quell'individuo che, con passo possente ma e elegante, stava tornando nella sua direzione, del tutto naturalmente malgrado il prodigio che aveva appena compiuto.

“E ora veniamo a te, piccoletta!” disse, prendendole dolcemente la mano beccata dal gabbiano poco prima di passarci delicatamente le dita. Automaticamente tracciò il taglio che sanguinava ancora. Sonia avvertì una fitta di dolore, poi una piacevole sensazione di torpore e ancora quella che, ai suoi occhi, sembrò una luce dorata. Un secondo esatto dopo non c'era più traccia né del fluido rosso e neanche del bruciore, la piccola ferita era completamente guarita, lasciando spazio ad una leggerissima cicatrice che sarebbe sparita da lì a breve.

Ancora si chiese meccanicamente come diavolo avesse fatto, chi fosse e perché si era comportato così tanto gentilmente nei suoi confronti. Ma ancora prima di formulare la domanda si accorse che l'individuo si stava allontanando in completo silenzio. Non poteva, non prima di avergli posto il grande quesito che continuava a ronzarle in testa.

“Aspetta solo un secondo, ti prego!”

La figura si arrestò, ma non si volse, rimanendo ritta in piedi e rigida, rigida come non mai.

“Mi hai curato la ferita semplicemente passandoci un dito, come un mago; hai acciuffato e liberato il gabbiano senza che me ne rendessi conto. Hai poteri magici, oppure... oppure conosci Camus? Solo lui può operare un tale miracolo!”

Un brivido corse lungo la schiena del giovane Aiolia in seguito a quel nome che conosceva bene. Fu grato di essere girato di spalle, perché altrimenti non sarebbe riuscito a mascherare lo sconcerto nei suoi occhi. Prese un profondo respiro, prima di riacquistare la calma.

“Solo lui? - indagò, tenue, meravigliandosi di non sentir nominare anche Milo – Comunque no, bimba, non solo Camus ha poteri del genere, ma anche altri, non è l'unico...”

“Quindi ho visto giusto, conosci Camus... - ne dedusse Sonia, il cuore che accelerava automaticamente – Ma quindi chi siete voi? Come fate ad avere poteri simili, rimanendo comunque umani?” chiese, sperando di ottenere le risposte tanto cercate.

“Non avvicinarti ad un territorio così pericoloso, è un consiglio. Non ne uscirai più! - tagliò corto lui, in apparente tono freddo, tuttavia quando si voltò nella sua direzione le sorrise; un sorriso carico di affetto e di rimpianto. Sapeva di essersi condannato, ma era giusto così, era stata una scelta obbligata – Tu pensa solo a crescere sana e forte, Sonia, la vita è meravigliosa proprio perché a molte domande non troviamo risposte, ricorda sempre queste mie parole e conservale nel tuo cuore. Addio!”

“Asp....”

Troppo tardi, il misterioso individuo era saltato nella luce, esattamente come Camus, esattamente come Milo, ormai non vi erano più dubbi che si conoscessero.

La piccola rimase a lungo in silenzio, scrutandosi meravigliata la mano appena guarita. Vi era ancora una cosa più sinistra e strana, addirittura inspiegabile: l'aveva chiamata per nome, ed era sicura di non essersi presentata. Guardò automaticamente un punto non ben definito del paesaggio, la mente piena di congetture che portavano però in un'unica direzione: l'aveva ordunque chiamata per nome, quindi vi era anche questo fatto in più; il fatto che lui la conosceva, sapeva chi fosse, nonostante lei non lo rammentasse minimamente.

Prese un profondo respiro, decidendo di correre immediatamente in casa di Myrto e di non parlare a nessuno di quegli ultimi avvenimenti inspiegabili. Era però ignara che qualcuno la stesse osservando con un cipiglio di preoccupazione.

 

 

* * *

 

 

Appena Milo tornò dalla missione affidatagli dal Grande Sacerdote, desiderò, come prima cosa, abbracciare Sonia e sincerarsi delle sue condizioni, non si sarebbe di certo aspettato invece di essere accalappiato da Myrto senza troppi fronzoli o giri di parole.

Non aveva infatti nemmeno avuto il tempo di salutare Sonia, che Myrto lo aveva già preso per un braccio e portato a forza nel bosco di ulivi lì vicino per parlare liberamente a quattr'occhi. Lo Scorpione, sulle prime, si era lamentato insistentemente, volendo rivedere Sonia che sapeva a casa della giovane donna, ma poi, visto lo sguardo tagliente della giovane donna, si era fatto condurre docilmente, permeando comunque ad essere infastidito per l'urgenza con la quale lei lo trattava, neanche fosse esplosa casa sua per una fuga di gas o chissà cosa d'altro. Una volta nel boschetto seppe la cocente verità.

 

Milo, Aiolia è venuto di nascosto a trovare Sonia...”

Cosa?!? No, è impossibile, mi ha fatto promettere di tenerla lontana dal Santuario e da sé stesso, non può avere infranto il tabù!”

Ti dico di sì, invece... e la cosa più preoccupante è che Sonia non mi ha riferito nulla!”

E come fai a saperlo, allora?”

Perché li ho visti, ero andata a chiamare la piccola per chiederle di accompagnarmi a fare la spesa, ma quando sono arrivata parlava con il giovane Leone, non ho capito quello che si sono detti, ma so per certo che Aiolia ha usato il suo potere dorato per curare una ferita sulla sua mano!”

 

Milo si ripeteva mentalmente il dialogo avuto con Myrto, mentre, con passo sempre più incalzante, si dirigeva verso l'arena di combattimento. Doveva discorrere a tu per tu con Aiolia, non importava il veto del Sacerdote, doveva farlo per chiedergli delucidazioni, anche se parte delle suddette se le immaginava già. Tuttavia era stato un azzardo da parte dell'altro; un azzardo dato dall'impulsività e che aveva messo potenzialmente in pericolo anche la piccola Sonia, questo doveva dirglielo con ferrea asprezza. Del resto, aveva ragione Camus: se avessero scoperto che la bambina era nientepopodimeno che sorella di Aiolia e, ancora di più, del traditore innominabile, chissà che torture avrebbe potuto infliggerle; inoltre, seppur fievole, possedeva un cosmo, un fatto che la condannava già di per sé. Doveva tenerla al sicuro sull'isola, lontana dalle grinfie del Santuario, ed Aiolia, giungendo sull'isola, l'aveva appena messa in una condizione di forte rischio. Sonia non doveva sapere, non doveva entrare nel loro mondo. NON DOVEVA! Milo non l'avrebbe mai permesso.

Milo accelerò l'andatura, desideroso di chiarire con il compagno, pareva un cavallo al galoppo dal furore con cui perseguiva il suo incedere, la lunga chioma rassomigliante alla criniera di un cavallo che svolazzava al vento. Ma persino un cavallo poteva fermarsi se vedeva un ostacolo davanti a sé e, purtroppo, quell'ostacolo, che aveva nome e costellazione, avrebbe rallentato i suoi propositi. Che immane seccatura!

“Ohilà, ma chi abbiamo qui? Non ti si vede spesso, Scorpio, e quando succede... è fattibile che tu stia combinando qualcosa di sinistro!”

Milo si bloccò all'improvviso per qualche istante, ringhiando nel vedere il brutto muso che si era posto davanti a lui e che gli avrebbe fatto perdere ulteriore tempo. Non ci voleva!

Senza peraltro rispondere, il Cavaliere proseguì dritto, non degnandolo di uno sguardo, ma colui che avrebbe dovuto essere suo compagno d'armi non demordeva, frapponendosi nuovamente tra lui e il suo obiettivo.

“Ohi, così non va, è maleducazione non rispondere ad un tuo commilitone, lo sai, Scorpio? Inoltre sono più vecchio di te, il rispetto per i tuoi compagni più maturi dove lo hai messo?”

“Più maturo di me?!? Vai a razzolare nell'aiuola, Death Mask, che qui non vedo nessuno corrispondente alla tua descrizione!” lo cassò istantaneamente, infastidito.

“Però che caratterino... si vede che l'assenza del ghiacciolo ti flippa il cervello, sei di pessimo umore!” ribatté istantaneamente il Cavaliere del Cancro, scoppiando a ridere.

“Chiunque sarebbe di pessimo umore a vedere il tuo muso, Death Mask! E ora lasciami andare che ho da fare, non posso perdere tempo con te!”

“Non prima di averci detto dove stai andando, Milo!”

Milo sospirò sonoramente nell'udire quella riconoscibilissima voce languida che gli avrebbe fatto perdere ulteriore tempo. Radunò tutta la pazienza di cui era capace prima di rispondere.

“Oh? Ci sei anche tu, Aphrodite! Non mi dovrei meravigliare visto che siete sempre insieme. Effettivamente mi chiedo se le vostre continue speculazioni su me e Camus non nascondano un certo interessamento vostro reciproco – li punzecchiò, ilare – Sapete come si dice, no? Chi è senza peccato scagli la prima pietra, però molto spesso è proprio chi puzza di marcio dentro, o chi si sente sporco, a puntare il dito su altri per non attirare l'attenzione su di sé!”

“COME OSI, MOCCIOSO, NON PENSERAI DAVVERO CHE NOI...”

“Calma, Masky, non siamo qui per questo... - lo bloccò il Cavaliere dei Pesci, placando le acque – Milo, perdona il nostro ficcare il naso nei tuoi affari, ma, come sai, girano voci che si stia preparando una ribellione contro il Grande Sacerdote e noi non vorremmo dubitare dei nostri compagni d'armi, tuttavia... come pro forma è necessario dissipare ogni dubbio su di te!”

“Esatto! - gli fece eco Death Mask, affiancando l'amico – Tu e il ghiacciolo, nonché altri, siete parecchio sospetti, non starete architettando qualcosa contro l'illustrissimo, nevvero?!”

“Come se non sapessi che siete i suoi leccapiedi... - bofonchiò sottovoce Milo, non facendosi udire - Comunque, se ci tenete tanto a saperlo, sto andando all'arena di combattimento per allenarmi, null'altro!” rispose, apparendo deciso nei suoi propositi, sebbene sapesse di non dire tutta la verità.

“Solo questo?”

“Certo, un Cavaliere d'Oro deve tenersi sempre in allenamento. E ora, se vi levaste dai coglioni, mi evitereste di perdere altro tempo utile per quello che devo fare!” tagliò corto lui, avanzando senza più degnarli di uno sguardo.

I due beati compagnoni non lo seguirono e Milo poté tirare un sospiro di sollievo. Per dove stava andando era meglio che nessuno ne venisse a conoscenza, men che meno quei due, così vicino al Sacerdote.

Poco dopo raggiunse l'arena di combattimento, constatando, con suo enorme piacere, che aveva visto giusto su dove si trovasse il suo collega leonino. Aiolia infatti si stava allenando a lanciare il Lightining Bolt in più direzioni. Lo Scorpione si rese conto che la forza del parigrado cresceva di giorno in giorno, forse addirittura più di quella di suo fratello Aiolos.

Non era comunque giunto lì per fare apprezzamenti, bensì per un motivo assai più grave, per cui, senza ulteriore indugio, scese nell'arena, il passo lungo e sempre più incalzante.

“Leo, vieni con me, ti devo parlare. Seguimi!” disse secco, scoccandogli un'occhiata di avvertimento prima di sorpassarlo e fargli strada. Non aveva bisogno di controllare se lo seguisse, sapeva perfettamente che lo avrebbe fatto.

Il luogo che Milo voleva raggiungere era situato su un altopiano che offriva una meravigliosa visuale sul paesaggio circostante. Era un posto idilliaco per passare inosservati senza le interferenze di altri Cavalieri d'Oro o adepti di Atena. Perfetto per parlare senza avere interferenze, lo aveva scoperto proprio lo Scorpione da bambino, desideroso come non mai di trovare un Locus amoenus in cui discorrere con l'amico Camus nei momenti di riposo tra un allenamento e l'altro.

Giunto sul fatidico luogo, Milo si perse un attimo a contemplare alcuni segni a forma di segmento tracciati sul pino marittimo che svettava magnificamente sugli altri alberi più piccoli: il sistema che lui e Camus, crescendo, avevano adoperato per controllare i progressi della loro altezza, sempre il di' del 7 febbraio, il compleanno del suo amico. Ogni anno. Tutti gli anni. Istantaneamente si ritrovò a sorridere.

“Milo, mi auguro che tu abbia una valida ragione per aver interrotto i miei allenamenti...” lo incalzò immediatamente Aiolia, un poco infastidito.

“La ho! - esclamò con enfasi Milo, andando dritto al sodo – Voglio sapere perché ti sei palesato a Sonia!”

“Lo supponevo...” sospirò il Leone, un poco affranto.

Inaspettatamente quel tono dismesso irritò ancora di più lo Scorpione.

“Ordunque? Non mi hai forse chiesto di tenerla lontana da te? Hai dunque infranto la tua promessa da Cavaliere?”

“Non ho infranto promessa alcuna, non mi sono neanche presentato...”

“Ma hai rischiato, Aiolia! Quella bambina ha un cosmo, se dovesse saltare fuori, non so che fine sarebbe, per questo l'hai affidata a me, no?!”

Aiolia non rispose, limitandosi a posare la sua schiena contro il tronco dell'albero e a incrociare le braccia al petto, in apparenza del tutto asettico a quelle domande che, in verità, nascondevano una accusa; l'accusa di Milo di Scorpio.

“Rispondi, Aiolia, perché l'hai messa in pericoloso così, che Cavaliere, anzi... che uomo sei che mette così in pericolo la vita di sua sorella? Sei tale e quale ad Aiolos, la stessa...”

“Tu non ti azzardare neanche a nominarlo lui... o non risponderò delle mie azioni!” soffiò il Leone, del tutto inviperito. Milo si morse il labbro inferiore, capendo di aver toccato un tasto dolente. Aiolia, se provocato su quel dato argomento, avrebbe potuto anche buttarlo giù dalla scogliera senza tanti complimenti, ne era più che certo. Tentò così un'altra via.

“D'accordo, ho sbagliato, ti porgo le mie scuse... ma è necessario che tu capisca... l'hai giustamente affidata a me, ed io... mi sto affezionare velocemente a lei, non voglio finisca in qualche pasticcio, e la tua presenza la mette in pericolo. Mi riesci a comprendere, Aiol...”

“Mi mancava... tutto qui!”

Milo lo fissò sbigottito, automaticamente i suoi muscoli si irrigidirono. E cominciò a capire.

“Sentivo la sua mancanza e avevo bisogno di vederla, né più né meno. So anche io che è rischioso farmi vedere da lei, ma ho usato tutte le precauzioni possibili e immaginabili e lei non può riconoscermi. E poi eravamo sulla tua isola, lontano dagli altri Cavalieri d'Oro, lontano dal Grande Sacerdote. Non lo farò più, se è questo ciò che vuoi, ma evitami la paternale...”

Cadde il silenzio tra loro, rotto solo dallo zefiro leggero che, come una mano invisibile, scompigliava i loro ciuffi. Milo abbassò lo sguardo, affranto. Le motivazioni del vecchio amico erano più che esaustive e comprensive. In fondo, si era forzatamente condannato a passare una esistenza priva dell'affetto di sua sorella, lui che aveva già perso il fratello maggiore anni prima e che aveva pattuito quella scelta soffrendola in prima persona. Qualcosa però, nella testa di Milo, non tornava. Sonia effettivamente, da quando si era svegliata e aveva cominciato a parlare, non aveva mai tirato fuori un discorso su suo fratello, quasi come se non lo conoscesse, o peggio, che proprio si fosse dimenticata di lui, o ancora che non lo avesse proprio mai conosciuto. Per questa ragione, andava da sé che davvero la piccola non potesse riconoscerlo in alcun modo, eppure lo stesso Aiolia era consapevole del grado di parentela che li legava. Come era quindi possibile? No, qualcosa non quadrava per davvero...

“Milo, già che hai tirato fuori l'argomento, anche io ti devo interrogare su una certa questione...”

Lo sguardo dello Scorpione vagò nella sua direzione, accorgendosi del tono rude utilizzato dal compagno d'armi.

“Sonia mi ha nominato Camus, il che significa che lo conosce... - le pupille del Leone si assottigliarono, come quando l'animale in questione scorgeva una preda di suo gradimento – Spiegami dunque tu come ciò sia possibile, visto che ti avevo espressamente chiesto di tenerla lontana dal Mondo Segreto!” gli uscì un tono di accusa, ma non se ne curò, voleva le tanto agognate spiegazioni.

“Camus le ha salvato la vita...”

“COS...?”

“E' così, è successo a gennaio, quando il Sacerdote ci ha chiamato per la riunione. Deve essere successo che Sonia si è sentita sola laggiù sull'isola, ha quindi tentato di raggiungermi via mare, imbarcandosi occultamente con Adelpho, ma è finita in acqua, se non fosse stato per Camus...”

“Cosa?!? E tu, e tu hai permesso questo?!? Hai permesso che ti seguisse???”

“Come potevo saperlo, di grazia? Avrei forse dovuto ignorare gli ordini e far insospettire il Grande Sacerdote?!? Non avevo alternative, Lia!”

“No, certo... non le avevi!”

Aiolia strinse ferocemente i pugni, incassando la testa fra le spalle. Non poteva in alcun modo condannare Milo per quella scelta obbligata, né biasimare la piccola per aver provato a seguirlo. Era il suo unico punto di riferimento e, sebbene i ricordi le fossero stati modificati da Hermes, probabilmente riaffioravano nell'inconscio e nelle paure ataviche che lei stessa non avrebbe mai potuto capire. E lui non poteva fare niente per lei, dannazione!

Calciò istintivamente un sasso contro l'albero, in un impeto di rabbia e frustrazione che non poteva celare ulteriormente. Si sentiva così impotente...

“Ringrazia Camus al posto mio quando lo vedi...” biascicò dopo un lungo silenzio, facendo per andarsene.

Milo annuì meccanicamente, voltandosi verso il paesaggio intorno. Reputava la conversazione finita, ma il Leone indugiava ancora.

“Ah, Milo...”

“Sì?”

Si girò nuovamente verso di lui, imprimendo il suo sguardo negli occhi verdi di Leo.

“Avrai sicuramente notato la bruciatura sulla scapola sinistra di Sonia, vero?”

“Sì, è la prima ferita di cui mi son preso cura, perché mi sembrava la più grave. Ora, dopo mesi, è guarita del tutto, ma temo che rimarrà il segno...”

Aiolia annuì meccanicamente, discostando lo sguardo.

“Ti chiedo... ti chiedo se per favore puoi evitare di indagare su quella, se puoi... non parlarne neanche a lei, risveglierebbe ricordi insopportabili...”

“E se mi chiederà come se l'è procurata?”

“Dille che non lo sai, che era già così quando l'hai trovata... per favore...” biascicò il Leone, sempre più prostrato da quel discorso che, ancora una volta, lo rendeva impotente, del tutto impossibilitato ad alleviare le sofferenze della piccola, altroché Libero Arbitrio!

Fece per allontanarsi, ma fu il turno di Milo di richiamarlo, desideroso di chiedere ancora una cosa.

“Aiolia, cosa è successo al vostro villaggio? Chi è stato a incendiare il paese? Perché è questo quello che è successo, vero? Ho recepito alcune paroline nel sonno di Sonia...”

Davvero l'intuito dello Scorpione era eccezionale.

“Questo non posso dirtelo, mi dispiace, ma... sei andato particolarmente vicino alla verità!” concluse Aiolia, allontanandosi il prima possibile da lì, che l'atmosfera era orma insostenibile per lui. Soffocante. Atroce.

Milo lo fissò andarsene, sospirando impercettibilmente. D'accordo, non avrebbe fatto alcun tipo di pressione alla piccola, più nessuna, ma parallelamente non avrebbe più permesso al dolore di tenerla in scacco, di soggiogare quel piccolo corpicino che appariva fragile, eppure nascondeva una insospettata forza di volontà. No, non le sarebbe successo più nulla di male, ora c'era lui, l'avrebbe protetta. A qualunque costo!

 

 

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Eccomi, stavolta sarò velocissima con i saluti! :) Scusate per il ritardo nella pubblicazione ma ero impegnata con il capitolo dopo che, vi anticipo, sarà molto tosto! Per il momento godetevi lo stato emotivo di Aiolia e il suo rimpianto verso la sorella, unito alla sempre più concreta consapevolezza di Milo di voler proteggere la piccola Sonia. Ehehehehe, sono anche comparsi Death Mask e Aphrodite, facile che, più avanti, appariranno altri Gold e... Hyoga! ;)

Grazie a tutti come sempre, capitolo un po' più corto in attesa del prossimo che sarà, viceversa, lungo e assai pesante su alcuni punti. Alla prossima!

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Capitolo 6
*** I briganti dell'isola di Milos ***


CAPITOLO 6: I BRIGANTI DELL'ISOLA DI MILOS

 

 

 

ATTENZIONE: AUMENTO AL RAITING ARANCIONE PER QUESTO E PER IL PROSSIMO CAPITOLO, IL PERCHE' VI SARA' CHIARITO CON LA LETTURA

 

 

 

-Povero Aiolia, deve essere stato davvero terribile per lui...

Sonia rimane in silenzio e annuisce meccanicamente, stringendosi ancora di più le ginocchia al petto.

-Non potevo affatto riconoscerlo, capisci? Cioè... avevo visto i suoi meravigliosi occhi verdi, mi ero sentita, per così dire, strana, ma non potevo!

Sospiro impercettibilmente, mentre il mio sguardo un poco rattristato, guizza in direzione delle fronde degli alberi, da dove il suono di una nottola sopraggiunge attraverso un eco diffuso e intenso. Sorrido tra me e me. In fondo, malgrado la lontananza, la fauna di questo luogo non è molto diversa rispetto a quella a cui siamo abituati, anche se è estremamente rara.

-Ha scelto spontaneamente di sacrificare il rapporto con te per permetterti di vivere una vita tranquilla. E' stato caparbio e deciso: per il tuo bene, non ha esitato a pagarne lui il fio, nonostante avesse già perso il fratello Aiolos. Per certi versi, è molto peggiore della situazione tra me e Camus, molto più ardua la sua scelta...

-Più ardua, dici?

-Mmmh, sì... Camus aveva compiuto già 5 anni da un pezzo quando Shion lo ha separato da noi. Invece all'epoca dei fatti che tu mi racconti ne avrà avuti 17, giusto? Ho alcuni ricordi suoi inerenti a quel periodo. Lui è nato il 7 febbraio del 1989... probabilmente se ne era già fatto una ragione, reputando me e mia madre perse per sempre, avrà certamente pensato che non ci saremmo più rivisti e quindi ha seppellito i suoi ricordi nel suo inconscio. Ma per Aiolia non è stato affatto così, lui ti ha vista crescere prima di doverti modificare i ricordi per mano di Hermes... e di colpo tu non ti ricordavi più di lui, si è trovato costretto a stare lontano da te... deve essere stato davvero tremendo!

-Lo penso anche io... non abbiamo mai avuto il tempo di parlare di questo, mai... quanto vorrei farlo ora, ma siamo così lontani da loro, chissà per quanto lo saremo...

Abbasso tetramente lo sguardo. Già, chissà per quanto ancora saremmo costrette a stare lontano da casa, probabilmente anni, anche se non so quanti. Non mi pento certo della mia scelta; della scelta che mi ha costretto a prendere mio padre Efesto sussidiato da Crono; per perseguirla sarei stata disposta anche ad andare da sola, e invece le mie amiche, le mie care amiche, mi hanno seguito. Ed eccoci qui, distanti anni luce dal Santuario, con il cuore a pezzi, per diventare più forti... ognuno aveva la propria ragione per scegliere o non scegliere questa via, ma... quanto diavolo è difficile continuare a perseguirla senza voltarsi indietro! Non POSSIAMO voltarci indietro, se lo facessimo, non saremmo più così certe di perseguire i nostri obiettivi.

Camus, fratellino mio, cosa ti sta succedendo? Perché avverto il nostro legame sempre più... labile? Devo fare un enorme sforzo per rammentarti, ed è così doloroso! Capisco bene le ragioni che ti hanno spinto a rimanere al fianco del tuo Hyoga, non potevi lasciarlo solo nella maniera più assoluta, lo capisco, e ti appoggio, eppure... eppure ti percepisco appena, adesso!

-In ogni caso, tornando al racconto... venne il giorno in cui scoprii chi era veramente Milo e cosa facesse quando se ne andava dall'isola; venni a conoscenza del Mondo Segreto e dei Cavalieri, nonché...

Si prende una breve pausa carica di pathos, proprio degna di una oratrice abile e capace. L'effetto è ovviamente quello di catalizzare tutta la mia attenzione su di lei.

-... del mio potere da Yumemi, anche se il nome mi venne svelato molto in seguito.

Già, giusto! Tra le innumerevoli capacità della mia amica vi è anche quella di poter vedere il futuro nei sogni, a volte. Quindi... si tratta di una abilità in suo possesso fin dall'infanzia?!?

-Il potere di vedere il futuro nei sogni, la capacità che non sei ancora in grado di controllare pienamente...

-Esatto, è che ho tutte le intenzioni di imparare a controllare!

-Quella che ti appresti a narrare fu quindi la prima volta?

-Esatto, fu la prima, ma non l'ultima...

 

 

 

* * *

 

 

Quando Milo sentì suonare il cellulare, in una calda e afosa giornata di fine giugno, quasi non credette alle sue orecchie da quanto era insolito quel fatto. Si disse che non poteva essere lui, non poteva in alcun caso, perché quello là, il siberiano, non si faceva mai sentire, doveva trattarsi per forza di qualcun altro. E invece no, era lui, il numero in sovrimpressione non poteva mentire in alcun modo. Si preoccupò alquanto, mentre, acciuffando l'arnese prima che il suono diventasse troppo insistente, si precipitò fuori dalla casetta allo scopo di non farsi sentire da Sonia, perché si sarebbe ansata se fosse accaduto qualcosa al suo adorato primo amore. In effetti Milo temeva l'irreparabile.

“P-pronto?” balbettò, teso, immaginandosi chissà chi a dirgli che Camus era naufragato in mare, oppure finito sotto una valanga, o anche morto in un incidente in slitta.

“Milo? Che ti succede per uscirtene con un tono così ballerino?”

Era il redivivo siberiano, sorprendentemente con il suo consueto tono di voce monocorde, non pareva neanche troppo mal messo, ma lo Scorpione chiese subito certezze.

“Camus, ma sei tu? Cosa è successo, stai bene?”

“Certo che sto bene, Milo, che razza di domande fai?

Il Cavaliere d'Oro si ritrovò a sospirare impercettibilmente, rilassando i muscoli. Era tutto ok, allora perché lo aveva chiamato?

“Ti ho chiamato perché volevo sentirti, ovvio, no?! Ogni tanto mi pare che tu cada dalle nuvole!” esclamò l'altro, forse intuendo i motivi del suo tono così tremante.

“Sai com'è, non è una cosa che accade soventemente...”

“Devo ascoltarti quando, per la milionesima volta, mi fai pesare il fatto di essere lontano, oppure possiamo parlare del più e del meno come ai vecchi tempi?! Ho mandato i bambini a fare la spesa a Pevek, ho del tempo libero per chiederti come stai e farmi raccontare le ultime novità dalla Grecia!”

Ah, quindi lo aveva chiamato solo per fare due chiacchiere?! Evento più unico che raro, e gliene andava pure perché ne era rimasto sconvolto! Milo se la rise tra sé e sé, il suo compagno d'armi era assurdo, forse anche per quello che lo adorava e avvertiva un'intensa sensazione di calore quando l'amico concedeva queste piccole attenzioni a lui, e solo a lui, tra tutti i Cavalieri d'Oro.

“Io sto bene, Cam! Qui è già piena estate, il mare è fantastico e il clima mite. E' una pacchia, vorrei che fosse sempre così. Immagino che invece lì la situazione sia nettamente diversa, eh?!

“Per carità, sai che non amo il caldo della Grecia, mi va tranquillamente bene il fresco che c'è qui, se il sole non illuminasse per tutto il giorno i dintorni! E' iniziata da poco l'estate artica e già non ne posso più, i ghiacci eterni, sopra i quali i raggi picchiano per tutto il giorno, rendono ancora più insopportabile questa stagione!”

Erano proprio opposti loro due, non c'era che dire! L'algido siberiano si lamentava per le ore di luce pressoché totali che scandivano il giorno, invece lui, lo Scorpione, proprio come l'animale della sua costellazione, avrebbe fatto di tutto per starsene in panciolle al mare a quella temperatura mediterranea. Non avrebbe scambiato la sua posizione per nulla al mondo!

“Sonia come sta?” chiese ad un tratto l'Acquario, desideroso di sapere di più sulla piccola.

“Benissimo, se non si struggesse per te un giorno sì e l'altro pure...”

“Cosa vuoi...?”

“E' innamorata di te, Cam! Hai proprio dato spettacolo quel giorno di gennaio e sei riuscito a conquistarla, non fa che parlare di te e solo di te!”

Silenzio dall'altra parte della cornetta. Milo rise sotto i baffi, immaginandosi il viso imporporato di Camus, perché, lo sapeva, lo aveva fatto imbarazzare. Passarono diversi secondi prima che l'Acquario riemergesse dagli scarlatti lidi della vergogna.

“Milo... sono fantasie di una bambina, non darci troppo peso. Quando crescerà le passerà, è solo uno stadio di...”

“Oh, a me sembra piuttosto convinta, invece...”

“C-cosa intend...”

“Che ti vuole sposare, Cam, lo ha detto immediatamente dopo la tua partenza per la Siberia”

“Oh, per Atena...”

Milo non la smetteva di sghignazzare tra sé e sé, immaginandosi, con sempre maggiore ilarità, il compagno dall'altro lato. Punzecchiare Camus lo rendeva felice, in quel momento poi aveva una nuova freccia al suo arco.

“Comunque, Signor Ghiacciolo, la colpa è inequivocabilmente anche tua, eh!”

“M-mia?”

“Certo che sì! Anche tu, tanto timidino in apparenza, e poi.. puff, ti palesi a petto nudo davanti ad una bambina di dieci anni dopo averla salvata dall'annegamento, cosa pretendevi, che rimanesse indifferente?! Eeeeeeeeeh, Cam, Cam, Cam...”

“M-Milo, come avrei fatto a recuperarla in acqua in altra maniera, secondo te?!? Non amo pavoneggiarmi come fai invece tu, mi sarei rivestito subito, ma i suoi indumenti erano bagnati e Adelpho non ne aveva altri nell'immediato, quindi non ho esitato a coprirla con ciò che precedentemente avevo indosso. Era... fradicia e tremante, serviva qualcosa per scaldarla oltre alle coperte!”

“Sarà, sarà... ma ora lei è proprio innamorata, non fa che parlare di te, del tuo fisico... a quanto pare le devono piacere i tipi tonici non troppo muscoli, che spreco! Una volta grande avrebbe potuto essere una bella preda per me, se avesse avuto altri gusti!”

“Milo, non fare l'idiota pervertito!”

“Ahahahahahaha, scherzo, Cam! Scherzo!”

Così preso a ridere sguaiatamente, soppiantando anche i continui richiami dell'amico che, di quel discorso, ne aveva fin sopra i capelli, non si accorse che la diretta interessata gli si era avvicinata di soppiatto da dietro, ascoltando l'intero scambio di battute finali. Non resistette più...

Ciò che avvertì Milo, fu poco più di una leggera pressione sul tallone, che però tanto bastò a farlo sbilanciare in avanti, poco prima di essere frastornato da una voce acuta e infantile.

“Razza di pervertito doppiogiochista!!! E così ci vuoi provare con una povera creatura quando sarà più grande, eh?!? Niente da fare, con me non attacca!” gli urlò di tutto lei, picchiandolo con neanche poca intensità con i pugnetti che si ritrovava. Il fattore sorpresa fu determinante in quella battaglia persa anzitempo, ma Milo si meravigliò comunque della forza e della agilità della piccola che, dopo un leggero calcetto, gli era saltata letteralmente addosso.

“Aaaaaaaaaahhh, Sonia, cosa fai qua?! Io stavo scherzando, non dicevo mica...”

“Tu, zitto, depravato, ho udito quanto basta. Sei pessimo!”

“S-Sonia, no sarai veramente offes... AHIA!”

“Vigliacco! Vigliacco! Vigliacco!”

“Sonia, aspet... calma! Ahia!”

“Milo, ma che diavolo sta succedendo?!?”

Nel marasma della situazione, con la bambina che lo continuava a tallonare senza sosta e Camus che voleva spiegazioni sul brusio che udiva dall'altra parte della cornetta, Milo non sapeva proprio come districarsi. Era la prima volta che Sonia si comportava così e, anche se non metteva troppa forza nei pugni, non capiva se stesse scherzando o se se la fosse presa davvero.

“Milo, ma si può sapere cosa...”

Sonia istintivamente presa il cellulare tra le mani, poco prima di scappare più in là con il maltolto tenuto all'orecchio.

“Camus! Ciao, Camus! Non sentire quello che dice Milo, a me piaci tu, intesi? Così sarà sempre!”

“S-Sonia? Ma cosa sta...?”

“Niente di che, solo questo. Non badare alle parole del tuo amico, tu mi piaci. Torna presto, va bene?”

“Uh...”

“Ehi, piccola peste, vieni qua!”gli urlò dietro Milo, alzandosi in piedi per riprendersi ciò che gli era stato tolto. Sonia sapeva di non avere possibilità con la sua super velocità, ma tentò comunque una breve fuga per prendere tempo, che ancora doveva aggiungere qualcosa.

“Fa niente se ora non sei pronto, neanche io lo sono ancora, ti aspetterò, ciao! Ciao!” e riattaccò nell'esatto momento in cui lo Scorpione, con una scivolata, afferrava sia lei che il telefono.

“Sonia!!! Non avevo finito di parlare con Camus, non si fa, sei stata cattiva!” si lamentò Milo, punto sul vivo. In quel momento anche lui sembrava un bambino.

Sonia non si scompose più di tanto, si dimenò un poco per poi scappare dalle sue grinfie, allontanandosi poi a testa alta. Sembrava davvero offesa.

“E-ehi, piccola, non sarai offesa realmente, io...” iniziò Milo con voce supplichevole, alla quale Sonia rispose con un unico sbuffo e una linguaccia neanche troppo velata, tornando poi nella casetta senza degnarlo più di uno sguardo.

“Per Atena, lo dicevo di non essere portato con i bambini...” costatò lui, un poco affranto, grattandosi la testa a disagio.

 

 

* * *

 

 

Quella stessa notte un nuovo incubo popolò il sogno di Sonia, era scuro e terrificante, ma non lo ricordò più quando, svegliandosi tutta trafelata nel cuore della notte, sobbalzò pesantemente dalla paura. La piccola aprì istantaneamente i grandi occhioni verdi, resi ciechi dall'oscurità totale della stanza. Fortunatamente si ricordò subito dove fosse situato il braccio di Milo, pertanto lo arpionò, tremante. Il Cavaliere di Scorpio si ridestò appena, spostandosi leggermente per permettere alla bambina di attaccarsi ancora di più. Tuttavia non disse niente, aspettando che parlasse lei. Era ormai estate e cominciava a fare veramente caldo sull'isola, ma Sonia non sembrava intenzionata a dormire ancora per conto suo, pertanto Milo le permetteva di appisolarsi sul grande letto da una piazza e mezza. La creatura attese per una serie interminabile di secondi prima di trovare il coraggio di parlare.

“Milo, ho fatto un brutto sogno...”

“Ah, ora sono Milo? Non più un pervertito doppiogiochista?!” mormorò lui, con la voce un po' impastata dal sonno. Era ancora offeso per la scenata avvenuta durante il giorno e dal fatto che quel grandissimo stronzo di Camus non lo avesse più richiamato.

Sonia tacque mentre, tentando di placare il respiro accelerato, tremò appena, cercando di non darlo a vedere.

Milo si addolcì immediatamente nell'avvertirla così tesa.

“Ehi, stavo scherzando, piccola... - le disse, abbracciandola con dolcezza – Che sogno ha partorito la tua zucchetta?”

“Non lo ricordo, ma era tremendo... qualcuno mi faceva male e... e vi era un lago di sangue, ma non riuscivo proprio a capire se fosse mio o di chi...”

Divino, la piccola era passata dall'incendio con le fiamme alte che radevano al suolo ogni cosa, a dei malviventi che le facevano male!

“Non hai di che preoccuparti, l'isola è sicura, nessuno verrebbe qui per ferirti!”

“Ma è successo...”

“E' stato solo un sogno... ora dormi, piccoletta, domani mattina starai meglio!”

Sonia annuì meccanicamente, stringendo la presa sul braccio di Milo per poi rannicchiarsi contro il petto del ragazzo, tenuto nudo, poiché, con l'avvento del caldo, lo Scorpione era solito dormire in boxer. Il Cavaliere si rese conto che la piccola era un po' più tranquilla, quando, con la mano libera, le accarezzò i corti capelli, poco prima di avvolgerla in un delicato abbraccio per farla sentire protetta.

Il respiro di Sonia era già profondo quando Milo, arrendendosi alle tenebre del sonno, si ritrovò ben presto ad addormentarsi con la testa delicatamente poggiata tra i capelli della bambina.

Il mattino dopo i due, nuovamente riappacificati e di buon umore, uscirono dalla casetta per fare un po' di compere. La piccola sembrava molto più tranquilla, seguiva docilmente lo Scorpione tenendolo per mano e scrutava i dintorni con fare curioso. Dopo l'incidente sulla barca di Adelpho, non aveva più ispezionato la zona, non allontanandosi nemmeno sull'isola e rimanendo nei dintorni. Milo decretò arbitrariamente superato il loro litigio del giorno prima e sorrise raggiante: niente avrebbe potuto andare storto, quel giorno!

Invece si accorse, suo malgrado, che il sorriso gli si cancellò dal volto non appena seppe di quello che era successo ad Adelpho.

“E' così, Milo, stento a crederci anche io, ma stanotte qualcuno ha rubato numerosa merce al suo negozio. Lui dice di non ricordarsi niente, chissà chi diavolo è stato!” lo informò subito Myrto, camminando a passo svelto al suo fianco per condurlo a toccare con mano i danni subiti dall'uomo.

Gli occhi di Sonia si rabbuiarono nell'udire le parole di Myrto, ma non disse niente, limitandosi a stringere ancora di più la mano del ragazzo. Neanche Milo aggiunse qualcosa, aspettando di vedere con i propri occhi lo scempio perpetrato da questi ipotetici criminali.

Quando arrivarono sul luogo del misfatto, si resero conto di quello che era successo: effettivamente gran parte dei soldi e generi alimentari nel negozio di Adelpho erano stati trafugati e nessuno, nemmeno Adelpho, aveva visto qualcosa dell'accaduto. Spariti. I rapitori erano spariti, non se ne sapeva nulla. Oltre a questo, l'uomo pareva in evidente stato confusionale, cosa che fece preoccupare ancora di più Milo e Myrto. Che fosse stato, in qualche modo, drogato? Eppure non sembrava ferito.

“Che ne pensi?” chiese la giovane donna, prendendo Milo da parte.

“Non ne ho la più pallida idea, siamo sicuri che si tratti di banditi? E cosa son venuti a fare qui?”

“Io addirittura ho pensato ai pirati barbareschi...” espresse il suo giudizio Myrto, tesa.

“Pirati?! Ma figuriamoci, siamo nel XXI secolo, più facile che si tratti di comuni, volgarissimi, ladri. Ma sarà stato un caso fortuito, non angustiamoci anzitempo!”

Invece i giorni seguenti si susseguirono avvenimenti sempre più strani e imprevisti a scapito degli abitanti dell'isola. Una notte furono uccise le galline di Alexei, il parroco di Pollonia, un'altra sera fu il turno del figlio di Menodora, del vicino villaggio di Tripiti, che sostenne di aver visto questi presunti banditi durante una notte in cui tornava dall'uscita con degli amici. Dal racconto del ragazzo pareva che avessero caricato qualcosa nelle barche per poi sparire nel nulla. Insomma, questi ipotetici soggetti parevano scorrazzare per tutta l'isola solo al calar del sole, nessuno ne sapeva niente, neanche avessero il dono di sparire nel nulla. La faccenda puzzava alquanto!

Milo non poteva più chiudere un occhio. Dubitava sulle voci che si sentivano in giro, su dei presunti barbareschi, morti secoli prima, che erano tornati come fantasmi per cercare un tesoro andato perduto, dubitava anche sulla pericolosità di questi ipotetici tremendi assassini, ma era anche vero che qualcosa di inspiegabile stava succedendo a Milos, poteva essere di tutto, ed era suo preciso compito intervenire per salvare le proprie genti.

Parallelamente i sogni di Sonia si facevano sempre più vividi e accesi, nonché... spaventosi! Rammentava sempre più particolari su questi, ma ancora le sfuggiva il luogo e i soggetti dei suoi sogni. Quello che era certo è che, all'aumentare della vividezza, si accompagnava un turbamento sempre più profondo e terribile... un presagio! Qualcosa stava per accadere... qualcosa che l'avrebbe coinvolta, suo malgrado.

Poi successe... successe che la gente su Milos cominciò a sparire, proprio ad Adamas, il porto più importante dell'isola. Si trattava di una coppia che era solita allontanarsi dall'isola anche di propria volontà con la propria barca per trascorrere del tempo insieme a largo, ma quel giorno non tornarono più, preoccupando non poco le famiglie che dichiararono così la loro scomparsa.

Milo si trovò costretto a chiedere l'aiuto del Santuario per gettare luce su quei fatti misteriosi, perciò si sentì obbligato a partire per il Grande Tempio, desideroso di risolvere in prima persona la situazione ma parimenti non potendo azionarsi senza un ordine concreto del garante di Atena in Terra. Era una immane seccatura ma non vi era altra via, lui agiva per conto del Santuario, le iniziative personali, se non espressamente richieste dal Sacerdote, erano bandite. Pertanto Milo indossò in tutta fretta abiti leggeri, prima di scoccare un'occhiata ai profondi occhioni di Sonia, nascosta tra i cuscini del divano. Sembrava preda degli incubi, con che cuore lasciarla lì?

“Sonia... sarò presto di ritorno, tu chiuditi in casa e non uscire per nessuna ragione al mondo, intesi? Vedrai che si risolverà presto questa situazione!” provò a tranquillizzarla, sorridendole per incoraggiarla. In verità gli faceva male al cuore lasciarla lì, con quel presunto pericolo nell'aria, ma si ripeté con insistenza che, per poche ore di separazione, non sarebbe successo niente... già, non sarebbe successo proprio niente!

“V-va bene, Milo... torna presto, però... ho paura!”

Come non capirla, poverina... allo Scorpione fece ancora più tenerezza, ma non aveva scelta alcuna. Si voltò, preparandosi al salto nella luce, non avrebbe perso altro tempo prezioso.

Allo sparire di Milo, Sonia si catapultò nel grande lettone che condivideva con il suo tutore, rifugiandosi sotto le coperte e desiderando di rimanerci fino al suo ritorno. Riuscì magicamente ad addormentarsi subito, ma un nuovo sogno, particolareggiato come non mai, la investì poco dopo. Non era come gli altri, non era un semplice presagio, era proprio... una visione! Il cuore di Sonia lo dedusse ancora prima che il cervello fosse in grado di razionalizzarlo. Nel sogno c'era Myrto e... due persone cattive, avvolte di nero e con un'aura cosmica -la riusciva ad avvertire- del colore della pece.

 

Allora, donna, secondo le nostre analisi tu conosci il custode della sacra vestigia d'oro, è così?”

Chi... chi siete?” balbettò Myrto, mantenendo lo sguardo determinato, sebbene tremasse dalla paura. Ma poco dopo una sberla la colpì con violenza, atterrandola.

Sonia urlò.

Qui le domande le faccio io, puttana! Rispondi!”

Myrto si alzò a fatica, un rivolo di sangue e la guancia rossa, che già cominciava a gonfiarsi. Nonostante questo non arretrò di un passo, neanche con lo sguardo.

Sei idiota!? Cosa vuoi che ne sappia io?!?”

Insolente... ora vedrai che cosa possiamo farti se non collabori!” la minacciò di nuovo l'altro colpendola nuovamente e schiacciandola a terra.

Sonia era in lacrime, non sapeva più cosa fare per fermare quello scempio. Desiderò essere forte come Camus, o come il ragazzo misterioso che aveva salvato il gabbiano. Ma non lo era...

Se... se mi rivelate chi siete forse potrei dirvi qualcosa su questa presunta corazza d'oro...” biascicò Myrto, respirando affannosamente.

Alzi la cresta?! Lurida sgualdrina, non penserai davvero...?”

Ma il suo compare lo fermò con il braccio, avvicinandosi a lei e sovrastandola.

Se dunque ti dicessimo che siamo scarti di lavorazione che si sono ribellati e ti parlassimo brevemente della nostra storia ci diresti la verità?!”

Beh, mi sembra ovvio, no? La vita è un tutto un prendere e un dare, lo dovreste ben sapere voi che eravate corsari di un'altra epoca, dico bene? La cosa che mi sfugge è come... come è stato possibile questo?” li affrontò ancora Myrto, sorridendo furba.

Bene, donna, vedo che hai capito la nostra natura... noi siamo esperimenti scappati dal laboratorio del Signore più potente di tutti, presto capirete di chi si tratta, perché egli soggiogherà tutte le dimensioni esistenti. Ma a noi tutto questo non ci interessa, abbiamo avuto nuova vita, tanto ci basta per tornare ad arraffare tutto ciò che possiamo e vivere pienamente con le ricchezze che da essa derivano! Che ciò ti basti come risposta, e ora... un favore per un favore!”

Non aveva senso quanto dicevano... esperimenti di laboratorio di chi!? A proposito di che 'Signore' cianciavano?!? Tutto ciò che usciva dalle loro bocche non aveva proprio senso, se ne rese conto Sonia, se ne rese conto pure Myrto, che si accorse di essere spacciata. Aveva esaurito gli argomenti di discussione per controbilanciare quei due idioti che si erano professati 'gente di altro tempo', sì, come no!

Un favore per un favore, è il tuo turno, donna, dicci cosa sai sull'armatura d'oro, la bramiamo per noi e per la nostra gloria! Al nostro risveglio c'era questa voce che ci sussurrava 'catturate il Cavaliere Dorato che ha causato tutto questo, portando all'estinzione di Ipsias'... a noi questi discorsi non interessano; interessa però l'oro, e un'armatura d'oro deve valere miliardi. PARLA!” minacciò e, nel dirlo, tirò esaustivamente fuori il pugnale.

Myrto era in trappola, lo sapeva... ma non avrebbe mai tradito Milo, anche se non capiva chi avesse informato quei figuri a proposito dell'armatura. Non aveva importanza, non l'avrebbe tradito.

Scoccò una occhiata alla piccola Sonia, che la fissava spaurita. Forse... forse con il suo sacrificio la piccola sarebbe stata condotta in salvo dallo Scorpione, perché, lo sapeva, sarebbe arrivato, ne era certa, forse non in tempo per lei ma in tempo per Sonia. Sbuffò divertita, squadrando i i due loschi figuri con l'espressione più adorabile che riuscisse a produrre in quella circostanza. Sorrise ilare, in un modo che ricordava proprio Milo.

Fottetevi, brutti idioti, io non vi dirò proprio niente!” esclamò, raggiante.

La misura era colma. Il bandito più vicino a lei, non vedendoci più dalla rabbia, le piantò completamente il pugnale nello stomaco. Un'espressione folle a solcargli il viso psicopatico, mentre il sangue schizzava fuori dal povero corpo della ragazza che, rantolando, cadde, completamente svuotato, all'indietro.

Nooooooooooooooooooooooooo!!!”

 

 

“Myrtooooooo!!!” ululò Sonia, alzandosi di scatto in piedi con il respiro corto e lo sguardo dilaniato dal terrore. Barcollò nel reggersi in piedi, quasi fuori di sé dalla visione che l'aveva colta. E seppe. Seppe che non sarebbe mancato molto all'avverarsi di quel presagio, glielo disse il cuore, pertanto, senza esitare oltre, rotolò giù dalle scale, dirigendosi a tutta birra verso la casa di Myrto. Si era ripromessa di non contravvenire più agli ordini di Milo, ma era una situazione di vita o di morte, non poteva permettere... non poteva permettere che si avverasse quell'incubo sanguinolento e tremendo. Corse, corse e corse ancora più veloce che poté, senza fermarsi a rifiatare anche se il cuore pareva scoppiarle in petto. Presto, presto! Bisognava fare presto! Myrto doveva essere avvertita e... salvata!

La casa della giovane donna non distava molto da quella di Milo, ma a Sonia parve un tragitto lunghissimo e tortuoso, così presa dalla tremarella e dalle gambe che la reggevano a stento. Ma doveva andare, assolutamente!

Raggiunse la casa di Myrto in quelle che a lei parvero ore, invece non era che passata una manciata di minuti. Quasi si buttò contro la porta della casetta. Bussando disperatamente e urlando a squarciagola il nome dell'amica, le lacrime ormai le fuoriuscivano dagli occhi, esemplificando la crisi totale, la disperazione, che l'aveva invasa. Che fosse troppo tardi? Perché Myrto non rispondeva?! Perché?! Perché?!?

Finalmente l'ostacolo fra lei e il suo obiettivo si aprì, rivelando il volto perplesso della giovane donna, che non ebbe nemmeno il tempo di chiamare il nome della bambina che Sonia istantaneamente si fiondò a capofitto tra le sue braccia, tremante. Totalmente fuori di sé dal terrore, irriconoscibile.

Myrto era incredula, non comprendeva lo strano comportamento della piccola, che sembrava totalmente snaturata. Si guardò istintivamente e velocemente intorno, credendola inseguita da qualche cane come era successo con Adelpho, ma non scorse nessuno.

“S-Sonia, ma cosa...?”

“VIA! Via di qui!!! - blaterò la piccola, sopraffatta, scrollando alla ben meglio il busto della giovane donna per manifestare il suo stato emotivo – Dobbiamo andare via di qui, ti prego! Ti prego!!!” urlò ancora, piangendo sempre di più.

A quel punto Myrto la prese delicatamente in braccio nel tentativo di calmarla, portandola poi dentro casa sua, in salotto, ma limitandosi a socchiudere la porta di entrata senza chiuderla a doppia mandata. Non pensava certo che qualcuno, malgrado i fatti avvenuti, potesse entrarle in casa, non su un'isola pacifica come Milos amministrata dal Santuario medesimo.

“Sonia, cosa succede?” chiese delucidazioni, una volta fatta accomodare la bambina sul divano. Aveva gli occhi vitrei, come di animale in trappola, e i muscoli rigidi di chi, con il pericolo incombente, tentava comunque di rimpiattarsi in qualche anfratto come intima difesa.

Per tutta risposta Sonia scosse il capo, sempre più terrorizzata. Myrto le accarezzò la testa.

“Non devi aver paura, Milo farà presto ritorno alle prime luci dell'alba, non manca più molto, ormai, lo sai che è un supereroe e che deve proteggere l'isola!” le disse per rinfrancarla, credendola in quello stato a causa della lontananza del 'fratellone acquisito'.

“NO! - rispose subito Sonia, rialzandosi in piedi e stingendola con le braccine – No! No! Non è lui! Sei tu! Devi scappare, Myrto, scappa, ti prego!!!”

“S-scappare?”

“Loro ti faranno male e tu, per proteggere me... - istantaneamente le sue iridi verde bosco si spalancarono, ponderando un'eventualità terribile, che purtroppo Myrto non comprese – NOOOOOOOOO!!! Scappa, Myrto, scappaaaaaaa!!!” ululò ancora, singhiozzando senza più un freno. La giovane donna a quel punto la abbracciò di slancio. Non sapeva come arrestare quell'insano, quanto inspiegabile, comportamento, non comprendeva minimamente le motivazioni che l'avessero spinta lì, ma ne ebbe paura e tentò un ultimo approccio per chiedere spiegazioni.

“Sonia... se non ti calmi io non posso capire. Hai fatto un brutto sogno?”

“Non era un sogno, lo so! Lo so!!! Non lo era... non lo era!”

A nulla valeva tranquillizzarla, sembrava sempre più snaturata, scardinata... come se qualcuno l'avesse pericolosamente fatta deviare dal suo più intimo comportamento... ma cosa era successo?

“Che cosa ti è accaduto, quindi?”

Sonia aveva preso a ciondolare, non trovando le parole giuste. Ma all'improvviso ebbe una illuminazione, un dettaglio del sogno che però forse era indispensabile per portare Myrto a crederle. Agì.

“Myrto... vogliono l'armatura d'oro, sono qui per questo, sono dei banditi molto cattivi...” balbettò, circondandosi le spalle con le mani come se avvertisse un qualcosa in avvicinamento; un qualcosa di pericolosissimo.

“C-cosa?!?”

La frase era riuscita a far mutare di pensiero Myrto, che ora la fissava tetramente immobile, irrigidita fin dai più intimi recessi dell'anima. Era ordunque la strada corretta quella intrapresa, ma erano in tempo?

Sonia continuava a fissare il pavimento immoto, ricercando altre parole per indirizzarla ancora meglio. Ci stava riuscendo, forse non era troppo tardi, sarebbero scappate di lì. Forse...

“Volevano questa armatura d'oro, non sanno che noi non centriamo niente, ma non esiteranno a colpirti per avere informazioni. Tu non gliele darai, e poi... e poi...”

Myrto era ancora guardinga sullo sproloquiare d Sonia, ancora stentava a crederci. Eppure... eppure, lei ne era a conoscenza meglio di chiunque altro, Milo non aveva ancora fatto voce a Sonia del suo ruolo di Cavaliere di Atena, né di cosa esso comportava. La bambina quindi non poteva aver correlato l'armatura d'oro a lei o al ragazzo, invece eccola lì, consapevole di quella cosa, ad inneggiare ad un presunto pericolo imminente. Nessuno poteva averglielo detto e non poteva averlo scoperto da sola. Esisteva dunque un'unica possibilità. Myrto si ritrovò a deglutire a vuoto di fronte a quel potere che, dopo secoli, si manifestava in una bambina di appena dieci anni, sorella di un Cavaliere d'Oro e allieva di un altro. La fissò sgomenta, mentre la consapevolezza penetrava dentro di lei. Quel potere quasi magico, trasmesso tramite documentazione nelle filosofie orientali, non poteva che essere la capacità di poter vedere il futuro nei sogni, in una parola unica: yumemi.

Prese un profondo respiro, apprestandosi a chiedere maggiori delucidazioni che, lo sentiva, il tempo correva veloce. Fece per aprire la bocca in cerca di istruzioni, ma in quel preciso momento qualcosa negli occhi di Sonia, ora rivolti nella sua direzione, cambiò, una velata certezza, una nuova stilettata di paura, stavolta non più aleatoria, ma concreta, tremendamente concreta, tremendamente... vicino! La presagì tardi.

“Myrto!!!” la chiamò disperatamente Sonia, protraendo la mano in avanti. Tardi...

Ciò che avvertì la giovane donna non fu così dissimile da avvertire il corpo attraversato da innumerevoli scosse elettriche prima del blackout totale. Dolore lancinante. Fitta improvvisa. E cadde, inerte.

Neanche Sonia ebbe il tempo di fare molto, solo di assistere impotente alla caduta in avanti di Myrto che svelò la presenza, dietro di lei, di due figure ammantate di nero, la pelle scura e le mani rugose; barbaramente rugose: i soggetti del suo sogno.

“Bartolomeo, potevi anche andarci piano con la ragazza, è un bel bocconcino!” ghignò uno dei due, sadico.

“Filippo, rimani concentrato sulla missione, non abbiamo tempo da perdere!” lo redarguì l'altro che Sonia lo riconobbe come l'artefice dell'omicidio di Myrto.

“Hai ragione, non abbiamo tempo da perdere... oltretutto 'sta marmocchia non mi da l'idea di poterci cavare qualche ragno dal buco, mi pare inutile, anche se vociferavano qualcosa sull'oggetto della nostra ricerca. Come agiamo?” chiese il tizio di nome Filippo, indicando proprio la piccola.

L'altro suo compagnone che evidentemente privilegiava l'azione alle parole superflue, non disse niente ma si avvicinò minacciosamente a Sonia con le sue mani orrende e piene di foruncoli. Sonia ne fu disgustata ma era in trappola, non poteva difendersi, né scappare e abbandonare Myrto lì, quindi chiuse gli occhi terrorizzata, poco prima di avvertire un intenso dolore alla tempia sinistra e perdere immediatamente coscienza.

 

 

* * *

 

 

Quando Sonia febbrilmente rinvenne dalle tenebre che le avevano oscurato il cervello, la prima sensazione che avvertì, persino prima del dolore, fu la consapevolezza di un qualcosa di assurdamente caldo scorrerle sulla guancia sinistra. Era uno scivolare lento, più o meno come la sabbia di una clessidra, eppure la frastornava ancora di più, rendendola debole. Strinse una delle due manine nel tentativo di rialzarsi in piedi, ma non ce la fece, le forze le mancavano.

“Siete completamente usciti di senno! Avete colpito una bambina innocente, che razza di criminali siete, maledetti bastardi?!”

La voce di Myrto le risuonò con intensità nelle orecchie, ne ebbe fastidio, perché pareva che ogni suono al di fuori di lei fosse elevato al metro cubo dentro la sua testa, ma parallelamente la convinse ad aprire gli occhi e ricercare la fonte di quel rumore per lei assordante.

“Di peggio accadrà a te, se non la smetti di starnazzare! - la zittì subito uno dei due, minaccioso – Altrimenti...” e schioccò le dita in un gesto che la bambina non comprese, almeno finché non si accorse nitidamente che il suo collega era vicino a lei, stesa a terra indifesa, situato a pochi centimetri da suo collo, un lungo coltello esaustivamente teso verso il suo collo, un piccolo movimento e le avrebbe tagliato la gola. Sonia deglutì, lo stesso fece Myrto, che subito si rabbonì.

“Vi... vi dirò tutto, ma... ma allontanatevi da lei, vi prego... - balbettò, implorante. Nello stesso momento, ritraendo la lama, l'individuo che stava a pochi centimetri da Sonia si alzò e affianco il suo compagno – Chi... chi siete?” chiese a quel punto la donna, recuperando un po' di baldanza nel sapere Sonia momentaneamente fuori tiro. Sonia si riscosse nel riconoscere gli stessi occhi determinati nella sua visione e il conseguente pugno in faccia che ne seguì, e che infatti avvenne, istintivamente si rizzò a sedere, presagendo il resto. Ma non aveva ancora forze sufficienti per intervenire.

Tutto davanti a lei stava avvenendo esattamente come nel sogno, il comportamento di Myrto e quello dei due sgherri si confaceva totalmente alla sua visione. Ne ebbe paura e tremò, ben conscia di dove andasse a parare tutto quello. Si concentrò al massimo per radunare tutte le sue forze dentro di sé, mentre, con il cervello nuovamente attivo anche se frastornato, ricercava le possibili soluzioni. Non sarebbe finita così, no, non poteva permetterlo, non voleva permetterlo!

“Un favore per un favore...” ripeté uno dei banditi, in quel momento.

I sensi di Sonia si rizzarono tutti insieme, preparando la bambina ad agire nell'immediato istante successivo. Aveva paura, una paura folle, ma il futuro sarebbe cambiato, proprio in quel momento. Poi lo vide, l'ultimo sguardo di Myrto, e seppe cosa la ragazze stesse pensando, come seppe cosa sarebbe successo da lì a poco. L'adrenalina scorreva potente in lei quando, appena inquadrato il pugnale alzato, intervenne nella scena.

“Lei non lo sa, ma io sì! Però non vi dirò niente se non mi garantirete la sua incolumità!” urlò all'improvviso, bloccando la scena come se avesse avuto il dono di fermare il tempo.

“No, Sonia, no!” esclamò Myrto, poco prima di essere atterrata da un calcio che gli schiacciò lo stomaco. Annaspò, dolente.

Bartolomeo, il detentore della lama che ora schiacciava la ragazza con il suo piede, squadrò la marmocchia, scettico sul da farsi.

“Così dici di conoscere ciò che cerchiamo, vero? Balle! Non penserai davvero che...”

“So che cercate l'armatura d'oro, io so cos'è, so chi la tiene! - controbatté lesta Sonia, mantenendo il sangue freddo – Che ragione avrei di mentirvi? Lasciate Myrto qui e seguitemi, io vi guiderò!” ripeté con sempre maggiore convinzione. Doveva essere determinata e distante come lo era Camus, per quel poco che lo aveva conosciuto, doveva bluffare e farlo con convincimento, mantenendo però la calma.

Bartolomeo la squadrò ancora, valutando se l'istinto autoconservativo della mocciosa sopperisse, in qualche maniera, in quella scelta altisonante. Non scorgendo valide ragioni per cui una simile mocciosa potesse mentire in quella maniera, imbrodolandosi lei al posto della donna, scelse di prestarle fede... con le dovute misure, però! Senza tante cerimonie, tolse il piede dallo sterno di quella femmina troppo ottusa, per poi assestarle un poderoso colpo, con il tacchetto dello stivale, preciso e netto, poco sotto. Myrto istantaneamente perse coscienza nello stesso momento in cui Sonia gridò, terrorizzata.

“Non potete, voi...” tentò di opporsi Sonia. Ebbe l'impulso di precipitarsi da lei.

“Se non stai zitta e ferma ti cucio quella bocca, pulce schifosa, che tanto per condurci dall'armatura non serve il tuo irritante vocalizzo!” la zittì immediatamente, fulminandola con lo sguardo. Poi prese la ragazza da sotto le ascelle e la trascinò per qualche metro vicino al divano. Lo sguardo di Sonia, ora nuovamente terrorizzato, navigò insieme al muoversi del bandito, non riuscendo a discostare i suoi occhioni spauriti dai vestiti scomposti che, seguendo i movimenti involontari di Myrto, ormai incosciente, parevano un fastidiosissimo strisciare di un qualche animale repellente. Sonia ne ebbe, di quel gesto, un'atroce intuizione che trovò conferma poco dopo, nelle parole di Bartolomeo.

“Filippo... hai detto che la ragazza ti faceva sangue, nevvero? Non provi le gioie del sesso da un bel po'... eccotela quindi qui, non è forse irresistibile per te così... inerme?” chiamò il compagno, passando una mano sotto il mento di Myrto per mostrare meglio il suo volto insanguinato. La faccia dell'altro compagnone cambiò istantaneamente nell'ammirare quello spettacolo, una donna bella, formosa, con le vesti succinte e la pelle abbronzata di quell'intenso color caffelatte che lo mandava in visibilio. Ne provò una eccitazione subitanea. Sonia la avvertì fremere nell'aria e ne fu schifata.

“Oooooh, sì, fratello... vedo che mi capisci!” vibrando gioioso, mentre si avvicinava a colei che fino a pochi minuti prima gli resisteva temeraria e che in quel momento invece era lì per terra, completamente alla sua mercé già mezza nuda. Cominciò a palparla più volte, la mano più volte sotto al top per poi scendere sul ventre fino a quell'ombelico perfettamente ovale e che era un'attrazione irresistibile per lui.

A Sonia stavano formicolando le mani e, successivamente, l'intero corpo, scosso da brividi e da qualcosa di arcano che lei stessa non comprendeva. Ma doveva intervenire, non poteva accettare quello scempio.

“Rimani qui, Filippo, mentre io vado con la mocciosa a recuperare questa armatura d'oro, in questa maniera anche la bambina non avrà scelta alcuna che condurmi in quel luogo e tu.. tu, nel mentre, potrai finalmente sbizzarrirti. Al mio ritorno, vedrai, saremo entrambi contenti!” si accordò l'altro, lasciando pienamente il campo libero al compagno che era sempre più voglioso.

“Non erano questi gli accordi! Io ho detto espressamente che lei sarebbe rimasta...”

“Integra, lo so! - finì per lei Filippo, con uno sguardo languido che presagiva già le sue intenzioni, si voltò giusto in direzione di Sonia per regalarle un sorriso di scherno – Ma vedi... questa troia deve averlo già fatto talmente tante volte, in vita sua, che non c'è proprio niente di integro là sotto, mi intendi, mocciosa? O sei troppo piccola per queste cose? In ogni caso la tratterò benissimo, non ti devi preoccupare, pensa a condurre mio fratello all'agognata preda, la mia l'ho già trovata!” sancì, tornando a concentrasi su Myrto.

La bambina lo vide, con orrore, mettersi a cavalcioni su di lei, le mani desiderose di cose sempre più proibite, intoccabili. I pantaloni le vennero immediatamente abbassati con foga spietata, prima di tornare a concentrarsi in alto, sul busto. Non era ancora il momento dell'atto vero e proprio, prima occorreva assaporarla, non ci sarebbe stata un'altra occasione. Le alzò rapidamente il top a fiori che indossava in modo da scoprirle interamente il petto e, ancora di più, la pelle che sapeva di sale, crema solare e altre fragranze che lo eccitavano follemente; l'altra mano si posò automaticamente sul seno, per poi scendere, seguendo il reggipetto, fino alla schiena, con tutte le intenzioni di slacciare quell'impiccio che ancora resisteva tra lui e i suoi propositi. Ci riuscì in fretta e quel patetico indumento volò via, mettendo così in bella mostra i due seni tondi e prosperosi della donna. A quel punto, l'eccitazione era ormai alle stelle, di nuovo le mani si chiusero sopra di essi, prendendo a toccarli più volte con movimenti rotatori sempre più violenti, al punto da far sussultare più volte il corpo inerme di Myrto.

Sonia non era più in grado di controllarsi, un sibilo sinistro, come l'ululare del vento, aveva preso a ronzarle nelle orecchie, frastornandola. Vide ancora, appena, le mani di quel verme immondo passare nuovamente giù, fare per strapparle di dosso anche le mutandine, che subito una rabbia atroce la invase.

“HO DETTO DI NO!!!” urlò ad altissima voce, picchiando il piede contro il pavimento e stringendo i pugni. Nello stesso momento tutte le persiane del salotto cozzarono simultaneamente contro le finestre, incrinando paurosamente il vetro di qualcuna. Sonia crollò subito dopo a ginocchioni per terra, ansante, ma l'effetto fu comunque quello di far scattare i due vigliacchi in piedi, per la prima volta sinceramente spaventati da quell'evento inspiegabile.

“Anf... anf... l-l'armatura è pesante... servono due persone per trasportarla ed io sono troppo piccola... nessuno di voi starà qua, ma mi seguirete... - biascicò la bambina, momentaneamente placida, cercando di respirare correttamente – SUBITO!” aggiunse poi, rialzando lo sguardo, che traspariva un qualcosa di leonino, assestandolo poderosamente negli occhi degli altri due che, loro malgrado, sussultarono.

Filippo e Bartolomeo si ritrovarono a fare un passo indietro, colpiti da quel qualcosa di immenso che percepiva dalla piccola. Entrambi s accorsero di stare tremando, roba da non credersi, e tutto per cosa, per l'urlo della marmocchia?! Da quando in qua due uomini adulti si ritrovavano impotenti davanti ad una tappa simile?! Eppure... lo sbattere delle persiane in una notte serena di piena estate non era affatto normale, anche se colei che stava davanti a loro, non pareva essersene accorta dell'enormità dell'accaduto.

“E sia, ti seguiremo entrambi, ma vedi di non fare scherzi, altrimenti uccideremo prima te e poi verremo qui, faremo ciò che va fatto con questa sgualdrina e poi la priveremo della vita!” la avvertì Filippo, minaccioso.

Sonia annuì tiepida, poco prima di dirigersi verso la porta con passo lento ma deciso. Non li avrebbe più fatti arrivare lì, quello era più che sicuro, avrebbe salvato Myrto allontanando quei due figuri da quel luogo.

Zoppicava visibilmente, quando passò di fianco alla giovane donna, permettendosi di sincerarsi delle sue condizioni da quel poco che poteva vedere con un unico sguardo. Myrto respirava lentamente ma irregolarmente, aveva il viso arrossato e sporco di sangue, il top ammucchiato sopra il seno, i due capezzoli vi sbucavano appena, ma la cosa che destava più preoccupazione era l'addome, nudo, su cui si stava formando una intensa macchia violacea e pareva essersi irrigidito...

 

Milo... vieni presto, ti prego! Myrto ha bisogno di cure ed io non gliele posso dare, posso solo allontanare questi due quanto basta per il giungere dell'alba e quindi per il tuo arrivo... vieni ad aiutarla, ti prego...

 

 

* * *

 

 

Sonia non aveva idea di dove andare, non subito almeno. Sapeva solo che doveva farli allontanare da lì il prima possibile, se voleva offrire una possibilità a Myrto di salvarsi. Vederla così riversa a terra, così impotente, come mai l'aveva vista in quei mesi, l'aveva destabilizzata alquanto, allentando le sue intenzioni di mantenere il sangue freddo. Avrebbe voluto precipitarsi subito da lei, riscuoterla, abbracciarla, perché sentiva di volerle bene e non si perdonava di essere stata un'incapace davanti a quelle due persone cattive che le avevano fatto così tanto male. La piccola per la prima volta si accorse nitidamente che affezionarsi a qualcuno era dunque un'arma a doppio taglio, per sé stessa e per l'oggetto del proprio affetto. Era tremendo.

Scosse bruscamente la testa, tornando a concentrarsi sulla sua missione. Doveva restare lucida. Assolutamente.

I due farabutti la tampinavano da dietro, a distanza di un respiro dal suo corpicino, non la toccavano più, sembrava quasi avessero paura di lei, oppure... oppure forse si rendevano conto che la bambina fosse già stremata, che era impossibile per lei scappare, poteva solo condurli. Ed era vero. Sonia non si spiegava il motivo ma si percepiva sempre più stanca e stressata, le sue gambe a stento la sorreggevano, un passo falso e sarebbe crollata e i due sarebbero tornati a chiudere il conto con Myrto. Non poteva permetterglielo!

Fu in quegli istanti così angoscianti che alla bambina venne un'idea, ricordandosi di un particolare che le aveva raccontato Milo in quei mesi proprio sull'isola. Da quanto rammentasse, il luogo aveva origini vulcaniche, istantaneamente le sovvenne che lo aveva studiato a scuola cosa fosse un vulcano e, malgrado tutti i crateri dell'isola fossero ormai vuoti, cavi, le venne in mente che sulla zona centro-meridionale dell'isola, ve ne era uno che giudicò abbastanza distante per mettere Myrto al sicuro. Stava pensando a Firiplaka, un vulcano ormai spento ma situato idoneamente per lo scopo. L'intenzione era quindi quella di giungere lì, anche se una parte di lei le sussurrava che non ce l'avrebbe mai fatta. Non aveva importanza, doveva tener lontani quei due dalla sua amica, malgrado le forze le si esaurissero sempre più velocemente.

Passò del tempo, Sonia non seppe quantificare quanto, ma era certa del passaggio di almeno un paio di ore, lo percepiva dal chiarore che baluginava verso l'orizzonte ad est: l'alba. Non poteva quantificare nemmeno i chilometri percorsi, né se la direzione fosse quella corretta, ma una vocina dentro di lei, come di uno soffiare alle orecchie, le continuava a sussurrare di star percorrendo la strada corretta. Finché inavvertitamente...

“Pulce schifosa, non è che ci stai facendo perdere solo tempo?”

Un brivido le percorse la schiena, facendole accapponare la pelle dall'agitazione.

“I-io... no! Che ragione avrei di farlo?” chiese, in tono basso, cercando di mantenere la calma.

“Per salvare la tua amica puttana, per cos'altro? Dove ci stai conducendo?!” la incalzò Filippo, iracondo.

“A Firiplaka, là c'è...”

Ma non ebbe il tempo di finire che una sberla la centrò in pieno volto, facendola stramazzare a terra, in bocca il sapore del sangue, un qualcosa di dolciastro e oleoso che non aveva mai percepito. E stette lì, singhiozzando, ma non per paura per sé stessa, bensì perché si rese conto che non avrebbe avuto più le forze di rialzarsi. La sua partita terminava lì... quanto tempo aveva recuperato? Era abbastanza?!

“Maledetta fedifraga, pensavi di farcela sotto, eh?! - intervenne Bartolomeo, sovrastandola per poi prenderla dal colletto del peplo che Myrto le aveva regalato quella stessa estate, il suo primo indumento alla greca – Ci siamo già stati quattro giorni fa, là, in quel vulcano impolverato, non c'è nulla, come lo spieghi questo?!”

Sonia non poteva spiegarlo e neanche ne aveva le forze. La avevano scoperta, non poteva fare più niente.

“Secondo me ci volevi ingabbiare! Proprio degna della tua amichetta sgualdrina che si sta facendo un bel sonnellino nel suo appartamento – la stuzzicò Filippo, ghignando – Anzi, chissà se la tua amica è ancora viva... dopo il calcio che le ha dato Bartolomeo non mi meraviglierei se avesse una bella emorragia interna!”

“N-no!” balbettò Sonia, cercando la forza di reagire ma non trovandola. Era sospesa a mezz'aria, i piedi non le toccavano più terra già da un pezzo, non riusciva a vedere che gli sguardi scellerati dei due, totalmente infuriati.

“Come no, è una ipotesi, sai? Non era messa tanto bene... - la provocò ancora Filippo, sempre più fuori di sé – Quando torneremo là, dopo aver finito con te, concluderemo il nostro operato con lei, non importa se avrà già tirato le cuoia, il corpo umano è lento a raffreddarsi, muhahaha!”

Sonia avvertì, per l'ennesima volta, il formicolio prendere possesso di sé, non ragionò, diede semplicemente voce al suo desiderio di colpire quello schifosissimo depravato che le alitava in faccia con i suoi brutti e sporchi denti. Lo fece, centrandolo con un pugno ben più forte del normale, malgrado la spossatezza, lo centrò nella guancia sinistra, proprio sotto l'occhio.

In quell'istante successero più cose, Filippo indietreggiò come se, guidando una moto, fosse stato colpito in pieno da una vespa insinuatasi a tutta birra nel casco, mentre Bartolomeo, vedendo quel movimento insolitamente veloce, sbatté la bambina violentemente per terra, provocando un sonoro rumore.

Sonia si sentì come se fosse stata spezzata in due, avvertì il dolore passare nei nervi fino ad arrivare alle sinapsi, e là esplodere. Uggiolò, mentre le si mozzò il respiro.

“Filippo, non hai ancora capito di trovarti davanti ad un mostriciattolo? Davvero sei così idiota?! Questa non è una bambina normale, finiamola qui e cancelliamo le prove!” lo rimproverò Bartolomeo, in un vociare che alla piccola arrivò sfasato e appena percettibile. Non capiva cosa volesse significare, fino a quando non avvertì le sue dita stringersi sul suo collo. La piccola boccheggiò a causa dell'improvvisa mancanza d'aria. Non lo riusciva più a trovare, non lo trovava più, l'ossigeno tanto indispensabile alla vita. Spalancò gli enormi occhioni, livida, non aveva neanche più le forze per ribellarsi. Avvertiva gradualmente i sensi venire sempre meno, sostituiti da un sibilo assordante che però percepiva dentro i timpani, non fuori. Ed era sempre più intenso. Più intenso. Più intenso...

 

Morirò di nuovo così? Per mancanza d'aria? Non posso... non posso... devo resistere in qualche modo! Che qualcuno...

 

Aveva già le palpebre chiuse e contratte ma, in qualche maniera sconosciuta, percepì due fasci di luce rossa saettare a poca distanza da lei, misteriosi e ammalianti al tempo stesso. Poi due urla agonizzanti, seguite da un tonfare netto. Si percepì la gola improvvisamente libera e tossì, tossì con tutte le forze che le restavano, quasi come se l'aria, bloccata nell'esofago, fuoriuscisse tutta di un colpo.

“Maledetti, bastardi! - ringhiò una voce famigliare che giunse alle orecchie di Sonia, permettendole di aprire nuovamente gli occhi – VOLEVATE L'ARMATURA D'ORO?!? ECCOVELA, CON GLI INTERESSI!!!

La piccola stentava a crederci, era ancora a terra, piegata in due a tossire ma, tra uno sputo di saliva e l'altro, intravedeva la sagoma di un ragazzo ammantato d'oro, avvolto dalla tenue luce del primo sole della giornata; un sole più splendente che mai. Sbatté più volte le palpebre, ancora incredula, si sentiva di poter svenire da un momento all'altro, ma qualcosa ancora la spingeva a sforzarsi di rimanere vigile. Annaspò nel tentativo di alzarsi, ma ricadde a terra, stremata.

“M-Milo...” biascicò, protraendo la mano nella sua direzione, che però ricadde inerte sul terreno. Non riusciva più neanche a compiere un movimento così semplice, era snervante.

Qualcosa cambiò negli occhi di Milo nello scorgere la piccola a terra, il suo sguardo da predatore che aveva appena assaggiato il sangue della vittima mutò, facendosi preoccupato e spaventato, quasi... terrorizzato.

“Sonia!!! - la chiamò di rimando, correndo nella sua direzione per prenderla in braccio – Coraggio, è tutto...”

Ma qualcosa nel corpicino di Sonia arrestò le sue parole, qualcosa che la piccola, così desiderosa di abbracciarlo per sentirsi nuovamente al sicuro, non percepì, se non quando lo vide tremare convulsamente, le pupille assottigliate fino all'inverosimile.

Non aveva più forze, però, non sapeva bene come, riuscì un minimo a rizzarsi a sedere, nello stesso momento in cui Milo, fremendo quasi più di lei, le sfiorò la guancia sinistra, tracciando il suo profilo fino al collo, dove si arrestò nello scorgere così tanto sangue scorrerle sul viso, coronato, proprio sul collo, dal segno delle due mani che, fino a poco prima, lo avevano stretto, tentando di privarla della vita.

“Cosa... cosa ti hanno fatto? Perché...”

La piccola voleva rassicurarlo a parole, dirgli che stava bene, che era tutto ok, ma qualcosa cambiò nuovamente negli occhi di Milo, stavolta irreversibilmente. Sonia automaticamente si ritrasse nel vederlo così, provando una paura sviscerale fin dai recessi dell'anima. Gli occhi di Milo non erano più del suo Milo, ma di qualcuno di estraneo, non dissimile ad un folle, la stessa insana follia che contraddistingueva Filippo e Bartolomeo.

“Ba... bastardi...” sibilò sinistro, alzandosi in piedi in tutto il suo metro e ottanta. Il suo corpo era scosso da fremiti e da spasmi sempre più fuori controllo, i denti digrignavano producendo un suono sempre più inquietante, come di animale pronto all'attacco. Così avvenne, Sonia non ebbe il tempo di fermarlo, solo di osservare, spaventatissima, l'unghia dell'indice allungarsi, cremisi, a formare un pungiglione. E scattò, più nessuno era in grado di fermarlo, scattò verso i due individui riversi a terra, ancora spastici a seguito dei colpi subiti in precedenza.

Sarebbero bastate, quelle due punture subite, per renderli inattivi, una parte del suo cervello glielo suggerì, ma più nessuno avrebbe potuto fermare Milo di Scorpio. Nessuno. Non si poteva più fermare. Non si fermò.

“Maledetti porci schifosi, non solo Myrto ma Sonia... SONIA! UNA BAMBINA!!! - urlò lanciando altre tre Cuspidi Scarlatte dall'indice destro – MALEDETTI... MALEDETTI!!!”

I corpi dei due sussultarono, mentre il sangue cominciava ad uscire dalle loro ferite.

“MORITE! DOVETE MORIRE!” ripeté, sempre più fuori di sé, infliggendo altre quattro cuspidi.

“M-Milo...”

“CREPATE! DOVETE CREPARE!!!”

“Milo!!!”

Qualcosa di cremisi gli schizzò sul volto, ma non se ne curò, proseguendo nel suo operato. Quei due bastardi continuavano a muoversi sotto di lui, non si sarebbe fermato finché non sarebbero stati immoti. Per sempre.

“Dannati, ancora sobbalzate?! Non avrò alcuna pietà di voi finché non sarete esangui!!! Mi avete sentito, sporchi rifiuti umani?!?”

Altri colpi precisi e subitanei, dovevano provare più dolore possibile quei due farabutti. Dovevano, perché avevano insozzato con le loro schifosissime grinfie ciò che per Milo era più importante: la sua famiglia.

“Milo... ti prego, Milo!!!” singhiozzò Sonia, coprendosi gli occhi con le mani davanti a quello spettacolo così aberrante. Avvertiva un dolore lancinante allo sterno. Era terrorizzata. Non vedeva che il rosso del sangue dei due, solo quello, come se avesse assorbito tutti i restanti colori. Era nauseabondo.

Milo proseguiva per la sua strada, chiuso alle preghiere della piccola. Aveva un solo obiettivo, una sola ragione di vita: fargliela pagare. Inferse altre tre cuspidi, ormai aveva perso il conto, non c'era che un odore ferroso nell'aria, ma non aveva importanza, non l'aveva, perché il colpo di quei maledetti continuava a muoversi, senza tregua.

“MI AVETE STANCATO! ORA VI...”

Ma una nuova figura entrò nel campo visivo di Sonia, correndo a fatica verso Milo per poi bloccarlo dalla schiena, in un velato abbraccio che però aveva un non so che di disperato. A Sonia si illuminarono gli occhi quando la riconobbe.

“Milo! Basta, fermati! E' finita... è già finita da un pezzo!”

Era Myrto, ancora sanguinante, un po' traballante e malridotta, ma viva e in piedi, anche se con enorme fatica. Alla piccola Sonia si riempì il cuore di gioia, alleviando almeno in parte l'immenso peso che avvertiva. Non sapeva cosa ci facesse lì, ma non vederla impotente le permetteva di tornare a respirare, anche se lentamente.

“No, Myrto, non mi fermerò! Devono pagare per quello che hanno fatto a te e alla piccola Sonia, e lo faranno soffrendo terribilmente! Questo è fin poco!” stava intanto dicendo Milo, tutt'altro che placato. Sembrava persino sul punto di scrollarsi di dosso la stremata Myrto, da tanto era fuori di testa.

“Ma non vedi che sono già morti?!? Sono già morti alla terza puntura! Basta... BASTA! Non occorre sporcare queste terre di altro sangue!”

“Non mi interessa! Sei troppo buona, Myrto! Non gli darò requie fin a quando non saranno ridotti a larve prive di ogni umana parvenza, così deve essere, perché così ha decretato Milo di Scorpio!” esclamò il Cavaliere, spingendo Myrto di lato, gesto che, visto lo stato di debolezza della ragazza, la fece cadere ginocchioni per terra a rifiatare, esausta.

“E ORA...”

“STAI TERRORIZZANDO, SONIA, LO VUOI CAPIRE?!?” fece un ultimo tentativo Myrto, gridando con tutte le sue forze. L'urlo sviscerale fece tornare in sé Milo, il quale, confuso più che mai, si riscosse, frenetico. Si guardò intorno, il viso tornato quello spaurito di un bambino, neanche più di uomo cresciuto troppo in fretta per adempiere ai suoi doveri, bensì di adolescente in balia delle proprie emozioni.

E lentamente, quando scorse il visetto di Sonia inondato di lacrime, l'ira gli scivolò addosso, sparendo negli arcani del terreno. Il respiro tornò normale, così come i battiti del cuore, precedentemente triplicati di velocità. L'onda furiosa, infine, ritornò placida al mare e con essa la consapevolezza di aver varcato un limite, nonché quella di non poter tornare più indietro.

Sonia dal canto suo guardava Milo in maniera non dissimile a come, fino a poco prima, squadrava i due banditi, un senso di ripugnanza sempre più convergente in lei. Non lo riconosceva più. Non solo per il suo aspetto ora sanguinario, con quel viso schizzato di sangue, le mani lorde e quell'espressione da folle che gli aveva intravisto prima, ma anche e soprattutto per quello che aveva fatto, per le sue nefaste azioni. Quell'essere che aveva davanti... non poteva essere lo stesso ragazzo che si era preso cura di lei per tutti quei mesi.

Milo accennò un passo, istantaneamente Sonia si rizzò, tesa come un capriolo di bosco quando, grazie al suo udito finissimo, avverte un rumore diverso dal solito.

“S-Sonia, io...” tentò un unico approccio Milo, alzando la mano destra, usata per colpire i nemici, nella sua direzione. Sonia ne fu terrorizzata, provando immediatamente l'istinto di scappare da quella traiettoria, che avrebbe colpito anche lei, sennò, senza pietà alcuna...

“Vattene via, sei un mostro!!!” singhiozzò disperata, spaventata a morte e altresì fuori di sé, sebbene in un modo diverso rispetto a Milo. Radunò tutte le forze rimaste in un unico, breve, scatto in direzione di Myrto, ancora inginocchiata per terra, per fiondarsi tra le sue braccia, rifugio sicuro per scoppiare finalmente in lacrime, vinta da tutti quegli avvenimenti.

Myrto non disse niente, si limitò a sospirare sonoramente nel vedere lo sguardo ferito di Milo, poco prima di stringere la piccola al suo petto con le poche forze che le rimanevano.

“Va tutto bene... Sonia...” biascicò, dolorante, affondando il viso nei suoi capelli. Sonia, per un solo istante, le credette, poco prima di lasciarsi svenire totalmente sopraffatta.

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Ciao a tutti e ben ritrovati in questo capitolo lunghetto e denso di avvenimenti (eh sì, lo so, siam passati dalla 'pucciosità' ad un quasi stupro, ecco il motivo per l'aumento di raiting. Dunque, questo e il prossimo capitolo si concentreranno molto su Sonia, Milo e Myrto, come avrete capito.

Un paio di considerazione, prima di tutto su Sonia. Vediamo tutti i poteri che ha nella serie principale, anche se qui vi è solo un abbozzo:

  • In primis, il potere del vento, concretizzatosi nello sbattere delle persiane. Ovviamente la piccola non associa le due cose e non si rende conto del suo potere, ma è comunque sorella di un Gold, come Marta, nella mia convinzione queste due figure sono molto simili, entrambe dimostrano poteri fin dalla più tenera età in circostanze di forte stress (per Marta lo vedremo), quindi ecco il motivo di questa uscita.

  • In secundis il potere da Yumemi, ovvero la capacità di vedere il futuro nei sogni. Non ancora pienamente sviluppato e non sempre facile da utilizzare per cambiare il futuro (nel caso di Camus colpito dagli artigli non ce l'ha fatta, infatti), lo vediamo invece qui utilizzato per cambiare una situazione, anche se... i banditi sono riusciti ad entrare così facilmente in casa proprio per l'intervento della piccola. Una lama a doppio taglio, quindi!

  • In terzis (si dice? XD) il potere della geolocalizzazione seguendo il vento che sussurra, questo potere è avvenuto per la prima volta nella seconda storia, quando i nostri sono andati a recuperare il medicinale, ma avrà altre occasioni per mostrarsi, non vi preoccupate!

     

    Veniamo ora a Milo, qui molti di voi, almeno nella seconda parte, avranno forse fatto fatica a riconoscerlo; a riconoscere l'onorevole Cavaliere che, all'Ottava Casa, propone più volte la resa al giovane Hyoga. Ebbene, la situazione ovviamente differisce alquanto ma è lo stesso Milo a non essere ancora, come dire... come il personaggio che conosciamo. Milo qui ha ancora 16 anni, ha influenze 'cardiane' dentro di sé e, si vede, perché perde totalmente il controllo e non fa che colpire, colpire e ancora colpire... beh, credo che sia capibile, mettetevi nei suoi panni, Myrto in quelle condizioni (e sappiamo che Milo ci era, anzi, molto probabilmente è ancora innamorato di lei) per non parlare di Sonia... insomma, chiunque sarebbe impazzito così, ancora di più se lui, o almeno questo è il mio pensiero.

    E infine Myrto, la sto cominciando a caratterizzare, il prossimo capitolo sarà in larga parte dedicato a lei. Non l'avrei mai detto, ma mi sono affezionata molto a lei come personaggio, spero possa piacere anche a voi. E' certamente ben diversa dalle ragazze protagoniste della serie principale, proprio per questo mi sto divertendo da matti a descriverla!

    Come al solito, ringrazio chi segue questa storia, mi auguro possiate apprezzare anche questi due capitoli un po' più pesantucci! :)

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Capitolo 7
*** Essere Cavaliere d'Oro di Atena ***


CAPITOLO 7: ESSERE CAVALIERE D'ORO DI ATENA

 

 

ATTENZIONE: AUMENTO DI RAITING ANCHE IN QUESTO CAPITOLO, DAL PROSSIMO SI TORNERA' ALLO STANDARD. BUONA LETTURA A TUTTI!

 

 

Rimango sconvolta a fissare il viso di Sonia, al limite dell'imbarazzo e del disagio. Non ho il coraggio di aggiungere nulla, rotta ferocemente da quel racconto che mi ha scosso nel profondo. Me le sono viste tutte, quelle immagini, hanno solcato la mia mente con una intensità netta. Difficile resistergli...

-Le parole che rivolsi a Milo quel giorno... non me le perdonerò mai!

-No... ci mancherebbe, Sonia! E' capibile, siete perfettamente capibili entrambi! Milo è uscito di senno per aver visto tu e Myrto in quelle condizioni, e ci sarebbe mancato altro, cacchio! A chiunque si sarebbe fuso il cervello a saper di quello che vi hanno fatto e stavano per farvi! E anche tu avevi tutte le ragioni per reagire così! Non sapevi niente del mondo dei Cavalieri fino a quel momento, men che meno del potere di Milo che è tutto fuorché agnellini e fiorellini, visto le terribili conseguenze che provoca su chi viene colpito. Chiunque ne sarebbe stato terrorizzato, anche se lo ha fatto per il vostro bene!

-Può darsi, ma lui mi salvò la vita, ed io... ed io lo ferì in quella maniera!

Rimugino sulle parole migliori da dire per confortarla. A distanza di anni le pesano ancora quei fatti, deve essere stato davvero tremendo! Scelgo infine di abbracciarla per farle sentire la mia presenza. Dove non riescono ad arrivare le parole che giungano i gesti.

Sonia si lascia cullare ancora un po', rimanendo, come me, a sentire i suoni della notte. C'è ancora tempo prima del sorgere dell'alba, c'è ancora tempo per qualche racconto.

-Dopo quel fatto rimasi a casa di Myrto per un po'?

-Sì, non riuscivo nemmeno a guardare in faccia Milo, dopo quel fatto, e dovevamo riprenderci entrambe. Per questo rimasi da lei, si prese cura più di me che non di sé stessa, e dire che era messa abbastanza male e aveva rischiato molto... successivamente lo rimpiansi, ma avrei voluto fare di più per lei, in quei giorni, dopo il trauma che aveva subito, invece mi limitai a farmi curare docilmente, assuefatta da tutto quel sangue che avevo visto.

-Sonia... è capibile... avevi solo 10 anni, anzi sei stata coraggiosissima ad allontanare quei due delinquenti da lei, l'avrebbero stuprata senza il tuo intervento...

La mia amica annuisce placida, anche se non sembra particolarmente convinta.

-Nei giorni che seguirono mi ripresi lentamente dalle ferite, ma superare il trauma non fu affatto semplice...

 

 

* * *

 

 

Per i giorni che seguirono, Sonia non volle sentire ragioni per uscire dalla stanza che gentilmente Myrto le aveva preparato, ospitandola a casa sua. Non voleva mangiare, né tanto meno parlare con Milo, che pure tentava a più riprese di recuperare quel che sentiva di aver irreversibilmente danneggiato, di spiegarle le motivazioni che lo avevano spinto. Tutto inutile! La piccola se ne stava tra le lenzuola del letto, nascondendosi e non alzandosi nemmeno. Faceva caldo e si sudava, ma uscire da quelle coperte che la avviluppavano facendola sentire al sicuro era infinitamente peggio. Solo Myrto aveva il sacro dono di riuscire a discorrere con la piccola, unica che aveva il permesso di entrare e uscire liberamente da lì e di poter toccare la bambina. Un giorno di quelli, era luglio ormai, la giovane donna entrò nella stanza con in mano un vassoio che conteneva un barattolo di nutella e un po' di pane, strategia che la stessa Myrto aveva scelto per far mangiare un po' di più la piccola, che si ostinava a toccare meno cibo possibile. Entrò nella camera, individuò il fagotto tra le coperte e delicatamente ci posò una mano sopra, chiamandola con voce gentile e melodiosa.

“Myrto!” la salutò immediatamente Sonia, sbucando con la testolina dalle coperte per affondare il suo visetto infantile nel grembo della ragazza. Era felice di vederla.

“Sonia, dovresti sforzarti a mangiare un po' di più, sai?” le fece notare, garbata.

“Non voglio!”

Risposta secca, come di consueto. Se la situazione non si fosse sbloccata in fretta, la bambina, già gracile di costituzione e con un ritardo nella crescita, avrebbe potuto avere conseguenze serie.

“Neanche se ti ho portato un po' di pane e Nutella?”

“Cos'è la Nutella?”

Myrto si accigliò un poco, scettica. Possibile che non l'avesse mai mangiata?! Era fuori da ogni logica che una bimba così piccola non avesse mai assaggiato la crema spalmabile per antonomasia.

“E' una crema di gianduia che contiene anche cacao e nocciole, è veramente buonissima e dolcissima! Non bisogna abbondarne perché fa venire mal di pancia, ma per te faremo un'eccezione !” le sorrise, accarezzandole la testa.

Lo sguardo di Sonia navigò fino al vassoio, soffermandosi un poco sul barattolo che conteneva la scritta in questione. Effettivamente pareva un invito a nozze, visto che il solo vederla le dava una strana sensazione di acquolina in bocca, ma il suo stomaco era chiuso.

“Myrto, io... non la voglio!”

“Dai, almeno assaggiala, l'ho comprata apposta per te!”

Sonia abbassò il visetto a quella frase, colpevole. Myrto si era presa cura di lei in quei giorni, non badando troppo a sé stessa, malgrado anch'ella non fosse messa tanto bene. Il viso solitamente solare era ancora provato dalle botte subite, ben vivide sotto forma di livido, e soventemente le capitava di massaggiarsi dolorante lo stomaco, laddove era stata colpita dal calcio di uno dei due banditi; per non parlare poi del trauma psicologico che, anche se non ne parlava, si poteva ben percepire da quegli occhi scuri un po' più fatui del solito. Nonostante questo c'era sempre stata per lei, medicandole e bendandole la ferita in testa, non lasciandola mai sola...

La piccola sospirò sonoramente, affranta, sforzandosi di alzarsi per assaggiare la tanto decantata Nutella, ma Myrto la precedette, indicandole di sedersi sulle sue ginocchia e apprestandosi a tagliare per lei il pane e spalmare la crema di nocciole. Aveva un profumo intenso quella crema, Sonia ne era inequivocabilmente attratta mentre fissava partecipe le manovre della giovane donna.

Finalmente addentò l'agognato dolce, spalanco le iridi verdi ricolme di sorpresa, meravigliandosi che potesse esistere qualcosa dal sapore simile. Si pentì di non averla mai potuto assaggiare prima.

Ingurgitò con foga tre panini con vivacità prima di appoggiarsi a lei, Myrto non poté che esserne lieta mentre, posando il coltello sul piatto, Sonia si acquattava sul suo grembo, abbarbicandosi al suo ventre, che teneva scoperto, con foga inaudita. Gli occhi erano socchiusi, sembrava stanca, non se ne stupì, visto che la bambina era ancora debole per le botte subite.

La giovane donna non disse niente, limitandosi ad accarezzare i corti capelli della piccola che erano cresciuti comunque di un dito e mezzo da quando l'aveva conosciuta. Era facile affezionarsi a Sonia, soprattutto dopo la brutta disavventura appena trascorsa. Era intelligente e temeraria, proprio degna del segno di fuoco che la contraddistingueva, il Sagittario, lo stesso di suo fratello più grande che non avrebbe mai conosciuto. Era una creatura speciale, Myrto per la prima volta si rese conto di essere felice di quella vita, a metà strada tra il mondo dei Cavalieri e il tram tram di tutti i giorni, perché era grazie alla sua posizione mediana che aveva conosciuto persone meravigliose come lei e Milo.

“Myrto... - la chiamò ad un certo punto Sonia, corrucciata, toccandole con dolcezza la pelle in prossimità dello stomaco, laddove spiccava ancora un grosso livido violaceo – Ti fa ancora tanto male?” le chiese, sinceramente dispiaciuta.

“Un po', ma è andata fin bene visto quello che abbiamo rischiato io e te... - iniziò, scostandole un ciuffo dalla fronte – E poi Milo è arrivato al momento giusto, senza di lui, io... nella migliore delle ipotesi, sarei finita all'ospedale, ma è stato abile e lesto a fermare l'emorragia!”

Sonia istantaneamente rabbrividì a quelle parole, nascondendo nuovamente il visetto nel corto indumento di Myrto, stringendo poi il suo busto con le manine.

“Milo... anche lui sa curare le ferite?”

“Tutti i Cavalieri d'Oro suoi pari lo sanno fare, chi più chi meno. E' un essere speciale, in un certo senso è davvero un supereroe, sarà lui a dirti la verità quando si sentirà pronto” le accennò Myrto, accarezzandole delicatamente la schiena.

Sonia tacque, cominciando ad accarezzare l'idea, già serbata in sé, che Milo avesse reagito così unicamente per salvare lei e la ragazza. In fondo lo sapeva già, fin dall'inizio... e allora perché non riusciva a perdonarlo?! Perché si sentiva così distante, come se il legame fosse stato spezzato?!?

“Sonia... era così terrorizzato, dovevi vederlo... - le sussurrò ancora Myrto, triste – Quando mi sono ripresa e gli ho detto che tu eri andata via con loro per salvarmi, ho visto la più concreta paura solcargli gli occhi; era in trappola, spacciato, proprio lui che ha sempre un sorriso e una speranza per tutti... si è immediatamente precipitato insieme a me a raggiungere il luogo in cui avvertiva la tua presenza. Ancora si riusciva a trattenere a stento, nonostante tutto, ma...”

“Ma?”

“Quando ti ha visto sanguinante, con il segno delle dita sul collo, non ha ragionato più, ha colpito per uccidere, come qualunque scorpione avrebbe fatto per salvare i propri piccoli che tiene teneramente sul dorso fino alla prima muta. - Myrto si prese una breve pausa, cercando di intuire lo stato emotivo della piccola - Sonia... quello che voglio dire è che ha sbagliato a mostrare tutta la sua brutalità con te lì presente, del resto il colpo che gli è proprio è uno di quelli più sanguinari del Grande Tempio, ma lo ha fatto per proteggerti, quindi, se puoi... perdonalo!”

“Lo so, l'ho sempre saputo... ma quello che ho visto non può cambiare...”

“Sonia...”
“Myrto, la verità è che ora Milo mi fa paura, una paura atroce!” sillabò Sonia con enorme fatica, i lacrimoni di nuovo a fior di palpebre e una strana tremarella a scuoterla.

Myrto sospirò, sapeva non sarebbe stato facile, serviva tempo per tornare a fidarsi. Milo, a differenza di Camus e Aiolia, non aveva mai mostrato alcun potere alla bambina, mantenendo fede alla promessa fatta al Leone di tenere la sorellina lontana da quel mondo, eppure, per salvarle la vita, era stato costretto a sfoggiare la sua tecnica segreta nel peggiore dei modi possibili. Ora Sonia era terrorizzata al solo vederlo e nessuno avrebbe potuto farle dimenticare tutto quel sangue sparso per terra, quella foga inaudita con cui lo Scorpione, spaventato dall'eventualità di perdere quel bene prezioso che si era ritrovato a difendere, aveva affondato il pungiglione nelle carni dei due banditi.

Sonia scoppiò in lacrime, singhiozzando con enorme patimento nel non riuscire ancora a perdonare Milo. Affondò ancora di più il visetto nel suo petto mentre, con le manine, le stringeva la schiena, dimostrando una forza considerevole, la stessa che aveva adoperato per proteggere lei. Già, l'aveva protetta, era viva grazie a lei, e non aveva che dieci anni ancora!

“Sonia, andrà tutto bene, dai il tempo al tempo! Se ora non riesci ancora a perdonarlo, non significa che sarà così per sempre – provò a tranquillizzarla, permettendosi di posare il mento sulla sua testa – Sei una piccoletta forte e coraggiosa, lo dimostra il fatto che mi hai salvato la vita, proprio a me, che sono di un bel po' più grande di te! Non dimenticarlo mai, intesi? Tu sei una bambina speciale, passerà anche questo, non temere!” le sussurrò tra i capelli, desiderando altresì proteggerla come la piccola aveva fatto con lei.

 

 

* * *

 

 

“...E così ho rovinato tutto, amico mio! Non so... non so se riuscirò a discorrere più normalmente con Sonia e mi fa male, un male dell'anima!”

“Milo... hai sicuramente esagerato, questo è certo, ma chiunque avrebbe reagito come te dopo aver visto un simile spettacolo. Myrto... Sonia... è andata fin bene che non siano morte!”

“Tu no... tu avresti reagito meglio di me, avresti calcolato tutto nei minimi dettagli e saresti riuscito a salvare tutti senza terrorizzare i tuoi allievi. Sono io che... lo sbaglio l'ho fatto io!” ringhiò Milo, stringendo i pugni. Camus tacque, rispettando lo sfogo del compagno.

Il Cavaliere di Scorpio era infine riuscito a chiamare l'amico di sempre, il quale, dopo tre chiamate andate a vuoto a causa della difficoltà di ricezione, lo aveva richiamato dal centralino di Pevek, forse intuendo che qualcosa non tornava. Effettivamente Camus dell'Acquario aveva percepito le sfumature ritrose del cosmo di Milo ancora prima di saggiare la costernazione nelle sue parole. Si dispiacque di essere in Siberia e di non poter tornare in Grecia fino all'autunno, perché davvero era raro che il suo migliore amico reagisse così male a qualcosa, ed era da tanto tempo che non avvertiva in lui quel qualcosa che rasentasse la sconfitta, la sfiducia nelle proprie capacità.

“Milo... Sonia tornerà... tornerà da te! Dalle solo il tempo di superare il trauma, non sapeva nulla dei tuoi poteri e li ha visti praticati in una situazione che già di per sé era fonte di stress. Ha tutte le ragioni per essere spaventata adesso, tu limitati a farle sentire la tua vicinanza, sono sicuro che, dentro di sé, sappia che hai reagito così unicamente per lei!” gli consigliò, affabile. Avrebbe voluto stargli vicino e rassicurarlo, ma non poteva fare più di così.

“Spaventata è un eufemismo, è totalmente terrorizzata da me, l'ho ben visto nei suoi occhietti da cerbiatto di bosco!”

“Devi capirla, Milo... fino all'altro giorno ti credeva un ragazzo allegro e giocoso, non hai mai mostrato il tuo reale potere a lei, né hai mai parlato del Tempio... e ora ti ha visto praticamente fuori di senno, capace di colpire un nemico con ferocia e dissanguarlo con l'unica forza del dito indice. E' normale che abbia paura di te!”

“Ma non farei mai del male a lei! Ho reagito così perché mi sono spaventato! Quei bastardi... quei bastardi hanno fatto del male anche a Myrto, come potevo controllarmi?!?” si difese istintivamente lo Scorpione, in tono rotto.

“Umanamente non potevi... ma un Cavaliere deve essere superiore agli esseri umani comuni!”

“Parli facile tu! Come ti ho già detto, tu ci saresti riuscito, ma tu sei eccezionale, Camus!”

“A mente fredda direi di sì, ma nella pratica chissà se sarei riuscito ad elaborare talmente il distacco da riuscirci per davvero...”

“Come?”

“Oh, no nulla... - si affrettò a riparare l'Acquario, sentendosi scoperto, poi aggiunse – Myrto come sta?”

“Come vuoi che stia?! E' scossa, ancora malridotta, ma non si è rifiutata in alcun modo di prendersi cura di Sonia. Le sono grato... immensamente grato!”

“Bene... fatti aiutare da lei per dire la verità a Sonia, io purtroppo non posso essere lì...”

“Ci sto andando proprio adesso a casa di Myrto, ma... Sonia vorrà ascoltarmi? Appena mi vede scappa in camera e si rinchiude terrorizzata”

“Tu comportati come sempre, sarà lei poi a venire da te quando se la sentirà!”

“Spero... spero tu abbia ragione...”

Il Cavaliere di Scorpio rimase a fissare un punto a caso del paesaggio, non vedendolo per davvero. Si sentiva cavo, spaurito, devastato. Nulla sarebbe stato più come prima tra loro.

“Milo?”

“Sì?”

Gli era uscito un tono spento, provato, non suo. Camus lo riconobbe a fatica.

“Amico mio, mi rammarico di non essere lì con te, ma... ti sono vicino! Sono sicuro che risolverete questa prima, grande, sfida che avete trovato sul vostro cammino e, chissà, forse crescerete un po' entrambi!”

“Grazie, Cam... so che le tue parole significato molto di più di quello che sembrano, lo percepisco. Farò del mio meglio!” disse, prima di salutarlo e riattaccare.

Era molto vicino a casa della giovane donna, per la verità ci era girato intorno mentre parlava con il suo migliore amico, senza trovare il coraggio di bussare per entrare dentro in casa. Erano passati cinque giorni dal fatto dei briganti, Sonia non aveva voluto avere più niente a che fare con lui, trasferendosi a casa di Myrto e rompendo ogni possibile tentativo di riavvicinamento. Era in mani sicure, questo Milo lo sapeva, eppure ci soffriva da impazzire. Era stata tutta colpa sua, diavolo! Per il suo operato ora lo considerava come un mostro spietato e assassino. Insomma, il segreto sul Santuario, il suo ruolo, erano stati scoperti nel peggiore dei modi. Non sarebbe più stato un supereroe per la bambina, bensì una bestia immonda priva di raziocinio.

Con questa apprensione nel cuore, suonò alla porta della casa della ragazza, la porta, di un bel colore blu come le finestre, non impiegò molto per essere aperta, rivelando una Myrto, ancora malmessa ma con gli occhi, come sempre, espressivi. Milo si ritrovò ad ingoiare a vuoto nel vedersela così, era dannatamente bella, malgrado il livido ancora ben visibile sul volto. Le parole dello Scorpione si ingarbugliarono istantaneamente in gola.

“Ah, Milo, ciao... sono felice di vederti! - biascicò lei, in un tono un po' strano, non suo – Non c'è bisogno che fai quell'espressione trasognata nel vedermi, dovresti esserci abituato, no?” lo riprese poi, cercando di essere scherzosa, ma la voce le usciva tremante. Ci stava provando ad essere quella di prima, ma non era affatto facile.

“La fai semplice tu... e poi ti palesi così!” borbottò Milo, arrossendo visibilmente e discostando tempestivamente lo sguardo.

“La Grecia è calda, e poi... non voglio cambiare il mio stile solo per... per quello che è accaduto!” ribatté lei, fremendo un poco.

Milo ritornò a guardarla, rapito dal suo corpo. Certo, nessuno si poteva permettere di piegare il carattere della sua amica, Scorpione come lei, men che meno quei due bastardi che le avevano fatto del male, eppure il Cavaliere ebbe l'impressione che qualcosa in lei fosse cambiato per sempre.

Myrto se ne stava lì, lo sguardo un po' dolente, la schiena leggermente piegata nel tentativo di nascondere il ventre nudo, come se fosse stato contaminato da qualcosa di impuro. Milo, da quando se la ricordava, non se la rammentava che così, con quei bei top dai colori chiari e possibilmente decorati con fiori o altri motivi naturalistici, coronati poi da dei pantaloncini corti ma larghi, che le risaltavano ancora di più la pelle e il corpo formoso e longilineo. Nessuno si era mai permesso di toccarla contro la sua volontà, nessuno doveva permettersi di toccarla solo per come andava vestita, perché, se c'era una cosa che Milo di Scorpio rispettava, era l'abbigliamento altrui, essendo anche lui il primo a sentirsi libero di girare come più gli aggradava, anche mezzo nudo se solo avesse voluto. Eppure era successo. Non solo l'avevano toccata e sfregiata, ma anche infangata. Il solo pensiero gli dava la testa, facendogli perdere il controllo.

“Entra pure...” gli disse lei, facendogli spazio. Milo eseguì docile, andando a sedersi compostamente sul divano. Poco dopo lei lo raggiunse, massaggiandosi un poco la zona lesa. Doveva avere ancora tremendamente male.

“Perdonami per il rimedio drastico, ma non avevo altri mezzi per fermare l'emorragia nell'immediato. E' anche per causa mia se continui a sentire così male...” si scusò, cupo. Era irriconoscibile.

“E-ehi, Milo... dai, su, non è da te quell'aria mogia, tu sorridi sempre! - lo provò a rincuorare lei, sedendosi a sua volta sul divano – E poi... e poi mi hai salvato la vita, non c'è bisogno di chiedermi scusa, anzi sono io in debito con te!”

Milo tacque, lasciando cadere il discorso. Si sentiva strano nel vedersela così vicina, come non gli era successo da un po'. Avvertiva quasi una frenesia inspiegabile, un bisogno di... di stringerla a sé dicendole che non avrebbe più permesso che qualcuno le potesse fare del male, e... era dannatamente bella, cavolo, quell'ombelico completamente ovale, quella pelle abbronzata, quel profumo di oli e creme varie, il SUO profumo...

Si censurò i pensieri sbrigliati che, come cavalli imbizzarriti, cavalcavano senza sosta, più veloci della ragione. Avvampò subitaneamente, avvertendo la bocca secca. Che cavolo gli stava succedendo?!? Gli accordi, tra lui e lei, erano stati chiari: più nulla, perché appartenenti a due mondi diversi e impossibilitati ad incontrarsi, ma... provava davvero un senso di protezione invaderlo, ben diverso da quello che nutriva per Sonia.

La piccola, giusto! Decise di dirottare il discorso su di lei, la sua pupilla.

“Sonia è ancora in camera?” chiese, titubante.

“Sì, a pranzo ha mangiucchiato qualcosa e anche stasera si è sforzata di inghiottire un paio di Souvlaki preparati da me. Hai presente, no, gli spiedini di carne?”

Milo annuì tiepido, sospirando appena. Effettivamente, malgrado i raggi del sole ancora caldi, la sera era ormai incombente, poche ore ancora e l'astro sarebbe tramontato del tutto, dichiarando la conclusione di un'altra giornata.

“Tu hai già mangiato?” chiese, cercando di sorridere.

“No, non ho fame”

“Beh, vedremo se la penserai così se sarò io a prepararti qualcosa, sono ancora brava, sai?” lo provò a spronare, facendogli l'occhiolino.

Milo non aveva dubbi che fosse sempre brava a cucinare, non era quello il punto.

“No, non sforzarti, non succede niente se non mangio per una sera!”

“Nessuno sforzo, e poi... mi serve per distrarmi... - biascicò, tremando appena, ma quando tornò a guardarlo, mascherò tutto dietro un sorriso – E poi devo parlarti di una cosa, meglio se sei con la pancia piena!”

Milo si trovò costretto ad accettare, dando così il via libero a Myrto che iniziò subito i preparativi. Dal divano posto nel salotto collegato alla cucina, si potevano scorgere le manovre della giovane donna. Il Cavaliere di Scorpio non se ne perse una, rapito dai movimenti leggeri e dal suo modo di operare con i piatti, le padelle, i pentolini e tutto. Si ritrovò ben presto rapito dal movimento fluttuante del corto indumento di Myrto che, quasi in sincronia con i suoi passi, rendeva la sua figura concretamente tangibile e delicata al tempo stesso. Milo si riscosse nuovamente, accorgendosi di essersi nuovamente perso, per la seconda volta, nella figura carnale della ragazza. Automaticamente si diede una manata sulla fronte, recuperando un po' di contegno e vergognandosi di sé stesso. Non era di certo quello il momento, men che meno visto il loro accordo e quello che lei aveva subito nei giorni scorsi! Per questo motivo, lottando con i suoi istinti, si azionò per preparare la tavola, poiché non voleva far fare tutto alla sua amica, nondimeno per distrarsi dai turpi desideri.

Consumarono un pasto veloce a base di pita, la focaccia tipica, gyros e salsa tzatziki, parlando del più e del meno prima di arrivare alla nota dolente, nonché argomento principale. Myrto era brava a cucinare come Milo se la ricordava. La invidiò: lui era del tutto inetto a preparare anche solo qualcosa di commestibile, malgrado si stesse allenando. Niente da fare, rimaneva una frana nonostante i tentativi, mentre la piccola Sonia, a soli 10 anni, era già molto più brava di lui.

Proprio sulla piccola Sonia verté la conversazione.

“Milo... ti volevo parlare da un po', ma non c'è stato tempo... sembra che Sonia abbia il potere da Yumemi, ne sai qualcosa? E' giù successo qualcosa di simile?”

“Yume... cos...?”

“Supponevo non lo conoscessi...”

Milo non aveva mai sentito quella parola e sicuramente non apparteneva neanche alla lingua greca. Pertanto si fece attento, squadrando Myrto in attesa di spiegazioni, che ottenne subito dopo.

“In breve, è il potere di vedere il futuro nei sogni... - affermò lei, seria in volto – Milo, ho ragione di credere che lei sia riuscita a vedere i due banditi e il loro attacco prima che i fatti accadessero...”

Lo Scorpione non rispose, si limitò ad alzarsi in piedi e ad indicare a Myrto, con il solo ausilio dello sguardo, di sedersi sul divano. Presagiva la gravità della situazione, unica spiegazione al suo innaturale silenzio. La giovane donna fece quanto chiesto e proseguì il suo racconto.

“Sonia sapeva che quei due cercavano l'armatura d'oro, come sapeva che mi avrebbero fatto del male, per questo si è precipitata da me tentando di avvertirmi... - prese un profondo respiro – A proposito... il Grande Tempio come ha reagito?”

“Il Sommo Shion sta indagando su questo fatto, su come quei due bastardi abbiano saputo dell'armatura d'oro e di cosa significhi la frase che hai udito dalle loro bocche, quella sugli esperimenti fuggiti. Ma per il momento siamo in alto mare... Vai avanti con Sonia, che mi preme di più”

Myrto annuì, accontentandolo placidamente, massaggiandosi istintivamente il ventre.

“Milo... - riprese poco dopo, schietta – Sono arrivata alla conclusione che sarei morta se non fosse stato per la piccola Sonia. Deve aver visto un altro futuro nel suo sogno e si è adoperata per cambiarlo!”

“Come fai a dirlo?”

“Perché l'ho visto il bandito negli occhi prima che calasse su di me il pugnale... voleva uccidermi, l'ho capito dal suo sguardo, ma a quel punto Sonia è intervenuta, ha detto che conosceva il possessore dell'armatura d'oro, anche se in verità non ne sapeva niente... – continuò, piegata in due nel ricordare quegli avvenimenti dolorosi – Per un ironico scherzo del destino, lo conosceva realmente, senza saperlo. E' stato la sua ingerenza a fermare il pugnale...”

“Questo potere... può essere controllato? Ricordi altri dettagli, Myrto?”

“No, sono svenuta subito dopo, il resto lo sai... immagino che tu abbia capito quando mi hai trovato riversa a terra in quelle condizioni... - balbettò, a fatica – Per quanto concerne il potere, non so se ci sia un modo per adoperarlo volontariamente, dovremo ancora capire se lo possiede per davvero, anche se è facile di sì, visto che è l'unica spiegazione al fatto”

Tacque, scacciando a forza il ricordo di quei brutti momenti al di fuori di sé, ma era impossibile. Milo la vide appoggiarsi allo schienale e serrare le palpebre, mentre, per la terza volta, si perse a guardarla. Myrto tramava; tremava senza possibilità di requie, l'intero corpo era scosso da brividi, quel corpo, snello e formoso al tempo stesso, che pure era stato toccato da mani impure, mani non sue.

Ancora le rammentava, le condizioni in cui l'aveva trovata, la paura sviscerale che l'aveva colto nel fissare la sua figura dismessa e stramazzata a terra. La rabbia lo riavvolse, spietata, prorompente, doveva esternarla in qualche modo, o sarebbe esploso.

“Che succede, Milo?” lo interrogò Myrto, posando la sua mano delicata sul suo palmo, prima di stringere le rispettive dita, come vinti da un arcano istinto. Il Cavaliere si ritrovò a girare il suo viso nella sua direzione, incrociando i propri occhi azzurrini con quelli di lei, profondi e scuri, mediterranei. Le parole mancavano ad entrambi; le azioni, i desideri erano invece chiari, ma entrambi si trattenevano, consci dei rispettivi doveri.

Tuttavia lo Scorpione voleva parlare, pertanto, sempre mantenendo lo sguardo su di lei, si costrinse a descrivere le sue sensazioni e paure in quei momenti bui.

“Myrto... quando sono venuto in casa da te, non trovando più Sonia, ho visto che la porta era aperta. Preso dalla paura, sono entrato senza esitare e... ti ho trovato lì, riversa a terra. E' come dici tu... avevo capito cosa ti avevano provato a fare. Per un istante addirittura pensai che lo avessero fatto...”

“Lo ben so...”

Non erano parole facili da pronunciare, non solo per lei, per quello che aveva vissuto, ma anche per lo stesso Milo.

“Ti ho visto... lì... mezza nuda, i vestiti dismessi, il sangue che ti colava dal volto e dal labbro, poi... quella macchia violacea sul tuo addome, che si espandeva sempre di più... - iniziò, tremando a sua volta – Io... io non ci ho più visto, non so come abbia fatto a... a razionalizzare il fatto che molto probabilmente avevi una lesione interna per le botte subite, non so come ho fatto a... a mantenere un barlume di raziocinio per salvarti... io proprio non so!”

“Ma lo hai fatto... lo avete fatto! Sono viva grazia a te e Sonia, solo per voi posso ancora parlare, respirare, camminare... ed è bellissimo questo!” lo provò a rincuorare lei, abbracciandolo teneramente.

“In verità... in verità c'è anche dell'altro! - riprese, procurandosi una occhiata allibita da parte di Myrto – Non riuscivo, e non riesco tutt'ora, ad accettare l'idea che qualcuno abbia provato a profanare il tuo corpo, che lo abbia martoriato, che abbia passato le sue luride e putride mani sulla tua pelle del colore dell'ambra. Non posso perdonarli, li riporterei in vita solo per ucciderli, ucciderli ancora!”

“Milo...”

“La verità, Myrto, è che tu mi piaci ancora da impazzire, ora ne ho la piena certezza!”

La giovane donna si irrigidì di botto nell'udire quell'ultima frase proferita in tono tremante, in poco più di uno spasimo. Il suo cuore perse un battito, mentre automaticamente ebbe l'impulso di scostarsi di un palmo dal robusto e confortevole corpo di Milo; gesto che le costò alquanto ma che si sforzò di compiere, come a rimarcare la distanza che avrebbe dovuto esserci tra loro. Avrebbe.

Forse lo aveva sempre saputo, che l'attrazione tra loro non era mai del tutto scemata ma solo ostracizzata in un qualche cupo angolo del loro corpo. Lo sapeva, come sapeva che non avrebbero mai e poi mai potuto stare insieme, appartenendo a due sfere del reale diverse. In tutta onestà, il Cavaliere, complice il suo ruolo, non avrebbe mai neanche dovuto provare i saporiti frutti dell'amore a causa di una legge, poi consuetudine, che i guerrieri di Atena, dea vergine, si erano trasmessi di generazione in generazione. Eppure per lei era caduto, vinto dalla passione che gli procurava il suo corpo e incuriosito, alla sua giovane età, di provare nuove esperienze. Per lei era stato uguale, anche se con un vissuto diverso. Myrto aveva sempre reputato il sesso qualcosa di molto naturale, in grado di unire in uno solo due corpi diversi e farli diventare un'unica carne. Non si era mai limitata, su quel versante, vivendo la propria sessualità senza vergognarsene. L'importante, questo sì, era essere chiari fin da subito, ovvero stabilire che al di là del gesto intenso e del momento intimo, non ci sarebbe stato altro fra loro. Questo accordo era riuscito con tutti i suoi pretendenti, che trovava belli e desiderabili ma interscambiabili a piacimento. Con tutti, tranne che con Milo. Milo era diverso.

Myrto si lasciò cadere, premendo sul fianco del ragazzo e poggiando la sua guancia contro la sua larga spalla. Già, Milo era sempre stato diverso. Per lui, fin dall'inizio della sua adolescenza, aveva provato qualcosa di intenso, qualcosa di più, quasi un'urgenza incommensurabile. Sapeva, in cuor suo, che era più piccolo di lei, ma la verità era che non sembrava affatto, pareva infatti di avere a che fare con un suo coetaneo in tutto e per tutto; sì, forse non ancora pienamente maturo, nonostante il suo ruolo, ma che importanza aveva?! Neanche lei si sentiva una donna fatta e finita, ancora le relazioni durature la spaventavano e, insieme, le creavano repulsione. Non sarebbe mai stata pronta per condividere stabilmente la propria vita con un uomo, amava la sua libertà più di ogni altra cosa, eppure... anche in quel caso Milo era una eccezione. Milo... ancora così giovane eppure con la mente e lo sguardo già protratti verso la fierezza tipica della maturità... Milo, ancora nel cuore un giovincello, ma con il volto e gli occhi già grandi, pieni, come di uomo nella totalità della sua forza. Essere Cavaliere davvero conferiva un qualcosa in più nei lineamenti, un qualcosa che aumentava la percezione dell'età. Nessuno, a vederli vicini, gli avrebbe dato così tanti anni di differenza, considerandoli invece come coetanei.

“M-Myrto... non so quanto posso resistere, se mi stai così vicino...” biascicò ad un tratto lo Scorpione, il basso ventre leggermente contratto per l'agitazione. La giovane donna percepì questo nei suoi occhi, un desiderio taciuto, una reminiscenza. Avrebbe dovuto fermarlo, questo era l'accordo, laddove uno dei due sarebbe stato sul punto di cedere l'altro avrebbe dovuto indirizzarlo, riportandolo alla calma, alla ragione. Avrebbe dovuto, sì, ma anche lei faticava a mantenere il controllo!

“Non può esserci nulla tra noi, lo sappiamo entrambi... per questo ci siamo fermati, non è così, Milo?” gli ricordò, apparentemente asettica.

“Lo so... per questo ti sto chiedendo di allontanarti!”

“Ma io... non riesco, anzi... non voglio neanche!” contestò lei, stringendo le mani. Anche lei cominciava a sentire una pulsione sottostante, una sensazione viscida, famigliare. Il suo corpo aveva già deciso per lei, ma era la sua mente ad opporsi, non soltanto per la promessa pattuita ma per una sorta di blocco che, si accorse, si era creato da un paio di giorni, malgrado lei tentasse di ribellarsi.

“Myrt...”

Ma la ragazza gli si appese al collo, fremendo visibilmente e chiudendo gli occhi di scatto. La sua presa aveva un qualcosa di disperato, come la sua stretta, più forte del normale. Milo sulle prime rimase immobile, ancora in cerca del controllo che, lo sentiva, stava perdendo, ma Myrto sembrava così diversa dalla solita decisa e caparbia Myrto, pertanto le posò una mano sulla schiena nel tentativo di rassicurarla.

“My-Myrto... mi stai mettendo davvero in difficoltà, così...” mormorò, mentre con le dita la accarezzava. La sua pelle era calda e morbida come la rammentava. Si accorse che le era mancato quel contatto che al contempo, lentamente, gli faceva perdere la propria lucidità.

“Milo... io... io, se solo tu fossi stato un ragazzo normale, avrei voluto, davvero, condividere la mia vita con te, e sei il solo con cui... con cui lo vorrei ardentemente... - gli disse, affondando il suo viso nella sua chioma ribelle – Invece... invece non è stato possibile e adesso... adesso mi sento come se... se fossi sporca, come mai ho percepito in vita mia!”

“Myrto, cosa stai...?”

“Mi sento come se mi avessero strappato qualcosa, anche se cerco di non darlo a vedere, ma... ci penso, Milo... penso a cosa volevano farmi quei due e immagino... immagino cosa possa essere successo! Grazie a Dio non ho ricordi miei a quel proposito, ma se non ci fosse stata Sonia, io... io...”

“Sssssshh... non ti agitare così e, se puoi, non pensarci. So che è difficile ma... tu sei sempre tu, non importa cosa ti abbiano provato a fare quei due, non sei tu ad essere lorda, ma le loro mani. Per cui... non pensare di non essere più te stessa, perché sei sempre tu e... e... ti ho amato, e ti amo tutt'ora, proprio per come sei, per il tuo carattere grintoso, per non arrenderti mai... proprio per questo non puoi permettere a loro, i tuoi incubi, di vincere!” la provò a rassicurare lui, massaggiandole la schiena con delicatezza. In verità avrebbe voluto fermarsi, ma l'attrazione che provava era troppo intensa... lei, il suo corpo, era così vicino... poteva saggiarne la concretezza. Le sue dita accarezzavo la sua pelle, tracciando una linea retta fino ad arrivare alle scapole, dove si soffermavano un secondo in più prima di ridiscendere fino al fondo schiena, in quelle due meravigliose fossette di Venere che lo mandavano in visibilio al solo sentirle palpabili sotto di sé. Ad ogni passaggio, il top si sollevava un po' di più, scoprendole sempre di più la schiena che automaticamente si incurvava in uno spasmo.

Milo di Scorpio seppe di star attraversando un confine pericolosissimo, una parte di lui glielo stava urlando nei timpani, ma non si fermò. Non poteva fermarsi, sebbene provasse una sorta di repulsione per i suoi gesti. Era vero, Myrto non si muoveva di lì, mantenendo la sua presa su di lui e fremendo ad ogni più leggero tocco. Sembrava così disperata, ma altresì non sembrava nemmeno disdegnare quel contatto, né le dita sempre più vogliose che premevano sempre di più, tuttavia Milo si sentì comunque un approfittatore. Le difese di Myrto erano abbassate, in fondo lei stessa, lo aveva ammesso, non aveva mai smesso di pensare a lui... perché quindi non spingerla a fare qualcosa in più? Perché non... non confortarla?

 

Milo... fermati! Fermati adesso. Sii Cavaliere di Atena, dimostra di saperti trattenere, non approfittare della sua debolezza, del suo essere così vulnerabile qui tra le tue braccia... Hai promesso, ricordi? Non saresti più cascato nei tuoi bassi istinti, men che meno in un momento simile!

 

“Milo... hai ragione, condivido il tuo stato. Anche io... anche io, in verità, non ho mai smesso di provare attrazione per te e anche io me ne sono resa conto nitidamente a causa di questa esperienza. Vorrei... vorrei... ma mi sento bloccata, non...” farfugliò ancora Myrto, mentre, sempre più guidata dall'istinto, premeva ancora di più conto il busto di lui, del tutto incapace di staccarsi.

“U-urgh... Myrto...” riuscì solo a biascicare il Cavaliere in un ultimo, disperato, tentativo di trattenersi. Tutto invano, il suo corpo agì per lui, trasmettendogli l'imput di sbrigliare quelle redini, difficoltosamente tenute a freno dalla ragione, che gli impedivano di dare libero sfogo alle sue pulsazioni.

Accadde tutto in pochi attimi, Milo lo avvertì appena, mentre, sfruttando la mole ben più prorompente, con un unico, subitaneo, movimento, sbatté Myrto sul divano, bloccandole immediatamente i polsi sopra alla testa prima di sormontarla con enfasi. Follia esitare ancora... tuttavia, e di nuovo, una nuova incognita riuscì a sbrogliare la sua ragione, facendolo tornare nuovamente in sé. Sbatté più volte le palpebre, costernato, come se, ancora, la ragione avesse preso il sopravvento. La voglia non era minimamente scemata ma qualcosa si era insinuato tra la sua foga animale e l'oggetto dei suoi desideri, mutando nuovamente la velocità del suo respiro. Ingoiò a vuoto nello stesso momento in cui, tracciando il profilo della ragazza con una mano, mentre con l'altra ancora le bloccava i polsi, scese lungo il braccio sinistro, compì un breve giro sul fianco, per poi fermarsi in prossimità dell'addome, accarezzandole con estrema dolcezza la zona lesa dai due farabutti.

“Per tutti gli dei... sono proprio una bestia! Ed io che pensavo di... di essere migliore di loro...” commentò, prostrato, socchiudendo le palpebre.

Il grosso ematoma che Myrto aveva ancora ben visibile, infatti, era riuscito a destabilizzarlo del tutto, ma non solo. Insieme a quel livido a forma di mezzaluna che la giovane donna si portava dietro da quel giorno, ben visibile in quanto il corto indumento di Myrto, già scomposto a seguito del passaggio della mano di Milo, era sollevato poco sotto il seno, c'era stato qualcos'altro in grado di bloccare i suoi propositi: il suo sguardo. La giovane donna infatti aveva occhi spauriti e ricolmi di terrore che sopperivano completamente tutto il resto. Stava lucrando sopra un trauma non ancora risanato, lo aveva fatto ben sapendo di non esserle indifferente... ignobile, semplicemente ignobile!

“M-Milo...”

Lo Scorpione riaprì gli occhi, intuendo il suo desiderio di avere libertà di movimento. Le liberò quindi un braccio, mordendosi il labbro inferiore e trattenendosi con tutte le sue forze, sebbene la situazione, sotto, fosse già tragica.

“Milo... va tutto bene... - lo provò a tranquillizzare lei, posando le dita sulla sua guancia. I suoi occhi erano pieni, così come le sue labbra – Va tutto bene, ma... ma ti chiedo di toglierti anche tu almeno la maglietta. Sai, mi mette un certo disagio pensare di essere già mezza nuda e di vederti vestito di tutto punto...” gli sorrise, cercando di essere più naturale possibile. In verità tremava, anche se non lo dava a vedere.

Milo eseguì la sua richiesta, docile, mentre la mano di lei frugava brevemente lungo la sua schiena, prima di passare tra i capelli ribelli e soffermarsi sugli addominali ben sviluppati. Quanto era bello il suo sguardo, così pregno di significato. Lo pensarono entrambi.

“Stai vibrando, Myrto... e non è per il piacere, non solo, almeno...” le fece notare il Cavaliere, affranto, posizionandosi perpendicolarmente al suo volto in modo da vederla nella sua interezza. Il bel addome di lei dava degli accenni di spasmi che il Cavaliere conosceva bene, ma questi erano ridimensionati nella postura difensiva che avevano assunto le sue gambe, come a volersi proteggere da una ingerenza esterna.

“Lo so... dannazione, se lo so! Ho provato a non cedere, Milo, ma... ma... è come se non riuscissi più a vivere la sessualità liberamente come facevo prima... neanche con te che... che mi sei sempre piaciuto! - tartagliò lei, vinta da quella sensazione per lei atipica – Scusami, ti prego, scusami... non credo di riuscirci... io non...”

“Ssssssssh! - sillabò lui, permettendosi di accarezzarle delicatamente il volto menomato con tutta la dolcezza che disponesse. Poi con lo sguardo scese più in giù, fermandosi a fissare di nuovo quell'orrendo ematoma che era ancora ben lungi da riassorbirsi – Posso? Non ti farò del male, te lo prometto!” chiese poi il permesso, dimostrando l'intenzione di tornare a toccare quella zona.

Lei annuì tiepidamente, sforzandosi di circondare il busto di lui con le gambe, giacché i polsi le erano stati di nuovo bloccati. Strinse quel corpo a sé, come se fosse l'ultimo appiglio.

Dal canto suo, Milo aveva il cervello ancora annebbiato, sapeva che non gli sarebbe passato che in un unico modo, ma lei non era ancora pronta a riceverlo, il trauma ancora ben vivo in lei. In quella situazione necessitava solo di delicatezza, non si sarebbe perdonato un altro passo falso.

Passò quindi le dita su lei, su quel versamento che per poco non l'aveva privata della vita. Cosa sarebbe successo se non fosse arrivato in tempo? Cosa le sarebbe accaduto se Sonia non fosse stata con lei? Scacciò in fretta quel pensiero mentre, con le dita dell'intensità di una piuma, compiva movimenti circolari sempre più larghi che ricalcavano lo sterno e il fianco. Il corpo di Myrto fremeva sempre di più, lo stesso respiro della ragazza era ora aritmico e le sue guance si erano tinte di rosso, eppure nei suoi occhi c'era sempre quell'ombra, malgrado tentasse di opporsi a tutti i costi. Quell'ombra non sarebbe certo passata in un'unica volta, ma lui avrebbe potuto, forse, scacciare quel buio, permettendole di tornare quella di sempre, la gioiosa ragazza sicura di sé... la sua Myrto!

Lentamente avvicinò il suo volto a lei, mentre, sempre con la mano destra, si insinuò sotto il top per poi metterle una mano sotto il mento, posizionandole garbatamente il volto in modo da percepire ancora più nitidamente il suo respiro sempre più intenso e frenetico. Non c'erano che pochi centimetri di distanza tra i loro visi, poteva sentirla sempre di più, così concreta, così carnale... c'era da aggiungere ancora una cosa prima di unire in un tutt'uno le labbra e di perdere coscienza di sé, affogando nell'altro in un gesto ancora più intimo che l'amplesso stesso:

“Myrto... ti giuro che non permetterò più a nessuno di toccarti contro la tua volontà, A NESSUNO! - disse, deciso, accostando ancora di più le labbra alle sue, i loro respiri sempre più frenetici si confondevano l'un 'altro, ormai – Vedrai... ti farò rammentare nuovamente quanto bello sia amare ed essere amati. Non sei più sola, i briganti non sono che un brutto ricordo, ci sono io qui con te adesso!” concluse, socchiudendo le labbra per riuscire ad entrare più agevolmente in lei.

Myrto non rispose e non si ribellò minimamente, anzi dischiuse a sua volta le labbra per approfondire il bacio ed entrare in risonanza con la lingua della persona che sentiva di amare come nessun altro. Però tremava ancora, quella velata paura che continuava a roderla. Non era più sola, si ripeté, arpionando le mani che la bloccavano. Non era più sola, ne era ormai convinta, eppure una tacita lacrima le solcò la gote; lacrima che Milo, liberandola dalla presa per permetterle così di partire alla nuova esplorazione del suo corpo, si affrettò ad asciugarle con la punta dell'indice, poco prima di chiudere completamente gli occhi per assaporare quell'attimo di pura vita.

 

 

* * *

 

Milo dormiva profondamente sul divano con espressione beata, in quello che, comunemente nel linguaggio di tutti i giorni, si chiamava il 'sonno dei giusti'. Myrto sorrise tra sé e sé, coprendo lui e la piccola Sonia con un lenzuolo leggero. La Grecia era assai calda in quella stagione, ma aveva aperto tutte le finestre per fa passare un po' d'aria, e il rischio di prendere gli spifferi e quindi un malanno era dietro l'angolo. Ovviamente Milo dormiva profondamente, non si era accorto dell'arrivo della bambina che zitta zitta, quatta quatta, gli era salita in grembo per poi sdraiarsi sulla sua pancia in cerca di un nuovo contatto. Myrto non aveva detto nulla, limitandosi ad accarezzare la testolina della piccola fintanto che il suo respiro non si era fatto più ritmico e intenso. Aveva probabilmente capito cosa era successo tra loro, ma non aveva detto niente, desiderando solamente recuperare quel rapporto che si era incrinato. La giovane donna la guardò dolcemente, dandole un leggero bacio sulle guance, poco prima di alzarsi e tornare alle sue faccende.

Poco tempo dopo, anche Milo cominciò lentamente a ridestarsi, fiacco. Non era facile abbandonare le dolci braccia di Morfeo, non dopo un sonno che avvertiva ristoratore come mai da un po' di tempo, eppure percepiva qualcosa premergli sullo stomaco. Automaticamente tasto la zona, avvertendo, grazia all'ausilio del tatto, un qualcosa di rassomigliante ad un corpo umano in miniatura. Si riscosse, alzando un poco il collo, nello stesso momento in cui anche la piccola Sonia, svegliata da quel contatto, sbadigliava pigramente, aprendo pigramente un occhio. Milo non riusciva a crederci e stette inebetito a fissarla con le fauci spalancate e le pupille azzurrine contratte in un tacito singulto di sorpresa.

Kaliméra, Milo!” lo salutò lei, non incrociando tuttavia il suo sguardo. Si sentiva tremendamente in colpa e aveva una paura folle che lui non volesse avere più nulla a che fare con una bambina ingrata come lei, per questo tremò appena.

“S-Sonia?” balbettò Milo, non riuscendo a crederci, l'avrebbe voluta toccare, abbracciare, ma visto la reazione più che giustificata della piccola, temeva di fare un altro passo falso. L'ennesimo.

Sonia annui meccanicamente, cingendo le manine su di lui. In verità, essendo a petto nudo, non c'era nulla a cui aggrapparsi ma si sentiva nitidamente il calore di quella pelle di fuoco un poco salina. La piccola si voltò ancora, vergognandosi, ma decise comunque di impuntarsi a parlare per fargli una sorta di confessione.

“Sonia ha pensato... - parlare in terza persona le infondeva coraggio – che Milo ce l'avesse con lei perché si è comportata molto male nei suoi confronti... per questo non ha avuto il coraggio di svegliarti!”

“Ma no! Cosa dici mai?”

“C-ce l'hai con me, Milo? Avresti le ragioni per non volermi più vedere in faccia!”

Sonia sembrava sul punto di piangere, al Cavaliere venne un moto di tenerezza più intenso del solito nello scorgere quella creaturina apparentemente così fragile. Decise di rispondere con un'altra domanda.

“Dimmi tu piuttosto... hai ancora... paura... di me?”

Sonia negò col capo.

“Ma hai avuto tanta paura quando ho infierito così tanto con loro, vero?”

Stavolta Sonia annuì, cupa.

“E allora non dovresti essere tu a vergognarti del tuo comportamento... sei un bimba coraggiosa, ma chiunque sarebbe rimasto sconvolto se avesse assistito al mio operato – prese un profondo respiro – Non sono io ad avere mille e più ragioni per non volerti parlare, bensì tu ad averne altrettante per essere spaventata da me. Sei ancora spaventata, piccoletta? Lo capirei se così fosse...”

Stavolta lo sguardo di Sonia saettò nei suoi occhi: non voleva che si addossasse la colpa quando aveva agito solo per il suo bene.

“Ma Myrto ha detto che qualunque scorpione farebbe così... mi ha anche detto che le neo-mamme si portano dietro i piccolini sul dorso fino alla prima muta e sono disposte a tutto per difendere ciò che è più caro per loro... - iniziò la bimba, torturandosi le dita – Tu hai fatto lo stesso. Per difendere me, avresti usato ogni più piccola parte del tuo corpo per proteggermi ed io ti ho ferito a parole. Sono spregevole!” si lamentò lei, mentre le lacrime cominciarono a sgorgare dai suoi occhietti insolitamente bui. Milo non riuscì più a resisterle...

“Oh, Sonia!” la chiamò, trovando finalmente la forza per abbracciarla con tutta l'intensità di cui disponesse. La piccola non si ritrasse, anzi strinse con foga alcuni ciuffi dei suoi capelli ribelli.

“Milo... Milo perdonami, sono stata cattiva!”

“Non dirlo neanche per scherzo! Avrei dovuto io controllarmi in tua presenza, ma non ce l'ho fatta, non potevo farcela nel vedere le condizioni in cui tu e Myrto eravate ridotte! - provò a spiegare lo Scorpione – E comunque è proprio così, farei di tutto per proteggervi, perché siete la mia famiglia, il bene più prezioso che ho!”

Dagli occhi di Sonia continuavano a sgorgare lacrime, mentre la piccola, affondando i singhiozzi dentro di sé, desiderò non staccarsi più da quel luogo sicuro.

“Milo, ora che ti ho ritrovato posso stare un po' tra le tue braccia? Ho bisogno di... di percepirti...” disse a fatica, apparendo disperata.

“Certo, piccoletta... qualunque cosa accada, non importa gli anni che trascorreranno da ora in avanti, potrai sempre rifugiarti qui! - affermò Milo, sorridendo teneramente, accennando alle sue ampie e muscolose braccia che sembravano accarezzare il cielo – Sei insostituibile, Sonia, e... grazie... grazie per avermi accettato di nuovo, nonostante il mio terribile potere!”

La piccola non disse niente ma chiuse gli occhi, assaporando quel tenero gesto di affetto con tutta sé stessa. Non si sarebbe più staccata, il resto perdeva importanza.

Myrto, rimasta in disparte fino a quel momento, si avvicinò piano piano a loro, sorridendo con dolcezza. Si sentiva finalmente distesa e rassicurata come non si era mai sentita dal fattaccio. Era sollevata da vederli lì al suo fianco, vivi. Stavano tutti bene, solo questo contava!

“Myrto!!!” la chiamò vivace Sonia, andandole appresso per abbracciarla con foga. Milo le sorrise con dolcezza, permettendosi, un'altra volta, di contemplarla. Si era cambiata di vestiti, indossando una maglia corta e attillata che le arrivava poco sopra l'ombelico e dei pantaloni corti di jeans. In qualunque salsa si palesasse, era uno spettacolo, il più bello che lo Scorpione avesse mai visto.

“Myrto! Myrto! - attirò l'attenzione su d sé Sonia – Anche tu rimarrai sempre con me, vero?”

“S- Sonia... io...”

“Anche tu fai parte della mia famiglia! - asserì la piccola, cingendole il busto con forza – E poi... e poi... tu e Milo vi volete molto bene, non è così? Per questo potete diventare un'unica carne!”

La frase apparentemente innocente, fece scattare immediatamente i due, che imporporano istantaneamente, colti in fallo. Le mani di Myrto stringevano ancora la piccola, ma diede una occhiata ricca di significato al suo compagno, il quale, indicandosi con un dito, come a dire “devo farlo proprio io?!” sgranò gli occhi, coprendosi per istinto il corpo che -si ricordò solo in quel momento- era nudo ad eccezione dei boxer.

“Milo... sei come un padre per lei, devi essere tu a...”

“Se io sono il padre tu sei la madre! Non sono discorsi che, in genere, vengono trattati dalla mammina?! Vai, mia signora!”

“COSA?!? No, proprio no...”

Sonia intanto si mise a ridere rumorosamente, sbucando dagli anfratti del petto di Myrto con espressione sorniona.

“Guardate che so già cosa succede quando due persone si vogliono tanto tanto bene...” li avvisò, furbetta.

“Cosa? Ma hai solo 10 anni, Sonia!”

Milo era incredulo, assolutamente adorabile vederlo così.

“E voi vi volete tanto bene, lo so, si vede!”

“Uh... ehm... - prese tempo lo Scorpione, grattandosi la testa – S-Sonia, non è come tu pensi, in verità non siamo arrivati fino in fondo...”

“E perché no?”

La piccola sembrava delusa da quella affermazione, per la prima volta ebbe paura di non averci visto giusto, forse Milo e Myrto non si volevano bene in quel senso ma in un altro, il che poteva significare che non erano una famiglia.

Milo, dal canto suo, non sapeva minimamente come comportarsi. Parlare significava invadere la sfera privata di Myrto, un compito non suo, eppure la bambina non avrebbe mollato l'osso, la conosceva bene. Fortunatamente fu la giovane donna a prendere parola.

“Sonia, ascoltami...” cominciò, sollevando un poco la bambina per sistemarla meglio sulle ginocchia. La piccola focalizzò totalmente l'attenzione su di lei.

“E' come dici tu... io voglio molto bene a Milo! Nel linguaggio comunque significa amarlo, forse puoi capire cosa possa significare...”

Sonia annuì, prontissima.

“Sì, lo so! Lo so! Io amo Camus!”

“Ecco, e allora puoi capire... Amare significa avvertire l'anima dell'altro e desiderare il suo bene sopra ogni cosa, per questo che, come dici tu, le persone finiscono per voler diventare un'unica carne – spiegò slanciata lei, pratica – Ma io... sebbene abbia già provato questo con Milo in passato, non sono ancora pronta in questo momento per arrivare a quel punto. Lui lo ha capito e ha rispettato la mia scelta, per questo ci siamo fatti solo le.... mmm, come posso dire? Coccole!”

“Le coccole? Come i piccioni che si danno i bacini con il becco?”

“E-ecco, sì, più o meno!”

“Ho capito, ma... perché non sei pronta, Myrto? E' per quello che volevano fare quei due brutti ceffi, per questo tu...?”

Fu il turno di Milo di intervenire nella disputa, desiderando aiutare l'amica.

“E' per quel motivo, sì! Quei due maledetti... - li definì digrignando i denti – le hanno fatto un tale male che ci vorrà tempo perché il suo trauma si riassorba, per questo non era pronta!”

Sonia era molto dispiaciuta. Aveva capito le intenzioni dei due banditi solo guardandoli, c'era qualcosa di sporco nel modo in cui la avevano toccata, l'istinto l'aveva messa in guardia prima della ragione... e aveva visto giusto!

Anche lei, al solo pensiero, provò una subitanea rabbia. Le si avvinghiò quindi al busto con forza per farle sentire la sua vicinanza, voleva aiutarla.

“Ho capito, Myrto, ho capito! Non ti accadrà più niente da ora in avanti, te lo prometto! Ci saremo Milo ed io a proteggerti!” affermò con decisione, risultando parecchio convincente.

Myrto la guardò, sorpresa per un solo attimo, poi le cinse il corpicino, affondando il suo viso nei suoi capelli.

“Lo so, Sonia, lo so... tu e Milo siete i miei eroi. Mi avete salvato una volta... non ho alcun motivo per temere il futuro!” le sussurrò all'orecchio, sinceramente emozionata.

All'udire quella parola un poco altisonante, 'eroi', un sorriso amaro invase le labbra di Milo, riportandolo brutalmente alla realtà. La bellissima serata passata con Myrto, la riconciliazione con Sonia, gli avevano fatto sfuggir di mente la dolente nota della spiegazione del suo ruolo di devoto ad Atena e delle conseguenze che ciò comportava. Pertanto prese un profondo respiro e si apprestò a raccontare.

“S-Sonia, io...”

“Lo so, mi devi dire cosa significhi essere Cavaliere di Atena, vero?”

Diavolo, l'intuito della piccola riusciva a destabilizzarlo del tutto, era davvero troppo sveglia e pronta per avere solo dieci anni, i suoi modi pratici e diretti lo mettevano in difficoltà. Automaticamente squadrò Myrto, la quale annuì con la testa, un poco rattristata, confermando i dubbi di Milo.

“Sì, le ho accennato qualcosa, ma penso lo voglia sentire dalla tua bocca!”

Sonia intanto, ancora tra le braccia della giovane donna, si appoggiò stancamente al suo busto in modo da scorgere Milo negli occhi, le manine erano tenute in grembo, fiacche, la stessa Myrto non smetteva di toccargliele per farle forza. Aveva paura. Se quello accennato da Milo fosse stato completamente vero, poteva significare solo il rischio e il concreto timore di poter perdere il suo amico, e tutore, da un momento all'altro. In cuor suo non voleva sentire, ma l'alternativa non sussisteva.

“Sì, Camus ed io siamo Cavalieri di Atena, la dea guerriera che combatte per la pace del nostro mondo... apparteniamo alla sua cerchia più ristretta: i dorati custodi!” annui gravemente lo Scorpione, affranto. Non era mai stato sagace quanto il suo migliore amico, né dotato di una conoscenza pressoché infinita come Mu, Shaka e l'Anziano Maestro, ma una cosa gli riusciva bene, ovvero capire gli altri al volo. E seppe, Milo di Scorpio, solo guardando la sua pupilla, che i suoi battiti cardiaci erano aumentati, trasmettendole una fitta dolorosa al petto.

Senza riprendere fiato, desideroso di liberare tutta la cocente verità in un battito ci ciglia, si mise a spiegare brevemente della differenza dei ranghi, dei poteri suoi e dei compagni Cavalieri e delle missioni che lo costringevano ad allontanarsi controvoglia da lì. Non si risparmiò. La verità era stata scoperta, tanto valeva renderla chiara. Tralasciò solo, come da promessa, il fatto di dirle che lei era addirittura sorella di due di loro. Tuttavia accennò qualcosa sul cosmo degli esseri viventi.

“Sonia... tutti possiedono un cosmo, ma solo in alcuni e sviluppato. Tu possiedi questa scintilla, ma ascoltami bene, non usarla e non tentare di ammansirla, voglio che tu rimanga fuori da questa situazione, intesi?”

La piccola non sembrava molto convinta, perché inarcò subito un sopracciglio, scettica, chiedendo delucidazioni sul motivo di quella scelta.

“Perché invischiarti in tutto questo metterebbe in pericolo la tua vita, ed io non voglio che ciò accada!”

“Ma se perfezionassi questo cosiddetto cosmo potrei esserti d'aiuto, non è così, Milo? E anche se dovesse succedere qualcosa a Myrto, io...”

“NO! - gli era uscito un tono più rude del solito, se ne pentì istantaneamente – No, Sonia... Il Santuario ha già i suoi bei polli da spennare, ha già rovinato la vita a molti, non permetterò che lo faccia anche con te. Perdonami... non ti insegnerò nulla sul Cosmo!” sancì, dolente, stringendo i pugni.

“Ho... ho capito, Milo...”

Sonia sembrava nuovamente sul punto di piangere, Milo le accarezzò una guancia nel tentativo di alleviare quella sensazione straziante.

“Cosa c'è, piccoletta? Ho promesso che non vi succederà più niente, non devi avere paura! - le disse, avvicinandosi al Myrto prima di vezzeggiare anche il suo volto, ancora martoriato – Il Santuario mi ha strappato da una vita normale, l'ho accettato, ormai, ma non gli lascerò mettere in pericolo anche voi, giammai!” esclamò con enfasi, fremendo.

A quel punto Sonia decise di andare al punto più dolente di tutti.

“M-Milo... significa che per questa Atena tu rischi la vita ogni volta, vero? Fino ad ora ti è andata sempre bene, ma... ma cosa succederà se dovessi rimanere ferito, o peggio, ucciso?!? Perché... perché è questo il rischio, vero?!”

Né Myrto né Milo ebbero il coraggio di controbattere. Di fatto, una conferma.

“Lo intuivo... Milo... Milo, io non voglio che tu continui a rischiare di morire... NON VOGLIO!”

“Devo purtroppo... qualcuno deve difendere i più deboli!”

“Anche io sono debole, che ne sarà quindi di me se a te dovesse succedere qualcosa?!?”

“Non succederà niente, te lo...”

Ma si arrestò, rendendosi conto di non poter promettere una simile cosa. Il futuro era misterioso per tutti, ma per i Cavalieri di Atena era persino più incerto che per le persone comuni. Non aveva nulla da promettere, solo sperare... sperare di non mettere la piccolina e la donna amata in una simile situazione.

“Ma se dovesse succedere, cosa farò? Oh, Milo...”

“Piccola, asciugati gli occhi, so quanto sei forte, cerca di esserlo anche adesso e ascoltami, perché è molto importante quello che ti sto per dire...”

Sonia annuì, rigettando a forza le lacrime e asciugandosi gli occhi con le dita. Rossi, erano profondamente rossi e lucidi, Milo si rese conto che avrebbe ribaltato il mondo per lei, anzi per loro... già, lo avrebbe completamente sconquassato per aver qualcosa di certo tra le mani e quindi promettere che non le avrebbe mai lasciate.

“Ascoltami... io non posso assicurarti che sarò sempre fisicamente qui, ma guarda Myrto, guardala! Lei è forte e determinata, so per certo che, se mi dovesse succedere qualcosa, ci sarà lei a prendersi cura di te!” affermò, cercando il sostegno dello sguardo della compagna.

“Milo... ma cosa?” farfugliò lei, gli occhi lucidi e provati.

“Lo farai, vero?” chiese conferma, quasi supplicandola.

“Certo che lo farò, ma non fare simili discorsi, non hai che ancora sedici anni, mi spaventi! Atena è dalla vostra parte, no? Non permetterà che i sui Cavalieri muoiano invano, non è forse così?!”

Stava cercando un appiglio; un appiglio che lo stesso Milo non poteva offrire, sorrise amaramente, accarezzandole nuovamente il volto con le dita. Non disse nulla.

Era assurdo come i sentimenti giocassero un brutto tiro per il fragile cuore degli esseri umani, Camus, a conti fatti, aveva proprio ragione ad esorcizzarli, il Cavaliere di Scorpio se ne rese conto. I sentimenti per la divinità rendevano potenti e inarrestabili come non mai, perché erano rivolti ad un ideale, ad un qualcosa di tremendamente aleatorio, abbracciarli significava essere invincibili. Ma i sentimenti per i proprio cari, quelli no, erano un'arma a doppio taglio non da poco. Non vi era nulla che indeboliva più di quelli, nulla, perché per essi un uomo avrebbe perso completamente sé stesso pur di salvaguardare i propri affetti.

“Siete la mia famiglia... qualunque cosa accada questo non cambierà mai!” disse solo, avvolgendole in un tenero, quanto disperato, abbraccio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Eccomi in pauroso ritardo, chiedo venia. Dunque, stavolta sarò più sintetica possibile perché il capitolo è già lungo di suo. Detta in tutta sincerità, è la prima volta che mi cimento in scene simili, spero di averle rese idonee ad un raiting arancione. Quando iniziai questa serie nel 2011 non avevo che 17 anni e quindi proprio non me la sentivo di tentare questo approccio, ma crescendo ho cominciato a desiderare di descrivere anche questo, spero vi possa piacere! ^_^

Come ho già accennato, mi sono affezionata tantissimo a Myrto e ho voluto tratteggiare una scena che potrebbe ricordare quella tipica famigliare, malgrado le giovani età dei protagonisti, io personalmente sono molto contenta!

Prossimo capitolo, vi anticipo, si andrà in Siberia a trovare il nostro Camus ( si vede che ho un debole per lui, vero?) e gli allievi, per poi tornare nuovamente a Milos e proseguire con la crescita di Sonia. Non tutti gli anni che racconterò avranno così tanti capitoli come questo, tranquilli!

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Capitolo 8
*** Dubbi e doveri, l'eterno conflitto ***


CAPITOLO 8: DUBBI E DOVERI, L'ETERNO CONFLITTO

 

 

Siberia dell'Est, settembre 2006

 

 

Guardava i suoi ragazzi allenarsi, come ormai era solito fare, appoggiato con le spalle alla parete del ghiaccio eterno. In viso aveva un'espressione compiaciuta che però lasciava trasparire appena, come di consueto. Sia Hyoga che soprattutto Isaac davano delle enormi soddisfazioni e gli riempivano il cuore di orgoglio. Crescevano, si rafforzavano, e il loro carattere era sempre più formato, rispecchiando in parte i futuri adulti che sarebbero diventati; parimenti aumentava anche la paura, assai simile a quella di un genitore, a dispetto della giovane età del Cavaliere dell'Acquario.

Camus la poteva avvertire serpeggiare dentro di sé, anche se cercava di reprimerla con tutte le forze, ma Lei c'era, spietatamente lo avvolgeva, oscurando, almeno in parte, la luce che scaturiva dal vedere i suoi bambini diventare, passo per passo, adulti.

Isaac era la sua punta di diamante. Lui, così affine alla sua essenza, che seguiva il maestro pedissequamente imitandolo in tutto e per tutto. Non gli aveva mai dato motivi di preoccupazione da quanto sembrava adatto a diventare Cavaliere fin dal principio del loro incontro. Era conscio delle ragioni che spingevano il piccolo a voler ambire alla carica di difensore della giustizia e le appoggiava, anche se, per assurgere a quel ruolo, gli sarebbe servito esercitare ancora di più il controllo e il distacco, cosa che effettivamente aveva ancora difficoltà a fare, quando usciva l'argomento. Era stato il primo allievo; il primo allievo in grado di incrinare la coltre di ghiaccio del suo cuore e riuscire a penetrare un po' al suo interno. Il primo, già... il primo che aveva avuto forze sufficienti per restare, sopravvivere e camminare al suo fianco, con quegli occhietti verdi e vivaci che ogni volta che incrociavano i suoi, blu, sprizzavano gioia e devozione come non mai. Quella luce era sacra e aveva permesso a Camus, dopo i primi mesi di prudente distacco, di sciogliere la riserva e approcciarsi più genuinamente a lui, permettendosi di provare affetto per quel bambino determinato che lo seguiva in tutto e per tutto. Eppure... ultimamente persino Isaac destava qualche preoccupazione. Non era che una piccolissima cellula, dentro di lui, ma c'era e sembrava crescere di giorno in giorno, diventando un insieme di molecole sempre più grosse di qualcosa di oscuro e buio. Una rabbia sempre maggiore prendeva possesso del piccolo, Camus lo poteva percepire e, lo sapeva, avrebbe dovuto porvi rimedio il più in fretta possibile.

La stessa oscurità non era invece presente in Hyoga, candido e puro come il fiume di ghiaccio da cui aveva ereditato il nome. Non c'era malvagità in lui, tutt'altro, ma non per questo era meno preoccupante. Camus era conscio anche del suo, di passato, come delle ragioni che lo spingevano a diventare Cavaliere, ed erano motivazioni infantili e assurde anche se capibili; capibili sì, se si fosse trattato di un bambino normale precocemente strappato dalle braccia della propria madre, ma siccome Hyoga avrebbe dovuto diventare un difensore della giustizia, quelle ragioni non potevano in alcun modo essere valide. Non vi era, nel piccolo dagli occhi azzurri, nessun desiderio di una pace perpetua, né una immensa sete di giustizia, che già Isaac invece aveva e dimostrava ampiamente, no, in lui vi era solo il desiderio puerile di recuperare il corpo della madre morta nel mare della Siberia dell'Est diversi anni prima, null'altro. Troppo poco... era troppo poco persino per sopravvivere, figurarsi salvare il mondo dai maligni. Sempre più spesso Camus desiderava eliminare quell'unico punto debole del piccolo per fare in modo che potesse finalmente spiccare il volo privo di impedimenti, perché il potenziale ce lo aveva, e anche tanto, forse più dello stesso Isaac, forse persino più dello stesso Camus. Ma una pietra grezza non elaborata era destinata a rimanere eternamente un comunissimo ciottolo, per questa cagione il Cavaliere dell'Acquario si torturava psicologicamente per capire come aiutare il giovane Hyoga a rinascere a nuova vita, peraltro non riuscendoci ancora. Per il momento, non poteva fare a meno di esortare il bambino a non cedere alla sofferenza e alla fatica proprio in virtù di sua madre. Era il desiderio di vedere la madre che lo spronava, ed era l'espediente che utilizzava lo stesso Camus per incoraggiarlo nei momenti di difficoltà; un espediente che non gli piaceva affatto, ma funzionava e, per il momento, solo quello importava.

C'era anche altro che preoccupava Camus, qualcosa di ancora lontano ma potenzialmente vicino: la situazione al Santuario di Atene, in Grecia. I dubbi che, un poco timidamente aveva accennato anche a Milo stavano prendendo sempre più piede, incrementando, invece che sopperire, la sensazione di estraneità che già nutriva per il Grande Sacerdote. Qualcosa non tornava, fatti sempre più inconsueti ed oscuri capitavano, facendolo dubitare della sua fedeltà. Il Santuario sembrava sempre più un covo di spietati assassini, più che il luogo ultimo in cui veniva garantita la giustizia, l'atmosfera che si respirava là era ormai inconciliabile con i suoi ideali. Per la prima volta dopo tanto tempo, Camus fu ben lieto di essere lontano da quel ricovero di pazzi, anche se questo significava essere lontano dal suo migliore amico e dalla piccola Sonia, conosciuta da poco ma genuinamente affezionato a lei, quasi senza accorgersene, un po' come un granello di sabbia che, senza che la volontà ne avesse preso parte, entrava nell'occhio di soppiatto per poi rimanerci. Una volta dentro era ben difficile da togliere, ma non era comunque una sensazione spiacevole, anzi, si accorse che le mancava, che avrebbe avuto piacere a rivederla. Era in assoluto la prima volta che gli capitava, la prima in cui si affezionava così genuinamente ad una persona senza prima aver almeno provato a prendere le debite distanze. Si disse che ciò era causato dal suo passato, dal fatto di sapere di avere una sorella lontana e all'incirca della stessa età della piccola. Non l'avrebbe mai vista crescere, per quel motivo, solo per quello, si era approcciato così a lei... già, doveva essere solo per quello!

In quei mesi di lontananza, non poche erano state le volte in cui il sacro custode della Giara del Tesoro era stato chiamato al tempio per incombenze e urgenze -altro motivo per cui i suoi dubbi erano così loquaci dentro di lui- aveva visto Milo più volte, ma non c'era quasi mai stato il tempo per parlare tra loro, dovendo l'Acquario tornare il più in fretta possibile dagli allievi. Non c'era stato quindi tempo per rivedere Sonia. A parte qualche volta imbarazzante al telefono, non aveva neanche avuto più occasione di discorrere con lei, ma non gli sarebbe affatto dispiaciuto avere un po' di tempo da trascorrere con loro, SOPRATTUTTO parlare schiettamente a Milo e a... Myrto.

Camus sbuffò sonoramente nel pensare a quei due, mentre una velata sensazione di urgenza lo spingeva a desiderare di mettere le cose in chiaro, con entrambi, ma per farlo ci sarebbe voluto tempo, e il tempo, con due allevi in apprendistato, latitava.

Comunque doveva fare qualcosa, era certo, prima che quei due si assuefacessero reciprocamente più di quanto non avessero già fatto quell'estate. Sbuffò ancora una volta, nel pensare all'ultimo, fugace, dialogo che aveva avuto con Milo quell'agosto.

 

Era appena finito l'ultimo raduno dei Cavalieri d'Oro, al solito Mu mancava, volontariamente esiliato in Jamir, e anche lo stesso Dohko, adducendo come scusa l'anzianità e il non poter allontanarsi dai picchi di Goro-oh. Sempre come al solito, neanche il Cavaliere di Gemini si era palesato, cosa che indirizzava i dubbi dell'Acquario proprio su di lui.

Camus aveva già in testa gli allievi in Siberia, quando Milo, con la consueta espressione da cane bastonato tipica di quando aveva combinato qualche casino, si approcciò a lui con muso basso e coda -metaforica- tra le gambe.

So che hai molto da fare, Mago dell'Acqua e del Ghiaccio, ma ti chiedo solo cinque minuti del tuo tempo, poi sei libero di tornare alle tue faccende...”

Quell'appellativo, quel tono, quello sguardo da bambino che aveva rubato la caramella all'adulto, misero l'Acquario già in allerta, il quale, sospirando come si fa con i fanciulli testardi, lo accontentò placido, scegliendo l'undicesima casa come luogo della confessione. Ovviamente, prima di parlare, aspettarono entrambi che tutti i loro compagni delle case inferiori fossero scesi nelle loro rispettive dimore, la prudenza non era mai troppa...

Coraggio, Milo, dimmi pur...”

Ci sono ricascato!”

