Le disavventure del Dodicesimo Distretto

di AThousandSuns
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La recluta ***
Capitolo 2: *** La quiete ***
Capitolo 3: *** L'alleato ***
Capitolo 4: *** La confessione ***
Capitolo 5: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** La recluta ***


Natasha sbuffa e lascia cadere la borsa sulla sedia quando raggiunge la sua scrivania.

Il turno è appena iniziato eppure la centrale pullula di persone, persone troppo rumorose per i suoi gusti.

«Buongiorno, detective Romanoff» la canzona Clint dalla sua postazione e la donna si limita a scroccargli un’occhiata gelida.

Il suo partner la ignora e beve un sorso di caffè. «Puoi anche non sederti: la nuova recluta è arrivata e ti sta aspettando nell’ufficio di Rogers.»

Le sfugge un grugnito dalle labbra e si volta verso l’ufficio del Capitano come a controllare che Clint non si stia inventando una balla, ma la porta è chiusa e dalle finestre oscurate non s’intravede un bel niente.

Torna ad abbassare lo sguardo sulla scrivania del collega e non riesce a trattenersi: lavora con Clint da anni, eppure quella vista continua a inorridirla ogni singolo giorno. I fogli, fogli importanti, sono impilati alla rinfusa e sparsi su ogni centimetro della scrivania che non è occupato dal computer e dai bicchieri di caffè mezzi vuoti. Quel che è peggio, sulle scartoffie spiccano varie briciole da snack non meglio identificati e un paio di incarti di plastica vuoti dato che Barton è troppo pigro per chinarsi e gettarli nel cesto della spazzatura proprio accanto a lui.

Lucky, accucciato ai piedi di Clint, la guarda con quegli occhi annoiati e inclina la testa già pronto alla ramanzina che sta per arrivare.

«Ti dispiacerebbe dare una pulita? Non ho bisogno di altri protocolli macchiati di caffè.» Un odore stantio le arriva alle narici e individua subito il colpevole. «E quella ciambella mangiucchiata? Dimmi che non è la stessa di due settimane fa.»

Clint guarda la ciambella e poi la detective. «Non è la stessa ciambella di due settimane fa?» azzarda poco convinto.

Natasha allarga le braccia. «Perché non l’hai mangiata tutta?»

«Non mi piacciono le ciambelle all’arancia» mugugna come si trattasse di un fatto ovvio.

«Stai forse aspettando che il sapore migliori?»

«Potrei darla a Lucky» le dice mentre afferra ciò che rimane del dolce.

«No!» Natasha gli schiaffeggia la mano e la ciambella cade a terra. «Vuoi avvelenarlo?»

Lucky annusa lo spuntino prima di mangiarlo in un sol boccone.

Natasha grugnisce spazientita. «Andiamo Clint! Come puoi lavorare in questa spazzatura?»

«C’è ordine nel mio disordine» puntualizza l’uomo alzando l’indice. «A te sembra spazzatura, ma io so perfettamente dov’è ogni cosa.»

«Ma davvero?» ghigna Natasha mentre osserva Clint deglutire. «Perciò non avrai problemi a farmi avere la copia del rapporto che avresti dovuto firmare ieri, l’ho lasciata proprio in quell’angolo.»

«L’avrai una volta firmata» balbetta nel tentativo di guadagnare tempo.

«Dovresti firmarla ora, sai quanto Rogers tiene alle scadenze.» Natasha addolcisce il suo tono e Clint sbuffa quando realizza che ce l’ha in pugno.

«Potrei aver perso il documento.»

Il sorriso di Natasha si allarga. «Ho un’idea: perché non fai fare il giro alla nuova arrivata al posto mio? E in cambio non andrò da Rogers a spifferare del tuo disordine.»

«Potresti farlo: Rogers sa già tutto riguardo al modo in cui lavoro.»

«Non è una cosa di cui puoi vantarti, Barton.»

Clint si stiracchia sulla sedia. «Sei in punizione, Nat: la novellina è tutta tua.»

Natasha lo guarda dall’alto in basso e incrocia le braccia. «Tu perdi documenti importanti e io vengo ripresa? Perché sarei in punizione? Sentiamo.»

Clint si porta il bicchiere di caffè alle labbra per berne un sorso e non stacca gli occhi dal suo portatile mentre risponde: «Non sono io quello che ha aggirato il protocollo per arrestare un ladruncolo.»

Natasha si massaggia le tempie: è appena arrivata e già vorrebbe darsela a gambe.

«L’ho arrestato, che differenza fa come?»

La voce del Capitano alle sue spalle la sorprende. «Farà differenza quando il suo avvocato lo scoprirà e tenterà d’invalidare l’arresto, cosa che probabilmente accadrà.»

Natasha osserva torva Clint per non averla avvertita ma lui fa spallucce, così la detective sfoggia il suo miglior sorriso e si volta ad affrontare Rogers.

È pronta a ribattere ma le parole le muoiono in gola. Appena dietro il Capitano c’è una donna dai capelli biondi che cadono sulle sue spalle in onde ordinate; la camicia azzurra che indossa è stirata alla perfezione e i pantaloni scuri la fasciano morbidi. La sua postura dritta mostra sicurezza e un sorriso che non riesce a nascondere le tende le labbra: Nat pensa che non sembra affatto una novellina. E poi pensa che è una bella donna. E poi si morde la lingua per scacciare quei pensieri.

«Nessuna risposta sarcastica, Romanoff? Sicura di star bene?» Rogers tiene le braccia conserte e aggrotta la fronte mentre la studia.

«Mi sento benissimo, Capitano.»

«Bene, allora non ti dispiacerà accompagnare la detective Carter per mostrarle la centrale.»

La donna bionda le sorride affabile mentre le tende la mano. «Sharon Carter.»

Ha una presa salda e la guarda dritta negli occhi. «Natasha Romanoff.»

«Se volete scusarmi.» Steve l’ammonisce con un ultimo sguardo e si ritira nel suo ufficio.

«Non voglio rubarti troppo tempo» si affretta ad aggiungere Sharon.

La donna scuote la testa e le rivolge un sorriso sincero. «Non preoccuparti: avrai bisogno di una guida in questa gabbia di matti.»

Clint nasconde un ghigno dietro la tazza. «Sei più affabile del solito oggi, Romanoff, e non hai ancora preso il caffè. Che ti succede?»

Natasha lo ignora. «Questo è il mio partner, Clint Barton.»

«Ho sentito parlare molto bene di te e del tuo lavoro all’Undicesimo Distretto, detective Carter» esordisce Clint mentre le tende la mano.

Sharon arrossisce appena e si morde le labbra. «Si è trattato di un lavoro di squadra, davvero.»

«Quale lavoro?» chiede Nat perplessa.

Clint la osserva incredulo. «Lo scandalo Osborn e il riciclaggio di denaro sporco. Ma dove vivi?»

Natasha sposta lo sguardo sorpreso su Sharon e le pare che arrossisca un po’ di più. «Non sapevo ci fossi tu dietro l’operazione.»

Sharon annuisce. «Ero parte della task force, è vero, ma ho semplicemente fatto il mio lavoro.»

Natasha per un attimo rimane interdetta: aveva ragione, la Carter non è una novellina, ma c’è qualcosa che non le torna. Lo scandalo Osborn avrebbe dovuto dare una svolta positiva alla sua carriera, ad occhio e croce un’operazione del genere valeva almeno una promozione a sergente per una detective del suo grado. Invece la Carter minimizza i propri meriti e fa richiesta di trasferimento nel loro distretto, un distretto più piccolo. Perché?

Sharon si schiarisce la voce riportandola alla realtà.

«E ora sei qui.» Le sorride e le indica due scrivanie poco distanti. «Hai già conosciuto i detective Wilson e Barnes?»

«Rogers ci ha presentati appena sono arrivata.»

«Perfetto, allora iniziamo il giro.» Imboccano il corridoio con le luci led che le fanno venire il mal di testa. «Questa è la stanza che usiamo per le pause.» Le mostra il distributore e il piccolo fornello a gas in un angolo e poi proseguono. «Non ci vorrà molto: il nostro distretto è più piccolo dell’Undicesimo.»

Natasha lo menziona nella speranza di scoprire cosa ha davvero portato la Carter lì da loro: potrebbe trattarsi di un banale trasferimento o forse no, ma ha tutta l’intenzione di scoprirlo con qualsiasi mezzo.

«L’Undicesimo può essere soffocante» ribatte Sharon. «Mi pare che qui regni un’atmosfera del tutto diversa.»

Soffocante? Curiosa scelta di parole: cosa sta nascondendo la Carter?

«Non farti ingannare: Rogers può essere molto intransigente quando vuole.»

Sharon alza le spalle. «Sulle cose che contano davvero, come l’integrità nel lavoro.»

Quell’osservazione la prende in contropiede, non se l’aspettava. «Però, sembra che tu lo conosca bene.»

