Sono io il re

di Mirae
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Gola ***
Capitolo 2: *** Lussuria ***
Capitolo 3: *** Va tutto bene Diavolo ***
Capitolo 4: *** Accidia ***
Capitolo 5: *** Invidia (1) ***
Capitolo 6: *** Invidia (2) ***
Capitolo 7: *** Ci sei quasi, Diavolo ***
Capitolo 8: *** Avarizia ***
Capitolo 9: *** Ira ***



Capitolo 1
*** Gola ***


 

Gola

 

 

La pioggia cadeva fine sul terreno e sull’impermeabile dell’uomo che stava aspettando appoggiato al muro di pietra di una cappella funeraria: era un semplice cubo di marmo con un tetto poco profondo sulla cui sommità un angelo piangeva. Ai due lati della porta in ferro arrugginito (chissà da quanto tempo tutti i membri di quella famiglia erano morti) altri due angeli sorvegliavano l’ingresso alla dimora eterna: quello a destra stava sguainando una spada (o la stava riponendo? Josh non l’aveva mia capito, non che se lo fosse mai chiesto, in realtà), mentre quello a sinistra reggeva un calice. Josh avrebbe dato chissà che cosa per essere al pub a bere una buona birra ghiaciata e a giocare a biliardo. Invece, eccolo lì, di notte, in un cimitero, ad aspettare sotto la pioggia.

Col naso adunco e le labbra sottili, il cui colore quasi si confondeva con la pelle olivastra del viso, non poteva certo definirsi bello, eppure, nonostante ciò e la sua altezza media, le donne non gli mancavano. Certo, ammise a se stesso, erano soprattutto prostitute di basso rango, però quando le lasciava, avevano sempre il sorriso sulle labbra ed era sicuro che non dipendesse dai soldi con le quali le pagava, dal momento che era solo un manovale.

«Al diavolo!» Imprecò, spegnendo contro il marmo la terza sigaretta. Stava per andarsene, stanco e assonnato, quando gli sembrò di intravedere nel buio una sagoma che si stava avvicinando.

«Finalmente», sbottò a denti stretti, ma quando si accorse che la mano del suo ospite si era alzata oltre la testa e che stava calando con un arco strano, era troppo tardi per fuggire. Il cuneo di lego si abbatté contro il suo petto che Josh non ebbe tempo di emettere alcun suono, mentre si accasciava e un rivolo di sangue gli usciva dalla bocca spalancata. L’impatto del terreno fece uscire dalla schiena la punta rossastra.

L’altra persona si fermò ancora alcuni istanti, poi, vedendo che Josh era immobile, voltò le spalle alla cappella e agli angeli ciechi e muti e tornò da dove era venuta.

 

§ § § § § § § § § §

 

Per essere maggio, il sole non era molto caldo: anzi, Chloe era quasi pentita di aver lasciato la giacca in ufficio. Probabilmente ciò era dovuto alla pioggia del giorno prima, la quale, non solo aveva abbassato la temperatura, ma aveva anche reso il terreno fangoso. Senza accorgersene, la donna sorrise pensando alle imprecazioni che il suo partner avrebbe lanciato nello sporcarsi le sue costosissime scarpe italiane, ma Lucifer se ne era andato da due settimane, non sarebbe mai più tornato: ora doveva accontentarsi di lavorare con Dan, come ai vecchi tempi.

«Allora, Ella, che cosa abbiamo?» Domandò, riparando gli occhi con una mano.

«Josh Itskowitz, trentasei anni, operaio. Non ha fatto una bella morte, ma almeno i familiari risparmieranno sul trasporto della salma», cominciò la ragazza, ma vedendo la collega irrigidre i muscoli del volto, decise di cambiare in fretta l’argomento: «Scusa, noon volevo dire quello. Cioè, Josh è un manovale del cimitero e la società che lo gestisce riserva ai propri dipendenti un trattamento di favore per le spese mortuarie. Comunque, dicevo: l’hanno ucciso con... rullo di tamburi... questo palo di frassino, conficcato dritto nel cuore». Con un gesto teatrale del braccio, Ella indicò il legno ancora incastrato nel corpo dell’uomo.

Dan si lasciò sfuggire una mezza risata: «Credevano fosse un vampiro?»

«O forse è quello che voleva credessimo», ipotizzò ancora Ella, calcando sul “forse”.

«Che cose intendi, Ella?» Chloe fece la mosse di stringere i baveri della giacca, salvo poi ricordarsi che l’aveva lasciata appoggiata alla sedia della sua scrivania. «L’assassino voleva che credessimo che la vittima fosse un vampiro o che lui fosse un cacciatore di demoni?» si lasciò sfuggire, ma corresse subito quella parola col termine “vampiro”, già utilizzato dal medico forense.

«No, hai ragione: i vampiri sono dei demoni».

«Che cosa?» Di nuovo, Dan sorrise in modo ironico. «I vampiri non sono persone che si sono suicidate o che sono state morse da altri vampiri?»

«Beh, sì, secondo alcune tradizioni sì, ma ci sono alcuni esponenti religiosi che credono che il vampiro sia a tutti gli effetti un demone. Un demone predatore, per l’esattezza», concluse, spalancando gli occhi.

«Wow, per fortuna è giorno», esalò Dan.

«Uhm, credevo che ti piacessero certi film», lo provocò l’ex moglie.

«I film d’azione, di sicuro, ma l’horror, beh... non fa per me», terminò, volgendo lo sguardo a Ella: «Quindi stiamo cercando persone che si credono demoni o chi dà loro la caccia?»

«Questo credo sia a voi decidere. Il mio compito è quello di raccogliere quante più prove possibili e grazie a Dio ieri ha piovuto, quindi potremmo controllare le impronte con più facilità», disse la ragazza, distogliendo lo sguardo dai due investigatori per tornare a controllare il terreno.

Mentre si allontanavano, Dan si confidò con Chloe: «Non avrei mai creduto di poterlo dire, ma oggi sento davvero la mancanza di Lucifer».

«Sul serio?» Chloe si girò di scatto verso di lui. Il sole le diede fastidio agli occhi, costringendola a strizzarli più del dovuto, dandole un’aria non molto rassicurante.

«Beh, lui si è sempre definito il diavolo e ha addirittura costruito il suo personaggio su questo mito. Ti ricordi due anni fa, il caso degli omicidi dei due satanisti? Quel predicatore li aveva uccisi per dare la colpa a Lucifer propio per quel motivo», le suggerì.

«Quindi vorresti che ci fosse Lucifer per dare la colpa a lui? Sei ancora arrabbiato con lui per la morte di Charlotte? non ti sembra di esagerare? Davvero Dan: l’avremmo creduto se fosse venuto da noi dicendoci che Pierce era il Peccatore? Non l’abbiamo creduto quando cercava di metterci in guardia dicendoci che il vero Peccatore non era stato ucciso dal tenente: quali motivi aveva per credere che avremmo accettato quella realtà?» Lo investì senza dargli tempo di rispondere, ma adesso era lì, di fronte a lui, con le braccia conserte e un’espressione di attesa dipinta in faccia.

«Wow, wow, wow. Una domanda per volta. Non incolpo più Lucifer per la morte di Charlotte, anzi, sto andando da una psicoterapeuta per superare la perdita», le confidò.

«Oh», fu tutto ciò che Chloe riuscì a proferire, prima che Dan continuasse: «Quello che volevo dire è che Lucifer si è sempre sentito braccato e di sicuro sapeva come ragiona il nostro colpevole, e forse anche come si sentiva la vittima».

«Capisco. Beh, forse hai ragione, ma Lucifer se ne è andato e non credo tornerà. Non tanto presto, almeno», esalò, abbassando lo sguardo.

Dan sospirò: Lucifer era l’ultima persona al mondo che avrebbe voluto vedere accanto alla sua ex moglie e a Trixie, ma da quando era partito, era come se Chloe e Trixie fossero morte dentro, così, sospirando e quasi dichiarando guerra al proprio cervello, si costrinse a dire: «Non ti ha detto dove andava?»

«No, solo che aveva un problema piuttosto grave con una sua... ehm... società. In un altro Stato».

«Bene. D’accordo». In realtà era sollevato. «Farò delle ricerche».

«No!» Chloe quasi urlò e, vedendo gli occhi sbarrati dell’ex marito e la sua bocca semiaperta, si rese conto che forse aveva esagerato: «Non c’è bisogno. E non voglio: in fondo, tutti abbiamo bisogno di un nostro cassetto privato, dove custodire i nostri piccoli, grandi segreti. Sì, voglio dargli fiducia: prima o poi tornerà. Lo so. Più o meno», aggiunse, continuando ad asserire con la testa, come ogni volta che era nervosa.

Dan sospirò di nuovo: «Intendevo ricerche su...» Ebbe bisogno di leggere il nome sul taccuino per riuscire a pronunciarlo correttamente.

«Oh. Sì. Giusto», farfugliò Chloe, dirigendosi verso l’auto a testa bassa.

 

§ § § § § § § § § §

 

Amava suo figlio e soprattutto dopo il rapimento faceva fatica a staccarsi da lui per andare a lavoro, ma una volta arrivata nello studio riusciva e appoggiata la borsa su una sedia, si sentiva come se fosse uscita da un’apnea eterna. Sì, per quanto amasse la famiglia, il lavoro era come tornare a respirare a pieni polmoni. Se non fosse per l’espressione minacciosa del suo paziente. O, meglio, della sua paziente. No, non erano gli occhi che mandavano lampi in modo assolutamente noon metaforico: era proprio il modo in cui stava maneggiando le lame infernali che stavano facendo deglutire a vuoto la psichiatra.

«Ti rendi conto, Linda? Se ne è andato e mi ha lasciato qui, nonostante sapesse quanto desiderassi tornare a casa», stava inveendo Maze.

«Forse credeva che fra te ed Eva stesse nascendo un bel sentimento e non voleva essere causa di una rottura: dopotutto, non mi sembra che eva reagisca bene ai rifiuti. Oppure», provò a ipotizzare, «non è tornato a “casa”, ma si è solo preso una vacanza. Hai provato a cercarlo a Las Vegas? L’ultima volta è andato lì ed è tornato con la fede al dito. E un’oca sottobraccio», aggiunse, piegando di lato la testa.

«Lo credi davvero?» Il demone socchiuse gli occhi e si sporse verso l’amica, appoggiando entrambe le mani sul tavolino che divideva il divano dalla poltroncina, senza tuttavia abbandonare i coltelli, sui quali si posò lo sguardo di Linda.

«Certo che lo credo davvero», cercò invece di infondere sicurezza al proprio tono di voce la bionda.

«Mh», Maze piegò la testa di lato, tornando a sedersi sul divano: «Stano, però», soppesò.

«Che cosa?» Chiese con un filo di voce l’altra.

«Avrei giurato di avrei sentito, tu e Amedial l’altra sera, che dicevate qualcosa sul ritorno di Lucifer all’Inferno», si battè l’indice sul mento, guardando in modo vago oltre Linda.

«Tu ci spii?»Questa volta era stato il turno di Linda ad assottigliare gli occhi, mentre si irrigidiva sulla sedia.

«No», urlò la demone, «Certo che no», proferì a un tono più normale, dopo che l’amica si era portata le mani alle orecchie. «Stavo passando davanti alla vostra camera e vi ho sentito parlare. Non è colpa mia se urlate», incrociò le mani sul petto.

Nonostante le lame fossero abbandonate sui cuscini, Linda non si sentì lo stesso al sicuro, conoscendo la velocità dell’amica. E la sua mira infallibile.

«Charlie si era appena addormentato: non stavamo urlando, stavamo bisbigliando. Il che significa che tu stavi origliando con l’orecchio attaccato alla porta chiusa della nostra camera».

«Quindi ammetti di sapere che Lucifer è tornato all’Inferno», convenne Maze.

«Sì. No. Tu devi smettere di spiare le persone», le impose.

«Lo sapevi, ma non ti sei preoccupata di avvertirmi. Certo, perchè preoccuparsi di un semplice demone?» Le lacrime le socarono il viso.

«Oh, Maze», si intenerì Linda, «io volevo dirtelo. Anche Amenadiel voleva dirtelo. Solo, non sapevamo come affrontare al meglio la questione. Insomma», Linda tirò un bel respiro, battendo i palmi aperti sulle ginocchia, «Amenadiel, in un primo momento voleva suggerirti di accompagnarti laggiù, ma io... ecco... mi era sembrato che stessi legando con Eva e poi... ecco... credevo che una proposta del genere ti avesse fatto sentire come indesiderata perchè, diciamocelo: a volte Amenadiel è un po’ troppo diretto».

«Mh», il demone soppesò il discorso: non era convinta del tutto, ma c’era una certa logica nel discorso». «Resta il fatto che nessuno si è preoccupato di chiedermi che cosa volessi io: né Lucifer, né Amenadiel. Nemmeno tu, Linda», l’accusò e fu come una coltellata di ghiaccio dritta al cuore: il gelo che investì Linda fu tale da toglierle il respiro, ma riuscì a esalare: «Te lo chiedo adesso, però», accennando un sorriso di incoraggiamento, «che cosa vuoi?»

«Troppo tardi», pronunciò la demone, alzandosi ed uscendo dallo studio.

Linda aprì la bocca. Poi la richiuse. Gli occhi fissi sulla porta lasciata aperta.

 

§ § § § § § § § § §

 

Per l’ennesima volta quel mattino, Chloe sbuffò: si stava annoiando e non era normale, vista la quantità di documenti da registrare, per non parlare del nuovo caso da risolvere: un pazzo che girava la città a impalare persone. La verità era che Lucifer le mancava. Le mancava lui, ma anche e soprattutto la sua luciferaggine, anche se a volte, come le aveva detto lui stesso, i suoi modi e le sue battute le facevano alzare gli occhi al cielo, e una volte le aveva strappato anche un grugnito. no, così non andava affatto bene: doveva dimenticare Lucifer una volta per tutte e quel caso cadeva proprio a pennello. Sarebbe caduto a pennello, se Ella non se ne fosse uscita con la storia che i vampiri sono demoni.

Di nuovo, sbuffò: era solo un caso di omicidio passionale. I demoni non c’entravano nulla e lei doveva smettere di comportarsi come se Lucifer l’avesse in qualche modo infettata, facendole proiettare i propri dilemmi personali nel caso.

«Ta-booom!» All’escamazione seguì il rumore di un fascicolo che cade pesantemente sul tavolo, facendola sobbalzare spaventata.

Portandosi la mano al cuore ed espirando a occhi chiusi, si rivolse alla giovane donna di fronte a lei, mentre veniva raggiunta da Daniel: «Ella! Mi hai spaventato. Hai già qualche novità?»

«Sì», affermò con un sorriso la giovane medico forense, guardando a turno i due colleghi. «Ho notato tre sigarette accanto alla cappella, quindi, se siamo fortunati», scandì con lentezza, «presto avremo il DNA del colpevole e... se siamo super fortunati, il suo nome sarà nel nostro archivio, ma...» aggiunse, scuotendo la testa, «potrebbe anche essere del vampiro».

«Vorrai dire della vittima», la corresse Chloe.

«Sì, del vampiro che è anche la nostra vittima», insistette Ella.

Vedendo Chloe alzare gli occhi al cielo sospirando, decise di intervenire: «Oltre alle sigarette abbiamo anche altro, vero Ella? Per esempio delle impronte?» Quasi la implorò con lo sguardo.

«Sì», esclamò la ragazza, quasi saltando sul posto, «grazie al terreno molle dovuto alla pioggia della notte, siamo riusciti a isolare alcune impronte, tra cui quelle di un paio di scarpe misura 6 con il battistrada ben sagomato con tassellature pronunciate. Purtroppo», continuò, scuotendo di nuovo la testa, «quel tipo di suola fa scivolare sia l’acqua che ogni tipo di sporco, quindi», scandì in modo lento, «è probabile che una volta giunto a casa, il nostro colpevole le abbia lavate».

«Sì, però, la misura è troppo piccola per un uomo, quindi il colpevole che cerchiamo è probabile sia una donna», ipotizzò Chloe.

«Infilzare un uomo come Josh non è semplice. La forza richiesta richiederebbe troppo sforzo per una donna», intervenne Dan.

Sia Chloe che Ella si volsero verso di lui, ma fu quest’ultima ad accusarlo: «Noto un certo sessismo nella tua frase».

Preso in contropiede, Dan alzò le braccia: «No, volevo solo dire... Vado a controllare le palestre», troncò il discorso.

Chloe tornò a guardare Ella: «D’accordo, concentriamoci per il momento sulla marca delle scarpe e sulle sigarette».

«Mh, è una marca molto comune e sì, posso risalire ai negozi che la distribuiscono, ma a meno che non si tratti di un grande quantitativo che richieda una vera e propria fattura, non riusciremo mai a scoprire le singole persone che l’hanno acquistata. Invece, per quanto riguarda le sigarette, ecco... non so come dirtelo... Naturalmente non vuole dire niente», strabuzzò gli occhi, scuotendo in modo nervoso la testa.

«Ella», Chloe socchiuse gli occhi, facendo deglutire la ragazza, «che cosa non sai come dirmi e che non vorrebbe dire niente?» Prima, però, che la ragazza riuscisse a risponderle, le venne un’illuminazione, anzi, un’epifania, come avrebbe detto Lucifer: «Di che marca sono le sigarette?»

«Sono le Black Devil, una marca olandese».

«E anche le più costose sul mercato», convenne Chloe.

«Beh, non ho ancora confrontato il prezzo, ma conoscendo la propensione di Lucifer a ostentare il lusso, sì, immagino siano le più costose».

«Come può un semplice manovale cimiteriale a permettersi un simile sfizio?» Riflettè la detective.

Sospirando, si mise all’opera, scavando nel passato finanziario di Josh Itskowitz, anche se era convinta che la verità fosse un’altra: infilzare un uomo con una paletto di legno richiedeva una buona dose di coraggio, quindi, secondo lei, si trattava di un crimine passionale, non certo legato a qualche truffa finanziaria, a meno che... «Ella!» si precipitò nell’ufficio forense.

«Chloe, che cosa succede?» Ella alzò gli occhi dal microsopio.

«Secondo alcune culture, i vampiri sarebbero dei demoni predatori, giusto?» Chiese, gesticolando e camminando su e giù attorno al tavolo.

«Sì, esatto», convenne l’amica.

«E di che cosa si ciberebbero i vampiri?» Domandò ancora, ma Ella capì che Chloe conosceva già la risposte, quindi si limitò ad annuire e ad esclamare, con gli occhi spalancati: «Esatto!»

Chloe si precipitò fuori dall’ufficio e andò alla scrivania di Den, ancora sotto le scale dell’ingresso: «Dan, ho avuto un’idea per restringere il campo: cerca tra le culturiste se qualcuna aveva contratto dei debiti con Josh o se era lui ad avere contratto debiti con qualcuna di loro»

«Non capisco», si limitò a dire Dan, giocando con la maniglia e aspettando che Chloe gli spiegasse l’idea, che non tardò ad arrivare: «Ella ha trovato delle sigarette costose accanto alla vittima. Troppo costose per il lavoro che faceva. Quindi ho controllato il suo estratto conto e ho trovato diversi investimenti ad alto rischio, tutti andati a buon fine», cominciò ad esporre.

«Ma non ha senso», si oppose l’uomo. «Se guadagnava tanto, perché continuare a fare quel lavoro?»

«Forse perché era solo un prestanome, ma a un certo punto si è stancato e ha cominciato a ricattare e a volere sempre di più. Oggi al cimitero Ella ha detto qualcosa sui vampiri, e cioè che sono demoni predatori», ma Dan la interruppe:«No, aspetta Chloe, dai, non puoi crederci veramente. Sono sempre più convinto che la frequentazione di Lucifer sia stata davvero molto dannosa», ironizzò, ma Chloe non dette segno di raccogliere la provocazione: «No, ascolta Dan: Lucifer e la sua luciferaggine non c’entrano questa volta. Secondo le leggende, i vampiri si cibano di sangue, o comunque di energia vitale. Il fatto che sia stato ucciso con un cuneo di frassino ci dice che stava prosciugando finanziarmente il suo aguzzino. O la sua aguzzina».

«Giusto, faccio subito un controllo incrociato».

 

§ § § § § § § § § §

 

Dopo aver lasciato Linda, Maze era andata al Lux: qualcuno, dopotutto, doveva continuare a mandare avanti la baracca e anche se non aveva lasciato l’Inferno per fare la barista, mantenere in attività il night club le dava l’illusione di contribuire in qualche modo al ritorno di Lucifer. Quando aveva sentito Amenadiel e Linda discutere, in un primo momento si era sentita tradita sia da Lucifer, che laveva dimenticata in un posto che lei aveva sempre faticato a considerare “casa”, sia dagli amici, colpevoli, sia di nasconderle la verità, sia di volerla rispedire dal posto da cui proveniva senza, però, chiederle che cosa volesse in realtà. Perché diavolo tutti agivano nei suoi confronti come se sapessero che cosa voleva, senza prendersi il disturbo di informarsi dalla diretta interessata? Lei valeva davvero così poco?

«Al diavolo!» Sbottò, trangugiando il whiskey nel bicchiere e sbattendolo con quanto più rumore possibile sul bancone tirato a lucido. In sala, intanto, alcune ballerine si allenvano al palo per lo spettacolo serale. Piegò la testa di lato, concentrandosi su una in particolare, ma all’improvviso un uomo le coprì la visuale: «Buongiorno, sto cercando Lucifer Morningstar». Era alto più o meno come il principale, e come lui indossava un completo di alta sartoria. Era biondo e con gli occhi verdi, il naso dritto e le labbra sottili. Non era niente male, a pensarci bene, ma troppo magro per i suoi gusti.

«Non c’è», si limitò a rispondergli.

«Non sa quando torna?» Le chiese ancora, sempre fissandola negli occhi.

«No».

«È una cosa piuttosto urgente».

«Mi dispiace: non so dov’è e non so quando torna», scandì, avvicindo il suo volto all’uomo, facendo schioccare la lingua e guardandolo in modo malizioso.

L‘uomo deglutì a vuoto.

«Conosco, però, una persona che potrebbe aiutarla. È suo fratello: si chiama Amenadiel Canaan e lo trova a questo indirizzo», scarabocchiò poche righe su un tovagliolo di carta.

«Hanno due cognomi diversi», si oppose lo sconosciuto, arricciando il naso.

Maze sbuffò: «Già».

 

§ § § § § § § § § §

 

Alla fine, gli sforzi di Dan e Chloe li avevano condotti alla palestra di Sebastian e Brenda Reyes, la “AndroPower”. L’edificio era basso, a un piano, con i muri esterni di cemento grigio e vi si accedeva da un cortile interno; l’insegna era fissata in alto, poco sotto il tetto piatto, nera con i caratteri color oro.

«Sebastian Reyes, 40 anni, titolare della palestra, ha dei precedenti penali per violenza: ha rotto la schiena di un rivale, in un club per scambisti», cominciò Dan.

«Ma», Chloe piegò la testa di lato, emettendo un verso di disapprovazione.

Dan sospirò: «So a che cosa stai pensando, Chloe».

«Ah, davvero?» Lo irrise la donna, voltandosi a guardarlo.

«Sì, beh...», farfugliò lui, «Lucifer non è l’unico uomo di Los Angeles capace di rompere la schiena a qualcuno e che... beh... ecco...»

Chloe era davanti a lui, con le braccia incrociate, il peso del corpo spostato sulla gamba destra e gli occhi talmente ridotti a una fessura che era quasi impossibile vedere la sclera, tuttavia, Dan continuò: «Considerato anche i gusti e i traffici di Julian, avrebbe potuto benissimo essere un uomo come Sebastian, magari un regolamento di conti. Però, vedi, Chloe, io ho trovato una sigaretta di Lucifer nella baita di Julian», si giustificò.

«Tu che cosa hai trovato? Comunque, dubito che una multinazionale fabbrichi sigarette solo per una persona, e del resto non siam o qui per Julian Tiernam. Anche se potrebbe essere una pista, in effetti», riflettè. «A ogni modo, che cosa midici invece di sua moglie Brenda?»

Felice di cambiare discorso, Dan scorse i suoi appunti: «Brenda Reyes, stessa età del marito, arrestata una volta per favoreggiamento della prostituzione».

«Ah, due belle personcine», convenne Chloe. «È probabile che la palestra sia una copertura per traffici illegali di schiave?»

«Finora non ci sono stati controlli in tal senso e anche dopo l’arresto di Julian non è emerso nulla riguardo alla AndroPower, però il nome promette bene», scherzò Dan. «A ogni modo», continuò, «il nome di Josh risulta iscritto da tre anni, anche se pare indietro di sei mesi col pagamento delle rate».

«La vittima non stava pagando le rate mensili da mesi, ma al contrario erano i Reyes a pagare lui?» Obiettò Chloe.

«Pensi a quello che sto pensando io?», suggerì Dan, facendosi da parte per fare entrare per prima l’ex moglie.

 

§ § § § § § § § § §

 

La villa era bassa, con i muri esterni bianchi e il tetto spiovente e si trovava proprio dall’altra parte della strada di un piccolo parco; inoltre, era circondata da un piccolo giardino recintato: il posto ideale per crescere dei figli, a differenza di un alloggio situato sopra un locale notturno. Quando l’uomo suonò il campanello aveva già preso la sua decisione, anche se questo voleva dire andare contro le ultime volontà di una donna, ma con un buon avvocato avrebbe potuto pilotare la sentenza del tribunale a proprio favore.

Di sicuro, però, non si aspettava che ad aprirgli la porta fosse un uomo di colore.

«Buongiorno», lo salutò quest’ultimo.

Lo straniero provò a stirare un sorriso: «Buongiorno. Sto cercando un certo Amenadiel Canaan, ma forse mi hanno dato l’indirizzo sbagliato. Scusi il disturbo». Alzò una mano, più per evitare di stringerla all’uomo che per un vero e proprio saluto.

«Non hanno sbagliato: sono proprio io. Perché mi cercava?» Gli chiese Amenadiel, ancora in mezzo all’uscio.

«Sto cercando Lucifer Morningstar e mi hanno detto che lei è suo fratello». Sospirò, scuotendo la testa: «Una persona con molto senso dell’umorismo, a quanto pare».

Amenadiel appoggiò un braccio alla guarnizione esterna della porta: «Non so quale dipendente di Lucifer gli abbia dato quest’informazione, ma le assicuro che non si è affatto preso gioco di lei: io e Lucifer siamo davvero fratelli» Soppesò meglio la frase, sia piegando le labbra un pò all’ingiù, sia piegando la testa di lato: «Forse fratellastri, visto che siamo stati adottati».

«Oh, certo, questo spiega tutto, anche i cognomi diversi», affermò l’uomo, sempre a disagio.

«Oh, mi scusi, non l’ho invitata a entrare». Amenadiel si spostò di lato, per far entrare lo sconosciuto.

Questi non aveva nessuna intenzione di entrare in una casa abitata da Afroamericani, ma, sebbene il quartiere fosse uno dei più esclusivi della città, aveva bisogno di qualcosa per sostenere la propria tesi in tribunale.

Gli era bastato solo uno sguardo per capire che quella casa non fosse adatta a crescere dei figli: l’interno dell’abitazione era scuro, dovuto forse al fatto che una volta entrati era necessario scendere alcuni gradini e la sporgenza del tetto di certo non aiutava. Ora aveva solo fretta di uscire il più presto possibile da lì: «Senta, la ringrazio per l’accoglienza, ma mi basta solo avere il nuovo indirizzo del signor Morningstar».

«Mi dispiace, ma mio fratello ha lasciato la città un paio di settimane fa per risolvere una grave crisi aziendale. In un altro Stato», lo deluse Amenadiel.

«Capisco, ma anche questa faccenda è piuttosto grave: si tratta di sua sorellaaastra Kristiel Rockwell», insistette lo sconosciuto.

«Kristiel? Le è successo qualcosa?» Si allarmò Amenadiel.

«È anche la sua sorellastra?» Tergiversò invece l’altro.

Con le gambe divaricate e le braccia conserte, Amenadeil gli spiegò: «Beh, essendo la sorella gemella di Lucifer, sì, è anche mia sorella. Che cosa le è successo?»

 

§ § § § § § § § § §

 

Le grandi vetrate all’ingresso davano al locale un’idea di grande luminosità, anche grazie all’alto soffitto e alle pareti intonacate di bianco, come anche il linoleum del pavimento. Sul fondo della parete a destra si accedeva alla palestra vera e propria, mentre a sinistra, dietro un lungo bancone in laminato bianco, una segretaria li stava guardando. Aveva i capelli castani – un po’ più scuri di quelli di Chloe – raccolti una coda di cavallo e il suo viso sembrava non truccato.

«LAPD», esordì Chloe, mostrando il distintivo.

«Buongiorno. Guardo subito se c’è una promozione in corso per i poliziotti», la segretaria cominciò a smanettare alla tastiera.

«No, non siamo qui per iscriverci ai corsi», la bloccò subito Chloe.

«Oh. Allora non capisco», la ragazza, che probabilmente non aveva più di venticinque anni, guardò i due poliziotti con gli occhi spalancati.

«Voremmo parlare con i proprietari, se è possibile», intervenne Dan.

La ragazza compose in fretta un numero di telefono e dopo pochi minuti, Sebastian e Brenda Reyes li raggiunsero e li fecero accomodare in un ufficio di fianco alla reception.

Sebastian era alto circa un metro e settanta, mentre Brenda gli arrivava alle spalle. Entrambi avevano i muscoli ipertrofici, segno sia di intensa attività fisica (di sicuro culturismo) che di assunzione (forse smodata) di integratori ormonali.

In quel momento, il telefono di Chloe emise un debole suono, avvertendola di una notifica: Ella era riuscita a trovare un riscontro per le impronte digitali. Senza modificare la propria espressione, ripose il cellulare nella tasca, tornando a dedicare la propria attenzione ai sospettati: «Signori Reyes, possiamo chiedervi quali erano i vostri rapporti col signor Itskowitz?»

Sebastian alzò le spalle: «Mai sentito nominare. Tu?» Chiese alla moglie, in piedi dietro di lui, che, al contrario, era seduto sulla comoda poltroncina di pelle.

«Neanch’io», anche Brenda alzò le spalle.

«Strano», li contraddisse Dan, «perché a noi risulta che fosse un vostro iscritto, in ritardo col pagamento delle rate».

«Abbiamo centinaia di iscritti», convenne Sebastian, «e non tutti sono puntuali con i pagamenti. Dopotutto, i nostri clienti non sono le star di Hollywood», sorrise.

«E come vi comportate in questo caso? Aspettate che vi paghino a loro uso e consumo?» Ironizzò Chloe.

Sebastian non cedette alla provocazione, ma, anzi, le sorrise: «Diamo loro la possibilità di pagare con qualche mese in ritardo».

«Esattemte, quanti mesi?» Incalzò ancora Chloe.

«Due, tre al massimo», affermò sicuro Sebastian.

«Come spiega allora che il ritardo del signor Itskowikz ammontasse addirittura a sei mesi?» Intervenne di nuovo Dan.

«Sei mesi? Siete sicuri?» Si meravigliò Sebastian. «Chiamo subito Grace»

«Scusate, ma perché vi interessa tanto questo Itsoqualcosa?» Chiese con voce stridula Brenda.

«Itskowitz. Josh Itskowitz», scandì Chloe. «Era un operaioglewood Park Cemetery, ma il suo conto corrente presenta numerosi versamenti da parte vostra, che cominciano proprio sei mesi fa».

«Non ne so nulla», affermò Sebastian, spostando il suo peso sulla sedia.

«Neanch’io so a cosa vi riferiate», Brenda stirò le labbra in un sorriso nervoso.

«Magari aveva scoperto che collaboravate con Julian Tiernam per favorire l’ingresso nel nostro Paese di immigrate clandestine e aveva cominciato a ricattarvi con somme sempre più esose», suggerì Chloe.

Brenda cercò di scattare verso l’uscita, ma Dan la bloccò.

«La dichiaro in arresto per l’omicidio di Josh Itskowitz. Ha il diritto di restare in silenzio e di richiedere un avvocato. Se non può permettersene uno, gliene verrà affidato uno d’ufficio. Se rinuncia a tali diritti, tutto quello che dirà, verrà usato contro di lei», recitò Chloe.

«Non avete prove», urlò Brenda, dimenandosi.

«Le sue impronte sul cuneo di frassino col quale ha ucciso Josh Itskowitz sono più che sufficienti per il procuratore», le rivelò.

 

§ § § § § § § § § §

 

«È vero... è tutto vero», erano state le sue parole prima di andarsene e lasciarlo in quel luogo da solo, ma solo quando si era specchiato e si era visto nel frammento del vetro aveva compreso: era tornato il mostro di sempre.

Emise un sospiro, ridacchiando. Presa la fiaschetta dal taschino della giacca, ne bevve un lungo sorso. Non aveva fretta: sapeva dove avrebbe trovato la detective; poi si ricordò di essere a piedi, visto che in quel vicolo ci erano arrivati con la macchina di Chloe.

Non l’aveva trovata nell’attico e quando era giunto in centrale, lei non c’era e lui aveva perso tempo a cercare di recuperare le piume insanguinate che la signorina Lopez aveva raccolto sul luogo della sparatoria, dove lui aveva ucciso Caino e provocato la morte dei suoi complici. E poi... poi aveva perso altro tempo prezioso andando a piagnucolare da Linda, sperando in qualche suo utile consiglio: dopotutto, non era solo la sua terapista, ma era anche amica di Chloe.

Era stata tutta colpa della sua indecisione se lei era fuggita a Roma, dove aveva incontrato quel ciarlatano di padre Kinley. Era stata tutta colpa sua se Charlie era stato rapito da un’orda di demoni disobbedienti e ora Amenadiel e Linda l’avrebbero odiato per l’eternità. Sì, era tutta colpa sua e per questo meritava di sedere su quel trono.

Erano giorni, settimane, forse, che si stava tormentando con questi ricordi e queste rimuginazioni, quando un terremoto sconvolse il suo regno: un’anima era riuscita a eludere la sua sorveglianza, forse, oppure, qualcuno aveva deciso di scendere a rendergli omaggio? Distolse lo sguardo dal suo dominio per porlo dinanzi a sé: due figure, una dalle angeli nere e un caschetto e l’altra dalle angeli dorate e che rifuggiva il suo sguardo, avevano osato varcare le porte infernali.

«Bene, bene, Azrael e Kristiel. Che cosa porta l’Angelo della Morte e l’Angelo dell’Amore a fare visita al Principe delle Tenebre?» Irrise le sorelle, colpevoli, secondo lui, di averlo abbandonato durante, ma soprattutto dopo, la Ribellione.

«Ciao Lu», cominciò Ray-Ray, «ti trovo bene: praticamente uguale all’ultima volta che ci siamo visti».

Lucifer non ricambiò il suo saluto, anzì non la guardò neppure: la sua attenzione era concentrata sulla sorella gemella che continuava a guardare altrove, così Ray-Ray continuò, deglutendo a vuoto: «Io e Kri avremmo un favore da chiederti».

«Giusto. Le Creature celesti non si sporcano le ali senza un motivo valido. Ma c’è un problema: il Lucifer che concede i favori viveva a Los Angeles, qui c’è solo il Diavolo», tagliò corto.

«Per favore, Lucifer», implolorò Kristiel, trovando finalmente il coraggio di guardarlo negli occhi.

Ciò che vide lo sconvolse: «Chi. Ha. Osato».

 

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N.d.A.: Benvenuti in questa mia nuova avventura. Ho divorato i dieci episodi della quarta stagione in due giorni e il finale mi ha lasciato con l’amaro in bocca. Pur essendo consapevole che difficilmente poteva esserci un futuro per Chloe e Lucifer, se non altro perché lei è destinata a morire prima o poi, mi sarebbe piaciuto che almeno una volta fossero riusciti a “consumare”. Del resto, il finale di stagione ha lasciato molte cose in sospeso: Lucifer è tornato a governare l’Inferno, dimenticando Maze sulla Terra, mentre Eva continua a vagare per Los Angeles in cerca di una propria identità, per non parlare del motivo per cui Amenadiel non voleva chiamare Michael il figlio, quindi, spero che Netflix confermi presto una quinta stagione.

Ho cercato di impostare la storia seguendo gli episodi televisi, quindi proverò a dedicare ogni capitolo a un singolo caso di omicidio, anche se saranno collegati tra di loro da una trama centrale.

La serie televisiva “Lucifer” attualmente di proprietà di Netflix e Warner Bros, da cui è tratta questa fanfiction, si basa sui personaggi del fumetto omonimo pubblicato dalla casa Vertigo e scritto da Mike Carey, con protagonista il personaggio di Lucifer, comprimario nel fumetto Sandman di Neil Gaiman, mentre l’Angelo dell’Amore Kristiel è una mia invenzione, così come Alma Lucinda, che farà la propria apparizione nei prossimi capitoli.

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Capitolo 2
*** Lussuria ***


Lussuria

 

Lo schiaffo sul sedere la fece sobbalzare, rischiando di far cadere il contenuto del vassoio: fare sesso le piaceva, ma nessuno di quegli uomini sapeva donarle il piacere come faceva il suo ex amante. Piuttosto, erano molto simili al marito: pronti a prendersi tutto il piacere che volevano, senza essere disposti a regalare una misera briciola.

Andò al bancone, posò il vassoio, e tornò dall’uomo con i baffi e il cappello da cowboy: gli si sedette in braccio e, infilata la mano sotto la camicia, cominciò ad accarezzargli il petto villoso.

Questo era tutto quello che ricordava, mentre osservava il suo corpo nella vasca da bagno, coperto dal sale. Solo la testa sporgeva.

Piegò il capo su una spalla, poi su un’altra, ma la sensazione di qualcosa di sbagliato non l’abbandonava: era uno strano sogno, quello. Di sicuro aveva a che fare con qualche oscura profezia, altrimenti come poteva spiegarsi il fatto che lei stava osservando il proprio cadavere?