Frase strozzata e detta di getto. Camus comprese subito a cosa si riferisse, pertanto si posò teatralmente una mano tra i capelli, chiudendo gli occhi in cerca delle parole da dire. Un rimprovero sarebbe stato inutile, Milo non era più un infante, le regole le conosceva, ma non poteva neanche dargli una pacca sulla spalla e sorridere raggiante dicendo: “Grande, fratello, te la sei scelta magnificamente!”, perché lo avrebbe potuto fare qualsiasi ragazzo normale verso il proprio migliore amico, non lui, men che meno visto i ruoli da Cavaliere d'Oro, coloro che, in linea generale avrebbero dovuto dare l'esempio ai coscritti.

Milo... è inutile che ti ripeta che... non lo possiamo fare, vero? Non sei più un bambino, anche se a volte sembri più immaturo di Isaac! – decise comunque di fargli notare, riaprendo gli occhi – Per Atena, Milo, potevo capirlo a 14 anni in piena fase ormonale, non ora che ne hai quasi 17!”

Sono ancora in fase ormonale...” pigolò l'altro, prostrato.

Perfetto!”

Mmmm, Camus, tu non puoi capire... la amo, la amo con tutto me stesso! Il suo corpo, da solo, è in grado di farmi fremere e produrre una reazione... mmm, mmm, come posso dire? Mi capisci? Là sotto, sì sotto!”

Milo!!!Ho capito, ho capito, censurati e raffredda i tuoi bollenti spiriti!” lo fermò, cercando di evitare che il disagio, già ben pungente in lui, si trasformasse in vero e proprio imbarazzo.

Ma l'altro continuava, del tutto trasognato.

I-il suo corpo è... è così abbronzato, la sua pelle così delicata e... e il suo ombelico, cosa non è il suo...”

Miloooooo!!!”

Lo Scorpione si riprese, sussultando al suono di quell'ultimo avvertimento esclamato da Camus e che significava che stava superando il limite.

Lo abbiamo fatto, Cam... abbiamo fatto l'amore!” concluse, arrossendo suo malgrado.

Ah, sì? Non me l'ero ancora data, sai? Grazie per l'illuminazione!” ironizzò l'Acquario, tossicchiando leggermente e discostando lo sguardo. Poco dopo però tornò a guardarlo, addolcendo un pelo l'espressione.

Quando è successo?” chiese, cauto.

Dopo l'affare dei banditi... ci siamo riavvicinati molto e... beh, all'inizio non era pronta, abbiamo fatto... altro... ma poi, ad inizio agosto, è successo... è stato bellissimo, cioè... il mio cuore stava per esplodere!”

Bene... cioè bene, si fa per dire... non ti chiederò se è stato un episodio fortuito, perché, da quel che intuisco, state continuando, vero?”

Milo annuì solamente, tornando a fissarsi i piedi, quel dannato Camus lo riusciva a leggere dentro, non poteva in alcun modo celarsi a lui, a tutti ma non da lui.

Milo... nonostante la tua tempesta ormonale, ti invito a riflettere: vuoi davvero ciò per lei? Sei un guerriero di Atena, tralascia che non potresti proprio avere relazioni carnali, ma... li percepisci i rischi? Possiamo morire domani, non possiamo permettere che gente esterna alla nostra cerchia sia intessuta nelle nostre vicende. E' vero, Myrto è sul limitare dei due mondi, ma rimane il fatto che se succede qualcosa a te, qualunque cosa, e si scopre che lei ti ama, non esiteranno a rivendicarsi anche su di lei. La stai mettendo a rischio, amico!”

Io so solo che voglio proteggerla, come voglio proteggere Sonia... non c'è nulla di male in questo, vero? Noi guerrieri di Atena difendiamo i deboli dai soprusi, perché dovrebbe essere sbagliato?! Non permetterò che le accada più niente, né a lei né alla piccola!” ribatté Milo, determinato come non mai. Non c'era nulla da fare, cocciuto come un mulo. Camus sospirò, consapevole di doversene andare il più in fretta possibile perché altrimenti la sua presenza lì sarebbe risultata sospetta, visto l'aria di diffidenza che si percepiva anche tra parigrado. Nessuno si fidava più di qualcuno, la concordia e l'affetto reciproco che li aveva uniti in fanciullezza sembrava ormai disintegrato, con poche eccezioni, come il loro caso.

Milo, io... ora devo andare, lo sai, ma ti prometto che rifaremo questo discorso non appena mi sarà possibile restare per più tempo qui in Grecia. Fino ad allora, cerca di esercitare un po' più di autocontrollo, amico mio!”

 

Già, non era davvero male essere costretto a rimanere lì in Siberia dell'Est, gli permetteva di razionalizzare meglio il suo pensiero e i suoi eterni dubbi, anche se la distanza di Milo gli pesava alquanto. Ma sarebbe tornato, prima o poi, una volta scelto il nuovo Cavaliere del Cigno. Per il momento doveva solo resistere, resistere e resistere, e lo stesso compito spettava al suo migliore amico. Si sarebbero riuniti e avrebbero combattuto insieme, come fratelli.

Scrollandosi di dosso quegli ultimi pensieri malinconici, rizzò la schiena, tornando a concentrarsi sui due giovani allievi e sul sole che stava calando. Le giornate si accorciavano sempre di più e si presagiva l'avvento di una tempesta, meglio fermare gli allenamenti per quel giorno.

“Hyoga! Isaac! Basta così per oggi, torniamo all'isba!” li chiamò, con quel pizzico di autorità che non guastava mai.

I due bambini, intenti poco prima a combattere amichevolmente tra loro, si arrestarono istantaneamente, puntando le loro iridi variegate verso il maestro, che li stava raggiungendo con passo leggero ed elegante.

“Di già, Maestro Camus? In genere ci alleniamo fino al calare del sole!” constatò Isaac, sveglio come al solito. Era in piedi a poca distanza da Hyoga, sdraiato invece sulla neve dopo aver subito un suo colpo. Era tipica quella situazione, Isaac non si esimeva certo quando si trattava di mostrare il suo valore, al contrario di Hyoga che prevedeva i colpi ma non infondeva la giusta potenza negli attacchi; una gentilezza che, se non ampiamente supplita, gli sarebbe costata cara sul campo di battaglia.

“Hai ragione, ma oggi preferisco così, soprattutto considerando che... sta per giungere una tempesta!” spiegò Camus, serio come al solito.

“Una tempesta, davvero?”

“Odora l'aria... profuma di bufera da nord!” disse solo, sorridendo appena.

Isaac, come al solito, era sbalordito, pertanto si mise a fiutare intorno a sé, più o meno come un cucciolo di cagnolino del tutto inesperto, fallendo infatti nell'impresa, perché non percepiva alcunché. Invece Hyoga, molto più visivo, ancora sdraiato sul permafrost, continuava a fissare il cielo sopra di sé con sguardo perso.

“E' vero... le virghe nevose sembrano indicare davvero un peggioramento del tempo!” mormorò, del tutto meditabondo.

Il cielo sembrava alto, lontano da loro, impossibile quantificare quanto. Era tutto un bianco quel posto, il terreno sotto di sé, ghiacciato, le nubi distanti, intoccabili. Il bianco era il colore della purezza, della sua mama ed era anche un po' il suo colore. Non l'aveva dimenticata affatto, anche se era costretto a starle lontano -ormai parevano passati secoli dall'incidente- doveva solo resistere, nell'attesa di diventare abbastanza forte per ricongiungersi con lei. Per sempre.

“Hyoga? - Camus entrò prepotentemente nel suo campo visivo, facendolo sussultare alquanto – Pensi di rimanere ancora lì a lungo con sguardo inebetito? Isaac ed io ce ne stiamo andando!”

Subito il ragazzo dagli occhi azzurri e i capelli biondi si riscosse, colto in fallo. Sapeva di essere stato beccato, e sapeva che il Maestro aveva compreso su cosa si concentrassero i suoi pensieri, ma fece del suo meglio per mascherarsi.

“Sì, Maestro!” rispose pronto, scattando in piedi, lesto.

Il peso degli occhi taglienti di Camus era su di lui, poteva ben percepirlo, ma fece di tutto per mantenersi calmo. Non aveva alcuna voglia di discutere, men che meno di far sapere ad Isaac -ancora incosciente di quel dato personale- le ragioni che lo spingevano a perseguire l'obiettivo di diventare Cavaliere. Sarebbe stato meglio che Isaac lo continuasse a credere un devoto paladino della giustizia, non avrebbe avuto le forze per affrontare anche lui su quella battaglia coscientemente persa che però per lui significava tutto. L'amico e compagno di allenamento era così simile al maestro, probabilmente avrebbe reagito male alla sua confessione e non aveva le forze per affrontarli entrambi. Uno sì, ma due no!

Camus non disse niente, limitandosi a fissarlo con partecipante distacco. Non approvava i suoi ideali, lo sapeva, lo sapevano... ma gli voleva bene e avrebbe tanto voluto liberare Hyoga di quell'inutile peso che lo legava ancora al passato. Ma come fare?

“Ripensandoci... voi andate pure avanti, io vi raggiungo a breve” avvertì i due allievi, scrutando il cielo sopra di lui con fare enigmatico. Isaac non capì il motivo di quell'esitazione, al contrario di Hyoga che invece la accusò, così come si accusa uno sguardo ricolmo di disapprovazione.

“Va bene, Maestro, vi aspettiamo all'isba!” tagliò corto, voltandosi in direzione della casetta insieme all'amico.

Camus attese che si allontanassero, poco prima di farsi cadere e sedersi per terra, un poco affranto. Dubbi, doveri, allievi che rifiutavano di crescere e il Santuario che era un luogo sempre più oscuro e spietato. Non vi era soluzione alcuna, soltanto continuare... continuare a credere nella propria via e ai propri ideali per non avere rimpianti.

“Dea Atena... proteggilo, ti supplico. E' un ragazzo volenteroso e ricolmo di potenziale, ma si perderà se continuerà a fissare dietro di sé invece che davanti...” sussurrò al vento, proprio nell'attimo in cui un fiocco di neve, il primo, faceva capolino sul suo palmo. La tempesta che era stata annunciata, triste preludio all'infinito inverno di quei luoghi, anche quell'anno sarebbe arrivata un po' prima del previsto, coprendo il Mar Glaciale Artico con il suo spesso mantello che risplendeva di una luce pura, proprio per questo letale.

 

 

* * *

 

Il vento ululava alle finestre di vetro come un branco di lupi in procinto di raggiungere la propria, esausta, preda. Non aveva mancato di appuntamento, diventando una intensa bufera già a partire dalla serata.

Che strano, pur dominando le energie fredde e quindi il gelo, essere cullato dalle coperte del letto mentre fuori imperversava il maltempo, gli regalava la sensazione di essere protetto, come quando, da piccolo, sua madre lo avvolgeva tra le braccia durante i temporali. Camus, da bambino, era terrorizzato dai temporali, non sapeva perché e mai lo avrebbe saputo, men che meno in quel momento che la paura era un lontano ricordo, così come la sua infanzia. Prese un profondo respiro e buttò fuori l'aria, voltandosi poi sul fianco destro, le mani involontariamente strette a pugno. La notte era mortale nemica per i pensieri nefasti. Per quanto si ripetesse di rimanere distaccato, quelli lo venivano trovare a luci spente, più insistenti che mai. Erano pensieri fugaci, che sparivano la mattina come si smaltisce una sbornia troppo fastidiosa, ma proprio per questo gli davano così noia. Alla fine dei conti, lui era la prima vittima del passato, come poteva insegnare a Hyoga a non udire il lusinghiero, quanto falso, canto dei ricordi, se lui stesso ci cadeva?! Non era possibile, o forse, proprio per quello cercava con ogni mezzo di estirparlo almeno da Hyoga, dal suo Hyoga...

Aprì lentamente le palpebre, concentrandosi su un punto fisso e sui rumori provenienti da fuori, solo così avrebbe ricacciato quel peso da solo, solo così sarebbe tornato Camus, Maestro dei Ghiacci, e non il piccolo Camus che aveva perso quanto di più caro all'età di 5 anni. Se le scrollò di dosso, le immagini sfumate stampate sulla sua retina. Ci riuscì, ma non altrettanto con le emozioni, ancora malamente attaccate a lui. Si sentiva triste, spaesato, dubbioso e, per un solo istante, desiderò ritornare il bambino spaurito di dodici anni prima, cullato dalla propria madre e con l'orecchio poggiato sul suo pancione, in attesa dell'arrivo della sorellina.

Un rumore secco, come di qualcuno che rotolava per terra, lo mise immediatamente in allerta, preparando i suoi muscoli, ormai avvezzi alla lotta, ad intervenire in caso di pericolo.

“Eh, no, Hyoga! Stavolta non mi freghi, non puoi andarci sempre tu nel lettone del Maestro Camus!”

“Lasciami, Isaac! Non stavi dormendo?!”

“Ti ho aspettato al varco! E' il mio turno stanotte!”

“Non è il tuo turno di niente, va' via!”

Camus si ritrovò a sospirare, radunando tutta la sua pazienza nel tentativo di non intimargli malamente di tornare a letto. Si mise a sedere in maniera composta, poco prima di accendere la luce e guardare in direzione del baccano a poca distanza da lui.

“Ordunque? Siete diventati dei cagnolini arruffati che rotolano per terra?!” li richiamò, un poco divertito.

Hyoga e Isaac, intenti ad azzuffarsi sul pavimento, con il secondo sopra il primo intento a bloccare i movimenti del bambino biondo con tutte le sue forze, si pietrificarono all'istante, colti in flagrante.

“Maestro! Hyoga voleva venire di nuovo nel letto con voi per la terza notte di seguito! - spiegò Isaac con enfasi, sempre intento a immobilizzare il compagno sotto di sé, poi tornò a concentrarsi sul compagno – Ho diritto di anzianità su di lui, è il mio turno!”

“Ma quale diritto di anzianità, hai la mia stessa età!” ribatté il biondo, grintoso.

“Diritto di anzianità perché lo conosco da più tempo di te!”

“Ma non dire scemenze e togliti!”

“Per cosa, per appiccicarti a Camus e fare pipì nel suo letto?!”

Hyoga improvvisamente arrossì di botto, vergognandosi oltremisura e oltraggiato da un simile colpo basso.

“Non è vero, non faccio pipì a letto da anni, ormai! Stai mentendo, Isaac!” esclamò, poco prima di ribaltare la sua posizione svantaggiosa con un colpo di reni. Si ritrovarono così nella stessa posizione ma inversi.

“Ho ferito il tuo orgoglio, ehehe, vedi che anche tu puoi essere forte?! Comunque così impari a intrufolarti sempre nel letto del maestro senza che lui se ne accorga e a scappare via al mattino presto prima che si svegli!” gli fece linguaccia lui, sorridendo in maniera furba.

“Stai zitto, Isaac!!!” lo fermò Hyoga, imporporando di nuovo per la vergogna.

Camus sospirò e si massaggiò teatralmente la fronte, cercando il modo per fermare quell'inutile scorribanda tra i due scapestrati. Hyoga e Isaac erano due ottimi allievi e avevano un ottimo rapporto tra loro, niente e nessuno avrebbe potuto spezzare il loro legame, lo sapeva, lo percepiva, eppure, persino loro, per questioni stupide potevano finire per litigare. Anzi, non erano 'questioni', il motivo era unico: lui. Unica ragione per farli finire a discutere tra loro, azzuffandosi come due teneri batuffoli di pelo: avere o non avere l'attenzione e l'affetto di colui che, molto probabilmente, era considerato un padre per i due bambini.

“Quanti anni avete?” li interrogò, in apparente tono piatto

“Undici!” trillarono in coppia, lesti.

“E da quanto siete qui?”

“Tre anni” rispose Hyoga, un poco insicuro.

“Io quattro, la mia anzianità di servizio!”

“Tu zitto, Isaac!” lo fulminò il biondo dandogli una manata in testa, alla quale l'altro bambino ridacchiò temerario, non smettendo di provocarlo.

“Ve lo chiedo ad entrambi: non vi pare di essere troppo grandi per bisticciare per simili quisquilie? Sia i cuccioli di cani, che di gatto, che di altri animali, ci mettono molto meno a capire di doversi affinare per diventare sufficientemente forti per sopravvivere. Fate conto di essere come loro, perché sarete Cavalieri di Atena, la vostra vita sarà costantemente in pericolo, non sono permessi passi falsi!” gli spiegò, rude, socchiudendo gli occhi con fare enigmatico.

“Ma...!”

“Non fatemelo ripetere, piantatela con questa cagnara, prima che io decida di mettere voi in punizione sul picco ghiacciato!” concluse, pratico, chiudendo la luce e coricandosi nuovamente come se nulla fosse.

Hyoga e Isaac, ancora uno sopra l'altro, si ritrovarono ad essere ghiacciati sul posto, a guardare in direzione del letto con la faccina da cuccioli bastonati. Si vergognarono entrambi, ma non ci misero molto a riprendersi.

“E' colpa tua, Isaac! Se non mi avessi fermato il Maestro Camus non si sarebbe svegliato!” gli sussurrò, contro, sebbene non lo riuscisse più a vedere.

“Io?!? Non è così, guarda che si è arrabbiato perché tu sei una cozza costante che va a tartassarlo quando dorme!” rispose lesto, l'altro bambino, un poco contrito.

“Non è vero! Non è vero!!!”

“Tuttavia... - di nuovo la voce del Maestro Camus, insolitamente calda e un pizzico divertita, come se gli avesse giocato un brutto tiro e loro ci fossero cascati in pieno – Se volevate venire a dormire con me, non vi è passato per l'anticamera del cervello che bastava... chiedermelo? Vi assicuro che non mangio bambini!” gli disse, sbuffando.

“Maestro, significa che...”

Camus sorrise tra sé e sé, meravigliandosi ancora una volta della loro ingenuità. Del resto, non avevano che appena undici anni, ma sarebbero dovuti crescere in fretta.

“Potete venire, sì... entrambi, senza arruffarvi come due cuccioli di lupo, però!” li avvisò, finalmente disteso. Le nebbie del passato erano svanite, vinte dalla vivacità dei due bambini, Camus fu grato di dover badare a loro, ciò gli permetteva di allontanare i brutti pensieri per dedicarsi totalmente alla loro crescita. Invece si sentì un po' meno grato quando i due, ululando un “sìììììì” all'ennesima potenza, si dirottarono a tutta birra nel suo letto, finendo per schiacciargli lo stomaco e far perdere l'uso di entrambe le braccia, visto che si arpionarono alle sue estremità, rispettivamente Hyoga sul lato destro e Isaac su quello sinistro.

“Piano!” li rimproverò bonariamente, tentando di mettersi comodo alla ben meglio. I due allievi avevano decretato che, quella notte, le braccia con le quali Camus faceva magie degne del più alto mago esistente sulla Terra, non appartenevano più a lui, bensì a loro, contenti ed estasiati di potersi crogiolare così vicini al loro maestro.

Non era così male, però! Camus si ritrovò a sorridere tra sé e sé, protetto e rassicurato dalla consapevolezza di avere il buio intorno e quindi di non essere visto. Il Cavaliere non era di certo un portento a manifestare le emozioni; il contatto fisico, molto spesso, lo destabilizzava, mettendolo a disagio: era molto difficile per lui muoversi in prima persona per manifestare il proprio affetto a qualcuno, ma avvertire l'affetto degli altri tramite il contatto non gli dispiaceva affatto se questo gesto fosse provenuto dalle persone che considerava sacre per la sua vita. Socchiuse gli occhi rilassato mentre, con un lieve accenno delle dita, il massimo che riusciva a fare in una simile circostanza, sfiorava le guance dei due pargoli.

“Maestro, avete presente come brilla la neve ai raggi lunari? Sembra una distesa di lucciole, anziché cristalli congelati! Perché... perché è così bella e pericolosa? Cioè, so perché, me lo avete insegnato voi, ma ci deve essere un'altra spiegazione, no? E' davvero troppo... bella... mi affascina, e... e...”

Camus sospirò debolmente, non dicendo nulla. Ecco la trottola Isaac partire per la tangenziale come una macchinetta su discorsi di ogni genere. Non c'era verso di fermarlo, lo sapeva, ma non rispose, sperando che l'allievo si fermasse da solo. Speranza vana, perché Isaac, vista l'afasia che contraddistingueva Hyoga e Camus, non demordeva per niente, buttando fuori parole su parole e frasi su frasi. Era sempre così entusiasta di ogni più piccola cosa, dagli allenamenti, ai discorsi del Maestro, persino delle loro espressioni, che aveva imparato a comprendere. Sempre.

E infatti continuò, come un treno sui binari diretto per la sua via.

“Ripensavo anche al discorso dell'aurora, sapete, Maestro?! Qui in Siberia sembra tutto così vivo e reale, ben più che da altre parti. Forse è perché il confine con la morte, qui, è sottilissimo, o forse è perché voi ci allenate giorno e notte insegnandoci un sacco di cose, ma... sono davvero felice di essere qui!”

“Isaac...”

Primo tentativo. Vano. Non lo stava neanche considerando, del tutto assorto alle sue cogitazioni.

“E poi la Polvere di Diamanti, Maestro... non è solo il nome del colpo alla base delle energie fredde, ma è proprio un fenomeno, vero? Un fenomeno tipico di qui!”

“ISAAC...”

Secondo tentativo in una nota un po' più alta della voce. Altrettanto vano.

“Certo che essere qui, al caldo, nel mezzo di una distesa ghiacciata fa uno strano effetto, vero? Mi fa sentire protetto da ogni male, ma al tempo stesso mi preoccupa un po'. E' davvero piacevole, però, come le vostre buonissime zuppe, Maestro, quelle sì che riscaldano alquanto dopo una giornata di allenamento!”

“Isaac, frena la tua lingua, altrimenti domani non avrai fiato per l'addestramento!” lo avvisò Camus, lievissimamente alterato, socchiudendo gli occhi nella speranza di recuperare il sonno. Pensava di averlo acquietato, invece...

“Ma no, Maestro, non preoccupatevi! Qualche ora di riposo e domani sarò completamente...”

“Isaac, il Maestro Camus ti sta gentilmente dicendo di stare zitto e dormire, non l'hai compreso?” intervenne beffardo Hyoga, desideroso di prendersi la sua rivincita.

“Tu zitto, Hyoga! - esclamò offeso il bambino dagli occhi verdi, sferrando un calcio in direzione del compagno – Altrimenti ti becchi un altro calcio volante domani mattina!” continuò, sicuro di sè.

Per poco. Perché un attimo dopo si accorse che non era il corpicino di Hyoga ad essersi paurosamente irrigidito. Capì in un istante, pietrificandosi sul posto mentre l'altro, il biondo, soffocava le risate tra sé e sé. Ecco, l'indomani si sarebbe preso una bela punizione, il suo destino era segnato.

“Peccato... che lo stinco che hai colpito non sia quello di Hyoga!” sentì la voce del maestro, paurosamente distorta in un accento divertito, pericolosissimo.

L'alternativa, fingersi morto e tacere, non era così male. Isaac decise di percorrere quella via, con la stessa arguzia con cui il topo tentava di passare inosservato dal gatto. Passarono diversi minuti e la situazione sembrò calmarsi, permettendo al piccolo di prendere un grosso respiro per lo scampato pericolo.

“Comunque prima o poi me lo direte, Maestro, il segreto della neve che brilla!”

“Non c'è proprio verso di fermare il fluire delle tue parole, vero, Isaac? Sembri una mitraglietta da quanto parli!” scherzò Camus, felicemente disteso nello spirito, ritrovandosi quasi meccanicamente ad accarezzare i capelli e la fronte di Isaac con gesto ben più aperto e deciso rispetto a prima. Gesto raro per lui, ma chissà, forse le nebbie del sonno indebolivano la sua corazza, permettendogli di sentire forte e chiaro l'affetto che provava per quel ragazzino dalla parlantina sciolta, la voce spigliata e il temperamento irriverente. Isaac si crogiolò in quella dimostrazione di affetto, voltandosi verso Camus e permettendosi di cingergli il fianco, euforico.

“Suppongo di no, Maestro!” sorrise, addormentandosi subito dopo con le braccia ancora aggrappate al grembo del suo sacro mentore.

 

 

* * *

 

Siberia dell'Est, inizio novembre 2006

 

 

Lo scorrere del tempo in Siberia era bizzarro. Talune volte sembrava cristallizzato, sempre uguale a sé stesso, che fosse aprile, o giugno, o ottobre, altre volte era velocissimo, quasi l'attimo di un respiro. Era l'inizio di novembre, il tracollo delle ore di luce era ormai imminente, presto non ci sarebbe stata che la lunga notte artica, l'ennesima. Ormai ne erano avvezzi.

Incespicando velocemente nei piedi, quasi pattinando sul ghiaccio, i due bambini correvano veloci nel bianco della tundra, aumentando il passo nel constatare che il sole stava già rapidamente declinando e avevano l'ordine tassativo di tornare prima del tramonto. Non c'erano altro che loro, di ritorno dal mercato di Pevek che si teneva una volta a settimana, il sabato. Non c'erano altro che loro, l'immensa distesa bianca e la silente tundra.

“Sbrigati, Hyoga! Siamo nel pieno dell'addestramento, non possiamo deludere il Maestro Camus!” lo incitò Isaac, avanti a lui, sorridendogli raggiante.

Il biondo gli arrancava dietro, assai meno vivace dell'altro bambino ma ugualmente desideroso di far vedere il suo valore e... allenarsi per inseguire il suo sogno. Era sempre così, tra loro due, malgrado tutti gli sforzi del piccolo russo, Isaac era sempre un passo avanti a lui, sempre un po' più vicino al maestro. Hyoga non poteva non ammirarlo e desiderare di raggiungere, un giorno, il suo livello, il suo posto.

“Arrivo, Isaac!!! Solo... ricordami perché non abbiamo portato gli Husky con noi, perché davvero tutte queste vettovaglie ci rallentano non poco!” soffiò nel vento gelido, anche se, in fondo, sapeva già la risposta.

“Il Maestro ci ha dato l'ordine tassativo di prendere le provviste da Pevek e tornare entro il tramonto. E' una prova, capisci? E noi ne saremo all'altezza!” urlò raggiante Isaac, aumentando l'andatura.

Hyoga cercava di stargli dietro alla ben meglio. Anche lui non voleva deludere Camus ma non riusciva a provare l'enfasi del compagno nell'asservire la richiesta del maestro. Ogni cosa che usciva dalla bocca di Camus, Isaac la prendeva, la cullava e la crogiolava in sé, identificandosi poi totalmente con essa. Era il suo mito, l'esempio da seguire, il padre premuroso e severo allo stesso tempo, insomma un crocevia di ruoli e affetti vari. Hyoga non lo capiva pienamente, non ancora. Certo, si era affezionato molto a lui e ad Isaac, che considerava un po' come la sua nuova famiglia, ma c'era qualcosa, negli occhi del maestro, che gli incuteva referenza e timore; qualcosa che non gli permetteva di attingere alla sua vera natura. Isaac era un passo avanti a lui anche in quel settore. Sebbene Camus li trattasse in ugual maniera, assolutamente da pari, c'era sempre quel qualcosa di non detto che lasciava il piccolo Hyoga indietro. Del resto, lui era arrivato dopo, era stato accolto dopo dalle braccia da madre e matrigna della Siberia, era entrato dopo nell'intimità, già creatasi, di Camus e Isaac. Sapeva di appartenere a loro, ma, in qualche maniera, era come se sapesse anche di non appartenervi. I suoi occhietti si rattristarono un poco nel costatare, un'altra volta, quel fatto, eppure non demordeva, testardo: anche lui aveva un suo obiettivo per diventare Cavaliere del Cigno, l'avrebbe perseguito fino allo sfinimento.

Una manata nei lunghi ciuffi biondi lo riscosse, permettendogli di scorgere nitidamente lo sguardo di Isaac che, giocosamente, aveva voluto tirare su il morale all'amico e compagno.

“Via i tristi pensieri! Siamo qui, tu ed io, Camus è con noi, non dobbiamo avere più paura di nulla, solo... di concentrarci sul presente e sul nostro sogno di diventare Cavalieri di Atena!” disse, tutto di un fiato, con gli occhi pieni di luce.

Concentrarsi sul presente... Hyoga assaporò quella frase così come si assaggia un ingrediente nuovo nel cucinare un piatto. Già, bisognava pensare al presente e ai propri obiettivi, esattamente come Camus gli aveva insegnato. Erano così simili, lui e Isaac, come padre e figlio; ogni tanto, suo malgrado, si sentiva come un fratellastro acquisito, entrato per sbaglio, seppur accolto con gentilezza e cura.

Arrivarono all'isba in sincronia con il crepuscolo. Senza esitare un minuto in più -che persino i secondi erano considerati ritardi- varcarono la soglia della casetta, facendo accomodare le provviste vicino al muro e togliendosi in tutta fretta la giacca. Camus li aspettava in cucina, comodamente seduto sulla sedia a sorseggiare un tè. Aveva gli occhi socchiusi e non disse niente, dando così il tempo ai due giovani allievi di riprendersi dall'infinita corsa. Isaac era in fibrillazione. Taceva, ma aveva voglia di parlare, di chiedere se la prova era stata superata. Non importava la stanchezza, neanche il riprendere il fiato, ma solo il giudizio del maestro, se la prova era stata superata e, possibilmente, con il massimo dei voti. Hyoga lo scorse, mentre stringeva i pugni nel tentativo di alleviare la tensione, e si sentì anche lui i nervi a fior di pelle.

Alla fine gli occhi di Camus si aprirono, un leggero sorriso gli si dipinse sulle labbra eleganti.

“Siete stati bravi, tutti e due! Per stasera potete riposare, soldati!” li prese un poco in giro, accorgendosi delle posture ritte dei due allievi. Isaac quasi si accasciò come un budino all'udire quelle parole, neanche fosse stato davvero un soldato, Hyoga lo trovò divertente, ma non si permise di ridere, ancora così intento a scrutare Camus che, in quel momento, si era alzato per riporre la tazza nel lavabo. Si percepiva qualcosa nell'aria, ma meglio non affrettare i tempi più del dovuto, lo avrebbe di sicuro fatto il maestro. Così fece, dopo aver lavato gli oggetti usati e averli riposti in ordine.

“Isaac, Hyoga... - li chiamò infatti, in tono apparentemente tranquillo – Vi devo dire una cosa, venite qui, per favore!”

I due allievi non esitarono un attimo, accomodandosi sulle sedie e fissandolo intensamente negli occhi, in attesa. Quel qualcosa nell'aria stava per essere scoperto, era solo questione di attimi.

Camus si schiarì la voce e tornò a sedersi, preparandosi ad affrontare la situazione con tutta la calma necessaria.

“Stamane ho ricevuto una lettera dalla Grecia, datata una settimana fa. Come sapete anche voi, le comunicazioni tendono ad arrivare dopo in questo luogo... – iniziò, fissando la sua espressione prima negli occhi verdi di Isaac e poi in quelli ghiaccio di Hyoga - Mi chiedono di recarmi al Santuario il prima possibile per adempiere ad alcune questioni burocratiche e a varie assemblee che si terranno questo mese”

“I-Il Santuario di Grecia, Maestro?!” ripeté Hyoga, allibito. Non c'era mai stato in quel posto, ma se persino uno come Camus ne parlava con riverenza e doveva attenersi alle loro direttive, chissà che posto magico e fuori dagli schemi doveva essere.

“E'... è per la crisi che c'è?” chiese invece Isaac, lesto, capendo al volto.

Suo malgrado, i muscoli di Camus si irrigidirono a quella frase sbarazzina, degna dell'arguzia del piccolo. Tuttavia li voleva tenere fuori entrambi da quel mondo, per cui si affrettò a ricomporsi.

“No, Isaac... sono delle semplici incombenze non gravi, ma mi terranno lontano da voi per un po', più di quanto vi abbia lasciato soli fino ad ora...”

“Ma... Maestro! - insistette Isaac, certo delle sue convinzioni – Quando ricevete lettere dal Mondo Segreto la vostra espressione cambia, impercettibilmente, è vero, ma succede!”

Stavolta anche Hyoga decise di dargli corda, essendosi accorto anche lui di quel particolare affatto trascurabile, visto che portava lo stesso Camus a crucciarsi con pensieri troppo complicati e segreti per i due bambini.

“Isaac ha ragione, Maestro! E' come se... se non lo voleste fare, come se aveste dei dubbi sull'operato di qualcuno ma che comunque vi atteniate per qualche giuramento fatto in precedenza!”

L'espressione di Camus rimase imperturbabile, ma il suo discostare lo sguardo in un'altra direzione, come per nascondere le sue emozioni e pensieri, non passò inosservato. Malgrado questo, quando tornò a parlare, non vi era più nulla in lui di quell'apparente incertezza che lo aveva invaso per pochi secondi.

“Voi non dovete preoccuparvi di nulla di quello che succede nel Mondo Segreto. Ne siete fuori, il Santuario è lontano, ed io continuerò a mantenervi a debita distanza da loro finché non sarete pronti e sufficientemente forti!”

“Oh...” sospirarono all'unisono i due bambini, un poco abbattuti dal non essere riusciti a far incanalare il discorso e quindi di non essere un sostegno per il proprio maestro.

In quell'ultimo anno Camus era spesso impensierito da ciò che accadeva nel Mondo Segreto, nondimeno si premuniva di non darlo a veder ai due allievi, non dando loro motivi di preoccupazione. Ma era lampante che qualcosa angustiava Camus, forse le voci, o un presagio, o chissà cosa d'altro. Rimaneva il fatto che sapevano davvero poco, al di là di qualche voce furtiva che gli abitanti di Kobotec avevano udito dallo stesso Maestro dei Ghiacci.

“Non preoccupatevi, davvero! Il Santuario è lontano, abbiate solo il vostro obiettivo in mente e perseguitelo. Le faccende dei 'grandi' lasciatele a noi!” li provò a rincuorare, vedendoli così abbattuti.

Isaac tornò a guardarlo con occhi brillanti e un pizzico di tristezza. Non era mai bello quando Camus se ne andava, ancora di più se, come aveva presagito, sarebbe stato via per diversi giorni, forse settimane.

“Quindi... quando ve ne andrete e quanto starete?” chiese, con educazione, tentando di nascondere il suo tono deluso.

“Partirò domani, all'alba. Non so ancora quando tornerò, se dovrò stare là una settimana, dieci giorni, o di più... ma farò in modo di arrivare prima del presentarsi della lunga notte artica, è una promessa! - asserì, sorridendo intenerito, poco prima di permettersi di passare le mani tra i capelli di entrambi i giovani allievi – Non siete ancora pronti ad affrontarla da soli, presto lo sarete, ma siete ancora piccoli ed io non intendo affrettare il vostro percorso, per cui... non abbiate nessun timore: farò ritorno prima di quella data!”

Hyoga e Isaac si scambiarono un'ultima occhiata tra loro, sospirando impercettibilmente, poi tornarono a guardare il loro maestro con un misto di ammirazione e affetto infinito.

“Va bene, Maestro Camus!” trillarono all'unisono, recuperando la consueta vivacità.

Camus annuì con convinzione, aprendosi in un sorriso sincero, rasserenato dal loro modo di reagire alla notizia. Aveva provato timore al pensiero di doverli lasciare per così tanti giorni, ma erano entrambi forti e determinati, era fiero di loro due, per cui si sentì di distendere finalmente i muscoli, il pensiero dell'imminente partenza un po' più leggero sul cuore. Si permise di osservarli con discrezione, mentre Isaac e Hyoga abbandonavano momentaneamente il ruolo da futuri Cavalieri di Atena per riprendere il proprio di bambini di appena undici anni desiderosi di giocare. Così infatti fecero, dirottandosi in soggiorno per andare a recuperare dei giochini di legno che Camus stesso aveva trovato -e comprato- per loro direttamente in Grecia.

Due futuri difensori della giustizia, un'unica armatura del Cigno e i loro giovani cuori che ancora erano ricolmi dello spirito di due fanciulli, anche se più maturi. Si sarebbe arrivati al punto di dover fare una scelta, Camus lo sapeva, ma non ci pensava, o meglio... tentava di non pensarci. Non voleva immaginarsi quel momento, né nella sua mente né nella realtà, perché imprimerlo nella testa significava arrendersi all'idea che solo uno dei due ce l'avrebbe fatta, perché in effetti la vestigia era una; una soltanto. Chi... dei due? E soprattutto... quale il destino dell'altro? Il Santuario era molto severo nei confronti degli sconfitti e dei secondi, l'Acquario lo sapeva bene e, anche se rifiutava con tutto sé stesso quell'enorme ingiustizia travestita da legge, non si dava pace.

Di nuovo il cuore gli si era fatto pesante e gonfio, di nuovo quella sensazione inalienabile di perdita e dolore... ingiustificabile! Al culmine dell'apprensione, con il male al petto, udì uno schianto nell'altra stanza, seguito da una esclamazione e da una grossa risata.

Camus ebbe giusto il tempo di alzarsi e di avviarsi verso la porta del soggiorno, che il faccino di Isaac fece capolino. Il ragazzino teneva gli occhi serrati in una sguaiata risata e le mani sulla pancia, come a trattenere l'aria da buttare fuori. Sembrava divertito all'ennesima potenza.

“Cosa... cosa è successo di là?” chiese il maestro, scorgendo la figura di Hyoga, stesa per terra, a massaggiarsi la fronte. La luce fioca gli impediva di capire, per quello ci pensò Isaac.

“Maestro, Hyoga ha sbattuto il testone contro la scatola dei giochi, li ha ribaltati tutti e... e... venite a vedere che bernoccolo, ahahahaha, qui altro che Polvere di Diamanti ci vuole per farglielo passare!” tentò di chiarire la situazione l'allievo dagli occhi verdi, non smettendo di sghignazzare. Ormai era piegato in due.

“Già... proprio due futuri Cavalieri di Atena!” commentò Camus, massaggiandosi teatralmente la fronte poco prima di sorridere con naturalezza e dirigersi ad aiutare l'allievo imbernoccolato.

Già, avevano ancora tempo... tempo... non erano che due infanti, a tempo debito le decisioni funeste!

 

* * *

 

Era il sopraggiungere dell'alba e le nebbie della notte lasciavano spazio alla pallida luce del sole. Non era prestissimo, complice l'accorciarsi dell'irradiamento solare di giorno in giorno, ma non aveva fretta di raggiungere il tempio in mattinata, visto che l'assemblea sarebbe stata di primo pomeriggio. Vi era quindi tempo per alcune faccende personali e, forse, per rivedere Milo prima della riunione. Prese un profondo respiro, incanalando l'aria che, con l'espirazione, usciva dalle labbra sotto forma di nuvoletta che scompariva immediatamente nell'immenso bianco della Siberia.

La preoccupazione di lasciare i due allievi da soli non era scemata, ma era sotto controllo, non traspariva fuori, come invece aveva fatto la sera precedente per un unico, breve, istante. Fortunatamente non si era fatto vedere dagli allievi, non avrebbe tollerato quel secondo di incertezza che, con ogni probabilità, li avrebbe resi tesi più di quanto già non fossero. Non vi erano che poco più di sei ore di luce a Pevek, in quella stagione; ore di luce che sarebbero collassate, languendo, ogni giorno di più. I bambini non erano certo pronti ad affrontarle da soli, per non parlare del sinistro presagio che accompagnava Camus, maestro indiscusso dei ghiacci, ogni giorno di più.

Non poteva più esitare comunque, pertanto, abbottonandosi meccanicamente la giacca che -era sicuro- in Grecia gli sarebbe stata solo di impiccio, accennò un passo, poco prima di arrestarsi nel percepire il solito, niveo, cosmo pulsare con enfasi dietro di lui. Era una sorta di rito, Camus lo sapeva, si ritrovò a sorridere prima di voltarsi in direzione della cucina e fare un cenno in direzione della finestra, consapevole che due occhietti verdi e curiosi lo stavano fissando da quando era uscito. Poco dopo la porta si aprì e venne chiusa subito dopo con gesto gentile, mentre il piccolo Isaac zampettava timidamente nella sua direzione, un poco imbarazzato dall'essere stato scoperto.

Si avvicinò fino alla distanza di tre palmi, un poco corrucciato e incapace di proferir parola. Camus lo guardava con affetto e un velato sorriso, accorgendosi, ancora una volta, di quanto il suo fisico, in quei quattro anni di allenamento, era cambiato, slanciandosi in altezza ma apparendo, in fondo, sempre come un bambino di una decina di anni.

“Se vuoi venirmi a salutare, non c'è bisogno di nasconderti. Lo fai sempre, ogni volta che parto. Stai lì in cucina a guardarmi sparire alla velocità della luce, rimanendo nascosto nella penombra” gli disse placido Camus, gli occhi brillanti.

Isaac si sentì colto in fragranza e temette di avergli dato noia, giacché, anche a distanza di quattro anni,ogni tanto, era difficile percepire i sentimenti di Camus dietro il suo sguardo fiero e immenso, anche se si era avvezzato al suo temperamento. Talvolta riusciva a comprenderlo come se stesse facendo un soliloquio con sé stesso, ne era compiaciuto. Altre volte no, per niente, e si demoralizzava.

“Oh... e così sapevate... avete sempre saputo!” biascicò, vergognoso, trovando interessante la leggera crepa nel terreno che si intravedeva sotto il tallone del maestro.

“Ti ho sempre percepito, sì... avverto il tuo cosmo, non sei ancora bravo a celarlo, talvolta sento anche il tuo sguardo su di me! - gli spiegò Camus, rimanendo affabile nell'intuire lo stato del piccolo – Stai in cucina e mi guardi, partecipe, ma non capisco cosa ti impedisca, se già ti svegli solo per questo motivo, di venirmi a salutare!”

Non c'era alcuna rabbia nelle parole di Camus, solo un tono cordiale e caldo, di un tepore che penetrava nel petto, facendo sorridere e rassicurare Isaac.

“Pensavo di darvi noia, Maestro...” confessò alla fine, alzando lo sguardo e spalancando gli occhioni nel vedere le iridi di Camus brillare di una luce penetrante. Non aveva mai visto degli occhi così luminosi, lo abbagliavano e lo affascinavano, donandogli il forte desiderio di seguirlo in capo al mondo. Ma non poteva. Ecco uno dei motivi che lo spingevano a svegliarsi per vederlo partire: per seguirlo, almeno con lo sguardo e un poco con il cosmo, finché gli era concesso dai suoi immaturi poteri.

“Darmi noia?! E perché dovrebbe, Isaac? Mi fa piacere la tua devozione, non immagini quanto!” confidò a sua volta Camus, regalandogli un leggerissimo buffetto sulla guancia.

Quel gesto spinse Isaac a manifestarsi a sua volta nel pieno delle sue intenzioni: si fiondò letteralmente nel grembo di Camus prima di circondarlo con le braccia, in una dimostrazione di affetto aperta e sincera. Come accadeva soventemente, il maestro si irrigidì a quel contatto, sorpreso e meravigliato.

“Se potessi... vi scorterei ovunque, ma non mi è concesso, vi posso solo augurare buon viaggio e di tornare presto!” disse tutto di un fiato, imbarazzato da proferire una simile frase.

Camus stette a guardarlo per un po', prendendosi tempo per metabolizzare il significato di quelle parole. Non ricambiò il gesto, del tutto incapace a manifestare il suo affetto -che pure era molto profondo- per quel ragazzo. Non gli riuscivano bene le dimostrazioni esterne, il massimo che gli consentiva il suo carattere chiuso erano brevi e semplici gesti, che pure gli costavano fatica, come se a dividerlo dal mondo fuori ci fosse una spessa, indistruttibile, coltre di ghiaccio. L'unica cosa che si ritrovò in grado di fare, in quel momento imbarazzante, era appurare che Isaac, a dispetto dell'anno prima, aveva guadagnato qualche centimetro in altezza, arrivandogli e superando pressapoco l'ombelico. Stava crescendo in fretta, troppo in fretta, e ultimamente la velocità sembrava addirittura triplicata... ne ebbe, per qualche ragione inspiegabile, paura.

Infine riuscì a riscuotersi, permettendosi di passargli una mano tra i capelli, gesto che era molto apprezzato dal piccolo, anche se meritava senz'altro di più; più di quanto Camus riusciva a dargli. Se ne dispiacque, ma la barriera tra sé e il mondo gli precludeva ogni più concreto slancio di affetto, isolandolo nel suo nascondiglio freddo e imperituro, laddove pensava che nessuno avrebbe potuto raggiungerlo. In qualche modo aveva bisogno di esercitare il distacco da tutto e tutti, lo faceva sentire meglio, al sicuro... impedendogli così di finire in pezzi, di nuovo! In verità, se ne rendeva sempre più conto man mano che cresceva anche lui, questo pensare di non legarsi emozionalmente a qualcuno, non era che un modo per ingannare il proprio cervello, cosa che invece era successa comunque. Era successa con Milo, con Isaac, persino con il piccolo Hyoga... Camus lo sapeva, sapeva di aver fallito nel progetto di non stringere rapporti profondi, eppure, per un ironico scherzo del destino, il giochino di autoconvincimento proseguiva, inducendo a supporre di essere diventato sufficientemente forte per poter resistere a qualunque cosa. Qualunque. Perché il mondo era spietato e per salvarsi occorreva essere freddi come il ghiaccio, persino nei rapporti.

“Lo so, soldo di cacio, lo so... ed io sarei ben contento di averti con me. Ora però guardami un attimo negli occhi, perché ho bisogno di farti una richiesta, visto che ormai sei un ometto. – prese infine parola con fare gentile, mentre gli occhioni verdi di Isaac si incrociarono nuovamente con i suoi. Era del tutto preso dalla richiesta del maestro, Camus trattenne un attimo il respiro, prima di continuare – Isaac, puoi... puoi, per favore, dare un'occhiata in più a Hyoga? E' vero, ti ho sempre chiesto di proseguire tu i miei insegnamenti in mia assenza, non è certo una novità, ma questa volta ti chiedo ancora più riguardo nei suoi confronti, intesi?”

“Per... perché, Maestro?”

Stavolta Isaac percepì chiaramente l'ombra scura negli occhi del suo adorato mentore, qualcosa di celato e di cui lui era ancora all'oscuro, se ne avvertiva la gravità. La preoccupazione nel cuore di Camus era la sua stessa, in una sorta di compartecipazione verso il timore per le sorti del bambino biondo dagli occhi azzurri che, talvolta, sembrava con la mente da tutt'altra parte.

“E' una questione che Hyoga mi ha raccontato fin dai primi giorni del nostro incontro... prima o poi lo dirà anche a te, quando si sentirà, ma non è tanto questo il problema quanto il suo approccio a questo fatto a spaventarmi... – tentò di spiegare, serio – Io... non so, ogni tanto ho il terrore, nonché sensazione, di vedermelo sparire tra le correnti freddissime del Mar della Siberia Orientale...” concluse, cupo, discostando lo sguardo.

Isaac ingoiò a vuoto. Un presagio, ecco cos'era. E purtroppo si accorse di provare lo stesso per il compagno d'armi nonché amico, malgrado non sapesse bene di cosa si trattasse. Si ritrovò a fremere, condividendo le ansie del maestro: anche a lui pareva che Hyoga, ogni tanto, non fosse mentalmente tra loro, questo rendeva ancora più tangibile l'immagine di lui inghiottito dalla banchisa della Siberia, mentre tentacoli freddi, di bestia marina, lo trascinavano giù giù, in fondo al nero del mare.

“Farò quanto in mio potere per controllarlo, Maestro, non avete di che temere. Amo questo luogo, la nostra isba e la nostra famiglia, non permetterò a nessuno di strapparcela via, lo prometto!” asserì solennemente, tutto di un fiato.

Famiglia... quella parola non era uscita a caso dalle labbra del piccolo, Camus lo sapeva bene. Dunque era così che lui li vedeva. Una sensazione di pace e tepore lo avvolse a seguito di quella frase e, come per magia, la preoccupazione scomparve nel sapere di aver affidato tutto al piccolo, forte, e temerario Isaac. Una famiglia... detto da un ragazzino che aveva perso la sua, massacrata da dei vili assassini, era forse miglior complimento che Camus potesse udire, pertanto alleggerì ancora di più la sua espressione, accucciandosi in modo da avere gli occhi del piccolo paralleli ai suoi.

“So che lo farai, sei un bravo bambino! Vado ad Atene più leggero nell'animo e senza più il peso che avvertivo prima. Grazie, Isaac!”

Isaac annuì vivace, crogiolandosi nelle delicate mani di Camus che gli arruffavano i capelli in testa. Un vero idillio! Lo vide alzarsi in piedi e dargli le spalle, preparandosi a fare il salto nella luce, tuttavia esitò ancora un attimo, indeciso se aggiungere altro o fermarsi prima di esporsi troppo. Vinse la prima opzione.

“Isaac... avvicinati ancora un attimo!”

Il piccolo trotterellò lesto al suo fianco, continuando a guardarlo in trepidante attesa. Ancora una volta fu Camus a chinare il busto nella sua direzione per accorciare le distanze. Aspettò ancora qualche secondo, poco prima di tracciare silente, con il pollice destro, un segno sulla fronte e sul petto del bambino attonito. Isaac avvertì il dito del maestro abbozzare, sulla propria pelle, un motivo ondulato successivamente ricalcato da una linea retta immaginaria più incisiva e repentina. Lo stesso si vide fare sul petto, laddove la vista gli permetteva di scorgere più dettagliatamente quello strambo rituale. Quando Camus ebbe finito gli sorrise ancora una volta, gli occhi brillanti e l'espressione serena e sempre, sempre, fiera.

“Isaac... conoscerti è stata una delle cose migliori che mi potesse capitare!” gli sussurrò a bassissima voce, quasi fosse un segreto che il vento stesso non poteva permettersi udire; un segreto che sarebbe rimasto tra loro. Immediatamente dopo scomparve, lasciando il piccolo solo nella tundra, a sorridere al nulla. Aveva compreso il messaggio, anche quello tacito, soprattutto quello.

“Maestro, io... ve lo prometto: non permetterò a Hyoga di perdere la vita, mi dovesse costare la mia!” affermò solenne, a voce alta, permettendo invece al suo messaggio di smarrirsi nel vento glaciale della Siberia, come voto sincero.

Poco dopo fece dietro-front e tornò all'isba, il cuore a mille e la mano sul petto, ansante.

Ciò che Camus non riusciva a dire a parole glielo aveva trasmesso a gesti, ne era più che sicuro. E il messaggio era stato recepito, preso, e poi covato dentro di sé.

 

Un motivo ad onda inframezzato da una linea retta in mezzo... nello Sciamanesimo significa, letteralmente, sei nella mia mente e nel mio cuore, in altre parole: “Ti voglio bene e sei parte di me, lo sarai sempre...”

 

 

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Ecco, come promesso, il capitolo speciale su Camus e gli allievi, in particolar modo sul rapporto che il Cavaliere ha con il piccolo Isaac nell'immaginario della mia storia. Anche qui due spiegazioni per le mie scelte. Allora, intanto tutto il capitolo è ambientato, come avrete intuito, tre anni prima della Battaglia delle 12 Case e due anni prima rispetto alla “morte” di Isaac. Non so se ricorderete, nel manga, i flashback tra Hyoga e Isaac, ebbene ho preso spunto da uno di quelli, in particolare quando i due bambini sono sul piccolo ghiacciato e si dicono preoccupati perché il Maestro è spesso impensierito a causa del Grande Tempio, da lì ho ripreso la scena, ambientata anch'essa tre anni prima della serie originale. Cambiano le date ma il tempo è simultaneo! :)

Poi... perché punto su Camus e Isaac? Nella mia serie principale, il primo allievo di Camus viene nominato raramente, quando l'Acquario lo fa ,spesso si blocca, tranne quando, tra l'epilogo della seconda storia e il prologo della terza (che trovate entrambe su efp se per caso vi fossero sfuggite), riesce infine a parlarne con la sorella Marta. Il rapporto che ho descritto tra i due è come lo vedo io anche nella serie classica: Isaac era la punta di diamante di Camus, colui che sarebbe dovuto diventare Cavaliere del Cigno, colui che più aveva assimilato gli insegnamenti del maestro. Camus nutre un affetto sincero e profondo per lui, persino più che nei confronti di Hyoga, che pure ama e tende a proteggere, anche in modo esagerato, come si è visto nella serie classica; lo stesso vale per il piccolo Isaac, per lui è un esempio da seguire, un ideale e, non in ultimo, un padre. Ovviamente è una visione personale, ma l'ho sempre pensata così e non riesco a togliermelo dalla testa che fosse DAVVERO così. Quando cambia la situazione? Quando il rapporto tra Hyoga e Camus diventa intenso e speciale come visto nella serie originale? Ebbene, dopo l'incidente di Isaac e, ancora di più, dopo la famigerata scalata che vedrà Camus riconoscere pienamente a Hyoga il titolo di suo successore! Non preoccupatevi quindi, il Cigno avrà il suo momento di gloria, da “brutto anatroccolo” insicuro, riuscirà a raggiungere quel posto onorevole nel cuore di Camus che tutti conosciamo, ma... ci sarà tempo per descrivere bene anche questo fatto, sia qui, che nella terza storia che attualmente è in fase di imbastitura! ;)

Scriverò senz'altro ancora di Isaac e di Camus, in un modo o nell'altro, e approfondirò anche senz'altro il vissuto di Hyoga, come lui abbia vissuto la concezione di essere secondo e altre cosucce che ho in mente. Per il momento, spero che possiate gradire anche questo capitolo che ci distoglie un po' dal focus di Sonia e Milo per approdare nella tenerissima “famiglia siberiana”. Alla prossima! :)

 

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Capitolo 9
*** Per la tua persona speciale (parte prima) ***


CAPITOLO 9: PER LA “TUA” PERSONA SPECIALE (parte prima)

 

 

 

“....Scusami se ho interrotto il tuo racconto per narrarti questo aneddoto, ma mi è tornato in mente e l'ho ricondotto allo stesso anno di cui mi raccontavi, il 2006!” spiego a Sonia, un poco imbarazzata. Lei mi fissa con un misto di meraviglia e ammirazione. Comprendendo il suo sguardo, abbasso il capo, sorridendo tra me e me.

I ricordi e i sentimenti della vita di mio fratello Camus mi giungono come sempre intensi e pregni di rammarico; so di vivere le sue stesse emozioni di quei frangenti, so di condividere i suoi pensieri quasi come fossero i miei e tutto questo non ha mai smesso di raggiungere il mio cuore, ma... c'è qualcosa di sinistro nel mio sentire, una sorta di frattura incolmabile.

“Sei davvero fenomenale, Marta... SIETE! E' come se fosse lui stesso a parlare, semplicemente meraviglioso! - si congratula Sonia, a bocca spalancata, sinceramente emozionata – Sei... sei così simile a lui, soprattutto ora che stai crescendo. Si vede che siete fratelli, perché vi assomigliate moltissimo, anche nell'aspetto!”

“Magari fossi come lui... magari avessi la sua bellezza, la sua audacia, il suo portamento – sorrido tra me e me, un pizzico di amarezza – Ogni tanto mi sento come Isaac, vorrei prendere esempio da lui, seguirlo, diventare ciò che è lui, invece...”

“Invece cosa, Marta? Lo stai facendo! Forse non te ne accorgi nitidamente, ma siete sempre più simili! So che vuoi diventare uno sciamano come lui, ed è quello che stai perseguendo. Se solo ti potesse vedere... sarebbe così fiero di te, più di quanto già non sia!” mi rincuora ancora lei, abbracciandomi.

Le sorrido grata, malgrado l'amarezza non sia del tutto spenta. Immaginarmi che Camus possa essere orgoglioso di me riscalda il mio cuore e lo fa battere più velocemente. Ma non mi reputo comunque al suo livello, in tutta onestà, neanche a metà di ciò che è lui.

“E' proprio vero... per la propria persona speciale gli esseri umani possono fare di tutto, questo è il loro grande potenziale. Aveva ragione Myrto!” commenta ancora Sonia, nuovamente persa nei suoi pensieri.

“Per la propria persona speciale...”

“Sì, è un mantra che ripeteva spesso, sai? Glielo deve aver detto pure a Camus, in quel periodo di dieci giorni che è stato con noi, esattamente poco dopo la visione che mi hai appena raccontato”

“Quindi in quell'occasione hai potuto spupazzartelo un po', chissà come eri felice!”

“Ehehehe, lo ero! Appena ho saputo che sarebbe venuto mi sono trasformata in una trottola iperattiva. Povero Milo, deve aver avuto una pazienza con me...”

“Racconta, che sono curiosa!” la incentivo, riprendendo le mie ginocchia con le braccia e avvicinandole al mio busto. L'alba impiegherà ancora molto ad uscire, se il sonno non ci coglie, abbiamo ancora tanto da dirci!

“Questo ricordo risale ad inizio di novembre del 2006 e, come ti ho detto, è successo immediatamente dopo ciò che mi hai narrato poco fa. Avevo quasi 11 anni, ormai e... smaniavo alla sola idea di rivedere Camus...”

 

 

* * *

 

 

Quando la luce iniziò ad accarezzare gli anfratti delle montagne che costeggiavano Milos, circondandola con le proprie rocciose braccia, anche Sonia aprì gli occhi, trafitti da un raggio di sole. Si sedette istantaneamente, il cuore a mille perché il grande giorno era arrivato. Non sentendo alcun rumore nell'altra stanza, balzò giù dal letto, precipitandosi a dare la lieta novella a tutti.

Uscì agilmente fuori dalla cameretta al piano terra, che Milo aveva imbastito per lei, visto che si era convinta a dormire finalmente da sola, e si dirottò su per le scale per svegliare i commensali. Era ovviamente completamente euforica. La giovane età incrementava la sua vivacità, ormai a stento controllata.

Non si curò di bussare, sapeva già chi avrebbe trovato nella stanza di sopra: la sua famiglia acquisita. Quando li raggiunse, si slanciò semplicemente nel grande letto matrimoniale, urlando a tutta birra e mettendosi a saltare come una molla.

“Miloooooo, Myrtooooo!!! SVEGLIAAAAAAA!!! Oggi Camus tornerà tra noi!” urlò esagitata, scrollando prima uno e poi l'altro. Emanava gioia da tutti i pori, anche se, dall'altra parte, tale felicità fu accolta da un unico grugnito di Milo, ancora assonnato, mentre una Myrto, più educata, si metteva a sedere sistemandosi meglio la corta canottiera che aveva indosso, stropicciandosi al contempo gli occhi, ancora appiccicosi dal sonno. Neanche lei aveva particolare enfasi a quella notizia, ma sorrise alla piccola e le regalò una carezza.

“Buongiorno, tesoro, ti vedo in splendida forma stamattina!” la salutò, soave, lo sguardo significativo.

Sonia annuì energicamente, lanciandosi ad abbracciarla con gioia, le manine ad arpionargli, ancora una volta, la schiena sinuosa.

“Sì, sono felice! Oggi Camus torna qui, Milo mi ha detto che ci starà un po', non posso che essere emozionata!” si spiegò, strusciandosi contro il suo petto come un cucciolo giocoso.

“Hai sentito? Il tuo secondo amante sta arrivando, dovresti essere contento anche tu!” lo provocò lei, regalandogli una gomitata di affetto. Milo si mosse appena, bofonchiando qualcosa, poi stette immobile, come a volersi concedere la ripresa di un sonno interrotto.

“Ehi, guarda che non ti sento se mugugni così!” lo punzecchiò ancora lei, ridacchiando. A quel punto il ragazzo si voltò, lo sguardo ancora rimbambito. Era lento ad ingranare la mattina, come si vedeva!

“Ho detto che, al momento, l'unica cosa che mi rimbalza in testa è la rottura di coglioni di partecipare alle assemblee alla tredicesima casa... forse quando saremo solo Camus ed io, e lui sarà qui, potendo tornare a parlare dopo così tanti mesi di distanza, il mio umore migliorerà. Per il momento sono solo scazzato!” disse, con la voce impastata dal sonno, cominciando a prendere coscienza nitidamente dell'ambiente circostante.

“Umpf, ti proporrei un terzo round, se solo potessimo... - lo stuzziccò lei, sottile – Ma è troppo tardi, nevvero?!”

Mio si ritrovò ad arrossire nel vedere il sorriso furbo di Myrto. Trasalì, ricordandosi della notte appena passata e del suo operato non solo quel recondito giorno ma, ormai, da un paio di mesi a quella parte, malgrado gli avvertimenti che Camus aveva già ampiamente espresso.

Subito, all'udire la voce melodiosa della donna amata, si sentì irrequieto, soprattutto nelle zone sotto. Ringraziò mentalmente Atena per essere nascosto dalle coperte e impedire così di essere visto dalla piccola Sonia. D'accordo che sapeva già tutto, ma avere una simile reazione con lei davanti sarebbe stato quanto meno imbarazzante.

“Myrto! Myrto! Anche io potrò, prima o poi, fare quello che fate voi, vero?” chiese la piccola, arrossendo a dismisura.

La giovane donna si ritrovò a ridacchiare per l'ingenuità della bambina, mentre uno scompigliato Milo si dimenava nel letto, reagendo un poco eccessivamente a quell'ultima frase.

“MA ANCHE NO!”

Sonia quasi si spaventò all'udire quell'urlo, immediatamente si nascose dietro le spalle di Myrto, intimorita.

“Andiamo, Milo, non ti sembra di essere un po' esagerato?”

“Me la stai traviando, Myrto, è solo una bambina, un essere puro e innocente!”

“Io non sto traviando nessuno! - la giovane donna assottigliò lo sguardo, offesa da quella velata accusata – Non sto affrettando i tempi, ma la piccola ha bisogno anche di confrontarsi con una figura femminile!”

“Oh, e immagino sia tu, questa figura!”

“Sento un velo di accusa nelle tue parole... non ne capisco il motivo. Entrambi siamo consenzienti, no?”

Milo tacque, colpito dall'espressione risentita di Myrto. Non sapeva perché aveva reagito così, ma l'immaginarsi Sonia a fare simili cose lo aveva sconvolto dal profondo, portandolo a reagire così male. Non le voleva ferire, nessuna delle due, ma provava un intenso desiderio di protezione verso la piccola.

“Non voglio affrettare i tempi... ma è necessario che qualcuno le cominci a spiegare come funzioni questo universo, e poi ha già quasi undici anni, non deve mancare molto a quell'avvenimento... – ripeté una seconda volta, cercando di tranquillizzare gli animi, poi si rivolse direttamente alla piccola – Sonia, fare l'amore con la persona giusta è ciò di più bello e naturale che possa esistere in questo mondo. E'... è il fulcro della vita! Tuttavia non ti corre dietro nessuno, potranno volerci anni o, al contrario, accadere prima di quanto immaginiamo, basta tu senta di farlo con la persona giusta!”

“Oh, ma io non ho fretta alcuna, Myrto, sono solo curiosa! - riprese vivacemente Sonia, tornando ad abbracciarla – E poi... e poi mi devono venire ancora le cose rosse, vero? Quelle indicheranno che sono pronta, ma sarò io a decidere quando, come e perché, lo so bene! Non ho alcuna fretta!” cantilenò, contenta.

“Esatto, quello e il primo passaggio verso la fase adulta, ma da quell'avvenimento in avanti potrà volerci ancora tempo, non c'è fretta alcuna!!” le sorrise Myrto, accarezzandole la testa.

“Ma di che state parlando, ora?”

“Tu a cuccia, Milo, che sono discorsi tra donne!” ridacchiò Myrto, scoppiando poi in una manifestazione di ilarità insieme alla piccola. Nessuna delle due disse più niente, si erano capite loro e facevano comunella, quando ciò accadeva era impossibile sbrogliarsi.

“Sì, sì, ridete, ridete! Io intanto vi preparo la colazione!” affermò con un pizzico di alterigia Milo, alzandosi in piedi e rimettendosi la maglia del pigiama, che quella notte, come si era capito, era stata assai... bollente!

Rimasero Sonia e Myrto nella camera, la prima si sdraiò sotto le coperte, assaporando gioiosa il profumo della sua famiglia, mentre la seconda si alzò, vestendosi con qualcosa di più consono a ricevere ospiti. Perché -lo sapeva- in quei giorni, finita l'assemblea, Camus avrebbe di sicuro trovato asilo a casa dell'amico Milo, lei era d'intralcio. E, a proposito di quel particolare, c'era qualcosa che doveva dire ancora alla bambina.

“Sonia, ascoltami un attimo! - la chiamò, sedendosi sul bordo letto una volta vestita, quando ebbe la sua attenzione proseguì – E' molto facile che io in questi giorni che ci sarà Camus non dormirò qui!”

L'interpellata si accigliò, alzandosi immediatamente a sedere e raddrizzando la schiena, pronta a carpire, dietro alle parole, i motivi più profondi di quella scelta.

“Perché, Myrto? Da quando è successo quel fatto a giugno sei sempre stata qua, ormai sei di casa, e il posto per Camus c'è sicuro, nell'altra stanza!”

Ecco, lì cominciava il difficile, come spiegare alla pargola i motivi di quella decisione, evitando di scendere nei particolari? Il discorso andava sul delicato...

“Ecco... non scorre buon sangue tra me e Camus...”

“Come mai?”

Perché era un estenuante, piatto, moralista che invece di usare le parole per rimproverare qualcuno, dire la sua e manifestare affetto, faceva trapelare tutto dal suo sguardo ghiacciato. Ecco il semplicistico motivo!

“Siam troppo diversi di carattere...”

Aggiunse solo, evitando tutto il resto. La verità era che probabilmente la infastidiva più di quanto lui si curasse realmente di lei, ma non ne poteva fare a meno, perché la faceva sentire costantemente giudicata per cose che non erano minimamente di sua competenza. E perché, forse, era l'unica persona, eccetto Sonia, che poteva rivaleggiare con lei, forse persino superarla. Il rapporto tra Milo e Camus era quanto di più profondo lo Scorpione serbasse in sé. Era sacro e inviolabile, fatto di mutui silenzi ma di un mondo, il loro, inestinguibile. A volte pareva superare i confini spazio-temporali, se ne sentiva totalmente schiacciata.

Così assorta nei suoi pensieri, quasi non avvertì la manina di Sonia accarezzarle morbidamente il braccio, ricercando il suo sguardo.

“Non ti devi preoccupare per lui, Camus sembra burbero ma è molto gentile, vedrai che se glielo chiedo non avrà problemi a dormire sotto lo stesso tetto con te!”

“Oh, Sonia... - si lasciò scappare Myro, sorridendole, prendendola in braccio e mettendosela sulle ginocchia – Grazie per il pensiero, ma va bene così, intanto ho delle incombenze da svolgere questa settimana!” la tranquillizzò, scostandole un ciuffo dalla fronte.

“Come preferisci... ma se cambi idea la casa è sempre aperta, lo sai!” si arrese Sonia, ancora euforica per l'emozione di rivedere Camus, saltellandole giù dalle ginocchia e correndo a fare la colazione.

 

 

* * *

 

 

“Dai, Myrto, muoviti! Milo e Camus potrebbero tornare da un momento all'altro, ed io non ho ancora nulla per le mani!” fremette Sonia, tirando per il braccio Myrto per le strade di Adamas. La piccola aveva un piano per la testa, sprizzava argento da tutti i pori, impossibile contenerla.

“Che fretta c'è, Sonia? Prima hanno una riunione al tredicesimo tempio, ricordi? Ma perché tutta quest'ansia? Comincio ad avere una certa età, sai?” si lagnò la giovane donna, inarcando un sopracciglio.

“Perché devo prendere un regalo per Camus, quindi mi occorre tempo!”

“Eh? Cos...? Un regalo?”

“Sì un regalo, esatto!” tagliò corto lei, aumentando l'andatura.

“Ma figurati se quello lì apprezzerebbe, non sai ancora che... oh ciao, Adelpho!”

“Adelpho!!!” Sonia si buttò istantaneamente tra le sue braccia, salutandolo allegramente e con enfasi. I bambini a quell'età erano molto fisici, forse anche troppo per taluni, ma fortunatamente Adelpho era abituato alla loro vivacità, aveva cresciuto Myrto quando lei era rimasta orfana all'età di cinque anni, facendogli un po' da padre e iniziandola, in quando vicario del tempio, alla vita a cavallo tra il Mondo Segreto e quello della vita ordinaria. Sapeva quindi come comportarsi con gli infanti e, cosa ancora più importante, gli piacevano.

“Mi sembrate molto frenetiche, è successo qualcosa di bello?” chiese gentilmente, accarezzando a testolina di Sonia.

“Sì, Camus torna!!!” trillò felice la piccola, saltando con gioia.

“Già... e Sonia si è fissata di fargli un regalo, anche se non condivido...” le fece eco Myrto, con assai meno entusiasmo.

“Capisco... orsù, Myrto, non dovresti essere così corrucciata all'idea del ritorno di Camus, sai quanto Milo tenga a lui e sei consapevole, in cuor tuo, che non è così tremendo come appare!”

“Lo so perfettamente... è un bravo ragazzo e giudizioso, ma ciò non toglie che sia noioso e irreprensibile. I tipi così non li digerisco!” acconsentì placida, atteggiandosi comunque da altezzosa nel parlare di lui.

“Camus è molto più di questo... se non lo vedi sei cieca, Myrto!” intervenne Sonia, prendendo le difese dell'Acquario dopo averla guardata torvamente. Ecco, quell'argomento era l'unica ragione di litigio tra le due, Myrto preferì cedere il passo e non aggiungere nient'altro, consapevole dell'infatuazione che aveva colto Sonia nei confronti del siberiano. Anche Adelpho non controbatté nulla, virando invece discorso.

“Dunque avevi qualche idea su cosa comprargli, Sonia?”

“No...”

Sonia mise su il broncio, gonfiando le gote e trattenendo aria, apparendo un po' come un criceto che custodiva i semi dentro alla bocca. Adelpho scoppiò a ridere, l'aria di chi la sapeva lunga.

“Allora non vi resta che seguirmi, ho idea su un posto...” disse e fece strada, mentre la piccola gli trotterellava dietro, nuovamente speranzosa.

Adamas era piena di negozietti presi d'assalto dai turisti nei mesi estivi, ma nella bassa stagione poteva rivelarsi difficile trovare qualcosa di caratteristico e peculiare, persino per gli abitanti che conoscevano bene il luogo. Per fortuna, Adelpho viveva sull'isola da più di cinquant'anni, l'aveva vista crescere e cambiare, modernizzarsi, pur rimanendo la stessa nel suo cuore. Conosceva quindi un negozio discretamente grande che offriva gingilli carini e colorati perfetti per lo scopo.

Quando raggiunsero il luogo in questione, Sonia fu lasciata libera di girare sotto gli occhi di Adelpho e Myrto e della commessa che li aveva accolti con un largo sorriso. Il fatto permise ai due di trovare il tempo per parlare nuovamente del Mondo Segreto, un problema che si faceva sempre più fitto e intricato man mano che il tempo passava.

“Myrto... mi dispiace tirare sempre fuori il solito discorso quando ci vediamo, ma la situazione peggiora di mese in mese, lo sai, vero?” iniziò Adelpho, cupo.

“Sì, lo so... me la sono data quando Milo ha detto che Camus sarebbe rimasto qui in Grecia per un po'. Non è usuale che i Cavaliere d'Oro vengano richiamati qui nonostante i propri impegni, e poi... i dodici dovrebbero essere radunati solo quando l'arrivo di Hades è imminente, e invece non ce ne traccia. In più, il Cavaliere d'Oro dell'Acquario è un maestro, perché distoglierlo dai propri doveri?”

“Il Grande Sacerdote ha sempre nutrito grande fiducia in Camus... è l'ultimo ad essere arrivato qui, eppure è stato il primo a sviluppare il potere, ciò mi fa pensare che lo possedesse già ben prima dell'allenamento... E' un predestinato, tutti loro lo sono, ma proprio in Camus questo fatto sembra doppiamente sottolineato; se hanno richiamato anche lui in queste circostanze, significa che la situazione si sta facendo sempre più seria...”

Myrto rimase in silenzio, il cuore denso di preoccupazione e la gola secca, si riprese solo quando la piccola Sonia, tornando di corsa le mostrò un oggetto che considerava degno di attenzione: un portachiavi a forma di delfino.

“Myrto! Myrto! Come ti sembra questo?!? Potrà piacere a Camus???”

“Un delfino?!? Se va bene, lo butta nel primo cestino che trova dietro l'angolo... cambia soggetto!”

“Perchè no??? - bofonchiò la piccola, rattristata, riprendendosi però subito dopo – Hai ragione, cerco altro, qualcosa di più caratteristico e che ricordi anche il nostro primo incontro!” e corse di nuovo via a tutta birra.

Myrto sorrise, rasserenata. L'incontro con Sonia era stato una benedizione in tutto quello sfacelo, ancora una volta ne fu grata, non seppe bene verso chi, ma sapeva per certo che era riconoscenza quella che provava. La bambina era entrata nelle loro vite al momento giusto, alleggerendo la tensione e concedendogli una boccata d'aria fresca, nuova...

“I Cavalieri d'Oro ci sono tutti, anche se attualmente Saga dei Gemelli risulta scomparso, Mu è in esilio volontario e Dohko a controllare il sigillo di Atena. I Cavalieri d'Argento stanno prendendo l'investitura adesso, quelli di Bronzo sono ancora in fase di addestramento... le schiere di Atena si stanno gonfiando in previsione della Guerra Sacra...” fece mente locale Adelpho, serio in volto.

Ma ci sarebbero arrivati alla Guerra Sacra??? Tutto faceva presagire lo scoppio di un conflitto civile ben prima di quel fatto... un presagio sinistro.

“Delle varie aree di allenamento, sappiamo che l'armatura del Cigno è in Siberia, quella del Dragone in Cina, altre in giro sparse per il mondo... Anche il leggendario Cavaliere di Pegasus verrà, l'armatura di Bronzo è qui in Grecia e danno come favorito Cassios, l'allievo di Shaina... - continuò il conteggio Myrto, pensierosa – E' comunque presto per la loro investitura, ci vorrà un altro paio di anni...”

In quel momento giunse nuovamente Sonia a troncare sul nascere altri possibili discorsi sulla situazione confusionaria del Grande Tempio. La piccola sembrava eccitata e fuori di sé dalla gioia, teneva in mano un pacchettino già chiuso e si sbracciava nella loro direzione.

“Cosa c'è, piccoletta, hai trovato quel che cercavi?” chiese Adelpho, piegando il busto nella sua direzione e regalandogli un altro sorriso.

“Sì!”

“E cosa sarebbe?” si interessò anche Myrto, avvicinandosi.

“Ehehehehe! S-E-G-R-E-T-O!” le fece linguaccia lei, nascondendo il pacchettino nella tasca della giacca e arrossendo visibilmente.

“Farai si sicuro colpo!” la rassicurò Adelpho, prendendola in braccio mentre Sonia era tutta gongolante.

“Adelpho!!! Non darle false speranze!”

“Orsù, Myrto! Camus non è così insensibile come appare, lo sai anche tu! Non lo hai forse... letto... negli annali del Santuario?!”

Myrto si ritrovò, suo malgrado, ad acconsentire con rassegnazione, voltando la testa in direzione del tramonto ormai imminente. Ciò che Camus era stato e ciò che era ancora, sepolto sotto metri e metri di permafrost... sì, lo aveva letto, ma ancora stentava a crederci...

 

 

* * *

 

 

“Amico mio, sono davvero contento che i tuoi allievi stiano bene e che facciano progressi, ma non ti starai stancando un po' troppo? Devolvi tutte le tue energie nella loro crescita, senza pensare che anche tu avresti bisogno di svagarti!”

“Al contrario tuo che, invece, utilizzi ampie forze per... svagarti!”

Milo arrossì di botto, ritrovandosi a grattarsi la testa a disagio. Fino a quando gli argomenti trattati vertevano sulla riunione o sugli allievi era andato tutto bene, ma Camus non aveva per niente dimenticato la confessione che lo Scorpione aveva fatto qualche mese prima. Aveva detto che ne avrebbero parlato... Milo sperò in cuor suo che se ne fosse dimenticato, ma era impossibile che qualcosa sfuggisse dalla testa dell'amico di sempre.

“Touché...” disse solo, scendendo dal battello e muovendo i primi passi sulla sua terra natia. Camus lo seguì a ruota, attirando le attenzioni di qualche sparuto turista non abituato a vederselo arrivare in una tenuta simile. Effettivamente, persino lì nelle Cicladi, quel novembre faceva più freddo della norma, pertanto Milo, come ogni essere umano normale, si era infagottato di maglia, felpa, giacca e persino di una calda sciarpa color rosso che gli avvolgeva il collo. Camus invece era sceso dal battello con indosso i soliti jeans coronati da una maglietta nera con una scollatura a 'v' che mostrava parte del bel petto, chiaro come il colore che la sua pelle imponeva, così rassomigliante ad una falce lunare. Malgrado questo, aveva l'aria di essere accaldato... totalmente accaldato!

Era logico che i pochi turisti che c'erano e soprattutto LE turiste, si perdevano per un momento a contemplarlo, proseguendo poi oltre con un risolino divertito.

“Dei, in Grecia non si respira neanche a novembre...” commentò, posizionando meglio sulle spalle la sacca che si portava dietro e che conteneva un cambio di abiti.

“Cosa... COSA?!? Ma se fa un freddo porco!” esclamò Milo, sperando di distrarre l'amico dall'argomento principale.

“Voi abitanti del Sud avete una visione vostra della parola freddo...”

“E voi Siberiani del Nord ne avete una altrettanto distorta della parola caldo!” ribatté, sbuffando.

“Comunque non sono qui per parlare di questo...”

“Ugh... se ti dicessi che preferirei parlare del tempo che farà domani mi seguirai?”

“No! L'ho tenuto per me in questi mesi in attesa di vederti. Non posso proprio trattenermi ora”

“Ecco, perfetto... sentiamo!”

“Dal nostro ultimo dialogo... dimmi un po', hai smesso?”

Milo ci impiegò un po' a capire, prima di ricordarsi che l'amico di sempre non era mai esplicito quando si trattava di discorrere su quel dato argomento.

“Ehm... noooooo?” rispose in uno strano tono a metà tra una domanda retorica e un accento strozzato.

Stavolta Camus non perse tempo a ribattere, sospirando tra sé e sé prima di guardarlo in cagnesco senza bisogno di fagli presagire il disappunto nella sua voce. Non occorreva.

Milo fece un discreto sforzo mentale nel campare una scusa plausibile per il suo comportamento, non trovandola, si limitò a parlare del fatto compiuto.

“Sonia è molto contenta della presenza di Myrto in casa nostra... è una figura femminile indispensabile per la sua crescita, non privarla di una simile opportunità...”

“Mi hai frainteso, Milo... che Myrto ti aiuti a crescere Sonia è di sicuro un bene per la piccola... tuttavia questo non implica che continuate a fare i vostri comodi! Dovreste essere maturi abbastanza per capirlo e per comprendere che avete anche un cervello per controllare i vostri ormoni!”

“Non tutti maturiamo allo stesso modo, Cam... per taluni occorre più tempo...” sussurrò Milo, chinando il capo e stringendo i pugni.

“E' vero... ma tu sei un Cavaliere d'Oro, hai il sacro dovere di dare l'esempio ai cadetti e ai Cavalieri di rango inferiore, devi sforzarti di crescere anche tu, anche perché ormai hai diciassette anni, non più quattordici!”

“Dare l'esempio... lo dici anche a Death Mask questo, che va a cercarsi apposta le ragazze facili per 'fare esperienza'?! O ad Aphrodite che giudica tutto e tutti solo sulla base della bellezza?!?”

“Di quello che fanno loro non sono interessato, non sono miei amici, non sono nulla di più che colleghi e non significano niente per me!”

“Ah, quindi perché sono tuo amico mi devi scartavetrare i coglioni?! Che culo!”

“No, devo dirti quando sbagli e perché e, se posso, mostrarti la via giusta! Sei Cavaliere d'Oro, stai mettendo in pericolo quella donna, te ne rendi conto?!”

“Non mi pare che il non fare niente con lei l'abbia salvata da un quasi stupro... cosa intendi quindi con metterla in pericolo? Spiegati! Perché davvero non capisco!”

Camus a quel punto prese un profondo respiro, ricercando le parole giuste per non farlo infervorare ancora di più.

“Milo... posso capire che... che ti faccia sangue... è una bella donna e inoltre il suo modo di vestire, soprattutto in estate, è...”

“Come ti permetti?!? Stai forse insinuando che se l'è andata a cercare?! Davvero la pensi così?! Sarebbe questo il tuo 'dimostrare di essere un Cavaliere d'Oro'?! Giudicando una giovane donna da come si veste???”

“Non ho detto questo...”

“Ah no?!? Cosa stavi per dire allora?!?”

Milo sembrava totalmente fuori di sé, peggio di prima, Camus si morse il labbo inferiore, appurando di aver, ancora una volta, sbagliato totalmente approccio.

“Milo... sono un uomo anche io, anche se a te potrà non sembrare... so come ragioniamo, so che, in certe circostanze, può caderci l'occhio, a volte anche qualcosa di più, ed è mostruoso questo, lo so, ma la parità dei sessi non è ancora stata raggiunta, men che meno secondo le leggi del Tempio, basta vedere le Sacerdotesse Guerriere cosa debbano fare per essere accettate tra noi!”

“E quindi a te sembra giusto che per questo, solo per questo, Myrto e le altre donne dovrebbero andare in giro imbacuccate dalla testa ai piedi?! Parli di parità dei sessi ma rasenti il maschilismo, caro il mio ghiacciaio ambulante...”

Camus socchiuse le palpebre, cercando le parole per essere più chiaro possibile e non fraintendibile come prima.

“No... dico che, proprio perché so come è questo mondo e perché sono consapevole di come ragionano gli uomini, che, se avessi ancora mia sorella qui vicino a me, non la farei andare in giro così... per questo motivo, proprio per questo...” provò a districarsi, ma Milo era già partito per la tangenziale.

“Ah, povera ragazza... menomale allora che non ha suo fratello tra i piedi che vorrebbe decidere come agghindarla. Fortuna che, essendo stati separati, non ha questa tortura, anzi, ora che ci penso... non sa nemmeno di avere un fratello!” asserì Milo con noncuranza, non rendendosi conto di aver appena varcato un confine pericolosissimo. Se ne accorse solo quando gli occhi di Camus, in quel momento bui e tempestosi, saettarono nei suoi con la stessa intensità di un giaguaro che assalta la preda. Non ci fu contatto tra loro, ma lo Scorpione la avvertì tutta, la grande offensiva, si sentì sbranato in meno di un secondo.

“Non... permetto... a nessuno, nemmeno a te... - sibilò tetro l'Acquario, furente, mentre la temperatura si abbassava consistentemente – ...di varcare questo confine!”

“Hai ragione... - si affrettò Milo, sinceramente mortificato – Mi sono sentito attaccato perché hai tirato in ballo Myrto e il suo modo di vestirsi, allora ho agito d'impulso, colpendo consapevolmente il tuo punto debole, cioè tua sorella che sei stato costretto ad abbandonare. Questo per me è essere immaturo, non di certo voler proteggere la persona amata e la bambina che mi è stata affidata!”

Un lungo silenzio mentre la temperatura tornava nella norma e i passanti, infreddoliti e convinti di essere stati colpiti da una ventata gelida e improvvisa, si avviarono con il doppio della loro velocità verso le rispettive dimore.

“Va bene così. Ho sbagliato prima io... ciò che volevo realmente dire era fraintendibile... ti chiedo scusa a mia volta!”

Tacquero entrambi, il vento che gli scompigliava i capelli e ormai a corto di parole. Ma Camus sapeva di dover concludere in qualche maniera il suo rimprovero, ne andava delle sorti dell'amico e della giovane donna.

“Milo...”

“Mmh?”

“Scusami ma... è necessario che tu capisca che la stai mettendo in pericolo... so che tu vuoi proteggerla, so anche che ti è sempre piaciuta, non è quindi una facile rinuncia...”

“Sono stufo di dover rinunciare a tutto, Cam... ho dovuto sacrificare ogni cosa per diventare Cavaliere... perché?! Non stiamo diventando Santi Cristiani, ma protettori dell'umanità, come tali, non ne capisco il senso di fare terra bruciata intorno a noi. Avere qualcuno da difendere può solo rafforzarci!”

“Perché relazionarci ad altri al di fuori del nostro mondo ci indebolisce, ci distoglie dai nostri obiettivi e, nondimeno, mette in pericolo loro, gli esterni, che possono essere facilmente utilizzati contro di noi. Rischiano la vita, capisci? E noi, dietro un ideale, non sempre potremo esserci per loro, lasciandoli così sguarniti...”

“Cam... non voglio sacrificare altro!”

“Non devi farlo subito, ma ti chiedo di rifletterci... rendi Myrto capace di sopravvivere alla tua perdita, perché non saremo sempre qui, la nostra speranza di vita è notevolmente più bassa della norma. E' ingiusto ed egoistico permettere a qualcuno di instaurare un rapporto così profondo con noi...”

“E' ingiusto ed egoistico anche impedire a priori la nascita di un qualunque rapporto con gli altri... non siamo esseri slegati dal mondo, non siamo un sistema chiuso... ed è folle precluderci tutto perché potremo morire, un giorno. Qualunque essere umano può perdere la vita domani, qualunque! Non è una scusa per non vivere!”

“E' questione di statistica, Milo... nient'altro che statistica, noi corriamo più rischi rispetto ad altri. Se morirai, Myrto e Sonia rimarranno sole, senza aiuto... perché noi facciamo parte di un mondo diverso da quello tradizionale, in tal senso siamo fuori dal sistema, ecco perché è necessario limitarci”

“Quindi mi stai dicendo che c'è un modo per non provare sentimenti? Per limitarli? Per non innamorarsi? Siamo quindi automi?”

“No, non c'è, ma non lasciarsi imbrigliare dalle emozioni è un buon inizio...”

Non lasciarsi imbrigliare... facile da teorizzare, un po' meno nella pratica. Milo distolse lo sguardo. Sapeva a cosa si riferisse Camus, dimostrazione vivente di quello che diceva, sfoggio perfetto del guerriero ideale, un po' come Shaka e Mu. Eppure... eppure non era proprio in virtù dei sentimenti che lui, Milo di Scorpio, era riuscito a far breccia nella coltre di ghiaccio di Camus? Non aveva, in fondo, già vinto? E anche Camus.. tanto cianciare sul trattenere le emozioni quando, in fondo al suo cuore, anche lui viveva di quelle, tacito segreto tra lui e il suo migliore amico. Solo lui conosceva la vera natura di Camus, perché solo lui aveva il diritto di accesso. Poteva starci solo per un tempo limitato, era vero, ma tanto gli era bastato per vedere con nitidezza tutte le emozioni che lo avvolgevano e dalle quali era impossibile sfuggire. Per questo, proprio per questo, l'Acquario predicava fino allo sfinimento la necessità del controllo. Era una battaglia persa in partenza, ma era di vitale importanza per non crollare e finire così in pezzi.

“Camus... hai paura, lo posso capire... ma non riuscirai a metterci una pezza sempre. Conosco la tua profonda sensibilità, capisco la tua ricerca di equilibrio... ma non è ostracizzando le emozioni che scamperai dal distruggerti... Molto spesso la flessibilità e la malleabilità sono un pregio, un rigido tronco di quercia può essere abbattuto da un tuono, se viene colpito nel punto giusto, una canna invece può evitare di spezzarsi proprio per la sua virtù di piegarsi ai capricci del vento...”

“Proprio perché lo sai, proprio perché conosci la mia vera natura, dovresti ben capire il motivo delle mie scelte... - mormorò a bassa voce Camus, tornando a concentrarsi su di lui – Comunque non parliamone più, non siamo più soli!”

Milo ebbe appena il tempo di voltarsi nella stessa direzione dell'amico, che udì un forte schiamazzo seguito dall'arrivo tempestoso della piccola Sonia che, come un tornado appena formatosi a terra, cominciò a girare intorno allo Scorpione e all'Acquario, del tutto frenetica.

“Per gli dei, ora questa inciampa, cade e si fa male...” disse a denti stretti Milo, massaggiandosi la guancia con preoccupazione. Effettivamente la corsa della bambina intorno ai due ragazzi continuava imperterrita, allungando e assottigliano il giro di qualche centimetro per formare, ad ogni nuovo giro, un simbolo perfetto dell'infinito. Sonia era fuori di sé dalla gioia, li avrebbe abbracciati e riabbracciati entrambi diverse volte, ma sapeva che Camus era restio al contatto fisico, pertanto si limitò a sprizzare la sua gioia in quella maniera, almeno finché non fu lo stesso Acquario ad avanzare di qualche passo per arrestare il suo moto.

“Fermati, trottolina, o rischierai davvero di inciampare e di finire malamente per terra!” il tono di Camus aveva assunto una venatura più dolce, mentre, con gesto della mano, posava il palmo sopra la testolina della bambina, la quale si fermò di colpo e sorrise raggiante, le guanciotte paonazze e il fiato un po' più corto.

“Ciao, Camus!!!” lo accolse, emozionata, le braccine protese nella sua direzione. Il ragazzo annuì con il capo, poco prima di tirare a sé Sonia e farla adagiare delicatamente sull'avambraccio sinistro, gesto che aveva già fatto in precedenza con la piccola.

Salut, Sonia, comment vas-tu? - chiese nella sua lingua originale, sorridendo appena – Ciao, Sonia, come stai?” ripeté poi in modo comprensibile anche per lei.

“Sto bene, Camus, e sono felice di vederti!” rispose lesta la piccola, appendendosi al suo collo e socchiudendo gli occhi, briosa.

Il Cavaliere d'Oro ovviamente si aspettava un tale gesto, ma non fu comunque esente dal provare il solito, consueto, imbarazzo, soprattutto perché i presenti, con Myrto in avvicinamento e Adelpho al suo fianco, lo guardavano in un coacervo di emozioni.

Sonia si godette quella posizione altolocata, adagiandosi con dolcezza contro il petto del ragazzo, in modo da avere la guancia sinistra a contatto con la scollatura della maglietta di Camus per sentire più concretamente contro di sé la sua pelle che emanava quello strano calore inusuale per appartenere alla energie fredde. Le piaceva da impazzire, eccome! Pareva quasi una coperta termica morbida e rassicurante, si sarebbe addormentata sempre su di lui, malgrado i rumori esterni.

“Ah, però, Camus, buonasera! Fai conquiste, ed io che pensavo che non ne fossi capace!” lo salutò irriverente Myrto, squadrandolo da capo a piedi con un sorriso malizioso a solcargli le guance.

“Buonasera, Myrto, è un piacere anche per me rivederti...” rispose pratico l'Acquario, in apparente tono neutro; tono che invece nascondeva una velata sfumatura ironica.

La giovane donna si rivolse quindi a Milo, incrociando le braccia al petto e non degnandolo quindi più di uno sguardo.

“Lo hai drogato, che riesce a tenere una bimba in braccio? Non credevo ne fosse capace!”

“Eh? Beh...” Milo era stato preso in contropiede, sapeva che la donna non vedeva di buon occhio il suo migliore amico, ma non si sarebbe mai aspettato un atteggiamento così refrattario già con le prime battute. Marcava davvero male...

Inaspettatamente Camus, con la mano libera, schioccò più volte le dita per attirare la sua attenzione, prima di parlare.

“Intanto guardami negli occhi quando hai qualcosa da dire su di me, e poi... - raccolse tutta la sua dose di pazienza per non accentuare più del dovuto il suo tono di voce, anche se era riuscita ad infastidirlo fin da subito – Ti devo ricordare che ho due allievi in Siberia? So come ci si comporta con dei bambini, non sei certo solo tu, una levatrice, ad avere questa dote!”

Myrto era punta sul vivo, brontolò qualcosa prima di posare un passo in avanti nella sua direzione, ma Adelpho fu lesto a raffreddare i bollori.

“Non vi siete visti che da pochi secondi e già siete a pungolarvi l'un l'altra?! Siete come le tarantole e i topi!” scherzò l'uomo, risoluto nel troncare sul nascere ogni possibile litigio.

Milo decise di dargli corda, spostando la conversazione sul ridere, cosa che gli riusciva sempre bene.

“In verità il nostro Camus non vuole ammettere che ha un debole per le pargole: ha questa attitudine a sciogliersi per le bambine... peccato che poi, dai 13/14 anni in su perdano ogni attrattiva, ce lo vedevo a fare stragi di cuori, ma... non ha stimoli!”

“MILO!!!” l'Acquario lo fulminò con lo sguardo, arrossendo a dismisura, mentre tutti gli altri presenti scoppiarono in una fragorosa risata.

Camus non ribatté più nulla, corrucciando l'espressione e facendo finta di niente, ma sapeva di sentirsi in imbarazzo e quindi scoperto, terribilmente scoperto! La piccola che teneva in braccio invece sorrideva beata, contenta di crogiolarsi finalmente contro di lui, rassomigliava un po' ad un gattino euforico.

“Bene, vi ho portato la piccola ed è già sera, direi che le nostre strade si dividono qui!” disse Myrto, facendo per incamminarsi verso casa sua, ma Milo, del tutto dimentico del discorso fatto quella stessa mattinata, la bloccò per un polso.

“Come, di già? Pensavo che almeno a cena potessi rimanere... Myrto!” confessò lo Scorpione, scrutandola con occhi languidi e profondi.

Quelle dannate iridi azzurre! Myrto non poteva proprio opporvisi, men che meno se assecondava la sua espressione con un tono di voce così convincente e ammaliante.

“Io... preferirei tornare a casa mia...” provò a ribellarsi, arrossendo.

“Dai, Myrto, cena con noi! Ti prego.... ti prego... ti pregooooo!!!” esclamò Sonia, esaltata alla sola idea di avere tutta la famiglia finalmente riunita.

La giovane donna indietreggiò di qualche passo, ancora meno capace a rifiutare dopo una richiesta così insistente da parte della bambina, altro suo tallone d'Achille.

Camus, da ottimo stratega, colse l'occasione per metterla totalmente all'angolo.

“Come vedi, la platea smania dalla voglia di averti con noi a cena. Non puoi proprio rifiutare, Myrto! - asserì, avvicinandosi sinistramente a lei con un sorriso, che non gli era proprio, di trionfo, era consapevole di sfoggiare la carta vincente – E poi devo giusto parlarti, quindi così è deciso!” concluse con un filo di voce, avviandosi poi verso la casetta. Non prima di averle scoccato una nuova occhiata ricca di significato.

Myrto inspirò ed espirò due volte, mantenendo la calma. Conosceva quello sguardo, quel fastidiosissimo sguardo che poteva significare tutto e niente allo stesso tempo. Non vi era più alcuna soluzione, solo... affrontare il nemico in casa!

 

 

* * *

 

 

Myrto non amava particolarmente il freddo dell'inverno, preferendo di lunga la calda estate; e calda era anche la sua natura, ardente e avvolgente, in costante movimento, come gli atomi che aumentavano di moto allo salire della temperatura. Da novembre fino a febbraio, persino a quelle latitudini lì, mediterranee, persino in faccia al mare c'era da rabbrividire. Era come una lenta litania di inedia, in attesa di momento più propizio.

La giovane donna, finita da poco la cena con gli altri, si raccolse nello scialle, sfregandosi le mani nel tentativo di ricreare una scintilla di calore nelle dita intirizzite. Cosa vana, perché era da alcuni giorni che un minimo depressionario si era instaurato proprio nelle Cicladi e non demordeva, malgrado non fosse che inizio novembre. Sembrava quasi fatto apposta per salutare l'arrivo dell'algido siberiano.

Improvvisamente una folata di vento gelido la investì con ancora più forza, facendola tremare. Dei passi dietro di lei, lenti e soffici come se fossero di velluto, le fecero capire chi stesse arrivando. Che seccatura, era così che iniziava la ramanzina, ordunque.. che strazio, e dire che l'avrebbe voluta evitare, ma l'aveva ingabbiata bene, così priva di vie di fuga.

“Per l'amor del cielo, Camus! Fa già abbastanza freddo di per sé, mi ci manchi tu!” ironizzò, girandosi per incrociare il suo sguardo con quello gelido dell'Acquario di cui avvertiva nitidamente la presenza.

“Freddo? La temperatura è abbondantemente sopra lo zero termico, non userei quell'aggettivo!” ribatté l'altro per tutta risposta.

Divino, dal tono si presagiva già la voglia repressa di rompere le cosiddette con le sue solite parole da maestrino, ma Myrto non era dell'umore per dargliela vinta, non subito.

“Sonia e Milo?” chiese infatti, incrociando le braccia al petto con supponenza, che si capisse fin da subito, dall'altra parte, la sua poca voglia di ascoltare i suoi discorsi. Patti chiari e amicizia lunga!

Myro si aspettava chissà cosa dopo quella frase pronunciata in quel modo, di tutto, ma proprio di tutto; sorprendentemente invece accadde l'unica cosa che lei non si sarebbe mai aspettata dall'Acquario: lo vide sorride con naturalezza fiera e distante. Per un solo secondo si stupì.

“La piccola cadeva dal sonno, pertanto Milo l'ha riaccompagnata in camera ed è rimasto su con lei. Quando sono passato per chiedergli se si fosse addormentata, l'ho udito intento a raccontare una storiella mentre Sonia rideva – spiegò, lo sguardo distante a qualcosa di intangibile – Milo a raccontare favole... non l'avrei mai detto, si vede che si è molto affezionato alla bambina!”

“E' difficile non affezionarsi a quel batuffolo... ti entra nel cuore così velocemente che non hai nemmeno il tempo di capirlo che le vuoi già un bene dell'anima!” gli diede corda lei, speranzosa di poter continuare su quel fronte senza sforare di argomento.

“Già, suppongo sia così...” biascicò Camus, scurendosi in viso. Tacquero entrambi, ma Myrto sapeva anzitempo che si trattava solo di una breve, fugace, pausa.

Quello che non si aspettava, di nuovo, era la domanda che l'Acquario si lasciò scivolare fuori da sé, ancora con una naturalezza disarmante.

“E tu, Myrto, come stai?”

La giovane donna si ritrovò a sbattere le palpebre, incredula. Ma che... aveva bevuto?! Sapeva che Camus, da buon siberiano con una sottilissima patina francese, era abituato a bere alcolici, lassù, a Pevek, tanto che si era ormai avvezzato e nulla lo poteva scalfire; maa davvero l'unica spiegazione ad una tale spigliatezza era che, quantomeno, fosse brillo. O cos'altro?

“Co... - si ricompose un attimo, sistemandosi i capelli – Perché me lo chiedi?”

“Milo mi ha raccontato, a grandi linee, cosa è successo a giugno... un'esperienza simile avrebbe distrutto chiunque, per questo ti ho posto la domanda” disse semplicemente, franco, avvicinandosi di un passo.

“Camus... so che non mi sopporti, non c'è bisogno di questi convenevoli, so dove vuoi arrivare...” soffiò invece lei, sull'allerta. Era espansiva, d'accordo, ma molte cose se le teneva per lei, non avrebbe permesso che un qualsiasi estraneo la mettesse così a nudo. Men che meno Camus.

“Non sopportare è una parola grossa... o forse, devo pensare, che è il riflesso di come mi vedi tu? - la incalzò, provocando in lei la reazione, voluta, di fulminarlo con lo sguardo – Non ha comunque importanza... la mia domanda era sincera, per quanto sia vero che sono qui principalmente per altro. Se non vuoi dirmelo va bene lo stesso, ti posso assicurare che dormirò comunque la notte!” la canzonò poi, con quella velata ironia che usava di rado, e che pure era tagliente come le cime aguzze degli iceberg.

“Come vuoi che stia... l'ho superata, ormai, grazia a Milo e Sonia, ma mi sono sentita sporca e profanata per più di un mese” tagliò corto, stizzita.

“D'accordo, grazie per avermi dato almeno una risposta!”

Myrto si voltò dall'altra parte, la pelle d'oca ma non per il freddo. Era davvero irritante quel francesino che sembrava sapere sempre tutto, ancora più quando dava sfoggio della sua ridente ironia, mantenendo però un tono basso e gentile. Una autentica presa per il culo agli occhi della donna. Chissà Milo che cappero ci avesse trovato in lui. Prese un profondo respiro, sforzandosi di tornare alla calma, che dargliela vinta sarebbe stato troppo facile. Aspettò. Aspettò con pazienza il nuovo passo di Camus, che non si fece attendere.

“Myrto... sai che quello che hai fatto con Milo in questi mesi, in verità non lo potresti fare, vero?”

Eccolo qui, lo aspettava al varco. Fortunatamente aveva già recuperato la calma, per cui si permise di fronteggiarlo faccia a faccia, nella notte buia di luna nuova dove solo le stelle erano testimoni del loro dialogo.

“Oh, intendi il sesso, vero? - Myrto non si curò di nascondere l'atto dietro sinonimi ridicoli, aveva usato quella parola apposta, e infatti il sopracciglio destro di Camus fremette per un secondo, a testimonianza di averlo colpito nel profondo – Sì, lo so... ma non penso che uno come te possa parlare di un simile argomento, non conoscendolo!” lo sferzò con la voce tagliente e un sorriso di scherno.

“Allo stesso modo non credo che le mie scelte siano di tua pertinenza!”

“E perché, quelle mie, o di Milo, sì? Sei forse una balia?!”

Camus socchiuse gli occhi nella notte buia, in silenzio, ma li riaprì subito, con una strana luce negli occhi.

“In questo caso lo sono, perché siete andati contro una delle leggi fondamentali del Tempio. Se lo dicessi al Sacerdote, con ogni probabilità, ti allontanerebbe da quest'isola per non farci più ritorno e non vedresti più né Milo né Sonia... lo sai, vero?”

Myrto ingoiò a vuoto, non aspettandosi una presa di posizione così netta: la stava forse minacciando? Davvero la odiava a tal punto da spifferate tutto e mettere così nei guai anche Milo?!?

“Non... non lo faresti! Non tradiresti un amico!”

“No, non lo farei... ma è il caso che tu e Milo vi rendiate conto dei vostri errori e che vi prendiate le vostre responsabilità!”

“E' una legge stupida, lo sai anche tu... perché Atena vieta di provare un simile piacere?! Cosa è, da verginella quale è, vuole precludere anche ad altri di provare un sentimento così forte e inespugnabile?!?”

“Myrto... occhio, stai varcando un sentiero pericolosissimo...” l'avvertì l'Acquario, sibilando.

“Ha forse paura che, a causa dell'amore, la tanto decantata devozione che voi Cavalieri avete per lei venga corrotta?!?”

“Myro... rinfodera la tua lingua biforcuta perché stai osando troppo...”

“Scommetto che è così! Perché ha paura... ha paura, perché in fondo sa anche lei che gli uomini, essendo esseri finiti, darebbero la vita per le persone care, per la loro famiglia. Sa che il suo sciocco ideale assolutistico di giustizia insindacabile può essere facilmente soppiantato da qualcosa di molto più concreto come il voler proteggere la persona amata, lo sa, per questo...”

“MYRTO, NON OSARE, HO DETTO! NON VARCARE QUESTO CONFINE, NON COSTRINGERMI AD UCCIDERTI PER INSUBORDINAZIONE!”

Il tono di Camus era salito fino a strozzarsi, troncando di netto lo sproloquiare di Myrto che, per la prima volta, si sentì nuda e inerme davanti all'Acquario. Si accorse che poteva farlo, quello che andava dicendo, che molto probabilmente se si fosse fatta scappar quel fluire di parole con un altro fedelissimo del Grande Sacerdote, tipo Shaka, o lo scomparso Saga, non sarebbe scampata alla condanna capitale; eppure non riusciva a non pensare che a quello, al fatto che gli esseri umani erano fatti per proteggere pochi, che l'ideate utopico di Atena cozzava aspramente con la natura umana, che fosse un ideale da dei e che, come tale, malgrado venisse plasmato per renderlo convincente, era pura follia. Nient'altro che follia. Lei amava Milo, avrebbe dato la vita per Sonia, ma non per un qualsiasi altro essere umano. Salvare l'umanità intera, indiscriminatamente, era come salvare anche il marciume che albergava in essa. Non poteva accettarlo...

Camus dal canto suo si accorse si aver esagerato con le parole, pertanto prese un secondo respiro, tornando a modulare la voce come all'inizio.

“Non so cosa passasse per la testa di Atena alla notte dei tempi... e neanche mi interessa... - si lasciò scappare, facendole capire che comunque comprendeva il suo punto di vista – Ma stai mettendo in pericolo Milo, lo capisci? Lo stai indebolendo... gli stai facendo desiderare una vita che non può avere, discostandolo dai suoi doveri”

“Io... lo starei indebolendo?!?” esclamò, indignata.

“Sì... e stai mettendo in pericolo anche te stessa. Perché amare così visceralmente una persona significa perdere sé stessi! – le spiegò, pacato – Cosa faresti se Milo dovesse morire in battaglia? Cosa faresti se si venisse a sapere che tu hai un debole per lui, e lui per te? Siete il punto debole l'uno dell'altro e, per un guerriero, ancora di più che per un umano normale, questo equivale ad un suicidio”

“L'amore... un punto debole?!?”

Myrto era sempre più incredula, mentre Camus si limitò ad annuire con il capo.

Inconcepibile, semplicemente inconcepibile. La giovane donna si ritrovò ben presto a camminare in tondo, massaggiandosi la fronte con le mani come a non voler ingurgitare una pillola troppo amara.

“Assurdo... - disse tra sé e sé, prima di alzare nuovamente il capo per intravedere il volto di Camus davanti a sé. In quella oscurità perpetua i suoi occhi sembravano neri anziché blu – Come si vede... come si vede che tu non l'hai mai provato...”

“Prego?”

Fu il turno di Myrto di annuire esaustivamente, poco prima di girare la testa di sessanta gradi e sorridere amaramente.

“Intendo che si vede che tu non hai una persona speciale nella tua vita...”

Fu il turno di Camus di indispettirsi, senza nemmeno curarsi di celarlo.

“Veramente di persone speciali, a cui voglio bene, ne ho molte nella mia vita...”

“Non come intendo io...”

L'Acquario si acquietò un attimo, credendo di afferrare il concetto.

“Ah, ho capito... tu intendi l'amore, ebbene, non sono fatto per questo, non sono idoneo ad innamorarmi, neanche voglio, del resto! Non serve, per un guerriero, perdere la propria lucidità!”

“Come sei limitato, Camus... ho detto 'persona speciale', non 'amore della tua vita'!”

“Ribadisco... che ne ho molte di persone così, Milo, Isaac, Hyo...”

“Non è così e lo sai bene, quando arriverà lo saprai con certezza che quella è la tua persona speciale. Lo saprai perché per lei affronteresti tutte le leggi dell'universo per renderla felice e tenerla al sicuro. Per lei sarai pronto a tutto, sfidando l'irrazionale, l'impossibile... sentirai caldo nel petto e avrai bisogno di toccarla, di parlare con lei, di sentirla tangibile contro di te. Sarà la tua certezza quando tutto il mondo intorno a te crollerà, quando non ne potrai più, quando, al limite della sofferenza starai per soccombere. La riconoscerai, perché le vorrai un bene dell'anima, sarà la tua perdizione e la tua speranza. La tua debolezza, la tua forza!” profetizzò Myrto, del tutto certa delle sue convinzioni.

Camus rimase zitto, guardandola con perplessità, più o meno come si fissa un mentecatto che parla a vanvera di cose troppo grandi per lui.

“Mi pare... tu stia enfatizzando l'amore!” asserì solo, burbero. Myrto scoppiò a ridere, sorniona.

“E' l'amore infatti, Camus... ma non ne esiste di un unico tipo, sai? Sembra che tu lo definisca solo carnalmente, o sbaglio?!”

“Carnale o no... un sentimento così forte è troppo per me... - ribadì, allontanandosi un poco, prima di fissare amaramente un punto non ben definito. Non sembrava quasi più lui – Ne ho... ne ho abbastanza di coinvolgimenti emotivi così intensi, mi... mi distruggono e mi dilaniano... anzi, l'hanno già fatto! Non li sopporterei ancora!”

La giovane donna si ritrovò a fissarlo ancora, nuovamente incredula. Camus sembrava così triste nel pronunciare quelle frasi spezzate; e sì che ce l'aveva sempre, quell'aria malinconia di qualcosa che gli era stato violentemente strappato, ma persino per lui quella tristezza che si percepiva nei suoi profondi occhi blu ma spenti, era troppo in là per essere compresa con la sola ragione. Non sembrava più lui, o forse... sembrava troppo lui! Myrto lo continuò ad osservare per un lungo periodo, cercando dentro di sé una possibile spiegazione a quell'immenso malessere che l'Acquario stava cercando di reprimere a fatica, trovandovi una sola soluzione.

“Scusami, io...”

“Ho capito... devi aver sofferto molto nella tua precedente vita, vero?”

“Cos...?”

Myrto sorrise stavolta dolcemente, mentre Camus, grazie agli dei celesti, tornava il solito, esasperato, Camus. Gliela riconobbe subito quell'espressione, quel sopracciglio innalzato come di totale incredulità davanti ad una simile follia. Ma il varco era aperto, la donna decise di spiegarsi.

“La tua malinconia che ti porti dietro da quando eri piccolo, come se ti avessero strappato qualcosa, come se fossi alla perenne ricerca di qualcosa di perduto, di violato... non può essere che collegata alla tua precedente vita!”

“Oh... - sbuffò, totalmente asettico – La mia vita precedente, certo...” disse sarcasticamente, massaggiandosi la fronte con le mani.

“Non mi credi...”

“No, infatti... come potrei reputare veritiere speculazioni senza un minimo di senso logico, né scientifico? Dovrei forse esserne affascinato?!”

“Sei troppo rigoroso per i miei gusti...”

“E tu sei troppo metafisica per i miei... Quello che dovevo dirti te l'ho detto, possiamo pure salutarci qui!” tagliò di netto, come quando si sentiva sguarnito.

Il segno di rifiuto, invece di bloccare il dialogo, spinse Myrto a perseverare.

“Ah, ti ho toccato nel profondo, eh, ecco perché scappi!”

“Io non...”

“Scappi, sì!”

“Non osare, Myrto!”

“Altrimenti cosa, ti chiudi di nuovo a riccio ed eviti il dialogo? Può significare solo che una parte di te sa che quello che dico è vero, e che ne ha paura!”

“D'accordo allora... - Camus fece dietrofront e tornò ad approcciarsi a Myrto, gli occhi luccicavano iracondi, ma per nessuna ragione gliela avrebbe data vinta a quella spocchiosa sputasentenze – PARLIAMO, ordunque!”

Myrto si ritrovò a ghignare, vittoriosa. Era facile girare gli uomini, in un modo o nell'altro... forse Camus era impossibile da piegare sotto determinati punti di vista, ma in altri casi seguitava docile il suo corso in maniera perfettamente calcolabile.

“Quindi? Credi davvero che il mio carattere dipenda da cose successe in una ipotetica altra vita? - la incalzò, scocciato - Ne hai le prove?”

“E tu hai delle controprove per smentire la mia teoria?”

Camus tacque, rimuginandoci su. Non ne aveva, erano pari. Ma trovata la faccenda comunque assai poco verosimile. Numerose religioni sostenevano la teoria della reincarnazione, a lui totalmente estranea nel suo credo, ma tutte convergevano su un determinato punto.

“Non ho prove... - ammise, con un poco di alterigia – Ma, se ben ricordo, tutte le teorie sulla reincarnazione prevedono la totale impossibilità di recuperare i ricordi, le emozioni, persino l'identità, della precedente vita”

“Corretto”

“Capirai quindi che ti sei contraddetta da sola... come posso essere influenzato da qualcosa che nemmeno rammento?!”

“Puoi”

“Ah sì? E come, di grazia, se...”

“...Perché la tua anima lo ricorda, sebbene la tua parte conscia non possa riportarlo in superficie”

“Assurdo...”

“Credi? Eppure proprio in te è così evidente!”

“Ah, in me sarebbe evidente? Siamo apposto...”

Camus non sembrava per niente convinto e si stava paurosamente innervosendo. Da buon tipetto rigoroso, poteva essere contraddetto solo da discorsi, teorie, sensate e con fondamento, e quello per lui non lo era; non lo era affatto. Ma Myrto sapeva di avere il coltello dalla parte del manico, sapeva di riuscire a portare la conversazione a suo completo vantaggio. Più di quanto già non fosse.

“Un ragazzo emozionale, gentile, altruista e tanto, troppo, sensibile... ecco spiegato l'arcano!”

“Bel tentativo... casuale, ma un bel tentativo, Ecco il mio segreto invece: sono tutt'altro!”

“Oh, lo so! Sei uno scontroso, burbero, rompiscatole pieno di sé, anaffettivo, stronzo... oh sì tremendamente stronzo, è inutile che mi fai capire che ti sei risentito! - ironizzò Myrto, sbuffando nel vedere l'espressione algida del siberiano virare paurosamente verso la rabbia – Però io sto parlando della tua precedente vita, mi sarebbe piaciuta conoscerla!”

“Se busserà nella mia testa te lo farò sapere, non sia mai che magari diventate amici, voi due!” continuò sempre sarcasticamente Camus, dandole le spalle e fulminandola con lo sguardo. La sua sopportazione era al capolinea. Accennò alcuni passi credendo di non sentirla più, invece...

“Me ne dispiace sinceramente... - l'Acquario si fermò, tornando a guardarla con un misto di sorpresa e senso di attesa. Gli occhi di lei si erano rabbuiati nell'oscurità silente appena illuminata dalle stelle, cosa insolita – La tua precedente vita deve essere stata piena di sogni e speranze, probabilmente fu un idealista vissuto per un sogno e per i suoi amici... e forse anche per l'amore della sua vita... ma deve essere stato tradito, i suoi ideali infangati e le sue emozioni stracciate e orrendamente mutilate. Per preservare se stesso, per proteggersi da tutto e da tutti, devi essere saltato fuori tu, la sua nemesi, solo così avrebbe potuto controllare la sua sensibilità e quindi le sue emozioni”

“Bella storiella, davvero! Potresti raccontarla ad altri e riadattarla, sono sicuro verrebbe fuori un bel racconto!” sibilò lui freddamente, guardandola torva, prima di voltarsi e continuare per la sua strada.

 

Sono ancora così sensibile, è questo che voi proprio non capite, ma va bene così. Io voglio che sia così. La barriera di ghiaccio che ho eretto tra voi e il mio mondo deve rimanere tassativamente tale, non può permettersi di essere frantumata, perché... ne morirei anche io! Tu pensi sia un freddo calcolatore del tutto estraneo ai sentimenti, tanto meglio, più simulerò di esserlo più voi lo crederete, chissà che, prima o poi, anche la mia mente e quindi il mio essere asseconderà tale finzione!

 

Questo Camus lo pensò, ma non poté -né tanto meno volle- dirglielo, limitandosi ad allontanarsi da quel luogo soffocante e di gran lunga troppo esposto per il suo fragile temperamento. Sorrise amaramente tra sé e sé, ricordandosi del piccolo Hyoga in Siberia, di quanto capitasse che non lo reggesse a volte, di quanto si ostinasse a imprimergli la ferrea disciplina del non cedere alle sciocche e dannose emozioni. Erano più simili di quanto credesse, forse per questo lo tallonava così tanto su quell'argomento, motivo di discussione e di frequenti litigate. Lui e Hyoga... in fondo, non erano nient'altro che due sciocchi sentimentalisti!

“Scappa pure, Camus... per ora... ma prima o poi anche tu incontrerai la persona che manderà a monte tutti i tuoi bei progettini. Quel giorno crollerai, rendendoti conto di essere sempre stato nudo e inerme di fronte a questa immensa forza! - asserì Myrto tra sé e sé, sospirando – Nondimeno quel giorno darà l'avvio alla tua completa rinascita, perché tutto ripartirà dal principio... Non è forse così, Camus? O dovrei chiamarti con il tuo nome originario, ovvero Dégel, l'uomo più intelligente ed emotivo che il Santuario abbia mai ospitato?! Non ha comunque importanza... forse è rimasto qualcosa di lui in te, un residuo, sarà compito della tua persona speciale, quando la incontrerai, perché la incontrai, riportare alla luce la tua vera essenza!”

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

A qualcuno il Camus bacchettone e moralista mancava? Ebbene, eccolo, è il suo momento! XD Capitolo che si basa sul raffronto tra Myrto e Camus che, come vediamo, essendo due persone diametralmente opposte di carattere e di ideali, non vanno affatto d'accordo. Myrto ha una bella linguetta, è un bel peperino, non cede il passo neanche nei con fronti dell'algido siberiano, che in questo capitolo lo vediamo ben intento a strigliare sia lei che Milo. Diciamo che le sue ragioni ce le ha, ma l'ho volutamente reso più “pesante” per meglio definire poi il cambiamento che ha avuto nella seconda storia e che avrà dalla terza storia in avanti. E' esattamente così che vedo Camus, non la nemesi di Dégel né quella di Hyoga, quanto una loro forma esasperata; una forma che avverte inconsciamente tutto il peso di aver vissuto così in prima persona i sentimenti nella sua precedente vita, profondamente strappata dalla sua vera essenza. Vediamo anche che Myrto conosce Dégel perché ha letto di lui negli annali, mentre Camus è refrattario all'idea di avere avuto una “precedente vita” da cui dipende buona parte del suo temperamento presente.

E cosa mi dite di Sonia? Nel prossimo capitolo darò più spazio al rapporto tra lei e l''Acquario, anche perché dall'undicesimo avremo un salto temporale di qualche mese.

Come sempre ringrazio chi mi segue, chi recensisce e chi mi scrive anche solo dei messaggi privati, spero che la Sonia's side story possa continuare a piacere! :)

Alla prossima!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Per la tua persona speciale (parte seconda) ***


CAPITOLO 10: PER LA “TUA” PERSONA SPECIALE (parte seconda)

 

 

“Aspetta, Camus dell'Acquario, rimani ancora un attimo qui, devo discorrere privatamente con te!”

La voce metallica e, come sempre, imperiosa del Grande Sacerdote bloccò tutti i Cavalieri d'Oro sul posto, non solo l'interpellato. Era finita la riunione, l'ennesima in quella settimana, ma era la prima volta che l'Illustrissimo chiedeva di fermarsi di più ad una persona in particolare. Gli occhi degli otto dorati custodi presenti serpeggiarono l'un l'altro, ricercando quelli del compagno più fidato. In loro albergava una tacita domanda priva di risposte, un intenso moto di straniamento, un'inquietudine crescente, solo gli occhi di Camus non tradivano alcuna espressione, rimanendo contenuti a fissare di sottecchi la maschera inespressiva del Sacerdote. Capelli grigi riaffioravano dal casco della persona più importante del Santuario, i riflessi metallici brillavano di luce sinistra, scarlatta, come il sangue.

“Gli altri vadano pure, è un argomento tra me e lui!” spiegò brevemente il Grande Sacerdote, alzandosi dal trono e congedandoli con gesto imperioso della mano.

Un triste presagio, un turbamento interiore imprescindibile continuava a serpeggiare negli astanti, ma non uno obiettò quell'ordine allontanandosi silenziosamente. Solo la mano amica di Milo si poggiò per un istante sulla sua spalla, un breve gesto di affetto, un sorriso tirato, perché vittima di quell'apprensione, ma pur sempre un sorriso.

“Ti aspetto fuori, amico mio!”

Camus annuì appena, prima di attendere che tutti si allontanassero, poi fece quattro passi in avanti. I suoi occhi erano puntati sulla figura del Sacerdote, in uno sguardo che, si presagiva, significava sfida, un non piegarsi completamente al suo volere, tuttavia, quando raggiunse la posizione, flesse rispettosamente il ginocchio destro in segno di riverenza. L'armatura scricchiolò.

“Sono in attesa delle vostre parole, mio signore, qualsivoglia esse siano!” disse umilmente, socchiudendo gli occhi e mantenendo il capo chino.

Il Grande Sacerdote invece si alzò in piedi, camminando lentamente in direzione delle colonne in stile corinzio, ne accarezzò una con la mano prima di proseguire.

“Ti ho fatto tornare dalla Siberia per chiederti dell'apprendistato dei tuoi allievi, ma non c'è stato il tempo di farlo in questi giorni. Parla ora, dunque! Come procede?”

Camus fremette appena a quella richiesta ma non lo diede a vedere, celando il tutto dietro alla sua dura tempra di ghiaccio che era per lo più inespugnabile.

“Procede tutto nel migliore dei modi. Entrambi sono veloci ad apprendere e resistenti negli allenamenti. Isaac è in vantaggio di un anno rispetto a Hyoga, è più forte e più determinato, ma quest'ultimo ha un potenziale inesauribile, sono sicuro che con le giuste procedure potrà essere un valente Cavalier di Atena!”

“Molto bene. A che punto sono dell'allenamento?” sibilò ancora il Grande Sacerdote, con la solita voce dura, quasi da essere artificiale più che umano. Camus si permise di alzare un poco il capo per guardarlo negli occhi, rimanendo comunque inginocchiato davanti a lui.

“Entrambi padroneggiano il potere elementare del ghiaccio e possono sferrare colpi congelati di media intensità. Conoscono la Polvere di Diamanti e riescono, bruciando il cosmo, a isolarsi dall'ambiente esterno e quindi mantenere stabile la loro temperatura corporea. Questo gli permette anche di rimanere sott'acqua anche per più minuti, entrambi sono ottimi nuotatori!”

“Bene anche questo...” disse soltanto il reverendo, tornando a passeggiare in prossimità del trono, ma la conversazione non era affatto finita.

Camus continuava a scrutarlo con occhi profondamente indagatori e un pizzico di astio. Fossilizzò il suo sguardo ancora sulla lunga chioma grigia che fuoriusciva dalla maschera del Grande Sacerdote per poi ricadere sulla schiena. Il vecchio Shion, reduce della passata Guerra Sacra, era senza dubbio invecchiato in quei secoli, i capelli si erano fatti cinerini, il cosmo fiacco, le rughe segnavano il collo... almeno fino a qualche anno prima. Dopo la Notte degli Inganni, invece, tutto era cambiato, persino l'aura cosmica, tornata più viva che mai ma totalmente diversa. Chi c'era davvero dietro quella maschera?! Perché Camus non riusciva a darsi pace sull'identità dell'illustrissimo?! Perché quel continuo presagio infausto quando invece avrebbe semplicemente dovuto fare un atto di fede e affidarsi alla presenza di Atena dietro la sala del trono?! Automaticamente i suoi occhi puntarono sulle tende che celavano quel luogo sacro dove la dea dormiva e veniva interpellata dal Grande Shion. Le pupille di Camus, Cavaliere d'Oro dell'Acquario, guizzarono intensamente: c'era davvero qualcuno là dietro?! Oppure...

“...Uno dei due dovrà morire, lo sai, vero?”

Così preso nelle sue cogitazioni, quasi Camus non si accorse del verbo usato dal Grande Sacerdote, rendendosene conto solo qualche secondo dopo, nel momento in cui il suo cervello, associando quel tono così rude a quanto pronunciato, capì dove volesse andare a parare.

“Prenditi il tempo necessario, ma fai la tua scelta con acume e con un pizzico di spietatezza, che non guasta mai. Scegli chi dei due fanciulli è più meritevole dell'Armatura del Cigno, ho grandi progetti per lui. L'altro uccidilo e lascia che la Siberia nasconda quel rifiuto umano!”

Un brivido corse lungo la spina dorsale di Camus, procurandogli la sensazione di aver appena preso la scossa. Suo malgrado, si ritrovò a tremare appena, gli occhi spalancati in un singulto e la bocca semiaperta ma silente.

“Non mi dirai che ti sei affezionato così tanto agli allievi da non riuscire a ucciderli, vero?”

“Non è... non è quello! - si affrettò a dire, malgrado effettivamente fosse QUELLO – E' che mi sembra eccessivo...”

“Non vi è nulla di eccessivo... la dea Atena vuole ciò. Le regole del Santuario sono sempre state spietate, lo sai anche tu... quanti bambini sono arrivati qui, sperando nell'investitura, e invece sono morti? Rifiuti umani, per l'appunto! Atena ha bisogno di valenti condottieri che difendano la giustizia, non di deboli ragazzetti che non sono in grado di conquistare nemmeno un'armatura! Meglio che spariscano da questo mondo, che il terreno copra la loro vergogna!”

“La dea Atena... la dea Atena che dovrebbe amministrare la giustizia vorrebbe ciò?! Vorrebbe che dei bambini, già strappati agli affetti, venissero affogati così nel sangue?!” sibilò Camus, serrando la mascella e fremendo visibilmente.

“Hai detto qualcosa?”

“N-no... no!” si costrinse a riportare alla calma Camus, tornando apparentemente docile.

“Bene, così sia, Camus dell'Acquario! Fai la tua scelta per l'armatura del Cigno, non subito certo, ma falla. Uno dei tuoi allievi sarà destinato alla gloria come valente paladino della giustizia, l'altro sarà dimenticato. Seppeliscilo con cura e fai come se non fosse mai esistito, mi fido ciecamente del tuo giudizio, sei un uomo saggio, lo so bene!”

“S-sarà fatto!” disse, laconico, non permettendo al suo tono di apparire insicuro, ma il suo pugno si chiuse ancora di più, con una tale intensità che, se privo dell'armatura, probabilmente gli sarebbe uscito il sangue.

Non lo avrebbe MAI fatto!

Una volta uscito dall'ormai pressante e soffocante tredicesimo tempio, Camus ritrovò Milo che, come promesso, lo attendeva pazientemente. Non lo degnò di uno sguardo, procedendo giù per le scalinate a spasso spedito. Aveva un bisogno di sbollire quell'immenso mattone che avvertiva nella gola, aveva necessità di condurre tutto sotto ragione e sotto calma, ma le parole spietate di Shion lo avevano colpito nel profondo, tamburellandogli nei timpani con ancora più crudeltà. Sentiva il bisogno di urlare, di prendere a sprangate quell'assurdo posto che sviliva così la vita umana, neanche fosse frattaglia di un qualche animale. E si ricordò, Camus dell'Acquario, per un solo secondo, di quanto fosse stato spietato quel mondo anche con loro, futuri Cavalieri d'Oro per dote naturale. Si ricordò di come era stato strappato dalle braccia di sua madre, mentre, con un titanico sforzo per un bambino di cinque anni, sorreggeva la sorellina con le braccine tremanti. Anche allora non aveva avuto possibilità di scelta, anche allora le dure mani del Grande Sacerdote lo avevano separato dalla sua famiglia, ma non avrebbe più permesso a quelle luride dita di sparpagliare altro sangue. Avrebbe infine scelto, sì, ma avrebbe permesso all'altro allievo di potersi ricostruire una vita fuori dalla follia del Santuario, lo avrebbe fatto, sì, con tutte le sue forze!

Si sentì tirare per un braccio, trovandosi costretto ad arrestare il suo moto.

“Camus! Ti vuoi calmare un attimo?! Non ti ho mai visto così agitato, sei partito lancia in resta per la tua strada, sembravi un ciclone!” lo bloccò lo Scorpione, sinceramente preoccupato.

“Milo...”

“Cosa è successo per renderti così sconvolto?”

Camus prese tempo prima di rispondere, accorgendosi di essere giunto fino alla dodicesima casa, un luogo non certo propizio per chiacchierare, vivendoci uno dei peggiori aguzzini del Grande Sacerdote.

“Milo... - riprese poi, quasi a corto di fiato, ancora sinceramente turbato – Il Sacerdote vuole che io prenda il mio tempo per decidere chi tra i miei due allievi sarà Cavaliere del Cigno... l'altro dovrò ucciderlo!”

“COSA?!?”

Camus annuì, discostando lo sguardo. Le parole faticavano ad uscire.

“Ma non parliamone qui, andiamo verso la tua casa, ok?”

Milo acconsentì a sua volta, affiancandosi all'amico per poi scendere le scalinate insieme a lui. Che le leggi del Santuario fossero spietate sin dalla notte dei tempi non era una novità. Le pene erano sempre state dure, poiché si trovavano in una sorta di regime militare, né più né meno. Il loro ruolo non era molto diverso da quello dei soldati, tenenti, generali, eccetera che, lungo la storia umana, avevano guerreggiato gli uni contro gli altri fino a massacrarsi. Nonostante questo, era palese che, specie nell'ultimo periodo, c'era stato un inasprimento delle pene. Il Mondo Segreto doveva rimanere segreto... non era permesso agli sconfitti vivere fuori da quello schema; quando un cadetto vi entrava non ne poteva più uscire, se non da morto!

Il pensiero di Milo corse alla piccola Sonia, avvertì una fitta per lei, e una per Myrto... era felice e rassicurato di averle fuori dal Santuario, anche se la giovane donna, per la verità, era a cavallo dei due mondi. Avrebbero potuto vivere liberamente, malgrado tutto... questo per lui era fonte di gioia.

Giunti alla nona casa, Camus si appoggiò stancamente ad una colonna, lo sguardo distrutto, il respiro ancora corto, ma si stava lentamente calmando.

“Milo... non voglio uccidere uno dei miei allievi...”

“Non sarà necessario! Quando arriverà quel momento lo faremo scappare in qualche maniera, potrà avere una vita normale, lontano da noi!”

“E come... come faremo?”

Camus sembrava davvero scoraggiato, se ne rimaneva lì, sulla colonna, lo sguardo basso e gli occhi spenti. Era riuscito a mantenere la tenuta psicologica in presenza del Grande Sacerdote, ma ora si stava fatalmente rendendo conto di non avere un piano di riserva per il secondo allievo, qualunque sarebbe stata la sua scelta.

“Non lo so, ma... ma in qualche modo faremo. Ora pensa solo ad allenarli entrambi, rendili capaci di difendersi da soli, il resto è tutto in discesa!”

Il resto in discesa... sembrava cosi facile barcamenarsi con Milo, ci sarebbe stata sempre una soluzione, una speranza. Era la sua controparte in tutto, la sua nemesi, nondimeno il suo sostegno morale. Ma la loro condizione non era delle più facili, far scappare l'allievo perdente e sperare che questo potesse semplicemente vivere al di fuori del Santuario senza interferenze era pura utopia. Il Santuario non lasciava mai in sospeso quanto di dovere. Verosimilmente l'avrebbero trovato e ucciso, simulando un incidente. Camus non poteva tollerarlo, al solo pensiero percepiva una fitta acuta sotto il torace, sul fianco: non poteva sopportare l'idea che uno degli allievi potesse fare una simile fine per mano di terzi.

“Milo, prometti una cosa, di tutto cuore...”

Il tono dell'Acquario era dimesso, strascicato, fioco, la sua stessa espressione era quanto di più rassegnato lo Scorpione avesse scorto in lui. Se ne spaventò, perché non era abituato a vedere Camus così stravolto, forse quella era addirittura la prima volta, significava che aveva colpito nel profondo. Davvero, cosa stava succedendo al Grande Tempio in quell'ultimo periodo?! Ok, non erano mai stati cresciuti e tirati su a fiorellini, ma quando c'era in vita ancora Aiolos si respirava tutt'altra atmosfera, si aveva davvero la sensazione che il futuro che avrebbero salvaguardato tutti loro insieme fosse pieno di sogni e speranze.

“Qualunque cosa, amico mio...”

“Promettimi che continuerai a lasciare Sonia fuori da tutto questo. Tienila lontana, qualunque cosa accada, non voglio che altre vittime entrino in questo circolo vizioso!”

“Oh, ehm... sono completamente favorevole a tenerla lontana da questo ricovero di pazzi, ma lei è di altro avviso...”

Camus si accigliò, mentre, senza proferir parola, cambiò la sua espressione in una più sorpresa e attenta. Milo si sentì di continuare il discorso.

“E' uscito il discorso sui Cavalieri di Atena... le ho detto, sì, che non intendo allenarla malgrado abbia un cosmo, ma lei è abbastanza insistente da quella volta. Dice che, così facendo, riuscirebbe a proteggere me e Myrto e a renderti orgoglioso”

“NO! - trasalì Camus, nuovamente turbato – Non è suo compito, siamo noi a doverla proteggere. E'... è così piccola!”

“Le ho già detto le mie intenzioni di non allenarla, per il momento ha accantonato l'idea, spero non perseveri in futuro”

“Lo spero anche io... - sospirò Camus, un poco affranto – è assolutamente necessario tenerla lontana da qui, la situazione è sempre più...”

“Ah! Ah! Ah! Penso di aver sentito abbastanza!”

Sia Camus che Milo si misero immediatamente sul 'chi vive', irrigidendo i muscoli e acuendo i sensi, consapevoli comunque di essere stati troppo avventati a parlare così apertamente. Infatti la voce che avevano immediatamente associato ad una certa persona non tardò ad acuirsi; sguaiate risate inconfondibili erano sempre più in avvicinamento. E tremarono. Tremarono al solo palesarsi, davanti ai loro occhi, di Death Mask del Cancro seguito a breve distanza da Aphrodite dei Pesci: il duo terribile.

“Credo di aver ascoltato abbastanza – ripeté, rilevando il timore scorrere nei suoi compagni – Avrei anche gli estremi per una denuncia, tra uno che non intende uccidere l'allievo debole e l'altro che sta nascondendo una bambina in possesso di un cosmo” disse trionfalmente il Cancro, con un largo sorriso.

Sia Milo che Camus tacquero, maledicendosi per aver abbassato così la guardia. La fibra di Camus era stata duramente colpita già nel confronto con il Sacerdote. A questo si aggiungevano anche le orecchie di Death Mask che avevano carpito tutto. Strinse con foga il pugno, totalmente sopraffatto da quella situazione che lo vedeva in forte svantaggio. Non poteva parlare, farlo avrebbe peggiorato la sua posizione, ma sapeva che il Cavaliere del Cancro non avrebbe mollato l'osso.

“Che celavate dei segreti che tenevate per voi è lampante fin da quando eravate piccoli... - si intromise Aphrodite, con voce melliflua – Ma per quanto concerne l'aver mentito ai vostri compagni più vecchi, non è né bello né cortese!”

“Nessuno vi ha mentito... al massimo ci siamo tenuti per noi cose che non volevamo condividere con altri!” affermò immediatamente Milo, pronto, che quando c'era di mezzo l'onore di Camus era il primo a muoversi.

“Davvero?!? - berciò malamente Death Mask, con espressione di scherno – A quanto ho capito, il tuo amicone non vuole ubbidire ad un ordine del Grande Sacerdote, e si sa che il Sommo Shion crede in lui, tenendolo così sul palmo della mano, altrimenti non gli avrebbe affidato quattro allievi sfigati, no?! Beh, che due son morti subito, il che, per mio conto, indica che forse tanto bravo non sei, Camus dell'Acquario... ma l'Illustrissimo ha fiducia assoluta in te e tu... e tu gli vuoi dare un dispiacere simile… aaaaaaaaaahhhh!!!”
Death Mask si mise le mani in faccia, stropicciandosi le guance e gli occhi con una finta espressione sconvolta rassomigliante non poco all'urlo di Munch. Un perfetto attore, se non fosse appartenuto, almeno in teoria, alle più alte schiere di Atena.

Milo guardò brevemente Camus per percepire il suo stato... se ne stava ancora lì per il momento, nella stessa posizione di prima, lo sguardo altrove e il pugno ancora serrato, ma erano i suoi occhi ad essere cambiati, diventando scuri e furenti, le labbra tremavano impercettibilmente, dimostrando esaustivamente lo sforzo di esercitare il controllo, previo spaccargli altrimenti la faccia in barba alle leggi del Santuario e del rispetto tra commilitoni.

“Death Mask...” sibilò Milo, avvertendo l'immenso peso che stava provando l'amico, così abituato a controllarsi... ma lui no.

“Cosacosacosa... cosa c'è?!” cantilenò, continuando a fare smorfie. Un vero e proprio cazzone.

“Il pugno che non ti sta dando Camus perché sin troppo gentile, quello, hai presente, no? - pausa ad effetto per caricare il momento, che già non riusciva più a trattenersi – Ecco, te lo sto per dare io in faccia!” disse, e subito alzò il braccio per colpire con veemenza quel siciliano rincoglionito che gli dava nausea al solo vederlo, ma Aphrodite, raffreddando i bollori, si mise in mezzo, bloccando i due contendenti.

“Calma! Calma! Siamo dalla stessa parte, no? E' futile e pernicioso prendercela tra noi per quisquilie simili, non trovate?”

“E allora di' al tuo amico rachitico di sciacquarsi ripetutamente la bocca prima di mettere in dubbio l'onore di Camus con parole al vento, che pur essendo più piccolo di voi due beoti di vent'anni, ha fatto molto più di quanto abbiate mai fatto voi che passate la vostra vita a bighellonare tra le colonne del tempio!”

“Milo... nessuno mette in dubbio l'onore del tuo amico, ma...” iniziò Aphrodite, cauto, ma l'altro gli parlò sopra con tutta l'intenzione di offendere.

“Che razza di checca isterica che sei quando si parla del tuo compare, mi viene davvero il dubbio che voi siate qualcosa di più che amici, data la reazione! - alzò il tono il Cancro, forte della posizione di vantaggio che percepiva ancora a suo favore – Puah! Che schifo!” esclamò, sputando esaustivamente per terra.

“Come osi, noi...”

“Milo! Ha ragione Aphrodite, finiamola qui! Noi Cavalieri d'Oro non dovremmo discutere gli uni verso gli altri!”

“Ma Camus!!!”

“Fallo per me... - bisbigliò, cercando il suo sguardo e il suo sostegno – Finiamola qui!”

La parentesi rissosa di Milo terminò in un attimo, incrociandosi con gli occhi blu di Camus, che ora sembravano pieni di preoccupazione e desiderio di allontanarsi da lì il più in fretta possibile. Le corde vocali dello Scorpione vibrarono per un istante, prima di acquietarsi, vinte dall'ordine tassativo di abbandonare l'ascia di guerra. Così fece, rilassando i muscoli, ma Death Mask tornò alla carica.

“Facciamo finta di non aver sentito nulla a riguardo degli allievi, giacché c'è tempo per la scelta e siamo sicuri che, in quanto uomo saggio, converrai, con il tempo, che l'allievo perdente è meglio farlo fuori, ma... - allungò volutamente l'ultima parola prima di strascicarla e andare al sodo – Che mi dite invece di questa Sonia? State davvero nascondendo una bambina in possesso di un cosmo?!?”

Sia Camus che Milo rabbrividirono seduta stante. Il baricentro si era spostato, dirottandosi su Sonia, ma non per questo erano finiti in una situazione migliore, anzi. Il nome della bambina era uscito, pessima idea, come fare a distogliere l'attenzione da lei?!

“Se abbiamo ben capito... - intervenne Aphrodite, serio – Questa bimba ha un cosmo e voi invece di avvertire il Sommo la tenete nascosta...”

“La tenessero solo nascosta, Aphro! Questi secondo me hanno manie paterne e pensano di fare il bello e il cattivo tempo con questa mocciosa, dimenticandosi di infornare le alte schiere... a me sembra insubordinazione bella e buona questa!”

Milo fremette più intensamente di prima, pronto di nuovo a compiere il balzo per difendere con le unghie e con i denti ciò che gli era più caro. Ormai non c'era verso di uscirne se non con la lotta, ma Camus gli bloccò nuovamente il polso, lesto. Fermarsi di nuovo per la seconda volta, il messaggio silente che passò tra loro fu quello e a Milo non restò che affidarsi come sempre all'amico.

“Prima di tutto... chi vi dice che la bambina in questione abbia un cosmo talmente sviluppato da suscitare l'interesse del Sacerdote?” chiese gelidamente l'Acquario, apparendo più distaccato possibile.

Gli stessi Death Mask e Aphrodite si meravigliarono della sua tempra, nonché della sua ammissione.

“Cioè... c'è davvero questa bambina? Davvero la nascondente?” chiese meravigliato Aphrodite, fissando Camus negli occhi.

“C'è... - Camus dovette trattenere ancora una volta Milo che alla sua frase aveva sussultato pesantemente, preparandosi ad una azione forte – Ma che abbia un cosmo meritevole per essere di una qualche utilità al tempio è tutto da vedere!” affermò, chiudendo meccanicamente gli occhi.

“Ghiacciolo, fai pochi rigiri di parole... state nascondendo una mocciosa in possesso di un cosmo, questo fatto la dice già lunga, se poi ci aggiungiamo...”

“Al momento stiamo tenendo lontano da qui una insulsa bambina trovata da Milo, non sappiamo neanche se abbia un cosmo potenzialmente sviluppabile! Ha già più di dieci anni, per cui di sicuro non ha un cosmo dorato e probabilmente neanche argentato, altrimenti si sarebbe già manifestato pienamente. Pensate quindi che sarebbe una buona ragione, questa, per importunare il Sommo Shion, con tutto quello che ha già per la testa? Facilmente si tratterà di una nullità, per questo stiamo valutando il da farsi!” incominciò la sua spiegazione l'Acquario, facendo saettare il suo sguardo dall'uno all'altro. Milo continuava a fremere, iracondo, ma il pugno di Camus seguitava a bloccarlo.

“Ehi, però! Moderali un po' questi termini!” si lamentò lo Scorpione, ma l'altro non lo calcolò minimamente.

“Gggggh, però... però state comunque contravvenendo alle regole e...”

“Quali regole? - lo incalzò immediatamente Camus, supponente – Stiamo semplicemente valutando se la ragazzina sarà degna, nessuna regola vieta questo, anzi... noi Cavalieri d'Oro abbiamo un margine di indipendenza non da poco, dovreste saperlo anche voi! Se sarà meritevole allora importuneremo il Grande Sacerdote, non prima!

Death Mask aveva sempre quella faccia da granchio lessato, mostrando i canini come se stesse ringhiando, invece Aphrodite stava fermo e immobile, come a soppesare quelle parole.

“La tua spiegazione è ineccepibile, Cavaliere, tuttavia mi chiedo se... - lasciò volutamente la frase in sospeso, riportando l'attenzione su di lui mentre si strofinava il naso liscissimo che si ritrovava – Mi chiedo se la tua spiegazione così razionale si possa adattare altrettanto bene al tuo stato emotivo di prima, al tuo... per così dire... momento di debolezza!”

Camus si ritrovò, per l'ennesima volta, a sussultare, i muscoli totalmente tesi. Era vero che l'aveva provato, quel momento di smarrimento e di perdita preannunciata, coprirla in quel momento con la razionalità, come aveva comunque fatto, non lo salvaguardava dagli occhi esperti di Aphrodite, che capiva le emozioni degli altri con un solo, unico sguardo.

“Già, già, già, è proprio vero... - riprese anche Death Mask, borioso più di prima – Sembravi un cucciolo spaurito quando ti abbiamo udito, pareva proprio che temessi per la ragazzina, non è forse così?! Fregato!” fece linguaccia dopo, tutto ringalluzzito.

“I-io...”

Camus era in evidente difficoltà, Milo lo percepiva. Avrebbe voluto intervenire in suo favore ancora una volta, ma anche la sua lancia era spuntata. L'italiano e lo svedese stavano vincendo, mettendo a segno una 'partita perfetta' senza che loro due invece potessero attuare una qualche contromisura. Fortunatamente l'arrivo, insperato, di una terza forza, rimescolò le carte.

Dei passi riecheggiarono nel nono tempio, mentre dalla parte più centrale della casa, fece capolino una terza figura ammantata d'oro. Il suo modo di camminare manifestava fierezza nonostante la sua posizione all'interno del Santuario.

“Come al solito vi piace infilare il naso in fatti che non sono vostri. Ancora una volta siete degni della vostra nomea, Death Mask e Aphrodite!” si palesò davanti a loro Aiolia, Cavaliere di Leo, affiancandosi a Milo e Camus con sguardo risoluto.

Death Mask fece una smorfia disgustato, puntandogli il dito in faccia.

“Proprio tu parli di nomea, Aiolia?!? Tu che sei fratello di un traditore?!?”

Il giovane Leone accusò il colpo, ma non si scompose, era in gioco il destino di sua sorella.

“Cosa fai qui, Lia?” chiese invece Aphrodite, più educatamente.

“Ho più diritto io di trovarmi qui che non voi, essendo questa la casa del mio defunto fratello. Dovrei quindi io porvi questa domanda!”

“Sei anche uno spione adesso?! - lo canzonò il Cavaliere del Cancro, sempre sicuro di sé – Abbiamo sentito qualcosa di interessante provenire dalle loro bocche e stavamo indagando. Tu sai niente di questa Sonia?!”

Il cuore di Aiolia palpitò per un solo istante, ma fu abile a non cambiare la sua espressione e quindi a non mostrare il fianco ai due compari.

“Non ne so niente... ma se anche fosse come dici tu, se davvero stessero tenendo una bambina, non ci sarebbe alcuna legge del Santuario a vietarlo!”

“Gggggh”

“E poi, Death Mask, come hai detto anche tu stesso, il Grande Sacerdote ha piena fiducia in Camus, no?! Quindi, dal basso delle nostre posizioni, non ci resta che aspettare che il Cavaliere dell'Acquario valuti se questa presunta bimba abbia i requisiti necessari per intraprendere un allenamento, al momento è solo una perdita di tempo fino a prova contraria!” spiegò pratico in tono fiero.

“Puah! Effettivamente non ci state dando adito di sospettare una azione sovversiva ma non dimenticatevi che vi stiamo tenendo d'occhio, eh, bagordi!” affermò il Cavaliere del Cancro, ormai disinteressato dalla faccenda. E, senza aggiungere altro, facendo spallucce, si allontanò con l'intenzione di scendere fino alla sua casa, seguito da un Aphodite che sorridendo sornione, dopo aver posato delicatamente tre rose sul pavimento, si congedò dal gruppetto.

Milo e Camus attesero qualche minuto per precauzione, prima di permettersi di sciogliersi per rilassare i muscoli tesi.

“Grazie, Aiolia...” borbottò l'Acquario, discostando lo sguardo. L'intervento del Leone era stato provvidenziale, ma rimaneva il fatto che c'era stato bisogno di scomodarlo per farli uscire da quella situazione causata a sua volta da una sua disattenzione. Se ne prese la colpa.

“Non ringraziarmi, Camus, ti dovevo un favore... tu hai salvato mia sorella dalle acque del mare, sono io che ti sono riconoscente!” mormorò Aiolia, non incrociando lo sguardo dei suoi compagni, che pure in quel momento erano caldi e accoglienti come non mai. Dopo il tradimento di suo fratello Aiolos si era condannato alla solitudine; alla solitudine per non nuocere più. Per questa cagione si era sforzato di cancellare i suoi rapporti precedentemente costruiti, al di là di una mera affinità data dal fatto di essere parigrado.

“Non c'è bisogno di una tale formalità... la bambina era in difficoltà, sarei intervenuto per chiunque!” sorrise leggermente l'Acquario, mantenendo lo sguardo basso.

“Però, Aiolia, che forza! Ti sei azionato al momento giusto, ti dobbiamo un favore!” esclamò invece Milo, contento come non mai.

“Nessun favore, solo... cercate di non parlare più di Sonia in questa sede, se potete. Mi unisco al coro di chi vi chiede di tenerla lontana da qui, è per il suo bene!”

“Sarà fatto!” promisero entrambi, risoluti, permettendo così anche ad Aiolia di sciogliere i muscoli e di sorridere loro, come accadeva quando erano bambini.

“Mi fido di voi, Sonia è in buone mani!” prese un profondo respiro, allontanandosi poi verso il suo tempio.

Milo e Camus rimasero in silenzio nel vederlo andarsene, ognuno perso nei propri pensieri. Lo Scorpione pensava, con rammarico, a quanto fosse cambiato rispetto a quando era un fanciullo, così solare, caparbio e orgoglioso... i fatti della Notte degli Inganni lo avevano trasformato irreversibilmente, rendendolo oggetto delle malelingue e dei sospetti al tempio da quel fatto in avanti. Era ancora orgoglioso; orgoglioso di appartenere alla casta più alta dei difensori della giustizia, ma con l'obbligo morale di redimersi ed emanciparsi dall'influsso nefasto del fratello maggiore. Milo sospirò, ripensando a che cappero fosse passato nella testa di Aiolos per impazzire così, malgrado la nomea luminosa che aveva antecedentemente.

“Deve essere davvero difficile avere un fratello traditore...” manifestò il suo pensiero, passandosi una mano tra i capelli. Ma Camus non lo ascoltava, del tutto preso in mille congetture e con gli occhi fissi a scrutare il punto dove il mantello svolazzante di Aiolia era sparito dalla vista.

“E' lui... - disse a denti stretti, attirando l'attenzione di Milo che gli regalò un'espressione indecifrabile. Non capiva. Non poteva capire – E' lui la seconda vittima del Grande Sacerdote... la prima era Aiolos...” constatò, enigmatico.

 

 

* * *

 

 

“Milo... - Sonia, dopo un lungo silenzio, trovò infine il coraggio di chiamarlo per esprimere le sue perplessità – Dove è andato Camus? Non è... non è che se ne andrà senza salutarmi come la volta scorsa?”

Il Cavaliere dello Scorpione, intento a lavare i piatti, si bloccò pensieroso, buttando un occhio fuori dalla finestra, che già il buio incombeva, nonostante fossero appena le cinque e qualcosa. Che nervi quella stagione!

Effettivamente dopo la diatriba con Death Mask e Aphrodite era andato tutto liscio alle riunioni; le solite, pallose, assemblee in cui si ripetevano le stesse lagnosissime cose, il pericolo imminente e bla bla vari. E così era passata una settimana. Camus non era mai stato costretto a stare così tanto lontano dagli allievi, Milo sapeva, in cuor suo, che presto se ne sarebbe andato, molto probabilmente nella stessa maniera che temeva Sonia.

“E' da oggi pomeriggio che ripete che aveva da fare, non so dove, non so con chi e non so neanche perché, ma non ti devi preoccupare, Sonietta, domani c'è un'altra riunione, non penso proprio che Camus se ne andrà senza farla. Tornerà, non preoccuparti!” la tranquillizzò, tornando alle sue faccende, ancora gli mancava di pulire i bagni e le tapparelle, voleva farlo prima dell'ora di cena, in modo da potersi rilassare dopo. Avvertì immediatamente su di sei il visetto luminoso e ben sperante di Sonia, quindi la sentì scendere dal divano e zampettare per il soggiorno.

“E Myrto?” chiese ancora, stavolta più vivacemente.

“Ah, lei puoi stare tranquilla che ricomparirà nell'esatto momento in cui se ne andrà Camus. Sono come cane e gatto, quei due, anche se devo ammettere che è più da parte di Myrto!”

Sonia bofonchiò qualcosa a proposito del fatto che se ne era accorta e che la giovane donna, su quel versante, non capiva niente, che aveva completamente frainteso il temperamento del Cavaliere, ma subito dopo tacque, rapita da un pensiero: non aveva ancora avuto modo di dare e Camus il regalo che gli aveva preso diversi giorni prima, doveva muoversi a farlo, il tempo stringeva.

In quel momento sentì la porta aprirsi (Milo non la chiudeva mai con la chiave, se non durante la notte) e una voce dall'accento francese salutare cordialmente. Sonia si precipitò nell'ingresso a tutta birra e, senza dare il tempo a Camus di muovere anche solo un passo, né di posare la sacca che stava sorreggendo a terra, si tuffò tra le sue braccia, stringendogli il busto e affondando il suo visetto nel tessuto della sua maglietta.

“Bentornato, Camus!!!” trillò felice, aumentando la stretta su di lui.

Dal canto suo, Camus era sempre un po' a disagio quando qualcuno si approcciava così genuinamente a lui, azzerando le distanze fisiche, ma d'altro canto si stava lentamente abituando ad essere accolto così dagli occhietti vispi di Sonia, così riuscì velocemente a districarsi dall'imbarazzo, posandole una mano sulla testa e sorridendole con affetto.

Sonia a quel punto alzò la testa per vederlo in faccia e si accorse così che i lunghi capelli erano legati in una morbida coda e... gocciolavano!

Cercò di guardarlo meglio, certa di aver preso un abbaglio, ma era proprio così, era bagnato e, anche se il corpo e la maglietta erano asciutte, era palpabile una sorta di umidità unita ad un odore salino appena accennato ma ugualmente percepibile. Fece per aprire bocca, ma l'arrivo di Milo le rubò le parole dalla lingua.

“Camus! Dove diavolo sei stato?!? A farti una nuotata?!” esclamò, sorpreso.

“Più o meno... - fu la sola risposta dell'Acquario, enigmatico come sempre, poco prima di avviarsi verso la cucina con la sacca ancora tra le spalle – Scusami se ti bagno il corridoio, pulisco io dopo, ok? Ora fatemi andare ad asciugarmi almeno i capelli e poi vi preparo la cena”

Sonia e Milo si guardarono inebetiti, certi di aver capito male... d'accordo, Camus era un ottimo cuoco, ma la noncuranza con cui non dava spiegazioni per concentrarsi unicamente su quello che aveva in mente di fare era esaustiva, nonché un pizzico pressapochista.

“Sia Sonia che io crediamo di non aver capito...” disse solo lo Scorpione, seguendolo a ruota con la piccola dietro di lui.

Camus non rispose subito, si limitò a tirare fuori dalla sacca quanto si portava appresso, ovvero due bei dentici dai fianchi argentati, un pacchetto di linguine da un chilo, alcuni pomodori, carote e altra roba non ben definita. Ancora senza proferir parola, lo videro posare il pesce sul lavandino, mentre l'altra roba, eccetto le linguine, venne adibita momentaneamente al frigo. Fatto questo, finalmente si decise a parlare.

“Visto che mi ospitate da più di una settimana e che tu non sei esattamente una cima a cucinare, Milo, ho pensato di potervi preparare un piatto io stasera... per questo oggi pomeriggio ero via” asserì in tono tranquillo, accendendo già il forno per riscaldarlo.

Sonia sorrise raggiante a quell'idea, incuriosita dalle manovre dell'Acquario e desiderosa di aiutarlo e di imparare qualcosa, invece Milo era ancora scettico.

“E, scusa... sei andato in mare aperto a prendere il pesce?” ironizzò, sicuro della risposta negativa ma non spiegandosi altresì perché Camus fosse bagnato.

“Sì!”

“Come sì?!?”

“Il dentice non è facile da reperire, ed io volevo cucinarvi un piatto diverso dal solito, ovvero la pasta con il ragù di pesce”

Milo era incredulo, e lo fissava inebetito, continuando a non capire.

“Cam, ci sono le pescherie a Milos, non c'era bisogno di...”

“Non vado nelle pescherie!” tagliò corto l'Acquario, recuperando il fon dal cassetto per poi attaccarlo alla corrente.

“Quali problemi turbano la tua psiche per...?”

“Non so come vengano trattati gli animali prima di essere uccisi... di mio, preferisco cacciarli procurandogli meno dolore possibile, come faccio in Siberia. Per questo non li compro nei negozi!” spiegò pacato Camus, slegandosi i capelli per asciugarli alla ben meglio.

A Sonia brillavano gli occhi nel sentirlo parlare, ancora più colpita dal suo modo di agire nel rispetto di tutte le creature del mondo, non solo umani.

“E allora perché non diventi vegetariano, se ti fai simili problemi?” continuò Milo, a metà strada tra il perplesso e il desideroso di approfondire anche quel lato di Camus che gli era per lo più oscuro.

“Perché, le piante non sono esseri viventi anche loro?! - ribatté l'amico, un poco infastidito – Per vivere dobbiamo necessariamente uccidere, questa non è una buona ragione per farli soffrire inutilmente! Dobbiamo essere grati di quello che ci offrono con il loro sacrificio, quindi rendere meno doloroso il loro trapasso è la prima dimostrazione di rispetto nei loro confronti, ovviamente ce ne sono altre, ma non le starò qui ad elencare...”

Milo avrebbe voluto approfondire quel discorso frammisto di sciamanesimo, concezione nativo americana e di chissà cos'altro, ma sentiva che sarebbero rimasti a parlare ore e non era il caso visto il lavoro che lo attendeva.

“E così ti sei buttato nell'Egeo in pieno inverno per prendere due pesci!” ridacchiò, guardandolo con affetto.

“Sì, perché ho pensato di cucinare queste linguine con il ragù di dentice”

“Per curiosità, Mago dell'Acqua e del Ghiaccio, anche quelle sei andato a prenderle in un granaio in Sicilia, o in chissà quale regione sperduta italiana? E i pomodori e le carote le hai rapite ad un contadino per aver la sicurezza che fossero genuine?!” lo prese scherzosamente in giro, ilare.

Camus non ripose, limitandosi a fulminarlo con lo sguardo, avendo avvertito la battuta nel suo tono sarcastico.

“Milo!!! - lo rimproverò Sonia, assimilandosi alla stessa espressione dell'Acquario – Sei sempre il solito! Camus fa discorsi profondi e tu rovini tutto buttandola sul ridere!”

Milo fece linguaccia e posò la mano sinistra dietro la nuca, chiedendo tacitamente venia per aver esagerato. Nello stesso momento Camus, appena asciugatosi, ripose il fon nel cassetto, rifacendosi la coda per apprestarsi a cucinare.

“No... - rispose alla domanda precedente, con un pizzico di stizza – le ho prese al mercato nel primo pomeriggio, ma mi sono accertato che provenissero da fonte sicura”

“E sarebbe?”

“Agricoltura biologica” disse solo, tornando alle sue faccende e non calcolandoli più.

L'Acquario voleva fare di testa sua, ricambiando il favore dell'ospitalità alla sua maniera, quindi con i gesti e non a parole, che già gli risultavano difficili da pronunciare. Sonia non poteva assolutamente perdere l'occasione di vederlo all'opera e imparare così qualcosa, pertanto lo seguì in cucina in religioso silenzio, lasciando così Milo a sorridere tra sé a sé nel vedere quella scena.

 

 

* * *

 

 

Quella stessa notte dopo la deliziosa cena preparata da Camus, la piccola Sonia non riusciva proprio a dormire, mentre un vento forte, marino, dibatteva sulle persiane della casetta che ormai la ospitava da quasi un anno. Già, quasi un anno era passato dall'incontro con Milo e rammentava quasi tutto di quei mesi passati insieme, ma se la bambina, con un indubbio sforzo mentale, avesse tentato di richiamare a sé le immagini di quel che faceva prima di finire lì, subito delle vertigini spietate l'avrebbero colta, ne era perfettamente consapevole, rischiando così di farle perdere coscienza. Era come se... come se la sua mente sapesse anzitempo che rievocare quelle scene del suo passato avrebbe comportato una grande sofferenza, pertanto cercava di ovviare, fermando il processo prima che fosse fatale. Era estenuante...

Vi era anche un'altra ragione per non riuscire a prendere sonno quella notte; una ragione che era rinchiusa nel cassetto del comodino vicino al suo letto, ben lontana da occhi indiscreti: il regalo che voleva dare a Camus.

Nonostante fosse pressoché certa del buon cuore del Cavaliere e del suo vero temperamento che si riusciva appena a scorgere dall'esterno, aveva comunque paura a consegnare il pacchetto, timorosa che le parole spietate di Myrto potessero essere veritiere.

 

Un delfino?!? Se va bene, lo butta nel primo cestino che trova dietro l'angolo... cambia soggetto!

 

Così aveva detto. Motivazione che avevano spinto la piccola a trovare un altro regalo per Camus, ma... gli sarebbe poi piaciuto? O davvero sarebbe finito nel cestino dell'immondizia?! Non aveva più preso il delfino, era vero, ma ciò che aveva acquistato era comunque inerente all'acqua, elemento di vita per eccellenza. A ben soppesare, era una sciocchezzuola, anche se aveva il suo significato intrinseco. Perciò che fare?!

Sonia si ritrovò ad ingoiare a vuoto, tesa. Come per i pensieri che venivano bloccati prima di assemblarsi, come per il calore avvertito dalla mano quando si avvicinava, incuriosita, al fuoco, elemento distruttore per eccellenza, e che quindi spingeva, per conseguenza, la mano medesima a ritrarsi immediatamente prima di quel contatto dannoso, così era la paura che percepiva al solo pensiero di subire un rifiuto e di vedersi gettare nella spazzatura il regalo a lungo congetturato.

Si alzò a sedere, il cuore accelerato nel petto. Camus non sarebbe rimasto ancora a lungo con loro, verosimilmente se ne sarebbe andato in silenzio come era sempre solito fare, se non avesse osato avrebbe avuto il rimpianto per tutta la vita, anche di questo era ben conscia, pertanto, scrollandosi di dosso le ultime, baldanzose, incertezze, aprì il cassetto e, afferrando al volo il pacchetto, corse verso la camera in cui sapeva dormire il Cavaliere. Erano le 11 e mezza, forse l'avrebbe trovato ancora sveglio, nonostante le luci già spente.

Silenziò immediatamente le ultime vocine della testa che ancora opponevano resistenza, andando dritta e spedita verso la sua meta, bussando subito alla porta una volta raggiunta. Senza esitazione.

“Camus, sei ancora sveglio? Posso... posso entrare?” chiese educatamente, stringendo al petto il regalo e vacillando per un solo istante nel tono della voce. Le gambe le tremavano per l'emozione.

Nella camera non si udì niente per un paio di secondi, poi il cigolio del letto, dei passi incerti e infine una voce, la SUA voce con quel buffo accento che faceva emozionare la bambina.

“S-Sonia? - lo sentì domandare in tono gentile un poco imbarazzato – Aspetta un attimo che ti apro!”

Dopo quella frase fu un trafficare di oggetti, passi e armadi che si aprivano, i quali fecero incuriosire ancora di più Sonia. Attese educatamente fuori, concentrandosi sui rumori che invece provenivano dall'esterno. Il vento soffiava forte quella notte, era proprio una situazione adatta per rintanarsi sotto le coperte e sentirsi protette e al sicuro.

Pochi istanti dopo la porta venne finalmente aperta, rivelando un Camus con un leggero colorito rosso sulle gote e l'espressione di chi è stato colto in fragrante. Sonia capì in un lampo e si ritrovò ad arrossire a sua volta, la bocca secca e una nuova consapevolezza. Ecco il motivo per cui aveva attardato ad aprirle!

“Sc-scusami! Avrei dovuto immaginare che per te questo clima é fin troppo caldo e... e...” balbettò, agitatissima, tentando di non soffermarsi troppo con lo sguardo su Camus, che già la canottiera dismessa, i pantaloni del pigiama larghi, oltretutto neanche suoi ma trafugati dall'armadio di Milo in tutta fretta, e i piedi nudi che poggiavano sul pavimento, le procuravano un forte imbarazzo.

“Non... non ti preoccupare. Ci ho messo un po' perché prima ero impresentabile, scusami se ti ho fatto aspettare, entra pure”

“Coff... coff... impresentabile? Semmai fin troppo presentabile!” bofonchiò tra sé e sé Sonia, rossa in viso, ma si tappò subito la bocca, timorosa di aver espresso il suo pensiero 'milesco' in maniera sin troppo screanzata per i canoni di Camus. Ad andare con lo zoppo si imparava davvero a zoppicare. Fortunatamente il ragazzo, ancora in difficoltà dall'essere stato beccato a dormire nudo, sebbene si era messo qualcosa addosso prima di aprirle la porta, non sembrava averla udita.