Sharon le rivolge un mezzo sorriso. «È abbastanza famoso.»

«Come solo i veterani decorati sanno essere» osserva Natasha mentre la conduce nella stanza per gli interrogatori e poi più giù, fino agli archivi.

Lì non c’è molto da vedere, solo polverose scatole di cartone impilate le une sulle altre e faldoni pieni di carta ingiallita, perciò non perdono molto tempo.

«Fury è il Capitano dell’Undicesimo, giusto?» le chiede mentre percorrono il corridoio a ritroso.

«Non so ancora per quanto, a essere sincera. Il Commissario Pierce sta spingendo per il suo pensionamento.»

Parla dopo una piccola esitazione che non le sfugge. È una maschera quella che Sharon indossa, ma non è perfetta e l’occhio esperto di Nat scorge ogni crepa: l’angolo della bocca si piega appena, un gesto che racchiude disappunto, forse rabbia, mentre lo sguardo si abbassa per un istante prima di tornare sul volto di Natasha all’apparenza impassibile.

Quel loro giro continua e le stanze da mostrarle stanno diminuendo: se Natasha spera di cavare qualcosa dalla conversazione deve darsi una mossa e metterla alle strette in qualche modo. Forse quello non è l’atteggiamento migliore per dare il benvenuto a una collega, ma il distretto è la sua vita, la sua famiglia, e Natasha ha già perso abbastanza: non può permettersi di abbassare la guardia. Fa un altro tentativo e spera che non vada di nuovo a vuoto.

«E Fury cosa ne pensa? L’ho conosciuto appena dopo essere uscita dall’Accademia ed è un osso duro.»

Le parole di Natasha scatenano una risata amara. «Dubito voglia mollare proprio prima del processo per il caso Osborn.»

«Dovrai testimoniare?»

«È probabile.» Sharon sospira e questa volta non si preoccupa di nascondere quella reazione.

Forse sta procedendo nella giusta direzione, forse ha trovato uno spiraglio per penetrare la corazza di Sharon. «Sta’ attenta: gli avvocati difensori saranno dei grandi stronzi e si appelleranno a qualunque cosa pur di screditarti.»

«Saprò gestirli.»

Dubita che avrà un’altra probabilità così presto, così attacca. «Cosa dirai quando ti chiederanno il motivo del trasferimento?»

Sharon sostiene il suo sguardo mentre le labbra si tendono in un sorriso tenero. «Che devo occuparmi di mia zia Peggy e avevo bisogno di un impiego più vicino alla sua casa.» La dolcezza nella sua voce non raggiunge gli occhi e Natasha si chiede se abbia capito cosa stava tentando di fare: è probabile di sì.

D’accordo, è in gamba.

«Non volevo farti un interrogatorio» prova a scusarsi.

Sharon sorride e le posa una mano delicata sulla spalla mentre Natasha tenta di ignorare il calore che quel tocco leggero le trasmette.

«Lo capisco, questo è molto più di un lavoro per te e le persone qui... sono molto più che semplici colleghi per te. Non devi scusarti per questo anzi, è molto bello che tu sia così protettiva nei loro confronti.»

Natasha suo malgrado si ritrova a sorridere. «Non credo che qualcuno qui dentro mi abbia mai definita protettiva

«Non quand’eri a portata d’orecchio, immagino.»

Qualunque cosa la Carter stia tenendo per sé, non la lascerà trapelare tanto facilmente. Ma forse non è poi così importante.

«E questa è la sala briefing.»

L’agente Romanoff conduce Sharon in una stanza ordinata e spaziosa.

«Devo ammetterlo, in questo distretto prendete molto sul serio la pulizia dell’ambiente.»

«L’unica eccezione è la scrivania di Barton.» Quel commento fa ridere Sharon e Nat non riesce a trattenere un sorriso guardandola. «Il capitano Rogers è un bacchettone, ma ottiene ottimi risultati.» Natasha osserva l’altra donna con un’espressione indecifrabile sul viso. «Allora, hai trovato ciò che ti aspettavi?»

Sharon si umetta le labbra e l’occhio di Natasha segue quella reazione innocente con uno sguardo che d’innocente ha ben poco. L’altra detective pare non accorgersene, o forse finge, e le sorride.

«Penso di aver trovato più di ciò che mi aspettavo.»

Sharon ha passato l’esame di Natasha a pieni voti e quel risultato non ha nulla a che vedere con quegli occhi nocciola e le fossette sulle guance. Ugh, ma che le prende?

«Ti va un caffè?» Natasha si rende conto che la domanda può suonare equivoca così si affretta ad aggiungere: «Nella sala comune, intendo.»

Sharon le sorride dolce. «Certo.»

Nat si guarda alle spalle e trova Clint che alza il pollice incoraggiante.

Lo sguardo della detective s’indurisce e con il linguaggio dei segni lo manda al diavolo. Clint fa spallucce e torna a bere il suo caffè mentre Lucky, ai suoi piedi, scodinzola.



Il Capitano è in piedi nel suo ufficio e getta un occhio alla nuova recluta che sorseggia un caffé in compagnia della Romanoff.

La Carter ha un ottimo curriculum: è tra i migliori diplomati del suo anno all’Accademia di Polizia e nell’Undicesimo Distretto si è ritagliata il proprio posto fino al grado di detective, per non parlare del suo ruolo della task force che ha seguito ed esposto il riciclaggio di denaro sporco da parte di una delle società più influenti di New York.

Steve torna a sedersi e sfoglia i moduli del trasferimento davanti ai suoi occhi. È tutto regolare, eppure una sensazione alla bocca dello stomaco lo innervosisce. Nella testa, l’eco di un’unica domanda: perché è lì? Il loro è un piccolo Distretto e Steve si sta adoperando per migliorarlo da quando è arrivato, quasi un anno prima.

Quand’era un soldato, credeva non ci fosse qualcosa di più difficile della guerra e uh, si sbagliava eccome. In guerra non esiste la burocrazia, con i suoi tempi dilatati e le scartoffie che hanno il potere di mandare all’aria un caso. In guerra c’è un solo nemico ed è chiaro, definito di fronte a te. Ora che è a capo di un Distretto di Polizia, Steve non sa di chi può fidarsi e di conseguenza considera tutti potenziali nemici: altri Capitani invidiosi, i boss che tenta ogni giorno di mettere dietro le sbarre, gli Affari Interni...

Deve solo capire quali siano le intenzioni della Carter e quale sia il motivo che l’ha spinta a chiedere di lavorare in quel preciso Distretto. Perché è convinto che sia un motivo ben preciso.

Mette da parte quelle scartoffie e sotto trova altre scartoffie da firmare. Con un sospiro si alza e torna accanto alla finestra. Anche le detective si sono spostate per tornare alle rispettive scrivanie e Steve si ritrova a scrutare la Carter con una leggera voglia di leggerle il pensiero.

Ha proprio bisogno di una vacanza.

Stark entra nella stanza senza bussare, come al solito.

«Credi che si ambienterà?» Steve non si scosta dalla vetrata e non specifica che si riferisce alla Carter: Tony è un tipo sveglio, quando ha abbastanza caffè in corpo.

L’uomo però non gli risponde; Steve si volta e si schiarisce la voce: «Ti dispiacerebbe evitare di sederti sulla mia scrivania mentre sfogli i rapporti?»

«Non lavoro per te, ma per gli Affari Interni» lo provoca, ma poi alza lo sguardo sul Capitano e qualcosa negli occhi del veterano lo fa alzare con un sospiro.

Rogers annuisce soddisfatto mentre tenta di soffocare un sorriso.

«Non avrà problemi,» continua, «il tuo distretto è un paradiso.»

Steve è diffidente e si prende qualche istante per studiare l’espressione di Stark che però non lascia trapelare nulla. È sempre stato difficile interpretare Tony, con il suo sarcasmo asciutto e le manie di protagonismo, e questo lo infastidisce.

Incrocia le braccia sul petto mentre gli parla: «A cosa devo la sviolinata? Gli Affari Interni stanno per rovinarmi e vuoi addolcire la pillola?»

Tony alza gli occhi al cielo. «Come siamo tragici oggi. Non sono sempre stronzo, ho i miei momenti.»

È così, Stark non si fa remore a provocarlo con il suo sarcasmo e il pungente senso dell’umorismo, costantemente. Certi giorni però finisce col dire qualcosa che pare quasi partire dal cuore lasciando Steve interdetto, come in quel momento. D’altronde, ha rinunciato molto tempo prima ad interpretare le fluttuazioni nell’umore di Tony.

«Ti ringrazio, allora.»

«Aspetta a ringraziarmi: ti ho portato qualche foglio da firmare.»

E con qualche intende una pila che sistema all’angolo della scrivania; Steve si lascia scappare un verso simile a un grugnito e Tony nemmeno tenta di dissimulare la propria risata a quella reazione.