Non sussultò quando qualcuno appoggiò la propria mano sulla sua spalla destra: era come se fosse normale. Meno normale era trovarsi di fronte ad Azrael: «Che cosa significa questo?» Le chiese.

«Dobbiamo andare», fu tutto ciò che l’angelo le rispose.

«Dove?» Domandò ancora la donna.

«Mi dispiace», Azrael abbassò la testa, «ma non hai saputo sfruttare questa seconda opportunità».

«Lo rivedrò, dunque?» Un sorriso le increspò il viso eterico.

«Andiamo», si limitò a risponderle e con uno sbattito d’ali condusse via l’anima.

 

§ § § § § § § § § §

 

Deglutendo a vuoto, Ray-Ray gli spiegò il motivo per cui lei e la sorella si trovavano al suo cospetto: «Io e Kri avremmo un favore da chiederti».

«Giusto. Le Creature celesti non si sporcano le ali senza un motivo valido. Ma c’è un problema: il Lucifer che concede i favori viveva a Los Angeles, qui c’è solo il Diavolo», tagliò corto.

«Per favore, Lucifer», implolorò Kristiel, trovando finalmente il coraggio di guardarlo negli occhi.

Ciò che vide lo sconvolse: «Chi. Ha. Osato», proferì con voce roca e occhi fiammeggianti.

Scattò in piedi, e l’Inferno tremò di nuovo. Kristiel sobbalzò, ma Lucifer non le diede il tempo di volgere altrove lo sguardo: prese tra le mani il delicato volto della sorella ed esaminò i lividi violacei.

Alla fine, il Re degli Inferi emise un sospiro di rassegnazione: «Sono davvero un mostro se anche la mia sorella gemella mi teme», tornò a sedersi sul suo trono di granito.

«Lu...». Azrael aveva le lacrime agli occhi: il Lucifer che ora le stava davanti era completamente diverso da quello incontrato mesi prima nel suo attico mondano. Là, nella città degli umani era felice, anche se forse lui non se ne rendeva conto, ma adesso, lì, nel suo vero mondo quella luce che prima splendeva nei suoi occhi era spenta. Si era acceso qualcosa in lui quando aveva visto i segni delle percosse subite da Kristiel, ma si era subito ridimensionato.

Con un gesto della mano, Lucifer le impedì di continuare. continuava a tenere fisso lo sguardo su Kristiel, aspettando che la sorella confermasse o smentisse la sua affermazione, ma lei aveva riabbassato la testa.

I minuti di silenzio che seguirono sembrarono eternità ai tre angeli, ma alla fine Kristiel trovò il coraggio di guardare di nuovo Lucifer negli occhi.

Ciò che il diavolo vide questa volta lo fece sorridere: le ecchimosi erano ancora tutte lì, vivide come prima, ma la luce era tornata negli occhi verdi della sorella: «Io non temo te. Non ti ho mai temuto. E questo tu lo sai benissimo», trovò infatti il coraggio di dirgli, ma la voce dura, prva della musicalità tipica che lui credeva di ricordare bene, gli fece spegnere il sorriso, facendogli stringere i pugni contro i braccioli.

«Oh, lo so bene questo, visto che ti sei schierata contro di me, quando mi opposi a nostro Padre», l’accusò.

«Non avevo scelta», lo sfidò.

«C’è sempre una scelta. Per tutti noi. E tu hai scelto. Come ho scelto anch’io», l’accusò lui, stando attento a non spostare lo sguardo dagli occhi: solo così era sicuro di mantenere un tono neutro, senza che l’ira prendesse di nuovo il sopravvento.

«Significa che non mi aiuterai?» Gli chiese in un soffio.

Lucifer sospirò: «Come faccio ad aiutarti, se non mi dici che cosa vuoi?»

«Si tratta di mia figlia».

«Che cosa?» Esalò Lucifer, in un sorriso misto di derisione e incredulità.

 

§ § § § § § § § § §

 

Il locale di Encino era arredato come quei vecchi saloon nei films western, con una scala, accanto all’ingresso dei servizi igienici, che conduceva al piano superiore, dove con molta probabilità si trovavano le stanze per i rapporti a ore. L’odore che impregnava l’aria era saturo di alcool scadente, fumo di ancor più pessima qualità e pollo fritto, tanto che sia Chloe che Dan storsero il naso appena entrati. Al piano superiore, la puzza era ancora peggiore: agli effluvi del piano sottostante si aggiungevano quelli di urina e sesso.

«Allora Ella, che cosa abbiamo?» Chiese Chloe, entrando nella stanza numero 112 e indossando i guanti.

Quando la ragazza si voltò, i due detective rimasero sorpresi nel vedere scorrere due lacrime: «Ella, che cosa succede?» Si preoccupò Chloe, mentre Dan, sbirciando oltre le spalle del medico legale, sobbalzò: «O mio Dio. Per fortuna Lucifer non è qui».

«Ella, spostati», le appoggiò le mani sulle braccia, ma Ella la precedette: «Aspetta Chloe. Si tratta... ecco... sì, si trattadieva», sparò tutto d’un fiato.

«Non ho capito», affermò infatti la poliziotta.

«Qualcuno ha ucciso Eva e poi l’ha messa sotto sale», spiegò Dan, sospirando.

«Sì, è stata strangolata, effettivamente: vedete questi segni rossi attorno al collo?» Ella si avvicinò di nuovo alla vasca da bagno e indicò con la mano guantata la gola della giovane donna. «Il cadavere è stato trovato da una collega di Eva. Qui le cameriere sono invogliate a intrattenere rapporti “amichevoli”», sottolineò quest’ultima parola mimando con entrambe le mani le virgolette, «ma non possono dilungarsi troppo, quindi, quando il barista – che oltre a servire deve anche tenere d’occhio le ragazze – non l’ha vista scendere, ha mandato Caroline Dutch a cercarla».

«D’accordo, grazie Ella. Se trovi qualcos’altro, avvertici», si congedò Chloe, seguita da Dan.

Caroline Dutch superava di poco il metro e mezzo e il petto era sproporzionato al resto del corpo. Con una mano si tormentava una ciocca dei capelli troppo ossigenati. «Eva lavorava qui solo da un paio di settimane, ma le volevo bene come a una sorella, anzi di più», stava raccontando a un poliziotto.

«L’uomo con cui è salita era un cliente abituale?» Si intromise Chloe.

«Che io sappia no, era la prima volta che veniva qui», le rispose la cameriera.

«La vittima è coperta fino al collo di sale. Ce ne vogliono di chili per riempire una vasca da bagno», le fece notare Dan.

«Infatti aveva un borsone. Credevo che contenesse vestiti», tirò su col naso.

«D’accordo. Può dirci il nome completo della vittima?» Le chiese ancora Chloe.

«Eva Heaven, ma credo si trattasse più di un nome d’arte che altro. Voglio dire per chi fa il nostro lavoro “Heaven” è un biglietto da visita», alzò le spalle, come se fosse dispiaciuta di non avere avuta lei l’idea di utilizzare prima quel cognome.

«Non lasci la città e si tenga a disposizione e questo è il mio biglietto da visita, nel caso ricordasse qualcos’altro», l’avvertì Chloe, prima di uscire dalla stanza, seguita dall’ex marito.

«Lucifer avrebbe avuto qualche motivo per uccidere Eva e metterla sotto sale, secondo te?» Chiese Dan, mentre scendevano le scale di legno, dove in alcuni punti si potevano scorgere le gallerie scavate dalle tarme.

Chloe sbuffò, e si girò così in fretta verso Dan che quasi lui si trovò seduto sul gradino: «Basta con questo tuo odio nei confronti di Lucifer. Per l’ennesima volta: lui non c’entra niente con la morte di Charlotte e accusarlo di ogni singolo caso di omicidio non aiuterà te a superare il lutto».

Dan aspettò che Chloe finisse di scendere, prima di ricominciare a parlare: «Eva era talmente innamorata di lui che lo seguiva al lavoro, in centrale e sui luoghi dei crimini e una volta si è perfino vestita come te per fare breccia nel suo cuore. Può essere che lui si sia stancato e abbia deciso di risolvere la situazione a modo suo, anziché denunciarla per stalking».

«Guardati attorno», sospirò di nuovo Chloe, girando su se stessa con le braccia aperte, «ti pare che questo sia uno dei posti che Lucifer frequenterebbe? Inoltre, ti ricordo che Lucifer ha lasciato Los Angeles un paio di settimane fa, mentre Eva è morta solo da poche ore»

«Magari è tornato in segreto», Dan non voleva darsi per vinto.

«Fai come vuoi», cedette alla fine Chloe. «Prima, però, voglio che raccogli la testimonianza del barista su questo sconosiuto avventore».

 

§ § § § § § § § § §

 

«Bingo!» Esclamò Dan, mentre osservava lo schermo del computer; quindi stampoò un piao di fogli e andò alla scrivania di Chloe: «Secondo il barista dell’Old West Saloon, il tizio che che avrebbe visto per ultimo Eva viva, si chiamarebbe Hank Rockwell di Flagstaff. Quando l’ho interrogato, però, l’unica cosa che aveva saputo dirmi sul suo aspetto fisico era barba e cappelli rossicci lunghi alle spalle che fuoriuscivano dal cappello da cowboy. Dal nostro archivio pare che l’unico Hank Rockwell di Flagstaff corrispondente alla descrizione sia ricercato dalla polizia dell’Arizona per l’omicidio di sua moglie, Kristiel Rockwell, il cui nome da nubile è... Non indovineresti mai», aggiunse, con un sorriso tirato, mentre continuava a spiegazzare i fogli.

«Perché dovrei indovinare il suo nome da nubile? E perché sei così nervoso?» Gli chiese Chloe.

Dan si inumidì le labbra e si sedette sul bordo della scrivania, poi pensò che per una notizia del genere fosse meglio stare in piedi, quindi si rialzò e proferì: «Il suo nome da nubile è... rullo di tamburi... KRISTIEL MORNINGSTAR!»

Chloe rimase con la bocca spalancata, con gli occhi che si aprivano e si chiudevano di continuo. Quando si riebbe, strappò dalle mani dell’ex marito i fogli: uno di questi era la copia della foto del matrimonio di Hank e Kristiel. Lui aveva i capelli rossicci ondulati e lunghi sulle spalle e a parte i baffi sembrava ben rasato. Lei, invece, era bellissima: il viso era un ovale perfetto, dalla pelle quasi diafana, se dovuta alla cipria o fosse così naturalmente era difficile dirlo; il colore degli occhi, però, non si vedeva bene, a causa dell’ombra, ma non era un dettaglio importante.

«La coppia aveva anche una bambina, Alma Lucinda, che risulta scomparsa. O il padre l’ha uccisa dopo aver ucciso la moglie (ma in questo caso dovrebbe esserci il suo cadavere), oppure se l’è portata con sé qui a Los Angeles. A ogni modo, vado al saloon a mostrare questo identikit al barista e alla collega di Eva», continuò Dan. «Poi andrò a casa di Amenadiel e Linda a informarli, sempre che non lo sappiano già».

«Sì, dobbiamo muoverci come se la bambina fosse ancora viva», convenne Chloe.

Si rigirò la foto tra le mani: il sorriso di Kristiel emanava molta dolcezza, ma chissà se lo era davvero o se in realtà fosse stata una simpatica canaglia come il fratello. Lucifer le aveva sempre parlato male di suo padre, ma non aveva mai menzionato nessuno dei suoi fratelli, eccetto Amenadiel, con cui sembrava aver un buon rapporto. Si ricordò di aver letto qualcosa a Roma riguardo alla Ribellione: sei milioni di angeli si schierarono con Lucifer, mentre altrettanti contro di lui. A giudicare dall’integrità, Amenadiel doveva appartenere alla seconda schiera e forse anche Kristiel non lo aveva appoggiato. A un certo punto della riflessione, si rese conto di un particolare: se Lucifer avesse deciso di restare sulla Terra e mettere la testa a posto instaurando una relazione seria e duratura con lei, si sarebbe ritrovata con qualcosa tipo dodici milioni di cognati. Dodici. Milioni.

Un altro particolare le balzò alla testa, come per distrarla da quella considerazione: quando Lucifer era con lei, diventava vulnerabile, perfino mortale, quindi poteva affermare che l’amore fosse il punto debole degli esseri angelici, ma se Hank era riuscito a uccidere Kristiel, questo significava che lo aveva amato fino all’ultimo. E per lei, in quanto poliziotta e donna, risultava inconcepibile come si potesse amare il proprio carnefice.

 

§ § § § § § § § § §

 

C’era qualcosa di strano nel suo ufficio e non riguardava i campioni che stava esaminando. Ella alzò per un momento lo sguardo: lo stereo continuava a riprodurre musica rock a tutto volume, i campioni delle prove erano ognuno al loro posto e lei continuava a essere da sola. Scosse la testa, prima di rimettersi a controllare i peli nel vetrino: «Stai diventando paranoica, cara Ella», si disse.

«Ciao». La voce alle sue spalle la fece sobbalzare, anche se la ricordava benissimo.

Portandosi la mno destra al cuore, si voltò: «Ray-Ray, mi hai fatto spaventare».

«Scusa, non volevo, ma mi stavo annoiando e allora ho pensato di venire a trovarti», le spiegò l’angelo con gli occhiali.

«Sì, ma non puoi venire a trovarmi qui! Chiunque può entrare e vedere che parlo da sola e prendermi per pazza».

«Beh, visto che non posso venire a casa a tua, pensavo di poter venire qui... e poi non avevi parlato di me ai tuoi amici?»

«Non ho detto che non potevi venire quando ero a casa: solo non quando sono sotto la doccia. E poi ho accennato di te solo a Chloe», fece spallucce e tornando a dedicarsi alle sue prove, a disagio.

«Capisco... Posso restare, però? Ora sono qui...», Azrael si aggiuntò gli occhiali, poi si mise le mani dietro la schiena.

Ella sospirò, alzando di nuovo lo sguardo, ma volgendole sempre le spalle: «E va bene».

«Grazie. Sai, mi sento triste, da quando mia sorella è morta», le spiegò.

Ella si girò e d’istinto l’abbracciò: «Mi dispiace tantissimo, ma ora...», rifletté, allontanandosi di qualche centimetro, «non dovrebbe essere con te? Voglio dire, tu sei un fantasma e lei, beh... anche». Solo dopo l’ultima parola si accorse dell’indelicatezza del commento: «No, scusami, non volevo dire che... beh... quello che ho detto... È che... beh...»

«No, hai ragione: adesso saremo sempre insieme. Più o meno», aggiunse. «Posso immaginare come ti stai sentendo, dopo la partenza di Lucifer».

«Stai dicendo che Lucifer è morto?» Ella non poteva crederci: non Lucifer, non anche lui.

«Chi è morto?» Dalla sua scrivania, Chloe aveva visto Ella abbracciare il nulla e poi gesticolare come se stesse parlando con qualcuno, benché fosse da sola nel proprio ufficio, così aveva deciso di andare a chiederle se tutto fosse a posto.

Ella si girò di scatto, la bocca spalancata. Dopo una manciata di secondi – sufficienti perché a Chloe gli occhi le si riempissero di lacrime – Ella si riprese: «Eva. Eva è morta», asserì, annuendo con convinzione.

«No, tu hai usato il maschile. E ti ho sentito nominare Lucifer», l’accusò.

«No, io intendevo che Lucifer mi manca. Tanto», continuò ad annuire con la testa.

«Prima ti ho vista abbracciare il nulla: il tuo amico fantasma ti ha parlato di Lucifer, vero? È stato lui a dirti che è morto?» Ormai le lacrime scorrevano copiose sul volto di Chloe.

Ella l’abbracciò e le mormorò in modo quanto più possibile dolce le riusc ì che no, Ray-Ray le aveva soltanto detto che era andata a trovarla perché si sentiva triste dopo la morte della sorella e che per questo comprendeva come si sentisse lei dopo la partenza di Lucifer. Staccandosi dall’amica, Ella considerò che in psicologia la partenza di una persona cara a volte viene affrontata come un vero e proprio lutto.

Si staccò da Chloe per guardarla negli occhi e sincerarsi che avesse compreso quest’ultima frase. L’amica si asciugò gli occhi e tirò su col naso, ma prima che potesse tranquillizzarla vennero interrotte.

 

§ § § § § § § § § §

 

«Oh no, non può essere», brontolò Dan, mentre usciva dalla centrale: tutti si aspettava di vedere, ma non l’uomo alto, vestito di un elegante completo nero e camicia grigia, che gli stava andando incontro.

«Detective Stronzo, dov’è la detective?» Gli chiese Lucifer.

«Buongiorno anche a te. E non credo che Chloe abbia bisogno di te, ora. Non dopo che sei sparito all’improvviso».

«Non sono sparito all’improvviso. Ne abbiamo parlato assieme e lei ha capito che dovevo assentarmi per un po’ di tempo per risolvere delle gravi questioni personali», si giustificò Lucifer, non che ne avesse voglia, ma se voleva ritrovare Alma Lucinda aveva bisogno anche dell’aiuto di Dan.

«Quanto personali?» Lo provocò l’altro.

«Molto personali. E adesso, se non ti dispiace, avrei bisogno di parlare con Chloe», tagliò corto il diavolo.

«Certo. Capisco». Dan gli fece strada verso l’ingresso.

Lucifer lo guardò incredulo: da quando Daniel era così accomodante con lui? Non sapeva decidersi se la situazione fosse inquietante o... inquietante: «Stai bene Daniel?» Non si trattenne dal chiedergli.

«Perché non dovrei stare bene?»

«Sei gentile. Ed è inquietante».

«Io sono sempre gentile», Dan fece schioccare la lingua, fermandosi prima di scendere gli scalini.

«Sì, ma non con me», convenne Lucifer.

«Senti, so di essere stato un po’ duro nei tuoi confronti, ultimamente», cominciò a scusarsi Daniel, ma Lucifer lo bloccò: «Per usare un eufemismo». Gli si mise di fronte, in attesa di altre scuse.

Dan sospirò, girando la testa prima da una parte e poi dall’altra, stringendo alcuni fogli arrotolati: «D’accordo. Ascolta: dopo la morte di Charlotte, io ti ritenevo responsabile, ma adesso lo sto superando, grazie all’aiuto di Linda», si giusticò il poliziotto.

«Bene. Sono contento per te. Ora, scusami, ma ho bisogno della detective», lo scansò con un braccio.

Dan lo guardò scendere i gradini e poi si voltò per andadare all’Old West Saloon.

Giunto nell’open office, Lucifer si guardò attorno, non vedendo Chloe alla scrivania, ma volgendo lo sguardo verso l’ufficio di Ella non solo vide le due ragazze, ma si accorse che erano osservate da sua sorella Azrael: «Ma cos...», si precipitò nella stanza.

«Che cosa ci fa lei qua?» Chiese senza preamboli.

«Io ci lavoro, e Chloe mi ha portato dei reperti», gli rispose Ella, visibilmente irritata per quell’intrusione.

«Sei tornato», Chloe corse ad abbracciarlo, mentre gli occhi le si inumidavano di nuovo.

«Detective...», riuscì solo a mormorare, anche lui commosso, mentre le accarezzava la guancia.

«Sono davvero una bella coppia», sospirò Azrael.

«Sììì», esalò Ella. Finalmente quei due si erano decisi a risolvere la situazione, ma purtroppo la situazione era tutt’altro che romantica e quindi si trovò obbligata a tossire: Ehm... ragazzi... scusate, non vorrei, ma...»

Chloe si staccò dall’abbraccio di Lucifer e i due si voltarono verso di lei che, correndo ad abbracciare l’amico, esclamò: «Oh, al diavolo!»

Lucifer venne colto di sorpresa, anche se, conoscendo Ella, un abbraccio da lei era da mettere in conto. Rimase per alcuni istanti con le braccia sospese a mezz’aria, poi si limitò ad accarezzarle i capelli. «Signorina Lopez! Mi sei mancata anche tu».

«Non ti azzardare mai più a sparire così» e questo rimprovero lo fece sorridere.

«Ehm... A chi ti riferivi quando sei entrato?» Chloe richiamò l’attenzione del partner.

«Ad Azrael. Mia sorella», rispose con naturalezza lui.

«Oh. Credo di aver bisogno di qualche informazione in più», intervenne Ella, cercando uno sgabello su cui sedersi.

«Stai dicendo che c’è un altro diavolo? È per questo che sei tornato? Per riportarlo negli inferi?» Si allarmò Chloe: Lucifer non poteva andarsene dopo essere appena arrivato. Lei glielo avrebbe impedito. Non sapeva ancora come, ma in un modo o nell’altro avrebbe fatto in modo di lagarlo a sè.

«No, non è un diavolo, ma un angelo, come Amenadiel: quando mi ribellai a nostro Padre, lei si schierò contro di me...».

«Non mi sono schierata contro di te. Non mi sono schierata affatto: ero troppo sconvolta per schierarmi», lo contraddisse l’Angelo della Morte. «E come me anche Kristiel», aggiunse.

«Quindi non sei un fantasma? E chi è Kristiel?» Le domandò Ella, socchiudendo gli occhi.

«Tecnicamente, sarei l’Angelo della Morte. E Kristiel è nostra sorella», le confessò Azrael, arricciando il naso.

«Ok. Fermi tutti», si intromise Chloe: «Perché io non riesco a vederla?»

«Perché è l’Angleo della Morte», le spiegò Lucifer. «Solo coloro che passano a miglior vita, o che sfiorano la morte, com’è successo alla signorina Lopez anni fa, possono vederla».

«Questo è confortante», ammise Chloe, annuendo.

«Aspetta», Ella si rivolse a Lucifer, «quindi tu sei davvero il diavolo. E tu lo sapevi?» Chiese a Chloe.

«Finalmente, signorina Lopez!» Esclamè soddisfatto Lucifer.

«L’ho scoperto dopo la morte di Pierce. Devo ammettere che è stato uno choc scoprire che non erano metafore», confessò Chloe.

«Quindi i miei migliori amici sono un diavolo e un angelo. Non so se è una cosa positiva o inquietante», asserì Ella.

«Io direi eccitante», la corresse Ray-Ray.

«Lucifer, puoi dire a tua sorella che sono felice di aver fatto la sua conoscenza senza poterla vedere, ma credo che ti dovresti sedere: io e Ella dobbiamo dirti un paio di cose», lo richiamò la poliziotta.

«Tu e io?» Chiese Ella, sgranando gli occhi e scuotendo la testa.

«Sì, certo. Sai tutte quelle cose scientifiche», la pregò l’amica, facendo strane smorfie.

«Oh, sì, giusto, le prove!» Esclamò il giovane medico forense.

«Oh, bene, si lavora a un caso!» Proruppe Lucifer. «Ma ho un caso anch’io», le bloccò.

Chloe si sfregò la faccia con una mano: «Ah. Credo che il tuo caso sia collegato al nostro».

«In che senso?» Si allarmò Lucifer, guardando prima le due amiche e poi la sorella: «Che cosa mi avete nascosto tu e Kristiel?» I muscoli del viso erano tirati e apriva e chiudeva i pugni, tanto che le due donne e l’angelo deglutirono a vuoto.

«Non ti abbiamo nascosto niente, ma mentre eri in Arizona, qui a Los Angeles è accaduta una cosa», si giustificò Ray-Ray.

Lucifer indurì i muscoli della mascella: «Che cosa?»

«Lucifer, ti ricordo che io non posso né vedere né sentire tua sorella, quindi ti pregherei di evitare di parlare come se io non ci fossi», lo guardò con la testa piegata di lato.

«Scusa detective, ma non ho tempo di fare la traduzione, tanto la signorina Lopez è in grado di seguire questo discorso: ci penserà lei a farti il riassunto».

«Tante grazie!» Sbottò la poliziotta.

Ella si intromise: «A ogni modo, Lucifer, credo sia davvero meglio che ti siedi»

«Fantastico!» Chloe fece cadere le braccia lungo i fianchi. «Ignorata dal mio quasi fidanzato e dalla mia sorella virtuale. Mi domando che cosa stia ancora facendo qui». Si voltò per uscire dalla stanza, mentre Ella invitava Lucifer a seguirla.

Questi emise un sospiro di rassegnazione e le corse dietro: «Detective, aspetta».

«Che cosa?» Lo aggredì, voltandosi e incrociando le braccia sul petto.

Lucifer espirò rumorosamente: «Poco dopo il mio arrivo negli Inferi, Azrael e la mia gemella Kristiel mi hanno raggiunto, chiedendomi un favore: la forma umana di Kristiel era appena stata uccisa e lei voleva che io mi occupassi di sua figlia, ma quando sono andato in Arizona, la bambina risultava rapita. E poi tu mi vieni a dire che hai un caso collegato a questa sparizione, particolare che Azrael mi ha tenuto nascosto, fino a ora».

«Sei già stato in Arizona?» Gli chiese Chloe.

«È quello che ho appena detto: hai problemi di udito?» La prese in giro Lucifer.

«Bene, però il rapimento di tua nipote non è l’unico problema», tergiversò la donna.

Lucifer la guardava incuriosito, il mento proteso in avanti e le mani in tasca: ««Che cosa c’è di più grave della morte di mia sorella e del rapimento di sua figlia?»

«Temiamo che quell’uomo sia qui a Los Angeles e che abbia ucciso un’altra donna».

«Chi?»

Chloe sospirò di nuovo: «Siediti, per favore». Gli indicò la sedia accanto alla propria scrivania.

 

§ § § § § § § § § §

 

Questa volta al bancone del bar non c’era un uomo, bensì una donna. «Fantastico», borbottò Daniel, prima di avvicinarsi. Gli uomini seduti sugli sgabelli lo ignorarono.

Allungò la foto segnaletico di Rockwell alla donna, che la ignorò, mentre continuava a guardare il poliziotto negli occhi, in attesa di un’ordinazione. Aveva i capelli neri lunghi oltre le spalle, il naso dritto, le labbra carnose e il seno prominente, sotto il quale era annodata la camicetta bianca.

Daniel espirò: «Ha mai visto quest’uomo?»

«Le sembro il portiere di un albergo?» Ribatté lei, alzando il foglio e pulendo lo spazio sottostante con un panno umido. «Che cosqa prende?»

«Non bevo quando sono in servizio», le mostrò il distintivo.

Fu il turno della ragazza sbuffare, ma avvicinò lo stesso il foglio agli occhi bruni per guardare meglio. «Sì», ammise alla fine, «ha preso una stanza un paio di settimane fa».

«Mi sta dicendo che non affittate le stanze solo per incontri a ore?» La interrogò.

«Crede che questo sia un bordello?» Lo accusò, con il tono di voce di un’ottava oltre il normale.

«No, ma...» Cominciò Dan, un po’ a disagio.

«Ma, cosa?» Incalzò la donna.

«La sua collega, Eva Heaven, è stata trovata assassinata dopo un rapporto sessuale con questo avventore».

«Come fa a essere sicuro di ciò? Era con sua figlia!» Appoggiò entrambe le braccia sul bancone.

Il sorriso di Dan era di derisione: «Vediamo, dunque: il cadavere ritrovato sottosale nella vasca da bagno, la testimonianza di una vostra collega, una miriade di prove scientifiche che il nostro laboratorio sta esaminando... Serve altro?»

«Sì, il rapporto completo delle prove esaminate. Se le state ancora esaminando vuol dire che non avete nulla di certo in mano. E immagino anche chi vi abbia lasciato la testimonianza: Caroline Dutch, una bugiarda cronica, e pure lesbica. L’ho vista diverse volte pomiciare con altre cameriere, inclusa Eva», confessò.

Due uomini seduti accanto a Daniel risero: «Questo interrogatorio è più interessante di una puntata di “C.S.I.”», disse, mentre il suo compagno di bevute alzò il calice nella sua direzione.

Dan scosse la testa.

«Che stanza ha avvittato?» Dan si rivolse nuovamente alla barista, che, scocciata, gli chiese nuovamente che cosa volesse da bere. Sbuffando, Dan richiedette una semplice soda, rinnovando l’ingiunzione. Sbuffando a sua volta, assieme al bicchiere con la bibita, la barista gli consegnò la chiave numero 333: «Terzo piano».

A quella vista, un sorso gli andò di traverso: «Davvero?»

La donna alzò le spalle, poi si occupò di altri avventori.

Espirando rumorosamente, Dan lasciò sul tavolo qualche moneta e, presa la chiave e foto segnaletica, si incamminò lungo le scale.

«Chloe, ho bisogno di rinforzi: Rockwell aveva affittato una stanza qui al saloon un paio di settimane fa e non l’ha ancora disdetta e non è la stessa dove abbiamo trovato il corpo di Eva», le disse al telefono.

«Pensi che Alma Lucinda sia in quella camera?» Seduto accanto a lei, Lucifer scattò immediatamente in piedi e si diresse a lunghe falcate verso l’uscita.

«Aspetta dove vai? Lo richiamò la donna, ancora col cellulare in mano.

«Abbiamo perso troppo tempo, detective. Quell’uomo ha ucciso mia sorella, la mia ex-amante e ha rapito mia nipote. Non voglio anche lei sulla coscienza», si girò appena.

«Vengo con te: non sei armato e non hai le manette. Non saresti molto di aiuto a Dan, in caso di necessità».

Dall’altro capo del telefono, Dan scosse la testa, ma continuò a salire: a quanto pareva, non c’era modo di tenere Lucifer lontano da Chloe e dalle indagini e lui se lo sarebbe sempre ritrovato tra i piedi.

Non che si aspettasse di trovare un invito a entrare, ma la porta della 333 era ovviamente chiusa a chiave. Daniel appoggiò l’orecchio alla porta: dall’interno provenivano deboli mugolii. La buona notizia era che la bambina sembrava viva; la cattiva notizia era che, per quanto ne sapesse lui, poteva trattarsi di chiunque altro; oltre al fatto che poteva essere ferita. In ogni caso, non aveva tempo di aspettare i rinforzi.

 

§ § § § § § § § § §

 

Quando Lucifer entrò nel locale, per poco non richiuse la porta in faccia alla collega, e neanche se ne accorse, ma si diresse a grandi passi verso il bancone: «Sto cercando Hank Rockwell», disse alla barista.

In un primo momento, Chloe rimase esterrefatta: non era da lui rivolgersi in quel modo alle appartenenti al sesso femminile, anzi, non perdeva occasione di sfoggiare il suo fascino.

«Sei il secondo che mi chiede di lui», le disse in tono neutro la barista.

Anche in quel caso, Chloe si stupì: a quanto pareva non era l’unica donna immune al suo fascino diabolico, oppure le donne cascavano ai suoi piedi solo quando lui lo voleva, ma quello che la meravigliò di più fu vedere il partner sporgersi oltre il bancone e, afferrato il colletto della camicia, sollevare la barista di qualche centimetro. Veloce, gli mise una mano sul braccio: «Lucifer», gli sussurrò, mentre si rivolse in modo secco alla barista: «È un alieno e non conosce l’educazione. Se tu, invece, vorresti dirci gentilmente dove possiamo trovare Rockwell...»

«Non lo so», disse con voce strozzata. «È uscito qualche ora fa e non è ancora tornato. Al vostro collega ho detto qual era la stanza che ha affittato».

«E che cosa aspetti a dirlo anche a noi? Vuoi vedere la mia faccia da alieno?» Le sorrise in modo sinistro, piegando di lato la testa, ma senza mostrarle gli occhi rossi.

«Stanza numero 333, terzo piano».

«Grazie», si limitò a dire Lucifer, lasciandola libera e riassestandosi la giacca e i gemelli della propria camicia.

«Meglio di una puntata di “Men in black”», osservarono i due ubriaconi.

«Lucifer, aspetta!» Chloe arrancava dietro di lui, il quale non si prese la briga di voltarsi o rallentare.

Quando arrivò davanti alla porta della camera, rimase pietrificato: Dan era pochi passi davanti a lui, mentre una bambina, con molta probabilità sua nipote tanta era la somiglianza con Kristiel, era rannicchiata in un angolo. Se Dan provava a fare un passo, lei si raggomitolava ancora di più, costringendo l’uomo a tornare indietro.

Chloe lo raggiunse poco dopo, la pistola in mano, ma a quella vista, l’abbassò subito, rinfoderandola. La bambina le rivolse uno sguardo spaventato, mentre il petto le si alzava e abbassava a ritmo veloce.

«Aspettatemi fuori», ingiunse ai due uomini.

«Detective, questa bambina è mia nipote», si oppose Lucifer.

«Quante volte vi siete visti, negli ultimi anni?» Gli chiese.

Il diavolo sbuffò, voltandosi di lato.

«Appunto», gli disse, «lei non ti conosce e avendo subiti abusi da un uomo, dall’uomo che più di tutti avrebbe dovuto proteggerla», si corresse, «vede te e Daniel come uomini».

Daniel era già uscito e Lucifer capì che non gli restava altro da fare che assecondare la donna: alzando le braccia, imitò l’amico.

Rimasta da sola, Chloe mostrò alla bambina i palmi aperti e prima di muovere un passo, le spiegò che si sarebbe avvicinata per liberarla e che non doveva temerla.

Quando la bambina, nonostante le lacrime e i singhiozzi, annuì, cominciò a muoversi, un passo dopo l’altro.

Il tempo all’Inferno gli sembrava scorresse più in fretta, mentre attendeva in corridoio che la detective liberasse la nipote, poi gli venne un’idea: «Daniel, non credi che dovremmo tendere una trappola a Rockwell?»

«Sì, e come?» Lo derise l’altro.

«Tu lo aspetti in cime alle scale e io qua», gli spiegò.

«Certo, così non appena mette piede sul primo gradino, ha tutto il tempo di scappare, prima che io riesca a scendere tutte queste scale», gli illustrò.

«Oh, avanti Daniel, guardati: sei vestito come un qualsiasi avventore di questo posto. Non crederà mai che sei un poliziotto», chiosò Lucifer.

«Non perdi occasione di prendere in giro le persone, credendoti migliore di tutti, non è vero?» Lo aggredì Daniel, avvicinando la sua faccia a pochi centimetri dal volto di Lucifer. «Invece sei...»

In quel momento, uscì Chloe, tenendo per mano Alma Lucinda, la quale, vedendo i due uomini fuori, si strinse ancora di più alla donna.

Questa si inginocchiò davanti a lei, mentre Lucifer guardava la scena incapace di muovere un solo muscolo.

«Alma, lui è Lucifer, un fratello di tua madre. Ora sarà lui a prendersi cura di te», le sussurrò quasi sottovoce.

La bambina guardò l’uomo alto con gli occhi sgranati, senza dire una parola, e senza staccarsi dalla sua salvatrice.

«Sì, io e tua madre siamo – eravamo – fratelli gemelli. Le assomigli molto. Hai lo stesso colore degli occhi. E anche i capelli sono uguali», proferì Lucifer, dopo che Chloe gli aveva fatto segno di dire qualcosa.

Alma, però, continuava a restare immobile.

Intanto, Daniel, continuava a lanciare occhiate preoccupate al fondo del corridoio, temendo l’arrivo (e la relativa fuga) di Rockwell.

Cercando di vincere la propria repulsione verso i bambini, Lucifer espirò e si inginocchiò portando il proprio volto alla stessa altezza di quello della nipote: «Ascolta, lo so che tu non mi conosci, e forse credi che io sia come tuo padre, ma se mi darai l’occasione, ti dimostrerò che non tutti gli uomini sono esseri immondi».

Da parte sua, Chloe spinse la ragazza verso lo zio.

«Bene, noi andiamo». Per quanto avesse voluto bene a Kristiel e cominciasse a sentirsi responsabile della nipote, Lucifer stette attento a non prendere per mano Alma Lucinda, la quale da parte sua non sembrava ancora pronta ad avere alcun contatto fisico con lui, ma si limitò ad appoggiarle una mano sulla schiena, per invogliarla a camminare. Prima di scendere, si voltò verso Chloe: «Detective...»

«Tranquillo, aspetterò il sospettato con Daniel», stette bene attenta a non pronunciarne il nome, « e poi ti raggiungo all’attico: abbiamo un discorso in sospeso noi due», gli sorrise.

Lucifer fu investito da un’euforia che non aveva provato nemmeno dopo la partenza della Madre.
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N.d.A.: Come sempre, ringrazio tutti coloro che hanno inserito la storia tra le preferite/ricordate/seguite e che lasciano un segno del loro passaggio, come anche chi legge in silenzio.
Per chi è interessato, questa è la mia pagina Facebook: http://www.facebook.com/TheMiraesDream/
A presto.

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Capitolo 3
*** Va tutto bene Diavolo ***


ATTENZIONE: CAPITOLO DI PASSAGGIO MOLTO OOC, SOPRATTUTTO ALL'INIZIO. 
 

 



Va tutto bene Diavolo

 

«Aspetterò il sospettato con Dan e poi ti raggiungerò all’attico: abbiamo un discorso in sospeso, noi due», gli aveva detto sorridendo e lui, scendendo le scale, con Alma Lucinda che ogni tanto gli si stringeva contro i pantaloni stirati alla perfezione, si sentiva pervadere di un’euforia che non aveva provato nemmeno dopo la partenza della Madre.

Mentre attraversava il saloon, qualcuno gli mise una mano sulla spalla, bloccandolo. Un altro attaccabrighe cercò di allontanare la bambina, che si strinse ancora di più alla gamba dello zio, ma lui, anziché appoggiarle una mano sulla spalla come aveva fatto poco prima sulle scale, ogni qualvolta sentivano urlare, la spinse dietro di sè, proteggendola con entrambe le braccia.

«Lascia stare la bambina, sporco ped.... Aaaaah!» Un uomo gli stava avvicinando brandendo una stecca di biliardo, ma quando vide gli occhi rossi di Lucifer indietreggiò di colpo, lasciando cadere il legno, così come il cerchio, che prima si restringeva sempre più, ora si allargò.