Ecco, erano in imbarazzo entrambi, che fare per sbloccare la situazione?! Sonia corse ai rimedi.

“E' meraviglioso, Camus, la stanza degli ospiti è tutta in ordine, non credo di averla mai vista così! - cambiò discorso, ammirando i dintorni anziché lui, guardare il Cavaliere in quella tenuta le provocava un ingarbugliarsi di parole ed emozioni varie non da poco, e dire che si era abituata a Milo sempre perennemente ignudo, ma con lui era nettamente diverso... - Sai, il mio coinquilino di là, che conosci bene, è sempre un perenne disordinato, ci volevi tu a ristabilire l'equilibrio qui!” la buttò lì, ridacchiando.

Camus sorrise di rimando, ancora rosso in volto, passando poi a sistemarsi meglio la canottiera fuori dai pantaloni, perché così stropicciata e indossata alla ben meglio nella fretta di coprirsi, tutto poteva rassomigliare tranne che all'ordinato.

“Milo ti ha detto che questa casa gliela hanno lasciata i suoi prima di morire?”

Sonia annuì seria. Sì, glielo aveva detto, ma era curiosa di vedere se il ragazzo ne sapesse di più, chissà magari un qualche segreto tra loro. Del resto, il filo conduttore che legava lo Scorpione e l'Acquario lo percepiva anche lei, era una forza immane, capace di valicare i confini spazio temporali del creato.

“Ecco... come certamente saprai, Milo non ha ricordi dei suoi genitori, che morirono prima che lui potesse memorizzare i loro lineamenti. Siamo cresciuti insieme, io e lui, e circa cinque mesi dopo il mio arrivo al tempio, mi disse di considerare questo luogo come se fosse mio, che mi avrebbe lasciato sempre una stanza da parte, qualsiasi cosa fosse accaduta! - le spiegò, andandosi a sedere sul letto con quel velato sorriso che faceva trasparire solo in rare occasioni – Ricordo ancora che mi meravigliai... non riuscivo a credere che qualcuno potesse fidarsi così tanto di qualcun altro in un arco di tempo così breve. Io, all'epoca, ma anche adesso, faticavo non poco ad aprirmi e a mostrare le mie emozioni; poi mi arriva lui e le emozioni, i sentimenti che ne derivano, persino il mondo intero mi è parso così naturale e giusto da sconvolgermi nel profondo, ma... solo con lui! Riesco... riesco ad essere me stesso solo con lui!”

Sonia sorrise intenerita, stringendo il pacchetto, sempre tenuto gelosamente in mano, contro il suo petto. Ci si poteva perdere nell'espressione malinconica di Camus, e a lei stava succedendo, completamente carpita dai suoi modi di fare così gentili ma allo stesso tempo così mesti. Sembrava sempre triste Camus... ma di una tristezza trasformata in forza, di una tristezza intessuta nella sua anima, e quindi indipendente da tutti gli avvenimenti che accadevano intorno. La maggioranza della gente molto probabilmente lo considerava inespugnabile, eppure Milo aveva libero accesso perché era riuscito ad entrare nel suo cuore e lì rimanerci. Sonia non poté non pensare che trovare il varco nella corazza e dimorarvi dentro stabilmente, fosse l'onore più grande che potesse esistere sulla Terra, perché chi ci sarebbe riuscito, avrebbe trovato in lui un mondo nuovo, un tesoro, il più grande; perché Camus... Camus, sì, avrebbe dato la vita e forse molto di più per le persone amate, per la sua stretta cerchia... era davvero un ragazzo straordinario!

In quel breve istante, e quello solo, Sonia ebbe la certezza di aver capito tutto del giovane Acquario, non durò che un attimo ma ebbe la netta sensazione di esserci riuscita, di averlo inteso... un po' come aveva fatto, in pianta ben più stabile, Milo.

“Trottolina, c'è un motivo per cui sei voluta venire qui stasera? Oppure... - si ricompose Camus, fissando i suoi occhi blu nella sua direzione e notando subito il pacchetto che teneva tra le mani. Sonia si irrigidì di colpo nell'intercettare il suo sguardo indagatore, le mani sudavano – Uhm? Cosa stringi tra le tue braccia con tanta cura? E' quello il motivo della tua venuta qui stanotte?”

“E-ecco, io...”

Non era facile parlare in quella situazione, Sonia si sentì una macchina inceppata, rimasta immobile in un giardino perché non più funzionante. Camus aveva intuito la ragione che l'aveva spinta a bussare alla sua camera, ma non poteva intuire la sua intenzione di farle un regalo, infatti la continuava a guardare con curiosità, sorpreso dalla sua reazione. Che cosa pensasse era impossibile da definire, chissà, forse che aveva trovato qualcosa che gli volesse far vedere, oppure che si fosse fatta male... stava di fatto che la situazione non si sarebbe più sbloccata da parte sua, perché di certo non era tipo da estirpare con la forza qualcosa a qualcuno, men che meno ad una bambina. Doveva muoversi lei prima di sembrare troppo stupida, che già si vergognava per la brutta figura.

“E'... è un regalo per te...”

“Per me?”

Sonia annuì, abbassando lo sguardo. Ebbe l'impulso di prendergli la mano, darglielo e successivamente scappare subito in camera sua e chiudere la porta a doppia mandata, ma per qualche strana ragione seguitava a stare lì, immobile, troppo emozionata per fare anche solo un passo. Si azionò Camus per lei.

“Non c'era bisogno che ti disturbassi, ma... grazie!” si raschiò la gola, visibilmente imbarazzato.

“Era importante per me...” sussurrò Sonia, mantenendo la testa bassa e il pacchetto, tesoro inestimabile, contro di sé.

Camus si ritrovò a sospirare e a sorridere con dolcezza davanti a quella bambina visibilmente a disagio che stringeva con tutte le sue forze un regalo che aveva pensato per lui. Suo malgrado, si sentì emozionato, perché era la prima volta... era la prima volta che qualcuno gli faceva un regalo. Non che Hyoga e Isaac non ci avessero mai pensato, ma le materie prime in Siberia scarseggiavano, così come i negozi, per cui, l'unica volta che ci avevano provato, peraltro beccati subito senza bisogno di indagini sofisticate, gli aveva gentilmente detto di lasciar perdere, di impegnarsi strenuamente negli allenamenti, se proprio erano così desiderosi di manifestare il loro affetto. Due stili di vita, due Camus... o forse più. Neanche lui si capacitava di quanto sfaccettato potesse essere. Non amava ricevere regali, eppure con Sonia era tutto così diverso, così... così limpidamente caldo... come il sole di Grecia che spazzava via le nevi perenni. In nessun posto poteva permettersi di essere Camus e basta; in nessun posto, tranne lì, laddove i raggi del sole potevano accarezzare persino il più spesso dei ghiacciai.

Sonia seguitava a rimanere corrucciata e chiusa in sé stessa, non riuscendo più a barcamenarsi in quella situazione, Camus annullò la distanza tra loro, concedendosi di prenderla in braccio e sorriderle per incoraggiarla.

“Hai detto che il regalo è per me, giusto? Ma come posso vederlo se lo tieni stretto contro di te come se fosse un uccellino caduto dal nido? Sei arrivata fin qui, frugoletta, probabilmente non è neanche un pensiero di oggi, ma una cosa che vuoi darmi da un po' di tempo, è così?” le chiese, permettendosi di alzarle il volto con dolcezza per poterla guardare negli occhi.

La piccola annuì, afasica. Era tutto così difficile.

“Bene... e allora non hai ragioni per esitare ancora, né per vergognarti come se avessi fatto qualcosa di sbagliato! - la provò a tranquillizzare teneramente – Ora ci sediamo sul letto e lo apriamo insieme, ok?”

Sonia sorrise timidamente prima di annuire con forza, cedergli il regalo e aggrapparsi al collo di Camus, il quale si mosse con la sua solita eleganza verso il letto, sedendosi poi al suo bordo con la piccoletta, in trepidante attesa, dolcemente appoggiata alle sue ginocchia.

“Mi dai il permesso di scartarlo?” chiese formalmente, pur conoscendo già la risposta.

“Certo, è tuo!” esclamò Sonia, nuovamente sicura di sé malgrado le guance ancora rosse.

Camus girò e rigirò un paio di volte il pacchetto prima di apprestarsi ad aprirlo. Aveva una forma tondeggiante e sembrava contenere un liquido di qualche tipo al suo interno, perché lo si udiva sbatacchiare ad ogni più piccolo movimento. Meglio maneggiarlo con prudenza, l'ultimo dei suoi desideri era romperlo e vanificare così gli sforzi della piccola. Passò quindi a scartocciare minuziosamente la carta dal lato destro, portando alla luce, nel giro di pochi secondi, quanto Sonia aveva pensato per lui.

Camus lo fissò per qualche istante, cercando di focalizzarlo bene, arrivando alla conclusione che era proprio ciò che appariva: un'ampolla di medie dimensioni adagiata su una lavorazione in resina che raffigurava a sua volta una spiaggia, il mare e la scritta 'Milos', insomma, un souvenir di quelli che spesso e volentieri venivano comprati e portati a casa ai parenti, a testimonianza di essere stati in quel dato posto. Il giovane Acquario la maneggiò a lungo, ritrovandosi quasi ipnotizzato dal blu sgargiante dell'acqua contenuta nel vetro e che, ad ogni minimo movimento, si muoveva come durante una tempesta.

Sonia, forse temendo una delusione da parte dell'Acquario, forse desiderosa di dare spiegazioni, si affrettò a raccontare i motivi di quella scelta in apparenza banale.

“L'ho presa... l'ho presa per una serie di motivi, ora te li racconto, allora... - prese una breve pausa, preparandosi a parlare tutto di un fiato – Allora, la barca, lì nell'ampolla, la vedi, no? Mi ha ricordato quella di Adelpho e, sì, insomma, sai, la barca... la barca di Adelpho, quel giorno... quel giorno, lo ricordi? Mi salvasti che stavo annegando e... e questa barca mi ha ricordato quel momento, la ragione per cui ci siamo conosciuti e... beh sì, poi c'è Milos, che è la nostra casa per eccellenza, come hai detto tu prima...”

“Sonia...”

“Sì, lo so... è banale, lo so... - continuò lei imperterrita, arrossendo di nuovo – Ma il mare blu, che fa quelle bolle e appena si muove sembra in tempesta... volevo qualcosa che ti facesse ricordare di me, del nostro incontro... e quindi ho visto questa ampolla, è stata come una folgorazione, ho pensato fosse il regalo giusto!”

“Sonia...”

“Sì, lo so, è un tantino banalotto ma... ma Myrto mi ha detto che avresti buttato il delfino che volevo prenderti e che non avresti apprezzato altri regali, quindi non... non sapevo che fare, volevo farti qualcosa ma avevo paura... e poi ho visto questo che, come ti ho già accennato, mi ha fatto pensare subito a noi, al nostro incontro e... - Sonia era sul punto di piangere senza sapere perché, era agitata e tremava, pensando che infine la sua amica avesse ragione – Ti prego, se non ti piace, ridammelo ma non buttarmelo via, ti prego, non...”

“Vuoi calmarti un attimo, trottolina? Non mi fai parlare così!” la intercettò Camus, finalmente padrone di potersi esprimere.

Sonia tacque istantaneamente, ma quando il giovane Cavaliere dell'Acquario si permise di regalarle un buffetto sul naso e di sorriderle con affetto, si ritrovò immediatamente ad aprire la bocca e fissarlo meravigliata.

“Innanzitutto grazie, è un bel pensiero! - proseguì Camus, accarezzandole la testa – Ha sbagliato Myrto a pensare che non avrei apprezzato e, ancora di più, a dirtelo, ma, si sa, quella donna ha una idea tutta sua di come io sia fatto. C'è anche un'altra cosa...”

“C-cosa?”

“Avevo capito!”

Sonia inclinò la testa di lato, non comprendendo le parole del giovane, che tuttavia riprese a parlare immediatamente dopo.

“Avevo capito il motivo della tua scelta... la barca, il mare, la stessa scritta di Milos... è un bel regalo, Sonia, ben pensato, e questo lo rende ancora più speciale! Lo porterò con me in Siberia e ne avrò cura, in questo modo... sarà un po' come averti vicina!”

“Davvero?!?” chiese conferma Sonia, gli occhioni spalancati e luminosi come non mai.

“Certo, te lo prometto!”

La bambina non resistette più e lo abbracciò di slancio, tanto che Camus dovette spostare in fretta e furia il regalo per evitare di farlo cadere a terra. Arrossì, come al solito.

“Menomale! Avevo... avevo così paura che non ti potesse piacere, e invece... ah, non vedo l'ora di rinfacciarlo a Myrto, ehehehe!” trillò felice, socchiudendo gli occhi e poggiandosi sul suo petto, totalmente euforica.

Camus adagiò delicatamente l'ampolla sul letto in modo da non rischiare di farla cadere, poi, contro ogni previsione, ricambiò goffamente il gesto, permettendosi di socchiudere anche i suoi, di occhi.

Sonia avvertì un brivido nell'avvertirlo così tangibile contro di sé, il suo abbraccio non più come una delicata brezza che sfiora, bensì come un'onda potente che circonda lo scoglio più vicino. Se ne meravigliò; si meravigliò che anche Camus potesse avere una simile forza nell'approcciarsi agli altri con quel cipiglio di intensità e urgenza che, fino a quel momento, la bambina aveva avvertito solo in Milo e Myrto che la vita la vivevano a centocinquanta all'ora, se non di più. La piccola si ritrovò sgomenta e nuovamente emozionata, mentre, vinta da quel calore così intenso, aumentava la stretta sul ragazzo, permettendosi di inspirare a pieni polmoni il profumo misterioso che lo avvolgeva. Ci sarebbe rimasta per sempre nell'incavo della sua spalla, in una litania che sapeva di antico e misterioso, di segreto.

Neanche Camus, dal canto suo, si capacitava di come avesse fatto ad essere così espansivo senza doversi sforzare. Era così naturale farlo... perché? Era semplice affetto, oppure... qualche rimembranza passata che, per tutti quegli anni, aveva a forza fatto tacere?

La piccola che teneva tra le braccia era minuta e sembrava fragile, così fragile... veniva naturale volerla proteggere, abbracciarla, eppure Camus dell'Acquario non era certo uomo da cedere a simili sentimentalismi, essendosi ormai temprato tra i ghiacci siberiani. Quella... quella non era più una cosa da lui... ma una cosa da Camus; da Camus e basta!

Fu in quell'istante che capì: l'ombra del passato era infine venuta a galla in quel frangente, così prepotentemente da non aver avuto il tempo per zittirla e gettarla nell'oblio. Era sgorgata da lui, così come l'acqua, irrefrenabile, trova infine la via per seguitare il suo percorso aggirando l'ostacolo o, al contrario, piegandolo lentamente ai suoi capricci con l'erosione. L'ombra era fuoriuscita, stava a lui decidere se sopprimerla istantaneamente o se concedergli una breve parentesi di spazio. Decise, per la prima volta, per la seconda opzione, stanco ormai di lottare contro i mulini a vento della sua esistenza.

“Sai... quando penso alla mia sorellina, che ho dovuto abbandonare, non posso che immaginarmela come sei tu ora... sensibile, timida, ma anche espansiva e vivace. Ogni tanto penso a lei, me la immagino... perché non posso far altro che questo essendo passato molto tempo... però il solo pensarla mi riscalda il cuore, è una sensazione strana da definire...”

Un singulto sfuggì dalle labbra di Sonia, portando la bambina a drizzarsi per guardare negli occhi Camus, in quel momento triste e malinconico come non mai. Automaticamente gli strinse la mano sinistra, attirando così la sua attenzione.

“Camus... hai una sorella più piccola? Non lo sapevo, non...”

“Sì... ma non amo molto parlarne”

“Come si chiama?”

“Non lo ricordo, non... è passato così tanto tempo! Fui costretto a lasciarla quando non era che un fagottino profumato e delicato, ricordo l'odore della mimosa quando nacque...”

Sonia tacque, capendo di star tastando una zona scoperta, una nota dolente... eppure ne avrebbe tanto voluto sapere di più di quella sorella che andava dicendo Camus. Per una qualche ragione, non si stupì affatto che lui fosse un fratello maggiore, così protettivo, caparbio e sensibile ci entrava perfettamente in quel ruolo.

“E' per lei che sei diventato Cavaliere d'Oro?” tentò un ultimo approccio, sdraiandosi sul lettone. La stanchezza cominciava a farsi sentire.

“Io non... non lo so. Noi Cavalieri d'Oro non abbiamo mai avuto modo di poter scegliere delle nostre vite, di cosa fare. Siamo predestinati fin dalla più tenera età, ce l'abbiamo nel sangue, nel DNA, nei nostri corpi... credo... infatti siamo stati insigniti della carica già a 7/8 anni...”

“C-così presto?!?”

Sonia era sinceramente sconvolta e sentì il sonno scivolare via a quella rivelazione. Non riusciva ad immaginare dei bambini così piccoli con indosso quelle pesanti corazze dorate che indossavano. Era fuori da ogni logica.

Camus taceva, gli occhi velati da quella solita tristezza che non gli dava requie. Sonia se ne dispiacque e si sentì in colpa nell'avergli forzatamente ricordato memorie così difficili, decise di deviare argomento.

“Ne ho parlato con Milo... anche io volevo diventare dei vostri per aiutarvi negli incarichi, ho pensato... ho pensato che...”

“NO, Sonia!”

Rude, forse più del dovuto, in un modo che gli ricordava la reazione di Milo alla stessa richiesta. Istintivamente si mise in posizione difensiva, assumendo un'espressione corrucciata e offesa: almeno, a cercare forzatamente una nota positiva, Camus aveva cambiato espressione, anche se le era praticamente scoppiato addosso.

“Scusami, Sonia, ma è meglio di no, ha ragione il tuo maestro a non volerti iniziare al cosmo e non lo farò nemmeno io – disse, reticente – Perché volevi chiedermi di darti una mano in questo, vero? O quanto meno convincere Milo a darti una chance!”

“No, volevo solo parlare!” mentì la bambina, riottosa. Effettivamente Camus aveva subito colto nel segno con quell'intuito senza eguali, ma essere stata troncata così, senza potersi spiegare, l'aveva offesa alquanto.

“Mi dispiace, Sonia... non siamo in una bella situazione, è meglio per te stare fuori da questo. Ne abbiamo già parlato Milo ed io: non farai alcun addestramento, malgrado il tuo cosmo sia potenzialmente molto buono”

“Sempre la stessa solfa, in sintesi non volete nemmeno darmi da possibilità di diventare forte, devo per forza rimanere debole e indifesa così. Un essere inutile e nient'altro!”

“Non è così, Sonia, noi...”

“Perché non volete che diventi forte?!? Hai sentito quello che è successo a Myrto lo scorso giugno, no?! Perché non volete darmi la possibilità di difendere le persona a cui voglio bene e ciò in cui credo?!?” esclamò in tono di accusa sull'orlo delle lacrime, nascondendosi poi istintivamente sotto le coperte del letto. Si rimproverò tra sé e sé a quella dimostrazione infantile che aveva appena avuto: non era quella l'idea che voleva dare, men che meno a Camus; ormai aveva quasi 11 anni, poteva definirsi grande, non più una bimba, eppure si era comportata come una poppante. Era frustrante!

Con ancora i lacrimoni agli occhi, che tuttavia tratteneva con tutte le sue forze, avvertì la mano di Camus accarezzarle delicatamente la testa, riportandola alla calma.

“Hai ragione, frugoletta, ma... anche noi desideriamo proteggerti, come è giusto che sia. Proprio per questo non vogliamo invischiarti nella situazione drammatica del Santuario, ne va della tua vita, cerca di capirci...” le sussurrò con dolcezza in tono sommesso, continuando a massaggiarle la testolina.

“V-va bene, scusami... è che... è snervante!” borbottò, sbucando da sotto le coperte.

“Sei ancora piccola... non è detto che in futuro non avrai la tua occasione, devi solo pazientare” disse, sorridendole con affetto, prima di proseguire – Se ti può far sentire meglio, puoi dormire qui stanotte”

Il sonno stava nuovamente prendendo piede, appesantendole le palpebre e annebbiandole i sensi, Camus probabilmente lo aveva capito dalla sua espressione stanca, per questo le aveva detto così, continuando a vezzeggiarle il viso come, Sonia ne era assolutamente certa, avrebbe fatto con la sorellina più piccola. Chiuse gli occhi, cullandosi di quel contatto.

“Camus...” bofonchiò, intorpidita.

“Sì?”

“Ci credo che sei un fratello maggiore, sei perfetto in questo ruolo!” biascicò, stanca, aprendo le palpebre.

“Ah, sì? Mi vedi... mi vedi bene in questa veste?” chiese, un poco emozionato.

“Sì... sei dolce e sensibile, protettivo... forse un po' difficile da comprendere a volte, ma riesci a fare sentire al sicuro una bambina come me con brevi, semplici, gesti. Sono sicura che, se fosse qui, anche la tua sorellina lo penserebbe!”

Camus non disse niente, ma nel suo petto il suo cuore accelerò in un fremito. Non lo avrebbe mai saputo se davvero quanto sosteneva Sonia avesse potuto corrispondere alla realtà, ed era spietato questo; era stato spietato anche il modo in cui era stato strappato da lei.

Sonia sembrava essersi addormentata, pertanto il Cavaliere dell'Acquario si permise di alzarsi e riporre il regalo della piccola dentro un sacchetto in modo da non rischiare di romperlo durante la partenza per la Siberia che ormai era imminente.

“Camus?”

Ancora la voce della piccola che, probabilmente, non avvertendolo più, si era preoccupata.

“Vengo subito a dormire, non preoccuparti, stavo solo mettendo a posto il tuo regalo” le spiegò, chiudendo l'antina dell'armadio dentro di sé.

“Camus, tu le vuoi un mondo di bene, vero?”

“Uhm?”

“A tua sorella... le vuoi bene, vero?”

“Non lo so... non la vedo da anni e... e non so se si può definire con quel termine ciò che sento nell'immaginarmela. Ormai non è nient'altro che un'ombra del mio passato. Non la vedrò più... posso solo conservarne il ricordo!” asserì pensieroso, un fremito nel petto a quelle dolorose parole che gli costavano fatica da pronunciare. Già, non l'avrebbe più vista, perché allora continuare a ricordarla? Perché, nei momenti più difficili, il pensiero correva sempre a lei, perché non dimenticarla, come invece si era costretto a fare con un'infinità di altre cose. A cosa giovava quella continua stilettata al cuore al solo pensiero del destino ingrato che li aveva separati?!

“Secondo me le vuoi un bene dell'anima, al di là della distanza!” sorrise sotto i baffi Sonia, girandosi sul fianco sinistro e rannicchiandosi, vinta da sonno.

Camus rimase in silenzio nell'ultimare le sue faccende, ma il pensiero, ormai eliminato il vincolo che lo segregava nella parte più profonda del suo io, correva costantemente a lei, a sua sorella, a quello che avrebbe potuto star facendo in quel momento, alla sua stessa, immaginaria, forma. Si ritrovò ben presto a sospirare, mentre, quasi meccanicamente, tornò a sedersi di fianco alla bambina, ormai completamente addormentata. La guardò con affetto, accarezzandole il volto con gesto delicato, così come avrebbe fatto con sua sorella.

Non vi era dubbio alcuno... per una qualche misteriosa ragione la sorellina c'era, dentro di lui, non era che un fagotto informe, una pallida ombra priva di consistenza, ma c'era, e le emozioni che suscitava in lui quella semplice parola, quella semplice parvenza, erano veritiere, incontrollabili e potenti... enormemente potenti! Sorrise di sbieco, arrendendosi a quella consapevolezza più forte di ogni altra cosa.

“Hai ragione, Sonia... le voglio bene. Non me lo spiego, ma darei la mia vita per lei, anche se, di fatto, non la conosco...” ammise, rimboccandole dolcemente le coperte fino al collo e gettando un'occhiata trasversale alla finestra. Il vento aveva smesso di soffiare, al suo posto la pioggia picchiettava sul vetro. Rimase imbambolato a guardarla, come ipnotizzato da quell'avvenimento del tutto naturale. E forse, per un solo istante, la consapevolezza che da un'altra parte del mondo, per certi versi non così lontana, una ragazzina dagli occhioni blu come i suoi assisteva allo stesso fenomeno con lo stesso peso e leggerezza trattenuti a forza nel petto, lo avvolse, non facendolo sentire più così tanto solo.

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

E con questo capitolo si conclude il (lungo) 2006 come anno di racconto. Ora si passerà al 2007 che, come avevo già anticipato, avrà solo 2, al massimo, 3 capitoli per far spazio ad anni più densi di avvenimenti come il 2008, il 2009 e il 2010, rispettivamente la morte di Isaac, la Battaglia delle 12 Case e la guerra contro Hades, almeno nella mia timeline.

E ora passo a spiegare alcune cose del capitolo e alcuni parallelismi che ho scelto di adottare in questo capitolo che, ancora una volta, si focalizza su Camus (chiedo venia ma mi piace davvero tantissimo come personaggio e quindi cerco di sfruttare questo momento in cui è ancora vivo per approfondire determinate questioni che convergono su di lui.

Allora, intanto possiamo ammirare il ritorno, seppur breve, di Aiolia ( per i fan del leoncino: non preoccupatevi, avrò occasione di trattare approfonditamente di lui a tempo debito), mi spiace descrivere sempre Deathy e Aphro come i “rompicoglioni”, scusate il termine, del Santuario, ma, oh, è così che li vedo! ^_^ Ho voluto rendere Aiolia, Milo e Camus su un fronte unico, sebbene Leo sia malvisto dal Santuario e il Cavaliere dell'Acquario sia stato colto in un momento, a detta stessa di Pesci, di debolezza. A proposito di questo, ovviamente dietro la maschera del Grande Sacerdote non vi è più Shion ma Saga malvagio, ecco il motivo di una tale tensione tra Camus, che ha i dubbi, e il Cavaliere di Gemini che, senza mezzi termini, ordina di uccidere l'allievo perdente quando sarà il momento. Mi piace molto questa storia perché mi da occasione di “buttare l'esca” su cose che saranno approfondite nella Melodia della Neve o comunque cose che penso ma che nella mia serie principale non ho avuto occasione di spiegarle decorosamente.

Ora veniamo ai parallelismi che si possono notare nella seconda parte di questo capitolo, ovvero nelle scene che vedono Camus e Sonia protagonisti e che sono collegate alla prima storia, La Guerra per il dominio del Mondo e che convergono essenzialmente su Marta.

Intanto ho ripreso, come descrizione dell'abbraccio tra Sonia e Camus, il primo abbraccio che c'è tra Camus e Marta nel capitolo 11 della prima storia. Le movenze sono simili, le sensazioni anche. Essenzialmente Camus si “scioglie” permettendosi di socchiudere gli occhi e lasciarsi andare nel sentire la piccola Sonia tra le braccia, nell'esatta maniera in cui lo farà con Marta nel capitolo sopracitato. Dall'altra parte, anche la bambina ha una reazione simile a quella che avrà Marta, ovvero una sensazione olfattiva associata alla fragranza propria del Cavaliere dell'Acquario e che solo lui possiede.

Per la stessa ragione, quando Camus confessa alla bambina, ormai dormiente, di sentirsi legato comunque alla sorella, si lascia sfuggire un “(...) Non me lo spiego, ma darei la mia vita per lei, anche se, di fatto, non la conosco”... ecco questo invece è un chiaro riferimento al sacrificio di Camus, che offre il suo corpo agli artigli del nemico per proteggere la sorella, nel capitolo 8; sacrificio che avrà conseguenze per tutta la durata della serie.

Scrissi “La guerra per il dominio del mondo” nel lontano 2011, da allora molte cose sono cambiate, sappiamo le motivazioni per cui il legame tra Marta e Camus sia così speciale, ma ciò non toglie che, a mente fredda, il sacrificio di Camus già nel capitolo 8 della prima storia possa risultare eccessivo per certi versi, essendosi appena conosciuti; ebbene, come si intravede alla fine di questo capitolo (sì, la ragazzina che guarda la pioggia nello stesso momento in cui lo sta facendo il Cavaliere, è Marta!) il legame tra loro due era preesistente giù da prima, da moooolto prima! Non è solo a causa delle loro precedenti vite, non è soltanto per lo scambio di sangue che attiva il CIMP, non è nemmeno perché Camus aveva scoperto PRIMA di Marta il fatto di essere fratelli... vi è un'altra ragione dietro; una ragione che sarà esplicata nella terza storia: La melodia della neve!

Scusate per la pappardella, molti di voi si saranno scocciati alla decima riga del mio sproloquiare, ma ci tenevo a spiegare questo! Questa storia mi sta dando grandi soddisfazioni, ed essendo in arrivo la terza, non potevo esimermi!

Grazi di vivo cuore a tutti!

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Capitolo 11
*** Oltre la vita ***


CAPITOLO 11: OLTRE LA VITA

 

 

27 maggio 2007

 

 

Quella primavera era stata più calda della norma, quasi asfissiante, e di certo, con l'estate ormai incombente, la situazione non avrebbe certo potuto migliorare. Si sarebbe rischiato il torrido e con esso gli incendi che, già in circostanze normali, modificavano totalmente il paesaggio già arido.

Sonia se ne stava lì, sulla spiaggia, seduta sotto un olivo -la Grecia era piena di ulivi odorosi- se ne stava intenta a leggere un grosso tomo che trattava dell'organismo umano e delle trasformazioni che avvenivano durante la pubertà per entrambi i sessi. Glielo aveva regalato Myrto nonostante le lamentele di Milo che la considerava ancora troppo piccola per quel genere di cose. Tutto inutile, la giovane donna era più testarda di lui, a nulla erano valsi i borbottii dello Scorpione. Sonia le aveva sorriso con gratitudine, sollevata di avere qualcuno con cui parlare di quell'argomento delicato, e aveva cominciato quindi a sfogliarlo già la sera stessa.

Era il maggio dai mille profumi e già si sudava come se si trovassero a luglio. La piccola, che oramai aveva cominciato a comprendere l'antifona del clima greco, si sforzava di non pensare a come sarebbe stata l'estate se già iniziava così. Avrebbe tanto voluto essere in un posto più fresco, magari con Camus in Siberia, che non vedeva dal novembre prima e che già gli mancava prepotentemente. Aveva il triste presagio che quell'anno non l'avrebbe proprio visto, ed era dura da accettare, soprattutto visto i momenti di tenerezza che avevano avuto quell'inverno ormai distante come i venti settentrionali.

Cercò di scrollarsi di dosso quel torpore, accorgendosi che, ripensando al Cavaliere dell'Acquario, aveva perso il filo del discorso del paragrafo che stava leggendo. Pazientemente lo cercò e lo riaccolse, concentrandosi su esso, ma in quel momento un gocciolante Milo si approcciò a lei, costringendola a spostare nell'altra mano il tomo in questione per paura che si potesse bagnare.

“Sonia, avrai caldo lì, sotto quell'albero a leggere cose complicate, vieni con me a fare un bel bagnetto, vedrai che te lo godi!” la invitò, inginocchiandosi vicino a lei e frullandole i capelli.

“Aaaaaaah, Milo, mi spettini così!!! - si lamentò la piccola, scoccandogli una occhiata di fuoco – Quando capirai che non sono più una bambina?!”

“Non sei più... oh! E sentiamo un po', cosa saresti, se non una pargoletta rompiscatole?!” ironizzò l'altro divertito.

“Una ragazza! Quest'anno faccio 12 anni a novembre, lo sai!” affermò, decisa, fulminandolo sempre con lo sguardo. Era sempre così con Milo, la vedeva sempre piccola, ma lei stava crescendo ed era irritante che il Cavaliere non lo notasse.

“Una... ragazza?!? - ripeté, scettico, prima di scoppiare sguaiatamente a ridere – Sonia, ti mancano un po' di cose per essere considerata tale!”

“E sarebbero?”

“Ah, ce ne sono un po', ma le prime sono sicuramente... le tette! - esclamò, indicandole esaustivamente il petto pur senza toccarlo – Vedi? Piatta come una tavola da surf, sei ancora una bambina!”

Sonia avvampò, riparandosi istintivamente il torace con le braccia, prima di dare un calcetto a Milo, il quale, come sempre ilare, si sedette per terra e scoppiò in una fragorosa risata.

“Tu! Brutto pervertito!!!” urlò, saltandogli in grembo e regalandogli dei sonori colpetti in testa. Era così infantile Milo, malgrado quell'anno sarebbe diventato finalmente maggiorenne per l'anagrafe, non certo per il cervello. Era così irritante e sempre con la risposta pronta, a volte la faceva impazzire, portandola a non degnarlo più di uno sguardo per evitare di mandarlo a quel paese. Eppure per lei era diventato un punto cardinale, un modo per orientarsi e non sentirsi perduta in quello sporco mondo che appariva sempre più malvagio. Se Camus era il faro sicuro al di là del mare, Milo era l'imbarcazione dalla quale dipendeva la sua vita, l'ancora di salvataggio, il luogo dove sentirsi al sicuro malgrado la distanza dal porto di appartenenza. In altre parole, era la propaggine della sua stessa esistenza, non sarebbero mai stati separati sul serio, nonostante quello che avrebbe riservato il futuro, poiché erano indissolubilmente legati uno all'altra, una stessa vita in due corpi diversi.

Rimasero un po' sdraiati sulla sabbia candida, Sonia appoggiata alla spalla sinistra del Cavaliere, mentre Milo, fattosi improvvisamente serio, disteso a braccia aperte a guardare il cielo sopra di loro. Tutto intorno a loro era un trionfo di vita: il tepore, gli uccellini che si apprestavano a costruire il nido per la nuova covata, i bagnanti che timidamente cominciavano ad affollare la piccola isola vulcanica, eppure c'era qualcosa nel cuore dello Scorpione, una percezione, che non lo rendeva tranquillo.

Ripensò brevemente a Myrto, alla sua relazione con la donna che le aveva rubato il cuore. Avevano smesso di dormire insieme la notte, forse vinti dalle pressioni che Camus aveva instaurato cinicamente in loro sui divieti del Santuario, ma non avevano affatto smesso di frequentarsi e di fare l'amore, anche se la cosa accadeva sempre più raramente. Si incontravano e si toccavano sempre meno, ma, proprio per questo, quando accadeva, utilizzavano ambedue una foga inaudita, e i segni erano ben visibili sulla pelle. Milo si massaggiò automaticamente il collo, arrossendo a dismisura. Già, i segni... ne aveva tre, uno sul collo e due sui pettorali e non erano certo solo succhiotti, bensì veri e proprio morsi. Fortunatamente non occorreva dare troppe spiegazioni alla piccola Sonia, che sapeva già tutto, perché altrimenti si sarebbe vergognato all'ennesima potenza. Comunque lui non era certo stato da meno con la giovane donna, cosa che lo fece arrossire ancora di più. Si raschiò la gola, tossicchiando leggermente prima di rivolgere la sua mente ad altro.

“Sonia... - chiamò la piccola, con un cipiglio di preoccupazione – In tutto questo tempo che ci conosciamo, pur vivendo in luogo bellissimo, non ti ho mai visto fare un bagno. E'... è per il fatto di quella volta? Hai... hai ancora paura dell'acqua?” chiese, voltandosi verso di lei.

Sonia si fece piccola piccola contro il suo petto, rannicchiandosi ulteriormente. Sapeva a cosa si riferisse Milo, ma era dura ammetterlo; era dura ammettere che, sì, aveva una paura folle del mare da quella volta che, per un pelo, proprio il mare non se l'era portata via.

“Non so nuotare e... beh, sì... è per quello!” pigolò, tutta vergognosa.

“Ma non devi, pulce! Cioè, posso capire il trauma, ma... ma l'acqua è così bella, è un refrigerio, credimi!”

“Va bene anche così...” sussurrò la bambina, corrucciata, cercando di non incrociare i meravigliosi occhi di Milo che, proprio in quel momento, gareggiavano con il celeste infinito del cielo sopra di loro.

Il Cavaliere di Scorpio si mise delicatamente a sedere, sospingendo la piccola a sedersi in grembo. E pensò. Pensò ad un modo per riuscire a rimediare al trauma che Sonia si portava dietro da più di anno, in quel lontano giorno di gennaio in cui conobbe Camus e in cui rischiò la vita, sparendo tra le spire del nero mare tempestoso. Non avrebbe mai trovato le parole adatte a ringraziare il suo migliore amico per averla salvata, al solo pensiero percepiva una fitta vicino allo sterno. Cosa aveva messo a repentaglio quel giorno! Per seguire i suoi doveri di Cavaliere d'Oro non era stato dietro alla piccola, se non fosse stato per Camus non...

Si bloccò, preferendo non pensarci.

“Ehi, ho una idea, pulce!” asserì di un tratto, accarezzandole i capelli morbidi per destare la sua attenzione. Gli occhioni verdi della bambina subito si mossero nella sua direzione, incuriositi da quel tono così dolce.

“Voglio farti sentire come è fresca l'acqua... - ammise lo Scorpione, sorridendole – E poi, un passo alla volta, voglio farti passare questo brutto trauma che ti porti dietro! Che ne dici se ti prendo la mano e ti porto sul bagnasciuga? Così puoi mettere i piedi a bagno e sentire sulla tua pelle che il mare non è così cattivo come può sembrare!”

“Milo, io... - Sonia guardò per qualche istante l'immensa distesa d'acqua che possedeva un fascino magnetico e inspiegabile ma, insieme a quello, anche timore referenziale e che le instillava paura – Tu sei in costume e puoi farlo, ma io ho il peplo addosso e... e non posso togliermelo!” cercò di accampare scuse, tesa.

“Non c'è bisogno di toglierlo! Solo i piedi, Sonia, un passo alla volta e con calma, io sono con te!” la incoraggiò lui, intenerito.

Sonia rimase in silenzio ancora per un po'. Insomma, cosa fare? La distesa salina la attraeva e la respingeva insieme, per poco non l'aveva quasi affogata, ma era stata il mezzo anche per conoscere Camus, e poi... e poi sembrava così misteriosa e fresca, non le sarebbe dispiaciuto tentare un primo approccio.

“Milo... mi terrai per mano, nonostante tutto?” domandò, rossa, in viso.

“Certo, è una promessa da Cavaliere!”

“E... e se avrò paura mi prenderai in braccio?”

“Non c'è nemmeno da chiederlo!”

“Anche se sono già grande?!”

A quel punto Milo scoppiò a ridere, provando sempre più intensamente quella dolcezza protettiva che gli riscaldava il cuore ogni volta che vedeva la piccola Sonia al suo fianco, il suo tesoro da salvaguardare più di ogni altro essere vivente al mondo.

“Quando mai saresti diventata grande?! Sei alta un metro e un fagiolo, direi che il problema non si pone!”

Sonia corrugò le sopracciglia e gonfiò le gote, visibilmente offesa. Lei era grande, era Milo che si ostinava a non vederlo! Eppure... eppure essere trattata come un fagiolino non le dispiaceva affatto, la faceva sentire al sicuro, decise quindi di soprassedere.

“Non mi hai risposto però!” sbuffò, decidendo per una volta di non ribattere a quella provocazione. A quel punto Milo piegò il busto nella sua direzione, sorridendole raggiante e stuzzicandola con i due indici delle mani.

“Per me sarai sempre una piccoletta! Te l'ho detto più volte, no?! Qualunque cosa possa accadere da adesso in avanti, non importa se domani, fra decenni o fra un solo anno, potrai sempre trovare un rifugio sicuro, proprio qui, tra le mie braccia!” spiegò Milo, abbracciandola con enfasi e posandole una mano dietro la nuca. A Sonia quasi vennero i lacrimoni agli occhi per l'intensità della frase espressa, ma non versò nemmeno una lacrima, ormai era grande.

“V-va bene, Milo... se è così allora andiamo... andiamo verso il mare, voglio provare quella sensazione fresca sulla pelle che solo una distesa d'acqua cristallina può darmi. Andiamo, insieme!” disse, scacciando via tutte le incertezze e stringendo forte la mano di Milo, ora di nuovo ritto davanti a lei con quegli meravigliosi occhi che le regalavano serenità.

Si lasciò condurre dal ragazzo fino al bagnasciuga, dove si fermò per un attimo, ancora esitante da quel secondo approccio con la distesa marina. Milo, come da promessa, non le lasciò mai la mano, aspettando pazientemente che fosse lei a fare il primo passo. Sonia si fece coraggio, guardando con determinazione il mare, poi... finalmente successe! Una pigra onda, ultimato il suo percorso, le solleticò le caviglie, trasmettendole un brivido di gioia. Era maggio, l'acqua era ancora piuttosto fredda, nonostante la temperatura esterna già calda, era davvero meraviglioso potersi rinfrescare i piedi. La bambina attese la seconda e terza onda ancora con una punta di timore, ma già alla quinta cominciava davvero a prenderci gusto, e poi Milo era lì di fianco a lei, ci sarebbe stato per ogni evenienza.

“Visto che non è così tremendo? - chiese retoricamente il Cavaliere, con un largo sorriso – Sonia, il mare, per i popoli che ci si affacciano, è, prima di tutto, fonte di vita, non è un caso che la civiltà sia sorta proprio sulle sue coste. Persino per i popoli continentali, che non l'hanno mai visto, ha sempre destato curiosità e fascino, tanto da spingerli a migrare. La terra è composta per la maggior parte da oceani e mari, la nostra vita dipende da lei, in tutto!”

“L'acqua è davvero importante per la vita, vero?”

“Sì, la vita è nata proprio da lì! La definirei senza dubbio il sostrato che permea il nostro mondo!”

Sonia annuì, comprensiva. Ne capiva l'importanza ma... non era certo l'unico elemento indispensabile per la vita, vi era anche l'ossigeno, l'aria, e quindi il vento. Ecco, il vento, se l'acqua rappresentava la sostanza di cui era fatta la Terra, il vento, l'aria, era certamente la voce del pianeta, il suo... respiro. Ne fu carpita alla sola idea.

“Allora, che mi dici, Sonia? Pensi di potergli dare una seconda possibilità a questo...”

“MILOOOOOOOOOOOO!!!”

Un grido dietro le sue spalle lo mise tempestivamente in allerta, stato che cessò quando il Cavaliere riconobbe Myrto come autrice di quel richiamo insaporito di un non so che di angustiante. La donna correva disperatamente nella loro direzione con la mano sinistra alzata, la sua espressione facciale non era distinguibile, non subito.

“Oh, Myrto, qual buon vento ti...”

Ma si bloccò immediatamente, presagendo la gravità della situazione negli occhi sbarrati dell'amica. Non aggiunse nulla, si limitò a girarsi completamente mentre la piccola Sonia fece istintivamente altrettanto. Un misterioso timore era subentrato in loro. Si ritrovarono a tremare.

“Mil... ti preg... io... - annaspò la giovane donna, buttandosi stremata a terra completamente in lacrime e per niente in sé. Singhiozzava – O-oddio... n-no!”

Milo le fu subito appresso, stringendole il braccio e inginocchiandosi davanti a lei, frenetico. Era successo qualcosa di grave; di molto grave, non l'aveva mai vista così sconvolta, neanche dopo il tentato stupro. Andava oltre sé stessa, andava oltre l'inimmaginabile.

“Myrto, calmati, sono qui... Calmati! - la provò a tranquillizzare, portandosela contro il suo petto, Sonia fu subito accanto a lei, afferrandole la mano per fare anche la sua parte – Dimmi cosa è successo, sono qui. Sono qui!”

La giovane donna riusciva a stento ad articolare alcune sillabe, provò ad ingoiare il magone, ma ci vollero alcuni secondi per renderla capace di esternare una frase sensata.

“Milo! E' Adelpho, lui... lui... - scoppiò di nuovo a piangere, del tutto in balia dei singhiozzi, ma alla fine finalmente riuscì a dire la ragione di quello stato – Lui... ha avuto un infarto e...”

“CHE COSA?!”

Anche Sonia si irrigidì di botto, spalancando gli occhioni. Myrto annuì e, con gran fatica, continuò.

“Ho... ho chiamato subito l'ambulatorio qui a Milos, come sai anche tu, non abbiamo un ospedale qui, e loro, dopo la rianimazione, hanno immediatamente contattato l'ospedale di Atene. Lo hanno portato via in elicottero...”

Milo era ben consapevole del profondo legame che si era instaurato tra i due, malgrado la mancanza di consanguineità, erano comunque quanto di più vicino a padre e figlia. Si ricordò che Adelpho aveva adottato Myrto e che anche lui stesso aveva più di un motivo per essere grato a quell'uomo, non soltanto perché vicario tra il Santuario e il mondo esterno, ma per innumerevoli altre ragioni.

Non sapeva come comportarsi con l'amica, lì, tra le braccia, che piangeva tutte le lacrime che possedeva, non sapeva come farla stare meglio, forse neanche c'era il modo, data la situazione, ma aveva imparato da Camus ad esercitare l'autocontrollo e a rimanere concentrato per essere il più utile possibile.

“Myrto... - la chiamò più pacatamente possibile, già lei era fuori di sé, almeno lui avrebbe dovuto rimanere ben ancorato alla ragione, previo farla agitare ancora di più – Era... vivo, quando lo hanno portato sull'elicottero?”

“Sì, lo hanno rianimato ma... ma... oddio...” biascicò, lei nascondendosi il viso con le mani.

“Bene... - sussurrò, alzandosi in piedi e aiutando l'amica a fare altrettanto, poi si rivolse alla piccola – Sonia, tu torna a casa mentre io accompagno Myrto all'ospedale, potrei fare tardi, ma...”
“Non se ne parla!”

“Sonia... non è il momento di fare i capricci, su, da brava, vai a casa!”

“Non vado a casa, vengo con voi, non lascio Myrto da sola!” si oppose con ancora più fermezza Sonia, sfidando il suo sguardo.

Milo inarcò un sopracciglio, visibilmente alterato.

“Andremo via mare, non credo che tu...”

“Lo so benissimo, ma vengo comunque!”

“Sonia...”

“Ti prego!”

Gli occhi della piccola erano luminosi come non mai e determinati, Milo vi scorse la fierezza di un leone e, per un solo istante, ne rimase turbato. In ogni caso, Sonia voleva rimanere al fianco dell'amica, nulla l'avrebbe discostata da quell'intenzione. Voleva starle vicina.

“Va bene, verrai con noi, ma ora muoviamoci ad andare verso Adamas, conosco chi può darci un passaggio!” affermò, infilandosi alla svelta la maglietta e i pantaloni lunghi. Dopodiché, praticamente trascinando per mano una Myrto totalmente incapace di dire e fare qualsiasi cosa, si mise alla testa del piccolo gruppetto.

Il porto di Adamas era il luogo per eccellenza per gli sbarchi dell'isola. Tutti i traghetti conducevano lì e tutte le imbarcazioni partivano da lì. Certamente c'erano anche altri porticcioli che offrivano un approdo sicuro per le navi, ma tutti i traghetti di linea attraccavano lì. Milos, con i suoi sette paesi principali, era un'isola piccolissima, ma offriva collegamenti diretti con le altre Cicladi e la grande Atene.

Una volta arrivati sul posto, Milo andò sul sicuro, ben certo di dove si potesse trovare la loro salvezza. Stipate tutte in fila, vi erano una decina di barche ormeggiate, il Cavaliere andò con decisione verso l'ultima, l'unica che conteneva una persona intenta a pulire lo scafo. L'uomo a bordo li vide avvicinarsi e fece per salutare, ma Milo bloccò immediatamente. Il tempo scorreva troppo velocemente.

“Ettore, perdonami i modi e i saluti mancati, ma si tratta di un'emergenza e solo tu puoi aiutarci. Hai... hai posto per due adulti, oltre a te, e una bambina?” chiese a bruciapelo, continuando a trascinarsi dietro Myrto, la quale, con gli occhi sbarrati, non si rendeva neanche conto che Sonia, dall'altra parte, le accarezzava il braccio per farle sentire la sua presenza.

Ettore, dopo alcuni secondi di tentennamento nel vederseli arrivare così e per la richiesta improvvisa, prese parola.

“Milo... sai che per te ho sempre posto, ma... ma dove siete diretti e perché tutta questa fretta?”

“Dobbiamo andare ad Atene, Adelpho... Adelpho ha avuto un infarto e lo hanno portato in un ospedale di Atene, nel...”

“Al General Hospital...” disse meccanicamente Myrto, sempre più sconvolta.

“Oh, porc... chiamo immediatamente mia moglie per dirle di non prepararmi il pasto, poi arrivo subito, saremo ad Atene il più in fretta possibile” affermò risoluto l'altro, prendendo il telefonino e allontanandosi di un poco.

“Vedrai, andrà tutto bene, Myrto, adesso noi...” provò di nuovo a rassicurarla, afferrandola per le spalle, ma gli occhi scuri della giovane donna erano altrove, pesti, e privi di speranza.

“Myrto! Non è detto che l'infarto sia mortale, se intervengono presto...”

“E' cardiopatico, Milo...”

“E allora?!? Siamo nel XXI secolo, non nel XVIII! C'è ancora speranza, vedrai!” si oppose ancora Milo, provando in tutti i modi ad instillare un po' di luce in quei due occhi nero pece. Non seppe però perché, tra i disponibili, avesse tirato fuori proprio quel secolo in particolare.

La giovane donna non si riscosse, né ribatté qualcosa, si limitò a portarsi una mano al petto e fissare il vuoto con le sue iridi nere come non mai.

Ettore fu lesto a tornare da loro, preparare la barca, farli salire a bordo e partire. Il viaggio via mare da Milos ad Atene durava generalmente mezz'ora con il vento favorevole, ma nelle menti dei giovani ragazzi, parve un'eternità. Nessuno aveva il coraggio di dire niente, né Myrto, né Milo, né tanto meno Sonia. Parole di conforto sarebbero state false e l'unica cosa che si percepiva era un grande vuoto insinuarsi dentro di loro e annodarsi proprio lì, inesorabile. La fobia di Sonia passò in secondo piano, la speranza di Milo vacillò, solo Myrto, nel su mutismo, sembrava ponderare l'inconciliabile. Tanto Sonia quanto Milo non erano assolutamente in grado di varcare quella soglia; la soglia che la giovane donna aveva eretto inconsapevolmente tra sé stessa e loro. Erano lì con lei e la sorreggevano, o meglio, tentavano di farlo, ma neanche loro potevano nulla con il vuoto che spietatamente la avvolgeva, implacabile. Nessuno avrebbe potuto. Era lì, su quella barca, tra gli spruzzi del mare, ma era come se non ci fosse, la mente altrove, lo sguardo spento a dispetto della mente perfettamente funzionante. Ed era proprio la mente a riportarle alla memoria, per uno strano gioco di pensieri, il primo incontro con quell'uomo a lei tanto caro, facendole quasi rivivere il momento in cui, due vite così diverse, si erano toccate e compenetrate. Era stato più di vent'anni prima, in quel fatidico giorno di luglio in cui la sua esistenza era cambiata.

 

Quel giorno, il cinguettio degli uccellini era più intenso del normale, quasi dava noia. L'aria rovente bruciava la pelle, ancora martoriata da alcune ferite che Myrto, bambina di 6 anni, non sapeva proprio come si era procurata. In verità non sapeva neanche cosa ci facesse lì, quali passi l'avevano accompagnata e, cosa più importante, chi fosse realmente. Sapeva solo il suo nome, Myrto, come la pianta omonima e, cosa ancora più importante, che doveva assolutamente seguire quel vecchio signore con la tunica e il casco che gli copriva parzialmente il volto. Misterioso... così misterioso! Ma era consapevole, in qualche modo, che da quel signore sarebbe dipesa la sua vita. Pertanto lo seguì, rassicurata da quel sorriso gentile e dai capelli di quel verdino sbiadito a causa della vecchiaia; lo seguì, e, tra le colonne dei tempi e i ruderi delle case, raggiunse la torre dell'orologio. Alta, altissima, inespugnabile. Ne rimase incantata. Seguì caparbiamente quell'uomo, non ponendo domande ma meravigliandosi oltremisura quando, insieme, entrarono proprio nella torre. Inspiegabile, davvero inspiegabile. Scoprì quindi che la torre dell'orologio, chiamata anche 'torre della meridiana', conteneva un archivio, e che un uomo buffo, con i baffetti, armeggiava con dei rotoli di pergamena e lino che parevano più grossi di lui. Nell'aria vi era un profumo antico, sembrava aleggiare lì da secoli. Si fermò. Si fermarono gli altri due. L'ometto, ancora con i rotoli in mano, si bloccò nello scorgerla. Fu il turno del signore più vecchio a parlare, quello con il casco minaccioso e la tunica strascicata.

Adelpho, permetti un minuto?” chiese educatamente, troppo, per avere quell'elmetto minaccioso a coprirgli la testa. Di pessimo gusto, oltretutto!

Nobile Shion! Cosa posso fare per voi?” chiese l'ometto, guardando interrogativamente la bambina, dai chiari tratti mediterranei.

Adelpho, sei uno dei miei più fedeli collaboratori, è grazia a te se questo archivio è stato riordinato con passione e dedizione, è grazie a te se abbiamo potuto recuperare il materiale delle passate guerre sacre. Ora però ti devo chiedere un nuovo favore, nonché un nuovo compito!” lo salutò affabile, andandogli appresso e stringendogli la mano.

Cosa può fare un uomo comune come me, che non riesce ad utilizzare il cosmo?” chiese ancora, chinando appena il capo in segno di rispetto.

Non hai una famiglia tua, vero? - chiese conferma il signore alto e strambo, all'annuire dell'ometto riprese subito il discorso – Bene, ti devo chiedere di prenderti cura di questa bambina”

Lo sguardo di Adelpho si posò istantaneamente sulla piccola, la quale però era distratta da qualcos'altro posto alla sua destra, parecchio più là. Qualcosa che continuava permanentemente a nascondersi malgrado gli occhi della piccola lo avessero localizzato. Myrto ne fu divertita, trovava spassoso il suo modo impacciato di celarsi, per nulla efficace. Fece un segno nella sua direzione, del tutto incurante del dialogo che stava avvenendo tra gli altri due.

La piccola? Vuole... affidarla a me?” chiese conferma Adelpho, umile nella sua posizione, non comprendendo i piani del Sommo. Ma sapeva che i suoi vecchi e stanchi occhi potevano vedere ben al di là dell'umana comprensione.

Sì... ha perso i genitori in un incidente stradale un mese fa e ha smarrito buona parte di sé stessa. Ero in missione via dal Santuario quando la trovai, era ferita e sanguinante e l'ho curata, ma per la sua parziale amnesia non c'è nulla da fare, forse è meglio così...” sospirò Shion, prostrato.

E perché vuole affidarla a me?”

Perché di te mi posso fidare e... beh, ha doti speciali, presto te ne renderai conto da te. Anche per questo motivo vorrei che... che la istruissi sulla storia del Santuario, perché... perché prenderà il tuo posto quando tu sarai troppo vecchio per riuscire a distinguere le lettere nelle filze e nei manuali...”

Il Grande Sacerdote aveva fatto la sua scelta, aveva scelto chi avrebbe vicariato tra il mondo dei Cavalieri e il mondo comune, tra un passato a tratti illeggibile e un futuro luminoso. Era un grande privilegio, Adelpho se ne sentì pervaso. Tuttavia ben difficilmente sarebbe arrivato alla vecchiaia, lo sapeva...

Nobile Shion, io... vi ringrazio per la fiducia ma... ma son malato, lo sapete! Terrò la piccola con me e la istruirò come mi avete chiesto, ma difficilmente passerò la soglia dei sessant'anni, sapete di cosa soffro...

Inaspettatamente Shion sorrise amaramente, permettendosi di cingergli il braccio, da amico, non da superiore come invece, forse, avrebbe dovuto.

Mio caro Adelpho... ti ho già parlato di quel mio compagno della precedente Guerra Sacra che, proprio come te, soffriva di cuore?”

Sì, mio signore, Cardia, se non sbaglio... un nome, una garanzia! - sorrise amaramente – Ma parliamo di un prode e coraggioso Cavaliere, non di un ometto fragile che non riesce neanche a vivere senza le pastiglie!”

Ecco, lui non si è mai arreso, nonostante non ci fosse cura, non ha mai gettato la spugna, vivendo giorno per giorno con dignità e un pizzico di tracotanza”

E ha fatto bene, mio signore! Certo, non voglio sembrare un vigliacco che campa la scusa del cuore per non essere all'altezza dei compiti che gli date, ma... è una possibilità; una concreta possibilità ed io... io mi sentivo di dovergliela dire. Farò quanto chiesto con il massimo dell'impegno, ma, se dovessi mancare...”

Allora la bambina prenderà il tuo posto. Mi fido di te, Adelpho, io ti auguro una lunga vita, ma, se come dici tu, dovessi mancare, lascia tutto quello che puoi a lei. Non te ne pentirai, te lo assicuro! - gli disse, allontanandosi verso la porta – Ti lascio a discorrere con lei, mi raccomando e... grazie! Grazie per tutto!”

E detto questo uscì, il rumore dei passi che si allontanavano dalle scale. Adelpho prese un profondo respiro, avvicinandosi poi alla bambina, ancora distratta e intenta a scrutare un punto fisso. Continuava a ridere di qualcosa di sconosciuto, Adelpho non ci diede peso.

Come ti chiami, bimba?” chiese, affabile. L'attenzione della piccola cadde in quel momento su di lui, facendolo meravigliare di quanto fossero profondi quegli occhi scuri e caparbi sopra ogni dire, e questo in una creatura che dimostrava, al massimo, 6/7 anni di vita!

Myrto, signore!”

Myrto? Ma che bel nome! Era una delle due moglie del filosofo Socrate. Trovo sia un nome molto grazioso che ben si adatti ai tuoi lineamenti.

Myrto non sapeva chi fosse Socrate, nome curioso, ma ebbe come l'impressione che quell'individuo, probabilmente morto parecchi anni prima, visto che il signore parlava al passato, avrebbe avuto, da quel momento in poi, un significato profondo per lei. Effettivamente quell'ometto basso e apparentemente fragile la incuriosiva e ispirava fiducia, così come era affascinata da quel luogo in apparenza fuori dal mondo.

E voi come vi chiamate?”

Le era uscito inspiegabilmente il 'voi' non seppe perché, ma provava riverenza nei suoi confronti, davvero complicato da spiegare.

Oh, andiamo, non... 'voi', aha, mi fai sentire più vecchio di quanto in realtà non sia, so che li dimostro male, ma...”

Scusami!”

Adelpho le sorrise, affabile. La bambina era educata e gentile, forse un po' troppo per la sua età.

E non c'è bisogno neanche di scusarsi, chiamami semplicemente Adelpho e dammi pure del 'tu', mi fa sentire molto meglio!”

La bambina annuì, composta, il che spinse Adelpho a sorridere raggiante. Educarla non sarebbe stato facile, si presagiva in lei già un carattere determinato e tenace, sarebbe stata quindi un'avventura, un'impresa, non voleva proprio perdersela!

Aveva comunque ancora il suo ben da fare prima di tornare a casa, per cui, permettendo alla bambina di muoversi come volesse ma di stare attenta agli scaffali, si allontanò da lei, mettendo in ordine le pergamene sciolte precedentemente abbandonate sul tavolo a causa dell'arrivo del Sommo Shion. Inaspettatamente per la giovane età, la bambina rimase invece ferma e composta, non perdendosi neanche uno dei movimenti dell'uomo. Solo dopo vari minuti si decise a prendere parola.

Adelpho, posso disturbarti un attimo per farti una domanda?” chiese ad un tratto, seria in volto.

Certo, dimmi pure, Myrto!”

Era il primo scambio di nomi, a cui avrebbe fatto seguito un'infinità di altre volte... due semplici nomi propri che però, nell'infinito marasma del mondo, si erano incontrati, proprio loro e nessun altro.... proprio loro, nelle infinite combinazioni dello spazio-tempo.

Ma il signore che si nasconde, quello dai capelli verdi, è sempre qui?”

Adelpho non comprese subito la domanda. Probabilmente si riferiva al Grande Sacerdote Shion che l'aveva condotta lì senza spiegarle niente, ma era comunque un quesito posto male, per certi versi altisonante.

No, vedi, lui... è un po' come se fosse il mio capo, non viene sempre qui, anche se è uno dei pochi in cui può accedere a questo luogo, quindi ha delegato me, io... mi occupo di riordinare questo archivio, è molto importante e imparerai a comprenderne il motivo, Myrto. Qui sono custodite delle impronte, degli attimi... altre vite di chi ci ha preceduto e che ha lasciato un segno. Imparerai come destreggiarti in esse” spiegò pacatamente, riponendo le ultime carte al sicuro nel registro di appartenenza.

A quel punto alla piccola Myrto fu chiaro l'errore di comprensione che era scaturito tra loro, per cui si affrettò a rimediare.

Oh, no! Io non mi riferivo all'uomo mascherato, ma all'altro, a quello che sta nascosto là, ved... - disse, indicando la direzione, ma era sparito nel nulla. Adelpho si irrigidì, certo di aver capito male, ma seguendo la manina della bambina, i suoi dubbi vennero spazzati via – Oh, non c'è più, se ne è andato... aveva uno sguardo così triste e gentile...”

A quel punto, le ultime scartoffie -si rese conto solo in quel momento che ne teneva ancora in mano un paio- crollarono a terra e Adelpho stesso si ritrovò a fissare sbalordito quella specie di miracolo di sei anni. Ecco perché Shion gli aveva detto che la bambina aveva doti particolari: vedeva l'invisibile, né più né meno, senza spiegazione alcuna, era un'attitudine innata.

Quindi tu lo puoi vedere... lo puoi vedere... Myrto... Myrto... Myrto...”

 

“Myrto, coraggio! L'infermiera ti sta chiedendo chi stai cercando”

La giovane donna trasalì nel sentire la voce di Milo seguita a ruota dalla mano sulla spalla, rendendosi conto, solo in quel momento, di trovarsi già alla reception del padiglione di terapia intensiva e di aver catturato lo sguardo severo e feroce di una infermiera.

“Allora, signorina, si può sapere chi sta cercando?”

Myrto ingoiò a vuoto, cercando di concentrarsi con tutte le sue forze su quel momento drammatico, ma la ragione non tornava, rendendola preda dei sentimenti.

“Adelpho... Adelpho Kamaras, dovrebbe essere arrivato qui con un elicottero perché ha avuto un infarto e...” biascicò, sofferente.

“E lei sarebbe?”la troncò l'altra, spietata, probabilmente non abituata a perdersi nei convenevoli.

“Myrto... Myrto Domazos”

“E che legame sanguigno ci sarebbe tra voi?”

“Ne... nessuno...”

“E secondo Lei io posso fare entrare una che non ha alcun legame con lui? Da quanto ne so era in terapia intensiva fino a mezz'ora fa!”

“La prego... la prego... è mio padre adottivo!” tentò di nuovo la giovane donna, sulla soglia delle lacrime, ma l'infermiera sembrava tutt'altro che placata.

“Non posso farla entrare, mi dispiace e... ah, le bambine non ci dovrebbero proprio essere qui, cosa vi è saltato in mente di portarvela dietro?! esclamò l'infermiera, impietosa, squadrando Sonia che, tutta iraconda, mantenne alto lo sguardo.

Ma Myrto non si diede per vinta. Con un titanico sforzo, la afferrò per il braccio, implorandole ancora una volta di lasciarla passare, o almeno di dirle come stava, ma era fiato sprecato.

“Non ho documenti che mi testimoniano il vostro presunto legame, farla passare metterebbe me nei guai, non lo capisce?!”

A quel punto Milo, non potendone più, intervenne, sbattendo veemente la mano sul banco e alzando il tono di voce, dimentico del luogo in cui si trovava. Assistere a certe scene, e ancora di più vederle contro le persone a cui ci teneva, lo mandava in gangheri, facendogli perdere la calma. Perché mantenere il sangue freddo, sì, ok, ma non poteva non reagire davanti ad una sofferenza così gratuita!

“Ma insomma, dico io, non la vede la situazione?! Non la vede come piange?!? Che ragione avrebbe di mentirle?!? Mi pare che sia lei che non capisce e che difetti di empatia! Ci sta solo facendo perdere tempo e...”

“Non si alza la voce in un ospedale, non...”

“E CHI CAZZO SE NE FREGA! POSSO FARE ANCHE PEGGIO SE NON CI DICE COME STA ADELPHO KAMARAS. E' SUA FIGLIA ADOTTIVA CHE LO CHIEDE, NON UNA SCONOSCIUTA CHICCHESSIA!”

Il suo tono di voce fece tremare le pareti dell'ospedale, mentre il suo urlo si disperse nei corridoi dell'ospedale. Milo sapeva che così passava dalla parte del torto, ma non ne poteva davvero più di quella situazione assurda, voleva solo avere notizie di Adelpho e non poteva tollerare che Myrto venisse trattata così.

L'infermiera non disse niente, limitandosi ad abbassare lo sguardo; al suo posto un camice bianco si avvicinò lentamente a loro, penetrando nel loro campo visivo.

“Rosi, vai... vai pure, ci penso io qui... - disse alla collega, aspettando che si allontanasse, prima di rivolgersi a loro – L'uomo di cui state cercando notizia, che è arrivato qui in arresto cardiaco, l'ho operato io...” mormorò, in tono basso e sommesso.

Sonia non presagiva nulla di buono da quel tono, lo capì, forse un secondo prima di Myrto, un secondo prima che i suoi occhi si svuotassero del tutto, un secondo prima che le sue labbra, tremando come foglie, si assottigliassero in un'unica, sottile, linea, come la vita e la morte.

“Da... davvero? E... come sta?”

Milo non lo capì invece, o lo capì tardi, la sua fragile e illusa speranza languì un secondo più rispetto a quella delle altre, poco prima di afflosciarsi nel momento in cui gli occhi azzurri del medico, precedentemente abbassati nel tentativo di trovare le parole giuste, si alzarono nuovamente per imprimersi nei loro. Doveva trattarsi di un medico giovane, Sonia non capì perché rifugiarsi in quel pensiero futile, forse per non udire il seguito?! Eppure, negli istanti prima che le parole venissero pronunciate, Sonia non pensò ad altro che quel medico doveva essere alle sue prime esperienze, poiché era ancora troppo empatico per essere considerato tale. I medici, si sa, abituati con la morte, non ci mettevano poi molto a essere diretti, ma lui no, trattò l'argomento il più delicatamente possibile, ed era ben visibile il suo pentimento, il suo sforzo estremizzato di salvarlo, del tutto vano. Il mondo intero poteva essere talmente vano da essere spietato.

“Mi dispiace, io... ci ho provato, con tutte le mie forze, ma... ho fallito!”

Anche la bocca di Milo si ammutolì, rifiutando di ingoiare quella verità sin troppo dura. No, no.. stava scherzando, non...

Myrto era placida in quel momento, i muscoli finalmente sciolti, gli occhi del tutto spenti. Sembrava morta anche lei, e forse una parte di lei era deceduta realmente. Non si dibatteva più, se ne stava solo lì, in piedi, arresa. Il mondo era davvero spietato.

“E' arrivato cui fortemente debilitato, mi hanno detto quelli dell'ambulatorio che aveva avuto un infarto ma che erano riusciti a rianimarlo, solo che... che appena giunto qui ne ha avuto un altro, più forte del precedente. Noi... ci abbiamo provato, davvero, ma il cuore non è più ripartito, malgrado i nostri innumerevoli tentativi, non abbiamo potuto far altro che dichiarare la morte celebrale. Sono... sono mortificato. Non è il primo che perdo, ma... fa male, quanto fa male! I colleghi più vecchi mi dicono che passerà che mi abituerò, ma per il momento non riesco a non pensare ai miei fallimenti come medico...”

Le braccine di Sonia cinsero il polso e la mano destra di Milo, che gemette, la piccola invece non disse niente, ma i suoi occhi erano inondati di amare lacrime che le solcavano le gote. Era stato come un enorme maremoto appena infranto sulla costa, le onde tardavano a calmarsi.

“Myrto, io...”

“Posso vederlo?” domandò a bruciapelo la giovane donna, non udendo il tono strozzato del compagno, né percependo la mano che lentamente si era volta a sfiorarla.

Il medico sospirò appena, chiudendo le palpebre prima di annuire meccanicamente.

“Generalmente non lo facciamo vedere che ai parenti più stretti, ma mi pare di capire che quest'uomo, Adelpho, non avesse altri che lei, per cui... – sussurrò in tono dolce ma distante – Prego, mi segua, solo... è meglio che la bambina rimanga qui!”

“Ci penso io a lei, tu vai pure... Myrto...” la rassicurò Milo mentre, prendendo in braccio la piccola, ancora in lacrime, andava a sistemarsi nella sala di attesa.

Myrto annuì grata, ma asettica, e prese a seguire il medico, la mente altrove e un grande vuoto nel cuore.

 

Vi era, in Grecia, un periodo dell'anno, nella fattispecie giugno, in cui, data l'abbondanza di lucciole presenti nei dintorni del Paese, da nord a sud, da est a ovest, veniva soprannominato 'il mese in cui la luce disvela l'invisibile'.

Per i giovani occhi di Myrto, ancora bambina, quello era un trionfo di magia e di meraviglia, ancora di più che il resto dell'anno. Le giornata si allungavano, il terreno era sempre più tiepido e fertile, gli alberi inneggiavano immensi canti per salutare la stagione della crescita imperitura. Tutto era vita, nient'altro che la bellissima speranzosa vita e, non in ultimo, c'erano le lucciole alla sera. Myrto adorava le lucciole, le sfidava a correre nelle notti estive, tra un ginepro e un olivo, mentre il grembo della Terra era sempre più pieno, sempre più fecondo. Le sfidava a rincorrere ma quelle le scappavano sempre, portandola ogni tanto a fermarsi, stremata da quell'attività fine a sé stessa e che la vedeva sempre sconfitta. A Myrto non piaceva perdere, lo odiava, ma faceva parte del gioco, in fondo, quindi, dopo un iniziale rabbia, le passava tutto, portandola a sedersi sotto un albero e a contemplare le tenebre azzurre intorno a lei.

Una sera di quelle, aveva ormai dieci anni, Adelpho la prese da parte per raccontarle il grande segreto che celavano quegli insetti strani che emanavano luce propria.

Ti piacciono le lucciole, vero, Myrto?”

Sì, molto, ma se ogni tanto si facessero prendere mi starebbero più simpatiche!” rispose di tutto punto la bambina, mettendo su il broncio.

A quel punto Adelpho scoppiò a ridere, intenerito: beata ingenuità!

Non le puoi prendere, esse sondando l'invisibile, vanno al di là della nostra comprensione!”

Ma sono qui di fianco a me, in carne ed ossa, come è possibile che non le riesca ad acciuffare?” domandò la bambina, sveglia, incuriosita dallo strano insetto.

Ebbene, dice una antica leggenda che esse siano le anime dei nostri cari defunti”

A quella rivelazione Myrto si sentì cadere a terra anche se, in effetti, lo era già. Guardò stupito Adelpho, intento a scrutare malinconicamente i dintorni. E la vide, vide una piccola lucciola posarsi sulla sua mano e pulsare di luce proprio lì. Era inconcepibile! Lei si era fatta in quattro per acciuffarle e queste, come se niente fosse, si posavano su Adelpho, neanche fosse un mago!

Come hai fatto?!”

Eeeeeeh, chi lo sa, forse questa lucciola mi conosce!” disse lui, in tono sereno ma velato da una certa tristezza.

Hai detto che... che sono le anime dei nostri cari defunti?”

Precisamente”

E come è possibile?”

Reincarnazione... prima di diventare, forse, qualcos'altro”

Myrto ci rimuginò un po' su, carpita dal significato esoterico di quella parola. Reincarnazione... il diventare nuovamente un'altra carne, un'altra essenza.

Reincarnazione...” ripeté, digerendo quell'etimologia misteriosa come parte integrante della sua corporeità.

Precisamente, Myrto... tutti ci reincarniamo, sai? Non importa a quale dio crediamo, non importa in cosa, ma prima di arrivare là, nel luogo luminoso e pieno di luce, ci passiamo tutti. Potremo diventare forse un fiore, un colombo, un altro essere umano o... un albero! Ma siamo tutti collegati, sai? Il ragno che meticolosamente tesse la tela, un tempo, forse, aveva sembianze umane, proprio come me e te. Allo stesso modo, chissà cosa avremo potuto essere io e te, prima di incontrarci qui, in questa vita...”

Myrto lo stette ad ascoltare, carpita da quel discorso. Lo fissava a bocca aperta e, ancora di più, era stupita di vedere quell'insetto luminescente solcare il braccio di Adelpho sotto gli occhi tristi di quest'ultimo.

E... e si può controllare questo processo?”

No, o meglio, chissà, magari una persona speciale, diversa dal solito, può anche riuscirci, ma mediamente accade tutto a caso. Non solo, reincarnandosi il corpo perde le memorie delle vite passate anche se, un'altra leggenda, dice che nei primissimi anni di vita qualche ricordo permane, prima di sparire per sempre”

Oh, capisco...”

Myrto era un po' delusa, le sarebbe piaciuto rammentare altre vite, come le sarebbe piaciuto ricordarsi di Adelpho nella seguente.

Adelpho, tu... tu hai perso qualcuno di importante nella tua vita?” chiese la piccola, avvertendolo sempre più malinconico.

Chi lo sa? E chi sa se mai ci incontreremo di nuovo... o chissà, forse è già successo...” disse enigmatico, lasciando volare via la lucciola, la quale, dopo una leggera vibrazione delle antenne, raggiunse le altre nel mucchio.

Io... io, quando morirò, avrò molto piacere a ritrovarti in un'altra vita...” mormorò Myrto, arrossendo a dismisura, non avvezza a dimostrare il suo affetto per lui. Tanto che infatti Adelpho se ne stupì, rimanendo così imbambolato per una manciata di secondi, prima di riprendersi.

La trasse quindi a sé, sorridendole grato, facendola poi adagiare sulla sua spalla, mentre il cielo, luminoso come non mai nonostante la notte, lampeggiava con sinuosi movimenti.

Tu mi hai salvato, ricordalo bene, Myrto! Hai salvato questo vecchio, stracciato, corpo e gli hai ridato nuova vita, non lo dimenticherò mai – le confidò, intenerito, poco prima di sorridere ancora più mestamente – Un giorno questo mucchio di atomi che girano ininterrottamente, troverà requie. Smetterò di respirare, mi disfarò... lentamente... e potrò finalmente ricongiungermi al mio tutto, a ciò che ho perso, alle mie propaggini... ma fino ad allora, hai riacceso in me la voglia di vivere... non lo dimenticherò mai, piccola stella!”

 

In tutti quegli anni erano stati veramente pochi i momenti intimi tra loro. Adelpho non amava parlare del suo passato e non lo faceva mai, tranne una volta, e Myrto, senza sapere perché, aveva cominciato a considerare la sua figura scontata, onnipresente, eterna. Per la prima volta se ne rese conto, per la prima volta se ne dolse alquanto... e il dolore toglieva il respiro, inasprendo le fitte ai polmoni. Già, lo aveva dato per scontato, perché?!? Perché lo aveva fatto?!? Il tempo non poteva tornare indietro, se ne accorse una volta di più quando, rompendo la colonna di pensieri, si rese conto di trovarsi nell'obitorio davanti ad un letto occupato da un mucchio di atomi, perché ormai di quello si trattava, sormontato da un lenzuolo bianco che, con le sue pieghe, racchiudeva un corpo sdraiato supinamente. La mano sinistra si intravedeva appena, immota.

Senza dire una parola si avvicinò a quella presenza, il capo chino. La mano in questione aveva ancora il segno dell'anello nell'anulare, un simbolo che Adelpho, in vita, non si era mai tolto, alcune macchie sul suo dorso rendevano il tutto più nitido, ma ovattato, come non mai.

“Li hai... li hai infine raggiunti? - chiese con voce meccanica, alle soglie del pianto. Varcarlo equivaleva a crollare inequivocabilmente – Tua moglie e tuo figlio... che hai perso in giovane età, li... li avrai raggiunti? Siete da qualche parte... insieme?” chiese al morto, nel silenzio della stanza.

Come aveva potuto darlo per scontato?! Come aveva potuto non stringerlo a sé, quando era ancora in vita, come aveva fatto con altre persone e in altri casi?! Proprio lui, che per lei aveva significato tutto, che l'aveva cresciuta con le sue sole forze, che le aveva insegnato un sacco di cose, rimanendo lì, a cavallo tra il mondo del Santuario e la vita di tutti i giorni. Era stata un'ingrata e una presuntuosa, Adelpho le diceva che lei lo aveva salvato, ma, a conti fatti, cosa aveva fatto, se non vivere la sua vita al suo fianco, fiacca, insulsa?! Come poteva averlo salvato realmente, proprio lei, che non aveva fatto assolutamente nulla per lui?!?

 

A volte, mia cara Myrto, non occorre fare qualcosa di specifico per salvare una persona. A volte, e non raramente, ciò che rappresenta l'altro per noi, senza che faccia qualcosa di particolare, è la forza che ci spinge a reagire, a combattere, a non arrendersi a questa vita piena di brutture. Tu ne sei stata la chiave, Myrto, non posso dimenticarlo in alcun modo e ti ringrazio. So che ci incontreremo di nuovo, prima o poi, per il momento, buona vita, piccola stella!

 

Myrto si sentì cadere a terra nel prendergli la mano, ancora calda, tra le sue. Le gambe non la ressero più e si sciolte in un ampio e disperato pianto a squarciagola. Quella era la fine, ma forse anche l'inizio di un nuovo percorso. Non poteva saperlo con sicurezza, nessuno poteva!

“Perdonami... perdonami per non averti mai chiamato con il nome che ti spettava, perdonami per non essere mai stata affettuosa con te, anche se lo meritavi, e per averti fatto tribolare non poco quando non volevo seguire i tuoi insegnamenti. Non volevo, non avrei mai voluto! Perdonami... perdonami, papà!” disse tra i singhiozzi, prima di lasciarsi andare completamente.

 

 

* * *

 

 

Tornarono sull'isola natia che era notte inoltrata, nessuna parola tra loro durante il viaggio di ritorno, solo e soltanto il silenzio frenetico di chi doveva elaborare una perdita improvvisa. Solo il tempo avrebbe placato gli animi, regalandogli il beneficio della catarsi, ma per il momento solo una sensazione di intenso ed estraniante sbigottimento compenetrava tra loro. Adelpho era sempre stata una presenza fissa e silente ma sempre partecipe... pensare che, da quel momento in avanti, il mondo avrebbe proseguito la sua rotazione totalmente indifferente alla sua assenza, faceva male, li rendeva ancora più fragili di quanto già non fossero. Tutti loro erano necessari, ma nessuno era veramente indispensabile per la Madre Terra. Gli atomi si sarebbero scomposti e ricomposti, artefici del loro stesso destino, non si sarebbe sentita la differenza, non per il mondo.

Myrto fissava il mare con occhi neri e vitrei, sembrava altrove e, forse, lo era. Milo e Sonia non avevano la più pallida idea di come raggiungerla, si sentivano esausti. Non volevano disturbarla in quella immensa marea dei suoi pensieri, ma la giovane donna continuava a rimanere lì, immobile, lo sguardo perennemente rivolto all'Egeo che luccicava a sé, vinto dal bagliore lunare. Era bellissimo ma tristissimo al solo ammirarlo.

“M-Myrto...” tentò il primo approccio Milo, ma la sua mano ricadde a vuoto, inerte. Non c'erano parole per tirarla su, non quella volta.

“Milo... guarda... guarda là!” biascicò lei, indicandogli un punto che il Cavaliere non capì. Anche Sonia, asciugandosi gli ultimi residui di lacrime si avvicinò.

“Cosa, Myrto?”

“Le vedi?! Quelle lucciole sono proprio belle...”

“Le...?!?”

Milo continuava a non comprendere a cosa si riferisse, pertanto si guardò intorno, confuso: non c'era alcuna lucciola lì, d'altronde era ancora troppo presto!

“Là.. non potete non vederle...”

Stavolta Milo comprese a cosa si riferisse l'amica, ma proprio quel fatto lo fece preoccupare ancora di più.

“Myrto... non c'è alcuna lucciola... quello è il riflesso della luna sull'Egeo; sul nostro Egeo!” disse con dolcezza, pur rimanendo preoccupato.

“No, io le vedo... sono le lucciole, coloro che rischiarano l'invisibile... sono loro, sono le...” ma non finì la frase che cadde in avanti, stremata. Milo la acciuffò appena in tempo per evitarle un raffronto con la sabbia, pure Sonia istintivamente la prese, come meglio poteva, per un fianco.

“Myrto!!! Ehi, Myrto!”

La ragazza, nell'incoscienza, gemette, era molto più calda del normale e non dava alcun segno di aprire quei due meravigliosi occhi che si trovava.

“Milo! Cosa succede???” domandò Sonia, ansata, tastandole il polso di riflesso.

“Accidenti! Il suo corpo non deve aver retto il lutto e ha avuto un malore... ehi, Myrto! Myrto, guardami!” provò a scrollarla Milo, sempre più spaventato. Il prezzo per quel giorno era già stato ampiamente pagato, non poteva... non poteva in alcun modo chiedere un altro obolo!

“Mmmh...” mormorò a stento Myrto, incosciente tra le sue braccia, Alcuni ciuffi le si erano attaccati alla fronte, in quel momento sudata come non mai, ma il cuore batteva regolarmente.

“Adelpho... Adelpho! Non portarti via anche la mia Myrto, te ne prego!”

Milo si ritrovò a supplicare al vento in tutte le lingue che conosceva. Aveva una paura matta di perdere anche lei, la donna amata, forte come una quercia ma in quel momento fragile come un cucciolo di panda appena nato.

“Milo! Milo, cosa facciamo?” chiese Sonia, spaventatissima, era davvero difficile esercitare il distacco quando veniva toccata una parte della sua famiglia!

“Non ti agitare, Sonia! Portiamola a casa sua, là potremo prendercene cura! Ho bisogno anche di te, piccoletta...” disse alla bambina, posizionando Myrto sulle spalle e incamminandosi. Sonia lo seguì senza aprire più bocca.

Portarono Myrto nella sua casa e la fecero accomodare sul letto, avendo cura di sistemarla bene. La giovane donna si dimenava nel sonno chiamando a gran voce il nome del padre adottivo. Respirava freneticamente ed era fradicia, ma non sembrava in pericolo di vita.

Milo la cambiò con cura, mettendole indosso una maglia pulita e asciutta, poi prese un panno, glielo passò con dolcezza sul viso, sotto gli occhi vigili e attenti di Sonia, desiderosa di essere d'aiuto anche lei ma non sapendo cosa fare. In quel momento si sentiva nuovamente piccola, non più grande come aveva creduto di essere quella stessa mattinata. Come potevano cambiare le cose nel corso di un unico, breve, giorno!

Le condizioni della giovane donna erano stabili e non sembrava soffrire di patologie particolari, ma Milo non aveva a cuore di lasciarla lì da sola, a metà strada tra la veglia e l'incubo, sentiva il bisogno di monitorare la situazione e così avrebbe fatto finché lei non si sarebbe svegliata. Le sentì più volte il polso e le asciugò il corpo umido, sussurrandole paroline di conforto che sapeva sarebbero state percepite.

Passarono così un paio di ore prima che la situazione finalmente cominciò ad assestarsi. Myrto aveva smesso di dimenarsi nel letto in preda ai vaneggiamenti e anche la temperatura corporea si stava assestando, lentamente ma gradualmente. Milo, quella notte, non abbandonò mai il suo fianco insieme a Sonia. La piccola, malgrado la stanchezza, resisteva stoicamente, continuando ad accarezzare delicatamente la mano di Myrto, nel tentativo di rassicurarla.

“Myrto... noi siamo qui... quando vorrai aprire gli occhi ci troverai qui, è una promessa!”

Milo era fiero di lei, nonostante tutti gli avvenimenti di quel giorno, non aveva mai ceduto alla stanchezza, aiutandolo in quei momenti difficili, risoluta come un guerriero e caparbia come una leonessa, davvero la degna sorella di Aiolia!

Era ormai quasi l'alba quando Myrto si acquietò del tutto, vinta dal suo stesso sonno, dal suo stesso sfinimento. E Milo ebbe la certezza che da lì in poi, passato il peggio, non avrebbe potuto far altro che migliorare piano piano, passo per passo.

Sonia, provata dalla veglia, ormai crollava dal sonno, ma si ostinava a rimanere vigile, resistendo con tutte le sue forze. Per non cedere a quel dolce invito, si costrinse a porre la domanda a Milo che da tanto le girava per la testa.

“Milo... cosa c'è dopo la morte?”

Il Cavaliere di raddrizzò, percependo l'apprensione nel quesito della bambina. Quello sarebbe stato il momento per i favoleggiamenti e le rassicurazioni, ma lui non si sentiva di dargliele, così false e lusinghiere. Si costrinse a pensare che la piccola cresceva di giorno in giorno, non gli avrebbe mai perdonato una menzogna e, intelligente com'era, l'avrebbe colta istantaneamente. Decise quindi di essere franco, pur addolcendo il tono.

“Magari lo sapessi... mi piacerebbe dirti che esiste un luogo pieno di luce, in cui tutti noi incontriamo nuovamente i nostri cari, la pace dei sensi, la quiete, senza più dolore, ma... non ne sono del tutto convinto! Davvero, non so cosa ci sia passato il varco, forse meglio non pensarci finché non saremo lì... non farebbe altro che sclerotizzare la paura della morte che gli esseri viventi possiedono in maniera innata!”

Sonia non era contenta della risposta, ma capì l'intenzione di Milo di non volerle mentire con false speranze. Stava crescendo, non era più tempo per le favole.

“Adelpho non meritava di morire!” disse decisa, con un pizzico di rabbia.

“La Nera Signora non guarda alla meritocrazia... accade e basta, inspiegabilmente, noi esseri umani non possiamo opporci. Solo... ohimé, non credo di essere il più adatto a parlarti di questo!” ammise, sospirando, non sapendo come addolcire la pillola.

Era vero, non aveva la minima padronanza lessicale e, in più, la sua mente si sforzava, per sua natura, di non essere ricondotta su quel dato argomento. Semplicemente la odiava, odiava la morte e l'avrebbe voluta distruggere, ma, non potendolo fare, si limitava a rigettare tale idea fuori da sé. Meglio vivere il qui e ora presente senza perdersi in mille congetture, avrebbe solo annichilito la gioia di vivere.

Sonia, inquieta, preferì deviare tempestivamente argomento.

“Myrto... starà meglio, vero?”

Malgrado tutto, aveva bisogno di una qualche conferma e, non potendola trovare sul senso della vita, che almeno la potesse scorgere negli affetti della sua famiglia!

“Starà di certo meglio prima o poi, il tempo allevia ogni male... ma dobbiamo avere pazienza. Adelpho era come un padre per lei, forse se ne è resa conto nitidamente solo adesso. Sai, a volte capita che noi umani ci rendiamo conto del valore di qualcosa solo quando lo perdiamo. E'... è una maledizione. Comunque, lo sai, è una dona molto forte, si rimetterà senz'altro!” spiegò, sospirando appena.

A Sonia bastava. Se era Milo a dire quello, bastava, e quella certezza penetrò in lei, splendente.

Sorrise e annuì, poco prima di accucciarsi vicino alla giovane donna e appisolarsi, finalmente serena. Lo Scorpione la vide scivolare nel sonno puro e innocente, intenerito. Poi si alzò, prese una coperta, e gliela posò sopra con dolcezza, permettendosi di accarezzarle la fronte con gesto delicato.

“Grazie, piccoletta. Anche tu... anche tu sei forte come una leonessa. Non posso che essere onorato di condividere la mia vita con due persone meravigliose come voi!”

 

 

* * *

 

 

I giorni che seguirono Myrto li utilizzò per rimettersi in sesto. Non era affatto facile ricominciare dal principio ed intraprendere il nuovo ciclo, ma non si sarebbe mai permessa di pesare su Milo e la piccola Sonia per più di una settimana, per cui, il settimo giorno, si fece forza e si diresse verso l'archivio del Grande Tempio, nella Torre della Meridiana, là, dove erano contenuti i documenti di molte vite. Secondo i piani del Grande Shion, lei avrebbe dovuto succedere al ruolo di suo padre adottivo, custode delle filze e degli immensi libroni polverosi dell'archivio; nella pratica era tutto ancora da stabilire. Molte cose erano cambiate in quei vent'anni, primo fra tutto l'atteggiamento dell'ex Cavaliere d'Oro dell'Ariete, ormai diventato turbolento e irascibile. Myrto non sapeva se davvero quel luogo sarebbe passato a lei come da accordi, ma desiderava ardentemente sistemare ciò che Adelpho aveva lasciato in sospeso, pertanto quel giorno si era recata lì per mettere in ordine le sudatissime carte. Odoravano ancora del profumo di Adelpho, così famigliare, tanto che a Myrto più di una volta le si si inumidirono gli occhi. Quel luogo sapeva ancora di lui, ma sapeva che presto quella fragranza sarebbe sparita e, al solo pensarlo, una fitta spietata le inondava il petto. Avrebbe fatto di tutto per poter riavvolgere il tempo, ma quella era facoltà degli dei solo.

Sospirò profondamente, prendendo quattro rotoli di pergamena tra le mani, e lì si accorse di stare tremando e di avere forse bisogno di sedersi per evitare di cadere, ma non fece comunque in tempo che una folata improvvisa, gelida, quasi le fece scappare di mano quei frammenti di storia così importanti. Incespicò in avanti, sorreggendosi al tavolino, poco prima di voltarsi dietro di sé, sapeva benissimo chi vi avrebbe trovato.

“Per l'amor del cielo, siete così diversi ma, bisogna dire, il vizio di entrare in scena così lo avete mantenuto!” lo fulminò con lo sguardo, poco prima di girarsi interamente nella sua direzione dopo aver lasciato le carte sul tavolo.

“Chiedo umilmente venia, mia signora... ho ancora difficoltà ad apparire e scomparire senza muovere l'aria...”

“Fa' niente... - si affrettò a dire lei, nascondendo il volto nella penombra – Sono... sono felice di poterti rivedere per parlarti di nuovo...” ammise, triste.

“I vostri occhi sono mesti, mia signora... Sono... sono addolorato per la prematura dipartita di Adelpho, lo stimavo molto e... beh, il mio migliore amico era cardiopatico, capisco come ci si senta a...”

“Dégel... va bene così, non c'è bisogno di essere così in difficoltà con le parole, so che sei molto sensibile, ma davvero non sono necessarie. Solo... - prese un secondo di pausa, a disagio – E' da quando ero piccola che ti chiedo di non chiamarmi con i titoli onorifici, non hai mai imparato!” sorrise gentilmente, un poco più serena nell'animo.

Era davvero imbarazzante quando Dégel, o meglio, lo spirito del fu Dégel dell'Acquario, Cavaliere d'Oro della precedente Guerra Sacra, tentava di spiegare i suoi sentimenti, la sua empatia e le sue emozioni. Si venivano a creare sempre situazioni assurde in cui lei doveva calmarlo o lui iniziava a farfugliare per esplicare meglio ciò che sentiva. Impresa titanica! Dégel era un tesoro, lo era sempre stato, ma Myrto era molto più portata con gli uomini spigliati e sicuri di sé che non con gli incerti e ingenui come il dorato custode. Eppure in quegli anni erano diventati amici, nonché confidenti. Forse perché Dégel poteva essere visto solo da lei e Adelpho, forse perché il Cavaliere, per sua stessa ammissione, era rimasto a vagabondare, per quanto ne ricordasse, per un periodo che gli era parso secoli, senza nessuno, solo, e forse anche perché uno come Dègel aveva un cocente bisogno di parlare con qualcuno per sentirsi vivo, sebbene non fosse altro che spirito, ma Myrto davvero non si ricordava di aver mai conosciuto una persona straordinaria come lui.

Inaspettatamente Dégel sorrise tra sé e sé e, sebbene non si potesse notare perché appunto era puro spirito, pura anima, arrossì leggermente, o meglio, questo percepì Myrto che poteva ben leggere le sue emozioni. Del resto i fantasmi non avevano battito cardiaco né tanto meno circolazione, non potevano quindi mostrare ciò che provavamo dentro di loro, ma per la giovane donna era come un libro aperto.

“Certo che... a voi donne del XXI secolo proprio non piace essere chiamate con titoli onorifici, eh?” commentò, disteso, lo sguardo lontano di chi, ancora in quel momento, provava a rincorrere l'inafferrabile.

“Stonano alquanto, non trovi? Mi danno l'idea di essere messa su un piedistallo perché rappresento qualcosa di fragile, e invece così non è...”

“Al momento lo siete, mia cara Myrto, ma non è per debolezza vostra, ma per umanità, e ciò che è umano per me ha una immensa attrattiva!”

“Passerà... in qualche modo... - disse lei con un filo di voce, poco prima di concentrarsi su altro – Non è la prima volta che parli per enigmi, ti stai forse riferendo alla ragazza di cui sei innamorato?”

“Posso riferirmi solo a lei...”

Myrto inarcò prudentemente un sopracciglio. Non era la prima volta che Dégel faceva il misterioso, ma ogni ricerca di spiegazione era vana, si perdeva negli immensi occhi blu dell'undicesimo custode e vi si leggeva una eterna malinconia che istintivamente la giovane donna annetteva a quella di Camus in quei rari momenti che aveva voglia di apparire umano.

“Perbacco! Ecco l'unica cosa che ti collega a quella spina nel fianco di Camus: i vostri occhi malinconici come di qualcosa che vi è stato strappato, altrimenti dubiterei che fosse la tua reincarnazione”

“Lo è... al 100%!”

“Davvero? Non avete nulla da spartire!”

“Questo... questo è stato per colpa mia... io... io ho distrutto Camus dell'Acquario!”

Myrto inarcò l'altro sopracciglio, la sua espressione era da assoluta maestrina, eccolo lì Dégel a prendersi di nuovo la colpa per qualcosa di assurdo. Sbuffò, soffocando una risatina nel ricordarsi di come, ancora quando lei era una bambina, il Cavaliere era andato in paranoia per un inverno più freddo del normale ad Atene, credendo che la colpa fosse del suo stentato controllo nell'apparire davanti agli occhi della piccola. Adorabile!

“Oh, per favore, Dégel, piant...”

“No, è davvero così! Io... io sono stato troppo ingenuo e preda dei sentimenti, in vita, ed è tutto ricaduto sulle spalle di Camus, me ne duole immensamente. Se solo fossi stato più forte, lui non sarebbe in queste condizioni...”

Non continuò, fermandosi per l'ennesima volta a metà strada, le parole monche in gola e gli occhi sbarrati. Se avesse avuto ancora un corpo, probabilmente avrebbe avuto un groppo in gola che gli avrebbe impedito di respirare regolarmente.

“Dégel... tu dici di essere la precedente vita di Camus, ma... ma sei qui, vicino a me e.. e invece dovresti essere dentro quel ragazzo, giusto? Come è quindi possibile?” provò a chiedere con dolcezza, vedendolo scosso.

“La sua, anzi, la nostra anima è andata in pezzi nell'ultima Guerra Sacra! Un'anima in pezzi, Myrto, riuscite a saggiarne la gravità? Non è come perdere un qualsiasi arto, è molto più pericoloso, non ci si puoi salvare... in nessun modo!”

“Così mi spaventi...”

“Pensate ad un immenso albero di tiglio, mia cara, pensateci intensamente... lo vedete stampato nella vostra retina? Ecco! Se staccherete una foglia probabilmente l'albero avrà un impulso, se staccherete un ramoscello ne avrà un'altro, ma sopravvivrà... gli alberi sono meravigliosi, donano a noi l'ossigeno e sono l'emblema che collega la terra al cielo. Ci sono molte leggende su di loro, la più romantica, che piace a me, racconta di come essi siano le braccia che dal grembo del terreno si protraggono verso il cielo, come neonati con le proprie madri...”

“L'ho visualizzato, Dégel, ma... cosa c'entra con...”

Ma Dégel proseguiva nel suo racconto, impossibile fermarlo.

“Si dice che alcuni alberi siano addirittura in grado di resistere al fuoco, sono davvero esseri straordinari! Sapete, una famosa canzone italiana di questi tempi recenti recita che la vita è così fgrande che un uomo in punto di morte desidererebbe comunque piantare un ulivo convinto in cuor suo di vederlo fiorire, e ha completamente ragione! Questo albero crescerà, lentamente, farà ombra ai proprio figli, ai figli dei propri figli e così via... gli alberi si avvicinano all'eterno e lo sfidano, intrepidi. E' semplicemente meraviglioso, ed io mi commuovo ogni volta che...”

“Cough! Cough!” Myrto tossicchiò compostamente, per fare cenno a Dégel di sbrigarsi nella sua spiegazione bella e affascinante, per carità, ma si stava per perdere il filo conduttore.

“Ma... ma suppongo che voi vogliate sapere cosa c'entrino gli alberi con le anime... - dedusse Dégel, ricomponendosi - Ebbene... abbiate sempre nella retina questo bel tiglio, cosa succederebbe se tranciassimo, di netto, le radici?”

“L'albero morirebbe, anzi, peggio, ne...”

“Ne marcirebbe l'intera struttura, esatto e, con il tempo, questa crollerebbe su sé stessa, poiché sono le radici che permettono la vita all'albero. Immaginate le nostre anime, o principio vitale, esattamente così: la frantumazione dell'anima equivale all'eradicazione delle radici dell'albero... capite quanto sia devastante?!”

Sì, Myrto capiva e, proprio come un riflesso innato, era fattibile che l'anima di Camus, pur non ricordando alcunché della vita passata, si fosse chiusa a riccio per non rimanere ulteriormente deturpata da quell'onda anomala che erano i sentimenti. Era quindi una reazione logica e capibile, ma questo non lo scusava affatto da essere così assolutamente irritante e aristocratico come era. Camus trattava tutte le persone al di fuori della propria cerchia letteralmente a 'pesci in faccia', era snervante e altezzoso, cosa che sicuramente non la faceva portava ad aprirsi emozionalmente con lui, tutt'altro.

“Myrto... so che non andate d'accordo con lui, ma cercate, almeno voi che siete più grande, quantomeno di avere un goccio in più di condiscendenza. E' un bravo ragazzo, davvero, e... e cela molto più di quanto appare nel suo giovane e ferito cuore! Non lo farebbe con tutti, è vero, ma darebbe l'anima per le persone a cui tiene, arrivando all'estremo sacrificio. E questo, per un uomo, è uno dei miglior pregi possibili! - le raccontò, sempre in tono malinconico ma sorridendo appena – Pensate quanta forza occorre per sopperire l'istinto di sopravvivenza, l'istinto innato per eccellenza, pensate ora che Camus non esiterebbe a buttarsi tra le fiamme, a subire una maledizione eterna, se questo mettesse al sicuro le persone che lui ama. E' un essere eccezionale, di gran lunga più forte di me, non posso che stimarlo genuinamente!”

“Ne parli come se lo avessi conosciuto dal vivo...”

“Così è stato, infatti. L'ho... l'ho davvero conosciuto e non faccio che ringraziare Atena e le altre divinità per questa occasione che mi è stata data!”

E tacque di nuovo, ermetico. Myrto sospirò, affranta. Quando era così era davvero difficile proseguire un discorso, assomigliava paurosamente alla sua controparte del presente, chiuso come pochi e assolutamente irraggiungibile.

“Ciò comunque non spiega come mai tu sia qui, conscio, nonostante la tua anima stia anche là dentro”

“Questo non lo so nemmeno io, ma sono solo un frammento, come vi ho detto...”

“Ah, perfetto, ottimo punto di partenza!”

“Ma forse...”

“Cosa?”

“Non so nemmeno io come sia possibile, giacché sfugge alle leggi della fisica, ma... probabilmente sono riuscito a resistere così tanto per Lei! Lei, con la sua scelta, mi ha dato occasione di scegliere a mia volta, e quindi eccomi qui... Sento di dover fare ancora qualcosa, finché sarà così rimarrò qui, con tutte le mie forze!”

“Lei... ah, la tua Lei...”

Dégel annuì appena, lo sguardo rabbuiato e le labbra tese su un unico filo, come ciò che lo legava alla vita, anzi... oltre!

“Dovevate amarla molto se, per questa 'lei' siete rimasto ancora qui...”

“Sì, l'amavo tantissimo, era il mio respiro, la mia forza... ma sono stato uno stupido ingenuo. Per i miei doveri, persi l'occasione di stare al suo fianco, la lasciai sola, morì sola... senza che io lo potessi sapere per tempo. Non mi perdonerò mai, mai, per questo! Fui uno sciocco, non la tenni per mano nel momento del bisogno, causandole tutto questo...” si rimproverò, soffrendo tangibilissimamente.

“Anche voi siete stato costretto a scegliere tra il vostro dovere verso Atena e la vostra felicità? - chiese dunque Myrto, sentendosi chiamata in causa – E' ingiusto, perché non potete mettere su famiglia, voi altri? Perché sacrificarvi a tal punto per un bene che dite essere superiore? Non condividerò mai questa scelta!”

Cominciava a sentirsi furente, veramente furente, poiché aveva pensato a Milo, al suo sentimento per lui, destinato, probabilmente ad esaurirsi per questo presunto bene superiore.

“Oh, Myrto, la domanda che mi avete posto non è di facile risolvimento. Io l'ho fatto perché credevo fermamente in quello che facevo. Speravo in un mondo migliore, per me, per i miei cari, ma morii ferito e tradito e, in un batter d'occhio, tutte le mie certezze crollarono, distruggendomi... - le disse pacatamente, poco prima di avvicinarsi a lei e posarle, metaforicamente, la mano sopra alla testa, in un estremo tentativo di rassicurarla, giacché era scoppiata a piangere, irrefrenabile. Non poteva ovviamente toccarla ma l'importante era il gesto – So a cosa state pensando, mia cara, e vi capisco pienamente. Non voglio dirvi cosa sia sbagliato o cosa giusto, non sono nella posizione di farlo, ma sappiate che ben presto, purtroppo, la situazione cambierà da sé. Le tenebre al Grande Tempio sono sempre più forti, ma non è che l'inizio, un grosso stravolgimento a livello mondiale sta per attuarsi...”

“Cosa vorresti...?” biascicò Myrto, asciugandosi le lacrime a capo chino, per una qualche ragione, non riusciva più a sollevare il capo, vinta da quell'onda balorda di emozioni.

“...Fino ad allora vi auguro di passare più tempo possibile con Milo, la sua compagnia vi aiuterà a superare questo momento così difficile. Egli non vi abbandonerà, lo sapete, siete consapevole meglio di me della sua nobiltà d'animo e della sua forza. Credete in lui!”

A quel punto Myrto spalancò gli occhi, incredula, poco prima di sollevare il capo.

“Come?! Conosci anche lui?! Come è poss...?!”

Ma lo spirito del generoso Cavaliere era già sparito nell'aria, lasciando la giovane donna sola nella stanza.

Sbuffò tra sé e sé, tornando a raccogliere le sudate carte che le aveva lasciato suo padre adottivo, bofonchiando tra sé e sé.

“Anche questo hai in comune con Camus: la particolarità di deviare le domande scomode in modo e maniera tale da non dover rispondere! Uhmpf, tipico di voi Acquari!

 

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Eccomi qua anche con l'aggiornamento della Sonia's side story, perdonate il ritardo, tra una cosa e l'altra sono più di 3 mesi che non pubblico.

Completai questo capitolo già a fine agosto, come potete vedere tratta una tematica piuttosto delicata come la morte, la conseguente perdita e, come titolo da capitolo, l'oltre la vita. Avrei dovuto pubblicarlo a settembre, ma, combinazione, mi è accaduta una cosa non dissimile proprio in quel mese, quindi, sentendomi emotivamente coinvolta, ho fatto non poca fatica a correggere questo capitolo, ma alla fine eccolo qui, spero che l'attesa sia valsa!

Capitolo dalle tinte nere, quindi, che risponde ad una serie di quesiti che ho lasciato nei precedenti capitoli, primo fra tutti il motivo per cui Myrto conosce Dégel. Il titolo scelto riguarda tanto Adelpho quanto Dégel e sonda i liminali confini tra i vivi e i morti, in una inquietudine crescente tra speranza per qualcosa di posteriore e una timida rassegnazione per la fine del tutto, ad ognuno la sua concezione.

L'idea di un Dégel spirito è radicata in me già da molto, lo si è visto anche al termine della seconda storia, sappiamo poco di questo stato e dei motivi che lo spingono a rimanere in questo mondo, giusto con questo capitolo si capisce un po' di più, ma c'è ancora molto da scoprire e, potete stare tranquilli, tornerà altre volte! ;)

Ho già detto e ridetto che mi sono affezionata molto al personaggio di Myrto, qui in particolare è stato veramente interessante metterla a confronto con l'antico Acquario, essendo due persone dal carattere diametralmente opposto, si è visto.

La canzone che cita Dègel, e che, lo anticipo, sarà strettamente legata a lui, è “Sogna, ragazzo, sogna” di Roberto Vecchioni. La trovo perfetta per il personaggio, genuinamente poetica e delicata come una carezza, si confà pienamente a Dégel, che è un idealista e sognatore irrinunciabile.

Bene, il prossimo capitolo è in fase di scrittura, non dovreste quindi aspettare (si spera) altri tre mesi per leggerlo. Avevo detto che, del 2007, ci sarebbero stati due capitoli, questo e il prossimo, poi sarete direttamente immessi nel 2008, dove cominceranno i veri e proprio avvenimenti della serie classica (tra cui la morte di Isaac!)

Ringrazio come sempre tutti quelli che leggono questa storia, mi piace molto condividere il mio mondo interiore tramite la scrittura, questo capitolo poi, in particolare, lo sento ancora di più “mio”, spero quindi che possiate apprezzarlo ancora di più!

 

 

 

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Capitolo 12
*** Per un mondo dove tu possa sorridere ***


CAPITOLO 12: PER UN MONDO DOVE TU POSSA SORRIDERE

 

 

21 novembre 2007

 

 

Milo fissava nervosamente con insistenza l'orologio da parete, chiedendosi tacitamente. per la milionesima volta, se Sonia, chiusa in bagno da almeno mezz'ora, stesse effettivamente bene. Era diventato molto apprensivo con la piccola, tanto che qualunque cosa che sembrasse non andare, lo faceva preoccupare. Quel pomeriggio la bambina -per lui era ancora tale, sempre, d'altronde era ancora così piccola!- era corsa a capofitto in bagno, preda di crampi e dolori nel basso ventre, in quello che sembrava in tutto e per tutto un brutto mal di pancia, non era più uscita, rimanendo silente e ammutolita all'interno. Milo si era recato più di una volta dalla porta a chiedere se andasse tutto bene, ottenendo solo delle fugaci rispose monosillabiche e poco altro. Al terzo tentativo, la piccola si era prolungata un poì di più, chiedendo il favore al Cavaliere di chiamare Myrto per farla venire lì al più presto. Detto fatto, le aveva telefonato senza esitare.

“Pronto?” aveva risposto lei, un poco sorpresa dalla chiamata dell'amico.

“Sia ringraziata Atena, menomale che hai risposto... MYRTO!!!”

“M-Milo, santo cielo, mi hai appena rotto un timpano, non urlare così, cosa sta...”

“E' Sonia! Sta male!”

“C-cosa?!?”

“Vieni qui appena puoi, sto valutando se chiamare la guardia medica o l'ospedale o un medico di un'isola qua vicino, ma ho bisogno di te, dei tuoi consigli!”

“Arrivo, Milo, cerca di non agitarti... cosa ha la piccola?”

“E' in bagno da più di mezz'ora, ha i crampi al pancino ed era molto pallida. Ieri sera ci siamo un po' ingozzati con le cozze e non vorrei che avesse fatto indigestione, sai, magari qualcuna era avariata e... - ma si era bloccato, rendendosi conto di star perdendo tempo in una situazione drammatica – Non c'è tempo ora per parlare, tu vieni e vedrai, fa' presto se puoi!”

E aveva buttato giù, cominciando a passeggiare nervosamente per la casa a grandi falcate, le mani strette al petto e un'ansia crescente. Dal bagno continuava a non provenire niente, ma la piccola rispondeva ai richiami, pur con brevi sillabe. Passarono quindi i minuti, 2... 3... 5... 6... e quella ritardataria di Myrto non si vedeva, Milo era sempre più scocciato. Poteva essere una cosa seria, ogni attimo perso era prezioso, perché non era ancora arrivata?! Dov'era?!? DIAMINE!

Finalmente il campanello suonò, Milo si precipitò ad aprirle, fulminandola con lo sguardo, quasi ringhiandole contro. Che si sapesse che era infuriato, un po' come un gatto quando soffiava per avvertire l'umano di non importunarlo più.

“Alla buonora! Pensavo di dover...”

“Milo, evita i tuoi soliti sproloqui e di sturarmi anche l'altro orecchio! - lo zittì immediatamente, entrando senza troppi complimenti nella casa a lei famigliare, sebbene non la frequentasse da un po' – Dov'è la piccola?”

“In bagno, ti ho detto, sai dov'è, no?”

Myrto annuì, mollandolo lì sulla porta senza troppi fronzoli per poi recarsi nel luogo indicato. Milo sbuffò, tornando a sedersi sul divano mentre tamburellava la punta del piede sinistro per sfogare la tensione. La sentì bussare, chiedere se poteva entrare e richiudersi la porta dietro di sé. Tra femmine si capivano, non c'era altra spiegazione, anche se il Cavaliere si sentì ferito: aveva chiesto anche lui di entrare, ottenendo un grosso rifiuto. E invece era arrivata Myrto (in ritardo!) e la strada le era stata spianata. Era davvero seccante.

Produsse uno schiocco con la punta della lingua che si intersecava sul palato, sorreggendosi il volto con la mano sinistra e attendendo. Attese. Attese. Attese. Si scocciò, rialzandosi repentinamente e ricominciando a passeggiare come un leone in gabbia. Si risedette diversi minuti dopo, sbuffando. Che diavolo avevano quelle due da dirsi di così tanto importante?!? Perché nessuna si degnava di dirgli qualcosa?! Era così grave? O peggio?!? Perché lasciarlo lì in pena, povero diavolo?!? Che Myrto ci provasse gusto a tenerlo sulle spine?!? Era vero, in quell'ultimo periodo le cose, tra loro due, non erano proprio rose e fiori. Gli impegni di entrambi li tenevano lontani, eppure la giovane donna, per la piccola, in quei mesi c'era sempre stata, malgrado tutto. Dalla morte di Adelpho si era fatta sempre più riservata e chiusa, a volte quasi intrattabile, e lo stesso si poteva dire di lui, la crescita e il tempo impietoso che scorreva impassibile aveva dato la sferzata finale, minando al loro rapporto dalle basi. Milo di Scorpio rifiutava con tutto sé stesso quel finale tra loro, quel languire prima di scomparire, quell'agonia lunga e spietata, eppure non c'era assolutamente niente che potesse fare per ovviare a quella tragica conclusione. Aveva quindi ragione di credere che in quegli ultimi mesi Myrto gliela volesse far pagare in qualche modo, eppure non lo avrebbe mai fatto sulla piccola, ne era più che sicuro. E allora perché...?

In quel momento la porta del bagno si spalancò, una figura minuta sfrecciò nella sua direzione. Il Cavaliere ebbe giusto il tempo di alzarsi che la piccola si era rifugiata tra le sue braccia, nascondendosi contro di lui.

“Dei del cielo, Sonia! Come stai? Vuoi che chiami la guardia medica? O forse meglio portarti all'ospedale?!” chiese a raffica Milo, preda della paura, abbracciandola di getto. La bambina negò con la testa ma non rispose, rimanendo contro il suo addome, impossibile capire cosa avesse, ma sembrava spaventata, il che non gli provocò altro che una agitazione crescente.

“Parlami, Sonia, è tanto grave? Stai così male?!” provò ad attirale la sua attenzione, accarezzandole i capelli e presagendo già lo scenario peggiore.

In quel momento uscì anche Myrto, fu lei a rispondere al posto della piccola.

“Congratulazioni, Milo, il marchese è arrivato!” esclamò lei, sorridendo raggiante.

Le labbra dello Scorpione si aprirono in un 'o' muto, assolutamente scettico e confuso. Anche Sonia si riscosse, strattonandolo per attirare l'attenzione, prima di regalargli un sorriso ampio e felicissimo, quasi da poter toccare il cielo.

“Myrto dice che sono rugiadina! Non ho ancora 12 anni, li farò fra due giorni, ma sono perfetta sulla tabella di marcia!” trillò, felice, abbracciandolo ancora una volta di slancio.

Milo continuava ad essere sbigottito e incredulo, tornò a concentrarsi su Myrto con sguardo vacuo, cosa che la ragazza percepì come un ulteriore bisogno di conferma sulla questione.

“E' proprio così, Milo! E' una nuova aurora per lei!” disse, desiderando condividere la gioia con il compagno e amico, che era rimasto ammutolito sul posto. Effettivamente neanche lei se le sarebbe aspettate così presto, visto che le erano venute a 13 anni, ma del resto era diverso per ogni ragazza; per Sonia, da quel giorno in avanti, sarebbe cominciato un nuovo percorso. Era anche un'occasione per riunirsi, dopo che per quei mesi erano stati lontani. La giovane donna, si avvicinò ai due per abbracciarli, ma prima che potesse farlo, a Milo scappò la domanda.

“Non capisco... cosa c'entra Camus con il malessere della piccola?” domandò, ingenuo. Myrto quasi cadde per terra a quella domanda e lo stesso provò Sonia che, quasi sibilando, si allontanò da lui.

Aveva afferrato meno che niente!

“MILO, MA NON HAI CAPITO UN CAZZO!!!” si lasciò sfuggire Myrto, desiderando sotterrarsi al posto del compagno, che ancora li fissava con quell'espressione da cucciolo confuso che sarebbe stata anche dolce, se fosse appartenuta ad un bambino, cosa che lui non era più da un pezzo.

“Milo... cosa... cosa c'entra Camus?” chiese a sua volta Sonia, massaggiandosi le tempie.

“Q-questo me lo dovete dire voi, non sono io che l'ho tirato fuori! Parlate di marchese e aurora e penso a lui, so anche io che non lo è ma si atteggia da tale, ho quindi pensato che, avendolo nominato tu, Myrto...” provò a spiegare, confuso.

“Milo... il marchese non è Camus, è il menarca...”

“Il monarca?!? Orsù, Myrto, è vero che è un po' despota, ma mi sembra eccessivo definire Camus cos...”

“LE MESTRUAZIONI, IDIOTA!”

“Ah...”

Forse cominciava a capire, forse...

“COSAAAAA?!?”

Myrto lo vide raggelarsi e balzare indietro, neanche avesse detto che la piccola era infetta.

“Ce l'abbiamo fatta... forse...” commentò lei, esasperata.

“O-oddio, Sonia, ma tu sei troppo piccola, c'è qualcosa che non va, qualcosa che... - Milo sembrava terrorizzato, incespico nei pieni, poco prima di fiondarsi su di lei, prenderla per le guance, massaggiargliele e posare le sue labbra sulla sua fronte per avvertire meglio la temperatura corporea – Diamine, non sei calda, allora... allora com'è possibile?!

“Mivlov, scto, bevne!” provò a tranquillizzarlo Sonia, sbracciandosi.

“No, tu non stai bene, sei così piccola e perdi g-già il sangue da... per gli dei santissimi!!!”

“Milo, così la fai agitare per una cazzata, è perfettamente normale invece! - lo rimproverò Myrto, prendendo la piccola tra le braccia e radunando tutta la sua pazienza – Il primo mestruo avviene tra gli 11 e i 14 anni e varia da ragazzina a ragazzina, stai tranquillo, ordunque!”

“Significa che sono signorinella, Milo, non è meraviglioso?” chiese la piccola, euforica, con un largo sorriso. Non si sarebbe aspettata una reazione così negativa dal Cavaliere, ma sperava fosse stato solo un errore di comprensione. Per quella ragione, riprovò ancora una volta a contagiare l'amico con il suo buonumore, ma non vi riuscì, Milo permaneva a rimanere corrucciato ed esasperante, non riusciva proprio a vedere del bello in quell'affermazione.

“No che non lo sei, invece! Signorinella... ma figuriamoci! Hai solo 11 anni, Sonia, come puoi pensare che...”

“12 fra due giorni!!!”

“11 o 12 non fa differenza, è troppo prematuro! - si ostinò Milo, negando l'evidenza, rivolgendosi poi di nuovo a Myrto – Sei sicura che siano quelle cose?! Non è che si può trattare di un semplice abbaglio?!?”

Era così dura da accettare... la piccola Sonia che, di colpo, diventava grande e potenzialmente attiva sessualmente. Milo rabbrividì a quel pensiero, mordendosi il labbro inferiore.

“Preferivi forse che avesse fatto indigestione di cozze?!?” lo redarguì Myrto, freddissima, assottigliando lo sguardo.

“No, certo che no, ma...”

“Fattene una ragione! Non tornerà più indietro!”

“Mi rifiuto di crederlo, Myrto!”

A quel punto intervenne una contrariatissima Sonia che gonfiò le guance e quasi soffiò a Milo. Lei glielo aveva detto già da un po' che era grande, e lui aveva sempre opposto un netto rifiuto, come se non bastasse, in quel momento, che non poteva fare più finta di niente, stentava comunque a crederci. Non era quella la reazione che si sarebbe aspettata!

“Tu rifiuti tutto! E' da mesi che ti dico che ormai sono grande, ora ne hai la prova! Ero così contenta, sprizzavo di gioia all'idea di dirtelo, pensavo che fossi felice e invece...” lo sgridò, sulle sue, voltandosi indignata dall'altra parte.

“S-Sonia, io...”

“Ora prendi il cellulare e chiama Camus, voglio parlarci. Lui capirà!” lo freddò istantaneamente, offesa.

“C-cosa? Ma Camus è in Siberia e...”

“Lo so ma è un evento importante, capirà. Chiamalo!” continuò ostinata, continuando a bistrattarlo.

“U-ugh...”

La giovane fece cenno a Myrto di farla scendere, cosa che fu accolta, e rimase lì, recuperando il buonumore e ondeggiando da una gamba all'altra. Aveva ancora qualche doloretto ma la medicina che aveva portato Myrto -lei sì che era sveglia di comprendonio, aveva afferrato subito cosa potesse essere!- stava lentamente facendo i suoi effetti.

Milo esitò per qualche secondo, sperando in cuor suo che le intenzioni della piccola scemassero, ma la giovane Sonia, del segno del Sagittario, quasi sicuramente ascendente Leone, non era tipa da far cadere il discorso sulle cose che le interessavano, quel giorno Milo ne ebbe ulteriore conferma.

“Ordunque? Chiama Camus!!!” esclamò, alzando la voce di un tono e guardandolo torvamente. Si era offesa perché lui non aveva reagito come aveva pensato e gliela voleva far pagare il doppio. Lo Scorpione sospirò, affranto.

“Milo, credo che voglia rendere partecipe Camus che è diventata grande, non penso sia un problema, se avrà da fare non risponderà, no?!”

“Sapete che ci sono 8 ore di differenza tra qui e là, sì? Sapete che là saranno le due di notte e che starà dormendo...” le provò a convincere, pratico.

“Capirà, lui non è come te!” gli sputò l'ennesima cattiveria, ancora offesa dall'atteggiamento di Milo, stavolta anche Myrto prese le difese del Cavaliere.

“Sonia!!! Non devi essere così rude!”

“Voglio condividere la mia felicità con lui, non c'è nulla di sbagliato in questo!”

“Sì, ma...”

“Va bene, ho capito... - si arrese Milo, grattandosi la testa – Aspettate qui che lo chiamo!” disse, recuperando il cellulare e uscendo momentaneamente dalla porta. L'Acquario con ogni probabilità lo avrebbe mandato a spigolare, preferiva che non ci fosse nessuno quando sarebbe successo. Lentamente digitò il numero dell'amico e si attaccò al marchingegno che prese a suonare. Una. Due. Cinque. Sette volte. Stava quasi per rinunciarci e tirare un sospiro di sollievo, quando...

Allo?

“Ah, ehm...”

Era ancora rincoglionito dal sonno, visto che gli aveva risposto in francese e la sua voce sembrava uscita dall'oltretomba, tuttavia Milo non poteva fermarsi, giunto a quel punto.

“Camus... sono io!”

“M-Milo?!” chiese conferma l'altro, continuando poi in un'altra lingua che lo Scorpione capiva ancora meno, forse il russo. Intanto il tono dell'Acquario era salito di due tacche, tanto per esemplificare il fastidio.

“Dai che alla terza lingua ce la facciamo a comunicare!” commentò Milo, presagendo gli insulti i quella lingua complicatissima rassomigliante paurosamente ad un rito satanico.

Sacrebleu, Milo! Sono le due di notte, cosa ti salta in testa di chiamarmi?!?” riuscì infine a dire, in un misto di francese e greco.

“E-ecco...”

Ma l'Acquario iniziò la sua paternale.

“Ti rendi conto che mi stai chiamando alle due di notte per... per cosa?! Milo!!! Sono stanco, gli allenamenti con Hyoga e Isaac stanno diventando sempre più spossanti per tutti e tre, oramai è sempre meno il tempo che mi resta per farli diventare Cavalieri! E tu hai la brillante idea di chiamarmi! Alle 2 DI NOTTE, POI!!!”

“Lo so, Camus, lo so...”

Dall'altra parte della cornetta si udì un profondo sospiro, poi silenzio per una serie di secondi, prima di continuare con un dialogo più civile.

“Milo... mi hai fatto preoccupare, non... - abbassò ulteriormente il tono, forse per non svegliare i suoi ragazzi – Lo so, quest'anno non mi sono fatto vivo, non ci vediamo da un po', ma... non è una buona ragione per chiamarmi di notte. Se proprio devi, fallo durante...”

“Scusami se ti interrompo, Cam, ma, sebbene mi manchi e, lo sai, non è il motivo della mia chiamata...”

“E quale sarebbe allora? E' successo qualcosa?!”

“S-sì, cioè no! - si affrettò a correggersi, udendo un mormorio strozzato provenire dall'amico – Sonia ti deve dire una cosa per lei importante, ha insistito per chiamarti...”

“A quest'ora?!?”

“Qui è tardo pomeriggio, non sapeva della differenza di orario”

“Ma tu sì, Milo... e mi hai chiamato comunque per...”

“Per favore, Cam, non puoi accontentarla?!? Sai quanto ci tiene a te!”

Silenzio dall'altra parte, coronato da un vivace sbadiglio e un sospiro, poi...

“E allora passamela, se è così importante per lei...” acconsentì alla fine, al limite del sonno, sforzandosi di camuffare la sua voce per renderla nella norma.

“Grazie, Cam, ora te la passo!”

Un grugnito fu l'esemplificante risposta.

Milo tornò da Myrto e Sonia, quest'ultima tutta trepidante ed emozionata, fece qualche passo e poi porse il telefono alla piccola, la quale lo prese di slancio.

“Non tenerlo troppo, se puoi, è molto stanco...” la avvertì, allontanandosi di qualche passo, pur nella convinzione che non gli avrebbe dato retta. Non vedeva e non sentiva Camus da un anno ormai e gli mancava, non si sarebbe arrestata per nulla al mondo.

“Ciao, Camus, mi sembra un secolo che non parliamo!” trillò infatti, al settimo cielo ed emozionatissima. Aveva la notiziona sulla punta della lingua e non vedeva l'ora di dirgliela, peccato solo che non avrebbe potuto vedere la sua espressione, ma il tono sarebbe bastato.

“Ciao, frugoletta! Come va lì in Grecia?”

Il suo timbro vocale era dolce, Sonia ne venne avvolta e sorrise, pronta per la grande rivelazione. Nel mentre anche Myrto si era avvicinata per sussurrarle all'altro orecchio.

“Pssss.. metti il vivavoce!”

“Myrto!!!”

“E' per vedere la sua reazione, Milo, non me la voglio proprio perdere!” sogghignò lei, tutta contenta. Lo Scorpione si massaggiò le tempie, mentre Sonia faceva esattamente quanto chiesto.

“Va tutto bene qui, Camus, solo che mi manchi tanto...”

“Lo so, piccoletta, anche voi a me... tranne quando mi chiamate alle 2 di notte, dopo un allenamento estenuante!” commentò comunque a voce strozzata. Si era addolcito perché a parlare era Sonia ma il suo fastidio lo manifestava sempre e comunque.

“Camus, devo dirti una cosa...” iniziò poi la piccola, su di giri perché il gran momento era arrivato. Era scoppiettante e non riusciva più a trattenersi, ma tacque per creare suspense, tanto che lo stesso Camus si preoccupò nel non udirla più.

“Sonia? Sei in linea?”

“Sono diventata signorinella, Camus!!! Proprio oggi!” disse tutto insieme Sonia, trepidante.

Silenzio dall'altra parte, tanto che Myrto, continuamente sghignazzante nell'immaginarselo, non resistette più e commentò di nuovo.

“O gli è venuto un colpo, o non ha capito come te, Milo, o, se ha capito, starà iperventilando dall'altra parte, rosso come un pomodoro, ahahahahahah!!!”

“Io non ci trovo nulla di divertente, davvero...” obiettò Milo, discostando lo sguardo.

Ma Camus, ancora una volta, sorprese tutti. Protetto dalla comunicazione indiretta del cellulare piuttosto che dal tu per tu, non si scompose per niente, aspettando giusto qualche secondo prima di manifestare il suo pensiero alla piccola.

“Congratulazioni, Sonia, hai fatto un passo in più verso la crescita, deve essere un momento molto importante per te, ne sono lieto!” le disse educatamente e quelle parole sole bastarono a far illuminare gli occhietti alla bambina.

“Lo è per davvero! Lo è!!!” confermò, tutta vivace, felice che almeno lui avesse utilizzato quelle parole per complimentarsi con lei. Quanto avrebbe voluto che fosse lì al suo fianco, lo avrebbe abbracciato e avrebbe goduto del suo tocco, ancora una volta.

Dietro di lei intanto, l'espressione di Myrto era quanto di più deluso potesse esistere in quella parte di mondo, mentre quella di Milo era ancora più incredula dalla reazione dell'amico.

“S-Sonia perde sangue d-da... da lì, e Camus si complimenta con lei?!? Ma che diavolo!” esclamò, perplesso e turbato allo stesso tempo.

“A quanto pare... conosce le mestruazioni... il che mi ha sinceramente meravigliata, ohibò!” gli fece eco lei, ancora più sconvolta di quanto già non fosse lo Scorpione.

“Camus?”

“Sì?”

“Hai ancora un momento per parlare?”

“Sì, piccoletta, ma sono molto stanco, per cui non ti assicuro che sarò molto ricettivo. Sono contento tu abbia voluto condividere con me questo momento, tuttavia... cerca di capire, qui è notte e mi devo svegliare alle 5 del mattino per gli allenamenti di Isaac e Hyoga” le confessò, sincero, sbadigliando di nuovo.

“Posso capire, Camus... come stanno i due bimbi?”

“Bimbi... - una appena percettibile nota divertita sfuggì dalle sue labbra in quel momento distese – Non sono più tali, Sonia, tra pochi mesi faranno entrambi 13 anni, sono quasi pronti per assurgere al ruolo di Cavalieri!”

“Capisco... sono diventati grandi, eh? Anche io!!!” disse tutta trionfante e orgogliosa.

“Sono diventati grandi e molto forti, sì, sono fiero di loro!”

“Mi piacerebbe conoscerli, un giorno...”

“Quando saranno pronti te li farò conoscere di sicuro, Sonia, ma non ora, siamo al rush finale, ormai, tra non molto si deciderà... tutto...”

Malgrado il tono confidenziale, gli uscì la voce stentata, come di fatica a lungo trattenuta. Camus si affrettò a nascondere la preoccupazione dietro un apparente colpo di tosse, non voleva pesare su nessuno, men che meno sulla piccola. I suoi problemi, le sue paure e i suoi timori per i due giovani allievi erano forti, ma non avrebbe permesso a sé stesso di invischiare altri nei suoi patemi d'animo.

“Camus, ancora una cosa e poi ti lascio dormire... promesso!”

Per fortuna la bambina aveva cambiato argomento, il Cavaliere prese un respiro di sollievo.

“Dimmi pure”

“I-io, ecco... sono... s-sono pronta!” biascicò, arrossendo a dismisura.

“Uhm?”

Camus non aveva capito dove volesse andare a parare la piccola, avvertiva il suo imbarazzo crescente, era vero, ma non riusciva proprio ad immaginarsi il proseguo del dialogo, almeno finché...

“... a riceverti!”

A quell'ultima frase era impossibile rimanere indifferenti. Accade in sequenza che Milo sgranò gli occhi, iniziando a balbettare parole senza senso, Myrto si coprì il volto rossa in viso, capendo che forse aveva esagerato ad iniziare già la piccola con libri sull'argomento che, per la sua giovane età, erano troppo complicati, mentre Camus, in ultimo, da quanto si riuscì a percepire da lì, dato il rumore, aveva fatto cadere il cellulare per terra con un sonoro tonfo. La piccola Sonia era già agitata a quella dichiarazione, ma visto la reazione di tutti si vergognò incommensurabile, ripetendo varie volte “non volevo!” “Non volevo”. Era tremendamente imbarazzata.

“S-Sonia... coff, coff... - recuperò il cellulare Camus, riemergendo dall'oltretomba con voce metallica, neanche si fosse preso il raffreddore – Sei consapevole di quello che stai dicendo?” le chiese, sforzandosi di apparire col tono più tranquillo possibile, malgrado fosse chiaramente a disagio.

“L-l'ho letto nei libri! S-so cosa sto dicendo e... e... le mestruazioni indicano che una ragazza è pronta per...”

“Molto bene, lo hai letto nei libri... - ripeté lui, sospirando, capendo che doveva essere stata Myrto a parlare di quel dato argomento con lei così prematuramente – E' vero quello che dici, le mestruazioni indicano che i tuoi ovuli, da ora in poi, saranno ricettivi e... ehm, potrai essere sessualmente attiva...”

“Lo so, ho studiato!”

“Questo non significa però che tu debba bruciare le tappe. Sei ancora piccola, hai tutto il tempo per innamorarti di qualcuno e...”

“E' già successo, Camus! Non voglio bruciare le tappe, non ho fretta alcuna e, se tu non mi avessi salvato quel giorno, non mi sarebbe importato di, ecco... farlo... ma...”

“S-Sonia...”

“L-la verità è che io vorrei che fossi tu... che fossi tu a... cioè... la prima volta... deve essere con te! I-io sono pronta, ti aspetterò, non importa quanto passerà. A-avevo solo bisogno di dirtelo...” gli confidò, sempre più rossa in viso.

Silenzio assoluto dall'altra parte, ma la linea non era caduta. Affatto. Camus stava cercando le parole giuste, e questa azione gli richiedeva tempo. Tanto. Nel frattempo, dietro le spalle della piccola, si percepirono dei movimenti.

“I-io ho bisogno di andarmi a sedere, mi gira la testa...” biascicò Milo, barcollando fino al divano e poggiandosi là.

“M-Milo...”

“Questa è colpa tua, Myrto, eh, ricordalo bene! Se tu che le hai messo in testa strane idee, nessun altro! - la indicò aspramente, quasi arrabbiato – E' per colpa tua che la mia piccola Sonia...”

“Quale ardimento alla sola idea, e poi magari sarai tu, tra una decina d'anni, a fare l'amore con lei!”

“CH COSA HAI DETTO?!?”

“Niente... niente...”

“Sonia... - di nuovo la voce di Camus, che a stento traboccava dal cellulare – Ciò che vorresti non è possibile tra me e te...”

“Per-perché no?!”

“Per varie ragioni... - tossicchiò, radunando le forze per continuare, il suo sforzo era tale che si percepiva anche dall'esterno, a chilometri di distanza – Innanzitutto io ho quasi 19 anni, sono praticamente un uomo in tutto e per tutto, tu invece ne hai 12, sei poco più che una bambina, e poi...

“L'età non ha importanza, crescendo si percepirà sempre meno la differenza, non pens...”

“... e poi non posso assolutamente vederti sotto quella luce!” gli confidò, in tono dolce ma deciso.

“Oh...”

Il tono di Sonia era deluso, aveva incassato il colpo e se ne stava lì in piedi, cercando le forze per non scoppiare in lacrime.

“Frugoletta, ascoltami bene... sono... lusingato che una bambina coraggiosa e forte come te si sia, ehm, innamorata di me. Tuttavia io non posso in alcun modo ricambiare, non perché tu non sia importante per me, anzi, proprio per questo!”

“N-non capisco, Camus, se ti sei affezionato a me perché non puoi... ricambiarmi? Perché sono piccola? Oppure perché non ti piaccio?”

“E' perché per me sei come una sorellina, Sonia...”

“Ed è un male, questo?”

Gli occhioni di Sonia si erano fatti lucidi.

“No, affatto! – la voce di Camus era sempre dolce mentre provava a spiegare le sue emozioni alla piccola – E' una forma d'amore anche questa, sai? Il volerti proteggere, il bisogno di prendermi cura di te... sei insostituibile ai miei occhi, proprio per questo non posso darti quello che cerchi...”

La piccola non disse niente, rimanendo a fissarsi i piedi, rattristata. Comunque la si volesse mettere, Camus la stava rifiutando, con parole dolci e accorate, era vero, ma il succo era lo stesso. Non sapeva cosa dire, da una parte voleva continuare a parlare con lui, dall'altra buttare giù il telefono, correre tra le ampie e forti braccia di Milo e finalmente piangere. Camus percepiva tutto quello dall'altra parte del telefono, neanche lui sapeva cosa aggiungere per migliorare la situazione, era dispiaciuto ma quello era un fatto insindacabile: non avrebbe potuto esserci niente tra i due, nella maniera più assoluta. Oltre a quello che le aveva riferito, c'era anche la questione del suo ruolo, assolutamente incompatibile con una vita normale, al punto tale da averlo strappato alla sua famiglia di origine. Si disse che forse era meglio chiudere lì la chiamata ma non gli andava di lasciarla lì, con quei lacrimoni a fior di palpebre. Si costrinse ancora a specificare una cosa. Una cosa ancora.

“Sonia...”

“S-sì...”

“Ti voglio bene, voglio che tu lo sappia...”

“Oh, C-Camus... a-anche tu, tanto, e... e mi manchi... tanto... Spero che potremmo rivederci presto!”

“Farò quanto in mio potere, è una promessa! Ci riabbracceremo presto!”

“C-ci conto, eh!”

“Allora buonanotte, piccolina...” si accomiatò, non riuscendo a trattenere un sospiro nel chiudere la chiamata.

La bambina rimase lì, in piedi, le braccia lungo i fianchi e l'espressione vuota, Milo si fece coraggio e si avvicinò a lei, posandole una mano sulla spalla per farle coraggio.

“S-Sonia...”

“Hai visto, Milo? Sono diventata grande... a-accetto un rifiuto senza frignare e... e...” ma scoppiò in lacrime, correndo ad abbracciarlo e nascondendosi tra le sue ampie e forti braccia. Lo Scorpione non disse niente, limitandosi a tenerla contro di sé e a lasciare che si sfogasse. Era vero, stava diventando grande, doveva accettarlo, ma, malgrado quel fatto, la bimba continuava ad essere -e sarebbe sempre rimasta- la sua piccola Sonia.

Myrto si sentì una estranea in quella faccenda, pertanto raccolse le sue cose e si mosse in direzione dell'uscita, non prima però di fare un ultimo commento nel tentativo di provare a rinfrancare gli animi.

“Meglio che vada anche io, non solo Sonia è rimasta traumatizzata dalla faccenda...”

“Myrto, cosa vorresti...?”

“Insomma, Camus che parla di mestruazioni come se nulla fosse, che si destreggia in una situazione imbarazzante e che dice 'ti voglio bene', diavolo, un tale comportamento scioccherebbe chiunque, non solo me! - spiegò, cercando di essere più distesa possibile – Se continua così rischio di rivalutarlo, e non vorrei proprio! Preferisco rimanga ben fisso nella mia mente come l'uomo di ghiaccio che non prova sentimenti!”

 

 

* * *

 

 

25 novembre 2007

 

 

Il suo compleanno era infine arrivato e aveva varcato la soglia dei dodici anni, ma... non come avrebbe voluto che fosse. Milo infatti, il 23 novembre, data fatidica, era stato mandato in missione e alla giovane Sonia non era rimasto che passarlo con Myrto, essendo stata affidata a lei. Era delusa e infastidita ma non lo aveva dato a vedere, perché ormai era grande e capiva che ai doveri non si poteva dire di no, eppure, in fondo al cuore, c'era rimasta male e covava una certa amarezza. Cominciava ad odiare quel luogo che la separava di continuo dal Cavaliere di Scorpio, soprattutto in un giorno così importante come la data di nascita, ma non poteva farci niente per ribellarsi, non contro l'autorità del cosiddetto Santuario, non con il potere precostituito. Era rimasta quindi a casa di Myrto, chiusa in un ostico mutismo che la donna non riusciva ad abbattere, se non durante gli orari dei pasti, lì allora la bambina, chiuso il libro che leggeva -era una divoratrice di libri, eccome se lo era!- si costringeva a scambiare quattro chiacchiere con lei, per poi rinchiudersi nella cameretta adibita e continuare nella lettura finché gli occhi non le si chiudevano per la stanchezza. Allora era il turno di Myrto di entrare, prenderla delicatamente tra le braccia, metterla sotto le coperte e darle un leggero bacio sulla fronte. In fondo andava anche bene così, era un periodo di passaggio per la piccola, lei, invece, già donna, quasi all'alba dei 30, non poteva fare altro che assecondarla e accompagnarla nella crescita.

Quel giorno di fine novembre faceva più caldo del solito a Milos, nonostante il giorno prima avesse piovuto, pareva che l'inverno si fosse dimenticato di avvolgere quel luogo nelle sue spire, regalando così i benefici di giornate primaverili nella piccola isola. Era semplicemente perfetto, Myrto odiava il freddo, non lo reggeva, molto meglio quel tipo di clima, se la brutta stagione non si fosse presentata quell'anno era tanto di guadagnato. Quella mattina il campanello suonò, cosa che fece meravigliare sia lei che Sonia, la quale, trotterellando, nuovamente briosa, esclamò un: “vado io!” prima di precipitarsi ad aprire la porta. La giovane donna pensò al postino, anche se era inusuale a quell'orario così presto, ma non c'era altra spiegazione, perché Milo, se fosse tornato, avrebbe sbattuto sul legno e rumoreggiato con ben poca grazia, era quindi una ipotesi impossibile, non restava che scoprire chi fosse.

La piccola Sonia mise la mano sulla maniglia -ormai ci arrivava bene- prima di aprire la porta e regalare un largo sorriso allo sconosciuto, che però, tanto sconosciuto non era, poiché aveva un qualcosa di famigliare. Lo vide irrigidirsi di botto, sgranando gli occhi e indietreggiando notevolmente, stupefatto, il respiro mozzato in petto. Non aveva di che coprirsi, lo avrebbe fatto altrimenti, ma era giunto lì seguendo le direttive del Grande Sacerdote di consegnare una lettera a Myrto Domazos. Non si sarebbe di certo aspettato di incontrarci Sonia, sebbene fosse consapevole, a grandi linee, della relazione che la donna aveva con Milo. E invece eccola lì, la piccola, a fissarlo interrogativamente con espressione stranita, l'aveva riconosciuta subito, la sua sorellina, sebbene non la vedesse da anni e lei fosse cambiata.

 

Come sei... come sei diventata grande, Sonia... hai ancora lo sguardo da bambina, come mi ricordavo, ma il tuo corpo sta crescendo in fretta e furia. Quanti centimetri hai acquisito in questi anni? Quanti? Che esperienze hai avuto? Quanto è mutato il tuo carattere? Sei sempre tu, ti riconoscerei fra mille, eppure mi sembri così diversa! Io... io ho come la sensazione di aver perso qualcosa di importantissimo... la tua crescita... e anche se l'ho fatto per il tuo bene, ora come non mai il rivederti mi provoca un dolore lancinante e repentino...

 

“Ora ti ho riconosciuto! - disse ad un certo punto Sonia, tornando a sorridergli ancora più raggiante – sei quel ragazzo gentile che mi ha aiutato con il gabbiano, quello che ha poteri speciali come Camus e Milo! Sei... Sei un Cavaliere d'Oro anche tu, vero?” chiese conferma, sinceramente ammirata.

Aiolia non disse niente, continuava a rimanere impietrito, emozionato, dolorante. Sonia conosceva i Cavalieri d'Oro, probabilmente era stato Milo a raccontarle della loro leggenda, anche se le circostanze e i motivi per cui l'avesse fatto gli sfuggivano ancora. La piccola appariva molto più spigliata e sicura di sé, si era rammentata di lui, cosa che gli riscaldò il cuore, ancora dolorante.

“S-sì, io... come avevi intuito, sono un compagno di Milo e Camus, sono qui... sono qui per...”

Aveva difficoltà a parlare, balbettava, avrebbe voluto farsi riconoscere, ben consapevole che il supplizio di non vederla crescere l'aveva già pagato. Per un secondo ebbe l'impulso di palesarsi, di dire qualcosa di più, ma fu interrotto dall'arrivo della donna. Rilassò i muscoli, tirando un sospiro di sollievo.

“A-Aiolia! - lo riconobbe lei, fremendo, poco prima di abbassare lo sguardo nel tentativo di uscire da una situazione simile - Scusami, non... non avrebbe dovuto...”

“Lo so, non preoccuparti! - la fermò, recuperando l'autocontrollo – Sono passati anni, Myrto, ma sei rimasta pressoché identica dai tempi degli allenamenti di noi giovani Cavalieri d'Oro, solo le forme si sono pronunciate di più, con la crescita, ma sei sempre tu...” riprese sicurezza, guardandola con la solita fierezza.

“Mi lusinghi, ma molte cose sono cambiate...” biascicò lei, abbassando lo sguardo.

“Lo so, ho saputo di Adelpho e me ne dispiace... sono qui per questo motivo. Posso... posso entrare un attimo?” chiese gentilmente, sforzandosi di non guardare più Sonia, che lo scrutava invece con occhioni profondi.

Myrto fece strada, non dicendo più niente. Fortunatamente il Cavaliere leonino aveva ripreso l'autocontrollo, riuscendo a celare le sue emozioni. Del resto, non poteva sapere che la piccola Sonia era con lei, men che meno il Grande Sacerdote che proprio non conosceva la bambina, e che non avrebbe mai conosciuto, per volere dello stesso fratello, oltre che di Camus e Milo.

Sonia andava salvaguardata, a qualunque costo. Era dalla Notte degli Inganni che qualcosa era cambiato nel Grande Sacerdote, qualcosa che stava portando tutti alla rovina, primo fra tutti il giovane Leone, reo di essere fratello del traditore Aiolos. Ma era veramente così? Aiolos era veramente un traditore?! Myrto si ritrovò, per l'ennesima volta in quei mesi, a pensare a suo padre. Adelpho, da quella maledetta notte, era sempre stato più circospetto nei confronti di quell'entità sovrumana che era il Pope. Perseguiva il suo ruolo, ma con occhi ben vigili, e Myrto si era sempre fidata ciecamente di lui, delle sue percezioni, tanto da parlarne di frequente. Non aveva quindi mosso obiezioni quando, seguendo più il proprio istinto che non una ragione vera e propria, Adelpho aveva scelto nuovamente di trasferirsi a Milos, sua isola natale.

Oltre a ciò, si aggiungeva anche lo spirito di Dégel, a quella faccenda, che non poteva parlare, ma era sempre scuro in volto -per quanto fosse possibile per uno spirito!- quando lei poneva domande sulla vera identità del Grande Sacerdote. Erano tutti elementi più che soddisfacenti per rimanere sull'isola e vegliare da lontano, ma, lo sentiva, Aiolia era giunto lì proprio per strapparla a quella realtà.

Un brivido le corse lungo la schiena mentre, indicando la sedia al Cavaliere del Leone, si apprestava a preparare un caffè per l'ospite. Il Grande Sacerdote stava diventando sempre più sospettoso di tutto e tutti, era un dato di fatto, eppure, secondo i patti, lei avrebbe dovuto assurgere subito al ruolo di suo padre adottivo, ma così non era stato, l'ufficializzazione era latitante. Perché avveniva in quel momento, invece, a distanza 6 mesi dal fatto accaduto? Che il Pope temesse qualcosa? Che avesse scoperto qualcosa? Aveva un brutto presentimento, non le piaceva per niente, eppure, quando si voltò in direzione di Aiolia, seduto sulla sedia, non fece trapelare nulla, sorridendo gentilmente anche nel vedere l'interessamento di Sonia per il nuovo arrivato.

“Quindi ti chiami... Aiolia? Perché non me lo hai detto quella volta sulla spiaggia?” chiese, vagamente curiosa.

“Era... era un nome difficile da pronunciare per una bambina...” la buttò lì, rosso, sforzandosi di non guardarla negli occhi.

“Effettivamente Aiolia suona male... forse sarebbe meglio Lia?” continuò la bambina, de tutto euforica.

“Su, Sonia, fai la brava! Dobbiamo parlare di cose da grandi e tu puoi stare ad ascoltare, ma non stressare il nostro povero ospite!” la fermò Myrta, intervenendo in favore del Leone.

Gli occhi di Sonia si illuminarono nell'essere stata riconosciuta a quel rango, pertanto, tutta contenta, si mise compostamente a sedere, ascoltando con ampia attenzione.

La giovane donna posò il caffè sul tavolo, poco prima di scambiargli un'occhiata tesa, che ben dimostrava il suo stato d'animo.

“E' per la nomina, vero?” chiese conferma, serissima in volto.

Aiolia sorseggiò il liquido scuro per un tempo prolungato, quasi a cercare le parole giuste per dare avvio a quel discorso, sebbene Myrto, acuta come sempre, lo avesse già ampiamente intuito.

“La ragione è esattamente questa, secondo gli ultimi accordi, tu avresti dovuto ereditare il ruolo di Adelpho al Tempio. Sono passati sei mesi dalla sua morte, ed è arrivata l'ufficialità!”

“Perché proprio adesso quando, secondo gli accordi, avrebbe dovuto essere istantanea?”

Myrto era sospettosa, suo padre adottivo, da una serie di anni a quella parte, aveva smesso di fidarsi del Grande Sacerdote, perché qualcosa, lo avvertiva, era cambiato in lui. Ereditare un fardello simile proprio in quel momento l'avrebbe portata lontana da Milos, facendola avvicinare al fuoco. Non riusciva a pensare ad un'altra ragione plausibile, se non che fosse per poterla controllare meglio.

“Questioni burocratiche...” disse semplicemente Aiolia, buttando giù l'ultimo sorso di caffè e posando la tazzina sul tavolo.

“Scusami, ma mi pare strano... molto... strano!” si limitò a rivelare Myrto, accigliata, le labbra sottili le tremarono per una serie di secondi.

“Myrto... il Grande Sacerdote parla per bocca di Atena, lo sai anche tu, perché, pur non possedendo un cosmo, sei stata iniziata al rigore del Tempio fin da piccolissima...”

“Si può dire che le mie memorie comincino con il Santuario stesso, sì... non ho altri ricordi!” annuì tetra, mentre alcune spietate scene le tornavano in mente, inasprendo il peso già ampiamente presente nel petto.

“Capirai quindi che, a volte, i piani divini sono oscuri per le nostre menti limitate da esseri umani. La lealtà verso il Grande Sacerdote, e quindi Atena, è un atto di fede; la fede non ha spiegazioni logiche, è così e basta. A te quindi la scelta se accettare o meno l'incarico!” affermò il Cavaliere di Leo, secco, quasi lapidario.

Cadde il silenzio. Persino Sonia, capendo la pesantezza dell'argomento, era rimasta zitta, perdendosi nell'ammirare il ragazzo di nome Aiolia. C'era qualcosa di profondo che la attirava, ma non sapeva spiegare che cosa, quasi come se fosse un riflesso innato. Di colpo si sentì rassicurata dalla sua presenza, un nuovo universo di certezze in quel mondo fioco che, da quell'anno, sembrava stesse andando sempre più a rotoli. Questo pensava, prima che il suo stato emotivo fosse sbalzato via dal proseguo del discorso.

“Perché... ho facoltà di scelta?” gli chiese Myrto in tono irriverente, quasi canzonatorio. La libertà personale non sussisteva al Santuario, non era mai esistita, né per i predestinati Cavalieri d'Oro, né per nessun altro, figurarsi poi in quel periodo fosco. La donna apprezzava la schiettezza di Aiolia, che diceva le cose come stavano senza fronzoli, apprezzava anche lo sguardo gentile del Leone dietro quelle parole crude, ma sapeva fin troppo bene come stavano le cose. Sapeva... che, in un modo o nell'altro sarebbe stata allontanata da Milo e Sonia.

“Hai due strade: o accetti l'incarico e ti trasferisci al Tempio, oppure, in caso di rifiuto, hai l'obbligo di allontanarti da Milos, perché non potrai più avere alcun tipo di rapporto con gli adepti della dea Atena, siano essi soldati semplici o... Cavalieri d'Oro!”

Rimarcò l'ultima frase esaustivamente, nell'avvertimento intrinseco di essere ormai sotto torchio, e che, pertanto, ogni azione sconsiderata sarebbe stata ampiamente controllata e punita. Inaspettatamente la donna ridacchiò.

“Sempre indulgente questo Grande Tempio, non mi meraviglia!” ironizzò, con la sua lingua biforcuta, tipica da Scorpione qual'era.

“Mi... dispiace... Io sono solo un ambasciatore, ma queste sono le frasi esatte che mi è stato ordinato di dirti” farfugliò solo Aiolia, discostando lo sguardo.

Il Santuario aveva lavorato davvero bene sul fratello del considerato traditore Aiolos, riducendolo ad una macchina in loro possesso grazie all'indubbio lavoro di indottrinamento che era seguito alla Notte degli Inganni: ed eccolo quindi lì un perfetto Cavaliere d'Oro schierato con il Pope, senza nemmeno porse il quesito se fosse corretto o no. Myrto pensò che Camus, almeno su quel versante era molto più sveglio, ponendosi anche fin troppi dubbi. La donna strinse convulsamente le mani, ricercando le parole per continuare quel dialogo doloroso, ma prima che potesse fare alcunché, vide le manine di Sonia afferrare e scrollare il braccio del Cavaliere di Leo, il quale, guardandola in faccia, e, in particolare, gli occhioni lucidi, si lasciò sfuggire un singulto.

“Per-perché volete privarci di Myrto? Lei... lei deve rimanere qui, con me e Milo!” farfugliò la piccola, quasi sul punto di piangere. Aiolia non sapeva cosa dire, era totalmente impreparato ad affrontare le lacrime della sorellina che, pur con i ricordi modificati, aveva già sofferto tanto in vita. Si costrinse ad alzarsi, allontanandosi di qualche passo, se avesse ceduto l'avrebbe abbracciata, dicendole che era tutto un gioco, che avrebbe potuto continuare a stare con lei, che probabilmente le aveva fatto da mamma fino a quel momento. Ma non poteva. Doveva mantenere la sua dirittura morale come Cavaliere d'Oro di Atene.

“Sonia...”

“Myrto... io... io non voglio che tu te ne vada, r-rimani qui! - biascicò la piccola, correndo ad abbracciarla di riflesso – Sei... sei come una mamma, mi hai insegnato tante cose e sono cresciuta, è vero, ma non abbastanza per... per separarmi da te!” riuscì ancora a dire, prima di scoppiare di nuovo a piangere, irrefrenabile.

Myrto non disse niente, non ne aveva le forze, ma la strinse come meglio poteva, accarezzandole i capelli sempre più lunghi. Erano così morbidi. Così simili a quelli del Leone, ma la piccola non lo poteva sapere. Si costrinse a sopperire dentro di sé l'enorme peso che avvertiva, lo fece con una timida bugia, che comunque avrebbe reso meno tragica e meno dura la loro separazione, giacché, sia una strada che l'altra, l'avrebbe portata a lasciare i suoi affetti per un periodo di tempo più che duraturo.

“Sonia... qualunque cosa faccia, o non faccia, il Tempio, qualunque decisione possa prendere, lo fa nella speranza di creare un mondo dove tu, e le altre bambine, possiate sorridere senza più lacrime né paura. E'... per un bene superiore, capisci? E' lo stesso desiderio... che hanno Camus e Milo!”

“No, non capisco, Myrto... mi stai dicendo che, per questo bene, devo rinunciare ad averti nella mia vita?” chiese delucidazioni lei, tra i singhiozzi, tentando però di fermare le lacrime.

“Non rinuncerai mai ad avermi nella tua vita... saremo più distanti, è vero, ma ci potremo comunque rivedere, vero?!” chiese il sostegno di Aiolia, dandogli una occhiata esplicativa, che venne colta immediatamente, malgrado l'avvilimento crescente.

“C-certo, è così, bambina... e poi... e poi, prima che la scelta divenga effettiva, dovranno passare un po' di mesi!” gli fece eco Aiolia, sorridendo forzatamente.

“Quanto... quanto tempo ho per decidere?” chiese Myrto, nuovamente seria.

“Hai tempo, per prendere la tua decisione, fino agli inizi del 2008, dopodiché, una volta scelto, avrai ovviamente due mesi per trasferirti, così mi è stato detto!” affermò Aiolia, sospirando appena.

“Visto, Sonia? Abbiamo ancora un po' di tempo!” provò a tirarla su di morale, accarezzandole una guancia. Sonia tirò su con il naso, riuscendo finalmente a controllare le lacrime. Affondò il suo visetto, ancora infantile, nella felpa di Mytro, continuando a stringersi a lei, alla ricerca disperata di un contatto che non voleva perdere per nessuna ragione.

Aiolia mantenne lo sguardo basso, sentendosi un estraneo in quella scena. Era tutto così sbagliato! Lui avrebbe dovuto avere quel ruolo per sua sorella, lui avrebbe dovuto farla crescere, invece era stato, ancora una volta, il suo peggior aguzzino. A nulla era valso tenerla lontana da lui per farla soffrire meno, tutto era andato in fumo.

Così concentrati sui propri pensieri, quasi non udirono lo scricchiolare della parete, alzando di riflesso lo sguardo, catturato da una figura posta sullo stipite della porta che conduceva al soggiorno, sussultarono nel distinguere la figura di Milo di Scorpio, ritto in piedi a braccia conserte, lo sguardo grave.

“Milo!!! - lo chiamarono simultaneamente Myrto e Aiolia, meravigliati – Da quando sei lì?!”

“Sono tornato da poco... avete lasciato la porta aperta, e così ho sentito l'ultima parte del vostro dialogo. Non ci porti buone novelle, Aiolia, Cavaliere di Leo...” esplicò, più distante del solito. Sembrava corrucciato e perso nei suoi pensieri, rare volte il suo volto gioviale era contornato da quella patina di sconforto che in quel momento invece era percettibile da distanza.

“Milo!!! - lo chiamò anche Sonia, correndo ad abbracciarlo alla ricerca di un nuovo conforto – Myrto dice che il Santuario vuole che lei si allontani da noi per il mio bene, per... vedermi sorridere! E'... è davvero così?” chiese conferma, implorando un tacito aiuto che nessuno gli riusciva a dare.

Milo non ebbe la forza di aggiungere nient'altro, non riusciva a mentirle, né tanto meno accettare quella decisione che il Grande Sacerdote aveva preso, tuttavia non poteva nemmeno rimanere zitto, altrimenti la piccola sarebbe scoppiata nuovamente in lacrime.

“Tu non ti devi preoccupare di niente, Sonia... qualunque cosa accada, non saremo mai separati del tutto, te l'ho detto, no?!” la provò a consolare, con un largo sorriso, mentre la bambina, annuendo con riluttanza, affondò il suo visetto nella felpa che Milo indossava. Gli arrivava a malapena all'addome e si reputava già grande, che assurdità!

Prese un po' di tempo per accarezzarle i capelli, finché la senti tranquillizzarsi contro di sé, quasi quieta.

“Tu non devi temere nulla, piccoletta, ci sono io qui con te! - le sussurrò dolce, poco prima di fissare i suoi occhi azzurri in quelli verdi dell'amico di un tempo - Aiolia, dovremo parlare a tu per tu... permetti due parole? Andiamo fuori, però!”

 

 

* * *

 

 

Si erano seduti su una delle spiagge preferite di Milo fin dall'infanzia. La sabbia soffice, sottile e chiara, quasi rosea, creava un ampio contrasto con il mare turchese e blu, in alcune zone quasi tendente al colore della notte. Non dissero niente per una serie di secondi, limitandosi a fissare lontano, oltre quei due agglomerati a forma di scoglio che un poco escludevano lo sguardo. Milo sembrava inquieto e nervoso, infatti se ne stava in piedi, mentre lui, Aiolia, perso ancora nei pensieri rivolti alla sorellina, era seduto su quel morbido che quasi ispirava un sonnellino, se questioni più urgente non li avessero condotti lì.

Al dire il vero, in passato, erano molte le occasioni in cui il Cavaliere di Scorpio e quello di Leo, si ritagliavano un momento tra loro. Erano molto affiatati, da piccoli, quasi indivisibili, e completamente fiduciosi uno nei confronti dell'altro. Ovviamente tutto quello era sfumato con il tradimento di Aiolos, che aveva gettato lui, fratello di un fedifrago, nel fango. Il suo onore era stato macchiato, la sua vita distrutta, l'amicizia con gli altri annientata. Si era ritrovato solo, senza consolazione. L'unica cosa che gli era rimasta era la sorellina, sua madre, che ancora la rammentava a sprazzi, uniche due persone per cui valeva la pena ancora combattere, non arrendersi. Tuttavia, anche quelle due certezze gli erano state strappate la notte in cui le truppe dei Berseker avevano distrutto il paese in cui si era trasferita la sua famiglia. Tutto era finito di nuovo in pezzi, e i ricordi di Sonia modificati per evitare che perdesse il senno. La piccola non aveva più alcun ricordo di lui, eppure Aiolia ancora rammentava quei larghi sorrisi che gli regalava, quegli occhietti carichi di speranza, quel meraviglioso rapporto che c'era tra loro, ormai solo un antico, quanto spietato, fantasma. Strinse i pugni, affogando un singhiozzo che non si sarebbe permesso in presenza del vecchio amico.

“Aiolia, cosa sta succedendo al Tempio?”

La domanda gli giunse alle orecchie come distorta, mentre, alzando lo sguardo, vi scorse Milo, che si era rivolto a lui, l'espressione seria e un poco furiosa.

“Cosa intendi?” chiese incerto, non sapendo bene dove volesse andare a parare.

“Intendo... tutto, diavolo! - sbottò Milo, sempre più nervoso, compiendo un breve periplo della spiaggia, un po' come i corvi che gironzolano sulla preda – Ogni volta che mi affidano una missione, torno ad Atene con un peso sempre maggiore sul petto. E' sempre peggio, là, sembra un ricovero di pazzi assassini psicopatici. Mi chiedevo se tu, vivendo lì, avessi notato qualcosa di sinistro, nell'ultimo periodo”

“Milo... sinceramente non ricordo un singolo giorno in cui il Santuario sia stato un luogo idilliaco dove gli uccellini cinguettavano, tutti si volevano bene e i bambini potessero crescere felici..”

Il Cavaliere di Leo era cauto nel parlare dell'argomento. Anche lui percepiva un clima sempre più pesante all'interno dei confini sacri, le barbarie si susseguivano in lungo e in largo, non accennando a smettere, aumentando invece a dismisura. Era lampante, ma non poteva permettersi di mostrare un minimo di esitazione nella fiducia sul Grande Sacerdote, non lui, reo di avere lo stesso sangue in comune con quello sporco traditore dell'ex Cavaliere del Sagittario.

“Le stragi dei civili, le uccisioni continue dei soldati semplici, o di chiunque altro sia sospettato di sovvertire il potere... c'è puzza di sangue, ormai le colonne del Tempio ne sono intessute, e non è normale; non è normale che il baluardo ultimo della giustizia sia impregnato di questi odori immondi!” si confidò Milo, stringendo i pugni con foga.

Era andato a fare rapporto al Grande Sacerdote, dopo la missione svolta, e il suo sguardo era stato attirato, nell'arena centrale, da una fustigazione pubblica di tre giovani soldati semplici, condannati per un motivo ignoto, o meglio ignoto ai più, era chiaro che l'artefice di quella esecuzione lo sapesse bene. Sarebbe anche stato tutto in regola, se fosse stata una cosa diluita nel tempo, invece fatti di quel tipo di susseguivano di giorno in giorno, ormai non c'era un punizione, un decreto che non affondasse nel sangue. Tutto ciò non poteva essere normale.

“Il Grande Sacerdote è sempre più sospettoso, pare che i presagi siano sinistri e parlino di una rivolta che avrà presto luogo, per questo è tutto così confusionario, ma sono altresì sicuro che si stia adoperando per un bene superiore, per cui stai tranquillo. Prima o poi questo scempio avrà fine!”

“Bene superiore?!? Io vedo solo che stanno massacrando dei giovani cadetti per niente, se si chiede informazioni nessuno sa niente, tutti omertosi, per non parlare anche di altri nostri compagni Cavalieri d'Oro, per loro è tutto in regola, ma non può esserlo, diavolo!”

A quel punto lo sguardo leonino di Aiolia si assottigliò minaccioso, perforando immediatamente l'asprezza nell'esprimersi di Milo, il quale, impercettibilmente sussultò.

“Hai dei dubbi nei confronti del Grande Sacerdote, Scorpio?! Ho rispetto per te e ti devo un favore, non vorrei mai infangare la nostra passata amicizia nel punirti per tradimento!”

Tagliente, sibilante, con quegli occhi di fuoco che non presagivano nulla di buono. Come era cambiato Aiolia in quegli anni...

“N-no, certo che no... ho fiducia in lui, solo che... solo che vorrei capire bene cosa stia succedendo!” si affrettò a ripiegare, tornando a fissare il mare oltre agli scogli. Meglio essere prudenti. Per quanto fosse stato legato, in gioventù, al giovane Leone, non era il suo migliore amico Camus, non poteva varcare il confine su determinate cose. Aaaah, Camus... se solo fosse stato lì avrebbe potuto parlare con lui, era certo che avrebbe condiviso i suoi dubbi e timori, forse anche qualcosa in più, ma era in Siberia.