«Scommetto che avevi immaginato tutt’altro quando sei stato promosso, uh?»

Steve si siede dietro la scrivania e invece di uscire Tony lo imita accomodandosi di fronte a lui.

«Sapevo che non sarebbe stato facile, ma non mi aspettavo così tanti intoppi» confessa senza vergogna.

Si accorge che Tony l’osserva di sottecchi e capisce subito che qualcosa non va.

«Sputa il rospo.»

Tony sospira e appoggia la schiena sulla sedia grattandosi la barba curata.

«Girano certe voci... Non tutti sono contenti della tua gestione del Distretto.»

«Se vuoi dirmi qualcosa fallo senza enigmi, altrimenti non disturbarti a dire altro.»

Tony incrocia le braccia incrociate sul petto, le sopracciglia aggrottate. «Ti sei fatto un po' di nemici ai piani alti, con i tuoi metodi concilianti e il tuo gruppetto di detective… inusuali.»

«Saranno anche inusuali, ma portano a termine i casi. è tutto nero su bianco, non puoi negare l'evidenza. E nemmeno i piani alti.»

«Non contano solo le scartoffie, Rogers. Ci sono in ballo giochi di potere che-»

Steve si alza e poggia i palmi sulla scrivania. «Non mi interessano i giochi di potere» scandisce sperando di chiudere quella conversazione.

Tony non è impressionato. «Al resto del mondo sì.»

Steve lo fissa per qualche istante, poi scuote la testa. «Riesci sempre ad avere l'ultima parola, uh?»

«È il mio superpotere, Capitano.» Gli rivolge un sorriso sbieco mentre si alza e si abbottona la giacca. Si avvicina alla vetrata e scosta le persiane per sbirciare. «Scommetto cinquanta dollari che entro la fine della settimana Romanoff le chiederà un appuntamento.»

Steve aggrotta la fronte. «È contro il regolamento.»

Ridacchia ma non distoglie lo sguardo dalle detective dall'altra parte della vetrata. «E quando mai la Romanoff ha rispettato il regolamento?»

 

«Psst.»

Bucky alza lo sguardo e incrocia quello di Sam, seduto alla scrivania di fronte a lui.

Sam fa un gesto con la testa e lui segue il segnale fino alla scrivania della nuova arrivata, dove la Romanoff si è fermata per un documento.

Bucky sposta lo sguardo sul partner e alza le spalle.

Sam sbuffa e abbassa la voce. «È la terza volta che Nat va alla scrivania della Carter oggi. Un altro po’ e scaverà un sentiero.»

«Sta cercando di essere gentile.» Sam a volte vede cose che non ci sono – altre però, il suo istinto non sbaglia. Non che Bucky lo ammetterebbe mai a voce alta.

«La Romanoff? Gentile? Dove hai lavorato finora?»

Il fatto è che Bucky ha una marea di lavoro e non può perdere tempo a far gossip. «Anche se fosse? Sono affari suoi.»

«Ma ricordi che impicciona è stata con noi?» Dal tono, pare quasi che Sam la stia prendendo troppo sul personale.

Hanno troppo lavoro da fare per preoccuparsi di certe scemenze. «Se non la pianti mi stacco la protesi e la uso per picchiarti.»

Sam gli scrocca un sorriso insolente. «Pagherei per vedertelo fare.»

Bucky poggia la schiena contro la sedia e si stropiccia il viso con la mano buona. Dubita che vincerà mai una discussione con lui.

«E comunque sarebbe vietato dal protocollo.»

Sam lo guarda con fare cospiratorio. «Anche noi siamo vietati dal protocollo» gli fa notare.

Bucky gli sorride dolce. «Solo se Steve lo scopre.»

 

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Capitolo 2
*** La quiete ***


Davvero non credeva che una volta divenuto Capitano avrebbe passato metà delle sue giornate a compilare moduli e protocollare documenti. A volte gli manca la guerra ed è cosciente che un pensiero del genere dovrebbe preoccuparlo. La porta si apre con il solito cigolio e, ancor prima di alzare lo sguardo, Steve sa che si tratta di Stark. Sembra che quell'uomo non sia capace di bussare. O forse lo fa per il semplice gusto d'infastidirlo.

Steve è pronto a farglielo notare per l'ennesima volta, ma quando alza lo sguardo sul suo viso si rimangia il commento. «Non è una faccia da buone notizie, quella.»

Tony appoggia i palmi sulla scrivania e si protende verso Steve. «Che avete combinato con il caso Creel?»

Sempre dritto al sodo, una delle qualità di Stark che Steve ha sempre apprezzato. Ripone il foglio che ha in mano all'angolo della scrivania e appoggia la schiena alla sedia.

«Il signor Creel è stato arrestato seguendo ogni step della prassi burocratica.»

Stark sbuffa. «Un mucchio di belle parole per dire una sola stronzata.»

Steve abbassa la voce. «Importa davvero? Perché a me importa che un criminale sia dietro le sbarre. Chissà, con un po’ di fortuna potrebbe condurci da Fisk.»

Tony scuote la testa e cammina su e giù per l'ufficio un paio di volte. «Fisk non è uno stupido, e poi non è questo il punto.»

Il Capitano lo osserva grattarsi la barba e fa spallucce. «E quale sarebbe il punto?»

Tony si affloscia sulla sedia di fronte a Steve. «Non c’è nulla di ufficiale, ma pare che Ross voglia trasferirti.»

Dritto al punto, come sempre. Quella notizia sorprende Steve, ma tenta di non darlo a vedere. «E perché mai? Sono qui da un paio d’anni e gli arresti sono aumentati di pari passo con i casi risolti: questo distretto è uno dei più efficienti in città.»

«Può darsi» gli concede Tony. «Ross però vede solo una banda di detective indisciplinati che fanno fatica a seguire il protocollo, Romanoff in testa. Nemmeno la Carter è riuscita a frenarla.» Scuote la testa. «I tuoi detective hanno relazioni tra loro e tu non te ne accorgi, o fai finta di non accorgertene. E Barton? Non può portarsi il cane sulla scena di un omicidio!»

Steve lo ignora. «Saranno pure indisciplinati, ma ottengono dei risultati.»

«Sei un Capitano della Polizia ora, Rogers! Non puoi fingere che certe infrazioni non accadano. Credevo fossi Mister Adoro le regole!» Stark stringe le labbra con disappunto e incrocia le braccia sul petto. Lo fa sempre quand'è contrariato e negli ultimi tempi lo è spesso. «Steve, non capisci? Ross aspettava solo un tuo passo falso e tu gli hai servito su un piatto d’argento la faccenda di Creel.»

«Vuoi dire un arresto legittimo?» ribatte pronto.

Tony strizza gli occhi e si porta le mani al viso. «Va bene, lascia perdere Creel.» Torna a guardare Steve con una serietà che raramente dimostra. Non è un buon segno. «Sappi solo che il Vice Capo Pierce approva l’idea di Ross. In un modo o nell’altro ti trasferiranno, Rogers. E se non possono farti apparire come il cattivo, la faranno sembrare una promozione. E le promozioni non si possono rifiutare.»

Per la prima volta Steve pare realizzare la verità di quelle parole e se ne sta in silenzio per un po’.

Alla fine Tony sospira e torna in piedi. Alza un braccio – forse vuole confortare Steve con una mano sulla spalla – ma rinuncia. Scuote la testa e fa per andarsene.

«Tony?»

Stark si volta con la fronte aggrottata. Steve non lo chiama mai per nome e deve averlo notato. Tony ha già la mano sulla porta, ma si ferma in attesa.

«Perché me lo stai dicendo? Voi degli Affari Interni gongolate sempre su queste vicende.»

Tony lo fissa e apre la bocca per dire qualcosa, ma non esce alcun suono. Si guarda le scarpe per un istante e poi sposta i suoi occhi scuri su Steve. «Sei un buon Capitano, Rogers.»

È tutto ciò che dice prima di uscire, ma a Steve basta.

 

Quando Steve rivela ai detective di cui si fida di più in via ufficiosa che potrebbero trasferirlo, la Romanoff è la prima a fiondarsi fuori dalla stanza sbattendosi la porta alle spalle.

Clint si limita ad abbassarsi per accarezzare Lucky. «Poteva andare peggio.»

«Se siamo fortunati, è andata da Ross per piantargli una pallottola in petto» commenta Stark crudo e per un attimo Sharon si chiede se stia scherzando o no. Mentre l'osserva, si chiede anche perché sia lì con loro. Forse perché non si fida di Ross. Non è l'unico.

«Le passerà» commenta Steve all’apparenza imperturbabile. «Torniamo a lavoro. Se avete bisogno di me, sono nel mio ufficio.»

Sharon incontra lo sguardo di Clint che le sorride appena e annuisce.