Mantendendo lo sguardo demoniaco, Lucifer li minacciò: «Adesso io e mia nipote usciremo di questa bettola maleodorante e nessuno di voi ce lo impedirà. E se a qualcuno venisse in mente di avvertire Rockwell, riceverà una visita da questo alieno maleducato».Mentre uscivano dal locale, la folla si aprì come le acque del Mar Rosso di fronte a Mosè e molti alzarono le braccia, in segno di resa.

Il suo piano iniziale vedeva come meta il Lux: Alma aveva bisogno di riposo e lui doveva preparare patatine fritte e hamburger. Senza ketchup. Voltando lo sguardo versa la bambina, però, si accorse che non solo continuava a tremare come una foglia, ma i polsi avevano ripreso a sanguinare: espirando in modo abbastanza rumoroso, al primo incrocio sterzò bruscamente verso sinistra, in direzione del più vicino ospedale di zona.

La sala d’aspetto era gremita: c’era chi indossava una mascherina davanti alla bocca e chi tossiva tenendosi un semplice fazzoletto, altri si tenevano un arto con la mano, ma c’erano anche vagabondi e alcolizzati che speravano in un bagno caldo. Ignorando tutta questa umanità, più o meno urlante, Lucifer si diresse alla receptionist: «Salve, mi serve un dottore per mia nipote».

«Compili il questionario e si accomodi», le porse una cartellina senza alzare lo sguardo, ma quando la mano dell’uomo sfiorò la sua, l’infermiera commise l’errore di alzare lo sguardo. Soffiò, ridacchiando: «Salve».

«Salve. Eliza», rimodulò la voce, leggendo il nome sulla targhetta appuntata alla divisa. «Purtroppo mia nipote sta molto male», esagerò, «e tu non vuoi che perdiamo tempo prezioso, non è vero?»

«Certo che no», gli rispose la donna, una bionda che doveva avere più o meno l’età della detective.

«Allora perché non chiami subito un dottore? No!» Si corresse, alzando l’indice destro, mentre l’infermiera stava alzando la cornetta dell’interfono, «meglio una dottoressa: mia nipote è stata vittima di abusi e di un rapimento».

«In questo caso, devo avvertire la polizia», si spaventò Eliza.

«La polizia è già sulle tracce del suo rapitore».

La donna lo guardò storcendo un po’ gli occhi, al ché lui sbuffò: «Se non mi crede, può telefonare al LAPD e chiedere della detective Decker: è lei che si sta occupando del caso, assieme al detective Espinoza».

Nel frattempo arrivò una dottoressa sulla cinquantina che li fece accomodare su un lettino nascosto sui tre lati da tende bianche.

Quella visita fu quanto di più drammatico a Lucifer fosse capitato di assistere: dovette prenderle la mano con la quale cercava di allungarsi la maglietta e chiederle di chiudere gli occhi, mentre lui le canticchiava alcuni versi di “Shining star”.

«Mentre aspettiamo i risultati degli esami, ti infilo questo nel braccio. Non ti faccio male, non ti preoccupare: è solo acqua e zucchero», le disse un’infermiera col tono più gentile possibile, ma Alma Lucinda guardò quel tubo di gomma con gli occhi spalancati, ricominciando ad agitarsi, tanto che lo zio intervenne: «È proprio necessario?»

«Sì, sua nipote è molto disidratata: quella flebo è davvero necessaria. Capisco che dopo lo shock subito, vuole proteggerla, ma se la porta a casa ora, non farà il suo bene», lo riprese il medico, entrambe le mani nelle tasche del camice.

Espirando, Lucifer si voltò a guardare la bambina, con l’infermiera che cercava di calmarla accarezzandole la fronte. «E va bene», concesse alla fine. «Alma», chiamò la nipote, «Se ti fai infilare quell’ago, potrai chiedere all’infermiera un favore in cambio, mh?»

La donna in questione guardò l’uomo con la bocca spalancata e l’ago della flebo a mezz’aria, ma vedendo la bambina calmarsi, si sbrigò ad effettuare l’operazione, rassicurandola: quando uscirai di qui, ti pagherò un buon gelato».

«Ci vorranno solo un paio d’ore», li avvisò la dottoressa, prima di lasciarli soli.

«Oh, ma guarda dove ci hanno parcheggiato. Potevano darci una camera privata», brontolò Lucifer.

 

§ § § § § § § § § §

 

«Caro, vecchio amico», Lucifer accarezzò il pianoforte prima di mettersi a suonare Shining Star: cantarla con l’accompagnamento della musica – e in una condizione emotiva più serena – era diverso che cantarla a cappella, interrompendosi di tanto in tanto, quando Alma gli stringeva troppo la mano, in ospedale. Ora, la ragazzina sembrava dormire tranquilla, nel letto di Maze: per fortuna, quando la demone aveva lasciato l’attico, si era portata via anche tutti i suoi “giocattoli”.

Il suono dell’ascensore lo interruppe: «Detective! Sei in anticipo», Lucifer si girò verso la donna, con le labbra stese in un sorriso.

«Ehm... In anticipo per cosa?» Si guardò intorno, non apendo a che cosa si riferisse Lucifer.

«Per la cena», le disse.

«No, basta mangiare. Dobbiamo parlare», gli ingiunse.

«Non vorrai parlare a digiuno, vero, detective?»

Chloe sbuffò: «Beh, la cena non è pronta, quindi, sì, parleremo a digiuno», incrociò le mani sul petto, mentre Lucifer si alzava dallo sgabello e andava a prepararsi un whiskey.

«E basta bere».

«Veramente questo è per me», andò a sedersi sul divano, invitandola a fare lo stesso.

«Oh», si andò ad accomodare su una poltrona. «Come sta Alma Lucinda?»

«All’ospedale le hanno prescritto il suvorexant e adesso sta dormendo», bevve un sorso. «Domani, quando si svegliaerà, sarà affamata. Vuoi fermarti per colazione?»

«Lucifer!» Lo riprese, scuotendo la testa.

«Che c’è? La colazione è meno impegnativa della cena», la derise, portandosi di nuovo il bicchiere alla bocca.

«C’è che ogni volta che cerco di affrontare un discorso serio con te, tu la butti sempre sullo scherzo», lo rimproverò.

Lucifer sospirò, poi si chinò in avanti per appoggiare il bicchiere sul tavolino, quindi accavallò le gambe ed allargò le braccia sullo schienale in pelle italiana: «Sono tutt’orecchie, detective», la invitò, porgendo in avanti il mento.

Chloe scrollò di nuovo il capo: così non andava affatto bene, lei era andata lì per parlare di loro due, di come far funzionare la loro relazione pur essendo lei una semplice umana e lui, beh, niente popodimeno che il Re degli Inferi in persona! Ma se Lucifer si metteva sulla difensiva prima ancora che riuscisse a dire mezza sillaba, sarebbe stato molto difficile riuscire a ricavare qualcosa di positivo.

«Niente, lascia stare», sbuffò, alzandosi e facendo la mossa di andarsene.

Questo gesto costrinse Lucifer ad alzarsi e a prenderle il polso destro: «Detective, aspetta , non andartene», la pregò. «So che a volte mi metto sulla difensiva, ma cerca di capirmi: sono millenni che vengo accusato di qualsiasi cosa», si giustificò.

«È proprio questo il punto, Lucifer: tu non dai alle persone che ti affrontano la possibilità di esprimersi liberamente, perché, mettendoti sulla difensiva, è come se li ricattassi emotivamente, spingendoli a desistere».

«Io non ricatto nessuno. Il diavolo sa il libero arbitrio è il suo massimo potere», la contestò.

«Ma il tuo comportamento, a volte, impedisce alle persone, di usarlo», confutò a sua volta Chloe.

Lucifer lasciò andare il braccio della donna e piegò la testa di lato: «Davvero?»

«Sì, Lucifer», ammise lei.

«Non me n’ero mai accorto», tornò a sedersi.

«Non lo metto in dubbio, Lucifer», anche Chloe si sedette, questa volta sul divano, accanto a lui, appoggiando il gomito sinistro sullo schienale, e la testa su quel braccio.

Lucifer si aggiustò i polsini e fece per pronunciare una delle sue solite battute, ma voltandosi verso di lei ammutolì.

«Sei bellissima», riuscì solo a pronunciare, allungando la mano sinistra per accarezzarla.

«Che cosa ne sarà di noi?» Gli chiese. In realtà, questa sarebbe dovuta essere l’ultima domanda di una lunga serie, ma alla fine decise che non le importava come aveva trascorso quelle ultime due settimane:lei voleva solo conoscere il loro futuro.

«Non lo so Chloe», usò per la prima volta in quella lunga giornata il suo nome, il fece le fece allargare ancora di più il sorriso, «credo dipenda solo da noi». Sorrise anche lui, continuando ad accarezzarle la guancia.

«Quindi non partirai più?»

Lucifer ritirò la mano, gelando il sorriso della donna, i cui occhi si inumidirono. «Diciamo che quando sono tornato all’Inferno ero carico d’ira, ma poi Azrael e Kristiel sono venute a chiedermi un favore», continuò a raccontare. «Quindi ho dovuto trovare un compromesso con i demoni ribelli. Beh, compromesso è una parola grossa, visto che ho fatto legare Dromos a una rupe, mentre un’arpia gli strappa il fegato, che continua a ricrescergli e quindi l’arpia torna a strapparglielo, e così all’infinito. È divertente», rise. «Comunque, stavo dicendo...», riprese, ma Chloe lo interruppe: «Aspetta, quella non è mitologia greca?»

«Sì, ed è davvero divertente punire un demone con una favola inventata dagli umani, non trovi?» Rise ancora.

«Beh, devo ammettere che c’è una folle logica in questo», convenne Chloe. «Stavi parlando di un compromesso, però», gli ricordò.

«Sì, giusto», si porse verso il tavolino per prendere il bicchiere e bere un lungo sorso. «Ho promesso loro che resterò qui per la durata di un’esistenza umana – che è di circa ottant’anni – poi tornerò negli Inferi. Finché non deciderò di prendermi un’altra vacanza. Naturalmente, ho preteso un giuramento di assoluta fedeltà: e cioè che a nessuno di loro venga in mente di lasciare il Regno senza il mio esplicito consenso».

«Credi che ti ascolteranno?»

«Non hanno scelta: sono il loro re. Loro esistono perché io permetto loro di esistere», le spiegò. Ogni traccia di sorriso era sparito dal suo volto.

«Quindi nessuno sarà tentato di liberare Dromos e organizzare un colpo di Stato?»

Questa domanda fece scoppiare Lucifer in una sonora risata: «Davvero, detective? Un colpo di Stato? All’Inferno?»

Per tutta risposta, lei alzò le spalle, mentre lui si alzava e prendeva il bicchiere per andare a riempirlo di nuovo: «Sicura di non volere niente da bere?»

«D’accordo, forse sono un po’ paranoica», gli concesse.

La raggiunse, porgendole un bicchiere uguale al suo, che lei questa volta accettò, rigirandoselo tra le mani. «Non devi preoccuparti, questa volta», la confortò. «Tornando a noi due, Chloe, davvero, non so che cosa ci accadrà: non sono mai stato bravo a scuola di divinazione» – e quest’uscita fece ridere Chloe – «ma se tu me lo consentirai, proverò a fare il serio», sorrise a sua volta, ma la donna si commosse.

«Detective...» Il sorriso di poco prima gli morì sulle labbra, mentre osservava spaventato le lacrime scendere sul volto della donna amata, «non volevo ferirti...», si affrettò ad aggiungere, mentre con dito gliene asciugò una.

«Non mi hai ferito, Lucifer. Sono commossa. Io... certo che voglio che finalmente metti la testa a posto», gli strinse le braccia al collo.

«Perché la mai testa non è al suo posto?» Scherzò l’uomo.

«Smettila di parlare e baciami», lo zittì.

Quando si staccarono, a Lucifer sembrò che fosse durato troppo poco e cercò di nuovo le labbra della donna, ma Chloe lo fermò: «Devo andare a casa e preparare Trixie a questa novità», lo consolò, prima di alzarsi e dirigersi verso l’ascensore.

Lucifer sorrise, poi prese il bicchiere lasciato da Chloe e lo scolò: sarebbe stato un peccato sprecare tutto quel whiskey che la detective si era limitata a scaldare tra le mani.

 

§ § § § § § § § § §

 

Era strano alzarsi da solo in quel letto, dopo gli ultimi mesi trascorsi tra festini e orge, ma pensò che si sarebbe dovuto abituare, se davvero voleva costruire qualcosa con Chloe: beh, di sicuro, in quel caso, non si sarebbe trovato da solo nel letto. Nonostante la sveglia gli rimandava un orario di cero non mattiniero, i rumori del traffico non raggiungevano l’attico e lui, beandosi del silenzio, quasi non si ricordò che nell’altra stanza dormiva sua nipote. Si alzò con indosso solo i boxer e la vestaglia aperta, dirigendosi verso il bancone. Nella fruttiera, alcune mele facevano bella mostra di sé. Prese quella più rossa e se la girò tra le mani.

Eva... Era tornata per lui e lui l’aveva respinta dopo averla usata per riempire il vuoto lasciato da Chloe. D’accordo, si era vendicata nel modo peggiore, o forse la sua non era neanche vendetta vera e propria, ma solo ingenuità, del resto, anche lui con Dromos quando l’aveva incontrato la prima volta si era comportato in modo molto ingenuo, tuttavia, non meritava di venire uccisa. Per quanto irragioonevole fosse, si sentiva in qualche modo responsabile della sua morte. Forse aveva ragione Linda: non ci si perdonava in una notte. Posò la mela nella fruttiera senza averle dato un morso e andò a vestirsi per raggiungere lo studio della cognata, quando uno strano mugolio catturò la sua attenzione. Lasciò cadere i pantaloni sul letto e con solo indosso la camicia si diresse verso la fonte del rumore: «Maze! Sei torn...»

«Aaaah! Vattene, lasciami stare!» Urlò invece Alma Lucinda, alla vista dell’uomo mezzo nudo, andando a rannicchiarsi nell’angolo più lontano della camera.

Lucifer espirò, voltando la testa di lato: «D’accordo, ascolta, non voglio farti del male». Provò a fare qualche passo all’interno della stanza, dimenticandosi di avere indosso solo la camicia.

«Ti prego, farò la brava...», Alma continuava a tremare, continuando ad appiattirsi ancora di più alla parete.

Fu allora che Lucifer ebbe l’idea non solo di bloccarsi, ma anche di guardare in basso: «Oh, diavolo!» Tornò in camera sua a vestirsi, ma proprio quando stava per tornare dalla nipote, le porte dell’ascensore si aprirono: «Lucifer, ci sei?» Lo chiamò Amenadiel.

«Scusa, ma sono leggermente impegnato», lo liquidò il fratello.

«Sparisci per settimane e poi torni senza avvertirmi e mi liquidi così?» Lo raggiunse.

«Non sono sparito per settimane», lo corresse. «Erano solo due le settimane e dopo anni che hai passato per farmi tornare all’Inferno avresti dovuto fare i salti di gioia, no?» Lo aggredì Lucifer, in piedi sopra i tre gradini che dividevano l’open space dalla zona notte, mantenendo così una posizione di dominio rispetto al fratello.

«Se avessi dovuto subire le lamentele di Maze, anche a te due settimane sarebbero sembrate più eterne dell’eternità», gli fece notare il fratello maggiore. «Ma sono venuto qui perché sono successe delle cose, in queste due settimane», gli voltò le spalle per andare ad accomodarsi su una poltrona.

«Ti riferisci alla morte di nostra sorella?» Lucifer andò a versare del whiskey per entrambi.

«Tu lo sapevi? E non hai pensato di avvertirmi?» Amenadiel strinse gli occhi, ignorando il bicchiere che gli porgeva.

«Sai com’è», lo derise Lucifer, appoggiando sul tavolino il bicchiere del fratello e bevendo un lungo sorso dal proprio, «all’Inferno i cellulari non prendono bene».

«Oh, avanti, Lucifer: stiamo parlando di nostra sorella, la tua cara sorella gemella, e tu hai voglia di fare dello spirito?» Si alzò in piedi, muovendo un passo nella sua direzione, ma Lucifer non indietreggiò: «Non sto facendo dello spirito, semmai sei tu che stai facendo la vittima, quando di vittima qui ci sono solo Kristiel e Alma Lucinda».

«Infatti è di lei che sono venuto a parlarti», moderò il tono, tornando a sedersi e prendendosi la testa tra le mani. Rialzandola, gli raccontò che qualche giorno prima era stato raggiunto da un sedicente assistente sociale che lo cercava per l’affidamento della bambina. Calmatosi e sedutosi a sua volta, Lucifer lo mise al corrente delle sue ultime vicissitudini, concludendo che a Flagstaff non gli avevano fatto quel nome e che ora la bambina era nella vecchia stanza di Maze, ancora sottoshock e che per questo voleva coinvolgere Linda, anche persistemare alcune sue questioni irrisolte.

«Credevo fossi “guarito”», lo prese infine in giro Amenadiel.

«Detesto ammetterlo, ma a quanto pare aveva ragione Linda», bevve un altro lungo sorso. «Non ci si perdona nel giro di poche ore».

«Che cosa avresti da perdonarti?» Gli chiese Amenadiel.

Sbuffando, Lucifer gli raccontò che già dopo la Cacciata, e le sue relative “vacanze”, non si era mai preoccupato se qualcuno dei suoi fratelli cercasse di mettersi in contatto con lui, magari seguendolo nelle sue peripezie umane, fino ad arrivare alla sua responsabilità per il comportamento di Eva e Dromos.

«Non sei tu quello che dici sempre che il libero arbitrio non dipende da te, ma sono le persone a essere le sole responsabili delle proprie azioni?» Cercò di farlo ragionare. «Sei stato forse tu a evocare Dromos e a suggergli di rapire Charlie?»

Per tutta risposta, Lucifer andò a riempirsi di nuovo il bicchiere.

«No, certo che no», gli rispose, «ma Linda la penserà come te o vorrà uccidermi?»

«Linda non lo so, ma Maze di sicuro. Sul serio, Luci, è davvero molto arrabbiata perché te ne sei andato lasciandola qui», lo avvertì, cambiando discorso.

«Ora sono tornato», alzò il bicchiere in segno di brindisi, «ma anche se vorrà ascoltarmi – cosa che ne dubito – quando saprà della morte di Eva, non vorrà solo uccidermi, vorrà prima torturarmi».

«Eva è morta?» Amenadiel lo guardò con aria incredula e perfino la sua voce aveva una nota stridula.

«Sì, strangolata e poi immersa nel sale. Secondo la detective, il suo assassino sarebbe lo stesso di nostra sorella Kristiel», gli confidò.

«Hai già visto Chloe? Prima di venire da me?»

«Ecco che torna a fare la vittima», lo derise Lucifer.

«No, è che a volte dimentico chi sei», cercò di ferirlo.

«Oh, e chi sarei? Il diavolo brutto e cattivo?» Il tono era impresso di sarcasmo.

«L’essere più sarrogante di tutto l’universo», gli rivelò.

«Ho avuto un ottimo maestro», lo indicò.

«D’accordo. Continuando così, non andremo da nessuna parte... Hai detto che l’assassino di Kristiel ha ucciso Eva e poi l’ha seppellita nel sale? L’ha fatto anche con nostra sorella?»

«La polizia di Flagstaff non mi ha detto nulla al riguardo, quindi penso di no», gli rivelò ancora Lucifer.

«Come fai allora a dire che l’omicida è lo stesso?» Gli chiese Amenadiel.

«Oh, non lo dico io: sono quelli del LAPD a esserne sicuri. In effetti, mi domando perchè il sale. Insomma, non ha senso usare il sale per conservare un cadavere in un bordello, dove è solo questione di ore prima che venga ritrovato». Lucifer bevve un altro lungo sorso.

«Hai detto in un bordello? Che ci faceva Eva in quel posto?»

«Non lo so», la voce di Lucifer era stridula, «sono stato impegnato due settimane a sedare una rivolta di demoni. E a trovare il modo di rivedere la detective», ammise in modo candido.

«Aspetta», ad Amenadiel venne un’idea. «Hai detto che è stata uccisa in una casa di appuntamenti...»

«No, ho detto che è stata uccisa in un bordello. Beh», si corresse, «in realtà, una specie di bettola che affitta stanze e che invoglia le cameriere a intrattenere rapporti “amichevoli”», e qui Lucifer fece il gesto delle virgolette, «con i clienti».

«D’accordo, qualunque sia il termine corretto, il suo assassino voleva punire la sua lussuria e ha usato il castigo inferto da nostro Padre alla moglie di Lot», gli suggerì il fratello maggiore.

«Ma la moglie di Lot non era lussuriosa», obiettò.

«Ma viveva a Gomorra e provò pena per i suoi concittadini, mentre subivano la punizione», gli ricordò.

«Giusto, tu eri uno dei Giustizieri», lo incriminò.

«Ti ricordo che sono il primo dei soldati di nostro Padre», si impermalì l’altro.

«Ed ecco che ritorna l’ego. A ogni modo, secondo te Eva potrebbe essere intervenuta in difesa di un’altra cameriera?»

Amenadiel alzò le spalle, confermando, di fatto, l’intuizione di Lucifer.

«Devo andare a dirlo alla detective», poggiò il bicchiere ormai vuoto sul tavolino e si diresse verso l’ascensore, ma il fratello maggiore lo richiamò: «E Alma Lucinda?»

«Pensaci tu, anche tu sei suo zio», si voltò appena, ma Amenadiel non era dello stesso avviso: «Non mi conosce, e può spaventarsi ancora di più».

«Al diavolo», sbuffò Lucifer, prendendo il cellulare, ma Amenadiel lo bloccò di nuovo: «A chi telefoni, adesso?»

«A Maze: è di sesso femminile e alla progenie della detective piace come baby sitter».

In quel momento, le porte dell’ascensore si aprirono, dopo il consueto scampanellio: «Oh, Maze!» Esclamò Lucifer, con ancora il cellulare in una mano e l’altra a mezz’aria, nell’atto di premere lo schermo per la video chiamata. «Parli della demone e spuntano le corna».

«Io e te dobbiamo parlare», Maze non si fece raggirare e avanzò verso di lui con aria minacciosa, facendo schioccare la lingua.

 

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Quando Maze si svegliò, quella mattina, si accorse di un’insolito silenzio. Si alzò e si mise a perlustrare la casa: chissà, il primo appuntamento di Linda era molto presto e magari Amenadiel aveva portato Charlie al parco vicino a casa. Fece spallucce, tutto sommato contenta di non dover sentire pianti di neonato e canzoncine senza capo, né coda. Non le passò per la testa che forse i suoi amici avevano tagliato la corda prima che si svegliasse. Pensò di telefonare a Chloe per sapere se Lucifer era tornato, poi decise che non aveva senso tormentare l’amica e infonderle false speranze: Lucifer era tornato a casa, e lì sarebbe rimasto per l’eternità, dimenticandosi di lei, la sua fedele guardia del corpo. Beh, peggio per lui.

Invece di andare in centrale per informarsi riguardo qualche fuggitivo, decise di fare prima tappa al Lux.

«Ciao, Maze», la salutò allegro Patrick, mentre asciugava un bicchiere. «Hai già saputo la bella notizia». Più che una domanda sembrava un’affermazione.

«Di quale bella notizia stai parlando?» GLi chiese, avvicinandosi e battendo le unghie laccate sul bancone appena tirato a lucido.

«Il capo è tornato».

«Lucifer è tornato? Quando?» Chiese, sgranando gli occhi.

«Ieri sera. Con una bambina. Te lo immagini il capo con una bambina?»

Si guardò intorno, ma non lo vide, segno che era ancora nell’attico. Senza dire una parola all’amico, risalì le scale e si diresse verso l’ascensore.

Quando le porte si aprirono, lo vide girarsi di scatto, con un enorme sorriso su quella grandissima faccia da schiaffi: ««Oh, Maze!» Esclamò, con ancora il cellulare in una mano e l’altra a mezz’aria, nell’atto di premere lo schermo per la video chiamata. «Parli della demone e spuntano le corna».

«Tu e io abbiamo un conto in sospeso», Maze non si fece raggirare e avanzò verso di lui con aria minacciosa, facendo schioccare la lingua.

Lucifer si sbrigò a riporre il cellulare in una tasca e alzò le mani in segno di resa: «Calma Maze, sono il tuo re», cercò di rabbonirla, ma la donna non si fece intimorire, costringendo Lucifer a indietreggere e quasi a salire sul divano dalla preziosa pelle.

Amenadiel scoppiò a ridere: «Da quando in qua, i re scappano di fronte ai propri sudditi?»

«LuigiXVI, tanto per dirne uno», la penisola del divano l’aveva fatto accasciare e la voce risultò strozzata.

«Il quale è stato decapitato proprio dai suoi sudditi», Amenadiel si grattò la punta del naso, come per nascondere il riso sempre più irrefrenabile.

«Così non c’è gusto!» Gli urlò, invece, Maze: «Alzati e combatti».

«Non posso», confessò, «di là c’è una bambina che sta riposando e la sveglierei».

«Che ci fa una bambina qui da te?» Strizzò gli occhi, urlando.

«Sua madre è morta e io l’ho adottata», rivelò.

«L’hai già adottata?» Amenadiel rimase sconcertato, ma la voce di Maze si frappose alla sua: «Non ce l’ha un padre?»

«Sì, l’ho già adottata perché ti ricordo che, essendo fratelli gemelli, io e Kristiel abbiamo lo stesso cognome e non hanno fatto storie al riguardo. E sì, un padre ce l’ha ma ha abusato di lei in passato, oltre ad averne ucciso la madre», chiarì Lucifer, rimettendosi in piedi e aggiustandosi i gemelli.

«Aspetta, hai adottato la figlia di tua sorella, che è morta? Come si fa a uccidere un angelo? Non siete tutti immortali?» Maze si lasciò cadere su una poltrona – la più vicina ad Amenadiel.

«A quanto pare, l’amore ci rende vulnerabili, addirittura mortali. Nel mio caso, riguarda Chloe; nel caso di Kristiel, è probabile si tratti di sua figlia».

«Oh. E come pensi di fare, adesso?» Si informò, con un gilo di voce.

«Non lo so, ma la detective mi aiuterà», tornò a sorridere.

«E come?» Domandò, con le braccia appoggiate alle ginocchia divaricate e la schiena protesa in avanti.

«Costruendo una famiglia. Tra l’altro, Alma Lucinda e la progenia della detective hanno la stessa età», accavallò le gambe e distese le braccia dietro la testa, lungo lo schienale del divano.

«Una famiglia?»Maze appoggiò la schiena alla spalliera. «Ma se non riesci nemmeno a chiamare Trixie col suo vero nome», lo derise.

Lucifer si lasciò scappare una smorfia: «Imparerò». Quindi scattò in piedi e passò davanti all’amica e al fratello, ai quali raccomandò la bambina, prima di dirigersi all’ascensore.

«Dove stai andando?» Lo richiamò Maze.

Lui, che stava premendo il pulsante si bloccò: non aveva senso temporeggiare. Maze, dopotutto, non era solo una semplice guardia del corpo o l’amante di una notte. Così, espirando tutto il fiato che aveva nei polmoni, si fece coraggio e si girò lentamente: «Siediti Maze», la invitò.

Amenadiel capì al volo e le appoggiò una mano sulla spalla.

Spaesata, Maze guardò i due fratelli, prima Lucifer e poi Amenadiel: «È successo qualcosa a Chloe? O a Trixie? È per questo che sei tornato? O forse a Linda?»

«No, stai tranquilla», Lucifer si affrettò a raggiungerla, «Chloe sta benissimo, e abbiamo parlato ieri sera. Linda anche credo stia benissimo», e qui guardò suo fratello, che confermò.

«Siediti, però», la invitò di nuovo il padrone di casa.

Tremando, ubbidì.

«Si tratta di Eva», Lucifer era seduto sul bracciolo del divano e teneva gli occhi bassi.

«Che... che cosa le è successo?» Balbettò.

«Entrambi gli uomini fecero ruotare lo sguardo in giro per l’attico, alla ricerca delle parole esatte.

«Che cosa le è successo?» Strillò Maze.

«È morta», esalò infine Lucifer.

«Co... come... come è successo?» Non poteva essere vero, non Eva.

«La polizia sta ancora indagando», tergiversò Lucifer.

«È tornata in Paradiso?» Tirò su col naso.

«Non ne ho idea», ammise Lucifer, così come Amenadiel. A nessuno dei due fratelli venne in mente di evocare Azrael e se mai l’idea si fosse affacciata nelle loro menti, furono veloci ad eliminarla prima che si annidiasse in qualche parte del cervello. O almeno così credevano.

«Sono una cacciatrice di taglie», Maze si alzò in piedi, con l’eyeliner sciolto. «Troverò chi ha ucciso Eva e tu lo punirai», battè l’indice contro il petto di Lucifer.

«Per ora mi servi qui, con Alma Lucinda», le ordinò Lucifer, ora in piedi.

«No», si oppose lei. I due ex amanti si fronteggiarono.

«Ha ragioone Lucifer, Maze», cercò di farla ragionare Amenadiel: «nostra nipote è sotto shock per le violenze subite e ora avrebbe bisogno di stare più con una donna che con un uomo».

Maze chinò la testa, esalando un: «D’accordo» a mezza voce, tornando a sedersi sulla poltrona. «Dov’è la cucciola?»

«Nella tua vecchia camera», le indicò Lucifer. All’occhiata storta della demone, si affrettò ad aggiungere: «Tu non la usi più».

Sbuffando, Maze si alzò e si diresse verso la stanza, trovandovi la bambina accucciata nell’angolo più lontano dall’ingresso che si dondolava canticchiando una nenia.

«Ciao», la salutò.

La bambina non diede segno di averla sentita e la demone lo prese come un invito a raggiungerla.

Nel frattempo, Lucifer si diresse verso la centrale di polizia.

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N.d.A.: Come sempre, ringrazio tutt* coloro che hanno inserito la storia fra le seguite/ricordate/preferite e che lasciano un segno del loro passaggio, come anche chi legge in silenzio.
Mi sono divertita a scrivere alcune scene, anche se in alcuni punti Lucifer è risultato molto OOC, anche se descrivere la scena all'ospedale non è stato facile, per non infrangere il regolamento (ma il particolare mi serve per costruire l'intera storia) e rimanere entro il codice arancione.
Ricordo che la serie televisiva “Lucifer” attualmente di proprietà di Netflix e Warner Bros, da cui è tratta questa fanfiction, si basa sui personaggi del fumetto omonimo pubblicato dalla casa Vertigo e scritto da Mike Carey, con protagonista il personaggio di Lucifer, comprimario nel fumetto Sandman di Neil Gaiman, mentre l’Angelo dell’Amore Kristiel è una mia invenzione, così come Alma Lucinda.
Per chi fosse interessato, questa è la mia pagina Facebook: http://www.facebook.com/TheMiraesDream/ 

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Capitolo 4
*** Accidia ***


Accidia

 

    Quanto gli era mancato guidare per le strade di Los Angeles! Spingere l’acceleratore e bruciare i semafori gli avevano sempre procurato una grande adrenalina e fatto sentire il vero padrone del mondo, alla faccia di suo Padre. Si divertiva soprattutto a corrompere quei poliziotti troppo solerti che lo fermavano: era divertente scoprire i loro desideri nascosti, soprattutto quando questi riguardavano l’abuso di potere. Questa volta volta, però, ebbe l’impulso di scendere dall’auto e fracassare il cranio all’uomo in divisa che lo stava guardando ancora inebetito: «Quando mi capita di fermare un veicolo, e mi accorgo che è guidato da una persona di colore, mi piace trascinarlo fuori come un delinquente comune e umiliarlo facendolo sdraiare a terra con le gambe divaricate e le mani sopra la nuca. Quando si tratta di donne, poi, godo in modo particolare a perquisirle in modo molto minuzioso», gli aveva appena confessato, inumidendosi le labbra. Si limitò solo a stringere il volante sforzandosi di sorridere, conscio della presenza di Alma: nonostante i suoi sforzi, la bambina continuava a vederlo come un mero esemplare di sesso maschile. Era frustrante! Altrettanto frustrante erano le sedute da Linda: anche con lei, Alma si apriva molto poco e c’era pure la questione che la donna volesse riprendere ad analizzarlo e lui, con tutta la buona volontà, ne ne capiva il motivo: dopotutto, era guarito, era finalmente riuscito ad accettare il proprio lato oscuro, ma la cognata non era d’accordo con lui. O, meglio, era contenta che fosse riuscito a raggiungere questo livello, ma, diceva, doveva fare un ulteriore passo avanti e doveva farlo tenendo per mano Alma Lucinda. Quando glielo aveva suggerito, non era riuscito a trattenersi: «È proprio necessario il contatto fisico?» Alma Lucinda sarà anche stata sua nipote, la figlia della sua sorella preferita, ma era pur sempre una bambina e va bene proteggerla dall’orco cattivo, ma, insomma, era pur sempre un’umana troppo piccola per i suoi gusti. Alma, che era presente alla seduta, non aveva dato segno di averlo udito e aveva continuato a giocherellare con una bambola che lui le aveva comprato per farle capire che non era come l’orco con cui era cresciuta. Linda, però, gli aveva lanciato uno sguardo di fuoco, sbottando: «Sì, Lucifer! Alma ha bisogno di sentirti dalla sua parte – anche fisicamente – e non provare a dire una delle tue battute!» Lo aveva avvertito, vedendolo sporgersi un po’ in avanti e infatti l’uomo rimase con la bocca semiaperta qualche secondo, prima di stirarsi un po’ la giacca e rimettersi composto sul divano.

Chloe, da parte sua, non lo stava aiutando molto: dopo l’iniziale chiarimento, sembrava prendere tempo, rimandando il trasloco dall’appartamento di Venise all’attico. D’accordo, tra le sue innumerevoli proprietà in California, aveva anche una bellissima villa nelle Hills, ma la riteneva troppo scomoda per il lavoro di entrambi. Senza contare che vivere alla villa l’avrebbe costretto a stare lontano dalla donna che amava per quasi tutta la notte e, a quel punto, che senso avrebbe avuto chiederle di vivere assieme? Certo, avrebbe potuto chiederle di seguirlo, magari facendole cantare qualche canzone mentre lui suonava al piano (per tutti i diavoli, non sapeva suonare, ma sperava che almeno fosse intonata), anche se dubitava che la detective avrebbe acconsentito a stare lontana dalla propria progenie per così tanto tempo, però sarebbe stato divertente leggere lo sgomento sulla sua sua faccia quando glielo avrebbe proposto. Aveva deciso: più tardi, quando l’avrebbe raggiunta in centrale, dopo aver deposto la piccola umana nell’attico – quando avrebbe lasciato Alma alle cure della baby sitter nell’attico, corresse il proprio pensiero – glielo avrebbe chiesto.

«Signore... Signore!» Lo richiamò il poliziotto motociclista.

«Oh, sì», Lucifer prese le banconote dal taschino interno della giacca.

Di nuovo, l’uomo si umettò le labbra.

Non gli era mai capitato prima, ma mentre gli porgeva cinquecento dollari, Lucifer sentì le proprie viscere ribollire: non era voglia di punire un peccatore, ma vera e propria nausea.

Quando riprese la marcia, cercò di rispettare i limiti di velocità – non aveva voglia di incontrare un altro piccolo insetto spregevole – e si voltò verso Alma, con l’intento di rassicurarla, con un sorriso o una parola, ma la bambina guardava con insistenza il marciapiede che correva alla sua destra. Con un sospiro di rasseganzione, Lucifer tornò a guardare la strada davanti a sè. Come faceva ad avere un contatto fisico con lei, se si rifiutava perfino di guardarlo in faccia?

E va bene, si disse, sterzando a destra. Alma sussultò: nell’ultima settimana aveva fatto quella strada con lo zio abbastanza volte per capire che quella deviazione non conduceva all’attico. Cominciò a tremare: quando suo padre andava a prenderla a scuola, le deviazioni che faceva avevano sempre uno scopo. Lucifer, però, era troppo concentrato nel proprio proposito per accorgersi del cambiamento in atto. Quando parcheggiò davanti al parco, si voltò per parlarle, ma la vide schiacciata contro lo schienale in pelle e le mani che stringevano il bordo della maglietta, nell’inutile tentativo di allungarla. Ci vuole tempo Lucifer, gli ricordava sempre Linda, ma se da un lato gli sanguinava il cuore a vedere la nipote in quello stato, dall’altro cominciava a scalpitare e la latitanza di Rokwell non aiutava a lenire la sua frustrazione. Deglutendo, cercò di indurire il proprio cuore, scoprendo che, se era stato abbastanza facile suggerirlo a un estraneo – come aveva fatto a Ramses nei confronti di Mosè – tutt’altra cosa era metterlo in pratica in prima persona. Tuttavia, si incaponì: dopotutto, nel Medioevo i genitori non discutevano con i propri figli, ordinavano ciò che dovevano fare e la prole ubbidiva, senza sterili obiezioni. «Siamo arrivati», le disse solo, scendendo dalla macchina e facendo il giro per aprirle la portiera. Si aspettava che Alma le chiedesse dov’erano, che cosa avesse intenzione di fare. Nulla di tutto questo accadde: la bambina scese in silenzio, con la testa bassa. Facendo violenza al proprio carattere, Lucifer la prese per mano, avvertendone l’irriggidamento.

Doveva parlarle subito? Oppure, doveva accompagnarla alla panchina più vicino, farla sedere e inginocchiarsi davanti a lei, sporcandosi in modo irrimediabile i nuovissimi pantaloni neri Armani?

Scelse la prima ipotesi.

Alma non gli rispondeva: continuava a guardare dritto davanti a sè. Furono superati da un uomo che si allenava e il cui abbigliamento – pantaloncini viola e maglietta rossa – fece rabbrividire Lucifer. Poco lontano da loro c’era una postazione ambulante che vendeva zucchero filato: Lucifer decise che poteva essere il giusto corollario al suo discorso.

Devi parlarle il più possibile e farle domande aperte, in modo che non risponda solo con un sì o un no, ma possa esprimere liberamente la propria opinione, gli ripeteva sempre Linda.