“Il Grande Sacerdote vuole semplicemente chiarire le posizioni di tutti, allo scopo di saggiarne la lealtà, non esistono più le vie mediante, o con lui, e quindi Atena, o contro... è lo stesso motivo per cui ha dato a Myrto una scelta: entrare nel nostro sistema o rimanerne fuori per il resto della vita!” continuò a spiegare, tranquillizzandosi di nuovo mentre, sospirando, prendeva della sabbia con il palmo della mano, facendola poi lentamente cadere sulla sabbia.

Milo grugnì, non desiderando trattare dell'argomento, ne avrebbe parlato solo con Myrto a tu per tu, senza interferenze; quell'unico verso bastò per far comprendere le sue intenzioni al parigrado, che si limitò a rimanersene zitto, la mente di nuovo verso la sorellina.

Il Cavaliere di Scorpio fissò per un tempo infinito l'orizzonte, concentrandosi sul confine del mare, laddove la vista non poteva più scorgere, poi, con passi calmi e un poco pesanti, si sedette vicino al compagno, rispettando anche il suo mutismo.

Avevano entrambi diciotto anni, lui, Scorpio, li aveva compiuti da poco, a dire il vero, ed era stato traumatico oltre ogni dire, perché inaspettatamente si era ritrovato a sentirsi vecchio, con delle responsabilità sempre più impellenti e una sensazione strana, che si era incancrenita nel petto. Per giorni non l'aveva compresa, ridimensionandola ad un malessere dettato dalla stanchezza, ma proprio quel giorno era sgorgato fuori, trasformandosi in ciò che temeva di più: la sua intuizione sul fatto che le cose, da quel momento in poi, sarebbero cambiate di male in peggio, parabola verticale verso il basso, si erano pienamente avverate. E non erano che all'inizio.

Con uno forzo intellettivo non da poco, forse per difendersi da quel futuro sempre più oscuro, si ritrovò a ripensare al passato, alla sue venuta al Tempio, alla sua amicizia con Aiolia e Mu, per non parlare di Aldebaran, senza dimenticare i frequenti battibecchi con Shaka. Sorrise di sbieco, mentre il pensiero corse a quei capelli blu a cespuglietto, o a carciofo, o anche a siepe, a seconda di come li si vedeva, che erano capaci di rassicurarlo malgrado la lontananza fisica.

“Lia, ricordi quando giunse Camus qui da noi?” gli chiese distrattamente, perso nel viale de ricordi.

Aiolia si meravigliò del ritorno di quell'appellativo che usavano nella loro infanzia, e solo allora. Inaspettatamente si ritrovò ben presto a sorridere, il cuore rasserenato da quel semplice nomignolo. E rimembrò.

“Certo, come potrei dimenticarlo... è quando ti ha rotto il setto nasale, uno spettacolo mica da poco!” disse, e si abbandonò ad una sincera risata.

Milo a quelle parole sussultò, arrossendo a dismisura e cominciando a muoversi scompostamente, colto in fallo.

“Non me l'ha rotto! Cioè... quasi, non... aaaaaaah, fottiti, Leo!” esclamò fintamente offeso, una dote che aveva mantenuto anche in quel momento che era diventato maggiorenne, e che però affondava le sue radici nel suo comportamento di quando era ancora una mezza tacca.

“Beh, Milo... a distanza di anni concorderai con me che sei stato un po'... screanzato... con Camus! Spogliarlo così, appena arrivato... lo conosci ora, che è ancora così riservato, pensa quanto sia stato traumatico per lui!”

“ Spogliarlo mi pare una esagerazione, gli ho solo scoperto la pancia, ad ogni modo, io non... non so perché l'ho fatto, ho seguito il cuore e... e, beh, è stato quello che è stato!” bofonchiò Milo, sempre rosso in volto.

Aiolia continuò a ridacchiare compostamente ancora per un po', prima di contenersi e tornare alla serietà. Quella breve parentesi era ciò che ci voleva, di vero cuore, non rammentava più l'ultima volta che si era lasciato andare così, forse anni.

“Ad ogni modo era giunto qua ferito, vero? Aveva dei grossi lividi sul volto e sul corpicino, a distanza di anni non abbiamo ancora scoperto chi, o cosa, lo avesse ridotto così!” continuò su quel discorso Aiolia, mentre il suo sguardo era accalappiato dall'infrangersi delle onde proprio su quei due scogli che ostruivano la vista.

“Sì...” mormorò solo Milo, colpito da quell'ultimo pensiero.

Effettivamente aveva promesso un sacco di cose a Camus, che avrebbe trovato e preso a calci chi lo aveva ridotto così, che gli avrebbe fatto vedere i colori del mondo e, molto altro... ma, sul piano della bilancia, quante cose era riuscito a fare realmente per lui?!

Aiolia non aggiunse più niente, rispettando il silenzio del compagno. Era proprio da Milo perdersi a volte nei discorsi, in maniera automatica. Il momento prima era una macchinetta a parlare a raffica, il secondo dopo era muto, perso nelle sue cogitazioni. Un vero, quanto affascinante, mistero.

“Aiolia, capisco il tuo stato per la piccola Sonia...” sussurrò ad un certo punto, tornando in sé.

Anche il Cavaliere del Leone si riscosse, ma non si scompose. Anche quella era una dote di Milo, saltare di palo in frasca, con una logica chiara solo al suo cervello. Comunque quelle semplici parola gli misero nuovamente un malumore crescente, oltre a rimarcare il malessere che non se ne era mai completamente andato. Tenne duro, tornando a fingere verbalmente, come su era abituato a fare dalla scomparsa del fratello maggiore.

“Non ho rimpianti ad averla affidata a te, Milo... sono contento sia lontana dal Santuario...”

“Anche se questo significa non vederla crescere?”

“Anche se questo significa non vederla crescere, sì... lei è viva, con te è felice, non posso chiedere di meglio!” gli mentì in parte, guardandosi i piedi.

No che non era contento.

Sì che avrebbe potuto chiedere di meglio.

Come il fatto di vederla crescere e assistere, piano piano alla sua completa fioritura, per esempio!

Era al sicuro, ok... lontano da lui, che era un pericolo. Questo faceva male. Questo toglieva il respiro. Il Destino beffardo non se l'era già presa sufficientemente con lui?! Cos'altro gli doveva strappare?! Era arrabbiato, era furioso. Ma non lo diede a vedere. Non poteva.

“Tu e Camus avete una cosa in comune, anzi, due!” si schiarì la voce Milo, di nuovo serio, apprestandosi a spiegare il collegamento che aveva fatto il suo cervello. Aiolia non fiatò, aspettando che proseguisse.

“Entrambi siete fratelli maggiori, entrambi siete stati costretti a non veder crescere le vostre rispettive sorelle. Per te, però, deve essere ancora peggio, Lia...”

A quel punto il Cavaliere di Leo si stizzì un poco.

“Perché dovrebbe essere peggio per me? Mi reputi forse più debole di Camus?!”

“Assolutamente no, siete entrambi forti, in due modi diversi!”

“E allora cosa...?”

“E' la vicinanza il problema...”

Gli occhi di Aiolia saettarono sorpresi nella sua direzione, incontrandosi con quelli di Milo, che in quel momento appariva a lui come un amico. Di nuovo.

“Camus è stato strappato dalle braccia della sua famiglia all'età di quasi 6 anni, è stato drastico, doloroso come un dente del giudizio che deve essere eradicato con un unico, repentino, movimento. Questo lo ha distrutto fin dal profondo, è vero, ma la zona esposta si è lentamente rimarginata, lasciando solo un solco che ogni tanto fa male, ma è sopportabile ora! – spiegò, come al solito un maestro nelle parole e nel capire gli stati emotivi altrui – Ma per te, Aiolia, il dolore è molto più simile a quello di una piaga da decubito che non riesce minimamente a rimarginarsi, e anzi, più la si tocca più questa diventa sempre più profonda e insopportabile...”

Aiolia si ritrovò a pensare che il paragone di Milo non potesse che calzare a pennello, e, a distanza di anni, ancora si stupì di come lui riuscisse a leggere dentro di lui con cosi tanta maestria. Il loro legame sembrava semplicemente essersi smorzato, ma mai rotto, come invece aveva pensato scioccamente lui. O forse, più possibilmente, una volta entrato nel cuore di Milo, ci saresti rimasto per sempre.

“Vivi a poca distanza da lei e, non so cosa faceste prima, non me l'hai voluto dire, ma dalle tue frasi ho capito che avete trascorso alcuni anni della vostra vita insieme, anche se non mi spiego perché la piccola non lo rammenti, e ora... questo... - disse solo, lasciando la frase in sospeso per una serie di secondi – Deve essere tremendo, per te, essere condannato a vivere a poca distanza da lei, senza però poter compenetrare nella sua esistenza, come invece un fratello dovrebbe fare...” sospirò, franco, tornando a contemplare la distesa marina. Era da tanto che non parlavano così a lungo, un po' gli era mancato, ma sapeva che potevano permetterselo solo perché l'ingerenza del Grande Sacerdote, a Milos, era minore, almeno per il momento, perché le cose stavano cambiando. Irreversibilmente.

Anche ad Aiolia erano mancati, quei momenti di intimità tra i due, ma era altrettanto consapevole che si trattava di una pallida illusione. Il giorno dopo, di nuovo ad Atene, si sarebbe trattati come poco più che conoscenti. Era la legge.

Fu quasi tentato di continuare su quel discorso, ricercando finalmente una valvola di sfogo, giacché lo Scorpione capiva, ma si ricompose, trovando le forze per cambiare argomento. Faceva troppo male.

“E così anche Camus è fratello maggiore...” disse distrattamente, prendendo nuovamente una manciata di sabbia dorata e soffiandola via, quasi come fosse polvere di stelle.

“Non lo sapevi?”

“Sai com'è fatto Camus... non parla molto di sé, sei tu l'unico con cui si confida un po' di più, forse qualcosa, una volta, mi ha accennato, ma nulla di più...”

“Sì, ha una sorellina più piccola da qualche parte in Italia. E'... o forse farei meglio a dire, è stata, il suo più aperto e sincero sorriso...”

Aiolia guardò il compagno, aspettandosi una qualche spiegazione in merito, che delucidasse quella frase strana, ma lo Scorpione era sulle sue, sorrideva distante, nel ricordare una cosa che il giovane Leone non sapeva, o non rammentava. Non ottenendo quindi alcuna risposta, decise di chiederlo direttamente.

“Cosa intendi? Quando ti ha parlato di lei?” gli chiese curioso, portandosi le ginocchia al petto. Cominciava a fare freschetto.

“E' successo circa quattro mesi dopo la sua venuta al Santuario, a marzo del 1995, me lo ricordo bene. Hai presente quando, giocando a palla, vi siete presi, e lui se ne è andato? I giorni seguenti non lo abbiamo più visto...”

“Qualcosa mi ricordo, sì... era ancora sotto la protezione di mio fratello, che si preoccupava sempre tanto per lui, lo rammento perché ero geloso delle attenzioni che gli riservava... - gli confidò, soffocando poco dopo una risatina -Che stupido! Io geloso delle attenzioni che Aiolos riversava su Camus, è proprio vero che a quell'età si vive solo di emozioni!”

“Ecco, quel giorno di metà marzo tu ci dicesti che Camus chiedeva informazioni sulle mimose, su dove trovarle, ed io, conoscendone una in particolare, la cui fioritura dura più delle altre, mi sono precipitato sulla scogliera dove sapevo di trovarla e trovare così lui. Mi ero fissato di abbattere la sua parete di ghiaccio, di scoprire il suo mondo, e non guardavo in faccia nessuno! - commentò Milo, divertito a sua volta, non riuscendo a trattenere una risata – Quando l'ho raggiunto era stanco e stremato, aveva probabilmente girato tutto il giorno per trovarlo, io invece era andato a colpo sicuro e...”

“Milo! Ti stai perdendo come tuo solito, vai al punto, coraggio, cosa stava facendo Camus quando lo hai trovato? E' in quel momento che ti ha parlato della sorella?” lo riportò sulla linea del discorso Aiolia, con una punta di fretta nella voce. Sarebbe rimasto ore lì, ad ascoltarlo, ma il tempo stringeva, doveva tornare al Santuario, altrimenti il Pope si sarebbe insospettito anche di lui.

“Ebbene lo trovai sotto questa bella mimosa che sarà stata alta anche 30 metri, ma forse esagero io perché ero piccolo... comunque, dicevo, era sotto questa bellissima mimosa fiorita, che scendeva a cascata, odorosa, ampia, sembrava quasi che le sue fronde lo abbracciassero, lui, così piccolo com'era... Stava stringendo il suo tronco, la sua fronte contro il legno e, da dietro, vedevo solo una parte del suo volto, ma stava sorridendo, Aiolia, non te lo puoi immaginare, forse, ma era... era uno spettacolo!”

Il Cavaliere di Leo rifletté sul modo di esprimersi dell'amico di un tempo, invidiando la sua spontaneità nel trattare di simili argomenti. Ogni tanto Milo sembrava proprio innamorato di Camus, ma non un amore fisico, carnale, ma di devozione, di sincero coinvolgimento emotivo, come se avesse totalmente mostrato la propria anima al compagno, rimanendone nudo, privo di filtri, senza però provare alcuna vergogna.

“Ti dirò... le volte che ho visto Camus sorridere si contano sulla punta delle dita di una singola mano e, tra queste, ho in mente solo scene in cui era un po' più grande, non rammento il suo sorriso nei primi mesi in cui è venuto qua!”

“Non lo rammento nemmeno io, non ha MAI sorriso in quei mesi, Lia... ma quella volta, quel 15 di marzo del 1995, lo ha fatto, perché era il compleanno della sorella...”

“Della sorella? Cosa...?”

“E' così, il piccolo Camus mi disse che si era recato lì per la sorella, nata quello stesso giorno dell'anno precedente, ne rammentava il suo compleanno, il volto appena, invece non ricordava il suo nome, ma che avesse da sempre associato la sorellina all'albero di mimose, sì, perché era un fagottino profumato, delicato e immacolato... - gli spiegò, sorridendo quasi come il suo amico aveva fatto all'epoca, quasi come se emozioni di quella volta rivivessero anche nel Cavaliere di Scorpio del presente – La sua espressione di quella volta, la piega delle sue labbra mentre mi parlava di quel poco che si ricordava di lei, gli occhi luminosi, così luminosi... non li dimenticherò mai, Lia, non credo di averlo mai visto così abbagliante come allora... MAI!” concluse quel discorso, chiudendo gli occhi nel lasciarsi ricoprire da quei ricordi ormai lontani. E fremette, ricordandone l'intensità.

Aiolia si ritrovò per l'ennesima volta ammutolito, impossibilitato a continuare il discorso. Quello stesso anno, il 1995, anche lui era diventato amico del bambino asociale che in un primo momento gli era stato antipatico, ma il piccolo Camus non si era mai confidato con lui, solo Milo riusciva, con enorme pazienza, a farlo aprire, perché il futuro Aquarius era davvero un'ostrica, celava un tesoro inesauribile, ma era impossibile accedervi, o quasi.

Milo sembrava nuovamente pronto a parlare, il tempo stringeva, lo sapeva anche lui, ma sembrava dovesse dire ancora una cosa importante. La raccolse dentro di sé, prima di esternarla.

“Lia, io, lo sai... non ricordo nulla dei miei genitori, non so bene cosa significhi questa parola, figurarsi quindi avere una sorella, la sensazione che ne possa derivare, il calore...”

Aiolia sospirò. Milo era orfano, lo sapeva bene, non aveva memorie di coloro che lo avevano fatto nascere, nessuna, ed era una cosa che gli era sempre pesata. Ma era poi tanto peggio della sua situazione, in fondo? Lui, Leo, una mamma l'aveva avuta, anche un fratello e... un padre, anche se dai tratti divini e difficilmente accessibili... e aveva perso comunque tutto, tassello per tassello. Cosa era quindi peggio? Aver perso un legame che si era conosciuto in passato, o proprio non averlo mai avuto?! Il dubbio non era di facile risolvimento...

“...però, se l'amore per una sorella è in grado di far risplendere così i vostri volti, io farò di tutto perché ciò possa continuare in un prossimo futuro...”

“Milo... cosa intendi adesso? Cosa stai...?”

“Vorrei che tu e Camus aveste l'occasione di riabbracciare le vostre rispettive sorelle, in un futuro che, spero, non sarà troppo lontano...”

“Mi sembra impossibile, francamente... la situazione al Santuario, poi, è...”

“Lo so, per il momento meglio che stiano lontane da lì, da voi, ma io sto sperando in cuor mio che la situazione possa migliorare, prima o poi...”

Migliorare... non faceva che peggiorare invece, Milo lo vedeva fin troppo bene, ma la sua inesauribile voglia di pensare positivo lo rendeva fermo nei suoi propositi, anche andando contro al fatto compiuto. Era un uomo, anzi, un ragazzo da ammirare.

“Io voglio costruire un mondo dove tu e Camus possiate finalmente tornare a sorridere, tutto qui, né più né meno...”

“Tornare... a sorridere...”

Aiolia si chiese se fosse realmente possibile, non c'era luce nel tunnel che stavano percorrendo, le tenebre erano più fitte, mano a mano che si andava avanti non si presagiva nessuno sbocco.

“Camus... ha sofferto molto in vita sua, e non ha che appena diciotto anni...”

“Il cammino del Cavaliere... è ricolmo di sofferenza! Anche tu non ne sei scevro, nemmeno Mu, né Aldy, che è sempre allegro, nessuno...”

Milo a quelle parole annuì, assecondandolo, prima di tornare di nuovo al discorso primigenio.

“Lo so, ma il destino è stato particolarmente impietoso con Camus...”

“E' giunto qui picchiato a sangue, cos'altro gli è successo in questi anni? Io non lo so... ho perso i contatti con... tutti voi...” la voce di Lia faticava non poco ad uscire. Si nascose il viso con la mano libera, tremando.

“Il suo Maestro, quello che lo ha iniziato allo Sciamanesimo, è morto... insieme a lui, anni dopo, due degli allievi che gli erano stati affidati e, per poco, lo stesso Isaac non ci lasciava le penne all'inizio dell'addestramento. I particolari non li so, ma sembra quasi che sia una maledizione, chiunque si avvicini a lui, presto o tardi, perde la vita in circostanze misteriose. La sola idea di affezionarsi agli altri lo terrorizza e lo destabilizza, è più che convinto che le persone a cui tiene moriranno tra indicibili sofferenze, senza che lui possa farci niente... - spiegò ancora Milo, da amico, di entrambi, senza scendere nei particolari. Si ritrovò a sbuffare, sentendosi irrimediabilmente triste – Eppure il nostro Camus ha un cuore immenso, non può evitare a sé stesso di amare inesauribilmente, senza risparmiarsi, coloro a cui vuole bene, e lo fa fin nel profondo, dando tutto sé stesso, anzi oltre, nonostante la paura di perderli. Sapessi quanto è legato ad Isaac... mi parla così spesso di lui, gli brillano gli occhi e... dovresti vederlo, Lia, a parole non riesco a rendere il profondo coinvolgimento emotivo che prova per il picc... no, aspetta, ormai non è più tale, ahahahaah, sta diventando grandicello!” scoppiò automaticamente a ridere, le lacrime agli occhi, vittime di tutte quelle emozioni. Aiolia si fermò, ancora una volta, a guardarlo, ancora una volta colpito al suo modo di fare.

 

Sei nobile come ti ricordavo, mio vecchio amico, parlerei ore qui con te, nell'illusione di averti ritrovato, ma so che non posso, e ciò fa male. Daresti l'anima per Camus, o per me, o anche per gli altri compagni Cavalieri, so di aver fatto bene ad affidare a te la vita della dolce Sonia, so che con te sarà felice, anche se io non sarò con lei...

Vorrei... oh, come vorrei, riscrivere tutto, tornare ai giorni degli allenamenti quando io mi sentivo parte di voi, come un tutt'uno. Non come ora che rifuggo tutti, persino la mia ombra, che è poi quella di mio fratello Aiolos. Cosa non darei per cambiare ogni singola cosa...

 

Intanto Milo aveva continuato nel suo discorso, irrefrenabile. Da un certo punto in poi, Aiolia, pugnalato dalle sue cogitazioni, aveva smesso di ascoltarlo. Si riprese solo quando l'amico di un tempo, guardandolo con serietà, non si fece scappare una promessa più che importante.

“Quando questa situazione si starà stabilizzata... quando avranno termine le stragi e le uccisioni, quando Camus avrà concluso l'addestramento dei due giovani Cavalieri, andrò in Italia a cercare sua sorella, la troverò, in un modo o nell'altro, e la porterò qua, si potranno quindi riabbracciare, potrà essere felice, con lei, e tornare così a quel sorriso che le avevo scorto quella volta! Lo stesso vale per te, Aiolia! Sonia è già tra noi, ma una volta terminata questa fase la porterò da te, le diremo la verità, lei lo ricorderà in qualche modo, e potrete finalmente vivere sereni, ritrovandovi!”

“E-eh?!?” ripeté il giovane Leone, incredulo al solo udire quelle parole che sembravano fuorvianti, ma che in bocca a Milo, parevano quasi una profezia in procinto di avverarsi.

“E' una promessa che faccio a te e Camus, Lia, vi ritroverete con loro, in qualche modo, lo giuro solennemente, perché... - prese una profonda boccata d'aria, prima di esternare il resto – Perché voglio che voi viviate in un mondo dove possiate finalmente sorridere di vero cuore!” concluse, con un largo sorriso.

Aiolia era ammutolito, frastornato, meravigliato e pienamente sorpreso, sembrava tutto così facile, sebbene non lo fosse. Non ribatté nulla ma, per la prima volta dopo tanto tempo, a quella idea un po' folle del suo vecchio amico, reagì con un largo sorriso pieno di speranza, abbracciando così, con tutto sé stesso, quella che molto probabilmente era una pallida illusione, ma salvifica.

 

 

* * *

 

 

30 novembre 2007

 

 

Myrto era infine tornata all'archivio dopo tanto tempo, trovandovi gli scaffali e i libri polverosi che aveva lasciato a maggio. Erano passati sei mesi dalla morte di Adelpho, il tempo scorreva spietato, imperturbabile, lei però non aveva più avuto il coraggio di accedere a quel luogo, anche se era nei suoi diritti. Dopo il messaggio recapitato da Aiolia, si era chiusa in sé stessa, persa in pensieri e scelte troppo difficili per essere spiegate a parole. Non aveva ancora preso una decisione netta, per il momento poteva solo accedere a quel luogo sacro senza però scrivere altre carte, limitandosi così ad ordinare il lascito di suo padre adottivo. Era stremata, snervata, a terra, ma sapeva che non l'avrebbe potuta aiutare nessuno nelle sue scelte: il Santuario avrebbe dovuto sapere, con l'avvento del nuovo anno, se inglobarla totalmente nelle sue spire o rigettarla di netto, tranciando ogni più piccolo legame. Non era assolutamente una scelta facile da prendere.

Si era quindi recata lì con l'obiettivo di schiarirsi le idee, trovandosi poi a pulire i libroni polverosi che sembravano quasi abbandonati a sé stessi. Nel mezzo dell'impresa per lei titanica, visto non amava particolarmente fare la donnetta di casa, venne avvolta dalla consueta arietta fresca che le scompigliò i capelli, certificando così la venuta di una vecchia conoscenza.

“Sono felice di rivedervi in questo luogo, mia signora, questo posto è vostro di diritto, non potrebbe essere di nessun altro!”

Myrto sospirò per l'ennesima volta a quell'appellativo, Dègel proprio non riusciva a non titolarla in qualche modo, ormai aveva perso il conto delle volte che gli aveva detto che non era necessario, tutto inutile, fiato sprecato, che testa che avevano gli Acquari! Decise di soprassedere.

“Ciao, Dégel... non ti vedo da un po', da 6 mesi per l'esattezza, mi sei mancato...” ammise, felice di poter discorrere di nuovo con il precedente Cavaliere dell'Undicesima Casa. Gli era mancato per davvero, come si sentiva la mancanza di un amico intimo che viveva in un altro Paese. Gli sorrise, felice di avere almeno una valvola di sfogo che solo lei poteva vedere, poiché era la sola a possedere quella dote.

Dégel, baluginando, ricambiò quel sorriso, che giunse agli occhi della donna come un poco distorto e tanto, tanto triste, più del solito. Si insospettì, ma decise di aspettare che fosse lui a confidarsi. Ne ebbe un atroce sospetto.

“Cara Myrto, siete mancata anche a me e, purtroppo, vi devo confessare che mi mancherete ancora di più per i prossimi due anni, perché... non ci vedremo per un po'!” decise di palesare subito il motivo del suo scoramento, guardandola dritta negli occhi, franco.

Myrto sussultò a quell'ultima frase. Sola, costretta a prendere una decisione che l'avrebbe segnata per sempre, il suo unico conforto era quella di poter parlare e sfogarsi con il suo vecchio amico, che però le aveva appena confessato che se ne sarebbe presto andato.

“Per... perché?” chiese solo, rabbuiandosi. Non permise al suo tono di tremare, ma dentro di sé fremeva con forza.

“Devo... vegliare. Fatti oscuri stanno intessendo sempre più i fili conduttori, ci avviciniamo alla svolta e... io devo essere pronto ad agire con tutte le mie forze...” le confidò, non mascherando l'emozione persistente.

Myrto ci mise un po' a rispondere, la gola secca, le labbra gremite del desiderio di parlare, di porre domande, pur sapendo che non le era concesso. Sapeva bene che Dégel, in quanto fantasma, possedeva la chiaroveggenza, seppur in forma limitata, ma sapeva anche che, sempre secondo il suo ruolo, non avrebbe potuto intervenire per nessuna ragione al mondo, farlo avrebbe dato uno scossone definitivo all'intero assetto temporale. Decise quindi di prenderla larga.

“Pensavo... che non potessi agire in questa dimensione, farlo rischierebbe di distruggerla...”

“Avete completamente ragione, e ciò mi fa asseverare, ancora una volta, che siete una delle donne più intelligenti che io abbia mai conosciuto! - la lodò, sorridendole di vivo cuore – E' corretto quanto avete esplicitato, ma ciò riguarda i fatti e i fenomeni pertinenti a questa dimensione...”

Come al solito il modo di esprimersi di Dégel era oscuro, in più il suo linguaggio forbito, in possesso di patine arcaiche a volte cadute in disuso, non rendeva certo lineare la comprensione, ma in quel particolare frangente, notò, lo aveva fatto volutamente, proprio per non farle comprendere il reale significato.

“N-non credo di...”

“Ciò che accadrà da qui ai due anni, nel posto ove sto recandomi, nulla ha a che fare con questa dimensione, è... è una ingerenza esterna, di un essere primordiale quanto spietato, io... devo poter fare qualcosa, affinché si concretizzi la possibilità di poter arrivare a quel mondo dove tutti potremo finalmente sorridere...”

“Immagino... immagino di non poter sapere dove il tuo istinto ti stia conducendo...” sussurrò lei, abbattuta, poggiandosi sul tavolo. Si sentiva tremendamente stanca.

“Foste una persona ordinaria no, non potrei, ma voi non lo siete, mia cara Myrto, quindi posso dirvi qualcosa. Inoltre... le vostre strade si intesseranno reciprocamente, in un futuro prossimo...”

Altre parole enigmatiche, Myrto non se ne stupì, rimanendo in trepidante attesa. Presagiva già che non ne avrebbe compreso pienamente il senso, se non forse a posteriori, ma avrebbe ascoltato le sue vivide parole per poi imprimersele nel cuore.

“Mi sto recando in un luogo che, invero, è abbastanza distante da qui, a vegliare su una persona che è molto importante per me...”

“Questa persona... ha in qualche modo a che fare con colei che amavi in vita?”

Myrto non seppe spiegare quella domanda a bruciapelo, era folle il solo pensarlo, visto che Dègel aveva vissuto più di duecentocinquanta anni prima, eppure era stato così naturale chiederselo, come vinta da qualcosa di più forte. Gli occhi dell'antico Acquario, intanto si erano fatti luminosi e distanti, avvolti da una profonda tristezza che traboccava fuori, zampillando.

“Siete molto sagace, Myrto! Io... sì, ha a che fare con lei, ma non solo, in verità è anche un'altra la persona che vorrei proteggere, sono... insieme, loro due, vicini nello stesso luogo, per questo... me ne devo andare...”

“Dégel... che forza ti è richiesta per intervenire nel mondo concreto, se dici che questa entità sovrumana sia così potente? La tua energia psichica risente già del parlare con me, non vorrei... non vorrei che lo sforzo fosse fatale per te...” gli confessò, apprensiva, saggiandone la gravità.

A quel punto Dègel si accostò a lei e, sebbene non la potesse toccare, la abbracciò con lo sguardo, caldo e rassicurante, che si imprimeva in lei in un affetto sincero.

“Vi ringrazio per le premure, Myrto, e le apprezzo, ma... non sono forse già morto? Non avete nulla da temere, quindi, per la mia salute. Vi posso assicurare che qualunque prezzo pagherò non può essere di certo peggiore di ciò che ho già irrimediabilmente perso...”

 

Temo invece, Dégel, per te... mio padre Adelpho diceva sempre che ci sono mille e più cose peggiori della morte, come perdere sé stessi, sbriciolarsi... molto altro... è vero, il tuo corpo è morto già da secoli, ormai, ma un frammento della tua anima è qui, viva, senziente, il resto è custodito all'interno del corpo di Camus, che mi hai assicurato essere la tua reincarnazione... vi può accadere molto di peggio, perché condividete il medesimo destino...

 

Myrto non disse però niente, limitandosi a farsi ancora più pensierosa e cupa: quando Dègel prendeva una decisione, non c'era verso di farlo ricredere, era un tale testone, per gli altri si sarebbe annullato in un infinito universo di stelle, peculiarità che, lo sapeva, probabilmente aveva avuto anche in vita.

“In ogni caso è proprio per questa ragione che non potrò più vedervi per un po', me ne rammarico, ma... per auspicare nella riuscita di questo piano, devo accumulare forze in vista di quel giorno e, come asserite anche voi, il solo rendermi percettibile mi sfianca, per questo dovrò cadere in letargia per circa due anni. E' l'unica strada!” spiegò ancora, cupo ma, come sempre, determinato e saldo nei suoi propositi. Doveva davvero tenerci molto a queste due persone, lo si capiva fin troppo bene.

“Dégel io... so che hai già scelto, ma... stai attento, ti prego, infinite cose sono peggiori della morte, ed io non voglio... che tu soffra ancora...” si lasciò scappare, frenetica.

Il vecchio Acquario si avvicinò ulteriormente, permettendosi di accarezzarle il volto con le dita fatte di pura luce. Ovviamente Myrto non avvertì nulla se non una brezza leggera, ma sapeva bene che quello era il tocco di Dégel.

“Mia cara, la vostra angustia mi riempie il cuore di mestizia, sono sinceramente rammaricato di lasciarvi proprio in un momento simile, ma... - prese una breve pausa, indeciso se rivelare anche quel particolare. Di Myrto ci si poteva fidare completamente, ma si chiese, per un solo istante, se non fosse troppo – La sorella di Camus ha bisogno di me e, con lei, anche il suo migliore amico...”

“La... sorella di Camus? - chiese Myrto, perplessa, guardandolo come a chiedere conferma per quella frase così ambigua, poi improvvisamente capì, la chiarezza di un temporale nella notte, il viso le si illuminò di consapevolezza – O-oddio, non può essere che... che la vostra amata Seraphina, si sia...?!”

Ma Dégel le posò due dita sulle labbra, annuendo brevemente, non occorreva professare quella verità, ancora celata agli occhi di tutti. Quel gesto bastò alla donna per tacere, ancora sgomenta dall'aver arguito una simile, sfavillante, verità.

“Avete capito, Myrto, non ne diffidavo affatto, ma, vi chiedo, come favore personale, di non pronunciare una simile verità, non ora... non è il tempo!”

Myrto acconsentì, ancora incredula a quella rivelazione. Le anime potevano reincarnarsi, glielo aveva insegnato sua padre, ma il procedimento azzerava tutti i ricordi del vissuto precedente, oltre ad essere incontrollabile. Solo un'anima speciale poteva scegliere di rinascere a nuova vita.

“Camus non può proteggere la sua sorellina... è lontano e sono stati separati 13 anni fa, ormai, non ne sa quindi più nulla, sebbene non l'abbia mai dimenticata. Il tempo ha lenito questa sua immensa perdita, l'amicizia di Milo, e gli allievi, Hyoga e Isaac, hanno fatto il resto, recuperando il suo cuore sperduto, ma è impossibilitato ad agire per il bene della persona che gli sta più a cuore... - continuò Dègel sempre più criptico – Lo farò quindi io al posto suo, mi dovesse costare questo piccolo frammento di anima, lo prometto: salvaguarderò Marta e Stevin, costi quel che costi!” affermò deciso, stringendo i pugni.

“Marta... così si chiama la sorella di Camus... mentre, l'altro ragazzo, chi è?” chiese meccanicamente Myrto, il respiro corto.

“Vi sarà tutto chiaro con il passare del tempo, non temete, ora... ascoltatemi attentamente, vi devo dire ancora una cosa, prima di cadere in letargo, se così si può dire...”

“Tu-tutto quello che vuoi, Dégel...”

“Avrei tanto voluto raccontarvi personalmente la mia storia, Myrto, ma il tempo è nostro nemico, verbalmente non ci posso riuscire, non ne ho la facoltà... - confessò, sempre più rattristato, con quel tono d'urgenza nella voce che preoccupava al solo udirlo – Ma possono farlo i libri per me...” continuò, indicando un punto in alto a destra.

Myrto lo seguì con lo sguardo, soffermandosi, gli occhi attenti come non mai, sulla direzione mostrata.

“Scaffale 4, collana 6, terzo ripiano, tomi 9 e 10... ricorda queste coordinate, Myrto...”

La giovane donna si affrettò a prendere nota con un penna, presagendo che Dégel avrebbe potuto sparire da un momento all'altro, perché era allo stremo, le sue forze psichiche al limite.

“Lì vi è narrata la mia storia, mia e di Cardia, e di molti altri eroici Cavalieri d'Oro miei compagni, leggetela e saprete tutto!”

“Ca-Cardia?”

“La precedente vita di Milo, sì! Si chiamava così, ed era... il mio miglior amico!”

Il cuore di Myrto perse un battito a quel nome, e si ritrovò a fremere. Davvero l'amicizia tra Milo e Camus era qualcosa di eterno, in qualche modo, sebbene non lo rammentassero più consciamente.

“Leggendo, noterete che, da pagina 256 a 271 del tomo 9, la calligrafia tenderà a scomparire, vittima di un sortilegio, ma voi siete abile e capace, riuscirete a tradurla, lo so... ecco, quelle pagine lì, 15 in tutto, narrano i fatti avvenuti il mese di agosto del 1741. Sono... circostanze che devono ancora avvenire!”

A quel punto Myrto si voltò stranita nella sua direzione, convinta che, forse, per la prima volta in assoluto, Dégel avesse perso una rotella, forse sfiancato dal troppo parlare.

“Come... come fanno a non essere ancora avvenuti, se parliamo di un evento passato, Dég...”

Ma il Cavaliere si era giù volatilizzato, lasciandola sola e preda dei dubbi. Si passò una mano nei capelli, frenetica, cercando di articolare un senso a quelle ultime parole che di senso ne avevano meno di zero. Ma la voce profonda e melodiosa del suo amico l'avvolse ancora un'ultima volta, riscaldandola da dentro.

“Capirai leggendo, mia dolce Myrto... abbi cura di te, in questi due anni, e stai vicino più che puoi a Milo, soprattutto nel 2009. Vi aspetta, per tutti voi, un periodo buio, dove penserete che la luce del sole si sia dimenticata di raggiungervi con i i suoi raggi che permettono la vita su questa magnifica terra, ma siete forti, lo so, qualsiasi cosa accada la supererete, tracciando il percorso per arrivare a quel mondo assolato ove tutti potremo finalmente sorridere... - le disse, con intensità crescente – Sarai nella mia mente e nel mio cuore, malgrado la distanza, combatti come solo tu sai fare, io credo in te!”

Nella stanza ricadde un silenzio profondo, quasi mutilo. Una sensazione di assoluta solitudine la invase, più forte di prima. Era davvero sola, lo sarebbe stata per un bel po'. Una lacrima solitaria decise di solcare il viso di Myrto, soffermandosi vicino alle labbra, poi un'altra, mentre la prima cadeva giù, e un'altra ancora. Si percepiva come un albero cavo, eppure gremito di vita, che conduceva con sé una futura rinascita, sebbene in quel momento fosse secco. Si asciugò le lacrime, prendendo uno sgabello, salendoci sopra e toccando così con mano il primo dei due immensi tomi.

“Sciocco... decidi di accomiatarti così, dopo che finalmente hai usato il 'tu' con me, e non il 'voi', sei sempre il solito, Dégel! - farfugliò, triste, aprendo la prima pagina di quell'immenso manuale, guardò in alto, in un luogo imprecisato, prima di farci ricadere lo sguardo - Anche io ti voglio bene, Dègel... torneremo a parlare prima o poi, voglio crederlo fermamente! Buona fortuna, so che riuscirai a proteggere colore che ami!”

Proferito profondamente questo, augurio sincero, si appresto a leggere le prime righe, scritte in inchiostro sulle pagine ingiallite dal tempo, crespe, ruvide. Le accarezzò con dolcezza, prima di sorridere amaramente.

“Cronaca del Santuario di Atene del XVIII secolo: una Nuova Guerra Sacra alle porte, volume I di V” ripeté, meccanicamente, conducendo poi il tomo giù con sé e posandolo delicatamente sul tavolo.

 

 

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

E dopo altri 3 mesi, finalmente mi decido ad aggiornare anche questa fanfiction, non odiatemi! Le idee sono molte, il tempo meno.

Dunque, come è nel mio stile fare, anche qui un sacco di riferimenti e collegamenti alle altre storie in corso. Per aiutare con la comprensione, ve li accenno anche qua sotto:

  • Il viale dei ricordi di Milo e Aiolia, li porta ad accennare a due episodi della loro infanzia, entrambi presenti nella fic “Ritrovarsi al Grande Tempio di Atene”, solo che il primo, l'arrivo di Camus al tempio, è già stato scritto, il secondo, Camus sotto la mimosa al momento ancora no, ma sarà presente nella raccolta :)

  • Hyoga, in “Parallel Hearts”, minilong di tre capitoli, accenna che il giorno in cui nacque l'amicizia tra Camus è Milo, era in metà marzo del 1995, le date quindi corrispondono con il compleanno della sorellina e, per forza di cose, quindi è collegato alla visione di Camus, sotto le mimose che si confida con Milo. Come lo sa il Cigno? Beh, per questo dovrete attendere i prossimi capitoli di questa storia ;)

  • Il dialogo di Myrto e Dégel verte molto sui fatti accaduti (o meglio, in questo caso devono ancora accadere) nel 2009, e sono avvolti dal mistero, saranno chiariti nella “Melodia della Neve”. Dégel oltre ad essere chiaroveggente è anche onnisciente, sa come andranno le cose, conosce Isaac e Hyoga, insomma, sa... ma non può fare niente, se non una cosa che, a sua stessa detta “non è pertinente alla dimensione medesima”...

  • Sempre nel dialogo tra i due, viene tirato fuori il nome di Stevin, personaggio che appare nella Melodia della neve e che al momento è ancora avvolto nel mistero. Inoltre, prima di sparire, confida a Myrto il modo per conoscere la sua storia, soffermandosi sul mese di agosto del 1741, che per chi ha letto “Sentimenti che attraversano il tempo”, è il periodo esatto in cui Marta e le altre viaggiano nel tempo. Quindi... Myrto, da qui in poi, saprà cose che avverranno nel futuro? Ebbene sì, in parte, vedrete come e in che modo la donna subentrerà nella terza storia e quale sarà la sua funzione ;)

 

Il riferimento al titolo è molteplice, “per un mondo dove tu possa sorridere”, il significato è plurimo. Vale per Myrto, che sarà costretta ad allontanarsi dai suoi affetti, ma vale anche per Milo, che intende far ritrovare Camus e Aiolia con le rispettive sorelle (e sarà proprio lui a condurre le ragazze protagoniste al Tempio, quindi, in mezzo alle difficoltà ci riuscirà, prima o poi); a questo presunto mondo, in cui tutti sorridono, si rifà anche Dégel nella speranza di arrivare ad un dato futuro, tra quelli disponibili, ma sarà approfondito più in là.

Dovrei aver finito di tediarvi XD penso proprio che il prossimo capitolo si discosterà da Milos per approdare in Siberia per narrare un fatto con protagonista principalmente Isaac. Saremo già nel 2008, la svolta è sempre più vicina...

Grazie come sempre a tutti!

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Capitolo 13
*** L'Anatema della rovina (prima parte) ***


Capitolo 13: L’Anatema della rovina (prima parte)

 

 

Piandeisio, il pianoro della Grande Foresta, febbraio 2015

 

 

Il viaggio sta procedendo bene, senza intoppi, né rallentamenti. La meta finale mi è ancora preclusa, io stessa non so bene dove sto andando, né dove sto conducendo gli altri, ma so che devo proseguire, in qualche modo, so che devo farlo per mio fratello, per la sua salvezza, per riportare questo mondo ad acque limpide, e perché questa è la mia strada, lo è sempre stata, fin da quando rispondevo ancora al nome di Seraphina. Ci sono momenti in cui ho paura, altri in cui le mie radici paiono sfuggirmi, ma devo andare avanti. Camminare, camminare, ancora camminare, finché il cuore non mi dirà di fermarmi, finché la mia crescita non sarà completa.

E tornerò. Tornerò a salvarti, fratellino, te l’ho promesso. Aspettami… romperò il ciclo!

Un movimento dietro di me attira la mia attenzione. E’ notte, non ci dovrebbe essere nessuno, qui, ma meglio stare in guardia. Fortunatamente dalle fronde fa di nuovo capolino Sonia, che mi sorride con dolcezza.

“Tendi sempre ad isolarti, Marta… non so quanto ti faccia bene!” mi rimprovera bonariamente, togliendosi qualche foglia dalla veste e dai capelli.

“Scusatemi, sono sempre altrove con la mente...”

“Lo vediamo… e non sappiamo come raggiungerti”

“Non voglio essere raggiunta… - le rivelo, sospirando, stringendo i pugni, cambiando poi discorso – Gli altri?”

“Davanti al fuoco, come sempre… sai, quando te ne vai, non sappiamo mai se raggiungerti o lasciarti andare, sappiamo bene come sei fatta, sappiamo bene che hai bisogno di stare spesso per conto tuo, soprattutto dopo quello che hai scelto di sacrificare per perseguire la tua via, ma… più avanziamo maggiori saranno i pericoli e, in fondo, noi siamo i tuoi Guardiani!”

Non le rispondo subito, abbassandomi lentamente a sedere con le gamba incrociate. Sonia non segue il mio movimento, rimane in attesa, indecisa se andarsene o restare, ma il mio braccio si muove automaticamente nell’atto di indicarle una roccia vicina a me, passandole il messaggio che non mi da affatto fastidio. Rimaniamo in silenzio per un po’, fino a quando non sono io a decidere di parlare.

“Tra poco sarà il suo compleanno, sai? 26 anni… vorrei essere con lui, festeggiarli in sua compagnia, anche se, probabilmente, mi guarderebbe con quell’espressione severa, il sopracciglio inarcato, dicendomi di impiegare meglio le mie forze, che non occorre fare stupide feste per lui, che conta esserci giorno per giorno e bla bla… - lo scimmiotto amabilmente, ridacchiando tra me e me. Dei, quanto mi manca! – Proprio non gli passa per l’anticamera del cervello quanto lui sia speciale per noi, si meriterebbe un compleanno normale, come quello del 2012, ricordi? Anche se era acciaccato… vorrei… o, quanto vorrei, poterlo festeggiare ancora!”

Mi sento esposta a rivelarle tutto questo, nonché un po’ scema a continuare a rinvangare i ricordi, mio fratello non lo vorrebbe, ma so che Sonia mi ascolterà.

Le scocco una breve occhiata, vedendola sorridere intenerita, mentre mi guarda in attesa, ciò mi spinge a continuare.

“Sai… in uno dei suoi compleanni, perché pensavo che dopo esserci riuniti non ci saremmo più separati, mi sarebbe piaciuto riportargli indietro Isaac. Io so… perché lo percepisco… che è vivo, ma… non ho idea di raggiungerlo! Sarebbe il regalo più bello che potesse ricevere, lo farebbe felice, gli darebbe forza, ma… non ho abbastanza potere, non ancora!” mi guardo turbata le mani, stringendole poi a pugno. Sono lì lì per continuare quello che, alle sue orecchie, apparirà come uno sproloquio, ma le sue parole bloccano i miei propositi.

“Scusami… di cosa stai parlando, ora?”

“E-eh?”

La guardo, quasi sconvolta, la bocca semi-aperta, gli occhi smarriti. Non sta reagendo come avrei pensato, sembra quasi che le manchi qualche tassello, che le manchi…

“Posso capire che Hyoga, prima di diventare Cavaliere dell’Acquario, abbia perso il suo migliore amico, nonché fratello, ma… non è forse lui stesso a dire di lasciar perdere quel passato, di… concentrarsi sul futuro?”

...Il ricordo stesso…

“Hy-Hyoga il Cavaliere dell’Acquario… che accidenti stai?!”

“Parli di lui, no? Parli di Hyoga, il...”

“HYOGA NON HA MAI AVUTO QUEL RUOLO! - inaspettatamente scatto in piedi, infervorandomi e dibattendomi, come un pesce nella rete da pesca. Mi sento così… arrabbiata, così furibonda… quell’armatura spetta ad un’unica persona, voglio bene al Cigno ma quel titolo no, non è il suo, non potrà mai esserlo! – Io stavo parlando di… di...”

Mi fermo, gli occhi spenti, la mente vuota, una dissonanza sbatte tra le pareti del mio cervello. Il mio cuore perde un battito, poi un altro. E mi rendo conto di non sapere di chi stia realmente parlando. Ho un capogiro, devo divaricare le gambe per impedirmi di cadere, mentre i contorni si fanno sfumati.

Quale… quale fisionomia aveva quel volto a me tanto caro che sta sfuggendo via dalla mia mente, come acqua via dalla fonte?

Mi viene da piangere, ma non cedo alle lacrime e agisco d’istinto: premo la vena ben visibile sul polso sinistro, uso tutte le mie energie per farlo, fin quasi a farmi male e sanguinare. I battiti del mio cuore riescono a cambiare grazie a questo, accelerando all’improvviso, anche i pensieri nelle mia mente, che vanno a ritroso, sono più veloci, mi conducono finalmente là, a quel volto tanto amato che è sempre più annebbiato. Mi devo concentrare al massimo per riportarlo totalmente a galla.

“Ca-mus… - il solo tirare fuori quel nome mi procura addosso una stanchezza colossale, No, non sfuggire, ti prego, non sfuggire… rimani con me, almeno nel ricordo… - M-mio… fratello! Sto parlando di lui, anf...”

A questa nuova frase vedo Sonia abbassare lo sguardo, fissando il vuoto per diversi secondi prima di darsi una manata in fronte come se avesse appena detto una castroneria.

“Giusto! Camus… è Camus il Cavaliere d’Oro dell’Acquario, tuo fratello, non Hyoga!” constata, fremendo visibilmente, faticando anche lei a recuperare i ricordi.

“Lo… rammenti, adesso?” chiedo, stremata ma speranzosa, lei annuisce, posandosi una mano sotto il mento.

“Ora sì, grazie a te… non so perché, Marta, ma prima… prima era come se Camus per me non fosse mai esistito… assurdo! Gli voglio bene, come è possibile?!”

Vedo nei suoi occhi la mia stessa paura, lo stesso terrore. Mi mordo il labbro inferiore, massaggiandomi dolorante lo stomaco, dove sento un dolore infittirsi sempre di più.

Sono così spaventata… cosa stava succedendo?! Ci stiamo forse dimenticando di lui?! No… no!!!

“Camus… Camus… Camus...” ripeto più volte, prendendomi la testa tra le mani e scrollando disperatamente il capo. Il solo rammentarlo mi causa dolore, acuisce la mancanza che sento di lui, ma… è l’unico modo per… per salvarlo! Si sta sgretolando, la sua stessa essenza va scomparendo...

Avverto una leggera pressione sul fianco sinistro, riapro gli occhi, vedendo che Sonia si è avvicinata a me e mi sta abbracciando, come a cercare la forza.

“Sono spaventata come te, Marta… io… noi… ci stava sfuggendo, vero? Accade sempre più spesso ultimamente...”

Annuisco, ingoiando a vuoto, ricambiando l’abbraccio e massaggiandole le spalle. Forse dovrei davvero tornare indietro, sincerarmi delle sue condizioni, del perché il ricordo va svanendo, ma… non so nemmeno se posso e, fare dietrofront, mi è stato detto limpidamente, significherebbe gettare la spugna, non diventare più ‘ciò che sono nata per essere’, come dice il Sommo Elisey, e quindi non riuscire a salvare la persona che mi sta più a cuore.

“Camus… resisti, ti prego! Qualunque cosa tu stia passando… resisti, fratellino! Otterrò quel potere e tornerò a salvarti, te l’ho promesso, ricordi? Non mollare...” sussurro tra me e me, sperando che lui mi possa udire, nonostante il legame del CIMP sia quasi totalmente spezzato.

“Marta… prima stavi parlando di tuo fratello, giusto? - riprende Soniam al mio cenno di assenso prosegue il discorso – Mi chiedevo se potessi parlarmi di qualche ricordo inerente a lui, visto che con il vostro potere siete riusciti, in passato, a vedervi anche in frammenti di tempo che non fossero avvenuti al presente”

“Vuoi… che ti parli di lui?” le chiedo per conferma, mentre la mia espressione si fa più dolce.

“Sì, per favore! Ho pensato che, forse, se parliamo di lui, tanto e spesso, non rischieremo di dimenticarlo! Io devo ancora narrarti di come vissi il 2008 e gli anni dopo, ma… l’argomento è delicato e vorrei farlo con la massima attenzione”

Annuisco, comprensiva, rimuginando prima di decidere di cosa trattare. Sussulto un poco, rivedendomi, ben stampata in mente, l’immagine di Isaac e il mio obiettivo di recuperarlo, in qualche modo.

“Anche io ho ricordi suo risalenti al 2008…” inizio, un poco titubante.

“Sono tutta orecchi!” prende posizione Sonia sedendosi e guardandomi con interesse. Recupero un po’ ci coraggio, grazie a lei.

“Mancavano pochi giorni al compleanno di mio fratello e, questa storia, parla di come uno Sciamano abbia intrapreso un viaggio duro e faticoso solo per salvare alcuni neonati in fasce, e di come, i suoi allievi, non seguendo le direttive del maestro, lo abbiano raggiunto comunque lungo il fiume Kolyma, nella Siberia Orientale, per combattere, a tutti i costi, al suo fianco...”

“Come te, in sostanza, che nonostante le direttive di tuo fratello cercavi sempre e comunque il modo per dagli manforte!” mi fa notare Sonia, bonariamente, gli occhi luminosi.

Ridacchio completamente rilassata, il cuore mi batte forte in petto a seguito del suo velato complimento.

“Come me, esatto! - sorrido, gli occhi luminosi e l’espressione un poco malinconia – Ma, in fondo, Isaac ed io siamo fatti della stessa pasta, per lui faremmo l’impossibile, andando anche contro tutto e tutti e… beh, eccedendo un po’ con la misura...”

“Volete proteggerlo… ed è il sentimento più nobile che possa provare un essere umano, Marta!” mi incoraggia ancora una volta Sonia, rilassata.

Sospiro, le mani tremanti, il cuore sussulta.

“Vogliamo proteggerlo, sì, e, per farlo, saremmo anche disposti a precipitare nelle tenebre più nere, dove la luce non arriva più e puoi solo lordarti ulteriormente con l’oscurità...”

 

 

* * *

 

 

Siberia dell’Est, 3 febbraio 2008

 

“...Non ci sono motivazioni giuste con il Kraken, Isaac! Lui disintegra, non solo condanna, lui non si limita a sconfiggere, annichilisce!”

“Il Kraken colpisce solo le navi con persone malvagie a bordo, non ha mai ucciso gli innocenti! Me lo avete detto voi, mi avete fatto leggere il libro, perché ora non posso più...”

“Ti ho fatto leggere il libro per cultura generale, non ti ho MAI detto di prendere il Kraken ad esempio per assurgere al tuo ruolo di Cavaliere di Atena!”

“Perché?!? In cosa si discosta il Kraken da Atena?! In cosa si discosta da voi?! Non siete voi stesso a dire che bisogna essere irreprensibile contro il male?! Però il Kraken non va bene, non ha...”

“Non ha dirittura morale, sì, è un mostro che rappresenta il male estremo, sì, come può anche solo essere preso ad esempio per un Cavaliere di Atena?!”

“Un Cavaliere di Atena deve eradicare il male, lo stesso male che ha ucciso la mia famiglia, che massacra gli innocenti e che distrugge questa bella Terra! Ora voi mi state dicendo che...”

“Qualunque colpa, se sproporzionata alla pena, non può che diventare un ciclo di devastazione che non avrà mai fine. Un Cavaliere di Atena dovrebbe...”

Ma Camus fu costretto a fermarsi, una sferzata di vento gli aveva smosso violentemente i capelli, prima di andare a cozzare contro il muro e rompere un vaso che cadde sul pavimento, infrangendosi ulteriormente in tanti minuscoli frammenti.

“Porca puttana! MI FATE FINIRE UN DISCORSO SENZA PARLARMI SOPRA?! - gli urlò Isaac, con quanto fiato avesse in corpo, prima di ridurre di una tacca la sua voce – Siete dannatamente irritante quando siete così, come se le cose le sapeste solo voi!”

“Modera il linguaggio, ragazzino… - sibilò sinistramente Camus, con una voce tale che, persino Isaac, che si sentiva ben lanciato nel discorso, sussultò – La prossima volta che fai imprecazioni sessiste ti sbatto fuori dall’isba a pedate in culo e dormi fuori al gelo, chiaro?!” i suoi occhi si illuminarono pericolosamente.

“I-io non volevo insultare nessuno, v-volevo utilizzare un’espressione colorita e...” tacque, abbassando lo sguardo e stringendo i pugni. Sembrava vinto. Sembrava, perché di fatto non lo era, aveva solo preso una pausa, forse intimorito dal sibilo del maestro e dal suo modo di esprimersi.

Non era mai un bene quando Camus si lasciava sfuggire delle parolacce. Mai. Isaac lo sapeva e anche Hyoga, seduto all’altro angolo della stanza in attesa che la tempesta si placasse. SE si sarebbe placata.

Era diventata una routine dell’ultimo periodo, ormai, maestro e allievo avevano smesso di parlare e di ascoltarsi, perdendosi in una lotta di principi che non aveva mai fine. Isaac aveva da ridire su tutto ciò che faceva, o non faceva, Camus; Camus, dal canto suo, era diventato sempre più secco e perentorio al solo sentirlo nominare, il Kraken, al punto da impedire allo stesso Isaac anche solo di tirare fuori l’argomento, ma più gli vietava di seguirne l’esempio, più l’allievo, abbagliato da quell’essenza misteriosa e mostruosa al tempo stesso, ne traeva giovamento per assurgere al ruolo di paladino della giustizia e quindi Cavaliere di Atena.

Isaac era sempre stato un bastian contrario, un anticonformista. Hyoga lo sapeva bene e lo apprezzava, stimandolo genuinamente. Lui una motivazione giusta per diventare forte ce l’aveva; l’aveva sempre avuta, fin da piccolissimo. Era sempre stato vittima della rabbia, era vero, ma i lutti che aveva subito lo avevano spinto a reagire, sublimando il tutto in un ideale da raggiungere: impedire agli altri di patire ciò che lui stesso aveva sofferto. Al biondo, invece… non importava, era tutto lì il discorso! Hyoga avrebbe solo voluto ricongiungersi alla madre morta e, in tutti quegli anni con il Maestro Camus e suo fratello Isaac, la cosa non era cambiata. Gli voleva bene, erano la sua famiglia, ma il dolore per quella perdita era troppo netto e invasivo per essere sopperito. Semplicemente non poteva rinunciarci… era tremendamente ingiusta la maniera in cui era stato strappato dalle braccia della sua mama.

Si ritrovò a sospirare, scacciando via i tristi pensieri per tornare a concentrarsi sui due contendenti, che sembravano quasi ringhiarsi da distanza. La tregua prima della tempesta, nel vero senso della parola. I muscoli di Camus erano rigidi, l’espressione severa, le labbra assottigliate in un’unica linea… tutti quegli elementi non facevano ben sperare in una riappacificazione veloce, ma Isaac -Hyoga si voltò verso di lui, scrutandolo- era messo fin peggio. Il suo amico, infatti, pareva uno di quei leoni in gabbia innervosito dal poco spazio a disposizione, voleva tornare nella savana, riconquistando il suo territorio, il posto che gli spettava nel mondo, ma era lì, rinchiuso, senza possibilità di muoversi, a causa di quelle sbarre. Le sbarre, per Isaac, erano Camus.

“Ora ricominceranno a litigare tra… tre… due… uno...” pronosticò Hyoga, poggiandosi a braccia conserte sul tavolo in attesa della ripresa della tempesta, che non tardò a manifestarsi.

“Pensate di sapere tutto, di indirizzarmi come volete, ma io non sono un vaso da riempire, ho la mia testa, e voi non avete che 19 anni, come pretendete di comportarvi da padre, quando siete poco più che un ragazzo?!”

“E tu sei ancora un bambino, Isaac, hai 13 anni ma ti atteggi da duro, non conosci bene le cose, ma pretendi di saperle! Sei un presuntuoso, oltre che uno sciocco! Non sei ancora pronto per camminare da solo e già vorresti compiere imprese eroiche!”

“Voi a 13 anni eravate già Cavaliere d’Oro! A 13 anni mi avete raccolto e mi avete fatto da maestro, non eravate troppo piccolo, voi?! Solo io sono troppo piccolo per decidere da me?!”

Camus tacque per una serie di secondi, livido, ma era tutto fuorché vinto, aveva ancora molte frecce al suo arco e le avrebbe usate per far capire a quel ragazzino ottuso chi è che comandava, perché Isaac sembrava volesse pretendere di agire da solo a suo modo, quando invece era ancora sotto la sua tutela e… doveva proteggerlo, a qualunque costo!

Fece per aprire bocca, ma la timida voce di Hyoga si palesò nella stanza.

“Veramente… tu, Isaac, hai ancora 12 anni e voi, Maestro, 18… ma, in ogni caso, ciò su cui vi state prendendo ha poco a che fare con la vostra...”

“TU ZITTO, HYOGA!” esclamarono entrambi, perfettamente all’unisono, con una sinergia che meravigliava e colpiva al tempo stesso. Finalmente in qualcosa erano finalmente uniti!

“...età...” finì di brontolare Hyoga, sospirando sonoramente, prima di gettare la spugna. Ci aveva provato, a farli riappacificare, tutto inutile, entrambi erano due testoni colossali che si scornavano vicendevolmente, impossibile farli desistere, a meno che non l’avessero deciso loro.

Si alzò con lentezza, gli occhi socchiusi, prima di fare il giro del tavolo con passo in apparenza tranquillo, superarli e dirigersi verso la porta senza degnarli più di uno sguardo.

“Bene, mi vado a fare un giro… ciao!” disse solo, un poco infastidito. Prima che gli altri due potessero obiettare, si era già allontanato, i suoi passi scricchiolavano nella neve, le mani nelle tasche dei pantaloni. Aria, finalmente!

Il sole era perennemente basso in quella stagione, da poco l’Inverno Artico era terminato, ma le giornate erano sempre corte, non si arrivava neanche a sei ore di luce, a quelle latitudini, e i raggi solari, pur sopra l’orizzonte, non riuscivano comunque a riscaldare i corpi di chi, in quelle lande timorate dagli dei, ci viveva.

Hyoga si era ormai abituato a quel clima, un po’ perché comunque aveva metà, sangue russo, essendo un ‘figlio di Siberia’ da parte materna, un po’ perché gli allenamenti con il maestro Camus davano i loro frutti. Gli occhi e il corpo del ragazzo erano perfettamente ambientati a quel luogo, erano avvezzi a riconoscere i pericoli anche nel buio più profondo, a muoversi lestamente, anche in mezzo alle tenebre e, non in ultimo, a vedere comunque il bello anche in un luogo così inospitale. Era tutto merito di Camus, pensò, ma quell’ultimo particolare, la bellezza delle cose, lui lo aveva già imparato dalla sua cara Mama.

La sua Mama…

Hyoga si rese conto appena di essersi recato, quasi inconsciamente, proprio nel luogo in cui lei riposava, separata dal figlio da metri e metri di banchisa e dal mare della Siberia Orientale, che il biondo sapeva insidioso per via delle correnti. Era stato Camus ad informarlo, e poi, quando la verità era venuta a galla, anche Isaac. Suo fratello non aveva preso affatto bene la motivazione reale per cui il suo compagno di addestramento si prodigava negli allenamenti. Affatto. Hyoga, dopo quasi 5 anni di silenzio e varie occhiate colpevoli, si era sentito in dovere di dirglielo e ne era scaturita una accesa baruffa in cui Isaac, colto dall’ira, lo aveva prima preso a pugni, e poi danneggiato irreversibilmente la parete di ghiaccio eterno per non sfondare, molto probabilmente, la sua, di testa.

Con un solo pugno, ben assestato, aveva rovinato per sempre un qualcosa che stava lì, quasi imperituro, da millenni.

Quella era la potenza di Isaac.

Quella era la capacità di un Cavaliere di Atena.

Quella era la forza di un VERO allievo di Camus dell’Acquario.

Dopo quell’acceso dibattito il discorso non era più saltato fuori, semplicemente l’amico e il maestro lo sapevano. Hyoga a sua volta sapeva che, per loro, era un desiderio sbagliato che lo avrebbe portato alla morte.

Ma come poteva essere errato desiderare di ricongiungersi alla persona più importante della sua vita?! A sua madre, che gli era stata barbaramente strappata quando ancora le sue membra profumavano di tiepido latte materno, perché proprio a lui?!

Le palpebre di Hyoga si fecero umide nel guardare sotto di sé quello spesso strato di ghiaccio che lo separava da Natassia. Qualcosa gli solcò le guance e cadde dal suo mento, ma non ebbe nemmeno il tempo di toccare la banchisa che si congelò all’istante. Era proprio così, le sue lacrime gli si erano congelate in petto nell’esatto momento in cui aveva perso sua madre, lui stesso era un morto che camminava, come poteva essere un errore, visto che il cuore gli si era già spezzato, desiderare di metterlo a tacere?! Non avevano senso le sue continue pulsazioni… sarebbero dovute cessare!

Quello era l’unico luogo in cui si sentiva davvero tranquillo. Lentamente, con gesto delicato, tolse la polvere ghiacciata da sotto le sue mani, in modo da rimanere a contatto con la banchisa. E la vide. La nave. L’acqua in quel periodo era così limpida che ci si poteva vedere attraverso, ciò gli procurò una fitta al petto.

Così vicina, così lontana, così… inaccessibile.

Hyoga si domandò se dopo 5 anni di allenamento con il maestro Camus anche lui potesse riuscire a spaccare quel ghiaccio e a ricongiungersi finalmente a lei. Non ci aveva ancora provato, ma, in fondo, forse quello era il momento adatto per farlo. Alzò quindi il braccio destro, chiudendolo a pugno, con l’intenzione di spaccare finalmente quell’ostacolo, l’ultimo, tra sé e la madre, ma prima di poterlo fare udì che qualcuno lo stava chiamando tutto trafelato. Si trattenne ancora una volta.

Si alzò in piedi, voltandosi verso la fonte sonora, in tempo per assistere all’arrivo di un agitatissimo Jacob completamente in lacrime.

“Hyoga! Hyoga!!! Aiuto! Aiut...”

“Jacob, che succede? Calmati, sei in iperventilazione!” lo tprese delicatamente tra le braccia, perché il piccolo, sbilanciandosi, stava per cadere. Sembrava terrorizzato.

“Hyoga, dov’è Camus?! Serve il suo aiuto, è un’emergenza! Ti pre… ti pre… l-la mia sorellina, l-la mia...”

“Non riesco a capirti se parli così a raffica, fai un bel respiro e butta fuori l’aria, coraggio!” provò a tranquillizzarlo il biondo, dandogli delle piccole pacche sulla schiena. Il piccolo si sforzò di seguire il suo consiglio, malgrado le guance traboccassero di lacrime.

Anche Jacob era un “figlio di Siberia”, era nato 6 anni prima nello sperduto villaggio di Kobotec, a poca distanza dall’isba siberiana. Si diceva, perché Isaac glielo raccontava ogni volta, anche se non lo aveva effettivamente visto, che fosse stato Camus ad aiutare sua madre a partorirlo, perché il travaglio era stato più difficile del previsto, aveva rischiato di prendere non solo la sua, di vita, ma anche quella della mamma, la signora Leya, e il maestro era intervenuto per fermare tutto quel sangue. Era riuscito a salvare entrambi, grazie alle sue doti da Sciamano, due vite, due esistenze.

Hyoga era sempre rimasto carpito da quel racconto narrato dal fratello, che si perdeva sempre in mille e più particolari aggiuntivi che facevano trasparire la sua grande ammirazione per il maestro. Era incredibile, per il biondo, che un uomo, anzi un ragazzo, riuscisse ad operare un tale miracolo, almeno finché 5 anni dopo, nel 2007, non era accaduta la stessa cosa con la sorellina di Jacob, Avrora, anche lei venuta al mondo grazie alle mani esperte di Camus. A quello, sì, sia Hyoga che Isaac avevano assistito, riuscendo finalmente a comprendere il miracolo della vita.

Camus, Sciamano dei Ghiacci sopra e sotto la Siberia, nonché Cavaliere d’Oro dell’Acquario, era davvero un mago; un mago dagli incredibili poteri!

“L-la piccola Avrora sta male?”

Jacob continuava ad avere i lacrimoni agli occhi, singhiozzava, sembrava molto agitato, ma riuscì comunque ad accennare un sì con la testa.

A quel punto Hyoga decise di prendere la situazione in mano. Raccolse l’amico, prendendolo in braccio, salendo poi sulla slitta con cui Jacob era venuto. Non c’era tempo da perdere.

Si raccontava in Siberia, che i figli della banchisa e della steppa imparassero prima a comunicare non verbalmente con i cani Husky anziché cominciare a verseggiare alla propria madre, a gattonare e, infine, camminare, come invece accadeva dalle altre parti del mondo. Ed era vero. Hyoga se ne era ampiamente accorto nel veder crescere la piccola Avrora, già di salute cagionevole. Lei, a quasi un anno di età, non era ancora in grado di tenere gli oggetti con le manine, né di gattonare, avendo grossi problemi di coordinazione, ma aveva sviluppato quasi un legame embrionale con i cani della muta dei suoi genitori, primo fra tutti Sharik, il leader, dal pelo fulgido e tendente al marroncino.

Quelle difficoltà a muoversi e a coordinarsi avevano destato preoccupazione sia per i genitori che per Camus, ma quella era la prima volta in assoluto che Jacob arrivava lì, implorando aiuto, con quell’espressione terrorizzata. La situazione doveva essere seria!

Arrivarono all’isba il più in fretta possibile, Hyoga quasi scese saltando dalla slitta, seguito a breve distanza dal piccolo, ancora sconvolto. Non si preoccupò di spalancare e sbattere la porta dell’entrata, nonostante avvertisse ancora i toni, più che alti, dei due contendenti.

Il cozzare della suddetta contro il muro, che vibrò, fece sussultare sia Isaac che Camus, ancora intenti a discutere, ma prima di poter chiedere spiegazioni, Jacob sfrecciò disperato in direzione del Cavaliere dell’Acquario, le braccia sollevate in alto come a chiedere aiuto. Anche così, con quelle manine sollevate, non gli arrivava che alla cintola da quanto fosse ancora piccolo.

“Maestro dei Ghiacci!!! L-la mia sorellina… l-la mia...”

“Jacob? Che succede?” chiese Camus con una calma quasi imperturbabile, chinandosi un poco verso di lui per guardarlo negli occhi.

“Avrora… sta male, piange senza mai smettere, ha la febbre alta e non riusciamo a capire cosa abbia, la mamma mi ha detto di venire a chiedere a voi, vi prego!”

“Da quando… ha questi sintomi?”

“Da… da ieri sera, non sapevamo se chiamarvi, Maestro dei Ghiacci, non volevano disturbarvi, non… - singhiozzò, disperato – Sta.. sta morendo? La mia sorellina sta...”

A quel punto Camus gli posò una mano sulla testa, accarezzandogliela teneramente per tentare di calmarlo.

“Portami da lei, farò quanto in mio potere per farla stare meglio!” disse, deciso, senza troppi convenevoli. Il tempo stringeva.

Jacob tirò su con il naso, stringendo la mano del giovane uomo per farsi forza, gli occhioni verdi lucidi, i capelli rossicci tutti arruffati a seguito del cappuccio. Camus si permise di scostargli uno di quei ciuffi, che gli ricadevano, corti, sulla fronte, con gesto un poco burbero, ma ugualmente delicato, prima di concentrarsi sugli allievi.

“Hyoga! Isaac! Voi rimanete...”

“Se ci state per dire di rimanere qui, dovremmo declinare, Maestro Camus! Non siamo più dei mocciosi, possiamo dare una mano anche noi!”

“Isaac, non è questo il momento per...”

“Noi veniamo, PUNTO!

“Mi sareste solo d’intralcio, non...”

“Dimostreremo che non è così, ve lo ripeto, non siamo dei...”

“Va bene, agisci come vuoi, basta che non mi fai perdere altro tempo prezioso!” tranciò il discorso di netto, dandogli le spalle. Era ancora più furente rispetto a prima, si ben capiva dal tremore del suo corpo, ma Isaac sorrise beffardamente, come se, in quel particolare raffronto, l’avesse spuntata lui.

“Molto bene, andiamo a prepararci, Hyoga!”

Aveva scelto tutto lui, ancora una volta, il biondo non poteva fare altro che seguirlo, anche se, in parte, condivideva i suoi pensieri. Diede un’ultima occhiata a Camus, teso sulle sue, prima di annuire. Forse sarebbe stato meglio davvero rimanere lì, forse davvero sarebbero stati solo di peso, ma Isaac voleva seguire e perseguire il maestro in tutto e per tutto, camminare al suo fianco, combattere insieme a lui ed essere un suo emule. Lo ammirava troppo e voleva dimostrare di essere un degno allievo, tutto lì, ma c’erano cose che sfuggivano ancora dalle loro giovani menti.

L’umore di Isaac era notevolmente migliorato dopo quell’ultimo confronto in cui credeva di essere stato vincitore, era tornato vivace come di consueto mentre, frenetico, prendeva una sacca e si preparava. Stava proprio passando al fianco del maestro quando, quest’ultimo, ancora paurosamente irritato, si mosse, imprimendo la sua espressione negli occhi dell’allievo. Isaac sussultò a quel contatto visivo, un brivido lo percorse.

“Quando imparerai a non fare una guerra per ogni lotta di principio tra te e l’altro… allora, solo allora, sarai cresciuto! Fino a quel momento per me resterai sempre un bambino capriccioso… Isaac!”

 

 

* * *

 

 

Un bambino capriccioso… per tutta la durata del, breve, viaggio, le ultime parole rivoltogli dal maestro, gli erano rimbalzate in testa, rendendolo ancora più furente. Isaac si sentiva ancora avvampare dalla rabbia e dallo sdegno per quell’ultima frase buttata lì, giusto per avere l’ultima parola. Non gliela avrebbe perdonata!

Camus odiava perdere, odiava non avere ragione… e ciò gli dava incommensurabilmente fastidio, esattamente come la consapevolezza che lui, il maestro, non riusciva a capire i suoi desideri. Isaac voleva essere semplicemente come lui, né più né meno… Camus era il suo mito, il suo eroe e lui voleva dimostrare di esserne degno, ma gli era costantemente impedito.

Non fare questo… non fare quello! Pensate solo ad allenarvi per diventare Cavalieri di Atena, null’altro vi deve importare…

La vita all’isba, in quell’ultimo anno, era diventata un sentiero di divieti e cose da non fare, era tremendamente irritante.

Camus non capiva.

Camus non lo capiva

Si ritrovò a fremere tra sé e sé, arrabbiato, le mani strette a pugno.

“Maledizione… non sono più un bambino, perché vi ostinate a trattarmi come tale?!” si ritrovò a ringhiare tra i denti nello stesso momento in cui la porta della camera in cui era entrato Camus si spalancava e Hyoga chiamava a gran voce il loro maestro per chiedere informazioni circa lo stato di salute della piccola.

Isaac rialzò lo sguardo, soffermandosi sulla figura alta ed elegante del maestro, che teneva la piccola in braccio, finalmente acquietata. Vide un movimento da parte di Jacob, che teneva stretta la mano di Hyoga, e poi dalla madre dei due bambini che, tutta tremante, con la mano sopra il cuore, si alzò in piedi dalla sedia.

“Maestro dei Ghiacci...”

“Sono riuscito a calmarla solo ora, devo ancora visitarla...” disse solo Camus, in apparente tono neutro, ma dai suoi occhi si scorse una scintilla di preoccupazione che Isaac comprese bene. Probabilmente il maestro non aveva mai visto una cosa simile in vita sua.

“E’… è già molto, credetemi, stanotte non ha dormito affatto, non capivamo cosa avesse, piangeva ininterrottamente, si è quasi sgolata per urlare, l-la mia… creaturina...”

“Leya… farò quanto in mio potere per farla stare meglio!” provò a tranquillizzarla Camus, lo sguardo un poco caldo. La donna annuì, tornando a sedersi, mentre Jacob corse ad abbracciare la madre.

Hyoga ed Isaac stettero in attesa, guardando il maestro con apprensione, in attesa di un qualche movimento da parte sua. La sua espressione non prometteva nulla di buono, ma non dissero comunque niente. Non era il momento.

Camus sospirò, prima di sistemarsi meglio la piccola sulla spalla e cullarla dolcemente con le braccia, accarezzandola ritmicamente con fare protettivo. Le sussurrava all’orecchio parole in una lingua arcana, mentre le piccole dita della bimba stringevano la maglietta del Cavaliere, come a ricercare sollievo nella sua corporeità e nella sua voce, che le parlava con suoni dolci in un linguaggio antico.

Isaac si permise di osservarlo, sempre più sbalordito. Malgrado tutte le divergenze tra loro quel suo modo di fare, quel prodigio, non avrebbe mai smesso di sorprenderlo genuinamente.

Camus dell’Acquario era restio ad ogni tipo di contatto fisico, anche quando si scioglieva, i gesti che riusciva a donare erano brevi e schivi, non perché non fosse capace di amare, tutt’altro, ma non gli riusciva affatto bene rompere quel muro che si era imposto come difesa tra sé e il mondo, nella speranza di non rimanerne ferito.

Ma il Camus Sciamano dei Ghiacci sopra e sotto la Siberia era ben diverso. Lui, con le sue mani di velluto, quasi come uno dei mitologici re Taumaturghi, riusciva a compiere imprese eccezionali con l’ausilio del solo tatto. Poteva aiutare le donne a partorire, riusciva a scacciare via il dolore con le dita sinuose, cedeva agli altri le proprie energie psico-fisiche, salvava vite umane, come aveva fatto con lui dopo la morte del compagno Lisakki. Isaac riconosceva quei gesti, quel tenere una creatura fragile vicina al petto per calmarla con i propri battiti cardiaci. Li riconosceva, perché aveva fatto lo stesso con lui, per lui, cedendogli tutte le sue energie per farlo stare meglio.

Se Camus dell’Acquario proteggeva la vita con la propria forza e perseveranza, con la sua imponenza, come una montagna alta e inaccessibile, il Camus Sciamano lo faceva con la sua dolcezza, infondendo calore nelle cose apparentemente morte, donando vita e forza, le sue, per far rinascere qualcosa di nuovo.

Gli occhi di Isaac si inumidirono automaticamente nel vederlo in tutto il suo splendore. Era difficile capire quale Camus si avvicinasse di più alla sua reale essenza, il Cavaliere? Oppure lo Sciamano? Ma era più che certo che mai, come sotto quella forma, riuscisse a luccicare più che in ogni altro frangente, apparendo davvero come un vero e proprio sostegno per gli altri.

“Ha davvero la febbre troppo alta...” constatò Camus ad un certo punto, dopo aver posato le labbra sulla fronte della piccola – Leya, posso…?” chiese, lasciando sottintesa la frase.

“La sua vita è nelle vostre mani, Maestro dei Ghiacci, agite come meglio credete...” disse la madre, sofferente, stringendo a sé il figlio più grande.

“Grazie… la ricoprirò subito, ma ho bisogno di vedere e toccare il suo corpo, avverto… una forte energia negativa dentro il suo corpicino...” spiegò brevemente, in tono chiaro, sforzandosi di non mostrare emozioni, sebbene le si percepissero dagli occhi.

“Mamma, ce la farà, vero?” chiese allora Jacob, sempre tra le lacrime, portando la donna ad accarezzargli i capelli per tranquillizzarlo.

“Dobbiamo credere fermamente in Camus… Avrora è in buone mani!”

Si vedeva che avesse paura ma che al contempo si facesse forte per tranquillizzare il figlio. Hyoga sostò su di loro con lo sguardo, un sorriso, il suo, a metà strada tra il malinconico e l’intenerito. La forza di una madre riusciva a fare anche quello, la forza di una madre era incrollabile ed eterna, era il segno dell’amore… e l’amore rimaneva dentro anche laddove la persona fosse scomparsa.

Isaac intanto si era avvicinato al mentore, che nel frattempo aveva posato la piccola sul divanetto.

“Permettete un’osservazione, Maestro?”

“No!”

Hyoga si voltò nella loro direzione, avvertendo di nuovo spirare aria di tempesta. Sperò in cuor suo che non volessero litigare anche lì, in quella situazione disperata, con la bimba che stava male e Jacob totalmente in lacrime, ma Isaac non sembrava intenzionato a demordere.

“Mi sembra una follia spogliarla… ha la febbre alta, fa freddo, non...”

“Pure aspirante Sciamano sei, oltre che smanioso di diventare Cavaliere di Atena, ma che bravo!”

Isaac accusò il corpo, irritato, il sopracciglio sinistro vibrò appena. Non era da lui arrendersi, anche se Camus, occupato a togliere i pesanti vestiti alla piccola, aveva già dato segno di tacere e non proseguire nel discorso, che ancora grazie fosse lì e non all’isba, non poteva certo permettersi di parlare.

“Io dico solo che è follia, la piccola sta già male e...”

“Non ho altro modo! Devo abbassarle la temperatura corporea, inoltre le cure sciamaniche prevedono il passaggio della propria forza psico-fisica tramite il contatto corporeo e il respiro… quali altre soluzioni hai, quindi, Isaac?! Magari la tua mente geniale e densa di esperienze pregresse può giungere dove io non sono ancora arrivato!” esclamò, in tono quasi derisorio. Era ancora arrabbiato per la discussione di prima, era così lampante, ma aveva contro un avversario ugualmente testardo e orgoglioso, mal disposto a non avere l’ultima parola.

Isaac infatti coniugò tutte le sue forze per non mandarlo a quel paese. Aveva ben percepito il sarcasmo dietro alla sua voce, ma dargli corda in quel momento avrebbe significato dimostrare che lui era davvero ancora un bambino, e non voleva.

“Anche se avessi dei consigli… tanto voi non mi ascoltereste!” arrivò alla conclusione, guardando altrove.

“Anche se tu avessi dei consigli, cosa che comunque NON hai, non ascolterei comunque i tuoi, quelli di un cucciolo d’uomo che si reputa già grande!”

“Uhmpf, e allora arrangiatevi, io non...” ma si bloccò, e lo stesso fece Camus nel notare sulla pelle della piccola qualcosa che non avrebbe dovuto esserci. Sussultarono. Lo sguardo d’urgenza si impresse nei suoi occhi verdi.

“Isaac, tienila un attimo con le mani, cullala, se puoi, mentre io le sfilo il maglioncino...” disse all’allievo, il quale, lesto, fece immediatamente quanto chiesto. Il vestiario venne levato nello stesso momento in cui la piccola cominciò ad ansimare con maggior patimento.

Camus si alzò in piedi, indietreggiando di qualche passo, gli occhi perennemente puntati sul corpicino della neonata che, intanto, aveva preso a calciare, ricominciando a piangere.

“Che succede?” si mise in allerta anche Hyoga, presagendone la gravità, avvicinandosi a sua volta. Leya e Jacob si strinsero di riflesso l’un l’altra.

“Ha dei segni neri, come delle strie, sul corpicino…”

“COSA?!”

A quel punto anche la madre scattò in piedi, avvicinandosi alla figlia più piccola. Un nodo le si strinse in gola, mentre le mani corsero a coprirsi la bocca, chiusa in una muta ‘o’ che però non aveva suono alcuno.

“Ieri sera, quando l’abbiamo cambiata, non ne aveva...”

La situazione sembrava sempre più disperata, Hyoga e Isaac, ancora con la piccola tra le braccia, si scambiarono uno sguardo d’urgenza, Camus tornò su di lei, toccandole con dolcezza quelle orrende strie scure che, partendo dall’ombelico, sembravano diradarsi a tutto il corpo come una spirale. Per il momento, solo la pancia era lordata da quel nero, ma le strie sembravano in perenne espansione, quasi… a vista d’occhio.

Camus le toccò più volte la pancia, sistemandole la testolina meglio, accarezzandola per tranquillizzarla ancora una volta. Isaac non aveva più il cuore di lasciarla lì, priva del loro tocco, sembrava soffrire parecchio, anche se le mani esperte del maestro agivano come un vero e proprio calmante, mentre Hyoga teneva in braccio Jacob, corso nuovamente da lui dopo essere scoppiato a piangere.

“Non ha rigonfiamenti sottocutanei, né perdite di sangue...”

“E allora cosa diavolo sono queste strie nere che…?”

“Aspetta un attimo, Isaac!” lo fermò Camus, con più dolcezza, notando che il respiro della piccola era ancora accelerato e irregolare. Si chinò su di lei, mentre, con l’indice e il medio, gli premeva poco sopra il diaframma con mille e più premure per non farle male. Il ragazzo lo guardò ancora più ammirato, mentre gli occhi del maestro si chiudevano e le sue labbra tornavano a posarsi sulla fronte della neonata.

“Sei un miracolo, piccolina, non cedere! Tua mamma è qua e, con lei, il tuo fratellino, ti vogliono bene, sei amata e protetta, non cedere… piccola Avrora! Hai un nome bellissimo, sai? La imparerai ad amare l’aurora di cui porti il nome, sei tu stessa... luce... e hai portato speranza nei cuori della tua famiglia. Non cedere!”

Continuava a sussurrarle con voce di miele, quasi non sua, in una intonazione crescente, sembrava quasi una melodia che si ripeteva in una strofa con parole leggermente diverse ma che si posizionavano una davanti all’altra per darle forza. La bocca di Isaac era spalancata in un ‘o’ altrettanto muto, ma denso di ammirazione.

Quando Camus finì, la piccola sembrava un po’ più tranquilla, la febbre era scesa, ma quelle strie erano sempre ben visibili sul pancino. Pareva comunque finalmente dormire in un sonno profondo.

“Non riesco a capire la causa prima del suo male, senza quella non… non posso fare altro che un mero palliativo...” ammise il Cavaliere dell’Acquario, alzandosi in piedi e stringendo i pugni. Il non poter fare di meglio, il sentirsi impotente lo frustrava più di ogni altra cosa, quella rabbia era ben visibile nelle sue iridi.

Jacob continuava a piangere, lamentandosi che il giorno dopo era il suo compleanno, che non voleva perdere la sorellina quel giorno, che non voleva proprio perderla perché le voleva bene. Hyoga faceva del suo meglio per provare a calmarlo, ci sapeva fare con i bambini, ma il piccolo era inconsolabile.

La madre si accasciò sulla sedia, sul punto di piangere, ma si trattenne alla ben meglio, scrollando più volte la testa, il petto gremito di sighiozzi.

“Maestro, davvero non potete fare più di così?” chiese Isaac, incredulo, costernato, guardandolo intensamente negli occhi.

“Non… non è un male ordinario, Isaac, è qualcosa di oltre, di… malefico… non è un qualcosa che le erbe medicamentose possano guarire, né la medicina tradizionale, questo l’ho ben avvertito, toccandola… - disse, con voce tremante, scosso – Ho… ho le mani legate!”

“Un… un demone? Una maledizione?” tentò ancora il ragazzo, cercando un qualche modo per venirne a capo.

“Non… non saprei dirlo con certezza...”

“E’ l’Anatema della Rovina...” disse ad un tratto Leya, gli occhi verdi fissi e vuoti contro il pavimento.

“Che cosa significa?”

“Elisey… ne parla da un po’...”

Al suono di quel nome, gli occhi di Camus si fecero scuri, i pugni gli si strinsero ancora più a forza e divenne livido. Isaac ne conosceva il motivo.

“I-il Sommo Elisey è stato qui?” chiese Hyoga, sistemandosi meglio Jacob sulle spalle.

“Sì… - gli occhi di Leya erano spenti – Ci ha detto che la bonaccia è finita, che già nei paesi limitrofi alcuni… bambini… sono caduti malati e a-alcuni già morti. Erano tutti figli della Siberia...”

“L-l’anatema della Rovina? La bonaccia?” ripeté Hyoga, confuso, scambiando un’occhiata con Isaac, che in genere gli dava conforto, ma che, in quel frangente, sembrava sbigottito almeno quanto lui.

Camus parve capire il vero significato di quelle parole espresse, pertanto, mascherando la smorfia di disgusto nell’udire quel nome mal sopportato, si avvicinò alla donna, posandole maldestramente una mano sulle spalle.

“Sai dove è andato adesso Elisey? Ti ha detto quali altri bambini stanno male come Avrora?” le chiese con determinazione e un pizzico d’urgenza, anche se in tono caldo e comprensivo.

“I-Io… non so dove sia lui, nello specifico, ma so che questo anatema sta colpendo sempre più bimbi dei paesi circonvicini, arrivando persino a lambire Pevek, s-so c-che soffrono terribilmente prima di… O-DDIO!”

Stava per crollare a terra, ma due mani forti e decise si mossero lestamente per sorreggerla.

Leya, guardami! - lo sguardo di Camus si impresse nei suoi, deciso, affilato, ma dolce, così genuinamente dolce – Non permetterò ad Avrora di morire, né agli altri bambini di fare una fine così triste, fermerò questa endemia una volta per tutte!”

“M-maestro dei Ghiacci...” biascicò lei, prima di scoppiare a piangere e reggersi a lui, vinta da tutta quella pressione.

“Li salverò, te lo prometto! Tu tieni Avrora al caldo, ti darò dei rimedi, da aggiungere al latte che la faranno stare meglio, irrobustendo le sue difese immunitarie. Non arrenderti, attendi al mio arrivo, la salverò!” ripeté Camus più volte, con ancora più determinazione, sfiorandola con le lunga dita sottili, sebbene quel contatto così spontaneo lo mettesse in forte disagio.

Hyoga e Isaac si guardarono per l’ennesima volta, ricercando il sostegno reciproco in un universo di dubbi e domande prive di risposta. Hyoga con in braccio Jacob, ancora singhiozzante, stretto a lui, con il viso nascosto nel suo collo, Isaac con la piccola, che sembrava dormire tranquilla, malgrado quelle orrende strie nere sul suo pancino. Il ragazzo l’aveva coperta con un pesante pile, e ora la cullava tra le braccia, sebbene un poco imbarazzato. Non era abituato ad avere a che fare con i bambini, men che meno così piccoli, ma aveva visto come farlo grazie a Camus.

“Hyoga! Isaac!”

L’attenzione dei due allievi fu subito su di lui, il quale, dopo aver calmato alla ben meglio la donna, si girò a mezzo busto verso di loro, imprimendo il suo sguardo caparbio nei loro.

“Prendete Nikita e Sasha e tornate all’isba con la slitta, io andrò nei villaggi vicini a controllare la situazione, vedere con i miei occhi le condizioni degli altri bambini, dargli dei palliativi e rintracciare Elisey!” decretò, in un tono che non ammetteva repliche, che tuttavia Isaac si sentì comunque di esporre.

“Elisey, Maestro? Non lo vedete da anni, non sapete dove sia!”

“Non so dove sia ma so come rintracciarlo… - lo accontentò placido Camus, voltandosi di nuovo per dargli la schiena – Mi raccomando, Hyoga! Isaac! Fate quanto vi ho chiesto, la situazione è grave e… dimostratemi di essere dei futuri, degni, Cavaliere di Atena!” calcò l’ultima frase, mescolandoci insieme tutto l’orgoglio che provava per loro e che lasciò trasparire dal tono della sua voce.

 

I due allievi avevano fatto esattamente quello che aveva ordinato loro il maestro, recandosi immediatamente all’isba e aspettandolo lì, trepidanti. Le tenebre però erano calate da un po’, le ore passate, scandite da un tic-toc che irritava al solo udirlo e di Camus non c’era alcuna traccia. L’oscurità a quelle latitudini scendeva molto velocemente, del resto la lunga Notte Artica aveva ceduto un poco alla luce solo da qualche giorno, ma il sole non era comunque in grado di riscaldare quelle lande ghiacciate, né di illuminare distintamente i dintorni. Il susseguirsi delle giornate era un passare dalla notte più cupa alla velata e stentata luminosità della sera.

Hyoga ed Isaac erano circondati dal buio, non perché le lampade ad olio non funzionassero ma perché aspettavano ansiosi Camus, del tutto immobili nelle loro posizioni, senza dirsi una parola al di là di scambiarsi qualche gesto d’intesa. Il maestro non si vedeva. Il cuore dei due giovani allievi era denso di preoccupazione. Non avevano compreso pienamente ciò che si erano detti Leya e Camus, il maestro non gli aveva mai insegnato nulla a proposito dello Sciamanesimo, se non qualche accenno, ma la gravità dei loro sguardi, la disperazione di una giovane madre che rischiava di perdere la figlia e le lacrime di Jacob gli avevano fatto provare un’inquietudine crescente.

Passarono le ore, tante, troppe, ma non sufficienti al buio imperituro per cedere un po’ alla timida luce. Non era ancora tempo per l’alba. Isaac si sforzò di raccapezzarsi su quanto tempo fosse trascorso, di certo era passata la sera, poi la mezzanotte, poi ancora forse altre tre ore, non lo sapeva bene, il sonno stava cominciando a prendere la meglio. Accanto a lui, sul sofà, il respiro di Hyoga si era fatto via via più intenso, testimonianza che l’amico e fratello aveva infine ceduto al sonno. Isaac di alzò, camminando nell’oscurità senza accendere la lampada ad olio, si diresse verso l’armadietto, ne estrasse una coperta con la quale coprì poi il corpo di Hyoga. Certo, ormai erano ampiamente avvezzati al clima rigido della Siberia dell’Est, ma aveva comunque l’istinto di coprirlo, come moto di protezione. Tornò quindi a sedersi sul divano, sempre a tentoni, dove anche i suoi, di occhi, si accorse, stavamo cominciando a cedere all’incoscienza.

Si riscosse. Una. Due. Tre volte. Prima di darsi delle sonore sberle nel tentativo di non crollare. Voleva aspettare il Maestro Camus. Voleva essergli utile, in qualche modo, perché era certo che, visto il tipo, il giovane Cavaliere dell’Acquario non si sarebbe dato pace prima di aver controllato tutti i bimbi delle zone limitrofe. Sarebbe quindi tornato stremato, senza comunque concedersi un minimo di riposo, cocciuto, testardo, caparbio… così caparbio! E Isaac, ora che finalmente si sentiva grande, desiderava finalmente essere un vero e proprio sostegno per lui, combattere al suo fianco, ricambiando così tutto ciò che il maestro aveva fatto per lui, per loro.

A questo cogitava la mente del ragazzo per tenersi sveglia.

Questo fu il suo ultimo pensiero, più volte ripetuto, prima di crollare definitivamente, travolto dalla stanchezza.

Il tempo parve congelarsi in un istante. Trascorsero ore, o forse minuti, ne perse il contatto, almeno finché lo sbattere leggero di una porta non lo ridestò. Subito saltò su in piedi, pronto, riconoscendo quell’inconfondibile suono di passi. Finalmente accese la lampada ad olio per fare chiarore. La situazione si bloccò.

Gli occhi blu e la bocca del maestro si spalancarono per la sorpresa, lo stesso accadde ad Isaac, lo sguardo ora fisso sulla sua figura sempre famigliare, ma… insolita, così insolita!

Alla fine Camus, racimolando aria che evidentemente gli mancava, trovò il coraggio di parlare.

“I-Isaac, scusami, non volevo svegliarti...”

Era in evidente imbarazzo per qualcosa che Isaac abbinò subito al suo vestiario, lo fissò a lungo, sostando sulla sua figura alta, longilinea e slanciata, prima di accorgersi che il soffermarsi così tanto su di lui, in quella tenuta, lo avrebbe messo ancora più a disagio.

Come diavolo vi siete conciato?!

Avrebbe voluto chiedergli, continuando ad osservarlo con quel particolare… costume? Abito? Mantello? Non sapeva neanche lui come definire ciò che aveva indosso.

“Avete… trovato Elisey” constatò solo, abbassando lo sguardo, capendo che c’era il suo zampino in quell’improvviso cambio di look in cui Camus non si trovava per niente.

“Sì...”

“E…?”

“Mi ha detto cosa fare… dove andare...”

Pausa. Non ci furono altre parole da parte sua, i muscoli rigidi, lo sguardo altrove. Isaac capì che Camus era in partenza, dove non si sapeva, ma lo avrebbe scoperto, in un modo o nell’altro. Era finito il tempo in cui lui stava buono a casa a non far niente, era giunto il momento di combattere al fianco del maestro, spalla contro spalla. Decise comunque di prenderla larga. Molto alla larga.

“Quel look… vi dona… anche se vi rende un poco impacciato”

“E’ stato Elisey a… - Camus scrollò la testa, sbuffando, le guance si erano fatte rosse – Lascia perdere, non… non indagare oltre!”

“Mi chiedo solo perché farvi indossare quel… mantello… è più corto davanti che dietro, vi scopre parte dell’addome e… sarebbe una, per così dire, divisa da Sciamano? Serve per i rituali? Non faceva prima a mandarvi… a busto scoperto? Tanto il freddo non lo patite!”

“Ci ha… provato… sai, uno Sciamano, dice, deve essere più vicino alla natura possibile quando opera le cure, ma… non mi sentivo a mio agio”

Isaac inarcò un sopracciglio, scettico. D’accordo, con quel mantello non era del tutto nudo nella parte superiore del corpo, ma era comunque un indumento corto, gli sarebbe bastato alzare una mano per preparare un attacco, o anche un semplice gesto, e avrebbe scoperto interamente l’addome fino a quasi lo sterno.

“E così vi sentite a vostro agio?”

“No, certo che no… il mantello mostra proprio la parte del busto che mi imbarazza di più - disse Camus, massaggiandosi e coprendosi con la mano proprio la zona esposta - ma… mi sento più coperto, almeno...”

Isaac conosceva bene la riservatezza del suo amato maestro, il suo disagio nel mostrare semplicemente la propria pelle, era sempre stato così, fin da quando lui era piccolo. Anche Hyoga condivideva la sua stessa discrezione, lo stesso disagio a farsi vedere privo di vestiti, per lui, invece era semplicemente indifferente, e comunque si era tra maschi, era già capitato di vedersi accidentalmente nudi, come quella volta che lui e il biondo, per fargli uno scherzo, erano riusciti ad entrare in bagno furtivamente per giocare ai ‘pirati’, mentre il maestro faceva il bagno e, forse a causa della stanchezza, si era dimenticato di chiudere la porta a chiave. Ne era scoppiato un vero e proprio putiferio e loro due erano finiti in punizione. Si ritrovò a ridacchiare, suo malgrado, soffermandosi, ancora una volta sull’outfit del mentore.

Di certo quegli indumenti che Elisey aveva scelto per lui, calzavano pienamente come Sciamano, ma non per l’attitudine di Camus, il quale aveva lo sguardo fisso da tutt’altra parte, il viso ancora rosso, la mano sempre sull’addome, in una postura che emanava il suo disagio crescente.

Uno Sciamano doveva essere più vicino alla natura possibile, ed ecco la motivazione per quegli abiti così assurdamente insoliti! Camus aveva indosso un mantello ampio, di color celeste, un poco rassomigliante a quello che portava con l’armatura dell’Acquario. Come già ampiamente osservato, esso aveva due lunghezze dispari, dietro arrivava quasi alle caviglie, ma davanti era assai più corto, tanto da arrivargli appena sopra l’ombelico, lasciandoglielo scoperto insieme al basso ventre. Sulle gambe portava dei pantaloni di velluto color sabbia a vita bassa, attillati, che scendevano giù fino ad incontrare nella degli stivaletti neri, quasi lucenti. Ad ogni modo, erano i cosiddetti accessori, ciò che gli donava di più un’apparenza strana, insolita, non dal Camus Cavaliere dell’Acquario, ecco.

Isaac per esempio non lo aveva mai visto indossare degli orecchini, cosa che invece, in quella particolare tenuta aveva, pendenti, a forma di piuma; una piuma insolita di non si sapeva bene quale animale, perché era di un intenso color celeste, il ragazzo non aveva mai visto nulla di simile. Poi i segni sul viso, di color cobalto, che formavano quattro segmenti, due per guancia, che erano stati disegnati e calcati con i pigmenti, o con il gesso, chissà, probabilmente testimoniavano qualcosa di magico. Per concludere il tutto, un bracciale sul polso sinistro, fatto di pietre preziose color blu, zaffiri, per l’esattezza, che a seconda della luce davano un luccichio diverso.

Isaac non indagò oltre, ma sapeva che per lo Sciamanesimo Siberiano, glielo aveva accennato proprio Camus, le pietre avevano un significato a sé, non erano interscambiabili, ognuno aveva la propria ed essa rispecchiava l’animo del possessore; i più esperti, si narrava, ne possedevano anche due di preziosi. Il reale senso, però, al ragazzo sfuggiva.

Ad un certo punto lo sentì prendere un profondo respiro e Isaac seppe con certezza che stava arrivando al “giro di boa” ed era pronto, come mai.

“Isaac, il tempo stringe, molti bambini hanno bisogno di una cura ed è mia intenzione procurargliela il prima possibile. Puoi occuparti tu degli allenamenti di...”

“NO!”

La ferma risposta dell’allievo, quella scintilla nei suoi occhi, destabilizzò Camus. Sapeva che sarebbe stato difficile convincere l’allievo a rimanere al sicuro all’isba, ma non si sarebbe mai aspettato una presa di posizione così netta, senza neanche permettergli di finire la frase. Per un solo secondo, rimpianse il piccolo e coraggiosissimo Isaac che, da bambino, lo guardava con adorazione ed era più che pronto a seguire le sue direttive sempre e comunque.

“Isaac, per favore, non c’è più...”

“No, Maestro, non mi affiderete alcun allenamento, io verrò con voi!”

“Non se ne parla neanche! Non è tuo...”

“...Compito?! Non mi interessa! Guardatevi, siete sfinito, a quanti bambini avete alleviato le pene? Quante energie psico-fisiche avete adoperato?! Ma non ve ne curate, siete già pronto a partire, ma non vi lascerò solo, questa volta!”

“...”

Camus si stava paurosamente irritando, al punto che l’imbarazzo di farsi vedere in quella tenuta dall’allievo era scivolato via, sostituito da un fastidio sempre più acceso. Non disse niente, ma il suo volere non era cambiato, non avrebbe permesso al ragazzo ribelle di fare ciò che voleva, lui era il maestro, lui decideva. Sempre!

“Dove siete diretto?”

“Non sono affari tuoi!”

“Lo sono, invece! Perché non mi sposterò da qui se non per seguirvi ovunque voi andrete!”

“Spostati, Isaac, prima che ti costringa a farlo con la forza!”

“Non lo farò!”

“Spostati… ho detto!”

A quel sibilo paurosamente strascicato, il coraggio di Isaac, per un secondo, venne meno. Indietreggiò di un passo, ma riuscì in qualche modo a sostenere il suo sguardo, raddrizzando nuovamente la schiena per poi fissarlo con determinazione. Che gli si imprimesse in petto quel suo volere, non lo avrebbe lasciato solo!

“Io verrò con voi, non...”

“Tu non vai con nessuno! Per l’ennesima volta… TOGLITI!”

Quella volta il tono non era più un sibilo, si era paurosamente incrinato. Hyoga lo avrebbe chiamato “la fase due dell’esplosione della bomba”, il biondo lo ben sapeva. Anche Isaac, perfettamente, ma invece di calmarsi si ritrovò ben presto a fremere incontrollabilmente, sempre più arrabbiato.

Il fatto che Camus continuasse a non capirlo e anzi che lo ostacolasse, proprio lui, che invece avrebbe dovuto essere il suo sostegno, non era più tollerabile per il giovane. Quasi senza accorgersene, diede un calcio al tavolino di lato, prima di imprimere i suoi occhi furenti in quelli del maestro.

“Perché diavolo non capite?!? Perché diavolo non capite che vi voglio proteggere?!? - sbraitò, rosso in viso, del tutto intenzionato a non cedere per nessuna ragione al mondo, avvicinò il suo volto a quello del maestro, con l’ovvia intenzione di sfidarlo. Non cedere. Mai, mai arrendersi – VOGLIO COMBATTERE AL VOSTRO FIANCO, NON GUARDARVI RISCHIARE SEMPRE LA VITA SENZA POTER FARE MAI...”

Schiaff!

Non finì la frase, semplicemente capitombolò per terra, lo sguardo incredulo, proiettato verso quello di Camus, la mano destra sulla guancia che in quel momento bruciava come non mai, ma non quanto il suo orgoglio. Si massaggiò la zona lesa, ancora sconvolto da quello che aveva subito. Camus lo aveva limpidamente schiaffeggiato, senza mezze misure. Diretto. Istintivo. E in quel momento lo fissava ancora con severità, sebbene essa fosse velata sempre più da una certa dose di rimorso.

Aveva perso il controllo, né più né meno, arrivando a mollargli senza mezzi termini una sberla. A lui. Ad un suo allievo! Non lo aveva MAI colpito in quel modo, MAI! Gli occhi di Isaac si inumidirono, mentre la mascella si strinse, producendo rumori brevi ma striduli. Per un solo secondo, ebbe l’impulso di alzarsi e ricambiare il favore, in qualche maniera, non sapeva ancora come, ma di sicuro gli avrebbe urlato tutto ciò che gli veniva in mente in quel momento, rincarando la dose. Gli argini si erano rotti. Irreversibilmente. A romperli era stato proprio Camus, per cui non ci sarebbe stato nulla di male a riversare interamente su di lui tutta la sua foga, era stato lui stesso a volerlo!

“I-Isaac...”

Il ragazzo sussultò nell’udire la voce di Hyoga. Si voltò verso di lui, accorgendosi che il biondo era, molto probabilmente, sveglio da un po’ e aveva assistito a tutta la scena. Ora stava lì, non sapendo bene come agire, negli occhi un misto di compatimento e dispiacere.

Per Isaac fu ancora peggio che appurare di essere stato schiaffeggiato. Si sentì bruciare dentro, dall’umiliazione. Non davanti a Hyoga, maledizione, non davanti a lui! Strinse le palpebre, alzandosi barcollante in piedi e correndo via, verso la propria camera. Non gliela avrebbe perdonata, quella, giammai, aveva superato il segno! Passò oltre il Cavaliere dell’Acquario, non prima di avergli regalato un’ultima occhiata di fuoco, poi sparì via. Il rumore dei suoi passi scomparve nell’esatto momento in cui si sentì lo sbattere della porta della camera di sopra. Non sarebbe più uscito per quel giorno.

Camus sospirò, incassando la testa fra le spalle prima di appoggiarsi leggermente al muro con la schiena, gli occhi serrati, l’espressione colpevole. Si sforzò di ricacciarla indietro nel più breve tempo possibile, le vite di quei bambini dipendevano da lui, non era il momento per stupidi rimpianti o sentimentalismi, anche se aveva percepito distintamente il senso di vergogna che aveva provato il suo allievo a seguito del suo gesto.

“Hyoga...”

Il biondo si riscosse, meravigliandosi di sentire la voce del maestro come quella di sempre, malgrado il raffronto di poco prima. Lo vide riaprire gli occhi, determinati come non mai, prima di raddrizzarsi e avvicinarsi a lui. Il mantello ondeggiò appena, come smosso da una imperitura brezza.

“Sì, Maestro?”

“Devo ultimare i preparativi, mi… puoi dare una mano?”

“Certo, Maestro Camus, ma Isaac?”

“Gli passerà… ora non posso pensare a lui, ho questioni più urgenti...” disse, lasciando cadere il discorso sull’altro allievo. La testa proiettata verso i suoi obiettivi ma il cuore dolente, tremendamente dolente.

 

 

* * *

 

 

Siberia dell’Est, 5 febbraio 2008

 

 

Erano passati due giorni, e Camus non era ancora tornato, di lui non vi era traccia alcuna, il suo cosmo era lontano, appena percettibile.

In circostanze normali, Isaac non si sarebbe allarmato. Era già capitato diverse volte che il maestro di allontanasse per un tempo prolungato, ma li aveva sempre avvertiti circa i suoi spostamenti. Non quella volta. Camus non aveva avvertito né lui né Hyoga su dove fosse diretto, né come avrebbe fatto a trovare la cura, era partito e basta e la situazione era seria, sempre più seria, le condizioni di Avrora erano ulteriormente peggiorate e nessuna coordinata su come comportarsi. Si percepiva solo una crescente inquietudine, un’intensa disperazione.

Isaac strinse con impeto il foglio che aveva in mano, scritto in bella calligrafia, nascondendoci il viso per poi passare, in un secondo momento, a grattarsi i capelli, un tic che aveva fin da quando era piccolo nei momenti in cui si sentiva agitato.

“Siete uno sconsiderato… INCOSCIENTE! Così… incosciente!” continuava a ripetere tra sé e sé, come a tentare di sfogarsi in qualche modo.

Camus, infine, prima di partire, gli aveva lasciato una lettera, scritta di sua mano un poco di fretta ma sempre bella ed elegante con la sua scrittura minuta e sinuosa.

Gli aveva lasciato una lettera non di spiegazioni su dove andava, certo che no, ma una lettera di scuse, in cui si sforzava di spiegare le sue ragioni.

Quella lettera… da sola era riuscita a far scomparire tutta la rabbia che Isaac aveva covato dentro, tutto quel bruciore che avvertiva si era raffreddato in un battito di ciglia, riscaldandolo con qualcosa di più tenero e persino più profondo.

Solo una lettera… solo quella era bastata a farlo sentire dannatamente bene, a raddrizzare tutto, a spegnere il furore, ma… Isaac si morse il labbro, per quanto bella fosse, lasciava lui con molte cose in sospeso da dire. Parole di scusa, a sua volta, spiegazioni che non era riuscito a dare nella foga del momento e, perché no, parole d’affetto che sentiva soffiare in cuore. Ma Camus non era lì. Il bisogno di ristabilire un dialogo si era fatto più intenso man mano che le ore passavano.

Camus non era lì, eppure… c’erano così tante cose da dirgli!

 

Caro Isaac,

Scusami per averti schiaffeggiato così, su due piedi, davanti a Hyoga, non era mia intenzione umiliarti in quella maniera, ma, come avrai capito, ho perso il controllo.

Mi è… facile… con te, lasciarmi andare alle emozioni, nel bene e nel male e questa volta è stato male.

Sai, ogni tanto mi sembra che tu stia crescendo troppo in fretta, mio coraggioso allievo e… ne ho paura, una paura atroce! Tu, probabilmente, sentirai come se io ti stessi tarpando le ali, non è mia intenzione, credimi, e me ne rammarico. Ultimamente non facciamo che discutere e ciò mi dispiace enormemente, a volte è come se non riuscissi più a raggiungerti, come invece accadeva quando eri bambino, quando eri un… soldo di cacio!

Soldo di cacio, lo rammenti? Mi piaceva chiamarti così e… mi piace ancora, ma… hai ragione, stai diventando grande, Isaac, ed io forse, non riesco ancora totalmente ad accettarlo…

Voglio che tu sappia, però, che il mio desiderio di non coinvolgerti in missioni simili, non dipende dal considerarti debole, tutt’altro. Conosco bene il tuo valore, perché l’ho visto fiorire di giorno in giorno nel crescerti e… Atena sa che questa, per me, è stata la gioia più grande della mia vita, vedere crescere te e Hyoga, ognuno al proprio ritmo, zoppicando, a volte, ma sostenendovi l’un l’altro, reciprocamente. Sempre.

Sono fiero di voi, ricordalo bene, questo non potrà mai, MAI, cambiare, anche se ultimamente litighiamo sempre, anche se mi fai tribolare, anche se a volte mi sembra di non riuscire a raggiungerti. Sei il mio orgoglio, Isaac!

Tuttavia questa dello Sciamano è una via che non vi compete, è un sentiero che ho scelto per me, consapevole dei rischi e delle difficoltà, voi avete un altro ruolo, quello di diventare Cavalieri di Atena e di proteggere questo meraviglioso mondo come paladini della giustizia, sarebbe egoistico quindi chiedere il vostro aiuto in una missione che non ha nulla a che fare con il vostro futuro incarico.

Mio caro Isaac, ci sarà un giorno in cui combatteremo insieme, fianco a fianco, spalla contro spalla, la mia vita sarà nelle tue mani, e così la tua nelle mie, ma, almeno per il momento, quel giorno è ancora lontano. Il tuo obiettivo è allenarti e diventare ancora più forte grazie alla caparbietà che ti contraddistingue e so che lo farai, per questo ti affido sempre gli allenamenti di Hyoga. Ho grande fiducia in te, lo sai.

Non strafare come tuo solito, mi raccomando, Isaac! Hai un innato spirito di competizione che ogni tanto ti porta a non curarti del tuo stato pur di raggiungere l’obiettivo, (devo ricordarti quando per poco non rischiavi di annegare per superare il record di apnea di Hyoga?! Ancora non so come recuperarli gli anni di vita che mi hai fatto perdere!), devi invece imparare a prenderti cura di te stesso e a sentire i limiti del tuo corpo, perché sei un uomo, prima di tutto, ancora un ragazzo, per l’esattezza, è normale non riuscire in determinati compiti, non fartene un cruccio più del dovuto.

Come dicevo… conto su di te per tutto e tornerò prima di quanto pensi, non angustiarti per la riuscita della missione, né per la mia sorte. Come Sciamano, salverò Avrora e gli altri bambini, lo prometto!

 

tuo

Camus

 

“Io sono ancora un ragazzo, prima che Cavaliere, per cui non devo strafare, ma voi potete, vero, Maestro? Siete sempre, sempre, il solito...” commentò tra sé e sé Isaac, producendo un lungo sospiro affranto.

Aveva una brutta sensazione a riguardo di quell’endemia di cui avevano parlato Leya e Camus, davvero brutta, avrebbe voluto intervenire a tutti i costi, cambiare le sorti di quei poveri bambini e mostrare finalmente i frutti dei suoi 6 anni di addestramento, ma tutto ciò che aveva era una lettera a tratti struggente e nessuna indicazione, né coordinata, su dove andare. Null’altro.

Fece per alzarsi in piedi, non sopportando più quell’inedia, quel senso di oppressione, ma ebbe appena il tempo di darsi la spinta che qualcuno bussò per tre volte alla porta.

Scambiò uno sguardo partecipe con Hyoga, a poca distanza da lui, prima di precipitarsi insieme a lui ad aprire in fretta e furia.

“Mae...” dissero entrambi, sorridendo raggianti, ma il loro sorriso si cancellò nell’esatto momento in cui scorsero la figura alta di un uomo, dotato di bastone, che conoscevano bene. Gli occhi scuri, scurissimi, come vittime di una perenne tempesta che tuttavia, con gli anni, si era placata, rimanendo comunque a soffiare lì dentro, in quelle iridi a tratti inespressive, i capelli bianchi, con riflessi argentati, insoliti.

“Oh? Siete ancora qui?” chiese il nuovo venuto, entrando comodamente nella piccola isba siberiana, senza aspettare il loro invito. Nello stesso momento, una trottola di bassa statura si fiondò tra le braccia di Hyoga, con ancora gli occhi arrossati dal troppo pianto ma senza tuttavia più lacrime.

“J-Jacob, Sommo Elisey, cosa fate qui?” chiese Hyoga con tutto il rispetto possibile, mentre prendeva nuovamente in braccio il piccolo, che si nascose nell’incavo della sua spalla.

Isaac sbuffò, seguendo i movimenti di Elisey con gli occhi ridotti a due fessure. Suo fratello era troppo gentile e rispettoso con chiunque, anche con chi non lo meritava, e lì vi era proprio il capostipite di chi non era degno di tanta cordialità.

“Cosa vuoi, Elisey? Non sei il benvenuto, qui!” lo freddò all’istante, chiudendo la porta dietro.

“La domanda è: cosa fate ancora qui, voi?” riprese il quesito di Hyoga, ribaltandoglielo come avrebbe fatto Camus.

“La vecchiaia ti sta rincoglionendo?! Ci abitiamo qui, sei tu l’estraneo!” ribatté Isaac, sempre sul piede di guerra.

“Umphf, ragazzo, vedo che il tuo maestro non ti ha dato abbastanza bastonate per moderare il tuo irrispettoso linguaggio...”

Isaac saltò su, del tutto intenzionato a dare pan per focaccia anche a lui, ma quella volta Hyoga si mise in mezzo, placando a viva forza gli animi.

“Isaac, fallo parlare, per favore, se è giunto qui una ragione ci deve essere!”

Isaac acconsentì con un grugnito, sedendosi sgarbatamente sul divano e incrociando le gambe, come in attesa di spiegazioni. Non c’era dubbio: Hyoga era di gran lunga troppo gentile con chiunque e quell’essere, stante quello che aveva fatto passare al Maestro Camus non lo meritava, anche se il biondo non lo sapeva bene dei dettagli, non conoscendo tutta la storia.

Hyoga intanto diede qualche pacca sulla spalla di Jacob, che era lì, con le manine intorno al suo collo, come una scimmietta appesa al suo ramo preferito.

“Come sta… Avrora?” gli chiese gentilmente, dandogli un buffetto sulla guancia.

“M-male… - bofonchiò il piccolo, stringendosi ancora più a lui – Stiamo pregando affinché il Maestro Camus tornì presto, le è di nuovo salita la febbre e le strie… sono in espansione...”

“Andrà tutto bene, le date ciò che vi ha consigliato Camus? – provò a tranquillizzarlo il biondo, cullandoselo, con voce di miele, all’annuire del bambino continuò – Dobbiamo credere fermamente nel maestro, farà di tutto per aiutare gli abitanti di Kobotec e dei villaggi limitrofi, come sempre!”

Jacob annuì di nuovo, asciugandosi i residui delle lacrime e chiedendo a Hyoga, con un gesto deciso, di ricondurlo giù. Era finito il tempo delle lacrime.

“Ammirevole la fiducia che riponete in lui, ma… se permettete un consiglio, giovani pulli, io sarei tutto fuorché tranquillo...” asserì enigmatico Elisey, sorreggendosi al bastone mentre passava, con lo sguardo, da un allievo all’altro.

Inutile dire che Isaac saltò come una molla dal divano, le iridi vibrarono sinistramente, come avvertimento.

“Che intendi dire, vecchio?” esclamò, iracondo, perché il tono usato non gli era piaciuto affatto.

In verità Elisey non era proprio ciò che si poteva definire ‘vecchio’. Aveva già vissuto oltre metà della sua vita, era vero, ma malgrado i capelli bianchi, ben tenuti, con alcuni riflessi argentati, non aveva che una sessantina d’anni ed era ancora incredibilmente in forze.

“Intendo dire qualcosa di simile al fatto che Camus, là dove è andato, per ciò che si è prefissato di fare, è più o meno limpidamente spacciato!”

“C-COSA?!?”

Anche Hyoga aveva sussultato a quell’ultima frase, fremendo visibilmente, le mani strette a pugno, mai come Isaac, comunque, che sembrava una miccia appena accesa. Jacob si mise le mani davanti alla bocca, incredulo, quasi spaventato, mentre, come gli consentivano le sue condizioni d’infante, cercava di seguire il filo logico dei ‘grandi’.

“E’ così quando un Guaritore si improvvisa Evocatore...” aggiunse ancora Elisey, criptico producendo un sonoro sbuffo mentre con le cavillose dita, si grattava la barba ben ordinata.

“Sommo Elisey, vi prego di dirci dove si è recato il Maestro Camus!” trovò il coraggio di chiedere il biondo, accennando un passo nella sua direzione.

“Ohoho, non ve l’ha riferito?”

“NO! E sarebbe meglio per te parlare, vecchio, prima che...”

“Si è recato alla Kolyma...”

Isaac avrebbe voluto chiedergli che cappero significasse, perché quel nome strano, da finlandese, forse, lo aveva sentito un paio di volte da bambino, nei discorsi degli adulti che rabbrividivano al solo nominarla, ma nulla di più. Kolyma poteva essere tutto e niente allo stesso tempo, non era un’indicazione precisa, era come dire una parola a caso, tuttavia Hyoga al suono di quel nome si irrigidì visibilmente, tanto da spingerlo a guardarlo con occhi profondi. Gli fu subito chiaro che lui sapeva molto di più rispetto alle sue conoscenze.

“A-alla Kolyma, S-sommo Elisey, quel luogo maledetto?!” barbugliò, gli occhi spalancati in un urlo silente.

“Oh sì, alla Kolyma… - si compiacque Elisey, sorridendo sinistramente, andando verso la finestra per contemplare il sole basso sull’orizzonte – Quella regione putrida, lungo il corso del fiume da cui prende il nome, quel territorio che odora, fin nei suoi recessi, di decomposizione, alcool, fumo, immondizia… Nessuno si arrischia ad avventurarsi là senza un’adeguata preparazione, il confine tra i vivi e i morti è talmente labile, talmente irrisorio, che, coloro che ci vivono, non sanno quasi neanche più loro se stiano ancora respirando...”

Hyoga abbassò lo sguardo, mordendosi il labbro inferiore, mentre le occhiate di Isaac e del piccolo Jacob andavano da una parte all’altra in cerca di spiegazioni.

“Quel luogo… si dice sia disseminato di morti, sepolti anche solo due o tre metri sotto terra, non è raro trovarvi dei cadaveri marcescenti, buttati lì e coperti con un leggerissimo strato di terreno congelato...”

“Oh, sì… - Elisey sembrava euforico per qualche ragione sconosciuta e inquietantissima, tanto da disgustare ancora più Isaac, che lo stava fissando livido di rabbia – Per ciò che ha subito quella terra in quest’ultimo secolo, dalla caduta degli zar in poi, è anche fin poco… coloro che vivono quei luoghi sono reietti umani, moralmente e fisicamente, o delinquenti da strapazzo, giunti in quella zona per arricchirsi, stante le enormi quantità d’oro...” proseguì, del tutto carpito dal racconto.

“E’ un luogo potenzialmente pericoloso anche per lo stesso Camus… - biascicò Hyoga, quasi tremando – Ci sono orsi bianchi feroci, ladri, farabutti di ogni tipo, fuorilegge...”

“L’elenco che stai puntando, giovane Hyoga, è davvero il minore dei problemi per il vostro maestro, credimi...” disse ancora Elisey, in tono neutro.

“Qualcuno mi può spiegare? Non sono russo, non so di cosa stiate parlando!” tentò di attirare l’attenzione Isaac, teso come non mai e ancora più desideroso di intervenire, ma per farlo doveva entrare in possesso di informazioni che, per il momento, non aveva.

“E’ la Kolyma, Isaac… uno dei luoghi più inaccessibili del pianeta, per noi russi è tristemente famoso perché sede di alcuni dei Gulag più terribili, una delle pagine, se non LA pagina più brutta della nostra storia! E’… un luogo maledetto sopra ogni dire!”

“L-le… purghe staliniane?” cominciò a comprendere Isaac, rabbrividendo a sua volta.

Hyoga annuì, rialzando lo sguardo che si impresse in quello dell’amico, che lo guardava con apprensione crescente. Entrambi condividevano le stesse paure, gli stessi timori per il loro giovane maestro.

“Io lo conosco anche per un’altra ragione, l-le mie origini… sono lì!”

“C-cosa?”

“E’ così. Il nonno di mia madre conobbe sua moglie proprio lì, in uno di quei campi di lavoro, c’era… fame d’amore… ebbero così un figlio, il mio dedushka, che fu preso immediatamente e portato all’orfanotrofio, prima di essere dato in adozione. Diventato più grande, fece delle ricerche per rintracciare la sua famiglia di origine, ma… scoprì che erano morti alcuni anni dopo averlo messo al mondo. Decise comunque di stabilirsi in quella regione, si innamorò di un’altra figlia di quei campi di lavoro e dalla loro unione nacque mia madre, Natassia. L-le mie origini sono legate a quel luogo maledetto...”

“Non me lo avevi mai raccontato, Hyoga...” mormorò Isaac, posandogli una mano sulla spalla, con fare comprensivo.

“Mia madre non amava parlarne… è scappata da lì per rifuggire la maledizione che, si diceva, lambisse quel luogo, voleva per me… un’altra aria” spiegò ancora, prima di discostare lo sguardo altrove. Non avrebbe più parlato, troppo gli doleva ancora rinvangare il ricordo della persona a cui aveva voluto così tanto bene.

“E Camus si è recato lì da due giorni, facendo perdere le sue tracce...” entrò nel discorso Elisey, del tutto indifferente al racconto del giovane. Sembrava quasi che ci provasse gusto a rammentare ai due allievi che il loro maestro correva un pericolo mortale.

Isaac saltò per l’ennesima volta su, ancora più furibondo di prima, stringendo forte il pugno destro con cui avrebbe tanto voluto colpire la sua faccia. Più volte.

“E’ andato lì perché ce lo hai mandato tu, Elisey!”

“E’ andato lì perché è suo dovere di Sciamano proteggere le genti della tundra e della taiga russa, né più né meno! Il ragazzo ha scelto consapevolmente la sua strada, io gli ho solo indicato la via!”

“Ma tu hai appena parlato di un grosso pericolo, e del fatto che i poteri di Camus potrebbero non bastare!”

“Ho detto potrebbero?! Sono stato ottimista, mi correggo: non basteranno di certo!”

“MALEDETTO! Se gli dovesse succedere qualcosa, io...”

Isaac sembrava davvero intenzionato a fare a botte, pareva una mina vagante, tanto era la preoccupazione per il mentore, fu di nuovo Hyoga a fermarlo, più pacato e tranquillo anche se ugualmente in pena per il mentore.

“Elisey, ci serve sapere perché Camus è dovuto andare là, per quale ragione? Leya ha detto che la bonaccia è finita, e ha parlato di una certa endemia che sta decimando i bambini. Dalle sue parole, sembra che questo male colpisca più volte, questa non è la prima!”

“Le genti del popolo di Blue, sì, è corretto… anche se quella stirpe si è ormai estinta, i loro eredi si sono collocati in tutta la Siberia e soffrono, ogni svariati anni, di questa malattia che, come hai detto tu stesso, è endemica, nonché ciclica...”

“Camus è andato là… per trovare una cura?” chiese ancora Hyoga, pronto e sull’attenti come non mai, ma Elisey scosse la testa.

“Non solo. Camus è andato là anche per fermare, una volta per tutte, l’orrenda creatura che provoca tutto questo, dovrà sconfiggerla, con tutte le sue forze, solo così il male cesserà di procurare vittime, almeno per un paio di anni, perché, come vi ho accennato, è un supplizio ciclico e necessario...”

“Glielo avete riferito che questo male ritorna, ne è consapevole?”

“Mmhm, qualcosa dovrebbe sapere...”

“In che senso?” chiese ancora Hyoga, il cuore a mille.

“L’intervento di Camus, a rischio della sua stessa vita, dovrebbe bloccare l’endemia per un tempo imprecisato, ma l’anatema tornerà, DEVE tornare, per punire il popolo ribelle; il popolo che non rispettò il volere della creatura, il popolo che non rispettò il lascito di Zima Siyaniye...”

“Cioè… hai mandato Camus a immolarsi contro una bestia simile ben sapendo che, anche se il suo intervento dovesse avere successo, è comunque solo una soluzione temporanea e che questo male tornerà?!? Che cosa hai al posto della testa, le tartarughe?!? Le cicale?!? - gli urlò contro Isaac, fuori di sé dalla rabbia, tentando di afferrarlo malamente con le mani, inutilmente, perché quel vecchio da strapazzo era agile, malgrado gli anni sulle sue spalle – A tal punto vuoi ucciderlo?! Così tanto lo odi?!? Per… per tuo fratello? Lo fai per lui?!? RISPONDI, DANNATO!”

Per un fugace, breve, attimo, gli occhi inespressivi di Elisey divennero a loro volta gremiti di rabbia malcelata; rabbia che non riusciva a trovare sfogo al di fuori di lui, ma che rimaneva dentro, dove covava, come principio oscuro.

“Ma certo che no, idiota! Ciò che il tuo maestro ha fatto a Fyodor, portandolo alla morte, è acqua passata, ormai... - lo freddò istantaneamente, ricomponendosi - Camus si è voluto recare là di sua iniziativa, non sotto un mio ordine, per dare una speranza a quei bambini, ma… lui è solo un Guaritore, non basta di certo per fermare quell’orrida creatura, ci sarebbe voluto un Evocatore, ma Camus è un vigliacco, ha rifiutato quel ruolo e quindi farà ciò che riuscirà nella forma che si è imposto, quella di un mero dottorino che si diverte a maneggiare le erbe medicamentose!”

“E-ehi, pezzo di merda, stai parlando del mio maestro, ritira quello che hai detto!!!”

“Ma come siamo protettivi con Camus...”

“I-Isaac…!” provò a calmarlo Hyoga, frapponendosi di nuovo tra loro, un poco titubante. Tratteneva l’amico per le spalle, puntellando i piedi, anche se non era impresa facile perché sembrava un animale in una trappola. La collera di Isaac colpì così anche lui.

“Non senti come parla di Camus??? Come puoi startene lì, a non prendere posizione?! D’accordo, non conosci tutta la storia, ma sta parlando del nostro maestro come di una pezza da piede! Io non ti capisco, Hyoga!!!”

“I-io è proprio perché non conosco tutta la storia che n-non posso sbilanciarmi...” cercò di spiegare il biondo, tentennante.

Gli occhi di Isaac si ridussero a due minuscole fessure e, come troppo spesso accadeva in quell’ultimo periodo, si lasciò contagiare dalla rabbia che sempre naturalmente provava. Se lo scrollò via di dosso, sostando a lungo su di lui con lo sguardo, in modo molto simile al loro mentore.

“Ah, già… dimentico che a te frega solo di tua madre, di una morta! Camus ed io non siamo nulla per te, che sciocco che sono a pensare che tu possa cambiare!” gli soffiò contro, furioso.

“N-non è così, Isaac, v-voi siete la mia famiglia, ma...”

TONC! TONC!

Hyoga e Isaac si ritrovarono ben presto a massaggiarsi la testa dolorante, mentre Elisey posava nuovamente il bastone a terra, soddisfatto di averli percossi.

“Ok, ora basta, bimbi, non ho la pazienza del vostro mentore! Volete aiutare Camus sì o no?”

“Co-cosa?” chiesero entrambi i due allievi, sbattendo le palpebre e guardandolo con espressione stranita.

“Sono qui per questo!”

“Significa che… ci darai una mano?” chiese conferma Isaac, ancora incredulo. Elisey che voleva aiutare, quando se ne era sempre fregato, era una cosa che puzzava, ma non era il momento per farsi domande.

“Io posso indicarvi la zona in cui si trova Camus e condurvi là, il resto dovrete farlo voi, distruggendo Zima Siyaniye...”

“Zima Siyaniye?” volle un’ulteriore conferma Isaac, gli occhi attenti e il cuore a mille per l’impazienza.

“Sì, il mitico canide, maledetto, che provoca questa perenne endemia… se spazzerete via lui una volta per tutte, forse ci sarà una piccola speranza di rompere il ciclo!” disse, un’insolita luce negli occhi neri che brillarono sinistramente. A quella strana variazione di luminosità Isaac non ci diede peso, del tutto intenzionato ad aiutare il mentore, ma Hyoga, forse più attento, assottigliò le labbra.

“Spazzarlo via… è lui che si diverte a causare tutto questo e ad uccidere i figli di Siberia?” domandò ancora Isaac, quasi ringhiando.

“Oh sì, lo fa da oltre 250 anni, da quando lui, anche se si dice fosse una lei, ha causato la caduta di Bluegrad, la Leggendaria e, insieme, lanciando sul popolo della Siberia l’Anatema delle rovina”

“E’ stata… lei, quindi! Non so per quale ragione, ma un comportamento simile è imperdonabile! E’ un mostro che vive sulle disgrazie degli innocenti, lo estirperò dalla radice! - sibilò a denti stretti Isaac, furente, prima di proseguire – E Camus è andato da solo ad affrontarla, ma non sarà solo ancora per molto, lo aiuteremo noi, a tutti i costi!”

Hyoga era rimasto un po’ in disparte in tutto quel discorso, rimuginava sulle frasi di Elisey, percependone una certa discrepanza che lo impensieriva. Zima Siyaniye… così si chiamava il grosso canide che, sua madre glielo aveva raccontato da piccolo, con le sue corse nella steppa produceva il fenomeno dell’aurora boreale, e ora saltava fuori che era un essere malvagio, che aveva maledetto i figli di Siberia con quell’Anatema, e che, per quello, neonate come Avrora, prive di colpe, stavano patendo un dolore insopportabile, un po’ come il Peccato Originale del Cristianesimo...

Quella consapevolezza lo fece sentire oltremodo a disagio. No, non poteva essere, c’era qualcosa che non tornava, lo stesso Elisey sembrava volutamente ambiguo, ma… perché?

“Perché hai mandato proprio Camus, là?! Dici che serviva un Evocatore, perché quindi spedire lui?! Conosci il suo senso del dovere, sapevi che si sarebbe precipitato là, incurante dei rischi, e sai che darà il massimo, anche oltre, per fermarlo!” volle ancora sottolineare Isaac, non dandosi pace per la decisione di Elisey di mandare Camus a rischiare la vita.

“Lo sapevo, sì, conosco bene quel ragazzo...”

“Rischia la vita, Elisey!”

“Lo ben so!”

“E allora perché diavolo…?!”

“...Nondimeno, è l’unico che può fare qualcosa di concreto per queste genti, gli Sciamani Evocatori non esistono più, si sono estinti, le persone hanno smesso di credere agli spiriti superiori, affondando le proprie certezze nella Scienza, nello Sviluppo e nelle Industrie… il mondo sta cambiando troppo velocemente, la Natura non riesce più a seguire i ritmi umani, di questo passo avverrà un cataclisma...”

Spiegò Elisey, una nota malinconica nella voce e negli occhi, che tuttavia nascose subito. Hyoga, quella nota, la acciuffò con il suo sguardo, per Isaac invece, non abituato a cercare di comprendere chi non gli andasse a genio, avulso dal forte desiderio di raggiungere Camus, passò inosservata.

“Ad ogni modo stiamo continuando a perdere tempo, voglio sentirlo dalla vostre voci: volete aiutare il vostro mentore, o no?!”

“Certo!!!” risposero i due allievi all’unisono, più pronti che mai.

“Molto bene, spero per voi sarete determinati in battaglia così come lo siete con i vostri sguardi, vi servirà!”

Isaac e Hyoga annuirono di nuovo, risoluti, ma a loro si aggiunse una vocina, rimasta in silenzio fino a quel momento.

“V-vengo anche io...”

“Non se ne parla, Jacob, sei un fagiolo, ci saresti solo d’intralcio!” Isaac tranciò di netto ogni velleità del piccolo, fulminandolo con lo sguardo.

Jacob mise su il broncio, ma da buon Acquario come era anche lui, non si arrese, sostenendo fiero il suo sguardo.

“E’ la mia sorellina a stare male, e altri bambini, alcuni della mia età!!!” protestò, quasi saltando per farsi vedere più alto.

“E noi vi porteremo la cura, sconfiggendo quell’essere, ma tu non ti muovi di qui!”

“Io vi seguirò!”

“Non se ne parla neanche!”

“Ti comporti come il Maestro Camus!” si puntellò con i piedi Jacob, le guance gonfie.

“Non è vero, non mi sto comportando come...”

“E invece sì, vedi? Tale e quale a lui, stessa postura, non vuoi sentire ragioni...”

“Z-zitto, soldo di calcio, o...”

“...stesse parole utilizzate!” gli fece ancora linguaccia il piccolo, sorridendo sornione.

Isaac cercava le parole per ribattere, ma fu interrotto dalle risate di Hyoga, evento più unico che raro.

“Che ti ridi, tu?!?” esclamò, mezzo ridacchiando a sua volta, come se quella discussione avesse rinvigorito gli animi di tutti.

“Rido perché Jacob ha pienamente ragione, ti stai comportando come lui, vuoi impedirgli di venire perché lo consideri piccolo!”

Jacob mise le mani sui fianchi, sorridendo sornione come a dire: “visto? Mi da ragione!”

“Lui è piccolo, Hyoga… non è neanche in età scolare, e tu vuoi portarlo in una missione simile?! In un luogo che, da quanto mi avete detto, trasuda morte da tutti gli angoli?!”

“Hai ragione, è piccolo… - acconsentì il biondo, prendendolo in braccio – ma ci siamo noi a proteggerlo ed è un figlio di Siberia come me e te, anche se tu sei, per così dire, di adozione, comunque il significato non cambia. Questa è la nostra storia, in gioco ci sono le persone che amiamo e, per quelle, un essere umano farebbe di tutto!” disse saggiamente, con una intensità che Isaac non gli aveva mai visto, se non quando parlava della sua mama.

“E’ pericoloso laggiù, ci sono gli orsi polari che se lo divorano in un boccone...”

“Lo terrò in spalla, per tutto il tempo, non gli permetterò di scendere e staremo in guardia!”

“Camus non lo vorrebbe...” si oppose ancora Isaac, combattuto. Da una parte comprendeva il desiderio del piccolo, dall’altra aveva paura di mettere in pericolo le persone a lui più care. Non voleva in tutti i modi che si ripetesse un qualcosa di lontanamente simile all’ingiusta sorte di Lisakki.

“Camus non vorrebbe neanche che noi ci recassimo là, lo sai, vero? Una punizione non ce la toglierà nessuno, al nostro ritorno, ma… questo basta a fermarci?”

“No, certo che no… - sorrise Isaac, deponendo infine le armi, avvicinandosi poi al fratello e al piccolo, ancora tra le braccia del biondo, e permettendosi di accarezzargli la testolina – Allora ci penseremo noi a te, soldo di cacio, cerca di non esserci troppo d’intralcio!” lo punzecchiò, in tono comunque caldo.

“Farò del mio meglio, maestro!” esclamò vivace la piccola peste, alzando, in un gesto la mano destra, come a dire che aveva recepito. Isaac si ritrovò suo malgrado ad arrossire a quell’appellativo, mentre Hyoga riprese tiepidamente a ridacchiare, quasi disteso.

“Sei in tutto e per tutto il Maestro Camus, hai preso così tanto da lui! Posso chiamarti anche io così?!”

“S-stai, zitto, Hyoga!”

“Sì, maestro!

E scoppiarono tutti e tre a ridere, una boccata di ossigeno in mezzo a quell’ondata di distruzione che era causata da una creatura incattivita e mitica, probabilmente più forte di ogni altra cosa che avesse partorito la Siberia, forse incarnazione della Siberia medesima, come nelle leggende più antiche.

Anche Elisey sorrise tra sé e sé, mettendosi poi a picchiare per tre volte il bastone sul pavimento.

“Mi spiace interrompere il vostro siparietto, ma mi occorre farvi una domanda: come pensate di raggiungere la Kolyma? Come pensate di rintracciare il vostro maestro?”

“Con i piedi, con le slitte, con qualunque mezzo ci troveremo davanti, non lasceremo il Maestro Camus da solo, né ora né mai!” esclamò temerario Isaac, fiero del suo ruolo di leader che sia Hyoga che Jacob gli avevano riconosciuto. Era così galvanizzato che quasi le problematiche non lo scalfivano neppure.

“Ottimo piano, Signor Mentore, se non difettasse di un particolare: la Kolyma non è esattamente una cosuccia da niente, è grande quasi quanto la Francia intera e… selvaggia sopra ogni dire, neanche gli Husky possono resistere a lungo là, e non avete neanche un cane Laika, che vi possa difendere dagli orsi...”

“Agli orsi ci siamo abituati, l’importante è raggiungere quel luogo il più in fretta possibile e, per farlo, abbiamo te, Elisey, dico bene?” lo indicò Isaac, caparbio.

“Vedo che non ti piace proprio chiedere, Isaac, vai dritto al punto… - commentò Elisey, sbuffando, riaprendo gli occhi, segnati da alcune rughe per guardarli uno ad uno – Ad ogni modo sì, io conosco uno stratagemma che vi possa portare direttamente là, ma trovare… vivo… il vostro maestro, dipenderà dalla vostra bravura!”

A quella parola, pronunciata tra due lunghe pause, Isaac si rizzò, indignato.

“Certo che sarà vivo, Camus è l’uomo più puro e giusto che ci sia, non c’è nemmeno da dubitarlo!”

“Anche gli orsi polari di quel luogo sono piuttosto singolari rispetto a quelli a cui siete abituati qui, se continuerete a perdere tempo, ciò che dovrete reperire sarà solo qualche sparuto osso del fu amato Camus dell’Acquario. Qualunque essere umano, in quelle zone, è una renna priva di corna e piuttosto lenta, la preda preferita degli orsi, che se la spolpano in quattro e quattr’otto…. Se volete cercare il vostro maestro VIVO sarebbe meglio per voi andarvi a preparare e seguire parola per parola le mie indicazioni, chiaro?”

Isaac fremette ancora una volta, mentre Jacob si strinse spaventato a Hyoga, nascondendosi nell’incavo della sua spalla.

“Sai dove te lo puoi infilare il tuo umorismo nero, Elisey?! Prega piuttosto che Camus torni qui senza nemmeno un graffio, altrimenti vedi come ti concio io, altroché gli orsi che spolpano, di te non rimarrà proprio niente, neanche la polvere!”

“Andate a prepararvi, ragazzi irruenti!” tagliò corto lui, indicando le scale e uscendo poco dopo dalla porta, per rimanere a sostare poco fuori dalla piccola isba, che Camus aveva ereditato dal suo maestro Fyodor, l’amato fratello che Elisey aveva perso diversi anni prima. Dopo l’arrivo degli allievi, il Cavaliere Sciamano ne aveva fatto un nido intimo, un posto da chiamare casa, un rifugio.

Sorrise mestamente, tracciando con il palmo della mano una delle grosse travi in legno. Per un solo secondo gli occhi gli si inumidirono, prima di scacciare indietro i ricordi e dirigere il suo sguardo al sole morente. Il tempo per tentare il primo volo dei pulli era finalmente arrivato.

“Un guerriero che è nato per essere un Evocatore ma che rifiuta tutt’ora quel ruolo, i suoi allievi impazienti, che smaniano dalla voglia di essergli d’aiuto, non prestando sufficiente attenzione ai rischi e un piccolo figlio di Siberia che vuole salvare a tutti i costi la sua sorellina e gli altri bambini… ma che bel quadretto!” commentò ad un tratto, sollevando il capo in direzione del cielo plumbeo, mentre un vento freddo gli alzava i capelli con forza in uno strambo miscuglio di sensazioni. Pareva quasi una carezza, pegno dell’amore che lei aveva provato, ma anche una sberla, simbolo dell’odio che lei aveva comunque sentito come parte di sé, risultato della fiducia tradita che aveva donato agli esseri umani.

Eppure erano passati secoli dalla sua ultima apparizione fulgente, si era corrotta, sporcata, imputridita. Era stata dileggiata dalle genti che, un tempo, la veneravano, ed era ormai irriconoscibile, ma percettibile ancora per chi sapeva ascoltare, anche se la maggioranza degli uomini erano diventati sordi.

Il patto, il vincolo, era stato tradito, non poteva salvarla, non lui, che recava dentro di sé i germi del sangue dello spergiuro, non lui, ma forse… Camus, sì…

Elisey sbuffò ancora una volta, osservando per un attimo il suo bastone, che era decorato con delle piume bizzarre, di color celeste acceso, forse possedute, in passato, da un uccello altrettanto mitico. Due gliele aveva regalate a Camus prima della partenza, raccomandandosi di indossarle come orecchini, lo avrebbero protetto e, forse, lei lo avrebbe riconosciuto proprio grazie a quelle.

“Ti ho preparato proprio una bella scacchiera, eh? Ogni pedina ha una propria volontà, sarà impossibile predire cosa accadrà, quali scelte porteranno dove… - sospirò, battendo di nuovo il bastone sul permafrost, solido come non mai – Sarà davvero interessante assistere ai prossimi avvenimenti futuri, non lo pensi forse anche tu, Zima, vecchia amica mia?”

 

 

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Ed eccomi infine qua, come promesso, a pubblicare il primo dei capitoli speciali della Sonia’s side story che, come ho scritto nella Melodia della Neve, vede vistosi parallelismi con il cap. 8 della terza storia, dal titolo Nero Priest :)

Chiedo scusa per il ritardo nella pubblicazione, questa storia è ferma da più di 6 mesi, ma, come vi ho già detto, c’era bisogno di pubblicare prima altri capitoli di altre storie, e quindi l’ho messa nel Limbo fino ad ora.

Non starò ad elencarvi i parallelismi che ho messo, spero si notino da soli, ma devo ugualmente precisare alcune cose di dovere, spero di non annoiarvi troppo.

Dunque, partiamo dalle ispirazioni più corpose, che sono in effetti due: Final Fantasy X e un libro, che si vedrà meglio nel prossimo capitolo, intitolato “I Diari delle Kolyma” di Jacek Hugo-Bader (urrà, la Laurea in Storia finalmente mi serve a qualcosa! XD).

Di Final Fantasy X ho preso spunto per la faccenda del male ciclico, anche se qui è sotto forma di Endemia, e per la questione degli Evocatori, che nella mia storia sono Sciamani; nella parte iniziale vengono citati anche i “Guardiani” anche qui presi come spunto sempre dal gioco per Playstation, ma ci sarà tempo più in là per approfondire.

Del libro, invece, in questo primo capitolo il riferimento è giusto appena accennato (ho fatto convergere le origini di Hyoga nella Kolyma), si vedrà molto di più nel prossimo capitolo sia come modalità di scrittura (la prima parte del racconto DOVREBBE, se riesco, essere narrata in prima persona da Camus), sia dal punto di vista descrittivo, ma mi sembrava giusto citarlo già qui e già ora. :)

Veniamo alle altre questioni, che sono essenzialmente due: Elisey e Zima Siyaniye.

Chi è veramente Elisey? E’ già stato detto in altra sede, che è fratello di Fyodor, il maestro di Camus, ma… è buono o è cattivo? Quali intenti ha? Perché parla di distruggere Zima Siyaniye ma poi si rivolge a lei in quel tono cordiale, come ad una vecchia amica? Perché spinge Isaac e Hyoga a raggiungere il loro maestro? E, ancora, disprezza Camus, ma ha fiducia in lui… è davvero un tipo ambiguo!

E Zima Siyaniye? La lasciamo nel 1741, come titolo di una delle mie fic, come amica di Seraphina, un essere puro e immacolato e ora si scopre che causa una endemia ciclica… sarà vero? E’ davvero così? Ha fatto cadere Bluegrad, trasmettendo il male a tutti i figli della tundra e della steppa? Cosa aspetterà Camus alla Kolyma? Elisey ha detto anche a lui queste cose cattive su Zima? (ve lo anticipo, sì, ma… perché???).

Dovrei aver finito con le domande prive di rispose! XD Avrei molto da dirvi e raccontarvi, ma, per il resto, preferisco che leggiate voi e che arriviate ad una vostra conclusione, se volete discorrerne io sarò ben felice di rispondere alla recensioni! Alla prossima, sperando che anche questo capitolo vi possa piacere!

 

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Capitolo 14
*** L'Anatema della rovina (seconda parte) ***


Capitolo 14: L’Anatema della rovina (seconda parte)

 

 

N.B: Il capitolo è piuttosto corposo e lunghetto, pari solo, forse, al capitolo 37 di Sentimenti che attraversano il tempo, ma può essere diviso agevolmente in due parti, la prima, narrata al presente dal punto di vista di Camus, la seconda nuovamente al passato. Buona lettura a tutti!

 

 

Neksikan, chilometro 651 della strada della Kolyma, 4 febbraio 2008

 

 

Il mio sguardo sconfortato, vittima della desolazione dello stesso luogo, è catturato da una zona di terreno congelato completamente rivoltata, come tomba scoperchiata e abbandonata alle intemperie. Lentamente mi avvicino, accucciandomi e cominciando a raspare sul duro permafrost, rompendo il ghiaccio più resistente grazie al tacchetto delle scarpe. Finalmente ciò che aveva attirato precedentemente la mia attenzione, viene fuori alla debole luce, permettendo alle mie dita, un poco tremanti, di entrarci in contatto. Occorre non poca attenzione per disincrostarla senza danneggiarla più di quanto già non sia, ma riesco nel mio intento, alzandomi poi in piedi nel guardarla. Un velo di tristezza sento scaturirmi spontaneamente dal cuore.

Una foto sbiadita in bianco e nero. Un ricordo di qualcuno. La morsa sul mio cuore si fa per un attimo più accesa, prima di assopirsi.

Me la rigiro tra le mani nel tentativo di riesumare più informazioni possibili. Sul retro c’è una vecchia scritta che recita: “21 Dicembre 19… Nina e la sua f...miglia, con affetto, i nonni Pi… e Kl...” il resto è illeggibile, danneggiato dal fuoco. Torno ad osservare i soggetti raffigurati. Volti sorridenti, che tengono in braccio una bambina di un paio d’anni che guarda la fotocamera e la indica con il ditino. Frammento incastonato nel tempo, fossilizzato, reso imperituro nell’esatto momento in cui il fotografo ha premuto il tasto.

E sono rimasti ancora qui, immobili, congelati, come questo villaggio.

Non conosco i soggetti, non ho informazioni per stabilire una datazione corretta e precisa, ma… sospiro, osservando ancora il sorriso eterno con cui mi scrutano nel loro mondo fatto di immobilità: la madre tiene la bimba da sotto le ascelle, le sue labbra sono piene, emanano una gioia indescrivibile; indovino, data la tonalità del nero, che abbia i capelli corvini, il marito invece stringe la mano destra della piccola, sembra più contenuto nei modi, ma ugualmente felice, gli zigomi sono sollevati in una manifestazione di serenità, i capelli certamente chiari, probabilmente sul biondo, forse qualcuno già tendente al bianco. Le loro bocche sembrano sussurrare un “saluta i nonni” che fa scoppiare, di riflesso, la bambina in una sonora risata.

Una nuova fitta al cuore mi investe, come se l’intensità del ricordo colpisse anche me. La lascio scivolare via, obbligando il mio essere a ricondursi alla calma. La mano si abbassa istintivamente, pur stringendo sempre la presa sulla foto. Guardo nuovamente i dintorni.

Non c’è altro che desolazione qui, scheletri di case, un tempo piene di vita, spazzate via dal fuoco e, ancora prima, dagli uomini… terreno smosso, divelto, come se il grembo della terra fosse stato stuprato in profondità per poi essere lasciato lì, nudo, a cielo aperto, tributo oltraggioso e temerario di uomini che probabilmente si credono padroni dell’intero mondo, al punto di decidere arbitrariamente cosa è necessario lasciare e cosa invece far scomparire dalla faccia della Terra in base ad un unico, scellerato, criterio: l’utile.

Abbandonato, vacuo… un luogo che, un tempo, era gremito di vita, e che ora invece reca con sé solo il vessillo della profanazione, e che presto scomparirà, sommerso dalle bufere quasi perenni che, lentamente, ma con costanza, copriranno questo posto per sempre.

Neksikan è ormai un zamerzshaya derevnya, uno dei tanti villaggi congelati che, una volta terminata la sua funzione di approdo dei giacimenti auriferi, essendo collocata sopra una riserva aurifera, ora esaurita, è stata semplicemente abbandonata al suo destino: gli abitanti trasferiti, le case distrutte, le strade divelte, e poi... incendiata, per farla scomparire dalla vista. Il ghiaccio ha fatto tristemente il resto.

Per tutto il territorio della Kolyma sono diverse centinaia, forse anche di più, i paesi che hanno condiviso questo tetro destino, del resto, è così anche per le cose e le persone, perché mai dovrebbe essere diverso per un villaggio? Non sei più utile allo scopo? Alla causa? Devi sparire, non rimarrà nulla di te. Per molti esseri umani questo è il criterio assoluto, vale per gli oggetti, come per le relazioni. Una cosa rotta si butta, non si prova ad aggiustare, sarebbe solo una perdita di tempo. Si lascia. Si va avanti. Si rimuove.

Andare avanti è giusto, mai lasciarsi soverchiare dal passato, eppure l’interscambiabilità di ogni cosa, di ogni persona, mi spaventa, così come la facilità all’annichilimento dell’altro. Sospiro, scrollandomi via anche questi pensieri, deve essere il luogo a rendermi così malinconico, più di quanto già non sia.

I miei passi sul permafrost producono uno scricchiolio sinistro, mi dirigo verso ciò che rimane di un muro perimetrale di una vecchia casa, passata dal fuoco e ormai diruta. Mi chino di nuovo, rompendo il ghiaccio nuovamente con il tacchetto prima di scavare una piccola buca ben profonda, posarci la foto e ricoprirla con cura. Le mie dita raschiano sul terreno indurito dal ghiaccio, ma tempo pochi minuti e la foto è tornata al luogo che le spetta di diritto. Mi rialzo, un vento gelido mi muove i capelli e il mantello mentre contemplo un’ultima volta ciò che rimane di un paese un tempo gremito di vita. Trovo infine il coraggio di voltarmi e ritornare così sulla strada, riprendendo la via per cercare e trovare Zima Siyaniye, colei che nei tempi antichi veniva soprannominata “il Vento del Nord”, e che ora, pare, sia la causa primigenia di questa endemia che colpisce i Figli di Siberia a cadenza regolare.

E’ giorno, ho ancora qualche ora di luce davanti a me, ma le ombre già si allungano e sembrano avvolgere i dintorni, gli alberi, persino le rocce, con le loro dita oblunghe e sottili.

Solo nel Nord della Siberia, in inverno, c’è una luce come questa. Sembra quasi che lo spazio e l’aria abbiano un colore, è difficile persino da descrivere, se non lo si vede con i propri occhi, ed io non posso definirlo in altro modo che prendendo in prestito un’espressione di una poesia di Pascoli: ‘tenebre azzurre’. Ecco, le tenebre azzurre sono intorno a me, malgrado il sole ancora sopra l’orizzonte. Sono avvolto da questo celeste imperituro, come quando si è sott’acqua in una piscina all’aperto, poco dopo il tramonto. Lì è il cloro a creare quella dissonanza frastagliata di celeste, qui l’atmosfera; è l’atmosfera qui a vibrare, possedendo una trasparenza incredibile, ma minacciosa, sinistra, una sorta di sfumatura di blu, eterea ed implacabile al tempo stesso.

Mi giro ancora una volta, l’ultima, a vedere il villaggio che si distingue appena, così assediato dai ghiacci, un ultimo sussurro di malinconia, prima di girarmi senza più alcuna esitazione.

“Il tempo stringe, devo sbrigarmi! Avrora e gli altri bambini hanno bisogno di una cura urgente” dico tra me e me, cercando di farmi coraggio e ricacciare indietro la stanchezza che purtroppo si fa già sentire.

Sono giunto qui alla Kolyma partendo da Magadan, sul Mare di Ochotsk, la capitale, poiché è da lì che si contano i 2025 chilometri che compongono la strada federale della Kolyima -anche se in alcune parti non è nulla più che una pista!- che arriva fino a Jakutsk, la città che viene detta la più fredda del mondo, anche se sarebbe più corretto dire, forse, per rendere l’idea, la meno vivibile del pianeta, dato l’immenso divario termico tra l’estate e l’inverno causato dal rigido clima continentale.

Io ne vengo dalla città più a nord del mondo, Pevek, nel circondario autonomo della Cukotka, dove gli inverni sono stemperati dalla vicinanza al Mare della Siberia Orientale, e le estati più fresche ad opera dello stesso.

Il mio obiettivo è ben saldo nella mia mente, non faccio che ripetermelo passo per passo su questa strada lastricata di ghiaccio, è il mio cuore a non essere completamente sereno, non del tutto convinto dei modi da attuare affinché questo scopo venga perseguito. C’è qualcosa che non torna, più proseguo nel mio cammino più ne sono convinto, ma… cosa?

Elisey mi ha schiettamente ordinato di trovare questa creatura malvagia, chiamata Zima Siyaniye, e distruggerla completamente, in modo che l’Anatema della rovina cessi di mietere vittime tra i bambini e venga così spezzato il ciclo. Lo ha sottolineato più volte, ripetutamente, con quella strana luce negli occhi, che è l’unico modo, ma… rimuginandoci da quando sono partito, mi è sovvenuto anche del racconto che Hyoga mi aveva narrato quando era ancora un bambino. Gli era stato riferito come favoletta dalla madre, e lui ne era entusiasta, carpito da quelle descrizioni con cui la creatura era stata tratteggiata. Io, in principio, non ci avevo dato troppo peso, attribuendogli lo spessore scrittorio di una mera leggenda, tuttavia la descrizione che ne ha fatto Elisey combacia su tutti i particolari con quelli del mio allievo, meno uno.

La creatura mitizzata da Hyoga è sostanzialmente un canide buono e giusto, dal manto fulvo di color celeste, legato al bene; quella di Elisey, invece, pur mantenendo i connotati fisici identici, è avulsa dal male nero, putrida, malvagia, portatrice di rovina, eppure… persino dalle sue parole spietate, dai suoi occhi neri che emanavano scintille inquietanti e dalle labbra ispide, ho come percepito una discrepanza tra il significato e il significante, una sorta di amore e odio che in Elisey, così lontano dagli standard del mio amato maestro, non avevo mai percepito.

Zima Siyaniye… al di là del proverbiale “Vento del Nord”, che ha origini persino più antiche, in russo è così che viene definita l’aurora, lo splendore invernale, per l’appunto, o anche il meraviglioso luccichio della notte più buia. Per secoli è sempre stata motivo di rassicurazione per gli abitanti della tundra e della steppa, quasi la promessa del sole di ritornare, regalando lo spettacolo più bello visibile a queste latitudini… perché ora dovrebbe essere diverso? Perché ora la creatura che rappresenta la grande, immensa, Aurora del Nord, dovrebbe essere spietata?! Perché causare un’endemia di simili proporzioni per punire i propri figli; i figli della Siberia, punirli per cosa?

Per aver infranto la promessa, figliolo, per aver deluso le sue aspettative. Successe molto tempo fa, un giovane uomo infangò il giuramento preesistente con la creatura, essa reagì con la perdizione eterna della città, causandone la sua rovina. La sua sventura permea ancora questi luoghi dilagando a cadenza regolare e ciclica, provocando vittime tra i figli di tutti coloro che, un tempo, appartenevano al popolo di Blue. Il nome della città eternamente dannata è Bluegrad, la Leggendaria, un luogo importante per gli Sciamani. Non sai dove si trova, vero? Non crucciarti, è normale, in inverno restano visibili solo pochi, sparuti, brandelli di muro, è in estate che ritorna ad essere visibile, perché il ghiaccio, che l’ha distrutta, la preserva ancora. L’ubicazione è remota, irraggiungibile, forse anche per questo è considerata sacra, una meta di pellegrinaggio. Ricorda il suo nome, Camus; il nome di una città morta, che un tempo risplendeva...

Le parole di Elisey mi risuonano in mente, con quel suo tono strascicato e apparentemente privo di calore, eppure una sfumatura di tristezza l’ho percepita anche io, è giunta al mio cuore che, al solo udire quel nome, ha perso un battito. E un altro ancora.

Bluegrad, la Leggendaria…

Mi poso una mano sopra il petto pesante e un poco affannoso, tentando di scacciare l’ennesimo giramento di testa che mi ha colto nel ripensare a quella città che per me dovrebbe essere sconosciuta, ma che al solo riproporsi alla mia mente, mi fa salire un magone crescente. Sono costretto a placarlo con respiri profondi proprio nel torace, dove si attorciglia, facendomi ancora più male. La dolcezza di quel suono, Bluegrad, mi spinge quasi alle lacrime, che rifiuto categoricamente, volgendo il mio pensiero ad altro.

Non c’è comunque modo per estrapolare informazioni dalla gente di qua, ci ho provato a Magadan, non ne sanno nulla, né di Zima né di questo male, i bambini sembrano stare bene, non si sono verificati episodi insoliti. Ci ho provato anche a Debin, ad Jagodnoe, ma tutti sembrano affaccendati nella ricerca dell’unica ragione per cui si trovano qua in massa: l’oro dei giacimenti auriferi. Pochi pescatori, poca gente per bene... la maggior parte degli uomini che ho incontrato sono cercatori, delinquenti, alcolisti, qualche medico, molti razziatori, che privano i paesi in stato di abbandono, o che stanno per essere “congelati”, con le loro scorribande, assolutamente privi di morale, disposti a tutti pur di fregare il prossimo.

“E il problema sarebbe Zima, Elisey… mi hai mandato in un posto timorato dagli dei, disseminato di morti, pregno di malvagità, dicendomi che il fulcro di tale principio oscuro è la creatura, ma io, qui, non trovo altro che esseri umani della peggior specie, vuoi farmi credere che è stata Zima a ridurli così?” mi interrogo ad alta voce, come mi capita soventemente. Ci sono solo io in queste lande sperdute, mi aiuta a schiarirmi le idee.

Qui nessuno sa niente, ognuno è dedito alle proprie faccende, ai propri egoismi. Non so bene dove devo andare, ma sono piuttosto sicuro di dover continuare su questa strada, e che le risposte giungeranno presto. Lo sento.

Torno quindi sulla strada principale, una striscia d’asfalto sommersa dal gelo, piena di buchi, fosse che recano disturbo non solo al viaggiatore che procede a piedi, ma anche alle poche autovetture che si avventurano su questa via desolata. Sono principalmente camion per i rifornimenti e poco altro, se si è fortunati ne possono passare 5 o 6 nell’arco di tutta la giornata, spesso l’unico modo per procedere è l’autostop, ma io sono avvantaggiato, sono abituato a camminare senza stancarmi e posso contare sulla velocità della luce per spostarmi da una località all’altra, in cerca di informazioni che fatico a reperire. Maledizione, il tempo stringe, ma non posso permettermi di farmi avvolgere dall’ansia e sragionare, preda delle troppe emozioni, ne va della salute di quei piccoli, devo sforzarmi di mantenermi più distaccato possibile, solo così potrò trovarla!

Sono a buon punto, ormai, dovrei proseguire per Ust-Nera, continuando a fiancheggiare queste montagne quasi perennemente ghiacciate ancora e ancora, senza mai fermarmi, non sono permessi passi falsi e…

“Uh?”

Mi lascio scappare un mormorio sommesso nel distinguere in lontananza, proprio lungo l’asfalto, una figura in movimento. Sulle prima penso trattarsi di un orso, o un alce, o ancora un cane inselvatichito, poiché qui ce ne sono tanti, ma poco dopo mi rendo conto che ha sembianze del tutto simili alle mie, cammina in postura eretta. Un… essere umano? Qui, vicino a Bolsevik? Con le tenebre che stanno calando sempre di più?

Mi avvicino il più discretamente possibile, gli occhi fissi sui suoi movimenti, cerco di definire ogni suo più piccolo passo, ogni gesto, ogni particolare della sua figura.

E’ una donna avvolta da una pesante pelliccia, imbacuccata dalla punta dei piedi fino ai capelli, che ricadono parzialmente fuori dal cappuccio in leggere ciocche bionde. E’ all’angolo della strada, continua a muoversi per non morire assiderata, è evidente. Le mani, prive dei guanti, sono tenute vicino alla bocca alla disperata ricerca di un calore che le viene sottratto. Non si è ancora accorta della mia presenza, ciò mi permette di compiere ancora qualche passo, pur mantenendo una certa distanza.

Assottiglio le labbra, socchiudo le palpebre, capisco. Intuisco il suo mestiere dalla gonna corta che indossa, nonché dai collant spessi ma.. particolari... per non parlare dei tacchi alti che la slanciano ancora di più. E’ fuori da ogni logica girare con quel tipo di scarpe in queste lande ghiacciate, come è fuori da ogni logica aggirarsi qui, lei, una donna, con il maschilismo che regna sovrano in questi luoghi e gli innumerevoli pericoli, come gli orsi, oltre che ai malviventi.

Sospiro. Questo incontro avrei preferito evitarlo, mi rallenterà ulteriormente, più di quanto non faccia la stanchezza, ma non posso lasciarla qui, da sola, non è un comportamento da Cavaliere e nemmeno da uomo.

“Non dovresti… essere qui!” le dico in tono confidente, fermandomi sui miei passi, a distanza per non spaventarla e per farle capire che non ho cattive intenzioni.

Lei sussulta, voltandosi verso di me e spalancando la bocca, incredula. Si immobilizza, mantenendo le labbra, colorate con un rossetto viola fin troppo scuro, aperte nel vuoto, quasi boccheggiante davanti alla mia figura.

Non aggiungo nient’altro, limitandomi a contraccambiare la sua espressione con una più neutra possibile. Ci fosse Milo le regalerebbe un sorriso dolcissimo, invitandola a seguirla, ma io non ne sono capace, non so come potrebbe reagire lei, senza contare che non riesco ad essere così aperto con una sconosciuta, sebbene, data la sua situazione, mi faccia quasi tenerezza.

Lei continua ad osservarmi con gli occhi azzurri, chiarissimi, due pozze di due laghi, ma le palpebre sono eccessivamente truccate per i miei gusti, porta persino delle ciglia finte, che rendono ancora più grandi le sue iridi che non avrebbero di certo bisogno di simili espedienti per folgorare un uomo. E’ una bella ragazza, d’altronde, non comprendo perché si sia ridotta così, in un posto simile, ma non mi sembra comunque il caso di indagare, del resto non sono affari miei.