Natasha non è in auto a caricare la pistola: Sharon la trova in archivio, seduta a terra, nascosta tra le scatole e i faldoni. Quando alza la testa, Sharon si ferma in mezzo alla stanza, interdetta. Nat ha gli occhi lucidi e per lei equivale a piangere a dirotto.

Sharon si morde il labbro, poi va a sedersi accanto a lei e le bacia la testa mentre le accarezza i capelli. Dalle labbra di Nat sfugge un verso che somiglia a un singhiozzo e l’altra se ne sta in silenzio: sa che la compagna odia le parole superflue, e in quel caso lo sarebbero.

«Avevo sentito delle voci ma… credevo si sbagliassero.»

Sharon sgrana gli occhi. «Lo sapevi?»

«Rumlow va in giro a vantarsi di una sua imminente promozione.»

Sharon le stringe la mano più forte. «Il coglione dell’Unità Crimini Maggiori?»

L’altra ride amareggiata. «Hai avuto il piacere di conoscerlo.»

Sharon si torce le mani e abbassa lo sguardo.

Quell'aria colpevole spinge Nat a chiederle: «Cosa c'è?»  

Ha bisogno di dirlo, è stanca di mentire. O perlomeno, di nascondere la verità. «È a causa sua che me ne sono andata dall'Undicesimo.»

Avverte Nat irrigidirsi accanto a lei. «Cosa ti ha fatto?»  

«Niente di personale!» chiarisce per tranquillizzarla. «Non so bene come spiegarlo. È… tossico, lavorare con lui.»

Natasha la osserva allarmata. «Ho sempre pensato che fosse un viscido, ma non credevo…» Aggrotta le sopracciglia. «Steve lo sapeva quando ha accettato il tuo trasferimento, non è vero? Per questo ci sei anche tu oggi, anche se sei appena arrivata.»

Sharon scuote la testa. «All'inizio non ne era al corrente, ma poi ho dovuto dirgli la verità.»

«Quale verità?»

«Stanno insistendo con il pensionamento di Fury perché… c'è qualcosa che non quadra con il caso Osborn.»

«Qualcuno è compromesso?» Dal suo tono, non pare sorpresa.

«È probabile, ma Fury non ha prove. E si fida solo di me e della Hill.»

«Non avrebbe dovuto mandarti via allora, avresti potuto aiutarlo.»

Sharon sospira portandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «È ciò che gli ho detto, ma non ha voluto sentire ragioni. Dovrò testimoniare a breve e la mia deposizione potrebbe rivelarsi decisiva.» Punta lo sguardo su Natasha. «Il posto più sicuro per me adesso è lontano dall'Undicesimo. Qui, al comando di un veterano decorato. Ma ho paura di averlo trascinato a fondo con me.» Non vorrebbe, ma la sua vece si spezza sull'ultima sillaba.

«Steve non è poi molto amato ai piani alti.»

«Forse, ma non vorrei essere l'ultimo chiodo sulla sua bara.»

Natasha le sfiora il mento con l'indice costringendola ad alzare il capo. «Non lo sarai.» La sua espressione s'indurisce e in un attimo torna ad essere la cinica detective Romanoff. «Quindi sospettate di Rumlow.»

«È il primo della lista, ma non possiamo escludere che abbia dei complici.»                   

«Dobbiamo occuparcene, in un modo o nell’altro.»

«Sembra quasi che tu voglia farlo fuori» ridacchia Sharon.

«Lo teniamo come piano B» le sussurra prima di posarle un bacio leggero sulla labbra.

 

«Dici che lo faranno?»

Si sono rintanati in una volante perché in quel distretto il concetto di privacy è inesistente. Sam, seduto al suo fianco, sospira. «Puoi scommetterci la protesi che lo faranno: Ross è uno stronzo e Pierce non è un uomo migliore di lui.»

«Forse è il perché che dovrebbe preoccuparci» mormora Bucky con la fronte aggrottata.

«Giusta osservazione: azzardo e dico che al posto di Steve vogliono metterci qualche loro burattino.»

Il viso di Bucky si contrae in una smorfia di disgusto. «Uno tipo Rumlow?»

Bucky ruba il caffè dalle mani del partner e ne prende un sorso. «Cazzo, spero di no. E poi non è abbastanza in alto.»

Bucky poggia la testa sul sedile. «Forse a loro non importa.»

«Steve è ostinato, lo conosci» insiste Sam. «Non si arrenderà tanto facilmente.»

«Lo spero, altrimenti ci toccherà essere più cauti.»

Capita che Rumlow passi da loro ogni tanto, in via ufficiale per lavoro, ma Sam sa che lo fa perché tra lui e Steve non scorre buon sangue e gli idioti come Rumlow adorano provocare. Si crede intoccabile e in una certa misura questo lo rende pericoloso. E poi… beh, a Sam non piace il modo in cui guarda Bucky. Lo fa rabbrividire, e non in senso buono.

«Rumlow non metterà le sue mani viscide su questo Distretto, non glielo permetteremo.»

«Sei carino quando fai quello geloso.»

Sam decide d'ignorarlo. «Se le cose dovessero mettersi male, ci penserà la Romanoff.»       

Bucky gli rivolge quel mezzo sorriso che adora e lo sguardo di Sam si accende. «A proposito di cautela, in auto non ci vede nessuno…»

Bucky ridacchia sulle labbra del compagno prima di baciarlo, ma sobbalzano entrambi quando qualcuno bussa al finestrino.

«Riunione d’emergenza» ordina Romanoff con un tono che non ammette repliche. «Se avete finito di amoreggiare, s’intende.»

«Pare che qualcuno abbia un piano.» C’è speranza nella sua voce e non si preoccupa di nasconderlo.

Bucky gli sorride. «Non ci vede nessuno, uh?»

«Piantala.»

 

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Capitolo 3
*** L'alleato ***


Cammina tranquilla verso l'auto ma si getta un'occhiata alle spalle prima di aprire la portiera ed entrare. Nel sedile accanto non c'è Fury ad aspettarla.

Maria legge il disappunto sul suo volto e le rivolge un debole sorriso. «Tengono d'occhio Nick, ma non la sua segretaria.»

«È un bene che ti sottovalutino.»

«Vero. Però lo detesto comunque.»

Sharon azzarda un piccolo sorriso. «Lo detesterai meno quando avremo risolto questo casino perché un mucchio di misogini non ha fatto la guardia alla  segretaria.»

Maria le porge un bicchiere. «Forse.» Il caffè è quasi freddo ma Sharon si sforza di berlo senza risparmiarsi una smorfia. «Sei in ritardo» le fa notare Maria.

«Come sta Nick?»

«Non l'hanno arrestato, per ora, ma rischia grosso. Parla poco ma grugnisce parecchio.»

Sharon vorrebbe ridere, ma vien fuori una smorfia. «Sarà difficile provare che è stato incastrato?»

«Finora, tutti gli avvocati che abbiamo contattato si sono rifiutati di difenderlo. E non certo perché si tratta di un caso complicato.»

«Sappiamo entrambe che dietro tutto questo c'è Pierce.» Sharon poggia il bicchiere ormai vuoto accanto a lei e si porta le mani in grembo. Stringe i pugni e si ritrova a fissare il profilo dei grattacieli oltre il parabrezza, dall'altra parte dell'Hudson. «Non riesco a credere che Osborn se la caverà per un errore procedurale

Maria si tiene il viso tra le mani. I suoi capelli, di solito acconciati in una crocchia impeccabile, oggi sono raccolti in una coda sfatta. «In tribunale servono prove e ogni pista che ho seguito finisce in un vicolo cieco. Non ho modo di provare che sia stato Rumlow a far saltare il caso Osborn e Nick ne pagherà le conseguenze.»

«Due piccioni con una fava.»

«Sharon.» La guarda dritta negli occhi. «Potrebbero esserci conseguenze anche per te se non facciamo qualcosa.»

«Darò le dimissioni. Non posso rischiare che prendano di mira anche Rogers.» Se l'aspettava, ha già preso la sua decisione. «Per questo hai voluto vedermi?»

«Sì. Le dimissioni sono una buona idea, ma conosci Nick bene quanto me. Non lascerà che uno scandalo orchestrato ad arte chiuda una carriera irreprensibile. Troveremo una soluzione.»

Per un po' se ne stanno in silenzio, anche se sanno che il rischio di essere beccate aumenta ogni minuto. Sharon però non ha la forza di andarsene, non ancora, e Maria non le mette fretta. Forse si sente allo stesso modo. Maria tira fuori una Lucky Strike e con un cenno chiede a Sharon il permesso di fumare. Le ci vogliono un paio di tentativi, ma alla fine l'accendino prende vita.

Sharon aspetta che prenda un paio di boccate prima di parlare: «Sarà Rumlow a sostituirlo al distretto.»

Maria tossisce. «Ho già il voltastomaco.»