«Ho voglia di zucchero filato, tu?» Le chiese quindi Lucifer.

«Sì», gli rispose soltanto.

La mano gli prudeva, voleva grattarsela: quindi, anche se Linda avesse avuto da ridire su quella risposta, lui, invece, gliene fu grato perché gli offriva proprio l’occasione di interrompere il contatto. Ponendosi davanti alla bambina, si abbassò alla sua altezza, facendo leva sulla punta dei piedi e molleggiando sulle ginocchia: «Che cosa vuoi dire con “sì”?»

Alma cominciò a iperventilare, guardandosi attorno.

«Alma», la richiamò lo zio, facendola girare di nuovo verso di lui, «ti ho fatto una domanda».

Doveva rispondergli, lo sapeva, ma che cosa voleva sentirsi dire? A lei lo zucchero filato non piaceva perché le ricordava sempre quei momenti: suo padre lo considerava come una ricompensa, ma lui? Finora, lui le aveva dimostrato di essere dalla sua parte, di proteggerla, non si era opposto quando quella donna – la dottoressa Linda, la chiamava Lucifer – gli aveva detto di aspettare fuori dalla porta, mentre cercava di capire come aiutarla. Eppure, aveva paura.

Per l’ennesima volta, Lucifer sospirò. Stava per riprendere il discorso, quando l’uomo dall’improbabile completo sportivo urlò.

 

§ § § § § § § § § §

 

    «È una fortuna che Lucifer si trovasse già qui... Voglio dire: è una tragedia, ma almeno ha visto particolari che ci possono essere utili», commentò Ella mentre analizzava il cadavere: era un uomo sulla cinquantina, con una pronunciata stempiatura ai lati e dal fisico non proprio asciutto – forse proprio per questo si stava dedicando al jogging, pensò la ragazza.

«Lucifer non ha visto niente: era intento a comprare lo zucchero filato alla nipote. Non che avessi dubbi al riguardo», la contraddisse Daniel, chiudendo il taccuino.

«È incredibile come quella bambina lo stia cambiando in meglio ed è molto bello che anche tu gli stia dando finalmente una possibilità», Ella alzò un attimo lo sguardo dal cadavere, sospirando: a un primo esame, non risultavano ferite letali.

Dan voleva contraddirla, ma poi decise che non ne valeva la pena deluderla, quindi indicò l’uomo: «Non hai trovato nessuna ferita sospetta?»

«Niente di niente. Al momento, non mi sento di escludere un banale infarto fulminante», si arrese Ella.

«I testimoni dicono di averlo sentito urlare. Non ho mai avuto un infarto, ma non penso che un dolore del genere ti lasci la forza di urlare», convenne l’uomo.

«Hai ragione», gli concesse il medico forense, prima di tornare a inginocchiarsi accanto al cadavere. «Ehi, guarda qui!» Esclamò a un tratto, indicando un punto sul braccio che stava cominciando a gonfiarsi.

«Pensi sia questa la causa della morte?»

«Non ne sono sicura al cento per cento, però è strano che non abbia notato subito questo ponfo, a meno che non si sia gonfiato in un secondo tempo, ma questa velocità indica solo una cosa: avvelenamento», sentenziò la donna.

«Un altro dottor Carlisle?» si allarmò Dan, deglutendo al ricordo di come Chloe avesse seriamente rischiato di morire quella volta.

Ella sgrnò gli occhi, ruotando più volte lo sguardo da Dan alla vittima: «Stai pensando a un emulatore?»

«Penso che dovremmo vagliare tutte le ipotesi... Hai trovato il suo cellulare, per caso? Magari aveva ricevuto qualche mail minatoria».

«Il dottor Carlisle non era solito inviare e-mail a terze persone?» Obiettò Ella.

«Stai dicendo che dobbiamo aspettare che qualcuno si faccia vivo dicendo di aver ricevuto quel genere di messaggi e che l’aveva ignorato pensando a uno scherzo? Uhm, conosco un giornalista che potrebbe aiutarci a diffondere la notizia», rifletté.

Mentre raggiungeva l’auto, Lucifer lo chiamò: «Dan, Daniel, dov’è Chloe? Perché non è venuta lei, non sta bene?»

Senza voltarsi a guardarlo, gli spiegò che era stata trattenuta in centrale dal capo Monroe.

Poco distante, Ella scosse la testa: prima aveva creduto che i due uomini avessero deposto l’ascia di guerra, ma a quanto pare la sua era solo una mera illusione.

«Non ti preoccupare, prima o poi diventaranno amici per la pelle», Azrael apparve all’improvviso alle sue spalle, facendola sobbalzare. «Almeno credo», aggiunse, sollevando le spalle.

Continuando a esaminare il cadavere e cercando di non farsi notare dagli altri poliziotti della scientifica, le chiese a denti stretti se era nei paraggi al momento dell’aggressione, ottenendo, però, una risposta negativa. «Fantastico», sbuffò, a voce alta. Al poliziotto che la scrutò, si affrettò a spiegare che la sua era solo un’esclamazione avvilita. Diede quindi istruzione agli agenti e, recuperati i suoi strumenti, si avviò alla propria auto.

«Ciao, piccola, come stai? Zio Luc-ifer», si sbrigò ad aggiungere, vista l’occhiata fiammeggiante dell’uomo, «ti ha comprato lo zucchero filato? Lo sai che da bambina io lo a-do-ra-vo? Facevo di tutto per farmelo comprare», le fece l’occhiolino.

«A me non piace», si lasciò sfuggire la bambina. Quando si accorse di quello che aveva detto, si tappò la mano con la bocca, ma ormai la gaffe era stata fatta.

I due adulti si scambiarono dapprima uno sguardo imbarazzato, quindi Lucifersi si rivolse contrariato alla nipote: «Perché hai lasciato che te lo comprassi?»

Alma abbassò lo sguardo e cominciò a tremare, portando all’esasperanzione lo zio, che sbottò e girò il viso da un’altra parte: tutta quella storia stava cominciando a stancarlo.

Ella iniziava a sentirsi di troppo, ciononostante caqpiva che all’amico serviva un aiuto concreto, più che vaghi suggerimenti, così si rivolse alla bambina: «Sai, io sono cresciuta con tanti fratelli e non so quanto possa essere difficile essere figli unici e posso solo immaginare l’inferno che hai passato con tuo padre che pichiava te e tua madre e purtroppo non posso nemmeno dirti che tuo padre sia l’unico uomo cattivo che incontrerai, ma devi fidarti di tuo zio: lui non è come quegli uomini e, anzi, ti posso assicurare che farà di tutto per proteggerti da quegli esseri, però devi fidarti di lui, devi dargli la possibilità di renderti davvero felice, ma lui non potrà farlo se non sarai sincera al cento per cento con lui, anche a costo di dirgli qualcosa che magari non gli piac erà... ma, ehi, sai una cosa? Non spetta a noi decidere che cosa gli altri vogliano o non vogliano sentirsi dire». Ella aveva cercato di mantenere un tono di voce quanto più possibile dolce, anche se l’ultima frase era stata piuttosto dura.

Lucifer la stava guardando sorpreso, mentre ad Alma le si stavano riempiendo gli occhi di lacrime: «Io... io non...», un singhiozzo le impedì di continuare ed Ella la abbracciò: «Non devi sentirti in colpa, tesoro, non volevo sgridarti, volevo solo spiegarti che tuo zio ti vuole bene e che questa è una situazione nuova per tutti. Sai, anch’io quando mi sono trasferita, all’inizio mi sono sentita spaesata, ma poi gli amici mi hanno aiutato ad ambientarmi e tuo zio era uno di questi e...»

«D’accordo, signorina Lopez, ti ringrazio», Lucifer le appoggiò le mani sugli avambracci e la spostò in modo delicato, interrompendo il suo sproloquio, «ma ora devo accompagnare Lucinda a casa, visto che la baby sitter ci sta aspettando».

«Lucifer! Non l’hai ancora iscritta a scuola?» Si scandalizzò l’amica.

«Non ne ho avuto il tempo», si giustificò.

«Guarda che l’istruzione è obbligatoria», lo rimproverò. «E poi Alma Lucinda ha bisogno di interagire con i suoi coetanei: in questo modo si ambienterà più in fretta».

«Va bene, signorina Lopez. Domani andrò alla scuola di Trixie e la iscriverò».

«Bene», lo approvò.

 

§ § § § § § § § § §

 

 

    L’ufficio di Olivia Monroe era enorme, con la moquette grigia e le pareti bianche, su una delle quali campeggiavano una fotografia del presidente Trump e i ricordi di una vita in polizia, a partire da quella del giuramento della giovane recluta. Sulla scrivania, invece, gli unici oggetti presenti erano la classica paccottiglia da cartoleria: nessuna foto personale.

«Se accettassi la promozione, non potrei più seguire i casi in modo diretto», riflettè Chloe.

«Non presterà più servizio “attivo”, diciamo, quindi dovrà seguire tutti i casi dal suo ufficio, ma potrà partecipare in modo più diretto a qualche indagine particolarmente delicata», le spiegò l’ex tenente, ora capo del Dipartimento.

«Quindi non avrò neanche più bisogno di un partner», constatò.

«È un problema?» La domanda suonò all’orecchio della detective come una provocazione, di conseguenza rispose sulla difensiva: «No, certo che no».

«Bene, perché in compenso avrà contatti pressoché quotidiani con l’ufficio del procuratore, oltre a dover interagire anche con gli avvocati difensori e non come ha fatto finora, ma agendo da cuscinetto tra loro e le intemperanze di certi agenti. Ci sono però anche dei vantaggi: un aumento della paga e una diminuzione dei rischi propri della nostra professione».

«Come anche una diminuzione del tempo libero», acclarò a voce alta Chloe.

«Ogni cosa ha un suo prezzo», chiarì l’altra. «La cerimonia avverrà la prossima settimana», concluse.

«Veramente, non ho ancora accettato», obiettò.

«Intende rifiutare?» Olivia, che aveva appena abbassato lo sguardo su alcuni documenti, tornò a guardare quella che un tempo le aveva dato non pochi problemi col caso di Palmetto Street.

«No, non ho detto questo: vorrei avere un po’ di tempo per pensarci su».

«Non ce l’ha», tagliò corto l’altra.

«Quindi sono il nuovo tenente della Omicidi».

«Dalla prossima settimana. Sì», confermò Olivia.

Uscì dall’ufficio frastornata, tanto che le persone che come lei affollavano il corridoio dell’ultimo piano sembravano muoversi al rallentatore. Mentre aspettava l’ascensore sbuffò. C’era anche la questione irrisolta del suo trasloco da Lucifer, sul quale non aveva ancora preso una decisione: da una parte, nonostante la rassicurazione dell’uomo – diavolo – temeva una rivolta dei demoni e quindi era spinta a voler vivere ogni secondo a sua disposizione accanto all’uomo che amava, ma dall’altra, un attico sopra un night club non le sembrava l’ideale per crescere due bambine, tanto più che una delle due era figlia di un uomo che aveva accettato Lucifer solo perché lei glielo aveva imposto. C’era poi un’altra questione, prettamente femminista: perché doveva essere la donna a trasferirsi a casa dell’uomo, e non viceversa? D’altro canto, riflettè ancora, battendo il piede in modo ritmico spazientita dal ritardo dell’ascensore – ma quante persone, in quel palazzo, ne usufruivano? – non poteva neanche pretendere che un uomo abituato al lusso più sfrenato potesse abituarsi a vivere in un piccolo appartamento, addirittura con tre donne, due delle quali stavano per affrontare le pene del ciclo, e far provare al Re degli Inferi in persona le pene del pre-ciclo. Sorrise al pensiero di un Lucifer punito da una situazione prettamente umana ed esclusivamente femminile.

Le porte dell’ascensore si aprirono proprio mentre Chloe prese coscienza in modo pieno e inequivocabile che la sua promozione le aveva tolto anche la possibilità di scegliere il suo futuro con Lucifer: il libero arbitrio era dunque una pura illusione? Come poteva essere la massima espressione del potere del Diavolo, se non esisteva? Scendere con l’ascensore fino al piano dove c’era la sua scrivania, dette a Chloe l’impressione di una discesa agli Inferi.

«Chloe», la chiamò Dan, non appena uscì dalla cabina. «Ci sono problemi ai piani alti?»

«Più o meno», tergiversò la donna, che non aveva nessuna intenzione di affrontare in quel preciso momento il discorso “promozione”.

«Che cosa vuoi dire? Ti sei sempre comportata in modo più che corretto, dopo Palmetto Street. Anche prima», si affrettò ad aggiungere, visto lo sguardo infuriato che gli rivolse l’ex moglie.

«Mi sono comportata in modo corretto anche DURANTE il caso», lo riprese. «Sai che ti dico? Non c’è nessun problema – anzi, IO non ho nessun problema con i piani alti», lo preso per il gomito e quasi lo trascinò nella sala riunioni. Aveva cambiato idea: tanto valeva parlarne subito, almeno con Dan ed Ella.

«D’accordo, via il dente, via il dolore», sbuffò. «Sono stata promossa», buttò fuori tutto d’un fiato.

«Che cosa?» Daniel era incredulo.

«La prossima settimana ci sarà la cerimonia e da quel momento io sarò il nuovo tenente della Sezione Omicidi».

«Wow!» Esclamò l’uomo. «Non puoi accettare», sentenziò subito dopo.

«Che cosa?» Chloe non credeva alle sue orecchie: si era aspettata un attestato di stima. Un abbraccio, magari.

«Ti rendi conto che questa promozione comporterà un aumento degli straordinari e che quindi avrai meno tempo da dedicare a Trixie?»

«Mi stai ricattando, Dan?»

«Certo che no, voglio solo che tu rifletta attentamente prima di accettare».

«No, tu vuoi che io rinunci alla mia carriera e che continui a prendere ordini da un uomo, magari proprio da te», lo accusò.

«Non ho detto questo», si difese lui.

«Lo hai lasciato intendere».

«Sono responsabile solo di ciò che dico, non di quello che interpreti tu», la accusò lui a sua volta.

«Molto bene», tagliò corto Chloe. «Hai ragione: il mio nuovo lavoro porterà via del tempo alla mia vita domestica, ma al tempo stesso ridurrà i rischi a Trixie di rimanere orfana di madre prima del tempo. Inoltre, vorrei farti presente che non sono l’unica persona in questa stanza che ha frainteso il discorso: io, infatti, non stavo chiedendo il tuo permesso, ma ti stavo informando di ciò che è appena successo».

«Hai deciso di mettermi di fronte al fatto compiuto», sentenziò Dan, sospirando di disapprovazione. «Mi hai deluso, Chloe».

«Credevi mi chiamassi Difred, per caso?»

Dan, che stava uscendo, battè piano un pugno contro lo stipite della porta a vetro, prima di girarsi di nuovo verso il suo futuro nuovo superiore: «Sai che ti dico, Chloe? Che tu e Lucifer dovreste scopare di più. Forse, allora, saresti meno nervosa». Si pentì subito delle parole, ma ormai le aveva pronunciate e queste fluttuavano nell’aria tra i due, come mattoni invisibili che si ammassavano l’un sull’altro nella costruzione di un muto, invisibile sì, ma invalicabile.

La donna si avvicinò lentamente all’uomo e lo schiaffeggiò: «Sai che ti dico, Dan? Dalla prossima settimana farai coppia fissa con Lucifer. E anche questa non è una richiesta, ma un ordine». Se ne andò, colpendolo di lato con una spallata.

Si rifugiò nello studio di Ella, in cerca di una comprensione che sperava di ricevere almeno dall’amica: «Ciao, Ella. Abbiamo qualcosa?»

La ragazza alzò gli occhi dal microscopio digitale: «Sì, da un primo esame, sembrerebbe che il nostro uomo sia stato avvicinato da qualcuno che gli ha iniettato del Prinix»

«Aspetta. Di che cosa stai parlando?» La interruppe.

«Dell’omicidio nel parco. Non era di questo che Dan stava parlando con te, poco fa?»

«Stavamo litigando della mia promozione, a essere sinceri».

«Wow! Sei stata promossa? È per questo che non eri con noi al parco?» Ella corse ad abbracciarla.

Chloe si sentì invadere dal calore e dal profumo misto alla formaldeide che impregnava gli abiti dell’amica. Era tutto quello di cui aveva bisogno.

«Già. Il capo Monroe mi ha trattenuto nel suo ufficio per comunicarmi che la prossima settimana ci sarà la cerimonia di conferimento», la mise al corrente.

«Da quanto tempo lo sapevi?» Le chiese.

A differenza di quanto avvenuto poco prima con Dan, non lesse nella frase di Ella la stessa accusa che al contrario Dan aveva lasciato trasparire. O forse era lei che era prevenuta?

«È questo il problema, Ella. L’ho saputo solo stamattina».

«Stai dicendo che non ti hanno dato la possibilità di scegliere? Non sono stati molto carini», constatò il medico legale.

«Per usare un eufemismo», convenne l’altra.

«Forse dipende dal fatto che quelli dei piani alti conoscono il tuo valore e non volevano lasciarsi sfuggire un’occasione del genere», provò a convincerla.

«È proprio questo che non mi piace: essere considerata un oggetto, un’occasione, e non una persona con desideri e priorità. Perfino a Dan non interessano i miei desideri».

«Oh, tesoro, non è vero: è solo preoccupato», la indusse a riflettere.

«Sai perché abbiamo litigato? Perché appena l’ho informato, mi ha imposto di rinunciare».

Ella l’abbracciò di nuovo, in silenzio.

«Ora devo dirlo solo più a Lucifer, a Trixie, a mia madre e al resto della squadra, non necessariamente in quest’ordine», osservò, sciogliendosi dall’abbraccio. «A proposito, dov’è Lucifer?»

«Oh, giusto. Al momento dell’omicidio si trovava al parco, ma era in compagnia di Alma Lucinda e così l’ha acompagnata a casa. Credo sarà qui a breve. Sai, penso che quella ragazzina gli stia dando qualche problema, anche se credo lo stia aiutando a maturare», le raccontò quanto avvenuto poco prima.

«Sì, penso anch’io siano l’uno la medicina dell’altro...», convenne Chloe, ma Ella la interruppe con un urlo di giubilo: «Oh, parli del diavolo e spuntano le corna».

«Ha ripreso la sua forma demoniaca?» Si preoccupò l’altra, volgendosi verso l’esterno, ma tranquillizandosi nel vederlo sorridente come sempre. «Sì, certo, è un modo di dire, lo so», mosse la testa su e giù, tranquillizzando anche Ella. «Vado a parlargli».

«Detective! Ti stavo cercando».

«Anch’io. Vieni, dobbiamo parlare», lo condusse nella sala riunioni, mentre Dan ed Ella li osservavano in silenzio.

«Quando voi umani esordite in questo modo, non sono mai belle notizie. Soprattutto se siete esponenti di sesso femminile», scherzò Lucifer.

«Ah-ah: questa battuta sessista dovrebbe farmi ridere?» Lo fulminò incrociando le braccia sul petto.

«Non è una battuta sessista: è una considerazione dovuta ad anni – millenni, per essere precisi – di esperienza sul campo».

«Dimenticavo che sei un esperto di esponenti femminili», lo freddò.

«Ah-ah: adesso dovrei essere io a ridere?»

«Nemmeno la mia era una battuta: è dovuta ad anni – solo un paio, per la verità», ammise, piegando la testa di lato, «di tua frequentazione».

«Touché, detective. Comunque ti stavo cercando per parlarti del tuo trasloco».

«Parleremo anche di questo, ma prima devo dirti una cosa che lo riguarda: sono stata promossa».

«Ma è fantastico, detective! No, aspetta: come dovrei chiamarti adesso? Perché immagino che non sarai più detective»

«Tenente».

«Tenente? Questa è una notizia che va festeggiata con lo champagne!» Esultò Lucifer, abbracciandola, ma Chloe si irrigidì e allontanandolo un poco, alzò il viso per guardarlo in volto. Non c’era traccia di malizia nel suo sguardo, tuttavia glielo chiese: «Perché?»

«Come: perché? Ogni promozione deve essere festeggiata».

«Non perché sono una donna ed è una cosa quasi impensabile per il mio sesso arrivare a tanto?»

«Beh, non mi sembra che Olivia Monroe fosse un uomo quando era tenente di questa Sezione e poi io non ho mai avuto questo genere di pregiudizi: non per niente il Frutto della Conoscenza l’ho offerto a una donna: Adamo era troppo imbecille per apprezzarlo».

Eva, il cui assassino era ancora in libertà e questa volta fu Chloe che lo abbracciò.

«Detective...», inspirò il profumo del suo shampoo. «Anzi, tenente».

Chloe avvertì il suo sorriso.

«No, non va bene neanche tenente», si corresse subito lui.

«Come, no?». Per la seconda volta si staccò da lui, guardandolo incuriosita.

«Tutti ti chiameranno tenente».

«Beh, sai, sarà il mio grado».

«Io non sono tutti», continuò Lucifer, come se non l’avesse sentita.

«Potrai sempre chiamarmi col mio nome: nessuno lo farà più».

«Tranne le tue amiche e tua madre. E Dan», la corresse.

«Devi distinguerti sempre da tutti, non è vero?»

«Certo tenente: stiamo parlando di me!»

Chloe abbassò la testa, sorridendo: «I grandi problemi dell’umanità. D’accordo, ne discuteremo stasera a cena: chissà che Trixie e Alma non sappiano suggerirti qualcosa di geniale? Adesso vado a dirlo al resto della squadra».

Prima di uscire, si voltò verso l’uomo: «Lucifer, grazie».

«Di che cosa, tenente?»

«Di essere dalla mia parte».

«Secondo te, mi sarei perso l’occasione di condividere un vero ufficio e comandare questi piccoli umani?» Scherzò, ma Chloe richiuse la porta e lo mise al corrente della sua decisione.

Il sorriso gli si spense all’istante: «Stai scherzando, spero», la voce roca.

«Mai stata così seria».

«Non puoi punirmi in questo modo: non ho fatto niente di male», cercò di convincerla.

«Tranne andare a letto con mezza Los Angeles», gli ricordò l’inchiesta sulla morte di Jana.

«Tu non volevi iniziare una relazione con me», l’accusò.

«Certo, tu volevi solo portarmi a letto», lo biasimò.

«Non puoi saperlo. D’accordo», alzò le mani in segno di resa, quando lei lo guardò gonfiando le guance. «All’inizio volevo portarti a letto perché avevo scoperto che mi rendevi fisicamente vulnerabile e siccome Linda a quell’epoca credeva parlassi per metafore, mi aveva suggerito di farti scendere dal piedistallo, il che per me significava solo una cosa: fare sesso, in modo da ridimensionare l’importanza che ti stavo dando».

«Non condivido il tuo pensiero, ma devo ammettere che c’è una logica demoniaca in questo delirio. Comunque, il mio è un ordine a tutti gli effetti e non intendo fare marcia indietro».

«Ma... Letenati

«Eh?» Chloe arricciò il naso.

«Tenente. In Samoano».

 

§ § § § § § § § § §

 

    Niente. La vita dell’uomo del parco era, a differenza del completo che aveva indossato l’ultimo giorno della sua vita, grigia. Vuota. Non solo perché non risultava nulla negli archivi della polizia (in fondo dei quattro milioni di abitanti di Los Angeles, solo una minima parte erano pregiudicati), ma anche perché un fantasma risultava essere più visibile di lui, almeno stando al ritratto che ne avevano fatto colleghi e vicini di casa. Una nullità, per Lucifer.

«Non lo definirei proprio così», intervenne Daniel.

Chloe lo squadrò, attenta.

Lucifer strinse la mascella, ma per amore di Chloe non rispose.

Così, Dan continuò: «Intendo dire che, per la mia esperienza di detective, le persone che paiono immacolate, che non hanno nemmeno una multa, sono le più sospettabili».

«Ha ragione Dan», lo appoggiò Chloe: «Deve avere per forza qualche scheletro nell’armadio».

«Il problema è che non può dircelo, visto che è morto stecchito».

«Tu hai qualche idea?» Domandò Chloe a Lucifer.

«Prima ipotesi: che cosa può spingere un uomo a uccidere un perfetto sconosciuto? Quindi qualcuno potrebbe voler emulare il non compiato dottor Carlisle. Seconda ipotesi: se davvero quest’uomo non è così immacolato come sembra, quale peccato può essere considerato così grave da poter compensare la dannazione della propria anima? L’immortalità tanto cara a Voldemort non vale».

«Stiamo parlando di un omicidio e tu pensi a scherzare? C’è mai qualcosa che riesci a prendere sul serio?» Lo rimproverò Daniel.

«Sì: me stesso».

Chloe si prese la testa tra le mani: sarebbe mai riuscita a far convivere in pace quei due testoni? E se la sua trovata di farli lavorare in coppia si sarebbe risolta con il Dipartimento che saltava in aria? Calma, un problema alla volta, si disse: intanto, Lucifer e Daniel avrebbero cominciato a lavorare da soli in coppia solo a partire dal prossimo lunedì, quindi aveva ancora cinque giorni di tempo per cercare di farli andare d’accordo. Per ora, quel caso aveva la massima priorità. Il problema era che aveva appunto solo cinque giorni di tempo per trovare il colpevole e assicurarlo alla giustizia, se voleva chiudere con un successo.

Non sarebbero mai stati amici, di questo Dan era sicuro, ma se voleva vincere Lucifer, non doveva cadere nelle sue provocazioni, decise, perciò, di ignorare la sua risposta: «Escludendo quindi l’immortalità, direi che qualcuno vuole dimostrare qualcosa a tutto il mondo, proprio come il dottor Carlisle: peccato che nessuno dei medici radiati conoscesse la nostra vittima».

«Proprio come il dottor Carlisle», lo corresse Lucifer, «il che ci porta alla domanda iniziale: perché uccidere un uomo noioso? Non certo per invidia».

«O forse proprio per invidia», considerò Chloe.

«Andiamo, letenati: non ha senso. Se volessi punire un invidioso, gli asporterei il cervello», la contraddisse il compagno.

«Letenati?» Dan fece una smorfia, guardando Chloe.

«Tenente in Samoano», gli spiegò lei.

«È orribile», convenne.

«Faglielo capire», indicò Lucifer, il quale finse di offendersi: «Perché? Ogni lingua è bella, e poi è originale: qua dentro nessuno ti chiamerà in quel modo».

«Questo è poco, ma sicuro», borbottò Chloe. «A ogni modo, siamo al punto di partenza: perché avvelenare un perfetto sconosciuto?»

«Per rendere il mondo un posto migliore», ipotizzò ancora Lucifer.

Gli altri due lo guardarono incuriositi, il che lo spinse a spiegarsi: «In genere, si uccide per difesa, per reagire a un pericolo vero o immaginario che sia, ma la nostra vittima è un uomo a cui non interessa vivere: a lui basta sopravvivere. Magari la sua ignavia infastidiva qualche suo conoscente impegnato in attività di volontariato».

«Faccio subito dei controlli incrociati, gli concesse Daniel, facendo brillare gli occhi di rispetto a Chloe, la quale invitò il compagno ad aiutarlo.

«Non ci penso proprio: questa parte delle indagini mi annoia».

«Dovrai farci l’abitudine, invece», l’ammonì.

«Con te non l’ho mai fatto», replicò.

«Ora lo farai», Chloe mantenne il punto.

«Perché me lo ordini tu?» La provocò.

«Esatto», sostenne il suo sguardo.

«Ma sarai tenente operativa solo dal prossimo lunedì, per...»

Chloe lo interruppe: «Perciò sei esantato dall’usare quel terribile vocabolo straniero» e lo congedò agitando le dita della mano destra distesa a mezz’aria.

Lucifer sbuffò, ma per quanto quella parte dell’indagine lo annoiasse, non voleva allontanarsi da Chloe: per questo, fece buon viso a cattivo gioco e finse di aiutarla con la sua parte di fascicoli.

 

§ § § § § § § § § §

 

    Tra i nomi esaminati, era saltato all’occhio degli investigatori quello di Inez Dixon, una vicina di casa della vittima, volontaria presso una struttura di recupero di tossicodipendendi.

Ad arrestarla erano andati Dan e Lucifer: come favore personale, li aveva implorati Chloe.

Durante tutto il tragitto dal Dipartimento fino all’abitazione della donna, Lucifer non aveva fatto altro che sbuffare, tanto che più di una volta Dan era stato tentato di fermare l’auto e far scendere il compagno di viaggio. A trattenerlo era stato il ricordo dello sguardo di Chloe: sapeva di averla delusa con la sua sfuriata e che quello era l’unico modo al momento di fare ammenda.

Le cose in Centrale non furono diverse: Chloe rimase al di là del vetro, lasciando che a interrogare la presunta colpevole fossero sempre loro due.

La donna tremava, come se qualcuno la stesse spaventando, ma Lucifer, per quanto amasse dire a tutti che era il Diavolo, non amava mostrare il suo volto demoniaco, anzi, quello era un aspetto di sé che cercava di tenere nascosto il più possibile, quasi negandolo a se stesso ed era altrettanto sicura che durante l’arresto Dan non l’avesse maltrattata: sia perché non era il tipo, sia perché Lucifer non gli avrebbe permesso di torcere un capello a una donna, per quanto lei stessa avesse avuto modo di constatare la violenza del proprio partner, ma sempre contro esponenti del sesso maschile. Anzi, nei confronti delle donne Lucifer era quasi protettivo.

«Dimmi, piccola peccatrice», esordì Lucifer.

Dalla sua posizione, Chloe poteva vedere solo la schiena dei due uomini, ma immaginò benissimo Daniel che alzava gli occhi spazientito per quello che lui considerava solo un “trucchetto da quattro soldi”.

«Che cosa desideri veramente, uhm? Volevi punire quel piccolo insulso insetto del tuo vicino, non è vero?» Stava continuando Lucifer.

«Io... Io...», cominciò la donna, fissando Lucifer.

«Sì?», la imbeccò lui.

«Voglio che questa storia finisca presto», esalò, sentendosi libera di un peso.

Dan prese la palla al balzo: «Confessa l’omicidio e questa storia finirà subito».

«Non mi sembrava giusto che un uomo senza arte né parte vivesse senza problemi apparenti, mentre giovani promettenti si ritrovavano con la carriera bruciata, o addirittura la vita, solo per un errore, così... così...», confessò Inez.

«Così hai deciso di punire un innocente», terminò per lei Lucifer, con la voce roca.

Chloe temette che il suo lato demoniaco prendesse il sopravvento.

«Sì», proferì la donna.

Chloe notò che non guardava più Lucifer negli occhi, segno che si era accorta del suo potere e cercava di nascondere qualcosa.

Aveva confessato, però, e il caso era chiuso.

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N.d.A.: Innanzitutto, vorrei scusarmi per l'enorme ritardo con cui ho postato questo capitolo. Ringrazio tutti coloro che stanno leggendo la mia storia, sia che lascino un segno del loro passaggio, sia che rimangano in silenzio (anch'io ammetto di essere per lo più una lettrice silenziosa). Ringrazio, inoltre, chi mette questo racconto tra le storie seguite/preferite/ricordate.

A un certo punto, in questo capitolo faccio riferimento a un vecchio capolovoro di Margareth Atwood, "Il racconto dell'Ancella", recentemente tornato agli onori della cronaca, anche per certi brutti (per me, che sono a favore dell'autodeterminazione della donna) fatti di cronaca: per chi non l'avesse ancora letto e amasse il genere distopico, consiglio vivamente di leggerlo.

Per chi volesse, questo è il link della mia pagina facebook (che non aggiorno da un bel po'): TheMiraesDream


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Capitolo 5
*** Invidia (1) ***


Invidia (parte 1)

 

Si guardò ancora una volta allo specchio, non molto convinta: indossava un semplice abitino di pizzo bianco che le arrivava al ginocchio, accompagnato da una borsa dello stesso colore con i particolari in contrasto che si abbinavano ai sandali dorati. Aveva scelto quelli con la suola piatta, primo perché, da modaiola qual era, sapeva benissimo che di giorno i tacchi non erano il massimo del galateo, secondo perché aveva in programma un pic-nic al Griffith Park e terzo perché proprio la sera prima aveva litigato col fidanzato per il fatto che quest’ultimo considerava il suo abbigliamento “volgare”. Volgare, lei! D’accordo, a volte esagerava con i tubini corti e i tacchi a spillo – ma diavolo! – abitavano a Los Angeles, mica in qualche eremo in Tibet. Fece ancora una piroetta, arricciando il naso: sentiva che mancava qualcosa. Provò con una collana a più giri, ma sul girocollo dell’abito stonava: si guardò intorno, finché l’occhio non cadde su una sciarpa di voile dorato abbandonata sul letto. A questa, aggiunse gli amati Rayban marroni e il risultato questa volta la soddisfece. Guardò l’orologio e storse il naso: se voleva arrivare in tempo per la pausa pranzo del suo fidanzato, avrebbe dovuto pigiare sull’acceleratore, considerato che doveva ancora fermarsi al suo ristorante take away preferito.

Come previsto, arrivò all’Osservatorio Griffith in ritardo. Poco male, anziché mangiare seduti sulle sterpaglie, avrebbero mangiato seduti alla scrivania, circondati dalle immagini delle galassie: molto più comodo e romantico rispetto agli insetti che si arrampicavano sulle gambe e sul cibo.

Quello che non si aspettava, però, di vedere era una ragazza con una gonna così corta che... (com’è che lui una volta aveva definito il suo tubino rosso? Ah, sì, “sfiora patonza”: e poi era lei quella volgare!), avvolta attorno al suo fidanzato come un boa constrictor attorno alla propria vittima, solo che lui sembrava tutt’altro che recalcitrante.

Restò immobile per alcuni secondi come in trance, senza che i due si accorgessero della sua presenza: fu il tonfo del cestino caduto a terra che la riportò alla realtà. Lo stesso rumore fece girare anche i due fedifraghi: «Mary...».

Lei non gli lasciò il tempo di aggiungere altro o di liberarsi dall’abbraccio: si voltò e scappò via. Le lacrime le impedivano di vedere bene la strada, ma non le importava, come non le importava che il mascara e l’eye-liner le colassero macchiandole il viso. Correva giù per il bosco, lasciando che i rami le graffiassero le braccia, quasi che quel dolore fosse una punizione per essere arrivata quasi al punto di annullarsi per poter piacere a una persona. Una persona che lei credeva degna della sua stima, ma che ora comprendeva non valesse una mezz’unghia.

Inciampò, ma non voleva fermarsi, non voleva che Mark la raggiungesse e cercasse di spiegarle: non voleva sentire le sue patetiche scuse, quello che aveva visto con i propri occhi le bastava e avanzava. Cercò di rialzarsi, ma commise l’errore di guardare che cosa aveva interrotto la sua fuga: ricadde seduta all’indietro e cercò di allontanarsi gattonando. Non era la corsa all’impazzata ad averla lasciata senza fiato, ma l’orrore di quel corpo riverso. Aveva perso la borsa: era caduta nell’ufficio o l’aveva persa durante la fuga? Non aveva la forza di alzarsi, quindi avrebbe dovuto aspettare per forza di essere raggiunta da Mark.

Cominciò a urlare.

 

§ § § § § § § § § §

 

La cerimonia di promozione era stata commovente e lei l’aveva dedicata a suo padre: quanto le mancava! Quanto sarebbe stato orgoglioso di vedere la sua scimmietta diventare tenente. Ma se lui non fosse morto, sarebbe diventata una poliziotta, o avrebbe continuato a recitare? Quel mondo non le mancava di certo, visto che non era mai stata molto festaiola, a differenza di sua madre, però era umana e a volte il pensiero di come sarebbe potuta essere la sua vita se quella maledetta notte le cose sarebbero andate in modo diverso le attraversava la mente: avrebbe mai incrociato il cammino di Dan, prima, e di Lucifer, dopo? Guardò in direzione dei due uomini: seduti nella stessa fila, ma separati da Penelope. Proprio poche sere prima aveva litigato con Lucifer a quel riguardo: lei gli aveva esternato quel pensiero, ma lui l’aveva rassicurata dicendo che si sarebbero incontrati lo stesso, essendo lei stata creata apposta per lui.

 

«Sei pessimista, letenati!» Le aveva detto, dopo che lei aveva riflettuto per l’ennesima volta sul “chissà se...”. «Probabile che ci saremmo incontrati a una festa».

«Non sono molto festaiola, non lo sono mai stata», aveva obiettato.

«Ma se fossi rimasta attirce, a qualche festa avresti pure dovuto partecipare e poi sei stata creata apposta per me», si era lasciato scappare, andando a versarsi dell’altro whiskey.

«Che cosa intendi dire?»

«Uhm? Che cosa?» Si era girato verso di lei, deglutendo un lungo sorso.

«Che io sarei stata creata apposta per te».

«Te l’ha detto Amenadiel?» Aveva avuto il coraggio di chiederle, andando a sedersi su una poltrona.

«Ma se l’hai appena detto tu! E che cosa c’entra Amenadiel? Perché lui lo sa e io no? Oh, giusto, lui è tuo fratello, mentre io sono solo... Che cosa sono io per te, eh? Una cosa creata solo per svuotarti i lombi?» Si era accalorata. Aveva preso la borsa e si era diretta verso l’ascensore. Caso strano, Lucifer non l’aveva fermata, ma aveva continuato a sorseggiare la sua bevanda preferita senza staccarle gli occhi di dosso. Solo quando le porte dell’ascensore si erano aperte, lui le aveva posto un’unica domanda: «Non stai dimenticando qualcuno?»

Si era girata a bocca aperta, tenendo con una mano la borsa e con l’altra le chiavi della macchina: Trixie!

Non aveva ancora traslocato in modo definitivo perché voleva che le due bambine si abituassero un po’ per volta alla nuova vita e aveva acconsentito a fermarsi a dormire anche lei nell’attico, sperando che entrambe le bambine avessero il sogno pesante e non era certo quel litigio che si aspettava come gran finale di una serata fino ad allora perfetta.