Dopo una lunga pausa di sguardi, vedo le sue pupille passare dal mio volto al busto, scendendo sempre di più e soffermandosi…

Mi nascondo istintivamente il ventre con una mano, maledicendo Elisey per avermi affibbiato un costume simile.

Uno Sciamano deve essere più vicino possibile alla natura! L’ombelico è situato, come ben sai, in posizione mediana sull’addome, è un punto centrale di accumulo delle energie psico-fisiche, nondimeno è la prova di essere venuti al mondo, la prova stessa di essere esistiti. Un Guaritore si adopera in favore della vita per mezzo del tocco e del respiro, principali vettori per trasmettere le proprie energie e cure alla persona che ha bisogno di aiuto. Ragazzo, non temere di mostrare il tuo fulcro vitale, non temere di mostrare il tuo ventre, sei uno Sciamano, devi recare in te sia il Maschile che il Femminile! Tu solo hai la capacità di generare qualcosa dal nulla, non sto esagerando, prima o poi capirai cosa intendo...

Al diavolo i tuoi sproloqui, Elisey! Ero tanto a mio agio con la tenuta di addestramento! Non certo con questa sorta di… di… non lo so nemmeno io!

La ragazza, grossomodo della mia età, o poco più grande, sembra finalmente ridestarsi, la vedo scrollarsi per darsi un tono, ricordandosi di chiudere la bocca. Finalmente i suoi occhi smettono di guardarmi là sotto, risalendo nuovamente sul mio viso.

“Beh… che dire, non mi aspettavo che, tra di voi, ce ne fossero di così belli...”

“Come, prego?”

“Mietitori… - mi accontenta, placida, imbacuccandosi ancora di più nella pelliccia, deve avere molto freddo… - Sono morta, vero? Ipotermia, oppure… ci sono quasi, e tu mi sei venuto a prendere!”

“No, guarda, io non sono venuto a prendere nessuno, mi devo recare verso Ust-Nera e da lì proseguire ulteriormente, ho una ragione molto importante per muovermi...”

“Oh, devi mietere altre anime oltre alla mia?”

Sospiro rassegnato, evidentemente pensa davvero di avere le allucinazioni e mi deve catalogare come tale. Che fare? Per il momento, è meglio che continui a parlare e a muoversi, il clima di questi luoghi non perdona e a giudicare dalle sue mani bluastre, le estremità del suo corpo stanno già cominciando a congelarsi.

“Cosa fai qui? E’ pericoloso!” provo a chiederle, tentando di stabilire un primo, dialogo.

“Oh, diciamo che il mio ultimo cliente non era proprio un galantuomo e, una volta fatto il lavoro, mi ha lasciato qua in mezzo al nulla, portandosi via anche i miei guanti che avrebbe poi regalato alla moglie, così mi ha detto, prima di mollarmi su due piedi” mi dice in tono neutro, quasi fosse un trattamento normale nei suoi confronti. Nel dirlo, mi mostra proprio le mani come a dimostrare la veridicità delle sue parole.

Devo agire in fretta, lo capisco con un unico, attento, sguardo. Posso ancora fare qualcosa contro il gelo che le si sta avvinghiando, ma il tempo è prezioso, più minuti passano più perderà l’uso delle stesse a partire dalle dita. Non ho altri vestiti con me per riscaldarla, se ci fosse sempre Milo, al mio posto, non esiterebbe un secondo, saprebbe già come agire per… fermare il congelamento e, probabilmente, fare anche qualco’altro.

Sorrido tiepidamente, mentre il viso del mio migliore amico si fa strada, per un secondo, nella mia mente, facendomi percepire per un attimo, come fitta acuminata, la sua mancanza. Da quand’è che non lo vedo, un anno? Di più? E la piccola Sonia? Come se la staranno cavando Isaac e Hyoga, si staranno allenando all’isba? Scaccio in fretta quei pensieri, anche se mi riscaldano il petto.

Con una leggera torsione del busto, prendo tra le mani il mantello, più lungo dietro che davanti, e mi soffermo un attimo a pensare sul da farsi. Elisey mi ha detto che è fatto di un materiale speciale, introvabile in natura, o meglio, nella natura di questa dimensione chiamata Terra, ha specificato, in tono enigmatico, sbigottendomi, anche se dovrei essere ormai avvezzato alle sue frasi strampalate da vecchio squinternato. Pare che conservi il calore come nessun altro abbigliamento. Non dovrei quindi sgualcirlo, figurarsi strapparne un lembo, ma se non faccio qualcosa le mani di questa ragazza rischiano di…

Improvvisamente avverto qualcosa di gelato posarsi sul mio addome, premendo un poco sopra l’ombelico prima di salire con l’intento di levarmi il mantello. Mi irrigidisco di colpo, prima di scostarla da me con gesto delicato ma fermo al tempo stesso. Se nella pratica riesco ad essere sufficientemente tollerante, lo stesso non posso dire nel tono e nella mia espressione che, perentoria, si imprime nella sua:

“Che diavolo fai?!” esclamo, secco, cercando di mascherare il rossore delle mie guance dietro un tono più alto del normale. Automaticamente le mie mani corrono a difendere la zona scoperta. La ragazza mi fissa con espressione stranita, indietreggiando di un passo.

“Oh? Pensavo che dal tuo modo di vestirti fossi un tipo caliente, uno di quei clienti focosi, che bramano qualcosa di più nella performance. Volevo toglierti quell’impiccio di dosso, anche se ti rende dannatamente sexy e misterioso, e partire così dall’alto, ma forse… hai altre preferenze?” mi sorride maliziosamente lei, tentando un nuovo approccio. Ho giusto il tempo di capire a cosa stia alludendo, che la avverto di nuovo su di me. Stavolta non perde tempo a salire, va direttamente sotto, tra le due cosce. Sussulto, prima di scansarla per la seconda volta con gesto delicato ma ugualmente deciso e allontanarmi io da lei, di tre passi.

“Non ci siamo capiti...”

“Sembri un tipo difficile… dov’è la tua vettura? Ti va se ci spostiamo al caldo? Dopo farò tutto quello che vuoi!” riprende lei, guardandosi intorno alla disperata ricerca di un rifugio dove riscaldarsi e attuare le sue pratiche, convinta di avere un cliente davanti. Sospiro, ricercando difficoltosamente le parole per farle capire che non sono qui per questo.

“S-solo sbrighiamoci, c-comincio ad avere davvero troppo freddo per...” inizia lei, tentando il terzo assalto su di me, ma stavolta la fermo anzitempo, bloccandola per le spalle prima che lei mi possa toccare di nuovo.

“Non ci siamo capiti, non sono qui per richiedere i tuoi… servigi… non sono quel tipo di uomo!”

“E allora sei davvero un Mietitore, un...”

Non le lascio il tempo di finire la frase, semplicemente prendo le sue mani con gesto impacciato, avvolgendole poi con l’estremità dietro del mantello e trattenendole lì, per riscaldarle. La ragazza continua a guardarmi, sempre più sconcertata dai miei atteggiamenti, prima di scendere con gli occhi di nuovo sul mio addome e sostarci a lungo.

Faccio finta di niente, sebbene le sue continue occhiate al mio ventre mi mettano profondamente a disagio. E’ di gran lunga troppo vicina al mio corpo, i suoi occhi azzurri sembrano sondarmi centimetro per centimetro, ma almeno le sue mani sono ferme ora, si stanno scaldando, tra le mie.

Una ragazza così giovane, sfruttata probabilmente da altri, che svilisce la sua vita, il suo corpo, al punto di non curarsi di rischiare l’ipotermia e proseguire a fare le funzioni per le quali è stata iniziata. Ha detto che il suo ultimo cliente l’ha lasciata qui, ma ne ha parlato come se fosse una cosa normalissima e questo… questo non lo posso accettare, nessun essere umano dovrebbe avere una considerazione così bassa di sé stesso!

“Come ti chiami?” le chiedo, cercando di addolcire il mio tono.

“E-eh?”

Sembra incredula persino di udire domande normali, abituata come è ad agire solo come un oggetto sessuale, o poco altro.

“Il tuo nome...”

“Ta-Tamara!”

“Bene, Tamara, dove eri diretta prima di… di essere lasciata qui?”

“Non ho una direzione… non ce l’ho da un po’, la mia vita è ricolma di caos e confusione...” mi risponde, arrossendo un poco e discostando lo sguardo.

“Quanti anni hai?”

“22...”

Tre più di me, anche se con quel trucco sembra molto più grande, eppure, lo vedo bene dai suoi occhi ora che ce l’ho così vicina, deve averne passate di cotte e di crude e aver visto già le brutture della vita.

“Sei giovane, per non avere una meta dove andare...” commento, sempre in tono cordiale, mentre, al limite dell’imbarazzo, le sfrego le mani per accelerare il riscaldamento. E’ un qualcosa che Camus dell’Acquario non farebbe mai, ma non è quello il mio ruolo ora, non qui. Mi sforzo di essere un poco più come Milo, almeno dal punto di vista umano.

“Qui, o lì… non cambia, intanto mi trattano tutti in ugual maniera, ovunque vada, nella Kolyma, sono riconosciuta come la prostituta di Susuman, questo è il mio scopo, null’altro!”

“E desideri continuare così?” le chiedo a bruciapelo. I suoi occhi azzurri si spalancano per lo stupore, e la vedo la luce che scorga dal fondo. C’è ancora speranza per lei, per il suo futuro, basterebbe allontanarsi da qui, ricominciare da principio. Può ancora farlo...

“Non… non sono avvezza a seguire i miei reali desideri, mi considero già spacciata...”

“Ne vieni da Magadan? O da Susuman?”

“Magadan...”

“E dove vorresti andare?”

“Non ho… speranze… di andare da qualche altra parte che non sia qui!”

“Non ha importanza, dove vorresti andare?” le chiedo ancora, serio in volto.

Gli occhi della ragazza si fanno lucidi, il suo corpo trema per qualcosa che non è il freddo. Davvero non è abituata a così tante domande e interessamenti sulla sua persona, è lampante. Esita un po’, prima di rispondermi ancora.

“Se solo potessi andrei via... via da qui, a Mosca, ho ancora uno zio là, il fratello minore di mio padre, ma… non ho abbastanza soldi!”

“Ho capito… - ancora una volta è la mia voce a catturare il suo sguardo, che ora mi sembra smarrito come quello di una bambina – Chiudi gli occhi!” le consiglio, prima di farle appoggiare la fronte contro la mia spalla e avvolgerla con il mio cosmo dorato.

E’ il suo turno di irrigidirsi, forse non abituata ad un gesto simile, mentre i contorni dell’ambiente scompaiono per riapparire sotto un’altra forma. Nel giro di mezzo secondo arriviamo nel luogo designato, la lascio libera e la vedo incespicare nei piedi, mentre, confusa, si guarda intorno, spaesata. Finalmente i suoi occhi sembrano riconoscere un qualcosa in lontananza, ma questo non la aiuta a tranquillizzarsi, la agita ancora di più. Non le posso dare torto…

“Ma quella… QUELLA! No, non è possibile, non...” mi fissa, sconvolta. Una ragazza normale, probabilmente, sarebbe scappata in quarta, allontanandosi da me il più in fretta possibile, lei no, deve averne viste di stranezze in vita sua, perché è sbigottita, incredula, ma continua a fissarmi.

“Quella che vedi là in fondo è Mosca, sì, sei alle porte della città...”

“Ma non è poss… eravamo alla Kolyma fino a due secondi fa! Non… E’ INCONCEPIBILE!”

Mi allontano di qualche passo, dandole le spalle, devo ripartire anche io.

“Ora puoi scegliere… tornare indietro a Megadan, con un volo economico, andare da questo tuo zio, oppure… lavorare un po’ qui e andare altrove, fino a quando non troverai il tuo posto nel mondo. Sarai artefice della tua vita, da adesso in avanti, stampatelo a caratteri cubitali in testa, sei fuori dal giogo a cui ti hanno costretto, considerati libera!” le dico, facendo per andarmene ma lei mi prende lestamente per il polso, costringendomi a voltarmi nella sua direzione. I suoi occhi sono più lucidi di prima, traboccanti di un qualcosa che li rende ancora più attraenti.

“Chi… chi sei? Un mago, uno… - il suo sguardo passa un’ultima volta su di me, da capo a piedi – Uno Sciamano?” arriva alla conclusione, fremendo.

“Non ha importanza chi io sia, l’importante è trovare la tua via, io sono solo un sassolino sul tuo percorso. Comincia a pensare che non ne hai solo una, di strada davanti a te, non devi essere obbligata a perseguire quella voluta da altri, puoi fare tutte le deviazioni che desideri, puoi fermarti, sostare per un tempo più o meno prolungato dove vuoi, ripartire, tornare indietro. La vita è la tua, non permettere più a nessun altro di dettare legge su di te. Sei un essere umano… gli esseri umani hanno il potere di cambiare il proprio destino, sempre!”

La ragazza sembra ancora più confusa, guarda imbarazzata in ogni dove, con la mano libera si tocca nervosamente un ciuffo biondo, mentre con l’altra mi stringe ancora più forte il polso. Avverto appena le sue dita sulla mia pelle. Che strano, non la conosco, ma avverto il calore di quel gesto, le sue paure, il suo smarrimento, non è una sensazione spiacevole.

“E’ normale avere paura, ora… se vuoi un consiglio, va da questo tuo zio, datti tempo, prima di decidere, hai tutta una vita davanti, non darti per persa. Sei viva, respiri… è tutto ciò che ti serve sapere. Il domani è misterioso, ma è proprio grazie a questo che possiamo combattere, ora, nel presente, sperando in un futuro migliore!”

Faccio per darle le spalle e andarmene. Non sono davvero nessuno per dirle cosa fare e dove andare, ma mi è sembrata talmente tanto smarrita che non potevo fare a meno di intervenire.

“Nessuno mi ha mai trattata così, nessuno mi ha mai trattata da… essere umano! - la sento biascicare in tono rotto, dietro alle mie spalle, probabilmente sta piangendo – Il tuo nome… posso saperlo?”

Mi volto a mezzo busto nella sua direzione, sostando a lungo con lo sguardo, un’ultima volta. Come avevo percepito, ha le guance rigate dalle lacrime, l’espressione un poco tirata tipica di chi non ha la più pallida idea di dove andare, provando solo e soltanto un’autentica paura, quella dell’attimo prima del grande balzo, quando il cuore accelera nel petto e, per un istante, la terra manca da sotto i piedi.

“Mi chiamo Camus, sono uno Sciamano e… ti auguro, anzi, sento distintamente che troverai infine la tua via, Tamara...”

“Non è il mio vero nome, quello...”

“E quale è quello autentico?”

“Nina...”

“Nina?!” ripeto, come colpito da una folgorazione, il mio respiro muta di intensità.

“Sì… è un nome un po’ patetico, vero?”

“No, no… affatto, mi piace molto, invece! – riesco infine a sorriderle, mentre i suoi occhi si spalancano, sorpresi – Ti auguro ogni bene da adesso in avanti, Nina!”

 

Dopo la breve, ma necessaria, deviazione per condurre fuori dal giogo inumano quella ragazza dagli occhi troppo spaventati e disillusi per avere solo 22 anni, sono tornato sulla strada della Kolyma, che ho ripreso a percorrere con passo svelto. Pensavo di uscire fuori dall’asfalto e ricercarmi un bivacco dove dormire un paio di ore, stante l’arrivo delle tenebre, ma sono stato fortunato e ho beccato una macchina sulla statale. Questa, senza che facessi cenno, si è fermata a poca distanza da me, rivelando un uomo da un largo sorriso, che mi ha detto di chiamarsi Bobik, e il suo giovane cane, una femmina di razza laika che, poco dopo, ho scoperto chiamarsi molto fantasiosamente Laika. Mi hanno offerto un passaggio, sono diretti a Ust-Nera, ed io, condividendo la loro direzione, ho accettato.

In verità la macchina rallenta non poco i miei movimenti, non sono abituato a girare su una vettura, ma ho percepito distintamente che Bobik e la sua Laika non sono esseri viventi comuni, a cominciare dal fatto che si sono fermati loro per primi a ‘soccorrermi’, cosa assolutamente non da russi, data la tempra di indifferenza che contraddistingue questo popolo.

“Allora… hai detto di chiamarti Camus, giusto? - mi chiede conferma lui un paio di minuti dopo aver ripreso il nostro tragitto, al mio cenno di assenso continua il suo discorso – Cosa ci fa un uomo non ordinario come te in giro da solo per la Kolyma?”

Non sono abituato a discorrere con gli sconosciuti, né tanto meno a raccontare i fatti miei, ma questa persona, Bobik, mi ispira fiducia, avverto provenire una forte aura positiva da lui, come non mi capitava da molto tempo.

“Da dove provengo io… molto a nord e molto a est, è scoppiata un’endemia che colpisce i bambini e, nei casi più gravi, li conduce alla morte. Ho sentito di questa leggenda, di questa creatura che, si dice, rappresenti l’aurora, e che...”

Non ho il tempo di finire, Bobik inchioda, costringendomi ad attaccarmi al sedile per evitare di essere sbattuto contro il vetro, persino Laika, comodamente posata con il muso tra le mie gambe, in un gesto di estrema confidenza non tipica di questa razza canina, sussulta, cominciando ripetutamente ad abbaiare.

Mi giro verso Bobik, il sopracciglio inarcato, le labbra assottigliate nella mia tipica espressione di biasimo. Bobik mantiene gli occhi spalancati verso la strada ancora per una manciata di secondi, poi si volta verso di me, sostando a lungo sul mio viso.

“I tuoi vestiti… la reazione della mia Laika, che si è fidata immediatamente di te, avrei dovuto capirlo subito, ma avevo ancora dei dubbi. Mi hai dato proprio ora la conferma definitiva...”

“E…?”

“Sei uno Sciamano… e ti trovi qui per rintracciare Zima Siyaniye...”

E’ il mio turno di guardarlo incredulo, è il primo essere umano che mi parla di lei, ho fatto bene ad accettare un passaggio, finalmente, forse, comincio ad avere una pista un po’ più definita di quella che mi ha dato Elisey.

“Conosci… la sua leggenda?!”

“Per sentito dire. Mia nonna invece alla perfezione… vivo con lei, sai? Lei conosce la leggenda perché… non lo so neanche io perché, è sempre stata molto… riservata... sull’argomento! – ammette, rimettendo in moto la macchina, che altrimenti rischia di non ripartire più a causa del rigido freddo – Il nostro incontro non è stato casuale, noi… dovevamo conoscerci, in qualche modo! Discorri con mia nonna, quando arriviamo, ti sarà più chiara la via da intraprendere per arrivare alla creatura” mi dice, ammutolendosi poco dopo.

Ho come la sensazione che non mi stia dicendo tutta la verità, di certo parte del mito lo conosce anche lui, non saprebbe così bene del suo nome, altrimenti, ma lo capisco, le mie parole devono averlo sconvolto e non siamo in confidenza, o forse, chissà, non riesce a dire a voce il tumulto che riesco distintamente a percepire nel suo cuore.

Passo i successivi minuti in silenzio, non sapendo come ravvivare il discorso, non sono mai stato un buon oratore, anche se, come Sciamano, mi sto sforzando di essere più aperto con gli altri essere umani, ma non mi riesce ancora bene, con gli animali è molto più facile. E a proposito di animali, Laika mi sta festosamente sbavando sui pantaloni, osservandomi con occhi vivaci e la lingua penzoloni di fuori. Non c’è verso di discostarla da me, non che a me dia fastidio, ma Bobik ci prova, ogni tanto, a convincerla a retrocedere, niente da fare, è testarda. Ad un certo punto, tenendo il volante solo con una mano, prova a spingerla via, ma lei ringhia un poco, mostrando i canini, per poi tornare a posare il muso tra le mie gambe.

“Sei proprio innamorata, eh!” commenta Bobik, accendendo gli abbaglianti, perché le tenebre hanno ormai contaminato i dintorni. Sorrido tra me e me regalandole una veloce carezza sulla testa, lei piega il muso nella mia direzione, mentre, con la zampa, ne chiede altre, ghiotta.

“Attento che non te la schiodi più e… mi è indispensabile per il mio… lavoro!” mi avverte Bobik, scherzoso, ma non posso fare a meno di notare la pausa prima dell’ultima parola.

Torno con lo sguardo sul suo musetto adorante, cercando difficoltosamente le parole (penso forse che me le possa dare lei, che è una cagnolina?!), prima di farmi coraggio e porgli la domanda che mi ronza in testa dall’inizio del viaggio insieme a lui.

“Bobik, quale è il tuo mestiere?”

“Si può dire che sia un crocifero...”

“Un crocifero?” ripeto, convinto di non aver capito bene.

Lui annuisce, qualcosa passa nei suoi occhi, rapido. Una strana luce. Non parla per un altro po’, ed io rispetto questo suo volere.

Ognuno porta la sua croce, qualunque essere vivente sia, non importa se maschio o femmina, vecchio o bambino; quella croce, molto spesso, affonda nella nostra stessa esistenza, ci è indispensabile per vivere, ma per Bobik, tale termine, sembra indicare qualcosa di più.

“Ascolta… sai perché è tristemente famosa la Kolyma?”

“Sì, Stalin e… tutto il resto” accenno, non volendo approfondire l’argomento. Molti di quelli che vivono ancora qui sono reduci dei Gulag, o figli di questi, è un taglio vistoso, incurabile, che si cerca di ovviare affogando nel presente o protraendosi verso il futuro. Una croce, per l’appunto, un supplizio… e Bobik sembra perfettamente intessuto in tutto questo, non voglio quindi ricalcare una piaga che, a viva forza, è stata richiusa alla ben meglio.

“E allora saprai senz’altro che il territorio è disseminato di morti, a volte situati solo a pochi metri dal suolo. Capita che, in estate, con il disgelo sempre maggiore, questi cadaveri senza tomba vengano riportati in superficie...”

Non dico nulla, in attesa che prosegua.

“Ma questo accade in estate, quando il disgelo libera quei poveri diavoli privi di nome, resti di ciò che erano, privati del nome, della dignità, dei vestiti, di qualunque altra cosa… in inverno che succede, invece? Il ghiaccio ricopre tutto, li nasconde alla vista, al punto che o vengono tirati fuori a seguito di qualche perizia per l’oro, sai, il motore è quello, oppure rimangono incastonati nella terra, così, soli...”

Mi permetto di buttare un occhio dietro, sui sedili posteriori, comprendendo finalmente il motivo di così tanti attrezzi da falegnameria. Ora mi è chiaro cosa si sia imposto di fare Bobik, il suo vessillo, il peso che si è imposto. Una nuova fitta al petto mi investe, ma la ricaccio indietro. Essere Sciamano mi permette di percepire tutto intorno a me, persino il dolore, i sentimenti, le vicissitudini degli altri. A volte persino i ricordi. E’ gravoso da portare, in perfetta antitesi con il mio ruolo di Cavaliere di Atena, secondo il quale mi devo ergere sopra le emozioni allo scopo di proteggere la vita.. Qui invece è tutto l’opposto, sono intessuto negli altri, per gli altri, collegato a loro, alla Terra, al Cielo, come se il loro respiro passasse tramite me, come se il battito del mio cuore fosse il mare, le sue onde, o lo stormire delle foglie, o ancora l’ululato di un lupo. Non è sempre facile reggere -e sorreggere- tutto questo...

“Quindi tu… vai in giro a dare una tomba a questi poveri diavoli” sussurro ad un verto punto, in una intonazione un poco incrinata.

“Sì, e Laika mi aiuta, sai? Lei fiuta i morti, ha un olfatto acutissimo, quando li percepisce comincia a scavare, io lo faccio con lei, finché… i resti non tornano a galla. A volte sono cadaveri completi, altra volte solo qualche sparuto osso mangiucchiato… sai anche, immagino, che gli orsi bianchi sono tremendi, qui… Comunque, riporto alla luce quel che rimane di un uomo, o di una donna, o… di un bambino... e scavo un’altra buca, se possibile sotto un albero, o sotto un masso, insomma, un posto che possa piacere e… lo risotterro, ponendoci sopra la croce”

Guardo fuori dal finestrino per non far vedere che i miei occhi si sono fatti lucidi. Persino la mia vista da Sciamano e da Cavaliere non riesce a distinguere bene i dintorni fuori, come se davvero fossimo talmente prossimi alla morte da rendere indistinguibile il resto. In fondo la Kolyma è esattamente così, una terra a pochi centimetri dal baratro, dove la vita si approssima alla fine e, proprio per questo, è più intensa che mai.

“Bobik… perché lo fai? Perché ti sei prefissato questo gravoso compito?” gli chiedo, mascherando alla ben meglio il mio tono strascicato.

Bobik sembra rifletterci un po’ su, le sue labbra tremano e, per due volte, apre la bocca senza riuscire a pronunciare alcunché, le sue mani stringono il volante con intensità.

“Perché… se capitasse a me vorrei che qualcuno facesse con me la stessa cosa, che mi regali una tomba, anche senza nome, ma… pur sempre una tomba, dove riposare finalmente in pace, e… e… - prende una nuova pausa, raschiandosi la gola, prima di proseguire – Quando drizzi una croce, è come se, per un solo istante, smettessi di essere un’entità terrena, diventi come… come uno spirito, un tutt’uno con i morti su cui hai posto la croce, è un po’ come sussurrare al morto che prenderai su di te la sua vita, le sue speranze, il futuro stesso che gli è stato strappato. E’ così, sai? Io non credo più di essere solo Bobik, ormai, ma… molti altri, e finché sarà vivo vivrò anche per loro!”

Avverto un nuovo peso farsi strada nel mio cuore. Sono le parole accorate di Bobik, la sua esistenza, che si è intersecata con quella dei morti su cui ha posato una croce e ora anche con la mia. Per sempre. Le sento quasi dentro di me queste anime irrequiete, ne fanno parte. Prendo un profondo respiro, cercando di riportarmi alla calma, perché il petto mi fa male e non sono ancora abituato a sorreggere così tante vite in me, anche se fa parte dei miei doveri da Sciamano. Attendo un po’ prima di parlare, il tempo necessario per permettermi di comunicare con lui in tono fermo.

“Bobik, per quello che può valere, giacché io sono uno sconosciuto per te… - inizio, gli occhi puntati verso il buio davanti a noi – Sappi che, nei momenti di maggiore sconforto, quando non so se ciò per cui combatto sia giusto, quando mi rendo conto che lo stesso vivere implica il strappare qualcosa agli altri, e brancolo così da solo nel buio… sono uomini come te che mi danno la forza di continuare a perseguire la mia strada, dovunque essa porti!”

 

Ust-Nera, chilometro 1007 della strada della Kolyma, casa di Bobik

 

“...E beviamo alla salute, a Putin, all’amicizia e alla Siberia!” esclama per l’ennesima volta Bobik, alzando il bicchiere e tracannando la vodka contenuta al suo interno in un solo colpo.

Ormai ho perso il conto di quanto abbia bevuto, sarebbe meglio che si fermasse, perché, per quanto abbia sangue russo, nelle vene, anche il suo fisico ha un limite, che sta raggiungendo. E’ ben oltre l’essere alticcio, eppure non accenna a fermarsi.

“Beviamo, Camus!” mi sollecita infatti, passandomi un nuovo bicchiere per invitarmi a proseguire nei festeggiamenti.

Sospiro, ben sapendo che non si rifiuta mai quando un russo offre da bere. Mai. Vale a Pevek come qui, come a Mosca. Non posso quindi oppormi e quindi, come acqua, scende giù anche il quinto bicchiere di vodka. Comincio a percepire un leggero cerchio alla testa, malgrado sia abituato a bere.

Bobik è una brava persona, l’avevo già percepito in macchina, ne ho avuto ulteriore conferma nei suoi discorsi, ma come tutti, qui, ha il male tipico dei russi: l’alcool. Non so se sia per i suoi continui legami con i morti, non so se stia scappando da un passato che lo tormenta, ma tende ad alzare troppo il gomito, i suoi reni ed il suo fegato devono essere costantemente posti sotto pressione e questo deve pesare sulla sua salute. Sembra in effetti più vecchio di quello che è, visto che mi ha detto avere una quarantina d’anni e dimostrarne almeno una cinquantina. Non sono affari miei, certo, ma mi dispiace che una persona straordinaria come lui si riduca così, ad un colabrodo.

Sbatto più volte le palpebre, rendendomi conto di star perdendo a mia volta lucidità, nonché il motivo della mia venuta qui. Nel mio campo visivo appare un braccio che posa un piatto di spiedini di renna sul tavolo.

“G-grazie...” farfuglio, prendendone maldestramente uno e cominciando a masticarlo con lentezza.

La mano che me l'ha posto appartiene a Nana, la nonna di Bobik, colei che dovrebbe sapere di Zima e che tuttavia non ha spicciato parola con me, da quando sono qui, anzi, non ha proprio aperto bocca, ciò mi mette in perpetuo disagio.

Dovrei sbrigarmi, lo so bene, ma le tenebre sono profonde fuori, non posso muovermi prima dell’alba e mi hanno offerto ospitalità, in più…

Mi alzo in piedi, barcollante, appena finito di mangiare tre spiedini, forse anche io ho alzato troppo il gomito, oggi, non riesco quasi più a… eppure in genere ho una resistenza agli alcolici molto più ampia.

Bobik, ancora bello arzillo, mi è subito con il fiato sul collo, mi circonda le spalle in atteggiamento amichevole, in un gesto che io permetto solo a Milo perché siamo in confidenza e amici da una vita. Mi scosto infatti da lui con educazione ma un pizzico d’urgenza, lui mi offre ancora da bere, non posso rifiutare e quindi accetto, dicendogli però che quella è l’ultima, perché sono stanco, e devo partire alle prime luci dell’alba per rimettermi in cammino. Bobik, ubriaco com’è, ciondola, appoggiandosi completamente a me, prima di ravvivarsi di nuovo, dicendo che capisce, di andare a riposarmi, che è stato un piacere fare la mia conoscenza. Io ribatto che per me è stato uguale… credo… perché ho una sorta di blackout totale, nel mio cervello, e mi ritrovo nella camera che è stata adibita per me, senza spiegarmi come abbia fatto. Le gambe sono molli, il cerchio alla testa aumenta invece di diminuire, mi devo sorreggere alla parete laterale, dove chiudo momentaneamente gli occhi.

Rimango lì per un tempo indefinito, almeno finché i miei sensi non mi mettono in allerta nell’avvertire una presenza vicina a me. Spalanco le palpebre, provando a raddrizzarmi, ma rischiando miseramente di finire per terra, se non fossi sorretto da due braccia robuste; troppo robuste per appartenere a…

“Attendevo che facesse effetto… sei mingherlino ma hai una resistenza apprezzabile, sai? Presumo sia merito della tua forza di volontà, non c’è altra spiegazione!”

“Co-cos...” riesco appena a farfugliare, impiegando tutte le mie forze per riconoscerla: è Nana, la nonna di Bobik.

“Sdraiati!”

Mi dice, secca, accompagnandomi su un giaciglio morbido e sistemandomi lì. Il cambio di posizione mi provoca un giramento di testa che mi confonde ancora di più. Serro le palpebre, cercando mentalmente di non agitarmi. Poco dopo viene accesa una lampada ad olio. Contraggo ancora di più gli occhi, tentando di combattere il senso di oppressione che mi ha appena investito, non posso cedere, non voglio cedere, odio essere alla mercé di qualcun altro e… e… perché questo, perché mi ha…

“Perché ti ho drogato, ti chiedi? - finisce la frase lei per me, portando il mio corpo a sussultare – E’ perché solo così puoi raggiungere Zima Siyaniye”

Come lo sa? Glielo ha riferito, Bobik? Come può conoscere la ragione della mia venuta qui?

“Io posso conoscere molto, con un unico sguardo, è stato così anche per te, sei uno Sciamano Guaritore molto prossimo all’essere un Evocatore, ma sei tu che rifiuti quest’ultimo passaggio, vero?”

Vorrei potermi muovere liberamente, chiedere delucidazioni, ma non avverto quasi più il mio corpo, solo la testa è ben salda, rifiutandosi di cedere. Il cuore mi batte all’impazzata nel petto, lo sento quasi in gola, mi toglie il respiro.

“Calmati, non ti fa bene reagire così!” mi dice con voce melodica lei, girandomi il volto nella sua direzione.

Il mio braccio destro è a penzoloni, mollo, avverto un tartufo umido picchiare più volte sul palmo, seguito poi da un pelo ispido che si struscia su di me.

“L-Laika…” balbetto, percependola tramite il contatto, riaprendo difficoltosamente gli occhi. Poco dopo il suo musetto marroncino fa capolinea nel mio campo visivo, posandosi poi sul mio petto. Respiro con maggior regolarità, ma continuo a non riuscire a muovermi.

“Laika ti aiuterà a rilassarti… - mi avverte Nonna Nana, mentre si permette di accarezzarmi i capelli con le mani nodose. Mi irrigidisco di riflesso – Non sembra tu sia abituato a scioglierti, sei molto turbato alla sola idea che qualcuno possa toccarti, figurarsi farsi possedere dagli Eoni, per questo non vuoi diventare Evocatore, per questo ti sei fermato prima?”

Vorrei farle notare che è un po’ difficile distendersi in una situazione simile, sono sdraiato su un giaciglio, senza possibilità di muovermi, neanche un dito, il mio addome, la zona che considero più fragile, è scoperto, perché Elisey mi ha voluto dare questo stra-maledettissimo costume e, in ultimo, mi ritrovo con una persona che non conosco e che però sa tutto di me, potendo disporre di me come meglio crede.

“Se la vivi così, immagino tu abbia tutte le ragioni per rimanere teso. Cercherò di essere più breve e delicata possibile, allora, ma dipenderà da te...” mi dice ancora lei, totalmente serafica, leggendomi nella mente, mentre con una mano scende proprio nella zona che più mi da problemi. Avverto il mantello sollevarsi ulteriormente, scoprendomi l’intero addome fin quasi allo sterno.

“N-NO!” riesco ad oppormi nell’esatto momento in cui sento le sue mani sfiorarmi la pelle. Un movimento repentino, il mio, la mia schiena si piega nel goffo tentativo di alzarmi e svicolare via, ma le forze mi mancano e sono costretto a ricadere tra le coperte, il fiato corto, mentre le sue dita riprendono da dove si erano fermate, solcandomi il ventre nudo per poi fermarsi sul fianco destro, dove formano dei movimenti ondulatori sempre uguali a sé stessi. Il mio respiro accelera di nuovo, il corpo inizia a tremare, a nulla valgono gli uggioli di Laika che, credo, provi a farmi coraggio, vorrei alzarmi e allontanarmi da lei, ma so di non averne la facoltà, e questo mi fa sentire male al solo pensarci.

“Purtroppo per te, devo dirti che solo gli Sciamani Evocatori possono arrivare al cospetto di Zima”

“Mi è stato detto che non ne esistono più...”

“E’ quasi completamente corretto, neanche io lo sono, sono semplicemente una Sciamana Gialla, né più né meno...”

“Io devo salvare quei bambini...” ripeto, deciso, riuscendo finalmente a riaprire gli occhi, che sono comunque feriti dalla luce, quella che, sbatto le palpebre, incredulo, vedo sgorgare dal palmo di Nana, posato sopra il mio fianco destro.

“Lo so, per questo sto ricreando un bypass sul tuo corpo, che ti permetta di giungere a lei non solo con la tua forma spirituale ma anche con quella fisica” mi spiega, nell’esatto momento in cui avverto un bruciore netto e invasivo proprio su quella zona, come se qualcosa mi tagliasse la pelle. Non strepito, non urlo, ma la sensazione è netta, mi sembra quasi di essere perforato da qualcosa di pungente e affilato. Ho appena le energie sufficienti per voltare la testa di lato, prima che la sua mano, ultimati i preparativi, non si stacchi dal mio corpo.

“La tua anima era già precedentemente collegata a Zima, ora lo è anche la tua corporeità...”

Non capisco bene quello che voglia intendere, vorrei alzarmi, piegarmi su me stesso, perché il dolore che avverto è terribile, ma una stanchezza colossale mi investe, mi sento quasi svuotato, prosciugato, ancora più in balia degli eventi rispetto a prima. Occorre uno sforzo disperato solo per mantenermi vigile.

La sento di nuovo su di me, le sue dita sostano sul mio ombelico per un tempo imprecisato, procurandomi una spiacevolissima sensazione di profanazione, prima di passare oltre.

“Che Fulcro Vitale buffo, che hai, ha davvero una forma insolita!” commenta con naturalezza, prima di sistemarmi ordinatamente il mantello fin dove arriva. Io provo l’impulso di coprirmi quella zona con una mano, ma gli ordini del mio cervello sono fiacchi, non sembrano neanche raggiungere il braccio, che sussulta appena, non si alza.

“E ora… rilassati, chiudi gli occhi e preparati per il balzo, devi slegare la tua mente dalla tua fisicità, sei Sciamano, dovresti sapere come fare. Ah, ti avverto, aggrappati a qualcosa di bello, di veramente bello, per te, perché...”

“Ascolta… - la fermo, desideroso di sapere una verità prima di abbandonarmi alle tenebre sempre più lusinghiere – Tu sembri conoscere molto bene la creatura, puoi dirmi se Zima Siyaniye ha davvero distrutto Bluegrad?”

“Lo ha fatto, sì...” mi risponde lei, in apparente tono neutro, nonostante le sue pupille, un poco ottemperate dall’età, tremino un poco.

“Perché? E’ davvero un essere malvagio?”

“Questo lo scoprirai da te, non manca molto, ragazzo… chiudi gli occhi! - mi dice, stavolta con voce premurosa, passandomi due dita sopra le palpebre per farmele chiudere – Tra poco sarai al cospetto della creatura che cerchi...”

Faccio quindi per rilassarmi alla ben meglio, ricacciando indietro i pensieri, i timori, persino la mia stessa essenza, che si miscela con qualcosa di grande, di totale, come se tutto il mio essere ne fosse collegato. Riesco finalmente a muovere difficoltosamente una mano, che si posa finalmente sopra la pancia, facendomi percepire il mio respiro, nuovamente un poco accelerato per l’agitazione.

“Ah, ancora un avvertimento, l’ultimo… - odo appena la voce di Nana, la sua mano è di nuovo tra i miei capelli, me li accarezza, stavolta regalandomi un poco più di serenità – Sentirai un fastidioso strappo all’ombelico, nel momento del grande balzo, soprattutto per te potrebbe essere disagevole e un poco doloroso, aggrappati a qualcosa di bello, ad un ricordo, a qualcuno...”

“Mmh, Isaac e Hyoga...” farfuglio, mentre i loro volti ancora un poco bambineschi si affacciano alla mia mente, portando un sorriso tra le mie labbra.

“Ci sei proprio legato, eh, a quei due...”

“Sono… la mia vita!” ammetto, meravigliandomi un poco nel rendermi conto che ho proferito con naturalezza una verità che, invece, geloso che possa essere carpita, celerei sempre nel cuore.

“Lo so, è la gioia di un maestro, lo capisco bene, anche per Fyodor tu eri… tutto!”

“Co-come?!”

I contorni intorno a me perdono conformità, i miei sensi si affievoliscono, i movimenti del mio torace sono perfettamente cadenzati con il mio respiro, non sento più nulla, eppure qualcosa mi preme sulla fronte, qualcosa di delicato, come i petali una margherita, sono le labbra di Nana, le riesco a percepire, mi rassicurano. Emanano lo stesso, delicato, profumo, di quelle del mio maestro. Vorrei chiederle chi è realmente, come faccia a conoscerlo, che legame avesse lei con lui, ma tutto va sfumandosi, come in un sogno. Perdo definitivamente coscienza…

 

Il ruscello dello Sciamano, chilometro 1459 della strada della Kolyma, 5 febbraio 2008

 

Tossisco più volte, ripetutamente, mentre un odore pungente, perforante, mi investe le narici. Mi sento quasi mancare l’ossigeno nei polmoni nel costringermi ad alzarmi faticosamente in piedi. Le gambe non mi reggono bene, ma non mi do per vinto e poco dopo riesco finalmente nel mio intento, anche se mi gira nuovamente la testa.

“Solfuro di idrogeno...” dico tra me e me, riconoscendo il classico odore di uova marce proprio di questo idracido.

Mi guardo confusamente intorno, stordito, mi bruciano gli occhi, quasi me li sento lacrimare… in che concentrazione è qui, lo zolfo? A giudicare dalla spessa nebbiolina che permea questo luogo potrebbero essere dosi quasi letali per ogni sventurato essere umano che capiti qui e sosti per più tempo del necessario. Un Cavaliere non farebbe differenza, uno Sciamano, forse, un poco sì, ma, sul lungo andare, avrebbe comunque grosse ripercussioni.

Un altro sciame di colpi di tosse… quasi cado a terra, la gamba destra si piega, mentre la sinistra si divarica per mantenere l’equilibrio.

Da quanto sono qui? Nana mi ha fatto chiudere gli occhi e poi… un buco nero di nulla! Non riesco a quantificare il tempo trascorso tra l’ultimo ricordo stampato nella mia mente e il risveglio.

Deve essere primo mattino, lo capisco dalla debole luce che filtra in questa radura. Odo un leggero suono d’acqua, nelle vicinanze, mentre davanti a me vi è una grande grotta dalla quale scaturisce questo vapore acqueo che puzza di uova marce. Sta diventando insopportabile, persino per me.

Faccio per accennare un passo, ma il movimento mi provoca istantaneamente un bruciore al fianco destro, quasi mi fa ricadere per terra. Divarico entrambe le gambe per non crollare, tastandomi la zona con la mano. Il dolore invece che diminuire aumenta, do un’occhiata, scostandomi il mantello per vedere meglio la ragione di un tale male. Sul fianco destro, all’altezza dell’ombelico, forse un poco più in su, esattamente dove Nana aveva tracciato quei segni ondulatori, è comparso una sorta di tatuaggio che, proprio in questo momento, si sta illuminando, quasi come se si trattasse di un richiamo. Lo ricalco con l’indice e il medio, resistendo al dolore immane che mi provoca questo gesto. Sembrano… due grosse gocce di rugiada che si intersecano l’una con l’altra, rassomiglianti quasi, per come sono poste, alla stilizzazione di un cuore. Che significa? Cosa mai…?

Non so come tu sia giunto qui, ragazzo… ma ti consiglio di andartene! Questo posto non fa per te, qui la concentrazione di acido solfidrico è fatale anche per un Guaritore come te…

Sussulto nell’avvertire una voce nella mia testa, mi raggiunge direttamente tramite telepatia. Non c’è nessuno intorno a me, ma è come se il suo timbro vocale sbattesse nelle pareti del mio cervello. Il suo è un tono acre, venefico, esattamente come il vapore acqueo qui intorno, ma avverto anche una nota di sofferenza, profonda, tremenda, incurabile.

“Sei Zima? Zima Siyaniye?” tento, guardandomi nervosamente nei dintorni, come a cercare di capire da dove la creatura possa apparire.

Un tempo avevo molti nomi, quell’appellativo mi riempie il cuore di malinconia, ma… è tardi. Non sono più chi cerchi, il tuo viaggio è stato inutile, e ora vattene, ragazzo, torna da dove sei venuto e lasciami in pace.

“Non lo farò, non prima di farti spezzare la maledizione...”

La maledizione?

“Quella che hai causato ai tuoi figli; ai figli della Siberia!”

Ah, quella maledizione…

Silenzio, non la sento più parlare, il che mi spinge ad alzare il tono della mia voce di due tacche, sforzandomi comunque di mantenere la calma, sebbene le condizioni di Avrora e degli altri bambini mi facciano infuriare.

“Devi spezzare il ciclo, Zima, stai portando alla morte creature innocenti! Io sono qui per fermarti, non voglio farti del male, ma sarò costretto a farlo, se non annullerai l’endemia!”

Non posso…

“Ma hai distrutto tu Bluegrad, hai maledetto tu i figli della...”

Bluegrad… non parlare di cose che non sai, ragazzo! C’eri tu più di 250 anni fa?! No! Sai come sono andate le cose? No! Ma a voi esseri umani piace credere alle cose ‘per sentito dire’. Non conoscete niente, ma avete la presunzione di giudicare tutto e tutti dal piedistallo che vi siete creati! Siete così boriosi… più passano i secoli più peggiorate, anziché migliorare. Non sapete cosa siano i limiti, del resto, li avete ormai travalicati tutti.

“Io sono qui… per scoprire la verità sul tuo conto! Mi hanno detto che sei malvagia, Zima, io non lo voglio credere, deve esserci una spiegazione alle tue azioni. Raccontami quel che successe per davvero e, fatto questo, salva quei piccoli insieme a me, in modo tale che il tuo onore venga ristabilito!” esclamo con forza, sebbene lo sforzo mi provochi un altro sciame di colpi di tosse. Sta davvero diventando difficile respirare, l’aria che mi entra nei polmoni mi provoca fitte, ma non posso desistere, non qui: sono alla meta finale del mio viaggio.

I tuoi occhi sono limpidi, sei sincero, ma… non posso fidarmi. Gli esseri umani, che prima amavo tanto, mi hanno tradito e io, perdendo il controllo, ho tradito loro. Ora nessuno riesce più a sentire la mia voce…

“Lo farò io per loro, ascolterò la tua voce! Mostrati a me, se puoi, affinché io ti possa guardare negli occhi e capire, perché tu non sei malvagia, Zima!”

Silenzio, per l’ennesima volta. Non so da dove mi venga questa consapevolezza, ma è come se la avvertissi in me, come verità legata alla mia anima. Ho comunque bisogno di vederla, per certificare se il mio sentore sia vero oppure no. Passano secondi, poi minuti, in cui tutto sembra bloccarsi. Temo di aver fatto un passo falso, temo di averla fatta fuggire via, ma poco dopo odo uno zampettare nei dintorni, che diventa poi uno scricchiolio sul permafrost. Finalmente vedo un’ombra uscire dalla grotta, ancora non riesco a distinguerla bene, complice il vapore acqueo, la posso solo percepire con gli altri sensi, si sta approcciando nella mia direzione, diradando la spessa nebbiolina che permeava i dintorni.

Sgrano gli occhi, mentre la creatura si ferma a breve distanza da me, fissandomi con i profondi, e tristi, occhi color marrone spento, che, forse, un tempo, vibravano di rossi bagliori gremiti di vita.

E’ come sosteneva Hyoga… la descrizione generale è esattamente come quella che gli fece sua madre, ovvero un canide di grosse dimensioni, con una criniera fulva, in perenne movimento, continuamente smossa dai venti del Nord e con il manto di un celeste intenso… un tempo forse!

Ora, in verità, sebbene questi connotati siano ancora presenti in lei, si percepiscono appena, perché tutto il suo corpo è appesantito da una spessa sostanza viscosa e nera, che gocciola per terra formando una pozza sempre più estesa. Rabbrividisco.

“Petrolio… no, liquami! Liquami delle industrie!” arrivo infine alla conclusione, sussultando.

Non è solo Zima ad aver contaminato l’uomo per motivi a me sconosciuti, è anche e, soprattutto, l’inverso.

Mi si stringe il cuore a vedermela così, in una manifestazione così patetica e piegata dal dolore. E’ lampante che la creatura stia soffrendo, da un po’, un bel po’, forse addirittura secoli, dall’avvento della Rivoluzione Industriale, in poi, forse… è avvelenata, soffre delle conseguenze di una brutta intossicazione, quella che l’uomo, per nome del progresso, ha riversato nella natura, plasmandola e distruggendola con il suo Ego smisurato.

Provo ad avvicinare una mano al suo muso, ma lei mi ringhia sommessamente, scrollando la testa come ad avvertirmi che non vuole essere toccata. Si è mostrata a me, fidandosi, ma ha paura.

Se hai capito la mia situazione, ti consiglio di andartene, non sono più in grado di purificare nulla, ho perso quella dote, e tu… tu, se continuerai a sostare qui, rimedierai dei grossi danni da avvelenamento...

Ha ragione, il mio respiro è sempre più dispnoico, anche il battito del cuore sta diventando irregolare, e ho un cerchio alla testa sempre più persistente.

Ma non posso cedere!

Ora che me la vedo qui, capisco una volta in più che non c’è nulla di malvagio in lei, nel profondo. Deve aver perso il controllo, in qualche modo, per qualche ragione, non può più fare alcunché, nelle sue attuali condizioni. Sono venuto ad implorare il suo intervento, ma, in verità, è lei ad avere un disperato bisogno di aiuto.

“Non intendo andarmene, Zima… stai soffrendo, sono qui per aiutarti, e poi, insieme, salveremo quei bambini, spezzando il ciclo una volta per tutte”

Che insistente! Vattene, o sarò costretta a prendere provvedimenti! Hai disturbato la mia quiete e hai capito che non posso farci niente, lasciami in pace, o…

“Non lo farò, no, non ti lascerò più da sola, perché...”

Non ho il tempo di finire la frase, una potente aria congelante mi colpisce l’addome, proiettandomi all’indietro fino a collidere contro un masso di grande dimensioni. La mia schiena sbatte violentemente, il mio respiro, già difficoltoso, si mozza nei polmoni, ma i miei piedi non toccano terra, rimangono sospesi, perché c’è una gigantesca forza telecinetica che mi tiene sollevato, come se fossi legato.

“...sei rimasta sola anche fin troppo a lungo, anf!” riesco solo a biascicare, socchiudendo gli occhi e reclinando la testa in avanti, del tutto incapace di sostenerla.

Il veleno mi sta uccidendo, lentamente, togliendomi le forze e inibendo la respirazione mitocondriale, so bene come agisce. Contraggo le palpebre, sforzandomi di mantenermi vigile. Zima si è nuovamente avvicinata a me e ora mi scruta dal basso verso l’alto con quei suoi occhi marroni, che ora mi sembrano quasi rossi, come un tempo…

I suoi pensieri giungono a me come telepatia, la sua bocca non si muove, ma ha un’espressione straordinariamente umana, per essere un animale.

Perché sei così ottuso, ragazzo? Stai morendo, te ne rendi conto? C’è un motivo per cui io mi sia rifugiata qui, questo era un luogo sacro per i pagani, per gli Sciamani, inaccessibile ai più. Mi sono nascosta qui per recarvi meno dolore possibile. E’ vero, ho distrutto io Bluegrad, ho lanciato io la maledizione sul vostro popolo, m-ma… non volevo, davvero non volevo, ne ho perso il controllo, ero folle di rabbia, dovevo fargliela pagare in qualche modo, non avevo idea di quello che avrei causato. Non… VOLEVO! E ora, in queste condizioni, non c’è più nulla che possa fare. Un tempo purificavo l’acqua… ora la maledizione ha avvolto anche me, è esterna al mio volere. Non posso spezzarla! Nessuno crede più in me, ho perso fiducia nelle mie capacità.

“Va tutto bene, lo so… l’ho capito durante, il viaggio, anf. Io… io credo in te, Zima! - le dico, provando a sorriderle, in tono più chiaro possibile, anche se mi è sempre più difficile – Eri furibonda e hai agito umanamente, con l’ira, volevi distruggere, distruggere e ancora distruggere, quando ti sei resa conto di quello che stavi facendo, ti sei fermata, ma… era troppo tardi! Il Patto tra te e gli uomini era stato spezzato, inequivocabilmente infangato, avresti voluto ricrearne un altro, un’altra, solenne, alleanza, ma… più nessuno era in grado di ascoltarti a quel punto, la tua voce non poteva più raggiungerli e… sei fuggita via. Via, via… lontana dagli uomini, che a loro volta si sono allontanati dalla natura. I liquami, gli scarichi, le industrie hanno fatto il resto. Tu ci hai provato, con tutte le tue forze, a purificare quanto potevi, ma eri sola, le tue energie si sono esaurite, hai solo potuto prendere su di te quanto rimaneva della maledizione, tentando disperatamente di prolungare il ciclo, perché da sola non hai più i poteri di cancellare l’endemia...”

Tu… come sai questo? Come riesci a leggere così bene nel mio cuore?

“Sinceramente, anf? Non lo so… lo sento, lo percepisco, Z-Zima… - le dico, non riuscendo a mascherare una smorfia di dolore – E voglio aiutarti! Anf, anf, per favore, liberami e...”

Vuoi salvarmi?! Salvare… me?!

Sembra incredula, lo sono anche io. Non mi è mai capitato di sentire, senza sforzo alcuno, i battiti della vita di qualcuno, come se fossero i miei, è una sensazione che mi da una vertigine di paura, quel senso di vuoto sotto i piedi che si sente fin dentro il petto, non potendo far altro che tremare. Questa creatura è legata a me, soffre, è incompresa, proprio come me…

“La-lascia che ti aiuti, f-fatti toccare, andrà tutto bene. Insieme… troveremo un modo per salvare quei bambini. Non sei più sola, Zima… non più!”

Perché ti importa così tanto di me?! Tu dovresti…

Ma si blocca, una strana luce negli occhi, che si spalancano nell’individuare un dettaglio che prima molto probabilmente non aveva notato. La vedo fremere, mentre tento di indovinare la direzione del suo sguardo, che ora mi sembra ancora più umano. Che stia osservando… gli orecchini che mi ha dato Elisey?!

Quelle piume… sei… sei TU! Quel… quel ragazzo!

Non capisco cosa intenda per ‘quel ragazzo’, ma qualcosa è di nuovo cambiato nei suoi occhi, sempre più stanchi, ma lucidi, come di ricordo lontano appena riaffiorato. La vedo approcciarsi a me, avvicinando il muso al mio addome, annusandomelo con cura, prima di darci delle affettuose musate. Avverto il suo tartufo umido sulla mia pelle, ne sento il respiro appena tiepido, In particolare si strofina sul tatuaggio che mi ha fatto Nana sul fianco destro, quelle due gocce di rugiada intersecate l’un l’altra, che proprio ora hanno smesso di emanare luce propria e che avverto simboleggino il legame tra me e lei. Anche il bruciore ha smesso di darmi fastidio.

Chiudo gli occhi, stremato, faccio sempre più fatica a respirare, ma nonostante questo la mia mano sinistra, prima bloccata, riesce finalmente a muoversi nella sua direzione. Le accarezzo la linea del muso, soffermandomi poi sulla criniera, che è impiastricciata dai liquami, ma non me ne curo. Devo pulirla, devo purificarla, in qualche modo, sta soffrendo molto…

“Stai tranquilla… - biascico a fatica, mentre lei si avvicina a me, al mio petto, e il mio viso si posa sul suo pelo, che, nonostante tutto, profuma ancora di fresco ed è morbido – Credo in te, Zima, adesso siamo in due...” sussurro, in tono sempre più fievole. Sto… perdendo coscienza?

Devo condurti via da qui, Camus… se già pesantemente intossicato, se continuerai a respirare questo vapore acqueo, nemmeno tu potrai…

“STAI LONTANO DA LUI, MALEDETTO!”

Trasalisco a quell’urlo ricolmo d’ira, riconoscendone il timbro vocale inconfondibile. Spalanco gli occhi al limite dell’umano possibile, mentre un’aria congelante spaventosamente forte colpisce il masso poco sotto i miei piedi, laddove prima c’era Zima, la quale, con un agile scatto, ringhiando si è allontanata bruscamente da me. Mi sento cadere a terra, non ho forze per oppormi, mi accascio, annaspando nella difficoltosa ricerca di ossigeno.

“Maestro!!!” una seconda voce, ugualmente inconfondibile come la prima, di nuovo mi sento fremere, mentre tento disperatamente di alzarmi almeno al sedere, ma i miei movimenti vanno a vuoto.

Voci intorno a me, confusione di luci e colori che non capisco siano causate dal solfuro di idrogeno o da altro, ma una cosa mi è chiara, i cosmi che avverto bruciare nelle vicinanze non possono essere che i loro.

Qualcuno mi prende tra le braccia, percepisco la sua mano solcarmi il fianco destro, come a sincerarsi delle mie condizioni, prima di soffermarsi sul tatuaggio, premendomelo leggermente per capire di cosa si tratti. Mi scappa un gemito di dolore, il bruciore ha ricominciato a farsi sentire, persino più netto di prima. Quel qualcuno che mi sta tastando con mille e più premure possibili, mi richiama, sempre più preoccupato. Alla fine riesco difficoltosamente ad articolare una frase di senso compiuto, sebbene la mia coscienza va svanendosi:

“C-cosa fate… qui… Isaac… Hyoga?!”

 

 

* * *

 

 

 

“Hyoga! Come sta?!”

Isaac non poteva correre da lui come avrebbe desiderato e come si era imposto di non fare, un tale comportamento avrebbe reso tutti e tre, anzi, quattro vulnerabili, ma il cuore gli si era comunque fatto piccolo piccolo per l’apprensione. Fronteggiava la belva, che mostrava i denti e ringhiava, non gli avrebbe più permesso di avvicinarsi al suo maestro, non più.

Hyoga sorreggeva Camus, che aveva perso i sensi dopo averli chiamati debolmente, tra le braccia. Non sembrava ferito, a parte quel simbolo strano che gli arrossava la pelle del fianco destro, ma aveva le palpitazioni ed era pallido come un cencio. La sua mano, tremante, si mosse sul suo polso per contare di nuovo i battiti, mentre il piccolo Jacob, a poca distanza da lui continuava a chiamarlo in tono crescente, provando a scrollarlo.

“Respira male, Isaac… - riuscì a dire il biondo, spaventato a morte dalle sue condizioni. Gli venne da tossire, accorgendosi nitidamente di star respirando zolfo – Deve essersi intossicato per i fumi, non… non so come fare...”

“Maledizione… - sibilò tra i denti Isaac, apprestandosi ad attaccare l’orrida bestia, che lo fissava con gli occhi iniettati di sangue – Pagherai con la vita questo affronto!” esclamò intimidatorio, apprestandosi ad agire.

La creatura era tesa, le zampe piegate come a voler balzare addosso al ragazzo, i canini appuntiti ben in mostra.

“Grrrrr…. ROAAAAAAR!” ringhiò, spalancando le fauci e cacciando un latrato di avvertimento, talmente forte da far vibrare tutti i dintorni.

Isaac si aspettava un attacco di qualche tipo, era pronto a difendersi e ad offendere con il doppio della forza, ma la creatura, dopo un altro brontolio sommesso, fece dietrofront, cercando di fuggire nella grotta, lasciandosi indietro delle pozze di liquame.

“Eh no, bella mia, non così in fretta!” lo fermò immediatamente Isaac, congelando abilmente l’accesso della caverna con un unico, ben contenuto, movimento del braccio destro. La creatura fu presa in contropiede, indietreggiò, non sapendo bene come fare, prima di voltarsi verso di lui e ringhiare ancora una volta, furente.

“Ora pensi di fuggire?! - la canzonò Isaac, un non so che di maligno sul volto – Non te lo permetterò, per te è la fine!”

“Grrrrrrr… anf, anf!” sibilò ancora la bestia, correndogli poi addosso. Isaac era pronto a riceverla, a difendere con le unghie e con i denti ciò per cui credeva, ma il canide lo meravigliò ancora, balzando sopra di lui e scappando dall’altro lato verso il bosco.

Perché non mi attacca? Ha davvero senso chiedermelo? Elisey ha detto che è un essere malvagio, ha causato l’endemia e non ha esitato a colpire il maestro… Camus!

Nell’attimo di esitazione se seguirla o no, lo sguardo di Isaac si posò sul corpo dell’amato mentore, una fitta al cuore lo investì. Camus era tra le braccia di Hyoga, la bocca semi-aperta alla ricerca di ossigeno, il respiro mozzo, il volto pallido e sudato, uno strano segno sul fianco destro, che si era arrossato e dava l’idea di far male. Non ci mise molto a riprendersi a causa di quella visione, si riscosse, avvertendo distintamente la rabbia invadergli il giovane e inesperto cuore. Fremette. L’avrebbe pagata per averlo ridotto così. Nessuna pietà.

“Isaac...” provò a richiamarlo Hyoga, vedendo che si apprestava a seguire la creatura. Voleva fermarlo, ma il fratello non gli permise di finire la frase.

“Abbi cura del Maestro Camus, amico mio, fermerò io Zima!” lo avvertì, caparbio e un poco incosciente.

“No, Isaac, aspetta...” ma il compagno di addestramento era già partito in quarta all’inseguimento della creatura, una furia cieca lo guidava.

Pedinò la bestia pedissequamente, tenendola sempre più sotto torchio. Lei era veloce, ma lui poteva osare di più, poiché era un allievo di Camus, un Cavaliere di Atena, ed uno Sciamano, non sussisteva un limite invalicabile, per lui, ora che finalmente si trovava su un campo di battaglia se ne rendeva ancora più conto, di quanto fosse migliorato e diventato forte in quell’ultimo periodo, si inorgoglì: quello era il frutto di 6 anni di addestramento con l’uomo più puro e giusto che il Santuario avesse mai ospitato e lui doveva dimostrare di essere alla sua altezza.

Finalmente riuscì a spingere Zima in un vicolo cieco, le lanciò un colpo di avvertimento, nelle zampe, facendola cadere per terra e picchiare il muso contro il suolo. La creatura dava segni di stanchezza, si sforzò di alzarsi, ma Isaac le fu immediatamente sopra, le strinse il busto con le gambe, a cavalcioni su lei, costringendola in una morsa soffocante. Provò a scrollarselo di dosso, ma le forze non glielo concessero, incespicò nelle sue stesse zampe e cadde di nuovo per terra, ansante, chiuse gli occhi, sembrava vinta.

Isaac la teneva ferma per il muso, bloccandola sul terreno, apprestandosi a infliggerle un colpo letale. La vittoria sembrava ad un passo, un solo movimento e…

Eppure non reagisce, avrebbe potuto colpirmi, ma preferisce scappare… perché?

La fastidiosa vocina continuava a mordergli la coscienza, la ricacciò indietro a forza, nessuna esitazione sul campo di battaglia, mai, era questo che aveva appreso da Camus!

Nessuna esitazione!

“Certo che emani un olezzo degno della malignità che rappresenti… se distruggo te anche i bambini staranno meglio, no? Sì, quei bambini che hai condannato a morire tra mille sofferenze, li ricordi? Chissà quanti ne hai ammazzati prima, chissà quanti ne continuerai ad ammazzare, se nessuno ti fermerà! Ebbene, io interromperò il ciclo, Zima, è così che ti chiami, vero? - la interrogò, alzando il pugno destro per prepararsi a sferrare quel colpo da così breve distanza – Per te è l’epilogo, DIAMOND...”

La creatura sembrava vinta, ma in quell’esatto momento riaprì gli occhi, iniettati di sangue, ululando ferocemente tutta la rabbia e la frustrazione che stava provando.

Il suo potere tracimò immediatamente gli argini. Prima che Isaac se ne rendesse nitidamente conto, fu gettato indietro, la spalla sinistra sbatté con violenza contro qualcosa. Il suono che ne derivò, unito ad un dolore repentino e acuto, fu semplicemente tremendo per il giovane aspirante Cavaliere.

Nel frattempo, più a valle, Camus stava lentamente riprendendo coscienza. Contrasse più volte le palpebre, percependo due presenze vicino a lui. Aveva riconosciuto subito i cosmi dei suoi allievi, ma muoversi si era fatto difficile, così come la respirazione. Solo da poco l’ossigeno era pienamente tornato, gonfiandogli i polmoni e alleggerendo così il cerchio alla testa.

“Hyoga! Vieni, presto, si sta muovendo!” la vocetta squillante di Jacob, tutto trafelato al suo fianco, lo fece riscuotere debolmente.

Gli occhioni verdi del piccolo, ricolmi di una nuova speranza, saettarono verso l’amico, mentre, con le manine, si stringeva davanti alla bocca il fazzoletto che gli era stato dato da Hyoga come tampone per ripararsi le vie respiratorie.

Per il biondo, in piedi a poca distanza da loro, con il braccio ancora protratto nel lanciare la Diamond Dust per dissipare quella nebbia venefica, fu una gioia al solo udirlo. Gli si inumidirono gli occhi per il sollievo, mentre, con voce tremante e passo traballante, tornava ad accucciarsi vicino a Camus, prendendogli dolcemente la mano e sfiorandogli la fronte con le dita.

“Maestro! Forza, siamo qui, risvegliatevi!”

Camus contrasse ancora una volta le palpebre, poi lentamente i suoi occhi si riaprirono. Sembrava stanco, sfinito, quasi vacuo, ma vivo, il cuore del biondo accelerò in un istante, la mano gli si strinse in quella del maestro, che in quel momento, ricambiava difficoltosamente il gesto.

“Hyo… Hyo-ga!” balbettò debolmente, come a cercare di metterlo a fuoco, sforzo che gli risultò spossante. Una volta completata l’operazione, la pupilla traballò appena nel riconoscerlo. Scattò a sedersi, prendendo l’allievo bruscamente per le spalle e facendo spaventare Jacob, che non aspettandosi una tale reazione, sussultò.

Il momento tenero era già finito, la tempesta sarebbe arrivata, il giovane lo sapeva bene, ma…

“HYOGA!!! Che accidenti ci fate qui?! Cosa diavolo vi frulla per la testa, sconsiderati che non siete altro?!”

Ecco, il tornado forza 10 si era abbattuto, il ragazzo sperava di condividere quel fardello con il fratello di mille avventure, ma era invece lì, solo, con il maestro a scoppiargli addosso. Sospirò, ricercando le parole per spiegarsi, nonostante la difficoltà ad esprimersi.

“RISPONDIMI, HYOGA! Cosa diavolo avete per la testa?!? Come siete giunti qui?!?”

Le dita del maestro si strinsero sulle sue spalle, quasi arpionandolo con foga, l’allievo trattenne un mormorio sommesso, rispondendo invece con una calma e una flemma tale da meravigliare anche lui.

“Eravamo preoccupati per voi, Maestro...”

“Lo ben so! Ma vi ho dato direttive precise di continuare con gli allenamenti! Un comportamento simile me lo aspetto da Isaac, non certo da te, che diavolo ti salta in testa?!”

“Conosco la Kolyma e i suoi pericoli… non riuscivo a stare tranquillo dove ero, e poi Elisey...”

“Elisey?! Vi ha detto lui dove…?”

“Sì, Maestro...”

“E voi ovviamente vi siete buttati in questa sciocca impresa, senza ragionare, mi sembra giusto!”

“Elisey ci ha permesso di giungere qui, dopodiché Isaac ha individuato il vostro cosmo carico di pena, ci siamo quindi precipitati qui, il resto lo intuite...”

Qualcosa cambiò nelle pupille di Camus, che vennero scosse da una nuova, forte, luce. Terribile e inquietante al tempo stesso.

“Quindi è stato lui a… farvi arrivare qui!”

“Sì, Mae...”

Non ebbe il tempo di finire la frase che Camus si alzò in piedi, un poco traballante, borbottando sinistramente un: “Io quello lo ammazzo...” che ben rendeva l’idea di quanto fosse furibondo in quel momento.

Tuttavia, una volta raddrizzata completamente la schiena, un capogiro lo privò istantaneamente dell’equilibrio, costringendo Hyoga a sorreggerlo da sotto le ascelle.

“Maestro Camus, siete ancora indebolito dall’intossicazione da acido solfidrico, non dovreste fare sforzi!”

“Non ti angustiare, Hyoga! Ora sono più preoccupato per te e… uh? - il suo sguardo corse a Jacob, poi alla radura, ben visibile, una volta dissipata la nebbia, e poi ancora al bambino – Cosa… cosa diavolo ci fa Jacob qui?! Dov’è Isaac?!”

Hyoga sospirò, radunando tutta la sua pazienza per essersi trovato da solo a dare tutte le spiegazioni che sperava di dividere con Isaac.

“Jacob è un figlio della Siberia, sua sorella è malata, ha voluto seguirci e...”

“Mi pigli per il culo?! - sibilò Camus, in tono paurosamente strascicato. Non era di certo un buon segno, non lo era mai – Quindi voi due non solo mi avete seguito in una missione suicida, ignorando le mie direttive, ma pure vi siete portati dietro un bambino di soli 4 anni?! Cosa vi ho insegnato in tutto questo tempo?! Rispondimi, Hyoga! Non vi ho forse detto di mantenere sempre, sempre, il sangue freddo?! Di non lasciarvi mai imbrigliare dalle emozioni?!”

“Sì, Maestro!”

“E voi lo avete fatto, quest’oggi?”

“Decisamente no...”

“Eppure… eppure... - ringhiò fuori di sé dalla rabbia, prima di rendersi conto che, così facendo, infangava lui per primo i suoi stessi insegnamenti. Si costrinse a ricomporsi, sebbene la presenza degli allievi lì lo destabilizzasse non poco – Una volta finito qui faremo i conti, una bella punizione non ve la toglie nessuno, ragazzo!”

C’era da aspettarselo, non se ne meravigliò. Sia lui che Isaac erano preparati a quella eventualità, avendo scelto consapevolmente di recarsi in loco per sostenerlo, anche se a ben vedere -Hyoga sospirò- non avevano fatto altro che peggiorare il tutto.

Non c’era un istante da perdere, il ragazzo biondo aveva sentito la sua voce, sua di lei e, come già sospettava, non c’era nulla di profondamente malvagio nella creatura, ma Isaac…

“Maestro, dobbiamo sbrigarci! Isaac ha pedinato Zima e...”

“CO-COSA?”

Camus era sbiancato, a quell’ultima rivelazione, sembrava quasi sconvolto, mentre il suo corpo -Hyoga, ancora impiegato a sorreggerlo, lo notò distintamente- aveva cominciato a tremare spasmodicamente.

“Lui è convinto che la creatura sia una minaccia per l’umanità, un nemico, anche Elisey ci ha detto così, ma… ma… ho sentito la sua voce, Maestro, non sembrava affatto malvagia! Lei, Zima, ha chiesto ad Isaac di lasciarla stare, di farla andare via, ma lui era in pena per voi, non ci ha più visto e… e l'ha braccata! Dobbiamo raggiungerli!”

Camus a quelle parole sembrava ancora più incredulo, mentre, con enorme sforzo, cercava di digerire la notizia e mascherare al contempo la preoccupazione per l’altro allievo.

“Hyoga, tu… sei riuscito a sentire la sua voce, la voce di Zima?” chiese, genuinamente sorpreso, staccandosi un poco da lui per reggersi da solo, ma rimanendogli comunque vicino.

“Sì, ha parlato nella mia testa con voce affannosa ma dolce, è molto stanca, Maestro, e Isaac… Isaac non le darà requie, pensa sia stata lei a farvi del male!”

Hyoga si sforzava di mantenere il sangue freddo come gli era stato insegnato, ma pronunciava le parole in un crescendo di tonalità. Inaspettatamente la mano di Camus si mosse per accarezzargli i ciuffi biondi con gesto delicato ma sentito. Vi era qualcosa di luminoso nei suoi occhi, come di fierezza appena sussurrata nel vento. Era… orgoglioso di lui? Il biondo si ritrovò ad arrossire nel guardarlo, sentendosi genuinamente apprezzato e sorpreso da quella azione.

“Hai ragione, Hyoga, Zima non è affatto malvagia, è… è difficile da spiegare, ma tu sei riuscito a capirla e a sfiorarla, con il cuore, devi esserne fiero di te stesso, non è da tutti!” lo encomiò, un leggero sorriso a solcargli le guance. Poco dopo accennò qualche passo nella direzione precedentemente presa da Isaac, come a localizzare il cosmo dell’allievo. Era in evidente apprensione.

“Maestro...”

Hyoga non sapeva bene come agire, farsi da parte o unirsi a Camus nel tentare di convincere suo fratello a tornare sui suoi passi? Fortunatamente la risposta gli venne data dal suo mentore.

“Hyoga, temo avrò bisogno anche del tuo aiuto per convincere quello scapestrato di Isaac sull’inutilità di un combattimento con Zima, sei… sei con me?” gli chiese, guardandolo negli occhi con determinazione. Era lampante non li volesse lì, ma loro ormai c’erano e, per uscirne illesi, sarebbe servita la collaborazione di tutti.

“Farò quanto in mio potere, Maestro Camus!”

“Conto su di te, rimani dietro di di me e proteggi Jacob con tutte le tue forze!” gli disse ancora, sorridendogli con fermezza, prima di scattare insieme a lui nella direzione presa dall’altro allievo.

 

Isaac intanto se la stava vedendo brutta contro la creatura. Era stato appena sbalzato via da qualcosa che rassomigliava paurosamente ad un vortice polare ed era stato proiettato violentemente indietro, fino a quando il suo corpo, la sua spalla, non avevano cozzato violentemente contro qualcosa di duro che gli aveva mozzato il respiro. Era scivolato a terra, dove ora rantolava, il petto ansante, una fitta di dolore che gli aveva attraversato tutto il braccio e si irradiava in tutto il suo corpo.

“Merda! L-la spalla… deve essersi lussata!” biascicò tra sé e sé, dolorante, mentre con l’altra mano si teneva il braccio opposto nel tentativo di dosare il gelo per placare almeno un poco quelle fitte acuminate. Non era in grado di alzarsi nell’immediato, troppo intenso il male, ma era in una posizione di forte svantaggio, doveva muoversi, altrimenti…

“GAAAAAAAU!”

Fremette nell’avvertire la bestia avvicinarsi a lui, sempre più minacciosa. Si sforzò di riaprire gli occhi, un brivido gli scorse la schiena nel distinguere i suoi occhi iniettati di sangue, i canini sporgenti, le zampe piegate nel preparasi al balzo. Stavolta lo avrebbe attaccato, con tutte le sue forze, sbranandolo, Isaac ne avvertì l’immensa pressione.

Molto bene, ti sei decisa, infine, a mostrare la tua vera natura. Non mi arrenderò, sono in futuro Cavaliere di Atena, non posso arrendermi! MAI!

“GAAAAAAAAUUUUU!!! GAAAAAAAAUUUUU!!!”

La bestia sembrava imbizzarrita, ululava sempre più minacciosa, mentre cristalli di ghiaccio danzavano tutt’intorno, dandogli un aspetto elegante e terribile al tempo stesso.

Cosa ti trattiene ancora? Sembri fuori di te, ma esiti, come se non volessi, coraggio, sono qui, sono pronto a riceverti!

Come se avesse udito questi pensieri, la belva gli saltò addosso, spalancando le fauci e lanciandogli un raggio ghiacciato dalla bocca. Isaac sorrise di sbieco, mentre, coniugando tutte le sue forze nei piedi la scansò da un lato, pattinando poi elegantemente sul ghiaccio per cambiare direzione e attaccarla. Zima finì a sbattere contro la roccia, rimanendo per pochi secondi stordita; secondi che Isaac sfruttò per congelare una delle sue zampe posteriori, come gli aveva insegnato il maestro Camus. Una fitta di dolore gli si acuì nel petto, partiva proprio dalla spalla lussata ma decise di non darci peso, muovendosi ancora una volta per raggiungerla da dietro, dove, con la mano libera, congelò la zampa opposta anteriore, immobilizzando così di fatto la creatura.

“GRRRRR!!! Guauuuuu! Guaaaaaaau! Anf, anf!”

“Sembri a corto di fiato, eh? Puoi dibatterti quanto vuoi, da quella morsa non ne uscirai, né ora ne mai! E ora preparati al verdetto!” la canzonò, ancora quell’aria maligna a solcargli gli occhi verdi, che emanavano già la luce della vittoria. Sinistri, inquietanti. Una strana sensazione di onnipotenza invase Isaac alla sola idea di stare per piegare quella creatura, la quale, incassano il muso tra le zampe, sembrava finalmente cedere, la lingua a penzoloni, gli occhi serrati.

“Guauuu…. Guau...” gorgogliava sempre più debolmente, piegandosi sempre di più su sé stessa, quasi da cadere a terra.

“E’ la fine per te, add...”

“BASTA, ISAAC!”

Qualcosa gli aveva colpito il braccio che si era alzato per infliggere il colpo di grazia, se ne meravigliò, quasi come riconoscere quella voce inconfondibile quando le due persone per lui più importanti della sua vita uscirono dal fitto della boscaglia.

“Maestro Camus… Hyoga!”

La faccia del maestro, i suoi occhi su di lui, ne avvertì l’immenso peso, ciò bastò per farlo retrocedere di uno, due, passi, il cuore in gola, la spavalderia di prima un lontano ricordo. Quelle due iridi puntate su di lui emanavano la profonda scintilla di biasimo, erano taglienti, forse anche troppo, secche e… fredde. Sussultò, mordendosi il labbro inferiore.

“Hai preso un granchio, Isaac! Lascia in pace Zima, non è uccidendola che risolverai la questione! Fatti da parte!”

“Ma io...”

“E’ la verità, Isaac! - intervenne anche Hyoga, stringendo un sempre più spaventato Jacob tra le braccia, gli occhioni lucidi – Non è lei la nemica da sconfiggere!”

Isaac non riusciva a crederci, guardò ancora la creatura quasi stramazzata a terra, poi ancora i nuovi venuti.

“Ma Elisey ha detto che è stata lei a provocare l’endemia, non...”

“Isaac! Guardala, guardala attentamente! - gli fece notare Camus, avvicinandosi cautamente a loro, con passo lento e un poco traballante, mentre l’altro allievo rimaneva indietro – Ti sembra possa arrecare volontariamente danni a qualcuno? Sta utilizzando tutte le sue forze per trattenersi, vittima di un male che non può controllare pienamente. E’ stremata, sfiduciata… ti ho mai insegnato a infierire su un essere così? Lei ha bisogno di aiuto, sta soffrendo molto...”

“Ma Maestro, lei mi ha...”

“...Attaccato?! Cos’altro avrebbe potuto fare?! Si è sentita in pericolo, era all’angolo, non aveva altra scelta, se non quella di passare al contrattacco , come ogni animale, come ogni uomo! Isaac, ascoltami per una buona volta, non infierire più su Zima, non lo merita, risolveremo la questione in altro modo”

Isaac abbassò lo sguardo, ma non il pugno, ancora incredulo che la situazione potesse ribaltarsi così. Elisey era stato categorico, ed era uno stronzo, un farabutto, ma diceva sempre, sempre, la verità, perché quindi mentire in quella circostanza?! Su una cosa così importante?

“Avete scoperto se… è stata Zima a causare il morbo?”

Camus sospirò, sapeva non sarebbe stato facile trattare con il ragazzo, ma non gli avrebbe potuto mentire.

“Sì, è stata lei a...”

“E ALLORA COME POTETE DIRMI DI RISPARMIARLA, SE E’ STATA LEI A CAUSARE TUTTO QUEL DOLORE?! Va eradicata, come tutto il male nel mondo!” saltò su Isaac, ancora sulle sue posizioni, per niente intenzionato a retrocedere.

Camus sospirò di nuovo, ormai era vicinissimo sia a Zima che ad Isaac. Cercò a fatica le parole in fondo al suo cuore, prima di esprimerle.

“Isaac… la verità non è sempre netta, per questo ti ho sconsigliato di fare appiglio al Kraken, come potenza. Non è tutto o bianco o nero, è… è sfumato, mio giovane allievo, e… e anche Zima lo è… abbi compassione di lei, è… ”

“Compassione?! Lei non ne ha avuta per tutti quei bambini!!! Quanti ne avrà uccisi, Maestro?! Che motivo aveva di scagliare quel male, quasi come un peccato originale?! No, è un pericolo, ancora di più, se, come dite, ha perso il controllo sulla sua forza!” ribatte Isaac, più categorico che mai, dando le spalle a Camus e apprestandosi a colpire, assolutamente implacabile.

“MA NON HAI ANCORA CAPITO, ISAAC?! - la voce di Hyoga, fuoriuscì quasi senza che il cervello prendesse parte alla decisione – Zima è una vittima! Elisey ci ha detto quelle cose per metterci alla prova, come futuri Cavalieri, come futuri uomini, come difensori della giustizia! Non riesci a udire la sua voce? La voce di un essere vivente che sta soffrendo?! E’ nostro compito aiutarla, non distruggerla! Elisey ci ha mandato qui, a sostenere Camus, per questo!”

Isaac fissò suo fratello a bocca semi-aperta. Un rimprovero. Pronunciato in tono duro, solenne. Non era mai successo che Hyoga si esprimesse così nei suoi confronti, eppure, proprio in quel momento, il biondo risplendeva di una luce sacra, inarrivabile, come aveva visto scaturire solo dal suo maestro. Eppure Hyoga aveva quella stessa luce, lo stesso, luccicante, sfavillio. Come Camus. Così simili… come padre e figlio.

Indietreggiò ulteriormente, abbassando lo sguardo, scosso. Davvero aveva preso un così drastico abbaglio?! La voce… della creatura?! Hyoga diceva di riuscire a sentirla, ma ciò che era arrivato alle sue inesperte orecchie erano solo latrati, ululati, ringhi sommessi.

Aveva frainteso le intenzioni di Zima… forse, prima, non stava facendo del male a Camus, inchiodato alla roccia con le braccia aperte e il respiro corto, forse, sempre prima, il suo muso contro l’addome del suo maestro, scoperto completamente a seguito della posizione cui era costretto, non indicava il suo volerlo sbranare, partendo dalle interiora come qualunque lupo selvatico avrebbe fatto, ma un tentativo di salvarlo, di fargli forza, prima di portarlo via da lì e condurlo al sicuro.

E capì. Capì perché lui non era in grado di percepire la sua voce, perché aveva affinato troppo l’udito, a scapito del cuore; ed era il cuore ad essere sordo alla voce di Zima.

“MAESTRO CAMUS! ISAAC!”

Così distratto dai suoi pensieri, quasi non si accorse di quello che stava per accadere a poca distanza da lui La creatura, dopo un ultimo, estremo, tentativo di autocontrollo, si era messa a ululare sinistramente, mentre la brezza leggera, che prima roteava intorno a lei, facendole danzare elegantemente i nastrini bianchi che erano parte della sua corporeità, stava letteralmente per implodere su sé stessa, prima di detonare con una intensità difficile da resistere.

Isaac ebbe appena il tempo di capirlo, un brivido gli corse lungo la schiena, prima di essere gettato indietro insieme al suo maestro con una forza sbalorditiva.

Hyoga, invece, dalla sua posizione più distante, dopo aver tentato di avvisare le persone a lui più care con tutte le sue forze, invano, riuscì a conservare abbastanza sangue freddo per avere l’imput di buttarsi a pancia a terra, con Jacob sotto di sé, e resistere così all’immenso spostamento d’aria senza conseguenze sul piccolo. Era riuscito a proteggerlo con le sue braccia, ma lo stesso non poteva dire di Isaac e Camus, colpiti in pieno dalla nebbia bianca che ora si addensava tutt’intorno. Rabbrividì, mentre si accorse, una volta in più, che le persone a lui più care avrebbero anche potuto morire in una situazione simile.

“GUAAAAAAAAAAAAAAAAAUUUUUU!!!! GRRRRRRRRRRR!!!”

L’immensa bestia, che sembrava persino più grande di prima, si era infine liberata dalla morsa di Isaac e muovendo violentemente il collo, come se fosse totalmente fuori di sé, aveva preso ad ululare con sempre maggior forza, mentre il vortice polare, che lei stessa aveva creato, vorticava sopra di lei, sferzando i dintorni e abbattendo gli alberi più vicini.

Tutt’intorno non c’era altro che nebbia bianca, spessa, che impediva la visuale. Hyoga era terrorizzato all’idea che Isaac e Camus, così vicini alla creatura, avessero subito danni ingenti, voleva aiutarli, ma prima c’era un’altra cosa che doveva fare. La sua mente febbricitante prese a vorticare, quasi come il colpo di Zima, mentre, a fatica, sempre trattenendo Jacob sotto, si metteva difficoltosamente a ginocchioni.

“Z-Zima ha perso totalmente il controllo su sé stessa, non può… non può più fare nulla per impedire alla sua furia di scatenarsi… J-Jacob, stai bene?”

“I-io sì, Hyoga, perché tu mi hai protetto, ma… ma il maestro e...”

“Ci penso io a loro, tu… tu, passando dietro di me, allontanati da qui, rintraccia Elisey, digli di venire qui. Ti farò da scudo con il mio corpo!”

“N-No, Hyoga, non vi abbandono, non...”

“Sei un piccolo guerriero anche tu, vero? - gli sorrise Hyoga, permettendosi di sfiorargli uno dei ciuffi con una mano, come Camus aveva fatto con lui quando era piccolo. Al cenno di assenso del bimbo, a quel luccichio nei suoi occhi verdi, proseguì – E allora vai, senza voltarti indietro, un guerriero è anche questo!”

Il piccolo eseguì con riluttanza. Passò a gattoni in mezzo alle gambe di Hyoga, prima di dirigersi, sempre muovendosi quattro zampe perché la forza centripeta era tremenda, al riparo nel bosco.

Hyoga attese che il bambino fosse al sicuro, prima di espandere il proprio cosmo come gli era stato insegnato. Continuava a non vedere né Isaac né Camus, il solo pensiero che potessero essere feriti gli raggelò il sangue nelle vene più di quanto già non facesse quell’enorme ciclone di ghiaccio, ma aveva ben chiaro come agire. Rabboccò aria respirando profondamente, prima di attirare e incanalare l’immane potere di Zima su sé stesso. L’idea era quello da fungere da vettore, assorbendo il più possibile il gelo nel suo corpo, rischiando di finire a pezzi nel processo, ma allontanando al contempo quell’energia dalla sua famiglia. Così fece, anche se la pratica, come spesso accadeva negli allenamenti, era ben più difficile che la teoria. Concentrò tutte le sue forze per subire su di sé quel vortice, tossì più volte, i polmoni sussultarono, il dolore su tutto il corpo era immenso; il ghiaccio a così basse temperature bruciava per davvero, come se si trovasse vicino ad un incendio, ma non si arrese. Socchiuse un occhio, con l’altro si sforzò di rimanere vigile, era ancora inginocchiato per terra, l’energia convergeva su di lui, come voleva, il prezzo per farlo, però, era la sua vita. Strinse più che poté le mani, quasi del tutto rigide, era come se si potessero staccare da un momento all’altro. Rabboccò ancora aria, annaspando, quasi del tutto sfinito, ma mai arrendevole.

“Coraggio… - si disse tra sé e sé per farsi forza – che la mia malaugurata esistenza possa concretamente servire a qualcosa!”

Ad un certo punto avvertì scricchiolare il permafrost. Riaprendo l’altro occhio, si rese condo che Zima aveva compreso le sue intenzioni, e che lentamente, ma con costanza, si stava avvicinando minacciosa a lui, i denti ben in mostra. A Hyoga si strinse il cuore. Quella meravigliosa creatura dal fulgido color celeste e il mantello pezzato di motivi romboidali, era diventata totalmente nera, gli occhi iniettati di sangue, il liquame denso che gocciolava per terra. Non aveva nulla della gentilezza che gli aveva narrato sua madre, eppure la sua voce, la sua disperata richiesta di essere aiutata, Hyoga la poteva udire ancora, era un latrato sommesso e agonizzante, testimone del dolore che certamente provava. Zima era ormai ad un palmo dalla sua faccia, produsse uno stridio con i denti, probabilmente lo avrebbe morso proprio sul volto, o forse sul collo, soffocandolo, come ogni predatore, ma lui non aveva paura, non riusciva a far altro che guardarla con compatimento e tristezza, percependone distintamente una solitudine lunga secoli. Zima soffriva, non soltanto fisicamente, per quello che gli uomini le avevano fatto subire, ma anche e soprattutto per un’altra ragione. Gli occhi azzurri di Hyoga si incrociarono con i suoi, sanguigni, quasi spiritati.

Nessuna paura, solo una gran malinconia.

“Anche a te manca tanto qualcuno, vero? Sei… come me! - farfugliò il ragazzo, il respiro stentato, non abbassando il capo – Vorrei… vorrei tanto essere in grado di scacciare almeno la tua tristezza...”

La zampa destra di Zima, purtroppo sorda alla sua supplica, si alzò lentamente con l’evidente intenzione di colpirlo, prima di sbranarlo, ma un qualcosa di piccolo e nero la colpì proprio in testa, facendola scrollare. Poi un altro. Un altro ancora, sempre in testa, con precisione quasi matematica. Ringhiò. Hyoga ci mise un po’ a capire cosa stesse succedendo, prima di udire distintamente la vocetta di Jacob a poca distanza da lì.

“Fermati! Fermati, Zima!!! Il Maestro dei Ghiacci ha detto che non sei cattiva, e allora perché… perché vuoi fare de male a Hyoga?! Lui è… puro e candido come Camus, è luce, non ti farebbe mai del male, e allora perché?!?”

In quell’istante Hyoga ebbe paura, di nuovo. All’angoscia per la sua famiglia si aggiungeva ora anche quella per le sorti del bambino. Si voltò verso il piccolo, gli occhi sbarrati dal terrore, urlandogli di fermarsi, di scappare, di allontanarsi. Jacob aveva trovato dei sassi nel fitto del bosco e in quel momento li stava lanciando alla creatura, provando a fermarla e a chiedere spiegazioni. Zima ne subì ancora due o tre, prima di girarsi a sua volta e ringhiare, i muscoli delle zampe tesi, pronti a spiccare il balzo.

“Perché?!? Perché lo fai??? Ti prego, fermati e salva la mia sorellina, e tutti gli altri! Il maestro dei Ghiacci ha detto che sei buona, ed io credo a lui, dimostralo anche agli altri!” continuava il bimbo, supplice, i lacrimoni agli occhi.

“Jacob, ma sei impazzito?!? Ti attaccherà! Non è in sé! Non è...” riuscì ancora a dire, prima di vedere con orrore che Zima, piegando le zampe posteriori, stava per saltare addosso al piccolo. A quel punto la ragione venne meno, agì solo l’istinto, tramite il quale Hyoga, intuendo la direzione della creatura, si frappose tra il piccolo e i suoi artigli, stringendo a sé Jacob urlante, facendogli scudo con il proprio corpo.

Tutto parve bloccarsi per un secondo, il tempo, le azioni, persino il vento. Hyoga giurò di udire il richiamo di Camus, che lo chiamava da qualche parte, ma non seppe definire se era reale o frutto dell’immaginazione, sembrava tutto così ovattato, eppure… gli artigli sulla sua schiena, che gli lacerano la maglietta e la pelle, li avvertì distintamente, ma non urlò. Si ritrovò a rotolare sul permafrost per diversi metri, una delle sue mani dietro la testa del piccolo, l’altra ad attutire i colpi su quel corpicino che dipendeva in tutto e per tutto da lui.

Prendersi cura di qualcuno… posso farlo anche io, allora…

Si ritrovò a pensare, prima di finire contro una parete di roccia ed essere raggiunto dalla bestia che, totalmente fuori di sé, iniziò a colpirlo con violenti unghiate. Hyoga resistette per un tempo che gli parve secoli. Jacob era sotto di lui, svenuto ma fuori dalla portata dei colpi. Si ritrovò a sorridere, mentre perdeva coscienza.

Dall’altro lato del campo, Camus aveva effettivamente urlato il nome dell’allievo con una pesantezza nel cuore che via via si faceva sempre più insostenibile. La visibilità era ridotta ad un niente, sia lui che Isaac avevano subito il colpo di Zima, ma era stato veloce a limitare i danni, erigendo un Muro di Ghiaccio per sé e per l’allievo, purtroppo per Hyoga c’era stato poco da fare, troppo lontano da loro per riuscire ad intervenire. Avvertiva distintamente il suo cosmo ancora un po’ acerbo ma straordinariamente ampio, grazie a quello intuì cosa avesse provato a fare il ragazzo, ed era stata pura follia.

“Hyogaaaaaa!” urlò di nuovo, alzandosi in piedi un poco traballante, dopo aver appurato, con una occhiata, che Isaac stava bene, nonostante una vistosa lussazione della spalla. Il suo tono era ricolmo di pena, il suo spirito e il suo cuore ancora di più. Si guardò angosciosamente intorno nel disperato tentativo di scorgerlo, tutto inutile, la nebbia bianca permeava tutto. Vacillò.

Maledizione, Hyoga, dove sei?! Stai assorbendo il potere di Zima su di te per salvare me ed Isaac?!? E’ follia, mia giovane e coraggioso allievo, non puoi trattenere tutta quell’aria congelante, il tuo corpo andrà in pezzi e… NO, PER ATENA, NO! Devo intervenire prima che sia troppo tardi, non sei tu che devi proteggermi, ma io… è mio compito, tu sei ancora troppo giovane, non posso, né voglio, perderti! Oh, Hyoga… dove sei?! Dammi un segno, ti prego!

“Maestro! La nebbia si sta diradando in quel punto!” lo avvertì Isaac, alzandosi a sua volta in piedi nonostante i danni riportati. Camus sussultò al suono della sua voce e, ancora di più, quando finalmente riuscì a localizzare Hyoga. Il suo cuore non perse semplicemente un battito, si fermò, o meglio, così gli parve, per una serie interminabile di secondi. Si augurò che non fosse vero, che si trattasse di un abbaglio, di una allucinazione, ma più la nebbia si diradava, più davanti ai suoi occhi, e soprattutto nel cervello, era chiaro cosa stesse succedendo. Si sentì mancare.

“Hyo...” fece per intervenire Isaac, temerario come sempre, ma Camus lo spinse un poco bruscamente a terra per impedirgli di agire, prima di dirottarsi in avanti.

“Tu non ti muovere da qui, hai causato anche fin troppi danni!”

Il suo tono era più freddo del solito, l’inesperienza aveva tratto in inganno Isaac, non era neanche totalmente colpa sua, ma in quel momento più che mai era necessario che il ragazzo rimanesse fermo e immobile.

Con il cuore denso di paura, un nodo in gola, si precipitò verso Zima, ancora intesa a infierire su Hyoga, che giaceva scompostamente a terra, il respiro penoso.

Dimmi che non è troppo tardi! Non avrei dovuto permettere che intervenissero, stanno rischiando la vita per me, insieme a me, se gli dovesse succedere qualcosa non me lo perdonerei mai!

Il nodo si acuì nel petto mentre, con un rapido e agile balzo, saltò sopra la creatura, afferrandole, con le mani il muso e stringendo le gambe sul sui fianchi, come se si trattasse di un cavallo.

“Zima! Zima, fermati ti prego! Hyoga è innocente!”

“GUAAAAAAAAUUUU!!!” si divincolò lei per tutta risposta, cercando di strattonarlo via, completamente furiosa.

Come temeva Zima, in quello stato non era più in grado di riconoscerlo, era vano parlarle, eppure non l’avrebbe attaccata, non dopo averne saggiato l’immensa tristezza. Si strinse alla creatura alla ben meglio fino a quando lei finalmente, dovendosi occupare di questioni più urgenti, non lasciò stare il corpo ormai martoriato di Hyoga.

Camus ebbe l’impulso di correre da lui, ma lasciare Zima le avrebbe permesso di continuare ad infierire sul ragazzo, o su Isaac e non poteva permetterglielo. Cosa fare? Riprovare a parlarle in tono calmo e gentile? Sarebbe poi servito? Hyoga aveva bisogno di cure, ancora doveva sincerarsi delle sue condizioni, ma era lampante fosse rimasto ferito anche piuttosto seriamente.

Con la mente febbricitante di tutti questi pensieri, Camus quasi non si rese conto, se non quando avvertì dolore, di essere sbattuto sulla roccia diverse volte. Strinse i denti, aumentando la presa sulla creatura, che faceva di tutto per disarcionarlo, anche picchiando più volte contro le pietre, del tutto fuori di sé.

“Zima, ti prego, sono io! Torna in te, puoi ancora farlo! Non lasciare che questa oscurità ti consumi, ricorda… ricorda ciò che eri e… urgh! - tossì nell’accusare l’ennesimo colpo che gli mozzò il respiro – Io credo in te, Zima, non sei più sola, non sei più...”

Non riuscì a finire la frase. Roteando su sé stessa con violenza, Zima riuscì finalmente a scrollarselo di dosso, sbalzandolo via e facendolo rotolare per diversi metri sul ghiaccio che bruciò la sua pelle in diversi punti nelle zone esposte. Camus era stordito, non aveva forze per alzarsi nell’immediato, l’impeto con cui era stato lanciato probabilmente gli aveva rotto una costola, che ora gli procurava fitte intermittenti ad ogni respiro. Erano in balia di Zima, se la creatura avesse nuovamente attaccato per loro sarebbe stata la fine, ma fortunatamente si era momentaneamente placata, cominciando a latrare in affanno, la lingua a penzoloni.

“Urgh… anf, anf...”

Fu un respiro, quello stentatissimo di Hyoga, a ridare le energie a Camus. Si accorse, con orrore, che non era caduto molto distante dall’allievo, il quale, ora lo vedeva nitidamente, era rannicchiato su sé stesso, del tutto sofferente, stringendo il piccolo Jacob, a sua volta svenuto, tra le braccia.

“Hyo-Hyoga!”

Le energie gli mancavano, ma riuscì comunque a strisciare verso il ragazzo, sebbene ogni movimento gli procurasse un dolore atroce. Finalmente lo raggiunse, gli accarezzò i ciuffi biondi e, con la mano tremante, coniugando tutto ciò che restava delle sue forze, riuscì a girarlo dolcemente in posizione più comoda, controllando le sue funzioni vitali e le ferite. Rabbrividì, Camus dell’Acquario, ancora una volta, nell’accorgersi che il giovane perdeva sangue dalla schiena ed era in cattive condizioni fisiche. Era bollente, respirava appena, con grande affanno, e la colpa era stata la sua, poiché non era stato in grado di proteggerlo, di proteggere il suo allievo!

“Hyo-Hyoga… - la voce gli era uscita incrinata, mentre la paura, che si sforzava di non far trasparire fuori da sé, lo aveva invaso – Hyoga! Re-resisti! S-sono qui, non sei solo! Sei stato bravissimo, ci hai protetto, ci...” riuscì a dirgli in tono tremante; tremante quasi come il corpo del giovane che era preda degli spasmi. Lo accarezzò dolcemente sulla schiena, evitando le zone ferite, mentre con il gelo tentava di fargli percepire meno dolore e arrestare l’emorragia.

“Mae-stro...” la voce flebile di Hyoga, i suoi occhi si erano aperti, le pupille erano dilatate.

“Non parlare, Hyoga! Sono qui… ti prometto che starai meglio, mi prenderò cura io di te, ma non compiere sforzi, ti prego, sei molto debole! Andrà tutto bene, conserva le energie!” lo supplicò, in tono chiaro e denso di pena. Sanguinava molto dalle ferite, il suo volto era sfatto, ma continuava a stringere coraggiosamente Jacob con una forza di volontà incrollabile.

“V-volevo proteggervi, Maestro… a v-voi e Isaac, m-ma… non sono a-abbastanza, urgh, i-intraprendente!”

“E invece lo sei stato; lo sei stato, Hyoga! - Camus sperava che il solo chiamarlo per nome spingesse il ragazzo a non arrendersi, a non cedere. Avrebbe fatto qualunque cosa per salvarlo, qualunque! – Siamo vivi e vegeti grazie a te, non cedere! NON CEDERE!” continuava a dirgli, in tono mozzo, accarezzandogli la fronte e poi i capelli. Gli occhi di Hyoga erano sempre meno brillanti, ogni tanto la palpebra cedeva, e Camus, disperato, gli dava uno scossone, febbrilmente.

“Coraggio, non arrenderti! Sono qui… SONO QUI!”

“J-Jacob sta bene?” chiese ancora il ragazzo, quasi del tutto stremato.

Camus controllò ancora una volta le condizioni del piccolo, non aveva riportato ferite, perché Hyoga aveva subito su di sé i colpi della creatura, ma era svenuto per il contraccolpo. Gli sfiorò una guancia con le lunga dita eleganti.

“Sì, sta bene, Hyoga, grazie a te! Ora però dobbiamo pensare a te, sei tu ad essere rimasto ferito!”

Hyoga a quelle poche parole sorrise; un sorriso tiratissimo ma genuino e dolce allo stesso tempo: non ce la faceva più a rimanere vigile, era così lampante...

“N-ne sono veramente felice, Maestro...” riuscì a sussurrare, prima di cedere del tutto. La testa, priva di sostegno, rischiò di cozzare contro il duro permafrost, ma la mano di Camus fu lesta a sorreggerla.

“Hyoga! HYOGA!” provò più volte a chiamarlo, ma il ragazzo era svenuto, non rispondeva più ai suoi richiami.

Lo accompagnò a terra, accarezzandogli nuovamente i ciuffi biondi, prima di controllare le funzioni vitali ancora una volta. Il battito era debole, il respiro aritmico, ma era vivo, Camus avrebbe dato l’anima, anche oltre, perché ciò fosse continuato anche dopo quella battaglia.

“V-va tutto bene, piccolo… sei forte, lo sei sempre stato! Resisti, Hyoga, resisti! Mi prenderò cura io di te, starai presto meglio! Non mollare!” lo provò di nuovo ad incoraggiare, posandogli le labbra sulla fronte, come una benedizione, per devolvere parte delle sue energie sull’allievo rimasto ferito.

E’ colpa mia… non avrei dovuto lasciarti scoperto, non avrei dovuto allontanarmi da te! Perdonami, non sono stato capace di proteggerti, maledizione!

Ebbe appena il tempo di sistemarlo meglio in posizione più comoda, prima di avvertire nitidamente dietro di sé il respiro della creatura.

“Grrrrrrrrrrr!”

Camus strinse di riflesso Hyoga contro il suo petto, come a volerlo difendere con tutto sé stesso, voltandosi lentamente verso la creatura, che lo guardava con gli occhi sanguigni e le fauci semi-aperte, pronta a tornare all’attacco.

“Zima… sei furiosa, hai tutto il diritto di esserlo, ma… - abbassò lo sguardo nello scrutare il viso, reclinato sul suo braccio, di Hyoga, che ansimava, l’altra mano era sul piccolo Jacob, ancora sul grembo del giovane allievo che, nonostante, l’incoscienza, continuava a tenerlo – Se vuoi prendertela con qualcuno, prenditela con me, non con loro; loro sono...”

Si fermò un attimo, riflettendo… già, cosa erano gli allievi per lui? Semplici apprendisti, oppure? La dolcezza di Hyoga, la temerarietà di Isaac, persino l’ingenuità di Jacob… erano la sua famiglia, insieme a Milo, a Sonia…

Avvertì calore nel petto.

“...sono tutto per me!” aggiunse infine, una luce particolare negli occhi.

“GUAAAAAAAAU!GRRRRRRRRRRRR!”

“Prendi me, se serve, ma lascia stare loro!” ripeté caparbio Camus, stringendo ancora di più la presa sul corpo del giovane allievo.

Quella volta non si sarebbe più fermata, era la sua stessa furia ad impedirglielo e, quella furia, si sarebbe riversata su Camus, senza che lui potesse opporre la benché minima resistenza.

Isaac, dalla sua posizione, era sinceramente sconvolto e del tutto impossibilitato a muoversi. Non più per il gelo, si accorse, bensì per la paura, ne era totalmente soverchiato. Cosa aveva causato la sua inesperienza!

Le gambe gli tremavano, sudava freddo, il respiro difficoltoso nel petto, il cuore a mille. Si rese conto che avrebbe voluto scappare, una sensazione che non provava più da quando era piccolo, una sensazione che non avrebbe voluto provare mai più. Scappare, e scappare, per nascondersi, nascondersi per il terrore, per la vergogna.

Per un istante fu anche tentato di farlo, ma poi i suoi occhi si erano posati sul viso pallido di Hyoga, sulle ferite presenti sul suo corpo, sulla sua espressione sofferente, e poi ancora sul volto martoriato di Camus, sul sudore che gli imperlava il viso. Entrambi erano in quella situazione per causa sua, suo fratello Hyoga aveva rischiato il tutto e per tutto per salvarli, e il maestro avrebbe fatto lo stesso per loro.

Hyoga… Isaac si soffermò ancora una volta sul suo viso. Era stato più che coraggioso a cercare di assorbire il gelo di Zima e a fare da scudo con il proprio corpo al piccolo Jacob. Spirito di sacrificio abnegazione non gli mancavano di certo, se solo essi fossero stati profusi nella sete di giustizia anziché per la defunta madre, sarebbe diventato uno dei Cavalieri di Atena più capaci, forse addirittura IL più capace. Possedeva un potenziale inesauribile, ma riposto nelle questioni sbagliate, per i morti, non per i vivi.

Isaac tremava ancora mentre, in una manifestazione di estremo nervosismo, si passò una mano tra i capelli, nascondendosi parte del viso con il palmo.

“Dannazione! Cosa… cosa ho fatto?! - tornò a guardare Hyoga per la terza volta consecutiva, una fitta al cuore lo investì – Sei come un fratello per me, perché… perché tendi sempre a mortificarti così?! Perché dai così poca importanza alla tua vita quando… quando per me e il Maestro Camus sei TUTTO?! Se solo te ne rendessi conto, di quanto ti vogliamo bene, di quanto tu sia speciale per noi, e di cosa tu ci abbia donato con la tua venuta in queste lande ghiacciate!”

Le sue braccia ricaddero lungo i fianchi, in una apparente manifestazione di resa, Rialzò lo sguardo sulla scena, rimproverandosi ancora una volta i suoi errori. La furia di Zima non era più placabile, sarebbe calata, in qualche modo, era solo da decidere su chi.

In un guizzo di determinazione, le iridi di Isaac lampeggiarono, mentre la mano venne stretta a pugno e sollevata all’altezza delle spalle: se la tempesta era impossibile da fermare, almeno avrebbe scelto lui dove essa si sarebbe abbattuta. Camus e Hyoga erano ciò che più amava di quella vita, la sua famiglia, la sua certezza, non avrebbe permesso a niente e a nessuno di strappargliele, non più. Era stato impotente mentre la sua famiglia d’origine veniva trucidata, era stato inerte mentre quel bastardo uccideva Lisakki, quella volta invece avrebbe agito per salvarli. A tutti i costi! Si azionò

Lanciò la Diamond Dust ai piedi della creatura con lo scopo di distrarla, cosa che gli riuscì, perché il suo muso terribile si posò su di lui, insieme al viso nuovamente terrorizzato di Camus.

“GRRRRRR!”

“ISAAC, NO! TI HO DETTO...”

So che siete già in pena per Hyoga, Maestro, e che ora lo sarete anche per me. Perdonatemi, non riesco ad accettare l’idea di vedervi feriti per causa mia. Io ho sbagliato, io ne subirò il fio!

La sua espressione era impressa nelle iridi blu di Camus, desiderò che quel messaggio appena pensato arrivasse dritto alla mente dell’amato mentore. Sorrise leggermente, prima di rivolgersi alla creatura.

“Zima, la tua ira è mal riposta! Sia Camus che Hyoga hanno sempre creduto in te, fin dall’inizio, sono io che ti ho attaccato, colpisci me, sfogati su me, perché sono io ad aver risvegliato la parte più terribile della tua essenza!” esclamò, alzando esaustivamente le braccia – Non opporrò resistenza, sono qui, prendi me come bersaglio e ristabilisci l’ordine, se serve per placarti!”

“E’ follia, Isaac!!! No! Non farlo, no!” tentava di opporsi Camus, visibilmente agitato, non sapendo più che cosa fare per impedire anche all’altro allievo di finire come Hyoga, o peggio.

Gli occhi di Isaac non erano più puntati su di lui, ma sulla creatura che lo fissava torvamente, mostrando i canini e poi le fauci. Aveva perlomeno distolto l’attenzione da Camus e Hyoga, e ora si stava avvicinando a lui, muovendosi nervosamente prima da una parte e poi dall’altra, restringendo sempre di più il semi-cerchio. Isaac stette immobile, cercando di ricacciare indietro la paura, sebbene le ginocchia continuassero a tremare. Zima non vedeva altro che lui; lui non vedeva altro che Zima, eppure la creatura esitava ancora, decise quindi di pungolarla.

“Coraggio, attacca! Sono qui, sono pronto a subire il peso delle mie azioni!” la incitò, caparbio e un poco incosciente alzando il tono della voce. Il destino si sarebbe compiuto, in un modo o nell’altro, non aveva senso esitare.

Così sia, ragazzo…

Isaac sussultò davanti a quel sibilo che gli si era strascicato nelle tempie e rimbalzava da una parete del cervello all’altra. Sbiancò, era la prima volta che riusciva ad udire la voce di Zima, ma essa era metallica, fredda e atona, portava il gelo nel cuore al solo udirsi, mozzava il respiro, rassodava la paura. Cedette di un passo rispetto alla sua posizione, mentre dalle fauci ben aperte della belva andava a crearsi un raggio di energia congelante pronto per essere lanciato. Esso era del colore dell’opale scuro, spietato, maligno… che strano soffermarsi sul colore di quell’attacco in un momento simile, Isaac si disse che il suo cervello faceva brutti scherzi, o forse era umano perdersi in simili pensieri prima di morire.

Non sarebbe sopravvissuto ad un simile attacco così devastante, non avrebbe potuto scansarlo neanche se avesse voluto.

Eppure… eppure tutto parve cristallizzarsi in un istante. Il raggio venne lanciato, o forse no, la mente del giovane ebbe un sussulto, un giramento di testa, prima di essere privato dell’equilibrio da un capogiro e cadere a terra. Gli occhi gli si chiusero, tutto si fece buio. Il tempo parve contrarsi, e poi il nulla per secondi che parvero quasi ore.

Quando Isaac tornò completamente in sé, le palpebre erano ben aperte, fisse verso il cielo distante ma vicino. La schiena per terra, il respiro affannoso.

Era… steso sul permafrost?! Ma quando diavolo era successo?! Come…?!

Mi… dispiace! Anf, anf...

Non era la sua voce, non era nessuna delle voci che aveva udito prima, neanche quella della creatura. Era così dolce, delicato, caloroso, quel suono, così diverso da prima, eppure… Isaac, per qualche motivo sconosciuto lo abbinò subito a Zima.

Si riscosse, accorgendosi di riuscire nuovamente a muovere i muscoli e le giunture, precedentemente bloccate. Le increspature del tempo, prima congelato, stavano lentamente tornando alla normalità.

Il tempo congelato… Isaac realizzò, senza sapere bene come, che qualcuno era arrivato a manomettere il tempo per pochi, brevi, necessari, secondi per riuscire a salvarlo. E quel qualcuno non poteva essere altro che…

Ca-Camus, mi dispiace… mi dispiace enormemente, i-io non…

“V-va tutto bene, Zima, anf… come ti ho già detto prima, ora siamo in due...”

Isaac raddrizzò la schiena, mettendosi a sedere. Costernato, allibito… prima di spalancare la bocca in preda alla più sincera meraviglia.

Camus era davanti a lui, gli dava la schiena, mentre, con le braccia, tratteneva Zima per il muso, posato ora sulla sua spalla destra. Erano entrambi avvolti da una luce dorata e sorprendente, gli occhi chiusi, stremati, lo si presagiva dall’espressione di entrambi, ma avvolti quasi in un abbraccio reciproco che faceva battere forte il cuore.

La luce dorata prese vigore, partiva da Camus e irradiava l’intera creatura, scacciando parte del nero che l’aveva lordata, anche se non completamente. Il liquame era ancora persistente, gocciolava per terra, ma sotto di esso, lo si distingueva sempre di più, il reale colore di Zima stava riprendendo brillantezza.

Perdonami, io… non sono degna di…

“E’ tutto apposto, n-non mi hai fatto… male... S-sono qui, con te, solo questo conta!” biascicò ancora Camus, nel tentativo di tranquillizzarla, in tono tirato e sempre più fievole, ma comunque determinato e dolce allo stesso tempo. Aveva ripreso a respirare male, come prima, ma non se ne curava, posando la sua fronte contro quella della creatura, appena sotto il grosso diadema, o sorta di corno, che -Isaac se ne accorse solo in quel momento!- era spezzato, mentre con le mani, con cui poteva fare mille e più magie, passava ad accarezzargli la linea del muso fino al collo, per poi scendere, fermarsi, e ripartire dal capo.

No… no… no! Cosa… cosa ho fatto, cosa...

“Devi calmarti, Zima, anf… non posso aiutarti se tu, urgh, non me lo concedi...”

Non posso… non posso!!! Morirai, altrimenti!

La creatura si divincolò, spaventata da qualcosa, le forze rimaste a Camus non permisero di impedirle di spezzare quel contatto che era indispensabile per purificarla, si sentì cadere a terra, le ginocchia picchiarono contro il permafrost, tentò subito di alzarsi ma le energie gli mancavano, si ritrovò a tossire e a sputare, suo malgrado, sangue.

Zima sembrava sinceramente sconvolta, spaventata, era tornata parzialmente in sé, ma incespicava tra le zampe, guardando terrorizzata in ogni dove, le pupille dilatate, la lingua a penzoloni, non faceva che ripetere di perdonarla, che non voleva davvero farlo -ma fare cosa?!- e che non aveva rimedi per il male che aveva causato, non da sola.

“Z-Zima...” provò ad intervenire Isaac, accennando un passo, ma la creatura svicolò via, dando loro le spalle e fuggendo in direzione del bosco, vittima dei sensi di colpa.

Isaac si morse il labbro inferiore, fece per seguirla di nuovo, stavolta per aiutarla, non per attaccare, ma Camus alzò il braccio per fermarlo intimandogli di stare indietro. Quella volta l’allievo eseguì docile, ma c’era qualcosa che non andava, il maestro respirava sempre peggio, era rannicchiato al suolo, mentre si sforzava al contempo di alzarsi e di non crollare. Il fiato gli mancava per parlare, ma la sua voce difficoltosamente riuscì comunque a raggiungere Isaac, ancora dietro di lui. Il lungo mantello occludeva parte della visuale sul suo corpo.

“I-Isaac, p-prendi Hyoga e Jacob e portali fuori di qui, al sicuro, mi raccomando, conto su di te! Hyoga è ferito, pensi di… di riuscire a prestargli le prime cure, come ti ho insegnato?”

“S-sì, Maestro, ma voi… voi dove andrete?”

“Vi raggiungo appena possibile, non temere...”

“State… soffrendo!” constatò Isaac, osservandolo alzarsi faticosamente in piedi al quarto tentativo, traballare, prima di sforzarsi di mantenere una postura ritta, sebbene la schiena fosse parzialmente piegata in avanti.

“Non sono io a star soffrendo, Isaac, ma Zima, lei… lei… devo aiutarla!” rantolò, accennando un passo in avanti, ma fermandosi subito dopo perché non ce la faceva a proseguire, era sempre più evidente.

Quella volta Isaac si avvicinò testardamente a lui, il cuore sempre più pesante, protraendo la mano nella sua direzione. Camus, indovinando il gesto, si allontanò alla ben meglio, continuando a mostrargli soltanto la schiena nascosta dal lungo mantello.

“I-Isaac, ti ho detto di andare… se vuoi essere così tanto di aiuto a qualcuno, anf, pensa a tuo fratello Hyoga, ti prego, lui ha bisogno di te!”

“Penserò anche a Hyoga, Maestro, ma non vi lascerò qui, mai! La vostra voce è sempre più fievole, stentata, cosa sta succedendo?! Perché non vi girate e non mi guardate in faccia?!” lo incalzò, in un crescendo di tono. Avrebbe dovuto mantenere il sangue freddo, ma fanculo l’impassibilità, in quel momento non serviva, era lampante che Camus stasse sempre peggio, si nascondeva ai suoi occhi per non mostrare quanto stesse male. Esattamente come anni prima.

“Isa-ac… devo… devo raggiungere Zima, ti prego… sta soffrendo, non posso stare qui. Ti supplico, per stavolta fai il bravo, allontanati con...”

“NON MI ALLONTANERO’, VI HO DETTO, NON FINO A QUANDO NON VI GIRERETE E MI ASSICURERETE DI STARE BENE!”

“Uff, Isaac, mio giovane e coraggioso allievo… - ansimò ancora Camus, voltandosi a mezzo busto per scorgere meglio i suoi occhi. Quell’unico gesto incrinò pesantemente qualcosa dentro Isaac, che letteralmente si sentì morire a quella visione – D-dobbiamo litigare anche in un momento simile? Anf, anf… ti ho… ti ho affidato quanto ho di più prezioso nella mia vita oltre a te, perché so che… di te, anf, ci si può fidare. Diventerai un eccellente Cavaliere di Atena, ne sono c-certo, devi solo capire che, anf… a volte… è necessario rinunciare a qualcosa per un bene più grande, urgh...”

Parole calde e accorate che, in un altro frangente, avrebbero riempito il cuore di Isaac di fierezza mista a felicità, ma che in quel momento gettavano lui ancora di più nella disperazione.

“ED IO DOVREI RINUNCIARE A VOI?!”

“Se la situazione lo richiede… sì! Isaac, anf, sono… sono tanto stanco… ti prego, lasciami salvare Zima con le ultime forze che ho in corpo...”

Camus si era rivolto a lui regalandogli uno stentatissimo sorriso, poi si era sforzato di proseguire nel suo cammino con passo incerto e sempre più pesante, quasi strisciando i piedi, perché ormai anche il solo alzarli richiedeva uno sforzo più che sfiancante.

Quelle parole gremite di orgoglio, quel suo sorriso dolce, contornato dal pallore innaturale del suo volto, dal sudore che gli imperlava la pelle, da quel suo “sono tanto stanco”… Isaac ne fu semplicemente terrorizzato. Il maestro non parlava mai di come stesse lui, mai, l’ammettere quelle poche parole, in quel tono, era una dimostrazione più che lampante che le sue condizioni erano assai gravi. Il ragazzo si ritrovò a tremare convulsamente, prima di scattare nella sua direzione, con l’ovvio intento di fermarlo, perché non poteva proseguire oltre, non poteva muoversi, non poteva!

Lo raggiunse, pensando già alle mille e più frasi da dire per distoglierlo da quella follia, perché era lampante che non ce la facesse più, che era già al di là del suo limite, ma ancora prima di raggiungerlo, le gambe di Camus cedettero, rischiando di farlo accasciare al suolo, su un fianco. Isaac giunse in tempo per impedire alla sua testa di picchiare contro il duro permafrost. Lo prese al volo, gettandosi quasi su di lui.

“MAESTRO!!!” urlò il suo nome, voltandolo in posizione supina per sincerarsi meglio delle sue condizioni, perché qualcosa non andava, qualcosa che...

La vide.

Il suo cuore perse un battito.

Si dimenticò quasi di respirare.

Si sentì mancare.

“N-no… no… dannazione, NO!” riuscì solo a farfugliare, in preda ad un attacco di panico.

Camus non rispondeva più, aveva perso coscienza, e la ragione del suo stato era più che evidente agli occhi dell’allievo, che si inumidirono di riflesso.

“N-no… no! - riprese a farfugliare, dandogli degli scossoni nel disperato tentativo di farlo riprendere.

Tutto inutile. Camus stava immobile, il capo reclinato sul suo braccio, il respiro sempre più dispnoico, le palpebre serrate in un espressione densa di sofferenza, i lunghi capelli, che gli scendevano a cascata, a contatto con il permafrost, si stavano già congelando.

Ma era un’inezia, se paragonato al resto…

Da qualche parte nel cervello di Isaac, una vocina gli sussurrava che il maestro gli aveva insegnato il modo per fermare un’emorragia, tipo punti di pressione, o simili, ma il ragazzo non lo riusciva a rammentare; non riusciva a rammentare nulla di utile in un momento simile, così attorniato dal terrore, e la vita del suo maestro stava scivolando via…

Non riusciva a fare niente… NIENTE! Una lacrima cadde, poi un’altra. Paura, senso di impotenza, oppressione, colpa… tutte quelle sensazioni lo schiacciavano, impedendogli di intervenire attivamente per cercare di salvarlo.

I suoi occhi stravolti non riuscivano a fissare altro che quella stramaledettissima stalagmite di ghiaccio che con precisione quasi chirurgica aveva trafitto il fianco sinistro di Camus, dal quale uscivano rii di sangue che gli insozzavano la pelle adamantina prima di colare a terra, formando un lago di un insano color rosso porpora.

Il tempo parve congelarsi di nuovo. Isaac non riusciva più a quantificare i secondi, i minuti, che passavano spietati, non faceva altro che rimanere lì, imbambolato, del tutto incapace di reagire, mentre l’emorragia di Camus non faceva che privarlo delle energie, della vita.

Una voce dentro di lui gli urlava di agire, Camus era ancora vivo, respirava ancora, più secondi passavano senza un intervento più avrebbe rischiato di perderlo per sempre. Agire, reagire, per Camus. Per salvarlo! Perché quindi stava lì, pietrificato, perché i muscoli non si muovevano?!? Eppure sapeva come fare, gli era stato insegnato, e allora perché… perché…

Uno scossone sulla sua spalla, quasi non lo percepì, i suoi occhi non vedevano altro che quel dannatissimo sangue che non si fermava, solo quello, solo…

SCHIAFF!

Sentì la guancia bruciare, prima di sbattere le palpebre, riscuotersi, e tornare pienamente consapevole di sé. Camus era ancora incosciente tra le sue braccia, ma davanti a lui, nel suo campo visivo, era penetrata un’altra figura famigliare, che ne portava sulle spalle altre due, ancora più famigliari.

Infine riuscì a riconoscerne gli occhi neri, profondi, che lo fissavano con severità, prima ancora che il suono della sua voce.

“Ragazzo, pensi di rimanere a contemplare ancora a lungo l’agonia del tuo maestro, oppure cominciare a fare qualcosa di concreto?! Sta morendo, ha bisogno di soccorso, e tu sei l’unico su cui posso contare, quindi ricaccia indietro quell’espressione da ebete e dammi una mano!” gli disse, perentorio, con asprezza, adagiando con cura Hyoga e Jacob, ancora svenuti, al suo fianco. Sebbene la sua voce fosse ruvida e burbera come di consueto, si poteva percepire nitidamente una sfumatura di preoccupazione.

“Er… er… c-c...” Isaac balbettò lettere prive di senso, mentre, senza troppa premura, Camus gli veniva strappato dalle braccia e accompagnato sul permafrost, dove il mantello gli venne alzato per scoprire interamente l’addome e parte dell’affannoso petto, che vennero tastati più e più volte.

“E-Elisey…”

“Bene, vedo che cominci a razionalizzare qualcosa, sarebbe anche il caso che ti muovessi, ragazzo, la clessidra della vita del tuo maestro va ad esaurirsi piuttosto velocemente! Non che mi dispiacerebbe, in effetti, sarebbe una rogna in meno, vista la sua attitudine a sacrificarsi, ma...”

“ELISEY, NON OSARE O...”

Ma a quella esclamazione, espressa con tutta la forza, Elisey rispose stranamente con un sorriso, che fece sussultare Isaac, ormai tornato completamente in sé e nuovamente pronto ad agire.

“Così, bravo! Quella luce negli occhi, quella determinazione, che Camus considera sacra, usala per salvare la vita del tuo maestro insieme a me, lui… ha bisogno di te!” gli disse, soddisfatto prima di tornare a concentrarsi sul da farsi.

Lui ha bisogno di me, ed io non ho fatto altro che perdere tempo prezioso, fino ad ora. Ho capito, Elisey, il messaggio, ho capito il motivo delle tue provocazioni, vuoi che io reagisca per salvarlo; salvare l’uomo che mi ha fatto crescere, la persona più importante della mia vita. Ebbene lo farò… LO FARO’, DANNAZIONE! Resistete, Maestro Camus, vi supplico, presto starete meglio!

Pensò questo, serrando disperatamente le palpebre, prima di stringere brevemente, ma con forza, la mano sporca di sangue di Camus e attendere direttive da Elisey, dal quale dipendeva la vita del suo amato mentore.

 

 

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Siete arrivati fino a qua, nonostante la lunghezza del capitolo? Se sì, complimenti vivissimi XD

Ordunque, il capitolo, come vi avevo già detto, è piuttosto impegnativo, anche se il cambio di POV a metà spezza un po’ la pesantezza degli argomenti trattati.

E’ un Camus ben diverso da quello cui siamo abituati, così impegnato nel suo ruolo di Sciamano, così… sovrasensibile, esattamente come vedo la parte più intima del suo essere. La dualità del personaggio è molto forte anche nella versione originale, un uomo che appare freddo e scostante, a tratti insensibile, dall’esterno, eppure che cela dentro di sé un universo inesauribile. La dualità, già accennata nel manga, è qui riproposta e accentuata tra il Camus Sciamano e il Camus Cavaliere di Aquarius, è certamente una prospettiva OOC ma a me piacer molto, spero sia piaciuta anche a voi.

Come già accennato nel capitolo precedente, la prima parte è ispirata, sia come idea, sia come modo di scrivere, al libro “I diari della Kolyma” di Jacek Hugo-Bader, e vede protagonista il nostro Cam nelle vesti di Sciamano che racconta in prima persona (sempre difficoltoso il suo POV, ma mi piace molto trattarlo), una sorta di tributo verso questo racconto che mi ha carpito totalmente.

Camus, nel corso del suo viaggio, incontra numerose persone, mi sarebbe piaciuto scrivere di più su questa parte, ma poi mi sarei persa totalmente e quindi l’ho ristretta (sì, l’ho ristretta, figurarsi cosa era prima XD).

Zima Siyaniye ormai la conoscete, credo, e qui si chiarisce un po’ di più, anche se non totalmente, ciò che le è successo. Zima riconosce Camus solo dopo aver visto i suoi orecchini, che gli ha dato Elisey. Tra lei e Camus ci sono un po’ di discrepanze temporali. Lei lo riconosce perché lo ha aiutato nel 1741, o meglio, riconosce gli orecchini, perché… sono composti con le piume del flauto con cui Seraphina la invoca nella sua storia; Camus invece, qui ha 19 anni, non può ancora riconoscerla Zima, perché i fatti non sono ancora accaduti, anche se è naturalmente propenso verso di lei, ne percepisce il battito, l’essenza, come se fosse la propria, nondimeno ci è già collegato spiritualmente, da qui in poi anche fisicamente, ad opera del tatuaggio che gli ha fatto Nana (anche qui Nana chi è in realtà? XD).

Veniamo alla seconda parte, in cui intervengono i due allievi di Camus e vi è il ritorno alla terza persona al passato.

Qui ho dato maggior lustro al Cigno, se lo è meritato. Ciò che fa Hyoga è semplicemente straordinario, lui sente a sua volta la voce di Zima, cosa che non è in grado di fare Isaac, nondimeno volevo porre l’accento sul rapporto Camus/Hyoga. Ho voluto creare un legame davvero speciale tra Camus e Isaac, lo sapete bene, ma questo NON significa minimamente che l’Acquario non voglia bene anche a Hyoga, affatto.

Adoro il temperamento di Isaac, ma considero Hyoga il vero, degno, successore di Camus, e qui spero di averlo dimostrato. Per Camus i suoi ragazzi sono tutto, scriverei e descriverei di loro all’infinito, mi piacciono davvero tantissimo e mi ispirano un sacco, volevo dargli un’occasione di lottare insieme, ognuno con le proprie attitudini, e quindi eccoli qui, tutti insieme.

Qui Isaac ne esce un po’ danneggiato, possiamo dire, la situazione precipita a causa sua, se ne rende conto anche lui e se ne assume la responsabilità (Isaac è anche questo, implacabile, a tratti spietato, ma maturo abbastanza per riconoscere i propri errori e porvi rimedio).

E ora la vita di Camus è nelle sue mani e in quelle di Elisey!

Lo so, il capitolo doveva essere diviso in due parti, ne sarà diviso in tre, ma già dal prossimo subentreranno anche Milo e Sonia, i veri protagonisti di questa storia. Mi piace l’idea, che realizzerò nei prossimi due capitoli, che la piccola Sonia e Milo conoscano sia Isaac che Hyoga (quest’ultimo prima della Battaglia delle 12 Case), del resto… questo è l’anno incriminato, il 2008, quando Isaac, a settembre, scomparirà tra i flutti del mare. Mi sembra giusto trattare di lui, dei suoi rapporti, in questi capitoli speciali che, spero, gradirete anche voi.

Al solito, alla prossima e ringrazio tutti! :)

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Capitolo 15
*** L'Anatema della rovina (terza parte) ***


Capitolo 15: L’anatema della rovina (terza parte)

 

Edit: anche questo capitolo è piuttosto lunghetto, ma che volete farci, quando c’è di mezzo l’hurt/comfort non smetterei mai di scrivere! XD

 

 

Due costole rotte, diverse escoriazioni sulle braccia, bruciature da sfregamento e, in ultimo, quella ferita da punta sul fianco sinistro, ciò che lo stava prosciugando della vita…

Elisey gli schiacciò ancora una volta l’addome, tastandoglielo in più punti. Nessuna reazione. La cute vicino al foro di entrata era bollente, pallida, umidiccia, mentre le estremità del corpo si stavano raffreddando piuttosto velocemente. Il suo respiro fin troppo accelerato, i battiti del cuore sempre più veloci… tutto ciò indirizzò Elisey, purtroppo, sulla diagnosi corretta. Rabbrividì.

“Allora… cosa devo fare?” scalpitava intanto Isaac, presagendo la gravità della situazione, non avendo ricevuto alcuna direttiva. Era chiaro che le condizioni del maestro stessero precipitando, anche l’espressione di Elisey era mutata, il solo vederlo così teso lo fece spaventare ancora di più.

“In questo momento stare zitto!”

“Ma!”

“Stai zitto, Isaac! Le sue condizioni sono molti gravi, mi deconcentri!” lo freddò, in tono più alto, quasi spintonandolo via, perché il ragazzo era troppo vicino, gli avrebbe impedito di agire come era giusto fare, affatto delicatamente.

Non posso esitare! La delicatezza non servirebbe a salvarti la vita, Camus, ti sei spinto troppo in là, oltre i tuoi limiti, per salvare Zima, incurante di te stesso, incurante della gravità della ferita. Sei… sei straordinario, come mi ha più volte ripetuto Fyodor, quanto incosciente e spericolato. Se penso a cosa potresti diventare, come Sciamano, a cosa stai rinunciando per le tue paure, per mantenere anche il tuo dovere da Cavaliere di Atena…

Sbuffò nervosamente, fremendo, prima di procedere immediatamente. Gli prese il braccio sinistro, glielo sollevò all’altezza della spalla, prima di congiungere la mano alla sua. Ben presto ne scaturì una luce gialla e poi verde. Isaac sbatté le palpebre nel distinguere dei filamenti luminosi, rassomiglianti a dei fili d’erba, entrare con precisione nelle vene del polso del maestro, quasi si trattasse di una flebo. Camus produsse un mormorio stentato a quel gesto, si lamentò debolmente sfinito, prima di accasciarsi ancora di più, l’addome sempre più contratto, il respiro sempre più rotto. Veloce. Troppo veloce per conciliarsi con la vita. Isaac ne fu dannatamente impressionato.

“Muoviti, ragazzo! - udì appena la voce di Elisey, riuscì a stento a riscuoterlo – Camus fa sempre più fatica a respirare, rovesciagli la testa all’indietro, come se dovessi fargli una respirazione cardiopolmonare, lui vi ha insegnato come si fa, no?”

Le mani gli si mossero quasi a vuoto per una serie di secondi, prima di riuscire a prendere un profondo respiro e sforzarsi di riportarsi alla calma, altrimenti così non sarebbe stato di nessuno aiuto per la persona più importante della sua vita.

“C-così?” chiese, il cuore che gli accelerava talmente tanto nel petto da fargli male. Una mano sopra la sua fronte, tra i capelli blu, l’altra sotto il suo mento. L’indice, il medio e il pollice applicarono una leggera pressione, reclinandogli indietro la testa e sforzandolo ad aprire meglio la bocca, che in quel momento boccheggiava alla disperata ricerca di ossigeno.

Isaac strinse i denti a quella visione, l’ossigeno sembrò mancare anche a lui, mentre attuava il procedimento, disperato, nel non vedere alcun miglioramento nelle sue condizioni. Cosa stava aspettando Elisey, perché non interveniva nel concreto?! Stavano adoperando un semplice, basilare, palliativo, ma le condizioni di Camus non facevano altro che peggiorare di minuto in minuto, no, di secondo in secondo.

“Tu controllagli la respirazione e i battiti, al resto penso io!” gli aveva appena accennato, tornando a concentrarsi sul suo addome, ispezionandoglielo con il palmo della mano che gli sondava il ventre da una parte all’altra, come se stesse cercando qualcosa.

Isaac attese ancora una manciata di attimi, prima di esplodere del tutto.

“STIAMO SOLO PERDENDO TEMPO! - urlò, non sapendo più trattenersi, gli occhi inumiditi dalle lacrime - Camus non resisterà ancora a lungo, non senti come ansima?! Sta perdendo sangue da quella ferita, se non facciamo qualcosa subito, l-lui, non… non...”

“Pensi che non me ne renda conto da solo, idiota?! Pensi non lo sappia?! Sei nato ieri e vuoi dire A ME che le condizioni di Camus sono sempre più gravi?!”

Isaac sussultò davanti a quel tono, a quel fremito, nonché agli occhi scuri di Elisey, che lo fulminavano, maledicendolo con un solo sguardo. Singhiozzò, un’unica volta, prima di ingoiare a vuoto. Insieme a quella sgridata, altro aveva trafitto il suo cuore, la consapevolezza che Elisey, persino lui, stava facendo fatica a mantenere l’autocontrollo, perché aveva paura; paura davanti al rischio concreto di perdere Camus.

L’uomo si ritrovò a rabboccare aria, tornando a concentrarsi sul corpo sotto di sé, sempre più provato. Occorreva sbrigarsi, era vero, il ragazzo aveva ragione, nondimeno, pur non volendo quasi rivelarglielo, dare la precedenza ad una operazione, piuttosto che ad un’altra, avrebbe comunque rischiato di condurre Camus alla morte. Ed era difficile analizzare da quale problema cominciare.

Elisey aveva individuato infine, con l’ausilio del tocco, il punto cardine dell’emorragia, ma non bisognava dimenticare che Camus aveva ancora una stalagmite piantata nell’addome, occorreva rimuoverla il prima possibile, altrimenti…

Guardò attentamente Isaac, che proprio in quel momento aveva preso a sussurrare parole di conforto a Camus, mentre gli accarezzava i capelli. Aveva le lacrime agli occhi, uno spasmo continuo al corpo, ma era vigile e attento, avrebbe fatto quanto in suo potere per salvare il maestro, anche oltre. Informarlo delle sue reali condizioni? Prendersi quel rischio? Certo, non era più un moccioso, ma non aveva che da compiere 13 anni e ben sapeva quanto tenesse a lui. Sarebbe stato quindi reattivo, o sarebbe entrato nel panico un’altra volta? Poteva… fidarsi di lui? Non gli era mai andato troppo a genio, però… sospirò, guardando un’altra volta il viso sfatto di Camus. Per lui quel ragazzino era tutto, vi era un profondissimo legame tra loro, per certi versi incomprensibile ma altresì sacro.

Decise infine di dargli una possibilità. Da solo non avrebbe comunque potuto farcela, dopo la prima anamnesi era ancora più evidente.

“Occhi su di me, Isaac, ho bisogno della tua completa attenzione!”

Il giovane sussultò, guardandolo con un misto di terrore e disperazione, ma era vigile, presente, davanti a lui, pronto ad intervenire. Elisey prese un profondo respiro prima di ricercare le parole corrette da adoperare.

“Ascoltami, il tuo maestro ha bisogno di te, della tua reazione pronta, intesi?”

“S-sì! Cos’altro posso…?”

“Ha una grossa emorragia interna, Isaac… la cavità addominale si sta riempiendo di sangue piuttosto velocemente, non è molto il tempo che abbiamo...”

Pugno nello stomaco, quasi il ragazzo si piegò su sé stesso, mentre un’ondata di nausea lo investì. Aveva accusato male il colpo, gli occhi sgranati, le mani ancora più tremanti.

“N-no… non abbandonatemi, vi prego!” aveva biascicato appena, mentre una delle sue mani -Elisey la notò bene- aveva navigato per tutto il braccio di Camus fino a giungere a tenergli la mano destra.

“S-sta diventando freddo sulle estremità e n-noi non stiamo facendo niente, NIENTE!” sussultò, scosso da spasmi, scoppiando in un vero e proprio pianto non più trattenuto.

Era troppo, forse, chiedere ad un adolescente inesperto di essere di una qualche utilità in una situazione di simile emergenza. Si ritrovò ben presto a scalpitare nel pensare ad una soluzione alternativa che non contemplasse anche l’intervento dell’allievo che Camus considerava più capace, quando la voce di Isaac lo raggiunse di nuovo.

“Cosa devo fare? - chiese, tremulo, rabboccando aria, prima di prendere nuovi e più profondi respiri – Cosa devo fare? Sono disposto a… qualunque cosa, per salvarlo!” ripeté, con voce più decisa, una nuova luce negli occhi in grado, da sola, di scacciare l’incertezza di prima. Elisey ne fu, per un istante, folgorato, cominciando ad intuire, finalmente, cosa ci trovasse di tanto speciale Camus in lui.

“Devi essere le mie mani, ragazzo, e seguire le mie direttive, mentre io mi occupo di cedere parte del mio respiro e dei nutrimenti al tuo maestro. Qualunque direttiva, Isaac, anche quella più folle e che per te sembra la più temeraria e potenzialmente pericolosa!”

“Va bene, non vedo quale sia il...”

“Il problema è che anteporre un intervento ad un altro può comunque portare alla morte il tuo giovane maestro! - esclamò tutto di un fiato Elisey, facendolo sussultare, prima di proseguire nella spiegazione – L’emorragia interna è causata dalla stalagmite, che ha rotto la parete addominale di Camus, nella quale, ora, si sta riversando sangue in grande quantità. Penso possa capire anche tu che è necessario rimuoverla per richiudere il trauma, ma la rimozione rischia di accelerare notevolmente il sanguinamento, implementando anche l’emorragia esterna, che al momento è notevolmente limitata perché il foro di entrata è piccolo, i danni sono tutti… all’interno! Ci muoviamo sul filo del rasoio, ragazzo, un passo falso e...”

“D’accordo! - tranciò il discorso Isaac, non volendo neanche vagliare quell’ipotesi, strinse più forte la mano di Camus – Cosa devo fare prima, quindi? Rimuovere l’oggetto contundente o fermare l’emorragia interna?!”

“Ho un piano… agiremo in sinergia!” disse solo Elisey, chiudendo momentaneamente gli occhi senza aggiungere nient’altro per un tempo che al ragazzo parve nuovamente infinito.

Dovevano sbrigarsi, ogni secondo era prezioso e quel vecchio di merda non gli spiegava più del dovuto, parlando quasi per enigmi, fermandosi, e intanto Camus stava sempre più male, respirava sempre peggio.

Isaac fu sul punto di riscuoterlo nuovamente, non potendone più di quell’attesa, ma tempo di aprire la bocca, che gli occhi di Elisey si aprirono in uno scatto, mentre le sue labbra pronunciavano parole in un linguaggio antico e sconosciuto.

I suoi occhi… Isaac ne ebbe un sussulto alla sola visione. Non erano più scuri, ma risplendevano di una luce abbagliante, quasi spirituale, ed erano fissi su un punto vuoto, del tutto dimentichi dell’ambiente circostante. Capì che stava pregando, non sapeva chi, o cosa, ma ne avvertì l’immenso potere.

“U-urgh...” un mormorio sommesso, unito ad un movimento repentino sotto di lui attirò l’attenzione del giovane allievo, che sussultò. Camus stava scuotendo debolmente la testa nel tentativo di ribellarsi, o difendersi da qualcosa, non poteva muovere il braccio sinistro, bloccato da Elisey, ma con il destro e movimenti quasi a vuoto tentò disperatamente di coprirsi il busto con il mantello, divincolandosi con sempre più patimento, quasi arcuando la schiena, come se fosse ostaggio di qualcosa.

“Che testa di cazzo anche quando sta male… lo vogliamo aiutare e questo si dibatte, rendendo più difficoltoso il procedimento. Isaac, tienilo fermo!”

“Co-cosa?!” tentò di opporsi lui, spaventato nel percepire il suo maestro sempre più teso e agitato.

“Ragazzo, lo vuoi salvare Camus?! Devi essere le mie mani, io sono legato a lui, gli sto cedendo quanto è in mio potere cedere; accederò a lui passando dall’interno dei vasi sanguigni, praticando una embolizzazione di emergenza per arrestare la perdita di sangue, tu dovrai fare il resto, seguendo le mie direttive, ti è chiaro il concetto?”

No, ad Isaac era tutt’altro che chiaro. Non capiva le dinamiche di quel procedimento, non sapeva cosa diavolo fosse l’embo-cosa, un termine che lo faceva rabbrividire solo a sentirlo nominare, conosceva le embolie ma non quel modo di procedere, sapeva solo che Camus stava morendo e che l’unica speranza di salvarlo era racchiusa nelle loro mani. Gli venne di nuovo da piangere, ma ricacciò a forza indietro quell’istinto, sentendosi sempre più male nel vedere gli spasmi sempre più irregolari del suo maestro, che nonostante la sofferenza si divincolava come un forsennato, come se si sentisse impigliato in qualcosa, cosa che in effetti era, perché era legato al polso sinistro di Elisey, in un bagliore che si faceva sempre più forte e intenso.

“Poche ciance e dimmi cosa devo fare, io eseguirò!” esclamò Isaac, caparbio, ricacciando indietro la paura.

“Così mi piaci! - lo lodò tiepidamente Elisey, aumentando la presa su Camus – Intanto spoglialo in modo da scoprire interamente l’addome e il torace, devo avere il suo busto sotto i miei occhi e si continua a coprire di riflesso, sebbene sia più in là che qua!”

Non gli disse, no, che quella richiesta era anche e soprattutto per poter intervenire nell’immediato in caso di arresto cardiaco, un rischio concretamente alto, considerata la velocità con cui le sue condizioni stavano precipitando. No, non lo disse… non ancora, sperava, con tutto il cuore, di evitargli quello spettacolo...

Isaac annuì senza dire niente, non ne aveva la forza, ed eseguì, facendogli passare la testa sotto il mantello per poi fargli appoggiare la nuca sopra il tessuto, in modo che fosse un poco rialzata rispetto al corpo. Il respiro di Camus, a quel gesto, accelero' ulteriormente, mentre il petto si alzava e abbassava con foga inaudita e le palpebre si serravano ancora di più. Il giovane allievo sapeva bene quanto ciò fosse difficile per lui, sentirsi scoperto, perché anche se era privo di coscienza aveva una percezione tale che avvertiva tutto ciò che accadeva fuori. Gli accarezzò i capelli, cercando di calmarlo.

“Sono qui, resistete, vi prego! Anche per me e Hyoga siete tutto, siete la nostra famiglia, il nostro… punto di riferimento!” gli sussurrò con dolcezza, gli occhi perennemente lucidi, mentre lo baciò sulla fronte sudata, i ciuffi incollati alla pelle.

Camus continuava a boccheggiare alla ricerca dell’ossigeno, ma a quelle parole mormorate all’orecchio, quasi una carezza, parve acquietarsi un poco, la schiena si rilassò, anche se il respiro continuava ad essere ricolmo di patimento.

“Ottimo così, rimani con lui, mi raccomando, la tua voce lo riesce a tranquillizzare, anche perché quello che sto per fare non sarà affatto piacevole per il suo corpo già provato...” lo avvisò Elisey, prima di chiudere gli occhi e concentrarsi sul da farsi.

Isaac non aveva idea di come volesse agire, ma quasi in sincrono con le sue ultime parole, i fili di luce già presenti sul polso del maestro si moltiplicarono ulteriormente, mentre radici dorate, quasi linfa vitale, presero ad attraversare l’intero braccio di Camus, fino ad arrivare alla spalla. Il suo corpo sussultò di nuovo a quel gesto, ma invece di riprendersi a muovere come prima, il suo volto si girò verso Isaac, rannicchiandosi lì, come alla disperata ricerca di un sostegno, di un qualcosa che non lo facesse cedere. Era sempre più stremato, all’avanzare delle radici di luce, che in quel momento stavano scendendo sul petto, aumentava anche il dolore, ben visibile nella sua espressione sempre più sofferente, eppure non riusciva quasi più a ribellarsi, nonostante il male insopportabile che doveva provare.

Il cuore di Isaac era sempre più piccolo, il ragazzo non riusciva ad accettare quell’immagine così sfatta del proprio mentore, quel respiro stentato, quel gonfiarsi sempre più difficoltoso dei suoi polmoni. Era al limite e lui stava lì, utile soltanto a sostenerlo e a trattenerlo, mentre Elisey, tramite chissà quale diavoleria, lo sondava, penetrando in lui tramite quelle scie di luce.

“Gli stai facendo… male… non ne può più! Il maestro è quasi al limite, non lo vedi?!” si ritrovò di nuovo a singhiozzare, preda di una frustrazione sempre più crescente. Era arrabbiato, e anche molto, con Elisey, intanto, perché quel dannato vecchio non aveva altro modo di salvargli la vita se non facendolo passare tra indicibili sofferenze, e Isaac non ne poteva più. Camus si stava spegnendo e loro erano troppo, troppo, lenti! Ma più ancora che con lui, era infuriato con sé stesso, perché era stata colpa sua, le sue condizioni erano così gravi perché lui non aveva capito niente di quello che stava succedendo, aveva attaccato Zima, se non lo avesse fatto probabilmente Camus sarebbe riuscito nei suoi intenti e la missione si sarebbe risolta nel migliore dei modi.

“Lo so bene cosa gli sto facendo passare, non ho altro modo! Del resto, la delicatezza non salverà la vita del tuo amato maestro, bisogna agire anche cruentemente!” esclamò Elisey, riaprendo gli occhi e scoccandogli un’occhiata di fuoco che Isaac accolse, facendosi trafiggere, senza opporsi.

Le radici di luce intanto avevano raggiunto il ventre di Camus e, fatto un giro a spirale intorno al suo ombelico, si erano intersecati con la stalagmite, ancora piantata nel suo addome. Essa fu avvolta da quella luce, Isaac, per un solo secondo, si aspettò che scomparisse, invece rimaneva lì, a bella vista, identica a sé stessa, senza neanche rimpicciolirsi.

“Che cazzo stai aspettando, ancora, Elisey, un invito?! Rimuovila, Camus è al limite!!!”

“Non è così semplice, ragazzo, anf, non sono un mago, non è nei miei poteri far scomparire le cose con un puf. Ogni azione ha un prezzo, nonché un dispendio di energia. Sto facendo del mio meglio, credimi!”

Isaac ci credeva, vedeva bene la stanchezza di Elisey, palpabile come non mai, il fatto era che non lo accettava; non accettava che ci volesse tutto quel tempo e che Camus, in quel tempo, stesse soffrendo come mai prima di quel momento. Fremette, stringendo le palpebre e le mani a pugno, prima di chinarsi e nascondere il volto tra i suoi folti capelli.

“Resistete! Resistete, vi prego, non abbandonatemi, non anche voi! Ho bisogno di voi… - rabboccò aria, il petto gli doleva - Ho bisogno di te... papà!”

Era la prima volta che lo chiamava con quel nome, sebbene lo considerasse tale fin da bambino, ma appellarlo così, in quel modo altisonante per un giovane uomo di quasi 19 anni, l’aveva sempre creduta una cosa da poppanti. Hyoga ogni tanto si rivolgeva a lui con quel termine, nel sonno, o per errore, arrossendo subito dopo per la vergogna.

 

Papà? Ma se ha solo 6 anni più di noi, Hyoga!”

Ma è alto e forte e… e...”

Papà... ahahaha! Aspetta che glielo vada a raccontare, vedrai come la prende!

Stai zitto, Isaac! Non oserai dirglielo, io te lo impedirò!”

Tu? Un ravanello biondo?!”

Zitto, ravanello verde!”

Ehi, come osi?! Non hai rispetto per il mio diritto di anzianità?!

Ma quale diritto, sei più piccolo di me, pussa via!”

Tu però sei più basso e meno abile!

Ora lo saggerai sulla tua pelle chi è meno abile!”

Ne era ovviamente scaturita una baruffa tra loro, al solito fermata dal tempestivo intervento del maestro.

 

Isaac sorrise a quel ricordo, mentre le dita si erano mosse ad accarezzare delicatamente le guance di Camus, così fragile e indifeso tra le sue braccia. Papà… era così strano definirlo così, eppure lui lo era in tutto e per tutto. Non poteva nemmeno tollerare l’idea di perderlo, non avrebbe retto ad un simile lutto, non più.

“Ehi, figlioletto, sei ancora con me, oppure...”

“Elisey, il tuo sciocco umorismo in un frangente simile… devo avertelo già detto, ma ficcatelo nel culo!”

“Io sto cercando solo di darti una scrollata, anche perché il peggio arriva adesso...”

Isaac sussultò davanti a quella frase e a quel tono, denso di rammarico, non più canzonatorio come prima. Era lampante che Elisey utilizzasse il sarcasmo per alleggerire una situazione più che disperata. A lui irritava, e anche tanto, ma non poteva non ammettere che stava dando il tutto e per tutto per salvare Camus, superando anche i suoi limiti, lo si presagiva dall’espressione sfinita ma sempre determinata.

“Il… peggio?”

Elisey annuì, cupo, prima di proseguire.

“Ho raggiunto la lesione interna e sto procedendo all’occlusione dei vasi venosi, in modo da arrestare, o quanto meno, rallentare l’emorragia, ci sto quasi riuscendo, ma devi entrare in gioco tu, ragazzo”

“Cosa mai potrei…?”

“Quando te lo dico, devi estrarre la stalagmite dal ventre del tuo giovane maestro con un unico movimento repentino, in modo da causargli meno dolore possibile”

Isaac sbiancò a quella frase, guardandolo come si poteva guardare solo un pazzo.

“Ma l’azione provocherà in lui una nuova, e più letale, emorragia! E’ rischioso, Elisey, e se… se il suo fisico non dovesse reggere?!”

“So bene si tratti di un azzardo, Isaac, e che rischia l’arresto cardiaco per lo shock, ma è l’unica strada che possiamo compiere: tu eliminerai l’oggetto contundente dall’esterno, io riparerò i danni dall’interno!”

“N-no! Soffrirà… soffrirà e basta, n-non posso farlo, Elisey, NON POSSO!” fremette Isaac, di nuovo gettato nella più tetra disperazione. La testa gli girava e gli pulsava, quasi non riusciva a respirare, da quanto fosse agitato, sperso, si guardò spaesato intorno.

“Rimani con me, Isaac… ehi, mi senti?! - Elisey lo schiaffò nuovamente sul braccio, sebbene il suo tono fosse un po’ più caldo – Non abbiamo altre vie, mi riesci a capire, ragazzo? O così, tentando di salvarlo, o, se credi di non esserne in grado, meglio allora che prendi qualcosa di appuntito per trapassargli la testa da parte a parte ed evitargli una tremenda agonia, mi capisci?!”

A quelle ultime parole Isaac si riscosse, mentre spiacevoli immagini gli attraversano il cervello, procurandogli un conato di vomito che con difficoltà, ricacciò giù.

“No… n-no! Non posso vedermelo morire qui davanti, senza fare niente, ELISEY!”

“E allora sii con me in tutto e per tutto, Camus ha sempre più bisogno di te! Guardagli il viso, fallo aggrappare a qualcosa, a te, visto il legame che c’è tra voi due, urlagli di non cedere, di non arrendersi, ma estrai al mio via questa stramaledettissima stalagmite che lui si è subito al posto tuo. Glielo devi e… puoi farlo, Isaac, lui si fida di te, sei la sua forza!”

Isaac guardò il viso del maestro, come gli era stato consigliato. Era una immagine impattante, che lo faceva stare male, perché non lo aveva mai visto in simili condizioni, faceva mancare il respiro e girare la testa, il solo pensiero che da lì a poco avrebbe provato un dolore ancora più atroce lo intorpidiva fino a fargli perdere la lucidità.

Camus non meritava tutta quella sofferenza, non la meritava!

“NON CEDERE, DANNAZIONE, NON CEDERE!” gli gridò con quanto fiato avesse in corpo, nella speranza di infondergli coraggio; un coraggio che a lui stesso mancava.

“Stringi le mani sulla stalagmite, ci siamo quasi...” ordinò perentorio Elisey, senza più alcuna esitazione. Il tempo stringeva e ne avevano già perso abbastanza. Per quanto era nella possibilità dei suoi movimenti, perché era legato al polso sinistro di Camus, si spostò un poco, in modo da rendere più agevole la presa sul corpo del giovane uomo quando la stalagmite fosse stata estratta, perché sapeva non sarebbe stato affatto facile, né per il maestro né tanto meno per l’allievo. Chiuse gli occhi, prendendo un profondo respiro: il processo di occlusione era quasi al termine, ancora pochi secondi soltanto...

Una vocina dentro Isaac gli disse che il momento era quasi arrivato, raccolse tutte le forze di cui disponesse, rigettando indietro la paura, sebbene le mani gli tremassero e sudassero, nonostante il rigido clima che permeava i dintorni, nonostante quella maledetta stalagmite fosse dannatamente fredda tra le sue dita.

“Qualunque cosa accada… io sono con voi, sono qui, resistete, vi prego!” si sentì ancora di dire, febbricitante, guardandolo un’ultima volta, prima di essere raggiunto dalla voce di Elisey.

“ORA, ISAAC!”

Un brivido gli corse lungo la schiena nell’esatto momento in cui l’adrenalina faceva il resto. Disperato, con un nodo alla gola e le lacrime agli occhi, impugnò con fermezza la stalagmite, estraendola a viva forza dalla carne del maestro, il quale spalancando gli occhi vuoti, urlando con quanto fiato avesse in gola, si piegò su sé stesso con una foga inaudita, terrorizzando lo stesso Isaac che, perdendo completamente la lucidità, balzò indietro, gettando a terra la stalagmite insanguinata che tonfò sul permafrost.

Tutto ciò che accadde dopo, davanti ai suoi occhi, furono i secondi più terribili della sua vita.

Isaac non lo credeva nemmeno possibile, che un corpo umano si potesse incurvare in quella maniera, del tutto innaturalmente, quasi come una sedia a sdraio, eppure Camus, l’uomo che lo aveva cresciuto come un padre, che si era preso cura di lui, il Cavaliere più puro e giusto che il Santuario avesse mai ospitato, lo aveva appena fatto, spalancando le orbite spente e urlando fino a strozzarsi. Poi tutto si era congelato per una serie di nanosecondi. Elisey lo aveva provato a bloccare, in qualche modo, quasi abbracciandolo, eppure neanche quello era bastato, perché la testa e il busto di Camus, dopo quello scatto compulsivo, si erano poi reclinati all’indietro, cedendo. Si era accasciato, continuando comunque a muoversi convulsamente, quasi contorcendosi, lì, tra le braccia di Elisey, le estremità scomposte, che sembravano avere volontà propria, il sangue che zampillava fuori, malgrado la mano che subito era corsa ad arrestare l’emorragia, le iridi spalancate a vuoto, quelle iridi che Isaac amava tanto, che erano sempre, sempre brillanti, e che ora sembravano scure e profonde, inaccessibili. Sequenze di parole venivano ripetute, sempre uguali a loro stesse: “Calmati, Camus… CALMATI!”

Isaac non riusciva ad udire altro che quello, non riusciva a vedere altro che quello, che quelle iridi sbarrate, rotte, che quasi urlavano, al pari del grido del maestro, che era salito fino a soffocare, per poi perdersi nel vuoto. Tutto sembrò congelarsi per l’ennesima volta, anche Camus si bloccò, per un unico secondo, prima di afflosciarsi completamente, vinto, distrutto, come un oggetto vuoto. Le palpebre gli si chiusero, così come le labbra, che tuttavia rimasero piegate innaturalmente, in un ghigno quasi mortale.

Elisey riuscì ad avere abbastanza controllo per riadagiarlo più compostamente possibile sul permafrost e ristabilire un nuovo contratto tramite il suo polso, perché, nella foga, quello precedente era stato spezzato. Ma Isaac, quasi uno spettatore esterno, ormai, perché la mente rifiutava di accettare quella sequenza di immagini davanti a lui, notò l’espressione di Elisey, il nuovo cambio nei suoi occhi, le sue labbra che fremevano, di nuovo a vuoto. Era tutto così… vacuo...

Un sussulto ancora. Quello di Camus. Quello di Isaac. Il gelo nel petto. Per entrambi. E poi...

“Maledizione! La pressione sta scendendo vertiginosamente!”

Ad Isaac si raggelò ulteriormente il sangue nelle vene. E capì. Capì cosa sarebbe successo da lì a poco.

No… no…

Quelle uniche due lettere stampate a caratteri cubitali nella sua mente, gli continuavano a risuonare, spietate.

No… no…

Accadeva tutto molto velocemente, davanti a lui, come in un film. Vide Elisey diventare livido, stringendo la mascella in un impeto di rabbia, mentre con gesto nervoso si staccava un pendente da sotto il mantello, che prima il ragazzo non gli aveva visto, per poi legarselo al polso collegato a Camus e cominciare a tamponare la ferita, mentre, con l’ausilio dell’altra mano e dell’indice, che era diventato una lama di luce, gli praticava con precisione un incisione sul basso ventre dalla quale fuoriuscirono solo poche gocce di sangue.

“Ragazzo, mi serve il tuo aiuto! - diceva intanto, sempre concentrato sul da farsi – Non posso, da solo, assorbire sia il sangue contenuto nella cavità addominale, sia quello che sta perdendo fuori. Veloce, possiamo ancora...”

Forse aveva ancora parlato, detto qualcosa, provato a scuoterlo a voce, ma Isaac aveva perso il contatto con la realtà. Completamente. Stava lì. Imbambolato. Immobile, chiedendosi una sola cosa: perché?!

Perché aveva procurato un nuovo taglio al corpo già martoriato di Camus? Perché continuare a farlo soffrire? Perché?!

Il maestro non reagiva più a niente. Sfatto. Prosciugato. Quasi non respirava nemmeno. Non aveva minimamente sussultato quando Elisey gli aveva praticato l’incisione, tipo cesareo, non si era opposto quando le sue mani nodulose ed esperte si erano nuovamente posate sulle ferite, emanando una luce altisonante per la situazione in cui si trovava, semplicemente era lì, immobile, il braccio destro aperto, il sinistro posato vicino al fianco, il respiro aritmico, sul punto di cessare del tutto. Forse -si ritrovò disperatamente a pensare Isaac- sarebbe stato quasi meglio così, almeno non avrebbe più sofferto, non avrebbe più…

“ISAAC! MI SERVE IL TUO AIUTO!”

“N-non posso...”

“Che cazzo significa che non puoi?! Sei andato benissimo fino ad ora, ragazzo, non cedere proprio ora, non abbandonarlo!”

Le labbra di Isaac fremettero notevolmente, a vuoto, vacue... Qualcosa si era spezzato in lui, definitivamente. Qualcuno gli urlava, dall’interno. Non era Elisey, non capiva chi fosse, avvertiva solo qualcosa contorcersi dentro di lui, il respiro mancare.

“ISAAC!!! ISAAC, DANNAZIONE!!!”

Elisey gli urlò diverse volte, ne perse definitivamente il conto mentre stava lì, con gli occhi sbarrati. Le mani di Elisey erano imbrattate di sangue; del sangue che stava perdendo Camus, e il ciondolo, composto da un cristallo di ghiaccio bianchissimo, andava tingendosi di rosso.

Come un fulmine a ciel sereno, Isaac capì finalmente cosa il vecchio stesse cercando di fare, lui assorbiva l’ingente emorragia interna -ed esterna- grazie a quel ciondolo che sembrava avere doti magiche che sfuggivano alle leggi fisiche. Ecco il perché del taglio sul ventre, per accelerare il processo di assorbimento di tutto quel sangue che stava prosciugando della vita il suo maestro, ecco perché aveva bisogno di lui, per amplificarne la velocità, poiché ogni secondo era prezioso, insostituibile.

Si riscosse, dandosi una sberla, prima di sforzarsi di tornare nuovamente operativo, rigettando indietro i vaneggiamenti. I contorni, prima ovattati, riacquistarono nitidezza.

“Per gli dei nivei, Isaac! Muoviti, non c’è più...”

Elisey si paralizzò all’istante nell’esatto momento in cui Isaac tornò ad essere pienamente attivo, congiungendo le proprie mani con le sue ed espandendo il cosmo, come se avesse saputo da sempre come agire per aumentare la potenza e l’efficacia di quel procedimento.

“N-no… maledizione, no! - fu la volta di Elisey di imprecare, fremendo notevolmente mentre cercava perdutamente di affinare la concentrazione per scorgere qualcosa che non riusciva più a percepire – Camus, non farci questo, ragazzo, non farlo! Isaac e Hyoga hanno ancora bisogno di te, non puoi permettere al tuo cuore di fermarsi!”

Ad Isaac, per la terza volta in pochi minuti, gelò il sangue nelle vene, si ritrovò a sgranare gli occhi, mentre la sua espressione navigava da Elisey a Camus e viceversa. Un sussulto nel petto, quando si accorse, con disperazione crescente, che il suo maestro sembrava non respirare più.

“Maestro!!! - si ritrovò a singhiozzare, mentre, quasi gattonando, raggiunse il suo torace e, di riflesso, appoggiò un orecchio sopra il suo petto. Nessun suono. Niente. Nulla. Si sentì mancare – Non c’è… battito!”

Elisey tremò convulsamente per la rabbia, gli occhi gli si fecero lucidi, mentre con furia senza limiti, picchiava, in un gesto di stizza, il pugno diverse volte sul permafrost.

“E-Elisey!!! Camus… Camus è...”

“TOGLITI!”

Isaac si ritrovò nuovamente spintonato indietro per la terza o quarta volta in quel malaugurato giorno. Sentiva freddo nel petto cavo e denso di pena e non si perdonava i suoi continui tentennamenti e incertezze.

Se non avesse attaccato Zima…

Se l’avesse compresa…

Se non si fosse bloccato diverse volte…

Se fosse stato più reattivo…

Se… se…

Camus non sarebbe stato lì, agonizzante, a patire tutto quello. Picchiò violentemente i pugni sul terreno ghiacciato, mentre le lacrime, rompendo gli argini, si riversavano all’esterno, impotenti.

Elisey aveva atteso pochi, necessari, secondi per avere la certezza che il cuore di Camus si fosse fermato del tutto. Sapeva bene i rischi di praticare una rianimazione cardiopolmonare con un cuore che, pur fievolmente, batteva, ma non era quello il caso, non c’era più pulsazione in lui, aveva ceduto, vinto dall’emorragia, dallo shock procurato da quei traumi… semplicemente non aveva più energie in corpo per resistere, non da solo.

“DANNAZIONE! - imprecò ancora, posizionandosi perpendicolarmente, prima di porre il palmo della mano sinistra al centro del suo torace e sovrapporre l’altro, apprestandosi a contare le compressioni – Uno… due… tre...”

…quattro… cinque…

I numeri scorrevano rapidi e spietati, senza che Camus desse un qualche segno di ripresa. Nessun movimento volontario, solo i sobbalzi dati dalla pressione che Elisey esercitava su quel corpo sfinito.