«Andava in giro a vantarsi di una promozione… Credevamo parlasse del Dodicesimo, che ai piani alti volessero sostituire Steve perché ritenuto incapace di gestire un distretto indisciplinato. Invece l'obiettivo è sempre stato Nick.»

«Ci hanno colti di sorpresa, ma sono pazzi se credono che andremo a fondo senza lottare.»

Sharon annuisce a quella determinazione.  «E per quanto Pierce ci provi, non può costringere un intero distretto ad amare Rumlow. La metà dei suoi colleghi lo detesta, l'altra metà lo teme. Non durerà a lungo in ogni caso.»

«Puoi star sicura che gli renderò la vita un inferno.»

«Gli porterai caffè freddo?»

Maria non può far a meno di ridacchiare e prende l'ultima boccata prima di gettare il mozzicone fuori dall'auto. 

«Come sta tua zia?» chiede, la preoccupazione ad addolcirle la voce.

Sharon posa la testa contro il sedile e guarda verso l'alto. «Sempre uguale. Perlomeno dopo le dimissioni potrò passare più tempo con lei. Mi racconterà di nuovo com'è diventata il primo capitano di polizia donna di New York.»

«Sono sicura che ha qualche aneddoto divertente su Nick.»

«Farò in modo che condivida i suoi segreti. Dopotutto, sono la sua nipote preferita.»

Maria scuote la testa. «Entrare nella polizia ti ha fatto di certo guadagnare punti, anche se le cose sono molto diverse ora.»

Già, molto diverse. «Eppure non riesco a pentirmene» mormora Sharon in un sussurro.

«Nemmeno io.»   

Le è sempre piaciuta Maria.

 

«Detective Barnes.»

Quella voce gli fa venire la pelle d'oca, come ogni volta. Sam lancia uno sguardo cauto a Bucky, di fronte a lui, ma il partner lo ignora volutamente.

Lucky, a qualche metro da loro, guaisce piano e si rintana sotto la scrivania di Clint, che non si preoccupa di nascondere una smorfia quando si accorge di Rumlow. Lucky è il cane più amichevole che Sam abbia mai incontrato: quando non si fida di qualcuno, nemmeno Sam si fida.

Bucky si schiarisce la voce e alza la testa, ma il resto del suo corpo rimane rigido. «Rumlow. Come mai da queste parti?»

«Volevo vedere come ve la passate.» Si siede sulla scrivania di Bucky appoggiando una coscia e Sam ha davvero voglia di spintonarlo e farlo cadere da lì. «Hai saputo della mia promozione?»

Il sorriso di Bucky non raggiunge gli occhi. «Certo, non si parla d'altro in giro.»

«Niente congratulazioni?»

Rumlow dà le spalle a Sam, ma ha quel tono e Sam è sicuro che stia ghignando come una iena. Cerca gli occhi di Bucky ma lui continua a eludere il suo sguardo. Sa che vuole in qualche modo proteggerlo, ma fa lo stesso un po' male.

Bucky inclina la testa e si sforza di non lasciar trasparire il proprio fastidio. «Buona fortuna. Pare che fare il Capitano sia più difficile di ciò che sembra.»

Non riesce a nascondere un velo di sarcasmo e Sam si lascia sfuggire un sorriso.

Anche Rumlow se n'è accorto, ma la prende come una sfida. «Sta tutto nella disciplina, James, proprio come nell'esercito. Ci sono dei ranghi da rispettare. E delle regole.»

Sam rabbrividisce quando sente Rumlow sussurrare quel nome, come se Bucky fosse suo. Stringe i pugni sulla scrivania, stanco di essere ignorato, ma poi si accorge dell'espressione del partner. E capisce cosa intende davvero Rumlow. Sa di loro due. Non che a Sam importi, anzi, se potesse glielo sbatterebbe in faccia. Ma non può, perché Rumlow è l'equivalente di un bambino viziato con un mitra in mano, imprevedibile e pericoloso. Non hanno bisogno di altri nemici, perciò Sam deglutisce e tenta di rilassarsi contro la sedia, però non funziona.

Le labbra di Bucky si tendono in un mezzo sorriso. «Non sono mai stato bravo con le regole.»

«Sei stato fortunato abbastanza da non incappare in qualcuno che le faccia rispettare sul serio.»

Suona quasi come una minaccia non troppo velata, in ogni caso Sam non ne può più. «Sarai impegnato giù al Distretto con il tuo nuovo incarico, non vorremmo trattenerti.»

Bucky si morde le labbra per nascondere un sorriso e Rumlow si volta verso Sam come accorgendosi solo in quel momento della sua esistenza. Peccato che quei trucchetti abbiano smesso di funzionare con Sam tanto tempo prima.

«Non è poi così impegnativo, se le cose sono fatte con rigore.»

Sam scrolla le spalle. «Cavolo, devono proprio piacerti le regole, eppure non si direbbe.»

Bucky gli scocca un'occhiata di avvertimento dalla sua scrivania, così Sam torna alle sue scartoffie.

Prima che Rumlow abbia il tempo di ribattere, la Romanoff gli si avvicina. «Agente Rumlow.»

«Capitano adesso, dolcezza.»

Natasha abbozza uno di quei sorrisi che a Sam fanno gelare il sangue nelle vene, ma glissa sull'appellativo idiota. «Da quello che so, nulla è stato ancora formalizzato.» Rumlow apre la bocca pronto a ribattere, ma Natasha non glielo permette. «Se sta cercando il Capitano, temo che ora non ci sia.» 

Sam sa che è una balla, ma sta zitto. Non ha dubbi, è stato proprio Steve a mandarla, e l'ha fatto perché ha l'aria di una che lo stenderà con un pugno se non esce subito dal loro Distretto.

Rumlow coglie il messaggio e si stacca dalle scrivania di Bucky, non prima di lanciargli un ultimo sguardo. Si abbottona la giacca e il suo solito ghigno torna a tendergli le labbra. «Come sta la Carter?»

Deve aver saputo delle dimissioni. Per un istante, Sam teme che Natasha ceda alla provocazione. La detective però rimane impassibile, i suoi occhi si muovono quasi come fosse annoiata.

«Starà meglio molto presto» replica piatta prima di voltargli le spalle.

Rumlow aggrotta la fronte, quella non è la reazione che sperava di ottenere. E la Romanoff? Sta bluffando, o diceva sul serio? Sam cerca lo sguardo del partner, che aggrotta le sopracciglia. Nemmeno lui conosce la risposta.   

«Tornerò. Ho davvero bisogno di parlare con il tuo capo» promette, perché a quanto pare deve avere l'ultima parola. «James» si congeda prima di avviarsi verso l'ascensore.

Sam può solo sperare che Nat non stesse bluffando.

 

L'ufficio di Stark pare una rimessa. Documenti e fogli sono accatastati sulle mensole e negli angoli. Sulla scrivania, oltre al pc e a una pila di cartelline, ci sono almeno tre paia di occhiali e un bicchiere Starbucks che però contiene due dita di whisky. Per fortuna non c'è traccia di polvere, però lo spazio non è molto. D'altronde, quand'è l'ultima volta che quell'ufficio ha ospitato così tante persone? Steve non si spiega come faccia Tony a essere uno dei migliori in quello che fa. Però lo è. E dev'esserci un motivo se li ha convocati lì in modo discreto. Beh, discreto per quanto uno come Stark possa esserlo. 

Quando vede Sharon entrare nella stanza, Steve capisce che Stark sta per combinare un gran casino. La Carter appare spaesata come tutti loro mentre li raggiunge, si ferma al fianco di Natasha e cerca la sua mano per intrecciare le loro dita. Bucky scocca un'occhiata perplessa a Sam che si limita a una scrollata di spalle. Steve nota che Clint è l'unico seduto, i talloni poggiati sulla sua scrivania e Lucky che sonnecchia lì accanto. A Stark non pare dia fastidio, annuisce e si sfrega le mani. Uh oh.

«Oh, ci siamo tutti. Sarete curiosi di sapere perché vi ho radunati qui.»

«Perché sei una primadonna e adori avere un pubblico per le tue sceneggiate?»

«Corretto, Romanoff. Ma oggi c'è anche un altro motivo.» Per un secondo, incontra lo sguardo di Steve, poi tira fuori dalla tasca della giacca una chiavetta USB e il suo sorriso si allarga. «Sono in possesso di prove contro Rumlow.»

Steve vorrebbe chiedergli che diavolo sta blaterando, ma Natasha lo anticipa. «Che tipo di prove?»

Tony nemmeno alza lo sguardo dal computer con cui sta lavorando. «Il tipo capace di spedirlo in prigione per un bel po'. Insieme al resto della sua cricca, se ce la giochiamo bene.»