«Non vorrai che domattina si svegli in un letto non suo, senza sua madre. O peggio, non vorrai svegliarla», alzò le sopracciglia, sorridendole e alzando il bicchiere come un brindisi a se stesso.

«Mi stai ricattando, forse? Non sei diverso da Dan!», si avvicinò a lui a grandi passi.

«No, non puoi mettermi sullo stesso piano del detective Stronzo!» Si scandalizzò il diavolo.

«A no? L’ho appena fatto», constatò lei, quasi buttando borsa e chiavi sul prezioso pianoforte, facendo trasalire Lucifer.

«D’accordo, ti devo delle spiegazioni», le concesse.

Gli si parò davanti con le braccia incrociate: «E che siano credibili».

«Io non mento mai, letenati» – Chloe alzò gli occhi al cielo: odiava quel soprannome – «Sta a te scegliere se credere o no».

«Come se avessi una scelta», borbottò, accettando l’invito di sedersi.

Lucifer notò che si era seduta sul bracciolo, pronta a scattare nel caso la spiegazione non fosse stata di suo gusto.

«Abbiamo sempre una scelta, letenati. Anche noi creature angeliche».

«Allora perché hai detto che ci saremmo incontrati lo stesso perché io sono stata destinata a te?»

Lucifer appoggiò il bicchiere sul tavolo, poi tornò seduto composto, emettendo un profondo sospiro. Si portò le mani giunte davanti alla bocca, come per raccogliere i pensieri: «Da dove comincio? Ah, sì, dall’inizio. Pare che una volta, quasi quarant’anni fa, un poliziotto e un’attrice non riuscissero ad avere figli e quindi chiesero una grazia a mio Padre, il quale mandò niente popodimeno che il primo dei suoi figli a benendire l’attrice. Il primo dei suoi figli è Amenadiel, tanto per rendere onore allo smisurato ego del mio caro fratello», precisò, cercando di smorzare l’atmosfera con una delle sue battute.

«Mi stai dicendo che Amenadiel e mia madre hanno fatto sesso? Io sarei quindi figlia di un angelo e tua nipote?» Si scandalizzò Chloe, facendo scoppiare Lucifer iun una sonora risata: «Cosa?» Esalò. «No, certo che no! Quando è andato a letto con Maze, era ancora vergine! E poi sarebbe disgustoso fare sesso con mio Padre. Posso capire essere ancora arrabbiato con me per la mia Ribellione, ma arrivare a tanto vorrebbe dire avere un macabro senso dell’umorismo, e lui non ha nemmeno una briciola di umorismo, te lo posso assicurare», cercò di tranquillizzarla.

«D’accordo. Quindi io e te non siamo parenti? Nemmeno tipo fratellastri?» Gli chiese ancora.

A Lucifer parve che finalmente la discussione stava prendendo una piega meno burrascosa. «Se ti riferisci a qualche strana inseminazione come quella di Nazareth, no. Assolutamente no. Almeno credo», ammise.

«Come, almeno credi?» Chloe strabuzzò gli occhi.

«Beh, sai com’è: non ero presente. A ogni modo, ritengo che Amenadiel si sia limitato a sfiorare una mano di tua madre per renderla fertile. A volte nostro Padre ci concede quel potere. Tranne a me, ovvio».

«Non mi sembra che cacciandoti dal Paradiso, ti abbia privato del tuo potere di ipnosi», lo contraddisse. «Non divagare, però. Da quanto tempo lo sapevi? Perché me lo dici solo ora?»

«L’ho scoperto durante le indagini sul dottor Carlisle. Me lo disse mia madre. Non sapevo se me lo aveva detto per allontanarmi da te o per velocizzare i miei sentimenti verso di te. Per questo motivo, una volta che tu eri fuori pericolo mi sono allontanato da te. A Las Vegas ho poi incontrato Candy e abbiamo fatto un patto: lei mi avrebbe aiutato a scoprire che cosa si celava nel cervellino di mia madre e io l’avrei aiutata con il suo locale. Per farlo, però, abbiamo dovuto sposarci. Fine della storia».

«Fine della storia?» Tuonò di rimando Chloe. «Quando pensavi di dirmelo? Sul letto di morte, forse?»

«Andiamo, letenati: se allora ti avessi raccontato questa storia, come avresti reagito? Non mi hai mai creduto quando dicevo di essere il diavolo!»

«È per questo che ti rendo vulnerabile?»

Gli occhi rossi di Chloe, gonfi di lacrime non versate, strinsero il cuore a Lucifer: «Non lo so. Potrebbe essere, come potrebbe anche esserci un’altra spiegazione, oltre all’amore», sussurrò.

«Tipo?»

«Ricordi la sera in cui ti pregai di spararmi e che in quel modo scoprii di essere vulmerabile?» A un cenno affermativo della donna, continuò: «Poco prima in auto ti chiesi se tu avevi paura di me e tu lo negasti. Forse quella rivelazione mi fece abbassare le difese, ma la verità è che non lo so».

Chloe arricciò leggermente le labbra, muovendo il capo su e giù: «Spiegazione accettata, ma la cosa non finisce qui», lo avvertì. C’erano ancora tante ombre in quel racconto, ma del resto, riflettè, l’ombra indica una qualche fonte di luce. La luce era Lucifer? Era davvero stata creata per redimerlo? Il libero arbitrio, dunque, per lei non esisteva? O era proprio quella l’essenza del libero arbitrio? Guardò la faccia da schiaffi del suo compagno (adesso lo poteva definire tale a tutti gli effetti) e decise che sì, il libero arbitrio esisteva e lei aveva appena scelto di restare con lui, ma non voleva dargliela vinta fino in fondo, così, quando lui si alzò tenendole la mano, lei gli impose di dormire sul divano.

«Non puoi chiedermi questo, in casa mia!» La guardò meravigliato.

«E cosa pensi dirà Trixie quando si sveglierà domattina e vedrà sua madre sul divano?» Scherzò lei, piegando la testa di lato.

Lucifer la trovò bellissima, ma, tuttavia, in volto gli comparve un sorrisetto di derisione: «Mi stai ricattando, letenati? Da una brava poliziotta come te, non me lo sarei mai aspettato».

Chloe si morse le labbra e, sorridendo, si sporse per dargli una pacca sul sedere, lasciandolo ancora più stupito. Scappò veloce verso la camera da letto, seguita da Lucifer: «Piccola birichina, ti sei appena messa in trapp...». Un cuscino lo colpì in pieno torace. «Questa ti costerà cara», la minacciò, facendo il giro del letto.

Per sfuggirgli, Chloe si arrampicò sul letto, ma Lucifer fu veloce ad afferrarle una caviglia: «Adesso non mi scappi, piccola impertinente», la costrinse a girarsi verso di lui.

Lucifer le si coricò sopra, spostando il proprio peso sulle mani appoggiate al materasso per non soffocarla, ma lei gli piantò le proprie mani sul petto: «No, Lucifer, non funziona così», ebbe a malapena la forza di dire, «ho accettato la tua spiegazione, ma sono ancora arrabbiata, e non abbiamo fatto pace».

«Conosco molti modi per fare la pace», la tentò, cercando di baciarla.

«Me ne basta uno solo. È una parola»,lo bloccò.

Lucifer sospirò: «Davvero, letenati? Vuoi davvero che ti chieda scusa per un qualcosa che non ho commesso io? Anzi, di cui io sono vittima al pari di te?» Si era messo a sedere, dandole la schiena.

Anche Chloe si sedette, appoggiando la propria testa sulla spalla dell’uomo: «Quanto tempo hai impiegato per metabolizzare la scoperta? Per me è lo stesso», cercò di spiegargli.

«Vuoi dire che nel frattempo non vuoi avere niente a che fare con me?» Si girò a guardarla, prendole il viso con due dita.

Chloe piegò la testa sulla mano di Lucifer, per godere appieno di quel contatto: «NO, le due settimane in cui sei stato all’Inferno mi sono più che bastate. È solo che... Non lo so neanch’io. Ti amo, questo lo so...»

«È tutto quello che conta: tu mi ami, io ti amo. Mio Padre, Amenadiel e tutto il resto non contano. Esistiamo solo noi. E la prole», aggiunse, strappondole un sorriso. «Ascolta», continuò, «se non sei ancora pronta a fare sesso con me, lo capisco, ma non esiliarmi lontano da te, ti prego».

«Non voglio esiliarti», gli soffiò, le labbra pericolosamente vicine.

Il mattino dopo si svegliarono abbracciati con la consapevolezza di Chloe di cosa volesse veramente dire “la notte più bella della mia vita”.

 

Il grande giorno eccolo lì: seduto su una sedia, con Penelope da un lato e Alma Lucinda dall’altra che la guardava col solito sorrisetto sardonico e un lampo di orgoglio negli occhi nocciola. Fece poi l’errore di spostare lo sguardo a sinistra di Penelope che non cessava un attimo di asciugarsi le lacrime di commozione: anche Dan la stava fissando, serio, ma con lo sguardo neutro. E dire che quando voleva diventare detective, l’aveva appoggiata: che cosa gli era successo in quegli anni? Possibile che la morte di Charlotte l’avesse cambiato così tanto? Sperava che l’amore di Ella potesse cicatrizzare quelle ferite, malamente coperte da un cerotto senza ormai più colla. Accanto a lui, Trixie la salutava con energia. Sia lei che Alma Lucinda tenevano un enorme mazzo di fiori.

Non c’era stato verso di convincere Lucifer a smettere di chiamarla con quell’orribile soprannome: o meglio, lui aveva preteso un patto, ma lei si era rifiutata di adempiere alla sua parte. Il nomignolo le sarebbe rimasto, ma Lucifer avrebbe fatto coppia con Dan. Su questo, era stata irremovibile.

 

§ § § § § § § § § §

 

Il giorno prima era stata una festa, ma adesso cominciava il lavoro duro: la sua ansia era a mille, nonostante Lucifer avesse dato sfoggio al suo miglior repertorio per distrarla. A proprosito, dove si era cacciato? Erano già le sette e mezzo e dovevano ancora passare dalla scuola elementare.

«Lucifer!» Gridò accanto all’ascensore. «Siamo in ritardo».

«Calmati, letenati. Sei il nuovo tenente. A te è concesso qualche minuto di ritardo», la raggiunse, sfoggiando il sorriso, seguito dalle bambine: Trixie che spiegava qualcosa ad Alma, e lei che ascoltava attenta.

«Non ne sarei così sicura e comunque, le bambine non possono arrivare in ritardo a scuola, tanto più che oggi è il primo giorno per Alma».

«Giusto», convenne Lucifer. Poi, rivolgendosi alla nipote: «Se non ti piace, basta che mi chiami e verrò a prenderti».

«No», si oppose Chloe, «non funziona così. Alma», la chiamò con voce dolce, facendo alzare gli occhi al cielo a Lucifer, «se ci sono dei problemi è giusto che ce ne parli, ma scappare non è mai la soluzione».

«La mia mamma non è mai scappata», si rabbuiò la bambina.

«Grazie tante, Chloe», si impermalì Lucifer: giorni di progresso buttati con una parola.

«È proprio questo il punto Alma: chiedere aiuto non è uguale a scappare», provò a spiegarsi.

«Non provare a dare la colpa della propria morte a mia sorella», ringhiò Lucifer.

«Vuoi davvero litigare davanti a loro?»

«Esperienza di vita vera», si difese Lucifer. «Litigare non vuol dire picchiarsi», le fece il verso.

«Sei esasperante», sbuffò.

«Alma, quello che volevo dire – e che non sono stata capace di spiegare», guardò Lucifer, «è che la situazione di tua madre purtroppo era diversa: forse ha chiesto aiuto e ha anche provato a scappare, ma per sfortuna, sul suo cammino ha incontrato solo gente che non ha saputo ascoltarla e aiutarla. Ma non è questo il tuo caso: devi sempre parlarci dei tuoi problemi, ma non devi mai fare affidamento su altre persone perché ti risolvano i problemi. Capisci?»

Mosse la testa come ad aspettarsi un cenno affermativo, che non venne: «No».

Lucifer mosse le braccia come a dire: appunto.

Chloe sbuffò di nuovo, mentre Trixie rideva in silenzio: quel teatrino le piaceva, non era come i litigi tra i suoi genitori, anche quando sua madre e Lucifer sembravano arrabbiati, bastava un sorriso o un’alzata di sopracciglia perchè facessero la pace.

«D’accordo. facciamo così: se ci sono dei problemi, tu ce ne parli, e poi noi decdiamo se farti cambiare scuola, va bene?»

La bambina questa volta acconsentì.

«E io che avevo detto?» Mugugnò Lucifer.

«Tu eri passato direttamente alla fase due».

«Ottimizzazione dei tempi, letenati».

Chloe alzò di nuovo gli occhi al cielo.

In Centrale, il lavoro ferveva già.

«Vuoi che li chiami, così che puoi fare il discorso?» Si offrì Lucifer, gongolante.

«No», lo bloccò subito. «Non saprei cosa dire che non ho detto ieri.

«Beh, per esempio, che sei fiera di lavorare con loro», le suggerì Lucifer. «Andiamo, letenati, sono i tuoi colleghi, ti hanno visto crescere qui dentro. Davvero non vuoi dire loro una parola?»

«Appunto, mi conoscono, sanno che non ne hanno bisogno».

«A volte una parola di incoraggiamento basta per illuminare la giornata».

«Mi stavo chiedendo quando avresti proiettato il tuo rapporto con tuo Padre in questa situazione», convenne Chloe.

«Io non sto proiettanto un bel nulla», si offese Lucifer.

«D’accordo», gli concesse CHloe, «solo due parole».

«E due parole siano, letenati», le sorrise. Chloe si perse in quel sorriso: a volte bastava davvero poco per accontentare il suo compagno, il quale, si stava rivolgendo ai poliziotti: «Ehi, ragazzi, fermatevi un momento. Il vostro nuovo tenente», quasi sputò il termine, «vuole dirvi due parole».

«Grazie Lucifer. Ehm... Conoscete tutti Lucifer e sapete com’è intemperante a volte. Cioè, sempre». I poliziotti risero, mentre Lucifer la guardò storto. «Cioè, non è che non volessi parlarvi, solo che... Oh, lasciamo stare. Volevo solo dirvi che sono molto orgogliosa di continuare a lavorare con voi. Molti mi hanno vista crescere e maturare qua detro e spero che la stima continui a essere reciproca», concluse.

Scese le scale con non poco imbarazzo, mentre i suoi nuovi subalterni l’applaudivano e Lucifer pareva calato nella parte di guardia del corpo.

«Daniel», si girò a chiamare l’ex marito, rischiando di urtare col naso il braccio teso di Lucifer, «puoi venire nel mio ufficio? Anche tu Lucifer. E abbassa quel cavolo di braccio: siamo in una stazione di polizia, non sul Red Carpet!» Lo rimproverò, facendo scoppiare a ridere un’altra volta i poliziotti.

«Come vi ho già informato, da oggi voi due farete coppia fissa. Mi pare dunque superfluo avvisarvi che non sarà tollerata nessuna schermaglia, a cominciare da “detective Stronzo”, chiaro?» Soffermò lo sguardo su Lucifer.

«E come dovrei chiamarlo, allora?» Brontolò questi.

«Daniel. O detective Espinoza», intervenne l’uomo in questione.

«Ma ti chiamano tutti così!» Si oppose ancora.

«Forse perché è il mio nome?» Gli chiese in modo sarcastico.

«Lucifer, non mi interessa se hai problemi a usare i nomi propri: superali», gli impose Chloe.

«Ma...», tentò.

«Nessun ma! E adesso fuori. Ah, Dan? Nessuna provocazione». L’uomo assentì con la testa.

Lucifer aveva già la mano sulla maniglia, quando Chloe li richiamò: «Ancora una cosa: c’è qualche caso in sospeso o è arrivata una nuova chiamata?»

«Poco fa è stato ritrovato un cadavere al Griffith Park: Ella è già sul posto», la ragguagliò Dan.

«Quali detective se ne stanno occupando?» Si informò.

«Ancora nessuno: aspettavamo te per la suddivisione dei casi».

«D’accordo. Occupatevene voi due. Ah, e riccordatevi la mia raccomandazione».

«Agli ordini capo», la salutò Dan. Era una punta di irritazione quella che le era parso di avvertire nella sua voce?

«Non preoccuparti, letenati, terrò tutto sotto controllo», si congedò invece Lucifer, facendo alzare gli al cielo a Chloe.

 

§ § § § § § § § § §

 

«Per fortuna non piove da parecchi giorni», si stava lamentando Lucifer, mentre scendevano lungo il costale, in mezzo agli arbusti.

Dan si girò di scatto: «Sai che c’è, amico?» Calcò su quest’ultima parola. «Non serve che sottolinei ogni momento quanto tu sia ricco e noi poveri».

«Io non stavo sottolineando proprio un bel niente», si impermalì l’altro.

«Ah, no? Non stavi per dire “oh, le mie scarpe italiane, tutte rigate”?» Lo derise.

«In effetti sì», gli concesse.

«Appunto».

«È per questo che non mi sopporti? Perché io sono ricco?» Gli chiese. «Non ti sto provocando», ci tenne a precisare, sorpassandolo e bloccandogli il passo, «sono davvero curioso: a un certo punto, sembrava che avessi quasi accettato la mia amicizia, e poi hai ricominciato a odiarmi».

«C’è un cadavere che ci sta aspettando», lo scansò con un braccio.

«I morti non scappano, Daniel. La letenati, però, ha fretta che noi facciamo pace», gli corse dietro.

«Anche Ella ha fretta», gli disse continuando a camminare, senza voltarsi.

«E va bene. Ma il discorso non è chiuso», lo avvertì.

«Buongiorno, Ella», la salutò Dan, infilandosi un paio di guanti azzurri e inginocchiandosi accanto al corpo.

«Signorina Lopez» fu invece il saluto di Lucifer, il quale, al contrario del partner, rimase in piedi, con le mani in tasca.

La vista del cadavere gli fece storcere la bocca in una smorfia di disgusto, mentre Dan si copriva bocca e naso con una mano per non respirare l’odore dei gas della decomposizione.

Centinaia di bigattini entravano e uscivano dagli orifizi, mentre alcune parti del corpo risultavano mangiate, forse dai ratti, oppure dalle volpi o qualche altro animale selvatico.

«Il nostro John Doe è qui da parecchio tempo, poverino. Per saperne di più sulle cause della morte temo dovrete aspettare l’autopsia», li avvertì la giovane medico legale.

«John Doe?» chiese sospettoso Dan.

«Già: nessun documento, così come nessuna ferita apparentemente mortale».

«Di qualcosa, però, è morto», convenne Lucifer, facendo sospirare Dan.

«A causa della lunga permanenza agli agenti atmosferici, così, a prima vista, potrebbe trattarsi anche di infarto», gli spiegò la ragazza.

«Non ne sei convinta, però», insistette Lucifer.

«È lontano dal sentiero e questa non è la stagione dei funghi», convenne lei.

«Chi l’ha trovato?» si informò Dan.

«Quella ragazza, Mary. Era già sconvolta dopo aver scoperto una tresca tra il fidanzato e una collega, poi il ritrovamento del cadavere... poverina». Ella indicò una giovane donna poco lontana.

«Mica tanto», Lucifer fece schioccare la lingua.

«Che vorresti dire?» Sbuffò Dan.

«Quel vestito», indicò Lucifer, «vale circa duemila dollari».

«E questo come ci aiuterebbe con le indagini?» Dan aveva il taccuino a mezz’aria.

«Ah, non lo so, io rispondevo alla signorina Lopez».

«Non intendevo poverina in senso materiale, ma spirituale», gli spiegò, scuotendo la testa.

«Oh, certo. A ogni modo, è stata coraggiosa ad avventurarsi nel bosco con quel vestito».

«O forse talmente sconvolta da non rendersi conto della direzione».

«Quindi il colpevole è il fidanzato fedifrago», concluse Lucifer. «Caso risolto. È un piacere lavorare con te, Daniel», gli diede una pacca sulla spalla.

«Il caso è stato appena aperto, imbecille», se lo scrollò di dosso.

«Ma abbiamo trovato il colpevole», obiettò Lucifer.

«Non abbiamo trovato proprio nessuno», confutò Daniel.

«Allora andiamo a cercarlo, no? Forza, su veloce», gli fece un gesto eloquente con le mani, percedendolo sulla via del ritorno.

«Ma cercare chi?» Gli urlò di rimando Daniel.

«Il fidanzato fedifrago, no? Questo poveretto è qui da chissà quanto tempo: è impossibile che nessuno l’abbia visto», gli rispose Lucifer, voltandosi verso di lui.

«Se qualcuno l’avesse visto prima, non credi ci avrebbe chiamato prima?» Cercò di farlo ragionare l’altro.

«A meno che non sia l’assassino. Il che ci porta alla mia deduzione: è il fidanzato fedifrago l’assassino», riprese a camminare, mentre Dan rivolse uno sguardo rassegnato a Ella, la quale si strinse nelle spalle.

Scuotendo la testa, Dan si risolse a raggiungere il compagno, per evitare qualche danno irreparabile. «Fantastico! Il mio uomo e il mio migliore amico che lavorano insieme», stava intanto esultando la ragazza.

 

§ § § § § § § § § §

 

«Non so di che cosa stiate parlando», si difese il ragazzo biondo nella stanza degli interrogatori.

«Di questa persona», Dan gli mostò una foto del cadavere, mentre Lucifer rimaneva in piedi, appoggiato alla parete con le braccia conserte, assorto nell’espressione di Mark.

La foto era talmente sgradevole che Mark la allontanò, trattenendo un conato di vomito.

Schifato, Lucifer voltò la testa dall’altra parte.

«Non l’ho mai visto», riprese a dire.

«Però hai fatto in modo che venisse trovato da Mary, la tua ragazza. Che cosa volevi dimostrarle?» Continuò Dan.

«Niente!» Esclamò il ragazzo. «Non sapevo neanche che Mary sarebbe venuta all’Osservatorio. Ieri avevamo litigato e di solito mantiene il broncio per giorni. In ogni modo, io questo tizio non lo conosco», guardò Dan negli occhi.

«Va bene», si spazientì Lucifer, andando a sedersi sul bordo del tavolo, a pochi centimetri dal ragazzo, «Che cosa desideri, uhm?» Gli chiese incatenando i loro sguardi.

Il ragazzo all’inizio bocheggiò, poi si sentì pervadere da una strana sensazione e gli rivelò: «Voglio stare con Jane».

«Oh, andiamo!», sbottò Lucifer, interrompendo il contatto visivo e allontanandosi.

Dan provò a insistere: «Ma non avevi il coraggio di lasciare Mary, perché a differenza di Jane è ricca, così hai continuato la tresca. Solo che quest’uomo ti ha visto con Jane e ha cominciato a ricattarti. Perciò l’hai ucciso», gli suggerì Dan.

«No, non sono stato io!» Si difese in modo disperato il ragazzo.

«Dan, Lucifer», li chiamò dall’altoparlante Chloe.

I due la raggiunsero fuori dalla stanza, lasciando il sospettato in compagnia di un poliziotto.

«Senza una prova, dobbiamo rilasciarlo».

«Avanti, letenati: c’è un movente. Anzi, IL movente», si oppose Lucifer

«Un bravo avvocato può smontare la vostra tesi in tre secondi netti, anche meno», continuò Chloe.

«Un avvocato di quelli che può permettersi la fidanzata Mary», suggerì Dan.

«Così lei potrà ricattarlo con questa storia e legarlo a sè, mentre lui da parte sua, continuerà a tradirla con Jane», continuò Lucifer, lo sguardo duro.

«Questo non è un problema di nostra competenza...», cominciò a parlare Chloe, interrotta subito da Lucifer: «Ma dovrebbe, letenati! Il tradimento è la prima causa di morte violenta! Dopo la vita stessa, s’intende».

«Ed eccolo che se ne esce con le sue battute», scoppiò Dan.

Chloe si portò l’indice della mano destra alla bocca, poi lo agitò, infine si bloccò, guardando i due uomini: «No, Dan, è vero: la prima causa di morte è la vita. Quindi, Lucifer, purtroppo, finché i risultati autoptici non confermano che si tratta effettivamente di omicidio, dobbiamo rilasciarlo. Fate piuttosto una ricerca tra le persone scomparse: magari trovate una pista più sostanziosa», li redarguì.

«Uno a zero per me», esultò Dan.

«I giochi sono appena cominciati», gli rispose Lucifer.

Dan si voltò di scatto: «Davvero pensi che si tratti di una gara? C’è un uomo morto e noi due dobbiamo lavorare in coppia, in sintonia, non cercando di batterci a vicenda», gli battè più volte il dito contro la camicia di seta bianca.

«Hai comiciato tu a segnare il punteggio», gli fece notare.

Dan sospirò: «D’accordo. Stop. Aiutami con i files».

«Ops. Scusa». Fingendo di aver ricevuto una telefonata, prese il cellulare dal taschino della giacca Armani. «Problemi al Lux. Devo correre. Ti dispiace cominciare tu? Grazie», scappò via.

 

§ § § § § § § § § §

 

Nonostante fosse pieno giorno, l’interno del night club era buio.

«Salve capo. Il solito?» Lo salutò Patrick.

«Triplo», lo invitò.

«Fratello», lo chiamò Amenadiel, scendendo i pochi gradini e raggiungendolo al bancone del bar.

Lucifer prese due bicchieri e gli fece cenno di seguirlo verso un divanetto.

«Come sta il mio erede?» Si informò Lucifer.

«Veramente, sarebbe mio figlio, non il tuo erede. E intendo tenerlo lontano dagli Inferi», lo squadrò il fratello maggiore.

«Touchè», incassò il giovane ribelle.

«Non intendevo, QUELLO, davvero. So che non è stata colpa tua. E lo sa anche Linda, stai tranquillo», lo rassicurò.

«D’accordo», esalò, aggiustandosi i polsini. «Come sta Charlie?»

«Sta bene. Anche se dopo aver mangiato, beh, butta fuori una gran quantità di latte. Addosso a me», sorrise, pieno d’orgoglio.

Lucifer, al contrario, si schifò.

«Non sono qui per Charlie, ma per nostra sorella», riprese Amenadiel.

«Remiel è tornata alla carica?»

«Non mi riferisco a Remiel, Lucifer. Voglio sapere di quanto tempo ha bisogno il Re degli Inferi per catturare un fottuto umano!» Scattò in piedi.

Lucifer non si scompose: accavallò le gambe e allargò le braccia sullo schienale e volse lo sguardo in alto: «Mi sono concentrato sul benessere di nostra nipote: era questo il favore che mi ha chiesto Kristiel. E io mantengo sempre le promesse. Riguardo a Rockwell, sulle sue tracce non c’è solo la polizia di Los Angeles e di Flagstaff, ma anche la migliore cacciatrice di taglie del mondo: Maze», sillabò lentamente il nome. «E quando Maze l’avrà trovato e portato al mio cospetto, ti assicuro che rimpiangerà tutto il male che ha fatto a nostra sorella e a nostra nipote». Un lampo rosso attraversò gli attraversò le iridi.

«Lucifer», lo avvertì Amenadiel, «non è la vendetta che ridarà ad Alma Lucinda sua madre».

Lucifer non gli rispose, immerso nei suoi pensieri. Era tornato un mostro dopo aver ucciso un umano (il primo assassino della storia, certo, ma pur sempre un umano) e aver spezzato la schiena a un altro. C’era voluto tutto l’amore di Chloe per far sì che si accettasse appieno: ora era disposto a buttare all’aria tutti i suoi progressi – ma soprattutto il rispetto di Chloe – per un verme? Arricciò la bocca.

«Può darsi», pronunciò alla fine. «Ciò non toglie che Rockwell si meriti una bella lezione».

«Non la morte», asserì Amenadiel, preoccupato.

Lucifer lo guardò meravigliato: «Nessun essere merita la morte, fratello, neppure il più abietto».

«Bene, perché sono orgoglioso di come tu sia maturato», gli sorrise.

«La mia vita è cambiamento», gli ricordò.

«Questa volta è diverso. Esono fiero di te, fratellino», gli battè un pugno sulla spalla.

«Immagino fosse un complimento: grazie», congiunse le mani e mimò un inchino.

«A me e a Linda farebbe piacere avervi ospiti a cena, questa sera».

«A che ora mettete a dormire il pargolo?» Si informò Lucifer, facendo scoppiare a ridere il fratello maggiore.

«A più tardi, Lucifer», lo salutò, senza rispondergli.

«Bene, immagino che dovrò rientrare in anticipo in Centrale per parlarne con Chloe», borbottò tra sè Lucifer.

 

§ § § § § § § § § §

 

«Chloe, posso parlarti?» Dan si affacciò all’ufficio del tenente, bussando sullo stipite della porta.

«Certo, accomodati. La prossima volta, però, gradirei che bussassi prima di entrare e che aspettassi il mio permesso. Così, per educazione e per rispetto sia alla mia carica che ai tuoi colleghi. A ogni modo, dimmi, hai trovato qualcosa?»

«Cominciamo già con le manie del comando», bofonchiò, per poi aggiungere a voce alta: «Nell’ultimo anno, sono scomparse più di tremila persone. Restringendo il campo agli ultimi cinque mesi, scendiamo a un terzo. Considerando la costituzione della nostra vittima e il suo sesso, sono riuscito a isolare cinquecento persone. Ancora troppe. Chloe, non ce la faccio da solo», si lasciò cadere sulla sedia.

«Per questo ti ho affiancato Lucifer: lui vede cose che noi non vediamo ed è in grado di sfoltire quella lista in un batter d’occhio», lo consolò.

«Forte quello», continuò a lamentarsi Dan. «Ho visto come col fidanzato fedifrago come vede cose che noi non vediamo. Senza tralasciare che mi ha mollato di punto in bianco per tornarsene al Lux».

«Ti ha già mollato? Lo faceva anche con me», difese il compagno di vita.

«Ma tu non eri comunque sola, Chloe. C’ero che ti davo una mano, ogni volta che il bellimbusto si stancava del giocattolino».

«Dan, devi dargli tempo», provò ancora a ragionare, anche se il comportamento di Lucifer le dava ai nervi.

«E tu devi smetterla di difernderlo ogni volta. Dannazione, Chloe!» Le urlò contro. Si portò le mani sopra la testa e girò una mezza volta su stesso, per poi riprendere in modo più pacato: «Scusa, non volevo...»

Nel frattempo, Chloe si era alzata e lo interruppe: «Non mi interessa se non volevi. Tu quelle parole le hai urlate. Io. Non. Difendo. Lucifer», scandì. «Sai alla perfezione quanto a volte il suo comportamento mi irriti, ma questa per lui è un’esperienza diversa».

«Avanti, Chloe. Da quanti anni è il nostro consulente civile? E perché questa volta sarebbe diversa dalle altre in cui ci è toccato lavorare in coppia?»

«Devi fidarti di me, Dan, per favore», lo implorò.

«Solo perché me lo chiedi tu», le concesse. Stava per uscire, quando Chloe lo richiamò: «Dan, quando Lucifer si degna di tornare, mandalo subito da me. Anzi, lasciami anche quel fascicolo. Conoscendolo, cercherà di leggere qualcosa per venire da me con un nome e prendersene il merito», gli fece l’occhiolino. «Intanto, per amazzare il tempo, potresti controllare a che punto siamo col caso Rockwell?».

«Certo, come vuoi», le allungò il fascicolo. «Non avevi detto che Lucifer era maturato?» Le sorrise.

«Io ho detto che per lui è un’esperienza nuova», gli rispose criptica, prima che lui uscisse dall’ufficio.

«Daniel!» Lo chiamò Lucifer dal piano amezzato. L’investigatore, che stava parlando con due colleghi, si girò di scattto.

«Eccolo che finalmente sua maestà ci degna della sua presenza», lo derise a bassa voce. «Chloe ti vuole vedere subito», gli rispose in tono gentile, invece.

«Bene. Anch’io ho urgenza di parlarle. Oh, hai qualche nome da portarle?» Si esaltò.

«No», battè le mani, facendo qualche passo all’indietro. «Chloe ti aspetta», gli indicò l’ufficio con un cenno della testa. «Vuole che bussi, prima», lo canzonò.

«Parliamo di me», si indicò, entrando nella stanza.

«FUORI DI QUI», tuonò una voce di donna, facendolo scappare.

«Daniel, Chloe ha il ciclo?» Si avvicinò spaventato alla scrivania del suo nuovo partner.

L’altro si strinse nelle spalle: «Se non lo sai tu, amico. Comunque, ti avevo avvertito».

«Questa storia del potere, comincia a darle alla testa», constatò Lucifer.

«Mi sento male solo all’idea, ma temo tu abbia ragione», gli fece eco Daniel.

«Invece ha ragione il tenente», intervenne una recluta di passaggio.

I due uomini la guardarono con gli occhi spalancati.

Lei continuò: «Solo perché è una donna ed è entrata a far parte delle vostre vite, non vuol dire voi abbiate il diritto di comportarvi come se tutto vi sia dovuto». Se ne andò lasciandoli con la bocca aperta.

«Sai qual è il vero problema Daniel? Il femminismo. Maledetto il giorno che l’ho inventato».

Si alzò aggiustandosi giacca e polsini.

Questa volta, prima di entrare, bussò e quando la donna disse “avanti”, indicò la porta con un dito all’amico.

«Allora, letenati, sono tutto tuo», esordì, con la sua solita faccia di bronzo.

«Accomodati», lo invitò.

«Sono già seduto».

«Sì, vedo». gli allungò un mucchio di documenti. «Controlla questi nomi, per favore».

Lucifer espirò, emettendo un verso sarcastico: «Che cosa sono?»

«I nomi delle persone scomparse le cui caratteristiche corrispondono alla nostra vittima: sono circa cinquecento».

«Non puoi darli a Dan?»

«Dan ha già fatto la sua parte del lavoro. Ora tocca a te fare la tua».

Prese il primo fascicolo, lo sfogliò velocemente, poi lo sbattè sulla scrivania, davanti alla donna: «È lui».

«E in base a cosa l’hai capito?» Lo guardò sospettosa: sapeva perfettamente che non c’entrava il fatto dell’essere il diavolo. Semplicemente, conosceva la pigrizia del compagno.

«Se è il primo della lista, ci sarà un motivo», le disse serafico.

«Il motivo è che sono ordinati in ordine alfabetico».

«Ma non ce la farò mai per le sette e mezzo!» Si lamentò.

«Perché hai fretta?»

«Primo, la prole ci aspetterebbe a casa e, secondo, perché siamo stati invitati a cena da Linda e Amenadiel. Ti avverto: Amenadiel vuole sapere perché non abbiamo ancora arrestato Rockwell».

«Mi dispiace, Lucifer, ma Kristiel era tua sorella. Non posso parlare con te di quell’indagine». Si alzò dalla sedia e fece il giro della scrivania, per pararglisi di fronte e accarezzargli il viso. «Adesso è il caso che ti metti al lavoro, se vuoi finire in tempo per la cena», lo congedò.

Sbuffando, Lucifer uscì dalla stanza.

Vedendolo uscire con l’aria mesta, Dan fu quasi colto da compassione. Sentimento vinto, però, dal sapore della dolce vendetta. Tuttavia, gli sarebbe dispiaciuto non poco se il merito del nome se lo sarebbe preso tutto Lucifer, per cui decise di aiutarlo: «Ho appena parlato con Ella: possiamo restringere le nostre ricerche agli ultimi trenta giorni».

Dopo una veloce scorsa alle date, rimasero cinquanta faldoni: «Sempre troppi», si lamentò Lucifer.

«Venticinque io, venticinque tu. In mezz’ora, dovremmo riuscire ad avere un nome solo», lo confortò Dan.

Ci vollero solo venti minuti, prima che Dan, sbattè vittorioso entrambe le mani sul tavolo: «Bingo! Randall J. Smith, anni 56, originario di Phoenix, operaio addetto alle macchine da pressa alla Mega Solution, una ditta che opera nel settore aeronautico».

«Che cosa ci fa un operaio di Phoenix, qui a Los Angeles?» Dubitò Lucifer.

«Il fascicolo dice che si è trasferito qui dieci anni fa. Non è dato sapere se per decisione sua o dell’azienda», spiegò Dan.

«Complimenti, amico, vado a dirlo alla lenati».

«No, fermo. IO ho trovato il nome, quindi ci andremo assieme».

«Credevo non fosse una gara», gli sorrise Lucifer.

«Tenente», esordì Dan, dopo aver avuto il permesso di entrare.

«Abbiamo un nome: Randall J. Smith, 56 anni, originario di Phoenix, trasferitosi qui dieci anni fa e sparito da tre settimane. Non è sposato, per cui l’allarme è stato dato con tre giorni di ritardo», spiegò Daniel.

«Phoenix, hai detto? È in Arizona», riflettè a voce alta Chloe.

I muscoli delle mascelle di Lucifer scattarono, mentre deglutì a vuoto.

«Ma vive a Los Angeles da dieci anni», la contraddisse Daniel.

«Ciò non toglie che potrebbe aver conosciuto Rockwell in passato», ipotizzò ancora la donna.

«Se così fosse, letenati, ci toglieresti questo caso, non è vero?» Le chiese Lucifer, in piedi dietro il collega.

«Dovrei, sì. Tuttavia, stando a Google Maps, le due città distano tra le centocinquanta e le duecento miglia. Quindi, direi che a questo punto dell’indagine, non abbiamo nessun collegamento tra Rockwell e Smith, per cui gradirei non sentire quel nome, d’accordo? Ah, Lucifer, qualora dovesse venire davvero fuori che Rockwell si è macchiato anche di questo delitto, vorrei che tu ti tirassi indietro al momento dell’arresto».

«Non puoi chiedermelo, Chloe», la implorò.

«Non te lo sto chiedendo come Chloe, infatti, ma te lo sto ordinando come tenente della Sezione Omicidi».