I numeri scorrevano spietati, senza che Isaac potesse farci nulla. Solo vedere… vedere la vita del suo amato maestro che scivolava via, sempre più giù, sempre più inafferrabile. Vedere quel corpo, che veniva schiacciato con foga inaudita, inutilmente...

I numeri scorrevano spietati…

“...Trenta! - terminò di contare Elisey, sempre più disperato, non scorgendo alcuna reazione – Dannazione, Camus, non puoi, non puoi cedere, che ne è della tua forza di volontà?!” esclamò ancora, cambiando posizione per attuare le due insufflazioni prima del termine del primo ciclo.

Si spostò di lato, nervoso, angosciato, prima di costringere Camus a ruotare la testa all’indietro. Con la mano destra lo sforzò ad aprire la bocca, con la sinistra gli tappò il naso, prima di procedere.

Isaac, dalla sua posizione, vide distintamente l’alzarsi e l’abbassarsi del torace del maestro a seguito dell’aria immessa, ne ebbe una fievole speranza, prima di rendersi conto che continuava a non reagire, era Elisey a respirare per lui, a forzare la circolazione sanguigna, per lui… la sua vita dipendeva in tutto e per tutto dalle azioni di quel vecchio. Gli parve di morire a sua volta.

Secondo ciclo… la situazione non cambiò di una virgola.

“ANCORA!!! Maledizione, ancora! Non accetto questa fine per te, Camus, hai così fretta di raggiungere Fyodor?! E ai tuoi allievi chi ci pensa?! Coraggio, reagisci! Non puoi permetterti di soccombere così, sei troppo giovane!” urlò a squarciagola Elisey, ormai persino il suo tono spavaldo era un lontano ricordo.

Di nuovo la mano destra sotto il mento, di nuovo la sinistra a tappargli il naso, di nuovo l’aria che entrava nei polmoni vuoti di Camus, gonfiandogli il torace, ancora una volta dando una speranza bugiarda.

Dalla parte di Isaac era tutto così ovattato, assurdamente ovattato, persino le proprie percezioni, per non parlare della scena davanti a lui. I suoi occhi erano sbarrati, fissavano vacui il corpo del suo maestro. Elisey stava procedendo con una veemenza senza pari, schiacciava con sempre maggior impeto quel corpo immobile, intestardendosi, grazie alla forza della disperazione, alla ricerca di una qualche reazione, di un qualche segno, che tuttavia non arrivava.

Isaac si chiese quanto un corpo umano potesse sopravvivere senza battito e senza respirazione, era una questione di pochi minuti, un Cavaliere non faceva differenza alcuna. Pianse maggiormente, il petto rotto dai singhiozzi. Si alzò traballante in piedi, passando oltre il corpo di Camus, oltre Elisey, che, pur impegnato nelle manovre salvavita, lo scrutò quasi con astio. Isaac vagò senza meta, gli occhi spalancati, le guance rigate dalle lacrime. Fece qualche passo prima di arrestare il suo moto e fissare i dintorni senza tuttavia guardarli per davvero. Era tutto così privo di senso!

“ISAAC, COSA DIAVOL…?!”

Udì appena il richiamo di Elisey, non gli importava di nulla, assolutamente nulla, se Camus fosse morto, tutto, per lui, avrebbe perso senso. TUTTO!

“ISA...”

“Zima! Zima, ti prego! Abbiamo bisogno di te!”

Elisey, di nuovo impiegato nelle compressioni, lo fissò, con la coda dell’occhio, meravigliato: era ovvio stesse uscendo di testa, cosa mai stava pensando, in quel momento? Chiedere aiuto a Zima, quando l’aveva attaccata prima?! Isaac non era neanche uno Sciamano, come diavolo poteva pensare di…?

Ma Isaac continuava a implorare il suo aiuto, gli occhi annebbiati dal pianto, l’espressione rotta dall’angoscia, il tono tremolante. Eppure ciò che uscì dalle sue labbra -Elisey se ne accorse- erano parole che provenivano direttamente dal suo cuore.

Quarto ciclo...

“So che non merito il tuo aiuto, perché ti ho attaccata senza capirti, fraintendendoti. So che sono stato spietato, che non avrei dovuto, che ti ho fatto del male, ma… ma ti prego, aiutami, non per me, ma per Camus! Camus...”

Si girò verso di loro, la faccia derelitta, sostò a lungo sul suo volto sempre più pallido, fino a scendere giù, sempre con lo sguardo, fino al petto immoto. Una nuova fitta al cuore. Lapidale.

“Lui… lui è tutto per me, è come un padre, mi ha insegnato ogni cosa e… e… ha creduto in te, Zima, in te! Salvalo, ti prego… salvalo! Sta… sta morendo, ha perso molto sangue, non riesce più a respirare autonomamente! Sta… mi sta scivolando via, Zima, ti prego, ti… ti offro la mia vita, la mia forza, qualunque cosa, ma… salvalo!” la supplicò ancora, incassando poi la testa tra le spalle, scoppiando a piangere con maggior forza.

Quinto ciclo, l’ultimo...

Ad Isaac non importava di essere patetico. Non gli importava di dimostrarsi debole, in balia delle emozioni, sciocco, disperato. Stava perdendo la persona più importante della sua vita, non avrebbe retto a quell’ennesimo lutto, non più . Era tutto così vano.

Singhiozzò, per una manciata di secondi si udirono solo i suoi singulti nel vuoto.

Silenzio...

Elisey smise di pressare su Camus in quella maniera. Con un lungo sospiro atroce si raddrizzò, ma non riuscì ad alzarsi.

Non c’era riuscito, la sola idea era intollerabile, per lui.

Non c’era riuscito… non era stato in grado di aiutare quel ragazzo.

Il cuore di Camus non era ripartito, nonostante i suoi sforzi, ormai i minuti necessari per salvare una vita erano sfuggiti via per sempre. Si morse il labbro inferiore, trovandosi quasi istintivamente ad accarezzare il viso sfatto dell’allievo di Fyodor. Le guance erano ancora tiepide, sebbene il calore della vita lo stesse ormai abbandonato definitivamente. Gli richiuse gentilmente la bocca, dalla quale non proveniva più niente, prima di adagiargli la testa da un lato, scendere con la mano sul suo petto ormai immoto e incassare la testa tra le spalle, fremendo. Forse avrebbe dovuto coprirlo, ma ancora non ci riusciva.

Non era riuscito a salvarlo... si biasimò, supplicando suo fratello di perdonarlo, per non essere stato in grado di riattivargli il cuore.

Non era riuscito a salvarlo... non se lo sarebbe mai perdonato. Per lui, per sé stesso, persino per suo fratello e… per suo padre!

Non era riuscito a salvarlo…

“Dai, Isaac, lascia perdere… è tardi, ormai, se ne è...”

“NO! NON LO E’! NON PUO’ ESSERLO!”

“E’… troppo… tardi!”

In quell’istante qualcosa cadde sulla guancia pallida di Camus, per un secondo Elisey credette si trattasse delle sue lacrime, perché, dopo tanto tempo, per esattezza da dopo la morte di suo fratello Fyodor, qualcosa di incredibilmente bruciante era tornato a permeargli gli occhi: il pianto. Silente. Ma pur sempre un pianto.

Credette che fossero le sue lacrime ma, in verità, esse brillavano d’oro. Si riscosse, incredulo, anche Isaac compì un movimento, guardandosi confusamente intorno.

Non erano le lacrime, non le loro, almeno, ma una pioggia che cadeva dal cielo, dorata, brillante: una pioggia di rugiada.

“A-acqua allo stato liquido in… in questa stagione, a queste latitudini?!” si domandò Isaac, spalancando gli occhioni verso il cielo, il cuore in tumulto. Poi lo udì. Credette in un abbaglio, ma…

Un colpo di tosse, poi un altro ancora, e ancora…

“MAESTRO!” urlò, voltandosi di scatto verso Camus, ancora steso a terra e intento ad arrancare alla disperata ricerca di ossigeno. Quasi si gettò in ginocchio al suo fianco nel prendergli la mano e stringergliela, gridandogli di non arrendersi.

Elisey ingoiò per un attimo a vuoto, mentre quella pioggia dorata bagnava i loro corpi, rinvigorendoli. Anche Hyoga, sdraiato a poca distanza da loro, sembrava più tranquillo, permettendosi di cedere al sonno profondo. Le ferite gli erano già state trattate e completamente risanate, erano le energie che gli mancavano, e che stavano lentamente tornando, grazie a quell’insperato miracolo. Elisey sorrise tra sé e sé, almeno, qualcosa di buono per qualcuno lo aveva fatto. Tornò silenziosamente ad ispezionare Camus, avvertendo un insperato palpito di vita.

Camus aveva ripreso a respirare, il cuore era finalmente ripartito… ma le funzioni vitali non erano ancora del tutto stabili, era ancora in bilico tra la vita e la morte, troppo stremato per reagire senza l’aiuto di nessuno, troppo provato per poterlo fare da solo.

Lo sondò attentamente con la mano, auscultando il torace senza bisogno di ulteriori strumenti, poi passò ad accarezzargli dolcemente il volto sfinito e i capelli, sistemandogli meglio la testa all’indietro per facilitargli nuovamente la respirazione, ancora tremendamente stentata.

“Coraggio, Camus, continua così, bravo! Respira, usa tutte le forze rimaste nel tuo corpo per respirare, al resto pensiamo noi! Siamo qui con te, Hyoga è fuori pericolo, starà presto meglio, ed Isaac è qui, mi sta dando una mano, sii fiero dei tuoi ragazzi!” lo provò a rassicurare, con una dolcezza che Isaac non gli aveva mai visto e che non pensava nemmeno potesse possedere. Ma non importava in quel momento…il giovane allievo era semplicemente lì, la sua mano era tornata a stringere quella del maestro, abbandonata nel suo palmo, mentre con crescente partecipazione si avvicinava al suo volto, quasi desiderasse cedergli tutte le energie disponibili, nonché lo stesso respiro, ma non sapesse come fare.

“Non mollare, ti prego! Non cedere!”

La pioggia battente era sempre più intensa, ormai infradiciava i loro corpi, rendendo il cuore di Isaac sempre più piccolo a quella visione ancora più disfatta della persona che ammirava di più. Sapeva che era quella pioggia di rugiada a stargli salvando la vita, ma vedere Camus dell’Acquario, il Cavaliere e lo Sciamano, così, il torace esposto che si gonfiava e sgonfiava affannosamente, l’addome lordato dal suo stesso sangue, solcato da quell’orrendo taglio che faceva impressione solo a vedersi e il volto zuppo, era una manifestazione insopportabile da accettare

Di nuovo il braccio di Elisey gli schiaffò la spalla come per ridestarlo dal torpore, i suoi occhi neri si impressero nei suoi verdi.

“Coraggio, Isaac, il nostro compito non è finito, deve stare meglio nel più breve tempo possibile! Dobbiamo assorbire il sangue contenuto nel… - si bloccò, lo sguardo attirato da qualcosa dietro di lui, qualcosa che lo meravigliò al punto da fargli mutare espressione – Z-Zima!”

Isaac sussultò, voltandosi a sua volta. E la vide. In tutto il suo fulgore, sebbene fosse impestata di quel liquame nero, tossico, e la lingua fosse a penzoloni, chiara manifestazione di una spossatezza atroce. Si paralizzò a sua volta, del tutto incredulo, mentre la creatura lentamente si avvicinava a loro, zoppicante. Non degnò di uno sguardo Elisey, i suoi occhi marroni spenti furono tutti per il giovane allievo di Camus. Si fissarono a lungo.

“Z-Zima, io...”

Isaac non sapeva minimamente cosa dire, si sentiva la gola secca.

S-sono qui, ragazzo… ho udito la tua accorata preghiera, il tuo desiderio, anf, che è anche il mio…

Era meraviglioso poter finalmente sentire la sua vera voce, delicata e forte allo stesso tempo; soffice come un fiocco di neve, eppure solenne come le terre della Siberia, quasi da far commuovere l’ascoltatore. Isaac si sforzò di asciugarsi le lacrime, ricacciandole indietro, il petto dolente.

“Vuoi… vuoi forse dirmi che, nonostante quello che ti ho fatto...”

Il suo tono era rotto, incrinato, quasi non suo, il cuore avrebbe potuto scoppiargli da un momento all’altro mentre la mano destra si protraeva nella sua direzione, ricercando un primo, maldestro, contatto. Zima annuì, la lingua sempre a penzoloni, mentre, muovendo prima le zampe anteriori, accettava la carezza di Isaac, strofinandosi sulla sua mano e socchiudendo gli occhi.

Aiutami… aiutami a salvare Camus, ti prego! Ho bisogno della tua forza, di tutta la tua forza, io da sola non…

Fu il turno di Isaac di annuire determinato, mentre, prendendogli dolcemente il muso, si approcciava a lei, appoggiando la fronte alla sua, poco sotto il diadema spezzato, come aveva visto fare a Camus.

“Ti cedo tutto il mio corpo per salvarlo, anche oltre, Zima!”

La creatura riaprì gli occhi nello stesso momento in cui lo fece Isaac, si guardarono profondamente, il verde dei campi che incontrava il marrone scuro della Madre Terra. Per entrambi, quel contatto, fu come avere un libretto d’istruzione stampato nella cornea. Entrambi sapevano con precisione come agire. E agirono.

Non avrebbe più esitato, non avrebbe perso più tempo. I miglioramenti del maestro avevano rinvigorito anche la forza di Isaac, determinato come non mai a salvarlo. Si posizionò sopra a Camus, le ginocchia lungo i suoi fianchi, in modo da poter operare sulle ferite presenti sull’addome. Il foro di entrata nella stalagmite non era di grandi dimensioni, ma profondo, un ematoma sotto cutaneo stava cominciando a formarsi, impressionandolo ulteriormente. Cercò di non farsi distrarre, non era quello il suo compito, lo sapeva bene. Ingoiò a vuoto, poggiando le dita invece sul taglio che gli aveva inciso Elisey diversi centimetri sotto l’ombelico. Non sanguinava, perché probabilmente era stato cauterizzato già da lui, ma permetteva in maniera più agevole di accedere da lì per assorbire l’immensa emorragia interna che aveva riempito la cavità addominale del maestro.

Poggiò le dita nella maniera più delicata possibile, ma il corpo di Camus sussultò comunque, anche se debolmente, un gemito di dolore gli arrivò alle orecchie, gli strappò ulteriormente il cuore di pena, ma era un buon segno.

“Starete presto meglio, ve lo prometto! Resistete! Fatelo per voi stesso, per noi, perché… - scrollò la testa, no, doveva parlare di vero cuore per esortare Camus a non cedere, il ‘voi’, in quella circostanza, era troppo freddo, e il maestro aveva bisogno di aggrapparsi a qualcosa, di avere qualcuno vicino – Abbiamo bisogno di te, Camus, di te, nella nostra vita, sia io che Hyoga, e ti vogliamo bene… papà!” lo chiamò nuovamente con il ruolo che gli spettava, sebbene lo facesse imbarazzare.

“Prendi questo!” la voce gentile di Elisey, lo sorprese non poco, ancora prima di riuscire a chiedere delucidazioni, avvertì uno strano tintinnio, mentre il ciondolo a forma di cristallo, di color rosso tenue, gli venne posato sul petto.

“Elisey, ma cosa...”

“Io non posso fare più niente, ormai… ma tu e Zima sì, coraggio! - sospirò, un poco affranto, prima di imprimere i suoi occhi in quelli di Isaac – Ragazzo, Camus ti avrà certamente insegnato che, in natura, in circostante normali, nulla si crea e nulla si distrugge, noi Sciamani non facciamo differenza! Il sangue del tuo maestro non può scomparire nel nulla, non abbiamo di simili poteri, ma può essere trasformato o, in questo caso, trasposto dalla sua cavità addominale a qualcos’altro” gli disse, dando un’occhiata al ciondolo che pendeva dal collo di Isaac. Doveva ammettere, suo malgrado, che, anche se il giovane non era uno Sciamano, gli donava.

Il ragazzo capì in un istante, una luce abbagliante negli occhi, quella che Camus considerava sacra.

“Grazie, Elisey!” gli disse, tornando a concentrarsi sul taglio del maestro, impiegando il suo cosmo, che emanava sfumature dorate, per far convergere il sangue, fungendo lui da drenante, fino al cristallo che gli era stato imprestato e che andava tingendosi sempre più di rosso.

“Salva Camus, con quello!” lo incitò ancora, sorridendogli di sbieco, prima di tornare a concentrarsi, con aria triste, su Zima.

La creatura sembrava sfinita, reietta, cercava con ogni mezzo di non guardarlo in faccia, come poteva essere altrimenti, del resto?! Entrambi conoscevano bene le proprie colpe… Si era avvicinata al viso di Camus e lentamente, con il muso, gli aveva fatto ruotare la testa, dandogli ripetute nasate e sostando poi, con il tartufo, sulla sua pelle, prima di leccargli dolcemente le guance, strofinarsi, mentre alcune lacrime gli scendevano dagli occhi per ricadere sulle labbra dischiuse del giovane uomo che ricercavano disperatamente ossigeno.

Le lacrime di Zima… ciò che la creatura aveva ancora di più prezioso. Elisey si trovò a fremere, commosso.

Zima scese poi sull’affannoso petto sempre mantenendo il tartufo umido a contatto con la sua pelle, seguì la linea del collo, passando dalle due clavicole, soffermandosi sul torace, appena sopra il cuore.

Ha il cuore molto affaticato… se non facciamo qualcosa al più presto rischia un nuovo arresto cardiaco...

“Salvalo, ti prego… non merita una fine simile. Tu sai!” trovò infine il coraggio di dirgli mentalmente, distogliendo lo sguardo dolente dalla creatura, ormai ridotta ai minimi termini, ma decisa più che mai nei suoi intenti. Si limitò ad annuire, Zima, che un tempo fu aurora, mentre altre, calde, lacrime bagnavano il petto del ragazzo, il quale lentamente cominciava a respirare in maniera più ritmata e regolare. Gli saldò le due costole rotte, prima di proseguire. Scese ancora di più, sullo sterno, prima di compiere, sempre con il muso in contatto, un breve giro dell’addome e soffermarsi quindi sulla ferita causata dalla stalagmite. Lì alzò un poco la testa, chiudendo gli occhi e piangendo con quanto rimaneva delle sue forze. Ogni goccia che cadeva sulla ferita faceva sì che la lacerazione si chiudesse, velocizzando il processo di cura e di cicatrizzazione. Una serie di minuti dopo, che sembrarono interminabili, non c’era più niente sul fianco destro di Camus. Il respiro gli si regolarizzò quasi del tutto.

Isaac era incredulo, stremato, provato, perché il processo di riassorbimento minava le sue forze fin dal profondo, ma, così in pena per le sorti del suo maestro, non si era fatto sfuggire un solo movimento della creatura. Ciò che aveva fatto era stato uno spettacolo incredibile.

Fece per dire qualcosa ma in quell’esatto momento il cristallo, saturo di sangue, ormai di un intenso color rubino, scoppiò, spaventandolo non poco. Isaac credette fosse sua la colpa, forse non era riuscito a controllarlo bene, forse il suo intervento non era bastato, si sentì di nuovo sprofondare nella disperazione, ma le mani nodulose di Elisey si mossero ad avvolgere le sue, coperte di sangue, come a volerlo rinfrancare.

“Va bene così, il suo dovere lo ha fatto!”

“Ma… ma c’è ancora del sangue all’interno!”

“Ciò che hai fatto basta per metterlo fuori pericolo, il corpo umano ha la capacità di riassorbire i versamenti, solo che lui ne aveva troppi, rischiava di danneggiare gli organi interni, ora non più. Il resto sarà assimilato lentamente dal suo organismo fino a sparire del tutto!” gli spiegò, sempre con quella dolcezza inconsueta che, in circostanze normali, lo avrebbe fatto innervosire ancora di più.

Isaac tremava, si guardava le mani, sporche del sangue del maestro. Dalle sue dita erano ben visibili vene purpuree che, partendo dall’estremità, risalivano fino al polso, mischiandosi fino a interconnettersi con i propri, reali, vasi sanguigni.

“Non hai assorbito il sangue solo tramite quel cristallo, ma anche attraverso te stesso...” constatò Elisey, serio in volto.

“Sì… avevo paura che non bastasse...”

“E’ rischioso, ragazzo! Non hai il gruppo sanguigno del tuo maestro, rischi un pesante rigetto così...”

“Non ha importanza...” liquidò la faccenda, aveva gli occhi lucidi ed era ancora scosso.

Sarebbero realmente bastati i loro interventi per salvare la vita di Camus? Il giovane allievo si rese conto di essere totalmente a pezzi, di essere ancora spaventato a morte alla sola idea di perderlo, e di non essere affatto tranquillo. Le condizioni del maestro erano state così gravi… la rianimazione cardiopolmonare non aveva sortito effetto, se non fosse stato per l’intervento di Zima, Camus non sarebbe sopravvissuto, non sarebbe stato più con loro e la sola idea, si accorse, lo faceva impazzire. Discostò lo sguardo, girandosi verso Hyoga e Jacob, a poca distanza da loro, profondamente addormentati. Le ferite di suo fratello erano state risanate, il metodo gli era sfuggito, ma sembrava stare bene, era solo svenuto, dormiva, con Jacob steso sul suo petto, assopito. Non lo aveva mollato un secondo.

Tutti avevano rischiato di morire per colpa sua, il suo cuore non si dava pace a quel pensiero, era gonfio di pena, di paura e aveva perso fiducia nelle sue capacità, come Zima, che proprio in quel momento si era accucciata, stremata, sul permafrost. Latrava, respirando affannosamente.

Era accaduto tutto per colpa sua, il ragazzo non riusciva a fare altro che torturarsi psicologicamente su quella questione. Strinse con foga i pugni, produsse un mormorio sommesso, quando invece avrebbe voluto urlare, rompere qualcosa. Due lacrime capricciose, silenti, gli scivolarono giù.

Era… stata... tutta… colpa sua… maledizione!

“I-Isa-ac…”

Sobbalzò a quel richiamo, riconoscendo una voce che disperava di sentire. Saltò su, del tutto incredulo, aveva paura di essersi sbagliato, che la mente lo trasse in inganno, ma quando la voce del maestro lo raggiunse per la seconda volta, debolmente e densa di pena, il cuore gli si accelerò in petto, mentre le lacrime, ormai a fiume, gli lambirono il volto provato.

“Maestro!!!”

Camus era ancora incosciente, si era mosso appena, avvertendo la presenza dell’allievo vicino a lui, le sue emozioni difficili da contenere, la sua disperazione. Il respiro gli si accelerò al ritmo del suo torace, che si alzava e abbassava sempre più a scatti. Debole. Stremato. Eppure lo chiamava, in un tono che ad Isaac mozzava la respirazione.

“I-Isaac… mio a-al… mmh-llievo...” riprovò per la terza volta a parlare, ma le energie per continuare gli mancavano, si agitò nell’incoscienza, affaticando ulteriormente il suo corpo già al limite.

Isaac si gettò a capofitto su di lui, di nuovo in ginocchio al suo fianco, prima di prendergli dolcemente la nuca per sollevargli la testa e permettergli di respirare meglio.

“Maestro, sono qui… SONO QUI! Non sforzatevi ulteriormente!”

“Mmmh, I-Isaac, n-non...”

Ma di nuovo il nome rotolò a vuoto, perché era chiaro che Camus volesse dire qualcos’altro, lo aveva percepito, fuori da quelle nebbie vacue dense di dolore che solo in quel momento si stavano attenuando, ma non riusciva, non ne aveva le forze e ciò lo umiliava. Il torace scalpitava al posto suo, continuando ad alzarsi con sempre maggior foga, cosa che, nelle sue condizioni, non gli faceva affatto bene.

“Sono qui, calmati! - riprese Isaac, in tono nuovamente confidente, scostandogli un ciuffo umido dalla fronte sudata per poi posargli le labbra sopra nel tentativo di tranquillizzarlo, come Camus riusciva sempre a fare quando lui era un ravanello – Va tutto bene, papà, stiamo tutti bene, riposati, non disperdere ulteriori energie!”

A quelle parole lo vide lasciarsi andare, la testa reclinata sul suo braccio, in direzione del suo petto, produsse un respiro più prolungato dei precedenti.

“I-Isa-ac… s-se non dovessi, anf, riuscirci io, anf, s-salva tu Z-Zim-a… ti prego...”

“Ma Camus...”

“N-non ho più… forze... anf...”

“Non dite così, mae… no, papà! Ti voglio bene, ti prego, non morire! Non morire, Camus!”

“...m-ma la posso sentire anco-ra… nel buio che mi circonda, anf, s-soffre e… urgh… Isa-ac, s-salval...”

Non riuscì a dire nient’altro, il respiro sempre più rotto, sembrava avesse di nuovo difficoltà a respirare, la coscienza che andava defluendosi. Il ragazzo si sentì rabbrividire, mentre Zima, con le zampe tremanti, si rialzò.

“MAESTRO! Parlatemi ancora, vi prego!”

Lo scrollò, nessuna reazione, di nuovo si sentì gettato nel panico.

“Isaac, in quella posizione fa fatica, riadagialo per terra e reclinargli la testa all’indietro, come ce l’aveva prima! Dobbiamo aiutarlo, è davvero troppo debole!” lo avvertì Elisey, mentre con il palmo della mano gli continuava ad auscultare le funzioni vitali.

Isaac eseguì immediatamente, ancora frastornato e terrorizzato all’idea di perderlo. Era chiaro che Camus avesse bisogno di lui, si era abbandonato tra le sue braccia quando lo aveva percepito, ma non era affatto in sé, non completamente e probabilmente ancora in pericolo di vita. Anche Zima fu su di lui, il suo muso si strofinò sugli zigomi, scendendo poi sotto il mento, leccandolo con dolcezza.

Non pensare a me, Camus… dormi, e recupera le energie! Grazie… per avermi provato a salvare.

Gli sussurrò telepaticamente mentre il tartufo si posava delicatamente sul suo sterno, nel punto esatto in cui il pollice e l’indice di Elisey, con il palmo ancora sopra il torace di Camus, creavano una intercapedine.

Elisey si ritrovò a sussultare nel percepire il pelo di Zima accarezzargli il dorso, gli vennero gli occhi lucidi, mentre si sforzava di cacciare le emozioni indietro, aiutando la creatura a far cadere Camus in un sonno sprofondo e ristoratore, per quanto indotto.

“Perdonaci… per quanto ti abbiamo fatto patire!” disse, guardandola.

A quelle parole accorate, le iridi di Zima finalmente si mossero a scrutare gli occhi neri e profondi di Elisey, sostando a lungo su di lui. Si fissarono, si cercarono, ma non si potevano afferrare, non più. Il patto era stato irrimediabilmente violato. La creatura produsse un rantolio sommesso, prima di correre via, senza più voltarsi, con l’evidente intenzione, si percepì nell’aria, di non fare più ritorno.

“NO, ZIMA!” la provò a bloccare Isaac, desiderando di tutto cuore aiutarla, ma Elisey lo fermò subito, gli occhi tetri.

“Lasciala andare, Isaac… il suo lo ha fatto, anzi, ha fatto di più, ben di più. Non ha più un briciolo di potere...”

“E noi la lasciamo andare?! Camus voleva salvarla!”

“Non può… non in queste condizioni, lo vedi ben da te. Zima non vuole causare più danni, qui, probabilmente si rifugerà in un luogo ancora più inaccessibile...”

“Ma… ma...”

Isaac non era per niente lieto di quel finale così amaro per lei. Camus ci stava quasi riuscendo a salvarla, ma… ma poi la situazione era precipitata e ora… ora Zima se ne stava andando per non fare più ritorno. Strinse i pugni.

“Non tornerà, Isaac… prendine atto e pensiamo al da farsi, il resto è in mano nostra, c’è ancora qualcosa in cui possiamo adoperarci per migliorare le condizioni del tuo giovane maestro!” lo avvertì, tornando nuovamente brusco, inginocchiandosi al fianco di Camus e chinandosi sul suo addome, ancora vessato dall’incisione che gli aveva procurato lui stesso. Gliela solcò con le dita, facendogli scappare un ulteriore, debole, lamento.

“Maestro!” lo chiamò ancora l’allievo ad alta voce, come a volergli rammentare che lui era lì, al suo fianco, che non era da solo.

Grazie all’azione combinata di Zima ed Elisey lo avevano fatto sprofondare in un sonno pesante, quasi come se fosse sedato, eppure le palpebre fremevano, del tutto inconsapevolmente, dimostrando ancora quanto stesse soffrendo. Una nuova fitta al cuore investì Isaac, che istintivamente tornò a stringergli la mano, nuovamente abbandonata a sé stessa.

“Resisti!” si chinò a baciargli la fronte, scostandogli poi un ciuffo che si era appiccicato alla pelle.

“Un ultimo sforzo, Camus, poi potrai finalmente riposare, coraggio!” provò a rassicurarlo ancora Elisey, una nuova carezza veloce tra i capelli, prima di procedere.

Gli risistemò il mantello sopra il torace, lasciando comunque scoperto l’addome, su cui doveva agire. Isaac non si perdeva un suo movimento, attento e pronto a scattare come non mai, anche nell’ipotesi che quel vecchio pazzo osasse fargli troppo male. Aveva il cuore gremito di pena, mentre, con le dita, gli sfiorava i lunghi ciuffi cobalto. Sembrava un’operazione chirurgica vera e propria, la sola idea lo faceva stare male. Il modo in cui Elisey aveva posizionato Camus, le braccia nuovamente aperte, il capo reclinato all’indietro, il mantello sopra il petto, che ricordava un lenzuolo di un ospedale, l’addome nudo, lordato ancora di quel fluido purpureo, a tratti raccapricciante -Isaac sussultò nel notare quanto sangue avesse perso effettivamente Camus, i pantaloni si erano notevolmente sporcati, il permafrost sotto di lui, poi, era diventato rubino intenso, quasi avesse assorbito anche lui la linfa vitale- e ancora... l’odore ferroso nei dintorni, le dita, quelle nodulose di Elisey che calcavano il taglio quasi come se fossero bisturi.

“Mi viene… mi viene da vomitare!” si lasciò sfuggire alla fine, con una smorfia. Effettivamente aveva resistito fino a quel momento, ma stava cedendo, lo stomaco era sotto sopra.

“Oh? Non dicevi di essere già Cavaliere di Atena?! Questa è una inezia rispetto agli spettacoli che ti troverai davanti agli occhi, ragazzo!”

Isaac fremette a quella provocazione. Alla fine l’Elisey di sempre era tornato, più irritante e fazioso come non mai. Gli venne voglia di mollargli un pugno e attorcigliargli la lingua; quella lingua biforcuta che aveva provato comunque, quando Camus stava male, a infondergli forza e coraggio, a quelle mani… che avevano tentanto l’impossibile, anche oltre, per rianimarlo con disperazione.

Tutto ciò irritava Isaac ancora di più. Aveva sempre reputato Elisey uno stronzo sputasentenze, un farabutto, un pezzo di merda, invece quel giorno aveva scoperto che non era solo quello, che teneva a Camus a modo suo e che addirittura aveva versato lacrime per lui, sebbene continuasse ottusamente a fare finta di niente.

Anche in quel momento, mentre solcava il taglio, richiudendolo come per magia, stava utilizzando tutte le sue energie per farlo stare meglio. Era lampante.

Elisey non era né nero né bianco, ma l’esatta miscela dei due, e l’esatta miscela dei due era il grigio. Isaac si ritrovò a sbuffare nervosamente, gli veniva da ridacchiare, rammentandosi di uno dei personaggi cinematografici e librari che più apprezzava, e che, proprio in quel momento, come intuizione fulminea, aveva accostato alla figura del vecchio: Gandalf il Grigio.

Il paragone calzava insperatamente a pennello, ma il giovane si accorse altresì che la mente gli stava facendo un brutto scherzo, non era affatto il momento di perdersi in simili frivolezze, non con il maestro ancora in quelle condizioni. Rabboccò aria, apprestandosi a porre la domanda che lo tartassava da un po’.

“Chi sei realmente?” chiese in tono un poco spento, tornando ad accarezzare il viso di Camus ancora spezzato dal dolore.

“Elisey, fratello di colui che ha fatto da mentore alla persona che veneri di più. Pensavo ci fossimo già presentati circa 6 anni fa, quando Camus, con quella luce negli occhi, mi presentava un bimbo rompicoglioni dai capelli verdi che non stava mai zitto. Ti dice qualcosa ques...”

“Sai bene cosa intendo, non fare lo gnorri!” saltò su Isaac, sforzandosi di mantenere un tono pacifico e cordiale con lui, sebbene non gli riuscisse affatto. Del resto, era così dannatamente irritante.

“No, non so cosa intendi...” mormorò distrattamente l’altro, ultimando di tracciare la ferita al ventre di Camus, ora completamente richiusa. I lembi si erano uniti, formando una linea lunga diversi centimetri di colore rosso acceso rispetto alla pelle sottostante. Faceva impressione, sembrava davvero il residuo di un parto cesareo, ed era disturbante.

“Fai… hai fatto cose incredibili, le ho ben viste! Non mi spiego un sacco di passaggi, di come tu potessi conoscere questo posto, di come tu sia riuscito a condurci qui, e di come tu abbia operato così magistralmente su Camus e, precedentemente, su Hyoga. Chi sei Elisey? No, forse sarebbe più corretto chiederti cosa sei, Elisey? Hai un legame con Zima, vero? La conoscevi e lei ti ha riconosciuto… perché?”

A tutto quel fluire di domande Elisey non rispose, la concentrazione ancora tutta sul corpo di Camus. Posò nuovamente la mano sopra il suo diaframma, scostandogli il mantello per controllarne meglio l’alzasi e l’abbassarsi, che si era fatto più sicuro e forte. Sembrava finalmente fuori pericolo, ma era ancora molto debole.

“EHI! Rispondimi, chi…?”

“Sono un Evocatore...”

Isaac spalancò le iridi verdi al limite dell’umano possibile. Un’unica frase, tre parole. Un’inezia, in apparenza, m bastò per fargli andare, letteralmente, il sangue al cervello.

“COSA?!”

“Sono uno Sciamano Evocatore” confermò, come se nulla fosse, strappandosi un lembo del mantello che indossava per pulire l’addome di Camus ancora sporco di sangue.

“MI PIGLI PER IL CULO?!” la voce di Isaac si era fatta sottilissima e tagliente come la lama di un coltello. Osservò ancora il maestro sotto di sé, la sua espressione sfinita, la perenne smorfia di dolore. Camus non meritava tutta quella sofferenza, non la meritava! Si era recato lì perché gli era stato detto che non esistevano più Evocatori, aveva rischiato di morire per quello e ora saltava fuori che quello stramaledettissimo vecchio di merda era un Evocatore e che non aveva mosso il culo prima di vedere Camus stramazzare a terra con l’addome trafitto dalla stalagmite. Lui avrebbe potuto evitare tutto quello, avrebbe potuto… non lo aveva fatto!

Convergendo tutte le sue energie, tentò un’ultima volta di resistere alla rabbia. Si trattenne, sforzandosi di mantenere un tono cordiale.

“E-Elisey… spiegati! Quinti tu sei… un Evocatore, perché mai non...”

“Non ho nulla da dimostrare, ragazzo...”

La goccia che fece traboccare il vaso. Isaac non ci vide più. Prima ancora che potesse controllarsi, scaraventò via Elisey con un pugno dritto in faccia, scattando in piedi con ira funesta, in modo da guardarlo dall’alto verso il basso.

“Tu… TU! BASTARDO! Hai fatto venire qui il Maestro Camus ben sapendo che rischiava la vita e che non avrebbe potuto fare nulla per Zima e non vuoi darmi spiegazioni?!? PARLA, ELISEY, O TI FARO’ PARLARE CON LA FORZA!” gli gridò con quanto fiato avesse in gola, le mani strette a pugno, ad un passo da dirottarsi su di lui, in barba all’età, al debito di gratitudine e a quant’altro, e iniziare a percuoterlo con violenza.

“Uhmpf, questo tuo modo di reagire alle cose, con furia cieca e senza limiti, è sempre stato uno dei tuoi più grandi problemi, Isaac...” rispose Elisey con un’invidiabile flemma, pulendosi il sangue che era fuoriuscito dal labbro spaccato. Guardò torvamente il ragazzo, il suo petto, che gli si gonfiava ad intermittenza, l’espressione rabbiosa, da mostro marino incontrollabile, il corpo scosso da spasmi. Inavvertitamente sorrise.

“Che cazzo hai da ridere adesso, maledetto?!?”

“Nulla… ho qui la dimostrazione del perché tu non sarai MAI un Cavaliere di Atena!”

Isaac fu tentato di avventarsi su di lui per quella malaugurata frase, ma c’erano questioni più urgenti, motivi più validi per prendersela, che non una sciocca illazione. Decise di soprassedere, per farlo, si aggrappò, ancora una volta all’espressione sofferente del maestro, ancora svenuto ai loro piedi. Una nuova rabbia cieca lo avvolse, sfumata però dalla disperazione che lo aveva accompagnato fino a quel momento. Prese un profondo respiro, prima di proseguire.

“Guardalo, Elisey, GUARDALO! - gli disse in tono d’accusa, trovando libero sfogo al peso che avvertiva e che non si era ancora del tutto riuscire a placare – Cosa è rimasto di lui, dopo questa esperienza?! Per poco non moriva, anzi, è proprio morto, per una serie di minuti, il suo cuore si è fermato. E’ devastato, la battaglia lo ha raso al suolo, e tu, e tu...” proferì le ultime parole quasi sibilando.

“Ed io…? Non fermarti adesso, ragazzo, vai fino in fondo!” lo pungolò lui, serio come non mai.

“E tu… SEI STATO TU! Tu hai detto a Camus di recarsi qui, tu lo hai spedito a morire, quando invece avresti potuto muoverti in prima persona, salvare tu quei bambini, non Camus… cosa volevi fare, Elisey?! Volevi mandarlo a farsi ammazzare?! E poi cosa è successo?! Hai pensato a tuo fratello e ti sono venuti i sensi di colpa?!” lo incalzò, sempre più fuori di sé. La stessa impassibilità di quel vecchio lo destabilizzava, la stessa calma che lo contraddistingueva, come poteva essere così tranquillo, dopo quello che aveva fatto subire a Camus con il suo non intervento?!

“Ah, quindi sarei stato io… ricordami, Isaac CHI, tra voi, ha ingaggiato battaglia con Zima, facendo sì che Camus si frapponesse tra te e il colpo!”

Isaac sussultò, stringendo con ancora più forza i pugni, gli occhi fuggenti

“I-io...” ammetterlo gli costava una certa fatica, anche se, dentro di lui, non aveva mai smesso di torturarsi per le sue colpe.

“Esatto, bravo! - disse con voce languida Elisey, rialzandosi in piedi e riavvicinandosi a lui, implacabile – E ora sono io ad esortare te: guardalo, Isaac! Guarda come è ridotto il tuo maestro, di chi pensi sia la colpa?!”

“U-urgh...”

“Guardagli l’addome, ancora contratto dal dolore, osservargli bene quel taglio che ha sul basso ventre, anche se richiuso, e che impiegherà diverso tempo a scomparire; osserva il suo respiro ancora stentato, le sue mani sporche di sangue, il suo...”

“B-basta, Elisey...”

“Ancora non ti basta? Passiamo al volto, alla sua espressione spezzata, rotta… lo hai mai visto così, Isaac? Hai mai visto Camus crollare così?!? Ridotto così?!? Per chi credi lo abbia fatto??? E’ pallido come un cencio, contando tutto quello che abbiamo fatto per lui, respira a stento, ancora boccheggia, sai quanto sarebbe facile ucciderlo, conciato com’è?!? Se fosse stato il mio obiettivo non pensi che lo avrei già fatto?!? Perché sono ancora qua, invece, a prodigarmi per lui, per voi?!”

“B-Basta così, Elisey, p-per favore… hai ragione, i-io non… sto cercando solo un capro espiatorio e le tue parole mi hanno...”

“Mandato in pappa il cervello, sì, me ne sono accorto, ragazzo!” affermò Elisey, tornando a pulire l’addome di Camus come se nulla fosse successo, lasciando Isaac in piedi a colpevolizzarsi, senza più degnarlo di un solo sguardo.

“La verità è che non volevo… non volevo causare tutto questo! Non volevo che Hyoga rimanesse ferito, non volevo che Camus rischiasse di morire! Non ho capito niente, in realtà… e questi sono i risultati!”

“Oh, lo so che non volevi, credimi… è un altro dei tuoi mille mila e più problemi, questo...”

Isaac lo guardò, ogni vena baldanzosa era sfumata nell’aria, persino la rabbia si era placata, Passarono minuti di assoluto silenzio, poi Elisey si sentì in dovere di aggiungere qualcos’altro.

“Sono un Evocatore, è vero, ma non potevo fare realmente niente per quella creatura, Isaac! Poi se non vuoi credermi sei libero di farlo, ma sono sincero...”

“Per-perché?”

“E’ una storia davvero troppo lunga da raccontare...”

“Ma conoscevi Zima!”

“Sì… molto da vicino, è legata alla storia della mia famiglia...”

“Come…?”

“La sorella di mio padre, mia zia, aveva un legame molto profondo con lei, quasi… ombelicale, possiamo dire, ma ti parlo di un racconto assai datato. Successe a metà XVIII secolo, circa, quando anche Bluegrad cadde, ad opera di Zima...”

“Co-Cosa?! Metà… del 1700?! Ma non è poss… non è possibile!”

Elisey non guardava più in faccia di Isaac già da un po’, così assorto nei suoi pensieri, in ricordi che non voleva rinvangare, che sarebbe stato meglio seppellire sotto il permafrost eterno. Il ragazzo aveva tutte le ragioni per essere incredulo, oltre che costernato, i tempi di una vita normale non coincidevano con il suo racconto, doveva spiegarsi, ma farlo avrebbe richiesto ulteriori chiarimenti, nonché svelare prematuramente il segreto che lui e suo fratello si erano portati avanti per anni; quello stesso segreto che loro padre, in punto di morte, dopo una vita lunga e maledetta; maledetta dalla stessa creatura, aveva chiesto di non rivelare a nessuno.

Sospirò, prima di cercare un modo per uscire da quella situazione senza, per forza di cose, rivelare anche il suo passato.

“Ascolta, Isaac… - iniziò, ma un tonfo sordo lo mise in allarme, spingendolo a voltarsi nella direzione del giovane. Si girò. Lo vide. Sussultò – ISAAAC!!!”

Il suo urlo vibrò nei dintorni, lo scricchiolio dei suoi passi fu l’unica cosa che si udì dopo quello, mentre si precipitava a soccorrere il ragazzo stramazzato a terra, preda di violente convulsioni.

 

 

* * *

 

 

Un muro bianco. Spettrale.

Un muro bianco. Spettrale. Nient’altro.

Solo questo vi era nel campo visivo di Isaac. Era solo. Non un suono, solo e soltanto quella parete e la sensazione, nel cuore, di star perdendo qualcosa di importante. Qualcuno di importante. Di nuovo.

Poi ad un tratto un singhiozzo, poi un altro, un altro ancora, fino a diventare un vero e proprio pianto.

Finalmente riuscì a muoversi, rabboccò aria, mentre i suoi passi gli frastornavano le orecchie.

Paura. Senso di oppressione. Angoscia.

Il pianto si fece più intenso, finalmente Isaac riuscì a capire di chi fosse. Il respiro gli si piantò nel petto.

Hyoga...” provò a chiamarlo, avvicinandosi al compagno di addestramento, ritto in piedi in un angolo della parete bianca, le mani a tenersi la testa, alcuni ciuffi biondi fuggivano dalla loro presa. Sembrava disperato.

E-ehi, forza, Hyoga, sai che il Maestro Camus non vorrebbe che facessi così, lui si preoccupa sempre troppo per noi, gli fa male vederci in balia delle emozioni, noi dobbiamo essere forti per lui, dobbiamo...”

Non sono riuscito a fare niente per lui, Isaac… neanche stavolta!”

La mano del ragazzo, alzata per provare ad accarezzare quei ciuffi biondi che emanavano il calore e la consistenza del grano, si bloccò a metà strada, paralizzata. Suo fratello si stava rivolgendo a lui, ma era come se non lo avvertisse, come se stesse parlando con il suo fantasma. Ma lui era lì davanti, come sempre, pronto a sostenerlo, come sempre, perché non lo percepiva?

Non sono riuscito a salvarlo...” ripeté, colpevolizzandosi, singhiozzando con più forza.

Cosa stai…?”

E’ dentro, Isaac, nella sala operatoria… il suo cuore si è appena fermato, stanno provando a riattivarglielo con il defibrillatore...”

Quelle parole ghiacciarono sul posto Isaac, che tremò. Quell’unica frase gli aveva dato una spiacevole sensazione di ‘già visto’, che incancreniva la paura nel suo petto.

N-no… sai quanto è forte il Maestro! Per quanto il suo cuore smetterà di battere lui reagirà sempre, non...”

Ma Hyoga scuoteva la testa, sordo alle sue parole, alcune lacrime caddero per terra.

Non c’ero, quando è successo… non sto facendo nulla per aiutarlo. Gli ho fatto perdere te, l’ho privato della vita… sono indegno di camminare al suo fianco! Dovevo morire io al posto di mia madre! Dovevo morire io al tuo posto!”

A quel punto Isaac si imbestialì. Fremendo notevolmente e alzando il tono di voce fino a quasi strozzarsi.

Ancora questa storia?! Ancora brami la morte??? E a me e al Maestro Camus non ci pensi?! Non ti rendi conto di quanto tu sia importante per noi??? Daremmo la vita per te, Hyoga! HYOGA!!!”

Ma il biondo non gli dava retta. A capo chino, gli spasmi nel petto, gli passò di fianco barcollando, prima di dargli le spalle.

Avresti dovuto esserci tu, tu eri il degno possessore di Cygnus, non sarebbe successo nulla di tutto questo!”

E se ne andò. Isaac stette una serie di secondi immobile prima di riuscire a darsi una scrollata, poi si voltò.

Hyo...”

Ma suo fratello non c’era più, al posto suo un’altra parete bianca, spettrale. Il ragazzo irruente si ritrovò ben presto ad imprecare, mentre, con precisione, prendeva a pugni un punto di quel muro fino a sfondarlo.

Non c’era verso di farglielo entrare in testa, Hyoga non riusciva a capire l’importanza della sua vita, né l’immensa ventata di felicità che aveva portato nell’esistenza sua e del maestro. Non riusciva a comprenderlo. Lo sguardo perennemente rivolto indietro, al passato, disprezzando il futuro, il presente, tutto ciò che ancora aveva. Era intollerabile, da togliere il fiato per la rabbia. Incassò la testa fra le spalle, quasi supplice, anche se non sapeva bene chi pregare.

Sigh...”

Un nuovo singhiozzo lo riscosse, portandolo a raddrizzare la schiena. Di nuovo fu libero di muoversi, riprese a camminare fino a scorgere una nuova presenza davanti a lui.

C’era sempre quella irritante parete bianca come sfondo, ma ai suoi piedi, in un angolino, una ragazza era seduta sul pavimento, il volto nascosto dalle ginocchia piegate verso il petto, i capelli castani, di media lunghezza, che le arrivano, dietro, alle spalle, nascondendo, sul davanti, parte della fronte. Aveva le mani imbrattate di sangue, Isaac si accorse che le sue, di mani, non erano da meno, puzzavano di linfa vitale ormai raggrumata, esattamente come quelle di lei.

L’aveva comunque riconosciuta…

Tu sei… la bambina che popola i miei sogni fin da quando ero piccolo. Sei… sei cresciuta!” provò a schiarirsi la voce, accennando un passo, lei parve non accorgersene, continuando a singhiozzare.

S-sono Isaac, allievo di Camus di Aquarius… - dirlo gli sembrava importante – Potresti dirmi dove ci troviamo, o...”

Si bloccò nell’esatto momento in cui la ragazza, riconoscendo quell’ultimo nome, si riscosse, alzando finalmente la testa e puntandogli gli occhioni inondati di lacrime contro. Ad Isaac si spezzò il respiro, mentre il cuore accelerava in un solo colpo.

Non era la prima volta che si incontravano, lo ricordava bene, tutte le volte che stava male era sempre lei a rinfrancarlo, a ravvivargli l’umore nell’incoscienza in cui era sprofondato. Lei, la persona che aveva davanti, anche se non più nella sua forma bambinesca. C’era sempre stata lei, con lui, nelle nebbie del nulla, ma per qualche gioco del destino, gli occhi non glieli aveva mai visti. Era sempre stata con lui, certo, ma manteneva le palpebre chiuse, quasi fosse cieca, mentre, manina per manina, lo portava verso la luce, che poi il piccolo Isaac attraversava, risvegliandosi.

Si era sempre chiesto di che colore potesse avere gli occhi, quella bimba gentile e candida, ma non era mai riuscito a risolvere quel segreto, non prima di quel momento in cui le iridi sue, un poco spalancate per la sorpresa, non lo avevano scrutato da capo a piedi.

Erano blu. Non un blu qualsiasi. Un blu che Isaac conosceva bene e che venerava più di ogni altra cosa.

Si sentì improvvisamente la gola secca, era del tutto immobile, mentre, stentando ancora a crederci, si perdeva nel profilo un poco allungato della ragazzina, nei suoi lineamenti, del tutto simili a…

...Camus! - si ritrovò ancora di più sbalordito, il petto accelerato, come il suo cuore – Eri tu… sei sempre stata tu!”

Lei tornò con il mento poggiato sulle ginocchia, le guance rigate dalle lacrime preda dei tremori.

Isaac, splendido allievo di Camus… - il ragazzo sussultò a quell’appellativo, meravigliandosi che lei potesse conoscerlo, mentre il cervello gli dava l’imput di avvicinarsi ulteriormente – Perdonami… non sono stata abbastanza forte per proteggerlo!”

Cosa… cosa stai?”

La giovane gli mostrò le mani insanguinate, ormai erano vicinissimi, quasi da potersi toccare, ma entrambi sembravano bloccati da qualcosa.

Si è frapposto tra me e l’attacco, per difendermi… ha subito tre artigliate in pieno petto, ha perso molto sangue, è in pericolo di vita, Isaac ed io… io mi sono bloccata come una cretina!”

Si è… frapposto?” ripeté Isaac, fremendo.

Lei annuì, tutta tremante.

Perdeva molto s-sangue, non riuscivo a fermarglielo, e poi… e poi… Mu, l’ambulanza, lo hanno… s-spogliato e a-attaccato alle macchine, i-il respiratore sul suo volto mi ha fatto impressione… n-non reagiva, Isaac, NON REAGIVA! E poi… e poi… la corsa in ospedale, quel dannato sangue che non si fermava, la paura, i-il gelo… è stata tu-tutta colpa mia, MIA!!! Sono stata io a...”

Ma l’abbraccio che gli diede Isaac la bloccò all’istante, il viso ancora rigato dalle lacrime, mentre veniva accolta dal petto del ragazzo e premuta contro di sé, una mano dietro alla sua nuca e l’altra a circondargli le spalle, nel tentativo di rassicurarla.

Isaac l’aveva stretta a sé in maniera più che naturale. Tutte le volte che si erano visti, nei sogni, era sempre stata lei ad aiutare lui, ora era il suo turno.

Quando mai quella testa di cazzo non si subisce un colpo lui per salvare le persone che ama?! Mi sarei stupito del contrario!”

La sentì palpitare contro di lui, socchiuse gli occhi. Era un sogno, ma era tutto più che intenso e c’era complicità, tra loro, inspiegabile, perché era come se si conoscessero da una vita, sebbene non ne conoscesse nemmeno il nome.

Sai come è fatto Camus… per le persone che ama da l’anima e oltre, e tu… deve amarti molto, non è forse così?”

La ragazza annuì, affondando il suo viso nell’incavo della sua spalla, prima di ricambiare a sua volta la stretta.

Ce la farà, come sempre!” disse, deciso.

La ragazza annuì ancora. Stettero per una serie di minuti così, l’uno tra le braccia dell’altra.

Perché non mi hai mai detto di essere proprio tu la sorella del Maestro Camus? Lui… mi ha parlato di te, un giorno, gli manchi da morire, anche se sta provando, con tutte le sue forze, ad andare avanti… sai, un Cavaliere d’Oro, ha dei doveri da perseguire...”

Perché siamo su due linee spazio-temporali diverse, Isaac, non ci possiamo incontrare, se non così, se non qui, nel tempo fermo del nostro inconscio!”

Su due linee spazio-temporali diverse?” ripeté lui, sempre più allibito.

Ascolta, ci vorrà del tempo, ma… - si staccò un poco da lui nel guardarlo dritto negli occhi, ricercando un contatto visivo e rimanendo con le mani intrecciate alle sue – Ti ritroverò in qualche modo, e ti riporterò a casa, da Camus e Hyoga, dalla tua famiglia! Hanno bisogno di te, gli manchi da morire!”

Isaac era costernato, scosse il capo.

Gli manco?! Tu, piuttosto, sei tu che sei stata privata dell’affetto di Camus, sono io che ho detto al Maestro che ti avrei ritrovata e riportata a… cosa hai da ridacchiare, ora? Stai ancora piangendo, ma mi sorridi, cosa…?” Isaac si ritrovò ad arrossire senza neanche quasi accorgersene.

Questione di prospettive, Isaac! - soffiò lei, appoggiandosi con la fronte alla sua spalla, perché di altezza erano praticamente uguali – E’ tempo di risvegliarti, ora! ” lo incoraggiò poi, sempre con i fiumi di lacrime, ammiccando un poco. In effetti i contorni stavano sfumando.

Non prima di avermi detto il tuo nome!” provò ad opporsi lui, aumentando la stretta sulle sue mani sporche di sangue.

Lei sorrise, ancora una volta, e Isaac pensò che era dannatamente simile a Camus, quasi la sua sovrapposizione in veste femminile, il colore della pelle così delicato, il leggero rossore sulle sue gote, i suoi lineamenti, e gli occhi blu, che emanavano quella calma pregna di significato.

Mi chiamo Marta, prenditi cura di mio fratello, ti supplico, è molto debole e ha bisogno di te e Hyoga, i suoi… meravigliosi… allievi!” riuscì a dirgli, baciandolo sulla guancia sinistra, prima che tutto si facesse luce e sparisse come lapilli di lava.

 

“Mmh… Marta!” si ritrovò a bofonchiare Isaac, ancora preda di quel sogno strampalato. I suoi occhi si erano aperti, il suo braccio destro proteso verso l’alto, come a voler afferrare qualcosa, ma il suo cervello non era ancora in grado di scrollarsi completamente le nebbie del sonno. Attese, la mano gli ricadde a fianco, ne percepì una superficie morbida.

Si riscoprì stanco, spossato, contuso. Era avvolto da qualcosa di caldo e una sorta di fascia gli stringeva insistentemente il petto, dandogli non poco fastidio… dove si trovava? Non era più in mezzo al ghiaccio al freddo, si guardò confusamente intorno, riconoscendo, a fatica, la sua stanza.

Ma cosa…?

I ricordi gli piovvero addosso tutti di un colpo.

“MAESTRO CAMUS!” urlò, ricordando quel che era successo, rabbrividendo nel rammentare le sue gravi condizioni. Si alzò di scatto a sedere e poi tentò di reggersi in piedi da solo, ma un capogiro lo privò dell’equilibrio, facendolo ripiombare tra le calde complete. Il braccio destro di mosse nel tentativo di attutire la caduta, il sinistro no, era ancora ancorato al torace per mezzo di bendaggi stretti che gli impedivano di muovere la spalla, sussultò, mentre una nuova fitta di dolore gli passò nelle vene per poi irradiarsi al petto. Trattenne un mormorio sommesso. Non avrebbe permesso alle sue labbra di far uscire alcun suono, malgrado il dolore intenso che procedeva ad ondate, sarebbe stato un insulto per le condizioni di Camus.

Camus…

Isaac si rimise a sedere con più calma, desiderando sincerarsi delle condizioni del maestro, che non era lì, certo, non poteva essere lì, stante il fatto che per poco non era morto. Gli mancò il fiato in gola, mentre, roteando il bacino, si alzava lentamente in piedi. Non aveva che i pantaloni addosso, il busto era scoperto perché qualcuno si era preso cura di lui, della sua lussazione. Ricordò anche di essersi sentito male mentre Elisey gli parlava, ma tutto era pallido e insignificante se paragonato a quello che aveva subito il suo maestro.

Camus!

Finalmente riuscì a muovere i primi passi, che gli costavano non poca fatica, si sentiva frastornato, debole, dolorante, ma il suo obiettivo era uno soltanto, solo così la stretta al cuore si sarebbe allentata. Così sperava.

Camus!!!

Scese lentamente le scale, facendo meno chiasso possibile, giunto al piano terra, notò che fuori era buio e che la camera del maestro era illuminata. Si diresse lì con il cuore in gola, i battiti a mille.

“Bravo, Hyoga, continua così, alterni manualità e dolcezza nel prenderti cura di lui, sei davvero abile!”

Avvertì la voce di Elisey, ma non la risposta di suo fratello. Ingoiò a vuoto, dirigendosi verso la camera, la porta era aperta, poteva vedere chi vi era dentro e accedervi senza impedimenti, ma si bloccò dallo stipite, non visto.

Si sentì come se stesse precipitando nel vuoto. Rimase lì, ammutolito, tremante, scalpitante, ma assolutamente impossibilitato a proseguire, non ne aveva le forze. Si sentì mancare, di nuovo, fortunatamente né Elisey né Hyoga si accorsero subito della sua presenza, del suo momento di debolezza, troppo impegnati in quello che stavano facendo.

Le luci soffuse, il profumo di menta, salvia, e di altre fragranze boscose inebriava tutta la camera, le loro figure erano avvolte nella penombra, entrambi chini sul letto, il cui ospite aveva attirato brutalmente l’attenzione del ragazzo, che barcollò, appoggiandosi di lato, del tutto incapace di rimanere in piedi da solo.

Su quel letto che odorava di un misto di sangue, medicinali ed erbe, era adagiata la figura di Camus, supina, ancora del tutto incosciente.

Isaac rabboccò aria, la gola secca, mentre, con quasi le lacrime agli occhi, si sforzava di continuare a guardarlo per cercare di capire, con un unico sguardo, se perlomeno avesse avuto miglioramenti da quando lo aveva lasciato.

Camus stava ancora male, era evidente. L’abbassarsi e l’alzarsi del suo torace era penoso, a volte più profondo, altre volte più repentino. Era completamente nudo tra le bianche lenzuola che facevano a gara con il pallore innaturale della sua pelle, tranne nella zona addominale, che aveva assunto un colore violaceo-bluastro per la formazione dell’ematoma. Esso tendeva a schiarirsi fino a scomparire del tutto sul fianco destro, che era invece arrossato nella zona dove si era formato il tatuaggio, ormai inesistente, perché ne era rimasto solo un segno come di una bruciatura. Nella parte mediana del tronco, invece, in prossimità dell’ombelico, il colore si faceva più scuro, come se tutto il sangue, per effetto della gravità, fosse rimasto lì, donandogli un aspetto quasi spettrale.

Fili lunghi e sottili collegavano il suo corpo a degli strumenti. Isaac ingoiò a vuoto, riconoscendone qualcuno. Sul bordo sinistro del letto vi era una sacca contenente un liquido ambrato, che Isaac abbinò -con una punta di allarmismo- all’urina, ed infatti quell’affare maledetto collegava direttamente là sotto, in un modo che ad Isaac fece mancare un altro, ennesimo, battito. Sulla sponda destra del letto, vi era un’altra sacca, contenente invece un liquido trasparente, collegata al dorso della mano destra di Camus, che giaceva molle sulle lenzuola. Risalendo lungo tutto il braccio, Isaac si meravigliò del quantitativo di lividi che, stante la pelle così chiara del suo maestro, creavano un brusco contrasto. Era come se sia Elisey che Hyoga avessero impiegato diverso tempo a ricercare una vena dove poter inserire l’ago. Fortunatamente non erano presenti né l’elettrocardiogramma né il respiratore, ma il ragazzo, nel vedere la posizione di Elisey, chino ad occhi chiusi sul di lui, con il palmo aperto posto proprio al centro del torace, ebbe la sensazione che lo stesse monitorando 24 ore su 24.

Era uno spettacolo difficilissimo da digerire, se non impossibile...

“Sommo Elisey, continuo a spalmare altra crema?” chiese ad un certo punto Hyoga, aspettando sue direttive, terminando di massaggiare la zona dell’addome.

“Male non gli fa, ragazzo… occorrerà del tempo perché si riassorba tutto, ma sono tutti rimedi naturali e balsamici, non temere!”

Il biondo annuì, immergendo le dita nuovamente nel barattolo per poi tornare a spalmare la crema di color giallo-verde sul ventre di Camus. Gliela passò dall’inguine verso l’alto, soffermandosi nella zona intorno all’ombelico, dove era più scuro. Al suo passaggio, avvertì un fremito sempre più forte provenire da quel corpo sfinito.

“Ecco, Maestro… sentite che buon profumo! Sembra di trovarsi in una foresta boreale dopo la pioggia estiva, non trovate? Guarirete presto, non temete!” aveva quindi detto, baciandolo sulla fronte con gesto delicato, per calmarlo, perché Camus si era agitato nel sonno, aveva girato più volte il viso impregnato di sudore e ogni tanto provava a dire qualcosa, ma la sua voce era afona, non aveva nulla della maestosità ed eleganza che Isaac ricordava.

E quello, solo per colpa sua. Era in quelle condizioni unicamente perché si era gettato senza pensare alle conseguenze, costringendolo così a farsi trafiggere per proteggere lui, che si era dimostrato un inetto.

“Oh, ma guarda un po’, ben risvegliato, Isaac!” lo salutò ad un certo punto Elisey, nel suo consueto tono impertinente. La sua frase fece sussultare Hyoga, che si girò nella sua direzione, ma non fece scaturire alcuna reazione da parte di Isaac, gli occhi spenti e puntati sul pavimento, un nodo in gola, un immenso macigno a pesargli sul giovane e inesperto cuore.

Furono solo le braccia di Hyoga, che si erano precipitate a stringerlo, a scuoterlo fin dal profondo. Ci mise un po’ a razionalizzare che il biondo lo stava abbracciando con un impeto che nascondeva tutta la sua preoccupazione per lui. Si sentì cingere da lui, ali candide di cigno che accarezzavano la superficie dell’acqua, facendogli percepire il calore. Lo fissò, incredulo.

Era la prima volta in assoluto che Hyoga si dimostrava così espansivo per lui, sempre un po’ riottoso a manifestare il suo affetto, come Camus, ma quando lo faceva era come essere avvolti da una coperta calda che proteggeva da qualunque tipo di intemperia.

“Hyo… Hyo...” il suo nome si perse nel vuoto.

“Cosa ti salta in mente, Isaac?!” esclamò il biondo, quasi soffiando, rassomigliante paurosamente al tono del maestro quando doveva rimproverarlo per una cazzata appena compiuta. Si accorse tuttavia che il suo corpo stava tremando.

“I-io?! E… e tu allora che… che hai assorbito il ghiaccio di Zima e… e… per proteggerci a momenti non...”

Si udì un singhiozzo nell’aria, le mani di Hyoga si strinsero sulla sue scapole. Sembrava davvero terrorizzato. Isaac avrebbe voluto dirgli che Camus non desiderava quello, che, se solo fosse stato cosciente, lo avrebbe sgridato, ma sembrava così sconvolto, così al limite… avevano entrambi rischiato grosso per salvarsi reciprocamente, e per salvare il maestro, proprio come una famiglia.

“Hyo… Hyoga!” lo chiamò infine, ricambiando la stretta con l’unico braccio disponibile.

“Hai avuto un rigetto, Isaac! Hai rischiato di morire, Elisey ti ha preso per il rotto della cuffia!”

Sussultò impercettibilmente, ma scrollò via quella sensazione. Non era importante, del resto.

“E le tue ferite, allora?! Eri lì, sanguinavi molto, ci hai terrorizzato, Hyoga!” provò a ribaltare la situazione, massaggiandogli dolcemente la schiena, dove sapeva che Zima lo aveva ferito.

“Sono una bazzecola! Elisey mi ha detto che, presto, ne spariranno anche i segni, sono già risanate, Isaac, non angustiarti, tu piuttosto, non...”

“Io sto bene! - liquidò la faccenda guardandolo negli occhi – Non pensare a me, dobbiamo occuparci di...”

“Non stai bene per niente, io ti ho visto! Non mi fare il Camus, non ora, non...”

“Io starei facendo il Camus?! E tu allora?! A momenti dissanguavi e dici di stare bene!”

“A momenti, infatti, ora è tutto apposto, non sono io ad aver avuto un brutto rigetto, ma...”

“TI HO DETTO CHE STO BENE! Ora possiamo non pensare a me, oppure…?”

“E chi ci crede, stai a malapena in...”

“A-arf… mmm”

Entrambi i due allievi sussultarono al suono di quel tentativo di parlare che era sfociato in un gemito. Entrambi lo avevano riconosciuto, si erano irrigiditi.

“Maestro!” lo chiamarono all’unisono, speranzosi, voltandosi ma trovandovi solo gli occhi severi di Elisey.

“Pensate di abbassarli i toni o vi devo sbattere fuori di qui?! State disturbando il vostro maestro! E’ fuori pericolo, ma ci vuole un nulla per agitarlo, ci mancate voi a rumoreggiare come due beduini nel deserto!”

Effettivamente Camus si era mosso nel sonno, preoccupandosi nel sentire tensione nella stanza, Elisey si era dovuto chinare nuovamente su di lui, sfiorandogli la fronte con le dita per farlo calmare. Il suo corpo tuttavia continuava a rimanere teso e rigido.

“Is… Hy… m-miei...”

“Sei un testone! I tuoi allievi stanno bene, preoccupati per te, adesso, devi riposare, Camus, il tuo corpo è al limite!” gli disse, modulando la voce.

Li stava chiamando debolmente, entrambi lo capirono, dirigendosi a capo chino vicino a lui, al suo fianco. Isaac era ancora paralizzato nell’assistere alle sue condizioni tutt’altro che buone, ma, infine, riuscì a prendergli la mano non vessata dai lividi, stringendola con delicatezza, mentre Hyoga, gli occhi ancora lucidi, gli passava un panno bagnato sul collo per asciugargli il sudore, perché era grondante.

“C-che giorno è?” riuscì infine a chiedere Isaac, dolente.

“Il 7 febbraio… hai dormito per due giorni, ragazzo!” rispose Elisey, con un pizzico di freddezza non voluta.

Era già arrivato il compleanno di Camus, che giaceva in quelle condizioni che gli procuravano diversi strappi al cuore.

“Ha più.. ripreso coscienza?” chiese ancora, stavolta a Hyoga, quasi faticando ad essere chiaro nell’esposizione.

Il biondo, passato a lavargli il torace, scuoté la testa, sospirando.

“No, all’inizio rifiutava anche l’acqua, era impossibile idratarlo, abbiamo dovuto fargli una flebo, ma non si trovava la vena, lo vedi ben da te, ci abbiamo provato più volte, prima di riuscire”

“E ora beve?”

“Qualcosa in più, se gli avvicini la scodella e gli sollevi la testa un po’ reagisce, ma… è ancora così debole, Isaac, non… uff, ci stiamo prendendo cura di lui e non vedo… miglioramenti!” si lasciò sfuggire, sfiduciato.

“Oh, ne ha… ne ha! Lo monitoro ogni ora! Il suo respiro è sempre più sicuro e regolare, e poi ora ci siete entrambi voi, a ronzargli intorno, vi percepisce, ciò gli darà nuova spinta a reagire!” intervenne Elisey, alzandosi in piedi per lasciare maggior spazio ai due ragazzi.

In quei due giorni aveva toccato il minimo indispensabile Camus, se non per controllarlo, sapeva bene che essere maneggiato da ‘esterni’ non gli piaceva per niente, del resto lo vedeva ben da sé, si provava a ribellare se era lui a sfiorarlo, ma se lo faceva Hyoga, con la sua dolcezza, crollava, abbandonandosi al suo tocco. Ora che c’era anche Isaac il suo dovere poteva definirsi concluso. Essere toccato dagli allievi tranquillizzava Camus, ora che erano entrambi vigili, fuori pericolo, lo avrebbero spinto a guarire più in fretta.

Hyoga nel frattempo, era sceso con la spugnatura tra le due cosce, continuava a lavarlo con tutte le attenzioni possibili, ma era lampante il suo imbarazzo.

“Z-Zima… Jacob, Avrora, i Figli della Siberia, come stanno?” domandò ad entrambi, non smettendo di fissare il corpo del suo maestro, ogni livido, ogni goccia di sudore, per poi soffermarsi, dolente, sul taglio presente sul basso ventre, ancora ben visibile.

“Stanno tutti bene, Isaac, la pandemia non colpirà più per una serie di anni, hai presente quella pioggia dorata? E’ stato merito di quella! Zima se ne è andata, non aveva più ragioni per rimanere...”

“Quindi… ha recuperato il controllo?” ne dedusse Isaac, meravigliato.

“No, Isaac… Zima non ha recuperato alcun controllo, è vessata dal male, si è allontanata in qualche luogo remoto per tentare di salvaguardare i suoi figli, ma non sta affatto bene, la posso ben avvertire”

“E allora come è riuscita a…?” si incuriosì anche Hyoga, alzando il capo.

“E’ stato Camus… il vostro maestro ha creduto in lei, ciò le ha permesso di intervenire. - rispose lui, prima di apprestarsi a dare una spiegazione più possibilmente sintetica, perché l’argomento era arduo – Quando un Eone come Zima fa un patto con gli uomini, concede tutte le sue energie a loro. Solo gli Evocatori possono convergere tali forze di nuovo sulla creatura e operare per il bene, fungendo così da intermediari tra il divino e l’immanente, ma se tale patto viene violato, lo stesso principio vitale dell’Eone si disperde nel mondo, se nessuno lo coglie il suo destino, sul lungo andare, è segnato...”

Sia Isaac che Hyoga sussultarono a quell’affermazione. Avevano tante domande da porgli, troppi dubbi non avevano risposta, ma qualcosa nell’espressione di Elisey fece capire ad entrambi gli allievi che non si sarebbe ulteriormente soffermato su quell’argomento che sembrava farlo soffrire molto.

“Quindi tu… hai mandato Camus là, pur non essendo un Evocatore, nella speranza che salvasse la creatura? - arrivò alla conclusione Isaac, sentendosi nuovamente terribilmente in colpa – Altrimenti Zima rischiava di scomparire?”

“Sta già succedendo, in verità, la sua perdita di controllo è indizio di una fine imminente, anche se questa parola, per una creatura millenaria come lei, racchiude un significato diverso dal nostro – prese un profondo respiro, gettando un’occhiata a Camus, alla sua espressione sofferente, alla sua bocca semi-aperta, sinonimo del desiderio di parlare – Nessuno crede più in Zima, per la gente è solo un dio caduto, terribile, desideroso di vendetta, nessuno le crede più, l’hanno lasciata da sola, ad erodersi come un essere insignificante...”

Hyoga e Isaac si guardarono tristemente negli occhi, non sapendo più cosa dire, nervosi.

“Ma Camus si è fidato di lei, voleva aiutarla, e ha dato l’anima per Zima, permettendo così a quest’ultima di recuperare un poco del vecchio fulgore, anche se per un tempo limitatissimo. Ciò le ha permesso di salvarvi, di annullare, anche se temporaneamente, la maledizione. Ora è ancora più prosciugata di prima, non tornerà, credo che le sue intenzioni siano quelle di scomparire in solitudine...”

“N-no… è inaccettabile, q-questo!” biascicò Isaac, fremendo selvaggiamente. Non poteva tollerare una fine simile, soprattutto considerando che il maestro ce l’avrebbe potuta fare, se solo lui…

 

Se solo io l’avessi capita! Non potevo sentire la sua voce, per me era un nemico e basta, non ho esitato un attimo, volevo distruggerla, quando invece era vittima a sua volta. Il sacrifico di Camus non è servito a niente… A NIENTE! E’ in queste gravi condizioni per un nulla di fatto, e Zima rischia di scomparire… non me lo perdonerò mai!

 

“L’unico che poteva fare qualcosa era Camus, purtroppo, essendo rimasto gravemente ferito, non aveva abbastanza energie per farlo, ma lui ne ha percepito la voce, l’ha sostenuta, regalandone un po’ di conforto. Ora Zima è in pace con sé stessa, si spegnerà con la consolazione che, almeno un essere umano, è tornato a credere in lei… - asserì, non riuscendo a nascondere il malessere – Il vostro maestro… è eccezionale, immagino lo sappiate!”

Hyoga e Isaac annuirono di nuovo, l’umore ridotto a rasoterra.

“...Ma non diteglielo! Non mi piacciono questo genere di moine!” aggiunse, nel tentativo di alleggerire la tensione.

Trascorsero minuti di assoluto silenzio, Isaac non aveva la forza di fare alcunché, solo rimanere lì, stringere la mano di Camus, vederne il respiro ora profondo, ora veloce, e desiderare di essere al suo posto, di patire su di sé quella sofferenza che era assolutamente immeritata nei suoi confronti.

 

Io dovrei essere in queste condizioni, non voi, Maestro! Nemmeno nel sonno riuscite a trovare un po’ di tranquillità, per poco non perdevate la vita e siete qui, sfinito. Non immaginate cosa darei per essere al vostro posto. Io lo meriterei senz’altro!

 

“Sommo Elisey… c’è qualcosa che possiamo ancora fare per il Maestro? Non so, qualche altra erba, qualcosa da fargli assumere per via endovenosa o, se riesce, oralmente...”

“Le riserve di questi giorni sono quasi esaurite, Hyoga, te la senti, nelle tue condizioni, di scendere più a sud, insieme a me, per raccogliere quanto serve? Io conosco vari metodi non convenzionali, ma ho bisogno di una mano giovane e lesta, la tua, abile discepolo di Camus, pensi di potermela...”

“CERTO! - saltò su Hyoga, meravigliando sia Isaac che Elisey, che sussultarono istantaneamente, non abituati ad un comportamento simile. In effetti sprizzava determinazione da tutti i pori, la stessa che suo fratello, in quel momento, non possedeva minimamente – V-voglio dire… v-vorrei essere d’aiuto a Camus, in qualche modo, e mi sento in forze, nonostante il bruciore alla schiena!” aggiunse, arrossendo a dismisura.

Elisey ridacchiò, alzandosi difficoltosamente in piedi, sorreggendosi con il bastone. Non lo diceva apertamente, ma era chiaro che fosse stremato.

“Che queste tue energie non vengano sprecate, ragazzo! Precedimi a prepararti, io ti raggiungerò appena avrai finito!”

Hyoga annuì, prima di ricercare lo sguardo di Isaac, che tuttavia era perennemente rivolto verso il basso, colpevole.

“I-Isa...”

“Vai pure, Hyoga, io rimarrò qui a vegliare su Camus, qualcuno lo deve fare, sarei solo una palla al piede per voi...”

“Ma Isaac...” tentò di opporsi il biondo, cercando le parole per risollevargli l’umore, ma una mano sulla sua spalla lo fermò.

“Ha ragione, sarebbe solo un peso, non ha una spalla funzionante e ci rallenterebbe, vai a prepararti, Hyoga!”

Isaac strinse forte i denti e il pugno a quell’ultima affermazione, avrebbe voluto rispondergli a tono, come era abituato a fare, ma si ritrovava completamente mal partito, soprattutto sapeva che le parole di Elisey erano veritiere, non aveva fatto altro che danni, in quella missione, aveva rovinato tutto.

“Per me non sei un peso, non lo sarai mai, Isaac, ma è giusto che ti riposi, so di lasciare il Maestro Camus in mani sicure, con te!”

La voce gentile di Hyoga gli arrivò appena alle orecchie, avvertì il calore della sua mano sulla sua spalla, ciò gli dava fiducia, ma era impossibile uscire dalla voragine nera di colpe che lo stava risucchiando. Tacque, fremendo.

“Voglio sottolineare ancora un punto, prima solo sfiorato, ovvero che tu sei completamente INADATTO a ricoprire il ruolo di Cavaliere di Atena, l’ho sempre pensato, fin dalla prima volta che ti ho visto. La tua reazione di questi giorni mi ha dato piena conferma!” affermò Elisey, in tono atono. Lapidale. Secco. Dritto al punto.

Isaac accusò il colpo ma non disse niente, non ne aveva più la forza. Aveva smarrito la determinazione, navigava nell’incertezza, nel senso di inadeguatezza, ed era spaventoso, lui, che aveva un sogno, lui, che, quel sogno, lo stava per raggiungere, dopo sei anni di allenamento con Camus, eppure, proprio in quel momento il suo obiettivo gli sembrava lontano come non mai, persino più di quando aveva cominciato l’addestramento all’età di 7 anni.

“Non sei stato in grado di udire la vera voce della creatura... Camus, guardalo bene, ancora una volta, è conciato così per colpa tua, lo abbiamo preso per il rotto della cuffia, solo grazie all’intervento di Zima che, a causa del tuo non capire, scomparirà anche lei. E che dire di Hyoga? Si è ferito per proteggervi, lui, che invece la voce della creatura l’ha udita prima di te, lui, che l’aveva compresa con un unico sguardo, lui!”

“...”

“Non sei stato in grado di vedere le sfumature, Isaac, così accecato dalla rabbia, dal tuo desiderio baldanzoso di far vedere a Camus i tuoi miglioramenti...”

“N-non l’ho fatto solo per quello, i-io… avevo paura per lui, t-tu mi hai detto che rischiava la vita, ed io… non ci ho più visto!”

“Già, tu non vedi, Isaac, non hai spirito di osservazione, per te è tutto o bianco o nero, una dote che invece è indispensabile per un Cavaliere di Atena! - Elisey prese una breve pausa, guardandolo. Era diruto, non si sarebbe opposto, non quella volta, il pensare di infierire così su un ragazzo privo di difese gli dava ribrezzo, persino a lui, ma era necessario arrivare al punto – Sei senza ombra di dubbio più forte di Hyoga, più determinato, più intraprendente, più tutto, o quasi, ma se vuoi la mia opinione, non ti avrei affidato nemmeno un criceto, figurarsi l’armatura del Cigno!”

Altro pugno nello stomaco, Isaac continuava a tacere, ma la mano che stringeva quella di Camus tremò con ancora più forza.

“Affidare a te un’armatura come quella del Cigno… affidare a te un messaggio come quello che reca con sé, che unisce cielo e terra, acqua e aere, emisfero Nord e Sud, è un errore! Sei assolutamente indegno di ricalcare quel ruolo, tuttavia… - Elisey mosse qualche passo, fermandosi nuovamente ai piedi del letto – è ciò che lui vuole, e la decisione finale spetta a lui e a lui solo, all’allievo di Fyodor!”

Isaac strabuzzò gli occhi, riuscendo finalmente ad alzare il capo per sostenere il suo sguardo, che tuttavia era puntato verso Camus.

“Il tuo maestro ha già scelto a chi affidare l’armatura del Cigno e, quel qualcuno, sei tu, Isaac!”

Ad Isaac mancava la saliva in bocca, ingoiò a vuoto, l’ossigeno sembrava latitare in quella stanza, vagò con lo sguardo perso.

“Camus vorrebbe che fossi tu a diventare Cavaliere del Cigno e, credo, in un futuro prossimo, a succedergli! - sottolineò ancora, burbero – Io penso ciò che ti ho detto, non ti reputo adeguato al ruolo, vedo Hyoga molto più brillante e sfavillante di te, dotato di un potenziale inesauribile, per quanto sia incompreso e bistrattato da voi...”

“E-Elisey! – sibilò Isaac, recuperando finalmente quei due toni di voce in più. Aveva taciuto fino a quel momento, ma su quell’ultimo argomento, tirato fuori gratuitamente, non poteva in alcun modo transigere – Sia Camus che io conosciamo bene il potenziale di Hyoga, non lo abbiamo mai sottovalutato, siamo cresciuti con lui! Con quale diritto parli di cose che non sai?! Gli vogliamo un bene dell’anima, proprio per questo stiamo solo cercando di… di...”

“Di indirizzarlo! Costringendolo a diventare ciò che non è! So bene che lo condannate per guardarsi perpetuamente indietro, volete forgiarlo come meglio credete, convinti che ci sia un’unica strada per elevarsi. Non immaginate quanto stiate sbagliando!”

Isaac abbassò di nuovo il capo, confuso, mordendosi il labbro inferiore.

“D-dici a me che non sono adeguato a rivestire quel ruolo, e… e posso capirlo, ma poi vuoi darlo a Hyoga, così com’è… lui vuole diventare Cavaliere per sua madre, per raggiungerla, come puoi accettare una cosa del genere?!? Perderà la vita, PER UN MORTO, lasciando me e il maestro con una ferita aperta, grondante di sangue, nel petto. NON POSSO ACCETTARLO!”

Elisey tacque, guardando con crescente distacco il ragazzo davanti a lui, che aveva ripreso a piangere, pressato dagli ultimi avvenimenti.

“Gli uomini stanno uccidendo Zima proprio perché, lusingati da un futuro luminoso quanto fuorviante, hanno sepolto il passato, smarrendo così le radici...” disse solo, chiudendo gli occhi.

“Sommo Elisey, sono pronto!”

Si udì la voce di Hyoga dalla camera di sopra, mentre i suoi passi tamburellavano per tutta la piccola isba siberiana. Isaac fu grato alla prontezza dell’amico, almeno il dialogo con Elisey sarebbe presto finito, perché non ne poteva più, avrebbe solo voluto piangere, andando contro gli insegnamenti del mentore. Si piegò ulteriormente su di sé, quasi singhiozzando, la mano ancora stretta a quella, del tutto immota, di Camus.

“Io penso quello che ti ho detto! - ribadì per l’ennesima volta Elisey, riprendendo a camminare in direzione della porta – Ma...”

“L-l’ho capito, me lo hai ripetuto tre volte, non sono sordo! O-ora vattene, per favore, lasciami in pace, lascia che mi prenda cura di...”

Si bloccò, spalancando gli occhi nell’avvertire la mano di Elisey accarezzargli teneramente la testa, come mai aveva fatto prima di quel momento.

“Non ho mai capito cosa ci trovasse in te Camus, non prima di due giorni fa, quando ti ho visto, tra le lacrime, chiamare nuovamente Zima per chiederle aiuto. I tuoi occhi, la tua espressione, quella luce nel tuo sguardo, che il tuo maestro considera sacra… la creatura è giunta a te perché l’hai supplicata di aiutarti e, non te ne sei accorto, ma, nel farlo, ti sei comportato esattamente come uno Sciamano! Sei riuscito ad evocare Zima con le tue parole e, insieme, lo avete salvato. Non ci fossi stato tu, Camus sarebbe morto, ma tu c’eri, sei stato con lui, lo hai sorretto e gli hai stretto la mano per fargli forza, così come stai facendo ora, incurante di essere ferito e allo stremo!”

Isaac era incredulo a quelle parole, quasi tremava, non riuscendo più a voltarsi nella sua direzione, del tutto paralizzato.

“C’è senza dubbio un principio oscuro in te, dei più terribili, oltretutto! Nondimeno, hai altresì la capacità e la maturità giusta per riparare ai tuoi peccati, dando tutto te stesso, anche oltre, per coloro che ami, e questa, Isaac, è una capacità che pochi esseri umani possiedono!”

“E-Elisey, vuoi forse dirmi che… mi accetteresti?”

La mano si fermò per un attimo sulla sua testa, tra i capelli.

“L’armatura del Cigno è molto importante per la mia famiglia… noi abbiamo avuto l’onere e l’onore di prendercene cura per secoli e secoli, in attesa di un degno custode. Io vorrei che tale custode fosse Hyoga, lui più di ogni altro la merita, per la sua attitudine, per il suo sognare, per i suoi ideali, ma ora ho capito che, anche se finisse nelle tue mani, tu ne saresti comunque meritevole, Isaac!” si accomiatò, prima di uscire dalla porta e dirigersi all’esterno.

Isaac attese che i loro passi svanissero tra la neve, prima di permettersi di crollare, accartocciandosi su sé stesso per poi posare la fronte sopra il braccio di Camus e versare tutte le lacrime di cui fosse capace. Gli ruotò un poco il polso, in modo da essere in contatto palmo contro palmo. Aveva un disperato bisogno del suo conforto, del suo tocco, che gli mancava come mancava il respiro, ma Camus non era lì, perso nelle nebbie dell’incoscienza, lontano anni luce, anche se fisicamente vicino. Isaac sollevò un poco il busto nel tornare a guardarlo, percorse, con gli occhi, tutto il suo corpo centimetro per centimetro, dai piedi fino alle spalle tornite. Continuava a non riuscire a vederlo così, a non accettare quel suo immenso dolore che era visibile ovunque, quel suo essere collegato, tramite fili, a degli arnesi che lo nutrivano e idratavano in sua vece, perché lui era incosciente, sfatto, completamente nudo a cielo aperto, e non aveva nemmeno controllo sui suoi sfinteri, un qualcosa che -l’allievo lo sapeva bene- terrorizzava Camus, una delle sue paure più recondite.

Gli lasciò momentaneamente la mano, andando a recuperare le lenzuola ai piedi del letto, lo ricoprì alla ben meglio, per quanto gli concedesse l’uso di un unico braccio e l’impedimento di tutti quegli strumenti che -probabilmente solo un dio sapeva dove- Elisey aveva recuperato da qualche parte… forse da Pevek, la cittadina più grande nelle vicinanze, oppure dal cappello dello stregone, anche se non ne possedeva, o chissà da quale altro luogo recondito. Isaac aveva smesso di farsi domande su quel vecchio, era un mistero ambulante e, in quella situazione, neanche gli importava di indagare. Estrasse con qualche difficoltà il braccio sinistro del maestro da sotto, posandolo sopra le lenzuola, il palmo della mano nuovamente semi-aperta, in modo tale da poterlo stringere meglio. Gli sfuggì un nuovo singhiozzo, mentre, crollando per la seconda volta, si appoggiava con la fronte lì vicino, nella piega del gomito di Camus, come a ricercare conforto. Era in una posizione scomodissima, ma non gli importava, voleva solo che lui stesse meglio, che si svegliasse, che aprisse gli occhi e che gli parlasse. Era ancora terrorizzato dagli avvenimenti di due giorni prima, era spaurito nel vedere le sue condizioni, tutta la sua fragilità, buttata lì, come un oggetto vuoto, quando invece, ai suoi occhi, era sempre stato quasi invincibile. Singhiozzò ancora una volta, mentre le lacrime ripresero a scendere.

“Guarisci presto, Camus, ti prego!” gli sussurrò, accarezzandogli teneramente il palmo della mano con il pollice, prima di sprofondare nell’oblio dato dalla stanchezza e da emozioni che lo sfinivano.

 

Passò del tempo, Isaac non seppe bene quanto. Secondo il suo schema interno non erano trascorsi che pochi secondi, ma al di là delle palpebre chiuse stava filtrando una debole luce che stava lentamente rischiarando la stanza. Si ricordò di dove si trovasse, la morbidezza sotto di sé lo aiutò a catalogare quel giaciglio, ma c’era qualcosa di diverso rispetto a prima, qualcosa tra i suoi capelli, come brezza leggera che accarezza le chiome degli alberi. Qualcosa lo stava accarezzando per davvero! Erano movimenti deboli, fluidi e delicati al tempo stesso, ogni tanto si fermavano come a recuperare le forze, ma poi ricominciavano, senza mai lasciarlo solo.

Il ragazzo, nel passaggio dal sonno all’incoscienza, tremò distintamente: avrebbe riconosciuto quel tocco tra miliardi e miliardi di altri, perché era qualcosa di sacro di inviolabile. Quasi boccheggiò.

“I-Isa-ac...”

Quella voce, la sua voce, si rizzò a sedere, emozionato, il cuore a mille. Lo guardò. Si guardarono. Finalmente.

Gli occhi di Camus erano sfiniti, più tendenti al nero del mare tempestoso che non a quello suo solito, che emanava una calma è una brillantezza quasi sovrannaturale.

Gli occhi di Camus erano sfiniti, eppure lo osservavano, abbracciandolo come solo loro sapevano fare. Gli sorrise, con tutte le forze che aveva difficoltosamente racimolato in corpo.

“I-Isa-ac - ripeté il suo nome con estrema fatica, una smorfia sul suo volto, nel tentativo, fiacco, vuoto, di mettersi seduto – U-uno dei miei primi in-insegnamenti, anf, è stato q-quello di n-non...” non ultimò la frase, lo sforzo era troppo al di là delle sue energie, il braccio sano dell’allievo si mosse per cingerlo, passando dietro al suo collo, sollevandolo appena senza fargli male. Camus si ritrovò contro la sua spalla, il respiro mozzo, il busto un poco sollevato, le lacrime del suo piccolo, forte, e coraggioso Isaac a lambirgli la guancia. E stette lì, emozionato, sfinito, ma al sicuro.

“L-lo so, un Cavaliere non deve dimostrarsi mai fragile, LO SO! M-ma non mi importa in questo momento, non ha la benché minima importanza, M-maestro! N-non riesco più a...”

Neanche lui riuscì più proseguire, semplicemente affondò il suo viso nella suo chioma, tremando come una foglia. Camus si accorse nitidamente del palpito di quel giovane corpo contro il suo, come quando, da piccolo, dopo la morte di Lisakki, lo aveva stretto a sé, cullandolo sopra il suo torace. In quel frangente, però, era impossibilitato a rassicurarlo, non ne aveva le energie, e ciò lo umiliava. Era quindi l’allievo che cullava lui, del tutto stremato, stringendolo con una foga tanto, tanto, disperata.

Aveva avuto paura di perderlo, era sconvolto, pressato da tanti, troppi, sensi di colpa. Buttò fuori aria, Camus dell’Acquario, provando a muovere il braccio destro per tornare ad accarezzargli i capelli, giacché, per come era posizionato, non gli era possibile usare il sinistro, quello più libero, ma una fitta subitanea gli arrivò dritta al petto, facendolo annaspare. Gli faceva male muoverlo, quella dannata flebo sembrava una sanguisuga, gli dava impiccio, non permettendogli di sollevarlo oltre una certa altezza, nemmeno la mano, dove gli avevano inserito l’ago e che, proprio in quel momento, pulsava con forza. Si lamentò sommessamente, mentre il respiro accelerò, causandogli affanno.

“Maestro!”

Isaac capì che quella posizione gli faceva più male che bene, sebbene volesse stringerlo con tutte le sue forze, pertanto lo riaccompagnò giù, dove Camus stette a recuperare fiato, gli occhi serrati in una smorfia di dolore che fece preoccupare ancora di più l’allievo, il quale, con il cuore gonfio, il battito a mille, si chinò verso il suo volto.

“M-maestro, avete bisogno di qualcosa? Di un… cuscino in più, oppure, oppure...”

Si stava visibilmente agitando ancora di più, non sapendo come girarsi per alleviare le sofferenze della persona a lui più cara. Le guance ancora rigate dalle lacrime.

Camus si costrinse a riaprire le palpebre, sebbene si sentisse una stanchezza colossale addosso, quasi da perdere i sensi, ma non poteva lasciare l’allievo lì, in balia della paura e delle emozioni dopo tutto quello che aveva già passato.

Isaac gli aveva salvato la vita, insieme ad Elisey, mentre Hyoga non aveva smesso un secondo di prendersi cura di lui, in quei giorni infernali. Erano i suoi ragazzi, la sua famiglia, non aveva ceduto perché sapeva che c’erano loro là fuori, lo aspettavano. Per loro, per il bene che gli voleva, non si era arreso.

“N-no, I-Isaac, ho solo bisogno d-di te, della tua, urgh, vicinanza… - riuscì a biascicare, stremato, prima di alzare faticosamente il braccio sinistro e tornare ad accarezzargli i capelli – V-vieni qui, a-appoggiati a me...” disse ancora con estrema fatica, sospingendo gentilmente la nuca dell’allievo per fargli capire di posare la sua testa sopra il suo torace.

“Non posso, rischio di...”

“Non ho ferite sul torace, Isaac, ma sull’addome...” gli sorrise, gli occhi brillanti.

“Siete affaticato… se mi appoggio...”

“N-non ha importanza, anf, ho b-bisogno di sentirti vi-cino...”

Isaac esitò un altro attimo. Era una cosa che il maestro faceva spesso, quando lui era ancora un bambino e prima dell’arrivo di Hyoga. Se avvertiva il suo turbamento interiore, le sue paure, la sua irrequietezza, lo stringeva a sé, facendogli avvertire i battiti ritmati del suo cuore, che riuscivano sempre, sempre, a calmarlo.

Ad Isaac mancava da morire quel gesto tra loro sempre vivido nella mente di entrambi, ma appartenente al passato, tuttavia una parte di lui, quella che voleva dimostrare di essere cresciuto, avrebbe voluto dirgli che ormai era grande, che era tardi per quel tipo di coccole, che il tempo non sarebbe più tornato indietro, come lui stesso gli aveva insegnato, ma aveva così bisogno di essere rassicurato, di sentire i battiti pulsanti della vita di Camus, di un cuore che aveva rischiato di fermarsi per sempre… non si oppose, quindi, accogliendo così quell’invito ad appoggiarsi con un lungo e prolungato singhiozzo. Avrebbe potuto dimenticare, per quel solo attimo di tempo, tutti gli insegnamenti impartiti? Avrebbero potuto ritagliarsi alcuni momenti tra loro, non più come maestro e allievo ma come padre e figlio? La voce di Camus sembrava bisbigliare di sì.

“Va tutto bene, piccolo, sono qui, il peggio è passato!” gli sussurrò tremante, stringendolo a sé con tutta la (poca!) forza di cui disponesse. Al sicuro. Vivi. Entrambi.

“Non sapete cosa avete rischiato...” biascicò, parlando con non poca fatica, cercando di rilassarsi.

“Oh, lo so bene, soldo di cacio… anf, ma c’eravate voi, al mio fianco, m-mi avete inseguito in capo al mondo e… protetto. G-grazie, Isaac, i-io...”

“Fate a meno di ringraziarmi… ho incasinato tutto, Maestro. Se non fossi intervenuto, v-voi ce l’avreste fatta a...” tacque, singhiozzando.

Isaac si sentiva addosso una stanchezza colossale, chiuse le palpebre, avvertendo nitidamente il calore della pelle di Camus sulla sua guancia, e le sue lunghe e duratura carezze, che gli solleticavano i capelli e le scapole, facendolo assopire sempre di più.

“Mi hai salvato la vita, I-Isaac, hai… hai avuto un rigetto p-per me, mi hai spaventato a morte, sai? Percepivo che stessi male, anf, ti ho sentito avere le convulsioni, ed io… ed io non potevo… - le parole gli mancavano, sebbene il petto ne fosse gremito, fremette – Uff, riposa ora, piccolo, starò presto bene… riposa!”

“Come… come lo sapete, questo?”

TU-TUM… TU-TUM

“Come ti ho detto, anf, vi potevo percepire, siete i miei ragazzi… ora riposa, Isaac, non rischiare più così la vita per me!” gli soffiò quasi tra i capelli, stringendolo ancora di più a sé.

“Voi lo avete fatto per noi...”

“E’ mio dovere proteggervi, anf… avrei voluto fare di più per voi, p-per Zima, e invece… urgh, non ne sono stato in grado...” produsse un respiro più prolungato degli altri, tremando per il dolore e lo sforzo.

Malgrado questo, i battiti del suo cuore erano armoniosi e regolari, forse solo un poco accelerati per via della fatica. Cullavano l’allievo, portandolo sempre di più a cedere alle tenebre di un sonno ristoratore.

“Vi voglio… no, anzi, ti voglio bene… papà, non affaticarti ulteriormente! Anche Hyoga ed io rischieremmo ben oltre la vita per salvarti, per… proteggerti!” si lasciò sfuggire ancora, facilitato nell’esposizione dalla coscienza che andava defluendo.

L’ultima cosa che avvertì nitidamente, prima di cedere del tutto, fu il respiro di Camus tra i suoi capelli, mentre teneramente gli baciava la nuca, prima di lasciarsi a sua volta andare, stremato. C

L’Acquario chiuse a sua volta gli occhi nell’avvertire un cerchio alla testa dato dalla spossatezza. La sua mano compì ancora un’ultima carezza, prima posarsi tra le scapole di Isaac, da dove partiva uno spesso bendaggio per tenere ferma la spalla lussata. Così piccolo, dal suo punto di vista, eppure così forte... si era dibattuto con coraggio, incurante dei rischi per sé stesso, lo aveva spaventato a morte, eppure gli era grato per quanto aveva fatto, per non averlo lasciato solo un secondo in quei momenti disperati, quando la vita gli sfuggiva via dal corpo, insieme al calore e al sangue. Rabbrividì a quell’ultimo pensiero. Ci era andato così’ vicino… rischiando di lasciarli soli, quando loro avevano ancora bisogno di lui. Fremette.

“Sei… sei diventato così grande, I-Isaac, e Hyoga con te! S-se… se ti volessi s-stringere a me, come facevo quando eri per davvero un soldo di cacio, lasciandoti dormire sul mio petto, non… non ce la farei, anf. Sei cresciuto troppo in fretta, mio ometto, ed io non sono ancora del tutto pronto ad accettarlo!”

 

 

* * *

 

 

Isola di Milos, 7 febbraio 2008

 

 

“...Segreteria telefonica, risponde il numero...

“Vaffanculo te e al numero irraggiungibile!” sbraitò Milo, lanciando quell’aggeggio infernale, che parlava con voce metallica, sul letto. Purtroppo per lui il cellulare rimbalzò male, andando contro il muro, fracassandosi e ricadendo, disastrato, sul pavimento.

“Fanculo due volte, intanto non mi servivi!” gli inveì di nuovo contro, andando verso la finestra di camera sua, dove stette assorto, del tutto in fibrillazione, le braccia conserte mentre muoveva nervosamente le dita impossibili da tener ferme.

Camus non rispondeva da due giorni, impossibile contattarlo, ormai aveva dato il suo telefono per morto, forse inabissato sotto la banchisa. Non era affatto tranquillo.

In circostanze normali sarebbe stato tutto ordinario, perfettamente schematico, Camus che non rispondeva al telefono era all’ordine del giorno, un grande classico, la stessa Myrto, che però non era con lui al suo fianco, poiché aveva accettato “l’invito” a diventare archivista, del Grande Sacerdote, lo avrebbe rassicurato con parole di miele. Si accorse, una volta in più, che le mancava da morire.

“Ma quando mai quell’essere risponde alla prima, o alla seconda, volta?!” avrebbe detto, sbuffando come una locomotiva.

“Guarda, fosse un ragazzo normale ti direi che è in piacevole compagnia, ma starà di sicuro facendo qualcosa di noioso, o più semplicemente i cazzi suoi, che botta di vita! E’ così da giovane, tremo ad immaginarmelo da vecchio, un vero spasso!” avrebbe rincarato la dose, tornando alle sue faccende.

Milo sorrise leggermente nell’immaginarsela, ma il sorriso venne presto aspirato da una nuova, più intensa, preoccupazione.

Guardò fuori dalla finestra, verso il buio della notte, non trovando soluzione alcuna ai suoi patimenti. Quella non era affatto una situazione ordinaria, quel giorno era il suo compleanno, Milo sapeva che avrebbe tenuto sott’occhio il cellulare in attesa di ricevere la sua chiamata, perché era stata una delle tante promesse che si erano scambiati da piccoli, all’età di 7 anni, quando, per la prima volta, Camus aveva ricevuto l’ordine, in un primo tempo saltuariamente, poi sempre più spesso, di andare ad allenarsi in Siberia, sebbene fosse già Cavaliere d’Oro; e il Milo bambino, quello che proprio ora si stava affacciando nella sua mente, aveva giurato solennemente di fargli gli auguri ogni anno che sarebbe passato, malgrado la lontananza.

C’era anche un’altra cosa che lo agitava, una sensazione, un peso sul cuore, che si portava avanti da due giorni, quando era cominciato l’incubo ricorrente che non lo faceva più dormire: Camus, con indosso strani abiti, che camminava a stento, una mano tenuta sull’addome, tenuto scoperto, da dove spuntava una stalagmite di ghiaccio che affondava nelle sue carni. Il suo sangue, l’espressione martoriata, prima di cadere a terra, il battito del cuore un leggerissimo fremito…

Si era svegliato completamente sudato, urlando il suo nome, e non era più riuscito a chiudere occhio. Aveva provato a contattarlo, con il cosmo, tutti i giorni, prima tre volte, mattino, pomeriggio e sera, poi sempre più insistentemente, ad ogni ora, senza ottenere risposta. Anche quello era un grande classico, quando non voleva essere disturbato, dedicando tutto sé stesso all’allenamento degli allievi, non si faceva trovare. Mai. Ma quella volta, Milo ne aveva uno oscuro sentore, non era stato volontario.

“Che ti è successo, amico mio? Come stai? Perché non ti fai sentire? - si chiese, rivolto al suo riflesso che lo guardava silente, condividendo le sue stesse ansie – Oggi fai 19 anni, non è da te non farti trovare il giorno del tuo compleanno...”

Tremò, appoggiando la fronte contro il vetro. Che gli fosse successo qualcosa era più che evidente, ormai.

Il cigolare della porta attiro la sua attenzione, portandolo a voltarsi e a dilatare le pupille quando vi scorse la figura, avvolta da un pigiama a pois grigio, con il cappuccetto da orsetto lavatore, di Sonia.

“E-ehi, piccoletta, non riesci a dormire?” le chiese, avvicinandosi a lei, mentre la vedeva sbadigliare e sfregarsi un occhio. Sembrava stanca.

“Tu non dormi da due giorni, Milo!” rispose lei, alzando le braccia per farsi prendere in braccio, in cerca di un po’ di conforto. Lo Scorpione eseguì la tacita richiesta, traendola a sé e accarezzandole la chioma.

Non era cambiato nulla, in Sonia, dalle mestruazioni che aveva avuto il novembre passato, certo, il seno cominciava a formarsi, acquisiva altezza piuttosto velocemente, ma era sempre lei, dentro, la stessa bambina di sempre, Milo ne era sollevato.

“Sono solo preoccupato per quell’ottusangolo di Camus… ho una brutta sensazione, piccola!” si lasciò sfuggire, un poco affranto. In verità non voleva spaventarla, aveva tentato di nasconderlo, in quei due giorni, ma l’ansia era aumentata, invece di diminuire.

“Pensi che… gli sia successo qualcosa? Ma lui è fortissimo, Milo!”provò a rassicurarlo Sonia, appendendosi al suo collo e nascondendo il visino nell’incavo della spalla.

“E’ fortissimo, hai ragione, ma, vedi, non bada molto a sé stesso e ho paura che stavolta abbia travalicato i suoi limiti...”

“Lo… senti da qui?” chiese ancora lei, posandogli una mano sopra il cuore, che lui subito strinse con il suo palmo, prima di alzarla e baciarle teneramente le dita.

“Sì, lo sento da qui...”

“E allora non puoi sbagliare, Milo, te lo dice il cuore! Cosa possiamo fare?” chiese ancora la piccola, cominciando a sua volta a preoccuparsi.

“Non… non lo so...”

Sonia ci rimuginò un po’ su, facendosi seria, prima di essere folgorata da una idea.

“Milo, sai dove si trova Camus?”

“All’incirca… non nello specifico”

“E allora… andiamo a cercarlo, Milo!” saltò su lei, grintosa, quasi da fare sussultare il Cavaliere.

“Andare… a cercarlo?”

“Sì, se è in difficoltà, se ha bisogno di noi… ci saremo!” continuò lei, gli occhi luminosi.

Milo esitò un attimo. Andare in Siberia avrebbe significato entrare, a forza, negli affari dell’amico, una cosa che Camus non amava particolarmente, vista la sua riservatezza. Più ancora avrebbe portato lo Scorpione a conoscere i sue due allievi, cosa che lo incuriosiva, se non fosse stato lo stesso Camus a mettere i paletti.

“Non sono ancora pronti ad entrare nel nostro mondo, conoscere un altro Cavaliere d’Oro li destabilizzerebbe non poco, diamo tempo al tempo! – gli aveva detto un giorno, prima di prendersi una pausa e alleggerire il suo tono di voce, perché si era accorto della durezza involontaria adoperata. Gli aveva sorriso, con quella scintilla negli occhi densa di orgoglio – Milo… è come se fossero mie creature, è nei miei desideri presentarteli, un giorno non troppo lontano, ma… non adesso, amico mio, è troppo prematuro!”

“Milo! - attirò di nuovo la sua attenzione Sonia, quasi facendolo sussultare -Allora, andiamo?”

Camus non ne sarebbe stato contento, meno ancora lo sarebbe stato il Grande Sacerdote, che si sarebbe accorto dello suo spostamento, visto che avrebbe usato la velocità luminare che non poteva passare inosservata, ma un amico aveva bisogno di lui, quei sogni erano troppo vividi per non essere reali. Camus era davvero rimasto gravemente ferito, ne era più che certo. Buttò un’ultima occhiata fuori dalla finestra, nel buio della notte. Vi erano 6 ore di differenza in avanti da Milos a Pevek, probabilmente là erano le prime luci dell’alba, avevano quindi tutta la giornata davanti per rintracciarlo, sebbene la giornata stessa fosse paurosamente corta. Posò gentilmente Sonia per terra.

“Va bene, andremo, insieme! Camus non ti vede da più di un anno, sarà felice di poterti riabbracciare, frugoletta!”

“Yuppieee!!! Ed io di riabbracciare lui!!!” esclamò la bambina, anche se sarebbe stato più corretto dire ragazzina, forse, ma Milo non si era ancora abituato a vederla come tale. Le spettinò dolcemente i capelli, regalandone un sorriso aperto e sincero per infonderle coraggio.

“Andiamo a raccattare quanto di più pesante troviamo per la casa, sarà un’esperienza… gelida!” la avvertì, facendole l’occhiolino.

 

 

* * *

 

 

Camus ansimava continuamente nel sonno, la febbre alta, il corpo nuovamente bagnato dal suo stesso sudore. Isaac gli aveva appena passato una spugnetta sul busto, ma era di nuovo fradicio, soprattutto non era in grado, da solo, di girarlo per asciugargli la schiena.

Era infine riuscito, con un po’ di difficoltà, a cambiargli la flebo, come gli era stato insegnato, ma aveva avuto la tremenda sensazione di avergli fatto male, perché nell’estrarre l’ago, disinfettarlo, e rimetterglielo, il maestro aveva sussultato, per poi abbandonarsi nuovamente alle nebbie del delirio. Il catetere invece, che pure sembrava dargli così tanto fastidio, non aveva avuto il coraggio di toccarlo.

Gli stavano somministrando antipiretici e analgesici per via endovenosa, ma non bastavano, erano lenti ad agire, ragione per cui l’allievo si era messo in testa di usare, per la prima volta, il suo gelo, dosandolo allo scopo di dargli sollievo. Ci era riuscito, infine, la febbre stava scendendo. Sospirò sonoramente.

Si era quindi permesso di dormire al fianco di Camus per una manciata d’ore, non di più, perché poi aveva avvertito nuovamente i suoi gemiti, che lo avevano messo in allarme. Lo aveva guardato, aveva compreso il motivo del suo malessere, e aveva agito, di nuovo, prima con un po’ di incertezza e poi con sempre più praticità, anche se usare un solo braccio non era stato affatto facile. L’aria congelante poteva servire anche come calmante, e finalmente la sua tempestività aveva dato i suo frutti, perché la situazione era tornata a stabilizzarsi.

Era passata quindi un’altra mezz’ora prima che gli occhi dell’allievo si erano decisi a smuoversi dalla figura ansante del maestro, poi, notando la regolarizzazione del suo respiro, si era permesso di sciogliersi del tutto, dirigendosi momentaneamente in camera per prendere quella cosa che celava da anni. Né Hyoga né Elisey erano tornati, Isaac pregò che facessero in tempo, i medicinali stavano davvero per finire, nonostante la loro dispensa ne fosse sempre stata piena. Quando rientrò nella camera del maestro, si accorse che Camus si stava muovendo debolmente, tastando con la mano libera, sotto di sé alla disperata ricerca di qualcosa.

“Sono qui, non agitatevi!” provò a tranquillizzarlo, posando il pacchetto sul comodino per poi accarezzargli una spalla. Le palpebre di Camus si contrassero più volte, prima di aprirsi del tutto, ferite dalla debole luce fuori che filtrava e che tuttavia, per lui, era intollerabile.

“Mmmh, Isaac, pensavo di essere… solo...” gli disse, sentendosi la bocca impastata, rilassandosi al suo contatto.

“Mi sono allontanato solo per un istante, ora sono di nuovo qui” lo rassicurò, modulando la voce. Camus sembrava molto fragile, come non lo aveva mai visto.

“Mmmh...” mormorò, rilassandosi ulteriormente al contatto dell’allievo. Aveva paura di essere lasciato solo, ma non lo disse, aveva bisogno di sentire i suoi ragazzi vicini, di sincerarsi delle condizioni di Hyoga, perché era stato lì con lui, a coccolarlo nelle vertigini dell’incubo, ma lo sapeva ferito e il solo rivivere quei momenti, l’impotenza, lo faceva sentire male. Tanto.

“Non dovreste muovermi, avete avuto un’emorragia interna, sebbene già trattata, Elisey ci ha intimato di non farvi alzare dal...”

“E-Elisey può andare al diavolo!” ribatté Camus, subito sul piede di guerra, con nuove energie che l’allievo non aveva la minima idea di dove avesse racimolato in così breve tempo. Lo vide provare ad alzarsi, orgoglioso, ma una fitta all’addome lo fece ricadere sulle lenzuola, il fiato corto. Tipico di lui, appena stava un po’ meglio eccolo ad azionarsi, era quello il vero il problema!

“Non è solo Elisey, Maestro! Anche Hyoga ed io lo desideriamo, è follia alzarvi già ora!” lo provò a tranquillizzare Isaac, accarezzandogli il braccio.

“S-sto bene, riesco a...”

“Sì, una meraviglia state! Rimanete lì, non affaticatevi, ci pensiamo noi a voi”

“Mmmh, Isaac...”

Sembrava incerto se continuare a parlare o no, in paurosa difficoltà, ma non più per la fatica, quanto piuttosto per il disagio crescente.

“Che c’è?” lo incoraggiò Isaac, cercando di capire di cosa avesse bisogno.

“S-sono nudo come un verme...”

Ad Isaac, suo malgrado, scappò un risatina nervosa.

“Lo siete da due giorni...”

“Mmmh, puoi… puoi passarmi almeno dei pantaloni?”

“Temo sia impossibile, al momento… - rispose, a metà strada tra il divertito e il rassegnato. All’occhiata obliqua del maestro, diede la spiegazione – Avete il catetere attaccato al...”

“HO IL…?! - ripeté Camus, sconcertato, piegando un poco la schiena per sincerarsi della veridicità delle parole dell’allievo, prima di scorgere un filo sottile ma ben visibile che, compiuta una curva, spariva dalla sua vista per tuffarsi nel suo inguine. Lo avvertì dentro di sé, spiacevolmente ancorato all’uretra, ecco cosa era quel fastidio interno che lo disturbava nel sonno e che aveva abbinato erroneamente ai danni riportati – N-no, per Atena, no! Anche questo supplizio no!” si lamentò lasciandosi cadere tra le lenzuola, nascondendo parte del volto con la mano libera, le guance rosse. Era il colmo farsi vedere dagli allievi in simili, deprecabili, condizioni.

Isaac sbuffò nel trattenere un’altra risata dentro di sé. L’ingenuità del maestro, a volte, era sorprendente: davvero si era accorto solo in quel momento di essere completamente nudo e con il catetere attaccato? Incredibile!

“Come vi sentite?”

“Starei meglio… se fossi vestito!” bofonchiò, sospirando profondamente nel riadagiare il braccio di fianco al suo busto. Aveva percepito gli allievi che si prendevano cura di lui, era vero, si era sentito protetto e al sicuro nelle nebbie dell’incoscienza, mentre le mani di Hyoga gli spalmavano, con dolcezza, la crema, ma ora che stava cominciando a riprendersi, al tepore di averli vicini si stava aggiungendo una più intensa vergogna di essersi fatto vedere ridotto così. Lentamente il ruolo del maestro stava tornando preponderante, anche se non spazzava via completamente il resto. Era una sensazione davvero strana, per certi versi soverchiante.

Isaac percepì tutto questo nei suoi occhi. Intanto scoccava occhiate nervose al pacchetto posato sul comodino, cercando le parole e il modo corretto per darglielo. Non era la prima volta che ci provava, quel regalo era il frutto di anni e anni di lavoro, ma ogni volta che si decideva a consegnarglielo, qualcosa lo bloccava, impedendogli di andare fino in fondo. Stava accadendo anche quella volta lì, di nuovo. Come sempre. Eppure, non seppe perché, si sentiva come se quella sarebbe stata l’ultima occasione.

“Cosa ti succede, Isaac? Hai male alla spalla?” chiese ad un certo punto Camus, notando i movimenti inconsueti dell’allievo.

“N-no...”

Diceva del maestro, ma anche lui aveva grossi problemi ad esprimersi.

“Dovresti riposare anche tu, Isaac, subire un rigetto… non è uno scherzo!”

Stava tornando in cattedra, gli dava occhiate oblique, di avvertimento, cercando al contempo di nascondere l’immensa preoccupazione che provava per lui, che non si era lesinato di manifestare quando invece, appena sveglio, probabilmente rincoglionito dall’antidolorifico, lo aveva voluto contro il suo petto. Che cataclisma di contraddizione che era!

Isaac sorrise di sbieco, si stava rimettendo, lo capiva dal suo modo di esprimersi, aveva sempre avuto una velocità di recupero fuori dalla norma, o forse era semplicemente incurante di sé stesso. Probabilmente entrambi.

“Isaac...” la mano di Camus si mosse nella sua direzione, come per accarezzarlo, proprio nell’istante in cui l’allievo finalmente riusciva a sbloccarsi.

“Oggi è il 7 febbraio, Maestro! Auguri di buon compleanno! - esclamò, gli occhi luminosi, recuperando il pacchetto dal comodino – E questo è per voi!” gli disse, porgendoglielo.

“G-grazie, m-ma… non ce n’era bisogno, davvero...” farfugliò Camus al limite dell’imbarazzo. Provò ad alzarsi una seconda volta, ma una nuova fitta alla pancia lo fece sussultare, così ci rinunciò, prendendo incuriosito il pacchetto per poi posarlo al suo fianco.

“E’ da anni… che provo a darvelo!”

“Oh, Isaac… n-non occorreva, lo sai, il migliore regalo che mi potete fare, tu e Hyoga, è quello di crescere sani e forti, oltre a dare il massimo negli allenamenti, e lo state già facendo, miei allievi!” gli sorrise con dolcezza, adagiandosi meglio sul cuscino nell’avvertire la stanchezza impossessarsi nuovamente di lui.

“Lo so, ma ci tenevo a darvelo, è… parte del mio cuore...” provò a spiegarsi, arrossendo a sua volta. Effettivamente così era, perché era stato fatto di sua mano e, solo grazie agli ultimi avvenimenti, era riuscito a completarlo, aggiungendoci l’ultimo pezzo del puzzle.

“Allora… lo accetto volentieri!” gli disse, portandosi il pacchetto ancora più contro di sé, tra la piega dell’ascella e il petto.

“Però… vi devo anche chiedere un’altra cosa, – aggiunse, un poco emozionato – di non aprirlo ora...”

“Per-perché?”

Già, perché? Isaac tacque per una serie di secondi, fissandolo dritto negli occhi, poi non reggendo più quello sguardo puro, che per lui significava tutto, lo discostò, soffermandosi invece sul suo corpo. Seguì ancora una volta i fili lunghi che lo collegavano agli affari del diavolo, venne per un attimo soggiogato dalle goccioline della flebo che scendevano dalla sacca, poi si recò nuovamente ad osservare il suo addome, vessato da quel tremendo ematoma, con l’incisione praticata da Elisey ancora ben visibile pochi centimetri sotto l’ombelico, in un mare violaceo/bluastro che, ai bordi, diventava giallognolo per poi sparire quasi totalmente sul fianco destro, dove comunque capeggiava un vistoso arrossamento somigliante ad una bruciatura. Doveva avere un male allucinante, eppure cercava di non dimostrarlo. Sospirò. Aveva ragione Elisey, Camus era in quelle condizioni per colpa sua, si era dimostrato indegno di diventare Cavaliere del Cigno, eppure… eppure come sdebitarsi per tutto quello che il maestro aveva fatto per lui?! Quale altro modo, se non… comprovare che la fiducia riposta fosse corretta?!

 

Io… vi proteggerò, Maestro Camus, non dovrete più combattere da solo, diventerò forte per rimanere al vostro fianco e sostenervi con tutto me stesso!

 

Gli occhi gli si erano fatti lucidi, si sentì stringere la mano libera, ciò lo portò a guardare ancora una volta il viso pallido e sudato della persona più importante della sua vita.

“Starò bene… non devi avere così tanta paura per me!” lo provò a rassicurare, sforzandosi di sorridergli.

Finalmente le parole gli vennero a galla con naturalezza, come se quel tono affaticato e strascicato del maestro, quei suoi occhi sempre, sempre, brillanti, fossero in grado, da soli, di sistemare tutto.

“Vi chiedo di aprire il regalo solo quando sarò diventato Cavaliere del Cigno… perché io diventerò Cavaliere del Cigno, Maestro!” asserì con decisione, fremendo notevolmente, chinandosi verso il suo volto.

Le iridi di Camus ebbero un sussulto nel guardarlo, si ritrovò anche lui a fremere emozionato, non poté impedirselo.

“Otterrò io quell’armatura, non perché non riconosca il valore di Hyoga, anzi proprio perché so di che pasta è fatto! - affermò con decisione, recuperando finalmente la grinta – Voglio dimostrare che da un maestro straordinario come voi, non possano che uscire due allievi straordinari. Sconfiggerò Hyoga in un combattimento solenne, dimostrerò di essere degno di Cygnus e combatterò al vostro fianco come Cavaliere di Atena, ve lo prometto!”

“Oh, Isaac...”

Non riuscì ad aggiungere momentaneamente nient’altro ma, sospingendo ancora una volta l’allievo verso di sé, lo volle ancora una volta adagiato sul suo petto, sopra quel cuore gremito d’orgoglio. Isaac ne avvertì ancora una volta i battiti meravigliosi, sorrise, cingendogli il collo con il braccio libero, mentre le dita gentili di Camus, gli accarezzavano teneramente i capelli.

“So che darai tutto te stesso nello scontro con Hyoga, come hai sempre fatto! Qualunque sia il risultato, sono e sarò fiero di voi, questo ricordalo sempre, mio coraggioso Isaac!” gli soffiò parole dense di passione, sebbene il tono gli si stava facendo sempre più flebile. Isaac chiuse gli occhi. Li chiuse anche Camus.

Stettero un po’ così, fino a quando l’allievo non percepì distintamente l’affanno proveniente da quel torace che lo ospitava, e lo aveva sempre ospitato, con così tanta dolcezza.

“Maestro!” si allarmò, raddrizzandosi, notando che faceva sempre più fatica a rimanere sveglio, la palpebra calante, sebbene tentasse di opporsi.

“V-va tutto bene, Isaac, sono solo molto stanco...”

La mano gli ricadde molla sul fianco, Isaac gliela prese, controllò per precauzione i battiti tramite il polso, trovandoli regolari anche se un po’ affaticati.

“Cosa posso fare, per farvi stare un po’ meglio?” gli chiese, mordendosi il labbro -si chiese a sua volta dove caspita fossero finiti Elisey e Hyoga, perché non erano ancora tornati?! Si erano trovati in Alaska a prendere altri medicamenti?!- prima di accarezzargli dolcemente i capelli nel vedere che Camus stava crollando dal sonno.

“S-solo un po’ d’acqua, ho… ho la gola secca” biascicò lui, chiudendo gli occhi, davvero tanto, troppo, spossato.

Isaac non se lo fece ripetere due volte, con un’ultima carezza tra i suoi capelli, si alzò in piedi, dirigendosi in cucina alla ricerca del prezioso liquido. Ne trovò una borraccia, ma si accorse che era troppo fredda, gli avrebbe fatto più male che bene, occorreva riscaldarla almeno un poco. Accese uno dei fornelletti, in inverno, in Siberia, bisognava pulirli di frequente, prendersene cura, più che dalle altri parti, per farli funzionare. Il clima era troppo rigido, a tratti invivibile per degli essersi umani, occorrevano mille e una accortezze per viverci, in un percorso che era di continuo adattamento e riadattamento.

Mentre riscaldava un poco l’acqua pensò ad un modo per rendersi utile, il più lo avevano fatto Elisey e Hyoga, a lui cosa restava? Hyoga… sussultò, nel ricordarsi dello strano sogno che aveva preceduto il suo risveglio, del nuovo incontro con la ragazza, che ora sapeva di chi trattarsi. Il cuore gli si accelerò in petto, mentre il ricordo di un vecchio dialogo avuto con il suo maestro, gli sfiorò la mente.

 

Quindi… avete una sorella?”

Avevo… come ti ho già detto, il passato non esiste più. Un tempo sono stato un fratello maggiore, un tempo avevo una famiglia, ora non più. Non ha senso soffermarsi con la mente, ormai è scivolato via, irreversibilmente, come una singola particella d’acqua di un fiume, non passerà più accanto agli atomi incorruttibili di un masso...”

E’ passata… ma può tornare sotto forma di goccia di pioggia!” gli aveva fatto notare Isaac, lesto. Camus non aveva risposto, aveva solo sussultato, scosso. Era chiaro non ne volesse parlare ma, per qualche ragione, l’argomento premeva molto all’allievo.

Vi fa male il solo rievocarla nei ricordi? Ci eravate legati a tal punto, Maestro?”

Non ha più… importanza!”

La ha! Vi manca tremendamente, è evidente! Sapete dove si trova ora?”

Non lo so...”

Il suo nome?”

Non lo ricordo più...”

Ma…!”

ISAAC!”

Il suo tono era salito fino a strozzarsi, mentre, burbero, si era girato con un astio crescente nei suoi confronti. Non voleva approfondire quell’argomento, la ferita era ancora aperta, probabilmente non sarebbe mai guarita del tutto. Era lampante.

Perdonatemi...”

Non ha importanza davvero, Isaac! Ora sono qui, con te e Hyoga, solo questo conta, il presente! Lasciamo alle spalle ciò che più non è!”

Non aveva aggiunto altro, tornando a lavare minuziosamente le zampe degli Husky della sua muta, che, dopo il lungo tragitto, necessitavano di trattamenti specifici, nonché di cure.

Isaac era rimasto in silenzio per una serie di minuti, non perdendosi un solo movimento e desiderando apprendere anche quello, da Camus. Poi aveva stretto i pugni, determinato, mentre dalle sue labbra erano fuoriuscite parole a cui lui credeva fermamente.

Ve la riporterò...”

Camus si era bloccato, voltandosi nella sua direzione con espressione esterrefatta, la zampa di Nikita ancora tra le sue dita. Il cagnolino, geloso delle sue attenzioni che non gli stava più dando, aveva uggiolato un paio di volte, prima di leccargli più volte la faccia, perché il suo padrone gli era sembrato davvero sconvolto. Lo era.

Isaac aveva sorriso, imprimendo i suoi occhi in quelli del mentore.

Ve la riporterò! - sottolineò di nuovo, deciso, prima di continuare – Quando sarò più grande e Cavaliere del Cigno, ve la riporterò, Maestro!”

Non aveva alcun dubbio che sarebbe davvero stato così.

 

...Quella sorella sperduta, lui aveva appena scoperto chiamarsi Marta, che strano nome per una sorellina minore di Camus, se ben ricordava, il nome era italiano.

L’acqua era diventata finalmente un po’ meno fredda, la tolse dal fuoco, apprestandosi a portarla al maestro. C’era qualcos’altro che poteva portare, ed era una cosa che poteva fare solo lui, riconsegnare il nome di sua sorella alle sue memorie, per apprestarsi poi un giorno a ritrovarla, perché era lampante che il maestro ci fosse estremamente legato, anche se cercava di nasconderlo.

Entrò finalmente nella stanza, un largo sorriso nel voler palesare ciò che aveva scoperto.

“Maestro, non chiedetemi come, ma… penso di aver scoperto come si chiama vostra sor...” si fermò nel distinguere la figura profondamente addormentata di Camus tra le candide lenzuola del letto. Si avvicinò senza più fiatare.

Camus aveva ceduto alla stanchezza, si era adagiato di profilo sul cuscino, i capelli un poco appiccicati alla pelle a causa del sudore, il respiro cadenzato e ritmato, visto che sia il torace che l’addome seguivano armoniosamente la sua respirazione senza particolari scosse o segni di pena. Finalmente! Il braccio destro, intessuto di fili e pieno di lividi era rimasto fermo al fianco del busto, era il sinistro che si era piegato, stringendo il pacchetto che gli aveva donato contro il suo petto con un cipiglio d’urgenza, come se fosse il tesoro più prezioso che avesse ricevuto. Gli occhi di Isaac si intenerirono ulteriormente nello scorgere un sorriso solcargli le labbra, ora stese in posizione rilassata. Avvicinò la mano, accarezzandogli i capelli con tutte le premure di cui fosse capace, prima di scendere sul collo, tracciargli la linea della spalla e del braccio per giungere infine alle lenzuola ammucchiate ai suoi piedi. Gliele raccolse, sistemandogliele meglio per coprirlo dall’addome in giù, poi prese posto sulla sua sedia, rimanendo a contemplarlo per un tempo indefinito. Avrebbero parlato della sorella in un altro momento. Si chinò su di lui, gli baciò teneramente una guancia, prima di sorridergli, gli accarezzò di nuovo i capelli sulla fronte.

“Fate bei sogni, Maestro Camus!” disse, accucciandosi sul bordo del letto, permettendosi di riposare un altro poco al suo fianco.

“R-rimani qui… c-con me”

Isaac ridacchiò nell’udirlo parlottare nel sonno, scoprendo così il suo cuore, i suoi bisogni, come non avrebbe mai fatto da cosciente.

“Certo, non siete solo, il peggio è passato!” gli disse ancora, addormentandosi poco dopo.

 

A diversi chilometri di distanza, intanto, molto più a sud e molto più ad ovest, Elisey, piegato in avanti, intento a raspare nel terreno, dovette fermarsi un attimo, sorreggendosi completamente al bastone per evitare di cadere a seguito del capogiro. Prese una pausa, rifiatando, cercando al contempo di non far vedere a Hyoga il malore che lo aveva colto.

Spedire i ragazzi nella Kolyma, raggiungerli, curare il primo allievo e poi il maestro, e poi anche l’altro, che, per salvare il proprio mentore non aveva esitato a subirsi un rigetto, poi… poi la veglia su Camus, le cure, di nuovo in viaggio, perché i medicamenti mancavano… forse davvero aveva osato troppo per le sue forze, le conseguenze cominciavano già a farsi sentire. Non era il momento di riposarsi, però, non ancora.

“Sommo Elisey! Sommo Elisey! Guardate, queste vanno bene?” esclamò in quel momento Hyoga, accorrendo al suo fianco per far vedere ciò che aveva trovato nelle profondità del permafrost. Si costrinse a raddrizzarsi e voltarsi verso di lui, regalandogli uno stentato sorriso.

“Queste sembrano veramente pregiate! Dove le hai trovate, giovane Hyoga?”

“Là, ai piedi di quella betulla! Deve esserci un fiume nelle vicinanze, ciò mi ha spinto a scavare lì e ho trovato queste. Vanno bene per il Maestro Camus?” chiese, tutto trafelato, speranzoso.

Elisey già sapeva la risposta, ma si mise comunque ad annusarle con naso sopraffino, prima di rispondere.

“Sono ottime, Hyoga, ne faremo un infuso da dare a Camus per farlo dormire e, al contempo fargli percepire meno dolore, bravo ragazzo, devi avere fiuto per queste cose!”

Hyoga arrossì a quei complimenti, sentendosi genuinamente apprezzato, poi si ravvivò, più determinato che mai.

“Allora ne troverò altre; altre radici e altre erbe medicamentose, talmente tante che il Maestro Camus guarirà in un batter d’occhio!” esclamò, scattando di nuovo a raschiare il terreno con le mani, proprio sotto agli alberi spogli.

“Attento al ghiaccio, se torni nei pressi del fiume. Prudenza!” lo avvertì ancora, un poco apprensivo.

“Sono abituato al freddo, anche se il ghiaccio dovesse cedere non mi fermerò!”

Elisey si permise di osservarlo, mentre raccoglieva quanto potesse essere utile e lo metteva nella sacca, senza mai riposare, nonostante avesse i geloni alle mani, le dita arrossate e le unghie spezzate, senza contare le ferite alla schiena, non del tutto risanate... perché da quando erano lì non si era fermato un attimo, la mente desiderosa di aiutare Camus, talmente tanto che la sua salute veniva messa da parte. Era del tutto incurante, come il suo maestro.

Gli occhi di Elisey brillarono davanti a quell’ennesima manifestazione di dedizione che irradiava calore al solo scorgerla.

Esattamente la stessa che possedeva Dégel, il migliore amico di suo padre.

Esattamente la stessa che possedeva Dégel, il cigno che univa le due sponde divise…

Esattamente la stessa che possedeva Dégel, il sognatore.

E Hyoga era la fotocopia caratteriale di Dégel, il suo… testamento spirituale.

Elisey si permise di sedersi un attimo su una roccia ghiacciata, gesto che non sfuggì al ragazzo, che si preoccupò, ma lui minimizzò tutto, dicendo di proseguire nelle ricerche, così il ragazzo fece.

Era così dedito a voler far star meglio Camus… quel suo desiderio superava ogni cosa. Ed ecco una delle mille e una ragioni per cui l’armatura del Cigno dovesse andare a lui, ma quella decisione non era più di sua pertinenza, sarebbe spettata a Fyodor, come loro padre, Unity, il Governatore di Bluegrad, aveva desiderato; Fyodor che, di Unity e della zia Seraphina, aveva ereditato il colore degli occhi, Fyodor, che non c’era più, che gli mancava da impazzire, che possedeva più discernimento di lui, più gentilezza, più dolcezza… Fyodor era sempre stato un giardino sbocciato di fiori e di speranza verde smeraldo, lui no, questo aveva sempre pensato, mentre guardava con ammirazione il fratello minore. Eppure essere un giardino gremito di fragranze gli era costato la vita, lasciando in lui una voragine che non si sarebbe più colmata.

Avrebbe dovuto essere Fyodor a scegliere il degno possessore di Cygnus, ma era mancato, gli era stato tolto, strappato, e quell’onere e onore era passato a Camus; Camus l’Evocatore che rifiutava di diventare tale, Camus e il suo immenso potenziale, Camus il Cavaliere, l’uomo, lo Sciamano…

Sospirò, buttando un occhio ancora su Hyoga, il quale, riesumando altre radici, quasi saltò per la gioia. Sorrise. Lui era il degno possessore di Cygnus, lo sapeva, ma si fidava del giudizio di Camus e, quei giorni stessi, aveva saggiato la grandiosità di Isaac, capendo finalmente cosa ci trovasse di così speciale in lui l’allievo di Fyodor, sebbene, in fondo al cuore, continuasse a sperare più nella riuscita dello schivo Hyoga che non in quella dello stesso Isaac, assai meno candito del biondo.

 

Candido e puro come Dégel, in effetti, il tuo migliore amico, papà, che si è sacrificato per salvare la tua vita! Hyoga profuma della sua essenza, è un peccato tu sia morto prima, senza conoscerlo, avresti provato tanta nostalgia… papà…

Se Camus ne è la fotocopia fisica, del tuo Dègel, Hyoga ne è quella spirituale, così pieno com’è di sogni e ideali, così dedito a salvare il suo maestro, così puro e immacolato.

Camus… ho sempre pensato che tu fossi completamente diverso da ciò che eri, ma così non è, lo hai dimostrato con l’approccio che hai avuto verso Zima. Tu… in fondo non hai mai tradito te stesso, vero? Sei ancora quel ragazzo gremito di ideali, sensibile sopra ogni dire, che vivrebbe e morirebbe per un sogno, per le persone che ama e che ha vissuto per una promessa ad un amico, ma sei stato tradito, come Zima, e cerchi di nasconderlo dentro di te, di seppellire la parte più bella del tuo essere, di rigettare indietro tutto questo universo che ti porti dietro. L’ho capito, sai? Mi ci è voluto un po’ , un bel po’, ma l’ho capito… Finalmente ti ho compreso, Camus!

Ecco perché hai così tante difficoltà con Hyoga, perché in lui rivedi inconsapevolmente il tuo vecchio te stesso, la tua parte più fragile, che stai provando a rifiutare con tutte le tue forze, rivedi i tuoi stessi errori della tua precedente vita.

Per Hyoga è lo stesso, sai, ha difficoltà a relazionarsi con te perché siete davvero troppo simili, dovreste capirvi più di ogni altro, invece non fate che erigere muri su muri per preservarvi. Quando riuscirete a guardare dentro di voi con onestà, quando accetterete la vostra debolezza, che è anche la vostra forza, allora finalmente riuscirete a capirvi e, insieme, potrete crescere. Ne sono più che sicuro!

 

Un pallido raggio di sole fuoriuscì dalle nubi, rischiarandogli il viso, quasi come se, da lassù, qualcuno lo avesse percepito e volesse, in qualche modo, assecondare quella sua speranza. Sorrise, rialzandosi difficoltosamente in piedi con l’intenzione di aiutare il ragazzo malgrado la stanchezza sempre più atroce.

Hyoga o Isaac… qualunque dei due si fosse rivelato il degno possessore di Cygnus, lui non se sarebbe stato deluso… finalmente lo aveva capito.

 

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

...Ebbene sì, Elisey e Fyodor sono figli di Unity, nonché nipoti di Seraphina, a qualcuno è passato per l’anticamera del cervello? Ho messo indizi qua e là, prima della rivelazione, ma era comunque difficile da capire. Non fatevi ingannare però, come ho detto più o meno schiettamente, non sono loro ad essere vissuti a lungo, quanto Unity, che è stato maledetto da Zima a vivere una lunga vita (e direi che dopo quello che ha combinato se lo merita pure XD). Le colpe dei padre ricadono sui figli… questo è un po’ meno giusto, ma deve essere ancora approfondito, alcuni punti salienti mancano ancora, saranno disvelati passo per passo.

Che ne dite di questo chappy che trasuda Hurt/comfort? Eh, lo so… c’è di mezzo di nuovo il povero Camus, ma, che vi devo dire, è un pg che, a parer mio, si sposa perfettamente in questa categoria di fanfiction.

Il capitolo si sofferma altresì sulla figura di Elisey, che spero di aver caratterizzato bene in questa parte e che avrà un ruolo centrale anche nella terza storia, la Melodia della neve. E’ un personaggio difficile da intendere e capire appieno, ma qui, in questa situazione disperata, mi sembra si sia manifestato un po’ di più, non trovate? :)

Altro argomento cardine è il rapporto Camus/Isaac, che sapete che adoro visceralmente, e che non mi stancherei mai di descrivere. Qui viene messo in luce maggiormente Isaac, ma anche Hyoga ha il suo posticino importante e, soprattutto, ha i favori dello stesso Elisey, che conosce bene Dégel, anche se tramite le parole di suo padre. Ho voluto fare riferimento all’armatura del Cigno come ponte tra Dègel e Hyoga, due personaggi che mi sembrano molto simili tra loro, che adoro, e che metto spesso in correlazione.

Desidero soffermarmi ulteriormente su Isaac, soprattutto nel “sogno” che fa, che lo porta a vedere sia Hyoga che Marta. Il momento in cui avviene è quando Camus, lo avrete capito, subisce la ferita al petto per salvare la sorella, si hanno così le reazioni sia della ragazza che del Cigno. Qui è Isaac che, non si sa bene come, riesce a raggiungerli. Un indizio: il sangue di Camus ha influito sul processo, fungendo da vettore, ma non è l’unica spiegazione al riguardo. E’ lampante che Marta e Isaac siano collegati, visto che, per bocca dello stesso ragazzo, non è la prima volta che si “incontrano”, nei sogni è già successo, anche qui, per avere una spiegazione esauriente dovrete aspettare un po’.

Isaac promette a Camus di riportargli la sorella; Marta ha promesso lo stesso al fratello per quanto concerne Isaac. Si cercheranno, entreranno altre volte in contatto, ma come saprete, Isaac, nel tempo corrente della Melodia della Neve si trova ad Ipsias… c’è un modo per incontrarsi?

Isaac e il regalo a Camus… inutile dirvi che, stante gli avvenimenti, che sappiamo, l’Acquario quel pacchetto ce l’ha ancora chiuso da qualche parte, probabilmente neanche vorrà vederlo… anche questo lo trovo molto triste :( chissà cosa gli avrà regalato…

E ora cosa succederà? Milo e Sonia si sono mossi verso Pevek, Camus non sta ancora benissimo, impiegherà un po’ a rimettersi, e Zima… beh, al momento è persa.

Spero questo capitolo lungo, lunghissimo, vi abbia emozionato, a me è piaciuto molto scriverlo, scendere nei dettagli, come mai era successo prima d’ora, insomma spero possiate gradire anche voi! Alla prossima! ^_^

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Capitolo 16
*** Il calore di una famiglia ***


Capitolo 16: Il calore di una famiglia

 

 

Dintorni di Pevek, Siberia dell’est, 7 febbraio 2008

 

 

Faceva freddo.

Faceva un freddo porco, in effetti.

Di quella tipologia che Milo non aveva mai percepito sulla sua pelle e che, a dirla tutta, avrebbe fatto anche a meno di percepire. Lui, abituato da sempre al temperato clima della sua assolata isola e della Grecia, lui, che con la tramontana e i geloni alle mani non avrebbe mai voluto averci nulla a che fare, lui, che detestava le temperature inferiori ai 10°.

Non aveva mai percepito un gelo così intenso in vita sua, neanche la pesante giacca che si era portato dietro non bastava, per non parlare delle coperte pesanti con cui aveva imbacuccato sé stesso e Sonia, che teneva in spalla. Tutto inutile! L’aria gelida penetrava all’interno, infreddoliva fin nei recessi dell’anima, togliendo quasi il respiro e gelando il soffio vitale sulle labbra che, per un ironico contrasto, invece bruciavano.

“B-Bilo… - sentì la vocina di Sonia lamentarsi debolmente, tirando su con il naso – ho tanto, tanto, freddo...”

“L-lo so, piccoletta, v-vuoi… vuoi che ti riporti indietro e che torni qui da solo?” le chiese, prendendola dalle spalle e portandosela davanti al petto per provare a riscaldarla meglio.

I suoi occhietti verdi, feriti dalla tormenta, erano ridotti a due fessure, il naso rosso gocciolante e le manine, pur avviluppate in soffici guanti, intirizzite dal freddo. Non era abituata a quel clima, Milo lo sapeva bene e, anche se Sonia era la variante russa di Sofia come nome, la piccola non era affatto avvezzata a quel clima così rigido, avrebbe potuto ammalarsi come niente. Del resto, febbraio in Siberia era tremendo, lo aveva saggiato dai racconti di Camus e aveva sperato di non viverlo mai sulla propria pelle, ma il suo migliore amico era nei guai, era evidente, e non c’era ostacolo che avrebbe potuto fermarlo, né sciocchi divieti del Santuario, né rigidi climi inumani. Valeva anche per la piccola, che infatti scrollò con forza la testa.

“No, hai detto che Camus sta mavle, non boso tornare indietro! Voglio vedevle con i miei occhi le sue condicioni e… stargli vicina!”

“Camus capirà, Sonia, se non te la sentissi di proseguire...” insistette Milo, in pena per le condizioni della ragazzina, oltre che per quelle dell’amico.

In tutta franchezza, l’Acquario lo avrebbe strigliato non appena avesse visto Sonia lì, era poco ma sicuro, già giungeva alle sue orecchie la paternale che gli avrebbe riservato, dandogli del pazzo nel rischiare così la vita della piccola. Questo se fosse stato cosciente, certo, ma lo Scorpione aveva la terribile sensazione che non lo fosse, i sogni agitati dei giorni precedenti erano stati chiari a riguardo, fin troppo. Tentò di ricacciare indietro l’immagine di Camus che stramazzava a terra, preda di una forte emorragia interna.

“No, io revsto, con cte!” ribadì, più grintosa che mai, appendendosi al suo collo, malgrado tremasse come una foglia.

“Sei coraggiosa quanto testarda, piccoletta...” gli sorrise amaramente lui, portandosela ancora più vicina al petto ed espandendo il suo caldo cosmo dorato per avvolgerla.

“B-Bilo!!!”

“Va tutto bene! Sono un supereroe, ricordi? Posso fare anche questo! - la incoraggiò, regalandole un largo sorriso e continuando a camminare nella neve – Intravedo delle costruzioni là, tra il biancore della tormenta, la città è vicina!”

Sonia si acquattò contro di lui, chiudendo gli occhi, feriti dal gelo. Si fidava ciecamente di Milo, ma moriva dalla voglia di rivedere Camus, avrebbe tanto voluto essere già lì con lui, sincerarsi delle sue condizioni personalmente, accarezzarlo per dargli coraggio come lui aveva fatto quando si erano conosciuti e l’aveva strappata da un ingrato destino. Avrebbe tanto voluto essere già al suo fianco, scalpitava alla sola idea, ma non aveva alternative che aspettare. Si rannicchiò ulteriormente, affondando il visino nel cappotto del giovane uomo.

“B-Bilo, quavdo rivedrò Camus lo abbraccerò forte forte” si lasciò sfuggire, sorridendo, tanto da far intenerire il Cavaliere, che le posò un bacio sulla fronte tra i capelli.

“Fallo, piccoletta, vedrai che starà meglio quando tu sarai con lui...”

“Davvero?” gli occhioni di Sonia luccicavano.

“Sì, ti vuole molto bene, te l’ha detto, no?”

“Ci!”

La ragazzina sembrava su di giri, era molto legata all’Acquario, Milo lo sapeva bene, sorrise tra sé e sé, trovando nuove energie nella marcia. Ormai non mancava più molto, coraggio, le costruzioni erano sempre più nitide!

Pevek… uno dei luoghi abitati più a Nord e inospitali del mondo. Camus gli aveva parlato spesso di quel posto lontano anni luce, nella struttura e nel clima, alla piccola, graziosa, e confortevole isola di Milos; in effetti, dagli occhi dello Scorpione, era incredibile che qualche essere umano -pazzo, probabilmente!- vivesse in una simile regione così sperduta, dove le termiche erano talmente basse e la tramontana soffiava talmente implacabile da conciliarsi a stento con la vita. Eppure la gente viveva davvero in quella città! Milo si guardò allibito intorno, notando che i russi, malgrado la tormenta, giravano veramente come se nulla fosse, chi a portare un carrello, chi a bere alla bottiglia un qualcosa che a lui pareva alcool di bassa lega, chi addirittura portava il cane a passeggio… era davvero fuori da ogni logica!

Il Cavaliere si guardò nuovamente intorno alla ricerca del primo tizio che gli ispirasse un dialogo, il dramma era che non lo trovava. Tutti coloro che stavano all’esterno erano uomini barbuti e un poco inscuriti da qualcosa che Milo non volle indagare cosa fosse, taluni neanche si reggevano in piedi completamente, barcollavano, alla ricerca di qualcosa, gli sguardi arrossati e vacui, poco raccomandabili.

Finalmente individuarono un signore intento a buttare la spazzatura in dei cassettoni che erano inchiodati al permafrost per impedire che volassero via. Costui, a differenza degli altri, per il modo di vestire, sembrava qualcosa di più che non un semplice uomo di malaffare come invece apparivano le altre persone che avevano incontrato, fu questa ragione che spinse Milo a chiedere informazioni proprio a lui in un inglese tremolante. Lo raggiunse, salutandolo gioviale, ma l’altro non rispose subito, ragion per cui decise di attirare la sua attenzione con una sonora pacca sulla spalla, ma neanche il tempo di toccarlo che il tizio si era già voltato, ruttandogli praticamente in faccia e scrollandosi la neve ghiacciata di dosso, prima di regalargli a sua volta un largo sorriso, alzare il pugno, dire qualcosa a proposito di Putin e continuare per la propria strada strascicando i piedi.

“B-Bilo...” si lamentò Sonia, tappandosi il nasino nel tentativo di scacciare la tanfata di alito.

“Quello ha il cervello in pappa, inutile chiedere a lui...” disse Milo, disgustato, schifato alla sola idea di aver provato a toccare un tipo simile, e dire che, da dietro, lo aveva pure ispirato.

“Che cosa… ha?”

“E’ fatto di alcool e di qualcos’altro, tutti qui lo sono, mi sa, del resto… poveri diavoli anche loro, vivono davvero in un posto di merda!” le spiegò sbrigativo, riprendendo la marcia, cercando al contempo di non osservare per troppo a lungo quei casermoni osceni, che erano abitati, di cui Pevek era costituita. Non rammentava un altro posto più brutto di quello, davvero!

“Se sono tutti alticci e non sono in grado di darci informazioni come troverevmo Camus?”

La piccola sembrava abbattuta, il freddo, di per sé, non incoraggiava neanche gli animi, tanto meno i caseggiati lugubri, grigi e sporchi, tutto il contrario delle casette bianche dalle finestre blu di Milos. Il Cavaliere di Scorpio non poteva permettere però che la piccola si scoraggiasse così, pertanto, con un breve saltello sulle braccia, la posizionò meglio, regalandole un nuovo, dolce, sorriso.

“Ehi, ascoltami bene, frugoletta, noi due troveremo Camus e gli saremo di conforto. Ha bisogno di noi, di te, della tua dolcezza, hai detto che vuoi abbracciarlo forte forte, vero?”

“Ci!”

“E allora non dubitare: in un modo o nell’altro lo rintracceremo, te lo prometto!”

Sonia annuì, nuovamente determinata, appendendosi nuovamente al suo collo dopo averlo guardato negli occhi tutta adorante per fargli capire che era di nuovo rinvigorita nell’animo. Attese un poco, prima si sussurrargli nuove parole.

“Ti voglio bevne, Milo!”

Il cuore dello Scorpione perse un battito a quella rivelazione che raramente Sonia lasciava trasparire fuori da sé, ma che lo emozionava sempre tantissimo. Arrossì, sentendosi qualcosa di simile all’uomo più felice sulla Terra.

“Perché mi dici questo, ora?”

“Perché è la verità, non ti pevdi mai d’animo… ti voglio bevne!” ripeté, strusciandosi su di lui, in vena di coccole.

“Sonia...” le parole gli mancavano, persino lui, che ne aveva tante, si era ritrovato a non sapere cosa dire. Si limitò a stringerla a sé, baciandole la nuca, prima di proseguire, più deciso che mai.

Purtroppo trovare uno sano sembrava impresa da Guerra d’Indipendenza Greca dall’Impero Ottomano, tutte le persone che girovagavano intorno parevano ubriache, le poche un po’ più presenti, al suo avvicinarsi, lo mandavano a quel paese in russo senza troppi fronzoli, facendolo irritare non poco. Quelli lì erano impegnati a gozzovigliare, nessuno sembrava capire l’inglese, eppure lui aveva un disperato bisogno di farsi comprendere, una amico aveva bisogno di lui. Fortunatamente, a suon di camminare e camminare, era finito in un quartiere un po’ più carino, con i caseggiati che, pur rimanendo di base sempre osceni, almeno erano stati dipinti con altri colori che non fossero il grigio, sebbene si vedessero appena, perché erano incrostati dal ghiaccio. In quella zona erano presenti anche negozi e qualche bottega, Milo fu naturalmente portato ad entrare in una sorta di bar, un po’ per riscaldarsi, un po’ per avere la speranza di racimolare qualche informazione in più. Vi entrò con la piccola in braccio, meravigliandosi del tepore presente all’interno, che subito riscaldava il petto e i polmoni, che sentiva quasi rigidi a causa del freddo.

Più che bar, era forse una sorta di distributore di alcool, quello, a giudicare dal quantitativo di individui sui tavoli intenti a bere e a giocare d’azzardo, non certo il primo luogo adatto per una ragazzina di 12 anni come Sonia, che infatti si era ammutolita, lui stesso si bloccò per una serie di secondi, sentendosi scombussolato.

Che strana, quanto inspiegabile, sensazione di Deja Vu...

Appena ripresosi, si tolse di riflesso il cappuccio dirigendosi al balcone, dove il barista, abituato a che fare con una certa tipologia di clientela, gli stava già versando un liquido ambrato nel bicchiere.

“No, wait! - lo fermò, con gesto della mano, cercando al contempo di sforzarsi a pronunciare la richiesta in un inglese minimamente capibile – I need an information...”

Milo rabboccò aria nel pensare a come descrivere il suo migliore amico, purtroppo non era una cima di inglese, e l’inarcarsi del sopracciglio del signore non faceva ben sperare. Merda!

“I’m looking for a...”

In quell’istante il campanello della porta suonò, indicando l’entrata di una nuova persona, stavolta una donna. Subito il titolare perse interesse per lui, salutando invece la nuova venuta e andando in dispensa senza più degnarlo di uno sguardo.

A Milo venne voglia di ribaltare il bancone, ma si trattenne, fremendo considerevolmente e dando un calcetto sotto. Maledizione, aveva già difficoltà a comunicare, se poi quelli neanche lo ascoltavano…

“Milo, non è che lo hai insultato nella sua lingua?” chiese la piccola Sonia, frastornata da quel caldo anomalo interno che era solo comparabile all’altrettanto freddo anomalo dell’esterno.

“No, sono semplicemente tutti così i russi, dei pezzi di merda ambulanti e menefreghisti, ora aspetta che ritorni che mi faccio capire a gesti e se ancora non mi considera lo prendo a botte!”

“Milo!!!”

“Non abbiamo tutto questo tempo da perdere, Sonia! Camus sta… - si fermò, scrollando il capo, sbuffando – Dobbiamo trovarlo!”

L’ansia dello Scorpione continuava a crescere senza sosta, unita al senso di frustrazione che incombeva su di lui. Doveva essere al suo fianco il più presto possibile, la sola idea che lui stesse così male lo faceva soffrire a sua volta.

Il barista tornò finalmente dalla dispensa e, sempre non degnandolo di un solo sguardo, si avvicinò alla donna portando con sé due bottiglie di un qualche liquido occulto. Si fermarono così a parlare tra loro.

Milo non sapeva se subentrare a forza nel discorso, oppure usare la poca pazienza che gli era rimasta per attendere ancora un po’, ma il dialogo, tra loro, pareva farsi sempre più fitto e consistente, non poteva sperare di attirare l’attenzione su di sé in qualche modo. Fu quindi sul punto di intervenire, ma la sua attenzione venne ben presto attirata da un tono interrogativo del barista, seguito da una minuziosa spiegazione della giovane. In mezzo a quelle parole russe che sembravano una bestemmia, Milo ne scorse un paio di cui sapeva il significato. Sussultò.

“Cosa facciamo ades…?”

“Aspetta un attimo, Sonia, solo un attimo!”

Tentò di seguire il dialogo, ma non ne riusciva a ricavare altre informazioni importanti, ciò gli dava sui nervi. Infine la donna si accomiatò con un inchino, uscendo subito dopo. Il titolare tornò quindi a concentrarsi su di lui, ma era il turno di Milo di non dargli ascolto, scattando invece fuori per inseguire l’obiettivo, la velocità di un vero e proprio scorpione che punta dritto la preda.

“Milo! Cosa stai…?”

“E’ lei la chiave! Lei conosce il nostro Camus!” fu la sua immediata risposta, mentre, balzando fuori dal locale, si guardò confusamente intorno. La tormenta si era fatta più fitta, rendendo i dintorni quasi completamente bianchi, le case a stento percettibili con la sola vista.

“Ne sei sicuvro? Come lo sai?” volle sapere Sonia, di nuovo infagottata nella coperta e col naso rosso per lo sbalzo termico.

“Nel loro dialogo ho individuato alcune parole in russo che conosco, il modo in cui gli abitanti di qui chiamano Camus...”

“E quale… quale sarebbe?”

“Maestro dei ghiacci...”

“Ne sei sicuro?”

“Sì, inoltre il tipo le ha posto una domanda, ci metto una mano sul fuoco che gli abbia chiesto come stava!” continuò, preda di una mordace speranza che si faceva sempre più forte. Finalmente riuscì ad individuarla, prendendo a correre disperatamente con la piccola ancorata al suo petto, trepidante come lui. Non ci volle molto per raggiungerla.

“Aspe… aspett… No, fermi tutti, volevo dire: WAAAIT!!!” si corresse, trasformando la sua parlata da greco ad inglese nel raggiungere la donna, la quale, spaventata, lasciò cadere una delle due bottiglie, correndo a cingere e a prendere in braccio un bambino munito di slitta che, come dal nulla, era comparso vicino a lei, chiamandola più volte ‘mamma’.

Milo si rese conto, con rammarico, che l’aveva giustamente terrorizzata, perché le era corso come un forsennato dietro, a tutta birra, minimo lei lo aveva creduto un malfattore, visto l’ambiente non propriamente dei più salubri. Se ne dispiacque sinceramente.

“I’m so sorry, b-but… - si affrettò a chiedere scusa, indietreggiando di qualche passo – Can I ask you a question?”

La giovane donna non rispose, limitandosi a fissarlo con stupore crescente, il figlioletto attaccato al collo, mentre con l’altra mano teneva la bottiglia reduce. Non rispose verbalmente, ma parve rilassarsi notevolmente.

“Please… you know Aquarius Camus, right? - domandò trepidante, il cuore accelerato in petto – I’m a friend and… I’m afraid he’s hurt, or worse...”

Niente, il suo inglese faceva raccapricciare, se ne accorse fin troppo bene, e poi tremava, quasi balbettava, non era sicuro di riuscire a farsi intendere.

La donna tuttavia sembrava essersi completamente rilassata, anche se non aveva riposto subito ai quesiti, semplicemente aveva posato il figlio per terra, chiamandolo ‘Jacob” e rassicurandolo in russo con una leggera carezza, prima di tornare a concentrarsi su di lui. Gli sorrise con naturalezza, facendo ben sperare sia Sonia che a Milo.

“Lo conosco, sì… - gli parlò in greco quasi perfetto, prima di portarsi una mano sopra il petto e farli meravigliare non poco – Ha salvato la mia Avrora!”

Milo la fissò incredulo, prima di darsi una scrollata e capire che, probabilmente, la donna possedeva una carica simile a quella di Adelpho, ovvero intermediario tra i due mondi, per questo conosceva così bene quella lingua. Aveva molte domande da porle, avrebbe quasi volute urlare di portarlo da lui, subito, perché lo aveva sentito quasi spegnersi e si era spaventato a morte, ma si rendeva conto che doveva dare delle spiegazioni, in merito, per il suo interessamento.

“E’ il mio migliore amico e… ah, sono Milo, un Cavaliere d’Oro, un suo compagno, un suo… - diavolo, non riusciva a parlare, scrollo la testa, ricacciando indietro la paura – Dov’è? In che condizioni?” chiese, andando dritto al punto, che indugiare non aveva più senso.

“Si è ferito gravemente per salvare la mia Avrora, i suoi allievi, nonché i figli della Siberia… io sono Leya, mio marito ha rapporti con il Santuario, per questo conosco il greco” spiegò brevemente, cercando di non approfondire troppo il discorso sulle effettive condizioni di Camus, che gli erano state narrate da Elisey, ma vide comunque la paura negli occhi dei due, alla ragazzina addirittura si erano inumidite le palpebre.

“Milo… Milo! Cosa significa gravemente???” chiese con urgenza, tremando e strattonandogli la giacca più volte.

“Quan-to?” riuscì invece a biascicare il Cavaliere, sforzandosi al contempo di mantenere la calma, anche se solo apparentemente.

“Non è più in pericolo di vita, di questo potete stare tranquilli. Per le sue condizioni… beh, forse fareste meglio a vederlo con i vostri occhi, siete giunti qui per questo, no?”

Entrambi annuirono, laconici. Le manine di Sonia si erano stretta a Milo, quasi singhiozzava per la paura, nascondendo il volto nel tessuto del giaccone, d’altro canto anche il Cavaliere di Scorpio aveva perso l’uso della parola, limitandosi ad accarezzare dolcemente la piccola per cercare di rinfrancarla.

Non era più in pericolo di vita… significava che quello scemo ci era andato di nuovo vicino e, a giudicare dal leggero tremolio nella voce di Leya, davvero troppo vicino. Fremette notevolmente, stringendo i denti, desiderando follemente sincerarsi delle sue condizioni per poi urlargli di tutto, di quanto fosse COGLIONE e incurante di sé stesso, di quanti anni di vita gli continuasse a far perdere, senza neanche averne idea.

Leya intanto si era chinata verso il figlioletto, tornando a parlare in russo per spiegargli la situazione, Milo vide il piccolo annuire determinato prima di rivolgersi a loro e dire a sua volta qualcosa in russo. Pronunciato da un bambino, il russo sembrava un po’ meno una bestemmia, ma dava comunque l’idea che fosse arrabbiato, cosa che invece non era.

“Lui è Jacob, conosce molto bene il Maestro dei Ghiacci e i suoi discepoli – snocciolò Leya, sempre con quel sorriso rassicurante – Vi condurrà lui da loro!”

 

 

* * *

 

 

Nella piccola isba siberiana, intanto, Hyoga ed Elisey erano finalmente tornati con le erbe medicinali, trovandovi, dentro casa, un Isaac affaccendato in mille e più movimenti diversi, quasi nel panico, perché le condizioni di Camus, anche quando sembravano migliorare, poco dopo peggioravano ulteriormente, portando l’allievo a pensare di essere un disastro come infermiere e a non essere in grado di controllare efficacemente il gelo in modo che la temperatura rimanesse stazionaria. Era disperato.

“...anche quando gliela abbasso poi quella, prepotentemente, risale, come vedete. Non so più che fare, sta molto male, sembra che il solo respirare gli costi una fatica atroce...” finì di spiegare, gli occhi quasi lucidi, mentre controllava a vista Elisey che aveva ripreso ad auscultare Camus, la mano destra sopra il petto, la sinistra sopra la fronte, tra i capelli. Hyoga era lì con loro, era tornato a stringere la mano del maestro, nuovamente molle tra le lenzuola. Isaac aveva fatto in fretta a celare il pacchetto, sebbene il maestro lo tenesse stretto contro di sé con tutte le forze, vergognandosi a mostrarlo agli altri.

“L’ossigenazione del sangue non è ottimale, in effetti, ma non è in pericolo di vita...”

“V-volevo che stesse meglio, ho.. ho tentato di stabilizzargli la temperatura corporea, m-ma...”

“No, Isaac, il tuo intervento è stato efficace! - lo fermò Elisey riaprendo gli occhi neri che brillavano di una luce quasi magica – Stai abbassando la febbre ogni volta che si alza, ma è normale l’aumento della sua temperatura, è una difesa del suo organismo!” gli disse, prima di togliere le mani e dare una nuova controllata alla flebo, appena rinnovata.

“Maestro… - lo chiamò Hyoga, accarezzandogli teneramente i capelli per poi scendere sulle guance. Camus non riusciva a rispondere verbalmente, in preda di nuovo agli incubi da febbre, la bocca semi-aperta, il respiro accentuato, ma si girò leggermente nella sua direzione, come se lo percepisse – Coraggio!”

“Qui la flebo va bene… gli stiamo somministrando anti-dolorifici naturali, trovati da Hyoga nella foresta, dovrebbe sentire meno dolore tra un po’, non ci resta che attendere”

“Prima, nell’incoscienza, cercava di togliersi il catetere, deve dargli un fastidio colossale, ho dovuto bloccarlo, prendendogli la mano, perché si continuava a tastare là sotto” disse ancora Isaac, prostrato all’inverosimile.

“Come sempre! Il signorino qui è tutt’altro che docile quando si tratta di dover star fermo, e ancora sta male, pensate quando si sentirà meglio, dovrete legarlo al letto come minimo… non vi invidio per niente, giovani pulli!” ghignò Elisey, passando subito a controllare anche la sacca dell’urina, come a volerne studiare il colore.

“Non gli possiamo levare almeno questo supplizio?” tentò Isaac, mordendosi il labbro inferiore, riferendosi al catetere.

Elisey non rispose, preso del tutto nei suoi accertamenti. Semplicemente tolse e andò a svuotare il sacchetto in bagno, prima di tornare diversi minuti dopo in religioso silenzio, gli occhi dei due allievi puntati contro. Si disinfettò, prima di posare una mano sull’addome di Camus, congiungere l’altra sul basso ventre e produrre movimenti ondulatori, prima lenti, poi sempre più veloci, come se si trattasse di un massaggio, imprimendo meno pressione possibile. Come era prevedibile, il corpo di Camus sussultò pesantemente, non riconoscendo quel tocco come famigliare, provando poi ad alzarsi, inarcando più volte la schiena per darsi la spinta, non riuscendoci. Non gli faceva bene muoversi, ma era chiaro volesse scappare da quel contatto. Isaac fu lì per intervenire, ma prima di poterlo fare, Hyoga aveva già posato le labbra sulla fronte del maestro con gesto naturale. Isaac lo guardò con ammirazione.

“So quanto sia dura per voi, ma è per il vostro bene, per farvi sentire meglio. Guarirete, dovete solo darvi il tempo per rimettervi in sesto!” gli sussurrò con dolcezza, baciandolo poi teneramente.

A quello schiocco di labbra, Camus si risvegliò, aprendo difficoltosamente gli occhi, più scuri del solito, cercando di focalizzare la persona vicino a lui e riconoscendo le forme del suo allievo. Quegli occhi azzurri... così splendenti e grandi, ben vigili, gli diedero immediatamente un po’ di sollievo.

“Hyo-Hyoga, sei tu, anf?” chiese debolmente, provando sollevare, invano, l’arto attorcigliato nell’agglomerato di fili per tentare di accarezzare i ciuffi biondi dell’allievo. Il gesto andò a vuoto, qualcosa gli impediva il movimento, non rammentava però cosa. Il ragazzo, che aveva indovinato le sue intenzioni, dopo una nuova carezza tra i capelli, si chinò verso il braccio vessato dalla flebo e dai lividi, solleticandoglielo dolcemente. Gli prese la mano, vezzeggiandogli il dorso con pollice, prima di riadagiargliela tra le lenzuola.

“Sono io, sì, non agitatevi, dovete riposare...”

Ma Camus, che aveva gli occhi lucidi, guardandolo stancamente, con le poche energie a disposizione, negò con la testa, abbandonandosi poi sul cuscino, fremendo visibilmente.