Steve stenta a crederlo e ha mille domande, ma si morde la lingua mentre Stark comincia a scorrere alcuni documenti confidenziali. Sente i suoi detective avvicinarsi, attratti dalla speranza. Molti sono fascicoli dell'Undicesimo, ma ci sono anche quelle che sembrano transazioni bancarie con sfilze di numeri e codici. Steve non ne capisce molto ma gli basta un'imprecazione di Natasha per capire che di qualsiasi cosa si tratti, è grossa. Tony poi passa ad un paio di audio in cui Rumlow si lamenta di un ritardo nella consegna, di Fury, di Sharon. La Carter assottiglia lo sguardo, ma non fiata.

E poi un altro. In cui si vanta di aver finalmente incastrato Fury. In cui la voce anonima dall'altro lato lo ringrazia.

Fregato.

L'audio si interrompe e al suo posto partono filmati che devono provenire da telecamere di sorveglianza, poi delle foto scattate da qualcuno che pedinava Rumlow. Foto che lo ritraggono con Osborn in almeno due occasioni separate. 

Per qualche minuto nessuno proferisce parola, sono tremendamente vicina a smascherare Rumlow e quella consapevolezza pesa come un macigno. 

«Non possiamo provare che stesse parlando con Osborn al telefono» fa notare Sam. 

Bucky annuisce. «E le foto da sole sono circostanziali.»

«E non abbiamo prove contro Pierce. Sappiamo tutti che Rumlow è solo una marionetta.»  

Tony alza gli occhi al cielo. «Andiamo, Sharon, almeno tu potresti ringraziare. Il vecchio, caro Nick lo ha fatto.»

La Carter sgrana gli occhi. «Fury sa di tutto questo?»  

«Certo. Mi sarebbe piaciuto invitarlo, ma lo tengono d'occhio quindi ho riservato la teatralità solo per voi» dice come fosse una sorte di onore.    

Però c'è un altro problema. Steve incrocia le braccia.  «Come le hai avute?»

Tony aggrotta la fronte, ancora in attesa di un ringraziamento. «I documenti d'ufficio da un amico all'Undicesimo. Le foto da un'investigatrice privata che mi doveva un favore.»

Clint ridacchia. «Frequenti un'investigatrice privata?»  

«No. Frequentiamo lo stesso bar.»

«I filmati? Gli audio? I documenti bancari?» lo incalza Sharon.

«Mai sentito parlare di Rising Tide?»

Natasha sbuffa mentre Sam si lascia cadere su una sedia mormorando un "oh, Tony" che quasi strappa una risata a Steve.

«Cos'è?»  

«Un'organizzazione di hacker, Barton.» Natasha si morde le guance e dà voce ai pensieri di tutti. «Se hai ottenuto queste prove illegalmente, non possiamo usarle in un potenziale processo.»

«Lavoro per gli Affari Interni, so come funzionano queste cose!»

Steve l'osserva per qualche secondo. «Hai un piano.»

«Certo. Consegnare le prove.»

«La Polizia non potrà usarle, Tony» sussurra Bucky, confuso.

Le labbra di Stark si piegano in un sorriso che per qualche motivo fa rabbrividire Steve. «Non alla Polizia. A Karen Page.»             

 

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Capitolo 4
*** La confessione ***


 

Tony entra nell'ufficio senza bussare. La battuta sagace a cui Steve aveva pensato gli muore in gola quando incrocia lo sguardo di Stark; intreccia le dita e prende un bel respiro per prepararsi al colpo.

«Rumlow è sparito.»

Gli serve un momento per comprendere appieno quella frase. «Definisci "sparito".»

«Nessuno sa che fine abbia fatto. Nemmeno l'FBI.»

Steve scuote la testa. «Hanno avuto la loro occasione con lui e l'hanno sprecata.»

Tony si accascia sulla sedia. «Non è così semplice.»

«L'hanno trattenuto per due giorni, e cos'hanno ottenuto? Conosci Rumlow. Se l'avessero torchiato per bene avrebbe vuotato il sacco.»

«Steve-»

«Lo sai chi sparisce, Tony? I colpevoli.»

«Steve.»

«Cosa?»

Tony sospira e intreccia le dita davanti a sé. «Stai dando per scontato che sia sparito, ma non pensi alla possibilità che magari qualcuno… l'abbia fatto sparire?»

«L'FBI l'ha rilasciato, non hanno prove.»

«Ma le indagini continuano, e se trovassero qualcosa… Rumlow è un coniglio che venderebbe la madre pur di sopravvivere. Noi lo sappiamo, l'FBI lo sa, e lo sanno anche i suoi compari.»

Steve scatta in piedi, comincia a camminare dietro la sua scrivania. Destra, sinistra. Destra, sinistra. «Credi che dovremmo provare a rintracciarlo? In modo discreto.» 

«Me ne sto già occupando, Rogers.» Tony ghigna e pare sul punto di aggiungere qualcosa di sarcastico, al suo solito, ma la porta si apre di scatto. «Romanoff, non si bussa?»

Natasha si scosta e Bucky marcia fino alla scrivania. «È arrivato questo pacchetto per me. Da Rumlow.»

Sam s'intrufola nell'ufficio prima che Sharon chiuda la porta, ma rimane accanto alla finestra. «Per me è una bomba.» 

«Troppo piccolo per essere una bomba.» 

Natasha incrocia le braccia sul petto. «E da quando sei un esperto di bombe, Stark?» 

Steve sonda i suoi detective con lo sguardo. «Carter, chiama i tecnici, facciamolo controllare per sicurezza.» 

«Dammi qua.» 

«Stark!»

Tony salta in piedi e straccia il cartone prima che qualcuno possa fermarlo. «Visto? Un cellulare.»

Sharon si china. «E una chiave.»  

«Potrebbe ancora essere una bomba.» 

«Niente card, tutto vuoto. No, aspettate. Un video.» 

Sharon si affretta a chiudere le veneziane, prima di unirsi al drappello radunato intorno al telefono.

Il mio nome è Brock Rumlow, Capitano dell'Undicesimo distretto. Sotto la legge federale, giuro che la testimonianza che state per vedere è la verità, tutta la verità e solo la verità, e dovrebbe essere considerata la mia dichiarazione in punto di morte. 

Rumlow ha il viso marchiato da occhiaie evidenti, le mani tremano appena. 

Mi sono macchiato di numerosi crimini in questi anni, ma non da solo. Il Vice Capo Pierce gestisce la più grande rete di agenti corrotti che New York abbia mai visto, con la complicità di numerosi sottoposti e altre autorità di spicco. Giudici, giornalisti, agenti FBI, politici.

«Porca miseria.»

«Sshh!»

Non conosco i nomi di tutte le persone coinvolte, ma posso dirvi ciò che so con certezza: ho sabotato l'indagine diretta dal Capitano Fury riguardo le industrie Osborn sotto diretto ordine di Norman Orborn e del Vice Capo Pierce, con l'aiuto del sergente John Garrett, il detective Grant Ward e l'agente Sitwell della Scientifica. Lo scopo, oltre a coprire Osborn,  era quello di soppiantare Fury e allontanare i detective a lui più fedeli, come Sharon Carter, Maria Hill e Phil Coulson, per poi ingrandire la nostra rete. Se ci sono altri agenti corrotti all'Undicesimo, non ne sono a conoscenza. So che il Commissario Ross è all'oscuro della situazione, e se sospetta di qualcuno, sospetta delle persone sbagliate.

«Tutto qui?»

Sam allarga le braccia. «Come tutto qui? Ha appena sganciato una bomba nucleare!»  

«Tony ha ragione, non sembra aver finito.»

«Potrebbero esserci altri video» suggerisce Natasha, le dita intrecciate con quella di Sharon.  

«Trovato!»

Mi rivolgo al Dodicesimo. 

Rumlow fa una pausa.

«Sembra sul punto di vomitare» osserva Sam.

«A un passo dalla fine e comunque detesta doverci chiedere aiuto.»   

Non correte dall'FBI, non so chi è pulito. Ho raccolto delle prove in questi mesi nel caso in cui... Si trovano in una cassetta postale, nel Bronx. B512. La chiave nella scatola la aprirà. Buona fortuna.

«Certo. Fa fare a noi il lavoro sporco.»

Bucky alza le spalle. «Sa di avere le ore contate, Sam.»

«La priorità sono le prove. Qualcuno deve recuperarle.»

«Qualcuno di poco sospetto» precisa Tony. «Scommetto che vi tengono d'occhio tutti, Rogers. Di sicuro la Carter, e quindi Romanoff. Forse Barnes e Wilson. Non possiamo rischiare di mandare tutto all'aria, non ora.»

Sharon sbircia dalle veneziane e fa un cenno a Steve. Fuori, Barton sta dando dei pugni al distributore automatico nella speranza di far cadere uno snack senza pagare, sotto lo sguardo perplesso di Lucky.

«Dubito sia una buona idea» sussurra Natasha.

«Ne hai una migliore?»