Il diavolo strinse i pugni e muscoli del volto saettarono, ma non disse nulla; Dan, invece, venne in suo aiuto: «Tenente, ci penserò io. Ti assicuro che Lucifer non farà nulla di inappropriato».

«A ogni modo, ne riparleremo a tempo debito. Per ora, muovetevi come se non aveste ipotizzato quel collegamento», li congedò.

«Daniel», lo chiamò Lucifer, una volta fuori dall’ufficio, posandogli una mano sulla spalla, «grazie per poco fa».

«Non devi ringraziarmi, amico. Capisco che cosa provi. Ho quasi ucciso un collega per proteggere Chloe, quattro anni fa».

«Malcom», ricordò Lucifer. «Hai però lasciato Chloe da sola, dopo, cercando di convincerla di aver preso un granchio», infierì, senza cattiveria.

«Ho cercato di proteggerla. Malcolm non era morto: temevo che volesse ucciderla, se si fosse ripreso», si giustificò.

«Capisco», gli concesse.

«Diamoci da fare col caso Smith», tagliò corto Daniel.



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N.d.A.: Come sempre voglio ringraziare tutti coloro che leggono questa fanfic, sia che lascino un segno del loro passaggio o preferiscano restare in silenzio, come anche coloro che la inseriscono tra le preferite/ricordate/seguite.
Non uccidetemi per aver concluso il capitolo in questo modo, ma si stava dilungando troppo e quindi ho dovuto dividerlo in due parti, per cui, penso che il seguito lo posterò domenica, per non farvi aspettare troppo.
Ricordo che i diritti di Lucifer appartengono a Neil Gaiman e alla Netflix (non so se la Fox possa vantare ancora qualcosa, ma la cito lo stesso).
La mia pagina fb: TheMirae'sDream



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Capitolo 6
*** Invidia (2) ***


Invidia (parte 2)

 

«Oh, è un angioletto questo bambino», Chloe si trastullò Charlie.

«Possiamo prenderlo in braccio anche noi?» Chiese Alma Lucinda. Dopo quel primo giorno di scuola, stava diventando ciarliera.

«Certo, è vostro cugino», rispose Linda, utilizzando il plurale.

«È anche cugino mio?» Chiese perciò Trixie.

Amenadiel stava dicendo a Lucifer che mai si sarebbe aspettato di vedere il fratello così rislassato a una cena in famiglia, anziché a un’orgia, ma alla domanda di Trixie, questi lo bloccò con un gesto, aspettando la risposta di Chloe.

Anche Linda guardò l’amica, in attesa.

Dal canto suo, Chloe si guardò attorno, spaesata: «Io non ho parlato».

«Mamma, ho chiesto se Charlie è mio cugino, ma tutti guardano te», le disse con finta noncuranza la figlia.

«Me ne sono accorta, ma non capisco il motivo».

«È semplice, letenati: Trixie può considerarsi cugina di Charlie, uhm?» La invitò a rispondere in modo affermativo con un gesto della mano e alzando le sopracciglie.

«Beh, penso di sì», concesse alla fine.

Fino a quel momento, Lucifer non si era accorto di aver trattenuto il respiro, mentre Trixie si metteva a ballare e saltare per tutta la stanza: «Che bello, mamma e Lucifer si sposano!»

Il whiskey andò adi traverso a Lucifer, mentre Amenadiel scoppiò in una sonora risata.

In tutto quel fracasso, Charlie scoppiò a piangere.

«Oh, Amenadiel, l’hai fatto piangere», Linda gli diede una piccola pacca sul braccio.

«Io?»

«Sei un orco, fratello, rassegnati», infierì Lucifer.

«E tu, un pessimo inventore di termini. Che diavolo è “letenati”?», si impermalì Amenadiel.

«Significa “tenente”in Samoano: come vedi, non l’ho inventato io. E non è affatto terribile: è molto bello». Si risentì Lucifer.

«È orribile», convenne Chloe, metre cullava Charlie, nel tentativo di calmarne il pianto.

«Che ne dici di una bella festa privata, domani, nell’attico?» La provocò lui.

«Scordatelo, le bambine devono svegliarsi presto per andare a scuola. E anche noi abbiamo molto lavoro da fare, in Centrale», gli negò il cambio di favori.

«Continuo a sostenere che letenati è un termine che ti si addice», si incaponì il diavolo, ricevendo man forte da Trixie: «Piace anche a me».

«Due a uno. Il parere di Amenadiel non conta».

«Sembra una parolaccia», sentenziò invece Alma, lasciando di stucco lo zio: «Ma tu non dovresti essere dalla mia parte?» La bambina si strinse nelle spalle, ma questa volta non era spaventata dalla contrarietà dello zio, sapeva che non era arrabbiato, ma si stava solo scherzando. Infatti gli rispose con un sorriso birichino e una linguaccia.

«Due a due. Palla al centro», sentenziò Chloe, vittoriosa.

«Vostro onore, chiedo che la deposizione non venga registrata: il teste mi ha fatto la linguaccia».

 

§ § § § § § § § § §

 

Il mattino dopo, Ella li stava aspettando con il risultato autoptico.

«Ragazzi, spero non abbiate fatto colazione. O, almeno, una molto, molto leggera», li avvisò.

«Ella, abbiamo già visto in che condizioni versa il cadavere. Non ci può essere nulla di più spaventoso», obiettò Chloe, invitando tutti a sedersi.

«Sìììì, ma non conoscevate ancora i particolari», anticipò.

«Signorina Lopez, abbiamo un assassino da prendere, non abbiamo tutto il giorno», le mise fretta Lucifer, ricevendo occhiatacce da Daniel e da Chloe. «Beh, che ho detto? Non è la verità?»

«Sì, hai ragione, ma cavoli, ragazzi, questa è una notizia fenomenale, lasciatemi creare un po’ di suspense. D’accordo, come non detto. L’infarto lascia una piccola cicatrice sul cuore, ma... in questo caso, l’organo era sano. Allo stesso modo, le ischemie e gli ictus lasciano tracce sul cervello. Il problema è che qui il cervello manca. O meglio, manca una porzione di cervello», precisò, porgendo una cartella al tenente.

«Aveva subito una lobotomia?» Chiese Daniel.

«No, nessuna traccia visibile di operazioni: il cervello che manca non è stato asportato chirurgicamente, ma è stato mangiato».

«Santo cielo», Dan trattenne un conato di vomito.

«Cannibalismo? In alcune regioni italiane il cervello bovino è considerato una prelibatezza», ipotizzò Lucifer.

«Solo che qui stiamo parlando di una persona, non di una mucca. E ci troviamo a Los Angeles, non in Italia», lo squadrò male Chloe.

«Era per restringere il campo», si difese lui.

«Come ho appena detto, niente segni di operazioni chirurgiche, quindi escluderei il cannibalismo».

«Il cadavere, però, è rimasto alle intemperie per tre settimane», riflettè ancora Chloe. «Il cervello potrebbe essere stato mangiato dai vermi?»

«Sì, potrebbe, ma sul corpo non ci sono segni di ferite mortali pre-morte. Anche gli altri esami ci danno il quadro di una persona altrimenti sana. Ubriacone, ma sano», spiegò Ella.

«Era un operaio addetto alle macchine da pressa, non un tecnico zoofilo», obiettò Dan. «Quindi, a meno che non vivesse in una zona infestata da vermi – e noi sappiamo bene che non ci sono zone simili a Los Angeles – si tratta di omicidio... Un momento!» Ebbe un’illuminazione. «Tu», si rivolse a Lucifer, «l’altro giorni dicesti che se avessi dovuto uccidere un invidioso, gli avresti asportato il cervello».

«È così che gli invidiosi vengono puniti all’inferno», spiegò.

«Ricordo che nella Divina Commedia si parla di palpebre cucite col fil di ferro», intervenne Ella.

«No, quello è il Purgatorio e gliel’ho suggerito io a messer Alighieri».

«Hai conosciuto Dante?» Si entusiasmò Ella.

«Ma non ti vantavi di non mentire mai?» Chloe colse la contaddizione.

«Infatti non mento mai, letenati, solo non sempre dico la verità», alzò le sopracciglie.

«Wow, wow, wow. Un momento: di che cosa state parlando? Non stareste mica cominciando a credere ai suoi deliri? Avanti, Ella, Chloe».

«Lucifer...», le si rivolse Chloe, in una muta preghiera.

Questi espirò rumorosamente: non era pienamente convinto di mostrarsi a Daniel, ma a quel punto non aveva più scelta: «Va bene, letenati, sono pronto».

«Grazie. Ella, per favore».

La ragazza si diresse verso la porta, che chiuse a chiave e abbassò la tenda oscurante.

«Nessuno ci disturberà, adesso. Lucifer, puoi mostrarti».

Il diavolo la guardò spaventato: che cosa gli sarebbe successo che la paura avesse avuto la meglio su Daniel e questi gli avesse sparato?

«Io sono dalla tua parte, lo sai», gli posò una mano sul braccio.

“Mi rendi anche mortale, però” avrebbe voluto risponderle, ma non voleva che lo lasciasse solo. Aveva bisogno della presenza di Chloe. Ora più che mai.

«Un momento», proruppe Daniel, «lui è davvero il Diavolo?»

«Sì, Daniel, sono davvero il Diavolo, Satana, Belzebù, chiamami come vuoi, ma sono io il Re degli Inferi», la voce di Lucifer sembrava scocciata.

«E che cosa significa questa messinscena?» Indicò Ella che aveva isolato praticamente la stanza.

«Non vogliamo che un estraneo veda la vera essenza del Diavolo», disse Chloe, con calma.

«Il lato oscuro, voleva dire», la corresse Lucifer. «Tranquilla letenati, oramai sono riuscito ad accettare ogni parte di me e sono pronto a mostrarmi ai miei amici. Sei pronto, Daniel?»

Senza aspettare la risposta, trasformò il suo volto.

Dopo pochi secondi tornò alle sue fattezze umane, in attesa di una reazione da parte dell’amico.

Dan lo stava guardando imbambolato. Nessuno nella stanza osava muoversi.

All’ultimo, Lucifer non resse più: «Dan, amico mio, dimmi qualcosa, qualsiasi cosa».

Ci vollero altri due secondi, prima che Dan riuscisse a pronunciare una parola: «Wow».

«Dan, tutto a posto?» Ella prese coraggio e si avvicinò al suo uomo, appoggiandogli una mano sulla spalla. «Io... credo di avere bisogno di bere qualcosa». Si alzò dalla sedia, poi si ricordò di essere in servizio: «Una tisana, intendevo dire una tisana. Digestiva».

«Sì, lo capisco: è difficile da digerire», convenne Lucifer.

«Da quanto tempo voi due lo sapevate?» Accusò le due donne.

«Io dalla morte di Pierce, e ho reagito molto male», ammise Chloe.

«Io l’ho scoperto poche settimane fa, ma non avevo ancora visto il suo volto demoniaco», confessò Ella.

«E non avete pensato di avvisarmi che i deliri di Lucifer non erano semplici metafore», convenne amareggiato Dan.

«Non spettava a noi parlartene», lo abbracciò Ella.

«Giusto, scusate, ma wow, lavoro con niente popodimeno che col diavolo in persona. È un onore, vero?» chiese Dan.

«Certo: quanti esseri umani buoni vivi destinati al Paradiso possono vantarsi di essere amici col Grande Tentatore?»

«Messa così, sì, suona come un privilegio».

«Bene ragazzi, se le presentazioni sono finite, direi di mettervi subito al lavoro: voglio il colpevole il prima possibile. Lucifer: non ti azzardare mai più a lasciare Dan a fare anche il tuo lavoro», lo minacciò.

Dan scoppiò a ridere: «Assistere al Diavolo che prende ordini da un’umana è davvero una cosa fantastica».

«Ah-ah, davvero spiritoso. Quella non è un’umana qualsiasi. È una Erinni se provi a contraddirla»

«Non dirlo a me, amico, non dirlo a me».

«Allora, perché punire un invidioso asportandogli il cervello?» Gli chiese.

«Daniel, come definiresti una persona che cerca di copiare me?»

«Stupida, senz’altro», buttò lì, senza riflettere.

«Esatto! E sai perché?» Vedendolo che apriva bocca per rispondere, lo bloccò subito: «È una domanda retorica: non serve che tu risponda. È stupido perché per quanto possa sembrare perfetto, anch’io ho i miei problemi – Linda in effetti ne conosce qualcuno . Capisci che cosa voglio dire?»

«Quindi la vittima dell’invidia di Randall, ha deciso di punirlo così come ha ritenuto lui fosse?»

«È quello che sto cercando di dirti».

«Quale comportamento tanto grave da giustificare un omicidio, può procurare l’invidia?»

«Beh, se io ti vedo felice, mentre io non lo sono affatto, farò di tutto per portarti via l’oggetto che ti rende felice».

«Sì, devo ammettere che c’è una logica demoniaca nel tuo ragionameto. Forza. Andiamo a parlare con i suoi colleghi», lo spronò, anticipandolo verso l’uscita.

 

§ § § § § § § § § §

 

«Randall Smith? Sapete quanti dipendenti ho?» Andre Sparks, capo del personale alla Mega Solution era poco più basso di Lucifer, ma di sicuro poteva competere con lui in quanto ad arroganza. «Non posso conoscerli tutti».

«Oh, ma non ci interessano tutti gli operai», lo derise Lucifer, «a noi interessa solo parlare con chi aveva stretti contatti con lui».

«Sono indietro con gli ordinativi: non posso far fermare gli operai a causa di un attacabrighe», si lasciò sfuggire.

«Pensavamo non li conoscesse tutti», lo provocò Daniel.

Messo con le spalle al muro, l’uomo espirò, passandosi una mano tra i capelli: «Sentite, ho avuto delle lamentele al riguardo, ma gli ho fatto avere un richiamo e pensavo che la cosa fosse finita lì».

«Non si è insospettito che fosse sparito dopo aver ricevuto il richiamo?» Lo interrogò ancora Dan.

«Certo che mi sono insospettito: infatti ho denunciato la sua scomparsa», giocherellò con una penna stilografica.

«Sul modulo c’è la firma di una certa Mildred Robinson», obiettò Daniel.

«È la mia segretaria», spiegò.

«La milf che mi stava saltando addosso», specificò invece Lucifer, all’orecchio di Dan. Questi alzò gli occhi al cielo: gli era, infatti, parso strano che l’amico non avesse ancora fatto battute e che non si fosse vantato del proprio fascino.

«Anche perché», stava continuando il responsabile, «pochi giorni prima era venuto a cercarlo un tizio: diceva di essere un suo parente e che lo cercava per una questione di eredità e affidamento».

«Affidamento?» Lucifer si sporse verso la scrivania.

«Beh, non è sceso nei particolari, e a me la vita privata dei miei dipendenti non interessa. Quel tizio, però non me la cantava giusta: insomma, Randall era un attaccabrighe, invidioso di tutti. Come si può pensare di affidare qualcuno a una persona del genere?» Chiese in modo retorico.

«Non si può, infatti», constatò Lucifer con voce roca, tornando ad appoggiarsi allo schienale.

«Può descriverlo?» Domandò, pratico, Daniel.

«Era alto più o meno come lei», indicò Lucifer con un cenno della testa, «e anche lui indossava un completo di alta sartoria. Era biondo e con gli occhi verdi, il naso dritto e le labbra sottili».

«L’ha osservato bene», sorrise Lucifer, alzando le sopracciglie, modulando uno sguardo di complicità.

L’altro scrollò le spalle: «Sono gay, mi piacciono i begli uomini e gli occhi sono fatti per guardare».

«Oh», esclamò, prima di notare l’occhiata ambigua che gli stava lanciando l’uomo. Quando se ne accorse, si ricompose: «Io non sono più sul mercato», si aggiustò la giacca.

«Ehm... sì», si riprese come da una trance, «non sono solito abbordare gli uomini così, soprattutto i poliziotti».

Dan si chinò verso il suo compagno: «Gli hai fatto quella “cosa”?»

«No, certo che no. Ha solo reagito al mio fascino».

Esasperato, Dan si rivolse di nuovo a Sparks: «Va bene, questo è il mio biglietto da visita: nel caso le venisse in mente qualcos’altro inerente al caso», gli porse un cartoncino bianco col suo numero di telefono. «Vorremo, però, parlare lo stesso con quegli operai che lavoravano più a stretto contatto col signor Smith e in particolar modo con coloro che si erano lamentati».

«Posso farvi parlare solo con uno per volta».

«Non chiediamo di meglio».

«Mildred, per favore», si pieò verso l’interfono, «potresti far venire James Franklin?»

«Come il presidente», soffiò Lucifer nell’orecchio di Dan

L’uomo che entrò era più basso di Daniel, in sovrappeso, con pochi capelli e occhi piccoli.

«James, scusa se ti ho disturbato, ma puoi spoiegare ai detectives perché Randall creava problemi in reparto?»

«Era invidioso di chiunque: se qualcuno cambiava macchina, o magari riusciva a ottenere un finanziamento, faceva insinuazioni su un possibile secondo lavoro della moglie. E sì che anche lui avrebbe potuto permettersi qualche sfizio in più con tutti i benefits che l’azienda ci offre. Ma lui preferiva spendere il suo stipendio in alcol».

«Non attaccava direttamente i colleghi? Preferiva scagliarsi contro le loro mogli?»

«Esatto».

«Interessante», Lucifer si aggiustò la giacca.

 

§ § § § § § § § § §

 

«Garrett Carter è il nostro uomo».

«Chi?» Dan si voltò a guardarlo. L’uomo che gli stava camminando accanto fuori dalla Mega Solution non era il solito Lucifer sarcastico: i pugni erano stretti lungo i fianchi e i muscoli del viso guizzavano.

«L’assassino di Eva e di questo tizio».

«Randall Smith», gli fece eco, aprendo le portiere dell’auto.

Almeno da questo lato, Lucifer non si smentiva: non gli interessavano le persone che non avevano una parte nella commedia della sua vita, perché la sua attenzione era tutta rivolta a se stesso. Ed Eva faceva parte di lui.

«Come puoi dirlo?» Si informò.

«Dopo la scoperta della morte di Eva, ho avuto un’interessante conversazione con mio fratello», Lucifer non si voltò verso il compagno, ma continuava a guardare la strada davanti a sé, segno che era veramente turbato.

«E?» Lo invitò Dan.

Lucifer espirò: «Secondo Amenadiel, Eva sarebbe morta perchè avrebbe difeso una sua collega».

«Sì, questo l’avevi già detto, ma nessuna delle sue colleghe ha confermato questa tua teoria», gli ricordò.

«Questo significa che non è stato Rockwell a ucciderla, ma qualcun altro. Magari in un altro posto e poi ha portato il suo cadavere lì. O forse Rockwell ha venduto Alma Lucinda a Carter e questi ha ucciso Eva perché lei ’ha sorpreso».

«Questo è molto plausibile, ma non vedo il nesso col caso Smith».

«Sempre stando alla teoria di Amenadiel, Eva è stata punita come la moglie di Lot: quest’ultima è stata trsformata in sale perché ha provato pietà per i suoi concittidini. Ora, essendo Carter un umano, non ha il potere di trasformare nessuno in alcunchè, per cui si è limitato a immergere il suo corpo nel sale. Ci ha preso gusto e adesso si è trasformato nell’angelo vendicatore e sta punendo secondo una propria interpretazione biblica».

«Continua a non esserci un nes... Oh, cavolo!»Battè un pugno sul volante.

«Quale brillante lampadina si è accesa nel tuo cervello, Dan, amico mio?» Lucifer sembrava tornato sarcastico.

«Sparks ci ha detto che un tizio (che per è Carter) ha cercato Smith per una causa di eredità e affidamento. E fossero tutti coinvolti in un traffico di minori?»

«Alma sarebbe ancora in pericolo», Lucifer contrasse di nuovo la mascella. «Dobbiamo andare a scuola».

 

§ § § § § § § § § §

 

«Lucifer!» Proruppe Chloe, entrando nell’attico.

«Letenati!» Le rispose, col la voce di un’ottava sopra la media. «Sei uscita prima dal lavoro: mi sorprendi, ragazzaccia», bevve un sorso di whiskey.

«Sono staca costretta a uscire prima perché mi ha telefonato la scuola di Trixie e Alma», la sua voce adesso era bassa.

«Fammi capire: la scuola, cioè un edificio, ti ha obbligato a fare l’assenteista?» La derise.

Chloe chiuse gli occhi, piegando le dita come se stesse stingendo una palla da rugby: «Aaaaah!» Urlò.

«Che cos’è successo?» Dan arrivò trafelato dalla cucina.

Chloe lo guardò con la bocca semiaperta per un secondo, poi, voltandosi di nuovo verso Lucifer, sbottò: «Certo. Mimì e Cocò: dovevo immaginarlo»

«Mimì e Cocò? Mi piace!» Esclamò Lucifer, alzando le sopracciglia e stendendo le labbra in un riso. «Tu sei il detective Cocò. O preferisci Mimì?» Si rivolse a Dan, il quale allargò le braccia e fece un mezzo giro su se stesso.

«È una cosa seria, Lucifer, non un gioco. Perché hai fatto uscire Trixie e Alma prima dell’orario?» Gli si parò davanti con le braccia incrociate.

Lucifer strinse le labbra: «Oh, io ho fatto uscire Alma. A Trixie ci ha pensato suo padre», lo indicò con un gesto del braccio che sorreggeva il bicchiere del whiskey, ormai vuoto.

Chloe si girò in quella direzione, aspettando una spiegazione: «Abbiamo scoperto un possibile collegamento tra Carter, Rokwell e la vittima e temiamo possano essere tutti coinvolti in un traffico di minori», le spiegò Dan.

Chloe scosse la testa, contrariata: «Chi è Carter?»

«Oh, giusto», intervenne Lucifer, «non abbiamo avuto tempo di aggiornati. Alla Mega Solution, abbiamo parlato con un collega di Randall Smith, tale James Franklin, secondo il quale Smith era invidioso di chi otteneva più di lui, ma se la prendeva con le mogli. Inoltre, il capo del personale ci ha detto che qualche giorno prima era stato raggiunto da un tale Garrett Carter (beh, in realtà non ha fatto il suo nome: l’ho dedotto io dalla descrizione che ne ha fatto), per una causa di eredità e affidamento. E, colpo di scena, signori e signore, la descrizione di Garrett corrisponde all’uomo che ha contattato Amenadiel, quando non riusciva a trovare me. Ciliegina sulla tora: gli assistenti sociali di Flagstaff non conoscono nessun Garrett Carter». Allargò le braccia davanti a sè.

«Fatemi capire: voi due avete preso una decisione arbitraria sulla base di qualche supposizione?» Li guardò confusa. «Passi per Lucifer, che, beh, è sempre stato superficiale, ma tu Dan...»

«Io non sono superficiale», si offese.

«Non sempre, ma molte volte ti comporti come lo fossi. Come questa volta», lo sgridò.

«Beh, preferisco essere superficiale, anziché usare mia nipote come un’esca», tornò a sedersi sulla poltrona di pelle.

«A scuola non correvano alcun pericolo, Lucifer, ne abbiamo già parlato».

«Non puoi saperlo, letenati. Non possiamo saperlo», si disperò Lucifer.

Chloe sospirò, sedendosi accanto a lui e coprendo la sua mano con la propria.




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Capitolo 7
*** Ci sei quasi, Diavolo ***


Ci sei quasi, Diavolo

 

L’uomo uscì dal camerino aggiustandosi i polsini della camicia: il sesso clandestino era più appagante di quello consumato in camera da letto; inoltre, le ragazze della Filarmonica erano così accecate dalla possibilità di far carriera, che erano disposte ad assecondare i suoi più torbidi desideri, a differenza della moglie che, ormai, pareva andare avanti solo per forza d’inerzia. Ingurgitò una pillola, poi si diresse verso un altro camerino: Rebecca era fantastica, certo, con la vita non esageratamente strizzata come nella maggior parte delle sue coetanee venticinquenni, ma con quel tanto di carne che bastava perché lui potesse mordicchiare e pizzicare come più preferiva, tuttavia i lobi delle orecchie erano così piccoli che faticava a morderli, così come i seni, i quali, pur essendo sodi, erano troppo piccoli per i suoi gusti e anche se sapeva dargli piacere, trovava che Jade fosse il suo completamento. Chissà se avrebbero mai accettato un rapporto a tre?

Intanto, Rebecca si rivestì e si guardò allo specchio: quel porco le aveva lasciato un succhiotto sul collo e per nasconderlo avrebbe dovuto usare quintali di correttore. Prima, però, aveva urgenza di togliersi lo sperma appicicoso che le era colato sulle gambe. Mentre si insaponava, si ritrovò a pensare per l’ennesima volta alla propria famiglia e alla probabile reazione dei suoi genitori alla scoperta di essere diventati nonni di una bambina nata fuori dal matrimonio: a lei avevano dato il nome di una che aveva partorito a sessant’anni e, invece, si era ritrovata madre ad appena vent’anni, lontana quasi tre mila miglia da casa. Selina, così l’aveva chiamata, aveva la pelle bianchissima – più della sua – e occhi e capelli scuri come quelli del padre: l’aveva colpita così tanto quel contrasto che non ci aveva pensato un attimo a sostituire il nome che aveva scelto in un primo momento – Katharina, come sua madre – con quello dell’antica dea lunare. Come a voler cancellare quei pensieri, chiuse il getto dell’acqua con uno scatto delle mani e si asciugò in fretta con l’accappatoio: erano quasi le diciannove e aveva prenotato la baby sitter fino alle venti: per fortuna, non abitava lontano dal teatro, ma, visto che come al solito era a piedi, avrebbe dovuto affrettarsi, se non voleva pagare gli straordinari alla ragazza.

Come al solito, appena uscita in strada, venne investita dall’alta temperatura e dalla fiumana di gente eterogenea che camminava in tutte le direzioni e in cui si mescolavano gli abitanti e i turisti: alcuni erano vestiti in modo quasi elegante, mentre altri sembrava avessero allungato una mano nell’armadio a occhi chiusi.

«Hey, bella, hai da accendere?» Le chiese una voce alle sue spalle.

La ragazza si immobilizzò, il sangue che si rifiutava di circolare nelle vene. Aveva dimenticato quella voce e aaveva sperato che anche lui si fosse dimenticato di lei e del loro patto. Deglutì a vuoto, poi, cercando di riportare il respiro a un livello normale, trovò la forza di guardarsi attorno: la via era trafficata, non correva alcun pericolo.

«Non fumo», gli rispose, riprendendo a camminare, senza voltarsi.

«Non fumo», le fece il verso la voce, con un tono stridulo, dietro di lei.

Doveva chiamare un taxi, ma per farlo, avrebbe dovuto fermarsi e lui l’avrebbe raggiunta. No, meglio continuare a camminare fino alla fermata del bus. Se era fortunata, magari ne trovava uno appena arrivato e lei avrebbe potuto salirci, facendo perdere le proprie tracce, ma lo sconosciuto fu più veloce di lei e le prese un braccio, bloccandola e strattonandola per farla girare: «Dove credi di andare, bellezza? Non sai che è maleducazione ignorare chi ti parla?».

Una folata di sudore e alito cattivo la invase.

L’uomo allungò la mano per accarezzarla, ma lei cercò di schivarlo, schifata: «Ti piaciono le manieri forti, eh?» si umettò le labbra.

«No, lasciami», provò a divincolarsi, ma l’uomo era più forte di lei e a ogni suo strattone, sembrava che l’avvicinasse sempre di più. «Lasciami, o urlo», provò a minacciarlo.

Una donna di colore, che stava uscendo in quel momento da un negozio, vide la scena e, a differenza di tutte le altre persone che pareva stessero fingendo che non stava succedendo nulla di grave, intervenne senza pensare alle conseguenze: «Togliele subito le mani di dosso».

«E tu, chi cazzo saresti?» Con un ulteriore brusco movimento, lo sconosciuto attirò a sé Rebecca.

«Non mi ripeterò: lasciala andare. Subito».

L’uomo scoppiò a ridere: «Altrimenti?»

Senza accorgersene, si ritrovò per terra, con la punta del naso a pochi millimetri da un chewigum pestato chissà quante volte. Provò a sollevare la testa, ma era bloccata dal ginocchio della donna.

Un poliziotto, che fino a quel momento era rimasto fermo all’angolo, si avvicinò col taser in mano e lo puntò al fianco della donna.

«Tutto bene, signore?» Gli chiese, mentre la ammanettava.

«Sì, credo di sì». Si rialzò con un certo sforzo, spolverandosi la giacca di finta pelle e riaggiustandosi il logoro cappello da cow boy che gli era caduto a causa del tafferuglio con la donna.

«Dovrebbe venire in centrale per verbalizzare l’aggressione».

Lo sconosciuto guardò verso la folla, dove si era mimetizzata Rebecca.

 

§ § § § § § § § § §

 

Approfittando del bel tempo e delle temperature che stavano aumentando di giorno in giorno, Chloe cercò di convincere Lucifer che fosse arrivato il momento per Alma di fare la propria conoscenza con l’oceano.

Carter e Rokwell, però, erano ancora latitanti: «No, no, no, no. No e poi no», si oppose, spegnendo la sigaretta nel portacere di vetro posto sul pianoforte.

«Sei paranoico, Lucifer. Anche ai carcerati si concede l’ora d’aria»», Chloe era piegata sul pianoforte, appoggiandosi con le braccia.

«Sì, ma sono “protetti” da una recinzione. In filo spinato».

«Lucifer, le stai obbligando a saltare le lezioni, non le fai uscire se non accompagnate. Stai esagerando».

Espirando, Lucifer appoggiò le braccia sulla parte superiore della tastiera: «Quando mio Padre mi cacciò dalla Città d’Argento, giurai a me stesso che non mi sarei mai più interessato alla vita dei fratelli che non mi avevano appoggiato e così ho fatto per migliaia di anni, e il risultato è stato che Kristiel, per cercarmi – per cercare di ricucire il nostro rapporto – è stata uccisa». Si alzò col bicchiere vuoto in mano, per andare a riempirselo di nuovo. Ne bevve un lungo sorso, prima di continuare: «Ho fatto una promessa alla mia gemella: proteggere sua figlia a qualunque costo. Qualunque», sottolineò, rimanendo in piedi, con la schiena appoggiata al bancone.

«Privandola dalla libertà?» Lo costrinse a riflettere.

«Sì», le rispose con voce roca, staccandosi dal bancone e andandosi a sedere al pianoforte, «se è il prezzo da pagare per farla vivere».

«Ma questa non è vita, Lucifer!» Cercò ancora di farlo ragionare.

«Ho preso la mia decisione», iniziò a suonare alcune note.

«Anch’io».

«Sono felice di averti portato dalla parte della ragione», Lucifer continuò a suonare.

«Non ho detto di essere d’accordo con te: se tu non vuoi venire, me ne farò una ragione, ma domani io mi prenderò un giorno libero e andrò a Long Beach con le ragazze. Chiederò anche a Linda e Amenadiel di unirsi».

Esasperato, Lucifer smise di suonare: «Non ti arrendi mai, eh, letenati?»

«No», lo guardò ridendo.

Lucifer si perse di nuovo in quello sguardo.

Chissà, un giorno sulla spiaggia, lasciando le marmocchie alle cure esclusive di Amenadiel, era proprio quello di cui lui aveva bisogno: «Forse hai ragione», le concesse.

Chloe strinse gli occhi: «Perché penso tu abbia un secondo fine?»

«Perché sei umana, letenati, e come tutti gli umani sei prevenuta nei confronti del Diavolo», le sorrise, alzando le sopracciglia.

 

§ § § § § § § § § §

 

Era domenica: quel giorno della settimana in cui la maggior parte degli abitanti di Los Angeles si svegliava senza il fastidioso suono della sveglia. James Gore non era tra questi: per lui la sveglia alle quattro del mattino era diventata un’abitudine. Come era diventata un’abitudine la corsetta al parco dopo aver trangugiato una tazza gigante di caffè. In ufficio tutti lo prendevano in giro per questa sua abitudine.

Quella domenica non faceva eccezione: si svegliò, si lavò, si vestì, bevve il solito caffè e uscì per la quotidiana corsetta al parco.

Non si trattava di una corsa solitaria però: a condividere il “piacere” dell’esercizio fisico c’era Pincopallo, suo pusher di fiducia.

Come al solito, i due corsero per alcune centinaia di metri, poi Pincopallo passò la borraccia a James, il quale se la portò alla bocca, mentre faceva scivolare una bustina sotto la manica della tuta. La ripassò al compagno. Dietro una curva, i due si fermarono e mentre Pincopallo faceva finta di correre sul posto, James si chinò per allacciarsi una scarpa: in realtà, prese alcune banconote nascoste nella scarpa e quando Pincopallo gli allungò una mano per aiutarlo a rialzarsi, questi gli passò il denaro. Fu in quel momento che James la vide.

Aveva il volto rivolto verso il suolo, con le mani legate dietro alla schiena alle caviglie, e i capelli neri macchiati di rosso, come un angolo della valigetta accanto al corpo.

Pincopallo scappò subito e anche James ebbe la tentazione di seguirlo, ma qualcosa lo trattenne: e se qualcuno lo avesse visto scappara? No, gli conveniva avvertire lui stesso la polizia. In fondo, lui era un semplice jogger che aveva scoperto un cadavere, che cosa mai poteva capitargli?

 

§ § § § § § § § § §

 

Tutto sommato, non era stata una cattiva idea fare un pic-nic sulla spiaggia, coinvolgendo anche Linda e Amenadiel.

Il cielo era coperto; ciononostante, Chloe e Linda avevano insistito per una crema solare ad altissima protezione: ovviamente, Lucifer e Amenadiel avevano rifiutato in modo alquanto energico di spalmarsi quella cosa addosso, adducendo alla loro natura angelica e a nulla erano valse le proteste delle donne. In realtà, Lucifer trovava la crema solare ridicola, soprattutto sul naso di sua nipote, la quale, dal canto suo, si stava divertendo a prendere in giro Trixie, che ricambiava di gusto. Il piccolo Charlie, invece, se ne stava beato nella culla coperta da un lenzuolino: «Mi spiegate come diavolo fa a respirare con quel coso?» Chiese al fratello e alla cognata.

«Guarda che non è sigillato. E poi lo protegge dal sole», lo tranquillizzò Amenadiel, ripetendo a memoria le parole della compagna.

«Quale sole?» Lo derise il fratello.

«Linda?» si rivolse alla bionda, la quale sbuffò, alzando gli occhi al cielo.

«Le nuvole trattengono solo i raggi infrarossi, mentre riflettono e lasciano in parte passare le radiazioni solari, quindi, danno solo un apparente senso di temperature più basse, ma i raggi UVA e UVB che lasciano passare sono ugulamente pericolosi», spiegò la donna in modo scientifico. Vedendo, però, i due uomini guardarla in modo piuttosto perplesso, tagliò corto: «Fa tutto parte della creazione di vostro Padre: chiedete a lui».

«Ti posso assicurare che non ha alcun interesse per la  meteorologia», la rassicurò Lucifer.

«E col diluvio universale, come la mettiamo?» Obiettò la psicoterapeuta.

«Oh, quello! È stata nostra madre», intervenne Amenadiel, cercando di assumere un tono di voce sicuro.

«Non prendetela sul personale, ragazzi, ma vostra madre era davvero psicopatica».

Nonostante amasse rimandare agli altri l’immagine di una persona al limite del menefreghismo, Lucifer si sentì in colpa per quello che la madre aveva fatto all’amica un paio d’anni prima. Diavolo, l’aveva quasi uccisa! Decise, quindi, di rivolgere la propria attenzione a Chloe, quando il suo cellulare squillò.

«Ah! È solo il Detective Stronzo!» Rifiutò la chiamata e ripose il telefonino nella tasca della giacca, mentre da un’altro taschino estrasse la borraccia del whiskey.

«Lucifer!» Lo rimproverò Chloe, facendogli andare di traverso il sorso della bevanda. «Non voglio che chiami Daniel in quel modo, soprattutto di fronte alle bambine: è il padre di Trixie».

«Tranquilla, mammina: la maestra ci ha spiegato che lo stronzo è la cacca ed è un concime naturale e serve per far crescere le piante. Quindi, è come se Lucifer considerasse papà una persona molto importante», sottolineò l’avverbio.

«Veramente...»

L’occhiataccia della donna lo fece desistere.

Il cellulare tornò a squillare.

«Ah, ma è peggio di una zecca. Posso dire zecca? Almeno sottovoce?» Strizzò l’occhio alla donna.

«No, non puoi. E rispondi, per favore! Potrebbe trattarsi di lavoro», gli ingiunse.

«Appunto. Nulla di importante».

«Lucifer!»

«Oh, avanti, letenati: ci siamo presi una giornata libera», la implorò.

«Sbagliato! IO mi sono presa una giornata libera, non tu. E poi potrebbe trattarsi di Rockwell».

«Non volevi che ne stessi lontano?»

«Ma io oggi sono in vacanza: non posso impedirti qualche colpo di testa», gli strizzò l’occhio.

«Perché ho l’impressione che sia solo una scusa per farmi rispondere?»

«Perchè il tuo sesto senso non sbaglia quasi mai», gli concesse. «Lucifer, davvero saresti disposto a lasciare uscire da solo Dan, sapendo che potrebbe succedergli qualcosa?» Si era avvicinata a lui così tanto che avrebbero potuto baciarsi, invece, Chloe si limitò ad accarezzargli una guancia.

Come un cagnolino, Lucifer piegò la testa di lato, appoggiandosi alla mano dell’amata.

Chiuse gli occhi un attimo, poi espirò, rialzando la testa: «D’accordo, lo richiamo».