“Non sai cosa hai rischiato… Hyo-ga! Qu-quella tecnica… potevi mori-re!”

“Sono qui e sto bene, Maestro...”

“Stai… davvero… bene? Sei molto… pallido, anf” insistette, rauco, continuando a guardarlo, nonostante facesse molta fatica a rimanere vigile.

Hyoga quasi soffiò fuori un mezzo sbuffo a metà strada tra il divertito e il rassegnato. “E’ perché non avete idea di quanto siate pallido voi...”

“Non ha… importanza!”

“La ha, per noi!”

“L’ho g-già detto a tuo f-fratello, anf – negò di nuovo con la testa, sprofondando ancora di più nel cuscino e chiudendo le palpebre, stremato – Starò bene…”

“Ne sono sicuro, proprio per questo dovete riposare...” gli sussurrò, baciandolo nuovamente sulla fronte, prima di passargli una mano tra i ciuffi della frangia, che gli ricaddero subito sulla pelle sudata.

“Avrei dovuto… proteggerti da Zi-Zima, i-invece non ne sono stato… in grado... perdonami...” riuscì ancora a dirgli, prima di lasciarsi andare alle nebbie dell’incoscienza con un sospiro più lungo dei precedenti. Hyoga non disse niente, ma visibilmente tremò, incassando poi la testa fra le spalle e stringendo i pugni, ancora tremendamente in pena per lui. Era davvero ancora molto debole...

“Certo che, se ogni volta che si sveglia si preoccupa per voi, anziché per sé stesso, si muove, parla, straparla, la guarigione sarà molto lunga, faremmo prima a sedarlo finché non migliora, così la pianta anche con questa lagna continua e...”

“ELISEY!” lo fulminò con lo sguardo Isaac, categorico, furente, minacciandolo con una piccola, incontrollabile, emanazione cosmica.

“Sto scherzando, giovane Skywalker! - lo prese in giro, alzandosi in piedi e fissando la figura di Camus, nuovamente incosciente – Comunque dovrò sedarlo per davvero tra poco!”

“Co…?!” sia Isaac che Hyoga si allarmarono, entrambi scattarono in piedi, pronti a difendere Camus con le unghie e con i denti.

“Per il catetere, non agitatevi! – si affrettò a dare spiegazioni Elisey, facendo spallucce – Non è presente più sangue nelle urine, non c’è più bisogno che le controlli, anche se non può ancora muoversi. Posso quindi levargli questo supplizio, meglio che lo faccia io piuttosto che aspettare che questa testa di cazzo se lo tolga da solo, no?!”

“E per farlo… è necessario per forza sedarlo?” chiese ingenuamente Hyoga, in evidente apprensione, ancora intento ad accarezzare i capelli del suo giovane maestro. Avrebbe voluto con tutto il cuore vederlo nuovamente in piedi, magari intento ad elargire quella punizione che gli aveva sussurrato tra i denti prima che la situazione precipitasse, sarebbe stato un indizio di guarigione, che avrebbe accolto con gioia, ma sembrava tutto lontano, troppo lontano, perché Camus riusciva a mantenersi vigile per poco tempo, poi crollava, in preda alla febbre. Non era affatto abituato a vederlo così, faceva impressione…

“Oh, non hai idea di quanto sia necessario! - affermò Elisey, quasi con una punta di sadismo nella voce, imprimendo i suoi occhi in quelli del biondo, che sussultò – Voi due siete fortunati, non avete idea di quanto faccia male estrarre un catetere, per questo meglio sedarlo, in modo da fargli percepire meno dolore possibile, credetemi!” sogghignò, soddisfatto.

“La nota di compiacimento puoi anche evitartela, vecchio pazzo!” gli fece notare Isaac, quasi ringhiando, resistendo all’ennesimo istinto di prenderlo a pugni.

“Uhmpf, comunque abbiamo preso abbastanza erbe per creare un blando sedativo naturale che dovrebbe permetterci di metterlo a nanna senza troppe controindicazioni. Voi pensate di riuscire, mentre lo preparo, a lavargli la schiena? Sta sudando tantissimo, ed è un bene, perché è uno dei mezzi con cui il corpo espelle le sostanza nocive per l’organismo, ma visto il tipetto esaustivamente pulito e perfettino, non penso che abbia molto piacere a sentirsi completamente bagnato!” disse, avviandosi verso la porta.

“Sì, leva pure le tende da qui, ci pensiamo noi, questo lo sappiamo fare meglio di te, anche perché il nostro tocco lo tranquillizza molto di più del tuo, Elisey!” ribatté Isaac, gonfiando il petto con orgoglio, fiero.

“Cominci a rispondere a tono, Isaac, stai meglio, e questo è un bene! Uhu! - ridacchiò Elisey, ormai dallo stipite – Lo lascio a voi, tornerò tra poco con il sedativo”

E uscì, chiudendo la porta dietro di sé. Isaac prese un profondo respiro, rilassandosi notevolmente. Era sempre teso quando si trovava vicino a quel pazzo, ciò lo irritava.

“Io con quello non ci andrò mai d’accordo, deve essere psicopatico, o soffrire di disturbi della doppia personalità, o non so cos’altro...” si lamentò, sbuffando.

“Però siamo vivi grazie a lui e sta facendo molto per il Maestro, questo non puoi negarlo...” gli fece notare Hyoga, passando la spugnetta sul collo e sul torace del mentore.

“Certo… e questo mi irrita ancora di più! - ammise, sospirando rumorosamente – Piuttosto, come ci regoliamo per lavargli la schiena?” chiese poi al compagno di addestramento, ben sapendo che lui, con un unico braccio, non avrebbe potuto essere granché d’aiuto, anche se la cosa lo umiliava.

“Meglio girarlo dalla parte della flebo, in modo da non rischiare che si stacchi. Puoi aiutarmi a voltarlo e a tenerlo lì, contro di te, mentre io passo una nuova spugnatura?”

“Se questa può essere la mia sola utilità… farò del mio meglio” si ritrovò a sbuffare Isaac, affranto, rimproverandosi per la milionesima volta le conseguenze che avevano portato le sue azioni.

“Isaac...”

“Scusami, non è da me essere così sconfortato, vero? Sembro proprio patetico, ma non mi sono mai sentito con il morale così a terra...” ammise, scrollando la testa nervosamente, non reggendo lo sguardo candido del compagno di mille avventure. Non disse nient’altro e cadde momentaneamente il silenzio tra loro, mentre Hyoga, dall’altra parte del letto spingeva dolcemente Camus su un fianco, sforzandosi di non produrre movimenti bruschi, mentre lui, nel migliore dei modi che gli concedeva l’ausilio di un solo braccio, lo sistemava meglio in quella posizione, controllando al contempo che il catetere non si staccasse.

Hyoga, ultimata quell’operazione, buttò fuori aria, mentre, guardando la schiena del suo maestro, i suoi lunghi capelli incollati alla pelle, umidi a causa del suo stesso sudore, si chinò verso di lui. Glieli raccolse, discostandoglieli, prima di andare a recuperare la spugnetta, bagnarla con l’acqua e le fragranze precedentemente preparate e cominciare a passargliela con cura, partendo dai glutei per poi risalire lentamente, senza tralasciare il più piccolo centimetro. Camus non si oppose, anzi, parve rilassarsi a quel fresco che percepiva appena, a quei profumi fatti di erbe aromatiche che lui amava tanto, e che gli entravano nelle narici, facendogli quasi credere di trovarsi, ancora una volta, nella foresta boreale con il proprio mentore, come quando era bambino.

“M-maestro F-Fyodor… p-erché non siete più qui?” biascicò ad un certo punto, stremato, agitandosi un poco, preda di un nuovo incubo, muovendo appena la testa come se lo cercasse da qualche parte dentro di sé e non lo trovasse. Gli mancava terribilmente, Isaac lo sapeva bene, anche se non lo aveva mai conosciuto, sapeva anche che non si sarebbe mai dimostrato così fragile e privo di filtri se non si fosse trovato in quella situazione disperata, dopo essere stato ad un passo dalla morte. Non se lo sarebbe mai perdonato di dimostrarsi così debole davanti a loro, ma il dolore provato, l’essere stato ad un passo dalla morte, aveva annichilito tutte le sue barriere.

“Sta chiamando il suo amato maestro nel sonno?” chiese Hyoga, avvertendo il suo corpo agitarsi ancora prima della sua espressione, che era invece sotto gli occhi di Isaac.

“Sì, il fratello di Elisey...” disse solo Isaac, passandogli una mano sulla fronte, tra i capelli nella speranza che quel gesto potesse tranquillizzarlo un poco. Hyoga annuì, triste, prima di immergere nuovamente la spugnetta nell’acqua aromatizzata, e passargliela così sulle scapole. Avrebbe meritato delle spiegazioni, era certo, né lui né il maestro erano mai stati troppo esplicativi nel rivelargli di Fyodor, era una ferita che non era affatto risanata per Camus, e di cui Isaac era venuto a conoscenza per bocca dello stesso Elisey, ancora prima che dal proprio mentore, ma Hyoga era pressoché a digiuno di tutte quelle informazioni e rispettosamente aveva accettato il riservo sulla questione.

Ad un certo punto, lo notarono entrambi gli allievi, il corpo di Camus sussultò varie volte, vittima dei deliri, mentre la mano libera correva a tastarsi più volte l’addome, come se fosse preda di forti dolori.

“Cosa succede? Avete male?” chiese Isaac, il cuore in gola nel vedere le sue palpebre serrarsi più volte e la gamba sinistra calciare il fondo del letto, come a voler scacciare qualcosa. Ancora una volta il giovane si ritrovò a bloccare il braccio di Camus, che di nuovo era corso più sotto, a tentare di togliersi quel fastidio insopportabile. Hyoga posò subito la spugnetta sul comodino, correndo anche lui a bloccare i suoi movimenti e, al contemplo, a placarlo.

“Non vi fa bene muovervi così, abbiamo quasi finito, coraggio, poi non vi toccheremo più!” gli disse il biondo, ansato.

“N-no, n-non v-voi...”

“Se non noi cosa vi fa agitare così tanto?” chiese a sua volta Isaac, non sapendo di nuovo che pesci pigliare.

Camus non rispose subito, si strinse la mano sull’addome, incurvandosi ancora di più su sé stesso e respirando sempre più velocemente.

“P-peso qui…” provò a spiegare, affondando nel cuscino e stringendo i denti.

Nella genealogia del maestro quella parola indicava non solo un malessere, ma un vero e proprio dolore atroce, difficilmente sopportabile. Forse, per non farglielo più percepire, era davvero indispensabile sedarlo, sebbene la sola idea spaventasse entrambi gli allievi.

“Avete così tanto male… all’addome?” ritentò Isaac, non sapendo come attutire in altro modo quella sua sofferenza.

Camus borbottò qualcosa di incomprensibile, prima di nascondersi ancora di più nel cuscino, l’alzarsi e l’abbassarsi del suo torace sempre più frenetico e irrequieto.

“Maestro!”

“Penso di aver capito, Isaac… - disse ad un certo punto Hyoga, serissimo in volto, attirando l’occhiata preoccupata del compagno – Aiutami a voltarlo nuovamente supinamente, intanto la schiena l’ho lavata!”

Lo girarono, sistemandolo meglio sul cuscino, accompagnando il braccio libero lungo il suo fianco. Camus si tranquillizzò, sebbene il respiro fosse ancora terribilmente penoso, portando i due ragazzi a prendere una nuova, insperata boccata d’aria.

“Hai avuto l’intuizione giusta, Hyoga, ma cosa…?”

“E’ per via dell’emorragia interna che ha avuto… il sangue presente ancora nella cavità addominale, pur in evoluzione e quindi in graduale riassorbimento, gli da una perenne sensazione di costrizione e di peso sull’addome, perché, come dire, ehm… schiaccia per effetto della gravità”

“Non può quindi trovare requie nel sonno, non senza il sedativo?” chiese ancora Isaac, cominciando a capire.

“No… l’unica posizione un poco distensiva è quella supina, ma nelle sue condizioni non dovrebbe né girarsi né tanto meno alzarsi, altrimenti…” disse, lasciando in sospeso la frase. In verità, entrambi gli allievi sapevano che, non appena Camus si fosse sentito un po’ meglio, si sarebbe alzato senza troppi fronzoli, incurante di sé stesso, desideroso di riprendere quel che faceva prima.

“Lo sai come è fatto, Hyoga! Non se ne starà a lungo quieto, forse giusto adesso che sta ancora così male!”

“C’è un modo forse per calmare il dolore che prova, intanto che aspettiamo il Sommo Elisey… ed è questo!” continuò il biondo, chinandosi verso il maestro.

Isaac lo vide posare con dolcezza la mano sulla parte alta dell’addome, poco sotto lo sterno, senza pesargli minimamente, per poi far scaturire dal palmo una luce azzurrina e accattivante: aria congelante. Lo osservò sempre più ammirato, del tutto preso dalle sue movenze leggere ed eleganti, dai suoi gesti che riservava a Camus e che dimostravano una dolcezza infinita, pari all’amore che il giovane allievo provava per lui. Lentamente l’espressione del maestro si fece sempre più rilassata, da tesa che era prima, il viso si distese, il corpo si abbandonò a quel refrigerio, il respiro si fece regolare. Quando ebbe terminato, Camus sembrava quasi dormire serenamente, anche senza sedativo, lasciandosi cullare dalle dolci carezze di Hyoga, che proprio in quel momento aveva preso a giocherellare con i suoi lunghi ciuffi per poi tornare a prendergli la mano adagiata sopra le lenzuola.

“Dove hai imparato ad essere così manuale senza fargli del male? Ha ragione Elisey, le tue dita sembrano onde serene del mare che lambiscono gli scogli, gorgogliando piacevolmente e rilassando l’animo umano” chiese Isaac del tutto ammirato da suo fratello.

“Io… - Hyoga esitò in attimo, fermandosi bruscamente e distogliendo lo sguardo in quel momento dolente, smise anche di toccare Camus, come se si sentisse a disagio – Ho imparato da… dalla mia mama...”

“Da tua madre Natassia?” chiese conferma Isaac, sull’allerta, perché sapeva quanto l’argomento fosse duro per il biondo, che infatti si limitò ad annuire e a tacere per una serie di secondi, prima di proseguire.

“Mia mamma aveva questa particolarità, nelle mani, quasi come se fossero piuma. Possedeva una delicatezza quasi ancestrale, una dote, che faceva sentire meglio chi veniva toccato, un po’ come gli antichi re Taumaturghi, hai presente? - riuscì infine a guardarlo brevemente negli occhi, prima di tornare su Camus – Penso a come… come avrebbe reagito lei, alle sue dita delicate come un soffione, che sembrano accarezzare il paziente, facendolo sentire al sicuro. Ecco, vorrei che il maestro si sentisse protetto, qui con noi… a casa!” spiegò arrossendo visibilmente.

Isaac si accorse, in quel momento, che Hyoga stava scoprendo il suo cuore, lì con lui, nel piccolo rifugio costituito dall’isba siberiana, il loro nido. Si accorse altresì che sentiva il bisogno di fare lo stesso, per cui, ricalcando la scia dei ricordi, sorrise di sbieco, sentendosi un poco triste.

“Mia madre sembrava un macellaio, invece, la dolcezza non sapeva neanche cosa fosse. Non era cattiva, eh, anzi, era solo un poco brusca, da quel lato era molto più delicato mio padre, un po’ Camus, sai? Me lo ricorda molto...”

Hyoga lo fissò, era raro che Isaac rinvangasse il passato, ancora di più perché, memore gli insegnamenti ricevuti, voleva lasciarlo alle spalle e, insieme ad esso, quelle brutali immagini della loro uccisione, che gli avevano sconvolto la vita.

“Non è infatti un caso che, quel giorno… il primo a morire fu mio padre. Gli… hanno tagliato la gola di netto e… e mia madre diede di matto, si avventò contro uno di quei bastardi, lo ferì, prima di essere… crivellata...”

“Isaac, non… non c’è bisogno di...”

Ma il ragazzo continuò, gli occhi lucidi. Fremette, lasciando che la rabbia lo lambisse completamente, non come un mare calmo, ma come delle onde tempestose che tutto travolgono. Gli serviva la rabbia. Per non dimenticare. Era il suo nutrimento, ciò che gli permetteva di perseguire sempre i suoi ideali e i suoi obiettivi.

“Io, non visto, assistetti a tutta la scena. Volevo urlare, volevo fargliela pagare, ma… l’unica cosa che mi riuscì fu quella di muovere le gambe per scappare in camera mia, sotto il letto. Rimasi lì per… non mi ricordo quanto… le scene seguenti sono molto confuse...”

“Isaac, non… ti fa male, parlare di questo...”

“Non ha importanza!” il ragazzo incassò la testa fra le spalle, il pugno chiuso, la mascella disperatamente serrata in una smorfia. Aveva voglia di esternare tutto quel peso, di urlare, di distruggere ogni cosa sbagliata di quel mondo in cui viveva e che poteva essere così dannatamente crudele, ma riuscì a riportarsi difficoltosamente alla calma nel fossilizzare la sua espressione nel volto stremato del maestro e in quella di Hyoga. La sua famiglia.

“Non ha davvero importanza adesso… - ripeté, con cipiglio deciso, chinandosi a sua volta verso Camus, passandogli il braccio dal collo per affondare più consistentemente la mano nei suoi capelli blu e il viso nel declivio della sua spalla – S-siete voi ora che...” si fermò, ritrovandosi a singhiozzare, tentando di nascondersi alla ben meglio, perché infine aveva ceduto al pianto.

“Isaac...”

Udì la appena la voce di Hyoga, prima di sentirsi circondare dalle sue braccia, nivee ali di cigno, che lambirono anche Camus, avvolgendo tutti e tre in un abbraccio aperto e rassicurante.

Che stesse piangendo anche lui, infangando i precetti dell’insegnante? Pazienza… aveva trovato infine le parole per esprimersi.

“Non ha importanza… - biascicò Isaac per la terza volta di seguito – Ora sono forte, lo sarò ancora di più, per proteggervi. Siete voi la mia famiglia adesso, non permetterò più a nessuno di torcervi anche un solo capello, stavolta salvaguarderò quanto ho di più caro al mondo!”

Hyoga aumentò la stretta, sia verso Isaac che verso Camus, al centro dell’abbraccio dei due, sebbene incosciente, il biondo si ritrovò a chiudere gli occhi, mentre alcune lacrime gli rigavano il volto. Anche per lui era così, un padre e un fratello era quanto di più prezioso la vita gli avesse fatto dono. Li amava, avrebbe voluto proteggerli, con tutto sé stesso; avrebbe anche voluto non guardarsi più indietro, come voleva il maestro e come lui si era proibito di fare. Nonostante l’orizzonte fosse davanti a lui, però, non riusciva ad arrivarci con lo sguardo, si girava costantemente indietro, a ciò che più non era. Non riusciva ad aggrapparsi a nient’altro che non ad un ricordo, quello di sua madre, il solo pensare di staccarsi, rassegnandosi a continuare a vivere, lo faceva struggere, lo spaventava, impedendogli di lasciarla totalmente indietro.

Isaac ci era riuscito, invece. Non aveva rimosso i suoi, ma li aveva lasciati andare, proiettandosi verso un futuro che considerava luminoso, proiettandosi nel desiderio irrefrenabile di proteggerli, perché lui invece non ci riusciva? Cosa c’era di sbagliato in lui, per non riuscirci?

“Isaac, Maestro Camus, i-io… perdonatemi...” riuscì solo a biascicare, aumentando ulteriormente la stretta, trattenendo a forza un singhiozzo. Suo fratello si mosse appena, forse nell’intento di chiedere spiegazioni, Camus farfugliò debolmente qualcosa che non riuscirono bene ad udire, ma le azioni di tutti vennero bloccate dal subentrare di una nuova voce.

“Ma che bel quadretto famigliare! Però, giovani pulli, così facendo, state rischiando di far soffocare la persona che amate di più al mondo!”

I due allievi scattarono entrambi sull’attenti, imporporando.

“S-Sommo Elisey!”

“Da quanto diavolo sei qui?!”

“Da un po’… mi stavo gustando la scena!” sorrise sornione Elisey, ghignando, mentre si avvicinava ai due ragazzi per posare la scodella sul comodino.

“Fottiti Elisey!” lo insultò Isaac, voltandosi bruscamente dall’altra parte per non farsi vedere in faccia, asciugandosi maldestramente il viso.

“Che brutta parola! Te l’ha insegnata il paparino?”

“Fottiti due volte!” esclamò ancora, sempre girato di spalle, fremendo notevolmente.

Elisey avrebbe voluto far presente ad Isaac che era tardi per celarsi, che gliele aveva viste benissimo quelle lacrime che gli rigavano il volto e che, probabilmente, aveva percepito anche Camus su di sé, perché proprio in quel momento si era mosso più volte cercando di chiamare il nome dei due allievi per dirgli, con ogni probabilità, di non piangere e di essere forti, anche se nella pratica quel procedimento era assai meno facile. In ogni caso, il ragazzo dai capelli verdi sembrava davvero allo stremo delle forze, persino il suo vecchio cuore, inaridito dalla morte del fratello Fyodor, si rendeva conto che non meritava più di essere bistrattato, non dopo quello che erano riusciti a fare insieme. Decise quindi di rivolgersi a Hyoga.

“Ho portato il sedativo per Camus, pensi di essere in grado di farlo bere?”

“I-io… ci posso provare!”

“Molto bene, sollevagli un poco il busto e mettilo in posizione comoda, io gli porgerò la scodella vicino alle labbra, sperando che non la rifiuti”

Hyoga annuì trepidante, prima di procedere con tutte le premure possibili. Tornò ad accarezzargli dolcemente i capelli, poco prima di chinarsi e passare la mano destra dietro le sue spalle, mentre la sinistra, posta sopra il suo petto, lavorava in sinergia. Produsse una leggera pressione, spingendo così la schiena di Camus a piegarsi naturalmente in avanti, nonostante i deboli lamenti di quest’ultimo e riuscendo a tenerlo sollevato quanto bastava per farlo bere.

Elisey porse la scodella vicino alle sue labbra, recitando formule in sciamanico che avrebbero dovuto tranquillizzarlo, ma Camus discostò il volto, restio, rifiutando il liquido e lasciandosi andare sull’avambraccio di Hyoga, la testa reclinata all’indietro.

“Sarebbe meglio per te se bevessi, Camus, togliere un catetere non è ciò che esattamente si può definire piacevole!” gli fece notare Elisey, un poco rude, non ricevendo alcun tipo di risposta.

“Oh, sicuro otterrai qualcosa, così!” si fece beffe Isaac, ghignando a sua volta, avvicinandosi ai due. Dopo l’attimo di debolezza, nonostante gli occhi rossi, era tornato allegro, irriverente e vivace come sempre.

“Ha paura… a lasciarsi andare completamente” capì Hyoga solo guardandolo, perché di nuovo si stava agitando, sebbene si fosse appoggiato completamente a lui.

“E ha paura a lasciarsi andare, a mostrare l’addome, a farsi vedere fragile, a palesare i sentimenti, ad essere esposto… non è un Cavaliere, né uno Sciamano, è direttamente un caso umano dei più difficili!” sbuffò Elisey, certo non un campione di pazienza, riprovando a dargli da bere e ottenendo l’ennesimo rifiuto netto.

Hyoga a quel punto lo sistemò meglio, raddrizzandogli il volto e accarezzandogli le guance con la mano sinistra.

“Dovete bere, Maestro Camus, è per farvi stare meglio e percepire meno dolore, siete ancora disidratato!” affermò in tono tranquillo, avvicinando il viso tra i suoi capelli per respirare la loro fragranza. Era sorprendente che, nonostante il malessere, profumassero ancora di Foresta Boreale, un profumo che Hyoga amava alla follia.

“Uh… urgh...”

“Provate ora, Sommo Elisey, sembra un poco più tranquillo!” lo incoraggiò poi, guardandolo negli occhi.

La scodella fu di nuovo avvicinata alle sue labbra, che fremettero più volte prima di dischiudersi e cominciare così a bere.

“Così… bravissimo!” si complimentò ancora il biondo, le dita sotto il mento per tenere dritto il volto e permettergli così di deglutire meglio quanto gli stavano dando. Ed effettivamente la discesa del liquido era ben evidente grazie allo spostamento del pomo d’Adamo verso l’alto, prima di sparire nell’ampio petto.

Finalmente la scodella fu svuotata, mentre il viso di Camus si piegò da un lato, vicino a Hyoga che lo tenne stretto, continuando a parlargli con voce sicura e dolce allo stesso tempo.

“Un’impresa titanica… ma ce l’abbiamo fatta! - constatò Elisey, posando finalmente la ciotola sul comodino, permettendosi poi di sfiorargli i capelli – Ora ti sentirai invadere da una stanchezza colossale, Camus. Stavolta non resisterle, lasciati guidare da lei, come la corrente marina, permetti al tuo corpo di cedere, per una volta, quando riprenderai coscienza ti sentirai meglio” gli disse, modulando la voce.

Hyoga fece per posare nuovamente il corpo del maestro tra le lenzuola, permettendogli così di riposare, ma lo avvertì irrigidirsi, opponendosi.

“N-no!” si lamentò, serrando gli occhi.

“Ma Maestro...”

“Q-qui, v-vorrei… stare... mmmh”

“Penso ti stia dicendo che vorrebbe addormentarsi lì, tra le tue braccia...” capì Isaac, gli occhi lucidi e il cuore gonfio. Davvero sarebbe stato meglio dopo quel riposo indotto? Lo sperava con tutto il cuore!

“Tra le mie…?!”

“Ha ragione, Hyoga… lui vi sente, ha percepito la tua presenza, il tuo tocco, la dolcezza insita in ogni tuo gesto. Lo rassicura cedere all’incoscienza con te li vicino, che lo sorreggi. Avverte… il tuo calore!” confermò Elisey, alzandosi in piedi.

“Maestro, davvero volete…?”

Camus fece un leggero cenno con la testa, prima di sospirare. Stava perdendo le poche forze che aveva racimolato, sprofondando nell’incoscienza, ne aveva un’atroce paura, solo il calore dei suoi ragazzi riusciva a rassicurarlo un poco. Averli lì era la sua forza, necessitava di sentirli vicini, di percepire le loro dita su di lui, dopo tutto quello che aveva passato. Finalmente a casa, con la sua famiglia, al sicuro. Al contempo aveva un bisogno disperato che anche Milo e Sonia fossero lì con lui, ma erano lontani, e Fyodor, e la sorella di cui aveva smarrito il nome, che erano ancora più distanti, e ciò lo faceva soffrire. Li avrebbe voluti tutti lì, i suoi cari, eppure le condizioni in cui versava lo facevano vergognare. Si agitò un’ultima volta, mentre la percezione veniva sempre meno.

Bisogno di sicurezza e orgoglio erano due antipodi che convergevano su di lui, uniti dal desiderio di farsi vedere forte, per loro, per proteggerli che tuttavia nascondeva una spessa fragilità che in simili momenti non riusciva a stemperare. Doveva essere un sostegno per loro, una garanzia, si rimproverò di non esserci riuscito, apparendo invece così debole. Scalpitò, prima di avvertire la mano di Hyoga tra i capelli, e quella di Isaac a stringergli la mano. Sorrise tra sé e sé, finalmente acquietandosi.

“Dormite… starete presto meglio!” gli dissero all’unisono dolcemente, rimanendo con lui fino alla totale perdita della coscienza.

Elisey, Hyoga e Isaac videro distintamente il suo respiro mutare d’intensità, facendosi sempre più profondo e ritmato. Il corpo si rilassò centimetro per centimetro e le palpebre, prima serrate, finalmente si distesero.

Era ancora appoggiato con la testa sull’avambraccio di Hyoga quando Elisey gli posò una mano sulla fronte per l’ennesimo controllo. Camus si era lasciato andare totalmente tra le braccia degli allievi, non reagiva più agli stimoli, quasi del tutto abbandonato contro il petto del biondo. Nessuna reazione, neanche quando gli si toccava una zona delicata come il basso ventre.

“Il sedativo ha avuto effetto praticamente immediato, deve essere stato proprio stremato, eppure ha rifiutato fino all’ultimo di cedere – constatò lo Sciamano, sospirando un poco – Hyoga, adagialo tra le lenzuola, il difficile viene adesso. E tu staccati, Isaac, non può più percepirvi, la mano gliela puoi stringere anche dopo la rimozione del catetere, quando finalmente potrà dormire tranquillo!”

I due ragazzi non se lo fecero ripetere due volte, sebbene Isaac ringhiò sommessamente verso di lui, come un cane rabbioso a cui era stato tolto l’osso con l’inganno, si fulminarono brevemente con lo sguardo, mentre Hyoga accompagnava Camus tra le lenzuola, sistemandolo comodo.

Elisey gli fece cenno di spostarsi di un poco, mentre, con il palmo della mano nuovamente aperto, tornò ad auscultargli il torace, contando le pulsazioni.

Chiuse gli occhi, i due allievi attesero, trepidanti. Passarono una manciata di minuti.

“Sì i battiti del cuore sono stabilizzati sui 70, possiamo procedere” dichiarò, prima di fare nuovamente il giro del letto e posizionarsi frontalmente alle gambe di Camus. Gliele aprì, prima di chinarsi verso il tubicino del catetere per prepararsi alla rimozione.

Isaac discostò lo sguardo, non riuscendo a reggere quella scena, ingoiò a vuoto, agitandosi e imbarazzandosi al suo posto, sebbene il maestro, precipitato in un sonno profondo, non reagisse più a niente. Elisey lo continuava a toccare e ritoccare, proprio lì, senza alcun tipo di imbarazzo, cosa che invece i due allievi avevano entrambi. Deglutirono di nuovo.

Hyoga era tornato ad accarezzargli il volto, anche se Camus non riusciva più a percepirlo, aveva comunque bisogno di rassicurarlo, continuò con premura e dedizione, almeno fino a quando il vecchio sciamano non volle la sua attenzione per fargli una richiesta.

“Hyoga, riesce a sollevare un poco il bacino del tuo maestro? Tu puoi usare entrambi le mani, solo un po’, quanto basta per mettergli sotto l’asciugamano.

“Co-cosa serve quest’ultima cosa?”

“Lo vedrai, Isaac!” fu la serafica risposta, quasi ghignante. Quello stronzo… sembrava quasi ci avesse preso gusto.

Hyoga borbottò qualcosa al limite dell’imbarazzo, poco prima di procedere. Con la mano destra passò sotto la schiena dal fianco sinistro, con la sinistra dal fianco destro, sollevandolo appena e cercando altresì di non pesargli sull’addome. Camus era un peso morto, difficilissimo accettarlo così, se non impossibile, ma non era il momento per soffermarcisi.

Con un cenno, Elisey fece intendere che bastava, prima di posizionare e stendere l’asciugamano.

“Va bene così, riadagialo”

Hyoga eseguì, sempre più in fibrillazione alla sola idea di quello che stavano attraversando, si morse il labbro inferiore, le guance imporporate e assurdamente calde.

“E… e ora cosa…?” Isaac avrebbe voluto rendersi utile, ma non trovava le parole, scioccato com’era nell’assistere a quello spettacolo.

“E ora si toglie, fine!” disse pratico Elisey con una naturalezza disarmante, sconvolgendo ancora di più i due giovani ragazzi, che non ebbero neanche il tempo di reagire. Semplicemente, con le dita della sinistra, pressò il basso ventre di Camus, probabilmente dove si trovata la vescica, e con l’altra mano, ben stretta al tubicino, lo tirò verso di sé con decisione, un movimento secco, nulla di più.

STOCK fu il laconico suono, mentre il campo visivo di Isaac e Hyoga si riempì di un rosso purpureo e il corpo di Camus sussultava bruscamente un’unica volta, prima di cominciare a tremare prepotentemente. Aveva comunque percepito il dolore, lo si presagiva dall’espressione, prima ancora dell’irrigidirsi del suo corpo.

Isaac fu sul punto di dargli un nuovo pugno in faccia, ma ebbe abbastanza autocontrollo per serrare la mascella, afferrare il braccio di Elisey, allontanarlo bruscamente da Camus per poi guardarlo dritto negli occhi e sibilare:

“Che cazzo fai, di nuovo?! Ti piace davvero così tanto vederlo soffrire, pezzo di merda?!”

“Oh, Isaac, ti vedrei bene come avvocato, se non avessi già ampiamente seguito un addestramento da Cavaliere, sai? - ironizzò il vecchio, sbuffando - Pensavi che l’estrazione sarebbe stata indolore? Che non perdesse neanche una goccia di sangue?! E’ chiaro che non sai davvero niente di Medicina!”

“E’ chiaro che tu non sia un infermiere, Elisey, non hai avuto un minimo di delicatezza!”

“Quante storie per una goccia di sangue...”

“Una goccia di sangue?!? - il tono del ragazzo si fece paurosamente acuto, quasi soffiando tutto il disprezzo che provava, lo sguardo gli cadde verso il basso – Sembra una macchia purpurea di petrolio quella lì e la chiami goccia?!? SEI PAZZO!”

“Perché non fai come Hyoga, che sta zitto e buono e mi fa operare senza fare il sindacalista di turno?!” lo rimbrottò Elisey, alzandosi come se nulla fosse per andare verso il comodino, dove c’erano il disinfettante e le salviette.

Isaac scrutò il fratello per scorgerne la reazione, effettivamente era rimasto fermo e immobile, assolutamente non in grado di parlare, mentre con gli occhi sbarrati per lo shock accarezzava la fronte di Camus, di nuovo con quell’espressione sofferente stampata sul viso.

“D-dopo questo lo possiamo lasciare stare? - chiese, quasi sconvolto, sforzandosi di non vedere il quantitativo di sangue che usciva da là sotto – Non… non ne posso più di vederlo così...” ammise, tutto tremante.

“Hyo-Hyoga… - lo chiamò Isaac, attirando lo sguardo del biondo e permettendosi di scompigliargli teneramente i capelli, un po’ come faceva lo stesso maestro – Coraggio, il peggio è passato, no? Potrà dormire in pace, adesso!”

“Per una volta Isaac ha detto la cosa giusta, ho finito di torturarlo…” disse di nuovo Elisey, tornando vicino a loro con quanto necessario per la medicazione.

I due allievi lo video agire, passando con cura la salvietta bagnata dal disinfettante nella zona che stava sanguinando. Gliela avvolse con cura per tamponare l’uscita di sangue, rimanendo in attesa, mentre i due ragazzi si scambiavano occhiate ricolme di imbarazzo.

Anche Isaac, come Hyoga, si sforzava di non guardare la scena, per rispetto almeno, o… chissà per cosa d’altro, ma si vergognava da morire. Tornò a fissare il viso di Camus, che lentamente tornava a rilassarsi, sebbene le palpebre fossero ancora un poco contratte.

 

Fortunatamente siete sedato, Maestro Camus, se foste stato anche solo un poco cosciente, sareste sicuramente sprofondato dalla vergogna. Mi dispiace enormemente… ciò che state vivendo è stato causato da me, io… no, non ha più senso piangere sul latte versato, contraccambierò con azioni da Cavaliere tutto questo, ve lo prometto!

 

Gli accarezzò delicatamente i capelli, scendendo poi giù dalla linea del collo e delle spalle per giungere alla mano vessata dalla flebo. Gliela strinse. Non l’avrebbe più lasciata, non finché Camus non sarebbe stato meglio.

Finalmente dopo la stilettata di dolore sembrava dormire serenamente, il respiro nuovamente regolare, più nessuna sofferenza sul suo viso. Sorrisero entrambi gli allievi, constatando che il peggio era davvero passato.

Elisey aveva finito di tamponare la zona, che non sanguinava più, gliela lavò una volta in più, per precauzione, prima di raddrizzarsi e dichiarare:

“Bene, il mio lavoro qui è compiuto, al resto potete pensarci voi!”

Sia Isaac che Hyoga ebbero appena il tempo di alzare lo sguardo che il secondo fu costretto a scattare in piedi per prendere al volo una cosa che il vecchio Sciamano gli aveva lanciato, contando sui suoi riflessi.

“Cosa… cosa sono?” chiese il biondo, rigirandosi confusamente il pacco tra le mani, prima di capire. Una scintilla passò nei suoi occhi. Isaac si sporse incuriosito, ma la voce di Elisey lo raggiunse prima.

“Pannolini”

“COSA?! Stai scherzando, vero?!”

“No, perché dovrei, Isaac?”

Ci fu una lunga pausa di sguardi in cui il più giovane quasi boccheggiò alla disperata ricerca di qualcosa da dire che non arrivava.

“Pensate di riuscite a metterglieli, o avete bisogno dell’assistente anche per questo? Sono molto stanco, badare a voi è uno strazio, un’impresa degna delle dodici fatiche di Hercules!”

“Oh, ehm...”

“Sapete metterli?” insistette Elisey, mentre con lo sguardo passava da uno all’altro dei discepoli di Camus.

“Non è discorso di sapere, è che… mi rifiuto!”

Isaac strinse i pugni, arrossendo.

“Ti rifiuti? E perché mai, Isaac?”

“E’ un disonore… - disse tra i denti discostando lo sguardo, stringendo il pugno – E’ un disonore per un Cavaliere, ancora di più lo è per il Maestro! Non lo merita!”

“Sarebbe un disonore, preferite quindi che...”

“NO, NON DIRLO!” lo fermò Isaac sempre più rosso in viso, non sapendo più come rigirarsi in quel discorso di merda, nel vero senso della parola. Hyoga taceva, ma era in imbarazzo quanto lui se non di più..

“Camus non può muoversi per il momento, anzi, anche quando si risveglierà meno lo farà e meglio è, il sangue nella sua cavità addominale non è poco, schiaccia e, fino ad adesso, lo ha reso discretamente stitico, non vorrei che...” lasciò la frase in sospeso, sogghignando nel vedere le reazioni dei due, sempre più impacciati.

“Va bene, va bene, abbiamo capito!” sbuffò Isaac, rosso come una ciliegia, passandosi la mano tra i capelli, nervoso.

“… Che facesse tutto in un colpo! Immaginate che macello, poi, lavar...”

“BASTA!!! Abbiamo capito!” gli urlò Isaac, desiderando di lanciargli qualcosa per farlo tacere.

“Bravi ragazzi! Tanto ripetete che siete grandi, no? Queste sono cose da grandi! - rise di vero gusto, massaggiandosi poi la barba con soddisfazione – Consideratelo un modo per sdebitarvi per tutte le volte che è stato Camus a pulirvi il culetto arrossato dalla troppa… popò!”

Sia Hyoga che Isaac, a quell’ultima frase, sussultarono in sincrono, esclamando, sempre in perfetta sinergia, la stessa frase.

“CAMUS NON MI HA MAI...”

“Come no! E quando avete avuto entrambi la polmonite? Non mi direte che non lo rammentate perché eravate troppo piccoli?! 8 anni entrambi! Bastano per aver dei ricordi!”

“Quella volta anche il Maestro si è ammalato, non aveva le forze per...” tentò una scappatoia Isaac, rifiutando con tutto sé stesso l’immagine che gli si era creata in testa, di lui e Hyoga bambini mentre Camus… MA ANCHE NO!

“Sì, l’avete attaccata anche a lui la febbre, è vero, sono dovuto intervenire anche io, è stato quando ho conosciuto Hyoga, ma vi posso assicurare che, pur con la febbre, si è preso cura di voi in tutto e per tutto! - spiegò, dando ad entrambi le spalle – A buon intenditor…” rise, quasi beffardo, lasciando intendere, neanche troppo velatamente cosa aveva fatto il maestro per loro.

“FOTTITI, ELISEY!”

“Oh, lo so, è la terza volta che me lo ripeti! Buon lavoro, giovani pulli!” li salutò, andandosene via come se nulla fosse dopo aver gettato loro nel più completo imbarazzo.

Cadde il silenzio tra loro, mentre Isaac tornava a prendere posto sulla sedia, la gola secca e il desiderio di scavarsi una fossa da solo.

“Voglio morire, dopo questa rivelazione! Tu?” tentò di alleggerire la tensione con un mezzo sorrisetto.

“Credo di essere già morto di vergogna quando Elisey ha lasciato intendere che il Maestro mi ha pulito il didietro in quel frangente! L’immagine mentale che si è creata non andrà più via!” buttò fuori aria Hyoga, ritrovandosi poi a ridacchiare insieme al fratello per tentare di scacciare la vergogna.

“Che figlio di...”

“Però Elisey ha ragione, il Maestro si è sempre, sempre, preso cura di noi, ora è giunto il tempo di ricambiare il favore” aggiunse, ancora rosso in viso, passando una mano teneramente tra i lunghi ciuffi di Camus, che respirava profondamente, perso in chissà quale sogno, senza vergogna né dolore. Isaac sorrise a sua volta, augurandosi che si fosse ricongiunto a Fyodor, almeno nel tempo del riposo, poi si accucciò al suo fianco, sempre tenendogli la mano, stando ben attento a non comprimere la flebo, che era ancora tenacemente attaccata al suo braccio.

“Penso proprio che tu abbia ragione… Hyoga!”

“Rimani quindi con lui, Isaac, io vado a catturare del pesce per stasera, ti va?”

“Tu dovresti riposare come Camus, lo hai dimenticato?”

“Dei tre sono il più in forze, conta su di me… fratello mio!” gli sorrise, arrossendo a quell’appellativo che sentiva dentro di sé, e che Isaac raccolse con un borbottio sommesso al limite dell’imbarazzo. Non si dissero nient’altro, il loro scambio di sguardi bastava per intendersi al volo.

 

 

* * *

 

 

In quell’universo di bianco tutto uguale a sé stesso, che quasi infastidiva gli occhi, solo due cose erano certe: che il sole, già tendenzialmente basso sull’orizzonte, assolutamente incapace di riscaldare, stava già declinando, e che un soldo di cacio di, sì e no, sette anni, era più abile di lui a muoversi nel permafrost, tra la tormenta. Lui che era Cavaliere d’Oro di Atene, lui che era un giovane uomo di 18 anni, nel fior fiore dell’età e della forza… incredibile!

Sul serio, cosa davano da mangiare ai marmocchi delle latitudini nord, steroidi?! Era inconcepibile che un simile bambinetto sapesse destreggiarsi così abilmente in mezzo ai ghiacci perenni, che diavolo di trucco sfoderava per…

Non ebbe il tempo di chiederselo che si ritrovò quasi con la faccia nella neve, mentre Sonia, ancora tenuta sulle spalle si appendeva ancora di più a lui.

“E-ehi, bimbo, time-out, ti prego!” esclamò, volendo chiedere al nanerottolo di rallentare l’andatura, ma non ricordandosi che il piccolo, che sapeva chiamarsi Jacob, non conosceva il greco.

Fortunatamente il bimbo sembrava sveglio, tornò sui suoi passi, aspettando docilmente e facendosi capire a gesti.

Milo ne dedusse, dai suoi movimenti che continuavano ad indicare in fibrillazione una zona più in là, che non dovesse mancare tantissimo, perciò si fece coraggio e, sorridendo, si rimise in piedi, riprendendo il tragitto.

“Bilo, quel bambivno ti fa mangiare la polvere, anzi la nefve...” lo prese scherzosamente in giro Sonia, le manine rigide per il freddo, nonostante fossero coperte.

“Quello non è un bambino… è una macchina da guerra! E poi io non ci vivrei mai, qui, guarda il sole, dopo essere rimasto smorto per un paio di ore si sta già eclissando...” si lamentò lui, guardandosi nervosamente intorno.

“Però è bello, ha un fascino… suo!” commentò la ragazzina, sempre più incuriosita da quell’ambiente totalmente diverso da quello in cui viveva, e che, proprio per quella ragione, la carpiva fin dai recessi dell’anima.

Milo scrollò la testa, glissando ulteriormente sull’argomento. Pareva che alla piccola piacesse genuinamente quel luogo, stava a lui chiedersi come fosse possibile, era del tutto incomprensibile.

Camminarono ancora per qualche minuto. Sebbene continuassero a muoversi, sembrava quasi di rimanere fermi in uno stesso luogo, da quanto fosse tutto uguale a sé stesso. Orientarsi era impossibile, e Milo finalmente capì come alcuni allievi che erano stati portati a Camus per essere addestrati alla vita da Cavaliere, avessero potuto sparire nel nulla per non essere più ritrovati. Rabbrividì. Che morte… atroce!

Ad un certo punto il bimbo fece cenno di fermarsi in un punto e lo Scorpione, pur non capendone la ragione, eseguì docile. Lo vide poi avvicinarsi cautamente ad una apertura nel ghiaccio, pigiando i piedi davanti a sé come a sincerarsi della robustezza del permafrost, poi prese a guardarsi intorno, zampettando largo rispetto all’apertura, come se aspettasse qualcosa, o qualcuno.

Che diavolo stava facendo?! Un rito per scacciare le foche? Gli orsi polari? Quale era il motivo di quella strana danza circolare che il piccolo riproduceva? Fu quasi tentato di avvicinarsi, ma un guizzo improvviso, di qualcuno che balzava fuori dall’acqua gelida con un’agile capriola per poi atterrare di fianco al bambino, lo fece sbigottire talmente tanto da farlo quasi cadere all’indietro, e Sonia con lui, giacché aveva spalancato la boccuccia in un ‘o’ di meraviglia.

Milo, in quel movimento fluttuante, aveva riconosciuto istantaneamente la grazia e l’eleganza propria di Camus, impossibile sbagliarsi. Gli fu chiaro fin da subito che doveva trattarsi di uno dei due allievi. Sorrise tra sé e sé, sentendosi improvvisamente stanco per la lunga attraversata, strinse le manine di Sonia, percependone la trepidazione, che era anche la sua.

Dalla parte di Hyoga, invece, per il momento c’era solo Jacob nel suo campo visivo, lo aveva chiamato con il loro codice speciale, spingendolo a riemergere, visto che stava catturando pesci, a pochi metri dalla superficie, per soddisfare il bisogno di nutrimenti di Isaac, che era ancora anchilosato, e per il maestro, quando si sarebbe risvegliato. Fu felice di vederlo il bimbo in piedi nel pieno delle sue energie, mentre il piccolo accorreva verso di lui con le braccine spalancante. Gli sorrise, riprendendo il fiato, dicendogli altresì di non avvicinarsi ulteriormente, perché era zuppo. Jacob si arrestò un attimo prima, gli occhioni verdi fissi su di lui.

“Cosa ti porta qui, piccoletto? Dovresti riposare!”

“Non sono qui per me, Hyoga, ma per Camus! Ha… visite!” gli disse il pargolo, su di giri, indicando poi dietro di sé.

Hyoga si ritrovò ad irrigidirsi, riconoscendo in quel momento il cosmo di un Cavaliere d’Oro al massimo fulgore.

Milo si bloccò.

Hyoga fece altrettanto, sforzandosi comunque di guardarlo in faccia perché si stava avvicinando a passi un poco appesantiti per studiarlo.

Trascorsero secondi di assoluto silenzio. Milo non fissava altri che Hyoga; Hyoga non fissava altri che il nuovo venuto e, brevemente, la ragazzina che si conduceva dietro, sulle sue spalle, parzialmente nascosta dietro le ampie spalle del Cavaliere.

Una raffica di vento più potente delle altre scosse i ciuffi di entrambi, facendoli ridestare dal torpore.

“Capelli biondi, occhi azzurri come un lago ghiacciato, e una notevole abilità nel nuoto… tu devi essere Hyoga, giusto? Allievo di Camus...”

Gli aveva parlato in greco, dimenticandosi per l’ennesima volta che lì non lo capivano. Scrollo quindi la testa, apprestandosi a riformulare la domanda in inglese, ma il ragazzo si mosse, alzandosi cautamente in piedi sempre con gli occhi puntati verso di lui.

“Chi… lo vuole sapere?” chiese il biondo in greco, un pizzico di freddezza nello sguardo e nel tono.

Quelle quattro parole da sole furono in grado di far scoppiare Milo in una fragorosa risata: era finalmente arrivato dove voleva, quasi stentava a crederlo.

 

E’ davvero tuo allievo, amico mio! Da risposte del cazzo degne di te, ostentando una presunta freddezza che gli hai trasmesso tu medesimo. Sembra davvero un cigno da quanto è agile ed elegante, si vede che gli hai insegnato bene, e… ringrazio la tua pignoleria, nonché fissa per le lingue, per avergli insegnato il greco, già mi veniva da piangere a pensare di comunicare solo in inglese!

 

“Milo… Milo di Scorpio, sono il migliore amico di Camus, e… - si fece serio, lo sguardo un poco dolente – Ho avvertito il cosmo del tuo maestro, non… non è stato molto bene, vero? E’ questa la ragione per cui siamo qui”

Anche lo sguardo di Hyoga si fece un poco sofferente, mentre, tra le mani, si faceva rigirare la sacca contenete i pesci che aveva appena pescato. Non rispose subito, si sentiva a disagio, ma tutta la sua attenzione era incentrata sui due nuovi venuti, che scrutava attentamente.

“Io… io sono Sonia, e… come sta Camus? Ci hanno detto che è rimasto ferito gravemente!” andrò dritta alla questione la piccola, prendendo profondi respiri, sbucando da dietro le spalle del Cavaliere nel tentativo di farsi vedere.

Milo e Sonia… il Maestro Camus aveva parlato spesso di loro, nei suoi ritorni dalla Grecia, non aveva mai professato quanto gli volesse bene, ma il ragazzo lo percepiva dagli occhi luminosi e dalla sfumatura che acquisiva la sua voce. Gli avrebbe fatto bene averceli lì, al suo fianco, in quel momento così difficile, sapeva che poteva fidarsi, ne avvertiva il cosmo puro, sebbene nella ragazzina non fosse ancora sviluppato.

“Seguitemi...” disse solo, precedendoli.

Sonia gonfiò un poco le gote, non contenta di non aver ricevuto risposta, ma sulle labbra di Milo si fece largo un sorriso, riconoscendo interamente il temperamento di Camus che tanto lo faceva tribolare ma che aveva anche imparato ad amare.

Salutato il bimbo, anzi, la macchina da guerra abituata ad andare a zonzo per la steppa, il viaggio verso l’isba trascorse in religioso silenzio. Hyoga manteneva lo sguardo basso in notevole disagio, un leggero colorito rosso sulle guance, l’andatura un poco incerta, le braccia conserte, non per proteggersi dal freddo, no, si sentiva davvero fuori posto, esattamente come il suo maestro. Per Milo invece il tragitto fu come un libro aperto per conoscere il ragazzo, sondandolo indirettamente, acciuffandolo un po’ di più. Ad ogni passo gli sembrava di saperne un po’ di più, di certo era una vertigine di contraddizione, come lo stesso Camus, un universo di cose non dette, un qualcosa di inestimabile.

Percepì altresì che quell’incontro, prima o poi, avrebbe cambiato la vita ad entrambi e che, cosa ancora più importante, non sarebbe certo stata la prima volta che i loro cammini si sarebbero intersecati.

Arrivarono all’isba -che Milo giudicò deliziosa, la miglior cosa che avesse visto quel giorno- sempre senza parlare. Ne varcarono la soglia preceduti da Hyoga, il sole ormai toccava l’orizzonte, arrossando il cielo plumbeo in un insperato bagliore di vita. La casetta era avvolta dalla semi-oscurità, c’era solo questa luce ad irradiare i dintorni, quasi abbagliava Milo che, come ipnotizzato, seguiva la chioma del biondo, che andava tingendosi di riflessi cremisi, come la sua cuspide scarlatta. Li portò verso una stanza, che aprì, i bagliori del sole morente si potevano ben vedere, così come il suo languire, che rischiarava una pelle diafana coperta da candide lenzuola.

Sembrava tutto così ovattato, eppure così vero, così intenso… lo Scorpione si accorse che il suo cuore stava perdendo battiti, e lo faceva perché aveva riconosciuto a chi apparteneva quel corpo adagiato sul letto. Sonia, sporgendosi di riflesso sopra di lui, si lasciò sfuggire un singhiozzo, portandosi le mani alla bocca. Si impietrirono entrambi, incapaci di proseguire oltre.

In quel momento Hyoga farfugliò qualcosa, ci fu una imprecazione, uno scatto, a stento avvertito, poco prima che il campo visivo di Milo, che fissava sconvolto Camus, sdraiato del tutto incosciente sul letto, venne riempito da un nuovo ragazzo, che fino a poco prima era vicino al giaciglio, ma che, al solo vederli, era balzato in piedi come una molla.

“Vi ho chiesto chi siete!!!”

Milo, a quell’esternazione affatto docile, si riscosse, accorgendosi che l’altro allievo di Camus, dai capelli verdi e gli occhi dello stesso colore, con una pesante fasciatura sul torace che gli limitava i movimenti, fremeva distintamente, come una belva inferocita intenzionata a proteggere ciò che per lui era prezioso e che, senza di lui, non aveva difesa alcuna. Lo guardò sbalordito, riconoscendo un cosmo immenso e irrequieto in suo possesso, semplicemente surreale, se si pensava che aveva ricevuto un semplice addestramento da Cavaliere di Bronzo.

Hyoga si affrettò a tentare di calmare gli animi, frapponendosi tra loro nel cercare di fare da paciere.

“Isaac, stai tranquillo! Lui è un Cavaliere d’Oro, e lei...”

“Lo so bene anche io, avverto il suo cosmo, del tutto simile a quello del maestro, ma chi mi assicura che sia un amico?! - esclamò, continuando a fremere, del tutto iroso, pronto a scattare al minimo cenno di pericolo – Perché li hai accompagnati qui, Hyoga?! Sai in che condizioni è Camus, sai che non vorrebbe mai essere visto così!”

“Li ho accompagnati perché il loro animo era sincero. Ho avvertito davvero preoccupazione, sono qui per lui, perché hanno avvertito il suo cosmo vacillare fino a quasi a spegnersi e… anche il maestro ha bisogno di loro, un sostegno!” spiegò sbrigativamente Hyoga, con chiarezza, attirando lo sguardo incuriosito di Milo.

Aveva una capacità percettiva incredibile, degna del maestro che gli aveva insegnato. Lui, tutte quelle cose, non gliele aveva dette, il biondo le aveva semplicemente percepite, studiandolo. Si erano studiati reciprocamente in quella lunga camminata che li aveva condotti all’isba, era chiaro, pur non utilizzando il linguaggio verbale.

Isaac parve acquietarsi un poco. Il braccio sano continuava a rimanere alzato nell’intenzione di proteggere Camus, ma gli occhi si erano fatti un poco meno arcigni. Prese un profondo respiro, imprimendo fierezza nei suoi occhi.

“Chi siete?” chiese di nuovo, sempre sul chi vive.

“Milo di Scorpio, e questa è Sonia” la presentò, perché la ragazzina continuava, per quanto possibile, a fissare incredula il corpo di Camus, quasi non riconoscendolo neanche.

A quelle ultime parole la muscolatura di Isaac si rilassò completamente e il ragazzo si lasciò cadere sul bordo del letto, esausto. Lo era già ampiamente prima, ma era balzato comunque a proteggere il maestro, avendoli reputati un pericolo.

“Milo e Sonia? - chiese conferma, prima di regalargli un tiratissimo sorriso, dato probabilmente dalla stanchezza – Potevi dirmelo prima, Cavaliere di Scorpio, ti conosco, il Maestro Camus mi parla spesso di voi”

“Anche Camus mi parla spesso di te, Isaac… - gli sorrise di rimando lui, accennando un passo nella sua direzione – Mi dice molte cose sul tuo conto, che sei molto protettivo, per esempio, questo l’ho potuto constatare oggi stesso!” disse ancora, prendendo Sonia dalle ascelle e posandola a terra, dove stette, tutta tremante, continuando a guardare in direzione del letto senza trovare le parole.

“Sì, beh… è in queste condizioni per colpa mia, altro che proteggerlo!” commentò il ragazzo, affranto, distogliendo l’attenzione da lui per tornare a concentrarsi sul viso pallido di Camus, cosa che fece anche lo Scorpione.

“A-amico mio...” biascicò Milo, trovando infine la forza per muoversi e dirigersi verso il letto, il cuore piccolo piccolo nel rivederlo in simili condizioni. Isaac lo lasciò fare, raddrizzandosi a fatica per fargli posto. Si sedette dall’altro lato, prendendogli la mano non vessata dalla flebo e solleticandogli dolcemente il dorso con il pollice.

Non si vedevano da un anno, forse addirittura di più. Milo, nelle notti in cui la mancanza di Camus si acuiva fino a renderlo insonne, si era perso più volte a congetturare su come e quando si sarebbero rivisti. Aveva pensato di abbracciarlo, quando ciò sarebbe accaduto, in barba alle lamentele che probabilmente l’Acquario gli avrebbe lanciato, non gli importava, avrebbe solo voluto stringerlo, dirgli che era contento fosse tornato a casa, cose così. Forse avrebbero preso un tè insieme, parlando degli allievi, di Sonia, dei dubbi sul Grande Sacerdote.

Si era immaginato proprio tutto, ogni singolo attimo, ogni parola taciuta e pronunciata, ma… non quello! Milo di Scorpio non si sarebbe mai immaginato di rivederlo così, ridotto così male da faticare persino a respirare autonomamente.

Prese posto sul bordo letto adiacente, stando attendo agli innumerevoli fili che collegavano il suo braccio agli arnesi del diavolo -che cazzo era tutta quella roba a cui era legato?!- prendendosi tempo per guardarlo, l’ossigeno quasi gli mancava, il petto doleva. Avrebbe voluto toccarlo, ma, nella pratica, era totalmente immobilizzato, non riusciva a fare altro che fissarlo, con crescente peso sul cuore.

Il volto pallido di Camus era parzialmente reclinato sulla spalla destra, quasi ci si appoggiava, la bocca semi-aperta, il respiro un poco difficoltoso, a tratti si velocizzava senza un apparente motivo. Il peggio sembrava fortunatamente passato, ma la sua espressione ancora sfatta, il pallore del suo volto, rendevano aspramente l’idea di quello che aveva passato fino a poco prima. Le palpebre erano tirate in un’espressione ancora paurosamente contratta, sebbene stesse dormendo profondamente.

“Amico mio… - ripeté, in tono strozzato, allungando finalmente una mano per accarezzargli i capelli – Cosa hai combinato per ridurti così?” chiese, a vuoto, mentre con gli occhi seguiva la linea del collo e delle clavicole per arrivare fino al petto, coperto da un lenzuolo, glielo discostò un poco, appurando, con sollievo, che almeno il torace non era collegato a quei macchinari che producevano suoni infausti che a lui avevano fatto sempre impressione.

“Ha subito una stalagmite all’addome per salvarmi...”

“Isaac, non...” tentò di opporsi Hyoga, non volendo che il fratello si prendesse tutta la colpa.

“No, è giusto che lui sappia, è il suo migliore amico!”

Milo guardò entrambi i due allievi, prima di fissarsi sugli occhi un poco spenti di Isaac, l’orgoglio di Camus, colui che, più di ogni altro, era riuscito a fare breccia nel suo cuore congelato.

“Dicevo… ha subito una stalagmite al posto mio durante una missione. Essa gli ha perforato la parete addominale, procurandogli una grossa emorragia intera. Ha rischiato la vita, ma ora è fuori pericolo, deve solo… recuperare, diciamo!” terminò la breve spiegazione, non approfondendo ulteriori particolari, cosa che lo Scorpione volle comunque conoscere.

I due allievi si alternarono abilmente nel racconto. Sembravano ambedue piuttosto stanchi, anche se non lo davano a vedere e, stante la prodezza della missione, avevano tutte le ragioni per esserlo. E Camus era la solita testa di cazzo cubica. incurante di sé stesso ma quello ormai era un fatto assodato. Milo sospirò teatralmente.

“Posso… vederlo?”

Entrambi annuirono con la testa, continuando a fissare il loro maestro. Erano molto protettivi con lui, era lampante che gli volessero un gran bene, per questo gli era sembrato giusto chiedere il loro permesso e… beh, per evitarsi un congelamento subitaneo in caso di rifiuto.

Si alzò, esitando ancora un attimo, prima di tirargli lentamente giù il lenzuolo fino al basso ventre, dove era presente, come gli era già stato detto, un enorme ematoma sottocutaneo di grosse dimensioni. Milo si ritrovò a mordersi il labbro inferiore.

“Non molto diverso da quando sei arrivato al Tempio, amico mio… se non fosse che questo ha dimensioni maggiori e il colore più scuro. Fa… davvero… paura!” commentò aspramente, accarezzandogli dolcemente lo sterno per poi scendere giù sull’addome, che era ancora contratto e rigido in seguito al dolore. Temeva di stargli facendo male, perché al suo tocco lo vide sussultare, sofferente. Ritirò la mano, continuando però a ispezionarlo con gli occhi, centimetro per centimetro.

Le sue parole intanto avevano attirato la curiosità di Isaac.

“Che significa? Non è la prima volta che se lo fa?”

“No, è arrivato al Santuario con un vistoso ematoma, non si è mai capito da cosa fosse stato causato e… PER ATENA, che diavolo è questo?!” domandò, un poco brusco, indicando il taglio pochi centimetri sotto l’ombelico

“Elisey… - disse sbrigativo Isaac, non sembrava esattamente un campione nelle spiegazioni – Ha dovuto praticare quell’incisione per assorbire meglio il sangue”

“Fa impressione, sembra… oddei, so io cosa sembra!” biascicò Milo, scosso, nascondendogli quella zona con le lenzuola.

“Ah, allora fa senso anche a te, che sei Cavaliere d’Oro...” commentò, sorpreso e un poco rincuorato. Si sentiva debole per essersi immobilizzato varie volte davanti a quello squarcio, mentre Camus stava così male, ma Milo sembrava persino più sconvolto di lui.

“Farebbe senso a chiunque vedere una persona cara in simili condizioni, non ti sembra, Isaac?” chiese di riflesso il Cavaliere, passandogli una mano tra i capelli con gesto confidente. Camus gli aveva parlato così tanto di lui… era come se lo avesse sempre conosciuto. Il ragazzo socchiuse gli occhi, sorridendo appena davanti a quella rassicurazione.

“Hai detto che… è arrivato al Santuario già ferito?” insistette ad un certo punto il giovane, non conoscendo quella storia, sentendo altresì montare la rabbia: chi aveva osato tanto?!

“Sì, con un grosso ematoma più o meno nella stessa zona, ma non ne ama parlare, è un po’ una...”

“...testa di cazzo, lo so!”

Milo si ritrovò a ridacchiare, colpito dalla sua assoluta incapacità di trattenersi, sembrava concordare con lui su quel punto. Gli sorrise. Camus, nei racconti, lo aveva tratteggiato esattamente così, ma dal vero era, se possibile, ancora più irriverente e caustico.

“Chi può aver osato tanto?” chiese, stringendo ulteriormente la mano del maestro con premura.

“Credimi… vorrei saperlo anche io! E’ da anni che non mi do pace, ma prima o poi lo scopriremo!”

Isaac sospirò, tornando a guardare Camus: avrebbe volentieri ucciso con le sue stesse mani chiunque avesse perpetrato un simile crimine.

“E’ fuori pericolo comunque… gli farà bene sapere che sei qui!” ripeté ancora, guardando con ammirazione Milo, che aveva la fierezza tipica dei Cavaliere d’Oro, esattamente come lui se li era immaginati.

Lo Scorpione si limitò ad annuire, inaspettatamente a corto di parole, mentre tornava ad accarezzare teneramente il volto dell’amico fino a scendere giù sulle spalle tornite e prendergli dolcemente la mano vessata dalla flebo. Isaac teneva l’altra tra le sue dita. E tacquero, tornando a fissarlo in religioso silenzio.

Hyoga rimaneva in disparte, osservando la scena come uno spettatore esterno; si sentiva esterno effettivamente. Sorrise amaramente, a metà strada tra l’intenerito, nel vedere quanto tenessero al maestro, e il percepirsi di nuovo come accessorio, del tutto superfluo.

Suo fratello Isaac aveva già stretto amicizia con il nuovo arrivato, gli parlava con naturalezza, sollevato nello spirito di avere un valente Cavaliere d’Oro in più al suo fianco. Non aveva peli sulla lunga, si esprimeva con sicurezza e fermezza di linguaggio, il contrario suo, che invece si era ammutolito.

Fu quasi tentato di andarsene e lasciarli lì, a parlare e a prendersi cura di Camus, ma la ragazzina, ancora immobile a pochi passi da lui, aveva attirato la sua attenzione. Sembrava quasi una sua coetanea, anche se era di aspetto più piccolo e mingherlino rispetto a lui e ad Isaac, che del resto avevano ricevuto un addestramento da Cavaliere; il lieve accenno di seno -Hyoga si ritrovò ad arrossire nello scorgerglielo!- indicava un cammino sempre più accentuato verso l’adolescenza, che probabilmente stava varcando, esattamente come loro. Al di là di questo, della sua apparente fragile costituzione, non era stata la sua fisicità a spingerlo a continuare a guardarla, quanto gli occhi sbarrati in direzione del letto e le lacrime che le rigavano le guance. Era… del tutto sconvolta, smarrita, cosa che portò il giovane Hyoga a provare a rompere il ghiaccio.

“Prima volta?” le chiese, alludendo alle condizioni di Camus, steso sul letto, che proprio in quel momento rabbrividiva, iniziando ad agitarsi.

Gli occhi della piccola erano puntati sulla scena davanti a lei, annuì a stento fremendo notevolmente, non riuscendo a rispondere verbalmente.

“Camus, che ti succede adesso?” chiese Milo, accorgendosi del suo tremore, tornando ad accarezzargli i capelli e la guancia.

“L’effetto del sedativo che gli abbiamo somministrato comincia a perdere efficacia, la coscienza comincia a ritornare, così si sta rendendo conto di essere scoperto” indovinò Isaac, prendendo il polso del maestro per contare le pulsazioni.

Ricordò le raccomandazioni di Elisey:

“Quando comincerà a risvegliarsi, il cuore accelererà il suo ritmo, Isaac, sappilo, e preparalo per il risveglio. Il sedativo è piuttosto blando, ma basta per renderlo confuso, straparlerà, dirà cose strane, forse, cose non da lui, tienilo ben a mente: dovrete tranquillizzarlo!”

Le pulsazioni effettivamente erano in vistoso aumento.

“Calmati, Camus, siamo qui… sei al sicuro!” gli sussurrò Milo, vedendolo sempre più agitato, asciugandogli il sudore con una pezza.

“Sarà forse meglio coprirlo e aspettare che apra gli occhi, sai bene quanto è schivo!” disse Isaac, dando un’occhiata d’intesa allo Scorpione, che sbuffò prima di ridacchiare nervosamente.

“Oh, lo so, eccome se lo so!” rispose, prendendo il lenzuolo e accompagnandolo fino a metà torace, lasciandogli le braccia adagiate sopra, in modo da potergli stringere dolcemente le mani e fargli percepire che non era da solo. Perché Camus ciarlava tanto, ma quando si trovava in situazioni simili aveva bisogno di sentire le persone che amava vicino a sé, cosa che gli riusciva grazie ad una percezione eccezionale che aveva ereditato come Sciamano dal suo maestro.

Anche Sonia, dalla sua posizione, rabbrividì. Voleva essere d’aiuto a Camus, essergli di conforto, come aveva promesso, e abbracciarlo forte forte, ma nella pratica non gli riusciva altro che rimanere lì, imbambolata, come un peso inutile, del tutto impossibilitata a riscuotersi.

Ad un certo punto avvertì una mano sulla testa accarezzargli delicatamente i capelli, voltandosi verso la presenza, i suoi occhioni totalmente persi si fissarono su due iridi di un azzurro limpido; la stessa limpidezza che Sonia riusciva a scorgere in Camus.

“Anche per me è la prima volta, sai? Non l’ho mai visto così, è dura da accettare… lui, sempre così forte, a tratti impenetrabile, una roccia, una garanzia di sicurezza, ridotto immobile a letto, senza riuscire minimamente ad alzarsi, vittima di una letargia che sembra quasi perenne...” provò a rassicurarla Hyoga, tenendo la mano sulla sua testa e indicando, con lo sguardo, il suo amato maestro.

“Tu sei più forte di me, sigh… - si lasciò scappare un singhiozzo Sonia, stringendo i pugni, livida – Non… non riesco nemmeno a muovermi, da quando l’ho visto, e-eppure volevo abbracciarlo forte forte… sigh, sono una...”

“...Debole? No, non lo sei, le tue emozioni sono semplicemente la manifestazione del tuo forte attaccamento a lui!”

Sonia lo guardava meravigliata, spalancando la bocca con fare sorpreso, mentre il biondo, contro ogni previsione, la prese delicatamente in braccio da sotto le ascelle. La ragazzina si ritrovò quindi appoggiata contro la sua spalla, come aveva fatto Camus la prima volta che l’aveva salvata. Era molto meno alta di lui, constatò, il suo corpo tonico, atletico ed elegante sembrava appartenere ad un ragazzo ben più grande rispetto alla sua vera età, che sapeva essere la stessa sua.

Hyoga e Isaac erano nati il suo stesso anno, il 1995, ma uno a gennaio e l’altro a febbraio, lei invece a novembre, eppure il loro fisico, temprato dalle mille e una intemperie, sembrava già pienamente sviluppato, al contrario suo che, malgrado un lieve abbozzo di seno, assomigliava ancora ud una bambina. Desiderò, una volta in più, diventare forte come loro e seguire il loro stesso addestramento.

Hyoga la cullava tra le braccia senza più proferir parola, bastava la sua sola presenza, proprio come Camus. Le narici di Sonia vennero invase dallo stesso profumo frizzantino. La cosa, di per sé, la emozionò.

“Hai detto che… che vuoi stringerlo forte forte?” chiese ancora il biondo, guardandola negli occhi. La ragazzina si soffermò sulle sue iridi, trovandovi, in fondo al lago, una malinconia del tutto simile al suo maestro, come una goccia d’acqua. Eppure sembravano così dolci...

Annuì, laconica, mentre il biondo la riconduceva a terra, continuando a sorriderle.

“Vieni con me, allora” le sussurrò, porgendole la mano. Lei gliela strinse, facendosi guidare da lui che con passi leggeri ma decisi si stava avviando in direzione del letto.

“Hyoga...” lo chiamò Isaac, vedendoselo così vicino, distinguendo nei suoi occhi la solita espressione sofferente. Anche lo sguardo di Milo lo seguiva pedissequamente, incuriosendolo come non mai.

“Anche la piccola ha bisogno di stare vicino al Maestro Camus... può toccarlo?” chiese all’amico, inclinando un poco la testa.

“Certo che può, non c’è bisogno di...”

Ma Sonia si era di nuovo pietrificata, così vicina al letto, così vicina nel vedere che quel viso rotto dalla sofferenza era davvero di Camus, del suo Camus, che le aveva salvato la vita, e che amava. Si irrigidì, scrollando più volte la testa.

“Non posso...” diceva a fatica, gli occhioni lucidi, le gambe che tremavano.

Milo fu lì lì per intervenire, ma decise all’ultimo di fidarsi del biondo, che gli ispirava una naturale sicurezza.

“Puoi invece, non sei qui per abbracciare forte forte Camus?” gli chiese Hyoga sempre con dolcezza, sospingendola ancora di più verso il letto, sempre con la mano congiunta alla sua.

“Ma io… ho paura di fargli male!”

“Non succederà, se sarai delicata… lui ti percepisce, avrebbe piacere ad essere toccato da te!”

Sonia era sempre più sbalordita. Non solo il portamento, non solo i modi e neanche solamente le iridi splendenti erano simili a quelle di Camus, ma anche il modo di esprimersi. Quel ragazzo biondo dal sorriso tristissimo ma gentile l’aveva folgorata in pieno, riuscendo ad ammutolirla con naturalezza.

Lentamente annuì, mentre sotto gli sguardi attenti degli altri due, si lasciava nuovamente condurre da lui, facendosi sollevare per poi essere posata sul bordo letto, mani che la sorreggevano per non farla cadere. Rabboccò aria nello scorgere quel viso pallido, sfatto, e sudato della persona che sentiva di amare.

“Ca-Camus...” lo chiamò in tono fievole, perché la voce non le usciva che a fatica. Il giovane uomo non rispose verbalmente, non poteva, ma quasi ad udire la voce della piccina si voltò difficoltosamente nella sua direzione, le labbra tremarono, come a voler pronunciare parole che però non trovarono sbocco.

Sonia era riuscita infine a spiccicare parola, ma i muscoli e le giunture erano ancora rigide, le impedivano qualsiasi movimento. Hyoga la sostenne quindi con il braccio sinistro intorno al suo petto, mentre con la mano destra prendeva la sua, conducendola finalmente in prossimità di Camus.

“Gli piace molto essere accarezzato tra i capelli, sai? Non lo ammetterà mai, ma… in verità, ha assai bisogno del contatto fisico” le sussurrò Hyoga alle orecchie, mentre, guidandola, la portava tra i lunghi ciuffi blu del maestro, dove, con gesto lento e delicato al tempo stesso le permetteva di saggiarne la setosità.

“Sono così morbidi, malgrado stia così...” constatò Sonia, commossa, non riuscendo più ad esprimersi.

“Continua così, lo tranquillizza! Guarda la sua espressione, non ti sembra più rilassata?”

“S-sì… forse sì!”

“Questo è merito tuo, piccoletta!”

Il cuore di Sonia batteva all’impazzata nel toccare, dall’alto verso il basso, la chioma di Camus, il quale aveva preso a respirare più tranquillamente, grazie a quel gesto. Si era girato completamente nella sua direzione e ora stava lì, nuovamente addormentato profondamente, il petto che si alzava e si abbassava con regolarità, la bocca dischiusa. Alla ragazzina vennero i lacrimoni agli occhi, mentre, facendosi coraggio, lasciando la guida di Hyoga, continuava ad accarezzarlo, scendendo anche sul volto con le dita trepidanti.

“Camus… - ripeté il suo nome, chinandosi verso di lui, appoggiandosi senza pesargli – Guarisci presto, ti prego!” si raccomandò, baciandolo appena sotto la palpebra destra abbassata. Fatto questo, si rannicchiò al suo fianco, sdraiandosi vicino a lui, appena sotto la piega dell’ascella, quasi nascondendo il visetto ancora un poco infantile tra le lenzuola che lo ricoprivano.

“Può stare un po’ lì, vicina a Camus? - chiese Milo guardando entrambi gli allievi con attenzione – Non lo disturberà, promesso, se il vostro maestro dovesse girarsi o provare fastidio provvederò io, statene certi!”

“Io non ho nulla in contrario. Camus sta già meglio ora che siete venuti voi, sei un Cavaliere d’Oro, nonché suo migliore amico, lui si fida di te e… anche io!” disse Isaac, alzandosi stancamente in piedi e sfregandosi l’occhio. Hyoga invece si limitò ad annuire, ormai si era capito che non era un tipo di tante parole.

Milo vide passare distintamente la scintilla nella stanchezza in entrambi gli occhi degli allievi. Isaac era a busto scoperto, perché l’ampio bendaggio e il braccio fasciato gli impedivano di mettersi una maglietta addosso. Sembrava lussata quella spalla, ma già ampiamente sulla via della guarigione; Hyoga invece non aveva ferite visibili, essendo coperto con la tenuta da addestramento composta da dei pantaloni neri, gli scaldamuscoli e una canottiera blu, ma giudicare dal sudore che gli imperlava la fronte, nonché dalla smorfia che lo aveva colto quando si era piegato per prendere Sonia, si capiva che avesse rimediato dei danni alla schiena.

Eppure entrambi non avevano lasciato mai solo Camus. Sorrise, guardandoli, non stupendosi minimamente di quanto l’Acquario si fosse legato sinceramente a loro.

“Dovreste riposare, si vede lontano un miglio che siete allo stremo delle forze. Così non va, un Cavaliere di Atena deve capire anche quando il suo fisico è arrivato al limite” gli fece notare garbatamente, sorridendogli.

“Ma!”

“Coraggio, mi avete detto voi che è fuori pericolo adesso, potete permettervi di riposare per un paio di ore, almeno, e recuperare, anche perché. lo saprete senz’altro, che questa encomiabile testa di cazzo, una volta che sarà in grado di muoversi vorrà partire subito con gli allenamenti!”

Sia Hyoga che Isaac si ritrovarono, loro malgrado a ridacchiare tra loro, scoccando uno sguardo intenerito a Camus, che dormiva profondamente, e al visetto della ragazzina, parzialmente nascosto tra le lenzuola, con il braccio sinistro appoggiato appena sul torace del loro maestro.

“Hai ragione, ma...”

“Temi ancora per la salute di Camus, giovane Isaac, vero? - chiese Milo, capendo cosa si muoveva dentro di lui, che infatti si morse il labbro inferiore prima di annuire – Non hai nulla da temere, lo veglio io per stanotte, tu pensa a ristabilirti”

Il ragazzo non sembrava affatto convinto, non per mancanza di fiducia, certo, ma proprio perché non voleva abbandonare il fianco dell’amato maestro. Scocco più volte un’occhiata sia a lui che al Cavaliere di Scorpio, domandandosi se davvero potesse concedersi un po’ di riposo.

“Io...”

“Forse è davvero meglio così, Isaac, anche noi dobbiamo riposarci, cosicché il maestro sia spinto maggiormente a guarire in breve tempo! - provò a convincerlo anche Hyoga, prendendolo da sottobraccio per sorreggerlo. Lui non si oppose, da quanto fosse stanco – Vedi?”

“Hai ragione, Hyoga… - accettò infine la proposta, dando un’ultima occhiata a Milo – Abbi cura di lui, ti prego, se ci sveglia chiamaci!” disse, lasciandosi condurre fuori dal compagno di addestramento.

Milo rimase in silenzio per diversi minuti, talvolta accarezzando Sonia che teneva gli occhietti aperti e dolenti ed era rannicchiata contro il corpo di Camus.

“Guarirà, vero?”

“Ma certo, frugoletta, lo conosci bene anche tu, lui non si arrende mai, è una testa di rapa bella e buona!”

Sonia ridacchiò, voltandosi dall’altra parte per acciuffare il braccio libero di Camus, steso immoto al suo fianco. Lo raccolse, rannicchiandosi ulteriormente, stringendo le palpebre per mascherare il dolore.

“La sua pelle… è sempre così calda! Mi addormenterei in questo tepore!” biascicò, chiudendo gli occhietti stanchi e nascondendosi nella piega del gomito di Camus.

“Pulce, hai freddo?” chiese Milo, notandola rabbrividire, prima di guardarsi intorno alla ricerca di una coperta in più, che non trovò nell’immediato. Ma la ragazzina negò con la testa.

“No, vorrei solo che stesse meglio...” disse, prima di chiudere gli occhi e addormentarsi.

Milo la osservò prendere sonno, cadendo sempre più nel limbo e nell’innocenza tipica dei bambini; perché per lui era ancora una bambina, c’era poco da fare. La sistemò meglio, posizionando anche il braccio di Camus in modo che la potesse circondare, perché lui aveva bisogno di percepirla tanto quanto lei. Fatto questo, si accasciò sulla sedia, buttando fuori l’aria.

Sarebbe stata una lunga notte, già lo sapeva, la casetta, pur accogliente e confortevole, non era caldissima e, con l’avanzare delle tenebre, avrebbe ceduto mano a mano calore indipendentemente dal caminetto del soggiorno. Tornò a guardare il suo migliore amico, anche lui sembrava dormire più sereno e tranquillo, probabilmente percependoli al di fuori delle sue palpebre abbassate. Sorrise ancora, accarezzandogli i capelli con dolcezza.

“Ciò di cui hai bisogno ora, è il calore, Camus dell’Acquario… siamo tutti con te, ancora una volta, guarisci presto, te ne prego, Mago dell’Acqua e del Ghiaccio!”

 

 

* * *

 

 

Erano passate un paio di ore senza che Milo staccasse mai gli occhi di dosso dall’amico. Trepidante, in attesa di un suo risveglio, che sperava potesse essere in tempi brevi.

Aveva seguito con attenzione il mutare del suo respiro, i movimenti che Camus inconsapevolmente compiva, come quello di ruotare la testa per sistemarsi meglio, o cercare di spostare invano il braccio destro, avvertendo impiccio, e poi ancora le sue labbra, che ogni tanto si dischiudevano, verseggiando qualcosa di non capibile, e le palpebre, che ad un certo punto avevano preso a fremere, prima di rilassarsi del tutto nel percepire le dita di Milo accarezzarlo con dolcezza. Lo toccava spesso in effetti, a volte coprendolo un po’ di più, altre volte stringendogli la mano adagiata sul letto, altre ancora a discostargli un ciuffo dalla fronte, con premura e dedizione.

Il Cavaliere di Scorpio era stato a lungo solo nella stanza. Camus era ancora sedato, la piccola dormiva al suo fianco, rannicchiata su sé stessa, eppure un sacco di ricordi lo erano venuti a trovare, facendogli compagnia, lasciandogli sfuggire un sorriso dolce, mentre fuori il vento artico imperversava.

Erano memorie legate alla loro infanzia, come quando Milo, cercando di vincere la timidezza di Camus, aveva cercato di convincerlo a togliersi la maglietta per prendere un po’ di sole, con il risultato che il francese si era ustionato la schiena, da quanto fosse delicata la sua pelle, e poco ci era mancato che non uscisse anche un eritema.

O ancora come, di ritorno dagli allenamenti in Siberia per diventare Sciamano, lui lo accoglieva, correndo ad abbracciarlo e subendo le rimostranze dello stesso Acquario, non abituato al contatto fisico così aperto e sincero.

 

Tutte storie, poi! Fai tanto il sostenuto, dicendo che non ami le moine quando poi ti tranquillizza essere toccato dalle persone che ami. Ti piace tanto abbaiare, Camus dell’Acquario, fingendo di essere ciò che non sei, sperando che qualcuno ti creda, ma… basta conoscerti un po’ meglio, varcare i confini, i muri che alzi tra te e gli altri per comprendere che così non è. Potrai darla a bere ad uno come Death Mask, forse, ma non a me, né ai tuoi allievi e tanto meno a Sonia.

Sei più che prezioso, non te ne rendi conto nemmeno completamente, i tuoi ragazzi, nonché Sonia, ti adorano follemente, ed io… io ti voglio un bene dell’anima, Camus! Mi fai tribolare, penso che prima o poi mi verrà un infarto nel vederti buttare al vento la tua vita, credendola superflua, ma sei insostituibile per me, la famiglia che non ho mai avuto.

Sì, tu e Sonia siete la mia famiglia, le pietre miliari della mia esistenza, non so se riuscirai mai a capirlo del tutto, così preso come sei a sacrificarti per gli altri, ad andare oltre i tuoi limiti, ma è esattamente così, amico mio…

 

Aveva preso a vezzeggiare i capelli di Camus continuamente, partendo dallo strano cespuglietto fino al collo, sorridendo tra sé e sé, chinandosi ulteriormente verso di lui. La mano scese seguendo la spalla e poi il braccio, prima di staccarsi un attimo per regalare una leggera carezza a Sonia dormiente e ritornare così su di lui, sul polso, che gli cinse, prima di posare il palmo nel suo e chiudere gli occhi.

Stette lì per una serie di secondi, immobile, il fiato corto al solo pensare quanto gli volesse bene. Fuori il vento ululava, sbattendo più volte sulle finestre, come impazzito.

“B-Bilo...”

Per un solo secondo credette di essere chiamato da Sonia, ma qualcosa nel suo palmo contraccambiò la stretta, mozzandogli il fiato prima ancora di essere completamente in grado di aprire gli occhi. La piccola, del resto, dormiva ancora, era qualcun altro ad averlo chiamato debolmente e a stringergli di riflesso la mano. Era…

“...Camus!” sussurrò, meravigliato, sbattendo più volte le palpebre, come se non ci credesse. Effettivamente il suo migliore amico aveva riaperto gli occhi scuri e distanti e lo stava guardando, sebbene il suo stesso sguardo sembrasse talmente remoto da apparire come non suo.

Camus si sforzava di rimanere sveglio, coniugando tutte le forze per focalizzare la presenza davanti a lui che aveva riconosciuto ma di cui non riusciva a distinguere le forme. Scrollò debolmente la testa, aprendo e chiudendo le palpebre nel cercare di renderlo nitido davanti a lui, cosa che non gli riusciva. Si sentiva intorpidito, infreddolito, vulnerabile, nudo, tra le coperte del letto, serrò la mascella producendo un debole gemito. Provava ottusamente a muovere il braccio destro ma non ci riusciva, le gambe quasi non le sentiva nemmeno. Si agitò.

“Va tutto bene, Cammy, è normale che tu ti senta strano, gli effetti del sedativo non sono ancora spariti del tutto!” provò a calmarlo, tornando ad accarezzargli i capelli.

“B-Bilo, sei… davne tu? N-non riesco a...”

Credeva di essere stato chiaro, ma si accorse di avere la lingua pesante, quasi come se fosse attorcigliata. Alcune parole, che pure la sua mente pensava, non erano in grado di essere pronunciata, strepitò a quel pensiero.

“Cosa? Distinguermi? Riconoscermi?” tentò Milo, scendendo con la mano sulla spalla.

“So c-chi sei… - barbugliò, orgoglioso, riaprendo a fatica gli occhi, che tuttavia continuavano a mostrargli i contorni sfocati. Una luce venne accesa, portandolo d’istinto a serrare nuovamente le palpebre pulsanti e a voltarsi nuovamente dall’alta parte – Non ti riconosco ma ti ved… no, volevo, dire ti...”

Cosa voleva dire? Ti vedo ma non ti riconosco? Non ti vedo ma ti riconosco? Oppure... Era sempre più confuso, la testa gli girava e continuava a non capire perché non riuscisse ad alzare lo stramaledettissimo braccio destro, come se qualcosa gli impedisse di muoverlo.

“S-so chi sei...” ripeté testardo, gli sembrava importante.

“Beh, è già un passo avanti, Camus!”

“I-io… urgh!”

“Ehi, datti tempo, amico mio… non sei ancora in forze!” lo fermò subito Milo, trattenendolo sul letto, perché stava cercando di alzarsi come se nulla fosse, sebbene l’addome fosse ancora contratto dal dolore.

A quelle parole, Camus si tranquillizzò, rilassandosi sul letto, il respiro un poco accentuato, gli occhi nuovamente chiusi, la testa che girava vertiginosamente e gli procurava nausea.

Milo gli sistemò nuovamente il lenzuolo sopra il torace, dando al contempo una controllata a Sonia, ancora addormentata, stremata dalla lunga attraversata. Passarono una serie di minuti, Camus sembrò quasi cadere in una nuova letargia, portando lo Scorpione a chinarsi verso il suo volto per controllare se dormisse, ma proprio in quel momento i suoi occhi stanchi si riaprirono.

“Mi.. siete… mancati...” farfugliò debolmente, le iridi appena un poco più accese e presenti rispetto a prima, un fremito a scombussolargli il corpo.

“Co-cosa?” chiese Milo, convinto di aver capito male.

“Tu e Sonia...” lo accontentò placido, socchiudendo nuovamente gli occhi e tastando vicino a sé con la mano sinistra, trovandovi la piccola e soffermandosi su di lei, come a volerla stringere. Dunque li aveva davvero percepiti, c’era da aspettarselo.

Milo arrossì, grattandosi la testa un poco a disagio, prima di passargli una mano tra i capelli: “Per gli dei… quanto devi essere rincoglionito ancora, per pronunciare una cosa simile?” ridacchiò, finalmente sereno.

Camus non rispose, continuava a fissarlo. Stanco, spossato, vulnerabile, ma il suo sguardo, mano a mano che il tempo passava, si faceva sempre più sicuro e brillante, scacciando le nebbie e le ombre dell’incoscienza. Era emozionante rivederlo, passo passo, riprendere facoltà di sé stesso.

Ad un certo punto, dopo un’altra serie di minuti, Camus piegò la schiena alla disperata ricerca di qualcosa che non riusciva più a trovare. Si osservava intorno, sperso, farfugliando un “ma dov’è?” che ancora faticava ad uscire dalle corde vocali.

“Cosa cerchi?”

“Isa-ac...”

“E’ su di sopra, l’ho spedito a dormire”

“No, non mi riferivo a, urgh...” una nuova fitta alla pancia lo aveva costretto a ricadere sul letto, il respiro accelerato, gli occhi di nuovo serrati e una smorfia di dolore sul viso candido.

“A cosa allora?”

“Al… - prese una breve pausa, come se parlare chiaramente gli desse ancora non pochi problemi – r-regalo”

“Quale regalo?”

“Quello di Isaac… era qui, al mio f-fianco, dove…?”

Camus sembrava agitato nel non trovare quanto stava cercando, forse preoccupato di averlo perso ma non avendo altresì le forze nel rintracciarlo.

Milo, guidato dall’istinto, aprì il cassettino del comodino, trovandovi proprio il pacchetto. Sorrise.

“E’ qui, Camus, Isaac deve avertelo messo a posto quando ti sei addormentato”

“Mo-mostramelo e… s-sì, è q-quello...” si rilassò, respirando pesantemente.

“Il tuo allievo ti ha fatto un regalo?”

“S-sì, il mio… Isaac!”

“Lo vuoi aprire?”

Camus scrollò la testa, affondando nel cuscino.

“No, lascialo lì, i tempi non sono maturi per...”

“Per...?”

“Ho promesso al ragazzo che lo avrei aperto… in un altro momento...”

Milo richiuse il cassetto con il pacchetto, mentre il suo migliore amico girava la testa per fissare il soffitto, un lieve sorriso sulle sue labbra, la mano libera impiegata a coccolare la piccola Sonia.

Seguirono altri minuti, un altro paio di metri di percorso di Camus dall’incoscienza, dettata dal sedativo, alla presa di sé sempre maggiore.

“Milo… - ormai riusciva a parlare senza pasticciare le parole, anche se il tono era fievole – Sai cosa stai rischiando ad essere venuto qui? Il Grande Sacerdote...”

Eccolo che cominciava con la paternale, di sicuro le sue condizioni erano in lento, ma graduale, miglioramento. Lo Scorpione trasse un respiro di sollievo.

“Ho chiesto al Nobile Shion un permesso per oggi, stai tranquillo… - gli mentì a fin di bene, tornando poi a guardarlo – A proposito, buon compleanno, amico mio! Certo, non uno dei migliori, visto come sei conciato, ma è ancora il 7 di febbraio e, come ogni anno, ci tenevo a...”

“Grazie, Milo, davvero! Sono contento di... - fermò il discorso, imbarazzandosi oltremisura davanti a parole che non era in grado di pronunciare, regalando poi una breve occhiata alla piccola. Era contento di averli lì, null’altro, avrebbe voluto che rimanessero lì, anche se sapeva che non era possibile. Trasse un nuovo, più profondo, respiro, avvertendo una nuova fitta all’addome – Mi siete mancati… tanto...”

“Ohibò, sei ancora sottosopra?! E’ scioccante sentirtelo dire!” ridacchio lo Scorpione, socchiudendo un occhio e grattandosi la testa, a disagio.

“E’ la verità… - confermò, rilassato, accarezzando con movimenti lenti la chioma della ragazzina e sorridendo teneramente – Ma non avresti dovuto portarla con te, non è abituata a questi climi così rigidi...”

Altro abbozzo di paternale, ottimo!

“Voleva venire a qualsiasi costo, sai com’è fatta… era in pena per te!”

“Ha le estremità molto fredde e il nasino gocciolante, tutto rosso… - gli fece notare Camus, stringendole la mano destra, che a confronto con la sua sembrava minuscola, – Sonia...” la chiamò poi, facendole girare dolcemente il viso nella sua direzione. La ragazzina non rispose, ma le sue dita si strinsero tiepidamente alle sue per riflesso.

“Dorme ancora come una bambina, sembra così innocente...” si ritrovò a sorridere lo Scorpione, intenerito.

“E’ così cresciuta...”

Camus compì un movimento per sistemarsi meglio e farla adagiare sul suo petto, ma a metà strada si accorse di non averne le forze. Sospirò affranto maledicendo la sua debolezza.

“M-Milo, mi serve un favore, anf...”

“Un favore? Certo, Cam, basta che non ti muovi, sei davvero ai minimi termini!”

“Prendila un attimo in braccio e mettila sotto le coperte, q-qui, con me, ha le manine gelate e non vorrei prendesse troppo freddo. L’isba è confortevole ma tende a raffreddarsi piuttosto velocemente”

Milo eseguì, era abituato a tenerla in braccio, e Sonia era troppo stremata per opporsi, o per risvegliarsi. La sollevò, posandole il visetto sopra la propria spalla, prima di scostare le coperte e riadagiarla accanto all’Acquario, il quale non si perdeva il più piccolo movimento.

“Poggia pure la sua testolina sul mio petto”

“Cam, lo capisco, hai bisogno di sentirla vicino a te, ma… non starai chiedendo uno sforzo troppo in là per il tuo fisico? Respiri ancora con rilevante difficoltà, non vorrei che...”

Ma Camus negò, sorridendogli sereno.

“N-no, prima ho tenuto Isaac q-qui… lei è più piccina, ce la faccio...”

Milo capì che il suo bisogno di sentirla vicina era superiore alla stanchezza e al dolore che certamente provava ancora, sorrise, pensando che era sempre, sempre, il solito, mostrava il suo vero sé stesso solo in circostanze critiche, celandosi in tutte le altre. L’accompagnò sul letto, sistemandola come Camus voleva, il braccio sinistro sopra il suo sterno, come se lo stesse abbracciando, dandole al contempo una carezza tra i capelli.

“B-Bilo, Camus starà… bene… vero?” chiese la piccola, a metà strada tra il sonno, il sogno e la realtà che la circondava e che avvertiva appena.

“Ora che ci siete voi con me sto già molto meglio, e ora dormi, frugoletta” la rassicurò lui, cingendola con il braccio libero, chiudendo a sua volta le palpebre, sereno.

Sembrava ancora molto stanco, non c’era da stupirsi visto quello che aveva passato.

“Ho mandato a dormire Hyoga e Isaac, erano veramente stremati, anche se cercavano di non dimostrarlo”

“Hai fatto bene, non hanno chiuso occhio per prendersi cura di me, anf, i miei coraggiosissimi allievi...” si lasciò sfuggire, facendo ridacchiare Milo. Era stremato e in vena di tenerezze, un po’ meno Aquarius, molto più Camus, gli lisciò di nuovo i capelli con le dita, mentre, lentamente, lo vedeva assopirsi di più.

Stette lì immobile, la mano nella sua chioma, mentre lo osservava cedere al sonno, sempre più tranquillo. Guardò la piccola, poi ancora lui, i suoi tesori più preziosi, prima di sistemare le coperte del letto sopra di loro. Ne erano entrambi avviluppati, dormivano placidi; Sonia ancorata al torace di Camus, girato di profilo nella sua direzione, il respiro regolare, percettibile dal lieve tremolio di alcuni ciuffi castani della ragazzina che al suo respirare vibravano appena. Così vicini uno all’altra, finalmente ricongiunti, così beati...

Milo infine si alzò, sorridendo sornione, accarezzando di nuovo sia lei che lui, prima di dargli le spalle. Li credeva addormentati, ma parlò comunque, chiarendo le sue intenzioni.

“Vado un attimo in bagno, torno subito, non preoccupatevi!”

Era già sulla maniglia della porta, quando, debolmente, dal letto, gli giunse una voce, come se non avesse aspettato altro momento per esprimersi.

“Milo… anche tu sei la mia famiglia, non dimenticarlo mai! So bene di essere un casino, anf, ma… grazie… grazie per rimanere comunque al mio fianco!”

Si girò sconvolto, quasi non credendo a quanto aveva appena udito.

“Ma tu… hai frugato nei miei pensieri, prima, quando eri ancora incosciente?! Come…?!”

Ma l’Acquario non rispose, si era addormentato. Milo fu quasi tentato di tirargli scherzosamente qualcosa. Se ne usciva con frasi così ma dormiva, oppure usciva con frasi così proprio perché stava dormendo e aveva meno filtri, chissà… ma lo aveva percepito; percepiva tutto, quel dannato, ma non lo palesava, se non quando stava male e stava vivendo una crisi profonda, ed era quindi vulnerabile.

 

Dannato. Mi fai tribolare, ma non ti scambierei con nessuno, Cam, MAI! Ci uscirò di testa, con te, un giorno, già lo so, eppure ho scelto io, TI ho scelto, e non rimpiango nulla. Sei un uomo straordinario, Camus, se solo te ne rendessi conto anche tu, risolveremmo una marea di problemi che tu ti auto-imponi come fardello che hai scelto di portare.

Ti voglio bene, Cam, e spero di rivederti presto in piedi, senza quell’enorme ematoma sul tuo addome, senza quel taglio che sembra il residuo di un parto cesareo e che, proprio per questo, mi fa così impressione. Conserva le forze per guarire, non strafare come tuo solito. Al resto pensiamo noi!

 

Così pensò, sicuro che il messaggio gli sarebbe arrivato, in un modo o nell’altro. Sorrise ancora una volta, emozionato, il cuore che batteva all’impazzata, prima di richiudersi la porta dietro le spalle e dirigersi finalmente in bagno.

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Al solito, dopo l’angst, cosa potrebbe esserci, se non il fluff? Sul serio, come sono diventata prevedibile XD

A parte gli scherzi, non vi tedierò a lungo questa volta, giuro, anche perché il capitolo è già discretamente lunghetto e qui non c’è nulla da dover spiegare, se non che, sì, in partenza avrebbero dovuto essere due o tre i capitoli incentrati in Siberia, ma è l’ultima occasione per trattare di Camus, Hyoga e Isaac insieme, quindi ci sto prendendo gusto. Ho voluto far conoscere Milo (e Sonia) ad entrambi gli allievi, mi sembrava giusto e doveroso, anche perché, tra non molto, il Cigno diventerà uno dei principali personaggi di questa storia, visto che mi preme molto descrivere e scrivere del dopo Battaglia delle 12 Case, della sua reazione, di Milo, che sceglie di proteggerlo, e di cose così, tra cui anche il rapporto con Sonia che, dalla mia serie principale, sappiamo essere burrascoso (ma non qui!).

Alcuni parallelismi quivi presenti:

1) Qualcuno, leggendo di Milo e Sonia a Pevek ha pensato a Cardia e Sasha? Il riferimento non è casuale, lo stesso Scorpione si è sentito strano ;)

2) L’atteggiamento che Hyoga ha verso Sonia, quel suo prenderla per mano per portarla da Camus, steso sul letto, e accompagnare il suo gesto della mano, è simile alla scena modificata nel capitolo 37 di Sentimenti che attraversano il tempo dove, mi aggiunta, Marta, Francesca e Michela si prendono cura di Camus dopo la peste, dovendogli lavare la schiena, ma quest’ultima, la più piccola delle tre, si immobilizza esattamente come Sonia qui, e Dègel fa esattamente quello che fa Hyoga qui. L’ho già detto, no, che trovo i due personaggi estremamente simili?! ;)

Mi sono dilungata anche fin troppo! Come sempre, rinnovo i miei ringraziamenti a tutti quelli che mi seguono, sono consapevole che ultimamente sto pubblicando molto meno del solito (circa un capitolo nuovo al mese) ma ho parecchi testi da scrivere e, come al solito, la vita reale chiama. Spero comunque possiate apprezzare! A presto!

 

 

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Capitolo 17
*** Per amicizia, per amore e... per gelosia! ***


Capitolo 17: Per amicizia, per amore e... per gelosia!

 

 

 

Siberia dell’Est, 9 febbraio 2008

 

 

“Dove diamine state già andando?!”

La voce acuta di Isaac lo raggiunse mentre, con i piedi nudi, il busto scoperto e i pantaloni del pigiama, perché altri indumenti gli davano costrizione, tentava di arrancare verso il bagno. Cercò di non dargli peso, compiendo un altro passo che gli costava fatica, ma l’allievo gli fu subito davanti, le sopracciglia arcuate, in un’espressione da perfetto maestrino e una strana piega sulle labbra. Sospirò.

“In bagno. Posso andare in bagno in casa mia, Isaac, o devo chiederti il permesso?”

“No, se vi è stato più volte detto di rimanere a letto!”

“Ho stimolo, non vorrai che mi metta a farla nel...”

“...Pannolino? Sì, secondo le direttive di Elisey!”

“Ah, da quando segui le sue direttive e non le mie?!” lo pizzicò sottilmente, infastidito dalla presa di posizione dell’allievo.

“Da… da ora, se serve per occuparvi della vostra salute, cosa che voi NON fate, da solo!”

“Ho passato l’età infantile da un pezzo, Isaac! Ora ti puoi spostare? Devo andare in bagno! E’ urgente!” ripeté per la terza volta, perentorio.

“No, la fate nel pannolino!”

“NON LA FACCIO IN QUELL’AFFARE! Posso muovermi, ne ho le forze, e ora scansati!” tranciò il discorso, spostando l’allievo con il braccio destro, sebbene muoverlo gli procurasse ancora dolore, visto che fino al giorno prima era ancora legato alla flebo.

“SIETE UNA..! - si trattenne, rendendosi conto di non poter esprimersi come avrebbe voluto, perché, così facendo, gli avrebbe mancato di rispetto - Ha ragione Milo, non so proprio come faccia a sopportarvi!”

“Uhmpf...” fu la serafica risposta del maestro, prima di trascinarsi fino al bagno e chiudersi dietro la porta con un rumore sordo.

Isaac si passò una mano tra i capelli, nervoso, prima di tornare da Hyoga e Sonia, che erano rimasti a guardare la scena senza dire una parola.

“A volte vorrei sbattergli la testa contro il muro!” spiegò, tentando di calmarsi.

“Beh, almeno si è sbloccato...” tentò di guardare il lato positivo Hyoga, ridacchiando.

“Sì, ma non gli fa bene muoversi, hai visto come era piegato? Come si trattiene la pancia, vessata ancora dal taglio e dall’ematoma? Ha ancora un male atroce, ma si alza e va come se nulla fosse, incurante di sé stesso!”

“Stai parlando di te o di lui, Isaac?” sorrise Hyoga, paziente. Suo fratello arrossì, colto in fallo, scrollando la testa borbottando qualcosa. Aveva ancora il bendaggio al petto, anche se meno serrato, gli dava un fastidio incommensurabile, meno comunque di Camus che, così ridotto, andava da solo in bagno, quando avrebbe dovuto rimanere fermo a letto.

“Di lui...” bofonchiò, rosso in viso.

“Ma tu non sei molto diverso, giusto? La lussazione, il rigetto… passavano in secondo piano per...”

“Io se devo star fermo, sto fermo!” tentò di opporsi Isaac, sempre più imbarazzato.

“Ma davvero? E da quando?!” Hyoga inarcò un sopracciglio, divertito.

“Da… sempre!” la buttò lì, ben sapendo che non era vero.

“Ricordi male!” affermò Hyoga, tirandogli appena un orecchio, prima di scoppiare poi a ridere insieme a lui, che continuava a mugugnare ma sembrava aver colto la vena ironica.

Sonia, dalla sua posizione, li osservava divertita, continuando a studiarli per comprendere meglio il loro temperamento. Erano molto diversi, per essere stati cresciuti dalla stessa persona, eppure si volevano un gran bene, come due fratelli di sangue.

Aveva ottenuto il permesso da Milo di rimanere un paio di giorni lì, ad aiutare i ragazzi a prendersi cura di Camus, ancora debole e provato. Lo Scorpione, invece, già dal giorno prima, complice i suoi doveri, era dovuto tornare in Grecia, affidando tutto a loro. L’Acquario non stava ancora bene, erano riusciti a tenerlo a bada per un po’, costringendolo a letto quando invece lui voleva già alzarsi e tornare a fare ciò che faceva prima, non sopportando l’idea di essere un peso per i suoi allievi e per la piccola. Coadiuvando gli sforzi di tutti e tre, erano riusciti a trattenerlo per le 24 ore posteriori al suo risveglio, ma quella mattina eccolo bel bello in piedi, piegato in due, traballante, una mano premuta sull’addome, a dirigersi in bagno con le sue forze per un bisogno fisico che era un po’ più che la semplice urina.

“Almeno si è sbloccato, finalmente!” ribadì Hyoga, pratico, facendo spallucce, perché in effetti il maestro, complice l’ematoma, era rimasto stitico per un serie di giorno.

“Che meraviglia… di immagine!” commentò sarcastico Isaac, incrociando il braccio libero sopra l’altro, sbuffando come una locomotiva, attendendo che Camus si palesasse fuori, cosa che infatti avvenne pochi minuti dopo.

Lo videro arrancare di nuovo, chiudendosi la porta dietro, speravano ardentemente che si dirigesse in camera, ma quando notarono che virava verso il soggiorno, sussultarono tutti e tre, capendo che non si sarebbe più rimesso a letto.

Hyoga scoccò un’occhiata preoccupata ad Isaac, le cui pupille emanavano una scintilla di sdegno. Meno tre… due… uno…

“Dove diamine state pensando di andare adesso?! A passeggiare?! Il letto è dall’altra parte!!!”

“Santissimi dei...” imprecò Camus nell’udire nuovamente il tono di Isaac raggiungerlo, prima ancora della mano dell’allievo, che lo prese per il braccio sinistro. Lo guardò torvamente, affatto docile.

“Dove pensate di…?”

“A bere dell’acqua e a sedermi in soggiorno, posso?!” domandò ironico Camus, inarcando un sopracciglio.

“No!”

“Ti stanno sfuggendo le gerarchie, Isaac… SONO IL TUO MAESTRO, non il vicino della porta accanto con cui puoi permetterti di essere in confidenza!”

“A voi sfugge la prudenza, invece!” ribatté l’allievo, cercando di non dimostrarsi ferito dalle sue parole.

Era vero, era il suo maestro a cui doveva rispetto, ma come poteva lui, Camus, ora, fare finta che non fosse successo niente? Dimenticare che lo avesse chiamato col nome che gli era sempre spettato: papà, che gli avesse rivelato finalmente che gli voleva bene. Insomma, dopo i fatti con Zima, si erano tutti presi cura di lui, come una vera e propria famiglia, non era più possibile tornare indietro!

Era proprio vero, Camus era il suo maestro, ma non solo, era un padre, un esempio, un sostegno, un, anzi, IL pilastro centrale della sua esistenza; non sarebbe stato più come prima, Isaac lo percepiva bene, eppure, una volta passata la crisi, sembrava quasi che Camus volesse ricondurre forzatamente tutto alla situazione precedente, relegando, ancora una volta, i suoi sentimenti personali dentro di sé.

“Necessito di sgranchirmi le ossa, ho le gambe atrofizzate da quanto sono stato a letto, non sto andando in missione o...”

“Perché infatti è normale nelle vostre condizioni, con un ematoma sull’addome, dopo aver avuto un arresto cardiaco, prendere e andare a spasso per la casa come se nulla fosse!”

“Non sto andando a spasso, sto...”

“Vi state muovendo e non dovreste!”

“Tu mi ostacoli e non dovresti, perché mi fai stancare!” gli ribaltò furbamente la situazione, quasi sorridendo.

“Io devo preservarvi, voi da solo non...”

“Detto da chi ha avuto un rigetto, rifiutando comunque di lasciare il mio fianco per prendersi cura di me, giusto?! Stai parlando proprio tu, Isaac?!”

“Da un Maestro incurante di sé stesso non può che discendere un allievo altrettanto...”

“IO SAREI COSA?!”

La situazione si stava scaldando, mentre i due contendenti, a dispetto della propria stanchezza, nonché di aver rischiato la vita, avevano preso a bisticciare per la solita lotta di principi.

Sonia li guardò preoccupata, ricercando il sostegno di Hyoga, con lo sguardo.

“Fanno sempre così?”

“Da una anno a questa parte sì, ogni giorno. Trovano sempre il modo di azzuffarsi...”

“Certo che devi avere una pazienza...”

“Più o meno...”

Sonia gli sorrise raggiante, dandogli una pacca sulla schiena, come a voler dire che intendeva perfettamente, e che lo capiva. Hyoga le piaceva molto, aveva una sensibilità del tutto simile a quella di Camus, sebbene anche lui, proprio come il maestro, si sforzasse di celarla con tutto sé stesso. Con lui si sentiva bene, si erano trovati a parlare spesso in quei due giorni, nonostante gli occhi del biondo fossero sfuggenti e il suo temperamento tendesse a scivolare via dalle mani di chiunque. Sonia credeva di aver inteso completamente la sua natura, era davvero un bravo ragazzo, impossibile non affezionarcisi, ma avvertiva anche qualcosa di profondo, di rotto, dentro di lui, un rimpianto, un dolore non ancora colmato.

Ad un certo punto, nel pieno della discussione, Camus ebbe un capogiro, costringendo così l’allievo a sorreggerlo con la spalla sana. Hyoga e Sonia ebbero un sussulto a quella visione, precipitandosi in avanti.

“Ecco, lo vedete?!”

Camus non rispose a quell’ultima esclamazione, intento com’era a controllare il respiro e a trattenersi l’addome con la mano destra, perché una fitta più intensa del normale gli era arrivata fino al petto.

“Maestro!”

I due allievi e la piccola erano preoccupati, lo si percepiva dal tono di voce. Camus si ritrovò nuovamente a maledire quel suo malessere che lo rendeva così fragile agli occhi delle persone che amava. Si strinse la pelle del fianco sinistro, massaggiandosela, provandone un intenso dolore, oltre al fastidio e alla perenne sensazione di peso che avvertiva da quando si era risvegliato. L’ematoma era lento a riassorbirsi, il sangue fuoriuscito dai vasi non era stato poco.

“Lo vedete che non siete in grado di...”

“Va bene! - fermò il discorso Camus, anche se ammetterlo gli costava tanto – Mi riposerò, ma sul divano, non… non voglio più stare in un letto, come se fossi malato, mentre voi vi occupate della casa e fate i lavori che dovrei fare io!”

“Ma Maestro...”

“Starò… seduto… visto che ci tenete così tanto, ma...”

“Solo seduto, davvero? Non è che poi vi viene in mente di alzarvi e lavare i piatti, o cucinare, o...”

“ISAAC… - il tono gli era salito più del dovuto, le guance gli si erano imporporate – Sta diventando davvero imbarazzante questa tua indole innata da maestrino. Starò seduto in vostra compagnia, solo… questo! Non mi sembra di chiedere molto”

“Va bene!” tagliò corto l’allievo, afferrandolo meglio da sotto l’ascella per condurlo nel soggiorno, ma ricevendo, per tutta risposta, un mormorio di lamentela.

“Posso… camminare da solo!”

“Arrancando come un disperato, piegato in due, dolorante, ma sì, potete farlo. E’ uno spreco di energie del tutto inutile, però!”

“Isaac...”

“Siete così incurante di voi stesso e, così facendo, anche di noi, gli allievi, di Sonia e Milo, che sono giunti qua apposta per voi. Perché non capite di essere più che prezioso, per noi?!” affermò con forza, arrossendo nell’imprimere enfasi in quella frase. Arrossì anche Camus. Nettamente, distogliendo lo sguardo. Anche lui sapeva perfettamente che non sarebbe stato più come prima, solo… non sapeva come avvezzarcisi. C’erano dei doveri ben più importanti in ballo, quelli venivano prima.

Isaac condusse il maestro fino al soggiorno, seguito a breve distanza da Sonia e Hyoga, che tuttavia rimanevano in disparte. Lo sistemò sul divanetto, accompagnandolo giù, nonostante Camus tentasse di opporsi. Era evidente che non volesse sdraiarsi, malgrado il dolore, cercava posizioni alternative, ma nessuna di quelle gli concedeva requie, perché l’addome gli provocava fitte violente, esaurienti circa il suo reale stato fisico, sebbene cercasse di nasconderlo agli occhi degli altri. Alla fine cedette, coricandosi in posizione supina, sospirando. Hyoga e Sonia lo raggiunsero in apprensione, mentre Isaac estraeva una coperta dall’armadio per posargliela sopra. Il gesto però venne accolto da nuove rimostranze.

“Dei, così no, sembro davvero un malato!”si lagnò, spostando con stizza la coperta di lato, gesto che lo sfiancò tantissimo.

“Non lo siete, forse?!”

“No, sono solo...”

“...Ferito gravemente? Sì, è proprio per questo che starete a riposo!”

Isaac sembrava nuovamente sul piede di guerra, riprese la coperta per rimettergliela ottusamente addosso, perché Camus aveva la pelle d’oca ben visibile, aveva freddo a causa della febbre, ma non lo avrebbe mai ammesso.

“I-Isaac, n-non… fa sufficientemente caldo, qui, non occorre!” ributtò giù la coperta.

“Ma se state tremando!” la riprese l’allievo, risistemandogliela ottusamente sopra.

“E’… per lo sforzo, o...”

“Per lo sforzo e perché avete freddo, Maestro! Volete dissimulare anche su questo?! La vostra pelle d’oca parla da sola, quindi vi terrete la coperta addosso, oppure...”

“Non voglio litigare, Isaac...” si arrese infine Camus, probabilmente preso per stanchezza, sospirando e chiudendo gli occhi. Finalmente accettò anche la benedetta coperta, suo malgrado.

“Neanche io, Maestro, davvero! E’ solo che… è così difficile!” ammise a sua volta l’allievo, esitante.

Alla fine gli prese maldestramente la mano sotto alla trapunta, stringendola poi tra le dita con forza. Camus non riaprì gli occhi, ma si sistemò meglio sul cuscino, ricambiando goffamente la stretta. Da quello, solo da quello, il giovane Isaac capì che era davvero cambiato qualcosa tra loro, anche per lui, che pure tentava di non dimostrarlo. Il rapporto si era ulteriormente approfondito, come se, insieme, avessero aggiunto una nuova tacca, un nuovo obiettivo. Il maestro non aveva affatto dimenticato le parole che si erano scambiati nel letto, mentre lo tratteneva a sé come quando era piccolo. Sorrise fiero e orgoglioso a quel pensiero, arrossendo.

Camus era stanco, sfinito, il fatto di essere andato in bagno da solo aveva esaurito le poche forze accumulate, era così lampante, eppure si ostinava a fare di testa propria. Isaac sospirò nel pensare a quanto cocciuto fosse, sedendosi poi docilmente al suo fianco, la mano ancora intrecciata alla sua, per poi passargli l’altra, che riusciva a muovere appena perché la spalla era ancora contusa, tra i capelli per accarezzarlo. Lo vide rilassarsi sensibilmente al suo tocco, il respiro non ci mise molto a farsi sempre più profondo e ben cadenzato con il lento alzarsi e abbassarsi del suo torace, ben visibile, malgrado la pesante coperta che lo avvolgeva. Si era infine addormentato in un battibaleno, prosciugato, e menomale che diceva di essere abbastanza in forze per le incombenze domestiche!

“Siete sempre, sempre, il solito! Testardo fino al midollo! - asserì, buttando a sua volta fuori aria, prima di girarsi su un fianco, sorridergli teneramente e appoggiarsi allo schienale, chiudendo gli occhi a sua volta – Dovete riposare, Maestro!”

Sonia avrebbe voluto seguire l’esempio del suo allievo, stargli vicina, cingergli a sua volta la mano, ma se lo impediva, reputando più indispensabile il tocco degli allievi. Pensò di riflesso a Milo, una spiacevole sensazione la avvolse: chissà come stava? Sembrava un poco teso alla sola idea di dover tornare subito al Tempio.

“Se vuoi stare vicina al Maestro Camus, fai pure, Sonia, gli farà senz’altro piacere!” intervenne Hyoga, come se le avesse letto nella mente, sbalordendola.

“Se ci vado io… non c’è spazio per te!”

“Non ha importanza, ho delle faccende da sbrigare in casa, essendo quello messo meglio di salute – le fece un accenno di sorriso, dandole poi le spalle per mascherare il suo malessere, che tuttavia traspariva dal suo tono – E poi il Maestro Camus ha molto più bisogno di voi, che non di me!”

“Hyoga...”

Ma il ragazzo biondo se ne era già andato, consegnando a lei la spiacevole sensazione che stesse soffrendo per un qualche motivo. Tornò a concentrarsi sul divano, anche Isaac aveva ceduto al sonno, era appoggiato su un fianco, la mano, ora ferma, ancora tra i ciuffi ribelli di Camus, il quale si era rannicchiato inconsciamente contro di lui in modo da appoggiare la testa sulle gambe dell’allievo.

C’era un legame molto speciale tra loro, lo si percepiva distintamente, anche se, il solo pensare che Hyoga ne fosse in qualche modo escluso, le dispiaceva enormemente.

Zampettò verso il divano, sistemando meglio la coperta su Camus che, nel movimento antecedente, aveva spostato inconsciamente il braccio, che ora penzolava fuori. Glielo raccolse, soffermandosi brevemente sul quantitativo di lividi che gli doveva dolere alquanto, prima di rimetterglielo compostamente parallelo al fianco. Il divano era bello grosso, formava una sorta di elle, come quelli tipici da soggiorno, ispirava calore e comfort per essere in una sperduta isba siberiana. Sorrise tra sé e sé, prendendo posto ai piedi di Camus.

Lì rimase per una serie di minuti a fissare i volti addormentati di maestro e allievo, entrambi esausti, entrambi desiderosi di non mostrarsi fragili. Si riscosse improvvisamente a quella visione per poi rialzarsi e decidere di raggiungere Hyoga per chiedergli se avesse bisogno di una mano. Non c’era posto neanche per lei in quello scenario così intimo che faceva tenerezza al solo vedersi, lo aveva capito, non avrebbe potuto far altro per Camus in quel momento, ma per Hyoga sì; per Hyoga, che sembrava così sconfortato.

“Sonia!” la chiamò il ragazzo biondo, sorpreso nel vederla giungere nella camera. Si era messo a sistemare il letto di Camus, cambiandogli le lenzuola per metterne di nuove.

“Ti do una mano, Hyoga!” gli disse, arrossendo un poco, mentre, con gesto imbarazzato, congiungeva le mani dietro alla schiena e ciondolava un poco. A quella parole inaspettatamente il biondo sorrise sollevato, sentendosi meno solo.

“Sei… una brava bambina, Sonia, o forse farei meglio a dire ragazzina, sei già una nostra coetanea, del resto!”

Annuì con forza, contenta. Al ritorno di Milo, gli avrebbero raccontato che era stata brava e che aveva aiutato in casa quando Camus stava male. Il pensiero della carezza che gli avrebbe riservato, complimentandosi con lei, la fece quasi vibrare di felicità, mentre, trotterellando, raggiunse il giovane allievo per aiutarlo a piegare il lenzuolo.

 

 

* * *

 

 

Isola di Milos, 9 febbraio 2008

 

 

Myrto era sconcertata.

Di più, Myrto era inorridita, furiosa… talmente tanto che, se solo avesse avuto un goccio di potere, il tanto favillante cosmo che apparteneva solo a pochi eletti, sarebbe corsa al tredicesimo tempio a fare cagnara, se non addirittura scuoterlo dalle fondamenta, distruggerlo, per punire quell’abominio di istituzione per ciò che aveva perpetrato.

Fremette convulsamente, fuori di sé dalla rabbia, una rabbia atroce. Quel gesto da solo, fu in grado di procurare un grosso sussulto al corpo di Milo sotto di lei, steso in posizione prona, la schiena nuda, sporca di sangue, che lei puliva e disinfettava con premura.

“Scusami...” riuscì solo a biascicare, sforzandosi di contenersi, riprendendo a passare il batuffolo di cotone, imbevuto di disinfettante, sulle vistose ferite che spurgavano materiale organico. Ingoiò a vuoto, cercando di essere il più delicata possibile. Prima del cotone, ci aveva provato con un panno, ma era troppo ruvido per la disastrata schiena di Milo, che sopportava a stento un dolore simile, sebbene fosse Cavaliere d’Oro.

L’avevano fustigato. Le guardie del Tempio, sotto le direttive dello stesso Grande Sacerdote, o meglio, di quello che avrebbe dovuto essere il garante della giustizia sulla Terra, ma che, in verità, ne era sempre più convinta, non era altro che un tiranno. Le sentinelle avevano ricevuto ordini di punire il Cavaliere di Scorpio per essersi allontanato dal Santuario senza permesso per ragioni che Milo, tra uno spasmo e l’altro, le aveva raccontato nel viaggio di ritorno sulla sua isola. Quelle ragioni, principalmente, avevano un solo nome: Camus. Di nuovo. Sempre lui.

Era semplicemente vergognoso! Myrto si ritrovò ancora una volta ad essere schifata da tutto quello, il fatto di essere impotente la mandava ancora di più fuori dai gangheri. Milo si era trascinato difficoltosamente nei pressi dell’archivio del Santuario, dove lei aveva cominciato, da poco, la sua opera di catalogazione. Non avrebbero potuto vedersi, in teoria, colpa delle direttive dall’alto, ma lui, così forte e robusto, così scherzoso e audace, aveva avuto bisogno di rifugiarsi in un luogo sicuro e, quel luogo, era, come gli aveva accennato poco prima di svenire una prima volta, al suo fianco.

“Il Santuario… ha oltrepassato i limiti! Non esiste proprio questa cosa, NON ESISTE! Non possono davvero aver osato così tanto!” sibilò tra i denti, mentre, discostandogli ancora una volta i lunghi capelli, passava il batuffolo sul taglio più vistoso, che andava trasversalmente da scapola a scapola. Si vedeva la carne, maledizione, come avevano potuto fargli subire una sorte simile?! A lui, ad uno dei Dodici Dorati Custodi!”

“S-sarebbe andato fin peggio, se avessi avuto un rango inferiore, Myr-to… ma il Tempio non può permettersi di perdere un Cavaliere d’Oro, è andata fin bene così!”

“E’ ANDATA FIN BENE COSI’?!? Milo, ti hanno fustigato!!! Hai delle ferite terribili, che rischiano di infettarsi, e tutto perché… perché...”

“Perché mi sono allontanato dai confini del Tempio senza permesso, è giusto, è la pena per i traditori...” biascicò ancora lo Scorpione, affondando la testa nel cuscino per trattenere un gemito.

“Tu non sei andato contro alcun ordine, Milo, né hai tradito alcuno! Ti sei recato in Siberia per Camus, per AMICIZIA, come può essere punito questo?! Il Santuario, il Nobile Shion, non è più in grado di discernere le sfumature?! Siamo fuori da ogni logica!!!”

“Mmh, u-urgh...”

“Milo!” lo chiamò, con un filo di voce, in apprensione, accarezzandogli dolcemente i capelli ribelli in parte adagiati sulle candide coperte del letto. Non stava affatto bene, la punizione, riservata ai traditori, che aveva subito, lo aveva minato in profondità. Avrebbe dovuto mantenere il controllo per lui, parlargli con voce di miele, rassicurarlo, ma la verità era che Myrto, il cui animo era ormai infiammato, non era in grado di fare la crocerossina docile senza porsi domande su domande. Lei cogitava semplicemente di andare al Santuario, compiere una strage per quella tremenda punizione indecorosa, ingiusta e pure spietata, ma non aveva un cosmo, non aveva alcun potere offensivo, ciò la infervorava ancora di più.

“C-coraggio, il peggio è passato!” gli sussurrò, gli occhi lucidi di pianto, posandogli, sulle spalle e sulle scapole, delle garze pregne di una crema che avrebbe dovuto attenuare il dolore.

“L-lo so, c-ci sei tu, c-con me...” riuscì a biascicare lui a fatica, riaprendo gli occhi e sorridendogli con tutte le forze di cui disponesse.

Myrto arrossì. Così adagiato nel cuscino com’era, scorgeva solo il suo profilo, quindi un solo occhio e un angolo della bocca, ma tanto bastò per farle accelerare il cuore.

“Sei… sei febbricitante per dire cose simili? - gli chiese, trepidante, avvicinando la sua mano alla sua fronte, dove stette per una serie di secondi – Temo di sì, sei bollente!” sospirò poi, alzandosi in piedi, compiendo il giro del letto per andare a prendere qualcosa nell’altra stanza.

“Myr-to... non avercela con il Santuario, l-loro… loro fanno solo c-ciò che è giusto...”

“Ciò che è giusto, eh? -ironizzò lei, freddamente – Mi stai chiedendo l’impossibile!”

“C-ci troviamo in una situazione di crisi, il germe della rivolta, urgh, è dietro l’angolo, urgh… il Grande Sacerdote ha paura e, come troppo spesso accade, usa il pugno di ferro per farsi rispettare, anf, anf!”

“E allora ha pensato che tu lo volessi tradire?! Inaudito!”

“N-non so cosa abbia pensato, ma ero disposto a prendermi le mie responsabilità, pur di andare!”

Myrto rimase ferma immobile per una serie di secondi, i pugni chiusi, lo sguardo inaccessibile, perché gli dava le spalle, altrimenti avrebbe visto tutta la sua rabbia, la sua collera e Milo non aveva bisogno di quello, ma di stare tranquillo.

“Non può essere il Nobile Shion...” si lasciò sfuggire, ancora freddamente.

“C-Come?”

“Non può essere lui! - tagliò corto, ringhiando, avviandosi verso la porta – Rimani fermo lì, ti prendo le gocce per dormire e distendere la muscolatura, sei troppo teso!”

Milo rimase lì come richiesto, anche avesse voluto non avrebbe comunque potuto alzarsi. Si sentiva a pezzi, sdrucito, piegato. La punizione era stata tremenda e lui l’aveva accettata senza fare storie, consapevole di aver infranto una delle leggi cardine. Le guardie lo avevano frustato una, due, tre volte, poi ne aveva perso il conto, impiegato com’era a trattenere il dolore dentro di sé, a serrarlo spietatamente dentro la mascella per non farlo trapelare fuori, poiché era un Cavaliere d’Oro, doveva dare l’esempio, anche per le punizioni. Alla fine, il Grande Sacerdote aveva dato l’ordine di smettere, che sarebbe bastato quello a non fargli più ripetere l’errore di allontanarsi senza il suo permesso. Ricordava che, una volta liberato, si era comunque inginocchiato e, con rispetto, sforzandosi a mantenersi dritto, si era allontanato, prima di raggiungere Myrto, crollare, e farsi portare da lei a casa, dove lo aveva medicato con cura, finalmente al sicuro. Con lei.

Milo arcuò leggermente la schiena per provare a sistemarsi meglio, ma la fitta che ne seguì fu talmente spietata da farlo desistere dai suoi propositi. Non era affatto pentito delle sue azioni, per Camus, per Sonia, avrebbe fatto e rifatto le stesse scelte all’infinito, accettando qualsivoglia tipo di punizione. Era giusto.

Non è il Sommo Shion, non può essere lui!

Le parole della giovane donna però continuavano a ronzargli in testa, non dandogli requie, unendosi alla vocina, dentro di lui, che gli instillava il dubbio già da un po’ e, ancora, alle domande di Camus circa la vera identità del Grande Sacerdote. Che davvero non ci fosse più Shion dietro a quelle scelte? Qualcuno aveva preso il suo posto? Tremò a quel pensiero, più ancora di quanto già non stesse facendo il suo corpo scosso dagli spasmi. No, non poteva essere, dubitare dell’autorità più eccellente del Santuario era come dubitare di Atena, della giustizia, non poteva accettarlo, farlo avrebbe reso la sua vita priva di significato.

Udì a malapena il cigolare della porta e alcuni passi leggiadri arrivare alle sue orecchie. Era stremato, ma li avrebbe riconosciuti in mezzo a tanti altri.

“Myr-to...” la chiamò debolmente, stringendo i palmi delle mani sulle lenzuola, il suo dolce tocco fu su di lui, sul suo fondoschiena non ingiuriato dalla punizione ricevuta.

“Devi riposare, Milo...” gli disse ancora, mentre, con dita di piuma, scorreva sulla sua colonna vertebrale, arrestandosi prima di raggiungere le terribili ferite. Qualcosa venne posato sul comodino, le orecchie del Cavaliere di Scorpio riconobbero, dal suono, che si trattava di un bicchiere di vetro, perché ormai le palpebre erano troppo pesanti per aprirsi.

“E’ terribile quello che ti hanno fatto...” sospirò, affranta, passando con sguardo clinico, ancora una volta, sulle lacerazioni. Non era profondissime fortunatamente, ma proprio per quello dovevano dolere così tanto. Ad ogni modo, col tempo, si sarebbero cicatrizzate, fino a sparire quasi del tutto, bastava medicarle con dovizia e costanza.

“Puoi… rimanere un po’ vicino a me, prima di addormentarmi? Mi… coccoli?” le chiese ad un tratto lui, sentendosi un cretino, ma, nondimeno, manifestando esattamente il suo desiderio. Quei mesi di forzata distanza gli erano costati parecchio.

“Oh, Milo… - biascicò lei, chinandosi per regalargli un leggero bacio tra i capelli – Sono qui, non ti sforzare, rimarrò con te fino a quando non prenderai sonno, ma ora prendi le gocce, ti faranno bene, vedrai!”

Il Cavaliere di Scorpio annuì, coniugando tutte le sue forze per sorreggersi sui gomiti, che sembravano due trampolini, da quanto tremassero. La schiena gli procurava un male colossale, difficilmente sopportabile, ma la sua ferma volontà lo spinse ad allungare una mano per prendere il bicchiere, che tuttavia gli sfuggì, allontanandosi di qualche centimetro. Imprecò tra i denti.

“Non sforzarti, faccio io! - lo rassicurò lei, mentre, con la mano sinistra, afferrava il recipiente, e, con la destra, continuava ad accarezzargli i capelli per tranquillizzarlo – Eccotelo, bevi piano!”

Aiutò Milo, troppo debole per fare da solo, ad avvicinarsi per assumere così le gocce che lo avrebbero calmato, permettendogli di dormire, gli sostenne la testa, mentre il bicchiere venne svuotato fino all’ultima goccia. Ultimato il processo, lo riaccompagnò giù, dove stette, prendendo un profondo respiro e buttando fuori aria.

Myrto non riusciva più a dire una singola parola, troppo sconvolta dal vederselo così; così debole, così rotto dalla sofferenza. Milo, fin da giovanissimo, era sempre stato ciò che si poteva definire ‘un pezzo d’uomo’: dotato di un’altezza considerevole, nonché di una muscolatura estremamente sviluppata, non era mai stato gracile neanche da ragazzino, figurarsi in quel periodo della sua vita che aveva raggiunto la maggiore età e che aveva ormai raggiunto lo stadio finale della crescita.

Eppure…

La mano di Myrto si immobilizzò tra i capelli ribelli, scossa. Eppure lo avevano spezzato, lui, così risoluto e potente in battaglia, così come nella vita; lui, che poteva sollevarla come un fuscello, tenerla stretta, senza sentire il peso e la fatica, e che in quel momento, invece, non era nemmeno in grado di alzare un braccio per accarezzarla. A quel pensiero si sentì male, divenne livida e riprese a tremare.

Davvero il Santuario aveva oltrepassato il limite. Ogni. Limite.

“Myrto...” la flebile voce di Milo la raggiunse di nuovo, anche se non aveva più nulla del timbro possente che la contraddistingueva. Si sforzò di sorridergli.

“Non ti preoccupare, sono qua, te l’ho promesso, no?”

“Lo so, è il tuo tocco che mi rende tranquillo, ancora di più di questa medicina che mi hai appena dato – biascicò, stanco, sfinito – Sto crollando dal sonno, Myrto, ma ho bisogno di strapparti ancora una promessa...”

“Quello che vuoi, ma poi riposi, va bene?” lo rassicurò, alzandogli i ciuffi che gli ricadevano sulla fronte. Teneva gli occhi chiusi da quanto fosse stremato, ma si costringeva a rimanere sveglio. Non poteva cedere, prima di avergliela riferita.

“Non dire... niente… a Camus, né a Sonia...”

“Cosa?! Vuoi che non dica niente al tuo migliore amico, che è la ragione per cui sei conciato così?! Posso capire Sonia, ma Camus...”

Gli occhi di Milo si costrinsero a riaprirsi, la testa gli girava terribilmente. Buttò fuori aria, provando debolmente ad alzarsi, invano.

“Ehi, stai giù, non devi compiere sforzi! - lo trattenne lei, non sapendo in che altro modo fermarlo – Davvero vuoi che non dica niente a Camus?”

“No… è già ferito gravemente, si è conciato così per gli allievi, non gli voglio dare altri motivi di pensiero...”

“Ma Milo...”

“Promettimelo… è un affare da niente, questo, non c’è ragione che lo venga a sapere, e poi è ancora convalescente, non voglio si preoccupi così per me”

“Sei un testone, Milo, davvero! Come puoi chiedermi una cosa del genere?!”

“E vale anche per Sonia… la piccola non lo deve venire a sapere, intesi? Sarà un segreto tra me e te, ti prego, Myrto!”

“Milo… uff! – la giovane donna si ritrovò a scuotere la testa rassegnata, mentre con le dita continuava ad accarezzargli la parte bassa della schiena, ben consapevole di fargli piacere, perché quello era uno dei suoi punti cardine, adorava essere toccato lì – Farò come dici, allora, te lo prometto!”

Milo annuì brevemente, sprofondando nel cuscino, la muscolatura si sciolse ancora un po’.

“Vuoi… che continui a toccarti?” chiese lei, un poco imbarazzata. Non facevano l’amore da un po’, la distanza, i doveri, li avevano separati, ma l’attrazione non era scemata affatto, solo che non era assolutamente quello il momento per cedere alle voglie. Forse… quando Milo si fosse sentito meglio…

“Sì, mi sento tranquillo con te e… urgh, yawn – sbadigliò, non riuscendo a trattenersi – Myrto, sto crollando dal sonno, non riesco più a resistere, tu… continua, va bene?”

La giovane inavvertitamente sorrise nell’udire la sua voce così impastata, nascose la bocca con una mano, mentre con l’altra, dolcemente, gli scostò il lenzuolo dai glutei, ben sapendo che non gli dispiacesse affatto tenerli scoperti, fargli ‘prendere aria’ come diceva spesso. Con le dita tornò un poco su, massaggiandogli la parte finale della schiena, appena sopra l’osso sacro. Milo si era finalmente addormentato, era sfinito, preda della febbre, fortunatamente aveva ceduto alla stanchezza. Lo coccolò ancora con delicatezza, talvolta sistemandogli meglio le pezze sulle ferite, che avrebbero poi dovute essere ulteriormente trattate, ma per il momento meglio lasciarlo riposare, se lo meritava, visto tutto quello che aveva subito.

Si chinò ancora una volta verso di lui, baciandogli una volta la fronte e una le labbra, dove stette un po’ di più, prima di raddrizzarsi e lisciargli i capelli che sembravano avere vita propria, da quanto fossero ribelli.

“Ti amo, Milo di Scorpio, questo non dimenticarlo mai!” gli sussurrò all’orecchio, con tutta la dolcezza di cui disponesse, continuando con il suo operato

 

 

* * *

 

 

Diverse migliaia di chilometri a Nord-Est, Camus dell’Acquario riaprì stancamente gli occhi, infastidito dal rumore delle ventate, poiché fuori dall’isba imperversava una bufera, trovandovi solo il buio intorno, privo delle presenze rassicuranti di Isaac, Hyoga e della piccola Sonia. Si guardò confusamente intorno nel cercare di delineare le forme, rendendosi conto di essere adagiato nel suo letto, rimboccato nelle coperte che gli allievi gli avevano sistemato con cura addosso. Una sensazione di calore al petto lo pervase, al quale però si aggiunse una netta frustrazione per le condizioni in cui si trovava. Era sdraiato sul divano, prima, circondato dagli affetti, con la mano di Isaac a fargli da conforto, e poi si era ritrovato lì. Probabilmente aveva ceduto al sonno e quindi lo avevano fatto stendere in un posto più comodo.

Strinse con foga i pugni, serrando la mascella, mentre, con la mano sinistra si passava una mano sulla fronte, rendendosi conto di avere una pezza, che cadde al suo fianco, e di essere ancora sudato e febbricitante. Così debole. Una palla al piede…

Stava facendo perdere giorni di allenamento a Hyoga e Isaac a causa della sua debolezza, a causa del suo non essere riuscito, da solo, a risolvere il problema con la creatura. Era dovuto intervenire Elisey, a cui, come se non bastasse, doveva anche la vita, un debito che non avrebbe mai voluto avere. No con lui. Proprio con lui. A fallimento si aggiungeva fallimento.

Fremette, arrabbiato, posando la pezza sul comodino, sentendosi ancora fragile come non mai. Si era fatto vedere vulnerabile dagli allievi. Da Sonia. E anche da Milo, non se lo sarebbe mai perdonato. Sospirò, affranto, dando un colpetto, con il pugno, al materasso, gesto che gli procurò immediatamente una fitta subitanea alla pancia. Si tolse le coperte con gesto di stizza, rimanendo a petto nudo a fissare un punto imprecisato del soffitto. L’altra mano, ancora dolorante per la flebo, si posò sopra l’ombelico, come a volerselo coprire istintivamente, anche se non c’era nessuno in quella stanza, oltre a lui, ma mostrarlo a cielo aperto lo metteva a disagio. Si sarebbe voluto ricoprire, ma aveva caldo. Prese quindi il lenzuolo, ci si avvolse, ma poco dopo gli dava nuovamente noia, lo calciò via, sospirando affranto, si sentiva un’anima in pena. Girò il suo volto verso la finestra, che vibrava inseguito alla tormenta, ripensò a Zima, a ciò che aveva percepito con lei e tramite lei. Si morse il labbro inferiore.

L’incisione che gli aveva procurato Elisey per assorbire più velocemente il sangue gli bruciava ancora e sfregava con i pantaloni del pigiama, a questo si aggiungeva la perenne sensazione di costrizione alla pancia data dall’ematoma. Prese una boccata d’aria, prima di buttarla fuori, dopodiché si spostò più in giù il bordo dei pantaloni, quasi al livello dell’inguine, e stette lì immobile per una serie di secondi. Lentamente, con la mano destra, dolorante, trovò il coraggio di tracciare con le dita il taglio per saggiarne la consistenza. Era davvero come aver subito un cesareo. Qualcosa del genere, visto come era posizionato, la sensazione di vuoto, poi, era la stessa, sebbene prima, con Zima, si fosse sentito così meravigliosamente pieno. Delineò più volte l’incisione con l’indice e il medio, sussultando nel ricalcarla. Sembrava di percorrere una lama, così sottile com’era, farlo era come rivivere quei momenti, il sentirsi la pelle aprirsi, il bruciore, perché Elisey, simultaneamente, lo aveva anche cauterizzato.

 

Occorrerà un po’, ma sparirà del tutto. Ho affrettato il processo di guarigione e cicatrizzazione, non ti rimarrà alcun segno sulla pelle, non temere!

Certo che… ti avevo detto che uno Sciamano deve racchiudere in sé sia il maschile che il femminile, vero? Ed eccoti qui, con un taglio simile in tutto e per tutto ad un cesareo, come se avessi appena partorito. Divertente, ragazzo, come lo chiamiamo?

 

Gli aveva detto Elisey il giorno prima, visitandolo un’ultima volta prima di andarsene per la sua strada, con quel solito sorriso sulle labbra che poteva significare tutto e niente allo stesso tempo.

“Vai al diavolo, Elisey!” ringhiò tra i denti, infastidito dalla sua intromissione, senza la quale però sarebbe sicuramente morto. Si rimproverò ancora di essere così dannatamente debole.

Terminò di solcare il taglio con le dita, mantenendo comunque l’elastico dei pantaloni più in basso. Posò la mano al suo fianco, continuando a guardare il soffitto, preda dei suoi pensieri.

Zima… percepiva ancora la creatura su di sé, le sue lacrime, il suo tartufo che gli solcava la pelle con dolcezza. Sentiva quasi le sue emozioni, i suoi pensieri, persino là, nel luogo misterioso dove si era rifugiata. Piangeva. Sconfortata. E lui non poteva fare più niente per lei. Singhiozzò a sua volta, senza lacrime.

Non poteva fare più niente, quando invece lei gli aveva ridato la vita...

Rammentò del suo muso sul suo volto, delle sue leccate, sebbene in quel momento stesse troppo male per reagire, del suo girargli delicatamente il viso con una premura che lo faceva emozionare. Quasi automaticamente la mano destra si mosse ancora, tracciando con due dita il collo, fino alle clavicole, passandoci in mezzo e sostare così sul torace, dove si rilassò, contando i propri battiti cardiaci, esattamente come aveva fatto Zima per ridargli nuove energie che, durante il rito, gli erano scappate via.

Camus non era abituato ad ascoltarsi, ad ascoltare il proprio corpo, a toccarlo. Si vergognava, quasi si disprezzava, per lui era stato sempre difficile mostrare nient’altro che la sua pelle, mostrarla agli altri, conviverci. Non si ascoltava, pertanto i suoi bisogni venivano segregati in una parte di lui, lontani. I suoi bisogni, in effetti, per lui, non erano altro che ostruzioni fra sé e i suoi doveri, che venivano prima.

Eppure… mentre era lì sdraiato sul permafrost, con la vita che gli sfuggiva via, la creatura si era avvicinata a lui, toccandolo ripetutamente, ridandogli calore. Camus non aveva mai provato nulla di simile, si era sentito così… pieno… che quasi il vuoto che percepiva in quel momento era insostenibile per le sue membra.

Era così tornato a respirare regolarmente, il cuore -che ora sentiva palpitare trepidante sotto le sue dita- aveva ripreso a battere forte, pulsante, nell’esatto momento in cui il tartufo di Zima si era posato sul suo petto.

La creatura poi era scesa sullo sterno -lui fece lo stesso con l’indice e il medio nel rammentarlo- e, compiuto un giro dell’addome, si era poi brevemente staccata per piangere sulla ferita e risanargliela del tutto.

La mano di Camus aveva compiuto lo stesso movimento in simultanea con il rivivere quei ricordi mentalmente, e ora stava lì, sul fianco sinistro, che non aveva più alcun taglio ma era di colore violaceo e bollente, se lo strinse, provandone un intenso dolore. Chiuse gli occhi, si accorse che il suo respiro era accelerato e doveva calmarsi. Provò a rilassarsi. Anche il fianco destro bruciava, vessato da una bruciatura, l’ultima traccia visibile del tatuaggio che lo aveva unito a Zima e che era scomparso nell’esatto momento in cui la bestiola se ne era andata con l’intenzione di non tornare più. Tremò. Quelle due gocce di rugiada intersecate a formare un cuore non sarebbero più tornare, l’idea lo getto nella disperazione.

“Perdonami… perdonami per non essere stato in grado di aiutarti, Zima...” sussurrò debolmente, la mano destra ancora nell’atto di toccarsi il fianco sinistro, nascondendo gran parte della pancia. Si riscoprì tanto, tanto, stanco, senza più un briciolo di energie… perché impiegava così tanto per riprendersi? Non era da lui…

Quasi senza accorgersene crollò, il respiro si fece più regolare, il torace si alzava e si abbassava senza segni di difficoltà. Si addormentò per un tempo imprecisato.

Non seppe bene quanto tempo dopo, ma avvertì qualcosa bagnargli teneramente il volto, dandogli un po’ di sollievo dalla febbre che non gli concedeva requie da giorni.

“Z-Zima...” biascicò, ancora in stato confusionale. Quel qualcosa sul suo volto si fermò, esitando un attimo, prima di tornare su di lui. Non era una lingua, era un panno umido, che qualcuno gli veniva passato sul viso per lavare via il sudore. Si mosse appena, cercando di sistemarsi meglio, accorgendosi altresì che la mano destra gli era stata adagiata a fianco e che un qualcosa di minuto, per la sua percezione, gli toccava lo sterno. Contrasse più volte le palpebre, prima di riaprirle del tutto, salvo poi richiuderle perché la luce della lampadina, accesa proprio in quel momento, gli dava fastidio.

“S-Sonia...”

Aveva riconosciuto la piccola al suo fianco. Probabilmente era salita sul letto per essergli d’aiuto. Tremò, ricordandosi di essere a busto scoperto, ma non aveva forze sufficienti per alzarsi e recuperare le lenzuola. Sospirò, cercando di scacciare via l’imbarazzo.

“C-cosa fai qui?” le chiese, sforzandosi di guardarla, mentre lei posava la pezza sul comodino e lo fissava con ansia crescente.

“Ho… ho avuto un incubo, l’ultimo così tremendo è stato quando… quando Myrto ha rischiato di essere violentata. Avevo paura, ero inquieta, volevo chiederti se… - si fermò, arrossendo di colpo e scrollando la testa – Comunque quando sono entrata tu gemevi nel sonno, avevi l’aria di stare molto male...”

“Hai avuto un incubo?” le chiese, glissando l’argomento pertinente al suo stato di salute.

“S-sì...”

“E cosa…?”

Ma la piccola non sembrava portata a dialogare su quella cosa, aveva gli occhi sfuggenti e dolenti. Osservò con pacata timidezza il corpo di Camus, l’ematoma ancora grosso, il taglio poco sotto l’ombelico, si chinò verso di lui, appoggiandogli la mano sul ventre e tracciando con dolcezza l’incisione. L’Acquario a quel contatto sussultò, non abituato ad un gesto così spontaneo e che lo metteva in forte imbarazzo, ma poi la lasciò fare, rinfrancato da quel tocco gentile e denso di affetto.

“Ti deve fare tanto male...”

“Un po’, ma è sotto controllo. Non preoccuparti così per me, frugoletta!”

La piccola annuì, tornando a guardarlo in faccia. Sembrava tanto, tanto stremato. Camus indovinò i suoi pensieri, pertanto, sollevò faticosamente il braccio sinistro nella sua direzione, accarezzandole dolcemente i capelli, che stavano diventando davvero lunghi. Pensare al loro primo incontro… vi era una tempesta anche allora, ma di pioggia, non di neve, solo che, rispetto ad anni prima, lei aveva fatto dei passi da gigante nella crescita, il suo corpo era in piena formazione. Inavvertitamente sorrise.

“Ehi, guarirò presto, non temere, devo solo recuperare le forze!”

“Milo sostiene che anche quando stai tanto male dici di star bene, che bisogna guardarti per bene negli occhi per capire il tuo reale stato fisico...”

“Mi-Milo esagera!” esclamò lui, arrossendo, sentendosi colto in fallo.

La piccola lo guardò ancora, spostando la mano dall’addome al torace, stette un po’ lì, pensierosa. Lo toccava con una naturalezza disarmante, per il semplice desiderio di fargli percepire la sua vicinanza. Non c’era alcun genere di malizia in quelle azioni, solo tanta tenerezza, ma Camus ne era imbarazzato comunque.

“Vuoi… sdraiarti vicino a me?” le chiese ad un certo punto, battendo un poco la mano sopra le lenzuola. La piccola sembrava sconfortata, lui, del resto, era in forte disagio, affatto abituato a farsi vedere in quella NON tenuta. Si sentiva comunque protetto, attorniato dal calore, che era indispensabile in Siberia così come bella vita. Fremette un poco, emozionato.

“P-posso?” chiese la ragazzina, sbloccandosi, sempre comunque sul corrucciato andante, abbassando gli occhioni verdi, così simili ad Aiolia. Discostò la mano dalla sua pelle, forse percependo il suo disagio.

“Mi farebbe piacere, vorrei… - esitò un attimo, imbarazzato – averti vicina!” ammise, un poco tremante.

Averla vicina, come Milo, come Hyoga, come Isaac… aveva rischiato seriamente di morire e, non lo avrebbe mai ammesso, ma in quei momenti infernali, in cui la vita scivolava via, sentiva tanto freddo e… aveva avuto paura, tanta. Fissò il soffitto, la gola secca, si ritrovò ad ingurgitare aria, anziché saliva. I suoi ragazzi lo avevano salvato, il pensiero di loro al suo fianco lo aveva spinto a non arrendersi. I suoi ragazzi...

Per la prima volta dopo anni, dopo la prematura scomparsa di Fyodor, che ancora lo addolorava, Camus dell’Acquario era stato sfiorato da un calore potentissimo che credeva ormai perduto. Come tornare alla normalità, ora? Come rinunciarci? Si era sempre sentito un padre, oltre che ad un maestro, voleva bene a Hyoga e Isaac come se fossero i suoi figli, ma si era sempre sforzato di non dimostrarlo. Nessuna distrazione dai doveri, nessuna manfrina come ostacolo tra loro e il sacro compito di difensori della giustizia che li spettava. Per questa ragione, pur amandoli come sue creature, si era sforzato di rimanere duro, inflessibile, severo, a tratti implacabile, per costringerli a diventare forti. Ora quel ruolo vacillava paurosamente, sostituito da qualcosa di più caldo e di potenzialmente pericoloso: per la prima volta nella sua vita il maestro cedeva completamente il posto al padre. Non sarebbe stato più come prima… ed era un errore!

Le manine di Sonia tornarono ad accarezzargli, lievi, lo sterno, facendolo riscuotere. La piccola -per lui era ancora piccola, sebbene sapesse che aveva già avuto il primo mestruo- lo guardava con espressione profonda, preoccupata per lui, permettendosi di accucciarsi al suo fianco e abbracciarlo.

“E’ passato… quei momenti sono lontani, ora sei qui, a casa”

“S-Sonia...” la chiamò, arrochito, stringendola a sé e lisciandole i capelli con una mano: era così palese il suo stato psico-fisico dalla sua sola espressione?! In quel momento non era più in grado di celarsi agli altri? Se ne rammaricò.

“Sei al sicuro...”

“Lo so, sono con voi...” le disse, dandole un leggero bacio sulla nuca, prima di piegare leggermente la schiena e sforzarsi di prendere sia lenzuolo che la coperta per infagottare sé e la ragazzina. Gliela tirò su fino alle spalle, mentre su di sé la lasciò a coprirgli soltanto l’addome. Non aveva freddo, non ne necessitava, avvezzo com’era a quei climi rigidi, ma la piccola sì; la piccola che si appoggiava, con la mano sulla sua pelle, abbracciandolo, dandogli un calore che Camus avvertiva forte dentro di sé. E di quello ne aveva bisogno. Come ossigeno. Si affrettò a celare l’affanno, perché il gesto, nella sua semplicità, lo aveva sfiancato.

“Stai bene così?” le chiese, circondandola con la mano sinistra mentre con la destra, malgrado le fitte di dolore date dai lividi e dal fatto di essere stato legato alla flebo, le sfiorava i capelli.

“Sì, mi sento sempre al sicuro con te!” disse, chiudendo gli occhietti per tentare di appisolarsi anche se non sembrava affatto tranquilla.

Camus si chiese cosa la rendesse così inquieta, al punto di farla venire lì a chiedere un conforto ma ammutolirsi al suo chiedere spiegazioni. Decise di non incalzarla con ulteriori domande, limitandosi ad accarezzare quel corpicino irrequieto e nervoso che sembrava teso come non mai. Si ricordò che ad Isaac piacevano tanto le carezze ritmate che partivano dai suoi ciuffi ribelli fino a scendere alle scapole, il suo ometto, che ormai stava diventando grande e sempre più coraggioso. Sorrise nel sentire chiaramente quanto ci fosse legato, quanto fossero cresciuti insieme, passo per passo, mentre si impegnava a tranquillizzare Sonia con tutte le premure possibili.

“Camus… - la sua vocetta usciva a fatica. Era ancora con gli occhi chiusi, le sopracciglia aggrottate. La guardò, permettendosi di fermare la mano tra le sue scapole, esattamente come faceva con Isaac da piccolo – U-una delle punizioni per… diciamo, disubbidire al Santuario, è forse la fustigazione?”

“Perché questa strana domanda, frugoletta?”

“Tu rispondi, per favore...”

“Sì, il Grande Tempio non è mai stato troppo clemente contro i dissidenti...” sospirò, scostandole un ciuffo dalla fronte.

“Vale anche per voi Cavalieri d’Oro?” le dita le si erano strette sulla pelle del ragazzo, che sussultò di riflesso.

“Può capitare… ma noi siamo l’élite della dea, deve esserci un motivo grave per arrivare a tanto, deve sforare nell’insubordinazione vera e propria ad un ordine diretto, o...”

“Quindi… anche Milo può essere frustato?”

Il visetto della ragazzina si era fatto livido, gli occhioni le si erano aperti, spaventati, la sentì tremare contro di sé. Nello stesso istante, rabbrividì a sua volta, un arcano timore si insinuò dentro di lui.

“Sonia… perché mi chiedi questo?”

“Ieri sera ho avuto un incubo atroce, dove Milo veniva percosso brutalmente sulla schiena con una frusta e… e stanotte di nuovo, più intensamente, come se il sogno si fosse fatto più nitido perché… realizzato!” si lasciò sfuggire, torturandosi le labbra. Si strinse ancora di più a Camus, il quale ricambio quel gesto sistemandosela meglio sul petto e tornando ad accarezzarla.

“Sonia… Milo mi ha detto che aveva un permesso speciale per recarsi qui, giusto?”

La ragazza nascose ancora di più il visetto sul torace glabro del Cavaliere per non mostrare il suo cambio di espressione. Sapeva che gli era stato riferito così, e che non era vero. Gli aveva mentito per non farlo preoccupare, lei avrebbe dovuto fare lo stesso.

“S-sì”

Camus tacque per una serie di secondi, un pensiero spiacevole gli aveva sfiorato la mente, un timore. Lo scacciò con forza.

“E allora, se aveva un permesso direttamente dal Grande Sacerdote, non hai di che temere per Milo!”

Il punto era che, quel permesso, lui non lo aveva, si era recato lì di sua spontanea volontà in nome dell’amicizia che lo legava a Camus, ciò la rendeva ancora più inquieta.

“L’ultima volta che ho fatto un sogno simile… Myrto è stata quasi stuprata! - ripeté, stringendo le mani a pugno – Ho paura...”

Il rumore assordante di una ventata fuori la fece sobbalzare, non era abituata a sentire il vento urlare così forte, a Milos non succedeva, sebbene le sciroccate colpissero l’isola con forza, imbruttendo il mare. Lì in Siberia sembrava persino peggio, tutto poteva assumere caratteri inquietanti, o meravigliosi, nell’arco di un solo istante.

“Frugoletta...”

Sonia girò il volto nella sua direzione, incontrandosi con i suoi occhi, un poco rischiarati dalla lampada, che le fecero mozzare istantaneamente il fiato. Sembrava molto stanco, il suo viso era ancora pallido, a tratti lucido, perché la febbre era persistente, non lo lasciava stare, ma le iridi erano brillanti come di consueto.

Camus tornò ad accarezzarle i capelli, invitandola a posarsi di nuovo su di lui, accompagnò il gesto con la mano, movenza che, da sola, era in grado di rassicurarla.

“Sei al sicuro qui, la bufera è forte, ma qui, sotto le coperte, si sta bene, vero?”

La piccola annuì, tornando a concentrarsi su quel calore: “Sto bene... qui!”

“Anche Milo starà sicuramente bene, non devi preoccuparti, è un supereroe, no? I supereroi non si fanno sconfiggere da una semplice frusta!”

Sonia si ritrovò a ridacchiare sommessamente, sistemandosi meglio su quel giaciglio che era l’ampio petto del Cavaliere, così caldo, confortevole, delicato, nonché liscio e adamantino come una scultura di marmo. La ragazzina sapeva bene di non avere speranze con lui, in quel senso, eppure l’attrazione per lui, il coinvolgimento emotivo forte che covava da anni, non era scemato per niente. Si ritrovò a pensare che se Camus avesse continuato a comportarsi così con lei, in fondo, le sarebbe andato comunque bene, purché avesse continuato a coccolarla come perseguiva a fare in quel momento.

“Sai, a novembre, quando mi hai detto che… che non avevo speranze, ci sono rimasta molto male, in verità...”

Camus a quelle parole si irrigidì un poco, capendo a cosa stesse alludendo.

“S-Sonia, i-io...”

“Volevo dimostrare a Milo che ero cresciuta, invece mi sono messa a piangere come una poppante...”

“Frugoletta… credimi, non avrei mai, MAI, voluto farti male con le mie parole, ma… è la verità, Sonia, io non…”

“Lo so che non puoi ricambiare, non è colpa tua se non lo senti! – sorrise tra sé e sé la ragazzina, adagiando meglio l’orecchio per avvertire la dolce ninnananna dei battiti cardiaci di Camus – E mi va bene così, b-basta che.. sì, insomma, mi continuerai a stringere così anche dopo, a volermi bene, per come sono...”

“S-Sonia...”

Avrebbe voluto dirle che stava crescendo, che quel tipo di effusioni, probabilmente, da un certo punto della sua vita in poi, non le sarebbero bastate, desiderando altro, l’amore di un uomo, le sue attenzioni, insomma di più, che non limitarsi a qualche coccola; crescendo probabilmente avrebbe anche modificato i suoi gusti, perché Camus sapeva, era più che convinto, che quell’interessamento per lui derivasse da averla salvata dall’annegamento, da fantasie di bambina, che col tempo sarebbero scemate, ma… passavano gli anni e lei non cambiava minimamente da quel punto di vista, e lui, certo, con i suoi doveri, con le imposizioni, con la precarietà della vita stessa, non poteva certo darle nient’altro che quello. Le voleva un bene dell’anima, lo sentiva distintamente. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per proteggerla, come per Hyoga, come per Isaac, come… si irrigidì ulteriormente: come per la sorellina a cui era stato strappato all’età di 5 anni, ma l’amore nel senso più stretto del termine, quello no, era impraticabile per un Cavaliere, follia pura anche il solo anelarlo.

Sonia era come una sorella minore per lui, faceva parte della sua famiglia, ma non avrebbe potuto darle di più, non solo per la differenza di età, ma anche e soprattutto perché non se lo poteva proprio permettere.

“Ora ti starai torturando psicologicamente, lo so!” esclamò la bambina, ridacchiando, strusciandosi brevemente sulla sua pelle, prima di spostare la mano per appoggiarcisi beatamente con la guancia, con l’altra gli cinse la parte alta del fianco.

“E-ecco, i-io...”

“Va bene, come ti ho già detto! - lo rassicurò ancora, sempre più appisolata – Tanto io adesso ho Hyoga!”

A Camus scappò un mezzo soffio a metà strada tra un’esclamazione di sorpresa e un mormorio di incredulità.

“Tu hai… chi?!?” le chiese, convinto di aver capito male.

“Hyoga, il tuo allievo… Lui non può dirmi che sono troppo piccola, ho la sua stessa età, anche se, a differenza del suo fisico scultoreo, il mio sembra quello di una nanetta!”

“Da d-dove ti deriva q-questa uscita, adesso?”

“Lui è come te, ha ereditato la tua delicatezza, i tuoi modi, la tua dolcezza...”

Camus non sapeva più che pesci pigliare, era a disagio, la piccola lo percepiva bene al di fuori delle sue palpebre abbassate. Un sorriso le solcò le guance, mentre cedeva sempre di più al sonno.

“H-Hyoga sarebbe…?”

“Ti meraviglia?”

“In verità, sì… Hyoga è tutto ciò che un Cavaliere dovrebbe rigettare indietro, ciò contro cui combatto e ciò da cui devo distoglierlo. Devo spazzare via questa sua debolezza, in un modo o nell’altro, prima che sia troppo tardi per lui… o per gli altri!”

Non era riuscito a celare una punta di nervosismo nel pronunciare quelle parole, l’uscita di Sonia lo aveva spiazzato completamente e, un po’, offeso. Davvero era così simile all’allievo?! Davvero si era dimostrato così vulnerabile agli occhi della piccola, al punto da considerarlo suo simile in tutto e per tutto?! Hyoga covava in sé un inesauribile potenziale, era vero, era emotivo, sensibile, soffice… come un fiocco di neve, piuttosto che la parete di ghiaccio che gli aveva indicato il primo giorno in cui si erano incontrati e dalla quale avrebbe dovuto prendere esempio di perseveranza e inflessibilità, come faceva già Isaac in maniera splendida. Erano passati anni da allora e non c’era ancora riuscito a scacciare via la debolezza dal cuore del biondo. Più si intestardiva nel spazzarla via, più il ragazzo si attaccava in maniera malsana al ricordo della madre morta, unico sostegno, a suo dire, unica ragione di vita…

Ora, una notte di febbraio 2008, in una sperduta isba sferzata dal vento, veniva fuori che lui, Camus dell’Acquario, difensore dell’undicesima casa dello zodiaco e Sciamano dei Ghiacci, era invece fatto della stessa pasta di Hyoga delle Nevi, la stessa fragilità, la stessa sostanza, che lui aberrava.

Assottigliò le palpebre, infastidito, osservando un punto fisso sopra di lui, il cuore a mille nel suo petto, mentre, con gesto di stizza, calciava brevemente il fondo del letto: lui così simile a Hyoga, ma figurarsi!

Sospirò, affranto, tornando a concentrarsi su Sonia, che si era addormentata sul suo petto. Le scostò gentilmente un poco il volto per poterla osservare meglio, tracciando al contempo il suo profilo con gesto delicato. La sua testolina venne poggiata sulla sua spalla, mentre i ciuffi un poco ribelli le ricadevano disordinatamente sulla fronte. Sorrise timidamente. Aveva ragione Milo: dormiva ancora come una bambina, con la bocca dischiusa in una piccola ‘o’, dalla quale usciva, quieto, il suo respiro. Le mani erano ancora appoggiate sul suo petto, invece, semi-aperte, le dita un poco alla rinfusa.

Camus distese il braccio con lentezza per chiudere la luce della lampada senza svegliarla, ultimato il processo, riprese a sfiorarla con gesti sinuosi. Si rilassò completamente tra le coperte, permettendosi di chiudere a sua volta gli occhi. Avvertiva distintamente il respiro della ragazzina, oltre che al suo, quello lo tranquillizzava, facendolo sentire a suo agio, il caldo delle coperte che lo avvolgevano, la sicurezza di una casa, di una famiglia, a confronto con la bufera che infuriava fuori, ai pericoli, ai doveri del Cavaliere e del Maestro. Li lasciò andare quella volta, li cacciò via, concentrandosi invece sul momento, sul conforto di essere vivo, attorniato dalle persone che amava.

Si lasciò condurre dal sonno fino alle porte dell’incoscienza, prima di accedervi, e rese conto così di essere, forse per la prima volta, genuinamente felice di vivere.

 

 

* * *

 

 

11 febbraio 2008

 

 

“Palla di neve in arrivo!!!” urlò estasiata Sonia, cercando di acciuffare, con gli enormi guantoni che le avevano dato, quanta più neve fosse possibile. Non era facile, però! Nonostante la nevicata, i fiocchi di neve si erano congelati immediatamente appena toccata terra… o forse erano già congelati mentre danzavano in aria?! Sia Hyoga che Camus le avevano spiegato che lì, in inverno, le precipitazioni atmosferiche consistevano in pioggia congelatasi, non neve, una pioggia che veniva chiamata “polvere di diamanti” e che rendeva l’aria etera, luccicante, a volte tersa, come le illuminazioni natalizie. Il fiocco non aveva il tempo di assurgere alla sua forma definitiva, troppo il freddo, ed ecco svelato il misterioso fenomeno. Tuttavia, la farina bianca che ricopriva il terreno sembrava proprio neve, la piccola non riusciva a capacitarsene.