Natasha grugnisce, ma non replica.

 

Nelle due notti successive - Steve preferisce non dare nell'occhio durante la giornata - iniziano a dare vita a un'indagine vera e propria grazie alle prove di Rumlow, che comprendono registrazioni audio, ricevute di varia natura e foto. Abbastanza da inchiodare Garrett e i suoi sottoposti, ma Pierce? Pierce è furbo, più di Rumlow. 

«Ha accusato mezza New York, ma non conosce nomi» borbotta Sam.

«Giornalisti e politici, ha detto, ma le prove incastrano solo i suoi colleghi.»

Steve annuisce, concorda con la Romanoff. «Se vogliamo che Rumlow risulti credibile, dobbiamo trovare qualcosa in più.»

«Come cercare un ago in un pagliaio.»

«Stai demoralizzando la squadra con i tuoi mugugni, Wilson.»

«Credevo fossi abituato a quelli.»

Natasha non alza lo sguardo dai documenti che sta analizzando. «Odio interrompervi, piccioncini, ma possiamo concentrarci sul lavoro?»

«Dovremmo partire da dove è partito tutto» realizza Sharon. «Osborn. L'indagine di Fury. Da lì possiamo allargare il raggio.»

«Le campagne politiche che ha finanziato, le interviste, le donazioni ai media, i movimenti finanziari.»

«Non è uno stupido, Nat. Avrà coperto le sue tracce» osserva Bucky.

«Beh, gli è sfuggito Rumlow. Magari anche altro, se siamo fortunati» puntualizza Clint. 

Tony, seduto con i piedi alla sua scrivania, sorseggia bourbon da un bicchiere di carta. «C'è qualcuno che sta indagando da più tempo, qualcuno che apprezzerebbe l'aiuto della Polizia.»

«Karen Page.» Steve si gratta il mento, avrebbe dovuto rasarsi quella mattina ma non l'ha fatto. «Credi sia il caso di contattarla?»

«Credo non abbiate molta scelta. Magari sarà un buco nell'acqua, però è bello sapere di non essere soli.»

La Romanoff sbuffa. «E tu non ci dai una mano?»

Il cellulare di Tony squilla e lui sobbalza. «Dimmi.»

Natasha rotea gli occhi, ma Tony mette il vivavoce.

«Hanno appena tentato di fare fuori Rumlow» dice la voce femminile dall'altro capo. «È conciato male, ma dicono dovrebbe cavarsela.»

Steve prende il cellulare. «Cos'è successo?»

«È il tuo ragazzo, Stark?» Non si capisce se stia scherzando o no.

«Magari, Jones. Va' avanti.»

Steve scuote la testa ma non fiata.       

«Si è rintanato in una pulciosa stanza di motel appena fuori Ithaca. Ero qui a tenerlo d'occhio, come volevi, quando uno stronzo ha gettato una molotov all'interno.» 

«Per nulla sospetto» bisbiglia Clint, che si becca una gomitata da Natasha. 

«Hai visto chi è stato?»

«No, Stark. Ero impegnata a tirare fuori da lì Rumlow. O lo volevi arrosto?»

«Ottimo lavoro, Jones.»

«Sono in ospedale. Controllo la stanza con Luke, ma stanno arrivando gli sbirri. E faranno domande.»

«Chiama il tuo avvocato. Sto partendo.»          

«Sarà meglio che ne valga la pena, Stark.»

«Oh, sarà un signor scandalo, te l'ho promesso.»

«E voglio un bonus: nella tariffa non era compreso il salvataggio del bastardo. Quasi volevo lasciarlo lì, ho rischiato la pelle per uno sbirro corrotto. Sei in debito e non te la caverai con un drink, Stark.»

«È un piacere fare affari con te, Jessica.»

Tony chiude la chiamata e per un momento nessuno si muove.

Steve si schiarisce la voce. «Passate la soffiata alla Page, se la stampa si immischia sarà più difficile per loro farlo fuori all'ospedale.»

Sharon annuisce ed esce, il cellulare stretto in mano.

Tony afferra la sua giacca dalla sedia. «Sarà meglio che parta. Mentre sono in viaggio chiamo la mia superiore, di lei mi fido. Le spiegherò tutto e saprà che fili tirare. Sono sicuro che la maggior parte degli Affari Interni è pulita.»

«Avrebbe senso tenervi all'oscuro di tutto, per precauzione» annuisce Bucky.  

«Vengo con te.»

«So che non vedi l'ora di passare quattro ore in auto con me, Rogers,» Tony gli scocca un ghigno «ma è meglio tenere un profilo basso. Vi darò notizie io. Continuate a lavorare.» 

Tony sfreccia fuori senza voltarsi.

«Questa Jessica,» fa Sam, «mi piace.» 

 

«Credevo che il piano fosse non consegnare le prove all'FBI.»

«Non tutto l'FBI è corrotto, Rogers.» Tony s'ingozza con il suo hamburger e perde tempo a masticare il boccone. «Qualcuno deve indagare, e non può essere la Polizia di New York.»

Steve si stropiccia il viso, stanco. «Mi manca l'esercito.»

«Non fare il melodrammatico, tutti i nodi verranno al pettine.»

Steve ha perso il conto delle patatine che Tony ha divorato. «Se Rumlow non ritira tutto.»

«Anche se volesse, c'è la sua intervista al Bulletin, e la dichiarazione in punto di morte.»

«Ma non è morto.» Steve si arrende ai carboidrati e assaggia il suo panino.  

«Rimane giuridicamente valida perché credeva di rimetterci le penne, e non si sbagliava.»

Ok, il panino è buono. E anche le patatine. «Dicono rimarrà sfigurato.»

Tony scrolla le spalle. «Difficile a dirsi, con tutte quelle bende. L'importante è che possa parlare.» 

«Continuo a pensare che tu stia sottovalutando la cosa.»

Tony  lo guarda un istante, poi posa il panino e si pulisce con il tovagliolo. Puntella i gomiti sul tavolo e intreccia le dita. «Rogers, il sistema è molto lontano dalla perfezione, ma non avrei mai scelto questo lavoro se non credessi almeno un po' nella giustizia. Si vedono già i primi risultati: la Osborn sta calando a picco in borsa, dubito si riprenderà. Non dopo la condanna, e fidati, la condanna è solo l'inizio.»

«Lo spero.»

«Questo posto è eccezionale, dova l'hai scovato? Non mi sembri uno che si concede carboidrati tanto spesso. Era un complimento, Rogers» aggiunge dopo l'occhiataccia di Steve.

«Me l'ha consigliato Sharon. A quanto pare ha una classifica personale dei migliori hamburger artigianali della città.»

Tony apre la bocca per replicare ma il suo telefono squilla. «Devo rispondere, è il numero delle emergenze.»

Steve gli fa un cenno e torna a dedicarsi al suo hamburger. 

Tony non parla - per una volta - si limita ad annuire. Più passano i secondi, più il suo sorriso si allarga. Posa il telefono sul tavolo e si schiarisce la voce. «Questo ti piacerà. Indovina chi ha appena patteggiato con l'FBI?» Non dà a Steve il tempo di rispondere. «Sitwell.»

«Un'altra pedina.»

«Una pedina paranoica. Pare sia in possesso di prove contro - rullo di tamburi - il senatore Stern.»

Steve si ferma e posa il bicchiere senza bere un sorso di milkshake. «Mi prendi in giro.»

«Giuro.» 

«Com'è possibile? Sitwell è… non è nessuno.»

Tony si lancia nella discussione come si trattasse di gossip di terza categoria. «Sitwell è un amico di famiglia - beh, i suoi sono amici di Stern, ma fa lo stesso - insomma, Stern a un certo punto combina una cosa grossa, tipo droga, prostitute, roba da senatore comunque. E chiede a Sitwell una mano per… ripulire il casino.» 

«Perché è nella scientifica?»

Tony annuisce. «E perché sono amici. Beh, ora lo sono. Solo che Sitwell non si sbarazza di tutto, tiene qualcosa come assicurazione. E quando si ritrova con l'acqua alla gola, si presenta dai federali, con la sua assicurazione.» 

Steve fissa il suo piatto, incredulo. «Si stanno rivoltando uno contro l'altro.»

«Te l'ho detto, arriveranno fino a Pierce.»

«Un conto è sospettare, un altro è provare.»

Tony alza gli occhi al cielo. «Anche se le indagini dovessero concludersi con un buco nell'acqua - e ne dubito - Ross ha la pulce nell'orecchio. Certo, è un grande stronzo, ma ha a cuore questa città, non mollerà l'osso finché non avrà scoperto la verità. Ne va della sua carriera, anche lui rischia parecchio per non aver capito quanto grossa fosse questa polveriera.»

«Non so, forse questa cosa è semplicemente troppo grande.»    

L'espressione di Tony si addolcisce. «Rilassati, Rogers, e continua il tuo lavoro. Come va al distretto?»