 

§ § § § § § § § § §

 

Maze era furibonda: non solo si era fatta scappare Hank Rockwell quando ce l’aveva già tra le mani, ma un poliziotto l’aveva arrestata per aggressione e, dopo averla sbattuta in carcere, le aveva addirittura sequestrato il cellulare, impedendole, di fatto, di avvertire qualcuno. Ora si trovava nell’aula di un tribunale, affiancata da un avvocato sconosciuto che avrebbe dovuto farla uscire su cauzione. Poco più basso di lei, aveva occhi e capelli scuri, naso dritto e quando parlava, una fila di denti bianchissimi faceva bella mostra di sè nella bocca piccola. Peccato parlasse poco. Aveva appena accennato alla base razzista del suo arresto, quando il vice procuratore lo bloccò: «Non dica sciocchezze, avvocato Pearson, la moralità dei poliziotti di Los Angeles è indubbia, a differenza della sua assistita: a noi risulta che prima di diventare cacciatrice di taglie, lavorasse come barista in un night club e dividesse l’appartamento col suo datore di lavoro, e forse anche qualcos’altro».

«Immagino che il viceprocuratore abbia prove di quanto appena affermato», intervenne Pearson, guardando il rivale con aria di sfida.

«Le ricordo, avvocato Pearson», si intromise il giudice, «che questo non è un vero processo, ma una semplice udienza per stabilire un’eventuale cauzione e a questo riguardo, la Corte la fissa a cento mila dollari. Il prossimo caso», battè il martelletto, segnando la fine dell’udienza.

Maze fece spallucce: «Non è un problema».

«Ci vediamo al processo, signora Smith», il vice procuratore la sorpassò, dedicandole un sorrisetto di superiorità.

 

§ § § § § § § § § §

 

«Signorina Lopez, Detective Stronzo», esordì Lucifer, appena arrivato al parco.

Daniel alzò gli occhi al cielo, stizzito: «Non cambi mai, vero?»

«Ti sbagli Daniel: la mia vita è eterno cambiamento. Che cosa abbiamo qui?» Si sporse verso la vittima, mentre Daniel sospirava: non sapeva ancora per quanti giorni (più probabile, ore) sarebbe riuscito a sopportare ancora Lucifer. E peccato se avrebbe litigato con Chloe. Tuttavia, gli rispose: «Rebecca Lapp, originaria di Weidmanville, contea di Lancaster, Pennsylvania».

«Pennsylvania? Che cosa ci faceva così lontano da casa?»

«Suonava alla Filarmonica di Glendale», lo ragguagliò.

Ella si intromise: «Forse il periodo di Rumspringa le era piaciuto e aveva deciso di non aderire più alle regole amish», scosse la testa, dispiaciuta per la morte brutale.

Daniel strabuzzò gli occhi: «Come fai a sapere che era Amish, Ella?»

«La contea di Lancaster è famosa per ospitare una delle più grandi comunità amish del Paese e Lapp è un loro cognome tipico», spiegò in vece sua Lucifer, aggiungendo: «Weidmanville non è molto lontano da Hellam, dove c’è uno dei Sette Cancelli della residenza che mi ha “regalato” mio Padre. Strana scelta per quella gente stabilirsi vicino casa mia», scosse la testa, inginocchiandosi accanto al corpo della ragazza.

«È Rebecca sarebbe stata una delle tue “vittime”?» Lo derise Daniel.

«Ammetto che è divertente cercare di tentare quelle persone, ma no», spiegò, calcando sull’ultima parola, «non ho mai visto questa ragazza prima d’ora».

«Comunque», contiuò Ella, «credo sia stata uccisa con la custodia del suo strumento musicale, ma ne saprò di più dopo l’autopsia», concluse, rialzandosi e togliendosi gli occhiali speciali.

«Non è morta per soffocamento??» Lucifer additò la posizione della povera ragazza.

«Perché allora colpirla alla testa?» Obiettò Dan.

«Per tramortirla, magari?» Lo beffeggiò ancora Lucifer.

«Effettivamente, è un’ipotesi», gli concesse Daniel. Chiese quindi a Ella di poter avere i risultati quanto prima, ma la donna si limitò a rispondergli solo con un cenno del capo.

«Quello che non capisco», continuò Daniel in macchina, «è perché tramortirla e poi legarla in quel modo: che messaggio voleva mandarci l’assassino? Sei tu l’esperto di punizioni: che cosa ne pensi?»

«Per risponderti, dovrei sapere di quale peccato si è macchiata, anche se non concepisco la morte come punizione: nessuno ha diritto di prendersi la vita di un’altra persona», riflettè Lucifer, guardando la strada davanti e serrando la mascella.

«Uhm, interessante: il Diavolo che è contrario alla pena di morte», sorrise scuotendo la testa. «Non sei tu quello che dice sempre che bisogna sempre prendere ciò che desideriamo?» Si voltò a guardarlo e questa volta Lucifer ricambiò lo sguardo: «Sì, ma io mi riferisco a qualcosa di concreto, come un oggetto, o un lavoro, per esempio. La vita non è niente di tutto questo: è la reificazione del processo vitale. Non esiste come realtà indipendente1. Inoltre, è un dono di mio Padre, e in quanto tale, solo il diretto beneficiario ne può disporre a proprio piacimento. Va da sé che a ogni azione, corrisponde una reazione uguale e contraria».

«Chiaro. Ora non ci resta che andare a casa di questa Rebecca e cercare di scoprire qualcosa sul suo passato», sospirò Daniel, tornando a prestare la propria attenzione alla guida del mezzo.

La palazzina, all’incrocio tra Lafayette Street e Colorado Street, non era molto lontana dal Carr Park, ma a causa del traffico Dan impiegò dieci minuti per raggiungerla. Bianca, a due piani, ricordava certi tristi motel. Contava quattro unità abitative: due al piano terreno e due al piano superiore. All’appartamento affittato da Rebecca si accedeva dal ballatoio. Era chiuso a chiave, ma per Lucifer fu un gioco da ragazzi aprirlo, facendo alzare gli occhi al cielo a Dan. La stanza, che i due uomini catalogarono come un soggiorno, era ordinata, se non fosse stato per qualche gioco sparso.

«Ah, bambini!» Si lasciò sfuggire Lucifer, mentre si guardava attorno.

«Che cos’hai contro i bambini?» Gli chiese il compagno.

«Non mi piacciono. Sentimento condiviso anche da molti umani, mi pare», sottolineò, per evitare giudizi non richiesti.

 Dan colse l’antifona e continuò l’ispezione dell’appartamento: dal soggiorno si accedeva alla cucina a vista: anche qua sembrava tutto in ordine. Così come in bagno e nella camera da letto.

«Sembra quasi che nessuno ci abbia mai abitato», osservò Dan, «ma forse quelli della Scientifica riusciranno a trovare qualcosa di più», proferì, speranzoso.

In quel momento entrò una donna con i bigodini in testa: «E voi chi siete? Parenti di Rebecca? O gli ultimi amanti? O forse siete solo dei miserabili ladri? Fermi dove siete: vado a chiamare la polizia», esordì, senza quasi riprendere fiato.

«Siamo noi la polizia» – riuscì finalmente a prendere la parola Dan – «sono il detective Espinoza, dell’LAPD», si presentò Daniel, «e lui è il signor Morningstar, nostro consulente civile».

«Oh!» La donna rimase incantata dallo sguardo magnetico che gli rivolse Lucifer. «A ogni modo, Rebecca non c’è, come potete vedere. Ieri sera è passato suo fratello: ha provato a bussare parecchie volte qua, ma non trovando nessuno è venuto da me. Del resto, la baby sitter mi aveva smollato la bambina perché il suo orario di lavoro era terminato e Rebecca non era ancora tornata. In realtà, era tornata da poco, ma c’era un uomo che la stava aspettando; si sono spintonati un po’, poi lei è andata verso il supermercato all’angolo e lui l’ha seguita. Era buio, ma ho visto chiaramente che era vestito come un cowboy. Pochi minuti dopo, è arrivato un tizio alto, con i capelli biondi e gli occhi verdi e si è presentato come il fratello di Rebecca».

Dan e Lucifer si scambiarono uno sguardo allarmato: era chiaro che l’uomo con cui Rebecca aveva litigato prima di morire fosse Rockwell e che il sedicente fratello fosse Carter.

«La figlia di Rebecca è ancora da lei?» Chiese Dan.

«No, certo che no. L’ho data al fratello di Rebecca: mi ha detto che lei li stava aspettando in macchina».

«Quell’uomo le ha mostrato un documento?» Insistette Dan.

«Che motivo avrebbe avuto di darmelo? Mica sono una poliziotta, io!»

«Lei ha consegnato una bambina, una minore che aveva in custodia a un perfetto sconosciuto?» Daniel si stava adirando.

«Non era uno sconosciuto: era suo fratello», insistette la donna. «Del resto, Rebecca non è rientrata, quindi è ovvio che sia partita con la figlia e il fratello», li sfidò con lo sguardo.

Anche se a differenza di Dan, Lucifer sembrava molto calmo, a quel punto strinse i pugni, facendosi forza per non mostrarsi o, peggio, afferrare il collo di quella donna, quell’insignificante anima umana del tutto inutile.

Quasi rendendosi conto dello stato d’animo del compagno, Dan si frappose tra lui e la donna: «Mi servono i suoi dati, per eventuali approfondimenti delle indagini», le disse, aprendo il taccuino.

«Perché? Io non ho fatto nulla», si oppose lei.

«Preferisce essere arrestata per intralcio alla giustizia?» Intervenne Lucifer.

«Con quale accusa?»

«Ma ha aproblemi di udito? O forse ha qualche carenza cognitiva? L’accusa è non aver fornito i suoi dati alla polizia».

«Oh, beh, in questo caso: mi chiamo Jane Valdez e abito nell’appartamento 4C».

Il cellulare di Lucifer squillò: «Maze! L’hai trovato?» L’investì, uscendo dall’appartamento.

«Sì. L’avevo fermato, ma un poliziotto mi ha arrestato per lesioni e adesso devi pagare centomila dollari per la mia cauzione».

«Che cosa?»

 

§ § § § § § § § § §

 

«Vi sto dicendo che quel tizio era Hank Rockwell, non Justin Bieber!» Nonostante il giudice avesse già fissato la cauzione e Lucifer stesse firmando l’assegno, Maze continuava la propria difesa.

«Justin Bieber? Sul serio?» Soppiò a ridere Lucifer, riponendo la penna nel taschino.

«Chi ha registrato l’arresto?» Si informò Daniel.

«L’agente Dromer Saftig», gli rispose il collega, al che, Lucifer ridacchiò di nuovo, pronto a una delle sue solite battute, facendo alzare gli occhi al cielo a Daniel: «Il sognatore succulento?2»

«Ora capisco perché i tuoi fratelli ti hanno cacciato all’inferno», gli disse, infatti, sottovoce.

«Veramente è stata mia madre, per sua ammissione».

«Tua madre? Dio ha una moglie?» Sbarrò gli occhi.

«L’aveva, ma poi l’ha ripudiata e qualche millennio dopo ha incaricato me di spedirla in un altro universo», sintetizzò il diavolo, omettendo che per un certo periodo aveva posseduto il corpo di Charlotte.

«D’accordo», Daniel alzò le mani, «conosco questo Saftig: vado a parlargli». Si incamminò, ma venne raggiunto da Lucifer e Maze, entrambi con intenzioni poco amichevoli.

Daniel li superò, fermandosi davanti a loro: «Intendevo dire che ci vado da solo. Tu», si rivolse a Maze, «devi andare a casa, quella che hai indicato sul modulo di rilascio e tu», girò la testa verso Lucifer, che per tutta risposta si mise le mani in tasca e si sporse verso di lui, «raggiungi Chloe e aggiornala sul caso Lapp».

«Non posso», gli risposero in coro.

«Come sarebbe a dire: non posso?» Sospirò: prima o poi (ma più probabile prima) quei due l’avrebbero mandato in manicomio.

«Non posso starmene chiusa in casa, sapendo che Rockwell è alla mia portata», spiegò Maze, ma Dan le illustrò che no, allo stato attuale delle cose, Rockwell non era alla portata di nessuno e che lei era stata arrestata per percosse e che non c’era traccia del suo tentativo di difendere una ragazza da un possibile omicida. La donna sbuffò: «E va bene», si arrese alla fine. Se non altro, fu quello che sperò Dan.

Avrebbe dovuto essere il turno di Lucifer dare spiegazioni, almeno a giudicare da come Daniel si frappose al Diavolo, ma questi non diede segno di cogliere, anzì, si mise nella stessa identica posizione, facendoirritare ancora di più il poliziotto: «Quale parte della frase “ci vado da solo” non è chiara?»

«Stiamo parlando dell’uomo che ha impedito l’arresto dell’assassino di mia sorella». Lo sguardo di Lucifer era duro.

«Appunto: Chloe si è raccomandata che tu ne stessi lontano, perciò...» gli indicò l’uscita con il braccio destro teso e il palmo in alto, piegando leggermente la testa.

Per tutta risposta, Lucifer gli regalò uno dei suoi sorrisi strafottenti: «La letenati è in vacanza oggi, quindi non può impedirmi colpi di testa. Sono le sue parole», si affrettò a specificare.

«Le sue parole», Dan annuì con la testa, usando il tono di voce di chi non ci crede.

«Le sue testuali parole: lo sai che io non mento mai».

«Resta il fatto che io le ho promesso che ti avrei impedito i colpi di testa, quindi, se non ti dispiace...», gli indicò di nuovo l’uscita.

«Sì, mi dispiace». Lucifer lo oltrepassò.

Dan guardò costernato la schiena del Diavolo, mentre riabbassava il braccio e la mano sbatteva contro la coscia. Scuotendo la testa, si affrettò a raggiungerlo, prima che l’avventatezza del compagno compromettesse il loro lavoro.

Dromer Saftig, poliziotto quarantenne figlio di un immigrato norvegese e un’attricetta californiana, stava riordinando alcuni documenti, quando venne affiancato da Lucifer: «Dimmi, sacco di ambizioni non realizzate, perché hai arrestato la mia amica, permettendo a un assassino di fuggire?

Dromer chiuse di scatto il cassetto, volgendosi verso il tizio che aveva osato insultarlo, ma commise l’errore di guardarlo negli occhi, rimanendo ipnotizzato.

Daniel sopraggiunse in quel momento. Anche se ora sapeva che quello non era un giochetto da quattro soldi ma era davvero il Diavolo all’opera, la tentazione di strattonarlo era forte. Tuttavia, cercò di restare calmo e ascoltare la versione dell’agente.

«Non so di chi stia parlando», si stava giustificando l’uomo.

«Hank Rockwell, ricercato per omicidio dalla polizia di Flagstaff e di Los Angeles. Lo stesso uomo che ieri stava aggredendo una ragazza». Anche se gli occhi di Lucifer erano rimasti umani, Saftig sentiva che quello sguardo gli stava letteralmetne bruciando l’anima.

«Mi dispiace, ma quel nome non mi dice niente», continuò a giustificarsi.

A questo punto, la rabbia ebbe il sopravvento su Lucifer, ma Dan, che nel frattempo gli era avvicinato, gli aveva messo una mano sul braccio nel tentativo di calmarlo, evitando che lo prendesse per il colletto: «Ah, il nome Hank Rockwell non ti dice niente? Hai sentito, detective Espinoza? Quest’uomo ha la scrivania proprio sotto la foto di un ricercato, ma non sa chi sia».

«Agente Saftig, si rende conto del guaio che ha combinato? Non solo ha favorito la fuga di un ricercato, ma ha arrestato una cacciatrice di taglie nello svolgimento del suo lavoro, oltre ad aver avallato la falsificazione dei documenti. A causa di ciò, una ragazza ha pagato con la vita. La dichiaro in arresto, Dromer Saftig: ha il diritto di rimanere in silenzio. Qualsiasi cosa dirà potrà essere e sarà usata contro di lei in tribunale. Ha diritto a un avvocato durante l'interrogatorio. Se non può permettersi un avvocato, gliene sarà assegnato uno d'ufficio».

«Ehi, un momento, aspettate», balbettò, mentre Daniel lo girava, costringelo a piegarsi sulla scrivania e amanettandogli le mani dietro la schiena, «quella ragazza è riuscita a scappare, mentre l’uomo che dite chiamarsi Rockwell mi seguiva in centrale per verbalizzare l’arresto di quella negra».

A quell’insulto, Lucifer scattò, ma Dan fu veloce a frapporsi tra i due, mettendogli le mani sul petto: «Tranquillo, amico, il razzismo è un’aggravante», cercò di calmarlo.

 

 

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N.d.A.: Non ho davvero scusanti per il ritardo col quale pubblico questo capitolo. Per questo motivo, ringrazio tutti quelli che hanno aspettato con una pazienza davvero infinita, tanto quelli che leggono lasciando un segno del loro passaggio, quanto coloro che preferiscono leggere in silenzio. Grazie soprattutto a chi ha insirito la storia tra seguite/preferite/ricordate. La mia pagina facebook: The Mirae's Dream







1  Ernst Mayr, cap 6, What is tha meaning of "life" The nature of life, Carol E. Cleland, University of Colorado, Cambridge University press, 2010 DO; Hardback ISBN 978-0-521-51775-1, Paperback ISBN 978-0-521-73202-4

2  In realtà, mi sono presa una licenza poetica, poiché in norvegese sognatore si traduce con drommeren (stando a Google Traduttore). La traduzione di saftig, invece, dovrebbe essere corretta, ma in tedesco significa succoso.

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Capitolo 8
*** Avarizia ***


Avarizia

 

Ai piedi della collina si estendeva la città di Los Angeles, le cui luci non arrivavano a coprire la Via Lattea. Quando, nove anni prima1, aveva deciso di lasciare definitivamente l’Inferno per stabilirsi in quella città, quella villa era stata il suo primo acquisto, mentre avviava le trattative per l’affitto del Lux e dell’attico: amava osservare la città degli umani da quell’altezza e allo stesso tempo lo esaltava l’idea di fare un dispetto a suo padre, ma soprattutto a certi suoi fratelli. In quel momento, però, mentre si portava alle labbra il bicchiere di whiskey, i suoi occhi non registravano nulla della natura che lo attorniava. Sussultò, anzi, quando Chloe lo raggiunse da dietro e gli incrociò le braccia attorno alla vita, appoggiando la guancia destra sulla sua schiena.

«Si è riaddormentata?» Le chiese, ricevendo come risposta – affermativa – solo un lieve strusciamento contro la propria schiena. Bevve ancora un sorso di whiskey, continuando a fissare davanti a sé.

Restarono in quella posizione, avvolti in un silenzio pressoché totale, rotto di tanto in tanto solo dal frinire dei grilli, per diversi minuti.

«Dobbiamo parlare», pronunciarono nello stesso istante.

«Prima tu», le concesse Lucifer, sciogliendosi dal suo abbraccio e girandosi a guardarla, allungando il braccio sinistro, col palmo rivolto verso l’alto.

Chloe inspirò a fondo, poi prese coraggio e andò dritta al punto, senza tergiversare: ormai conosceva bene il suo compagno e sapeva che se avrebbe preso alla larga il discorso, lui avrebbe girato la frittata a proprio vantaggio, non per niente era il Diavolo! «Questa convivenza è dannosa per entrambi: domani io e Trixie torneremo nel mio vecchio appartamento», disse il più veloce possibile.

Lucifer boccheggiò, aprendo e chiudendo la bocca due otre volte, senza riuscire a emettere alcun suono: Chloe l’aveva sempre stupito, sin da quando gli aveva dato il due di picche la prima volta, ma adesso sembrava che finalmente le cose tra loro due stavano andando bene; non c’era alcun motivo per cui volesse abbandonare lui e Alma Lucinda, soprattutto perché la bambina stava dimostrando più attaccamento a lei che non a lui.

Da parte sua, Chloe lo guardava in attesa di una reazione: non era da lui rimanere spiazzato di fronte a una simile rivelazione. Era sempre stato pronto a reagire con una delle sue battutine irritanti. Piegò la testa di lato, strizzando un po’ gli occhi.

«Non puoi», sentenziò alla fine il Diavolo.

Chloe si rimase dritta e incrociò le braccia: «Perché no? Sentiamo».

«Perché Alma Lucinda ha bisogno di te», si sporse in avanti, nel tentativo di metterla con le spalle al muro di fronte a questa evidenza. Non era tutta la verità: a quella, ci sarebbe arrivato tra poco.

«No, ti sbagli. Alma Lucinda ha bisogno di te, di sentire suo zio dalla sua parte. E tu, durante una sua crisi che cosa fai? Te ne vai, lasciandola sola a piangere tra le braccia di una sconosciuta», lo rimproverò.

«Non sei una sconosciuta per lei, Letenati», cercò di calmarla.

«E invece sì, sono solo una sconosciuta, un surrogato della figura materna».

«Questo non è vero, Letenati, e non è giusto che tu ti smunuisca in questo modo», controbatté Lucifer.

«Non mi sto sminuendo, Lucifer. Sto guardando in faccia la realtà. Perfino tu, ti sei appoggiato a me e questo non va affatto bene. Abbiamo tutti e due un lavoro molto impegnativo. Ok, forse il tuo è un po’ più impegnativo del mio...»

A quel punto del discorso, Lucifer si lasciò scappare una mezza risata sarcastica e bevve un sorso di liquore, voltandosi un attimo a guardare verso la città in lontananza.

«...Ma quando torno a casa, vorrei potermi rilassare anch’io, e invece mi trovo a dover accudire ben tre bambini, di cui uno veramente molto, molto, molto infantile», concluse, calcando ogni volta sull’avverbio.

«Tre bambini? No, no, Letenati, qua ci sono solo due bambine, ma stanno crescendo abbastanza in fretta, grazie a mio Padre. Non vedo nessun terzo bambino». Bevve di nuovo.

«Davvero? Perché ci sto parlando assieme proprio in questo momento. Anzi, sto tentando di parlarci, perché lui non sta facendo altro che fare capricci».

Lucifer girò su sé stesso, cercando questo misterioso bambino, esasperando ancora di più la donna.

Alla fine, parve capire l’antifona: «D’accordo», le concesse, «è evidente che mi consideri un bambino capriccioso e credimi quando ti dico che sei fortunata ad essere stata scelta da me come mia compagna: non sono molti gli umani che possono vantarsi di offendere il Re dell’Inferno. In effetti, nessuno». Piegò la testa di lato, le labbra strette nella sua solita smorfia sarcastica, aspettando che adesso fosse Chole a cogliere l’ammonimento.

Chloe lo guardò interdetta: era la prima volta che le si rivolgeva in maniera così dura; insomma, le aveva sempre detto di essere il Diavolo, ma mai aveva osato minacciarla.

«Non ti preoccupare, però», riprese a parlare, approfittando del silenzio della donna, «sarò io ad andarmene. Il tuo appartamento a Venice è stato venduto, quindi puoi continuare a vivere qua».

«Molto gentile da parte tua». Il tono che Chloe usò tradì la sua ira repressa, evidenziata anche dal guizzo della mascella.

Lucifer non riuscì a trattenersi dall’ennesima frecciata, nella stupida convinzione di rendere l’addio più semplice: «Dovresti essere felice: un bambino in meno da accudire».

Chloe strinse l’aria nei pugni, mentre chiudeva gli occhi e le scappava un grugnito: «Sei insopportabile quando usi le mie parole contro me stessa».

«Beh, credevi forse di averne l’esclusiva?» Lucifer continuava a darle le spalle, ma Chloe pensò che con quella frase lui cercasse di stemperare l’atmosfera, quindi decise anche lei non già di sotterrare, ma almeno di abbassare l’ascia di guerra: «Non volevo cacciarti da casa tua», cominciò, abbracciandogli la schiena, ma Lucifer la bloccò di nuovo: «Non sei tu che mi sta cacciando, Letenati: la colpa è di Erona».

«Chi?» Chloe sciolse l’abbraccio e con dolcezza costrinse Lucifer a girarsi verso di lei.

«Un demone. Voi li chiamate centauri», spiegò. «È evidente che Kristiel non riesce a contenerla ed è mio compito tornare laggiù», le rivelò infine.

Dalla gola di Chloe uscì un sospiro.

Lucifer restò a guardarla in attesa di una reazione più violenta per alcuni secondi, prima che la donna riuscisse a comporre un pensiero articolato che fosse quanto più razionale possibile, anche se la tentazione di stringere il collo del compagno era ogni momento più forte: «Vuoi tornare all’Inferno? E lasciare me e Trixie, ma soprattutto Alma Lucinda, da sole? E la promessa che hai fatto a tua sorella?»

«Non capisci Letenati?» Gli occhi gli si riempirono di lacrime. «Erona si è palesata ad Alma e questo significa solo una cosa: i demoni sono pronti a un’altra rivolta contro di me. Non posso permettere che tornino sulla Terra e rapiscano Alma: ho promesso a Kristiel che l’avrei protetta contro tutto e tutti e se questo significa lasciarla qui, beh, sono disposto a farlo. Del resto, qua ci sono sempre Amenadiel e Linda», cercò di indorare la pillola, ma le labbra non volevano saperne di piegarsi in un sorriso.

«Non puoi mandare qualcuno dei tuoi fratelli? Michael, Gabriel, Rafael, per esempio?» Azzardò la donna, citando alcuni nomi a caso e mordicchiandosi il labbro inferiore.

Un gesto che provocò una reazione nelle parti basse del Diavolo e che costrinse Lucifer a mettersi una mano in tasca e a deglutire: «Che cosa?» Cercò di ridere, in modo da allentare anche la tensione sul cavallo dei pantaloni: Chloe aveva un grandissimo potere su di lui e neanche se ne accorgeva. «Quelli si staranno strappando le piume vedendomi tornato sulla Terra».

«Oh, giusto. In Paradiso ti sei fatto qualche nemico. Ma nessuno dei tuoi fratelli è in debito con te?» Chloe piegò la testa di lato, ma il pensiero dei suoi fratelli aveva spento i bollenti spiriti di Lucifer, il quale, concentrandosi, riuscì a pensare a sua sorella Azrael: «Ora che ci penso, ho una sorella che sarebbe disposta ad aiutarmi».

«Visto?» Chloe non se ne accorse, ma il modo in cui la bocca le si allargò, così come gli occhi le risplendettero, scaldarono il cuore a Lucifer molto più di quando, pochi mesi prima nell’attico era riuscita a fargli riprendere l’ambita forma umana. «Chiamala: che cosa aspetti?» La donna si laciò prendere dall’euforia, ma mentre Lucifer giungeva le mani per stabilire un contatto telepatico con la sorella, Trixie richiamò la loro attenzione, costingendo i due adulti a voltarsi verso di lei: «Mammina? Non trovo Alma Lucinda».

 

§ § § § § § § § § §

 

«Adesso calmati, Lucifer!» Amenadiel si impose sul fratello con tutte le sue forze.

«Come faccio a calmarmi? Alma Lucinda è da qualche parte là fuori, di notte, con Rockwell e il suo amichetto ancora in libertà, grazie alla vostra organizzazione corrotta», si girò verso Daniel, precipitatosi alla villa quando Chloe lo aveva avvertito.

«Magari si è nascosta da qualche parte», azzardò quest’ultimo, ignorando l’accusa di Lucifer.

«Come Trixie quando Chloe e Penelope stavano litigando per farla o meno recitare?» Frecciò ancora il Diavolo.

«Giusto!» Dan agitò il dito indice verso Lucifer.

«Scusa, puoi abbassare quel dito? È inquietante. Comunque, sì, so che ho ragione».

«No, non mi riferivo a quello», lo contraddisse Dan, smettendo di agitare il dito. «Trixie si è allontanata durante un litigio, è probabile che Alma abbia fatto lo stesso: perché stavi litigando con Chloe?»

La domanda suonò a Lucifer come un’accusa poco velata, tanto più che sia Dan che Amenadiel lo stavano fissando in attesa, gambe leggermente divaricate e braccia conserte.

«Fantastico!» Sbottò Lucifer, allargando le braccia e lasciandole ricadere lungo i fianchi. «Fate pure il processo a me, mentre Alma Lucinda è chissà dove».

«Lucifer», lo richiamò il fratello, «è importante: forse vi ha sentito litigare e si è spaventata. Non dimenticarti che proviene da una situazione violenta».

Bene. Era arrivato alla resa dei conti. Dopotutto, in quel modo poteva convincere lui ad andare all’Inferno, anziché distrarre Azrael dal suo compito: «Volevamo entrambi una pausa di riflessione».

«Volevate lasciarvi?» «Volevi tornare all’Inferno?» Dan e Amenadiel parlarono insieme.

«No e sì», rispose Lucifer, sempre più impaziente.

«Che significa?» Questa volta parlò solo Amenadiel, le braccia di nuovo incrociate sul petto.

«Non possiamo rimandare le spiegazioni a dopo?» Sbottò Lucifer di rimando.

«Va bene, ma non può essere andata lontana: dietro casa c’è un precipizio e voi due l’avreste vista se stavate sul patio. Quindi, può essere solo uscita in strada, ma qualche tuo vicino l’avrebbe vista e ti avrebbe già chiamato».

«A quest’ora della notte? E no, se è scesa dalle scale laterali, non avremmo potuto vederla», ribattè Lucifer.

«D’accordo, è inutile fare recriminazioni», intervenne Dan. «Tu e tuo fratello perlustrate il bosco, io controllerò la strada».

Finalmente d’accordo, i tre uscirono e si divisero, ma mentre Lucifer si accingeva a scavalcare la recinzione, Amenadiel, lo trattenne per un braccio: «Davvero volevi tornare all’Inferno? Che ne sarebbe stato di Alma Lucinda?»

Lucifer sbottò per l’ennesima volta, ma prima di rispondere al fratello, si guardò intorno: forse Dan aveva ragione, come avrebbe fatto una bambina a scavalcare quella recinzione? Era alta centosettanta centimetri – praticamente superava Trixie e arrivava alla testa di Alma – e non aveva appigli affinché le ragazze potessero scavalcarla, a meno che... No, non voleva neanche prendere in considerazione quell’idea. Si decise, quindi, a rispondere al fratello, il quale continuava a tenergli il braccio. Sospirò: «Io e Chloe abbiamo litigato dopo aver calmato Alma Lucinda: in era svegliata urlando, in preda a un incubo, anche se non credo si trattasse di un vero incubo. Piuttosto, sono sicuro che fosse un messaggio di Erona».

«Erona?» Amenadiel lo guardò sochiudendo gli occhi e piegando la testa di lato.

«Sì, hai presente quella bellissima demone con due bocce grandi così e un culo niente male, da cui però spunta una lunga coda di cavallo?» Lucifer quasi derise il fratello maggiore.

«So perfettamente chi è Erona, non c’è bisogno che mi descrivi attributi a cui non ho mai prestato attenzione. Mi domando perché Erona avrebbe dovuto entrare nei sogni di nostra nipote: non avevi detto che l’Inferno era attualmente sorvegliato?»

«Già, ma Alma Lucinda ha sognato che da un albero alle spalle di sua madre si dirmavano delle liane che stritolavano Kristiel e me, mentre Erona, spalleggiata da Runia2 e da Basilisco, stava per scoccare una freccia contro nostra sorella: come te lo spieghi se non un messaggio di Erona diretto a me?»

«E se invece fosse un avvertimento di Kristiel?» Amenadiel si grattò il mento.

Lucifer emise un risolino.

«Può darsi che i demoni stiano progettando un’altra rivolta e che se torni laggiù potrebbero tenderti un’imboscata».

Lucifer sgranò gli occhi: in effetti non era un’eventualità da scartare. Seppur ancora terrorizzata, Alma Lucinda aveva detto che sua madre stava brandendo una spada fiammeggiante con la quale stava cercando di tagliare le liane. «Oh, caz...», imprecò.

«Appunto», equivocò Amenadiel.

«No, non hai capito: Alma Lucinda ha parlato anche di una spada fiammeggiante e di un drago».

«Quanti draghi ci sono all’inferno?» Si informò Amenadiel.

«Capaci di forgiare spade fiammeggianti? Nessuno credo», spiegò con un filo di voce il più giovane.

«Credi che sia tornata?» Amenadiel non sapeva se preoccuparsi o essere felice.

«C’è solo un modo per scoprirlo: andare laggiù e dal momento che eri tanto disperato dal non averla potuta salutare, puoi andare tu. Buon viaggio». Lucifer gli diede una pacca sulle spalle, lasciandolo solo sul bordo della piscina, interdetto e con la bocca spalancata e le braccia penzoloni, e si allontanò, dirigendosi verso l’interno della villa: c’era un posto dove la nipote aveva potuto nascondersi e al quale nessuno di loro aveva pensato.

 

§ § § § § § § § § §

 

«È incredibile! Ha dato la colpa a me, quando è ovvio che è tutta tua», sbottò Lucifer appena raggiunse Dan all’ingresso del Runyon Park.

«Che cosa sarebbe mia?» Ribattè Dan, chiudendo il taccuino.

«Il fatto che nel cuore della notte hai svegliato i miei vicini», lo redarguì ancora Lucifer.

Dan sospirò, voltandosi di lato e battendo una mano sulla gamba, poi decise che quel rospo era indigesto: «Io non avrei avuto bisogno di svegliare i tuoi vicini, se tu avessi controllato meglio!»

«IO avevo controllato bene, altrimenti Chloe non avrebbe insistito per chiamarti», gli rinfacciò il Diavolo.

«Oh sì», Dan mosse la testa su e giù, «talmente bene che non hai pensato al tetto», lo derise.

«Il problema non sarebbe esistito se qualcuno non mi avesse convinto che vivere sopra un locale notturno non era il massimo per due bambine», insistette Lucifer, ma, per evitare l’imminente reazione del compagno, si affrettò a cambiare subito argomento: «Allora, chi ha deciso di andare a trovare mia sorella? O mio Padre, ma ne dubito, conoscendo i vizi degli abitanti di questa città», domandò, incamminandosi verso un sentiero e dando le spalle al partner.

Un giorno o l’altro giuro che lo strangolo, borbottò tra sé e sé Dan, stringendo i pugni, ma si limitò ad aggiornare il compagno: «Garrett Carter».

Il nome pronunciato suonò come una fucilata per Lucifer che si bloccò all’istante.

«Quel Garrett Carter», specificò ancora Dan.

«Buongiorno ragazzi», esordì Ella. «Il karma: dai quello che ricevi», sentenziò, fotografando la vittima da diverse angolature e frapponendosi fra essa e Lucifer.

«Oh, come il 69», ridacchiò quest’ultimo, facendo sollevare per l’ennesima volta gli occhi al cielo a Dan.

«Ci puoi dire qualcosa su come è morto?» Le domandò l’investigatore.

«A giudicare da quel piccolo rivolo di sangue rosa ai lati della bocca, direi che qualcuno gli ha provocato un’emorragia polmonare, ma non presenta ferite da armi contundenti se non questo ematoma toracico: indi per cui, direi che non è morto qui».

«Perché spostarlo?» Lucifer scosse la testa, non capendo il motivo di quel gesto.

«Non è lontano dalla tua villa», gli suggerì Dan.

Se in un primo momento questa constatazione l’aveva lasciato senza parole, Lucifer si riprese comunque in fretta: «Questo significa che dobbiamo di nuovo trasferirci al mio attico sopra il Lux».

«Non se ne parla proprio», lo contraddisse Dan. «Mia figlia non verrà a vivere in un posto dove chiunque può entrare. Ti sei dimenticato di quella volta che sono entrati dei killer e lei per poco non veniva ammazzata?»

«Come faccio a dimenticarlo se me lo ricordi ogni momento?» Recriminò Lucifer.

«Ok, ragazzi, stop! Qui c’è un morto che grida giustizia» Si intromise Ella.

«Oh! Mi ricordi la Letenati», scherzò Lucifer. «Ma no, mi dispiace», aggiunse, col tono indurito, quasi roco, «la sua morte non grida giustizia».

«Sì, capisco la tua sete di vendetta, ma... ora è morto: non provi un po’ di pietà?» Gli domandò Ella, guardandolo in attesa di una risposta.

«Sono IL Diavolo, signorina Lopez. Che cosa credi possa succedere se mi lasciassi impietosire da ogni lacrimuccia versata dalle anime dannate?» La rimproverò.

«Sììì, lo capisco, ma magari è stato ucciso perché si è pentito di aver aiutato Rockwell», suggerì.

«Penso piuttosto che sia stato ucciso perché non si era accontentato della parte pattuita».

«E da che cosa l’avresti dedotto?» Lo schernì Dan.

«All’Inferno, gli avari – quelli che ci finiscono senza un senso di colpa specifico, intendo – vengono puniti costringendoli a girare in tondo con un masso legato sul petto. È divertente vedere quando si urtano l’un con l’altro, soprattutto perché gli altri sono i prodighi».

«Quindi pensi che qualcuno gli abbia schiacciato il petto con un masso? L’ematoma, però, ricorda più il pneumatico di un camion».

«Non sono presenti segni di pneumatici sul terreno», la contraddisse Dan.

«Questo dimostra che non è morto qui, ma è stato portato qui post mortem», gli tenne testa Ella.

«Che senso ha spostare un cadavere dopo un investimento?» Si domandò Lucifer.

«Questo è un posto abbastanza isolato», ipotizzò Dan, «perfetto per guadagnare qualche ora di vantaggio».

«Ma non ha senso», obiettò Lucifer, «investi una persona e scappi. Non la carichi in macchina per portarla in un parco»

«A meno che non si trovi sulla strada di una possibile fuga», considerò ancora Dan.

 

§ § § § § § § § § §

 

Il tempo, là, sembrava non passare mai: quanti giorni, settimane, o anni, erano trascorsi da quando l’uomo per il quale aveva rinunciato alle proprie ali l’aveva uccisa? Lo ignorava, e forse non le interessava neanche più di tanto, se non fosse stato per sua figlia: aveva ancora dieci anni, o era diventata un’adolescente? Soprattutto, Lucifer si stava comportando come un buon genitore? Sarebbe stato in grado di prenderla per mano e accompagnarla nella crescita? Una lacrima scese sulla guancia della Reggente dell’Inferno proprio nel momento in cui un’anima stava precipitando. Kristiel abbassò lo sguardo: quelle fattezze non le erano del tutto sconosciute, anche se faticava a mettere a fuoco le circostanze che avevano condotto le loro esistenze terrene a incrociarsi.