“Non combinerai niente, così, piccola peste irrefrenabile! - ridacchiò tiepidamente Hyoga, raggiungendola e accucciandosi al suo fianco -Devi fare così!” le disse poi, protraendo le mani vicino alle sue, che raspavano per terra nel tentativo di ammucchiare neve, tentando di compiere una delle magie che gli aveva insegnato Camus.

Gli occhioni della ragazzina si spalancarono meravigliati, mentre il palmo di Hyoga si chiudeva sui cristalli di neve e una luce azzurrina scaturiva da lì, accattivante. Quando il biondo ebbe ultimato il processo, la riaprì, rivelando una palla di neve perfettamente tondeggiante.

“Eccola”

“U-uau, p-posso?!” chiese timidamente Sonia, accennando a prenderla ma ritirandosi subito dopo nella paura di rovinarla.

“Certo, è tua!” gli sorrise ancora Hyoga, permettendosi di scompigliarle i capelli.

“E ci posso fare quello che ci voglio?”

“Sì”

“Non si scongelerà?”

“A queste temperature, no!”

“E-ecco, allora io...” le sue dita si chiusero sulla palla di neve, che emanava ancora una luce bellissima. La sollevò un po’, se la fece rigirare tra le mani, sorridendo.

“Vorresti farci un pupazzo di neve, o...”

Hyoga non ebbe il tempo di finire, che si ritrovò la pallina in testa, disfatta, tra i suoi capelli, e le risate sempre più forti di Sonia che si teneva la pancia e quasi rotolava nella neve dal divertimento.

“Sembri l’omino Michelin, Hyoga, ahahahhaha! - ridacchiò Sonia, le lacrime agli occhi che si congelarono all’istante – Non dovevi dare una mano alla tua nemica in questa battaglia, pessima mossa da Cavaliere!” lo prese scherzosamente in giro, piegata in due.

“Mi hai gabbata, ma… - rispose il biondo, ridendo a sua volta, prima di prenderla inaspettatamente da sotto le ascelle e sollevarla, gesto che la ragazzina non si aspettava e che la meravigliò molto – Il protocollo da Cavaliere mi impone di affrontare l’avversario ad armi pari, e tu… eri in forte svantaggio!”

Sonia gonfiò le gote, fintamente offesa, prima di girarsi a forza, far sbilanciare Hyoga e farlo cadere, per poi salirgli, senza troppi complimenti, in grembo.

“Allora recuperiamo subito questo svantaggio! In guardia!” esclamò, fiondandosi a capofitto su di lui a suon di pizzicotti, come gli aveva insegnato Milo. Il ragazzo, a differenza di lei, era molto meno coperto, aveva più parti di pelle esposta, un’ottima occasione per lei, che invece, imbacuccata com’era, dalla testa fino alla punta dei piedi, non aveva zone vulnerabili.

“Ahi, no! Aha! Va bene, va bene, chiedo venia, non dovevo sottovalutarti!” si scusò Hyoga, parecchio suscettibile al contatto fisico. Pareva soffrire il solletico, un altro punto a suo favore, la situazione andava ribaltandosi

Nella foga i due presero a rotolare nella neve, del tutto presi dal gioco e dal divertimento, come non accadeva da un bel po’ per entrambi. Senza doveri, senza impegni, come due semplici ragazzini delle Medie. Nient’altro.

Isaac osservava la scena in disparte, seduto sul permafrost, la faccia leggermente imbronciata, una strana sensazione di fastidio alla bocca dello stomaco. Non voleva unirsi a loro, né ostacolarli, però tutta quella leggerezza, la noncuranza con cui passavano quei giorni lo irritava non poco.

No, non era quello ad irritarlo, ragionò, stringendosi alle ginocchia mentre, affinando lo sguardo e l’udito, continuava a guardarli, abbastanza vicini alla sua postazione ma apparentemente lontano anni luce, da sentirsi un estraneo, una terza parte non contemplata nella scena...

“Attenta! - la avvertiva intanto il biondo, acciuffandola e avvolgendole meglio la sciarpa davanti alla bocca – Le labbra sono molto delicate!”

“Hyoga! La sciarpa mi ostruisce, non posso levarmela?”

“No, su questo il Maestro Camus è stato categorico e… lo sono anche io!”

“Ma uffi, mi sono abituata a questo gelo!”

“Non ci si abitua mai a questo freddo, meglio avere una copertura in più che una in meno, gli effetti del congelamento si sentono dopo!” le disse, deciso, prima di lanciarle a sua vola una mini pallina di neve, che le colpì la pesante giacca.

“Mi hai gabbato tu, questa volta!”

“Succede quando perdi la concentrazione sul campo di battaglia!” cantilenò Hyoga, facendole l’occhiolino, prima di subire un nuovo agguato da parte della piccola, che gli saltò addosso e gli cinse il busto vivace, pronta a continuare il loro raffronto.

...Effettivamente era la ragazzina il problema, nonché la ragione del suo fastidio. Isaac sbuffò sonoramente dirigendo lo sguardo altrove. Da quando l’allieva di Milo di Scorpio era arrivata, non c’erano che occhi che per lei, quelli sempre dolci di Hyoga, ma anche quelli di Camus, che non aveva mai visto così brillanti nel guardare qualcuno.

Qualcosa gli bruciò dentro a quel pensiero, dandosi al contempo una botta di idiota. Si stava rivelando un poppante e, non lo avrebbe mai ammesso, ma… più si rendeva conto che la ragione era proprio per la ragazzina, più non si dava pace per essere caduto in una cosa così tanto stupida. E in quel momento, vicino al mare, anche se non si capiva molto bene il confine tra la banchisa e la distesa d’acqua, Isaac si chiese da cosa fosse derivata quell’inaspettata gelosia che gli rodeva dentro.

Tutto aveva preso avvio dalla mattina precedente, quando, alle prime luci del sole, lui era sceso dalla sua camera per entrare in quella del maestro, e lì li aveva trovati nel letto insieme, abbracciati. Camus non stava ancora bene, non si era svegliato, infatti, nonostante avesse il sonno leggero in genere, ma la piccoletta sì, aveva aperto gli occhioni verdi come i suoi, anche se di sfumature diverse, e aveva sbadigliato, sollevandosi un poco dall’ampio petto del Cavaliere per guardarlo. Lo aveva salutato, se lo ricordava appena, perché in quel momento qualcosa si era smosso in lui, una sensazione di profanazione, di intimo violato, come se qualcosa di loro gli fosse stato strappato. Non aveva detto niente, solo un leggero mormorio di assenso, prima di girarsi con stizza e andare a preparare la colazione.

Un episodio fortuito, si era detto. Probabilmente la ragazzina aveva avuto paura della tormenta e si era annidata nel letto di un distrutto Camus, che non riuscendo ad opporsi per la debolezza, aveva acconsentito. Già, un unico caso… tuttavia quella stessa mattina, di nuovo, l’aveva trovata nel letto del maestro, bel bella lei, come se niente fosse, avvolta dalle forti braccia del Cavaliere. Si era quindi ripetuta la scena della mattina prima, con lei che si svegliava, lo salutava e lui che non ribatteva, ancora più infastidito.

Non era più un caso fortuito: al maestro piaceva dormire con la piccola accoccolata, percepiva calore da lei, stava bene, ed era una cosa talmente intima per lui, il dormire con qualcun altro, che ciò doveva dimostrare il profondo attaccamento che provava per lei. Per lei, già…

Isaac fremette, rimproverandosi tra sé e sé: “Me la sto davvero prendendo per queste stupidate?! Dopo tutto ciò che è successo i giorni scorsi? - si chiese, stringendo i pugni – E’ ovvio che Camus abbia altre persone affezionate a lui, perché ne sono così stupito? E’ normale che abbia un’altra vita, al di fuori da quest’isba, al di fuori della Siberia, ma...”

Tornò a concentrarsi sulla scena davanti a sé, Sonia e Hyoga continuavano a ridere tra loro, totalmente distesi come Isaac non aveva mai visto suo fratello, che sembrava quasi aver trovato il suo posto nel mondo grazie alla marmocchia.

Il suo posto nel mondo…

Isaac credeva di averlo trovato a sua volta, al fianco di Camus, al fianco dello stesso Hyoga. Nessuno gli avrebbe più strappato nulla, nessuno avrebbe più osato, come già era successo alla sua famiglia di origine, eppure…

Era strasicuro di avere un rapporto speciale con il maestro, un rapporto inviolabile, sacro, superiore a tutto e tutti. Camus non si era mai comportato così con qualcun altro, mai, ciò che avevano vissuto insieme in quegli anni, maestro e allievo, anzi no, padre e figlio, era qualcosa di inimmaginabile per la gente comune; qualcosa che aveva reso il loro legame inossidabile. Non c’era nulla di più forte di quello, al mondo, Isaac lo sapeva bene, eppure…

Si girò di scatto, frastornato, non volendo mostrare la sua espressione agli altri due che si stavano divertendo un mondo tra loro. Serrò le palpebre.

Camus aveva altri legami. Non solo, aveva altri legami ugualmente speciali e insostituibili. Non c’era solo lui, nella sua vita… quella concezione lo fulminò, semplice, lineare, neanche fosse stata una grande rivelazione, poi… allora perché reagiva così?!

Non c’era solo lui nella sua vita… c’erano Milo, Sonia, chissà quanti altri, chissà…

Per Isaac invece non c’era altri che lui; lui e suo fratello Hyoga, la sua vita ruotava su di loro e, in quel momento, di soppiatto, il Fato, o chissà chi per esso, era venuto a soffiargli all’orecchio quell’ovvietà, che pure gli pesava da impazzire.

Non c’era solo lui, già… il cuore di Camus era immenso, poteva ospitare un sacco di persone. Il suo, no!

Si ritrovò ben presto gli occhi annacquati, la gola secca, un sorriso amaro a solcargli le labbra tremanti.

“Isaac… cosa c’è che non va?”

La voce di Hyoga lo raggiunse di soppiatto, da dietro, lui, non aspettandoselo, sussultò, affrettandosi a celare il malessere.

“Non eri a giocare con Sonia?” chiese di riflesso, non guardandolo comunque in faccia. Si sentiva dannatamente sporco, soprattutto con lui, che sapeva subire il peso di essere (erroneamente, tra l’altro!) un’eventualità e non una costante.

“Le ho implorato una pausa di 5 minuti, ora è là ad ammucchiare neve per la nostra battaglia!” sorrise ancora il biondo, indicandogliela. Effettivamente la ragazzina aveva già fatto meticolosamente un mucchietto diversi metri più in là.

“Capisco”

“Cos’hai? Non è da te stare così in disparte, hai ancora male alla spalla? Sei preoccupato per il Maestro Camus?”

“No, è che solo… niente!” si affrettò a ripiegare, sospirando per poi sedersi nuovamente sul permafrost, incurante del freddo. Hyoga lo seguì a ruota. Probabilmente, data la sua sensibilità, aveva captato qualcosa.

“Ti conosco da anni, ormai, non è da te un simile atteggiamento. C’è qualcosa che non va con Sonia?”

“N-no, figurati, sarà allieva di un altro Cavaliere d’Oro, ha la nostra età, potremmo definirla una nostra collega, se non una compagna, ma...”

“Ma il suo arrivo qui ti ha mandato in crisi...”

“S-sì… NO! Volevo dire di no!” arrossì. Guardando altrove.

“Vale la prima risposta, sai?” gli fece notare il biondo, sorridendo malinconicamente, non insistendo più sul discorso. Se Isaac desiderava parlare lo avrebbe fatto, non aveva senso costringerlo.

“A te… lei… piace?”

“S-sì, mi ci trovo molto bene”

“Aaaaah la tua prima cotta!” ammiccò con lo sguardo, dandogli gomitate tra il costato che ebbero solo l’effetto prima di irrigidirlo, e poi di farlo sobbalzare.

“Cosa vai a pensare, Isaac?! NON IN QUEL SENSO!!!”

Isaac si ritrovò ben presto a ridere sommessamente, un poco sollevato nello spirito, come accadeva di frequente quando parlava con suo fratello. Poco dopo si ricompose, riaprì gli occhi, che si erano nel frattempo fatti un poco bui.

“Anche il Maestro stravede per lei… hai visto come se la guarda e se la coccola quando dorme? - chiese di riflesso, cambiando tono di voce, che si fece un poco implacabile – Con noi… non si è mai comportato così!”

Non era corretto, Isaac lo sapeva bene, aveva mentito sia a sé stesso che al fratello di mille avventure, la formulazione giusta sarebbe stata: “PRIMA, si comportava così solo con me...” ma non poteva ammetterlo. Non poteva. Non proprio davanti a Hyoga, poi. Era dannatamente stupido e privo di senso, non si dava pace per essersi abbassato a provare sentimenti così meschini.

“Allora è questo il problema… - anche il tono di voce del biondo si era fatto paurosamente freddo, lo sconvolse fin dal profondo, mentre l’amico e fratello gli rivolgeva uno sguardo implacabile, uno sguardo non suo, che lo fece accapponare – Non sei abituato ad essere messo da parte, non sei abituato a… essere una seconda scelta, per questo reagisci così!”

“Hyoga, cosa stai…?”

“Penso che Camus ti abbia viziato un po’ troppo, in certe circostanze...”

Isaac si alzò di scatto in piedi, indietreggiando di qualche passo, prima di sbattere più volte le palpebre, quasi tramortito: non era affatto da Hyoga essere così brutale, anche se, lo sapeva, erano pensieri che serbava comunque dentro di sé.

“...sai, Isaac… - il tono del fratello si era fatto nuovamente dolce, così come il suo viso, ne ebbe una sensazione strana, come di risveglio di soprassalto da un incubo che fino a poco prima gli si era annidato nella mente – Io posso capirti, so cosa significa essere una seconda, o una terza, scelta...”

“N-no, Hyoga, tu non sei… non lo sei! Camus vuole bene anche a te!”

Isaac si era un poco riscosso, tornando a sedersi vicino a lui, ancora confuso. Chi gli aveva rivolto parola, prima? Non era stato il suo compagno, non era da lui, quell’atteggiamento così ostile, eppure, ne era consapevole, se non fosse stato di animo così gentile si sarebbe per davvero espresso così. Con chi… aveva discorso? Perché quella strana pesantezza nel petto?

“O-ora non mi vorrai dire che non è così, Isaac, è evidente, lo sai anche tu… - gli disse ancora, fremendo nitidamente e stringendo la mano sinistra a pugno per dar sfogo ai suoi sentimenti. Se non fosse stato così nobile, proprio come il maestro, lo avrebbe preso a cazzotti in faccia, probabilmente, e se lo sarebbe forse anche meritato, visto che rivelare una cosa così a lui era come mettere il dito nella piaga – Proprio per questo dico che non ti devi preoccupare, amico mio: il legame tra te e Camus non sarà mai messo in discussione, avrai sempre un luogo privilegiato dentro al suo cuore, non puoi esserne soppiantato in alcun modo, dovresti saperlo...”

“Hyoga...”

“E’ così, sai? - gli sorrise malinconicamente, prima di discostare lo sguardo – Avete vissuto così tanto, siete persino cresciuti insieme… per cui non temere, non c’è alcun nemico, né ostacolo, che ti dividerà da lui. Vi siete compenetrati vicendevolmente, ed è meraviglioso, questo, serbalo sempre dentro di te, perché hai una fortuna immensa… Isaac...”

Fu il suo turno di alzarsi e voltarsi dall’altra parte, del tutto incapace di reggere ancora a lungo quel confronto. Hyoga, il timido e insicuro Hyoga, che aveva vissuto male, in silenzio, il fatto di non riuscire ad entrare nel cuore di Camus, lo stava rassicurando, proprio lui, il primo a soffrire di una situazione simile. Davvero poteva essere così egoista?! Davvero stava provando un sentimento di velato astio per una ragazzina che aveva avuto solo la colpa di entrare a sua volta nella vita del maestro e rimanerci? Come lui, come suo fratello, come Milo…

Isaac non si dava pace per continuare a provare quel sentimento ingiusto, eppure più guardava la piccola, in quel momento intenta ad ammirare, con tanto di bocca aperta, la polvere ghiacciata che cadeva dal cielo, più sentiva muoversi dentro di lui qualcosa di immenso e distruttivo, di fuori controllo, che ben si miscelava alle sue emozioni intense e tendenti al nero. Quanto tempo aveva impiegato, quella ragazzina, per entrare nel cuore del suo giovane maestro? Era stata più veloce di lui, o meno? Che vissuto avevano, insieme, per essere così vicini, così… intimi? Strinse con foga i pugni, arrabbiato, frastornato, fratturato. La osservava torvamente, un misto di gelosia e senso di profanazione, ancora. E se Camus, ultimato il loro addestramento, ormai completamente maturi, li avesse poi snobbati?! In fondo, il loro rapporto, era partito come un legame docente-discente, mentre la ragazzina… poteva, forse, essere di più, molto di più.

Isaac sobbalzò, spaventato, come ridestatosi da pensieri troppo cupi e nefasti. Che andava a pensare?! Aveva ragione Hyoga, completamente! Loro erano molto di più di quello, ne era sicuro, nessuno li avrebbe incrinati, né spezzati, nessuno li avrebbe separati, come invece era accaduto con la sua famiglia d’origine a causa di quella gente cattiva, o come per Lisakki. Nessuno!

“Io invece assecondo i tuoi impulsi, Isaac! Hai proprio ragione: la ragazza, pur sembrano così innocente, è un pericolo, una scossa alla nostra stabilità, al nostro nucleo famigliare difficoltosamente assemblato!”

Isaac sussultò a quelle parole, voltandosi incredulo dietro di sé nello scorgere nuovamente Hyoga, ancora seduto, sogghignare sinistramente. Così brutale… così mostruoso… non poteva essere lui!

“Chi diavolo sei tu? Anche prima sei intervenuto! Non sei mio fratello, lui non parlerebbe mai così!” lo incalzò, mettendosi istintivamente sulla difensiva.

Inaspettatamente ‘Hyoga’, o chi per esso, si alzò in piedi affiancandosi a lui. Isaac si irrigidì di riflesso, ma l’essere non sembrava avercela con lui, anzi, appoggiava le sue pulsioni. Gli circondò le spalle come un vecchio amico, indicandogli nuovamente la ragazzina pochi metri più in là.

“Quella Sonia è un problema per la nostra famigliola, è subentrata qui, ha INVASO la nostra quotidianità in un momento di debolezza e sussiste come un pericolo...”

“Lei sarebbe un pericolo?! Cosa vai cianciando?! E’ una mia compagna, sarà allieva di Milo di Scorpio e, insieme, combatteremo per la giustizia su questo pianeta!”

“Tu lo dici, perché te lo stai raccontando, Isaac… ma le avverto le tue pulsioni interne, SONO le tue pulsioni interne, non la vorresti qui, vorresti solo che quel Cavaliere la venisse a riprendere. Non puoi mentirmi, ti sento, meglio di chiunque altro!”

“Insomma, chi diavolo sei?!”

“Oh, sai chi sono, lo sai bene! Sono nato da te, SONO te, la parte più cupa di te. Allo stesso modo, rappresento la vetta che vorresti raggiungere, il tuo ideale, il tuo esempio, forse solo Camus è un mio pari. In effetti, mi ostruisce non poco il tuo maestro, mi ostacola, anzi CI ostacola, perché non ci ha mai capito, non TI ha mai capito, Isaac!!”

“S-sparisci dalla mia mente!”

“Io non posso sparire, sono te, come detto poc’anzi… ma puoi fai scomparire quella ragazzina, hai il potere per farlo!”

“Per essere me parli un po’ troppo per i miei gusti! Vattene via subito, o io...”

Gli cominciarono a sibilare le orecchie, la testa prese a girare, tanto che si dovette trattenere il volto con le mani. Sembrava di muoversi in tondo ad una velocità vertiginosa, eppure le gambe erano ben ancorate al suolo, erano ferme, perché quindi...”

“Osserva...”

Isaac si trovò a spalancare le orbite, il suo corpo parve quasi contorcersi su sé stesso, mentre, nelle due cornee, si imprimevano due immagini diverse, due luoghi quasi opposti, due soggetti che, pur nella loro differenza strutturale, erano entrambe vittime. Vittime di lui, della sua furia.

Il ragazzo quasi cadde all’indietro davanti a quelle visioni, il suo cervello non era più in grado di catalogare quale fosse l’immagine corretta. Tremò, prima di crollare, ma ‘Hyoga’ gli cinse anche il fianco come se avesse un tentacolo al posto del braccio, facendolo appoggiare contro di sé, in un gesto di pura possessione che non era affatto da lui. Lo costringeva ad una posizione ritta, sebbene Isaac, in quel momento, sentisse un folle bisogno di svenire e perdere coscienza, tanto era il dolore.

“Osserva… - si raccomandò ancora il falso Hyoga, implacabile – Questo è il tuo reale potere, puoi far sparire tutto ciò che non ti va a genio per difendere ciò in cui credi, puoi farlo!”

“N-non lo farò… Sonia non ha fatto niente, è innocente, non...”

“Lo è per davvero? Anche l’altro ragazzino che vedi, sì, quello con i capelli rossicci e quegli strani segni sulla fronte, è innocente?! Chi lo dice?! Sei solo tu a decidere, tu il giudice… sono davvero così innocui per te?!”

Isaac era sempre più confuso. Dall’occhio di destra gli arrivava, ancora l’immagine di Sonia, anche se la sua attenzione era ai suoi piedi, al ghiaccio sottostante… se solo si fosse rotto, quel ghiaccio… probabilmente la ragazzina si sarebbe presa un bello spavento, quanto bastava per convincerla ad andarsene; dall’altro occhio, invece, il sinistro, la cui orbita gli faceva un male insopportabile, da desiderare di cavarselo via, gli sopraggiungevano immagini di tutt’altro genere: un ragazzino chiaramente ferito, in effetti dai capelli rossi e da degli strani caratteri distintivi, abbracciato su uno scrigno dorato, che stava difendendo con le unghie e con i denti.

Due immagini così diverse… due tempi apparentemente lontani, ma contraddistinti dalla stessa, perenne, pulsione, lo stesso, vacuo, desiderio di toglierli dalla sua strada. Di… sbarazzarsene!

“Allora? Sono innocenti per te?”

“U-urgh...”

“Falli sparire… asseconda le tue pulsioni, la tua REALE forza”

In quell’istante il ghiaccio si incrinò pesantemente sotto i piedi della piccola, che tuttavia non si accorse di niente, così presa com’era a guardare la polvere ghiacciata.

“Ancora, di più… forza!”

“N-no...”

“Tu sei il giudice!”

Un primo calcio venne sferrato alla schiena del ragazzino, che sobbalzò dolorante, continuando comunque a proteggere quel dannato scrigno della Bilancia con tutto sé stesso. Una rabbia atroce lo invase, implacabile: chi diavolo era quel moccioso, perché si permetteva di fare l’eroe?! Perché gli era stata concessa quell’opportunità, mentre a lui no?! Non la meritava, forse?! Non ne era… degno?!?

“C-cosa mi stai facendo fare?! Non ti permetto di dominarmi, n-non...”

“Pensi ancora sia un’esistenza aliena fuori da te, Isaac? Non lo sono, non ti sto dominando, io SONO te!”

“N-non è vero io non… NON SONO COSI’!”

“Non sei così perché non mi hai ancora accettato completamente, solo questo; non sei così perché gli insegnamenti del tuo maestro contrastano con la mia essenza, solo per questo non sei ANCORA così!”

“Io non sarò mai così, n-non...”

“Tu vuoi semplicemente che Sonia si prenda un bello spavento in modo da andarsene, vero? Chi si crede di essere, lei, per essere entrata così agevolmente nel cuore di Camus?!”

“B-Basta!!!”

“Allo stesso modo, chi crede di essere quel marmocchio che vedi davanti a te, che è stato addestrato da un altro Cavaliere d’Oro e che fa quello che non è stato concesso a te? E’ forse migliore di te? Perché lui ha potuto fare l’eroe e tu no?”

“U-urgh...”

“Siete stati addestrati da due Cavalieri d’Oro, ma lui è lì, a difendere ciò per cui è nato, tu no, sei diventato il cattivo in questa storia… ti sembra giusto?!”

“N-no, io...”

“Eliminano! Elimina Kiky...”

Una serie di calci… aveva perso il conto di quanti gliene aveva inferti, eppure quello sciocco ragazzino che giocava a fare l’eroe era ancora ottusamente lì, sanguinante, dolorante, ma sempre lì, a difendere ciò in cui credeva. Per un solo istante, Isaac si rivide completamente in lui, nell’occasione che gli era stata strappata, ciò lo fece infuriare ancora di più.

A lui veniva strappato sempre tutto… TUTTO!

Un grido, seguito da un rantolo sommesso, raggiunse le sue orecchie: stava premendo forte con il piede sulla sua schiena, un goccio di pressione in più e gli avrebbe spezzato la colonna vertebrale, altro che fare l’eroe. Eppure non demordeva. Che irritante spina nel fianco!

Tsk! - rumoreggiò, sempre più iroso, sempre più implacabile – Bene allora, morirai abbracciato a quel contenitore… così nell’aldilà ti loderanno!”

Del resto, era quello che voleva, no? Giocare a fare l’eroe prevedeva dei rischi, era la dura realtà e, quel rischio, molto spesso, conduceva alla morte.

Sollevò la gamba, preparandosi ad infliggere un nuovo calcio. Sarebbe stato più semplice schiacciarlo fino a rompergli la schiena, ma, non seppe perché, non lo fece.

E’ LA TUA FINE!”

“Scaccia via Sonia, in modo che non interferisca più con voi, con noi… che se ne stia in Grecia, lontana dalla Siberia, lontana da Camus… non dovrebbe essere nessuno per lui, non si deve permettere di rimanere qui impunemente!”

Già, quella ragazzina non avrebbe dovuto essere niente per il maestro, non era sua allieva, non avevano trascorso anni insieme, non gli aveva salvato la vita, al contrario suo. Probabilmente si vedevano di rado e non avevano neanche avuto un vissuto in comune, perché allora quel rapporto così profondo?! Perché accadeva sempre, sempre, che ciò che avesse di più caro gli venisse strappato?!? SEMPRE, DANNAZIONE!

Senza che Isaac se ne rendesse nitidamente conto, le sensazioni di quegli ultimi mesi si accuirono e, con esse, anche il senso di perdita sempre più imminente, quel continuo senso di inquietudine, quel temere di non avere più molto tempo da passare con Camus e Hyoga. Rabbrividì a quell’ultimo pensiero.

No, non poteva permetterlo, NO!

Di nuovo, una rabbia atroce lo invase, non riusciva più a controllarla, doveva espellerla, subito. Strinse con foga i pugni, guardando con ira il ghiaccio sotto i piedi della piccola.

“Cedi...” sibilò tra i denti.

Muori...” pensò intensamente l’altro sé stesso, mentre la gamba gli si sollevava per darsi maggior spinta.

Il ghiaccio su cui la piccola si appoggiava, in quell’istante, implose da sotto, alcune schegge la ferirono, mentre urlante, provava a coprirsi il volto con le braccia. Isaac riuscì ad accorgersi appena di ciò che stava perpetrando, che l’intervento di Hyoga, la sua voce, lo riscosse dal profondo, facendogli aprire gli occhi.

“ISAAAAAAC!” urlò suo fratello, come per avvertirlo, mentre si precipitava in tutta fretta verso la piccola, proiettata all’indietro, afferrandola giusto in tempo impedirle di finire in acqua, perché una notevole porzione di ghiaccio si era spaccata, aprendo una voragine. La scena aveva lasciando lui impietrito, sbigottito, sul posto.

Fermati, basta!!!”

L’altro Isaac si immobilizzò a sua volta sul posto, come quella volta di due anni prima in cui era successo l’incidente a Sonia. Non lo dimostrò nel volto, ma anche in quel caso si sentì scosso per una serie, interminabile, di secondi. Rimase a guardare i movimenti affannati di chi era stato un fratello per lui, che si trascinava a stento, respirando appena dopo i colpi subiti e l’emorragia consistente, ma arrancava comunque risolutamente verso il ragazzino, con una grinta che non gli aveva mai scorto durante l’addestramento. Era cambiato. Si era affinato. Diventando migliore, contrariamente a lui.

Va meglio?” gli chiese al piccolo, con un filo di voce, posandogli una mano sulla schiena e sforzandosi di sorridere per fargli coraggio.

Ah, sì, adesso sì, u-urgh... beh, hai visto, Hyoga? Non ho abbandonato lo scrigno, io ho resistito come un vero Cavaliere!”

Ho visto, Kiky, però ora riposati e lascia a me Isaac, non vorrai prenderti tutto il merito della sua sconfitta… riposa tranquillo e non temere, nuove imprese ti attendono!” gli disse ancora, prendendolo delicatamente in braccio per poi adagiarlo compostamente a terra.

Isaac lo guardò in una parvenza di distacco, ma dentro di lui qualcosa si era smosso: Che cosa era diventato?! Quanto si era allontanato dagli insegnamenti del suo sacro mentore?! Come… era stato possibile?!

“Cosa… cosa sto diventando?!” esclamò tra sé e sé, mettendosi le mani tra i capelli nel vedere Hyoga tornare verso di lui, stringendosi la piccola al petto. Era chiaramente ferita, l’espressione rotta dal dolore, il respiro dispnoico, la pelle pallida.

“Isaac, dammi una mano, forza! Non so cosa sia successo, proprio non lo so, ma dobbiamo portarla subito all’isba, il Maestro saprà cosa fare!” esclamò urgentemente Hyoga, cercando disperatamente di attirare la sua attenzione.

Riuscì infine a rianimarsi, precipitandosi a sua volta nella loro direzione per prestare le prime cure, rigettando disperatamente indietro tutte le incertezze di quel momento, l’incubo sfumato che aveva visto, le parole di quel mostro. Tutto.

Tentava disperatamente di rifiutarlo, di non abbandonarsi a lui, ma aveva ragione quell’essere, lo aveva riconosciuto e, cosa ancora più raccapricciante, aveva provato davvero la sensazione che non fosse un’ingerenza esterna, in alcun modo!

Era… era... intessuto nel suo corpo, senza possibilità di equivoco!

 

Questo è il tuo devastante potere, Isaac… Io sono te, tu non puoi essere nessun altro che me! Siamo destinati a crescere insieme!

 

 

* * *

 

 

Camus passeggiava nervosamente per il soggiorno dell’isba, finalmente in grado di muoversi liberamente anche se farlo gli costava dolore e fatica. Continuava ad indossare solo i pantaloni del pigiama, gli unici che gli davano un po’ di comodità, per quanto fregassero comunque sulla ferita. Aveva appena preparato un impacco per l’ematoma e girava con quello legato in vita. Avrebbe forse dovuto star fermo e riposare ancora, ma i prolungati giorni in cui era stato costretto al riposo lo avevano fiaccato più delle sue stesse condizioni fisiche, per cui, cercando di non curarsi del dolore che provava ad ogni più piccolo movimento, armeggiava con un pentolino per farsi una tisana calda.

Hyoga ed Isaac erano usciti a giocare con la piccola Sonia, e si erano allontanati. Lui glielo aveva lasciato fare, ben consapevole che presto, il più presto possibile, sarebbero ricominciati gli allenamenti per i suoi due allievi, con il doppio dell’intensità perché, di tempo, ne avevano perso abbastanza.

L’acqua era infine giunta ad ebollizione, Camus chiuse il fornello, preparando poi l’infuso di menta e di qualche altra erba miracolosa presente nella generosa taiga siberiana. Tornò a sedersi, mentre, socchiudendo gli occhi permetteva al profumo caratteristico di penetrare nelle sue narici, che ne furono colme. Gli piaceva molto la fragranza della menta e della mentuccia, lo rendeva tranquillo e lo faceva stare bene.

Fortunatamente i ragazzi e la piccola erano fuori, lasciando finalmente lui solo con i suoi pensieri, che conducevano tutti a Milo. L’amico non si era più fatto sentire da quando era tornato in Grecia. Gli aveva lasciato Sonia con la promessa che l’avrebbe richiamato al più presto per accordarsi su quando venirla a riprendere, e poi era sparito. Non era assolutamente da lui!

Come se non bastasse, si sentiva inquieto. Sonia aveva fatto un sogno circa le condizioni del Cavaliere di Scorpio, chiedendogli ripetutamente conferma che, in casi normali, Milo non avrebbe potuto essere fustigato. Lui l’aveva rassicurata come aveva potuto ma, in verità, un dubbio piuttosto grande lo aveva invaso, anche se aveva tentato di nasconderlo: e se DAVVERO era successo quel che la piccola temeva? Se Milo avesse subito la punizione per lui? Per essere venuto a soccorrerlo?! Certo, l’amico gli aveva assicurato che aveva ottenuto un permesso speciale, ma… era poi vero?

Camus lasciò la tazza fumante sul tavolino, rialzandosi in piedi senza riuscire a nascondere una smorfia di dolore, per poi andare a prendere il cellulare che miracolosamente, quel giorno, prendeva. Stette diverso tempo a fissare lo schermo, mentre con l’altra mano si massaggiava più volte la pancia, sostando sul taglio, che gli dava così tanto fastidio. Si immobilizzò per una serie di secondi, prima di attivare il tasto della chiamata e accostarsi il cellulare all’orecchio.

Attese… uno, due, tre squilli, che continuarono per diversi secondi. Fu quasi sul punto di mettere giù quando, finalmente, dall’altro capo, qualcuno rispose.

“Milo!” non riuscì a trattenere un tono d’urgenza nel chiamare il suo migliore amico, non riuscì a mascherare la preoccupazione, ma quando dall’altro lato ottenne finalmente la risposta, tutta quell’apprensione si incartò su sé stessa, mascherandosi.

“Ehm… Camus?”

Non era la voce del suo migliore amico… non era neanche una voce maschile, a dirla tutta. Fremette un poco, prima di tramutare il suo tono di voce in uno molto più freddo e gelido.

“Myrto?! Ora prendi anche gli altrui cellulari?!”

La reazione non si fece attendere.

“Beh, buongiorno anche a te, Camus! E’ un vero piacere sentirti dopo così tanto tempo!” ironizzò lei, calcando sull’ultima frase.

“Cosa fai con il cellulare di Milo?!”

“Lui non può rispondere e allora...”

“...E allora hai deciso di entrare nel suo intimo, mi sembra giusto!”

“Io non sto entrando da nessuna parte, chiaro?! Semplicemente il cellulare suonava, volevo chiuderlo ma ho sbagliato tasto, tutto qui!”

Non gli disse che lo voleva fare per non svegliare Milo, ancora addormentato sul suo grembo, dopo che il giorno prima era stato malissimo per le frustate. Non aveva avuto un attimo di pace, così in preda ai deliri, alla febbre, alla sofferenza, e lei non lo aveva lasciato un attimo. Ora, quella mattina, finalmente aveva trovato un po’ di pace, ed ecco subito l’Acquario a chiamarlo. Myrto, di primo acchito, avrebbe voluto per davvero buttare giù, ma poi vi aveva letto il numero di Camus, si era detta che probabilmente si era preoccupato, cosa vera, perché il tono strozzato con cui aveva chiamato il suo compagno creava pochi fraintendimenti, ma eccolo subito a fare il supponente come suo solito, davvero insopportabile.

“Cosa fai… ?”

Il tono denigratorio non era sfuggito alle orecchie esperte di Myrto.

“I cazzi miei… non sono affari tuoi quel che succede qua in Grecia!”

“Lo sono, invece… è il mio migliore amico e lo stai portando alla follia, Myrto! Sei diventata archivista, giusto? Era un’occasione perfetta per lasciarlo un po’ stare, perché ciò che inseguite è una chimera, lo sa lui e lo sai tu, MA NO! Dovete continuare a...”

“A COSA?! A TROMBARE?!? E’ QUESTO CHE PENSI?! ANCHE SE FOSSE, NON SONO CAZZI TUOI, CAMUS!”

Silenzio dall’altra parte della cornetta, come se si fosse gelato il tempo. Myrto si sforzò di riportarsi alla calma, prendendo boccate d’aria. Aveva alzato un po’ troppo la voce, rischiando di svegliare Milo, che tuttavia, stremato come era, si era mosso appena, sistemandosi meglio sul suo grembo e nascondendo un poco il viso. La giovane donna sorrise tristemente, sistemandogli meglio le coperte e accarezzandogli i capelli lunghi e ribelli. Così fragile tra le sue braccia, così fedele anche nei confronti del suo migliore amico, così… unico! Camus, ne era più che convinta, non riusciva a capire quanta fortuna avesse avuto ad averlo al suo fianco, quanto avesse fatto per lui, e sofferto, avrebbe tanto voluto dirglielo ma aveva promesso di mantenere il segreto.

“Lui dov’è?”

Tornò la voce di Camus, glaciale più di prima, forzatamente piatta, perché l’Acquario, quando si arrabbiava, difficilmente alzava i toni, li abbassava e, ogni volta, era un brivido in più.

“Nella… doccia” si sforzò di mentire, sebbene gli costasse un po’.

“Bene, quando esce puoi dirgli…?”

“Ha una missione per conto del Grande Sacerdote, non sarà libero fino a stasera… credo...”

“E’ lo stesso, quando puoi digli di chiamarmi, perché Sonia è ancora qui con i miei allievi e...”

“Sta bene la piccola? I tuoi allievi l’hanno ben… accettata?”

Camus tacque per un’altra manciata di secondi, prima di sbuffare.

“Come non sono cazzi miei quel che succede lì in Grecia, allo stesso modo non sono affari tuoi quel che succede qui in Siberia, è chiaro?”

“TU! B-brutto...”

“Ah, e Myrto...”

La giovane donna si era trovata a sobbalzare per il tono adoperato che precludeva ad una bomba appena sganciata destinata a scoppiare.

“Non mi importa il tuo giudizio su di me, puoi pensare quello che vuoi, non mi tange! Non significhi nulla per me...”

“Ne sono consapevole… vale lo stesso per me!” sibilò lei fra i denti.

“Ma so per certo che la tua presenza indebolisce e confonde Milo ancora di più, e lui è il mio migliore amico. Urlami quanto ti pare, odiami, ma non cambio idea: dovresti allontanarti da lui, per sempre! La vostra scappatella da ragazzini è durata anche fin troppo!”

“Scappatella da ragazzini?! Come ti permetti?! I-io...”

“Lascialo andare, Myrto! Lui è un Cavaliere di Atena, tu, ora, un’adepta all’archivio del Santuario, non potete in alcun modo...”

La goccia che fece traboccare il vaso.

“Ora stammi bene a sentire, PEZZO DI MERDA, ho sopportato i tuoi sermoni troppo a lungo, ORA E’ IL MIO TURNO DI DIRTI LA MIA OPINIONE!”

“...”

“Sei tu, non io...”

Contrariamente alle aspettative, il suo tono pareva tornano ad una forzata calma, un mormorio appena accennato, un ringhio.

“Io sarei cosa…?”

“Un qualcuno che non merita di avere uno come Milo al suo fianco! Non ti sopporto, TI ODIO! E sai, perché?”

“No, non lo so, suppongo me lo chiarirai tu a breve...” era la volta di Camus di ironizzare, sempre con quel tono denigratorio.

“Perché nonostante questo, nonostante tu sia una merda di persona, Milo sarà sempre, sempre, al tuo fianco, non ti abbandonerà mai! Potrebbe sacrificare tutto, scendere a patti con la sua coscienza… abbandonare me… ma non ti lascerà mai, sarà sempre con te, con te che lo tratti da schifo, con te che non capisci mai un cazzo di niente, una beata minchia di niente… MA SARA’ CON TE, SEMPRE!”

Le era uscito un singhiozzo, non avrebbe voluto, dimostrava così, proprio davanti a Camus, di patire quel loro legame indissolubile, quel legame che, sapeva, per quanto Milo la amasse, era irraggiungibile, quella unione di anime che sembrava affondare le proprie radici in vite precedenti, in qualcosa che superava i confini fisici.

Si riprese comunque in fretta, affondando il magone dentro di sé, prima di continuare.

“Per quanto tu sia uno stronzo patentato, lui ti adora, e mai mi sognerei di mettermi tra te e lui, di augurarti di separarti da lui perché così soffrirà di meno! Anche se lo penso veramente, Camus! Tu porterai alla distruzione il tuo amico, gli spaccherai il cuore, lo so io, lo sa lui, lo sai anche tu probabilmente, ma… m-ma lui vuole te, te e nessun altro, ed io non sono così meschina, come te, da desiderare che tu scompaia dalla sua vita, sebbene sappia bene queste cose...”

Silenzio da entrambe le parti. Camus era rigido in posizione eretta dopo quello sfogo, Myrto era china su sé stessa, gli occhi chiusi, le lacrime a fior di palpebre, la mano ancora tra i capelli della persona che amava e che era troppo stanca per reagire a quel baccano, che probabilmente non percepiva neppure, da quanto fosse devastato.

“E’ stata molto istruttiva questa telefonata con te, Myrto… - il tono era un po’ meno ironico, per quanto comunque pizzicante, sembrava quasi triste, ma era stato pronunciato sempre con un gelicidio che faceva accapponare la pelle – Quando puoi, di’ a Milo ciò che ti ho detto… ti saluto!”

E riattaccò senza ulteriori giri di parole. La giovane donna rimase per un tempo indefinito ad osservare lo schermo ormai nero, prima di riprendersi e gettare il cellulare in fondo al letto.

“Fanculo anche a te, Camus! - sibilò, prima di calmarsi e tornare a coccolare Milo, che si era mosso appena, invocando il nome del suo migliore amico e poco dopo quello di lei, nel sonno. Chissà cosa stava sognando, poi... – Sei davvero un essere più che speciale, Scorpio, un tesoro da custodire… e da preservare!” sorrise tristemente lei, passando ad accarezzarlo anche con l’altra mano e chinandosi verso di lui per posare un leggero bacio sulla sua fronte.

“A-anche tu...” barbugliò lui, impastato, facendola ridacchiare di riflesso. Gli capitava spesso di parlottare nel sonno.

Nella sua isba, nel suo rifugio, anche Camus aveva gettato, con stizza, il cellulare sul divano, ricordandosi appena di dover bere la tisana ma, nondimeno, non avendone più voglia. Si sedette difficoltosamente dall’altro lato, la consueta fitta di dolore partì dall’addome per poi perdersi nel braccio destro. Non ci diede peso. Socchiuse gli occhi, nascondendoli tra le mani, incurvandosi un poco.

Non lo aveva certo dimostrato al telefono, ma le parole di Myrto lo avevano colpito brutalmente e affondato. Era vero, Milo non si meritava un caso umano come lui, un casino ambulante, una spina nel fianco incapace di dimostrare, a sua volta, quanto ci tenesse. Era inabile a ricambiare tutto il calore che riceveva, tutto il profondo affetto che lo legava a lui, come un fratello, anzi, come molto di più. Non ci riusciva e non si dava pace, su quello la critica della giovane donna era ineccepibile, ma non gliela avrebbe mai data vinta. MAI.

Sospirò pesantemente, si scoprì di tremare, non per le ferite, non per le ripercussioni sul suo corpo, ma per il raffronto avuto proprio con Myrto. Si morse il labbro inferiore trattenendo uno spasmo dentro di lui, introiettando le sue emozioni per farle svanire senza renderle più percettibili all’esterno. Trascorse diverso tempo in quella posizione, non seppe bene quanto, ma abbastanza; abbastanza per permettere a Hyoga e Isaac di raggiungere l’isba, entrare sbattendo la porta, e farlo sobbalzare, tanto da rimetterlo in piedi con uno scatto. Ancora prima che i due ragazzi facessero capolino, Camus percepì che la situazione era drammatica.

Vide per primo Hyoga, tutto trafelato, con in braccio la piccola Sonia, chiaramente ferita e incosciente e, dietro di loro, un tumefatto Isaac, sconvolto fin dai recessi dell’anima.

“Hy-Hyoga, I-sa… - non riuscì a terminare la frase, le gambe gli si erano mosse per precipitarsi verso la piccola chiaramente sofferente, la prese tra le braccia, sebbene il biondo la sostenesse ancora contro di sé, spaventato a morte – C-cosa le è successo? P-perché…?!”

“N-non lo so, Maestro! I-il ghiaccio… è come se fosse imploso da sotto, aprendosi completamente come una faglia! Lei e stata ferita dalle schegge e sbalzata via e… e… vi prego, Maestro, fate qualcosa, ho evitato che finisse in acqua, ma è ferita!” provò a spiegarsi Hyoga, gli occhi spalancati dalla paura mentre Camus, tentando di celare la sua, di paura, la sollevò tra le braccia e se la strinse al petto.

Isaac, rimasto in disparte, ancora più sconvolto del biondo, non riuscì a far altro che guardare fisso la scena davanti a lui, mentre gli occhi del maestro, severi, acuminati, per un breve istante, si incrociarono con i suoi, prima di dargli le spalle e concentrarsi sulle condizioni della piccola.

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Auguri a tutti e buon anno, innanzitutto ^_^

Dunque, in principio Isaac non doveva essere altro, almeno in questa storia, che una sorta di Guest Star, ma poi il piccolo e forte Isaac, come lo chiamerebbe Camus, si è insinuato qua dentro e non ne vuole proprio sapere di togliersi, dando a me occasioni per approfondirlo.

Ancora una volta picchio sul rapporto tra Camus e Isaac, perdonatemi, non mi stancherei mai di parlare di loro due, ancora una volta sto cercando di rendere il personaggio coerente con l’opera del manga.

Isaac… e la visuale che ho io su di lui, che qui vi viene proposta. Purtroppo, basandomi sull’opera originale, non posso non nascondere anche le azioni perpetrate dall’Isaac Generale degli Abissi, che picchierà brutalmente l’indifeso Kiky, non posso… e ancora mi sto a scervellare su come sia possibile che, partendo dagli ideali dell’addestramento, lui poi diventi così.

Ecco qui la mia risposta, racchiusa in questo capitolo e, in parte, nel prossimo.

Sappiamo, da Parallel Hearts, che avvaloro l’ipotesi che Isaac abbia scelto di schierarsi con Poseidone DOPO la morte di Camus, colui che considera un padre, che chiama papà in quest’ultimo periodo, il basamento centrale della sua esistenza… ma questo come si spiega col trattamento a Kiky? Ebbene, è perché il ragazzo, in fondo, si rivede molto in lui, nell’occasione che ha perso, nel futuro che gli è stato strappato, e agisce di conseguenza. Oltre a questo… Isaac, per me E’ il Kraken… il Kraken fa parte di lui, lo si vedrà nel prossimo capitolo, si nutre della sua rabbia, è un potere immenso difficile da controllare, una forza distruttiva che lo rende, almeno ora, assai più forte di Hyoga, che pure erediterà tutto da Camus.

Vi è un principio malvagio in lui, che dipende dalle sue emozioni, come si è visto, che lo spinge ad attaccare Sonia per difendere ciò che considera suo.

Il parallelo tra Kiky e Sonia è evidente, il fatto che sia Hyoga, suo fratello, a fermarlo entrambe le volte è chiaro.

Isaac per me NON è cattivo. E’ un personaggio che amo alla follia, e che voglio portare avanti in queste storie, farlo crescere, a prezzo di immani sacrifici. Il suo destino è quello di perdere, e perdere, le persone per lui più importanti, ciò lo spingerà a diventare sempre più forte, nel disperato tentativo di imbrigliare questo potere.

Mi dilungo molto sui momenti fluff perché, come saprete, il tempo a loro disposizione non è poi così tanto, essendo che, in questa versione, Isaac sparirà a settembre del 2008, quindi fra 7 mesi circa.

Dovrei aver finito anche questa volta e… ah, i dialoghi in neretto, che raffigurano la scena del pestaggio di Kiky, sono in larga parte presi dall’anime, un momento toccante, bellissimo, reso ancora più magistrale dai doppiatori italiani, io ho solo cambiato i nomi proprio, rendendoli come quelli del manga.

Grazie a tutti come sempre e un caro saluto :)

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Capitolo 18
*** Il devastante potere del Kraken ***


Capitolo 18: Il devastante potere del Kraken

 

 

 

“Che diavolo è successo?! Hyoga! Isaac!” chiese Camus per l’ennesima volta, allarmato, scambiando furtive occhiate agli allievi, mentre adagiava il corpicino di Sonia sul divano e si chinava su di lei, scostandole la frangetta. Si accorse che la mano gli tremava per la paura, cercò di calmarsi.

“N-non lo sappiamo, Maestro! E’ come se… se il ghiaccio fosse imploso da sotto, l-lei è stata colpita dalle schegge di vetro e ha perso i sensi! L’ho afferrata al volo e… e...”

“Da quando il ghiaccio implode da solo, Hyoga, in questa stagione, poi?! Non avete visto nient’altro?!”

Camus sembrava furibondo, probabilmente era preoccupato da morire per la piccola e reagiva con rabbia per averle permesso di farsi così male, il biondo lo sapeva bene, ma continuava a non darsi spiegazioni sull’incidente, sentendosi in colpa per non essere stato in grado di ripararla prima, di fare qualcosa di più concreto, di proteggerla, insomma. Eppure, poco prima che accadesse, l’aveva percepita quell’ombra sinistra che si muoveva sotto i loro piedi, come uno squalo, ma non c’era stato il tempo per nient’altro.

“I-io non lo so, Maestro...” ammise, prostrato oltre l’inverosimile, ricercando difficoltosamente lo sguardo di Isaac, che tuttavia fissava sgomento le manovre di Camus per liberare la piccola dal pesante giaccone.

“Va bene, non ha importanza adesso, andate a prendere delle bende, del disinfettante, qualcosa per tenerla al caldo, veloci!”

I due allievi non se lo fecero ripetere due volte e corsero fuori da soggiorno alla ricerca di quanto richiesto.

Camus si morse il labbro inferiore nel vedere le condizioni della piccola, non sembrava ferita troppo gravemente, ma aveva di sicuro sbattuto la testa e respirava male, affannata, infreddolita. Le manine, tolti i guanti, sembravano già due blocchi di ghiaccio...

“Sonia… Sonia, mi senti?” le chiese, provando ad accarezzarle la guancia per valutare se rispondesse agli stimoli, ma la ragazzina produsse soltanto un debole lamento, quasi del tutto incosciente.

“Maledizione… - sibilò fra i denti Camus, correndo a toglierle il maglione con il collo alto per riuscire a farla respirare meglio, perché boccheggiava – Coraggio, piccola, tu sei forte, lo sei sempre stata!” provò ad incoraggiarla, posizionandole le gambe sopra i cuscini, prima di baciarle teneramente la fronte.

Occorreva un intervento immediato, perché era lampante che la ragazzina avesse subito uno shock non da poco, c’era il rischio che non si riprendesse più. Rifiutando quell’ipotesi con uno spasmo tumefatto, Camus si fece coraggio, apprestandosi a riutilizzare i poteri che gli derivavano dall’essere uno Sciamano Guaritore. Essi lo avrebbero spossato più di quanto già non fosse, ma la posta in gioco era troppo alta, per cui, senza darci peso, privando la piccola dell’ultima maglia, le posò dolcemente una mano sul petto, che si muoveva irregolarmente, prima di chiudere a sua volta gli occhi e far scaturire una lucina dal palmo, che subito irradiò la piccola. Il gesto, come era nelle sue aspettative, mozzò anche il suo di respiro.

Servivano molte energie psico-fisiche per curare un essere umano, in più, con un corpicino così minuto come quello della ragazzina, bisognava stare ancora più attenti. La raccolse con l’altro braccio, tenendole la testa sollevata, stringendosela poi al petto nudo. Le palpebre della piccola si mossero appena, agitate, prima di rilassarsi al contatto con le sue labbra, che si erano di nuovo posate sulla sua pelle. La cullò, cercando di farle percepire il calore del suo corpo, le parlò con voce dolce, quasi melodiosa, ondeggiando appena con il busto per tranquillizzarla.

I danni in sé non sembravano irrimediabili. Il procedimento avrebbe richiesto forse meno tempo se Camus non fosse già stato minato dalle sue precarie condizioni fisiche, che lo fiaccavano non poco… non aveva comunque importanza, il risultato lo avrebbe raggiunto comunque, portando la piccola a rilassarsi e lasciarla abbandonarsi al sonno.

C’era però qualcosa che lo impensieriva in quell’ispezione volta a far star meglio Sonia, e non erano i danni esterni, bensì quelli interni, come se un qualcosa di orrendo e oscuro si fosse avvinghiato alla sua anima e non volesse più lasciarla andare. Quell’essere dai contorni non ben definiti e le movenze sinistre... l’Acquario lo aveva già percepito in altre circostanze, una in particolare. Rabbrividì istantaneamente, percependosi la gola secca e il respiro dispnoico. Lentamente ciò che era davvero successo veniva a galla, rabbuiandogli il viso e irrigidendo di riflesso il suo corpo. Serrò la mascella, sforzandosi di riportarsi al controllo: non era quello il momento per dimostrarsi debole, doveva riprendere in fretta le redini.

“Va’ via!” disse semplicemente, quasi ringhiando, mentre l’oscura presenza, a quelle semplici parole rise di gusto.

Tu non hai abbastanza potere, non qui, non adesso, Camus dell’Acquario… sei troppo debole!

“Va’ via!”

E se non volessi, e se…

“Non sprecherò altre parole con un’oscenità come te, ho detto di andare VIA da lei!” calcò le ultime parole, con una punta di rabbia.

D’accordo… tieniti la piccola, se ci tieni tanto, esigerò ALTRO, di ben più prezioso!

Così disse, dileguandosi istantaneamente. Camus si trovò a trarre un profondo respiro, mentre, con mille e più premure, riadagiava Sonia sul divano, finalmente assopita, la testa e le gambe leggermente sollevate rispetto al busto, il respiro tornato quasi del tutto regolare. Si ritrovò a sorridere stancamente, sentendosi sfinito, rifiutando però di lasciare il suo fianco. Automaticamente le sue dita si mossero verso di lei per accarezzarla e, nello stesso momento, di riflesso, la piccola, avvertendo la sua mano, alzò debolmente il braccio per tentare di stipulare un contatto con lui.

“Sei al sicuro, frugoletta, andrà tutto bene! Dormi ora, al resto ci penso io!” le sussurrò con dolcezza, accompagnandole il braccio giù e girandole delicatamente il volto per farla stare più comoda.

“Ma-maestro, n-noi, ehm...”

Dallo stipite delle porta erano tornati gli allievi, Hyoga addirittura, con in mano una coperta, dei medicinali e dei cerotti, si era permesso di compiere qualche passo verso il divano, salvo poi fermarsi, imbarazzatissimo, appena li aveva scorti.

Camus buttò un occhio prima a lui e poi ad Isaac, ancora dall’ingresso, lo sguardo altrove, le guance imporporate, al pari di Hyoga, che, al culmine del disagio, pensando solo ad essere utile, si era avvicinato senza particolari riguardi, almeno finché non l’aveva vista. Abbassò quindi lo sguardo sulla piccola. E comprese.

Era chiaro e lampante il motivo di quel turbamento improvviso, non c’era bisogno nemmeno di tante spiegazioni, semplicemente ricoprì il corpicino di Sonia con il maglione che aveva precedentemente levato, cercando al contempo di apparire più naturale e pratico possibile.

“Avete portato l’occorrente?”

“S-sì, ehm, tutto ciò che… che c’era in dispensa e...” annaspava il biondo guardando dappertutto e in nessun posto, non sapendo se avvicinarsi o rimanere lì, o ancora tornare indietro e far finta di non aver visto… niente...

“Va bene così, Hyoga, grazie. Mi occuperò io delle sue ferite, voi andate pure in camera vostra!”

“Maestro, non possiamo…?”

“NO, Isaac! - gli era uscito un tono più freddo del normale, mentre il suo sguardo saettava, come avvertimento, verso quello dell’allievo – Hai già fatto abbastanza!”

Poche parole, secche, ma efficaci, l’occhiata tagliente aveva lacerato in pieno il ragazzo, portandolo a fremere e a stringere i pugni. A vuoto.

“Maestro, Isaac voleva solo...” Hyoga tentò di difendere il fratello, percependo la tensione tra loro farsi sempre più accentuata, ma Camus non sembrava affatto disposto a incanalare un dialogo con loro.

“Non occorre il vostro aiuto, la posso medicare da solo, inoltre… - prese una breve pausa, tornando a guardarla per poi discostarle un ciuffo dalla fronte con le dita – è una ragazzina, non è il caso che la vediate nuda. Nessuno di voi è più un bambino, sarebbe estremamente imbarazzante anche per lei sapere di essere stata vista così!”

“Ma… ma voi siete stanco! - gli fece notare ancora il biondo, deciso a scalzare via l’imbarazzo per essere d’aiuto al suo mentore – Non sarebbe il caso di…?”

“Quindi pensi che io non sia in grado di fare da solo perché ferito? E’ questo che vuoi insinuare, Hyoga?!”

Al solito offrire un aiuto a Camus significava colpirlo nell’orgoglio. Era così difficile comunicare con lui...

“N-no, certo che no...”

L’allievo abbassò lo sguardo, colpito dal suo tono di voce. Cercava di controllarsi il più possibile in loro presenza, ma era lampante che qualcosa avesse destabilizzato il maestro, rendendolo a sua volta teso. Hyoga guardò di straforo Isaac, il quale, passato l’imbarazzo, continuava a fissare a vuoto un punto non ben specificato del pavimento, la mente lontana da tutto e tutti. Intestardirsi era sempre riuscito meglio a lui, ma in quel momento appariva vinto, prostrato oltre l’inverosimile, sconfitto su tutti i fronti… ed era una visione estraniante.

“Sei in pensiero per Sonia? Non ti preoccupare, Hyoga, il peggio è passato, non è in pericolo di vita. Su, andate a riposare anche voi, qui ci penso io!” riprese parola poco dopo Camus, con una punta di dolcezza in più.

“Ci chiamerete, se qualcosa non dovesse andare?” insistette, imprimendo il suo sguardo azzurrino in quello blu del maestro.

“Cosa dovrebbe succedere?! Sto bene, sono in forze… grazie a voi… su, andate a riposare!”

Con un leggero cenno di assenso, il biondo seguì quelle semplici istruzioni, portando dietro con sé Isaac e una marea di dubbi che, forse, non avrebbero mai trovato risposta.

Una volta appurato che i due ragazzini erano davvero andati dove richiesto, Camus si permise di sciogliere la muscolatura e di cedere un po’ alla tensione che avvertiva palpabile dentro di sé. Se l’era presa con Hyoga perché aveva provato ad insistere, non avrebbe voluto, ma la consapevolezza, sempre più ferrea, di quello che era appena successo lo aveva scosso nel profondo.

Era stato Isaac a fare quel male alla piccola, ormai non c’era più alcun dubbio, Isaac che aveva cresciuto lui, Isaac e il suo potere incontrollabile che già una volta si era manifestato in sua presenza; non identificato, all’epoca, per colpa della sua stessa inesperienza. Non così in quel momento. Non più. Lo aveva infine riconosciuto.

Isaac era il...

Non lo nominò, arrivò al punto di censurarne perfino il pensiero, ma aveva capito perfettamente, forse, pensò, sarebbe stato meglio non arrivarci mai, vivere nella beata ignoranza, continuare a raccontarsi che il suo Isaac era un semplice adolescente, destinato a grandi imprese, era vero, ma verso l’elevazione, non...

...verso le tenebre più nere, maledizione!

Strinse con foga le palpebre, disperato. Ciò che aveva cercato di combattere con tutto sé stesso per anni, l’impulso distruttivo per eccellenza, stava invece accumulando sempre più potere, di giorno in giorno, in quel ragazzo. La consapevolezza di ciò gli procurava una fitta dolorosa al petto.

Cercò di non lasciarsi condizionare dalle mille e una domande che avevano preso a torturarlo e che, con ogni probabilità, non lo avrebbero fatto dormire. Concentrò invece tutti gli sforzi per far star meglio la piccola, la accudì con le migliori cure necessarie. Disinfettò le ferite, tenne costante la temperatura corporea che tendeva ad alzarsi, gli coprì i tagli con cerotti e bende, prima di imbacuccarla nella pesante coperta che aveva portato Hyoga.

Sonia sembrava ormai serenamente addormentata, ma ebbe comunque l’istinto di prenderla tra le braccia e farle appoggiare la testolina sulla sua spalla nuda. La tenne stretta a sé per un tempo indefinito, preda dei suoi pensieri, mentre la fioca luce del giorno diventava sempre più languida e il sole morente, in un ultimo impulso vitale, permetteva ai ghiacci eterni di risplendere di rubini bagliori un ultima volta. La tenne stretta lì, guardando altrove, sentendosi responsabile delle sue condizioni. Che avrebbe detto a Milo? Come avrebbe potuto perdonarlo, se gli avesse raccontato la verità? La piccola, il bene più prezioso del suo migliore amico, le era stata affidata in quei giorni e lui, non solo si era fatto vedere debole e impotente, ma neanche era stato in grado di accudirla.

Che gli avrebbe raccontato a Milo?! La verità? Che era stato Isaac a…

Fremette a quell’ultimo pensiero, non accettando la sola idea che il suo allievo, perdendo il controllo per un motivo sconosciuto, le avesse fatto così male. Perché, poi?! Inavvertitamente si strinse a lei, percependo, forte, uno spasmo scuoterlo fin dal profondo. Non riuscì a non manifestarlo al di fuori di sé stesso.

“C-Camus?”

La vocina della piccola lo riscosse. Riaprì gli occhi, che aveva serrato, e fissò incredulo la ragazzina che, lentamente, riprendeva coscienza. Era infagottata nella coperta che l’aveva scaldata, con una benda in testa e due cerotti sulla guancia di sinistra, dove era stata colpita da una scheggia di ghiaccio. Sembrava sfinita, ma lo aveva comunque percepito e si era svegliata. Una tempra d’acciaio a dispetto delle apparenze, non c’era che dire!

“Ehi, frugoletta... – disse arrochito, provando a sorriderle – Come ti senti?” le chiese, sistemandosela meglio sulla spalla in modo che percepisse il suo calore corporeo.

“I-intontita e… dolorante” biascicò lei, cercando di estrarre una delle due braccia dalla coperta che la avvolgeva per grattarsi l’occhio. Non riuscendoci.

“Non compiere sforzi vani, sei al sicuro ora!” provò a tranquillizzarla lui, cullandola ancora.

“Dove… dove sono?”

“All’isba, al riparo, ricordi qualcosa di quello che ti è successo?”

“I-io… stavo giocando con Hyoga e poi...”

“E poi?”

“E poi ha cominciato a nevicare quella farina ghiacciata che voi chiamate ‘Polvere di diamanti’ e… e ho avvertito una pressione innaturale sotto il ghiaccio”

La piccola sembrava giustamente spaventata nel rivivere quei ricordi, non era affatto sicura di quel che aveva visto, ed era rimasta traumatizzata. Camus lo capì con un unico sguardo, sebbene lei cercasse di farsi forza e di esprimersi con più chiarezza possibile.

“Non sforzati di ricordare, se...”

“N-no è che… non è possibile quel che ho visto!” balbettò, osservandosi spaesata intorno.

“Cosa credi aver visto?”

“U-una cosa enorme, gigante, come un’isola subacquea e u-un… - si fermò un attimo, rabbrividendo, rannicchiandosi ulteriormente contro il petto del cavaliere, farlo le infondeva coraggio. Prese un profondo respiro, prima di buttare fuori aria – E’ stato un tentacolo a spaccare il ghiaccio da… s-sotto!”

A quelle parole Camus si irrigidì e non poco, mentre lasciava trapelare fuori da sé sin troppe emozioni che, stante la vicinanza, non sfuggirono alla piccola.

“C’è qualcosa che non va? Fai fatica a sorreggermi?”

“N-no, certo che no, piccola, s-solo...”

“Sono diventata grande, sai?! Peso di più e tu sei ferito...”

“Sto bene, non aver timore per me, pensa a riposare, frugoletta!” le ripeté baciandole la fronte un poco sudata, prima di sforzarsi di ricondursi alla calma.

“Non so davvero cosa fosse quell’essere, non...”

“Sonia, l’importante è che sia passato - tranciò di netto il discorso Camus, un poco burbero, come se il solo parlarne lo umiliasse e lo mettesse a disagio. Tuttavia i suoi occhi tornarono ben presto caldi nel guardarla – Dormi ora, piccola, non ci sarà più alcun mostro a farti del male, ci sono io con te!”

“Camus… - Sonia era arrossita vistosamente mentre, discostando lo sguardo, riusciva infine ad estrarre il braccio sinistro. Si sentiva nuda, aveva da poco razionalizzato che probabilmente le erano stati tolti i vestiti, ma per qualche ragione non le importava, non con il ragazzo lì, così vicino – Mi… mi...”

“Cosa c’è? Hai bisogno di qualcosa?” chiese lui, prendendole la manina che si era mossa nella sua direzione e accarezzandogliela lieve con il pollice.

“P-posso dormire sulle tue gambe?”

“Non staresti più comoda sul divano-letto che ti ha già fatto da giaciglio per questi giorni?” domandò a sua volta, intenerito anche se un poco a disagio.

“Io sto bene dove posso sentire il tuo calore! Per favore, solo per poco, il tempo di riaddormentarmi, poi puoi mettermi dove vuoi” insistette lei, sempre più imbarazzata stringendo le dita sulla sua mano.

“Sonia… uff, va bene!” sospirò, unendo poi le ginocchia e facendola adagiare sopra con la testa.

La piccola allungò le gambe per stiracchiarsele un po’, sentendole indolenzite, così facendo le si scoprirono i piedi e parte delle caviglie.

“Attenta a prendere freddo lì, ci vuole un attimo per ammalarsi!” le spiegò pazientemente Camus, allungando la coperta per avvolgerci le estremità.

Sonia annuì comprensiva, prima di fare cenno che voleva girarsi su un fianco e rannicchiarsi vicino al suo ventre, come già faceva di solito con Myrto senza alcun tipo di vergogna. Il giovane uomo era molto più condizionato, rispetto a lei, a mostrare proprio quella zona, la ragazzina sapeva bene che l’unica ragione per cui non si era ancora coperto era che provava ancora un fastidio atroce alla zona addominale, che percepiva ancora contratta e rigida a seguito della disavventura che aveva passato con gli allievi, ma le permise comunque di girarsi, massaggiandole dolcemente i capelli più e più volte per farla assopire.

Lei chiuse gli occhi, rannicchiandosi contro di lui, guidata in principio dalle sue carezze e successivamente dal suono della sua voce, che aveva preso a canticchiare una melodia in un linguaggio strano e arcaico che non aveva mai sentito. Quell’ultima azione, inaspettatamente, le fece riaprire gli occhietti, non vista, perché il volto era nascosto nel suo grembo. Si pregustò quel suono così dolce che sembrava impossibile appartenere ad un uomo. Tremò appena per l’emozione, muovendosi un poco; movimento che però bastò per far terminare quell’incanto.

“S-Sonia, sei s-sveglia?”

Sembrava in vistoso imbarazzo, persino di più che stare a busto scoperto.

“Sì… mi stavo deliziando con la tua canzone, Camus, dove l’hai imparata? Hai un timbro vocale meraviglioso, sembra di perdersi nei suoni nella natura, sotto il chiarore di una aurora… ma non lo fai spesso, non pensavo neanche sapessi cantare!”

“I-io… non sono abituato a cantare in p-presenza di altri, l’ho fatto per… perché pensavo che stessi...”

“...Dormendo? - ridacchiò lei, socchiudendo gli occhi – In effetti stavo cedendo al sonno ma la tua voce mi ha talmente meravigliata che non potevo non svegliarmi!”

“Mi dispiace… volevo che ti sentissi al sicuro, volevo accompagnarti nel sonno, non di certo...”

Ma Sonia sbuffò tiepidamente, lui avvertì distintamente il respiro della piccola solleticargli la pelle del ventre, sensazione che lo imbarazzò ancora di più.

“Ci riesci… a farmi sentire al sicuro!” gli disse prima di chiudere gli occhietti.

Camus tornò ad accarezzarle la chioma con movimenti ritmati, ma aveva smesso di cantare, troppo l’imbarazzo per continuare. La stanchezza stava prendendo anche lui, sempre di più, non lo dava certo a vedere, ma operare ancora una volta come Sciamano, dopo quel che era successo con Zima e i conseguenti danni sul suo corpo, lo aveva fiaccato ancora di più, al punto che le palpebre già calanti si chiusero automaticamente poco dopo e la testa, già un poco ciondolante, si appoggiava allo schienale del divano. La mano continuò il suo percorso ancora per un po’, prima di cedere a sua volta e posarsi sopra la ragazzina come per proteggerla. Il respiro di Camus non ci mise molto a farsi più profondo e cadenzato, segno che il Cavaliere aveva ceduto al sonno.

Sonia sorrise tra sé e sé, la debole luce del sole morente -in Siberia c’erano dei crepuscoli bellissimi, potevano essere cortissimi o lunghissimi per un qualche effetto magico, la abbagliavano!- stava languendo nella stanza, ma era sufficiente per distinguere ancora le cose intorno a lei.

Si guardò un poco intorno, incuriosita, ma poi sentendosi stanca, tornò a rannicchiarsi lì, il ventre di Camus ad un pugno dal naso. I suoi occhietti un poco febbricitanti, ma ancora vispi, vennero immediatamente catturati da quell’ematoma che percorreva l’addome del Cavaliere fino al fianco destro, dove era persistente ancora il segno di una bruciatura che aveva le sembianze di due cuori intersecati. Fortunatamente il colore violaceo del versamento cominciava a ritirarsi ai margini, ingiallendosi, anche se era ancora parecchio esteso. Quasi inconsciamente, come attirata magneticamente, allungò la manina libera in modo da toccargli delicatamente la pelle e solcargliela fino all’ombelico che, contrariamente a quello di Myrto, se ne accorse per la prima volta, non aveva forma ovale ma tondeggiante, ed era coronato da un cappuccio di pelle che lo rendeva curioso e accattivante al tempo stesso. Si accorse che, malgrado la conoscenza, non si era mai soffermata su quello di Milo, così abituato, nel caldo torrido della Grecia a denudarsi senza particolari problemi. La constatazione la meravigliò. Ad ogni modo, era davvero buffo quello di Camus, non perfetto come quello di Myrto ma definito da contorni suoi, mai visti, e un poco profondo, era impossibile non notarlo. Per istinto, allungò un dito nella sua direzione per saggiarne la misura del solco. Il gesto, però, fece sobbalzare Camus che, ridestatosi, quasi dovette trattenere a sé la piccola per non farla cadere.

“Sonia!” la richiamò, improvvisamente rigido, prima di riuscire a sbloccarsi e tornare a guardarla, riprendendo ad accarezzarla.

“Scu-scusami, i-io… non volevo farti del male, n-non...”

La piccola era rammaricata dalla sua reazione, lui, per acquietarla, la girò supinamente, avvolgendola in un leggero abbraccio.

“Non mi hai fatto del male, è che… n-non mi piace essere toccato in quel punto” balbettò, rosso in viso, guardando altrove.

“E’ per via dell’ematoma?”

“N-no… anche in circostanze normali n-non mi piace!”

“Capisco, scusami… - biascicò ancora lei, triste di averlo fatto svegliare così bruscamente – E’ che… ho percepito come...”

“Come…?”

“Come... un qualcosa di palpitante, u-un qualcosa rassomigliante al battito di una vita...” provò a spiegarsi lei, imbarazzata, prima di chiudere gli occhi, guidata ancora una volta dalle sue carezze.

“Il battito di una…?! S-Sonia, sono un uomo...” le fece notare, al limite dell’imbarazzo. La ragazzina ridacchiò, divertita dal tono con cui aveva pronunciato quell’ovvietà. Era un uomo, sì, ma tutt’altro che ordinario.

“Lo so, ma sei speciale...”

Camus lasciò cadere il discorso, concentrandosi invece sui gesti. Certo che, per essere stata colpita dal Kraken, ne aveva di energie, la piccola, e una forza vitale incredibile. Sorrise tiepidamente, accorgendosi che finalmente stava riuscendo a farla assopire. Quello non era comunque clima, né ambiente, per lei, per quanto avesse piacere ad averla all’isba, forse sarebbe stato davvero meglio farla tornare a casa il prima possibile.

“Sonia… domani chiamo Milo per accordarci di venirti a prendere”

“Per-perché?” chiese lei con voce impastata, in allarme. Si stava quasi del tutto rilassando a quelle carezze, ma ora quella notizia, che non gli piaceva per niente. Mise il broncio.

“E’ pericoloso qui, per una ragazzina come te… inoltre devi rimetterti in forze e questo non è il luogo adatto! Qui farà freddo fino ad almeno a giugno, invece a Milos già da marzo potete godere di un clima molto più clemente”

“Ma Hyoga e Isaac stanno qui con te, sopportano il freddo e i rigori invernali con te, loro hanno la mia età e...”

“Ma un percorso diverso dal tuo, piccola, loro sono abituati, tu no!”

“Ma io… voglio stare qui!”

“S-Sonia...”

“C-con te! Mi sei mancato in quest’anno che non ti ho visto!”

Non aveva ancora recuperato le energie, ma, di impulso, estrasse fuori le braccia per stringergli il ventre, nel quale affondò il visetto, chiudendo gli occhi. Camus cercò di non dare peso al disagio che quel gesto gli procurava, né alla stilettata di dolore che lo aveva scosso. Trattenne un mormorio sommesso.

“Ti… ti prometto che verrò presto a trovarti, in primavera, per il rapporto da dare al Grande Sacerdote, passerò da Milos e staremo un po’ insieme”

“Davvero?! Lo prometti?”

La piccola aveva riaperto gli occhi e lo guardava speranzosa di profilo, in quella posizione buffa sembrava un po’ una scimmietta appesa ad un ramo.

“Certo, te lo prometto, bertuccia!”

“Giurin giurello?” tentò ancora lei, alzando il braccio e sollevando l’indice: aveva bisogno di una promessa solenne; una promessa da Cavaliere.

“Puoi contarci! - le disse ancora, intrecciando l’indice con il suo – E ora dorm….”

Si accorse che la ragazzina si era placidamente addormentata di colpo, ancora appoggiata al suo addome, l’indice ancora intrecciato al suo, il viso beato.

Sorrise teneramente Camus dell’Acquario, prima di sistemarla meglio, rimboccarla, e permettersi di lisciarle ancora una volta i capelli. Vi sarebbero state tante questioni da risolvere da lì a quella primavera, prima di tutto Isaac, il cui pensiero gli appesantiva il cuore, ma per il momento la promessa era saldata, avrebbe dovuto mantenerla. Le sfiorò un’ultima volta le guance rosee prima di posarle una mano sopra con fare protettivo e appoggiarsi ancora una volta allo schienale per concedersi un po’ di meritato riposo.

 

Proprio Isaac, la mattina dopo, presto, prestissimo, dopo una notte totalmente insonne, si era diretto in soggiorno, lasciando Hyoga ancora placidamente addormentato. Per tutte le ore precedenti si era torturato psicologicamente su come era stato possibile l’incidente e sul reale significato di quelle immagini fumose che rammentava appena, come un brutto sogno ad occhi aperti.

Ovviamente non aveva trovato risposta, ma lo sforzo di chiederselo gli aveva fatto compagnia per tutto quel tempo, scacciando via il sonno e lasciandolo solo, tra le coperte del letto, gli occhi spalancati al buio della stanza e un senso di colpa sempre più mordace.

Le tenebre prima dell’alba, in Siberia, erano le più forti e coriacee di tutta la notte artica, le sue, probabilmente, quelle dentro di lui e che non gli davano scampo, soffocandolo, ancora di più. Lo attanagliavano.

Non avrebbe voluto farle così tanto male. Mai. Davvero aveva provato solo il desiderio che si allontanasse per ristabilire l’ordine che si era creato nell’isba, quel nido famigliare, a cui lui era affezionatissimo e che avrebbe difeso con le unghie e con i denti. Ma arrivare a ferirla… questo no, mai! Ci aveva pensato e ripensato, soffriva nel riportare alla mente le immagini dell’incidente, senza darsi pace, ragion per cui si era detto di ritornare giù, forse avrebbe potuto fare qualcosa per la piccola. Se fosse stata sveglia le avrebbe chiesto scusa, se fosse stata ancora incosciente avrebbe fatto qualcos’altro. Non sapeva bene cosa, però.

Con la testa gremita di quei pensieri, varcò la soglia della cucina, accendendo la luce e prendendo un bicchiere d’acqua per bagnarsi la gola, prima di procedere. Buttato giù un bel sorso, si rese conto che dal soggiorno provenivano non uno, ma bensì due respiri profondi. Ancora più lentamente si diresse proprio lì, cercando di fare meno rumore possibile, accendendo la lampada vicina al divano.

Il chiarore della luce rivelò le figure di Camus e Sonia piacevolmente addormentati. La ragazzina era rannicchiata vicino al ventre del maestro, il quale aveva ancora una mano sopra di lei, l’altra invece gli era ricaduta al suo fianco. Sembravano sereni. Entrambi. Isaac sospirò di sollievo mentre, cercando di non dar peso al fatto che il suo mentore avesse un’aria così beata, che raramente gli aveva scorto in viso, si chinò verso la piccola, posandole una mano sulla fronte per controllare la temperatura corporea, che sembrava in rialzo. A parte quello, non sembrava più in pericolo di vita, merito dell’intervento del maestro, se ne allietò. Le smosse un poco i capelli sulla fronte, non sapendo cos’altro fare visto che il più era già stato fatto. Si trovava in seria difficoltà, voleva esprimersi ma non ne era in grado, si sentiva un idiota, ma le doveva delle scuse, essendo stata sua la colpa.

“Mi dispiace, scricciola… - si fece coraggio, parlando in tono basso ma chiaro. Aveva utilizzato quel nomignolo perché, a ben vederla, era davvero piccola, se paragonata a lui o Hyoga, era facile affezionarcisi – Non era davvero mia intenzione farti questo, se solo potessi, tornerei indietro per cancellare il male che ti ho fatto!”

Ingoiò a vuoto, la gola secca, sempre più imbarazzato, accucciandosi al fianco del divano e continuando a guardarla.

“I-io non so cosa sia successo, n-non… non me ne capacito pieamente, m-ma, se hai bisogno di qualcosa, non esitare a dirmelo...”

Si sentiva davvero un idiota: la ragazzina dormiva, e lui parlava, neanche fosse stata sveglia. Che aveva nel cervello?! I suricati?! Eppure il parlarle infondeva coraggio più a lui che a lei, ne aveva bisogno, anche se non avrebbe ottenuto risposta, quindi era sproloquiare a vanvera e nient’altro. Sospirò di nuovo, alzandosi in piedi e girandosi di spalle, al limite della vergogna.

 

Non è stata colpa tua… Isaac!

 

La voce della piccola giunse direttamente alle sue orecchie, sconvolgendolo fin nel profondo. Sonia gli aveva parlato mentalmente… o cosa? Era già in grado di utilizzare parte del suo cosmo per comunicare senza essere stata addestrata a farlo?! Che razza di prodigio era?!

Fece quasi per voltarsi verso di lei, ma un’altra voce lo raggiunse da dietro, ben tangibile, non più solo nella sua mente.

“Isa-ac...”

Ecco, quel timbro vocale era peggio di ogni altro, senza ombra di dubbio. Si ritrovò a sussultare mentre, allontanandosi di qualche passo, trovava infine il coraggio di girarsi completamente nella loro direzione.

“Sì, Maestro?” gli uscì un tremito più accentuato del dovuto, ma era così che si sentiva. Voleva sparire. Non desiderava un confronto con Camus, ma lui, probabilmente disturbato dalla sua presenza, aveva aperto gli occhi.

“Cosa fai già in piedi? Il sole non è ancora sorto...”

“I-io avevo sete e...”

“E devi venire fino al soggiorno, per bere?”

Il tono di Camus, nonostante l’impastatura, era un poco rude, segno evidente che, come gli aveva già fatto intendere con la prima occhiata, aveva capito cosa fosse successo realmente, solo che prendeva tempo per rivolgergli la domanda diretta.

Isaac annaspò, guardando ovunque tranne che nella sua direzione. Avrebbe voluto nascondersi, non si sentiva in forma, affatto, e troppo vulnerabile, ma sapeva bene che il maestro non lo avrebbe perdonato tanto facilmente. Non dopo aver compreso l’accaduto. Non dopo aver dato nome a quella cosa intessuta dentro di lui, dopo che per anni aveva combattuto contro il suo principio.

“Ero venuto a vedere come stavate, ora me ne vado” disse, laconico, prima di voltarsi in direzione nella porta e fare per andarsene, in un atteggiamento che tradiva il suo nervosismo a stento controllato.

“Mmmh” mormorò Camus, non aggiungendo per il momento nient’altro.

Ma gli occhi erano puntati sulla sua schiena, Isaac lo sapeva bene, li percepiva.

Fa’ che non lo tiri fuori adesso… che non lo tiri fuori adesso, per favore! Che non…

“Perché… lo hai fatto?”

Ad Isaac sarebbe pure potuto crollare il mondo addosso in quel momento, sarebbe stato comunque meglio che rispondere a quella domanda. Si irrigidì ulteriormente ma, contrariamente alle aspettative, una calma ferrea, plumbea, lo avvolse, dandogli le energie per tornare a guardarlo dritto in faccia.

Gli occhi di Camus non erano più puntati verso la sua direzione, era a sua volta incapace di sostenere lo sguardo dell’allievo e, ancora di più, di sostenerlo in tutto per tutto. Fissava la piccola con sguardo accigliato e preoccupato, sistemandosela meglio tra le gambe, carezzandole il capo e poi le guance, prima di proseguire, continuando tuttavia a NON guardarlo.

“Perché lo hai fatto? - chiese ancora con più insistenza, fremendo impercettibilmente – Non avevi alcuna ragione per farlo, Isaac! Non ero in pericolo di vita, lei non è una nemica, non ha fatto niente di male… e allora perché?”

“In tutta franchezza? - controbatté lui, con una calma gelida che però veniva tradita dal tremore del suo corpo, dalla sua espressione dolente – E’ perché si è avvicinata troppo a voi...”

A quelle parole Camus lo guardò quasi con orrore, prima di rendersi conto dell’occhiata indicibile che aveva inferto all’allievo e tramutarla in una più accettabile. Stava perdendo il controllo di nuovo, dopo che per anni aveva raccomandato all’allievo la temperanza. Fremette.

“Non volevo farlo, Maestro, non volevo, davvero! E’ che… è che… non lo so neanche io! E’ qualcosa al di fuori di me, qualcosa che non riesco minimamente a… a tenere a freno!”

Se la stava raccontando, ne era consapevole, ma la verità era chiara davanti agli occhi di entrambi.

“Non è al di fuori di te, ma dentro… per questo non riesci!” taglio la questione Camus, in tono strozzato e freddo, da far accapponare la pelle.

“Non volevo, Maestro, mi dispiace tanto...”

“...Ed io l’ho capito troppo tardi; ho capito troppo tardi… che eri già perso!”

Secco, lapidale, persino più di Elisey. Dopo quella frase, che era in tutto e per tutto una condanna, Camus sostò ancora con lo sguardo sulla piccola per rifuggire a quello dell’allievo, che aveva un bisogno disperato di essere sostenuto, lo percepiva bene, ma non poteva permetterselo, nondimeno, non ne era in grado.

“N-no, Maestro, q-quello non sono io, lo sapete, mi avete cresciuto voi, c-conoscete il vero me stesso!”

“Credevo di conoscerlo, Isaac, ma ora questo… ti rendi conto di ciò che hai fatto? Ti rendi conto di ciò che hai assecondato, nonostante i miei insegnamenti?!”

“I-io non volevo...”

“Lo so che non volevi, ma lo hai fatto, e questi sono i danni. Avrebbe potuto andare a finire molto peggio, se non fosse intervenuto Hyoga! - lo redarguì, severo, in un tono che permetteva ad Isaac di percepire tutto il suo enorme disappunto – Pensa se fosse finita in acqua, lei, così piccola, sarebbe morta per ipotermia nel giro di pochissimo...”

Il ragazzo incassò il colpo, l’aria cominciava a mancargli nei polmoni, mentre una rabbia cieca, impetuosa, tornava a scorrere in lui. Strinse con foga i pugni, provò quasi l’istinto incontrollabile di scagliarsi anche su di lui, la persona più importante della sua vita e che tuttavia non lo capiva. Il solo pensiero lo spaventò selvaggiamente, riportandolo alla ragione. Davvero c’era qualcosa di oscuro in lui, in tumulto, lo percepiva sempre di più di giorno in giorno e ne aveva il terrore; aveva il terrore… di perdere il controllo, andando contro i precetti dell’insegnante.

“Quando eri ancora un bambino ed è accaduto il fatto Lisakki… - Camus prese un’enorme pausa, prima di continuare, ferito nel riportare alla luce le memorie del suo secondo allievo, ormai defunto – Hai avuto un impulso simile... i-io, all’epoca, non ero in grado di riconoscerlo, complice la mia giovane età e la mia poca esperienza, m-ma… aveva senso, allora...”

Prese un nuovo, più profondo respiro, il suo corpo ormai tremava esaustivamente anche da distante, impossibile celarlo.

“Lisakki ti era stato ucciso davanti e… e tu… quando hai sprigionato quella forza, prima di svenire per i danni che avevi riportato, eri… n-non eri in te, Isaac. Mi spaventai: non avevo mai percepito un cosmo così colossale provenire da un bambino dopo soli pochi mesi di allenamento. Di certo ben superiore al cosmo di in Cavaliere di Bronzo, forse persino superiore a me, che sono il tuo maestro. Mi chiesi e mi richiesi come fosse possibile, chi fossi in realtà, ma tu stavi male dopo quel fatto, non potevo esitare e quindi operai nel disperato tentativo di guarirti non solo a livello fisico, ma anche, e soprattutto, al livello spirituale – altra pausa, persino più lunga delle precedenti – Pensavo di doverti guarire, Isaac, non pensavo certo che tu fossi quell’impulso cosmico e maligno...”

“I-io… io non sono malvagio, Maestro, l-lo dovreste s-sapere… - cercava il bisogno di giustificarsi, sebbene qualcosa gli si muovesse dentro – S-sono il vostro Isaac...”

Ma Camus negò con la testa, sembrava piuttosto sofferente anche lui.

“Hai ragione, non sei tu ad essere malvagio, il Kraken lo è… e tu… tu sei il Kraken, Isaac!” arrivò alla conclusione, serrando le palpebre, come se fosse una sconfitta sua personale.

“I-io non sono… - provò ad opporsi lui, ma le parole nel suo cuore vennero spazzate via da una consapevolezza sempre più concreta, quasi una sentenza lapidale. Scrollò il capo, vinto – E’ così perché voi non mi supportate, è così perché...”

...perché sono solo davanti a questa enorme energia, voi cercate di esorcizzarla, ma lei cresce sempre di più, mi sta quasi afferrando, ed io… cosa mi resta, se non mi porgete la mano?!

Questo avrebbe voluto dirgli, di vivo cuore, per poi chiedergli aiuto, ma tutto venne spazzato via dalla reazione violenta del mentore.

“Cosa dovrei supportare, Isaac?! Il Kraken?! Un’aberrazione naturale?! Lo hai dimostrato quest’oggi! Che ragione avevi di attaccare la piccola Sonia, che ragione...”

“Che ragione avevate voi per affezionarvi così a lei?!?” ribatté il ragazzo, in tono alto, impedendogli di finire il discorso. L’atmosfera si stava scaldando. Un solo passo e sarebbe precipitato tutto.

“Non sono… fatti tuoi!”

“Lo sono, invece! Non è vostra allieva, non avete un vissuto così intimo insieme, e allora perché vi fa quest’effetto?! Non vi ho mai visto così con qualcuno, né con Jacob né con nessuno degli abitanti di Kobotec, eppure sono sicuro che avete passato molto più tempo con loro che non con la stessa Sonia, e allora perché?!”

Camus assottigliò le palpebre, scrutando l’allievo, che si stava agitando più del necessario su quel discorso apparentemente di poca importanza. Finalmente cominciava a comprendere la ragione, peraltro stupida, della sua nefasta emanazione cosmica nei confronti della ragazzina.

“Non… sono… fatti tuoi!” gli ripeté sibilando, a mo’ di avvertimento.

“Lo sono, invece, perché...

“...Perché sei geloso, Isaac? E’ per questo che l’hai attaccata?!” gli chiese a bruciapelo, con una brutalità che raramente lasciava trapelare.

“I-io non sono… uff, la gelosia è un sentimento stupido già di per sé, n-non posso certo provarla… nei vostri confronti!” balbettò, in vistoso disagio, arrestando per un attimo la sua furia. Di fatto una conferma. Quindi era stata davvero un quisquilia simile a farlo agire in maniera così spietata.

Sarebbe stata un’occasione per fermare la discussione lì, ma Camus, con una punta di spietatezza, decise di andare fino in fondo, nonché… dritto al sodo!

“Molto bene… perché non sono affari tuoi i rapporti che stringo al di fuori di quest’isba, ti è chiaro, Isaac? Tu e Hyoga non siete il mio mondo, siete soltanto miei allievi, null’altro!”

Isaac dovette tenersi (e trattenersi) forte per evitare di cadere in seguito a quell’ultima frase che gli aveva causato un male atroce, incommensurabile. Eh, sì, che il maestro sapeva bene dove colpire per far tacere il contendente, per dare un freno al dialogo quando sentiva che l’argomento lo esponeva troppo, ma in quel caso era stato proprio stronzo a zittirlo, così, dopo tutto quello che avevano passato insieme e che lui cercava di continuare a mascherare in maniera quasi esasperata.

Il fatto era che Isaac, per la collera che provava, avrebbe potuto pure urlare, avventarcisi contro, strepitare, gridare fino a ledersi le corde vocali, prendere a pugni il muro per poi sfondarlo, ma quelle ultime parole gli avevano prosciugato persino la rabbia, mentre i ricordi di quanto avevano passato i giorni prima si stampavano ancora più nella sua mente, spingendolo invece a sorridere mestamente, il capo chino, gli occhi spenti. Una reazione che di certo Camus non si aspettava e che lo portò a comprendere di aver ancora una volta esagerato; di aver ancora una volta infierito su di lui, immeritatamente, altro che temperanza!

“Isaac...” avrebbe voluto proseguire nel discorso, tranquillizzarlo, ma era tardi, ormai.

Niente era più come prima, lo sapevano perfettamente entrambi, quello stringersi la mano sotto le coperte, quel breve dialogo che c’era stato tra loro dopo il suo risveglio, quel ritrovarsi ancora una volta, non più come maestro e allievo, ma come padre e figlio... nulla era più come prima, la consapevolezza di ciò spaventava Camus più di molti nemici, persino più dello stesso Kraken.

“Non siamo il vostro mondo, ma voi siete il nostro...”

...O, almeno, siete il mio; il mio universo, il mio sostegno, la mia forza… e non ve ne rendente neanche pienamente conto!

Camus a quelle parole pronunciate a cuore aperto, senza un minimo di imbarazzo, trasalì nel percepire gli occhi dell’allievo imprimersi nei suoi, che tuttavia continuavano a rifuggirlo.

“Isaac… è pericoloso quanto stai dicendo, non dovresti...”

“Cosa?! Dovrei negare l’evidenza? Così è!”

“E’… è sbagliato, mio inesperto allievo, è troppo… oltre!”

“E quindi dovrei rifiutarlo? Rifiutare una verità che il mio cuore ha già percepito?”

“Isaac...”

“Il punto è che non ci riesco! N-non riesco a fare finta che non sia successo niente: avete rischiato di morire, Maestro Camus, il v-vostro cuore si è fermato e… e… - ingoiò a vuoto, cercando di trattenersi, perché il tono gli usciva sempre più tremante – Allo stesso modo ci siamo presi cura di voi, vi abbiamo asciugato il sudore, stretto la mano quando vi agitavate nel sonno, cambiato la flebo e...e qualcos’altro, anche...”

Lasciò la frase in sospeso, ben sapendo quanto quell’ultimo particolare lo avrebbe fatto vergognare e desiderare di nascondersi sotto terra.

“Non riesco a far finta di niente, n-non riesco a non ricordare che vi ho finalmente chiamato con il nome che vi è sempre spettato...”

“N-non… ora non è il caso di...”

“Semplicemente non ci riesco… papà! - buttò tutto fuori in un soffio, arrossendo a dismisura. Il tempo sembrò cristallizzarsi per una serie di secondi, prima di ripartire con il doppio della velocità, al ritmo dei loro cuori, che, in quel momento, battevano all’unisono, colti dalla stessa accelerazione – E’ questo che sei per me… lo sai!”

Papà… Camus lo fissava incredulo, la bocca aperta, le labbra tremanti; tremanti per il desiderio di parlare e per il suo non essere in grado di mostrare a sua volta le proprie emozioni come invece stava facendo l’allievo, ben più maturo di lui da quel punto di vista.

Allievo, poi… Camus avrebbe tanto voluto dirgli che non era vero, che non era un semplice discepolo, ma un figlio. Gli avrebbe voluto dire che lo aveva percepito, quando stava male, aveva udito la sua voce pronunciare quel nome un po’ altisonante, papà, che lo spaventava e inorgogliva al tempo stesso. Che era stato grazie a lui che non si era arreso, che l’unica certezza in quell’inferno di dolore era la mano di Isaac, il suo ometto, che stringeva la sua; la sua stessa presenza, unita a quella di Hyoga, che gli sussurrava di non arrendersi.

No, Isaac e Hyoga non erano dei semplici allievi, erano molto di più, ma non riusciva… proprio non riusciva a dirglielo.

Isaac riuscì a sostenere il suo sguardo solo per una serie di secondi, terminati i quali, forse per la vergogna, forse per le forti emozioni, si voltò dall’altra parte, correndo via, rintanandosi nuovamente al piano di sopra.

Camus lo seguì a vista finché poté, un nodo nel petto, un altro in gola, che si tramutava in magone crescente. Insopportabile. Non disse nient’altro, semplicemente prese tra le braccia la piccola, che gli ricordava tanto la sorellina minore, e se la strinse al petto, affondando il viso tra i suoi capelli dove stette con gli occhi chiusi e il respiro rotto, nuovamente aritmico.

“I-Isaac, lo sei anche per me, come… come un figlio!” ammise infine, a bassissima voce, trattenendo a stento le emozioni che lo scuotevano nel profondo.

 

 

* * *

 

 

12 febbraio 2011, tarda mattinata

 

 

Sonia continuava a fare strani sogni circa quello che le era successo il giorno precedente; strani sogni in cui un essere di dimensioni considerevoli serpeggiava sotto il ghiaccio, minaccioso, per poi colpirla con un tentacolo e proiettarla indietro. Un secondo dopo, la sua visuale veniva sostituita da Isaac, in piedi davanti a lei, in un universo di bianco, l’espressione carica di disappunto. Poi di nuovo quel mostro delle fattezze di una piovra gigante, che tentava di avvolgerla nei suoi tentacoli, per portarla sott’acqua e farla affogare. La sensazione di soffoco, già provata, la paura viscerale di morire, la disperazione, finché non si risvegliava tra le braccia di un devastato Isaac, completamente bagnato, scosso, vicino a lei, il respiro affannoso, il petto ansante. Lei provava così a chiamarlo per avvicinarsi a lui, nonostante il freddo intenso che provava, ma lui la scacciava via, allontanandosi a sua volta.

Devi stare lontana da me… sono pericoloso!” le diceva, a corto di fiato, strizzando gli occhi come se cercasse di trattenersi con tutte le sue forze.

Ma tu stai male...” provava lei, testarda, ricevendo come risposta uno scuotimento di testa.

Non ha importanza… - asseriva quindi lui a fatica, assomigliando paurosamente al maestro – Va’ via di qui, risvegliati!”

E il sogno così finiva, portando lei a sbarrare gli occhi e alzare istintivamente il braccio in avanti, come a volerlo afferrare, come a volerlo abbracciare.

 

“Aaaaaaaaaah!!!” gridò, spaventata, mentre i contorni intorno a lei, la debole luce, riaffioravano e si stampavano nella cornea.

Isaac. Il Kraken. Davvero erano la stessa essenza che, malgrado l’intervento di Camus, non si era del tutto dissociata dal suo spirito, nascondendosi nell’ombra, non vista. I suoi poteri quindi, complice la debolezza, non erano stati del tutto sufficienti a scacciare via quel mostro, ci aveva pensato lo stesso Isaac, in qualche modo, guarendola e purificandola del tutto in una maniera che alla ragazzina sfuggiva. Era stato lui, stava combattendo disperatamente per non far prevaricare quell’essere, nonostante le sue pulsioni.

Le supposizioni di Camus erano quindi corrette, ciò che non sapeva però, era che il suo allievo stava facendo di tutto, se non oltre, per opporsi, e aveva bisogno di un disperato aiuto, perché da solo non ce l’avrebbe fatta, quell’essenza soverchiante era impossibile da imbrigliare senza l’aiuto di qualcuno.

Ma questo, a Camus, sfuggiva…

“Ehi, piccoletta, sono qua, non ti agitare!”

Sonia trasalì a quella voce, che riconobbe all’istante, il cuore le iniziò a battere a mille. Poco dopo una chioma violacela, ribelle, che contornava un viso gioviale e sempre sorridente, entrò nel suo campo visivo, facendole luccicare gli occhi.

“Milo!!! Sei qui, sei tornato!” esclamò, divincolandosi come una forsennata per togliersi d’impiccio le coperte, che la avvolgevano completamente, impedendole i movimenti. Calciò due tre volte a vuoto, estraendo anche le braccia per uscire dal garbuglio.

“E-ehi, no… no, stai ferma, non sei ancora...”

Ma la ragazzina era riuscita a liberarsi, buttando a terra le coperte e lanciandosi con tutte le sue forze ad abbracciare il Cavaliere, il quale, con riflessi rallentati per motivi a lei sconosciuti, si ritrovò ben presto la piccola ad abbracciarlo con impeto, mentre l sue manine gli passavano sulla schiena, facendolo irrigidire per il dolore. Quel particolare non le sfuggì.

“M-Milo, che cosa hai, perché…?”

“Oh santo cielo, Sonia, ma sei nuda con gli appena 13° raggiunti come temperatura interna di quest’isba!!! - esclamò lui, stringendola a sé un po’ impacciato, perché il suo seno, appena pronunciato, gli premeva sul petto celato dal maglione, facendolo imbarazzare non poco – Aspetta un attimo, frugoletta, che recupero la coperta! Non dovresti sprecare così le poche energie che hai recuperato!” la rimproverò poi bonariamente, tastando al suo fianco per afferrare l’estremità del plaid.

Ma la ragazzina non diede peso a quel movimento, rifiutando quel suo gesto e rimanendo invece lì, ancorata a lui, scrutandolo con preoccupazione negli occhi. Ora che lo vedeva così da vicino, i suoi timori si erano fatti più consistenti, gettandola nel panico. Milo pronunciava le parole in un tono strascicato e sofferente, in più il pallore sul suo viso, la pelle umida di sudore, in un ambiente così fresco, non era affatto normale.

“Milo, c-cosa hai?” chiese la piccola, protraendo la la mano nella sua direzione per toccargli la fronte, ma il suo gesto andò a vuoto perché lo Scorpione, per deviarsi dalla traiettoria, aveva piegato il collo in modo da riprendere le coperte e avvolgere la ragazzina nello spesso feltro.

“Io non ho niente, Sonia, sei tu che a momenti finivi ibernata!” ribatté lui, sistemandosela meglio sul petto ma avviluppandola nella coperta in maniera che non potesse più muoversi.

Ancora un trattamento da bambina, Sonia non ne poteva più, gonfiò le gote, prima di esplodere.

“IO STO BENE! Sei tu che… Cough! Cough!” non riuscì a finire la frase che una tosse potente e spietata la colse, facendole bruciare la gola. Si rannicchiò sul corpo del Cavaliere, ferita nell’amor proprio.

“Ecco, lo vedi? - sospirò, affranto, battendole pacche sulla schiena – Non strafare!”

“M-Milo, io...”

Voleva parlargli dell’incubo che l’aveva sconvolta pochi giorni prima, di lui che veniva frustato al Santuario, se gli avessero fatto davvero quel male e perché coloro che dovevano difendere la pace sulla Terra erano così spietati con un Cavaliere come lui. Voleva chiedergli un sacco di cose, manifestare le sue paura. Lo aveva sentito irrigidirsi quando lo aveva abbracciato, anche se non si era ritratto al suo gesto, ma le parole vennero troncate da un nuovo sciame di colpi di tosse e dal dolore ancora più forte al petto, nonché dall’arrivo in soggiorno di Camus, seguito a breve distanza dagli allievi.

Lo osservò debolmente, nascondendosi la bocca con la manina e ansimando appena: teneva in mano un lungo bicchiere di vetro che conteneva una sostanza rossa, a giudicare dal modo di camminare e dalla rigidità dei suoi muscoli, l’addome, che teneva ancora scoperto, gli doveva fare ancora molto male e, del resto, quella notte era sempre stato con lei, l’aveva tenuta in grembo fino al mattino, non abbandonando il suo fianco. Non di certo una panacea, considerando il suo stato di salute!

“C-Camus...” lo chiamò a stento, tentando di sorridergli alla ben meglio mentre il ragazzo, accarezzandole teneramente i capelli, si chinava difficoltosamente verso di lei, porgendole il bicchiere.

“Milo ha portato delle arance rosse direttamente dalla Grecia, io ci ho aggiunto un po’ di zenzero ed erbe che dovrebbero aiutarti a guarire dal raffreddamento che hai avuto. Bevi, coraggio!”

“Se bevo mi riaddormenterò come prima… vero?” chiese lestamente Sonia, rifiutando in un primo momento il liquido. Era sempre stata una ragazzina molto sveglia.

“Sì...”

“Non voglio!” si oppose, sbuffando, nascondendo il visino nel petto di Milo.

“Ma ti serve per guarire più velocemente. Una bella dormita e poi...”

“Così mi addormento e mi risveglio sull’isola di Milos, vero? Non ci casco di nuovo! Lo avete già fatto questo trucchetto di spostarmi quando dormo per non farmi piangere. Non voglio! E non sono più una bambina!”

Milo e Camus si scambiarono un’occhiata colpevole, per un attimo parvero tornati due fanciulli beccati a mettere le mani su un dolce proibito. Si ricomposero il più in fretta possibile, tossicchiando, prima di tentare di spiegare la situazione alla piccola.

“Sonia, come ti ho accennato ieri sera, questo non è il clima giusto per te, hai bisogno di rimetterti il più in fretta possibile da questa brutta esperienza. – asserì Camus in tono pacato – Per questo è importante che tu torni in Grecia, lì il clima è temperato, ti aiuterà a rimetterti dal principio di polmonite che hai in questo momento”

Sonia sbatté più volte le palpebre: quindi si era ammalata? Camus, che si era prodigato di lei, aveva già fatto il possibile per non far evolvere ulteriormente la malattia, ma serviva un clima più dolce e molto riposo, a quanto asseriva.

“Ma tu mi hai curato...”

“Ho fatto il possibile, frugoletta, ma… non sono totalmente in forze, non posso fare più di così, mi daresti una grandissima mano se tornassi a Milos, almeno per il momento” ammise, sebbene gli costasse non poco. Effettivamente i suoi poteri da Sciamano per guarirla gli erano costati fatica, non lo diceva, tanto meno con gli allievi lì presenti, ma anche a lui una brutta tosse aveva preso a scuoterlo, minando il respiro che tentava comunque di rendere più regolare possibile per non far spaventare gli altri.

“E se mi abituassi a questo clima e mi curaste qui?” insistette Sonia, gli occhioni lucidi.

“Sonia...”

“Insomma, ora c’è anche Milo con noi, e i tuoi allievi, Camus, manca solo Myrto. Facciamo venire anche lei e… e sarò felice, guarirò subitissimo!”

Il Cavaliere di Aquarius si ritrovò a sospirare, intenerito dalla sua vocetta, scrollando tiepidamente il capo prima di tornare ad accarezzarle i capelli. Nascose perfino il brivido che lo aveva colto nell’immaginarsi quella donna lì all’isba. Che incubo!

“Non è possibile, piccola, lo sai… abbiamo dei doveri!”

“Ma… ma...”

“Sonia, non… ti piace più l’isola di Milos?” chiese Milo, un poco dispiaciuto da quella decisione della piccola, eppure aveva cercato di non farle mai mancare nulla.

“Non è così, mi piace, ma qui siamo più lontani dal… dal Santuario! Non voglio tornare!” tentò di farsi capire, stringendolo con più forza. Non aveva avuto il tempo di chiedergli più niente, ma era sempre più sicura che quel luogo cattivo avesse fatto del male gratuitamente a Milo. Li odiava. Odiava il Grande Tempio che veniva nominato sempre più frequentemente. Odiava il mostro che lo abitava.

“S-Sonia, perché dici q...”

La voce di Hyoga giunse alle orecchie della ragazzina. Sembrava ambiguo, un tono non suo, come se fosse ‘sul chi vive’, ma non ebbe il tempo nemmeno di guardarlo che prese parola Isaac, invadendo il suo campo visivo.

“In ogni caso, là è molto più sicuro che qui, credimi!” la avvertì, scuro in volto, guardandola come l’aveva guardata nel sogno di quella notte. Sonia si sentì premere il petto con forza, rivivendo l’incubo in un moto di paura.

“I-Isaac, i-io… Cough! Cough!” la tosse non le dava quasi più requie, non le permetteva neanche di comunicare.

“Ah, questo è poco ma sicuro, là non c’è nessuno che le farebbe del male!”

Camus era saltato su, innervosito da qualcosa e, sebbene non filasse l’allievo di striscio, non guardandolo neppure, qualcosa era passato velocemente nei suoi occhi; qualcosa che fece sussultare la piccola: non vi era più nulla della dolcezza di prima, sembrava forzatamente glaciale per soffocare un qualche tipo di impulso interno che lo angustiava. Ne fu talmente colpita che, con un cenno della mano, gli fece capire di aiutarla a bere. Finalmente Aquarius (perché era difficile accostare quella figura al Camus che conosceva lei), tornò padrone delle sue emozioni, che era riuscito infine a sopperire, avvicinandole il bicchiere alle labbra e premendo con l’altra mano sulla testolina per farla bere. Sonia deglutì con ampie boccate, socchiudendo gli occhi e sentendosi accaldata. La piega che aveva preso il loro dialogo non le era piaciuta affatto, non riconosceva più quella manifestazione di Camus che faceva paura, e che non aveva mai riscontrato nel ragazzo che aveva conosciuto diversi anni prima. Quante sfaccettature poteva avere Camus dell’Acquario?! Quante ne conosceva lei?!

Isaac era rimasto in disparte, non aveva energie per obiettare, né per cominciare una nuova discussione, si sentiva semplicemente avvilito.

“Hyoga! Isaac!”

Fu la vocetta della piccola a riscuoterlo, portandolo a raddrizzarsi, mentre il biondo spalancava gli occhi in attesa del seguito.

“Mi promettete che, un giorno, giocheremo ancora a palle di neve?” chiese, ingenuamente, adagiandosi sulla spalla di Milo e chiudendo gli occhi, perché si stava assopendo.

“Ma certo- sorrise Hyoga, prendendo parola per poi avvicinarsi a lei e sfiorarle i capelli – Datti il tempo per rimetterti, poi potrai tornare quando vuoi e giocare a palle di neve con noi, è una promessa!” disse, coccolandola un poco.

Anche Isaac, pur con un po’ più di riluttanza, accennò qualche passo nella sua direzione nel tentare un primo approccio, ma il suo cammino fu interrotto da Camus che, alzandosi in piedi, pur continuando a non osservarlo in faccia, si frappose tra loro.

“Isaac, state perdendo anche fin troppo tempo con gli allenamenti, domani ricomincerete con me, per il momento occupatene tu come al solito. Andate fuori!” gli ordinò, secco, sebbene tentasse di far trasparire un minimo di calore dalla sua voce.

Il ragazzo lo osservò per una serie interminabile di secondi nella speranza che il suo sguardo, sempre fiero, si posasse su di lui e si illuminasse del consueto orgoglio nel guardarlo, ma non successe. Era lampante che Camus non volesse rischiare che lui si avvicinasse troppo alla piccola nella paura di perdere nuovamente il controllo e farle male. Sospirò.

“D’accordo, Maestro, mi occuperò io degli allenamenti per oggi! - si limitò ad annuire, cercando di non far trasparire troppo la delusione nel suo tono di voce – Andiamo, Hyoga, Camus ha ragione, stiamo perdendo fin troppo tempo!”

Il biondo annuì comprensivo e, dopo un’ultima carezza alla piccola, ora con gli occhietti chiusi e il respiro ritmico, lo precedette, preparandosi all’addestramento.

Isaac si trovava quasi dall’uscio della porta quando qualcuno lo richiamò indietro.

“Ragazzo...”

Non era la voce del Maestro Camus ma quella di Milo dello Scorpione, si voltò nella sua direzione, inclinando interrogativamente la testa di lato, quasi fremendo. Il Cavaliere incontrò così i suoi occhi lucidi, anche se tentava di celarli.

“Serbi ancora dentro di te il desiderio di diventare un difensore della giustizia?” lo interrogò serio, meravigliandolo un poco.

“C-certo!”

“Hai ben chiari nella tua mente i tuoi propositi?”

“Sempre!”

“Sei disposto a tutto per perseguirli, dando tutto te stesso?”

“Sì!”

L’espressione di Milo, pallido in volto ma sempre risoluto, si sciolse in un sorriso sincero che lo incoraggiò non poco: era ciò di cui aveva bisogno.

“Allora non hai nulla di cui temere, giovane Isaac, questo tu sei, e solo questo, sei ciò che vuoi essere, nessuno può togliertelo!”

Se Isaac non avesse ereditato un po’ di temperanza da Camus, la compostezza tipica dei Cavalieri che governavano il ghiaccio, probabilmente si sarebbe precipitato ad abbracciarlo, ringraziandolo per quelle sue poche parole che pure gli avevano risollevato l’umore, salvandolo quasi. Avrebbe potuto ribattere in mille più modi, in mille e più gesti, ma decise di stringere forte i pugni e guardarlo dritto negli occhi, determinato come non mai, l’espressione nuovamente decisa, come per troppi giorni non era più stata. In quell’istante, Isaac comprese cosa avrebbe dovuto fare, annuì con orgoglio, prima di buttare fuori aria. Per il momento si sarebbe concentrato solo sugli allenamenti senza più alcun tentennamento, sarebbe diventato più forte a tutti i costi!

Una volta usciti i due ragazzi, Milo si sistemò meglio Sonia in grembo, che si era finalmente appisolata, accarezzandole teneramente la testolina e la schiena, pur infagottata tra le pesanti coperte. Camus non aveva più detto niente, si era limitato ad affacciarsi alla finestra, una mano a trattenersi il ventre, l’altra sul davanzale. Osservava i suoi due allievi che si allontanavano nel bianco dei ghiacci perenni, un fremito lo scosse nel pensare al loro futuro; un fremito di paura, una sensazione di certo da padre, non da maestro. Per un istante si augurò che nessuno dei due diventasse Cavaliere, nessuno dei due meritava di condividere con lui un destino di sofferenza, un altro atteggiamento di certo non da insegnante, ed era un grandissimo errore!

“Cosa succede tra te e Isaac, Camus?” la domanda dello Scorpione, che già aleggiava nell’aria, giunse alle sue orecchie.

“Nulla...”

“Non lo guardi neanche in faccia...”

“Ah, sì? Non me ne sono nemmeno accorto… si vede che sono ancora arrabbiato con lui per… per quello che ha fatto a Sonia!”

Milo sorrise, scrollando la testa, osservando brevemente la piccola: il suo migliore amico era sempre il solito, caso perso su tutti i fronti.

“No, non è questo...”

“Fammi capire… - Camus lo scrutò di profilo, assottigliando le palpebre – Mi fai una domanda, io ti rispondo, e tu, siccome non è la risposta che volevi, ripari dicendomi che non è questo? E’ il gioco delle tre tavolette o cosa, Milo?”

“E’ che ti conosco troppo bene, Cam! Di certo sei arrabbiato, anche se non credo che Isaac lo abbia fatto apposta, è un bravo ragazzo, del resto… - spiegò, serio in volto, prima di chiudere e aprire gli occhi- Ma non è questa la ragione per cui non lo degni di uno sguardo...”

“Non c’è nulla che non vada tra me e Isaac...”

“Bene, perché non era da te trattarlo in quella maniera, è davvero avvilito e… si è preso cura di te quando stavi male, Cam, un minimo di gratitudine non guasterebbe...”

“Credi che non lo sappia?! - sibilò improvvisamente Camus, voltandosi di scatto, ma dovendo subito ripiegare perché l’addome gli faceva ancora dannatamente male. Tentò di celare il dolore, sebbene con una mano continuasse a massaggiarsi il ventre e a tracciare la ferita procurata da Elisey – Non occorre che tu me lo dica, anf, Milo!”

“E allora cosa?”

“Lui… arf, niente!”

“Cam, per Atena, parla, e dire che conosci quante, cinque o sei lingue? Eppure non riesci a comunicare in nessuna di queste!”

Camus si prese una serie di secondi per soppesare la richiesta, era in vistosa difficoltà, di certo la faccenda era piuttosto importante per lui, se non la riusciva ad esprimere. Passeggiò di fianco al divano, ancora la mano premuta sulla pancia, prima di appoggiarsi sullo stipite della porta.

“Lui... il mio Isaac mi ha chiamato...”

“Sì?”

“Mmmh… p-p… uff!”

“P-p cosa, Cam?”

“Pa-pà...”

Milo strabuzzò gli occhi, prima di affogare dentro di sé una risata troppo chiassosa che gli avrebbe lasciato un dolore indicibile e più ancora avrebbe svegliato la piccola tra le sue braccia.

“Pffff, no, aspe… aspetta, che qui mi trattengo a stento e non vorrei disturbare Sonia - si tratteneva a malapena, in effetti, mentre accompagnava la ragazzina sul divano, sistemandola comoda, per poi rialzarsi con una smorfia di dolore, perché piegare la schiena gli faceva male – Quindi… ti ha chiamato papà?!?” saltò poi su, a viva voce mentre si dirigeva verso la cucina seguito da Camus.

“Mmmh, s-sì...” biascicò l’altro, a disagio. Non gli disse quanto quel nome bislacco gli riscaldasse il cuore, facendolo battere più velocemente, e non gli disse neanche che a lui, alla voce dell’allievo, che era come un figlio, si era aggrappato quando la vita gli stava sfuggendo via insieme al sangue e al calore. Un qualcosa che lui avrebbe creduto di non sperimentare mai, vista la sua esistenza, e invece...

Papà… era un nome così bello, così intenso e delicato al tempo stesso… e così sbagliato in un frangente simile!

“Complimenti, Cam! Credo tu abbia battuto tutti i record, a 19 anni hai già due figlioletti che ti chiamano babbo, SUBLIME!” commentò lo Scorpione, appoggiandosi alla credenza per sorreggersi e regalargli successivamente un largo, quanto tiratissimo, sorriso.

“E’ tutto sbagliato, Milo...”

“E chi lo dice?”

“Ciò che sono, ciò che loro dovranno diventare. Questi stupidi sentimentalismi li stanno indebolendo, distogliendoli dai loro doveri. Un Cavaliere non può permettersi queste distrazioni, non può permettersi di stringere legami così… intensi!”

“E allora cosa facciamo, li uccidiamo perché hanno osato entrare così nel tuo cuore? Perché Isaac ha fatto così bene breccia dentro di te da cambiarti fin nel profondo? E’ questo che vuoi dire?!”

“N-no, certo che no, ma… come posso fare? C’è un modo per…?”

“Non mi starai chiedendo un modo per rompere il vostro legame, vero? Saresti un vero idiota!”

“...”

“Che razza di traumi hai avuto, da piccolo, per finire così?”

“Sono il loro maestro...”

“E sei anche colui che li ha fatti crescere, sì, soprattutto Isaac, è normale che si sia affezionato così a te”

“Sto indebolendo il ragazzo...”

...E sto indebolendo anche me stesso, perché tutto questo non lo dovrei nemmeno provare, perché è tutto sbagliato, perché sto giocando con il fuoco, e prima o poi mi scotterò, o peggio, farò bruciare lui!

“Tu sei proprio un caprone, non c’è che dire! Un’intelligenza sprecata, un uomo straordinario che si pone simili problemi. Ora sembra un peccato affezionarsi alle persone, per quanto vuoi rifuggire da tutto questo, Cam?!”

“...”

“Tu ti vuoi costringere a non provare cose che, in realtà, stai già provando… è troppo tardi, Cam! Isaac è penetrato nella tua corazza, non si torna più indietro!”

“...”

“E rispondi, per una buona volta, accidenti, che non serve a niente startene lì, a fissarmi con sguardo colpevole, mentre ti torturi le labbra per non sapere cosa dir… urgh!”

“Milo! Che ti succede?”

Si era scaldato un po’ troppo probabilmente, perché, nel movimento repentino di raddrizzarsi, la schiena era stata percorsa da un dolore atroce. Annaspò, tentando di recuperare il fiato.

Camus si ricordò del sogno di Sonia, delle parole dure che gli aveva rivolto Myrto e della sensazione di soffoco che lo aveva invaso. Il suo migliore amico amava crogiolarsi al sole nelle belle giornate, laddove il calore lo permettesse, ragion per cui era sempre stato più scuro di lui, di pelle, ma il Milo che era giunto dopo essere stato chiamato, era sopraggiunto pallido ed emaciato, visibilmente stanco, con gli occhi un poco segnati dalle occhiaie. Quello lo aveva messo in allarme, ma non c’era stato il tempo di chiedergli ulteriori delucidazioni.

“Ti hanno fatto… qualcosa?” chiese di getto in apprensione, tentando comunque di mantenere un tono più neutro possibile.

Milo ringraziò di essere piegato in avanti e il viso nascosto dai capelli ribelli, altrimenti avrebbe scorto il cambio della sua espressione. Si affrettò a simulare un colpo di tosse, sforzandosi di rimettersi dritto.

“N-no, deve essere stato questo freddo ad avermi fatto ammalare, tutto d’un tratto.

“Sicuro?” Camus non sembrava affatto convinto.

“Non mi chiamo Camus, ma Milo! - gli sorrise, cercando di alleggerire la tensione e al contempo cambiare il discorso – Tu, piuttosto, non sembri ancora molto in forma...”

“Passerà...”

“Ti stai trattando l’ematoma?”

“Sì, ma la perdita di sangue è stata ingente e...”

“E il taglio, invece, quello...”

“Passerà!” ribadì l’Acquario, glissando l’argomento pertinente alla sua salute.

“Come ogni cosa!”

Anche se, a ben guardare, quel taglio molto vicino alla zona inguinale sembrava ben lontano dal guarire.

Era stato così vicino alla morte, e Isaac lo aveva chiamato ‘papà’, dandogli coraggio e forza, e quello scemo che aveva davanti stava cercando un modo per tornare indietro. Lo Scorpione sbuffò, sospirando: proprio tipico di Aquarius!

“Milo… - di nuovo la voce del migliore amico, un poco tremante – Me lo diresti se, per dire, ti avessero fatto qualcosa per essere venuto a soccorrermi, vero?”

Dannata intuizione! Camus sapeva essere pedante a volte, e assolutamente inopportuno, quanto… straordinariamente intelligente e percettivo!

“Ce-certo! Non sono Camus, ma Milo!” gli ripeté con una tacca di incertezza, che tuttavia nascose velocemente. Gli fece l’occhiolino, facendogli capire che stava bene, anche se tutto quel bene non sentiva.

L’Acquario parve rilassarsi a quell’ultima frase, mentre, riaccompagnandolo in soggiorno, lo aiutò a prendere le cose di Sonia.

“Le ho promesso che sarei tornato a primavera per il rapporto al Grande Sacerdote, è una promessa da Cavaliere!” lo avvisò, accarezzando teneramente la testa della ragazzina, che nel frattempo Milo aveva preso in braccio.

“Ah, sarebbe perfetto, è da più di un anno che non ti fai vedere da quelle parti, le sei mancato molto...”

“Lo so… - ammise, facendosi corrucciato – I doveri mi bloccano qui!”

“I doveri e gli affetti, Cam, i doveri e gli affetti!” ripeté Milo, scrollando il capo come a dire che era davvero senza speranza.

“Che dir si voglia! - si raschiò la gola, imbarazzato, prima di accennargli un sorriso – Donc, à bientot, mon amie!”

“Sì, a bientuat...”

“Vedo che la tua abilità di storpiare una lingua non è cambiata affatto da quando eravamo piccoli!” commentò, un poco rilassato.

“Neanche la tua di rifuggire i legami!” gli fece notare l’altro.

Camus scosse la testa, ancora più imbarazzato, guardando altrove.

“Domani riprendo gli allenamenti, sarà come prima… io un maestro e loro gli allievi!”

“Non sarà più come prima, smettila di cantartela, Cam!”

Camus si irritò a quell’ultima frase, allontanandosi da lui peri guardare nuovamente fuori dalla finestra, distante, anzi distantissimo: “Ricondurrò a forza tutto all’ordinarietà, lo faccio per il loro bene, Milo!”

“...e per il tuo male, Cam! Ma tanto so che sei un testone inarrivabile, fai quindi come meglio credi!” disse, piccato, prima di prepararsi ad usare la velocità della luce per tornare in Grecia con la piccola e sparire in un lampo.

Camus rimase silente a guardare l’atmosfera ovattata fuori, la poca luce che irradiava i contorni e il vento che sferzava le persiane.

“Sì, sarà… tutto come prima!” ripeté, tentando di convincere sé stesso.

 

 

* * *

 

 

Isaac stava passando la seconda notte completamente insonne, c’era da aspettarselo! Le parole del maestro gli continuavano a ronzare nelle orecchie e, insieme ad esse, quella spiacevole sensazione di perdita che, ogni giorno, acquistava sempre più campo in lui. Non lo avrebbe mai ammesso, perché si reputava grande, ormai, ma aveva paura; una viscerale paura, in larga parte ingiustificata, si ripeteva, di perdere nuovamente la famiglia che si era difficoltosamente trovato. Si avvolse ancora di più nelle coperte, rannicchiandosi nel percepire quel calore confortevole che lo cullava, sentendosi davvero fortunato ad essere lì, con loro, al sicuro. Provò ad addormentarsi a quei pensieri, ma non bastavano, si percepiva comunque irrequieto, il giovane cuore scalpitante nel petto, senza nemmeno saperne il motivo. Infine si mise seduto, accompagnando le coperte in grembo e lasciandosi calmare dal respiro cadenzato di Hyoga, che invece dormiva della grossa nell’altro letto. Beato lui, davvero! Dovunque si adagiasse prendeva subito sonno, una dote che gli era rimasta fin dall’età infantile. Infine decise di alzarsi e scendere le scale a piedi nudi, nonostante il freddo. Aveva un viscerale bisogno di andare in camera di Camus, come quando, da piccolo, dopo un incubo atroce in cui i suoi genitori gli morivano ancora una volta davanti agli occhi, si rifugiava tra le coperte del letto del suo mentore. Certo, quelle erano cose da poppanti, non le avrebbe più fatte, ma aveva comunque il bisogno di stare vicino a lui, osservarlo, per imprimersi ogni più piccolo particolare della sua fisionomia.

Quell’ultimo pensiero lo spaventò, mentre, accelerando l’andatura, si dirigeva in camera sua. Tutto quel bisogno di stargli vicino… che davvero il tempo da trascorrere insieme stesse volgendo al termine?! No! Nessuno gli avrebbe più strappato altro, NESSUNO!

Il respiro cadenzato e ritmico di Camus lo accolse appena varcata la soglia della stanza e lo rasserenò almeno un poco, mentre, con la mano un poco tremante, accendeva la luce. Il maestro non si mosse dalla sua posizione difficoltosamente raggiunta, ma le palpebre si strinsero appena, prima di rilassarsi nuovamente. Era stremato, non c’era alcun dubbio.

Isaac sorrise appena nel constatare le condizioni del letto, la trapunta disordinata, le lenzuola sparse, atte ad indicare tutte le baruffe che il maestro aveva compiuto prima di addormentarsi.

Camus era infine riuscito a prendere sonno sdraiato su un fianco, il sinistro, il suo preferito, nonostante tutto il dolore che certamente ancora provava alla pancia. Le coperte non lo coprivano che dall’addome in giù, disfatte, una mano protratta in avanti, il palmo semi-aperto e l’altra piegata vicino al petto, come a volerselo coprire; i capelli sparsi sul cuscino, l’espressione non del tutto lieta, ancora un poco sofferente, nonostante il gonfiarsi del suo petto fosse privo di scossoni o di segni di particolare pena. Respirava con regolarità… stante ciò che aveva vissuto quel febbraio sembrava la cosa più bella a cui assistere: il lento alzarsi e abbassarsi del suo petto, come era naturale che fosse. Gli vennero gli occhi lucidi nel ricordare quei momenti terribili, quell’immobilità che lo aveva sconvolto, mentre percepiva la sua vita scivolare via senza che ci potesse fare nulla. In fretta, celò un singhiozzo dentro di sé, serrando le labbra, mentre istintivamente gli accarezzava i capelli ribelli. Essi gli ricadevano sulla fronte dopo il suo passaggio, cosicché Isaac ripeté il gesto varie volte, come un rituale. Ancora Camus non si mosse, da quanto fosse fisicamente e psicologicamente provato, il che era un bene per il ragazzo, che si sarebbe vergognato ad avere un altro raffronto con lui, l’ennesimo. Sospirò, mentre, con gli occhi attenti, percorreva tutto il suo corpo fino ad arrivare a dove la coperta celava l’addome, lasciandogli così scoperto metà ombelico e, soprattutto, quell’ematoma che, nonostante i giorni passati, continuava ad essere testardamente viola, in paurosa opposizione con la sua pelle candida. I lividi del braccio, invece, più piccoli, erano già in vistoso assorbimento, essendo virati sul giallo.

Quasi inconsciamente la mano libera di Isaac si mosse verso il suo basso ventre, scostandogli la coperta fino all’inguine in modo da poter vedere, ancora una volta, l’incisione procurata da Elisey, arrossata nei margini. Gliela sfiorò delicatamente con l’indice, mentre si accorgeva che il respiro di Camus, forse percependo un’intrusione, si faceva un poco più accelerato nonostante il sonno profondo. Il giovane allievo lasciò quindi quella zona per dirigersi verso la mano tesa in avanti che strinse, l’altra ancora tra i capelli del maestro, mentre, alzandogli ancora una volta i ciuffi, gli scoprì la fronte, dove posò un leggero bacio.

“Ti voglio bene, papà...” gli sussurrò, sostando un po’ lì, quasi palpitante, nella paura che quei momenti gli potessero venire strappati per sempre. Socchiuse gli occhi, percependo tutto l’affetto che provava per lui. Gli ultimi avvenimenti avevano cambiato tutto, niente era più come prima, entrambi lo sapevano, ma Camus era più bravo di lui a celarlo. Non se ne meravigliò affatto, anche se era difficile da digerire.

“ Mmh, Is..a...ac”

Sussultò nell’udire il suo nome, mentre si sentì stringere la mano che aveva intrecciato la sua, una stretta fioca, perché Camus era ancora addormentato, ma riusciva comunque a percepirlo debolmente per cui lo aveva chiamato. Si emozionò.

“Perd-onami...” biascicò poco dopo, quasi sospirando, muovendosi appena per sistemarsi meglio sul cuscino.

Isaac non riusciva a capire a cosa si riferisse, se alla loro discussione avvenuta prima o a motivi più profondi, ma non importava, la sua voce lo aveva raggiunto e tranquillizzato, come solo lui sapeva fare, come quando era piccolo. Si ricordò le parole di Hyoga, a proposito del fatto che il loro legame non si sarebbe mai spezzato.

“Non hai nulla di cui rimproverarti, hai fatto del tuo meglio, Camus...” gli disse, tornando ad accarezzargli la chioma, gli occhi lucidi.

“N-on meri-to di es-sere chiamato pa-pà, d-da te...”

“E invece lo sei, Camus… lo sei sempre stato, ma mi vergognavo a dirtelo fino a qualche giorno fa, quando… ho rischiato di perderti per sempre! – si bloccò tremante, nel rivivere per la milionesima volta quei ricordi atroci, e così la paura – Sono sciocco anche io, vedi?” ironizzo poi, continuando ad accarezzarlo, perché sembrava che avesse piacere a percepire il suo tocco sulla sua pelle.

Durante gli allenamenti avrebbe dovuto tornare forzatamente al ‘Voi’ e appellarlo nuovamente ‘maestro”, ma in quel momento d’intimità, in cui, pur giacendo addormentato e sofferente, gli aveva stretto la mano, poteva permettersi più confidenza.

Camus si era nuovamente lasciato andare, ripiombando a dormire, forse un poco meno dolorante di prima; il ragazzo gli lasciò la mano, tornando di nuovo sul basso ventre che gli ricoprì con le coperte, tirandogliele su fino all’altezza del braccio.

“Dormi ora… devi recuperare le energie perse. Non ti preoccupare per me, tornerò prima dell’alba!” lo salutò, permettendosi di passare la mano un’ultima volta tra i suoi capelli, prima di raddrizzarsi, la testa concentrata sui suoi obiettivi. I suoi occhi si illuminarono in una scintilla di determinazione, mentre, senza più esitazione alcuna, lasciava quella camera, indossava le scarpe e usciva dall’isba per dirigersi fuori, al gelo che li circondava.

La lunga notte artica era rischiarata dalle Luci del Nord, dall’Aurora Boreale, che sembrava quasi possedere vita propria da quanto fosse sfavillante. I bagliori verdi sembravano quasi indicare un percorso tra cielo e terra, creando fasci luminosi che percorrevano la volta celeste, formando percorsi, vie, perfino universi diversi. Sembrava quasi collegare il suo piccolo battito, il suo appena accelerato respiro al Grande Tutto.

I passi di Isaac erano sicuri sul ghiaccio, non ancora al livello di quelli del Maestro Camus, no, ma neanche come quelli stentati di quando era piccolo. Sapeva benissimo dove andare, i suoi occhi in quegli anni di addestramento si erano mitigati al buio, permettendogli così di destreggiarsi perfino nelle tenebre più fitte. Non aveva bisogno di altro per tracciare il suo cammino che non delle Luci del Nord, che lo guidavano, e di quel richiamo che percepiva, che lo attirava verso una meta conosciuta.

Camminò per una buona oretta, non disdegnando la fatica né la lieve accelerazioni dei battiti cardiaci. L’ultimo tratto da percorrere era in salita, quello fu un poco più difficile dei precedenti, perché il piede sotto, quello di appoggio, a contatto con il ghiaccio franava in giù, sbilanciandolo. Finalmente raggiunse la cima del picco ghiacciato, scorgendovi una figura girata di spalle intenta a sollevare il braccio in direzione dell’ampio cielo. In quell’istante, gli occhi di Isaac furono riempiti di una luce quasi accecante color verde smeraldo, che delineò ancora di più i contorni intorno a lui, nonché dell’entità che aveva davanti e che indossava una veste lunga, pendente, dei pantaloni larghi e degli stivali pesanti, foderati di pelliccia. L’aurora sempre più abbagliante, che ora formava strane sagome sulla volta celeste, delineò per lui, nella sua concretezza, la figura del vecchio Sciamano.

“Ti stavo cercando… Elisey!” lo salutò, accennando un passo.

“...Ed io ti stavo aspettando, Isaac! - gli rispose lui, voltandosi nella sua direzione dopo aver abbassato il braccio – Anche se pensavo arrivassi da me molto prima...” aggiunse, sorridendo leggermente.

Indossava una veste sacerdotale, pesante, in testa un copricapo a mo’ di fascia, con alcune piume azzurre quasi mistiche. Nella mano destra, ben saldo, il bastone, mentre nella sinistra un tamburo: era la prima volta che Elisey si mostrava nella sua tenuta da Sciamano, anche se Isaac lo aveva sempre visto vestirsi in maniera piuttosto eccentrica.

“Tu aspettavi me? E da quando?! Ci siamo visti l’altro giorno!” chiese delucidazioni il ragazzo, inarcando un sopracciglio, accennando altri due passi nella sua direzione.

“Sapevo semplicemente che questo giorno sarebbe arrivato, me lo hanno riferito gli spiriti superiori” si limitò a dire, dando un’occhiata al trionfo di luci in cielo.

“Certo, gli spiriti che ti parlano… meno droghe la prossima volta, Elisey! - commentò scettico Isaac, nel consueto tono irriverente – Ad ogni modo, ho bisogno del...”

“...mio aiuto, lo so, ma, se non ci credi, cosa sei venuto a fare?!”

“Disperazione e… - borbottò, un poco burbero, prima di alleggerire il tono – e ti ho visto comunque operare come Sciamano”

“La tua richiesta sarebbe quindi…?”

“La dovresti sapere, se parli con il Grande Tutto!”

“La voglio udire con queste mie orecchie, ragazzo...”

“Uff, liberami da questa cosa, Elisey, non… non riesco più a trattenerla, ogni giorno è sempre più difficile, per poco ci mancava che...”

“...che accoppassi un’innocente, anche questo lo so!”

Isaac lo guardò incredulo, costernato, prima di riportarsi forzatamente alla calma.

“Ho bisogno del… tuo aiuto… ti… p-prego! Non ce la faccio davvero più...” ammise infine, sebbene gli costasse una grande fatica per il suo orgoglio.

Elisey tacque, scrutandolo nel profondo, i suoi occhi brillavano intensamente sotto quell’aurora, quasi lampeggiavano, regalandogli un’aura di magnificenza e di potenza cui era impossibile rimanere indifferenti. Sembrava davvero così vigoroso, così sublime, quasi abbagliante, impossibile da contenere. Forse davvero il vecchio Sciamano avrebbe potuto fare qualcosa per lui, spezzare quell’entità che non lo faceva più dormire, obbligandolo a vivere nella paura di perdere i suoi affetti, la sua famiglia, di nuovo. Come un eterno ritorno.

“Non ne posso niente, mi dispiace...”

Quelle parole, pronunciate in un tono pentito, lo folgorarono, gettandolo nella più nera disperazione. Isaac si fece forza nel non crollare a terra, sul permafrost, ingoiando a vuoto prima di rigettare con tutte le sue forze quella sentenza che sembrava capitale.

“Ma... hai salvato Camus da morte certa!”

“Non sono stato io, ma Zima… Zima che si è collegata a te! Tu lo hai salvato!”

“Ma… ma… hai comunque operato magistralmente per farlo stare meglio, hai combattuto per mantenerlo in vita, io l’ho v-visto!”

“Isaac, non ne posso niente, perché… - prese una breve pausa, chiudendo gli occhi e rimanendo lì in attesa per qualche secondo, prima di riaprirli – non è una mera possessione curabile con un esorcismo, la tua, sei tu!”

“Io… sarei… cosa?!”

“L’eone, il Kraken! Sei tu, ragazzo, è intessuto dentro di te, è nato con te, mi intendi?”

“N-no, non è possibile, io sono… umano!” provò a ribattere, con convinzione, cominciando però a vacillare.

“Sei un umano con questo principio dentro di te. Ricordi quando ti ho parlato di Zima, sulla sua decisione di fare un patto con gli uomini, dal quale dipendono i suoi stessi poteri?”

“S-sì!”

“Si crea un legame molto profondo tra lo Sciamano e il suo Eone, l’uno dipende dall’altro, l’uno non può essere separato dall’altro, è un qualcosa di assoluto...”

“I-io non ho mai fatto alcun...” tentò nuovamente Isaac, sgranando gli occhi, mentre una consapevolezza atroce prendeva possesso di lui.

“...Questo vale per Zima e per moltissimi altri, ma a volte lo spirito, o Eone, è talmente potente, talmente desideroso di vivere, a prescindere, che non ha bisogno di chiedere il permesso, semplicemente si lega all’anima di un bambino nascente e rimane dentro di lui per sempre. Separarlo è impossibile, le due entità sono talmente compenetrate una nell’altra che forse neanche la morte può dividerli!”

“I-io… n-no… NO!”

“E’ il tuo caso, Isaac! Tu sei il Kraken, non posso separarti in alcun modo da lui!”

Le ginocchia del ragazzo cedettero, facendolo cadere a terra, livido e tremante. La cosa più terribile di quelle rivelazioni, si accorse, era che lui le sapeva già, dentro di sé, come verità sempre celata nella parte più profonda del suo essere.

“I-io… io sono destinato a diventare Cavaliere di Atena, n-non preda di questa cosa, di questo… obbrobrio!”

“Mi dispiace, ragazzo...”

Quelle parole furono sufficienti a farlo scattare in piedi, nuovamente furioso. Non poteva arrendersi, Camus gli aveva insegnato di non gettare mai la spugna, non lo avrebbe fatto, nemmeno quella volta.

“Che ne sai tu, Elisey, dimmelo! Non ci siamo mai visti prima che il maestro ci facesse conoscere, come pretendi di sapere, con così tanta dovizia di particolari, cose antecedenti al mio addestramento?!”

“Credi che ti stia mentendo?” il tono del vecchio Sciamano si era fatto glaciale.

“I-io… non lo so!” biascicò, prostrato, non sapendo più cosa dire. Continuava a guardarsi intorno, per terra, sul terreno che sembrava ammantato di diamanti, oppure ai contorni delle cose che avevano quella luce verdolina sgargiante, ma non riusciva a fissarlo negli occhi. Si accorse di avere paura.

“Isaac… - la voce di Elisey lo destò dal torpore, la sua mano sulla sua spalla lo fece sobbalzare, si era avvicinato fin troppo a lui e ora lo scrutava con quegli occhi neri e profondi che luccicavano – Ora chiudi gli occhi!” lo avvertì prima di posare la sua fronte su di lui.

Il ragazzo avvertì una scossa invadere il suo corpo. Ebbe freddo, il respiro si troncò sul nascere, mentre la mente veniva portata lontana, a quel nefasto giorno, che avrebbe desiderato seppellire per sempre...

 

Isaac!”

Il bambino sussultò al suono della voce della propria madre, intenta nuovamente a riprenderlo.

Cosa è tutto questo pasticcio?! Tra poco tuo padre ritorna e gli sembrerà di trovarsi su un campo di battaglia!”

Mamma, è un campo di battaglia! Questi sono gli alleati e quelli i nemici – spiegò il piccolo indicando orgogliosamente le statuine dei soldatini – Loro hanno ucciso le nostre famiglie, i nostri affetti, e invaso le nostre case, noi non possiamo fare altro che difendere e combattere per ciò in cui crediamo! Ci hanno privato della nostra libertà, LI STERMINEREMO TUTTI!” disse con convinzione, un largo sorriso a solcargli le guanciotte. Già, avrebbe difeso ciò in cui credeva, il suo ideale di giustizia, le persone che amava, SEMPRE!

Il piccolo Isaac si aspettava un complimento, una carezza, pur sapendo che sua madre non era il tipo, ma ciò che ottenne fu solo un lungo sospiro e una tirata di orecchie di quelle più terribili. Mamma non era come papà che lo capiva e lo apprezzava, qualunque cosa facesse!

Ahi, fai male, ahiiiii!” si lagnò, sforzandosi di alzarsi in piedi, recalcitrante, con il muso lungo, ribelle come era nel suo carattere.

Ora facciamo un altro giochino, Isaac: se entro 10 minuti tutto questo non sparisce dalla mia vista, farai pulizie per un’intera settimana, va bene?”

No, le pulizie no, mamma!!!” tentò di divincolarsi lui, dimenando le braccia e i piedi.

Perfetto, allora abbiamo un accordo! - sorrise amabilmente la donna, riadagiandolo per terra – Fai sparire tutto e sarai graziato!” lo avvertì, prima di sparire in cucina.

Isaac sbuffò, aspettandosi che si voltasse per farle le boccacce. Sua madre era veramente irritante, non lo capiva, non lo apprezzava, invece di essere orgoglioso di lui. Suo padre invece… il piccolo sorrise nel rimettere in ordine i giochi nel pregustarsi l’arrivo di suo padre, che molto probabilmente lo avrebbe accarezzato e guardato con quei due occhi fieri e dolci al tempo stesso.

Al solo pensiero di quello sguardo ricolmo di orgoglio, persino il riordino era un po’ meno pesante. Sorrise ancora una volta.

Isaac, manca un minuto!” lo avvertì sua madre, dalla cucina, nello stesso momento in cui l’ultimo contenitore veniva richiuso.

Ecco, ho finito, mam...”

TOC! TOC!

Qualcuno aveva bussato alla porta della casa, suo padre era solito aprire con le chiavi, lo sapeva bene, ma l’orario era di rientro era quello, non c’era alcun dubbio, Il giovane cuore gli si accelerò nel petto, mentre, emozionatissimo, si recava dall’uscio con tutte le intenzioni di abbracciarlo e di essere preso in braccio, come era solito fare. Non stava più nella pelle!

Bentornato, pap...”

La manina si era protratta verso la maniglia, si era alzato sulle punte per arrivarci, ma la porta si era aperta prima di arrivarci. Una ventata di gelo lo investì immediatamente -era inverno inoltrato- facendolo ritrarre su sé stesso, in tempo per scansare un qualcosa di grosso che tonfava per terra, come un peso morto.

Gli occhi di Isaac, che si erano chiusi, brucianti, per il gelo, si riaprirono, stagliandosi su altre due orbite, spalancate a vuoto, perse in chissà quale universo esterno. Un attimo.

Un altro attimo dopo il suo sguardo si era spostato oltre, verso un ghigno mortale, e ancora più in giù, al...

Non vedeva nient’altro che rosso. Tale colore si impresse dentro di lui con veemenza.

Il piccolo Isaac non capiva cosa fosse tutto quel rosso che rimbalzava nelle pareti del suo cervello, incidendosi sempre di più dentro di lui, o forse… non voleva capirlo. Rimase fermo e immobile a quella visione, la mano tremante si protrasse istintivamente verso l’uomo che giaceva ad un passo da lui, vuoto.

P-papà?” chiese ancora, mentre con la manina gli accarezzava la fronte ancora calda e i capelli.

Papà!!!” insistette, non scorgendone alcuna reazione. E l’abbraccio? E quel suo prenderlo in braccio e metterlo sulle spalle? Perché non arrivavano, perché stava così immobile, scomposto, le orbite vuote e…

Ad Isaac venne un conato di vomito nello scorgere la sua gola tagliata di netto, dalla giugulare, in un mare rosso rubino che continuava a stagliarsi nel suo cervello, facendogli male.

Infine capì. Suo padre non l’avrebbe più preso in braccio, mai più.

Provò l’impulso di precipitarsi ad abbracciarlo, di scuoterlo, ma l’unica cosa che gli riusciva era di continuare a fissarlo con sguardo assente, perso.

Alle sue orecchie giunse appena il suono di stivali che penetravano nella sua casa, distruggendola per sempre.

Non importava. Ciò che stava succedendo non aveva davvero importanza, nulla aveva più senso. Due figure scure, vestite di nero, avevano definitivamente varcato la soglia, frantumando irreversibilmente il suo nido.

CAROOOOOOOOOOOOOOOO!!!”

Anche l’urlo angosciato di sua madre lo raggiunse appena, mentre dei guanti spietati lo afferravano, sollevandolo con brutalità. Non reagì, come un bambolotto, il suo cervello non era più in grado di elaborare alcunché.

Siamo venuti a pareggiare i conti, Petra!”

Sentì appena una voce caustica, qualcuno che estraeva un coltello, puntandoglielo contro, forse anche tagliandolo. Non avvertì nulla. Nulla aveva davvero importanza. Nulla.

Inaspettatamente sua madre, probabilmente per disperazione, si avventò contro di loro con un coltello da cucina, forse ferendone uno, si sentì il tonfare di un pugnale, poi uno sparo -avevano anche delle armi da fuoco?! Perché stava accadendo a loro?!- non ben definito. Tutto era molto confuso, insensato, spietato.

Uno dei due malviventi cadde a terra, imprecando, la presa ferrea che stringeva il piccolo Isaac scemò fino a scomparire, il bambino si sentì cadere, prima di essere acciuffato da qualcun altro che però cadde a sua volta, impedendo comunque a lui di farsi male.

Maledetta troia!”

Un urlo, qualcosa si inceppò, altre imprecazioni. Tutto sembrò congelarsi per qualche secondo.

Isaac si sentì quel rosso addosso, era rovente, gli scivolava sul corpo, mentre qualcuno lo teneva stretto, cercando di dargli calore, avvolgendolo con il grembiule. Un rantolio sommesso... lungo tutti quegli istanti.

Si udì uno scatto, il fucile nuovamente puntato verso di loro, Isaac ne percepì appena il movimento, quasi al rallentatore. Fuori nevicava e la neve era a sua volta imbrattata di rosso, ma qualcuno lo stava abbracciando e, quel gesto, era caldo, profumava di amore. E l’amore, gli era stato detto, poteva salvare tutti. Bugia. Non tutti potevano essere salvati… Isaac lo capì in quell’istante.

Mam-ma...” la chiamò in un filo di voce, vedendola insanguinata e in lacrime, mentre si posizionava sopra di lui, la mano dietro la sua nuca nell’intento di proteggerlo fino all’ultimo.

Mamma e papà ti vorranno sempre bene, Isaac, non dimenticarlo mai! Vivi! Continua a vivere anche per noi, piccolo!”

Il resto fu solo una crivellata di colpi. Tutto si fece buio.

 

“Nooooooooooooooooooooo!!!”

Isaac aveva preso a dimenarsi in lacrime, le mani nei capelli, desiderando quasi strapparli, mentre un dolore troppo grande per essere tollerato si irradiava a tutto il corpo. Ebbe l’impulso di sbattere la testa contro il terreno, di dimenticare tutto quello che gli veniva nuovamente impresso come marchio, si sentì di impazzire, ma Elisey lo aveva abbracciato e ora lo teneva stretto a sé, la testa appena appoggiata su di lui, le mani ferme per trattenerlo. Il ragazzo si sentì irradiare da qualcosa di infinitamente potente che lentamente lo placò, ma non i suoi singhiozzi, che invece trapelavano fuori, impossibili da trattenere. Ricambiò difficoltosamente il gesto.

“Calmati… In verità non si fece tutto buio, tu reagisti, Isaac…” gli disse con fermezza amalgamata a qualcosa di ben più dolce: calore.

Gli occhi di Isaac si spalancarono al vuoto nel rammentare ancora e ancora quelli spenti di suo padre, ma il tutto venne scalzato via dalle luci dell’aurora, che sembravano dargli coraggio e forza. Da tutto quel verde, che profumava di vita, dall’amore, quello perso della sua vecchia famiglia, quello avuto da Camus e Hyoga, concreto, così concreto, da salvarlo.

“I-io...”

“Tu reagisti, Isaac!” ripeté Elisey, accarezzandogli delicatamente la schiena, lasciandolo prendere boccate d’aria contro la sua spalla, in un atteggiamento che non aveva mai manifestato con lui. Isaac se ne sentì pervaso.

“Io… ho reagito!” ripeté, e quella consapevolezza si fece largo in lui.

 

Il moccioso respira ancora...”

E ammazzalo, no? Io sono un po’ impegnato, non mi vedi?! Quella dannata megera mi ha tranciato quasi l’arteria femorale!”

Uhmpf, colpa tua che ti sei fatto sorprendere!”

Voltò la donna con un calcio, schifato da tutto quel sangue che lordava il pavimento e le pareti. Lei era morta crivellata dai colpi del fucile, ma era riuscita a salvare quel piccolo demonietto che era suo figlio, il quale, pur completamente lordato dal sangue della madre e incosciente, stava ancora respirando. Si fermò un attimo a guardarlo con circospezione.

Sei ancora lì? Uccidilo e tanti saluti, devo farmi medicare!”

E se lo vendessimo?” propose lui, guardandolo il complice di sottecchi.

Chi cazzo vuoi che lo voglia un bambino orfano di 6 anni?! Ammazzalo e poniamo fine a questa storia, oltretutto facciamo un favore al mondo così, lo sai!”

Che spreco… - commentò ancora, tirando nuovamente fuori il pugnale per affondarlo nella gola del moccioso. Lo avrebbe sgozzato come un animale, in modo che anche il suo sangue si miscelasse a quello dei suoi defunti genitori – Così andrete insieme all’altro mondo!” ghignò, prima di procedere.

Nel frattempo l’altro era uscito da quella casa, zoppicando. Il sangue non ne voleva sapere di fermarsi. Merda! Forse quella troia gli aveva davvero danneggiato l’arteria, doveva sbrigarsi, se non voleva tirare le cuoia anche lui. Lo irritò la lentezza del suo collega, che perdeva tempo. Davvero che cazzo c’era da esitare così tanto?! Rientrò in quelle quattro mura, sempre più furioso.

Ehi, dico, ma ti vuoi muovere?! Abbiamo già ucciso a sangue freddo e ora esiti per un marmocchio? Ti sei fatto venire una coscienza tutta ad un tratto?!” rimbeccò l’altro che era ancora inginocchiato davanti al moccioso.

Nessuna risposta.

Ehi, dico, sei sordo?! - arrancò verso di lui, con stizza – Oppure mi stai pigliando per il culo?! Dai, muovit...”

Non ebbe il tempo di finire il discorso, semplicemente il corpo del compagno, la sua integrità, si dissolse, come poltiglia sanguinolenta. Un getto di fluidi non ben definiti lo investì, facendogli sbattere la testa e rantolare per terra. Provò ad urlare ma non trovò appigli, semplicemente cadde come corpo morto. Ma era vivo, ancora, ferito gravemente ma vivo. Sbatté le palpebre nel constatare la sua completa immobilità. Cosa diavolo gli era successo?! Cosa..?

Il rumore di alcuni passi lo raggiunse, mentre una figura minuta si accucciò al suo fianco, le orbite spalancate, ma non vuote, più piene che mai; piene di una energia incommensurabile che lo paralizzava completamente, gettandolo nel terrore. Era inerme. Ebbe appena la forza di metterlo a fuoco, di guardarlo un’ultima volta, preda del terrore.

Tu… tu sei davvero un mostro!” biascicò, quasi in trance, mentre la mano del bambino, senza esitazione alcuna, calò, trapassandogli da parte a parte il cuore che smise istantaneamente di battere.

Non più di quanto lo siate voi...” gli uscì una voce gutturale, mentre quella forza sovrumana che lo aveva pervaso, cessava di avvolgerlo, facendolo precipitare nell’incoscienza.

 

“Tieni un fazzoletto per pulirti la bocca...” disse semplicemente Elisey, porgendoglielo. Isaac lo accolse con un moto di gratitudine, mentre, ancora tossendo, lo teneva sulle labbra, tentando di controllare la nuova ondata di vomito che lo aveva invaso. Il resto della cena era già sul permafrost, tributo oltraggioso che lordava quel biancore candido.

“Io arrivai poco dopo… - continuò Elisey, non guardandolo direttamente per rispetto verso la sua condizione – Mi era stato riferito di questa entità che si aggirava nei pressi del tuo villaggio, mi sarei aspettato un eone imbizzarrito, un mostro, ma trovai te e… ciò che rimaneva dei tuoi genitori...”

Isaac avrebbe voluto dire qualcosa, ma così, ginocchioni per terra, piegato in due dalla sofferenza e dagli spasmi del suo stomaco, non riusciva a produrre altro che colpi di tosse sempre più intensi.

“Eri a terra sull’uscio della tua casa, che era stata profanata, sporco di sangue. Ti credetti morto, del resto eri freddo come il ghiaccio e sembravi non respirare neppure, ma ti presi comunque in braccio, entrando nell’abitazione nella speranza di trovarvi qualcuno vivo… - prese una breve pausa, carica di tensione – Per terra c’erano i poveri resti di tua madre e tuo padre, mentre quei due… beh, erano ridotti in poltiglia sanguinolenta, come se qualcosa li avesse fatti a pezzi e smembrati… tu, o meglio, il Kraken...”

“...”

“Ciò che era successo mi fu subito chiaro, non c’era altra spiegazione, l’eone a cui davo la caccia, il Kraken, era veramente impazzito, ma talmente intessuto nel tuo essere da non poter essere diviso. Tuttavia era debole a causa di ciò che aveva fatto, non sarebbe quindi potuto intervenire una seconda volta, era quindi un’ottima occasione per… distruggerlo, o meglio, disintegrare la sua emanazione corporea: tu. Esitai... - il tono di Elisey si era fatto ancora più grave – Sapevo che il tempo per agire non era molto, il Kraken è profondamente instabile, Isaac, nonché potente, è un principio distruttivo incontrollabile, con una energia vitale praticamente inesauribile, avrei dovuto smembrare il tuo corpo, pur sapendo che l’eone si sarebbe incarnato in qualcun altro prima o poi, ma...”

“M-ma…?” chiese a stento Isaac, il respiro ancora affannoso.

Elisey sorrise mestamente, scrollando la testa, e Isaac giurò, per un solo istante, di vedere una lacrima solcargli una ruga del viso per poi sparire nel collo: “Ma in quell’istante apristi gli occhi, afferrandomi debolmente la mano. Avevi una strana luce in quegli occhietti, non c’era solo la distruzione, ma anche… qualcosa di speciale… che non seppi definire in altro modo che l’attaccarsi disperatamente alla vita, come le radici degli alberi che, strenue, si conficcano nel terreno. L’istante dopo scoppiasti a piangere, chiamando a squarciagola i tuoi genitori...”

“E quindi non mi uccisi… ebbi compassione di me!”

“Già, non sono riuscito a… ucciderti! Ti presi con me, dopo aver sepolto i tuoi, furono giorni di febbre molto alta e deliri. Ti portai con me in Siberia, ti affidai a Pavel, il marito di Leila...”

“...Che mi affidò al Maestro Camus!”

“Esattamente!”

Isaac era finalmente riuscito a rialzarsi in piedi, le guance ancora bagnate dalle lacrime, in bocca un retrogusto amaro. Strinse i pugni, osservando vacuo i dintorni appena rischiarati dall’aurora.

“Io avevo... altri ricordi… di quel giorno!” disse, con gran fatica.

“Non me ne meraviglio, hai subito un grosso trauma...”

Isaac strinse con ancora più foga i pugni, serrando la mascella.

“Quindi quando Camus mi ha presentato a te, tu...”

“Ti conoscevo già, esatto, ma ho fatto finta di vederti per la prima volta, del resto tu non ti rammentavi di me, e forse è stato meglio così… beh, ad essere onesti, anche io ho contribuito personalmente nella, possiamo dire, manomissione delle tue memorie!”

“E’ inconcepibile tutto questo! I-io… io li ho uccisi, io, con queste mie mani!” biascicò, mentre una sensazione agrodolce lo investiva. Era quindi stata fatta giustizia, ma questo rendeva lui allo stesso livello di quei mostri.

Elisey non rispondeva più, lasciava il tempo al ragazzo di far attecchire questa nuova verità su sé stesso. Ad un certo punto lo avvertì rabbrividire, mentre si voltava nella sua direzione, gli occhi sbarrati, come a voler chiedere ancora qualcos’altro.

“Cosa c’è, Isaac?” lo incentivò, raspando brevemente sul terreno.

“Se questo… mostro… è dentro di me, perché non è intervenuto prima?! Prima che anche mia madre fosse barbaramente trucidata?! A-avrei potuto salvarla, a-avrei potuto...”

“Il Kraken preserva sé stesso, e quindi te, non è interessato a salvare anche i tuoi affetti, non è di così nobili intenti, Isaac!”

“Ma… ma prima...”

Il ragazzo si ritrovò a mordersi il labbro inferiore, ricordando l’incidente avuto con Sonia. Quindi quel mostro dentro di lui l’aveva reputata un pericolo per sé stesso?! Se fosse stato davvero così... allora perché si era sentito l’artefice primo, riuscendo infine a scacciarlo? Cosa c’entrava la sua gelosia? Che il Kraken dipendesse… dalle sue emozioni, più ancora di reagire ad un istinto di autoconservazione?! Sì, era vero, con i suoi era intervenuto solo quando lui aveva rischiato di morire, ma con Lisakki, per esempio…

Isaac si illuminò. Con Lisakki aveva avuto un impulso simile, incontrollabile, ma gli era scaturito dal vedere l’amico morto, non di certo per altro motivo… sì, era così! Il Kraken, forse, pur partendo come principio a sé stante dentro di lui, stava venendo contaminato dalle sue emozioni, dai suoi impulsi, dalla sua stessa volontà. Forse… c’era davvero un modo per… imbrigliarlo!

“Elisey, questa cosa non può essere estirpata da me, giusto?”

“No...”

“C’è un modo per controllarla?”

“E’ difficile, ragazzo… non è un Eone qualsiasi!”

“Ma… il modo c’è?”

“Sto facendo ricerche da anni su questa cosa, per il momento sono in alto mare, ma...”

“Ma non hai detto di no, quindi sussiste una speranza!”

“Forse! Che intenzioni hai, ragazzo?”

“Sublimarla!”

“Da solo?”

“U-un modo lo devo trovare, io… SARO’ CAVALIERE DI ATENA! Sono nato per combattere al fianco del Maestro Camus e riportare la giustizia su questa bella Terra! Non permetterò più che accada ad altri ciò che ho patito io!!!”

Elisey si permise di osservarlo. Sembrava tornato l’Isaac di sempre, nonostante la disavventura avvenuta con Camus, nonostante non avesse la minima idea di dove andare a sbattere, nonostante il ricordo autentico fosse tornato, tramortendolo. Aveva tutte le intenzioni di combatterlo, il che era un bene, se c’era qualcuno in grado di farlo era proprio lui ma -si chiese- a quale prezzo? Preferì non pensarci.

“Se questo è il percorso che vuoi per te, procedi, solo tu puoi condurre la bussola e sapere dove andare!”

“Elisey...” Isaac si permise di sorridergli con gratitudine, vagamente risollevato nello spirito.

“Ma...”

“E ti pareva che non ci fosse un ma!” sbuffò, nel distinguere il suo cambio di espressione.

“… stai lontano il più possibile dal mare!”

“Devo stare lontano il più possibile dal..? Perché?!”

Elisey lo guardò gravemente, una leggera piega delle labbra, gli occhi seri come non mai, acuminati come pugnali.

“Il Kraken è essenzialmente un mostro marino, in acqua è più forte. Lui… ti potrebbe portare esattamente dove vuole andare. Non ci sarà sempre Camus a vegliare su di te!”

“A-andiamo, Elisey, io… so nuotare piuttosto bene, e poi...”

“Stai attento al mare, ragazzo! Stacci lontano!” ribadì, secco.

“Uff, va bene starò attento al mare! - affermo, deciso, guardandosi comunque spaesato intorno, non abituato a tutte quelle attenzioni che il vecchio rivolgeva a lui – In fondo, al di là degli allenamenti, basta non buttarsi tra le sue correnti, no?” tentò di sdrammatizzare, accennando una breve risata che tuttavia non fu seguita da quella di Elisey, ancora rigido nelle sua posizione.

Quella raccomandazione, velata da una certa preoccupazione appena distinguibile, pareva tanto… una malaugurata profezia!

 

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

E con questo capitolo si conclude l’arco narrativo legato alla Siberia, a Zima ed Elisey. Questi personaggi continueranno ad apparire in questa storia, percorrendo insieme il cammino che li condurrà verso gli eventi della serie classica ma, per il momento, dal prossimo capitolo, il focus tornerà su Milos e su una situazione… beh, un po’ bollente, diciamo! XD

So bene che ultimamente ho puntato molto su questa storia, ma volevo chiudere quest’arco prima di passare alle altre, presto torneranno anche i mini-gold, Zima e i 5 Pilastri, non la Melodia della neve che, per il momento, è in pausa. :)

Dunque, ci sarebbero molte cose da dire su questo capitolo, io ne scelgo una, anche perché poi non vorrei essere troppo pesante anche qui e il capitolo è già sufficientemente lungo: la figura di Camus come Maestro e padre.

Come sapete, Camus è il mio personaggio preferito, è un simbolo, un emblema, mi piace da morire la caratterizzazione che ha nel manga (meno quella dell’anime che, per me, ha rovinato il personaggio), ma in questo capitolo parlo di lui in veste più che altro “critica”, ovvero che Camus, essenzialmente, come Maestro, fallisce. Fallisce con Hyoga nella Battaglia delle 12 Case; fallisce anche con Isaac, ed io voglio sottolineare questo fatto: la non comprensione fra i due, il fatto essenzialmente che Camus voglia esorcizzare il Kraken, il suo principio distruttivo, invece di comprenderlo, di comprendere Isaac, lasciandolo così solo contro questa entità. Un peso, di certo che avrà poi per tutta la vita, stante il profondissimo rapporto che c’è tra i due e che, nella Melodia della neve, tenterà anche di spiegare a Marta. Come si sente Camus? Come si sentirà quando, lo sappiamo, a settembre l’allievo sparirà nelle correnti oceaniche?! Questo si vedrà bene… anche se alcuni accenni ci sono già sparsi qui e là perle fic.

A tal proposito, ancora una volta, più risolutivi di lui sono Milo e lo stesso Elisey. A Milo bastano poche parole per far sentire meglio Isaac, ad arrivare dove Camus non riesce ad arrivare, perché ha un muro davanti, ha paura di avere un legame così profondo con qualcuno; un legame che, anche questo lo sappiamo, lo distruggerà dalle fondamenta quando lo perderà. Milo è un ottimo maestro, forse più di Camus, lo si vede bene anche nella serie originale, con Hyoga, e ho voluto riproporlo anche con Isaac. Elisey, d’altro canto, condivide un’esperienza con il ragazzo, riportando alla luce le vere memorie della violentissima perdita dei genitori. Elisey è lampante sappia qualcosa, abbia un sinistro sentore, lo si capisce dall’avvertimento finale.

Camus, quindi, come maestro, secondo la mia visione, fallisce. Fallisce con Hyoga, con Isaac, in entrambi i casi sbaglia totalmente approccio ma trovo che questo renda il personaggio ancora più meraviglioso e umano, i suoi fallimenti, i suoi sbagli, che lo porteranno, vi anticipo, nelle mie storie a cambiare e maturare sotto molti punti di vista.

Farà di tutto, se non di più, per non ripetere gli stessi errori con Marta, Michela e Francesca; con Hyoga la partita è ancora aperta, chi segue le altre storie sa che questi due personaggi sono fratturati in seguito agli avvenimenti contro Nero Priest, ma anche qui, lo vedremo, la situazione, in qualche modo si risolverà, avvicinando ulteriormente i due personaggi.

Grazie a tutti come sempre e alla prossima! :)

 

 

 

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