Steve, suo malgrado, gli sorride. «Tutti lavorano fingendo che non ci sia uno scandalo in corso, però sono tesi. Temono che la cosa si sgonfierà.»

«Non accadrà. Hai sentito che Fury è in odore di promozione? Anche se Pierce, alla fine delle indagini, dovesse uscirne pulito - e non accadrà - Ross troverà il modo di sbarazzarsene.»

«Fury Vice Capo? E chi ci sarà all'Undicesimo?»  

«Coulson, dicono, ma lui dirige già la scientifica. Se dovessi scommettere, punterei sulla Hill. Di certo, una promozione la merita.»  

«A proposito di promozioni, com'è il nuovo ufficio?»

Tony alza le spalle. «Più grande. Dopotutto, la Jones era lì a causa mia, e lei ha salvato le chiappe al testimone chiave, perciò...»

«Perciò tecnicamente è Jessica a meritare una promozione?» 

«Ma guarda, il tuo senso dell'umorismo sta tornando, magnifico. Chissà dove saresti se non ti avessi guardato le spalle, Rogers.»   

«Grazie, Tony. Dico davvero.» Steve lo fissa per un momento di troppo prima di abbassare lo sguardo sul suo piatto. «Ma non montarti la testa.» 

Tony gli si avvicina un po' di più, come a confessargli un segreto. «Troppo tardi.»

 

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Capitolo 5
*** Epilogo ***


Sam l'ha trascinato in un locale jazz, e quando Sam lo trascina non c'è modo di vincere. Il locale però gli piace, con le sue luci soffuse e i tavoli appartati. Nessuno nota la sua protesi.

«Non riesco a credere che sia finita.»

«Non è finita, Sam.» 

«D'accordo. Però siamo sulla buona strada.»

Bucky non replica e lascia che il brano termini. Il cantante saluta e scende dal palco, una donna dalle lunghe trecce lo sostituisce al microfono. Il pezzo è malinconico, la voce della donna è calda, pare accarezzarli.

«Sono andato a trovare Rumlow» rivela, prima che possa rimangiarsi le parole.

Lo sguardo di Sam si addolcisce. «Lo sospettavo.»

«So che non avrei dovuto, ma...» Ma cosa? Rumlow sarà sempre una sorta di storpio, con quelle cicatrici profonde che lo marchiano, la pelle flaccida e l'occhio pallido. Peggio, ogni cosa di lui è marchiata ormai, ogni sua decisione l'ha condotto in quel letto d'ospedale. Che razza di futuro può attenderlo fuori da lì?

Sam cerca le sue dita, lo sfiora appena. «So perché l'hai fatto e non mi piace, ma lo capisco.»

«Grazie.»

Il pezzo termina e Sam sussurra: «La prossima volta parlamene.» 

«Ho sbagliato a tenertelo nascosto.» 

«Non è quello. Non dovevi farlo da solo, tutti qui.» 

Bucky aggrotta la fronte. «Se fossi stato lì, Rumlow avrebbe perso quel briciolo di spavalderia che gli rimane.»   

«Oh, non sarei entrato. Altrimenti avrei rischiato di infierire.» 

«Non sei così stronzo.» 

«Umh.»

Per la prima volta quella sera, Bucky si concede una risata. Nessun peso schiaccia il suo petto, nessuna ombra incombe su di loro.  Forse Sam ha ragione, forse il peggio è passato.

Sam scatta, ma prima che Bucky possa fare domande, il partner tira fuori il cellulare. Non parla, ma ascolta attento chiunque ci sia dall'altro capo. 

«Dobbiamo andare» esala quando riattacca.

Bucky s'infila la giacca. «Problemi?»

«Pare ci sia stata una sparatoria a Hell's Kitchen.»

«E la cosa ci riguarda?»

Escono silenziosi e Sam si mette alla guida. «A quanto pare sì.»

«Si ricomincia.»                              

 

Natasha adora il turno di notte, le cose migliori accadono di notte. E con migliori s'intende rapine, aggressioni, omicidi. Quella sera però non sono di ronda, ad attenderla ci sono solo pile di scartoffie e documenti. Dopo il caos delle ultime settimane, non ha il coraggio di lamentarsene.

Sulla scrivania di Clint regna il solito disordine. Un rassicurante, familiare disordine. Natasha, invece di assottigliare lo sguardo e minacciare il partner di morte, si accomoda alla propria scrivania con un sorriso sulle labbra. 

«Nemmeno me la ricordo l'ultima volta che ti ho visto sorridere.»

Natasha potrebbe indurire lo sguardo, o rifilargli una battuta sagace, ma non lo fa. Si sporge ad accarezzare Lucky e si concentra sul suo lavoro. «Novità su Creel?»

«Non proprio» borbotta Clint. «Dà sempre la stessa versione, non sembra che parlerà.»

«Nemmeno su pressione dell'FBI?»

«Difficile a dirsi. Hanno le mani legate.»

Natasha si rigira una penna tra le dita. «Creel ha più paura di Fisk che dell'FBI.»  

«Sapevamo che non sarebbe stato facile, quanti cattivoni vuoi incastrare in un mese? Ehi, Sharon.»

Natasha legge subito l'espressione della partner. «Tutto bene?»

«Maria mi ha appena chiamata. Creel si è impiccato in cella.»

«Cazzo» esclama Clint, ma la voce di Natasha lo sovrasta. «Per nulla sospetto.»

Clint si china ad accarezzare Lucky. «Rogers lo sa?»

«Credo che Fury l'abbia appena messo al corrente.» Sharon fa spallucce, lo sguardo basso. «In ogni caso è fuori dalla nostra giurisdizione, se ne occuperà l'FBI.»

«Certo, se ne sono occupati così bene finora» sibila Natasha, ma viene ignorata.

Il silenzio si fa più pesante. «Vado a bermi un caffè. Lucky, vuoi venire?» Lucky scodinzola e segue il padrone, con la testa inclinata e la lingua penzoloni, come sempre.

Sharon fissa le scrivanie di Sam e Bucky, vuote. «Li invidio, ce la meritiamo una serata libera.» Non ha voglia di parlare di Creel - e nemmeno Natasha, non stasera.

«Chiederò a Rogers.»

«Cosa ti andrebbe di fare?»

«Potremmo rannicchiarci sul divano e guardare un film» mormora Romanoff con un tono che riserva solo alla compagna.

Sharon si siede sul bordo della sua scrivania e le si avvicina un po' di più. «E coccolarci un po'? Mi pare un buon piano» sussurra.

Natasha si azzarda a sfiorarle la mano. I suoi colleghi sono piuttosto assonnati e non ci tiene a dare spettacolo, ma ha bisogno di farle sapere che è lì, con lei. «Come stai?»

«Meglio di come stavo una settimana fa.»

«Ma?»

«Ma non me la sento di cantare vittoria, non finché Osborn non sarà finito dietro le sbarre.» Sospira. «Forse nemmeno allora.»

«C'è sempre qualche Osborn da mandare dietro le sbarre, non si finisce mai.»

Sharon le rivolge un sorriso tirato, e Natasha vorrebbe mordersi la lingua. Dovrà trovare un modo carino di farsi perdonare quando otterranno la tanto attesa serata libera.

«Carter, Romanoff.» 

Scattano entrambe al tono perentorio di Rogers. «Sì, signore?»

Steve è stanco, anche se tenta di non darlo a vedere, ma non può nascondere i cerchi scuri intorno agli occhi. «Sparatoria a Hell's Kitchen. Potrebbe essere uno scontro tra bande, ma non abbiamo informazioni, se non che ci sarebbero parecchie vittime.»

Sharon sposta il peso da un piede all'altro. «Non... non è la nostra giurisdizione, signore.»

«Lo so, ma se il caso Osborn ci ha insegnato qualcosa, è che bisogna prestare attenzione a tutto ciò che ci accade intorno. Steve incrocia le braccia. «Ho mandato Barnes e Wilson in borghese. La scientifica si sta già muovendo, con un po' di fortuna, Coulson si ritroverà il caso in mano, e ne sapremo di più. Voi tenete le orecchie aperte, non vorrei altre sorprese stanotte, non anche qui.»

Lo sguardo di Sharon si assottiglia. «Capitano, potrebbe avere a che fare con Osborn?»

«Ne dubito. Chiunque sia stato, ha colpito un locale degli irlandesi.»

«Ci mancava solo la mafia...»

«Voglio la massima allerta, Romanoff. Non voglio casini nel mio distretto, sono stato chiaro?»

«Sì, Capitano.»

Clint riappare dopo qualche minuto, un caffè fumante tra le mani. «Mi sono perso qualcosa?»

Natasha collassa sulla propria sedia e prende la mano di Sharon, i suoi colleghi possono andare al diavolo.

Le cose peggiori accadono di notte.

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