«E tu chi sei?» gli domandò con un tono quasi musicale.

«Garrett Carter», bofonchiò l’uomo, guardandosi attorno. C’era qualcosa di innaturale in quel luogo: nessuna luce riusciva ad oltrepassare dalle nubi squassate dai lampi e da cui pioveva cenere, nient’altro che finissima e fastidiosissima cenere che penetrava sotto i vestiti e negli orifizi, rendendo la vista appannata e la respirazione difficoltosa. Tuttavia, la donna che lo sovrastava pareva non esserne contaminata. Carter strinse gli occhi, cercando di guardarla meglio, piegando il capo prima a destra e poi a sinistra: le labbra erano di un rosso così vivo che sembrava fosse sangue liquido, mentre le due fila di denti candidi erano socchiuse. Spostò lo sguardo sul resto del viso, senza ancora riconoscerla, finché non commise l’errore di fissarle gli occhi. Da verdi qual erano inizialmente, divennero ben presto del colore del fango. Anzi: erano fango, e quel fango tracimava dagli occhi e lui vi annegava. Ogni volta che cercava di riemergere, mille piccole mani lo rispingevano sotto la superficie del fango, mentre la donna che lacrimava fango cantava “Twinkle, twinkle little star”.

Avrebbe voluto smettere, Kristiel, di torturare in quel modo quell’umano, ma quando i loro sguardi si erano incrociati, lei aveva visto la sua colpa, uno di quelli a cui suo marito vendeva bambini innocenti, forse perfino la loro – la sua – Alma Lucinda e il desiderio di vendetta che riempì il suo essere fu così forte che condannò lei stessa a rivivere in eterno la punizione.

«Mia Signora», nitrì Erona, senza che Kristiel l’udisse. «Mia Signora», insistette il centauro, alzando la voce: nemmeno stavolta l’angelo rispose.

Kristiel era l’Angelo reggente e lei un semplice demone inferiore: non le era permesso avvicinarla e toccarla, così fece l’unica cosa che sapeva fare: impugnò l’arco e incoccò una freccia, scagliandola verso l’alto.

Oltre la prima coltre di nubi, un ragno stava tessendo una tela: quando i dannati, spinti dal terrore di finire tra le fauci del serpente, vi sarebbero rimasti impigliati, Runia si sarebbe affrettata a ricoprirli con le sue secrezioni. All’improvviso, a pochi passi dalla sua opera la freccia di piombo di Erona spuntò da una nube, lasciandola perplessa per un momento, ma la sua curiosità si spense quasi subito perché un colpo di coda involontario di Basilisco la deviò, mentre un dannato richiamò la sua attenzione.

 

§ § § § § § § § § §

 

L’urlo spaventato di Alma Lucinda aveva svegliato sia Trixie che Lucifer e Chloe, i quali si erano precipitati nella camera delle due bambine. Anziché abbracciare lo zio, però, Alma si era stretta a Chloe e a lei, singhiozzando, aveva raccontato l’incubo.

Quando si era confrontato col fratello, entrambi avevano pensato a un ritorno della madre e a una difficoltà di Kristiel, ma ora, guardando la foto che Ella aveva schiaffato sulla scrivania di Daniel, Lucifer si chiese se, per caso, lui e amenadiel non avessero frainteso l’incubo.

«Non capisco, Ella», stava dicendo il poliziotto.

«Garrett Carter non è stato investito o schiacciato, ma... stritolato, probabilmente da un pitone, o un’anaconda».

«Cosa? Non ci sono pitoni o anaconde in California», obiettò Daniel.

«Hai dimenticato gli zoo. E i cittadini privati», constatò la donna.

«Cos’è, un cliente si è arrabbiato per della merce avariata?» Ironizzò Lucifer, suscitando riprovazione negli altri due, il che lo spinse ad aggiungere: «Per i pedofili – e a questo punto siamo tutti d’accordo che Rockwelle e Carter facevano affari con quella gente – i bambini sono solo dei prodotti, della merce».

Ella soppesò la spiegazione, muovendo la testa: «Sì, potrebbe essere così».

«È evidente che è così, signorina Lopez», si impermalì il Diavolo.

«Se le cose stanno così, non è Rockwell l’assassino che stiamo cercando». Chloe era arrivata all’improvviso alle loro spalle, facendo trasalire i tre.

«Letenati», le sorrise Lucifer.

«Inoltre», continuò, «questo significa che la figlia di Rebecca non è più con Rockwell, ma potrebbe essere già stata “venduta”».

«O forse è riuscita a scappare, magari subito dopo il pagamento», ipotizzò Lucifer.

«Giusto», si intromise Dan, «mando alcune volanti al suo vecchio indirizzo: magari sta tornando a casa».

«Se siamo fortunati, anche Rockwell ci andrà», sperò Ella.

In quel momento, squillò il cellulare di Daniel: «Buongiorno, parlo col detective Espinoza? Sono Jane Valdez: mi aveva detto di contattarla se avevo delle novità. Ecco, è tornata la figlia di Rebecca Lapp, da sola».


1  Nella puntata 3*11, viene chiaramente indicato il 2011 come anno in cui Lucifer decide di tornare a Los Angeles (l’ultima volta pare sia stata negli anni Sttanta, a giudicare da come si veste in una delle prime scene) e questa mia fanfiction è ambientata tra la primavera e l’estate del 2020.

2  Omaggio personale a Tolkien. Cercando il nome di un ragno, sono incappata in Ungoliant, uno spirito malvagio che abitò nell'Avathar durante la Prima Era. La sua forma caratteristica era quella di un ragno femmina gigante, avvolta dall'oscurità delle tele che essa stessa tesseva. In origine era una Maia, ovvero un Ainu (entità paragonabile agli angeli) di grado inferiore. (N.b.: Maiar e Ainur al plurale)

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Di nuovo, non ho davvero scusanti per il ritardo col quale pubblico questo capitolo. Per questo motivo, ringrazio tutti quelli che hanno aspettato con una pazienza davvero infinita, tanto quelli che leggono lasciando un segno del loro passaggio, quanto coloro che preferiscono leggere in silenzio. Grazie soprattutto a chi ha insirito la storia tra seguite/preferite/ricordate.



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Capitolo 9
*** Ira ***


Ira

 

«Buongiorno, parlo col detective Espinoza? Sono Jane Valdez: mi aveva detto di contattarla se avevo delle novità. Ecco, è tornata la figlia di Rebecca Lapp, da sola».

«È strano», mormorò Daniel, chiudendo la comunicazione, «come può una bambina girare da sola, di notte, in una città come Los Angeles?»

«Vostra figlia c’è riuscita», obiettò Lucifer, riferendosi ai due episodi in cui la bambina era uscita di soppiatto da casa della madre per raggiungerlo al Lux.

«Ma la figlia di Rebecca è più piccola», convenne Chloe, battendo ritmicamente l’indice contro la bocca.

«Questo significa che il nostro ofiologo pederasta abita in zona», decretò Lucifer.

«Mmm... non credo: questo tipo di “commmercio” è piuttosto esoso e quello non è un quartiere benestante», riflettè Chloe.

«A meno che l’acquirente non abbia scelto un posto lontano dalla sua abitazione: c’è un piccolo parco lì vicino», copnsiderò Dan.

«Quando devi incontrare un informatore, ti porti dietro Nagini?» Lo beffeggiò Lucifer.

Questo era troppo! Daniel si parò davanti a Lucifer con le mani sui fianchi e sebbene l’altro lo superasse in altezza di una ventina di centimetri, non si fece problemi ad alzare lo sguardo verso di lui: «Sai che c’è? C’è che con le tue battute mi hai stufato: non fai altro che prendere in giro le idee delle altre persone, ma in quanto a proporre qualcosa di concreto, nada».

«Daniel, caro, ti devo forse ricordare con chi stai parlando?» Nonostante Lucifer aveva arcuato all’indietro la schiena, alzando le mani quasi in segno di resa, il tono mellifluo della sua voce e il ghigno che avevano assunto le sue labbra, rendevano chiara la minaccia insita nella domanda.

«Sei il Diavolo: e allora? Fino a prova contraria, sei tu che sei nel mio mondo», gli rispose il poliziotto, per nulla turbato, ma continuando a guardarlo fisso negli occhi. Quando, dietro insistenza di Chloe, Lucifer gli aveva mostrato il proprio lato oscuro, logicamente si era spaventato, anche se aveva cercato di non darlo a vedere. Del resto, insomma, nonostante fosse un credente, non aveva mai dato troppo peso alle storie sull’Aldilà, quindi, per lui, semplice umano, trovarsi davvero in presenza del Divino, era stato qualcosa a cui non aveva saputo dare subito un nome, ma si era aiutato a superare lo shock iniziale concentrandosi sul carattere umano di Lucifer. Anche adesso, mentre lo affrontava era abbastanza tranquillo, se si sorvolava sulla rabbia che stava provando: dopotutto, in tutti quegli anni, Lucifer non aveva mai alzato un dito contro di lui, nemmeno quando ne avrebbe avuto tutte le ragioni, limitandosi al massimo a chiamarlo “Detective Stronzo” e a lanciargli frecciatine. Di sicuro, non gli avrebbe torto un capello ora, per un banale litigio, non davanti a Chloe, per lo meno. Ed era anche sicuro che, se avesse dovuto morire di lì a poco per un incidente o una sparatoria, difficilmente sarebbe finito all’Inferno, dove qualche demone avrebbe potuto torturarlo per ordine di Lucifer: in fin dei conti, dopo il casino con Malcom, aveva fatto di tutto per rimediare, per cui era sicuro che, se continuava su quella linea, se non proprio in Paradiso, sarebbe finito in Purgatorio, anche quello luogo in cui Lucifer non era ammesso.

Dal canto suo, Lucifer era quasi stupito per il coraggio dimostrato dall’amico: l’unico che finora non si era spaventato aveva cercato di ucciderlo! Certo, Dan lo conosceva da anni, ma anche Chloe lo conosceva da molto e sicuramente meglio di Dan, eppure lo aveva quasi rispedito all’altro mondo! Nemmeno padre Frank aveva mostrato di temerlo, a essere sinceri, ma lui era un uomo di fede e quindi non contava. Mentre era immerso in questi pensieri, il suo cellulare squillò: «Ops, scusami», disse all’uomo che continuava a fronteggiarlo, alzando un dito indice, mentre infilò l’altra mano nel taschino interno della giacca, per prendere il telefonino.

«Dottoressa Linda», esclamò, voltandosi dall’altra parte,

Chloe, che stava per frapporsi ai due uomini, tirò un sospiro di sollievo. si rivolse quindi a Dan: «Fatti accompagnare dalla detective McEnroe e andate da Jane Valdez. Non preoccuparti, ci penso io a Lucifer. Ah, Dan, non c’è bisogno che ti chieda di far ricorso alla stessa complicità che usi con Trixie quando chiederai alla figlia di Rebecca com’è riuscita a fuggire, vero?» Gli strizzò l’occhio.

Dan non se lo fece ripetere una seconda volta e si affrettò a uscire dall’ufficio.

Quando Lucifer chiuse la comunicazione e si voltò, rimase a bocca aperta nel constatare di essere rimasto da solo con la letenati: «Dov’è andato il detective Stronzo?»

«A fare il suo lavoro, e non voglio che tu lo chiami in quel modo: mi sembrava di essere stata chiara a questo proprosito», gli rispose, con un tono di voce che non ammetteva repliche, mentre giocherellava con una matita.

«No, tu hai detto che non volevi lo chiamassi in quel modo davanti a tua figlia – vostra figlia – ma qui la progenie non c’è, quindi...»

«Quindi niente. O lo chiami Dan, oppure detective Espinoza. Punto», tagliò corto la donna, posando la matita.

«D’accordo», Lucifer alzò le mani davanti al petto. «Adesso, se me lo permetti, vado a raggiungere il detective Espinoza: siamo partner, dopotutto». Si diresse verso la porta, ma Chloe lo bloccò subito: «No, non te lo permetto, anche se siete partner».

Vedendolo sbigottito, con la bocca semiaperta, Chloe si affrettò a specificare che in fondo gli stava facendo un favore, dal momento che lui non amava i bambini; inoltre aveva capito che la telefonata di Linda doveva essere ugualmente urgente, quindi gli dava il permesso di raggiungere la cognata.

«Hai capito male», la contraddisse Lucifer, con le labbra serrate e quelle deliziose fossette che gli si formavano sempre ai lati della bocca, quando assumeva quella smorfia.

«Davvero?» Il tono di Chloe non era incredulo, ma sarcastico, tanto più che aveva leggermente piegato la testa di lato.

«Mh, mh», Lucifer si limitò ad asserire con un leggero movimento della testa.

«Oh, ok. Allora: che cosa voleva Linda?» Gli chiese, lo stesso sguardo che aveva quando giocava alla poliziotta con Trixie, ogni qualvolta la bambina ne combinava una delle sue.

«Solo sapere dov’è Amenadiel». Di nuovo, osservò Chloe, gli erano apparse le fossette.

«E dov’è Amenadiel?» Lo incalzò Chloe, visto che lui non si decideva a dire altro. Era estenuante dover tirargli fuori le parole con le tenaglie, tanto quanto sparava frasi senza senso.

«Non credo tu voglia saperlo davvero. Ora, se vuoi scusarmi...», si affrettò a raggiungere l’uscio, per evitare di scendere in particolari che sapeva la donna non avrebbe apprezzato.

«Lucifer, non dirmi che hai mandato Amenadiel all’Inferno», lo bloccò.

«Ehm... io...» Aveva la mano sulla maniglia, ma si girò a guardarla, senza, tuttavia, riuscire a formulare un pensiero di senso compiuto.

«Lucifer!»

 

§ § § § § § § § § §

 

Hellam era una piccola cittadina della contea di York, a ovest del fiume Susquehanna, un tempo territorio Susquehannock. La Statale 30 separava il piccolo centro abitato dalla foresta del Rocky Ridge Park, a sua volta divisa in due dalla Range Road. Proprio percorrendo questa strada, lasciandosi alle spalle il parco, si giungeva al Cancello Rosso, l’unico dei Sette Cancelli visibile di giorno. Per tenere lontani i turisti del macabro e i satanisti, l’amministazione comunale aveva diffuso la notizia che il cancello era una semplice struttura posta a chiusura di una proprietà privata. Secondo una leggenda locale, però, a costurirlo era stato un medico psicotico che con riti innominabili era riuscito a creare una sorta di portale infernale.

Stava piovendo a dirotto, quando Amenadiel giunse al Primo Cancello. Prima di oltrepassarlo, tirò un lungo sospiro, chiuse gli occhi e giunse le mani.

«Chi sei e che cosa vuoi?» Era un uomo anziano, alto quanto lui, con lunghi capelli bianchi e un sottile copricapo formato da varie piume che divideva la capigliatura in due metà identiche.

«Sono Amenadiel, il primo dei figli di Dio», si presentò, alzando il mento.

«Se sei davvero Amenadiel, dimmi che cosa ti porta su questo sentiero», gli ingiunse il Guardiano.

«Non è a te che devo rendere conto delle mie azioni, Tenskwatawa1», gli rispose l’angelo, senza nessuna particolare inflessione nella voce, mantenendo, però, la stessa rigida postura, con le braccia incrociate sul petto e le gambe leggermente divaricate.

Tenskwatawa non si scompose: «Aspetta qui. Vado a parlare con la mia Signora».

Amenadiel trasse un respiro profono e allungò le braccia lungo il corpo, stringendo e schiudendo più volte i pugni.

Quando Lucifer gli aveva chiesto di andare all’Inferno per sincerarsi che Kristiel stesse bene e che la loro madre non fosse tornata, Amenadiel avrebbe potuto, una volta dispiegate le ali, scendere direttamente negli Inferi, invece di volare dall’altra parte dell’America e affrontare lo stesso percorso delle anime dannate. La realtà era che non era pronto a tornare in quel posto: nei cinque anni in cui aveva cercato di sostituire Lucifer, aveva odiato ogni singolo secondo, ma non lo aiutava sapere che questa volta non sarebbe dovuto rimanere molto. Semplicemente, non era pronto ad affrontare la madre: che cosa le avrebbe detto? L’avrebbe abbracciata, oppure l’avrebbe distrutta per il male che aveva procurato a Linda?

Tenskwatawa lo strappò ai suoi pensieri: «La mia Signora accetta di vederti, ma dovrai lasciare un oggetto».

Ad Amenadiel non sfuggì la naturalezza con cui il Guardiano aveva usato il femminile: poteva questo significare che Kristiel – l’Angelo dell’Amore – si era così bene ambientata nel nuovo ambiente da essere riconosciuta come Regina degli Inferi da tutti i demoni? Certo, a quegli esseri non importava chi li governava, purché ci fosse qualcuno e che quel qualcuno fosse un angelo. Era un bene, oppure Lucifer aveva ragione a essere preoccupato? Soprattutto, si chiese ancora Amenadiel, Tenskwakawa, quando usava il termine “signora” si riferiva a Kristiel o alla Dea della Creazione? C’era solo un modo per scoprirlo: continuare il cammino, tanto più che era stato annunciato e non poteva più tornare indietro. Si chinò, dunque, a slacciarsi una scarpa: tanto, nel luogo dove stava andando non gli sarebbe servita.

Il vecchio susqueannock camminava lesto, a dispetto dell’età dimostrata, seguito da Amenadiel, il quale, invece, avanzava leggermente claudicante, a causa di una calzatura mancante. Il calzino, però, impediva che le sterpaglie a terra gli ferissero il piede.

Il bosco al di là della Prima Soglia pareva immune al temporale che si stava abbattendo su quell’angolo della contea, e sciami di api volavano attorno ad Amenadiel: anime appena trapassate in attesa della punzione2.

Man mano che si avvicinavano al Secondo Cancello, le voci nella testa di Amenadiel parevano farsi più insistenti. L’angelo scrollò il capo, continuando a seguire il vecchio: lui non aveva niente di cui pentirsi, lui era lì solo come visitatore – vivo – e non avrebbe corso il pericolo di rimanere imprigionato in quel luogo, per cui, non doveva mostrarsi impaurito.

«Aspetta qui, vado a parlare con la mia Signora», gli ingiunse, lasciandolo solo.

Non lo avrebbe aspettato senza fare nulla, permettendo a quelle voci di insinuarsi nella sua mente, così si chinò e si slacciò l’altra scarpa.

Quando il Guardiano tornò, dandogli il permesso di varcare anche quella soglia a patto di lasciare un altro oggetto, lui gli mostrò la scarpa sorridendo.

Tenskwatawa non mosse ciglio, ma si limitò a continuare a fargli da guida.

«Allora», Amenadiel provò a tacitare le voci tentando di conversare col vecchio, «non capita tutti i giorni scortare un angelo all’inferno».

Ricordava quella notte. Si era allontanato dal villaggio con una ragazza promessa a un altro. Aveva notato strani movimenti nel bosco, ma era troppo preso dal desiderio carnale perché potesse prestare la dovuta attenzione e poi, per quale motivo avrebbe dovuto tornare indietro? Probabilmente, non sarebbe mai riuscito ad arrivare in tempo per dare l’allarme giacché i soldati inglesi l’avrebbero scoperto e sicuramente ucciso. No, si disse, mentre cercava di rintanarsi con la ragazza dietro alcuni arbusti, meglio continuare a restare nascosti, lontano dalle grida della sua gente. La ragazza cercò di opporsi, ma lui la convinse a restare acquattata, a non fare pazzie, tanto ormai era troppo tardi per aiutare la loro gente. Il mattino dopo, quando raggiunsero la tribù, trovarono solo ruderi fumanti: erano gli unici sopravvissuti. Quando morì, anni dopo, la sua anima si trovò al cospetto di un essere gigantesco, dalla pelle rossa e con le costole che quasi uscivano dal petto, due enormi ali chirottere sulla schiena: «Tenskwatawa, che cosa vuoi da me? Oh, certo, troppo vile ti sei dimostrato da vivo perché mio Padre ti potesse accogliere nella Città d’Argento, non è vero? E tuttavia, troppo vile perfino per essere accolto qui... Oh, ecco, ho trovato: poiché tu hai permesso lo sterminio della tua gente, tacendo, ora accoglierai le anime al posto mio, senza possibilità di parlare con loro».

Era stata quella la condanna comminatagli da Lucifer, ma in quel momento lui stava accompagnando un angelo, non un’anima dannata, per cui, in teoria, non avrebbe eluso alcuna legge se avesse risposto ad Amenadiel: «Fare domande non rientra nelle mie mansioni», si limitò, però, a dire con voce monocorde.

«Giusto», convenne Amenadiel. «Per questo Lucifer ha scelto te, unico umano, come Guardiano della Soglia».

Nel frattempo, erano giunti al Terzo Cancello, per cui, di nuovo, gli ingiunse di attenderlo.

Lasciato un calzino, Amenadiel e la sua guida oltrepassarono anche quell’ostacolo. L’aria era sempre più torbida e scura, i lamenti sempre più forti, ma Amenadiel riusciva a distinguere lo scrosciare di una cascata: era vicina o era il suo udito angelico che sovrastava i dannati? Ciononostante, nessun rivolo di acqua scorreva in quel lembo di terra desolata: il fitto bosco era stato sostituito da un terreno arido, da cui si innalzavano scheletrici alberi da frutto, mentre nella mente di Amenadiel i lamenti erano stati sostituiti da continui ed estenuanti grugniti di maiali: un rumore continuo e snervante che gli stava facendo crescere una brama incontrollabile di un qualcosa che non sapeva definire. Cercò di ignorare quei versi scrollando la testa, ma più si allontanava dalla Terza Soglia, più quei grugniti diventavano parole di senso compiuto. Tra tutte, ne spiccava una: «Prendi». Si dimenò di nuovo, nel tentativo di tacitare quelle voci e già riusciva a intravedere il Quarto Cancello.

«Aspettami qui, vado ad avvertire la mia Signora»: il tono privo di ogni emozione del Guardiano lo riportò al presente e mai come in quel momento Amenadiel gliene fu grato. Rimasto solo, però, quella voce – prendi! – si fece così forte nella sua testa che l’angelo si mosse verso un albero. Gli arbusti rinsecchiti a terra gli ferivano i piedi, ma la sua brama era talmente forte che non si accorse del sangue.

«La mia Signora accetta di vederti, ma dovrai lasciare un oggetto».

«Che cosa?» Sbattè gli occhi e scrollò il capo quando sentì la voce di Tenskwatawa alle sue spalle.

Perché diamine si era spostato dal cancello e si trovava vicino a un albero con un calzino in mano? Non poteva aver ceduto alle voci come una qualsiasi anima dannata: lui era il primo degli Angeli di Dio, il prediletto tra i suoi Figli. Al massimo, avrebbe potuto peccare di orgoglio, come gli faceva sempre notare Lucifer. E allora, che cosa gli era accaduto? Tornò sui suoi passi e questa volta, il dolore gli strappò più di una smorfia, ma porse lo stesso il calzino al Guardiano.

Oltrepassato il Quarto Cancello, il forte odore di sangue provocò una smorfia di disgusto sulla faccia di Amenadiel, mentre il clangore delle armi di invisibili eserciti che si scontravano l’uno contro l’altro avevano sostituito i grugniti nella sua testa. In un certo senso, Amenadiel provò quasi sollievo: da loro, ne era sicuro, lui non aveva nulla da temere poiché non aveva avuto dubbi nello schierarsi nell’unica grande battaglia che aveva vissuto sulla propria pelle. Per questo motivo, nonostante il filo spinato infisso nella terra gli ferisse i piedi, seguì la sua guida quasi come fosse una passeggiata. Certo, il rumore era abbastanza fastidioso, ma, appunto, Amenadiel lo giudicò nulla più che un fastidio sopportabile.

Giunti al Quinto Cancello, di nuovo il Guardiano gli impose di attenderlo.

Mentre aspettava Tenskwatawa, si sfilò una polsiera – aveva deciso di lasciare la tunica per ultima, in modo da non presentarsi nudo di fronte a Kristiel, perché, insomma, era pur sempre sua sorella! – una freccia gli sibilò a pochi millimetri dal viso. Una freccia vera, demoniaca.

«Epona, per quale motivo hai attentato alla mia vita?»

Il centauro fece spallucce: «Dovevo sincerarmi che fossi davvero tu».

«Siamo nell’Antinferno: non ti è permesso perseguitare le anime qua e di sicuro ti è vietato attentare alla vita degli Angeli di Dio», la freddò con lo sguardo.

«Immagino tu abbia ragione», gli si avvicinò per raccogliere l’arma.

«Io HO ragione: lo sai».

«A ogni modo, che cosa ci fai qua, Bla-bla?» gli domandò, con un sorrisetto ironico stampato in viso, mentre la coda ondeggiava frenetica per scacciare invisibili insetti.

«Come mi hai chiamato?» Evitò di risponderle.

«Beh, sai», gli volse le spalle, o le anche, «non è che ti stessimo ad ascoltare ogni volta che blateravi di essere il primo degli Angeli di Dio. E non hai risposto alla mia domanda», gli fece notare.

«Sei tu che hai invaso gli incubi della figlia di Kristiel, quindi direi che conosci benissimo il motivo della mia visita».

«Era un messaggio per Lucifer», si voltò di scatto, incoccando una freccia e puntandola contro Amenadiel.

«Era impegnato».

«Oh, certo», finse di accondiscendere, «il nostro re ora ha un nuovo giocattolino e non ha più tempo per i suoi fedeli servitori». Il sorriso era glaciale, mentre abbassava l’arco.

«Attenta a come parli, Epona. È alla figlia di Kristiel che ti stai riferendo. Inoltre, tanto leali non mi siete sembrati», le ricordò.

«Io non c’entro con la Rivolta», si difese, rialzando l’arma.

Nel frattempo, Tenskwatawa riapparve, richiedendo un oggetto.

Lanciando un ultimo sguardo di sfida al centauro, Amenadiel gli porse il bracciale che si era sfilato quando Epona lo aveva attaccato.

«Non lasciare il sentiero», lo avvertì Tenskwatawa. Un ammonimento che non avrebbe mai lanciato alle anime, ma lui, beh, al di là della sua natura, era un ospite atteso dalla sua Signora e non poteva permettergli di distrarsi, altrimenti chi ne avrebbe pagato le conseguenze sarebbe stato lui.

Oltre il Quinto Cancello, Amenadiel si aspettava di trovarsi di fronte a muri di fiamme, o lande ghiacciate, invece, vennero accolti dal suono di una lira. Nulla a che vedere con la musica della Cttà d’Argento, ma era comunque una nenia riposante, che invitava a chiudere gli occhi, magari all’ombra di qualche sicomoro che si ergeva qua e là nel paesaggio... No – scosse la testa con quanto più vigore potè – doveva restare sveglio: Epona aveva mandato una richiesta di aiuto e lui aveva il dovere, in quanto fratello maggiore, di correre in aiuto di Kristiel. Eppure... quella musica era così dolce... sembrava un invito a lasciarsi tutto alle spalle. Per tutta la sua esistenza si era caricato anche delle responsabilità dei fratelli e adesso era così stanco...

Senza accorgersene chiuse gli occhi.

Diversi scossoni lo risvegliarono: che cosa ci faceva sotto l’albero?

«Non. Allontanarsi. Dal. Sentiero», sillabò Tenskwatawa, mentre lo aiutava a rialzarsi. Questa volta, non si limitò a fargli da guida, ma lo spinse con una certa violenza a proseguire il cammino.

Arrivati al Sesto Cancello, il Guardiano ripetè la solita frase, ma questa volta c’era una sorta di apprensione nella sua voce: che cosa sarebbe successo se in sua assenza l’Angelo si sarebbe riaddormentato? A ogni modo, era un rischio che doveva correre, visto che gli era stata ordinata una sosta a ogni Cancello.

Dal canto suo, Amenadiel si rese conto che se non fosse stato per quell’anima persa, avrebbe rischiato di non svegliarsi più, per cui, rimasto solo, mentre si sfilava l’altro bracciale, provò a canticchiare “One of us”, ma la ninna nanna risuonava così forte nella sua testa che presto si ritrovò a cantare a squarciagola e quasi non sentì Tenskwatawa che lo invitava a oltrepassare quel Cancello dopo aver lasciato qualcosa.

«Cerca di non guardare sotto di te perché, se verrai colto da vertigini e cadrai, questa volta non verrò in tuo aiuto», gli rivolse un sorriso sghembo, «e attraversa il ponte di corda in modo deciso, senza tremare».

Amenadiel lo guardò incredulo: si era dimenticato con chi stava parlando? Se anche fosse caduto, avrebbe potuto dispiegare le ali e librarsi in volo. A ogni modo, quello era l’ultimo tratto del cammino ed effettivamente, cadere proprio ora avrebbe vanificato tutta quella fatica, oltre al fatto che si sarebbe coperto di ridicolo di fronte a tutte quelle anime, per cui ignorò l’abisso senza fondo sotto di lui e incedette seguendo le indicazioni di Tenskwatawa. Non fu facile: ogni due passi una forte folata di vento scuoteva il sottile ponte di corda, rischiando di capovolgere chi lo stava attraversando: era l’istante della morte che imprigionava le anime dannate nell’eternità della ribellione, rendendole incapaci di pentimento.

Alla fine, dopo aver rischiato più volte di cadere, Amenadiel riuscì a posare entrambi i piedi sulla sottile stiscia di roccia che lo separava dal Settimo e ultimo Cancello, la vera Porta dell’Inferno.

«Apetta qui. Vado ad annunciarti alla mia Signora», gli ingiunse, per l’ultima volta.

Amenadiel si tolse il gilet lungo e, come già aveva fatto per gli altri indumenti, lo lasciò all’angolo sinistro del Cancello.

«La mia Signora accetta di vederti, ma d’ora in poi dovrai proseguire da solo», gli disse, prima di scomparire.

 

§ § § § § § § § § §

 

L’appartamento di Jane Valdez era simile a quello di Rebecca, ma un ingombrante tavolo rotondo occupava gran parte del soggiorno, mentre sul divano appoggiato a una parete stava dormendo la figlia di Rebecca. Indossava una maglietta bianca sporca di terra, come i jeans.

«Finalmente siete arrivati», sbottò la donna.

«Quando è arrivata la bambina?» Le chiese Dan.

Jane sbuffò: «Non ne ho idea. L’ho trovata sdraiata davanti alla porta di casa sua quando sono uscita, circa mezz’ora fa. E vi ho chiamato subito. Non sapevo come fare: sua madre è morta e non so come contattare i suoi parenti».

«Non si preoccupi», la rassicurò Dan, «ci penseremo noi».

Intanto, l’agente McEnroe si era avvicinata alla bambina e la stava scuotendo dolcemente: «Ehi, ciao, piccola».

La bambina ebbe un sussulto, prima di notare la divisa: «E tu chi sei?»

«Sono l’agente Nora McEnroe e lui è il mio superiore, il detective Espinoza: non devi avere paura di noi, adesso ti portiamo dai tuoi nonni, va bene?»

«Non possono venire qui?» La bambina si era appiattita contro lo schienale del divano.

«Eccola che fa i capricci», sbottò la Valdez. «Senti Cecilia, il fatto che ti ho fatto dormire sul mio divano mezz’ora non ti autorizza a mettere radici a casa mia», la rimproverò, guadagnandosi un’occhiata da parte dei poliziotti.

Nonstante Cecilia cercò di abbassare lo sguardo il più velocemente possibile, alcuni lacrimoni le bagnaronoi pantaloni. Nora le accarezzò una guancia, mentre Dan ignorò le esternazioni della padrona di casa.

«Ehi, scimmietta... Posso chiamarti scimmietta? Ho una figlia poco più grande di te, ma da quando era più piccola di te la chiamo così», cercò di guadagnarsi la fiducia della piccola. «Non devi avere paura di noi: guarda», le allungò il distintivo, affinchè potesse guardarlo. «È vero sai, non come quello che si trova nei negozi di giocattoli».

Cecilia lo maneggiò un po’, scossa dai singhiozzi.

«E sai una cosa? Nel cortile c’è una macchina della polizia con una sirena vera: non ti va di farci un giro sopra?»

«Io non ho fatto niente, perché volete arrestarmi?»

«Nessuno ti arresta, Cecilia. Solo che sarai più sicura in mezzo a tanti poliziotti, mentre aspettiamo che arrivino i tuoi nonni».

«Se vengo con voi, quell’uomo cattivo che mi ha tenuta in gabbia non mi prenderà più?» Domandò Cecilia, con gli occhi ancora umidi e il naso gocciolante.

«No, te lo prometto».

 

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Lo studio di Linda era come sempre luminoso, l’unica differenza era lei. Di solito, quando Lucifer entrava, lei era seduta alla sua scrivania e solo dopo, quando lui si era accomodato sul divano lei si sedeva sulla poltroncina di fronte. Questa volta, quando lui entrò, la trovò che passeggiava su e giù per lo studio.

«Dottoressa Linda! Prima che tu dica qualcosa...» La salutò Lucifer, appena entrato.

«Dov’è. Amenadiel», lo fulminò.

«Ha voluto andare a trovare nostra madre», si sedette sul divano e si versò dell’acqua.

«Tu hai spedito il padre di mio figlio in un universo alternativo?» Linda non riusciva a credere con quanta superficialità Lucifer si approfittasse dell’aiuto che gli amici (e il fratello, in questo caso) gli porgevano.

«Di grazia, come avrei fatto se non ho più la spada? E comunque, all’Inferno ci è voluto andare da solo. Più o meno», le sorrise.

Linda avrebbe voluto prenderlo a schiaffi, o strozzarlo magari, se non fosse stato più alto di lei. Tanto più alto di lei. Così, si limitò a distendere il collo, piegando la testa prima da un lato e poi da lato.

«Hai il torcicollo, per caso?» Le chiese Lucifer, ignaro dei reali sentimenti della cognata.

«Nooo, mi sto trattenendo dall’impulso di strozzarti», gli confidò, riservandogli un’cchiata dura.

«Fatica sprecata, temo: la detective non c’è, per cui ti ricordo che sono invulnerabile», le sorrise.

Linda chiuse gli occhi, emettendo un lungo respiro: «Lucifer. Vuoi dirmi, per favore, perché hai mandato Amenadiel all’Inferno?»

Lucifer si accomdò meglio sul divano e si aggiustò i gemelli: «A dire il vero, avrebbe già dovuto essere di ritorno. Il fatto è che nostra madre si è palesata attraverso un sogno di Alma Lucinda e siccome l’altra volta Amenadiel non è riuscito a salutarla, ho pensato che gli avrebbe fatto piacere rivederla. Tutto qui».

«Vostra madre è tornata e tu mi dici: tutto qui? Lucifer, ti devo ricordare che l’ultima volta mi ha quasi fritto? Che cosa pensi farà a Charlie?» Lo investì.

«Non devi preoccuparti, dottoressa», le rivolse il solito sorriso, «nostra madre è all’Inferno e Kristiel non la farà fuggire, te lo prometto».

In realtà, anche se non voleva ammetterlo, anche lui stava cominciando a preoccuparsi per il ritardo di suo fratello.

 

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Oltrepassato il Cancello di princisbecco3, Amenadiel si ritrovò risucchiato nei meandri infernali.

Si fermò un attimo, tirando un forte respiro, poi cominciò ad avanzare. La sua attenzione venne presto catturata da una porta che sbatteva ripetutamente. Camminò in quella direzione, ma, appena oltrepassata la soglia si torvò su una spiaggia lambita da un lago di fango ribollente, collegata alla spiaggia opposta solo da una sottile striscia di roccia. Ai lati di questa passerella, si rincorrevano cinghiali cavalcati da uomini e donne che si pugnalavano a vicenda.

Non si preoccupò più di tanto: a volte, i demoni si divertivano a spaventare in quel modo le anime appena arrivate, però si chiese per chi fosse stata creata quella cella.

«Ma che cos...»

Due cavalieri si stavano rincorrendo troppo vicino alla riva, ma così facendo quasi rischiarono di travolgere Amenadiel, il quale, però, fu lesto a fare un salto indietro.

Riconobbe Eva e l’assistente sociale che l’aveva cercato per l’affidamento di Alma Lucinda: entrambi cercavano di disarcionarsi a vicenda, ma mentre Eva cercava di accoltellare al cuore l’uomo, questi cercava di strangolarla. Quando sembrava esserci quasi riuscito, ecco che dal lago di fango apparivano mani braccia fanciullesche pronte a ghermire il dannato.

«Ciao fratello»: una voce femminile alle sue spalle lo fece sobbalzare.



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N.d.A.Come sempre, ringrazio tutti quelli che leggono lasciando un segno del loro passaggio, quanto coloro che preferiscono leggere in silenzio. Grazie soprattutto a chi ha inserito la storia tra seguite/preferite/ricordate.

1  Nel mito originale della discesa di Inanna negli Inferi – al quale mi sono ispirata per questo paragrafo – il Guardiano che accompagna la dea sumera è Neti. Ho deciso di discostarmi dal mito originale scegliendo un nome in lingua shawnee (di ceppo algonchino), che significa “apre porta”. In realtà i Susqueannock – che fino al diciasettesimo secolo confinavano con gli Shawnee – appartenevano al ceppo linguistico irochese, ma la loro lingua risulta estinta. Oltre al mito di Inanna, mi sono ispirata anche all’Eneide.

2  Secondo la credenza comune, le api rappresentano quasi sempre le anime dei defunti.

3  Da Wikipedia: termine usato per indicare un ottone con inclusioni di stagno dal colore simile all'oro. Il rapporto tra rame e zinco è variabile: Cu da 89% a 93% e Zn da 11% a 7%. Deve il suo nome all'inventore Christopher Pinchbeck (1670-1732) orologiaio inglese. Tale lega è stata usata principalmente per tutte quelle lavorazioni di poco valore ma appariscenti. Successivamente fu utilizzata da orefici disonesti al posto dell'oro e, con il passare del tempo, la parola è diventata sinonimo di falso, di bassa lega, non di valore.

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